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Cfr. anche CasreLnuovo, Ricerche di geometria sulle curve algebriche, “ Atti della R. Ace. di Torino ,, vol: XXIV, n° 4. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECO. D) ovvero, introducendo il genere sezionale p : (1') u=2(m4+p-1) v=2@+p_1. In particolare, per una congruenza di 3° ordine sarà u=2p + 4. Sarà bene ricordare brevemente in qual modo si stabilisca la prima delle for- mole (1). Nel fascio di piani che ha per asse una retta generica / dello spazio si considerino come corrispondenti due piani i quali proiettino rette della congruenza uscenti da un medesimo punto di r. Nasce così in quel fascio una corrispondenza involutoria d’indice n (m — 1), la quale avrà 27 (m — 1) elementi uniti (o coinci- denze). Ora queste coincidenze possono verificarsi in due modi diversi: o perchè coincidono le due rette della congruenza che si sono proiettate da /, e questo avviene tante volte quant'è l’ordine u della superficie focale; oppure senza che quelle rette coincidano, e ciò avverrà r volte; tante cioè quante sono le coppie di rette della congruenza che stanno in un fascio con /. Queste ultime coincidenze, per una nota proprietà delle corrispondenze involutorie, devono contarsi due volte; e si avrà perciò u-+ 2r= 2a (m — 1), da cui segue tosto la prima delle (1). 4. — Ogni raggio della congruenza ha due fuochi (o punti focali), in generale distinti, nei quali esso è tangente alla superficie focale (!), e per ciascuno dei quali punti esso conta come due fra gli m raggi della congruenza che ne escono; e ha pure due piani focali, che si definiscono in modo duale, e sono precisamente i piani tangenti alla superficie focale nei due fuochi dello stesso raggio. Sotto altra forma, si suole anche dire che ogni raggio della congruenza incontra nei propri fuochi altri due raggi di questa, ad esso infinitamente vicini. Se F e F' sono i due fuochi di un raggio g, © 91 ® g' sono i due raggi infinitamente vicini a questo che l’incontrano rispettivamente in F e F', i piani (completamente determinati) 99, e 99’ saranno tan- genti alla superficie focale rispett. in F' e in F; e si diranno pure piani focali “ cor- rispondenti , al fuoco F il primo, e al fuoco F' il secondo. Se S è un punto singolare della congruenza, ogni raggio 9g del cono singolare uscente da questo punto ha in S uno dei propri fuochi. Il punto S apparterrà dunque alla superficie focale, e ne sarà anzi (come vedremo fra poco) punto multiplo. Il piano focale di y corrispondente al fuoco S sarà il piano tangente lungo g stesso al cono singolare della congruenza; e questo piano sarà tangente anche alla superficie focale nel secondo fuoco F del raggio g. Viceversa, il piano focale corrispondente al fuoco F sarà tangente in S alla superficie focale; e ai fuochi F dei singoli raggi del cono singolare considerato corrisponderanno i diversi piani tangenti in S alla superficie focale, ossia i piani inviluppanti il cono tangente in S a quest’ultima superficie. (4) Vi sono anche delle congruenze nelle quali ogni raggio ha i propri fuochi coincidenti; e queste congruenze, se prive di linea singolare, si compongono di tangenti prineipali (ossia tripunte) della rispettiva superficie focale. Questo caso s’intenderà escluso in seguito; ma le congruenze di 3° ordine composte di tangenti tripunte di una superficie formeranno oggetto, spero fra non molto, di un altro lavoro. e 6 GINO FANO Vediamo così che fra i due coni (algebrici) di vertice $, il cono singolare della congruenza e il cono ivi tangente alla superficie focale, si può stabilire una corri- spondenza biunivoca (poichè i piani tangenti al secondo cono sono determinati piani focali dei raggi del primo). Se è due coni sono irriducibili, essi avranno dunque lo stesso genere; e se si spezzano, sussisterà questa proprietà per due loro parti le quali si corrispondano biunivocamente nel modo indicato: ma potrà anche darsi che a tutta una parte dell’un cono corrisponda un unico elemento (eccezionale) dell’altro. Se poi dal punto singolare S esce anche qualche raggio isolato della congruenza, questo non avrà in generale il punto S per fuoco. 5. — Considerato un cono singolare X, di un certo ordine %, e una retta gene- rica / passante pel vertice S di questo cono, è chiaro che la rigata di ordine m + # delle rette della congruenza che si appoggiano a (o, come diremo brevemente, la rigata R"t di direttrice 1) si spezzerà nel cono X, e in una rigata residua di ordine mn h avente ancora l come direttrice mP*, Applicando a questa retta / e alla rigata residua R?*°* lo stesso ragionamento che ci ha servito al n° 3 per determi- nare l'ordine u della superficie focale, si trova che il numero di quelle intersezioni di ! con questa superficie che non cadono in Sè = 2(n—-M(m—-1)— 2r', es- sendo r' (<») il numero delle coppie di rette della congruenza che, uscendo da un punto di / diverso da S, stanno altresì in un piano per /. Senza conoscere pertanto il valore di r', possiamo tuttavia affermare che l’an- zidetto numero di intersezioni è pari (e < u, poichè S appartiene certamente alla superficie focale). E perciò anche: Ogni punto singolare di una congruenza è multiplo di ordine pari (=2) per la superficie focale. 6. — Supponiamo ora che per il punto singolare S passi anche un numero finito (= 0) di raggi isolati della congruenza. Allora, considerata una retta gene- rica ! passante per S e la relativa rigata residua R”t*, le #m generatrici di questa uscenti da S saranno date da quei y raggi isolati e da m-—Y generatrici (variabili) del cono X,. Il piano che da / proietta una qualunque g di queste ultime m-— Y rette sarà un piano focale della retta stessa; perchò delle n rette della con- gruenza che stanno in un piano generico per /, e delle quali % sono generatrici del cono x, e n—% della rigata R"*-*,. due (una delle prime e una delle seconde) coincidono con g. E il piano considerato sarà precisamente il piano focale corrispon- dente a quel fuoco di g che è distinto (in generale) da S$; perchè se no esso dovrebbe sempre toccare il cono X, lungo 9 stessa. Ciò si vede d'altronde anche diretta- mente (!). Il ragionamento potendosi invertire, si conclude che gli m — Y piani che proiettano da ? le generatrici comuni al cono %, e alla rigata R"#"-* sono precisa- mente i piani tangenti che da / stessa possono condursi al cono tangente in S alla superficie focale. Quest'ultimo cono sarà dunque di classe m —, vale a dire: (1) Cfr. Srorm, Die Grundgebilde ersten und 2weiten Grades der Liniengeometrie in synthetischer Behandlung, BA. II, p. 11, n° 295. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 7 Se da un punto singolare di una congruenza di ordine m escono Y(2 0) raggi isolati di questa congruenza, il cono tangente in quel punto alla superficie focale sarà di classe m — Y. Applicando quanto precede al caso di una congruenza di 3° ordine abbiamo: In un punto singolare di una congruenza di 3° ordine, dal quale non esca alcun raggio isolato di questa, la superficie focale della congruenza ammetterà un cono tangente di 32 classe (1). Invece in un punto singolare per il quale passi un raggio isolato della congruenza, questo cono tangente sarà di 2° classe. Più di un raggio isolato non potrà escire (come vedremo) da nessun punto singolare. 7. — Consideriamo di nuovo, ma limitandoci d’ora in poi al solo caso di una congruenza (3, x), un punto singolare S vertice di un cono singolare di ordine /% della congruenza, e una retta generica / passante per questo punto; di modo che la rigata R"** di direttrice / si spezzerà in quel cono e in una rigata residua di ordine n 43 — A. Indichiamo con 2? l’ordine di multiplicità (certo pari; cfr. n° 5) del punto S per la superficie focale della congruenza. Poichè questa superficie è di ordine 2p + 4, la retta / l’incontrerà, oltre che in S, in altri 2p +4 — 2? punti. Ora nella rigata residua R"** di direttrice 7, e il cui genere indicheremo con p', le terne di gene- ratrici uscenti dai singoli punti di / formano una serie lineare gì, la quale deve contenere 2(p' + 2) terne con un elemento doppio. E queste terne di rette devono essere tutte quelle e quelle soltanto che escono dalle intersezioni di / colla superficie focale (escluso, in generale, il punto singolare $S); sarà dunque: 2p' +4=2p+4—21 da cui: p' =p—i. Poichè questo ragionamento è anche invertibile, così si può concludere : In una congruenza (3, n) di genere sezionale p le rette che si appoggiano a una retta generica passante per un punto singolare il quale sia punto 2iP° per la superficie focale formano, astrazion fatta dal cono singolare, una rigata residua di genere p— i, e inversamente. 8. — Indichiamo con F il cono di raggi della congruenza uscente dal punto singolare S. Ogni raggio a di questo cono ha per piano focale corrispondente a quel suo fuoco che è distinto in generale da S un piano a dell’inviluppo conico F,, di classe <8 (cfr. n° 6), che è tangente in S alla superficie focale. Fra i coni F e F, nasce così una corrispondenza biunivoca (n° 4). Se dunque il cono M non contiene nessuna parte che sia eccezionale rispetto a questa corrispondenza (ossia nessuna parte luogo di raggi « aventi un medesimo piano focale a), esso — sia pure irri- (4) Questo cono, se irriducibile ed ellittico, sarebbe dunque di 6° ordine, con nove generatrici cuspidali. E quando fosse razionale, sarebbe invece (in generale) di 4° ordine, con tre generatrici cuspidali. Di qui si può già intravedere quali saranno le multiplicità dei diversi punti singolari per la superficie focale della congruenza; ma conviene determinarle per altra via, benchè indiretta, per non escludere i casi in cui quei coni si spezzino. 8 GINO FANO ducibile o riducibile — si rappresenterà certo birazionalmente, elemento per elemento, sopra un inviluppo di classe =3 (trascurando l'eventuale parte eccezionale di F;), e il suo genere (!) sarà perciò certo < 1 (2). E questa proprietà sussisterà altresì quando il cono contenga qualche parte eccezionale; poichè, se vi sono co! raggi e aventi un medesimo piano focale a — e questi raggi non potranno formare evidentemente che il fascio S(a) —, la parte residua l'” di T avrà con questo fascio un solo ele- mento a comune (o al più due, se a è elemento doppio di f,; nel qual caso però [' sarebbe certo di genere zero). Pertanto, l'aggiunta del fascio eccezionale lascerà invariato il genere del cono di raggi; o tutt'al più, se era zero, lo farà diventare = 1. Diremo perciò: / coni singolari di una congruenza (3, n), siano pure irriducibili o riducibili, sono tutti di genere zero roppure di genere uno (e diremo anche breve- mente razionali od ellittici, senza intendere esclusi i casi di riducibilità). Consideriamo ora la rigata R?+** formata dalle rette della congruenza che si appoggiano a una retta qualunque per S (astrazion fatta dal cono F). Questa rigata. che è di genere p—i se il punto S si suppone 2? (721) per la superficie focale, insieme al cono T che è di genere zero od uno e col quale essa ha al più fre gene- ratrici a comune, dovrà formare una R"'° complessiva di genere p. Si può anche aggiungere che, se il cono F e la rigata R**- hanno meno di tre generatrici a comune, vale a dire se dal punto S esce qualche raggio isolato della congruenza, l’inviluppo di piani f, dianzi considerato sarà di classe <2 (n° 6), e il cono l sarà perciò certo di genere zero. Pertanto, se da S escissero due raggi isolati della congruenza, si avrebbero una rigata di genere p —i e un cono di genere zero con una sola generatrice a comune, e formanti insieme una rigata di genere p. Dovrebbe dunque essere (*) (p—i+0+41—-1=p, ossia î=0; il che va escluso. Da nessun punto singolare potrà dunque escire più di un raggio isolato della congruenza. Se vi è un raggio isolato, si ricava analogamente i= 1. Un punto singolare dal cui vertice esca un raggio isolato della congruenza è sempre punto doppio per la super- ficie focale; e il cono singolare uscente da esso è sempre di genere zero. (1) Considerata una congruenza come una superficie, un cono singolare di essa (comunque ridu- cibile) appare come una curva parziale del sistema lineare irriducibile 0° formato dalle rigate R?45 intersezioni della congruenza coi complessi lineari; e come tale esso ha un genere determinato, da valutarsi ad es. nel modo stabilito dal sig. Exriques (Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche, “ Mem. della Soc. It. d. Scienze ,, s. III, t. X, $ 16). Questo genere nel caso attuale sarà <1, perchè se no il cono non potrebbe rappresentarsi che sopra un inviluppo di classe > 3. () Ogni congruenza di rette può riferirsi in una corrispondenza razionale (1, 2) alla sua super- ficie focale, luogo o inviluppo, facendo corrispondere a ogni raggio di essa i propri fuochi o piani focali. Per un cono singolare di raggi, il sistema dei piani focali corrispondenti si spezza in due parti distinte, ciascuna delle quali risulta riferita biunivocamente a quel cono; ed è appunto una di queste corrispondenze biunivoche che noi ora consideriamo. €) La formola t=m + mm +i— 1 (Norrarr: Ueder die reductiblen algebraischen Curven, © Acta Math. ,, Bd. 8; EwriQues, l. c.) si può applicare ad ogni curva totale riducibile contenuta in un si- stema lineare irriducibile di genere t sopra una superficie, purchè si tenga conto debitamente nel valutare , e ty (come noi abbiamo appunto supposto nella nota (') qui sopra) dei ponti di con- nessione sulla superficie di Riemann immagine della curva riducibile. (Superfluo l’osservare che l'i di questa formola, che indica il numero dei punti comuni alle due parti della curva riducibile, non ha nulla a che fare col carattere che nel nostro ragionamento trovasi indicato colla stessa lettera). NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 9 Supposto infine che da S non escano raggi isolati della congruenza, si ricava =2 o i=83 secondo che il cono l è di genere zero o uno. Dunque: Un punto singolare pel quale non passi nessun raggio isolato della congruenza sarà punto quadruplo o sestuplo della superficie focale, secondo che il cono di raggi della congruenza che ne esce è razionale od ellittico. 