CA “Peio PIO, RR d AAC CD \ A (© HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. DI diurni 12,189 do CICLI CACACE CEICLDE CO HI vini SADE FÒ EZZZS n I SEITE DIC 2A ISS “MA l(1 Sl Gili Ù (A SZ tal SK 3 | 3 Si CEI CAICAICAICA 5 DÌ ° Si rai ©) > a z | a - O = 3 ) ci a 3 di, 2 SERIE SECONDA Libraio della R. Accademia delle Scienze \S MEMORIE GALLO CLAUSEN ale] SD) DELLE SCIENZE Gi CA(CATI MOTI TEC]EEEEEEEEGR REALE ACCADEMIA LIS dc NI (4 dI È i I ) = I) 5) Se TR REI Sn A i (RSS TEN AA MA GEA Ti RED replera CE MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO Mit I bi de je MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DIELORINO SERIE SECONDA Tomo XLIV J'TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze Mi MDCCCXCIV PROPRIETÀ LETTERARIA Torino — Vixcenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi e della Reale Accademia delle Scienze. MAR 12 1895 ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI AL 1° OrtoBRE MPcccxcIv. PRESIDENTE VIcE-PRESIDENTE CARLE (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Leggi, Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. &, e em. T'ESORIERE CameRrANO (Lorenzo), Dott. aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia comparata nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro della Società Zoologica di Francia, Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra. Senie Il. Tom. XLIV. 2 VI CLASSE DI SCIENZE: RISICHE, MATRMATICHE E NATURALI Direttore D'OvipIo (Dott. Enrico), Professore di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi superiore e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e natu- rali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio dell’Ac- cademia Pontaniana, ecc., Uffiz. &, Comm. es. Segretario Basso (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Fisica matematica nella R. Università di Torino, Professore di Fisica nella R. Accademia Militare, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Membro della Società degli Spettroscopisti Italiani, *, e. ACCADEMICI RESIDENTI SaLvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Im- periale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del NuttalZ Ornithological Club, Socio Straniero dell’ American Ornithologist's Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della Società Ornitologica tedesca, Uffiz. «», Cav. dell'O. di S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). Vil Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino, Professore di Chimica docimastica nella medesima Scuola, e di Chimica minerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corri- spondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, e della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio ordinario non residente dell'Istituto d’Imcoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio effettivo della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, Comm. +, e, e dell'O. d’Ts. Catt. di Sp. BerrutI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Italiano, e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Gr. Uffiz. e»; Comm. +, dell'O. di Francesco Giuseppe d'Austria, della L. d’O. di Francia, e della Repubblica di S. Marino. Staccr (Francesco), Senatore del Regno, Tenente Colonnello d’Artiglieria della Riserva, Professore ordinario di Meccanica razionale nella R. Università di Napoli (già di Meccanica superiore in quella di Torino), Professore onorario della R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, e Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Uff. &, Comm. ee. Basso (Giuseppe), predetto. D'Ovipio (Enrico), predetto. Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Direttore del Laboratorio di Patologia generale nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Aeca- demia dei Lincei e delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio Straniero dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc. Uffiz. * e Comm. &s. FrrrARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Torino, Prof. di Fisica tecnica e Di- rettore del Laboratorio di Elettrotecnica nel R. Museo Industriale Italiano, Prof. di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno d: XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio Straniero dell’ Academia Cuesarea Leopoldino-Curolina Germanica Naturae Curiosorum, Membro onorario della Società di Fisica di Francoforte sul Meno, e dell Associazione degli Ingegneri elettricisti dell’Istituto Montefiore di Liegi; Uff. &; Comm. #39, dell'O. di Frane. Gius. d'Austria e dell'O. reàle della Corona di Prussia. VIII NaccarI (Andrea), Dottore in Matematica, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed: Arti, e della R. Accademia dei Lincei, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Uffiz. *, e». Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Acca- demia di Medicina di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di Scienze mediche e naturali di Bruxelles, ecc. ecc., £&, Comm. &s. SpezIA (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia, e Direttore del Museo mineralogico della Regia Università di Torino, e. - GIBELLI (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Botanica, e Direttore dell’Orto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, +, ew. Gracomini (Carlo), Dott. aggregato in Medicina e Chirurgia, Prof. di Anatomia umana, descrittiva, topografica ed Istologia, Corrispondente dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, e Direttore dell’Istituto Anatomico della Regia Università di Torino, *, cm. CamerANO (Lorenzo), predetto. SEGRE (Corrado), Dott. in Matematica, Professore di Geometria superiore nella R. Università di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, em. Prano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Prof. di Calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI MrenaBREA (S. E. Conte Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella R. Università di Torino, Tenente Generale, Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S. M., Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Cor- rispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), Membro Onorario del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Lettere e Scienze di Modena, Uffiziale della Pubblica Istruzione di Francia, ecc.; C. 0. S. SS. N., Gr. Cr. e Cons. &, Cav. e Cons. ©, Gr. Cr. #, es, dec. della Medaglia d’oro al Valor Militare e della Med. d’oro Mau- riziana; Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell'O. di S. Alessandro Newski IX di Russia, di Danebrog di Danim., Gr. Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo, dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità di Sassonia, della Corona di Wurtemberg, e di Carlo II di Sp., Gr. Cr. dell'O. di S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo d’Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zahringen di Baden, Gr. Cr. dell'Ordine del Salvatore di Grecia, Gr. Cr. dell'Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham AWid e del Nisham JIftigar di Tunisi, Gr. Cr. dell'Ordine della L. d’0. di Francia, di Cristo di Portogallo, del Merito di Sassonia, di S. Giuseppe di Toscana, Dottore in Leggi, honoris causa, delle Università di Cambridge e di Oxford, ecc., ecc. BrroscHI (Francesco), Senatore del Regno, Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bologna, ecc., Cor- rispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del Belgio, di Praga, di Erlangen, ecc., Dottore ad honorem delle Università di Heidelberg e di Dublino, Membro delle Società Matematiche di Parigi e di Londra e delle Filosofiche di Cambridge e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d'Onore; e, ©, Comm. dell'O. di Cr. di Port. Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Berlino, di Vienna, e di Pietroburgo, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze di Baviera e della Società Reale di Londra, Comm. «&, Gr. Uffiz. e»; =. ScRIAPARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell'Istituto di Bologna, Socio Corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Natu- ralisti di Mosca, e della Società astronomica di Londra, Gr. Cord. «=; Comm. %; ©. Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Matematica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Vice Presidente del Consiglio Superiore dell'Istruzione Pubblica, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edimburgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, delle Reali Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaco, Membro onorario dell’Imsigne Accademia romana di Belle Arti detta di San Luca, della Società Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britannica: pel progresso delle Scienze, x Membro Straniero della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, Dottore (LL. D.) dell’Università di Edim- burgo, Dottore (D. Sc.) dell’Università di Dublino, Professore emerito nell’ Università di Bologna, Gr. Uffiz. &, e «5, Cav. e Cons. ©. BeLrramIi (Eugenio), Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio estero della R. Accademia di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia di Berlino, della Società Reale di Napoli, dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica), della Società Matematica di Londra, Professore di Fisica matematica nella R. Uni- versità di Roma, Comm. &; 4, =. ACCADEMICI STRANIERI Dana (Giacomo), Professore a New Haven. Hermre (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi. WrierstRrAss (Carlo), Professore nell'Università di Berlino. THomson (Guglielmo), Professore nell'Università di Glasgow. GraenBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg. CavLev (Arturo), Professore nella Università di Cambridge. VircHow (Rodolfo), Professore nella Università di Berlino. KoenLiKER (Alberto), Professore nell'Università di Wurzburg. CORRISPONDENTI SEZIONE DI MATEMATICHE PURE Tarpy (Placido), Professore emerito della Ri. Università di Genova Mirenze Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di . . . . . . Heidelberg Scawarz (Ermanno A.), Professore nell'Università di . . . . Gottinga KurIn (Felice); Professore nell'Università di . . .. . ... . Gottinga Dini (Ulisse); Professore dii Analisi:superiore nella; R. Università: di. Pisa BertINI (Eugenio), Professore nella Regia Università di . . . Pisa DarBoux (G. Gastone), dell'Istituto di Francia . . . . . . Parigi Porncarf (G. Enrico), dell'Istituto di Francia . . .. ...... Parigi Nortir:(Massimiliano); Professore nell'Università di . . . . Erlangen BrancHI (Luigi), Professore nella R. Università di. . . . . . Pisa SEZIONE DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE FerGoLA (Emanuele), Professore di Analisi superiore nella R. Uni- VELA Ce Ri Ale dc MET be I ee) TaocHINI (Pietro), Direttore dell’Osservatorio del Collegio Romano Roma FaseLua (Felice), Direttore della Scuola navale Superiore di . . Genova Hopkinson (Giovanni), della Società Reale di . . . . . . . Londra ZeuneR (Gustavo), Professore nel Politecnico di . . . . . . Dresda Ewine' (Giovanni Alfredo), Professore nell'Università di . . . Cambridge xI° XII SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- VOLSE a o Ooma, KonuRraUSscH (Federico), Professore nell'Istituto fisico di . . . Strasburgo Cornu (Maria Alfredo), dell'Istituto di Francia . . . . . . Parigi FrLici (Riccardo), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- VONSIBA NOI a ER IIC OSIO IL LORIA CONCISA VicLArI (Emilio), Professore nella R. Università di . . . . . Napoli Rorri (Antonio), Professore nell’Istituto di Studi superiori pratici CMALGPertezIOn am EIN RE O en oe WiebEeMANN (Gustavo), Professore nell'Università di. . . . . Lipsia Ricni (Augusto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- WOLSIBA) On AI IONI A n OLONA Lrippmann (Gabriele), dell'Istituto di Francia . . . ... . . Parigi Hertz (Enrico Rodolfo), Professore nell’Università di . . . . Bonn BartoLI (Adolfo), Professore di Fisica nella R. Università di . Pavia SEZIONE DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA BONTEANZ (GIUSEPPA I E A ROC) PLanTAMOUR (Filippo), Prof. di Chimica . . ......... Ginevra Wii (Enrico), Professore di Chimica. . .. ........... . Giessen Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di Chimica . . . . . Heidelberg BertHELOT (Marcellino), dell'Istituto di Francia . . . . . . Parigi ParERNÒ (Emanuele), Professore di Chimica nella R. Università di Palermo KornER (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola superiore);d/Aericoltura in siete ii eo (FOR AIolilano FriepEL (Carlo), dell’Istituto di Francia . Fresenius (Carlo Remigio), Professore a. BarveR (Adolfo von), Professore nell'Università di KekuLE (Augusto), Professore nell'Università di Wixuiamson (Alessandro Guglielmo), della R. Società di THomseNn (Giulio), Professore nell'Università di LieBen (Adolfo), Professore nell'Università di . MenpeLEJere (Demetrio), Professore nell’Imp. Università di Horr (J. H. van’t), Professore nell'Università di . xJII Parigi Wiesbaden Monaco (Baviera) Bonn Londra Copenaghen Vienna Pietroburgo Amsterdam SEZIONE DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA StRiÙVvER (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di RosenBuscH (Enrico), Professore nell'Università di NorpENnsKI6LD (Adolfo Enrico), della R. Accademia delle Scienze di DAUBRÉE (Gabriele Augusto), dell’Istituto di Francia, Direttore della Scuola Nazionale delle Miniere a . ZrrgEL (Ferdinando), Professore a Des CLorzeaux (Alfredo Luigi Oliviero LegrAnD), dell’Istituto di Francia . CAPELLINI (Giovanni), Professore nella R. Università di . TscHERMAK (Gustavo), Professore nell'Università di . ArzruniI (Andrea), Professore nell’Istituto tecnico sup. (fechnische Hochschule) KLein (Carlo), Professore nell'Università di . Gente (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica . Serie Il. Tom. XLIV. Roma Heidelberg Stoccolma Parigi Lipsia Parigi Bologna Vienna Aquisgrana Berlino Londra 3 XIV SEZIONE DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE Trévisan DE Sarnt-Lfon (Conte Vittore), Corrispondente del RApIStitutoRito mare e lano GenvARI (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Università di Cagliari CaruEL (Teodoro), Professore di Botanica nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in... ...... . Firenze ARbpIssone (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola SUPERIOR UVA SrICO but RR ano SaccarDo (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di Padova Hooker (Giuseppe Daron), Direttore del Giardino Reale di Kew Londra SacHs (Giulio von), Professore nell'Università di... .. . . Wireburg DeLPINno (Federico), Professore nella R. Università di . . . . Bologna PrrortA (Romualdo), Professore nella Regia Università di . . Roma STRASBURGER (Edoardo), Professore nell'Università di . . . . Bonn SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA È FISIOLOGIA COMPARATA Dr SeLys LonecHAmPs (Edmondo) . . ............ Liegi Painippi (Rodolfo Armando) . 0/0... 0.0... . Santiago chi) GoLe: (Camillo), Professore di Istologia, ecc., nella R. Università di Puvia HarckeL (Ernesto), Professore nell'Università di . . . . . . Jena ScLareR (Filippo LurLev), Segretario della Società Zoologica di. Londra Fitto MMVittore), Dottore! (7 00 i DI ORIO AORnABIae o KovaLewskI (Alessandro), Professore nell’Università di. . . . Odessa Lupwre (Carlo), Professore nell'Università di . . . . .. . . Lipsia Locarp (Arnould), dell’Accademia delle Scienze di . . . . . Lione Cnauveau (G. B. Augusto), Professore alla Scuola di Medicina di Parigi Fosrer (Michele), Professore nell'Università di. . . . . . . Cambridge HrempENHAIN (Rodolfo), Professore nell’Università di. . . . . Breslavia Waxpeyver (Guglielmo), Professore nell'Università di . . . . Berlino GuentHER (Alberto), Direttore del Dipartimento zoologico del IMUSCOLBFIFANDICO RIMORSO See eZ ondra Howrr (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale Londra xv CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E RILOLOGICHE Direttore Segretario FerRrERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Professore nell'Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le scoperte di antichità nel Circondario di Torino, Con- sigliere della Giunta Superiore per la Storia e l’Archeologia, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Membro e Segretario della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio Corrispondente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di Romagna, dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico, e della Società Nazionale degli Antiquarii di Francia, fregiato della Medaglia del merito civile di 1% el. della Rep. di S. Marino, «es. ACCADEMICI RESIDENTI PevyRon (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. *, Uffiz. ces. VALLAURI (Tommaso), Senatore del Regno, Professore di Letteratura latina e Dott. aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella Regia Università di Torino, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Accademico d'onore della Romana Accademia delle Belle Arti di San Luca, Socio Corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Romana di Archeologia, della R. Accademia Palermitana di Scienze, Lettere ed Arti, della Società storica di Dallas Texas (America del Nord), Gr. Uffiz. * e Comm. e», Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. NOVA CLarErTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segretario della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Vice-Presidente della Società di Archeo- logia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro della Commissione conservatrice dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc., Comm. *, Gr. Uffiz. ws. Rossr (Francesco), Professore d’ Egittologia nella R. Università di Torino, Vice Direttore del Museo di Antichità a riposo, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e della Società per gli Studi biblici in Roma, «@. Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi, Commissario di S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Ti- bingen, Comm. #, Gr. Uffiz. «s», Cav. d'on. e devoz. del S. 0. M. di Malta. BornatI pi SAINT-PIERRE (Barone Federigo Emanuele), Dottore in Leggi, Soprin- tendente agli Archivi Piemontesi, e Direttore dell'Archivio di Stato in Torino, Membro del Consiglio d’Amministrazione presso il R. Economato generale delle an- tiche Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Presidente della Commis- sione araldica per il Piemonte, Membro della . Deputazione sopra gli studi di storia vatria per le Antiche Provincie e la Lombardia, e della Società Accademica d'Aosta, Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Società Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie della Romagna, della nuova Società per la Storia di Sicilia, e della Società di Storia e di Archeologia di Ginevra; Membro onorario della Società di Storia della Svizzera Romanza, dell’Accademia del Chablais, e della Società Savoina di Storia e di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. es. ScHIAPARELLI (Luigi), Dottore aggregato, Professore di Storia antica nella R. Università di Torino, Comm. &, e ds. Pezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Pro- fessore di Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, «9. FrerrERO (Ermanno), predetto. CARLE (Giuseppe), predetto. Nan (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, *, Uff. «. Bermi (S. E. Domenico), Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero del- ‘Ordine Mauriziano, Cancelliere dell'Ordine della Corona d’Italia, Deputato al Par- lamento nazionale, Professore emerito delle RR. Università di Torino, di Bologna, e di Roma, Socio Nazionale della Regia Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente XVII della R. Accademia della Crusca e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro delle RR. Deputazioni di Storia patria del Piemonte e dell'Emilia, Gr. Cord. &, e e; Cav. e Cons. &, Gr. Cord. della Leg. d’0. di Francia, dell'Ordine di Leopoldo del Belgio, dell’Ordine di San Marino, ecc. ecc. Coenerti De MaRtmIS (Salvatore), Professore di Economia politica nella R. Uni- versità di Torino, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e della R. Accademia dei Georgofili, #, Comm. css. GrAr (Arturo), Rettore e Professore di Letteratura italiana nella R. Università di Torino, Membro della Società romana di Storia patria, Uffiz. * e es. Bosenni (S. E. Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Vice-Presi- dente della R. Deputazione di Storia Patria, Socio Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della Società di Storia patria di Savona, Socio della R. Ac- cademia di Agricoltura, Deputato al Parlamento nazionale, Ministro delle Finanze, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Uffiz. &, Gr. Cord. e», Gr. Cord. dell'Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia e dell’Ord. di Ber- toldo I di Zàhringen (Baden), Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d’0. di Francia, e C. 0. della Concezione del Portogallo. Creoxna (Conte Carlo), Professore di Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione Veneta di Storia patria, Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), Socio Corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. eso. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Carumri DI Canroeno (Barone Domenico), Senatore del Regno, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Membro dell’Istituto Storico Italiano, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze Neerlandese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc. Gr. Uffiz. & e e, Cav. e Cons. ©, Gr. Cord. dell’O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. Revmonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia politica nella Regia Uni- versità di Torino, &. Ricci (Marchese Matteo), Senatore del Regno, Socio Residente della Reale Ac- cademia della Crusca, Uffiz. &. î XVIII Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Presidente di Sezione della Corte di Cassazione di Roma, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, e di quella di Palermo, della Società Generale delle Carceri di Parigi, Comm. #, e Gr. Croce 3, Cav. &, Comm. dell’Ord. di Carlo IN di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant’Olaf di Norvegia, Gr. Cord. dell'O. di S. Stanislao di Russia. Cantù (Cesare), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia dei Lincei, di quelle della Crusca, dell'Arcadia, di S. Luca, della Pontaniana, della Ercolanense, ecc., Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), Socio della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio, Gr. Cr. &, e w@, Cav. e Cons. =, Comm. dell’0. di C. di Port., Gr. Uffiz. dell'O. della Guadalupa del Messico, Gr. Cr. dell'O. della Rosa del Brasile, e dell'O. di Isabella la Catt. di Spagna, ecc., Uffiz. della Pubblica Istruz. e della L. d’O. di Francia, ecc. Tosti (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Vice Archivista degli Archivi Vaticani. VILLARI (Pasquale), Senatore del Regno, Professore di Storia moderna nell’Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, Vice-presidente della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia di Baviera, della R. Accademia Ungherese, Dott. in Legge della Università di Edim- burgo, Professore emerito della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. & e e@, Cav. ©, Cav. del Merito di Prussia, ecc., ecc. ComparetTI (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’Università di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia delle Scienze di Napoli e dell’Accademia della Crusca, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e della R. Accademia delle Scienze di Monaco, Uff. #, Comm. «s:, Cav. >. XIX ACCADEMICI STRANIERI Momwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di Berlino. MiLerR (Massimiliano), Professore nell’Università di Oxford. MeykR (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Direttore dell’Ecoles des Chartes a Parigi. ParIS (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi. BonrtLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia. TosLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. GneIst (Enrico Rodolfo), Professore nell'Università di -Berlirio. ArnerH (Alfredo von), Direttore dell'Archivio imperiale di Vienna. Maspero (Gastone), Professore nel Collegio di Francia. XX CORRISPONDENTI SEZIONE DI SCIENZE FILOSOFICHE RENDU NEUE SION L'E RO LCA O 07 BonaATELLI (Francesco), Professore nella Regia Università di . . Padova Ferri (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . . . Roma BonaHÒi (Ruggero), Professore emerito della R. Università di . . Roma SEZIONE DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI LampeRtIco (Fedele), Senatore del Regno . . . . ....... Roma SERAFINI (Filippo), Senatore del Regno, Professore nella R. Uni- VASI RSI (O IRRADIO E E O o. (0) Ual SOS SerpA PimenteL (Antonio di), Consigliere di Stato. . . . . . Lisbona Roprisurz DE BrrLanca (Manuel) . . .. .......... Malaga ScauPreR (Francesco), Professore nella R. Università di. . . . Roma Cossa (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . . . Pavia PertiLE (Antonio), Professore nella R. Università di. . . . . Padova GasBa (Carlo Francesco), Professore nella R. Università di . . Pisa Buonamici (Francesco), Professore nella R. Università di . . . Pisa DarEstE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia . .. .......... Parigi SEZIONE DI SCIENZE STORICHE AprIANnI (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di STOLLA Pablo e N A RI N RRE CO Sana urea 127 A.SCO PerRENS (Francesco), dell'Istituto di Francia . . . .. .. .... Parigi HauLuevILLE (Prospero de) . De Leva (Giuseppe), Professore nella R. Università di SvseL (Enrico Carlo Ludolfo von), Direttore dell'Archivio di Stato in Watnon (Alessandro), Segretario perpetuo dell’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) WixLems (Pietro), Professore nell'Università di . Birca (Walter de Gray), del Museo Britannico di Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Archivi Napoletani Carini (Mons. Isidoro), Prefetto della Biblioteca Vaticana . WarrenBacH (Guglielmo), Professore nell'Università di CHEvALIER (Canonico Ulisse) SEZIONE DI ARCHEOLOGIA Parma di Crsnora (Conte Luigi) . FroreLLIi (Giuseppe), Senatore del Regno . Currius (Ernesto), Professore nell'Università di Larres (Elia), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere . Poger (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a PLevre (Guglielmo), Conservatore del Museo Egizio a Parma pi CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro della Società degli Antiquarii di Mowar (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia NaApaAILLAC (Marchese I. F. Alberto de) Brizio (Eduardo), Professore nell'Università di Serie II. Tom. XLIV. XXI Bruxelles Padova Berlino Parigi Lovanio Londra Napoli Roma Berlino Romans New- York Roma Berlino Milano Savona Leida Londra Parigi Parigi Bologna 4 XXI SEZIONE DI GEOGRAFIA - Neri (Barone Cristoforo), Console generale di I* Classe, Consultore legale del Ministero degli Affari esteri... ./...... Torino Kieperr (Enrico), Professore nell'Università di . . . . . . . Berlino Prcorini (Luigi), Professore nella R. Università di . . . . . Roma SEZIONE DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE KrenL (Ludolfo), Professore nell'Università di . . . ...... Lipsia SOURINDRO MOHUNGRAGORER SRI SO I IT N ORIO Ascori (Graziadio), Senatore del Regno, Professore nella R. Acca- AEMIANSCICHLIACO=] ebbe rara ORC E RR E Va lano WeBER (Alberto), Professore nell'Università di. . . . . . . Berlino KerbaxER (Michele), Professore nella R. Università di . . . . Napoli IMARRENVARISLICO Re DI ia OSE DINE Vauiciosson Oppert (Giulio), Professore nel Collegio di Francia . . . . . Parigi Guipi (Ignazio), Professore nella R. Università di. . . . . . Roma SEZIONE DI FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA Linati (Conte Filippo), Senatore del Regno . . . ........ Parma Brfar (Michele), Professore nel Collegio di Francia . . . . . Parigi NecronI (Carlo), Senatore del Regno . . . ........... Novara D'Ancona (Alessandro), Professore nella R. Università di . . . Pisa Nicra (5. E. Conte Costantino), Ambasciatore d'Italia a . . . . Vienna Rayna (Pio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e Ci PELTEZIONAMENEO MAR ME renze DeL Lunco (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della CEUSCAOR A I E A ET O e N20 XXIII MUTAZIONI avvenute nel Corpo Accademico dal 1° Settembre 1893 al 1° Ottobre 1894. ELEZIONI SOCI Lessona (Michele), rieletto Presidente dell’Accademia nell'adunanza plenaria del 24 Giugno 1894. CarLE (Giuseppe), rieletto Vice-Presidente dell’Accademia nell’adunanza plenaria del 24 Giugno, ed approvato con R. Decreto del 4 Agosto. FerrERo (Ermanno), rieletto Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell’adunanza del 24 Giugno, ed approvato con R. Decreto del 6 Agosto. NorrHER (Massimiliano), Professore nell'Università di Erlangen, nominato Corri- spondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Mate- matica pura e Astronomia) nell'adunanza del 3 Dicembre 1893. Zeuner (Gustavo), Professore nel Politecnico di Dresda, id. id. (Sezione di Matematica applicata e scienza dell’Imgegnere civile e militare) id. id. Hertz (Enrico Rodolfo), Professore nell'Università di Bonn, id. id. (Sezione di Fisica generale e sperimentale) id. id. MenpeLEJEFF (Demetrio), Professore nell’Imperiale Università di S. Pietroburgo, id. id. (Sezione di Chimica generale ed applicata) id. id. Grim (Arcibaldo), Direttore del Museo di geologia pratica di Londra, id. id. (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia) id. id. i SrrAsBURGER (Edoardo), Professore nell'Università di Bomm, id. id. (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale) id. id. GuentHER (Alberto), Direttore del dipartimento zoologico del Museo Britannico, id. id. (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id. BrancHI (Luigi), Professore di Matematica nella R. Università di Pisa, nominato Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Matematica pura ed Astronomia) nell'adunanza del 27 Maggio 1894. Kwine (Giovanni Alfredo), Professore nell’Università di Cambridge, id. id. (Sezione di Matematica applicata è Scienza dell’Ingegnere civile e militare) id. id. BartoLI (Adolfo), Professore di Fisica nella R. Università di Pavia, id. id. (Sezione «di Fisica generale e sperimentale) id. id. Hort (J. H. van’t), Professore nell'Università di Amsterdam, id. id. (Sezione di Chimica generale ed applicata) id. id. FLowrr (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale di Londra, id. id. (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata) id. id. XXIV MORTI 12 Ottobre 1893. Scaccni (Arcangelo), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 1 Gennaio 1894. Hrerrz (Enrico), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale). 14 Febbraio 1894. CartALAN (Eugenio), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate- matiche e naturali (Sezione di Matematica applicata e Scienza dell’mgegnere civile e militare). 20 Marzo 1894. Cramponnion-FrerAac (Amato), Socio Corrispondente della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche). 15 Aprile 1894. Marienac (Giovanni Carlo), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata). 17 Aprile 1894. Boncompaeni (D. Baldassarre) dei Principi di Piombino, Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Matematica pura ed Astronomia). 28 Aprile 1894. BarTAGLINI (Giuseppe), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 20 Maggio 1894. Daguer (Alessandro), Socio Corrispondente della Classe di Scienze morali, sto- riche e filologiche. 6 Luglio 1894. MarLARrD (Ernesto), Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, mate- matiche e naturali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia). 7 Luglio 1894. Wuirney (Guglielmo), Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 20 Luglio 1894. Lessona (Michele), Socio nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 8 Settembre 1894. HreLwoLrz (Ermanno Luigi Ferdinando), Socio straniero della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 15 Settembre 1894. FaBreETtI (Ariodante), Socio nazionale residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 20 Settembre 1894. _ De Rossi (Giovanni Battista), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. — «an» è SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI to a INDICE CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI I Molluschi dei terreni terziariù del Piemonte e della Liguria descritti dal Dott. Federico Sacco. — Parte XII (Conidae) (Fascicolo primo) pag. Sulle proprietà termiche dei Vapori. — Parte V. Studio del vapore di alcool rispetto alle leggi di Boyle e di Gay-Lussac; Memoria del Prof. Angelo BATTELLI. 5 Latitudine di Torino determinata coi metodi di Guglielmo Struve da F. Porro , Ricerche di Geometria sulle Superficie algebriche; Memoria di Federigo INR IGES RE RINCARI RI Ro TIVI SIE Rivista critica delle specie di “ Trifolium , italiane, comparate con quelle straniere, della Sezione “ Lupinaster , (Buxbaum); Memoria del Dottore SEE TV ARE TIT RENI IE RITO AL PE IT A CERI TRINO lr Sulle Equazioni Abeliane reciproche le cui radici si possono rappresentare con x, 0x, 0°x,....., 0°7x; Memoria I di V. MoLLAME » Sopra le Curve di dato ordine e dei massimi generi in uno spazio qualunque; IMICIMO LIA ZAR GIO MARIANO AT PO SION IA LAVATA ONESTI Un metodo per la trattazione dei Vettori rotanti od alternativi ed una appli- cazione di esso ai Motori elettrici @ correnti alternate; Memoria del Socio Galileo FERRARIS . Lenta polarizzabilità dei Dielettrici — La Seta come dielettrico nella costru- zione dei condensatori; Memoria dell’Ingegnere Luigi LomBARDI . Ditteri del Messico. — Parte IL Muscidae calypteratae — Ocypterinae — Gymnosominae — Phasinae — Phaninae — Tachininae — Dexinae — Sarcophaginae; Memoria del Dott. E. GieLio-Tos Uccelli del Somali raccolti da D. Eugenio dei Principi Ruspoli, descritti dal Socio Tommaso SALVADORI Studio sperimentale sulla riproduzione della Mucosa pilorica; Memoria del Dott. R. VIVANTE »” 547 565 Muto. nre 1 EAT Ù A di I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARII DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA DESCRITTI DAL Dott. FEDERICO SACCO Approvata nell'Adunanza del 19 Febbraio 1893. PARTE XOI 0). (CONIDA E) (FascicoLo PRIMO) Famiglia CONIDAE (Swanson), 1840. Genere CONUS Lmnw., 1758. È hen noto come il genere Conus sia, fra i Molluschi, uno dei generi più ricchi di forme. È pur noto che, mentre il zoologo basa la maggior parte delle sue de- terminazioni dei Coni sopra le loro svariatissime colorazioni, tale carattere viene a mancare pressochè completamente al paleontologo il quale deve quasi sempre studiare esemplari affatto scolorati o, in qualche raro caso, con scarsissimi residui della colora- zione originale, residui parziali che, talvolta, possono anche offrire un aspetto diverso da quello della completa colorazione primitiva. Ora è anche conosciuto come, fatta astrazione dei colori, studiando i Coni solo riguardo alla loro forma, si debba ammettere che questa è cosiffattamente variabile che una sola specie, e ne sia esempio il comune Conus mediterraneus, può nelle sue svariatissime modificazioni non soltanto assumere la forma di altre specie dello stesso sottogenere, ma eziandio di sottogeneri diversi. Inoltre anche fra le forme viventi di Coni la loro ripartizione in diversi sottogeneri è ancor lungi dall'essere naturale e soddisfacente e dovrà subire in avvenire non poche modificazioni. Di più sono pure sovente notevolissime le variazioni che la stessa forma subisce dal periodo giova- nile a quello adulto. (1) Nota. — Il fascicolo secondo della Parte XIII, con numerose tavole, non potendo più essere inserito, nel corrente anno accademico, nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, venne pubblicato a spese dell’Autore, affinchè non fosse troppo ritardata la pubblicazione della pre- sente Monografia. — Nello stesso modo e per la stessa causa furono già pubblicate le Parti IX, X e XI. — Tali parti trovansi in vendita presso la Libreria LorscHer di C. Crausen — Torino. Serie Il. Tom. XLIV. A 2 FEDERICO SACCO Quindi se si tien conto della straordinaria variabilità dei Coni, della mancanza di caratteri ornamentali che servano a guidarci nella loro determinazione, della scom- parsa, nei fossili, dell’importantissimo carattere della colorazione, e dello immenso loro numero nei depositi terziarii del Piemonte, si può comprendere come lo studio dei Coni piemontesi siami stato particolarmente lungo e difficile, nè mi lusingo d’averlo superato senza commettere errori che potranno essere eliminati in avvenire collo studio di altri esemplari meglio conservati. Con tale pensiero ho pure tralasciato per ora la determinazione di alcuni esemplari, specialmente del sottog. Ohelyconus, che, o per essere poco ben conservati o per rappresentare forti variazioni od anomalie, non sapevo a quale specie attribuire, nè parevami logico fondarvi nuove specie. D'altronde tali grandi difficoltà nella determinazione dei Coni fossili furono già incontrate e dichiarate dal Brocchi, dal Borson, dal Michelotti, ece., e ricordo al ri- guardo come il compianto amico Prof. Bellardi parlandomi dei suoi futuri studi sui Molluschi del Piemonte mi ebbe più volte a dire che quando sarebbe giunto a quello dei Coni temeva di perderci la testa. Il materiale che ebbi a mia disposizione fu straordinariamente abbondante, es- sendo rappresentato da 20,000 esemplari ad un dipresso, di cui circa 5000 del Plio- cene, e circa 15,000 del Miocene. Credo che tale ricchezza di materiale proveniente da tutti i piani del Miocene e del Pliocene ed esaminato in una sola volta sia assai importante permettendo di fare una larga comparazione e quindi di comprendere meglio il concetto delle specie e le loro variazioni. Potei così convincermi che più ricco è il materiale che si ha in esame, minore è il numero delle specie nuove che si hanno a creare, poichè essendo possibile una estesa comparazione si vedono meglio i legami delle varie forme, i loro gradualissimi passaggi, ecc.; quindi il concetto della specie è naturalmente obbligato ad allargarsi alquanto per racchiudere una serie di forme transitorie o. irradianti, direi, che evidentemente non sono che modi- ficazioni locali; di una data specie della ‘quale esse veggonsi conservare. la. facies complessiva, ma che esaminate isolatamente parrebbero altrettante specie a sè. È perciò che avendo avuto a:studiare un 20,000 esemplari circa di Coni, non solo ebbi a creare poche nuove specie e quasi soltanto fra le forme mioceniche finora meno cono- sciute, ma inoltre credetti dovere ridurre diverse forme, ritenute finora buone specie; al grado di semplici varietà o di forme giovanili di specie prima stabilite, mentre che invece seguendo per esempio il metodo usato, dal Bellardi nelle sue ultime Mono- grafie avrei dovuto creare diverse centinaia di nuove specie di Coni, producendo così tale confusione quale è facile immaginare. . In complesso potei constatare che ogni sottogenere di Coni, ad eccezione dei Chelyconus, è rappresentato da poche specie per ogni orizzonte geologico, mentre in- vece esse variano per lo più da un orizzonte all’altro, specialmente dal Zongriano all'Elveziano (ciò che si comprende facilmente) e dall’Elveziano al Tortoniano, perchè la zona fossilifera dell’Elveziano torinese trovasi specialmente alla base dell’ Elveziano ed è quindi sovente separata dal Tortoniano da oltre 1000 metri di depositi dell’E7- veziano medio e superiore. Meno spiccato, ma pure assai notevole, è il cangiamento delle specie dal Tortoniano al Piacenziano esistendo. tra questi due orizzonti il piano Messiniano, ed essendosi inoltre nel frattempo verificate importanti variazioni clima- tiche, batimetriche, ece. Quanto al cangiamento fra le specie piacenziane e quelle I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 9 astiane, esso è spesso poco notevole ed è particolarmente dovuto a differenze bati- metriche. Noto infine che siccome col materiale raccolto in Piemonte in piani geologici tra loro abbastanza distanti si può sovente constatare una serie di graduali pas- saggi fra diverse specie, dalle più antiche alle più recenti, è logico ammettere che, se si avesse un materiale proveniente da tutti i piani e sottopiani, rappresentati eziandio dalle loro diverse facies, il graduale modificarsi e collegarsi delle specie e la successiva derivazione di un gran numero di esse risulterebbe ancor più chiara ed evidente. Riguardo al materiale avuto in comunicazione debbo accennare che, oltre a quello solito, importantissimo, proveniente dalle collezioni dei Musei geologici di Torino, di Roma, di Modena, di Genova, di Pavia, di Milano e dalla collezione privata Rovasenda, ebbi pure in esame altre raccolte assai ricche messe gentilmente a mia disposizione dai loro proprietari, Clarence Bicknell (per la Liguria) ed Odoardo'Bagatti (per il Piacen- tino), nonchè parziali contribuzioni di privati collettori di fossili dei colli torinesi, quali i signori Paravicini, Forma, ece. Faccio ancora osservare come fra il materiale sovra accennato sia specialmente interessante quello delle tipiche collezioni di Brocchi (Museo di Milano), di Borson, Bonelli e Bellardi (Museo di Torino), di Michelotti (Museo di Roma) e di Doderlein (Museo di Modena), giacchè queste racchiudono numerosi preziosissimi tipi, coll’esame diretto dei quali potei non solo schivare, ma anche chiarire e togliere una quantità di errori di determinazione, errori fatti spe- cialmente nella seconda metà del corrente secolo a cominciare dal classico lavoro dell’Hoernes che, riguardo ai Conus, offre molte inesatte determinazioni le quali fu- rono causa di una lunga serie di errori successivi. Fra i principali di questi errori, noto specialmente la. confusione delle specie tipiche del Miocene con quelle plioceniche e viceversa, la moltiplicazione delle specio fatte sovente su semplici varietà, talora persino sopra un esemplare difettoso 0 sopra esemplari giovani, la falsata interpretazione di alcune specie del Lamarek, ecc. Avverto che, per brevità, a cominciare dalla presente monografia nella descrizione delle varietà tralascio la solita indicazione: Distinguunt hane varietatem @ specie typica sequentes notae, per tutte quelle varietà la cui diagnosi comparativa si riferisce alla specie tipica, solo più mantenendo la frase di comparazione quando: la varietà che si descrive viene paragonata ad altra varietà, la quale in tal caso viene naturalmente indicata. Sottogen, DENDROCONUS Swarns. 1840. Questo sottogenere è specialmente sviluppato nel T'ortoniano e nel Pliocene, mentre scarseggia nei terreni più antichi. Alcune forme sembrano quasi passare ai Litho- conus ed ai Chelyconus. Per lo più esse si possono facilmente distinguere osservandole nella, regione: della spira, perchè quivi l’ultimo anfratto visibile è notevolissimamente più largo degli altri, fatto che generalmente è meno spiccato negli. altri. sottogeneri, 4 FEDERICO SACCO DENDROCONUS BETUTINOIDES (LK.) (Tav. 1, fig. 1). C. Testa oblongo-turbinata, laevi; basi sulcis transversis obsoletis distantibus; spira convera, mucronata, basi rotundata (Lamarck). Alt. 20-160 mm.: Largh. 12-80 mm. 1768. WOLCH u. KNORR, Naturgesch. Verstein., II, Tab. CHI, fig. 3. 1798. Volutites N. 1. BORSON, Ad Orict. pedem. auctarium, pag. 176. 1810. Conus betulinoides Lk. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. Nat., pag. 440, n. 2. 1814. , "i 8 BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 286. 1 LO levigatus Defr. DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., Tome X, pag. 263. 181890088 betulinoides Lk. ; 5 3 A n 264. 1820 ci: 5; È, BORSON, Oritt. piem., pag. 9 (188). 1827.» 1) A BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 3647, 3650. 1830. , cf. È A BORSON, Cat. Coll. min. Turin, pag. 605. 1831. 5 BRONN, Ital. tert. Geb., pag. 13. 1842. , 3 A SISMONDA, Syr. meth., 1% ed., pag. 43. 1845. 7, 9 5 LAMARCK in DESHAYES, An. s. vert., vol. XI, pag. 153. 1847. |, O 4 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44. 1848. |, È A ° BRONN, Ixd. paleont., pag. 328. 1851. , 6 D HOERNES, oss. Moll. Wien. Beck., pag. 16-17. 1852. he x D’ORBIGNY, Prodr. Pal. str., III, pag. 171. 1866. , do i DA COSTA, Gaster. dep. terc. Portugal, pag. 6. 1885. |, » (Lk.) Hoern. DE GREGORIO, Conch. med. viv. e foss., pag. 352-353. 189003 a Lk. SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piem., n. 4377. Tortoniano: Stazzano (rarissimo). Piacenziano: Albenga (R. Torsero) (alquanto raro). Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (non raro). Osservazioni. — È la forma più gigantesca dei Coni piemontesi. Quanto al tipo esso non venne ancora figurato, poichè le figure date di questa specie sono basate su esemplari di località e di età diversa da quella del tipo, e non corrispondono perfettamente alla descrizione del Lamarck. Ciò dicasi per esempio per la figura data dall’Hoernes e che il De Gregorio vorrebbe adottare come tipo; mentre invece io pro- porrei per tale forma, che è una semplice varietà del C. detulinoides, il nome di pervindobonensis SAcc. (1851, Conus betulinoides Lk. — HoeRrNEs, Foss. Moll. Tert. Beck. Wien. — Tav. II, Fig. 1), non trattandosi affatto del 0. Aldrovandi come suppone il Doderlein. Credetti perciò conveniente assumere e far figurare come tipo l’esemplare ritenuto come tale dal Brocchi e che corrisponde assai bene alla diagnosi del Lamarck. Gli esemplari giovani ricordano alquanto il C. pyrula ed il C. laeviponderosus ; essi sono in generale assai mucronati e quindi distinti da quelli adulti, in cui l’apice è in gran parte eroso. La tinta del fossile in esame è per lo più giallastra, ma spesso sonvi anche larghe ed irregolari macchie rossigne, od anche tutta la conchiglia è roseo-rossastra. Gli esemplari più giganteschi provengono quasi tutti da un banco dell’ Astiaro inferiore affiorante al fondo di una valletta presso Vezza d'Alba. È notevole che gli esemplari tortoniani sono generalmente alquanto più. conici di quelli pliocenici, per modo da formare quasi un passaggio al D. Berghausi. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 5 Il Conus cacellensis Da Costa nominato dal Cocconi fra i fossili pliocenici del Piacentino “ En. Moll., ecc., pag. 148 , è probabilmente una varietà di C. detulinoides. D. BETULINOIDES Var. SUPRAMAMILLATA SACC. (Tav. I, fig. 2). Testa plerumque magna. Spira convezior, mamillaris. Anfractus rotundatiores. Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (non rara). OsservaziIONI. — Raggiunge spesso le massime dimensioni di questa specie. D. BETULINOIDES Var. CHELYCONOIDES SACC. (Tav. I, fig. 3). Testa minus conica, subovoidea. Spira perelatior, conico-subconvera, apice mucronatior. Alt. 92 mm.; Lat. 60 mm. Astiano: Vezza d'Alba (rara). OsservazionI. — Presenta molti caratteri di Chelyconus, ma nel suo complesso è riferibile invece ai Dendroconus; potrebbe forse da alcuno essere eretta in specie a parte, ma avendone un esemplare solo, trovato fra numerosi D. detulinoides, sem- brami più logico di considerarla come una varietà di detta specie. D. BETULINOIDES Var. EXLINEATA SACC. (Tav. I, fig. 4). Testa subconica, sulculis linearibus remotis ornata; spira planiuscula; apice exerto; anfractubus planatis, basi sulcata (Borson). ) Distinguunt hanc var. a specie typica sequentes notae: Spira elatior, subconica, apice magis mucronata. Anfractus superne minus converi, laevissime subangulosi. Alt. 20-100 mm.: Lat. 12-55 mm. 1820. Conus lineatus Bors. BORSON, Oritt. piemont., pag. 10 (189). 1830005 3 È 5 Cat. Coll. Min. Musée Turin, pag. 605. 1848. : , 1 do BRONN, Index Paleont., pag. 330. Tortoniano : Stazzano, S. Agata, Montegibbio (rara). Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (frequente). Osservazioni. — Il nome di Borson cade in sinonimia col C. lineatus BRAND. (1766). Potei ritrovare l'esemplare tipico su cui il Borson fondò la sua specie, e che io quindi figuro come tipo di questa varietà; ma il secondo esemplare (colla retepora) che accenna il Borson ha la spira più depressa e più concava, per modo da riunirsi meglio alla var. concavespirata; ambidue sono dell’Astigiana. Il carattere di questa varietà è in parte giovanile, direi, poichè negli esemplari giovani esso è quasi costante, talora anzi spiccatissimo sui primi anfratti; ma con- servasi anche in molti esemplari adulti. 6 FEDERICO SACCÒ Gli esemplari tortoriani sono generalmente mal conservati, in generale un po’ più conici di quelli pliocenici. Nell’EWweziano dei colli torinesi trovansi esemplari che ricordano questa varietà, ma sono alquanto più rigonfi nella parte superiore per modo che forse debbono at- tribuirsi ad altra forma. D. .BETULINOIDES Var. CONCAVESPIRATA SACC. (Tav. I, fig. 5). Spira depressior, subplanata vel subconcava potius quam subconvera; anfractus superne minus rotundati, laeviter subangulati. Alt. 20-120 mm.: Lat. 12-70 mm. Elveziano: Colli torinesi (rarissima). Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Albenga (R. Torsero), Bordighera (non rara). Astiano: Astigiana, Vezza d’Alba (non rara). Osservazioni. — Presenta graduale passaggio sia al tipo che alla var. exlineata. Ricorda talora di lontano un Lithoconus per la spira depressa. Gli esemplari elve- ziani paiono far passaggio alla var. dertocanaliculata. Debbo accennare al riguardo come nell’Elveziano dei colli torinesi abbia osservato altre forme diverse (forse nuove) di Dendroconus che per. essere rappresentate solo da rari resti molto imperfetti credetti più opportuno non descrivere per ora; in parte ricordano il D. detulinoides. D. BETULINOIDES Var. DERTOSULCULELLATA SACCO. (Tav. I, fig. 6). Testa aliquantulum magis conica; sulculelli prope suturam visibiliores. Tortoniano: — S. Agata fossili, Stazzano (non rara). Osservazioni. — Per la forma più conica tende verso il D. Berghausi, come l’af- fine C. Mojsvari H. A., che io considererei pure solo come una varietà di passaggio tra il D. bdetulinoides ed il D. Berghausi. D. BETULINOIDES Var. DERTOMAMILLATA SACC. (Tav. I, fig. 7). Testa aliquantulum magis conica, crassa; spira inflata, convero-mamillata. Anfractus superne rotundatiores, ultimus prope suturam laevissime subcanaliculatus. Alt. 100-103 mm.: Lat. 62 mm. Tortoniano: Stazzano (non rara). Osservazioni. — Per la sua relativa conicità, altri potrebbe forse già riferirla al D. Berghausi. La sua spira è molto simile a quella della var. supramamillata. Forme simili si incontrano nel Miocene di Cacella, per quanto risulta dalle figure del Da Costa. (Gast. terc. Portugal., Tav. I, Fig. 1, Tav. H, Fig. 1, 2), e nel Miocene viennese, come l’indica il D. hungaricus (H. A.). I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 7 D. BETULINOIDES Var. DERTOCANALICULATA SACC. (Tav. I, fio. S). Testa aliquantulum magis conica, crassa. Spira laeviter depressior. Anfractus su- perne aliquantulum rotundatiores, prope suturam plus minusve sulculellati, ultimus laeviter canaliculatus. Alt. 40-100 mm.: Lat. 25-56 mm. Elveziano: Colli torinesi (rarissima). Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (non rara). Osservazioni. — Passa gradatamente alla var. dertomamillata e quindi tende pure verso il D. Berghausi. Le è affine, se non identico, il C. Mercatiù secondo Da Costa (Gast. terc. Portugal — Tav. III, fig. 1). DenpROoconUs BereHAUSI (Micut.) (Tav. I, fig. 9). Testa crassa, conica, abbreviata; spira mucronata, valde depressa; anfractibus (in adultis) superne planulatis, laevigatis, ultimo obtuse rotundato; apertura coarctata, ad basim subdilatata; columella inferne striata (Michelotti). Alt. 13-85 mm.: Lat. 8-58 mm. 1847. Conus Berghausi Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 242, Tav. XII, fig. 9. SATO s3 a SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44. ISS A È HOERNES, Foss. Moll. teri Beck. Wien., pag. 19. 15200 5 È D’ORBIGNY, Prod. Pal. strat., III, pag. 56. IS s x DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia cent., pag. 25 (107). TEO n A DA COSTA, Gast. dep. terc. Portugal, pag. 9. IN e maculosus Grat. FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. Sh 0 Berghausi Micht. COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 147. Mega maculosus. Grat. LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 64. 1884. , Berghausi Micht. DE GREGORIO, Conch. medit. viventi e fossili, pag. 358. 18905 a a SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4376. Elveziano : Colli torinesi (raro). Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (non raro). Piacenziano: Piacentino (Gropparello) (rarissimo). OsservazionI. — In complesso questa forma essenzialmente tfortoniana è assai caratteristica e ben distinta dal D. detulinoides, per cui credo si possa ritenere come una buona specie, ma è certo che per mezzo di alcune varietà essa sembra collegarsi col D. betulinoides. Quanto all’identità che ‘alcuni, come il Fischer, il Tournouer, il Locard, ece,, credettero ravvisare tra il C. Berghausi ed il C. maculosus GrAT., a me sembra che essa non sia accettabile. Questa specie è per lo più alta solo dai 2 ai 4 cm.: gli esemplari grandi sono assai rari e sovente sembrano formare passaggio al D. detulinoides. È notevole che la forma tipica, stata. figurata. dal Michelotti, e che io figuro di miovo, è relativa- mente rara, mentre sono comunissime alcune delle varietà indicate im appresso. 8 fi FEDERICO SACCO Rarissimi sono gli esemplari che conservino traccie della colorazione. Gli esem- plari giovani sono generalmente meno conici ed a spire più elevate di quelli adulti. Questa specie è molto variabile, per modo che alcune delle sue variazioni rice- vettero nomi specifici diversi; così è forse il caso pel D. Daciae H. A., pel D. vo- eslauensis H. A., per parte delle figure colle quali il Da Costa e l’Hoernes R. ed Auinger indicano il C. subraristriatus DA Costa, ecc. La forma indicata da “R. Hoernes ed Auinger come 0. Loroîsi KienER (1889, Gaster. I u. II Mioc. Med. Stufe, Tav. II, fig. 5) è distinta dalla forma vivente per modo che le do il nome di ezloroisi SAco.; essa potrebbe forse anche considerarsi come una varietà di D. Berghausi. Lo stesso deve forse ripetersi per il C. antiquus di GrareLouP (Atlas Conch. foss. Adour. 1840, Tav. 43, Fig. 1), forma che forse è solo una varietà (che io appellerei var. erantigua Saco.) del C. Berghausi. D. BERGHAUSI var. SUBASPIRA SACC. (1366. DA COSTA (Conus Berghausi) Gast. terc. Portugal, Tav. I, fis. 3). Spira depressior, planoexcavata. Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili (non rara). D. BERGHAUSI var. PROPEBETULINOIDES SACC. (Tav. I, fig. 10). Testa plerumque major, aliquantulum elongatior. Spira plerumque plus minusve depressa. In anfractubus prope suturam sulculelli subvisibiles. Alt. 58-72 mm.: Lat. 38-45 mm. 1842. Conus antiquus Lk. (pars) SISMONDA, Syn. meth., 1° ed. pag. 43. Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara). OssERVAZIONI. — Si avvicina alquanto al D. detulinoides, specialmente alle sue var. dertocanaliculata e dertosulculellata, tanto che talora la loro distinzione può sem- brare incerta. Inoltre presenta caratteri di passaggio alla var. exfuscocingulata. D. BERGHAUSI Var. BIFASCIOLATA SACC. (Tav. I, fig. 11). Testa affinis var. propebetulinoides, sed in regione ventrali medio-supera duo fasciolae brunneae conspiciuntur. Alt. 67 mm.: Lat. 45 mm. Tortoniano: S. Agata fossili (rara). Osservazioni. — Oltre alle due fascie più evidenti, altre se ne intravvedono qua e là specialmente nella parte caudale. D. BERGHAUSI Var. EXFUSCOCINGULATA SACC. (Tav. I, fi. 12). Testa plerumque minor, superne inflatior, spira elatior, cingulis fuscis, plus minusve distantibus, transversim ornata. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 9 Alt. 16-26 mm.:; Lat. 10-17 mm. 1862. Conus fuscocingulatus Bronn. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). 187300 H ò) COCCONI, Er. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 148. 1890.» A À DELLA CAMPANA, Pliocene Borzoli, pag. 27. 1890. , n 5 SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 5440. Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (frequente). Piacenziano: Borzoli, Piacentino (non rara). Osservazioni. — Il carattere dei cingoli bruni, rilevati o no, credo che abbia poca importanza, anzitutto perchè esso osservasi quasi solo negli esemplari giovani, ed anche perchè lo ebbi a constatare su forme alquanto diverse; inoltre esso talora appare solo per alterazione del calcare superficiale. Quindi credo trattisi piuttosto di un carattere casualmente apparente nel sruppo del D. Berghausi, piuttosto che non di un vero carattere inerente ad una data specie, tanto più che, come dissi, esso osservasi specialmente sugli esemplari giovani. D. BeRGHAUSI var. MoRAVICA (H. A.). (1851. M. HOERNES (C. fuscocingulatus). Foss. Moll. tert. Beck. Wien., Tav. I, fig. 4). (1889. R. HOERNES u. AUINGER (Lithoconus moravicus). Gaster. I u. IT mioc. Medit. stuf., pag. 29). Tortoniano: Stazzano (rara). OsseRvAZIONI. — Come già dissi riguardo alla var. eafuscocîngulata, credo che il carattere dei cingoli trasversi abbia poca importanza, certamente non tale da costituire una specie a parte. Gli esemplari di Stazzano sono più piccoli del tipo. Notisi che il vero €. fuscocingulatus Bronn non è quello rappresentato dalla fig. 4 (Tav. I del sovraccennato lavoro di M. Hoernes), ma bensì quello della fig. 5, che non ha spiegazione al piede della tavola, donde nacquero molte confusioni. D. BERGHAUSI var. MORAVICOIDES SACC. (Tav. I, fig. 13). Testa crassior, magis conica; spira elatior, subconica. Alt. 27-40 mm.: Lat. 18-30 mm. Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara). OsservaZziONI. — Questa forma, si avvicina moltissimo alla var. moravica; se ne distingue essenzialmente per la mancanza dei cingoli trasversi. D. BERGHAUSI Var. TRIANGULARIS SACC. (Tav. I, fig. 14). Testa crassa, valde magis conica, subtriangularis, superne perexpansa. Alt. 36 mm.: Lat. 31 mm. Tortoniano: Stazzano (rara). OssERVAZIONE. — Può considerarsi come una esagerazione della var. moravicoides. Serie II. Tom. XLIV. B 10 FEDERICO SACCO D. BERGHAUSI Var. PLANOCYLINDRICA SACC. (Tav. I, fig. 15). Testa minus conica, inferne magis dilatata, deinde subeylindrica; spira depressa. Alt. 26-38 mm.: Lat. 20-26 mm. 1827. Conus antiquus Lk. BONELLI, Cat. ms. Museo Zool. Torino, n. 3651, 1842.» 7 7 SISMONDA, Syn. meth., 1° ed. pag. 43 (pars). Tortoniano: S. Agata fossili (non rara). D. BERGHAUSI var. PERCOMMUNIS SAcc. (Tav. I, fig. 16). Testa clavatior. Spira elatior. Anfractus superne regularius rotundatiores. Alt. 13-80 mm.: Lat. 8-52 mm. EWeziano: Colli torinesi (rarissima). Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (frequentissima). Osservazioni. — Molti esemplari erano indicati nelle diverse collezioni come C. Aldrovandi. Sono rarissimi gli esemplari che conservino le colorazioni, come quelli figurati; in generale sono scolorati. Questa varietà passa gradatamente sia alla var. Vacecki (H. A.), sia alla var. Broterî (Da Costa). D. BereHAUSsI var. VAcECKI (H. A.). (1851. M. HOERNES (C. Berghausi). Foss. Moll. tert. Beck. Wien., Tav. I. fig. 3). (13879. R. HOERNES u. AUINGER, (C. Vacecki). Gaster. I u. II Mioc. Med. stuf., pag. 22). Testa subglandiformis, superne inflatior, plus minusve submamillata. Alt, 14-45 mm.: Lat. 8-30 mm. ? Elveziano: Colli torinesi (rara). Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano, Montegibbio (frequente). Piacenziano: Borzoli (rara). OsservazioNnI. — Questa forma si collega per infiniti passaggi sia colla var. per- communis, sia colla var. glandiformis, per modo che se ne potrebbero costituire numerose altre varietà che credo invece più opportuno di raggruppare attorno alla forma figu- rata da R. Hoernes. I colori quasi sempre sono scomparsi. Gli esemplari giovani sono generalmente meno conici ed a spira più elevata che non quelli adulti. Sono probabilmente ancora riferibili a queste varietà le forme figurate dal Da Costa a Tav. II (Fig. 3, 4, 5, 6) del suo lavoro Gast. Terc. Portugal. 1866. D. BERGHAUSI var. GLANDIFORMIS SACC. (Tav. I, fig. 17). Testa affinis var. Vacecki, sed magis glandiformis; spira inflatior; anfractus su- perne rotundatiores; puncticulis seriatis interdum ornata. Alt. 35 mm.: Lat. 23 mm. | Tortoniano: Stazzano (rara). I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 11 Osservazioni. — Senza voler dare troppa importanza alle colorazioni tanto va- riabili è notevole come in questa forma si osservino talora punteggiature invece di macchiette quadrangolari come è per lo più il caso per le forme del D. Berghausi. Essa passa gradualissimamente alla var. Vacecki. Questa forma è distintissima dalla var. alpus De GREG. (1866 Conus Berghausi Micam. — DA Costa Gast. Terc. Portugal, .Tav. I, Fig. 2) la quale sembra quasi avvicinarsi meglio al tipico D. bdetulinoides; invece il Da Costa figura come C. Eschewegi in parte (Fig. 24 di Tav. IX) forme af- fini, forse identificabili a quella in esame. D. BERGHAUSI var. CONOTRIANGULA SACC. (Tav. I, fig. 18). Testa subbiconica. Spira elatior, sat regulariter conica. Anfractus superne obtuse angulati. Alt. 43 mm.: Lat. 27 mm. Tortoniano: Stazzano (rara). Osservazioni. — Ricorda alquanto il D. Steindachneri H. A. che potrebbe forse essere anche considerato come una varietà di D. Berghausi. D. BERGHAUSI var. SEMISULCATULA SACC. (Tav. I, fig. 19). Testa minus triangularis. Spira aliquantulum elatior. Anfractus semisulcati. Tortoniano : Montegibbio (rara). Osservazioni. — Ricorda alquanto il C. Neumayri H. A. che forse è solo una varietà del D. Berghausi. D. BERGHAUSI Var. CONICOSPIRA SACC. (Tav. I, fio. 20). Testa affinis var. Vacecki, sed interdum aliquantulum elongatior, spira elatior, plus minusve conica. Alt. 14-45-155 mm. : Lat. 8-27-135 mm. Ebeziano: Colli torinesi, Baldissero (non comune). Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili, Montegibbio (frequentissima). OsservaZzIONI. — Passa gradualissimamente alle var. Vacecki e glandiformis. Pre- senta qualche rassomiglianza con qualcuna delle forme che il Da Costa riferisce al C. subraristriatus (che forse è, in parte, soltanto una varietà del D. Berghausi), nonchè col D. Steindachneri H. A. (= D. Hochstetteri H. A. in texto). Anche alcune forme (Fig. 20 e 22 di Tav. IX) figurate dal Da Costa come 0. Eschewegi sono riferibili alla varietà in esame. D. BERGHAUSI Var. PERMUCRONATA SACC. ' (Tav. I, fig. 21). Spira plus minusve subconica, elatius mucronata. Tortoniano: S. Agata fossili, Stazzano (non rara). 12 FEDERICO SACCO Osservazioni. — Forma passaggio sia al tipo che alla var. percommunis; distin- guesi dalla var. coricospira per avere la spira meno inflata. DENDROCONUS DERTOVATUS SACC. (Tav. I, fig. 22). Testa subovato-conica. Spira elato-convexa, subconica, non scalarata, pagodaeformîs. Anfractus convexuli; ultimus permagnus, convenovatus, în regione medio-infera profunde transversim sulcatus. Apertura constricta. Alt. 16-27-45 mm.; Lat. 9-15 mm. Tortoniano: Stazzano, S. Agata (non rara). Osservazioni. — Questa forma sembra doversi elevare al grado di specie a parte, quantunque si possa anche considerare come una forte variazione della specie-gruppo D. Berghausi. Riguardo al C. dertovatus debbo notare come su qualche esemplare abbia osser- vato residui di lineette trasverse, ciò che, unitamente alla forma, avvicina alquanto il D. dertovatus al tipico C. fuscocingulatus Bronn (HorrnEs, Foss. Moll. Tert. Beck. Wien, Tav. I, fig. 5, non 4). Credo quindi necessari ulteriori studii per chiarire la vera posizione ed interpretazione del C. fuscocingulatus il quale sembra pure rap- presentato in Piemonte; ma il materiale osservato non mi permette per ora di giudicare nettamente al riguardo, tanto più che i colori caratteristici sovente man- cano e forse non hanno quel valore assoluto che altri volle loro attribuire. Noto infine che mentre il tipico €. fuscocingulatus figurato da M. Hoernes rassomiglia assai ad un Dendroconus, quelli figurati da R. Hoernes ed Auinger nella Tav. I del loro recente lavoro “ Gastr. I u. Il Mioc. Med. stufe , sono invece veri Chelyconus, per modo che credo opportuno distinguerli con due nomi diversi, cioè var. ochreocin- gulata Sacc. (fig. 10, 11) e var. pòteleinsdorfensis Sacc. (fig. 13). D.. DERTOVATUS Var, CONNECTENS SACC. (Tav. I, fig. 23). Testa magis conica, minus ovata. Spira depressior. Tortoniano: Stazzano (rara). Osservazioni. — Sembra quasi costituire un anello di congiunzione fra il D. der- tovatus e la var, conicospira del D. Berghausi. DenpRoconus EscnewEGI (DA Costa). (1866. DA COSTA, Gaster. dep. terc., Portugal, pag. 29, Tav. IX, fig. 29). Alt, 13-40 mm.: Lat, 8-20 mm. 2 Elveziano: Colli torinesi (rara). Tortoniano: Stazzano, S. Agata (alquanto rara). ? Piacenziano: Vezza d'Alba (rarissima). Osservazioni. — H Da Costa istituendo questa specie ne lasciò i limiti così larghi da includervi diverse varietà di D. Berghausi, a cui d’altronde essa è stret- tamente connessa; perciò la specie del Da Costa si doveva. o abolire o restringere in limiti più definiti, come io credetti di fare ponendone a tipo la fig. 23. Un esem- FEDERICO SACCO I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 13 bis Quadro comparativo dei DENDROCONUS. Attualità O. Loroisii — D. sumatrensis — D. betulinus — D. figulinus supramamillata chelyconoides Astiano D. betulinoides e var. exlineata concavespirata exfuscocingulata Piacenziano D. betulinoides e var. concavespirata D. Berghausi var. D. Eschewegi var. depressoastensis Vacecki eafuscocingulata moravica | pervindobonensis | moravicoides exlineata | triangularis dertomamillata — planocylindrica Tortoniano D. betulinoides e var. {| dertosulculellata — | ( propebetulinoides | | percommunis D. Eschewegi e var. caelata i | ce ) — ( var. € D. Berghausi e var. ( | dertocanaliculata — bifasciolata \ Vaceckiî | D. Daciae — hungarica i glandiformis D. pyruloides — . \ Moisvari conotriangula semisulcatula conicospira D. dertovatus e Var. connectens permucronata LI È percommunis RISeri | concavespirata l veziano Dendroconus betulinoides var. | D. Berghausi e var. | ? Vacecki D. Eschewegi var. caelata | dertocanaliculata conicospira I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 13 plare di Stazzano presenta un leggiero solco trasversale nella regione ventrale su- periore, per modo che ricorda un 0. ponderosus; si potrebbe perciò indicare come var. ponderosulcatula. D. EscHEWwEGI var. carLata (Don. Sacc.). (Tav. I, fig. 24). Spira minus elata, subrotundata. 1862. Conus caelatus Dod. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). IEBO, ca » s SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5446. Elveziano: Colli torinesi (rara). Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (alquanto rara). Osservazioni. — Il nome dato dal Doderlein essendo nome di catalogo non può rappresentare la specie tipica. Per quanto mi risultò dall'esame della Collezione del Museo geologico di Modena, una parte degli esemplari determinati dal Doderlein «come C. risus D’OrB. sono esemplari giovani di questa forma e del D. pyruloides. D. EScHEWEGI var. DEPRESSOASTENSIS SACC, (Tav. I, fio. 25). Testa minus ovata; spira valde depressior, convexula, vix apice aliquantulum maucronata. Piacenziano: Astigiana (rarissima). Osservazioni. — È importante vedere che il D. Eschewegi giunge al Pliocene. DeNDROCONUS PYRULOMDES (Dop. SACC.). (Tav. I, fig. 26). Testa elongato-pyruloides. Spira subacuta, parum elata. Anfractus convexuli; ultimus magnus, in dinvidia infera parte sulcis profundis transversim ornatus. Apertura elon- gato-constricta. Alt. 8-30-35 mm.: Lat. 7-14-17 mm. 1862. Conus pyruloides Dod. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). 1890. |, a È SACCO, Catal. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 5444. Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (frequente). OsservaZzioNI. — Descrissi la specie sugli esemplari originali del Doderlein. Essa, malgrado la sua somiglianza col Chelyconus pyrula (Br.), collegasi strettamente col D. Berghausi. Gli esemplari giovani, che poco differiscono da quelli del D. Berghausi, erano determinati nella collezione del Museo geol. di Modena in parte come €. nisus D’ORB. ed in parte come C. pyriformis Dop. D. PYRULOIDES Val. PLANACUTISPIRA SACC. (Tav. I, fio. 27). Spira depressior, minus conica, apice acutior. Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio oi 14 FEDERICO SACCO Sottogen. LITHOCONUS MércH, 1850. Lirnoconus MercatII (BR.). (Tav. II, fig. 1). Testa oblongo-conica, spira acuta, anfractubus omnibus convexiusculis, suturam prope leviter canaliculati, basi confertim striata, rugosa (Brocchi). Alt. 18-100 mm.: Lat. 8-58 mm. 1717. MERCATI, Metallotheca vaticana, pag. 303, fig. 3. 1814. Conus Mercati Br. - BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 287, Tav. II, fig. 6. SS NE n È DEFRANCE, Dict. Hist. natur., tome X, pag. 264. 19200008 ATER BORSON, Oritt. piemontese, pag. 18 (197). 1825. È 7 BASTEROT, Bass. tert. S. O. France, pag. 40. 1826. , > 1 RISSO, Prod. Europe mérid., IV, pag. 230. 18270 È x BONELLI, Cat. ms. Museo Zoolog. Torino, n. 2984, 2985, 3649. LES A 5 BORSON. Cat. Coll. min. Turin, pag. 606. MES, 7 5 BRONN, It. tert. Geb., pag. 13. 1832. , 1 5) DESHAYHES, Expéd. scient. Morée, III, pag. 200, n. 354. 1836. , mediterraneus var. PHILIPPI, Enum. Molluscorum Siciliae, I, pag. 238. 1842.» Mercati Br. SISMONDA, Syn. meth., 1* ediz., pag. 43. 1845. 3 È A LAMARCK in DESHAYES, ZHist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 161. 1847. |, £ 3 SISMONDA, Syr. meth., 2* ediz., pag. 44. 1848. , mediterraneus Brug. var. BRONN, Index paleont., pag. 330. 1851.» Mercati Bronn. HOERNES, Foss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 23. 1852. , È 3 D’ORBIGNY, Prod. Pal. str., II, pag. 171. IL S6 ONBINE 9 ò A Gast. dep. terc. Portugal, pag. 11 (pars). 1573 00 2I Ù FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. IS6 o È 5 COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioce. Parma e Piacenza, pag. 149. SAR 5 3 LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 65. IS a a 5) FONTANNES, Moll. Plioc. Vallée Rhòne, pag. 140. 1890... , s SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piem., n. 4389. Piacenziano: Castelnuovo d'Asti, Alba, Magnano nel Biellese, Piacentino (non rara). Astiano: Astigiana (Buttigliera, Capriglio, Cortazzone, Baldichieri, Valle Andona, Villafranca, Monteu-Roero, ecc., ecc.), Bra; Piacentino, ecc. (abbondantissima). OsseRVAZIONI. — Questa specie fu spesso erroneamente interpretata dai varii autori, come risulta dalle figure date dall’Hoernes e da altri; inoltre ebbi a consta- tare che gran parte degli esemplari di questa specie erano classificati come €. Al- drovandi. Quindi riguardo a diversi autori (Risso, Sasso, Sismonda, Lamarck, D'Or- bigny, ecc.) si dovrebbe anche porre nella sinonimia della specie in esame l’indi- cazione: C. Aldrovandi; ma mi limito ad accennare il fatto, il quale spiega molte confusioni verificatesi riguardo a queste due forme. È perciò che credetti opportuno far figurare di nuovo l’esemplare tipico del Brocchi. Nella collezione Brocchi oltre all’esemplare tipico di S. Miniato havvene un altro, quasi identico, delle crete senesi. Gli anfratti presso la sutura sono talvolta più o meno striolati trasversalmente. È a notarsi che nell’Astiano del Piemonte le forme del L. Mercati, quantunque siano talora identificabili col tipo, in generale sono leggermente più allungate e supe- riormente più strette, ad anfratti un po’ più gradinati nella spira, la quale è un po’ più bassa, in modo da far quasi passaggio alla var. cincta. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 15 Gli esemplari giovani si distinguono per essere assai più allungati proporziona- tamente al diametro trasversale, spesso substriolati presso la sutura, in modo che sembrano far passaggio alla var. Caroli. Anom. niericans Saco. — Testa griseo-nigra. Astiano — Astigiana (rara). Anom. crassELaBIATA Sacco. (Tav. II, fig. 2). — Spira depressa, parum scalarata, Anfractus ultimus aperturam versus et prope aperturam 2 cingulis longitudinalibus, percrassis, irregularibus, munitus. Astiano — Astigiana (rarissima). Anom. ANOMALOSULCATA Sacc. (Tav. II, fig. 2%). — Anfractus ultimus transversim sulcis subparallelis, plus minusve latis et profundis, inter se varie distantibus, munita. 1826. Conus Mercatiî Br. var. — BONELLI, Cat. ms. Museo Zool. Torino, n. 3648. Astiano — Villanova d'Asti (rarissima). L. MERcAMI var. cincta (Bors.). (Tav. II, fig. 3). Anfractus transversim cingulis parallelis, subdepressis, interdum suboblitis, inter se sat distantibus, ornata. Alt. 40-55 mm.: Lat. 22-81 mm. 1798. Volutites 2°. BORSON, Ad. Orict. ped. auct., pag. 176. 1820. Conus cinctus Bors. 1 Oritt. piemont., pag. 13 (192). 183000005 ” n A Cat. coll. min. Turin, pag. 605. 1848. , 5; S BRONN, Index Paleont., pag. 329. Astiano: Astigiana (non rara). Osservazioni. — I caratteri di questa forma consistono nei cingolelli trasversi o cordoncini visibili ad occhio nudo e rilevati, come dice il Borson, e non già in suleuli come egli indica nella diagnosi. Essa potrebbe forse riguardarsi solo come un’ano- malia, poichè i caratteri che la distinguono compaiono su forme alquanto diverse. L. MercaATI var. ALDROVANDI (BR.). (Tav. II, fig. 4). Testa conica, sulcis transversis remotis leviter impressis, spira convexoacuta depres- siuscula, anfractubus rotundatis, extimo vix excavato, basi integra oblique striata, colu- mella intorta, canaliculata (Brocchi). Distinguunt hanc var. a specie typica sequentes notae: Testa inflatior; spira minus scalarata. Anfractus prope suturam subrotundati, mi- nime subcanaliculati. Alt. 76 mm.: Lat. 48 mm. 1648. ALDROVANDI, Museum metallicum, pag. 471, fig. 1 (2) 1314. Conus Aldrovandi Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 287, Tav. II, fig. 5. 1818. , b 3 DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., tome X, pag. 264. 1329900 È È BORSON, Ortt. piem., pag. 172 (304). 16 FEDERICO SACCO 1826. Conus Aldrovandi Br. RISSO, Mist. Nat. Europe mérid., IV, pag. 228. 182745 5 È SASSO, Saggio geol. Bac. terz. Albenga, pag. 482. 1829. 5) È DE-SERRES, Geognosie terr. tert., pag. 127. LEONE 9 5 BORSON, Cut. gen. Coll. min. Turin, pag. 606. 33 îi A BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 13. 1842 1 A SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43. 1845. 7 È LAMARCK in DESHAYES, Mist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 160. 1847 M 5 SISMONDA, Syn. meth., 1° ed., pag. 43. 1848. , di L BRONN, Index paleont., pag. 328. 185 È $ HOERNES, Yoss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 18. 1852 a 5 D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 171. 186205 " 5 DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Ital. centr., pag. 25 (107). 18680000 5 Di DA COSTA, Gast. tere. Portugal, pag. 7. IST 06 = do FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. Ie 5 3 COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 147. auto a 5 x LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 63. Ù ILS O 7 ISSEL, Fossili marne Genova, pag. 24. 1884. , betulinoides, forma div. DE GREGORIO, Conch. medit., pag. 66. 1886. , Aldrovandi? Br. SACCO, Valle Stura di Cuneo, pag. 66. SO n A SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4368, 5433. Piacenziano: Crete sanesi e Bologna (rara). OsservaZzIONI. — Debbo anzitutto accennare come le indicazioni segnate nella sinonimia si riferiscano sovente a forme ben diverse dal vero C. Aldrovandi, come potei convincermi confrontando l'esemplare tipico, sia colle figure o colle descrizioni date dai diversi autori, sia cogli esemplari che nelle varie collezioni trovai determi- nati come 0. Aldrovandi, e che invece appartengono in parte al L. Mercati, in parte a Dendroconus, ed alcuni anche a Chelyconus. Ne derivò quindi una grande confusione la quale si può solo eliminare ritornando all’esemplare tipico del Brocchi, che cre- detti quindi necessario far nuovamente figurare. Quanto a questo esemplare tipico notiamo dapprima come esso nella collezione Brocchi sia ora unico, mentre in generale gli altri coni vi sono rappresentati da di- versi esemplari per ogni forma; inoltre esso presenta l’ultimo anfratto più volte ed irregolarmente interrotto e risaldato, con salti, ecc. (ciò che venne in parte omesso dal disegnatore del tipo), per modo da indicarci di aver appartenuto ad un individuo anomalo. Riguardo agli anfratti superiormente subrotondati noto come nello stesso esemplare tipico del C. Mercatii vi sia già un accenno di detto carattere, il quale meglio si accentua in alcuni individui ed in alcune varietà di detta specie e special- mente nella var. elongatofusula e depressulospira, le quali varietà, fatto curioso, presen- tano pure generalmente nell’ultimo anfratto forti rotture, salti e risaldature come nell’esemplare tipico del C. Aldrovandi. D'altra parte anche in questo stesso esem- plare del Brocchi scorgonsi, specialmente nell’ultimo anfratto, gli accenni della de- pressione subcanalicolata del L. Mercatti. Per tali motivi io inclinerei a considerare il C. Aldrovandi come una varietà del L. Mercatii, nè parebbemi giusta l’interpretazione inversa, quantunque il C. Mer- cati sia stato descritto un numero dopo del C. Aldrovandi, poichè questa forma, unica o rarissima, sembra quasi solo rappresentare un'anomalia. Noto qui come la forma figurata da M. Hoernes come C. detulinoides non possa appellarsi Karreri H. u. A. (1889), perchè già indicata come Hoernesi da Doderlein (1862); il nome di Karrerî va riservato alla forma figurata (Tav. IV, fig. 7) con I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 17. questo nome da R. Hoernes ed Auinger. Quanto alla forma figurata da questi ultimi autori come 0. Aldrovandi (1889 — Tav. IV, fig. 2) non ha che fare con tale specie, per cui le do il nome di pseudaldrovandi Sacco. L. MERCATI var. ELONGATOFUSULA SACC. (Tav. II, fig. 5). Testa affinis var. Aldrovandi, sed elongatior, fusiformis, spira elatior. Alt. 77 mm.: Lat. 40 mm. Astiano: Astigiana (rarissima). Osservazioni. — Trattasi forse solo di un'anomalia, come lo indicherebbero, oltre che la sua rarità, anche le interruzioni degli anfratti. Dal Museo geologico di Pavia ebbi in comunicazione un esemplare simile, ma più piccolo (mm. 48 X 24) proveniente da Val d’Elsa. Alcune forme tortoriane si avvicinano a questa varietà. L. MERCATI var. DEPRESSULOSPIRA SACC. (Tav. II, fig. 6). Testa elongatior, minus conica. Spira aliquantulum depressior. Anfractus ad suturam subrotundati. ) Alt. 33-45 mm.: Lat. 18-24 mm. Piacenziano: Bordighera (rara). OsservazIoNI. — Per la subrotondità degli anfratti nella regione subsuturale sembra costituire una forma di passaggio fra il tipo ed il C. Aldrovandi. Dal Museo geologico di Roma ebbi in comunicazione un esemplare di questa forma, proveniente da Casaglia, a caratteri assai spiccati per modo che lo faccio figurare come tipo. È notevole come gli esemplari che ebbi ad esaminare finora pre- sentino gli anfratti irregolarmente interrotti longitudinalmente, come si è già notato per le forme Aldrovandi ed elongatofusula; ciò indicaci forse esemplari. un po’ anomali. L. MERCATI! var. LONGOASTENSIS SACC. (Tav. II, fig. 7). Testa elongatior, fusulatior, minus conica. Alt. 25-110 mm.: Lat. 12-60 mm. ‘1814. Conus antiquus Lk. — BROCCHI, Conch. foss. subapp., pag. 286. Astiano: Astigiana (frequentissima). OsservaZIONI. — Passa gradualmente al tipo. Le si avvicina la var. funiculigera Fonr., il cui carattere del funicolo suturale credo abbia solo poca importanza. Potei constatare l’erronea determinazione del Brocchi esaminando il grosso esem- ‘plare dell’Astigiana che egli classificò come €. antiquus; siccome nella collezione Brocchi esiste un solo esemplare così determinato, non vi è dubbio al riguardo. Tale Serie Il. Tom. XLIV. c 18 FEDERICO SACCO errore di determinazione ne originò molti altri nei lavori di Sismonda, Bronn, ece., errori che credo inutile citare. Forse il C. ampitus Dr Gres. (1885 — Conch. medit., pag. 379) dell’Astigiana è affine a questa forma, ma essendo senza figure non mi riuscì di identificarlo. L. MercAnI var. BALDICAIERI (Bors.). (Tav. II, fig. 8). Testa crassa, conica; spira scalariformis; anfractubus ommibus camaliculatis, linea impressa distinctis, majori superne subrotundato; basi rugosa (Borson). Alt. 71 mm.: Lat. 40 mm. 1820. Conus Baldichieri Bors. BORSON, Or:tt. piem., pag. 14 (193) — Tav. I, fig. 1. 1826. > a A BONELLI, Catal. m. s. Museo Zool. Torino, n. 585. 1831. , Baldichierensis Bors. BORSON, Cat. rais. Coll. Min. Turin, pag. 606. 184210) Baldichieri Bors. SISMONDA, .Syn. meth., 1° ed., pag. 43. 1847. , 5 d n n 2% ed., pag. 44. 1848. , S A BRONN, Index paleont., pag. 328. 1880. , Mercati Bron. DE STEFANI e PANTANELLI, Moll. plioc. Siena, pag. 132. 1890. , Baldichieri Bors. SACCO, Catal. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4375. Astiano: Baldichieri nell’Astigiana (rara). OssERVAZIONI. — Sembra solo una varietà di C. Mercati a spira molto alta; le è affimissima la forma Bitneri (H. A.) del Miocene viennese. L. MERCATI var. FUSULOIDEA SACC. (Tav. II, fig. 9). Testa subfusiformis. Anfractus superne minus angulosi, plus minusve prope suturam transversim striolati, parum vel minime subcanaliculati. Spira minus scalarata. Alt. 35-125 mm.: Lat. 18-62 mm. Piacenziano: Astigiana, Bordighera (alquanto rara). Astiano: Astigiana (rara). OsservazIoNI. — Collegasi gradualmente colla var. longoastensis. L. MERCATI var. CRASSOVATA SACC. (Tav. II, fig. 10). Testa aliquantulum crassior, ventrosior, subovata. Spira paullulo depressior. Alt. 50-90 mm.: Lat. 30-54 mm. Astiano: Astigiana (alquanto rara). Osservazioni. — Si collega con passaggi alle var. longastensis e fusuloidea; ricorda i Chelyconus. L. Mercati var. CAROLI (Fuc.). (Tav. II, fig. 11). (1891. FUCINI (Conus Caroli). Il Plioc. di Cerreto Guidi, ecc., pag. 14, Tav. II, fig. 1). Testa minor, gracilior, fusulatior. Spira regularius scalarata. Anfractus superne magis angulosi; prope suturam striolati, interdum laeviter. subcanaliculati. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 19 Alt. 17-35 mm.: Lat. 9-16 mm. Tortoniano: Stazzano (rara). Piacenziano: Astigiana (frequentissima). Astiano: Astigiana (alquanto rara). Osservazioni. — Dal Museo geologico di Modena mi vennero inviati esemplari di questa forma coll’indicazione: Conus spirillus Dop.- Tortona, ma dubito che proven- gano piuttosto dal Piacenziano che non dal Tortoniano di detta regione. Probabilmente in parte trattasi solo di forme giovanili del L. Mercattî e delle sue varietà fusiformi; infatti in diversi esemplari di L. Mercati, sia giovani che adulti, osservansi sulcature subsuturali, per modo che la var. Carolî essenzialmente rap- presenterebbe solo l’accentuamento di tale carattere ornamentale. La forma indicata dal De Gregorio (Conch. medit., pag. 363) come C. virginalis var. elgus potrebbe forse corrispondere alla forma in esame, ma, trattandosi di un semplice dubbio, non credo opportuno accettare tale nome. Si avvicina per diversi caratteri alla var. turricula. L. MERCATI var. TURRICULA (BR.). (Tav. II, fig. 12). Testa oblongo-conica, glabra; spira elevata acuta, anfractubus convexis suturam prope leviter canaliculatis, arcuatim rugosis, basi sulcata (Brocchi). 1814. Conus turricula Br. . ; 5 BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 288, Tav. II, fig. 7. ISS 5 5 ; E 5 DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., tome X, pag. 264. 1820. , È LI À } 1 BORSON, Oritt. piemont., pag. 10 (189). 1826. , turriculus , È c : RISSO, Hist. Nat. Prod. Eur. merid., pag. 230. del eeeuiriculalt s si 6 MARCEL DE SERRES, Geogn. terr. tert., pag. 127. 1830... È È î È ò BORSON, Catz. Mus. min. Turin, pag. 605. Bio p È È 5 È BRONN, It. tert. Geb., pag. 13. 1836. , mediterraneus var. . ; PHILIPPI, Enum. Moll. Siciliae, I, pag. 238. 1848. , mediterraneus Brug. var. . BRONN, Index paleont., pag. 330. IRE 3 o FILI WEINKAUFF, Conch. Mittelmeeres, Il, pag. 147. 1884. , n » forma diversa DE GREGORIO, Conch. medit., pag. 371. Piacenziano: Astigiana e Nizzardo (rara). Osservazioni. — Sembrami solo una varietà di L. Mercati, a forma un po’ più fusoide. Oltre all’esemplare tipico, che credetti opportuno far figurare di nuovo, nella collezione Brocchi esistono altri tre individui, di cui due più piccoli, ad anfratti superiormente più angolosi, a spira più gradinata; nel complesso parrebbero quasi esemplari giovani ed hanno qualche rassomiglianza colla ‘var. Caroli. L. MERCATI var. CANALICULATODEPRESSA SACC. (Tav. II, fig. 13). Spira depressior. Anfractus prope suturam canaliculati, transversim plus minusve striolati. Alt. 50-137 mm.: Lat. 30-71 mm. Piacenziano (rara) ed Astiano (frequente) — Astigiana. OsseRvaZzIONI. — À primo tratto parrebbe quasi una specie a sè, ma osservansi esemplari diversi che fanno passaggio al tipo. 20 FEDERICO SACCO L. MERCATI var. SUPRAINFLATA SACC. (Tav. II, fig. 14). Testa maior, crassior. Spira minus acuta, inflatior. Anfractus prope suturam magis canaliculati. Alt. 90 mm.: Lat. 50 mm. Piacenziano: Albenga (rara). OsservazionI. — Si collega gradualmente colla var. miocerica, nonchè colla var. canaliculatodepressa. L. MERCATI var. MIOCENICA SACC. Testa maior, crassior. Spira plus minusve depressior. Anfractus prope suturam subcanaliculati, transversim plus minusve substriolati. Alt. 55-100 mm.: Lat. 25-55 mm. 1862. Conus Mercati Br. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It. centri, pag. 25 (107). Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (rara). OsservazIoNI. — Pongo a tipo di questa forma la figura data dall’Hoernes (Foss. Moll. tert. Beck. Wien — Tav. 2, Fig. 1), non già le fig. 2 e 3 della stessa tavola che rappresentano forme assai diverse e che io appello rispettivamente supracom- pressa Sacc. (Fig. 2) e conicomaculata Sacc. (Fig. 3). L. MeRcATI var, suBAUSTRIACA SACC. (Tav. II, fio. 15). Testa affinis C, Reussi H. A., sed minus pyriformis. Tortoniano: Stazzano (rara). Osservazioni. — La forma di Stazzano che ebbi ad esaminare, quantunque rap- presentata da un solo esemplare incompleto, sembra avvicinarsi al C. Reussi H. A. ed al 0. austriacus H. A., che a mio parere rappresentano solo varietà di una stessa specie.Questa specie è forse il L. Mercati, eccetto che di queste forme si voglia co- stituire una specie a parte, essenzialmente tortoniana. Pure forme alquanto simili sembranmi il C. gaiînfahrensis H. A. ed in parte anche il 0. Neugeboreni H. A. Credo interessante notare come queste forme ficoidee, direi, tanto frequenti nel bacino viennese, sembrino quasi formare passaggio fra il tipo essenzialmente plioce- nico del L. Mercatiù e quello, specialmente miocenico, del L. antiquus. Riguardo al tipo del L. Mercatii, forse gli si potrebbero ancora raggruppare attorno il L. pseudaldrovandi Sacco (1889 — Conus Aldrovandi Br. — R. Hoernes u. Auinger — Gast. I u. Il Mioc. Med. stufe — Tav. IV, Fig. 2), il L. Karreri H. A. (id. — Tav. IV, Fig. 7, non L. Hoernesi Dop. = €. Aldrovandi Br. figurato da Hoernes in: Foss. Moll. tert. Beck, Wien — Tav, I, Fig. 2), il L. ungaricus H. A., il L. Fuchs H. A., ecc. l MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 21 L. MERCATI! var. TAUROMAXIMA (an species distinguenda ?) Sacc. (Tav. 1I, fig. 16). Testa affinis C. Reussi H, A., sed major, superne rapide inflata, potius quam regu- lariter ficoides. Spira depressior, sulculellis transversis destituta, Alt, 150 mm,: Lat. 88 mm. Elveziano: Colli torinesi (rara). OsservazioNI. — A primo aspetto parrebbe un vecchio L. antiguus, ma l'esame della spira fa riconoscere che esso collegasi meglio col C. Reussî H. A.e colla var. subaustriaca. Potrebbe forse considerarsi come una specie a sè, di cui la var. compres- sicauda sarebbe una varietà. L. MERCATI var. COMPRESSICAUDA SACC. (Tav. II, fig. 17). Testa affinis var. tauromaxima sed: minor; spira elatior, subscalarata; regio cau- dalis valde constricta. Alt. 75 mm.: Lat. 45 mm. Elveziano: Colli torinesi, Sciolze (alquanto rara). L. MERCATI! Var. ACANALICULATA SACC. (Tav. II, fig. 18). Spira depressior. Anfractus superne prope suturam depressiores, subplanati, non canaliculati. Alt. 30-90 mm.: Lat. 12-50 mm. Tortoniano: Stazzano (rara). Piacenziano: Astigiana, Savona Fornaci, Zinola (non rara). Astiano: Astigiana (rara). Osservazioni. — Presenta passaggi alla var. canaliculatodepressa; però il suo carattere principale si riscontra in forme alquanto diverse, cioè alcune un po’allun- gate ed altre un po’rigonfie. LirHocoNUs suBACUMINATUS (D’ORB.). (Tav. IM, fig. 1). Testa conica, acuminata; spira planiuscula, filo vel fune marginali, striisque circu- laribus eleganter distineta; apice exerto; basi subsulcata (Borson). Alt. 55-130 mm.: Lat. 25-65 mm. 1798. Volutites n. 5. BORSON, Ad. Oryct. ped. Auct., pag. 176. 1820. Conus acuminatus Bors. À Oritt. piemont., pag. 15, Tav. I, fig. 2. Le 3090 n A y Cat.. Coll min. Turin, pag. 1847. , s 6 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed.,. pag. 43. 1847. ,» bisulcatus Bell. e Micht. (pars) 7 3 3 o n 4. 1848. , acuminatus Bors. BRONN, Index paleont., pag. 328. 1852. , subacuminatus D'Orb. D’ORBIGNY, Prodr. pal. strat., III, pag. 56. 1852. , bisulcatus Bell. e Micht. (pars) È x H n DI pag. 171. 1862. , acuminatus Bors. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Italia centr., pag. 25 (107). 1890. ., subacuminatus D'Orb. SACCO, Cat. pal. Bae. terzi Piem., n. 4367. 1890. , acuminatus Bors. var. pi A i n n. 5437, 22 FEDERICO SACCO Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara). Astiano: Astigiana (rarissima). OsseRVAZIONI. — Il nome del Borson non può essere conservato, perchè già usato anteriormente dal Bruguière (1789). Gli esemplari esaminati erano classificati alcuni come C. antiquus, altri come C. tarbellianus, altri come C. ponderosus, molti però erano indeterminati. Fortunata- mente trovai nella collezione Borson l’esemplare tipico figurato, che credo opportuno far rifigurare. Fuori del Piemonte questa bella specie venne generalmente determinata come C. tarbellianus Grar. A mio parere tale riferimento è erroneo, poichè il 0. tardellianus, credo sia invece riferibile al L. antiquus Lx., come risulta dalle figure e dai paragoni del Grateloup. Quanto alle forme figurate dal M. Hoernes come C. tarbellianus, esse sono probabilmente riferibili, come var. epellus De GrEG. (Tav. IV, Fig. 1), al L. Mercati; qualche cosa di simile deve ripetersi per la figura data da R. Hoernes ed Auinger (Tav. V, Fig. 1). Invece le forme riferite dal Da Costa al C. tarbellianus sono in ge- nerale veri L. subacuminatus, come risulta nettamente dalla Fig. 1 di Tav. VII del noto lavoro “ Gast. dep. terc. Portugal — 1863 ,. Nel miocene (probabilmente torto- niano) del Portogallo questa specie sembra raggiungere dimensioni veramente colossali (mm. 185 X 90 circa); tali esemplari vennero indicati dal De Gregorio come var. grolpus. Il L. subacuminatus è facilmente distinguibile dalle forme affini, specialmente col- l’esame della spira, giacchè quivi gli anfratti sono profondamente scanalati, regolar- mente e fortemente solcati, distinti da una sutura assai ampia, coi due margini quasi eguali, ecc. È notevole come questa specie, essenzialmente tortoniana, siasi ancora continuata sino all’ Astiano, come risultami dall’unico esemplare, gigantesco, proveniente dalle sabbie gialle dell’Astigiana e che fa parte della Collezione Borson. Talora gli indi- vidui di questa specie sono alquanto meno stretti superiormente che non quello tipico. La forma tipica passa gradualmente alle seguenti varietà. L. SUBACUMINATUS Var. CONOIDOSPIRA SACC. (Tav. III fig. 2). Spira regularius conica, non subexcavata et in regione centrali fortiter elato-mucro- nata sicut in specie typica. Tortoniano: Stazzano, Montegibbio (rara). Osservazioni. — Forse trattasi di individui non completamente adulti; forme simili vediamo figurate dal Da Costa. L. SUBACUMINATUS var. SUBPYRULATA SACC. (Tav. II, fig. 3). Testa superne inflatior, subpyriformis. Spira regularius conica. Tortoniano: Sogliano (rara). I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 23 L. SUBACUMINATUS Var. SUBAMARGINATA SAcc. (Tav. III, fio. 4). In regione supera anfractuum, margo externus canalis depressus, suboblitus. Tortoniano: Stazzano (rara). L. SUBACUMINATUS P_Var. TAUROCONNECTENS SACC. (Tav. III, fig. 5). Testa magna. Spira inflatior, in regione centrali minus elato-mucronata; striae spwales parvuliores, numerosiores, in anfractu ultimo suboblitae. Elveziano: Albugnano (rara). OsservaZzioNnI. — Potrebbe forse considerarsi come una specie a parte che col- lega il L. ineditus ed il L. antiquus al L. subacuminatus, ma occorrono altri rinveni- menti per rischiarare la questione. A primo tratto ricorda il L. antiquus var. elato- canaliculata. LirHoconus ANTIQUUS (LK.). (Tav. II, fig. 6, 7). C. Testa turbinata, superne dilatata, basi obsolete rugosa; spira plana, subcanali- culata; labro arcuata (Lamarck). Alt. 8-85-120 mm.: Lat. 4-48-65 mm. 1810. Conus antiquus Lk. LAMARCK, Ann. Mus. Hist. Nat., vol. 15, pag. 439 (pars). 1814. |, a, di BROCCHI, Conch. foss. subapp., II, pag. 268. elesse È È DEFRANCE, Dict. Hist. Nat., tome X, pag. 263 (pars). 1820. ., 290? Linn. BORSON, Oritt. Piemont., pag. 14 (198). 1820. , virginalis? Br. A n 18 (192). 1827. , antiquus Lk. BONELLI, Cat. m. s. Mus. Zool. Torino, n. 3652, 3662, 3663, 3673. 1830. , vérgo? Linn. BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 606. 1330. , virginalis? Br. ci 2 A È p n, 605. 1831. , @ntiquus Lk. BRONN, It. tert. Gebild., pag. 13. 1842. , ta È SISMONDA, Syr. meth., 1% ediz., pag. 43 (pars). 1845. |, } È DESHAYES in LAMARCK, Hist. Nat. An. s. vert., tom. XI, p. 153. 1847. |, A ò SISMONDA, Sy. meth., 2* ed., pag. 44. 1847. 3 a È MICHELOTTI, oss. terr. mioc., pag. 342. 1847. , mediterraneus Brug. var.? BRONN, Index paleont., pag. 328, 330. 1852. , antiquus Lk. D’ORBIGNY, Prodr. Paleont. strat., III, pag. 57. UN A S LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 62. IO. 3 P SACCO, Cat. pal. Bac. terze. Piemonte, n. 4373. RISAIE » Lk.var. Ippo MYLIUS, Forme ined. di Moll. mioc., pag. 8, fig. 2. Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero, Albugnano, ecc. (frequentissima). OsservazIONI. — Per mancanza di figura questa bella e caratteristica specie venne finora generalmente o ignorata o male interpretata. Così il Brocchi le riferì esemplari di C. Mercatii, il Borson ne attribuì vari individui al 0. vîrgo ed i giovani al C. virginalis, il Bronn credette trattarsi di una varietà di C. mediterraneus. Il Gra- teloup diede del C. antiguus una figura che non corrisponde affatto alla descrizione del Lamarck e che anzi appartiene ad un gruppo diverso; invece non conoscendo il vero L. antiquus egli costituì di questa forma una specie nuova: C. tarbdellianus, che, quindi 24 FEDERICO SACCO credo debba cadere in sinonimia del primo; tale errore del Grateloup venne poi con- tinuato dall’ Hoernes, dal Neugeboren, dal Da Costa, ecc., e produsse una grande confusione, tant'è che vediamo molti autori citare il C. antiquus, che è essenzialmente elveziano, sia nel miocene che nel pliocene. Il L. antiquus potrebbe forse considerarsi come il progenitore più o meno diretto del L. Mercati, specialmente delle sue varietà austriaca, extarbelliana , canaliculato- depressa, ecc.; si distingue però specialmente, almeno in linea generale, per essere quasi sempre più ficoide-clavato, più stretto nella parte caudale, e perchè il canale che presentano gli anfratti (quasi solo l’ultimo o gli ultimi) nella regione spirale è più largo ed a margine esterno più stretto, più rapidamente rialzato e quindi più indi- vidualizzato, direi; inoltre per lo più gli anfratti nella regione spirale centrale sono appiattiti, non canalicolati, ben poco od anche per nulla scalarati. Finora di questa specie si conobbero solo gli esemplari adulti, mentre i giovani furono attribuiti a specie diverse; il Grateloup, per esempio, figurò un individuo giovane come 0. tarbellianus var. virginalis Br. (Conch. terr. tert. Adour — Tav. 43, Fig. 8); così pure il Borson li determinò come C. virginalis Br. Alla forma in esame deve pur forse collegarsi la var. splendens GRAT.; noto al riguardo come ben diverse sono le forme indicate dal Da Costa sotto questo nome nel suo lavoro “ Gastr. tere. Portugal , per cui credo doverle indicare con nuovi nomi, cioè exsplendens SAcc. (per le forme di Tav. VII) e postsplendens Sacco. (per le forme di Tav. VII). L. ANTIQUUS var. WHEATLEYI (MicHT.). Testa parva, turbinato-conica, transversim sulcata; sulcis parallelis distinctis, aequa- libus, ubique conspicuis; spira producta, acuta; anfractibus subplanatibus, superne striatis (Michelotti). Alt. 15-40 mm.: Lat. 8-20 mm. 1847. Conus Wheatleyi Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 339, Tav. XII, fig. 18. 1847. |, 5 Pi SISMONDA, Sym. meth., 2% ed., pag. 44. 1852. |, L ; D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 57. 1890900 5 Li SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piem., n. 4403. Elveziano: Colli torinesi, Sciolze, Albugnano, Baldissero (non rara). OsseRVAZIONI. — À primo tratto non solo ritenni questa forma come una buona specie, ma parvemi riferibile ai Rhizoconus, rassomigliando assai per esempio al E. monile Brue. In seguito però ricercando gli esemplari giovani del L. antiquus venni a riconoscere la rassomiglianza grandissima che essi hanno colla forma in esame, la quale in complesso potrebbe forse solo ritenersi come uno stadio giovanissimo del C. antiquus. Sembrami affine a questa forma la Mitra peregrinula Max. Subvar. PrRMUCRONATA Sacco. (Tav. III, fig. 8). — Spirae apex permucronatus. Elveziano: Colli torinesi (non rara). Subvar. prrancuLaTtA Sacc. (Tav. III, fig. 9). — Testa superne latior, perangulata. Eeziano: Colli torinesi, Baldissero (non rara). I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 25 L. ANTIQUOS var. PEANOSPIRA (GRAT.). (1840. GRATELOUP (C. tardellianus var. planospira). Conch. foss. Bass. Adour., PI. 43, fig. 2). Spira depressior, subplana (parmn vel non subeanaliculata), exceptis anfractibus imitialibus elatis. Elveziano: Colli torinesi (non rara). L. ANTIQUUS Var. CONCAVESPIRA SAcc. (Tav. III, fig. 10). Spira valde depressior, planoconcava, vix apice subelata. Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). L. ANTIQUUS Var. PERCANALICULATA Sace. (Tav. IM, fig. 11). Spira, excepta regione apicali, canaliculata. Hlveziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero (frequente). L. ANTIQUUS Var. ACANALICULATA SACC. (Tav. III, fig. 12). In regione spirae anfractus, etiam ultimus, subplanati non canaliculati. Eweziano: Celli torinesi, Sciolze, Baldissero (frequente). Osservazioni. — Si tratta di un carattere giovanile che talora persiste anche allo stato adulto. L. ANTIQUUS Var. ELATOCANALICULATA SACC. (1840. GRATELOUP (C. tarbellianus var. d.).. Conch. terr. tert. Bass. Adour., PI. 45, fig. 28). Spira elatior, interdum subinflatula; fere usque ad regionem apicatem subcanaliculata, Hveziano: Colli torinesi, Sciolze (non rara). Osservazioni. — Collegasi gradualmente col tipo e con alcune varietà (percara- liculata, elatospirata, ecc.) del L. antiquus, ma presenta pure qualche rapporto col L. subacuminatus. L. ANTIQUUS Var. SUBSCALARATA SACC. (1840. C. intermedius — GRATELOUP, Conch. tere. tert. Bassin Adour., PI. 44, fig. 22). Spira elatior, plus minusve scalarata. Elveziono: Celli torinesi (non rara). Osservazioni. — Si collega gradualmente colle var. elatocanalieulata ed elatospirata;; gli esemplari che presentano più spiccato il carattere della gradinatura (come per esempio quello disegnato dal Grateloup) sono generalmente individui alquanto anomali. SE I. Tom. XLIV. D 26 FEDERICO SACCO L. ANTIQUUS Var. ELATOSPIRATA SACC. (Tav. III, fig. 13). Spira plus minusve elatior, non scalarata, subconica. EWeziano: Colli torinesi, Sciolze, Baldissero, Albugnano (frequentissima). OsservazIoONI. — Rappresenta in complesso la persistenza del carattere giovanile nell'adulto. La spira talora è conica fino alla sua parte periferica, talora invece, e più comunemente, essa diventa quivi meno inclinata; inoltre essa è assai variabile nel suo grado di conicità. L. ANTIQUUS Var. PERELATOSPIRA SACCO. (Tav. DI, fig. 14). Spira elatissima, conica, anfractus in regione spirae interdum trasversim striolati. Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). OssERVAZIONI. — È una esagerazione, direi, della var. elatospirata. L. ANTIQUUS Var. ELONGATISSIMA SACC. (Tav. DI, fig. 15). Testa plus minusve elongatior; cauda longo-gracilior. Spira elatior. Alt. 58-77 mm.: Lat. 28-33 mm. Eleziano: Colli torinesi (alquanto rara). Osservazioni. — Forse trattasi di individui anomali piuttosto che di vere varietà. Subvar. PLANOPERLONGA SAcc. — Spira depressior, subplanata (Alt. 60 mm.: Lat. 30 mm.). Elveziano: Colli torinesi (rara). LitHoconus INEDITUS (MICHT.). (Tav. III, fig. 16, 16 dis). Testa turbinato-conica, spira acutiuscula, anfractibus angustis, angulatis, superne leviter circumcineter striato-impressis, ultimo regulariter conoideo, ad apicem tenuiter atque oblique striato; apertura angusta; labro tenui, simplici, superne emarginato (Michelotti). Alt. 12-90 mm.: Lat. 6-47 mm. 1861. Conus ineditus Micht. MICHELOTTI, #4. Mioc. inf. Italie septentr., pag. 105, Tav. XI, fig. 11, 12. 1890. |, 1 1 SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4364. Tongriano: Cassinelle, Cosseria, Dego, Mornese, Carcare, Carpeneto, Pareto, S. Giustina, Sassello, Mioglia, ecc. (frequente). OsservazioNI. — L’esemplare tipico figurato del Michelotti è giovane. Gli adulti si presentano meno regolarmente conici, cioè sono più o meno notevolmente rigonfi nella parte superiore, come nel L. antiguus; inoltre nella regione della spira gli anfratti sono più profondamente canalicolati per il notevole rialzarsi del bordo esterno. Nella parte ventrale superiore dei penultimi anfratti degli esemplari adulti sovente si os- I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 27 serva una depressione o gradinatura trasversa che scompare però sempre nell’ultimo anfratto; nel caso se ne volesse costituire una varietà, ciò che non sembrami oppoz- tuno, essa dovrebbe appellarsi var. depressa (Micam.), poichè il Michelotti, che osservò tale carattere proponeva (nel caso lo si riconoscesse costante in queste forme) di trarne il nome di C. depressus. Come esemplare adulto figuro appunto (fig. 16 dis), quello di cui parla il Michelotti nell'ultimo periodo della descrizione del 0. ineditus, dicendolo lungo 65 mm. e dubitando doversi appellare C. depressus. Questa specie presenta molti punti di contatto coll’eocenico L. diversiformis (DESH.), da cui potrebbe derivare, nonchè col L. antiquus e col L. subacuminatus che ne po- trebbero essere le forme più o meno direttamente derivate. L. INEDITUS Var. ASTRIOLATA SACC. (Tav. III fig. 17). Testa plerumque parva. Anfractus in regione spirae cingulo externo et striolis transversis destituti. Alt. 20-45 mm.: Lat. 11-22 mm. Tongriano: Sassello, S. Giustina, Pareto, Dego, Cassinelle (frequente). Osservazioni. — Trattasi per lo più di esemplari giovani, a spira più o meno elevata, spesso declive, scalarata o no, quasi sempre senza il cingolo esterno, con semplici traccie, oppure mancanti affatto, delle striole trasverse di ornamentazione; talora tali strie della regione spirale quando sono poco accentuate scompaiono colla fossilizzazione. L. INEDITUS Var. ASCALARATOSPIRA SACC. (Tav. III, fig. 18). Anfractus in regione spirali fere acanaliculati, non scalarati, cingulo elato externo fere destituti. Tongriano: Cassinelle (alquanto rara). L. INEDITUS var. JUVENODEPRESSA SAcc. (Tav. II, fio. 19). Testa plerumque minor. Spira depressior, subplanata (excepta regione centrali elata, saepe mucronata). Alt. 15-50 mm.: Lat. 8-26 mm. Tongriano: Cassinelle, Carcare, Mioglia, Sassello (frequente). OsservazionI. — Ricorda alquanto il ZL. Wheatlegi (Micur.), e, come quello, credo si tratti essenzialmente di esemplari giovani. L. INEDITUS Var. LONGISPIRATA SACC. (Tav. II, fig. 20). Spira elatior, plus minusve scalaratior. 28 FEDERICO SACCO Tongriano: Cassinelle, Carcare, Carpeneto, Dego, Mioglia, Sassello, Pareto (frequente). Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla specie tipica. L. INEDITUS Var. PAGODAEFORMIS SACC. (Tav. II, fio. 21). Testa plerumque elongatior, magîs fusiformis; spira elatior, pagodaeformis. Alt. 80-115 mm.: Lat. 40-50 mm. Tongriano: Pareto, Mioglia, Dego (non rara). L. INEDITUS Var. CONVEXOSPIRATA SACC. (Tav. III, fig. 22). Spira elatior, inflatior, subconvera. Tongriano: Dego, Cassinelle (alquanto rara). TL. INEDITUS var. PERPRODUCTA SACC. (Tav. III, fig. 23). Testa elongatior, aliquantulum constrictior. Alt. 40-50 mm. Lat.: 18-22 mm. Tongriano : Pareto, Carcare, Dego (non rara). L. INEDITUS Var. FUNGIFORMIS SACcC. (Tav. II, fio. 24). Testa crassa, superne rapide inflata, clavata; spira elatior, subconveza. Alt. 90? mm.: Lat. 60 mm. Tongriano: Pareto (rara). LritHocoNnus ? parvicaUDATUS Sacco. (Tav. III, fig. 25). Testa subconica in regione caudali rapide imminuta; spira conica, mediocriter celata, non vel minime scalarata. Anfractus, ultimus praecipue, in regione spirae plus minusve subcanaliculati, in regione ventrali media caudam versus rapide imminuti, in regione caudali subgraciles; in regione spirae maculis latis subregularibus, in regione ventrali et caudali macularum seriebus regularibus subrectilineis transversis, interdum ornati. Apertura obliqua, subconstricta. / Alt. 25-50 mm.: Lat. 15-27 mm. Elveziano: Colli torinesi, Sciolze (non rara). E A Attualità Astiano Piacenziano Tortoniano Elveziano Tongriano Bartoniano Parisiano FEDERICO SACCO L. Mercati e var. L. Mercatii e var. L. Mercati var. L. Mercati? var. \ \ Quadro comparativo dei LITHOCONUS cincta elongatofusula longoastensis Baldichieri fusuloidea crassovata Caroli canaliculatodepressa acanaliculata Aldrovandi depressulospira funiculigera fusuloidea Caroli turricula canaliculatodepressa suprainflata acanaliculata Caroli miocenica subaustriaca acanaliculata tauromaxima | ; ‘| — P — L. antiquu ; compressicauda | La lannquaiste Var: \ Wheathley planospira concavospira percanaliculata acanaliculata elatocanaliculata subscalarata elatospirata perelatospira elongatissima I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA / 29 bis L. litteratus — L. millepunetatus, ecc. L. subacuminatus conoidospira subpyrulata subamarginata L. subacuminatus e var. — ? — L. subacuminatus ? var. tauroconnectens astriolata ascalaratospira juvenodepressa ] longispirata ) pagodaeformis convexospirata perproducta fungiformis L. ineditus e var. L. diversiformis | L. Cossoni — L. conotruncus — L. derelictus — Lithoconus diversiformis e var. sauwridens SCESE I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 29 Osservazioni. — Questa forma si avvicina assai per alcuni caratteri allo Stephe- noconus Bredai per modo che quasi ne parrebbe una varietà senza tubercoli; d’altra parte si accosta pure moltissimo ad alcune varietà del Chelyconus avellana, per modo che, anche in considerazione del mediocre stato di conservazione dei fossili, rimango per ora alquanto incerto nella determinazione della forma in esame. Quanto alle colorazioni che appaiono in alcuni esemplari esse sembrano avvicmare questa forma ai Lithoconus, ricordando ad esempio quella del L. litteratus; ma quando mancano i colori, variando molto i caratteri di forma, i limiti di questa variabilissima specie divengono assai incerti. L. PARVICAUDATUS Var. TURBINATISSIMA SACC. (Tav. I, fig. 26). Testa turbinatior, subclaviformis; cauda constrictior. Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). L. PARVICAUDATUS Var. TAUROTESSELLATA SACcc. (Tav. III, fig. 27). Testa aliquantulum fusulatior. Anfractus superne subcanaliculati; maculis eviden- tioribus ornati, duobus fasciis subochraceis, una în regione ventrali et una in regione caudali, muniti. i Elveziano: Sciolze (rara). OsservazIonI. — Si tratta di un esemplare a colorazione assai ben conservata e che ricorda molto, per le due fascie trasverse, il vivente L. fessellatus, ciò che ac- cresce l’affinità della forma in esame ai veri Lithoconus. 30 FEDERICO SACCO Sottogen. LEPTOCONUS Swarnson, 1840. Quantunque questo sottogenere comprenda tuttora forme assai diverse e che dovranno in seguito collocarsi in sottogeneri diversi, tuttavia nel complesso esso presenta caratteri tali da inglobare parecchie specie fossili. Leproconus Brocca (BRONN.). (Tav. IV, fig. 1). Alt. 7-65 mm.: Lat. 3-22 mm. 1814. Conus deperditus Brug. BROCCHI, Conch. foss. subap., I, pag. 292, Tav. II, fig. 2. IEZIO È È BORSON, Or:tt. piem., pag. 12 (191). 325 0 5 5 BASTEROT, Bass. tert. S. 0. France, pag. 39. 182 CNS A S RISSO, Hist. Nat. Europe mér., IV, pag. 230. 152.0 90000 A 7 BONELLI, Catal. m.s. Museo zool. Torino, n. 576. LS 27 I Si SASSO, Saggio geol. Bac. tere. Albenga, pag. 482. IERO, “ s DE SERRES, Géogn. terr. tert., pag. 127. SSN 5 » (pars) BRONN, It. tert. Geb., p. 12. agio o Brocchi Bronn BRONN, I. tert. Gebild., pag. 12. 3320085 E S CRISTOFORI e JAN, Cat. Conch. foss. univalvi, pag. 15. 1837.» deperditus Brug. PUSCH, Polens Palacontologie, pag. 115. 1838. ; s no MICHELOTTI, Geogn. 2ool. Ansichi tert. Bild. Piemonts, pag. 397. 1842. ; A dI SISMONDA, Sy. meth., 1% ed., pag. 43. 1843. (4 Brocchii Bronn. NYST, Coqu. et Polyp. foss. Belg., pag. 584. 1847. , 5 È SISMONDA, Syn. meth., 2% ed., pag. 44. 1847. 7, 5 È MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 337. 1848. |, "I n BRONN, Index paleont., pag. 328. 1352 bi È D’ORBIGNY, Prodr. pal. strat., III, pag. 171. 1365 8 5 Pi COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 153. ISS 3 5 FONTANNES, Moll. plioc. Rhòne, pag. 149. 1884. , canal. forma Brocchi Br. DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 360. 1888. , Brocchii Bronn TRABUCCO, Foss. Bac. plioc. R. Orsecco, pag. 19. 18905 7 d SACCO, Cat. pal. Bac. tert. Piemonte, n. 4382. Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Rocca d’Arazzo, R. Orsecco; Piacentino; Zinola, Albenga, Bordighera, Nizzardo (frequentissima). Astiano: Astigiana, Piacentino (alquanto rara). Osservazioni. — Nella collezione Brocchi, oltre all’esemplare tipico (la cui figura nella tavola del lavoro del Brocchi non è fra le più riuscite), evvi ancora un altro esemplare identico al primo e proveniente dal Piemonte. Nella collezione Michelotti trovai 5 esemplari di questa specie coll’indicazione: “«“ S. Maria Stazzano ,, il che indicherebbe una provenienza tortoniana, ma dubito trattisi di un errore, sia perchè nell’esame di oltre 100 esemplari di L. Brocchi di varie località e di diversi Musei, constatai essere essi tutti di provenienza plio- cenica, sia perchè anche i 5 esemplari in questione per la natura del materiale che li riempie sembrano derivare pure dal pliocene. Gli autori, come il Borson, il Sismonda, ece., i quali indicarono il 0. deperditus scome trovato nel Miocene torinese, si riferivano ad esemplari di L. Allioni. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA sl L. BroccHII ? var. EXCANALICULATA SACC. Testa pyramidalis, transversim striata, spira conica, anfractubus omnibus canali- culatis, basi sulcata (Brocchi). 1814. Conus canaliculatus Br. BROCCHI, Conch. foss. subapp., pag. 636, Tav. XV, fig. 28. 1820. ; n LI BORSON, Or:tt. piem., pag. 17 (196). 1831. n 5 i; Cat. Coll. min. Turin, pag. 606. IRE 7 5 BRONN, Ital. tert. Gebild., pag. 12. 1845. , A DI LAMARCK, Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 159. 1848. |, 1 di BRONN, Index paleont., pag. 329. LS E 5, he COCCONI, Enum. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 154. 87380, à > FISCHER et TOURNOUER, Invert. foss. M. Leberon, pag. 127. 1884. , È È DE GREGORIO, Studi Conch. medit. viv. e foss., pag. 359. Piacenziano : Piacentino (rara). Astiano: Valle d’Andona, Piacentino (rara). Osservazioni. — Questa forma parrebbe riferibile al gruppo del L. Brocchù, se pure non è un esemplare giovane di qualche altra forma; ma non avendo trovato l'esemplare tipico nella collezione Brocchi non riescii a chiarire la cosa. Il nome canaliculatus devesi abbandonare già esistendo sin dal 1795 un Conus canaliculatus CHEMN. L. BROCCHII Var. ANTEDILUVIANOIDES SACC. (Tav. IV, fig. 2). Spira ‘interdum aliquantulo longior. Fumiculum (in angulo spirae situm) plus minusve granulatum vel subgranulatum; sub funiculo striolae, 1 vel 2, plus minusve evidentes. Piacenziano : Astigiana, Piacentino, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera (non rara). OsservazIoNI. — Passa gradatissimamente al tipo. È interessante poichè sembra indicarci una regolare transizione fra il gruppo del C. Brocchi e quello del C. ante- diluvianus, per modo che la loro separazione in due sottogeneri differenti appare alquanto arbitraria. Accenniamo però come nel complesso le forme che appartengono al gruppo del C. antediluvianus, oltre ai noti caratteri differenziali, si presentino per lo più leggermente inflate ed a granulazioni più grosse che non quelle del gruppo del L. Brocchîîi. L. BROCCHII var. FUSULOSPIRATA SACCO. (Tav. IV, fig. 3). Testa elongatior, fusulatior; spira elatior, aliquantulum gracilior. Alt. 34-38 mm.: Lat. 14-16 mm. Piacenziano: Astigiana, Piacentino, Albenga, Bussana (non rara). OsseRvAZIONI. — Passa insensibilissimamente al tipo. L. BROCCHII var. CRASSOSPIRATA SACC. (Tav. IV, fig. 4). Testa interdum crassior, latior. Spira minus elata, crassior; saepe minus fortiter scalarata. 32 FEDERICO SACCO Alt. 17-67 mm. : Lat. 8-33 mm. Piacenziano: Astigiana , Piacentino, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera (abbondantissima). Astiano: Astigiana, Piacentino (non rara). Osservazioni. — È più frequente del tipo al quale si collega graduatissima- mente. Non pochi esemplari presentansi colla spira bassa ma sono assai scalarati m modo da far passaggio alla var. drevidepressula. L. BROC€CHII var. BREVIDEPRESSULA SACC. (Tav. IV, fig. 5). Testa brevior. Spira depressior. 1890. Conus Brocchii Bronn. — DELLA CAMPANA, Pliocene Borzoli, pag. 27. Piacenziano: Borzoli, Bussana (alquanto rara). OsseRvAZIONI. — Esistono esemplari che formano passaggio graduale al tipo. Si avvicina assai per la forma complessiva al L. Allioni, distinguendosene pel funicolo meno tagliente, più rotondeggiante, per essere gli anfratti alquanto più ventricosi, ecc. Leproconus ALionn (MicaT.). (Tav. IV, fig. 6). Testa turbinata, conica, laevigata; basi striata; spira plus minusve producta, sca- lariformi; apertura angusta; labro arcuato, superne profunde emarginato (Michelotti). Alt. 15-30 mm.: Lat. 7 1/17 mm. 1818. Conus deperditus Lk. DEFRANCE, Dict. Hist. nat., tome X, pag. 261. 1820. 5 Brug.. BORSON, Orttogr. piemont., pag. 11, 12. TS E > È BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 3661. l'e S ONE n 5 BORSON, Cat. Coll. Musée min. Turin, pag. 605. 1842. , 5 È SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 43. 1847. , Allioniù Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioe., pag. 338, Tav. XVII, fig. 17. TOLTO a 5 SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 43. 13525008 E; Di D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 56. BZ > È, KOENEN, Mioc. Nord-Deutschl. u. seine Moll. Fauna, pag. 214. 99 0 È 5 SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4369. Elveziano: Colli torinesi, Baldissero (frequente). OssERVAZIONI. — Riguardo a questa specie dobbiamo osservare anzi tutto come le cifre date dal Michelotti riguardo alle sue dimensioni nom corrispondano affatto a quelle che mostra la figura presentata, mentre questa. meglio collima. colle. dimen- sioni date per il €. discors (che eredo sia una varietà della specie im esame); ma siccome il C. Allioni è descritto. prima, del C. discors, e ne è data una buona figura, così non dubito di accettare il C. AMlionii come specie tipica. Inoltre è notevole come a tipo, che dobbiamo perciò conservare come tale, del C. Allonii venne figurato un esemplare il quale rappresenta quasi un'ultima modificazione (a spira depressa) di una forma che ha, molto più comunemente, una, spira abbastanza regolarmente conica e che con modificazioni nel senso opposto, cioè nell’elevazione della spira, giunge sino: I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 33 alla forma che il Michelotti appellò C. oblitus; cioè il Michelotti costituì due specie sopra due forme tra loro ben distinte, ma che a mio parere rappresentano le ultime modificazioni, in senso opposto, di una stessa specie; quindi nè saprei trovare un carattere specifico distintivo delle due forme, nè mi parrebbe perciò logico costituirne due specie diverse, nello stesso modo come non sarebbe naturale elevare al grado di specie le var. drevidepressula e fusulospirata del L. Brocchii. D'altronde lo stesso Michelotti sembra essersi convinto di ciò, giacchè nella sua collezione gli esemplari di C. Allioni, CO. discors e C. oblitus, trovavansi ora riuniti assieme. Il C. Allioni ha la precedenza come specie tipica perchè nel lavoro è de- scritto al N. 4 (pag. 338), mentre il C. oblitus trovasi al N. 8 (pag. 340). Anom. compressuLa Sace. — Spira depressior. Elveziano: Colli torinesi (rara). Anom. semWscaLaRATA Sace. — Anfractus in regione centrali et media spirae sca- larati, in regione externa spirae non scalarati, regulariter declives, funiculo subdestituti. Elveziano: Colli torinesi (non rara). L. ALLIONII? Var. GRANULOCATENATA SACC. (Tav. IV, fig. 7). Testa plerumque minor. Spira plus minusve elatior. Anfractus in regione: caudali et interdum in regione ventrali seriis granularibus ornati. Alt. 8-20 mm.: Lat. 4 !/-10 mm. Elveziano : Colli torinesi (non rara). Osservazioni. — I caratteri della granulosità si incontrano specialmente nei Conospirus, il che indica sempre più il nesso strettissimo che collega i Conospirus ai Leptoconus. Nella specie in esame tali caratteri osservansi su forme un po’ diverse, specialmente su quelle affini alla var. conicospirata, e per lo più su esemplari piccoli, il che sembra indicare che le granulazioni in esame rappresentano un carattere sal- tuario, proprio specialmente degli individui giovani. L. ALLIONII Var. CONICOSPIRATA SACC. (Tav. IV, fig. 8). Spira plus minusve elatior, subregulariter conica. Alt. 15-34 mm.: Lat. 8-15 mm. EWeziano: Colli torinesi, Baldissero (frequente). OsservazioNnI. — Passa gradualissimamente al tipo. Le si avvicina alquanto la forma figurata dall’Hoernes (Foss. Moll. tert. Beck, Wien. — Tav. V, Fig. 7), come Conus Dujardini. L. ALLIONII Var. PERCONICOSPIRATA SACC. (Tav. IV, fig. 9). Testa elongatior, subfusoidea; spira valde elatior. Alt. 18-31 mm.: Lat. 7-12 mm. Serie Il. Tom. XLIV. E 34 FEDERICO SACCO Eleziano: Colli torinesi (non rara). Osservazioni. — Collegasi gradualmente colla var. conicospirata. L. ALLIONII var. DISCORS (MicgT.), (Tav. IV, fig. 10). Testa interdum crassior. Spira subinflata, subconvexa. Alt. 20-45 mm.: Lat. 11-24 mm. 1847. Conus discors Micht. MICHELOTTI, Deseript. foss. mioc., pag. 388. ASTE PAR A SRP ROSILO SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 43885. Elveziano: Colli torinesi (frequente). OsseRvAZIONI. — Se si volesse considerare il C. oblitus come specie a sè, la forma - Ò . x DN LI . discors se ne potrebbe considerare come la varietà più depressa; ma essa collegasi però affatto insensibilmente col L. Allioni e specialmente colla sua var. conicospirata. Quanto al carattere indicato del Michelotti, che cioè nel 0. discors gli anfratti sono superiormente depresso-canalicolati, esso osservasi pure quasi sempre nel C. Allionii. TL. ATLIONII Var. PUPOIDESPIRA SACC. (Tav. IV, fig. 11). Distinguunt hane var. a var. discors (Micht.) sequentes notae: Testa fusulatior; spira elatior, inflatior, pupoidea. Alt. 22-42 mm.: Lat. 11-22 mm. Ebeziano: Colli torinesi (frequentissima). . Osservazioni. — Il rigonfiamento della regione spirale sembra specialmente carat- teristico. delle forme mioceniche, come vedesi pure nel, gruppo del C. antediluvianus. Si. collega colla var. discors, e col, O. oblitus. j L. ALLIONII Var. PERPUPOIDESPIRA SACC. (Tav. IV, fis. 12). Distinguunt hanc var. a var. discors sequentes notae: Testa valde fusulatior; spira valde elatior, inflatior, pagodaeformis. Alt. 30-45 mm.: Lat. 14-19 mm. Elveziano: Colli torinesi (non rara). Osservazioni. — Rappresenta solo un’esagerazione, direi, dei. caratteri della Var. pupoidespira. 4 L. AnuioNI var. oBLITÀ (MicHt.) (an species distinguenda ?). (Tav. IV, fig. 13). Testa turbinata, conica, elongata, laevigata; basi laevigata; spira producta; anfra- ctibus carinatis, scalariformibus ; apertura angusta labro arcuato, superne late marginato (Michelotti). Distinguunt hanc: var. a var. discors sequentes notae: I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 35 Testa fusulatior. Spira elatior, scalaratior; in regione marginali *spirae funiculum minus visibile, minus erectum, deinde angulus agis acutus. Alt. 25-50 mm.: Lat. 11-20 mm. 1847. Conus oblitus Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 340, Tav. XIV, fig. 2. 1847. |, 5 3 SISMONDA, Syn. meth., 2% ed., pag. 44. 1852. . 5 ; È D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 57. SSA 3 1 SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4391. Elveziano: Oolli torinesi (frequentissima). OsseRvaZzIONI. — Come già ebbi ad accennare trattando del tipo del Di Allioni, la forma in esame appare specificamente affatto distinta da dea specie, ma dubito trattisi qui solo di estreme ed opposte modificazioni di una specie sola la cui forma più frequente sarebbe la pupoidespira; d'altronde sonvi passaggi così insensibili fra dette die formò; per quanto diverse alla comparazione diretta, che non sembra molto naturale il dividerle specificamente. Così) per esempio; quando gli esemplari del C. oblitiis presentano la Spira ùn po’ menò inflata; cioè più regolarmente conica; ne riesce so- vente incertissima la delimitazione dalla var: percon icospirata del L. Allioni ; d'altronde sia il rigotifiamentò della spira; sia Pessere questa più comunemente scalaratà (ciò che per lo più osservasi mel &ruppo del 0. oblitits), non paionmi caratteri tali da appoggiare una distinzione specificà che all’àtto pratico diventa molto arbitraria. Tale fatto sembra così chiaro che lo stesso Michelotti in questi ultimi anni riunì assiemè, nella sua raccoltà, gli esemplari di queste due cosidette specie. Notiamo infine come la forma in esame non sia da confondersi col gruppo del 0. Dujardini; come potrebbe forse supporsi a primo tratto, distinguendosenè in generale nettàmente pet Ta spirà meno regolarmente acuta) per la parte superiore degli anfratti discen- ‘ dente meno regolarmente verso il basso e costituente un angolo assai meno acuto, con un accenno più o meno evidente di funicolo od almeno di leggerissimo rilievo. L. ALDIONII var. PERFUNICULATA Sacc. (Tav. IV, fig. 14). Distinguunt hanc var. a var. oblita Micht. sequentes notae: Angulus anfractuum minus acutus; funiculo magis visibile, plus minusve conspicuo, mumitus. Elveziano: Colli torinesi (non rara). OsservazIoNI. — È una semplice modificazione della var. o0lita, alla quale passa insensibilissimamente, e che ricorda’ alquanto il L. Brocchi. P; LmPrOCONUS ELATUS (Micwr.) (Lav. IV, fig. 15). Testa conica, elongata; spirae exertae; anfractubus funiformibus: sutura incavata distinetis; basi acuminata (Borson). Testa conico-elongata, cylindrica; spira exerta; anfractibus supernis via elatis, ro- tundatis, mediis subangulatis, postremo angulato, rugulosis, sulcis longitudinalibus oblique instructis (Michelotti). Alt. 40-150 mm.: Lat. 17-55 mm. 36 FEDERICO SACCO 1821. Conus elongatus Bors. BORSON, Oritt. piemont., pag. 19 (198), Tav. I, fig. 4. 1830. |, DI di du Cat. Coll. min. Turin, pag. 606. (SO elatus Micht. MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 341, Tav. XII, fig. 16. USA7 ONE È s SISMONDA, Syr. meth., 2% ed., pag. 44. 1848. _, elongatus Bors. BRONN, Index paleont., pag. 329. 185. Haueri Partsch. HOERNES, Zoss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 34. 52 NE elatus Micht. D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., II, pag. 56. 9 cc Haueri Partsch. DODERLEIN, Giac. terr. mioc. Ital. centr., pag. 25 (107). Ie, h L LOCARD, Descr. Faune tert. Corse, pag. 69. 1890. , elatus Micht. SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 48817. NB. Le indicazioni di Conus Puschi Micht. riguardanti fossili tortoniani rientrano generalmente nella sinonimia del L. elatus. Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (non rara). Osservazioni. — Il nome elongatus di Borson non può essere adottato già esi- stendo sin dal 1786 un Conus elongatus CHtENNITZ; quanto all’appellativo Haueri, quan- tunque già indicato nel 1842 dal Partsch, rimase solo nome di Catalogo sino al 1851 quando l’Héornes figurò e descrisse la forma a cui esso era applicato, forma che quindi deve solo più considerarsi come una varietà del C. elatus. L'indicazione data dal Borson, che cioè questa forma si trovi nell’Astigiana è affatto errata, giacchè in quasi un secolo di continue ricerche non si trovò nell’Astigiana alcun individuo di questa specie, ed inoltre dall'esame dell'esemplare tipico su cui il Borson fondò il suo C. elon- gatus potei accertarmi che anche esso proviene dal Tortoniano del Tortonese. Nella parte superiore degli ultimi anfratti esiste talora un cordoncino trasverso più o meno depresso, che però generalmente scompare nell'ultimo anfratto degli esemplari com- pletamente adulti. I primi anfratti sono generalmente più o meno granulosi. Notisi che nel tipo di questa specie gli anfratti sono alquanto angolosi e quindi la spira risulta scalarata, mentre che invece generalmente gli anfratti si presentano più o meno rotondeggianti. i Il riferimento del €. elatus ai Leptoconus può ancora presentare qualche dub- biezza, quantunque a tale sottogenere si riferiscano forme viventi, alquanto simili, così il C. gradatus Gray, il 0. acuminatus Brus., ecc.; però alcuni caratteri avvi- cinano il C. elatus ai Ohelyconus. TL. ELATUS Var. DEPRESSULESPIRATA SACC. (Tav. IV, fig. 16). Spira qginus celata, ratione habita, basi latiore; anfractus rotundatiores. Alt. 80-95 mm.: Lat. 35-45 mm. Tortoniano: Stazzano, Montegibbio (alquanto rara). OsservazionI. — Si avvicina alla var. Haueri (PARTSCH.). L. ELATUS Var. TAUROBREVIS SACC. (Tav. IV, fig. 17). Testa minus elongata, spira minus elata; anfractus rotundatiores. Alt. 55 mm.: Lat. 27 mm. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 37 Elveziano: Colli torinesi (rara). OsservAZIONI. — Collegasi colla var. depressulespirata. L. ELATUS Var. TAUROPARVA SACC. (Tav. IV, fio. 18). Testa minor, gracilior; spira scalaratior. Alt. 40 mm.: Lat. 16 mm, Elveziano: Colli torinesi (rara). Osservazioni. — Ricorda alquanto il L. extensus (PARTScH.), forma del Miocene (specialmente tortoniano) viennese che riscontrai nell’Elveziano della Sardegna, ma che finora non si incontrò in Piemonte. L. ELATUS? Var. TAUROTRANSIENS SACC. (Tav. IV, fig. 19). Testa plerumque minor; spira, ratione habita, elatior. Anfractus breviores. Alt. 36-65 mm.: Lat. 16-26 mm. Elveziano: Colli torinesi (non rara). OsservazioNI. — Sembra quasi far passaggio al C. oboesus Micat., per modo che la sua determinazione riesce alquanto incerta; alcuni esemplari hanno la spira supe- riormente assai gracile, tanto da ricordare in piccolo la var. fusulatimspirata. L. ELATUS Var. CONVEXULOIDES SACC. (Tav. IV, fig. 21). Spira minus scalarata, interdum aliquantulum elongatior. Anfractus convexiores, subrotundati. Tortoniano : Stazzano, Montegibbio (non rara). ? Piacenziano: Borzoli (rarissima). OssERvAZIONI. — Un individuo gigantesco di questa varietà raggiunge la lun- ghezza di 150 mm. Spesso nella parte superiore gli anfratti presentano un cordon- cino trasversale depresso. Quanto all’unico ed incompleto esemplare già citato dal Della Campana (1890, Conus Haueri? PartscHa, Pliocene Borzoli, pag. 28) conservato nel Museo geologico di Genova coll’indicazione di provenienza: Borzoli, credo opportuno mantenere qualche riserva sino ad ulteriori scoperte, trattandosi di una specie tanto schiettamente miocenica, nè parendomi impossibile che detto esemplare possa provenire invece dal tortonese. 38 FEDERICO SACCO L. ELATUS Var. FUSULATIMSPIRATA SACC. (Tav. IV, fig. 22). Testa aliquantulum elongatior. Spira valde elongatior, fusiformis; anfractus saepe rotundatiores, ultimo excepto. Alt. 70-125 mm.: Lat. 25-44 mm. Tortoniano: Stazzano, S. Agata fossili (alquanto frequente). Osservazioni. — L’esemplare molto guasto su cui il Borson fondò il suo €. elon- gatus ricorda alquanto questa varietà. Ad essa sono in gran parte riferibili le forme figurate nella Tav. VII dal Da Costa come Conus Puschi. L. ELATUS Var. FUSULOPARVA SACC. (Tav. IV, fig. 23). Testa minor, gracilis, fusiformis. Spira valde elongatior, fusulata. Anfractus ro- tundatiores. Alt. 50 mm.: Lat. 15 mm. Tortoniano: S. Agata fossili (rara). OsservazioNnI. — Probabilmente è forma non ancora completamente sviluppata. L. ELATUS Var. PERCONICOSPIRATA SACC. (Tav. IV, fig. 24). Testa aliquantulum elongatior. Spira regulariter conica; anfractus rotundatiores. Tortoniano : Stazzano, S. Agata (non rara). Osservazioni. — È interessante osservare come la tipica spira pupoide allun- gata, direi, si trasformi gradualmente in spira conica. Le è alquanto affine, ma più depressa, la var. haueriana Sacc. (1851, Conus Haueri PartscH. — HorrnEs, Foss. Moll. Tert. Beck. Wien. — Tav. IV, fig. 5 (non 4)). L. ELATUS Var. FUNIFORMISPIRATA SACC. (Tav. IV, fig. 25). Spira subregulariter conica; anfractus perrotundanti, funiformes, profundis suturis disjuncti. Tortoniano : Stazzano (rara). Osservazioni. — Collegasi specialmente colla var. perconicospirata. L. ELATUS Var. PERLONGESPIRATA SACC. (Tav. IV, fio. 26). Spira: elongatior, in regione apicali: constrictior, in' regione basali valde dilatata. Anfractus viltimus. subcanaliculatus. Portoniano:: Stazzano (rara). Osservazioni. — Passa gradualmente al tipo ed alla var. fusulatimspirata. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 39 LEPIOCONUS TAUROELATUS SACC. (Tav. IV, fig. 27). Testa elongata, subgracilis, subclaviformis. Spira elato-pupoides, in parte superiore gracilis, subturrita, in regione externa rapide dilatata. Anfractus elongati, superne ro- tundati (exceptis primis subangulatis), suturis profundis disjuneti, caudam versus rapide imminuti. Apertura perlonga, perstricta. Alt. 62 mm.: Lat. 22 mm. Elveziano: Colli torinesi (rara). OsservAZzIONI. — Sembra appartenere al gruppo del L. elatus, ricordandone spe- cialmente la var. perlongespirata; ma nel complesso pare dover costituire specie a sè. Sottogen. CONOSPIRUS De GrEgoRrIO, 1890. Il De Gregorio nella sua, “ Monogr. Faune eoc. Alabama — pag. 21 , istituisce questo nuovo sottogenere ponendovi a tipo il C. antediluvianus Brue. Dobbiamo però subito notare come il De Gregorio riunisca in. questo sottogenere forme assai distinte appartenenti a sottogeneri diversi e, già, prima distinti, così per, es. il:C.. stromboides su cui nell’anno precedente (1889) il Cossmann. aveva fondato il sottog. Hemiconus. Inoltre, anche restringendo il sottog. Conospirus al gruppo del C. antediluvianus e forme affini, è certo che esso presenta graduali passaggi ai Zeptoconus, per modo che tale distinzione mostrasi talora alquanto arbitraria. Contutteciò, pur riconoscendo la strettissima, affinità dei Conospirus coi Leptoconus, tanto, che probabilmente. altri crederà opportuno tenerli riuniti, considerando però che.le. suddivisioni sottogeneriche presentano talora passaggi fra loro, accetto,per. ora tale.distinzione; come quella: che sembrami atta a meglio differenziare due gruppi di forme, bensì. strettamente. colle- gate, ma complessivamente distinte. CONOSPIRUS ANTEDILUVIANUS: (BRUG.): 1786. Wolutilites WALCH u, KNORR, Natwg.. Verstein., I, pag. 160; Tav. CII, fig.6. 1792. Conus antidiluvianus Brug. BRUGUIERE, Encicl. meth. Vers, I, pag. 637, Tav. 347, fig. 6. 1798. Volutilites n. 4 i BORSON, Ad Oryct. pedem. auct., pag. 176. 1810, Conus antidiluvianus Brug. LAMARCK, Ann. Mus. Hist, nat., tome XV, pag. 442. I814.. > Ur È BROGCHI,. Conch. foss.. subapp., II, pagw 291; Tav. IL fig 11, TE 5 È DEFRANCE, Dict. Se. Nat., X, pag. 268; 1820. | 5 5 BORSON, Oritt. piemont., pag. 14 (193).. 1824. , antediluvianus ; DESHAYES, Descr. Coqu. foss. Paris; Il; pag. 749; 750 (pars). 1826: , anti&jluvianus. » RISSO,. Hist.. Nat. Europe mérid.; IV; pag. 2300 1826. i n Di BONELLI, Cat. m. s. Museo Zool. Torino, n. 296. 1827. , @ntediluvianus , SASSO, Sagg. geol. Bac. terz. Albenga, pag. 482. 1880. , antidiluvianus , BORSON, Cat. Mus. min. Turin, pag. 606. 1831. , antediluvianus ; BRONN, Ital. tert.. Gebild., pag. 12. 1831. , antidiluvianus 4» DUBOIS DE MONTPÉREUX, Conch. foss. Wolh,, pag. 23 (pars); 40 1837. Conus angutanculus Desh. FEDERICO SACCO PUSCH, Polens Palciontologie, pag. 115 (pars). 1838. , appenninicus Bronn. BRONN, Lethaea geogn., Il, pag. 1118, Tav. XLII, fig. 15. 1838. , antediluvianus , MICHELOTTI, Geogn. zool. Ansicht tert. Bild. Piemonts, pag. 397. 1842. , antidiluvianus Brug. SISMONDA, Syn. meth., 1% ed., pag. 44. 1843. , Bruguierii Nyst. NYST, Coqu. et Polip. foss. Belgique, pag. 585. 1845. , antediluvianus , DESHAYES in LAMARCK, Hist. Nat. An., s. vert., XI, pag. 155. 1847. , antidiluvianmus , MICHELOTTI, Descript. foss. mioc., pag. 336. 1847. 7, N È) SISMONDA, Syn. meth., 2% ed., pag. 43. 1848. , antediluvianus + BRONN, Index paleont., pag. 328. LoL Ò 5 HOERNES, Moss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 38. 1852. , apenninensis Bronn. D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., II, pag. 56. 1858. , antediluvianus Brug. BRONN, Lethaea Geogn., II, pag. 584, Tav. XLII, fig. 15. 1853. È D BEYRICH, Conch. Nord-Deutsch. tert. Geb., pag. 19. TED 5 n NEUGEBOREN, Zert. Moll. Ober-Lapugy, pag. 228. iS. 9 RANE 5 5 CHENU, Manuel de Conchiol., pag. 241, fig. 1432. 16200005 n S DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It. centr., pag. 25 (107). 1866. , na È DESHAYES, Descript. An. s. vert. Bassin Paris, III, pag. 418. IIS 20005 H 5 KOENEN, Mioc. Nord-Deutschl. u. seine Moll. Fauna, pag. 213. 1873. , antidiluvianus , COCCONI, En. Moll. mioc. plioc. Parma e Piacenza, pag. 154. STE n De LOCARD, Descript. Faune tert. corse, pag. 71. - 1877. , antediluvianus , ISSEL, Fossili marne Genova, pag. 23. Tate o 7 $ PARONA, Plioc. oltrepò pavese, pag. 66. 1884. , 5 È DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 360. 1885... 4 5 5 SACCO, Mass. elev. Plioc. mar. al piede delle Alpi, pag. I. ISS a ci Ò 5 Studi geo-pal. territorio Bene Vagienna, pag. 10. SCARNO O Ò n Valle Stura di Cuneo, pag. 66. 1890. , apenninensis Bronn. ci Cat. pal. Bac. terze. Piemonte, n. 4372. 1890. , antediluvianus Brug. È Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4370. 190 ANO bi L DELLA CAMPANA, Pliocene di Borzoli, pag. 27. Alt. 10-45-90 mm.: Lat. 4-17-30 mm. Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (rara). Piacenziano: Astigiana, Chieri, Castelnuovo d’Asti, Bene Vagienna, Mondovì, Carrù, Pianfei, Cervere, Cherasco; Volpedo; Piacentino; Genova, Borzoli, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera, Bussana (abbondantissima). Astiano: Astigiana, Piacentino (alquanto rara). OsservazioNnI. — Questa bella specie è quasi caratteristica (colla sua grande ab- bondanza) del Piacenziano, per essere forma essenzialmente di mare alquanto pro- fondo e tranquillo e dei fondi fangosi. Originariamente si credette che questa specie appartenesse all’eocene del bacino parigino, mentre invece è quasi caratteristica del pliocene, dal che nacquero molti errori e non poche confusioni, sia colle forme consimili veramente eoceniche, sia col C. Dujardini e col C. acutangulus, donde la proposizione di nuovi nomi, come appenninicus e Brughieri, per la forma pliocenica in esame. Il Brocchi ne diede tre figure le quali corrispondono giustamente ai 3 stadî prin- cipali di sviluppo di questa specie; è però notevole come nella regione della spira degli esemplari figurati dal Brocchi, gli anfratti siano più depressi e quindi la spira si presenti meno fusulata, più scalariforme, di quanto si verifichi in generale negli esemplari (circa mille) da me esaminati; quindi sugli esemplari che presentano più accentuati tali caratteri differenziali credetti opportuno fondare una varietà, la quale, in Piemonte ed in Liguria almeno, è assai più abbondante del tipo. Nella collezione feat. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 41 Brocchi esistono 10 esemplari di cui però la maggior parte giovani e parecchi ap- partenenti all’anom. pseudogibbosa. Il Coppi (Paleont. mod., pag. 51) indica una var. major colle dimensioni di mm. 100 X 35. Anom. pseudogibbosa Sacc. (Tav. IV, Fig. 28). Anfractus ultimus, in regione medio-supera irregulariter ventricoso-inflata, gibbosa. Tortoniano : S. Maria di Stazzano (rara). Piacenziano: Piacentino, Bordighera (frequente). C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTONENSIS SACC. (Tav. IVA fis. 129)! Testa plerumque minor. Anfractus in regione spirae aliquantulo depressiores, sub- canaliculati. Granulationes perspicuiores; striolae transversae interdum etiam in regione ventrali anfractuum visibiles. | Alt. 15-30-75 mm.: Lat. 7-12-23 mm. Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (abbondantissima). Piacenziano: Castelnuovo, Liguria (rara). OsseRvAZIONI. — Per quanto questa forma passi gradualmente al tipo, special- mente agli individui giovani di esso, tuttavia sembrami che essa presenti nel com- plesso una facies propria tale da potersene costituire una varietà che è essenzialmente cararatteristica del Zortoniano. A questa forma avvicinasi alquanto il C. Berwerthi H. A., che però forse rappresenta solo individui giovani. C. ANTEDILUVIANUS Var. COMPRESSOSPIRA SACC. (Tav. IV, fig. 30). Spira depressior; granulationes interdum parvuliores. Alt. 15-32 mm.: Lat. 8-12 mm. Ebeziano: Colli torinesi (rarissima). Tortoniano: Montegibbio (rara). Piacenziano: Castelnuovo d'Asti, Bussana (alquanto rara). Osservazioni. — Alcuni esemplari a granulazioni poco visibili si avvicinano a certe forme di Leptoconus leggermente granulate. C. ANTEDILUVIANUS Var. DERTOGRANOSA SACC. (Tav. IV, fig. 31). Testa plerumque minor; spira elatior, turritior. Granulationes perspicuiores, striolae transversae interdum etiam in regione ventrali anfractuum subvisibiles. Alt. 14-45 mm.: Lat. 6-13 mm. Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (frequente). Osservazioni. — Passa gradualmente alla var. dertonensis. Serie II. Tom. XLIV. PF 42 FEDERICO SACCO C. ANTEDILUVIANUS Var. TURRITOSPIRA SACC. (Tav. IV, fig. 32). Testa elungatior; spira elatior, turritior. Anfractus, ultimi praecipue, in regione spirae aliquanto minus depressi. Alt. 13-45-90 mm.: Lat. 4-14-27 mm. Tortoniano: Stazzano (alquanto rara). Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Chieri, Vezza, Cherasco, Bene-Vagienna, Carrà, Masserano; Piacentino; Borzoli, Savona-Fornaci, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordi- ghera, Bussana (abbondantissima). OssERVAZIONI. — Passa insensibilmente sia al tipo (di cui è quasi più comune), sia alla var. turripina. C. ANTEDILUVIANUS Var. TURRIPINA De GREG. (Tav. IV, fig. 33). Testa elongatior, fusuloidea; spira elatior, minus scalarata. Anfractus, ultimi prae- cipue, in regione spirae valde minus depressi, valde obtusius angulati. Alt. 22-50-80 mm.: Lat. 7-16-25 mm. ; 1884. Conus antedil. Brug. var. turripinus De Greg. — DE GREGORIO, Studi Conch. medit., pag. 361. Tortoniano: Montegibbio, Stazzano (alquanto rara). Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo, Chieri, Cherasco, Masserano; Piacentino; Bor- zoli, Savona, Zinola, Albenga, R. Torsero, Bordighera, Bussana. Astiano: Astigiana (rara). OsservazionI. — Collegasi gradualissimamente colla forma tipica e colla var. turritospira. Anom. rusunatissima Sacc. (Tav. IV, fig. 34). — Testa fusulatior. Anfractus rotundatiores. Piacenziano: Castelnuovo d'Asti (rara). Osservazione. — Rappresenta solo un’esagerazione, direi, della var. turripina. C. ANTEDILUVIANUS Var. FASCIORNATA SACC. (Tav. IV, fig. 35). Anfractus ultimus tribus fasciis brunneo-ochraceis (media et infera sat regularibus, supera subbifida et interrupta) munitus. Piacenziano: Zinola (rara). OssERVAZIONI. — Siccome generalmente il 0. antediluvianus si presenta con tinta uniforme, così credetti opportuno segnalare questa forma, la quale potrebbe rappre- sentare o semplicemente un'anomalia, oppure un residuo della vera colorazione del CO. antediluvianus, ciò che ne accrescerebbe l’importanza pur facendola discendere dal grado di varietà distinta. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 43 O. ANTEDILUVIANUS Var. DERTOBLITA SACC. (Tav. IV, fig. 36). Testa crassa, fusulatior. Spira conica, saepe subinflatula, valde minus scalarata. Anfractus ultimi in regione spirae declives, valde minus planato-depressi. Alt. 30-66 mm.: Lat. 13-27 mm. Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara). Piacenziano: R. Torsero (rarissima). OsservazionI. — A primo tratto parrebbe una specie a parte che ricorda alquanto il ©. oblitus Mica. per gli esemplari a spira più inflata, ma per graduali passaggi collegasi strettamente col solito tipo del C. antediluvianus. Questa forma deriva proba- bilissimamente dalla var. taurobdlitoides, a cui è affinissima. Nel bacino viennese tro- vasi una forma simile come risulta dalla Fig. 2, di Tav. V, dell’opera di M. Hoernes: “ Foss. Moll. tert. Beck. Wien. ,. U. ANTEDILUVIANUS Var. CRASSOGRANOSA SACC. (Tav. IV, fig. 37). Testa crassa. Spira conica. Granulationes valde crassiores, subrotundatae. Tortoniano: Stazzano (rara). . CU. ANTEDILUVIANUS var. MIOBLITA SACC. (Tav. IV, fig. 38). Testa elongatior, fusulatior. Spira subscalarata, plus minusve conica. Anfractus in regione spirae declives, non scalarati, non, vel parum, depresso-canaliculati. Granula- tiones numero minores, depressae, plus minusve suboblitae. Alt. 40-65 mm.: Lat. 11-25 mm. Elveziano: Colli torinesi (non rara). OsseRVAZIONI. — Questa varietà sembrerebbe quasi formare passaggio al C. oblitus Micar., tanto più che il 0. oblitus si presenta talora leggermente subgranulato nei primi anfratti; ma d’altra parte sonvi variazioni simili in forme plioceniche di C. ante- diluvianus, come nella var. sudagranulata, che è affinissima alla presente. C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROBLITOIDES SACC. (Tav. IV, fig. 39). Testa affinis var. dertoblita, sed: minor; granulationes parvuliores, propinquiores, rotundatiores, in anfractibus ultimis interdum suboblitae vel oblitae. Alt. 15-40 mm.: Lat. 6 1/,-17 mm. Elveziano: Colli torinesi (non rara). OsservazionI. — Passa assai gradualmente alla var. dertoblita; per alcuni carat- teri ricorda il C. oblitus Mrcam. C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROASCALARATA SaAcc. (Tav. IV, fig. 40). Testa affinis var. dertoblita, sed: spira regulariter conica, ascalarata; granula- tiones parvuliores, depressiores, passim suboblitae. 44 FEDERICO SACCO Alt. 40 mm.: Lat. 11 mm. Elveziano: Colli torinesi (rarissima). Osservazioni. — È solo una modificazione della var. tauroblitoides. C. ANTEDILUVIANUS Var. MIOSUBAGRANOSA SACC. (Tav. IV, fis. 41). Testa affinis var. dertoblita, sed: minor; spira plerumque minus inflata, mucro- nata; granulationes parvuliores, depressiores, plus minusve suboblitae. Alt. 15-30 mm.: Lat. 6-11 mm. Elveziano: Colli torinesi (non rara). Osservazioni. — Collegasi assai bene colla var. tauroblitoides, e per la graduale scomparsa delle granulazioni sembra passare ad alcune forme del L. Allioni e del C. Dujardini (var. pseudoantediluviana). Le forme a spira turrita paiono mancare nell’Elveziano piemontese, ma esistettero altrove durante tutta l’epoca miocenica, come ce lo indicano la var. junior GrAT. (= var. scalata GraT. a pie’ della Tav. 45), la var. princeps SaAcc. (1853 — Conus antediluvianus Brue — BevRIiox — Conch. Norddeutsch. tert. Geb. Tav. I, Fig. 1), ecc. C. ANTEDILUVIANUS Var. TAUROCATENATOIDES Sacc. (Tav. IV, fig. 42). Testa minor; spira turritior. Anfractus in regione spirae minus depressi, decli- viores. Anfractus ultimus transverse, irregulariter, seriatim granulosus. EWeziano: Colli torinesi (non rara). Osservazioni. — Credo trattisi essenzialmente di forme giovanili, giacchè le suddette granulazioni osservansi specialmente negli esemplari giovani di Conus appar- tenenti a diversi sottogeneri, particolarmente ai Conospirus; è probabilmente in modo simile che credo debbasi interpretare la forma excatenata Sacc. (1851 — Conus cate- natus Sow. — Hoernes — Foss. Moll. tert. Beck Wien, pag. 42, Tav. V, fig. 4) che sem- brami assai diverso dal vero 0. catenatus, il Leptoconus Berwerthi H. A. (probabil- mente varietà del O. antediluvianus), il Conus Jungi Boe, il C. clanculus Mav., ecc. Quindi io credo che tale carattere delle granulazioni, sul quale vennero fondate diverse specie, non sia un carattere essenziale, ma sovente solo di età od individuale, e quindi per lo più appena segnalabile a titolo di varietà, apparendo d’altronde qua e là in diverse forme, così nel C. antediluvianus, nel C. Dujardini, nel C. Bronni, nel Leptoconus Allioni, ecc., ecc. C. ANTEDILUVIANUS Var. EMPENA De GREG. (Tav. IV, fig. 43). Spira brevior; in ultimis anfractibus granulationes oblitae. 13823. Conus antidiluvianus BORSON, Or:tt. Piemont., pag. 172 (304). 1830. , N S Cat. Coll. Min. Turin, pag. 607. 1884. , antediluvianus var. empenus De Greg. DE GREGORIO, Studi Conch. Medit., pag. 361. 13900008 z Pi s SACCO, Cat. pal. Bac. terz. Piemonte, n. 4371, 5430. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 45 Piacenziano: Astigiana, Masserano; Bordighera; Castellarquato (rara). Osservazioni. — Il carattere di questa varietà è comunissimo negli esemplari adulti di C. antediluvianus; alcuni individui sembrano quasi far passaggio al L. Broc- chiù var. antediluvianoides. CONOSPIRUS ANTEDILUVIANUS Var. TRANSIENS SACC. (Tav. IV, fig. 44). Testa fusulatior; angulus cdnfractuum crassus, subrotundus, granulationibus omnino destitutus. Alt. 47 mm.: Lat. 20 mm. Astiano: Astigiana (rarissima). OsservazionI. —- Questa forma per diversi caratteri avvicinasi moltissimo al L. Brocchii, tanto che altri potrebbe forse riferirlo a detta specie; però nell’assieme essa sembra piuttosto appartenere al gruppo del C. antediluvianus. Del resto credo trattisi di una forma anomala di non grande importanza. C. ANTEDILUVIANUS Var. SUBAGRANULATA SAcc. (Tav. IV, fig. 45). Testa fusulatior. Spira plus minusve elatior, minus scalarata. Anfractus in regione spirae decliviores, minus depressi; granulationes in anfractibus primis depressiores, sub- oblitae, in anfractibus ultimis oblitae. Alt. 26-73 mm.: Lat. 11-25 mm. Piacenziano: Astigiana, Castelnuovo; Piacentino; Zinola, Rio Torsero, Bordighera (non rara). OsservazionI. — I caratteri di questa varietà si riscontrano generalmente negli ultimi anfratti di tutti gli individui adulti; è la loro generalità in tutti gli anfratti ed anche nelle forme giovani, che, assieme agli altri caratteri sovraccennati, mi in- dusse ad elevare questa forma a varietà distinta; essa ricorda a primo tratto il O. Dujardini, ma anche il solo carattere del canaletto che osservasi sopra l’angolo degli anfratti, basta per distinguere nettamente le due forme; d’altra parte questa varietà si avvicina pure alquanto al L. Brocchii. Conospirus DUJARDINI (DESE.). (1831. DESHAYES (0. acutangulus Desh., non C. acutangulus Chemn. 1772) in Appendix to Lyell's Principles of Geology, pag. 40). (1831. DU BOIS DE MONTPÉREUX (C. antidiluvianus), Conch. foss. Volhyn.-Podol., Tav. I, fig. 1). (1845. DESHAYHS in LAMARCK (C. Dujardini), Hist. Nat. An. s. vert., XI, pag. 158). OsservazionI. — Questa forma credo sia molto importante costituendo quasi una specie-gruppo, specialmente caratteristica del Miocene, ed attorno alla quale raggrup- pansi molte e svariate forme. Sgraziatamente essa portò per lungo tempo un nome che cadeva in sinonimia, ed inoltre il suo autore ne diede per tipo una figura pre- sentata dal Dubois come C. antidiluvianus. Ne seguì una notevole confusione che dura 46 FEDERICO SACCO tuttora, tant'è che a questa specie si attribuirono specie diverse e, viceversa, di molte sue semplici varietà si crearono nuove specie. Inoltre è a notarsi come la figura del Dubois, che dobbiamo prendere come tipo del L. Dujardini, come ha proposto l’au- tore di questa specie, non rappresenti una delle forme più comuni di questo gruppo; ad ogni modo il nome sudacutangulus dato a questa forma nel 1852 dal D’Orbigny cade assolutamente in sinonimia di 0. Dujardini (1845). Nel Tortoniano di Stazzano osservai un esemplare che si avvicina molto al tipo, ma che per essere incompleto non è determinabile con certezza. C. DUJARDINI var. TAUROSTRIOLATA SACC. (Tav. V, fig. 1). Testa plerumque aliquantulo minor. Spira paullulo acutior, magis pagodaeformis. Anfractus acute angulati, sub angulo circumspirali striolati, plerumque bistriolati. Alt. 5-28 mm.: Lat. 1!/-11 mm. Elveziano: Colli torinesi (frequente); Sciolze (rara). Osservazioni. — Questa forma (come in generale i Conospirus) sembra avere abitato specialmente i fondi melmosi, giacchè mentre essa fu sinora sconosciuta ai paleontologi piemontesi [il cui materiale di studio proviene specialmente dai depositi sabbiosi (molasse)], recentemente invece un raccoglitore dilettante il sig. Forma, me ne portò una gran quantità proveniente da uno speciale strato marnoso che trovasi al Monte dei Cappuccini. La caratteristica presenza delle indicate striole (oltre alla forma generale ed alle granulazioni dei primi anfratti) costituisce un nuovo punto di ravvicinamento del C. Dujardini al C. antediluvianus, quantunque sovente queste striole non compaiano, come, per esempio, nell’esemplare tipico figurato dal Dubois. C. DUJARDINI Var. PSEUDOANTEDILUVIANA SACC. (Tav. V, fig. 2). Testa affinis var. taurostriolata, sed: depressae granulationes etiam in ultimis an- fractibus plus minusve visibiles. EWeziano: Colli torinesi (rara). OsseRvaZzIONI. — Parrebbe quasi costituire un passaggio al C. antediluvianus. O. DUJARDINI Var. PSEUDOCATENATA SACC. (Tav. V, fig. 3). Testa affinis var. pseudoantediluviana, sed: spira minus scalarata; anfractus trans- versim sertis granularibus ornati. Elveziano: Colli torinesi (rara). Osservazioni. — Forma che da un lato indica sempre maggiormente il nesso esistente fra il C. Dujardini ed il C. antediluvianus e dall’altro fa sempre più rico- noscere come il carattere delle granulosità sia spesso solo un carattere accidentale, come già si disse parlando dell’affine C. antediluvianus var. taurocatenatoides. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 47 C. DUJARDINI Var. DEPRESSULINA SACC. (Tav. V, fig. 4). Testa affinis var. taurostriolata, sed spira depressior. Alt. 20 mm.: Lat. 9 mm. Elveziano: Colli torinesi (rara). Osservazioni. — Collegasi insensibilmente colla var. taurostriolata. C. DUJARDINI var. TAUROMINOR SACC. (Tav. V, fig. 5). Testa minor, fusulatior. Anfractus in regione spirae plerumque decliviores; ali- quantulo minus acute angulati. Alt. 13-23 mm.: Lat. 5-10 mm. Elveziano: Colli torinesi (non rara). Osservazioni. — Le striole accennate nelle altre varietà dell’ Elveziano torinese quasi sempre mancano in questa forma, che sembra avvicinarsi ad alcune varietà di C. Bronni. C. DUJARDINI Var. BREVICAUDATA SACCO. (Tav. V, fig. 6). Testa magis fusiformis. Spira elongatior. Cauda brevior. Sub angulo anfractuum 2 striolae transversae conspiciuntur. Alt. 26 mm.: Lat. 12 mm. Elveziano: Bersano S. Pietro (rara). CO. DUJARDINI Var. ASTENSIS SACCO. (Tav. V, fig. 7). Testa aliquantulum latior. Spira magis conica. Granulationes suboblitae. Sub angulo anfractuum 1 vel 2 striolae parvillimae perspiciuntur. Alt. 50 mm.: Lat. 16 mm. Astiano: Astigiana (rarissima). Osservazioni. — È notevole il grande prolungarsi di questa specie nel tempo, quantunque a dire il vero le forme tortoniane e plioceniche attribuite al C. Dujardini, come anche questa, tendano più o meno nettamente verso il gruppo del 0. Bronwi, tanto che talora lasciano dubbi sulla loro precisa collocazione subgenerica. A questa categoria appartengono per esempio in parte le forme figurate (Tav. V, fig. 3) dal- l’Hoernes (Foss. Moll. tert. Beck. Wien.) come C. Dujardini e che il De Gregorio (1884, Studi Conch. Medit.) appellò asdensis, mentre il C. Brezinae H. A. tende già più fortemente verso il C. Bronni. Qualche cosa di simile deve ripetersi pel O. Dujardini var. funiculellata SAcc. (1869, Conus Dujardini ‘var.-Manzoni, Fauna «mar. due lembi mioc. Alta Italia, pag. 482, tav. I, fig. 2). 48 FEDERICO SACCO In conclusione possiamo dire: 1° che il tipico 0. Dujardini è specialmente carat- teristico dell’ElWweziano, mentre il tipico C. Bronni, di cui però esistono numerose varietà nell’Elveziano, diventa particolarmente caratteristico del Tortoniano; 2° che queste due specie presentano diverse forme di collegamento, le quali ne indicano gli stretti rapporti, quantunque in complesso sembri più logico tener specificamente di- stinte dette due forme. Conosprrus Bronni (MicHmt.). (Tav. V, fig. 8). Testa turbinato-elongata, turrita; spira dimidiam testacei partem efformante, scala- riformi, exerta, acuta; anfractibus subcarinatis, infra carinam sulco praeditis; suturis distinctis (Michelotti). 1847. Conus Bronnii Micht. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 339, Tav. XIV, fig. 3. 1847. , oblitus Micht. var. SISMONDA, Syn. meth., 2* ed., pag. 44. 19520 A Ò 7 D’ORBIGNY, Prodr. Pal. strat., III, pag. 57. 1890. , Bronnii Micht. SACCO, Cat. pal. Bac. tere. Piemonte, n. 4381. Tortoniano: Stazzano, S. Agata, Montegibbio (non rara). OssERvAZIONI. — Questa forma, che pur sembra collegarsi col C. Dujardini, pare se ne debba in complesso tener specificamente distinta; tale distinzione è certa- mente nettissima se si comparano le forme tipiche di ciascuna specie, ma va gra- datamente diminuendo se si osservano le forme intermedie, specialmente quelle elveziane. Notisi inoltre come l'esemplare tipico, che rifiguro, rappresenti in verità una forma un po’ aberrante a spira molto svolta. Le figure date dall’Hoernes e specialmente dal Da Costa provano come nei ter- reni miocenici del Portogallo e di Vienna esistano numerose forme appartenenti a questo gruppo, le quali però finora vennero generalmente attribuite al C. Dujardini, al cui gruppo certamente si collegano. Negli esemplari meglio conservati si osserva sovente che i primi anfratti sono leggermente subgranulosi, carattere che collega sempre più il C. Bronni al C. Dujardini. C. BRONNII var. STAZZANENSIS SACCO. (Tav. V, fis. 9). Testa aliquantulum latior, minus elongato-fusulata. Spira minus elongata, magis conica. Alt. 15-36 mm.: Lat. 7-14 mm. 1847. Conus acutangulus Desh. MICHELOTTI, Descript. Foss. mioc., pag. 337. 1851. , Dujardini Desh. HOERNES, oss. Moll. tert. Beck. Wien., pag. 40, 41. T65220000 A n BRONN, Lethaea geogn., III, pag. 584. 1S6200 Li È DODERLEIN, Giac. terr. mioc. It. centr., pag. 107 (25). LEONI si 7 DA COSTA, Gast. tere. Portugal, pag. 27. ISU 5 5 5 LOCARD, Descript. Faune tert. Corse, pag. 72. 1590-05 5 , var. SACCO, Cat. pal. Bac. tera. Piemonte, n. 5455. 2 Elveziano: Colli torinesi (rara). Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (frequentissima). I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 49 Piacenziano: Castelnuovo d’Asti (rarissima). Osservazioni. — Questa forma dovrebbe considerarsi come il vero tipo del gruppo del 0. Bronnii, se il Michelotti non avesse figurato per tipo di questa specie un esemplare alquanto aberrante. Le indicazioni indicate in simonimia si riferiscono tutte alle forme tortoniane del C. Bronnii e non già al vero C. Dujardini che rimase finora sconosciuto nei depositi elveziani piemontesi. L'unico esemplare pliocenico che pos- seggo tende alquanto verso la var. subdascalarata. C. BRONNII Var. EVOLUTOSPIRA SACC. (Tav. V, fig. 10). Testa fusoidea. Spira perelata, rapide evoluta. Anfractus ultimi interdum minus angulosi; striolae transversae sub angulo anfractuum suboblitae. Alt. 17-30 mm.: Lat. 7-12 mm. Elveziano: Colli torinesi, Albugnano (non rara). OsseRrvazIoNnE. — Si potrebbe considerare come la forma corrispondente, nel- l’Elveziano, alla forma tipica del Tortoniano. C. BRONNII var. CRASSOCOLLIGENS SACC. (Tav. V, fig. 11). Testa crassior, latior, valde minus fusulata. Spira regularius conica. Alt. 25-32 mm.: Lat. 11-13 mm. Tortoniano: S. Agata, Stazzano, Montegibbio (non rara). OsseRvAZIONI. — Paragonata col tipo del C. Bronnii ne parrebbe specificamente diversa, presentando invece maggior somiglianza col C. Dujardini; però credo debba piuttosto collegarsi colla prima specie. C. BRONNII var. DEPRESSOASTENSIS SACC. (Tav. V, fig. 12). Testa latior, valde minus fusulata. Spira depressior, subconica, scalarata; striolae sub angulo anfractuum oblitae vel suboblitae. Alt. 23 mm.: Lat. 11 mm. Astiano: Astigiana (rarissima). Osservazioni. — Nel complesso si avvicina alquanto alla var. crassocolligens, ma tende pure molto verso il 0. Dujardini. C. BRONNII var. SUBBICONICA SACC. (Tav. V, fig. 13). Testa affinis var. subascalarata, sed anfractus minus elongati, magis angulati, ratione habita latiores, striolis sub angulo interdum muniti. Alt. 20-28 mm.: Lat. 10-12 mm. Tortoniano: Stazzano (non rara). Piacenziano: Astigiana (rara). OsseRVAZIONE. — Parrebbe quasi una esagerazione, direi, della var. sudascalarata. Serie Il. Tom. XLIV. Ci 50 FEDERICO SACCO C. BRONNII Var. OBTUSANGULATA SACC. (Tav. V, fig. 14) Testa minus longo-fusulata. Spira minus rapide evoluta. Anfractus obtuse angulati, interdum fere subrotundati. Striolae sub angulo anfractuum plerumque suboblitae. Elveziano: Colli torinesi (non rara). Tortoniano: Stazzano (non rara). Osservazioni. — Le è forse affine il C. strombellus Grat. var. minor GraT. C. BRONNII ? var. ROTUNDULATA SACC. (Tav. V, fig. 15). Testa minus longo-fusulata. Spira minus elongata. Anfractus non angulati sed sub- rotundati, saepe transversim striolati, primi plus minusve subgranulosi. Striolae sub angulo anfractuum interdum suboblitae. Elveziano: Colli torinesi (non rara). Osservazioni. — Per alcuni caratteri si avvicina alla var. obtusangulata ed alla var. taurotransiens, ma per altri ricorda assai alcuni esemplari giovani di C. Puschi, donde l’incertezza della sua determinazione; ciò tanto più che la forma in esame è assai variabile per lunghezza di spira, rotondità di anfratti, maggior o minor inten- sità ed estensione delle granulosità, ecc. Forse questa forma è alquanto affine al C. laevis (GRAT.) 0 C. praelongus (GrAT.) indicata dal D’Orbigny come C. sudalsiosus. C. BRONNII ?_ var. ROTUNDOSPIRATISSIMA SACC. Tav. V, fig. 15 dis. Testa affinis var. rotundulata, sed magis fusiformis, spira valde elongatior. Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). C. BRONNII? var. EXFUSUS SACC. (Tav. V, fig. 16). Testa fusiformis, spirae exertae, anfractubus striatis, granulis marginalibus asperis, majori transversim subgranulato striato, basi acuta (Borson). 1823. Conus fusus Bors. BORSON, Or:itt. piemont., pag. 173 (305), fig. 22. 1831. , uscus Bors. 5 Cat. Coll. min. Turin, pag. 607. 1848. , fusus n BRONN, Index paleont., pag. 330. Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). OsseRvAZIONI. — Il nome del Borson non può mantenersi già esistendo un Conus fusus di Gmelin. La forma in esame è un po’ variabile, poichè alcuni esemplari per il loro assieme si scostano alquanto dal tipo del Borson e si avvicinano, per la forma, alla var. taurotransiens, per modo che sembrano collegarsi a simili forme gra- nulose osservate nel gruppo del 0. antediluvianus e del 0. Dujardini. 1 MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 51 C. BRONNII ?_ var. ROTUNDULOGRANOSA SACC. (Tav. V, fig. 17). Testa affinis var. rotundulata SAcc., sed: anfractus seriis granularibus in regione ventrali et infera ornati. ) Elveziano: Colli torinesi (non rara). OsservazioNnI. — Passa gradualissimamente alla var. exfusus, talora anzi ne rappresenta solo una differenza di età, poichè i primi anfratti sono sovente angolosi e gli ultimi subrotondati. D'altra parte essa non è altro che la var. rotundulata or- nata di cingolelli granulari, ciò che sempre più dimostra il collegamento di queste varie forme e l’accidentalità delle granulazioni. C. BRONNII ? var. TAUROTRANSIENS SAcc. (Tav. V, fig. 18). Testa minus longo-fusulata. Spira minus elongata. Anfractus minus ventrosi; primi interdum perdepresse subgranulosi. Striolae sub angulo anfractuum plerumque oblitae vel suboblitae. Alt. 20-30 mm.: Lat. 7 !/y-11 }/ mm. Elveziano: Colli torinesi, Baldissero, Bersano, Albugnano (frequente). OssERVAZIONI. — Questa forma alquanto variabile sembra talora far passaggio al C. Dujardini (specialmente alla sua var. taurominor); alcuni esemplari a spira più largamente conica paiono passare al 0. Brezinae H. A. che credo debba conside- rarsi piuttosto come una varietà che non come una specie a sè; collegasi d’altronde per diversi caratteri colla var. subdascalarata. C. BRONNII ? Var. SUBASCALARATA Sacc. (an species distinguenda). (Tav. V, fig. 19). Testa minus longo-fusulata. Spira regulariter conica, ascalarata vel subascalarata Anfractus minus ventrosi. Striolae sub angulo anfractuum oblitae vel suboblitae. Anfractus interdum transversim lineati. Alt. 16-30-40 mm.: Lat. 7-12-14 mm. Elveziano: Colli torinesi, Baldissero (straordinariamente comune). Tortoniano: Stazzano (rara). OsseRvAZIONI. — Parrebbe quasi una specie a sè, ma collegasi con altre varietà del C. Bronnt. Gli esemplari elveziani generalmente hanno gli anfratti più rettilinei, un po meno ventrosi nella parte media e la spira più nettamente conica che non gli esemplari tortoniani, per modo che ne potrebbero forse distinguere specificamente. Se si volesse portare la forma in esame al grado di specie, la var. tauroafusula ne costituirebbe una buona varietà. C. BRONNII ? var. FUSOLIVA SACC. (Tav. V, fig. 20). Testa affinis var. subascalarata sed fusulatior, olivaeformis; anfractuum angulus superus subobtusus vel subrotundatus. 52 FEDERICO SACCO Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). Tortoniano: Stazzano (rara). C. BRONNII ?_ var. TAUROAFUSULA SACC. (Tav. V, fig. 21). Testa affinis var. subascalarata, sed: saepe major et crassior; latior, minus fusoides; spira brevior, latius conica. Alt. 15-37 mm.: Lat. 7-16 mm. Elveziano: Colli torinesi (frequente). Osservazioni. — Questa forma collegasi colla var. subdascalarata sempre più al- lontanandosi dal tipico C. Bronni, per modo che parrebbe quasi logico di staccarnela specificamente, tanto più che mancano le caratteristiche striole che nel C. Bronni stanno sotto all’angolo degli anfratti. Nel complesso essa ricorda alquanto alcune forme del gruppo del C. striatulus e del C. pelagicus. CoNOSPIRUS ?_ OBLONGOTURBINATUS (GRAT.). (1840. GRATELOUP (Conus antediluvianus var. oblongoturbinata), Conch. Bassin Adour, PI. 44, fig. 2). È questa forma una specie assai spiccata, finora poco conosciuta, forse anche perchè la sua conchiglia è così gracile, almeno negli esemplari del Piemonte, che facilmente si rompe. Seguendo il mio solito metodo ho conservato a questa forma l’antico nome datole dal Grateloup, quantunque egli l’indicasse come varietà di una specie ben diversa, mentre invece il D’Orbigny pensò di imporle un nuovo nome, aquensis; sembrami assolutamente logico conservare i nomi primitivi, anche se dap- prima furono considerati come nomi di varietà, almeno quando le denominazioni si prestano, poichè in caso diverso si cade in una grande confusione che può trarre a pericolose conseguenze, potendo anche influire sulla debole natura umana riguardo al modo di considerare le specie e le varietà. La specie in esame sembra riferibile ai Conospirus quantunque per diversi caratteri ricordi pure i Leptoconus, sempre più dimostrandoci l’incertezza di tale distinzione sottogenerica. La forma tipica manca in Piemonte ed è quindi desiderabile che di essa venga presentata una diagnosi che manca tuttora. Pel confronto mi riferisco quindi solo alla, figura tipica data dal Grateloup. (Oh OBLONGOTURBINATUS Var. PROPEGALLICA SACC. (Tav. V, fig. 22). Testa minor, gracilior, minus inflata. Spira elongatior, fusulatior. Alt. 40-58 mm.: Lat. 16-20 mm. Elveziano: Colli torinesi (alquanto rara). Osservazione. — È la forma piemontese che meglio si avvicina al tipo francese. I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA 53 C. OBLONGOTURBINATUS Var. TAUROGRACILIS SACC. (Tav. V, fig. 23). Testa minor, valde gracilior, perfusulata, spira elatior, acutior, gracilior. In regione spirae anfractus primi granuloso-angulati, medii angulati, externi subangulati, decli- viores. Cauda valde gracilior et elongatior. Alt. 12-60 mm.: Lat. 4-20 mm. Elveziano: Colli torinesi (frequente). Osservazioni. — Alcuni esemplari si presentano: trasversalmente striolati in modo da ricordare assai il vivente C. D’'Orbignyi. Anom. angunATISsIMa Sacc. (Tav. V, fig. 24). — Spira perscalarata. Anfractus angulatissimi. Elveziano: Colli torinesi (rara). I Anom. rorunpatIssima Sacc. — Spira perscalarata, sed anfractus rotundatissimi. Elveziano: Colli torinesi (rara). C. OBLONGOTURBINATUS Var. FUSOLAEVIS SACC. (Tav. V, fig. 25). Testa minor, gracilior, fusulatior, minus ventrosa. Spira minus scalarata. Anfractus magis involuti, rotundatiores, ad suturam non depressi. Elveziano: Colli torinesi (frequente). C. OBLONGOTURBINATUS Var. BICONOLONGA SACC. (Tav. V, fig. 26). Testa minor, gracilior, fusulatior, valde minus ventrosa. Spira ascalarata, conico- elongatissima. Anfractus regulariter involuti, ad suturam nihil subcanaliculati, suban- gulati, suturis subsuperficialibus disjuncti. Alt. 35-45 mm.: Lat. 11-14 mm. Elveziano: Colli torinesi (non rara). OsseRvaZIONE. — Ricorda alquanto il gruppo del C. Bronni. C. OBLONGOTURBINATUS Var. PAUCISPIRALATA. (Tav. V, fig. 27). Testa affinis var. fusolaevis, sed: brevior et latior; spira valde depressior, in regione externa subascalarata. Anfractus angulatiores. Alt. 33-52 mm.: Lat. 13-20 mm. Eeziano: Colli torinesi (non rara). C. OBLONGOTURBINATUS Var. TAUROCHELYCONOIDES SACC. (Tav. V, fig. 28). Testa subovatior. Spira aliquantulum brevior. Anfractus, ultimus praecipue, ad su- turam superam minus depressi, rotundatiores. 54 FEDERICO SACCO Eleziano: Colli torinesi (rara). Osservazioni. — E quasi una forma intermedia fra il tipo e la var. subfusi- formis Grat. Ricorda alcune forme di Chelyconus. Avvertenza. — La fine, l’indice ed il resto delle Tavole della famiglia Conidae, nonchè le Conorbdidae, si trovano nel fascicolo secondo della parte XIII, fascicolo che non potendo più essere inserito nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, durante il corrente anno accademico, fu stampato a spese dell'Autore, come le parti IX, X e XII, affinchè non fosse troppo ritardata la pubblicazione della presente Monografia. Tali parti trovansi in vendita presso la Libreria E. LorsoHneEr di 0. CLAUSEN - Torino. | Attualità Astiano Piacenziano Tortoniano Elveziano Tongriano Bartoniano Parisiano | L. arcuatus ) L. thelassiarchus L. delessertianus | L. Sieboldii SE) L. dispar | ? L. Brocchi: e var. L. Brocchi e var. L. Allionii e var. Leptoconus Ewaldi — L. Semperi (pars) i L. borneensis crassospirata i fusulospirata crassospirata antediluvianoides — brevidepressula perfuniculata granulocatenata conicospirata perconicospirata obbiia toa Sn A] discors pupoidespira perpupoidespira FEDERICO SACCO I MOLLUSCHI DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA Quadro comparativo dei LEPTOCONUS e dei CONOSPIRUS | 0. papillaris Cal | ? transiens var. e C. antediluvianus e var. compressospira Î i var. e C. antediluv. e var. ‘ empenda subagranulata | dertoblita | | dertoblita | compressospira tauroascalarata taurooblitoides miosubagranosa compressospira gracilissima mioblita var. e C. antediluv. e var. var. e 0. antediluv. var. C. antediluv. var. princeps — ? — C. plicatilis — C. Beyrichi turripina turripina dertonensis fasciornata turritospira dertonensis dertogranosa turripina turritospira crassogranosa Berwerthi excatenata Junior taurocatenatoides | C.? parisiensis Conospirus ? parisiensis } C. acutangulus | C. iii — C. granarius — C. gradatus — €. insculptus pseudoantedìl. pseudocatenata C. scalaris C. monilifer O. Dujardini var. astensis C. Dujardini var. var. e 0. Dujardini e var. asdensis I | ERE, Brezinae | funiculellata | taurostriolata depressulina taurominor Î brevicaudata \ n D4 bis C. spiculum ? sar depressastensis var. O. Bronni | | | stazzanensis var. C. Bronni stazzanensis crassocolligens obtusangulata subascalarata subbiconica tauroafusula fusoliva evolutospira obtusangulata subascalarata taurotransiens Brezinae exfusus rotundulata \ var. e €. Bronni | ) var. e C. Bronni rotundospiratissima rotundulogranosa stazzanensis ? TINTI caian VI 160, Aia Pig ut hi ARG Pain i "N Mae lo RE AA I Ma ZLI. Do Vouo Da 9 KI». CTNO Tat. È L n) etna DI U ol Qi , ASTA DOLL “© OLUNO N cca. I © E Lu.Salussolia, Torino. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. COLLEZIONE Località in cui è conservato l'esemplare figurato Dendroconus betulinoides (Lx.) [es. preso a tipo dal Broccai] Astigiana Coll. Brocchi (Milano) Id. Id. var. supramamillata, Sacc. . Vezza d'Alba Museo geol. Torino Td. Td. var. chelyconoides SAcc. . PIE Td. Td. Td. Td. var. exlineata Sacc. [tipo del C. li neatus Bors.] . Astigiana Id. Id. Ta. Id. Id. (juv.) . Vezza d'Alba Td. Td. Id. var. concavespirata Sacc. . . . i. Td. Td. Id. Td. var. dertosulculellata Sace. . S. Agata Id. Id. Id. var. dertomamillata Sacc. . Stazzano Museo geol. Roma Id. Id. var. dertocanaliculata Sacco. . . . + Id. Id. Id. Berghausi (Mrcar.) [esemplare tipico del MicaeLorti] S. Maria-Stazzano Id. Id. Id. var. propebetulinoides SAco. S. Agata Museo geol. Torino Id. Id. var. bifasciolata Sace. . . . .. . Ta. “a Id. Td. var. exfuscocingulata . Borzoli Museo geol. Genova Id. Id. var. moravicoides Sacc. . Stazzano Museo geol. Torino Id. Id. var. triangularis Sacc., . 