9. — È bene aggiungere qualche avvertenza sul modo in cui questi risultati vanno interpretati. È stato già osservato che, per poter applicare la formola r=m,+m+i—-1 relativa al genere di una curva riducibile, bisogna valutare m, o tr, in modo oppor- tuno (valendosi ad es. dei ponti di connessione): quando noi affermiamo pertanto che è ellittico ogni cono di raggi della congruenza il quale esca da un punto sestuplo della superficie focale, intendiamo che deve essere eguale a 1 il genere, debitamente valutato, di questo cono; ma non escludiamo ad es. che il cono stesso possa essere razionale per il fatto di avere come generatrice doppia un raggio semplice della congruenza uscente da S. Quando ciò avvenga, si dovrà considerare questo raggio come sede di un ponte di connessione (semplice), il quale implicherà un aumento di un’unità nel genere virtuale del cono. Un’opportuna interpretazione dei risultati precedenti è più che mai necessaria quando il punto S appartiene a un raggio multiplo proprio (0 di 2° specie) della con- gruenza (cfr. $ seg.); a un raggio tale cioè, che le rigate R"* che lo contengono siano di genere < p. În questo caso, nel valutare il genere del cono, si deve inten- dervi compreso anche quel raggio multiplo, ossia la curva (o rigata) fondamentale propria del sistema lineare delle R"* rappresentata da quel raggio ('). Questi raggi multipli sono poi a lor volta, come vedremo (n° 15), rette multiple (doppie, quadruple, sestuple) per la superficie focale. Diciamo infine qualche parola anche sul modo in cui va concepito un cono ridu- cibile della congruenza. Supponiamo ad es. che l’inviluppo di piani F, di 3? classe considerato al n° 8 si spezzi in un inviluppo quadrico [', e in un fascio di piani [”, con due elementi a e B a comune; e, per fissare le idee, che a ciascuna di queste parti corrisponda biunivocamente (nel senso stabilito al n° 4) una certa parte (’, l”) del cono l della congruenza. Questi due coni f” e F" saranno razionali, e avranno a comune i due raggi a e 5 della congruenza, completamente determinati, di cui @ e 8 sono i piani focali corrispondenti al fuoco distinto (in generale) da S. Gli stessi coni [', €" potranno avere a comune anche altre generatrici e, d, ...; ma una qua- lunque c di queste, secondo che la si considera come raggio dell'uno o dell’altro cono, avrà per piano focale corrispondente al proprio fuoco distinto da S due piani distinti y' e Y", appartenenti rispett. a [', e ”,. Pertanto, benchè c sia generatrice comune dei due coni l’ el”, non si può dire che questi, considerati come coni della congruenza, abbiano ivi a comune un raggio di questa; invece la retta c è sostegno di due raggi della congruenza completamente distinti (poichè ne sono distinti i piani (') E del cono così concepito si può ancora affermare che avrà il genere <1, perchè nel cono- inviluppo l, di vertice S (n° 8) sono già compresi i piani focali relativi al raggio multiplo. Serie II. Tom. LI. B 10 GINO FANO focali x' e y"; come pure, in generale, gli altri due piani focali, dei quali l’uno è tangente lungo cal” e l’altro a ["); e di questi due raggi uno appartiene al cono [' e l’altro al cono l'. La retta c sarà un raggio doppio improprio (0 di 1° specie) della congruenza, come verrà meglio chiarito nel $ seg. Il cono complessivo l si comporrà dunque di due coni razionali aventi due soli elementi (raggi) a comune; e potrà perciò appunto considerarsi come proveniente dallo spezzamento di un cono ellittico. Qualcosa di analogo potrebbe dirsi per ogni altro caso, anche se l contenesse una parte eccezionale rispetto alla corrispondenza con f,. $ 2. Raggi multipli di una congruenza. Genere sezionale delle congruenze (3,n) con raggi multivti. 10. — Può avvenire che una congruenza (m, n) contenga un raggio « tale che, fra le m o rispett. n rette di essa che appartengono a un punto generico di « o a un piano generico del fascio u, sempre almeno % (= 2) coincidano con u. Si dice allora che u è raggio %P!° o multiplo di ordine k della congruenza. Concepita la congruenza come una superficie F (di ordine m + n) dello spazio di rette, e contenuta perciò in un S;, si riconosce facilmente che ogni punto %P° di questa superficie (ossia ogni punto nel quale coincidano almeno % delle m + » inter- sezioni della superficie con un S$3 passante per esso) è immagine di un raggio #P° della congruenza, e inversamente (almeno con una restrizione, che cioè il cono tangente alla F in quel punto non sia tutto contenuto nella Mj fondamentale) (1). Per una congruenza (m,n) avente soltanto un numero finito di punti e di piani singolari, la multiplicità di un raggio qualunque non può superare il minore dei due numeri m e n. In particolare, le congruenze del 3° ordine prive di linea singolare (*) Infatti, se un punto P è %®° per la F"4, considerando l’S3 determinato da un piano della quadrica fondamentale passante per questo punto e da un piano di sistema opposto non passante per P, ma incontrante il primo in una retta, e tali che nessuno dei due abbia infiniti punti a co- mune con Ft, dovranno coincidere in P_almeno % delle m + x intersezioni di F con questo $3; e quindi, poichè il secondo piano non passa per P, almeno / delle # 0 x sue intersezioni col primo piano: vale a dire a P corrisponderà un raggio XP! della congruenza. Viceversa, se sussiste questa proprietà, cadranno in P almeno % delle intersezioni di F con ogni S3 determinato nel modo anzi- detto. Se dunque P fosse per la F un punto multiplo di ordine <%, tutti quegli S3 dovrebbero contenere almeno una generatrice del cono tangente in P alla F. Ora, se questo cono non è con- tenuto nella quadrica fondamentale, si può certo prendere un piano di questa, e quindi un $3 per questo piano, i quali non contengano nessuna generatrice del detto cono; ma nel caso opposto ciò non è più possibile, sicchè allora P risulterebbe per F punto multiplo di ordine <%. Sarebbe questo il caso in cui il raggio considerato della congruenza incontrasse tutti quelli ad esso infinitamente vi- cini. La restrizione posta si può togliere però se X= 2; poichè, anche se il piano tangente a Fin un suo punto semplice P stesse sulla quadrica fondamentale, i piani di questa passanti per P_e dello stesso sistema del primo non avrebbero con quel piano altri punti a comune. Perciò, senza restri- zioni: Ogni raggio doppio di una congruenza ha per immagine sulla superficie corrispondente un punto doppio di questa. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 11 potranno avere soltanto dei raggi doppi e tripli. Questi raggi, quando ve ne siano, noi li supporremo sempre in numero finito. 11. Si abbia in una congruenza (m,x) un cono singolare X,, e sia « una sua generatrice doppia (supposta esistente). Può avvenire che v sia raggio semplice della congruenza; allora ad esso cor- risponderà un punto semplice P ‘della superficie immagine F"+"; la curva (piana) corrispondente al cono X, starà nel piano tangente in P a questa superficie, e questo piano starà a sua volta sulla Mi fondamentale. Questo caso si presenterà precisa- mente quando, nel valutare il genere del cono X,, debba ritenersi w come sede di un ponte di connessione (cfr. n° 9); e in particolare ogni qual volta, essendo ridu- cibile il cono X, sia v un raggio comune a due parti di esso. Queste generatrici u s'intenderanno escluse nel seguito; epperò în ogni altro caso al raggio u corrisponderà un punto doppio della superficie immagine della congruenza, e u stesso sarà raggio doppio della congruenza. Ora il cono di raggi della congruenza uscente da un punto singolare S sì com- pone di tangenti condotte da questo punto alla superficie focale; e una sua genera- trice doppia (colle esclusioni da noi stabilite) è una retta passante per S e tangente alla superficie focale, in generale, in due altri punti. In altri termini, quel cono è tangente alla superficie focale della congruenza lungo una certa linea Y (interse- zione o parte dell’intersezione di questa superficie colla prima polare di S); e le sue generatrici doppie provengono da punti doppi apparenti rispetto ad S (o da tangenti, se sono generatrici cuspidali) della curva Y. . Fermiamoci intanto, per maggior chiarezza, sul caso di una retta « passante per S e tangente alla superficie focale in due altri punti distinti F e F, (dunque generatrice doppia non cuspidale del cono singolare). Vi è allora un raggio della congruenza, completamente determinato, che ha i propri fuochi in F e in S$, e per piano focale corrispondente al fuoco S ha il piano tangente in F alla superficie focale. E vi è un secondo raggio della congruenza che ha per fuochi S e F,, e per piano focale corrispondente al fuoco S ha il piano tangente alla superficie focale in F, (1). Solo che questi due raggi della congruenza, completamente determinati e distinti l’uno dall’altro, hanno entrambi per sostegno la stessa retta «; e così risulta chiaro che, fra gli m raggi della congruenza uscenti da un punto qualunque di «, vi sono quei due. Ed è perciò appunto che vu è raggio doppio della congruenza (?). Se poi uv è generatrice cuspidale del cono singolare, essa sarà una tangente della linea y considerata di sopra (e avrà colla superficie focale un contatto almeno tripunto: v. però n° 15). Se F e F, sono i due punti ora consecutivi che essa ha a (4) I rimanenti piani focali di questi due raggi sono due distinti piani tangenti alla superficie focale in S. (3) Nessuna modificazione si avrebbe se i punti F e F, coincidessero in un secondo punto sin- golare della congruenza. Il punto S, come fuoco dell'uno e dell’altro dei due raggi sovrapposti, avrebbe per piani focali rispett. corrispondenti due diversi dei piani tangenti alla superficie focale nel suo punto multiplo F = F,. 12 GINO FANO comune con y, saranno SF e SF, due raggi semplici della congruenza che hanno ancora per sostegno comune la v, ma sono ora infinitamente vicini (nella congruenza), perchè così avviene dei fuochi e piani focali dell’uno rispetto agli analoghi elementi dell'altro. Ad es., i piani focali corrispondenti al fuoco comune S sono i piani tan- genti alla superficie focale nei due punti consecutivi F e F,, e gli altri due piani focali sono due piani tangenti consecutivi del cono tangente in S alla superficie focale. La natura stessa di questo raggio doppio « (risultante da due raggi semplici che hanno una medesima retta per sostegno) permette anche di rendersi ragione fin d’ora di una proprietà che soltanto in seguito (n° 26) riceverà fondamento e signi- ficato preciso; vale a dire che, per un punto qualunque di v, è completamente inde- terminato, nel fascio w, il piano dei due raggi sovrapposti che ne escono (*). Diremo perciò : ; Ogni generatrice doppia di un cono singolare della congruenza (colle esclusioni stabilite) è anche raggio doppio della congruenza e precisamente in guisa tale che ogni piano che la contiene può considerarsi come piano dei due raggi uscenti da un punto qualunque di essa e ad essa sovrapposti. Viceversa, ogni raggio doppio di una congruenza, il quale risulti dalla sovrap- posizione di due raggi semplici e non isolati uscenti da un dato punto singolare, è generatrice doppia del cono singolare uscente da questo punto. Considerazioni analoghe possono farsi pei raggi tripli o di multiplicità superiore. 12. — I raggi doppi (o tripli, ecc.) della congruenza dianzi considerati risul- tano, come si è detto, da due o più raggi semplici aventi una medesima retta v per sostegno, e che non sono in generale posizioni consecutive di un raggio variabile entro la congruenza, ma possono tuttavia essere tali. A_ questi raggi corrisponde- ranno pertanto sulla superficie F immagine della congruenza dei punti multipli risul- tanti anche, per così dire, dalla materiale sovrapposizione di due o più punti semplici della stessa superficie. Da ciò possiamo trarre due conseguenze importanti: 1° Questi punti multipli — e diciamo in generale XP — sono %-planari; o più esattamente, il cono tangente alla superficie F in ciascuno di essi si spezza in % piani; senza escludere però che tali piani possano coincidere in parte o tutti. Questi piani saranno tangenti rispett. a altrettante falde della superficie passanti per il punto multiplo considerato; 2° Gli stessi punti multipli sono anche impropri, ossia una sezione iperpiana generica di F passante per uno di questi punti ha lo stesso genere p di una sezione affatto arbitraria (e non genere inferiore). Anche questa proprietà è conseguenza immediata del fatto che sì tratta di punti i quali sono immagini di un certo numero di punti semplici dell'ente algebrico 00? che si considera. I raggi multipli dianzi considerati li diremo di prima specie; e, più generalmente, diremo “ di prima specie , ogni raggio multiplo al quale corrisponda sulla superficie (') Secondo l’espressione adottata dal sig. Sturm (Op. cit., cfr. in part. i n' 56, 289, 316), potremo dire che, per ogni punto di , è indeterminato (nel fascio u) uno dei piani corrispondenti a questo punto nel “ sistema nullo superiore , (£ hùheres Nullsystem ,) determinato dalla congruenza. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 13 immagine della congruenza un punto multiplo émproprio. A tutti questi raggi multipli spetta, come vedremo in seguito, la proprietà caratteristica che, per ogni loro punto, sono completamente indeterminati (nel fascio corrispondente) i piani dei raggi sovrap- posti che ne escono. Gli altri raggi multipli, corrispondenti a punti multipli propri della superficie F, li diremo di 2* specie. 13. — Consideriamo invece sulla superficie F immagine di una congruenza (m, n) un punto doppio corico P (supposto esistente); questo sarà certamente un punto mul- tiplo proprio. In questo punto la F ammetterà un cono tangente di 2° ordine [, ir- riducibile e perciò contenuto in uno spazio S;. Questo S3z segherà la quadrica (Mî) fondamentale anche in un cono quadrico f,, che supponiamo (e che sarà pure in ge- nerale) irriducibile e distinto da FT. Al punto P corrisponderà nella congruenza un raggio v, doppio per questa. Consideriamo ora sulla Mi} fondamentale un piano qual- siasi m, dell’uno o dell’altro sistema, il quale si muova su di essa in modo deter- minato, tendendo come posizione limite a un piano generico m (delio stesso suo si- i stema) passante per P. Allora due delle m o n intersezioni di m, colla superficie F, e siano P, e P., tenderanno a P come posizione limite; e le rette PP, e PP» tende- ranno a coincidere con certe due tangenti della superficie F_ nel punto P, ossia con certe due generatrici #, e #. del cono F. Consideriamo ancora la retta P,P,. Essa è intersezione del piano t;, che ha come posizione limite t, col piano PP, P., che ha come limite il piano #,t.; dunque i due piani (certo distinti) m e t,f, avranno a comune una retta, che sarà posizione limite di P,P:; e che, appartenendo (perchè contenuta nel piano #,t) allo spazio S; del cono Fl, sarà l'intersezione di questo Sx col piano m, ossia una determinata generatrice qg del cono T,. Anzi, non essendo contenuta in m che una sola generatrice di quest’ultimo cono, se ne conclude che la stessa retta 9 sarà sempre la posizione limite di P,P,, in qualunque modo si scelga (nello stesso sistema primitivo) il piano t, sulla Mi, e in qualunque modo lo si faccia poi avvicinare a tm. Interpretando questo per la nostra congruenza, abbiamo: Facendo tendere un punto o piano qualsiasi ad un punto o piano determinato ap- partenente al raggio doppio v, due fra i raggi della congruenza appartenenti a quel punto 0 piano tendono a coincidere con v, ma in guisa tale che il fascio da essi deter- minato tende ad una posizione limite completamente individuata, e che dipende soltanto dal punto 0 piano di v considerato. In altri termini: La punteggiata v e il fascio di piani v possono riferirsi in una corrispondenza biunivoca e quindi proiettiva — e che è precisamente la proiettività ‘Y determinata dalla congruenza lineare speciale avente per immagine il cono f, —, la quale gode della proprietà seguente: Ogni qual volta un punto qualsiasi si avvi- cina indefinitamente a un punto determinato A di v, due fra gli m raggi della con- gruenza uscenti da quel punto si avvicinano indefinitamente fra loro e a v in modo che il loro piano tende al piano a omologo di A nella proiettività T. E viceversa, ogni qual volta un piano arbitrario si fa tendere alla posizione a del fascio v, due delle n rette della congruenza in esso contenute tendono a coincidere con v, ma in modo che il loro punto d’incontro ha per posizione limite A. Sotto altra forma ancora, si può dire che per ogni punto A del raggio vi due raggi coincidenti (con v) che ne escono stanno in un piano a completamente deter- 14 GINO FANO minato; e inversamente, in ogni piano o del fascio v due degli n raggi della con- gruenza coincidono con v stesso, ma avendo un punto d'incontro A determinato. La corrispondenza fra i punti A e i piani a è proiettiva. È questo appunto il tipo generale di un raggio doppio di 2° specie. Se un punto S di questo raggio doppio è punto singolare della congruenza, il cono di raggi uscente da esso conterrà bensì (o almeno potrà contenere) il raggio v, ma come generatrice semplice; poichè in un piano generico passante per v questo raggio conta bensì come due fra gli » raggi della congruenza, ma il punto d’incontro di questi due non è in generale S. Soltanto si può affermare che il piano corrispondente a S nella pro- iettività ® sarà il piano tangente al cono singolare lungo la generatrice © (1). Un esempio di un tal raggio doppio lo si ha nella congruenza (2, 2) intersezione di un complesso tetraedrale con un complesso lineare non speciale contenente uno degli spigoli del tetraedro fondamentale (°). Questo spigolo è appunto quel raggio doppio: esso contiene quattro punti singolari della congruenza, ciascuno dei quali è centro di un fascio di rette di questa. 14. — Le stesse considerazioni precedenti possono applicarsi a un punto triplo della superficie F, nel quale questa abbia un cono tangente irriducibile e contenuto in uno spazio S3; quindi certo ogni qual volta questo cono (cubico) sia di genere uno (e un tal punto sarà anche certamente punto multiplo proprio). Si ha allora, nella congruenza di cui F_è immagine, un raggio triplo v (e di 2? specie), i cui punti e piani risultano anche riferiti fra loro in una corrispondenza proiettiva T. Quando un punto arbitrario si fa tendere a una posizione determinata A sopra , tre dei raggi della congruenza uscenti da esso tendono a coincidere con v; e i piani determinati da questi tre raggi a due a due tendono a un medesimo piano del fascio v, che è il corrispondente di A nella proiettività T. E similmente per un piano il quale tenda a una posizione limite nel fascio ». Di raggi tripli così fatti incontreremo alcuni esempi in seguito ($ 7). E raggi di multiplicità superiore non possono esistere nelle congruenze di cui noi dobbiamo occuparci. i Il sig. StuRM (op. cit., ni 376, 401) chiama i nostri raggi doppi di 1 specie “ nothwendige Doppelstrahlen ,, e quelli di 2° specie “ mogliche Doppelstrahlen ,, cor- rispondentemente al fatto che una congruenza generale (2,n) priva di linea singolare ha sempre (se x > 3) un numero determinato di raggi doppi della prima categoria, e non ne ha nessuno della seconda; ma esistono tuttavia congruenze particolari (di classe < 6, e se =6 di 2° specie) contenenti anche uno o più raggi doppi del se- (') Tutto ciò che abbiamo detto sussiste egualmente se il cono l tangente in P alla superficie F si spezza in una coppia di piani contenuta in un Sg, purchè rimanga irriducibile il cono T, in- tersezione di questo Ss colla M} fondamentale. È noto infatti che in Sj anche un punto doppio biplanare di una superficie può essere proprio, e lo è se i due piani tangenti stanno in un $3 e i due intorni del punto hanno, fuori di questo punto, un punto semplice a comune. Se poi il cono l4 sì spezza a sua volta in due piani, non sembra potersi affermare nulla con sicurezza: certo però dovrà presentarsi questo caso quando il punto P fosse biplanare e improprio, coi piani tangenti contenuti in un Sg. (2) Srorx, Op. cit., II, p. 196, n° 402. E basterebbe anche prendere un qualsiasi complesso qua- dratico avente un raggio doppio, e un complesso lineare contenente quest’ultimo raggio. |P... — — ——-_ reo a NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 15 condo tipo. Lo stesso avviene pure, fino a un certo punto, per le congruenze del 3° ordine; ma per queste la presenza di raggi tripli di 2° specie può influire sul genere della congruenza, considerata come superficie (o varietà 00?), e quindi su altre proprietà di essa. 15. — Le due specie di raggi multipli che abbiamo incontrate si distinguono anche nel loro comportamento rispetto alla superficie focale della congruenza. Un raggio doppio u di prima specie non cuspidale non appartiene alla superficie focale della congruenza (*). Infatti, applicando il ragionamento del n° 3 a una retta / incontrante questo raggio «, il piano /u appare soltanto come uno degli r piani che contengono una coppia di rette della congruenza formanti fascio con 7, ed è perciò una delle coincidenze che non conducono a intersezioni di / colla superficie focale. D'altronde il punto /u non è nemmeno un punto per il quale due fra iraggi della congruenza che ne escono siano infinitamente vicini. Invece, un raggio doppio di prima specie cuspidale appartiene alla superficie focale, perchè i due raggi sovrapposti uscenti da un suo punto qualunque sono infinitamente vicini (come raggi della congruenza). Un punto generico di un tal raggio è punto semplice della superficie focale; e questa è ivi toccata da un piano determinato pas- sante pel raggio medesimo (?). Infine, un raggio doppio di seconda specie appartiene pure alla superficie focale (poichè i due raggi della congruenza uscenti da un punto qualunque di esso e ad esso sovrapposti sono infinitamente vicini entro la congruenza), e ne è anzi in gene- rale retta doppia (*). Ciò può vedersi nel modo seguente. Se / è una retta qualunque dello spazio incidente al raggio doppio di 2* specie v, le rette della congruenza che si appoggiano a l formeranno una rigata di genere (non superiore, ed eguale in ge- nerale a) p— 1, nella quale la serie lineare gi, dei gruppi di generatrici uscenti dai singoli punti di ! conterrà 2(m + p.— 2) gruppi con elemento doppio. Tante dunque sono le intersezioni di Z, fuori del punto /v, colla superficie focale (chè è di ordine 2}m+p— 1)}): e le rimanenti due cadranno perciò in lv, c. s. v. d. Queste osservazioni si estendono facilmente ai raggi tripli. In particolare, un raggio triplo di 2* specie apparterrà non soltanto alla superficie focale della con- gruenza, ma anche alla sua curva cuspidale (luogo dei punti per cui coincidono tre dei raggi della congruenza che ne escono). E se le rigate R"** contenenti questo raggio sono di genere p— i, il raggio stesso sarà la retta 2° per la superficie fo- cale. Quanto ad è, esso avrà in generale (se non si aggiungono cioè singolarità ulteriori) il valore 2 o il valore 3, secondo che al raggio considerato corrisponde sulla super- ficie immagine della congruenza un punto triplo apparente, oppure non apparente. (1) Sturx, Op. cit., II, p. 52, n° 319. Sembra però che il sig. Sturm non abbia avvertita l'ecce- zione presentata (anche per congruenze di 2° ordine) dai raggi cuspidali. (2) Nelle congruenze (3, x) di genere sezionale uno ottenute dai sig”! Seere e CasreLNUOvO nelle loro Mem. cit. come proiezioni di varietà cubiche (M3) dello spazio S,, si vede chiaramente che, quando un raggio doppio diventa cuspidale, esso appartiene altresì al contorno apparente della Mî considerata, e perciò appunto alla superficie focale della congruenza proiezione. (*) Srurx, Op. cit., II, p. 195, n° 401. 16 GINO FANO 16. — Le rette di una congruenza (3,n) che si appoggiano a una retta gene- rica { dello spazio formano, come già più volte si è detto, una rigata R"** avente / per direttrice tripla. Se però la retta / appartiene alla congruenza, da ogni suo punto non esciranno che due generatrici variabili di quella rigata; e questa sarà perciò iperellittica. Se facciamo un altro passo, e supponiamo che / sia un raggio doppio della congruenza, da ogni punto di essa escirà una sola generatrice variabile della rigata R"*, e questa sarà perciò razionale. Infine, se / è raggio triplo della con- gruenza, ogni suo punto dal quale esca un altro raggio di questa sarà necessaria- mente un punto singolare. La rigata R”*° delle rette della congruenza che si appog- giano a un raggio triplo (supposto esistente) dovrà dunque spezzarsi in due o più coni singolari (due almeno, non potendovi essere coni di ordine > »). E dai vertici di questi coni non potranno nemmeno escire raggi isolati della congruenza. Un raggio triplo di una congruenza (3,n) deve dunque contenere almeno due punti singolari di questa. E si riconosce anche facilmente che un raggio triplo di 1° specie, dovendo essere pure triplo per ciascuno dei coni singolari uscenti da punti di esso (ni 11-12), non può nemmeno contenere più di due punti singolari. Supposto infatti che ne contenga un certo numero j, dai quali escano coni singolari degli ordini rispett. X,, #2, ...A;, si avrà la relazione: hy 4 had Hk- h=blW=n 4-3. E poichè un piano generico passante per il raggio triplo deve contenere, all’infuori di questo, altri n — 3 raggi della congruenza; e questi non possono risultare che dalle &, — 3, R3 — 3,... generatrici secondo cui quel piano incontra ulteriormente i diversi coni; così dovrà anche essere: L(h_—T3)=Xh_8j=m_—3: E sottraendo la seconda relazione membro a membro dalla prima: HD ossia ME Concludiamo perciò: Un raggio triplo di prima specie di una congruenza (3, n) deve sempre congiungere due punti singolari di questa, e non può contenere, all'infuori di questi due, altri punti singolari. Se esiste pertanto un raggio triplo « di prima specie, i due coni singolari a cui esso appartiene dovranno formare insieme una rigata riducibile R"**, il cui genere, valutato secondo la solita formola del genere di una curva riducibile (cfr. n° 8), dovrà risultare eguale al genere sezionale p della congruenza. Ora quei due coni hanno a comune soltanto le tre generatrici sovrapposte ad u; dunque, se p' e p'’ sono i generi di tali coni, sarà precisamente p= p' + p" +3 — 1=p'+4-p'" + 2. E poichè p' e p'' sono entrambi <1 (n° 8), così dovrà essere p<4, vale a dire: Il genere sezionale di una congruenza (3, n) contenente un raggio triplo di prima specie non può essere superiore a 4. Possiamo anzi affermare che il genere sezionale sarà =4 ogni qual volta i due punti singolari che appartengono al raggio triplo siano entrambi vertici di coni el- NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 17 littici della congruenza; sarà =3 se di questi coni uno è ellittico e l’altro razio- nale, e sarà =2 se i due coni sono entrambi razionali. In nessun caso esso sarà < 2. Per un raggio triplo non appartenente alla superficie focale della congruenza (ossia risultante dalla sovrapposizione di tre raggi a due a due non infinitamente vicini) si potrebbe giungere allo stesso risultato anche con quest'altra osservazione; che cioè i due punti singolari appartenenti a quel raggio sono le sole intersezioni di questo raggio colla superficie focale (di ordine 2p + 4), e sono punti al più sestupli per tale superficie. Sarà dunque 2p +4<12, e perciò p< 4. 