0. Id. Id. Id. Id. var. planocylindrica Sacc. . S. Agata. Td. Id. Id. var. percommunis Sacc. . IRR A Stazzano Id. Id. Id. Id. Td. (GUODE INERTI Id. Id. Id. Id. var. glandiformis Sace... 0... Td. Id. Td. Id. var. ccnotriangula Sace... . .0. 0. Td. Td. Id. Id. var. semisulcata Sacc. Montegibbio. Museo geol. Modena Id. Id. var. conicospira Sacc. ola vo Stazzano Museo geol. Torino Id. Id. Jil: ak Gut Id. Id. Id. Id. var. permucronata Sacc. S. Agata Id. Td. dertovatusiSAco Nt ae en. Stazzano Td. Id. Id. var. connectens Sacc. . } Td. Td. Id. Eschewegi (Da Costa) var. caelata (Dop. Sacc.) . Montegibbio Museo geol. Modena Id. Id. Id. : Id. (juv.) Stazzano Museo geol. Torino Id. Id. Id. var. depressoastensis (Sacc.) . Astigiana Id. Id. pyruloides (Dop. Sacc.) SNRO GI ESRI TI S. Agata Museo geol. Modena Td. Td. Id. CUR SATA, CESAR TARANTO Td. Museo geol. Torino Id. Id. Id. (RIDI) RSA o IGR Td. Id. Id. var. planacutispira Sacc.. . . . .. Id. Td. Fig. Il 1 bis. 2. 2 bis. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. Lithoconus Mercatii (Br.) [esemplare tipico del BroccaI) . (Guv.) anom. crasselabiata SAcc. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Id. Td. Td. Td. Id. Td. Id. Id. anom. anomalosulcata Sxwcc. Var. var. Var. var. var. var. var. var. var. var. var. Var. ? var. ? var. var. cincta (BoRSi). >... . var. Aldrovandi(Br.)[esempl.tip.delBroccar] . ‘COLLEZIONE Località in cni è conservato l'esemplare figurato S. Miniato Coll. Brocchi (Milano) Astigiana Museo geol. Torino Td. Td. Villanuova d’Asti Td. Td. Id. Crete senesi Coll. Brocchi (Milano) elongatofusula Saco. Astigiana Museo geol. Torino depressulospira Sacc. . Casaglia Museo geol. Roma longoastensis SAcc. . Astigiana Museo: geol. Torino Baldichieri (Bors.) . . Baldichieri (Astig.) Id. fusuloidea SAcc. . Astigiana Id. crassovata SAcc. . Id. Id. Caroli (Fuc.) . Td. Td. turricula (Br.) [esempl. tip. del Brocca] canaliculatodepressa SAcc. suprainflata SAcc. . subaustriaca Sacc. . . » tauromarima SACG.. LL 0 0 compressicauda SAac. . acanaliculata Sace... 0 0 Crete senesi Coll. Brocchi(Milano) Astigiana Museo geol. Torino Albenga Id. Stazzano Museo geol. Roma Colli torinesi Museo geol. Torino Td. Id. Savona-Fornaci Id. Acca dA Ielle Sa; Dio (Caso di Sc . ‘ Là). NCL NE. IC Tote 16 te 2 S Oa ULO DAL, itanait Lit. Salussolta ovino SULLE PROPRIETA TERMICHE Pil. Vik PORTE PARTE V. STUDIO DEL VAPORE DI ALCOOL RISPETTO ALLE LEGGI DI BOYLE E DI GAY-LUSSAC MEMORIA ANGELO BATTELLI Professore di H'isica Sperimentale nella R. Università di Padova Approvata nell'Adunanza dell’11 Giugno 1893 1. — Le presenti esperienze vennero eseguite collo stesso apparecchio che mi servi nello studio analogo del vapore di solfuro di carbonio. La purificazione dell’alcool venne fatta con la massima cura; tenendo dapprima l’alcool già distillato sopra la calce viva polverizzata, per tre giorni, distillando poi il liquido decantato, e togliendo finalmente le ultime traccie di umidità con nuove distillazioni sopra la potassa caustica nel vuoto. 2. Risultati delle esperienze. — Le tabelle che seguono, — come nelle prece- denti Memorie, — contengono nella colonna t i pesi del vapore espressi in grammi; nella colonna v i volumi di un gramma di vapore, espressi in cm.8; nella colonna p le pressioni esercitate sul vapore, espresse in millimetri di mercurio; nella colonna pv 1 prodotti delle pressioni per i volumi; e finalmente nella colonna è i valori delle densità del vapore, riferite all’aria. I valori p, v, è, sono con alla temperatura media per ciascuna serie di esperienze. Serie II. Tom. XLIV. H 58 ANGELO BATTELLI Tabelle A. t | TT | v | p | pv | lo) | | I Temperatura media = — 169,24. —169,21 08,00101 112564,0 3,08 346697 1,5947 —16 ,22 3 104336,8 3,31 345355 1,6008 —16 ,23 h 98514,0 3,91 345784 1,5989 —16 ,25 Ù 91043,8 3,80 345965 1,6017 —16 ,25 5 88656,2 3,90 345759 1,5990 —16 ,27 Ù 86278,5 4,00 345114 1,6020 Temperatura media = — 120,06. —120,01 08. 00101 99334,2 3,54 351643 1,5979 —12,01 hi 91475,4 3,85 352180 1,5954 —12,,04 a 86874,1 4,05 351840 1,5970 —12,,06 5 80416,5 4,37 351420 1,5989 —12 ,06 7 75330,8 4,66 351042 1,6006 —12 ,08 Ù 69534,8 5,06 351846 1,5969 12,10 i 67485,4 5,20 350924 1,6011 —12,11 È 65874,2 5,92 350451 1,6033 Temperatura media = — 89,54. —89,52 08:,00101 84516,1 4,21 355813 1,6005 —8 ,52 5 78428,2 4,54 356064 1,5994 —8,52 ; 72544,6 4,91 356194 1,5988 —8 ,52 5 66312,4 5,36 355435 1,6022 —8 ,53 5 65268,4 5,45 355713 1,6009 —8 ,54 È 61187,8 5,81 355501 1,6019 —8,,56 3 54367,6 6,54 355564 1,6016 —8 ,56. , 53321,6 6,67 355655 1,6022 —8,97 9 51886,0 6,84 354900 1,6046 Temperatura media = — 1°,85. —1°,80 0e,00101 72100,1 9,05 364105 1,6037 5 n 69800,2 5,22 364357 1,6026 È h 60881,0 5,98 364068 1,6039 —1,84 3 52316,6 6,96 364123 1,6036 —1,82 5 49392,4 7,3% 364022 1,6041 —1,86 3 46207,2 7,88 364113 1,6037 —1,88 c 43886,7 8,29 363821 1,6050 5 3 41353, 8,80 363909 1,6046 3 n 40001,5 19,09 363614 1,6059 ” ” 37453,9 9,71 363671 1,6056 —1,,86 3 34956,7 10,40 363550 1,6061 —1,87 5 31258,2 11,63 363533 1,6062 n 3 30852,6 11,78 363444 1,6066 89,74 160,20 16,21 16,23 16 724 » 200,40 20,41 ss * $$ €* SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 0e”.00101 0e"-,00284 08" ,00284 08:,00284 ) SY RESI] 59 Temperatura media = 59,40. 21335,8 18755,6 15963,2 14005,0 12541,4 11567,7 10975,5 14144,2 12193,7 11434,5 10512,8 9133,4 8740,3 8589,8 18,16 20,65 24,27 27,65 30,85 33,50 35,21 27,67 32,15 34,26 37,26 42,85 44,77 45,55 47254,9 7,92 44809,2 8,35 42300,0 8,85 39863,9 9,39 35890,2 10,42 31541,8 11,82 27442,0 13,60 24305,4 15,35 22005,5 16,95 21152,4 17,62 Temperatura media = 8°,75. 38916,8 9,70 36331,6 10,39 34004,7 11,10 33266,2 11,35 30198,5 12,51 28453,6 13,26 22354,0 16,89 20428,1 18,47 17850,5 21,12 16806,3 22,42 Temperatura media = 169,22. Temperatura media = 200,41. 374269 374208 374568 374316 374206 373858 373211 373088 372993 372705 377493 377485 377452 3C1971 377783 377295 377559 377307 377002 376797 387495 387303 387422 387238 386902 386603 386448 391407 392028 391746 391706 391366 391303 391265 1,6020 1,6023 1,6015 1,6017 1,6023 1,6037 1,6065 1,6070 1,6074 1,6086 1,6074 1,6074 1,6076 1,6071 1,6062 1,6082 1,6071 1,6082 1,6095 1,6104 1,6075 1,6083 1,6078 1,6086 1,6100 1,6112 1,6119 1,6125 1,6120 1,6131 1,6133 1,6147 1,6150 1,6151 SEI ANGELO BATTELLI Temperatura media = 240,33. 24,30 08”,00284 14251,6 27,88 397335 1,6117 24 ,31 G 12934,6 30,72 397351 1,6117 23,98 5 12003,7 39,10 397326 1,6118 P È 10964,2 36,22 397123 1,6126 5 5 10004,8 39,65 396690 1,6143 24 ,84 7 9356,8 42,35 396261 1,6161 ri 5 8831,0 44,86 396159 1,6165 x ò 7261,5 54,54 396042 1,6170 i E 7042,8 96,21 395876 1,6177 24 ,96 9 6990,9 56,62 395825 1,6179 Temperatura media = 58°,46. 589,52 08:,0248 4036,21 109,25 440956 1,6193 i 3 3625,14 121,80 441542 1,6172 58,50 a 3925,63 124,92 440422 1,6213 58 ,48 7 3140,61 140,20 440313 1,6217 58 ,46 , 2514,80 175,10 440341 1,6216 58 ,44 Ù 2196,40 200,22 439763 1,6237 Ù 5 2034,85 216,20 439935 1,6231 58 ,43 5 1983,41 221,58 439484 1,6248 ; 3 1775,54 247,18 438878 1,6270 ù D 1631,14 269,05 438858 1,6270 à 5 1457,02 301,10 438709 1,6276 3 ; 1316,40 392,45 437637 1,6316 Temperatura media = 799,10. 799,15 0e”-,0248 2190,61 211,70 463752 1,6358 5 3 1931,45 240,10 463741 1,6358 79 ,12 8 1725,33 268,92 463976 1,6350 5 è 1420,80 326,20 463465 1,6368 79,11 5 1075,35 431,10 463583 1,6364 79,10 Ù 816,27 967,00 462825 1,6390 79 ,08 5 704,35 655,75 461878 ‘1,6424 79 ,07 A 643,27 717,00 461182 1,6449 3 h 630,26 731,10 460876 1,6463 5 5 617,81 745,65 460670 1,6467 5 D 602,51 764,10 460378 1,6477 ” 5 582,82 789,65 460224 1,6483 150,02 150,03 150,04 »” 150,05 150 ,06 150 ,07 150 ‘08 » 080734 SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI Temperatura media = 99°,83. 1235,30 1070,43 983,83 961,53 948,33 905,36 781,26 725,30 645,27 532,68 490,260 415,745 375,264 305,281 283,152 Temperatura media = 134,86. 908,10 837,26 803,64 772,09 684,46 603,28 523,27 449,817 314,659 198,315 175,264 148,515 126,100 109,312 100,900 Temperatura media = 150°,05. 891,33 804,52 671,81 584,32 502,26 412,280 294,614 186,349 98,314 76,616 70,420 68,358 67,400 398,20 459,60 499,70 511,20 518,15 542,70 627,35 675,20 757,80 915,15 993,50 1167,20 1289,00 1575,30 1694,40 595,7 645,6 672,2 700,05 788,1 892,3 1026,8 1210,4 1688,8 2630,55 2962,7 3462,4 4031,8 4597,7 4957,2 633,5 702,1 838.4 964,95 1118,8 1356,6 1880,4 2918,2 5300,5 6539,9 7140,7 7315,4 7415,1 491799 491970 491620 491594 491377 491339 490123 489723 488986 487482 487073 485257 483715 480909 479771 540955 940535 540207 540504 5959423 938307 537294 939986 531396 521677 519255 514218 508410 502575 500182 964658 964853 963246 562548 561929 559299 903992 543804 921113 501061 502848 500066 499778 1,6145 1,6140 1,6186 1,6206 1,6224 1,6303 1,6456 1,6764 1,7494 1,8194 1,8130 1,8231 1,8241 61 62 178°,20 178,22 178,28 178,84 178,88 178 ,40 178 44 178 ,46 1980,12 198,14 198 ,18 198 ,18 198 ,20 198 ,21 198,23 198,25 198 127 198,29 198 132 198 133 2159,58 215,59 215 ,60 215,62 ” » ANGELO BATTELLI 0gr-,2262 » 08:.,2262 ” »” ” ” L} Temperatura media = 178°,41. 454,638 421,368 411,760 385,648 360,262 312,486 254,109 210,751 156,248 128,650 105,852 87,480 71,564 59,247 51,654 47,256 40,334 36,518 34,851 Temperatura media = 198,22. 418,332 406,815 393,648 385,461 360,456 325,492 286,252 267,451 208,254 175,267 120,816 89,312 77,253 52,348 38,264 29,816 22,564 Temperatura media = 215°,64. 382,405 361,580 343,648 316,905 283,615 249,310 1325,3 1421,6 1457,3 1550,2 1653,6 1901,5 2326,6 2790,8 3720,5 4466,2 5368,7 6399,1 7650,9 9031,7 10162,3 10957,1 12501,4 13952,9 14203,5 1498,1 1540,0 1591,6 1623,9 1733,8 1917,0 2172,2 2320,5 2957,1 3495,6 4971,8 6620,5 7533,4 10661,0 13902,7 16923,5 20649,1 1698,0 1794,6 1886,9 2050,6 2282,9 2661,5 602532 999017 600058 997832 995729 594192 591210 988164 981321 574577 568287 598506 947529 935101 924924 917739 504232 909532 487904 626703 626495 626537 625950 624959 623968 621797 620620 615829 612663 600673 091290 981978 598082 931973 904991 465926 649324 648892 643430 649845 647465 644908 2150,62 215 ,63 215,64 8) 215,66 215 167 215,68 231941 231 ,42 » 231 43 231 45 » 231 46 ” 231 47 231 ,48 231 149 281 150 DL) » » 2399,50 SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI Segue Temperatura media = 215°,64. 0g. 2262 185,963 161,564 125,341 95,374 81,489 64,562 47,318 28,574 24,372 20,155 17,584 15,618 14,910 Temperatura media == 231°,46. 322,971 304,622 285,624 261,504 228,334 215,005 183,412 160,516 133,364 108,157 90,372 75,262 68,152 52,314 41,268 26,574 21,348 17,646 12,912 10,148 Temperatura media = 239°,52. 283,264 266,546 250,118 208,150 191,102 174,856 140,257 110,864 297,510. 3440,5 3951,6 5029,9 6505,0 7520,8 9311,5 12260,0 18608,3 20961,3 23965,8 26156,4 28079,6 29100,2 2057,5 2182,0 2326,3 2541,1 2898,4 3064,5 3572,9 4059,6 4847,8 5926,5 7081,2 8330,0 9133,4 11610,5 142981 20640,3 24319,7 28695,9 33710,0 37515,2 2280,5 2395,2 2541,2 2708,5 3230,4 3509,8 3812,5 4721,6 5908,7 639806 638436 630453 620408 612862 601169 980119 931715 510869 483031 459937 439558 433884 664512 665078 664447 664508 661303 658883 655313 650132 645035 640993 635424 626933 622460 607392 590054 548495 519028 506369 435264 380704 678472 673474 677454 677445 672408 670730 666638 662238 655062 68 64 239,52 241,58 241 ,59 241 ,60 2) 241,62 241 165 241 167 241 ,68 241 ,69 ANGELO BATTELLI Segue Temperatura media = 239°,52. 08”-,4005 »” ” 08”,4005 BI Lin BLEI è 89,317 80,182 65,464 48,648 24,187 18,206 15,502 14.048 12,974 11,250 9,239 8,622 7,791 280,416 274,714 251,180 230,773 215,710 197,511 168,334 140,574 131,875 109,874 96,310 72,476 65,264 48,340 33,255 25,186 20,314 15,864 12,915 10,418 8,751 6,274 5,258 4,916 4,314 3,895 3,153 2,904 7284,0 8021,3 9538,2 12662,0 22846,9 28230,8 31512,4 33510,7 35121,0 379514 41580,0 42675,6 44151,8 Temperatura media = 241°,66. 2430,6 2480,2 2710,9 2941,2 3134,8 3406,9 39784 4732,0 5031,6 5997,5 6801,0 8882,4 9784,3 12808,7 17792,1 22302,1 26291,7 31400,0 35680,5 40065,2 43185,1 46134,6 47020,0 47305,4 47481,5 47851,8 49334,8 52908,3 650585 643164 624409 615981 992598 913970 488505 470758 455660 426953 384158 367949 S44824 681579 681546 680924 678750 676208 672900 669700 665196 662016 658970 655005 643761 638562 619172 973884 961699 934090 ‘498130 460814 417399 377913 289449 247231 232553 204835 186383 155553 153646 1,6980 1,7176 1,7692 1,7934 1,9991 2,1498 2,2614 2,3466 24244 25874 2,8756 3,0023 3,2037 1,6276 1,6281 1,6291 1,6343 1,6405 1,6485 1,6564 1,6676 1,6756 1,6834 1,6936 1,7232 1,7372 1,7916 1,9330 1,9749 2,0770 2,2270 24073 2,6577 2,9354 3,8325 4,4870 4,7702 5,4157 5,9519 7,1815 7,2200 SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEl VAPORI 65 Ù | n | Ù | p | pu | ò | | | | | Temperatura media = 244°,83. 244°9,79 08”, 4005 272,315 2524,1 687350 1,6238 È i 231,334 2959,6 684656 1,6302 P n 208,265 3280,5 683213 1,6337 244 ,80 5 164,831 4110,0 675897 1,6514 î 1 122,584 5471,7 670743 1,6640 244 ,81 n 97,362 6791,2 661205 1,6880 DA4A4 ,82 È 74,960 8680,3 650675 1,7154 244 ,83 3 51,305 12291,5 630615 1,7699 244,84 S 28,166 20619,0 580755 1,9219 244 ,85 ù 17,426 29792,2 DIONMEO 2,1499 244 ,86 0,8620 10,742 40186,0 431678 2,5856 244 ,87 5 6,215 48256,0 299911 3,7216 hi si 4,883 49985,0 244077 4,5730 5 5 3,268 54244, 1 177270 6,2964 9 ; 2,754 64350,0 177220 6,2982 8. — Anche per il vapore d’alcool, come per quello delle altre sostanze da me studiate, si verifica il fenomeno, che la tensione del vapore va crescendo ancora, dopo cominciata la condensazione di mano in mano che il vapore si liquefa; sebbene | per l'alcool ciò si riveli soltanto ad alta temperatura, e meno sensibilmente che per le altre sostanze. Riferisco nel quadro seguente i valori dei volumi e delle tensioni del’ vapore, dopo cominciata la condensazione; e riferisco a lato i rapporti 3 fra i valori p" assunti dalla pressione nel primo momento della condensazione, e quelli p' corrispon- i Sica 5 ; SITA . PRON A denti alle tensioni massime, e i rapporti + fra gli aumenti subìti dalle pressioni e i decrementi avvenuti nei volumi, fino a raggiungere le tensioni massime a partire dal primo momento della condensazione. Tabelle B. v i p I v ! p i Rapporti | I | I Temperatura = — 169,24; p" = 4um.00; p' = 4m.00. 86278,5 4,00 80315,6 4,00 DRACO 848542 4/00 674612 4,00 Rito Serie Il. Tom. XLIV. I 66 v 65874,2 64186,8 51886,0 49658,4 30852,6 27484,5 211524 19374,8 16806,3 14324,0 10975,5 9731,4 8589,8 6934,6 6990,9 6631,4 1318,4 1310,5 1285,0 ANGELO BATTELLI ! p o v p o Rapporti | | | | Temperatura = "=129,06; ‘pt = 5432; | pi = 5132. 5,32 62245,8 5,32 DLL | Temperatura = — 89,54; p' = 6,84; p' = 6,84. 6,84 47234,0 6,84 Digg | 6,84 | 40316,8 | 6,84 | da SOL Temperatura = — 1°,85; p" = 11,78; p' = 11,78. 11,78 22184,0 11,78 RE | 11/78 | 174511 | 11,78 | O Temperatura = 50,40; p'' = 17,62; p' = 17,62. | 17,62 | 17453,0 | 17,62 | P —. 1,900 17,62 12560,3 17,62 p Temperatura = 8°,75; p' = 22,42; p' = 22,42. 7 | 32,42 | 11564,6 | 22,42 | ZIA p ’ 22,42 9056,5 22,42 d Temperatura = 169,22; p'" = 35,21; p' = 35,21. 35,21 7325,1 35,21 iui | 35,21 | 5931,6 | 35,21 | iL) Temperatura = 200,41; p' = 45,55; p' = 45,55. 45,55 5136,4 45,55 die | 45,55 | 4751,4 | 45,55 Ti Temperatura = 24°,33; p" = 56,62; p' = 56,62. 56,62 5834,8 56,62 ri pen | 56,62 | 4136,8 | 56,62 | 1000 Temperatura = 589,46; p" = 332,44; p' = 332,45. Ù | 33244 1220,5 332,45 Hi — 0,99997 (9) 332 44 1108,0 332,45 a 332,45 8314 332,45 AL = 0,000303 v 582,98 580,40 574,00 283,546 283,340 283,050 281,204 101,390 101,055 100,870 98,334 67,554 67,388 66,282 64,141 56,314 34,610 34,815 33,200 31,142 26,208 22,855 29,548 29,004 21,126 19,804 SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI Me, Rapporti p IS | Temperatura = 799,10; 789,62 560,5 789,65 500,3 789,64 404,6 frepprre- più'— 89,62; p' = 789,65. 789,64 789,65 789,65 Temperatura == 999,83; p'' = 1694,00; 1694,00 205,250 251340 1694/20 206,242 1694/20 00000 184/218 100,356 1694,30 1694,30 1694,40 1694,40 1694,40 Temperatura = 134°,86; p'" = 4954,4; 49544 SOLE 81/362 49545 70,050 49547 49542 94,263 40/370 4956,3 4957,0 4957,2 4957,2 4957,2 Temperatura = 150°,05;. p'" = 7401,2; 7401,2 50,812 7415,1 7408,3 41,362 7415,0 7410,0 33,505 7415,1 7414,0 7422,0 7414,5 Temperatura = 178°,41; p" = 14188,7; 14188,7 22,415 14203,3 14196,5 20,186 14203,5 14199,6 16,302 14203,5 14202,0 14220,0 14203,0 Temperatura = 198°,22; p 20604,0 17,156 20649,0 20621,5 15,310 20649,0 20627,8 14,225 20649,1 20633,4 20833,0 20641,5 p' P — 0,99996 () Ap — AP — 0,0008349 p' = 1694,40. 2 — 099976 p Ap _ AP — (,0051948 p'= 49572 VALLI Pp Ap __ AP — 0,088607 PSA PD — (0,99814 Pp Apri AP — 0,51482 p' = 14203,5. PD — 0,99896 p Ap _ DD — 1,644 U = 20604,0; p' = 20649,1. P — (0,99782 p Ap _ RE — 8,200 67 68 ANGELO BATTELLI v | p o v ! p o Rapporti | | Temperatura = 215°,64; p'" = 29048,0; p' = 29100,2. 15,106 29048,0 11,318 29100,2 A een 14,874 29069,5 9,340 29100,2 DI 14,121 29088,5 (VIE 12,340 29092,0 Tg I Temperatura = 231946; p' = 37432,0; p' = 37515,2. 10,301 37432,0 7,003 37515,2 Lc 10,151 37455,1 6,420 37515,2 pa 099779 9,240 37471,4 37740,8 Ap _ 8,030 37502,0 z, = 30,8148 7,04 37514,0 Temperatura = 239,52; p' = (2); p' = 441518. tr I risultati mostrano che i rapporti Ù) tendono a diminuire leggermente man 9° O ° A , mano che la temperatura s'innalza; mentre i rapporti # vanno crescendo coll’au- mentare della temperatura. 4. — Ho applicato la formola di Biot ai valori delle tensioni massime del vapore d'alcool : log. p= a + da' 4- cR. Le costanti sono rispettivamente uguali ad = 5,0751023 $ = 0,0435271 log. 6 = 72,6387597 e = — 4,0217300 log. ce = 0,6044184 log. a = 0,00336681 log. B = -1,99683015. Per mostrare come la formola si adatti ai risultati sperimentali, riferisco nella seguente tabella i valori delle tensioni massime dati dall’osservazione nella colonna p'o; e di fronte ad essi, nella colonna p'., i valori relativi ottenuti dal calcolo. SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI Tabella ©. t Do DE t Po [DI — 169,26 4,00 3,8511 79,10 789,65 790,803 — 12,06 5,32 5,2838 99,83 1694,40 1691,14 RANA 6,84 6,8277 134,86 4957,2 4954,76 Pe 185 Je 12,003 150,05 7415,1 74144,35 5,40 17,62 17,943 178,41 14203,5 14287,37 8,75 29,49 22,335 198,22 20649,1 21414,22 16 ,22 35,21 35,642 215,44 29100,2 29743,5 20 41 45,55 45,824 231,46 37515,2 39369,7 24,33 56,62 57,605 239,52 44151,8 24991,7 58 46 332,45 330,282 69 Anche Reégnault (*) e Ramsay e Joung (**) determinarono fino ad alte tempe- rature le tensioni massime del vapor d'alcool; e dedussero rispettivamente le costanti dalla formola di Biot. Sarà bene porre a confronto nella tabella seguente i valori che si hanno dalla formola da me calcolata e dalle formole calcolate da Régnault e da Ramsay e Joung. La colonna p'r contiene i valori secondo Régnault, la p'ry i valori secondo Ramsay e Joung, e la colonna p'z i valori calcolati colla mia formola. Tabella D. U D'r ! D'rr D'B mm. mm, mm. — To 4,69 5,10 = 4,294 — 10° 6,58 6,47 ia 6,153 20 9/21 9,09 DP 8,824 0 12,83 12,70 121 94 12,498 5 17,73 17,62 = 17,488 10 24,30 24,28 23,73 24,180 15 33/02 32,98 Li 33,061 20 4448 44/46 43,97 44,712 25 59,95 09,97 — 59,843 30 78,49 78,52 78,11 79,280 95 102,87 102,91 = 103,969 40 133,64 133/69 133,42 135,250 45 172,14 172,18 _ 174,288 50 219,88 219,90 219,82 222,584 (4) Mém. de V Acad. des Sciences, vol. 26, p. 349. (**) Philos. Trans. of the Roy. Society, Parte I, 1886, p. 123. 70 ANGELO BATTELLI t D'R Dar Ds 55° 278,61 278,59 — 281,646 60 350,26 350,21 350mm 21 359,798 65 436,99 436,90 - 440,952 70 541,21 541,15 540,91 546,721 75 665,52 665,54 — 671,545 80 812,76 812,91 811,81 817,115 85 985,97 985,40 _ 994,066 90 1188,43 1189,30 1186,5 1196,409 95 1423,52 1425,13 — 1430,528 100 1694,92 1697,55 1692,9 1708,395 105 2006,34 2010,38 _ 2013,907 110 2361,63 2367,64 2359,8 2373,984 115 2764,74 2773,40 — 2783,630 120 3219,68 3231,73 3223,0 9284,670 125 8730,41 3746,88 — 8751,954 130 4301,04 4323,00 4318,7 4330,719 135 4935/40 4964/22 or 4923,621 140 5637,00 9674,59 5686,6 5710,809 145 6410,62 6458,10 —_ 6508,531 150 725873 731840 7368,7 7392,517 160 9409,9 9423,804 170 11358 11904,63 180 14764 14777,09 190 18185 18183,05 200 22182 22183,05 210 26825 26812,25 220 32196 32173,50 250 38389 38387,37 240 45519 45482,81 L'accordo dei risultati della mia formola con quelli delle formole di Régnault e di Ramsay e Joung è assai soddisfacente. 5. — Ho ricavato di poi i valori dei volumi specifici del vapor saturo alle diverse temperature; e ‘a tal uopo, identicamente a quanto avevo fatto per le prece- denti sostanze, ho costruito le isotermiche fino al punto spettante al primo momento della condensazione; ed ho poi continuata ciascuna curva, secondo l'andamento che aveva, fino a incontrare la parallela all'asse delle ascisse condotta dall’ordinata della tensione massima. Il volume corrispondente al punto d’incontro rappresentava il vo- lume del vapore allo stato di saturazione completa. Tali volumi del vapore saturo si trovano riferiti nella seguente tabella, sotto la lettera v,; mentre sotto la lettera e, si hanno i volumi del vapore nel primo momento della condensazione; nella stessa tabella le colonne è, e è’, contengono le densità rispetto all’aria rispondenti ai suddetti due stati del vapore. SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 71 Tabella E. É DA dò; U, o, — 16,24 . 86278,5 1,60201 — 12,06 65874,2 1,60335 —_ 18,94 51886,0 1,60465 — 1,85 90852,6 1,60665 5,40 21152,4 1,60499 8,75 16806,3 1,61041 16,22 10975,5 1,61190 20,41 8589,8 1,61514 24,38 6990,9 1,61792 59.46 1316,40 1,63161 1317,47 1,62922 79,10 582,82 1,64830 582,97 1,64793 99,83 283,152 1,67437 283,548 1,67242 134,86 100,900 1,75716 101,390 1,74964 150,05 67,400 1,82416 67,556 1,82385 178,41 34,351 1,99396 34,619 1,98059 198,22 22,564 2,17976 22,856 2,15660 215,64 14,910 2,42736 15,106 2,40017 231,46 10,148 2,85610 10,901 2,81983 239,52 7,091 3,20372 Coi valori di v,, v,, d,, d', come ordinate, e prendendo le temperature come ‘ascisse, ho descritto le curve che si trovano nella Tav. I, indicate successivamente coi numeri 1, 2, 3, 4. Il millimetro nelle ascisse rappresenta un grado di temperatura; e nelle ordi- nate rappresenta 100°: per le curve dei volumi, e il valore 0,01 per le curve delle densità. Inoltre l'origine dei volumi è zero, quello delle densità è /,6000. Come si vede le due curve dei volumi v, e v’, in così piccola scala, coincidono insieme. 6. — Nella Tav. II poi ho riportato i disegni delle isotermiche del vapore di alcool, in piccola scala. Esse sono distribuite in cinque gruppi. Le curve del 1° gruppo corrispondono alle temperature —16°24, —12°,06, — 89,54, —1,85, +5°40. Esse sono disegnate a tratto continuo; nelle ascisse 1 mm. rappresenta 500°, e nelle ordinate LE di millimetro di mercurio. L'origine degli assi cui è riferito il gruppo ha, rispetto al sistema di assi della tavola, le coordinate o= — 21152,4 p= — 3,08. Le isotermiche del secondo gruppo (segnate per punti) sono quelle delle tempe- rature +-89,75; 160,22; 20°,41; 24°,33. Esse sono riferite ad un sistema di assi la cui origine rispetto al sistema della tavola ha per coordinate DE=N0 pera DI 72 ANGELO BATTELLI e nelle ascisse 1 mm. equivale a 200°, e nelle ordinate a + di millimetro di mercurio. Le curve spettanti alle temperature di 589,46; 799,1; 99°,83 compongono il 3° gruppo e sono disegnate a punti e tratti. L'origine degli assi di questo gruppo ha rispetto agli assi della tavola le coordinate 0 100; I v D I e 1 mm. nelle ascisse rappresenta 20°, e nelle ordinate la pressione di 10 milli- metri di mercurio. Le curve del 4° gruppo (disegnate a tratti interrotti) spettano alle temperature di 1349,86; 150°,05; 198°,22; 215°,64. Per esse non si è fatto trasporto di coordi- nate; e 1 mm. nelle ascisse vale 70°, e nelle ordinate 200 millim. di mercurio. Infine il 5° gruppo di isotermiche è disegnato a tratti alternati con due punti. Im esso 1 mm. nelle ascisse rappresenta 3°, e nelle ordinate 500°. L'origine degli assi cui sono riferite le curve ha rispetto agli assi della tavola le coordinate o= — 24) p= + 35000. Il quadro delle isotermiche porge il mezzo di determinare il punto critico. Però non avendo più ottenuto la condensazione a 241°,66, ho dovuto costruire brevi tratti di isotermica con determinazioni fatte alle temperature di 240,1, 2400,8, 241°,2 temperature ottenute successivamente con grande stento dall’ebollizione di una stessa qualità di petrolio frazionato. I tratti di tali isotermiche si trovano in piccola scala nella Tav. I: così ho potuto riconoscere che la temperatura critica è posta fra 241°,2 e 241°,6. Ho preso come valore più approssimato to = 24194. Ad essa corrisponde pi = 47,348 mm. Vv, == 4,88 ce. Dallo stesso quadro delle isotermiche disegnate in grande scala, ho dedotto i volumi assunti dal vapore alle diverse temperature sotto le pressioni di 5®®, 10m, Z0mm, 200mm, 300mm, 500mm, 800mm, 2000m, 5000mm, 10000, 20000Mm, 30000m; ed ho calcolato sotto ciascuna pressione i coefficienti di dilatazione per successivi intervalli di temperatura, mediante la solita formola: CORNO ka +. vali — vata Nelle tabelle seguenti si trovano i valori di tali coefficienti. SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 783 Tabella F. Pressione = 5 mm. Pressione = 10 mm. Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti DE . 0003806 | Da . 0,0038821 8 { . 0,003784 IG i . 0,0037783 Ton) 6 : . 0,003762 dg : ._ 0,003752 va 4 i . 0,003732 BET, : ._ 0,0038730 RO : . 0,003724 Pressione = 30 mm. Pressione = 200 mm. Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti ala 3 ali . 0,003985 | + A . 0,004025 90 | . 0,003866 65 i . 0,003950 Co . 0,0038781 oi . 0,0038882 94 : . 0,003740 75 : . 0,003766 . 0,0038738 80 Pressione 300 mm. Pressione = 500 mm. Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti md 170,004186 | + 70° | . 0,004108 Dot, . 0,004100 ipa . 0004037 DI | 0/003985 Ul - 0,0083895 Rogno . 0,003868 Fossa . 0,003801 80 { . 0,003781 95 : . 0,003768 ui . 0,003764 joviagie . 0,0038749 90 i . 0,003748 110 H . 0,003732 100 i . 0,003710 120 { . 0,003720 130 i . 0,003704 Serie II. Tom. XLIV. 74 ANGELO BATTELLI Segue Tabella Fa Pressione = 800 mm. Pressione = 2000 mm. Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti Der Niooostto TI ca - 0,0044385 110 { . 0,004050 150 { . 0,004287 120 : . 0,003902 160 i . 0,0038920 130 { . 0,0033820 170 i . 0,003857 140 l . 0,003775 180 { . 0,003795 150 { . 0,003741 190 { . 0,003766. 900 { . 0,003752 990) { . 0,003731 Pressione = 10000 mm. Pressione = 20000 mm. Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti FARO a 098 =>, sugo 004880: || 5 200° Cup OE naianeto 005328 910 . 0,004621 990 : . 0,004948 915 { . 0,004339 930 { . 0,004731 920 { . 0,004107 940 h . 0,004380 290 { . 0,003980 940 i . 0,003906 Pressione = 30000 mm. Temperature Coefficienti Toi 0, . 0,005178 940 { . 0,004812 ST ._ 0,004668 Da queste tabelle scaturiscono le medesime ‘conclusioni a cui si giunse nello studio delle precedenti sostanze, che, cioè : 1° I coefficienti di dilatazione del vapore d'alcool sotto pressione costante aumentano col diminuire. della temperatura e tanto più rapidamente quanto più il vapore si avvicina alla liquefazione; 2° I valori assoluti dei coefficienti medesimi e le loro variazioni fra gli stessi limiti di temperatura aumentano col crescere della pressione sotto cui trovasi il vapore. SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 75 #. — Dalle medesime isotermiche ho dedotto i valori delle pressioni corrispon- denti a volumi eguali di un gramma di vapore, per le successive temperature; e con questi valori ho poi costruite le curve di egual volume o isocore, che trovansi disegnate in piccola scala nella Tav. IV, dove il millimetro nelle ascisse rappresenta un grado di temperatura, e nelle ordinate rappresenta 200 millimetri di pressione. Nella medesima tavola si trova la curva delle tensioni massime del vapore, la quale congiunge le estremità di tutte le isocore. — Su ciascuna isocora ho scelto poi a diversi intervalli tante coppie di punti abbastanza vicini da poter calcolare È o ; 1 d GAI ù . o con buona approssimazione il rapporto mi De ossia il coefficiente di aumento di pres- sione a volume costante. I valori di tali coefficienti si trovano nelle tabelle che seguono: Tabelle G. Volume di 1 gr. di vapore = 10° Volume di 1 gr. di vapore = 20° Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti A . 0,008195 SI . 0,004510 996 ì . 0,008051 919 { . 0,004430 940 { . 0,007940 915 } . 0,004400 i . + 0,007710 } . 0,0043835 244 220 R 995 { . 0,004280 930 } . 0,004210 995 i . 0,004160 940 i . 0,004065 Volume di 1 gr. di vapore = 40° Volume di 1 gr. di vapore = 60° Temperature Coefficienti Temperature Coefficienti ai . 0,003480 O . 0,003220 185 Ì . 0,003264 170 { . 0,003185 190 { . 0,0038150 180 { . 0,003048 200 i . 0,003050 190 i . 0,002920 910 { . 0,002970 200 | . 0,0028835 990 { . 0,002890 210 | . 0,002740 930 i . 0,002815 220 } . 0,002648 930 } . 0,002563 76 ANGELO BATTELLI Segue Tabelle Ga Volume di 1 gr. di vapore = 80° Volume di 1 gr. di vapore = 100° Temperature ; Coefficienti ad . 0,003180 160 { . 0,002990 Gai . 0,002885 o . 0,002795 190 | . 0,002700 BORN . 0,002615 9210 { . 0,002540 Volume di 1 gr. di vapore == 400° Temperature Coefficienti SII ._0,00306 TRI . 0,002955 RAI ._ 0,002850 EA E . 0,002778 pg o . 0,002705 180 { . 0,002625 190 } . 0,0025659 (a . 0,002510 200 Volume di 1 gr. di vapore = 800° Temperature Coefficienti i . 0,002825 ipo Mea . 0,0027411 I . 0,002690 130 { . 0,002630 LT . 0,002580 A pioti| . 0,002530 Volume di 1 gr. di vapore == 1500° Temperature Coefficienti a . 0,002710 90 { . 0,002650 100 { . 0,002605 110 i . 0,002560 120 { . 0,002520 TANI | . 0,002495 Volume di 1 gr. di vapore = 12000 Temperature Coefficienti SI . 0,002535 Ga . 0,002495 o . 0,002460 75 } . 0,002430 80 ; . 0,002410 I valori riferiti ci dicono che: Temperature | Coefficienti CAS . 0,002455 Solo . 0,002428 a . 0,002409 94 i . 0,002389 1° I coefficienti di aumento di pressione, per un dato volume, vanno dimi- nuendo col crescere della temperatura ; 2° Tali variazioni si fanno più rapide di mano in mano che i volumi sono più piccoli ; 3° Mentre i volumi vanno crescendo, diminuiscono i valori assoluti di questi coefficienti. SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 77 8. Comportamento del vapor d’alcool rispetto alla legge di Boyle. — Si può avere d’un colpo d’occhio l’idea del comportamento del vapor d’alcool rispetto alla legge di Boyle, descrivendo come per i vapori delle sostanze precedenti anche . per esso le curve rappresentanti a ciascuna temperatura i valori dei prodotti pv in funzione delle pressioni. Tali curve si trovano riportate in piccola scala nella Tav. II, e sono distinte in cinque gruppi. Quelle del 1° gruppo, disegnate a tratto continuo, corrispondono alle tempera- ture di —16°,24; — 120,06; —89,54; —10,85. Per esse 1 millimetro sulle ascisse rappresenta la pressione di 35 di millim. di mercurio, e sulle ordinate il valore 200. L'origine del sistema cui sono riferite le curve ha, rispetto agli assi della tavola, le coordinate vg 0 y = — 345.114 Le curve del 2° gruppo, disegnate per punti, spettano alle temperature di 450,40; 89,75; 160,22; 20°,41. Per esse 1 millim. sulle ascisse vale = di millim. di mer- curio, e sulle ordinate 100 unità pv. L'origine delle ordinate è stata trasportata verso il basso della quantità 372.705. Nel terzo gruppo sono comprese le curve delle temperature di 24°,33; 589,46; 790,10; 999,83, e sono segnate a tratti. Il millimetro sulle ascisse rappresenta 10 millim. di mercurio, e sulle ordinate 500 unità pv; mentre che l'origine delle ordi- nate è stata trasportata verso il basso di 395.825. Le curve a punti e tratti alternati riguardano le temperature di 134°,8; 1509,05; 170041; 1989,22. Nelle ascisse / millim. corrisponde a 100 millimetri di mercurio, e nelle ordi- nate a 1000 unità pv. L'origine delle ordinate poi è trasportata verso il basso di 465.926. Finalmente al 5° gruppo appartengono le curve spettanti alle temperature di 215°,64; 231946; 239,52; 241°,66. Per esse 7 millim. rappresenta sulle ascisse 200 millim. di mercurio, e sulle ordinate 200 unità po. L'origine degli assi cui le curve sono riferite ha, rispetto agli assi della tavola, le coordinate 0 y = — 344,824. I Da queste curve poi ho ricavato i valori dei prodotti p,v, corrispondenti per ciascuna temperatura allo stato di gas; ed ho calcolato quindi i valori di a nella Pia formola mia 1 + o. Essi trovansi riferiti in parte nella tabella che segue : 78 ANGELO BATTELLI Tabella H. p o | Temperatura = — 1°,85. 6,96 0,00021 7,37 0,00048 7,88 0,00023 8,29 0,00104 8,80 0,00079 9,09 0,00159 9,71 0,00145 10,40 0,00178 11,63 0,00183 11,78 0,00208 Temperatura = + 249,33. . 38,10 0,00006 36,22 0,00057 39,65 0,00166 42,35 0,00272 44,86 0,00305 54,54 0,00332 56,21 0,00372 06,62 0,00385 Temperatura = 589,46. 124,92 140,20 175,10 200,22 216,20 221,58 247,18 269,05 332,45 0,00133 0,00158 0,00152 0,00284 0,00347 0,00486 0,00490 0,00525 0,00771 Temperatura = 99°,83. 511,20 918,15 542,70 627,35 675,20 757,80 0,00044 0,00076 0,00084 0,00332 0,00414 0,00565 Segue Temperatura = 99°,83. 915,15 993,50 1167,20 1289,00 1575,30 1694,40 0,00876 0,00960 0,01338 0,01661 0,02254 0,02497 Temperatura = 1349,86. 672,2 700,05 788,1 892,3 1026,8 1210,4 1688,8 2630,55 2962,7 3462,4 4031,8 4597,7 4957,2 0,00128 0,00019 0,00274 0,00482 0,00671 0,00917 0,01788 0,03682 0,04169 0,05189 0,06391 0,07626 0,08141 Temperatura = 178°,41. 1550,2 1653,6 1901,5 2326,6 2790,8 3720,5 4466,2 5368,7 6399,1 7650,9 9031,7 10162,3 10957,1 12501,4 13952,9 14203,5 0,00530 0,00885 0,01146 0,01656 0,02184 0,03385 0,04599 0,05756 0,07361 0,09766 0,12315 0,14493 0,16070 0,19191 . 0,17951 0,23180 SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 79 Segue Tabella H. p a p a | Temperatura = 215°,64. Temperatura = 239°,52. 2282,9 0,00253 2541,6 0,00150 2661,5 0,00650 2708,5 0,00151 3440,5 0,01453 3230,4 0,00902 3951,6 0,01670 3509,8 0,01154 5029,9 0,02958 3812,5 0,01775 6505,0 0,04625 4721,6 0,02451 7520,8 0,05913 5908,7 0,03573 9311,5 0,07974 7284,0 0,04286 12260,0 0,11891 8021,9 0,05489 18608,3 0,22077 9538,2 0,08658 20961,3 0,27052 12662,0 0,10145 23965,8 0,34381 22846,9 0,22778 26156,4 0,37367 28230,8 0,32006 28079,6 0,43289 31512,4 0,38887 29100,2 0,46112 33510,7 0,44123 35121,0 0,48898 37951,4 0,58910 41580,0 0,76612 42675,6 0,384392 44151,8 0,96758 I presenti dati bastano per mostrare : 1° Che i valori di a aumentano per ciascuna temperatura sempre più rapida- mente, man mano che si avvicina lo stato di saturazione; 2° Che gli stessi valori, nelle vicinanze della saturazione, vanno crescendo coll’aumentare della temperatura. 9. — Dalle medesime curve dei prodotti pv in funzione delle pressioni, ho rica- Vato i valori delle pressioni p; e quindi dei volumi v;, a cui può dirsi che il vapore comincia a comportarsi come un gas ordinario. Essi trovansi qui sotto riferiti : 80 ANGELO BATTELLI Tabella ll. t Pi Vi — 169,24 3,40 101765 — 12,06 4,00 87975,0 — 8,54 4,90 72673,5 CEMINNASE 5,90. 61728,8 5,40 8,45 44307,7 SIMO 11,20 83714,3 16,22 20,00 19372,4 20 ,41 29,10 13460,5 24 ,93 35,40 11224,6 58 ,46 121,00 3644,71 79,10 265,00 1750,00 99 ,83 490,00 1003,57 134 ,86 650,50 832,154 150 ,05 830,00 680,241 178 ,41 1368,0 439,328 198,22 1598,0 392,053 215 ,64 1790,0 362,627 231 ,46 2050,0 324,390 239,52 2300,0 294,987 241 ,66 2400,0 283,958 La tabella dimostra, come trovai pure pei vapori delle precedenti sostanze, che i valori delle pressioni p, vanno continuamente crescendo e quelli dei volumi %; continuamente diminuendo coll’aumentare della temperatura. 10. — Ho fatto l’applicazione anche dei presenti risultati alle formole di Herwig e di Clausius; o per meglio dire, ho calcolato alle diverse temperature i valori del coefficiente che Herwig aveva creduto invariabile, ed ho determinato le costanti della formola di Clausius, sotto la forma che avevo adottata pei vapori da me pre- cedentemente studiati. Formola di Herwig. — Mm questa formola: Deo, Piv, rappresenta il prodotto della pressione pel volume, allorchè il vapore comincia a comportarsi come un gas, e p'v' il corrispondente prodotto spettante al vapore nello stato di saturazione; c è una costante, e T è la temperatura assoluta. Qui sotto sono riportati i valori di c che risultano dalle mie esperienze : + Pa SERE = DES pa SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 81 7 — 0,062568 V273 — 16,24. È 0,062161 V273 — 12,06. n = 0,061700 V273 — 8540 n = 0,060855 V273 28507 n= 0060067 V273 5400 I — Mo 50702 RE n, = 0,058954 V/273 E 16,227 0,058445 V273 E 20,41. ,, = 0,058217 V273 4 24,338" ml = (00055350) 727353460 n = (0,0538701) 7273/7910) MI r01053 083 ore rNo9i830) n, = 0053547 V273/5E 134/86 i —_ 01054925) V273E150105 o = 000 aa area T=R01061943 Vespe M1981022, 0,067677 V273 + 215,64 n = 0,077772 V/273 + 231,46 | I I Si vede adunque che i valori di c pel vapore d’alcool vanno diminuendo fino a 100° circa; dopo di che prendono a crescere continuamente colla temperatura. L’an- damento di queste variazioni è ben rappresentato dalla curva controdistinta colla lettera % nella Tav. I, la quale è costruita prendendo come ascisse le temperature e come ordinate i valori di c. Un millimetro nelle ascisse rappresenta un grado, e nelle ordinate il numero 0,0002. Inoltre l’origine delle ordinate è trasportata di 0,05 verso il basso. 11. Formola di Clausius. — Ho adottato per essa la forma da me usata per l’imnanzi : DARI, mt — n'TV Tg E) Le costanti hanno i valori seguenti : RI 343180 m = 432.449.000 o = IO? u = 0,71373 v = 4,7151 a = 0020 B = 0,851 Serie II. Tom. XLIV. E 82 ANGELO BATTELLI Nelle seguenti tabelle si trovano corrispondentemente a ciascun volume i valori Ì delle pressioni osservate e quelli delle pressioni calcolate colla presente formola. Tabelle IL. Ù ! D. Po Ù | p | Pe | | Temperatura = — 169,24. Segue Temperatura = — 19,85. 112564,0 3,08 3,07 41353,3 8,80 8,80 104336,8 3,81 3,31 40001,5 9,09 9,10 98514,0 3,51 3,50 37453,8. | 9,71 9,72 91043,3 3,80 3,79 34956,7 10,40 10,41 88656,2 3,90 3,89 31258,2 11,63 11,64 86278,5 4,00 4,00 30852,6 11,78 179 Temperatura = + 50,40.. Temperatura = — 12°,06. 47254,3 7,92 7,90 99334,2 3,54 3:99. 44869,2 8,35 8,33 91475,4 3,85 3,84 42300,0 8,85 8,84 86874,1 4,05 4,04 39863,3 9,39 9,38 80416,5 4,37 4,36 35890,2 10,42 10,39 75330,8 4,66 4,65 31541,8 11,82 11,81 69534,8 5,06 5,04 27442,0 13,60 13,62 67485,4 5,20 5,19 24305,4 115,95 15,38 65874,2 5,92 5,92 22005,5 16,95 16,99 21152,4 17,62 17,67 Temperatura = — 89,54. Temperatura = 89,75. 84516,1 4,21 4,20 38916,8 9,70 9,68 78428,2 4,54 4,58 36331,6 10,39 | 10,41 72544,6 4,91 4,90 34004,7 11,10 11,13 66312,4 5,36 5,95 33266,2 HIS | 11,38 65268,4 5,45 5,44 30198,5 12.51 12,54 61187,8 5,81 5,80 28453,6 13,26 13,30 54367,6 6,54 6,53 22354,0 16,89 16,92 53321,6 6,67 6,67 20428,1 18,47 18,51 51886,0 6,84 6,84. 17850,5 21,12 21,19 16806,3 22,42 22,50 Temperatura = — 1°,85. Temperatura = 169,22. 72100,1 5,05 i 5,05 21335,8 18,16 18,21 69800,2 5,22 5,22 18755,6 20,65 20,70 60881,0 5,98 5,98 15963,2 24,27 24,32 52316,6 6,96 6,96 14005,0 27,65 27,11 49392,4 CEST 7,37 12541,4 30,85 30,94 46207,2 7,88 7,88 11567,7 33,50 33,54 43886,7 8,29 8,29 10975,5 35,21 35,35 SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI È | p ! De VO | i 83 Temperatura = 209,41. 14144,2 27,67 27,82 12193,7 32,15 32,29 11434,5 34,26 34,42 10512,8 37,26 37,44 9133,4 42,85 43,08 8740,3 44,77 45,02 8589,8 45,55 45,80 Temperatura = 249,33. 14251,6 27,88 28,00 12934,6 30,72 30,89 12003,7 33,10 38,24 10964,2 36,22 36,38 10004,8 39,65 39,87 9356,8 42,35 42,62 8831,0 44,86 45,15 7261,5 54,54 54,89 7042,8 56,21 56,59 6990,9 56,62 57,00 Temperatura = 589,46. 4036,21 109,25 109,97 362514 121,80 122,39 3525,63 124,92 125,83 3140,61 140,20 141,18 2514,80 175,10 176,12 2196,40 200,22 200,55 2034,85 216,20 217,37 1983,41 221,58 299,97 1775,54 247,18 248,86 1631,14 269,05 270,70 1457,02 301,10 302,74 1316,40 332,45 334,32 Temperatura = 79°,10. 2190,61 211,70 214,71 1931,45 240,10 243,38 1725,33 268,92 272,24 1420,80 326,20 330,08 1075,35 431,10 434,87 816,27 567,00 570,75 704,35 655,75 659,81 643,27 717,00 721,28 630,26 731,10 735,81 Segue Temperatura 617,81 745,65 602,51 764,10 582,82 789,65 Temperatura = 1235,30 398,20 1070,43 459,60 983,83 499,70 961,53 511,20 948,33 518,15 905,36 542,70 781,26 627,35 725,30 675,20 645,27 757,80 532,68 915,15 490,260 993,50 415,745 1167,20 375,264 1289,00 305,281 1575,30 283,152 1694,40 Temperatura = 908,10 595,7 837,26 645,6 803,64 672,2 772,09 700,05 684,46 788,1 603,28 892,3 523,27 1026,8 449,817 1210,4 314,659 1688,8 198,315 2630,55 175,264 2962,7 148,515 3462,4 126,10 4031,8 109,312 4597,7 100,900 4957,2 Temperatura = 891,33 633,5 804,52 702,1 671,81 838,4 584,32 964,95 502,26 1118,8 990,83. 402,00 463,11 503,40 514,94 922,02 546,49 632,03 680,03 762,88 920,66 998,47 1172,49 1295,10 1580,81 1699,28 134,86. 597,51 647,32 674,08 700,91 789,85 894.47 1028,67 1211,71 1690,38 2634,68 2963,03 3461,16 4028,94 4592,72 4951,7 150°,05. 630,90 699,05 855,39 958,62 1112,52 ANGELO BATTELLI “TO egiiina Segue Temperatura = 150°,05. 412,280 1356,6 294,614 1880,4 186,389 2918,2 98,314 5300,5 76,616 6539,9 70,420 7440,7 68,358 7315,4 67,400 7415,1 Temperatura = 454,658 1325,9 421,568 1421,6 411,760 1457,3 385,648 1550,2 360,262 1653,6 312,486 1901,5 254,109 2326,6 210,751 2790,8 156,248 9720,5 128,650 4466,2 105,852 5968,7 87,480 6399,1 71,564 7650,9 59,247 9031,7 01,654 10162,3 47,256 10957,1 40,334 12501,4 36,518 13952,9 34,951 14203,5 Temperatura = 418,332 - 1498,1 406,815 1540,0 393,648 1591,6 385,461 1623,9 360,456 1733,8 325,492 1917,0 286,252 2172,2 267,451 2320,5 208,254 2957,1 175,267 3495,6 120,816 4971,8 89,312 6620,5 77,258 7553,4 52,948 10661,0 38,264 13902,7 29,816 16923,5 22,564 20649,1 1350,22 1873,56 2911,10 5298,25 6515,56 7112,40 7297,96 7388 178041. 1312,65 1414,49 1446,90 1542,97 1649,46 1895,64 2318,35 2778,39 2701,16 4448,68 5338,40 6362,15 7625,99 9005,12 10129,15 10914,55 12420,57 13882,98 14124,07 1980,22. | 1489,88 1531,38 1581,73 1614,76 1724,70 1906,17 2161,40 2309,56 | 92945,07 3478,25 4959,32 6603,06 7513,92 10628,16 13840,26 16844,98 20562,3 Temperatura = 215°,64. 382,415 1698,0 361,580 1794,6 343,648 1886,9 316,905 2050,6 283,615 2282,9 242,310 2661,5 185,965 3440,5 161,564 3951,6 125,841 5029,9 95,374 6505,0 81,489 7520,8 64,562 9311,5 47,318 12260,0 28,574 18608,3 24,372 20961,3 20,155 23965,8 17,584 26156,4 15,618 28079,6 14,910 29100,2 Temperatura = 322,971 2057,5 304,622 2182,0 285,624 2326,9 261,504 2541,1 228,934 2898,4 215,005 3064,5 183,412 3972,9 160,516 - 4059,6 133,364 | 4847,8 108,157 5926,5 90,372 7031,2 75,262 8330,0 68,152 9133,4 52,914 11610,5 41,268 14298,1 26,574 20640,3 21,348 24312,7 17,646 28695,9 12,912 33710,0 10,148 37515,2 Temperatura = 297,510 2280,5 283,264 2395,2 266,546 2541,6 1690,45 1786,19 1877,76 2035,75 2266,83 2643,67 3418,86 3916,93 4993,30 6463,04 7482,40 9262,87 12201,86 18518,96 20887,65 23885,35 26094,4 27999,3 28937,1 251°,46. 2048,75 2184,40 2328,28 2538,56 2998,54 3073,69 3587,42 4081,74 4878,42 5958,56 7060,31 8374,81 9177,63 11666,64 14374,51 20713,9 24455,7 27959,6 33834,5 37639,2 2390,52. 2275,16 2387,49 2584,93 SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 85 v | p. | Po Ù | p Pe | | | | Segue Temperatura = 239°,52. | Segue Temperatura = 241°,66. 250,118 2708,5 2697,36 65,264 9784,3 9798,89 208,150 3230,4 3227,62 48,340 12808,7 | 12869,43 191,102 3509,8 3507,87 83,255 177921 17821,28 174,856 3812,5 3826,61 25,186 22302,1 22370,55 140,257 4721,6 4732,81 20,914 | 26291,7 26399,7 110,864 5908,7 5929,20 | 15,864 31400,0 31434,4 89,917 7284,0 7296,85 12,915 35680,5 35775,9 80,182 8021,3 8035,85 10,418 40065,2 40172,9 | 65,464 9538,2 9556,48 8,751 43185,1 43370,4 48,648 12662,0 | 12723,46 6,274 46134,6 47624,1 24,187 22846,9 | 22932,1 5,258 47020,0 48590,0 18,206 28230,8 28333,5 4,916 47305,4 48732,0 15,502 31512;4 31603,2 4,314 47481,5 48875,0 | 14,048 33510,7 33637,2 3,895 478351,8 49179,4 12,974 35121,0 35274,8 3,153 49334,8 52817,4 11,250 37951,4 38143,8 2,904 52908,3 56873,3 9,299 41580,0 40281,2 8,622 42675,6 46196,1 TOUS 441151,8 > || 443411 Temperatura = 244°,83. 272,315 25241 || (250907 Temperatura = 241°,66. 231,394 2959,6 2943,92 208,265 3280,5 3262,20 280,416 2430,6 2421,98 164,831 4110,0 4094,86 274,714 2480,2 2471,32 122,584 5471,7 5463,38 251,180 2710,9 2698,15 97,362 6791,2 6789,90 230,773 2941,2 2931,50 74,960 8680,3 8684,46 215,710 3134,8 3131,39 51,305 12291,5 12302,51 197,511 3406,9 3412,47 28,166 20619,0 20667,84 168,334 3978,4 3986,39 17,426 29792,2 29881,9 140,574 4732,0 4744,71 10,742 40186,0 40353,0 131,875 5031,6 5044,49 6,215 48256,0 49448,7 109,874 5997,5 6009,08 4,888 49985,0 51254,1 96,310 6801,0 6810,55 3,268 54244, 1 56275,8 72,476 8882,4 8893,24 2,054 64350,1 66898,0 . L’accordo fra i valori sperimentali e i valori calcolati può dirsi almeno discreto: esso sarebbe più che soddisfacente, se non si incontrassero notevoli divergenze alle più alte temperature sotto grandissime pressioni. 12. — Colla formola di Clausius si possono calcolare approssimativamente i valori degli elementi critici. Sebbene le più recenti esperienze inducano a ritenere che alla temperatura critica (definita dall’isotermica che non possiede più il tratto rettilineo) non si abbia l'uguaglianza di densità fra il liquido ed il vapore, tuttavia tale isotermica può sempre considerarsi come quella che presenta un punto d’infles- sione, ove la tangente è parallela all’asse dei volumi. E allora si ha dalla formola di Clausius : 86 ANGELO BATTELLI = @ + 2; MI no 2005 a SUA TO RITI Pe as 8 Y C) dove x = a + B. Sostituendo i valori sopra notati delle costanti, si ottiene o = 4°,525 T, = 51391 (contata dallo zero assoluto) Pi = 48,096 mm. Dall’esperienza si era ottenuto v = 4°,98; T. = 51494; p, = 47.348 mm. L'accordo fra i risultati dell’esperienza e del calcolo può ritenersi assai buono. 13. — Un'altra verificazione della formola di Tsi si avrà dalla relazione: 1 2153,05 R' = 150479 = 1349,7 x dove il numeratore: 2153,05 è il valore di R spettante all’aria, e 1,59479 è la densità teorica del vapore d’alcool. Il valore di R' dato da questa relazione concorda bene con quello adoperato nella formola di Clausius. 14. — Ho finalmente calcolato anche pel vapore d'alcool il numero di gruppi molecolari di due molecole che nello stato di incipiente condensazione si possono formare alle diverse temperature. Tali numeri si trovano nella tabella seguente, e si riferiscono ciascuno a mille molecole semplici, ossia sono stati calcolati mediante la formola: n= è 1000; dove n è il numero delle molecole doppie sopra mille molecole del vapore, e d e d; sono rispettivamente la densità teorica e la densità nel primo momento della con- densazione : SULLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI VAPORI 87 Tabella P. t p n — 169,24 4,00 4,5272 — 12,06 5,92 5,9675 IRA 6,84 6,1826 — 1,85 1178 7,4367 + 5,40 17,62 8,7159 8,75 99,49 9,7944 16,22 35,21 10,729 20 ,41 45,55 12,760 24,983 56,62 14,503 58 ,46 392,44 21,589 TOTO 789,62 39,921 99 ,83 1694,00 48,677 134 ,86 4954,4 97,097 150 ,05 7401,2 143,32 178 ,41 14188,7 241,91 198 ,22 20604,0 352,28 215 ,64 29048,0 505,01 2391 ,46 37432,0 768,15 23952 44151,8 1008,9 La tabella mostra che il numero dei gruppi molecolari di due molecole che si formano nel vapore d'alcool nel primo momento della condensazione, cresce rapi- damente colla temperatura quando questa è elevata; e che al di sopra della tempe- ratura critica si debbono formare, per sufficienti compressioni, anche molecole triple, quadruple, ecc. ds ANGELO BATTELLI Conclusioni. 15. — Le esperienze riferite possono riassumersi nelle seguenti conclusioni : 1° La tensione del vapore d'alcool nel primo momento della condensazione, a temperature superiori ai 50° C., si manifesta alquanto più piccola della tensione massima dello stesso vapore: i rapporti fra le due tensioni tendono a diminuire man mano aumenta la temperatura. Invece il rapporto fra la differenza delle tensioni medesime e la corrispondente diminuzione di volume del vapore cresce colla tem- peratura. 2° Le tensioni massime del vapore di alcool sono bene rappresentate dalla formola di Biot, da —16° a -#240° 0. 3° I valori dei prodotti pv della pressione per il volume, spettanti allo stato di saturazione vanno dapprima aumentando col crescere della temperatura, fino a circa 140° C., e da questa temperatura in su vanno poi sempre diminuendo. 4° I coefficienti di dilatazione del vapore d'alcool sotto pressione costante aumentano col diminuire della temperatura e tanto più rapidamente quanto più il Vapore si avvicina alla saturazione. Aumentando la pressione sotto cui trovasi il vapore, aumentano fra gli stessi limiti di temperatura i valori assoluti dei coeffi- cienti, non che le loro variazioni. 5° I coefficienti di aumento di pressione per un dato volume, vanno diminuendo col crescere della temperatura. Man mano poi che i volumi diventano più piccoli, i valori assoluti di questi coefficienti divengono più grandi, e le loro variazioni si fanno più rapide. 6° Le differenze a = “i — 1 (essendo pv; spettante allo stato di gas e pv a quello di vapore) per ciascuna temperatura vanno aumentando di man in mano che il vapore si avvicina allo stato di saturazione; e alle diverse temperature, in prossimità della saturazione, essi vanno crescendo rapidamente coll’innalzarsi delle temperature stesse. 7° Anche per l’alcool, come per le sostanze da me precedentemente studiate, i prodotti pv spettanti al principio dello stato di gas vanno continuamente crescendo colla temperatura. 8° Il rapporto UR della formola di Herwig (appartenendo pv, allo stato di gas, e p'v' a quello di vapore saturo) va per l’alcool via via diminuendo fino a circa 110° €., dove tocca un minimo; e quindi comincia a crescere. 9° La formola di Clausius si adatta. discretamente ai risultati delle esperienze sull’alcool, quando le si dia la forma, che le diedi nel caso degli altri vapori da me studiati, cioè RT mT-H — nTV ao Loy 10° Il numero dei gruppi molecolari di due o più molecole che si formano nel vapore d’acqua nel primo momento della condensazione cresce rapidamente colla temperatura quando questa è elevata; e per lo meno al di sopra della temperatura critica, si debbono per certo formare, a sufficienti compressioni, oltrechè molecole doppie, anche molecole triple, quadruple, ecc: Istituto Fisico dell’Università di Padova, Aprile 1893. — _————>——_ ——- her Le Mate at de (CA SOI o HNanoodi Oda L & o 3 E = i 2Como XIIV LO, ° = = SD pas Ù a lo Dr A 3 DI) (Ce) 2) SI izle LETO ATEI ZZZ DE GE ne i MO DER LIE Ze TIZIA 3 E E = = ai ARE REZZA se) Lit.Salussolia -Torino ' LATITUDINE DI TORINO DETERMINATA C0I METODI DI GUGLIELMO STRUVE DA F. PORRO Approvata nell’Adunanza del 25 Giugno 1893. INTRODUZIONE Una Comunicazione Preliminare “ sulle determinazioni di latitudine eseguite negli anni 1888, 1889, 1890 all'Osservatorio di Torino , è stata presentata all'Accademia nell'adunanza del 27 aprile 1890 ed accolta nel volume XXV degli Atti. La discus- sione definitiva dell’intero materiale d’osservazione, ivi annunziata, forma oggetto della Memoria che oggi sollecita il medesimo onore. Alle 120 osservazioni allora pubblicate (ed eseguite tutte, secondo il metodo di — Guglielmo Struve, con doppia inversione del cannocchiale) altre 12 qui si aggiungono, nelle quali la estrema vicinanza della stella allo zenit rese necessario l’uso del filo mobile, pure suggerito da Struve. Così l’intera determinazione fu condotta in confor- mità alle classiche norme dettate dal grande astronomo di Dorpat, e può considerarsi come un modesto, ma sincero omaggio che io sono lieto di rendere a tanto maestro, mentre della sua nascita si commemora solennemente il centesimo anniversario. Ben sessantotto osservazioni mancano ad esaurire il programma prestabilito. Otto di esse, tutte relative alla stella y Ursae majoris, che culmina circa due minuti d'arco al Nord dello zenit, furono eseguite nel 1888 all’istrumento Repsold © della Commissione Geodetica, ma non poterono poi essere ridotte, essendosi guastato il reticolo prima che io ne avessi compiuto -il necessario studio. Alle altre ho rinun- ziato per tre motivi, che non credo inutile esporre. Anzitutto me ne distolse la lunga interruzione dovuta alle misure astronomiche e geodetiche dell’azimut assoluto di Monte Vesco, che mi occuparono dall’aprile 1890 al settembre 1891. Ultimate queste, avrei potuto ritornare alla latitudine, se non me lo avesse impedito lo stato di quasi assoluta rovina del Cupolino Occidentale, destinato a proteggere la stazione. A stento sì riuscì dal 1885 in poi a riparare dalle intemperie gli strumenti collocati in questo Cupolino, che ora va in isfacelo, come del resto più o meno tutta la vecchia ed infelice costruzione del Plana; collocarvi adesso uno strumento delicato come il nostro Repsold sarebbe un’imprudenza che io non oso commettere. Così l'Osservatorio di Torino è costretto a tenere nelle casse l’unico apparecchio atto ad una ricerca astro- nomica di alta precisione! Serie Il. Tom. XLIV. 90 F. PORRO Il terzo motivo che mi ha indotto a sospendere le determinazioni merita mag- giore spiegazione, perchè si connette ad una questione astronomica di grande attualità ed importanza. È noto come nel 1888 il signor Kiistner, astronomo a Berlino. (ora meritamente chiamato a Bonn quale successore di Argelander e di Schonfeld), abbia pubblicato un poderoso lavoro, avente per oggetto una nuova determinazione della costante dell’aberrazione (1). Ritiene il Kiistner (e ne discusse profondamente le ragioni) che la forte discordanza del valore da lui ottenuto, rispetto a quelli deter- minati da Struve e da Nyren a Pulkova, non possa attribuirsi ad altra causa, che ad un leggero spostamento dell’asse terrestre nell'interno del globo, per il quale la latitudine di Berlino fu per due decimi di secondo inferiore nella primavera del 1885 di quanto fu nella primavera precedente. Un simile risultato non era nuovo, perchè già molti astronomi, segnatamente italiani, avevano discusso le possibilità teoriche di un movimento relativo delle verticali e dell'asse di rotazione della Terra, dovuto all'influenza delle azioni geologiche e meteorologiche; e non erano mancati indizi di effettive sensibili variazioni in molte serie di osservazioni di latitudine, fra le quali meritano speciale menzione quelle del Nobile a Capodimonte (2). Ad ogni modo il risveglio nelle ricerche teoriche e pratiche su tale importantissimo problema data dalla pubblicazione del Kiistner, e dalla conseguente deliberazione dell’Associazione Geodetica Internazionale di istituire un sistema di osservazioni contemporanee in differenti punti sopra la superficie del globo, eseguite con rigorosa uniformità di metodo e con tutte le cautele atte ad eliminare le cause di errore. Dalla prima serie di tali osservazioni concordate risultò una diminuzione di circa 0",5, riconosciuta simultaneamente a Berlino, a Potsdam ed a Praga fra il settembre 1889 ed il feb- braio 1890; mentre la seconda serie, nella quale era inclusa una stazione molto lontana in longitudine dalle tre ora citate (Honolulu nelle isole Sandwich) rivelò in questa un andamento della latitudine affatto opposto a quello ottenuto nelle altre, confermando così l’ipotesi di un effettivo spostamento dell’asse di rotazione entro la massa del globo. Con rapidità veramente americana il dott. S. C. Chandler ha approfittato di queste scoperte per raccogliere e discutere in una serie di articoli dell’ Astronomical Journal tutte le più importanti determinazioni di latitudine eseguite dalla metà del secolo scorso in poi da molti astronomi con vari metodi e con diversi strumenti in differenti Osservatorii; ed il risultato mirabile cui è giunto si riassume nelle due leggi seguenti, da lui enunciate nel settimo de’ suoi articoli (3): “ 1. La variazione osservata della latitudine è la curva che risulta da due flut- “ tuazioni periodiche sovrapposte l’una all’altra. La prima di esse, e generalmente “ la più considerevole, ha un periodo di circa 427 giorni, ed una semiamplitudine di “ circa 0',12. La seconda ha un periodo annuo, con un'ampiezza variabile da 0",04 “a 0”,20 durante l’ultimo mezzo secolo. Durante un’epoca intermedia di questo (1) Neue Methode zur Bestimmung der Constante der Aberration nebst Untersuchungen ciber die Verùnderlichkeit der Polhòhe (Berlin 1888, in-4°). (2) Una estesa bibliografia di quanto si è pubblicato sull'argomento prima del 1890 si trova a pagina 449 del tomo VI del Bulletin Astronomique. (8) £ Astronomical Journal ,, N. 277, Vol. XII, 1892 novembre 4. LATITUDINE DI TORINO 91 “ intervallo, caratterizzata all'ingrosso come compresa fra il 1860 e il 1880, prevalse “ il valore rappresentato dal limite inferiore, ma prima e dopo queste date, il supe- “ riore. Il minimo ed il massimo di questa componente annua della variazione acca- “ dono, sul meridiano di Greenwich, circa dieci giorni avanti, rispettivamente, agli “ equinozi di primavera e di autunno, e il suo annullarsi prima dei solstizi di “ altrettanto. «2. Come risultante di questi due movimenti la variazione effettiva della lati- “ tudine è soggetta ad una alterazione sistematica in un ciclo della durata di sette “ anni, che risulta dalla commensurabilità dei due periodi. Secondo che essi cospi- “ rano od interferiscono, l'ampiezza totale varia fra un massimo di due terzi di “ secondo, ed un minimo che, generalmente parlando, non è superiore a pochi cen- “ tesimi di secondo ,. Non è questo il luogo di investigare le ragioni teoriche che si possono addurre a spiegazione di queste singolari variazioni. Il Newcomb (1) ed il Gylden (2) hanno ripreso in esame la teoria del movimento dell’asse istantaneo di rotazione della Terra intorno all’asse di massimo momento od asse d'inerzia; ed hanno trovato che il classico periodo di 305 giorni, stabilito da Eulero nell'ipotesi dell’assoluta rigidità della Terra, si può aumentare sino a differire di pochissimo dal periodo del Chandler (427 giorni), quando a quell’ipotesi inammessibile altre se ne sostituiscano, più con- sentanee alle nozioni che la geografia fisica possiede (3). D'altra parte il periodo secondario di un anno che si sovrappone al primo trova la sua spiegazione ovvia in fenomeni aventi lo stesso periodo, come sarebbero ad esempio i fenomeni meteo- rologici. Che poi l’una e l’altra variazione siano dovute ad un effettivo spostamento dell’asse istantaneo entro il globo, e non ad un trasporto del polo astronomico (e quindi di tutta la Terra insieme co’ suoi poli) è ingegnosamente dimostrato dal Chandler col mettere in evidenza l’accordo delle determinazioni assolute colle relative Quanto alle variazioni secolari, che furono le prime in ordine di data ad essere sospettate (4), gli ultimi risultati delle ricerche del Chandler e delle conclusioni teo- riche del Newcomb e del Gylden si accordano nel dimostrarle affatto problematiche; nè gli argomenti dati dal Comstock nell’ultimo volume dell’ Astronomical Journal (passim) sembrano resistere alle acute obbiezioni del Chandler. Da questi cenni sommarii sulla storia della questione nell’ultimo quinquennio, appare chiaro che lo stato delle cose ha subìto una radicale mutazione dal giorno in cui comparve la mia Comunicazione Preliminare ad oggi; ed a questa mutazione (1) On the Dynamics of the Earth's Rotation, with respect to the Periodic Variations of Latitude (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Vol. LII, March 1892). (2) Ueber die Erklirung der periodischen Verinderungen der Polhòhen (Astronomische Nachrichten, N. 3157). (3) È curioso notare che il periodo di Chandler supera la durata di una rivoluzione della Terra esattamente di quanto questa supera il ciclo euleriano. (4) Fercona, Determinazione novella della latitudine del R. Osservatorio di Capodimonte (Napoli, 1872). A proposito di questa Memoria scrive il D’Abbadie nel nono volume del Bulletin Astronomique: “ C'est peut-ètre è M. Fergola, astronome de Naples, que les historiens futurs de la Géodésie “ décerneront l’honneur d’avoir mis en question l’invariabilité attribuée aux latitudes terrestres “ quand on les détermine par l’observation des astres; il a certainement le mérite d’avoir porté “ dernierement cette affaire è l’ordre du jour et l’on s'en préoccupe enfin ,. 92 F. PORRO corrispondere doveva un cambiamento nei criteri ai quali si ispirava il mio lavoro. Già in quella Comunicazione ho esposto per quali motivi non era possibile far con- correre l’opera mia (iniziata con più modeste intenzioni) alla ricerca delle leggi di variazione dell’altezza del polo, che allora erano affatto sconosciute; ora, dopo che una rappresentazione empirica di notevole precisione ci fa conoscere (appunto per l'epoca abbracciata dalle mie osservazioni) l'ampiezza ed il periodo di quelle oscillazioni, il contributo delle mie misure, eseguite nelle condizioni più sfavorevoli, non potrebbe | essere che illusorio. Senza discutere se variazioni superiori (e spesso doppie e triple) dell’amplitudine massima determinata dal Chandler trovino o non trovino la loro giustificazione in cause più o meno conosciute di errori sistematici locali, strumentali o personali, credo onesto dichiarare francamente che serie di latitudine affette da variazioni così cospicue ron debbono contribuire allo studio delle variazioni realmente spettanti a spostamenti del polo. Come ben nota il Chandler in una sua Nota suc- cessiva alle già citate, le variazioni periodiche della latitudine rimettono in questione molti valori numerici ritenuti come fondamentali per l’astronomia, primo fra tutti quello della costante di aberrazione; ed il voler fare concorrere una serie di lati- tudine allo studio delle variazioni equivale al farla pure concorrere simultaneamente alla ricerca di questa costante, della parallasse delle stelle osservate e di altre minute correzioni del medesimo ordine di grandezza, legate fra loro da equazioni di condizione. Si vede quindi che lo studio di quelle variazioni è ormai diventato uno dei problemi più delicati dell’astronomia fondamentale, riservato a quei fortunati che non hanno una stazione a 42 metri sul suolo, circondata da vie frequentatissime, in una piazza percorsa da vetture, da carri e da tramways a vapore. Quand’anche le mie condizioni d’osservazione fossero meno sfortunate, non sarebbe quello ‘un lavoro da intraprendersi così per incidenza, come corollario di altro lavoro meno preciso e meno importante! Ma se ho creduto conveniente di rinunziare all’attraente speranza di poter dire anch'io una parola nell'argomento oggi di moda, non ritenni poi inutile di tener conto per il mio scopo più modesto dei risultati già raggiunti da altri. Prescindere dai risultati del Chandler non è più permesso; fortunatamente la sua formula empi- rica si applica all’epoca delle mie osservazioni meglio che ad ogni altra, grazie alla influenza predominante che nel determinarla ebbero le due serie di osservazioni cor- rispondenti istituite dall’Associazione Geodetica intorno all’epoca stessa. Come dunque ho preso per la mia determinazione le declinazioni dal Berliner Jahrbuch, l’aberra- zione da Struve, e così via, così mi parve consentaneo al carattere relativo della determinazione stessa prendere le variazioni della latitudine dal Chandler. Dirò a luogo opportuno come il calcolo sia stato effettivamente condotto. Ritornando alle osservazioni propriamente dette ed ai metodi di riduzione, esporrò nelle due parti che seguono ordinatamente ciò che è necessario a dar ragione dei risultati, destinando la-prima parte alle osservazioni fatte col metodo di doppia inversione e la seconda alle rimanenti, fatte col filo mobile. Nella terza parte saranno raccolti e discussi i risultati definitivi. Debbo qui una parola di sincero ringraziamento ai signori ing. Tomaso Aschieri e dott. Alberto Manaira, che mi coadiuvarono efficacemente nelle riduzioni. L’opera dell'ultimo in particolare mi fu veramente preziosa. LATITUDINE DI TORINO 93 PARTE PRIMA Osservazioni eseguite col metodo dell'inversione su entrambi i verticali. Poco ho da aggiungere circa queste osservazioni a quanto ho detto nella Comu- nicazione Preliminare, che appunto ad esse è destinata. Tutti i trattati di astronomia contengono un'esposizione del metodo di Struve, e sarebbe affatto superfluo ripor- tarla. Ciò che nessuno ha messo in evidenza, e che mi sembra meriti essere detto e ripetuto, è l’'incontestabile superiorità di questo metodo sopra ogni altro che si possa applicare in osservazioni allo strumento dei passaggi in primo verticale. Tutta la genialità del creatore di Pulkova si è trasfusa in questa pur semplice e, quasi direi, ovvia modificazione del metodo di Bessel; eppure ancor oggi gli astronomi tedeschi (ed anche italiani) vanno in cerca di ragioni più o meno fondate per non abbandonare le norme dettate dal grande maestro di Konigsberg. L’Albrecht (al quale nessuno può certo negare profonda competenza in materia) scrive a questo proposito le seguenti parole (1): “ Rispetto alla bontà di questo procedimento a paragone di quello dianzi accen- “ nato, si deve riconoscere un reale inconveniente nella grande molteplicità del “numero delle inversioni, perchè in un caso simile l'ipotesi della invariabilità del- “ l’azimut, che per osservazioni di questa natura è condizione indispensabile, è molto “ meno garantita, che nel. modo di procedere, per il quale il numero delle inversioni “ è ridotto ad una o due per sera ,. Questa obbiezione dell’illustre osservatore prussiano, ribadita da tutti coloro che si trovarono a dar la preferenza al metodo di Bessel sopra il metodo di Struve, mi pare non giustificata. Ammetto con lui che ogni inversione disturbi l’azimut del- l’istrumento, e quindi che il numero delle inversioni debba essere ridotto al minimo, Sempre quando il vantaggio di questa precauzione non superi il danno dovuto ad altre cause. Ma quando — come è raccomandato nelle Istruzioni dettate dallo stesso Albrecht (2) — per evitare scosse all’istrumento lo si lascia per alcune ore di seguito nella medesima posizione, osservando successivamente i passaggi di parecchie stelle ad un Verticale, per poi riosservarli a cannocchiale invertito nell’altro Verticale, mi domando se le scosse accidentali che l’istrumento riceve durante tutte queste ope- razioni non siano più nocive alla stabilità azimutale di quella scossa dovuta alla (1) Formeln und Hiilfstafeln fiir Geographische Ortsbestimmungen — Zweite Auflage (Leipzig, 1879). (2) Astronomisch-Geodiitische Arbeiten in den Jahren 1881 und 1882 (Publication des k. Preuss. Geodàtischen Institutes, Berlin 1883; pag. 9). 94 F. PORRO inversione, che un osservatore serupoloso e prudente, adoperando un istrumento solido e munito di un buon apparecchio di rovesciamento, può rendere piccola quanto si vuole, Si noti poi che un brusco leggerissimo spostamento in azimut per effetto dell’inversione può contribuire a far variare apparentemente l’errore di collimazione, e può quindi eliminarsi per effetto di simmetria quasi completamente, come le con- siderazioni seguenti mostrano senz'altro. Uno spostamento in azimut per effetto di scosse dovute all’inversione può ascri- versi a due cause, un urto ricevuto dai sostegni ed uno spostamento effettivo del- l’asse di rotazione. Questa, che, se l’istrumento è sorretto da solidi piedritti, sarà inevitabilmente assai maggiore dell’altra causa, si comporrà alla sua volta di due cause, una accidentale, che varierà da caso a caso senza legge alcuna, ed una costante, dovuta alle irregolarità di figura dei perni e dei guanciali, che agirà in senso inverso nelle due inversioni necessarie per ogni stella, secondo il metodo di Struve, e che sarà l’unica alla quale sia applicabile una teoria. Esaminiamone l’effetto. Esso è di aumentare l’azimut di una piccola quantità a (e quindi di ritardare l’appulso ai sin- goli fili) per la seconda parte della osservazione ad Est e per la prima parte della osservazione ad Ovest. Detti t,, t,,t e #4 i quattro istanti degli appulsi, avremo per questa causa sostituito a t, e tz: ft, — a cosec @, #z — a cosec ©, dove il termine cor- rettivo sarà certamente una piccola frazione di secondo siderale, che potremo indi- care con t. Allora, se ricordiamo la formula che dà la latitudine tg @ = tg è sec A sec 0, dove AE (i —t) — (td) 4 PAGO Te Gt @&—_%) TI ; vediamo senz'altro che la doppia inversione elimina la correzione t. L'effetto di questo errore sistematico rimane invece tutto quando si inverta una volta sola, nell’inter- vallo fra i passaggi ad Est e ad Ovest. Che poi la parte accidentale si possa rendere piccola assai, quando si inverte, è cosa che non si può immediatamente dimostrare, senza lunghi calcoli sopra i risul- tati delle osservazioni. Fortunatamente mi è facile trovare altrove argomenti che confortano questa mia affermazione, così nel caso dell’istrumento Repsold © (che servi alla piccola serie gennaio-giugno 1888), come in quello del nuovo Repsold, adoperato dal novembre di quell’anno in poi. Il primo fu studiato in moltissime determinazioni della Commissione Geodetica, e segnatamente nella determinazione di azimut assoluto eseguita a Milano dal prof. Rajna (1); dell’altro mi resi ben conto nell’analoga determinazione a Torino (2). Già nelle operazioni del Rajna e nelle successive di longitudine le inversioni si sono moltiplicate senza scrupolo alcuno, e gli effetti ne furono tutt'altro che tali da diminuire la precisione dei risultati; ma nelle mie determinazioni di azimut sono arrivato al punto di invertire su ogni stella, (1) Azimut Assoluto del Segnale trigonometrico del Monte Palanzone sull’orizzonte di Milano (Pub- blicazioni del Reale Osservatorio di Brera in Milano, N. XXXI) (2) Pubblicazioni del Reale Osservatorio di Torino, N. I Ù i | LATITUDINE DI TORINO 95 portando il numero delle inversioni ad una ventina per sera, senza il menomo danno apprezzabile alla stabilità dell’istrumento, facilmente controllabile in osservazioni di questa natura. Un’altra conferma dell’innocuità assoluta delle inversioni si ha nel- l’uso ormai generale di eseguire le livellazioni con inversione dell’asse senza solle- varne il livello: data l’estrema mobilità di questo, e la squisita perfezione colla quale presentemente io si lavora, esso dovrebbe rivelare ben gravi anomalie ad ogni inversione. Invece, come hanno mostrato molti osservatori (1), la determinazione dell’errore di inclinazione con inversione dell'asse presenta molto minori cause d’er- rore di quella con inversione del livello sui perni. Se adunque scomponiamo l’effetto dell'urto prodotto dall’inversione in due parti, troviamo che quella verticale (presu- mibilmente la più grande) è insensibile o quasi; e possiamo quindi inferirne che anche l’altra non sarà molto grande. Rimossa (od almeno grandemente attenuata) l’unica obbiezione seria al metodo di Struve, non è chi non veda le forti ragioni che gli fanno avere la preferenza sopra il besseliano. E sono: I. L'eliminazione rigorosa su ogni verticale delle distanze dei fili, dell’errore di collimazione e delle eventuali variazioni di questo col tempo (essendo ogni pas- saggio osservato in pochi minuti, durante i quali soltanto la collimazione si deve ritenere invariabile). II. La tranquillità assoluta nella quale l’istrumento rimane durante l’intervallo fra il passaggio della Stella ad Est e ad Ovest; osservandosi ad una parte soltanto del reticolo, non è neppur necessario trasportare l’oculare successivamente innanzi ai fili colla vite di Maskeline. II. La facilità e speditezza dei calcoli di riduzione. IV. La semplicità colla quale si elimina l’errore di azimut, quando questo sia tanto considerevole da dover essere tenuto in conto. Basta infatti moltiplicare t9 @ per il coseno di a — ni Premesse queste giustificazioni relative alla scelta del metodo (che sarebbero troppo prolisse veramente, se non fossero rese necessarie dall’opposizione che esso incontra ancor oggi), passiamo all'esame delle correzioni istrumentali. Collimazione. — Questo errore si elimina, come vedemmo, da ogni passaggio osservato su di un verticale. Ad ogni modo, per curiosità, e per rendermi conto del suo effetto nelle poche osservazioni eseguite coll’altro metodo, non ritenni inutile determinarne alcuni valori, i quali mostrano colla loro costanza e regolarità di anda- mento le eccellenti condizioni del nostro Repsold da questo punto di vista, dovute, oltre che alla solida costruzione di ogni pezzo e dell'insieme, al felice accorgimento | di collocare le viti di correzione dell’asse ottico non (come si usava dianzi) all’ocu- lare, bensì nell’interno del cubo; di guisa che la correzione si fa toccando il prisma. (1) Vedasi ad esempio la pag. 5 della Memoria di Rajna sulla “ Determinazione della Latitu- dine dell’Osservatorio di Brera in Milano e dell’Osservatorio della R. Università in Parma , (Pub- blicazioni del Reale Osservatorio di Brera in Milano, N. XIX). 96 F. PORRO Ecco le collimazioni, calcolate dalle stesse osservazioni di latitudine mediante la formula (1): sin c = sino sin A cos ò sin ©: Data ®, Data c. Data © 1888 Novembre 25 + 52”,47 1889 Febbraio 16 — 8"”,65 1889 Maggio 31 — 9,12 1889 Gennaio 7 — 16 ,96 9 = 19,745 Ottobre 23 — 3 ,00 Oc 74 24 — 8 ,42 Novem. 8 — 3 ,61 27 — 5 ,19 Marzo 14 — 8,51 15 — 5,74 81 — 7,73 16 — 10 ,62 17 —8 ,81 Avverto che i due primi valori, troppo forti e discordi, appartengono al periodo di prova, dopo il quale le viti di correzione non furono più toccate. Inclinazione. — La grande importanza che in tutte le determinazioni di lati- tudine spetta al livello, è inerente alla natura del problema; che si vuol conoscere in fatti se non la posizione della verticale rispetto alle direzioni fondamentali della sfera celeste? Io credo che tutti gli sforzi degli artefici e degli osservatori per fissare con esattezza la verticale senza ricorrere al livello a bolla d’aria (2) non abbiano ancora raggiunto il loro intento, anzi ne siano ben lontani; pur ammirando gli espedienti ingegnosissimi ideati a tale scopo, trovo che nelle mani del Kiistner e degli altri astronomi di Berlino il livello ha dato recentemente risultati di alta pre- cisione, che dimostrano ingiustificato 0, quanto meno, prematuro l’ostracismo che gli si vuol dare. Nè mi sembra che procedimenti simili a quelli usati ora per il tele- scopio zenitale (e segnatamente l’uso di un livello di controllo) siano inapplicabili all’istrumento dei passaggi in primo verticale, dove l’errore delle livellazioni forma tanta parte dell'errore totale di una determinazione. Nelle mie osservazioni ho cercato di eliminare tutte le cause perturbatrici delle indicazioni del livello; e, lasciando questo permanentemente appeso all’asse di rota- zione, lo osservai con molta frequenza per ricavarne il valore possibilmente più esatto dell’inclinazione. Non di meno, debbo riconoscere che le condizioni della stazione mi impedirono di curare, come avrei voluto, questo elemento; credo anzi che l’incertezza di esso e delle variazioni accidentali dell’azimut (delle quali parlerò in seguito) abbia la massima parte nelle anomalie presentate dalle osservazioni. Nella discussione finale mostrerò come l’imperfetta conoscenza degli errori strumentali spieghi il valore relativamente forte di alcune divergenze di valori singoli dalla media; per ora mi (1) Questa formula è valida quando l’inclinazione d e l’azimut % si ritengano zero. L'errore che si commette trascurando queste correzioni strumentali è dato da — b sin 1” cos è cos @ sin A + # sin 1” cos è cos o sin A, ed è quindi trascurabile affatto. (2) Scrive il D’Abbadie (Bulletin Astronomique, IX, pag. 93): “ L’emploi du niveau è bulle d’air “ doit ètre exclu désormais de toutes les observations astronomiques où l’on voudra atteindre la © dernière limite de l’exactitude ,. LATITUDINE DI TORINO 97 limito ad esprimere la mia convinzione che tutte queste minute cause d'errore, trattate come accidentali, abbiano potuto compensarsi nella media finale. Il valore di una divisione angolare del livello annesso al Repsold © risulta dalle misure eseguite sull’esaminatore della Specola di Milano nel corso dell’anno 1885 per opera del prof. Rajna e mia. I risultati di queste misure sono rappresentati (1) dalla formula: 1) 1° — 1”,5900 + 0”,0046 (LZ — 357,0), dove Z rappresenta la lunghezza della bolla (in divisioni del livello). Da una comu- | nicazione posteriore del medesimo collega Rajna risulta che anche le determinazioni fatte nell’estate 1888 (quando l’istrumento fu adoperato nella determinazione della differenza di longitudine Milano-Napoli) diedero valori quasi identici. Coi risultati della formula (1), tenendo conto della lunghezza della bolla. per calcolare il termine dipendente dalla temperatura, si sono ridotte tutte le inclinazioni determinate fra | il gennaio ed il giugno 1888. Quanto al nuovo Repsold, ecco i risultati delle determinazioni eseguite in | parecchie oceasioni all'Osservatorio di Torino: Data Temperatura Valore di una parte Osservatore 1888 Novembre 12,13 + 29,8 IUA7235 Porro 1889 Aprile 12-16 + 14,9 1 ,6948 Aschieri 1890 Giugno 15-17 + 23,0 I SUO Porro 1891 Ottobre 15-16 + 7,0 1 ,6960 Rizzo 1891 Dicembre 13 + 2,0 1 ,7050 Rizzo Se sì pensa che queste determinazioni vennero: eseguite im anni ed in stagioni | differenti, da tre diversi osservatori, con due diversi esaminatori (v. le mie citate \ memorie sulla latitudine di Torino e sull’azimut di Monte Vesco), e che fra il 1890 e il 1891 fu cambiato il liquido nella bolla, si trova che il valore medio 1",71, adottato per calcolare tutte le osservazioni di latitudine fatte a questo strumento, non si può ragionevolmente ritenere errato di più di un centesimo di secondo. Nella prima serie la somma delle inclinazioni positive risultò di 8”,057, quella delle inclinazioni negative: di 12/,501; abbiamo un’eccedenza negativa di 4,444, ripartita. sopra 16, osservazioni. Invece nella seconda serie si. ebbe: una somma di inclinazioni positive uguale | 2,102”,056 ed una somma di negative uguale a 68,965: differenza positiva 33/,091, che; si riparte sopra 104 osservazioni. Nell’uno e nell'altro. caso sono: osservate mediocremente le due prescrizioni di tenere l'inclinazione possibilmente piccola e di equilibrare possibilmente i suoi valori | negativi e positivi. Meglio si sarebbe fatto, senza le oscillazioni periodiche ed acci- (1) Porro, Determinazione della latitudine della Stazione Astronomica di Termoli mediante passaggi di stelle al primo verticale (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXII, adunanza del 20 febbraio 1887). Serie Il. Tom. XLIV. È M 98 F. PORRO dentali del livello, dovute all’ubicazione; ad ogni modo, data la cura colla quale si è studiato l'uno e l’altro livello, si può essere certi che la latitudine non può riu- scire errata, per un errore nella conversione delle letture in arco, di più di qualche millesimo di secondo. Azimut. — La correzione dovuta all’azimut non fu applicata alle osservazioni pubblicate nella Comunicazione preliminare. Avendo poi riconosciuto che il suo effetto doveva essere sensibile, sopratutto per il periodo maggio-giugno 1888, nel quale, non so come, inavvertentemente lasciai l’istrumento molto fuori dal Primo Verticale, — mi decisi a calcolarla con rigore nel seguente modo. Il logaritmo volgare di tg @ deve essere sommato con log cos |a -1(h+£&+6+%)], essendo t,, to, Î3, t, 1 tempi degli appulsi, corretti per l'inclinazione e per l’errore dell’orologio. E perchè quel coseno è molto vicino all'unità, si potrà utilmente invece sottrarre il logaritmo della secante. Questo termine negativo, in unità dell’ultima decimale, è d’altra parte: ; 2M sin 2@ donde Î d log tg @ = do, essendo M il modulo dei logaritmi volgari, rr d log tg in 2 = dp' = STE SE = [5,3756096] d log tg 9 = 237490,44 d log tg 9. Data quindi, in unità della settima decimale, la correzione da applicarsi a log tg. (sempre negativa, ed uguale a log sec [a — + (++ +t4)], la correzione (pure. negativa) della latitudine si ottiene senz'altro, espressa in secondi, con una semplice | moltiplicazione per quel coefficiente costante. L'esecuzione di questo calcolo per ciascuna delle 120 stelle ha potuto dare una idea degli spostamenti dell’istrumento in azimut. Detto # il valore della media dei quattro appulsi corretti come ho detto, l'andamento dei valori di a —# dà indizio di forti sbalzi, più accidentali che progressivi, che si sottraggono fatalmente ad ogni i previsione e ad ogni interpretazione, e formano il più efficace commento alle mie geremiadi sulla instabilità della Specola di Torino. È Formando le differenze fra valori successivi di a —# in una medesima sera, ho ; trovato i seguenti numeri, che rappresentano le variazioni dell’azimut; per gli oppor- tuni confronti ho posto a fronte anche le variazioni corrispondenti dell’inclinazione. ) 1888 A(a—d) Ai 1889 A(a—d) Ai Gennaio 19 + 25,23 — 0",016 Gennaio 8 — 0505 + 0",305 Giugno 5 — 0,64 — 0 914 17 + 0,16 — 0 ,666 SME A Ie NE SOI 0, Sa Marzo 6 + 0,40 — 0 ,169 LATITUDINE DI TORINO 99 1888 A (a— 8) Ai 1889 A (a— 8) Ai Dicembre 1 — 1,43 + 0 ,996 Marzo 12 — 0,20 + 0 ,056 1 — 0,10 + 0,304 17 + 0,41 — 0 ,362 3 — 0,11 + 0 ,602 25 + 0,18 — 0 ,183 7 — 0,11 + 0 ,469 Giugno 6 + 0,04 — 0 ,866 1) SOI Ri Sla = 1.180 15 + 0,09 — 1 ,482 17 + 0,48 — 0 ,688 19 — 0,93 — 0 ,903 Ottobre 23 — 0,65 + 0 ,208 Novembre 8 ,124 9 — 0,81 + 0 ,236 © 5 + © Grandi conclusioni non si possono ricavare da questi numeri: irregolari tutti, I però dinotanti coll’aggruppamento di certi segni la persistenza di certe cause ad operare per qualche tempo in una determinata direzione. Passiamo ora alla esposizione dei risultati. Nel primo e più lungo quadro che segue sono dati, stella per stella, i tempi dei quattro appulsi, e la latitudine che se ne è ricavata, filo per filo, calcolata colle note tavole di Otto Struve (1), senza tener conto dell'andamento dell’orologio e degli errori strumentali. Ogni osservazione consta per lo più di trentadue appulsi ad otto fili; il quadretto relativo è seguìto dal valore corrispondente di a —# in secondi di tempo, dalla delinazione apparente i della stella osservata e dall’error medio e,, calcolato esclusivamente in base all’ac- cordo dei fili. Si vedrà nell’ultima parte di questo lavoro che l’error medio e di | un'osservazione, calcolata in base all'accordo dei valori di latitudine forniti dalle x | diverse osservazioni di una medesima stella, è uguale a + 0’,405, mentre in gene- i rale lee, si aggirano intorno a + 0,100: dunque di gran lunga la parte maggiore | die è imputabile all’imperfetta correzione degli errori strumentali, e solo dal numero | considerevole delle osservazioni, distribuite in anni e mesi differenti, si può sperare | uma compensazione di questi errori. Il secondo quadro raccoglie i valori medii della latitudine g' dati da ciascuna | stella, le correzioni relative all’inclinazione i dell'asse e all’azimut istrumentale, il i termine dovuto all'andamento dell'orologio (che si è dedotto a vista da alcune tavo- . lette calcolate per le singole stelle secondo le norme date a pag. v dell’introduzione | alle citate tavole di Struve) e finalmente il valore concluso della latitudine . Come ho detto nella Comunicazione preliminare, le declinazioni si sono dedotte esclusivamente dal Berliner Jahrbuch: per interpolazione dalle effemeridi decadiche quelle delle Fondamentali di Pulkova, calcolando la riduzione al luogo apparente | quelle delle altre stelle (Zusatz-Sterne). Furono calcolati rigorosamente i piccoli ter- | mini della nutazione lunare. (1) Pabulae Auriliares ad transitus per planum primum verticale reducendos inservientes — Edidit Otto Struve, Speculae Pulcovensis director (Petropoli, 1868). 100 TEMPI DEGLI APPULSI E LATITUDINI DEDOTTE Oculare Nord F. PORRO QUADRO PRIMO 1888 Gennaio 19 — B Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest Oculare Sud 5 dim 45.63 21. 58.63 2250 .64 24 19.65 25 12.66 26 8.67 o ERI 399.25 37 23.24 S4 20.22 SOMA 81 45.70 Oculare Sud Oculare Nord 60m 405.39 2 50.41 4 37.92 T 40.44 857.45 10 16.46 GR 20% 555.54 20905 19 22.03 17 40.52 16 48.01 15 58.00 d = 44° 56' 3".42 1888 Gennaio 19 — X Ursae Majoris. Verticale Est Verticale Ovest Oculare Nord Oculare Sud 450 d' 9/98 Do OL 00 “I 9 e, = 0".4595 8. 57m 59.07 | 11° 21m 57°.54 | 11h 29m 34510 | 45° 4! 11".40 Oculare Sud Oculare Nord 8: 50m 235.50 50. 42.30 57 837.56 51 0.01 57 18.06 51 32.81 56 43.76 51 50.71 56 24.95 52 8.02 50, 505 52 26.82 55 46.05 a—-t = — 65.56 22 18.04 22 37.65 23 12.05 29 31.05 23. 50.26 24 9.56 29 14.59 28.56.09 28 23.99 28 6.08 27 49.08 27 30.08 dò = 43° 28’ 13.10 9 .19 0) SIE 8 41 Oo 9 e, = 1".4090 LL LT, Ere rog Pero a LATITUDINE DI TORINO 1888 Gennaio 20 — B Aurigae. 101 Verticale Est Verticale Ovest I LOREN o! Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 5h 9gm 57500 | 5° di» 0522 | 6 Qu 3884 6h 20m 405.51 45° 4' 9".16 921 44.51 38 52.20 2 48.36 19 53.00 9.26 Re 3N2 37 2.68 4 34.37 19 4.49 9.12 293 24.53 35 24.16 6 12.38 18 12.48 9.14 24 14.04 94 1.14 35.39 TRADER 9.52 25 7.05 32 40.63 8° 54.40 16 30.96 9.52 26 1.56 Sl 25.62 10 8.91 15 34.45 9.54 27 58.58. 29 12.60 12) 12493 OMM ONAA 9.45 = è = 2 ò = 44° 56" 3".56 ej = 0"”.2089 1888 Gennaio 22 — B Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest à - RI n TR SIE el ni dd lui rr ione reni tulert cadi uo p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 5h j19m 195.50 | 53 47m 83.25 5h bom 405.30 | 6% 2]» 455.93 45° 4! 7".70 20 44.72 40 44.22) 6 0 19.35 20 21.02 .94 21 32.52 88. 36.70 2 28.87 19 34.01 7.48 2221 .83 96 47 .68 4 17.89 18. 44.50 7 .28 23 11.74 95 7.16 5 55.90 17 53.99 8.19 242.05 39 48.14 7 20.11 17 2.98 7.36 24 55.86 82 28.13 8 38.42 16 8.97 7.01 25 51.07 81 13.62 9 53.13 15 14.16 24 27 46 .08 28 54.60 12 1.44 13. 18.45 8.19 o-t = — 4593 o = CH De 83 ej = 0”.2311 1888 Maggio 3 — 33 Bootis. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 14° 3 175.29 | 14% 30m 24541 |143 47m (2057 15% 142 115.39 45° 4' 8!.88 9155.0608 280.20 49 29.65 ÙS Soy 9.09 4 34.12 26 7.39 5I 20.97 19 5398 9.21 DIMOENTO 22.50.81 54 37.96 ll 31.45 9.79 6 39.20 21 28.87 55 59.28 10 48.76 9.60 TRZIZIORI Ur, 20 14.36 DA 10 5.71 9.58 9 40.16 16 48.47 |15. 0 31.99 7 48 .59 1.95 10 29.02 15 45.43 1 42.96 658.29 9.30 one = + 528.72 CESSI e, = 0".2441 102 Oculare Nord 14° 31 205.57 98.13 36.76 99. 41. 24. 9.81 DÒ . 41. dl. © © 00 0-1 > Ot DI us F. PORRO 1888 Maggio 6 — 33 Bootis. Verticale Est Oculare Sud Verticale Ovest Oculare Sud 14° 300 355.16 288.06 26 13. 97. a — t = -L 525.08 14° 460 56.58 49 21.58 19.0 d = 44° 59' Oculare Nord 15 dd 11539 13 34.28 17.98 1888 Maggio 9 — 33 Bootis. 45° 4 77.62 8.69 00 00 00 00 00 00 00 00 Vo) (vb) e, = 0".1250 Verticale Est Verticale Ovest LISA p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 14° 7 48540 | 14° 19 295.40 |14° 572 505.79 | 15° Qm 32531 45° 4' 8! 31 832.80 18 19.43 59 0.97 8 44.23 7.88 O 19-07 17 I 0 7.52 9) 07 8.07 10 9.24 16 11.79 1 11.39 7 IL05 TOSTI 10. 58.94 15 10.31 21085 6 20.76 TDI ao —-—t= + 528.74 dò = 44° 59! 17.86 EG = 0!.1342 1888 Maggio 25 — 33 Bootis. Verticale Est Verticale Ovest I EIA o' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 14° 40 145,90 | 14° 272 91514 |14° 500 05.67 |15° 13m 105.49 45° 4’ 10'.00 4 59.51 (125 l6.182 52 4.68 12 26.61 10 .55 Gu 1717 22 26.99 54 54.97 11 8.79 9.81 65933 21 4.59 56 16.79 10 24.88 10 .02 To 440 19 49.40 DIANA 251] 9 40.98 9.79 8 29.69 IS S771 58. 42.30 857.60 10 .10 9 16.13 17 30.99 59 51.50 810.57 10 .24 10 2.91 160 2797. N 05520 22.64 10 .29 10 52.84 I 2907 1 57.43 6 33.89 10 .60 ao—-t = + 45872 O = (20 537 208 € = 040970 LATITUDINE DI TORINO 1888 Maggio 29 — 0 Herculis. 103 Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud jd 59m 85,398 | 15° 5m 125,26 | 18% 4m 65,18 | 188 10% 185.02 | 45° 4' 10”.60 59 18.34 4 56.47 4° 23.02 9 58.70 11 .10 59 834.60 43993 4 38.98 9 42.48 9.67 TbMINon (01.54 4 11.28 56.93 OLO, 11.17 0 15.18 56.74 Di2550. 9 1.86 11 .90 0 30.17 9 41.86 537.60 8 49.37 12.29 0 43.93 3 26.76 5 51.26 SIMS 2R59, 10 .14 0 58.90 9 11.69 67.69 8 19.09 11 .98 1 14.18 2 56.57 6 22.04 O hole 10 .86 Il 28.79 2 41.19 6 38.07 7 50.69 1288 a —-t = + 445.88 dò = 42° 40! 8" 52 Eni NO IS3I7 1888 Giugno 2 — 33 Bootis. Verticale Est Verticale Ovest n _— ——_ _——_——+ —°‘ p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord J4h 9m 445,95 [14° 300 55579 [14° 470 8°71 |15° 14% 195,87 | 450 4" 9".14 4 23 .58 28. 30.42 49 30.22 13 39.69 8.64 5 1.60 26 36.68 51 25.32 IS M78 8.86 6 26.10 23. 19.14 54 46.73 INR 9348 9.12 79.07 21 55.94 56 9.19 10 56.00 8.95 7 52.39 20 39.42 57 26.55 10 12.86 9.02 8 34.59 19 31.42 58 34.16 9 29.89 8.64 SMN253E27, 18 17.34 59 47.43 8 41.02 8.74 10 10.16 17 12.69 |15 0 50.99 1 0ILS 8.74 JI 0.45 16 9.80 1 54.00 1 © 042 8.48 12 41.04 14 15.93 8 48.83 DD. 25898) 8.09 o—-t= + 46341 dò = 44° 59! 24.84 er = 0".0635 1888 Giugno 5 — 33 Bootis. Verticale Est Verticale Ovest LAS RE p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 14° 5m 4574 | 14% 97m 525,28 | 14° 50m 32509 [15° 13m 29599 | 450 4’ 4.88 5 45.67 25 54.42 52 35.36 12 45.72 4 .88 (AM ESS 25226) 55 27.60 11 27.86 4.67 7 47.26 21 41.36 56 50.63 10 44.11 4 .69 8. 82.42 20 25.82 Da TI 9 58.58 4 .50 9 16.80 19 15.18 59 11.04 9 15.56 4 .02 a — È =+ 443,04 dò = 44° 53' 25".62 o = 01812 va VEsucalo Est F. PORRO 1888 Giugno 5 — 0 Herculis. Verticale Ovest P Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 14° 592 41550 | 15° 5 29594 | 182 4 405,38 [18° 10m 295.59 45° 4" 6/.90. 59 55.95 5 16.44 4 54.87 LO: 5.193 15 0 24.39 AA 5 25.07 9 46.88 6.24 0 38.53 4 30.50 5 40.16 9 32.19 6 .19 1 21.99 Ss 46.07 6 24,57 8 48.83 DIRSI t 36.60 i IL) 6 39.93 8 34.59 6 .14 lil I 540 8. 16.37 6. 55.19 8. 19.83 5.62 a —-t = + 43540 dò = 42° 40’ 10.55 e, = 0/4.2225 1888 Giugno 5 — è Cygni. Verticale Est Verticale Ovest È p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord. 19° 9Qm 65.09 |19° 32m 25528 [19% 59m 445,29 |20. 23m 5524 45° 4’ 7.76 O) 5 IL 90. 51.44 (20 1 16.93 22 25.47 6.83 | 10. 18.78 29) 25.93: 2 hill 21 49.59 TI 38 11 39.54 26 517 | DICIZIESIN An | 20. 30.46 7.69 12 1099) 25. 42.10 6. 24.73 19 49.91 (38 Lo 0492 24 37.54 Ce 2907 19 8.68 el 13. 42.89 23 43.88 8. 33.13 18. 26.47 5.50 14 25.20 22 35..09 9 32.74 IT 4318 TREZAI 15 10.14 21 37.40 10 30.97 16 59.61 (35 15 54.96 20 39.29 1h 27.86 16 11.97 14 17 28.40 18. 57.28 13MICRS2.6 14 40.87 1 45 a—-t= —_ 425,96 ò = 44° 51’ 23!.06 e, = 0/”.2001 1888 Giugno 7 — è Cygni. Verticale Est Oculare Nord Oculare Sud 15.10» 1827 192 29m 28573 Verticale Ovest Oculare Sud 20% 2m 445.39 Oculare Nord 20% 21m 545.45 LÀ ® IL SOL 26. 54.02 5, 19.55 20. 34.06 10, .88 12 18.58 25 44.89 6 27.96 19 54.65 STI 12° 58.37 24 39.04 7 32.69 io 13.99 10 .10 15. 40.38 23 35.89 8 33.19 18° 34.77 10 .55 14 29.78 22 39.11 9 35.52 17 48.74 10.29 19 897 SI I 10 32.86 17 4.88 998 15 54.98 20, 41.69 IL 29.10 A 9.88 17. 26.00 18 59.41 13. 12.16 14 47.98 Od ao —-t = + 445,62 dò = 440 bll 23078 e, = 0"”.0808 45° 4" 10.24 a Saga feci Reg mt LATITUDINE DI TORINO 1888 Giugno 8 — o Herculis. 105 Verticale Est Verticale Ovest nt rt p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 14° 59m 265,37 | 15% 5m 47563 | 18° dm 25526 [182 10m 465.17 45° 4" 8".83 59 41.03 5. 82.28 4 40.85 1003158 8.60 59 55.22 DIM LUZARSATA 4 55.44 10 17.65 8.02 15 0 23.71 A 5. 25.21 9 48.75 8.07 0 37.91 4 32.40 5 40.19 9 33.10 6 .98 0 52.685 dir 7 555.29 9 19.97 7.76 1 6.40 42.98 6 9.59 9 590 Ti 43 LeN22:0/17 8 46.35 6 25.06 850.77 8.21 1 36.26 SIMILI, 6 40.09 836.00 1 E 1 51.00 3 16.92 6 55.26 ILLE 8.29 US + 445.86 dò = 42° 40’ 11".53 e, = 0"”.3032 1888 Giugno 8 — è Cygni. Verticale Est Verticale Ovest p' QOculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Ocalare Nord 19% gm 3598 (19° 322 305.58 [192 59m 375,29 |20% 23m 65,00 45° 4' 8! 24 9 40.67 80. 55.36 (20. 1 14.21 22 2921 8.89 10 18.29 29 32.43 2 38.42 21 52.67 8.67 11 37.40 26 56.57 5, 13,,95 20. 33.62 8.88 12 18.27 25 46.11 6 25.79 19 52,91 9.07 19 58.41 24 40.58 io 19712825; 9.42 13 49.99 23 40.12 881,58 18.31.12 6 .26 4A 2235 2213810 O) Ir 17 47.08 9.58 15 8.08 21 41.72 10 32.00 2:99 9.07 Too 20 20 43.47 Il 2997 MORININZAZA 9 44 17 25.99 19 1.69 13 11.95 14 43.88 8.86 di — i = ALe dò = 44° 51' 24”.06 € 0!'.2735 1888 Novembre 19 — x Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest i MGGob Lia miri ® Oculare Nord Oculare Sud Qculare Sud Oculare Nord 99h j4m 545921 |222 28m 105841 | 0° 382 425,89 | 0° 47m 05.45 45° 4’ 3" 40 15 24.76 PTi32/8, 84 20.83 46 29.61 4.57 15 43.47 27 10.99 94 42.14 46 11.00 4 .12 16 8.09 26 42.40 95 11.44 45. 45.99 4 .12 16 33 .08 26 12.81 35 40.84 45 20.60 4 .62 16 52.52 25 51.44 986 1.87 45 2.88 4 .96 re 24217 25 15.96 86 38.11 44 30.42 4 .36 18.28.50 24 5.09 ST 49.02 43 26 .62 5.05 ao — = + 65.40 dò = 44° 43’ 16.66 € = 0'.1698 Serie II. Tom. XLIV. 106 Oculare Nord 29% 15m 85.88 lo9 15 52.44 16 17.34 16 35.77 17. 8.63 18. 12.56 18 53.76 10) 500 19 50.66 F. FORRO 1888 Novembre 21 — x Andromedae. Verticale Est Oculare Sud Verticale Ovest Oculare Sud Oculare Nord 22% Qnm 15447 26.53.40 26 24.21 25 55.99 at = + 6389 Oculare Nord 22% 14m 26°.13 "h 94m 4577 34 26.99 34 56.08 0° 46m 125.50 45 54.27 45. 28.27 45. 3.29 44 45.58 44 13.51 439.59 42 27.98 42 17.09 41 32.81 dò = 43° 43' 16".88 1888 Novembre 22 — x Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest Oculare Sud Oculare Sud 99% 97m 455,73 27 8.13 26 46.49 26 17.25 25 48.17 25 27.07 24 51.50 23 41.59 22 56.68 92 44.41 21 57.69 |. a—-t= + 7529 0 se 110 Oculare Nord OÈ 460 36°.02 46 4 dò — 43° 43’ 16”.97 1888 Novembre 23 — x Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud 22% 14m 16°.07 14 47.75 22% 27m ‘345.99 a—-t= + 7526 de aan, 03 89 44.75 Oculare Nord 0% 460 265.77 DIA3MAZIMIZIZ0 .12 Q9 HS HS > 00 HD I 02 ER] Db e, = 0".0969 ® > Ut 09 VI VI VI HD sui ns e, = 0/.1324 p' 450 4' 4.64 | 45° 4' 5.52 .67 .24 .45 Ut Ot Ut Ur Ut H> Ut H> Ot Or (©) e, = 0".0946 LATITUDINE DI TORINO 1888 Novembre 24 — a Cygni. Verticale Ovest IZ CO 107 Verticale Est p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 19° 562 49573 |20° 27» 3881 |20% 38m 2525 | 21° Sum 56578 | 45° 4 7".57 57 29.46 24 14.04 41 27.00 8 19.03 7.90 58 23.40 21 9.91 44 32.46 DELIA 7.60 59 18.99 18 44.66 46 59.55 6 29.42 7.88 20 0 0.63 17 12.96 48 31.76 5 46.68 7.96 1 14.47 14 52.04 50 53.52 ASI 7 40 3 49.99 10 56.81 54 47.60 I S7470 02, 4 36.18 9 57.08 55 47.68 11.06 7.24 di dg) li 9 44.13 56 0.02 ORO, 6 .98 5 11.98 9 15.75 56 29.40 0 37.10 TOSZAÌ DA 49524: dò = 44° 53’ 15”.11 e, = 0”.1018 1888 Novembre 25 — x Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest —1______ _ _____t_. p' Oculare Sud | Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 99m J4m 9854] |22° 262 28571 | 0% 33m 805.50 | 0° 452 255.46 | 45° 4' 6".67 14 58.86 25 53.89 84 5.80 44 55.67 6.74 15 21.56 25 26.83 94 32.50 44 383.14 1) IU 15 46.30 24 58.03 85 0.03 44 8.30 6 .98 16 12.57 24 28.79 95 30 .62 43 41.85 Ti SIT 16 34.39 DAMMI 95 54.50 43 19.88 6 .83 TU 675 23 28.95 96 30.20 42 48.12 RSI, 18 10.89 22 20.81 97 38.50 41 43.20 6 .07 ao —-t = + 85.80 dò = 43° 43' 17".18 e = 021821 1888 Dicembre 1 — a Cygni. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 19% 25m 4985 | 19° 562 555 | 20° 7 105.5 | 20° 37 485.5 | 45° 4° 6/29 26 38.0 51 58.5 Til 02200 96 48.5 ) 5 .81 PINZA 49 831.5 13 830 36 2.0 5.67 28. 34.0 46 40.0 16 48.0 i DI 5.79 sl 0.0 429.5 21 16.5 92 26.5 6.26 a — = + 105.00 d = 44° 53' 13”.97 e, = 0".1855 108 F. PORRO 1888 Dicembre 1 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 21° Bim 7507 |21° 582 48549 | 0% 562 30°,98 | 1° 40 115,63 450 4' 5".24 Sl ILL 58. 17.59 56 57.80 3 46.91 4 .81 51 45.59 58. 2.20 57 12.99 3 32.29 5.00 52 5.26 57 41.84 brat33878 5) Aol 4.48 52 24.28 57 20.89 57 54.90 2 53.40 5 .95 52 39.78 ST II 58 9.89 i 4.05 59 3403 56 40.26 SI. O 2 14.24 5 .48 bo 52.91 55 48.87 59. 25.78 1 24.92 5 .98 a—t = + 85.57 dò = 42° 39’ 20”.05 er = 0”.2421 1888 Dicembre 1 — v Persei. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud JP 49m 4579 | 1° 55 17544 | 5h Qm 54508 | 5° 162 9593 45° 4’ 494 49 23.79 54 57.53 10. 13.79 15 51.46 4 .26 49 39.20 54 41.33 10 29.95 I BOL 4 .96 50 2.17 54 17.68 10 54.04 15 13.29 4.24 50 46.96 59 30.89 11 40.59 14 28.39 4.79 fo = bi SENBEAY7 ò = 42° 13' 35”.35 e, = ‘(0".1054 1888 Dicembre 2 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest REN ES p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 21° 50m 295.61 |21® 592» 20°.73 | 0% 55 54505 | 1° 4 485.20 45° 4" 6".00 50 53 .08 58. 55.40 56 19.52 4 719201 5.29 51 10.96 58 36.16 56 38.16 ARA 82, 5 .10 51 ‘29.80 58. 15.43 56 58 .97 9 43.13 16.02 51 49.87 5 (54.29 5 20.44 9 22.99 DAINZiO, 52 16182 DIA 036835 57 37.67 DO 4 .83 52 81.05 57 10.76 58 3.80 2 41.78 5.67 53 20.01 56 19.53 58.54.57 1 52.64 5.69 a —-t= + 85.46 dò == 42° 39" :20”.10 e, = 0".1518 LATITUDINE DI TORINO 1888 Dicembre 3 — k Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest o Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 9g J4m 915,58 |22° 262 17596 | 0% 33m 21515 | 0% 45% 165.75 | 450 4' 6.50 14 51.87 25 42.51 33 56.99 44 46.50 6 .64 15 15.29 25 16.20 94 23.62 44 24.03 6.57 15 39.59 D4 47.38 84 51.58 43 58.92 6.76 16 5.68 24 17.73 85 22.00 LO 124 16 27.58 23 583.40 95 45.67 43 10.95 6 .98 16 59.82 23 18.69 36 20.67 42 38.40 6.07 18 4.10 229 8.76 87 30.05 41 34.15 6 .76 a—-t= + 85.63 ò = 43° 48' 17.42 er = 0”.1145 1888 Dicembre 3 — v Persei. Verticale Est Verticale Ovest - ___———= p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud JR 48m 8516 | 1° 56m 14580 | 5h 8m 50550 | 5° 17m 2527) 450 4' 5.36 48 25.13 55 51.65 9 14.40 16 40.37 5.24 48 41.22 55 34.03 9 81.60 16 23.94 5.29 48. 59.01 55 15.10 9 50.25 16 6.22 5 .14 49 17.79 54 55.66 10 10.01 15 47.67 4 .95 49 33.85 b4 39.32 10 26.38 15 32.19 5.02 49 56.10 54 15.61 10 49.71 Toi 9882 4.93 50 40.82 53 29.17 11 36.50 14 24.45 5 .00 a — 4 = + 83,52 è —= 420 18" -35".65 €, = 0/.0584 1888 Dicembre 4 — x Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest = p' Oculare Nord Oculare: Sud Oculare Sud Oculare Nord 99% 152 3570 |22% 95m 21598 | 0° 342 10549 | 0% 44m 99543 | 450 d' 6".98 15 35.50 24 45.90 94 47.17 43 57 .20 7 .02 15 53.95 24 23.89 SD. (80283 43 88 .52 7.26 16 19.62 23. 55 .60 O SOT 43 12.97 07 16 45.10 23 26.81 36 4.83 42 47 46 ZIE) IT ii 23. 6..92 86 25.79 42 28.50 44 Iorio PO MNI27 so il .81 41 56.10 .24 IS deo PMO 2749) 88.10.25 40 50.78 VARSY( a—-t=+ 85,98 dò = 43° 43' 17".46 & = 0".0670 109 110 F. PORRO 1888 Dicembre 5 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest frslioa sur or iSIII IE MRSIM ANT MO e e ire E e I p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 21° 50 55520 |21° 582 34587 | 03 562 22517 | 1° 40 15.50 45° 4' 6!.52 i 920) 58 8.27 56 48.80 RIoARZAi TESTI Sii Sela 5. 520.89 57 8.76 322.38 6 .55 51 583.45 It: 077 Danze, 3 2.70 7.64 52 19,95 57 10.43 ST de dl 2 43.10 7.709 be 27045 56 55.90 58 0.27 228.58 7 .00 52) 52.52 56 30.37 58 26.47 2 4.05 6 .88 59 41.73 Oe3993 DONEl780, IL Il 98) 6.71 eis + 98.14 dò = 43° 39’ 20”.26 € = 0'.1943 1888 Dicembre 6 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest RIESI PAM Ip rt MST CISA SIRENA ARIE OO RT p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 21° 51% 14500 |21® 58m 6502 | 0% 562 445.18 | 1° 83m 355.35 45° 4" 8".50 51 29.63 57 50.70 56 59.56 e 2.01877 8.10 5a 49827: 57 29.89 57 20.38 B) 1.49 7 .64 52 8.65 57 9.20 57 40.74 2 41.84 8.10 52 23.28 56 54.36 57 55.64 2 27.65 7.10 52 47.90 56 28.06 58 21.55 2 2.62 7 45 59 37.60 55 19769 59 12.41 I 10, 6 .60 a — t = + 85.98 òd = 42° 39 20”.29 e, = 0”.1885 1888 Dicembre 7 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 2Er5dm 14500 12158 10570 On ADI 2946 45° 4' 6.90 ol 94.26 d7 39.94 97 5.00 ds 9.42 7.26 51 50.89 97 21.71 07 22.74 2 52.45 7 A4 52 15.22 96 56.02 57 48.20 2 28.46 7 .S1 oo 4.05 96 5.07 08 39.11 1 39.37 7.81 ot = 4 9871 di 420391201180 eq = 07.0775 LATITUDINE DI TORINO 1888 Dicembre 7 — v Persei. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud Jh 472 51587 | 1° 56» 0579 | 5 Qu 389920 | 52 16 48573 | 450 4' 6/33 48. 13.35 55 37.60 9 2065 16 26.66 6.17 48 29.79 55 20.20 920.10 16 10.68 6.98 48. 47.88 0510) 9 38.75 15. 53.05 6.43 49 5.88 54 41.50 9 58.61 I SZ 07 6.55 49. 21.39 54 25.40 10. 14.75 15 18.76 6.88 49 44.14 54 1.80 10 ‘38.18 14 56.30 6.24 50 29.07 59. 15.14 11 25.06 AES 17 6 .60 a—-t= + 95.60 ò = 42° 19’ 36".38 e, = 0"”.0511 1888 Dicembre 8 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest MTA p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord | |21R 50m 275.69 |21h 582 43566 | 0. 55m 53533 | 1° 4m 9595 45° 4’ 7" .83 | 50. 52.00 58 17.08 56 19.60 9. 45.68 8.02 bi 6.28 589, 1.92 56 35.01 BET INZIÌ 7.93 51 25.60 57 40.93 56 55.87 9 12.08 8.33 51 45.10 57 20.27 57 16.46 2005251 8.10 51 59.60 57. 5I6 57 831.93 2 38.09 8.14 59 24.40 56 39.05 57 37.80 2 1350 8.33 58. 13.61 55 48.10 58 48.84 24993 8.86 ao —-t= + 95.67 ò = 42° 39’ 20".28 e, = 0/”.0702 1888 Dicembre 9 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest ® Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 91° 50m 26,39 |21% 58m 38573 | 0% 55m 52378 | 19 4m 4521 45° 4' 7.33 50. 49.80 58. 13.40 56 18.25 5 40.56 7 .96 Silit57 57 54.57 56 37.38 9 23.94 7 .60 5I 26.69 57 34.14 56 57.50 93.76 7.05 5I 46.97 57 12.55 57 19.03 2 43.29 6.95 55.5 4 56 54.78 57 36.50 226 .69 149 52 28.43 56 28.93 5 I 095 2 2.88 7.05 59 16.98 55 38.13 58.53.10 1 13.60 8.19 i SISI d = 490 39 2025 e; = 0".1428 il 112 F. PORRO ì, | 1888 Dicembre 10 — 1 Andromedae. 9 | x | Verticale Est Verticale Ovest ( | E "SO STESO S p' b; + Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud | 21° 502 245,20 |21° 58 365,32 | 0% 552 508.41 | 1h 4m 2518 45° 4" 7.62 | 50. 47.93 58 10.82 56 16.60 8 38.47 7.88 des t59 57 51.97 56 34.39 20.94 6.88 BI 24.50 57 831.49 56 55.12 OS 7 40 | 51 44.67 57 10.04 57 16.50 2 41.46 N24 OMMI 56. 52.45 57 34,33 2 24.69 7 .86 DO M2 5917 56 26.83 57 59.89 20.24 TARA 59 15 .03 55 836.18 58 50.45 1. 11.24 TOZA a—-i= + 8879 d = 42° 39' 20.20 e; = 0".1000. 1888 Dicembre 10 — v Persei. Verticale Est Verticale Ovest | SONO Sé = p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord J' 47 56557 | 13 bb 38827 | BE 8ù 45°,09)) 5h 16m 26590 | 450 4° 60% 71000 i 48 19.10 55 14.03 9 9 16 4.58 6.93 4 48. 32.62 54 59.97 9 23.08 15 51.00 6.21 il 48. 50.77 b4 41.06 9. 42.52 15 33.25 6.50 7 49 8.90 64 21.84 IO IRTO7 15 14.98 6:05 I 49 22.00 54 7.65 10 15.59 TB ANRN86 6:62) N 49 44.73 559 44.06 10 39.21 14 38.90 6.79 | 50 30.29 HO M5IAR2O IENRZO. 15058847 6.40 date de rutti là sé a i ) ì a-—-t = + 85.63 ò = 42° 13' 36/.87 e, = 0".1051 i 1888 Dicembre 13 — vw Persei. Verticale Est Verticale Ovest - (10) Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord hi VI | 1h 478 485.66 | 1° 55m 27574 | 5R gm 88.20 | 5% 160 175,69 | 45° 4" 874 | 48 10.99 i 8) 90 9 2.26 15 54.76 8.74 48 24.70 54 49.12 9 16.80 15 41.80 9.28 iN 48. 42.62 54 30.25 9 35.80 15. 28.70 9.09 | 49 0.58 54 11.27 9 54.70 ONOR 9.07 I 49 13.95 59 57.18 10 8.69 14 52.40 9.28 Il 49 36.89 53 33.59 10 32.49 14 29.38 8.83 i 50 22.30 52 47.08 11 19.20 135 44.10 8.64 IN 0 22 420)113/ 187019 e, = 0".0866 NI LATITUDINE DI TORINO 1889 Gennaio 7 — vw Persei. 113 Verticale Est Verticale Ovest cu ee p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 1° 462 135.78 | 1° 59m 565.66 | 5° 6 59529 5h pdm 445.90 45° 4' 5" .24 46 36.50 53 31.87 7 23.30 14 20.40 5.55 46 49.59 59 17.95 7 37.30 14 6.61 4.95 47 7.61 52 58.95 7 56.58 159 48.90 5 .96 47 25.67 52 39.83 8 15.70 13 30.70 5 .96 47 38.80 52 25.67 8 29.87 TSMlrAa50, 5.98 48 2.00 52 2.13 8 53.65 12 54.38 5.24 48 47.40 5I 15.40 9 40.29 Ia 8018 5.19 (ct ed + 65.58 dò = 42° 13’ 40".05 e, = 0”.1074 1889 Gennaio 8 — v Persei. Verticale Est Verticale Ovest | — ITRESERA anne p' | Oculare Sud Oculare Nord | Oculare Nord Oculare Sud | | 1° 462 33504 | 1° 53m 23590 | 53 72 21.30 5® 14m 115.80 45° 4° 6.02 | | 46 49.37 536.56 7 38.70 13. 55.64 6.19 | 47 7.66 52 47.92 7 57.51 VISA 00 47 25.60 52 27.90 8 16.97 13 19.00 6 .31 47 41.05 52 11.82 8 33.58 13 3.40 6 .50 48 3.78 5I 48.39 856.80 12 40.85 6.17 | 48 24.79 5I 26.36 9 19.00 12 19.13 6.26 | 48 49.02 51 1.50 9 43.00 11 55.50 6 .12 a—t= - 65.44 ò = 42° 13’ 40".10 e, = 0”.1003 1889 Gennaio 8 — y° Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest PESITEN CIALE] 10334 SI SSIS p' Oculare Sud Oculare Nord | Oculare Nord Oculare Sud bh 16m 4541 | 5 25m 539°.66 | 72 372 1570 | 7° 462 50°.69 45° 4’ 7.43 16 26.93 25. 27.84 7 26.68 46 28.81 7 .29 16 51.80 25. 0.30 87 54.40 46 3.35 6.83 24 31.25 88. 24.07 45. 37.23 7.88 247.09 98. 47.73 45. 15.19 6.88 25 32.60 89 21.98 44 43.88 7 26 23 0.10 40 1.73 4A TORA 7 A4 22, 24.63 40 30.27 43 39,77 7.60 o—t = + 65.39 Serie Il. Tom. XLIV. dè = 49° dl' 10”.32 er = 0/.0940 (0) 114 Verticale Est Verticale Ovest Pi PSA p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 1h 45m 405.77 | 13 53m 17579 | 5h 6m 268.40 5h 14m 2.10 45° 4’ 3".24 46. 2.75 52 54.47 6 49.62 13. 40.28 8.96 46 19.09 52 37.15 7 6.78 13 24.00 68) SIL 46.36 .39 52. 18.81 7 24.98 13. 6..22 9.12 46 54.92 51 58.70 ADI, 12 47.61 SME 47 11.03 51 42.19 8 1.03 12 32.02 s .12 47 33.60 51 18.79 824.45 12 9.49 8.08 48.18.93 50 31.90 9 11.62 11 24.17 8.83 48.30 .03 50 21.84 9 24.10 11 11.50 2.79 ot 2#85169 dò — 42° 13' 40".68 e, = 0”.1083 1889 Gennaio 17 — y5 Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest nnt p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 5h 15m 5535 | 5° 262 0550 | 7° 35m 54517 | 7° 46m 49503 45° 4’ 3".86 15 35.63 25 25.20 96 28.47 46 18.80 9.95 15. 57.82 24 59.69 86 54.78 45 55.91 9.97 16 22.90 24 31.79 SÙ 21.774 45 31.87 8.69 16 48.60 242.69 87 50.98 45. 5.20 -4 .10 17 10.77 23 39.03 88. 15.80 44 43.50 8.93 MEANA 2 al DOMANDA 38 49.68 44 11.59 8.88 18. 46.33 21 56.67 89 57.78 437.80 4.21 19 4.41 21 38.00 40 15.70 42 49.99 8.79 19 13.80 21 28.39 40.25.71 42 40.82 9.74 19 18.00 21 24.10 ‘40 29.81 42 36.17 8 .81 a —-t= + 85.85 ò = 48° 4l' 11".46 e, = 0".0711 1889 Gennaio 18 — v Persei. Verticale Est Verticale Ovest LE birra p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 1° 450 37596 | 1° 53m 15580 | 5® 62m 2301 5h 14m 18.11 45° 4' 4" 40 460.72 52 51.43 6. 47.02 13 38.37 4.17 46 14.17 52. 37.89 ((ARel59) 13 24.77 9.86 46 32.02 52. 18.87 7 20.38 I 9.95 46. 50 .06 51 59.29 7 39.50 12. 49.19 4 .52 47 8.67 bl 45.27 7 53.50 12 385.88 4.36 47 26.70 51. 21.50 8° 17.388 12 12.92 db Gi 48 11.72 50 34.82 93.89 11 27.51 4 .24 LS alii + 99.14 dò = 42° 13’ 40".75 e, = 0"”.0789 F. PORRO 1889 Gennaio 17 — v Persei. Verticale Est 1889 Gennaio 18 — y> Aurigae. LATITUDINE DI TORINO Verticale Ovest ® Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord Bh j5mo 1940 | 53 25m 595.50 | 7° 35m 505.39 | 7° 46m 485.70 45° 4" 5!.05 15. 32.62 25 22.88 96 26.88 46 16.80 4.90 15 50.99 212040) 86 46.63 45 58.70 4 .88 16 16.03 24 33.93 97 15.16 45 833.88 4 .55 16 41.58 24 6.18 97 43.39 45. 8.40 4 .40 17 0.20 23 45.30 98. 4.28 44 50.33 5.14 17 32.41 23 10.48 88.39.50 44 17.69 4.79 18 36.19 222.18 89 47.50 43 13.89 5.12 ol = + 35.26 d = 48° 4l' 11".65 er = 0”.0941 1889 Gennaio 19 — v Persei. Verticale Est Verticale Ovest meet. p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 1° 452 35588 | 1° 59 18530 | 5° 62 205.86 5ì 130 585.47 45° 4’ 4.29 45 58.77 52 48.80 6 44.67 13 35.43 9.59 46 12.01 52 34.80 6 59.04 13.22.30 9.83 46 29.98 52 15.81 7 18.00 13 4.47 9.78 46 47.90 51 56.90 7 37.10 12 46.20 9.80 dl 1.28 51 42.90 7 51.29 12 32.98 4.12 47 24.48 51 18.99 8° 14.60 12 10.40 3.29 489.92 50 32.23 9 1.50 11 24.69 3.57 acit= + 38.03 dò = 42° 13’ 40".82 ei = 0”.1117 1889 Gennaio 24 — e Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest ZE p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 9h 99m 92587 | 3% 40 105,90 | 52 512 365.36 | 68 2m 28.04 | 45° 4’ 4" 10 29 52.63 39 36.51 52. 10.42 1 53.20 4 .05 80 15.07 39 10.80 52 35.90 1 30.08 8.76 90 39.77 38 43.28 53 8.22 Il 5.70 9.69 Slet52 38 14.99 59 31.60 0 40.02 3.29 81 26.87 37 50.70 53 55.40 O 18.40 9.95 91 58.48 87 16.63 54 29.33 | 5 59 47.15 8.90 99 1.92 369.70 55 36.40 58 43.63 3.66 a—-t= + 55,21 dò = 48° 39’ 31"”.66 6; = 0”.0940 116 F. PORRO 1889 Gennaio 25 — e Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord QOculare Sud Vculare Sud Oculare Nord 3: 29m 15574 | 3° 40m 8553 | 5° 51m 29580 | 6° 2m 998,55 45° d' 61.21 29 46.47 39, 32.47 52 5.99 Se ila) 6 .26 80 5.24 89. 11.75 5a 20823 I 2348 6 .12 30 30.07 98 44 .09 52 54.28 1 7.97 5.81 30 55.18 88 16.18 59 21.62 0 43.01 5 .60 È SA R55 37 55.27 53 42.08 0 24.83 6 .24 n S1 45.66 37 20.50 54 17/28) (5 (590 5330 6 .69 32 49.28 36 13.83 55, 2519 58 49.43 6 .45 ao —-t= + 55.27 dò = 43° 39’ 31.83 e, = 0”.1250 1889 Gennaio 27 — e Aurigae. i Verticale Est Verticale Ovest i _©' IR Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud d 3. 99m 8503 | 3° 400 (0529 | 5h 51m 29.15 | 6° 2 14.60 45° 4' 61.43 29 37.62 99 24.97 51 56.38 1 44.60 6 .95 80 0.29 38.59.84 52 21.98 1 21.83 6 .43 30 24.62 98 31.89 52 49.32 0 57.27 6 .62 80.50.89 SSL, 59 18.16 0 31.94 6.57 Sd 12.12 37 40.54 53 41.83 0 10.10 6 24 81 43.81 37 6.10 54 05170) || 5590 38457 6 .12 82 46.57 85 58.55 55 23.00 58 35.67 710 a—-t= + 65.10 = 43° 39' 31"”.86 e, = 0”.1178 1889 Gennaio 31 — e Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord QOculare ‘Sud Oculare Sud Oculare Nord 3. 28m 54587 | 3h 39m 45510 | 53 51m 5560 | 6. 1m 565.50 45° 4' 2.93 29 25.08 39 01) 51 41.80 1 24.82 9 ‘69 29 42.70 38. 47.68 52 2.00 1 7.20 4 .12 380 7.87 88.20.13 52 30.09 0 41.99 3.79 80. 32.96 87 52.16 52 57.64 0 17.18 s .81 30 51.49 87 31.60 53 18.94 | 5 59 58.77 4.50 81 23.14 86 56.57 53.53.29 59 26.583 4 .52 92 27.47 85 49.40 55 0.30 58 23.61 3:90 a—t=+ 9825 D = 43° 39’ 32".31 LATITUDINE DI TORINO 117 1889 Febbraio 1 — € Auriîgae. Verticale Est Verticale Ovest ©' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 9h 9gm 48570 | 3° 39» 37.96 | 5° 51» 8535 | 62 1 53503 45° 4' 7.50 29. 18.99 389 3.80 51 38.38 le 2317 7.76 29 40.90 98. 37.96 52. 3.63 Ul 0407 7 48 80 5.93 98 10.68 52 831.33 0 36 .52 Til 80 831.63 97. 42.399 52 59.68 0 10.90 (BR55 80 58 .95 37 18.49 53 23.45 5 59 48.62 l 24 sl 24.71 96 44 40 59 56.90 59 17.49 12 © 32 28.18 35 36 .93 55 4.90 58. 13.95 7 .69 ao —-ti= + 9513 dò = 43° 39° 32" 41 e, = 0"'.0804 1889 Febbraio 5 — e Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest TSRM e SPIA p' | Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord gl ogm 28555 | 3h 39m 205.49 | 5° 50m 425.80 | 6R_ 1m 85545 450 d' 7!,69 28 59.63 38. 45 .07 51 18.77 al 4.45 7:64 29 17.83 38.23.72 51 838.83 0 46.10 7 :60 29 42.72 97 56.00 52 6.63 0 20.17 6 :62 80. 7.73 97 28.08 52 35.80 | 5 59 56.18 7.83 80 26.47 97 7.60 52 56.00 59. 37.39 19) 80. 58.57 36. 33.50 53 30.11 BOE S77 7 24 92 1.95 85 26.01 elogi 58 2.30 7 .81 ao — = + 85.08 d = 48° 39’ 32" .66 e, = 0”.1419 1889 Febbraio 6 — € Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest per. p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 93 28m 25513 | 9% 39m 135.19 | 52 50m 415.30 | 68 qm 28505 450 4' 87.52 28 55.19 88 38.49 51 14.95 0 57.99 8.05 29 17.77 98 12.90 51 40.67 0 35.71 8.19 29 41.89 S7 44.67 52 7.00 O 10.91 8.48 90 7.95 87 16.70 52 37.07 5 59 44.92 8.26 80 29.03 36 52.99 58 0.48 59 23.45 8.52 81 0.48 86 19.09 53 34.55 58.52.27 8.60 92 4.38 85 11.21 54 41.08 57 48.78 8.88 a—-t= + 8500 dò = 43° 39' 32.77 Ei == 00-00 F. PORRO 1889 Febbraio 11 — e Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest P Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 9. 28m 2502 | 3° 38m 54533 | 5° 50% 16527 | 60 im 95818 45° 4' 7!.90 28. 33.80 98 18.40 50 53.09 0 38.66 8.52 28. bl .93 97 57.49 bl 12.89 0 20.09 7 .98 29 16.48 87 29.30 51 41.72 | 5 59 54.89 8.55 29. 41 .52 37 1.68 52 8.83 59 30.25 8.26 29 59.67 86 41.87 52 29.08 59 11.22 7.76 80 31.87 36 6.98 59 3.58 58.39.52 7 .69 81. 35.98 94 59.80 54 11.30 57 36.18 7.06 ao—-t= + 55.70 ò = 43° 39’ 32"".93 e, = 0"”.1225 1889 Febbraio 13 — e Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 33 272 55541 | 3° 382 48519 | 53 50m 9580 | 6° 02 56598 45° 4" 7".07 28. 25 44 88 8.69 50 48.90 0 27.09 6 .90 28. 48.20 97 43.50 51 9.58 0 4.30 6 .40 29 12.69 87 15.20 5I 36.90 | 5 59 40.15 7 .02 29. 38.20 96 46.92 52 5.60 59 13.79 6 .69 30 0.17 86 23.81 52 29.10 58 52.09 6 .26 80 31.58 85 49.20 59 2.85 58 21.16 6 .48 sl 34.73 94 41.89 54 10.81 57 17.65 7 43 oe + 55.99 d = 43° 39’ 33".07 = 0".1530 1889 Febbraio 16 — e Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 3° 27 48°05 | 3% 38m 345.27 | 53 49m 55530 | 62° 0m 475.00 45° 4" 5!.55 28. 14.08 97 58.09 50 31.20 0 15.73 5.76 28. 32.68 SIUSI 50 51.80 | 5 59 57.89 5 .50 28. 57.39 37 9.98 51 20.20 59 833.24 5 .86 29, 22.33 96 41.62 b1I 47.77 59 7.18 5.79 29 40.76 96 21.43 52 8.13) 58 49.73 6 .05 30 12.66 95 46.56 52 43.00 58 17.58 6 .10 SALO 94 39.46 59 50.11 57 14.07 5.88 a—t= + 5829 di 43° 39° 8312 e, = 0".0949 LATITUDINE DI TORINO 1889 Febbraio 19 — w? Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest q' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord gh 99m 53592:| 53 33m» 52597 | 75 43m 405,58 | 7° 54m 99834 | 45° 4' 631 23 25.25 33. 16 .40 44 16.37 54 8.09 6 .38 293 44.07 82 55.79 44 37.43 53 49.39 5.04 24 9.13 32 27 .02 45. 6.02 59 24.08 6 .05 24 34.06 S1 59.25 45 34.15 52. 58.55 5 .88 24 59 .18 81 38 .59 45. 54.63 52 40.51 6.19 25 25.70 SL 3.40 46 29.41 52 8.60 5 .88 26 29.67 29 55.57 47 33.19 | 51. 4.29 5 .90 © == dò = 43° 4l1' 15”.89 e, = 0'.0815. 1889 Febbraio 23 — w? Aurigae. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud ph 99m 575.73 | 5° 38m 50591 | 7° 430 45555 | 72 54m 38583 | 45° 4’ 7".64 DO 2704 88. 16.05 44 20.68 54 3.47 7.90 23 50.18 82 50.11 44 46.51 53 45.93 8.21 24 15.07 92 22.95 45 14.16 53 20.93 7.88 24 40.23 81 53.40 45 43.11 52 54.86 8 .88 25° 2.67 S1 29.35 467.04 52 88491 8.19 25 94.73 90 54.99 46. 41.27 52. 1.20 7.62 26 38.96 29 47.06 47. 49.52 50. 57.87 7 .69 | a—-t = + 5543 dò = 43° 41':16".19 e, =' 0".1033 1889 Febbraio 24 — yw? Aurigae. — Verticale Est Verticale Ovest . ©! Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud ' Oculare Nord 5h 99m 56507 | 5° 38m 535.69 | 75 43m 43580 | 7° 54m 495.15. |. 450 4" 8! 45 23. 27.82 83. 17.85 44. 18.78 54 10.88 0.67 23 46.20 92 55.57 44 41.31 53. 52.40 8.95 24 11.17 92° 2789 45. 9.20 53 27.14 8.88 24 36.39 81 59.10 45 37.98 De) i 8.98 24 55 40 81 38.88 45. 58.15 52. 43.19 8.45 25 27 46 DILMESINZAL 46 33.35 52 11.40 8.93 26 31.62 29. 56.15 47 41.87 BI 7.46 8.52 a—t=4+ 5958 d = 43° 4l' 16".26 ee 0510 120 F. PORRO 1889 Marzo 6. — w? Aurigae. Verticale Est Oculare Sud 5° 2g 11.63 29 42.01 24 4.83 24 29.21 24 55.17 25. 17.99 25 49.13 26 52.77 Oculare Nord 5a Q4u 10,30 93 934.28 do 9.21 32 41.24 92 12.46 SI 48.56 SÌ 13.69 30 5.87 Ta 439 56°.53 Ocùlare Nord Verticale Ovest 81.97 DÉ 97.08 o4 25.50 99 v4 40 99 18.20 02 59 .20 92 1.03 ol Oculare Sud 7° 54m 545,28 24 20 1.59 36.63 10.47 48.62 17.02 13.10 p' 450 4' 5" .14 o .88 9.04 .64 .48 .07 .67 .86 ororor o > ; . do t= +. 78.17 di = 48° 41’ 17”.28 e, = 0”.1091 1889 Marzo 6 — pu Ursae Majoris. - DI Verticale Est Verticale Ovest i p' 4 Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 4 8» 29 4531 8% 36 28.63 |11% 55m 37592 | 12% 8» 1647 | 450 4' 5”.81 | A 29. 25.60 96 6..02 56 0.39 2 40.10 5.50 il 29 41.45 95 48.79 56 17.02 2 24.44 5.90 È 29 58.38 95 30.68 56 35.39 2 6.54 5.74 4 80. 16.60 95, 11.59 56 54.49 1 49.01 6 .38 4 80. 31.80 S4 55.95 57 10.02 1 33.41 5 .52 | 30. 53.96 94 33.14 57 32.92 1 11.63 5 .62 81 37.94 93. 48.00 58 17.70 0 27.56 5.21 | e —-t= + 75.57 d = 490/80 2477 e, = 0”.0939 1889 Marzo 12 — 31 Eyncis. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare. Nord 6h 56m 325.69 | 72 Gm 58964 gh 24m 25500 | 9° 34m 51585 | 45° 4' 61.90. SIA 12:50 6 24.47 24 59.01 94 21.58 7.05 57 20.22 600 4767 25 19.22 64 4.29 7 .69 57 44.20 5 38.13 2a ASS 83 39.98 6 .93 581 8.37 5 11.34 26 12,37 83 16.01 7 44 58. 26.20 4 51.90 26 32.10 82 58.60 7 .55 58 56.85 4 18.98 27 4.99 82 27.28 6 .88 59 58.18 9 14.07 28. 9.90 Sì 26.17 6.57 a—-t = + 8527 dò = 43° 32’ 39"”.57 e, = 0".1303 G LATITUDINE DI TORINO 1889 Marzo 12 — 58 Ursae Majoris. 121 | | | II: Serie Il. Tom. XLIV. Verticale Est Verticale Ovest NE: p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 10 jim 20°.04 | 10% 220 48°03 |12h 27m 15594 |12% 38m 39,30.| 45° 4! 7/12 11 52.39 2 IM5R27 27 53.83 88 6.93 717 12 11.49 21 42.88 28 15.80 87 47.91 7 40 12 37.29 po Vai Say, 28 45.20 97 22.01 Il 103) 13 3.94 20 44.20 29 14.67 96 56.06 0.57 13 22.67 20 22.90 29 36.21 96 36.97 7.69 13 55.78 19 46.49 80. 12.37 956 3.70 7.60 15. 2.20 18.36.08 SÌ 22.88 94 57.60 V14 a--t= + 8507 ò =: 43° 46’ 53/29 er = 0”.0794 1889 Marzo 13 — 31 Lyneis. Verticale Est Verticale Ovest | : p'. Oculare Sud Oculare Nord . Oculare Nord Oculare Sud GR 562 34568 | 7° 6n 5958 | 9° 24m 28579 | 9 34m 52549| 45° 4’ 8! 17 57 3.65 626.52 2968 94 23.88 8.07 Dial 25.28 6 2.60 25, 25:98 94 È.89 7.93 57 48.86 5 35.72 25° 5229 99 38.29 8.29 58 13.70 58.75 26 19.76 93 13.44 8.17 58 34.69 4 45.79 26 42.33 92 52.54 8.12 59 4.70 413.20 27 15.06 32 22.10 8.26 Mor (6.27 OI 82 28 19.51 SL 2t.22 8.07 + LESIOIESE, — 43° 32’ 3981 e = 0/.0416 1889 Marzo 14 — 10 Ursae Majoris. Verticale Est Verticale OSoSi - p' Oculare Nord Oculare Sud. Oculare Sud Oeulare Nord | | 7 Qu 39.31 | 7° 172 16534 [10% 30 375.80 |10° 382 1609 | 45° 4! 7".93 | (I 10 2.19 16 52.08 SÌ 2.05 97 54.02 Ses 10 15.07 16 38.12 SL 16.61 ST 39.78 8.00 | 10 33.19 16 19.17 SIN 9% 21.79 (43 | 10 51.66 16 ®.30 SL 53.99 S7 4.00 TAC 200 lt 5.09 15 46.50 92 8.28 96 50.70 7.12 1t 27.70 15 22.49 92 931.62 36 27.81 7.10 12 13.20 14 35.45 SRISA78) 95 42.20 7.88 a—-t= + 7596 è = 48° 13’ 19.88 e, = 0/.1709. E) 122 F. PORRO 1889 Marzo 16 — 10 Ursae Majoris. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 72 gm 445,87 | 7° 172 205.27 | 10° 30m 45520 |102 38 195.48 45° 4' 9".26 10 6.67 16 56.67 81 8.39 S7 57.67 9.40 10 2271 16 39.68 Sil Door 97 41.80 9.79 10 40.45 16 20.87 91 44.57 37 24.08 9.88 10 58.90 16 1.80 92 3.89 97 5.92 9.70 11 14.94 15 45.04 32 20.29 86 49.77 9.40 11 37.87 5 21882 82 43.70 96 27.92 9.81 12. 22.17 14 34.95 89 30.20 85 41.20 9.90 a —-t= + 9501 ON 300126 e, = 0”.0886 1889 Marzo 17 — 31 Lyncis. Verticale Est Verticale Ovest PERA i p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 6. 56 435,12 | 728 7m 8589.| 9 24m 37520 | 9° 352 85.87 45° 4° 10".14 57 12.84 6 34.32 25 1128 84 33.93 10 .55 57 30.86 6 14.32 25 81.29 94 16.22 10 .43 57 54.56 5 47.67 25 57.65 89 52.96 10 .45 58.18.80 5 21.08 26 24.15 38 28 .08 10 .19 58 36 .69 5 1.50 26 43.60 83 10.34 10 .29 59 7.29 4 28.43 27 17.10 82 39.63 10 .50 TO. 89453 9 23.81 28 22.10 81 38.30 10 .50 ao—-t= + 85.93 O => CSO 2 COS e, = 0"”.0546 1889 Marzo 17 — 58 Ursae Majoris. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 10% 11° 32531 | 10° 22% 505.54 | 12h 27% 315.08 |12° 38° 48544 45° 4' 10”.29 12 8.50 22 14.33 28 7.45 88 17.97 |. 10.94 12 26.47 21 47.30 28 33.95 97 54.19 10 .55 12 52.30 21 13.43 292.80 87 28.39 10.07 13 19.22 20 48.65 29 33.00 Oi IL 9.91 13 41.82 20. 23.20 29 57.83 86 39.98 10 .36 14 14.29 19 47.52 80 33.86 96 6.49 10.55 15 20.68 18 37.12 Sl. 44.32 95 0.29 10.96 o—-t=+ 9534 dò = 43° 46' 57" .42 e, = 0".0776 LATITUDINE DI TORINO 123 1889 Marzo 25 — 31 Lyncis. Verticale Est Verticale Ovest e ne a '_ _ ___ i p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 6h 572 9530 | 72 7° 35500 | 9° 25" 1546 | 98 35° 26521 450 4' 7.29 57 38.35 ZELO 25. 34.36 84 56.79 6 .83 58 0.29 6 37.30 25 58.99 94 35.55 6.98 58 48.44 6 43.55 26 52.70 88 46.79 7 .48 59 9.49 521.03 27 15.61 39 25.92 7 .86 59 39.87 4 48.50 27 47.80 92. 55.49 6.90 Meo 41.23 Ss 43.90 28. 52.46 81 54.50 7 .05 a—-t=+ 7571 © 60 SUA e, = 0”.0942 1889 Marzo 25 — 58 Ursae Majoris. Verticale Est Verticale Ovest —_——_—m—mm——km 00 40 FOR ER E GI A p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 10. 11° 58566 |10° 23% 18553 |12% 272 52576 |12° 39° 125.52 | 45° 4' 7/12 12 30.06 22 42.11 28 29.20 98. 41.13 6 .90 12. 58.39 22 15.20 28. 55.95 Do I OT 7.05 13 18.61 21 46.26 29 24.90 7 52.47 AT 13 45.97 21. 16.01 29 55.56 97 25.14 6.98 14 8.20 20.50.99 80 19.83 SU BIT 6.93 14 40.80 20 15.23 80 56.29 86 30.13 7 .48 15 47.70 19 4.98 82 5.90 85 23.85 6 .38 ao—-t= — 78.89 dò = 48° 46’ 58”.95 e, = 0! .1099 1889 Marzo 27 — u Ursae Majoris. | | Verticale Est Verticale Ovest l'ISEE RE I n I I i ai (o) Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord gh 29% 54520 | 8h 372 19529 |11° 56% 25521 | 12° 3" 505.50 45° 4' 5" 64 80. 15.91 86 55.99 56 48.70 3 28.48 6 .S1 80 28.98 96 42.04 57 2.49 © 9 al 6 .19 90 46.54 96 23 .05 57 21.03 2 58.16 6 .48 81. 4.05 986 5.19 57 39.50 2 40.55 6 .07 81 17.32 95 51.39 57 52.98 2270) 6 .17 81 39.18 95 28.04 58 16.08 2530 6.52 a—f=+ 950 d = 42° 3/ 28”.33 e= 01117 F. PORRO 1889 Marzo 28 — u Ursae Majoris. Verticale Est Verticale Ovest RSI ero. p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud gh 99m 55540 | 8% s7® 20506 [11° 56% 28°14 | 122 3% 51530 | 45° 4" 7”.45 80 16.95 96 57.30 56 50.20 8 30.49 7 d4 S0MIS2833 86 40.17 Sr 7a 3 14.30 7 .69 80. 49.90 96 22.48 57 25.46 2 57.13 7.19 81 8.07 36 2.40 57 44.18 2 38.76 7 .62 1 M23418 85 47.86 Sa 0.27 223.74 7 .86 S1 44.90 95 24.23 58 23.20 2055 7.81 32 29.10 94 38.90 59 8.01 1 17.60 7 48 a —-t= + 95.68 © = 029 9 29% 61 e, = 0".0831 1889 Maggio 31 — 33 Bootis. Verticale Est Verticale Ovest q' Oculare Nord 14° 2% 12°.40 Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 14° 942 18497 14° 42% 39°.74 15° 14 53449 OMAR 0) 29 33.70 47 30.79 13 59.58 5 .81 3 58.26 26 34.20 50 29.70 lo, 16 5.62 4 39.29 24 45.02 52 1727 12 25.40 5 .81 5 50.10 228.20 54 55.65 11 14.42 5.71 8 19.80 17 55.07 59 9.93 8 45.70 5.90 a— ti= — 4525 ò = 44° 53' 7".63 eg = 0".1074 1889 Giugno 1 — 33 Bootis. Verticale Est Verticale Ovest q' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud I 14P 2% 21520 [14° 33% 105.49 | 14% 43% 56563 |15} 14% 485.05 45° 4' 6".95 3 13.10 29 5.08 48. 4.30 13 56.12 6.67 4. 8.58 26 6.19 5I 1.80 12 59.62 6 .83 457.05 24.07 53 2.66 12 12.38 6 .93 6 8.583 21 37.46 55 831.66 11 0.38 6 .45 8 38.01 17 32.34 59 38.59 8 30.70 6.71 9 27.81 16 25.38 |15 0 45.07 7 41.04 6 .31 9 50.44 15 54.76 1 15.18 7 17.29 6 .45 10 0.20 15 42.06 1 28.25 pa 70) 6 .76 dò — 44° 53' 7.83 e, = 0".0752 LATITUDÌNE DI TORINO 125 1889 Giugno 4 — & Herculis. Verticale Est Verticale Ovest PABLO are dira o (rt Lote p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 14È 573 54518 | 15° 6% 125.04 | 18° 9 55559 |18% 11% 135.78 | 450 4’ 8".95 58 18.58 5 45.10 6). ELSE 10 49.39 9 .60 58 33.07 5 29.79 3 37.87 10 35.10 9.47 58 52.50 5 8.82 3 58.20 10 15.56 9 .16 59 12.01 4d 47.62 4 19.00 9 55.73 9.30 59 26.46 4 32.37 4 33.92 9 41.14 8.76 59 50.68 47.20 5 0.41 9 16.47 9 .16 15 0 40.30 9 15.89 5 51.73 GRIOTO8 9.40 aci = — 4544 ò = 492° 40" 0".93 E = (0IRUOIdI 1889 Giugno 6 — 33 Bootis. Verticale Est Verticale Ovest e _______ Da p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord J4h gm 98590 |14° 34 20°,91 [14% 43% 11°91 |15% 15% 9540 | 450 4' 77.62 3 20.81 29 43.98 47 52.20 14 15.87 7 8 4 15.20 26 46.20 50 51.00 13 21.68 742 4 56.50 24. 58.87 52 39.50 12 41.99 Ti 6 7.30 29 21.39 55 14.73 11 30.95 7.62 8 36.29 18 7.70 59 29.43 9 0.93 8 .05 9 16.83 17 12.01 |15 0 24.78 8 20.90 7.60 9 26.30 16 59.50 0 37.19 8 11.50 Viet) 9 49.06 16 28.72 39107; 1 47.48 745 Ut = — 4503 dè = 440 53' 8.91 nl 1889 Giugno 6 — Gr. 2533. Verticale Est Verticale Ovest E A SITANARRT EI SESTA NRE I (rl fe VECI SIGRRCI RI SP p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord MGRSO n d9tS7 (16° 978 495.70 (19° 54° 475.05 |205 29 16.57 | 450 4° 107.98 80 42.01 387 25.90 sò 10.48 1 54.73 11 .24 30 55 40 37 12.20 sì 24.49 81 12.88 36 53.28 95 43.98 23 .66 li .29 s1 30.87 36 34.63 56 1.60 5.80 10.55 1 45.33 10 .67 o; 31 43.68 36 21.24 56 15.94 0 52.67 10 .55 0 9 82 6.40 35 57.80 56 38.78 30 .40 10 .29 82 50.90 35 11.97 DAR i2330 MMS SRZASI95 10 .55 _——_————————É€€ÉÉ dl — —— 85,99 ò = 490 7’ 16”.05 “e = 0".1270 126 F. PORRO 1889 Giugno 6 — a Cygni. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 203 53 7509 (20. 35° 34.60 |20 47% 495.44 |21} 182 225.88 45° 4' 10".48 5 59.26 S1 44.70 51 46.60 17 30.90 10 .57 6 51.92 28. 56.70 43351 16 37.80 11 .88 7 32.88 27 15.00 56 15.07 9 97 402 11 .07 8 42.37 24 43 .87 58 45.18 14 46.25 11 .45 11 10.60 20) 839627 (21 252.30. 12 18.65 11 .31 11 52.10 19 44.47 24.60 11 55.60 10 .62 12 1.20 19 31.58 Ss 36.47 11 46.01 10 .48 12) 24.21 19 0.70 4 8.00 11 23.28 10 .79 a—-t= — 3506 ose /V0 5° DIS € = 0"”.1309 1889 Giugno 8 — Gr. 2533. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 16° 302 25532 |16° 372 5360 |19° 54% 52520 |20° 2% 205.19 45° 4” 11”.02 90 46.77 37 30.38 55 15.07 1 58.48 11 .02 S1 2.79 97 13.73 55 31.99 1 42.80 11 .24 S1 19.88 86 55.26 55 50.41 ll. 25.35 11 .88 Sil 339 36 36.10 56 9.85 1 6.78 11 .00 81 54.07 36 20.00 56 25.72 0 51.50 10 .81 32 16.05 85 56.39 56 49.12 0 29,39 11 .95 389 0.40 5 10825 57 34.30 |19 59 44.80 11 .02 at-t= — 8598 d = 42° 7’ 16".67 ei = 0”.1258 1889 Giugno 15 — 0 Herculis. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 14° 58% 87.70 | 15° 6% 54543 | 18° 3° 37560 |18° 11° 53°.90 45° 4’ 8! .95 59 1.79 6 29.02 4 8.98 2 981! 8.12 59 19.07 6 10.24 4 22.10 11 12.48 8.40 59 38.05 5 49.14 4 42.50 10 53.33 8.98 59 58.17 5 28.20 5 4.09 10 32.68 8.40 15 0 14.99 5 10.18 5 21.76 10 16.20 8.86 NEON E66 4 44.77 5 47.96 9 51.48 8.29 1 28.80 3. 09-70 6 38.46 9 2.96 8.76 ———__—— ——————————— —————_tetttt_ {i eeeE_—+»>Y>-#+#+-=;5F-e——— e ai — fil 25.66 d = 42° 40’ 3.38 e, = 0".1170 LATITUDINE DI TORINO 1889 Giugno 15 — è Cygni. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud j19® 7 58532 |19° 372 38°.69 |19% 54" 45576 |20% 24% 325.51 45° 4' 8".36 8. 43.45 84 50.50 57 39.62 23 46.64 8.17 9 32.80 32 22.80 |20 0 7.51 22. 57.81 9 .05 10 27.44 30. 13.99 2 16.48 22 9.92 8.81 11 13.60 28 38.25 8. 52.81 21. 18.08 8.26 12 21.40 26 32.98 5 58.08 20 9.40 8.24 14 44.88 22 55.01 9 34.69 17 46.48 8.24 15. 830.98 21 54.42 10. 36.42 16 59.18 8.83 15 53.60 21 26.60 11 9.59 16 37.17 8.26 16 2.50 21 15.02 11 13.90 16 28.30 8.81 o— & = — 25.57 ò = 44° 51’ 31".78 = 0’.0842 1889 Giugno 17 — o Herculis. ‘ Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 142 58% 51576 | 15° 7° 105.60 | 18° 3% 515.44 |18° 12" 10°.48 45° 4! 9".72 59 16.55 6 43.89 4 17.65 11 45.84 9.23 59 30.80 6 28.37 4, 33 .20 11 31.46 9.42 59 50.32 6 7.49 4 53.97 11 11.96 9.33 ISSCO) 9.96 5 46.50 5 14.84 10 52.40 9.49 O 24.17 5 SL 530.00 10 837.88 9.33 0 48.93 5 5.88 555.83 TON 9.58 1 38.30 4. 14.32 6 47.13 9 24.30 9.84 di ==) ò = 42° 40' 3".84 € = 0”.0824 1889 Giugno 17 — a Cygni. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 208 6% 15°.47 |20. 35m 45.98 (20% 49% 265,33 |21. 19% 2°.84 450 4' 9.91 7: 6.51 32 14.28 58 0.75 13 11.14 9.84 8 9.40 29 27.78 A DZATINZ 17. 15.65 9.77 850.48 27 35.99 57 42.02 16 28.46 9.67 10 2.18 25 10.59 (21 0 7.10 15 18.06 9.72 12 29.65 21 11.05 4 5.39 12 47.98 9.58 13 18.18 20 6.10 5 11.55 12 0.33 9.74 13 42.97 19 35.92 5 41.47 11 37.50 9.72 13 52 .58 19 23.60 5 54.26 11 27.66 0) ST a— t= — 1881 dò — 440:52/ 55.94 e, = 0!.0354 128 F. FORRO 1889 Giugno 19 — @ Herculis. Verticale Est Verticale Ovest PR RA A RITI RE MARE e E e IA O p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud J4h 592 65.06 | 15° 72 295,35 | 18% 4® 5549 (18% 12% 21539 459 4" 9"".09 59 29.93 6 56.70 4 31.19 11 58.11 9.383 59 47.51 6 38.18 4 49.69 11 40.45 8.64 TORO NIN 659, 6 17.42 5 10.10 11 21.84 8.98 0 26.78 5 56.12 5 81.84 11 0.49 8.45 0 43.74 5 38.02 5 49.68 10 48.72 8.81 1 8.07 5 12.15 6 15.70 10 19.55 9.70 1 57.15 AQ? 7 6.06 9 30.50 9.19 aci 1530 d = 42° 40" 4".31 e, = 0”.1410 1889 Giugno 19 — d Cygni. Verticale Est Verticale Ovest, e OO p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 19° 9° 0549 Do 353 54578 [19° 577 285.70 (20% 24° 26°.40 | 45° 4' 9".42 9 51.78 83 21.87 (20 0 4.78 28 35.33 8.83 10 43.64 SÌ 10.70 2 15.45 22 43.21 8.88 11 23.57 29. 45.99 3 42.43 DANARO 8.79 12 81.68 || 27 34.58 5 52.81 20 56.60 8.98 14 54.53 28 51.26 9 37.32 18 33.89 8.95 15 81.98 23 1.43 10 29.77 17 56.18 8.74 15 41.05 22 48.90 10 40.29 17 46.97 8.95 16 3.41 29 20.58 11 6.67 17 25.30 8.67 Q—aof= — 28989 dò = 44° 51' 32”.88 e, = 0".0623 1889 Luglio 28 — d Cygni. Verticale Est | Verticale Ovest Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 19% 11° 38°.69 |19% 412 363.47 | 19% 572 42*19 |20% 27% 46*01 | 45° 4’ 10'.90 12 20.33 38 39.14 |20 0 41.20 AU L390O 10 .86 13 10.67 36 7.61 SS 26 10.89 10 .21 4 4.20 dd 54.83 5 25.54 25 18.01 11 81 14 50.56 382 18.17 6 59.64 24 29.79 9.93 15 59.88 390 10.67 9 7.9 23 21.79 10. .17 18 22.28 26 32.86 12 51.04 20 56.39 1 .74 a —-t= — 05.62 dè = Ad 51' 45”.43 e, = 0"”.2443 LATITUDINE DI TORINO 1889 Luglio 29 — Gr. 2533. 129 Oculare Nord 16° 84° 275.89 Verticale Est Verticale Ovest Oculare Sud 16% 41° 585.36 Oculare Sud 19% 58% 44571 Oculare Nord 20% 6° 16°.81 45° 4' 9" 49 Serie Il. Tom. XLIV. Q S4 50.34 41 34.39 59 8.55 5 54.49 9 5I 85 3.88 41 20.83 59 22.51 b. 41.45 9350 95. 20.92 4i1 2.04 59 41.08 5 23.99 9.67 | | 85 38.78 40 43.17 59 59.72 5 6.17 9.49 | 95 52/02 | 40 29.99 (20 0 13.389 4 52.96. 9:00 36 14 52 40 6.47, 0 36.86 4 30.54 | 0 26 86 59.07 99 20.28 22876 8 45.79 9 44 __mm0——@11_—@——1@21212#2124zy@z3t65É@————@_@t—_t1__z@m (ci a—-t= — 1551 O = 2 7 SUGO ei = 0”.0707 1889 Luglio 31 — R Lyrae. Verticale Est Verticale Ovest Il — p' | Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 17 4° 9545 (IL72 582 29528 | 20° 1” 48583 |20% 18" 13531 45° 4' 47.95 47 35.10 57 52.20 2 20.07 12 41.48 4 .98 47 58.47 57 24.67 253.03 12. 18.39 5:48 48 24.18 56 55.26 3° 22.20 ll 52.86 5 62 48 51.06 56 25.22 5. 52.40 11 25.86 5 :48 49 13.60 55 59.58 4A 17.99 11 2.69 5.79 49 47.20 55 23.59 4 54.10 10 29.80 5.50 50 ‘53.40 54 12 :90 6 594 9 23283: 5 167 ao—-t= — 05.61 © = dp d7° 7OV 7 e = 0”.1091 -1889 Settembre 14 — ® Cygni. Verticale Est Verticale Ovest | Oculare Nord Oculare Sud Oculare .Sud Oculare Nord | 19% 152 195550 |19h 48% 17572 |20% .2® 215.63 (20° 30° 12%.97 45° 4’ 8.74 16 16.24 40 24.52 5 11.80 29 20 .88 8.55 17 8.97 88 5.49 N 82.11 28 28.98 8.67 17 48.19 36 36.37 19} (41.78 27 49.58 8.71 18. 57.19 94 19..35 dl 17.52 26 40..40 8.60 :120 9.90 32 16.48 13 20.80 265 28..80 8.71 20 17.60 32 2.59 18 88 .89 25 19.82 9.09 20 39.85 81 30.74 14 1.29 24 58..70 8.76 21 22.22 80 29 48 15 7.90 24 16.04 8.26 Ot = — 25.66 di 44° 51' 56.60 e, = 0/.0726 130 Verticale Est Verticale Ovest Set O p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 19° 53% 37511 [20° 0% 35598 |22% 24% 175,88 |22% 31° 175.30 45° 4' 12.10 59 54.44 0 17.49 24 36.80 80 59.40 10 .76 54 24.83 |19 59 44.82 25 9.22 30. 29.19 11 .38 55 24.87 58 40.85 26 12.48 29 29.38 11 .76 aT—-t= — 4.11 dò = 43° 29' 26".48 € = 0'.2473 1889 Settembre 18 — & Cygni. Verticale Est Verticale Ovest Leda ipa ian È p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 19° 52% 13508 |203 2% 22550 |22% 29% 435.36 |22% 32% 53516 45° 4" 12”.17 52 41.46 1 50.30 23 16.22 32 24 .62 12 .55 59 3.01 dI 26.27 23 40.20 32 8 .02 12 .96 DOMIZZI 1 0.50 24 5.50 31 39.73 12 .43 59 50.46 0 33.43 24 32.67 S1 15.80 12 .69 54 10.90 O 11.38 24 54.70 30 54.10 12 .02 54 41.00 | 19 59 39.28 25 26.99 90. 24.66 12 .88 55 41.18 58 36.32 26 29.87 29 24.80 12 .07 ope el ò = 43° 29’ 26".69 e = 0".0822 1889 Settembre 22 — & Cygni. Verticale Est Verticale Ovest È q! Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 19% 58” 38803 |20% 1" 145.37 |22% 24% 6585 |22% 31" 48.77 45° 4" 6".69 59. 5.22 0 43.47 24 32.69 81 24.80 6 .45 54 14.86 0 29.50 24 52.00 81 7.27 6 .05 54 44.84 |19 59 57.11 25. 24.80 80 37.53 6 .60 BE EI5N62 59 23.87 STI 30 7.07 6 .98 55 19.36 59 20.59 26 1.25 90 3.00 6 .43 55 27.99 59 11.15 26 10.05 29 54.38 6 .50 55 45 44 58.53.12 26 28.90 29 37.20 6 .95 alt= 211804 dò = 43° 29’ 27".37 «eg = 0”.1090 F. PORRO 1889 Settembre 17 — & Cygni. LATITUDINE DI TORINO 1889 Settembre 25 — & Cygni. 131 Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord | Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord J9 522 32500 |20% 2% 40521 |222 29" 565.95 [22% 33" 65.67 45° 4" 7.21 59 1.76 2 6.07 23 30.49 920 960878 7.88 59 19.60 1 46.66 23 50.59 92. 19.42 7.988 59 42.75 1 20.46 24 17.09 s1 55.95 8.00 54 6.43 0 54.80 24 43.01 s1 32.59 7 .98 54 24.12 0 36.04 25 2.92 OOO 7 .86 54 54.57 0 3.00 25 34.85 80 44.27 7.69 55 54.70 |19 58. 59.52 26 38.22 29 44.10 TI TAL ol di — 155.18 d = 48° 29’ 27.84 e, = 0”.1077 1889 Settembre 26 — Cygni. Verticale Est Verticale Ovest Den Rari p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 19% 52% 30579 | 20. 2% 505.10 [22% 29% 575.00 |22% 33® 145.82 45° 4' 7"'.88 52 59.57 2 17.46 23 29.14 32 46.30 7.76 59 19.98 1 53.85 Pa 29) 32 24.96 8.05 59 43.58 1 27.80 24 18.50 32 1.59 7 .81 54. 8.29 1 1.03 24° 45.66 S1 36.80 7 .55 54 28.64 0 38.22 25 8.17 81 16 .62 8.33 54 58.58 (0) 5.98 25 40.02 80 46.37 8.00 a—-t = — 15588 = 43° 29" 28".03 e = 0”.0935 1889 Settembre 27 — E Cygni. Verticale Est Verticale Ovest Mr i p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 19% 52% 375.41 [20° 2” 465,23 [29h 29 45.44 |22% 38% 145.38 45° 4' 10'.02 59 TSI 213.10 23 37.60 92 45.20 9.63 59 24.41 1 53.61 23. 57.30 32. 27.30 9.67 53 48.13 1 27.06 24 23.41 982 3.75 9.81 54 11.95 1 1.25 24 49.70 Sl. 40.36 10 .00 54 29.49 O 41.86 25 8.81 S1 22.60 10 .07 54 59.87 0 9.57 25 41.10 30. 52.52 9.81 56 0.05 |19 59 6.12 26 44.89 29 51.88 9.70 a —-t= — 16546 dò = 43° 29’ 28”.23 ei = 0”.0670 132 F. PORRO 1889 Ottobre 3 — & Cygmi. Verticale Est Verticale Ovest SUA SE REA ZA p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud CECA ge N03 DIE SET 028 e N eee 45° 4' 9".72 42 6.63 51 24.15 12 36.60 21 53.10 9.85 LCATART(O) 50 59.79 e 0113 21 831.62 9.47 42. 51.00 50. 34.20 131 2581 21 8.64 9,40 43. 15.27 50 7.20 13. 52.67 20. 43.93 9.44 43 36.26 49. 44.73 14 15.45 20 23.44 0) 459) 44 6.10 49 12.93 14 47.58 19 54.07 9.74 45. 5.74 48 9.57 15 50.60 18. 53,70 9.70 a —t =— 185,94 ò = 43° 29' 29".32 e, == 0".0549 1889 Ottobre 14 — £ Cygni. Verticale Est Verticale Ovest SOT A I ANEV p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 19° 49% 95.68 [19° 52 25.37 |22% 12" 335.50 |222 22" 49.63 45° 4" 8" 45 ADS SII 51 53.06 13 1.19 22 20.98 9 .19 42. 59.80 5I 29.19 13 30.60 21 59.51 8.60 43 23.19 51 3.43 SA 21. 36.29 8.88 43 47.35 50 36.37 14 23.15 21 14189 8.86 44 7.95 50 13.90 14 45.58 20. 51.42 9 .00 44 87.64 49 41.60 15 17.66 2 ONDA 9.40 45 38.00 48.38.80 16 20.43 19 21.83 8.40 ug = = Sp dò — 483° 29’ 30"”.64 Gi = 04171 1889 Ottobre 15 — E Cygni. Verticale Est Verticale Ovest MNT, p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Qculare Sud j 19% 42% 125.53 |193 59m 29520 |22% 19" 38580 922% 29m 54.26) 45° 4' 10”.62. - 49, 41.12 51 56.68 15 11.40 22° 26.31 11.26 | 43 2.70 5. 32.77 130° 85412 22 4.52 10.67. 43 25.893 51 6.70 14 1.07 \ 21 40.94 11 .12 43 50.20 50 40.00 14 27.80 21 16.80 10.90 44. 10.85 50 17.49 14 50.40 20. 56.25 14.12 44 41.01 49 45.65 15 22.40 20 25.94 10.43 45 40.68 48 42.07 16 25.48 19 26.50 11 .19 eee _1 —————T__ _ _ÉÌL-b-ìl a — &i.= — 95.33 -‘d == 48° 29' 30”.74 Bier = OELOSg LATITUDINE DI TORINO 1889 Ottobre 16 — € Cygni. Werticale Est Oculare Nord Oculare Sud 19% 4292 20°.45 |19° 522 30°.58 42 50.04 51 57.14 43.59 51 37.69 43 31.04 5I 11.58 43 54.79 50 45.05 44 12.29 50. 26.18 44 42.81 49 53.77 45 42.60 48. 50.03 Gel = —, 98.49 WETLCGIO Est 1889 Verticale Ovest Oculare Sud 22% 12% 47.15 13. 20.68 13. 39.63 14 6.09 14 32.35 14 52.01 15 24.06 16 27.70 Oculare Nord 22% 229% 587.02 45° 4' 12".05 d = 48° 29 307.83; Ottobre 23 — è Cygni. Verticale Ovest Oculare Sud l19% 5r 3980 } Tesi Est Oculare Nord 19% 37% 38.84 34 2 15.18 53.00 oi (8, 57.77 45 12 12.38 19 .56 dl 9; Oculare Nord 19% 49% 487.58 21. 96 8. 30. 15. 2 27. 4 38. 5 11. 5) 6 200 24. 14. " d = 44° 5i' 59".08 22 28.392 11 .95 22, 11.02 11 .60 21 47.18 11 .69 21. 23.60 12 .19 246.22 12.57 20 35.90 11 .95 19. 85.50 12 .81 Ge VII - p' Oculare Sud 208 217 44°.70 | 450 4' 8.26 20. 59.48 8.43 20 8.70 8.10 19. 13.91 7.67 18. 28.80 8.88 17. 19.16 7.86 15. 5923 7 .62 15 37.70 7.98 15 29.28 7 .95 14 54.67 8.26 e, = 0"”.0886 1889 Ottobre 23 — 1. Andromedae. \eicale Ovest Oculare Sud Oculare Nord Oculare Sud . Oculare Nord 21° 582 31°.70 99% 6 28.19 58 49.27 | 5 43.23 59 8.97 DI 224 59 28.55 5 1.00 59 45.49 4 43.59 22 0 9.60 4 17.55 0 58.60 DZ INZ Ri MOS6I le 38 50450 9.57 30.40 51.383 9.20 34 .80 25 .65 DUO dd DÈ 1iP 205.77 2.80 43 .92 23 .69 6.93 9 42.46 8° 54.89 d = 42° 39' 84.78 (o cl O OI 090 _ D e, = 0".2646 | 4504 776 | 134 F. PORRO 1889 Novembre 7 — 1 Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest pier cl e ii e tt il RL p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 21° 58 265,77 | 22° 62 415.02 | 1. 3% 425.43 e de Sea 45° 4' 8.50 58 51.94 6 14.70 4 8.71 11. 3297 7.88 59 5.67 Is} DI 4 24.48 11 17.96 8.24 59 25.20 5 38.39 4 45.19 10. 58.80 8.29 59 44.69 5 17.38 5 5.78 10 38.19 7 45 59 59.27 5 2.98 5 21.03 10 24.58 7 .88 220 23.98 4 36.58 5 47.16 10 0.05 8.10 1 13.12 3 45.64 6 38.00 9 10.99 8:24 a —t = — 105.02 dò = 42° 39’ 37".17 e, = 0”.1164 1889 Novembre 8 — a Cygni. Verticale Est Verticale Ovest io he i ii tte a p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord 208 4% 15.63 |20° 36" 465.39 |20® 43% 145.86 |21® 16% 958.47 45° 4' 10”.83 4 54.70 S1 30.20 48. 35.67 I I7015 10 .93 5 49.04 28. 24.91 51 41.80 14 22.37 10 .69 6 29.83 26 33.98 53. 835.00 13 41.27 11 .10 7 42.20 23 55.70 56 15.04 12 28.74 10 .71 8 57.46 21 37.49 58 32.40 11 13.59 10 .74 9 6.67 QI 21051 58 48.71 11 4.75 11 .10 9 28.68 20 46 .58 59 24.71 10 42.82 11.07 10 12.60 19 39.07 (21 0 831.49 9 58.19 11 .02 a—-t= — 9517 = 44° 59! 26".52 e, = 0”.0570 1889 Novembre 8 — x Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest eli RO Maia Eee E p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord Co RR area) (ER een eng | e Neal] 0 Eee 45° 4' 10”.12 22592 9211598112 41 55.49 51 50.24 9.81 296, 92 142 42 16.00 51 831.81 9 .63 23 43.40 32 2.91 42 45.90 51 6.26 10 .07 24 8.87 81 34.57 43 14.41 50 40.95 10 .14 24 27.00 S1 13.56 43.35.57 90 21.97 10 .31 25 0.10 30 38.28 44 11.04 49 49.59 10 .45 26 5.73 29 29.01 45 20.03 48 44.19 9.72 ùo—-t= — 95,66 — d = 48° 48' 84" 48 Gre OM LATITUDINE DI TORINU 195 1889 Novembre 9 — a Oygni. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 1208 4 15.02 [20% 38" 05.06 |20° 41% 565.36 |21° 16% 5577 45° 4’ 6".69 4 52.04 S1 58.81 48 6.87 ORSRAT7 6 .52 49 .30 28 49.08 51. 27.15 14. 17.40 6 .43 6 37.09 26 29.90 539 36.85 13 28.44 6.21 7 48.70 23 51.03 56 14.59 IR Eie21 6 .55 9 11.69 21 20.85 58 45.13 10 54.13 6.79 9 33.89 20 46.39 59 19.30 TONNZIRS: 6 .05 9 43.51 20 31.90 59 35.12 10 22.67 6.36 10 19.90 19 37.28 {21 0 28.64 94008 6 .14 OE N N9554 ò = 44° 53’ 26.53 e, = 0”.0833 1889 Novembre 9 — x Andromedae. Verticale Est Verticale Ovest — l'i EL n E ci E p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 99h 99m 23150 |222 33% 34546 | 0% 41% 11542 | 0° 52® 215.87 450 4’ 5! .98 POSA NSA 32 58 45 41 46.70 51 50.60 5.57 23 17.27 32 32.98 42 13.82 BI 28.29 6.02 23 42.99 32 4.25 42 41.13 51 9.12 5 .55 24 8.87 S1 34.70 43 10.51 50 36.50 5.93 24 30.90 S1 10.50 43 35 .94 50 14.40 DIS 25 2.89 80 35 .43 44 10.20 49 41.84 5 .81 26 7.69 29 26.18 45 19.07 48 37.02 5 .48 olts= — 10535 db = 43° 43" 34! .65 e 0'.0947 1889 Novembre 15 — k Andromedae. si Verticale Est Verticale Ovest Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud POR 22m 17160 |22% 392 165.15 | 02 40% 55710 | 08 522 3524 | 450 4 6507 22 38.37 32 40.48 41 30.91 ol 32.93 È 6.45 23 1.17 32 14.53 41 56.65 Ol 9 LO 9.76 23 26.21 31 45.97 42 20.96 50 44.53 6 .19 23 52.71 31 16.70 42 54.60 50 18.30 6 .00 24 14.33 30. 52.52 43 18.83 49 56.11 6.05 24 46.87 30 17.06 43 54.32 49 23.77 6.24 25 51.20 29 8.14 45 3.00 48 18.14 9.93 i MIEzy TE EVS 136 Verticale Est F. PORRO 1889 Novembre 17 — y? Aurigae. Ocularè Sud Oculare Nord Oculare Sud 5h 24% 595,83 | 5° s5m 495,57 25 23.90 95 13.26 25 42.02 34 52.26 26! 7.57 34 23.80 26 32.51 38 55.90 26 50.87 38 35.18 pr 3837 38 ‘0.28 28.27.39 91° 52.54 o=4= = 7519 Oculare Sud 5h 24m 415,68 25 11.75 25 833.97 25 59.00 26 25.18 26 46.76 27 18.49 28 22.51 Verticale Est 7° 45° 48°.32 Verticale Ovest Oculare Nord 7° 56m 465.09 Aso wu 60.570) Oculare Nord 5° 35 405.01 35 5.08 34 89.48 34 11.36 38 42.50 38 18.29 32 48.99 31 85.91 46 24.76 56 14.72 6 .64 46 45.50 55 56.92 6 .69 | 47 13.84 bi 30.92 6.36 | 47 41.83 55 5A76 6 .43 48 3.06 54 46.83 6.90 | 48 37.71 b4 15.48 6.98 | 49 45.41 58 11.09 GAZA d == AAA €, = 0”.:0907 1889 Novembre 21 — yw° Aurigae. Verticale Ovest q' Oculare Nord Oculare Sud 72, 4/62 385.03 To 965 365.65 45° 4" 7".10 46 13.18 56 6.56 dad 46 39.13 dÒ 43.40) 75880 47 6.87 1515) 18 .92 40 | 40 35..82 dd 52.50 102 | 41 59.57 od 30.68 7417 | 48 34.22 59 58.64 7 02 | 49 41.59 52 55.46 729 | d = 48° 4l' 4.89 1889 Novembre 30 — w® Aurigae. ——_ ___————mmmmmmmmmmeemuemustttmt(atarirrrcr Verticale Ovest Verticale Est Oculare Nord Otulare Std Oculare Sua ph iodio 4554 | 5° Bn Db 7 4400 59.17 24 35.72 34 24.50 45 35.27 24 53.78 34 3.69 4 55.19 25 18.84 38 35.00 46 24.57 25 44.39 33 6.70 46 52.29. 26 3.46 32 46.60 47 1.40 26 35.46 32 11.83 d7 48.33 27 39.12 31 8.64 48 56.58 o — $ = — 83,62 d = 49° 41’ 5".65 Oculare ‘Nord 7 56 56.01 i = 0".0672 r P 46° 4 5".93 d 79 Peo Si O dd & E] e; = 0".0937 LATITUDINE DI TORINO 197 1889 Dicembre 1 — 31 Lyncis. Verticale Est Verticale Ovest SRI VII ORAR ARTI ere ti p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord ARE 6 ZE 7 31628 gh 252 19538 | 92 35% 43510 45° 4' 11".69 BI 87.40 UO SZO7 25. 53.80 DI 1926) 11 .52 37/0908 6 37.01 26. 13.07 94 55.56. ID 52 58 18.97 6 10.82 26.39.80 94 81.88 Ii 5595 58 43.08 5 44.11 27 6.40 dd 35 11 .98 59 0.93 DIZAAN, ZAZONIA 99 49.85 11 .86 59 31.74 4 51.49 20059277 88. 19.18 A /zI: IM On 2 98 S 47.06 29 ZO 92 18.01 INI! og = — 8541 o) == 2999 92 LOI) e, = 0".0791 1889 Dicembre 3 — 31 Lyncis. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud Giov 05:89! 972 72 23505 Oi 29 EOS E50 USO di LO 57 29.77 6. 50.07 25 42.92 95 2.57 (Al 57 51.14 6 25.91 26 6.48 94 41.09 (21: 58 15.21 559.69 26.22 .62 S4 1 22 6.64 58 40.00 5 DI07 DI (023 9 52 .48 1 I 59 0.81 5 9.45 21 220379 39 81.86 TA4 59 831.10 A SY AO 255.58 98 1.28 6 .93 MENO 8186 8 32.68 28. 59.60 92 0.40 7.10 ao —t = — 65.38 ie CR 2 AVE ej = 0”.0659 1889 Dicembre 20 — 36 Lyncis. Verticale Est Verticale Ovest _ p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud N° 49% 475.78 gh 0 (ES 0 ES 30 0 Eee Mo dl 076 50 18.30 DIGI 12 6.94 21 54.57 7.76 50. 40.93 | 7 59 39.91 2 82857 21 32.00 TESTO 51 5.90 59 12.58 130.34 21 7.90 TO SSIL 51 31.12 58 43.68 13. 29.28 20 41.24 7.88 bl 52.89 58 19.74 15. 583 ..07 20. 19.24 7.69 52 24.56 57 45.70 14 27.08 9 47.79 7.50 55 28.10 56 38.48 ID 34.54 18. 44.59 st a—t = + 75.29 di ASA te —04#0995 Serie II. Tom. XLIV. R 138 F. PORRO 1889 Dicembre 21 — 10 Ursae Majoris. Verticale Est Verticale Ovest Oculare Nord sm 92749 54 .62 8.84 26 .21 42 .18 97 .98 20.67 o OO 00 1 Oculare Sud TRAI 15 45.24 15 81.03 15 12.06 14 52.92 14 39.13 14 15.35 a—t=+ 7311 Oculare Sud 10% 29 43526 7.29 21.62 40.27 99.90 13.76 31 37.20 d = 42° 12' 58.38 1889 Dicembre 23 — 10 Ursae Majoris. Verticale Est Oculare Sud e DIL) 8 47.81 3.99 21.28 39 .55 59.57 9 9 9 9 10 17.80 Verticale Ovest Oculare Nord Oculare Nord 72 162 35.90 | 10° 29% 3591 15 40.80 29 59.29 15 283.38 80. 16.72 15 4.50 9005230) 14 44.85 80 54.88 14 28.48 81 10.96 14 5.26 Sl 34.67 a — = + 6382 Verticale Est dò = 42° 12' 58.38 1890 Febbraio 9 — 317 Lyncis. Verticale Ovest Oculare Nord 6° 52° 105.57 92 40.73 5258 .16 vd 22.43 d9 46.46 54 4.30 4 34.83 55 36.07 Oculare Sud TARA 0 ZIONE 1 40.51 1 13.88 0 47.22 O 27.71 6 59 55.19 98 50.18 all 388 Verticale Est Oculare Sud Oculare Nord Oculare Sud gh 20% 16529 24 0.83 dò = 43° 32’ 26.33 1890 Marzo 1 — 10 Ursae Majoris. Verticale Ovest Oculare Nord 7° 3% 34.58 3 56. Ripauukppa 9 7 10852 10 47.30 10 29.99 10 11.07 9 51.64 9 35.42 9 12.10 8_ 25.47 10% 242 425.19 5.67 22.90 41.69 1.05 17.20 20 .93 27 43 p' Oculare Nord 10 70 Ed dre 7033) 36 57.93 7.988 36 44.58 7.19 36 26.96 7 .26 36 8.69 7 43 VDEMDIR9 7 .50 85 32..58 7.07 e, = 0".1230 p' Oculare Sud 10° 372 14°.11 | 45° 4" 6”.02 36 52 .46 6 .29 86 36.10 6 .81 86 18.88 6 .10 ODIOSO. 6 .29 95 44.383 6 .14 SDMNZIoa 6.21 e = 0”.0421 q' Oculare Nord 9 30° 405.33 45° 4" 9.86 30 10.67 10 .02 29 53.03 10 .26 29 29.06 10 .19 29 4.75 9.42 28. 46.90 10 .00 28). il16,.37 9 44 27 14.88 9.84 e, = 0"”.1103 p' Oculare Sud JOR 32% 1777 | 45° 4" 8".62 81 56.25 8.89 ili 9E85 8.74 Sl 22.05 8.93 S1 3.28 8.86 80 47.80 8.96 30 25 .06 8.26 29 40.16 9.00 d = 42° 13' 6".13 e = 0”.1010 LATITUDINE DI TORINO 1890 Marzo 10 — 31 Lyncis. 139 Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud ba 9 75700 70570) NOIE 57 9280878 450 4' 4.29 50 6.70 | 6 59 32.45 18. 9.28 PA A AA 4.90 50 28.39 59 8.18 18 33.03 7 du l9 8.80 50 51.80 58 41.82 18 59 41 26 47.87 4.26 51 17.02 58 14.13 19 27.02 26 23.33 4 .96 5 37.59 57 51.51 19 49.40 200229 4 .96 52 8.04 57 18.79 20 22.85 25 81.64 4 .26 599.20 56 14.89 21 26.42 2 ASSO ESTATI S_.97 o —-t= + 48.51 d = 48° 82’ 30”.78 Ge OSE 1890 Marzo 28 — 36 Lyncis. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Sud Oculare Nord Oculare Nord Oculare Sud 72 42% 545.60 | 7° 58% 515.67 | 10° 4® 80572 |10° 15” 265.88 | 45° 4" 10'.00 43 24.63 59 16.97 04 14 56.62 9.74 43 47.40 52 51.18 5 31.09 14 34.02 9.86 44 11.68 52 23.70 5 58.85 14 9.50 10 .02 44 37.95 51 54.58 627.40 15 43.69 9.93 44 59.80 51 30.58 6 51.19 131 24 9.74 45 31.36 50 56 .57 7 25.68 12 50.15 9.93 46 34.55 49 48.90 9. Ir 11 46.66 10 .29 ao — & = + 85.51 ò = 48° 40’ 21"”.28 ej = 0”.0625 1890 Marzo 29 — X Ursae Majoris. Verticale Est Verticale Ovest p' Oculare Nord Oculare Sud Oculare Sud Oculare Nord RO i69 7A Shion os980 EA eo 35525 45° 4' 9".30 42 35.89 5I 39.09 14 21.62 23 25.68 9 .28 42 52.90 51 19.92 14 40.86 28 18196 9 .28 43 16.57 50 53.82 679 22 44.80 9 .09 43 39.96 50 28.00 15 82.78 22 21.50 9 .51 43 57.63 50 8.86 15 51.67 22 4.16 9.49 44 27.28 49 37.09 16 24.16 21 34.03 9 .51 ADUN278:2:8 48 33.76 I 27.04 20 34.16 9 44 ao —-t= + 85.00 d = 48° 27’ 51".94 e, = 0”.0530 ge LL8° 8 FEO. 0 — LIO Hr Ho e + 670° S INpPaIMosPUy 1 T “ “ 806° £ Eco 80° 0 + SFO 3 + 798: 9 ubhg o | 1 oaqueog “ 997° 8 FEO 0 — Fi e ELI I + 0$8° 9 onpowopuy x | cz “ 7 STI L #60. 0 — 691° 0 + OLO 0 + TI 2 ublio o | $3 ‘ ‘ #S6° Peo 0 80° I + VOLSE aa anpawuospuy %® | eg “ “ QD 120000 (ils 880° I + Usi? BA 108° 7 ompowospuy A | 33 £ & 88° 8 ad = €96: 0 + 667 E + SO 7 ampamospuy IG £ 4 906° 8 000° 0 — I8S 5 + SG + ompawospuy 6I eiquieaon “ G9S' L re 00 O = Ceo 291° 8 ubpho 2 8 È “ 998 8 de d= 080° 0 — Ta6.0 + IL GRZ. smog 9 | 8 " “ FEE 8 vel 900° 0 + le ae 871° OI bho 2 L i : 988° £ 667 0 — 870° 0 + va 3 ToGie, bho Q G CI “ BL 8 ded I8t 0 + dae e Ar #80 9 synosog 9 | “ “ 898° £ da 070° 0 + Chscisa 209° 7 s400g EE | G £ 4 GRES F6Si 0 — CEOMSO SE STORIE 668° 8 s400g € | 3 cusnmy “ 089° 9 de = Tao — Clic 603° II sumosoH 2 68 i “i Z FIL £ 0LS 0 = 800° 0 + 088° I — 9ST° 0I su00g EE | SG = : S 669 L 09/60 SO 0 + 7 01 #68 L S400g EE | 6 : : = 669° £ Cep 070° 0 + 0ges0a GGI 8 sq00g EE | 9 £ A 5 607° 4 09L° 0 — 900,0 — 000° I — SLI 6 s400g EE | € orssegg “ 268 L 000° 0 — G63 0 + dee Da anpbiuny 9 Faà È 5 ELL 8 000° 0 — 995 0 — 688° 6 anbiany Y 0% 3 5 9LT 8 000° 0 — TO cele OFF 6 suologr 20840 N 6I a i 902,2 ® 08% FEO Ste 826,8 # 08% anbiuny g 61 oIgUU8I) 888I d LANIZV OIDOTOUO l jd VITHILS VLVaA INOIZVATHSSO da'I'IHAO ILVILIASIU OCNODHS OTTVNO 140 BUSI LATITUDINE DI TORINO oreIqdodT “ 960° 8 oe 9g 0 + Sousa GL S onbinp 3 9I 9LE 8 000° 0 — 969 0 + 690° I + I8S_: 9 anbiuny 3 I 870° 8 000° 0 — 3° 0 + GG = gS0' 8 apbianp 3 II SELL id 0 = 650 + nigra SLE 8 apbiuny 3 9 9L9' L AO 609° 0 + ME 0 = 97 L onbiunp 3 e 89€ 8 Ma 999 0 + RE 0 SE 908° £ anbiump 3 Il €98 8 #0) E 0 + 36° E + 806° 8 apbiuny 3 Te 900° 8 000° 0 — 197 0 + I960 SE gee 9 onbiunyg * | 13 #06" L 000° 0 — ev 0 + ESTA GLI 9 onbiuny 3 SG 168° 8 000° 0 — SL 0 + (30 37 SE G6L' 8 onbrumy ? #6 982° L 000° 0 — 089° 0 + de © F8L' E WS4T A | 61 809° 8 000° 0 — ite 0 3 ESE 848 # onbiuny gi | 8T 618° £ UO = 888° 0 + 820° E + 603° # (08497 N SI 663° L 000° 0 — If 03 IMC 8 Ar 288° 8 anbiny gh | LI 089° £ 000° 0 — TL = LETTE GUcaee t0S40g A LI G8I 8 000° 0 — SS €88 0 + ae anbianp at | 8 VW L 000° 0 — 003° I + 820° 0 + 9EI 9 1084 A 8 97L' L LCOOdTa 607 1 + CLONE 698° S ST A | L 681° L avo ELL 04 Ca GS6° 8 (84T A | ST 686° £ He OMON 082: 0 # VARO 979 9 19844 % | OI 601° 8 Mao Mi O 3 91° 0 + 998° L ompamto.puy * OT 892° L e 0) 9° 0 + JOE 078 L IPPIMOLPUF 1 6 IX 40) #30 0 — IS9 0 + NEL 08 8 IMPIMOLPUY 1 8 IG A) Fl OE 863° 0 + G88 9 L08497 A L 889° £ a 679 0 + i == F8I L IMpaiwospup 1 L 688° £ ae 00) SP 998 0 — 989° £ Inpamo.rpuy % 9 089° £ CVS Ie? 037 670° 0 — T60° INPIMOLPUF ? 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PORRO PARTE SECONDA Osservazioni eseguite coll'uso del filo mobile. I metodi di Bessel e di Struve, basati sull’osservazione dei passaggi ai fili fissi | del reticolo, cessano di essere applicabili utilmente quando la distanza zenitale meridiana dell’astro arrivi solo a pochi minuti di arco. In questo caso è preferibile osservare (come ha suggerito Struve) mediante un filo mosso da una vite miero- metrica, la quale permetta di assegnare con precisione ad ogni istante la distanza angolare dal filo medio, e quindi (noto l’errore di collimazione) dall’asse ottico. Sostanzialmente questo metodo non è che una modificazione di quello di Bessel, ana- loga a quella che si pratica nelle osservazioni meridiane, quando si sostituisce il filo mobile ai fili fissi sulle stelle polari. Ha il vantaggio sopra l’altro metodo di potersi applicare anche a stelle culminanti a Nord dello zenit, di esigere pochi minuti per un numero anche considerevole di puntate, infine di attenuare tutte le cause di errore che dipendono dalla maggior durata di un'osservazione, perniciosissime fra tutte le variazioni dell’azimut istrumentale nell'intervallo fra il passaggio ad Est e quello ad Ovest. Questi notevoli meriti del metodo sono accompagnati da difetti non meno degni di nota: primo fra gli altri l’enorme influsso dell’azimut sulle osservazioni, tale da rivelarsi ad una prima occhiata nella serie delle latitudini date dalle singole puntate, quando appena la deviazione dell'asse orizzontale dal primo verticale sia sensibile. Im queste condizioni sarebbe desiderabile poter determinare colla massima precisione tale errore di azimut, per poi tenerne conto nel calcolo della latitudine; invece, quando non si disponga di una mira nel primo verticale, non è possibile ricavare dalle osservazioni stesse il valore dell’azimut, e bisogna (come ho fatto io) limitarsi a calcolarne empiricamente l’effetto, deducendolo @ posteriori dall’andamento delle latitudini date dalle singole puntate. Prima condizione per l’uso razionale di questo metodo è la conoscenza esatta del valore di una rivoluzione del micrometro, de’ suoi errori periodici e progressivi, e della posizione del filo mobile relativamente ai fili fissi. Nel corso delle osserva- zioni di latitudine non fu necessaria altra ricerca che quest’ultima; lo studio accurato del micrometro fu fatto in seguito, durante le osservazioni per l’azimut di Monte Vesco, ed i risultati ne sono diffusamente esposti nella relazione che di quelle osser- LATITUDINE DI TORINO 145 vazioni ho pubblicato. Senza ripetere la discussione contenuta nelle pagine 5-14 di quella Memoria, basterà che qui sia riportata la formula definitiva F= 0”,5725 ( — m), che serve per calcolare la distanza angolare F di uno dei tre fili mobili dal filo di mezzo del reticolo fisso, quando sia / la lettura del filo mobile ed m quella del filo di mezzo. Entrambe queste letture s'intendono corrette per gli errori periodici della vite, che sono molto piccoli, e rappresentati dalla formula e = + 0?,1297 sin (p - 620,83). Di errori progressivi non risultò traccia: la vite è di una rara perfezione da un capo all’altro della sua corsa. Per assicurarmi dell’invariabilità di posizione del reticolo fisso rispetto all’origine della numerazione sul reticolo mobile, ho osservato undici volte in dieci sere (nelle quali ho pure fatto osservazioni di latitudine con questo metodo) le coincidenze del filo mobile M coi 17 fili fissi. Confrontando il quadro delle coincidenze, che dò qui in appresso, col quadro analogo a pag. 6 del citato mio lavoro, si vede che la posi- zione reciproca dei due reticoli non ha mutato. L’invariabilità di forma del reticolo fisso è pure attestata dal quadro successivo, che dà gl’intervalli fra i fili fissi con- tigui, espressi in parti del micrometro. Serie II. Tom. XLIV. G 666 |8c6 |ES6 |I168 |OLL |FF8 |0IG |618 |S6£ |99L |7L0 | ISL |9%6 |FE8 | SOL |966 | 266 | 90 i Ù TS |166 |FS6 1988 |6LL |&F8 |FOS |918 |S6L |69L |ZL0 | LIL (616 |€68 |LSL | 196 |L09 Eké |6c6 |6F6 |&88 |SLL |LF8 |009 |EE8 |G6L |ELL |620 |FSL |FIG |978 |<9L |S96 |009 | SI È i 973 |666 |F96 |F88 | LOL |6S8 |00S |EE8 |88L |OLL |OL0 |GIL |336 |€S8 |69L |86 |<09 | I oIquoaon “ 856 |666 |0S6 |I68 |FOL |078 |€09 |T168 |SSL |LOL |80 |I&L |€36 |088 |LSL |F96 |<09 |LI oasseN “ 064 |6I16 |&F6 |6L28 |LL |TS8 |00S |9<8 |008 |FOL (820 | ISL |7E6 | L€8 |I9L |L96 |109 | 9I È È 9Eg | 136 |&S6 |L88 |89L |IF8 |90S |8I8 |F6L |69£Z |080 | 08° 8 GLOze SSA0) G6° Se €9° IF 01/06" E094S0" 64898 FFO|sFe' 629|02e" 8 —|899' Leg] 20/0 | 9T Ge 9 68° &_|L0' 6 60° 93 PO EF 0I|08G' 9F9/EF9' 8 +|LE6" LEO|LGE" 629/887" £ —|eg6: 979] 20/00 | SI 6L' 8 VE 07] 6 GL' 93 88° =—=<=<=vX€Y TFr--=--=-.-------=--“---;»» io—r—rrm_@’ INOIZVAYHSSO UTTHO ILVLTIAOSI!I Serie Il. Tom. XLIV. 162 F. PORRO PARTE TERZA Discussione dei Risultati definitivi. Esposti nelle due parti che precedono i ragionamenti ed i calcoli per i quali siamo stati condotti ai valori della latitudine consegnati negli ultimi quadri di cia- scuna di esse, dobbiamo ora raccogliere e discutere i valori stessi, per ricavarne il valor finale. A tale scopo, raggruppando i valori dati da ciascuna stella, notiamo che le 19 medie che otteniamo debbono differire fra loro: I. Per gli errori residui delle osservazioni; II. Per le variazioni della latitudine; IMI: Per gli errori delle declinazioni adoperate. Rinunziando, come ho detto nella Introduzione, a ricavare dalla mia serie le variazioni a corto periodo della latitudine, e ritenendo sensibilmente nulle nell’inter- vallo le variazioni secolari, convien premettere ad ogni discussione ulteriore sugli errori l’eliminazione delle variazioni periodiche. A tale scopo si è calcolato una tavola che dà mese per mese, nel periodo abbracciato dalle osservazioni, il valore della dif- ferenza fra la latitudine vera @ e la media ©; e per fare questo calcolo si è ado- perato la formula che il Chandler dà nel numero 277 dell’ Astronomical Journal: @ — o = — #3 cos [XY + (£ — T)6] — r9 cos (0 — 6), dove \ è la differenza di longitudine fra la nostra stazione e Greenwich, T l’epoca (in giorni) dell’ultimo minimo di latitudine a Greenwich, # la data dell’osservazione, 6 il movimento diurno dell’oscillazione di semiamplitudine r,, ro la semiamplitudine dell’oscillazione annua, © la longitudine del Sole, G la longitudine del Sole quando il secondo termine è massimo in valore assoluto. Dal medesimo numero dell’ Astro- nomical Journal furono ricavati i valori numerici di questi simboli. Nei quadri che seguono espongo i risultati di questa correzione. Ogni quadro contiene tutte le latitudini date da una stella, le correzioni relative, ricavate per interpolazione dalla tavola di cui si è detto, e finalmente le latitudini medie, riferite cioè non al polo istantaneo della rotazione terrestre, ma al punto (che si ritiene fisso e stabile sulla superficie del globo) nel quale l’asse dei massimi momenti incontra la superficie stessa. LATITUDINE DI TORINO 163 B Aurigae. DATA (o) Correzione Latitudine 1888 Gennaio 19 7.706 + 0.052 TORTO È A DOM e n © 04175) +0 .052 8.825 3 s DD ORLO UNE ACI 7 .827 0 .051 7 .878 1889 Gennaio 5 7.940 +0 .156 8.096 È ; 7 8.020 + 0 .158 8 .178 o È TL divi MAGRO sie ici 7 .440 +0 .170 7 .610 n ti DR TERE N 7 .610 I.) 109 Ti o775 s Febbraio 17 7.290 + 0 .155 7 .445 I si 18 7 440 0.154 7 .594 5 Pi 25 8.110 + 0 .143 8.253 Media 7.941 o Herculis. IDIEARZIONAS lo) Correzione Latitudine 1888 Maggio 29 . 6/”.680 — 0.082 6!'.598 s Giugno 5 . 8.272 — 0_.088 8.184 3 n 53 © 8.266 "0 4007 8 .169 1889 Giugno 4 . 7 479 — 0 .118 7 .361 E 4 Too 8.296 — 0 .148 8 .148 i o DTT e SN E SIN 7.680 — 0.152 Mo 25 Pe 5 19) AO EE RE 1 25 SOS 7 .367 Media io 22. d Cygni. DATA ® Correzione Latitudine 1888 Giugno 5 o 7!’ .836 — 0”.088 7748 È; A O 8.994 — 0.090 8.244 » ” (0) he RENT SREBIE EIVU Ti JO — 0.091 TSE NSSIRGIUE NO SER e 7.700 — 0.147 7 .558 » 5) MOR co tai 7 155) — 0 ES T DID » Luglio DS 8 .194 0205 7 .989 » Settembre 14 . 7.996 > 0.591 7 .845 MINO ttobre 290 Ti SUOZ — 0.082 7 .680 Media. È 7!” 7163 164 TDFANZIONA! 1888 Gennaio 19 1890 Marzo 29 DATA 1888 Maggio 3 . » ” 6 9 »” t) 9 Ul » » 25 o » Giugno 2. ” ” 5) © 1889 Maggio 17 . 5 n 31. » Giugno 1 . a a 6 DATO 1888 Novembre 19 . 5) n Dil o : STO » Dicembre 3. 1889 owgalns 8 i 9 2) . »” E i To F. PORRO \ Ursae Majoris. P | Correzione | Latitudine SUA + 0”.052 8! 228 7.274 +0 .174 7 .448 Media 7!’ .888 38 Bootis. (0) Correzione Latitudine 7"".409 — 0”.051 7.358 7 35720) — 0.055 1 474 7 JO2E — 0_.059 7 .563 TY 014 — 0._.078 7 .636 TB = 0 096 7 .056 7.268 — 0 _.088 7 .180 7 .360 — 0 _.074 7 .286 6 .631 — 0 .107 6.524 7 424 = 0) UO URI 6 .225 00) 1185 6 .102 . Media 70" 149 x Andromedae. (o) Correzione Latitudine 81.906 + 0.087 81.993 8.383 -— 0 .090 8.473 T SUO +0 .092 7 .844 7 .954 — 0.094 8.048 8.468 + 0 .096 8.564 8.226 + 0 .112 8 .338 8.242 +0 .114 8.356 7 .639 OO TU 022 8 .180 — 0 _.013 8.167 8.004 +0 .013 8.017 Media 8.242 LATITUDINE DI TORINO 36 Lyncis. DATA (0) Correzione | Latitudine IS S9ONDIcembre 2008 7"".880 + 0”.147 8”.027 1890 Marzo DAMS EI 7.790 +0 .174 7 .964 Media . . . 7.995 a Cygni. DATA (o) Correzione Latitudine 1888 Novembre 24 . 7 .625 + 0”.095 7.720 È a 2) 0 8.680 + 0 .097 LSP ATAT I s Dicembre 1. 7 .908 +0 .105 8.013 1889 Giugno 6. I FU — 0 .123 7 .609 i) 5 Ie 8.500 =) 162 8.948 s Novembre 1. 8.790 — 0 _.044 8.746 5) PO Oa 8.101 — 0 .015 8 .086 i o) ON 8.459 — 0 .011 8.448 5 i 15... 6250 | -+0 (014 6 .264 n 9 16 8.300 +0 .018 8 .318 Media NS 4038 1 Andromedae. DATA (0) Correzione Latitudine 1888 Dicembre 1 8!”.377 + 0”.108 8" 485 ta ; 2 7 .840 +0 .109 7 .949 5 î 5 7 .620 +0 .115 7 145 3 6) 6 7 .889 +0 .116 8.005 5 5 7 7 .688 +0 .118 DO 9 Ò 8 7.977 + 0 .120 8.097 3 to 9 7 .768 + 0 olQ2 7 .890 È 7 10 8 .109 +0 LIZ) 8.232 1889 Ottobre 23 7.609 — 0.082 U JS0 » Novembre 7 8.101 — 0.020 8.081 Media pt OT 166 DATA 1889 Marzo 12 »” ” 17 ” n» 25 TD) LAURA 1888 Dicembre 1 » »” TO IPAGKISIZA! 1889 Gennaio 9 è 9 a 174 5 Febbraio Ton 5 È 2308 , Marzo NE s Novembre 17 . 5) 5 DIL, 5 ; 30. F. PORRO 58 Ursae Majoris. o) Correzione Latitudine 8!” .984 + 0”.115 9!'.099 7 762 + 0 .106 7 .868 8.010 + 0 .086 8.096 Media 8.345 v Persei. (o) Correzione Latitudine 8!".069 + 0”.108 8.177 Ti 4570) +0 .111 7.690 7 .431 + 0 .118 7 .549 7 .959 + 0 .123 8.082 UGO, +0 .129 7 .268 TAG +0 .133 7.879 7 414 + 0 .136 7 .550 7 .680 + 0 .163 7.843 | 7 810 + 0 .167 8.042 | 7 .736 + 0 .170 7 .906 | Media 8199 y° Aurigae. (0) Correzione Latitudine 8!”.182 + 0”.136 8! .318 7 .299 + 0 .163 7 .462 8_.508 -— 0 .167 8.675 8.360 +0 .154 8.514 8 .435 + 0 .146 8.581 8.009 “LI 8 .153 8.097 Lo (0) 128 8.223 8.282 + 0 .022 8.254 8.251 +0 .058 8.309 Ti UD + 0.072 8.047 Media 8254 LATITUDINE DI TORINO 10 Ursae Majoris. 167 DATA P Correzione Latitudine 1889 Marzo A TUSST + 0.113 ‘7!".950 S È TORRE RIE T 475 + 0 .107 7 .582 DIA RON 6.947 + 0 .150 7.097 N È 20 ME, 6 .899 + 0 .156 7 .055 1890 Marzo 1 7 .968 +0 .225 TV 65 Media qUASE e Aurigae. DINASTIA! (1) Correzione Latitudine ME SOA Genna 2 4FE 0 81.897 —Ll 0".167 9'”".064 d a DINA 7 .904 +0 .167 8.071 3 a 27 8 .006 + 0 .166 8.172 7 A S1 8.263 +0 .164 8.427 » Febbraio 1 8.368 + 0 .164 8.532 s ; 5 7 .676 -l 0.162 7 .838 1 Pa 6 35) +0 .161 7 .896 A 5 11 8.048 -— 0 .159 8.207 Si pi 13 8.376 + 0 .158 8.534 À È 16 8.096 - +0 .156 8.252 Media 81.299 u Ursae Majoris. DATA ® Correzione Latitudine 1889 Marzo 6 Meg + 0”.126 7,978 Di E 7 .559 +0 .080 7 .639 n 5 028 8.286 + 0.077 8.363 Media 7!" .993 F. PORRO 31 Lyneis. DATA lo) Correzione Latitudine 1889 Marzo 12 8!.601 + 0”.115 8!”.716 5 5 13 8.470 +0 .114 8.584 n) P 17 8 .143 +0 .106 8.249 5 5 25 8.248 +0 .086 8.334 » Dicembre 1 8.279 +0 .076 8.355 5 s T AZ +0 .084 7 .896 1890 Febbraio 9 7.873 + 0.248 7.621 » Marzo 10 8.147 +0 .213 8.360 Media 8'.264 Gr. 2533. DATA lo) Correzione | Latitudine | 1889 Giugno 6 . 8!.076 — 0”.123 7'.953 5 E) 6 o 7 .996 — 0 .129 7.867 g Lueliio 29 . 8 .846 0205 8.641 Media 8.154 E Cygni. DATA lo) Correzione Latitudine 1889 Settembre 17 . 7.153 — 0”.162 7.59] 5 È 118) > 7 .555 — 0 .160 7 .995 ” » 22 . 8.207 — 0.153 8.054 Da n DE. o 7 .887 — 0.147 7.740 5 o 26. 7 .159 — 0 _.145 7 .614 ” ” QI 7 .565 — 0.143 IA 22 » Ottobre O 7 .951 — 0.131 7.820 n) 5 14. 7 .486 pesa 0JIE9 (015) SUI 5 si Il - 7 .486 — 0 .107 7 .379 3 "i 16 . 8 .504 — 0 .104 7,400 Media 7!!.579 È Lyrae. DATA ® | Correzione Latitudine 1889 Luglio 31 8"'.137 ! — 0”.205 7!" 932 Media 7! 932 LATITUDINE DI TORINO 169 Il quadro seguente ricapitola i risultati relativi ad ogni stella. Quelle segnate con asterisco non appartengono alle Fondamentali di Pulkova, e sono quindi certa- mente meno sicure delle altre. La 33 Bootîs, ad esempio, che scarta più di tutte le altre dal valor medio, è indubbiamente mal determinata in declinazione; essa fu osservata anche a Milano, e diede risultati meno buoni. Il suo moto proprio è ancora molto incerto. Stra Di A tO) PESO È 58 CRANE EROE ASMA SI345 3 e Aurigae . o 8.299 10 31 Lyneis 8.264 8 * y Aurigae . 8.254 10 * K Andromedae 8.242 10 © (GR CESSI 8.154 3 oa Cygni. 8.033 10 * 36 Lyncis : 7.995 2 u Ursae Majoris . 7.993 3 1 Andromedae CESTI 10 B Aurigae . 7.941 10 È Lyrae : 1.932 1 \ Ursae Majoris . 7.838 2 v Persei È 7.199 10 d Cygni 7.163 8 o Herculis . l .622 7 Coni Mita To SIUO 10 10 Ursae Majoris . 7 455 5 * 33 Bootis 7 I29) 10 Media generale 45° 4' 7".914 L'errore medio di un'osservazione, calcolato in base agli scartamenti dei valori singoli dalle medie del quadro ora seritto, mediante la formula [wy] m— k° @ == ROUTO dove m è il numero delle osservazioni e X quello delle stelle, è risultato uguale a +0",405. Esso è indipendente dagli errori delle declinazioni adoperate, e si può considerare come risultante di due parti, una delle quali dovuta all’incertezza colla quale si osservarono gli appulsi, l’altra a tutte le residue cause d'errore, special- mente locali ed istrumentali. Della prima è indice sicuro l’error medio e, già calco- lato per ogni stella; indicando con e, l’error medio dovuto alle altre cause, abbiamo s= ep ep Ora, combinando le e}, si trova che il valore di e, risultante alla media è + 0/”,183. Serre II. Tom. XLIV. v 170 F. PORRO — LATITUDINE DI TORINO Quindi e? = (0,405)? — (0,183)? = 0,130 = (0,361)? In altri termini, l’error medio di una osservazione per la parte dovuta agli appulsi non è che la metà dell’error medio per la parte imperfettamente corretta degli errori strumentali e per le cause incognite di errore. Col valore e= + 0',405 si è calcolato l’errore medio x di una posizione del catalogo, secondo il metodo esposto nella citata “ Determinazione della latitudine... di Milano... e di Parma ,. Con due sole approssimazioni si ottenne GAM e quindi i pesi con i quali ciascuna stella dovette fornire il valore definitivo della latitudine (essendo 1" l’error medio corrispondente all’unità di peso) furono i seguenti: 4,544 per R Lyrae, osservata una volta; 7,243.» 36 Lyncis e X Ursae majoris, osservate due volte; 9,031, 58 Ursae majoris, Gr. 2533, n Ursae majoris, osservate tre volte; 11,254 , 10 Ursae majoris, osservata cinque volte; 12,581 , © Herculis, osservata sette volte; 13,062 , 37 Lyncis e è Cygni, osservate otto volte; 13,802, le rimanenti nove stelle, osservate dieci volte. Con questi pesi, e coll’error probabile dato dalla formula 1 ai_t0;6445 VEp si ottiene il seguente valore definitivo della latitudine del centro del Cupolino Ovest dell’Osservatorio di Torino o = 45° 4 7,920 + 0,045, che differisce solo di 0,006 dalla media generale semplice e di 0,022 dal valore dato nella Comunicazione preliminare. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE MEMORIA DI FEDERIGO ENRIQUES Approvata nell’ Adunanza del 25 Giugno 1893. INTRODUZIONE 1. La geometria che studia le proprietà degli enti algebrici (curve, superficie, varietà) invariabili per trasformazioni birazionali dell’ente dicesi geometria sull’ente (1). Il concetto di questa geometria scaturisce per la prima volta dalla teoria delle funzioni algebriche di una variabile nella capitale memoria di Riemann sulla Theorie der Abelschen Functionen (2). Da un altro lato la geometria sul piano (e sulle super- | ficie razionali) nasce dai classici lavori sulle corrispondenze algebriche di Cremona e Clebsch (trasformazioni del piano, rappresentazione delle superficie omaloidi). Nello sviluppo della geometria sull’ente sono da distinguersi due momenti ca- ratterizzati da due diversi indirizzi (3). a) In primo luogo si presenta la ricerca delle condizioni perchè due enti pos- sano riferirsi in corrispondenza birazionale: questa ricerca è il naturale resultato della provata fecondità di quelle trasformazioni. Essa si presenta sotto due aspetti. Da un lato la determinazione di caratteri numerici invariantivi (legati alle singola- rità dell’ente) come nei lavori del signor Zeuthen (4). Dall’altro lato lo studio delle funzioni collegate all’ente algebrico (in modo invariantivo). Sotto questo secondo aspetto (che può anche considerarsi come collocato fra il primo momento della geome- tria sull’ente ed il secondo nel quale si ricercano le proprietà dell’ente stesso) la questione della possibilità di trasformare birazionalmente un nell’altro due enti al- (1) Le notizie storiche che seguono sono in parte tolte dalle lezioni litografate del sig. Kern sulle © Riemannsche Fl&chen , (1892) e dalle “ Vorlesungen , di CLesscn-Linpemanw (Bd. I), che si possono consultare per maggiori dettagli. (2) Crete, t. 64. (3) Naturalmente la differenza tra i due indirizzi non è netta, ed alcune ricerche partecipano dell’uno e dell’altro, ma questa osservazione è soltanto un corollario della gran legge di continuità che governa le produzioni scientifiche (come ogni altra produzione organica). (4) © Mathematische Annalen ,, t. III e IV. Appartengono a questa categoria varie dimostrazioni della conservazione del genere per le curve tra le quali una del sig. Bertini. Cfr. Cressca-Linpemann. Bd. I (8° parte). Î 172 FEDERIGO ENRIQUES gebrici, venne trattata nei lavori fondamentali di Clebsch (1), che stabilì così il con- cetto di genere per le curve e per le superficie; questi resultati generalizzati alle varietà comunque estese furono ritrovati algebricamente dal signor Noether (Mathe- matische Annalen, I e VII), dove insieme al genere di Clebsch (F/ichengeschlecht) viene introdotto per le superficie il Curvengeschlecht. La determinazione dei moduli per le curve (2) e per le superficie (3) rientra pure nel primo momento dello sviluppo della geometria sull’ente. Accanto a queste ricerche: sono ancora da porsi quelle che studiano la classifi- cazione di certi enti mediante la riduzione a #pi (irreducibili per trasformazioni bi- razionali), così le ricerche sulla riduzione (all’ordine minimo) dei sistemi lineari di curve piane (4) mediante trasformazioni cremoniane, e sotto un punto di vista non molto dissimile possono riguardarsi le ricerche sulla razionalità delle superficie fra cui sono classiche quelle del signor Noether (5). 5) Nel secondo momento la geometria sull’ente diviene essenzialmente studio delle proprietà invariantive dell’ente (6). Nella geometria sopra una curva questo studio si riattacca all'applicazione delle funzioni abeliane di Clebsch (1. c.) e riceve stabile assetto geometrico nell’importante memoria dei signori Brill e Noether (7). In questo lavoro si trovano riuniti i principali teoremi di geometria sopra una curva che hanno più tardi numerose ed utili applicazioni nella teoria delle curve gobbe dello spazio (8). Ma una nuova idea caratterizza uno sviluppo nuovo della geometria sopra una curva rendendola indipendente (come si richiedeva per la sua perfezione) da una particolare varietà cui la curva può supporsi appartenere. Intendo parlare dell’uso degli iperspazi, i quali introdotti da Grassmann nel 1844 (come pure espressioni ana- litiche) e da Riemann, furono usati dal Cayley nel 1867 e 1869 (come varietà di elementi di arbitraria natura (9)) e con successo applicati allo studio delle curve dal Clifford (10) (1878). Il signor Veronese raccogliendo questi vari materiali di geometria iperspaziale scrisse nel 1881 il suo classico lavoro (11) che fu il punto di partenza dello svolgi- (1) Ueber die Anwendung der Abel’schen Functionen in der Geometrie (CreLte, t. 68). Cfr. anche Cressca e Gorpan, Theorie der Abel’'schen Functionen (Leipzig, 1866) e Cressca (£ Comptes rendus , 1868) dove è stabilito il concetto di genere per le superficie. (2) Riemann, l. c., $ 12. Waierstrass, cfr. BritL e Noerzer (‘ Math. Ann. ,, VII) o Cressca-Lux- DEMANN, Bd. I (2° parte). (8) Noerner, Anzahl der Moduln einer Classe algebraischer Flichen (£ Sitzungsberichte von Berlin ,, 1888). (4) NoerzER (“ Math. Ann. ,, Bd. V); Begmmi (“ Annali di Mat. ,, serie 2*, t. VII); Gucora (“ Circolo Mat. di Palermo ,, t.1); Juxe (“ Istituto lombardo ,, 1887-88 e “ Annali di Mat. ,, serie 2%, t. XV e XVI); Marminerti (“ Istituto lomb. ,, 1887 e “ Circolo di Palermo ,, t. I); CasreLnuovo (“ Circolo di Palermo ,, 1890 e “ Accademia di Torino, Atti ,, 1990). (5) “ Mathem. Ann. ,, II (6) Un progresso analogo ha subìto la geometria proiettiva nel passaggio da Poncelet a Staudt. (7) Ueber die algebraischen Functionen und ihre Anwendung in der Geometrie (£ Mathem. Ann. ;; Bd. VII) (8) Cfr. Noerzer, Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumewrven (£ Tourn. fir Mathem. ;; Bd. 93); Harenen, Mémoire sur les courbes gauches algébriques (“ Comptes rendus ,, t. 70, 1870). (9) Questo modo di vedere fu introdotto da Pluecher. (10) On the Classification of Loci (“ Phil. Transactions ,). (11) Behandlung der proiectiwische Verhiltnisse, ecc. (“ Math. Ann. ,, XIX). RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 173 mento di quella geometria avvenuto specialmente in Italia per opera del signor Ve- ronese stesso e del signor Segre (1). Fu allora che si pensò di rendere indipendente la geometria sopra una curva dalla rappresentazione di essa nel piano e di sostituire così in quello studio i con- cetti di curve aggiunte, ecc. coi procedimenti più semplici e generali proprî delle considerazioni iperspaziali. Il signor Segre ed il signor Castelnuovo (2) riuscirono ad elevare con questo concetto una nuova teoria della geometria sopra una curva che alla semplicità ed armonia delle basi congiunge una potenza per la quale si fecero în questo campo nuovi ed importanti acquisti. La geometria sopra una superficie non ha progredito in proporzione alla geome- tria sopra una curva, anzi si può dire che essa non è ancora entrata nel 2° momento del suo sviluppo, poichè la teoria generale dei sistemi lineari di curve sopra una superficie di arbitrario genere (fatta nel senso della geometria sopra una superficie) non è ancora avviata. II lavoro fondamentale nell'argomento resta ancora quello (citato) del signor Noether del 1874-75 (Mathem. Ann., VIII) nel quale le funzioni invariantive appartenenti ad una superficie vengono studiate in modo profondo. Suc- cessivamente si ha un lavoro del signor Picard (3) dove in particolare sono studiate le superficie con trasformazioni in sè stesse, e due note del signor Castelnuovo (4) contenenti notevoli esempi di particolari classi di superficie. Invece la geometria sul piano è entrata nel secondo periodo del suo sviluppo col noto lavoro del sig. Castel- nuovo (5) il quale contiene concetti originali ed importanti a cui sembra possa darsi maggiore estensione coll’applicarli allo studio delle superficie di genere > 0 (6). 