17. — La stessa proprietà p<4 sussiste anche nel caso in cui la congruenza, pur non contenendo raggi tripli, contenga tuttavia qualche raggio doppio (sempre di prima specie). Non possiamo asserire che anche un raggio doppio « di prima specie debba sempre contenere due punti singolari della congruenza; ma certo esso non può contenerne più di due. Supposto infatti che ne contenga un certo numero ), e che questi siano vertici di coni singolari degli ordini rispett. %,, %», .. . 7; (essendo perciò Zh < n+4- 83), ne seguirà che un piano generico passante per v dovrà conte- nere, oltre alle generatrici sue intersezioni coi diversi coni, altre (m— 2) —>(f—2)=n—Zhk+2(j-1) rette della congruenza. E siccome queste rette, supposto che ve ne siano, saranno a lor volta generatrici di una rigata di ordine n +3 — Z4 (residua degli j coni ri- spetto alla R"*° complessiva di direttrice u), così avremo in ogni caso: n_-Th42(_-1)h=n4+-3 SCIE dalle quali si ricava appunto j= 6. (!) In sostanza, si tratta di una curva dalla quale si sono staccate due componenti eccezionali (punti), e la cui parte residua ha, con ciascuna di quelle componenti, due punti a comune. Allora, se p è il genere della curva totale, sarà p — 2 il genere di questa parte residua. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 8° ORDINE, ECO. 19 Inoltre, se S è il vertice di uno di questi coni, le o? rigate R"'*" aventi per direttrici le rette passanti per S avranno a comune con quel cono una sola gene- ratrice variabile (poichè le altre due loro generatrici uscenti da S coincideranno col raggio triplo della congruenza). E di qui si trae che i sei coni singolari sono tutti razionali. Infine, il raggio triplo di 2° specie (v) deve considerarsi come una curva fon- damentale propria y, di genere zero od uno (n° 8 bis), del sistema lineare T costi- tuito, nella data congruenza, dalle rigate R"*° intersezioni di quest’ultima coi com- plessi lineari. Il sistema residuo di Y rispetto a { si comporrà di curve Y, di un certo genere p—t (î = 2,3; cfr. n° 15) incontranti Y in tre punti variabili. In par- ticolare, alla rigata R"*** di direttrice v, la quale è composta dei 6 coni che hanno il vertice sopra v e ha perciò v come retta sestupla, corrisponderà una curva Y; che conterrà ancora y come parte, e si spezzerà precisamente in Y e in sei curve razio- nali (i sei coni) aventi ciascuna un punto a comune con Y (e non incontrantisi l’una coll’altra). Questa particolare curva y, avrà dunque lo stesso genere (zero 0 uno) di Y; e sarà perciò p—i=0 oppure = 1. In ogni caso sarà dunque p 3. Allora gli n raggi della congruenza con- tenuti in un piano generico dovranno formare una configurazione tale, che per il punto d'incontro di due qualunque di essi ne passi anche un terzo. — Conside- rato poi un raggio generico g della congruenza, da ogni punto di esso dovranno escire altri due raggi di questa, contenuti in un piano per g; e in ogni piano per 9g dovranno stare altri n — 1 raggi, che, distribuiti in coppie, incontre- -n_-1l . È aio ° 3 ranno g in punti tutti variabili con quel piano (non potendovi essere sopra g punti singolari). Nasce così tra il fascio di piani di asse g e la punteggiata y una È A n—- 17 È Ridi Da E ; i corrispondenza 11, gg |: e vi saranno perciò n — 3 piani passanti per g, pei quali due dei punti corrispondenti sono venuti a coincidere. Questi piani sono tutti piani focali, e anzi piani focali affatto generici. Ora, in ciascuno di questi piani sono in- 20 , GINO FANO finitamente vicini due raggi X e % della congruenza, i quali si appoggiano a g senza formare fascio con esso; e allora dovranno essere infinitamente vicini anche i rima- nenti (terzi) raggi dei fasci %9 e %g. Ciò vuol dire che ogni piano tangente alla su- perficie focale dovrebbe contenere almeno due coppie di raggi infinitamente vicini, e dovrebbe perciò toccare quella superficie in almeno due punti (in generale distinti), il che non è possibile. Si deve dunque escludere l’ipotesi n > 3. 20. — Si abbia ora una congruenza (3,3) tale che i tre raggi di essa appar- tenenti a un punto o piano arbitrario formino sempre fascio. Allora, se ai singoli punti di un raggio 9 della congruenza facciamo corrispondere i piani delle terne di raggi uscenti da essi (i quali piani passeranno tutti per g), verremo a stabilire fra la punteggiata 9g e il fascio di piani di asse g una corrispondenza algebrica e bi- univoca, vale a dire una proiettività. Questa proiettività definirà una congruenza li- neare speciale [, avente g come (unica) direttrice; e in questa congruenza sarà contenuta la rigata R° formata dalle rette della data congruenza (3,3) che si ap- poggiano a g. Pertanto, il complesso lineare che contiene la congruenza T e una nuova retta arbitraria (non incidente a g) della congruenza (3,3) proposta, avrà a comune con quest’ultima congruenza una rigata di 6° ordine (già contenuta in F) e un’altra retta ancora; esso dovrà dunque contenerla per intero, vale a dire Za congruenza proposta sarà contenuta in un complesso lineare (necessariamente non speciale, se la data con- gruenza non ha una linea singolare). Ora, per un noto teorema di KLreIx (!), ogni congruenza di grado % (ossia di ordine e classe = %) contenuta in un complesso lineare non speciale è intersezione di questo complesso con un complesso di grado %. Concludiamo perciò: Vi è una sola congruenza (3, n) priva di linea singolare e tale che i tre raggi di essa uscenti da un punto qualunque stiano in un piano; e questa è la congruenza (3, 3) intersezione di un complesso lineare non speciale con un complesso cubico. Questa è altresì l’unica congruenza (3, n) priva di linea singolare e contenuta in un complesso lineare. i Questa congruenza, al pari di ogni altra contenuta in un complesso lineare, è di rango zero. Invero, il fascio determinato da due rette qualunque della congruenza fra loro incidenti deve appartenere tutto al complesso lineare in cui la congruenza è contenuta; e perciò una retta che non stia in questo complesso non potrà appar- tenere a nessuno di quei fasci. — Dalla formola generale del n° 2 segue pertanto che la detta congruenza (3,3) avrà il genere sezionale quattro; il che può ricono- scersi anche direttamente (?). Essa ha una superficie focale di 12° ordine e 12? classe, con curva cuspidale di ordine 30 (3); e non è in generale rappresentabile sul piano (*)- (1) Cfr. la Nota: Ueber einen liniengeometrischen Satz, “ Gott. Nachr. ,, 1872; © Math. Ann. ,, Bd. 22, p. 234. (*) Infatti la superficie immagine di questa congruénza sarebbe una F° dello spazio S,, inter- sezione di una quadrica e di una varietà cubica. Le sue sezioni iperpiane sono dunque sestiche di S3, intersezioni di una quadrica e di una superficie del 3° ordine, e perciò (in generale) di genere 4. Cfr. anche la mia Mem. cit. negli Annali di Matem., n° 7. (°) Voss: Ueber Complexe und Congruenzen, © Mathem. Ann. ,, Bd. 9, p. 138; ScHaumacnen: Clas- sification der algebraischen Strahlensysteme, © Mathem. Ann. ,, Bd. 37, p. 124. (*) Cfr. ancora la mia Mem. cit., n° 7. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 21 21. — D'ora in poi faremo astrazione dalla congruenza (3,3) contenuta in un complesso lineare; e supporremo perciò che nella nostra congruenza (3, n) i tre raggi uscenti da un punto generico dello spazio non stiano in un piano. Per queste congruenze si può dimostrare che i due caratteri r e p, legati dalla relazione r + p = 2(x — 1), soddisfano anche alle due diseguaglianze: psw — 1 r>n—1 ciascuna delle quali è evidentemente conseguenza dell’altra. Infatti la rigata R"* formata dalle rette della congruenza che si appoggiano a una retta arbitraria / può considerarsi come una curva C** dello spazio S;. Alle terne di generatrici di quella rigata uscenti dai singoli punti di Z corrispondono sulla C5*° i gruppi di punti di una serie lineare 93; e dire che quelle terne di ge- neratrici non stanno in generale in un fascio equivale a dire che i tre punti di un gruppo generico di questa 9; non sono collineari. La curva C;** di Sj è dunque non speciale (perchè, in caso contrario, questi gruppi dovrebbero appunto essere colli- neari) ('); e sarà perciò p<(n + 3) — 4, ossia p 3 passanti per un me- desimo punto (che sarà allora punto singolare), oppure anche vi siano due o più terne di raggi appartenenti ciascuna ad un fascio. In quest’ultimo caso il piano sarà doppio, o multiplo di un ordine corrispondente, per l’inviluppo w. E nel primo caso, I h poichè con » raggi si possono formare (3) terne distinte, il piano avrà per l’invi- luppo w la multiplicità | sl Epperò: Il vertice di ogni cono singolare di ordine h>3 della data congruenza sì stacca dall’inviluppo w (come inviluppo 00? di piani di prima classe) colla multiplicità fa . Un’altra osservazione che importa fare è la seguente. Se la congruenza ha qualche raggio doppio di prima specie, questi raggi apparterranno tutti alla superficie ®. Infatti la curva Cx+, immagine della rigata R"*° avente per direttrice una retta / appog- giata a un raggio doppio, avrà (corrispondentemente a questo raggio) un punto doppio che conterà come due elementi nel gruppo della 93 che lo contiene; ed è noto che questo gruppo deve allora considerarsi come uno di quelli collineari ('). Ciò è anche giustificato dal fatto che, dei tre raggi uscenti da un punto di un tal raggio doppio, i due sovrapposti hanno un piano completamente indeterminato (cfr. n° 26), sicchè tutti tre potranno considerarsi come contenuti in un fascio. Similmente, i raggi tripli di prima specie sono rette doppie della superficie ®@. Per accertarcene, possiamo fare la considerazione seguente. La curva C}1° di S,, imma- gine della rigata R"'* avente per direttrice una retta appoggiata al raggio triplo, ha in questo caso un punto triplo che costituisce da per sè un gruppo della gì. Da questo punto triplo essa si proietta in una €} di S, sulla quale i gruppi della 9ì stanno nei piani di un fascio; e quelli fra questi gruppi che sono collineari sono proiezioni di gruppi anche collineari della C}**. Ora, sulla C; di S;, applicando la stessa formola di poc'anzi, si trova che vi sono n—p—3 gruppi della g3 costituiti da punti in linea retta; dunque sulla C}*°, degli n — p — 1 gruppi collineari del caso generale, due saranno assorbiti dal punto triplo; come appunto si voleva dimostrare. I raggi doppi e tripli di seconda specie non appartengono alla superficie @. Anche quest’ultimo ragionamento non è ad essi applicabile, perchè le rigate R"? contenenti questi raggi multipli sono di genere < p. (') Secre, Mem. cit., p. 58. 24 GINO FANO 24. — Proponiamoci ora di determinare la multiplicità della superficie p nei diversi punti singolari della congruenza. Consideriamo un punto singolare S, il quale sia vertice di un cono di ordine % contenuto nella congruenza, e sia un punto 2:?° della superficie focale. Se 7 è una retta generica passante per questo punto, le rette della congruenza appoggiate ad / formeranno, astrazion fatta da quel cono, una rigata di ordine n -+3 —% e di ge- nere p—î (cfr. n° 7). Dalla stessa formola già applicata al n° 22 segue pertanto che vi saranno sopra /: (n-1)-(p_—)_-1=(n-p_1)-—-d) punti, distinti in generale da S, dai quali esciranno tre raggi della congruenza con- tenuti in un piano, e che apparterranno perciò alla superficie pg. E la multiplicità di questa superficie (che è di ordine n — p — 1) nel punto S sarà perciò h —4. Facendo ora successivamente 2= 3, 2, 1, ricaviamo (efr. anche n. 8): In un punto singolare vertice di un cono ellittico di ordine h (>83) di raggi della congruenza, la superficie @ ha la multiplicità h— 3. In particolare, la super- ficie p non passerà per quei punti singolari che sono vertici di coni cubici di genere uno. In un punto singolare dal quale esca un cono razionale di ordine h (= 2) di raggi della congruenza, e nessun raggio isolato di questa, la superficie ®@ avrà la multiplicità h—2. Per h4=2 il punto singolare non apparterrà dunque alla superficie @; e lo stesso avverrà pure se h = 1 ('). Infine, in un punto singolare della congruenza dal quale esca un cono razionale di ordine h(=1) e anche un raggio isolato della stessa congruenza, la superficie @ avrà la multiplicità h— 1 (}). Osserviamo ancora che nel caso p=n — 1, non esistendo la superficie @, non potrà esservi nessun punto singolare pel quale sia 4 > ?; ossia nessuno di quei punti che, quando esistessero, dovrebbero appartenere alla detta superficie. Dunque: Una congruenza (3, n) di genere sezionale p=n —1 non può contenere altri coni singolari, all’infuori di conì cubici di genere uno, coni quadrici pel cui vertice non passino raggi isolati della congruenza, e fasci di rette. In particolare, non vi potranno essere coni (') In questo caso, quando si abbia cioè un fascio di rette contenuto nella congruenza e dal cui centro S non escano altri raggi di questa, le rette incidenti a una direttrice generica Z passante per S formeranno, astrazion fatta dal fascio, una rigata di ordine n-+2 e genere p—2; sicchè sopra / vi saranno n—p punti pei quali le tre generatrici di questa rigata che ne escono staranno in un fascio. Di questi, uno è evidentemente S medesimo; gli altri saranno le intersezioni di / colla superficie @. (2) Qualche avvertenza speciale va fatta per i coni i cui vertici S appartengono a un raggio triplo di 2* specie v. Per una retta 7 uscente da un tal punto S la rigata R?+8-* residua del cono singolare ha v come generatrice doppia; e di qui segue che,.nella solita 93 su di essa, la terna delle generatrici uscenti da S (fra le quali sta appunto la generatrice doppia, contando come due fra le tre) va computata come una di quelle contenute in un fascio. La multiplicità di @ nel punto S non sarà dunque soltanto a — i, ma R—i+1. Sotto altra forma, si può dire che il numero è? deve qui computarsi come se fosse inferiore di un’unità al suo vero valore. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 25° con generatrici multiple; e nemmeno coni quadrici dal cui vertice esca anche un aggio isolato della congruenza. 25. — Parliamo ora di alcune altre superficie, che si collegano allo studio delle congruenze di rette, e delle quali si vale continuamente anche il Sig. Sturm (nel- l’opera già più volte cit.) per le congruenze di 2° ordine. Data una qualsiasi congruenza (m, n) di rango 7, e fissato nello spazio un punto arbitrario P, si può domandare quale sia il luogo dei punti tali che, fra le m rette della congruenza che ne escono, ve ne siano due il cui piano passi per P ('). Questo luogo è una superficie, che il Sig. Sturm indica e noi pure indicheremo col sim- bolo (P); essa è di ordine !° _- dl + (?), avendo in P stesso un punto multiplo di ordine G 9 Ù ed essendo incontrata da una retta generica passante per P in altri 7 punti. Le m rette della congruenza uscenti da P appartengono a questa superficie, e ne sono precisamente rette multiple di ordine m — 1. Nel caso di una congruenza di 3° ordine, questa superficie (P) sarà di ordine r+3=2n—p+1;avrà il punto P come triplo, e le tre rette della congruenza uscenti da P come rette doppie. Volendo ora trovare la multiplicità delle superficie (P) nei punti singolari di una congruenza (3, x), determineremo direttamente il numero delle intersezioni di una tal superficie con una retta generica dello spazio; numero che abbiamo detto testè essere =r--3=2x—p+1; e vedremo poi come si modifichi questo numero quando la retta considerata passa per uno dei punti singolari (5). 26. — Data una retta generica /, si domanda per quanti punti di essa passano coppie di rette della congruenza contenute in un piano per un punto arbitrario P. — Consideriamo la rigata R"*° delle rette della congruenza incidenti a Z, e seghia- mola con un piano generico passante per P. Avremo una C7** piana, sulla quale le terne di rette della congruenza uscenti dai singoli punti di Z segheranno i gruppi di una 93; e il punto triplo che quella curva ha nell’intersezione del Drop piano con / costi- tuirà di per sè un gruppo di questa serie lineare. Il numero che noi cerchiamo è quello delle coppie di punti contenute in gruppi della gi e allineate su P, ossia la classe dell’inviluppo formato dalle rette che con- giungono a due a due i punti di ogni singolo gruppo della 93}. Questo numero, che indicheremo con x, si determina con una semplicissima applicazione del principio di corrispondenza ; considerando cioè come omologhi nel fascio di rette P due raggi che (!) Sotto altra forma, sarebbe questo il luogo dei punti tali che uno dei piani ad essi corri- spondenti nel sistema nullo superiore determinato dalla congruenza passi per P. (2) Sturm, Op. cit., II, p. 3, n° 289. E (*) Un’altra via, forse un po’ più breve, consisterebbe nel determinare in quanti punti una (P) è incontrata dalla retta che congiunge un punto singolare S al punto P ad essa corrispondente, fuori ben inteso dei punti stessi S e P (il secondo dei quali è triplo per essa). Il numero di questi punti è quello delle coppie di raggi della congruenza uscenti da un punto non singolare della retta SP e formanti fascio con questa stessa retta; cioè il numero da noi indicato con 7° al n° 5, e che ora, conoscendo la multiplicità di S per la superficie focale, potremmo facilmente determinare in ogni singolo caso. Serie II. Tom. LI, D "26 GINO FANO proiettano punti di uno stesso gruppo della g3 sulla C7*. Nasce così una corri» spondenza involutoria d’indice 2 (n +3), le cui coincidenze conducono a stabilire la relazione: 4n+3)=2x+y+y' dove y è il numero (= 2p + 4) dei gruppi della gì che contengono un elemento doppio (!), e y' è il numero di coincidenze assorbite da quei punti multipli della Cr+* che rappresentano due o tre punti di uno stesso gruppo della gi. Nel nostro caso vi è soltanto un punto triplo che costituisce di per sè un gruppo della gi, e assorbe perciò se? coincidenze; avremo quindi; 4n+3)=22 + (2p+4) +6 da cui x =2n —p + 1. — Se però la retta / incontra un raggio doppio « di 1* specie, la C3** piana avrà in corrispondenza un punto doppio, che rappresenterà due punti di uno stesso gruppo della 9}; la classe x diminuirebbe allora di un’unità, dal che si trae che delle 2n —p+ 1 intersezioni della retta / colla superficie (P) una cadrà nel punto lu. I raggi doppi di 1° specie della congruenza sono dunque contenuti (sempli- cemente) in tutte le superficie (P); e similmente si vedrebbe che è raggi tripli di 1° specie sono rette triple delle superficie (P). Sotto altra forma, ciò vuol dire che per un punto arbitrario di un raggio doppio o triplo di 1° specie « è completamente indeterminato * nel fascio « il piano dei due, o di due qualunque dei tre raggi sovrapposti che ne escono: ogni piano per « può considerarsi, rispetto a quel punto arbitrario, come piano di tali raggi (cfr. n. 10). — Non occorre avvertire che questo ragionamento non è applicabile ai raggi multipli di 2* specie, risultando allora la C"** di genere < p. 27. — Consideriamo ora una retta / passante per un punto singolare S, il quale sia vertice di un cono di ordine % contenuto nella congruenza, e sia un punto 2iP° per la superficie focale di questa. Il numero x, di quelle intersezioni di Z con una (P) che cadono fuori di S si potrà determinare con un ragionamento analogo al prece- dente, cambiando soltanto l’ordine n +3 della C7** piana in n +3 — A, e il numero y=2p+ 4 dei punti doppi della 9g} in 2p +4 —2i (poichè tante sono le interse- zioni di ? colla superficie focale, fuori di S). Avremo perciò la relazione: 4(n+3—h=22z,+4(@p+4— 2) +6 dalla quale si ricava: cx =(2n — p+1)—(A—d. La superficie (P) avrà dunque nel punto S la multiplicità 2h — î; vale a dire: (1) Questi gruppi sono segati dalle terne di generatrici della rigata R"** che escono dalle in tersezioni di { colla superficie focale. — Avvertiamo poi che la questione qui risoluta rientra in una notissima di geometria sopra una curva algebrica (v. la Mem. cit. del sig. Sere, pp. 57-58). NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 27 Le superficie (P) hanno la multiplicità 2h — 3 in ogni punto singolare il quale sia vertice di un cono ellittico di ordine h di raggi della congruenza; vi hanno invece la multiplicità 2h — 2 se questo cono è razionale, senza però che da quel punto escano raggi isolati della congruenza; e hanno la multiplicità 2h — 1 in ogni punto singolare dal quale esca un raggio isolato della congruenza. i 28. — Anche ad ogni retta / dello spazio si può collegare rispetto a una data congruenza (m, n) un certo luogo di punti, e precisamente una certa linea (2) (*). Indicheremo con questo simbolo la linea luogo dei punti dai quali escono coppie di raggi della congruenza contenute in un piano passante per la data retta /; in altri termini, la curva doppia della rigata costituita dalle rette della congruenza .che si appoggiano ad /. Questa curva incontra la retta / in r punti (tanti precisamente, quant'è il rango della congruenza), e incontra ancora ogni piano per l in (3) punti; essa è perciò di ordine È + r; dunque per n=3,r=2n —p— 2, di ordine: (3}+onp—a=[ti*)-p—s= oMet0 a Questa curva (per m= 3) avrà come punti tripli tutte le sue intersezioni colla su- perficie 9, perchè i tre raggi della congruenza uscenti da un tal punto (supposto non singolare) dovranno stare tutti nel piano passante per quel punto e per /, e determineranno perciò a due a due tre piani (coincidenti) passanti tutti per /. Questi stessi punti saranno pure tripli per la rigata R"* di cui la (2) è curva doppia. E ogni . ° a » 5 < plo punto singolare vertice di un cono di ordine % sarà 4P° per la R"*° e | 5) per la curva (2). $ 4. Carattere t di una congruenza. Espressione del genere numerico mediante è caratteri n, p, t. 29. — Insieme ai due caratteri di una congruenza di rette che abbiamo con- siderati ai ni 22-23 e che sono fra loro duali, l’ordine cioè della superficie @ e la classe dell’inviluppo yw, occorre considerarne un terzo, duale di sè stesso, e meno facile a determinare: il numero t delle terne di raggi della congruenza contenute în un fascio, e tali ancora che il centro di questo fascio appartenga a un piano assegnato, e il piano dello stesso fascio appartenga a una determinata stella. Questo numero t è altresì l’ordine della curva luogo di quei punti P della superficie @ dai quali escono tre raggi della congruenza contenuti in un medesimo piano di una data stella A (curva che chiameremo brevemente la “ €‘ corrispondente al punto A ,); e, dualmente, la classe della sviluppabile formata dai piani rt che contengono una terna di raggi della congruenza formanti fascio intorno a un punto di un piano assegnato. Questa svi- luppabile sarà naturalmente contenuta nell’inviluppo 00° y. (5) Srurm, Op. cit., II, p. 2, n° 289. 280 GINO FANO Questo carattere # fu anche considerato dal Sig. ScHuMACRER, il quale però si è limitato a determinarlo in qualche caso particolare, e a fissarne un confine supe- riore (Mem. cit., pag. 115), che per una congruenza di 3° ordine non è mai raggiunto (tranne che per n=2,p= 1). ì Ma nel caso di una congruenza di 30 ordine il numero # è legato al numero dei raggi multipli (doppi e tripli) di prima specie da una relazione che può stabilirsi facilmente. 30. — Cerchiamo come debba comporsi, nel caso di una congruenza di 3° or- dine, l’intersezione della superficie @ con una (P) generica: intersezione che deve essere complessivamente di ordine (n — p— 1)(2n—-p+1). I punti della superficie p godono della proprietà caratteristica che i tre raggi della congruenza che ne escono stanno in un piano. Per quei punti di essa che stanno in pari tempo sopra una data (P), il piano dei tre raggi, supposto determinato, dovrà dunque passare per il punto P corrispondente a questa (P); e il luogo di tali punti sarà la curva C' (n. 29) corrispondente al punto P. Questa curva sarà anzi tripla per la superficie (P) considerata, perchè per ogni punto di essa i piani determinati dai tre raggi della congruenza a due a due (coincidono e) passano tutti per P. All’infuori di questa curva, che conterà come parte di ordine 3t nell’intersezione complessiva, le due superficie @ e (P) non avranno a comune che i raggi doppi e tripli (di prima specie) della congruenza, dei quali i primi (cfr. ni 23, 26) saranno rette semplici di entrambe le superficie, mentre i secondi saranno doppi per @ e tripli per (P). Indicando pertanto con d il numero dei raggi doppi e con d, il numero dei raggi tripli (sempre di prima specie), avremo la relazione: (1) 8t+d+6d4,=(n-p—-1)n—-p+1) Conviene però osservare che, se vi sono raggi tripli v di prima specie, ciascuno di questi può considerarsi come parte della curva C' corrispondente a un qualsiasi punto P (potendo assumersi come piano dei tre raggi sovrapposti uscenti da un punto qualunque di v il piano determinato dalla retta «, comune sostegno di quei raggi, e dal punto stesso P). Se perciò nell'ordine # di questa curva intendiamo già com- putati anche gli eventuali raggi tripli di prima specie della congruenza, potremo dare alla stessa relazione la forma più semplice: (1°) st+d=(n—-p—_1)Qn_-p+1) dove il termine d sostituisce la somma d + 3d, di poc'anzi; vale a dire d indica il numero dei raggi doppi di prima specie, computati fra questi anche i raggi tripli, come equivalenti ciascuno a tre raggi doppi. Per una congruenza di 3° ordine priva di raggi multipli di prima specie sarà dunque : (-p—1Qn-p+1) . 