2. Delineato rapidamente lo svolgimento che ebbe fino ad oggi la geometria sull’ente ed in particolare sopra una superficie, debbo esporre quali contributi porti questo lavoro alla nominata teoria e quali concetti mi abbiano guidato nella ricerca. Lo scopo principale del lavoro è lo studio dei sistemi lineari co” di curve (alge- briche) appartenenti ad una superficie (algebrica). Li definisco come sistemi tali che per » punti della superficie passi una curva di essa, e di cui gli elementi (curve) possono riferirsi proiettivamente ai punti di uno spazio lineare S, (7). (1) Per maggiori dettagli cfr. la Monografia storica del sig. Loria, I passato e il presente delle principali teorie geometriche (£ Accad. di Torino, Memorie ,, serie 2°, t. 38). Cfr. pure Seare, Su alcuni indirizzi, ecc. (£ Rivista di Mat. ,, 1891). (2) Cfr. specialmente: Seare, Sulle curve normali di genere p dei varii spazii (“ Istituto lomb. ,, 1888 e Courbes et surfaces réglées (£ Mathem. Ann. ,, t. XXXIV e XXXV); CasreLnuovo, Ricerche di geometria sulle curve algebriche (“ Accad. di Torino, Atti ,, 1889). (3) Sur la théorie des fonctions algébriques de deux variables indépendantes (“ Journal de Lionville ,, 1889). (4) “ Istituto lombardo , (1891). (5) Ricerche generali sopra i sistemi lineari di curve piane (£ Accad. di Torino, Memorie ,, 1891). Tra i lavori precedenti si possono considerare come facenti parte di questo 2° momento della geo- metria sul piano, la nota del sig. Seere (© Circolo di Palermo ,, t. I) e quella del sig. CasreLNUOvo (£ Ann. di Mat. ,, 1890). (6) Per la geometria sulle superficie rigate cfr. il citato lavoro del sig. Secre (“ Mathematische Annalen ,, XXXV). (7) La 2* proprietà è una conseguenza della 1% pr. 7> 1, se le curve del sistema non si spez- zano. Cfr. la mia nota: Una questione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una super- ficie algebrica (“ Accad. dei Lincei ,, giugno 1893) e la successiva del sig. CasreLnuovo (£ Accad. di Torino ,, giugno 1893) in cui quel teorema è dedotto da un altro più generale relativo alle invo- luzioni sopra una curva. 174 FEDERIGO ENRIQUES Dopo avere premesso alcuni lemmi (noti) sui sistemi di curve riduttibili passo ad esporre il concetto di sistema normale e di sistema completo, cioè di sistema non contenuto rispettivamente in un altro dello stesso grado o dello stesso genere, e stabilisco che un sistema di dato grado D (cioè di cui due curve s'incontrano in D punti variabili) appartiene ad un determinato sistema normale dello stesso grado; e risulta poi che sopra una superficie di genere > 0 una curva appartiene ad un determinato sistema completo dello stesso genere. Ne deduco la 1% parte del teorema del resto (Pestsatz) (1), (cap. 1). Nel cap. II considero le curve le quali godono la proprietà di segare un gruppo residuo (nel senso di Brill e Noether) della serie caratteristica (2) sulla curva gene- rica d’un sistema lineare co" (dotato di curve fondamentali distinte) ed un gruppo contenuto nel residuo della serie caratteristica sopra la curva generica di un si- stema 00"! contenuto nel primo: siffatte curve, sommate con curve fondamentali del dato sistema, godono le medesime proprietà rispetto ad ogni altro sistema della superficie (anche non dotato di curve fondamentali distinte) e sono segate sopra una superficie d’ordine n in S3 da superficie aggiunte d’ordine n — 4: perciò le dette curve formano un sistema lineare (se esistono) e le componenti variabili del sistema (che denomino curve canoniche) hanno un carattere invariantivo rispetto alla superficie il quale risulta fissato molto semplicemente dalla loro definizione (3). Nasce quindi una distinzione dei sistemi appartenenti ad una superficie in sistemi puri ed impuri se- condochè le curve canoniche segano sulla loro curva generica un gruppo residuo della serie caratteristica o un gruppo contenuto in un tal gruppo residuo: sopra una su- perficie convenientemente trasformata (facendo segare dai piani le curve d’un sistema puro), i primi sistemi non hanno punti base, i secondi sì; la questione si riattacca alle curve eccezìonali (ausgezeichnete) di Noether. Un sistema puro normale è neces- sariamente completo. Nel cap. III introduco il concetto di sistema aggiunto ad un sistema lineare (0) di dimensione »= 2; se (0) ha curve fondamentali distinte, le curve del detto si- stema aggiunto sono definite dal segare un gruppo canonico sulla curva generica di (C) e dal segare sopra la curva generica d’un sistema co’ contenuto in (0), un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie canonica e di quella differenza fra la serie segata sulla curva da (0) e la serie caratteristica del sistema 00° (o il gruppo dei punti base semplici se 7 = 2). La definizione data del sistema aggiunto esclude che (C) contenga in sè un sistema 00"! di curve razionali (il che è impossibile se la superficie non è razio- nale); sotto tale restrizione il sistema aggiunto a (0) coincide coll’aggiunto puro definito dal signor Castelnuovo pei sistemi di curve piane, quando la superficie è (1) Noerzer, “ Mathem. Ann. ,, VIII. Come ognun vede quest'ordine di idee è una conveniente estensione alle superficie dei concetti che, come ho detto, il sig. Segre ed il sig. Castelnuovo intro- dussero a fondamento d’una teoria della geometria sopra una curva. (2) Con questo nome (introdotto dal sig. Castelnuovo pei sistemi di curve piane) indico la serie che tutte le curve di un sistema segano sopra la curva generica di esso. (3) L’invariantività è dimostrata analiticamente dal sig. Noether(% Mathem. Ann. ,, VIO) Il numero delle curve canoniche linearmente indipendenti è il genere (geometrico) p della superficie. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 175 razionale. Quando 008 curve C sono sezioni piane d’ordine n d'una superficie F di S; il sistema aggiunto a (0) viene segato sulla F dalle superficie aggiunte d’ordine n — 3. Per le superficie di genere p > 0 (a cui ci riferiamo) il sistema aggiunto è il sistema normale somma del sistema canonico di (0) e dei suoi punti base (se (0) è impuro) e questa proprietà serve a definirlo nel caso in cui (C) non abbia curve fondamentali distinte. Stabilire la dimensione del sistema aggiunto ad un sistema (C) di genere , è questione della massima importanza per le molteplici applicazioni cui conduce la considerazione del sistema aggiunto. Indicando con è (0) il difetto di completezza (= 0) della serie (canonica) che il sistema aggiunto sega sulla curva generica C di (0), la dimensione del detto sistema aggiunto è p{4-T—-1—dòd(0). Se (0) è un sistema puro semplice (cioè in cui il passaggio d’una curva per un punto non trae di conseguenza il passaggio per altri punti) si dimostra che la quan- tità è (C,) relativa ad un arbitrario sistema puro (C,) è < è (r C) (essendo (r €) il sistema rplo di (C)) per » assai grande. Se dunque il è (r €) invece di crescere in- definitamente con x ha un massimo K (come avviene certo se la superficie ha sin- golarità ordinarie), K è un vero carattere invariantivo della superficie. Importante è il caso in cui K = 0; indipendentemente da qualsiasi restrizione relativa alle singo- larità della superficie, si prova che è K—=0 se è (20) =0, e viceversa; quindi se (0) è un sistema puro semplice per cui è (2 C)=0 per ogni altro sistema (anche impuro) di genere t, la dimensione del sistema aggiunto è p+- t — 1: se in parti- colare la superficie è così trasformata da avere soltanto singolarità ordinarie, il genere geometrico p di essa è uguale al suo genere numerico p; definito da Zeuthen e Noether, e viceversa è K =0 sep = p;. La restrizione K= 0 è ammessa nel se- guito per le superficie che si considerano (fino all'ultimo cap. escl.); e nel $ 7 del cap. III ho creduto opportuno (vista l’importanza della cosa) di richiamare altre circostanze che permettono di concludere la sussistenza di tale fatto. Servendomi del sistema aggiunto dimostro quindi che ogni sistema impuro (con punti base distinti) può dedursi coll’aggiunta dei suoi punti base da un sistema puro o (forse) da un sistema con soli punti base semplici: dimostro poi la 2% parte del ‘Restsatz ($ 3), e nei $$ 5 e 6, do esempi relativi alle superficie di genere 0, 1 (cap. III). Il maggiore interesse si concentra nello studio dei sistemi puri (0) (completi); il sistema aggiunto permette di dedurre che la loro serie caratteristica è completa se tale è quella del sistema canonico (o se il sistema canonico non ne ha alcuna) (cap. IV): in siffatta ipotesi per l’intersezione di due curve C di (C) passano 2p+w — è curve (linearmente indipendenti) del sistema aggiunto a (0), essendo p il genere della superficie, è — 1 la dimensione del sistema residuo di (C) rispetto al canonico (l’în- dice di specialità i = 0 se (0) è non speciale cioè non contenuto nel canonico) ed w= 0; designo w col nome di sovrabbondanza di (C) perchè (come risulta più tardi) se si suppone la superficie in Sy e si fa segare (0) mediante aggiunte in modo arbitrario, la sua dimensione virtuale p calcolata in base alle formole di postulazione di Noether è tale che (indicando con r la dimensione effettiva di (C)) si ha: v—_p=W—_- i. Se t è il genere di (C) ed » è il suo grado, si ha la relazione 1176 FEDERIGO ENRIQUES m_—l-n+r=p+w—i (dove i = 0 se (0) è non speciale). Questa relazione costituisce un'estensione del noto teorema di Riemann Roch della geometria sopra una curva: essa fu data sotto forma di disuguaglianza dal signor Noether (1), ma la relativa dimostrazione mi sembra presentare una lacuna. Definendo w mediante l'uguaglianza 7 — p= w — i, la relazione precedente sus- siste ancora se (C) è impuro (dedotto coll’aggiunta di punti base da un sistema puro) ed è ancora w > 0, Infine la relazione stessa sussiste anche prescindendo dalla restrizione invarian- tiva per la superficie che la serie caratteristica del sistema canonico sia completa, ma allora non risulta dimostrato che sia sempre w = 0; si ha però certo w= 0 se r=2 = 1 essendo p (1) il 2° genere (Curvengeschlecht) della superficie. L'utilità della precedente relazione si presenta nel cap. V trattando delle curve fondamentali. Poste alcune limitazioni per queste curve si dimostra una relazione fra i caratteri d’un sistema (0), il genere d'una curva fondamentale e i caratteri del sistema residuo (C’): se ne deduce alcune notevoli proprietà dei sistemi regolari (w = 0) e del sistema canonico; p. e. un sistema regolare di dimensione > p non ha curve fondamentali di genere > 0. Così se di un sistema puro (0), senza curve fon- damentali di genere > 0, si considera il multiplo secondo m, per m assai grande questo è regolare: si può in tal modo trattare un caso semplice delle formule di postulazione relative alle varietà che passano per una superficie negli iperspazi. Infine le curve fondamentali di genere 0 dei sistemi lineari sono degne di atten- zione perchè conducono ad un nuovo carattere invariantivo per le superficie (p > 0): in particolare si troverà dimostrato un teorema sui punti doppi che una superficie può acquistare (per trasformazione) in $3. Nel cap. VI do un rapido sguardo alle involuzioni. Estendo per quelle irrazio- nali un teorema fondamentale stabilito dal signor Castelnuovo (2) per le involuzioni appartenenti ad una curva. Finalmente determino una espressione invariantiva per le involuzioni razionali sopra una superficie, formata coi caratteri di una rete di cui due curve si segano in un gruppo dell’involuzione. È Questo in breve è il tessuto del mio lavoro, di cui i numerosi mancamenti spero mi si vorranno perdonare in vista degli ostacoli che ad ogni passo s'incontrano; io sarò lieto se queste ricerche varranno ad invogliare taluno allo studio di un così bello argomento di cui le difficoltà esercitano una meravigliosa attrattiva. 1° giugno, 1893. FepERIGO ENRIQUES. (1) £ Comptes rendus ,, 1886. (2) “ Accad. dei Lincei ,, 1891. RICERCHE DI GEOMETRIA SUILE SUPERFICIE ALGEBRICHE 177 JE Generalità sui sistemi lineari di curve appartenenti ad una superficie algebrica. 1. Definizioni. — Teoremi preliminari. — Si dirà sistema lineare cd di curve (algebriche) sopra una superficie algebrica S, un sistema di curve tale che per & punti della superficie in posizione generica passi una ed una sola curva del sistema, e tale che gli elementi (curve) di esso possono riferirsi proiettivamente agli elementi generatori (punti o iperpiani S,_.) di una forma lineare S, (in modo che ad un Sx o ad un punto corrisponda un sistema lineare immerso in quello co* e viceversa) (1). Sopra una superficie appartenente ad uno spazio S, un sistema lineare cof di Varietà (ad »—1 dimensioni) non contenenti la superficie, sega sempre un sistema lineare 00° di curve; vedremo più tardi come in tal modo si possa ottenere qualunque Sistema lineare d’una superficie S, ad es. segandola con sistemi lineari di superficie se essa appartiene allo spazio Ss (o è stata proiettata in quello); ma noi vogliamo anzitutto ricavare le proprietà generali dei sistemi lineari dalla definizione che ne abbiamo data, senza occuparci del modo con cui sono stati costruiti. Se si ha un sistema lineare co* di curve di cui le parti variabili si segano due a due in D punti variabili, diremo che il sistema è di dimensione k, e grado D: se le curve del sistema sono irreduttibili e la curva generica ha il genere m, diremo che il sistema co è di genere t. Se K= 1 non si può parlare di grado del sistema. Non vi sono altri casi in cui non si può parlare di grado d’un sistema irreduttibile. Infatti se X > 1 per un punto della superficie deve passare più d’una curva del sistema e quindi il punto è comune a due curve; perciò l’unico caso in cui non si possa parlar di grado del sistema è quello in cui due curve aventi un punto comune abbiano comuni altri infiniti punti ossia abbiano comune una linea, l’insieme di tutte queste linee è tale che per un punto della superficie ne passa una ossia è ciò che dicesi un fascio; allora le curve del sistema si compongono d’un certo numero m di curve del fascio e non sono più irreduttibili. Per ogni sistema lineare irreduttibile di dimensione % > 1 i caratteri £, D, t hanno dunque un significato ben definito. Può darsi che tutte le curve d’un sistema co* passanti per un punto, debbano (1) Il secondo fatto per X> 1 è una conseguenza del primo quando la curva generica del sistema è irreduttibile. Cfr. la mia nota: Una questione sulla linearità dei sistemi di curve apparte- nenti ad una superficie algebrica (“ Accad. dei Lincei ,, giugno 18983). Il teorema è stato nuovamente dedotto dal sig. Castelnuovo come corollario di una importante proposizione sulle involuzioni appar- tenenti ad una curva algebrica (“ Accad. di Torino ,, giugno, 1893). Serie Il. Tom. XLIV. = 178 FEDERIGO ENRIQUES in conseguenza passare per altri punti della superficie in numero finito m —1 va- riabili con esso, e si ha allora sulla superficie una seiie co* di gruppi di m punti tale che un punto appartiene ad un gruppo della serie, ossia ciò che può dirsi una involuzione I; possiamo dire che il sistema appartiene all’involuzione In; diremo sem- plice un sistema in cui il passaggio d’una curva generica per un punto non trae di conseguenza il passaggio per altri punti variabili con esso. Un sistema 00° (rete) appartiene ad una involuzione Ip, se D è il suo grado. Tranne per le superficie omaloidi un sistema semplice ha sempre la dimensione & > 2. Si riferiscano proiettivamente le curve del sistema semplice (0) agli iperpiani (S,-.) di S,; ogni punto della superficie S è dase per un sistema lineare 00% costi- tuito da tutte le curve di (C) che passano per esso; a questo sistema co* corisponde in Sy la 00 degli iperpiani per un punto P, ossia la stella di centro P: in questo modo nascono in S, 00° punti P i quali generano una superficie F, e poichè, per ipotesi, (C) è un sistema semplice, la superficie F è riferita alla S punto per punto. Indicheremo brevemente la trasformazione eseguita dicendo che si è trasformata la S in un'altra superficie F_ di S, su cui le curve del dato sistema (C) sono segate dagli iperpiani od anche dicendo che facciamo segare sulla saperficie le curve del sistema (0) dagli iperpiani di Sx. La trasformazione indicata non riesce più biunivoca se il sistema (C) non è semplice. In tal caso possiamo sempre costruire un sistema lineare 00! di curve | (fascio razionale) che non appartenga all’involuzione I, cui appartiene (0); invero basta considerare il fascio segato da un fascio di iperpiani (o di piani) nello spazio S, a cui la superficie S appartiene, escludendo (tutt'al più) posizioni particolari dello S,-: base. Ciò posto si riferiscano proiettivamente le curve del sistema (0) agli iper- piani (Sx) di un Sx+1 per un punto O e le curve del fascio razionale agli iperpiani per un S;-, in Sr+1 non contenente 0: un punto della superficie S è base per un sistema 00% di curve in (C) ed appartiene ad una curva del fascio; al sistema 00% corrisponde la forma degli iperpiani aventi una retta base per O, ed alla curva un iperpiano per lo Sx che incontra la detta retta in un punto P; il luogo dei punti P così costruiti è una superficie F_ di Sx+ riferita biunivocamente alla S su cui le curve del sistema (0) sono segate dagli iperpiani per 0. Questa 2% trasformazione riesce biunivoca per tutti i sistemi (0) (naturalmente anche per quelli semplici) tali che il passaggio di una curva di essi per un punto non tragga di conseguenza il passaggio per infiniti punti. Infine anche un fascio ra- zionale di curve può fursi segare dai piani d’un fascio in Ss (o dagli iperpiani d'un fascio in un iperspazio), adoprando una rete (od altro sistema) ausiliaria e compiendo la trasformazione indicata innanzi. È utile che ci fermiamo a considerare alcune par- ticolarità di queste trasformazioni ottenute partendo da una rete e da un fascio (nel seguito si sottintenderà razionale salvo avviso in contrario), come pure di un’altra trasformazione analoga che può ottenersi partendo da tre fasci, poichè nel seguito ci occorrerà di richiamare queste proprietà. Si abbia una rete di grado D, ed un fascio di cui una curva generica seghi in n punti variabili una curva della rete e che non appartenga all’involuzione Ip che la rete determina; riferiamo proiettivamente le curve della rete ai piani per un punto O e le curve del fascio ai piani per una retta » (non contenente 0), compiendo RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 179 così la trasformazione della data superficie. Sulla nuova superficie F i piani per segano (fuori di ») curve d’ordine n (aventi » punti comuni coi piani per 0); ad un punto della » corrispondono i D punti base d’un fascio appartenente alla rete, e quindi la » è D pla per la F, la quale risulta d’ordine a+ D; una retta per O sega la F in D punti (base d’un fascio immerso nella rete), quindi O è » plo per la superficie F: inoltre la superficie contiene curve multiple secondo %,, %.,... (in generale una curva doppia) i cui punti corrispondono risp. a gruppi di 1, /o,... punti contenuti in un gruppo della involuzione Ip cui appartiene la rete ed appartenenti ad una stessa curva del fascio; vi sono poi in generale rette multiple per O della Fe punti multipli isolati corrispondenti a curve che non hanno intersezioni variabili con quelle della rete (fondamentali), ed infine la F potrà presentare anche altre singolarità in corrispon- denza a singolarità della primitiva superficie. È anche d’uopo avvertire che dalla superficie F_ può eventualmente staccarsi un certo numero di volte il piano 07, ed allora soltanto la parte residua dovrà considerarsi la trasformata propria della su- perficie data; il caso accennato si verifica se il fascio e la rete hanno una curva comune cui corrisponda il piano Or sia considerato come appartenente alla stella di centro 0, sia come appartenente al fascio di asse r. In modo analogo potranno vedersi le proprietà, che ora accenno, della trasfor- mazione in cui si fanno segare 3 fasci dai piani risp. per 3 rette 71, 79, r3 (non pas- ‘ santi per un punto). Se le curve del 1° fascio incontrano quelle del 2° risp. in na, punti e quelle del 2° e del 3° s’incontrano in #, punti (e 3 curve di ciascuno dei fasci per un punto non han comuni altri punti variabili con esso), riferendo proietti- vamente le curve dei 3 fasci risp. ai piani per 73, ro, 73, la superficie si trasforma in una F di ordine x, + #3 + #3, che ha le rette r;, 1, 73, multiple risp. secondo Ri, No, 3, ecc. E da osservarsi che due rette ad es. 7}, r, possono essersi scelte passanti per un punto O, ed allora può ancora accadere che si stacchi il loro piano (un certo numero di volte) dalla superficie F. Stabiliamo ora il seg. teorema: Se in un sistema lineare la curva generica si spezza, 0 il sistema si compone delle curve irriduttibili d'un altro sistema a cui sî sono aggiunte delle curve (componenti) fisse, o le componenti irriduttibili delle curve del sistema formano un fascio (razionale 0 no) (1). Facciamo segare le curve del sistema (0) (in cui si può supporre % > 1) dagli iperpiani di S:+1 per un punto O sulla superficie F riferita in modo semplice o mul- tiplo alla primitiva; la F non può essere spezzata (poichè tale non si suppone la primitiva), quindi dico che le sue sezioni iperpianali per O non possono tutte spez- zarsi tranne in rette per 0. Basta vedere il fatto per X = 2 potendosi altrimenti proiettare la F in S,. Ora ricordiamo che la F può supporsi riferita semplicemente alla primitiva superficie se la F stessa non è un cono di vertice O (ossia la rete (0) ha un grado): escluso che la F sia un cono, consideriamo un fascio di piani seganti la F il cui asse r passi per O e non appartenga alla F; le curve © sezioni dei piani per » formano un fascio cioè un sistema che sulla superficie irreduttibile F non può (1) Cfr. pei sistemi lineari nel piano: Bermni (“ Istit. lomb. ,, 1882), e per quelli su una qua- lungque superficie: Noerner, “ Math. Ann. ,, III, pag. 171; VII, p. 524. 180 FEDERIGO ENRIQUES spezzarsi in più sistemi; se in ogni piano per r la sezione della F è spezzata in s(>1) curve K, sulla varietà co! che ha per elementi le curve K (componenti un fascio) i gruppi di s curve costituenti le © formano una serie lineare 9, la quale possiede almeno 2 (s — 1) elementi di coincidenza: si arriverebbe così alla conclusione che per un’arbitraria retta » per O vi sono dei piani tangenti alla F lungo una linea (una K), e poichè vi sarebbero infiniti di tali piani la F sarebbe contata più volte, ciò che è assurdo. Ciò posto nel 1° caso (cioè se le sezioni generiche della F per 0 sono irredut- tibili) alla curva generica di (0) corrisponde una parte variabile irreduttibile sezione della F con un iperpiano per O, ed il punto 0 che non può esser dato se non da componenti fisse; nel 2° caso le curve del sistema (0) si compongono con quelle del fascio, rappresentato dalle co! rette per O sulla F. Così ogni sistema riduttibile di cui le curve non si compongono delle curve d’un fascio definisce un sistema irre- duttibile di ugual dimensione ottenuto staccando le componenti fisse: diremo genere e grado del primitivo sistema quelli del sistema irreduttibile così definito, ed esclu- deremo nel seguito la considerazione dei sistemi di cuì la curva generica si compone di m curve d'un fascio. Sussiste pure il teorema: In un sistema lineare di curve irreduttibili la curva generica non può avere punti multipli fuori dei punti base, e delle lince multiple della superficie (1). Nel sistema lineare si consideri un fascio (razionale); basterà dimostrare che non può esistere una linea, non singolare per la superficie, luogo di punti multipli delle curve del fascio; ne seguirà allora immediatamente il teorema enunciato. Ora la dimostrazione si farà per assurdo. Supposto che esista una tal curva © luogo dei punti multipli delle curve del fascio, si può immaginare sulla superficie una rete di curve per la quale il passaggio per un punto della C non porti di conseguenza il passaggio per altri punti della © stessa (in modo cioè che la C non sia luogo di coppie appartenenti a gruppi dell’in- voluzione definita dalla rete), ed allora si può trasformare la superficie in una F su cui le curve della rete sien segate dai piani per un punto 0, quelle del fascio dai piani per una retta r, ed alla curva € venga a corrispondere sulla F una curva O' non singolare; ora la sezione piana generica della F per y non può avere punti mul- tipli fuori della curva multipla della F stessa e della retta multipla » la quale contiene i punti di contatto con F del piano generico per r; è dunque assurdo che le sezioni piane per » della F abbiano dei punti multipli i quali descrivano la 0° come avverrebbe per conseguenza della nostra ipotesi sulla C. 2. Sistemi normali e sistemi completi. — Come è noto una superficie si dice n0r- male in un S, a cui appartiene, quando essa non può ritenersi come proiezione di una superficie dello stesso ordine (ossia da un punto esterno) di Sn41; traducendo questa definizione in linguaggio invariantivo diremo normale un sistema lineare (avente un grado) che non può esser contenuto in un altro dello stesso grado. È chiaro, appunto (1) Cfr. pei sistemi piani: BertIni (I. c.). RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 181 per la considerazione proiettiva da cui siamo partiti, che se un sistema semplice è contenuto in un altro dello stesso grado, anche i generi dei due sistemi debbono essere uguali. Non sussiste però la proprietà inversa, giacchè proiettando una superficie nor- male da un suo punto semplice (da S, in S,_1) si ottiene una nuova superficie normale le cui sezioni sono curve dello stesso genere, ma di cui l'ordine è diminuito di una unità. Questa osservazione fa nascere l’idea di considerare accanto ai sistemi normali quei sistemi (che diremo completi) è quali non possono esser contenuti in altri di ugual genere; il concetto di sistema completo è dunque più largo di quello di sistema nor- x male, poichè, per quanto abbiamo osservato, un sistema completo è sempre un sistema normale (anche se non è semplice come risulta da un successivo teorema), ma non viceversa. È anche opportuno rilevare con esattezza ciò che può intendersi dicendo che un sistema è contenuto in un altro. Dato un sistema (K) di curve K, un si- stema (0) di curve 0 è contenuto in (K) in modo totale se ogni curva © è da sola una K; ma può anche darsi che invece ogni curva C non costituisca da sola una K, mentre una curva composta di una C e di un'altra C' sia una K; si dirà allora che il sistema (0) è contenuto in (K) in modo parziale (ossia che le C sono curve parziali di (K)). Ora io dico che un sistema non può essere contenuto parzialmente in un altro di ugual grado. Infatti se un sistema 0° (K) ne contiene uno 00° (C), facendo segare le curve K di (K) dagli iperpiani di Sr41 per un punto O, sulla superficie F, le curve C di (0) risulteranno segate dagli iperpiani per un S;-, contenente O: se ora le C sono con- tenute in (K) in modo parziale il detto S,_, sega F secondo una curva €' (o in un gruppo di punti) che insieme a ciascuna © dà una K ed allora si può considerare un sistema 00”+! immerso in (K) contenente parzialmente (C). Si facciano segare le curve del nuovo sistema dagli ip&rpiani di S.+1 sulla superficie F' (la quale potrebbe essere anche in corrispondenza [1 mi] colla F); alla curva C' corrisponde su F' un punto, in generale multiplo, e proiettando la F' da questo punto si ottiene certo una superficie d’ordine minore; dunque il sistema (K) ha il grado maggiore di (C). Dalle considerazioni occorse risulta pure che, ove si voglia attribuire un senso invarian- tivo al fatto che un sistema sia contenuto parzialmente o totalmente in un altro, bisogna intendere che una curva C' la quale insieme ad una € costituisce una curva K di (K), possa anche esser rappresentata da un punto; così se in un sistema lineare se ne considera un altro contenuto con qualche punto base di più (in modo che il grado diminuisce), il secondo sistema è contenuto parzialmente nel primo. Per il resultato precedente si vede che la definizione di sistema normale come di sistema non contenuto in altro di ugual grado è indipendente dalla larghezza di significato che voglia attribuirsi alla parola contenere, dicendo contenuto in un altro anche un sistema che vi è contenuto parzialmente, giacchè è inutile cercare un sistema di ugual grado che ne contenga un altro parzialmente. Invece non accade lo stesso per rispetto alla definizione di sistema completo, ed un esempio varrà ad illuminare meglio la cosa. Si abbia sopra una superficie F un sistema (0) del genere tr; le curve € per un punto semplice O costituiscono un sistema contenuto in esso dello stesso ge- nere; ora si trasformi la superficie in modo che al punto O corrisponda una curva semplice K della superficie trasformata 1"; alle curve © corrispondono sulla F' le curve 0’ d’un sistema (0'), ed alle curve C per O curve 0' spezzate nella K ed in 182 FEDERIGO ENRIQUES altre curve d’un sistema lineare (0"); è sistema (0") è contenuto parzialmente in quello (0') dello stesso genere. Da questa osservazione scaturisce la necessità di fissare bene il senso della parola contenere nella definizione di sistema completo, e noi fissiamo di chiamare completo un sistema che non può essere contenuto in altro di ugual genere nemmeno parzialmente; questa definizione più larga è assolutamente necessaria (come appare dal prec. esempio) ove si voglia che il carattere d’un sistema di essere com- pleto (invariantivo per trasformazioni birazionali della superficie) esprima qualcosa di differente da quello di esser normale. i Si considerino ora due fasci di curve irreduttibili di ugual genere aventi comune una curva totale dello stesso genere e sulla superficie F si facciano segare le curve di essi risp. dai piani per le rette r, »' che s'incontrano nel punto O; se la trasfor- mazione è fatta nel modo generale indicato, alla curva comune dei due fasci, secon- dochè si considera appartenente all'uno o all’altro fascio, corrisponde la retta mul- tipla » o la »' sulla F; abbiamo già notato però che se si fa corrispondere, nella proiettività posta tra ciascuno dei due fasci ed il fascio di piani omologo, la curva comune al piano rr’, questo si stacca (un certo numero di volte) dalla superficie F; dico che alla rimanente F non appartengono le rette 7, r". Un punto infinitamente vicino alla curva comune C dei due fasci individua in generale una curva in ciascun fascio, e quindi alla curva comune dei due fasci corrisponde punto per punto la se- zione della F col piano rr' fuori dir ed 7’; se la retta » appartiene (come semplice o multipla) alla F, le corrisponde una curva che insieme alla C compone una curva del fascio segato sulla F dai piani per »'; quindi nell’ipotesi fatta che la C sia una curva totale per i due fasci, le rette r, »' non appartengono alla F, e su questa i piani per O segano una rete di curve dello stesso genere dei due fasci, in cui questi sono contenuti totalmente. Supponiamo ora che la curva C comune ai due fasci sia contenuta parzialmente in uno di essi o in ambedue, ma abbia però il genere comune dei due fasci. Com- piendo la trasformazione eseguita prima, sulla F (da cui è staccato quante volte occorre il piano r r') alla © corrisponde la sezione del piano r7' fuori di r ed 7°. Le rette », 7" (ambedue o una sola di esse) apparterranno ora alla F con molte- plicità è, è’ risp. Sia » l'ordine della F, 7 la molteplicità del punto O, è il numero dei punti doppi a cui equivalgono (rispetto alle formule pluecheriane) i punti multipli di una sezione generica per 0 fuori di O, t il genere di tale sezione; si avrà: _l_-Lb)ha—- 2) m (m — 1) ò panni 9 tea 92 Ti . La » potrà incontrare la curva multipla di F in qualche punto, in modo che una sezione piana per r da cui sia tolta la » avrà è — è; punti doppi fuori di O (o molteplicità equivalenti) essendo dè > dj; indicando con q, il genere di una tale curva si avrà dunque neo toi e) ig re dando a t;', è," gli analoghi significati di t,, è,, rispetto alle sezioni piane della F per r' da cui è tolta la r', si ha pure RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 183 ni, bisi (@ = 00 = SL o — 9 IRE (Mm — d) La I) US ab da La curva © di genere tm, sezione della F col piano » »' da cui sieno tolte le x, #', è d'ordine n — è — è’, ed ha è — è, — è, punti doppi (almeno) fuori di 0 (o mol- teplicità equivalenti), poichè la curva composta C 4- » + »' ha è punti doppi (0 mol- teplicità equivalenti) sulla curva doppia (o multipla) della F fuori di O, di cui è, dipendono dal fatto che il piano della C passa per la retta multipla 7, è)’ dal fatto che passa per 7;'. Il genere della C vale dunque tt, e n _i-_u enalotto, dove il segno < dovrebbe prendersi se la C avesse ulteriori punti multipli acci- dentali (di cui potrebbe escludersi l’esistenza). Ora dalle uguaglianze scritte segue: Tq_-m=ihn_-m—-1)— è tq_-n=dn_-m—-1)- d| Tq_-m=>l+<4Mn-m_-1)— dd, ossia Tqt_qmT=2n-m—- mi. Ma secondo le nostre ipotesi meta ti, quindi T_-T = 21 —- m) TZ TM. Dico che ne segue Tii—imple perciò mi —lmi= Th. Infatti t è il genere d’una sezione piana generica della stella di centro O su F, se questa sezione si particolarizza comunque spezzandosi in s parti di genere %,, ko... ks di cui due parti di genere %,, %, si segano in ?-» punti, si ha, secondo una formula di Noether (1), c= Rie pen (1) “ Acta Mathematica ,, 1886. È da prendersi il segno = quando nessuna delle componenti della curva spezzata acquista punti multipli accidentali. 184 FEDERIGO ENRIQUES dove la somma è estesa a tutte le combinazioni di 7, p;- siccome la curva composta spezzata è connessa perchè limite di una curva irreduttibile connessa, almeno s fra le î,, non possono essere 0, quindi t=>k +ko+..4k; perciò nel nostro caso: SW @ = pe me Si deduce che i piani per O segano ancora sulla F una rete di curve dello stesso genere dei due fasci e della loro curva comune parziale, nella quale i due fasci sono contenuti (tutti e due parzialmente o uno parzialmente e uno totalmente). Si conclude; Due fasci di curve dello stesso genere aventi comune una curva di ugual genere, sono contenuti în una rete dello stesso genere, e sono contenuti totalmente in una tal rete se la loro curva comune è totale. Questo teorema è suscettibile di una immediata generalizzazione. Infatti, sia estendendo il metodo qui seguìto, sia mediante le più elementari proprietà dei sistemi lineari di enti si deduce che: Se due sistemi lineari vo, co° di curve sopra una superficie hamno comune un sistema co? di curve dello stesso genere comune ai due sistemi (per 6 = 0 s'intende una curva), vi è un sistema lineare CO°*+*=? che ha pure il detto genere in cui è due sistemi sono contenuti. Il sistema 00**5=7 si costruisce prendendo risp. nei due sistemi co”, co° due fasci che abbiano comune una curva del sistema co” e costruendo la rete che contiene i due fasci come prima abbiam visto. / Supponiamo che i sistemi 00°, co° e quello 007 comune abbiano il grado D (0 >2); ossia che il sistema 007 sia contenuto totalmente nei due. Facendo segare le curve del sistema co”*5-? dagli iperpiani per un punto O in S,4:-+1, si vede che questo sistema ha pure il grado D, giacchè altrimenti gli S,-,, Ss-s base dei sistemi d’iper- piani seganti i due sistemi 00°, 00° conterrebbero qualche curva o punto della su- perficie Fed il sistema 007 segato dagli iperpiani per lo $,4s-:, @ cui S,_s, Ss, appartengono, avrebbe un grado minore di quello dei due sistemi 09%, co°. Tanto basta per concludere che un sistema di dato grado non può appartenere a due di- versi sistemi normali (s'intende dello stesso grado), giacchè questi sarebbero con- tenuti in un altro di ugual grado. Ora poichè la dimensione d’un sistema lineare non può superare il grado aumentato di una unità, concludiamo: Un sistema lineare di dato grado appartiene ad un determinato sistema normale dello stesso grado. Quando si ha una sola curva (od un fascio) non si può parlare di sistema nor- male individuato da essa, mancando per essa la nozione di grado: bisogna quindi ricorrere al concetto di sistema completo. Noi possiamo per ora asserire (in modo analogo al prec. teor.) che: Una curva non può appartenere a due diversi sistemi completi dello stesso suo genere. Non possiamo però trarne la conclusione generale che esista un sistema com- RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 155 pleto (con un numero finito di dimensioni) individuato da una data curva: occorre perciò fissare un massimo della dimensione d’un sistema di dato genere, e questo massimo manca ad es. pei sistemi di curve razionali nel piano e di curve di genere più alto sulle rigate di genere > 0: queste classi di superficie verranno escluse nei cap. che seguiranno, e dopo aver parlato del genere p delle superficie vedremo come per p > 0 il teorema accennato sussista senza eccezione (cap. II). Intanto una curva appartiene ad un determinato sistema completo se si sa che essa è contenuta (anche par- zialmente) in un sistema completo. 3. Sistemi residui. — Teorema del resto. — Tutte le curve C' d’un sistema lineare (K) che insieme ad una stessa C formano una curva totale C + C' di (K) costituiscono il sistema residuo della curva C rispetto al sistema (K): è da avvertire che la © potrà essere una curva composta e tra le sue componenti potranno esservi dei punti base per (0°). Sia (K) un sistema completo e (C') il residuo della curva © rispetto ad esso. Si consideri (se vi è) un sistema contenente (C’) e dello stesso genere di esso, ed in quel sistema un fascio contenente una curva generica 0’ di (0'); il detto fascio venga fatto segare sulla superficie F dai piani per una retta ,’, mentre un fascio di curve K di (K) contenente la C+4- C' venga segato dai piani per una retta r inter- secante la »' in un punto O: inoltre il piano 7 7° considerato come appartenente ai due fasci corrisponda risp. alle curve C' e C+ C', di guisa che esso si stacchi (un certo numero di volte) dalla superficie F. Staccato il detto piano la curva C' vien rappresentata dalla sezione di esso sulla F fuori di rr". Sia til genere d’una sezione piana generica della F per O, t; il genere d’una sezione per r, ty’ quello d’una sezione per »', t il genere della C'; si ha per ipo- tesi t, = ty: come abbiam visto nel precedente $, sussiste la relazione T_- 9=2T-T- TT, e quindi, posto in esso ty' = m,, segue t è — 2 (per precisare è — 1) per le super- ficie w,_y d'ordine n — 4 aggiunte alla F: allora ciascuna di esse sega sopra una sezione piana per O fuori dei punti multipli un gruppo residuo di quello segato da una retta generica del piano, e contenuto nel residuo di quello segato da una retta per 0; secondo le nostre convenzioni riguardo alle ipermolteplicità dobbiamo però conside- rare il gruppo segato da una y,_; sulla sezione piana di F per O fuori dei punti multipli come la somma del gruppo considerato e di quello degli i punti infinitamente (1) Cfr. ad es. la, superficie del 4° ordine con tacnodo di Cremona (“ Collectanea mathematica ,) e NorrHmer (“ Gottinger Nachrichten ,, 1871 e “ Math. Ann. ,, 83). (2) Nel senso dei signori BriL e Noerzer (“ Math. Ann. ,, 7), cioè rispetto alla serie spe- ciale gua 2 della curva che (seguendo una denominazione del sig. Segre) si dirà serie canonica della curva. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 189 vicini ad 0: trasformando la superficie si ha come corrispondente alla sezione della W,_; in F la curva che corrisponde alla sezione propria della w,_y e quella luogo dei punti corrispondenti ai punti infinitamente vicini ad 0, ed allora questa curva com- posta delle due nominate sega proprio un gruppo residuo della serie caratteristica sopra una curva generica della rete trasformata di quella delle sezioni piane per O della F. Per chiarire riferiamoci ad un esempio. Si consideri un sistema lineare co, (r > 2) ed in esso le curve d'una rete che hanno » — 2 punti fissi: si può costruire (fissando una curva del sistema fuori della rete) un sistema 00? che contenga la rete, e supporremo che esso sia semplice: facendo segare le sue curve dai piani sulla superficie F d’ordine n le superficie w,_; d'ordine n —4 aggiunte alla F segano sulla F una curva © la quale determina un gruppo residuo della serie segata dai piani sopra una sezione piana generica, per modo che la linea corrispondente C' sulla prima superficie sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva gene- rica del sistema 008; supponiamo inoltre che la F abbia solo una curva doppia e non di molteplicità superiore, cioè non esistano infinite terne di punti presentanti una sola condizione alle curve del sistema 093. Al gruppo base di x — 2 punti per la rete contenuta nel sistema 003 che stiamo considerando, corrisponde sulla F un punto 0 (r — 2)plo che è CSI 02 3) plo per la curva doppia: si vede quindi che il punto O è (» — 3)plo per le y, aggiunte alla F (anzichè (r — 4)plo); questo fatto porta che la C' sega sulla curva generica della rete un gruppo residuo della serie caratteri- stica aumentata del gruppo base (di x — 2 punti) della rete, ciò che è d'altra parte una conseguenza del modo con cui la ©’ è stata costruita: la C' aumentata degli (:r — 2) punti base della rete sega quindi un gruppo residuo della serie caratteristica sopra la curva generica della rete; essa gode dell’analoga proprietà anche rispetto al sistema 003 contenente la rete, poichè i punti base della rete sono curve senza intersezioni colle linee del sistema che non passano per essi. Ciò posto possiamo dire che: Una superficie y,_y d'ordine n-4 aggiunta ad una F d’ordine n sega sopra una sezione piana generica (fuori dei punti multipli) un gruppo residuo di quello segato da tutte le rette del piano, e sopra una qualunque sezione piana per un punto multiplo iso- lato un gruppo residuo di quello segato dalle rette per il punto. Così pure sega un gruppo speciale, contenuto nel residuo del gruppo dei punti base semplici, sopra la sezione piana generica di un fascio il cui asse contenga quanti si vogliano punti multipli o sia una retta multipla. Infatti una retta ripla della Fè(i— 1)ipla per una y,-; aggiunta e quindi la sezione della w,_, con un piano generico passante per la retta si compone di una curva C,-;-s e della retta r contata (£—1) volte; la C,_;_3 ha come punto (p—1)plo un punto pplo della sezione C,_; della F fuori di 7, e così pure come punto (p — 1)plo un punto (p + è)plo della C,_; sulla », giacchè questo punto (p + )plo per la sezione totale di F, è (p + — 2)plo per la curva composta di C,_;_3 e di x contata è — 1 volte. Se invece la » non appartiene alla F, essa, insieme alla sezione C,_;, della w,_, con un piano per essa, dà una curva C,-; aggiunta alla sezione piana della F. 190 FEDERIGO ENRIQUES Le proprietà che secondo il teorema precedente competono ad una curva sezione della y,-, sulla F (tolta la curva multipla) sono caratteristiche per questa curva, anzi due sole di esse bastano a definirla, dico cioè (per limitarmi a ciò che qui occorre) che: Se si ha una superficie F (non riyata) e si considera una stella di sezioni piane di essa tale che pel suo centro non passino rette multiple infinitamente vicine, e si ha una curva C la quale seghi un gruppo residuo di quello segato dai piani della stella sulla sezione generica di essa e seghi un gruppo speciale contenuto nel residuo del gruppo dei punti base semplici sulla curva sezione generica d’un fascio contenuto nella stella, la © è sezione della superficie F (d'ordine n) con una determinata superficie ag- giunta d'ordine n — 4 (W,_i). Sia O il centro della stella ed » una qualunque retta per esso, la quale sup- porremo non incontri la curva in questione C: un piano per r sega la F secondo una curva K, su cui la C sega un gruppo che insieme al gruppo segato da una retta per O dà un gruppo canonico, cioè un gruppo sezione di una determinata curva d'ordine n —3 aggiunta alla K: questa aggiunta d’ordine n — 3 si spezza per altro necessariamente (anche se O è multiplo) nella retta per O ed in una curva x d’or- dine n —4 aggiunta alla K tranne tutt'al più nel punto O che risulta (i — 2)plo almeno per essa se è iplo per la F (i > 2): ora il luogo della curva x variando il piano scelto per r è una superficie (contenente la data curva C) che si comporta nel punto O e rispetto alla curva multipla della F (tranne eventualmente rispetto a rette multiple per 0) come una superficie aggiunta: se questa superficie contenesse 7 essa dovrebbe segare F in qualche curva passante per le intersezioni di » con F, ma poichè (la » essendo una retta arbitraria per 0) per queste non passa C nè la curva multipla, e la ulteriore curva intersezione non ha con un piano per r altri punti comuni fuori di C e dei punti multipli, la detta ulteriore intersezione dovrebbe com- porsi di rette incontranti la retta arbitraria » fuori di 0, mentre la F non è rigata. Dunque la superficie luogo della curva x è una y,_y di ordine n —4 come Ja y. Resta a vedersi che questa superficie yw,_y si comporta come una aggiunta anche rispetto alle rette multiple (eventuali) per O ed ai punti multipli isolati fuori di O e che essa è determinata in modo unico dalla ©, ossia è indipendente dalla r. Sia a una retta hpla della F per O (f>0): se la y,_; contiene la @ con una molteplicità < #4 — 1 (o non la contiene), essa sega un piano per « secondo una curva d’ordne >x —h—3 (oltre la a) la quale è aggiunta della sezione piana della F (fuori di @) tranne forse rispetto a punti su 4; per conseguenza in tale ipotesi la yw,_, segherebbe sopra la sezione piana del fascio di asse @ un gruppo non speciale, mentre il gruppo sezione appartenendo alla C è per ipotesi un gruppo speciale: così risulta che la w,_; ha come (£ — 1)pla (almeno) la retta hpla « della F. Si consideri ora un punto multiplo isolato 0° della F, pplo per essa: la retta « = 00, sarà in generale pla per F con fh > 0. Suppongasi dapprima 1 = 0: la y,_; sega (come la C) un gruppo speciale sopra una sezione piana generica della F per «, contenuto nel residuo del gruppo sezione di @ (fuori dei punti multipli), quindi la curva d’or- dine n — 4 sezione della w,_; con un tal piano dà insieme alla a una curva d’ordine n— 3 segante la sezione piana di F in un gruppo speciale, la quale si comporta come un’aggiunta rispetto ai punti multipli della detta sezione fuori di @, dunque essa ha RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 191 la molteplicità p — 1 (almeno) nel punto pplo 0' della Fe perciò questo è (p — 2)plo (almeno) per la w,_;: la conclusione permane se vi sono più punti multipli isolati sulla @, giacchè le ipermolteplicità che la w,_, potrebbe avere in qualcuno di essi rappresenterebbero soltanto dei punti del gruppo segato da © caduti nell’intorno di un punto multiplo. Suppongasi invece 4 > 0: allora la @ è (A — 1)pla per la ye la w,_« sega sopra un piano per a una curva d'ordine x —X—3 la quale si com- porta come un'aggiunta rispetto alla curva d'ordine n —/ sezione della F col piano (fuori di 2) ‘nei punti multipli della curva multipla; poichè essa sega sulla detta curva un gruppo speciale si vede (analogamente al caso precedente) che ogni punto 0' pplo su a deve essere (p — 1)plo (almeno) per essa, ossia la w,_; ha come (p — 1)plo (almeno) ogni punto pplo sulla retta hpla «. Finalmente la superficie w,_; (che si è dimostrato essere aggiunta alla F) è uni- camente determinata dalla condizione di contenere la curva €. Infatti l’intersezione della w,_, colla F si compone della curva multipla, della € ed eventualmente di rette per 0; queste rette per O non possono variare al variare della retta » che ha ser- vito per la costruzione della w,_, giacchè altrimenti la F sarebbe un cono, quindi l'intersezione della w,_; colla F è fissa al variare della 7: tanto basta per affermare che la y,_; stessa è indipendente dal variare della 7, giacchè altrimenti si avrebbe un fascio di superficie y,_, aventi fissa l'intersezione colla superficie F d’ordine » (> —4), ciò che è assurdo. Così rimane stabilito il teorema enunciato in principio. Escluderemo nel seguito le superficie F rigate e le loro trasformate per le quali d'altra parte si può stabilire che non esistono superficie aggiunte ws. Se è data una superficie F d’ordine n in Sy e si considera la stella delle sezioni piane per un punto fuori di essa si deduce: Se una curva C sega un gruppo residuo di quello segato da una retta arbitraria sopra una sezione piana generica della F, ed un gruppo contenuto nel residuo di quello segato da una retta pel punto multiplo sopra una sezione piana generica per un punto multiplo isolato, la detta curva © è la sezione colla F di una determinata superficie w,_, d'ordine n—-4 aggiunta alla F. 2. Il sistema canonico. — I teoremi del precedente $ sono suscettibili d'una più vasta estensione conducendo ad un resultato generale che possiamo enunciare sotto forma invariantiva. A tal fine diremo curva fondamentale per un sistema lineare ogni curva parziale del sistema (cap. 1), la quale presenti una sola condizione ad una curva del sistema che debba contenerla; se la curva è irreduttibile basta assegnare la condizione che la curva fondamentale non abbia intersezioni variabili colle curve del sistema, non così se è composta: intendiamo per altro di includere sempre in una curva fonda- mentale composta tutte le linee parziali (o punti) che si staccano da una linea del sistema in conseguenza dello staccarsi di una parte di essa. Allora una linea fondamentale d’una rete di curve, quando questa venga segata dai piani d’una stella, è rappresentata o da una retta (multipla) pel centro della stella, o da uno o più punti multipli isolati sopra una retta pel detto centro ed eventual- 192 FEDERIGO ENRIQUES mente anche dalla retta stessa; nel 1° caso la curva non è fondamentale per il sistema c03 segato dai piani, nel 2° sì se si tratta d'un solo punto multiplo isolato. Una linea fondamentale d’un sistema semplice viene sempre rappresentata da un punto multiplo sopra la superficie F trasformata facendo segare dagli iperpiani (o piani) le curve del sistema: diremo che il sistema ha curve fondamentali distinte se la superficie F_ha punti multipli isolati distinti (cfr. $ prec.). Fisseremo l’analoga definizione per una rete dicendo che essa la curve fondamentali distinte quando è impossibile fare segare le curve di essa sopra la superficie dai piani per un punto (in Ss) per cui passano due rette multiple infinitamente vicine: è facile vedere che una rete generica immersa in un sistema semplice co? con curve fondamentali distinte ha curve fondamentali distinte, poichè non contiene due fasci infinitamente vicini residui di curve fondamentali. Ciò posto noi stabiliamo ancora di definire come serie caratteristica di un si- stema lineare la serie 977 che le curve del sistema (di dimensione r e grado D) segano sopra una curva generica del sistema stesso (1): i piani d’una stella (ossia le rette pel centro) segano sopra una sezione piana la serie caratteristica della rete delle sezioni piane della stella stessa, ecc. Si abbia sopra una superficie una rete con curve fondamentali distinte e si consideri un arbitrario sistema lineare co" (K = 1) ed in esso un fascio generico avente m punti base semplici: facciamo segare sulla superficie F_(d’ordine n) le curve della rete dai piani per un punto 0, e le curve del fascio dai piani per una retta r non passante per 0; ai punti base semplici del fascio corrispondono rette per o sem- plici per F (curve fondamentali della rete aventi una intersezione con ciascuna curva del fascio). Sia c una curva la quale seghi un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica della rete, ed un gruppo speciale contenuto nel residuo del gruppo dei punti base semplici sulla curva d’un fascio contenuto nella rete; come nel prec. $ si prova che la c è sezione della superficie F d'ordine x con una superficie y,_s d'ordine n — 4 la quale si comporta come un'aggiunta rispetto alle linee multiple della F (quantunque forse la F possa non avere punti multipli isolati distinti): dico inoltre che la w,_; contiene le rette semplici per o corrispondenti ai punti base del fascio fatto segare dai piani per r. Infatti un piano per una tal retta @ sega la F secondo una curva K,_, d'ordine n — 1 (fuori di ») e la c sega la K,_, secondo un gruppo che insieme ad una retta per o, p. es. insieme alla 7, costituisce un gruppo canonico, sicchè la curva sezione della w,_;y fuori di r è una curva d’ordine n — 5 che insieme alla » costituisce un’aggiunta d'ordine n» — 4 alla K,_,, perciò la r ap- partiene alla w,_;, cdd. Ne segue che la c aumentata delle rette per canaloghe ad « sega sopra la curva sezione della F con un piano per 7, un gruppo appartenente a quello segato dalla w,_y ossia dalla curva d’ordine n —i—3 sezione della yw,_; col piano fuori della » (supposta ipla per F) ed aggiunta alla sezione piana di F: in altre parole la c sega un gruppo contenuto nel residuo del gruppo dei punti base semplici sulla curva del fascio fatto segare dai piani per 7, e sommata (ove occorra) (1) Cfr. pei sistemi di curve piane, CasreLxuovo (“ Accad. di Scienze Torino, Memorie ,, 1891). RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 193 con curve fondamentali della rete (ulteriore sezione della w,_; con F fuori delle rette analoghe ad 4) sega proprio un tal gruppo residuo sulla curva generica del detto fascio. Si deduce che la c insieme ad eventuali curve fondamentali della data rete sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica del si- stema co°. Il ragionamento precedente patisce eccezione se il fascio preso ad arbitrio nel sistema cof sulla superficie appartiene alla involuzione che la rete determina; in tal caso sussiste ancora la conclusione precedente perchè la c (completata ove occorra) gode della stessa proprietà fissata per la primitiva rete rispetto ad altre reti non appartenenti alla stessa involuzione. Così possiamo enunciare il teorema : Se una curva © sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva gene- rica d'un sistema co" (con r =2) dotato di curve fondamentali distinte, ed un gruppo contenuto nel residuo della serie caratteristica (che si riduce al gruppo dei punti base r—-l semplici per un fascio) sulla curva generica di ogni sistema co contenuto nel primo, residuo d’una curva fondamentale, la curva C sola 0 insieme a qualche curva fonda- mentale pel dato sistema sega un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica dun sistema co° (s= 2) (semplice o no) arbitrariamente fissato sulla superficie. Da questo teorema risulta che le curve C definite dalle proprietà indicate rispetto ad un sistema co” (r = 2) non dipendono dalla natura dei sistema ove si prescinda da certe componenti fisse di esse (curve eccezionali): le curve © si ottengono come sezioni della superficie F d'ordine » in S3 colle superficie aggiunte d’ordine n — 4 quando la F sia stata preventivamente trasformata in modo da avere punti multipli isolati distinti (come supponiamo), e perciò compongono un sistema lineare; segue che le componenti variabili del sistema lineare segato sopra una superficie d'ordine n dalle superficie d’ ordine n— 4 aggiunte ad essa, si trasformano in curve analoghe quando si trasforma birazionalmente la superficie; queste curve, legate invariantiva- mente alla superficie, che diremo curve canoniche, segano sulla curva generica d’ogni sistema lineare un gruppo contenuto in un gruppo residuo della serie caratteristica o proprio residuo di essa (1): dovremo poi distinguere quando si presenti l’ uno o l’altro caso. Il sistema canonico (costituito dalle curve canoniche) conduce in generale a due caratteri invariantivi della superficie; cioè il 7° genere p (o semplicemente genere) cioè la dimensione del sistema canonico aumentata di 1 (Flichengeschlecht) (2), ed il 2° genere p' cioè il genere del sistema canonico (Curvengeschlecht di Noether); un terzo carattere, il grado p®, è legato al 2° genere p! dalla relazione po=pU_1 stabilita dal Noether (Mathem. Ann. VII), di cui ora dovremo discorrere. (1) L’invariantività delle curve canoniche è stata dimostrata per la prima volta dal sig. NosrHER (£ Math. Ann. ,, II, VIII) con un lungo procedimento analitico. Il sig. CasreLnuovo (“ Istituto lomb. ;, 1891) ne ha dedotto la proprietà qui enunciata di queste curve, la quale sotto le restrizioni del precedente teorema risulta ora caratteristica di quelle curve. (2) Il concetto del genere per le superficie, fu dapprima stabilito da CresscH (“ Comptes rendus ,, 1868), quindi il detto concetto fu stabilito dal sig. Norrmrr (“ Mathem. Ann. ,, Il) per tutte le varietà algebriche più volte estese. Serie II. Tom. XLIV. Z 194 FEDERIGO ENRIQUES Se il 1° genere p=1, mancano le curve canoniche propriamente dette (secondo la nostra definizione), ma ogni sistema lineare ha la serie caratteristica speciale: manca il secondo carattere p!: esiste una superficie d’ordine n — 4 aggiunta alla superficie supposta d’ordine n in S3. 8. Curve eccezionali. — Consideriamo un sistema semplice co° (0) (» = 3) con un punto base iplo (isolato) in un punto semplice O della superficie Fe trasformiamo la superficie in una F'” di Sg su cui 00° curve generiche € di (0) vengano segate dai piani: al punto O corrisponde sulla F' una curva d’ordine è (che può anche ridursi ad una curva d'ordine — contata j volte) la quale deve essere aggiunta ad ogni curva canonica (insieme forse ad altre curve) per segare un gruppo residuo della serie caratteristica sulla sezione piana generica di F'; infatti la curva composta di una curva canonica e del punto O sulla F sega un gruppo residuo della serie carat- teristica sopra la curva generica di ogni sistema non avente il punto base O e quindi pel teorema principale del precedente $ sega un gruppo residuo della serie caratte- ristica anche sopra la curva generica d’un arbitrario sistema avente il punto base O. Dunque la curva d'ordine i che corrisponde al punto O su E' appartiene a tutte le superficie d'ordine n — 4 aggiunte alla F' supposta d’ordine n; per questa proprietà la detta curva dicesi (secondo il Noether Math. Ann. VII) una curva eccezionale della F' (ausgezeichnete). Viceversa si supponga l’esistenza di una curva eccezionale C d’ordine è sulla F': il sig. Noether (op. cit., $ 514) ha indicato una trasformazione della superficie F' in una F su cui alla © corrisponde un punto semplice per la F e base iplo per il sistema delle curve corrispondenti alle sezioni piane della F". La curva eccezionale © su F' può eventualmente essere sostituita da un punto; la trasformazione della F' in una superficie F su cui la C è rappresentata da un punto 0 semplice (per F) e base (con data molteplicità) per il sistema delle curve 0" corrispondenti alle sezioni piane della F' continua a sussistere, ma nel punto O le curve C' hanno le tangenti fisse altrimenti ad O corrisponderebbe una linea su F': reciprocamente se sopra una superficie F si considera un sistema (semplice) 00? (almeno) di curve €" con un punto base O semplice per F e con data molteplicità per le C', dove le C' hanno le tangenti fisse, facendo segare le curve C' dai piani (di S;) sopra la superficie F', si ha suF' un punto 0' multiplo eccezionale, ossia un punto ipermultiplo di cui un intorno rappresenta una curva appartenente a tutte le curve canoniche; in particolare si può considerare l’esempio in cui le C' tocchino in O una data retta, 0' è allora un punto doppio eccezionale per la F'. Risulta di qua che non vi può essere sulla F” un punto eccezionale semplice (per F'), ossia un punto base pel sistema canonico (semplice per la F'). Infatti sulla superficie trasformata F il punto O corrispondente ad 0’ non potrebbe essere un punto base isolato per le C’, altrimenti gli corrisponderebbe una curva sulla F', e d’altra parte se in O le C" hanno una tangente fissa il punto O' risulta doppio almeno per la F'. Ora si consideri una trasformata F della F' senza curve (nè punti) eccezionali, come è possibile con successive trasformazioni che mutino in punti semplici le curve eccezionali della F'; sulla F, supposta d’ordine », le superficie aggiunte Wnx (d’or- RICERCHE DI GEOMETRIA SUI.LE SUPERFICIE ALGEBRICHE 195 dine n — 4) segano fuori della curva multipla soltanto curve canoniche (e non com- ponenti fisse eccezionali), e quindi le curve canoniche segano sulle sezioni piane della F proprio un gruppo residuo della serie segata dai piani (non un gruppo con- tenuto in un gruppo residuo). Se si considera sulla F un sistema semplice (003 almeno) senza punti base e si fanno segare le sue curve dai piani di S3, sulla superficie trasformata non nascono curve eccezionali (che corrisponderebbero necessariamente a punti sulla F) e quindi la proprietà indicata compete alle curve canoniche anche rispetto alle curve del nuovo sistema. La proprietà di una superficie di Ss di non possedere curve eccezionali si tra- duce in una proprietà invariantiva pel sistema delle sezioni piane che può enunciarsi dicendo che il sistema è privo di punti base, intendendo che il sistema non può acqui- stare punti base (semplici per la superficie) sopra una superficie trasformata, e sce- gliendo per tipo fra le trasformate una superficie senza curve eccezionali sulla quale il sistema avrebbe necessariamente punti base se li avesse sopra un’altra superficie riferita ad essa biunivocamente: con questa scelta della superficie tipo rimane pure fissato che cosa si deve intendere quando si dice che un sistema ha certi punti base con certe molteplicità; nella scelta medesima evitiamo di riferirci a quelle superficie su cui accidentalmente i punti base del sistema cadano infinitamente vicini a punti multipli. Infine queste definizioni non esigono che il sistema di cui si tratta sia semplice. Con queste convenzioni l’esistenza di punti base d’un sistema costituisce una pro- prietà invariantiva di esso che compete evidentemente al sistema normale definito dal dato sistema (altrimenti. il grado aumenterebbe). Diremo per brevità puro o impuro un sistema secondochè non ha o ha punti base; diremo pure curva eccezionale sopra una superficie in S, la curva che corri- sponde ad un punto base pel sistema delle curve trasformate delle sue sezioni iperpianali. Ora sopra una superficie F senza curve eccezionali si abbia un sistema puro (semplice o no): se una curva canonica non segasse proprio un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica del sistema (supposto di dimensione = 2), tale proprietà competerebbe alla somma di essa con una curva eccezionale su F; questa curva non potrebbe essere che un punto base pel sistema, ciò che contrasta all'ipotesi che il sistema sia puro. Concludiamo: Una curva canonica sega proprio un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica d’ogni sistema puro (00? almeno) ed è caratterizzata da questa proprietà. Parimente: Se un sistema impuro (00° almeno) ha s punti base isolati di molteplicità i, ip... i, una curva canonica sega sulla curva generica di esso un gruppo che aumentato dei gruppi di i, ig... i punti infinitamente vicini ai rispettivi punti base dà un gruppo residuo della serie caratteristica. Il sistema canonico non ha punti base (come abbiamo osservato), quindi la serie caratteristica del sistema canonico è autoresidua e perciò pi=pY—1 196 FEDERIGO ENRIQUES (cfr. citaz. precedente): va fatta eccezione per il caso che il sistema canonico si spezzi nelle componenti d'un fascio (o per p= 1 in cui il teorema non ha significato) giacchè tali sistemi sono stati esclusi dalle nostre considerazioni nel $ 1°, cap. I; nondimeno il signor Noether ha stabilito che in tale ipotesi le curve componenti le curve cano- niche sono ellittiche, sicchè p® =0, p® = 1, e la relazione è ancora verificata. Possiamo ora estendere il concetto di superficie aggiunta anche al caso in cui la superficie F sia stata trasformata in modo da non avere più punti multipli isolati distinti, basandoci sulla invariantività del sistema canonico (p > 0). Invero una curva canonica © insieme alle curve eccezionali sega un gruppo residuo della serie caratteristica del sistema co? segato dai piani sulla sezione piana generica della F, ed un gruppo residuo di quello segato dai piani per il punto sopra la sezione piana per un punto multiplo isolato, perciò col ragionamento del $ 1 si prova che la curva composta della C e delle curve eccezionali (corrispondenti ai punti base del sistema co? segato dai piani) è sezione di una determinata superficie w,_, d’ordine x — 4 (essendo n l'ordine della F) la quale soddisfa alle condizioni @) è) del $ 1 richieste dalla de- finizione di superficie aggiunta rispetto ad una superficie con punti multipli isolati distinti; inoltre la w,, si comporta nei punti multipli isolati della F in un modo particolare pienamente determinato (p. e. si può vedere che essa ha come (i — 2)plo almeno un punto iplo infinitamente vicino ad un punto multiplo); noi assumiamo il modo di comportarsi della w,_, nei punti multipli come definizione del modo di comportarsi delle superficie aggiunte alla F, con riguardo però al fatto che debbono considerarsi come ipermoltiplicità della F i punti multipli rappresentanti una curva eccezionale; per evitare discussioni troppo minute diciamo che sono aggiunte alla superficie E dotata di arbitrarie singolarità e di curve eccezionali distinte, le superficie che segano un piano generico secondo una curva aggiunta alla sezione piana e si com- portano nei punti multipli isolati come le w,_;; invero nessuna curva eccezionale (im- magine d'un punto base isolato) può in questo caso ridursi all’ intorno d’un punto multiplo. Osserviamo che la costruzione delle y,_; riesce per p=1 anche se mancano le curve eccezionali, essendovi in ogni piano una curva d’ordine n — 4 aggiunta alla sezione piana: va fatta eccezione per le superficie del 4° ordine (genere 1) a cui sono aggiunte tutte le superficie. 4. Applicazioni. — Una conclusione emerge subito dai resultati del $ 2°. Se il genere p di una superficie è > 0, la dimensione r d’un sistema lineare di genere è < tr (poichè la serie caratteristica è speciale), quindi ricordando gli ultimi resultati del cap. precedente si ha: Sopra una superficie di genere > 0 una curva appartiene ad un determinato sistema completo. E parimente (poichè allora ogni sistema normale è contenuto in un sistema completo): Il residuo d’una curva rispetto ad un sistema normale è sempre un sistema normale (se ha un grado). I Si consideri ora un sistema normale di grado (C), appartenente ad un sistema completo puro di grado n + (è > 0), sopra una superficie di genere p > 0. Una rt E e sia I tei RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 197 curva canonica sega la curva generica del sistema completo di genere m in 2(m—1) —n—ò punti, ed insieme ai punti base di (C) sega una curva generica 0 (di (C)) in 2(n—1)— punti; i detti punti base non possono essere multipli perchè (0) ha lo stesso genere tr del sistema completo a cui appartiene, quindi (C) ha almeno ò punti base semplici, e precisamente ne ha è perchè è è la differenza fra il suo grado e quello del sistema completo. Si deduce che se è=0 (0) coincide col sistema completo a cui appartiene. Dunque: Un sistema puro normale è necessariamente completo (p > 0). I. Il sistema aggiunto. 1. Definizione del sistema aggiunto. — In S3 si abbia una superficie F d’ordine n; una superficie w,_: d'ordine x — 3 aggiunta alla F sega la F (fuori dei punti multipli) secondo una curva K la quale gode delle due proprietà seguenti: a) sega una sezione piana generica della F secondo un gruppo canonico, 6) sega una sezione piana generica (non razionale) per un punto multiplo O della F secondo un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma di quella canonica e della serie differenza di quella segata sulla curva dai piani generici di Sg e di quella segata su di essa dai piani per O. Escludiamo che la F abbia una stella di sezioni piane razionali (nel qual caso sarebbe razionale). Se il punto O è un punto iplo ordinario la serie differenza di quella segata dai piani generici di Ss sopra una sezione piana per O e di quella segata sulla curva stessa dai piani per 0, è la serie determinata dal gruppo degli è punti della curva in questione infinitamente vicini al punto O. In modo analogo a quello con cui è stato dimostrato il teorema principale del $ 1°, cap. II si stabilisce che: Se la F è dotata solo di punti multipli isolati distinti, una curva la quale goda delle proprietà a), b), è la sezione della E con una determinata superficie aggiunta w,-3 d'ordine n — 3. Le proprietà @), 6) di una curva K rispetto alla F, si traducono in proprietà della K rispetto alle sezioni piane di una stella col centro fuori della Fo in un punto semplice di essa, le quali d'altra parte (per la dimostrazione analoga a quella citata) sono caratteristiche per la K. Si ha dunque: La condizione necessaria e sufficiente affinchè la K sia la sezione della F' (dotata di punti multipli ‘isolati distinti) con una superficie ws d'ordinen — 3 aggiunta alla F stessa, è che la K: i 198 FEDERIGO ENRIQUES a) seghi un gruppo canonico sopra ogni sezione generica della F con un piano appartenente ad una stella il cui centro O è fuori della Fo è semplice per essa, B) seghi un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della canonica colla serie differenza di quella segata dai piani per O e di quella individuata dal gruppo dei punti base semplice del fascio, sopra la curva generica d'un fascio segato da piani per 0. Si supponga che le sezioni piane della F di genere t sieno le curve di un sistema generico 00° immerso in un sistema completo (C) di dimensione r > 3 (e necessaria- mente semplice). Le curve C si facciano segare sulla superficie trasformata ® dagli iperpiani di S,: il sistema delle sezioni piane della F viene segato dagli iperpiani per un S,_; di S, non incontrante la 9. Dato un altro S,_, non incontrante la @ in S, si può sempre costruire una serie di S,-; in S, (avente per estremi i due dati) tale che due S,_; consecutivi giacciano in un S,-3 senza intersezioni colla @. Allora una curva K che gode delle proprietà «), ) rispetto al primo sistema 008 (quando le sue curve sieno fatte segare dai piani di S3), gode delle proprietà a), B) rispetto alle curve della rete data dagli iperpiani per S,_3 (che vien segata dai piani d'una stella col centro fuori di F, quindi gode delle proprietà @), 3) rispetto al 2° sistema 00° immerso in (C) e così via fino all'ultimo (supposto che tutti questi sistemi sieno semplici). Allora traducendo in linguaggio invariantivo le proprietà a), 8), @), d) si può enunciare il teorema: Sia (C) un sistema completo semplice di dimensione r =>3 dotato di curve fonda- mentali distinte, e sia K una curva la quale goda delle due proprietà seguenti: o) dî segare un gruppo canonico sopra la curva generica di una rete generica immersa in (C), B) di segare sopra la curva generica di un fascio contenuto nella rete un gruppo contenuto în uno appartenente alla serie somma della serie canonica e di quella diffe- renza tra la serie segata dalla rete e quella individuata dal gruppo dei punti base sem- plici del fascio; allora la curva K gode le due proprietà caratteristiche seguenti: a) sega un gruppo canonico sopra ogni curva generica di (0), b) sega sopra la curva generica d’un sistema co residuo di una curva fonda- mentale di (C) un gruppo contenuto in uno appartenente alla serie somma della serie canonica e della serie differenza fra quella segata sulla curva da (0) e la serie carat- teristica del sistema co. La curva K è caratterizzata dal fatto di essere la sezione (fuori della linea. mul- tipla) della superficie F_ d’ordine n ottenuta facendo segare dai piani di Sz, 003 curve generiche di (C), con una superficie ynsz d'ordine n — 3 aggiunta ad essa F. Perciò le curve K compongono un sistema lineare che si dirà il sistema aggiunto di (C). Se si tratta di una superficie di genere p > O, le proprietà a), 3) rispetto ad un sistema (C) con punti base distinti (1), competono alle curve composte di una curva € (di (C)) e di una curva canonica aumentata dei punti base di (C) (cfr. cap. IL, $ 3), (1) Ossia tali che in nessuno di essi le curve C hanno una tangente fissa. Sebbene introduca costantemente questa ipotesi per non entrare in una analisi troppo minuta, non sarebbe difficile estendere molti resultati anche al caso in cui (C) abbia punti base di arbitraria natura, come si fa nel piano colla considerazione delle singolarità straordinarie delle curve. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 199 e quindi evidentemente anche alle curve del sistema (normale) somma di (C), del canonico, e delle curve rappresentate dai punti base di (C). Viceversa consideriamo il sistema (K) aggiunto di (0). Sulla curva generica € di (C) una K di (K) sega un gruppo canonico per il quale passano oltre la K 00° curve del sistema aggiunto spezzate nella © ed in una curva canonica aumentata dei punti base (o curve eccezionali corrispondenti) di (0), quindi pel detto gruppo canonico passano almeno 00” curve di (K); ma per il gruppo non possono passare più di co? curve K._ giacchè altrimenti vi sarebbero più che 00? curve di (K) spezzate nella C ed in una curva residua, la quale per le proprietà a), 8) di (C) possiede ne- cessariamente le proprietà caratteristiche (indicate nel cap. II, $$ 2, 8) proprie di una curva canonica e delle linee eccezionali (o punti base) di (C); dunque. per un gruppo canonico sezione d'una curva irreduttibile K con una curva generica C pas- sano appunto co? curve K. Il sistema (K) è dunque il sistema normale somma di (0) col sistema canonico e colle curve eccezionali (distinte) di (C), e questo fatto si assu- merà come definizione per (K) se (C) non ha curve fondamentali distinte (per p>0): risulta ancora (per la convenzione del cap. prec.) che (K) viene segato dalle superficie d'ordine n —3 aggiunte sulla superficie d’ordine n le cui sezioni piane sono curve generiche di (C). Come ora abbiamo osservato le curve di (K) residue di una C sono curve cano- niche aumentate dei punti base di (C); allora consideriamo un punto base O iplo isolato di (C) (sopra una superficie senza curve eccezionali) e supponiamo per pura sempli- cità di ragionamento che (0) non abbia altri punti base. Staccando da (K) una curva C generica si ha un sistema residuo. somma del sistema canonico e del punto O, ciò vuol dire che il punto O ha come residuo rispetto a (K) il sistema somma di (C) e del canonico; poichè il sistema canonico non ha punti base (è puro) il detto sistema somma ha il punto O come base iplo; ora si pos- sono fare due ipotesi; o il sistema (K) è spezzato nel detto sistema somma e nel punto O (se si vuole curva eccezionale corrispondente), oppure il punto O ha una tale molteplicità s per le curve K che imponendo ad una di esse di avere un altro punto infinitamente vicino ad O oltre agli s tenuti fissi (ossia staccando O, o se si vuole la curva eccezionale corrispondente, da (K)) il punto O diviene iplo per le curve K residue; il punto O facendo parte una sola volta delle curve K spezzate in una C in una canonica ed in 0, segue ches=?— 1, ossia il punto O è (î — 1) plo per (K). D'altra parte (K) non può avere altri punti base fuori di quelli di (C) poichè un punto base O di (K) è base pel residuo del canonico e pel residuo rispetto al nuovo sistema di curve o punti non contenenti O. Deduciamo : Sopra una superficie di genere > 0 il sistema (K) aggiunto a (C) (00° almeno) è il sistema normale somma di (C), del sistema canonico e dei punti base (supposti isolati) (o curve eccezionali) di (C): un punto base iplo di (C) 0 si stacca (forse) da tutte le curve di (K) ed allora è iplo per le componenti irreduttibili di esso, o è base (i — 1) plo per (K); (K) non ha punti base fuori di quelli di (0). 2. Dimensione del sistema aggiunto. — Le curve del sistema (K) aggiunto a (0) segano sulla curva generica © (di (C)) gruppi canonici; sorge la questione “£ la serie segata da (K) sulla curva © è la serie canonica completa? ,. - 200 FEDERIGO ENRIQUES Con effettivi esempi (di superficie aventi il genere geometrico diverso dal nu- merico che avrò occasione di menzionare) si vede che può avvenire l’uno o l’altro caso; importa però a noi di stabilire che questo fatto è legato invariantivamente alla superficie e non dipende dal particolare sistema (0) considerato. Intanto notiamo che la questione posta equivale a quella di determinare la di- mensione del sistema (K) aggiunto al sistema (0) di genere m sopra una superficie di genere p, infatti abbiamo avuto occasione di osservare nel precedente $ che per un gruppo canonico della © sezione di una K (di cui la C non fa parte) passano coP curve K, quindi la dimensione di (K) èp+m—w-—1 essendo w (= 0) il difetto di completezza della serie che (K) sega sulla C. Questa quantità w = 0 che esprime la differenza fra la dimensione virtuale (per dir così) p+m —1 dell’aggiunto a (0) e la dimensione effettiva del detto sistema aggiunto, si designerà nel seguito con è (0). Il sistema (0) sia un sistema puro semplice (quindi 008 almeno, essendo p>0), e 003 delle sue curve generiche sieno segate sulla superficie F dai piani di Sy; la F risulta senza curve eccezionali; s’indichi con (0') il sistema canonico e con (C+ 0") il sistema normale somma di (C), (C’), ossia il sistema aggiunto a (0); analogamente con (r C+ C') il sistema aggiunto ad (r 0); infine n” designi il genere di (r C) (nV=nm. Il sistema (r C) contiene in sè (totalmente) quello segato sulla F da tutte le super- ficie p, di ordine 7; dato un arbitrario sistema (C,) si può prendere » così grande che per la curva generica C, passino delle @,, e quindi (C,) sia contenuto (parzialmente) in (r 0); anzi per r assai elevato le 9, passanti per C, non passeranno in conseguenza per altri elementi fissi e perciò il residuo di(C;) rispetto ad (x C) sarà un sistema puro (C); supponiamo ancora che (0) stesso sia un sistema puro. Indicando con m;, t, i risp. generi di (C;), (0), la curva spezzata C, + 0, non ha fuori dei punti multipli per le curve di (r C), altri punti multipli che i D punti doppi intersezioni di C,, C, (essendo (C;), (C) due sistemi puri residui un dell’altro rispetto ad (7 C)), quindi secondo la formola di Noether che dà il genere d’una curva spezzata si ha: m=m+m+D-1. Ora il sistema aggiunto di (r C), ossia (r C + €’) è anche la somma (0, +4- (0, + C')) ossia è la somma di (0,) e dell’aggiunto a (C,). Sopra la curva generica C, (di genere tro) il sistema (0,4 (C, + Cl’) = (C+ (C+ 0’) sega una serie g (forse scompleta) di grado D+H42qm—-2 e però di dimensione D+ m_—-2—- w (ws => 0): se p+Ta—-1— (w,=ò (0) => 0) è la dimensione di (C, + €’), per un gruppo della serie g passano oo?+71-® curve di (C, 4 01 + 0’) tra cui coP+71-1-% spezzate nella C, ed in una curva arbitraria di (C, + 0); dunque la dimensione del sistema aggiunto ad (r ©), cioè di (r C+ C')= (C, + C, + 0’) vale Porte DE IZUMI; RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 201 ma t+ mo +D—-1=n", quindi è d (e C) =w,d(C1) (d(C)=w,) ossia d(rC)=> è (0). Dunque la quantità è (C,) relativa ad un qualunque sistema puro (C;) non supera l’analoga quantità calcolata per (x 0) dove si prenda r assai elevato. Perciò se il d (0) anzichè crescere indefinitamente con » assume un valore massimo (che sarà pur quello di d ((r + s) C) per s= 0), questo valore è un vero carattere invariantivo della superficie; effettivamente se la F ha singolarità ordinarie in guisa che si pos- sano applicare da un certo punto in poi le formule di postulazione di Noether per calcolare le dimensioni dei sistemi delle superficie (di dato ordine) aggiunte alla F (di ordine x), si verifica con un semplice calcolo che la dimensione del sistema ag- giunto ad (: C) che contiene quello segato dalle aggiunte d’ordine n —44+ r è (per x assai elevato) = Pim 1 dove p; è un numero indipendente da » che esprime il numero virtuale delle super- ficie aggiunte d'ordine x — 4 (linearmente indipendenti) e dicesi genere numerico della F; si ha dunque: O) (1 0) =P_Pyp e perciò il d (7 C) Ra un massimo K che esprime il massimo difetto di scompletezza della serie segata sulla curva generica di un arbitrario sistema dal suo sistema aggiunto (e si stabilirebbe essere = p — p; dimostrando che è completo il sistema segato sulla F da tutte le aggiunte di ordine assai elevato) (1). Ma ciò che a noi interessa è la - considerazione del caso in cui K=0, e delle condizioni che permettono di trarre tale conclusione, a cui vogliano giungere senza occuparci della natura delle singolarità che la E° possiede. Occorre premettere un lemma di geometria sopra una curva la cui dimostrazione si compie facilmente usando di un ragionamento adoperato dal signor Castelnuovo in un suo recente lavoro (2). Il lemma è il seguente: Sopra una curva piana d’ordine ne genere 7 la minima serie g di grado (e+1)n+2 (mt —1)contenente tutti è gruppi composti dell’intersezione d'una curva ag- giunta d'ordine n—-3 + r e dell’intersezione d'una retta, è la serie completa somma della 2 Stige) Segata dalle curve aggiunte d'ordine n—3+r, e della g; segata dalle rette. (1) Così risulterebbe fissata in ogni caso la invariantività di p, che i signori Zeurzen (“ Math. Ann. ,, IV) e Noerzer (“ Mathem. Ann. ,, VITI) hanno stabilito soltanto con restrizioni alle singo- .larità nascenti sulla superficie nelle trasformazioni considerate. Effettivi esempi di superficie aventi il genere geometrico diverso dal numerico (comunque elevato) sono stati dati dal sig. CAsrELNUOVO (“ Istituto lomb. ,, 1891). (2) “ Sui multipli di una serie lineare di gruppi di punti appartenente ad una curva algebrica , (© Circolo Mat. di Palermo ,, t. VII). Serie Il. Tom. XLIV. A a 202 FEDERIGO ENRIQUES Per dimostrare questo lemma osserviamo anzitutto che la serie g in questione è certo contenuta nella serie completa segata sulla nostra curva C, dalle Cn-3+(+n aggiunte d'ordine r -—34(r+ 1); basta quindi stabilire che è completo il minimo sistema lineare contenente tutte le curve composte d’una C,-3+r (d'ordine n — 3+ 7) aggiunta alla C,e d'una retta: infatti il sistema delle C,-3+(r+1) che sega la g sulla G, (comprese in esso sistema tutte le Cn-3+(r+1 per un gruppo della 9) è appunto tale che contiene in sè tutte le curve composte d'una retta e d'una Cn-3+, e non può essere completo se è scompleta la detta serie g. Ora per ipotesi fra le curve Cn-3+(r+1) vi sono quelle composte di una retta fissa @ e di una Cn-3+, che sono vt - 14 rm +ECO e così pure quelle composte di una retta fissa a' e di una C,-3+r; i due sistemi hanno comune il sistema delle C,-3:—n la cui dimensione è t_1+4+(_-1)n+ elena e però il loro minimo sistema somma ha una dimensione 2imn_-1H4rn sel le im—1+(r—1u+0E048 cioè MEZ) >t_ 24 (+) + OLOAI ma questo sistema è contenuto o coincide con quello delle Cn-34(r+1) passanti per il punto comune ad «, a', e poichè le Cn-3++» seganti la 9 sulla C, non passano tutte per quel punto, la dimensione del sistema delle C,-3+(:+1 in questione è Sana e quindi è appunto la dimensione tolto + a 2 del sistema completo di tufte le Cn-34(r+1) € dd. Ritornando alla questione precedente si ha come immediata applicazione del lemma ora stabilito, che se il sistema (r C+ C') aggiunto ad (r C) (dove 7>1) sega sulla curva generica C una serie completa, lo stesso accade per ((r +1) C+- 0°), e poichè la differenza (= 0) fra è ((r +1)C) e è (r0) è la scompletezza w della serie segata da ((r +1) C) sulla €, si ha in tal caso ; d (FC) =èd((r+1)0)=..... — e RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 203 Un corollario di questo resultato è il seguente: se per r> 1 è d(r0)= 0, la superficie ha il carattere K=0; il resultato più semplice si ha per r = 2. Possiamo così enunciare il teorema: Se sopra una superficie di genere p > 0 esiste un sistema puro semplice (0) (quindi 003 almeno) tale che il sistema aggiunto a (2 C) seghi la serie canonica completa sulla curva generica di (20) (ossia abbia la dimensione p+ 2 + n — 2 dove n ed n sono risp. il genere e il grado di (0)) allora sulla curva generica di ogni sistema puro di genere TT, appartenente alla superficie, il sistema aggiunto sega la serie canonica completa, ossia esso ha la dimensione prT- 1 In altre parole la condizione necessaria e sufficiente affinchè per una superficie sia il carattere invariantivo K=0 è che esista un sistema puro semplice (C) tale che è (20) =0. Il teorema verrà poi esteso anche ai sistemi impuri; dobbiamo prima illuminarne meglio il contenuto ponendolo in relazione colle proprietà che si riferiscono al genere numerico della superficie, ed ai sistemi segati su di essa da superficie aggiunte. 3. Sistemi segati sopra una superficie dalle superficie aggiunte. — Consideriamo in Sy la superficie F d'ordine n di genere p > 0 senza curve eccezionali, dotata di singolarità qualunque, le cui sezioni piane appartengono ad un sistema puro (0); indichiamo col simbolo yy le sue superficie aggiunte d’ordine u. Come nel $ 1 per le w,3, si dimostra che le curve appartenenti al sistema (normale) somma di (0) e del sistema aggiunto a (C) sono sezioni della F con una y,, e però che le y,_s segano sulla F un sistema normale; poichè (C) è puro le y, segano sulla F il sistema puro completo aggiunto a (20) (cioè (2 C +- C') se (C’) è il sistema canonico). Parimente si vedrebbe ancora che le yw,_1 segano sulla F il sistema completo (3C 4- C') (poichè ancora il gruppo sezione sopra una sezione piana © appartiene ad una curva aggiunta d’ordine n — 1). Supponiamo che le superficie w,-3+ (r > 1) seghino la serie completa sopra una sezione piana generica C della F; per il lemma di geometria sopra una curva stabilito nel precedente $, segue che le wn-s+(r+1 segheranno pure sopra la © la serie completa; allora se il sistema segato dalle y,_3+r sulla F è il sistema (r C+4- C)) completo, quello segato dalle w,-3++1 è necessariamente il sistema completo {(r +1) C+") e si ha (come si è visto) d(rC)=d((er+ 10. Dunque se d (2C)= 0 (poichè le yw,_s segano sulla F tutto il sistema (2 C+ 0’)), le superficie aggiunte alla F wr, (r> 1) segano pure sulla F tutto il sistema 204 FEDERIGO ENRIQUES (- C+ 0"). In tal caso le yw»-3+, segano sulla F un sistema di dimensione p+n#_ 1 (essendo n°” il genere di (r C)); per ogni curva sezione passano (se r > 3) (+1 wnsw linearmente indipendenti fra cui (;) spezzate nella F ed in una arbitraria superficie d'ordine + — 3, quindi il numero A,..3+ della superficie w,_3+, linearmente indi- pendenti è dato da An-34r=p+ rl+1)L (7) (dove (3) =0 se r<3). Se n= è il genere di (C) si ha tO+bh nMk+a4+rn_- 1, quindi Ancgpr = An-s+0-) + T4 rn -14.(3), uguaglianza la quale significa che le ywn-3+r segano sopra un piano il sistema lineare completo delle curve d’ordine n —3 + aggiunte alla sezione piana la cui dimen- sione è t+rn — 2+ (3). Ma se la F è dotata di singolarità ordinarie e se i numeri An-3+r, An-8+(r-1) sono quelli dati dalle formule di postulazione di Noether si deduce appunto (per differenza) la precedente uguaglianza (come il signor Castelnuovo ha osservato (1)): valendo la detta formula ricorrente (che è stata dimostrata partendo dall’ipotesi K=ò(20)=0), si conclude dunque che valgono le formule di postulazione di Noether per le yn-3+r se valgono per le y,_; e poichè esse dànno pi + , Y,_3 linear- mente indipendenti se p, è il numero virtuale delle w,_, (ossia il genere numerico), è condizione necessaria e sufficiente affinchò valgano per x assai grande le dette formule di postulazione che sia Pri=3P5) siccome effettivamente le formule di postulazione di Noether valgono per , assai elevato, l'uguaglianza p= p; risulta stabilita. Viceversa se p= p; valendo le formule di postulazione per r assai grande, si ha è (r €) =0 e quindi K=0. Si conclude il teorema: Le superficie di genere p > 0 per le quali il carattere invariantivo K= 0 allorchè sieno trasformate in modo da avere soltanto singolarità ordinarie (se è possibile) e non curve eccezionali, hanno il genere numerico pi = p, e viceversa (2). Poichè p, non è definito per le superficie con singolarità straordinarie assume- remo per esse convenzionalmente p, =p quando è K= 0. Possiamo enunciare il teorema (dimostrato mediante le considerazioni precedenti): Sopra una superficie d'ordine n di Sy senza curve eccezionali, dotata di singolarità (1) “ Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche , (° Circolo Mat. di Palermo ,, t. IV, 1890). (2) Indipendentemente dai ragionamenti fatti che suppongono p > 0, tenendo conto dell’osser- vazione che la differenza virtuale A4— Am-1 è la dimensione del sistema di tutte le curve d’or- dine u aggiunte ad una. sezione piana, partendo dall’ipotesi che le formule di postulazione valgano per u assai grande (come accade se la superficie ha singolarità ordinarie) si prova che è pi 2p e se p1="p le formule di postulazione valgono per le wn—-4+r(r = 0). RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 205 qualunque, avente il genere numerico uguale al geometrico > 0, (ossia K = 0), le super- ficie aggiunte di arbitrario ordine segano un sistema completo. La dimostrazione è stata data soltanto per le w.-3+r conr = 0 (poichè esse segano #utto il sistema aggiunto ad un sistema puro il quale è un sistema puro normale e perciò un sistema completo), ma in vista del teorema del resto del cap. I, staccando successivamente sezioni piane si stabilisce la cosa in ogni caso. Allora adoperando il ricordato teorema del resto del cap. I si ha: Il sistema completo a cui appartiene una curva C sopra la superficie F viene segato da tutte le superficie aggiunte di arbitrario ordine che passano per una intersezione complementare irreduttibile della C e si comportano debitamente nei punti multipli della C stessa. È questo il complemento del ricordato teorema del resto (Restsata, secondo Noether). 4. Sistemi impuri. — Sopra la superficie F di genere geometrico uguale al nu- merico p > 0, le cui sezioni piane appartengono ad un sistema puro (C), si consideri ora un sistema impuro (C;) avente s punti base multipli risp. secondo è, în. ..%;; possiamo prendere r così grande che (C,) sia contenuto in (r0) ed abbia come re- siduo rispetto ad esso il sistema puro (C;). Indicando con t;, mt i risp. generi di (C;), (C5), con n quello di (x C), e considerando che un punto jplo d'una curva le cui due 2 tangenti stanno in un piano diminuisce di LA genere della curva, si ha nm ira die O sì dove D è il numero delle intersezioni di una C,, con una C;. Sia (C') il sistema ca- nonico e quindi (rC + C') l’aggiunto di (r0), ed (rC + C"— C.) il residuo di (0) rispetto al detto aggiunto; ripetiamo il ragionamento del $ 2; (rC + C') sega sulla C, una serie di grado D+ 2 t, — 2 e quindi di dimensione D+ mr, — 2 — w, (w>= 0), sicchè la dimensione di (r C+ C' — C,) è p+r—D-m+u, ossia è pi +e feel 14 Le curve d’un sistema lineare che hanno un punto jplo in un punto semplice di F soddisfano ad Sr condizione lineari al più; quindi le curve di (r € + C' — 0.) che hanno un punto (i. — 1) plo in ogni punto base è; plo di (C;) costituiscono un sistema di dimensione =>p+mt—1+uw; questo sistema appartiene evidentemente al sistema somma di (C,) con (0°) e coi punti base di (C;) ossia all’aggiunto di (C;), il quale ha una dimensione < p+ mi — 1; 206 FEDERIGO ENRIQUES . segue w=0, e la dimensione del nominato sistema aggiunto a (C;) è quindi proprio pt+r— 1. Dunque: Sopra una superficie FP di genere geometrico uguale al numerico p > 0, anche ogni sistema impuro di genere TT ha il sistema aggiunto di dimensione p + TT — 1 come ogni sistema puro. Se il sistema impuro (C,) ha i suoi punti base distinti (come supponiamo) non può nessuno di essi staccarsi dal sistema (K) aggiunto a (C;), poichè (K) deve segare la serie canonica completa sulla curva generica C,, e questa non ha come punti fissi gli è punti infinitamente vicini ad un punto iplo; quindi (cfr. anche il $ 1): Sopra la superficie F il sistema aggiunto ad un sistema impuro con punti base distinti è irreduttibile ed ha come (i — 1) plo un punto base iplo del nominato sistema impuro. Sopra la superficie F senza curve eccezionali di genere geometrico uguale al numerico p > 0 di cui le sezioni piane appartengono al sistema (puro) (C), si torni a considerare il sistema impuro (C’) di genere t, con s punti base distinti di mol- teplicità è, in... è, e si prenda r così grande che il sistema (r C) di genere t'”? con- tenga (0) in modo che (C,) abbia come residuo rispetto ad esso un sistema puro (0) di genere qt; sia ancora (C') il sistema canonico. Il sistema (rC + C' — 0,) residuo di (C5) rispetto ad (rC + C') ha la dimensione pineta 1 (come abbiamo visto essendo w= 0); questo sistema non può avere alcun punto base fuori dei punti base di (C,), poichè un tal punto sarebbe base per l’aggiunto di (0); d'altra parte se un punto O base iplo per (C;) fosse base per (r 0 +4- C' — 03), impo- nendo a questo sistema di avere il punto O come (i — 1) plo si imporrebbe alla : È Nic RISE Ì ; curva generica di esso meno di = condizioni lineari e ne conseguirebbe che la dimensione del sistema aggiunto a (0;) sarebbe > p +, — 1 mentre ciò è im- possibile; si conclude che staccando (03) da (rC + C') il sistema residuo (r C +4 0" — C,) non può acquistare punti base, ossia è un sistema puro. Consideriamo il sistema (rC — C3) residuo di (C') rispetto al nominato sistema (r C+ C'— 0;); il sistema aggiunto ad (r © — C,) è la somma di (rC+0'— C,) coi punti base eventuali di (rC— C;), e però ha la dimensione da =p+m+% DON LI (numero esprimente la dimensione di (rC + C' — C;)); ma il genere di (rC — 0.) è SRO <= m + PE2O RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 207 e precisamente vale dito ea se (»C — C3) non ha punti base multipli e vale meno del detto numero in caso con- trario; tenendo conto del fatto che la dimensione del sistema aggiunto ad un dato sistema è uguale al genere di esso aumentato di p — 1, si conclude che (r0 — 0) non ha punti base multipli e quindi è di genere n, uL z DI) = DI 1 ed il suo aggiunto è proprio il sistema (rC +4 C' — C.) di dimensione s GI pa ele, i p+tm +e el astra Sono dunque possibili due casi: o il sistema (rC — C;) è un sistema puro ed allora (C;) si ottiene da esso imponendo i punti base colle molteplicità î,, i... î, alle sue curve generiche; o (forse) il sistema (rC — C,) ha alcuni punti base semplici (conseguenza dello staccare (C,) da (rC)) i quali cadono in punti base di (C,), ma però coincide col residuo del sistema canonico (C') rispetto al suo aggiunto (mentre in generale un sistema impuro è contenuto nel residuo del canonico rispetto al suo aggiunto, quando lo staccare il sistema canonico dal detto sistema aggiunto non tragga di conseguenza lo staccarsi dei punti base del primitivo sistema); allora (C,) si ottiene da (rC — Co) imponendo le molteplicità î,, î...% nei punti base di (C;) sieno essi base o no per (rC — C)). In ogni caso possiamo dunque concludere: Ogni sistema impuro (con punti base distinti) può dedursi coll’aggiunta dei suoi punti base, non traenti con sè lo staccarsi di alcuna altra curva, da un sistema che coincide col residuo del canonico rispetto all’aggiunto, il quale è puro o (forse) ha sol- tanto dei punti base semplici. 5. Cenno sulle superficie di genere O. — Nei precedenti $i abbiamo escluso le superficie di genere O alle quali non si estende la dimostrazione del teorema fonda- mentale del $ 2. In virtù però delle considerazioni svolte in quel $ (cfr. anche una nota di esso) intorno alle formule di postulazione di Noether, ed approfittando del citato teorema di Zeuthen e Noether sulla invariantività del genere numerico nelle trasformazioni che non producono sulla superficie singolarità straordinarie, possiamo concludere che: Sopra una superficie di genere geometrico uguale al numero O, un sistema (C) sem- plice di genere n, tale che la superficie su cui gli iperpiani segano le curve di (C) ha soltanto singolarità ordinarie, possiede un sistema aggiunto 077). Ora stabiliremo il seguente teorema: î 208 ° FEDERIGO ENRIQUES Se sopra una superficie razionale dotata di punti multipli isolati distinti vi è un sistema semplice (C) (co° almeno) tale che i residui delle sue curve fondamentali sieno sistemi di genere > O, quando la superficie sia rappresentata sul piano, il sistema ag- giunto a (C) viene rappresentato dal sistema delle curve d'ordine n — 3 aggiunte alle curve C', d'ordine n immagini di quelle di (C), spogliato delle componenti fisse eventuali (1). Per la dimostrazione si consideri nel piano il sistema (0',) delle C', e quello (C',-3) delle curve aggiunte d’ordine n — 3; le curve C',_3 segano anzitutto sopra la curva generica C’, un gruppo canonico. Sia G una curva fondamentale di (0‘,) e (0‘,) il sistema residuo d’ordine p: sia (0',_3) il sistema delle curve d'ordine p — 3 ag- giunte alle C’, (le quali sono di genere > 0). Fra le C’,_3 vi sono le curve composte G+ C',-; le quali segano sopra una €’, dei gruppi di punti (individuanti la serie segata da C',_:) che sommati con un gruppo sezione di una C', dànno gruppi equiva- lenti (cioè appartenenti alla stessa serie completa) a quelli segati sulla 0‘, dalla curva composta C0’,4- 0,43 = (G + ©) + C',-3. Dunque le 0',_3 segano sulla C', gruppi della serie somma della serie canonica (segata dalle C',_3) e di quella differenza tra la serie segata dalle C', e la serie caratteristica di (0',). Tanto basta (secondo la defini- zione del $ 1) perchè il teorema risulti dimostrato; giacchè il sistema aggiunto a (0) di genere t è intal caso 007 ed è pure 007! quello (C',:) nel piano: le componenti fisse delle C',-3 nel piano rappresentano curve che si possono impunemente aggiun- gere al sistema aggiunto a (C) perchè essendo fondamentali per (C) non ne risultano alterati i caratteri essenziali di esso ($ 1). 6. Un teorema sulla superficie del 4° ordine. — Sopra una superficie di genere 1 (geometrico e numerico) si consideri un sistema (C) con s punti base distinti di mol- teplicità è, i... risp., e sia è la più alta molteplicità di un punto base. Indi- chiamo con (C’) il sistema aggiunto a (0), con (C”) l’aggiunto di (C') (0, se si vuole, 2° aggiunto di (0)), ecc.; il sistema (0°) :”° aggiunto di (C) è un sistema puro da cui (0) è dedotto coll’aggiunta dei suoi punti base. Sopra una superficie di genere 1 non vi sono curve canoniche (non eccezionali), quindi un sistema puro di genere 7 è Vaggiunto di sè stesso e però ha la dimensione e dl grado 2(1—1). Si possono classificare le superficie di genere 1 a seconda del sistema puro di dimensione minima che esse contengono. In questa classificazione s'incontra dapprima la superficie del 4° ordine, poi la superficie del 6° ordine di S, sezione d’una qua- drica con una varietà cubica, poi la superficie di 8° ordine sezione di 3. quadriche in Sz, e così via; l’irreducibilità di queste superficie (generali) a quella generale del 4° ordine seguirà dalle considerazioni che andiamo ad esporre (2). (1) Ossia dal sistema aggiunto puro di quello (Cn) delle C'n secondo la definizione di Castel- nuovo. La restrizione che i sistemi residui delle curve fondamentali di (C) sieno di genere > 0 dipende solo dal fatto che la definizione data pel sistema aggiunto non si estende al detto caso escluso: siccome una, superficie con una rete di curve razionali è razionale, possiamo estendere con- venzionalmente il teorema di guisa che il sistema aggiunto risulta definito anche pei sistemi (C) OO” contenenti un sistema 00”-1 di curve razionali. (2) Il sig. Castelnuovo mi segnalò le dette classi di superficie di genere 1 contenenti lo stesso numero di moduli delle superficie del 4 ordine e ad esse irreducibili. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 209 Senza toccare l’interessante questione di assegnare tutti i tipi irreducibili di superficie del genere 1, ci limitiamo quà a risolvere il seguente problema: Quando due superficie generali del 4° ordine possono essere riferite punto per punto? Si dimostrerà che questo avviene soltanto quando esse sono proiettive. Invero si immaginino due superficie generali del 4° ordine riferite punto per punto; alle sezioni piane dell’una corrispondono sull’altra le 00% curve d’un sistema lineare, le quali se la superficie è generale debbono essere intersezioni complete di altre superficie (1); se esse non fossero ancora sezioni piane (cioè se le superficie non fossero proiettive), il sistema co? suddetto (essendo di genere 3) avrebbe dei punti base multipli e quindi non sarebbe puro: ciò è assurdo perchè in una trasformazione birazionale d’una superficie un sistema puro è sempre mutato in un sistema puro, Dunque: Due superficie generali del 4° ordine riferibili punto per punto sono protettive. Si trae pure poichè gli unici sistemi puri sopra una superficie generale del 4° ordine sono quelli segati da tutte le superficie d’ordine x, che: Una superficie generale del 4° ordine non è riferibile ad altre superficie normali senza curve eccezionali di uno spazio superiore, tranne di ordine £ n° nello spazio Santi (@ sezioni iperpianali di genere 2n° + 1). Il teorema dato prima per le superficie generali del 4° ordine si estende a quelle generali d'ordine x > 4, sia collo stesso metodo, sia (anche più semplicemente) usando qui del sistema canonico; per modo che si conclude: Due superficie generali d'ordine n = 4 (in S3) sì possono riferire biunivocamente solo quando sieno protettive. i Il teorema non sussiste per n = 3. "7. Osservazioni sui resultati contenuti in questo capitolo. — I resultati fondamen- tali di questo capitolo fondati sopra l’esistenza d’un sistema c0or+7—! aggiunto ad un sistema di genere m sopra una superficie di genere geometrico p > 0 son fatti di- pendere dalla restrizione K=0 che si è trovata verificata se esiste un sistema puro semplice (0) tale che dè (2.0) = 0. Poichè si tratta d’un punto fondamentale nella teoria delle superficie è interes- sante stabilire come la uguaglianza è (2 C)=0 segua da quella dè (C)=0 ove si sappia che la serie caratteristica di (C) è completa. Invero nel seguente capitolo verrà di- mostrato che ogni sistema puro ha la serie caratteristica completa se tale proprietà compete al sistema canonico; sebbene-non sembri possa dedursi un tal fatto dalla restrizione già ammessa per la superficie (K=0), pure il fatto stesso appare così legato alla restrizione medesima per effetto del teorema accennato che vogliamo dimostrare. Premettiamo le seguenti considerazioni fondate sullo stesso concetto che ha servito per il lemma del $ 2°: Sopra una superficie si abbiano due sistemi (0), (K); sia r, la dimensione di (0), 7, quella di (C + K), r, quella di (C+ 2 K). (1) Cfr. Noerarr, Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumcurven, $ 11, “ Abhandl. i d. Akad. d. Wiss. ,, Berlin, 1883. $ Serie II. Tom. XLIV. B 1 210 FEDERIGO ENRIQUES Al sistema (C 42 K) appartiene il sistema 00” costituito da una curva fissa K' di (K) presa insieme con tutte le curve di (C+ K), cioè (simbolicamente) il sistema ((C4KR)+KE': parimente se K” è un’altra curva di (K) a (C 4-2 K) appartiene il sistema (C+E)+K"; i due sistemi (c0”: ciascuno) hanno comune un sistema di dimensione 7, (cioè (0G)+K'+K") e però il loro sistema somma ha la dimensione SORA, Ora questo sistema è contenuto nel sistema delle curve di (C 4 2 K) che pas- sano per le D intersezioni delle curve K', K"; se dunque sono v, le condizioni im- poste dal gruppo K' K" alle curve di (C-- 2 K) che debbono contenerlo, si ha: = 2ri— fot Vo. Indichiamo con vj il numero delle condizioni che il gruppo K', K"” impone alle curve di (C+ K), e sia r la dimensione di (K); allora per v; — 1 tra i D punti del gruppo K'K" passa una curva di (C +- K) non contenente tutti i D punti del gruppo, — e per r — 2 punti del gruppo medesimo (appartenente alla serie caratteristica gp di (K)) si può condurre una curva K''" di (K) non contenente tutti i D punti, la quale insieme con una curva di (C+ K) pei detti v, — 1 punti compone una curva di (C+ 2 K) non contenente tutto il gruppo K' K"; ne segue che v=VE+r—-2 0 w=>D-1 (l’ultima disuguaglianza valendo nel caso che sia v\+r —3 >D— 1). Si deduce vw>2r-hnht+tutr—-2, O) rr=2r— fr D_-1. Ora sia (C) il sistema canonico (supposto irreduttibile, con r,=p —1= 2), e (K) sia un sistema puro semplice co” di genere t e grado D, la cui serie caratteri- stica sia (per ipotesi) completa; inoltre il sistema (C+ K) aggiunto a (K) abbia la dimensione p-+T — 1. Il gruppo della serie caratteristica completa gp di (C), impone (pel teorema di Riemann Roch) v=D_-r+1 RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 211 condizioni alle curve del sistema aggiunto (C + K) che debbono contenerla; in questo caso è dunque: v=3D—-1, (1=p+n- 1) e perciò = B(pare=1)=(@= Dea ry3p+2Tq1+D—2; e poichè 27 +D —1 è il genere rm, di (C+ K) si ha proprio tr=pt+m_1 (non potendo essere 7», > p+ my — 1). Dunque (poichè è ora è (K) ==" èd(2K)=0) si ha il teorema: Se sopra una superficie di genere p > 2 (@ sistema canonico irreduttibile) si ha un sistema puro semplice di genere n avente la serie caratteristica completa, e di cui Vag- giunto è cOP+m1, per ogni altro sistema di genere TT appartenente alla stessa superficie la dimensione del sistema aggiunto è PPM cioè la superficie ha il genere geometrico uguale al numerico. TIVE Sistemi puri. — Estensione del teorema di Riemann-Roch. 1. La serie caratteristica. — In seguito al teorema del capitolo precedente $ 4°, il nostro maggior interesse si rivolge allo studio dei sistemi puri, poichè dalle pro- prietà di questi potranno dedursi quelle di tutti i sistemi impuri ottenuti coll’aggiunta di punti base, non avendo in complesso a superare difficoltà maggiori di quelle che s'incontrano nello studio dei sistemi lineari di curve piane e di una indole non molto diversa. In questo capitolo parlando di un sistema (C) (ove non si avverta espressamente il contrario) intendiamo senz'altro che sia un sistema puro irreduttibile di dimensione = 2 (completo); supponiamo inoltre che la superficie di cui si tratta abbia il genere geometrico uguale al numerico p>0, e intendiamo che il sistema (K) aggiunto a (0) sia semplice, e per ciò basta che sia semplice (0) o il sistema canonico. Dato il sistema (C) se ne designerà con tr il genere, con n 4 grado, con r la dimensione, e diremo senz'altro che (C) ha i caratteri ti, n, r. Sia (K) il sistema ag- 212 FEDERIGO ENRIQUES giunto di (0) (necessariamente puro) e TT, N, R i suoi caratteri. Vi sono curve K di (K) spezzate in una € di (C) ed in una C' del sistema canonico (C'); una curva ge- nerica C o una generica C' (poichè (0), (C’) son sistemi puri) non hanno punti mul- tipli in punti semplici della superficie (o ipermolteplicità nei punti multipli) dimodochè per la formula di Noether (1) i T=pW +31) n: due curve spezzate ciascuna in una C ed una C' si segano come due K in N punti quindi: Naga si ha poi (Cap. II, $ 2): i R=p+tra—- 1 Si riferiscano ora le curve K del sistema (K) aggiunto a (C) agli iperpiani di Sp+r-1 e sì consideri la superficie F così trasformata. Una curva C sta sulla F in un S7_1 poichè vi sono 00? K spezzate in una 0. ed in una curva canonica, ossia co” iperpiani per la C. Invece una curva canonica C' sta in un Sp+r-2-,, poichè vi sono 00° K spezzate in una C' fissa ed in una 0. Le curve K ossia gli iperpiani di Sp+7—1 segano sulla C la serie canonica completa (la C è curva canonica in S7_1). Consideriamo gli iperpiani che passano per lo Sp+r—2-r contenente una C' e la serie che essi segano sopra una curva C; essa viene segata nello Sz-1 della © dagli Sz_s contenenti l'intersezione dello Sp+r-2-, di C' e dello Sr-1 di C; essa è dunque completa se i 2 (mt — 1) — punti comuni alle 0, ©’, in- dividuano l'intersezione dei 2 spazi a cui le C, C', risp. appartengono; se questo non accade, ed i detti 2 (t — 1) — x punti non individuano quella intersezione, ma uno spazio di dimensione minore, la detta serie è invece necessariamente scompleta. Ma allora per la stessa ragione è scompleta (e con un difetto di completezza non mi- nore) la serie che gli iperpiani (Sp+7-2) passanti per la detta intersezione degli spazi di C, 0", segano sulla C'. Ora la 1? serie non è altro che la serie caratteristica del sistema (0), la 2% è quella del sistema canonico (C') (suppostane l’esistenza). Dunque: Se la: serie caratteristica del sistema canonico è completa, è completa la serie carat- teristica di ogni altro sistema puro (2). Nel seguito considereremo per ora soltanto le superficie aventi la serie caratte- ristica del sistema canonico completa (se p>2). Così su tali superficie ogni sistema puro ha la serie caratteristica completa; ciò accade anche se p= 1 (cfr. cap. III), e se le curve canoniche si compongono di quelle d’un fascio (p=> 2) bastando ripetere in questo caso il precedente ragionamento; «nche questi casì nei quali non esiste serie caratteristica del sistema canonico sono tra quelli che consideriamo. (1) “ Acta Mathematica ,, 1886. (2) Il teorema si estenderebbe colla medesima dimostrazione anche ai sistemi impuri che coin- cidono col residuo del canonico rispetto all’aggiunto, notando che una curva eccezionale non ha intersezioni con una curva canonica. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 213 2. Estensione del teorema di Riemann Roch. — Ci proponiamo il seguente problema: Quante curve del sistema aggiunto a (0) passano per un gruppo della sua serie caratteristica, cioè per un gruppo comune a due curve C 2? Supponiamo dapprima il sistema (0) non speciale (cioè non contenuto nel cano- nico), e consideriamo il sistema (K) aggiunto a (C). Sieno mn ri caratteri di (0); e riferiamo le curve K agli iperpiani di Sp+,-1 in guisa da ottenere una superficie trasformata F, sulla quale (come prima abbiam visto) una © sta in un Sar. Due arbitrari S7_1 contenenti ciascuno una curva C non possono esser conte- nuti in uno spazio a meno di p--m—1 dimensioni, altrimenti il sistema doppio di (C) (contenente tutte le coppie di curve C) sarebbe contenuto nell’aggiunto (K) di (C) e quindi (togliendo una C da ambedue i sistemi) (C) sarebbe contenuto nel ca- nonico (cioè sarebbe speciale); quindi due tali Sz-1 si segano secondo uno spazio Sr_1 » per il quale passano 00?! iperpiani. Ognuno degli co?-! iperpiani passanti per S,-1-p passa per gli x punti comuni alle due curve C, quindi per gli n punti passano almeno 00?! curve K, ed in generale co??-!+® con w => 0. La quantità w ha un altro significato notevole; invero poichè gli iperpiani se- gano sulla C una serie completa, quelli passanti per una © segheranno sopra un’altra C una serie il cui difetto di completezza è w (cfr. $ prec.) poichè gli x punti co- muni a due C stanno in un Sr-1-p-e immerso nello S7-1-p comune ai due S7-1 che contengono le dette O. i Ora questa serie è quella che le curve canoniche segano sulla curva C, la quale (poichè (C) è non speciale) è una girl, immersa dunque in una serie completa Prin Si vede intanto che per il gruppo di punti comune a due curve © d'un sistema non speciale passano 00°?-1+° curve del sistema aggiunto, essendo w il di- fetto di completezza della serie che le curve canoniche segano sulla €. Sia ora (C) un sistema speciale, e sia 7’ la dimensione del residuo (s'intende residuo di esso rispetto al canonico), designeremo la quantità è =7' +1 col nome di indice di specialità del sistema. (Quando è = 0 il sistema è non speciale). Allora il doppio di (C) è contenuto nell’aggiunto (K) ed il residuo di questo doppio rispetto a (K) è il residuo di (0) (rispetto al canonico) e quindi è di dimensione 7’; due S7_1 conte- nenti ciascuno una C sulla Fin Sp+r-1, sono ora immersi in un Sp+r-1-: e quindi han comune un S7r-1-p+; per il quale passano co°?7!=' iperpiani. Quindi si conclude come nel caso precedente che pel gruppo comune a due curve © passano co?r-i=H+@ curve del sistema aggiunto, dove w = 0 è ancora il difetto di completezza della serie segata sopra una C dalle curve canoniche, la quale serie è dunque una g57l;_n) (poichè essendo 7' la dimensione del sistema residuo di (C) per un gruppo della serie passano co' = c0”+! curve canoniche giacchè una C fa parte di co7! curve canoniche) immersa in una serie completa Brea Così possiamo concludere: Per un gruppo comune a 2 curve © d’un sistema non speciale, sopra una super- ficie di genere p, passano 2p + w curve linearmente indipendenti del sistema aggiunto; e se il sistema è speciale coll’indice di specialità i ne passano 2p —i4-w; la quan- tità w=0 è în ambi i casì il difetto di completezza della serie segata dalle curve ca- noniche sopra una curva © (1). (1) Il teorema può anche enunciarsi dicendo che in S3 vi sono per una retta 2p + Ww — è super- 214 FEDERIGO ENRIQUES x Diremo w la sovrabbondanza del sistema (0); questa denominazione è intanto giustificata dal fatto che per p=0 (quindi anche î=0) la w è la ordinaria sovrab- bondanza dei sistemi lineari di curve piane (1) (supposta la superficie razionale); ma la denominazione stessa verrà meglio giustificata quando considereremo il sistema (() come segato da superficie aggiunte sopra una superficie in Ss ed esamineremo la differenza fra la sua dimensione effettiva e quella virtuale data dalle formule di postu- lazione di Noether. D'ora innanzi parlando di un sistema dovremo considerare insieme ai caratteri T, », n già definiti anche la sua sovrabbondanza w; sew=0 diremo il sistema re- golare. I caratteri r, 7, 2, w (ed è, cioè l’indice di specialità, se si tratta d’un sistema speciale) di un sistema (C) sono legati da una relazione nella quale figura il genere p della superficie. Invero sopra una curva © la serie caratteristica gi (che è com- pleta), è residua di una serie completa 972; a cui appartiene quella 957 )n segata dal sistema canonico, quindi per il teorema di Riemann Roch si ha q_l_-n+r=p+w—-i dove è î=0 se (C) è non speciale.” Questa relazione dà un'estensione alla superficie (e per ora soltanto pei sistemi puri) del teorema di Riemann Roch relativo alle serie lineari appartenenti alle curve algebriche. Si può enunciare il resultato sotto la forma seguente: | Per un sistema puro non speciale di caratteri ti, r,n,w si ha: m_-1l1_-n+r=ptiw0(2). Se un sistema speciale puro di caratteri ti, r, n, w ha un sistema residuo di di- mensione 1' si ha: v=ep_TtnT_r+w (0) ficie linearmente indipendenti d’ordine » — 3 aggiunte ad una d’ordine » e genere p, quando le sezioni piane appartengono ad un sistema (puro) d’indice di specialità # e sovrabbondanza w, essendo w il difetto di completezza del sistema delle curve d'ordine x —4, segato sopra un piano dalle ag- giunte d’ordine n -— 4. (1) Cfr. CasteLnuovo, “ Accademia di Torino, Memorie ,, 1891. (2) Enunciando questo resultato sotto forma proiettiva si ha l’ estensione del noto teorema di Clifford per le curve (“ Phil. Transactions ,, 1878). (3) Non si creda che possa prendersi sempre in queste formule w=0. Basta per ciò considerare gli esempi seguenti: 1° il sistema segato dalle quadriche sopra la superficie del 5° ordine dotata di un punto triplo; 2° il sistema segato dei piani sulla superficie del 7° ordine con due punti tripli ed il residuo segato dalle quadriche per i due punti. Il 2° teorema sotto la forma ? v=>p-t+a—-r è stato dato dal sig. NoerzER (“ Comptes rendus ,, 1886) con una dimostrazione non differente da quella qui usata: mancano solo là le restrizioni da noi introdotte, che appariscono necessarie per dimostrare come la serie caratteristica di un sistema (C) sia completa (ciò che viene omesso), ed il teorema appare qua completato essendosi assegnato il significato di w. I due teoremi enunciati vengono poi estesi anche ai sistemi impuri. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 215 3. Sistemi speciali residui uno dell'altro. — La relazione precedentemente trovata permette di esprimere in funzione dei caratteri di un sistema speciale la dimensione del residuo, nell’ipotesi che il dato sistema sia puro; la restrizione stessa è in ge- nerale soddisfatta quando si considerano due sistemi residui uno dell’altro di dimen- sione => 2 in relazione reciproca (0), (0’). Sieno (0), (0') due sistemi puri residui uno dell’altro (di dimensione = 2), espri- miamo tutti i caratteri m', 7’, n’, w' dell’uno (C') in funzione di quelli tr, 7, n, w del- l’altro (0), o viceversa. Sia al solito p! il 2° genere della superficie, e sia D il numero dei punti comuni ad una curva © ad una C'. Poichè il sistema canonico è la somma di (C), (C’) usando di note formule già adoperate, si ha: pVO=nTt+0+D-1 (A =) pYO_1=n+n' + 2D, e, poichè una curva canonica incontra una C in 2(mr — 1) — # punti, 2n4+D= 2(1—- 1) Mediante l’ultima relazione eliminando D si deduce D= 2(1-1) — 2n pYO =3C—-1)+ — 2n pV—1=2 + 4-1) —- 3%; siccome poi sottraendo segue porR=% e si ha FAL = pe i de Spe mE così si deduce: id w= w'. Dunque: Fra è caratteri mi, r, n, w, m', r', n', w', dei due sistemi speciali (puri), (C), (0°) residui uno dell’altro, di dimensione > 1, sussistono le relazioni = pl — 8a — 1) KH 2 I | v=p_-T+n—-r|w | n=pU 1° 4n-1) 438% we w (n= — n). 216 FEDERIGO ENRIQUES 4. La sovrabbondanza. Dimensione virtuale d'un sistema. — Il concetto della so- vrabbondanza d’un sistema (0) cui siamo giunti partendo dalla considerazione delle curve del sistema aggiunto a (0) che passano pel gruppo comune a due curve €, è suscettibile di ricevere un’altra interpretazione, cui già ho accennato, la quale rende meglio ragione della denominazione scelta. Si consideri un sistema (K) di caratteri TT, R, N, 2, I (dove l’indice di specia- lità I= 0 se (K) è non speciale) ed un sistema (C) contenuto in esso e residuo di una curva 0"; sieno , r, n, w, i i caratteri di (C), e la curva C' sia di genere’ incon- trata in D punti da una curva 0. Supponiamo che la C' non abbia punti multipli in punti semplici della super- ficie (o ipermolteplicità nei punti multipli) di guisa che, essendo (C) un sistema puro, una curva C +4 C' non abbia altri punti multipli che non siano tali per le K CCCCuO i punti doppi intersezioni di una C e di una C', allora si ha: TUaernt+tqv+D_-1 Una curva K incontra una curva K spezzata in una C e nella C' in N punti; d’altra parte una curva K spezzata in una C ed una C' incontra una Cinn4D punti, quindi una K incontra la C' in D' punti dove: ai N=n+D+D" Ora il sistema (K) sega su C' una serie gî_"-1; se indichiamo con e il difetto di completezza della serie e con % il suo indice di specialità si ha dunque: R—_r_-l1+e=D'-n+% ossia: me De dp gpu Ne segue: T_-1_N4R=@ n D_1)_1_ KDDI) ossia: T_-1_-N+R=n-1-n+r+t@®- 0%: d’altra parte è: E NOS ARA ONT muoT—-l_-n+tr=ptruw—i quindi QO-I=w—-i+((—- e ed wT-i=Q—-I+4 (et A). RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 217 Dunque: Se da un sistema (K) se ne deduce un altro puro (C) come residuo di una curva C' che non abbia punti multipli in punti semplici della superficie (nè ipermolteplicità nei suoi punti multipli), la differenza fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità di (0) è uguale all’analoga differenza per (K) aumentata dalla differenza fra il difetto di com- pletezza e l'indice di specialità della serie che le curve K segano sulla C'. Di questo teorema è utile il corollario: La differenza fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità d’un sistema (C) re- siduo della curva C' rispetto ad un sistema regolare non speciale (K) è uguale alla dif- ferenza fra il difetto di completezza e l'indice di specialità della serie segata dalle curve K (di (K)) sulla C'. Per il nostro scopo occorre ancora dimostrare il lemma: Il sistema aggiunto ad un sistema puro (C) è regolare. Questo si verifica immediatamente. Infatti se t, 7, x, sono i caratteri del sistema (0), e TT, R, N, 2 quelli del suo aggiunto, si ha: Taen+pM+2n-1)—nan-1 R=ptb+a-1 N=n+pU—-142{2(m-1)— nf e quindi : T-1-N+R=p, ed Q= 0. cedd. Deduciamo che sopra una superficie F di Ss d’ordine n, senza curve eccezionali, le superficie aggiunte d'ordine = x — 3 segano un sistema regolare; infatti abbiamo già avuto occasione di osservare che le aggiunte d’ordine x — 34 segano sulla F il sistema aggiunto a quello rplo delle sezioni piane. Ora si consideri sulla F un sistema (C) segato da superficie aggiunte d’ordine > n—4. Sappiamo che il sistema segato da tutte le superficie aggiunte d'ordine >n —4 ha la dimensione che si può calcolare in base alle formule di postulazione di Noether, le quali in base alla convenzione p; = p (cap. II $ 3) ed al corollario di Castelnuovo secondo il quale si ha l’espressione della differenza fra il numero delle superficie aggiunte di un dato ordine e quello delle superficie aggiunte dell’ordine consecutivo, debbono riguardarsi come valevoli anche per le superficie dotate di singo- larità straordinarie. Se vogliamo calcolare secondo queste formule di postulazione la dimensione che dovrebbe competere al sistema (0), dobbiamo far passare per una curva C (di (C)) un'aggiunta d'ordine n — 3+1 (= 0), yn-3+:, la quale seghi ulteriormente la F in una curva C' (che possiamo supporre non avente punti multipli in punti sem- plici della superficie) e vedere quante condizioni la C', unita al gruppo base, imponga ad una w,-3+, che debba contenerla. Possiamo dire che il numero così calcolato (che, per così dire dovrebbe esprimere la dimensione del sistema (0)) è la dimensione wvir- tuale del sistema (0); ma può sorgere il dubbio che questo numero vari con 7, o muti rifacendo la costruzione per una superficie trasformata. Serie II. Tom. XLIV. ct 218 TEDERIGO ENRIQUES A questa questione rispondono i risultati precedenti. Infatti quando uniamo la C' al gruppo base delle yn,-34, e vogiiamo calcolare l’effetto prodotto sulle formule di postulazione, noi veniamo in sostanza a considerare la serie g, segata da tutte le w,-34, sulla ©’ (di genere m') come completa e non speciale, ed allora la sua di- mensione vien data dal teorema nr —4%=q'; il numero p così calcolato è la dimen- sione virtuale di (C), ed in base al calcolo precedente (poichè il trinomio (mM —1—n4+ p non differisce dall’analogo calcolato per il sistema regolare non speciale segato dalle Wnp_-3+:) SI ha: q_-1l1_-nan+p=p. Se vogliamo la dimensione effettiva » dobbiamo introdurre la differenza 6 fra il difetto di completezza e l'indice di specialità della serie che le w,_3+, (ossia le curve del sistema regolare non speciale che esse segano sulla superficie) segano sulla C', e si avrà: r= pt 0, dove 0=w— i; cioè si avrà appunto come abbiamo trovato mq_-1l1_-n4k4r=aptw—- di. Concludiamo: La dimensione p (virtuale) di un sistema puro (C) calcolata facendo segare il sistema (C) da superficie aggiunte d’ordine > n — 4 sopra una superficie d'ordine n (in S3) priva di curve eccezionali, è un carattere invariantivo del sistema (C) e coincide colla dimensione effettiva se il sistema è regolare non speciale, in modo che si ha: q—-l_-n+p=p. La differenza (w — i) fra la sovrabbondanza e l'indice di specialità di (0) è uguale allu differenza (r — p)tra la dimensione effettiva e quella virtuale del sistema stesso. Così la denominazione di sovrabbondanza data alla quantità w (definita nel $ 2) appare pienamente giustificata. Di più è interessante notare che è teorema stabilito sussiste indipendentemente dalla completezza della serie caratteristica del sistema cano- nico (1) (da cui segue quella di (C)) e quindi unche prescindendo da quella ipotesi si ha la relazione: Tq_—1l1_-n+r=ptw—-i dove la sovrabbondanza w è definita dalla uguaglianza wT_-i=?rt— p. Solo non risulta così che sia sempre w=0 come si è riconosciuto sotto la pre- cedente restrizione, ma questo resultato sarà stabilito nel successivo $ al di là di un certo limite per r. Il teorema stesso si estende ai sistemi impuri (C') normali, dedotti da (0) coll’ag- giunta di s punti base di molteplicità hy, ha . . . h,; infatti i caratteri n', 2°, #', w', è di (0°) si esprimono per quelli di (C) mediante le formule: (1) Infatti nel dimostrarlo non si è tenuto conto di quella ipotesi. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 219 men ee ln ru illy (dove 6= 0 è il numero dei legami tra i detti punti base) dimodochè risulta vu—-1l1_-n'+ew=n_-1-n+r+90; d'altra parte è = è (poichè (C’) e (0) hanno lo stesso sistema residuo) e la dimen- sione virtuale p' di (C’) vale p' ia 2 SrL sicchè si conclude: n_l-pn'+re=pi+w—ti w_wt 0) (1). Ora è opportuno rilevare una differenza peculiare che si presenta fra lo studio delle serie complete lineari di gruppi di punti sopra una curva e quello dei sistemi lineari di curve sopra una superficie. Nella geometria sulle curve di genere t si presentano accanto alle serie gi non speciali la cui dimensione è data dal teorema m-—x =tT quelle speciali la cui dimensione è, per così dire, superiore a quella vir- tuale, quindi per una gi completa il binomio x — 7, che di regola può considerarsi uguale al genere t della curva sostegno, non supera mai questo genere T, ed è x m-—r 0, sapere che la serie g se- gata da (K) sulla C' è non speciale, come ad esempio se 2(m_-1)-na>pW _ 1 È notevole il fatto che questa circostanza può essere accertata soltanto col pren- dere » abbastanza grande. Appunto la determinazione di questo limite per + forma Foggetto di questo $. Per ciò che abbiamo notato alla fime del $ 1 sì può supporre qui che sia p> 2 e che il sistema canonico sia irreduttibile. Supponiamo dapprima che il passaggio per un punto di una curva canonica tragga di conseguenza il passaggio di essa per un altro punto coniugato della detta curva, supposta iperellittica; allora (secondo Noether) (1) è Qp_—-2=pl) — 1 (1) £ Math. Ann. ,, VII RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 221 Sia (C) un sistema puro di dimensione Se (C) è speciale deve essere r=p—1 e però (C) è il sistema canonico per il quale w= 0. Se (C) è non speciale (i = 0), ma contiene il sistema canonico, la serie segata dall’aggiunto (K) sulla curva canonica C' è non speciale o è (forse) la serie cano- nica; nel 1° caso w = 0; il 2° caso è impossibile giacchè (C) conterrebbe totalmente il sistema canonico (poichè la C e la C' hanno pl! — 1 punti comuni) e quindi avrebbe lo stesso grado di esso (cap. I) mentre esso è normale (anzi completo). Infine se (0) non contiene il sistema canonico pur essendo non speciale, la serie segata da (0) sulla C' è una serie g di dimensione » e però (secondo un noto teorema di Clifford) di grado > 27, cioè di grado = pl — 1; ma la serie g potrebbe avere soltanto il grado 2r se fosse "= p® — 1, quindi la detta serie ha il grado > p! —1; ne segue che l’aggiunto (K) di (C) sega sulla C' una serie di grado > 2 p! — 2 e quindi non speciale, ed in conseguenza è w> 0. Suppongasi invece che il sistema canonico sia semplice; allora è (sempre secondo Noether): 2p—=-23p — 6); perciò se la dimensione r di (0) sod- disfa alla disuguaglianza pA—1 pat si hay > p_—1 ossia (C) è non speciale, e col ragionamento precedente segue wa 0. Dunque: Pur prescindendo dalla completezza della serie caratteristica del sistema canonico, per ogni sistema lineare appartenente ad una superficie di 2° genere pÙ, avente una dimensione la sovrabbondanza (e se il sistema nom è il sistema canonico esso è non speciale, sicchè vt —1=-n-b-r=p). (1) “ Istituto lombardo ,, 1891 (Nota II). 222 FEDERIGO ENRIQUES VA Le curve fondamentali. 1. Preliminari. — Mi propongo ora di esaminare le proprietà dei sistemi lineari in relazione alle loro curve fondamentali; siccome capiterà qui sempre di conside- rare la differenza tra la sovrabbondanza e l’ indice di specialità (cioè quella 7 — p tra la dimensione effettiva e la virtuale) indicherò qui con 8 questa quantità (che prima avevo designata con w — t), e così 0 sarà ora la sovrabbondanza (= w) quando sì tratta d’un sistema non speciale; indicherò ancora con q, r, », gli altri caratteri d’un sistema (C) e supporrò che (0) sia un sistema semplice (r = 3) dedotto coll’ag- giunta di punti base distinti da un sistema puro. Supporrò inoltre la superficie avente il genere geometrico uguale al numerico p > 0. Come già abbiamo detto, una curva fondamentale di (C) è una curva K che pre- senta una sola condizione ad una C che debba contenerla; esceluderò che essa possa essere rappresentata da un gruppo di punti semplici sopra una superficie trasformata; per la definizione il sistema residuo della K rispetto a (C) è co; noi supporremo che esso soddisfi alla restrizione di avere punti base distinti e di esser dedotto me- diante l'aggiunta di essi da un sistema puro. Le curve © si facciano segare sulla superficie F dagli iperpiani di S,: alla K corrisponde un punto multiplo 0, quindi una curva fondamentale non ha intersezioni variabili col dato sistema ma ha qualche intersezione variabile col residuo. Gli iperpiani per O non hanno altri punti fissi sulla F, quindi includendo in K il gruppo di tutte le curve (e punti) che corrispondono ad 0, lo staccarsi della K da (C) non trae di conseguenza lo staccarsi di altre curve; è quanto dire che lo staccarsi da (C) d’una curva fondamentale può trarre solo di con- sequenza lo staccarsi di altre curve fondamentali le quali tutte compongono insieme una curva fondamentale K. Quando si fan segare sulla F le curve C di (C) dagli iperpiani di S,, nella tras- formazione che così viene ad eseguirsi ad ogni punto della primitiva superficie che sia base iplo per (C) viene a corrispondere una curva eccezionale d’ordine è sulla F. Ora una curva eccezionale d’ordine ? che abbia il punto O come p plo viene proiet- tata da O in una curva d’ordine è — p eccezionale per la superficie proiezione della F, e si deve notare che la curva d’ordine è (che corrisponde ad un punto) non può es- sere spezzata e però è è > p tranne per i=p= 1; così si deduce: // sistema re- siduo della curva fondamentale K rispetto al sistema (C) ha come punto base iplo ogni punto iplo di (0) fuori della K; la curva K può avere una molteplicità p 1, e solo un punto semplice (p =i=1) in un punto base semplice di (C), ed allora il residuo della K ha un punto base (i — p) plo (e non di molteplicità più elevata) nel detto punto base iplo di (0). RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 223 Questa deduzione (importa notarlo) è fondata sull'ipotesi fatta che il sistema (C') residuo di K rispetto a (C) abbia solo punti base distinti, e quindi i tangenti varia- bili in un punto iplo. 2. Una relazione fra î caratteri d’un sistema, il genere d’una sua curva fondamen- tale ed i caratteri del residuo. — Se una curva K è comunque composta con parti irreduttibili distinte C, ... €, di generi mi, m... ,, e se C,, €, hanno è, punti N comuni, il genere della curva composta è (secondo Noether) Taerntmnt..+iti,h_-s+1 dove la X va estesa a tutte le combinazioni di valori diversi » e p (come già ab- biamo avuto occasione di ricordare). La curva K= €, 4 0,4... + €, sia una curva fondamentale per il sistema (C) (nella quale per convenzione sono incluse tutte le componenti, anche punti, che si staccano da (C) quando si stacca una componente); i generi t,, TT... mt, sieno calcolati prescindendo dalle molteplicità delle curve C,, Co... C, fuori dei punti base di (C), inoltre il genere di un punto % plo (componente K) sia 0 come quello della curva razionale d'ordine è che gli corrisponde sulla superficie su cui gl’iperpiani se- gano le curve C' residue di K rispetto a (C). Diremo TT è genere della curva fonda- mentale K di (C), che non ha (per ipotesi) componenti multiple, calcolato in base alle convenzioni precedenti. Sieno m, 7, n, 9 i caratteri di (0), t'’, 7’, 2', 0" quelli del residuo (C') di K. Una curva composta C' + K ha (per il teorema del $ precedente) le stesse molteplicità d’una curva generica C nei punti base di (C); allora se indichiamo con è il numero delle intersezioni variabili della K con una Cl’ cioè (come diremo) è grado della K, sì avrà: mnaern+-IMHk+i- 1; d'altra parte se si fan segare le curve C da iperpiani, il punto O che viene a cor- rispondere a K sulla superficie trasformata è iplo per quella superficie, quindi n= 4 i (infatti nel numero è sono comprese le intersezioni che una C' ha con ogni compo- nente di K ed in particolare anche coi punti che risultano hpli per (0')). Si deduce: m—-1l1_-n+traetn_-1l1—-n'+r+T; ma mu—_l_-n+r=p+i90 mu_—_1i1-n'+e=piso, quindi e=e + I 224 FPEDERIGO ENRIQUES Dunque si può enunciare il teorema; Se il sistema (C) possiede una curva fondamentale K di genere TT (priva di com- ponenti multiple), ed avente come residuo il sistema (C'), fra i caratteri 0, 0', dei sistemi (0), (0') sussiste la relazione e- e =TT (ossia w—- it (w —)= TM. 8. Sistemi regolari. —. Suppongasi in questo $ che se il sistema canonico è irre- duttibile con p > 2, la sua serie caratteristica sia completa; i resultati più restrittivi a cui si perviene prescindendo da questa ipotesi si stabiliranno facilmente in modo analogo riferendosi al cap. IV, $ 5. La relazione stabilita nel precedente $ stabilisce un intentata legame fra la sovrabbondanza d’un sistema ed i generi delle sue curve fondamentali quando p. es. il sistema residuo delle curve fondamentali sia non speciale, e perciò basta che la sua dimensione sia > p—1, o il suo grado > p® — 1. Noi vogliamo trarre da quella relazione alcuni utili corollari. Se un sistema (C) di dimensione > p ha una curva fondamentale K di genere TT, il residuo (0') ha la dimensione > p — 1 e quindi è non speciale; allora i carat- teri 6, 8’, di (C), (C') sono le loro sovrabbondanze w, w' (sempre positive); in questo caso la relazione precedente ci dà: w> TT. Di qui il corollario: Un sistema regolare di dimensione > p non ha curve fondamentali dì genere > 0. Per trarre la deduzione enunciata bastava conoscere in qualsiasi modo la non specialità di (C'), e quindi sapere per es. che il suo grado è > p® — 1; per ciò basta che il grado di (C) superi a — 1 aumentato del grado di K. Di qui il teorema: Se un sistema regolare (C) ha una curva fondamentale K, tale che il grado di (0) supera il grado di K aumentato di pY — 1, la curva fondamentale K è di genere 0. Se un sistema regolare ha una curva fondamentale di genere TI, il residuo (0) ha il carattere O=@0= TM o=uw—- i,w= 0, e quindi 9 < 0, sicchè 0" < — TI; ora quindi Dunque: Se un sistema regolare ha una curva fondamentale di genere TT, il residuo è spe ciale con un indice di specialità maggiore del precedente almeno di TI. RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 225 Ora si consideri un sistema speciale co?-*; sulla superficie canonica (ottenuta facendo segare dagli iperpiani di Sp-. le curve del sistema canonico supposto sem- plice) esso è segato dagli iperpiani per un punto, e però ha come residua una curva, ossia il suo indice di specialità è 1 come quello del sistema canonico (00”). Si deduce: Il sistema canonico, se è semplice, non ha curve fondamentali di genere > 0. In modo analogo si dimostrano i corollari: Un sistema regolare co” non può avere altre curve fondunentali di genere > 0, tranne tutt'al più una sola curva fondamentale di genere 1 (che ha per residuo il sistema canonico). Un sistema regolare CO non può avere altre curve fondamentali di genere > 0 x tranne curve fondamentali di genere 1 (ed allora è non speciale). 4. Sistemi multipli d’un sistema. — Se si hanno sopra una superficie F due si- stemi (0), (C'), che possono supporsi segati da due sistemi lineari di superficie, il Sistema somma dei due sistemi di superficie sega sulla F un sistema lineare di curve contenente tutte le curve composte C+ Cl’; questo sistema appartiene ad un deter- minato sistema normale che si è detto #7 sistema somma di (0), (C') e si è indicato con (C-- 0); si è detto poi mplo di (0) ed indicato con (m C) il sistema somma di m sistemi (C), cioè il sistema normale contenente tutti i gruppi di m curve ©. Enuncio alcuni lemmi di facile dimostrazione: Se una curva irreduttibile è fondamentale per il sistema (C) essa è fondamentale per (mC). Se una curva irreduttibile è fondamentale per (mC) essa è fondamentale per (0). Se una curva irreduttibile è fondamentale per (C) ma non per (C') essa non è fon- damentale per (C- C°). Le dimostrazioni di questi lemmi si fondano sulla considerazione che una curva irreduttibile non avente intersezioni variabili con quelle d’un sistema è fondamentale per esso e viceversa. Come abbiamo avuto occasione di osservare nel cap. II se (0) è puro, il sistema (m C) per m assai grande contiene un altro arbitrario sistema, in particolare il cano- nico, in modo che il residuo di questo rispetto ad (m €) (disposto convenientemente di m) è un sistema puro (K) di dimensione elevata quanto occorre. Se si suppone che (C) abbia solo curve fondamentali irreduttibili di genere O (distinte), lo stesso avverrà per uno dei precedenti lemmi pel sistema (C + K). Si fac- ciano segare 00° curve generiche di (C + K) dai piani di S; sulla superficie F e si supponga per semplicità che essa sia dotata soltanto di curva doppia e punti multipli ordinari; ad una curva fondamentale (di genere 0) del sistema corrisponde un punto multiplo secondo d a cono osculatore irreduttibile di genere 0; un tale cono ha al generatrici doppie (o generatrici multiple equivalenti), le quali rappre- sentano altrettanti rami della curva doppia della F passanti per esso, giacchè una generatrice doppia del cono non tangente alla curva doppia rappresenterebbe un punto doppio della curva fondamentale del sistema (C+ K) che non andrebbe computato nel genere della curva ($ 2). Allora si considerino le curve del'sistema ((m + 1) 0), Serie Il. Tom. XLIV. DI 226 FEDERIGO ENRIQUES e si supponga che (C) e quindi ((m 4- 1) C) sia puro. Esse segano su quelle di (C + K) (sezioni piane della F) un gruppo canonico, e quindi sono segate da una superficie Wp_s aggiunta alla F (supposta d'ordine D) salvo forse nei punti multipli (cfr. capi- (A_-1)(A—- 2 tolo II, III), e poichè i punti dpli della F sono o) pli per la curva doppia x la wp_s ha la molteplicità d — 2 (almeno) in un punto dplo e quindi è aggiunta alla F. Ne segue che il sistema ((m + 1) 0) è aggiunto a (C+- K) e però è regolare capitolo IV, $ 4). Dunque: Per m assai grande il multiplo (m C) del sistema puro irreduttibile (C) non dotato che di curve fondamentali irreduttibili di genere O, è regolare. 5. Sulla postulazione d’una superficie di S, rispetto alla varietà d'ordine m. — Si abbia in S, una superficie F non dotata di curve eccezionali, ed avente soltanto punti multipli a cono osculatore di genere O. Quante varietà V, (linearmente indipendenti) d'ordine m contengono la F in S,? Se le sezioni iperpianali della F segano sulla F 00° curve appartenenti ad un sistema (C), le V, segano sulla F curve appartenenti al sistema (mC). Indichiamo con T,, n, *n i caratteri del sistema normale (mC); ((1="T,2,= 2); abbiamo allora le relazioni: Tn = Tmr1 Pat (Mm_-1)n_- 1 Nm = Amr + 2(m — 1)n+ n e quindi e EIA Mim = Min: 7 ì È ; RIS. SO mM al crescere di m la dimensione di (m 0) cresce oltre ogni limite (e quindi oltre £ 3 o) } di guisa che come nel $ precedente si deduce che in ogni caso la sua sovrabbon- danza (w, =0) è =0; perciò quando m è assai grande, VER ere e e): Se indichiamo con Nn= (7) 1 la infinità delle V,,, per ogni curva sezione della V,, colla F passano co%m-"m, V, e perciò la postulazione della superficie rispetto alle V, è < rn +tl=p+E© Un _m(-1)4]L dove vale il segno = se (come avviene, si può dire, nel caso generale) il sistema RICERCHE DI GEOMETRIA SUI.LE SUPERFICIE ALGEBRICHE 227 segato dalle V, su F, per m assai grande, è completo (e per ciò, poichè esso è puro, basta che sia normale). Dunque, per la superficie F_ di S, passano (per m assai grande) Led po I, Lal varietà Vm linearmente indipendenti. Facciamo ora una breve digressione determinando il numero delle quadriche di S, passanti per una superficie Fa sezioni normali (sulla quale non si fa nessuna altra ipotesi). Se per la F di S, passa una quadrica la sezione iperpianale C7 di F e gli n punti sezione d’un S,-» stanno pure sopra una quadrica (risp. in S,_, e in S,_s). Sup- pongasi ora che gli » punti sezione della F con un S,-. sieno sopra una quadrica g; in un S,_; per lo Sr» le quadriche Q per q sono 00” e segano sulla 07 la serie (com- pleta) segata dagli iperpiani (97 '), quindi vi è una ed una sola quadrica Q per la g contenente la curva C,7; in modo analogo può costruirsi un’altra quadrica Q' conte- nente la sezione C'7 della F con un altro S,_1 per lo S,-., e contenente pure la 9; ora le due quadriche Q, Q' risp. appartenenti ai 2 S,-, ed aventi comune la sezione 9g con un S,., appartengono ad un fascio di quadriche [ in S,; la quadrica [ del fascio contenente un punto fissato ad arbitrio sulla F, contiene quindi la F, poichè ne con- tiene già due sezioni iperpianali. Ora giacchè ogni quadrica per la F sega un S,_; in una quadrica contenente la sua curva sezione, e vi è una quadrica determinata che contiene la F passante per una quadrica che contiene una sua sezione iperpianale, si conclude: Il numero delle quadriche linearmente indipendenti, che contengono una superficie qualunque a sezioni normali di S,, è uguale a quello delle quadriche in S,-r che con- tengono una sua sezione iperpianale, o di quelle in S,-», che contengono il gruppo di punti sezione della superficie. 6. Curve fondamentali di genere O. — Abbiamo già avuto occasione di notare ($ 4) che alle curve fondamentali di genere O d’un sistema lineare (C) corrispondono, sulla superficie F_ di S; di cui le 008 sezioni piane sono curve €, punti multipli che non impongono condizioni alle superficie aggiunte e però non esercitano influenza sul ge- nere; a questo fatto si collega l’altro che tali curve non hanno effetto sulla sovrab- bondanza del sistema (C). Una analisi più minuta di siffatte curve fondamentali porta alla conseguenza che esse (a differenza delle curve fondamentali di genere > 0) sono più intimamente legate alla natura della superficie, che a quella del sistema (0) che su di essa si considera. Il caso più semplice è quello delle curve fondamentali di grado 2, le quali ven- gono ad essere rappresentate da punti doppi isolati (non eccezionali) (1) sulla super- ficie F di Ss (di cui le sezioni piane appartengono al sistema (0)), o sulla superficie normale FE’ ottenuta facendo segare dagli iperpiani d’un iperspazio tutte le curve O. (1) Poichè si è esclusa la considerazione delle curve fondamentali costituite da coppie di punti. 228 FEDERIGO ENRIQUES Se n è l’ordine della F, le superficie w,., d'ordine n — 4 aggiunte alla F, se- gano su di essa il sistema canonico: non può darsi che tutte passino per un punto doppio della F non eccezionale, e però ad un tal punto doppio corrisponde un punto doppio della superficie canonica su cui le curve canoniche sono segate dagli iperpiani (supposto semplice il sistema canonico, p > 3). Viceversa un punto doppio della superficie canonica dà una curva fondamentale di grado 2 per un sistema (0) che, su di essa, non ha il punto doppio come punto base. Concludiamo : Una superficie in S3 può acquistare per trasformazione tanti punti doppi isolati non eccezionali quanti sono i punti doppi isolati della corrispondente superficie canonica. Il numero di questi punti doppi è un nuovo carattere invariantivo per le superficie di ge- nere p> 3. Il resultato precedente si esprime sotto forma invariantiva dicendo: Sopra una superficie un sistema lineare (C) non può avere altre curve fondamentali di grado 2 tranne quelle che sono tali pel sistema camonico. Consideriamo ora una curva fondamentale irreduttibile di genere O e di grado ? pel sistema (0): si facciano segare 00% curve C sulla superficie F dai piani di Sg, e supponiamo (per semplicità) che la F sia solo dotata di curva doppia. Alla curva fondamentale per (C) corrisponde sulla F un punto iplo a cono osculatore razionale, per il quale passano quindi (come già abbiamo notato al $ 4) ii curva doppia. Se » è l’ordine della F, le w,_; (d’ordine x — 4) aggiunte ad essa hanno il detto punto come (i — 2) plo, come conseguenza del contenere la curva doppia della F; una curva canonica ha dunque un tal punto come (i — 2) plo (essendo è — 2 —=—i(i—2) —(i—1)(î— 2))edivi ha le è — 2 tangenti variabili giacchè il sistema canonico non ha punti base. Dunque ad un tal punto corrisponde una curva razio- nale d'ordine è — 2 sulla superficie canonica. rami della Concludiamo: Le curve fondamentali di genere O e di grado i per il sistema lineare (C), corrispon- dono a curve d'ordine i — 2 sulla superficie canonica. Così si vede che ad una superficie appartengono 3 categorie di curve razionali che corrispondono ai punti doppi della superficie canonica, alle sue curve razionali, e ad i suoi punti (le curve eccezionali); le prime due categorie forniscono caratteri invariantivi della superficie; invece le curve della 3 categoria sono in numero arbi- trario poichè se ne crea quante si vuole con trasformazioni della superficie. ——- RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 229 VAR Le involuzioni. 1. Estensione d’un teorema di Castelnuovo. — Relazione fra i secondi generi di due superficie in corrispondenza [1 m]. — Rivolgiamoci ora ad un breve studio dei sistemi lineari (0) in cui il passaggio per un punto trae di conseguenza il passaggio per altri punti della superficie. Lasciamo da parte, come non offrente interesse, il caso in cui le curve C (di (C)) si spezzino in quelle di un fascio ; allora (cap. I, $ 1) le curve © che passano per un punto 0, passeranno in conseguenza per un numero finito di punti 0, 03. ..0m ed i gruppi analoghi ad 0,, 0,... On formano un'involuzione Ir, cioè una serie 00° di gruppi di m punti tale che un punto generico della superficie determina un gruppo della serie. Lo studio del sistema (C) (che abbiamo denominato appartenente all’invo- luzione I) si annoda strettamente allo studio dell’involuzione. Ad ogni involuzione appartengono sistemi (0) come ora facilmente vedremo. ‘ Si riferiscano biunivocamente i gruppi della I, (elementi di una varietà o0°) ai punti d'una superficie F'; ad un sistema (C') di F' corrisponde su F un sistema (0) appartenente all’involuzione In. La F' ossia l’involuzione In abbia il genere geometrico p> 0(1); allora possiamo fissare come sistema (C') quello delle sezioni piane di F' che supponiamo avente curve fondamentali distinte come il suo corrispondente su F, e possiamo considerare una curva canonica K' (completata colle curve eccezionali della F') la quale è definita dal segare un gruppo residuo della serie caratteristica sulla curva generica di (0') ed un gruppo contenuto nella serie analoga sulla curva generica di ogni sistema co° contenuto in (0') (cap. II, $ 2). Sia K la curva corrispondente alla K' sulla F, H la curva di coincidenza della involuzione I, (luogo dei punti in cui ne coincidono due di un gruppo di I,)e sieno le C le curve corrispondenti su F alle C° di E". Una curva composta K + C+ H sega sopra una curva generica C un gruppo che è il trasformato di un gruppo canonico di C' aumentato del gruppo delle commcidenze dell’involuzione i cui gruppi corrispondono ai punti di C', quindi per un teorema di Castelnuovo (2) il detto gruppo è un gruppo canonico della €, ossia la curva K-++ H sega sulla curva C un gruppo residuo della serie caratteristica di (0); parimente si prova che la K 4+-H gode l’analoga proprietà rispetto ad ogni sistema co? contenuto in (C) (come rispetto ad ogni altro sistema appartenente alla I,), dunque sussiste il teorema: (1) Non imponiamo nè per la F nè per la F' alcuna restrizione di uguaglianza del genere geo- metrico al numerico. (2) Alcune osservazioni sulle serie irrazionali, ecc. (£ Accad. dei Lincei ,, 1891). 230 FEDERIGO ENRIQUES Se le superficie E', F sono in corrispondenza [1, m], alle curve canoniche della prima (supposta di genere > O) corrispondono curve speciali della seconda, componenti curve canoniche insieme alla curva di coincidenza dell’involuzione In è cui gruppi corrispon- dono sulla F ai punti della F'. È questa, come si vede, l'estensione del teorema già adoperato del signor Castel- nuovo sulle involuzioni irrazionali appartenenti ad una curva, teorema che apparisce come fondamentale nella teoria appena avviata di quelle involuzioni. Sia P il genere (geometrico) della F, e p il genere (geometrico) della F', ad ogni curva canonica della F' corrisponde una curva che insieme ad H costituisce una curva canonica di F, quindi P = p: in particolare non può essere P=0 se non è anche p="0. i Sia ora p > 1, e quindi anche P > 1, e indichiamo con p‘, P® risp. i secondi generi delle E', F, con è il numero dei punti d'incontro d'una curva canonica di F' colla curva di diramazione (ossia quello delle intersezioni della curva di coincidenza H con una curva residua), con T il genere della curva di diramazione su F' (o di quello di coincidenza H su F), sia infine t il genere delle curve corrispondenti sulla F a quelle canoniche di F'. Per il teorema di Castelnuovo, o per la formula di Zeuthen, si ha: 2m (pù — 1)+d=2(n— 1); per il teorema prima dimostrato si ha invece, in generale (adoperando la formula che dà il genere d’una curva spezzata) PO=n_-1+t4+ì, quindi sussiste în generale la relazione PO = m(pY_- 1)+T1+ ca ò, la quale può considerarsi come un’estensione della nota formula di Zeuthen per le corrispondenze [1m] tra due curve. In qualche caso può essere Pl maggiore del numero indicato dalla formula scritta se le curve corrispondenti su F a quelle canoniche di F' aumentate della H non sono curve generiche (spezzate) del sistema canonico della F ossia una delle componenti ha qualche punto multiplo in un punto semplice della superficie (o qualche ipermolteplicità in un punto multiplo). 2. Involuzioni razionali. — Diamo ora un breve cenno delle involuzioni I, ra- zionali; la superficie F sui punti della quale i gruppi della I, sono rappresentati è un piano (superficie razionale) e ad ogni rete omaloidica di esso corrisponde sulla. data superficie F una rete di curve di cui due s’intersecano in un gruppo della In; restringeremo a tali reti il nome di reti appartenenti all’involuzione. Una rete (C) appartenente all’involuzione I, sia di genere tr (il grado è m) e pos- sieda s curve fondamentali C,... C,,... C, aventi come residui s fasci risp. di ge- RICERCHE DI GEOMETRIA SULLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 291 nere Tj... Th... T,; introdurremo i caratteri è, ... è, ... ò, definiti dall’ugua- glianza o, = TT — Tm e diremo è, la volenza della curva fondamentale C,. Il carattere è, è legato semplice- mente a quelli, altre volte introdotti, cioè il genere (virtuale) p, della C, ed il suo grado î, (numero delle intersezioni con una curva residua); infatti è we mm papa quindi ò, = per + — 1 Si facciano ora segare le curve C della rete dai piani di una stella col centro O, sulla superficie F, e sieno a, ... @; le rette per O (multiple o contenenti punti mul- tipli per la F) che corrispondono alle curve fondamentali C, ... C,. Nell’involuzione In ci sieno 0 gruppi dotati di due coincidenze staccate (di due punti doppi), e t gruppi dotati d'un punto triplo (dove ne coincidono 3): le a rette che proiettano da O i primi o gruppi sono corde per la curva di coincidenza di I,, le t che proiettano i t gruppi secondi sono tangenti per essa. Ora la curva di coincidenza sega un piano generico per O in 2 (+ m — 1) punti fuori di O ed un piano per « (fuori di a) in 2(m + m — 1) punti, ossia la a, ha colla curva è, intersezioni. Proiettando dunque la detta curva di coincidenza da O sopra un piano, si avrà il suo genere dato da P— (on -Lom — 8) (+ mn — 2) — E da (9 — 1) ar Si conclude che la quantità (274 2m — 3) (T+-m — 2) — è, (20, — 1) (=o4+4tTt+P) ha lo stesso valore per tutte le reti appartenenti all'involuzione I,, ed è quindi essenzial- mente un carattere della I, anzichè delle dette reti. Invero si osserverà che, pren- dendo nel piano multiplo rappresentativo della I, una rete omaloidica le cui curve abbiano assai intersezioni con quella di diramazione, si avranno sulla F reti di ge- nere grande quanto si vuole, appartenenti alla I,, e quindi separatamente i carat- teri r, è, non sono caratteri della I,. Fsaminiamo brevemente il caso (m = 2) di una involuzione razionale I, sopra una superficie F. Le curve d’una rete (C) appartenente alla I, sieno segate dai piani per O sulla F. Se n è l’ordine della F, le aggiunte d'ordine n — 4 alla F sono coni. col vertice in O (che è (n — 2) plo per la F), quindi: Se sopra una superficie vi è un’involuzione Io, le curve canoniche che passano per un punto passano per il coniugato (1). (1) Questa proprietà è nota; infatti il sig. CasreLnuovo (“ Istituto lombardo ,, l. c.) ha dimo- strato che se vi è un fascio di curve iperellittiche sopra una superficie d'ordine x, le aggiunte d’ordine x —4 per un punto passano per il coniugato sulla curva iperellittica che lo contiene. Il tipo di superficie di cui stiamo trattando è stato considerato per la prima volta dal sig. NoeraER (© Math. Ann. ,, VIII, L.c.). È 232 FEDERIGO ENRIQUES Secondo la relazione precedentemente scritta il genere della curva di coinci- denza della I, è pt Sao (CEI) 1 dove t è il genere d’una rete appartenente alla I, (composta di curve iperellittiche) e è, è la valenza d'una sua curva fondamentale 0, (f=1... s). La rete (C) sia segata sulla F dai piani per 0; una curva canonica sega una C in 2(m —1) — 2 (m=2) punti, e quindi sex è l'ordine della Fi coni aggiunti d’or- dine n — 4 si spezzano nel cono (fisso) proiettante la curva doppia della superficie, e in coni variabili d'ordine t — 2. Se la a, è una retta per O multipla secondo 0, (o semplice) per la F' contenente arbitrari punti multipli, un piano per la a, è segato da una superficie d’ordine n — 4 aggiunta alla F secondo una curva d'ordine n — 8, — 3 aggiunta alla sezione d’or- dine n — 0, della F (tolta la «,) (cfr. cap. II, $ 1); questa sezione è dunque segata in 2 (mx — 1) punti da una curva canonica (essendo m, il genere di essa), e però il cono d'ordine t — 2, facente parte d’una aggiunta d'ordine n — 4 alla F, ha la retta a, come multipla secondo tg -—2—(m—1)=òd,— 1. Ora ogni curva C, fondamentale per la rete (C) viene rappresentata da una tal retta a,, 0 da una retta per O contenente un punto doppio isolato per la F; in questo 2° caso il detto cono d'ordine m — 2 non contiene in generale la retta congiungente il punto doppio, e quindi si può dire ancora che la contiene colla molteplicità è, — 1 = — mr — 1 poichè n= —1. Dunque i coni d'ordine t— 2 col vertice 0 seganti sulla F le curve canoniche sono assoggettati ad avere come (è, — 1) pla ogni retta per O che corrisponde ad una curva C, fondamentale per la rete (0), di va- lenza è. Indicando con p il genere (geometrico uguale al numerico) della F sussiste dunque la relazione __t(n—1) da (On— 1), PE 2 x 92 ’ di qua si ricava 4p= 2 (m — 1) — 2 2à, (0, — 1) e confrontando coll’altra relazione trovata Pen i) 1 si ha P_dp=n— Xò, dove il secondo membro è uguale per tutte le reti che appartengono alla involuzione I. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI “'TRIFOLIUM,, ITALIANE COMPARATE CON QUELLE STRANIERE DELLA SEZIONE LUPINASTER (Buxbaum) MEMORIA del Dottore S. BELLI Approvata nell’Adunanza del 25 Giugno 1893. PREFAZIONE Nello studio della presente sezione i dubbii sollevati da tempi anteriori a Linnè sull’affinità del T. Lupinaster col genere Trifolium, e l'incertezza colla quale anche oggidì alcuni autori ve lo ascrivono, parvero offrirmi una buona occasione per dir qualche parola sopra alcune questioni generali di tassonomia vegetale. Il T. Lupi- naster venne dunque con assidua vece iscritto e radiato dal novero dei Trifogli, e le ragioni che trassero gli autori a questi mutamenti verranno in appresso ampia- mente riferite e discusse. Intanto, se si considera un momento il modo con cui Tournefort caratterizza il genere Trifolium, evidentemente il T. Lupinaster deve esservi incluso; e la questione sotto questo punto di vista mi par definitivamente esaurita. Ma ben altrimenti importante è la questione, non nuova del resto, di sapere se alcuni generi, tali quali vengono oggidì accettati, siano entità naturali o non costi- tuiscano piuttosto un gruppo di esseri, che hanno qualche carattere similare, ma che non possiedono rapporti di morfologica affinità dimostrabile nell’attualità con un com- plesso di caratteri costanti. Tali sarebbero i generi Cytisus e Genista; Trigonella e Trifolium; Astragalus e Onobrychis, ecce.; i quali sono certamente meno distanti fra loro di quello che nol siano le specie di Trifolimm della sezione Galearia da quelle della sezione Lagopus, o quelle dei Calycomorphum da quelle dei Chronosemium, che tutte vengono comprese nel solo G. Trifolium. Più mi addentro nello studio di tali generi, e più mi convinco che l’ unità* tassonomica vera, riconoscibile sempre per caratteri proprii, fissi entro certi limiti, indipendente da circoscrizioni più late, è la Stirps, intesa nel senso già esposto e ben precisato nel saggio elaborato in comunione al Prof. Gibelli intorno alla se- Serie II. Tom. XLIV. Ei 294 S. BELLI zione Lagopus (Vedi Saggio monografico “ Mem. Acc. Sc. Torino , 1888). Compresa in questo significato la stirps può co’ suoi estremi toccare una porzione del campo ar- tificialmente concesso a due o più sezioni, senza che ne venga perciò a soffrire la sua omogeneità. Nei Trifogli non sono rari questi esempi. Parallelo allo studio dei gradi inferiori di dignità delle forme attuali, conside- rate come il risultato dell'evoluzione di diversi tipi originarii, è oggidì tenuto in onore uno studio che tenta di risalire soprattutto coll’aiuto dell’istologia comparata alla parentela antica, che collegherebbe i gruppi fra di loro, e cerca di riunire le membra sparse di quell’organismo, che, ipoteticamente ricostrutto, ne rappresenterebbe lo schema genealogico. A questo scopo sono evidentemente rivolti gli ultimi studii di egregi botanici (Vesque, Delpino, ecc.). Giova a me citare qui il Vuillemin, autore di un libro testè uscito col titolo: “ La subordination des caractères de la feuille dans le Phylum des Anthyllis ,, Nancy, 1892. Se io mi permetto di arrestarmi alquanto a discorrere di quest’ultimo lavoro, non gli è certo a scopo di pretenziosa ed importuna critica, la quale sarebbe sovrattutto e solamente possibile e giustificabile, ove io avessi rifatto l’immane la- voro dell'Autore. Io voglio limitarmi essenzialmente ad alcune considerazioni di or- dine generale, che nascono spontanee dalle premesse e dalle conclusioni, che l’ Autore trae dal suo libro, accurato, fine, ricco di indagini minuziose ed esatte le quali dimo- strano in lui una grande conoscenza dell’Anatomia vegetale. Nel leggere questo libro io mi sono spesso domandato: È possibile, per le clas- sificazioni degli ultimi gradi di dignità, o per togliere le incertezze che spesso regnano sulla posizione sistematica di un vegetale che tocca due generi vicini, trar partito dei criterii che vennero adoperati dall’Autore? In altre parole e per venire ad un esempio pratico, è possibile con questi criterii stabilire se p. e. il Trifolium ornito- podioides è veramente un Trifoglio od una Trigonella? ovvero se il T. Lupinaster porti seco le stimmate di un Trifoglio, o sia da riferirsi ad altro genere già cono- sciuto, ovvero finalmente sia un’ entità autonoma degna di speciale denominazione? La domanda pare a tutta prima oziosa, o meglio pare fuori di posto, e la risposta par facile. Mi si potrebbe dire: che cosa hanno a che fare simili questioni con un libro, che ha tutt'altro obbiettivo fuor di quello di stabilire delle categorie di dignità basate sulle affinità specifiche? Il Vuillemin parte da un genere che porta un nome: il genere Anthyllis; e come tale questo nome ha un significato più o meno concreto; L'Autore si è fissato per iscopo di stabilire i legami del G. AnthylMlis colle altre Leguminose e nulla più! La questione quindi è di tutt'altra natura, ed è fuori luogo. Per verità essa sarebbe tale, ove realmente il libro del Vuillemin apparisse senz'altro inteso a stabilire i rapporti strutturali del G. AnthyMlis cogli altri generi vicini; fosse cioè esclusivamente uno studio comparativo dei caratteri istologici della foglia del G. Anthyllis con quella delle altre Leguminose. Ma questo lavoro è altresì isto-tattico, ed anzi è al lato tassonomico di esso che l’Autore ha consacrato il tempo non breve ‘e la fatica grave, che deve essergli costata una disamina così sapientemente condotta. Nel libro del Vuillemin inoltre ho visto ripetute, troppo più volte che nol consenta la supposta intenzione dell'Autore, delle osservazioni riguardanti il concetto di specie e della sua pratica significazione, perchè non mi sia lecito di sviscerarne il significato. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 295 Finalmente sta il fatto che partendo dai principî emergenti dal suo studio anatomico, l'Autore ha stabilito tre nuovi generi. L'Autore a proposito della significazione della parola phylum così si esprime (p. 16): “ Le terme phylum n’équivaut ni è tribu ni è section ni è aucun des termes, « par lesquels on désigne habituellement les cadres de la classification. Établir un “ phylum, c'est mème, dans un sens, chercher à renverser les barrières posées arbi- “ trairement à travers la série des étres pour aider la mémoire, et è faire apparaître “ l’évolution lente, progressive et souvent indépendante des divers caractères origi- “ nellement uniformes, dont la combination permet les distinctions spécifiques. Établir “un phylum; c'est chercher des liens plutòt que des séparations. “ Le phylum d'une plante, c’est-à-dire sa lignée, n’est pas l'ensemble des espèces “ qui ont avec elle une affinité révéelée par un, deux , trois caractères convenus et “ désignés d’avance comme de premier ordre, d’après l’opinion qu'on aura pu se former “ de leur importance dans un groupe différent. C'est l'ensemble des plantes reliées “ entre elles par des intermédiaires insensibles, concernant tous les caractères im- “ portants, de fagon qu'on puisse les considérer comme unies par un lien généalo- “ gique. Si le groupement répondant à cette définition comprend un grand nombre “ de Genres, il peut se faire que certains caractères, par l’accumulation de variations “ faibles, se soient totalement transformés è travers la série. Par conséquent l’affi- “ mité n'est pas une conséquence forcée de la filiation. Deux plantes d'un méme phylum “ peuvent n'avoir aucun caractère commun ,. ‘Im altre parole l'Autore dice che la storia della filogenesi è la vera storia na- turale delle forme, mentre le nostre classificazioni e la subordinazione dei caratteri possono essere naturali, ma spesso possono anche non esserlo; ed il perchè egli lo dice chiaramente: “ Etablir un phylum c'est méme dans un sens renverser les bar- “ ribres posées arbitrairement è travers la série des étres pour aider la mémotîre ,. Le classificazioni secondo l'Autore sarebbero dei gruppi arbitrarà. E di più: “ l’af- “ finité n'est pas une conséquence forcée de la filiation. Deux plantes d’un méme “ phylum peuvent n’avoir aucun caractère commun ,. — Ma se due piante d’uno stesso phylum possono non avere alcun carattere comune, ed ammettendo colle stesse parole dell'Autore che il phylum è un legame, che dimostra la connessione degli esseri at- traverso ai secoli, per qual altro motivo dunque, esse vi apparterranno dal momento che caratteri che li leghino non esistono? E qual è la guida, quale il criterio che rivelerà all'Autore la comune o non comune origine di questi esseri, che non hanno alcun carattere che li congiunga? E come-si potranno distinguere due esseri di phylum diverso, i quali siano nelle medesime condizioni, di non aver cioè alcun carattere comune ? Ammettere, che due piante di uno stesso phylum possano non avere dei carat- teri comuni, vale quanto lasciar supporre che il tassonomo possa servirsi di altri mezzi che non sia l'osservazione macro 0 microscopica dei caratteri strutturali per lo studio delle forme. Ora, là dove il filo conduttore dell’osservazione si spezza, è forza ricorrere all’induzione, la quale spesso serve, ma più soventi è scorta fallace e lascia dietro di sè il dubbio e l’incertezza. E l’ammettere coll’Autore, che tutti gli esseri viventi non formino che un phylum unico, vale secondo me quanto distruggere ogni classificazione. Perciocchè fra le membra di questa catena interrotta esistono delle 256 S. BELLI lacune (gli Wiatus dell'Autore), che il corso dei secoli hanno scavate, ed in questo caso se a colmarle può e deve servire l'osservazione strutturale delle membra stesse, e l’analogia tuttora esistente fra esse, io mi domando come sarà possibile distinguere caratteri di affinità dai caratteri di filiazione, dal momento che l'Autore scrive: l’affinité n’est pas une conséquence forcée de la filiation ,! Il periodo più sopra citato mi pare illogico. Prosegue l'Autore: “ Quant è l’étendue méme du phylum elle est théoriquement illimitée. On a méme de bonnes raisons de croire que tous les étres vivants ne for- ment quun phylum. Les Riatus, qui séparent les groupes conventionnels de nos Sa classifications, tiennent en partie à l’extinction, qui a supprimé les termes de pas- sage; ils tiennent aussi à ce que bien souvent ces groupes sont mal formés. Par exemple le phylum des Anthyllis comprend des genres classés constamment dans des tribus différentes (Hedisarées-Galegées); tandis qu'on ne saurait y rattacher aussi directement des plantes considérées comme en étant très affines et méme “ certaines espèces rangées par plusieurs auteurs dans le genre Anthyllis. “«“ L’établissement d’un phylum ne constitue donc pas précisément un groupement commode, donnant une clef pour la détermination facile des espèces. Toute préoc- “ cupation utilitaire doit méme en étre écartée au début. Le résultat pratique vient ensuite de lui-méme, car les séries des plantes dont on connaît exactement la fi- liation peuvent étre classées d’après des principes plus rationnels, et bien des dif- “ ficultés nées d'un groupement prématuré disparaissent naturellement ,. Evidentemente qui l'Autore ammette l’idea, che gli studii filogenetici debbano influire sul raggruppamento pratico delle specie, per quanto questo non ne sia il risultato immediato. E di fatti; secondo l'Autore, il phylum delle Anthyllis comprende delle forme finora comprese dagli Autori nelle Hedysareae-Galegeae cioè in altre pa- role i caratteri su che l'Autore basa il suo phylum non sono gli stessi adoperati fin qui per riunire o separare questi generi, e secondo lui sono i veri, dal momento che stabiliscono la sistemazione di quei generi fra le Anthyllis piuttosto che fra gli He- dysarum o le Galega. Qui soprattutto sta la giustificazione di questa critica. Ammettendo nella seriazione del Vuillemin le corrispondenti lacune (Miatus), è difficile il provare che esse costituiscano i corrispondenti gruppi convenzionali delle “ “ nostre classificazioni. È da supporre, che là dove questi hyatus saranno piccoli fra gruppo e gruppo, ivi le differenze fra essi dovrebbero essere minori; dove invece l’hyatus sarà un vero abisso, non dovrebbe rimanere fra anello e anello che un lie- vissimo vestigio o nessuno dei caratteri, che li legavano, perchè molto più numerosi sono i termini soppressi. Or bene si può dire che questi vacui e questi gruppi cor- rispondano alle nostre classificazioni? Mi pare di no! E difatti noi abbiamo detto più sopra come molti generi siano fra loro più vicini strutturalmente, che nol siano talvolta le specie in essi comprese paragonate fra loro. Per es. è certo più diffe- rente la Stirps del 7. alpinum da quella del 7. scabrum, di quello che nol sia la grande circoscrizione dei Trifogli dalla grande circoscrizione delle 7rigonelle o dei Melilotus. Dove l’Autore dice giusto, secondo me, è allorquando scrive che spesso i gruppi sono mal formati. Ma il difficile sta nel provare che un dato gruppo è più naturale se ordinato coi caratteri che l'Autore vuol dedurre dallo studio anatomico della foglia, RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 237 piuttosto che con quelli comunemente dedotti dal fiore. Può darsi che essi vadano di pari passo; ed allora ne guadagnerà la naturalezza della categoria. Ma quando essi si troveranno in opposizione, con qual dritto si dovrà dar la preferenza agli uni piuttosto che agli altri? Dirò più avanti quale sia il requisito, che i caratteri (di qualunque specie essi siano) debbono avere perchè siano preferiti; ma per ritornare alle idee dell’Autore sull’affinità delle specie io citerò ancora un brano del suo libro (pag. 3). “ Une classification est naturelle quand elle groupe les espèces de fagon è “ les rapprocher en raison directe de leur parenté. Le terme parenté, employé de tout “ temps dans un sens abstrait, a pris une acception définie avec la doctrine transfor- “ miste. Dans ce sens la classification naturelle doit étre généalogique. S'il en est ainsi “«“ Vaffinité n'est plus la base directe de la classification naturelle, pas plus que la res- “ semblance de deux hommes ne suffit è démontrer leur consanguinéité; elle n'a de “ valeur qu'autant qu'elle est l'indice de la filiation. L'affinité positive ou négative permet de séparer ou de réunir les espèces dans des cadres de diverses catégories; mais elle ne nous renseigne pas sur les rapports réels de ces cadres (!). Tandis que l’affinité est dasée sur la constatation des caractères concordants, la filiation doit reposer sur “ la réductibilité des caractères différents ,. Da questo periodo si rilevano anzitutto due cose: 1° che il trasformismo avrebbe, secondo l'Autore, definito finalmente il senso del vocabolo parentela, che, per mio conto almeno, ha sempre avuto un significato abbastanza concreto. Ma in qual modo sarebbe definito? ammettendo che la classificazione naturale deve essere genealogica, e per questo motivo, secondo l’Autore, l’affinità non sarebbe più la base della classificazione. In altre parole, e per prendere un esempio pratico: se questo dovesse verificarsi per la sistemazione delle specie, noi non avremmo più il diritto di riunire nello stesso quadro (Stirps) il 7. alpinum p. es. col T. polyphyU0um, finchè non ci sia possibile dimostrare, altrimenti che coi caratteri attuali di rassomiglianza, che questi due esseri sono proprio discesi dallo stesso ceppo. E siccome il rimontare per l’oscura notte dei secoli ci è per ipotesi non concesso, e d’altra parte non ci si concede di trar partito delle affinità morfologiche, se mon come di una guida mal sicura ed empirica, così ognun vede, come di questo passo sia semplicemente annullata ogni sistema- zione, perchè non è possibile di giudicare della parentela di due forme altrimenti che colla concordanza dei loro caratteri strutturali. 2° Il Vuillemin ha detto, che se la classificazione naturale deve essere genealogica, l’affinità non è più la base della classificazione, allo stesso modo che la rassomiglianza di due uomini non hasta a dimostrare la loro consanguineità. Ma o-io sbaglio o qui siamo di fronte ad un so- fisma. Anzitutto il paragone fra due uomini e due specie o due generi non regge. Tanto varrebbe pretendere che due piante per es. di Trifolium diffusum uscite dalla fecondazione di due ovoli di uno stesso legume dovessero per questo motivo svilup- parsi in modo da essere sovrapponibili; ed esse non appartengono perciò meno al genere Trifolium. E d'altra parte, se la rassomiglianza di due uomini non prova la loro consanguineità, è certo che talvolta la discrepanza delle loro linee è lungi dal (14 provare che essi non siano consanguinei. Ma a parte ciò, se l’affinità non ha valore che in guanto essa è l’indizio della filiazione, e poichè la filiazione presuppone ed im- plica l’ereditarietà, e poichè tra caratteri ereditari e di adattamento è spesso diffi- cile pronunciarsi, e finalmente poichè i caratteri acquisiti si trasmettono per eredità, 238 S. BELLI io non giungo a capire perchè la rassomiglianza di due forme non si debba in ogni caso ritenere come l’espressione di un nesso genetico qualsiasi, senza essere costretti a supporre l'origine non filetica di queste affinità. Se dunque l’affinità non è sempre conseguenza della discendenza diretta od in- diretta di che cosa sarà la conseguenza? Ed ammesso che essa possa essere la con- seguenza di un accidentale ravvicinamento di due esseri originariamente differenti, chi è colui che potrà con sicurezza dire, quando si ha a che fare con una consan- guineità vera o con una apparente dal momento che è caratteri che ci servono di guida sono gli stessi in ambidue i casi? È egli possibile stabilire delle categorie di caratteri corrispondenti, che servano a rivelare quando due forme sono o non sono parenti? Evidentemente no! Io non potrò mai comprendere l'opposizione assoluta fra caratteri filetici ed epharmonici stabilita dal Vesque. Secondo Vuillemin l'affinità positiva o negativa permette di separare o di tener riunite le specie nei quadri di diverse categorie, ma essa non ci dà notizia alcuna sui rapporti reali di questi quadri. Esisterebbero, secondo l'Autore dunque, due specie di affinità, la negativa e la positiva. Quest'ultima si capisce: la prima non può essere che la negazione di ogni rassomiglianza; la seconda è rappresentata dai caratteri concordanti, la prima dai caratteri differenti è quali sono passibili di una riducibilità. Ma è evidente, che se la concordanza dei caratteri può far riconoscere il nesso fra specie e specie, la ridu- cibilità dei caratteri discordi potrà far riconoscere una lontana affinità fra genere e genere, tra famiglia e famiglia; ma non potrà applicarsi alla sistemazione delle unità tassonomiche di ordine inferiore. E se le caratteristiche basate sulle rassomiglianze, usate da Linnè ai giorni nostri per raggruppare le specie sono rapporti fittizi, quali saranno e in qual parte del vegetale converrà ricercare i rapporti reali che l'affinità non è capace a rivelarci secondo V Autore ? La prova di quanto dicemmo più sopra sull’influenza nulla che per la sistema- zione delle specie deve esercitare lo studio di un phylum è questa: che ogni esempio pratico, presentato dal Vuillemin a sostegno delle sue asserzioni, è tolto dalla con- siderazione di apparati o di sistemi di organi isolati, i quali debbono essere natu- ralmente enormemente variabili, essendo in certo modo gli strumenti dei quali il vegetale si serve per raggiungere la sua definitiva forma e costituzione. A tale cate- goria appartengono tutti i caratteri desunti dall’organizzazione della foglia, e dei suoi accidenti di superficie, come l'apparato stomatico, il cribro-vascolare, il paren- chima e l’apparecchio accumulatore. Ognun vede a prima giunta quale applicazione enormemente vasta debbono aver simili caratteri, e quanto le influenze del mezzo, debbano influire su di essi; nè per quanto si sforzi l'immaginazione si giungerà a capire, come la sclerosi di un periciclo possa venire in aiuto a rischiarare i rapporti genetici di due specie controverse od anclie di due generi. Chi voglia p. e. basarsi solo sulla configurazione esterna delle foglie per classi- ficarei grandi gruppi delle Leguminose, farebbe certo opera vana. Ma è illusorio il supporre che l’anatomia di essa possa servir meglio a quello scopo. Che lo studio isto- logico della foglia, al pari di quello del fiore, possa rischiarare il phylum di un gruppo cioò la sua discendenza o consanguineità coi gruppi vicini nessuno mette in dubbio; RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 239 ma che poi il risultato pratico discenda fino all'ordinamento dei generi e delle specie, e possa portar luce su qualche specie controversa, è quanto mi permetto di porre in dubbio. Lo esame anatomico meravigliosamente accurato dei caratteri della foglia ha condotto il Vuillemin a stabilire tre generi nuovi Podostemma, Lotopsora e Pseudo- sophora, tolti dai G. Astragalus, Psoralea e Sophora, ed in forza di caratteri quali la presenza 0 l’assenza delle emergenze nodali o stipolari, l’esistenza dei cristalli aci- culari nel libro, lo sviluppo dei tanniferi attorno al legno dei fasci, i peli flagel- liferi, ecc. Ammesso che questi caratteri siano in sè e per sè migliori od equipollenti a quelli che formano il substratum delle classificazioni comuni, resta a sapere se loro equivalgano nella costanza, e se un’esperienza di coltivazione in ambienti diversi per suolo, nutrizione, esposizione, ecc., non possa modificare questi dati, che sembrano troppo legati colla funzione vegetativa dell’organismo vegetale. L'Autore discutendo l'opposizione dei caratteri filetici cogli epharmonici stabiliti dal Vesque così prosegue (p. 4): “ Dans cette théorie si une plante possède des caractàres phylétiques c'est uni- “ quement parce que ses ancétres les possédaient et les lui ont transmis. Mais pour- “ quoi les ancétres en étaient-ils dotés? Il n°y a que deux réponses possibles à cette “ question. Puisque aucun caractère de forme extérieure ou de structure n’est iden- “ tique è lui-méme dans toute la série végétale, chaque particularité a fait son ap- “ parition è un stade plus ou moins ancien de la phylogénie. Il faut done ou que “ les caractères phylétiques aient apparu sans motif è un moment donné, ou qu’ils “ se soient produits par adaptation et maintenus par sélection, conformément aux # lois de l’évolution. “ On ne peut sortir de ce dilemme. La première alternative est. simplement la “ négation du transformisme; car elle suppose des catégories indépendantes, définies “ par les caractères phylétiques et offrant des modifications de détail plus ou moins “ etendues. Chacune de ces catégories immuables serait alors la véritable espèce, dont; “ les limites seraient par le fait démesurément élargies; les propriétés épharmoniques “ caractériseraient de simples variétés. Dans la seconde alternative les caractères “ devenus héréditaires ont d’abord été variables, et ces variations ont été provoquées “ elles aussi par le milieu ,. E già nella Prefazione a questa sua pregevolissima opera (pag. vi) l'Autore scriveva: “ Les caractères faciles è voir à l’ceil nu sont surannés, “les caractères anatomiques sont infidèles; la subordination des uns et des autres “est un vain mot. La principale cause de ce malaise est peut-étre l’inconséquence “ de la pluspart des Botanistes qui, tout en proclamant à l’envi les principes trans- “ formistes, considèrent chaque caractère comme une entité immuable et de valeur “ constante ,. Se da una parte ripugna il pensare, che i gruppi che noi vogliamo stabilire col nome di Stipes sono delle categorie immutabili, altrettanto poco ci riesce di capire come i caratteri “ d’abdord variables ,, e “ devenus héréditaires ,, non godano, con questo cambiamento, di una fissità relativa (che in un certo senso e fino ad un certo punto potrebbe paragonarsi alla fissità assoluta delle categorie immobili più sopra citate dal Vuillemin), la quale permetta di riconoscere ad un dato momento per mezzo loro una parentela di grado diverso fra i vegetali che compongono un gruppo. 240 S. BELLI Il rimprovero però che i sostenitori del trasformismo scagliano a coloro che ancora credono al motto tot species sunt quot creatue fuerunt mi pare un coltello a due tagli. Poichè, se non è ammissibile la fissità delle categorie, ci pare anche inammis- sibile Za Zoro continua mobilità, che distruggerebbe ogni tentativo di classificazione. Ed il periodo più sopra citato del Vuillemin potrebbe ben trasformarsi in quest'altro: “ La principale causa di questo guaio è forse l’inconseguenza dei botanici, che pro- clamando il trasformismo si mettono nella condizione di dover segnare è limiti della durata di ogni successiva forma, e naturalmente non ci riescono ,. D’ altra parte il Vuillemin stesso ammette dei caratteri d’ubord variables devenus héréditaires. Ora, si può domandare, per quanto tempo dura questo carattere così ereditato? Forse finchè durano le circostanze “ provoquées par le milieu ,? Neppur questo mi persuade. È noto dai lavori dell’Hackel sulle Festuche d’Europa, per citare un solo esempio, che certi caratteri non sentono l’influenza del mezzo in cui vivono, ed è appunto su questi caratteri, i quali mostrano una costanza grande nelle loro manifestazioni este- riori, che Hackel ha gettate le basi del suo lavoro modello, dimostrando precisa- x mente che la loro specificità è in ragion diretta della resistenza, che essi oppongono x alle cause esteriori, che tendono a farli variare. Egli è perciò che, secondo me, sarà lavoro eminentemente proficuo del tassonomo quello, che parte da un simile indirizzo, e questo deve essere il requisito di cui più sopra ho parlato, e che fa sì che i ca- ratteri di una categoria debbano avere il sopravvento su quelli di un’altra, allorchè nel raggruppamento delle forme essi si trovano in opposizione. L'obbiezione capitale, che si suol comunemente fare a queste considerazioni, è: che la fissità dei caratteri constatabile nell’attualità, quali dominanti di una categoria, è una fissità molto, troppo relativa, quando si pensi all’enorme spazio di tempo che costituisce già solo un'epoca geologica. E contro quest’obbiezione nulla si può opporre. Però le cause che fanno variare questi caratteri agiscono troppo lentamente, perchè non possa esere concesso di pensare ad una certa costanza (relativa certo di fronte alla successione dei secoli od anche solo di un’epoca geologica) ma abbastanza assoluta nell’epoca attuale, perchè essa possa permettere un'applicazione pratica. Del resto della fissità o della mobilità delle specie si potrà a tutto rigore dir quello, che il Vuillemin con tutta ragione scrive della teoria che vede nel cauloma un semplice aggregato di decorrenze fogliari, o della teoria inversa secondo la quale la foglia non è che un'espansione del fusto; si può dire cioè che questa questione ricompa- rirà e scomparirà periodicamente, perchè nessuno potrà mai materialmente dimostrare l’una o l’altra cosa. Ma per poco che essa duri è sempre una fissità, ed è indipendente attualmente dai mezzi in cui il vegetale cresce. E si può d’altro canto semplicemente dire, che una difficoltà del pari enorme si presenta a coloro che pretendono sostenere la continua mobilità dei caratteri; cioè quella più sotto accennata che è loro impossibile lo stabi- lirne le modalità ed i limiti, coll’aggravante di essere costretti a distruggere ogni tassonomia. Ciò non di meno il Vuillemin mette innanzi come una prova dell’indiscutibilità della teoria transformista il fatto, che nelle Papilionacee alcuni caratteri, che sono considerati come i più insensibili agli agenti fisici, vengono a variare e quindi “ les alfa a ro e i cal Cage asa SI vtaSF® Eee RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 241 “ limites de la réductibilité des espèces sont reculées bien au delà du terme défini « par les caractères épharmoniques , (pag. 4). E continua (pag. 5) con queste pa- role: “ A vrai dire on pourrait définir les caractères phylétiques; des propriétés «“ morphologiques dont la raison d’'étre n'a pas encore été déterminée. C'est une “ catégorie par trop subiective pour devenir le fondement de la taxinomie de l’avenir ,. Mi pare che esista in questo periodo un altro malinteso. Il limite dei gruppi (generi, specie) dato dai caratteri efarmonici può essere mal definito da una imper- fetta conoscenza o da uno studio incompleto dei gruppi stessi: potrà allargarsi o restringersi, ma un limite deve pure esistere anche a detta dell'Autore. Ora, se i caratteri filetici, cioè i caratteri ereditarii, sono delle proprietà morfologiche la cwi ragione di essere non è per anco stata determinata, e costituisce una categoria troppo soggettiva perchè possano divenire il fondamento della tassinomia dell’avvenire, io mi domando quale scopo si sia prefisso l'Autore nel suo lavoro sul Philum delle An- thyllis all'infuori di una semplice enumerazione delle consonanze e delle differenze istologiche della foglia delle Anthyllis colle altre Leguminose, e a quale altro criterio debba improntarsi la tassinomia futura? L'Autore chiude la sua opera con un periodo che qui cito parzialmente (p. 330): “ Chaque caractère tiré de l’organisation de la feuille « une dignité variable “ suivant le niveau considéré de ce groupe soumis à une active évolution qui cons- “ titue le phylum des Anthyllis. Faut-il pour cela considérer la structure foliaire “ comme moins digne d’attention que la morphologie florale? Assurement non; car “ les propriétés de la fleur ne sont pas plus invariables. Pour n’en citer qu'un exemple: “ la monadelphie, l’articulation du légume, bases essentielles de la classification des Papi- “ lionactes ont acquis è ce stade critique de la phylogénie une incostance qui les place “ au dessous du mode d’épaississement du flagellum ou de V existence des poils glanduleux “« bien qu'elles se soient intégrées d’une fagon si parfaite chez les vraies Hédysarées “ ou chez le Génistées ,. Data e concessa la maggior costanza dell’ispessimento del flagello e l’esistenza dei peli glandolosi nelle Leguminose in confronto dei caratteri fiorali, ne nascerebbe che non più questi ma bensì quelli dovrebbero costituire il criterio di raggruppamento della famiglia. E se questi caratteri si riconoscessero domani identicamente costanti in confronto di tutti gli altri che determinano oggidì la famiglia delle Rosacee, sa- rebbe d’uopo allargare la circoscrizione delle Leguminose includendovi le Rosacee e | via via. Ognun vede dove di questo passo si va a finire per quanto legalmente. Ma ammesso pure questo allargamento, si-può dire che la circoscrizione così stabilita sia più naturale di quella che raggrupperà i nuclei esistenti in ciascun genere cioè le nostre Stirpes? E saranno proprio il flagello ed i peli glandulosi che staranno a prova di un antico legame naturale, genetico, certo, fra le Rosacee e le Leguminose? o non saranno piuttosto quei rapporti ben più fittizi di quelli che, tolti dal com- plesso delle species, verranno a costituire le vere unità tassonomiche cioò le Stirpes? Il minimo dettaglio di struttura, scrive infine il Vuillemin, “ può divenire carat- teristico di una categoria estesa purchè abbia raggiunto un grado sufficiente di palin- genia nel gruppo considerato ,. Ed in ciò siamo perfettamente d’accordo. Ma appunto perchè estesa, la categoria non può sempre essere l’espressione di un raggruppamento naturale. Per es. la pubescenza dei petali è caratteristica validissima di una Stirps ap- Serie II. Tom. XLIV. pi 242 S. BELLI partenente alla sezione Lagopus (Tricoptera); questo è un rapporto evidentissimamente di affinità di parentela fra le specie che compongono questa Stirps. Invece il legume villoso è carattere proprio di una quantità di specie, le quali appartengono :certa- mente a diverse Stirpes. Il primo è un rapporto reale, il secondo è fittizio e tutti e due sono basati su di un carattere identico, la presenza dei tricomi sugli organi. Il primo carattere deve evidentemente essere filogenetico per quelle specie: il secondo no. Non sarà fuor di luogo il dire qui anche due parole in proposito delle idee esposte dal D Terracciano (1) sui rapporti sistematici delle forme di un genere qualsiasi. Scrive il D' Terracciano: “ Per me tipi e gruppi e stirpi e specie, ecc., ecc., per quanto unità relativamente concrete, prese così di per sè sole, hanno sempre valore filogenetico considerate l’una rispetto all'altra. I loro rapporti sistematici abbracciano quindi un insieme di caratteri morfologici e geografici, onde spesso alcuni possono non interessare la tassinomia rivolta allo scopo di far conoscere le piante nel com- plesso loro più o meno generale; altri, e sono i più, porrebbero nella mente quella gran confusione, che dal frazionamento e dallo sminuzzamento delle forme ricercate a stabilire le affinità suole sempre seguire. Il Prof. Gibelli, della cui affettuosa ami- cizia mi onoro, conosce la stima ch'io abbia delle sue idee per sapermi voler male se in un campo così vario e subiettivo un poco mi discosti dal suo modo di vedere, allargando cioè o restringendo la significazione alla nomenclatura da lui proposta ,. Le mie brevi osservazioni allo scritto del D' Terracciano avrebbero dovuto veder la luce molto prima d’ora, se me ne fosse venuta l’occasione che ora mi si presenta, lontanissimo dal voler iniziare una polemica qualsiasi su questo soggetto, ma unica- mente perchè mi pare che, o il D' Terracciano non ha ben afferrato le idee del prof. Gibelli, che sono anche un poco le mie, come si vede dal titolo dell’opera, ovvero che noi non ci siamo abbastanza chiaramente spiegati. Noi non abbiamo messo mai in dubbio che le stirpes (e le species che le com- pongono), per quanto unità relativamente concrete non siano filogeneticamente legate le une alle altre, ma questo non abbiam detto mai dei gruppi in generale e soprat- tutto delle sezioni, cioè di categorie artificialissime, che possono essere, anzi di solito sono fatte ad arbitrio per facilità di sistemazione, e non rappresentano dei nuclei affini. Se si vuol far entrare il nesso filogenetico nelle sezioni, converrà intenderlo nel senso in cui il Vuillemin intende il phylum universale, che raggruppa tutti gli esseri viventi. In altre parole nel genere 7rifolium non crediamo che un nesso filogenetico leghi per es. le Amorie ai Lupinaster, pel solo fatto che il vessillo è libero o quasi in tutte e due le sezioni; mentre siamo più che persuasi, che un vero nesso di con- sanguineità (mi si passi la parola), corre p. e. fra il Trifolium nervulosum Boiss. e tutte le specie della Stirps Glandulifera, quantunque al primo manchi uno dei caratteri posseduti dalle altre specie, cioè il collaretto involucrante del capolino, mentre tutte le altre note concordano. E per lasciare un poco le vedute soggettive, come le chiama il D" Terracciano, (1) © Malpighia ,, Anno II, vol. II, p. 297 (in nota) e seg.: Dell’Allium Rollii e delle specie affini (1889). RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 243 nelle quali è spesso difficile accordarsi, sarà bene di scendere un momento nel campo pratico della sistemazione delle forme, dove le vedute soggettive devono trovare una corrispondente applicazione sotto pena di non intendersi più. La filogenesi entra a costituire l’ordine diremo così | ‘ontologico dei diversi gruppi; la loro ordinazione pratica fa parte dell’ordine del sensibile e del reale: si può cioè essere incerti sulla via probabile, che le attuali forme hanno seguìto per essere quello che sono, ma non vi può essere gran diversità di vedute nello stabilire il valore dei vocaboli che si usano per definire i gruppi oggidì esistenti, dal momento che questi vocaboli hanno avuto prima di noi ed hanno tutto dì un significato. Questo ragionamento prende a tutta prima l'aspetto di un paradosso; avvegnachè questa benedetta filogenesi dei gruppi non si possa in ultima analisi in altra maniera dedurre, che studiando i rapporti di forma dei vegetali fra loro; ma non è meno vero che tutte le classificazioni hanno un lato in certo modo artificiale, ed almeno in questa bisogna, oggettiva fin che si vuole, è d’uopo accordarsi (1). Hd è in questo campo che io vorrei vedere mantenuto fino al limite del possibile, il parallelismo dei valori; questa è, volere o no, la sola via per giungere a stabi- lire i gradi di dignità corrispondenti al nesso genealogico presupposto. Così si andrà contro alla confusione, dalla quale il D" Terracciano giustissima- mente rifugge, ed a questo scopo molti fitografi moderni (Hackel, Burnat, Naegeli, Christ-Haussknecht, ecc.), hanno rivolto le loro più amorose cure. Conviene insomma addivenire ad una specie di casellamento delle forme, subor- dinate alla Stirps, nel quale sia evidente, che p. e. la forma @ dipenda dal gruppo di ordine superiore A, per la stessa ragione per cui la forma d appartiene al gruppo di ordine superiore B, e nei quali si possa sempre controllare (mi si perdoni il bar- barismo) la costanza, il numero ed il valore dei caratteri similari usati a stabilire questi rapporti. Spesso invece nel lavoro del Dr Terracciano si trovano usate espressioni come la seguente: “ la forma A passa per la forma B, ecc. ,. Ora con questa semplice espressione non si può capire se la forma A passi vicino o lontano pei suoi carat- teri dalla forma B e paragonata con un’altra forma corrispondente collaterale. Così pure l’espressione grafica dei nessi strutturali delle diverse specie, sotto- Specie e varietà, come vien trattata nel lavoro sull’ Allium Rolli, non ci pare possa renderli chiari, poichè essi non esprimono la differenza di valore dei legami, ma costituiscono un aggruppamento, mutuo o no, ma uniforme. (1) Per spiegare meglio con un altro esempio questa specie di indipendenza della tassinomia delle forme attuali dalla filogenesi, mi servirò di un gruppo di Trifogli già altra volta utilizzato nella Prefazione ai Lagopus. — Il T. dalmaticum, che, secondo noi, sta oggidì ad uno dei capi della Stirps Scabroidea, avrà forse appartenuto ad un tipo un tempo più differente dal 7. scabrum; e le differenze che lo separano oggidì da questa specie, avranno potuto essere di gran lunga meno valide delle analogie, che lo legavano ad un tipo scomparso, cosicchè se noi potessimo oggi vedere quelle forme, forse il 7. dalmaticum farebbe parte di un’altra Stirps. Ma così come oggi stanno, noi non possiamo far a meno di riunire il 7. dalmaticum al T. scabrum nella stessa Sti:ps, per quanto essi stiano ai due poli della circoscrizione, ed abbiano il 7. lucanicum che li collega da un lato solo, mentre l’altro lato è quello dove il 7. dalmaticum non ha rapporti con nessun'altra forma. 244 S. BELLI Anzitutto poi è ncessario partire, nella nomenclatura, dalle definizioni delle se- riazioni; e questo è stato per noi un lavoro altrettanto necessario quanto faticoso. E si capisce che per allargare o restringere (sono parole del D" Terracciano) le idee, che altri può aver espresse in un processo tassinomico, conviene anzitutto farsene un concetto esatto e dare la definizione esatta delle modificazioni che vi si introdu- cono. E poichè ci siamo, comincierò dalla definizione che il D' Terracciano ha dato della Stirps (p. 298). Eccola: “ Il gruppo ed i sottogruppi, per quanto idealmente, concretizzano un complesso di caratteri generali riconoscibili nel tempo e nello spazio fra tutto il differenzia- mento morfo-geografico, a cui andarono soggette le molteplici loro forme ; nelle quali, se essi genericamente una per una si adattano, specificamente non vi sono compresi, sì da poterne essere rappresentati. Invece quando, stabilito un carattere, ad esso altri si aggiungono, per modificare ed affermare un assieme di forme entro certi confini morfologici ed in rapporto all'ambiente considerato o quale mezzo presente di evoluzione, o termine di evoluzioni da epoche più remote ed in rapporto alle con- dizioni inerenti al loro quale che siasi ciclo biologico, sorgono le Stirpes ,. 22 To confesso ingenuamente che non ho potuto capire questa definizione. Non do la colpa ad altri di questa mia insufficienza; ma osserverò soltanto che da Spring a Noegeli esiste la definizione della Stirps molto più semplice, con un significato chia- rissimo, che noi abbiamo cercato di precisare ancora meglio nella Prefazione ai “ La- gopus ,, e che ognuno che l’usa ha il dovere di discutere, dato che ne alteri il significato, o lo allarghi, o lo restringa. La definizione della Stirps è questa: Un complesso di entità che hanno uno stampo comune; che probabilissimamente hanno avuto un'origine comune dimostrabile nell’attualità, e che si rassomigliano fra loro così da costituire un vero nucleo quasi sempre ben separato dalle altre Stirpes della sezione a cui esso appartiene, ed i cui caratteri sono inegualmente distribuiti nei membri che lo compon- gono, originando così i diversi gradi di dignità che esso comprende, species, subspecies, varietates, ecc. Questa definizione non differisce sostanzialmente da quella una volta attribuita alla Specie Linneana se non per ciò, che essa è basata sull’esistenza di un complesso di caratteri, e permette una certa oscillazione degli elementi che la costitui- scono; mentre la definizione Linneana della specie implicava una fissità disperante delle forme. Definito così il significato di Stirps era còmpito del D* Terracciano il dire dove questo significato era allargato e dove ristretto. Farò io invece un breve esame della sua seriazione in confronto colla nostra. AI di sopra della Stirps sta per noi la Sezione che abbiamo detto essere una circoscrizione artificiale. Pel D" Terracciano sta invece il Typus (p. 304) che è un sottogruppo (p. 298), corrispondente alla nostra Sezione, perchè basato su di un solo carattere (Typus monoumbellatus e Typus biumbellatus). L'Autore conviene qui di aver usato impropriamente questo vocabolo, che ha un significato troppo preciso (cioè modello, stampo), per significare invece una grande casella, che comprende essa stessa dei tipi diversi. Non insisteremo più oltre su questa improprietà di nomenclatura già sconfessata dall’Autore. Al di sopra del Typus sta pel D' Terracciano il prototypus e nella nostra seria- zione al di sopra della sezione sta il Genere. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 245 Che cosa sia il suo prototypus, il D" Terracciano non spiega: aggiunge però fra parentesi (Prototypus = typus sensu vero). Ma il guaio è che nel grande quadro degli AWium, in fondo al lavoro, la parola prototypus non esiste più nella seriazione, mentre vi è nuovamente riprodotta la pa- rola Typus; e, quello che ci sorprende è di vedere assieme riportato i vocaboli Sectio e Subsectio. In questo caso le parole Sectio, Subsectio, Typus avrebbero lo stesso significato ed almeno una sarebbe di troppo. La divisione che corrisponde al Zypus monoumbellatus è ben equivalente nel concetto sistematico alla sezione “ Crommium , e Subsectio Porrum, Boiss. ,. Come si vede è difficile capire, il dove, il come, ed il perchè l’Autore abbia allargato o ristretto il concetto da noi esposto nel lavoro sui Trifogli. Soprattutto risulta chiaro, che il nesso filogenetico, che correrebbe per es. fra i membri della Stirps “ Descendens , è un vero nesso di affinità, mentre è chiaro che i due typus: mono- e biumbellatus comprendono delle Stirpes diverse, ed il nesso filogenetico, fra quelle sezioni non è certo dello stesso valore di quello che stringe fra loro i membri delle diverse Sfirpes. Creando poi la parola Prototypus l'Autore pare abbia voluto designare il capo- stipite di una discendenza. Ma il capo-stipite di una discendenza si può supporre esistente in una S#7ps secondo le nostre idee, non in una Sezione, basata su di un carattere solo: chè tale sarebbe il Zypus del D*' Terracciano. Noi però abbiamo ri- nunciato a stabilire, quale delle species di una Stirps debba venir designato come tipo o capo-stipite: perchè è semplicemente impossibile il saperlo. Nell'ambito della Stirps tutti i caratteri sono rappresentati da una o più forme (species); o solo in parte (subspecies), ma non è possibile dire quale di esse è direttamente il rappresen- tante primo dell’evoluzione di una forma tipica. Questi sono i punti controversi che io avrei voluto vedere discussi dal D' Ter- racciano, facendo un parallelo accurato dei suoi valori sistematici con quelli già usati in tassinomia, per es. coi valori stabiliti dall’immortale Decandolle nel Congresso Botanico di Ginevra, quando non avesse voluto fermarsi alle nostre classificazioni. Ma finchè non si faranno questi paralleli, non potremo a meno di deplorare che si introducano nella nomenclatura dei vocaboli, che hanno un'influenza dannosissima, tanto più quando sono stati adoperati da altri in altro senso, ovvero quando espri- mono un significato opposto alla loro natura. Mi permetto ancora un'ultima osservazione alla nota posta a pag. 297 della Malpighia. L'Autore parlando delle stirpi, gruppi, specie, ecc., scrive, che i loro rap- porti genetici “ abbracciano un insieme di caratteri morfologici e geografici, onde spesso alcuni possono non interessare la tassinomìa, rivolta allo scopo di far cono- scere le piante nel complesso loro più o meno generale; altri, e sono i più, porreb- . bero nella mente quella gran confusione, che dal frazionamento e dallo sminuzzamento delle forme suole sempre seguire ,. Secondo l'Autore esisterebbero dunque due specie di caratteri, morfologici e geografici. Io confesso che non giungo a farmi un'idea di un carattere geografico in astratto. Il carattere geografico per me si confonde senz'altro col carattere morfo- logico o, a dir meglio, il secondo può essere una dipendenza ed un'espressione del 246 S. BELLI primo. Vale a dire che a seconda della sua ubicazione una forma qualsiasi potrà modificare la sua struttura. In tal caso, come è possibile che vi siano dei caratteri morfo-geografici, che possono non interessare il tassonomo? In quanto essi sono caratteri avranno un valore più o meno grande a seconda dell'importanza dell'organo e soprattutto della costanza loro, ed allora serviranno a scopo tassinomico; potranno essere variabili estremamente, anche in uno stesso in- dividuo ed allora si trascurano. Quali siano poi i caratteri, che possono esser causa di gran confusione nella mente di chi si accinge ad un lavoro di sistemazione nep- pure giungo a capire, come non mi riesce di afferrare il concetto filogenetico tal quale è espresso nel lavoro dell'Autore. Ho cercato nel lavoro da lui citato in nota a pag. 304 della Malpighia cioè: Le Viole italiane della Sezione Melanium “ N. G. Bot. Ital. ,, Vol. XXI (1889) qualche schiarimento su queste idee; ma con mio rin- crescimento non ho trovato che un solo periodo, quello con cui l’Autore chiude la memoria, e che non mi è parso più chiaro degli altri. Discorrendo delle viole egli così finisce (p. 328): “ Quale di tutte il prototipo, come nel tempo e nello spazio si siano differenziate, quanto spetti alla plasticità, sia in rapporto con tipî anteriori e con altri futuri, dirò in lavoro di maggior momento, di cui queste idee non sono che il riepilogo più breve il quale abbia saputo farmi ,. Qui il prototipo è nuovamente messo in serie. Ma per me trovo che se è cosa molto problematica il sapere come nel tempo e nello spazio una Stirps si sia diffe- renziata, mentre è possibile studiarla tale quale oggidì si presenta, riesce poi asso- lutamente al di sopra di ogni immaginazione il figurarsi quanto la plasticità di un genere possa essere in rapporto con tipi futuri. Non mi vorrà male, spero, l’egregio D' Terracciano se, a molti che mi parvero voli di ardita fantasia, io ho opposto la fredda logica dei fatti, anche a costo di averne taccia di pedante. Nè creda, che il divergere completamente dalle idee sue sogget- tive, voglia significare un dubbio sull’esattezza delle sue osservazioni sul genere Allium o sul genere Viola, dei quali non ho che limitatissima conoscenza. Mio solo scopo in questa breve critica è stato quello, come già dissi di far sì, che le nostre idee esposte nella Prefazione ai “ Lagopus ,, non venissero fraintese da chi, per av- ventura non conoscendola, avesse voluto o dovuto farsene un concetto dall’esposi- zione sistematica del D" Terracciano sul G. AUWium. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 247 LUPINASTER (BuxBAUM) Buxbaum Nova pl. Gen. (in Comment. Acad. Sc. Imper. Petrop. Tom. II, p. 345 (1729) — Mench Suppl. ad Meth. pl. etc. Vol. IL, p. 50 (1802) — Link Enum. pl. R. H. Berol. Vol. II, p. 260 (1822) — Seriînge in DC. Prodr. Vol. II, p. 203 (1825) p. p. — Duby Bot. Gall. Vol. I, p. 135 (1828) p. p. — Pres! Symb. Bot. Vol. I, p. 46 (1832) p. p. — Rehbeh. FI. Exc. Vol. II, p. 495 (1832) p. p. — End!. Gen. pl., p. 1268 (1836-40) — Puccinelli Syn. PI. Agr. Luc. Vol. I, p. 871 (1841) — Endl. Enchyr. Bot., p. 668 (1841) — Ledeb. FI. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Kock Syn. FI. Germ. et Helv. Vol. I, p. 90 (18438) — De Vis. FI. Dalm. Vol. IMI, p. 300 (1850) — och Syn., ediz. III*, p. 149 (13857) — Benth. et Hook. Gen. PI., p. 488 (1862-67) — uss FI. Transsilv., p. 162 (1866) — Boiss. FI. Or. Vol. II, p. 112 (1872) — Rehbch. fil. Ic. FI. Germ. et Helv. Vol. XXI, p. 74 (1874) — Celak. Aufb. der Gatt. Trif. (in Oesterr. Bot. Zeitschrf. N. 2, p. 42) (1874) — Koch Thch. der Deutsch. u. Schw. FI. ediz. alt., p. 521 (1878) — Nyman Consp. FI. Europ., p. 179 (1878-82) — Wilik. et Lange Prod. Fl. Hisp. Vol. II, p. 358 (1880). PENTAPHYLLON Pers. Syn. Vol. II, p. 3852 (1807). PENTAPHYLLUM Spreng. Syst. Veg. II, p. 286 (1826) p. p. DACTYPHYLLUM Rafin. In Journ. Phys. LXXXTX-261 (ex Endl. Gen. PI. 1. c. et Enchyr. l. c.). LOTOIDEA L. Sp. pl., p. 1079 (1764) p. p. et Syst. Nat. II, p. 501 (1767) p. p., et Syst. Veg. (ed. 14% Murray), p. 687 p. p. — Wild. Sp. pl. Vol. II, p. 1357 p. p. (1800) — Suter FI. Helv. Vol. II, p. 107 (1802) — Pers. Syn. Vol. IL, p. 348 P. p. (1807) — A Hort. Kew. Vol. IV, p. 381 (1812) p. p. — Sith. et Sm. FI. Gr. Prod. Vol. IL, p. 96 p. p. (1813) — Lapeyr. Hist. PI. Pyr. Vol. II, p. 432 p. p. (1813) — St. Amans Fl. Agen., p. 304 p. p. (1821) — ? Maratti FI. Rom. Vol. II, p. 158, p. p. (1822) — Gaud. FI. Helv. Vol. IV, p. 578 (1829) — Jtichter Cod. Bot. Linn., p. 742 p. p. (1835) — Gaud. Syn. FI. Helv., p. 628 (13836) — Gren. Godr. FI. de Fr. Vol. I, p. 417 p. p. (1848). GLYCIRRHIZUM Bertol. FI. Ital. Vol. VII, p. 101 (1850). 248 S. BELLI GENERALITÀ SULLA SEZIONE Il vocabolo “ Lupinaster , venne introdotto nel 1729 dal Buxbaum, il quale credette riconoscere un genere nuovo nella pianta omonima, che allora costituiva da sola il genere stesso. Sul valore delle ragioni, che indussero il Buxbaum in quest’opinione, sarà detto più avanti. Linnò ricondusse fra i Trifogli questa specie, e, come già si disse nella Prefazione, stando alla definizione del G. Trifolium, quale vien data da Tournefort, il T. Lupinaster non dovrebbe venirne tolto, salvo a giustificare a più forte ragione i generi fondati dal Presl a spese delle specie Linneane. Linnò ascrisse il T. Lu- pinaster alla sua Sezione “ Lotoidea , caratterizzata dalla frase: “ Leguminibus “ tectis polyspermis ,. È ovvio il capire come una caratteristica tanto ampia po- tesse e dovesse comprendere una quantità di specie disparatissime per naturale affinità. Moltissimi Autori accettarono la classificazione Linneana come si rileva dalla sinonimia più sopra esposta. Moench (1. c.) tornò a sua volta a ritogliere il T. Lupinaster dai Trifogli e ricostituì il genere omonimo colle seguenti diagnosi: “ Calyx campanulatus, quinquedentatus dentibus setaceis, quatuor sub vexillo; imo sub'carina. Corolla papilionacea, vexillo ovato longiori: alae erectae oblongae, carina obtusa. Stamina decem ad medium usque connata, supremum liberum. Stylus “ unus. Stigma uncinatum. Legumen enode, teres, polyspermum ,. Buxbaum Acta (1) 2. p. 345, Tab. 20. Persoon (I. c.) ritenne la classificazione di Moench mutando il nome del genere in quello di “ Pentaphyllon ,, cambiato dipoi in “ Pentaphyllum , da Sprengel, il quale riunisce in questo gruppo due specie: T. Lupinaster e T. megacephalum Nutt. pianta americana che, a giudicare dalla descrizione, non deve appartenere alla stirpe del T. Lupinaster. Da Link e Seringe in poi, il nome “ Lupinaster , fu adottato per stabilire una Sezione alla quale si riunirono, a seconda dei diversi Autori, molte altre specie più o meno eterogenee, ma nella quale si comprende sempre il 7. alpinum. Gli “ (1) Giova qui notare come Mcench nella caratteristica del Genere citi il Buxbaum, ma non si riporti per nulla alla descrizione del Buxbaum stesso, aggiungendo anzi altre note molto discutibili e certo meno valide di quelle date da Buxbaum. — Nella citazione poi, Mcench scrive: “ Buxbaum Acta etc. ,. Ora non esistono del Buxbaum Acta di sorta, ma è quasi certo che Moench ha copiato senz'altro la citazione Linneana del 7. Lupinaster (vedi Ricarer, © Cod. Bot. Linn. ,, p. 742), cioè: “ Ac., 2, p. 845 ,, interpretando l’ abbreviazione Ac. per Acta, mentre significa “ Academia , (Vedi più avanti la citazione testuale della frase di Buxbaum a pag. 250. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 249 SJ Autori che si servirono del vocabolo “ Lupinaster , per stabilire le loro Sezioni, variarono tutti qual più qual meno la caratteristica del Buxbaum, adattandola natu- ralmente alle specie che vollero includervi, citando spesso il Moench ciò che è poco corretto e poco chiaro. Seringe p. e. riunì nella Sezione Lupinaster (Moench) il 7. Gussoni (Chronose- mium), il 7. uriflorum il T. involucratum, etc. La stessa osservazione vale per Presl. etc. etc. Bertoloni trovò un nuovo vocabolo per caratterizzare la Sezione alla quale ascrisse il solo 7. a/pinum, e secondo me questa sarebbe la denominazione più adatta a raggruppare in un’ampia Sezione non solo i Lupinaster degli Autori in generale, ma anche molte specie ascritte al genere Loxospermum di Hochstetter. La frase semplicissima di Bertoloni per la sua Sezione Glycirrhizum suona così: “ Capitulis fructiferis umbellaribus, involucro brevissimo, connato, flore magno ,. Verrà detto più avanti e già fu ripetuto altra volta (Vedi Saggio Monografico “ Lagopus , Mem. Accad. Sc. in Prefazione) come la Sezione rappresenti per noi non una circoscrizione naturale, ma un raggruppamento artificiale, fatto per comodo di tassonomia, e basato su pochi cd anche su di un solo carattere, preso convenzio- nalmente ed artifiziosamente. E tali sono la maggior parte delle Sezioni oggidì sta- bilite nel genere Trifolium. Gli è perciò che io avrei adottato senz’altro il nome Glycirrhizum per questa Sezione se veramente, il carattere “ capitulis fructiferis “ umbellaribus , non convenisse male al T. Lupinaster, il quale ha un’infiorescenza tutt'altro che ombrelliforme. Ho invece adottato in senso ampiissimo la denomina- zione di Buxbaum, perchè anche il gruppo del 7. alpinum, per quanto naturalmente distante dal T. Lupinaster, può esservi artificialmente compreso, ritenendo che le sue foglie, di solito trifogliolate, sono rarissimamente quinate, ma certamente digi- tate. Quello che importa a me di stabilire si è, che nell’ambito di questa Sezione così accettata ed affatto artificiale, sono riconoscibili facilissimamente dei nuclei naturalissimi, delle vere “ Sfirpes , nel nostro significato. Le osservazioni che qui seguono permetteranno, spero, di giustificare la separa- zione della Sezione Lupinaster in due Stirpes: l’una rappresentata (per quanto io mi sappia) dalla specie omonima e dal 7. eximium Steph., cioè la Stirps Eulupinaster; la seconda che ha per capo il 7. a/pinum L. e comprende 7. polyphyWlum C. A. Meyer e 7. nanum Torr., e porta il nome di Glycirrhizurmi già adottato dal Bertoloni pel 7. alpinum. Sono da escludere assolutamente da questa Stirps le specie africane T. calocephalum Fresen., T. Schimperi Hochst. e T. multinerve Hochst. appartenenti alla Sezione Lorospermum Hochst., le quali artificialmente potrebbero venir comprese . nella circoscrizione Bertoloniana, stando a quella caratteristica, ma che hanno d’uopo di ulteriori studii. Serie II. Tom. XLIV. ci 250 S. BELLI II Buxbaum (1) stabilì come segue il suo genere Lupinaster “ Nova Plantarum genera , — “ Secundum genus plantarum novum a nobis appellatur Lupinaster cujus notae sunt: Folia instar Lupini digitata: Flores papilionacei in capitulum longo petiolo ex foliorum alis egresso sustentatum congesti; siliquae longae de- pressae, seminibus reniformibus foetae, quae notae ipsum a congeneribus satis evidenter separant ,. E più avanti: (T. Lupinaster): “ Caules profert hic Lupinaster semipede altiores non raro pedales rotundos et striatos virides, parvis ramis ex alis foliorum egredientibus praeditos. Folia longa, acute serrata glauca non tamen hirsuta, eleganter striata et rigida. Quinque, sex, septem imo plura digitatim instar foliorum Lupini communi insident pediculo, brevi, ex vagina sublutea, caulem amplectente prodeunte. In summo caule et; ramulis nascuntur flores purpureo-coerulei, in capitulum collecti, exacte flores Trifoliù (Psoralea) bituminosi referentes, pediculis uncialibus aut longioribus su- stentati et calyce in multa segmenta acuta scisso excepti. Siliquae longae, depressae seminibus reniformibus, nigris, repletae. Crescit haec elegans planta ad ripas Volgae intra Astrakanum et Czarizinam: ob similitudinem cum Lupino hoc nomen imponere “ placuit ,. Savi nella “ Biblioteca italiana , (1. c.) (2) ha una nota critica accuratissima su questa separazione del T. Lupinaster dal G. Trifolium fatta dal Buxbaum, che io riporto per intero, anche perchè il libro non è troppo facile a trovarsi nelle hi- blioteche, ma soprattutto perchè se le argomentazioni del Savi non lasciano dubbio, che questa pianta debba, pei caratteri dati da Moench (ed anche da Buxbaum) rientrare nel G. Trifolium, ci permettono d'altra parte di dimostrare coll’esame accurato di essa, che il T. Lupinaster costituisce una Stirps evidentissima, la quale non ha, per quanto io mi sappia, altro stretto affine che il 7. eximium Steph. del- l’Asia centrale ed orientale. Così scrive Savi: (T. Lupinaster). “ Mancava questa bella specie nella mia memoria su i trifogli, ove deve collo- “ carsi nella quarta Sezione (Trifoliis bracteatis calyce immutato nervoso, corolla (04 K corrente anno 1817 ed eccone la descrizione: (1) £ Commentarii Academiae Scient. Imperialis Petropolitanae ,, tom. II, p. 345 (1729); Petropoli, Typis Academ.), cum tab. XX (optima). (2) “ Biblioteca italiana ossia Giornale di Letteratura, Scienze ed Arti compilato da varii lette- rati ,, tomo VIII, anno II (ottobre-novembre-dicembre), 1817 (Milano). Memoria contenente alcune correzioni ed aggiunte alle Observationes in varias Trifoliorum species del sig. Savi, Professore di Botanica e Direttore del Giardino dell’Università di Pisa (p. 132). (3) Comprende le © Amorie ,, il 7. parviflorum, T. montanum, T. alpinum, T. formosum. immutata, vexillo non sulcato) (3). L'ho avuta in fiore per la prima volta nel RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 251 “ (T. Lupinaster, caule erecto, solido, foliis 3-5natis, involucrismonophyllis Nob.) ,. “ (T. Capitulis dimidiatis foltis quinatis, sessilibus, leguminibus polyspermis «“ Lin. Spec.) ,. “ (T. Leguminibus polyspermis, foliis pluribus Gmel. FI. Sibir. Tom. V. Tab. 19, “ pag. 19, tab. 6, fig. 1 (mala).) “ Caulis 8-10 pollicaris, cylindricus, glaber superne tantum laeviter pubescens “ et ramosus — Folia sessilia, prima ternata, reliqua quinata — Foliola lanceolata, “ acuta serrulata, glabra. Stipulae connatae, glabrae nervosae, caudis triangulo = “ acutis — Capitula terminalia dimidiata, subbifida ex 2-3florum seriebus, quavis “ serie basi involucro monophyllo brevissimo crenulato instructa — Flores 4-5 lineas “ longi pedicellati — Calyx subconicus, nervosus, pilosus, dentibus subulatis, elongatis, “ 2 superioribus brevioribus, inferiore longiore. — Corolla calyce 3-plo longior alba, vel “ rosea, exsiccatione immutata, persistens Vexi/lum lanceolatum, obtusum, laeve, apice “ vix emarginatum, subreflexum — Ale lanceolato-obtusae — Stylus apice reflexo- “ uncinatus — Legumen corolla persistente tectum, 3-4 lineas longum, compressum, “ torulosum, lanceolatum, superna parte marginatum, ad summum tetraspermum. i@iPerenn. ,,. Moench credè di dover stabilire un nuovo genere con questo trifoglio, e, ridu- cendo generico il nome triviale di Linnè, lo chiamò Lupinaster pentaphyllus — Persoon poi, cui pure parve che convenisse un’innovazione rapporto al genere, ma cui non piacque il nome adoperato, si servì del nome triviale di Moench come di nome generico, e viceversa chiamandolo Pentaphyllon Lupinaster. I caratteri asse- gnati a questo genere Pentaphyllon o Lupinaster sono: “ Calyx campanulatus 5-den- “ tatus, dentibus setaceis, uno sub carina. Stigma uncinatum. Legumen enode teres, “ polyspermum ,. Ma questi caratteri a me non sembrano abbastanza validi per costituire un genere nuovo perchè: 1° il calice non è in nulla diverso da quello degli altri trifogli — 2° lo stimma è vero che è fortemente uncinato, ma si arriva a questo grado in- sensibilmente passando per molte specie, cosicchè trovasi alquanto curvo nel 7. elegans e manifestamente uncinato nel 7°. vessiculosum. Finalmente il legume non è terete ma compresso, e non contiene maggior numero di semi di quel che ne contengano 1 T. repens, hybridum e angulatum etc., e in quanto all'essere enode non vi è fra i trifogli specie alcuna che l’abbia veramente nodoso, e solamente in diversi sonvi delle protuberanze nei posti occupati dai semi, e queste si osservano anche nel legume del T. Lupinaster. Avendo la smania di far dei generi nuovi se ne potreb- bero far quattro dividendo il G. Trifolium: ma l'andamento delle specie ci si oppone: i caratteri si intrecciano; bisognerebbe separare delle piante che per molti rapporti devono stare unite, e ho ben conosciuto, che ne risulterebbero generi meno naturali di quello stabilito da Linneo ,. Fin qui il Savi. Dalle sue parole risulta altresì, come Egli non conoscesse la nota del Buxbaum e riferisse a Moench la creazione del nuovo genere Lupinaster. Come dicemmo sono ben altri i caratteri che dànno al T. Lupinaster una 202 S. BELLI particolare fisonomia la quale rivela un tipo di pianta tutto suo proprio. Esaminia- moli in breve. Il T. Lupinaster presenta anzitutto un fatto curiosissimo. Esso possiede un caule in parte ipogeo rizomatoso, strisciante e ramificato assai nella porzione sotter- ranea (pochissimo invece fuori terra). I brevissimi stoloni gemmiformi, che si possono osservare sui vecchi rizomi di un cespo in riposo nella stagione invernale, allorchè hanno raggiunta la lunghezza di un centimetro o poco più (Tav. I, fig. 7 @) conten- gono nel loro interno già formati i rudimenti delle infiorescenze che si svilupperanno di poi. — Queste infiorescenze stanno all’apice del breve cono vegetativo rinchiuso nella gemma ed all’ascella delle due o tre ultime foglie, fra le quali sta l’apice dell’asse vegetativo stesso. Ne consegue che una sezione mediana di un germoglio consistente in un corpicciuolo cilindraceo-conico (Tav.I, fig. 1) lascia vedere come esso sia costituito da un asse brevissimo sul quale si inseriscono in ordine distico le stipole inferiori afille (esterne). Solo le due, o (più di rado), le tre supreme (interne) provviste di foglioline, portano ciascuna alla loro ascella un capolino rudimentale; tutte le altre sono sterili o non dànno che rami fogliferi, in certe circostanze sterili anch'essi. Chiameremo queste produzioni, nel corso di questo lavoro, gemme ipogee, per brevità di linguaggio. Al- l’ascella della fogliolina 6 (superiore) sta il capolino d' ed all’ascella della fogliolina @ (inferiore) sta il capolino @'. Fra questi due capolini sta l’apice dell'asse caulinare arrestato di buon ora nel suo sviluppo e ridotto ad un piccolo tubercolo mammel- liforme (1) — I due capolini stanno sulla sezione laterale del diagramma e disposti in modo che la porzione superiore del capolino inferiore (più giovane) viene ad adattarsi contro la base del superiore. Il fatto importante per questa specie è, che per ogni ramo fiorifero proveniente, dal rizoma sotterraneo non si svilupperanno, a vegetazione finita, che uno due o tre capolini, cioè tanti quanti stanno già formati nel piccolo tubercolo gemmiforme ini- ziale sotterraneo, tutto all’opposto di quanto succede nella generalità dei Trifogli, nei quali l’asse di vegetazione va gradatamente svolgendosi per accrescimento «picale formativo del caule o dei rami e per ulteriori apici laterali all’ ascella delle foglie, che diventeranno rami o peduncoli fiorali. — Questo fatto interessantissimo spiega la singolare struttura definitiva del peduncolo e del capolino del T. Lupinaster, come vedremo or ora nella sua Infiorescenza. Esaminato macroscopicamente il capolino del T. Lupinaster appare portato da un peduncolo di varia lunghezza, il quale non è cilindrico o quasi, come si osserva nella massima parte dei Trifogli, bensì quasi semicilindrico, poichè la sua faccia interna, invece di essere piana, come il richiederebbe un vero corpo semicilindrico, è scanalata, depressa; cosicchè una sezione trasversale di esso (Tav. I, fig. 16) offre una figura irregolarmente semilunare o reniforme. Questa scanalatura (Tav. I, fig. 4 a) percorre il peduncolo da cima a fondo, e si fa gradatamente più profonda di mano in mano che si avvicina all’apice del peduncolo stesso. Nella sua porzione suprema il peduncolo (1) Nella figura 1, Tav.I, non precisamente mediana l'apice dell’asse non è visibile. La man- canza di spazio non ci ha permesso di dare il disegno di altri preparati dove esso è evidente, ma dove la posizione reciproca dei capolini non è così ben designata come nella fig. 1. Del resto si capisce come si debba per forza ammettere teoricamente un apice caulinare fra essi. dà: ee Er RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 253 è dilatato e termina in una specie di ricettacolo foggiato a spatola od a palmetta spatolato-ovata, appiattita (Tav. I, fig. 45), in modo da presentare rispetto all’asse della pianta due faccie, una esterna e l’altra interna: la prima convessa, la seconda concavo-pianeggiante. Sulla faccia interna della palmetta sono disposti ordinariamente in più ordini con- centrici e più o meno regolarmente verticillati i fiori, involucrati da due serie di brattee saldate a collaretto continuo più o meno denticolato-frangiato (Tav. I, fig. 48, e 26). A tutta prima questa infiorescenza si direbbe una cima scorpioide (Tav.I, fig. 20) avvegnachè i fiori inferiori appajano sempre meno sviluppati graduatamente dei superiori che sono i primi a sbocciare (1). Ma questa falsa apparenza di infio- rescenza cimosa è un'illusione, a spiegar la quale occorre, come si disse, ricorrere allo studio della gemma fiorale. La interessente struttura dell’infiorescenza del T. Lupinaster fu descritta in modo molto esatto dal Trecul (2). L'Autore riconobbe già fin d’allora che l’infiore- scenza del T. Lupinaster è un vero racemo, per quanto la posizione della sua base geometrica corrispondente all’apice organico dell’asse o ricettacolo, la mascheri al punto da farla rassomigliare ad un’infiorescenza cimosa scorpioide. Il signor Trecul ha studiato nell’infiorescenza del T. Lupinaster anche la dispo- sizione ed il decorso dei fasci fibro-vascolari; e basandosi su questi risultati egli trova una nuova conferma della natura di questa infiorescenza. Egli così si esprime: (p. 126): “ Si l’on fait une coupe transversale du pédoncule canaliculé on trouve “ que les faisceaux fibro-vasculaires y sont isolés les uns des autres, et distribués “ autour d’un centre médullaire. Ceux qui sont situés près de la face interne du “ pedoncule sont notablement plus faibles que ceux de la face externe: ce sont “ aussi ces derniers principalement qui fournissent aux fleurs les vaisseaux qu’ils “ renferment. En effet, si l’on examine des coupes longitudinales, on voit les fais- “ ceaux de la face externe se prolonger dans les fleurs de la première série, mais, “ auparavant ils émettent des ramifications qui se rendent dans les fleurs des séries “ subséquentes: et cette division s'opère de manière è produire, d’arrière en avant, des fascicules de différents degrés. Ces fascicules ou ramifications vasculaires du “ premier degré iraient dans les fleurs de la deuxième série: leurs subdivisions se “ rendraient dans les fleurs de la troisiome etc. Ainsi ces fleurs regoivent des rami- “ fications des faisceaux primitifs d’un degré d’autant plus élevé que ces fleurs sont “ insérées plus bas sur l’axe. Les faisceaux de la face interne du pédoncule ne “ donnent de vaisseaux qu’aux fleurs les dernières développées. Il est donc bien “ évident que le sommet organique de l’inflorescence du Trifolium Lupinaster cor- respond à sa base géomeétrique ,. L’Autore continua esponendo come dallo sviluppo dell’infiorescenza del T. Lu- pinaster Egli fosse condotto ad applicare erroneamente le stesse norme allo sviluppo (1) A questa disposizione dell’infiorescenza alluse già il Mcench coll’espressione © Capitulo dimi- diato ,, che trovasi spesso ripetuta dagli autori posteriori. Savi aggiunse le parole “ capitula subbifida , che noi non comprendiamo bene. (2) Note sus linflorescence unilaterale du Trifolium Lupinaster (° Bulletin de la Soc. Bot. de France ,, vol. I, p. 125, 1854). 254 I S. BELLI delle foglioline delle foglie pennate e digitate, stabilendo le diverse categorie di sviluppo, ed enunciandole quindi nelle basipete — Oggidì è messo in sodo che il decorso dei fasci può solo in via secondaria servire a stabilire la genesi cronologica delle parti di un organo o di un vegetale, ma che generalmente l’organo stesso prima di ricevere la sua impalcatura, il suo sistema vasale, possiede già la sua forma; ed il sistema meccanico ed il conduttore si adattano, diremo così, ai bisogni dell’organo stesso, seguendo le vicende del suo sviluppo — Comunque sia il Trecul ha perfettamente interpretata secondo, me, la natura dell’infiorescenza del T. Lupi- naster. Gli è però all’organogenesi dell’infiorescenza stessa che era d’uopo rivolgersi per essere certi della sua natura, e questo studio interessante è stato fatto nel 1876 dal Dutailly (1). L'Autore divide queste infiorescenze unilaterali in tre gruppi: 1° che comprende le infiorescenze, nelle quali l’unilateralità non si manifesta che per mezzo dello svi- luppo tardivo di alcuni fiori, tutti posti dallo stesso lato; 2° nel quale classifica le infiorescenze unilaterali alla loro dase per aborto d'un certo numero di fiori e nor- mali alla loro parte superiore; 3° nel quale stanno le infiorescenze realmente unila- terali dalla loro base al loro apice. Nel primo gruppo starebbero T. arvense, campestre, pratense, elegans fra i trifogli e l’Hyppocrepis comosa. Nel secondo la Medicago lupu- lina e lAnthyllis vulneraria sono presi quali tipi di queste serie. Il terzo gruppo racchiuderebbe un tipo che avrebbe attinenza coi due precedenti e sarebbe precisa- mente il T. Lupinaster, ed altri tipi secondo l'Autore schiettamente e completamente unilaterali e rappresentati dalle Vicia e dai Lathyrus. Mi limiterò a poche osservazioni su questo lavoro, che meriterebbe una disamina molto più diffusa, sia perchè questo non ne sarebbe esattamente il luogo, sia anche | perchè, pur essendo esso in massima la conferma della natura racemosa del capolino del T. Lupinaster, i punti che mi pajono controversi richiedono uno studio ulteriore su materiali vivi, che al momento non mi sono concessi — Più tardi ed in lavoro a parte riferirò le mie conclusioni in confronto a quelle del Dutailly — Pel momento accennerò solo, a poche cose. Un punto lasciato in oblio tanto nel lavoro del Dutailly come in quello del Trecul più sopra menzionato è quello per me capitale, che cioè le infiorescenze rudi- mentali del capolino nel T. Lupinaster si trovano già racchiuse nelle brevissime gemme ipogee, e che gli internodîì supremi che portano le infiorescenze non subiscono che un leggerissimo accrescimento intercalare, venendo così portati all’apice dei cauli evoluti nello stesso stadio di sviluppo o poco più, in cui si trovavano nella gemma ipogea; mentre gli internodîì sottostanti accrescono invece rapidissimamente. Un altro fatto che non ha fermato l’attenzione dell’ Autore, e che non è pur meno di grande momento, è che non sempre il ricettacolo fiorale presenta la consueta foggia di palmetta ovata con due faccie, una esterna e l’altra interna, dove stanno inseriti i fiori, ma nelle infiorescenze solitarie è spesso notevole la tendenza del ricettacolo ad assumere una disposizione molto vicina alla orizzontale, ed in questo (1) Observations organogéniques sur les infloréscences unilatérales des Légumineuses, in “ Assoc. Frang. pour l’avane. des Sciences ,. Congrès de Clermont Ferrand. Séance du 25 aoùt (1876). RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 255 caso la scanalatura del peduncolo è meno accentuata in relazione colla diminuzione della pressione esercitata su di esso dalla stipola del capolino inferiore mancante. Già abbiamo detto come la disposizione dei capolini e quindi dei relativi pe- duncoli (nella gemma ipogea) accorciatissimi sia tale, che essi si trovano sempre laterali nel diagramma — Questi capolini vengono infine portati in alto dall’aceresci- mento intercalare rapido degli internodi, come vedremo in appresso, e costituiscono la gemma fiorale. Se esaminiamo una gemma fiorale (1) (Tav. 1, fig. 3) in sezione trasversa si osservano i peduncoli ed i capolini sempre nella posizione laterale del diagramma come erano nella gemma ipogea. Ne consegue che la faccia interna del peduncolo superiore è naturalmente rivolta verso il dorso della stipola che avvolge il capolino inferiore, formando un corpo allungato con margine sottile carenato. Questo capolino a sua volta è rivolto colla sua faccia interna contro il dorso della stipola che avvolge il terzo fiore (quando esiste) o, quando manca, verso la stipola che rav- volge l’apice dell’asse caulinare, che gli è addossato un po’ più in basso. Evidentemente queste produzioni sono soggette ad una compressione mutua. Ora due fatti concorrono qui ad esagerarne gli effetti. Il primo è questo, che le infiore- scenze sono racchiuse in uno spazio relativamente strettissimo, e sono compresse dalle pareti resistenti delle stipole afille esteriori, fornite di guaina altissima. Il secondo è, che le stesse infiorescenze debbono star a lungo soggette a questa compressione, perchè, formate di buon ora sul rizoma sotterraneo antico della pianta, non vengono a subire grandi modificazioni, fintantochè l'accrescimento intercalare fortissimo degli internodii sottostanti, che si allungano di molto, e rapidamente, non abbia condotto ciascun caule alla sua definitiva dimensione e statura. Solo allora l’accrescimento avviene negli internodii supremi delle gemme fiorali, le quali sviluppano finalmente dal seno delle enormi stipole allungate e mettono a giorno le loro infiorescenze. In quest’ultima fase soprattutto il peduncolo fiorale soffre una compressione lenta e gra- duata dal dorso carenato della stipola che avvolge il peduncolo del fiore più giovane (Tav. I, fig. 6) coll’ asse abortito, e quivi il peduncolo del fiore sollecitato da, due forze di cui luna lo comprime lateralmente e l’ altra tende a spingerlo in alto, subisce una specie di stiramento nel senso della risultante e in proporzione dell’in- tensità di esse, il quale ha per risultato uno schiacciamento della corrispondente faccia interna. Finalmente il peduncolo fiorale, liberato dalla lunga pressione subìta nell'interno del manicotto stipulare, accresce rapidamente e prende la sua definitiva struttura e dimensione. La compressione esercitata dal capolino inferiore sul supe- riore e rispettivamente dall’apice dell’asse sull’inferiore, agisce soprattutto sul ricet- tacolo, appiattendolo ed anche scavandolo. Si capisce quindi che se una superficie orizzontale, dapprima piana, circolare, e portante più ordini concentrici di fiori pedi- cellati involucrati da due corrispondenti collaretti di brattee membranacee, venga schiacciata gradatamente da uno dei lati e lungo una linea, e sia costretta a svilup- parsi lentamente in queste condizioni, si capisce, dico, come questa superficie debba poco a poco dilatarsi nel punto opposto a quello dove la schiacciatura è stata più forte e dove non è impedita di svilupparsi ed assumere una forma più o meno ro- tonda. I tessuti spinti verso il centro dell'organo debbono arrestarsi nel loro sviluppo, (1) La fio. 3 della tav. I dovrebbe essere girata di 90' sul piano per avere la sua giusta posizione. S) & E 256 S. BELLI e quindi anche i fiori e le brattee inferiori corrispondenti a questo punto compresso devono abortire. E difatti lo studio anatomico del peduncolo fiorale (che qui non è il luogo di riferire per disteso ma che sarà dato altrove) (Tav. 1, fig. 16 e 16%) rivela una modificazione profonda degli elementi istologici della parte compressa. Il capo- lino del T. Lupinaster appare quindi realmente come dimezzato, e la sua forma di cima scorpioide non è che una falsa apparenza, mentre siamo qui di faccia ad una vera infiorescenza racemosa, anormale e larvata. Un’attenta osservazione del capo- lino concede di vedere alla base del ricettacolo e lungo i margini della scanalatura del peduncolo numerosi fiori tabescenti, piccolissimi, biancastri, lunghi talvolta ap- pena un millimetro, ai quali fanno seguito dal basso all’alto altri fiori gradatamente più sviluppati, finchè si giunge ai supremi sviluppatissimi. L’apice organico del ca- polino è dunque spostato in basso per la compressione laterale subìta, il capolino ha sofferto una specie di torsione nel senso verticale che gli ha dato la forma di cima scorpioide e questa è, secondo me, la ragione per cui i fiori si sviluppano nel- l’ordine preciso che venne descritto dal Dutailly. I cingoli membranacei dei capolini nel punto in cui subirono il prolungato schiac- ciamento o sono affatto abortiti ovvero sono ridotti a piccolissime squamule quasi fibrilloidi; perciò non è sempre facile in quel punto del ricettacolo l’osservare i rap- porti ordinarii di posizione fra bratteola e pedicello fiorale. Spesso si vedono pedi- celli apparentemente extra-bratteali nudi e talora anche inseriti al disotto di qualche squamula senza ordine visibile. Tutto questo spostamento di una disposizione che sarebbe regolarissima in un ricettacolo normalmente sviluppato (per es. nel 7. alpinum) è dovuto al fatto della compressione suaccennata. Nella porzione superiore della superficie d’inserzione dei fiori essi stanno più o meno regolarmente inseriti in due o più ordini concentrici ravvolte dal collaretto di bratteole. Una prova indiretta degli effetti della compres- sione in discorso l’abbiamo nel fatto, che alloraquando in luogo di due o tre capo- lini per ogni ramo fiorifero (caule) se ne sviluppa uno solo (già solitario fin dalla gemma sotterranea) allora questo capolino mostra un peduncolo molto meno scana- lato inferiormente, e la porzione sua suprema che serve di ricettacolo ai fiori è meno schiacciata nel senso laterale tendendo a rialzarsi nel piano orizzontale; in questo raro caso i due ordini di brattee sono disposte quasi normalmente cioè verticali, e la porzione corrispondente allo schiacciamento è frastagliata ma non affatto soppressa (Tav. I, Fig. 5). Anche i fiori sono allora più normalmente sviluppati ed il capolino assume la forma tendente all’emisferica, lassa, avvicinandosi a quella delle Amorie. La diminuita compressione è occasionata in questo caso dalla mancanza del corpo costituito dal capolino inferiore ravvolto nella stipola, ed il solo capolino che esiste trovasi leggermente compresso alla sua base solo dall’apice dell’asse caulinare tenue in confronto al capolino non esistente. Abbiamo già detto come i capolini del T. Lupinaster stiano già iniziati nella breve gemma ipogèa, ed all’ascella delle foglie supreme, le quali sole nella gemma stessa portano foglioline, mentre le esterne involucranti sono afille o portano gemme rameali. Dicemmo pure come al momento dello sviluppo epigeo di queste produzioni succede un enorme e rapido sviluppo intercalare, che allunga rapidamente l’asse cau- linare, originando degli internodii lunghissimi ricoperti in basso dalle stipole afille. salari CRE faedazae i vane Gi VAZOSSI RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 257 Ora i due o tre internodii supremi determinati dalle foglie fiorifere non partecipano a tutta prima a questo accrescimento subitaneo del caule, ma vengono portati, bre- vissimi ancora, all’apice del caule, dove costituiscono la gemma fiorale. Più tardi poi l'accrescimento longitudinale colpisce anche questi internodii, ed allora la gemma fiorale si apre e gli internodii si allungano. Di più è da notare che nel T. Lupinaster le sole foglie supreme sono fiorifere, mentre all’ascella delle stipole infime afille o delle susseguenti fogliute non si ori- ginano mai, in grazia di un'evoluzione posteriore di gemme, salvo casi eccezionali, peduncoli fiorali e ben di rado rami secondarii (Vedi pag. 260). Invece, per es., nella Stirps del 7. alpinum gli scapi fioriferi solitarii sono por- tati all’ascella delle foglie inferiori dei rami brevissimi, mentre l’apice del ramo seguita a crescere indefinitamente, arrestandosi solo nell'inverno, e sviluppando nuove foglie apicali, delle quali le supreme non portano infiorescenze ascellari. Questa strut- tura fiorale del T. Lupinaster, finora non studiata per quanto io mi sappia, potrebbe ben essere dipendente dalle condizioni di vegetazione alle quali la specie è sotto- posta, data la sua ubicazione nelle alte latitudini (Siberia, Circolo polare (Sommier)). Avviene forse del T. Lupinaster quello che succede alle piante crescenti in livelli altimetriei elevatissimi, nelle quali, come è noto si possono trovare già formati nelle gemme degli organi che, in altri vegetali posti in condizioni più favorevoli, sì svi- luppano molto più tardi per graduale evoluzione di speciali meristemi. Così è del T. Lupinaster. Tutto il lavorio di formazione dei capolini avviene sotterra allorchè il rizoma ipogeo organizza le piccole produzioni gemmiformi, che si svilupperanno di poi in altrettanti cauli fioriferi. Nel 7. alpinum che è precisamente pianta delle regioni elevate delle alpi e nei suoi affini, ha luogo un fatto analogo, sotto il rap- porto biologico quantunque differisca sostanzialmente dal lato morfologico da questo del T. Lupinaster. A suo luogo ne terremo parola (Vedi T. alpinum. Generalità). È qui il caso di ricordare come anche nel T. Lupinaster le infiorescenze per quanto apicali ed apparentemente terminali, siano affatto ascellari. Alcuni Autori (Moench, Savi, ecc.) ascrissero al T. Lupinaster infiorescenze o peduncoli terminali, le quali teoricamente non possono esistere neppure nel senso dato loro dal Celakowsky (Vedi Celak. Oesterr. Bot. Zestserf., 1. c., p. 77). Un altro carattere, non proprio esclusivamente del T. Lupinaster , perchè si osserva in altre poche specie europee ed africane, è la mancanza assoluta del pic- ciuolo, esistente invece, ed anzi sviluppatissimo, nelle specie che gli Autori vogliono riunire al T. Lupinaster in sezione (T. alpinum, polyphyUum, ecc.). Le foglioline del T. Lupinaster hanno delle denticulature marginali a denti ricurvi che finiscono in un’appendice uncinata cornea, simili assai a quelle del 7. ru- bens e del 7. montanum (1), ma assai più robuste. Nel gruppo del 7. alpinum le foglioline hanno invece denticulature subnulle. La mancanza delle foglioline nelle stipole inferiori del T. Lupinaster non è un carattere speciale ad esso, ma, come (1) ReicaensAcH, 7. exe., l. c., riunisce nella sez. Lupinaster, col T. alpinum il T. montanum che egli ritiene quale anello di congiunzione fra la sez. Zupinaster e la sez. Micrantheum. È indubbio che il 7. montanum ha una lontana analogia col 7. Lupinaster soprattutto per l’ovario villoso e per la forma delle foglioline. È però altrettanto certo che appartiene per noi a tutt'altra Stirps. Serie II. Tom. XLIV. ui 258 S. BELLI è noto, è comune a tutte quelle piante, nelle quali, esistendo un rizoma sotterraneo la funzione assimilatrice del lembo è abolita. Però nel caso nostro questo carattere diventa un valido diagnostico nella ricognizione della Stirps, quando si voglia para- gonare al gruppo del T. Lupinaster quello che comprende il 7. alpinum, poly- phylum, ecc. Il calice del T. Lupinaster non offre in massima particolarità che possa giu- stificare la sua separazione dal G. Trifolium, come pretendeva il Moench; se si vo- lesse pesare sopra questo solo carattere le Galearia ed i Trigantheum potrebbero vantare ben maggiori diritti. Ma se il calice del T. Lupinaster è in massima quello di tutti gli altri Trifogli, esso è però tipicamente differenziabile da quello del T. al- pinum ed affini; soprattutto nelle dimensioni costantemente minori, nella forma della fauce tagliata obliquamente a spese del labbro superiore; nei rapporti di lunghezza fra tubo e denti, nella disposizione delle nervature dentali, nella forma dei denti e dei seni interdentali; e finalmente anche nell’indumento che nel gruppo del 7. al pinum manca ‘completamente (all’infuori delle produzioni glanduloso-clavate comuni a tuttii Trifogli). L’ovario del T. Lupinaster contiene costantemente 4 o più ovoli ed è villoso superiormente; quello del 7. alpinum costantemente due, ed è perfetta- mente glabro. Molto simile invece è la struttura e la forma del vessillo nel T. Lupinaster e nel gruppo del 7. alpinum e, per dirla in breve, anche in tutti i Loxospermum; cosicchè sotto questo rapporto si potrebbe benissimo riunirli in un gruppo molto grande, caratterizzato dal diametro longitudinale grandissimo del vessillo, fornito di nervature percorrenti in parte la lamina per intero, ripetutamente biforcate e riunite in basso in pochi fasci non molto robusti. Tutte queste specie a grandi fiori presen- tano ancora altri caratteri nel vessillo abbastanza notevoli; tali per es. quello di mancare della strozzatura fra lembo ed unghia, così caratteristico nelle Amorie (ed anche nei Lagopus); di essere foggiati un po a barchetta nella porzione infima cor- rispondente all’unghia, e finalmente di essere quasi affatto liberi dagli altri petali salvo per un brevissimo cercine basilare. Questo carattere però è comune anche alle Amorie. Si può ancora far cenno qui del modo costante di comportarsi di questi grandi vessilli, i quali prima e dopo l’antesi sono affatto deflessi sul resto dei pe- tali che avvolgono completamente, mentre all’epoca della fecondazione si rialzano alquanto anteriormente, ma non così esageratamente come nelle Amorie, dove questo fatto pare anche in relazione colla strozzatura del vessillo stesso. Il vessillo persiste a lungo accartocciato sul legume assieme agli altri petali e prende una consistenza quasi scariosa. Fra i caratteri che indussero il Moench a stralciare dal G. Trifolium il T. Lu- pinaster troviamo anche quello dello stilo uncinato. Su questo punto siamo perfet- tamente d’accordo colle osservazioni di Savi più sopra citate. Ma d'altra parte è anche vero che il T. Lupinaster ha uno stilo diversamente foggiato da quello del T. alpinum ed affini. Anzitutto lo stilo della prima specie è evidentemente molto più curvo alla sua estremità stigmatifera, ma per di più presenta due schiacciature in due sensi opposti, che nel 7. a/pinum mancano. Nella sua porzione basilare, che con- tinua colla sutura ventrale, lo stilo del T. Lupinaster è abbastanza compresso nel senso antero-posteriore, mentre la porzione superiore uncinata è schiacciata nel senso RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 259 trasversale. Le papille stigmatiche sono portate specialmente sulla faccia inferiore dello stimma la quale in grazia della curva diventa superiore, ma sono impiantate anche sulla vera faccia superiore ed all’ apice dello stigma, che si può senza tema di errare chiamare « bottoncino schiacciato (1). Lo stilo del 7. alpinum è affatto cilin- drico, va gradatamente assottigliandosi a guisa di lesina ed ha una superficie stigma- tica molto meno sviluppata. Sotto questo riguardo si avvicina anche alle Amorie, nelle quali però lo stilo grosso e cilindrico alla base non è così assottigliato supe- riormente dove va a terminare con una grossa capocchia stigmatifera. Un'altra particolarità da non passare sotto silenzio nel T. Lupinaster e che pare in relazione col suo modo di vegetare è questa: sezionando longitudinalmente una delle gemme ipogee del suo rizoma sotterraneo si scorgono all’apice dell’asse caulinare breve e tutto intorno alle infiorescenze rudimentali ivi contenute dei nu- merosissimi peli clavato-pedicellati di cui altrove già parlammo, trattando cioè delle Galearie e dei Trigantheum. Queste produzioni comuni a tutti i Trifogli (2) stanno abborracciate nella cavità formata dalle foglioline giovanissime, che contor- nano la gemmula fiorale, sui calici appena abbozzati, sui margini delle stipole, ecc. e sono così numerose da formare una specie di turacciolo, che riempie questa cavità costituita dalle stipole ricurve a volta sulla piccola infiorescenza. I margini delle giovanissime foglioline appartenenti ai due o tre internodii superiori della gemma ipogea, sono guernite altresì di numerosi peli flagelliformi, lunghi, denticulati per ingrossamenti dovuti ad ossalato calcico. A giudicare dal loro numero stragrande, dal posto dove si originano e dal fatto che esse vanno diminuendo di mano in mano che l’infiorescenza si sviluppa, non es- sendo esse più reperibili che sul calice (spesso dentro e fuori), non ci pare soverchio ardimento il supporre in esse un ufficio di protezione delle gemme e degli organi fiorali giovani. Queste produzioni si trovano nella pianta adulta sparse anche sulle stipole, più di rado sulle foglie e sul caule, e la loro diminuzione in confronto alla frequenza loro nella gemma, è dovuta anzitutto a ciò, che non formandosene altre col crescere della pianta e del tessuto del calice e delle stipole, esse debbono natu- ralmente parer diminuite di numero in ragion diretta dell'aumento delle superficie; di più esse sono facilmente caduche. Spesso non sono visibili anche al. microscopio se la preparazione non è trattata previamente con una soluzione alcoolica od acquoso di jodio. In nessun trifoglio però, di quelli da me esaminati finora, io ho potuto tro- vare una quantità così grande di queste glandule come nel T. Lupinaster, anche nell'esame delle gemme fiorali. E se è lecito supporre un nesso immediato di causa- bilità fra la lunga durata di tempo che corre dalla formazione della gemma ipogea (1) Wirurom: e Lanse, l. c., p. 858, hanno stabilito una sotto-sezione Platystilivm nella quale comprendono il solo 7. montanum e varietà. La caratteristica dice: “ Ovarium et legumen..... în stylum ‘ basi latum compressum productum ,. — Questo carattere aggiunto alla villosità dell’ovario di cui gli autori tacciono, ravvicinerebbe fino ad un certo punto la Stirps del 7. Lupinaster sottosezione degli autori sopracitati. — Il 7. montanum è una specie che necessita uno studio ulteriore perchè la sua posizione nei Trifogli sia nettamente stabilita. (2) Confronta anche Vurremn, La subordination de la fewille dans le Phylum des Anthyllis, pag. 324, lin. 5 (dall’alto) e fig. 47. Nancy, Impr. Berger-Levrault e C., 1892. 260 S. BELLI all’espandersi delle infiorescenze, e la necessità di possedere un apparato di prote- zione contro gli attriti che questa gemma può subire prima che giunga a svolgersi, non parrà soverchiamente fuori luogo la mia supposizione. Citerò ancora un altro carattere che mi venne fatto di osservare nella radice del T. Lupinaster e che lo allontana sempre più dal gruppo del 7. alpinum. I saggi spontanei numerosissimi da me osservati nell’erbario di Berlino, in quello particolare del Prof. Ascherson, dei Sigg. Sommier e Levier e degli Orti Botanici che gentilmente mi fornirono di ‘materiali di studio, mostrano una vera radice tube- rizzata, che potrebbe paragonarsi per forma e salve le dimensioni a quella degli Asphodelus o delle Dahlie, Phyteuma, ecc., però poco ramosa e poco fibrillosa. Invece nel T. Lupinaster, che da molti anni si coltiva nel R. Orto Botanico di Torino, si trova sempre una radice fatta di membra obconiche, ramificata assai, ma poco 0 nulla tuberizzata. Per ultimo accennerò ancora ad una particolarità che tocca la ramificazione del caule del T. Lupinaster. Dissi più sotto che questa specie raramente mostra rami- ficazioni di 2° ordine nei cauli fioriferi epigei. (Nel rizoma sotterraneo le ramifica- zioni sono invece numerose). Su questo proposito debbo però accennare ad un fatto che mi occorse ogni qualvolta dovetti servirmi di piante coltivate per studiare le gemme ipogee. Staccando dal rizoma vecchio queste gemme, dopo alcun tempo esso rimetteva altri germogli più sottili, meno ingrossati all'apice (dove di solito stanno le infiorescenze rudimentali) e costantemente sterili, privi di infiorescenze e soltanto fogliferi. Questi rami dopo essersi alquanto allungati emettevano all’ascella delle loro stipole altri rametti di 3° ordine con foglie molto ottuse. Su questi rami nascevano alla loro volta altri rametti di 4° ordine i quali erano tutti provvisti di fiori. Non ho potuto osservare più a lungo questa alternanza consecutiva di rami fogliferi e fioriferi, che però si osserva spesso in molti altri vegetali (Pomacee, Ampelidee, ecc.). Ma il curioso è che questi rametti invece di crescere fra il caule e la stipola un po’ obliquamente all’asse generatore, perforavano la stipola e crescevano quasi per- pendicolari all’asse generatore, lasciando la stipola fra loro e l’asse stesso. Riassumendo tutte queste osservazioni e tenuto anche conto della facies gene- rale del T. Lupinaster ci riesce impossibile di riunire il T. Lupinaster alla Stirps del 7. alpinum. E secondo noi se è da lodare nel Savi la sua esitazione a crear nuovi generi, esitazione che noi dividiamo del tutto in ragion diretta delle diffi- coltà che le nuove vedute sulla tassonomia hanno create nel limitare il concetto generico, non si può per altro soverchiamente biasimare il Buxbaum, allorchè cre- dette di riconoscere nel T. Lupinaster un tipo differente per struttura dai Trifogli Tournefortiani e Linneani. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 261 DIMOSTRAZIONE GRAFICA DELLE Stirpes, CONTENUTE NELLA SEZIONE Lupinaster. Secto LUPINASTER - ethi i È qygirrtizum N. (3 o, Eulupinaste, ST T. Polyphillum SHEET Van.b T.Alpinum L. T.eximium Steph, T.Lupinaster (k, S Species NI Varietas (ED Subvarietas ) Subspecies 262 S. BELLI STIRPS Ta. EULUPINASTER Nob. CarAoT. — « Caules initio hypogaei, rhyzomatosi, e gemmis apogeotropicis (sensu Darwiniano) (1) prodeuntes, et inflorescentias rudimentales apice gemmarum inclusas gerentes. — Stipula rhyzomatis et inferiores caulorum epigeorum aphyllae: superiores caulis tri- quinque- septem- novem foliolatae » NoB. Hujus stirpis: T. Lupinaster L. — T. eximium Steph. Species 12. T. Lupinaster, L. L. Sp. pl., ed. INI=:, p. 1079 (1764), et Sist. Veg. (14 ediz. Murray), p. 687 (1784) — Thunbg. FI. Japon., p. 290 (1784) — Willa. Sp. pl. 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Prod., 1. c. — Ledeb. FI. Ross., l. c. Lupinaster albens H. gorenk. (ex Besser in herh. Zeyheri) sec. Ledeb. FI. Ross., l. c. Lupinaster albens Fisch. in Herb. R. H. Bot. Berol. Subvar. y obtusifolium Nob. = T. Lupinaster var. y oblongifolium Ser. in DC. Brodi, ld. c. Icones. — Buxbaum, 1. c. — Bot. Mag. 22, 879 (Pritzel) — Gmelin FI. Sibir. Tab. 6, figg 1 — Muartyn FI. Rust. t. 16 — Reichbch. fil. Icon, l. c., tab. 81 — Schlchtdl. etc. Hallier, 1. c., fig. 2390. Icon nostra. — Tab. I, fig. 1-16". “ Pedunculis axillaribus, interno latere profunde canaliculato-sulcatis, in recepta- culum dilatatum subovatum, intus excavatum extus plano-convexulum desinentibus. Floribus magnis (12-15 mill. long. usque ad 20), interna facie receptaculi, irregulariter bi-seriato- subverticillatis; pedicello longiusculo villosulo affixis; inferioribus semper minus evolutis, saepe tabescentibus, cymam scorpioidem simulantibus, revera racemosis; quoque verticillo involucro tenui, squamiformi, continuo, interno latere tantum interrupto, denticulato- erosulo, villosulo-ciliato suffultis — Legumine superne villosulo 4-plejospermo, sutura superiori dehiscente vel lateraliter ruptile — Foliolis sessilibus 3, 5, 7, 9-natis, elegan- tissime nervosis nervis elevatissimis apice cartilagineo sursum verso terminatis , Nob. %. Subvar. B “ Floribus albis, foliolis saepius lineari-lanceolatis acutiusculis , Nob. Subvar. x — “ Foliolis apice obtusis, lato-lanceolatis vel oblongo-obovatis nervis dentibusque obsoletioribus , Nob. DESCRIZIONE. Perenne: Radice di solito fascicolata subtuberizzata, napiforme (rammenta quella della Campanula rapunculus, dei Phyteuma, Asphodelus, ecc.) ramificata inferiormente ov- vero (nel 7. Lupinaster coltivato) suddivisa in rami di 2° e 3° ordine gradatamente decrescenti in grossezza fino alle radicelle capillari numerosissime formanti una fitta matassa provvista di numerosissimi grumi a corpuscoli bacteroidi. Caule cespitoso. Rami molteplici dal colletto, più di rado uno solo dapprima bre- Vissimi, gemmiformi ravvolti dalle stipole afille accavalcantisi, poi gradatamente 264 S. BELLI arcuato-ascendenti (apogeotropici) e finalmente epigei, allungati, con internodii distanti, cilindrici, glabri:o leggermente pubescenti in alto, verdi, o colorati in sanguigno alti fino a 60 cent. semplici, rarissimamente ramificati. Foglie senza picciuolo. Quelle della porzione ipogea rizomatosa ridotte alla sola stipola, brevi, appressate, tubulose (lineari distese in piano, più o meno guainanti inferiormente, con due brevi orecchiette (code) ottuse od arrotondate, mucronate 0 no, e cigliate superiormente per peli brevi, rigidi, denticolati le susseguenti dap- prima trifoliolate con stipole più allungate, conformi alle precedenti, colorate in verde od in rossigno, membranacee, presto scariose, biancastre, con code triangolari- allungate più o meno ottuse od anche acute, guainanti alla base: le superiori con 5-7 e rarissimamente con 9 foglioline, e con stipole larghe ovato-oblunghe, con guaina alta e con code oltrepassanti la parte adesa, acuminate, glabre, cigliate. | — Foglioline più verdi sopra, più pallide sotto, inserite direttamente sulla sti- pola, glabre o villose soltanto di sotto lungo la nervatura mediana, lanceolato- oblunghe, oblungo-lineari o lineari-lanceolate, più di rado (var. y) obovate, spesso acute, ottusette (var. y) e raramente acuminate, mucronulate, finissimamente e dop- piamente seghettate al margine, con denticulature alternativamente grosse e piccole, terminate in punta cartilaginea ricurva verso l'apice della fogliolina o più di rado con denticoli poco salienti (var. ); elegantissimamente nervose, con nervi elevati e sporgenti sulla pagina inferiore, specialmente il mediano, fitti, appressati, arcuato- paralleli, pennati, ripetutamente forcati e coi nervi più esili frapposti ai rami della biforcazione. Infiorescenza. — Peduncoli ascellari del caule e più raramente dei rami (Vedi parte generale) di lunghezza varia e scanalati sulla faccia interna. Capolini dimezzati ir- regolari, non numerosi (ordinariamente due o tutt'al più tre per ogni caule), più o meno lassi, con 4-5 fiori od un po’ compatti (fino a 40 fiori), grandi, vistosi (12 (media 16), 20 millim. lunghezza) (Vedi parte generale); i superiori più sviluppati, gli inferiori man mano più piccoli e gli infimi spesso intristiti. Pedicelli pubescenti o glabriusculi, subeguali al tubo calicino o più brevi, talvolta più lunghi, inseriti talora senza ordine apparente, ma più spesso disposti in due o tre ordini concentrici, salvo in corrispondenza alla scanalatura interna del peduncolo ed all’ascella di squame saldate a collaretto membranaceo-scarioso, crenulato-ondulato, cigliato (costituito da una semplice duplicatura epidermica), spesso colorato in rossigno come i pedicelli ed interrotto pur esso a livello della gronda del peduncolo, od anche ridotte in tal punto a minute squamule o fibrille indistinte, disordinate, ravvolgenti i pedicelli. Calice campanulato-obconico, tagliato un po’ in sbieco dall’alto al basso (a spese del labbro superiore), membranaceo, spesso colorato in rossigno, pubescente per peli un po’ crespi esternamente in corrispondenza della fauce ed anche un po’ sulla faccia interna alla base dei denti e sugli spazii interdentali parabolici, con dieci nervi, dei quali cinque (dentali) più validi e continuantisi nei denti triangolari-allun- gati, sottili (subulati) trinervi alla base e poi uninervi con fitte e brevi ciglia al margine e quivi più o meno scariosi, più lunghi del tubo talora il doppio, segnata- mente l’inferiore. Corolla porporino-rosea, massime nella porzione superiore dei petali, pallida in- feriormente, ovvero tutta bianca (var. 8), seccando subscariosa, persistente a lungo RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 265 accartocciata sul legume e finalmente caduca. Vessillo quasi libero dagli altri petali connati nell’unghia, obovato o lanceolato-ellittico (disteso in piano), dapprima com- piegato sugli altri petali, poi leggermente rialzato anteriormente ed ai lati al mo- mento dell’antesi e finalmente accartocciato di nuovo; lungo il doppio del calice e più; con unghia subnulla, arrotondato all’apice, integro o lievemente smarginato- troncato, mucronulato, ricco di nervature esili, furcate, riunite in pochi fasci più grossi alla base. Ali alquanto più brevi del vessillo, irregolarmente lanceolato-obovate, con auricula rostriforme ottusa. Carene cultriformi, apiculate e con auricula breve ottusa, subeguali alle ali. Stami colla porzione concresciuta più lunga assai dei filamenti liberi che sono alternativamente dilatati e no sotto l'inserzione delle antere e il mediano più dila- tato di tutti, talora il mediano solo dilatato. Stame vessillare libero, subulato. Antere | introrse, dorsifisse, oblungo-ellittiche. Polline grande, globuloso, con tre pori di deiscenza. OQvario irregolarmente fusiforme, stipitato, poliovulato, glabro dovunque salvo an- teriormente sulla sutura ventrale, dove è fornito di due serie di finissimi villi pro- lungantisi spesso fino ai 3/, della lunghezza dello stilo, rarissimamente con qualche villo sparso; stilo un po’ schiacciato nel senso antero-posteriore alla sua origine, poi cilindrico, e finalmente schiacciato lateralmente in alto nella porzione ricurva stismatifera. Stimma a bottoncino, dorso-ventrale. Legume brevemente stipitato, lineare, oblungo, membranaceo, glabro salvo che su- periormente sulla sutura ventrale lungo i margini, dove conserva i villi già accen- nati sull’ovario; leggerissimamente venuloso-reticolato sulle pareti, deiscente sulla sutura ventrale e contemporaneamente per rottura delle faccie. Semi (4 (media 5), 8, 10) globuloso-cordiformi, compressi, verdognoli, lisci, disposti colla loro faccia perpendicolarmente all’asse longitudinale del legume. Cotiledoni accumbenti: radi- chetta discretamente prominente. LETTERATURA E CRITICA. Fra i pochi Autori anteriori a Linné che si occuparono del T. Lupinaster, citerò Gmelin (1), che lo descrisse e figurò assai bene. A sua volta questo Botanico si ri- ferisce ad un “ Trifolium montanum purpureum folio obtuse crenato , di Bauhino (Pin.), il qual carattere non ci pare molto spiccato nel T. Lupinaster. Ma, al solito, è difficile dire se Bauhino alludesse veramente al T. Lupinaster con quella frase. Trascrivo qui sotto la descrizione dello Gmelin, la quale tien conto di molte parti- colarità del T. Lupinaster, tralasciate dagli Autori moderni: “ Radix crassiuscula, intus alba, foris fusca, asphodeli ramosi non multum absi- milis; caules ex ea plures, septem vel octo geniculis distincti a quibus stipulae vaginantes prodeunt foliola emittentes lanceolata serrulata, primordialia terna, se- quentia quina, rarissime sera, magnitudine inequalia, vigente planta utrinque vi- ridia breui pediculo insidentia. “% (1) D. Ion. Grore. Gunn, Flora sibirica, t. IV (Petropoli), 1769, pag. 19, n. 27. Serie II. Tom. XLIV. 1! 266 S. BELLI “ Flores capitati terminales, nec infrequenter ad caules copiosi. Calycis tubus «“ breuis quinquedentatus, dentibus tribus, inferioribus longitudine fere carinae, supe- “ rioribus brevioribus. Alae et carinae infra cum filamentis novemfidis coalitae ; “ corolla persistens vel purpurea vel alta; legumen calyce longius, polyspermum. “ Capitula longe pedunculata sunt, situs (1) nonnumquam ut caulis in fastigio prae- “ longetur atque capitulum protrudat maiori florum numero compositum. “ Im omnibus Sibiriae montosis locis, praesertim in rupibus inter Zeniseam et Kras- “ nojaricum urbes, circa Irkutiam usque ad mare orientale occurrit. Ammannus habet “ et Baskirorum regionibus ab Heinzelmanno adlatum quoque fuisse. “ Sub initium mensis Tuni floret, atque sub medium Augusti semina sua perficit ,. Pare che questo Autore abbia osservato qualche cosa di anormale nel capolino del T. Lupinaster; devo però confessare che io non posso comprendere il signifi- cato della frase: “ ...ut caulis in fastigio praelongetur atque capitulum protrudat “ majori florum numero compositum. , La curiosa disposizione dei fiori nel capolino del T. Lupinaster, oltrechè da Linné e da’ suoi predecessori, è stata notata da altri. Schkuhr, 1. c., scriveva: “ T. Lupinaster... mit getheilten Blumenkòpfchen ,;} Koch e Garcke, l. c.: “ Dolden cinseitig ,; Reichenbach (fil) accennò solo ed unico alla cu- riosa conformazione del collaretto adattantesi al ricettacolo foggiato a palmetta colla frase “ involucro semicupulari ,. Non mi fu concesso di vedere le descrizioni o le frasi degli Autori di Flore Russe (eccettuate le citate) o di coloro che scrissero sul T. Lupinaster raccolto nei viaggi, quali Iundzill, Eichwald, Pallas, Besser, Fisch, Georgi, Lepechin, Falk, Claus, Goebel, Turczaninow, ecc. Non posso passar sotto silenzio come Presl nella caratteristica della sezione Lupinaster scriva: “ herbae humiles , e “ vexillo non nervoso-plicato ,, due carat- teri che non si confanno col T. Lupinaster da lui riunito in questa sezione con altre specie non legate per naturale affinità, come già si è detto. Aggiunge il Presl che il nome Lupinaster dato da Moench a questa sezione deve essere conservato, quantunque vi si includano altre specie: “ Nomen Moenchi servandum ,. Ma Presl non dice il perchè. Secondo me invece si dovrebbe dire anzitutto: “ Nomen Buxbau- “ mii servandum ,, e, del resto, a giudicare dai caratteri di Moench, il genere Lu- pinaster dovrebbe scomparire. Dalla descrizione dello Gmelin appare come la varietà a fiori bianchi fosse già fin da tempi remotissimi conosciuta. La descrizione di Buxbaum accenna nel suo tipo a corolle porporine, ma è probabile che anche la var. &lbiflora sia altrettanto espansa nel suo luogo natale. Nell’Erbario del Museo Imperiale di Berlino ho ve- duto un saggio di 7. Lupinaster che mi parve fino ad un certo punto distinto per la forma delle foglioline piuttosto obovate che lanceolate, e soprattutto ottusissime all’apice. In esso anche le nervature erano meno accentuate e la consistenza del lembo minore. Foglioline però ottusissime in esemplari coltivati ho osservate soventissimo, massime allorchè si tagliano i cauli fioriferi ed il rizoma mette nuovi germogli. (1) Prima di “ situs , dovrebbe esservi “ Pedunculus? , (questa parola supponibile manca nel testo). Casi aLe ST na RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 267 In un solo saggio dell’Erbario di Berlino ho osservato delle foglioline acuminatis- sime con lungo mucrone apicale. i Il T. Lupinaster varia poco nelle sue membra vegetative e meno ancora negli organi fiorali. La varia sua statura ed il suo sviluppo sono certamente in dipen- denza di circostanze locali di vegetazione. Si legge nella lora Altaica di Lede- bour, l. c., che la var. Rf purpurascens “ caulem habet erectum elatiorem, qui in var. a (albiflorum) humilior ipsa basi adscendente, caeterum erectus. , (14 Mi è parso però di vedere nei diversi erbarii ed anche abbiamo coltivata la var. albiflorum con caule molto sviluppato e viceversa la var. purpurascens con cauli bassi e cespitosi. i Soventi volte il T. Lupinaster mostra foglioline affatto lineari, strettissime, so- prattutto in certe forme coltivate degli erbarii, nelle quali anche la ramificazione è più sviluppata. Il numero delle foglioline sembra essere prevalentemente dispari. Prescindendo dalle primordiali delle stipole inferiori che cominciano a mostrarne (una, due o tre), esso è quasi sempre cinque, sette e più di rado nove. Varia eziandio entro certi limiti la lunghezza dei peduncoli fiorali, la larghezza della palmetta, o ricettacolo ovato che porta i fiori e variano pure nello sviluppo e nella grandezza e profondità delle dentature i collaretti che li avvolgono; in molti casi si ha un collaretto molto ben sviluppato con denti regolari così da rammentare le vere Involucrarie americane. — Già abbiamo parlato d’una circostanza che fa variare la profondità della scana- latura nel peduncolo fiorale (Vedi parte generale) in rapporto col maggiore o minor numero dei capolini nella gemma ipogea; all’infuori di ciò il peduncolo fiorale varia anche nella grossezza e nell’indumento esteriore tricomatoso. T fiori hanno una lunghezza media di 16 millimetri con un massimo di 20 ed un minimo di 12, ben inteso, prendendo a misurare sempre uno dei fiori superiori di ciascun capolino al momento dell’antesi. Un po’ variabile è la lunghezza relativa del tubo del calice in confronto ai denti, ed un rapporto assai costante si ha misurando sempre il dente inferiore, che è di solito più lungo del doppio del tubo e raggiunge metà della lunghezza del ves- sillo; questi rapporti sono molto più costanti nel tipo che nella var. 8. La lunghezza degli altri denti varia in ragione della maggiore o minore obliquità della fauce. Si hanno variazioni di poco conto nell’abbondanza dell’indumento esteriore tricomatoso del calice, nella larghezza basilare dei denti e nelle loro nervature, le quali sono talvolta riunite fra loro da qualche -trabecola trasversale. Quanto alla villosità, si può dire che la var. B è più villosa sul tubo del calice che non il tipo. Nei petali v'ha uniformità somma quanto a contorni, grandezza e colore, all’in- fuori delle poche variazioni già dette. DI La difficoltà estrema di procurarmi dei semi spontanei di T. Lupinaster mi impedisce di stabilire degli sperimenti di coltura onde assicurarmi del valore in costanza delle varietà da me stabilite. 268 S. BELLI HABITAT. Erbario Mus. Imperiale R. di Berlino. Dahurien — (Fischer misit) 1839 (Erb. Link.) Altai — Meyer misit (1832). Altai — leg. D C. Dumbery (Barnaoulensi). Wernoje in regionibus cis = et transiliensibus. Cf. Regel, “ Bull. de la Soc. Impér. de Moscou ,, 1866 (imp. separ., p. 35) — leg. Kuschakenviez. In pratensibus prope Buchtarminsk (Sibiria Altaica) sat frequens leg. Karelin et Kiriloff. (1840). In Dirren Wàildern des Grodnickern districts im Sudlichen Lithauen haufig (Rchb. FI. Exc. nov.) leg. S. B. Gorski. Slato-ust (i. e. Ostium aureum) Ural — Lessing misit (1833). Bogoslawsk-Jekaterimburg — Ehrenberg (1829). Amur — leg. Maximowicz. Subvar. B. Herb. Hort. Petrop. ex reg. cis = et transiliensibus — leg. Kuschakenwicz. Herb. Kunth. Circa Barnaoul (Sibiria) leg. Patrin. Herb. Hort. Petrop. = Japonia, Nippon, Fudzi-Yama (mons ignivomus prope Tokio) leg. Jeddo. Subvar. v. mi Herb. Royal Gard-Kew. — Coast of Manchuria (Lat. 44-45 N.), leg. C. Wilford (1859). — Erbario Ascherson (Berlino). Herb. Klinggréff. Thorn im Grabier Walde (Borussia occid.), leg. Nowicki (Juli 18583). Herh. Rostafinski — Ciechocinek bei Wtoctaweck (Polonia rossica, haud procul ab È i urbe borussica Thorn), leg. E. Alexandrowicz. Argenau (olim Gniewkow) Kr. Inowrazlaw. Provinz Posen. Kiefernwalde èstl. d. 108 Fisenbahn am Wege nach Ruhheide, leg P. Ascherson — 18-1888. Argenau — Chaussee nach Thorn im Kiefernwalde, Ieg. P. Ascherson. Subvar. f. Herb. Sanio — Lyck im Baranner Forst. (Borussia orient.), leg. Otto Fischer (Jul. 1856). Argenau — Chaussee nach Thorn im Kiefernwalde, leg. Dabrowski (Cf. Bericht der Deutsch. Bot. Gesell. 1892, p. 74). NB. — Kock, ed. 4° (curante Wohlfahrt, p. 574), ritiene che il 7. Lupinaster sia pianta originaria di Siberia ed importata in Lituania e Prussia. Il Prof. Ascherson RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 269 di Berlino che gentilmente mi comunicò il materiale del Regio Museo ed il suo proprio, aggiunge in una sua lettera, che l'opinione del Koch sopra esposta sul 7. Lu- pinaster è falsa: “ Opinio erronea T. Lupinaster plantam Sibiricam esse in Huropam “ tantum efferatam redit nuperrime in Koch Syn. ed. 4°, curante Wohlfahrt, pi 574 4. «“ Aus Sibirien eingewandert ,. Erbario Boissier. In Ircutia leg. Hschunin. Prope Krasnoyarsk leg. Adams. © Amur leg. Maximoviez (var. y obtusifolium). Langarei-Karkaroly-Berge leg. Schrenk. Im pratensibus prope Buchtarminsk leg. Karelin et Kiriloff (Soc. Imp. Nat. curios. Mosg.). Im pratis trans-baikalensibus — misit Turezaninow. Var. p. — Alatan misit Bunge. Erbario Sommier. Ad flumen Ob-Or Nial (Balscioinos). Ultimum promontorium ripae dexterae parum ultra circulum polarem — leg. Sommier. Ad flumen Ob in sylvaticis ripae dexterae — Monastyr-Kandjusk. Ad flumen Ob ripa laeva (terra firma) Voikarskii Zimnii-jurti. Ad flumen Ob-Obdorsk sub cireulo polari. Var. B. Im collibus saxosis arenosisve regionis mediis jugi Uralensis (G. o Clere Plantae Uralenses). Haud procul a Nijni-Taghilsk in pratis et sylvis montium Uralensium. Ad flumen Ob ripa laeva sub circulo polari — Labuitnang (Sommier). Erbario Roma. Saggio del “ Scientific department of Tokio University ‘,, senza località. DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA. NB. — Il T. Lupinaster ha il suo centro di diffusione nell'Asia boreale e media. — Ledebour, l. c., assegna a questa specie le seguenti regioni: “ ossia media (Lithuania) Tundz. Eichw. ad flumen Kama; Falk: in guberno Orendurg prope Slatoust (Nesterofski), et omni Sibiria (J. G. Gmelin); (uralensi!) (Heinzelmann ex Amman, Pallas, Lepechin, Falk, Claus, Lessing, Uspenski): (altaica/) (Pallas, Falk. 270 S. BELLI FI. Alt.) prope Krasnojarsk (Turezaninow in litteris): (Baikalensi!) (Georgi, Tureza- ninow Schtschukin): et orientali, inter Jakutzk et Wilnisk (Kruhse), inque Davuria (Turezaninow. Fisch pl. exsicc.) ,. — Il suo limite occidentale è segnato in Europa dalla Prussia (est ed ovest) dove fu trovato secondo Garcke, 1. c.: “ In Ostpreussen bei Lyck im Baranner Forste; im Zohannisburger Forst zwischen Schiast und Piskor- ziwen, Osterode, und friber bei AMlenstein; in Westpreussen unweit Thorn in einer Birkenschonung bei Lerchenort und Kuchnie ,. Il suo limite orientale è segnato dalle coste di Manchuria (Wilford), e Thunberg, 1. c., riporta Osacca come la sola località nel Giappone dove questa specie sia stata trovata spontanea ma nell’Erbario di Berlino esiste pure raccolta a Nippon e sul | Fudzi-Yama. In Prussia esistono tutte e due le forme a fiori porporini e bianchi. Così scrive Ascherson, l. c.: “ 7. Lupinaster: Grabier Wald bei Thorn von Novicki, von Herrn | von Klinggràff mitgetheilt. Dort scheint die Pflanze nur purpurne Blithen zu haben, wihrend sie bei Lyck in Oestpreussen nach Sanio nur mit gelblich-weisser Blumen- krone vorkommt ,. Nella flora romana di Maratti, 1. c., vien riportato il T. Lupinaster come | ) pianta stata trovata spontanea “ ad caput Rami et ad Nympham, etc. ,. È possi- bile che altra volta siasi trovata accidentalmente questa specie nelle località citate dal Maratti. Certo è che oggidì non se ne trova più traccia nè negli erbarii, nè fra ® le specie avventizie trovate nella Flora Romana. Così ebbe a dirmi il Prof. Pirotta ] di Roma. Altrettanto deve dirsi del 7. Lupinaster ascritto da Ucria al dominio della Flora Sicula, e riportato da Gussone nel “ Prodromo , (pag. 53) “ in siccis et | montosis ,, e poi nella “ Synopsis , dove però aggiunge: “ an T. hybridum? ,. Il Dott. Lanza, assistente alla Cattedra di Botanica di Palermo, serissemi non aver È, Î trovato negli Erbarii di Gussone e di Tineo alcun saggio riferentesi al 7. Lupinaster od al 7. hybridum, aggiungendo: “ Sul fatto che Ucria riporti il 7. Lupinaster, non si può stabilire che a suo tempo questa pianta crescesse veramente in Sicilia. Le piante di Ucria che Gussone riporta precedute da una croce (XK) in calce ai generi cui si riferiscono, più che piante oggi scomparse o non più ritrovate, sono piante dall’Ucria malamente determinate mi A Nyman, l. c., assegna le seguenti regioni al T. Lupinaster: Lithuan — Polonia — Boruss. — Ross. med. Species Il. T. eximium Steph. Ex Fischer et Stev. in litteris (Ser. in DC. Prod. Vol. II, p. 203 (1825) — Bunge Enumer. pl. Altaic., p. 63 — Turce. Cat. Baikal, N. 303 — Ledeb. FI. Ross. I, p. 551 (1842) — Walpers Repert. Vol. I, p. 647 (1842). T. elegans Steph. herh. (fide specim.) non Savi. T. grandiflorum Ledeb. in Spreng. Syst. Veget. Vol. III, p. 218, N. 108 (1826) et Fl. Ross. Icon. Vol. I, p. 23 (1829) — Ledeb. C. A., Meyer et Bunge Fl. Alt. Vol. III, p. 257 (1831) — Dietrich Syn. pl. Sect. IV, p. 1003, Num. 131 (1847). RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 271 T. speciosum Fisch. (in herb. R. H. Bot. Berol.). T. alpinum Pallas. It. IL, p. 123 — Georgi Beschr. d. Russ. R. II, 4, p. 1191 (ex parte) non L. (ex Ledebour FI. Ross., I. c.). Var. albiflora (Fisch. in litt.) Ser. in DO. Prod. II, p. 204. “ Pedunculis subbifloris, calycis glabri dentibus lanceolatis corolla multo brevioribus, vexillo amplo alas latas superante, stipulis late ovatis, caule humili pubescente, foliolis obovatis serrulatis glabriusculis , Ledeb. in Spr., l. c. “ Caule hypogaeo repente, ramis adscendentibus, pedunculis axillaribus, floribus 2-5, pedicellatis luxe umbellatis, defloratis deflexis, calyce corolla 2-triplove breviore: dentibus lanceolatis subequalibus tubum paullo superantibus, stipulis ovatis vel ovato-oblongis acutis . mucronatisve, pedunculis pilosiusculis, foliolis ternis, obovatis serrulatis subtus ad costam adpresse pilosis caeterum glabris , Ledeb. FI. Ross., Il. c. « Pedunculis axillaribus cilindricis, vel lacvissime canaliculatis. Involucro cupulari regulari sinuato-crenulato. Calycis dentibus basi cordatis laciniis reticulato-venosis. Legumine tenuissimo, membranaceo subtiliter venuloso — Foliolis breviter vel longiuscule petiolatis — Vexillo amplo — Ovario glaberrimo — Corolla roseo-luteola ,, Nob. Icons — Ledeb. FI. Ross. Icon., l. c., tab. 96. Icon nostra — Tab. II, fig. A. DESCRIZIONE. Perenne. Radice fusiforme più o meno grossa e fittonosa, ramificata, grumosa. Caule cespitoso, dapprima ipogeo con gemme apogeotropiche, strisciante, rizoma- toso con rami infine epigei, pochissimo ramificati, superiormente cilindrici, glabri o pubescenti. Stipole del rizoma ipogeo afille, sottili, membranacee, oblunghe, ottuse, con nervature spiccate e con due cordoni peziolari più robusti: stipole delle foglie infime dei rami epigei, sviluppanti dapprima una, due o tre foglioline piccolissime, quasi senza picciuolo, rudimentali; le susseguenti con foglioline gradatamente più svilup- pate e con tre cordoni peziolari percorrenti per intero la guaina, ramificato-biforcati al margine, tutte glabre, con code ottuse all’apice e brevemente guainanti alla base. Stipole superiori obovato-lanceolate o semi-ovate, bianco-verdognole alla periferia, brevemente guainanti, acute od acuminate, oscuramente dentate, quasi ondulate ai margini e quivi con rare ciglia, con nervature ripetutamente biforcate ed anasto- mosate in reticolo con nervi più esili fra le biforcazioni. — Foglioline obovate od obovato-ellittiche, od oblungo-obovate, glabre salvo che di sotto sulla nervatura me- diana dove si trova qualche villo setoloso, con nervature poco elevate e non nume- rose, bi-triforcate a metà percorso o solo al margine con altre più piccole interposte formanti un reticolo oscuro, subcrenulate al margine massime inferiormente. Infiorescenza. — Peduncoli solitarii ascellari cilindrici, talora con leggiero solco sulla parte interna, villosi od irsuti, portati tutti all’ascella dalle foglie supreme, uno per ramo o più di rado due, terminati da un capolino assai lasso, con due o tre fiori 272 S. BELLI involucrati da un collaretto cupuliforme, membranaceo-scarioso, senza nervature, cre- nulato o dentato con rari villi e qualche glandola pedicellato-clavata (sparsa anche sui peduncoli). Fiori pedicellati: pedicelli subeguali al calice (denti compresi). Calice tagliato in sbieco a spese del labbro superiore: tubo glabro esteriormente; internamente guernito di glandule clavato-pedicellate. Nervature del tubo dieci, cinque dentali più valide; cinque commissurali più esili che giunte allo spazio inter- dentale si biforcano e si recano ognuna alla base ed al lato interno di ciascun dente formando una serie di maglie larghe irregolari che vanno sino all’apice del dente stesso (Vedi Tav. II, Fig. 2). Denti larghi, triangolari, cordati alla base, acuti, un po’ fogliacei, guerniti di peli brevi e radi ai margini, più lunghi negli spazii inter- dentali e in corrispondenza della fauce. Corolla roseo-giallognola, seccando un po’ scariosa, persistente a lungo nel frutto. Vessillo quasi libero dagli altri petali, grande, obovato-ellittico, senza unghia, un po’ cochleariforme, compiegato prima e dopo l’antesi, un po’ rialzato al momento della fecondazione, molto più lungo del calice (2-3 volte) ed oltrepassante le ali, con ner- vature percorrenti tutto il lembo, biforcate e riunentisi in pochi fasci inferiormente. — Al irregolarmente obovate, con becco ottuso; acute od ottusette all'apice. — Ca- rene cultriformi apiculate. Stami coi filamenti liberi più brevi della porzione adesa, decrescenti in lunghezza dal mediano ai laterali e quello più dilatato di tutti sotto l'inserzione delle antere introrse, oblungo-ellittiche. Ovario fusiforme-lineare, glaberrimo. Stilo cilindrico, ingrossato-ricurvo verso l’alto e quivi con stigma a bottoncino apicale. Ovolî 3-(6)-7. Legume clavato-oblungo, te- nuissimo membranaceo, colle suture robuste, reticolato-venuloso sulle pareti, glabro$ stipitato. Semi 3-5-6 cordato-globulosi, glabri, lisci, verde-giallastri. LETTERATURA E CRITICA. — OSSERVAZIONI. Il 7. eximium rappresenta la seconda specie da me conosciuta che faccia parte della Stirps Eulupinaster. AI pari del T. Lupinaster esso possiede un rizoma sotter- raneo con stipole afille, il quale dà origine a gemme dapprima brevi, poi allungantisi dopo un certo tratto apogeotropicamente e dando origine a rami epigei fogliferi e fioriferi. Nelle brevissime gemme ipogee sta pure qui rinchiusa l’infiorescenza in miniatura, la quale non presenta il fatto osservato nel 7. Lupinaster della scanala- | tura del peduncolo fiorale per ciò che il capolino quasi sempre unico per ogni ramo è ridotto a due o tre fiori e non subisce perciò nella gemma la forte compressione derivante dal numero dei fiori e dalla vicinanza dei capolini ristretti all’apice del caule nelle guaine stipolari rispettive. Per la stessa ragione nel 7. eximium il ricet- tacolo è normalmente sviluppato, simmetrico e regolare. Nel peduncolo può ricono- scersi una leggerissima depressione al lato interno; del resto esso è affatto cilindrico. Il 7. eximium è apparentemente simile nell’ aspetto generale al 7. alpinum, ma in realtà egli è un vero parente del 7. Lupinaster soprattutto per la struttura del- l'ovario e del legume, pel numero e per la forma dei semi e per la natura dei tricomi Pero VITRO o i ri RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 273 che rivestono la fauce ed i denti del calice. — Il T. eximium si riconosce facilissi- mamente, oltre agli altri caratteri, soprattutto per le lacinie del suo calice cordate alla base ed elegantemente reticolate. — Dalla figura data da Ledebour nelle Icones il vessillo appare roseo più o meno pallido e le ali e le carene bianco-giallastre, o giallo-brunastre: la fogliolina mediana è sessile e le foglie sono veramente digi- tate; i pedicelli in detta figura sono più lunghi del calice, lo che sui saggi essic- cati spesso non si trova. In questi anche il colore della corolla pare uniforme. Seringe in DC. Prod. l. c. ascrive al 7. eximium corolle porporine, aggiungendo una var. B. albiflora, la quale probabilmente deve corrispondere alla forma figurata da Ledebour. Nella descrizione sua non si fa cenno del colore delle corolle (1). “ T. ra- “« dice repente, caule adscendente pubescente, stipulis ovatis, acutis, submembranaceis, “ foliolis ovatis denticulatis, subtus ad costam adpresse pilosis, caterum glabris, “ umbellis 2-4 floris laciniis calycis campanulati subaequalibus tubo parum longioribus, “ corolla multoties brevioribus, leguminibus 4-5 spermis ,. “ Habitat in alpe circa fontes fluminis Tschegan et in insulis fluminis Tschuja “ (nec non in Davuria Dec.) % ,. “ Floret. Junio-Aug. ,. ; HABITAT. Dahuria-Altai (Fischer-Meyer). (1) Icones plantarum novarum vel imperfecte cognitarum floram Rossicam imprimis Altaicam iMlu- strantes, ed. Carolus Friedericus a Ledebour, centuria 1% (Riga, apud L. Deubner; Londini, Parisiis et Argentorati, apud Treuttel et Wiirtz; Bruxellae, in Libraria Parisiensi (1829). Serie II. Tom. XLIV. 274 S. BELLI STIRPS I, GLYCIRRHIZUM Nob. (Bertol.). : CARAOT. — <« Stipulae imae sphacelato-fimbriatae, reticulum brunneo-fuscum vel helvulum etlormantes caulesque decurtatos inferne obtegentes - Infiorescentiae annotinae in axilla foliorum inferiorum evolutae; aequali tempore in axilla foliorum juniorum inflo- rescentiae rudimentales (sequenti anno evoluturae) adsunt - Inflorescentia composita, racemoso-cimosa » NoB. Hujus stirpis: 7. alpinum L., T. polyphyUum C. A. Meyer., T. nanum Torr. (non Europeum). Species 18. T. alpinum L. Sp. pl. (Ediz. 32), p. 1080 (1764) et Mant. altera, p. 451 (1771), et Syst. Veg. (ediz. 14 Murray), p. 688 (1784) — 4%. Fl. Pedem. Vol. I, p. 302 (1785) — Vil. Hist. pl. du Dauph. Vol. II, p. 476 (1789) — W.Wd. Sp. pl. Vol. II, p. 1360 (1787) — Suter Fl. Helv. Vol. II, p. 108 (1802) — Schreb. in Sturm Deutschl. FI. 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Vol. II, p. 197 (1849) — Boreau FI. du centr. de Fr. Vol. II, p. 132 (1849) — Bertol. FI. It. Vol. VII, p. 101 (1850) — De Vis. Fl. Dalm. Vol. II, p. 300 (1850) — Willkomm Sert. pl. hisp., p. 43 (1852) — Rota Prosp. FI. Prov. Bergamo, p. 33 (1853) — Nyman Syll. Fl. Hur., p. 296 (1854) — Koch Syn. Fl. Germ. et Helv. (ediz. 3%), Vol. I, p. 149 (1857) — Caruel Prod. FI. Tosc., p. 169 (1860) — Koch Nomencl. Fl. Germ. et Helv., p. 22 (1861) — £eut. Catal. pl. vasc. Genève, p. 48 (1861) — D'Angreo. FI. Valles., p. 32 (1862) — uss FI. Transsilv., p. 162 (1866) — Ardoino FI. Alp. marit., p. 104 (1873) — Ces. Passer. Gib. Comp. FI. It., p. 712 (1867) — Zersi Prosp. pl. vasc. Brese., p. 61 (1871) — Verlot Les plantes alpines, p. 97 (1873) — Morthier Fl. analyt. Suiss. (5? edit.), p. 146) (1873?) — Arcangeli Comp. FI. It., p. 176 (1874) — Celak. Ueber Aufb. der Gatt. Trifolium. Oesterr. Bot. Zeitschf., N. 2, p. 42 (1874) — Rchbch Icon. FI. Germ. et Helv. Vol. XXII, p. 75 (1874) — Bouvier FI. 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FI., 1. c., heft. 15 — Icon. Taurin., tab. XI, fig. 2. — Perini, frat. FI. It. Sett. Cent., 12. — Resichbe. fil., 1. c., tab. 114. — Cusin Herb. FI. Fr. tab. 1120. — Sehlechtdl. et Hall., 1. c., tab. 2389. Subvar. y. stenophyllum Nob. (in herb. R. H. B. Romani). “ Capitulis laxifloris (7-14 fl.). Floribus maximis (in G. Trifolio), 19, 21 (media) — 25 mill. longis; duplicatim verticillatis; verticillastris superpositis, infero 6-7, supero 4-5-floro saepe reducto, uni-bifloro, omnibus involucratis, involucello tenui, albo-membra- naceo, denticulato, glabro; axi florifero indefinito in medio florum superiorum mucronulo centrali (Tab. II, fig. 15% @), protrudente, interdum abortu subnullo, floribus cymosis — Calycis dentibus apice subulatis, acuminatissimis, inferiore dimidium verillum semper 276 S. BELLI . superante, rarissime ci subeequilongo — Foliolis ternatis, rarissime (Bertoloni) quinatis — Corolla speciosissima purpureo-rubente, siccando atropurpurea vel (var. B) alba — Ovario biovulato — Legumine saepissime bispermo — Tota planta glaberrima , Nob.Y. Subvar. B. “ flore albo, caeterum ut in typo ,. Subvar. vy. “ foliolis strictissimis, linearibus, acuminatis ,. Tcon nostra — Tab. II, fig. B. DESCRIZIONE. Radice fittonosa, legnosa, obconica, legnosa, lunga, più o meno ramosa, divisa e- fibrillosa inferiormente, guarnita delle solite produzioni grumose a bacteroidi. Caule nano, cespitoso; rami molteplici dal colletto, tosto ramificati, grossi, tozzi, arcuato-flessuosi, o stoloniformi, ma non mai radicanti (Exempl. Pierre sur Haute Erbario Levier) con internodii brevi, gli infimi ricoperti dai residui delle vecchie stipole sfilacciate e ridotte ad un invoglio fibrilloso-reticolato, brunastro o fulvo. Foglie tutte all’apice dei rami, appressate, ricoprentisi a vicenda nella porzione stipulare: le inferiori (esterne) più lungamente picciolate, le superiori (interne) meno; picciuoli glabri, leggermente scanalati superiormente, grossi; stipole vegetanti oblungo-lineari, tutte conformi, oblungo-lineari (distese in piano), verdi dapprima, presto biancastro-scariose, guainanti inferiormente per breve tratto, con molti nervi paralleli e scarse anastomosi, massime nelle code brevi, triangolari, attenuato-acumi- nate. — Foglioline tre, rarissimamente (secondo Bertoloni) cinque, glabre, sessili oblungo-lanceolate od oblungo-lineari, cuneate alla base, più o meno lunghe (fino a 8 centimetri; in media 3 cent.), acute od ottuse od anche arrotondate, più verdi sopra, più pallide sotto, o glauche, integre al margine od oscuramente denticulate; rara- mente con denti fini e spiccati; con nervature fitte, pennate ma poco arcuate, salvo al margine dove sono forcate ed anastomosate con altre più esili, colle quali formano un reticolo a maglie oblunghe. Infiorescenza (Vedi anche la Parte Generale e la Critica di questa specie). — Peduncoli ascellari, pochi per ogni cespo (2-3), solitarii, cilindrici, glabri, di lunghezza variabile, ma più spesso oltrepassanti al momento dell’antesi la foglia corrispondente. — Asse fiorale indefinito, prolungantesi sotto forma di mozzicone all’apice delle infio- rescenze formate da pochi fiori (10-12), (al massimo 15, e al minimo 6): grandi (i più grandi del Genere) (18; (media 20) 25 mill. lunghezza), disposti ordinariamente in due verticillastri sovrapposti più di rado in uno solo (per aborto del superiore ridotto ad un fiore o due), rarissimamente con accenno ad un terzo verticillastro nei capolini enormemente sviluppati, ognuno involucrato da un collaretto membranoso-scarioso, biancastro, denticolato, glabro o con qualche emergenza glandulifera, enerve. — Pedi- celli fiorali glabri, cilindrici, più brevi del calice, dapprima eretti, alla fine deflessi, cosicchè il capolino diventa umbelliforme. Calice campanulato, glabro o guarnito dentro e fuori delle solite produzioni tri- comatose glandulose, pedicellato-clavate, molto grandi, con tubo breve, tagliato a spese del labro superiore, leggermente saccato alla base superiormente, verdognolo, bian- castro o colorato in rossigno, con dieci nervi; cinque dentali e cinque commissurali più esili. Denti cinque triangolari-allungato-subulati, assai più lunghi del tubo; i due RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 277 superiori più brevi dei laterali, l’inferiore più lungo di tutti ed oltrepassante sempre metà della lunghezza del vessillo, tutti trinervi massime alla base e con qualche nervo trasversale; scariosi al margine, colorati o no in rossigno. Corolla vistosissima roseo-porporina, invecchiando fosco-bluastra o fosco-vinosa, più di rado bianca (var. 8) persistente a lungo ed un poco scariosa. Vessillo libero o quasi dagli altri petali connati nell’unghia, lungo un po’ meno del doppio del calice, foggiato inferiormente alquanto a navicella (poco distensibile in piano senza lacerazione) e dilatato superiormente in lembo obovato-ellittico, ottuso, arrotondato, troncato o smarginato all’apice, integro al margine con nervature furcate riunentisi in basso in pochi fasci non troppo robusti; senza strozzatura dorsale, compiegato sugli altri petali prima e dopo la fecondazione e un po’ rialzato ante- riormente durante la stessa; più lungo delle al irregolarmente oblunghe, ottuse con orecchietta poco bollosa, ottusa, ricche di vene più scure. — Carene foggiate a bistory retto, apiculate, senza orecchietta. Stami come nel Y. Lupinaster. — Antere idem. Ovario fusiforme, glabro, stipitato, quasi costantemente biovulato, terminante nello | stilo gradatamente assottigliato in alto, cilindrico; stigma a bottoncino papillifero anche sulla faccia dorsale. Legume ellittico, stipitato, indeiscente, glabro, membranaceo, colle suture robuste; la ventrale un po tuberculata e le pareti sottili leggermente venulose. Semi due (raramente tre) grandi, nerastri, lisci subrotondi con ilo profondo e radichetta prominente. VARIETÀ. — LETTERATURA E CRITICA. — OSSERVAZIONI. All’infuori della variazione a fiori bianchi, il 7. alpinum non presenta vere va- rietà, essendo specie oltremodo uniforme e ben caratterizzata. Ho creduto di riferire come semplice sottovarietà anche la forma a foglie strettissime (abbastanza rara), non essendo questo nel G. Trifolium un carattere di soverchio valore. — Se non erro, fu Haller (Hist. Stirp. indig. Helv., Vol. I, pag. 161) che pubblicò la var. B. “ flore albo, in monte Serin ,. — Dopo di lui ne fecero cenno, come di semplice accidentalità nel colore della corolla e senza designarla con lettere, Alioni, Schkuhr, Savi, De- candolle, Pollini, Loiseleur, Gaudin, Reichenbach (fl. exc.), Colla, Mutel, Koch, Dietrich, Grenier et Godron, Zumaglini, Bertoloni. Il Rota solo la distinse nella Flora di Ber- gamo come var. 5. Io lho veduta nell’Erbario di Firenze raccolta dal Rota stesso a Ca di S. Marco nel Bergamasco e dal Cesati nel monte Legnone e l'ho raccolta io stesso sotto il Colle di Tenda scendendo a Limone. — La sottovarietà stenophyl- lum fu raccolta nel monte Fusio in Val Sambuco da A. Franzoni (Erbario di Roma). È appena il caso di accennare alle variazioni di statura del T. alpinum, certo in relazione colle condizioni di nutrizione e di località della specie. Così mi accadde di vedere saggi evolutissimi raccolti dal Thomas nel Vallese (planta major helvetica del suo cartellino e riportata dal Nyman /. c.); nel Tirolo australe (Monte Jaufen Erbario Levier): a S. Caterina di Val Furva (Valtellina Erbario Roma); sul Roccia- melone (Alpi Cozie) leg. Berrino, alle Echelles presso Bardonecchia id.; sulla Zeda 278 S. BELLI nella Valle Intrasca (Lago Maggiore) DNot., ecc. — Un saggio addirittura enorme con foglioline lunghe 7 centimetri, fiori lunghi 25 mill. e con radice lunga strisciante è quello contenuto nell’Erbario Sommier e raccolto a Bormio (Valtellina). Molti Autori (Pollini, Savi, Sprengel, Loiseleur, Host, Koch, ete., etc.) attribuiscono al T. alpinum foglioline serrulate al margine. Questo carattere non è sempre costante; molto soventi le foglioline sono affatto integre nel contorno. Del resto se gli Autori in generale sono molto concordi nella descrizione di questa specie, pochi di essi si sono occupati del carattere speciale che offrono le sue stipole allorchè invecchiano, e quasi nessuno ha osservato a fondo la curiosa infiorescenza dei Glycirrhizum. Non sarà inutile il soffermarci un momento su questi due fatti. — Un cespo di T. alpinum | tolto con diligenza dal terreno mostra le parti inferiori dei rami affatto ricoperte da un ammasso di fibre nerastre o brunastre, sfilacciate , intricatissime che vanno, x di mano in mano che il ramo cresce, sfacelandosi. — Questa struttura accennata da di qualcuno dei moderni, Reichenbach (fil), Bertoloni, era stata anticamente osservata | dal Decandolle, il quale scrive l. c. “ Sa racine est longue, garnie vers son collet de “ beaucoup de paillettes ou espèces de poils grisàtres ,. — L’ammasso di fibrille sopra b: | accennato è costituito dai residui delle stipole vecchie in cui il tessuto parenchima- . toso si è distrutto lasciando solo la porzione dei fasci fibro-vascolari. Questo carat- tere è di grandissimo valore per riconoscere gli affini del 7. alpinum: così esso è comune al 7. polyphyllum del Caucaso, ed al 7. nanum dei Rocky-Mountains d'America. È i Più interessante ancora è la infiorescenza del 7. alpinum e dei Glycirrhizum in generale. Tutti gli Autori parlando di essa la descrivono più o meno come un capolino lasso, foggiato ad ombrella allorchè è fruttificato, lasciando così sottinteso che questa infiorescenza non differisca sostanzialmente da quella degli altri trifogli. Alcuni pochi hanno vagamente accennato ad una differenza strutturale di essa, ma senza venire ad una conclusione, come vedremo più avanti. Il primo accenno all’infiorescenza del 7. alpinum venne dato dal Micheli (Nova plant. Genera, pag. 28) nel 1729, il quale descrivendo l’Ordo V così si esprime: “ Trifoliastri floribus in fasciculum, seu corymbum minus speciosum per bdinos “ tantum ordines dispostitis, qui, dum pistillus in fructum abit deorsum reflectuntur ,. Dalla qual frase risulta come il Micheli avesse benissimo osservata la apparente esterna struttura del capolino, ma la riferisse ad un corimbo o fascicolo di fiori. — Ognuno sa che il corimbo è un’infiorescenza racemosa, e che il falso corimbo è una cima. Non si può quindi dedurre dalle parole del Micheli a quale infiorescenza abbia voluto alludere, tenuto anche conto dell’epoca in cui furono scritte, e delle cognizioni che allora si avevano sui varii tipi di ramificazione. Fu Schreber il secondo che rilevò la struttura fiorale del 7. alpinum. Egli così si esprime: “ l. c. “ Der Kiirze Schaft trigt ein einzelnes Blithenkòpfchen an der “ Spitze, zuweilen in proliferirenden Dolden, denn die untern Blithen entspringen “ alle aus einem gemeinschaftlichen mittelpunkte, und das nàhmliche findet noch “ einmal an dem verlangerten Schafte statt ,. Schreber, molto meno esattamente del Micheli, ritiene, come è facile vedere, il verticillastro inferiore dei fiori come il vero capolino normale e suppone doversi ad un'anomalia, cioò alla proliferazione dell’asse il secondo verticillastro. Questa osser- RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 279 vazione si scosta dal vero in ciò che il fatto da Schreber riferito ad un’accidenta- lità, è invece il modo ordinario di comportarsi della pianta; il che non toglie nulla alla esattezza dell’osservazione. Altri Autori, p. es., Seringe I. c., si limitarono ad accennare la disposizione dei fiori (13 pedicellis minimis subverticillatis , od inter- pretarono erroneamente questa infiorescenza. Ricorderemo cose già note. L'infiorescenza del 7. alpinum (ed affini) è fatta di due, raramente da tre, verticillastri sovrapposti. Nel verticillo superiore, più povero di fiori e spesso con qualche fiore tabescente, come nell’inferiore più ricco di fiori, i pedicelli nascono tutti attorno ad un punto dell’asse ed involucrati dal collaretto membranaceo, continuo, più o meno dentato. Tra i due verticillastri corre un tratto dell’asse comune, nudo. Ma se si osserva con attenzione il centro del verticillastro supremo si vede che quasi sempre esiste colà uno spuntone breve che rappresenta la continuazione del- Vasse fiorale (Tav. II, fig. B, 15% «). È certo che senza uno studio organogenico ed ana- tomico accurato, che metta in chiaro la cronologica evoluzione delle membra, non si può matematicamente essere certi della natura di questa infiorescenza, tanto più che la genesi di molti verticillastri, in altri Generi che non sia il G. Trifolium (Labiate), spesso è tutt'altro che facilmente dimostrabile. Ma nel caso del 7. a/pinum il dubbio, anche a priori non mi par possibile. E, in verità, è egli ammissibile ritenere questa per una infiorescenza racemosa ridotta a due verticilli? Il volerlo supporre basandosi sul fatto che questo modo d’infiorescenza è comune a tutti i Trifogli, per quanto talora mo- dificato o larvato (7. Lupinaster, ecc.) è un po’ azzardato. Per ammettere una simile Infiorescenza converrebbe supporre che un capolino fosse ridotto ad avere due giri di spira abbassati in piano quasi orizzontale con un tratto di ricettacolo nudo. Il che mi parrebbe voler portare le analogie ad un limite troppo spinto. Io sono per- suaso che questa idea deve essere affatto abbandonata, e che 1’ infiorescenza del T. alpinum debba essere annoverata fra le infiorescenze racemoso-cimose o botrio-cime, analoghe a quelle di molte Labiate, nelle quali la natura di racemo spetta al solo asse generale dell’infiorescenza, svolgentesi indefinitamente, mentre le infiorescenze secondarie parziali, con assi soppressi, stanno raggruppate all’ascella di brattee, con- cresciute o no, sotto forma di verticillastri, semplici o composti. — Nel caso del T. alpinum ed affini due fatti ci fanno ritenere che tale sia la sua infiorescenza: 1° la presenza costante del mucrone apicale nel centro del verticillastro superiore; 2° lo svilupparsi e lo sbocciare in ordine acropeto dei verticillastri consecutivi per cui il superiore è nel suo complesso sempre più giovane dell’inferiore; però i fiori di uno stesso verticillo possono essere di età diversa; 3° finalmente appunto il diverso sviluppo e la diversa età dei fiori che si trovano in uno stesso verticillo considerati gli uni rispetto agli altri, al momento della fecondazione in guisa da dimostrare ampia- mente essere essi produzioni cronologicamente differenti e dipendenti in parte, se non tutte, da assi soppressi di inegual valore genetico (1). Il fatto della proliferazione riferito (1) Se si suppone p. e. che i 6 fiori di un verticillastro inferiore appartengano a due cime di- cotomiche nate all’ascella del collaretto i cui assi siano soppressi, è evidente che i due fiori termi- manti l’asse di 1° ordine della dicotomia si svolgeranno più presto dei laterali che nascerebbero all'ascella delle due brattee sottostanti al fiore terminale. — La soppressione degli assi porterebbe seco la saldatura delle brattee a guisa di collaretto, ammettendo che le minute squame onde si compone l'involucro abbiano valore di filloma, ciò che non è affatto dimostrato. 280 S. BELLI dallo Schreber sarebbe dunque perfettamente in parte giustificato, cioè per quel tanto che riguarda il prolungamento dell’asse. Soltanto, secondo lo Schreber, questa strut- tura fiorale, come si è già detto, sarebbe accidentale nel 7. a/pinum (Zuweilen in proliferirenden Dolden), mentre è generalissima. È poi appena il caso di accennare alla supposizione che questo prolungamento dell’asse sia un simpodio, e che vi pos- sano esistere due assi primarii, supposizione che non è giustificata da nessun fatto strutturale. Più raro è, già dicemmo, il vedere un terzo verticillastro soprastante ai due inferiori, e nei pochi casi che mi fu concesso di vederlo, cioè in esemplari enorme- mente sviluppati, lo spuntone apicale porta al suo apice un rudimento di collaretto con un fiore solo tabescente. Mi riservo di comunicare altrove lo studio morfologico È; e la genesi di questa infiorescenza interessantissima, che non avrebbe ragione di | essere qui riferita data la natura di questa rivista critica. — È certo intanto che anche per questo carattere la Stirps Glycirrhizum si allontana affatto da quella a | cui appartiene il TY. Lupinaster. \ Di non minore interesse in riguardo alla storia del 7. alpinum è una circostanza che mi venne fatto di rilevare nel suo modo di vegetare e che probabilmente ripete pe la sua origine, oltre che dalla natura della pianta, anche dalle condizioni in cui la pianta stessa vive, cioè in altitudini elevate assai. Se si tolgono ad una ad una le stipole di un ramo di 7. alpinum in piena infiorescenza, si osserva che, contempora- mente agli scapi fiorenti, ed all’ascella delle stipole susseguenti alle scapifere, stanno delle infiorescenze rudimentali, piccolissime, lunghe tutt'al più 1 centimetro e spesso lunghe pochi millimetri, nelle quali però sono distinguibili, e perfettamente costituiti gli elementi fiorali od almeno il calice e gli stami. Queste infiorescenze passano l'inverno ricoperte dalle stipole vecchie, per svilupparsi poi rapidamente nel susse- guente estate. È un fatto analogo, biologicamente, ma topograficamente differentis- simo da quello che abbiamo esposto nel 7°. Lupinaster, dove le infiorescenze, prefor- È mate, stanno sotterra nelle gemme, e ricoperte dalle stipole afille, incassate le une nelle altre come i pezzi d’un cannocchiale. Nel 7. alpinum invece sono le foglie \ susseguenti a quelle delle infiorescenze evolute nell’anno, che albergano alla loro ascella le infiorescenze rudimentali, mentre la sua porzione suprema col ciuffo di foglie giovanissime cresce indefinitamente, arrestandosi solo nell'inverno, ma all’ascella di $ queste ultime non stanno mai infiorescenze. i Il collaretto di brattee che sottosta ai verticillastri, pare fatto da una dupli- catura epidermica, non mostra nervature di sorta e difficilmente può paragonarsi ad un filloma ridotto, come, p. es., nelle vere Involucrarie od in certi Lagopus. Mostra invece molta analogia colle squamule che sottostanno ai fiori delle Chrono- semium portando come essi soventi delle emergenze glandulose microscopiche o delle glandule clavato-pedicellate identiche a quelle che si trovano sul calice e più di rado sulle stipole. È secondo tutte le probabilità falso che Bauhino nel Phytopinar (1596) abbia fatto allusione al 7. alpinum; avvegnachè le sue caratteristiche non gli siano ap- plicabili per nulla. Pona () pel primo la descrisse assai bene e la figurò nella storia RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 281 delle piante del Monte Baldo. Gli Autori che dopo di Pona e prima delle “ Species “ plantarum , Linneane se ne occuparono, sono i seguenti in ordine cronologico: Parkinson (1) — Bauhino (2) — Morison (3) — Tournefort (4) — Scheuchzer (5) — Micheli (6) — Zannichelli (7) — Linnè (8) — Seguier (9) — Sauvages (10) — Haller (11). Quest'ultimo Autore non fa uso della nomenclatura binomia nell’opera citata quantunque posteriore alle “ Species plantarum ,. (x) “ Trifolium 42 siue alpinum minimum flore luteo ,. Plantae seu simplicia, “ ut vocant, quae in Baldo monte et in via ab Verona ad Baldum “ reperiuntur ,, etc., p. ccoxL (Antwerpize, 1601), apud Crusruw, “ Rar. pl. Hist. ,; et “ Monte Baldo descritto da Giovanni Pona etc. ,, ediz. ital., p. 194 (Venezia, 1617). (1) Theatrum botanicum, pag. 1104 (London, 1640), “ Trifolium angustifolium alpinum ,, non Trifolium Glycyrrhizites ut voluit Hallerus ,! (2) Pinax Theatri Botanici sive Index, etc., p. 328 (1671), Basilea: “ Trifolium alpinum flore “ magno radice dulci; Glycyrrhiza astragaloides quibusdam , — et “ Historia plantarum universalis , (Ebrodum, 1671, p. 376, vol. Il); “ Trifolium alpinum rheticum astragaloides , — et TTpodpéuog Theatri Botanici, pag. 143 (Edit. altera emend., Basilea, 1671): “ Trifolium alpinum flore magno radice © dulci etc. ,. (8) Plantarum histor. univers. Oxoniensis, etc., vol. II, pag. 139 (Oxonii, 1715): “ Trifolium pur- “ pureum angustifolium alpinum ,. (4) Institutiones rei herbariae, vol. I, p. 408 (Parisiis, 1719) — © Anonis alpina humilior, radice “ampla, dulci ,. (5) Oupeciporns helveticus sive itimera per Helv. alp. reg. fact. annis 1702-11; Lugd. Bat. (1723); Tt.I, p. 43; It. II p. 143; It. IV, p. 342. (6) Nova plantarum Genera etc., p. 28 (Florentiae 1729) — “ Trifoliastrum alpinum purpureum, “ humile, caule nudo, simplici, foliis angustioribus, acutis, floribus amplioribus, siliquis planis, “ incurvis et dispermis ,. (7) Opuscula botanica posthuma a Johanne Jacobo filio in lucem edita, p. 73. Venetiis, typ. Dom. Lovisa (1730). (8) Hortus Cliffortianus, p. 499 (Amstelodami, 1737). (9) Plantae Veronenses seu Stirp. quae in agro Veronensi reperiuntur methodica Synopsis, vol. II, pag. 95 (Veronae, Typis Seminarii), 1745. (10) Methodus foliorum seu plantae florae Monspeliensis, p. 185 (A la Haye, 1751). (11) Historia stirpium indigenarum Helvetiae inchoata, vol. I, p. 161, n° 369 (1768): “ Trifolium “ scapis radicatis, floribus racemosis, foliis ellipticis, lanceolatis integerrimis ,. Serie Il. Tom. XLIV. x! 282 S. BELLI HABITAT. (Bo. Erbario Boissier — B. Erbario Belli — C. Erbario Cesati — F. Erbario di Firenze — G. Erbario Gibelli — R. Erbario Roma — T. Erbario Torino — L. Er- bario Levier — S. Erbario Sommier). Piemonte e Liguria, Monte Armetta (Liguria) . Colle di Tenda e Colle della Perla (Alpi maritt.) Alpi sopra Viozennnes. : Liguria (?) . SMIiUPO Vo Moncenisio (al Montanvert), al Lago etc. Riva (Valsesia) È Punta della Mologna (Alpi Biellesi) ; Passo della Croce Mulattiera sopra i Melezet (Bardonecchia) Alpi Cozie .. . . . Valdieri (Alpi marittime), Vallone della Meris (lago della Sella) . Monte Tabor presso Bardonecchia (Alpi SO Colle di Tenda ad ovest del Passo (Alpi maritt.) Monte Bego presso Tenda (Alpi marittime) Sciaccari e Mappa (Alpi marittime) . Alpi di Giaveno (Prov. di Torino) . Monte Rocciamelone (Susa, Prov. Torino) Madonna delle Finestre 3 Alle “ Echelles , presso A (Alpi Cis Monti d’Oropa (Biella) all’Alpe della strada . Valsesia (Alpi Pennine) ; Monti d’Oropa (Biella, Alpi Ro i Monte Turlo (Alpi Biellesi) Colle di St-Théodule (Alpi Pennine) . Gressoney (Alpi Pennine) . Alagna (Valsesia) : Alpi di Garessio (Alpi Iorio) Argentera (Alpi marittime) Monte Cramont (Alpi Graje) . Col du Geant (Alpi Graie) È Orno (Col di Tenda, Alpi marittime) . Gran S. Bernardo (Alpi Graje) . Alle Balze di Cesare presso Crissolo tilt) Vachère sopra Angrogna (Alpi Cozie). . leg. Gentili F. ‘ Carestia F. - Gibelli G. Belli Ricca F. Bertoloni R. i Pedicino R. - Cesati 0. - Arcan- geli F. - Parlatore F. - Bucci F. Balbis T. i Carestia R.. Malinverni R. Berrino T. Ferrari e Belli T. Berrino T. i Ungern - Sternberg T. - Reuter P. i Ungern-Sternberg T. Ungern-Sternberg T. Giusta T. - Delponte F. Berrino T. Giusta T. Berrino T. Belli B. Cesati F. Carestia C. F. Belli B. Carestia F. - Piccone F. Carestia F. Berti F. Parlatore F. Parlatore F. Parlatore F. Borgeau F. Parlatore F. Ferrari T. Rostan F. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 283 Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana. Corno alla Scala (Bologna) 7 Val Viola (Alta Valtellina fra Senago e Campo) Val Furva (Alta Valtellina), 1700 metri . S. Caterina in Val Furva (id.) Bormnio (id.), 1500 m. Fusio (Val Sambuco) ; Monte Moro (Alpi Leponzie) . Monte Legnone (Lecco) (flore albo). Valle Formazza (Ossola) Monte Canossio (Ossola), 2200 m. . Val Toggia (Ossola) . Moncucco (Ossola), m. 2000 . Valcamonica (all’Incudine). Spluga Val Brembana (a Trana < Tonale (pascoli alpini) . Sulla Zeda in Valle Intrasca do Maglione) Alpi Bresciane (Colombine) Monte Rosa Ca di S. Marco (Alpi del e emisco) ' Boscolungo (Appennino pistoiese) Appennino Estense . Sommità del monte Cacho til Fanano. WI Apuane) . ; . Prati del Cimone (Alto io Modes) ; Alpi di Cusna (Appennino Reggiano) Pizzo Stella sopra Campodolcino e Valle di Lei . Sul Rondinajo (Appennino Lucchese) Sul Procinto (Alpi Apuane) (Cimone di Caldaja (Appennino LS Alpi di Mommio. Alpe di Borga Prati di Macerino . leg. Pirazzoli e Tassinari R. Levier L. Levier L. De Notaris R. - Parlatore F. ‘ Sommier S. A. Franzoni R. Cuboni R. Cesati C. - Balsamo F. Gibelli C. - Cesati e Negri €. - Negri F. Rossì e Malladra T. Id. Id. Id. Id. Caldesi F. Cesati F. V® Rampoldi F. Parlatore F. De Notaris F. Parlatore F. Erb. Accad. Georgofili F. Rota C. Forsite Mayor L. - Parlatore F.. Targioni-Tozzetti R. F. Cesati C. Gibelli G. - Parlatore F. Ferrari G. Gidelli G. Giannini F. P. Savi F. Parlatore F. Calandrini F. Parlatore F. Parlatore F. LOCALITÀ NON ITALIANE VISTE NEGLI ERBARII. Svizzera. _M£ Jouly (Vallese) “ Alpi Bernesi — Grindelwald (Oberland Biorsiceo)i i Hospice du Simplon (Valais). Planta di helvetica , . leg. Em. Thomas Bo. Levier L. Christener L. Levier L. - Cuboni R. 284 S. BELLI Faulhorn (Alpi Bernesi) 6-7000' . S. Bernardino Grigioni . S. Gottardo . S. Moritz Camfer (Grigioni). Spluga . Lucomagno . Francia. Pyrénées (environs de Barèges) . Colle d’Olle et Glaciers de St-Sorlin re (Maurienne-Savoie) Mont Dore (Auvergne) . , Vallon de Ségure près Abriès (E Muneo) 2000 m. Pia Re eat Pierre sur Haute uo) AMPI O Cs alal Pelouse de Gondran (Briangon) . Pyrénées centrales: Esquierry Eaux bonnes (Pyren. occid.) . Pyrenées (Lheris). Lautaret (Hautes Alpes) Spagna. Pico Cordel (Castella Vetus) . Pyrenées Arragon. in pascuis Jugi Piocto 6 Canfranc., 3600 m. Austria e Tirolo Italiano. Montelaufen a Sterzing, 2000 m. (Tirolo centrale) leg. Huter L. Alpi Tirolesi . ; 5 Alpi del Tirolo O È Tirolo Austro-orient. Lienz in monte Schleinita- Iselrein 7000' Trento (Bondone) Col Santo Alpi di Duron e monti di Passirio (Trento) Val Fassa (Trentino) DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA. Pirenei spagnuoli, Asturie, Pirenei e Alpi Francesi, Svizzere, Tirolesi, Italiane, Mont Dore, Appennino boreale, Carpazii (Transsilv.). . Erhb. Fauché Bo. Pedicino R. DNris R. Sommier S. - Parlatore F.. Sommier S. Rosa Cesati C. Cesati 0. Franzoni F. E. Didier Bo. Bo. - Lecoq (Clermont Ferrand) R. Bo. Frères Faustinien et Gandoyer L. Gastien G. ‘9 Erh. Fauché Bo. J. E. Zetterstedt L. J. Ball L. Erhb. Francavillanum R. J. de Parseval Grandmaison R. Bo. Willkomm Bo. Erhb. Pedicino R. Hoffman T. Rev. Gander T. Fratelli Perini C. F. - Ambrosi F.. Fratelli Perini F. Bracht F. Li Nywman., l. c. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 285 NB. — Maratti nella Flora Romana, l. c., ascrive anche il 7. alpinum alla sua dizione come già vi ascrisse il T. Lupinaster. Dietro notizie avute dal Prof. Pirotta crediamo che si tratti anche qui di un errore, o che tutt’al più possa essere stato importato per caso, quantunque anche questa supposizione sia un po’ azzardata trat- tandosi di specie affatto alpina e che difficilmente vive a lungo anche nelle regioni fredde, se portato alla pianura. — Il limite più basso a cui sia disceso a mia cogni- zione il 7. alpinum sarebbe il Monte Summano nel Vicentino ivi raccolto dallo Zan- nichelli. Così il Prof. Saccardo scrissemi in proposito: “ A pag. 73 delle Opuscula “ botanica leggesi fra le piante raccolte dall’ Autore in Monte Summano territorii Vicen- tini: T. alpinum flore magno radice dulci Casp. Bauhin. Pinax, p. 328. T. alpinum L. Non abbiamo in erbario detta specie dal M. Summano ma dalle vicine Alpi verso il Trentino. Il Summano è alto 1300 metri e ignoro se il T. alpinum possa veramente trovarsi a tale altezza. Generalmente Zannichelli è autore accurato ,. — Per conto mio non ho mai visto il 7. alpinum discendere al disotto di 1800 metri; ignoro se fu raccolto più in basso: ma le località qui riportate paiono accennare al più a questo limite estremo. Il limite più elevato, sarebbe dato dalla quota di Wilkomm « « « K metri 3600 s. m. nei Pirenei Arragonesi. — Il Comolli nella Flora Comensis, l. c., dice che il 7. alpinum abita in tutti i monti della provincia della Valtellina e del Canton Ticino che sorpassano i 6000 piedi. y Sussprcies I. — T. polyphyllum C. A. Meyer. | Verzeich. Pfiz. am Caucas., p. 159 (1831) — Dietrich Syn. pl. Sect. IV, p. 1003 — Ledeb. Fl. Ross. Vol. I, p. 551 (1842) — Valpers Repertor. :Vol. I, p. 642 (1842) — Boiss. FI. Or. Vol. II, pag. 148 (1872) — Celakowsky, 1. c., p. 42 (1874). Subvar. a. stenophyllum Nob. in herb. Boissier (Aucher Eloy Herb. d’Orient) Lazistan. Var. B. ochroleucum Sommier et Levier (in litteris et herb.). Icon nostra. — Tab. II, fig. C. “ Capitulis laxifloris (7-12); floribus magnis (18-(20 media)-22) mill. longis, dupli- catim verticillatis; verticillastris superpositis, infero 5-6, supero 2-3 ‘floro, saepissime reducto unifloro, omnibus involucratis, involucello tenui, albo-membranaceo-scarioso, den- tato-crenato, glabro; mucrone in medio florum superiorum (axi inflorescentiac) subnullo vel nullo, floribus cynosis — Calyce corollam dimidiam subaequante vel longiore (var. 8) — Dentibus calycinis triangularibus, acuminatissimis, basi et facie interna pilis plus minus raris obsitis — Foliolis 5-7, rarissime 9; nervis secundartis tenuibus — Corolla purpurea vel (var. B) ochroleucis , Nob. %. Var. B. “ Floribus dilute ochroleucis, vel citrinis, fere albis — Calyce corollam dimidiam parum superante , (Sommier et Levier in litt.). 286. S. BELLI ® DESCRIZIONE. Perenne. Radice fittonosa, grossa, legnosa, più o meno ramificata. Del resto simile affatto a quella del 7. alpinum. Caule come nel T. alpinum; reticolo formato nel residuo delle stipole infime sfilacciate, di colore più chiaro, quasi biondo. Foglie glaberrime, le inferiori più lungamente pieciolate, le superiori meno; pic- ciuolo grosso, subcilindrico, appena appiattito superiormente. Stipole quasi identiche a quelle del 7. alpinum con code un po’ più sottili, subulate, massime le supreme. Foglioline sessili (5, 7, di rado 9, o 3, 4), lanceolate, o lanceolato-lineari, sca- nalate a doccia alla base cuneiforme, allungatey acute od acuminate, di rado ottuse, con nervature diritte e poco marcate, con margini quasi integri o leggermente denticolati. 0 Infiorescenza. — Peduncoli ascellari solitari più lunghi della foglia corrispon- dente o di rado più brevi, cilindrici, glabri. Capolini come quelli del T. alpinum, soventi con minor numero di fiori (3, 8) formati da due verticillastri sovrapposti, ciascuno involucrato dal collaretto proprio, membranaceo, scarioso, crenato, enerve, l’inferiore più ricco di fiori, il superiore spesso ridotto ad uno o due fiori con col- laretto rudimentale e privo dello spuntone mediano che continua l’asse fiorale in- definito. Calice conforme a quello del 7. alpinum, verdognolo, o spesso colorato in ros- signo. Tubo leggermente saccato alla base e sul lato superiore, con dieci nervi: cinque dentali più validi, cinque commissurali più esili, glabro, o con pochi peli fla- gelliformi alla base dei denti ed internamente in corrispondenza della fauce, più di’ rado con villi sparsi su tutta la superficie esterna insieme alle solite produzioni glandulose, clavato-pedicellate. Denti cinque triangolari, allungati, acuminatissimi, l’inferiore lungo il doppio del tubo e metà del vessillo o poco più (var. 8), glabri, o con qualche pelo al margine massime inferiormente. Corolla porporina, ovvero (var. 8) giallo-citrina, persistente a lungo e leggermente scariosa. Vessillo quasi libero dagli altri petali o con Tissot cercine basilare, oltre- passante il calice del doppio (denti compresi) o poco meno (var. 8), oblungo-obovato, arrotondato all’apice, troncato o smarginato, con nervature percorrenti tutto il lembo, forcate e riunentisi in basso in pochi fasci un po’ più robusti, dapprima com- piegato sugli altri petali, poi rialzato alquanto sul davanti al momento della fecon- dazione, poi nuovamente compiegato. Ali irregolarmente lanceolate, ottuse, con breve auricula poco bollosa. Carene cultriformi con margine superiore retto, l’inferiore con- vesso, ma ottuse, un poco più brevi delle ali non auriculate. Stami come nel T. alpinum. Ovario, idem. Legume membranaceo, oblungo-elittico, glaberrimo, deiscente sulla sutura ven- trale, del resto come nel 7. alpinum. Semi due, subgloboso-compressi, cordiformi, verdognolo-glauchi, lisci. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 287 VARIETÀ, LETTERATURA @ CRITICA. — OSSERVAZIONI. Il 7. polyphyllum del Caucaso è senza discussione una pianta che dimostra una origine comune col 7. alpinum delle Alpi. È impossibile osservare queste due specie senza essere colpiti dall’estrema rassomiglianza esteriore rivelante la strettissima loro affinità genealogica; a tal punto che, tolto il fatto costante della polifilia nel primo e fatta astrazione da alcuni altri pochi caratteri leggerissimi, per quanto co- stanti, si crederebbe di aver ai che fare con due varietà di una stessa specie. Co- mune ad entrambi è il carattere, validissimo qui, dedotto dalle fibrille sfacelate delle vecchie stipole, comune la glabrescenza generale, il portamento, l’infiorescenza, la forma dei petali e la presenza di due sorta d’infiorescenza contemporaneamente esi- stenti, cioè le une sviluppate, le altre rudimentali. Identica poi l’ubicazione nelle alte regioni montuose, e finalmente parallele le variazioni nel colore della corolla. Difficilmente la pratica del concetto di Stirps nel nostro significato troverà altrove nel G. Trifolium una più bella applicazione. Diamo qui un piccolo schema delle dif- ferenze intercedenti fra T. alpinum e T. polyphyUum : T. alpinum L. Foglioline 3, rarissimamente 5. Due verticillastri ad ogni asse fio- rale; di rado tre (il supremo ridotto ad un fiore involucrato); più di rado an- cora un solo. Verticillastro supremo con spuntone mediano rappresentante l’asse fiorale abortito, raramente mancante. Calice un po’ più, lungo rispetto alla corolla. Denti triangolari, acuminati, evi- dentemente trinervi fin quasi all'apice, con qualche trabecola trasversale. Tubo con nervature commissurali e dentali der rilevanti e spiccanti sul, tessuto sottile interposto, affatto glabro. T. polyphyllum C. A. Meyer. Foglioline più spesso 5; più di rado 1 © S) Due verticillastri ad ogni asse fio- rale; più di rado uno solo; il superiore ridotto ad uno o due fiori involucrati da un collaretto rudimentale. Manca lo spuntone apicale in mezzo al collaretto superiore rappresentante dell'asse, o ridotto ad una prominenza mammillare. Calice un po’ più breve per rap- porto alla corolla. Denti sottilissimi, su- bulati. Nervature del calice, massime le commissurali meno evidenti e con trabe- cole più scarse. Tubo più spesso colorato in rossigno con qualche villo denticulato alla fauce ed alla base dei denti. Il 7. polyphyUum osservato allorchè germina, dopo di aver emesso i cotiledoni, dà origine a foglie che portano 3 o 4 foglioline: le susseguenti ne portano più fre- quentemente cinque, le supreme talvolta sette, rarissimamente nove. Il 7. alpinum ne porta, come vedemmo, sempre tre ad ogni picciuolo, ma Ber- toloni scrive aver osservato il 7. alpinum con foglie “ rarissime quinata ,. Io non ho mai potuto osservare questo fatto nò negli erbarii nè sul vivo, ma, ritenendo esatta la asserzione del Bertoloni, essa parlerebbe ancor una volta in favore della colleganza genetica fra T. alpinum e polyphyllum. 288 S. BELLI Quest'ultima specie, quale io l’ho esaminata nell’erbario Boissier, presenterebbe due forme abbastanza distinte. L'una raccolta dal Meyer stesso e rispondente ai ca- ratteri da lui dati e nella Flora orientalis, 1. c., dal Boissier; l’altra è notevole per la grossezza della radice e per la forma tozza dei rami, grossi, brevissimi, all’apice dei quali stanno raggruppate delle foglioline minutissime lungo poco più di 15 mill., strette, lineari (Erbario Aucher, Eloy. Herb. d’Orient). In questo saggio il calice giunge coi denti appena al terzo della corolla. Con un solo esemplare è difficile il dire se questa sia una varietà fissa: ad ogni modo io l’ho enumerata come una sottovarietà “ stenophyllum ,, la quale cor- risponderebbe fino ad un certo punto all'omonima del 7. alpinum. Anche nel saggio tipico, raccolto dal Boissier e più sopra citato, il calice arriva coi denti appena al terzo della lunghezza del vessillo ed i denti sono abbastanza larghi, acuti, ma non | acuminati come nella var. B, di cui entriamo a. parlare. Questa bella forma di 7. polyphyUum ci fu comunicata dai signori D' Sommier e Levier, che recentemente hanno visitato la catena del Caucaso, riportandone una ricca messe di piante. Il sig. Sommier annotò i saggi inviatici colle seguenti pa- role: “ 7. polyphyllum, C. A. Mey. — Flores ochroleuco-citrini nec purpurei ut Bois- “ sier Fl. Or. dicit. A descriptione Boissieri differt praesertim colore diluto ochro- “leuco (fere albo) florum; dentibus calycinis longioribus (calyce corollam mediam “ excedente). A descriptione originali C. A. Meyeri differt dentibus calycis inaequa- “ libus. Differentiae paucae nec constantes. , A me pare che l’egregio Autore abbia dato troppo poca importanza a questa varietà, la quale, a quanto ho potuto osservare dalle località riferite nei saggi è TO abbastanza diffusa. Le differenze accennate dal Sommier sono esattissime e tutti gli esemplari raccolti nel suo erbario (all’infuori forse dei saggi nani dei luoghi eleva- tissimi, nei quali pare che la corolla si sviluppi a preferenza‘ del calice) mostrano in modo costante i caratteri da lui designati. E queste differenze si fanno molto più evidenti se si paragonano le piante in questione con quelle autentiche dell’erbario Boissier. Io l'ho quindi ritenuta per varietà distintissima nella mia rivista. . La var. B presenta essa pure come il tipo delle variazioni nella forma e nelle dimensioni delle foglioline, in rapporto specialmente collo sviluppo generale della pianta. Così ho visto forme nane (vedi habitat) con foglioline. quasi lanceolate, ottuse e con nervature un po’ più spiccate corrispondenti al saggio autentico di Meyer nel- l’erbario Boissier, e delle forme evolutissime parallele a quelle del 7. alpinum. HABITAT. Alpi del Caucaso occidentale leg. C. A. Meyer (1842) Erb. Boissier. Subvar. stenophy0lum. Lazistan (Aucher-Eloy. — Herbier d’Orient) — Erbario Boissier. Var. B. ochroleucum Sommier et Levier. Svanetia libera ad limites Abkhasiae in montibus inter flumina Neuskra et Seken in rupibus circ. 2600-2800 m. 5/m, 22 aug. 1890, leg. Sommier et Levier. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 289 Abkhasia in valle fluminis KWutsch infra jugum Klukkow 2700-2800 m. 5/m; 28 aug. 1890, leg. Sommier et Levier. (Forma nana) — In jugo “Tieberdinski perival , dicto, inter flumina Tieberda et Do-ut, ditionis Kuban. 2500-2600 m. “/m circa; in pascuis alpinis, II, 2 7° 1890, leg. Sommier et Levier. SPECIES 2% T. namum Torr. in Ann. Lyc. N. York 1, 35, t. 3 — Watson in Proceed. Am. Acad. XI, p. 128 — Rothr. PI. Wheeler — Walpers Repert. Vol. I, p. 643 — Dietr. Syn. pl. Sez. IV, p. 1003 — Gray in Am. Journ. Se. II, 33, p. 409. x Questa sottospecie non è europea, ma abita le Montagne Rocciose nell'America Nord. — Potei studiarla sopra pochi saggi comunicatimi dalla cortesia dell’amico Prof. Mattirolo che li ebbe dal Prof. Rothrock di Filadelfia, e raccolti nella regione del Rio Colorado all'enorme altezza di 12000' (1). Il cartellino accompagnante i saggi portava scritto quanto segue: «“ Exploration and Surveys West of the 100 th. meridian — Lieutenant G. M. “ Wheeler Com’ding; Corps of Engineers U.S. Army, Expedition of. 1873 ,. L'aspetto esteriore, la facies del 7. nanum è assolutamente quella del 7. a/pînum, tanto che, osservati così all'ingrosso, si potrebbero scambiare l'uno per l’altro. Ma un esame un po’ attento lascia vedere nel 7. ranum delle particolarità curiosissime, che nel 7. alpinum non si ritrovano. La più essenziale è questa. I germogli scapiferi si originano dai germogli sterili (fogliferi soltanto) all’ascella di una stipola perfetta- mente conformata, e crescono portando delle stipole biancastre scariose, diversamente foggiate da quelle che hanno code e foglioline. Sono cioè senza code, rigonfie, ampie, e si accavalcano le une sulle altre a cagione degli internodii brevissimi; e finalmente ad un certo punto si saldano pei loro lati, formando una specie di collare grande tre-quadri-fido, dal quale spunta il peduncolo o scapo fiorale, che porta due o tre fiori grandi come quelli del 7. alpinum, ma ognuno dei quali ha un secondo colla- retto scarioso-membranoso proprio. Tl calice del 7. nanum ha i denti triangolari, cordati alla base, più brevi del tubo o tutt'al più subeguali ad esso. L’ovario è oblungo-lineare, poliovulato, ed in ciò si distingue anche dal T. alpinum. — Nei saggi esaminati sgraziatamente mancava il legume. Nel resto del fiore le differenze dal 7. alpinum sono quasi nulle. Certamente occorrerebbe un materiale fresco, per poter studiare meglio l’infiore- scenza così strana del T. nanum. Se mi sarà dato di farlo in tempo avvenire, potrò anche meglio stabilire se questa sia una specie od una sottospecie del 7. alpinum stesso. Ma per ciò fare occorrerebbe poter studiare le forme, che crescono a lui vicine sui Rocky-mountains, cosa non troppo facile. Certo è che il 7. nanum appar- tiene alla Stirps Glycirrhizum. N. (Bertol). (1) Il 7. alpinum, come già si disse, venne raccolto ad altezza maggiore (3600 metri nei Pirenei Amagonesi — Wilkomm). Serie Il. Tom. XLIV. L 290 S. BELLI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. 1. Sezione longitudinale di una gemma ipogea di 7. Lupinaster —- a) Stipola del capolino inferiore a' — 6) Stipola del capolino superiore 0" — y Stipole afille senza capolini o rami all’ascella (ingrandimento 20/;). 2. Infiorescenza pseudo-scorpioide di T. Lupinaster — a) Ricettacolo foggiato a palmetta visto pel dorso — 5) Fiori inseriti all’apice organico del capolino spostato in basso e tabescenti (ingrand. ‘/;). 8. Sezione trasversa di una gemina ipogea del 7. Lupinaster passante un po’ al disopra del punto in cui due capolini stanno in boccio — a) cordoni vascolari delle stipoleafille — d-c) Stipole più interne (superiori) disposte secondo la diver- genza !/, — d) Ricettacolo del capolino inferiore — e) Ricettacolo del capolino supe- riore tagliato trasversalmente e ricevente nella sua concavità, l’inferiore del quale si vedono solo due fiori rappresentati da due mamelloni x e x’ (ingrand. circa 9/1). 4. Ricettacolo del 7. Lupinaster foggiato a palmetta ovata coi peduncoli fiorali inseriti all’interno dei due collaretti di brattee, e mostrante il peduncolo sca- nalato @, terminante nella superficie interna è allargata e concavo-pianeggiante (ingrand. 6/,). 5. Ricettacolo come sopra tendente a divenire orizzontale, molto meno schiacciato lateralmente (ingrand. °/,). 6. Infiorescenza in boccio del 7. Lupinaster — a) Stipola inferiore fogliuta avviluppante il capolino a" e contemporaneamente la stipola 8; la quale a sua volta abbraccia il capolino 8' — Il capolino c ravvolto nella corrispondente stipola si applica contro la base del ricettacolo del capolino 2', e tutto questo corpo si applica a sua volta contro la base del ricettacolo del capolino a' — I capolini sono nella figura divaricati e le guaine tagliate per mostrare i punti di pressione reciproca sui ricettacoli e sui peduncoli fiorali (ingrand. 19/, c. c.). 7. Porzione di rizoma sotterraneo del 7. Lupinaster portante due gemme ipogee colle stipole afille, di cui una in via di sviluppo (ingrand. 3/;). È "cc DIARIO DE Ò Tav. I oomo XIV —- asl 3; ENG ere [ (al © ) (al.e J Tio. (e «€ 1 NOMI la id) ro Q ouno, © I! Lit Salussolia-Torino Pi 16. RIVISTA CRITICA DELLE SPECIE DI TRIFOLIUM ITALIANE 291 . T. Lupinaster — Fiore completo. . Vessillo (ingrand. 4/1). . Ala 3 sa . Carena 1 A . Stami È îI . Ovario DI i . Legume ni n . Seme Pe 5 Sezione trasversa di un peduncolo fiorale di 7. Lupinaster. 16i. Porzione ingrandita dello stesso peduncolo che dimostra la differenza di sviluppo soprattutto dei fasci fibro-vascolari nelle due regioni esterna ed interna del peduncolo fiorale — è) Faccia interna — e) Faccia esterna — a) Cuffia di elementi sclerenchimatosi (libro duro) — c) Xilema — d) Regione endoxilare del fascio, rap- presentata da elementi sclerificati in parte ed in parte parenchimatosi, simili a quelli del libro esterno — Nella faccia interna del peduncolo i fasci vascolari sono molto N più piccoli; la cuffia di libro duro è molto meno sviluppata, lo xilem è ridotto ad una sola serie di vasi punteggiati con qualche rara trachea, e nella regione endoxilare mancano quegli elementi parenchimatosi sclerificati rappresentati nella figura alla lettera d nei fasci esterni del peduncolo. 292 i : S. BELLI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. A) T. exòmium Steph. — 1. Fiore completo — 2. Calice aperto — 3. Vessillo — 4. Ala — 5. Carena — 6. Stami — 7. Ovario — 8. Legume. B) 7. alpinum L. — 9. Fiore completo — 10. Vessillo — 11. Ala — : 12. Carena — 13. Stami — 14. Ovario — 14°. Legume — 15. Seme — 158. Asse dell’infiorescenza col mozzicone rudimentale sporgente all’apice. C) T. polyphyWum C. A. Meyer. — 16. Fiore completo — 17. Vessillo — | 18. Ala — 19. Carena — 20. Stami — 21. Ovario — 22. Legume — 23. Seme. x NB. L’ingrandimento in tutte queste figure è circa ‘/, salvo per gli stami nei quali è maggiore. no Tav. Il ERRATA A pag. 237 linea 8 (dal basso) ETA BISON SEZIONE 4 (dall’alto) in nota 7. Lupinaster sottosezione n» 280, ultima nulla. Pona (2) 00,0 ultima la descrisse ..... e la figurò » 289 , 2 (dalbasso)in nota maggiore . i Nota alla pag. 284: CORRIGE ovario T. Lupinaster alla Sottosez. nulla (x). Pona lo descrisse ..... e lo figurò press’a poco eguale Fra le località spagnuole riportate per l’ © Habitat ,, del 7. alpinum havvi la seguente: “ Pyrenées “ Arragon. in pascuis Jugi Puerto de Canfranc. 3600 metr. ,. — Il cartellino di Willkomm portava questa quota altimetrica scritta evidentemente per inavvertenza, poichè, considerando anzitutto che la cima più alta dei Pirenei centrali non raggiunge i 3500 metri, non è poi supponibile che la pianta sia stata raccolta proprio sull’estrema vetta priva di qualsiasi vegetazione. Nota alla pag. 285 : Ho potuto avere dalla cortesia del sig. Burnat di Vevey le seguenti località dove fu raccolto il 7. alpinum, le quali proverebbero come esso scenda a livelli relativamente bassi nelle Alpi ma- rittime: “ Entre les vallées de Cairos et de Ceva près de Fontan (Dép. des Alp. marit. frang.) 