3 , => e in ogni caso questo valore sarà un confine superiore di # (inferiore, in generale, a quello del sig. SCHUMACHER). LE int mr Lat NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 29 x Nel nostro ragionamento si è supposto implicitamente p< n —1; se no non esisterebbe la superficie p. Ma abbiamo già detto che, se p= n — 1, da nessun punto non singolare escono tre rette della congruenza contenute in un fascio; sarà dunque allora» == 0'e:.d. = 0 81. — Vediamo ora quale sia il significato di # rispetto alla superficie immagine della data congruenza in S;; e quale relazione passi, nel caso di una congruenza di 3° ordine, fra il genere numerico di quella superficie, ossia della stessa congruenza, e i vari caratteri di questa già stati considerati. La superficie F"*", immagine (nello spazio S;) di una data congruenza (m, x), si proietta da una retta qualunque « della Mi fondamentale (non.incidente ad essa) in una superficie f (semplice, se la u è stata scelta in modo generale) dello spazio $3 e dello stesso ordine m + x, con un punto m?°(A) e un punto n?° (B), proiezioni rispett. degli m e » punti di F che stanno nei due piani 0 e 8 della Mî passanti per «. — Le corde di F incidenti ad « daranno origine a una curva doppia della superficie f"t", la quale nei due punti A e B avrà rispett. le multiplicità (5) e ( i ) \ Le intersezioni ulteriori di questa curva doppia con un piano passante per la retta AB proverranno da quelle corde di F, che si appoggiano a «, e stanno in un Sy pas- sante per i due piani a e f, ma non in uno di questi piani; e il loro numero (come si vede facilmente) è eguale al rango r della congruenza. La superficie f"*" avrà dunque una curva doppia di ordine (i) + (7 1+r0; e all’infuori di questa non avrà che (eventualmente) dei punti multipli isolati, se (come abbiamo supposto fin da principio (n. 10)) la congruenza proposta non ha infi- nite rette multiple, e la superficie F"*" non ha perciò già essa una curva multipla. Il genere p delle sezioni piane di f"*" (che è poi il genere sezionale della congruenza) sarà perciò legato ai caratteri m, n, r dalla relazione: (i) (t)- che si riduce alla forma già nota (n° 2): pem_-1)n—-1l)-r. 32. — La superficie f avrà anche in generale un certo numero di punti tripli, i quali saranno pure tripli per la sua curva doppia. Essi provengono dalle trisecanti della superficie F, che si appoggiano ad uv. — Alla retta « della quadrica fondamen- tale corrisponde nello spazio di rette un certo fascio di raggi P (©); e ad ogni tri- secante di F la quale si appoggi ad w corrisponderà perciò una terna di raggi della (4) Per una congruenza contenuta in un complesso lineare non speciale (m=n=%, r=0) la superficie immagine F"+" = F°* starebbe in uno spazio S;; e da una retta generica della M$ fon- damentale (non contenuta in questo Sy) essa sì proietterebbe in una f* di $3, la cui curva multipla sarebbe costituita da una conica XP, 30 GINO FANO congruenza contenuta in un fascio, e tale che questo fascio abbia un raggio a comune con P (rr); abbia dunque il suo centro nel piano t, e il suo piano passante per P. Il numero di queste terne di raggi è dunque quello che abbiamo indicato con + (n° 29). Diremo perciò: La superficie f"*" ha, all'infuori dei punti multipli A_e B, anche t punti tripli, i quali sono pure tripli per la sua curva doppia. Nel caso particolare di una congruenza di 3° ordine, la superficie immagine F"** si proietterà in S; secondo una superficie f"**° con una curva doppia di ordine: (3)+3+-=(1)+20—2+1=("5°)-2 la quale avrà un punto multiplo di ordine toa t-+1 punti tripli (includendovi anche A), che saranno tripli anche per la superficie. Ai raggi doppi e tripli di 1 specie della congruenza devono corrispondere sopra f"*° punti rispett. doppi e tripli, ma impropri, e quindi appartenenti alla curva doppia dianzi considerata; anzi i punti tripli saranno tali anche per la curva doppia. E questi ultimi risulteranno già computati nei t +1 di cui sopra, se a t diamo (come daremo sempre) il significato convenuto a proposito della formola (1') del n° 30. Ai raggi doppi e tripli di 2° specie della data congruenza, quando ve ne siano, corrisponderanno invece sopra f"*° dei punti multipli isolati. In generale, si può dire che questi consisteranno in punti doppi non appartenenti alla curva doppia, e in punti tripli i quali o non apparterranno affatto alla curva doppia (punti tripli non apparenti), oppure saranno per essa punti generici (punti tripli apparenti). Ù che sarà n° per la superficie; e 33. — Conoscendo pertanto i caratteri della superficie f"** (che per il momento supporremo priva di punti multipli isolati), è facile calcolarne il genere numerico py. Questo carattere non è altro che il numero virtuale delle superficie di ordine inferiore di quattro unità alla proposta, che sono aggiunte ad essa e linearmente indipendenti ('); nel nostro caso dunque il numero virtuale delle superficie di or- dine n — 1 e linearmente indipendenti, che contengono la curva doppia (è) della f*#3. Se questa curva doppia non avesse che un certo numero T di punti tripli (i quali fossero tali anche per la superficie f"**) sarebbe per una nota formola (?): n(n n 7 Ù 2 dove m è il genere della curva òd. Nel nostro caso, oltre ai #t +1 punti che sono tripli per è e per f"*?, vi è un n altro punto, nP° per la superficie f"*? e | 3 l i per la curva è; e questo punto equi- (!) Cfr. ad es. EnrIques, Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche, “ Mem. della Soc. Ital. delle Scienze , s. III, t. X, 1896, p. 70. (3) Quest’espressione del genere numerico di una superficie (secondo la denominazione odierna) fu data per la prima volta da Caytey, “ Math. Ann. ,, 8. Zeurmen, ‘ Math. Ann. ,, 4 e NoetsrR, © Math. Ann. ,, 8 ne dimostrarono poi l’invariantività rispetto a trasformazioni birazionali. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. Sai vale a (s) punti tripli analoghi ai precedenti (tanti quante sono le diverse terne che possono formarsi cogli n punti semplici ivi soprapposti). Dovremo dunque porre: n St Anche il genere t della curva è può esprimersi in funzione dei soli caratteri 1 n, p, t. E dico precisamente che la curva proiezione di è dal suo punto pap la quale è di ordine 2n —p +1 e ha #+-1 punti tripli (proiezioni di quelli di è), non ha, all’infuori di questi, altri punti multipli. — Infatti, se ne avesse altri, questi dovrebbero provenire da punti doppi apparenti di è rispetto al suo punto | Sn al- lora i raggi proiettanti relativi dovrebbero stare sopra f"** (avendo a comune con questa almeno n + 4 punti), e sarebbero perciò proiezioni di rette di F"** incontranti il piano f della quadrica fondamentale. Ora la retta v (asse di proiezione) si può certo prendere in modo che i due piani a e 8 per essa non incontrino nessuna retta di F (anzi, se n>1, nessuna linea, la quale sia immagine di un cono o inviluppo singolare della congruenza); e allora la curva proiezione di è non avrà certo che i t4+ 1 punti tripli. Il genere m di è sarà dunque quello di una curva piana di ordine 2n—p +1 avente (soltanto) t +1 punti tripli; vale a dire: pe OR) Sostituendo pertanto nell'espressione di pn a T e m questi loro valori, ed ese- guendo alcune riduzioni, si trova: —p—- 1) pb pra De PERCIO Volendo ora tener conto anche degli eventuali raggi doppi e tripli di 2 specie della congruenza, ossia dei punti multipli isolati che loro corrispondono sulla super- ficie f"!* (e che noi supporremo ordinari), basta introdurre una lieve modificazione nel risultato finale. Anzitutto i punti doppi (ordinari) non influiscono affatto sul ge- nere numerico della superficie. E i punti tripli influiscono soltanto quando siano now apparenti; e in tal caso ciascuno di essi, dovendo appartenere (come punto semplice) alle superficie aggiunte della proposta, diminuisce di un’unità il valore di p,. Se in- dichiamo dunque con t il numero di quei raggi tripli (di 2° specie), ai quali corri- spondono sulla superficie immagine della congruenza punti tripli isolati non appa- renti (e tali sono ad es. tutti i punti tripli a cono tangente irriducibile ellittico), avremo: PE arti et?) de RI GINO FANO dI DO 34. — Dall’espressione trovata di p, si ricava: Pps vi denaro EURI espressione valevole per ogni congruenza (3, x) non contenuta in un complesso lineare. D'altronde, nelle congruenze contenute in un complesso lineare non si fa nemmeno luogo alla considerazione del carattere +. Ricordando ora la relazione (1') del n° 30: st+d=(n—-p—1)(n—-p+1) e sostituendo a # il suo valore testè determinato, ricaviamo: n_-p—_ 1)(n _ e) formola che dà il numero dei raggi doppi di prima specie di una qualsiasi con- gruenza (3, n) non contenuta in un complesso lineare, essendo fra questi computati anche gli eventuali raggi tripli (di prima specie), ciascuno come equivalente a tre raggi doppi. Vedremo ad es. che per gli stessi valori n = 9, p= 4, sono possibili i tre casi: Po=— 1, 1=90,4 =15 (0°.52); pi = — Did =418) (n°655) pia) di AZIO): 85. — La superficie focale di una congruenza di ordine > 3 ha in generale una curva cuspidale, luogo dei punti pei quali non soltanto due, ma tre dei raggi della congruenza che ne escono sono venuti a coincidere. Il Sig. ScaumacHER ha determi- nato (Mem. cit., pag. 124) l'ordine R di questa curva, per il caso di una congruenza (m, n) di rango r priva di raggi multipli; e ne ha trovata l’espressione: R=3 (m+n—2)(2—») +12} dove # è il solito carattere da noi definito al n° 29. Per una congruenza di 3° ordine (m = 3), ricordando che r =2n—p—2, si ricava subito: (1) R=3/@m+D(p+2- 3) +1-2nf. Questa stessa formola è pure valida per ogni congruenza avente raggi multipli di prima (ma non di seconda) specie, purchè a # si dia il valore convenuto per la formola (1’) del n° 30. Ciò è conseguenza immediata del fatto che il ragionamento del Sig. ScnumacHer è basato soltanto sulla considerazione della superficie f"*" di Sg (n° 32-33), e del numero (che è sempre = #t) dei punti tripli per essa e per la sua curva doppia. I raggi doppi di seconda specie (ordinari) non influiscono nemmeno sul valore di R. Vi influiscono invece i raggi tripli di 2° specie, i quali possono anzi conside- NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. TS rarsi essi stessi come facenti parte della curva cuspidale (n° 15). — Indicando in questo caso con R l'ordine della curva cuspidale residua (astrazion fatta da quei raggi), si trova, rifacendo il ragionamento del Sig. ScHuMACHER, che ogni raggio triplo di seconda specie (ordinario) produce, in generale, nel valore dato dal secondo membro della (1) un abbassamento di sei o di tre unità, secondo che il punto corrispondente sopra f"'° è non apparente oppure apparente. Se dunque indichiamo con t' il numero dei raggi tripli a cui corrispondono punti tripli apparenti, avremo più generalmente: (2) R=35M+bD(p+2-—4)+t-21—v- 2}. Introducendo ora in luogo di # il suo valore trovato al n° preced., e riducendo, si trova: LR bd ì (2) asi +1-n—-8t—-7v}. Osserviamo ancora che, quando non vi siano raggi multipli di prima specie, essendo (n° 30): (—-p—1)nT—-p+1) 3 pe= si potrà sostituire nella (2) quest’ultimo valore di #, e valersi perciò, anzichè della (2'), di quest'altra espressione: R= 0208 Lu (p41)(p+2)_6r—87 la quale, se non vi sono affatto raggi multipli (ovvero anche se vi sono soltanto raggi doppi di 2 specie) si riduce a: R= ©2029 L(p+1)(p+2) $ 5. Congruenze prive di raggi multipli. Loro genere sezionale. 36. — Occupiamoci ora più particolarmente delle congruenze (3,7%) prive di raggi multipli di prima specie. Anche per queste vi è un caso in cui si può dimo- strare facilmente che il loro genere sezionale è < 4; il caso in cui esse contengono un fascio di rette, il cui centro sia punto doppio per la superficie focale. Si abbia una congruenza (che possiamo supporre priva di raggi multipli di prima specie) contenente un fascio di rette P del tipo indicato. Ogni raggio di questo fascio avrà in P stesso uno dei propri fuochi; sarà tangente alla superficie focale nel suo secondo fuoco, distinto in generale da P; e incontrerà ulteriormente questa superficie in altri 2p punti. Il piano n del fascio sarà dunque tangente alla super- Serie II. Tom. LI. E 34 GINO FANO ficie focale lungo tutta la linea luogo dei secondi fuochi dei raggi del fascio P (1); e l’incontrerà ulteriormente secondo una linea di ordine >2p. Anzi la linea luogo di quei secondi fuochi sarà precisamente una conica passante per P (e non una retta), perchè, come il cono tangente alla superficie focale in un suo punto singolare deve essere di classe >2 (n° 8), così, dualmente, deve essere di ordine > 2 la linea di con- tatto di essa con ogni piano singolare. E il piano t, essendo tangente alla superficie focale lungo una conica, dovrà contenere, all’infuori del fascio P, altre n — 2 rette della congruenza (!). Queste n — 2 rette, fra le quali possiamo supporre non vi siano raggi multipli di prima specie, si incontreranno a due a due in Lobli punti tutti distinti (?), perchè se no si avrebbero nel piano r almeno quattro raggi concorrenti in un punto diverso da P: ora, se ciò avvenisse, questo punto sarebbe singolare e vertice di un cono di raggi della congruenza di ordine>4 (o di un cono cubico razionale, se uno dei quattro raggi fosse isolato rispetto ad esso); sicchè questo cono avrebbe genera- trici multiple, e quindi la congruenza avrebbe dei raggi multipli di prima specie (3). — Di quegli ea punti, ve ne saranno x — 3 sopra ciascuna delle n — 2 rette; e dovranno tutti appartenere alla superficie p, oppure saranno punti singolari. Ma sulla superficie @ (che non contiene le n — 2 rette, perchè per un punto generico di una di esse due dei tre raggi della congruenza che ne escono stanno nel piano q, e il terzo fuori di questo piano) potranno stare al più n — p — 1 di quegli stessi punti (nes- suno, se p= — 1); dunque almeno (n — 3) — M—p —1)=p—2 di essi saranno punti singolari. 