1500 m. s/m. “ Près de Beuil (Dép. des Alp. marit. franc.) Herbier Marcilly - 1450 m. s/m. “ Caussols (près de Grasse - France) Abbé Pons in litteris - 1100 m. s/m. , X MOISHOA ATTASCRNI PALA VEN (31 PSRPAEBITESIMPNI FORO SOMBR LO ET CONI BREE Vs RATTO fosskd Lal &ponil ba » sagsotton alla tette di i, aoiezo tue attica DIC Gore dot (ottani Aha i ” fiero altare i Li fee self IMSTIA TTI È ve diuglk di 6 e Ante rinatt al a. SR el prascidiy è VB8 afinnigo. dbog d'eegtgo ti Stage cato ni (osnad'ab) E BA 111, ALE you ati nio aRBUe E raduistrgon ali van soma SV To ore vaga togd Monirgage dla! nia avaro sato 10 iodato NI Saar DOVE oi sh ott lg attrobag tf, 08 asia ottutitme: abito dbiaton ast aradavivani pat str ita niva bio Sendai stop sf ada obidinoggoa toy $ od dante agietgger von Usalisa layer hab site di mavisntapet. aielasi ali atto senta Ho adito: atlansin ghada. dra 1688 «uodk siti AL ottoodat ut sap. atiroof paolina coi WavoV® i desde vane Tab BIRRA saldati Gravi apaii- oi) «fur igrA' alla faryitt Sirornvibalae Mii a Alfa di duo noti tovoreiliop si Ar ao ar OORE at trae ah oi arrolt at ss ) agora said Ho gesti aim 0A 5) Liga ah ssi ) i » % " a Fini ‘ ” da SA È Sano DO EE ppreltifas eo ARA; (doit seretdad #61) sfprsnabi CIRASTARETA) | SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE LE CUI RADICI SI POSSONO RAPPRESENTARE CON x, 0%, 0°x, ..... o a MEMORIA I DI Approvata nell'Adunanza dell’11 Giugno 1893. Se m + 1 è un numero primo, l’equazione seguente | a ISIS +a+1=90, (1) che è quella della divisione del cerchio, oltre ad essere reciproca, è anche abeliana, come è noto. Le sue radici sono i termini della serie a, 09, af, ..... aI (2) nella quale 9g è una radice primitiva del numero primo m +1 ed a è una radice qualunque, diversa da 1, dell'equazione binomia agi a IL (3) le cui radici, salvo 1, son tutte primitive. Inoltre, imaginando divisa in m parti uguali la circonferenza di un cerchio, se le radici (2) si pongano, ordinatamente, nei punti di divisione, risulteranno reciproche quelle E k ubi i; che sono negli estremi di un diametro, per es. 09°, a? (=0,1,2,...,m—- 1), come a suo tempo verrà provato. Quest'ultima proprietà e l’altra precedentemente detta, cioè che ogni radice a, diversa da 1, dell’equazione (3) dà luogo ad una serie (2), i cui termini sono le ra- dici di un’equazione abeliana reciproca, non sono che casi particolari di quel che avviene per alcune radici (ER Ga) Gap obeso 3 o) ; (4) 9294 V. MOLLAME di certe equazioni più generali dell'equazione (3). Se M (x) = 0 è una di tali equa- zioni, con ogni sua radice x appartenente al sistema (4) si può, mediante una deter- minante funzione razionale 6(x), formare la serie 8 O(b E) 000% MOLE) i cui termini sono le radici di un'equazione abeliana reciproca, di grado pari n e per la quale 0* (x) e ot+3 (2) (@=0 1 Bo ass0ì , n — 1) sono radici reciproche. Le radici (4), il cui numero v è multiplo di 7, sono quelle di una equazione F(x)=0, di grado v, con coefficienti razionali rispetto a quelli dell'equazione M (x) =0. In particolare, l'equazione n x6 (1, (5) nella quale » è un numero pari positivo, e n T_1 BI TARALI SE Gar 91 4 dono + % 0 (1) AR n +a è una delle anzidette equazioni. Essa può divenir binomia, ed allora si riduce all’una od all’altra delle seguenti mil1, (6) grant ri (7) nella seconda delle quali i numeri interi e positivi 7 ed DI devonsi supporre dispari. Nel campo delle radici (4) trovansi le radici primitive delle equazioni (6) e (7) (*) allorchè ad una di esse si riduca l’equazione (5). Con le radici primitive dell'equazione (6), o della (7), si può comporre, come è noto, un’ equazione razionale, G (x) = 0, il cui primo membro è perciò un fattore razionale di F (x), quando l’ equazione F (x) = 0 è quella che si ricava dalla (6) o dalla (7). Se f(x) = 0 è un'equazione abeliana reciproca di grado n, le cui radici siano rappresentabili con x, 0(@), 0° (2), ..... , 971 (x), il numero p' nella radice 0! (x), che è reciproca dell’altra radice x,, può essere o indipendente da u, e quindi dalla scelta della radice diretta xy, ovvero variare con u. Dalla prima di queste due ipotesi fondamentali scaturisce una classe di equazioni abeliane reciproche fra le quali trovasi quella della divisione del cerchio: esse formano il soggetto della presente memoria. (*) Per le radici primitive dell’equazione binomia eV = — 1 veggasi la mia Nota, Sulle radici primitive dell'unità negativa (“ Rendiconto della R. Accademia delle Scienze di Napoli ,, Fascicolo 7° a 12°, 1892). SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 295 SIL Sia f(@) = 0 (1) un'equazione di grado x, le cui radici, indicando con x una qualunque di esse, siano rappresentate dai termini della serie Ps ep osso sig (2) nella quale si è posto per brevità di scrittura 0x = 6 [0(2)], 002 = 0(0° 2), ecc. e si è denotata con 0 (x) una funzione razionale di x, tale, che per ogni valore di « che sia radice dell'equazione (1) risulti Pa = @; (3) e Or=Veinoni= 75 (4) qualunque sia il numero v scelto nella serie 1, 2, 3, ...,n—- 1. In virtù delle ipotesi fatte sulle sue radici, l’ equazione (1) è abeliana. Dalla equazione (3) e dalla condizione (4) si deduce poi immediatamente che al numero £, o esponente di ® in 8% x, se x è radice dell’equazione (1), si può aggiungere o togliere un multiplo di x, e che da 0"x= 0” x segue che la differenza fra % e #' deve essere un multiplo di n. La funzione 0(x) si dirà funzione generatrice delle radici dell'equazione abeliana (1). Suppongasi inoltre che l'equazione (1) sia reciproca e, scelta una sua radice 24, ne sia 0 x, la radice reciproca. L’esponente u' di 0 in 0% potrà essere o indi- pendente da u, cioè dalla scelta della radice %,, o variare con questa. Dalla prima di tali ipotesi fondamentali nasce una classe di equazioni abeliane reciproche che formano il soggetto della presente memoria e che, per brevità di linguaggio, si diranno equazioni abeliane della classe (1). Sia x una radice qualunque dell’ equazione (1), supposta abeliana e della classe (I), e 6Vx, ne sia la radice reciproca: sarà v indipendente da x; e però se nella serie (2) si imagini che all’ultimo termine segua il primo; come al primo segue 296 V. MOLLAME SÙ il secondo e così via, le radici reciproche seguiranno ad intervalli uguali le radici dirette; e, come applicando v volte l’ operazione 8 si passa dalla radice x alla radice reciproca 0”x, così applicando v volte la stessa operazione alla radice 6x si passerà da 0" x alla radice reciproca di 6” x, cioè si tornerà alla radice x. Si ha quindi 2v = e perciò 2v deve essere un multiplo di n. Or essendo v uno degli esponenti di 6 nella serie (2), si ha v + 1 equazioni x0%x=1 dee te = 1 a (4 0°” pi, = Il 02r0"xax=1; le quali mostrano immediatamente: 1° che se «' è una loro radice comune, sarà pur tale ciascuna delle quantità 02%, 0°2", ..... ,,0%7 e; 2° che 0" x' riproduce, #', 3° che 300 Vs MOLLAME SUI Ù n glo Fitoa c 0065 Se: le radici 6" x" e 0? x' sono fra loro reciproche. In conseguenza di ciò, se » è il più piccolo degli esponenti v di 9, per i quali si ha 0Yx'=%', allora i termini della, serie saranno le radici di un’equazione f(x) = 0 di grado n, abeliana e della classe (I). Per la composizione di un’equazione della specie di f(x) = 0 è dunque mestieri innanzi tutto che la funzione razionale 0 (x) sia determinata in guisa che le 5 +1 equazioni (4) abbiano una radice comune. Al sistema (4) può sostituirsi anche il seguente gag = il 0x petueS 1 Ha lg Eq (5) I Va Ils LC giacchò per ogni radice x comune alle equazioni (4) si può in quelle sostituire a 0? x la quantità eguale =, tratta dalla prima di esse, ed allora il sistema (4) si riduce al sistema (5). Viceversa dal sistema (5) si deduce il sistema (4) col sosti- tuire nelle equazioni che seguono la prima delle (5) ad = il suo valore 0 ? x tratto da quella equazione. Il sistema (5) è più semplice del sistema (4), se si tien conto del numero di volte che devesi applicare l’ operazione 0; essendo tal numero nel sistema (5) minore di quello relativo al sistema (4). Esprimendo che le vi + 1 equazioni (5) hanno una radice comune, si ottengono, al più, > equazioni diverse, razionali nel campo dei coefficienti di 0 (x), alle quali soltanto devono soddisfare i coefficienti di qualunque funzione 0 (x) razionale in «, se essa si voglia assumere come funzione generatrice di un’ equazione di grado x abeliana e della classe (1). Sul grado della funzione 0 (x), se essa è intera, o sui gradi del numeratore e del denominatore di 0 (x), se essa è frazionaria, si può notare quanto segue. Sia 0 (x) funzione intera di x, per es. 9) tana IRA + aa; sarà 0(x) del grado r” ed x?” ne sarà il termine di minor grado. SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 301 gita Perciò in 0 (3) il numeratore è di grado 7” — p‘ ed il denominatore di grado 7”. Adunque, se per brevità di scrittura si rappresenta con (u, w') una fun- zione algebrica fratta della quale u e w' sono i gradi del numeratore e del deno- minatore, si avrà (2) = (, 0) gv (1) ms (N—- p, e). Per la qual cosa, i gradi delle equazioni (5), ridotte a forma intera, sono dati, ordi- n natamente, dai numeri r ? + 1, 2r — p, 2r° — p’, ecc. Quindi, affinchè le radici col dorici NIC, , 071 a' comuni alle equazioni (5) possano essere fra loro disu- guali, è necessario che o nessuno dei precedenti gradi sia minore di x, la qual cosa importa che sia x > 1, come è chiaro, ovvero che si convertano in identità quelle equazioni i cui gradi risultano minori di x. Ora si ha n n p2r 2 PE = LAMIERA REA DA en e) Si E RSI papa] RSS x DS e]° . n ex . . dove e è una quantità positiva diversa da zero, se von 2: e perciò risulta in tal caso n vr? ea Si Se in questa relazione ad » — 1 (= 1) si sostituisce 1, si ottiene l’altra piIS4g di e quindi si conchiude che raLb1i=n +1, dove il segno = si riferisce solo alle ipotesi (£ —2,r= 2) 7 (£ =, e= 2). Adunque il grado della prima delle equazioni (5) non è mai inferiore ad x. Delle equazioni rimanenti poi, la seconda è quella di grado minore: giacchè i gradi di tali equazioni, per p= 7, sono dati dai numeri crescenti x, r°, 7°, ecc. e per p < r, dall’identità RAG A i) a boota iI) 302 V. MOLLAME 83. segue che al crescere di v cresce la differenza r” — p” e quindi cresce vieppiù l’altra differenza 2” — p‘; sicchè i gradi delle equazioni che seguono la prima delle (5) sono sempre crescenti, e la seconda di dette equazioni ha perciò il grado minore, 2r — p. 0 dunque deve essere 2r — p = n, ovvero, se dr p< n e le predette x radici 2’, 02’, 0° e", ..... , 07 e' sono fra loro disuguali, deve la seconda delle equazioni (5) convertirsi in una identità; nel qual caso avverrà altret- tanto di tutte le equazioni che seguono quella, in virtù della proposizione enunciata in fine del $ precedente; ed allora la funzione intera 6 (x) deve avere per espressione quella riportata nel detto $. Tale espressione intanto non può ridursi a forma intera se non poro =@=..... = -1=0: in tal caso si avrà 0(x) = Ea" e la prima delle equazioni (5) diverrà un'equazione binomia, x? = + 1. In conseguenza le radici x, 00, 0%, ..... , 01 a' di essa, cioè di f(x) =0 sono radici dell’unità reale, positiva o negativa. Si conchiude perciò che Se 2r — p< n, la funzione intera UMANA NINO + ap? si può solo allora assumere come generatrice di un'equazione £ (x) = 0, abeliana, della classe (1) e di grado n, quando an= ap1=..... &-1= 0 eda = £ 1; cioè quando quella funzione si riduce alla potenza x. In tal caso le radici di £(x)=0 sono radici dell'unità reale, positiva 0 negativa. Sia 0 (x) una funzione frazionaria, per es. __ &0+ar12%1+..... + | fr (@) e) = Ue ar Mate apicaro + ta È gs ®)_|° I gradi y ed s non si possono supporre entrambi uguali ad 1; altrimenti le equazioni (5) risulterebbero tutte del secondo grado. Ora si ha: 2 Wp fr” + Url ina gs + 0:00.00 + do gs” sr. o (2) DI bs fr5 + bs1 fasi Is + BISI + do gsì Is A e quindi, se è r > s, la potenza g;*-” figurerà nel denominatore di 0*(x) con l’espo- nente positivo r—s. In tal caso il numeratore di 6°(x) risulta di grado 7°, rispetto ad x, ed il denominatore di grado 2rs — s°. Se invece è r = s ed a,, &, non=0, il numeratore ed il denominatore di 0°(x) risultano entrambi di grado s°: sicchè si avrà, secondo la precedente notazione 0(2) = (r, 3) 0°) = (1°, 2rs— s°), r=>s 8°) I ($°, 3°), rs=8 SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 303 838. Siccome poi con x» =>s si ha pure 2r —s > 1, cioè 2rs— s° > s ed è in ogni caso 7° > 2rs — s°, così ponendo 8) = @', 5°), si ha che da @(x), con la condizione r = s, si arriva a 0°(2)[=(7', s')] dove è pure verificata la condizione 7' = s', la quale perciò sarà verificata in 0*(x) per qualunque valore intero e positivo di v. Oltre a ciò, come a motivo di r = s in 6(x) si è avuto r>r ed s'> s, così da 7 => s' in 0°) si avrà 71" > w' ed s"> s' in 60%) e così via. Si ha pure, per @, 6, non = 0 9 (+) — (nn) | r>s e) il) \ 0 (+) Z (6.8) rss (= 60 | e si può quindi conchiudere che il grado del numeratore e quello del denominatore di 0” ( +) sono uguali fra loro e crescono con v, così come avviene in 0*(x). Adunque di la seconda delle equazioni (5), anche nel caso che 0(x) sia una funzione fratta per la quale @, è, non = 0, è quella che ha il minor grado fra le equazioni che seguono la prima. Tal grado è dato da 2r se r = s, ovvero da 2s se s=yr. Quindi se le radici x', 0x', 0°", ..., 0"-1x' comuni alle equazioni (5) debbono essere fra loro disu- guali, è necessario che il grado 2, o 2s, della seconda di quelle equazioni non sia minore di n. Nel caso contrario, cioè quando il maggiore dei numeri 7 ed s, o uno di x essi, se sono uguali, è minore di PI la seconda delle equazioni (5), e come conse- guenza tutte le rimanenti, debbonsi convertire in altrettante identità. La funzione 0(x) in tal caso sarà quella determinata nel $ precedente; in essa i coefficienti «, ed a, devonsi supporre diversi da zero, altrimenti o il numeratore, o il denominatore di 6 (x) sarebbero privi del termine indipendente da x, ciò che in principio si è per ipotesi escluso. Si conchiude adunque che: Supponendo a, bo non = 0, se è r = s, la funzione ad tane 14 ..... + bs 0° + be + ..... + do ? . * . n . . . DINO . nell'ipotesi di r, 8 < ‘> Mon può assumersi come funzione generatrice delle radici di un'equazione abeliana di grado n e della classe (1). Ciò può farsi 0 quando il maggiore . . . ». n . dei due numeri r, 8 non è minore di >, ovvero quando r=s. In. quest’ultimo caso deve 304 V. MOLLAME 859 CSSCRCNDTI—N=NA TINA , bo = £ a, convenendosi di prendere costante- mente Vuno 0 l’altro dei segni £. In particolare se 0(x) sia stata determinata in guisa che le equazioni (5) abbiano una radice comune e che qualcuna di quelle equazioni risulti di grado n, essa sarà ‘un'equazione della specie di f(x) = 0, purchè non abbia radici uguali. In generale, dopo aver determinata la funzione 0(x) in modo che le equazioni (5) abbiano una radice comune, sia M(x) il massimo comun divisore dei primi membri di quelle equazioni ridotte a forma intera e con uno dei membri uguale a zero. Con ogni radice dell'equazione M(x) = 0 si può formare la serie CCM O Or nella quale è ox! —_ x ox! gta dg = Is e però se nella precedente serie avviene che 0"x' è il primo di quei termini che riproducono x’, saranno x’, 04%, 0°2', ..., 0" radici di M(x) = 0 con le quali si può comporre un’equazione di grado x, della specie di f(x) = 0. Se dunque si sop- prime da M(x) = 0 ogni radice «” per la quale nella serie x", 04”, 6°x”,... non è 0"x" il primo di quei termini che riproducono x”, l’equazione cui si perviene sarà decomponibile in equazioni che hanno i caratteri di f(x) = 0 e che sono tutte quelle che nascono per effetto della determinazione ricevuta dalla funzione generatrice 0(x). Per sopprimere dall’equazione M(x) = 0 la radice x”, comune a tutte le equazioni (5), basterà sopprimerla da una qualunque di esse. A tal fine è sufficiente sopprimere da una delle equazioni (5) ogni sua radice x che sia comune a qualche altra di dette equazioni e per la quale si abbia 0”x = « per n' < n. Scelgansi, per es., la prima e l’ultima delle (5), 0, ciò che è lo stesso, le equazioni (3) e (2). È facile vedere innanzi tutto che una radice x comune alle equazioni (8), (2) ed a qualche equazione, s0Za — I (6) n 9) primersi da una delle equazioni (3) e (2), per es. dalla (3): giacchè per una tale radice risulta della stessa forma della (8), ma con un esponente n di 9 minore di è da sop- Po = (7) con n' < n. In effetti, per ogni radice x comune alle equazioni (3) e (6) risulta si a 2 OPiri Oc: (8) SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE: 305 $ 3. n n or applicando una volta l’operazione 0? ed un’altra l’operazione 0? ad ambo i membri della (8), e tenendo presente l'equazione (2), che per ipotesi è pur essa verificata dalla radice « in discorso, si avrà, rispettivamente, e dal confronto di queste due equazioni si ottiene la (7). In generale, nella presente quistione basta considerare quelle soltanto delle equazioni (6), nelle quali n’ è un divisore (pari) di n, minore di n, che dà un quo- ziente dispari. Sia infatto x una radice delle equazioni (3) e (2) che verifichi anche qualche equazione della forma (2) ma con un esponente di 0 minore di n. Di tali equazioni sia Pe = @ ‘(9) quella nella quale @ ha il più piccolo esponente: in tal caso dovrà essere @ un di- visore di n; altrimenti, posto x = av + w, dove ve u sono il quoziente ed il resto della divisione di x per @, l'equazione (2), cioè la seguente Ce = 45 per ogni sua radice che soddisfi anche la (9) diviene Ma = e questa, essendo pu < a, mostra non esser la (9) quella fra le anzidette equazioni x nella quale è @ il più piccolo esponente di 9, ciò che è contro l'ipotesi. Adunque essendo u = 0 ed n» = av, l'equazione (3) può scriversi dra = IL (10) IS . . . O v è Il numero v può essere pari o impari; nel primo caso, essendo 7 un multiplo di 4, l'equazione (10), cioè la (3), per ogni sua radice che verifichi anche la (9) si si riduce alla seguente sd E i NL (11) e si conchiude che se a è un divisore di » che dà un quoziente pari (in particolare se a == 1) le radici che le equazioni (3) e (2) possono avere comuni con la (9) sono le radici + 1 o — 1 dell’equazione (11). Tali radici devonsi perciò sopprimere dall’e- Serie Il. Tom. XLIV. ni 306 V. MOLLAME 88. quazione (3), quando vi siano. Sicchè nell'equazione (9) è da considerarsi solo il caso in cui @ è un divisore di » che dà un quoziente dispari v. Sia v = 25 +4 1; in conseguenza @ deve essere pari. L'equazione (10), cioè la (3), si può scrivere 1a GE = IL e questa, per ogni sua radice che verifichi anche la (9), diviene la seguente (2) ada — dl (12) nella quale, come fu detto, a è un: divisore (pari) di n, minore di 7, che dà un î i È QAS a 5 5 5 È quoziente dispari; ovvero nella quale Di è un divisore di 7, minore di Di che dà un quoziente pari. Si può ora enunciare il seguente Teorema. — La funzione razionale 0(x) sia tale che le Di + 1 equazioni (5) [o (4)] abbiano una radice comune. Dall’equazione (3) si sopprimano tutte quelle radici che essa ha in comune con altre equazioni della stessa sua forma ma con esponenti di 0 minori di Di e O(x) = 0 sia l'equazione che ne risulta. Ridotte a zero ed a forma intera le equazioni O(a) = 0 e quelle che seguono la prima delle (5), sia F(x) dl mas- simo comun divisore dei loro primi membri; l'equazione IG) = 0 (13) sarà decomponibile in equazioni di grado n, abeliane e della classe (1); per le quali 6(x) è la funzione che genera le radici. Se si sopprimono dall’equazione (3) le radici 4-1 e —1, quando vi siano, allora delle anzidette equazioni aventi la forma della (3), ma con esponente di 8 minore di 3» basterà prendere in esame quelle soltanto nelle quali, come nella (12), a è un divi- sore (pari) di n, minore di n che dà un quoziente dispari: cioè quelle nelle quali l’espo- nente di 0 è un divisore di n, minore di 3. chè dà un quoziente pari. Non esistono altre equazioni abeliane della classe (1) oltre quelle ottenute nell’anzi- detto modo. SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 307 $ 4. Il caso in cui la funzione 0(x) sia tale che le $ equazioni che seguono la prima delle (5) del $ precedente diventino identità, vien preso in esame nel presente $. Sia dunque la funzione 6(x) determinata in guisa che le equazioni ex 8) = i ni (o=% OE) diventino altrettante identità. In tal caso il sistema (5) del $ 3 è verificato da ogni radice a’ dell'equazione non identica n ca. = I, (2) che è la prima di quel sistema; e quindi con la radice x' e con la funzione gene- ratrice 6(x) si può comporre un'equazione abeliana della classe (1), che sarà di grado x se nella serie x’, 0", 0°’, ecc. è 0" il primo dei termini che riproducono a’. Per la formazione di tale equazione e delle altre analoghe deducibili dalla (2) già provvede il teorema poc'anzi enunciato, nel quale l’equazione F(x) = 0 è quella che si ottiene sopprimendo dall’equazione (2) tutte quelle radici che sono considerate nel citato teorema. Or affinchè riescano identiche le equazioni (1) è sufficiente che la prima di esse si riduca ad un'identità, secondo quel che fu detto nel $ 2, nel quale fu data anche l’espressione che deve avere 0(x) nel caso in discorso: e però si ha il seguente Teorema. — Sia CEE Sii RISS0O aac aa + wet + ..... + are + ar.” 0(x) = se dall’equazione lo = Il si sopprimono tutte quelle radici considerate nel teorema del $ 3, l'equazione rimanente Fx) = 0 sarà decomponibile in equazioni abeliane di grado n e della classe (1), per le quali è 0(x) la funzione generatrice delle radici (*). i È (*) Le radici dell'equazione 20°x = 1, non appartenenti ad altre equazioni della stessa forma ° . e () O O duo è . della precedente e con esponente di 9 minore di —-, potrebbero denominarsi radici abeliane di 308 V. MOLLAME $ 4. L'equazione (2), se 0(x) ha per espressione quella indicata nel teorema prece- n dente, è di grado 7? + 1. Essa, se la formola che dà @(x) si prende col segno +, ha la radice x = 1, qualunque sia +; ha inoltre la radice «x = — 1 se r è dispari. Imperocchè essendo attualmente 0%x gel = 1, identicamente, ne segue che 02% avrà un'espressione della stessa forma di quella della funzione 0 (x) determinata nel $ 2; quindi l’equazione (2) potrà mettersi sotto la forma seguente r(b:e + braet +... toa + bi) Dai 7) = A Api iL) (s Tu e sarà verificata da x = 1, se si prende il segno + nel primo membro, qualunque sia il valore di s e quindi di 7: se poi s, e quindi r, è impari quell’equazione, nel- l'ipotesi del segno +, sarà verificata anche da x = — 1. Se poi si sceglie il segno — nel primo membro dell'equazione precedente, essa. ha la radice x = + 1, o l’altra x = — 1, secondo che r è dispari o pari. Così, posto == = ax di ber +c, O TT È | + le equazioni biquadratiche seguenti (ax — e) P? + bla — 1) PQ + (ce — a) Q? ax— 1 (ax + c)P° 4 ble 41) PQH (ce +aQ? _ 0 x + 1 Pat sono abeliane della classe (1) ed hanno per funzione generatrice delle loro radici 0) =] + co [=] — i rispettivamente. ordine n di quella equazione. Con ciascuna di tali radici può comporsi un’equazione abeliana di grado 7 e della classe (I). Nel campo di queste radici trovansi le radici primitive dell’equazione in discorso, quando essa si riduce ad un’equazione binomia, come sarà in seguito dimostrato. n Le rimanenti radici dell’equazione #0%x = 1, salvo +1, —1, appartengono ad equazioni della a forma x08°x = 1 dove a è un divisore di n, minore di x, che dà un quoziente dispari [$ (3)]; e però se 2 è della forma 2#, e solo allora, le radici dell'equazione in discorso, che diviene 1 x0 x= 1g sono tutte abeliane, tranne 4-1, 0 —1. SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 309 $ D. Alle equazioni abeliane della classe (I) considerate nel $ precedente apparten- gono, come caso particolare, quelle le cui radici sono radici dell’unità, positiva, o negativa. Per l'indagine di tali equazioni è necessario ricorrere ai teoremi (A) e (B) che seguono. Teorema (A). — In ognuna delle equazioni binomie gio = Il (1) e = 1 (2) se una radice, x», è funzione razionale di un’altra, x, sì potrà esprimere x» come po- tenza con esponente intero e positivo di xy. In effetto se a è una radice primitiva dell’equazione (1), si potranno esprimere x, ed x, come potenze di a, con esponenti interi e positivi, siccome è noto. Sia m=, = (8) si avrà allora L Cz MP; (4) e quindi se x» è funzione razionale di x, dovrà essere q multiplo di p: per es. q = pr; in tal caso la relazione (4) diviene - Lo = RE (5) ed il teorema precedente rimane dimostrato per l’equazione (1). Hstesa poi la definizione di radice primitiva dell'equazione (1) anche all’equa- zione (2) si ha che: Se a è una radice primitiva dell'equazione (2), è termini della serie esprimono tutte le radici dell'equazione (2) (*). In conseguenza le relazioni (3) relative all’equazione (1) e le altre (4) e (5) che da quelle scaturiscono sono vere anche nel caso dell’equazione (2). Dopo ciò il pre- cedente teorema rimane provato anche per l’equazione (2). (*) Questo teorema trovasi dimostrato nella “ Nota ,: Sulle radici primitive dell'unità negativa, già innanzi citata. Tale nota, alla quale spesso si ricorre nella presente Memoria, sarà detta, per brevità, Nota A. i 310 V. MOLLAME 8 5. d Il numero intero r (=%) nella relazione (5) può risultare maggiore di m, nel caso dell'equazione (2); giacchè gli esponenti p e g variano da 1 a 2m — 1. In tal caso se per es. è r=m+-7', la relazione (5); ponendovi —1 in luogo di x” diviene ta RI (6) Suppongasi ora che la funzione 6(x) sia stata determinata in guisa che le equa- zioni (5) del $ 3 abbiano una radice comune x: esse avranno comuni anche le radici 0x, 6°x, ecc. In virtù della detta determinazione, 0(x) assuma una forma tale che l'equazione n x0%x = 1, (7) cioè la prima delle (5) del $ 3, si riduca ad un’equazione binomia: ciò che può x n avvenire solo se 0?2x è una potenza di x, per es. se n 2 Ola = ar In tal caso l’equazione (7) diviene rissa (77) e siccome se x è una radice della precedente equazione, cioè della (7), anche 6(x) è radice della stessa, così a motivo delle relazioni (5) e (6) alle quali ha dato luogo il teorema (A), la funzione razionale 0(x) che esprime una radice dell’equazione bi- nomia (7’) mediante un’altra x può mettersi sotto la forma @ = ==. (8) dove r è un numero intero che si può sempre supporre minore di v + 1. E però da una parte le equazioni che seguono la prima delle (5) del $ 3 attual- mente diventano tutte identiche, per virtù della forma (8) di 6(), e dall’altra l’espres- sione di 0(x) rientra in quelle che emanano dalla formola (7) del $ 2. Adunque l'equazione F(x) = 0 considerata nel teorema del $ 4 è decomponibile, presentemente, in equazioni abeliane della classe (I) e di grado , le cui radici sono tutte radici d’un medesimo indice o dell’unità positiva o dell’unità negativa. Viceversa poi se 6(x) assume la forma (8), allora l'equazione (7) si riduce ad un’equazione binomia e precisamente alla seguente "+11, 0) se nella (8) si sceglie il segno -+; e se invece si sceglie il segno —, si trova che SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 811 85. n 2 — (— 1)Ear® 0 dove 1 G SL pie eee pn e che l'equazione (7) si cangia nell'altra n ie . la quale non è diversa dall’equazione (9) se e è pari, cioò se r è dispari ed 5 è pari. La precedente equazione è invece diversa dalla (9) se e è dispari: nel quale caso essa diviene e41—_ 1 (10) Sorge qui l'opportunità di considerare separatamente le due ipotesi di r dispari o pari. Se r è dispari, allora e che è somma di £ numeri dispari risulterà dispari solo pari, 3 P quando ni è pur tale. Se r è pari il numero e è sempre dispari qualunque sia x. Adunque prendendo | il segno — nell’espressione (8) di 6(x) si otterrà dalla (7) l'equazione (10), invece della (9), solo allorquando è r pari, ovvero r ed 3 sono entrambi dispari. Oltre alle equazioni abeliane della classe (I) aventi per radici le radici dell’unità positiva o dell'unità negativa, e che si ottengono come poc'anzi fu detto, non ne esistono altre. La verità di questa asserzione poggia sul seguente Teorema (B). — Se una radice x; dell'equazione ap = a il è funzione razionale di una radice x» dell’altra equazione GENZAZZINI dovrà essere X, una potenza, positiva 0 negativa, con esponente intero, di xs. In fatto da si deduce che 312 V. MOLLAME $ 5. Ù en = Gia e che Se dunque x, è funzione razionale di x, deve essere w' multiplo di m. C.D. D. Segue dal precedente teorema e dal teorema (A) che se un’equazione f(x) = 0 ha per radici i termini della serie 6 (o Caos oo Oa (072 = 2) nella quale è 6(x) una funzione razionale di x, e se x e 0(x) sono radici dell’unità positiva, o negativa, dovrà essere 0(x) una potenza positiva, o negativa di x: e però 6(x) dovrà avere un'espressione della forma (8). Quindi l’equazione 0"x = « alla quale deve soddisfare ogni radice di f(x) = 0, diviene l'una o l’altra delle seguenti dra ale To DEI le quali provano che le radici di f(x) = 0 sono tutte radici con uno stesso indice, o dell’unità positiva, o dell’unità negativa. Inoltre, se l’ equazione f(x) = 0 è reciproca, allora la (7), alla quale devono pur soddisfare le radici di f(x) = 0, diviene l’equazione (9), o l'equazione (10). Si può quindi conchiudere il seguente Teorema I. — Le equazioni abeliane della classe (1) e di grado n che hanno per radici le radici dell'unità positiva, o negativa, sono quelle sole che si possono ottenere o mediante l'equazione binomia (9), qualunque siano i numeri interi e positivi r ed n, 0 mediante l’equazione binomia (10) allorchè r è pari, oppure allorchè r ed 5 sono entrambi dispari. Il processo dichiarato nel teorema del $ 3 sull’equazione generale (3) di quel $ serve a comporre le equazioni menzionate nel teorema precedente; ed a tal fine quel processo verrà in seguito sottoposto ad ulteriori considerazioni. Per le equazioni che si ottengono mediante la (9) la funzione 0(x) generatrice delle radici è espressa da 2", qualunque siano r ed oÉ se poi r è dispari ed > è pari, allora 0(x) può avere per espressione sia x" che —". Per le altre equazioni ottenute mediante la (10), nella quale deve essere 7 pari, ovvero r ed 5 entrambi dispari, la funzione 0(x) è espressa da —a". In particolare suppongasi che n + 1 sia numero primo, ed r ne sia una radice primitiva: sarà allora e Il (ni mod. (n 4 1) e quindi SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 313 805. ro 1 = multiplo (n + 1), ossia (,3 + 1) (,3 _ 1) = multiplo (n + 1). Il numero x + 1 dovendo dividere il primo membro della precedente egua- glianza e non potendone dividere il fattore to, — I, altrimenti non sarebbe r radice primitiva di x + 1, dovrà quel numero dividere l’altro fattore po + 1. È dunque Pe) + 1 un multiplo di n + 1: e però ogni radice dell’equazione cia è radice anche dell’equazione (9). Le radici dell’equazione «"*! — 1, diverse da 1, possono esprimersi, come è noto, con e sono le radici dell’equazione CL +... +ta+1=0 che è quella della divisione del cerchio in n + 1 parti uguali. Tale equazione, reci- proca per la sua forma, ed abeliana per la forma delle sue radici, appartiene alla î 2 È h TI È si î classe (I): giacchè per ogni radice x" di essa, o dell'equazione «** == 1, risulta (o) b) b) essendo r7 + 1 multiplo di x 4 1: perciò si ha y(X) = +3 ($ 1). Dunque 7’e- quazione della divisione del cerchio è una delle equazioni abeliane della classe (1) che sì possono ottenere dall'equazione (9) quando r esprime una radice primitiva del numero primo n + 1. Le ulteriori considerazioni che seguono in questo $. servono a semplificare in parte il processo di composizione delle equazioni alle quali si riferisce il teorema I. Sia x una radice dell’equazione (9): le quantità GI Uto (11) sono anche radici di quella equazione e deduconsi l’una dall’altra, ordinatamente, mediante l'operazione espressa da [0(x) =]x". Se r è pari, e quindi 7? + 1 è di- spari, le radici dell’equazione (10) sono uguali ed opposte a quelle dell’equazione (9): perciò, posto —x = x,, ne segue che come le quantità (11) sono radici della (9), così le altre quantità Serie II. Tom. XLIV. o! 314 V. MOLLAME 85; che sono eguali ed opposte alle quantità (11), e deduconsi l’una dall’altra mediante n l’operazione [0(x,) =] — x, sono radici dell'equazione (10): e se avviene che 2° = x, R. ti Dr per k=%»n e non per K < n, e che x. x = 1, avverrà pure che — x, = 2, per k atei Di . . DS N . k=n e non per t < n, e che wr. ar = 1. Si conchiude perciò che se 7 è pari e mediante la funzione generatrice [0(x)=]|", applicata ad una radice x dell’equa- zione (9), si è potuto comporre l’equazione abeliana f(x) = 0 di grado » e della classe (1), l’altra equazione che si può formare con la radice —x(= x) della (10) e con la funzione generatrice [0(x,)) =] —x è pure abeliana, della classe (1) e di grado » ed è data da f(—x)= 0. Questa equazione è sempre diversa dall’altra f(@) = 0; altrimenti f(x) = 0 dovrebbe avere radici uguali ed opposte, ciò che è impossibile, giacchè le radici di f(x) = 0 appartengono alla (9), e questa, essendo di grado dispari, non può avere radici uguali ed opposte. Si ha quindi il seguente Teorema IL — Se r è pari e con una radice x dell'equazione (9) si è potuto comporre l’equazione f(x) = 0 adeliana, della classe (1) e di grado n, avente [60(&)=]x" per funzione generatrice delle sue radici; con la radice —x(=x;) della (10) sì potrà comporre un’altra equazione abeliana della classe (1) e di grado n, nella quale è [0()=]|—xi la funzione generatrice delle radici. Questa equazione è espressa da f(-x)=0 ed è sempre diversa da £(x)=0. Nel caso di 7 pari è quindi inutile il prendere in considerazione l’equazione (10), basta solo associare ad ognuna delle equazioni f(x) = 0 dedotte dalla (9) l’altra equazione f(—x) = 0. Sia ora 7 impari, e quindi »® + 1 pari; l’equazione (9) ha le sue radici a due a due uguali ed opposte. Mediante la radice « della (9) e con la funzione genera- trice [0(x) =]|x" si supponga formata l’equazione abeliana g(x) = 0 della classe (I) e di grado 7, le cui radici sono perciò i termini della serie seguente n Ci aa isla uti oi (12) Con l’altra radice —x (= ;) dell'equazione (9) e con la funzione generatrice [0(x.) =] si ottengono i termini dell’altra serie o 2 Li; dig xi gra ox0t07o ’ x” 3 (13) b+ . x kon È e come avviene che 2° = x per 4= n ma non per £< , e che 2”. a =], così (SIE) % k avverrà pure che x° = x, per k=» ma non per k< n, e che a/.xf °=1. I termini della serie (13) i quali sono uguali ed opposti ai loro corrispondenti nella serie (12) sono dunque radici di un’equazione g(—x)= 0 che si trova nelle stesse condizioni di g(x) = 0. Le due equazioni g(a)= 0, g(—x)=0 sono sempre fra loro diverse: altri- menti l’equazione g(x) = 0 dovrebbe avere radici uguali ed opposte: dovrebbero cioè Si DIR en Da SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 815 $ d. i termini della serie (12) essere a due a due uguali ed opposti: ora ciò non può avvenire. In effetto se fosse k dr = @ (14) ne seguirebbe che 2k k cl ii at È sa a ci 6 Ò È n_ 3003 giacchè essendo x radice della (9), sarà pure radice dell’ equazione a" 1 = 1, cioè n n . . . N sarà &«=2". Per la qual cosa dovrebbe essere 2% multiplo di n; e siccome è £# < x, così potrà essere solo 2% = n. In tal caso, insieme all’equazione (14) che diviene 2 = Ale XL 5 1 6 6 +) 6 ; si dedurrebbe che —x = mu È cher = li= (1): IE Da x = £ è segui- \ / rebbe poi che 2° = x, se r è della forma rx = 4p + 3, oppure x" = «, se r è della forma.» = 4p + 1: in conseguenza essendo anche e = ed x” il primo dei termini della serie (12) che riproducono x si dovrebbe avere o n = 2, od n= 1, in conformità di 2° = x o di x = x. L'ipotesi di n = 1 non è ammissibile : quella di n=2 fu già precedentemente esclusa, perchè non offre nulla degno di nota, quindi la supposta relazione (14) non può sussistere. Nè parimente può sussistere 1’ altra relazione più generale gui di ap giacchè da essa si dedurrebbe che = rg e si ricadrebbe in una relazione della forma (14). Le equazioni g(x)= 0, g(-@)="0 sono dunque sempre fra loro diverse. Tenendo ferma l’ipotesi di y impari, si supponga che x sia multiplo di 4. Se i termini della serie (12) si prendono con segni alternati, si otterrà l’altra serie TT n (15) i cui termini sono tutti radici dell’equazione (9) e si ottengono l’uno dall’altro me- diante l'operazione [0(x)=]—". Essi, inoltre, sono radici di un’equazione (x) = 0 che è abeliana, della classe (1) e di grado n. Per dimostrare ciò basterà far vedere che COSA (06) 316 V.'MOLLAME $ 5. per & = » ma non per £ < n, e che Tapi 2 [EL (02.0 =) ipa I (17) Ora, per k=n la (16) diviene «° = x, ed è verificata giacchè x è il primo termine della serie (12): per X < » la (16) si riduce all’una od all’ altra delle se- guenti relazioni, secondo che % è pari o dispari a = (E <%) N xy delle quali la prima non può verificarsi, altrimenti i termini della serie (12) non sareb- bero tutti fra loro disuguali come si è supposto, e la seconda non può neppure verificarsi altrimenti fra i termini della serie (12) dovrebbe sussistere la relazione (14) ciò che si è dimostrato impossibile. La relazione (17) poi, essendo per ipotesi ni pari, si riduce alla seguente k Do r 2 (7 +) =I che è un’identità, giacchè « è radice dell’equazione (9). L’equazione 4(x) = 0 tro- vasi dunque realmente nelle predette condizioni e quindi, nell'ipotesi di y impari, si ha il seguente Teorema III — Se r è impari e con una radice x dell'equazione (9), mediante la funzione generatrice [0(x) =]|x" si è potuto comporre l'equazione abeliana g(x)=0, della classe (1) e di grado n, l’altra equazione g(—x)=0 formata con la radice —x(=x;) della (9) e con la medesima funzione generatrice [0(x) =] x, sarà pure ein abeliana della classe (I) e di grado n. E se, oltre ad essere r impari, è 3 pari, l'equazione h(x)=0 formata con la stessa radice x ma con la funzione generatrice [0(x)=]—x' sarà anch'essa abeliana della classe (I) e di grado n. Nell'ipotesi di 7 dispari devesi però prendere in considerazione anche l’equa- zione (10), se vi è pure dispari (Teorema 1). ni SIIT ZA ILE x _ SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 317 $ 6. Teorema I. — Se x è una radice primitiva dell'equazione CAI (1) st avranno le seguenti proprietà: a) Ze n quantità CANTA AES SONG ag (2) sono radici di un'equazione abeliana della classe (I) e di grado n; b) Le stesse quantità sono tutte radici primitive dell'equazione (1); c) Le altre n quantità 2 o n-l , COAZIO, DO A ZIE (2) formate con una radice primitiva dell'equazione (1), non compresa fra le (2), sono tutte disuguali alle quantità (2) e fra loro. a) Ogni radice x dell'equazione (1) è pure radice dell’altra equazione dCi=1, (8) giacchè 7" — 1 è multiplo di r® + 1. Or l’equazione (3), messa sotto la forma se- guente, mostra che per ogni radice x dell'equazione (1) v'è sempre un qualche esponente v per il quale risulta vidi 97 (4) cioè a-1= 1 (5) Intanto se la detta radice x è radice primitiva dell’equazione (1), dal confronto di tale equazione con la (5) risulta che 7" — 1 deve esser multiplo di r® + 1, cioè deve essere r=1 mod. (ji +» i i (6) 218 V. MOLLAME 8 6. sia un numero intero, è necessario e sufficiente Or affinchè il quoziente 7 +1 che v sia multiplo pari di vi cioò un multiplo di n, per es. v = pn: ed allora si | conchiude che il più piccolo valore di v nella (4) e nella (6) è n. Di qui segue im- — mediatamente che le quantità (2) sono tutte fra loro disuguali; altrimenti da go = Uk< seguirebbe che (se % > #') e non sarebbe x il più piccolo valore di v nella (4), essendo %K — #' < n. n x k+— A . È & CRE, Ù 5 NA o È, Si ha inoltre che 2”° ed x" È’ sono quantità reciproche, come si è già visto altrove; e però, ponendo 0(x) = x", si ha della classe (I) e di grado n. Rimane quindi provata la prima parte del teorema precedente. 5) Le quantità (2) sono tutte radici primitive dell’equazione (1). In fatto si | pi î ha in primo luogo che i numeri r® + 1 ed » sono primi fra loro; altrimenti ogni loro comun divisore d diverso da 1 dovendo dividere il primo di essi ed ogni po- tenza, per es. 7?, del secondo, dovrebbe dividere anche la differenza 1 fra »®? + 1 ed 73. I numeri 7, r°, 7°, ecc. sono dunque primi col grado pod 1, dell'equazione (1): or le potenze delle radici primitive di un’equazione binomia della forma x = 1, cioè della forma (1), i cui esponenti sono numeri primi col grado dell'equazione sono pur esse radici primitive, come è noto, quindi la proprietà (9) rimane dimostrata. ; x . . 7 . e CI c) non può essere infine un termine x" della serie (2°) eguale ad uno e della serie (2). Imperocchè in tal caso da & È x 1 — gg si dedurrebbe, se % > %;, che ovvero, se % < k,, che SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 319 UO 6. ed allora la quantità x, figurerebbe fra i termini della serie (2), ciò che è contro l'ipotesi. Inoltre essendo x, radice primitiva dell’equazione (1), le quantità (2) tro- vansi nelle identiche condizioni delle quantità (2) e sono perciò tutte fra loro disuguali. Il teorema precedente rimane quindi dimostrato. Il più piccolo valore di v nella congruenza (6) è, come fu visto n; e però il n numero » appartiene all’esponente n, rispetto al modulo r? 4- 1. Dal teorema precedente si deduce che le radici primitive delle equazioni (1) sì possono ordinare in uno schema della forma seguente nel quale le n quantità disposte sopra ogni orizzontale sono radici di un’ equazione abeliana, di grado » e della classe (1). Tl numero delle quantità (7) è dato, come si sa, da @ (r® + 1), se @ (m) ha il significato noto nella teoria dei numeri: perciò deve essere @(r?® +1) un multiplo di », e quindi si ha che i @(r + 1) = multiplo 2w, ((@ > 1 Sia » dispari, ed il numero pari r? + 1 sia multiplo di 4; allora le radici pri- mitive dell'equazione (1) sono a due a due ed uguali opposte (*), e però se x, è radice primitiva dell’equazione (1), tale sarà pure — a. La radice — x, non può trovarsi fra i termini della prima orizzontale dello schema (7), come è stato dimostrato nel $ precedente: e però, se come radice iniziale x, della seconda orizzontale dello schema (7) si prende — x;, i termini della seconda orizzontale di quello schema diventano uguali opposti ai loro corrispondenti nella prima orizzontale. Similmente, se si pone x, = — %, i termini della quarta orizzontale dello schema (7) diventano uguali opposti ai loro corrispondenti nella terza orizzontale, e così via. Quindi le radici primitive dell’ equazione (1) si possono ordinare anche secondo lo schema seguente (*) Se m è multiplo di 2, e solo allora, in ciascuna delle equazioni am=_1, gm=1 le radici primitive sono, a due, a due, uguali ed opposte. © Nota ,, A, teor. IV. 920 V. MOLLAME $ 6. Li 3 Ly di, ’ GATTA DIA Fort x, TR n, TM FUR RT La, dg, a, DL 0) as (8) LI AS MET Le @(m) radici primitive di un'equazione binomia, x" = 1, sono, come è noto, le radici di un’equazione razionale. Sia questa F(x) = 0, nel caso dell'equazione (1): sarà @ (r? + 1) il grado di F(2)=0. Tale equazione si può scrivere ha ff) f(-2)... fu@fu(—a)=0, dove i 2u fattori f(@), f(— x) uguagliati a zero dànno le equazioni abeliane di grado » e della classe (I) le cui radici sono, rispettivamente, i termini delle succes- sive orizzontali dello schema (8), e dove deve essere n 2nu = @(r? +1) Nelle equazioni f= 0 è poi [0(x) =]" la funzione generatrice delle radici. Le radici primitive dell’equazione (1), sempre nell’ipotesi che 7% +1 sia mul- tiplo di 4, si possono ordinare anche secondo lo schema seguente Li 5 hl ag 20% Gio — 96 dh MR _ XI) di; Tara a, a, ciro 0)o 100 asl daino ai Saloni ta (9) — a, a, ig vi, ooo to COAT il quale si ottiene dallo schema (8) con facili scambii sulle verticali di posto pari. Le serie costituite sulle orizzontali dello schema (9) hanno la forma della serie (15) del $ precedente; nella quale fu supposto essere # una radice tale dell’equazione (1) da potersi con essa mediante la funzione generatrice [0 (x) =] — 2°, comporre un’equa- zione abeliana della classe (1) e di grado »: la qual cosa avviene per ogni radice primitiva della (1) [teorema (I)]. Perciò le quantità che sono sulle singole orizzontali SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 321 8 6. dello schema (9), a simiglianza di quelle della serie (15) del $ precedente, sono radici di un’equazione ?n(e) = 0, od Rn(— 2 =0, abeliana, della classe (I) e di grado #, nella quale è [0(x) =] — @' la funzione generatrice delle radici. L'equazione F(x) = 0 si potrà quindi scrivere anche nel seguente modo hi (0) hi(— 2) he) he(- 2)... hu(0) hu(— = 0. Con i risultati fin qui ottenuti in questo $ si possono enunciare i teoremi seguenti: Teorema II. — Il numero ® (r° 4-1), (r > 1), è divisibile per 2n (*). Teorema IIL — L'equazione F(x) = 0 che ha per radici le radici primitive del- n n ) A o è TRITO voi gi i) ouuo q A l'equazione binomia x' = 1 è decomponibile in — a equazioni abeliane di gradon e della classe (1); in ciascuna delle quali è [0(x) =] x" la funzione generatrice delle radici. Se r® 4-1 è multiplo di 4, la detta decomposizione può farsi in due modi. Dei quali uno fornisce coppie di equazioni della forma f(x) = 0, f(—x)= 0 che hanno tutte per funzione generatrice delle loro radici |0(x)=]|x%; e l’altro dà coppie di equa- zioni h(x) = 0, h(—x)=0 che hanno [0(x)=]— x" per funzione generatrice delle loro radici. Se r" + 1 è numero primo, il teorema II diviene il seguente: Teorema IV. — Se r° + 1 è un numero primo, sarà r° divisibile per 2n, (r>1). I teoremi I e III hanno i loro corrispondenti rispetto all’equazione n RN (10) nell'ipotesi che r ed -& siano due numeri dispari, nel qual caso soltanto la prece- p 9 p p dente equazione è da prendersi in esame, come fu provato nel $ 5. Sia x una radice qualunque dell’equazione (10). I termini della serie ASI pri gori OCA, (SCO prati SUINI (11) sono pur tutti radici di quella equazione, come è facile verificare, e si deducono l’uno dall’altro, ordinatamente, mediante l'operazione espressa da [0(x) =] — °. Quei ter- mini inoltre sono a due a due reciproci; e precisamente sono reciproci i termini (*) Questa proprietà del numero g(r? + 1) risulta anche dal fatto che il numero x al quale, come fu innanzi dimostrato, appartiene 7 rispetto al modulo AL 1, è un divisore di Pl + 1). Cfr. DiricaLer, Teoria dei numeri $ 28, parte I. Serie Il. Tom. XLIV. pi 329 V. MOLLAME $ 6. % krk k+37 k+5 alri 7 P@akE-biat,e, PC @=LEia di; giacchè, essendo r ed n numeri dispari ed x una radice dell'equazione (10), si ha n k CL (27°) =1 (12) Intanto ogni radice, x, dell'equazione (10) è radice anche dell’altra equazione di (13) n perchè essendo 7° — 1 un numero pari, si ha DO 22 ” Geil (2724) =(- Y*=1 Or l’equazione (13), scritta come segue ge =, mostra che per ogni radice x della (10) esiste sempre qualche numero intero e po- sitivo v tale che risulti Ggi= Us (14) e se v è pari allora 2” è della serie (11) un termine che riproduce il primo. Ciò posto sia % in quella serie una radice primitiva dell’ equazione (10): allora in virtù del seguente teorema C) Le equazioni an=_—l gr =]; hanno le stesse radici primitive (*), sarà x radice primitiva anche dell’altra equazione pa) 1; la quale, paragonata con la (14), ‘che può scriversi beni = Ls (*) Cfr. “ Nota, A. SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 323 8 6. fa conchiudere che r» — 1 deve essere divisibile per 2(r® + 1). Sia 9 il quoziente di tale divisione: si avrà così Bra 1 og) r2+1 Il più piccolo valore di v per il quale risulta numero intero il quoziente it n° +1 è n come fu visto precedentemente; e per v= x il detto quoziente risulta anche pari, giacchè n rara 2 o —-=r —1= numero pari. r° 41 Adunque per ogni radice primitiva dell’equazione (10) è » il più piccolo valore che può avere v nella (14); e siccome n è pari, così sarà x" un termine della serie (11) e precisamente il primo di quelli che riproducono x. Associando a questa proprietà di ogni radice primitiva dell'equazione (10) l’altra espressa dalla relazione (12) si può conchiudere che se x è una radice primitiva della (10) i primi » termini della serie (11) sono radici di un’ equazione abeliana della classe (I) e di grado x, e che [0(2) =] — 2° ne è la funzione generatrice delle radici. Quegli » termini, inoltre, sono tutti, come il primo, radici primitive dell’equa- zione (10). In effetti, in virtù del teorema (C), poc'anzi citato, si ha che la radice primitiva x dell'equazione (10) è pure radice primitiva dell'altra equazione n gen) = 1 (15) n Or il grado 2(r°4-1) della precedente equazione ed il numero r non possono avere alcun divisore comune; altrimenti dovendo questo esser dispari, come r, e dovendo esso dividere anche i numeri 2r* e 2(r° +1), dividerebbe la loro differenza 2: ciò che è assurdo. Essendo , e quindi le potenze di » numeri primi col grado dell'equazione (15), le potenze x" della radice primitiva x di quella equazione, sono pur esse radici pri- mitive di tale equazione. Siccome poi il grado dell’equazione (15) è multiplo di 4 perchè rt 1 è numero pari, così sarà radice primitiva di detta equazione sia ag che — 2”, come fu già notato innanzi. E però si conchiude che i termini della serie (11) sono tutti radici primitive dell'equazione (15) e quindi anche dell’ equa- zione (10) [teorema (C)]. Sia x, un’altra radice primitiva dell'equazione (10) non compresa nella serie (11); le quantità 324 V. MOLLAME $ 6. nl di, — di, CASUALI «sua (16) si trovano nelle stesse condizioni di quelle della serie (11) ed inoltre son tutte a quelle disuguali. In effetto, se fosse per es. (Da = (e, (17) ne seguirebbe, per X e %, entrambi pari od entrambi dispari, che aghi = gh, e quindi che fn = gii. se è X > ki, ovvero x = ipa x se è t< ki; cioè x, sarebbe un termine della serie (11), la qual cosa è contro l’ipotesi. Se poi dei numeri % e %; l’uno è pari e l’altro dispari, allora la relazione (17) diviene x = di e da questa si conchiude come innanzi che Xx = — gra ovvero che x = — pari secondo che è X > k, ovvero k < ki: per la qual cosa x, dovrebbe di nuovo trovarsi fra i termini della serie (11), ciò che si è escluso. Le precedenti deduzioni intorno all’equazione (10) dànno luogo ai due teoremi seguenti: ; Teorema V. — Ser ed + sono numeri dispari ed è x una radice primitiva dell'equazione gt. — — 1, (a) le n quantità, fra loro disuguali, AE a cr RN granai, (5) SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 325 $ 6. sono tutte radici primitive di quella equazione. Con esse si può comporre un’ equazione abeliana di grado n e della classe (1), per la quale è [0(x)=|]= — x" la funzione generatrice delle radici. Tale equazione non avrà alcuna radice comune con ogni altra che si può comporre mediante una radice primitiva dell'equazione (a) non compresa fra quelle della serie (0). Teorema VI. — Se r ed ni sono numeri dispari, l’ equazione G(x)= 0 che ha per radici le radici primitive dell'equazione ga — Jl ei è decomponibile in = equazioni abeliane di grado n e della classe (1), in ciascuna delle quali è [0(x) =] — x" la funzione generatrice delle radici. 326 V. MOLLAME 87. I teoremi I e V del precedente paragrafo stabiliscono che con qualunque radice primitiva di ciascuna delle equazioni ACI 0 gr +1 — _ 1 (2) nella seconda delle quali r ed $ sono due numeri dispari, si può comporre un’e- quazione abeliana della classe (I) e di grado n. Ma fra le radici delle dette equazioni ve n'ha di quelle che, pur non essendo primitive, hanno però di queste la stessa attitudine nella presente quistione. Così se x + 1 è un numero primo ed y ne è una radice primitiva, le » quantità Li sil L, Q, d, 00 sO -, formate mediante una radice x dell'equazione x*+1! = 1 sono radici dell'equazione Lav L...kat+1=0 che è abeliana e della classe (I). Intanto fu dimostrato nel $ 5 che la radice %, come ogni altra dell’equazione x"+1= 1, è pure radice dell’equazione (1), ma non ne è una radice primitiva. Sicchè esistono nell’equazione (1) radici le quali quantunque non primitive danno luogo però ad equazioni abeliane di grado » e della classe (1). Il teorema generale del $ 3 provvede ad escludere dalle radici dell'equazione (1) o dell’equazione (2) quelle con le quali non è possibile comporre equazioni abeliane di grado ». L’equazione (12) considerata in quel teorema diviene nel caso presente, in cui è 0(@A)= +7", (17 FASI, (3) se si pone 0(x) ="; e se invece si pone 0(x) = — 2”, quell’equazione diviene gie, 0) dove è 1 e=lt+rtbtr+... +? SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 327 87. Or l’equazione generale (3) del $ 3 si ridusse all’ attuale equazione (1) in seguito all'ipotesi di 0(x) =", per ogni valore di r e di Fi ovvero di 0(x) = — 2°, ser è dispari ed bi è pari. Ma se i è pari, tale è pure "x che è un divisore di F al quale deve corrispondere un quoziente dispari, e però in tal caso, risultando pari il numero e', ne segue che l'equazione (4) si riduce all’equazione (3) e si conchiude che dalle radici dell'equazione (1) son da escludersi solo tutte quelle che tale equa- zione ha comuni con le equazioni della forma (8). Analogamente si conchiuderebbe che dalle radici dell'equazione (2) vanno escluse solo quelle che tale equazione ha comuni con equazioni della forma a ra N (5) Per quel che riguarda poi le radici + 1 o — 1 che, secondo il teorema del $ 3 devonsi sopprimere dall’equazione (1) o dalla (2), si ha che 1 è radice comune alla (1) ed a ciascuna delle equazioni (3), ed altrettanto, se y è impari, avviene della radice — 1 dell’equazione (1). Di guisa che le radici + 1 o — 1 di questa equazione ver- ranno da essa soppresse come radici che tale equazione ha comuni con una qua- lunque delle (3). Fa solo eccezione il caso nel quale delle equazioni (8) non ne esista n aleuna; ciò che può avvenire solo allorquando » è una potenza di 2, oppure r° 4 1 è un numero primo. Giacchè se n è una potenza di 2 non esistono i numeri a e se n (73 E 3 5 : : Lira i È r° + 1 è un numero primo, allora non esistendo i numeri 7° + 1, che altrimenti n sarebbero divisori di ° 4-1, non esisteranno neppure i numeri a. Il secondo di n questi due casi include il primo: imperocchè se r° + 1 è numero primo, non esi- stendo più i divisori »°? + 1, non esisteranno neppure i divisori @ di n e quindi x dovrà essere una potenza di 2. Ora, se delle equazioni (3) non ne esista alcuna, è d’uopo sopprimere dall’equa- zione (1) solo la radice 1, se » è pari, o solo le radici 1 e — 1 se r è dispari. L'equazione (2) poi non può avere nè la radice -- 1 nò la radice —1 essendo n . 9° Ò da © NO ù ù . q in essa 7° + 1 un numero pari. Oltre a ciò, siccome nali dispari, esisterà sempre qualche equazione. della forma (5), per es. l'equazione 2"+1 = — 1, per la quale ède=2 Si possono ora enunciare i teoremi seguenti. Teorema I. — Siano r ed n due numeri interi e positivi, il secondo dei quali non sia una potenza di 2: siano inoltre a, a', a'', ecc. tutti quei divisori posttivi di n, minori di n, che danno quozienti dispari. Se dall’equazione n gi] 1’) VI Hari Di 328 - V. MOLLAME ni Ud), $ 7. Di Ù Ò do ò 0.0 5 Kar si sopprimono tutte quelle radici che essa ha comuni con le equazioni seguenti Ki: Meli a a’ a! LIAN 1 tai Ta ai 1 ai aio ai €900 (72) Ù ovvero se dall’equazione VA A DI rtl ; 1 XL = Il, (2') È, nella quale r ed - si suppongono dispari, si sopprimono tutte quelle radici che essa q 2 LPPOnNg: pari, JUL q ha comuni con le altre equazioni seguenti Po Ù ” ea | a a a 2 Geni eni dba. gi co (a') le equazioni razionali D(x) = 0, Y(x) = 0 che, nel primo caso, 0 nel secondo, risul- tano formate con le rimanenti radici dell'equazione (1') o dell'equazione (2'), sono decomponibili in equazioni abeliane di grado n della classe (1). Le equazioni provenienti dalla scomposizione di ® (x) = 0 hanno per funzione ge- neratrice delle loro radici [0(x) =|x"; le altre, relative all’equazione Y(x) = 0, hanno per funzione generatrice delle loro radici [0(a) =] — x". Di Se nell'equazione (1') r è impari ed - è pari, la decomposizione di d (x) = 0 può farsi in due modi: potendosi assumere come funzione generatrice sia [0(x) =) x" che | [6 (x) =] — x. (Teorema III, $ 5) (3). hi Teorema II. — Le equazioni ARI AI di x OI Mi RU x—-1 0 (6) i; de +1 1 Ni ema (7) | nella prima delle quali r è pari e nella seconda r è dispari, sono decompomibili in equazioni tutte abeliane di grado 2"! e della classe (1). Di tali equazioni, quelle che provengono dalla decomposizione dell’ equazione (6) hanno per funzione generatrice delle loro radici [0(x) =]|x", e quelle provenienti dalla decomposizione dell'equazione (7) pos- sono avere per funzione generatrice o [0(x) =] x" ovvero [0@) =] — x (#9. (*) Le radici delle equazioni ® (a) =0 e Y(x)=0 sono radici abeliane d'ordine n delle equazioni bo n (1°) e (2°). Esse potrebbero anche denominarsi radici abeliane di indice r* +1 dell'unità positiva o del- l’unità negativa. Nel campo di tali radici trovansi le radici primitive delle equazioni (1°) e (2°). Cfr. la di nota al $ 4. (#*) Le radici dell'equazione binomia gina 0, salvo +1, sono tutte abeliane di ordine 241 Cfr. la nota al $ 4. CS SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 329 Sd Il grado »° — 1 dell’equazione (7) dovendo esser multiplo del grado 2”+! delle equazioni abeliane nelle quali essa si decompone, ne segue che, ponendo 7 = 2p + 1 deve essere PIA DI = numero intero , er ogni valore del numero intero e positivo p. p 8 |3 Essendo Di un divisore di n che dà un quoziente dispari, si deduce che r°-+1 n a 2 ps +1 è divisibile per 7° + 1: e però il quoziente £ mai : è una funzione intera di %. 2 1 cuni n a oltre il quoziente di rt 1 diviso per r + 1 è dispari: imperocchè se g è il quo- à o <- % 9 ziente dispari = Si ha Le n a ì n n a Ru Can] Deo | i sue) Bri, —r Mae MA —r + 1: a rt 1 or la funzione di , f(r), che è nel secondo membro della precedente uguaglianza ha, o 6 TI giputa ò —1 oltre al termine 1, altri 3 — ù 5 3 (7) 1) | termini, i quali formano DE - Di differenze che son tutte pari; e però f(r) + 1 è un numero dispari. o SE ò ; E F SIL Essendo dispari il quoziente di »' +1 diviso per y -- 1 ne segue che ——- FARI 1 è una funzione intera di %. “0 a " È o glo C, RA Ciò premesso, siano u(x) il massimo comun divisore fra #—"= ed 2°° F 1 pel e cpl (dove devonsi prendere contemporaneamente o i segni superiori o quelli inferiori), al E ; bi SENIO PINI ; Us(x) il massimo comun divisore fra ed gni tic ielcosì via si (2721) pi (©) avrà allora che l’equazione n rivoli li = sil =0 (8) prati lc (1) mo)... esprimerà l'equazione ® (1) = 0 o l'equazione Y (x) = 0, secondo che si prendano i segni superiori o quelli inferiori. Serie II. Tom. XLIV. ai 330 V. MOLLAME IS In particolare sia n = 2*9, dove q è un numero primo: in conseguenza 2 è l’unico divisore di » che dà un quoziente dispari. L'equazione ®(x) =0 presente- mente diviene 1 ni ui x lis 0 Pii Tu ’ r +1 2°, —1 ed il suo grado r2' 7 — ,2871 [= ,2°7(7874-1 — 1)] deve essere un multiplo di n, cioè di 2°9. Posto adunque v —1= p, si ha l’altro seguente Teorema III. — Se q è un numero primo positivo, e sono r e p due numeri in- teri positivi qualunque, sarà e (gen) 2 = numero ‘intero. Essendo g un numero primo, il numeratore della precedente espressione deve essere divisibile per g: e quindi se g non è un divisore di r, sarà Pol ED _ 4 q = numero ‘intero. La precedente eguaglianza per p= 0 dà il teorema di Fermat. L'equazione Y(x) = 0 se, come si è supposto poc'anzi, è x = 2°9, diviene 1g © +1 x +1 g)=1 = r x +1 SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 391 8 8. Sia x una qualunque delle radici dell'equazione ® (x) = 0 o dell’equazione Y(x)= 0 considerate nel $ precedente e per le quali è (0(x) =) £ 2" la funzione generatrice delle radici. La funzione seguente y=Xx+ 0x4 0x4... 4 0a di » radici di ® (x) =0, o di Y(x)=0, rimane invariata se in essa in luogo della radice x si pone una qualunque delle altre radici 0x, 0°x,...,0"x: e perciò y può avere solo v valori, se v è il quoziente del grado di ® (2) = 0, o di Y(x) = 0, diviso x per n. Per la qual cosa y è radice di un’equazione razionale Me=20 (1) di grado v, la quale si ottiene con processi noti. Se questa equazione non ha radici uguali, con la sua risoluzione si conoscerà la funzione simmetrica y di radici dell'equazione ®(x) = 0 o dell'equazione YW(a)=0, e, mediante la conoscenza di y, resteranno determinati, come è noto, i fattori di grado x di ®(x) o di Y(x): questi uguagliati a zero forniscono le equazioni abeliane di grado » e della classe (I) nelle quali è decomponibile l’equazione ®(x) = 0, o l’altra Y(a) = 0. Questo processo generale può però nei casi particolari essere semplificato. Vogliansi, per es., determinare le equazioni abeliane di quarto grado e della classe (I) per le quali è + = 3 ovvero r = 2. L'equazione per » = 3 diviene INI (2) L'equazione (7) considerata nel teorema II del $ 7 è data attualmente da co I xa — 1 = 0, (3) cioè da IRA LAO (3) 332 V. MOLLAME $ 8. Questa equazione deve esser decomponibile in due equazioni abeliane di quarto grado e della classe (1) le quali hanno [0(a) = ]«* per funzione generatrice delle loro radici. E siccome presentemente » è dispari, così l’equazione (3') si può decom- porre anche in altre due equazioni abeliane nelle quali la funzione generatrice è [6(x) =] — #8. La precedente funzione y per 0(x) = x° diviene gps gela i cioè y=ot®+#+® 20 giacchè a" = x®. € = @', in virtù dell’equazione (3). Per 0(x) = — 2° la funzione y diviene invece g=ax-0 -ad ba. (5) L'equazione (1) corrispondente alla funzione (4), od alla funzione (5), è di se- condo grado: essa può ottenersi eliminando «x fra le equazioni (3') e (4), ovvero (3) e (5). Addizionando membro a membro le equazioni (3') e (4) si ha che gi — il gal (6) e siecome x è una radice diversa da + 1 dell’equazione (2), così la (6) si riduce alla seguente dalla quale si ottiene e peròy = £ I. Col valore —1 della funzione y si ottiene il seguente fattore biquadratico del primo membro dell’equazione (3') d+ao+rax+a+1 e col valore +1 di y si ottiene, conseguentemente, l’altro fattore d- RL -r+1 Sicchè l’equazione (3') si scinde nelle seguenti due equazioni abeliane della classe (1) +e 4ea+a+1=0, (7) d-R+e® -—a+1=0,. (8) SULLE EQUAZIONI ABELIANE RECIPROCHE 333 8 8. le cui radici hanno [0((@) =] " per funzione generatrice. L'equazione (8) si ottiene dalla (7) mutando x in x, come prescrive il teorema II del $ 5. L'altra equazione n ef4=_ 1 n nella quale > deve esser dispari, non è da prendersi attualmente in considerazione, giacchè = 2) è pari. Le equazioni (7) ed (8) si potevano anche ottenere immediatamente considerando che FAZIO | co_-1 2 +1 x — 1 o PI =@+#+#+s+b@-#+#-s+1); N e che se x è radice di una delle due equazioni (7) ed (8) che si hanno uguagliando x a zero i due precedenti fattori in parentesi, anche [0(x) =]° è radice di quella equazione; giacchè si ha CALO L+R+1= ++ +0#+1= =o+ta+x+e+1=0, ed OS =X+a-xax_-gL1=0. Oltre a ciò è pure, per n = 4, gal gra 31439) nia (2° do Se 7» = 2 si rinvengono immediatamente di nuovo le equazioni (7) ed (8). Per avere l’altra equazione (1) risultante dall’eliminazione di x fra le equa- zioni (3') e (5), si moltiplichino ambo i membri della (5) per x e se ne sottraggano poi quelli della (3'); risulta così Si to) 6 i qagq= — 2a° — 2° — 2a, cioè Mu=-2@ La od anchè, tenendo presente l'equazione (3') oy=- 2@+1)+. 334 V. MOLLAME i $ 8. Da quest’ultima equazione, notando che x'° = 2°, si deduce l’altra Pf=iet8+# 42 +1) +58, la quale, in virtù della (3), si riduce alla seguente (gf = e questa dà ICE Mediante il valore — V/5, od il valore +5 della funzione y, l'equazione (8/) È si decompone nelle due seguenti 3 i dl VER UL VE Li 0 (9) di Wie ee Lita = 0 (10) Sicchè, oltre alle equazioni (7), (8), (9), (10), mediante le radici di #1 non si q possono formare altre equazioni abeliane, biquadratiche e della classe (I), per le quali — x è r = 8, ovvero r=2. Catania, 1892. emo SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE E DEI MASSIMI GENERI EROICHE AZIO QUALUNOUE MEMORIA GINO FANO Approvata nell'’Adunanza del 25 Giugno 1893 (*). AJ concorso aperto dall’Accademia delle Scienze di Berlino pel conferimento del terzo premio STEINER (sopra un tema relativo alla teoria delle curve sghembe alge- briche (1)) si presentarono, com'è noto, due celebri Memorie; una dell’HALPHEN (2), l’altra del NorTHER (3): pregevolissime entrambe, n’ebbero anzi diviso il premio (4). E fra i risultati contenuti in queste Memorie è certo importantissimo il teorema, che le curve sghembe di dato ordine e GENERE MASSIMO sono tutte contenute in una quadrica (5). Questa proposizione è stata poi estesa dal sig. CAstELNUOvo alle curve di uno spazio lineare a un numero qualunque r di dimensioni (6), e in luogo della quadrica compare in questo caso più generale la rigata razionale normale di or- dine 7 — 1 (7) (o anche, per » = 5, la superficie omaloide Fi di VeRonEsE (Mem. della ER. Accad. dei Lincei, 3°, XIX)). Con quest’estensione si può ritenere esaurita la determinazione delle varie curve di genere massimo (m) di uno spazio qua- lunque S, (e di ordine > 27); appunto perchè queste curve ne risultano contenute (4) Questa Memoria è tratta dalla Dissertazione di Laurea presentata dall’autore alla Facoltà di Scienze dell’Università di Torino nel giugno 1892. (1) “ Irgend cine auf die Theorie der hòheren algebraischen Raumcurven sich beziechende Frage von * wesentlicher Bedeutung vollstindig erledigen ,. (2) Mémoire sur la classification des courbes gauches algébriques: un estratto di questa Memoria era già stato pubblicato nei “ Compt. Rend. de l’Ac. des Sc. , (t. 70, 1870). All’Harpnen è pure dovuta la determinazione del numero minimo di punti doppi apparenti (ossia del massimo genere) che può avere una curva sghemba di dato ordine. (3) Zur Grundlegung der Theorie der algebraischen Raumcurven (Berlin, 1888). (4) V. “ Sitzungsber der Berl. Akad. ,, 1882; p. 735 (éffent. Sitz. vom 29 Juni). (5) Proposizione già accennata da Harpmen nei Compt. Rend. (1870). (6) Cfr. la Mem. Ricerche di Geometria sulle curve algebriche; ni 28 e seg. (“ Atti dell’Accad. di Torino ,, vol. XXIV). In questo stesso lavoro è anzi stato determinato per la prima volta il genere massimo di una curva di dato ordine e appartenente a un dato spazio qualsiasi. (7) Della quale appunto quella quadrica (dello spazio S3) è caso particolare. 336 GINO FANO in superficie (razionali) molto semplici e di proprietà ben note, sulle quali sarà sempre facile costruirle. La questione che si presenta ora invece come — dirò così — successiva, e che sembra anche meritevole di essere studiata, è quella di fare una ricerca analoga anche per le curve di genere tr —-1, r—-2,.... determinando se e quando anche queste possano stare sulla rigata R' (0, per "= 5, sulla Fi di Vero- nese); ovvero, quando non vi stiano, in quali altre superficie (possibilmente semplici) esse siano contenute. E tale ricerca costituisce appunto l'oggetto principale di questo lavoro. Già prima ch'io cominciassi ad occuparmene lo stesso sig. CAsTELNUOVO mi aveva detto di ritenere che le curve di genere t — 1 dovessero stare necessariamente — almeno da un certo ordine in poi — su di una superficie a sezioni ellittiche o razionali. La proposizione sussiste effettivamente, e si vedranno anzi in seguito enu- merati i varî casi che queste curve possono presentare. Uno studio analogo sarà fatto anche per le curve di genere nt — 2; più in succinto però, perchè molte loro proprietà si potranno poi stabilire facilmente e con ragionamenti affatto identici a quelli già usati per le curve di genere mt — 1. E sarebbe forse interessante il cercar di estendere questi stessi risultati anche alle curve di genere T — 3, t— 4,..... ©; in generale, t — %; ma di questo (come dico pure alla fine del $ 8) non intendo per ora occuparmi. A questa ricerca fa seguito, come appendice, una breve Nota, nella quale, ap- plicando quel concetto, ormai notissimo, ma sempre fecondo (1) a cui è informata la Neue Geometrie des Raumes di GruLio PLuECKER e a cui pure si informarono in se- guito parecchi lavori di altri scienziati — e primi fra tutti quelli del sig. KLEIN —, si deducono dai risultati ricordati e ottenuti in questo lavoro alcune proprietà di certe rigate e congruenze di rette appartenenti al nostro spazio (2). GL Genere massimo di una curva che sta sopra un dato numero di quadriche. 1. Il signor CasreLNUOvo dopo aver determinato nelle sue Ricerche di geometria sulle curve algebriche (Atti della R. Acc. di Torino, XXIV) il genere massimo di una curva di ordine n (0) appartenente allo spazio S, (3), dimostra che: (1) “ Die Liniengeometrie ist wie die Geometrie auf einer M,® des R; , (Cfr. F. Kremn: Ueb. Linien- geometrie und metrische Geometrie; “ Math. Ann. ,, V. p. 261). (2) Mi è caro rinnovare qui i più vivi ringraziamenti al prof. C. Segre, che mi iniziò allo studio delle curve algebriche e della Geometria sopra queste (nelle sue lezioni di Geometria sopra un ente algebrico, dettate nell'Università di Torino l’anno acc. 1890-91), e al prof. G. CasreLnuovo dell’Uni- versità di Roma, che volle anche gentilmente dirigermi in queste ricerche. | (3) Questo genere massimo (che noi in seguito indicheremo sempre colla lettera ©) egli lo trova espresso da r+1 r_-l iper dove x è il minimo intero non inferiore a sean (cfr. loc. cit., 27). Questo stesso risultato fu poi ridimostrato, circa un anno più tardi, dal prof. E. Berrini nella sua Nota: Irtorno ad alcuni teoremi della Geometria sopra una curva algebrica (* Atti dell’Accad. di Torino ,, XXVI). In questo lavoro si SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 337 Per una curva di S, d'ordine n => 2r e del massimo genere passano ("3°) quadriche linearmente indipendenti; e ogni altra quadrica passante per una tal curva appartiene x al sistema lineare di quelle. — La prima parte dell’enunciato è vera anche se l’or- cla dine della curva è inferiore a 2r; ma per questa curva potranno passare allora anche più di ("3') quadriche indipendenti (1). Da questo risultato egli deduce poi che: Se n > 2r, la curva d'ordine n e di genere massimo di S, sta in una superficie a due dimensioni d'ordine r — 1; superficie che, come sappiamo, è sempre rigata se r è diverso da 5 (2), ma può non esserlo nel caso di r = 5 (superficie di VERONESE) (8). Questa superficie è comune a tutte le quadriche passanti per quella curva, e: costituisce anzi precisamente la varietà base del loro sistema lineare (4). La dimostrazione che il sig. Castelnuovo dà di quest’ultima proposizione si ap- plica anche « qualsiasi curva di S, di ordine n > 2r per la quale passino ("3°) quadriche indipendenti (sia o non sia questa curva di genere massimo) (5) (6). trovano anche generalizzate alcune delle proprietà che condussero il Castelnuovo a quella deter- minazione, e ne sono accennate alcune fra le possibili applicazioni. Non occorre avvertire che il genere massimo da noi indicato con t è sempre funzione dell’ or- dine » della curva e della dimensione 7 dello spazio cui essa appartiene. Per brevità ci asteniamo dall’usare per questo una notazione più espressiva, scrivendo ad es. }, PIE e ciò perchè, anche in seguito, non ci sembra vi sia pericolo di confusione. (1) Gi sia concesso, ora ed in seguito, di parlare semplicemente di quadriche indipendenti, sot- tintendendo per brevità il linearmente. (2) Cfr. Der Prezzo: Sulle superficie dell'o° ordine immerse nello spazio Spy (‘ Rendiconti della R. Accad. di Napoli ,, 1885). (3) La superficie omaloide normale a due dimensioni del quarto ordine dello spazio a cinque dimen- sioni e le sue proiezioni nel piano e nello spazio ordinario (“ Mem. della R. Acc. dei Lincei ,, serie 8%, vol. XIX, 1883-84). (4) Nel caso di una superficie rigata, come osserva anche il sig. Castelnuovo, il numero x aumen- tato di un’unità dà il numero dei punti in cui la curva considerata incontra le varie generatrici di quella stessa rigata. Però, per le curve il cui ordine è un multiplo di 7 —1 aumentato di una unità, questo stesso numero può anche esser dato dalla somma x-+-2. Segando infatti la rigata Rana con una varietà Mi, che non le sia tangente in alcun punto, ma passi per 7 —2 sue generatrici, otteniamo come intersezione (residna) una curva di ordine n=(X—1)(r—1)+1 incontrata da ogni ut È a 7 kl da È generatrice in %X punti; e perciò, per una nota formola, di genere ( 9 ) (r — 1), cioè appunto di genere t. E il numero x, in questo caso precisamente uguale a Tui, vale soltanto X — 2 (onde K=yx + 2). La formola cit. è quella data dal sig. Segre nella Nota: Intorno alla geometria su una rigata algebrica (“ Rendie. R. Accad. dei Lincei ,, 1887), e da lui stesso poi generalizzata nella Nota suc- cessiva (stessi Rendic.): Sulle varietà algebriche composte di una serie semplicemente infinita di spazi. (2 novembre) L'osservazione contenuta in questa nota è stata fatta anche recentemente dal sig. Castelnuovo, in un lavoro inserto nei “ Rend. di Palermo , (t. VII, p. 97). (5) Questa sola proprietà (l’essere contenuta cioè in (79) quadriche indipendenti) basta infatti per concludere che le » intersezioni della curva C* con un S,_ (intersezioni che possiamo ritenere ad 7 ad 7 indipendenti) non imporranno certo alle quadriche di quest’ultimo spazio che le conten- gono più di 2r —1 condizioni distinte. E il sig. Castelnuovo fa vedere appunto (cfr. loc. cit.: 30) che in tal caso, se x> 27, quelle » intersezioni dovranno stare sopra una curva razionale normale di ordine r— 1, che sarà pur contenuta a sua volta in tutte le quadriche passanti per quegli stessi n punti. E dalla curva 0! di S,_1 Si risale poi subito alle superficie E° di Sino (6) Questi risultati ottenuti dal sig. Castelnuovo e qui ricordati si possono anche estendere al Serie II. Tom. XLIV. ri 338 GINO FANO 2. Una curva di S, la quale stia sopra meno di ("') quadriche indipendenti non potrà dunque essere di genere massimo (t)— e non starà sopra una rigata razionale normale, nè sulla superficie di Veronese (se 7» = 5) —. Si presenta dunque, di per sè, la questione: Sapendo che per una certa curva C; appartenente a S, passano solo ("=) — è quadriche indipendenti (0 almeno non ne passano di più), determinare per il genere p di questa stessa curva un limite superiore (possibilmente diverso da t, e precisamente inferiore a questo, se d>0). A questa domanda si può rispondere facilmente, con un ragionamento analogo a quello con cui il Castelnuovo giunse alla determinazione del genere m. E noi di- mostreremo precisamente che : Il genere p di una curva normale (1) d'ordine n appartenente a S, per la quale passino non più di ("=')—d quadriche indipendenti non può mai superare il limite milo ea nali iu — 1}d 2 n_-r—-òd Eesti gi Questo risultato comprenderà come caso particolare (© = 0) quello già ottenuto dal sig. Castelnuovo. Infatti, per le nostre ipotesi, la serie lineare (di ordine 2n) segata sulla curva C7 dal sistema di tutte le quadriche di S, sarà di dimensione dove Xs è il minimo intero non inferiore a caso in cui, invece di quadriche, si vogliano considerare varietà pure di dimensione 7 — 1, ma di un ordine qualunque X = 2. E si ha precisamente: Per ogni curva appartenente ad S, e del genere massimo passano almeno CMeeleto=i varietà Mi, linearmente indipendenti. Indicando questo numero per brevità con (7, £), possiamo aggiungere: Quando Vordine della curva di genere massimo è superiore a k(r — 1) per essa passano precisa- mente (r, k) varietà MÉ_, indipendenti; e ogni altra MÉ | che la contiene appartiene al sistema lineare di queste. La dimostrazione si può fare per induzione completa da % a X-+1, osservando che le Mi, passanti per una curva (irriduttibile) appartenente a Sr e per un dato S,_ (di questo Sr) sono tante quante le Mii che contengono quella stessa curva. E infine: Se per una curva appartenente ad Sr e di ordine n>k(r — 1) +2 passano (r, k) varietà ME, indipendenti, questa curva starà su di una superficie razionale normale di ordine r — 1 comune a tutte quelle varietà. Questa proposizione si applica in particolare alle curve di genere massimo; da essa deduciamo altresì che, se una curva di Sr è contenuta in (r,%) varietà indipendenti di un certo ordine X, ed è a sua volta di ordine >X(r—1)+2, essa dovrà anche stare sopra almeno (#, #) varietà indipendenti di ogni altro ordine £' > 2. Anche le ricerche che andremo ora facendo per curve contenute in sistemi lineari di quadriche di dimensione inferiore a i) — 1 potrebbero estendersi al caso di sistemi di varietà Mi_,; ma già il calcolo analogo a quello che faremo nel n° 2 riuscirebbe molto complicato; ci basti quindi di aver accennata la possibilità di questa estensione. (1) Si potrebbe anche omettere questa restrizione, e supporre la curva normale per un S,_L;, modificando solo opportunamente il limite superiore che segue. Ho preferito tuttavia dare al teo- rema questa forma (più semplice) perchè sarà solo a curve normali che dovremo applicarlo. Si può anzi ritenere, come sappiamo, che una curva speciale (di quelle non speciali non avremo ad occu- parci) sia anche, in generale, una curva normale. SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 339 a= (9 (+01 ossia d= bid dè I Supponiamo che questa serie gg, sia speciale. Sarà allora speciale — perchè contenuta in quest’ultima — anche la 97 segata su © dagli iperpiani (S,_1) di S,, e speciale la curva stessa. Essendo questa normale, ogni gruppo di quella gi im- porrà a un gruppo della serie camonica (9%) che debba contenerlo un numero w; di condizioni precisamente uguale a n» — r. D'altra parte, se indichiamo con pus il nu- mero (minimo) delle condizioni imposte pure da un gruppo di 9; a un gruppo della serie residua gt che debba contenerlo (e di gruppi così fatti ve ne saranno certo) avremo, per una delle relazioni stabilite dal Castelnuovo (1), dz 2n — (4 ha) (e ciò risulta anzi evidente, quando si pensi al significato della somma wu, + >); e quindi, @ fortiori, dr + d -—1<2%n—- (+4 ug) ossia u + we = 2n — 8r — dH4 1. KH tenendo conto infine della relazione up = x — r ossia (Mm) u=n—-(-1)—- 1 se ne deduce quest'altra: (te) bea 2-1 d_ 1. Osserviamo poi che sarà precisamente 2% — (u, + us) la dimensione della serie completa di ordine 2» che contiene la gî, — se questa già non è completa (2) — e quindi le varie coppie di gruppi di g7 (3). Se si ha poi ancora (03) @® ap ie PL)

0ssÌa il minimo intero non in- feriore a arcì (1). Indicando perciò questo stesso intero con Xy, è chiaro che si dovrà avere in ogni caso ww 1{è e questo è appunto quanto si voleva dimostrare. Come conseguenza (sebbene quasi evidente) di questo teorema e di quelli ricor- dati al n° 1, abbiamo : Una curva di S, la quale sia di ordine n > 2r e di genere +1 al p=ae e eta o DIERO , . o n—r—-1 0 , (dove X, è & minimo intero non inferiore a ario sta sempre su di una superficie di ordine r — 1.comune a tutte le quadriche che la contengono. — ò x . 5 è È == fosse precisamente un numero intero, l’ espressione considerata di sopra assu- (1) So È merebbe lo stesso valore massimo per X +1 eguale a questo intero, o anche al successivo (all’intero cioè immediatamente superiore). 342 GINO FANO $2. Sull’ordine di una curva per la quale deve passare un dato numero di quadriche. | 8. Il risultato semplicissimo ottenuto nel $ precedente ci permetterebbe di sta- bilire subito un minimum per il numero delle quadriche che passano per una curva 06 di dato ordine e genere e appartenente a un dato spazio (o almeno di stabilire un | tal minimum in modo nuovo, se la curva è non speciale). Ma per noi ha molto maggior importanza lo studio della questione seguente: Determinare possibilmente un ordine dal quale in su una curva di S,, supposta normale (1) e di genere 7 —k (dove k ha un valore assegnato ad arbitrio) (2), stia necessariamente sopra almeno (3) — è quadriche indipendenti. Di una tale ricerca ci converrà ora occuparci. Sarà condizione sufficiente per quanto si richiede che si abbia: USI r( Paol pesi (MPT | Tek x n dove n è l’ordine della curva e y' indica il minimo intero non inferiore a ee (3). K chiaro che, quando nessuno dei numeri n_-r—-d—-1 n—_r—-Èd n—_r—1 r—1 1 STIRO r—1 sia intero, lo stesso x" è anche il minimo intero non inferiore a = , e perciò la relazione scritta testè — sostituendo a il suo valore — si riduce subito a que- st’altra e 91 ossia x" > A + 1. Se dunque indichiamo con / il resto della divisione di % per è 4 1, basterà che sia y' > ni + 2, e per questo è sufficiente (e anche necessario) NM kl : “= 2izgino 1, ossia fie=0 | (1) n>\&7+2{}e-1}+2 (1) Questa condizione la troveremo però, nella maggior parte dei casi, già di per sè soddisfatta (cfr. anche la nota seg.). (2) Il genere di questa curva sarà dato dunque dall’ espressione Xx}x — Dei ci e 2 ik —_r è anti 1 i sarebbe certo normale quando il suo ordine superasse un certo limite (che dipenderà dal valore di %, e sarebbe anche facile da determinare). (3) Scriviamo per brevità x anzichè xg.1 (cfr. $ preced.). 6 è è ord . D . n Ò Ò dove x (= xo) indica il minimo intero non inferiore a + Avvertiamo poi che la curva stessa SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 343 A Sala E ESTE 3 ai Ei è intero, basterà che Se dunque nessuno dei numeri l'ordine della curva considerata non sia inferiore a sel palle 1]+2 4. Supponiamo ora che fra quegli stessi numeri ve ne sia uno ed uno solo in- tero (non ve ne sarà certo più di uno se è. —}x-1{}d+1{, che si riduce a papi e a via K questa condizione è certo soddisfatta se x numero y' si prende uguale o su- LAT purchè però sia 4. =l. A kl R Ù periore a 77 + 2 (2), e lo è anche per x = — 1 È dunque sempre soddisfatta per bu @) Lelli nella qual disuguaglianza è contenuta anche la (1). Concludiamo dunque che: Una curva normale di ordine n e genere 7 — k, la quale appartenga allo spazio S,, sta sempre sopra ("3") — è quadriche indipendenti (d < r —1) quando (E2d Lol, n=i+2/|e- 1544542 dove 1 è il resto della divisione di k per d 4-1 (3). (1) Qui ancora dunque Xx è il minimo intero non inferiore a nor 021 (2) Con 7 indichiamo sempre il resto della divisione di X per è + 1. (3) Si potrebbe determinare un limite analogo per l’ordine » anche nel caso di èd>7 —1; ma il calcolo (pur non offrendo alcuna difficoltà) riuscirebbe alquanto più complicato, sicchè, per il momento, non ce ne occupiamo. 344 GINO FANO Come primo caso particolare molto notevole abbiamo : Una curva Cr_, di S, sta sempre sopra ("z') quadriche indipendenti — e quindi sopra una rigata razionale normale o una superficie di Veronese comune a queste qua- driche — quando id EMTRMM0CI®: E così pure: Una C2_, normale di S, sta sempre sopra non meno di (3°) — 1 quadriche indipendenti quando = 46 (- — 1) +2 oppure n => 3 (-1)+3 secondo che k è numero pari 0 dispari. Per d=%— 1, abbiamo: Nello spazio S, una curva ; normale di genere t—-k (k 2r + k. Però un ragionamento quasi ovvio ci convince facilmente che una tal curva sta sempre sopra non meno di (x) —k quadriche indipendenti (qualunque ne sia l’ordine). — L'ordine 2r + £ è quello dal quale in su la curva 0%_, è necessariamente speciale. 83. Alcune osservazioni sulle curve contenute in una rigata razionale normale. 5. Dalle poche cose esposte finora appare già come, fra tutte le curve di S,, debbano avere una certa importanza quelle contenute in una rigata razionale nor- male R'* (perchè su di una tal superficie (4) stanno appunto le curve di S, di genere t — 4, da un certo ordine in poi). Mi sembra perciò opportuno di fare qui senz'altro su queste curve alcune osservazioni, per quanto semplici, delle quali avrò a valermi (e spesso) in seguito. (1) La parte relativa alla superficie EF! cessa però di sussistere, per X=0, nel caso estremo n= 2r. (2) In questo caso il limite inferiore dato per l’ordine # è tale che la curva CE_7 risulta già di per sè normale. (8) In particolare una curva 0% dello spazio Ss starà certo sopra una quadrica quando n= 8 (se di genere t—2 invece, quando x > 10; ecc.). Questi risultati rientrano in quelli ottenuti dal sig. Arpuen e già accennati da lui nei Compt. Rendi (4) Colla sola eccezione, per 7= 5, della superficie di Veronese. licei re prio SET 4 = ui e “dee SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 345 Sulla rigata razionale normale di S, si abbia una curva di ordine n e genere p= n — È, la quale incontri ogni generatrice in m punti e sia priva di punti doppi (1). Allora, oltre alla relazione RSI Ne gue È a o nT-T 5 dove Xx è il minimo intero non inferiore a -j° avremo anche quest'altra : r—_1 9 a) (2). p=(m—- 1) (n pz (m— 1) Uguagliando fra loro queste due espressioni del genere p della nostra curva, si deduce facilmente (1) lx—mtbi|{n-1-|x+m{73!j=k Questa relazione può sussistere qualunque sia x, se X è nullo, purchè si abbia x=m — 1 (ossia m=yx+- 1) (3). In casi particolari potrebbe annullarsi anche il secondo fattore, ma si vede subito che, fra le soluzioni che se ne ricaverebbero, la sola di cui si debba tener conto è quella che si avrebbe per m =x+ 2 (e questo anche va d’accordo con quanto si è detto nella nota (4) a pag. 5). Ma se in- vece % è diverso da zero, l’ordine x della nostra curva dovrà soddisfare a certe condizioni che ora determineremo; e così pure, volendo che esista sulla rigata R' una curva C; priva di punti doppi, non potremo più dare ad arbitrio il numero % per cui p+ &k = n. Pongasi infatti n=yx}r-1}+7+1 (essendo perciò 0 < 7 < » — 1). Allora la relazione (1) potrà anche scriversi: e i ml e ponendo ancora per brevità x — m+4-1=%, vediamo che il numero % dovrà sempre essere del tipo e) pote ph_mMiw (1) Sulla rigata razionale normale un punto che sia doppio per una curva tracciata su di essa conta sempre come due fra le intersezioni della stessa curva colla generatrice che lo contiene (e influisce quindi direttamente sul genere della curva). Ciò perchè la rigata razionale normale non può avere essa punti doppi (cfr. anche C. Seere: Recherches générales sur les courbes et les surfaces réglées algébriques; Ile partie; “ Math. Annalen ,, XXXIV). (2) Che si ottiene applicando una formola del sig. Sere già ricordata.in una nota preced. (n° 1). (3) E così appunto sì ottengono, sulla rigata R"-!, le curve di genere T appartenenti a Sr. Serie II. Tom. XLIv. s! 346 GINO FANO dove % è intero (e non nullo, se vogliamo sia X > 0). Dalla stessa relazione n=Y}r —1{4-1+ 1 si ricava poi (3) n=tl4+ 1 (mod. » — 1). Perchè possa dunque esistere sulla rigata R' di S, una curva CA (£ > 0) priva di punti doppi è necessario che il numero k e l'ordine n siano nello stesso tempo l’uno del tipo (2) e Valtro del tipo (3) (1). Questo stesso risultato può ritenersi valido anche nel caso di X= 0, perchè allora la relazione (2) è sempre soddisfatta per % = 0, e lascia anzi del tutto indeterminato il numero /, sicchè la (3) non impone più al- l'ordine n alcuna restrizione. 6. Ma se la relazione (2), per un dato valore £, è soddisfatta da una certa coppia di valori particolari di % e di / (2), essa rimarrà del pari soddisfatta quando le stesse % e si mutino rispett. in l'= —hel'=r—-1—-1 (3); perciò, per un dato valore RE hh—-1 o e 1) + W ' non saranno possibili (4) soltanto gli ordini n dati dalla (3), ma anche quelli per cui (3°) n= —l41 (mod. 7» — 1). Nelle relazioni (3) e (3’) sono però compresi tutti i casi possibili. Le curve C%_, delle quali è così prevista come possibile l’esistenza esistono anche effettivamente, almeno a partire da un certo ordine, da un certo multiplo cioè di 7 — 1 aumentato di { + 1 o diminuito di Z — 1 (ordine e multiplo che di- penderanno naturalmente dal numero k). Le curve il cui ordine è del tipo (3') si possono tutte ottenere segando la rigata con una varietà M?_, che non la contenga e non le sia tangente in alcun punto, ma passi per f (r — 1) + —1 sue genera- trici (5). L'ordine x della varietà sarebbe il numero dei punti in cui si vuole che la curva seghi ogni generatrice (6). — Invece le curve il cui ordine è del tipo (3) non si possono più segare con varietà di ordine eguale al numero dei punti in cui esse tagliano ogni generatrice, ma solo con varietà di un ordine alquanto più ele- (1) Ed è chiaro che, dati ad arbitrio X e x (ed 7), non esisteranno in generale due numeri interi X e per cui queste condizioni siano soddisfatte. Dato » è determinato 7, e dato % è deter- minato 4 (colla condizione 0< 0 e si voglia altresì 41>0; 0 3, che per {= — 1; quando cioè % è del tipo h(h+ 1) 2 se Z= 1, quanto se 7 = 2). E nello spazio ordinario si trova precisamente: che: 77 (r — 1) (3). Invece per » = 3 questa coincidenza ha luogo sempre (tanto genere di una curva priva di punti doppi e giacente su di una quadrica è superato dal genere massimo corrispondente all'ordine di essa di un numero che è sempre quadrato perfetto o prodotto di due numeri naturali consecutivi, secondo che l'ordine anzidetto è pari 0 dispari (4). Osserviamo infine che le cose dette in questo $ per curve prive di punti doppi valgono anche per curve di genere mt —% e con un certo numero #' di punti doppi, purchè al valore % dianzi considerato si sostituisca la differenza % — #'. Ciò segue immediatamente dalla formola cit. del sig. Seere (Rend. Lincei, 1887), dalla quale si deduce anche subito che la differenza % — %' non può mai essere negativa (5). riore a x(r—1). — Il genere di una tal curva (supposta di ordine n) sarebbe infatti = (e —1)n— — Ar + (Ea) Di più, se n 0 per qualsiasi curva (irriduttibile) C" di S, (in altri termini, che il numero #' dei punti doppi di una 5 deve essere < mr — p). (SS) we (0.2) GINO FANO 84 Varietà basi di un sistema lineare co (":°)-: di quadriche. Dimostrazione di un teorema relativo a questi sistemi. '7. Fatte queste poche osservazioni sulle curve contenute in una rigata razionale normale R* di S,, e quindi in ("3') quadriche indipendenti (e non in un numero maggiore, se l’ordine loro supera 2r — 2), torniamo allo studio delle curve 0} di S, contenute in sistemi di quadriche di dimensione soltanto (#3) — é; (#> 1). E proponiamoci anzitutto la questione analoga a quella di cui si occupa il sig. Castelnuovo al n° 30 delle sue Ricerche: la determinazione cioè delle possibili varietà basi di questi sistemi. Si vede facilmente che nello spazio S, un sistema lineare di quadriche di dimensione ("') — è non può avere (almeno per è < rx — 2) una varietà base appartenente a S, stesso e di dimensione superiore a due. Suppo- niamo infatti che un tal sistema di quadriche abbia una M$ base (irriduttibile) ap- partenente a S,. Segandolo con un S,_3 non contenuto in alcuna sua quadrica, — il che (come osserva anche il sig. Castelnuovo per il caso di è = 1) è sempre possi- bile —, avremo in questo spazio un sistema lineare di quadriche (M?_,) pure di dimensione (">') — è, e con x punti basi — in generale — dei quali possiamo anche supporre che mai 4 + 1 (K < x — 8) stiano in uno stesso Si_,.. Se fosse dunque x > — 1, bisognerebbe che le M°_, passanti per è — 1 (e forse anche meno) di quegli x punti passassero di conseguenza anche pei rimanenti, e ciò per è < 7 — 2 ossia î — 1°) — i ha infiniti punti basi, questi, finchè i =r — 2, non possono costituire, di varietà appartenenti a S,, che curve o superficie. Se vi è una varietà base di dimensione superiore a due, questa deve essere contenuta in uno spazio inferiore a S, (1). 8. Ciò posto, seghiamo la curva C5 (che supponiamo irriduttibile) con un iper- piano (S,.) tale che delle sue » intersezioni con essa r qualunque siano linearmente indipendenti. Il sistema di quadriche proposto verrà segato dallo stesso S,_; in un nuovo sistema, pure di dimensione ("') — i, e con quelle n intersezioni per punti basi; e poichè le quadriche tutte di S,_, formano un sistema di dimensione (73!) — 1, è chiaro che in questo nuovo sistema ogni quadrica passante per If -(l)_-i{=20-1)+è . (1) Si può dimostrare anzi più generalmente (e in modo affatto analogo) che un sistema lineare di quadriche (di S:) di dimensione uguale 0 superiore a (st) non può avere una varietà base di dimensione (uguale o superiore a) k e appartenente pure a Sr. SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 349 di quegli stessi n punti dovrà (se n > 2(r — 1) + è) contenere di conseguenza i rimanenti (1). Si può prevedere fin d’ora che, se x supererà un certo limite, quelle quadriche di S,_, dovranno avere, non solo questi n, ma infiniti punti (ossia tutta una curva) a comune (2); ciò perchè un sistema lineare di quadriche di data dimensione e con un numero finito di punti basi ammette necessariamente, per questo stesso numero, un massimo (3). Si tratterebbe ora di trovare appunto questo massimo per il nostro sistema, di dimensione (') — è, in S,_ (essendo pur sempre è < r — 2). La questione è piuttosto complicata, ma possiamo dare tuttavia un teorema che ci sembra notevole e dal quale potremo poi ricavare nei $$ seg. (almeno per i casi di à.=2 e = 8) risultati della natura di quelli che testè andavamo cercando, e che si collegheranno anche con quelli già ottenuti nei $$ precedenti. Ragioneremo, per comodità, nello spazio S,, e supporremo perciò il sistema di quadriche assog- gettato a 27 4- è (anzichè a 2(r — 1) + è) condizioni. 9. Il teorema del quale intendiamo parlare è il seguente : Se nello spazio S, sì ha un gruppo di 2(r +) + 1 punti indipendenti (4) e tali che le quadriche passanti per 2r + i qualunque fra essi passino sempre di conseguenza per i rimanenti 1 + 1, questi punti staranno tutti sopra una varietà MT!" = 00° ra- zionale normale di Sx, che sarà anche segata in una Mi; dall'S._, di r — 1 qua- lunque fra quei punti (5). i Consideriamo infatti 1’ S,_. di »x—1 qualunque fra i punti proposti (Ai, As, ..4A,)} e chiamiamolo a. Costruiamo poi le curve razionali normali di ordine » che hanno a per spazio (r — 1) - secante e passano per altri rx 4-1 fra i punti dati (B,, B:, ..., Bru) e rispett. per altri è ancora fra quegli stessi punti (C,, ©, ..., €.). Congiungendo i vari gruppi di punti di\ queste curve che stanno in un iperpiano variabile attorno (1) Si può dire anzi che, se l’S,_j di cui sopra è stato scelto in modo generale, ogni quadrica passante per 2(r —1)+? qualunque fra questi n punti dovrà passare di conseguenza anche pei rimanenti; impongano pure o non impongano quei primi 2(» — 1) + condizioni tutte distinte. (2) E quindi le quadriche di S» passanti per la curva C; dovranno avere a comune tutta una superficie. i (3) La questione, trasportata sulla varietà ml) di S(r—1)r+2) che rappresenta il sistema di D tutte le quadriche di S,_j, si tradurrebbe così: Se la varietà M ha comune con uno spazio Sr un numero finito di punti, questo numero non potrà superare un certo limite; e questo può ritenersi evidente. E alla stessa questione può anche darsi la forma seguente, pure notevole: Sulla curva di ordine 2"? (€ di genere (n — 4) Dt + 1) intersezione generale di r —2 quadriche in Sr-1 Vordine di una serie lineare di gruppi di punti di data dimensione non può scendere al di sotto di un certo limite (che dipenderà naturalmente da questa dimensione). (4) Anche per i punti, come già per le quadriche, ci permettiamo di dire semplicemente indi- pendenti, sottintendendo per brevità il Virearmente. Avvertiamo poi che, per i punti, questa rd? pendenza dovrà sempre intendersi come relativa (per così dire) allo spazio in cui si sa che i punti stessi sono contenuti. Se siamo quindi in Sx, intenderemo (soltanto) che mai X +1 fra quei punti stiano in uno stesso S}_1. (5) Variando questi ultimi punti, potrà variare però la Mina e questo apparirà anche dalla dimostrazione che ora daremo. 350 GINO FANO ad o mediante altrettanti S;_,, otterremo una serie semplice. razionale di spazi, il cui insieme costituirà una M?7'*! normale (1). Lo spazio a incontrerà quei vari S;_, secondo altrettanti S,_s, quindi la varietà M, secondo una M,_; che risulterà di or- dine » — è, e potrà anche scindersi in una M;-i-* irriduttibile e in % spazi Sii (contenenti rispett. altrettanti S,_. di questa M,_)). Ora, la varietà M"**! è contenuta in ('":*') quadriche indipendenti di S, (2), e di queste si vede facilmente che, se è <= — 1 (3), ve ne sono certo almeno 007! che contengono lo spazio a. Nel caso estremo i=»r —1 la varietà MT! è essa stessa una quadrica passante per questo spazio; se invece i ')—#'—1, nel quale nessuna quadrica contenga quest’ ultimo spazio. E questo stesso (ossia co (3) ni è anche il numero delle quadriche dello spazio 0, che passano per la sezione determinata da esso nella varietà M;-i (o nella M;7!) (3); ciascuna di queste (1) In termini meno esatti ma forse più espressivi si potrebbe dire (ed è, d'altronde, anche quasi evidente) che una retta contenuta in un S;_j della M; conta in questa sezione come due punti, un piano come tre, ecc. (2) E sono quelle che si spezzano in a stesso e in un S,_g variabile attorno al- UStrinmiin1-1 = Sno della Miti costituita dalla stessa Mii meno gli #' spazi S;_j che sono già contenuti in 0. (3) Infatti le quadriche indipendenti che contengono la Masi sono, nello spazio S,.__oxr_g cui r—2h'—3 questa appartiene, (30); e nello spazio S,_g = i (TESS RIETI +e-29= (2) +2 6-1. Queste ultime devono ancora assoggettarsi a contenere %' spazi Sj_1, di ciascuno dei quali conten- 352 GINO FANO ultime sarà dunque sezione di una delle prime, ossia di una quadrica di S, passante per Mi e non per a. Fra quelle stesse quadriche dello spazio 0, possiamo ora trovarne un sistema lineare di dimensione ("3‘) — &" — 22” — l' — 1, nel quale nes- suna varietà contenga lo spazio a. (1); e questo numero è anche quello delle qua- driche di a, stesso che passano per la sezione determinata nella varietà M, da que- st’ultimo spazio (2). Così continuando, si conclude facilmente che le quadriche dello spazio R passanti per la sezione determinata da questo stesso spazio in M; sono precisamente tante quante quelle di S, che passano per MT! e non per B (3); e perciò una qualunque delle prime può sempre ottenersi come sezione di una di queste ultime. In particolare, se fra quelle prime quadriche ne consideriamo una passante per un certo numero, ad es. per y —i—2 fra gli r —i punti A che stanno in 8 — supposta la cosa possibile —, la quadrica di 5, (passante per M.) di cui quest’ul- tima quadrica può considerarsi come sezione dovrà pure contenere quegli stessi punti. Ma questa quadrica di S, passerà allora per la varietà M}-'#1, quindi per tutti i punti B,..... C..... D..... (in numero di r + 2î + 2), e conterrà perciò complessiva- mente già 2r + è fra i punti proposti; essa dovrà dunque contenere anche i rima- nenti è + 1, e in particolare quegli altri due punti A che stanno in R. Questi ultimi staranno perciò anche sulla quadrica di B prima considerata, ossia: “ Le quadriche dello spazio BR passanti per la sezione che questo spazio deter- “ mina nella varietà M, e per r -i—2 qualunque fra i punti A in esso spazio “ contenuti passano anche tutte per gli altri due fra questi stessi punti ,. gono già un S;_g fisso, e ciò equivale a nuove 7' (22—1) condizioni, che è facile anche riconoscere come tutte distinte. E si ha precisamente: (GM 2a (IE (1) E ciò perchè quest’ultimo spazio è a sua volta contenuto in un sistema lineare di quelle stesse quadriche di dimensione 24” +7 —1. Questo numero deve essere infatti quello degli S,_4 di a, che passano per la sezione determinata da 0, stesso in M, astrazion fatta dagli #' spazi S;j_j e dagli / spazi S,_o già contenuti in a. Ora la M;_9 di a, (compresivi tutti gli S;_o) è di ordine r—i— 2%; senza quegli / spazi resterà dunque di ordine » — î— 2% —/, e apparterrà perciò a un [-— 24 — —3]. E quest’ultimo spazio, insieme ai rimanenti # —%° spazi S;_j, determina un 2941 S (2) Per la sola M;_g di a, (che, compresivi tutti gli S,_3, è di ordine r —- i—2%N —A"— 20) r—i—-2h/-h" 2 [r—- 22" —! —3] pel quale in a, passano appunto DO r_4 passano, nello spazio cui essa appartiene, ( n) quadriche indipendenti; nello spazio as ne passano invece (79) + (224 2"+27)(— 2). Queste ultime devono ancora obbligarsi a passare per #'—n"+1 spazi S;_o e per #' spazi S;_3 (già segati in altrettanti S, 4 fissi); il che equivale complessivamente a (A — R° +) (2i — 3) +" (8 — 3) condizioni (e ancora tutte distinte). Hil numero (Gen a an) e emo 3) Sra(87283) si riduce precisamente a (Ger=mw = (8) Questa proposizione sarebbe evidente o quasi quando lo spazio B segasse Mii in soli r—i punti; allora non vi sarebbe anzi in a nessuna quadrica passante per la Mj_j e per B. Ma, come già si è detto, non possiamo asserire di poterci sempre ridurre a questo caso. A do a Ce I a SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 503 Da ciò noi dedurremo subito che gli x — è punti A dello spazio f devono stare tutti sulla sezione che questo spazio determina in M; (e quindi su M,; stessa). Abbiamo già veduto infatti come tale sezione sia costituita. Consideriamo per- tanto uno qualunque Sy degli spazi in essa contenuti (o < pu <= è — 1)(1), e poniamo per brevità + —- 1 —1=p. Fra gir—i=p4+1 punti A dello spazio S = $ possiamo sempre trovarne uno non contenuto in Su (2); poi un altro non contenuto nell’ Su+1 di Su e di questo primo punto, un terzo non contenuto nell’Su+s di questo Sut1 e del secondo punto, ecc. Possiamo infine, fra gli stessi p + 1, trovarne p — yu i quali insieme allo spazio Su costituiscano un gruppo appartenente a Sp. Chiame- remo questi punti AM, AM ....., LO nd i rimanenti, AQ, A®, ....., Du: Dalla relazione è. n, + ..... +nan=7 —i=p +1 segue altresì che, tolto lo spazio Su, i rimanenti che con esso concorrono a formare la sezione di $ colla varietà M; staranno certo in un Sp_u-1. Considero ora lo spazio S:_1 = Y determi- nato da questo Sp_u-1 e da pu qualunque fra i punti A® (escludendone perciò uno qualsiasi A°) (3), e poi un altro Sp-1, che chiamo è, determinato dall’ Sy di cui sopra e da p—u—1 qualunque fra i punti A! (tutti ad es. meno A”). Questa coppia di S:-1 è una quadrica di Sp contenente già l’intera sezione B.M,; e p — 1 fra i punti A (tutti meno A“% e A); la stessa quadrica dovrà dunque passare anche per questi ultimi due punti. Ma A“ non può stare in è (perchè l'insieme di S, e dei punti AU appartiene a Sy); starà dunque in y, e ciò qualunque sia l’indice # scelto fra i numeri 1, 2,..,p—yu; in altri termini, lo spazio y dovrà contenere tutti quanti i punti A; e contenendo perciò complessivamente già p punti A, non potrà più-contenere A. Quest'ultimo punto starà dunque in è, e ciò ancora qualunque sia fra gli indici 0.1.2 ..... u quello designato con s; in altri termini, tutti i u4- 1 punti Al dovranno stare nello spazio è — e anzi in ciascuno dei p — u spazi Sp1 che congiungono l’ Sy considerato da principio a p — u — 1 qualunque dei punti AU; essi staranno perciò anche nell’Sy stesso che è precisamente l’intersezione di tutti questi spazi. Segue da ciò che uno spazio qualunque Sy appartenente alla sezione 8. M, deve contenere u+- 1 fra i punti A dello spazio 8; e questi punti varieranno anche tutti da uno di quegli spazi all’altro, perchè due qualunque di questi ultimi non si incon- trano (4). Avendosi poi la relazione X (u4-1) n = +1, è chiaro che i p+1 punti A verranno tutti assorbiti dai vari spazi Su e staranno perciò tutti sulla se- zione B.M.. (1) Se detta sezione si componesse di (soli) r — punti, non potrebbe essere, naturalmente, che u=0. Il nostro ragionamento vale però (come si vedrà subito) anche per questo caso. (2) Farebbe eccezione il solo caso in cui fosse u=p; ma allora lo spazio Sp = R sarebbe tutto contenuto in Mi, e su questa varietà starebbero perciò senz'altro tutti i p-+1 punti A. (8) Per il momento, non si potrebbe ancora asserire che lo spazio y rimanga con ciò indivi- duato; certo però che vi è qualche Sp_1 passante per quell’So_ui e per questi u punti. Dal seguito del ragionamento apparirà poi che non può esservene che uno. (4) I vari spazi Su sono contenuti infatti rispett. in altrettanti S,_1 di Mini ; e due qua- lungue di questi S,_j non si incontrano, a meno che la varietà stessa non sia un cono — nel qual caso ci converrà (e basterà) prendere lo spazio R non incidente all’asse (al più S;_o9) di questo cono. Serie IL Tom. XLIV, T 1 354 GINO FANO La varietà MI di S, contiene dunque certo (r— i) +(r+1)+i+(i+1) ossia 2r +-é + 2 fra i punti proposti; conterrà perciò anche i rimanenti è — 1 (perchè le quadriche passanti per essa non passano, di conseguenza, per nessun altro punto); e la proposizione enunciata al principio di questo n° rimane così dimostrata. Il teorema si estende manifestamente al caso di un numero di punti anche su- periore a 2(r + è) + 1, purchè sempre le quadriche passanti per 2r + è qualunque fra questi passino di conseguenza anche pei rimanenti. — Nel caso di î=1 questo teorema coincide con quello già dato dal sig. Castelnuovo nelle sue Ricerche (n° 30); veniamo quindi addirittura a svilupparne le conseguenze più importanti per il caso dilai=12% $ 5. Sistemi lineari col?)-? di quadriche e loro varietà basi. Superficie di ordine » a sezioni ellittiche. 10. Facendo nel teorema del n° 9 î = 2, troviamo la proposizione seguente: Se nello spazio S, (r => 4) sì ha un gruppo di 2r +24 x punti indipendenti e tali che le quadriche passanti per 2r + 2 qualunque fra essi passino sempre di conse- guenza pei rimanenti x, questi punti, se x => 3, staranno tutti su di una rigata razio- nale normale RT (che sarà anche segata în una curva di ordine r — 2 dall’S,-, di r— 1 fra quei punti). Dico ora che, nella stessa ipotesi x = 3, le quadriche passanti per quei primi 2r + 2 punti devono avere non solo x, ma infiniti altri punti a comune. Infatti, se così non fosse, fra le quadriche passanti per quegli stessi punti se ne potrebbe certo trovare qualcuna che incontrasse la rigata R'7 secondo una curva irriduttibile (di ordine 2r — 2 e genere r — 2) (1). Su questa curva le quadriche di S, segherebbe una 3-2 gii (2); imponendo loro perciò di passare per 2r + 2 fra i punti proposti (8), rimarrebbe una gi con % punti fissi; cosa che è evidentemente assurda per x > 2. Concludiamo pertanto: Se nello spazio S, (r > 4) si ha un gruppo di 2r + 5 0 più punti indipendenti e tali che le quadriche passanti per 2r 4 2 qualunque fra essi passino sempre di conse- guenza pei rimanenti, queste quadriche avranno a comune infiniti punti (e quindi tutta una linea, passante per una parte almeno di quegli stessi punti). (1) Se questa curva dovesse necessariamente spezzarsi, se ne concluderebbe tosto ch’essa deve contenere una parte fissa comune a tutte le quadriche passanti per i 2r-+-2-+ punti proposti (e passante a sua volta per una parte almeno di questi punti). Non sarà forse inutile l’osservare che per questi stessi punti passa un sistema lineare (almeno) 00” midi quadriche non contenenti la rigata R°1 (2) Infatti la curva (eso sta precisamente su (9) + 1 quadriche indipendenti. (3) Punti che possiamo supporre impongano condizioni tutte distinte (se no si cadrebbe nel caso di 7="1). SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 355 Ovvero anche: Se un sistema lineare di quadriche in S, ha un certo numero k(=2r 43) di punti basi indipendenti e tali che le quadriche passanti per 2r + 2 qualunque fra essi contengano sempre di conseguenza anche î rimanenti (ma non con- tengano altri punti fissi) sarà certo k = 2r + 4. 11. Da questi risultati, riuniti alle considerazioni di cui al n° 8, deduciamo ancora : Se per una curva (irriduttibile) appartenente a S, (r > 5) e di ordine n > 2r +2 passano ("=") —1 quadriche indipendenti, queste quadriche avranno a comune tutta una superficie passante a sua volta per quella curva. È facile anzi riconoscere che questa superficie non potrà essere di ordine superiore a 7 (1); ciò perchè un sistema lineare di quadriche (M?_3) di S,-, di dimensione ("z') — 2 non può avere più di 7 punti basi indipendenti, a meno di non averne infiniti. Dunque : Se per una curva (irriduttibile) appartenente a S, (r > 5) e di ordine superiore a 2r + 2 passano ("3'°) —1 quadriche indipendenti, la stessa curva dovrà stare su di una superficie di ordine = r (e quindi di ordine r o r — 1) comune a queste quadriche. O in altri termini: Se nello spazio S, (r = 5) un sistema lineare di quadriche di dimensione ("=") — 2 ha infiniti punti basi, questi punti non potranno costituire (di varietà appartenenti ad S.) che una curva di ordine <2r +2 0 una superficie di ordine 0, fa eccezione il solo caso di k=1 nel quale, anzichè n > 2r + 1, bisogna supporre n > 2r 4-2. 12. Ora, una superficie di ordine » appartenente a S, può avere le sezioni ra- zionali od ellittiche. Nel primo caso si hanno le rigate razionali ma non normali, bensì proiezioni di quelle di ugual ordine appartenenti a 9,1; e di più, per r=4, (1) E la linea di cui è fatta parola nel penultimo enunciato del n° 10 non potrà quindi rie- scire di ordine superiore a 7 + 1. (2) Con questo non intendiamo però escludere che, almeno se quegli ordini massimi non sono raggiunti, vi possa essere anche qualche ulteriore punto base (isolato), oppure, nel secondo caso, oltre la superficie, anche una curva base non contenuta in questa. (3) Sappiamo anzi che questa superficie può essere di ordine 7 solo quando l'ordine della curva sia < (+2) 1)+ 1. 356 / GINO FANO una superficie non rigata contenente una 00° di coniche, proiezione precisamente della superficie di Veronese da un punto esterno ad essa (1). Ma per le rigate razio- nali di ordine y e appartenenti a S, passano in generale solo ("3') —3 quadriche indipendenti se r > 4, e ne passa una sola se 7r= 4; e per la superficie di quart’or- dine non rigata non ne passa, in generale, alcuna (2). Non sarà dunque sopra queste superficie che potranno stare le curve 0} considerate di sopra; esse saranno invece contenute (quando non stiano sopra F') in superficie di ordine r a sezioni ellittiche. E queste saranno anche le sole superficie di S, che possano essere varietà basi per sistemi di quadriche di dimensione (#3)) — 2 (3). D’ altra parte è pur noto (cfr. DeL Prezzo, loc. cit.) che una superficie d’or- dine r (E") appartenente a S, e colle sezioni ellittiche è sempre rigata per r > 9; 6, se rigata, è necessariamente un cono (4). Per » <= 9 esistono invece in S, delle super- ficie di ordine » a sezioni ellittiche e non rigate, che sono razionali e, se di ordine inferiore a 9, si possono anche ottenere (con una sola eccezione, per = 8) come proiezioni della F° di S,. Queste superficie, studiate per la prima volta dal sig. DeL Prezzo, sono quelle appunto che rappresentano i sistemi lineari di cubiche piane con 9 — y punti basi; e in quel caso speciale accennato per »=8 (super- ficie F° di seconda specie) il sistema delle quartiche piane con due punti doppi fissi. Dunque: i Se nello spazio S, un sistema lineare di quadriche di dimensione ("3°") —2 ha infi- niti punti basi, questi punti, per r > 9, non potranno costituire (di varietà apparte- nenti ad S,) che una curva di ordine non superiore a 2r + 2 (5), oppure un cono (1) Per queste superficie, e per le altre (non rigate) pure di ordine » e appartenenti a S,, cfr. ad es. DeL Pezzo: Sulle superficie del n° ordine immerse nello spazio di n dimensioni (“ Rend. Circolo Mat. di Palermo ,, I). (2) Infatti, se una superficie di Sr si può ottenere come proiezione di altra appartenente @ S,1, è chiaro che le quadriche di S; passanti per la prima saranno tante quanti i coni quadrici di S,+) che passano per la seconda e hanno il vertice nel centro di proiezione. Nel nostro caso si tratta di superficie di ordine 7 che appartengono ad Sr e sono proiezioni di altre di egual ordine appartenenti a S,.43; e fra le (69) quadriche indipendenti (di $,,j) che passano per una di queste ultime, superficie non vi sono in generale (come si. vede subito) che soli (8 coni col vertice nel centro di proiezione (che è un punto assolutamente arbitrario in S,,1, purchè esterno alla F, considerata). Però, se x=4 e quindi x-+1=5 — e in questo solo caso —, ogni punto dello spazio S,41 = Ss sta sopra una corda della rigata normale Rr = R', corda che è asse di un cono quadrico di 2% specie (S,- cono) passante per la rigata medesima; sicchè la R* di S, viene ad avere un punto doppio e a stare a sua volta in un cono quadrico col vertice in questo punto. — Questa stessa eccezione non' si presenta invece per la F* non rigata, che non ha, in generale, punti doppi. Solo quando il centro di proiezione si sia, preso nel piano di una conica della superficie normale (di Veronese), essa viene ad avere tutta una retta doppia (come può succedere anche per la rigata) e a stare perciò sopra un intero fascio di quadriche (in questo caso, di coni quadrici); ma allora essa può considerarsi (e così intenderemo che sia) come un caso particolare della F* a sezioni in generale ellittiche, che è intersezione generale di due quadriche di Sy. (3) Intendiamo naturalmente (qui ed in seguito) che per queste superficie non passino altre quadriche all’infuori di quelle contenute nel sistema accennato. (4) Cfr. C. Sere: Sulle rigate ellittiche di qualunque ordine (“ Atti R. Acc. di Torino ,, XXI) oppure la Mem. cit. nei “ Math. Ann. ,, XXXIV; n° 14. (5) V. la nota (2) a pag. prec. SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 357 normale ellittico (e in questo caso anzi tutte le quadriche del sistema saranno coni, e collo stesso vertice del cono base) (1). Per r = 9 la varietà base potrà anche essere una superficie razionale di ordine r a sezioni ellittiche (2). Una curva appartenente ad S, e di ordine n > 2r 4-2 per la quale passino preci samente ("=°)—1 quadriche indipendenti sta sempre sopra un cono normale ellittico, se r> 9; (e quelle quadriche saranno tutte coni, ecc.). Se r <= 9, la curva potrà anche stare su di una E" razionale a sezioni ellittiche. E in particolare: Una curva normale di genere n —k e di ordine superiore a sit r—-1)H4 10 È 5 3 (r — 1) +2 secondo che k è pari o dispari (2r + 2, sek= 1) starà sempre su di una rigata razionale normale o su di un cono normale ellittico se lo spazio (S,) cui essa appartiene è superiore @ So. Se però r < 9, la curva potrà stare anche su di una EF" razionale a sezioni ellit- tiche; e anche sulla superficie di Veronese, se r= 5. 18. — Una curva tracciata su di un cono normale ellittico di S,, in modo da avere un punto s®° nel vertice di questo cono e da incontrarne ancora ogni genera- trice in altri m punti, è di ordine n= mr + s e di genere p=()r+t1+sm-1)—-e se con 2 indichiamo il numero dei suoi punti doppi (astrazion fatta dall’accennato punto s?°) (3). Perchè dunque una curva di S, di dato ordine » e dato genere p=m —% possa stare su di un cono normale ellittico, è necessario che le due equazioni scritte siano soddisfatte da una medesima terna di valori interi e positivi di m, s e e (in- clusovi per s e 2 anche lo zero). A priorî si può dunque aspettarsi la cosa come non sempre possibile; si può aspettarsi cioè che qualche curva della quale siano asse- gnati ad arbitrio l’ordine ed il genere possa — qualunque siano gli altri suoi carat- teri — non stare mai sopra un cono normale ellittico dello spazio a cui appartiene. Vedremo in seguito, esaminando alcuni casi particolari, che così è effettivamente; e che le curve giacenti su di un tal cono devono avere appunto certi ordini e certi generi particolari, o almeno particolarmente legati fra di loro. (1) Ciò perchè i coni quadrici che necessariamente fanno parte del sistema bastano ad esaurirlo. Del resto, se il vertice del cono ellittico non fosse punto doppio per una quadrica qualsiasi di questo sistema, questa dovrebbe ammettere in quello stesso punto un S,_j tangente ben deter- minato e contenente tutte le generatrici di quel cono; cosa che sarebbe assurda, perchè queste generatrici non stanno in un medesimo iperpiano. (2) Questo si è dimostrato per 7 = 5. Per »=4 poi il sistema di quadriche in discorso sî ridur- rebbe a un fascio, e avrebbe quindi per varietà base appunto una superficie F* a sezioni (in gene- rale) ellittiche. Per x <4 la dimensione (35) — 2 diventerebbe <0. (3) Ciò per la nota formola del sig. Secre, già più volte applicata. Per il caso in cui (come qui) la rigata è un cono, la formola era stata data anche dallo Sturm (“ Math. Ann. ,, XIX, p. 487). 358 GINO FANO Il caso di una curva per la quale si possa condurre un cono normale ellittico ci appare dunque, quasi direi, come eccezione. E si potrebbe anche asserire (e ciò apparirà meglio in seguito) che per r > 9 una curva di S, di genere t —k e di ordine superiore ai limiti già più volte ricordati sta IN GENERALE sulla rigata razionale li _ normale R', e quindi sulle col Dan quadriche che contengono quest ultima superficie. $ 6. Sulle curve di genere TT — 1. 14. — I risultati ottenuti nel paragrafo precedente si applicano a lor volta alle curve di genere t — 1, per le quali (com'è noto) passano sempre almeno ("3') — 1 quadriche indipendenti; e non riuscirà forse privo d’interesse l’esaminare un po’ più da vicino i vari casi che queste curve possono presentare. Basterà naturalmente che ci occupiamo di quelle di ordine x < 3r — 1 (1); e potremo anche limitarci alle curve speciali, supporre cioè altresì x > 2r. Posto pertanto n= 2r-+? dove 0 0, = 0) è soddisfatta solo per i=1, 2a=0. L'unica delle nostre curve che possa stare sul cono ellittico è dunque la C274'; questa dovrà passare (semplicemente) pel vertice del cono, e non avrà punti doppi. i Ciò posto, osserviamo che la curva C+, essendo di genere r 4 2î, conterrà come serie canonica una git?%,; e siccome su di essa gli iperpiani (S,-1) segano una 93,4: COSì vi sarà pure, come residua di quest’ultima, una gs» (8). La considerazione di questa serie residua sarà, come vedremo, fondamentale per lo studio che ci siamo proposti. (1) Se l’ordine fosse più elevato (2 => 3, — 1) la curva starebbe certo su di una superficie di ordine 7» — 1 (v.$8 2). (2) E queste curve sono anche tutte normali, perchè una C+ di Sr+1 non può essere di genere superiore a (r +1) +2(—2)4+1=r4+ 2i—2 (quando sia i> 0 e Sr+-1). (3) È nota la proprietà caratteristica di queste serie (reciprocamente) residue; che cioè un gruppo dell’una e un gruppo dell’ altra, presi pur comunque, formano sempre insieme un gruppo della serie canonica (95500). SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 359 15. E cominciamo col supporre î=1 (1). Avremo curve Ct! di S,, nelle quali la serie lineare segata dagli iperpiani ha per residua una gî. Queste curve si possono dunque tutte ottenere come proiezioni delle 021%? (canoniche) di S,41 rispett. da loro punti (2). Sono in generale prive di punti doppi; ne acquistano uno soltanto quando contengono una gì, il che non si verifica, in generale almeno, se r + 1 > 3, ossia r>2 (8). 16. Poniamo î = 2, quindi r > 3 (4); avremo curve del tipo C?"4?, e queste contengono una gi. Potrebbe questa 9} avere un punto fisso (5), e la nostra curva sarebbe allora proiezione di una C?+3 di S.41, starebbe sopra una rigata razionale normale, e ne segherebbe ogni generatrice in tre punti; avrebbe anche sempre un punto doppio. Escludiamo questo caso, e supponiamo quindi la gì priva di punti fissi. Si può domandare se e quando i suoi gruppi possano essere collineari. Supposto che lo siano, e applicando alla serie la formola più volte cit. del sig. SecrE (Rend. Lincei, 1887), si vede che la cosa risulta possibile in due soli casi, cioè per una Cg° di Sj con punto doppio e per una Cy° di S; priva di punti doppi; curve che stanno rispett. sulle rigate R° e R' e ne tagliano ogni generatrice in quattro punti (6). Se poi i gruppi della gi non sono collineari, essi staranno però certo in altret- tanti piani (cfr. CasteLNUOVO, Ricerche ecc., 14); e questi piani costituiranno una serie co' razionale, normale (perchè è tale la nostra curva), e quindi di ordine r —2 (7); una varietà Mi" dunque, che conterrà la (4°. E poichè le quadriche di $, passanti per questa varietà formano un sistema lineare di dimensione (73°) — 1, vi sarà certo un altro sistema, pure lineare, di dimensione (032 t@enliesionee e costituito da quadriche passanti tutte per la curva 0?*?, ma non per la varietà 5°. Queste quadriche segheranno già ogni piano di M}° in quattro punti fissi (formanti un gruppo della gi); imporre dunque ad una di esse di contenere uno di (1) Le proposizioni generali trovate precedentemente non sono applicabili ai casi di î=1 e i=?2, nei quali la curva in discorso risulta di ordine = 2» +2. La trattazione di questi casi è però ugualmente interessante, e servirà nel tempo stesso a render più completo il nostro studio. (2) In generale, una curva speciale C" di Sr si può ottenere come proiezione di una ct! di S,1 quando la serie residua (rispetto alla serie canonica) della gi, da essa rappresentata ha qualche punto fisso. È questa la traduzione (per le curve degli iperspazi) del teorema inverso del Reduc- tionssatz di NoeTtHER. (3) Se la 02658 di $,:1 sta (come può effettivamente stare) sul cono normale ellittico di or- dine »---1 — epperò contiene (condizione necessaria e sufficiente a ciò) una serie 00! ellittica di coppie di punti — la sua proiezione in Sr starà sul cono ellittico di ordine x; è così che si ottiene quell’unico caso già considerato di curva di genere T—1 giacente su di un tal cono. (4) Essendosi supposto îà< — 1, i risultati che otterremo per un dato valore di ? varranno solo per x>i+1 (ossia per gli spazi superiori a S,41): (5) Più di uno, si vede subito che non può averne. (6) Queste curve si possono ottenere come intersezioni delle rigate che le contengono con varietà del quarto ordine condotte per due o rispett. quattro loro generatrici. Nel primo caso la varietà M$ dovrebbe anche toccare la rigata R? in un suo punto. (7) Da ciò segue altresì che mai tre punti di uno stesso gruppo della 9g} potranno essere collineari. 360 GINO FANO questi piani equivarrà ad imporle due (nuove) condizioni; e noi potremo perciò sempre trovare nell’ultimo sistema una quadrica la quale contenga almeno e O) dn (se- condo che r è pari o dispari) fra quegli stessi piani. L’intersezione residua di questa quadrica colla varietà M” sarà una superficie F di ordine (non superiore a) srt rispett. e, e su questa dovrà stare la curva proposta. La superficie stessa con- terrà pure una co' razionale di coniche, e sarà perciò (a meno che la conica gene- rica non si spezzi) razionale, a sezioni iperellittiche; sarà anche normale, perchè tali sono le sue sezioni (1). Il genere di queste sarà uguale all'ordine della superficie F SARCA b ù DI 5 r_2 r—1 a diminuito di x — 1; non potrà quindi essere superiore a 7 ® 7; ma, in gene rale, avrà precisamente l’uno o l’altro di questi valori. La curva 0”*+? (che dicemmo stare su F) si potrà ottenere come intersezione (completa o parziale) di F stessa é di una quadrica (altra del sistema 0074, e non contenente la superficie F (2)); e se di queste essa è intersezione solo parziale, l'intersezione residua sarà costituita da L o È È : ì un certo numero (nel caso più generale = O) I di coniche. Infatti ogni qua- drica passante per la curva C?°*? e non per F sega ciascuna delle coniche di questa già in quattro punti fissi, posti su quella curva; sicchè la conica di F passante per un nuovo punto eventualmente comune a F stessa e a quella quadrica avrebbe co- muni con quest’ultima già cinque punti, e starebbe perciò tutta su di essa (8). L'ordine della superficie F potrà però qualche volta abbassarsi, — e altrettanto avverrà allora del genere delle sue sezioni —. Così, p. es., se la M5"® fosse un cono — se cioè quegli co' piani passassero tutti per un medesimo punto — vi sarebbe certo nel sistema 00°‘ una quadrica contenente anche 7 — 5 fra quegli stessi piani; la superficie F risulterebbe allora di ordine » 4 1 e colle sezioni di genere due, e le sue oo! coniche passerebbero tutte per un medesimo punto (4). La curva C027+? sarebbe allora intersezione completa di questa superficie con una quadrica. Più particolarmente ancora può darsi che quelle 00* coniche (passando pur sempre per uno stesso punto) si scindano tutte in coppie di rette (concorrenti in questo punto); allora la superficie F_ sarebbe un cono di ordine » +1 e genere due, e la 0**+? sa- rebbe intersezione (completa) di questo cono con una quadrica non passante pel suo vertice. Questa curva conterrebbe allora una serie co' (di genere 2) di coppie di punti, e la gi sarebbe, in un certo senso, composta mediante quella serie (sarebbe cioè la 93 entro la stessa co' di coppie di punti) (5). (1) Sono infatti curve iperellittiche, ottenibili come intersezioni di una rigata razionale nor- male con una quadrica condotta per un certo numero di sue generatrici. (2) E di quadriche così fatte ne esisteranno certo, se 7> 4. (8) Abbiamo così anche un modo, e abbastanza semplice, per trovare delle curve piane atte a rappresentare queste CHE partendo cioè dalle note rappresentazioni delle superficie a sezioni iperellitiche (Cfr. alcuni lavori del Casretnuovo che verranno cit. più particolarmente in seguito). (4) Questa superficie si rappresenterebbe precisamente con un sistema di sestiche piane aventi a comune un punto quadruplo e due punti doppi infinitamente vicini a questo. (5) Il ragionamento fatto è, come si vede, assai semplice; ma si può anche applicarlo (con poche e lievissime modificazioni) in molti casi analoghi, alcuni dei quali saranno pure accennati in seguito. Per questo appunto ho voluto esporlo qui per disteso. SOPRA LE CURVE Di DATO ORDINE, ECC. 361 Questo ragionamento non è più applicabile (tutto almeno) al caso di r = 4. Dal fatto però che per la C%° di S, passano sempre co' quadriche (tutte quelle cioè di un fascio) segue senz'altro che questa curva dovrà stare sulla superficie F' comune a quelle stesse quadriche (e uno dei coni del fascio sarà precisamente costituito dai piani che contengono i singoli gruppi della g}). Riassumendo dunque, abbiamo: Una curva CR di S, (r>4) la quale non stia rl sulla rigata R 3r-4 hi dr —-3 sta in generale su di una superficie razionale normale di ordine 2 2 (secondo che r è numero pari o dispari) a sezioni iperellittiche di genere eo ù r—1 ò î 5 È n a 2a rospett. Ie può ottenersi precisamente come intersezione di questa superficie 2 con una quadrica passante per i 0 7° sue coniche. L'ordine della superficie, e cor- rispondentemente il genere delle sue sezioni e il numero di queste coniche, possono però abbassarsi e ridursi rispett. fino ai valori limiti r | 1, 2, 0; in quest’ultimo caso la superficie può anche essere un cono di ordine r 4-1 e genere due. — Infine per r = 8 la curva Cit può anche stare su di una E° razionale a sezioni ellittiche comune tutte le quadriche che la contengono (e ciò si verifica anzi sempre per r =4) (1); e per r=5 esiste anche una C°° contenuta in una Fi di Veronese. Queste curve sono tutte prive di punti doppi, meno l’ultima (03° di S;) che ne ha uno (2). 17. Per è = 3 lo studio delle curve (25; di S, rimane assai facilitato, potendo noi già asserire « priori (in forza di teoremi precedenti) che ciascuna di queste curve dovrà stare su di una superficie normale a sezioni razionali od ellittiche. Sappiamo anzi che questo secondo caso potrà presentarsi solo per y = 9 (e anzi solo per r = 8 se l’ordine 2r += 18 < della curva in Sy non è un multiplo di 3); ma possiamo anche ritrovare la stessa cosa per altra via. (1) Questo ci è confermato (almeno in parte) anche dall’enumerazione delle costanti, la quale ci dice appunto che la C°7? generale non sta certo sulla F” razionale a sezioni ellittiche se x > 4, Pp T44 ma può forse starvi per r=4. Infatti le curve Car di Sr formano, tutte insieme, un sistema di dimensione almeno uguale a (r 4-1) (22 +2) — (+ 3) (rr — 3) ossia 7° + 4r +11 (cfr. CasteLNUOVvO : Numero delle involuzioni razionali ete.; È Rend. Acc. dei Lincei ,; serie II, 1889). Quelle invece che stanno sopra una F” a sezioni ellittiche (esclusa almeno la F* di seconda specie) ne formano uno di dimen- sione (r2-+ 10) + (3r+5)=° +3r + 15. (Infatti le F” di S, a sezioni ellittiche sono oo” 11% (x < 9), 2r 4-2 THA e su ciascuna di queste le © — che si rappresentano con C' piane aventi nei 9—y punti fon- damentali rispett. uv punto triplo e 8 —7 punti doppi — formano (per 7 = 8) 9— » sistemi lineari di dimensione appunto 35 —6—3(8—7r)= 8r4+- 5). E questo secondo numero (7° + 3r + 15), infe- riore al primo per 7 = 5, diventa invece eguale ad esso per 7=4. (2) Volendo fare a parte la ricerca delle CERO con punto doppio, si potrebbe osservare che queste ultime contengono una Gta quindi (come residua), una gg; e questa può essere composta mediante una 9 (ma non altrimenti) — e allora si hanno le curve esistenti sulla rigata RT! e considerate da principio —, oppure ron composta (e senza punti fissi). Im tal caso la C?°42 deve potersi riferire a una sestica piana, il che esige » 4-4 < 10, quindi y = 6, e anzi 7 = 5 perchè la Sestica piana generale non contiene alcuna gi. Per »=4 si ha allora la cio di S, coi gruppi della gi collineari; per 7= 5, la (et di S; posta sulla superficie di Veronese. Serre Il. Tom. XLIV. ; ui 362 GINO FANO Abbiamo già osservato che la curva Co contiene una serie lineare gi. Perciò, se questa serie non è composta e non ha punti fissi, quella curva sarà certo rife- i] ribile a una C&G; (semplice) di S._,, sulla quale la gi, verrà segata dagli S._, contenuti nel suo S;_i. La serie gi. non può essere composta. Infatti, essendo sO < 4 (se è > 2), essa potrebbe tutt'al più essere composta con una serie 00' di coppie o di terne di punti. Quest'ultimo caso si esclude subito, perchè l'ordine 3} — 2 non è certo multiplo di 3. Quanto al primo, esso potrebbe presentarsi soltanto quando i fosse pari; e, supposto allora è = 2%, il genere della serie di coppie di punti non potrebbe superare il limite (34 — 1) — (2XK—1)=&% (1). E questo ci porterebbe a concludere che le congiun- genti di quelle stesse coppie di punti formerebbero una rigata di ordine 4, potremo concludere che, fuori della rigata R', le curve 27,4% possono esistere soltanto per r {+ 6 = 15 ossia per r = 9 (dunque per r=5,6 7% 8 De ° le curve C27% solo per 7 -|-- 8 = 16 ossia per r < 8 (dunque per r = 6, 7, 8); le curve (274% (?>4) solo per r + 2° < 3 (i+ 1) ossia per r < d + 3 (dunque TH+2i perr=i+2, d +3); e anzi queste ultime (come si vede facilmente) se x > 9 dovranno stare anch’esse sulla rigata R”, ma ne taglieranno ogni generatrice in quattro (anzichè in tre) punti (2). (1) La serie 5 si riduce infatti, su questa co* di coppie di punti, a una CAEno e quest’ul- tima serie è certo mon speciale se 3k-1<2(2%— 1) ossia se £X> 1. (2) Per 7 <= 9 potranno invece essere contenute ancora in superficie di ordine 7; ciò proviene dal fatto che la curva C®*7? di Si-1, pur essendo in generale contenuta in una rigata Rizla contrando le generatrici di questa in quattro punti, può tuttavia, per valori particolari di i, incon- trare queste stesse generatrici in cingue punti, o anche stare sulla superficie di Veronese. — E questo limite 9 (e anzi 8 quando l’ordine della curva, per = 9, non risulterebbe multiplo di 3) mi sembra veramente notevole. Certo che non ne abbiamo una nuova dimostrazione dei risultati già ottenuti dal sig. DeL Pezzo per le superficie razionali a sezioni ellittiche (in quanto specialmente queste non SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 363 18. Possiamo riassumere i risultati ottenuti sulle curve di genere t —1 e di ordine compreso fra 2v +1 e 38r— 2 (limiti inclusi) — curve quindi del tipo Cai (O 9); ma ne abbiamo però una conferma, notevole sopratutto per il modo in cui vi siamo giunti, partendo cioè da un ordine di idee affatto diverso da quello in cui era lo stesso sig. Der Pazzo. La stessa via, considerando le curve di genere t —2, t—3,..., conduce ai limiti analoghi 11, 14, ..... 364 GINO FANO Numero Indicazione dei Superficie in cui le curve Curve piane della curva punti sono contenute cui sono riferibili (1) doppi SÈ ER ANON DA Superficie F! a sezioni ellittiche | 07 piana (A* Bî Bì Bî Bj PAS È p D DR Lo 1 Superficie F‘ di Veronese C° piana (A? i p p Ck RLCD Napo 9 F° a sezioni ellittiche | 0” piana (A* B? Bî B3 (SI 5 | ii iene ” ” ” » (Aî A} A; Aî) [ . . . . . 2 - Superficie F° a sezioni ellittiche s (A* Bî B3) o o (28 to => ”» » » » (Aî Aî 3) Di , n | Ù - A È A C° piana (Aî A3 B°) d \ n —_ Superficie F” a sezioni ellittiche | C° piana (A°B?) (©) Fi } Ck tai » b) » » (Aî Aî) È 15 - o ; ò 0° piana (Aî Aè) ce | III IE) I li . . . . . |. Cè — Superficie F*° di prima specie C” piana (A°) fa hà TE. » 5 DI ”» ”. (A) (79) È .9 Cî Tai ” » ”» (0 piana (A3) N È (055; SA »” » » » (A) È o a È di seconda specie È (A°B3) i | = i 3 n 0° piana (Af A3) 088 — È 5 È C° piana (A° B$) } SE \ n — Superficie F° a sezioni ellittiche | 0° piana generale Z È di AF ” » » C5 piana » (1) Le parentesi (08 Bî Bî Bj Bi) ecc. di quest’ultima colonna — e così pure quelle dell’ ana- loga tabella alla fine del $ 8 — indicano i punti multipli delle varie curve piane. La prima C' avrebbe quindi un punto triplo (A*) e quattro punti doppi (Bî da B7) — la multiplicità essendo sempre data dall’indice superiore —. E da questo si deduce anche facilmente quali serie notevoli di gruppi di punti contengano le varie curve. SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 365 UD I Sistemi lineari di quadriche di dimensione ("3!) — 3. Loro varietà basi. — Superficie di ordine »+ 1. 19. — Lo stesso teorema del n° 9 ci dà ancora, per î=3: Se nello spazio S, (r = 5) si ha un gruppo di 2r 4-3 +4+x(x => 4) punti indipen- denti e tali che le quadriche passanti per 2r + 3 qualunque fra essi passino sempre di conseguenza pei rimanenti, questi punti staranno tutti su di una Mi° = 00 razio- nale normale di piani (che sarà anche segata in una rigata R'T* dall'S.> dir —-1 fra quei punti). Si può mostrare anche qui che le quadriche passanti per quei primi 2r +3 punti dovranno averne comuni di conseguenza non solo %, ma infiniti altri. — Sup- poniamo infatti che il loro sistema lineare abbia soltanto un numero finito 2r +34 @ di punti basi. Per questi punti passano certo (73°) — 2r — 3 ossia (3) — 2 quadriche indipendenti, mentre per la varietà M:7° non ne passano che ("3°); vi sarà dunque un sistema lineare (almeno) 007° (e quindi, se x =5, di dimensione certo > 0) di quadriche passanti per i punti proposti e non per la varietà M:-°. Fra queste pren- diamone, possibilmente, una che seghi la M}"® stessa in una superficie irriduttibile; superficie che risulterà di ordine 2 — 4 e colle sezioni iperellittiche di genere 7 — 3, e passerà per quei certi punti. Si seghi ancora questa superficie con una quadrica che non la contenga, ma passi per questi stessi punti; si avrà così una curva di ordine 4r — 8, per la quale passeranno ("3°) +2 quadriche indipendenti. Su questa le quadriche di S, segheranno una gig; e obbligando queste stesse quadriche a passare per quei primi 2r +3 punti, rimarrà una g$-% che dovrà avere x punti fissi. Se noi dimostreremo che questa serie (supposta almeno la C*-* irriduttibile) non può avere più di tre punti fissi, potremo dunque concluderne che, nel nostro caso, la superficie o la curva di cui sopra saranno necessariamente riduttibili, e che perciò le quadriche passanti per i punti proposti avranno certo infiniti punti a comune (1). Supposto pertanto che la gi-î» possa avere anche tre punti fissi, basterà mostrare che la gi? ottenuta astraendo da questi ultimi non può averne più alcuno. È questo appunto che ora faremo. La superficie considerata di ordine 2r — 4 si può infatti rappresentare sul piano col sistema delle curve di un certo ordine r — 14- yu (u=7 — 3) aventi a comune un punto (» —3+ )° — che chiameremo P — e poi ancora u punti doppi infi- (1) Infatti, se la superficie E°" fosse necessariamente riduttibile, la cosa sarebbe quasi evi- dente, perchè in ogni iperpiano — e precisamente sulla sezione determinata da questo nella Me — vi sarebbe qualche punto comune a tutte quelle quadriche. Che se poi la superficie potesse prendersi irriduttibile, ma non così la curva sua sezione con una quadrica, le sezioni così ottenute (non potendo, come si vede facilmente, spezzarsi in curve di un fascio) avrebbero certo tutta una parte a comune (parte che passerebbe per alcuni almeno fra i punti proposti). 366 GINO FANO nitamente vicini a questo e 2r — 4 punti semplici (1). La sezione determinata da una quadrica in quella superficie — in particolare dunque la curva considerata di ordine 4r — 8 — si rappresenterà allora con una curva piana di ordine 2r — 24- 2u avente il punto P per (2r — 64 2u)P!° e poi ancora u punti quadrupli (A) infinita- mente vicini a questo e 2r — 4 punti doppi (B). Questa curva — che chiameremo 0 — è di genere 4r — 11, e contiene perciò come serie canonica una gg}; ad ogni gszî su di essa corrisponderà dunque come residua una g5,». Fissato pertanto un gruppo arbitrario G»,_» di quest’ultima serie, potremo segare su © la gi7% col sistema lineare delle curve di ordine 2r —5 + 2u che passano per il gruppo G:,_s e sono aggiunte a C stessa, hanno cioè il punto P per (2r —7+ 2), i u punti A per tripli, e passano ancora semplicemente per i 2rx — 4 punti B (2). Da una qualunque di queste curve si staccheranno però le u rette che congiungono.P ai singoli punti À; e, facendo astrazione da queste, rimarrà una curva generica di ordine 2r — 5 + w avente il punto P per (2r —7-+ uP, i u punti A per doppi, e passante ancora sem- plicemente per i 2r — 4 punti B. E qui possono darsi due casi: 1° La curva generica è irriduttibile; 2° La curva stessa si spezza; e in tal caso, non potendo spezzarsi in curve di un determinato fascio (3), essa conterrà necessariamente una parte fissa. E questa parte può essere costituita soltanto: a) Da un certo numero di rette uscenti dal punto P; 6) Da una curva di un certo ordine £ avente in P la multiplicità hl — 1 (4). Esaminando separatamente questi diversi casi — cosa che non presenta d’al- tronde alcuna difficoltà — si trova che ciascuno di essi conduce effettivamente a determinare sulla curva © delle serie g$/-î:, ma prive tutte di punti fissi. Per non dilungarci troppo, ci limitiamo ad accennare in nota il ragionamento (5). — La (1) I numero u è la differenza da 7» — 3 dell’ordine della direttrice minima della superficie in discorso (ordine che è appuuto = 7— 3). Cfr. ad es. CasreLnuovo: Sulle superficie algebriche ece. (£ Rend. di Palermo ,, IV). (2) La serie CAS è certo completa, essendo tale la GRZ e quindi la (So (v. pag. prec.). (3) Perchè se no la RETRO risulterebbe composta mediante una serie Zireare, di ordine £ 3 se r>5 e =4 se 7=5; e di serie così fatte sulla curva C non ne esistono. (Per »x=5 sarebbe anche una gi diversa da quella che è segata dalle rette uscenti da P). (4) Non da una curva di ordine % avente in P la multiplicità &— 2, perchè se no la TEGIS, dovrebbe risultare composta mediante la gl segata dal fascio P. (5) Cominciamo col supporre che la curva generica M passante pel gruppo Go,_o sia irridut- tibile. — È facile riconoscere che un sistema lineare 00° di curve di un ordine qualunque 2 avente un punto M—- 2° è punti doppi basi non può avere ancora, se d>r—u—1, più di 3(n—u— (4-4 1) punti basi semplici, e non più di 4(n — u — 2(04+ 1) se invece d 5) sì ha un gruppo di 2r +7 0 più punti indipendenti e tali che le quadriche passanti per 2r 4-3 qualunque fra essi passino sempre di conse- quenza pei rimanenti, queste quadriche avranno certo a comune infiniti punti (e quindi tutta una linea, passante per una parte almeno di quei primi punti). Ovvero anche: Se nello spazio S, (1 = 5) si hanno k(=>2r +4) punti indipendenti e tali che le quadriche passanti per 2r +3 qualunque fra essi passino sempre pei rima- nenti — ma non per altri punti fissi — dovrà essere altresì k = 2r + 6 (1). 20. Questi stessi risultati, uniti ad osservazioni precedenti, ci dànno ancora: Una curva (irriduttibile) appartenente a S, e di ordine superiore a 2x 4-4 per la {sal] quale passino ("=') — 2 quadriche indipendenti è sempre contenuta in una superficie comune a queste stesse quadriche. Si può anche riconoscere facilmente che questa super- ficie sarà di ordine |l 42} rl (+1+2 dove ? ha il noto signi- (1) Più generalmente anzi, una superficie razionale colle sezioni di genere p > 1 non può appar- tenere a uno spazio superiore a Ssp45 (e se appartiene a un $g,45 le sue sezioni devono essere curve iperellittiche). Questi risultati — e le loro traduzioni per i sistemi lineari di curve piane — si trovano in diversi lavori del sig. CasreLNUovo; cfr. ad es.: Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche (“ Rend. di Palermo ,, IV); Massima dimensione dei sistemi lineari di curve piane di dato genere (“ Ann. di Mat. ,, serie II, t. XVIII); e Ricerche generali sui sistemi lineari di curve piane (£ Mem. Ace. di Torino ,, serie II, vol. XLII). SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 269 ficato staranno in generale, se r > 11, sopra almeno ("3') — 1 quadriche indipendenti, e anzi precisamente sopra ("z') tali, ancorchè non abbiano l’ ordine superiore a &+29 6-1) +1. $ 8 Sulle curve di genere IT — 2. 22. I risultati ottenuti nel $ precedente si applicano in particolare alle curve di genere t —2, per le quali, come sappiamo, passano sempre almeno ("7°) — 2 quadriche indipendenti (e ne passano anzi certo almeno (":') — 1 se l’ordine è supe- riore a 3r — 2, e (72') se è superiore a 4r — 3; condizioni queste, s’ intende, solo sufficienti). — Daremo ora un cenno su queste curve di genere t — 2 (come già si è fatto per quelle di genere mt — 1); ma proponendoci di tenere, nei limiti del pos- sibile, la massima brevità. E cominciamo colle curve di ordine inferiore a 3r — 1, quindi del tipo C27ti_, (supposto anche qui 0 << — 1) (1). Esse contengono per è =2 — come residua della g5,,, Segata dagli iperpiani — una gii, e di ciò avremo a valerci in seguito. Fra queste curve, come si vede facilmente, possono stare sul cono normale ellittico soltanto quelle di ordine 2r +1 (m=2, s=a=1) e 2r+2 (m=s=2, 2=0); e sul cono normale di genere due soltanto quelle di ordine 2r+-3(m=2, s=1, a=0)(2). 23. Facendo î=1, abbiamo curve del tipo OZ60rE, e queste sono certo 70% speciali. Possono stare, come abbiamo veduto or ora, sul cono normale ellittico (3). Per i=2(r > 3) abbiamo delle Ct, che si possono tutte ottenere come proie- zioni delle curve canoniche 073% di $,.,, rispet. da loro corde. Non hanno in gene- rale punti doppi, perchè se no dovrebbero contenere almeno una gi, il che, in , generale appunto, per r {- 3 > 6 ossia r > 3 non si verifica. Per î=3(r > 4) abbiamo curve 0°? contenenti una gj. E qui ci converrà distinguere vari casi: (4) a) Curve con due punti doppi: Stanno tutte sulla rigata R'7! e ne incontrano ogni generatrice in tre punti. Solo la C5 di S; può incontrare +queste stesse rette in quattro (anzichè in tre) punti. (1) Anche queste curve (come quelle di genere t —1 considerate nel $ 6) sono tutte normali. (2) Per il significato di queste varie lettere cfr. n° 13. (8) Sono di questo tipo anche le curve di ordine 2» +1 che stanno sul cono razionale normale di ordine »—1 e hanno nel suo vertice un punto triplo (v. C. Secre: Recherches générales ete., I; “ Math. Ann. ,, XXX). (4) Possiamo supporre che la 9 non abbia punti fissi, perchè se no la CERA si potrebbe ottenere come proiezione di una Co di Sr+1 (che è di genere tr —1, e quindi da noi già stu- qer+8 diata). Questo caso si presenta anche quando la sta sul cono normale di genere due. Serie Il. Tom. XLIV. v! 370 GINO FANO 5) Curve con un (solo) punto doppio: Per ciascuno dei valori r = 5, 6, 7, 8,9, abbiamo una 02? contenuta in una F” razionale a sezioni ellittiche (di prima specie, per "= 8); e di più, per "= 6, una Ciî che sta sulla rigata R° e ne incontra ogni generatrice in 4 punti (1). c) Curve prive di punti doppi: In queste. curve i gruppi della g3 non sono mai collineari; possono però stare in piani per y < 11 (e in questo caso vi sono preci- samente 11 — gruppi con una terna di punti collineari). La nostra curva è allora contenuta in una superficie di ordine r +1 comune a tutte le quadriche passanti per essa; e la stessa superficie sarà anche luogo delle coniche determinate dai sin- goli gruppi della g5, delle quali 11 —r si spezzeranno (naturalmente) in coppie di rette (2). — Infine i singoli gruppi della serie gì possono appartenere a spazi S; (non però a S,). Applicando a questo caso un ragionamento analogo a quello già tenuto in altra occasione (v. n° 16), si trova che queste curve stanno allora (in generale) in una superficie contenente una 0 razionale di quartiche ellittiche, e di ordine 12(— 1) non superiore a 5 ù 24. Sia ora i=4; r > 5. Avremo curve del tipo (O2RE5O e queste contengono una gi, che possiamo anche supporre priva di punti fissi. a) Questa serie g3 può essere composta: a) Con una serie 00 di coppie di punti di genere k <3. Questo è possibile solo per X=3; e si ha così una curva di ordine 2r +4 (priva di punti doppi) che è l’ intersezione generale di un cono normale di ordine x + 2 e genere 3 con una quadrica (non passante pel suo vertice); i 8) Con una serie lineare gi. I gruppi di questa possono essere collineari nei tre casi di »r= 6, 7,8; e troviamo così delle curve contenute rispett. nelle rigate razionali normali R°, R°, R”. In ogni altro caso i gruppi della gi dovranno apparte- nere ad altrettanti piani; e la curva 02 starà su di una superficie razionale nor- dr 2 3r—-3 poso male di ordine (in generale) , a sezioni iperellittiche di genere 7 0 pal . 9 n È i —-; e sì potrà segare su questa stessa superficie con una quadrica condotta per ps . È o o 9 sit È po E coniche. L'ordine della superficie, il genere delle sue sezioni, e il numero di queste coniche possono però abbassarsi fino ai limiti rispettivi r + 2, 3, 0, e in quest’ultimo caso la superficie può anche essere un cono (iperellittico) — il che rientra nel caso a) —. Per r < 11 l’ordine della superficie può anche ridursi a r + 1, e può ridursi anche ad 7 per r < 9, e a quattro per r= 5; in questi casi però la superficie stessa risulta comune a tutte le quadriche passanti per la curva proposta. (1) Quest'ultima curva — e così pure la (Cho di Ss di cui all’al. @) — contengono evidentemente una gi e quindi infinite 9 con un punto fisso; ma contengono pure rispett. due ed una gd prive di punti così fatti. (2) E questo va d'accordo perfettamente con un risultato già ottenuto dal CasreLnuovo (Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche, n° 5). SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 371 5) Se la gî non è composta (e non ha punti fissi) la 077 sarà riferibile a una C° piana. Questo esige naturalmente » + 7 = 21, ossia r < 14; e si hanno così vari casi semplicissimi, che saranno poi enumerati, alla fine di questo $, nella relativa tabella. 25. Per 4 6,r8r — 1 stanno, come già si è detto, sopra almeno ("3') — 1 quadriche indipendenti, e quindi su di una super- ficie (normale) di ordine x o » — 1 comune a tutte queste quadriche (almeno se 7 > 3). E questo varrà in particolare per le curve di ordine =3r — 1. Del resto, se anche non lo sapessimo, basterebbe osservare che queste curve contengono tutte (come residua della g;,-, segata dagli iperpiani) una 9-3 che non può essere in alcun modo composta. Prescindendo perciò dal caso in cui questa serie abbia un punto fisso — e la nostra curva sia quindi proiezione di una C$_; di S,.1 (di genere t) — è chiaro che la 033 dovrà sempre essere riferibile a una C”-* (semplice) di S,_:. Questa curva (che è pure di genere m —2, e corrisponde precisamente al tipo ti di $,) sta sempre sulla rigata razionale normale (R”-*) del suo spazio, — o anche, per r= 7, sulla superficie di Veronese (1) —. Da questo e dalle note proprietà delle curve trac- ciate sulle rigate razionali normali (v. $-3) si può dedurre senza alcuna difficoltà che: In ogni spazio $, esiste una 087 che sta (per 7 > 3) sulla rigata R', e ne incontra ogni generatrice in fre o in quattro punti (o, in casi particolari, anche in cinque); Nello spazio Ss esiste anche una Ci (con due punti doppi) contenuta in una superficie di Veronese; E infine, per tutti i valori di » inferiori a 9, si hanno ancora delle curve #3 giacenti sulle superficie razionali di ordine r a sezioni ellittiche (di 1% specie per r= 8). (1) Questo, per ora, lo ammettiamo, riservandoci di dimostrarlo fra poco (v. ni 28 e 29). 372 GINO FANO 27. Veniamo ora alle curve del tipo C8r,,. Quelle fra esse che stanno sopra (3°) quadriche indipendenti saranno pur contenute (se r > 2) in una rigata RT, della quale potranno incontrare ogni generatrice in tre o in quattro punti (e nei casi di r=4er==5 anche in cinque punti). Per altri particolari rimandiamo al quadro posto alla fine del $. Sulla superficie di Veronese invece la 057,, (Cié per r = 5) non può stare. La stessa curva può stare però sul cono normale ellittico, incontrandone ogni generatrice in #e punti (distinti dal vertice). Una tal curva sarà sempre priva di punti doppi, e si potrà ottenere (e lo si vede facilmente) come intersezione di questo cono con una varietà cubica (M?_;) non tangente ad esso in alcun punto e non passante pel suo vertice. Infine, per y = 9, le curve 0}, possono anche stare su di una superficie razio- nale normale a sezioni ellittiche (di prima e seconda specie per r = 8), e sono allora precisamente l’intersezione (generale) di questa stessa superficie con una varietà cubica (M?_;) di S, (cfr. anche la tabella in fine del $) (1). . . olo . n bi . . . (1) La serie lineare g5, segata dagli iperpiani sopra una C3/ di Sr ha per residua rispetto alla serie canonica (985) un’altra gi, — che può in particolare coincidere con essa —. Si dice in tal caso che questa serie è autoresidua, e l'insieme di due suoi gruppi qualunque è allora sempre un gruppo . . « Orig. « 3 della serie canonica. Questa particolarità si presenta certo per tutte le C3/ 1 che stanno sopra sole (1) —1 quadriche indipendenti, perchè su queste curve la ci canonica si può appunto rite- nere segata dal sistema di tutte le quadriche di Sr. Invece sulle CH 1 Che stanno sopra (0) quadriche indipendenti esistono due 95, distinte e residue l’una dell’altra (come si vede subito ricor-. rendo p. e. alle rappresentazioni piane che dalle curve stesse si possono ottenere con successive: proiezioni); e la GET segata dalle quadriche è quindi una serie non speciale (completa). — Il signor CasreLnuovo, nella Nota (II): Osservazioni intorno alla geometria sopra una superficie algebrica (“ Rendiconti Ist. Lombardo ,, serie II, vol. XXIV) ha determinato quali sono le curve di genere 3r che contengono una giy_j autoresidua. Questo corrispondeva al caso limite inferiore, dovendo l’or- dine » di ogni g,, autoresidua essere > 3 —1 (e quindi il genere (=n-+-1) della curva > 87). Noi pos- siamo ora fare la determinazione analoga per il caso successivo (2=37); e, tenuto conto altresì del fatto che una Gr autoresidua non può essere in alcun modo composta (non con una 9 lineare, se no la curva starebbe sulla rigata R"-!; non con una serie di coppie di punti, perchè la formola del Segre condurrebbe a un risultato assurdo) e non può nemmeno avere punti fissi, concluderemo: Qualsiasi curva di genere 3r +1 che contenga una Soa autoresidua è riferibile: Per 7=2: A una sestica piana con tre punti doppi posti in linea retta (poichè due rette qua- lunque del piano devono poter far parte, insieme, di una cubica aggiunta a questa sestica, è chiaro: che non sono qui possibili altri casi); Per r > 2: AWl’intersezione generale di una superficie normale di ordine r a sezioni ellittiche con una varietà cubica di dimensione r — 1. E questa superficie sappiamo pure che è certo un cono se r>9; e solo per "= 9 può essere non rigata e razionale. j In particolare quindi: Ogni g3, autoresidua in cui sia r>9 deve contenere una gi; i composta con una serie OOÌ ellittica di terne di punti, e perciò ogni curva contenente una tal 9g, deve potersi rappresentare con una curva ellittica 0" di S,_j tripla (da contarsi cioè tre volte). Il fatto che quest’ultima curva ammette 7° spazi S,_o iperosculatori si traduce p. e. in quest'altro: Nella serie gii vi sono 1? gruppi costituiti rispett. da altrettanti gruppi della gi ellittica contati ciascuno r volte. SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 373 28. Dimostreremo ora che le curve di genere 7 — 2 appartenenti a S,, quando l’ordine loro n è superiore a 3r stanno sempre sulla rigata R' o sulla superficie di Veronese. Queste curve, per n > 3r, non possono stare infatti sul cono ellittico; già la curva di ordine 3r +1 (passante semplicemente pel vertice di tale cono) è di ge- nere soltanto mt — 8, e le successive sarebbero di genere ancora inferiore a mt — 3. Rimane dunque solo da verificare se, per r < 9, queste stesse curve possano stare sulle superficie razionali normali di ordine . E si vede facilmente di no. Infatti, indicando con wm l’ordine della curva piana cui verrebbe riferita la C* nella solita rappresentazione della superficie, e supposto che questa r” abbia negli î=9 —» punti fondamentali (escludiamo la F* di seconda specie) rispett. le multiplicità 01, v2, ....., %;, sarà n=3m — Zov; e perciò, se vogliamo che il genere p della curva ©" sia precisamente uguale a mt — %, dovrà essere < (0m—-Zo—-r) (m_-Zo-1) _ p = E k (1) Ma d'altra parte abbiamo pure De (m_—- 1) (m—-2) = lapo Quindi, a fortiori: i (m—-Zo—-r) (m—-Zov— 1) {0 RA v PI CARENE I) a (05) 2 (3). Risolvendo ora questa disuguaglianza rispetto a m, e determinando (il che non offre difficoltà) il limite superiore del secondo membro, si trova alla fine m=3 + 4y771 Ossia: Se sopra una superficie razionale normale a sezioni ellittiche (esclusa la F* di 2° specie) si ha una curva di genere n—k, l'ordine m della sua rappresentante ‘piana nella solita rappresentazione della superficie non può superare il limite 3-44 VESTI. In particolare, le curve di genere n — 2 devono avere rappresentanti piane di or- dine non superiore a 9 (2). Ciò posto, ne segue senz'altro la verità del nostro asserto, perchè già le curve Cit (ad es. la 0% di Ss) — e « fortiori le successive — dovrebbero avere le rap- presentanti piane di ordine > 10. (1) La frazione che compare al secondo membro è infatti il valor minimo che può avere il —_r =1l genere m corrispondente all’ordine n=3m— Z» (e questo valore lo si ha appunto quando -& è intero e quindi = y). (2) Per le curve di genere t —1 si avrebbe m = 8; e questo è confermato dai risultati otte- nuti nel $ 6. 374 GINO FANO Un ragionamento affatto analogo si potrebbe applicare alla F° di 2? specie; ma per brevità lo omettiamo. 29. Possiamo però anche giungere allo stesso risultato per altra via, mediante considerazioni sopra serie lineari. Supponiamo infatti che per una curva Cito di (e sono di questo tipo appunto — per 0 #42. La gi, non può nemmeno essere composta mediante una serie co! di coppie di punti (di genere < i 4-1), nè mediante una serie di terne di punti (se è è multiplo di tre), nè infine con una gi (lineare) i cui gruppi appartengano ad altrettanti piani, perchè sempre l’applicazione della formola del sig. SeerE condurrebbe ad un risul- tato assurdo (si troverebbe cioè che la nostra curva, che abbiamo supposta appar- tenere ad S,, dovrebbe stare sopra una rigata di ordine < 7 —1, o su di una M; di ordine 2) la quale sia di genere 7 — 2 e di ordine n > 8r sta su di una superficie razionale normale di ordine r — 1 (comune a tutte le qua- driche che la contengono). (1) Se fosse i>r— 2, l’ordine della nostra curva risulterebbe = 47 — 2, e in questo caso sap- piamo già che la proposizione che qui vogliamo dimostrare è vera. e n n e MET ea Son reo sie SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 375 80. I risultati ottenuti sulle curve (di S,) di genere t — 2 e di ordine > 2r 4 1 ma < 3r, su quelle curve cioè di genere t — 2 e ordine > 2r che non stanno ne- cessariamente su di una F"-', possono riassumersi così : a) Curve del tipo Gti, O dg n PA CAT di A5 Aî A5) 5 GE —_ È F° » digenere due | ©, (A°A3BîB2...B$)(1) î tà — | Superficie F° a sezioni ellittiche | ©” piana (A°B?°) È O ll 1 5 5 3 > n n (ATASAZAÎ) È DE = 5 Ru » digenere due | C°,», (A?A;B7B5B;B7B5) z Re — 5 FS ù ellittiche Op (AA) S | 13 1 ” ’ ’ ” C, (AÎA?BîB5) Si Teti » F, digeneredu|, , (A*B'B?B:B?R) da — di He v Li Ural _ ARIAS 3A) to — | Superficie F” a sezioni ellittiche C” piana (A°) ti = 3 n 5 n a (059) ui 1 ” ” ” ’ CE RAR) 5 (014 _ È, InS » digenere due | C® , (AîA;B7B:B3 Bj) E la 2 ì F° È ellittiche Cleto (049) S| Wu PROTO ) E ora (ARA 15) S (00: — ; F3 » di genere due |, i (AIERISSIRR I) lg LOVARI gi CO Er RO) O - A Lab P ellittiche (i (AIA) died sr pn gono Pla pila A sE ce d F° » digenere due | C°, (A*B*C°C703) 18 1 Superficie F* a sez. ell. di 1° specie | €” piana (Af Aj) o (01 = È TE dilsenereltaze) AC RSRNA (AGFA 5a) RO = 5 F°, ellLdil@specie| 0, generale | # | Si E CE | E DO Sa È F° , di genere due |, PN(ASI;530Ba) È | It OR DAL dre [Ig METIN AGREE) È È 1 i EH , ell'dilaspecie | , SOGAN(CASIBO) a o ALIDA MS À MO di arene EE 0R.03) | ho 1 pi RE, balla rg AA ‘ Cî5 1 3 RAME AO II Cla Sb, voglie (E°... di genere due |, , (ASBHB: BI (1) Si noti (per questa curva, e per le analoghe che si troveranno più avanti) che i due punti quintupli potrebbero essere (in particolare) infinitamente vicini. Se non lo sono, l'ordine di questa rappresentante piana si può abbassare (per » = 10) con una trasformazione Cremoniana (e la su- perficie mor (qui F°) si potrà certo rappresentare con un sistema di quartiche piane). ae e A AI SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 377 Indicazione RIO sa Superficie in cui le curve Curve piane delle curve DOO sono contenute cui sono riferibili | Ca 1 | Superficie F° a sezioni ellittiche | O” piana (A?) ee n F° , digeneredu| C° , (A°ASB?B3) n | 6 | A n a muoia Ciionn pa (ASBRBO) î to = ci ILE DI ORZAZO TO ARIA 2) $ CH Pera S Ri ANG) VC (AIDA) «E 50 1 L F° » ellittiche CRETA) o A = s F =, digeneredue | ©, (A*BîB) 85 sh: i È 6 È Co) On A B3 C) te — | Superficie F" a sezioni di gen. due | C!° piana (Aî A? B}) è «LEE ea 9 CH = 7 Ela Sere » (ATAZAZ AD) È (07) —_ 3 Ero na daea SOS (CASB?) sia A ra) è |a o Î CO per ci 3 L4 i È uo N (A3 B?°) 0 — | Superficie F°° a sez. di gen. due di 1? Lo o 2? specie(1)) C° =, (A°A5) 8 | 3 I E, Ora E) È (0573 = 5 Rene gond/ze Ò » (AZAZA3) $ (074 = 14 FP, » duelaspecie, C° , (A°B$) = 0282 AR i; CAMICIE Do sà » pi Viet pidinni 2) ipcoli(C. ci sntA5) I = n n IRA T CCTI GC, (AB) e negli spazi Sis, Sis e Su esistono ancora rispett. una Cié, una C3 e una CÈ con- tenute in superficie razionali normali (di ordini 14, 15, 16) a sezioni di genere tre (di prima specie) (2) e riferibili a una C° piana con 2, 1 e 0 punti doppi. (1) Per la distinzione delle superficie a sezioni di genere due (e, più generalmente, a sezioni iperellittiche) in! specie, cfr. il lav. cit. del CasreLnuovo (“ Rend. di Palermo ;; IV). La nostra super- ficie E? si dirà, di prima specie se non ammette direttrici di ordine <3 (ma di direttrici cubiche ne ammetterà allora un fascio); e di seconda specie se ammette una direttrice conica o rettilinea, o.se le sue 00' coniche passano tutte per uno stesso punto (che sarà triplo per essa). In questo primo caso la F!° può essere tanto di prima quanto di seconda specie (con direttrice Tosca Tn Seguito, dove è detto di seconda specie, deve intendersi con direttrice conica. - (2) Cfr. Casrernuovo: Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere tre (£ Atti di E

2(r#-%). Per le curve di ordine = 2(r +-%) si potrebbero fare delle ricerche ana- loghe a quelle accennate nei casi di X=1 (ni 15 e 16) e £=2 (ni 23-25), partendo cioè dalla con- ‘siderazione di qualche serie lineare sopra le curve stesse. È notevole forse in particolar modo la 4 ui ! —A ; curva Gero (che è appunto di genere Tt—% per 2x10) è contenuta in una congruenza di rette comune a tutti questi complessi (3). Una tale congruenza può presentare due casi distinti: a) Congruenza (2, 2) costituita da una serie c0' di fasci di raggi coi centri su di una conica e i piani tutti tangenti a un medesimo cono quadrico (4). Questa (1) È in questa restrizione appunto che si traduce quella che imporrebbe alla curva O" di ap- partenere allo spazio Ss; essa è perciò indispensabile. Se la rigata stessa in ur (solo) complesso lineare, il suo genere massimo sarebbe da (22—3x—5); e se stesse in infiniti (00°) complessi e quindi in una congruenza lineare, x"(2—yx"— 2); — essendo x" e x” i minimi interi non inferiori n_ 4 n_-3 IgNatO: eroi (2) Da questo risultato e da quelli contenuti nella nota precedente segue ancora che, nello o o 5 3 È 5 È à (n — 8) 2 spazio ordinario, una rigata di ordine x e di genere superiore a —5 sta sempre in un com- b da ò È A h (n 2) (n — 8) plesso lineare, e anzi in una congruenza lineare se il suo genere è superiore anche a ===. (n 2 È ALLIbE î Te; è necessariamente un cono (0 un inviluppo piano). rispett. a Infine, una rigata di ordine n e di genere > Di quest’ultima proposizione è fatto cenno anche in una Nota del sig. Kirper (° Math. Ann. ;, XXXI); ma le considerazioni che hanno condotto l’A. a questo risultato sono affatto estranee alla geometria della retta; tant'è vero che per dedurre questo stesso risultato dalla proprietà corrispondente delle curve di ordine x egli ha ricorso ancora a un ragionamento semplice sì, ma affatto inutile, visto che non si trattava d’altro che di applicare a un caso (e precisamente @ uno spazio) particolare un risultato generale già ottenuto. (3) Per la rigata di genere massimo e di ordine = 10 (quindi di genere 6) il teorema non sarebbe più vero. Questa rigata può invece ottenersi in generale come intersezione di un complesso quadratico e di una congruenza (2, 3) o (8, 2) di genere wro (cfr. il mio lavoro cit., n° 6). Infatti la curva canonica generale di genere 6 (CÈ di Ss) — che è riferibile a una sestica piana con quattro punti doppi — è contenuta in una superficie E° razionale a sezioni ellittiche, ed è precisamente intersezione di questa superficie con una quadrica non passante per essa. (4), Quella, conica non deve però passare pel vertice di questo cono —. L'insieme di tutte le tan- genti a questo stesso cono che si appoggiano a quella curva si spezza precisamente in due con- gruenze (2, 2)..così fatte; cfr. ad es. Kuuuer; Ueber die alg. Strahlensysteme ecc. (“ Abhand. der Berl. Ak. ,,1866) e Sturm: Die Gebilde ersten und 2weiten Grades der Liniengeometrie ecc.; vol.II (Leipzig, 1892). ottenere come intersezioni della congruenza lineare che le contiene con un complesso di grado - SOPRA LE CURVE DI DATO ORDINE, ECC. 381 congruenza corrisponde alla rigata razionale normale del quarto ordine di S;, del primo o del secondo gruppo (con una direttrice rettilinea cioè, oppure con una sem- plice infinità di coniche direttrici) secondo che il vertice di quel cono cade nel piano stesso della conica, oppure è esterno ad esso. In quest’ ultimo caso la congruenza contiene una serie razionale co (di indici {2, 2}) di rigate quadriche, passanti tutte per quella conica e tutte tangenti ai singoli piani di quell’inviluppo (ossia di quel cono) quadrico. L'una e l’altra di queste congruenze corrisponde per dualità a sè \sbessa; b) Congruenza (1, 3) delle corde di una cubica sghemba, — oppure il sistema reciproco di questo, una congruenza cioè (3, 1) le cui rette siano le intersezioni a due a due dei piani osculatori a una tal cubica (siano quindi, in altri termini, le congiungenti delle coppie di punti omologhi di due piani collineari in posizione generale) —. Questi due sistemi (reciproci) sono ben distinti fra loro, ma corrispon- dono entrambi alla superficie di Veronese (1). L’uno e l’altro di essi contiene una serie 00° di rigate quadriche (corrispondenti alle 00° coniche della Fi di Veronese); e il sistema di queste quadriche (considerate rispett. nei due casi come luoghi e come inviluppi) è anzi lineare (2) (3). (1) Cfr. C. Segre, Considerazioni intorno alla geometria delle coniche di un piano ecc. (© Atti della R. Acc. di Torino ,, XX). 1 (2) Le rigate contenute in una congruenza di questo secondo tipo conterranno dunque a lor volta una cubica sghemba, incontrata da ogni loro generatrice in due punti, oppure saranno tali che per ciascuna di queste generatrici si possano condurre due piani osculatori a. una determinata cubica. Possiamo anche dire che una qualsiasi di queste due proprietà dovrà sempre verificarsi per la rigata proposta o per una qualunque sua’ trasformata reciproca. Questo caso non può presentarsi però che per rigate di ordine pari; la metà di quest’ ordine darebbe precisamente la multiplicità (per la rigata) della cubica dianzi considerata. Invece le rigate contenute in congruenze del tipo @) avranno tutte indistintamente una conica n_ 5 a Ma direttrice; e anzi, se la rigata è di genere massimo, il numero x (che sappiamo essere > < si ) aumentato di un’unità ci darà, in generale, la multiplicità di questa stessa direttrice. Se però l’ordine della rigata fosse del tipo 4m +1 (m essendo intero) la stessa multiplicità potrebbe anche essere uguale a m+1 (ossia a x+#-2). (3) Per una rigata contenuta in «n complesso lineare si può dire che, se è di ordine 2 >8 e __M—-dM-1) (@—-3) 2) ni 6 0 6 di genere massimo ( quindi , dovrà stare in una congruenza (1, 2) o (2, 1) — costituita nel primo caso dalle rette che si appoggiano a una retta data e a una conica pure data e avente con quella retta un punto comune, nel secondo caso dalle tangenti a un cono quadrico che si appoggiano a una data tangente di questo stesso cono (quel complesso lineare sarà quindi in ogni caso speciale, e le rigate in discorso avranno sempre una, direttrice rettilinea dotata di una certa multiplicità) —. Infine una rigata contenuta in una congruenza lineare e di n? @—D(n_3) 4 genere massimo (quindi, se di ordine x, di genere , secondo che » è pari o dispari) avrà due direttrici rettilinee (in generale distinte) e multiple entrambe secondo 5 se 2 è i Si 1 ERE MEZiI ca 53 pari, secondo —- 57 l'una e secondo na l'altra se # è dispari. Questa proprietà si trova già nella Nota cit. del sig. KòrrER; ad essa possiamo aggiungere che quelle stesse rigate si potranno sempre n 2 n+1 > ò 5 5 5 Ò O . o —- (e in quest’ultimo caso vi sarà, naturalmente, un fascio di rette come intersezione re- sidua). 98200 GINO FANO 383. Una rigata algebrica per la quale passino non più di co*-? (1) complessi quadratici non può essere di genere superiore @ Xofn— 2x5 —3i — juo—1}9 n_-5—d Tn Igo Da questo si deduce che per una rigata di genere uguale al massimo corrispon- dente al suo ordine (rm) diminuito di % unità (dunque di genere mt —%) passano sempre (almeno) 00* complessi quadratici quando il suo ordine x è superiore o eguale a 4k+- 10; almeno 00° sen=2% +10 o n= 2X 4-9 secondo che £ è pari o dispari; dove Xy è il minimo intero non inferiore almeno co° quando n > 4 2 ++ 10 dove ? è il resto della divisione di % per 3; almeno co quando 7=>%k+ 10. i In particolare, per una rigata di ordine n e genere t —1 passano sempre almeno 00° complessi quadratici; e ne passano certo 00' per n = 14. Quando ne pas- sino soltanto 00°, essi potranno avere a comune la sola rigata R" finchè n < 12; per — n= 13 avranno a comune tutta una congruenza (2,3) o (3, 2) di genere uno, con- tenente la rigata in discorso (qui Rij) — che non avrà in questo caso generatrici doppie —. Però la rigata Rui può anche stare in 00* complessi quadratici; allora ha sempre una generatrice doppia, e una conica direttrice tripla o quadrupla. Anche la rigata Ri può esser contenuta in c0* complessi quadratici, e avere una conica, direttrice tripla o quadrupla; in quest’ultimo caso però non avrà gene- ratrici doppie. Esiste anche una rigata Ri con una cubica sestupla incontrata da ogni sua generatrice in due punti, e con una generatrice doppia. — Se questa stessa rigata è contenuta in soli oo° complessi quadratici, potrà ancora stare in una con- gruenza (2, 3) o (3, 2) — sempre di genere uno — comune a questi complessi; se no, sarà intersezione di un complesso quadratico con una congruenza (3, 3) di genere due (congruenza di RocceLLA) (2). — Non avremo invece una rigata Ri) corrispondente alla curva C7° di S; che sta sul cono normale ellittico (di quinto ordine) perchè le quadriche passanti per questa curva sono tutte degeneri. 84. Similmente, per una rigata di genere t —2 passano sempre almeno 00° complessi quadratici; e anzi almeno co* se l’ordine di essa è superiore a 13, e certo 00° se è superiore a 15. La rigata di 15° ordine (e genere 16) contenuta in soli 00° complessi quadratici è intersezione generale di una congruenza (2, 3) o (3, 2) di genere uno con un complesso cubico. — Gli altri casi che queste rigate possono presentare si deducono anche facilmente dal quadro che abbiamo dato alla fine del $ 8, sicchè crediamo inutile insistervi sopra più a lungo. (1) Questa proposizione vale per 0=ò =4; e anche, se vogliamo, per è=5, intendendo però allora che per la rigata non passi più nessun complesso quadratico. L'ipotesi che qui vien fatta esclude implicitamente che la congruenza possa stare in un complesso lineare. (2) V. RocceLra: Sugli enti geometrici dello spazio di rette ecc. (Piazza Armerina, 1882). Cfr. anche il mio lavoro cit., n° 9. UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI ED UNA APPLICAZIONE DI ESSO AI MOTORI ELETTRICI A CORRENTI ALTERNATE MEMORIA DEL SOCIO Prof. GALILEO FERRARIS Approvata nell’'Adunanza del 3 Dicembre 1893. Lo studio di alcuni apparecchi elettrotecnici moderni, e segnatamente quello di alcune specie di motori elettrici, porta a considerare grandezze alternative vettoriali. Per la trattazione di tali grandezze può giovare ricorrere a qualche modo di rap- presentazione grafica, il quale dia di esse non solo l'ampiezza e la fase, ma anche la direzione. To qui presento un metodo, che nella interpretazione e nella esposizione elementare di molti fenomeni può riuscire assai semplice e perspicuo. Per mostrare poi l’uso e l'utilità del nuovo metodo, lo applico ai campi magnetici ed espongo per mezzo di esso una teoria elementare de’ principali motori elettrici a correnti alternative. L Vettori rotanti e vettori alternativi. 1. Definizione. — Denominiamo vettore rotante una grandezza vettoriale della quale il valore scalare è costante, mentre la direzione ruota attorno ad un asse con velocità uniforme. Qui ci limitiamo a considerare vettori rotanti in un dato piano. In questo caso a definire un vettore rotante ci bastano i seguenti elementi: la grandezza, il verso, la frequenza, ossia il numero di giri fatti in una unità di tempo, e la fase, ossia la frazione di giro compiuta all’origine del tempo. 384 GALILEO FERRARIS Data la frequenza, possiamo rappresentare il vettore rotante per mezzo di un segmento di retta 0d, od os (fig. 1) facendo semplicemente queste convenzioni: che la x lunghezza del segmento rappresenti la grandezza del vettore, che la direzione di esso sia quella che ha il vettore nell'origine del s tempo, e che la lettera d od s indichi il verso, destro o sinistro, della rotazione. Se oX è la retta a partire dalla quale si vogliono misurare gli angoli descritti dal vettore, l’angolo Xod od Xos è quello percorso dal vettore all’origine del tempo e si dice valore ò no: È Fig. 1. angolare della fase. Il rapporto So, oppure è la fase. Per nominare i vettori così I Ra servirci semplicemente delle lettere d ed s. 2. Composizione di due vettori di eguale frequenza rotanti nel medesimo piano. Primo caso: Vettori rotanti nel medesimo verso. — Si abbiano due vettori rotanti nel medesimo verso e colla medesima frequenza; e sieno questi, per esempio, d e d' (fig. 2). In ogni istante la loro somma vettoriale, ossia la loro risultante, è il vettore rappresentato dalla diagonale oD del parallelogrammo fatto su di essi, 0, ciò che val lo stesso, dalla retta oD che chiude il triangolo od Dod il triangolo 0d'D. Ora siccome d e d' girano nel medesimo verso e colla me- desima velocità angolare, così l’ angolo dod’ rimane costante. Rimane quindi costante anche la diagonale oD. Essa intanto gira attorno ad o colla stessa velocità angolare delle componenti. Dunque la risultante di due vettori di uguale frequenza, rotanti nel medesimo piano e nel medesimo verso, è anch'essa un vettore rotante nel medesimo verso e colla stessa frequenza. Se l'angolo dod' è uguale a due retti, se cioè le fasi di d e di d' differiscono di 180°, noi diciamo che d e d' hanno fasi opposte. Se i due vettori componenti hanno grandezze uguali e fasi opposte, la loro risultante è nulla. Fig. 2. È inutile dire come dal caso di due soli vettori si passi al caso di un numero qualunque di vettori rotanti nel medesimo piano e nel medesimo verso, e come si dimostri che il vettore risultante è anch’esso un vettore rotante nel medesimo piano e nel medesimo verso, ed è rappresentato dalla retta che chiude il poligono fatto coi vettori componenti. Secondo caso: Vettori rotanti in versi opposti. — Se (fig. 3) i due vettori componenti od, os rotano in versi opposti, l'angolo sod varia; quindi la diagonale oA varia inevitabilmente di grandezza. Essa intanto può variare, ed in generale varia, anche di direzione. Ma si hanno a considerare due casi: a) Il caso in cui le grandezze od ed os dei due vettori Fig: 3. componenti sono uguali tra di loro; 5) Quello in cui tali grandezze sono disuguali. (1) UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 385 3. a) Caso in cui i due vettori componenti hanno grandezze uguali. — In questo caso la risultante, ha una direzione fissa. Infatti la diagonale oA (fig. 3) è allora in ogni istante la bisettrice dell'angolo sod, e siccome od ed os ruotano colla stessa velocità angolare l’uno verso la destra e l’altro verso la sinistra, così essa rimane fissa nello spazio. Varia invece il valore della risultante, il quale è legato all'angolo variabile A0d dalla relazione Adda of = 2o0d cos Aod. Ponendo 0A =@a e 20d4=A, rappresentando con x la frequenza, con # il tempo e con o il valore dell'angolo Aod per t=0, questa relazione si scrive: a = A cos (2mnt 4 o). Una grandezza variante secondo questa legge è ciò che comunemente dicesi una grandezza alternativa od alternante armonica o sinusoidale. La costante A è l'ampiezza, n la frequenza, l'angolo a il valore angolare della fase, quando si prende come ori- gine del tempo l’istante in cui « è massima. Noi dunque diciamo 0À: un vettore alternativo, e concludiamo: due vettori uguali, rotanti in un medesimo piano, colla stessa frequenza ed in versi opposti dànno per risultante un vettore di direzione fissa, alternativo, della stessa frequenza. La dire- zione di questo vettore alternativo è quella della bisettrice dell'angolo che in un istante qualunque è compreso fra i due vettori componenti, e perciò anche quella della bisettrice dell’angolo che i due vettori componenti comprendono nell'istante in cui #=0 ossia quella dei due segmenti di rette coi quali si rappresentano, secondo la nostra convenzione, i due vettori componenti. L'ampiezza del vettore alternativo risultante è uguale al doppio della grandezza di uno dei vettori componenti. Viceversa un vettore alternativo sinusoidale si può sempre scomporre in due Vettori rotanti di ugual valore e di versi opposti. Qualunque vettore alternativo sinusoidale si può considerare come risultante di due vettori ro- tanti nel modo detto. Ora questo modo di considerare un vettore alternativo con- duce a rappresentazioni grafiche semplicissime, atte ad indicare di un vettore alternativo la direzione fissa, l'ampiezza e la fase. L’artifizio consiste nel rappresentare con un segmento di retta la $ direzione e l'ampiezza del vettore alternativo e con altri segmenti di rette i vettori rotanti di cui quello si compone. Disegnando tutti 0 tre questi segmenti, si ha la rappresentazione indicata nella fig. 4. Fig. £ In questa figura il segmento oa indica la direzione e dà l’am- piezza del vettore alternativo, mentre i segmenti od ed os rappresentano i vettori rotanti, destro e sinistro, in cui 0a si può scomporre. L'angolo «od, od il suo uguale 40s, rappresenta il valore angolare della fase. Ma siccome 0a =205 = 204 ed è sulla bisettrice dell’angolo sod, così uno qualunque dei segmenti 04, 0s, 0d si può trovare quando sono dati gli altri due. Quindi si ha una rappresentazione com- pleta anche disegnando solamente questi due. Per tal modo possiamo rappresentare il vettore alternativo semplicemente con 0ad, o con 0as, o con osd. Serie Il. Tom. XLIV. va 386 GALILEO FERRARIS 4. 5) Caso in cui i due vettori componenti hanno grandezze diverse. — Se i vettori rotanti componenti, 04 ed os (fig. 5), non sono uguali, è variabile non solo l’ampiezza, ma anche la direzione del vettore risultante. Col centro in oe con un raggio uguale al più piccolo dei vettori componenti, uguale ad os nel caso della figura, si de- scriva l’arco di circolo sFd'. Si può considerare 04 come risul- tante di due vettori od’ e d'd rotanti nel medesimo verso. Ora i due vettori rotanti od’ ed os dànno per risultante un vettore alter- nativo o @ di direzione fissa bisettrice dell’angolo sod e di ampiezza oa=20d' =20s. Dunque i due vettori rotanti od ed os di versi opposti e di valori diversi equivalgono ad un vettore alternativo oa di direzione fissa e ad un vettore rotatorio d'd. Fig. 5. 5. Composizione di due o più vettori alternativi di ;direzioni fisse. — Valendoci delle considerazioni precedenti possiamo ridurre la composizione di vettori alternativi a quella di vettori rotanti. Se per esempio abbiamo due vettori alter- nativi di direzione fissa 0asd ed o'a's'd' (fig. 6), noi possiamo comporre d con d' A & ed s con s' e poi comporre insieme, nel modo or ora indicato, le due risultanti. Per comporre d con d'’ tiriamo da un punto 0 un segmento OD uguale e parallelo a d e da D un segmento DD' uguale e parallelo a d’; troviamo così la risultante 0 D'. Per comporre similmente s con s', tiriamo OS ed SS' rispettivamente uguali e pa- ralleli ad s e ad s'e tiriamo OS'. Dopo ciò noi possiamo dire che il sistema dei due vettori alternativi a ed a' dati è equivalente al sistema dei due vettori rotanti 0 D' ed OS'. Ora ai due vettori rotanti OD’ ed 0S' possiamo applicare la costruzione precedente: Se OD' è il minore dei due, noi prendiamo 0S"= 0D' e sulla biset- trice OF dell'angolo S'OD' prendiamo 0A=20D'=208". I due vettori rotanti OD' ed 0S', e quindi anche i due vettori alternativi dati « ed a', equivalgono al vettore alternativo OA ed al vettore rotante S'"S'. La proposizione si può estendere senz'altro al caso di un numero qualunque di vettori alternativi: qualsivoglia sistema di vettori alternativi di uguale frequenza, UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 387. situati in un medesimo piano, si può ridurre ad un sistema semplice di un vettore alternativo fisso combinato con un vettore rotante. L'operazione da farsi è ancora quella indicata nella fig. 6 con questa sola differenza, che in luogo dei triangoli ODD', OSS' si hanno a fare i poligoni di tutte le componenti d e di tutte le com- ponenti s dei vettori dati. Importa applicare la proposizione a casi particolari. 6. Casi particolari: a) Vettori alternativi aventi la medesima direzione. — Se a’ è parallelo ad a (fig. 7), gli angoli OSS’, ODD' sono uguali tra di loro, quindi i triangoli 0SS', A Fig. 7. ODD' sono uguali, e per conseguenza 0S'-= OD’. Inoltre la bisettrice O A dell’an- golo S'OD' è anche bisettrice degli angoli SOD ed S'S,DD', ed è perciò parallela alle oa ed o'a'. Dunque la risultante OA dei due vettori alternativi paralleli @ ed a' è anch'essa un vettore alternativo fisso ed è parallela ai componenti. Per trovare questa risultante non è necessario eseguire tutta la costruzione indicata nella fig. 7: basta evidentemente fare una metà di essa, per esempio la parte ODD'. Secondo l’interpretazione finora data alla figura, i segmenti OD e DD' rappresentano la metà delle ampiezze dei vettori alternativi componenti, ed il seg- mento OD' rappresenta la metà dell’ampiezza del vettore alternativo risultante. Se si abbassano le perpendicolari DB, D'B' su OA, le proiezioni 0 B, BB' ed OB' rap- presentano similmente le metà dei valori istantanei che i due vettori componenti ed il risultante hanno per £=0; e se si suppone che la figura ODD' giri attorno ad O colla frequenza x, le proiezioni di 0D, DD', OD' sulla retta fissa O A rappre- sentano in ogni istante le metà dei valori istantanei dei vettori medesimi. Ma noi possiamo ora rappresentare con 0D e con DD' non le metà, ma le intiere ampiezze dei vettori componenti; e con ciò abbiamo subito in O D' la rappresentazione del- l'ampiezza della risultante e nelle proiezioni su OA le rappresentazioni dei valori istantanei delle grandezze dei tre vettori considerati. Così noi ritroviamo la nota e solita costruzione di cui si fa uso nello studio delle grandezze alternative. Essa è un caso particolare della costruzione più generale da noi indicata. 388 GALILEO FERRARIS Le fatte considerazioni si estendono senz'altro al caso di un numero qualunque di vettori alternativi paralleli. 7. 6) Vettori alternativi di direzioni diverse. — Se i due vettori alternativi dati, @ ed a', non sono paralleli, la costruzione generale esposta all'art. 5, e rappre- sentata nella figura 6, conduce a trovare che i due vettori dati equivalgono a due vettori uno alternativo di direzione fissa rappresentato da OA e l’altro rotante di valore costante, rappresentato da S”S'. Ma vi hanno casi particolari nei quali di questi due vettori esiste soltanto l’uno o soltanto l’altro. Esiste solamente il vettore alternativo di direzione fissa quando i due vettori alternativi componenti hanno la medesima fase. 4 Fig. 3. In questo caso infatti gli angoli 0SS', ODD' (fig. 8) sono uguali entrambi al supplemento dell'angolo «0a' e perciò sono uguali tra di loro. Quindi i triangoli SOS", DOD' sono uguali l’uno all’altro, e per conseguenza si ha 08'= O0D'. Dunque si hanno a comporre due vettori rotanti 0D' ed OS' uguali e di versi opposti i quali, come si è dimostrato [3], dànno per risultante un semplice vettore alternativo di direzione fissa. Questa risultante è rappresentata dal segmento OA uguale a 20S' ed a 20D' e giacente sulla bisettrice OF dell'angolo S'OD'. La sua fase ha il valore angolare S'OA = + S'OD' = z sod + s'od': essa è uguale alla fase dei vettori alter- nativi componenti. Se si tira @ A” uguale e parallela ad 0a’ e se si tira 0 A, si ha il triangolo og A‘, il quale è simile al triangolo OSS' perchè l'angolo a è uguale all'angolo S ed i lati 0a, a A' sono uguali al doppio dei lati 05, SS'. Dunque si ha oA=2089' = 0A. Inoltre dalle eguaglianze doì! — SOS, SOA — - SOD' — 1 sod = soa si deduce soA' = SOA; il che significa che 0 A' è parallelo ad O A. Per conseguenza oA' è uguale e parallelo al vettore risultante OA. Diremo adunque: Due vettori alternativi di uguale fase si compongono in un unico vettore alternativo di ugual fase, del quale l’ampiezza e la direzione sono rappresentate dalla diagonale del pa- rallelogrammo fatto sulle rette che rappresentano per ampiezza e per direzione i due vettori componenti. UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 389 8. — La composizione di due vettori alternativi dà inveve come risultante un semplice vettore rotante quando l’uno o l’altro dei vettori rotanti 0D', OS' (fig. 6, art. 5), è uguale a zero. Questo caso si verifica quando 0s ed 0's' (fig. 6) oppure od ed 0'd' hanno gran- dezze uguali e direzioni opposte; allora infatti il punto S', oppure il punto D' coin- cide con O. La condizione os= 0's', oppure od = 0'd', implica @ quella che sia oa = 0'a', ossia che le ampiezze dei due vettori alternativi dati sieno fra di loro uguali. La condizione poi, che os ed 0' s', oppure od ed o'd' abbiano direzioni opposte, implica una relazione tra le direzioni dei due vettori alternativi oa ed o'a' e le fasi dei medesimi. È facile vedere quale sia questa relazione. Supponiamo infatti (fig. 9) che sia od’ opposto ad od, diciamo a l’angolo a 0a' tra le direzioni dei due vettori alternativi componenti, e rappresentiamo con ® e con p' i valori angolari «od, @'od' delle fasi dei vettori mede- d/ > simi; abbiamo: Fig. 9. Gio —=—o0=iyo osa oi e Dunque due vettori alternativi di direzioni fisse dànno per risultante un sem- plice vettore rotante quando hanno ampiezze uguali e presentano una differenza di fase, il valore angolare della quale è uguale al supplemento dell’angolo compreso fra le loro direzioni. 9. Esempi. — Come primo esempio consideriamo il caso di due vettori alter- nativi, mutuamente perpendicolari 0a, o'a' (fig. 10). ° . . S . . a Il teorema dice che acciocchè essi si compongano in un semplice vettore rotante dev'essere in primo luogo o'a' = 0a. In secondo luogo deve essere g' — p= T—a VID . . T e quindi, essendo a = 5 lp! Ù EE TB} 0 Fig. 10. . 9 . ’ TT Se per esempio prendiamo @ = 0, ossia: angolo qod = 0, dev’ essere p' = 9 . T ossia angolo a'o'd' = 3: Ora che veramente, date queste condizioni, i due vettori @ ed a’ producano come risultante un vettore rotante, si riconosce subito applicando ad essi la costruzione dell’art. 5, fig. 6. Infatti per comporre d con d' si deve tirare 0D =o04 e poi DD'=0'd', col che si ricade sul punto 0; per comporre invece s con s' si hanno a tirare 0S ed SS' uguali e paralleli ad os e ad 0's', col che si trova la risultante OS', che è una rotazione sinistra di grandezza uguale ad s+ s', ossia a 2.5, ossia ad @ e ad a'. I due vettori alternativi dati producono adunque come risultante un semplice Vettore rotante della medesima frequenza e di grandezza uguale alle loro ampiezze. 390 GALILEO FERRARIS Come secondo esempio consideriamo il caso di due vettori alternativi uguali 04 DINO GUTIA o ò 3 ed o'a' (fig. 11), le direzioni dei quali comprendono un angolo a = 7. ad 7) s Di ty sid d o 0 D) a Fig. 11. DS In questo caso la condizione espressa dal teorema dimostrato è che si abbia o TOUTE Pri S a ? , Ty __T : Se per esempio: gp = aod = 0, dev'essere p' = a'0'd =7> E veramente, se si applica a questo caso la costruzione della fig. 6, si trova che D' si confonde con 0. La risultante si riduce al vettore rotante OS’. La sua grandezza è rappresentata x dall’ipotenusa del triangolo rettangolo isoscele 0SS'; essa è perciò uguale ad sy 2 ossia ad ©. V2 10. — Dal caso ora considerato di due soli vettori alternativi componenti si passa subito al caso generale di un numero qualunque di vettori: un sistema qua- lunque di vettori alternativi può equivalere ad un semplice vettore rotante. La con- dizione necessaria perchè ciò avvenga è semplicemente questa; che il poligono delle componenti d oppure quello delle componenti s sia chiuso. Un caso particolare importante è quello nel quale i vettori componenti sono uguali e fanno gli uni cogli altri angoli uguali. Sieno dati in un piano N vettori alternativi uguali, ciascuno dei quali faccia col precedente un angolo a che non sia nè rt nè un multiplo di 7, ed abbia rispetto al medesimo una precedenza di fase di valore an- golare uguale anch’essa ad a. Allora ciascuno dei vettori rotanti s fa col precedente un angolo a — a, ossia zero: il poligono delle s ha tuttii suoi lati su di una mede- sima retta, la risultante Sdi tutte le s è uguale alla loro somma, ossia S= Ns. Il poligono delle d è invece un poligono regolare del quale gli angoli esterni hanno il valore 2a; acciocchè esso sia chiuso, è necessario e sufficiente che N di tali angoli facciano un multiplo di quattro angoli retti, ossia che si abbia 2aN = 2kq, od Di ia a=- x ove k è un numero intiero qualunque non divisibile per N. Se è soddisfatta questa condizione, gli N vettori rotanti d hanno una risultante nulla; e ciò vuol dire che gli N vettori alternativi dati hanno per risultante il semplice vettore rotante S. Se UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 391 diciamo a l'ampiezza comune dei vettori alternativi dati, il valore del vettore rotante risulta SENSE Li a. Se invece di supporre, come abbiamo fatto, che ciascuno dei vettori dati abbia una precedenza di fase a rispetto a quello che lo precede, avessimo supposto che esso abbia un ritardo di fase, avremmo trovato che il poligono delle d giace su di una retta e dà D = xd, e che il poligono delle s è chiuso, e dà S= 0; in questo caso la risultante degli N vettori alternativi dati sarebbe un semplice vettore D rotante verso la destra. Abbiamo escluso il caso di a uguale a T, o ad un multiplo di t, e per conse- guenza abbiamo detto che il numero intero % non deve essere divisibile per N. Se si facesse a = t o ad un multiplo di t, ossia se si prendesse % uguale ad N, o ad un multiplo di N, gli angoli esterni del poligono delle d sarebbero uguali a 27 0 ad un multiplo di 27, ed il poligono si ridurrebbe, come quello delle s, ad una linea retta. Allora si avrebbero due vettori rotanti S e D uguali entrambi ad 5 a e di versi opposti, i quali darebbero come risultante un vettore alternativo di direzione fissa e di ampiezza uguale ad Na. Ciò è quanto si sapeva di già, perchè supporre a=T o multiplo di t equivale a supporre che i vettori alternativi dati sieno tra di loro paralleli. I casi che più comunemente si hanno a considerare nello studio dei motori elet- trici sono quelli ove X= 2, quelli cioè ove i vettori alternativi considerati sono regolarmente distribuiti, a distanze angolari uguali, tutt’attorno ad un asse. Fra questi casi poi merita una menzione speciale quello ove N = 83. Allora, le distanze angolari tra i vettori dati ed i valori angolari delle loro differenze di fase sono uguali q a Sn, ossia sono di 120°. Il vettore rotante, che risulta dalla composizione dei tre 0 o_o 5 3 gia ’ O vettori alternativi, ha il valore 2% ossa è uguale ad una volta e mezzo l'ampiezza di ciascuno dei vettori componenti. 11. — Ciò che precede riguarda la composizione, ossia la somma de’ vettori da noi considerati. Per le applicazioni alle quali miriamo conviene aggiungere qualche considerazione sui prodotti @d cos, «6 senp delle ampiezze a e d di due vettori pel coseno e pel seno dell'angolo g compreso fra le direzioni dei medesimi, prodotti dei quali il primo è lo scalare col segno cambiato, ed il secondo è il tensore del Vettore del prodotto dei due vettori. In primo luogo conviene ricordare questa proposizione: se sono dati due gruppi di vettori, e se in un dato istante sono: a la grandezza di uno qualunque dei vet- tori del primo gruppo, 5 quella di uno qualunque dei vettori del secondo gruppo, A il valore istantaneo del vettore risultante di tutti i vettori a, B quello del risul- tante dei vettori 5, @ l’angolo compreso tra un vettore @ ed un vettore 5, e ® l’an- golo di A con B, si ha Z ab cos p = AB cos d, Zad sen @ = AB sen D. 392 GALILEO FERRARIS Per dimostrare la prima di queste uguaglianze, del resto notissime, basta osser- vare che se si dice Y l’angolo tra A ed uno dei vettori 5, si ha: bXZa cos @ = dA cos y, quindi Zab cos ® = X5A cos y = AZÒ cos y. Ma Z5 cos y = B cos ©, dunque Zab cos @ = AB cos ©, La seconda eguaglianza, ossia la 2aò sen@= ABsen ®@, si dimostra in modo analogo. 12. — In secondo luogo conviene vedere quali sieno i valori medii dei prodotti ab cos @ ed ab sen @ quando i vettori a 8 sono delle specie di cui noi qui ci occu- piamo, quando cioè essi sono vettori rotanti o vettori alternativi. E qui si hanno più casi. i 1° Caso. — Se i due vettori a e d sono vettori rotanti nel medesimo piano, colla medesima frequenza e nel medesimo verso, l'angolo p compreso fra i medesimi ri- mane costante: esso è uguale al valore angolare della differenza di fase de’ due vet- tori. Siccome, per la definizione di vettore rotante da noi adottata, anche « e 5 sono costanti, così i prodotti «è cos @, a è sen @ sono indipendenti dal tempo. 2° Caso. — Se a e 6 sono ancora vettori rotanti in un medesimo piano, ma con frequenze diverse x ed m, l'angolo @ compreso fra di essi passa in ogni unità di 1 n_m di cosp e di sen @ durante tale tempo è uguale a zero, ed è perciò uguale a zero anche il valore medio dei prodotti considerati. 3° Caso. — Un caso particolare compreso in quello or ora considerato è quello di due vettori rotanti in versi opposti: se sono » ed m le frequenze dei due vettori Il valore medio: tempo n—m volte da 0 a 2, ossia varia tra 0 e 2 nel tempo rotanti, l'angolo @ varia tra 0 e 2 nel tempo LL, e durante questo tempo i valori medii di #5 cos @, e di #0 sen @ sono uguali a zero. 4° Caso. — Un altro caso particolare è quello in cui a è un vettore rotante e b un vettore fisso di grandezza costante. Questo caso si riduce ai precedenti facendo semplicemente m= 0. Anche in questo caso i medii prodotti sono uguali a zero. 5° Caso. — Se a è un vettore alternativo di direzione fissa e d è un vettore rotatorio, possiamo immaginare a scomposto in due vettori uguali rotanti in versi opposti, d ed s, e valendoci del teorema ricordato all’articolo precedente (11), porre: ab cos p = d. db cos è + s. d cos 0, ab sen @ = d. 6 sen dè + s. 6 sen 0, ove è e o rappresentano gli angoli che nell’istante considerato d fa con d e con s. Così siamo ricondotti ai casi precedenti. Se a e 6 hanno frequenze diverse, tanto i prodotti dd cos è, d è sen è quanto i prodotti sd cos o, sd seno hanno valori medii uguali a zero; quindi sono uguali @ zero anche i medii di ad cos @, e di 45 sen @. UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 393 Se a e 6 hanno una medesima frequenza, solamente i prodotti dd cos ò, dd sen è, oppure solamente sd cos 0, sb sen o sono nulli; gli altri due sono diversi da zero e sono costanti. Se, per esempio, d è un vettore rotante verso destra i prodotti s d cos 0, sb seno hanno un valore medio uguale a zero, ed i prodotti d d cos dè, dd sen è sono costanti. Si ha perciò semplicemente: medio di «5 cos @ = dd cos ò, medio di ad sen @ = dd sen è. Se si rappresenta con A l’ampiezza del vettore alternativo, si ha d = 3, e quindi i medio di ab cos @ = 1 A5 cos ò, Ad medio di ab sen @ = sen ò. Se si prende come origine del tempo l'istante in cui « ha il valore massimo A, l’angolo è, che figura in queste espressioni, è il valore angolare della differenza di fase tra @ e d. 6° Caso. — Se finalmente « e 2 sono due vettori alternativi di uguale frequenza, noi consideriamo il primo come risultante di due vettori rotanti d ed s ed il secondo come risultante di due altri vettori rotanti d' ed s'. In grazia della proposizione dimo- strata all’art. 11, i prodotti @ 5 cos 9, @d sen @ sono in ogni istante uguali alla somma di quelli che si hanno colle combinazioni d d', d s', sd', sst. Ma, in grazia di ciò che si è detto dianzi trattando il caso 3°, i valori medii dei prodotti corrispon- denti alla seconda ed alla terza combinazione sono uguali a zero; dunque, se di- ciamo è l’angolo costante tra d e d' e o l’angolo costante tra s ed s', abbiamo: medio di «6 cos @ = dd' cos è + ss' cos 0, medio di ad sen @ = dd' sen dè + ss' sen o. Se diciamo A e B le ampiezze dei due vettori alternativi dati, e se notiamo che 1= 5553) e ue possiamo scrivere anche : medio ad cos @ = sl (cos è + cos 0), e medio ad sen @ = SP (sen è + sen 0). Se poi, dicendo a e B le fasi di @ e 6, notiamo che è —=o+B_a e o=p_B+ a, possiamo scrivere ancora : medio ad cos @ = o cos gp. cos (B — a), medio ab sen @ = - sen Q. cos (B — a). Serie II. Tom. XLIV. z 394 GALILEO FERRARIS II Applicazione ai campi magnetici ed ai motori elettrici a correnti alternate. 13. — Possiamo applicare le considerazioni generali sovraesposte al caso speciale in cui i vettori considerati sono forze magnetiche. In questo caso le proposizioni degli articoli 8, 9 e 10 mostrano subito come per mezzo di due, o di più campi magnetici alternativi di direzioni fisse si possa pro- durre un campo magnetico rotante; esse mostrano perciò come un campo magnetico rotante si possa produrre per mezzo di due o più correnti alternative di fasi diverse; esse comprendono, in altre parole, il principio fondamentale dei motori elettrici a correnti alternative polifasi. Viceversa la proposizione dell’art 3 mostra come un campo magnetico alter- nativo, od un flusso d’induzione alternativo si possa sempre considerare come risul- tante di due, o di più campi, o di due o più flussi di valore costante, rotanti gli uni verso destra e gli altri verso sinistra. Ora questo modo di considerare un campo magnetico od un flusso d’induzione alternativo può tornare molto utile nello studio delle correnti indotte in conduttori posti nel campo magnetico e delle forze che questo esercita sulle medesime; può per conseguenza tornare utile nello studio de’ fenomeni fondamentali in molti apparecchi elettrici, e specialmente nei motori elettrici per correnti alternative. Per dare un esempio di applicazione noi prenderemo qui a trat- tare di questi ultimi. 14. Motori sincroni. — Consideriamo dapprima una armatura costituita da un’unica spirale, della quale le spire sieno in piani perpendicolari ad un asse comune oa (fig. 12), e supponiamo che essa possa rotare nel piano della figura, attorno ad un asse 0, in un campo magnetico, ove l’induzione magnetica abbia il valore uniforme B e la direzione costante oB. Se tale spirale è percorsa da una cor- rente elettrica, essa equivale ad un magnete di asse 0a, il mo- mento magnetico del quale si ottiene moltiplicando la somma delle superfici delle spire per la intensità della corrente in misura elettromagnetica assoluta. Noi possiamo rappresentare 8 questo magnete, e quindi anche la spirale percorsa dalla cor- rente, per mezzo di un vettore avente la direzione 0a ed una grandezza uguale al momento magnetico sovraddetto. Se la D corrente è alternativa colla frequenza x, anche il vettore è B Fig. 12. alternativo colla medesima frequenza, e noi lo possiamo rap- presentare, secondo il nostro metodo, in oasd. Il fare uso di questa rappresentazione equivale a sostituire al magnete alternativo o a due ma- gneti rotanti, i momenti magnetici dei quali sono rappresentati da od e da os. Dicendo A l’ampiezza 0a e d ed s le grandezze dei due vettori rotanti od, 05, si A > ha d= s=57. UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 395 Ciò posto, consideriamo le forze esercitate sulla spirale dal campo magnetico in cui essa è collocata. Queste forze si riducono ad una coppia, il cui momento è = B.a sen Boa, e, pel teorema ricordato all’art. 11, è uguale alla somma Bd sen è + Bs sen 0, ove con dè e con 0 si rappresentano, come più sopra, gli angoli che nell'istante con- siderato fanno con 0B i due vettori rotanti destro e sinistro d ed s. Se la spirale è in riposo, i vettori d ed s rotano con la medesima frequenza x l’uno verso destra e l’altro verso sinistra, e, per ciò che si è detto all’articolo 12 (4° caso), i valori medii dei prodotti Bd sen è e B s sen 0 sono uguali a zero. È quindi uguale a zero il medio valore del momento della coppia considerata. Se si fa rotare la spirale attorno all'asse o con una frequenza m, gira con essa il vettore 0a, ed i due vettori od ed os prendono a girare con velocità angolari uguali alle somme algebriche di quelle ch’essi hanno relativamente all’armatura e di quella che hanno comune con questa. Se per esempio l'armatura ruota verso la destra, il vettore rotante d gira nello spazio con la frequenza x + m, ed il vettore s gira colla frequenza » — m. Però finchè m è diverso da » i valori medii dei momenti delle coppie sono ancora uguali a zero. Ma se m=n, la frequenza di d diventa uguale a 27 e quella di s si riduce a zero. La corrente dell'armatura equivale allora a due magneti di momento magne- tico costante, uno dei quali, d, ruota nel verso dell'armatura con una frequenza doppia, e l’altro, s, sta fisso nello spazio. La direzione fissa di quest’ultimo è quella per cui passa l’asse 0a della spirale rotante nel momento in cui in essa la corrente alterna- tiva ha l'intensità massima. Tale direzione fa con 0B un angolo determinato che rappresenteremo con s. In questo caso il momento della coppia agente sull’armatura non ha più un valore medio uguale a zero: allora infatti è uguale a zero soltanto il momento medio della coppia agente su 0d, ossia il valore medio del prodotto Bd senò; mentre il momento della coppia agente su os, ha il valore costante Bs sen 5, ossia 5 AB sen s. Questa coppia tende a chiudere l’angolo soB. Se tale angolo è, come in figura, a destra di oB, ossia dalla parte verso cui l'armatura ruota, la coppia si oppone al movimento, obbliga a spendere un lavoro; l'apparecchio funziona come una dinamo. Se invece l’angolo Bos giace a sinistra di 0B, ossia dalla parte opposta al movi- mento, la coppia agisce nel verso della rotazione, essa fa un lavoro; l’apparecchio funziona come motore elettrico ; esso è, nella forma più semplice, un motore sincrono. La coppia motrice di questo motore varia tra 0 ed A AB quando s varia tra 0 e Di Per valori di s minori di5 il funzionamento del motore è stabile. Se infatti si aumenta la coppia resistente, l'armatura si attarda alquanto, cresce l’angolo 5 e cresce con esso il momento della coppia motrice. Se invece si diminuisce la coppia resistente, l’armatura accenna per un momento ad accelerarsi, diminuisce così l’an- golo s e con esso diminuisce la coppia motrice. 396 GALILEO FERRARIS 15. Motori asincroni. — Armatura chiusa posta in un campo magnetico rotante. — Consideriamo in secondo luogo una armatura formata di N spire, o di N spirali elementari, chiuse su se stesse in corto circuito e disposte regolarmente ad uguali distanze angolari, in altrettanti piani diametrali, tutt’attorno all’asse di rotazione. Diciamo S la superficie, r la resistenza ed L il coefficiente di autoinduzione di una delle spirali. Immaginiamo poi che l'armatura si trovi in un campo magnetico rotante, nel quale l’induzione magnetica, costante ed uniforme, abbia il valore B e ruoti relativamente alla armatura con una frequenza . Nella spirale elementare colla normale della quale l’induzione B fa, alla fine del tempo #, un angolo a, passa in tale istante un flusso d’induzione BS cos a; quindi, per la variazione di a dovuta alla rotazione di B rispetto all’armatura, si ha nella spirale una forza elettromotrice 2rvBS sen a. Questa forza elettromotrice produce nella spirale elementare una corrente di intensità è data dalla formola - Duo i — mA BS sen (a — q@), ove © è il valore angolare del ritardo di fase della corrente rispetto alla forza elettro- motrice, dato dalla relazione 2ruL tang @ = a) e p è la resistenza apparente della spirale, ossia p= Vr + 4n2202 Tale corrente equivale ad una lamina magnetica, il cui momento magnetico è uguale ad 15, ossia a Sat BS? sen (a — @), e si può rappresentare con un vettore avente la direzione della normale al piano della spirale, o, come possiamo dire concisamente, la direzione a. Ora se si proietta questo vettore prima sulla retta che fa con B l'angolo ®, e poi sulla perpendicolare ad essa, si ha rispettivamente 2ru "o BS? sen (a — g) cos (A — 9), e "i BS? sen? (a — @); e se si calcolano i valori medii di queste proiezioni per a compreso tra 0 e 2, si È . DE È : 12TuBS? trova che questi valori medii sono rispettivamente zero e RICA Dunque le N spirali equivalgono in complesso ad un magnete di momento magnetico UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 397 l’asse del quale fa con la direzione di B l'angolo costante ® + D Tale magnete segue B nella rotazione, stando co- stantemente indietro, alla distanza angolare @ + ni Se nella fig. 13 si suppone che il campo magnetico ruoti rela- tivamente all’armatura nella direzione della freccia u, e se OX è perpendicolare alla direzione 0B della induzione ma- gnetica, la direzione del magnete equivalente alla armatura è la OA, la quale fa con OXl'angolo XO0A = 9g. A Fig. 13. 16. Motori a campo rotante. — Un’'armatura come quella che abbiamo ora considerato, collocata in un campo magnetico rotante prodotto per mezzo di un sistema di correnti polifasi, costituisce un motore a campo rotante. La coppia motrice è quella che il campo magnetico eserciterebbe se al posto dell'armatura vi fosse il magnete equivalente dianzi considerato. Il momento di essa è adunque (fig. 13) AB sen AOB; dicendolo K e ponendo per A il valore trovato nell'articolo precedente, si ha: Ka: ci Bee? 2rTu. ces CI . 7 . S . Ricordando che cosg = "Ù sì può scrivere anche N 9, 214 Ka = B298; De) ossia K = nNB°S° oa (1) In questa espressione la lettera vu rappresenta la frequenza del moto relativo di rotazione del campo magnetico rispetto all’armatura. La formola dà la relazione tra la coppia di rotazione K e la frequenza u; ed è facile vedere quale sia l’andamento della, linea, nella quale la formola si traduce quando si prende vw come ascissa e K come ordinata. La (1) si può scrivere MO NEBE ST po SI An?ul? onde appare che K cambia di segno senza cambiare di valore quando si cambia « in —, ha il valore zero per u=0 e per u= +00, ed ha un valore numerico mas- simo quando i due termini del denominatore, il prodotto dei quali è costante, sono uguali tra di loro, ossia quando PO 1 TRE Perciò la linea C, ©; (fig. 14) i punti della quale hanno per ascisse i valori di « e per ordinate i corrispondenti valori di K, si compone di due rami omotetici rispetto 398 GAI.ILEO FERRARIS all'origine 0, passa per l'origine, è assintotica da entrambe le parti all’asse delle ascisse e presenta due punti M, M' d’ordinata numericamente massima, i quali cor- 2 2 ATO valore elmi simo 5 o Lr rispondono alle ascisse + TEO o oi Fig. 14. L'origine O è un punto d’inflessione, e nelle sue vicinanze la linea si confonde 2 QI con una linea retta, la pendenza della quale è ENEA . Le ascisse dei punti massimo e minimo M ed M' e la lunghezza del tratto, che praticamente si confonde con una retta, crescono col diminuire di È, al limite, per Li 0, i punti M ed M' andreb- bero all'infinito e la linea si trasformerebbe in una retta passante per O colla pen- t N B?S? denza VASTA) Dato il valore di «, e ritenuto costante L, la coppia K varia colla resistenza r. La legge della variazione apparisce chiara se si mette l’espressione di K sotto la forma t NB?S?y K= 43722 L? * r + TEL E . 44 L? i Per r=0 e per "= 00, K si annulla; per r= “2. ossia per PD TN B°S° 4 esso è massimo; il valore del massimo è , come sopra. E da notare che il 2r valore di 7, a cui corrisponde il massimo di K, è proporzionale alla frequenza « del moto relativo tra il campo e l'armatura. 17. — In ciò che precede si è considerata la relazione tra la coppia di rota- zione e la frequenza wu del moto relativo del campo rotante rispetto alla armatura. Per trovare ora la relazione tra la coppia e la velocità della rotazione dell'armatura basta osservare, che se si rappresenta, come al solito, con » la frequenza del campo magnetico rotante, e se con m si rappresenta la frequenza della rotazione dell’ar- matura, ossia il numero di giri che l’armatura fa in 1”, si ha uZTNnaz M UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 399 Portando questo valore nella (1) si ha il DIO: r(n_ m) K= mNBS te... 2) la quale dà la relazione cercata. La curva in cui si traduce questa formola, quando si prende come ordinata la coppia K e come ascissa la frequenza m della rotazione dell'armatura, si può de- durre subito dalla curva C,0C; della fig. 14; anzi è la stessa curva riferita soltanto ad altri assi di coordinate. Si porti infatti su OX' una lunghezza 00,= », e sia p il piede dell’ordinata di ‘un punto qualunque P della curva €30; si ha Op = =00,—0p=n—u=wm. Dunque se si prende il punto 0, come origine delle coordinate, la retta 0,Y; parallela ad OY come asse delle ordinate e la 0,0X, di- retta da destra verso sinistra, come parte positiva dell’asse delle ascisse, la linea C.M'OPMQC, è senz'altro quella i punti della quale hanno per coordinate i valori di m e di K. La curva mette in evidenza le principali proprietà del motore. Bisogna distin- n get DARE: guere due casi: il caso din 55 L € quello di n > dm L° Nel primo caso, quando n 3 > n quando cioè 2nnL =,, si ha 00,3 09, l'origine 0; cade a sinistra di 9g, od in g. Allora K ha il valor massimo per m = 0: la coppia motrice è massima quando l’armatura non ruota ancora, è massima nel momento: della messa in moto. Se a partire dal riposo, ossia da m=0, si fa cre- scere m, K diminuisce fino ad annullarsi per m=w e a diventare negativo per m > n. Il funzionamento del motore è stabile. Infatti se cresce la coppia resistente e se perciò diminuisce m, cresce pP, cresce cioè anche la coppia motrice K fino a diventare uguale al nuovo valore della coppia resistente. Se viceversa diminuisce la coppia resistente e se perciò la velocità aumenta, diminuisce pP, ossia diminuisce anche la coppia motrice K fino a ristabilire l'equilibrio. Nel secondo caso, quando n > — = ossia quando 2r2L > r, si ha 00, > 0g, l'origine 0;, cade a destra di g. Allora per m=0 la coppia motrice K ha un va- lore 0,Q minore del massimo gM. Se si fa crescere m a partire dal valor zero, K comincia a crescere e raggiunge il valore massimo gM quando m= 0,g= 0,0 — rv Si 299 TA MIE D — 0g=n — DAL Dopo di ciò, se m cresce ancora, K diminuisce fino ad annullarsi per m=n ed a diventare negativo per m > n. Il funzionamento del motore è sta- bile per m > 0g, ossia per mn>n— Fo. perchè allora, come nel caso precedente, un aumento della coppia resistente, provocando una diminuzione di m, dà luogo att: 2TL il funzionamento del motore è instabile. Se infatti per un aumento della coppia resistente si verifica una diminuzione di m, questa diminuzione dà luogo ad una diminuzione della coppia motrice K e quindi ad una ulteriore diminuzione di m; e questo effetto si riproduce e si moltiplica fino a tanto che il Ìmotore si riduce al riposo. ad una diminuzione di K, per cui si ristabilisce l’equilibrio. Ma per m = — 400 GALILEO FERRARIS In tutti i casi K si riduce a zero per m = e diventa negativo per m> n. Ciò vuol dire che in ogni caso non si può far girare l'armatura con una frequenza superiore a quella delle correnti, se non per mezzo di una coppia motrice applicata dall’esterno all’albero, se non colla spesa di un lavoro. La coppia a ciò necessaria ha il momento massimo 9q'M' quando TANTO 000 RO Nel secondo caso or ora considerato, quando cioè 2m7nL > r, può accadere (e . accade comunemente quando » è grande) che il valore 0;Q di K corrispondente ad m=0 sia insufficiente per l'avviamento del motore. Allora si può aiutare l’avvia- mento inserendo nel circuito dell'armatura una resistenza non induttiva, facendo cioè crescere 7 senza aumentare L. Infatti il valore K, di K che la formola (2) dà per m= 0; valore che si può scrivere: Ri == MINIERA ima > 7 è massimo per = 2rmnL; e perciò, finchè » è minore di 2rnL, esso cresce col cre- scere di r. L'efficacia di questo artifizio per accrescere K, nel momento della messa in marcia è tanto maggiore quanto più è grande la frequenza » delle correnti ado- perate; ed è precisamente nel caso di grandi frequenze che esso può essere neces- sario. Il motore può avviarsi da sè, senza speciali provvedimenti, ed ha un funzio- namento più stabile quando la frequenza » è piccola. 18. Armatura chiusa posta in un campo magnetico alternativo. Motori asincroni monofasi. — Si immagini ora che la stessa armatura già considerata all’art. 15 sia collocata, non più in un campo magnetico rotante, ma in un campo magnetico alternativo di direzione fissa; ciò che allora ha da accadere si può facil- mente dedurre dalle cose or ora dette. Il campo magnetico alternativo equivale a due campi rotanti in direzioni op- poste; similmente le correnti indotte nell’armatura equivalgono a due magneti ro- tanti in direzioni opposte; sull’armatura agisce adunque una coppia uguale alla risultante di quelle esercitate dai due campi sui due magneti rotanti. Ma per le cose dette all’art. 12, caso 3°, i valori medii delle coppie prodotte da ciascuno dei campi sul magnete rotante nel verso opposto sono uguali a zero, dunque il valore medio del momento della coppia risultante totale agente sull’armatura è semplice- mente uguale alla differenza tra quello della coppia che il campo rotante verso destra esercita sul magnete rotante verso destra, e quello della coppia che il campo rotante a sinistra produce sul magnete rotante verso sinistra. Detti K, e K, i momenti di queste due coppie, e detto K il momento della coppia risultante agente sull’armatura, preso come positivo quando la coppia è diretta verso la destra, si ha K=K_ K. (3) Le coppie K, e K, si calcolano colla formola (1) dell'art. 16. Si deve a quest’uopo ritenere che B rappresenti il valore della induzione magnetica in ciascuno dei due campi rotanti in cui si è scomposto il campo alternativo dato, si deve cioè ritenere che il valore massimo dell’induzione magnetica in quest’ultimo sia rappresentato con 2B. UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 40] Si devono poi sostituire nella formola, alla frequenza « del moto relativo, succes- sivamente i valori v, ed «, corrispondenti ai moti che i due campi rotanti hanno relativamente all’armatura. Ora se si suppone che l'armatura ruoti verso destra con una frequenza m, e se si rappresenta con n la frequenza del campo magnetico al- ternativo, si ha u=n— Mm, uwa=n+ m; dunque AVIRA 209 r(n-m) ) K, = tNB?S Fi am (4) TNA 202 r(n+4 m) li == UMNIBANS Dan) DID (5) e quindi K = nNB°8°7 È + Roma Pa — 33 + Leto - (0) Le linee, che rappresentano le relazioni tra K,, K,, K e la frequenza m della rotazione dell’armatura, si possono ricavare subito dalla €,0 0, che nella fig. 14 rappresenta l'equazione (1): La €,0C, è riprodotta e segnata colle stesse lettere nella fig. 15, ove, come nella 14, il punto O è l'origine delle « ed il punto O;, alla distanza 00,= 7% da 0, è l'origine delle m. ) Si prenda (fig. 15) 0, p,= 0, p»g=" w, e si tirino le corrispondenti ordinate p; Pj e po Po; si ha subito: Op, = 00; — pj0},=#—wm ed Op, = 00, + 0,po=n+ m. Y Yi HM, | BA T M AP! N 7) 14 | E Q Go J E, —----4 M-----—- > i lonccnnuy MER d none Fio. 15. Dunque le ordinate p,P, e ps P, rappresentano rispettivamente K, e K,. Per avere K basta sottrarre p,Ps da p,P,. Se si prende su p; P; il segmento P,P= p,P,, il rima- nente segmento p;, P_ rappresenta K, ed il punto P è un punto della curva che dà K in funzione di 7, riferita agli assi coordinati 0,X ed 0; Y,. Quale debba essere l'andamento della linea K si vede anche più chiaramente se si disegna in QP,0, la linea simmetrica, rispetto all’asse 0;Y,, alla porzione QP,0, della C,0.0,. Allora il valore di K corrispondente al valore 0,p; di m risulta rappresentato dal segmento PP; compreso fra le due linee QP;0, e QP,C. A questo segmento è uguale, per la linea K, l’ordinata p, P_ corrispondente all’ascissa m=0;p;. L'esame della curva K mette in chiaro le principali proprietà del motore. Il momento K della coppia agente sull’armatura è nullo quando m = 0, ossia quando Serie II. Tom. XLIV. DE 402 GALILEO FERRARIS l'armatura è in riposo; ma se questa gira, subito K prende valori diversi da zero, e se la frequenza m della rotazione non supera il valore rappresentato in figura con 0;A, esso è positivo, ossia la coppia ha il verso stesso della rotazione, è una coppia motrice. Se, partendo dal riposo, l'armatura prende velocità crescenti, la coppia, nulla da principio, va crescendo anch'essa fino ad un massimo, raggiunto il quale, se seguita a crescere, essa diminuisce rapidamente, e sì riduce di nuovo a zero quando m raggiunge un determinato valore O,A alquanto inferiore ad n. Pei valori di mm maggiori di O,A la coppia K diventa e rimane sempre negativa, ossia essa è opposta alla rotazione, è una coppia resistente. Il tratto discendente MM' della curva corrisponde ad un funzionamento sta- bile del motore. Infatti se mentre l'armatura gira colla frequenza m =0;p; e colla coppia motrice p;P, la coppia resistente viene ad aumentare alquanto e diventa mag- giore di p;P, la velocità dell'armatura diminuisce, 0;p;, diminuisce, e cresce la coppia motrice p;P fino a ristabilire l'equilibrio. Se similmente la coppia resistente viene a diminuire, l'armatura si accelera, pi si sposta verso sinistra e la coppia motrice piP diminuisce anch'essa. Invece il funzionamento non è stabile pel tratto ascendente OM della linea, ossia per valori di m minori di quello a cui corrisponde il massimo della coppia motrice. Allora infatti una diminuzione di velocità dovuta ad un eccesso della coppia resistente sulla coppia motrice provoca una diminuzione di quest’ultima e quindi una ulteriore diminuzione di velocità, la quale si moltiplica e si continua fino a che l'armatura si ferma completamente. Il tratto discendente della linea K, pel quale si ha un funzionamento stabile, ha una pendenza di poco inferiore a quella della vicina linea C,00,, e la pendenza TNB?S° di questa nel punto O (art. 16) è uguale a Similmente il punto massimo della linea K dista assai poco da quello della linea 0,00, l'ascissa del quale è n + a (art. 16). Dunque se è piccola la resistenza r, il tratto utile della linea K ha una grande pendenza, e, se non è piccolissima l’induttanza L, i valori di m ad esso corrispondenti sono compresi fra limiti l'uno all’altro molto vicini. Ciò accade appunto spesso nella pratica: il motore è bensì asincrono, ma i limiti fra i quali la velocità può variare compatibilmente colla stabilità del funzionamento sono spesso molto ristretti. La linea QP, OC, (fig. 15) è quella che rappresenterebbe la relazione tra la coppia motrice e la velocità quando l armatura, invece di essere collocata in un campo alternativo ove l'induzione magnetica ha il valore massimo 2B, fosse collo- cata in un semplice campo magnetico rotante, ove l’induzione avesse il valore co- stante B. Perciò la fig. 15 mette in chiaro le analogie e le differenze che esistono tra le proprietà di un motore asincrono a campo alternativo e quelle di un motore a campo rotante. Se n non è molto piccolo, e se la resistenza » dell'armatura è, come di solito, assai piccola, le due linee QP,0C, e O,KPAK, corrono vicinissime l'una all’altra per tutti i valori di m superiori a quelli pei quali i motori cominciano ad avere un funzionamento stabile. Dunque per tutte le velocità compatibili con un funzionamento stabile il motore monofase si comporta approssimativamente come il motore a campo UN METODO PER LA TRATTAZIONE DEI VETTORI ROTANTI OD ALTERNATIVI 403 rotante; solamente la coppia motrice è in esso alcun poco più piccola e si annulla per un valore di m alcun poco minore di n. Le due linee si scostano invece note- volmente l'una dall'altra nelle parti corrispondenti alle velocità minori; e la diffe- renza caratteristica che da ciò deriva è che per m=0 il momento della coppia motrice, che nel motore a campo rotante può avere un valore 0,Q anche notevole, è nullo nel motore monofase: il motore a campo rotante può avviarsi da sè, il mo- nofase non lo può. L'espressione (6) della coppia motrice di un motore monofase si può trovare facilmente anche senza ricorrere al nostro metodo di trattazione de’ vettori alter- nativi; essa fu infatti dimostrata dal Dr. J. SAHULKA direttamente con procedimento puramente algebrico (1), ed è notissima. Ma l’esservi arrivati col nostro metodo giova alla intelligenza delle ragioni fisiche dei fatti, e mette in evidenza le relazioni che esistono tra un motore a campo alternativo ed uno a campo rotante. Un motore a campo alternativo si presenta come un motore a campo rotante differenziale; le sue proprietà si derivano direttamente da quelle dei motori a campo rotante. 19. — Inoltre varie considerazioni si presentano, le quali sarebbero meno ovvie colla trattazione analitica ordinaria. Una di queste si riferisce alla natura delle correnti nell’armatura ed alle rea- zioni di esse sull’induttore. Le correnti dell'armatura equivalgono, come abbiamo dimostrato, a due magneti rotanti in versi opposti. I vettori che rappresentano questi magneti girano nello spazio con velocità angolari uguali e precisamente colla fre- quenza x del campo magnetico alternativo; essi adunque (art. 4, 5) equivalgono al Sistema di un vettore rotante'e di un vettore alternativo. Ciò vuol dire che le cor- renti indotte nell’armatura producono nello spazio un flusso di induzione magnetica, il quale si può considerare come risultante dalla sovrapposizione di due flussi, uno di valore costante e di direzione rotante e l’altro di valore alternativo e di dire- zione fissa. Consideriamo l’uno dopo l’altro questi due flussi. Flusso rotante. — Il flusso rotante è proporzionale alla differenza tra i valori assoluti dei vettori che rappresentano i due magneti rotanti equivalenti alle correnti dell'armatura (art. 4, 3). Perciò esso è proporzionale ad Ch 6 ove con y, e con y, si rappresentino i valori assoluti, corrispondenti ad u=”n—m ead u=n+ m, della funzione y di v data dalla formola U (Me=-l=————————_s J Vr + 4n2uL? Per farsi un'idea del modo di variarie di esso in funzione di m basta conside- rare l'andamento di y. Ora y ha valori assoluti uguali per « e per — «, è uguale l (1) J. Sanvrka, T'heorie der Thomson'schen (Brown’schen) Motoren fir gewbhnlichen Wechselstrom. ° Elektrotechnische Zeitschrift , — Berlin, 7 Juli 1898, pag. 391. 404 GALILEO FERRARIS a zero per u= 0, cresce col crescere di u e per u = 00 tende assintoticamente verso il valore limite dali Se adunque (fig. 16) si prendono come ascisse i valori di v e come ordinate i valori assoluti di y, e se si prende come origine il punto 0 e come direzione positiva dell'asse delle w la OX", si trova la linea F;, OF, che ha | per assintoto la retta LL parallela all'asse delle ascisse. Per trovare y, — y2 Si Fio. 16. prendano 0.0; = x ed 0,p;= 0;p,= #; risultano 0p;= n — m, Op.=n + m, quindi le ordinate p, P, e p. P> rappresentano y, ed y, e si ha subito y, — y=p1P1 — pa Pa = — (poPo —piPi). ‘Il modo di variare di questa differenza apparisce chiaro se si disegna in QP,M la linea simmetrica rispetto ad O, Y, alla QP,F,. Allora si ha yj—-y=—PPo. Si può, se si vuole, prendere questa lunghezza come, ordinata, e così si trova, che prendendo come origine il punto 0}, come asse delle ordinate la retta 0; Y, e come direzione posi- tiva dell'asse delle ascisse la 0,X, yy—% è rappresentata in funzione di m dalla curva 0, PMN. : Il segno (—) del valore trovato derivante dall'essere p, P. > p;Pi dice che il flusso considerato ruota verso la sinistra, ossia in direzione opposta al movimento dell'armatura. Ora questo flusso che ruota verso la sinistra, produce nel metallo della parte fissa della macchina correnti indotte sulle quali poi esso esercita forze tendenti a trascinarle nella propria rotazione, verso la sinistra. Dunque viceversa le correnti indotte nella parte fissa della macchina sollecitano l'armatura a girare verso la destra, nel verso cioè nel quale essa già si muove. Quindi risulta che il flusso rotante dovuto alle correnti nell’armatura provoca correnti indotte, le quali aiutano la rotazione e dànno luogo ad una coppia, che si aggiunge alla coppia principale di cui si è parlato nell’articolo precedente. Il valore della coppia dovuta alle correnti indotte varia col variare di m e cresce col crescere dell’ordinata p, P_ della linea 0, MN. Essa è nulla per m= 0 e massima per m==n. In grazia di essa la coppia totale agente sull’armatura invece di annul- larsi perm=0; A (fig. 15), non si annulla se non per un valore alcun poco più grande, più vicino ad x. Ù Flusso alternativo. — Il vettore alternativo risultante dalla composizione di due vettori rotatorii di versi opposti ha una ampiezza uguale al doppio del più piccolo fra i due vettori componenti (art. 4). Perciò il flusso alternativo è proporzionale a n_m Vi? + ATL (n — mf Hsso può essere nullo solamente per m= n. ° > è DNTA POLARZZABUITÀ DA RATTO LA SETA COME DIELETTRICO NELLA COSTRUZIONE DEI CONDENSATORI MEMORIA dell’Ingegnere LUIGI LOMBARDE E Approvata nell’Adunanza del 3 Dicembre 1893 Delle sostanze dielettriche in genere, e particolarmente di molte sostanze orga- niche le quali più spesso si adoperano come isolanti, così negli apparecchi più delicati di laboratorio come in quelli più grandiosi di trasmissione d’energia, le proprietà sono pochissimo conosciute per ora, sebbene il loro studio interessi da vicino molti problemi importanti della scienza della Elettricità. Questa Memoria ha per oggetto, come modesto contributo a quello studio più vasto, l’esame di alcune di quelle pro- prietà e di alcuni fenomeni di polarizzazione dielettrica, oltrechè lo studio della applicabilità della seta come dielettrico nei condensatori. Tale esame e tale studio furono da me intrapresi nei primi mesi di quest'anno presso il Politecnico di Zurigo per consiglio del Prof. Dott. H. F. Weber, a cui, per la guida illuminata e cortesissima, e pel ‘soccorso potente dei mezzi del suo splendido laboratorio, in questo come in tutti gli altri miei piccoli lavori ivi eseguiti, mi è primo e caro dovere attestare qui la più viva riconoscenza. 1. Polarizzabilità lenta di alcuni dielettrici. Era stato constatato che spirali bifilari, quali si trovano comunemente avvolte per scopi di misura e per applicazioni di laboratorio, presentano una capacità elettrostatica notevole, in molti casi superiore di gran lunga a quella che i rapporti di superficie e distanza d’armature farebbero prevedere. Il fatto che la quantità di elettricità che ivi si poteva immagazzinare cresceva marcatamente colla durata di carica, e che la resistenza apparente, determinata colla misura diretta della corrente 406 LUIGI LOMBARDI prodottavi da una nota forza elettromotrice, o mediante la perdita di carica elettro- statica, andava col tempo lungamente crescendo, si accordava coll’aumento di carica e di resistenza apparente che è notissimo nelle misure presso i cavi e che inter- viene per quasi tutti i coibenti. Si suol dire che questi si vanno per azione delle forze elettrostatiche polarizzando; ma la definizione del fenomeno non dice molto sulla natura intima di esso, e sulle cause che lo producono. Di un condensatore a dielettrico lentamente polarizzabile varia col tempo la carica, che si suol misurare mediante la prima elongazione di scarica attraverso un galvanometro balistico, siffattamente che questa è funzione non solo della durata 9 di carica che l’ha immediatamente preceduta, ma di tutti i processi di carica e sca- rica a cui il sistema fu assoggettato in tempi prossimi a quello d’osservazione. Con serie sistematiche di cariche a durata regolarmente crescente e decrescente si pos- sono: far percorrere al sistema dei cicli di polarizzazione elettrica che hanno quasi tutti i caratteri dei cicli di polarizzazione magnetica. Più tardi saranno resi più chiari alcuni elementi di questa analogia. Come nelle sostanze magnetiche la lenta polarizzabilità origina la parte di magnetismo residuo che col tempo va gradatamente scomparendo, così la lenta polarizzabilità dei dielettrici dà luogo ai fenomeni di carica residua, pei quali non si è ancora formulata una legge precisa. Nelle spirali bifilari che s'erano sperimentate qui l’isolamento tra i fili era un comune avvolgimento di cotone o di seta, ed in alcune spirali maggiori di sostanza organica analoga impregnata di materia isolante. In queste condizioni è chiaro che il coibente non è affatto preservato dal contatto coll’aria esterna, e perchè questa circola abbondantemente negli interstizi della massa, che è quasi sempre molto igro- scopica, ne rende le proprietà eminentemente variabili. Per uno studio sistematico delle proprietà che a noi interessavano non si poteva ad altro ricorrere che ad un vero condensatore, e questo fu costrutto sul tipo dei condensatori comuni con arma- ture rettangolari di stagnola, isolandole con fogli di seta. La seta tra le sostanze organiche si presentava specialmente opportuna, sia per la facilità di ottenerla dal commercio pura ed a tipo costante; sia perchè di essa è noto il grande potere iso- lante, e furono per le sue più frequenti applicazioni meglio studiate le proprietà fisiche ed elastiche, delle quali il diretto confronto colle proprietà dielettriche pareva specialmente degno di nota. 2. — Un condensatore a seta: costante del dielettrico. Il primo condensatore fu costrutto con 20 armature di stagnola di superficie S= 28 X 28 cmî, alternate con fogli di stoffa di seta, leggermente giallognola, così detta seta cruda del commercio, ricevuta direttamente dalla fabbrica, e non altri- menti essiccata che mediante una leggera soppressatura con ferro caldo per eliminarne le increspature; nessuna cura particolare fu presa parimenti per seccare la stagnola, ricavata da fogli soliti arrotolati. Per avere una idea dell’ordine di grandezza della costante di questo dielettrico, sebbene esso in pratica non possa adoperarsi se non in condizioni analoghe alle attuali cioè in presenza di una quantità variabile di aria, la capacità fu esattamente LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 407 determinata nelle circostanze ove la seta era allo stato naturale, e dove la sovrap- posizione accurata dei fogli di armatura permetteva di ritenerne utilizzata tutta la superficie. La distanza di questi, che dipendeva naturalmente dalla pressione, fu de- finita dalla media di parecchie misure di spessore eseguite con una vite microme- ‘trica sopra un piccolo sistema di fogli di stagnola e di seta, alternati come nel condensatore, e sotto un peso proporzionalmente paragonabile. Lo spessore di un foglio di seta solo tra due superficie levigate darebbe una dimensione troppo grande; quello di molti fogli di seta semplicemente sovrapposti e compressi ne darebbe una troppo piccola, perchè i fogli di stagnola si adattano, ma solo in parte, alle piccole sinuosità della stoffa. La distanza media delle superficie di armatura era pertanto d=0.131 mm.; la capacità 0.133 mF: onde, dicendo ula costante del dielettrico costituito dalla mescolanza di sostanza solida della seta e gasosa dell’aria e delle tracce di vapor acqueo presenti, era 0.138 X 10-!5X 9 X 1080 XX 4m X 0.0181 isa 28 X 28 X 19 = 1.32, esprimendo in unità elettrostatiche la capacità misurata in microfarad e definita dalla formola che vale per condensatori a facce piane e superficie indefinita. Essendo l’energia immagazzinata in un condensatore, a parità di forza elettro- statica, proporzionale al volume del dielettrico, la costante u' della parte solida del dielettrico si deduce con una relazione semplice di proporzionalità. Se cioè la frazione percentuale del volume totale da questa occupata è , uXi=pu Xe +1X (1-02) ritenendo la costante della parte gasosa eguale all’unità. Per determinare x, non potendosi applicare i metodi più elementari di misura del volume specifico per immersione, perchè sarebbe difficilissimo espellere dalla massa tutta l’aria, non può ricorrersi razionalmente che alla variazione di volume di una nota massa gasosa in recipiente chiuso; in presenza della sostanza porosa, sotto pressione diversa. Le osservazioni furono fatte con un volumenometro a ciò costruito, consistente in un tubo manometrico graduato, di alcuni centimetri di diametro, dove pezzi di stoffa di parecchi decimetri quadrati potevano essere introdotti dalla parte superiore, chiusa a vite ermeticamente; alla parte inferiore si raccorda un tubo d’unione flessi- bile con una vaschetta che si può spostare lungo un’asta verticale. L'apparecchio è parzialmente riempito di mercurio, mentre una chiavetta superiore permette la circolazione dell’aria. Chiusa quella, la pressione può variarsi spostando la vaschetta tra limiti relativamente estesi, e misurarsi con grande approssimazione leggendo le differenze di livello col catetometro a meno di pochi centesimi di millimetro; la pres- 408 LUIGI LOMBARDI sione esterna è letta nello stesso luogo all’atto di ogni osservazione. La calibrazione È del tubo per unità di lunghezza si può fare facilmente capovolgendolo e pesando il È mercurio che effluisce dalla chiavetta per abbassamenti esattamente misurati di livello. Però la verifica dello zero della scala non può essere fatta così pesando l’ul- | tima parte della colonna di mercurio, poichè oltre che della capacità della chiavetta occorre tener conto dello spazio che il mercurio lascia libero per l’incurvarsi del di menisco sotto il piano orizzontale tangente nel vertice: a questo corrisponde un peso che sarebbe due volte da sommare all’ ultima pesata. Si deve dunque cercare lo a zero della scala, se i volumi si esprimono in altezze, applicando ancora la legge di Mariotte ad una quantità d’aria isolata nell’ apparecchio senza introdurvi corpi a estranei. Le due determinazioni fatte con molta cura potrebbero definire con molta È approssimazione il volume rimasto libero per effetto della capillarità sotto il piano J di livello superiore. o Detta H l’altezza della colonna barometrica; % la differenza di livello del mer- È curio letta al catetometro; V l’altezza libera del tubo manometrico, cioè quella cor- rispondente allo spazio d’aria, e riferita alla scala del tubo sebbene letta col cateto- metro; detta v finalmente la correzione dello zero, ed x l’altezza corrispondente al ; volume occupato dalla seta, quella è definita dalla equazione V+o __H4+W . Vo © Ht%° questa dalla VW4tbo—x _H+a" Web = == H+ 7! dove % ed ”' possono scegliersi eguali a zero lasciando stabilirsi il mercurio allo stesso livello coll’aprire la chiavetta. In ogni caso la sopraelevazione del mercurio nel tubo manometrico dovuta alla capillarità non eccede 1 o 2 centesimi di millimetro. Il volume corrispondente ad 1 cm? di stoffa di seta fu trovato così essere 0.0065 cm8, cioè nel condensatore il volume del dielettrico essere occupato dalla | 0.0065 0.0131 la metà. Evidentemente la costante dielettrica della seta risulta così 1.64; e se | questo è un valore medio per una simile sostanza, può sempre aversi una idea della costante del dielettrico in condizioni analoghe quando sia variata colla pressione la distanza delle armature, che può essere di molto ridotta. È però verosimile che le qualità diverse di seta possano avere costanti diverse non meno dei dielettrici comuni, È essendone la struttura complessissima; ed è inoltre certo che la costante è largamente modificata dalla presenza di acqua condensata, avendo questa allo stato liquido un potere induttore specifico elevatissimo. sostanza solida per una porzione eguale a che è con molta approssimazione | LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 409 8. — Influenza dell’umidità sulle proprietà del dielettrico. È facile vedere come per la presenza dell’acqua si modifichino svantaggiosamente le proprietà del condensatore. Si verifica difatti in parte, quando nel dielettrico è acqua condensata, il fenomeno che ha luogo quando in un liquido sono immerse due lastre od elettrodi: la quantità di elettricità che ad esse si può condurre mediante una data forza elettromotrice cresce notevolmente rispetto quella che basterebbe a caricare allo stesso potenziale il sistema delle due armature isolate, pur prescindendo dalla possibilità che succeda del liquido una scomposizione elettrolitica, la quale non permetterebbe più alcun confronto cogli elementi di una capacità elettrostatica. Il liquido si polarizza; e questa polarizzazione, che nella ipotesi di Grotthus è il 1° feno- meno della elettrolisi, consiste verosimilmente in un orientamento speciale delle mole- cole liquide in modo che gli elementi elettropositivi ed elettronegativi rispettivamente si volgano agli elettrodi caricati di elettricità opposta, per azione delle forze elettro- statiche. Ora è chiaro che questo orientarsi delle molecole, che devono rotare attorno ai loro centri di gravità e vincere le resistenze d'attrito originate dalle forze di coesione, non può succedere istantaneamente, ma occorre un certo tempo perchè il più gran numero di molecole abbia presa la nuova posizione di equilibrio. Non altrimenti nel condensatore occorre un certo tempo perchè la carica sia completa, poichè l’ orien- tarsi nel campo di particelle che noi consideriamo caricate di elettricità opposte, nella direzione in cui le forze elettrostatiche le sollecitano, ha per effetto di dimi- nuire in ogni punto il potenziale, cioè di crescere la capacità elettrostatica. Il tempo totale di carica e la carica stessa dipendono dunque dalla quantità di liquido pola- rizzabile condensato; perchè la presenza di un vapore secco non altera sensibilmente l'uno e l’altra, avendo i gas in genere una costante vicinissima ad 1 ed una pola- rizzabilità quasi istantanea. Nel caso dei dielettrici comuni è sempre molto difficile eliminare ogni traccia di acqua condensata; difficilissimo per sostanze a struttura porosa o filiforme, quale era la seta, di cui potevasi dunque presumere che, senza precauzioni speciali, si sa- rebbero le proprietà mostrate imperfette e variabili col tempo. Effettivamente, essendosi conservato il sistema isolato tra due fogli di ebanite Sotto pressione notevole, ma senza protezione contro l’aria esterna, le variazioni si resero in giorni e settimane successive molto sensibili, come dimostrano i risultati seguenti di osservazioni fatte senza che il condensatore fosse stato menomamente rimosso dal posto. È detta d' la 1° elongazione di scarica letta al galvanometro balistico dopo una carica momentanea; è'' la massima elongazione ottenibile prolun- gando gradatamente la durata di carica con un elemento Clark (1); c è la capacità in microfarad data dal confronto di questa elongazione colla massima ottenibile sca- ricando nelle’ identiche condizioni un condensatore normale caricato allo stesso poten- ziale; dA è la massima variazione percentuale di elongazione o di capacità apparente: . (1) L’ordine diverso di grandezza di queste elongazioni dipende naturalmente dalla diversa sen- sibilità a cui il galvanometro era disposto nel corso di altre misure. Serie II. Tom. XLIV. B° 410 LUIGI LOMBARDI Data d’osservazione dò dò” Ad e 17 gennaio 144.0 149.0 3.9 9/o 0.132 18 N 140.6 146.0 3.0 o 0.134 7 febbraio 2005) 224.0 5.6. 9/o 0.137 9 n 161.6 170.8 bid 10/0 0.137 18 s 161.2 173.1 639000 0.137 19 A 246.7 269.0 8.8.9 0.137 29 È 129.0 208.8 38.2. %o 0.158 Evidentemente l’ultima enorme variazione improvvisamente intervenuta, e ricon- fermata da varie osservazioni nello stesso giorno e nei seguenti, accusa la presenza di una quantità di acqua notevole, od assorbita dall’aria eccessivamente umida esterna, o sfuggita alla condotta vicina di vapore pel riscaldamento. Essendo impossibile di continuare così le misure il condensatore fu dunque rimosso e artificialmente seccato. Non essendo una prova fatta tenendo parecchi giorni il sistema in un piccolo spazio chiuso, in presenza di acido fosforico anidro, riuscita ad abbassare la massima variazione di carica sotto il 20 °/,, si dovette smontare il condensatore per ottenere dei singoli pezzi di stoffa e di stagnola un essiccamento migliore. Perciò questi furono lungamente esposti al sole, e quelli tenuti parecchie ore sotto la campana della mae china pneumatica a pressione di pochi millimetri di mercurio ed in presenza di acido fosforico. La variazione massima era tornata dopo ciò a circa 6 %,; la capacità ad un valore dello stesso ordine dei primi qui riferiti, ma non direttamente confronta- bile con essi non essendosi curata la sovrapposizione dei fogli di armatura esatta- tamente nelle condizioni precedenti. Dei risultati di gran lunga migliori si ebbero però seccando tutti i pezzi d’ar- matura e d’isolante ad alta temperatura, al quale artificio non s'era voluto ricorrere prima d’aver esauriti gli altri mezzi che potevano applicarsi con sicurezza maggiore di non alterare le proprietà fisiche ed elastiche della seta. Ma di questo si dirà dopo aver accennato ad alcune altre osservazioni eseguite nei primi giorni dopo la costruzione del condensatore, durante i quali le proprietà della seta naturale s'erano conservate più costanti. E prima di tutto converrà ricordare la forma generale della curva di carica, la quale si conserva la stessa in tutti i casi detti sopra, salvo a presentare una curvatura ed una differenza di ordinate estreme diversa. I tempi presi come ascisse sono le durate di carica, sono ordinate le prime elongazioni di scarica. Le due curve riferite qui e riprodotte nella tavola I (fig. 1 e 2) si riferiscono alle osservazioni citate del 18 gennaio e del 18 febbraio : OO IO NE TOO 00000 d' (140.6 141.9 142.6 143.0 143.5 143.8 144.1 144.4 144.5 144.7 145.0 146.0 146.0) d'"161.2 164.8 166.2 167.3 168.7 169.9 171.0 171.8 172.2 172.8 173.1 — - LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 411 Il tempo dopo cui non è più apprezzabile una variazione della prima elonga- zione di scarica non può naturalmente essere esattamente precisato, perchè la curva si accosta asintoticamente alla sua tangente orizzontale, onde la quistione non è che di sensibilità dei mezzi di osservazione. Del resto si vedrà che a quella valutazione è assolutamente da dare poca importanza, non essendo quel massimo che un valore relativo, apparente, della carica la quale continua a crescere per un tempo molto più lungo. 4. — Proporzionalità della carica al potenziale. La proprietà più importante di un condensatore è la proporzionalità della carica al potenziale, scegliendo per questa una durata arbitraria, o tale dopo cui la quantità di elettricità scaricantesi attraverso il galvanometro balistico non sia più suscettibile di crescere. Perchè quella proporzionalità si possa verificare occorre primieramente che il dielettrico abbia una resistenza convenientemente grande, indi- pendente dalla forza elettrostatica a cui esso viene assoggettato, e dalla intensità della corrente che lo può attraversare. Di più occorre che in esso procedano propor- zionalmente al potenziale anche i fenomeni di polarizzazione, dai quali dipende una parte notevole della capacità. i Quella proporzionalità si suole verificare in tutti i buoni condensatori da labo- ratorio finchè la differenza di potenziale adoperata è contenuta tra limiti opportuni, cui non suole eccedere l’uso comune degli apparecchi. Pel condensatore a seta, a meno di differenze piccolissime comprese nei limiti dell’approssimazione conseguibile nelle misure, quella proporzionalità fu verificata in generale, successivamente descrivendo con potenziali diversi le curve di carica, e constatando che le ordinate di queste sono alla differenza di potenziale proporzionali anche per tempi brevissimi quando dal circuito di carica sia eliminata ogni resistenza e selfinduzione troppo grande, atta ad introdurre nella carica ritardi secondarî. Così con 1, 2,3 elementi Daniell preparati di fresco si ebbero prime elongazioni di scarica dopo cariche di un millesimo di secondo ed un decimo di secondo: t = 0”.001 ò (CETO casoo IEITOZÌ ooo 190.4 ENO = BOL sa b00 SOLO. 195.2. I E con carica di 10”, dopo cui la scarica è poco diversa in ogni caso dalla massima, con un numero crescente da 1 a 6 di elementi Clark, dei quali prima si era verificata la forza elettromotrice eguale a meno di uno per mille, si ebbero elongazioni ò = 70.5 140.9 211.2 282.1 359.4 423.0 dove lo scostamento massimo dalla legge di proporzionalità non arriva a 0,4 %. Naturalmente le deviazioni lette non possono essere confrontate senza essere affette della correzione per dedurre dalla misura proporzionale di tang. 2.u, che si fa sulla scala, quella di sen >, che è misura relativa della quantità di elettricità scari- 412 LUIGI LOMBARDI cantesi attraverso al galvanometro balistico e producente una prima deviazione %. Se tang. 2u = D, sviluppando si trova DCOM li è d0l'de sala seng = pd 8 dp? tao Di) = 29d dove è, sono le elongazioni lette, Dla distanza della scala allo specchio. 5. — Misura della resistenza del dielettrico col metodo della perdita di carica. x Non è altrettanto semplice formarsi una idea esatta della resistenza di isola- P mento di un condensatore, come notoriamente non è facile eseguire una misura esatta di una resistenza polarizzabile. È Ordinariamente si ha un criterio per giudicare della isolazione di un condensa- MA tore caricandolo per un tempo determinato, in genere tanto a lungo che non cresca — ulteriormente la prima elongazione di scarica, e scaricandolo dopo tempi diversi ; oppure misurando in corrispondenza con un elettrometro la differenza di potenziale delle armature. Se si ammette che il dielettrico possieda una resistenza ohmica R e che questa sia indipendente dalla differenza di potenziale V, in modo che una corrente propor- zionale ad essa lo attraversi in ogni istante, e nessun altro fenomeno avvenga per cui masse elettriche possano essere disperse od assorbite, l'equazione differenziale della diminuzione di carica o di potenziale dà. subito È il metodo notissimo detto della perdita di carica, altrettanto utile per la misura di capacità in valore assoluto, quando si lascino scaricare attraverso resistenze note, come per la misura di resistenze grandissime, attraverso cui si scarichino capacità note. Per la determinazione della resistenza di elettroliti il metodo ha il grandissimo vantaggio che la corrente che li deve attaversare è piccolissima, onde la forza elet- tromotrice di polarizzazione può essere traseurabile. È però chiaro che le ipotesi su cui il metodo si fonda non sono in genere verificate. i E primieramente la carica non è in ogni istante proporzionale alla differenza di potenziale in tutti i casi dove il dielettrico si polarizza con una certa lentezza, cosa che succede quasi sempre nella pratica, nè allora è legata tanto semplicemente al potenziale Ia diminuzione della carica apparente. Qualunque sia la modificazione dello stato molecolare che noi diciamo polarizzazione, è certo che in questa le mole- LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELE'TTRICI 413 cole presentano una energia diversa, e perciò a produrla occorse una spesa di lavoro che le forze elettrostatiche hanno eseguito, e che i fenomeni di depolarizzazione ci possono restituire in tutto od in parte. La spesa di lavoro si presenta sotto forma di una quantità di elettricità che penetri nel dielettrico, e che è comunemente detta carica assorbita. Ora questo assorbimento che, se le armature son legate in perma- nenza alla pila, si fa a spese della forza elettromotrice di questa, se le armature sono isolate continua a farsi ‘a spese della loro differenza di potenziale, e della quan- tità di elettricità che sopra di esse è distribuita. La differenza di potenziale e la carica apparente diminuiscono dunque anche là dove il dielettrico abbia una resi- stenza ohmica infinita; diminuiscono finchè il dielettrico sia polarizzato completamente, cioè finchè l’equilibrio interno nuovo si sia stabilito tra le forze molecolari e le forze elettrostatiche; e la quantità di energia che a ciò si è spesa è naturalmente variata in ogni unità di tempo successiva, accostandosi asintoticamente ad un valore nullo. Il fatto che si verifica in modo evidente nei condensatori, perchè ivi le scariche residue ne attestano le conseguenze e ne possono dare la misura, avviene sempre dove una porzione del circuito di una corrente sia costituita da una resistenza polarizzabile, perchè anche qui esistono sempre due elettrodi, e tra essi, che sono ad una data differenza di potenziale, esiste un campo elettrostatico. In tali condizioni il quoziente della caduta di potenziale per la quantità di elettricità che nell’unità di tempo attra- versa la superficie di confine degli elettrodi non ha nulla a che fare con una resi- stenza nel significato ordinario della parola, e la definizione di resistenza che se ne suol dare è assolutamente arbitraria: ed è arbitraria la misura che durante la fase variabile della polarizzazione si può fare della resistenza d'isolamento qui come nel caso dei cavi ed in tutti gli altri analoghi. Una resistenza in condizioni esterne invariate non deve avere caratteri di varia- bilità, e perciò negli esempi detti non può essere valutata che allo stato di regime: ed allora veramente può essere definita come quoziente di una differenza di poten- ziale per una corrente, quando questa nel tempo si conserva inalterata, sebbene non si implichi con ciò la indipendenza del valore così definito dalla corrente o dal potenziale, la quale può solo essere verificata dalla esperienza. Non altrimenti assurdo sarebbe valutare la resistenza interna di un accumulatore dividendo la diffe- renza di potenziale degli elettrodi alla carica per la corrente; salvo che qui noi possiamo sempre determinare, interrompendo istantaneamente la corrente, la forza elettromotrice dovuta al lavoro di scomposizione chimica che tra gli elettrodi si è eseguito, od al lavoro che le forze di affinità chimica tendono a fare. Nel caso di un dielettrico la modificazione è solamente fisica, verosimilmente non riguarda che il raggruppamento delle molecole; ma noi non possiamo impedire che essa si compia a spese della energia data alle armature, e, finchè essa dura, se l'energia da essa consumata non ci è nota per esperienze precedenti, non possiamo distinguerla da quella che si trasforma in calore per la conduttività del mezzo, per la legge di Joule. Se una conduttività nel dielettrico esiste, e questo si verifica sempre, non Si può nemmeno pensare di prolungare tanto la carica che la polarizzazione sia completa, per determinare poi le perdite di carica come differenza delle prime elongazioni di scarica dopo tempi diversi di isolamento, poichè l'equilibrio delle molecole dipendendo in ogni istante dalla forza elettrostatica attuale è continua- 414 LUIGI LOMBARDI mente variato al diminuire la carica per le correnti di conduzione. Ora le mole- cole riavvicinandosi all'equilibrio primitivo, ch’esse avevano nel dielettrico non pola- rizzato, restituiscono una parte dell'energia che per la loro polarizzazione s'era spesa, dovendo essere l’energia immagazzinata, che è la misura per noi della polarizzazione, proporzionata in ogni istante all'intensità attuale del campo. Così le armature mo- strano una differenza di potenziale in tempi successivi maggiore di quella che esse avrebbero conservata se i soli fenomeni di conduzione si fossero verificati. Solamente nel caso che nessuna conduzione o dispersione elettrica avvenisse la polarizzazione non originerebbe fenomeni secondarî quando fosse completa; ma allora la differenza di potenziale si conserverebbe indefinitamente identica. I fenomeni di scariche residue non sono che quelli ora accennati nel caso in cui le armature siano state una volta scaricate; essi consistono cioè nello scaricarsi della, quantità di elettricità che s'è venuta di nuovo accumulando sulle armature, in esse sviluppando una differenza di potenziale dopo che quella prima esistente s’ era una volta ridotta a zero. La nuova differenza di potenziale va dunque crescendo; però non indefinitamente, nè finchè tutta la massa elettrica assorbita dal dielettrico sia stata restituita alle armature, perchè evidentemente, per il potenziale crescente, cresce la forza nel campo elettrostatico, e quando essa fa equilibrio alle forze molecolari che sono venute gradatamente prevalendo si è in una nuova condizione di regime, che, se non intervenisse la conduzione o dispersione dell’energia per isolamento imperfetto, non avrebbe nessun motivo di variare col tempo. In pratica la quantità di elettricità che dopo la 1% scarica resta immagazzinata nel sistema suol essere una frazione piccola della quantità totale che si era data, onde è piccola la differenza massima di potenziale che essa basterebbe a sviluppare di nuovo, e questo massimo non sarebbe raggiunto prima di un tempo notevole, avvenendo i fenomeni di depolarizzazione come quelli di polarizzazione sempre lentamente. Perciò la scarica secondaria che si ricava dopo la scarica principale suole mostrarsi tanto maggiore quanto maggiore è il tempo che nei limiti ordi- nari di osservazione si lascia precedere ad essa. Se poi la scarica secondaria si misura colla deviazione del galvanometro balistico, non si trova quasi mai minore sensibilmente della somma di scariche che si sarebbero potute avere chiudendo nello stesso intervallo di tempo le armature parecchie volte in corto circuito; ma è evi- dente che là la depolarizzazione ha dovuto essere meno intensa. Il caso più comune è quello in cui la carica del condensatore non sia stata pro- lungata fino a polarizzazione completa, cioè non abbia raggiunto il suo massimo valore totale. Allora la curva che si vuol rilevare per avere una idea della isolazione, cioè la curva della scarica primaria diminuente al crescere della durata di isolamento, pre- senta un carattere generale che la allontana dalla forma teorica. Essa cioè si abbassa nei primi istanti più rapidamente, ove una parte della carica dalle armature penetra ancora nel coibente; poi acquista per un certo tratto una curvatura sensibilmente normale, cioò conforme ad una legge logaritmica di decrescenza, là dove la polariz- zazione che è andata crescendo finì per corrispondere alla intensità del campo che venne decrescendo, dove cioè l’effetto della polarizzazione potè essere trascurabile rispetto quello della conduzione. Però la curvatura non si conserva normale, perchè decrescendo sempre la differenza di potenziale interviene la depolarizzazione a sopperire LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 415 in parte alla carica che le armature perdono per conduzione, e la curva si accosta di più ad una orizzontale. Se le osservazioni si prolungassero più che per misure ordi- narie non si soglia, si arriverebbe verosimilmente ad un istante ove la curva quasi si confonde colla parallela all'asse delle ascisse, se la conduttività del mezzo è molto piccola rispetto la sua polarizzabilità. In fatto naturalmente la curva continuerebbe lentamente ad abbassarsi, perchè per conduzione finirebbe di esaurirsi tutta la carica che nel dielettrico era immagazzinata. Evidentemente dalla curva di un fenomeno tanto complesso, e diverso da quello ipotetico, è impossibile avere valori confrontabili delle differenze di logaritmi in tempi successivi. Se il metodo è applicato per la misura di una resistenza esterna al conden- satore è chiaro che osservazioni analoghe valgono ancora, perchè i fenomeni di pola- rizzazione e di conduzione interna avvengono sempre parallelamente a quelli di conduzione esterna e contemporaneamente ad essi. Se la curva delle prime elonga- zioni di scarica del condensatore solo, isolato durante tempi diversi, ci definisce quella che può dirsi resistenza apparente interna, la curva delle elongazioni quando il con- densatore è chiuso per tempi diversi sopra una resistenza esterna ci definisce la risultante delle due resistenze in parallelo, apparente interna, ed esterna apparente od obmica secondo che anche qui intervengono o non fenomeni secondari di pola- rizzazione. Il metodo non perde nondimeno tutto il suo valore quando i fenomeni secondari giuochino una parte non importante nel fenomeno principale; ma perchè è pratica- mente impossibile che essi non abbiano un'influenza sui risultati, occorrerà portare a questi una correzione corrispondente. Se si misura cioè una resistenza esterna, rispetto la quale la apparente resistenza interna del condensatore sia grandissima, come può verificarsi adoperando un buon condensatore normale, non sarà irrazionale correggere semplicemente le prime elon- gazioni di scarica lette di tanto quanto erano le perdite corrispondenti lette col condensatore isolato. Rilevando successivamente e nelle identiche condizioni le due curve, le differenze delle loro ordinate si possono cioè ritenere eguali alle perdite ‘di carica che sarebbero avvenute ‘attraverso alla resistenza sola esterna, sebbene questo non sia vero, essendo in ogni istante la differenza di potenziali sulle armature minore del suo valore teorico, e minore la corrente di scarica attraverso la resi- stenza esterna. Che se si tratta di determinare la resistenza interna del condensatore, occorre tener conto separatamente della energia spesa per la polarizzazione; e perchè questa noi possiamo ricuperare con scariche successive, ci sarà lecito ricorrere ad una correzione analoga alla precedente in analoghe condizioni, cioè quando i fenomeni di polarizzabilità successiva non abbiano importanza grande rispetto quelli di condut- tività. Naturalmente occorrerà prescindere dai primi tempi di isolazione, durante i quali la polarizzazione si fa ancora più energica; poi bisognerà ad ogni somma di scariche residue, rilevata dopo una fase qualunque di isolamento, sottrarre quella avuta quando ad una carica eguale aveva tenuto dietro una scarica immediata, perchè prima di questa il potenziale non aveva subìto alcuna variazione dal valore normale. Però sarà molto più difficile che questa correzione sia fatta con l'esattezza della prima, perchè le scariche residue non si possono ricavare che in tempi lunghi, 416 LUIGI LOMBARDI e la moltiplicità delle letture di deviazioni che vanno diminuendo fino a zero fa che | la loro somma non rappresenti quella di scariche successive che molto grossolana- mente. Più ancora, sarà impossibile che deviazioni del galvanometro si apprezzino | fino all’esaurimento completo della carica residua, e la parte che sarà trascurata i sarà tanto più grande quanto più a lungo il dielettrico è rimasto sotto l’azione delle forze elettrostatiche. Della energia per correnti di conduzione dispersa nei tempi successivi alla prima scarica non si ha modo di tener conto, ma certamente essa _ è piccolissima perchè le differenze di potenziale qui sono molto deboli. L'uso dell’elettrometro per misurare invece delle quantità di elettricità i potenziali non sarebbe applicabile, non potendosi immaginare una correzione analoga alla detta. | 6. — Misura diretta mediante l’intensità di corrente. Da tutto ciò che s'è detto risulta che la misura della resistenza interna di un con- | densatore non può essere fatta col metodo della perdita di carica se non prolungando la serie delle osservazioni per tempi lunghissimi, poichè dopo una carica di durata appena notevole il dielettrico impiega a depolarizzarsi completamente un tempo dello stesso ordine di grandezza di quello che si richiederebbe per la sua polarizzazione perfetta, ed, eccetto pochi dielettrici ottimi, quel tempo raggiunge sempre un numero | d’ore che molte volte non è espresso con poche unità. 3 Ma in queste condizioni è evidentemente più razionale, se la resistenza non | abbia un valore immensamente grande, e se si possieda un galvanometro convenien- temente sensibile, misurarla col metodo diretto per mezzo della corrente che una forza elettromotrice nota manda attraverso ad essa allo stato di regime, di polariz- — zazione completa. Siccome i più perfezionati galvanometri moderni a sistema asta- tizzato di magneti ed a decine di migliaia di spire permettono di valutare con sicu- rezza correnti di diecimillesimi di un milionesimo d’ampère, con forze elettromotrici | di pochi volt si possono misurare direttamente resistenze di centinaia di migliaia di megohm, maggiori delle quali le resistenze in quasi tutti i casi della pratica si pos: — sono considerare come infinite. i Il metodo diretto ha il vantaggio di lasciar seguire nella successione del tempo | l'andamento dei fenomeni di polarizzazione e di conduzione sommati, essendo le deviazioni lette ad ogni istante la misura della quantità spesa di elettricità nella corrispondente unità di tempo; e questo ci permetterà più avanti di scoprire alcune proprietà interessanti dei fenomeni stessi. La polarizzazione è completa quando l’ago ha raggiunta la sua posizione stabile di equilibrio. Naturalmente è supposto il | condensatore completamente scarico prima, se non si vuole durante la fase variabile | tener conto dei fenomeni dovuti alla polarizzazione residua da cariche precedenti. i Il dottor Behn-Eschenburg nello studio di un cavo a guttaperca del laboratorio di Zurigo (1) per rendere il comportamento del dielettrico indipendente dalle fasi precedenti di polarizzazione si servì di un artificio ingegnoso analogo a quello di (1) Elektrotechnische Zeitschrift, fasc. 30, 31; 1892. e e) LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 417 eliminare il magnetismo residuo del ferro mediante una corrente alternativa. Egli cioè invertì mediante un commutatore la corrente di carica un certo numero di volte ad intervalli eguali di tempo relativamente brevi; siccome si può immaginare che i fenomeni di polarizzazione seguano parallelamente, indipendenti tra loro, alle fasi diverse di carica, quando queste sono opposte ed eguali la somma algebrica dell’e- nergia per quelli assorbita tende per simmetria a zero. Anche della polarizzazione dovuta a cariche anteriori in un verso qualunque devono più facilmente sparire le ultime traccie, perchè le rapide variazioni di raggruppamento molecolare agevolano l’orientarsi delle particelle sotto l’azione delle forze nuove come le meccaniche vibra- zioni agevolano la depolarizzazione magnetica. In una serie di cariche alternate rego- lari ad un istante qualunque d’una fase di carica può dunque ammettersi che l’in- tensità di corrente sia funzione solamente del potenziale di carica e della distanza di quest'istante da quello in cui il potenziale fu invertito. La curva della corrente è certamente una curva periodica alternata, di cui varia col potenziale l'ampiezza, colla frequenza la lunghezza di periodo, e la forma colla legge dei fenomeni di pola- rizzazione. Per rilevar questa occorrebbe un galvanometro ideale, di cui la deviazione si leggesse in ogni istante proporzionale alla intensità momentanea della corrente; ma anche con un galvanometro-a smorzamento conveniente certo si vedrebbe la devia- zione durante ogni fase diminuire regolarmente dopochè la corrente di carica avrebbe raggiunto il suo massimo, purchè si scegliessero periodi sufficientemente lunghi. Il dottor Eschenburg si servì di un galvanometro con smorzamento piccolissimo, desti- nato a misure col metodo balistico, e scelse come periodi intervalli di tempo appena sufficienti a fare con sicurezza una lettura di deviazione ed una di zero; quindi è naturale che ‘dopo pochi periodi abbia conseguito medie deviazioni eguali; queste però erano funzione, oltrechè del potenziale, delle condizioni speciali di sperimenta- zione, ed il quoziente costante della differenza di potenziale al valore istantaneo letto della corrente fu da lui arbitrariamente definito resistenza del dielettrico non avendo nulla di comune colla resistenza ohmica di questo. Una resistenza ohmica è sempre di tal natura che in essa una quantità di energia è dissipata in calore al passaggio di una corrente, e noi vedemmo come mediante una corrente continua essa possa essere rigorosamente definita anche per le sostanze polarizzabili. Per contro la polarizzabilità in genere non implica una perdita principale di energia, perchè l’energia che è immagazzinata nel dielettrico non è con- Vertita in calore, ma può essere restituita come scariche residue le quali si sommano e sì confondono colle cariche opposte succedenti quando si tratta della trasmissione di una corrente alternativa. La polarizzabilità non corrisponde che all'aumento più o meno lento di una capacità, e questa nel circuito di una corrente continua non ha effetto di sorta, in quello di una corrente alternativa non fa che modificare la fase. Veramente una perdita ancora qui si verifica, perchè la polarizzabilità di un dielettrico non è mai perfetta, e nella depolarizzazione non è mai restituita tutta l'energia che alla polarizzazione è occorsa; ma la parte secondaria dispersa così, che è analoga all’energia che si spende per la magnetizzazione alternata del ferro, è di gran lunga più piccola della totale impiegata in ogni semplice polarizzazione diretta. Pertanto nella misura della resistenza dei cavi in genere non ha minore impor- tanza riferirsi solo al minimo valore a cui la corrente data da una forza elettro- Serie II. Tom. XLIV. {cs 418 LUIGI LOMBARDI motrice costante può discendere, di quello che abbia presso i cavi adoperati per A corrente continua fare unicamente la determinazione dopo una lunga fase di riposo durante la quale il cavo sia possibilmente messo in corto circuito, perchè la pola- rizzazione residua, specialmente se dovuta a potenziali elevati ed a cariche lunghis- sime, non renda le misure, fatte eventualmente servendosi di una corrente in un sol verso, del tutto illusorie. 7. — Indipendenza della resistenza della seta dalla intensità di corrente. L’artificio adoperato dal dottor Eschenburg è tuttavia utile per verificare alcune proprietà nel comportamento del dielettrico. Î Se difatti i valori della resistenza apparente, come fu da lui definita e misurata, si trovano eguali comunque vari il potenziale, ed egli lo verificò per la guttaperca | tra limiti estesi, per quel punto che si è scelto per far la lettura nella durata del | periodo è proporzionale al potenziale la spesa di corrente per conduzione e polariz- zazione. Se questo fosse verificato per tutti i punti e per periodi di lunghezza | diversa, sarebbe verificata, in quelle determinate condizioni di esperienza, l’ indi- pendenza della forma della curva di carica dal potenziale, e se ne potrebbe colla | massima verosimiglianza dedurre l'indipendenza dal potenziale per quei due singoli È fenomeni che seguono leggi del tutto diverse, quindi la costanza della resistenza | effettiva. L’equivalenza di equazioni a variabili indipendenti permette sempre di identificare i coefficienti di queste. i Col piccolo condensatore a seta s'era cercato di assodare una proprietà di questa natura applicando sistematicamente alla determinazione della resistenza apparente il metodo della perdita di carica dopo serie di cariche eseguite per tempi eguali con differenze di potenziale crescente. Leggendo le prime elongazioni di scarica dopo durate di isolamento crescenti di 10” in 10" fino a 60", dopo aver caricato per 10" con numero di elementi nor- | mali crescente da 1 a 6, si vedevano i decrementi logaritmici delle elongazioni seguire ; una legge di diminuzione molto approssimatamente identica, cioè i valori della resi- 3 stenza apparente oscillare attorno ad una curva media regolare, rispetto alla quale gli scostamenti non eccedevano i limiti di approssimazione delle osservazioni. Però la resistenza apparente s'era elevata in 1’ da 2200 a 9000 megohm, valore che non aveva ancor nulla a che fare colla resistenza effettiva. Per avere un'idea del valore di questa una delle serie di osservazioni fu diligentemente ripetuta, ed ogni lettura di prima elongazione affetta della correzione per le scariche residue succedenti, misu- rando queste ad ogni minuto finchè le deviazioni superavano 0,1 mm. sulla scala. Prescindendo dai tempi più brevi dove la porzione di carica che si va assorbendo è troppo grande rispetto la totale, si ebbero dopo durate di isolamento # le scariche totali è che qui sono riferite: LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 419 Ù 60" 90” 120" 15024 180!” “ò 169.7 168.1 166.5 164.9 163.4 log è 2.22968 2.22557 2.22141 2.21722 2.21325 A log. è 0.00411 0.00416 0.00419 0.00397 Il valore medio di questo decremento logaritmico corrisponde, per una capacità quale fu misurata in queste condizioni di 0,136 mF., ad una resistenza di circa 23300 megohm. L'indipendenza però di questa resistenza dal potenziale fu meglio provata col metodo diretto, chiudendo il sistema in circuito con un numero crescente di elementi normali e col galvanometro disposto a gran sensibilità. Sarà ricordata più avanti la forma della curva della corrente, che si conserva della stessa natura in tutti i dielettrici dove i fenomeni di polarizzazione hanno una intensità paragonabile, e ricorda quella di una iperbole avente per asintoti l’asse delle ordinate e una paral- lela all’ asse delle ascisse. Qui è solo da notare che la forma della curva non dipende assolutamente dal potenziale nei limiti tra cui questo fu variato, da 1 a 12 elementi Clark, poichè le divergenze delle ordinate, che si misurarono ad inter- valli eguali di tempo dalla, chiusura del circuito, rispetto la legge di proporzionalità, non superano una piccola frazione percentuale in tutte le curve rilevate dopo un lungo periodo di scarica, cioè col dielettrico in condizioni eguali. Naturalmente le curve che erano successivamente rilevate, dando alla scarica tempi troppo brevi perchè la depolarizzazione fosse completa, si scostano sistema- ticamente dalla variazione proporzionale in quanto nei primi tempi le ordinate hanno valori minori dei normali. Ma questa differenza va sensibilmente diminuendo man mano che la curva si avvicina alla sua tangente orizzontale. La distanza di questa x dall'asse delle ascisse è in ogni caso proporzionale alla differenza di potenziale ado- . perata. E se la sensibilità del galvanometro fu determinata misurando la deviazione che dà la corrente d’una pila campione messa in serie con una resistenza convenien- temente grande, mentre sui morsetti del galvanometro è in derivazione un shunt che ha rapporto noto alla resistenza del moltiplicatore, si ha la misura diretta della resi- stenza ohmica del dielettrico, che a noi è lecito perciò ammettere indipendente dal potenziale. Per ricordare a conferma di ciò una sola delle numerose serie di osservazioni fatte, si ebbero pel condensatore a seta con 2, 4, 6, 8 elementi Clark rispettivamente ed a distanza di soli 390” dal primo istante di carica, deviazioni lette di 6.6, 12.8, 18.8, 24.5 parti di scala, avendo ripetuto le esperienze successivamente scaricando ogni volta il condensatore solo durante alcuni minuti. Ma prolungando un’altra volta la carica con 4 elementi, dopo 1 ora la deviazione era 6.0 parti di scala; con 8 elementi dopo 1 ora era 12.0 parti di scala e si abbassava dopo 2 ore a 11.0, dopo 3 ore a 10.5; dopo cui durante ore successive non si avevano che oscillazioni pic- colissime, evidentemente dovute a variazioni della sensibilità del galvanometro. Essendo 420 LUIGI LOMBARDI il valore medio di questa corrispondente ad una intensità di corrente di 0.5 X 107° ampère per una parte di scala, quella deviazione minima corrispondeva ad una resi- stenza di 21800 megohm circa, di cui l’ordine di grandezza è assolutamente confron- tabile con quello prima riferito tenendo conto che le due determinazioni furono fatte in giorni diversi e verosimilmente in condizioni igroscopiche del sistema non identiche, 8. — Variazione della scarica residua in funzione del potenziale. Si è detto che la proporzionalità delle ordinate della curva di carica in ogni momento al potenziale lascia concludere la proporzionalità dei fenomeni di polariz- zazione, misurati dalla quantità di elettricità per essi assorbita, e la indipendenza della resistenza ohmica dal potenziale. Siccome le osservazioni, in parte riferite, e ripetute molte volte su questo condensatore e su altri di capacità maggiore ed a dielettrico diverso, si accordano molto bene in quella proporzionalità, è altamente verosimile che queste proprietà si verifichino almeno tra limiti abbastanza ristretti di potenziale, per i dielettrici medesimi; dal che è facile prevedere come in pratica variino in funzione del potenziale i fenomeni di scarica residua che sono la conse- guenza dei fenomeni inversi di polarizzazione. Se infatti noi potessimo raccogliere come scarica residua tutta l'elettricità che è stata immagazzinata nel dielettrico, noi avremmo somme di scariche residue pro- porzionali al potenziale. Ma primieramente il dielettrico presenta sempre una certa conduttività, e per essa durante il tempo lungo occorrente all’esaurimento di tutta la carica residua una frazione di questa si disperde come corrente di conduzione, tanto maggiore quanto più lunghi sono gli intervalli dopo cui. le scariche si rinnovano, perchè tanto maggiori sono le differenze di potenziale a cui le armature son venute salendo. D'altronde, | quanto più sovente le scariche si ripetono, tanto minori sono le deviazioni del gal- | vanometro e più facili gli errori di lettura. Di più ancora diminuisce la durata di tempo totale per cui le scariche dopo i singoli brevi intervalli si rendono apprez- zabili, onde una quantità maggiore della carica residua totale è trascurata, e questa può non essere proporzionale al potenziale di carica ma crescere più rapida- mente di esso se avvenga che l'equilibrio molecolare, che è stato più intensamente turbato, più lentamente si vada ripristinando. Quando la curva più lentamente si accosta alla sua tangente che è l’asse delle ascisse, è più grande la parte di area che tra quella e questa si trascura a partire da un minimo eguale di ordinata apprezzabile. { Questo fa che la determinazione della somma di scariche residue possa essere in genere errata in meno tanto maggiormente quanto il potenziale fu più elevato, quindi la intensità di polarizzazione possa apparire leggermente decrescente al cre- scere il potenziale. Ora l’espressione conferma pei fenomeni di depolarizzazione suc- cessiva un andamento di questa natura, poichè la surva delle somme di scariche residue R anzichè continuare rettilinea uscendo dall'origine, si stacca lentamente dalla sua tangente ivi, e volge la sua leggera concavità all’asse delle ascisse. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 421 Lo prova la serie seguente, rilevata con un numero » crescente di elementi normali dopo cariche eguali di 5’. Le cariche non furono prolungate di più per limi- tare il tempo necessario all’esaurimento sensibile della scarica che per 12 elementi Clark non era minore di mezz'ora. La prima elongazione di scarica con 1 elemento era 182.5: n | 1 2 5) 4 5) 6 o) 10 12 R | TR 20 4048 00009 (000020 È | IS IT, 29 dA0 tt hs a Soa 11.0 10.8 Teoricamente nulla contraddice @ priorî ad ammettere che la polarizzabilità del dielettrico vada leggermente decrescendo al crescere il potenziale. Invero al limite non può essere una massa finita di dielettrico sede di una quantità illimitata di energia in essa condensata per solo fatto di una lenta modificazione molecolare. Il fenomeno avrebbe una analogia di più con quelli di polarizzazione magnetica. Siccome però quello scostamento dalla legge di proporzionalità è in gran parte spiegabile nelle condizioni dell'esperienza, ed accenna a scomparire quando invece di scariche suc- cessive isolate si rileva la curva della scarica continua, l'analogia si può verosimil- mente stabilire più intima coi fenomeni di elasticità, nei quali, tra i limiti di ela- Sticità perfetta, le deformazioni totali sono sempre proporzionali alle forze applicate. 9. — Variazione in funzione della durata di carica. Come la polarizzazione del dielettrico varii col tempo di carica è chiaramente mostrato dalla curva della corrente di carica. E veramente, se una quantità di elettricità attraversa nell’unità di tempo le armature, oltre a quella che devesi alla resistenza ohmica per noi ben definita ed invariabile del dielettrico, essa può considerarsi come assorbita intieramente dal mezzo, che, cessate le forze elettrostatiche, la può in tutto od in parte restituire come dicemmo. Se prescindiamo dalle piccole dispersioni, e consideriamo la somma di scariche successive come restituzione integrale di quella massa elettrica, si vede subito la forma della curva, riferita al tempo di carica, della scarica residua. Essa cioè sale col tempo, prima rapidamente ove la corrente di carica ha un’intensità notevole, poi sempre più lentamente accostandosi asintoticamente ad una tangente orizzontale che non è raggiunta prima che la polarizzazione sia completa e la cor- rente sia ridotta a quella di conduzione. Nel nostro caso vedemmo che occorre a ciò un tempo non inferiore ad alcune ore. La curva della carica totale è insomma la curva integrale della corrente di carica. Siccome la prima elongazione di scarica, cioè la searica primaria come è comunemente definita, al prolungarsi della carica ha cessato dopo pochi minuti di crescere, la curva della carica residua da quel momento deve rappresentare quell’in- 422 LUIGI LOMBARDI tegrale a meno di una costante. Le perdite secondarie sole avrebbero per effetto che, se quella curva si deducesse da questa con un processo qualsiasi di integrazione grafica, le ordinate sarebbero leggermente maggiori di quelle che colla misura diretta È 4 si rilevano. . Irisultati che seguono ricordano la curva della scarica residua R del conden- satore a seta dopo che il tempo di carica # s'era venuto aumentando. Siccome però si vedrà più avanti che la distinzione di scarica residua da scarica primaria non ha che un valore relativo, la curva più caratteristica del fenomeno è quella della carica | totale Q che è riportata nella fig. 3 e che si confronterà poi colla curva delle defor- | mazioni elastiche: t I 2' 9I 5' T 10° 15! 20" 30' 14 ore R|1041 145.3 175.0 212.0 235.2 255.0 275.0 292.5 312.5 395.0 Q |346.1 388.8 4190 456.5 480.0 500.0 520.0 537.5 557.5 640.5 Della forma della scarica nei tempi successivi si può avere una idea dalla curva È che ha per differenze di ordinate le singole letture di scarica secondaria fatte in corrispondenza alle ascisse rispettive poichè queste rappresentano le diminuzioni | corrispondentemente subite dalla carica totale, prescindendo da correnti di conduzione — interna. E riportata come esempio la curva delle osservazioni di scarica dopo aver cari- x cato durante 10". L’ordinata corrispondente al tempo zero è naturalmente la carica totale residua quale da noi fu apprezzata, dovendo prescindere dalla durata momen- | tanea della scarica primaria. Ma siccome si avvertì già Il’ impossibilità di tener | conto di una parte della carica effettiva, perchè la depolarizzazione completa del dielettrico domanda un tempo lunghissimo e ‘perchè sono insufficienti i mezzi di osservazione, una differenza costante si ha in tutte le ordinate dal valore teorico. — Per contro la discontinuità del fenomeno, che ha per effetto di ritardare, come si disse, la depolarizzazione del dielettrico, fa che le ordinate successive siano mag- giori di quelle che si sarebbero rilevate se il potenziale delle armature non fosse andato in ogni intervallo crescendo. Di ciò si dovrà tener conto se si vorranno con- frontare le due curve dei fenomeni inversi, di carica e di scarica, tra le quali è ma- nifesta l'analogia, e più avanti si dimostrerà la identità. È Le ordinate della curva riferita nella fig. 4 sono: di 0” Il 2' Si IERI PREGA 10’ di 2,0008254 RA 125 OLE SOA SIE to IS 25 A 90 OO MST L'ordine di grandezza di queste cariche residue è relativamente notevole, e devesi alle condizioni igroscopiche del dielettrico, molto variate rispetto quelle dei primi giorni. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 423 Con sensibilità conveniente del galvanometro si può rilevare una curva rego- lare di scarica residua per corrente continua, la quale va naturalmente decrescendo secondo una legge analoga alla precedente, ma che, per ragioni dette, si presta meglio al confronto. Dopo aver caricato durante 40' il condensatore a seta con 6 elementi Clark fu possibile valutare con sicurezza durante più di mezz'ora le deviazioni di scarica al galvanometro. Siccome ad una parte di scala corrispondeva molto approssimativa- mente una intensità di 0.9 X 10-'°ampère, se si integra l’area della curva si ha una quantità di elettricità dello stesso ordine di grandezza che le ordinate della curva di scariche isolate ci davano, tenendo conto che là il potenziale di carica era 2 volt circa, poichè aveva servito alla carica un accumulatore. La curva a cui si allude è individuata dalle letture seguenti : 10. — Fenomeni di carica e scarica durante tempi brevissimi. In tutto ciò che s'è detto fin qui non s'è tenuto conto particolarmente delle condizioni del circuito di carica e scarica, perchè le osservazioni erano sempre fatte dopo tempi notevoli rispetto quelli in cui hanno importanza i fenomeni dovuti alla resistenza e selfinduzione del medesimo. Ma è noto che, finchè questi sono sen- sibili, le curve di carica e scarica presentano caratteri speciali, e non è escluso che questi siano modificati dalle proprietà del dielettrico. Un primo fatto importante scaturisce dalle cose in parte già esposte. Perchè i fenomeni di polarizzazione modificano in modo identico la carica e scarica di un condensatore durante tempi successivi di durata notevole, e perchè per tempi co- munque brevi la forma della curva teorica di carica e scarica è la stessa, è alta- mente verosimile che la forma reale di queste due curve si conservi identica entro | limiti di tempo qualunque, e comunque brevi. E veramente tutti i fenomeni che ivi intervengono dipendono dai medesimi elementi, e se si traducono in formole hanno le stesse equazioni. Solamente, dove nella equazione della scarica entra la tensione o caduta di potenziale tra le armature AP, è nella carica sostituita la differenza della forza elettromotrice E impiegata e della tensione predetta, identificando in ogni momento la quantità di elettricità che nella carica deve ancora darsi al condensatore per render questa completa, con quella che nella scarica esso deve ancora restituire per tornare allo stato naturale: queste sono le due quantità di elettricità che in momenti che si corrispondono della carica e della scarica devono ancora attraversare una sezione qualunque del circuito. È naturalmente presupposto che gli elementi del circuito siano in entrambi i casi eguali, cioè eguale sia la resistenza r e la, selfinduzione L. Le due equazioni della 424 LUIGI LOMBARDI corrente differiscono solamente per una costante: RT_AP=ritL i AP=ri+L a ridotte alla sola dg rv. dq VINAIETET I di? pin a se C è la capacità, e se nella carica g= CE — g', essendo g' la quantità immagaz: — zinata nel condensatore. i Se fosse possibile esprimere in funzione semplice del tempo la variazione di ca- È rica per la lenta polarizzabilità del coibente, il termine relativo dovrebbe portarsi come correzione in questa equazione. Ma l’espressione di quella variazione, come si | dirà più avanti, non può per sua natura essere semplice. D'altronde i fenomeni di polarizzazione sono tali che la loro azione si rende sen- sibile con una certa lentezza. Se noi ci limitiamo a tempi di ordine di grandezza | estremamente piccolo, si può ammettere che una penetrazione della carica nella massa | del dielettrico non abbia luogo, ed esso si comporti come un dielettrico perfetto, onde — ‘in ogni istante sia la carica proporzionale alla tensione delle armature come nella, | teoria si suppone. Ora l’ordine di grandezza dei tempi che qui intervengono è dato subito dalla | equazione integrata: Viti Gare ne, q = @ 21 Ée 4L? CL + Be 4 L? CL i la quale dà anche la forma della curva di carica o scarica. Se r2 > 4. cioè se sono reali le radici dell'equazione caratteristica dedotta. Ì (0) , dall’equazione differenziale lineare, la curva ha un andamento continuo, e si accosta | senza oscillazioni al suo asintoto orizzontale. E quello che accade se la selfinduzione è convenientemente piccola rispetto la capacità e la resistenza. Se @ è trascurabile rispetto r° l'equazione di carica può scriversi semplicemente q= CH È _ all Be " È È i E . . RETTO 1 cioè la deficienza di carica dovuta alla resistenza del circuito è ridotta ad 3 del suo valore massimo, della carica totale, quando t= Cr logip®. Se si carica 1 microfarad in un circuito di pochi ohm di resistenza, certamente quella variazione è inapprezzabile dopo pochi milionesimi di 1". Nella scarica lo LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 425 stesso tempo basta a che la quantità di elettricità rimasta per effetto della resistenza sia inapprezzabile. Se la selfinduzione del circuito ha valore convenientemente grande rispetto la capa- cità e la resistenza, l'integrale generale della equazione differenziale si può esprimere | URLEDAE SRL LU è SRI 5 40 mediante funzioni sinusoidali che sostituiscono i complessi; cioè se 72 < o la curva è oscillatoria ed il periodo è si riduce alla formola nota che, se 7° è trascurabile rispetto î, T = 2rnV/CL adoperata da Thomson e da Hertz. Ma ancora qui il fattore esponenziale dice che le ampiezze delle oscillazioni diminuiscono rapidamente e sono ridotte ad 1 del valore primitivo CE dopo un tempo 2L i t=7 108% che, se non è L notevole, sì può difficilmente apprezzare in pratica. Certamente questi tempi sono immensamente più brevi di quelli necessari a caricare un condensatore in modo che dopo una scarica primaria ed immediata se ne possano ricavare scariche successive apprezzabili, in modo cioè che abbia effetto sen- sibile la polarizzazione successiva. 11. — Cariche e scariche oscillanti. In realtà, sebbene la polarizzabilità susseguente del dielettrico tenderebbe vero- similmente a diminuire l'ampiezza delle oscillazioni di carica, non è difficile rea- lizzare condizioni di circuito in cui con mezzi adatti si possa riconoscere la carica di un condensatore decisamente oscillatoria. I fenomeni di scarica oscillatoria non sono che gli inversi dei primi, e furono in questi ultimi anni più ampiamente stu- diati, fecondi nelle nuovissime ricerche dei più mirabili risultati. Per realizzare in esperienze di analisi qualitativa tempi di grandezza minima il mezzo più semplice è l’ urto, la cui durata, se per essa si intenda il tempo per cui i corpi urtanti restano a contatto, è funzione delle condizioni delle masse e della velocità relativa. Se si utilizzano velocità eguali, la durata dipende solamente dal coefficiente di elasticità, e dalla deformazione che i due corpi subiscono ossia dalle masse dei medesimi a cui è proporzionale la forza viva che nell’ urto si consuma. È nata così l’idea di applicare dei sistemi di piccole sfere d’acciaio, di cui una essendo fissa, l’altra sospesa ad un filo conduttore viene ad urtare la prima con velo- cità sensibilmente costante, se si lascia cadere da un'ampiezza di deviazione invariata Serte Il. Tom. XLIV. DÈ 426 LUIGI LOMBARDI e se il filo non oppone una resistenza notevole alla flessione. Si possono per tal modo chiudere circuiti di corrente per tempi tanto più brevi quanto più piccola è la sfera che cade e quanto l'oscillazione è più rapida. La prima variazione del tempo al diminuire del raggio della sfera mobile è sempre molto sensibile. Al crescere l’ampiezza invece la durata diminuisce lentamente, e solo fino ad un certo limite, oltre il quale non è improbabile che l’effetto della deformazione aumentata compensi quello della maggior rapidità con cui il contatto succede; conviene sempre scegliere colle piccolissime sfere una ampiezza di caduta prossima a questo valore, affinchè le piccole variazioni di quella non influiscano sensibilmente sul tempo nelle osserva- zioni che devono essere paragonate. Della sfera fissa la diminuzione del raggio par- rebbe far prevedere una diminuzione della durata d'urto, diventando la curvatura maggiore e più piccola la superficie di contatto; l’esperienza però non rivela alcuna notevole variazione, forse perchè la diminuzione della massa, che è tenuta in genere solo fissa pel proprio peso su un sopporto isolante, ne diminuisce l'inerzia e fa che dalla massa urtante essa riceva un impulso maggiore, percorrendo a sua volta nella direzione dell’urto uno spazio maggiore, durante il quale l’urto non è interrotto. Se un sistema di questa natura si volesse utilizzare per lo studio sistematico di fenomeni aventi una durata brevissima, occorrerebbe naturalmente disporre di una serie di sfere molto numerosa e di dimensioni crescenti regolarmente secondo una legge che non sarebbe difficilissimo definire. Poichè sarebbe sempre possibile valutare con una approssimazione sufficiente queste durate di urto, quando esse fossero la durata della chiusura d’un circuito privo sensibilmente di selfinduzione, e nel quale si mi- surasse la quantità di elettricità messa in movimento da una forza elettromotrice nota attraverso una data resistenza, per esempio mediante un galvanometro hali- stico; con un sistema magnetico convenientemente astatizzato un numero piccolis- simo di spire potrebbe essere sufficiente per avere la voluta sensibilità. Siccome però qui per ottenere tempi molto brevi si poteva disporre di altri apparecchi su- scettibili di un maneggio non meno semplice, ma di una graduazione molto più precisa, si adoperò una piccola collezione di queste sfere d’acciaio solamente per constatare la presenza delle oscillazioni in condensatori di tipo e capacità differente, ed a die- lettrico diversamente polarizzabile. Se si leggono al galvanometro balistico le elongazioni di scarica residua dopo che il condensatore è stato messo in corto circuito pel tempo brevissimo di cui è quistione, certamente si possono realizzare in questo circuito le condizioni di minima resistenza, potendosi escludere la pila che in molti casi rappresenta della resistenza la parte maggiore. Però bisogna aver dato al condensatore cariche sempre eguali, quindi poco inferiori alla massima, dopo cui il dielettrico ha già subìto tutti gli effetti della lunga polarizzazione. È dunque meglio inserire il sistema pel contatto nel circuito di carica, adope- rando elementi primari a resistenza piccola, o meglio accumulatori dove questa può essere ridotta ad una grandezza insignificante. Tuttavia alcune osservazioni furono fatte in entrambi i modi sul condensatore a seta e su capacità eguali a 0.1 mF di un condensatore a carta paraffinata e di un condensatore normale a mica. Una serie preliminare eseguita con una pila Clark, la cui grande resistenza certamente impediva la produzione della carica oscillante, ( LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 427 aveva mostrato che il comportamento del dielettrico nei tre condensatori non era essenzialmente diverso; cioè riferendo le elongazioni di scarica ai raggi delle sfere adottate per la carica come ordinate ad ascisse si avevano curve assolutamente analoghe, salvo che esse dalla tangente orizzontale si scostavano meno nella mica e più nella carta paraffinata e nella seta, di quantità però non grandemente diverse. Con una sfera urtante di 2.56mm. di diametro il condensatore a mica prendeva in un urto 0.589 della sua carica massima; quello a paraffina 0.576; quello a seta 0.516; con una sfera di 4.90 mm. rispettivamente 0.898 0.830 0.730; con una sfera di 7.89mm. 0.946 0.880 0.797; con una sfera di circa 3 cm. 0.982 0.924 0.861; mentre con 1" di carica si aveva 0.999 0.985 0.975 e dopo 10" in tutti sensibilmente la carica completa, o meglio la massima elongazione di scarica. La più piccola delle sfere aveva diametro 1.21mm. e massa tanto piccola da rendere particolarmente difficile l’ottenerne oscillazioni regolari e cariche confrontabili ; la sospensione era fatta con un filo d’argento di pochi centesimi di mm. di diametro; nella serie citata essa aveva dato valori relativi rispettivamente pei tre conden- satori 0.380 0.360 0.207 certo con una durata media di carica eccezionalmente breve. Ora siccome le sfere dopo la prima e la seconda verosimilmente davano tempi di carica già eccedenti il periodo di oscillazione anche quando alla pila si erano sostituiti tre accumulatori in parallelo, queste due sole furono impiegate per veri- ficare le oscillazioni ripetendo con esse un numero diverso di volte rapidamente il contatto di carica. È evidente che con questo artificio il fenomeno della carica è notevolmente com- plicato, perchè i fenomeni di induzione, che dipendono dalla variazione di corrente, si modificano ogni volta che la corrente si interrompe, e la carica è la somma di tante cariche parziali, di cui ognuna è funzione della durata di essa e del complesso di quelle che l'hanno preceduta. Sta il fatto però che serie replicate di osservazioni di questa fatta rivelarono nel modo più evidente il carattere oscillante della curva in ciascuno dei condensatori già nominati; sia che il sistema pei brevissimi contatti fosse inserito cogli accumu- latori nel circuito di carica, nel qual caso si avevano prime elongazioni di scarica totale varianti con una certa regolarità al di sopra e al di sotto del valore massimo normale; sia che, eseguita indipendentemente la carica, i contatti si ripetessero per chiudere direttamente le armature in corto circuito, dopo il che le deviazioni di scarica residua si riproducevano periodicamente nel verso positivo e nel verso negativo della scala. Lo scostamento delle letture dal valore normale massimo qui raggiungeva sovente coi tempi più brevi il 10°/ di questo. Sebbene il fenomeno non succedesse con continuità, e sebbene fosse impossibile seguire nella progressione dei tempi l’anda- mento della curva con precisione, si constatava però che quelle variazioni andavano decrescendo, cioè l’ampiezza delle oscillazioni doveva essere sempre minore. La rego- larità poi con cui in corrispondenza ad ogni numero d’urti quelle variazioni si ri- producevano, quando le osservazioni erano fatte successivamente molte volte, lasciava credere che i tempi fossero determinati con una sensibile costanza, e la durata di uno di quegli urti fosse dell’ordine di grandezza della durata di quelle oscillazioni. Si è condotti ad ammettere così che gli urti di quelle sfere piccolissime non durassero più di frazioni milionesime di 1" se si tien conto delle condizioni in cui le esperienze erano fatte. 428 LUIGI LOMBARDI 12. — Periodo di oscillazione. Per avere difatti un’ idea del periodo di oscillazione di carica basta ricordare È che in ogni caso era la capacità così caricata dello stesso ordine di grandezza, essendosi col condensatore a seta, la cui capacità superava poco 0.13 mF, con- frontate capacità di 0.1 mF di condensatori graduati a mica e carta paraffinata. Tutte le connessioni del circuito di carica erano formate con filo di rame di dia- | metro maggiore di 1 mm. sopra una lunghezza complessiva di circa 5 m., la cui re- | sistenza non superava 0.1 ohm. Il solo breve tratto di sospensione della piccola sfera era costituito da un filo di argento di circa 5 centesimi di mm., la cui resistenza per 1 m. può essere 8 ohm. L’aumento di resistenza per la localizzazione superficiale della corrente, che ha luogo quando la variazione di essa è rapidissima, non deve es- sere sensibile qui dove le quantità di elettricità messe in movimento sono ecce- — zionalmente piecòle, escluso forse il primo istante nel quale arriva alle armature la — massima parte della carica; avendo dunque limitato il tratto di sospensione a circa 12 em. la resistenza non doveva superare 1 ohm, e questa doveva rappresentare la parte principale della resistenza totale, rispetto cui quella interna degli accumulatori era trascurabile. Non sarebbe nemmeno facile definire la resistenza al contatto delle due sfere, la quale è evidentemente variabile nella durata dell’urto; ma essendosi sempre pulite i accuratamente le superficie delle sfere, e conseguìta coll’altezza di caduta una velo- cità d’urto notevole, si può ammettere che per la massima parte del tempo la resi- stenza non fosse grande, e che la resistenza complessiva del circuito non superasse di molto 1 ohm. Si immaginino ora le connessioni disposte secondo uno schema possibilmente semplice, per es. secondo i lati di un quadrato o la circonferenza di un circolo in | un piano orizzontale, prescindendo dal piccolo tratto verticale in cui il filo di so- spensione della sfera mobile e quello di congiunzione colla sfera fissa si vengono a trovare paralleli e vicinissimi, Del coefficiente di selfinduzione totale la parte dovuta alla pila ed al conden- satore è assolutamente trascurabile, Quella dovuta ai fili di circuito può essere cal- colata colla formola di Neumann "Cd. r Q= (4 cos e dove ds ds' rappresentano due elementi qualunque del circuito siti a distanza r ed angolo e. Questa formola calcolata pel caso di un semplice quadrato di cui il perimetro È sia } essendo p il raggio del filo dà Q= 00 | log (2) — 2.60 |; LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 429 pel caso di un circolo = QRS Di Q=2l log 7 2.20. |. Se queste due espressioni si confrontano con quella del coefficiente di selfinduzione di un tratto rettilineo di conduttore di lunghezza /, dedotta parimenti dalla formola generale , Q= 2 | 1og (2) di, 0.75], si vede che esse non ne differiscono che pel coefficiente numerico del 2° termine. Effettivamente nel caso per es. del quadrato la selfinduzione può approssimativamente considerarsi somma dei quattro termini eguali rappresentanti la selfinduzione di uno dei lati 4 | log (5) 2a 0.75 |, meno quattro termini eguali rappresentanti la induzione di uno qualunque dei lati sopra il suo opposto, perchè tra lati contigui che sono ad angolo retto la induzione mutua è nulla. Ma questi termini, dove nel valore differenziale compaiono al deno- minatore distanze dell’ordine di grandezza non hanno grande importanza rispetto 1 4? i primi: quindi noi possiamo tenerne conto come di una correzione (1), ed immaginarci . calcolato il coefficiente di selfinduzione totale come quello di un conduttore rettilineo x di egual lunghezza, salvo che è modificato opportunamente il coefficiente numerico del 2° termine. Con considerazioni simili si potrà senza un calcolo minuzioso avere un'idea del coefficiente d’induzione non solo per quelle forme di schema tipiche, che in pratica non è sempre possibile di realizzare perfettamente, ma per tutte quelle forme che dalle prime non molto si allontanano: per es. per rettangoli ove il rapporto dei lati sia poco diverso dall’unità, e in genere per poligoni chiusi di cui i lati si scostino poco dalle rispettive parallele tangenti ad un medesimo cerchio. È sempre supposto che il raggio del filo sia trascurabile rispetto alle dimensioni del circuito. In tutti questi casi si potrà ritenere a=% [te] a] (1) In realtà la correzione, che da queste considerazioni apparirebbe qui molto semplice, è complicata dal fatto che la somma delle induzioni parziali proprie e mutue dei lati non rappre- senta che approssimativamente l’induzione totale, onde abbisogna a sua volta di essere modificata. In ogni caso il calcolo esatto si può solo eseguire valutando il potenziale mutuo di due circuiti elementari di corrente, paralleli all'asse del circuito dato, ed aventi per sezione due elementi della sezione del conduttore; ed eseguendo la doppia integrazione rispetto a tutti gli elementi analoghi. Da un calcolo di questa natura non si potrebbe assolutamente prescindere se il secondo termine numerico dovesse avere un'importanza notevole rispetto al primo termine logaritmico. Cfr. © Remarks on the second paper of Mr. Hughes. regarding selfinduction , Prof. H. F. Weber. Electrical Review. 9 luglio 1886. 430 LUIGI LOMBARDI dove m è un coefficiente numerico dipendente dalla forma precisa del circuito ma | non eccedente poche unità. i Nel caso attuale era facile disporre le connessioni in modo che soddisfacessero a quelle condizioni, e per la parte principale del circuito si poteva ritenere È cioè Q dell'ordine di grandezza 7300 cm. Ed è facile vedere che rispetto questa è i ben piccola la parte della selfinduzione totale dovuta al tratto verticale di sospen-= sione delle sfere, sebbene al denominatore del logaritmo entri p che per il filo di sospensione era piccolissimo. Trattandosi di due tratti paralleli di fili a raggi di- versi p p" quando la distanza a è piccola rispetto alla lunghezza 7 si può sempre calcolare il coefficiente di induzione colla formola — 2) [boe 144 z|: supposto qui p = 0.05 p' = 0.0025 a = 2.5 = 12 siha Q' = — 270. Ritenendo dunque la resistenza del circuito dell’ordine di grandezza di 1 ohm, | la selfinduzione totale dell’ordine 7000 cm. si vede che = 1 X 1038 — 28X 10% se si carica la capacità di 0.1 mF = 10-' unità c. g. s. La carica è dunque oscil- | latoria, e cesserebbe solamente di essere tale se + IIEGIMMS CO 16,7 ohm. La durata — delle oscillazioni deve essere i ì n 1 T = 2r VOL ana 4L cioè dell'ordine di grandezza PITON NESTOR ® ossia 5,8 milionesimi di 1". La ampiezza avrebbe dovuto nelle oscillazioni essere ridotta ad dio del suo valore, cioè ad un valore certamente inapprezzabile, se si fosse proceduto per tempi crescenti di carica continua, dopo un tempo t= 2 log 1000, cioè dell’ ordine 96 milionesimi di 1". Pel condensatore a seta di capacità poco superiore doveva essere di poco maggiore la durata delle oscillazioni: in ogni caso dopo un tempo di quell’ordine di grandezza queste dovevano ritenersi praticamente È esaurite. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 431 13. — Durate brevi di carica col pendolo di Helmholtz. Per procedere più razionalmente all'analisi quantitativa del comportamento del dielettrico studiato, ed al confronto coi dielettrici usuali già citati e con altri, fu sistematicamente adoperato per realizzare cariche brevi il pendolo di Helmholtz. Questo apparecchio, che fu applicato la prima volta allo studio delle correnti di induzione, permette la misura assoluta di tempi comunque brevi. Esso consiste essen- zialmente di un pendolo di lunghezza proporzionata ai tempi da misurare, e di massa notevole, la quale lasciandosi cadere da altezza nota descrive una prima oscillazione con velocità in ogni punto determinata. Al passaggio in due punti opportuni facendo che si chiuda e si rompa rispettivamente il circuito della corrente, la durata di essa è solo funzione della distanza dei due punti, della lunghezza del pendolo, e della massima sua ampiezza di oscillazione. Con lunghezza di pochi decimetri, ampiezza di circa 90° e spostamento relativo dei due punti di contatto di frazioni di millimetro, si realizzano tempi di milionesimi di 1". Siccome però qui non si trattava specialmente di tracciare per punti la curva della carica oscillante, ma di esaminare l'andamento della curva di carica quando le oscillazioni erano già esaurite, fu scelto un pendolo di lunghezza notevole, ove la durata di oscillazione era poco minore di 1", ed ove, essendo la massima ampiezza ‘ circa 15° e la velocità nel punto più basso dell’arco di oscillazione circa 1m per 1", gli spostamenti di 0.1 mm sulla scala del corsoio corrispondevano in media a 0”.0001. Così in un tempo minore o paragonabile al minimo apprezzabile i fenomeni dovuti alla induzione e resistenza nella carica potevano ritenersi resi insensibili, e solo pro- nunciarsi in seguito quelli di polarizzazione che a noi più interessano. Questi potevano essere analizzati nei limiti di tempo a cui corrisponde la lunghezza della scala, cioè di circa 0',2 essendo la scala del corsoio pel contatto mobile lunga circa 20 cm. ‘ Naturalmente la misura di ognuno di questi tempi non può farsi in valore assoluto con una approssimazione pari a quella minima durata apprezzabile, per le condizioni pratiche dell'esperimento. Difatti il contatto di chiusura è primieramente stabilito per l’urto del pendolo che libera il braccio di una leva a: cui finisce la prima parte del circuito, affiorante con una punta di platino la superficie del mercurio in un pozzetto messo in comunicazione col resto del circuito. Ora tra la punta di platino ed il mercurio deve essere una distanza sempre di alcuni decimi di millimetro per evitare il pericolo di un corto circuito e di una carica a tempo inopportuno. Gene- ralmente la massa che cade imprime al nasello, che per un filo tagliente sostiene la leva, una piccola scossa di cui l’effetto è aumentare leggermente, ma in modo non costante, quella distanza che la leva percorrerà prima, di chiudere il circuito; così la chiusura è ritardata di tempi che possono variare di quantità paragonabili ai tempi minimi che la scala permetterebbe di apprezzare. La minima traccia poi di pulviscolo depositato o di ossido metallico formato alla superficie del mercurio fa che questa si incurvi leggermente sotto la punta cadente di platino, ed occasiona un ritardo dello stesso ordine di grandezza. 432 LUIGI LOMBARDI Il punto della scala in corrispondenza al quale ha luogo la prima carica deve dunque essere ad ogni volta trovato per tentativi, ed in genere non coincide in osservazioni successive, sia se intervengono le perturbazioni dette, sia se impiegasi alla carica potenziale diverso, che, se più elevato, lascia il circuito chiudersi più presto mediante una piccola scintilla tra la punta ed il mercurio. Nel contatto ove il cir- cuito è rotto la scintillazione che prolungherebbe il contatto non è altrettanto facile, essendo esso formato da pezzi di metallo a superficie assai larga che alla velocità notevole della massa cadente vengono rapidamente separate. i Trattandosi di fare col pendolo una lunga serie di osservazioni conviene rendere le condizioni di queste possibilmente identiche, dando al pendolo un'ampiezza massima costante di oscillazione, e determinando una volta per tutte la scala dei tempi; cioè i tempi dal momento in cui la caduta comincia a quello in cui il pendolo viene in corrispondenza dei punti successivi della scala delle letture; in ogni esperienza si conteranno poi i tempi dal momento ove la prima carica fu osservata. Siccome l'ampiezza che nei limiti della scala si utilizza è piccola in confronto della massima ampiezza di oscillazione, si possono ritenere le letture sulla scala eguali agli archi di cui esse rappresentano la tangente. D'altronde, perchè l'ampiezza massima era in questo caso piccola a sua volta, si poteva ammettere la durata delle oscillazioni successive invariata, ed eguale a quella che avrebbero avuto oscillazioni piccolissime in un pendolo semplice corrispondente. Effettivamente, essendo la massa notevole, la resistenza dell’aria aveva pochissimo effetto, ed i perni essendo sostenuti su rotelle giranti accuratamente lubrificate, le resistenze passive avevano una somma trascurabile, cosicchè il decremento logaritmico delle oscillazioni successive era piccolissimo ed il loro isocronismo doveva essere molto approssimato. La durata di oscillazione potè perciò essere determinata con- tando molte volte il numero di oscillazioni in 1’, ed era Le 0!”.953. Sulla scala delle letture la posizione verticale del pendolo corrispondeva alla divisione 131 mm; la corda della massima deviazione era 313 mm.; la distanza del braccio di leva, che stabiliva i contatti, dall’asse di oscillazione era 1183 mm.; onde l’arco totale di oscillazione era ssa ; 2 Sega AMIN il massimo angolo utilizzato nelle letture era 131 pio Siena (hO l) Ema OTT, arct Siccome si può considerare in ogni momento nell’ oscillazione di un pendolo semplice la velocità i eguale a quella dovuta alla ‘altezza di caduta, se @ è la lun- ghezza del pendolo semplice equivalente al nostro pendolo meccanico, in corrispon- denza ad un’ampiezza d’angolo attuale a, se la massima era 0, si ha A — da dii EEE I V2 cosa — 2 così DEE argani ate LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 433 e ritenendo dello sviluppo dei coseni solo i due primi termini ue a 1 t = W_— arcos —- = — arcos g (î) T detta T la durata della mezza oscillazione. Così furono valutati i tempi che il pendolo impiegava per raggiungere cadendo i punti sulla scala del contatto mobile, di centimetro in centimetro fino alla posizione verticale, e si dedussero quelli successivi per simmetria. In corrispondenza alle letture d si ebbe pertanto: cin OA Lil 2.1 5.1 4.1 o.1 6.1 Tall 8.1 IO ' (0.3470 0.3575 0.3679 0.3782 0.3883 0.3983 0.4083 0.4182 0.4280 0.4378 0.4475 RILETTO 92/0201 t" |0.4572 0.4669 0.4765 0.4861 0.4958 0.5055 0.5152 0.5250 0.5348 0.5447 0.5547 14. Il primo condensatore a seta essiccata. Il condensatore che più interessava di studiare era quello a seta ch'era stato oggetto delle misure precedenti. Ma perchè nel corso di queste s'era notato un aumento della capacità e della variazione di carica col tempo, dovuto certo all’ accesso dell’ aria umida che aveva modificate le condizioni igroscopiche del dielettrico, questo dovette essere seccato artificialmente. E perchè l’ essiccamento dei singoli pezzi d’ armatura e d’isolante colla macchina pneumatica non aveva migliorate di molto le proprietà del condensa- tore, l’essiccamento si rinnovò a temperatura elevata. Perciò i singoli fogli di seta e di stagnola furono riscaldati su due grosse lastre di rame verso i 200° durante parecchi minuti, così che non solo fosse eliminata da essi l’acqua superficialmente condensata, ma dalla seta presumibilmente anche la massima parte dell’acqua di costituzione, senza spingere la temperatura tant’alto che le pro- prietà fisiche apparenti ne fossero sensibilmente modificate. Ad evitare che nuovo vapore fosse assorbito durante la ricostruzione del sistema, questa fu interamente eseguita sopra una terza lastra riscaldata a temperatura poco inferiore, sovrappo- nendovi i fogli man mano che si toglievano secchissimi dalle due prime; il complesso appena finito fu posto tra due fogli ben secchi di ebanite, e il tutto chiuso con forti liste di carta incollata, sovrapponendovi poi un peso notevole. Le proprietà del condensatore apparvero subito enormemente migliorate. La capacità s'era ridotta a 0.110 mF, in parte per la eselusione di uno dei fogli di armatura guastatosi nella nuova costruzione, in parte per la diminuzione verosimil- mente subìta dalla costante dielettrica. Il valore nuovo non può però essere con- Serie II. Tow. XLIV. E 434 LUIGI LOMBARDI frontato coi precedenti, perchè alla sovrapposizione esatta delle armature non s'era data qui cura speciale, nè paragonabili erano le condizioni di pressione, ecc. L’im- portante è che la variazione di carica tra 0".1 che poteva equivalere alla durata delle prime cariche dette momentanee, e 10" dopo cui la 12 elongazione di scarica non cresceva più, s'era ridotta a circa 2 °%, mentre la massima variazione apprez- zabile non raggiungeva il 5 %o. La forma della curva di carica è individuata dalla serie seguente, scelta tra le molte di osservazioni fatte in condizioni identiche, e riferita, come quelle che segui- ranno, per semplicità nella prima parte alla scala di letture è, del pendolo, nella seconda a tempi ordinari di carica. Il tempo minimo è dell’ordine 0’.0005, essendosi trovata la posizione corrispondente sulla scala per tentativi, con spostamenti suc- Da RON ST, cessivi del corsoio di 9 mm. OI Oer A RO OS ICON ZA EIA GoS OE e (205.3 206.5 207.8 208.3 209.0 209.5 210.1 210.6 211.0 211.4 211.8 212.1 212.4 212.61 (#1 Ni DI 4! TKOY/ 204 30"! 60! e. 2.5. 2040 2146, 215:0) 2050 20050 21550 Naturalmente, essendo diminuita l’importanza dei fenomeni di lenta polarizza- zione, sono qui molto ridotti quelli di scarica residua in confronto ai valori misurati prima, come mostra la serie di osservazioni riferita ai tempi di carica: t DEL DU IO 20% 60" 300” ipora R 14 3.4 9.9 7.6 12.7 24.6 145. Dopo 1 ora di carica la polarizzazione doveva essere completa, perchè la somma di scariche residue non si modificava più sensibilmente: della scarica totale non rag- giungeva dunque il 33 °/, perchè in questo caso ad essa corrispondeva una massima elongazione di 445. La curva della carica totale conserva però gli stessi caratteri di quella già ricordata. La resistenza di isolamento in corrispondenza al miglioramento del dielettrico era notevolmente più alta. La perdita apparente di carica dopo 60", cioè la dimi- nuzione della prima elongazione di scarica, non superava 5 °%;: ma la diminuzione di scarica effettiva, tenendo conto delle scariche residue, era una frazione percentuale piccolissima, e non avrebbe potuto dare una misura molto approssimata e attendibile della resistenza. Col metodo diretto, disponendo il galvanometro a gran sensibilità, la quale qui corrispondeva a 0.48 X 10-!° ampère per una parte di scala, la corrente di carica con 6 elementi Clark, che nei primi istanti dava deviazione di circa 15 mm. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 435 s'era abbassata a 3 mm. dopo 30’; dopo 1 ora non era più possibile leggere le devia- zioni con sicurezza perchè troppo influenzate dalle continue piccole variazioni che con questa sensibilità intervenivano nella posizione di riposo dell’ago; certamente la © deviazione non arrivava a 1.5 mm., cioè la corrente a 0.65 X 10 1° ampère, cor- rispondente a una resistenza di circa 130 mila megohm. Una causa del tutto estranea al dielettrico interveniva però qui, per cui la resistenza di isolamento determinata in condizioni esterne leggermente modificate non appariva costante, ed era il grande potere igroscopico della carta con cui il sistema si era suggellato, non essendosi evitata la sovrapposizione di essa alle lastrine di rame che davano i contatti colle armature. La resistenza era sempre grandissima se prima delle osservazioni si era moderatamente riscaldato il sistema. Perciò questo fu un’ultima volta portato sulla lastra metallica durante parecchio tempo alla temperatura più elevata che il rammollirsi dei fogli di ebanite concedeva, forse a 150°, e così a caldo fu il tutto verniciato con paraffina di cui si riempirono diligentemente tutte le piccole aperture. In queste condizioni si ebbero i risultati migliori, e la curva di carica caratterizzata dalla tabella qui riferita, e rilevata per molti giorni e settimane di seguito, non accennò più a modificarsi sensibilmente. Dopo un mese dalla costruzione, durante il quale il condensatore restò esposto all’aria non secca nei locali del laboratorio, la massima variazione di carica non arrivava a 2,8 %, essendo 2 °/, nei primi giorni:. Ò: 055 0.7 Ii 1.6 2.1 9.1 5.1 Tell e Qi e 290.1 250.6 251.2) 251.5 251.6 251.7 251.8 251.8 251.9 252.0 Pili 1!” BU 10! 90! 60” e 253.0 254.5 255.0 255.0 255.1 La somma di scariche residue era ancor diminuita di molto rispetto le misure precedenti, ed il massimo di essa ottenibile con parecchie ore di carica non oltre- passava il 22 °/, della scarica totale. La determinazione della resistenza tenendo conto delle scariche residue dava risultato illusorio, perchè nella leggera incertezza delle letture molteplici era largamente compresa la piccolissima diminuzione di carica effettiva. Con 6 elementi Clark la corrente di carica si abbassava rapidamente sino dai primi minuti; dopo due ore non era possibile apprezzare con sicurezza la devia- zione che non arrivava a mezzo millimetro; la resistenza doveva dunque superare colla attuale sensibilità 200 mila megohm, e poteva praticamente considerarsi infinita. 15. — Altri condensatori a seta. La influenza grandissima dell’acqua sui fenomeni di polarizzazione lenta era dunque provata. Ma era interessante vedere se colla eliminazione più perfetta di essa quei fenomeni potessero ancora venire notevolmente ridotti. Questa quistione, 436 LUIGI LOMBARDI che è sempre importante nella fabbricazione di condensatori, lo è essenzialmente per la costruzione di apparecchi normali da laboratorio, dove si richiederebbe che i con- densatori prendessero istantaneamente la loro carica totale, perchè senza di ciò non è possibile, come si vedrà, una precisione assoluta di misura. Perciò una serie di tentativi fu ancora fatta con seta di un’altra qualità, cioè con foulard bianco finissimo, di cui lo spessore essendo poco più della metà del pre- cedente [circa 0.06 mm.] permetteva di avere in volume notevolmente minore la stessa capacità. Alcuni piccoli condensatori furono costrutti così con un piccolo numero di arma- ture di pochi decimetri quadrati di superficie, seccando i singoli fogli di seta e di stagnola verso i 200°, e montando a temperatura poco minore il complesso, che veniva rapidamente chiuso tra due fogli di ebanite, e suggellato con liste di gutta- perca che con un vetro caldo si potevano far perfettamente aderire senza intermediari liquidi od imperfettamente isolanti. Alcune prove preliminari diedero risultati dello stesso ordine del condensatore precedente; isolazione sensibilmente perfetta; variazione massima di carica poco superiore a 2 °%. Ma un'ultima prova, fatta ancora con una piccola capacità per poter costrurre il sistema più accuratamente, dove la temperatura della seta si era elevata quanto la stoffa aveva permesso prima di mostrare la prima traccia di abbrustolimento, ad un valore poco inferiore alla temperatura di fusione della stagnola, diede i migliori risultati fra tutti quelli ottenuti; la curva di carica fu cioè (V. Fig. 5): ò, 0.85 Ici 1.6 2.1 3.1 bal Il LAZ 01 e 245.4 246.0 246.3 246.5 246.6 246.8 247.0 247.2 247.3 y' TI GU 4” 6! 10” 30!” 60! e 247.8 248.0 248.2 248.3 248.3 248.3 248.3 dove la variazione massima è appena di 1.17 °/, mentre la scarica residua dopo 60” di carica, che è una durata molto maggiore di quelle che in esperienze ordi- narie possano occorrere, non superava 2.1 °/. L'isolazione era praticamente perfetta, ed i risultati non si modificarono sensibilmente, finchè il condensatore fu conservato nelle stesse condizioni, controllando le misure per molti giorni di seguito. Per contro non si riuscì qui ad avere risultati migliori ripetendo i tentativi con precauzioni analoghe e maggiori, come seccando una prima volta la seta a tempe- ratura elevata, tenendola poi parecchi giorni sotto la campana della macchina pneu- matica a pressione di pochi mm. di mercurio e in presenza di acido fosforico anidro, riseccandola ancora all'atto della costruzione. Tuttavia non è inverosimile che quella piccola variazione percentuale ancora per una parte o in tutto sia dovuta alla presenza nel dielettrico di una traccia di umidità che i mezzi ordinari non permettono di eliminare operando in ambienti Desa Te A N e oe. rina paso SA LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 437 comuni, e servendosi per la essiccazione di fiamme a gas che producono sempre una notevole quantità di vapor acqueo. Per confermare questo si ricorse ad una piccola capacità ove il dielettrico era costituito dall'aria, si adoperò cioè un piccolo condensatore a lastre piane circolari di ottone, spostabili sopra due sopporti isolanti di gomma lacca. Le due armature furono montate sul tornio e ripulite a nuovo con polvere secca di vetro, levigandole perfettamente; strofinando diligentemente ad ogni esperienza, ed in alcune tenendo i due dischi orizzontali, separati da piccoli frammenti di mica, in modo da poter con- servare la temperatura sopra i 100° durante le osservazioni, una variazione di carica col tempo fu sempre notata; una variazione dello stesso ordine di grandezza di quella che si otteneva se ai due dischi si frapponeva un foglio di seta ben secco. Anzi con questo artificio fu impossibile ridurre l’ordine di questa frazione percentuale al minimo che si era ottenuto colle armature a stagnola, verosimilmente perchè con questi fogli metallici sottilissimi l’essiccamento poteva essere eseguito più perfet- tamente e meglio conservato. Sebbene la capacità piccolissima del sistema a dischi richiedesse l’impiego di una forza elettromotrice non piccola per leggere le devia- zioni con sicurezza, non si doveva verosimilmente alla resistenza del circuito un ritardo sensibile nella carica. D'altronde variazioni. analoghe si verificarono con batterie di parecchi elementi Daniell, con una batteria di 50 ‘piccolissimi accumu- latori collocati nella immediata vicinanza dell’apparecchio per semplificare le connes- sioni, e con una serie di 50 grossi accumulatori a cui le comunicazioni erano sta- bilite per mezzo di cavi concentrici privi di sensibile selfinduzione. 16. — Un condensatore a seta di capacità notevole. I risultati ottenuti non sono privi di importanza. Attualmente i migliori con- densatori che si pongono in commercio, gli unici che possano adoperarsi come appa- recchi normali in esperienze di precisione, sono quelli a mica, di cui il prezzo è però molto elevato, essendo non solo in ragione del prezzo della mica che cresce rapi- damente colla dimensione e la purezza di questa, ma in ragione anche delle difficoltà di fabbricazione che sono grandissime, ed a vincere le quali solamente può avere insegnato l’esperienza lunga e minuziosa. Si dirà tra poco come l'esame di due capacità di 0.1 mF in due condensatori normali del laboratorio abbia mostrato una variazione di carica col tempo quasi eguale in uno di essi e superiore nell’altro a quella della seta. Questa variazione non è identica nelle diverse frazioni di capacità dei condensatori detti, come molte misure hanno mostrato; ma il valore medio pei due condensatori è in ogni caso superiore ad 1°/. La somma di scariche residue dopo 60" di carica è parimenti prossima a quella, della seta. Ma la seta si può avere ad un prezzo di gran lunga inferiore ed in qualunque dimensione; lo spessore può essere ridotto in ogni caso a pochi centesimi di millimetro, e la costante dielettrica, diminuendo la proporzione dell’aria con conveniente pressione, può diventare forse eguale o superiore ad un terzo di quella della mica. Essenzial- mente l’essiccamento è facilissimo e si può fare a temperatura due volte più elevata 438 LUIGI LOMBARDI di quella della mica, e, se pure con tutti gli artifici che per una fabbricazione appro- priata sarebbe agevole di applicare non si riuscisse ad ottenere fenomeni di pola- rizzabilità lenta più piccoli di quelli della mica, sarebbe sempre altrettanto facile garantire che essi non si modifichino col tempo, mediante chiusure ermetiche opportune. Per mostrare come la seta possa essere utilmente applicata alla costruzione di condensatori eccellenti si volle ancora istituire un ultimo esperimento a fine di realizzare una capacità un po’ maggiore, dell'ordine di quelle che si sogliono appli- care più soventi, e di ottenerla in condizioni di sicura invariabilità. Per questo un vero condensatore da laboratorio fu costrutto con un centinaio di fogli di stagnola di armatura, racchiusi colla seta in un solido telaio di metallo che si protesse con una cassetta di legno portante nel solito modo applicati al coperchio mediante blocchi di ebanite i morsetti per la carica e per la chiusura in corto circuito. Il telaio è costituito da due robuste lastre di ottone accuratamente levigate di dimensioni 33 X 18 cm., tra cui può esercitarsi una pressione considerevole ed uni- forme mediante 6 viti robuste agli estremi ed al mezzo dei lati maggiori. L'essic- camento dei fogli di seta e di stagnola fu eseguito nello stesso modo di prima sopra grosse lastre di ottone riscaldate colla maggiore uniformità verso i 200°, lasciandovi prima parecchi minuti i singoli pezzi, e rivoltandoli fin che ogni traccia di vaporiz- zazione d’acqua era scomparsa; poi radunando tutti i fogli d’isolante e d’armatura sopra una lastra conservata lungamente a temperatura poco minore, onde essi all’atto della costruzione si venivano togliendo; finalmente riseccandoli ancora ad uno ad uno sulle prime lastre sopra una delle quali il sistema si veniva completando. I contatti colle armature furono stabiliti lasciando unite ai fogli di stagnola striscie di pochi cm. di larghezza uscenti rispettivamente ai due lati, le quali furono poi insieme ripiegate e compresse tra i piccoli morsetti di rame saldati ai fili di comunicazione che si rivestirono di caoutchouc. L’isolamento dalle lastre d’ottone è garantito con fogli sottili di ebanite che rivestono completamente il telaio, e con fogli sottilissimi di mica ricoprenti tutto lo spazio occupato dalla seta. Quando l'apparecchio fu montato, tra gli orli delle lastre si frapposero striscie di ebanite dello spessore di 5 mm. e di altezza esattamente eguale a quella che il condensatore occupava sotto la pressione più energica delle viti. Per due fori centrali si lasciarono uscire i fili di comunica- zione, chiudendo ermeticamente tutte le commessure con mastice. In queste condizioni è prevedibile che le proprietà del condensatore siano per rimanere indefinitamente immutate. Effettivamente la capacità in molte misure coi condensatori normali del laboratorio ripetute a varia distanza di tempo risultò sempre 0.351 mF alla temperatura di 21°. La proporzionalità della carica alla diffe- renza di potenziale fu verificata a meno di per le piccole tensioni a cui appa- dA 1000 recchi simili si possono destinare, variando il numero di elementi Daniell da 1 a 9, la durata di carica da 0'.0005 a 10". L’isolamento è notevolmente elevato, perchè la determinazione della resistenza col metodo della perdita di carica,.tenendo conto delle piccole scariche residue, dà un valore superiore a 10!° ohm. Solamente la somma delle scariche residue è un po’ maggiore di quella prima ottenuta col con- densatore più piccolo, e dopo 60" di carica supera di poco 3°, mentre la massima nf 2" | nei CDS CESTI SEI vasca MEET LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 439 variazione apprezzabile nella scarica primaria, mediamente, variando il tempo di carica da 0”.0005 a 60”, si accosta ad 1.7. In condizioni identiche fu constatata per la capacità 0.1 -+ 0.2 mF del conden- satore normale Clark una variazione di carica di 1.6 °/, e una somma di scariche residue poco inferiore al 3 0/o. Si noti però : la seta usata qui è della stessa stoffa che servì negli esperimenti a cui per ultimo si accennò, cioè di spessore minore di 0.06 mm.; e siecome un tes- suto di questa sottigliezza, non fabbricato con precauzioni speciali a questo scopo, presenta sempre sopra larghe superficie dei punti di minore compattezza, sebbene fossero stati scartati dei pezzi isolanti tutti quelli che mostravano inomogeneità, accadde alla prima costruzione del sistema che sotto la forte pressione alcune delle armature di stagnola venissero attraverso gli interstizi della seta a contatto. Il numero di questi corti circuiti, facilmente accertato mediante una pila ed un galva- noscopio, non era tanto piccolo che potesse consigliarsi di rimuovere semplicemente i pezzi di seta difettosi; quindi nella costruzione definitiva si preferì di raddoppiare lo spessore dell’isolante, cioè di frapporre ad ogni coppia di fogli d’ armatura due fogli di seta. Questo ebbe evidentemente per effetto di diminuire notevolmente la capacità e di crescere inversamente il costo; più ancora ebbe per conseguenza una difficoltà maggiore nella essiccazione, per cui questa non raggiunse il grado di per- fezione delle precedenti, non essendosi potuto conservare fino agli ultimi fogli che sullo strato si venivano sovrapponendo la temperatura elevata che avevano gli infe- riori, affinchè non venissero questi bruciati e fuse le armature. Lo spessore complessivo, dal sistema, di circa 100 fogli di stagnola e 200 di seta occupato tra le lastre, è di 12 mm.; ed in esso od in uno spazio poco superiore capi- rebbe una capacità quattro volte maggiore .se come isolante si adoperasse una stoffa di seta di spessore eguale o poco superiore, purchè ne fosse la struttura più com- patta come da una fabbricazione speciale si otterrebbe facilmente. Il confronto dei condensatori a mica non può evidentemente considerarsi molto svantaggioso sotto questo aspetto. Per contro la forma si potrebbe variare a piacere; la graduazione delle capacità sarebbe facilissima variando fra piccoli limiti la pressione; certamente il costo non sommerebbe che ad una piccola frazione di quelli a mica, perchè per la capacità di 1 mF potrebbero in ogni caso bastare pochi metri quadrati di stoffa, il cui prezzo non sarebbe elevato. Solamente una leggera complicazione deriverebbe dalla necessità di tener conto della variazione di capacità al variare la temperatura, la quale è qui notevolmente superiore a quella dei condensatori a mica. Una determinazione esatta del coeffi- ciente di riduzione non fu fatta per questo condensatore. Però per avere un'idea del suo ordine di grandezza la capacità fu in due giorni diversi esattamente misurata alla temperatura dell'ambiente che era 22°, e fu trovata 0.3513 mF. Il condensatore fu allora portato in un ambiente artificialmente raffreddato con ghiaccio, e lasciato ivi parecchie ore; vicina si collocò una cassetta di legno identica a quella del si- stema, contenente un termometro che segnava, al momento in cui la cassetta fu riportata al luogo di misura, la prima volta 9°, la seconda 9°,5; le osservazioni ese- guite rapidamente diedero nei due casi 0.3456 e 0.3462 mF. Una variazione analoga si constatò misurando la capacità dopo che la temperatura all’interno della cassetta 440 LUIGI LOMBARDI si era elevata a circa 35° mediante una lunga esposizione al sole, essendosi trovata la capacità eguale a 0.3550 mF. Lasciato alcune ore alla temperatura della stanza il condensatore mostrava di nuovo una capacità identica alla primitiva. Il coefficiente di variazione si potrebbe dunque determinare colla massima esattezza, ed essendo fatta la calibrazione ad una temperatura prossima alla media a cui il sistema vor- rebbe essere adoperato, la piecola riduzione, non eccedente di molto 1 millesimo per 1° di differenza di temperatura, si potrebbe applicare in ogni caso nello stesso modo che si è soliti fare nel confronto delle resistenze metalliche o dei campioni di forza elettromotrice. 17. — Variazioni di carica per dielettrici diversi. L’acqua è la causa principale della lenta polarizzabilità della seta, e vero- similmente di quasi tutte le sostanze organiche nelle quali essa entra come ele- mento importante di costituzione. E però è naturale supporre che essa abbia un effetto analogo anche in tutti gli altri dielettrici. Per vedere se alcuni di essi su- bissero in modo specialmente marcato quest’azione, e per avere un'idea della facilità con cui essa potesse essere eliminata, furono prese in esame parecchie delle sostanze che più comunemente si adoperano come isolanti. Mica. — È il dielettrico considerato fin qui il migliore per la costruzione dei con- densatori normali, dove effettivamente offre molti vantaggi per la struttura lamellare che ne permette la sfaldatura in fogli sottilissimi, e pel valore elevato della costante dielettrica unita ad una resistenza specifica che, se è inferiore a quella di molti altri isolanti, è però sufficiente in quasi tutti i casi della pratica. Nelle migliori con- dizioni il comportamento della mica può osservarsi nei condensatori campioni e qui se ne esaminarono due, rispettivamente della fabbrica Clark e della Carpentier, aventi proprietà perfettamente analoghe. Le due capacità sono parimente graduate per fra- zioni di 1 mF, e la graduazione fu verificata esatta a meno di pochi millesimi, seb- bene la misura assoluta della capacità totale abbia accusato un valore un po’ supe- riore a quello dato dalla fabbrica, cioè per quello Clark 1.013 mE. Le curve di carica, come nei casi che precedono ed in quelli che seguiranno, furono determinate col pendolo; e qui, perchè si voleva conservare la sensibilità del galvanometro e tutte le altre condizioni possibilmente eguali a quelle in cui i primi condensatori a seta erano stati studiati, si caricò la capacità di 0.1 mF con un solo accumulatore, mentre ne erano presi alcuni in serie nei casi dove la capacità era notevolmente minore. La massima variazione si intende sempre definita dalla minima carica apprezzabile con una durata dell'ordine di 1 a 5 diecimillesimi di 1" alla massima ottenibile, misurate le cariche come si suole per proporzionalità alle prime elongazioni di scarica. l Im condizioni identiche a quelle del primo condensatore a seta, pel condensatore Clark la variazione massima era 1.4/, la somma di scariche residue dopo 60” di carica era circa 2°/,; pel condensatore Carpentier si trovarono grandezze dello stesso ordine, sebbene un po’ minori; cioè variazione 1.12 %/, scarica residua 1.6%. La figura 6 riporta una delle curve pel condensatore Clark rilevata sulla capacità 0.1 + 0.2 wF in confronto all’ultimo condensatore più grande a seta: LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 441 PES Tag de Vi RR 4 202.0 202.2 202.5 202.8 208.1 203.3 203.5 203,8 204.0 gl TIA QUI ALY 10!” 30!” 60! ? 204.5 204.6 2048 204.9 205.0 205.0 La mica quale si trova in commercio non presenta però così eccellenti proprietà dielettriche senza una laboriosa preparazione. Fu. verificato qui sfaldando una lastra di mica perfettamente bianca e trasparente, di dimensioni 15 X 18 cm., in molte lastre dello spessore di alcuni centesimi di mm., di cui si costruì un piccolo conden- satore. Con questa capacità bastavano, per avere deviazioni notevoli, due soli accu- mulatori, onde non era la resistenza più grande che nei primi casi. Questa mica allo stato naturale, cioè non altrimenti seccata che mediante strofinamento con cotone secco, mostrò una variazione massima di carica enorme; dopo cariche di . . . . . . 0'.0002 042 DI 20” 200" la 1° elongazione di scarica era I 182 252 311 327. La somma di scariche residue aveva valori in proporzione elevatissimi. La mica fu dunque seccata sulle lastre di rame come i singoli pezzi di stagnola e ad una tem- peratura poco più elevata, forse a 250°; la curva apparve molto migliorata; la mas- sima variazione s' era ridotta a 18°/,, e le scariche residue s° erano abbassate in corrispondenza : 0) [DER09 IT Re bh Sere Neto i] e (114.2 115.7 117.0 117.9 118.4 118.8 119.4 119.9 120.3 120.6 120.9 121.1 121.4 TA pila DI 3" 5" 10” 15% 20! 30!” 60! 120” 180!” e 126.0 128.0 129.2 130.3 132.2 133.5 134.5 135.8 136.8 137.9 139.0 Supponendosi che a temperatura più elevata l’essiccazione darebbe risultati mi- gliori, le stesse lastrine di mica furono portate a temperatura elevatissima in modo da comunicare loro un principio di arroventamento; però la variazione di carica era in seguito molto cresciuta, e dell’ordine di grandezza della prima osservata. Evi- dentemente dove la mica è diventata una volta incandescente le sue proprietà fisiche si sono profondamente modificate, e come è diminuita la sua durezza e trasparenza e in genere la sua fisica elasticità, è pur divenuta molto più imperfetta la elasticità elettrica, salvo che è verosimile che questa diminuzione cominci a temperatura molto Serie II. Tom. XLIV. E° 442 LUIGI LOMBARDI più bassa della prima, o almeno più bassa della temperatura a cui i mezzi ordinari ci permettono di apprezzare la prima. Non era dunque improbabile che la prima essiccazione si fosse eseguita già a temperatura troppo elevata. Per provarlo due nuove lastre di mica di spessore circa 0.3 mm. aventi una tinta leggermente bruna, ma però un aspetto perfettamente omogeneo, furono esperimentate prima allo stato naturale, seccate con solo strofina- mento, poi riscaldandole a temperatura molto inferiore a 200°; i fogli di stagnola erano in ogni caso seccati a circa 200°. Nel primo caso la variazione di carica era poco inferiore al 50%; nel secondo era discesa a 30%; ma riscaldando di nuovo poco sopra 100° per tempo più lungo, e provando a sostituire ai pezzi di stagnola due lastre levigate di rame che si erano potute scaldare a temperatura più elevata e strofinare fortemente per assicurarsi che ogni traccia di umidità condensata alla superficie fosse eliminata, non fu possibile ottenere una variazione minore del 20 %,. È però chiaro che la condizione della mica in lastre a spessore notevole era rispetto alla essiccazione meno vantaggiosa. Prescindendo difatti dalla costituzione chimica di questo complesso silicato, che è sempre diversa nei varii casi, e proba- bilmente corrisponde a proprietà dielettriche diverse, la struttura lamellare è favore- volissima alla occlusione di gas, in presenza dei quali si trova verosimilmente anche vapor d’acqua in piccolissime bolle disseminate tra i fogli immensamente sottili della mica. E difatti al riscaldarsi delle lastre di mica compaiono in molti punti, all’interno della massa, bolle che la temperatura crescendo fa dilatare, e che difficilmente possono sfuggire dalle cavità che le racchiudono. Se vapor acqueo è ivi, molto probabilmente a temperatura ordinaria e sotto la pressione notevole che la massa esercita nel con- trarsi, si condensa, o riducendosi in bollicine liquide invisibili, o venendo addirittura dalla sostanza solida assorbito. Quanto più sottili possono ottenersi le lastrine di mica, è dunque tanto minore la quantità acclusa di gas, e più facile l’essiccazione. Tuttavia alcune lastrine sottilissime di mica ricavate dalle due predette, ed una quantità di altre perfettamente bianche e tolte ad un piccolo condensatore del labo- ratorio che per tempi ordinarii di carica funzionava assai bene, mostrarono per tempi brevissimi una diminuzione di carica molto notevole. La variazione massima diffi- cilmente restava sotto il 15 %. Dello stesso ordine di grandezza fu la variazione constatata presso due piccole lastre sottili, che per ultima prova si richiesero direttamente alla fabbrica Carpentier di Parigi, e che ivi furono scelte tra quelle adoperate negli ottimi condensatori nor- mali di questa firma. E qui s'era proceduto con tutte le cautele, prima essiccando solo la mica con strofinmamento meccanico, poi riscaldandola poco a poco lungamente verso i 100° ed a temperatura superiore. La preparazione della mica è dunque eccezionalmente difficile e laboriosa. Per dichiarazione della stessa ditta le miche devono subire una diligentissima scelta, ed essere scartate tutte quelle che contengono tracce di ferro, o mostrano, esaminate al microscopio, delle inomogeneità; l’essiccazione si fa poi lentissima in stufe a calor dolce, ove la temperatura non raggiunge 100°. Essenzialmente la riuscita buona degli apparecchi normali è subordinata ad una infinità di precauzioni delicate di fabbrica- zione che l’esperienza sola ha consigliato. Ma questo non fa che riconfermare quanto si disse dei vantaggi che l'applicazione razionale della seta potrebbe presentare. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 443 Paraffina. — Ha una resistenza specifica centinaia di volte maggiore della mica ed una costante dielettrica pari almeno alla metà di questa, onde pel poco prezzo è opportunissima alla fabbricazione di condensatori per usi comuni di laboratorio, anche per potenziali molto più elevati. Generalmente si impiega impregnandone fogli di carta sottili così che la distanza delle armature possa essere conveniente- mente piccola. La carta ha pure in determinate condizioni resistenza specifica enorme, e certo buone proprietà dielettriche per quanto i sistemi così costrutti permettono di giudicare. La fabbrica di cavi elettrici di Cortaillod nella Svizzera fornisce condensatori a carta paraffinata, graduati in frazioni di microfarad, che in confronto a molti altri condensatori posti in commercio presentano proprietà assai buone. La curva a cui si riferisce la tabella seguente si rilevò per la capacità di 0.1 mF di un simile condensatore di 1 mF, e mostra una variazione massima di 5,7%; la somma di scariche residue dopo 60° di carica era circa 5,5%: o, | 0.45 0.5 0.8 deal 1.6 21 5.1 d.1 STI CAR ZI e 245.0 247.7 250.8 251.9 258.0 253.5 254.0 2543 254.7 255.1 255.4 E° Te SUL 5” 10” 30!” 60! e Zdon.o 259.0 259.6 259.7 259.8 259.8 Però la stessa fabbrica ha costrutto pel laboratorio di Zurigo un gran numero di con- densatori a carta paraffinata, chiusi in telai semplicissimi di ghisa, dei quali la capacità è meno accuratamente graduata, non dovendo servire questi come campioni di unità, ma di cui le proprietà sono eccellenti. La somma di scariche residue dopo 60'' di carica non supera in uno di questi condensatori qui esaminato, il 4%; la variazione massima, fu constatata nella carica di 3%, sebbene questa capacità che era circa 1 mE si sia dovuta caricare per servirsi dello stesso galvanometro con una piccola forza elettromotrice, e si siano perciò messe in opposizione una pila Daniell con una Clark, dove la resistenza era notevolmente elevata. La curva è qui riferita (V. Fig. 7): òd, Oem. 6 Ii 1.6 2.1 3.1 5.1 O il QI e 299.0 300.9 301.7 302.1 302.5 302.9 303.5 3040 304.4 il UL GUN 5” MO DL 60!” e 305.7 306.9 307,5 308.1 308.2 308.2 Condensatori di questa natura hanno servito alla costruzione del gran cavo del la- boratorio di Zurigo, avente una resistenza di 375000 ohm ed una capacità comples- 444 LUIGI LOMBARDI siva di 620 microfarad, destinato allo studio della trasmissione di correnti continue ed alternative. Per questo la esiguità dei fenomeni di polarizzazione successiva era una condizione essenziale per giungere alla verifica, che si ottenne con mirabile pre- cisione, delle formole date dalla teoria. Le proprietà dei cavi nella pratica non sono mai altrettanto perfette. La fabbricazione dei condensatori a paraffina dev'essere specialmente agevolata dalla possibilità di eliminarne l’acqua scaldando la paraffina ad una elevata tempe- ratura, che fuori dell’aria può salire sopra 300°. La paraffina come si trova in com- mercio contiene verosimilmente sempre delle tracce d’acqua sciolte; almeno alla super- ficie una piccola quantità ne è sempre condensata, che si scioglie nella massa quando questa fonde a bassa temperatura. Fu sperimentata una sottile lastra di paraffina ordinaria, raschiandone rapida- mente lo strato superficiale ed applicandovi due armature di stagnola; la variazione di carica fu 30°/,. Tenendo la temperatura della paraffina fusa per qualche tempo verso i 100°, colando questa in un telaio di vetro di cui s’ era rivestito il fondo di stagnola ben secca, e sovrapponendovi ancora a caldo la seconda armatura, la varia- zione massima non si abbassò sotto 20%, nè la somma di scariche residue dopo 60" di carica sotto 249/. La forma della curva è caratterizzata dalla serie seguente, che è una di quelle rilevate nelle condizioni ora dette: ò, | (Ere 2 Ao RIS ZA O A CA Ale (61 | i | e | LO MISA Teli 405 TI ITS TE 1735 788 | tw! su I DI 5" 70 10” 15” 920" 30!” e 93.3 95.8 97.0 98.2. 99.0 99.9 100.6 100.9 100.9 | Ebanite. — Ha una resistenza specifica poco inferiore a quella della paraffina, ed in un grandissimo numero di casi si presta come ottimo tra gli isolanti nella costruzione degli apparecchi da laboratorio. Alla costruzione di condensatori non fu molte volte applicata, perchè la fabbricazione di fogli molto sottili offre gravi difficoltà e rende il prezzo molto elevato. Nel laboratorio di Zurigo fu però montato un condensatore a fogli di ebanite della grossezza di circa 0.5 mm., a quest’uopo fabbricati. La capacità è di circa 1 mE, e le proprietà assai buone; il volume è però notevole ed il costo fu molto superiore a quello dei condensatori a mica. Per il confronto cogli altri dielettrici qui studiati si presero in esame alcuni fogli di ebanite della medesima natura. Essendo la superficie perfettamente levigata una meccanica essiccazione è relativamente facile, ed è sufficiente, se l’ebanite fu conservata in un ambiente ben secco, per dare ottimi risultati. Ma se l’ ebanite è stata lungamente esposta all’aria umida, una quantità d’acqua sì è verosimilmente condensata tra i pori della sostanza, e ad espellerla non basta uno strofinamento mec- canico nè il leggero riscaldamento che la sostanza può subire prima di rammollirsi. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 445 Per questo i piccoli fogli di ebanite stati lungamente impiegati ad altri usi mostra- rono una variazione di carica del 30 °/,, ed una somma di scariche residue corrispon- dentemente elevatissima. Ma un condensatore costrutto con pochi grandi fogli nuovi, seccati coll’esporli lungamente al sole e collo strofinarli fortemente con cotone caldo mentre le armature di stagnola venivano riscaldate a 200°, presentò una massima variazione di 4,3 9, circa, e dello stesso ordine era la somma di scariche residue dopo 60" di carica. È qui riferita la curva rilevata mediante due soli accumulatori in serie (V. Fig. 8): SOLI 5 ROLO 0.9 1.1 TEOR SO SINESTRO SRO e 93.8 94.3 94.5 94.75 94.85 95.1 95,2 95.4 95.6 95.8 96.0 96.2 gl 110 DUI IU 20!” 30!” e SRO ESM STORM SORRISO Le condizioni di questo condensatore si conservarono lungamente inalterate senza altra protezione che la pressione energica, che faceva perfettamente aderenti i fogli di ebanite ed impossibile l’accesso dell’aria. Per contro non si riuscì ad ottenere risultati migliori ripetendo parecchie volte l’essiecamento colla massima cura. E tut- tavia è altamente verosimile che le tracce di umidità assorbite dalla massa fossero ancora la causa principale di quella lenta polarizzabilità, perchè gli stessi fogli con- servati per settimane nell'ambiente del laboratorio mostrarono in misure successive una variazione sempre più marcata ed impossibile ad eleminarsi. Non sarebbe però difficile premunirsi da questo inconveniente con precauzioni speciali all'atto della fabbricazione e seguenti ad essa. Solfo. — Non avendo applicazioni in genere come isolante, l'esame di esso non era per altro interessante se non perchè esso è uno dei pochissimi dielettrici che si possano avere allo stato di assoluta purezza. La facilità di colarlo in lastre molto sottili agevolava specialmente l'esperimento, sebbene le lamine prendano nel raffred- darsi una struttura cristallina inomogenea. Per contro la temperatura relativamente bassa a cui lo zolfo fonde, e l'impossibilità di tenerlo nell’aria a temperatura molto più elevata senza che lo stato della sostanza accenni a modificarsi molto prima che una vera deformazione allotropica abbia luogo, impediscono di assicurarsi che tutta l’acqua sia stata. espulsa. I piccoli condensatori erano costrutti come quelli a paraffina in sottilissimi telai di vetro riscaldati gradatamente sopra i 100°, ove il primo foglio di armatura si adagiava accuratamente sul fondo, ed il secondo si applicava sulla lamina di zolfo al primo accenno di solidificazione; l'adesione a caldo era perfetta. Furono così esaminati vari campioni di zolfo raffinato in bastoni, che mostrarono variazioni di carica e somme di scariche residue elevatissime. Lo zolfo puro in pol- vere, tenuto lungamente sotto la campana della macchina pneumatica a pochi mil- limetri di mercurio di pressione per seccarlo in presenza di acido fosforico, poi con- 446 LUIGI LOMBARDI servato liquido parecchio tempo verso i 120° agitando la massa liquida continuamente per facilitare la liberazione delle particelle di vapor acqueo, mostrò ancora una variazione di carica di circa 14°/, come risulta dalla serie : Ò, TEO LO Bo Sio i ga e eci ig Qi e 6.019 MO Mero 0.20 900 96 NO SI 0580 gl ILA Ol 4" Tdi 10! 20! 30! 60! e 74.1 15.8 716.2 76.8 76.4 76.5 76.6 76.8 Parecchi altri tentativi condotti in modo analogo diedero analoghi risultati; ma non sarebbe possibile dedurne se questa sia una proprietà inerente alla sostanza, o se, come è verosimile, dipenda ancora in massima parte dalle condizioni igrosco- piche della medesima. Perciò occorrerebbe fare una serie sistematica di osservazioni, o distillando in precedenza lo zolfo direttamente, o tenendolo lungamente fuori del- l’aria a temperatura possibilmente alta. Gomma lacca. — Ha una grandissima resistenza specifica che la rende preziosa specialmente come vernice isolante. Però si suole sempre applicare sciolta in alcool, e, perchè questo non è quasi mai puro, lascia evaporando certamente residui d’acqua. Verosimilmente erano questi che nella prova qui fatta, sciogliendo a caldo la gomma in molto alcool e impregnandone fogli di seta prima seccati, mascheravano il com- portamento della sostanza principale, perchè non si riuscì ad ottenere variazioni massime di carica inferiori al 20 °/, con scariche residue corrispondentemente elevate. Guttaperca. — Dovendosi sperimentare in fogli sottili, l’essiccamento è reso as- solutamente difficile dalla natura stessa della sostanza che ha sempre condensata alla superficie una grande quantità di acqua; ora questa non può essere senza ar- tifizi specialissimi eliminata, non potendo assoggettarsi la sostanza a strofinamento meccanico nè a riscaldamento sensibile. Tuttavia fogli di guttaperca furono osservati dopo lunga esposizione all’aria secca, ed al sole, e ad un getto d’aria artificialmente seccata attraverso un tubo ad acido fosforico, mandata sotto pressione da un piccolo ventilatore; ancora lasciando i pezzi per parecchi giorni sotto la campana della macchina pneumatica nel modo solito. Il migliore risultato che si ebbe corrispondeva però ad una variazione massima di carica del 23% e ad una somma di scariche residue dopo 60" di carica pari al 40°. Esso è riferito nella serie seguente: ò, RZ eee Sie Za e 545 56.0 57.0 583 593 603 613 624 630 634 63.8 t E ELI e O O e 66.7. 67.7 68.2 686 68.9 692 694 69.7 70.2 70.8 LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 447 Vetro. — È noto che le sue proprietà dielettriche sono in genere molto imper- fette, sebbene la resistenza specifica sia molto grande. Il comportamento varia enor- memente colla natura della sostanza, ed è prevedibile che un esame sistematico delle diverse qualità di vetro, nel quale uno alla volta e per gradi si variassero gli ele- menti di questo composto complicato, scoprirebbe con sicurezza l'influenza di cia- scuno di essi, e darebbe utile norma per la scelta di vetri adatti alle applicazioni dielettriche. Non altrimenti nel laboratorio di Jena, che ha fama meritata per la produzione di vetri ad usi scientifici, si è precisata negli ultimi anni l’azione dei vari costituenti del vetro sulla sua dilatabilità termica, che ha tanta importanza nei termometri di precisione, e si riuscì colla scelta razionale di essi ad eliminare quasi perfettamente quella che potrebbe dirsi isteresi termica, cioè il ritardo con cui il vetro segue nella dilatazione le modificazioni di temperatura. È questo un fenomeno che si può ben paragonare al ritardo con cui un dielettrico in genere, ed il vetro in particolare, subisce la polarizzazione elettrica. Qui trattavasi solo di avere un'idea dell’ordine di grandezza dei fenomeni che questo ritardo può produrre, tanto più che nel caso generale il vetro adoperasi in lastre a superficie molto levigata, e l’ essiccamento può farsi specialmente accurato strofinando energicamente e riscaldando sopra i 100°. Fu perciò sperimentata, dopo essiccamento diligente, una lastra di vetro comune. Ma, in perfetta conformità col fenomeno notissimo delle numerose scariche residue della bottiglia di Leyda, la carica apparente, misurata dalla prima elongazione di scarica, andò crescendo per un tempo molto lungo, e certamente la carica totale sarebbe cresciuta per un tempo molto maggiore. Definita nel solito modo la varia- zione di carica era circa 33%, ed all’ esaurimento delle scariche residue non bastava un grandissimo numero di minuti. È riferita la curva di quella variazione nella Fig. 9, e nella serie seguente: ò, 1880 2.1 3.1 4.1 dl 74 Sol ie it La e 137.5 145.2 149.5 152.5 154.5 156.2 158.5 160.0 161.0 162.8 164.9 y! ilt% DU 91! 5” ui TCX? 15” 95! 60!” 