1 D'altra parte questi punti sono allora i secondi fuochi dei raggi del fascio P (1) cui essi rispett. appartengono (4); dunque staranno sulla conica di contatto del piano colla superficie focale; e di qui segue p — 2<2, ossia p <4, c. s. v. d. 37. — Resta ora a vedere quale possa essere il genere sezionale di una con- gruenza priva in pari tempo di raggi multipli di prima specie, e di fasci di rette aventi il centro in un punto doppio della superficie focale. Questa stessa congruenza si potrà anche supporre priva di raggi tripli di seconda (!) Più generalmente, un piano il quale tocchi la superficie focale lungo una curva di ordine yY, contiene, oltre al proprio inviluppo singolare, altri n — Y raggi isolati della congruenza (teorema duale di quello del n° 6): cfr. Srurx, Op. cit., II, p. 11, n° 295. (®) Anche se vi fosse in 7 qualche raggio doppio di 2* specie, questo non farebbe eccezione, trattandosi di due raggi che hanno sempre in t un’intersezione ben determinata. (3) Si potrebbe anche pensare che questo punto fosse centro di un secondo fascio di rette della congruenza, appartenente pure al piano m. Ma allora, se p> 4, e perciò n > 5, vi sarebbero nel piano T, all'infuori dei due fasci, ancora » — 4 e perciò almeno due raggi della congruenza; e per il punto d’incontro di questi due passerebbero di nuovo quattro raggi di un fascio. (4) A dir vero, potrebbe anche supporsi che, per qualcuno di questi punti singolari, il raggio del fascio P(m) che lo contiene fosse isolato, e il punto stesso non fosse perciò fuoco di tale raggio. Ma si tratta di un punto dal quale escono già tre raggi della congruenza contenuti nel piano q, e che per ipotesi non appartiene alla superficie 9; dunque esso non può essere centro che di un fascio di rette (v. Nota prec.), oppure di un cono cubico ellittico, nel qual caso non vi sono raggi isolati. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 35 specie (n° 18), il che ci dispenserà da alcune considerazioni ulteriori che la pre- senza di tali raggi avrebbe richieste. Cominciamo col ricordare l’ultima formola del n° 35, che esprime l’ordine della curva cuspidale della superficie focale di una congruenza (3, ) priva di raggi mul- tipli, o anche avente soltanto dei raggi doppi di 2* specie (il che si sottintenderà nel seguito di questo $). Vale a dire: R= 28284 (p+1(p+2). La superficie focale della congruenza, non avendo altra curva multipla all’infuori della curva cuspidale (!), sarà perciò di rango: P=(@2p LO54+3)—3R=p-+2)@43,— 328 e questo numero sarà certamente > 0. Dunque: Per ogni congruenza di 3° ordine priva di raggi multipli sussiste la diseguaglianza : E Ora, per p3 ha una linea cuspidale, luogo dei punti per cui coincidono tre dei raggi della congruenza che ne escono. Questi raggi, ciascuno dei quali conta come tre rispetto a un suo (') Scompaiono dunque da questa relazione (e così anche dall’altra che troveremo al n° 41) tutti quei coni i cui vertici sono punti quadrupli della superficie focale (ossia quei coni razionali, dai cui vertici non escono raggi isolati della congruenza). Questo è d'accordo col fatto, che una congruenza può acquistare o perdere coni di questo tipo (cfr. ad es. $ 10) senza che si alteri nes- suno dei suoi caratteri. — Avvertiamo inoltre che nell’applicare la relazione scritta di sopra bisogna tener conto dell’ultima nota al n° 24. 38 GINO FANO punto determinato, formano una rigata, della quale il Sig. ScaumacHER ha determi- nato l’ordine (!). E questo ordine, per una congruenza (m,n) di rango r (anche con raggi multipli), è espresso dalla formola: L= 4}3mm—-2(m+n—3ri. Per una congruenza di 3° ordine, introducendo in luogo di r la solita espres- sione 2n — p — 2, si avrà dunque: L=4(n+3p). Nella rigata avente l’ordine L così determinato sono però ancora compresi tutti indistintamente î coni singolari della congruenza (2); indicando perciò con » l’ordine di uno qualunque di questi coni, scriveremo più esattamente e prescindendo dalla con- siderazione dei coni stessi: L=4(n+3p)—Xh dove la somma X s'intende estesa a tutti i coni singolari della congruenza (*). D'altra parte, nel caso di una congruenza di 3° ordine, le generatrici di questa rigata (TM) di ordine L sono anche le sole rette della congruenza che incontrano la curva cuspidale (1) della superficie focale, almeno fuori dei punti singolari; questa rigata dovrà dunque coincidere, colle debite cautele relativamente ai coni singolari, con quella che è costituita dalle rette della data congruenza che si appoggiano alla curva Y. Ora quest’ultima rigata, quando si indichi con R l’ordine della curva Y, è di ordine R (n +3); ma da essa si staccheranno tutti quei coni singolari che hanno il vertice sopra Y, vale a dire quelli dal cui vertice non esce nessun raggio isolato della congruenza. E precisamente ciascuno di questi coni si staccherà tante volte, quanta è la multiplicità del suo vertice per la curva Y; cioè tre volte o nove volte, (1) Mem. cit. dei Mathem. Ann., 37, p. 126. Questa rigata è chiamata dall’A. “ die Regelfliiche, welche die Riickkehreurve der Brennfliche triigt ,. (*) Rappresentata infatti la congruenza con una superficie F"+* dello spazio S;, la questione si riduce facilmente a determinare quanti piani e, del sistema dei punti sulla M} fondamentale siano osculatori a una qualche curva tracciata su F in un punto di un determinato:spazio S,, ossia della curva (C secondo cui tale S, incontra la F. (A dir vero, il sig. ScHumacHER ragiona sopra una F"+3 di S,, che è proiezione della nostra da un punto della M{ fondamentale; ma ciò non fa differenza). Ora, ad ogni cono di ordine % (1) contenuto nella congruenza corrisponde un piano e, che ha a comune con F una linea pure di ordine #; e questo piano può considerarsi come osculatore a tale linea in ogni punto di essa, in particolare nelle sue % intersezioni colla C. Il piano stesso viene dunque contato » volte nel numero che si tratta di calcolare. (8) Una conferma di questa riduzione che bisogna far subire all'ordine L ci è data dalle con- gruenze di 2° ordine. Per queste, essendo m=2, r=n—2, l’espressione prima di L diventa =4(n+-2). D'altra parte in una congruenza di 2° ordine la superficie focale non ha curva cuspi- dale; dunque quella rigata di ordine 4(n + 2) deve essere tutta costituita dai coni singolari. E in- fatti, per una nota formola (Sturm, Op. cit., II, p. 48, n° 814. Cfr. anche Masont, “Rend. Ace. di Napoli ,, vol. 22) la somma degli ordini di tutti i coni singolari di una congruenza (2, n) priva di linea singolare vale appunto 4(x +2). — Bisogna però avvertire che, se vi sono raggi doppi di 2 specie, i coni singolari aventi i vertici sopra questi vanno computati due volte nella somma (e sono i “ bindre Kegel , di Sturm, Op. cit., II, p. 197, n° 402; p. 807, n° 475). Lo stesso avviene anche per le congruenze di 3° ordine e per i raggi tripli di 2* specie. I En NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 39 secondo che si tratta di un cono razionale od ellittico. Infatti le tangenti alla curva cuspidale y in uno qualunque di questi punti singolari sono precisamente le genera- trici di regresso del cono che ivi tocca la superficie focale; e questo cono, che è sempre di 3? classe, o è razionale e di 4° ordine, e allora ha tre generatrici cuspi- dali; oppure è ellittico e di 6° ordine, e allora ha nove generatrici cuspidali (!). L’or- dine della rigata residua (dopo tolti questi coni, colle rispettive multiplicità) dovrà ancora dividersi per tre, perchè, siccome per ogni punto di y i tre raggi della con- gruenza che ne escono coincidono tutti, e coincidono con una generatrice di T, così l'intersezione residua che noi avremo ottenuta sarà bensì la rigata T, ma contata tre volte. — Adoperando pertanto i simboli sommatori X,, Z3, 23, 2 cogli stessi signi- ficati che abbiamo loro attribuiti al n° preced., potremo scrivere la relazione: 1 dan = tal) gr 0 Li 34 ) E svolgendo la somma Xh = Z;h + Z.h + 334, la stessa relazione assumerà la forma: (1) le a lea Ai 42. — Occupiamoci ora più particolarmente delle congruenze prive di raggi mul- tipli. Per queste si dovrà porre (n° 35): R= 22023 L(p+1)(p+2) e inoltre: 2h=x,4 2x9 Zghi=:3%3. La relazione (1’) del n° preced. assumerà dunque la forma: 4(n+-8p—er—2o,= POETS L (pt 1)(p+2)} — 62. E di qui, sostituendo a x, e x3 le loro espressioni trovate al n° 39, ricaviamo: er +-3p)+0D 2 P_2+ 20 p— IL mt (p+2). Se vi è dunque qualche congruenza priva ad un tempo di raggi multipli, e di fasci di rette il cui centro sia punto doppio per la superficie focale, la classe » e il ge- (4) Ed è invece di 2° ordine e 2* classe, e perciò privo di generatrici cuspidali, per quei punti singolari dai quali esce anche un raggio isolato della congruenza. — In quanto è detto di sopra, il cono (di 3° classe) tangente alla superficie focale si è supposto implicitamente irriducibile; ma se anche si spezzasse, la multiplicità di quei punti singolari per la linea Y resterebbe in generale la stessa. (®) Se vi sono nella congruenza dei raggi tripli di 2* specie, questi si possono considerare come facenti parte della curva cuspidale; e occorre perciò qualche avvertenza sul modo di applicare que- st'ultima formola. Si può allora designare con R l'ordine della curva cuspidale residua, astrazion fatta da quei raggi tripli (cfr. n° 35); ma bisogna ricordare che i coni singolari aventi i vertici sopra tali raggi non compariranno allora affatto nel secondo membro della (1), e i loro ordini (opportunamente computati; cfr. la 2* nota a questo n°) dovranno perciò ancora sottrarsi dal primo membro della (1°). 40 GINO FANO nere sezionale p di essa dovranno annullare quest’espressione di x;. E sappiamo anche (n° 37) che per queste congruenze p non può avere che uno dei valori n — 1, n — 2, n-—3, n — 4. Siamo dunque sicuri di poter determinare tutte queste congruenze con un numero finito di operazioni. Eguagliamo a zero l’espressione di x,, e poniamo in essa p= n — 4. Troviamo così per n l’equazione: 3n3 — 16n° + 93n — 222 =0 che non ha soluzioni intere e positive. Facendo poi p =în — 3, si trova l’equazione: dn — 46n? + 245n — 450 =0 colla soluzione n= 5, la quale richiederebbe fosse p= 2. A questa soluzione corri- sponderebbe per «3 (n° 39) il valore 3; si tratterebbe dunque di una congruenza (3, 5) di genere sezionale 2 contenente tre coni cubici ellittici. E ciò non è possibile, poichè una congruenza di genere sezionale 2 non può contenere coni ellittici (n° 65); se ne contenesse uno, per una retta generica uscente dal vertice di questo cono la solita rigata (riducibile) R"** sarebbe di genere >3, il che va escluso. Anche per p= n — 2 si ha l’equazione: ans — din? + 207n — 270=0 priva di radici intere e positive. Infine, ponendo p=n—1, troviamo l'equazione : n° — 14n° + 55n — 42=0 che ha le tre radici n = 1, n= 6, n= 7. La prima di queste conduce a una con- gruenza (3,1) di genere sezionale zero, che è infatti priva tanto di raggi multipli quanto di fasci di rette, ed è anzi completamente priva di punti singolari: la con- gruenza duale del sistema delle corde di una cubica sghemba. Le altre due solu- zioni n= 6 e n=7 lasciano intravedere come possibili una congruenza (3, 6) di genere sezionale 5, e una congruenza (3,7) di genere sezionale 6. L’effettiva esi- stenza di queste due congruenze verrà dimostrata negli ultimi due $$ di questa Memoria (!). E saranno esse — possiamo già affermarlo — le sole congruenze di 3° ordine - prive di linea singolare e di genere sezionale > 4. Possiamo dunque riassumere tutti i risultati fimora ottenuti nel seguente enunciato : Le congruenze di rette del 3° ordine prive di linea singolare sono tutte di genere sezionale =4, fatta eccezione soltanto per: una congruenza (3, 6) di genere sezionale 5; e una congruenza (3,7) di genere sezionale 6. (1) Nel mio lavoro: Aggiunta alla Nota: Sulle congruenze di rette del 3° ordine prive di linea sin- golare, “ Atti della R. Acc. di Torino ,, vol. XXXI, sono incorso, a proposito della congruenza (3, 7) di cui sopra, in un errore. Proiettando la superficie F!'° immagine della congruenza da una sua tri- secante sopra S;, si ha una F' contenente tre rette, immagini rispett. delle tre intersezioni di F"° colla trisecante considerata. E la presenza di queste rette sulla F° non permette di concludere, come io avevo fatto al n° 6 della Nota cit., che vi è incompatibilità fra le diverse proprietà di cui la F!°, e quindi la congruenza (3, 7), supposta esistente, avrebbe dovuto godere. 