90” 120! e 186.0 192.6 195.2 197.6 198.6 199.7 200.8 202.3 203.8 204.8 205.0 In questo caso la presenza dell’acqua era in massima evidentemente esclusa; tuttavia i caratteri del fenomeno non si mostrano essenzialmente diversi da quelli dei corpi nei quali la presenza di un elettrolito è facile a constatare. E siccome si può avere il vetro in speciali condizioni comportantesi come un corpo eminentemente igroscopico, può vedersi subito che la presenza dell’acqua modifica l'andamento della curva in modo continuo, e si può pensare che la polarizzazione dei dielettrici in genere presenti sempre con quella degli elettroliti una strettissima analogia. Di più è interessante vedere sotto quali aspetti le proprietà elastiche e quelle dielettriche dei corpi possano essere confrontate; e, come tra i dielettrici organici si prestava 448 LUIGI LOMBARDI a ciò specialmente opportuna la seta, tra i dielettrici inorganici comuni poteva esa- minarsi il vetro con vantaggio. Fu adoperata a ciò la così detta lana di vetro, costituita da fili di vetro sot- tilissimi e brevi, arricciati in un ammasso quale si suole applicare per avere un buon coibente termico. Le proprietà elastiche furono poi esaminate, come si dirà, sopra lunghi fili regolari di vetro; di questi e dei primi l'aspetto essendo del tutto identico, ed entrambe le sostanze essendosi ricevute dalla medesima fabbrica, era molto verosimile che tutte due avessero eguale costituzione. Appunto per la piccolissima conduttività termica e per la enorme superficie che presenta la lana di vetro ha un potere igroscopico grandissimo, ed è veramente difficile conservarla con artifizi comuni libera da umidità condensata. Tuttavia l’essiccazione si può fare a temperatura molto elevata, e qui fu eseguita frammezzo a due lastre metalliche scaldando verso 300°: la variazione di carica, prima colossale, si mostrò dopo ciò notevol- mente diminuita, ma non tanto che la variazione ultima non fosse ancora di gran lunga superiore e tutte quelle prima constatate. Ciononostante risulta dalla curva qui riferita nella tabella che la forma è ancora quella che pel vetro si era ottenuta. Dopo 20” di carica la somma di scariche residue era circa 60°/, della scarica primaria. O O It alt bit ue ele Lot et ie ig i CI 335 NA OA 8 SIT SONA 6 26586907 25509215 I 114 GUI QU 4! 5! 6! QUI 10” Te 20! 30!” e 104.5 115.5 120.5 123.4 125.5 126.7 128.5 129.2 130.5 131.2 133.0 Olio. — L’ esame di questo poteva interessare come d’un tipo dei dielettrici liquidi non elettrolizzabili: ma si riscontrò una polarizzabilità successiva enorme. Olio puro di lino fu scaldato lungamente verso i 150°, e portato così caldo sotto la campana della macchina pneumatica in presenza di acido fosforico anidro. Diminuendo la pres- sione a pochi mm. di mercurio, una grande quantità di bolle si svolgeva, e dopo ripetuta l'operazione del riscaldamento e della diminuzione di pressione una 2? volta, avendovi già immerso i fogli di seta che dovevano conservare a distanza le armature, si poteva ammettere che la massima parte dell’acqua fosse eliminata. Le armature di stagnola vennero applicate dopo averle riscaldate nel solito modo, e si fecero aderire perfettamente con pressione notevole, così che tutta l’aria era esclusa. La curva di carica continuava per un lunghissimo tempo a salire, sebbene l’elettrolisi di tracce d’acqua, se eventualmente avessero potuto restar ancora, fosse impossibile quando la carica si eseguiva con una forza elettromotrice piccola, cioè con un elemento Daniell ed un Clark in opposizione: la variazione di carica tra 1” e 20" raggiun- geva ancora qui 70 °/o. SNA ir ra Se lp SA re LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 449 18. — Osservazioni sui fenomeni di lenta polarizzabilità. Da tutto ciò che s'è detto si può concludere ad alcune osservazioni generali. Qualunque sia la natura della polarizzazione elettrostatica, cioè qualunque sia l’in- tima essenza di quella modificazione dello stato molecolare che noi definiamo con quella parola, è certo che essa non si suole mai produrre istantaneamente, cioè le molecole non sogliono raggiungere il nuovo equilibrio se non con una certa len- tezza quando sopra di esse son venute ad agire le forze elettrostatiche. Questa lentezza è diversa nei diversi corpi, e dev'essere connessa strettamente colla natura loro e del loro raggruppamento molecolare. Essa è la causa principale della variazione di carica nei condensatori oltre i tempi ove intervengono i fenomeni dovuti alla indu- zione ed alla resistenza del circuito. Inversamente essa è la causa di tutti i feno- meni di scarica residua e di una gran parte dei fenomeni di variazione della resi- stenza apparente sotto potenziale costante. Nessuno dei dielettrici comuni ha mostrato sinora la proprietà di polarizzarsi istantaneamente, e forse essa non appartiene che all’etere, polarizzandosi solamente i gas con una tale rapidità che il tempo a ciò necessario sfugge alle nostre osser- vazioni. Le sostanze organiche, che hanno in genere una struttura più complicata, non presentano però necessariamente una lentezza di polarizzazione maggiore, se non in quanto esse sogliono contenere quantità variabili di liquidi, elettroliti o non. Difatti, quando due sostanze si trovano in presenza una dell’altra, esse subiscono indipendentemente l’azione delle forze elettrostatiche, e, come l’energia della loro polarizzazione interviene proporzionalmente al volume nell’aumento della energia rac- chiusa nel condensatore, così essa si va per fenomeni paralleli immagazzinando in ciascuno di essi. La presenza dei liquidi si rende specialmente avvertibile perciò che in essi la lentezza della modificazione nell’equilibrio molecolare è sempre mar- catissima. I fenomeni di lenta polarizzazione non sono dunque fenomeni elettrolitici, seb- bene, quando questi intervengono, quelli vi siano sempre accompagnati e presentino con essi alcuni caratteri comuni. Ora i fenomeni elettrolitici seguono leggi perfettamente definite e semplicissime; non è egli possibile che quelli di polarizzazione siano retti da norme costanti nella successione del tempo, oltre che nella funzione della forza che li produce, dove una semplice proporzionalità pare sia già accertata? Per rispondere a questa quistione non è inutile stabilire alcune analogie. 19. — Fenomeni di lenta deformazione elastica: misura del modulo di elasticità. L'idea della analogia dei fenomeni di polarizzabilità dei dielettrici e di defor- mazione dei corpi elastici è generalmente diffusa, accennandosi sempre quando si parla di scariche residue di condensatori a dielettrico imperfetto alla rassomiglianza Serie Il. Tox. XLIV. a? 450 LUIGI LOMBARDI colle manifestazioni di elasticità susseguente nei corpi non perfettamente elastici. L'esame della seta come tipo tra le sostanze isolanti organiche s'era appunto pre- sentato più opportuno per la possibilità di studiare parallelamente i due ordini di fenomeni. W. Weber in Gottinga fu il primo ad occuparsi sistematicamente delle defor- mazioni elastiche della seta, ed i risultati delle sue ricerche, estesi alle deformazioni dei corpi elastici in genere durante la loro fase variabile, furono pubblicati da lui in tre memorie (1) che formarono la base della prima teoria esatta della elasticità. Difatti in esse la prima volta si fece luogo alla considerazione del tempo nelle defor- mazioni, e senza tener conto di esso la legge di proporzionalità della deformazione e della forza non può semplicemente essere verificata. Weber definì azione susseguente della forza (Nachwirkung) l’effetto di essa che si produce nei tempi seguenti l'istante in cui la forza è venuta ad agire. Essa non è naturalmente da confondere colla deformazione permanente a cui ogni nuova appli- cazione della forza può dare origine, perchè, se forze eguali o minori si vanno suc- cessivamente riapplicando, le deformazioni nuove permanenti vanno diminuendo e finiscono per sparire, e allora veramente la deformazione totale è solo proporzionale alla forza. Per contro l’azione susseguente non cessa mai di verificarsi, ed a regime in una serie indefinita di deformazioni elastiche originate da una medesima forza si conserva inalterata. Di più, per definizione stessa, la deformazione permanente, come conseguenza di una forza una volta applicata, rimane nel corpo; la deformazione susseguente è funzione essenzialmente del tempo, e al prolungarsi di questo, se la forza è cessata, essa scompare. Per enunciare una teoria di questa elastica deformazione Weber considera le molecole del corpo elastico come dotate di tre assi di elasticità. In una deformazione simmetrica rispetto tre assi qualunque, come potrebbe essere una dilatazione termica di corpi isotropi, le dimensioni del corpo e le distanze delle molecole crescerebbero egualmente in tutti i sensi, cioè la posizione relativa degli assi molecolari non va- rierebbe. Ma in una deformazione elastica, per esempio per tensione, le molecole sono generalmente sollecitate ad allontanarsi in una sola direzione, e ad avvicinarsi per conseguenza nelle direzioni normali; quindi gli angoli fra gli assi di elasticità delle molecole diverse cambiano. Le molecole subiscono, una rispetto all’altra, una rota- zione; e questa non può avvenire istantaneamente, perchè si devono vincere le forze di coesione molecolare che agiscono come resistenze passive, ed eseguire un lavoro della natura d’un lavoro d’attrito, il quale suole sempre ritardare il moto relativo dei corpi materiali che sono in contatto. E per formulare una legge di questa deformazione successiva suppone Weber che le molecole del corpo si muovano .verso la nuova posizione di equilibrio con una velocità funzione della distanza che da questa ancora le separa. Se si dice x questa distanza, essa è naturalmente una misura della deformazione del corpo che deve ancora succedere, e quella velocità che si può dire di deforma- (1) Pogg. Ann., XXXIV, 1835: “ Ueber die Elasticitàt der Seidenfaden ,. — Gottingae Sumpt. Dieterich., 1841: © De fili bombycini vi elastica ,. — Pogg. Ann, LIV, 1841: © Ueber die Elasti- citàt fester Kérper ,. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 451 uni dio al quadrato di quella distanza, si ha: zione è rappresentata da — Se si suppone che questa velocità sia proporzionale che si esprime: “ la parte di deformazione che ad un dato istante deve ancora succe- dere è inversamente proporzionale al tempo trascorso da una origine che per ogni caso si può determinare in base ai risultati della esperienza ed alla curva del fenomeno ,. Questo equivale evidentemente ad ammettere che la curva sia una iperbole, di cui un asintoto è l’asse delle ascisse, e l’altro è parallelo a quello delle ordinate, deter- minante appunto l’origine dei tempi. Ma siccome questa legge non risponde con molta approssimazione ai risultati delle misure, Weber ammette semplicemente che la velocità di deformazione sia pro- porzionale ad una potenza da determinare della deformazione stessa: da=— ba" dt; e deduce il valore della deformazione che deve ancora seguire ad un dato istante: i 1 Zi =) 5008 dove dalla esperienza sono da dedurre i tre coefficienti m.d.c, ed in esperienze diverse con uno stesso filo non si possono « priori ritenere invariati se non 5 ed m che dipendono esclusivamente dalla natura del filo. Come si vede, sebbene la forma della curva possa ancora compendiosamente definirsi come una iperbole di ordine m, l’espressione della legge non è più semplice, cioè non si scopre a primo aspetto un significato fisico semplice nella formola la quale non può servire se non come una descrizione analitica più o meno rigorosa del fenomeno. Non perciò sono meno importanti i risultati generali a cui Weber giunge con questa discussione, pel fatto che quella, formola risponde con molta approssimazione alle sue misure. È difatti evidente che l’origine delle coordinate qui non rappresenta alcun punto particolare della curva, corrispondendo essa semplicemente all’istante nel quale le condizioni inerenti all’esperienza hanno permesso di cominciare le letture. La curva è pertanto continua tra i suoi due asintoti, come certamente è continua ogni ma- nifestazione di un fenomeno naturale. Ma allora la stessa curva colla stessa appros- simazione deve includere la rappresentazione della prima parte del fenomeno, la quale noi possiamo solo considerare come istantanea in ragione della sensibilità dei nostri mezzi di osservazione che non ci permettono di apprezzarne la durata. Ne viene che da noi non si può parlare di deformazione elastica corrispondente ad una data forza se per quella non si intenda la deformazione totale, cioè il valore ‘ che questa ha preso quando le molecole hanno raggiunto il nuovo equilibrio stabile; 452 LUIGI LOMBARDI sebbene a questo esse non si avvicinino che lentamente, ed in molti casi non si possa dire che sensibilmente esse l'abbiano raggiunto prima che un tempo lunghissimo sia trascorso. Solamente per questa deformazione finale può essere definito il modulo di elasticità, e mediante la misura di essa essere questo verificato costante fra i limiti di elasticità. 20. — Analogia dei fenomeni di lenta polarizzazione dielettrica: misura delle capacità. Nel caso della polarizzazione elettrica noi assistiamo a fenomeni precisamente della stessa natura di quelli ora descritti. Prescindiamo da tempi eccezionalmente brevi, durante i quali hanno importanza fenomeni secondari dovuti alla induzione ed alla resistenza. Ad essi corrisponde- rebbero i tempi, di cui non è quistione qui, durante i quali sono sensibili nelle defor- mazioni elastiche le azioni d'inerzia e di resistenze passive; ed è ben noto che le oscillazioni iniziali hanno gli stessi caratteri e possono rappresentarsi colla stessa equazione in una deformazione elastica sotto l’azione di una forza bruscamente venuta ad agire, come nella carica di un condensatore di cui le armature si siano repenti- namente portate ad una data differenza di potenziale. Ma, indipendentemente da ciò, o supponendo di impedire le oscillazioni elastiche con una resistenza passiva conveniente come con una resistenza ohmica sufficiente si possono sempre prevenire le oscillazioni della carica d’un condensatore, noi abbiamo veduto che questa carica non avviene mai istantaneamente, ma si fa secondo una curva che va salendo con rapidità diversa per le sostanze diverse e per le diverse condizioni in cui sono sperimentate. I fenomeni di scarica non sono che gli inversi di quelli di carica, come le opposte deformazioni di un filo elastico dove la forza stirante fu aumentata e diminuita; quando noi giudichiamo che gli uni o gli altri siano com- pleti, ciò non vuol dir altro se non che le variazioni posteriori sfuggono ai nostri mezzi di osservazione. Ma noi vedemmo già che durante ore intiere varia la carica totale di un condensatore ordinario, e dopo ore di scarica il condensatore suol ancora sempre presentare una maggiore facilità ad essere caricato, la quale non sussiste- rebbe se il dielettrico non conservasse una parte della polarizzazione. Solamente, perchè essa va scomparendo con grandissima lentezza, non dà più luogo per noi a scariche residue in brevi intervalli di tempo apprezzabili. Il tempo che fili elastici di diversa natura impiegano, perchè l'allungamento sotto una forza stirante sia mas- simo, o perchè al cessare di questa essi ritornino alla lunghezza primitiva, è molte volte dello stesso ordine di grandezza e talora maggiore. Pel confronto noi dobbiamo paragonare gli allungamenti, riferiti alla lunghezza iniziale, che il filo ha fino ad un dato istante subìto sotto uno sforzo costante, colla quantità totale di elettricità che si è immagazzinata nel condensatore, prescindendo naturalmente da fenomeni secondari di dispersione e conduzione. Dalla scarica del condensatore noi non possiamo dedurre quella quantità se non sommando con quella che diciamo scarica primaria tutte le scariche secondarie che ad essa succedono sino ad esaurimento completo della polarizzazione. o “as e - à i LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI , 453 Ma dunque una curva sola e continua deve rappresentare per noi l’andamento della carica o quello della scarica, e la distinzione di scarica primaria dalle sca- riche residue non ha senso se non in quanto la durata di quella rispetto i nostri mezzi di osservazione si possa considerare istantanea. In valore assoluto non esiste che una carica ben definita, ed è quella che il condensatore ha preso quando la corrente che arriva alle armature si è ridotta a zero od al minimo valore che corri- sponde alla resistenza ohmica del dielettrico; ed in valore assoluto non può definirsi la capacità se non il rapporto della quantità di elettricità che allora è nel conden- satore alla differenza di potenziale delle armature. La misura delle capacità, come attualmente è fatta in generale, è dunque per principio inesatta; ed inesatti sono i valori che da essa si sogliono dedurre delle costanti dielettriche. Si sogliono misurare le capacità proporzionalmente alle quantità di elettricità che esse, quando furono caricate per un tempo convenientemente lungo con una stessa forza elettromotrice, scaricano, dicesi, istantaneamente attraverso un galvanometro balistico; e la durata di carica non si suole con miglior criterio determinare, se non assumendo quella dopo cui la prima elongazione del galvanometro non cresce più, per quanto i mezzi di lettura permettono di osservarlo. Se si volessero confrontare le scariche dopo tempi qualunque di carica eguali, evidentemente si avrebbe un carattere di più di arbitrarietà. Si vorrebbe dunque considerare come carica del condensatore solamente la quantità di elettricità che si è accumulata sopra le sue armature, e potrebbe essere una definizione relativa precisa, se precisamente si potesse definire la durata della scarica istantanea. Ma questa definizione è puramente convenzionale. Se si vuole assumere :come durata di scarica istantanea semplicemente un tempo così breve che sia trascurabile rispetto alla durata di oscillazione dell’ago, Io che basta per soddisfare alle condizioni di una misura esatta di quantità di elettricità mediante il galvanometro balistico, si potrà variare quel tempo in ragione delle cor dizioni del galvanometro, e del momento d’inerzia dell’ago, o dello smorzamento delle oscillazioni; lo che è assurdo. Se la chiusura del circuito sul galvanometro si vuol prolungare all’atto della scarica per un tempo comunque breve ma costante, la quantità di elettricità che si scaricherà sarà sempre l’integrale, durante quel tempo, della intensità di corrente, e, come tale, funzione non solo delle proprietà del dielettrico, ma anche delle condi- zioni di resistenza e di selfinduzione del galvanometro che variano da caso a caso. Ora, anche in condizioni identiche di circuito esterno, l’interna capacità di conden- satori diversi farà che non sia proporzionale la quantità di elettricità da essi scari- cata, perchè noi vedemmo che a ciò occorrerebbe un tempo che fosse proporzionale alla capacità medesima, come dice la formola t=Crlogn da noi prima riferita, e da cui per tempi di quest'ordine di grandezza non si può più prescindere. Per questi tempi stessi, e più per tempi maggiori, se essi si volessero adottare per convenzione, la forma della curva di scarica per dielettrici diversi, ” 454 LUIGI LOMBARDI parimenti tangente ai due medesimi asintoti, ma da essi variamente scostantesi perchè la curvatura è funzione della rapidità di polarizzazione, farà che quantità assolutamente diverse di elettricità si scarichino, e con legge assolutamente diversa vengano ad agire sull’ ago la cui velocità non può essere considerata nulla se non per un tempo brevissimo. Se si possedesse un galvanometro balistico senza selfinduzione, e si scaricasse il condensatore attraverso un circuito senza resistenza, non si potrebbe teoricamente ancora avere una misura indipendente dalla depolarizzazione del dielettrico, e quindi rigorosamente definita, se non realizzando un tempo di scarica infinitesimo. La capacità dunque che si è soliti misurare è una grandezza apparente che non ha valore se non in rapporto alla definizione arbitraria che noi ne sogliamo dare, ed alla approssimazione delle nostre misure. Un valore assoluto non si potrebbe valutare se non dalla quantità totale di elettricità del sistema dopo una carica in- definitamente lunga, ed essa non si potrebbe altrimenti immaginare integrata se non mediante una serie di scariche successive istantanee, prolungata fino ad esaurimento completo della polarizzazione; e per scariche istantanee si potrebbero accettare du- rate comunque brevi fra certi limiti arbitrari, purchè tali che soddisfacessero alla ipotesi della misura col galvanometro balistico. La misura diretta della corrente, che dopo i primi istanti si potrebbe fare agevolmente, sarebbe in quelli impossibile per la sua enorme variabilità. Solamente se processi comuni elettrolitici potessero realizzarsi in condizione di conveniente sensibilità per quantità eccezionalmente pic- cole di elettricità potrebbero fornire un mezzo semplice di misura. In ogni caso però se una conduttività esistesse nel mezzo coibente, ed una corrente di conduzione si verificasse in ogni istante secondo leggi non perfettamente accertate, la misura teo- rica sarebbe impossibile. Vero è che nella pratica si tratta sovente di sistemi le cui proprietà si sco- stano relativamente poco da quelle di un condensatore ideale a polarizzabilità istan- tanea; e in tali casi una definizione ed una misura convenzionale di capacità può sempre utilizzarsi con approssimazione sufficiente. Ma non è men vero che il valore ne è puramente relativo, e se un campione di capacità unitaria si volesse stabilire come fu fatto di resistenza e di forza elettromotrice occorrerebbe trovare un dielettrico ove effettivamente la polarizzabilità fosse istantanea; cosa che rimarrebbe verosimil- mente irrealizzabile se non si ricorresse. a gas secchi od a spazi vuoti d’aria. Non è d’uopo avvertire che, se si potesse facilmente dare ad un condensatore una quantità determinata di elettricità, e si volesse dedurne la capacità misurando il potenziale, la misura sarebbe molto più complicata, non meno inesatta nella suc- cessione del tempo, e di più non suscettibile di correzioni altrettanto facili. 21. — Leggi dei fenomeni inversi di polarizzabilità. In base alle idee fondamentali accennate si può accedere ad un confronto più intimo dei fenomeni di polarizzazione con quelli di elasticità, e, se si vuole, formu- larne una teoria perfettamente analoga. Difatti le molecole del dielettrico si possono immaginare ancora dotate di assi TILL SS AR A DA e RE e SIIT LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 455 di polarità elettrica diversa, i quali, quando esso si trova allo stato naturale, siano indifferentemente orientati in tutte le direzioni, onde non ne risulti una deter- minata polarizzazione della massa; ma che sotto l’azione delle forze elettrostatiche tendano ad orientarsi in una direzione speciale, che è quella del campo, senza potersi sottrarre alle forze molecolari che si oppongono alla rotazione e non possono essere vinte senza la spesa di un lavoro. La posizione nuova di equilibrio sarebbe quella dove le forze elettrostatiche e le tensioni molecolari si compensano, e questa non potrebbe essere raggiunta istantaneamente, ma le molecole vi si andrebbero accostando con una certa lentezza dipendente dalla costituzione molecolare della sostanza, e dal modo risultante con cui le forze che sollecitano le molecole distanti dall’ equilibrio loro variano al variare questa distanza. Si vedrà tra poco che le curve dei due fenomeni presentano caratteri perfetta- mente paragonabili: e si è già visto come la curva delle cariche totali dopo durate diverse di carica, e quella delle cariche residue dopo durate diverse di scarica, ricor- dino con una certa approssimazione la forma di una iperbole, avente per asintoti l’asse delle ordinate e rispettivamente una parallela all’asse delle ascisse corrispon- dente alla carica massima, o l’asse stesso corrispondente alla carica nulla. Quindi, se si volesse, si potrebbe formulare una legge simile a quella che W. Weber diede per i fenomeni di elasticità, e nell'espressione analitica di essa definire per mezzo delle osservazioni sperimentali i vari coefficienti. Salvo che noi abbiamo veduto qui che i fenomeni di lenta polarizzabilità sono potentemente influenzati dalle circostanze esterne, quindi quella determinazione per la medesima sostanza non avrebbe valore se non nel caso preciso in cui essa fu fatta. oltre si noti: il fenomeno della carica del condensatore è perfettamente analogo alla deformazione d'un corpo elastico sotto l’ azione di una forza costante, se là il potenziale è costante. Per studiare in modo simile i fenomeni inversi, come noi sogliamo sottrarre il corpo elastico alla azione di ogni sforzo esterno, così dobbiamo annullare in ogni istante la forza elettrostatica che agisce sul dielettrico, cioè tenere le armature in corto circuito. Quando noi cerchiamo di esaurire la carica di un con- densatore mediante una serie di scariche ad intervalli di tempo determinati, il feno- meno si presenta con una discontinuità che ne altera il carattere, perchè durante ognuna di queste fasi di isolamento la depolarizzazione che si va continuando nel dielettrico origina nelle armature una nuova carica crescente, cioè una differenza crescente di potenziale. A questa non devesi solamente una corrente di conduzione, se il dielettrico ha una certa conduttività, come fu già avvertito, ma un nuovo campo elettrostatico la cui intensità tenderebbe a crescere col tempo tanto che le nuove forze elettrostatiche facessero equilibrio alle tensioni molecolari; da quel momento, in condizioni di isolamento perfetto, ogni variazione di polarizzazione sa- rebbe esclusa. Ora, sebbene nelle osservazioni si sia soliti ripetere le scariche residue a distanze di tempo molto minori di quelle che occorrerebbero a raggiungere quell’e- quilibrio, la prima parte del fenomeno si va ad ogni modo ogni volta ripetendo; cioè la depolarizzazione avviene liberamente solo nei primi istanti dopo ogni nuova sca- rica; poi la sua intensità va diminuendo così che all'esaurimento completo di tutta la carica occorre un tempo teoricamente più lungo di quello che in condizioni normali non sarebbe occorso. 456 LUIGI LOMBARDI È un fatto simile a quello che si verificherebbe in un filo di cui la tensione non fosse stata provocata mediante un peso liberamente applicato, ma dall’accrescimento della distanza tra due punti fissi a cui fossero legate le sue estremità. La tensione elastica interna qui andrebbe, per l’azione successiva definita da Weber, diminuendo col tempo, come la tensione elettrica tra le armature del condensatore a cui una volta si fosse data la quantità di elettricità necessaria a caricarne le armature a un potenziale determinato. Quando del filo si riducesse la tensione istantaneamente a zero, avvicinando pel solo spazio a ciò necessario gli estremi, la tensione elastica interna andrebbe riaumentando, non altrimenti che quella elettrica nel condensatore dopo un corto circuito momentaneo. L'osservazione avrebbe meno importanza pel riguardo di definire sperimental- mente la legge del fenomeno, perchè perciò si potrebbe ricorrere alla curva della scarica continua, misurando in ogni istante la intensità di corrente, cioè studiando l'equazione differenziale del fenomeno da cui Weber partì a sua volta per formulare la sua ipotesi. Ma essa non può essere dimenticata se i due fenomeni inversi della polarizzazione si vogliono confrontare direttamente, e se di essi si vuol verificare una proprietà accertata da Weber pei fenomeni di elasticità, che dichiara uno dei caratteri più importanti della carica e della scarica dei condensatori. Weber cioè ha trovato nell’analisi delle due curve di deformazione di un filo elastico per aumentata e diminuita tensione i coefficienti eguali, le due curve sovrap- ponibili. Questo fa pensare che anche le curve di carica e scarica del condensatore possano essere identiche. Effettivamente, quando la carica è nulla e quando essa è completa distando le molecole egualmente dalla nuova posizione di equilibrio a cui con una carica od una scarica di durata indefinita debbono tendere, non si potrebbe immaginare una ragione per cui esse non vi si avvicinassero con una velocità eguale in ogni istante corrispondente. La carica e la scarica paiono dunque doversi consi- derare come due fenomeni reversibili, sempre che non avvengano dispersioni secondarie. Ora questo fu constatato entro i limiti di approssimazione che dall’esperienza si potevano aspettare. i Le curve parecchie volte rilevate della corrente continua di carica e di scarica pel condensatore a seta prima costrutto avevano sempre presentata una forma per- fettamente analoga che s'è ricordata. Solo la sovrapponibilità non s'era mai potuta verificare con tutta la sicurezza, perchè le quantità di elettricità erano piecolissime, non potendosi caricare la piccola capacità con potenziali molto elevati. Avveniva d'altronde che la polarizzazione non era completa se non dopo un gran numero d’ore, e l'isolamento non era del tutto perfetto quando la presenza di traccie d’ umidità lasciava luogo a più sensibili variazioni di carica, onde nelle curve di scarica si notava una tendenza ad avvicinarsi più rapidamente alla tangente orizzontale, pre- sentando nel ginocchio una curvatura più stretta. Gli stessi caratteri si manifesta- vano nelle curve delle cariche residue, rilevate con serie regolari di osservazione ad ogni minuto dopo durate di carica diverse; sebbene qui la discontinuità già accennata del fenomeno, rallentando specialmente nei primi tempi la depolarizzazione, tendesse già a far confrontabili le curve di scarica con quella di carica totale dopo che la carica era durata 10’, come mostrano le figure 3 e 4. Pertanto per avere una prova più convincente di ciò che s'è detto, e che si dille mi MERE Sa PNR Ra ERELIOARE E e LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 457 presumeva valere per tutti i dielettrici aventi un comportamento simile, si ricorse ad un condensatore a carta paraffinata della fabbrica di Cortaillod, che in esperienze precedenti aveva mostrato un isolamento eccellente, una variazione massima di carica non grande, ed una polarizzazione sensibilmente completa dopo un tempo relativa- mente breve; la capacità era circa 1 mF. La carica fu prolungata per più di tre ore mediante una serie di 50 piccoli accumulatori, tolti alla grandiosa batteria di 10.000 elementi di cui il laboratorio fu recentemente dotato per lo studio di alti potenziali. Le curve continue di carica e scarica furono rilevate durante la prima mezz'ora ove si pronuncia la curvatura più marcata, e la parte della curva più inte- ressante è riferita nelle fig. 10 e 11. Le deviazioni erano lette ad ogni 10", avendo durante i primi 30" escluso dal circuito il galvanometro che aveva sensibilità gran- dissima. Siccome a cagione di questa la posizione di riposo dell’ago variava conti- ‘ nuamente di piccole quantità, dopo brevi intervalli di tempo si rimetteva il galva- nometro fuori circuito, facendo alcune letture dello zero che determinarono il percorso regolare della linea a partire da cui le ordinate dovevano essere misurate. Le due curve della tavola sono dedotte proporzionalmente dal disegno che si fece in scala 5 volte maggiore sui risultati dell'esperienza. Se le due figure si sovrappongono cogli assi delle ordinate sulla medesima retta, essendo preso come origine il momento della prima chiusura del circuito, si vedono le due curve con molta approssimazione coincidere, e gli assi delle ascisse cadere sopra due parallele distanti circa 32 mm. Ora questa distanza corrisponde a meno di decimi di mm. alla deviazione permanente che dopo la carica lunghissima si leg- geva al galvanometro, e che misurava certo la corrente che attraverso la resistenza ohmica non infinita del dielettrico mandava quella elevata differenza di potenziale. L'esperienza fu ripetuta parecchie volte, lasciando poi naturalmente per moltissimo tempo il condensatore in corto circuito per eliminare ogni influenza di cariche pre- cedenti; e sempre si ebbero risultati analoghi. Si può dunque affermare che per questo condensatore a carta paraffinata la scarica si faceva esattamente colla stessa legge della carica, e che la dispersione di quantità di elettricità durante tutto il processo osservato non era apprezzabile con sicurezza. E veramente qui correnti sensibili di conduzione interna non possono aver luogo alla scarica tra le armature che sono sempre in corto circuito; e se una perdita di energia è avvenuta nell’atto della polarizzazione del mezzo, non è di tal ordine che qui la si possa avvertire. Per lo stesso condensatore la curva di carica fu ancora rilevata con 25 accumu- latori, e fu constatato con pari approssimazione la proporzionalità delle ordinate al potenziale. Non è dunque irrazionale parlare qui di una resistenza ohmica del dielet- trico indipendente dalla intensità di corrente. E se si rifletta che le elongazioni di scarica dopo durate eguali di carica sogliono essere, per un grandissimo numero di dielettrici comuni, proporzionali alla differenza di potenziale, e che questa proprietà fu verificata da noi per la seta e per altri coibenti anche per frazioni decimillesime di 1’, è molto verosimile che essa sussista per la maggior parte di questi corpi per tutti i tempi, cioè che per essi l’ordinata della curva di polarizzazione in ogni istante sia proporzionale al potenziale; Serre Il. Tom. XLIV. La 458 LUIGI LOMBARDI legge che probabilmente vale anche per la elasticità, qualunque sia l’importanza delle deformazioni susseguenti. 22. — Curve di deformazione elastica della seta. La forma delle curve pubblicate da W. Weber per le deformazioni elastiche dei fili di seta concorda con quella della carica totale di un condensatore in generale; ma perchè appunto un condensatore a seta era stato studiato, era interessante vedere se qualche relazione semplice si scoprisse tra gli elementi di due fenomeni nella medesima sostanza. È però chiaro che la cosa non è facile, dal momento che le circostanze esterne hanno sul comportamento dielettrico una influenza grandissima, e quelle circostanze sole nelle quali una costanza notevole può per esso verificarsi, e dove le proprietà intime della sostanza hanno su quelle di corpi estranei la prevalenza, non possono essere se non con speciali artifizi realizzate per lo studio del comportamento ela- stico. Qui difatti un filo è sempre esaminato in uno spazio libero da cui non può espellersi l’umidità, e, se questa fosse dall’ ambiente eliminata, sarebbe ben difficile togliere alla seta la massima parte dell’acqua di costituzione; ora è assai probabile che la presenza di questa modifichi le proprietà elastiche anche notevolmente. D'altronde, se si crede che l’analogia delle due deformazioni sia completa, si tro- vano per certi corpi anomalie marcate. Vedemmo che di un condensatore a lana di vetro la variazione di carica è enorme, e, se pure si debba ammettere che l’essicca- mento era nell’esperienza ancor molto imperfetto, non si può dimenticare che una lastra di vetro comune ben secca aveva mostrata una variazione quasi dello stesso ‘ordine di grandezza. È notissimo che il vetro in genere presenta i fenomeni di scarica residua in modo eminente. Qui furono esaminati dei fili di vetro lunghi alcuni metri, di cui s'è già detta l'analogia col vetro di quelle esperienze. Ebbene, assoggettando questi fili a sforzi diversi, cresciuti fino alla rottura, non si riescì a notare che una deformazione susseguente insignificante, appena apprezzabile pei carichi minori com- presi tra i limiti di elasticità. Per la seta stessa non poteva dunque cercarsi che l'ordine di grandezza delle modificazioni susseguenti, in quanto i mezzi di osservazione permettevano di apprez- zarle in confronto alle modificazioni totali. La proporzionalità al carico, la identifi- cazione delle curve per tensione aumentata e diminuita, non potevano facilmente ricercarsi qui, perchè i fili sottilissimi che dalla stoffa s'erano ricavati, curando di non assoggettarli a sforzi di trazione notevole, conservavano tutte le increspature del tessuto che complicavano colla loro resistenza alla distensione quella all’allun- gamento longitudinale del filo; quando esse sotto l’azione di un carico erano state quasi d’un tratto eliminate, lasciando luogo esclusivamente alla deformazione susse- guente della lunghezza, cessato il carico si ristabilivano in parte, facendo che la curva qui salisse molto più marcatamente e lungamente che là non si fosse abbassata. I fili di seta qui esaminati appartengono tutti alla stoffa adoperata pel primo condensatore, per cui la curva della carica totale in funzione del tempo fu riferita nella fig. 3. Questi fili venivano appesi ad un alto sopporto per la parte superiore, por- LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRIUI 459 tando in basso un piccolo uncino di metallo pesante pochi centesimi di grammo, il quale serviva e come zavorra per conservare il filo disteso senza deformarlo sensibil- mente, e come punto di collimazione pel cannocchiale del catetometro, e sosteneva i pesi che si volevano lasciar agire sul filo. Non si ricorse a mezzi più delicati per valutare gli allungamenti, quali si sarebbero potuti realizzare avvolgendo il filo a un piccolo tamburo portante lo specchio per la lettura angolare colla scala, od altri- menti, perchè le bave di seta potevano solo sopportare pesi assai piccoli senza che fossero superati i limiti di elasticità; onde sarebbe occorso dare al tamburo una massa eccezionalmente leggera, ed eliminare nel modo più perfetto le resistenze pas- sive che avrebbero ostacolato le piccolissime rotazioni. Del resto la sensibilità del catetometro, che dava col nonio e la vite micrometrica i centesimi di millimetro, era più che sufficiente per fili di lunghezza non inferiore ad 1 m. Weber adottò per consiglio di Gauss un artificio ingegnoso che permetteva di variare per gradi comunque la tensione. Il filo era cioè teso orizzontalmente tra una vite di trazione ed un robusto filo verticale fisso alla parte superiore. e portante un peso opportuno, immerso nell'acqua per eliminare le oscillazioni. Quando si ritraeva la vite, il 2° filo era deviato dalla verticale, e la componente orizzontale della forza dovuta al peso e scomposta nella direzione dei due fili, dava la tensione del filo di seta. L'angolo di deviazione era letto col cannocchiale e colla scala, di cui l’immagine si rifletteva su un piccolo specchio applicato al filo che si deviava. Si aveva così l'inconveniente che la tensione poteva solo essere diminuita nel filo gradatamente, dovendo essere in ogni momento il filo stirato per le letture; di più la tensione era continuamente variabile col tempo, per l’azione susseguente, in tutte le fasi variabili della deformazione. Tuttavia questa variazione, essendo proporzionale alla variazione di elongazione del filo verticale, potè portarsi in conto per determinare la legge del fenomeno introducendovi un nuovo coefficiente. L'essenziale, se uno studio sistematico di queste deformazioni variabili si volesse fare, sarebbe di realizzare un mezzo per seguire quelle variazioni fino dai primi istanti in cui la forza è venuta ad agire; ora tanto il metodo di Weber quanto quello di carica diretta richiedono almeno un buon numero di secondi per aver col cannocchiale fatta la prima lettura; qui occorrevano a ciò generalmente 30". Inoltre converrebbe sempre assoggettare il filo prima ad una serie di cariche con pesi eguali o maggiori di quello con cui si vuol sperimentare, e di scariche, a fine di eliminare tutti gli effetti di deformazione permanente. È naturalmente necessario sottrarre il filo ad ogni variazione di temperatura, perchè il coefficiente di dilatazione termica è notevole, e gli allungamenti su lunghezze notevoli si rendono molto sensibili. Le figure 12 e 13 riportano le curve di carica e scarica mediante 1 gr. per un filo di seta lungo originariamente 103 cm. Dopo 40’ l'allungamento essendo di circa 26,45 mm., non molto inferiore all’allungamento massimo che sotto quel peso il filo avrebbe potuto subire, la variazione della deformazione dopo i primi 60" appare circa 8,5 °/. Se si vuol fare il confronto colla curva della carica totale del conden- satore a seta naturale, si deve riferire la variazione di carica totale fra gli stessi limiti di tempo non a tutta la carica, perchè una gran parte di essa si sarebbe ad ogni modo condensata sulle armature del sistema se fosse mancato il dielettrico, ma alla sola porzione che si può presumere dovuta alla polarizzazione del medesimo. 460 LUIGI LOMBARDI Per avere una idea di questa basta sottrarre la: carica istantanea ridotta nella ragione della costante dielettrica della seta ad 1. Ebbene qui si trova una variazione enor- memente maggiore, perchè dopo i primi 60” di carica la massima parte della carica di polarizzazione era ancora da formare. La curva di scarica del filo ricorda più approssimativamente la forma della curva di scarica del condensatore, ma in parte se ne accennò già il perchè. Questo carattere è comune a tutte le curve di cui una serie numerosa fu rilevata in condizioni variate di lunghezza, di peso. Se si ricorre a bave di seta naturali, cioè tolte a fili naturali di bozzolo, che si presentano molto meglio distese, le differenze delle due curve scompaiono in gran parte come mostrarono parecchie serie di analoghe osservazioni. Però, se un dielettrico di questa natura si comportasse come la seta tessuta, e pare verosimile, bisognerebbe per ottenere tra gli stessi limiti di tempo una variazione paragonabile di polarizzazione considerare almeno il sistema privo della massima parte dell'umidità che allo stato naturale può avere condensata alla superficie ed internamente alla massa. In ogni caso non pare inverosimile che i fenomeni di elasticità dipendano meno marcatamente dallo stato igrometrico della sostanza, e che scindendo in modo rigoroso la parte di quelli di polarizzazione che si devono alla presenza di corpi secondari si possano trovare variazioni dello stesso ordine di grandezza per alcuni corpi. 238. — Concetto di Maxwell sui dielettrici: esperienze di Hess. È però chiaro che analogie della natura delle precedenti, le quali sono ridotte verosimilmente alla sola forma dei fenomeni, non ne implicano necessariamente una analogia stretta d’origine, sebbene possano studiarsi con frutto per dedurre degli uni o degli altri proprietà interessanti. Non altrimenti certe ipotesi artificiose possono ta- lora svilupparsi utilmente, sebbene più che per la loro verosimiglianza in ordine ai fatti della natura esse meritino di essere accolte come semplice modo di descrizione e di rappresentazione di questi. Così Maxwell si immaginava un condensatore a dielettrico lentamente polariz- zabile come un complesso di tanti condensatori ideali, a polarizzazione cioè istantanea e ad isolamento perfetto, collegati fra di loro in parallelo mediante grandi resi- stenze. Effettivamente la discussione di questa ipotesi non contraddice ad alcuno dei risultati sperimentali, ed il Dr. Behn-Eschenburg coll’analisi del caso più elementare di due condensatori soli ha compendiato in formole semplici i risultati del suo studio precitato di un cavo a guttaperca, mostranti la variazione della carica col tempo e della capacità colla temperatura. Recentemente il sig. Hess ha ripresa l’idea di Maxwell, ed in una memoria letta davanti la “ Société Frangaise de Physique , (1), a conferma dei calcoli teorici con- frontò il comportamento di un condensatore imperfetto con quello di un sistema di due condensatori messi in serie, possibilmente perfetti, ed aventi tra le armature l’uno una resistenza che si poteva ammettere infinita, l’altro una resistenza finita con- (1) “ La Lumière électrique ,, 26 nov. e 10 dic. 92; “ The Electrician ,, 3 marz. 93. et) DET di ciale PÉ ei ue STR LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 461 venientemente grande. Quando si chiude il circuito della pila la differenza di poten- ziale agli estremi del sistema resta costante; ma perchè la corrente di carica del primo condensatore deve attraversare la resistenza derivata sulle armature del se- condo, e, dopo aver raggiunto nei primi istanti un massimo, deve col tempo dimi- nuire a zero, la differenza di potenziale sulle armature del condensatore shuntato dopo essere passata per un massimo cade ancor essa a zero, ed in corrispondenza quella dell'altro condensatore sale gradatamente fino al massimo valore permanente dato dalla forza elettromotrice della pila. Le condizioni di equilibrio non si realiz= zano dunque se non con una certa lentezza, che dipende solo dalla ragione delle due capacità e dalla resistenza derivata. Alla scarica succede il fatto inverso, perchè la corrente di scarica attraversa in senso opposto quella resistenza, e la differenza di potenziale delle armature in questo condensatore passando per un massimo negativo viene a zero, onde, essendo zero la somma delle due, la differenza di potenziale nel primo diminuisce solo gradatamente col tempo. Se gli estremi si isolano a un dato istante, la differenza negativa del condensatore shuntato deve diventar zero, e quella dell'altro condensatore ha ancora un valore positivo che appare come differenza di potenziale totale quando la prima si è, secondo la legge esponenziale ordinaria, annul- lata. Evidentemente però alla carica il rapporto della forza elettromotrice alla corrente non ha nulla di comune col valore della resistenza, perchè in questo circuito essa è infinita, e solamente se una resistenza finita esistesse ancora tra le armature del primo condensatore si arriverebbe ad equilibrio stabilito ad una corrente di regime, invariabile, per cui dividendo la differenza di potenziale sui morsetti della pila si avrebbe la misura della resistenza totale. In tal caso però il fenomeno non sarebbe più tanto semplice, perchè anche sulle armature del secondo condensatore si stabi- lirebbe una differenza permanente di potenziale. In complesso i fenomeni di lenta polarizzazione si presentano con caratteri analoghi. Il sig. Hess eseguì la sua esperienza con due condensatori a mica di capacità rispettive 0.1 e 0.5 mF, mettendo sulle armature di questo in derivazione una resi- stenza di circa 100 megohm. Per avere una idea della approssimazione colla quale i fenomeni di polarizzazione lenta possono così essere artificialmente riprodotti fu qui istituita una serie siste- matica di osservazioni, variando singolarmente la ragione delle due capacità me- diante condensatori normali a mica graduati, e la resistenza derivata sulla prima di esse. La resistenza constava di sottili e lunghi tubi di vetro ripieni di una solu- zione allungata di solfato di rame, variamente collegati in serie o in derivazione. Le curve furono rilevate per tempi brevissimi col pendolo, e per tempi ordinari nel modo solito, ed effettivamente corrispondono alla forma generale delle curve di carica dei condensatori da noi esaminati, i La variazione della capacità e della resistenza ha: l’effetto che è facile @ priori di prevedere. Poichè la curva di carica a parità di resistenza sale tanto più lenta- mente verso la tangente orizzontale, e possiede un ginocchio a curvatura tanto più ampia, quanto più piccola è la capacità shuntata rispetto quella isolata; e veramente al limite se quella capacità si riducesse a zero si avrebbe nel circuito solamente il secondo condensatore polarizzabile in tempo brevissimo, ma in serie la grande resi- 462 LUIGI LOMBARDI stenza ch'era derivata sul primo, pel cui effetto la curva esponenziale si manterrebbe per lungo tempo lontana dalla sua tangente. Se invece si riduce a zero la seconda capacità non ha più luogo alcuna carica; onde, quando quella è piccolissima, è piccola la quantità di elettricità che st mette in movimento e l'equilibrio è ben presto rag- giunto. Se si varia poi la resistenza del shunt e le due capacità sono invariate, la curva si avvicina tanto più presto alla tangente quanto la resistenza è più piccola; se questa difatti si annullasse, la prima capacità non avrebbe più alcun effetto e la seconda si caricherebbe istantaneamente, per quanto la polarizzabilità della mica, che è qui un elemento secondario, lo concederebbe. Se la resistenza diventasse infinita non sarebbero più realizzate le condizioni qui poste, perchè si avrebbero due conden- satori in cascata, e la capacità del sistema, diversa da quella che in tutti gli altri casi si aveva, si caricherebbe, com'è naturale, istantaneamente: ma se quella resi- stenza fosse solamente grandissima, la capacità effettiva sarebbe solo quella del 2° condensatore, a caricare la quale occorrerebbe un tempo lunghissimo. Questo si è detto solo per conchiudere che con una scelta conveniente degli elementi del sistema si può sempre modificare a piacere l'andamento della curva, rendendo la variazione massima di carica, ed il tempo necessario perchè la carica sia completa, grandi quanto si vuole. È dunque sempre. possibile con un sistema di questa natura approssimare la rappresentazione dei fenomeni di polarizzabilità susseguente, e la forma è sempre riversibile come pei dielettrici fu verificato. Ciò non implica però che in fatto alcun che di simile si verifichi, anzi è assolutamente vero- simile che il processo di polarizzazione dipenda da cause molto meno complicate. 24. — Teoria dei dielettrici. La teoria più semplice e verosimile dei dielettrici si può ancora formulare prendendo a base l’idea enunciata da Faraday, che il dielettrico consista in un sistema di piccole masse conduttrici disseminate in un mezzo perfettamente isolante. Per una sfera conduttrice portata in un campo elettrostatico omogeneo è nota la legge semplicissima con cui si distribuisce l'elettricità indotta in ogni punto della superficie, variando la densità come il coseno dell’angolo che il raggio vettore corri- spondente della sfera fa colla direzione del campo. Se il potenziale di questa elettricità indotta si esprime per mezzo delle funzioni sferiche aventi per modulo quell’angolo, che è la sua espressione più semplice, si vede subito la forza ad esso dovuta in un punto qualunque esterno avere a quella in un punto interno la ragione dei cubi del raggio e della distanza del punto esterno dal centro. Siccome in tutti i punti della sfera conduttrice il potenziale è lo stesso, la forza ivi dovuta alla elettricità indotta è eguale e opposta a quella del campo. Da ciò deriva che, se il dielettrico si considera costituito da simili masse conduttrici di dimensioni molecolari disseminate a distanze non immensamente piccole, si potrà nello spazio che una qualunque di quelle masse occupa ammettere trascurabile rispetto la forza del campo tutte quelle dovute alle masse indotte di elettricità, cioè si potrà ammettere ognuna di quelle masse pola- rizzata nello stesso modo come se la sola forza del campo esistesse, intendendo per LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 463 polarizzazione lo svilupparsi di masse elettriche di segno opposto per induzione elet- trostatica. La distribuzione di masse elettriche che è indotta così equivale per tutte le azioni esterne ad una distribuzione uniforme di elettricità sulle faccie terminali del dielettrico, contigue alle armature, come se una distribuzione uniforme di elet- tricità positiva nella massa del dielettrico, prima della polarizzazione neutralizzata da una eguale di elettricità negativa, all’atto di quella si fosse spostata di uno spazio elementare nella direzione del campo: e questa è la forma discussa da Maxwell. Questo spazio, e quindi la densità costante di quella distribuzione, è proporzionale alla intensità del campo, cioè alla densità della distribuzione uniforme iniziale di masse elettriche sulle armature. Se questa proporzionalità si riferisce alla densità massima che la elettricità indotta aveva sulla sfera, perchè questa a sua volta è proporzionale all'intensità del campo, si trova come coefficiente di proporzionalità un numero m che è caratteristico di ogni sostanza, e rappresenta il rapporto della porzione di volume occupato nel dielettrico dalle masse conduttrici al volume totale. Ora è chiaro che, quanto quella densità di distribuzione fittizia è più grande alla superficie limite del dielettrico, tanto minore è diventato il potenziale delle armature se la quantità di elettricità è rimasta invariata. Per conservare alle armature lo stesso potenziale occorre dunque una quantità nuova di elettricità, e noi diciamo per defini- zione la capacità del sistema essere cresciuta per effetto della polarizzazione del dielet- trico; è questo coefficiente di accrescimento che misura l’effetto della presenza del dielettrico, e che è perciò detto costante dielettrica del medesimo. È facile mostrare dm lm proporzionale di volume occupata da sostanza conduttrice. Pei dielettrici comuni, dove la costante dielettrica è rappresentata da numeri di poche unità, noi dobbiamo solo ammettere pochi decimi del volume occupati da materia conduttrice; nei gas, che esso ha per espressione 1 + , cioè è direttamente funzione della parte dove questa parte non può essere che piccolissima, possiamo ritenere la costante dielettrica rappresentata da 1-- 3 w, cioè funzione lineare della densità come l’espe- rienza ha in ogni caso dimostrato. Nell’acqua, per citare uno tra gli elettroliti, la costante essendo elevatissima bisogna ammettere m notevole; ma si vede subito che la costante dielettrica deve diminuire crescendo la temperatura; difatti le esperienze recenti del sig. Heerwagen (1) hanno condotto alla formola x = 80,878 — 0.362 (ft — 17°). Così la discussione teorica permette di renderci conto dell’aumento di capacità quando un dielettrico è presente. Ma essa non contraddice alle manifestazioni che da noi si sono constatate di polarizzazione susseguente. Difatti in ciò che s'è detto non s'è altrimenti definita la conduttività delle particelle del dielettrico se non ammettendo che il potenziale fosse lo stesso in con- dizioni di regime nei singoli punti d’ ogni particella isolata. La forma di queste notoriamente non ha effetto, perchè tutto il ragionamento si può estendere al caso (1) Wiedem. Ann., 6, 1893 464 LUIGI LOMBARDI di forme qualunque, purchè le particelle si considerino eguali per semplicità, e dis- seminate a distanza notevole rispetto le loro dimensioni; e questo è in genere d'accordo coi principii della fisica molecolare. Ma quella definizione null’altro implica necessariamente riguardo alla natura di quella conduttività, e nulla ci persuade ch’essa abbia molti caratteri comuni colla metallica, o che le resistenze che là inter- vengono abbiano misure paragonabili a quelle dei conduttori comuni, o che la distri- buzione delle masse elettriche vi si faccia in tempi dello stesso ordine di grandezza. Nulla contraddice dunque all’ipotesi che la polarizzazione si vada facendo lentamente, e questa lentezza sia funzione della natura del corpo e delle condizioni in cui esso si trova. Quando si trova in presenza un altro corpo estraneo i fenomeni di indu- zione avvengono in questo indipendentemente, e nelle condizioni che per questo sono caratteristiche; se la costante di questo dielettrico è notevolmente più elevata di quella del primo, e se i fenomeni di polarizzabilità susseguente vi si verificano con molta lentezza, come indubbiamente accade per l’acqua, tracce insignificanti di esso possono bastare a mascherare il comportamento del dielettrico principale. 25. — Isteresi elettrostatica. La energia di polarizzazione, che nel dielettrico si trova allo stato potenziale, verrebbe pertanto a poco a poco restituita man mano che, cessata l’azione esterna, le molecole polarizzate si riavvicinerebbero alla loro condizione primitiva. Ma sarebbe essa completamente restituita? Se la conduttività delle particelle disseminate nel dielettrico fosse della natura di una conduttività metallica la polarizzazione sarebbe istantanea, e 1’ energia potenziale condensata nella massa sarebbe completamente ritrasformata in energia cinetica quando le armature si chiudessero in corto circuito. Ma la differenza che noi riscontriamo in quella conduttività ipotetica rispetto alla conduttività ordinaria fa prevedere che anche una quantità di energia possa nella doppia trasformazione essere dispersa in calore. Se per esempio noi supponiamo che le molecole abbiano assi di polarizzabilità particolare, che cioè l’induzione di masse elettriche per le forze elettrostatiche avvenga in direzioni determinate di preferenza che in altre, le molecole conduttrici cercheranno di orientarsi così che l’asse di polarizzazione principale sia nella direzione del campo, tenderanno cioè a rotare come le molecole elastiche nella teoria di Weber. Allora la condizione stessa che farà non essere la polarizzazione istantanea farà che un lavoro sia speso a vincere le resistenze molecolari. Il meccanismo della polarizzazione elettrostatica si mostrerebbe così strettamente analogo a quello della polarizzazione magnetica. Il lavoro disperso potrà essere caratterizzato come un lavoro d'attrito molecolare se si ammetterà che un attrito esista tra le molecole, e che possa essere governato da leggi che abbiano analogia con quelle dell’attrito dei corpi solidi. Se con un concetto analogo a quello dei magneti molecolari di Weber si volesse ammettere che le particelle del dielettrico possedessero per loro stesse una polarità elettrica permanente secondo assi determinati, ma orientati inizialmente in modo «esse ai eee In LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 465 indifferente, si incontrerebbe ancora l’ipotesi di un lavoro speso nelle rotazioni per l'orientamento delle molecole nel campo elettrostatico, ma la polarizzabilità della massa avrebbe un limite analogo a quello di saturazione dei corpi magnetici, e vi si avvicinerebbe dessa come questi alla saturazione loro, sempre più lentamente al crescere la forza elettrostatica. Questo però non è provato per ora dalla esperienza, la quale pare piuttosto conduca all’idea della proporzionalità della polarizzazione alla forza. Comunque è certo che una perdita di energia nella polarizzazione avviene, come prova il fatto noto da tempo che un condensatore assoggettato a cariche alternate si riscalda. Quella perdita può essere con frutto e razionalmente confrontata colle perdite di isteresi magnetica, come hanno fatto recentemente il signor Steinmetz (1), il signor Janet (2), e l'ing. Arnò (3); vogliasi poi accogliere come più probabile l'ipotesi di Wiedemann di un vero attrito molecolare, o vogliasi cercar di seguire anche qui l’idea moderna accettata per spiegare il meccanismo della polarizzazione magnetica mediante le sole azioni mutue tra le masse elementari polarizzate. È noto che il prof. Ewing è così riuscito a chiarire tutti i fenomeni di magne- tizzazione nella fase variabile col tempo e nella porzione che rimane come residuo al cessare della forza (4), al che si prestavano meno completamente le teorie di Weber e di Maxwell sull'esistenza d’una forza direttrice tendente a riportare le mole- cole magnetiche alla loro prima posizione, od in ogni caso, o solamente quando da questa esse fossero deviate d’un angolo inferiore ad un limite dato. Ora le forze tra le masse elettriche sono della stessa natura e governate dalle stesse leggi delle forze tra masse magnetiche. Nel caso della polarizzazione magnetica tutti i risultati della esperienza si ritro- vano nella teoria se si suppone che un determinato tempo passi dall’applicazione della forza al momento in cui la magnetizzazione ha raggiunto il suo valore corrispon- dente. Quel tempo si è imparato a misurare, e ad esprimere in funzione di esso le perdite di isteresi; esperienze recentissime con correnti alternative eseguite nel labo- ratorio di Zurigo ne hanno messo in sodo la dipendenza dalla frequenza e dalla caduta di potenziale, e formeranno oggetto di un altro mio piccolo studio. Nel caso della polarizzazione elettrostatica l'ipotesi di un ritardo di quella natura non offre per principio minore verosimiglianza, dal momento che le stesse variazioni di polarizzazione non avvengono che lentamente. Se un ritardo simile interviene, non è nemmeno difficile immaginare artifizi opportuni per constatarlo e per misurarlo, così nel caso in cui quelle variazioni avvengano lentamente, come in quello in cui si debbano ad una corrente alternativa di frequenza qualunque; poichè in ciascuno di questi il dielettrico può presentare un comportamento diverso, dipendentemente dalla rapidità delle variazioni, o dalla am- piezza, o dalla forma loro. (1) “© Elektrotechnische Zeitschrift ,, 29 aprile 1892. (2) © Comptes rendus ,, 20 febbraio 18983. (3) “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, 16 ottobre 1892; 30 aprile 1893. (4) “ Proc. Roy. Soc. ,, XLVII, 1890; “ Phil. Mag. ,, settembre 1890. Serie II. Tom. XLIV. 1 466 LUIGI LOMBARDI Così presso una ordinaria macchina alternatrice sarebbe facile rilevare ed ana- lizzare le curve della forza elettromotrice e della carica del condensatore, messo direttamente in serie sui suoi poli, per dedurne direttamente la differenza di fase. Per assoggettare invece a lente variazioni di polarizzazione un pezzo di dielettrico basterebbe lasciarlo oscillare in un campo elettrostatico sensibilmente uniforme, e qui si potrebbe studiare la variazione della legge di oscillazione per effetto del ritardo di polarizzazione, che originerebbe una coppia ritardatrice in ogni istante proporzio- nale al seno della sua misura angolare. Si constaterebbe così se quel ritardo esiste, perchè per scoprire la variazione di esso in funzione degli elementi che lo possono modificare occorrerebbe prima determinare esattamente l’azione che questi hanno sulla intensità della polarizzazione, cosa che non è ancora fatta. In modo analogo l’appa- recchio recentemente costrutto dall'ing. Arnò utilizza colla maggiore semplicità ed eleganza il principio delle rotazioni elettrostatiche, e misura per mezzo della torsione di una sospensione bifilare il momento che un campo elettrostatico continuamente rotante esercita sopra il dielettrico. È facile definire come questo momento sia funzione di quel ritardo, nell’ipotesi in cui ad esso sia esclusivamente dovuto. Difatti noi possiamo immaginarci la direzione del campo precedente in ogni istante nella rotazione la direzione della polarizzazione per un angolo x. Siccome in un campo uniforme, finchè la distribuzione di elettricità indotta non origina forze notevoli rispetto quella del campo, ogni elemento del dielettrico si polarizza nello stesso modo, noi possiamo considerare questa polarizzazione come equivalente ad una distribuzione di masse elettriche di segno opposto sulle opposte faccie dell’elemento nella direzione della polarizzazione. La densità è quella che in un condensatore noi abbiamo già considerato idealmente alle faccie di termine del dielettrico contigue alle armature, e che ci è nota in funzione della costante dielettrica e della intensità del campo. Ogni elemento avrà dunque un momento elettrostatico, definendo così il prodotto delle masse di elettricità alle faccie opposte per la loro distanza; il momento sarà proporzionale al volume, e la somma di tutti i momenti elementari darà il mo- mento totale. Nel campo rotante supposto uniforme la polarizzazione si produce ancora in modo analogo, salvo che un ritardo esiste, cioè la direzione del campo e quella del momento elettrostatico fanno un angolo fra di loro. Ma per definizione del campo elettrostatico ogni massa elettrica in questo sarà sollecitata nella dire- zione di esso da una forza ad essa proporzionale, e l’azione sull’elemento di dielettrico sarà un momento di rotazione elementare, e l’azione totale un momento totale eguale al momento elettrostatico moltiplicato per la intensità del campo e pel seno del- l’angolo che noi abbiamo chiamato «. Compendiando in formole, se K è la intensità del campo, ognuna delle sfere elementari conduttrici di cui noi immaginiamo costituito il dielettrico prende una distribuzione superficiale di elettricità indotta la cui densità in un punto qualunque, sul vettore che fa l’angolo @ colla direzione del campo, è K 7 08 = 0 cos 9. gr Se una di queste sfere conduttrici di raggio R è contenuta in ogni volume elementare LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 467 pari ad un cubo di lato a, immaginando in così fatti elementi suddiviso tutto il È ROC RI TCRIONE ESE x 4 sad dielettrico, gra il numero che noi chiamammo già m, così che la densità super- ficiale della distribuzione di elettricità che idealmente ci rappresenta la polarizzazione del dielettrico è DO Mio TEC che per noi è meglio conservare nella forma m K TApgeno. at perchè noi ricaviamo m dalla costante dielettrica. Se il volume del dielettrico è V, ed il campo è uniforme, così che la polarizzazione lo sia a sua volta, il momento p ) elettrostatico sarà dunque mK Va, 3 ed il momento di rotazione m K? \W= Sang 3 a cui sono proporzionali le perdite così dette di isteresi elettrostatica. Se per una data frequenza la polarizzazione avvenisse proporzionalmente al poten- ziale per ogni valore di questo, come per alcuni valori pare da noi dimostrato, le perdite sarebbero proporzionali al prodotto della intensità quadrata del campo pel seno dell'angolo che misura il ritardo della polarizzazione rispetto alla forza. Una forma analoga compendia l’analisi dei fenomeni di polarizzazione magnetica nel caso di un trasformatore a corrente alternativa, ed esprime le perdite di isteresi in funzione del ritardo angolare della magnetizzazione rispetto alla forza, e del coefficiente di induzione propria della spirale primaria. Queste perdite, che 1° espe- rienza mostra indipendenti dal carico del trasformatore, si possono rappresentare con P,ILosen2Tn%, ove P, è la differenza efficace di potenziale sui morsetti primari; I. la intensità efficace della corrente primaria quando la spirale secondaria è aperta; 2mnx è il ritardo di magnetizzazione, se x si valuta in tempo. Ora la resistenza del primario non ha effetto sensibile rispetto alla selfinduzione Q, nella resistenza apparente, onde può ritenersi I Da Lo — 2740? cioè le perdite di isteresi possono rappresentarsi con Pf sen(2T7n 2) 2720 468 LUIGI LOMBARDI o con molta approssimazione con Pira Qi Le nostre esperienze hanno dimostrato che crescendo P, il ritardo di magnetiz- zazione va lentamente diminuendo. D'altronde, essendo il ferro nei trasformatori generalmente lontano dalla saturazione, Q, cresce al crescere l'intensità di corrente, cioè la differenza di potenziale, come dimostra la forma della curva di magnetiz- zazione. Perciò per doppia ragione le perdite nel ferro crescono meno rapidamente del quadrato del potenziale primario, cioè della forza magnetizzante; e le due varia- zioni simultanee rispetto alla semplice legge di proporzionalità, le quali si possono rappresentare mediante diminuzioni rispettive dell’esponente nella formola, si accor- dano tra i limiti fra cui il trasformatore è generalmente adoperato in modo che quel- l'esponente ridotto si conservi sensibilmente costante e prossimo al valore 1,6 dato da Steinmetz. Ma è verosimile che per intensità di magnetizzazione molto minori, dove la curva di magnetizzazione si stacca più lentamente dalla tangente orizzontale, e per intensità molto maggiori, in corrispondenza alle quali Q, cresce assai lenta- mente, l’esponente della formola di Steinmetz non sarebbe perciò più esatto. Nel caso di un condensatore nulla è permesso di dire per ora con sicurezza riguardo al ritardo di polarizzazione, perchè questo non è ancora mai stato ‘diretta- mente misurato, ed è per ora una ipotesi. Però se un ritardo esiste è molto vero- simile che la sua variazione in funzione del potenziale sia di un ordine di grandezza assai piccolo o nullo, per quanto possono far supporre le forme rilevate delle curve di polarizzazione, che, pure per tempi notevolmente più brevi di iquelli che alle ordinarie frequenze corrispondono, si mostrano del tutto indipendenti dal potenziale. In tal caso le perdite di isteresi elettrostatica risulterebbero proporzionali al quadrato della intensità del campo, come già nelle sue prime esperienze sopra un condensatore a carta paraffinata il sig. Steinmetz (1) aveva verificato, misurando l’energia dissipata col wattometro. L'ing. Arnò (2) nei primi risultati pubblicati delle sue misure dedusse da una serie di osservazioni sopra un cilindro di ebanite un esponente di variazione delle perdite d’ isteresi elettrostatica in funzione del potenziale che si scosta poco dal- l'esponente di Steinmetz per la isteresi magnetica. In seguito a ciò Steinmetz (3) ha ripetute le sue esperienze, misurando ancora direttamente l’energia dissipata mediante il wattometro; ma scegliendo tali valori della resistenza e selfinduzione della spirale in derivazione di questo, che il ritardo w da essa prodotto nella corrente che l’attraversa sia poco differente dal ritardo a che in causa della, polarizzazione non istantanea del dielettrico subisce la corrente di carica attraversante la spirale principale. Siccome nell’energia che il wattometro x misura entra come fattore il seno della differenza a — w, e siccome w è costante, (1) “ Elektrotechnische Zeitschrift ,, 29 aprile 1892. (2) “ Rendiconti della R. Ace. dei Lincei ,, 30 aprile 1893. (3) “ Electrical World ,, 26 agosto 1893. LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 469 il metodo è particolarmente atto a mettere in rilievo le variazioni di a, se esse suc- cedono. Ma variazioni di questa natura tra i limiti estesi di queste osservazioni non fu possibile di constatare, onde parrebbe confermato che quel ritardo di polarizza- zione sia costante. Per rendersi ragione dei risultati delle esperienze di Arnò, Steinmetz si forma l’idea che nei dielettrici esista una doppia perdita di isteresi; una statica, la quale sarebbe analoga alla perdita di isteresi magnetica, e potrebbe essere governata da una legge eguale; ed una viscosa, la quale varierebbe come il quadrato della fre- quenza e della intensità del campo, non altrimenti che la perdita nel ferro per cor- renti di Foucault. Per piccole frequenze ed intensità di campo, come Arnò ha ado- perato, la prima potrebbe preponderare sulla seconda, e per frequenze grandi ed intensità notevoli essere non di meno quasi completamente mascherata da questa. L'ipotesi è ingegnosa, sebbene non accenni ad alcuna causa probabile per cui la isteresi statica debba variare con una legge non quadratica. L’analogia colle per- dite per correnti di Foucault ha anche caratteri di verosimiglianza, poichè ogni modi- ficazione dell’intensità del campo è prodotta mediante correnti variabili, le quali generano campi magnetici: nelle particelle conduttrici del dielettrico possono perciò prodursi correnti parassite; anzi queste sarebbero l’unica causa della dispersione di energia nei dielettrici secondo la teoria sostenuta da Hess (1). Quanto all'osservazione sulla influenza della frequenza differente, essa ha forse peso minore in seguito alle esperienze del prof. Sahulka (2), eseguite pure sopra un condensatore a carta paraffinata. Queste confermarono la proporzionalità della dissi- pazione di energia al quadrato del potenziale, sebbene siano state verosimilmente fatte con frequenze assai minori di quella che Steinmetz ha adoperata, e più vicine a quella di Arnò. Però resta la differenza dei limiti tra i quali l’intensità del campo fu variata nell’apparecchio di Arnò e si suol variare nei condensatori comuni. Infatti questi hanno quasi sempre uno spessore di dielettrico piccolissimo tra le singole armature, e tuttavia le misure dirette dell'energia dissipata con capacità non molto grandi richiedono l’impiego di potenziali notevolmente elevati. Per ora non è sufficientemente dimostrato che nell'intervallo totale che deve abbracciare quei limiti differenti il valore della costante dielettrica apparente, da cui noi dobbiamo dedurre il coeffi- ciente m della nostra formola, sia costante, e non si può nemmeno escludere « priori che su di esso frequenze molto elevate possano avere un’ influenza non trascurabile. Sopratutto resta la differenza sostanziale della forma secondo la quale la perio- dica variazione di campo si produce nei condensatori caricati con una semplice cor- rente alternativa, e nell’apparecchio di Arnò a campo continuamente rotante. Nostre esperienze hanno mostrato che le perdite di isteresi magnetica dipendono sensibil- mente dalla forma della corrente magnetizzante, anche quando la differenza è solo quella tra una curva sinusoidale semplice ed una curva complessa che risulta dalla somma di curve sinusoidali di frequenza diversa. Per ora non è ancor dimostrato (1) © La Lumière électrique ,, 26 nov.-10 dic. 1892. (2) © Wiener Sitz. Ber. ,, luglio 1893. 470 LUIGI LOMBARDI che nei campi magnetici rotanti le perdite di isteresi del ferro siano governate dalle stesse leggi che valgono nei campi somplicemente alternativi. Tanto meno si potrà presumere che leggi identiche valgano nei due casi per la isteresi elettrostatica. Che se una differenza di questa natura si verificasse, il nostro ragionamento teorico non varrebbe più nemmeno rigorosamente nel caso del campo rotante delle esperienze di Arnò. Invero, il campo rotante in queste è generato mediante due campi alternativi componenti che si producono con intensità eguale e differenza di fase di 90° fra due coppie di lastre di dimensioni 42 X 21 mm., affacciate alla distanza di 42 mm. Questi campi sono dovuti a differenze di potenziale prodotte da una mac- china Siemens, di cui la curva della forza elettromotrice è con molta approssima- zione sinusoidale. Così è soddisfatta la prima condizione perchè il campo risultante abbia intensità indipendente dal tempo. Ma qui non sono soddisfatte che approssi- matamente le condizioni per cui l'intensità sia indipendente dal punto dello spazio nel quale il campo si considera. Difatti i due campi elementari non sono certamente uniformi, e non lo può essere il campo risultante in tutto lo spazio occupato dal dielettrico; nè perciò lo può essere la polarizzazione di questo. A ciò si potrebbe verosimilmente ovviare in gran parte generando invece di due soli campi due coppie di questi tra quattro sistemi di lastre a curvatura cilindrica, due a due opposte, e abbraccianti il cilindro cavo di sostanza che si studia in una forma analoga a quella degli elettrometri a quadrante di Edelmann. I campi opposti dovendo essere eguali, richiederebbero solo due differenze di potenziale; ma i campi tra lastre molto vicine e parallele potrebbero rendersi più intensi crescendo la sensi- bilità, e più omogenei, cosa indispensabile per poter valutare con conveniente appros- simazione la forza ed il coefficiente di isteresi. Le quattro lastre interne potrebbero anche unirsi in un solo cilindro metallico, da tenersi a potenziale costante con una comunicazione a terra, e dove masse elettriche sarebbero solamente provocate per induzione; l’artificio sarebbe specialmente utile per esaminare il comportamento di sostanze ricavabili in fogli sottili facilmente pieghevoli, poichè allora basterebbe dar loro per sopporto un cilindro leggero per es. di carta rivestito di stagnola, oppure un cilindro di lastra sottilissima di alluminio. Finalmente non può essere dimenticato che in queste manifestazioni dei fenomeni di isteresi, i quali devono evidentemente essere legati da vicino a quelli di polariz- zazione lenta dei dielettrici, le condizioni esterne possono avere una grandissima influenza, e le proprietà del corpo che si studia possono essere in gran parte masche- rate da quelle di corpi secondari, come traccie di umidità. Noi vedemmo che l’ebanite e la mica che assorbirono una piccola quantità d’acqua presentano una variazione di carica addirittura colossale: in tal caso la sola presenza di un essiccante ordinario nell'ambiente chiuso dell'apparecchio non sarebbe sufficiente a ridurre la sostanza allo stato normale. i L’ing. Arnò ha in questi ultimi mesi istituita una serie sistematica di misure sopra campioni di dielettrici i più disparati. Quando i nuovi risultati saranno noti potrà accertarsi se e fino a qual punto le previsioni teoriche siano verificate in quelle condizioni particolari di esperimentazione (1). (1) Nei Rendiconti della seduta del 12 novembre 1893 della R. Accademia dei Lincei, pubblicati LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI 471 Comunque, il problema della applicazione razionale dei condensatori alla distri- buzione di correnti alternative, pel quale è resa tanto interessante la determinazione delle leggi quantitative di questi fenomeni, ha troppa importanza perchè ad esso non debba, volgersi l’attenzione di tutti gli studiosi di cose elettriche. dopo la presentazione di questa Memoria, sono riferiti i risultati delle misure dell’ing. Amò a cui in questa s'era fatto allusione. Questa lunga serie interessante di osservazioni, estesa a 14 dielettrici diversi, ha riconfermata nell’autore l’idea che la dissipazione di energia nel campo elettrostatico rotante sia dovuta ad una vera isteresi elettrostatica, regolata da una legge eguale a quella che Steinmetz verificò per l’isteresi magnetica nel ferro. Solamente una serie ulteriore di esperienze comparative potrà constatare se questa conclusione si verifichi anche nel caso dei condensatori nei circuiti di semplici correnti alternative. Intanto nei risultati attuali è notevole che la mica, la quale, opportunamente preparata, si com- porta rispetto ai fenomeni di polarizzazione come ottimo tra i dielettrici conosciuti, qui presenterebbe il massimo coefficiente di isteresi. La minima dissipazione di energia tra i dielettrici più comunemente adoperati si riscontrerebbe nella paraffina, e questo si accorda coi risultati di esperienze recenti del sio. Kleiner (*) e di altre ultimamente istituite nel laboratorio di Zurigo per misurare direttamente il riscaldamento del dielettrico sotto l’azione di cariche alternate ad alta frequenza ed alto potenziale. La variazione di temperatura della paraffina apparve quasi inapprezzabile, sebbene ricercata coi più delicati metodi di misura di resistenze metalliche, aventi coefficiente di variazione notevole. Ma il risultato più importante sta nell'ordine di grandezza dei coefficienti di isteresi che Arnò ha misurato in valore assoluto. Difatti, ammettendo anche che nella mica e nelle altre sostanze il fenomeno non sia qui stato turbato dalla presenza di traccie di umidità, la dissipazione di energia nei dielettrici principali delle misure predette quando il campo elettrostatico ha una intensità eguale ad un'unità C.G.S. sarebbe compresa tra 556 e 21 erg per centimetro cubo e per 1”, essendo solo legger- mente minore per la gommalacca e per l’ambra. Siccome la frequenza era di 40 periodi per 1”, l’energia dissipata sarebbe compresa tra 13.6 e 0.52 erg per 1 cm. e per ciclo di polarizzazione, e si conserverebbe per la maggior parte dei coibenti più vicina a questo limite minore. La grandezza di questi coefficienti sarebbe notevolmente più alta di quella dei coefficienti d’isteresi magnetica dati da Steinmetz, i quali per una massima induzione magnetica rappresentata da un'unità C.G.S. cor- rispondono ad una perdita per ciclo di 0.002 a 0.08 erg per 1 cm.5, dal più dolce ferro fucinato al più duro acciaio adoperato per magneti permanenti, conservandosi per buoni materiali ordinari più vicina al limite minore. Però in quasi tutti gli apparecchi dove il ferro è utilizzato per le sue proprietà magnetiche, e dove le perdite di isteresi possono avere un’importanza non trascurabile, il flusso unitario d'induzione magnetica suol essere dell’ordine di parecchie migliaia. Nei condensatori comuni, anche in quelli costrutti per le più alte differenze di potenziale alternative, difficilmente l'intensità di campo supera un centinaio di unità assolute. Se nei due casi, per assumere valori non lontani dai medii, le intensità dei campi misurate nelle rispettive unità fossero rappresentate da 10.000 e da 100, e se le dispersioni di energia seguissero la stessa legge esponenziale, la ragione dei fattori esponen- ziali delle quantità di energia dissipate sarebbe all'incirca 1600 :1, cioè di un ordine di grandezza che differisce poco da quello della ragione inversa dei rispettivi coefficienti di isteresi. A parità di frequenza le dissipazioni di energia per unità di volume sarebbero dunque pa- ragonabili! (#) © Wiedem. Ann. ,, 50. 1893. Ha HW o O 0 i adi DE DO ND D DD DE-EHELEHELHKHH Ut È 00 DN Hi © © 0 SI Si U È VW N LUIGI LOMBARDI — LENTA POLARIZZABILITÀ DEI DIELETTRICI INDICE DELLE MATERIE NEI DIVERSI PARAGRAFI . Polarizzabilità lenta di alcuni dielettrici. . Un condensatore a seta: costante del dielettrico. . Influenza dell’umidità sulle proprietà del dielettrico. . Proporzionalità della carica al potenziale. . Misura della resistenza del dielettrico col metodo della perdita di carica. . Misura diretta mediante l’intensità di corrente. i . Indipendenza della resistenza della seta dalla intensità di corrente. . Variazione della carica residua in funzione del potenziale. . Variazione in funzione della durata di carica. . Fenomeni di carica e scarica durante tempi brevissimi. . Cariche e scariche oscillanti. . Periodo di oscillazione. . Durate brevi di carica col pendolo di Helmholtz. . Il primo condensatore a seta essiccata. . Altri condensatori a seta. . Un condensatore a seta di capacità notevole. . Variazioni di carica per dielettrici diversi. . Osservazioni sui fenomeni di lenta polarizzabilità. . Fenomeni di lenta deformazione elastica: misura del modulo di elasticità. . Analogia dei fenomeni di lenta polarizzazione dielettrica: misura delle capacità. . Leggi dei fenomeni inversi di polarizzabilità. . Curve di deformazione elastica della seta. . Concetto di Maxwell sui dielettrici: esperienze di Hess. . Teoria dei dielettrici. . Isteresi elettrostatica. F|ISLEPEERTE REEF ES”: (REZUOESNI CRI ETURII I Fa DI i RI i Bi i sua n FRI > From dua Fig.3- Carica totale Tio Fig.1.2- Curve di carica del condensatore a seta Wu (Cusco) louno © RG Li LIE LLEENTI MEI Sed CEI Portigttri T1Ca resli Ca WIEN as RI i A SE Fig.4 orapauosanssupotzu0 Fig. 10.11 - Corrente di carica e scarica per un cond. a carta paraffinata nibunag Vani REGninza Lt. sa ai mì Tav. IL lo di seta fi di un ioni elastiche Deformaz Fig. 5.678.9.- Curve di carica con dielettrici diversi Fig. 12.13 PILE PENE RE ti Ut Ji DITTERI DEL MESSIC . PARTE TERZA MUSCIDAE CALYPTERATAE OCYPTERINAE, GYMNOSOMINAE, PHASINAE, PHANINAE, TACHININAE, DEXINAE, SARCOPHAGINAE MEMORIA DEL Dott. E. GIGLIO-TOS Assistente al R. Museo di Anatomia comparata. con 1 TAVOLA Approvata nell’Adunanza del 17 Dicembre 1893. MUSCIDAE CALYPTERATAE OCYPTERINAE I — Gen. OCYPTERA. Larremne, Histoire nat. des Insec. et Crustac., XIV, p. 378 (1804). 1. — Ocyptera Dosiades. Ocyptera Dosiades Waker (87), Part IV, p. 695. — van per Wu (84), p. 15, 1. — Truer Townsenp (31), I, p. 143. ? Ocyptera Euchenor Waxker (37), Part IV, p. 696. — Trrer Townsenp (81), I, p. 144. Ocyptera binotata Bisor (2), p. 44, 4. — Tyxer Townsenp (31), I, p. 144. Ocyptera soror Bigor (2), p. 46, 8. — van per Wurr (6), IL p. 5, 1. Ocyptera simplex Biaor (2), p. 47, 9. Ocyptera atra Ròper (22) p. 344. Ho potuto esaminare 13 esemplari in parte maschi ed in parte femmine i quali corrispondono all'una od all’altra delle descrizioni sopracitate. Dopo un'osservazione accurata dei singoli individui non mi fu possibile assolutamente di distinguerli in varie specie, ma dovetti comprenderli in una sola ed unica, molto variabile però nella Serie II. Tom. XLIV. 3 474 DITTERI DEL MESSICO colorazione. I caratteri costanti di questa specie sono la colorazione nera delle an- tenne, della proboscide, del torace e dello scudetto, dei piedi, e la colorazione bianca delle calittere. Variano invece assai la colorazione della faccia e dell'addome, l’in- tensità della infoscatura delle ali, la statura, la leggera pollinosità del torace, e le nervature alari; ma si nota un così graduale ed insensibile passaggio nel variare di essi che non mi fu possibile fare ùna separazione netta delle varie forme. In tutti gli esemplari mancano le setole discali dell'addome e solamente sono presenti quelle presso il margine posteriore dei segmenti. Le macchie giallo-rossiccie laterali dell'addome sono talora così grandi da occupare buona parte dei segmenti secondo e terzo (0. Dosiades) e in tal caso le ali sono talora più intensamente offu- scate (0. dinotata); oppure le macchie addominali occupano una più piccola parte laterale dei segmenti (0. soror) e talora scompaiono affatto (0. atra). Le dimensioni variano da mm. 10 a mm. 7. La faccia, generalmente a riflessi bianchicci, ha talora riflessi giallicci special- mente verso la sua sommità ed ai lati del fronte. Le ali sono più o meno intensa- mente offuscate; la vena trasversa apicale, talvolta fortemente, tal’altra più debolmente arcuata; la vena trasversa posteriore curvà o quasi diritta; la vena quarta longi- tudinale munita di breve appendice o priva. La lunghezza degli uncini dei piedi è il carattere sessuale secondario del maschio. Noto inoltre che il nome specifico di soror dato dal Bigor non potrebbe essere accettato, perchè già usato dal WieDEMANN per indicare un’altra specie di Ocyptera del Capo di Buona Speranza (40) II, p. 652, 7. Ocyptera minor R6DER (22), p. 344, è distinta da questa specie per avere le setole discali sull’addome. Has. — Nord-America: Nova Scotia, Massachusset, Newfoundland (37), Balti- more (2), Quebec (34), Minnesota, New Messico; Jowa, Hlinois (31) — Portorico (22) — Messico (2): Orizaba (6), Orizaba (Boucarp, SumicHRAST). II. — Gen. XANTHOMELANA. van DER WuxP (35); p. 188. 2. — Xanthomelana articulata. (Fig. 12, capo). Xanthomelana articulata van per Wutr (35), p. 188. Maschio. — Faccia concavà bianco-gialliccia con riflessi dorati, ai lati delle antenne giallo-dorata; epistomio molto sporgente; ai lati della boccà una serie di piccole setole; vibrisse deboli ed inserite assai al di sopra del margine orale. — Proboscide lunga quanto è alto il capo, nera; palpi lunghi come la proboscide, fili- formi, gialli, neri all'estremo apice. — Fronte larga al vertice un terzo della lar- ghezza del capo, e tutta occupata quivi dalla striscia mediana larga, nera, vellutata; ai lati in basso giallo-dorata: ad ogni lato di essa una serie di deboli setole incro- ciate, che discendono solo finiò alla base delle ‘antenne. — Antenne nere; il primo DEL DOTT. EF. GIGLIO-TOS 475 articolo cortissimo; il secondo un po’ più lungo con alcuni peli superiormente; il terzo triplo del secondo, stretto, lineare, un po’ concavo superiormente, un po’ convesso al di sotto; stilo nero, lungo quanto il terzo articolo, ingrossato per quasi tutta la sua lunghezza. — Occhi grandi, giungenti fin presso al margine orale, oltrepassando le vibrisse, nudi. — 7orace nero, vellutato; una fascia sottile trasversale nel mezzo e due larghe striscie laterali che congiungono la fascia al margine anteriore, giallo- dorate; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero; due setole all’apice incrociate | e due più lunghe ai lati di queste divergenti. — Addome lungo, quasi conico, giallo, sparso di piccoli peli neri; sul secondo e terzo segmento una macchia nericcia lon- gitudinale nel mezzo; sul quarto una simile macchia dilatata al margine posteriore in una fascia trasversale; il quinto ed il sesto totalmente neri; su ogni segmento, escluso il primo, due setole dorsali mediane e due laterali, solo marginali. — Ventre uniformemente giallo. — Piedi neri; anche, base dei femori anteriori e mediani e metà basale dei femori posteriori, gialle; uncini e pulvilli lunghi; pulvilli giallicci. — Ali nere, gradatamente meno offuscate dal margine anteriore al posteriore; cellula apicale chiusa e peduncolata all’apice dell’ala; quarta vena longitudinale curva alla sua piegatura; piccola vena trasversa posta al di là del mezzo della cellula discoi- dale; vena trasversa posteriore fortemente convessa. — Culittere gialliccio. — Bilan- cieri gialli. Lunghezza mm. 6. Un solo maschio. Has. — Messico (35): Orizaba (SumcHRAST). GYMNOSOMINAE II — Gen. GYMNOSOMA. Mrercen (17), II, p. 278, 100. 3. — Gymnosoma — ? Un solo esemplare mancante di capo determinato dal BeLLARDI come apparte- nente al genere Gymnosoma, e coll’addome quasi simile a quello di G. rotundatum, cioè globoso, giallo-ranciato, con una macchia tondeggiante nera sul dorso di ogni segmento presso il margine posteriore. HaB. — Puebla (SAussuRrE). IV. — Gen. CISTOGASTER. Larrerte (8), V, p. 511. 4. — Cistogaster ferruginosa. Cistogaster ferruginosa van per Wuxp (35), p. 187. Riferisco a questa specie, stando alla breve diagnosi del van DER WutP, un maschio di circa 7 mm. di lunghezza, colla faccia, i lati del fronte, il torace e lo 476 DITTERI DEL MESSICO scudetto ocracei, con riflessi dorati sulla faccia ed ai lati del torace; il terzo arti- colo delle antenne alla sua base e nella parte inferiore e l’addome sono fulvi; i primi articoli delle antenne, la striscia mediana del fronte, e le striscie del torace poco distinte, la base dell'addome ed i piedi sono neri; le ali un po’ gialliccie alla base; le calittere gialle. Has. — Messico (35): Mexico (TEUQUI). 5. — Cistogaster variegata. Cistogaster variegata van per Wuxr (35), p. 187. Un solo esemplare maschio distinto da C. ferruginosa per le dimensioni minori (mm. 5 circa), per il terzo articolo delle antenne nero e di forma ovale, per le quattro striscie del torace più distinte e per avere sui segmenti quarto e quinto dell'addome delle macchie confuse nere al margine posteriore. Has. — Messico (35): Orizaba (SumicHRAST). PHASINAE V. — Gen. TRICHOPODA. Trichiopoda Larzente (8), V, p. 512. 6. — Trichopoda lanipes. Thereva lanipes Fasricius (11), p. 220, 10. Trichiopoda lanipes Larrente (8), V, p. 512. Trichopoda lanipes Wrepewann (40), II, p. 270, 4. — Rosineav-Desvomy (21), p. 284, 5. — Wake (37), Part IV, p. 696. — Osren Sacxen (20), p. 146. — Tyuer Towxsen (31), Paper I, p. 138. Tre femmine. Has. — Carolina (11, 40, 21) — Georgia (87) — New Mexico (381) — Messico: Cuantla (SAUSSURE). 7. — Trichopoda pyrrhogaster. Trichopoda pyrrhogaster Wrepemanx (40), II, p. 272, 6. — van per Wurr (34), p. 15, 3; (6), II, p. 3, 2. — Truer Townsenp (81), I, p. 188. Trichopoda pyrrhogastra Ròper (22), p. 344. Due soli maschi. Ha8. — Sud-America ? (40) — Guadalupa (34), Portorico (22) — Guatemala: San Ger6nimo (6) — Messico: Orizaba, Cuernavaca (SumIcHRAST). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 497 8. — Trichopoda pennipes. Musca pennipes Fagricius (10), p. 348, 149. Dictya pennipes Fagricis (41), p. 327, 5. Phasia jugatoria Sax (28), p. 172, 2. — Complete Writ., IL, p. 364. Trichopoda pennipes Wiepemann (40), II, p. 274,9. — Rosmesu Desvomy (21), p. 283, 1. — Waxker (37), Part IV, p. 696. — Osten Sacken (20), p. 146. — van DER Wutr (34), p. 15, 2; (6), II, p. 3, 1. — Braursr e BercensramM (7), I, p. 147 (part.). — Tyuer Towssew (31), Paper I, p. 138. Un solo maschio privo di capo. Has. — Nord-America (10, 87, 11, 40): Carolina (21), Indiana (28), Florida, Georgia (37), New Mexico (31) — Repubblica Argentina (84) — Messico: Pre- sidio (6), Orizaba (SUMICHRAST). VI. — Gen. ACAULONA. van per WutP (6), II, p. 4. 9. — Acaulona costata. Acaulona costata van per Wuxr (6), II, p. 4, 1, tab. II, fig. 1, 1a, 109. — Braurr e Brreensramm (7), IT, p. 388. — Trier Towwsenp (81), Paper I, p. 141. Un solo esemplare che reputo maschio per avere gli uncini ed i pulvilli dei tarsi assai sviluppati, e che differisce solo da quelli descritti da van per WuLP per l'addome di forma più stretta e più allungata di quanto è rappresentato nella figura. Le appendici genitali da quell’autore disegnate non sono in esso visibili, forse perchè ripiegate sotto il ventre che è concavo. Io credo fermamente che gli esemplari esa- minati dal van per WuLP sieno femmine, avendo essi gli uncini ed i pulvilli dei tarsi molto piccoli. Has. — Messico: Orizaba, Medellin presso Vera Cruz (6). — Senza indicazione di località messicana (SUumIcHRAST). PHANINAE VII. — Gen. PENTHOSIA. van DER WurP (35), p. 189. , 10. — Penthosia satanica. (Fig. 1, capo). Scopolia satanica Bisor (5), p. 254, 5. Penthosia satanica van ver Wute (35), p. 190. Maschio. — Faccia obliquamente ritratta, nera, lucente, con riflessi argentini ai lati, se si osserva obliquamente dall’alto ; epistomio appena sporgente; una serie 478 DITTERI DEL MESSICO di peli tenui lungo le creste facciali; guancie alte circa più della metà del diametro longitudinale degli occhi; vibrisse appena distinte inserite al margine orale. — Pro- boscide e palpi neri. — Fronte un po’ sporgente, larga circa un terzo del capo, nero- vellutata, munita di una serie di peli sottili ai lati di una larga striscia mediana indistinta. — Occhi nudi. — Antenne lunghe nere, obliquamente dirette in avanti; primo e secondo articolo brevi e quasi uguali; il terzo molto più lungo, circa sei volte il secondo, appena più largo nel mezzo, tronco all'apice; stilo nero, lungo quanto il terzo articolo, sottile, appena pubescente. — Occipite piatto in alto, fortemente rigonfio in basso dietro alla bocca, nero lucente. — Torace quadrangolare, nero un po’ lucente, rivestito di peli neri, più lunghi sulle pleure ed agli angoli anteriori, munito di qualche setola alla base delle ali, ed agli angoli posteriori. — Scudetto grande, semicircolare, nero, con due setole per ogni parte al margine e due altre apicali un po’ più deboli, fortemente incrociate. — Addome più stretto del torace, molto più lungo di esso, quasi cilindrico, simile a quello delle specie di Ocyptera, ricurvo all’apice e munito di un ipopigio sporgente e bitubercolato; uniformemente nero, lucente, tendente al violaceo, rivestito di corti peli neri, con due setole dorsali ed una laterale solo marginali e brevi sui segmenti terzo, quarto e quinto ; segmento primo brevissimo, gli altri lunghi e quasi fra loro uguali; il secondo munito ai lati di lunghi peli neri. — Ventre colorato come l'addome, ma più lungamente peloso. — Piedi lunghi, robusti, pelosi e setolosi, di color nero-pece, un po’ lucente; i femori anteriori con tre serie di setole, una lungo il margine superiore, due lungo il mar- gine inferiore, di cui una interna, l’altra esterna; gli altri femori con setole irrego- larmente disposte, le tibie anteriori prive di setole fuorchè all’apice, le mediane e le posteriori munite di qualche setola anche verso il mezzo; le tibie posteriori più robuste e curve; i tarsi lunghi quasi quanto le tibie cogli articoli apicali un po’ dila- tati e con alcuni lunghi peli apicali sull’ultimo. — Uncini e pulvilli molto lunghi; i pulvilli giallo-pallidi. — Al interamente fuliginose; cellula apicale chiusa e pedun- colata; la quarta vena longitudinale piegata ad angolo retto e quivi appendicolata; vena trasversa apicale e vena trasversa posteriore ripiegate ad S; piccola vena trasversale posta quasi nel mezzo della cellula discale. — Calittere e bilancieri neri; questi fulvi alla base. Femmina. — Differisce per il fronte appena un po’ più largo, i piedi un poco meno pelosi e specialmente poi per i pulvilli e gli uncini meno lunghi e l'apparato copulatore che in essa appare formato da una piccola appendice ricurva in basso, sporgente dall’ultimo segmento dell’addome che è tronco obliquamente. Lunghezza mm. 15 circa. La specie Hermyia afra RoBineAU Desvory (21), p. 227, 1, ben distinta da questa, non è forse di questo stesso genere? Maschi: 3. — Femmine: 2. Has. — Messico (5): Orizaba (SumicHRAST). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 479 VII. — Gen. HEMYDA. Rosmzau Desvory (21), p. 226, IL ll. — Hemyda armata. Ancylogaster armatus Bieor, Bull. Soc. entom. de France, 1884, p. xx. Tre maschi. La espressione usata da Brgor nella diagnosi del suo genere Ancylogaster : “«“ antennis.... Segmento tertio angusto, obtuso, secundo maxime longiore , è molto oscura e trasse in errore il distinto ditterologo TyLer Townsenp che credette essere il secondo articolo assai più lungo del terzo, mentre è l’opposto. Quest’errore è evidente nella sua tavola analitica dei generi delle Ocypteridae in: “ The North American genera of Calypteratae Muscidae ; Paper I (Proced. ent. Soc. Washington, II, n°1 — 1891), a p. 98. i Has. — Messico (Bigor): Orizaba (SumcaR.). TACHININAE IX. — Gen. ECHINOMYIA. Echinomya Dumgri, Exposition d'une méthode natur. pour la classif. et l’étude des Ins. (1798); Consid. gén. sur la Classe des Ins., p. 231 (1823). 12. — Echinomyia robusta. Tachina robusta Wrevewann (40), II, p. 290, 15. Echinomyia analis Macquart (16), 1° suppl., p. 144, 4, tab. 12, fig. 3. — Ty.er Townsen (82), p. 10. Echinomyia haemorrhoa van per Wutr (33), p. 145, 17, pl. 4, fig. 13-16. — Winston (41), p. 30. Echinomyia robusta van per Wurr (34), p. 19, 8; (6), p. 32, 1, tab. II; fig. 10.0. — Tyyrr Towxsen (31), Paper II, p. 93. Peleteria robusta Braver e Bercensranm (7), Pars II, p. 408. — Trier Townsem (32), p. 11. 2! Tachinodes robusta Bravrr e Bercenstanm (7), Pars II, p. 409 nec ibid. p. 488. Un solo esemplare femmina, alquanto guasto, che concorda bene colla descrizione del WirpemAnn. Il carattere delle setole sulle guancie è troppo costante in alcune specie di questo genere, sieno europee od esotiche, perchè la Tachina (Echinomyia) Anazias di WALKER (87) Part. IV, p..726, possa essere identificata con questa specie, giacchè nella descrizione è detto: “ no bristles on the sides of the face ,. 480 DITTERI DEL MESSICO Ha. — Montevideo (40) — Repubblica Argentina (34) — Colombia (16) — Nord America (38): White Mountains (41); Costantine, Nebraska, Jowa, Carlinville, New Hampshire, New York, Ottawa (31) — Costa Rica: Volcan de Irazu (6) — Messico: Ciudad in Durango (6), Cordova (SAUSSURE). 13. — Echinomyia filipalpis. Echinomyia filipalpis Ronpani (27), p. 15. — Tvrer Towxsenp (32), p. 10. Echinomyia Cora Bieor (3), p. cx1; (4), p. 81, 3. i Echinomyia robusta van per Wutr (6), p. 32, 1 (partim). Dalla breve diagnosi di E. Cora Bigor non appare che questa specie differisca da E. filipalpis RonpaNI se non per la colorazione bruno-scura delle tibie. In quasi tutti gli esemplari da me osservati le tibie, specialmente le posteriori, hanno almeno nel mezzo un color ferruginoso scuro, in qualcun altro sono pressochè nere. Non credo che la specie E. Cora possa venir distinta da quella del RonpANI per questo solo carattere. Maschi: 4 — Femmine: 1. Has. — Chilì (27) — Messico (4): Oaxaca (SALLE). 14. — Echinomyia cinerascens. Echinomyia cinerascens Bieor (5), p. 256, 12. Un solo esemplare femmina mancante delle antenne, che riferisco perciò dub- biosamente alla specie suddetta. — Faccia bianca con due setole alle guancie. — Fronte dello stesso colore con qualche riflesso bruno e la striscia mediana fulvo- rossiccia. — Torace nero, come al solito grigio-pulverulento: angoli posteriori testaceo- bruni, così anche lo scudetto. — Addome nero, notevolmente cosparso della solita pulverulenza argentina, assai abbondante, mancante solo al margine posteriore dei segmenti, assai più splendente e visibile sull’ultimo segmento: i lati del secondo e terzo segmento sono bruno-testacei. — Piedi neri. — Al grigie, gialliccie alla base e lungo un certo tratto del margine anteriore. Has. — Messico (5): Solco (SumIcHRAST). 15. — Echinomyia macrocera. Echinomyia macrocera Bisor (3), p. cx1; (4), p. 81, 4. I palpi sono assolutamente filiformi nei due sessi. In un esemplare maschio osservai un po’ di color ferruginoso-scuro ai lati del secondo e terzo segmento del- l'addome. L’addome della femmina è, come al solito, alquanto più corto e quasi subgloso, mentre quello del maschio è assai più oblungo coll’organo copulatore assai DEL DOTT. F. GIGLIO-TOS 481 sviluppato e sporgente di color nero lucente, e coperto di numerosi peli neri misti a setole. Riferisco a questa stessa specie un maschio ed una femmina che differiscono per la maggiore statura e per la pruinosità del torace e dello scudetto molto più abbondanti. Potrebbero forse essere distinti in una nuova specie. Maschi: 4 — Femmine: 2. Has. — Messico (4): Oaxaca (SALLE). X.— Gen. MICROPALPUS, Macquarr (15), IT, p. 80. 16. — Micropalpus fulgens. Tachina fulgens (Horree) Mzren (18), IV, p. 259, 34, tab. 41, fig. 23. — ZerrerstenT (43), INT, p. 1096, 93. Linnaemya Heraclei Rosingau-Desvony (21), p. 53, 3. Linnaemya analis Ros.-Desv. (21), p. 54, 4. Linnaemya distincta Ro8.-Drsv. (21), p. 54, 5. Linnaemya aestivalis Rog.-Desv. (21), pi 54, 6. Linnaemya borealis Ros.-Desv. (21), p. 54, 7. Micropalpus Beraclei Macquarr (15), IL p. 81, 3. Micropalpus analis Macquart (15), II, p. 82, 4. Micropalpus borealis Macquarr (15), II, p. 82, 5. Micropalpus comptus Roxpaxi (26), III, p. 70,7. — Brausr e Bergensramm (7), I, p. 133 e II, p. 408. Micropalpus fulgens Merce (18), VII, p. 217, 1, tab. 70, fig. 12-15. — Scamer (29), I, p. 428. — van per Wuce (6), II, p. 34, 1. Un solo esemplare femmina, colle antenne affatto nere, lo scudetto interamente testaceo e la parte mediana delle tibie di mezzo alquanto testaceo-oscura. Non ritengo sinonimo di questa specie il M. fulgens Macquart (15) II, p. 83,10, perchè nella sua descrizione è detto: “ Troisiome article des antennes subitement élargi , che credo invece un carattere distintivo della specie seguente. Has. — Europa (Aucr.) — Nord America (21) — Messico: Presidio, Ciudad in Durango (6), Orizaba (SumicHRAST). 17. — Micropalpus comptus. Tachina comta Farcén (9), II, Muscides, p. 24, 48. — Zerrersrenr (43), II, p. 1094, 91. ? Tachina marmorata Mzrsen (18), IV, p. 261, 36. Senre IL Tom. XLIV. xi 482 DITTERI DEL MESSICO ? Micropalpus marmoratus Mursen (18), VII, p. 217, 8. Micropalpus fulgens Macquart (15), IT, p. 83, 10. Micropalpus comtus Scamer (29), I, p. 429. Due esemplari femmine, di cui uno mancante del terzo articolo delle antenne, che riferisco con dubbio però a questa specie, essendo distinti dalla antecedente per la forma subitamente allargata del terzo articolo antennale, per avere le guancie munite di una o due setole e l'addome più snello. Has. — Kuropa (Avor.) — Messico: Tuxpango (SumicHRast), Tampico (SAUSSURE). XI. — Gen. GYMNOMMA. van DER WurP (6), II, p. 38. 18. — Gymnomma novum. (Fig. 2, capo). Gymnomma novum Gievro-Tos (13), p. 1. Femmina. — Faccia gialla: epistomio assai prominente; lati della faccia sparsi di piccoli e brevi peli, ma sprovvisti di vere setole. — Proboscide nera, alquanto lunga. — Fronte assai larga, più stretta in alto, nericcia, giallo-pollinosa, con due serie di setole, e fra queste sono sparsi dei peli alquanto lunghi; striscia mediana rossiccia. — Antenne gialle; terzo articolo circa doppio del secondo, securiforme, note- volmente dilatato verso l’estremità e obbliquamente troncato, nero, appena un po'giallo alla base; stilo assai lungo, robusto, appena visibilmente pubescente. — Occipite adorno di peli gialli, assai lunghi ed abbondanti in basso. — Torace e petto giallo- olivaceo-pollinosi, le striscie nere appena visibili; due appaiate mediane anteriori e due laterali interrotte alla sutura; alcune setole nere assai lunghe ai lati ed al mar- gine posteriore. — Scudetto fulvo, leggermente giallo-pollinoso, privo di spine e solo munito di setole, di cui alcune assai lunghe. — Addome ovale, privo di vere spine, fulvo, con una macchia nera nel mezzo dei segmenti primo, secondo e terzo; quella del secondo si estende dal margine anteriore al posteriore; quella del terzo è abbre- viata anteriormente; sul quarto una macchia bruna meno distinta, abbreviata ante- riormente e quivi biloba. Il primo segmento è sprovvisto di setole; il secondo ne ha sul dorso due discali e due marginali, ed una per parte ai lati; il terzo ne ha due discali ed una serie di 10-12 marginali; il quarto ne porta molte, specialmente alla sua estremità. — Ventre fulvo, nero all'apice, dove è specialmente coperto da numerose setole e peli neri frammisti. — Piedi fulvi con peli neri e setole nere, notevolmente lunghe sulle tibie posteriori (i piedi di mezzo mancano); uncini neri alla loro estremità; pulvilli gialli. — Al brune, un po’ gialle alla base; piccola vena trasversale posta quasi nel mezzo della cellula discale; cellula apicale largamente aperta; vene trasverse apicale e posteriore alquanto curve. — Calittere e bilancieri giallo fulvi. — Lungh. mm. 9. DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 483 Questa specie è notevolmente simile a G. discors van DER Wuxp (85), p. 193, ma la ritengo una specie distinta per la diversa forma del terzo articolo delle an- tenne e la presenza di setole discali anche sul secondo segmento. Una sola femmina. Has. — Mexico (SuMICHRAST). XI. — Gen. MICROTRICHOMMA. Granio-Tos (13), p. 1. Faccia, guancie, epistomio, proboscide e fronte come nel genere Echinomyia; guancie prive di setole; palpi un po’ clavati; antenne come in Eckinomyia, non rag- giungenti l’epistomio; terzo articolo ovale appena più lungo del secondo; stilo lungo, non geniculato, col secondo articolo assai sviluppato; occhi relativamente piccoli, pelosi; addome con due setole discali sul secondo e terzo segmento, due marginali sul secondo e la solita serie di marginali sul terzo e parecchie anche discali sul quarto; nella femmina i tre articoli intermedi dei tarsi anteriori dilatati ed il fronte con due setole orbitali. 19. — Maicrotrichomma intermedium. Nemorea intermedia van per Wuxr (6), II, p. 50, 5. Microtrichomma intermedium Gisuso-Tos (13), p. 2. Femmina. — Faccia bianco-gialliccia, alquanto concava, coll’ epistomio un po’ prominente; le guancie assai grandi ed il margine boccale colle setole disposte come nelle specie di Eckinomyia. — Palpi gialli. — Fronte giallo-pollinosa ai lati, assai larga, colla striscia mediana bruno-fulva e un po’ stretta in alto. — Antenne giallo-fulviccie; il terzo articolo bruniccio nella metà apicale; stilo nero, appena pubescente. — Occhi pelosi. — Torace e scudetto densamente pollinosi; il primo colle solite striscie nere sottili, ma ben distinte sul davanti; gli angoli posteriori e lo scu- detto un po’ ferruginei. — Scudetto munito di lunghe setole al margine e nel mezzo di alcuni peli spinosi e di qualche corta spina. — Addome nero lucentissimo, ovale ed un po’ più largo del torace. Sul primo segmento una setola marginale laterale; sul secondo due discali e due marginali dorsali ed una per parte marginale; sul terzo due setole discali dorsali ed una serie di altre marginali; sul quarto molte discali. — Piedi neri; femori e tibie ferruginoso-scuri, setolosi e pelosi; pulvilli gialli; uncini gialli, neri all'apice. — Al un po’ grigie, gialliccie alla base. — Ca- littere gialle. — Lunghezza mm. 10. Una sola femmina. Ha. — Messico: Xucumanatlan ed Omilteme in Guerrero (6), Mexico (6) (CRAVERI). 484 DITTERI DEL MESSICO XIIi. — Gen. NEMOCHAETA. van DER WurP (6), II, p. 38. 20. — Nemochueta dissimilis. Nemochaeta dissimilis van peg Wuxe (6), II, p. 39, 1, tab. II, fig. 18, 184. Tachinodes dissimilis Braver e Bereenstamm (7), IT, p. 409 e 427. Un solo maschio che differisce da quello descritto da van DER WutrP per avere la faccia bianca, il torace cinereo-pollinoso e lo scudetto ferrugineo. Has. — Costa Rica: Cache (6), Mexico (SumicHRAST). 21. — Nemochaeta seminigra. Tachina seminigra Wiepewann (40), II, p. 296, 26. Jurinia analis Macquart (16), II, 3° partie, p. 39, 1, tab. II, fig. 8. — Osren Sacken (20), p. 149. — Roper (22), p. 345. — Trier Towxsem (82), p. 8. Tachina divisa Warker (38), p. 270. Echinomyia seminigra Scurr (80), p. 331, 118. Tachinodes seminigra Braver e BercensrAmm (7), II, p. 409, 439. — Trier Townsenp (32), p. 11. Gli esemplari che esaminai corrispondono assai bene specialmente alla descri- zione di Tachina divisa di WaLkEeR. Trovai questi esemplari segnati in collezione da BeLLARDI col nome di Jurinia analis Macquart. Maschi: 8 — Femmine: 6. Has. — Brasile (40,16) — Parà (38) — Colombia, Chiì (30) — Portorico (22) -- Messico (16): Orizaba, Oaxaca (SumicHRAST). 2929. — Nemochaeta incerta. (Fig. 3, capo). Nemochaeta incerta Gieuio-Tos (13), p. 2. Maschio. — Simile nell'aspetto ad alcune specie del genere Echinomyia. — Capo alquanto più largo del torace. — Faccia bianchiccia, poco inclinata all’indietro; epistomio alquanto sporgente; guancie assai larghe; lati della faccia sparsi di peli neri lungo il margine anteriore degli occhi, più rari in basso. — Proboscide nera; palpi gialli. — Fronte assai larga, un po’ più stretta in alto con una serie di setole frammiste ad altri peli neri, di cui taluni anche setolosi; striscia mediana fulvo- rossiccia; peli dell’occipite abbondanti e gialli. — Antenne coi primi articoli gialli; il secondo munito di peli al margine superiore, di cui alcuni lunghi e quasi setolosi; DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 485 il terzo nero alquanto più lungo del secondo, col margine superiore notevolmente convesso, l’inferiore rettilineo. — Torace nero, grigio-pollinoso, colle solite striscie nere alquanto distinte; pleure e petto neri, grigio-pollinosi. — Scudetto testaceo- ferruginoso, munito specialmente al margine posteriore di lunghe setole e nel mezzo di peli neri, ma privo di spine. — Addome cordiforme, lucente con riflessi sericei, nero-azzurrognolo alla base, in una larga striscia mediana e su tutto il quarto segmento; rivestito di peli neri specialmente lunghi sul quarto segmento; i lati del secondo e terzo segmento largamente ed oscuramente ferruginosi; mancano le vere spine e le setole molto robuste sono così disposte: una per ogni lato al margine posteriore del primo segmento; due dorsali ed una laterale, marginali sul secondo; una serie di marginali sul terzo e parecchie anche discali sul quarto. — Ventre ferrugineo in una zona mediana trasversale, setoloso lungo il mezzo. — Genitali assai grandi, sporgenti, pelosi all'apice. — Piedi affatto neri; i femori e le tibie, special- mente le mediane e posteriori setolose; l’ultimo articolo dei tarsi munito all’ apice di alcuni lunghi peli; uncini molto lunghi e neri; quelli dei piedi posteriori solo neri all’apice, gialli nel resto; pulvilli gialli. — A quasi limpide, nervature gialliccie; vena trasversale apicale fortemente curva alla base, quindi diritta; la vena trasver- sale posteriore diritta alla base, quindi curva. — Calittere bianche; dilancieri nericci. — Lunghezza del corpo mm. 12. Due soli maschi. Has. — Qaxaca (SumcnRrasT). 239. — Nemochaeta dubia. (Fig. 8, antenna). Nemochaeta dubia Gierio-Tos (13), p. 2. Maschio. — Capo alquanto più largo del torace. — Faccia bianco-gialliccia; epistomio poco sporgente; lati della faccia nudi. — Proboscide nera; palpi gialli. — Antenne gialle nei primi articoli; il secondo articolo appena con pochi peli superior- mente; articolo terzo nero, appena lungo come il secondo. — Fronte assai largo, giallo-pollinoso; striscia mediana fulva. — Torace assai densamente giallo-pollinoso, come anche le pleure ed il petto, colle solite striscie nere. — Scudetto ferruginoso, anch'esso giallo-pollinoso. — Addome cordiforme, lucente con riflessi sericei, oscuro- ferrugineo e con una striscia mediana nera appena appariscente, che scompare alla estremità del terzo segmento; i lati del quarto segmento alquanto fulvo-pollinosi. -— Le setole dell'addome, i piedi e le ali come in N. incerta. — Calittere brune. Questa specie ha molta somiglianza colla N. incerta; ne differisce tuttavia note- volmente per la mancanza assoluta di peli neri sulle guancie, per il terzo articolo delle antenne minore, per la pollinosità gialla del torace, per il colore dell'addome e delle calittere. È anche simile all’ Echinomyia dispar van peR WutP (6) II, p. 34, 6, tab. II, fig. 148, ma ne differisce per il terzo articolo delle antenne, per la colo- razione delle calittere e del torace. — Lunghezza mm. 12. Un solo maschio. Has. — Non è indicata nè la località del Messico, nè da chi fu raccolta. 486 DITTERI DEL MESSICO 24. — Nemochaeta crucia. Nemochaeta crucia Gieuio-Tos (13), p. 2. Maschio. — Corpo robusto un po’ tozzo. — Capo alquanto più largo del torace. — Faccia gialliccia; epistomio alquanto sporgente. — Proboscide nera; palpi gialli. — Fronte grigio-nericcia, gialliccio-pollinosa; striscia mediana larga e fulva sopra la base delle antenne, molto più stretta e bruna al vertice. — Occhi nudi. — An- tenne coi primi articoli bruni, talora un po’ gialli, talora quasi neri; il secondo arti- colo con peli sul margine superiore di cui qualcuno assai lungo; il terzo appena più lungo del secondo, nero e fortemente convesso al margine superiore. — Torace nero, un po’ lucente, alquanto grigio pollinoso, specialmente in avanti, e colle solite striscie nere assai distinte; le pleure più densamente grigio-gialliccio-pollinose. — Scudetto nero-pece, un po’ grigio pollinoso alla base, privo di vere spine. — Addome assai più largo del torace, cordiforme, tutto rivestito di peli densi e corti, più lunghi all'apice; di color piceo, con riflessi sericei su cui si intravede confusamente una striscia mediana nera terminante all’estremità del terzo segmento; le setole robuste disposte come in N. incerta; il quarto segmento un po’ fulvo-pollinoso, visibile se osservato assai obliquamente di fianco. — Ventre piceo; una zona mediana longitudinale di vere spine. — Piedi neri; femori anteriori densamente gialliccio-pollinosi dal lato posteriore; ultimo articolo dei tarsi con alcuni peli lunghi ; uncini fulvi, neri all’apice; pulvilli giallo-fulvicci. — Al un po’ grigie; nervature come in N. incerta. — Calit- tere brune, con riflessi sericei. Femmina. — Differisce per il fronte notevolmente più largo e con due setole orbitali ricurve in basso, il secondo articolo delle antenne molto più peloso sul mar- gine superiore, i pulvilli e gli uncini dei piedi assai più corti e le calittere alquanto più brune. I tarsi anteriori non sono visibilmente più dilatati che nel maschio. — Lunghezza mm. 15 circa. Questa specie è forse la stessa che Fabricia infumata Biaor (4), p. 85,1? Dalla breve descrizione di questo autore non potrei affermarlo; non sono accennate in essa la forma e le dimensioni del terzo articolo delle antenne che nel genere Fabricia è visibilmente più breve del secondo. Has. — Mexico (Truqui), Tuxpango (Sumicarast), Huastec. 25. — Nemochaeta pernox. Nemochaeta pernor Gisuio-Tos (13), p. 2. Maschio. — Faccia giailognola; epistomio assai prominente; lati della faccia con alcuni peli neri lungo gli occhi; proboscide nera; palpi gialli, assai clavati e con alcuni peli neri alquanto lunghi al di sotto presso l’apice. — Yronte nericcia, un po’ gialliccio-pollinosa; striscia mediana quasi nera. — Antenne nere; il secondo articolo un po’ peloso e setoloso sul margine superiore; il terzo alquanto più lungo DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 487 del secondo, assai largo, e convesso al margine superiore; stilo nero, appena visi- bilmente pubescente. — Occhi nudi. — Torace nero, grigio-pollinoso, colle solite striscie nere assai distinte. — Scudetto nero-piceo, munito di lunghe e robuste setole al mar- gine posteriore e rivestito nel mezzo di ispidi peli corti. — Addome robusto, più largo assai del torace, piceo con riflessi sericei, rivestito di peli rigidi neri, procum- benti e più lunghi all’apice; sul primo segmento una sola setola laterale marginale per ogni lato; sul secondo due o quattro dorsali ed una per ogni lato, tutte margi- nali; sul terzo una serie di setole solo marginali assai robuste; sul quarto parecchie discali. — Ventre piceo, con la sola striscia di setole spinose lungo il mezzo. — Geni- tali assai sporgenti e pelosi. — Piedi neri, robusti, tutti pelosi e setolosi; l’ultimo articolo dei tarsi con alcuni peli più lunghi; uncini molto lunghi, fulvi, neri all’apice; pulvilli molto sviluppati, gialli. — Al un po’ grigie; le vene come nelle altre specie. — Calittere picee. Femmina. — Differisce per il fronte un po’ più largo, colle due setole solite orbitali, curve in basso; i pulvilli e gli uncini dei piedi assai più piccoli. I tarsi ante- riori non sono visibilmente più dilatati. — Lunghezza mm. 18 circa. Assai simile a N. crucia questa specie ne differisce tuttavia notevolmente per le dimensioni maggiori, l'addome assai più largo e privo di pollinosità sul quarto segmento, e per la forma diversa del terzo articolo delle antenne. Maschi: 2. — Femmine: 1. Has. — Mexico (Boucarp)?, Orizaba (SumicHRAST). 26. — Nemochaeta chrysiceps. Jurinia chrysiceps Rogmesu-Desvomy (21), p. 37, 8. Tachina (Jurinia) chrysiceps Wauker (3), Part. IV, p. 715. Jurinia flavifrons Jaennicke (14), p. 82, 109. Maschio. — Faccia e palpi gialli; proboscide nera. — Fronte bruniccia, densa- mente giallo-pollinosa; striscia mediana bruno-fulva. — Antenne coi primi articoli gialli; il terzo nero, un po’ più lungo del secondo, molto convesso. — Torace gialliccio pollinoso, specialmente sul davanti, colle solite striscie nere assai distinte — Scudetto nero, nel mezzo irto di spine corte e non robuste, alcune più lunghe e più forti al margine posteriore, fra le setole lunghe e robuste. — Addome nero-azzurrognolo lucentissimo , densamente coperto di lunghi peli neri, fra cui spiccano delle setole robustissime, quasi simili a spine, così disposte: sei o sette dorsali e tre per ogni lato solamente marginali sul secondo segmento; una serie sul terzo di setole mar- ginali; molte sul quarto discali; la solita striscia di altre spine lungo il mezzo del ventre. — Piedi neri, setolosi e pelosi; i femori anteriori giallo-pollinosi dal lato poste- riore; uncini lunghi, fulvi, ad apice nero; pulvilli gialli. — A% bruniccie, la vena trasversa posteriore quasi retta. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 15 circa. Maschi : 2. î Has, — Brasile (21) — Messico (14): Mexico (SumicHRAST). 488 DITTERI DEL MESSICO 27. — Nemochaeta juriniocides. (Fig. 5, capo). Nemochaeta jurinivides Giavio-Tos (13), p. 2. Maschio. — Corpo robusto. — Faccia bianco-gialliccia; i lati di essa e le guancie munite di peli neri ben visibili; epistomio assai sporgente; proboscide nera; palpi gialli. — Fronte gialliccio-pollinosa; la striscia mediana bruno-fulva, molto larga in basso sopra la base delle antenne, molto stretta al vertice. — Occhi nudi. — Antenne coi primi articoli fulvo-brunicci; il secondo con alcuni lunghi peli neri sul margine superiore; il terzo nero, appena più lungo del secondo, dilatato all’estremità a forma quasi di martello; il margine superiore poco convesso, l’inferiore notevol- mente concavo, l’apice obliquamente troncato; stilo nero. — Torace nero, densamente coperto di peli neri fra cui sono sparse le setole, appena un po’ grigio-pollinoso anteriormente; gli angoli anteriori, i lati, ed una grande macchia quadrangolare al margine posteriore di fronte allo scudetto, picei; petto e pleure neri. — Scudetto piceo con lunghe setole nere al margine, irto nel mezzo di corte spine. — Addome assai più largo del torace, cordiforme, piceo, appena lucente, munito di robustissime setole e di qualche spina; il quarto segmento fulvo pollinoso, specialmente se osser- vato obliquamente da lato; le setole e le spine così disposte: sul secondo segmento, due dorsali ed una per lato tutte marginali e alcune spine discali corte ma robuste nel mezzo di esso; sul terzo una serie di setole robustissime marginali e alcune corte spine discali solo nel mezzo; il quarto con parecchie setole quasi spinose discali sparse fra i lunghi peli neri che lo ricoprono. — Ventre munito delle solite spine lungo il mezzo. — Genitali picei e pelosi. — Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; uncini neri; pulvilli fulvi. — A grigiastre; la piccola vena trasversale offuscata di nero; la vena trasversale posteriore diritta per un piccolo tratto alla base, quindi fortemente curva. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 15. Un solo maschio. Has. — Oaxaca (SALLE). 28. — Nemochacta (?) aberrans. (Fis. 9, capo). Nemochaeta (2) aberrans Gieuio-Tos (13), p. 2. Non possedendo di questa specie che un solo esemplare femmina ed alquanto deteriorato, non mi credo autorizzato a creare per esso un nuovo genere, sebbene i caratteri suoi sieno tali da non potersi porre nel genere Nemochaeta. Solo momenta- neamente pertanto io la comprendo in questo genere, aspettando che l’esame di altri esemplari possa permettere la creazione di un genere apposito. Per la forma del corpo, del torace, dell'addome, per la disposizione delle setole, per le nervature delle ali è in tutto simile alle altre specie di Nemochaeta. I carat- teri differenziali principali stanno nella forma del capo e dei palpi. Il capo è ante- DEL DOTT. F. GIGLIO-TOS 489 riormente rigonfio fra gli occhi, press'a poco come nella specie del genere Gonia; i lati della faccia sono perciò assai larghi e quasi tumefatti, con una impressione sulle guancie ai lati dell’epistomio, e colle guancie rigonfie in basso; la faccia è quasi verticale appena concava e l’epistomio leggermente sporgente; il fronte è assai largo, e la striscia mediana larga tanto che al vertice occupa buona parte della lar- ghezza del fronte; ai lati di essa (sebbene nell’esemplare in questione sieno cadute) tuttavia si vede dalle impressioni lasciate una serie di setole che giunge fino al livello delle inserzioni delle antenne con altre due setole più esterne orbitali. I palpi sono filiformi. La proboscide e le antenne sono come in Nemochaeta, ma il terzo arti- colo antennale, appena più lungo del secondo, è quasi rettilineo al margine superiore ed inferiore, e all’apice quasi troncato. Femmina. — Faccia gialla; proboscide nera; palpi gialli. — Fronte gialla come la faccia; la larga striscia mediana fulva. — Occhi nudi. — Antenne gialle; il terzo articolo nero nella metà apicale. — 'orace, scudetto ed addome neri, lucenti; un po’ di pollinosità grigia specialmente sul davanti del torace; le solite striscie nere del torace poco distinte; petto nero, come il torace, grigio-pollinoso sulle pleure. Sull’addome le setole sono così disposte: due dorsali ed una per parte ma tutte mar- ginali sul secondo segmento; una serie di sole setole marginali sul terzo, e parec- chie discali sul quarto; tutto l'addome è rivestito di corti peli rigidi, procumbenti, più lunghi all'apice; sul ventre una zona mediana longitudinale di spine. — Piedi neri, robusti, pelosi e setolosi ; ‘uncini neri, e pulvilli gialli, ambedue poco sviluppati. — Al bruniccie, nere alla base. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 15 all'incirca. Has. — Metztillan. XIV. — Gen. JURINIA. Rosmeau-Desvory (21), p. 34, n. II. — Macquarm (16), II, 3° partie, p. 37, 3. 29. — Jurinia dichroma. Jurinia dichroma van ver Vute (6), IF, p. 27, 1, tab. II, fig. 5, Da. Sebbene la Iurinea apicalis JarnnIcHE (14), p. 82,110, sia distinta da questa specie per la colorazione ferruginea dell'addome e per qualche altro carattere, tut- tavia deve essere notevolmente somigliante a questa per l’aspetto generale. Maschi: 6. — Femmine: 9. Has. — Costa Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (Truqui, CrAvERI), Cuernavaca. 30. — Jurinia basalis. ? Tachina (Jurinia) basalis Wanker (37), Part IV, p. 713. Molto dubbiamente riferisco a questa specie del WaLkER un esemplare femmina, alquanto deteriorato, mancante di quasi tutti i piedi, e che nel resto corrisponde alquanto alla descrizione data da quest’autore. ; Ha. — Giamaica (8) — Huastec (SALLÉ). Serie II. Tom. XLIV. Li 490) DI''TERI DEL MESSICO XV. — Gen. DEJEANIA. RogineAu-Desvomy (21), p. 33. 81. — Dejeania corpulenta. Tachina corpulenta Wirepemann (40), II, p. 280, 1. Dejeania rufipalpis Macquart (16), TI, 3° partie, p. 35, 5, tab. II, fig l. — Braurr e Bergensrami (7), IT, p. 409 e 438. Dejeania corpulenta Scuner (30), p. 337, 143 (exclus. synom.). — Osten Sacgen (20), p. 147 e 256, nota 265. — van per Wurr (84), p. 16, 1; (6), II, p. 9, 4, tab. I, fig. 4. — Witusron (41), p. 297. — Braurre Bereensramm (7), IT, p. 409 e 426. — Tyer Towxsenp (82), p. 5 [nec D. corpulenta Macquart (16), II, 3° partie, p. 35, 4 e (15), II, p. 77, 22 (Echinomyia)]. Dejeania veratrix Osren Sacken (19), p. 343. Parecchi esemplari molto diversi in dimensioni da mm. 10 a mm. 15 e quasi tutti femmine. Has. — Sud-America (30) — Colombia: Bogota (34) — Nord-America: Colo- rado (19), Nuovo Messico, Arizona (41) — Costa Rica: Cache, Volcan de Irazu (6) — Panama: Volcan de Chiriqui (6) — Messico (40, 16, 6): Oaxaca, Mexico, Solco (SALLÉ, TRUQUI, SUMICHRAST). 382. — Dejeania aurea. Dejeania aurea Giouio-Tos (13), p. 3. Maschio. — Corpo tozzo, coll’addome assai largo, il torace molto più stretto ed il capo più stretto ancora del torace. — Faccia gialla col fronte e l’epistomio notevolmente sporgenti. — Proboscide nera; palpi gialli, lunghi un po’ meno della proboscide, assai sottili, cigliati ai lati di peli neri più lunghi all’estremità. — Fronte gialla, notevolmente stretta in alto con una sola serie di setole ai lati della linea mediana fulvo-rossiccia. — Antenne gialle; il terzo articolo ovale un po’ giallo alla base ed al di sotto, nero nel resto; stilo nero. — Occhi nudi. — Torace tutto den- samente coperto di pollinosità gialla; giallo su tutto il petto, le pleure, ai lati ed al margine posteriore del dorso; il disco si intravede nero al di sotto della polli- nosità; le striscie solite nere non sono appariscenti. — Scudetto giallo-fulvo sparso di robuste spine nere. — Addome fulvo-rossiccio, tutto densamente coperto di lunghi peli giallo-sulfurei, fra cui spiccano le spine nere; quasi ovale, spiccatamente bilobo posteriormente, coi segmenti così notevolmente convessi ai lati che i margini laterali non sono determinati da una curva continua, ma da una serie di curve corrispon- DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 491 denti ad ogni segmento; anche il margine posteriore dei segmenti è notevolmente concavo nel mezzo del dorso. Il segmento primo è nero nel mezzo; il secondo, il terzo ed il quarto segmento portano nel mezzo alla loro base una macchia triango- lare nera come in D. corpulenta. Le spine sono tutte marginali, fuorchè alcune discali sul quarto segmento; sono assai numerose sul primo segmento, formando una serie alquanto interrotta ai lati del dorso; formano una serie quasi ininterrotta sul secondo e una serie continua sul terzo; sul quarto sono sparse fra i peli nella sua metà apicale, essendo la metà basale priva di esse. — Ventre fulvo rossiccio; verso i lati del mar- gine posteriore dei segmenti nericcio e nel mezzo con una serie marginale di robuste spine. — Genitali fulvo-rossicci, come l'addome. — Piedi giallo-fulvi, con rare setole nere e con peli setolosi gialli sui femori; uncini neri nella metà apicale, assai lunghi; pulvilli gialli. — A e calittere gialliccie. — Lunghezza mm. 11. Questa specie è rassomigliantissima nell’aspetto e nelle dimensioni a D. corpu- lenta; ne differisce però per molti caratteri e sono convinto si debba considerare come una specie distintissima. Oltre ai peli dell'addome che non sono fulvi ma giallo- sulfurei, come in Saundersia aurea, sono ancora caratteri distintivi la forma dell’addome, la notevolmente minore larghezza del torace e del capo, la forma dei palpi molto più sottili e più pelosi, il fronte assai più stretto, ed il primo segmento dell’addome più sviluppato munito di spine marginali anche nel mezzo del dorso, mentre in D. corpulenta è solamente munito di qualche spina ai lati. Le ali sono anche pro- porzionatamente assai più strette. Un solo maschio. Has. — Solco (SumrcHRAST). XVI. — Gen. SAUNDERSIA. Scamer (30), p. 333. 38. — Saundersia aurea. (Fig. 4, capo). Saundersia aurea Giatio-Tos (13), p. 3. Maschio. — Faccia gialla con epistomio assai sporgente; ai lati della faccia due setole assai robuste, nere ed una serie di altre setole meno forti, talune filiformi, che si estendono fino a congiungersi colle setole frontali. — Proboscide nera, assai lunga. — Yronte assai larga, un po’ più stretta in alto, di color giallo più fulvo; la striscia mediana giallo-rossiccia. — Occipite giallo, un po’ bruno in alto, densa- mente vestito di lunghi peli dorati, e con una serie di corte setole al margine poste- riore degli occhi. — Antenne fulve; il secondo segmento con corti peli neri all’apice nella parte superiore; il terzo appena leggermente bruniccio nel mezzo , assai bru- scamente allargato all'apice e quivi obliquamente troncato, securiforme; stilo nero, assai lungo, diritto, appena pubescente. — Torace con disco: nero, fulvo-pollinoso, con quattro striscie longitudinali nere più distinte; i lati, una macchia quadrangolare di fronte allo scudetto e tutto il petto. di color fulvo; superiormente il torace è 492 DITTERI DEL MESSICO cosparso di peli più lunghi giallo-dorati fra cui stanno le solite setole nere. — Sew- detto fulvo; sparso di spine nere, più lunghe al margine posteriore; due setole me- diane molto più lunghe si estendono dal margine posteriore fino a metà del secondo segmento addominale, ricurve in basso. — Addome fulvo, ovale, sub-globoso, coperto di lunghissimi peli giallo-sulfurei, lucenti, più abbondanti e più lunghi all’apice; sul primo segmento una macchia nera mediana sotto allo scudetto, ma nessuna setola, nè spina; sul secondo e sul terzo una serie di spine robuste nere al margine poste- riore e molte altre nel mezzo di cui le mediane più lunghe e robuste; sul quarto qualche spina nera ai lati e nel mezzo. — Ventre fulvo, nero lucente al margine posteriore del terzo segmento e su tutto il quarto; i peli giallo-sulfurei sono raris- simi; le spine nere sono corte e numerosissime sulla parte nera del terzo segmento e su tutto il quarto; più rare ma più lunghe nel mezzo del margine posteriore di tutti i segmenti. — Piedi interamente fulvi; gli uncini neri nella metà apicale, i pulvilli gialli, ma non molto grandi; i femori con setole nere robuste sparse qua e là fra le altre setole gialle come quelle dell'addome, ma meno robuste; le tibie mu- nite di setole solamente nere, rare e assai lunghe. — A quasi limpide; base diffu- samente gialla; vene gialle fin presso all’estremità; piccola vena trasversale posta circa nel mezzo della cellula discale; le vene trasversali apicale e posteriore curve e di color bruno. — Cualittere e bilancieri giallicci. Un individuo, che credo femmina, si distingue per il terzo articolo delle antenne meno dilatato e assai meno obliquamente troncato all’apice e per il primo segmento dell'addome munito di spine al margine posteriore, di cui una per parte ai lati, assai lunga, e tre più corte per ogni parte della linea mediana. oltre i segmenti del- l'addome sono tutti più scuri al margine posteriore. — Lunghezza del corpo mm. 14. Come appare dalla descrizione questa specie è molto simile per l'aspetto a quella descritta dal RonpanI col nome di Epalpus rubripilus (24), p. 7, 4, della Venezuela, e ridescritta poi dal van peR WuLP come specie nuova col nome di Saundersia ru- fopilosa (6), II, p. 22, 5, tab. I, fig. 18. Ne è però ben distinta per vari caratteri; nella S. rubripila RoxnpanI il terzo articolo delle antenne è nero, l’addome ha una striscia dorsale nera, ben distinta, le ali sono bruniccie ed i peli dell'addome non sono giallo- dorati, ma fulvo-rossicci. Maschi: 2. — Femmina? 1. Has. — Mexico (CraverI), Angang. 34. — Saundersia Jaenmnickei. Micropalpus rufipes Jaennicxe (14), p. 79, 109. — Osren Sacken (20), p. 150. Saundersia rufipes van per Wuxr (6), II, p. 27. Un solo esemplare femmina che differisce alquanto dalla descrizione del JAENNICKE per le macchie dell'addome, ed il colore del ventre e le dimensioni alquanto minori. Femmina. — Faccia gialla; epistomio assai prominente; guancie prive di se- tole. — Fronte nericcia, giallo-pollinosa; la striscia mediana bruno-rossiccia; due serie di setole. — Antenne gialle; terzo articolo appena più lungo del secondo, quasi ret- DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 493 tangolare, appena più dilatato all’apice e quivi leggermente arrotondito. — Torace e petto giallo-olivaceo-pollinosi; angoli posteriori fulvo-rossicci. — Scudetto fulvo- rossiccio con una serie di spine nere al margine posteriore e alcune altre verso il mezzo. — Addome pure fulvo-rossiccio, sparso di peli corti, non fitti, neri, più lunghi ai lati e munito di spine robuste nere; il primo segmento, superiormente, è privo di spine e porta solo ai lati alcuni peli setolosi; il secondo ha nel mezzo alcune spine irregolarmente disposte, di cui talune al margine posteriore; ai lati qualche spina marginale; il terzo ha alcune spine discali ed una serie di altre marginali assai numerose, prolungata anche sul ventre, dove sono più corte; il quarto, eccet- tuato il terzo basale, tutto sparso di spine anche nella parte ventrale: il primo, il secondo ed il terzo segmento portano nel mezzo una macchia nera, oblunga in questi due ultimi; nel quarto forse tale macchia è svanita. — Ventre fulvo-rossiccio come l’addome; una striscia mediana di spine che si prolunga fino al margine posteriore del primo segmento, dove sono più lunghe. — Piedi fulvo-rossicci, assai setolosi, specialmente le tibie di mezzo ed anche le posteriori; tarsi e pulvilli gialli; uncini neri alla metà apicale. — Al brune; vena apicale trasversale poco curva. — Calit- tere e bilancieri bruno-gialli. — Lunghezza mm. 12. Ho cambiato nome a questa specie, perchè la specie brasiliana Hystricia rufipes Macquart (16), suppl. 4°, p. 172, 8, avendo i palpi corti, appartiene quasi senza dubbio a questo genere Saundersia. Has. — Panama (14) — Mexico (SALLE). 39. — Saundersia bipartita. Saundersia bipartita van per Wute (6), II, p. 25, 11, tab. II, fig. 3, 3a. Un individuo femmina concorda molto bene colla descrizione del van per WurP. Un altro esemplare pure femmina differisce per dimensioni maggiori (14 millim. circa), le ali più brune, ed il terzo articolo delle antenne un po’ più largo. Has. — Costa Rica; Cache (6) — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (TRUQUI). 36. — Saundersia bicolor. Saundersia bicolor Winston (41), p. 304. Una sola femmina differente dalla descrizione del WixListon per avere i piedi interamente giallo-fulvi, esclusi i tarsi. Has. — Nuovo Messico, Arizona, California, Washington (41) — Messico: Me- xico (TRUQUI). 494 DITTERI DEL MESSICO 97. — Saundersia macula. Micropalpus macula Macquart (16), IT, 3° partie, p. 46, 2, tab. V, fig. 2. Saundersia macula Scrner (30), p. 334, 180. — van per WutP (6), II, p. 21, 3, tab. I, fig. 16. — Brauer e Bereenstamw (7), IT, p. 409. — Trrer Townsenp (32), p. 7. Saundersia (Epalpus) macula Braver e Beroensram (7), IL, p. 433. Un solo maschio che differisce dalla descrizione del van DER WuLP per avere le macchie dell’addome e le calittere perfettamente bianco-candide. La macchia del- l’addome è limitata solo al mezzo e non si dilata ai lati. Has. — Sud America (16, 30) — Costa Rica: Rio Sucio (6) — Mexico (CrAVERI). 88. — Saundersia albomaculata. Micropalpus albomaculatus Jaennicke (14), p. 80, 105. Saundersia albomaculata van per Wuxr (6), II, p. 21, 4, tab. I, fig. 17. Braver e BereenstAmm (7), II, p. 409. Due maschi e due femmine. — In un maschio e nelle femmine l’addome non è di color nero ma ferruginoso-scuro; la macchia bianca dell’addome è estesa fino ai lati ed anche un po’ sul ventre; le calittere sono bianche. — Lunghezza mm. 14 circa. Has. — Guatemala: Quezaltenango (6) — Messico (14): Ciudad in Durango (6), Mexico (CrAveERI), Oaxaca (SALLE). 39. — Saundersia rufipes. Hystricia rufipes Macquart (16), 4° suppl., p. 172, 8, tab. XV, fig. 11. Saundersia ? rufipes van per Wuxp (6), II, p. 27. N. B. Saundersia rufipes Tyxer TowxsenD (32), p. 7. Maschio. — Faccia gialla; guancie prive di vere setole. — Fronte bruniccia, grigio-gialliccio-pollinosa; la striscia mediana bruno-rossiccia. — Antenne coi primi articoli testacei; il secondo peloso superiormente; il terzo nero, un po’ testaceo al margine inferiore che è rettilineo; il margine superiore curvo. — Torace nero, den- samente gialliccio-pollinoso; colle striscie nere sottili, ma assai ben distinte. — Scu- detto ferruginoso-scuro, un po’ gialliccio-pollinoso, con setole lunghe al margine poste- riore e spine nere anche nel mezzo. — Addome quasi subgloboso, nero lucentissimo, coperto di assai rigidi e corti peli neri e di molte spine. — Piedi neri; le tibie ed i tarsi ferruginoso-scuri, questi ultimi all'estremità più chiari; uncini gialli coll’apice nero; i pulvilli gialli. — Ali grigiastre, gialliccie alla base; vena trasversale poste- riore alquanto curva. — Calittere nereggianti. DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 495 Femmina. — Differisce per i tarsi anteriori dilatati ed il terzo articolo delle antenne un po’ meno curvo superiormente. — Lunghezza mm. 10-11. Gli esemplari da me esaminati differirebbero da quelli del McRe a per la sola nervatura trasversale posteriore forse un po’ più curva. Maschio: 1 — Femmine: 2. Has. — Brasile (16) — Mexico (Truqui, SumicHRAST). 40, — Saundersia migriventris. Hystricia nigriventris Macquart (16), II, 3° partie, p. 44, 1, tab. IV, fig. 3. Micropalpus nigriventris Macquart (16), 1" suppl., p. 150. Cryptopalpus hystrix Ronpani (29), p. 18. Saundersia nigriventris Scuer (380), p. 334, 131. — Roper (23), p. 10. — Trrer Townsenp (82), p. 7. Saundersia (Epalpus) nigriventris Bravrr e Berarnsramm (9), II, p. 409 e 435. Saundersia rufitibia van ver Wutr (6), II, p. 24, 8. Due sole femmine, in cui le tibie sono ferruginoso-scure, l’ultimo articolo dei tarsi giallo all’estremità, i pulvilli gialli, gli uncini neri all’apice, i femori anteriori gialliccio-pollinosi nel lato posteriore. In tutti e due gli esemplari, guardando obli- quamente l’addome dai lati e dalla parte posteriore, si vede che l’estremità del terzo segmento e la base del quarto sono sparsi di una pollinosità fulvo-rossiccia. Has. — Sud-America (80) — Colombia (16, 23): Sancta-Fè de Bogota (16, 27) — Messico: Orizaba (6) (SumIcHRAST). 41. — Saundersia picea. (Fig. 10, capo). Saundersia picea Gieuio-Tos (13), p. 3. Maschio. — Faccia bianca, epistomio assai prominente; guancie prive di setole ma bianco-pelose. — Proboscide nera. — Fronte nera, veduta da lato; gialliccio-pol- linosa vista dall’alto; striscia mediana bruno-rossiccia, quasi nera in alto. — Antenne nere; il secondo articolo un po’ peloso superiormente; il terzo appena più lungo del secondo, convesso al margine superiore, rettilineo a quello inferiore; stilo assai lungo, nero, appena visibilmente pubescente. — Occhi nudi. — Torace nero, poco densamente grigio-pollinoso colle solite striscie nere alquanto distinte. — Scudetto piceo, munito di setole molto lunghe al margine posteriore e nel mezzo irto di spine. — Addome piceo, un po’ fulvo-pollinoso alla base del quarto segmento; talora si intravede ap- pena una larga striscia nerà longitudinale nel mezzo, confusa col colore fon- damentale dell’addome; i primi segmenti e specialmente il secondo sono coperti densamente da peli corti ma rigidi e neri; il primo segmento manca affatto di setole 496 DITTERI DEL MESSICO e di spine; il secondo ed il terzo portano delle spine, non troppo robuste, ma quasi setoliformi, solamente al margine posteriore, od, eccezionalmente, qualcuna dorsale, posta però molto vicino a quelle marginali; il quarto segmento, fuorchè alla hase, munito di spine disposte in varie serie. — Ventre piceo con una striscia mediana di vere spine. — Genitali picei, con peli neri all’apice. — Piedi affatto neri, con setole assai lunghe nere, specialmente sulle tibie mediane e posteriori; i femori anteriori grigio-pollinosi dal lato posteriore con una serie di setole sopra e sotto; uncini molto lunghi, gialli nella metà basale; pulvilli gialli. — Ali grigie; vena trasversale api- cale fortemente curva alla base, quindi diritta; cellula apicale aperta; vena trasversa posteriore diritta per un buon tratto, quindi ricurva prima di congiungersi colla quarta longitudinale. — Bilancieri e calittere picei. Femmina. — Differisce solo per i soliti caratteri sessuali, cioè per il fronte alquanto più largo ed i tarsi anteriori un po’ dilatati; inoltre perla statura alquanto maggiore e l’addome più largo. — Lunghezza mm. 10-12. Maschi: 3 — Femmine: 2. Ha. — Mexico (SumrcHRAST). XVII. — Gen. HYSTRICIA. Macquarr (16), II, 3° partie, p. 43. 42. — Hystricia ambigua. Hystricia ambigua Macquarr (16), 4° suppl., p. 172, 9. — van per WurP (6), II, p. 13, 3, tab. I, fig. 7. — Tycer Towxsenp (82), p. 6. ? Hystricia ambigua Wixsron (41), p. 298. Pseudohystricia ambigua Braver e BercenstAmm (7), I, p. 132, II, p. 409 e 422. Maschi: 2. — Femmine: 3. Has. — Colorado (41, 7) — Costa Rica: Rio Sucio, Cache, Volcan de Irazu (6)— Guatemala: San Gerénimo (6) — Messico (16, 41): Orizaba (6) (SumrcHRrast), Mexico (SALLE), Solco. 43. — Hystricia pollinosa. Hystricia pollinosa van per WutP (6), II, p. 14, 5, tab. I, fig. 8. I tre esemplari della collezione Bellardi, uno maschio e due femmine, differiscono da quelli descritti dal suddetto autore per la statura alquanto minore (14 a 15 millim.). Has. — Guatemala: San Gerénimo — Costa Rica: Rio Sucio e Cache (6) — Mexico (Truqui): Metztillan (SAUSsURE). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 497 44. — Hystricia amoena. Hystricia amoena Macquarr (16), II, 3° partie, p. 44, 2. — van per WurP (6), II, p. 16, 8, tab. I, fig. 11. — Braurr e Beroenstamm (7), I, p. 131, II, p. 409 e 422. Macquart descrisse il maschio di questa specie e van per Wurp la femmina. Nella collezione BrLLARDI non esistono che due maschi, che concordano bene colle descrizioni. Has. — Costa Rica: Volcan de Irazu (6) — Messico (16): Coscom (SuwicHRAST). 45. — Hystricia micans. Hystricia micans van ver Wuxr (6), IL, p. 16, 9, tab. L, fig. 12. Maschio. — Corpo robusto. — Yaccia bianco-gialliccia con qualche piccolo pelo al lati; guancie munite in basso di parecchi e lunghi peli neri; epistomio assai pro- minente. — Palpi gialli, alquanto ingrossati all'apice e quivi muniti al di sotto di alcuni peli neri alquanto lunghi. — Fronte assai sporgente, larga in basso, molto più stretta in alto. — Occhi irti di peli lunghi fulvicci. — Antenne coi primi articoli gialli; il secondo con lunghi peli sul margine superiore; il terzo nero, lineare, leg- germente concavo al margine superiore e convesso all’inferiore, un po’ arrotondato all’apice, almeno il doppio in lunghezza del secondo. — Torace col disco nero, leg- germente, grigio-pollinoso colle solite striscie nere poco distinte; i lati giallo-fulvi. — Scudetto giallo-fulvo, irto di spine. — Addome rosso, assai più largo del torace, cordiforme, munito di robuste spine nere, che rivestono la metà posteriore del se- condo, terzo e quarto segmento; sul secondo segmento si estendono nel mezzo fin verso la base; sul primo segmento ve ne sono solo alcune ai lati. Le incisioni dei segmenti presentano un riflesso bianco-argentino, se osservati molto obliquamente dal di dietro. Sul mezzo del dorso di ogni segmento, fuorchè sul quarto, una macchia quasi rotonda nera. — Genitali rossi come l'addome, molto sporgenti e muniti di un ciuffo di lunghi peli neri setolosi all'apice. — Ventre irto lungo il mezzo di spine nere. — Piedi robusti, fulvi; i femori rivestiti di peli lunghi gialli, misti a setole nere; uncini gialli, all'apice neri; pulvilli gialli. — A% e calittere bruno-gialliccie. — Lunghezza mm. 14-15. Questa specie, sebbene ben distinta per vari caratteri dalla H. amoena, è però nel complesso assai simile ad essa. Due soli maschi. Ha. — Costa Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) — Messico: Oaxaca (SALLE). Serie II. Tom. XLIV. mi 498 DITTERI DEL MESSICO 46. — Hystricia soror. Hystricia soror Wixuston (41), p. 298. — van per Wurr (6), II, p. 15, 6, tab. I, fig. 9. i Un maschio e tre femmine. — Nel maschio lo scudetto è bruno-pece, nelle femmine è invece quasi nero. In una femmina il torace è notevolmente più pollinoso e le quattro solite striscie sono ben distinte. Nel resto concordano bene con quelli descritti da WixListon e van per Wutp. Has. — Nord-America: Arizona (41) — Guatemala: San Gerénimo — Costa Rica: Cache (6) — Mexico (SALLÉ e SumicHRAST). XVHII. — Gen. TROPIDOPSIS. Brauer e Bereensranm (7), I, p. 132. 47. — Tropidopsis pyrrhaspis. Tachina pyrrhaspis Wiepemanx (40), IL, p. 307, 47. i Hystricia pyrrhaspis Macquarr (16), II, 3° partie, p. 43. — Scamer (80), p. 332, 122. — van per Wutp (6), II, p. 18, 12. Tachina Anthemon Wauxer (37), Part IV, p. 733. ? Tachina Amisias Watker (87), Part IV, p. 734. Tropidopsis pyrrhaspis Braver e Bereensramm (7), I, p. 132; II, p. 409 e 438. — Trrer Townsenp (32), p. 6. Ho esaminato sei esemplari, tutti maschi, molto varianti in dimensioni (lunghezza da 13 a 18 mm.), ma assai costanti nella colorazione delle varie parti del corpo, col quarto segmento addominale costantemente nero, ma solo in taluni è nero anche l’apice del terzo. ; Tachina Anthemon di WALKER corrisponde perfettamente a questa specie; non ho potuto però riscontrare il carattere a cui egli accenna: “ facets (of eyes) on the fore part rather larger than those elsewhere , che forse è poco distinto. Has. — Sud-America (30) — Brasile (40, 37) — Guatemala: Las Mercedes, San Gerénimo, Cubilguitz, Lanquin (6) — Messico: Cordova (6), Tuxpango, Orizaba. XIX. — Gen. BLEPHARIPEZA. Macquart (16), II, 3° partie, p. 54, 10. 48. — Blepharipeza leucophrys. Tachina leucophrys Wievemann (40), IL, p. 308, 49. Blepharipeza rufipalpis Macquart (16), II, 3° part., p. 55, 1, tab. VI, fig. 1; I suppl., p. 158. — Bisor, Histor. fis. polit. y nat. de Cuba, VII, Ins., p. 343. — Ronpani (25), p. 8, 12. — Braurr e Bercensram (7), I, p. 96. DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 499 Tachina (Blepharipeza) latifrons Warxer (38), p. 284. Tachina (Blepharipeza) nigrorufa Wauker (38), p. 284. Blepharipeza leucophrys Screr (30), p. 336, 139. — Roprr (22), p. 345. — Wicuston (41), p. 304. — Bicor (4), p. 89. — Braurr e Beraensramm (17), TI, p. 402 e 432. — TrLer Townsenp (82), p. 9; (81), Paper III, p. 89. Belvosia rufipalpis van per Wuxe (34), p. 25, 17. Belvosia leucophrys van per Wurr (6), II, p. 30, 2, tab. II, fig. 9, 9a. Undici esemplari dei due sessi, che differiscono alquanto nelle dimensioni e in qualche altro carattere. Tutti hanno le tibie posteriori cigliate; in taluni le spine discali dell’addome sono molto numerose e robuste, in altre scarse e quasi man- canti; così anche lo scudetto è in alcuni irto di spine nel mezzo; in tutti è di color piceo. Anche il colore dell’addome varia dal nero lucente al piceo, e la pollinosità del torace è più o meno densa. In un esemplare femmina un po’ più piccolo degli altri la base delle ali è notevolmente più nera. Sono però convinto che essi appar- tengono tutti alla stessa specie, non essendovi un carattere solo costante che valga a distinguerli in due specie diverse. Has. — Sud-America (88): Repubblica Argentina (84), Brasile (40, 25, 30, 34, 41) — Guiana (16) — Colombia (38, 30, 34) — Nord-America: Connecticut, Pensil- vania (41) — Cuba (16) (Breor) — Portorico (22) — San Domingo (41) — Costa Rica: Rio Sucio, Volcan de Irazu (6) — Messico (16, 4): Presidio, Orizaba, Medellin presso Vera Cruz (6), Guanajuato (31), Orizaba, Mexico, Oaxaca (SumicHRAST e SALLÉ), Solco. XX. — Gen. BELVOSIA. Roginrau-Desvomy (21), p. 103. 49. — Belvosia analtlis. Belvosia analis Macquart (16), I suppl., p. 160, 2, tab. XIV, fig. 4. Maschio. — Corpo tozzo, robusto. — Capo più largo del torace. — Fuccia assai obliquamente ritratta, bianco-argentina, molto larga; epistomio appena leggermente sporgente; le due setole orali più lunghe inserite assai al di sopra del margine orale; le creste della faccia munite di sei o sette setole che si estendono per quasi due terzi della lunghezza della faccia; la fossa facciale ‘assai profonda; le guancie breve- mente pelose nella parte più bassa ai lati della bocca. — Proboscide nera, corta — Palpîi gialli, lunghi come la proboscide, fortemente clavati. — Fronte nericcia, alquanto grigio-pollinosa, molto larga in basso, più ristretta in alto, ma tuttavia ancora larga quivi quanto un terzo del capo; la striscia mediana quasi nera, molto larga in basso, molto più stretta al vertice; ai lati di essa due serie di setole per parte, ricurve all’indietro. — Antenne lunghe, che si portano fin presso alle due vibrisse più lunghe 500 DITTERI DEL MESSICO orali; i due primi articoli giallo-brunicci; il secondo munito di setole al margine superiore ed alquanto allungato; il terzo circa due volte e mezzo il secondo, nero, rigonfio superiormente alla sua base; stilo nero assai lungo. — Occhi assai grandi, nudi. — Torace quasi quadrato, nero, leggermente cinereo-pollinoso anteriormente colle solite striscie nere sottili e poco distinte, coperto di ispidi e corti peli neri. — Scudetto piceo, irto di corti peli neri, e munito al margine di lunghe e robuste setole nere. — Addome alquanto più largo del torace, ovale e tozzo, nero vellutato, coperto di peli neri, corti e rigidi, procumbenti; il quarto segmento giallo-dorato per una densa pollinosità che lo ricopre e sparso di rari, piccoli e brevi peli neri; due setole marginali sul dorso del primo e secondo segmento ed una per parte ai lati; una serie continua di setole marginali robuste e simili a spine sul terzo e sul quarto. — Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; le tibie posteriori cigliate, con qualche setola posteriormente; uncini molto lunghi, gialli, neri all'apice; pulvilli fulvi, assai svilup- pati. — A% brune, gradatamente più nereggianti verso la base; la piccola vena trasversa avanti il mezzo della discale è molto obliqua; quella posteriore legger- mente fatta ad S. — Calittere picee. — Lunghezza mm. 12. RT Un solo maschio. Assai simili a questa, e forse anche appartenenti alla medesima specie, sono le due seguenti Belvosia Weyenberghiana van per Wutp (34), p. 26, 18, pl. I, fig. 16 e B. leucopyga van DER Wuxp, Notes from the Leyden Museum, IV, p. 84, 17 e (84), p. 27, 19, tutte e due specialmente distinte per avere i due articoli basali delle antenne neri. Has. — Brasile? (16) — Messico : Tuxpango, (SUMICHRAST). 50. — Belvosia bella. (Fig. 6, capo; 6a, ano). Belvosia bella Gierio-Tos (13), p. 3. Femmina. — Capo più largo del torace. — Faccia obliquamente ritratta come in B. analis, bianco-argentina, larga; guancie nude anche nella parte più bassa; le se- tole sulle creste facciali più spaziate e solo in numero di tre o quattro. — Probo- ‘ scide corta, nera. — Palpi gialli, clavati. — Fronte molto larga, appena più stretta in alto, bruniccia ed un po’ cinereo-pollinosa; la striscia mediana fulva; ai lati di questa una sola serie per parte intera di setole ed altre tre setole orbitali rivolte in basso. — Occhi nudi. — Torace di forma trapezoidale, cioè più stretto posterior- mente, grigio-pollinoso nel mezzo, colle solite striscie nere alquanto distinte, di cui le laterali più larghe e diffuse; lungo i lati di esso sulle pleure e sul petto densa- mente gialliccio-pollinoso. — Scudetto nericcio alla base, quindi a poco a poco testaceo fino all’apice, munito al margine di lunghe setole nere. — Addome appena più largo del torace, ovato ed ottuso all'apice, nero, e sparso di pollinosità gialliccia, fuorchè sul primo segmento ed all’apice del secondo e del terzo; i lati del secondo segmento un po’ ferruginosi; la pollinosità del terzo segmento più gialla e più densa; il quarto segmento, poco sviluppato ed in parte nascosto sotto il terzo tutto giallo-dorato, DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 501 come in B. amalis, per una densa pollinosità di tal colore che lo ricopre; le setole così disposte: due marginali dorsali ed una per parte laterali piccole sul primo e secondo segmento; una serie di marginali più robuste e simili a spine sul terzo; un’altra serie di marginali sul quarto, i cui margini posteriori ravvicinati formano una fessura longitudinale all’apice dell'addome. — Ventre convesso, ferrugineo, den- samente pollinoso su tutto il terzo segmento ed alquanto alla base del secondo. — Piedi robusti, neri, pelosi e setolosi; le tibie posteriori cigliate e con alcune setole dal lato esterno; pulvilli gialli; uncini neri; ambedue poco sviluppati. — Al un poco gialliccie, specialmente alla base; le nervature press’a poco come in B. analis. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10. Una sola femmina. Has. — Non è indicata la località del Messico in cui fu raccolta. XXI. — Gen. CHAETOGENA. Ronpani (26), INI, p. 172, 175. 51. — Chaetogena carbonaria. (Fig. 19, capo). Chaetogena carbonaria Giario-Tos (13), p. 4. Maschio. — Faccia bianco-argentina, molto obliquamente ritratta; epistomio non sporgente, con due vibrisse lunghissime e convergenti; qualche setola ai margini laterali della bocca; creste facciali molto rilevate, munite di una serie di 10-11 lunghe setole, gradatamente decrescenti verso l'alto e ricurve in basso, che si esten- dono fino alla base del terzo articolo delle antenne; guance pelose ai lati della bocca. — Proboscide mediocre, nera, colle labbra assai sviluppate; palpi lunghi come la proboscide, ricurvi in alto, neri alla base, fulvi nel resto, un po’ingrossati all’apice e pelosi verso il mezzo. — Fronte molto sporgente, assai larga, un po’ più stretta in alto, nera ai lati con riflessi grigio-gialliccio-pollinosi; striscia frontale nera, larga appena più dei lati; da ogni parte di essa una serie confusa di setole miste a peli che discendono dal mezzo fino all’apice del secondo articolo delle antenne ed al ver- tice tre setole più lunghe ricurve all’indietro e due ocellari ricurve in avanti e diver- genti. — Occhi grandi, inferiormente assai lontani dalle vibrisse, irti di lunghi e fitti peli fulvi. — Antenne grandi, lunghe quanto la faccia, inserite sull’apice della sporgenza frontale, nere, adagiate nella fossa facciale; il primo articolo corto, il se- condo un po’ più lungo e, con qualche pelo al margine superiore; il terzo molto largo, lineare, un po’ arrotondato all’apice, lungo da 4 a 5 volte il secondo; stilo lungo e sottile, appena un po’ ingrossato alla base; il secondo articolo brevissimo. — Torace nero , grigio-gialliccio-pollinoso con quattro striscie nere ben distinte; le mediane più sottili, le laterali più larghe e interrotte alla sutura; pleure e petto neri, polli- nosi come il torace. — Scudetto nero piceo; la pollinosità grigia è solo visibile os- servandola obbliquamente dal di dietro. — Addome sub-conico, largo quanto il torace, ma un po’ più lungo, terminato all’apice da lunghi peli neri, misti a setole; tutto 502 DITTERI DEL MESSICO nero-opaco con riflessi pollinosi fulvi alle incisioni e sul ventre, appena distinte se osservate molto obliquamente; le setole, tutte marginali sui primi tre segmenti, così disposte: sul primo e sul secondo due dorsali e una o due laterali; sul terzo una serie di 8-10 assai spaziate ma robuste; sul quarto parecchie discali miste a lunghi peli neri. — Ventre coi riflessi pollinosi alla base dei segmenti ben più distinti. — Piedi robusti, ed assai lunghi, neri, pelosi e setolosi; i piedi anteriori hanno i femori grigio-pollinosi dal lato posteriore, con una serie di setole ben ordinate dal lato esterno e da quello interno; le tibie al loro apice ed i tarsi alla base con riflessi sericei fulvo-dorati; le tibie mediane con due lunghe setole esternamente e le poste- riori con due setole verso il mezzo e due presso all'apice quasi appaiate; l’ultimo articolo di tutti i tarsi muniti di lunghissimi peli; gli uncini ed i pulvilli molto lunghi; i pulvilli gialli. — A% ialine, un po’ fulviccie alla base e lungo un certo tratto della costa, che è setolosa all’ima base; la terza vena longitudinale con qualche setola alla base; la cellula apicale largamente aperta e sboccante prima dell’apice; la vena apicale trasversa molto concava alla base, quindi diritta; la quarta vena longitudinale priva di appendice al gomito; la piccola vena trasversa posta un poco prima del mezzo della cellula discale; la vena trasversa posteriore un po’ bisinuosa. — Calittere bianche orlate di bruniccio. — Lunghezza mm. 13-14. Due soli maschi. Has. — Orizaba (SumicHRAST). 52. — Chaetogena cincta. Chaetogena cincta Gierio-Tos (13), p. 4. Per la forma del corpo e delle varie sue parti e per la disposizione delle setole è assolutamente simile a C. cardonaria. Differisce nella colorazione. Maschio. — Faccia gialliccia ai lati, argentina nel mezzo; guancie pelose in basso ai lati della bocca. — Proboscide nera; palpi gialli, pelosi in basso verso il loro mezzo. — Fronte giallo-pollinosa ai lati; la striscia frontale nera. — Antenne nere, stilo sottile e lungo. — Torace nero, grigio-gialliccio pollinoso, colle striscie come in €. carbonaria; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero all’ima base, un po’ rossiccio all'apice e densamente grigio-pollinoso, fuorchè alla base. — Addome nero; i lati del secondo segmento largamente e quelli del terzo alla base ferruginosi; alla base dei segmenti secondo e terzo e quarto una fascia grigio-pollinosa, larga quanto la metà dei segmenti; le incisioni argentino-pollinose se osservate obli- quamente dal di dietro. — Ventre quasi tutto argentino-pollinoso. — Piedi, ali e calittere come in C. carbonaria. Femmina. — Differisce per il fronte un po’ più largo, e due setole orbitali ricurve in basso oltre alle altre come nel maschio; il torace, lo scudetto e l'addome più densamente pollinosi e quest’ultimo non ferruginoso ai lati; i pulvilli e gli un- cini assai più corti. — Lunghezza mm. 12-13. Maschi: 2. — Femmine: 1. Hag. — Orizaba (SuMICHRAST). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 503 53. — Chaetogena gracilis. (Fig. 7, antenna): Chaetogena gracilis Gienro-Tos (13), p. 4. Femmina. — Faccia argentina, assai obliquamente ritratta; epistomio non sporgente; vibrisse proprio al margine boccale; creste facciali munite di una sola serie di 6-7 setole ricurve in basso, che si estende fin presso alla base del terzo articolo delle antenne; guancie molto strette. — Proboscide nera; palpi gialli appena un po’ ingrossati verso l’apice. — Fronte giallo-dorata , assai larga e sporgente; la striscia mediana nera; ai lati di essa una serie di setole che si estende dal mezzo fino all’apice del secondo articolo delle antenne; fra queste, due più lunghe presso la base delle antenne convergono e si incrociano al di sopra di queste; due setole orbitali ricurve in basso; tre altre più interne di cui la mediana più piccola ricurve all'indietro; due ocellari ricurve in avanti e divergenti. — Occhi irti di peli bian- chicci, grandi, che giungono in basso fin presso al margine boccale. — Antenne lunghe quanto la faccia, nere, inserite al di sopra del mezzo degli occhi; il primo articolo brevissimo, il secondo un po’ più lungo del primo, un po’ peloso superiormente; il terzo almeno quadruplo del secondo, quasi tronco all’apice, stretto alla base e gra- datamente più dilatato verso l’estremità ; stilo più corto del terzo articolo delle an- tenne ingrossato fin presso all’apice. — Torace nero, densamente grigio-pollinoso; le due striscie nere mediane non distinte, le laterali larghe e un po’ confuse; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero, densamente grigio-pollinoso. — Addome largo quanto il torace, ma un po’ più lungo, sub-conico, nero un po’ lucente; tutti i segmenti, fuorchè il primo interamente e una stretta fascia al margine posteriore degli altri, grigio-pollinosi; sul primo e secondo segmento due setole marginali dor- sali ed una per parte laterali; sul terzo una serie di sei a sette marginali; sul quarto qualcuna discale; quelle del primo segmento molto deboli e corte, le altre molto robuste e lunghe. — Ventre nero, grigio-pollinoso fuorchè all'apice, alle incisioni e in una sottile striscia longitudinale mediana. — Piedi neri, robusti, pelosi e setolosi; i femori anteriori grigio-pollinosi dal lato posteriore; uncini e pulvilli molto piccoli; pulvilli fulvi. — Al quasi ialine; le vene come nelle altre specie precedenti. — Oalittere bianche. — Bilancieri brani. — Lunghezza mm. 9. Questa specie che per la colorazione è un po’ simile a ©. cincta ne è però ben distinta per la forma più gracile del corpo, del terzo articolo delle antenne e dello stilo e per la mancanza di striscie nere distinte sul torace. Has. — Una sola femmina raccolta da BoucArD senza indicazione di località. XXII. — Gen. BLEPHARIPODA. Braver e Bereensramwm (7), I, p. 96 - pro Blepharipa Ronpani (26), IV, p. 13. 54. — Blepharipoda mexricana. (Fig. 18, capo). Blepharipoda mexicana Gierio-Tos (13), p. 6. 504 DITTERI DEL MESSICO Femmina. — Faccia giallo-dorata, obliquamente ritratta, e appena concava sopra all’epistomio; vibrisse incrociate, inserite un po’ al di sopra del margine boc- cale; sulle creste laterali una serie di setole sottili e deboli, gradatamente più brevi, che si estende visibilmente oltre la metà della faccia; guancie alquanto grandi, circa la metà dell’altezza degli occhi, pelose. — Proboscide nera; palpi fulvi, leggermente ingrossati dalla base all'estremità, ricurvi in alto. — ronte giallo-dorata, come la faccia, più stretta in alto; la striscia frontale nera, opaca; ai lati di questa una serie di setole discendenti fino all’apice del secondo articolo delle antenne, ricurve in dentro; due di esse al vertice ricurve all’indietro; due orbitali robuste ricurve in basso ; e due ocellari più piccole; una doppia serie di piccole setole al margine posteriore degli occhi. — Occhi grandi, discendenti fin presso all’apice delle antenne, nudi. — Antenne un po’ meno lunghe della faccia; il primo ed il secondo articolo bruno-fulvi; il secondo un po’ più lungo del primo, peloso di sopra ; il terzo nero, lineare, triplo del secondo, arrotondato all’apice; stilo molto lungo, nero, ingrossato dalla base fin verso il mezzo. — Torace nero, bianco-gialliccio-pollinoso ; così le pleure ed il petto; sul dorso quattro striscie nere ben distinte, di cui le laterali più larghe, posteriormente quasi confuse colle mediane; un’altra striscia nera nel mezzo, breve, di fronte allo scudetto. — Scudetto grigio-pollinoso, nero alla base, rossiccio nel mezzo e testaceo all’apice; tre setole per parte iunghe e due all’apice più corte e sottili. — Addome ovale, ap- pena più largo del torace, acuto, nero, tutto cosparso, fuorchè sul primo segmento, di pollinosità bianchiccia, più o meno visibile secondo l’incidenza della luce, racchiu- dente macchiette irregolari nere; la pollinosità sul quarto segmento, gialliccio-dorata; sul primo segmento una setola per parte marginale; sul secondo due dorsali ed una laterale tutte marginali; sul terzo una serie di otto setole marginali; sul quarto molte discali. — Ventre convesso, uniformemente bianchiccio pollinoso; la serie delle setole marginali del terzo segmento si continua su tutta la larghezza del ventre dove sono più brevi. — Piedi neri, pelosi e setolosi (mancano gli anteriori); tibie posteriori cigliate al lato esterno; due setole nel mezzo dal lato interno e due ap- paiate presso l'apice; pulvilli ed uncini mediocri; pulvilli bruno-fulvi. — Al limpide, appena un po’ bruniccie alla base e lungo un tratto della costa; piccola vena tras- versa obliqua posta un po’ prima del mezzo della discale; cellula apicale larga- mente aperta prima dell’apice dell’ala; nessuna appendice al gomito della quarta vena longitudinale; la vena trasversa apicale un po’ concava; la vena trasversa po- steriore dritta alla base, quindi obliqua. — Calittere bianche, orlate di gialliccio. — Lunghezza mm. 13. Una sola femmina, simile alla specie europea B. scutellata, ma distinta special- mente per la colorazione della faccia, e la mancanza di setole dorsali sul primo seg- mento dell'addome. Has. — Tehuacan. XXII. — Gen. ACROGLOSSA. Wiusron (42), p. 1916. WicLIsron nel 1889 creava questo genere per un dittero (A. hesperidarum) alle- vato da Harris da un Epargyreus tityrus. Ma nel 1891 i ditterologi BrAUER e DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 505 BrreeNstAMM non accettavano tal genere, siccome quello che a loro parere “ non può essere distinto dal genere SPALLANZANIA di RonDANI ,; (7) II, p. 354. Nella collezione Bellardi di ditteri messicani esiste un dittero che corrisponde perfettamente ai caratteri generici di Acroglossa. Confrontato da me colla specie Spallanzania hebes europea, tipo del genère, esistente nella collezione Bellardi di ditteri europei, ho potuto convincermi che le due forme non hanno altro di comune fra di loro che la disposizione delle setole sul fronte e sull’addome. Nel resto della forma del capo diversificano moltissimo. In Acroglossa il fronte e la faccia sono assai meno rigonfi e larghi, questa più obliquamente ritratta e munita di una serie regolare di setole sulle creste laterali, mancanti in Spallanzania, inoltre le antenne, il cui secondo articolo è notevolmente corto, ed il terzo molto ‘più lungo e di forma ben diversa da quello corrispondente in Spallan- zania, avvicinano questo genere a Frontina, come ben a ragione credette WiLLISTON, oppure meglio al genere Bauwmhaueria col quale ha ancora comune i peli ai lati della faccia. Da quest’ultimo genere differisce poi specialmente per la grandezza relativa degli occhi che discendono molto in basso in Acroglossa e sono invece assai piccoli in Baumhaueria; e per questo stesso carattere dovrebbe forse la specie Baumhaueria discrepans van DER Wuxp (6), II, p. 115, 1, tab. III, fig. 17, essere compresa nel genere Acroglossa, se essa non differisse però per le nervature delle ali come si può vedere dalla, figura. Il genere Distichona van per Wutp (6), II, p. 44, differisce per aver la faccia verticale molto larga, il fronte più largo, le vibrisse un po’ distanti dal margine boccale, le guancie larghe, le antenne più corte e i lati della faccia pelosi. Inoltre, se la figura del capo di profilo è esatta, le antenne sono inserite quasi al di sotto del mezzo degli occhi, mentre in Acroglossa sono visibilmente al di sopra. 55. — Acroglossa tessellata. Acroglossa tessellata Grerio-Tos (13), p. 5. Femmina. — Faccia dorata, obliquamente ritratta, coll’epistomio leggermente sporgente; creste laterali assai pronunziate e munite di una serie regolare di setole ricurve in basso che si estende fin quasi presso alla base del terzo articolo delle antenne; lati della faccia sparsi di peli neri; le guancie alte appena un quarto del- l'altezza degli occhi; vibrisse inserite un po’ al di sopra dell’epistomio, lunghe e in- crociate. — Proboscide nera, lunga quanto è alta la faccia, colle labbra sottili; palpi gialli appena un po’ più ingrossati all'apice. — ronte larga assai sporgente, giallo- dorata, colla striscia mediana nera; ai lati di questa una serie regolare di setole che scendono ai lati fin sotto all’apice del secondo articolo delle antenne ; due setole orbitali ricurve in basso: e due altre ricurve all’indietro; due ocellari ricurve in avanti e divergenti. — Occhi assai grandi, nùdi, discendenti fino all’apice delle an- tenne. — Antenne nere, lunghe, che si portano fin presso alle vibrisse; il primo ar- ticolo cortissimo, il secondo un po’ più lungo, il terzo lineare, gialliccio alla base, quasi troncato all'apice, lungo almeno tre volte il secondo; stilo nero, robusto; il secondo assai lungo, il terzo lungo quanto il terzo articolo delle antenne, leggermente geniculato col secondo, ed ingrossato fin oltre la metà basale. — Torace densamente grigio-gialliccio-pollinoso specialmente in sul davanti ed ai lati; le quattro striscie Serie Il. Tom. XLIV. N 2 506 DITTERI DEL MESSICO nere assai larghe e distinte; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto nero, grigio- pollinoso; testaceo al margine posteriore specialmente all'apice. — Addome ovato, un po’ più largo del torace, nero, tutto densamente grigio-gialliccio-pollinoso ; con riflessi neri irregolari ed indescrivibili; il quarto segmento tutto giallo quasi dorato; le setole sono solamente marginali fuorchè sul quarto segmento dove talune sono anche discali; esse sono due dorsali ed una laterale sui due primi segmenti; ed una serie di 6-8 sul terzo. — Piedi robusti, neri, setolosi; tutte le tibie, specialmente le posteriori ferruginose nel mezzo; uncini e pulvilli fulvi. — A% un po’ grigie; la cellula apicale aperta e terminata assai prima dell’apice; vena apicale trasversa leggermente concava alla base quindi diritta; la vena trasversa posteriore appena bisimuosa. — Calittere bianche. — Bilancieri bruni. — Lunghezza mm. 9. Questa specie è simile a Yrontina acroglossoides TyLer TownsenD (31), Paper II, p. 367, la quale però differisce per avere sul torace tre strisce nere e sul secondo segmento dell'addome due setole discali oltre alle marginali, oltre ai caratteri propri del genere. Una sola femmina. Has. — Oaxaca (SumicHRAST). XXIV. — Gen. MYSTACOMYIA. Grerio-Tos (13), p. 4. Capo quasi emisferico. — Faccia perpendicolare, non molto larga; i lati di essa privi di peli; epistomio e fronte non sporgenti. — Antenne inserite all’altezza del mezzo degli occhi, brevi che appena giungono al mezzo della faccia, verticali; il terzo ar- ticolo stretto, lineare, arrotondato all’apice, appena doppio del secondo in lunghezza; stilo lungo, nudo. — Vibrisse orali distinte; a notevole distanza dalla bocca, più av- vicinate all’apice delle antenne che ad essa. — Margini laterali della bocca muniti di una serie di fitti peli corti neri che prolungandosi sulle creste laterali della faccia oltrepassano appena le vibrisse. — Occhi irti di fitti peli; così grandi che si esten- dono per quasi tutta l'altezza del capo, oltrepassando in basso le vibrisse e rima- nendo separati dal margine laterale della bocca da un breve tratto di guancie. — Palpi filiformi. — Fronte stretta, con una sola serie di setole non lunghe nè robuste ai lati della striscia mediana. — Occipite piatto. — Scudetto assai grande con setole lunghe al margine. — Addome ovale, tozzo ; il primo segmento grande come gli altri; mancano affatto le setole dorsali e quelle laterali sono così disposte: una piccola sul primo ed una più lunga sul secondo; due o tre sul terzo, e una serie al margine posteriore del quarto, all’apice dell'addome frammiste con peli quasi altrettanto lunghi. — Piedi un po’ robusti; tibie posteriori cigliate dal lato esterno. — Al colla cel- lula marginale largamente aperta prima dell’apice; vena trasversa apicale un poco concava; piccola vena trasversale obliqua; la vena trasversa posteriore leggermente bisinuata; il margine anteriore cigliato all’ima base. Questi caratteri generici si convengono al maschio; quelli della femmina’ sono finora sconosciuti. | La specie tipica è la seguente ; DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 507 56. — Mystacomyia rubriventris. Mystacella rubriventris van per Wur (6), IL, p. 52, 1. Mystacomyia rubriventris Guario-Tos (13), p. 4. Maschio. — Faccia bianca con riflessi cinerei. — Palpi gialli, proboscide nera. — Fronte molto stretta in alto; la striscia frontale nera. — Occhi irti di fitti e corti peli bianchicci. — Antenne nere; i primi due articoli gialli. — Torace bianco-gial- liccio-pollinoso, con cinque striscie nere ben distinte di cui le tre mediane più sot- tili, quelle laterali più larghe e diffuse, un po’ interrotte alla sutura; petto e pleure gialliccio-pollinosi. — Scudetto assai grande, testaceo; alcune setole lunghe al mar- gine. — Addome ovato, testaceo, argenteo-pollinoso su tutti i segmenti, nero nel mezzo del primo segmento sotto allo scudetto e lungo una striscia mediana dorsale; abbreviata all'apice del terzo segmento; molti peli corti, neri, procumbenti, lo rico- prono e si fanno più lunghi sul quarto segmento formando all’apice dell'addome un ciuffo; le setole disposte come è detto nella diagnosi generica. — Piedi neri pelosi e setolosi; le tibie posteriori un po’ ferruginoso-scure nel mezzo e cigliate; uncini lunghi, neri; pulvilli lunghi e grigi. — Al limpide, gialliccie alla base e lungo il margine anteriore. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10. Un solo maschio. Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz, Tuxpango (6), Mexico *(Boucarp). XXV. — Gen, EXORISTA. Mrrcen (17), II, p. 280, 108. 57. — Exorista rufilatera. Exorista rufilatera Ronpani (24), p. 9 e 10. Masipoda geminata Braver e Bergensramm (7), I, p. 162; II, p. 402 e 430. — Tyrer Towxsen (32), p. 17. Exorista latimana van per Wut (6), II, p. 67, 12, tab. II, fig. 10. I nove esemplari della collezione BrLLARDI sono tutti maschi, epperò non ho potuto notare il peculiare carattere della grande dilatazione dell'ultimo articolo dei tarsi che è esclusivo della femmina. Ma dalla disposizione delle setole frontali nei maschi, tutte bene ordinate in una serie sola ai due lati della striscia mediana fron- tale, ho potuto riconoscere che senza dubbio appartengono alla specie Hxorista lati- mana di van Der WuLp, sinonima di Masipoda geminata BravER e BERGENSTAMM. Nella collezione di ditteri del Museo zoologico di Torino ho però trovato il tipo della specie descritto da RonpanI col nome di Ewxorista rufilatera nel 1850 e porta ancora l'etichetta con tale indicazione scritta dal Rondani stesso. Anche questo esemplare è un maschio e posto a confronto cogli altri maschi della collezione Bellardi non ne 508 DITTERI DEL MESSICO differisce e senza alcun dubbio appartengono tutti alla stessa specie. Il nome dato dal Rondani ha perciò la priorità e l’ho dunque sostituito agli altri due. Le variazioni principali che si notano negli esemplari suddetti e che hanno poca importanza si riferiscono essenzialmente allo scudetto che in taluni è tutto nero col- l’apice grigio, in altri è più o meno rossiccio verso l’apice ed in altri poi, come nell’esemplare tipico, è tutto rossiccio, esclusa la base che è nera. Anche il colore rossiccio ai lati dell'addome è più o meno diffuso ed in qualche esemplare il secondo segmento porta anche due setole marginali sul dorso, che mancano negli altri e nel tipo. Has. — Venezuela (24) — Brasile (32) — Messico: La Venta, Tierra Colorada, Amula, Xucumanatlan e Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero, Atoyac e Me- dellin in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Orizaba (6, 7), Orizaba e Tuxpango (SUMICHRAST). 58. — Exorista trivittata. Exorista trivittata van per Wuxe (6), HI, p. 70, 17. Maschio. — Nero, grigio-pollinoso. — Faccia un. po’ obliquamente ritratta, giallo-pollinosa con qualche riflesso bruno; guancie nericcie e pelose ai lati della bocca. — Hronte giallo-pollinosa; la striscia mediana stretta e nera; una serie di setole per parte che discendono fino all’apice del secondo segmento delle antenne. — Antenne, palpi e proboscide neri. — Occhi pelosi. — Torace grigio-gialliccio pol- linoso; tre striscie longitudinali nere molto larghe e ben distinte; ai lati di quella mediana un’altra striscia più sottile presso al margine anteriore ; petto e pleure neri, gialliccio-pollinosi. — Scudetto nero, grigio-pollinoso , un po’ fulviccio all'apice. — Addome sub-conico, nero, lucente, peloso; la pollinosità bianca forma delle larghe fascie su tutti i segmenti (fuorchè il primo), interrotte nel mezzo e ben più distinte alla base di essi; una fascia un po’ meno larga al margine posteriore dei medesimi segmenti è nera, perchè priva di pollinosità; le setole solamente marginali così disposte: una per lato sul primo segmento; due dorsali ed una o due laterali sul secondo; una serie sul terzo e quarto, quelle di quest’ultimo frammiste coi lunghi peli anali. — Ventre nero; la fascia bianca basale dei segmenti assai più stretta. — Piedi neri; una serie di setole anteriore ed: un’altra posteriore sui femori anteriori; alcune assai lunghe sparse sul margine interno dei femori posteriori; due setole assai lunghe esternamente sulle tibie mediane; le posteriori un po’ cigliate e con due setole più lunghe verso il mezzo ed altre due all’apice, appaiate ; l’ultimo articolo dei tarsi con lunghi peli; uncini lunghi neri; pulvilli lunghi, fulvi. — Al limpide, un po’ bruniccie lungo la costa ed alla base. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 10. Non rimangono in collezione che due maschi di cui uno mancante dell’addome. Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Orizaba (Su- MICHRAST). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 509 XXVI. — Gen. TRICHOLYGA. Ronpani (26), INI, p. 184, gen. 89. 59. — Tricholyga gracilens. (Fig. 16, capo). Tricholyga gracilens Gisrio-Tos (13), p. 5. Maschio. — Capo più largo del torace. — Faccia bianca obliquamente ritratta; epistomio non sporgente; vibrisse inserite al margine orale, lunghe, incrociate; im- mediatamente sopra ad esse due setole più piccole; il resto delle creste facciali nudo; guancie molto strette nude. — Proboscide nera; palpi gialli sporgenti dall’epistomio. — Fronte largo, appena più stretto in alto, bianco con riflessi brunicci; striscia fron- tale larga, nera; ai lati di questa una serie di setole robuste di cui una a mezzo il fronte ricurva all'indietro e più lunga, le altre convergenti e discendenti fin oltre la base dello stilo delle antenne. — Occipite piatto. — Occhi grandi, irti di peli lunghi, giallicci. — Antenne lunghe come la faccia, nere, inserite quasi contro al mezzo degli occhi; il secondo articolo talora fulvo-bruno; terzo, stretto alla base, appena più dilatato all’apice; stilo lungo, ingrossato alla base, nudo. — Torace nero, cosparso di pollinosità cenerino-glauca; quattro striscie nere anteriormente poco distinte. — Scudetto grande, del color del torace, anche pollinoso. — Addome conico, nero lucente, con fascie di pollinosità glauco-cenerina alla base dei segmenti escluso il primo; setole robuste, nere, solo marginali fuorchè sul quarto segmento; le due setole marginali mediane del terzo segmento un po’ lontane dal margine. — Piedi neri molto setolosi; pulvilli brunicci, mediocri; femori anteriori cenerini al di sotto. — Ali grigie; la quarta e quinta vena longitudinale appendiculate all'apice ; cellula apicale aperta prima dell’apice dell’ala; vena trasversa apicale quasi diritta; vena trasversa posteriore molto obliqua e curva prima di congiungersi alla quarta longi- tudinale; 1° e 3% vena longitudinale, cigliate visibilmente per tutta la loro lunghezza; la 5? cigliata solo nella metà basale. — Calittere bianche. — Bilancieri giallicci. — Lunghezza mm. 10. Due sole femmine senza indicazione di località messicana (BoucaRD). 60. — Tricholyga insita. Tricholyga insita Gierio-Tos (13), p. 5. Maschio. — Faccia cenerino-gialliccia, obliquamente ritratta ; epistomio appena sporgente; vibrisse inserite al margine orale lunghe, incrociate; sopra ad esse due altre setole lunghe quanto esse e quindi alcune altre più brevi sulle creste facciali fin circa al mezzo della faccia; guancie mediocri munite in basso di alcuni piccoli peli. — Proboscide nera; palpi gialli. — Fronte cenerina a riflessi neri ai lati, assai più stretta degli occhi al vertice; striscia mediana nera; serie delle setole frontali 6510 DITTERI DEL MESSICO discendenti fino alla base del terzo articolo delle antenne. — Occhi irti di lunghi peli fulvicci. — Antenne nere, un po’ meno lunghe della faccia; articolo 2° con una setola al margine superiore; articolo 3° largo, triplo del secondo, arrotondato all’a- pice e un po’ convesso al margine superiore, fulvo alla base; stilo nudo. — Torace, scudetto e addome neri alquanto lucenti, cenerino-pollinosi, specialmente il torace sulle pleure e l'addome alla base dei segmenti, escluso il primo; due setole discali sul secondo e terzo segmento dell’addome oltre le marginali. — Piedi neri, setolosi; uncini lunghi; pulvilli lunghi e fulvi; femori cenerini al di sotto. — A% grigie; vena trasversa apicale concava alla base quindi molto obliqua; vena trasversa posteriore molto obliqua; piccola vena trasversa un po’ prima della metà della cellula discale. — Calittere grigie. — Bilancieri bruni. — Lunghezza mm. 7. Un solo maschio senza indicazione di località messicana (Boucarp). XXVII. — Gen. CYRTOPHLOEBA. Ronpani (26), II, p. 187, gen. 30. 61. — Cyrtophloeba horrida. (Fig. 11, capo, lla, ala). Cyrtophloeba horrida Gisrio-Tos (13), p. 6. Maschio. — Faccia bianca con riflessi nericci, molto obliquamente ritratta; guancie strette nude, epistomio non sporgente; vibrisse al margine orale, lunghe, incrociate; sopra alle vibrisse due o tre setole sulle creste facciali; sui lati della faccia una serie di quattro lunghe setole robuste, ricurve in basso. — Prodoscide nera; palpi fulvi. — Fronte larga più degli occhi anche al vertice, nericcia ai lati; striscia mediana picea; setole frontali lunghe discendenti fin sotto alla base delle antenne, dove comincia la serie delle setole facciali. — Occhi irti di lunghi peli fulvi. — An- tenne nere, lunghe un po’ meno della faccia; articolo secondo un po’ lungo, superior- mente fulvo e con due setole; terzo largo, doppio del secondo, arrotondato all’apice, convesso al margine superiore; stilo mediocre, nudo, nero, ingrossato fin oltre la metà. — Torace, scudetto e addome neri, alquanto lucenti; dorso del torace legger- mente cenerino-pollinoso con quattro striscie abbastanza distinte; una fascia bianca stretta alla base dei segmenti addominali, escluso il primo; setole solamente mar- ginali, fuorchè sul quarto segmento; le due mediane del secondo e del terzo sono però alquanto allontanate dal margine; addome conico. — Piedi neri; pulvilli fulvi. — Ali grigie, nericcie lungo la costa e alla base; vene trasverse offuscate di nericcio; piccola vena trasversa al di là del mezzo della cellula discale; cellula apicale aperta assai prima dell’apice dell'ala; vena trasversa apicale concava alla base quindi obliqua; vena trasversa posteriore convessa e posta a mezza distanza tra la piccola vena trasversa e la vena trasversa apicale; prima vena longitudinale interamente cigliata; la terza cigliata fin oltre la piccola vena trasversa. — Calittere bruniccie. — Lunghezza mm. 8. 4 Un solo esemplare senza indicazione di località messicana (SumicHRAST). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 51 XXVIII. — Gen. PHOROCERA. Rosmeau-Desvomy (21), p. 131, XVI. 62. — Phorocera parvula. Phorocera parvula van per Wutr (6), II, p. 78, 4. Femmina. — Nera lucente; i lati della faccia e del fronte sono fulvi; la base dei segmenti dell'addome bianco-pollinosi; le calittere bianche, le ali ialine. — Lun- ghezza mm. 6. Quattro esemplari tutti femmine che si accordano bene, colla descrizione del VAN DER Wutp. Has. — Messico: Orizaba (6). — Vennero raccolti da BoucArD, ma non è indicato in quale località del Messico. 69. — Phorocera atriceps. Phorocera atriceps van per Wu (6), II, p. 79, 5. Femmina. — Nera opaca, e pelosa; i lati della faccia e del fronte neri; l’ad- dome un po’ rossiccio ai lati del terzo e quarto segmento; ali ialine; calittere bianchiccie. — Lunghezza mm. 6. Quattro esemplari femmine, che bene si accordano colla descrizione del van per Wutp. Has. — Messico: Orizaba, Venta de Zopilote e Amula in Guerrero (6). — Gli esemplari della collezione furono raccolti da BoucArD, ma non è indicata la località del Messico. XXIX. — Gen. PLAGIA. Mricen (18); VII, p. 201, 6. 64. — Plagia americana. Plagia americana van ver Wutp (6), II, p. 102, 2, tab. II, fig. 19. Due esemplari femmine, di cui uno corrisponde bene alla descrizione del van DER Wutxp, l’altro differisce per avere la terza vena longitudinale spinosa molto al di là della piccola vena trasversale. Tutti e due hanno una piccola appendice all’an- golo della quarta vena longitudinale che nella figura del van per WuxP non è indicata. Has. — Messico: Orizaba, Venta de Zopilote, Xucumanatlan ed Omilteme in Guerrero, Teapa in.Tabasco (6). — Raccolti da BoucarD senza indicazione di località. 512 DITTERI DEL MESSICO 65. — Plagia mexricana. (Fig. 13, capo). Plagia mexicana Gieuio-Tos (13), p. 5. Femmina. — Nera, cinereo-pollinosa. — Faccia e fronte gialle; la striscia frontale bruna; vibrisse lunghe ed incrociate; due o tre piccole setole sopra di esse; le setole frontali oltrepassanti la base del terzo articolo delle antenne; la setola terminale ricurva in basso; le due setole di questa serie nella parte più alta del fronte ricurve all'indietro; tre setole orbitali ricurve in basso. — Proboscide nera e corta; palpi bruno-fulvi. — Occhi nudi, grandi. — Antenne nere; primi articoli brevissimi ; il terzo almeno triplo del secondo, raggiungente quasi il margine orale. — Torace trapezoidale, assai più largo in avanti, grigio-pollinoso, colle striscie nere confuse; stilo nero, ingrossato fino alla sua metà. — Scudetto nero, grigio-pollinoso. — Addome stretto, conico, nero-lucente; il secondo e terzo segmento con una fascia cinereo-pol- linosa, visibile specialmente alla base; sul secondo segmento due setole dorsali ed una laterale marginali; sul terzo due dorsali lontane dal margine e due o tre late- rali veramente marginali; sul quarto alcune discali. — Piedi neri, pelosi e setolosi; uncini e pulvilli minuti. — Al quasi limpide; la prima vena longitudinale spinosa per tutta la sua lunghezza; la terza fino molto al di là della piccola vena trasversa; la vena trasversa apicale, appena concava all’ima base, poi leggermente ondulata ed obliqua; una piccola appendice al gomito della quarta vena longitudinale. — Ca- littere bianche. — Lunghezza mm. 8. Ne osservai una sola femmina, molto simile a P. americana, ma che mi parve dover distinguere per la colorazione gialla della faccia, la maggior lunghezza del terzo articolo delle antenne e la forma trapezoidale del torace. Per gli stessi carat- teri differisce anche da P. aurifrons Trner Townsenp (31), Paper V. Has. — Non è indicata la località del Messico, in cui fu raccolta da Boucarp. 66. — Plagia dicta. Plagia dicta Giewio-Tos (13), p. 5. Femmina. — Faccia cenerina obliquamente ritratta; epistomio appena sporgente; guancie strette nude; vibrisse al margine orale; tre o quattro setole sopra le vibrisse; il resto delle creste facciali nudo. — Proboscide nera coll’apice fulvo; palpi fulvi. — Occhi irti di brevissimi peli. — Fronte in avanti alquanto sporgente, larga meno degli occhi, cenerina ai lati, nera sulla striscia mediana; una serie di setole ad ogni lato discendente fino alla base delle antenne; due setole orbitali. — Antenne nere, lunghe quanto la faccia; secondo articolo con setole al margine superiore; terzo arti- colo largo, lineare, quintuplo del secondo; stilo nudo. — Torace e scudetto neri, cene- rino-pollinosi, specialmente sulle pleure; sul dorso del torace quattro striscie appena distinte. — Addome conico, nero, lucente; una fascia stretta bianca alla base dei segmenti; due setole marginali dorsali sul primo segmento; due discali e due mar- DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 513 ginali sul secondo; due discali e una serie di marginali sul terzo; alcune discali sul quarto. — Piedi neri; femori cenerini inferiormente; pulvilli giallicci. — Al grigie; vena trasversa apicale concava alla base quindi molto obliqua; vena traversa poste- riore bisinuosa. — Calittere grandi, bianchiccie. — Bilancieri giallicci. — Lungh. mm. 7. Una sola femmina senza indicazione di località messicana. XXX. — Gen. METOPIA. Mrroen (17), II, p. 280. 67. — Metopia perpendicularis. Metopia perpendicularis van per Wurr (6), II, p. 115, 1, tab. II fig. 18, 18a. Un solo esemplare femmina che differisce da quelli descritti da van DER WuLp specialmente per la forma della vena posteriore trasversale che è diritta all’ima base, quindi concava e poi un po’ obliqua; la vena trasversa apicale è leggermente ondu- lata. L’addome nero, un po’ lucente, appare, visto dal di dietro, munito di macchie bianchiccio-pollinose sui tre ultimi segmenti separate da una linea mediana longitu- dinale e da due laterali. 1 Has. — Messico: Amula in Guerrero, Cuernavaca in Morelos (6), Solco (Su- MICHRAST). XXXI. — Gen. MASICERA. Macquarr (15), II, p. 118. 68. — Masicera bilineata. Masicera bilineata van per Wurr (6), II, p. 112, 17. Un solo esemplare femmina (raccolto da BoucarD senza indicazione di località) che differisce solamente da quello descritto da van pER WutP, perchè il primo seg- mento dell’addome non è apparentemente più breve del secondo. Ha. — Messico: Temax in North Yucatan (6). 69. — Masicera sesquiplerx. Masicera sesquiplex Gienio-Tos (13), p. 6. Femmina. — Faccia gialla, bianchiccia nella depressione mediana, quasi per- pendicolare; vibrisse al margine orale; due o tre peli al di sopra di esse immedia- tamente; il resto delle creste facciali nudo; guancie un po’ pelose ai lati della bocca, molto strette. — Proboscide nera e corta; palpi gialli. — Fronte un po’ più stretta Serie II. Tom. XLIV, 0? 514 . DITTERI DEL MESSICO in alto e quivi larga quanto gli occhi, gialla; la striscia mediana nera, larga quanto i lati; per ogni parte di essa una serie di setole, di cui le tre più basse scendono al di sotto della base delle antenne; e le tre più alte sono ricurve all’indietro; due setole orbitali ricurve in basso. — Occhi grandi, oltrepassanti l’apice delle antenne e raggiungenti il livello delle vibrisse, nudi. — Antenne nere un po’ più corte della faccia; il primo articolo brevissimo, il secondo assai lungo, il terzo una volta e mezzo lungo quanto il secondo o poco più; stilo lungo un po’ più delle antenne, ingrossato nel terzo basale, quindi sottile. — Torace densamente grigio-gialliccio-pollinoso; an- teriormente più largo, quattro striscie nere ben, distinte in avanti; le laterali più larghe si confondono posteriormente colle mediane; petto e pleure gialliccio-pollinosi. — Scudetto nero alla base, gradatamente testaceo rossiccio verso l’estremità, anch'esso pollinoso. — Addome ovato, tutto gialliccio-pollinoso, fuorchè il primo segmento, una sottile striscia mediana sul secondo e terzo segmento e due altre laterali poco di- stinte ed i margini posteriori che sono neri; il quarto segmento affatto giallo-dorato per la densa pollinosità che lo ricopre; sul primo e secondo segmento due setole dorsali ed una laterale, marginali; quelle dorsali del primo deboli; sul terzo una serie di setole robuste; sul quarto alcune discali. — Ventre grigio-pollinoso. — Piedi neri; le tibie posteriori brevemente cigliate all’esterno, e come le altre anche mu- nite di alcune setole; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli un po’ giallicci. — A% lim- pide; la piccola vena trasversa un po’ prima del mezzo della discale; la vena trasversa posteriore dritta alla base, poi obliqua; la vena trasversa apicale obliqua, appena concava alla base. — Calittere bianche; bdilancieri bruni. — Lunghezza mm. 8. Questa specie è molto simile a M. auriceps Macquart (16), II, 3° part., p. 59, 1, per la colorazione del capo, del torace e dell’addome, ma la ritengo ben distinta per la mancanza di setole sulle creste facciali. Una sola femmina. Has. — Senza indicazione della località messicana (Boucarp). 70. — Masicera usta. Masicera usta Gieio-Tos (13), p. 6. Femmina. — Faccia giallo-dorata, un po’ obliquamente ritratta; creste facciali nude; guancie pelose ai lati della bocca; proboscide nera; palpi gialli. — Fronte dorata; le setole come in M. sesquiplex; la striscia nera più stretta dei lati. — Antenne lunghe circa quanto la faccia e nere; il terzo articolo lineare, triplo del secondo, arrotondato all’apice; stilo nero, ingrossato alla base per un certo tratto e leggermente pubescente, lungo e sottile nel resto. — Torace dorato; le due striscie mediane sottili ma ben distinte; le laterali più larghe ma, interrotte alla sutura; pleure aureo-pollinose. — Addome ovato sub-conico, nero; sul secondo, terzo e quarto segmento una fascia dorata alla base, più visibile lungo le incisioni; quella del quarto segmento larga quanto la metà della lunghezza e più intensa; le setole solamente marginali fuorchè sul quarto segmento; due dorsali ed una laterale sul primo e secondo segmento, una serie sul terzo. — Ventre con fascie aureo-pollinose come il DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 515 dorso dell'addome. — Piedi neri, pelosi e setolosi; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli fulvi. — A limpide largamente alla base, al margine posteriore ed all’apice; offu- scate intensamente nella regione mediana anteriore; la cellula apicale aperta un po prima dell’apice dell’ala; la vena trasversa apicale fa colla quarta longitudinale un angolo molto ottuso ed è appena leggermente piegata vicino all’apice; la vena trasversale posteriore fortemente bisinuosa; la piccola vena trasversale corrisponde al mezzo della cellula discale. — Calittere bianchiccie, a margine gialliccio. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 7. Questa specie sebbene molto affine a M. picta van per Wuxp (6), II, p. 108, tab. IMI, fig. 13, 13a, ne è però distinta specialmente per i disegni del torace e le nervature delle ali. Has. — Messico (BoucaARD). 71. — Masîicera vittata. Tachina vittata Warxer (38), p. 301 (nec ibidem, p. 273). — Tver Townsenp (32), p. 15. WALKER non descrisse che il maschio di questa specie; io descrivo la femmina aggiungendovi quei caratteri che sono oggidì necessari per una buona descrizione. Femmina. — Faccia gialliccia e fronte gialla; creste facciali nude; guancie strettissime; proboscide nera e palpi fulvo-bruni; la striscia frontale nera più larga dei lati; le setole disposte come in M. glauca. — Antenne nere; il terzo articolo triplo del secondo, raggiungente quasi l’epistomio, lineare, arrotondato all’apice; stilo nero, lungo, ingrossato alla base e appena pubescente. — Occhi grandi, che raggiun- gono quasi le vibrisse. — Torace giallo-pollinoso, così il petto e le pleure; sul dorso quattro striscie larghe, nere, ben distinte. — Scudetto nero, gialliccio-pollinoso nella metà apicale. — Addome ovato, nero-opaco; sui segmenti secondo, terzo e quarto una stretta fascia dorato-pollinosa alla base, appena interrotta nel mezzo, ed un po’ dilatata ai lati; oltre alle solite setole marginali due discali sul dorso del se- condo e terzo segmento, un po’ più deboli. — Piedi neri, alquanto lunghi; i tarsi un po’ più lunghi delle tibie; pulvilli bruno-fulvi. — Ali affumicate, fuorchè lungo il margine posteriore ed all’apice; cellula apicale aperta presso l’apice; vena apicale facente un angolo ottuso colla quarta longitudinale, obliqua, ed appena piegata presso l'apice; piccola vena trasversa posta al mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore bisinuosa. — Calittere gialliccie. — Biwlancieri gialli. — Lunghezza mm. 7. Due femmine. Has. — Sud-America (38) — Senza indicazione della località messicana (Boucarp). 72. — Masîicera strigata. Masicera strigata van per Wuxr (6), II, p. 105, 2. Una sola femmina che differisce dal tipo descritto per avere le ali ialine. Has. — Messico: Venta de Zopilote in Guerrero, Cuernavaca in Morelos, Atoyac in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6) — Senza indicazione di località messicana (BoucARD). 516 DITTERI DEL MESSICO 78. — Masicera glauca. Masicera glauca Giorio-Tos (18), p. 6. Femmina. — Faccia bianchiccia nella depressione mediana, gialliccia ai lati che sono molto stretti e nudi; guancie strettissime; vibrisse inserite proprio al mar- gine orale ed incrociate; proboscide e palpi gialli. — Fronte quasi non sporgente, un po’ più stretta in alto, gialla; la striscia nera, larga al vertice un po’ più delle parti laterali; ai lati di questa una serie di setole convergenti, di cui le due infe- riori poste al di sotto della base delle antenne e raggiungenti quasi l’apice del secondo articolo e le due ultime superiori ricurve all'indietro; due setole orbitali ricurve in basso; due ocellari ricurve in basso e divergenti. — Antenne nere; il secondo articolo peloso, al di sopra breve; il terzo lineare, stretto, un po’ incavato al margine superiore presso la base, arrotondato all’apice, lungo almeno quattro volte il secondo e raggiungente quasi l’epistomio; stilo nero, lungo, sottile, ingrossato per un breve tratto alla base. — Occhi nudi, così grandi che raggiungono le vibrisse. — Torace, scudetto e addome tutti di color nero-pruna, coperti di una fine pollinosità cinereo-glauca; così anche le pleure ed il petto. — Scudetto munito ai lati di due lunghe setole e di altre due più lunghe all’apice che giungono fino a metà del terzo segmento addominale; e nel mezzo di due setole più piccole. — Addome ovato, ri- gonfio; il primo segmento manca di pollinosità, è lungo quanto il secondo ed ha una sola setola marginale ad ogni lato (quelle dorsali sono così sottili che non si distin- guono dagli altri peli); sugli altri segmenti è più visibile alla base ed ai lati, variando però secondo l’incidenza della luce; il secondo segmento ha solo setole marginali, due dorsali ed una per lato; il terzo ed il quarto ne hanno anche due dorsali discali oltre alla solita serie marginale. — Ventre convesso, colorato come l’addome. — Piedi picei, pelosi e setolosi; i femori anteriori grigio-pollinosi; uncini e pulvilli pic- coli; pulvilli gialli. — Al un po’ grigie; cellula apicale aperta presso all’apice del- l’ala; piccola vena trasversale prima del mezzo della cellula discale: vena trasversa posteriore appena concava alla base, quindi alquanto obbliqua. — Calittere grigie. — Lunghezza mm. 8. Una sola femmina. Has. — Senza indicazione della località messicana (Boucarp). XXXII. — Gen. DEGEERIA. Mrisen (18), VII, p. 249, 37. 74. — Degeeria mexicana. Degeeria mexicana Gieuio-Tos (13), p. 7. Maschio. — Corpo snello, nero, un po’ lucente, peloso. — accia grigia con riflessi neri, assai obliquamente ritratta; guancie strette, pelose in basso ai lati della DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 517 bocca; margini orali muniti di lunghi peli setolosi; vibrisse al margine orale, incro- ciate; al di sopra di esse alcune piccole setole sulle creste facciali, che si estendono appena per un terzo dell'altezza della faccia; lati della faccia nudi. — Proboscide nera; palpi filiformi neri e pelosi. — Fronte molto stretta in alto, bianchiccia; la striscia mediana nera, più stretta in alto, ma al vertice occupante quasi tutta la larghezza; ai lati di questa una serie sola di setole convergenti, di cui tre o quattro superiori ricurve all'indietro, e le cinque inferiori al di sotto della base delle an- tenne si estendono fino oltre l’apice del secondo segmento delle antenne; due setole brevi ocellari. — Occhi grandi, nudi. — Antenne lunghe, raggiungenti quasi l’epi- stomio, nere; il secondo articolo un po’ peloso superiormente; il terzo triplo del se- condo, lineare; stilo lungo, sottile, ingrossato per un breve tratto alla base. — Torace nero, alquanto lucente, peloso, appena con qualche leggero riflesso bianco agli angoli anteriori e sulle pleure, se osservato molto obliquamente. — Scudetto grande, trian- golare, nero lucente, con due lunghe setole divergenti all'apice. — Addome conico, nero lucente, sparso di peli eretti, fra cui sono frammiste le setole; le incisioni con riflessi bianchi, se osservate molto obliquamente; sul primo segmento, lungo quanto il secondo, due setole dorsali ed una per parte tutte marginali; sul secondo, e sul terzo e sul quarto oltre alle marginali anche due discali dorsali. — Piedi alquanto lunghi, neri; i femori anteriori con una serie posteriore ed un’altra anteriore di setole; gli altri irregolarmente setolosi; tarsi un po’ più lunghi delle tibie; uncini e pulvilli mediocremente lunghi; pulvilli gialli. — A offuscate di bruno lungo il mar- gine anteriore e gradatamente più limpide verso il margine posteriore e l’apice che sono ialini; cellula apicale aperta presso all’apice dell’ala; vena trasversa apicale che fa colla quarta longitudinale un angolo molto ottuso (nella maggior parte degli esemplari non forma un vero angolo ma una curvatura); piccola vena trasversa pres- sochè nel mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore fortemente hisinuosa. — Calittere brune come la parte offuscata delle ali. — Lunghezza mm. 7-8. Questa specie che a quanto pare è comune nel Messico, è alquanto simile alla europea D. separata (Tachina) Meren (18), IV, p. 406, 290, ed anche a D. nigrocostalis VAN DER Wuxp (6), II, p. 151, 1, tab. IV, fig. 10, dalla quale però differisce note- volmente per le vene alari. Undici esemplari tutti maschi, di cui uno differisce per avere le ali quasi ialine ed i riflessi bianchi alle incisioni dell’ addome un po’ più distinti; ed un altro per avere i palpi e la proboscide all’apice bruno-fulvi. Has. — Orizaba (SUMICHRAST). 75. — Degeeria anthracina. Degeeria anthracina Bisor (5), p. 259, 30. Stante la breve descrizione del Brgor non posso assicurare che un esemplare maschio della collezione, che corrisponde bene ai caratteri accennati in essa, con- venga anche coll’esemplare tipico per gli altri caratteri che non vi sono accennati. Credo perciò conveniente di ripetere la descrizione sull’esemplare da me esaminato. 518 DITTERI DEL MESSICO Maschio? — Nero, lucente; faccia con qualche riflesso bianchiccio, molto incli- nata all'indietro, colle creste facciali munite di piccole setole per quasi tutta la loro lunghezza; vibrisse inserite al margine orale; guancie strettissime. — Proboscide nera; palpi bruni. — YHronte larga al vertice circa un terzo del capo; striscia frontale nera, larga assai; una serie di setole ai lati di essa che discende fin presso all’apice del secondo segmento delle antenne. — Antenne lunghe quanto la faccia; il terzo articolo sei o sette volte lungo quanto il secondo. — Torace con qualche leggero riflesso bianchiccio agli angoli anteriori. — Addome conico, acuto; sul secondo seg- mento due setole discali oltre alle solite marginali. — Ali ialine; cellule du aperte presso all’apice; gomito della quarta vena longitudinale curvo; piccola vena, trasversa prima del mezzo della cellula discale: vena trasversa posteriore perpen- dicolare sulla quarta longitudinale e diritta. — Calittere bianche. — Lungh. mm. 4. Has. — Messico (5) — Senza indicazione di località messicana (BoucaRp). 76. — Degeeria ‘insecta. Degeeria insecta Giauio-Tos (13), p. 7. Femmina? — Faccia obbliquamente ritratta, cinerea; argentina se osservata dall'alto; vibrisse inserite un po’ al di sopra del margine orale; alcune setole imme- diatamente sopra di essa sulla cresta facciale estese per un terzo dell’altezza della faccia; guancie un po’ più larghe che nelle specie precedenti , pelose. — Proboscide nera, con labbra gialle; palpî gialli. — Fronte alquanto sporgente, assai larga, un po’ più stretta in alto, colorata come la faccia; la striscia mediana nera, più stretta delle parti laterali; una sola serie di setole per parte convergenti, di cui le tre prime superiori ricurve all’indietro, le due ultime inferiori al di sotto della inser- zione delle antenne; due setole ocellari. — Occhi nudi. — Antenne nere, lunghe assai meno della faccia; il secondo articolo con alcuni peli lunghi e rigidi al margine superiore; il terzo triplo almeno del secondo, stretto e lineare. — Torace col petto e le pleure, e scudetto uniformemente e densamente cinereo-pollinosi; sul dorso del torace nessun accenno di striscie nere. — Addome nero, coperto di peli lunghi neri; alla base del secondo e terzo segmento una fascia cinereo-pollinosa ben distinta, larga quanto la metà della lunghezza del segmento; sul quarto la fascia è visibile solo ai lati; le setole solamente marginali, fuorchè alcune discali sul quarto; due dorsali ed una per parte laterale sul primo o secondo segmento; una serie sul terzo. — Piedi neri; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli fulvi. — Al ialine; cellula apicale aperta presso l'apice dell’ala; piccola vena trasversa posta prima del mezzo della cellula discale; vena.trasversa posteriore appena obliqua e quasi diritta, posta più vicina alla curvatura della quarta vena longitudinale, che alla piccola vena tras- versa. — Calittere bianche. — Lunghezza mm. 8. Un solo esemplare che credo femmina stante la piccolezza degli uncini e dei pulvilli e la larghezza del fronte. Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucarD). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 519 (7. — Degeeria cruralis. Degeeria cruralis Gieuio-Tos (13), p. 7. Femmina. — Faccia molto obliquamente ritratta, grigio-bianchiccia; le vibrisse al margine boccale, incrociate; creste facciali ben spiccate, munite di setole fino a due terzi dell’altezza della faccia; guancie strette. — Proboscide e palpi gialli. — Fronte larga, grigio-bianchiccia; la striscia mediana, stretta più dei lati, nera; ai lati di essa una serie di setole che discende un po’al disotto della base delle antenne; due setole orbitali in alto del fronte ricurve in basso. — Occhi nudi. — Antenne nere, lunghe quanto la faccia; il terzo articolo stretto, lineare, quadruplo del secondo. — Torace e scudetto neri; anteriormente il dorso del torace bianchiccio- pollinoso con quattro striscie nere poco distinte; petto e pleure grigio-pollinosi. — Addome conico, nero, lucente; una stretta fascia bianco-pollinosa, alla base dei seg- menti secondo, terzo e quarto; quella di quest’ultimo un po’ più larga; in sul primo segmento due setole dorsali ed una laterale, solo marginali; sul secondo oltre a due dorsali e due laterali marginali anche due dorsali discali; sul terzo due dorsali discali oltre ad una serie di marginali; sul quarto molte discali. — Ventre nero lu- cente, colle fascie bianche alla base dei segmenti più larghe e più visibili. — Piedi neri; femori testacei; uncini e pulvilli piccoli; pulvilli fulvi. — Al limpide, un poco grigie; cellula apicale aperta all’apice dell’ala; la nervatura della quarta vena lon- gitudinale non angolosa; vena piccola trasversa appena un po’ prima del mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore quasi diritta e perpendicolare alla quarta ed alquanto più vicina alla piegatura di questa che alla piccola vena trasversa. — Calittere bianchiccie. — Bilancieri giallicci. — Lunghezza mm. 6. Una sola femmina. Has. — Senza indicazione di località messicana (SumIcHRAST). 78. — Degeeria dicax. Degeeria dicax Gierio-Tos (13), p. 7. Maschio. — Faccia obliquamente ritratta, bianco-gialliccia nella depressione mediana, giallo-dorata ai lati; vibrisse assai lunghe, incrociate, poste al margine boccale; al di sopra di esse alcune piccole setole sulle creste facciali che si esten- dono fin verso il mezzo della faccia. — Proboscide e palpi neri. — Fronte alquanto sporgente, giallo-dorata ai lati, assai più stretta in alto; la striscia frontale nera, larga al vertice assai più delle parti laterali; ai lati di essa una sola serie di setole convergenti, di cui le tre prime superiori curve all’indietro e le tre ultime inferiori poste al di sotto dell'inserzione delle antenne si estendono fino all’apice del loro secondo articolo. — Occhi nudi. — Antenne nere, lunghe quasi quanto la faccia; il terzo articolo lineare, quasi tronco all’apice, stretto e lungo tre volte il secondo; stilo lungo, sottile, nero, ingrossato per un breve tratto alla base. — Torace, petto e pleure neri, giallo-pollinosi; sul dorso quattro striscie nere ben distinte, di cui le 520 DITTERI DEL MESSICO laterali più larghe assai. — Scudetto nero, grigio-gialliccio-pollinoso all'apice. — Ad- dome conico, nero, sparso di rari e corti peli; sui segmenti secondo, terzo e quarto una lunga fascia basale, grigio-gialliccio-pollinosa, dilatata ai lati da occupare quasi tutta la lunghezza del segmento, ristretta nel mezzo, perchè incavata posteriormente; i lati del secondo segmento sono un po’ testacei; setole numerose discali e margi- nali, così disposte: sul primo segmento due dorsali ed una laterale solo marginali; sul secondo quattro discali, due presso al margine anteriore e due nel mezzo appaiate, quindi due dorsali e tre per parte ai lati marginali; sul terzo le discali come nel secondo, ed inoltre una per parte verso i lati anche discale e la serie solita di mar- ginali; sul quarto poi molte discali oltre alle marginali. — Ventre colorato come il dorso dell'addome. — Piedi neri; i tarsi anteriori un po’ più lunghi delle tibie; pul- villi bruno-fulvi. — A% un po’ bruniccie dalla base lungo il margine anteriore e gra- datamente ialine verso il margine posteriore e l'apice; cellula apicale aperta presso all’apice; curvatura della quarta vena longitudinale non angolosa; vena trasversa apicale obliqua, un po’ ondulata, e presso all’apice piegata; piccola vena trasversa corrispondente pressochè al mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore fortemente bisinuosa. — Calittere bianco-gialliccie, con orlo gialliccio. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 8. Un solo maschio. Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucArp). XXXHI. — Gen. MACQUARTIA. Romeau-Desvomy (21), p. 204. 79. — Macquartia setiventris. Macquartia setiventris van per Wure (6), IL, p. 129, 1, tab. III, fig. 21, 21a. Una sola femmina che differisce dal maschio per avere il fronte largo con due setole orbitali ricurve in basso oltre alla solita serie ai lati della striscia frontale. Ha. — Messico: Orizaba, Omilteme in Guerrero (6), Solco. XXXIV. — Gen. MYIOBIA. Myobia Rosimeav-Desvory (21), p. 99. 80. — Myiobia flavicornis. Myobia flavicornis van per Wutr (6), II, p. 133, 1, tab. IV, fig. 1, la. Un solo esemplare senza indicazione di località messicana, coll’apice delle antenne e le tibie bruniccie. Hag. — Messico: Teapa in Tabasco (6). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 521 XXXV. — Gen. PROSPHERYSA. van peR Wure (6), II, p. 116. 81. — Prospherysa aemulans. Prospherysa aemulans van per WurP (6), II, p. 117, 1, tab. II, fig. 14, 14a. Dexiophana aemulans Bravrr e Bercensramm (7), IL, p. 374 e 421. Un solo maschio (senza indicazione di località messicana) colla spina costale delle ali assai distinta e di statura maggiore (mm. 10). Nel resto corrisponde alla descrizione del tipo. Has. — Messico: Atoyac in Vera-Cruz, Teapa in Tabasco (6). XXXVI. — Gen. HYPOSTENA. Mrisen (18), VII, p. 239, n° 29. 82. — Hypostena triangulifera. Homodexia triangulifera Bisor (5), p. 268, 75. Hypostena blandita van per Wurr (6), IL, p. 142, 2, tab. IV, fig. 4, 4a e p. 264. Tre maschi che convengono bene nei loro caratteri colla descrizione del van DER Wutp, ma senza indicazione della località messicana in cui furono raccolti. Has. — Costa-Rica: Rio Sucio — Messico: Xucumanatlan, Omilteme e Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero, Orizaba (6). 83. — Hypostena concinna. Hypostena concinna van per Wutr (6), II, p. 142, 3. Un solo esemplare maschio un po’ guasto, ma tuttavia facilmente distinto dalla H. triangulifera per i caratteri accennati dal van per Wutpr. Senza indicazione di località messicana. Ha. — Messico: Amula e Xummanatlan in Guerrero (6). XXXVII. — Gen. ANISIA. van DER Wurr (6), II, p. 186. 84. — Anisia nigella. Anisia nigella van per Wutr (6), II, p. 193, 14, Una sola femmina mancante di riflessi bianchicci alla base dei segmenti, e senza indicazione di località messicana. 5 Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6). Serie Il. Tom. XLIV. pî 522 DITTERI DEL MESSICO 85. — Amnisia opaca. Anisia opaca van per Wuxe (6), II, p. 200, 31. Un solo esemplare femmina. Has. — Messico: Sierra de las Aguas Escondidas e Omilteme in Guerrero (6), Coscom (SUMICHRAST). XXXVII. — Gen. PHASIOPTERYX. Braurr e Bereenstamm (7), I, p. 147. 86. — Phasiopteryx ochracea. Pyrrhosia ochracea Bisor (5), p. 268, 78. Phasiopterye Bilimekii Brauer e Bereensram (7), I, p. 147. Neoptera rufa van DER Wutp (6), II, p. 166, 1, tab. IV, fig. 11, 1l1a, 115, 1lc, 12, 12 (vide etiam, p. 211). Una sola femmina raccolta da Boucarp, senza indicazione di località messicana, corrispondente alle descrizioni dei suddetti autori. Stando alla testimonianza del van peR WutxP che potè osservare l'esemplare femminile tipico di Pyrrhosia ochracea man- datogli in esame da Bigor, questa specie è la medesima che Phasiopterya Bilimekii descritta nel 1889 da Brauer e BerceNstAMM e Neoptera rufa descritta dal van DER Wuxp nel 1890. Il nome specifico di Brgor ha, perciò la priorità perchè data dal 1888. Has. — Messico (5): Orizaba (7), Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6). XXXIX. — Gen. 0OESTROPHASIA. Brauer e Bercensramm (7), I, p. 145. 87. — Oestrophasia clausa. Oestrophasia clausa Braver e Bergensrama (7), I, p. 146. Una sola femmina, in cui la cellula apicale non è chiusa e brevemente pedun- colata, ma appena aperta. Has. — Colorado ('#) — Messico: Cuantla (SAUSSURE). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 523 XL. — Gen. CLISTOMORPHA. Tyuer Towxsenp (31), Paper V. 88. — Clistomorpha ochracea. Clistomorpha ochracea Gieio-Tos (13), p. 7. Femmina. — Faccia alquanto concava di profilo; creste facciali poco accennate e nude; epistomio sporgente; una serie di setole al margine orale che ascendono per un certo tratto lungo le creste facciali e sono terminate dalle vibrisse incrociate, poste perciò a notevole distanza dal margine della bocca; guancie larghe, circa la metà dell'altezza degli occhi, sparse di piccoli peli neri. — Proboscide lunga circa quanto è alto il capo, bruna, all'apice gialla; palpî gialli, filiformi, ricurvi in alto. — Fronte gialla come la faccia, larga, assai più stretta in alto, larga al vertice circa un quarto della larghezza totale del capo; striscia frontale, fulva, di larghezza costante, larga al vertice il doppio delle parti laterali; al vertice una macchia ocel- lare nera, quasi triangolare; ai lati della striscia frontale una serie sola di piccole setole che discendono appena oltre la base delle antenne; ai lati di esse alcuni pic- colissimi peli. — Occhi nudi. — Antenne brevi, gialle ; il primo articolo brevissimo; il secondo un po’ lungo, il terzo lungo una volta e mezzo il secondo, di forma ovale; stilo lungo, sottile, ingrossato alla base. — Torace giallo-ocraceo, olivaceo-pollinoso sul dorso con qualche piccola setola ai lati ed alcune più lunghe al margine poste- riore. -- Scudetto grande, sub-triangolare; una setola marginale per parte presso alla base e due accoppiate all’apice. — Addome ovale, sub-conico , fulvo-ocraceo; alcune setole ai lati di ogni segmento; quelle del secondo, terzo e quarto segmento poste in una piccola macchia tondeggiante nera. — Piedi gialli, con alcune deboli setole; le tibie posteriori brune alla base ed all'apice ed un po’ curve; tutti i tarsi bruni specialmente all’apice; uncini neri; pulvilli gialli. — Al gialliccie, un poco fosche al margine anteriore presso l’apice; cellula apicale chiusa all’apico e non pedi- cellata; gomito della quarta vena longitudinale curvo; vena trasversa apicale leg- germente curva; piccola vena trasversale corrispondente al mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore un po’ obliqua e quasi diritta. — Calittere e bilan- cieri gialli. — Lunghezza mm. 5. Una sola femmina. Has. — Mexico (SumicHRAST). XLI. — Gen. RHINOPHORA. Rogmeau-Desvomy (21), p. 258. 89. — Rhinophora laevigata. Rhinophora laevigata van per Wute (6), II, p. 205, 1, tab. IV, fig. 17, 17. Una sola femmina senza indicazione di località messicana corrispondente pei suoi caratteri alla descrizione del tipo. Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz (6).. 524. DITTERI DEL MESSICO XLII. — Gen. MYIOTHYRIA. Myothyria van per Wutp (6), II, p. 208. 90. — Myiothyria trichosoma. Myothyria trichosoma van per Wutp (6), II, p. 208, 1. Riferisco con dubbio a questa specie un solo esemplare maschio senza indica- zione di località messicana, un po’ mal conservato, in cui i caratteri specifici non sono più ben visibili, ma con setole distinte discali sull’addome, oltre alle marginali. Has. — Messico: Atoyac in Vera Cruz (6) (BoucaRD). DEXINAE XLII. — Gen. HYSTRISIPHONA, Hystrisyphona Bisor (1), p. 309. 91. — Hystrisiphona nigra. Hystrisyphona niger Bisor (1), p. 309. Hystrisyphona migra Bisor, Bull. Soc. ent. fran., 1885, p. x1v. Hystrisiphona nigra van per Wup (6), IL, p. 213. Un solo esemplare maschio. Has. — Messico (1): Oaxaca (SALLE). 92. — Hystrisiphona bicolor. (Fig. 17, capo). Hystrisiphona bicolor Giaio-Tos (12), p. 1. Maschio. — Faccia a profilo concavo, gialliecio-pollinosa con riflessi sericei; lati della faccia pelosi fino al livello del margine inferiore degli occhi; guancie alte circa quanto gli occhi, nude; vibrisse inserite un po’ più in alto del margine orale, incrociate; al di sopra di esse una breve serie di 5 a 6 setole sulle creste facciali che ascendono fin presso il mezzo della faccia. — Proboscide nera, quasi lunga quanto il capo ed il torace insieme uniti, più lunga perciò che in H. nigra; palpi brevi, fulvi, filiformi. — Fronte larga in basso, molto più stretta al vertice, sporgente, gial- liccio-pollinosa ai lati e quivi sparsa di peli brevi, neri; striscia frontale di colore castagno scuro, striata longitudinalmente; ai lati di essa una sola serie per parte di setole nere, ricurve in hasso e incrociate che discendono fin presso alla base delle antenne; al vertice due setole laterali ricurve all’indietro e lunghe, e due ocel- DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 525 lari ricurve in avanti e dietro a queste molte altre più deboli e ricurve nella stessa direzione. — Occhi nudi. — Antenne lunghe un po’ più della metà della faccia; i primi due articoli fulvo-rossicci; il secondo peloso superiormente; il terzo nero, doppio del secondo, assottigliato e arrotondato all’apice; stilo nero, ingrossato alla base e visibilmente piumoso. — Torace nero, appena grigio-pollinoso con cinque striscie nere quasi indistinte di cui tre mediane sottili e due laterali un po’ più larghe ed inter- rotte alla sutura; sul dorso parecchie setole miste a peli; petto nero, grigio-polli- noso; sulle pleure una serie di setole robuste ricurve all’indietro di fronte alla base delle ali. — Scudetto nero, con lunghe setole al margine, ma nel mezzo privo di spine e munito solo di peli. — Addome robusto, un po’ più largo del torace, cordi- forme, giallo-testaceo; la parte mediana del primo segmento, una macchia dorsale triangolare all'estremità del secondo e terzo segmento e tutto il quarto segmento, neri; sul primo segmento due sole spine laterali, una per parte, marginali; sul se- condo alcune spine discali e marginali sul dorso, e alcune laterali; sul terzo pure alcune discali dorsali oltre ad una serie di molte marginali; sul quarto parecchie | discali miste a peli neri e lunghi specialmente all’apice. — Ventre giallo-testaceo; nero sull’ultimo segmento, armato di molte spine in una larga zona mediana. — Piedi neri, pelosi e setolosi; tutte le tibie ferruginose; uncini e pulvilli lunghi ; pul- villi gialli — A% gialle alla base e con tutte le vene marginate di giallo; cellula apicale largamente aperta prima dell’apice dell’ala; vena trasversa apicale legger- mente concava, e inclinata ad angolo retto sulla quarta longitudinale; vena trasversa posteriore bisinuosa. — Calittere e bilancieri picei. — Lunghezza mm. 14. A parte i caratteri generici è notevolissima la somiglianza che questa specie presenta per la colorazione colla Iurinia dichroma van per WuLp. Un solo maschio. Has. — Mexico (Truqui). XLIV. — Gen; MOCHLOSOMA. Brauer e Bercensramm (7), I, p. 126. 93. — Mochlosoma lacertosum. Prosena lacertosa van ver Wue (6), II, p. 215, tab. V, fig. 1, la. Due sole femmine. Has. — Messico: Ciudad in Durango (6), Solco (SumicHRAST). 94. — Mochlosoma anale. Mochlosoma anale Grerio-Tos (12), p. 1. Maschio. — Faccia bianco-gialliccia con riflessi sericei, concava; epistomio sporgente; guancie nude. — Proboscide lunga quasi quanto il corpo , sottile, nera; palpi filiformi, brevi, fulvi. — ronte molto stretto in alto, largo in basso, sporgente, 526 DITTERI DEL MESSICO coi lati nericci visti di fianco, argentino-pollinosi visti dall’alto, e sparsi di peli neri; striscia frontale bruno-fulva, larga in basso; ai lati di essa una sola serie di setole per parte che arrivano appena alla base delle antenne. — Antenne giallo-fulve, brevi; il terzo articolo appena bruniccio verso l’estremità lungo una volta e mezzo il se- condo, che è sul margine superiore munito di peli fra cui due più lunghi di tutti; stilo piumoso. — Torace nero, appena leggermente pollinoso, anteriormente con alcune striscie appena accennate. — Scudetto piceo. — Addome nero piceo, un po’ lucente, quasi conico, rivestito di lunghi peli neri eretti, e munito, fuorchè sul primo segmento, di setole dorsali discali e di altre marginali dorsali e laterali; quarto segmento tutto co- perto di pollinosità fulva con riflessi sericei, interrotta lungo la linea mediana dorsale; ipopigio assai sporgente, nero e peloso. — Piedi neri; tibie ferruginee; uncini e pulvilli molto lunghi; pulvilli giallicci. — AV gialliccie alla base; vene gialle nella metà basale, brune verso l’apice; piccola vena trasversa posta nel mezzo della cel- lula discale; piegatura della quarta vena longitudinale un po’ curva; vena tras- versa apicale quasi diritta; vena trasversa posteriore leggermente bisinuosa. — Ca- littere picee. — Bilancieri gialli. Femmina. — Differisce per il fronte largo al vertice circa quanto la larghezza degli occhi, e con due setole orbitali; la pollinosità del torace anteriormente più densa e le striscie perciò più distinte; l’addome più tozzo, e cordiforme, meno peloso; la pollinosità fulva del quarto segmento assai più densa e non interrotta; gli uncini ed i pulvilli meno lunghi. — Lunghezza mm. 13-14. Un maschio e due femmine. Has. — Mexico (TruQUI). 95. — Mochlosoma sericeum. Mochlosoma sericeum Gisuio-Tos (12), p. 2. Femmina. — Faccia giallo-sulfurea con riflessi sericei; guancie nude. — Pro- boscide nera, lunga appena il doppio dell’altezza del capo; palpi fulvi. — Fronte largo, ai lati giallo-sulfureo come la faccia; striscia frontale bruno-fulva, larga. — Antenne giallo-fulve; il secondo articolo con un ciuffo di peli neri sul margine supe- riore ; il terzo circa doppio del secondo; stilo nero, appena pubescente , ingrossato nella metà basale. — Torace nero, cosparso di pollinosità cinerea nel mezzo, sulfureo- pallida ai lati e sulle pleure; al margine anteriore due striscie mediane e due late- rali nere appena distinte. — Scudetto nero, cosparso di pollinosità cenerina. — Addome quasi cordiforme, nero, cosparso di densa pollinosità quasi argentina nel mezzo ante- riormente e sulfureo-pallida ai lati, sui segmenti posteriori e sul ventre (Questa pollinosità, quasi uniformemente sparsa su tutto l'addome, è visibile solamente se sì osserva obliquamente e cambia anche colore coll’incidenza della luce); alcune se- tole discali oltre alle marginali su tutti i segmenti, fuorchè sul primo. — Piedi fulvi; tarsi ed uncini neri; pulvilli giallicci. — A gialle nella metà basale; le vene gialle fin presso all’apice, quindi brune, ma tutte contornate di giallo; piegatura della quarta DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 527 vena longitudinale ad angolo retto; vena trasversa apicale obliqua ma rettilinea; piccola vena trasversa posta un po’ prima del mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore obliqua e quasi rettilinea. — Calittere e bilancieri gialli. — Lun- ghezza mm. 13-14. Due sole femmine. Has. — Mexico (TRUQUI). 96. — Mochlosoma mericanum. Prosena mexicana Macquart (16), 4° suppl., p. 231, tab. XXT, fig. 12. — van DER Wutr (34), p. 30, 1. Prosena tessellans van per Wute (6), II, p. 216. Due maschi e due femmine colle calittere affatto bianche. Has. — Messico (16, 34): Ciudad in Durango, Tierra Colorada, Rincon, Tepetlapa, Acienda de la Imagen, Chilpancingo, Sierra de las Aguas Escondidas e Omilteme in Guerrero (6), Mexico (Truqui), Oaxaca. XLV. — Gen. HYSTRICHODEXIA, Roper (23), p. 266 (sep. 11). 97. — Hystrichoderia pseudohystricia. Hystrisiphona pseudohystricia Braver e Bercenstamm (7), I, p. 167. Hystrichodexia pseudohystricia van ver Wu (6), II, p. 219, 1, tab. V, fig. 3, 3a. Due soli maschi. Has. — Messico: Takubaya (7), Xucumanatlan ed Omiltene in Guerrero (6), Solco (SumIcHRAST). 98. — Hystrichodexia — n. sp.? Un solo esemplare maschio un po’ guasto differisce da H. pseudo-hystricia per avere l'addome di color fulvo, lucidissimo, con riflessi quasi metallici, i piedi me- «diani e posteriori coi femori e le tibie ferruginose (gli altri piedi mancano), lo scu- detto pure bruno-fulvo e le calittere gialle. Negli altri caratteri è affatto simile alla specie suddetta. Has. — Mexico (CRAVERI). 528 DITTERI DEL MESSICO 99. — Hystrichodexia formidabilis. Rhamphinina formidabilis Bieor (5), p. 264, 58. Hystricodexia formidabilis vas ver Wute (6), IL, p. 220, tab. V, fig. 4, 4a. Due soli maschi. Has. — Nicaragua: Chontales (6) — Messico (5): Paso del Macho (6), Orizaba (SUMICHRAST). 100. — Hystrichodexia brevicornis. Prosena brevicornis Macquarr (16), 4° suppl., p. 230, 6. Un solo maschio che ha tutti i caratteri del genere Hystrichoderia e concorda bene colla descrizione della specie sopradetta del MAcquart. Questa specie simile per la colorazione dell'addome alla precedente H. formidabilis ne è ben distinta per la colorazione dei piedi, per il colore fulvo del petto, delle pleure, dei lati del torace. Di fronte allo scudetto sul torace una grande macchia quadrangolare ha lo stesso colore fulvo. Le setole dell'addome sono meno numerose. — Lunghezza mm. 15. Has. — Brasile: Bahia (16) — Mexico (Truqui). 101. — Hystrichodexia mellea. Hystrichodexia mellea Gienio-Tos (12), p. 2. Maschio. — Faccia gialliccia con riflessi sericei grigi. — Proboscide nera, palpi gialli. — Fronte larga al vertice un po’ meno della larghezza degli occhi, grigio- gialliccia ai lati; striscia mediana nera, larga; ai lati di essa una sola serie di setole che raggiunge la base delle antenne; nessuna setola orbitale. — Antenne fulve; articolo terzo nero; sul secondo articolo due lunghi peli; stilo nero, piumoso. — Torace nero, fulvo-pollinoso leggermente; gli angoli anteriori, i lati ed il margine posteriore fulvo-rossicci come miele; petto e pleure giallo-fulvi, giallo-pollinosi. — Scudetto fulvo-miele armato di spine nere anche nel mezzo. — Addome cordiforme, tutto di color fulvo-miele, un po’ rossiccio ; una striscia sul primo segmento, ed una macchia nera triangolare alla base del secondo; una macchia nera longitudinale all’apice del terzo e del quarto solamente visibile osservando l’addome molto obli- quamente da lato; le spine così disposte: due o tre laterali sul primo segmento e nessuna dorsale; molte dorsali e discali e molte laterali sugli altri segmenti; quelle del secondo e del terzo raggruppate ai lati e nel mezzo; ipopigio assai sporgente. — Ventre del color dell'addome ma più chiaro, specialmente verso la base, anch'esso munito di spine. — Piedi gialli con peli gialli e setole nere; uncini e pulvilli lunghi; metà apicale degli uncini nera. — Ali grigie, gialle alla base; vene marginate di giallo; vena trasversa apicale leggermente concava; vena trasversa posteriore appena bisinuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 15. DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 529 Sebbene abbia il fronte molto largo, tuttavia gli uncini e i pulvilli molto lunghi, la mancanza di setole orbitali sul fronte, e specialmente poi l’ipopigio ben spor- gente non mi lasciano dubbio alcuno che si tratti di un maschio. Has. — Oaxaca (SALLE). 102. — Hystrichodexia urea. Hystrichodexia aurea Gisuio-Tos (12), p. 2. Femmina. — Faccia bianco-gialliccia con riflessi sericei; setole del margine orale gialle; vibrisse nere poste assai al di sopra del margine orale; faccia forte- mente carenata nel mezzo fra le antenne. — Proboscide nera; palpi gialli con peli dello stesso colore. — Fronte largo al vertice quasi quanto gli occhi, bianco-pollinosa ai lati; striscia mediana bruno-nera, larga; ai lati di essa una serie di setole che raggiungono la base delle antenne; le tre ultime più basse gialle, le altre nere; tre setole orbitali nere. — Antenne gialle; nel margine supero del secondo articolo due setole lunghe gialle; il terzo appena bruniccio verso l'estremità, quasi doppio del secondo; stilo bruno, ingrossato alla base, piumoso. — Z'orace nero, gialliccio-pollinoso sul dorso; due striscie laterali nere, largamente interrotte alla sutura e poco distinte; i lati ed il margine posteriore largamente giallo-fulvi; petto e pleure giallo-fulvi. — Scudetto anch'esso fulvo armato di spine nel mezzo. — Addome cordiforme , largo, tutto di color di miele, tendente al rossiccio e rivestito di peli giallo-dorati, molto lunghi all’apice; una striscia mediana nera interrotta alle incisioni; il primo seg- mento con qualche spina solo ai lati; parecchie dorsali e laterali, discali e marginali sul secondo e terzo segmento; il quarto ne è assolutamente privo fuorchè nella parte ventrale. — Ventre melleo, tutto irto di molte spine specialmente verso l’apice. — Piedi gialli; femori con setole nere miste ad altre gialle; uncini e pulvilli mediocre- mente lunghi; metà apicale degli uncini nera. — Ali gialliccie alla base ; vene con- tornate di gialliccio; vena trasversa apicale concava alla base; vena trasversa poste- riore diritta per un breve tratto alla sua origine quindi fortemente convessa. — ° Calittere e bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 15. i Questa bella specie presenta per*la colorazione e per i peli una notevole somi- glianza con Dejeania corpulenta Wiepew. Una sola femmina. Has. — Senza indicazione di località messicana (SumicHRAST). XLVI. — Gen; RHYNCHODEXIA. Rhynchodezia Bisor, Bull. Soc. ent. fran., 1885, p. xt. Ehamphinina Bicor ibidem, p. x. Rhynchodexia van ver Wune (6), II, p. 225. Serie II. Tom. XLIV. e 530 DITTERI DEL MESSICO 103. — RAhynchodexia anthracina. Rhamphinina anthracina Bieor (5), p. 265, 62. Prosena obscura Brisor (5), p. 264, 56. Ehynchodexia anthracina van per Wurr (6), II, p. 234, 16. Parecchi esemplari di ambedue i sessi. La sinonimia è stabilita sulla testimonianza di van peR Wurp che esaminò i tipi della collezione Bieor. Has. — Messico (5): Ciudad in Durango (6), Solco (Sumicnrast), Patzcuaro (SAUSSURE). 104. — Rhynchodexia angulata. Ehynchodexia angulata van ver Wure (6), II, p. 233, 14. Una sola coppia. Has. — Messico: Ciudad in Durango, Jalisco, Acapulco, Xucumanatlan, Omil- teme, Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero (6), Orizaba (SumcHRAsT). 105. — Ahynchoderia scutellata. Rhynchodexia scutellata van ver Wurr (6), II, p. 230, 7. Un maschio ed un altro esemplare femmina un po’ mal conservato che riferisco dubbiamente a questa specie. Has. — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (SAussuRE), Orizaba (SumicHRAST). 106. — Ehynchodexria rubricornis. Rhynchodexia rubricornis van per Wutr (6), II, p. 230, 8. Due soli maschi, di cui uno assai più piccolo. Has. — Messico: Northern Sonora, La Venta, Amula, Xucumanatlan, Omilteme, Sierra de las Aguas Escondidas in Guerrero, Teapa in Tabasco, Atoyac in Vera Cruz (6), Mexico (TRUQUI). 107. — RAhynchodexia major. Rhamphinina major Bisor (5), p. 265, 59. Tre maschi ed una femmina; quest’ultima di minore statura e coll’addome ovato e largo; le macchie bianche assai meno visibili fuorchè sull'ultimo segmento e sul ventre; ogni segmento porta sul dorso alla base una stretta fascia bianco-pollinosa. Has. — Messico (5): Orizaba (SumicHRAST, BoucARD). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 531 108. — A/rynchodexia fraterna. Ehynchodexia fraterna van per WurP (6), II, p. 229, 6. Parecchi esemplari maschi e femmine di statura varia. Has. — Messico: Tepie, Santiago de Iscuintla, Orizaba, Acapulco, Tierra Colo- rada, Rincon, Venta de Zopilote, Chilpancingo ed Amula in Guerrero, Cuernavaca in Morelos, Atoyac in Vera Cruz, Teapa in Tabasco (6), Oaxaca (SaLLé), Orizaba (SumeHRAst), Tehuacan. XLVII. — Gen. PROSENA. Sr. Fararav et Servire, Encyelopédie méthodique, tom. X, p. 500 (1825). 109. — Prosena curvirostris. Prosena curvirostris Bisor (5), p. 264, 57. — van per Wutp (6), II, p. 217, 4. Parecchi esemplari dei due sessi. Has. — Costa Rica: Rio Sucio (6) — Messico (5): Tierra Colorada, Rincon, Chilpancingo ed Amula in Guerrero; Atoyac e Fortin in Vera Cruz, Teapa in Ta- basco (6), Orizaba (SumicHRast, BoucaRD). XLVII. — Gen. SCOTIPTERA. Macquarr (16), II, 3° part., p. 83. 110. — Scotiptera ? cyanea. Scotiptera cyanea Gianio-Tos (12), p. 2. Maschio. — Corpo interamente. di color nero lucente tendente all’azzurrognolo. — Faccia e lati del fronte gialliccio-pollinosi; guancie con riflessi sericei. — Proboscide nera; palpi gialli. — Antenne coi primi due articoli fulvi (il terzo manca). — Fronte molto stretta al vertice, colla striscia mediana nera ed una sola serie di setole ad ogni lato. — Torace anteriormente e sulle pleure cinereo-pollinoso; quattro striscie, due mediane sottili e due laterali più larghe solo distinte al margine anteriore. — A4d- dome con setole discali oltre alle marginali; incisioni con riflessi cenerino-pollinosi, se osservate obliquamente. — Piedi neri; uncini e pulvilli lunghi; pulvilli grigi. — Ali uniformemente brune, quarta vena longitudinale appendicolata alla sua piega- tura; vena trasversa apicale leggermente concava e molto obliqua; piccola vena trasversa posta nel mezzo della cellula discale; vena trasversa posteriore diritta alla base quindi un po’ convessa. — Calittere e bilancieri bruni, quasi picei. — Lun- ghezza mm. 10. 532 f DITTERI DEL MESSICO‘ Sebbene mancante del terzo articolo delle antenne, posso quasi con certezza rife- rirla per gli altri caratteri al genere Scotiptera. Has. — Angang (SAUSSURE). XLIX. — Gen, MYIOSCOTIPTERA. Grenio-Tos (12), p. 2. Corpo snello; proboscide lunga almeno quanto l’altezza del capo; palpi sporgenti, distintamente clavati e della lunghezza quasi della proboscide; guancie più larghe della metà dell’altezza degli occhi; vibrisse inserite al margine orale; fuccia alquanto obliquamente ritratta, epistomio sporgente; antenne estese quasi fino alle vibrisse, col terzo articolo almeno tre volte più lungo del secondo; fronte sporgente, superior- mente ristretta nel maschio; addome conico, munito di setole discali oltre alle mar- ginali; ali colla cellula apicale aperta; la quarta vena longitudinale non appendiculata; gli uncini e i pulvilli dei piedi sono lunghi; organi genitali esterni grandi. Questo genere assai affine ai generi Scotiptera e Myiocera differisce da ambedue per la lunghezza notevole e la forma distintamente clavata dei palpi; dal genere Scotiptera poi per la mancanza di appendice alla quarta vena longitudinale delle ali; dal gen. Myiocera per la presenza di setole discali sull’addome. 111. — Myioscotiptera cincta. (Fig. 14, capo). Miyoscotiptera cinceta Gierio-Tos (12), p. 2. Maschio. — Faccia cenerino-gialliccia, con riflessi sericei; guancie nude e larghe; epistomio alquanto sporgente. — Proboscide nera, un po’ più lunga dell’altezza del capo ed alquanto curva; palpî gialli quasi lunghi quanto la proboscide, sottili, e distintamente clavati all’estremità, muniti di lunghi peli neri all'apice. — . Yronte alquanto sporgente, stretta in alto, argentina ai lati; striscia frontale quasi nera; una sola serie di setole ad ogni lato di essa, che si prolunga fino alla base delle antenne. — Antenne che raggiungono quasi le vibrisse; i primi due articoli brevi, fulvi; il terzo triplo del secondo, nero, lineare, arrotondato all’apice ; stilo ingrossato alla base, lungamente piumoso. — Torace nero, cenerino-pollinoso, con due striscie mediane sottili e due laterali larghe distinte al margine anteriore; petto e pleure cinereo-pollinosi. — Scudetto nero, cenerino-pollinoso alla base. — Addome conico, nero, lucente, con lunghi peli misti a setole; il primo segmento appena grigio-pol- linoso ai lati; gli altri con una larga fascia basale cinereo-pollinosa, interrotta nel mezzo del dorso, ed estesa anche sul ventre; segmenti secondo e terzo con riflessi fulvo-pollinosi osservati obliquamente e con due setole dorsali discali oltre le mar- ginali; ipopigio sporgente, grande e peloso. — Piedi neri; uncini e pulvilli lunghi e gialli; apice degli uncini nero. — Ali leggermente gialliccie; cellula apicale lar- gamente aperta un po’ prima dell’apice dell’ala ; vena trasversa apicale concava presso alla base, quindi obliqua e leggermente ondulata; vena trasversa posteriore appena bisinuosa. — Culittere e bilancieri giallicci. — Lunghezza mm. 10. Un solo maschio. Has. — Solco. DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 539 L. — Gen. DEXIOSOMA. Ronpani (26), I, p. 85. 112. — Dexiosoma vibrissatum. Dexiosoma vibrissatum van per Wute (6), II, p. 244, 1, tab. V, fig. 18, 13 a. Due soli maschi che concordano colla descrizione del tipo. Has. — Messico: Teapa in Tabasco (6), Tuxpango (SumicaRrAsT). LI. — Gen. MICROPHTHALMA. Macquarr (16), II, 3° part., p. 84, n° 4. 113. — Microphthalma sordida. Microphthalma sordida Gievio-Tos (12), p. 3. Maschio. — Faccia testacea, ocraceo-pollinosa , obliquamente ritratta ; vibrisse superiori molto lungi dal margine boccale; guancie molto larghe, nude. — Fronte molto sporgente, nera ai lati, osservata di profilo, e pelosa fino al margine inferiore degli occhi; ocraceo-pollinosa vista dal di sopra; striscia mediana fulva; una sola serie di setole per ogni parte, che discende fin oltre la base delle antenne. — Occhi piccoli, nudi. — Antenne giallo-fulve ; il terzo articolo sottile, nero nella metà api- cale; stilo breve, nero, ingrossato nella sua metà basale, pubescente nel resto. — Torace e scudetto neri, leggermente cinereo-pollinosi specialmente ai lati del torace prima della sutura; le striscie nere quasi indistinte. — Addome nero, fulvo rossiccio ai lati del secondo e terzo segmento e su quasi tutto il quarto; alla base di ogni segmento una fascia cenerino-gialliccio-pollinosa che occupa Ia metà della lunghezza del segmento; due setole dorsali e laterali sul secondo segmento ed una serie sul terzo solamente marginali; sul quarto alcune anche discali. — Ventre nero nel mezzo, rossiccio ai lati. — Piedi neri, pelosi e setolosi; uncini e pulvilli lunghi; pulvilli giallicci. — Ali un po’ grigie; cellula apicale aperta presso all’apice dell'ala; vena quarta longitudinale con una lunga appendice al gomito; vena trasversa apicale con- cava alla base, quindi molto obliqua; piccola vena trasversa posta quasi nel mezzo della cellula discale, ed a margini offuscati; vena trasversa apicale fortemente bisi- nuosa. — Calittere gialliccie. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 10-11. Due maschi in cui la colorazione dell'addome è un po’ diversa, ma che sono simili nel resto; altri due paiono formare una specie distinta, ma sono mal conservati e non si possono descrivere. Has. — Mexico (Truqui), Toluca (Saussure) (BoucarD). - 534 DITTERI DEL MESSICO LI. — Gen. MEGAPARIA. van DER Wutr (6), II, p. 240. 114. — Megaparia venosa. Megaparia venosa, van ver Wure (6), II, p. 240, 1, tab. V, fig. 9, 9a. Due femmine che differiscono appena dalla descrizione del van peR WutP (la proboscide ed i palpi non visti da quell’autore sono l’una nera, gialla all’apice, gli altri assai brevi e gialli) e due maschi, non descritti, alquanto vari nella colorazione, ma distinti dalle femmine per dimensioni maggiori (lunghezza mm. 12 circa). Has. — Messico: Ciudad in Durango (6), Mexico (CRrAVERI). LUI. — Gen. STOMATODEXIA. Brauer e BeroensrAmm (7), I, p. 125. 115. — Stomatodexia quadrimaculata. Dexia quadrimaculata Waxer (38), p. 319. Due sole femmine differenti dal maschio descritto da WALKER per avere sul fronte due setole orbitali, per la mancanza di macchie nere laterali sull’addome, che è ovato e più largo del torace. Le ali e le calittere sono gialliccie. Has. — Brasile (38) — Mexico (TRUQUI). 116. — Stomatodexria cothurnata. Stomoxys cothurnata Wrepemann (40), II, p. 249, n° 5. Prosena maculifera Bisor (5), p. 264, 55. Stomatodexia cothurnata Brauer e Bercenstam (7), I, p. 125, tab. VII, fig. 195. — van DER Wu (6), II, p. 239, 1. Due maschi e tre femmine. Has. — Brasile (40) — Messico (5): Acapulco, Acaguizotla, Rincon, Rio Papa- gaio e Chilpancingo in Guerrero, Atoyac in Vera Cruz, Santiago Iscuintla in Jalisco (6), Orizaba (SumicHRAST). 117. — Stomatodexria similigena. Stomatodexia similigena van per WuxP (6), II, p. 239, 2. Quattro maschi e due femmine. Has. — Messico: Amula in Guerrero (6), Orizaba (SumrcaRAst), Oaxaca (SALLÉ). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS {5to19) LIV. — Gen. THELAIRODES. van DER Wute (6), II, p. 257. 118. — Thelairodes basalis. Thelairodes basalis Gietto-Tos (12), p. 3. Femmina. — Faccia coù riflessi sericei argentini. — Palpi gialli (la probo- scide è nascosta). — Fronte larga quasi quanto gli occhi con riflessi argentini vista dal di sopra, bruniccia vista di fianco; striscia mediana assai larga, nera; due setole orbitali. — Antenne lunghe quasi quanto la faccia, gialle; il terzo articolo lineare, almeno quadruplo del secondo, bruno nella metà apicale; stilo piumoso. — Torace, petto e scudetto neri, coperti uniformemente di pollinosità bianca a riflessi d’argento. — Addome sub-conico, acuto, nero, con larghe fascie basali bianco-argentine sui seg- menti secondo, terzo e quarto; il primo segmento grande quanto il secondo, tutto | giallo ; nella parte ventrale anche il secondo segmento è giallo; setole solo margi- nali. — Piedi coi femori e le anche gialli; tibie brune; tarsi neri; uncini e pulvilli molto piccoli. — Al gialliccie lungo la costa; vene trasverse apicale e posteriore oblique e leggermente ondulate; prima vena longitudinale cigliata per un buon tratto verso l'estremità; la terza vena longitudinale con poche ciglia solo alla base. — Calittere bianchiccie. — Bwancieri gialli. — Lunghezza mm. 8. Una sola femmina. . Has. — Senza indicazione di località messicana (BoucArp). LV. — Gen. CHAETONA. van per WutP (6), II, p. 253. 119. — Chaetona cruenta. Chaetona cruenta Gienio-Tos (12), p. 3. Femmina. — Faccia gialliccia, verticale; epistomio appena sporgente; guancie nude. — Proboscide e palpi gialli. — Fronte gialliccia ai lati, larga al vertice quasi quanto gli occhi; striscia frontale assai larga, gialla; due setole orbitali. — Antenne al di sopra del mezzo degli occhi, gialle; il terzo articolo triplo del secondo, lineare, stretto, bruno verso l'estremità; stilo lungo. — Occhi grandi, nudi, discendenti al- quanto al di sotto delle vibrisse. — Torace nero, coperto di pollinosità gialliccia assai densa; due striscie mediane e due laterali un po’ più larghe, interrotte alla sutura, nere, ben distinte; un’altra mediana appena accennata davanti alla sutura; petto e pleure grigio-pollinosi. — Scudetto testaceo-bruniccio. — Addome ovato, nero; i seg- menti secondo, terzo e quarto con una fascia stretta basale di pollinosità bianchiccia; 596 DITTERI DEL MESSICO ai lati dell'addome presso alla base due larghe macchie rosso-mattone, che occupano quasi tutto il secondo e primo segmento, lasciando solo una striscia mediana nera; apice dell'addome anch'esso rosso-mattone. — Piedi coi femori gialli fuorchè l’estre- mità dei posteriori che è nera; tibie brune, tarsi neri; uncini e pulvilli piccolissimi. — Ali quasi limpide; la vena trasversa apicale concava alla base; la piegatura della vena quarta longitudinale fortemente ricurva; vena trasversa posteriore obliqua e leggermente sinuosa. — Calittere e bilancieri bianchieci. — Lunghezza mm. 8. Una sola femmina che per alcuni caratteri della faccia e delle ali si allontana un po’ dal genere Chaetona. Ha. — Senza indicazione di località messicana (Bovcarp). LVI. — Gen. APORIA. Macquart (16), 1" suppl., p. 168. 120. — Aporia elegans. (Fig. 15, capo). Aporia elegans Gierio-Tos (12), p. 3. Maschio. — Faccia bianco-argentina, con riflessi sericei, obliquamente ritratta; epistomio non sporgente; vibrisse inserite al margine orale; guancie alte quanto un terzo dell'altezza degli occhi, sparse di pochi peli neri nella parte più bassa. — Pro- boscide nera, con labbra grandi; palpî bruno-fulvi, pelosi. — Fronte assai stretta in alto, un po’ sporgente, argentina ai lati; striscia mediana nera; una sola serie di setole ai lati di essa discendenti fino alla base delle antenne. — Occhi grandi, pelosi. — Antenne inserite alquanto al di sotto del mezzo degli occhi, lunghe un po° meno della faccia, nere; il primo articolo brevissimo, il secondo doppio del primo, con peli superiormente di cui uno assai più lungo; il terzo articolo sottile, un po’ più largo verso l’apice, appena doppio del secondo; stilo lungo, nudo, ingrossato alla base e sempre più sottile verso l'estremità. — Torace nero, lucente, coperto di pollinosità argentina densa ai lati e sulle pleure, scarsa nel mezzo; due striscie mediane nere sottili ben distinte anteriormente, e due altre laterali assai più larghe, un po’ con- fuse e interrotte alla sutura. — Scudetto: mero, grigio pollinoso fuorchè alla base. — Addome lungo, conico, nero, lucente, con tutti i segmenti uguali o quasi; una larga fascia cenerino-pollinosa alla base dei segmenti secondo e terzo; oltre alle setole marginali anche due discali accoppiate sul dorso del secondo e terzo segmento e parecchie sul quarto. — Ventre bruno-nero a riflessi bianco-pollinosi. — Piedi neri; i femori anteriori e mediani cenerino-pollinosi dal lato posteriore: tibie posteriori robuste e ferruginee; uncini e pulvilli lunghi, pulvilli giallicci. — Al gialle nella metà basale; nella metà apicale intensamente brune; il margine posteriore e la por- zione centrale delle cellule apicale e discale ialini; una breve spina alla costa; vena quarta longitudinale brevemente appendicolata alla sua piegatura; vena tras- versa apicale appena concava alla base; vena trasversa posteriore leggermente bisi- nuosa. — Calittere grandi, bianche. — Bilancieri gialli. — Lunghezza mm. 14. Un solo maschio. Ha. — Tuxpango (SumrcmRAST). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 587 LVII. — Gen. CORDYLIDEXIA. Cordyligaster Macquarr (16), II, 3° part., p. 90, 8. 121. — Cordylidexia minuscula. Cordyligaster minuscula van ver Wute (6), II, p. 252, 1, tab. VI, fig. 7, 7a. Un solo esemplare maschio mancante di addome, ma in tutte le altre ‘parti ‘cor- rispondente alla descrizione di questa specie. Il nome generico usato da MacquarT venne da me cambiato perchè già occupato fin dal 1820 per indicare un genere di Libellulidi. Has. — Messico: Rio Papagaio e Tierra Colorada in Guerrero, Teapa in Ta- basco (6), Orizaba (SumicHRAST). SARCOPHAGINAE LVII. — Gen. PHRISSOPODA. Macquart (16), II, 3° part., p. 96. 122. — Phrissopoda praeceps. Sarcophaga praeceps Wiepemann (40), II, p. 355, 1. Peckia imperialis Rosimzsv-Desvomy (21), p. 335, 1. Phrissopodia imperialis Macquarie (415), TI, p. 223, 1. Phrissopoda imperialis Macquarm (16), II, 3° part., p. 96. Sarcophaga fortipes WaLkERr (39), p. 43. Phrissopoda praeceps Wiuuston (41), p. 307. — Brausr e Bereensramm (7), I, p. 124. Un solo maschio mancante di capo ma ancora determinabile, e indicato in col- lezione col nome di P. imperialis. Has. — Cuba (40, 21) — Haiti (39) — San Domingo (41) — Port Jackson nella Nuova Olanda (16) — Mexico (SALLÉ). 123..— Phrissopoda inamanis. Sarcophaga immanis WaLker (37), Part IV, pi 815. WALKER descrisse solamente la femmina di questa specie; il maschio differisce per il corpo notevolmente più lungo, per avere il capo ed ‘il fronte più larghi, lo Serie II. Tow. XLIV. RÌ 538 DITTERI DEL MESSICO stilo delle antenne più lungamente piumoso; il terzo articolo delle antenne interna- mente fulvo alla base, come anche in taluna femmina; i piedi inferiormente coperti di peli lunghi e fitti specialmente sulle tibie mediane e posteriori; gli uncini dei tarsi molto più lunghi, ed i pulvilli più grandi; l'addome oblungo, sub-conico, peloso, tessellato di pollinosità bruno-fulva, un po’ gialliccia alla base ed ai lati dei segmenti; l’ipopigio grande, sporgente, peloso, di color bruno-rugginoso lucente. — Lunghezza mm. 19-22. Quattro maschi e tre femmine (Un maschio fu trovato a Vera Cruz nel corpo di un granchio morto). Has. — Honduras (37) — Mexico (SALLÉ). 124. — Phrissopoda plumipes. Peckia plumipes Roemeav-Desvomy (21), p. 336, 4. Sarcophaga intermutans WaLxER (39), p. 41. Quattro maschi ed una femmina. Has. — Haiti (21) — Messico (39): Mexico (SALLÉ). 125. — Phrissopoda lamanensis. Peckia lamanensis Rosixzau-Desvomy (21), p. 335, 2. Un maschio ed una femmina. Has. — Lamana (21) — Mexico, Orizaba (SumicaRAST). LIX. — Gen. SARCOPHAGA. Mercev (18), V, 14 (1826). 126. — Sarcophaga obsoleta. Sarcophaga obsoleta Wiepenann (40), II, p. 367, 29. Sarcophagula obsoleta van per Wutr, Tijdschr. v. Entomol., XXX, p. 173(1887). Qualche esemplare di ambi i sessi che riferisco dubbiamente a questa specie stante la troppo breve descrizione del WIEDEMANN. Has. — Indie Occidentali (40) — Messico: Tuxpango (SumicHRAST). 127. — Sarcophaga spinigena. Sarcophaga spinigena Ronpani (27), p. 26. Un solo maschio, che presenta però la spina alare poco sviluppata. Has. — Valdivia (27) — Messico: Orizaba (SumicHRAST). DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS 539 128. — Sarcophaga plinthopyga. Sarcophaga plinthopyga Wrepemann (40), II, p. 360, 10. — Warker? (36), p. 352, 57. — Réprr (22), p. 346. Molti individui dei due sessi varianti nella statura e nella colorazione della pol- linosità del corpo dal bianco al giallo. Has. —- Indie occidentali: Isola di S. Tomaso (40) — Portorico (22) — S. Ca- terina (36) — Messico: Orizaba, Tuxpango (SumicERASsT, SAUSSURE, BoucARD). Vennero inoltre descritte le seguenti specie del Messico: Sarcophaga trivittata Macquart, Dipt. exot., II, 3° partie, p. 105. Id. trigonomaculata Id., ibid., p. 106. Id. perneta Warker, Trans. ent. Soc. London, V, n. s., P. VII, p.41. Id. innota Id., ibid., p. 41. Id. conclausa Id., ibid., p. 42. Id. despensa Id., ibid., p. 42. Id. effrenata Id., ibid., p. 42. 540 13. 14. 15. 16. DI'TTERI DEL MESSICO INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE . Breor J. M., Dipterorum aliquot nova genera, in “ Revue et Magasin de Zoologie pure et appliquée ,, par Guérin-Méneville, 2° série, tome XI, 1859, pp. 305-315. . Id. Diptères nouveaux ou peu connus, 9° partie, XI e XIII, in “ Annales Soc. entom. de France ,, 5° série, tome VIII, 1878, pp. 31-48. . Id. Diagnoses de quelques espèces nouvelles de Diptères, in “ Bulletin de la. Soc. entom. de France ,, 1887, pp. Cxxxrx-CxLI. . Id. 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Id. macrocera. 499 Id. robusta 500 Id. seminigra . 499 . Epalpus rubripilus . 500 Fxorista latimana . 499 Id. rufilatera . È 500 Id. trivittata . + 498-499 Fabricia infumata . . 498-499 503 Gymnomma discors Id. novum 501 Gymnosoma — ? 502 Hemyda armata . 203 Hermya afra . È 935 Homodexia triangulifera . 475 Hypostena blandita 476 Id. concinna 523 Id. triangulifera . 537 Hystrichodexia aurea . 937 Td. brevicornis . 495 Id. formidabilis . 910 Id. mellea Td. pseudohystricia 517 Td. ES DISI GOITO 519 Hystricia ambigua . 519 Id. amoena 518 Id. micans 516 Id. nigriventris . 490 Id. pollinosa . 490 Id. pyrrhaspis 490 Id. rufipes. 490 Id. soror . 934 Hystrisiphona bicolor . 521 Id. niger 538 Id. nigra sot 477 Id. pseudohystricia . 543 Pag. 479 480 480 485 480 479 o 480 . 479-480 484 492 507 507 508 486 483 482 475 479 478 521 521 521 521 529 528 528 528 527 527 496 497 497 495 496 o 498 .493-494 498 524 524 524 927 544 Jurinia analis. Id. basalis Id. chrysiceps . Id. dichroma Id. flavifrons Linnemya aestivalis Td. analis Td. borealis . Td. distineta . Td. Heraclei . Macquartia setiventris Masicera bilineata . Td. . glauca. Td. sesquiplex Id. strigata Td. vittata. Id. usta Masipoda geminata. Megaparia venosa . È Metopia perpendicularis -. Micropalpus albomaculatus . Id. analis.. Id. borealis Id. comptus . Id. fulgens Id. Heraclei . Id. macula Td. marmoratus . Id. nigriventris . Id. rufipes Microphthalma sordida Microtrichomma intermedium . Mochlosoma anale . Id. lacertosum . Id. mexicanum . Td. sericeum . Musca pennipes . Myiobia flavicornis. Myioscotiptera cincta . Myiothiria trichosoma. Mystacella rubriventris Mystacomyia Id. Nemochaeta (?) aberrans . Id. chrysiceps Id. crucia . Id. dissimilis. Id. dubia . Id. incerta Td. jurinioides . Id. pernox Id. seminigra Nemorea intermedia Neoptera rufa. DITTERI DEI, MESSICO Pag. 484 489 487 489 487 481 481 481 481 481 520 513 516 513 515 515 514 507 584 513 494 481 481 -481-482 .481-482 481 494 482 495 492 583 483 525 525 527 526 477 520 532 524 507 507 488 487 486 484 485 484 488 486 484 483 522 Ocyptera atra Td. binotata . Td. Dosiades . Id. Euchenor. Id. minor . Id. simplex Id. soror Oestrophasia clausa Peckia imperialis Id. lamanensis . Id. plumipes. Peleteria robusta Penthosia satanica . Phasia jugatoria . Phasiopteryx ochracea Td. Bilimeckii . Phorocera atriceps . Id. parvula . Phrissopoda immanis . Id. imperialis Id. lamanensis . Id. plumipes . Id. praeceps . Phrissopodia imperialis . Plagia americana Td. dicta . Td. mexicana Prosena brevicornis Id. curvirostris Td. lacertosa . Td. maculifera. Id. mexicana . Id. obscura. Id. tessellans . Prospherysa aemulans. Pseudohystricia ambigua. Pyrrhosia ochracea . Rbamphinina anthracina : Id. formidabilis . Td. major Rbinophora laevigata . Rhynchodexia angulata . Td. anthracina. Id. fraterna Id. major Id. rubricornis Td. scutellata . Sarcophaga conclausa . Td. despensa . Id. effrenata . Id. fortipes Id. immanis . Id. innota . Td. intermutans . Td. obsoleta. Pag. 473 473 473 473 474 473 473 522 537 538 538 479 477 477 522 522 dI1 511 587 537 538 588 537 587 511 512 512 528 581 525 584 527 530 527 521 496 922 530 528 580 528 530 530 581 530 530 530 539 589 589 537 537 359 538 588 Sarcophaga perneta Td. plynthopyga . Id. praeceps . Id. spinigena . Id. trigonomaculata Td. trivittata . Sarcophagula obsoleta Saundersia albomaculata . Id. aurea Id. bicolor . Id. bipartita Id. Jaennickei Id. macula . Ist Id. (Epalpus) macula . Id. nigriventris . ; Ta. (Epalpus) nigriventris Id. picea NE AE Id. rubripila . Id. rufipes . Id. rufitibia Td. rufopilosa . Scopolia satanica Scotiptera (?) cyanea . Stomatodexia cothurnata. Id. quadrimaculata . Id. similigena . Stomoxys cothurnata . Tachina Amisias Serie II. Tom. XLIV. DEL DOTT. Pag. 539 559 537 538 539 539 598 494 491 495 493 492 494 494 495 495 495 c 492 . 492-494 495 492 477 531 BEL DO4 994 534 498 E. GIGLIO-TOS Tachina Anthemon . Id. (Jurinia) basalis. Id. Id. chrysiceps Id. compta. Id. corpulenta. Id. divisa TEU oe n SASA Id. (Blepharipeza) la Id. leucophrys Id. marmorata Td. (Blepharipeza) nigrorufa . Id. pyrrhaspis. Id. robusta . Id. seminigra . Tachinodes dissimilis . Id. robusta Id. seminigra . Thelairodes basalis . Thereva lanipes . Tricholyga gracilens Id. insita Trichopoda lanipes . Id. pennipes . Id. pyrrhogaster . : Tropidopsis pyrrhaspis Xanthomelana articulata . —_—__—- 545 Pag. 498 489 487 481 490 484 481 499 498 481 499 498 479 484 484 479 484 535 476 509 509 476 477 476 498 474 046 DITTERI DEL MESSICO DEL DOTT. E. GIGLIO-TOS SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Penthosia satanica Bisor (capo) ò. 2. Gymnomma novum Gieio-Tos (capo) ®. 8. Nemochaeta incerta i; Mr > 4. Saundersia aurea tI O) 5. Nemochaeta jurinioides , SIRO s 6. Belvosia bella 3 DE: $ Mb a ; n (ano) 9. s 7. Chactogena gracilis o (antenna) ©. s 8. Nemochaeta dubia B 3 ©) ; 9. 3 aberrans s 10. Saundersia picea 1 E > » 11. Cyrthophloeba horrida È TO: A LUlla DI A S (ala) è. » 12. Xanthomelana articulata van per WutP (capo) è. i » 19. Plagia mexicana Giezro-Tos (capo) 9. » 14. Myioscotiptera cinceta » 15. Aporia elegans } (capo) ®. Ò ” »” » 16. Tricholyga gracilens » 17. Hystrisiphona bicolor » 18. Blepharipoda mexicana » 19. Chaetogena carbonaria O+ 40 Ok pk Ok Dt = (el G n 3 i 9 s@ GE Y ? Da ad Edel Oe.di Oorino.C fare Mie Tad Ò exte 2% 0amo XLIV d E. Giglio-Tos. dis. dal vero Lit. Salussolia-Torino Ò lì UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI DESCRITTI DA TOMMASO SALVADORI Memoria approvata nell'adunanza del 14 Gennaio 1594. Nell’anno 1891 D. Eugenio dei Principi Ruspoli fece un viaggio di esplorazione nel paese dei Somali; di questo viaggio si trovano notizie in alcune lettere pubbli- cate nel Bollettino della Società Geografica Italiana per gli anni 1891 (pp. 738, 983, 1012) e 1893 (p. 689 con cartina dell’itinerario). Il Ruspoli, durante il viaggio, ebbe cura di raccogliere animali, e la collezione degli Uccelli egli volle affidare ai miei studii fin dal 1892; altri lavori, pei quali io doveva, appunto in quel tempo, recarmi a Londra, m'impedirono prima d’ora di compiere lo studio affidatomi. Come è noto, il Somali è una vasta penisola dell’Africa orientale, che si protende verso oriente nell'Oceano Indiano e che è compresa fra il 9° parallelo nord e l’Equatore. L’Avifauna del Somali è molto incompiutamente conosciuta. Il primo uccello che si conobbe del Somali è il Oymniris albiventris descritto nel 1852 dallo Strickland (1). Poscia apparve un Catalogo di una collezione di 36 specie di Uccelli raccolti dallo Speke, pubblicato nel 1855 dal Blyth (2), il quale vi descrisse tre specie nuove, che son sempre rimaste rarissime nelle collezioni (Spreo albicapillus, Passer casta- nopterus, Sipheotides humilis). Lo Speke (3) nel 1860 publicò alcune notizie intorno ai costumi ed alla distri- buzione delle specie da lui raccolte nel Somali e menzionate dal Blyth. Il lavoro del Blyth, coll’aggiunta delle note dello Speke, fu ripubblicato a parte per cura dello Sclater (4) nell’anno 1860. (1) “ On.a New Species of Nectarinia , (Contr. Orn. 1852, pp. 42, 43, pl. uxxxvI). (2) © Report on a Zoological Collection from Somdli Country , (J. A. S. B. XXIV, Aves, pp. 298-305). (3) “ On Birds collected in the Somdli Country , (Zbis, 1860, pp. 243-248, pl. vi). (4) Report on a Zoological Collection from the Somali Country, by Epwarp Buyra, Curator of the Royal Asiatic Society"s Museum, Calcutta. Reprinted from the twenty-fourth volume of the Journal of the Asiatic Society of Bengal, with Additions and Corrections by the Collector Joxn Hanwin Seek, Capt. Bomb. Nat. Inf., F. R. G. S., ete., London, 1860. 548 TOMMASO SALVADORI L’'Heuglin (1) nel 1859 menzionò alcune specie della costa settentrionale del Somali, in un lavoro intorno agli Uccelli osservati e raccolti durante un viaggio nel Mar Rosso; alcune specie nuove da lui scoperte furono denominate e descritte dall’Hartlaub nello stesso lavoro (Sylvia delicatula, Lanius somalicus, Otis heuglini). L’Oustalet (2) nel 1881 pubblicò un breve lavoro contenente la descrizione di due nuove specie del Somali (Tockus deckeni ed Eupodotis gindiana) e nell’anno suc- cessivo, 1882 (3), pubblicò un altro lavoro intorno a 21 specie di Uccelli raccolti dal Revoil nel Somali, e fra essi una specie era nuova, cioè il Merops revoili. Lo Shelley (4) nel 1882, in un lavoro intorno ad una collezione di uccelli rac- colti dal Kirk nell'Africa orientale, menzionò ‘due ‘specie del Somali il Circaetus cinereus ed il Melierax poliopterus. Il Reichenow (5) nel 1883 descrisse lo Struthio molybdophanes. Lo Shelley (6) nel 1885 pubblicò il Catalogo degli Uccelli raccolti dal Lort nel Somali; essi appartengono a 66 specie, delle quali vennero descritte come nuove le seguenti: Coracias lorti, Dryoscopus ruficeps, Telephonus jamesi, Argya aylmeri, Saxi- cola phillipsi, Parus thruppi, Cursorius gallicus somalensis. Nel 1886 l’Hartlaub (7), correggendo una erronea identificazione dello Shelley, descrisse una nuova specie del genere Trachyphonus, che chiamò T. shelleyi. Finalmente in un lavoro intorno agli “ Uccelli raccolti durante il viaggio della Corvetta Vettor Pisani negli anni 1879, 1880 e 1881, io ed dl ‘Giglioli ((8) pubbli- cammo una Lista di 13 specie di Uccelli del Somali, raccolti presso Durderi. Altre specie del Somali si trovano sparsamente descritte in altri lavori e spe- cialmente nei recenti volumi del Catalogue of Birds in the British Museum (1-XXIL). La collezione di uccelli fatta dal Ruspoli consta di 183 esemplari appartenenti a 77 specie e quindi è la più ricca che sia stata portata fimora in Kuropa; essa non contiene molte specie nuove, giacchè quattro soltanto si possono considerare come tali (Trachyphonus uropygialis, Lagonosticta somaliensis, Dienemellia ruspolii e Lamprotornis viridipectus), tuttavia essa serve ad estendere le nostre cognizioni intorno alla distri- buzione geografica degli Uccelli dell’Africa ‘orientale, giacchè molte delle specie raccolte non erano state trovate finora nel Somali, e si conoscevano :soltanto dello Scioa, o di regioni più meridionali. Disgraziatamente il Ruspoli non ha unito agli esemplari ‘alcun ‘cartellino indi- cante le esatte località, nelle quali essi sono stati raccolti; tuttavia ‘egli ha creduto (1) “ List of Birds observed and collected during a Voyage in the Red See , (Ibis, 1859, pp. 337-352, pls. x, x1). (2) “ Oiseaux nouveaux de l’Afrique Orientale , (Bu. Soc. Philom. de Paris, 1881, pp.-160-168). (3) Revoil, Faune et Flor. Gomalis, Oiseuue (Estratto, pp. 1-14). (4) È A Second List of Birds recently collected by Sir John Kirk in Fastetn Africa , (PZ. S., 1882, pp. 804-310, pl. xvi). (5) “ Ueber einen neuen Strauss , (Sonntagsbl. Norddeutsch. Allgem. Zeit., n° 37, 16 Sept.); “ Immar Neues aus Africa, (Mitth. Orn. Ver. Wien, 1883, p. 203, Taf.). (6) “ On Mr. E. Lort Phillips’s Collection of Birds ‘from ‘Somali-land , (Zbis, 1885, ‘pp. 389-418, pls. xI, xrr, xI11). i (7) “ On a New Species of Barbet of the Genus Trachyphonus , (Ibis, 1886, pp. 105-112, pl. v). (8) “ Memorie R. Acc. Sc. Tor. ,, ser. II, t. XXXIX, pp. 101-104 (1888). UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 549 di poter dare a memoria per molti esemplari le indicazioni mancanti. Molti dei luoghi che si troveranno menzionati nel seguente Catalogo, non sono indicati nelle relazioni del viaggio publicate nel Bollettino della Società Geografica e nella Cartina che accompagna dette relazioni; il Prof. Dalla Vedova, Segretario della Società Geografica Italiana, al quale mi sono rivolto per schiarimenti intorno ai luoghi men- zionati nel presente lavoro, mi ha dato le seguenti indicazioni, delle quali gli sono gratissimo : Monti Golis (orlo montuoso verso il golfo di Aden dalla parte interna). Oduin (pianura a Nord dell’Ogaden). Uebi, fiume che più a valle di Ime, fra gli Scebeli, chiamasi Uebi Scebeli. Valle di Hento, sulla destra dell’Uebi, poco a valle di Ime. Valle Habir, sulla sinistra dell’Uebi presso Ime. Montagne di Lido, sulla sinistra dell’Uebi, a valle di Ime. Duxi Catabel, sulla destra dell’Uebi Scebeli, a sud di Barri. Non sono riuscito ad avere precise indicazioni intorno ai luoghi: Banan o Barsan, Altipiano, di Ghilai, Mandera, F. Adadle, Aduma e Gurat. Nella cartina menzionata si trovano segnati Uarandab, Ogaden, Uebi e Bessera, quest’ultimo sulla destra dell’Uebi a valle di Ime. A me corre l’obligo gradito di ringraziare l’ egregio viaggiatore per la fiducia in me riposta, affidandomi lo studio della sua collezione ornitologica, ‘e di fargli qui i più vivi augurii affinchè egli riesca a condurre a felice compimento il nuovo viaggio, che egli intraprese nell’ anno decorso nello stesso paese dei Somali (Boll. Soc. Geogr. Ital., 1893, pp. 668, 708 con cartina) colla nobile ambizione di spingersi verso il Lago Rodolfo. A quanto pare, anche in questo secondo viaggio il Ruspoli non tralascia l'occasione di mettere insieme preziose collezioni zoologiche, botaniche e mineralogiche, che saranno argomento di nuovi studii. Colle nuove collezioni si potranno avere maggiori materiali per definire il carattere della fauna del Somali, che sembra costituire una provincia zoologica ben distinta dell’Africa Orientale. Torino, Museo Zoologico, gennaio 1894. 550 TOMMASO SALVADORI 1. Lophogyps occipitalis (BurcH.). Lophogyps occipitalis, Sharpe, Cat. B. I, p. 15 (1874). — Guwn., List Diurn. B. of Prey, p. 6 (1884). a, db. (ad.). Banan. Ambedue gli esemplari sembrano adulti, ma uno ha le remiganti secondarie bianche, mentre l’altro le ha di color grigio scuro; ambedue sono notevoli per avere il piumino formante il ciuffo occipitale e le piume bianche delle tibie e delle ali tinti di roseo, probabilmente dovuto a qualche ocra delle roccie frequentate dai medesimi. 2. Poliohierax semitorquatus (SmirE). Poliohierax semitorquatus, Sharpe, Cat. B.I, pp. 370, 459 (1874). — Gurn., List Diurn. B. of Prey, p. 94 (1884); Shell., Ibis, 1885, p. 391 (Somali). a. Uarandab. Esemplare col dorso castagno. 3. Melierax poliopterus (CaB.). Melierax polyzonus, Blyth (nec Riipp.), J. A. S. B. XXIV, p. 298 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 9 (1860). Melierax poliopterus, Sharpe, Cat. B.I, p. 88 (1874). — Shell., P. Z. S. 1882, p. 305 (Somali). — Gurn., List Diurn. B. of Prey, p. 26 (1884). a. (ad.). Somali. 4. Bubo lacteus (Temm.). Bubo lacteus, Sharpe, Cat. B. II, p. 38 (1875). — Shell., Ibis, 1885, p. 392 (Somali). a, 6, c. Uarandab, Faf e Banan. 5. Bubo cinerascens, Guer. Bubo africanus, Blyth (nec Temm.), J. A. S. B. XXIV, p. 298 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1360, p- 244 (Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 9 (1860). Bubo cinerascens, Sharpe, Cat. B. II, p. 32 (1875). a. (ad.). Altipiano di Ghilai. 6. Scops leucotis (Tenmm.). Scops leucotis, Sharpe, Cat. B. II, p. 97 (1875). a, db, c. (ad.). Duxi Katabel. UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 551 7. Carine spilogastra (Hruct.). Noctua spilogastra, Heugl., Orn. N. O. Afr., I, p. 119, tab. IV (1869-74). Carine spilogastra, Sharpe, Cat. B. II, p. 188 (1875). — Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 101 (Durderi, Somali) (1888). Carine glaux, Shell. (nec Savigny), Ibis, 1885, p. 392 (Somali). a, 6, c. (ad.) Duxi Katabel ed Habir. Piccola specie, che mi sembra distinta dalla C. glaux (SAvIanv). 8. Poeocephalus rufiventris (RipP.). P@eocephalus rufiventris, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 298 (1855) (Somali). — Speke, Ibis, 1860, p. 243. — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 9 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 393. — Salvad., Cat. B. XX, p. 372 (1891). a-g. Cinque maschi e due femmine adulti. Sud dei Monti Golis. 9. Trachyphonus shelleyi, HartL. Trachyphonus erythrocephalus, Shell. (nec Cab.), Ibis, 1885, p. 394 (Somali). Trachyphonus shelleyi, Hartl., Ibis, 1886, pp. 105, 111, pl. V (Somali). — Shell., Cat. B. XIX, p. 103 (1891). a. Somali. Esemplare adulto simile alla figura data dall’Hartlaub. 10. Trachyphonus uropygialis, nov. sp. Trachyphonus T. boehmi F. et R. simillimus, sed supracaudalibus lateralibus coc- cineîs, medtis, apicalibus et basalibus flavis. Pileo subcristato nigro, plumis nonnullis posterioribus apice flavis ; capîtis et colli lateribus gulaque laete sulphureo-flavis, nigro minutissime maculatis; plumis nonnullis supraciliaribus, genarum et menti flavo-rubentibus; collo postico fusco, plumarum apice flavo-sulphureo, strictissime nigro-limbato; interscapulio, alarum tectricibus, scapularibus, remigibusque fuscis, maculis plus minusve rotundatis albis notatis; tergo et uropygio dilute flavis; supracaudalibus flavis, sed lateralibus coccineis; rectricibus fuscis, in utroque pogonio albo-flavido maculatis ; scutello gutturali chalybeo-nigro; pectore et epi- gastrio flavis, maculis minutissimis nigris rarius notatis; fascia pectorali interrupta e plumis nigris, macula apicali rotundata alba ornatis, composita; abdomine pallide albo- flavescente; subcaudalibus coccineis; rostro pallide corneo, pedibus nigricantibus. Long. tot. circa 170 mill.; al. 70 mill.; caud. circa 60 mill.; rostri culm. 17 mill.; tarsi 22 mill. a. Somali. 552 TOMMASO: SALVADORI 11. Campothera nubica (Gw.). Dendrobates ethiopicus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Speke, Abis, 1860, p. 244 (Somali), — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 10 (1860). Campothera nubica, Harg., Cat. B. XVIII, p. 93 (1890). a, b, c. è. (ad.). Mandera. 12. Dendropicus hemprichi (EmrENB.). Dendromus hemprichii, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (1855) (Somali). — Speke, Ibis. 1860, p. 345 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 11 (1860). Dendropicus hemprichi, Shell., Ibis, 1885, p. 393 (Somali). — Hargitt, Cat. B. XVIII, p. 300 (1890). a. ©. Uebi, Valle Habir. 13. Schizorhis leucogaster (RiipP.). Chizeris leucogaster, Blyth, J. A.S.B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Blyth and Speke, Report Coll. È Somali Country, p. 11 (1890). Schizorhis leucogaster, Speke, Ibis, 1860, p. 245 (Somali). — Shell., Ibis, 1885, p. 400 (Somali). a-d. (ad.). Odeuin, Uebi. 14. Colius leucotis, Riipp. Colius leucotis, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 341, pl. XII, f. 1 (1892). a, 6, c. (ad. et juv.). Valle di Habir. Gli adulti hanno la cervice e la parte anteriore del collo con strette fascie scure ben distinte; nel giovane quelle fascie sono meno distinte. 15. Merops persicus, PaLr.? Merops persicus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 66 (1892). a. (juv.). Habir. Esemplare giovane colle due timoniere mediane incompiutamente sviluppate, e poco più lunghe delle laterali; esso è rotevole pel colore verde volgente all’ azzur- rognolo, specialmente sul sopraccoda e sul sottocoda, pei quali caratteri somiglia al Merops philippinus, Luxn.! 16. Merops nubicus, Gu. Merops nubicus, Shell., Ibis, 1885, p. 397 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XVII, p. 85 (1892). a, 6, c. (ad.). Somali. UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 553 17. Melittophagus cyanostictus, Cas. Melittophagus cyanostictus, Sharpe, Cat. B. XVI, p. 48, pl. I, f. 3 (1892). a-d. Uebi, Valle di Hento. Simili in tutto agli esemplari dello Scioa. 18. Halcyon semiceruleus (Forsr.). Halcyon semicerulea, Shell., Ibis., 1885, p. 395 (Somali). Haleyon semiceruleus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 232 (1892). a-e. (ad. et juv.). Uebi. I giovani hanno l’addome ed il sottocoda di color castagno molto più chiaro che non gli adulti. 19. Irrisor sp. Promerops senegalensis, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1885). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 10 (1860). Irrisor senegalensis (Vieill.) Speke, Ibis, 1860, p. 244 (Somali). Trrisor erythrorhynehus, Shell. (nec Lath.?), Ibis, 1885, p. 395 (Somali). Irrisor viridis, Salv., Cat. B. XVI, p. 17 (1892). a-d. Fiume Adadle. I quattro esemplari sono apparentemente adulti; essi hanno il becco nero, ma in due la base della mandibola inferiore è tinta di rosso. To non riesco ad identificare con certezza gli esemplari suddetti; il Salvin attri- buisce, almeno nella sinonimia, gli esemplari del Somali all’/rrisor viridis, ma io non trovo che essi differiscano da quelli dello Scioa, che dal Salvin vengono riferiti all'I. erythrorhynchus! 20. Rhinopomastes minor (RipP.). Promerops minor, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 10 (1860). Irrisor minor, Speke, Ibis, 1860, p. 224 (Somali). — Oust., in Revoil's Faun. et Flore Gomalis, Ois., 1882, p. 7 (Somali). Rhinopomastus minor, Salv., Cat. B. XVI, p. 26 (1392). a, b. (ad.). Fiume Adadle e Monti Golis. x Il primo è simile ad un esemplare dello Scioa in abito perfetto; il secondo ha i lati della testa e le parti inferiori di color bruno. 21. Lophoceros erythrorhynchus (Temm.)? Buceros erythrorhynchus, Heugl., Ibis, 1859, p. 843 (Somali). Lophoceros erythrorhynchus, Grant, Cat. B. XVII, p. 409 (1892). Serie Il. Tom. XLIV. 1° 554 TOMMASO SALVADORI a, b. Valle dell’Uebi. Non sono al tutto certo che gli esemplari suddetti appartengano alla specie indicata, giacchè hanno i lati della testa interamente bianchi come le parti inferiori, la prima timoniera esterna quasi interamente bianca, e la seconda pure bianca, tranne i due quinti della base nera. Mi pare che gli esemplari suddetti siano inter- medi fra quelli del vero L. erythrorhynchus e quelli del L. damarensis, SERLL. Il Grant riferisce al L. erythrorhynchus un esemplare di Capangombe (Mossa- medes), ma uno della stessa località, inviato al Museo di Torino da quello di Lisbona, ha le macchie bianche delle ali circondate da un margine bruno, anche all’apice, la quale cosa non è nel vero L. erythrorhynchus, e forse quelli di Capangombe spettano a specie distinta. 22. Lophoceros fiavirostris (RupP.). Buceros (Tockus) flavirostris, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 299 (Somali) (1855). Baceros flavirostris, Speke, Ibis, 1860, p. 244 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country p. 10 (1860). Lophoceros flavirostris, Shell., Ibis, 1888, p. 67. — Grant, Cat. B. XVII, p. 412 (1892). Tockus flavirostris, Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 101 (Durderi) (1888). a, db. (ad.). Valle dell’Uebi. Durante la stampa di questo lavoro il Reichenow ha pubblicato la descrizione di un Lophoceros somaliensis (Journ. f. Orn. 1894, p. 96) raccolto dal Dr. Hildebrandt presso Meid nel Somali, e che finora era stato riferito al L. flavirostris, dal quale tuttavia differisce per avere la mandibola inferiore tinta di rosso; questa cosa non si osserva nell’esemplare della Valle dell’Uebi, che perciò mi sembra debba essere riferito al L. /avirostris. 23. Coracias garrula, Linn. Coracias garrulus, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 15 (1892). a, b. Uarandab e Duxi Kataber. 24. Coracias nevia, Daup. Coracias nevius, Sharpe, Cat. B. XVII, p. 24 (1892). a, b. (ad.). Aduma. 25. Coracias lorti, Sell. Coracias torti, Shell., Ibis, 1885, p. 399 (Somali). — Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 224 (1888) (Scioa). — Sharpe, Cat. B. XVII, p. 20 (1892). a-j. (ad. et juv.). Regione fra l’Uebi ed il Giuba ed altipiano di Ghilai. I giovani hanno le due timoniere esterne più brevi delle altre, i colori molto più sbiaditi, il groppone senza la tinta azzurra indaco, ed il colore violaceo lilla della gola in alto più sbiadito. UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 555 26. Hirundo rustica, Linn. Hirando rustica, Sharpe, Cat. B. X, p. 128 (1885). — Td., Mon. Hirund. pts. XVI, XVII (1893). a. (ad.). Uebi. Nuova pel Somali. 27. Buchanga assimilis (Brcusm.). Dicrurus lugabris, Ehrenb. — Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somaly Countri, p. 14 (1860). Buchanga assimilis, Sharpe, Cat. B. IN, p. 247 (1873). — Shell., Ibis, 1885, p. 401 (Somali). a. Esemplare non adulto colla coda imperfetta e colle cuopritrici inferiori delle ali e colle piume del sottocoda marginate all’apice di bianco. 28. Lanius dorsalis, CAB. Lanius (Fiscus) dorsalis, Cab. J. f. O. 1878, pp. 205, 225. Lanius dorsalis, Oust. in Revoil’s Faun. et Flor. Comalis, Ois. p. 10: (1882) (Somali). — Shell., Ibis, 1885, p. 401 (Somali). — Salvad. e Gigl. Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 101 (Durderi) (1888). a, 6, c. (ad. et juv.). Banan. Il giovane ha il pileo con molte piume grigio-brune; il dorso, il groppone ed il sopraccoda con traccie di fascie scure trasversali, le cuopritrici delle ali e le re- miganti terziarie coi margini chiari; anche le piume bianche delle parti inferiori hanno traccie di fascie scure. To sospetto che il Lanius somalicus, Hartl., Ibis, 1859, p. 342, incompiutamente descritto, sia da riferire a questa specie. 29. Rhodophoneus cruentus (H. et E.). Laniarius cruentus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Gadow, Cat. B. VIII, p. 152 (1883). — Shell., Ibis, 1885, p. 402 (Somali). a-i. Nove esemplari adulti, quattro col sottogola nero, e cinque senza, questi avendo tutta la parte mediana della gola rossa. 30. Nilaus brubru (LarHz.). Nilaus capensis (Shaw) — Heugl., Ibis, 1859, p. 342 (Rio Gore presso Berbera, Somali). — Gadow, Cat. B. VII, p. 168 (1883). a. 5. Somali. Esemplare adulto simile in tutto ad altro del Matabele. 556 TOMMASO SALVADORI 31. Monticola saxatilis (Linx.). Monticola saxatilis, Seebh., Cat. B. V, p. 13 (1881). a, b. © 9. Somali. Esemplari in abito invernale; il maschio è un poco più piccolo di altri d'Europa in abito corrispondente. Specie nuova pel Somali. 32. Saxicola leucomela (Patt.). Saxicola morio, H. et E. — Seebh., Cat. B. V, p. 372 (1881). a. Somali. 383. Saxicola phillipsi, SHELL. Saxicola phillipsi, Shell., Ibis, 1885, p. 404, pl. XII (Somali). a. (ad.). Somali. Simile in tutto alla figura citata. 34. Cinnyris hunteri, Sten. Cinnyris hunteri, Shell. P. Z. S. 1889, p. 365, pl. XLI, f. 2 (Useri River). a. è. Mandera, o Monte Golis. Esemplare adulto, cui bene si attagliano la descrizione e la figura dello Shelley. 35. Cinnyris habessinicus (H. et E.). Nectarinia habessinica, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Oust. in Revoil, Faun. et Flor. Gomalis, Ois. p. 8 (1882). Cinnyris habessinicus, Shell., Mon. Nect. p. 205, pl. 63. a, 6. è. (ad.). Mandera, o Monti Golis. 36. Cinnyris albiventris (STRICKL.). Nectarinia albiventris, Strickl., Contr. Orn. 1852, p. 42, pl. 86 (Ras Assoun, potius Ras Hafoun, Somali). — Sclat., tom. cit. p. 124 (1852). — Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). Cinnyris albiventris, Shell, Mon. Nect. p. 2383, pl. 73. — Salv., Cat. B. Strickl. Coll. p. 165 (Tipi) (1882). Cinuyris venusta, part., Gadow, Cat. B. IX, p. 39 (1884). a, b. 5. (ad.). Mandera, o Monti Golis. Specie rarissima nelle collezioni, mancante nel Museo Britannico, e della quale si conoscono soltanto i tipi, maschio e femmina, nel Museo di Cambridge, e gli esemplari raccolti dallo Speke, che suppongo siano conservati nel Museo di Calcutta. UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLT 557 37. Tmetothylacus tenellus (CaB.). Maceronyx tenellus, Cab., J. f. O. 1878, pp. 205, 220, tab. II, f. 3 (Taita). — Fischer, J. f. O. 1879 p. 299. — Fisch. et Rchnw., ibid. p. 355 (Kibaradja). — Shelley, P. Z. $. 1881, p. 574 (Lamu). Tmetothylacus tenellus, Cab., J. f. O. 1879, p. 488. Anthus tenellus, Sharpe, Cat. B. X, p. 618 (1885). a-d. (ad. et juv.). Montagne di Lido. La figura di questa specie (loc. cit.) mostra la fascia pettorale nera più stretta di quello che non sia negli esemplari adulti soprannoverati. Questa specie è notevolissima, oltre che pel suo colorito, per avere i tarsi infe- riori nudi, pel quale carattere il Cabanis ha creduto di doverne fare il tipo di un genere distinto, che è stato ommesso nel vol. X del “ Catalogue of Birds ,. Il giovane ha le parti superiori di color bruno pallido, coi margini delle piume più chiari, le parti inferiori di color fulvo con una lieve tinta gialla sull’addome; le cuopritrici inferiori delle ali gialle, le remiganti con un sottile margine giallo esterno e largo verso la base del vessillo interno; la coda è bruna, ma le due timo- niere esterne sono in gran parte gialle; il tarso (0,029) è un poco più lungo che non negli esemplari adulti! 38. Motacilla boarula, Linn. Motacilla melanope, Pall. — Sharpe, Cat. B. X, p. 497 (1885). a. (ad.). Somali. Esemplare in abito invernale. Lo Sharpe (loc. cit.) non menziona l'Africa nell’ Habitat di questa specie. 89. Linura fischeri (Rcunw.). Vidua fischeri, Shell., Ibis, 1886, p. 342. — Salvad. e Gigl., Mem. R. Ac. Sc. Tor. (2) XXXIX, p. 103 (Durderi) (1888). Linura fischeri, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 104 (1888). — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 210 (1890). a-e. è. (ad.). Regione dei laghi a sud del Deserto di Ogaden. 40. Lagonosticta somaliensis, sp. nov. Lagonosticta L. brunneicipiti Sharpe, similis, sed colore rubro magis roseo, et dorsum tectricesque alarum quoque tingente. a. è. (ad.). Somali. Esemplare adulto col mezzo del pileo e coll’occipite di color bruno, lievemente tinto di roseo; esso differisce dagli esemplari dello Scioa per avere il colore rosso della testa, del collo, delle parti superiori e del petto, decisamente roseo, e che colora anche il dorso e le cuopritrici delle ali. 558 TOMMASO SALVADORI 41. Dinemellia dienemelli (RiieP.). Textor dienemelli, Shell., Ibis, 1885, p. 409 (Somali). Dienemella dinemelli, Sharpe, Cat. B. XII, p. 506 (1890). a, 6, c. Banan. Esemplari adulti simili ad altri dello Scioa. 42. Dienemellia ruspolii, nov. sp. Dienemellia D. dienemelli similis, sed minor, colore fusco notaei valde pallidiore, parte basali alba remigum valde latiore et non abrupte divisa, sed. sensim in colorem fuscum partis apicalis transeunte, parte basali pogonii interni tectricum remigum prima- riarum alba, margineque carpali albo rubro-tincto, distinguenda. Testa, collo, petto ed addome bianchi; dorso e remiganti terziarie di color bruno-grigio pallido, le ultime e le scapolari marginate esternamente di bianco; groppone, sopraccoda e sottocoda rosso-minio, cuopritrici minori presso 1’ angolo dell’ala rosso-minio; remiganti primarie bianche per tre quinti della base, e la parte bianca non nettamente separata dal color bruno nero dei due quinti apicali, ma il bianco passa gradatamente nel bruno nero; lo stelo delle remiganti primarie bianco per gran parte della porzione apicale scura; anche inferiormente la porzione bianca delle remiganti occupa gran parte del vessillo interno e passa gradatamente nel colore grigio scuro dell’apice; cuopritrici delle remiganti primarie bianche alla base e nel vessillo interno; margine carpale bianco tinto di rosso-minio; cuopritrici infe- riori delle ali e piume delle tibie grigie; coda bruna, collo stelo delle timoniere bianco inferiormente; becco corneo scuro; piedi neri. D. dienemelli Lunghezza totale . . 0,200 02,210 NC DITO) 0m,122 Cda RARO RO 070) 02,083 Becco 0020) 0%,021 Tarso e 0090 0,032 a. Banan (?). L’esemplare tipo di questa specie è indicato di Banan, come i tre della specie precedente, ma forse la indicazione non è esatta, giacchè, come ho notato nell’in- troduzione, il Ruspoli non ha messo cartellini colla località agli esemplari raccolti, e le località indicate sono state aggiunte a memoria dopo il suo ritorno. 43. Textor intermedius, Cas. Textor intermedius, Shell., Ibis, 1885, p. 410 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 511 (1890). a, b, c. Habir. I primi due sono adulti in abito perfetto nero; il terzo è un giovane colle parti superiore brune; le piume delle parti inferiori hanno macchie lanceolate nere nel mezzo e larghi margini chiari; le remiganti e le cuopritrici delle ali sono marginate esternamente di rossigno fulvo. UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 559 44. Hyphantornis intermedia (RiirP.). Hyphantornis intermedius, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 460 (1890). a, b. è 9. Somali. Il maschio non è perfettamente adulto, avendo qualche piuma gialla fra le nere della gola; esso differisce alquanto da un esemplare adulto dello Scioa (SALvaD., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, p. 290), per avere il dorso di color verde-giallognolo meno giallo e senza macchie nere lungo il mezzo delle piume, pel groppone di un giallo meno vivo, pel colore castagno che tinge l’occipite e la cervice meno intenso ed anche pel colore giallo delle parti inferiori più chiaro. La femmina, non ancora descritta, ha le parti superiori di colore verde-olivastro, con macchie scure lungo. il mezzo delle piume del dorso; i lati della testa e le parti inferiori di color bianchiccio lievemente tinto di giallo; sulla regione del gozzo una lieve tinta fulviccia; le remiganti e le timoniere bruniccie con i margini verdognoli. È questa una specie rarissima nelle collezioni. 45. Lamprocolius chalybeus (Ear.). Lamprocolius chalybeus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 176 (1890). a. (ad). Valle di Hento. Simile agli esemplari dello Scioa. Questa specie non si conosceva finora del Somali, che probabilmente segna il confine meridionale della medesima. PA 46. Heteropsar (?) albicapillus (BLvrH). Spreo albicapillus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 301 (1855) (Somali). Notauges albicapillus, Hartl. — Speke, Ibis, 1860, p. 246, pl. VII (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 413 (Somali). Heteropsar albicapillus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 186 (1890). a. Pianura di Uarandab. Questa specie, esclusiva del Somali, è rarissima nelle collezioni, ed anche una delle più singolari per la sua colorazione. La sua posizione nel sistema non mi sembra ben determinata. 47. Cosmopsarus regius, Rcunw. Cosmopsarus regius, Shell., Ibis, 1885, p. 411 (Somali). — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 160 (1890). a-g. Uebi, Uebi Sciabeli, Hento, Banan. Sette esemplari; uno in abito imperfetto ha molte piume brune sulla testa, residuo dell’abito giovanile, e così pure fra le cuopritrici delle ali; fra le piume gialle delle parti inferiori ve ne sono molte fulve, anch’ esse residuo dell’ abito giovanile. 560 TOMMASO SALVADORI 48. Notauges superbus (Ripp.). Lamprotornis superba, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 801 (Somali) (1855). Notauges superbus, Speke, Ibis, 1860, p. 245 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 412 (Somali). Spreo superbus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 189 (1890). a-c. (ad.). Uarandab e Mandera. 49. Lamprotornis viridipectus, sp. nov. ? Lamprotornis purpuropterns, Cab. (nec Riipp), J. f. O. 1878, p. 233 (Adi). — ? Fisch. et Rchnw., ibid., p. 261 (Wito). — Fischer, ibid., p. 236 (Wito). — ?Id., Zeitschr. f. ges. Orn. I, p. 336 (Nguruman) (1884). ? Lamprotornis porphyropterus, Fisch. et Rehnw., J.f. O. 1879, p. 849 (Ualimi). — Sharpe, Cat. B. XIII, pp. 156, 157 (part., Adi River) (1890). Lamprotornis L. caudato (= aeneo, Gm.) similis, sed valde minor, cervice cyane- scente, lateribus obscure cyanescentibus, minime violaceis et abdomine medio quoque obscure cyanescente, sed minime aeneo-cupreo. Capite obscure aeneo; collo postico viridi cyanescente, dorso viridi, vix cyaneo micante, tergo, uropygio et supracaudalibus nitide cyaneis, paullum purpureo tinctis; collo antico et pectore summo nitide et pure viridibus; lateribus, abdomine et sub- caudalibus obscure cyanescentibus; alis nitide viridibus; cauda supra cyaneo-purpu- rascente, rectricibus mediis purpureis, omnibus transversim fasciolatis. Long. tot. 0%,270; al. 0%,140; caud. 0%,125; rostri culm. 0%,016; tarsi 02,039. a, 6. Valle di Hento. Gli esemplari suddetti hanno grande somiglianza con quelli della L. caudata, ma non dubito punto che essi appartengano ad una specie distinta, alla quale molto probabilmente è da riferire l’ esemplare del Fiume Adi raccolto dall’Hildebrandt e menzionato dallo Sharpe (loc. cit.). To inclino ad ammettere che nella sezione del genere Lamprotornis, distinta pel colore bronzato della testa, siano da riconoscere quattro specie distinte: a. Pectore nitide et pure viridi: a. Dorso pure viridi; plaga abdominali media nitide aeneo-cuprea . L. caudata. È (Africa occidentali). b. Dorso viridi, vix cyanescente; abdomine concolore, obscure cyane- 3 scente et plaga abdominali media aeneo-cuprea destituto . L. viridipectus. ò (Somali et Africa orient.). b. Pectore distincete cyaneo-purpurascente; plaga abdominali media niti- dissime aureo-aenea : e. Cervice et dorso summo cyaneo-purpurascentibus ; c . L. eytoni. (Africa occid. et Sudan). d. Cervice nitidissime purpurea, dorso summo cyaneo-purpurascente . ie a cioa). 50. Dilophus carunculatus (Gw.). Dilophus carunculatus, Sharpe, Cat. B. XIII, p. 61 (1890). a. Somali. Non si conosceva ancora del Somali. UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 56] 51. Buphaga erythrorhyncha (StAnL.). Buphaga erythrorhyncha, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 301 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 246 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 12 (1860). — Shell., Ibis, 1885, p. 410. — Sharpe, Cat. B. XIII, p. 196 (1890). a-d. Pianura di Uarandab. 52. Vinago waalia (Gw.). Treron waalia, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Somali). Vinago waalia, Salvad., Cat. B. XXI, p. 15 (1893). a, 6, c. Mandera e monti Golis. 53. Chalcopelia afra (Linw.). Chalcopelia afra, Salvad., Cat. B. XXI, p. 506 (1898). a. (ad.). Somali. Varietà colle macchie verdi dorate sulle ali. Nuova pel Somali. 54. Oena capensis (Linn.). Oena capensis, Salvad., Cat. B. XXI, p. 501 (1898). a. ©. Somali. Nuova pel Somali. 55. Pteroclurus exustus (Temw.). Pterocles senegalensis, Blyth (nec Pt. seregallus, Linn.), J. A. S. B. XXIV, p. 303 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). Pteroclurus exustus, Grant, Cat. B. XXII, p. 12 (1898). a-d. Valle di Hento fra i Monti Lido e Yesi (?).. Due maschi e due femmine. Credo che le citazioni del Blyth e dello Speke appartengano a questa specie e non al P. senegallus, come ha stimato l’Ogilvie-Grant (loc. cit.). 56. Pterocles decoratus, Cas. Pterocles sp.?, Sclat., P. Z. S. 1864, p. 113 (Uniamesi). Pterocles decoratus, Cab. in v. d. Decken Reisen, III, p. 43, t. XIII (1869) (See Jipe). — Id., J. f. O. 1868, p. 413. — Finsch u. Hartl., Vòg. Ostafr., p. 565 (1870). — Grant, Cat. B. XXII, p. 21 (1898). a. Valle di Habir. Esemplare adulto, apparentemente maschio, simile alla figura sopramenzionata, ma colla fascia nera a traverso il petto non interrotta, ma completa. Nuovo pel Somali. 57. Pterocles lichtensteini, Tewm. Pterocles lichtensteini, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 305 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 247 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 14 (1860). — Grant, Cat. B. XXII, p. 29 (1893). Serie II. Tom. XLIV. D° TOMMASO SALVADORI 562 a-c. Pianura di Uarandab. Tre esemplari senza le fascie nere sul capo e sul petto, e perciò senza dubbio femmine. 58. Acryllium vulturinum (Harpw.). Numida vulturina, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (Ogadayn, Somali). Acryllium vulturinum, Grant, Cat. B. XXII, p. 385 (1893). a-f. Somali. Tl Ruspoli menziona di aver trovato questa specie nell’Ogaden (Boll. Soc. Geogr. Ital. 1891, p. 984). 59. Francolinus granti, HArtL. Francolinus granti, Shell., Ibis, 1885, p. 414 (part.) (Somali). —- Grant, Ibis, 1892, p. 42 (part.). — Id., Cat. B. XXII, p. 148 (parti) (1893). a, %. Pianura di Odeuin. Due esemplari adulti con lunghi sproni, e quindi senza dubbio maschi. To sono di opinione che gli esemplari suddetti siano sufficientemente distinti dal . schoanus, Heuer; essi si distinguono pei seguenti punti: 1° Le piume delle parti superiori hanno molto più del colore castagno. . 2° Le macchie castagne del collo si estendono molto più in basso fin sul petto. 3° Le timoniere laterali hanno più di castagno verso la base, ed in uno dei due esemplari del Somali le quattro timoniere mediane sono di color castagno puro. 60. Pternistes infuscatus, CAB. Pternistes rubricollis, Blyth, J. A. S. B., XXIV, p. 304 (Somali) (1855). — Speke (nec Lath.), Ibis, 1860, p. 248 (Somali). — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p. 15 (1860). Pternistes leucoscepus, Salvad. (nec G. R. Gr.), Ann. Mus. Civ. Gen. (2) I, p. 309 (Scioa) (1888). Pternistes infuscatus, Cab. — Grant, Cat. B. XXII, pp. 183, 560 (1893). a. (juv.). Somali. L’esemplare suddetto, come anche quelli ‘dello Scioa, sono simili in tutto ad un altro del Fiume Usari (Hunter), inviato dal Museo Britannico a quello di Torino. 61. Heterotis humilis (BLvTH). Sypheotides humilis, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 304 (1855) (Somali). — Speke, Ibis, 1860, p. 248. — Blyth and Speke, Rep. Coll. Somali Country, p.15 (1860). — Heugl., Faun. d. Roth. Meer, No. 228. — Finsch u. Hartl., Vòg. Ostafr., p. 618 (1870). Heterotis humilis, Sharpe, Bull. Br. Orn. Club, No. IX, p. L (1892). a. Altipiano di Ghilai. Questa specie è notevole per la sua piccolezza e per la brevità del suo tarso; a me sembra che non si possa separarla dal gruppo di specie contenente lO. sene- galensis, VO. canicollis, ecc. Essa ha colorito generale isabellino arenaceo, finamente punteggiato di nero, l'addome ed il sottocoda bianco, il collo grigio, la gola nera UCCELLI DEL SOMALI RACCOLTI DA D. EUGENIO DEI PRINCIPI RUSPOLI 563 (colle piume bianche all'apice), una macchia nera sull’occipite, le ascellari nere e le cuopritrici delle remiganti primarie bianche nella metà basale e nere nell’apicale. L'esemplare di Ghilai corrisponde abbastanza bene colla descrizione del Blyth, se non che in questa non è menzionata la macchia occipitale nera; inoltre nella mede- sima è detto che le piume del pileo formano un ciuffo distinto, la quale cosa certo non appare nell’esemplare sopra menzionato! Lunghezza del tarso 0,064 (= pol- lici inglesi 2 '/,). 62. Neotis heuglini (HaRtL.). Otis heuglini, Hartl., Ibis, 1859, p. 344, pl. XI (ò) (Tchuscha, Somali). — Finsch u. Hartl., Véog. Ostafr., p. 613 (1870). — Heugl., Orn. N. O. Afr. II, p. 942 (1873). Eupodotis heuglini, Heugl., Peterm. Geogr. Mitth. 1860, Taf. 18. Neotis heuglini, Sharpe, Bull. Br. Orn. Club, VII, p. L (1893). a. Pianura di Faf. L’esemplare suddetto corrisponde colla descrizione dell’Otis heuglini, special- mente per avere le piume della parte inferiore ed anteriore del collo di color rugginoso vivo, ma ne differisce per non avere la maschera nera coprente i lati della testa e della gola, come nella figura pubblicata nell’ Ibis, 1859, pl. XI; invece esso ha i lati della testa e la gola bianchicci con macchiette nere; in un altro esemplare del Museo di Torino, d’ignota località, la gola è interamente bianca; suppongo che la mancanza della maschera nera sia carattere della femmina, o dipendente dalla stagione. 63. Lophotis gindiana (Ousr.). Eupodotis gindiana, Oust., Bull. Soc. Philom. de Paris, 1881 (aoît), p. 168 (Extract, p. 4) (Afrique orientale). Otis (Lophotis) falvicrista, Cab., Orn. Centralbl. 1882, no. 2 Jan., p. 14 (Berdera, Somali). — Rchnw. u. Schal., Journ. f. Orn. 1882, p. 113. Lophotis fulvicrista, Cab., J. f. O. 1882, p. 123; Rchnw., Zool. Jahresb. f. 1882, p. 223. Lophotis gindiana, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2) VI, p. 543 (1888) (Scioa). a, b. Habir presso Bessera. Esemplari adulti, maschio e femmina, simili ad una coppia dello Scioa. 64. Cursorius somalensis, SHELL. Carsorius gallicus somalensis, Shell., Ibis, 1885, p. 415 (Somali). Cursorius somalensis, Seebh., Ibis, 1886, p. 116. — Id., Geogr. Distr. Charadr., p. 237, pl. XI (1887). a, b. (ad.). Pianura di Uarandab. Questa specie, come ha fatto notare il Seebhom, è perfettamente distinta dal C. gallicus, per le piume ascellari e per le cuopritrici inferiori delle ali di color grigio isabellino e non guari nero, per le dimensioni minori .e per altri caratteri; essa si conosceva nei Musei di Europa solo per l'esemplare tipico raccolto dal Lort. 65. Hoplopterus spinosus (Linn.). Hoplopterus spinosus, Heugl., Orn. N. O. Afr. II, p. 1004 (1873). Vanellus spinosus, Seebh., Geogr. Distr. Charadr., p. 219, cum fig. (1887). a-c. Gurat. Non era stato menzionato finora del Somali. 564 TOMMASO SALVADORI — UCCELLI DEL SOMALI, ECC. 66. Stephanibyx coronata (Gw.). Chettusia coronata, Shell., Ibis, 1885, p. 417 (Somali). a, . Pianura di Uarandab. Questa specie si estende verso Nord, fin nello Scioa (SALvap., Ann. Mus. Civ. Gen. (2), I, p. 220). 67. Ardea purpurea, Linn. a, Gurat, Regione dei Laghi. 68. Ardea melanocephala, Vie. et CATLDR. a. (ad.). Bessera, Uebi. 69. Ardetta minuta (Linw.). a. ©. (ad.). Pianura di Uarandab (!). 70. Ciconia abdimii, Licam. a. (ad.). Valle di Habir, presso Bessera. 71. Fulica cristata, Gm. a-c. Gurat, Regione dei laghi. 72. Chenalopex egyptiacus (Linw.). Chenalopex egyptiacus, Blyth, J. A. S. B. XXIV, p. 305 (Somali) (1855). — Speke, Ibis, 1860, p. 248 (Somali). — Blyth and Speke, Report Coll. Somali Country, p. 15 (1860). a, b. (ad.). Gurat. 73. Dendrocygna viduata (Linw.). Pendrocygna viduata, Shell, Ibis, 1885, p. 414 (Somali). a-d. (ad.). Gurat. 74. Poecilonetta erythrorhyncha, Gu. Pecilonitta erythrorhyncha, Shell., Ibis, 1885, p. 415 (Somali). a. (ad.). Gurat. 75. Querquedula circia (Linn.). a. 9. (ad.). Gurat. 76. Spatula clypeata (Linv.). a. Gurat (2). 77. Podiceps capensis, Licnm. Podiceps capensis, Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen. (2) I, p. 252 (1884) (Scioa). Podiceps fiuviatilis capensis, Shell., Ibis, 1885, p. 418 (Somali). a. Somali (Gurat?). STUDIO SPERIMENTALE SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA MEMORIA Dott. R. VIVANTE Assistente nel Laboratorio di Patologia generale della R. Università di Genova. Approvata nell’ Adunanza del’11 Febbraio 1894 Griffini e Vassale pubblicarono nel 1888 (1) uno studio sperimentale sulla ripro- duzione delle ghiandole peptogastriche, ed era loro intenzione di estenderlo a quella delle ghiandole della mucosa pilorica, ma la grave spesa di tempo, cui la mortalità degli animali determinava, e le esigenze di altri lavori li obbligarono a sospendere le esperienze iniziate. Ebbi dal prof. Griffini il conforto a continuarle, ed ora accingendomi ad esporne i risultati sento il dovere di rendergli qui pubbliche grazie per l’affetto con cui mi fu guida nell’ottenerli. La struttura e la funzione delle ghiandole piloriche diedero in questi ultimi anni argomento a vivaci discussioni e negli studî dello Schwalbe (2), del Nussbaum (3), dell’Ebstein (4), del Gritzner (5), dello Haidenhain (6), dell’Edinger (7), del Trinkler (8), del Bikfalvi (9), e di molti ancora troviamo espresse e combattute intorno a quelle (1) Grierini e Vassare, Sulla riproduzione della mucosa gastrica, R. Accademia di medicina in Modena, 1888; “ Beitrige zur pathol. Anat. und alls. Pathol. von Ziegler ,, Bd. 3, S. 425, 1888. (2) Scawaue, Bestrige cur Kenntniss der Driisen in Darmwandung; È Archiv fir mikros. Anat. ,, Bd. 8, 1872, (3) Nusssaum, Ueder den Bau und die Thitigkeit der Driisen; “ Archiv fiir mikros. Anat. ,, Bd. 16, 1879. (4) Essremn, Beitrige zur Lehre vom Bau und der Function der sogenannten Magenschleimdriisen, Bd. 6, 1870. (5) Grirzwer, Ueder Bildung und Ausscheidung von Fermenten; “ Pfliiger's Archiv ,, Bd. 20, 1879. (6) Harmennarn, Physiologie der Absonderungsvorginge; “ Hermann's Handbuch der Phys. ,, Bd. 5, 1880. (7) Epinerer, Zur Kenntniss der Drisenzellen des Magens.; © Archiv fiir mik. Anat. ,, Bd. 17, 1880. (8) TermeLer, Ueder den Bau der Magenschleimhaut; “ Archiv fiir mik. Anat. ,, Bd. 24, 1884. (9) Brxranvi K., Beitrdge zum feineren Bau der Magendrisen; “ Orvos. hermèszet-tudomàny ,, Ertesiti, 1887. 566 R. VIVANTE le opinioni più contradditorie. Così mentre da taluno fu affermata l'analogia che corre fra ghiandole piloriche e ghiandole peptiche, o assoluta o ristretta ad uno solo degli elementi cellulari che le caratterizzano, da altri fu in tutto negata, e si volle am- mettere invece una stretta parentela fra ghiandole piloriche e ghiandole del Brunner. Ora, lasciando da parte gli eccessi di alcune di tali affermazioni, che non ‘possono spiegarsi se non con un difetto di osservazione, chè invero non so come si possano assegnare, p. e., a questi organi i caratteri delle ghiandole acinose, è certo che la storia del loro sviluppo e quella della loro rigenerazione tendono a dimostrarne la spiccata individualità: perchè se una legge generale regola lo sviluppo delle ghian- dole piloriche e quello delle peptiche, non è meno vero che piccole differenze nei caratteri degli abbozzi primitivi, un'intensità diversa nel processo di proliferazione possono influire grandemente sulla loro struttura e per conseguenza sulla loro desti- nazione fisiologica. Il processo di riproduzione delle ghiandole piloriche, seguito nella riparazione di lesioni artificialmente prodotte, non credo sia stato finora oggetto di studî speciali; ma poichè un tale processo riproduce più o meno fedelmente quello dello sviluppo embrionale, trovo utile ricordare quanto intorno a questo fu scritto. Prima del Toldt (1) che dello sviluppo della mucosa gastrica fece uno studio accurato e com- pleto, poco si disse delle ghiandole piloriche, ed i varî autori che lo precedettero, il Laskowski (2), il Brand (8), il Koelliker (4), il Sewall (5) si limitarono a constatare ch’esse si sviluppano prima e più rapidamente delle peptiche. È merito del Toldt quello di aver affermato che sì per l’una varietà ghiandolare, come per l’altra, il processo di formazione si svolge interamente nello strato epiteliale, e di aver date anche per le ghiandole piloriche una storia particolareggiata del loro sviluppo. Se- condo questo A. negli abbozzi primitivi di queste ghiandole non si riscontrerebbero le cellule rotondeggianti od ovoidali, a nucleo rotondo od irregolare, che concorrono a formare gli abbozzi delle ghiandole peptiche; ma alla loro formazione partecipereb- bero esclusivamente cellule cilindriche a nucleo ovale, che se non influiscono molto per la loro forma su quella dell’abbozzo a cui appartengono, vi influiscono per il loro numero, rendendolo più ampio e più svasato. Gli otricoli primitivi, che derivano da questi abbozzi, si svilupperebbero rapidamente oltrepassando la superficie basale dello strato epiteliale, accolti entro infossamenti del tessuto connettivo sottomucoso; ed anche qui come per le ghiandole peptiche la suddivisione del corpo ghiandolare si effettuerebbe per gettoni epiteliali che si elevano 0 dal fondo cieco della ghiandola 0 dalle sue pareti. L'ulteriore sviluppo dell'organo avverrebbe o per aumento numerico delle cellule che lo compongono, o per alcuni cangiamenti nei loro caratteri primitivi, assumendo esse un contorno più fine e più netto, una granulazione del protoplasma (1) Torpr, Die Entwickelung der Drisen des Magens.; Aus dem LXXXII Bande der “ Sitzb. der k. Akad. der Wiss. ,, 1880. (2) Lasgowskt, Ueber Entwickelung der Magenwand; © Sitzb. der k. Akad. d. Wiss. ,, Bd. 58, 1868. (3) Brann, Bertrige zur Entwickelung der Magen und Darmwand, Wixzburg, 1877. (4) KoeLriKER, Entwickelungsgeschichte, 2 Auflage, 1879. (5) Sewarc, he developement and regeneration of the gastric glandular epithelium during foetal life and afther birth; “ Journal of Physiology ,, vol. 1878. SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 567 più delicata e più rara. Solo nella terza settimana di vita extrauterina, e prima nel fondo che nelle pareti laterali del tubo ghiandolare, si noterebbe quella speciale evoluzione del nucleo per cui esso si dispone col massimo diametro perpendicolare all’asse della cellula. Con questi risultati in gran parte concordano quelli più recen- temente ottenuti dal Salvioli (1) che affermò doversi riferire il primo delinearsi delle ghiandole gastriche ad una sproporzione fra l'ampiezza dello strato mesodermico ed il numero delle cellule dell'epitelio che vi è sovrapposto: gli elementi attivamente proliferanti di questo strato, sporgendo verso le parti che offrono minore resistenza, verso la cavità, cioè, dello stomaco, darebbero luogo a quei rialzi che limitano i primitivi infossamenti ghiandolari. Colla guida che lo studio diligente delle. forme cariocinetiche gli offriva, seguì questo A. l'ulteriore sviluppo della mucosa gastrica, constatò il più rapido svolgimento delle ghiandole piloriche, e confermò il fatto già da Bizzozero e Vassale (2) osservato che le mitosi in esse sono molto più numerose che nelle peptiche e per più lungo tempo perdurano nei loro fondi ghiandolari. Col Toldt infine ammise la suddivisione dei tubuli ghiandolari come determinata da ap- pendici epiteliali elevantisi dal loro fondo, ed assegnò in questo periodo una parte attiva al tessuto connettivo che li circonda. Nel riferire ora i risultati delle mie ricerche avrò spesso motivo a notare come il processo di rigenerazione delle ghiandole piloriche segua l'andamento del loro svi- luppo embrionale; ma avrò pure occasione ad avvertire come alcune fasi della loro riproduzione si scostino da quelle norme che dalle osservazioni sopra riferite ema- nano, e, senza voler escludere che tali differenze possano in realtà esistere, farò osservare come alcuni errori d’interpretazione possano facilmente farle supporre. Lo studio della rigenerazione delle ghiandole piloriche feci esclusivamente sul cane, animale che meglio degli altri si presta all’esperienza, e che m'offriva l’oppor- tunità d’instituire non solo degli utili confronti fra i miei risultati e quelli che si erano avuti precedentemente per le ghiandole peptiche, ma ancora di giovarmi degli utili ammaestramenti che in tale genere di ricerche mi venivano dal lavoro di Griffini e Vassale (3). Però, come ho avuto occasione di notare più sopra, a rendere lungo e faticoso il lavoro influù questa volta la grave mortalità degli animali, che, mal- grado la precauzione d’un’antisepsi accurata, il digiuno assoluto nei primi giorni, e la massima cura nella successiva graduale alimentazione, soccombevano per ulcera- zione della parete stomacale. Il raccogliersi del contenuto fortemente acido di pre- ferenza nella regione pilorica è di grave ostacolo alla riparazione della ferita pel processo flogistico che vi determina: la forte emigrazione di leucociti, nello spessore (1) SaLviori, Alcune osservazioni intorno al modo di formazione e di accrescimento delle ghiandole gastriche; Estr. dagli “ Atti della R. Acc. delle Scienze in Torino ,, vol. XXV, 1890. (2) Bizzozero e Vassare, Sulla riproduzione e sulla rigenerazione fisiologica degli elem. gliandolari, “ Archivio delle Scienze mediche ,, vol. XI, n. 12, p. 196, 1887. (3) V. loc. cit. 568 R. VIVANTE dei margini e del fondo della ferita, solleva e stacca l’epitelio che man mano si forma, e li priva così di quanto vale a proteggerli dall’azione distruttiva del succo gastrico; siccome poi per evitare il restringersi soverchio della soluzione veniva anticipatamente rimossa anche una parte della tonaca muscolare, così facilmente si comprende come si potesse venire ad un'ulcerazione completa della parete dell’organo. Per questa sfortunata circostanza si dovettero, adunque, moltiplicare le esperienze, e ciò non solo perchè molti animali soccombettero, ma anche perchè molti di quelli sopravvissuti non presentarono, in rapporto al tempo trascorso, una riparazione pro- porzionatamente progredita. Così, p. e., la fig. 1%, che rappresenta una delle prime fasi del processo rigenerativo fu tratta da una soluzione di 20 giorni, mentre le fig. 2, 3, 4,5 che ne rappresentano fasi ulteriori corrispondono a soluzioni di data molto più recente. L'atto operativo fu analogo a quello usato da Griffini e Vassale per lo studio della riproduzione delle ghiandole peptogastriche: fatta una ferita lineare sulla parete anteriore dello stomaco in vicinanza al piloro, si rendeva sporgente attraverso a quella la parete corrispondente posteriore spingendola con due dita, e dopo aver rimossa, disseccandola accuratamente, la mucosa, si assottigliava con precauzione la tonaca muscolare sottogiacente. Si applicava poi nel centro della soluzione un’ansa di filo che, rimanendo protrudente nella cavità gastrica, doveva servire di contrassegno, e, suturata, infine, alla Lembert la parete dell'organo e riunita con doppia sutura la ferita addominale, si teneva per due giorni a completo digiuno l’animale, ed in se- guito si alimentava con poco latte e poi gradatamente con latte e un po’ di pane. I pezzi raccolti dai molti cani, ugcisi a tempi diversi dopo l’operazione, distesi e fissati con spilli su lamine di sovero, e su questi sollevati in modo da essere in ogni parte bagnati dal liquido, s'immergevano per 10-12 ore in alcool a 709; poi, staccati dal sovero, e mantenuti per alcuni giorni in alcool a 90°, venivano coloriti col car- minio all’allume, inclusi in paraffina e tagliati al microtomo in sezioni asseriate. Non ho creduto di ricorrere ad altri mezzi di fissazione e di colorazione, perchè quello adoperato serve benissimo a mantenere le forme cariocinetiche, ed offre il grande vantaggio di una maggiore semplicità: devo solo osservare come e per il volume considerevole dei pezzi esaminati, e più ancora per la durezza quasi legnosa cui assume la tonaca muscolare, riesca impossibile ottenere cogli ordinarî microtomi sezioni sottili a spessore costante, e come solo adoperando il microtomo di Cambridge, modificato dal Minot, io abbia potuto raggiungere lo scopo. Se noi esaminiamo una soluzione di continuo 24 ore dopo essere stata eseguita, noi la vediamo coperta da una pseudomembrana fibrinosa che dal suo fondo si eleva a rivestire i margini, e che può in taluni punti raggiungere uno spessore rilevante. Essa non si mantiene di solito a lungo, chè nel tessuto connettivo e nei vasi si stabiliscono ben presto dei processi neoformativi per i quali un tessuto di granula- zione la invade e la sostituisce: però in alcuni casi questa pseudomembrana perdura fino a stadî abbastanza avanzati, ed ostacola la rigenerazione dell’epitelio, che avanti SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 569 ad essa si arresta, o su di essa si ripiega. À questo stadio iniziale, al di sotto della pseudomembrana, si nota di solito una enorme massa di leucociti che, al centro della soluzione, infiltra il tessuto sottomucoso eventualmente rimasto o gli strati superfi- ciali della tonaca muscolare, e, alla periferia, raggiunge le ghiandole più o meno intaccate dal tagliente. Ora, come fu già osservato per la mucosa del fondo dello stomaco, e come più recentemente fu, in questo stesso laboratorio, constatato per la mucosa uterina (1), è appunto a queste ghiandole, che si trovano in tutta vicinanza delle parti normali, che noi dobbiamo, nei primi giorni, portare la nostra attenzione, siccome quelle dalle quali anche in questo caso procede la riproduzione. Infatti, mentre molte di esse per la gravità dell’azione traumatica e per la deficiente nutri- zione vanno interamente perdute, o per occlusione del loro sbocco si tramutano in cisti, in altre, rappresentate da residui ghiandolari più o meno cospicui, si svolge un processo di viva proliferazione per cui si rinnovano in gran parte gli elementi epiteliali che le rivestono, e successivamente si ricoprono gli spazî che fra esse sono interposti. Così è che ai margini della soluzione noi possiamo al 3° o 4° giorno notare dei tubuli semplici, corti che quei residui ‘rappresentano e che potrebbero essere confusi con tubi veramente neoformati. E poichè la loro presenza in una soluzione ristretta potrebbe far credere ad una rapida rinnovazione della mucosa, mi sembra necessario lo stabilire fin d’ora quali sieno i caratteri per i quali questi tubuli sem- plicemente modificati si distinguono da quelli che più tardi si riproducono. I primi si avvertono fin dall'inizio del processo di riproduzione, quando cioè il fondo della ferita non è che in parte ricoperto da epitelio; si trovano verso le parti sane della mucosa, hanno forma spesso irregolare, per lo più sono inclinati sul piano della soluzione, e infine si rivestono di un epitelio basso, granuloso, poligonale o cubico: i secondi invece, come vedremo, non si riscontrano in soluzioni recenti, ma solo quando l’epitelio che le riveste s'è già fatto cilindrico; cilindriche pure, per quanto granulose, sono le cellule che li tappezzano, sono regolari di forma, normali sempre alla superficie dell’organo. La proliferazione vivace degli elementi epiteliali, poi che al rivestimento dei residui ghiandolari, e a quello degli spazi che vi sono interposti, ha provveduto, non si arresta, ma dai tubuli, che più da vicino limitano la soluzione di continuo, vediamo partire uno strato d’epitelio che gradatamente si spinge a tappezzarne il fondo. Se fra il sesto e l’ottavo giorno studiamo delle sezioni di mucosa, non è dif- ficile cogliere delle imagini analoghe a quella che dalla fig. 1 è rappresentata. Noi vediamo, cioè, in d e in d' disegnati due residui ghiandolari, tappezzati da cellule basse, granulose e cubiche, che mantenendo questi caratteri ricoprono lo spazio che fra loro è interposto e che nel tubo d'a poco a poco si modificano per uniformarsi alle cellule dell’epitelio di rivestimento (9), e nel tubo d, facendosi sempre più basse e più granulose, passano a rivestire (f) il fondo della ferita. A partire dal tubulo d l’epitelio presenta un graduale appiattimento delle sue cellule, che verso il centro della soluzione, nelle parti cioè più recentemente formate, assumono la forma pret- tamente pavimentosa. La proliferazione vivace delle cellule è attestata dalle numerose (1) Bossi, Sulla riproduzione della mucosa dell'utero, Genova, 1891. Serie II. Tom. XLIV. : v 570 R. VIVANTE mitosi che sia nei tubuli modificati, sia nel nuovo epitelio di rivestimento si riscon- trano: mitosi che, per la massima parte, corrispondono ad un piano di scissione così diretto da provare l’estendersi in superficie dello strato che si va formando. Anche qui, adunque, come per le ghiandole peptiche, come per le ghiandole della mucosa uterina, e come già fin dal 1883 il Griffini (1) ebbe a dimostrare per i dotti escretori delle ghiandole mucipare della trachea, l’epitelio di rivestimento si sviluppa da un epitelio che è esclusivamente ghiandolare. Vi ha così perfetta analogia fra i fatti che si osservano in condizioni patologiche e quelli che in condizioni normali si avverano: fatti che, dopo le ricerche numerose ed accurate del Bizzozero (2), non devono essere più riguardati come ipotesi, che possano, come dice lo Haidenhain, essere facilmente da altre migliori sostituite. Il nuovo epitelio di rivestimento, originato, come si è detto, dai tubuli modificati dei bordi, crescendo continuamente si spinge man mano sul fondo della soluzione, fino a rivestire completamente lo strato di tessuto connettivo che va contemporanea- mente neoformandosi. Nello stesso tempo le cellule epiteliali, a partire dai margini della soluzione e procedendo verso il centro di essa, vanno a poco a poco acquistando i caratteri di cellule cubiche ed alla fine, sempre più allungandosi, quello di cellule cilindriche. Così è che se noi rivolgiamo l’attenzione a quei tratti di epitelio in cui tale trasformazione è già avvenuta, in soluzioni, p. e., di 10 giorni, noi constatiamo facilmente come alle primitive cellule cubiche si sieno sostituite delle cellule cilin- driche di una certa altezza, granulose, con nucleo ovale o subrotondo, fra le quali alcune in via di scindersi spiccano per il volume maggiore, per la forma ovoidale e per la trasparenza del loro protoplasma (fig. 2). Ora è precisamente a tale stadio dello sviluppo, quando cioè l’epitelio ha già acquistato i caratteri di cilindrico, che noi vi sorprendiamo, nelle parti meno recenti, degli aggruppamenti cellulari che pos- siamo ritenere come primo accenno alla neoformazione ghiandolare. La fig. 3, rap- presenta appunto uno di tali aggruppamenti, che vediamo costituito da alcune cellule basse, piramidali, circondate da altre più allungate che sovra quelle s’incurvano e si adattano. Come una tale disposizione si effettui è facile comprendere. L’epitelio d in seno al quale il processo si svolge ha già il carattere d’un epitelio adulto, ed offre una resistenza agli spostamenti cui determinano le cellule (@) in via di attiva pro- liferazione, che qua e là in mezzo ad esso si trovano. Così gli elementi che da esse derivano (0, d', 5'") non possono spostare in totalità le cellule vicine, e riescono solo a smuovere la base di alcune (€, e’, c'') che vengono costrette ad incurvarsi ed assumere, per la pressione che da ogni parte su di esse si esercita, la forma allun- gata e ricurva che è segnata nella figura. Viene in tal maniera a delinearsi un aggregato di cellule, che all’esterno è costituito da elementi curvi, assottigliati con un nucleo quasi bastonciniforme, e all’interno da cellule basse con protoplasma più granuloso, con un nucleo rotondo e spinto alla base. È facile poi il comprendere come pel moltiplicarsi delle cellule proliferanti venga a rendersi più spiceata l’ineli- (1) GrirrImi, Contribuzione alla patologia del tessuto epiteliale cilindrico; Estr. dalle “ Memorie della R. Accad. delle Scienze in Torino ,, serie 11, vol. XXXVI, 1884. (2) Cfr. Brzzozero e Vassare, loc. cit. e Brzzozero, Uebder die Schlauchfirmigen Driisen des Magen- darmkanals ete.; © Archiv f. mikr. anat. ,; Bd. 388, 1889. e id. id., Bd. 40, 3 Heft, 1892. SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 571 nazione degli elementi che le circondano; i quali alla lor volta trattenuti dagli elementi che al loro esterno si trovano, obbligano quielli che sono al loro interno a crescere verso il tessuto. connettivo sottoposto. È così che si formano i primi abbozzi delle ghiandole piloriche, abbozzi che presentano grande analogia con quelli che nello studio della rigenerazione delle ghiandole peptiche fu riscontrato. Però non si ha in questo caso la formazione di una cavità imbutiforme così ristretta come è quella che per le ghiandole peptiche fu rilevata; d è appunto nella larghezza mag- giore di questa cavità primitiva che noi possiamo già riconoscere l'origine dello sviluppo più rilevante che il vestibolo delle ghiandole piloriche assume di fronte a quello delle ghiandole peptiche. Ciò, come abbiamo dettò, concorda esattamente con quanto il Toldt affermò, studiando lo sviluppo embrionale di questi organi: solo nion si riesce a comprendere come egli escluda dalla formazione dei loto abbozzi le cellule rotondeggianti, isolate, situate nella profondità dello strato epiteliale, ch'egli notò in quelli delle ghiandole peptiche, e che, come è probabile, non sono altro che le cellule în mitosi che più sopra abbiamo descritto. Col proliferare delle cellule centrali dell’abbozzo, e coll’incrinarsi sempre mag- giore di quelle periferiche, l’aggruppamento cellulare protrude sempre più verso il tessuto connettivo sottostante ed assume la forma di un tubulo, che raggiunta così una certa lunghezza (fig. 4 @), comincia a presentare un differenziamento delle sue cellule. Si osserva, cioè, che le più superficiali si vanno faéendo più trasparenti, mentre le più profonde si mantengono protoplasmatiche, e, attivamente proliferando, provvedono all’ulteriore sviluppo del tubo. Al tessuto connettivo non mi sembra di poter assegnare una parte attiva in tale allungamento, ammettendo che esso sospinga verso la cavità dello stomaco l’epitelio di rivestimento interghiandolare: se ciò fosse, si dovrebbero in questo trovare i segni di una proliferazione che provvedesse a rifornire gli elementi necessari alla maggiore superficie da rivestirsi, mentre gli spazi intertubulari e la parte alta dei tubulî sono costantemente rivestiti da epitelio mu- coso. Il connettivo coll’aumentare uniformemente non fa che fornire lo spazio neces- sario al maggiore accrescimento dei tubuli ghiandolari, le' cui cellule profonde, attivamente proliferando, dànno luogo ad altre cellule che, frapponendosi alle preesi- stenti, trovano nell’aumentato spessore della mucosa il. modo di disporsi a tapezzare un maggior tratto di parete. Così il tubulo a poco a poco si allunga, e, mentre le cellule sue più superficiali e più inclinate vanno acquistando' il carattere’ di cellule mucose, quelle più profonde, per un tratto più o meno lungo a seconda dello stadio, mantengono i caratteri di cellule protoplasmatiche proliferanti. È in tal maniera che da tubuli corti come quelli della fig. 4, si passa gradatamente a tubuli analoghi a quello della fig. 5, tratta da uno stadio: di 17 giorni. A: quest'epoca la mucosa ha raggiunto uno spessore che: presso a. poco eguaglia la metà di quello della normale, il Gonmettivo si presenta meno ricco di cellule con discreta sostanza) fibrillare, e 1 tubuli seguendo l’ampliarsi della mucosa raggiungono una. rilevante lunghezza. Ad indicare però lo svi- luppo più lento del connettivo in confronto ai quello dell'epitelio, come anche uma certa resistenza che il primo comincia ad offrire all'attività proliferante del secondo, si néta una certa: ondulosità nel decorso dei tubuli che non presentano più quella regolarità che’ si osserva: in stadì anteriori. | Alle cellule granulose, che prima tapezzavano' le parti più alte, si sono andate 572 R. VIVANTE man mano sostituendo degli elementi che non presentano ormai alcuna differenza da quelli dell’epitelio di rivestimento, stipati, con un corpo trasparente, con un nucleo bastonciniforme allontanato dalla base. Le cellule protoplasmatiche, invece, conser- vando quei caratteri pei quali anche a stadî più avanzati si lasciano facilmente riconoscere, di forma cioè piramidale, granulose con un nucleo rotondo e sospinto verso la larga base d'impianto, a poco a poco cedono il posto alle mucose e si limitano a rivestire il fondo e un piccolo tratto della parete del tubo. Su quello che ho disegnato, la parte mucosa ne costituisce già i tre quinti superiori, e se si con- fronta con le imagini cui presentano le ghiandole peptiche a stadî di sviluppo consi- mili, si osserva come in quest'ultime la parte protoplasmatica conserva proporzioni molto maggiori. Quando i tubuli primitivi hanno raggiunto il grado di sviluppo che abbiamo descritto, si può dire che si sieno già fissate le proporzioni che le fossette delle nuove ghiandole assumono, inquantochè nelle loro parti profonde si cominciano qua e là a sorprendere delle disposizioni cellulari che si devono interpretare come le prime traccie dei tubuli ghiandolari. Griffini e Vassale, nel lavoro più volte citato, malgrado le difficoltà da essi incontrate nel seguire il graduale sviluppo di questi tubuli, ammisero come probabile che qui si ripetano gli stessi fatti che per gli ab- bozzi ghiandolari si erano osservati nell’ epitelio di rivestimento. Orbene a me più fortunato è riuscito di cogliere così chiaramente le varie fasi del processo da poter con tutta sicurezza stabilire il modo con cui esso si svolge: i tubuli ghiandolari si sviluppano dal fondo dei tubuli primitivi nella stessa maniera con cui questi si sviluppano dall’epitelio di rivestimento. Le cellule protoplasmatiche che tappezzano a quest'epoca la parte più bassa dei tubuli, conservano ancora vivace la capacità pro- liferativa, ma gli elementi a cui esse dànno origine trovano nell’epitelio adulto un ostacolo al loro sviluppo, e incapaci di spostare completamente le cellule vicine non riescono che ad allontanarne la base .e ad inclinarle. Si formano così degli aggruppa- menti cellulari costituiti al centro da elementi recentemente formati, e alla periferia da altri che sopra quelli s'incurvano e s’adattano. L’inclinazione degli elementi peri- ferici (fig. 6, 6, 5'), si rende man mano più evidente col moltiplicarsi degli elementi centrali (€, c', c''), ma raggiunta che quelli abbiano una certa obliquità, trovano nel- l’epitelio che li circonda (@) una resistenza tale da impedire non solo il loro ulteriore spostamento, ma da costringere gli elementi, che al loro interno proliferano, a pro- trudere nel tessuto connettivo circumambiente. Viene in tal maniera a delimitarsi una microscopica cavità che si presenta molto più ristretta di quella che negli abbozzi dell’epitelio di rivestimento abbiamo osservata, e che col continuarsi del processo proliferativo, cui attestano le numerose mitosi di tali aggruppamenti (fig. 7), si allunga in un canale imbutiforme, limitato nella sua parte più ristretta dall’estremità libera delle cellule cilindriche, e nella parte più larga dalle profonde più basse e piramidali. Così l’abbozzo epiteliale assume allungandosi la forma d’un tubulo (fig. 8), che con un'apertura ristretta comunica con la cavità, cui ormai possiamo dire vestibolare, e che col suo fondo cieco si spinge a ridosso degli strati superficiali della tonaca muscolare. Esso riproduce fedelmente quelle particolarità che abbiamo già notate nei tubuli primitivi: noi lo vediamo, cioè, nella sua parte più superficiale, tappezzato da cellule allungate, con nucleo ovale, gradatamente meno granulose quanto più sono alte, e, SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 5173 nella sua parte profonda, tappezzato da cellule più basse e più granulose, a nucleo rotondo e sospinto alla base dell'elemento. Se vi ha una differenza fra i tubuli pri- mitivi e quelli che ne derivano è tutta di forma: i primi cioè mantengono in tutto il loro decorso un calibro pressochè eguale, mentre i secondi assumono una forma otricolare a causa di una strozzatura (fig. 7, 6, fig. 8, 5) nel punto in cui essi si originano, strozzatura che sta ad indicare che la resistenza cui l’epitelio del fondo della fossetta presenta al moltiplicarsi delle cellule, è maggiore di quella che queste trovano nel connettivo che le circonda. Il processo di rigenerazione non segue, adunque, nella formazione dei tubuli secondarî, quelle norme che dal Toldt (1) e dal Salvioli furono date per il loro sviluppo embrionale: anzi ne è affatto contrario, chè mentre noi vediamo i tubuli svolgersi da bottoni epiteliali cavi che s’infossano nel tessuto cireumambiente, quegli A. ne ammettono una origine indiretta da bottoni compatti o da pieghe della mucosa, che elevandosi dal fondo della ghiandola la suddividono. Ora io non voglio, come ho già detto, escludere che differenze vi abbiano fra sviluppo embrionale e processo di rigenerazione; ma posso affermare, per quanto riguarda quest’ultimo, che mai mi occorse di osservare un qualche fatto che anche lontanamente lasciasse supporre un simile processo di sviluppo. Del resto è difficile comprendere come per l’elevarsi di una prominenza dal fondo di un tubo, questo abbia a dividersi in due, chè, per quanto quella si allunghi e si allarghi, la cavità primitiva resterà sempre unica, più o meno occupata da questa appendice che le cresce nel mezzo. Si comprende come da un taglio longitudinale, che cada sul piano mediano di questi bottoni o di queste introflessioni, possa risultare l’imagine sche- matica di un tubulo suddiviso, ma da un taglio trasversale si avrà sempre l’imagine d’una cavità circolare che nella parte centrale presenta la sezione trasversa di quei bottoni o di quelle introflessioni. I veri tubuli ghiandolari si formano sicuramente nella forma che ho descritta, solo non posso escludere, per quanto me ne manchino le prove, che qualche tubo primitivo continuando ad allungarsi, e mantenendosi nella porzione inferiore, di calibro più ristretto, possa per ulteriori modificazioni dell’epi- telio, e per qualche modificazione di forma, presentare successivamente un differen- ziamento in fossetta e tubulo. Se noi ora confrontiamo le ghiandole piloriche e le ghiandole peptiche a questo momento della riproduzione, troviamo che mentre nelle prime i tubuli secondarì dipartono a preferenza dal fondo del tubulo primitivo, nelle seconde emanano a preferenza dalle pareti. Ciò dà ragione del maggiore sviluppo che le fossette' ghian- dolari assumono nella mucosa pilorica, e dimostra che, analogamente a quanto fu osservato nello sviluppo embrionale, le ghiandole di questa regione mantengono per più lungo tempo la loro capacità proliferativa. Infatti una tale differenza di contegno non si può spiegare se non coll'’ammettere che nelle ghiandole peptiche le. cellule non riescano a vincere, come quelle delle ghiandole piloriche, la resistenza del con- nettivo già stipato che ne tappezza il fondo, ma svolgano la loro attività verso il connettivo più lasso che fra le ghiandole è interposto. È solo in questa maniera (1) Cfr. fig. 20 e 21 del lavoro di Toldt, loc. cit. (2) Loc. cit. 574 R. VIVANTE indiretta che noi possiamo assegnare al connettivo una qualche influenza sulla formazione delle ghiandole, nelle quali, come vedremo, col procedere della riprodu- zione, si delineano meglio alcune particolarità indipendentemente dall'attività del- l’epitelio. A 24 giorni ho trovato le fossette ghiandolari meglio conformate che nello stadio di 21, tappezzate per la massima parte da cellule mucose che si arrestano solo a livello di quella strettura che viene chiamata colletto, e che viene determinata dallo staccarsi dei tubuli ghiandolari secondari. Tale strozzatura che per lo stiparsi poi del connettivo meglio si definisce (fig. 9, d, 6) resta caratterizzata dalle cellule basse, granulose, in cui l’epitelio mantiene la sua attività proliferativa. Tali cellule, le sole in cui lungo tutto il processo di riproduzione si possono riscontrare i segni di tale attività, ricoprono intieramente la parete dei nuovi tubuli, i quali nel loro fondo cieco presentano appunto degli elementi oltremodo bassi e granulosi,; a nucleo rotondo che ne occupa l'estremo esterno. Le mitosi vanno man mano rendendosi più scarse, ma nella ondulosità dei nuovi tubuli (fig. 9), di cui riesce impossibile in una sola sezione seguire il canale, che, come si scorge dal disegno, compare e scompare più volte nello stesso piano, abbiamo la prova del fatto che l’attività epiteliale si man- tiene ancora molto più viva di quella del connettivo, che a tale periodo si presenta già ricco di sostanza fibrillare, e scarso di elementi cellulari. E che tale attività perduri lungo tempo ancora lo dimostrano i tubuli che si possono avere da stadi di 35 giorni, dove i tubuli non trovando uno spazio sufficiente, dopo aver raggiunto gli strati superficiali della tonaca muscolare, si adagiano sopra di questi e su di questi si allungano. A tale epoca dello sviluppo noi possiamo cogliere il primo accenno. ad un'ulteriore modificazione che nella loro forma assumono gli elementi per acquistare il carattere di cellule ghiandolari. Noi vediamo cioè, che mentre nelle parti superiori de’ tubuli l’epitelio mantiene quei caratteri che più sopra abbiamo descritti, nelle parti più basse gli elementi che lo costituiscono perdono a poco a poco la granulo- sità del loro protoplasma, ed il nucleo vi si dispone in maniera da presentare il suo massimo diametro normale alla direzione di prima. Il fatto è tanto più evidente quanto più ci avviciniamo al fondo cieco del tubulo, dove vediamo come le cellule divenute più trasparenti e più regolarmente cilindriche (fig. 10), presentano alla lor base il nucleo foggiato a mezza luna, a denotare la forma di piastra da esso assunta parallela alla base dell’elemento a cui appartiene. Tale modificazione comincia così negli elementi che tappezzano il fondo cieco dei tubuli ghiandolari, per continuarsi successivamente nelle loro parti superiori: e poichè in questi tratti così modificati noi non troviamo più alcuna mitosi, mi pare di poter asserire che già a questo stadio di 35 giorni la parte attiva dell’epitelio si è limitata ad una zona che dal colletto si estende per un tratto più o meno lungo del tubo ghiandolare. Avverrebbe, adunque, nel tratto inferiore delle ghiandole quello che si avvera nel tratto superiore; nel centro, cioè, dell’organo esisterebbe un focolaio di proliferazione, che mentre da una parte provvede alla rinnovazione degli elementi mucipari del vestibolo, dall’altra provvede alla produzione di quelli che tappezzano i tubuli ghiandolari propriamente detti. Ciò del resto corrisponde perfettamente a quanto si osserva nelle condizioni normali: chè se noi osserviamo la mucosa pilorica d'un cane, a completo sviluppo, noi vediamo che a partire dal colletto, i tubuli ghiandolari prima di presentare: quei SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 575 caratteri che s'iniziano nello stadio che abbiamo or ora studiato, si offrono per un certo tratto tappezzati da cellule basse, granulose, qua e là in via di scissione, che devono di necessità provvedere alla riparazione di quelli elementi che ne occupano la parte maggiore e sottoposta, in cui colla più accurata osservazione non si riesce a sorprendere alcun segno di attività proliferante. A quarantacinque giorni (1) le varie particolarità che caratterizzano le ghiandole piloriche si vanno facendo più spiccate e più nette, per quanto da un processo di riproduzione noi non possiamo aspettarci che tutto proceda nel modo facile e regolare con cui questi fatti si svolgono nello sviluppo embrionale. Le fossette, nella massima parte più lunghe e più ristrette delle normali, occupano la metà, o anche più, dello spessore della nuova mucosa, e i tubi che ne emanano, aumentati di numero tanto da poterne osservare in taluni casi quattro, raggiunta la tonaca muscolare, decorrono ad essa parallelamente per un tratto più o meno lungo. Soggetti alla costrizione che il connettivo, rendendosi più stipato, esercita sulla conformazione di tutta la ghian- dola, essi si presentano più ristretti che nello stadio precedente, e le cellule dei loro fondi, per quanto ci appaiano ancora un po’ granulose, lasciano scorgere il nucleo foggiato a semiluna così respinto alla periferia da delimitarne il contorno esterno. Insisto su questa peculiare disposizione perchè, col divenire permanente viene a co- stituire una nota differenziale importantissima fra queste cellule e quelle delle ghiandole peptiche che a nessun stadio di sviluppo, e tanto meno nell’animale adulto, ci presentano qualche cosa di simile. A quarantacinque giorni il connettivo intertu- bulare non ci presenta più differenze spiccate da quelle che circonda le ghiandole normali; la sostanza fibrillare vi è di molto aumentata, e qua e là cominciano a formarsi sottili fascetti di fibrocellule muscolari, che derivano dallo strato muscolare sottoposto, Si può ritenere, adunque, che a quest’epoca il processo di riparazione abbia quasi raggiunto quanto di meglio può dare, e, se si prescinde dal fatto che col progredire del tempo meglio si fissano i caratteri degli elementi cellulari, io credo che la regolarità maggiore delle fossette, lo sviluppo più rilevante dei tubuli ghian- dolari che in stadì successivi si potranno riscontrare, più che ad un ulteriore perfezio- namento degli organi riprodotti, sia da riferirsi al modo più o meno rapido con cui il processo si è fin dal principio incamminato. Nella fig. 11 ho rappresentato un tratto di soluzione al 170° giorno; in questo stadio in cui, a buon diritto, possiamo ritenere assolutamente finito il processo riproduttivo, la mucosa si mantiene di spes- sore inferiore al normale; le fossette vi restano inclinate contorte, e i tubuli che ne emanano sono così irregolarmente disposti, che riesce impossibile seguirli nella stessa sezione fino alla tonaca muscolare. La parte proliferativa dell’epitelio si è, come nelle ghiandole normali, limitata al colletto e al tratto iniziale dei tubuli ghiandolari, la cui parte maggiore è tappezzata da quelle cellule regolarmente cilindriche, trasparenti, a nucleo semilunare, che dànno loro un'impronta così caratteristica. Il tessuto con- nettivo interghiandolare s'è reso più stipato ancora che nelle condizioni normali, e si . presenta attraversato da fasci cospicui di tessuto muscolare ({) che originati dalla (1) Queste date non devono prendersi in modo assoluto, perchè, come fin da principio ho fatto osservare, lo sviluppo del processo non è proporzionato al tempo decorso dall'operazione. 5176 R. VIVANTE tonaca sottostante s’insinuano fra i tubuli ghiandolari. In questo stadio, infine, vediamo confermate quelle differenze che siamo andati man mano notando fra ghian- dole peptiche e ghiandole piloriche, che per lo sviluppo maggiore degli elementi mucipari, per i caratteri speciali degli elementi che ne tappezzano i tubuli, meritano d’essere da quelle così differenziate da giustificare, a mio avviso, la denominazione particolare che loro fu data di mucogastriche. Ed ora riassumendo i fatti osservati, mi sembra di poterli raccogliere nelle con- clusioni seguenti: 1° Che la mucosa che tappezza la porzione pilorica dello stomaco, rimossa per largo tratto e in tutto il suo spessore, si riproduce colla rinnovazione completa degli organi che vi hanno normalmente sede; 2° Che le ghiandole mucogastriche vi si sviluppano, come le peptiche, dall’epi- telio di rivestimento, che a sua volta deriva dalle ghiandole che più da vicino limitano la soluzione di continuo; 3° Che i tubuli ghiandolari traggono origine, con processo analogo, dall’epitelio proliferante che tappezza le parti profonde delle nuove fossette, senza alcuna parte- cipazione del connettivo, o di appendici epiteliali che elevandosi dal loro fondo le suddividano; 4° Che la riproduzione delle ghiandole piloriche differisce da quella delle peptiche, per la forma degli abbozzi primitivi, per lo sviluppo maggiore delle fossette, per la derivazione diversa dei loro tubuli ghiandolari, per i caratteri che assumono le cellule che li tappezzano; 5° Che il processo di riproduzione, come quello dello sviluppo embrionale riesce a dimostrare la specificità delle 2 forme ghiandolari, che occupano lo spessore della mucosa gastrica. 10 Settembre 1893. Fig. Fig. Fig. SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA 577 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 1. Sezione perpendicolare alla superficie di una soluzione di continuo di 20 giorni in cui per la difficoltata riparazione siamo ancora alle prime fasi del processo riproduttivo: a, epitelio di rivestimento della mucosa pilorica non intaccata dal tagliente; b, sezione di tubulo ghiandolare occluso e tramutato in cisti; c, tessuto con- nettivo neoformato del fondo della soluzione; d, d', tubuli ghiandolari modificati dei bordi della soluzione; e, f, 9g, epitelio neoformato dall’epitelio dei residui ghiandolari che si trovano alla periferia della soluzione. Koristka. Oc. 3. Obb. 4. Camera chiara Zeiss. . 2. — Sezione perpendicolare alla superficie dell’epitelio di rivestimento neofor- mato da una soluzione di 10 giorni; @, è, cellule in mitosi. Koristka. Oc. 3. Obb. 8. Camera chiara. . 8. — Sezione verticale della soluzione precedente in un tratto più vicino ai bordi. Aggruppamento cellulare che rappresenta l’abbozzo primitivo di una ghian- dola pilorica: a, cellula in mitosi; 6, 0’, 8”, cellule basse, piramidali a nucleo rotondo e sospinto alla base dell’elemento recentemente formato che costituiscono la parte centrale dell’abbozzo, c, e’, c'’, cellule dell’epitelio di rivestimento neoformato che sulle precedenti s'incurvano e si adattano a costituire la parte periferica del- l’abbozzo; d, d', epitelio di rivestimento neoformato, id. id. 4. — Sezione verticale di due tubuli ghiandolari: a, b, tubuli primitivi da una soluzione di 13 giorni; c, c', cellule profonde, pro- toplasmatiche in cui si mantiene vivace la capacità proliferativa; d, d', cellule più superficiali che vanno gradatamente assumendo i caratteri di quelle dell’epitelio di rivestimento. Koristka. Oc. 3. Ob. 6, id. 5. — Sezione verticale di un tubulo ghiandolare primitivo da una soluzione di 17 giorni: a, epitelio di rivestimento; 4, porzione mucosa del tubulo che corrisponde circa a 2 quinti della sua lunghezza; c, porzione protoplasmatica nella quale si vedono due cellule in mitosi: Koristka. Oc. 2. Obb. 6, id. . 6. — Sezione verticale del fondo di un tubulo primitivo, da una soluzione di 21 giorni. Abbozzo di un vero tubulo ghiandolare: a, cellule del fondo del tubulo primitivo, protoplasmatiche, qua e là in via di mitosi; è, 6’, cellule periferiche dell’abbozzo del tubo ghiandolare; c, e’, e’, cellule centrali. Koristka. Oc. 3. Obb. 6, id. Serie II. Tom. XLIV. xa ta R. VIVANTE — SULLA RIPRODUZIONE DELLA MUCOSA PILORICA ig. 7, 8. — Stadî di sviluppo ulteriore dei tubuli ghiandolari presi da soluzione di 21 giorni: a, 4, epitelio del fondo del tubulo primitivo che costituisce il vestibolo della nuova ghiandola; 5, 5', strozzatura (colletto) che si forma al punto di distacco del tubo ghiandolare; e, c', c'", cellule che tappezzano i tubuli ghiandolari neofor- mati, che mantengono il carattere di protoplasmatiche, qua e là in via di scissione. Koristka. Oc. 3. Obb. 6, id. ig. 9. — Porzione inferiore di una fossetta ghiandolare al 24° giorno, da cui si staccano due tubuli ghiandolari: a, a', epitelio della fossetta ghiandolare; 5, 0’, colletto della nuova ghiandola; e, c', tubuli ghiandolari contorti; d, d', cellule del fondo dei tubuli ghiandolari, basse, granulose a nucleo rotondo, sospinto all’estremo esterno dell’elemento. Koristka. Oc. 2. Obb. 6, id. ig. 10. — Tubulo ghiandolare preso da una soluzione al 35° giorno. H tubulo es- sendo contorto ci si presenta nella parte superiore in sezione verticale, nella inferiore in sezione trasversa: a, a', epitelio della fossetta da cui il tubulo diparte; d, 8‘, colletto; c, e’, c'’, cel- lule del fondo del tubulo ghiandolare che cominciano ad assumere i caratteri di cellule veramente ghiandolari, più trasparenti, più regolarmente cilindriche e col nucleo foggiato a semiluna. Zeiss. Oc. 2. Obb. 0. C. id. ;. 11. — Sezione verticale di una.larga soluzione di continuo al 170° giorno: a, epitelio di rivestimento; 5, 6, 6, fossette ghiandolari; c, c', tubuli ghiandolari contorti; d, d', d'", sezioni trasverse di tubuli ghiandolari; e, muscularis mucosae; f, fasci di tessuto muscolare che si spingono nel tessuto connettivo interghian- dolare. Zeiss. Oc. 3. Obb. AA., id. Lit. Salussolla-Torino i \ hi TN N AFRO lembi rev beate someone ma iano nia prora ns Lac se è pere seregno 1 Tette Tuictmst î mrtretose s rent "re = == i Ù TO (eu, SE LITI DIS NI ©) Ù TECA ESZAS SIG 7 SNC: ) JC& el Ds) 09 SI LL ol 3 5 CEI SSRSPRZEZA TSVVEUENTETEVUAN = UùI.''rrM=YW= Y=> EVETTYTZZz=2=7T=Yy=