4 A pv NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 41 Di queste due ultime congruenze possiamo affermare sin d’ora che saranno prive di raggi multipli (a meno forse di qualche raggio doppio di 2° specie) e prive altresì di punti singolari dai cui vertici escano raggi isolati della congruenza. La prima di esse conterrà 10, e la seconda 20 coni cubici di genere uno. 43. — Le considerazioni svolte in questo $ si potrebbero anche sostituire in parte con altre, più brevi forse, ma che condurrebbero a un risultato un po’ meno preciso: tale però sempre, da poter servire di base al teorema generale del pros- simo $. Trattandosi di argomento piuttosto difficile, non sarà male indicare breve- mente anche quest'altra via che si sarebbe potuta tenere. Procedendo secondo quest'altra via, si sopprimerebbero completamente i n' 36, 41 e 42. Cominciando col n° 37, e facendo del risultato finale di questo n° uno studio più accurato, si potrebbe concludere che anche le due ipotesi p=n—4 e p=n—3 non conducono a nessuna congruenza per la quale sia p > 5. L'ipotesi p=n — 2, per p> 5, ossia » > 7, rende fratto o negativo il numero x» calcolato al n° 39, e si deve perciò escludere. Supposto infine p= n — 1, si possono considerare le inter- sezioni di tre superficie (P), di ordine r +-3 = +- 2, corrispondenti a punti i quali siano le mutue intersezioni di tre raggi della congruenza contenuti in un piano gene- rico. Queste tre superficie non possono avere che un numero finito di intersezioni; e d'altra parte, considerando quelle intersezioni che cadono nello stesso piano nomi- 4 ° la RES È a nato, nonchè nei vertici degli | 3 coni cubici della congruenza, se ne ha un numero il quale, per x > 7, supera il prodotto (n + 2)? degli ordini delle tre super- ficie. Si conclude perciò che dovrà essere n<7, e p<6; sicchè soltanto in quest’ul- tima ipotesi (p=» — 1) il genere sezionale potrà arrivare al valore 6: negli altri casì esso sarà sempre “5. Si avrebbe dunque il risultato (meno preciso, ma sufficiente per il seguito): “ Le congruenze (3, n) prive di linea singolare sono tutte di genere sezionale £ 5, “ fatta eccezione soltanto (eventualmente) per una congruenza (3,7) di genere se- zionale 6 ,. $ 6. Un teorema generale sulle congruenze (3, n). 44. — Facciamo astrazione in questo momento dalla congruenza (3, 7) di genere sezionale 6, e così pure (come sempre dal n° 21 in qua) dalla congruenza (3, 3) con- tenuta in un complesso lineare. Per tutte le altre congruenze (3, n) prive di linea singolare noi abbiamo dimo- strato che il genere sezionale pè <5; e sappiamo anche che per esse è p2p—_2. Serre II. Tom. LI. F 42 GINO FANO Queste congruenze sono dunque rappresentate in S; da superficie aventi le sezioni iperpiane di un certo genere p e di ordine > 2p—2. Ora, per un teorema gentilmente comunicatomi dal signor CASTELNUOVO, e dovuto a lui stesso e al signor EnRIQUES(!), ogni superficie algebrica a sezioni di genere p e di ordine > 2p — 2 è razionale o riferibile a una rigata. Dunque: Ogni congruenza (3, n) priva di linea singolare e non contenuta in un complesso lineare — fatta eccezione eventualmente per la congruenza (3,7) di genere sezio- nale 6 — sì può rappresentare birazionalmente sul piano 0 sopra una rigata. Risulterà in seguito ($ 14) che la congruenza (83,7) di genere sezionale 6 non è infatti razionale nè riferibile a una rigata; e ha per immagine in S; una superficie regolare di genere zero e bigenere uno. E la superficie F° immagine di una congruenza (3, 3) contenuta in un complesso lineare non speciale è, in generale, una superficie regolare di genere uno; quindi anche non razionale nè riferibile a una rigata. 45. — Il teorema del n° prec. può completarsi, facendo vedere che, se una congruenza (3,n) è riferibile a una rigata non razionale, questa rigata è certo ellittica (2). Consideriamo infatti una congruenza (8,) della quale si sappia che può rappre- sentarsi birazionalmente sopra una rigata. Alle co! seneratrici di questa rigata (come luoghi di punti) corrisponderanno nella congruenza altrettante serie razionali 00! di rette, ossia altrettante rigate razionali R, formanti un sistema tale che ogni retta generica della congruenza appartenga a una e una sola di queste rigate. Per un punto generico dello spazio passeranno dunque tre rigate R. E la superficie focale della congruenza sarà l’inviluppo delle R. D'altra parte queste rigate, considerate come superficie dello spazio $;, saranno contenute nel sistema lineare di tutte le superficie aventi lo stesso loro ordine; e il loro sistema co! apparterrà perciò a un determinato sistema lineare di dimensione minima di tali superficie. E precisamente, trattandosi di un sistema co! (algebrico, irriducibile) d’indice tre, questo dovrà stare in un sistema lineare di dimensione £3; e anzi in una rete, ogni qual volta esso non sia razionale. Di più, in questo caso esso sarà certo di genere uno; e ciò è quanto si voleva dimostrare. Concludiamo pertanto: All’infuori della congruenza (3,7) di genere sezionale 6 e della (3,3) contenuta in un complesso lineare, ogni altra congruenza di 3° ordine priva di linea singolare è rappresentabile sul piano o sopra una rigata ellittica. In quest’ultimo caso, alle gene- ratrici della rigata corrisponderanno nella congruenza co! rigate razionali, formanti un sistema co! d’indice tre contenuto in una rete di superficie. (4) Cfr. una Nota dei sig.” CasreLnuovo e Enriques, nei “ Compt. Rend. de l’Acad.d. Sciences ,, novembre 1900, nonchè una Memoria degli stessi A. che è in corso di stampa negli “ Annali di Matem. ,. : (2) Cid va anche d'accordo col fatto che una rigata algebrica la quale contenga, all'infuori delle generatrici, una curva (semplice) razionale od ellittica — quale potrebbe essere nel nostro caso la curva corrispondente a un cono della congruenza — è anch’essa razionale od ellittica. Ma senza fermarci a chiarire ulteriormente questo punto, preferiamo il ragionamento usato di sopra, il quale ci preparerà anche la via pel seguito. rn N I. ME A e + NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 43 To mi propongo ora di dimostrare che le rigate R non possono avere curva doppia. Di qui seguirà ch’esse saranno di ordine “2, e non potranno essere perciò che quadriche. 46. — Indichiamo con | R| il sistema oo! delle rigate R, con X la rete di superficie contenente questo sistema 00!, e con S una superficie generica di questa rete. Le S passanti per un punto generico dello spazio formeranno un fascio, al quale apparterranno le tre R passanti per quel punto. a Consideriamo adesso una R arbitraria, e sia Ro; e, su di essa, una generatrice 9 e un fuoco F di questa generatrice. Poichè dei tre raggi della congruenza uscenti da F due coincidono con g, così delle tre rigate R passanti per F due coincide- ranno con Ro; e perciò il fascio delle superficie S passanti per F dovrà concepirsi come tangente al sistema |R| secondo l'elemento Ro. In questo fascio vi sarà poi un’altra R, distinta in generale da Ro, e che potrà considerarsi come tangenziale di Ro (secondo l’ordinario concetto di punto tangenziale di un altro sopra una cubica piana). D'altra parte, entro la rete X, il fascio tangente al sistema |R| in Ro è unico; si deve dunque trovare sempre lo stesso fascio comunque si scelgano sopra Ro la generatrice 9 e il fuoco F di questa. Di qui si conclude: La linea luogo dei fuochi delle generatrici di una rigata R (ossia la linea di con- tatto di questa R colla superficie focale) appartiene per intero a una seconda R com- pletamente determinata (la tangenziale della prima). E per un punto generico di questa linea non potrà passare nessuna R ulteriore. 47. — Supponiamo ora che Ro (ossia una R generica) abbia una curva doppia, non contenuta (per il momento) nella superficie focale della congruenza. Allora delle tre rette (distinte) della congruenza che passano per un punto generico di questa curva doppia, due saranno generatrici di Ro; dunque ancora delle tre R che passano per questo punto due coincideranno con Ro, vale a dire il fascio delle S passanti per questo punto sarà di nuovo il fascio tangente a | R| secondo Rs. E la curva doppia di R, apparterrà perciò anch’essa alla R tangenziale di R, (che indicheremo con R;). L'intersezione di una R qualunque e della sua tangenziale è dunque riducibile, e si compone di due parti affatto distinte; la linea di contatto di quella R colla superficie focale, e la curva doppia della stessa R. Di qui si conclude facilmente che anche l'intersezione (variabile) di due R qua- lunque, e perciò di due S qualunque, è una curva riducibile. Consideriamo infatti insieme a R, un’altra R qualunque, e sia R'; e facciamo avvicinare indefinitamente R' a R, (tangenziale di R,) entro il sistema |R]|, in guisa che ogni generatrice di R' e quindi ogni punto dell’intersezione RR’ si muova in modo determinato. Quest’intersezione tenderà a trasformarsi con continuità nell’intersezione R, R,. Ora, fra le intersezioni di una generatrice arbitraria g di R, con Ro, un certo numero % (fra distinte e coincidenti) apparterranno alla superficie. focale della congruenza, ossia alla curva di contatto di R, con questa superficie; e un certo numero 4’ appar- terranno invece alla curva doppia di R,. Se consideriamo: pertanto: una generatrice 44 GINO - FANO g' di R', la quale tenda (nel movimento di cui sopra) alla posizione g, è chiaro che, delle X + %' sue intersezioni con Ro, 4 avranno la proprietà che le due rette della congruenza uscenti da esse e distinte da g' tenderanno a coincidere; mentre ciò non avverrà per le rimanenti %#'. E da ciò si trae che, al variare della generatrice g' sopra R', i primi # punti dovranno avere per luogo una curva completamente distinta da quella che è luogo dei rimanenti %'; vale a dire l'intersezione R, R; sarà anche riducibile, c. s. v. d. Stabilito così che l’intersezione variabile di due R qualunque è riducibile, ne segue che nel fascio segato sopra una qualsiasi R dalle rimanenti, ogni curva si comporrà di due parti distinte, entrambe variabili. E queste parti dovrebbero anche appartenere rispett. a due diversi sistemi oo! di curve; perchè, facendo avvicinare indefinitamente due R, per tutti i punti di una delle due parti della loro interse- zione, due dei tre raggi della congruenza che escono da questo punto devono anche tendere a coincidere; mentre per i punti dell'altra parte ciò non avviene. Ora un fascio di curve di questo tipo, nel quale cioè la curva generica si componga di due parti variabili rispett. entro diversi sistemi 00!, non può esistere sopra nessuna super- ficie irriducibile; rimane dunque escluso che le R possano avere una curva doppia non appartenente alla superficie focale della congruenza. 48. — Supponiamo ora (se possibile) che ogni R abbia una curva doppia ap- partenente alla superficie focale della congruenza. Questa curva sarà allora una curva cuspidale, e le R saranno perciò sviluppabili (uno dei due sistemi di sviluppabili contenuti nella congruenza). Possiamo anche supporre che queste sviluppabili non abbiano altra curva doppia, all'infuori dei rispettivi spigoli di regresso (se no si ricadrebbe nell’ipotesi precedente); esse si comporranno dunque delle tangenti a altrettante cubiche sghembe. Le R siano dunque sviluppabili biquadratiche circoscritte a cubiche sghembe. Sia R, una di‘esse, e Yo la relativa curva cuspidale, la quale apparterrà anche alla R tangenziale di R,. Viceversa, le quattro RK aventi per tangenziale Ro avranno le proprie curve cuspidali sopra Ro stessa. Sia R' una di queste R aventi per tangenziale Ro, e g una generatrice di R, la quale sia una retta generica della congruenza; dunque una retta tangente alla super- ficie focale della congruenza in due punti (i suoi fuochi) e che l’incontri ulteriormente in 2p punti tutti distinti. Le quattro intersezioni di g con R', essendo fuochi delle generatrici di R' cui rispett. appartengono (e non di g stesso), cadranno tutte fra questi ultimi 2p punti. Ora, poichè la cubica di regresso y' di R' sta sopra R., vi sarà fra quelle interse- zioni un punto almeno (P’) di questa cubica; e non ve ne sarà nemmeno più di uno, perchè le generatrici g di R,, tutte tangenti alla cubica Yo, non possono essere in pari tempo corde di un’altra cubica y'. Nel punto P', che è doppio (e precisa- mente cuspidale) per R’, cadranno almeno due delle 4 intersezioni di g con R'; e si vede facilmente che non ve ne potranno cadere nemmeno più di due. Infatti, se ve ne cadessero tre, g dovrebbe stare nel piano osculatore a y' in P' stesso; e allora questo piano, contenendo la generatrice y di R, e la tangente in P' alla curva y' trac- ciata sopra Ro, sarebbe lo stesso piano tangente a R, lungo 9, e perciò un piano rr eoa NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 5° ORDINE, ECC. 45 osculatore a Yo; sicchè le cubiche ro e y' avrebbero gli stessi piani osculatori, il che non è possibile essendo esse distinte. Le rimanenti due intersezioni di g con R' sa- ranno dunque punti semplici di R’, e punti di contatto di R' stessa colla superficie focale. Esse saranno certo distinte, perchè se no nel punto in cui per avventura coincidessero g risulterebbe tangente a R' e quindi alla superficie focale. Conclu- diamo perciò che vi sono sopra g tre punti distinti appartenenti alla rigata (svilup- pabile) R'. Ora Ro è tangenziale di quattro diverse rigate R, e con ciascuna di queste g avrà tre intersezioni distinte; anzi tutte queste 3.4= 12 intersezioni saranno distinte fra loro, perchè due punti di diverse terne non potrebbero coinci- dere che in punto singolare della congruenza (risultando questo comune già a tre R non formanti fascio). Dovendo pertanto quei 12 punti distinti cadere fra le 2p inter- sezioni semplici di 9g colla superficie focale, sarà 2p 212, ossia p=6. Ma noi sap- piamo che deve essere invece p <5 (n° 43); è dunque escluso che le R possano essere sviluppabili biquadratiche (!). Concludiamo pertanto: In ogni congruenza (3, n) priva di linea singolare e rife- ribile a una rigata ellittica, alle generatrici di questa rigata devono corrispondere nella congruenza rigate quadriche. ISTE Congruenze (3,n) rappresentabili sopra una rigata ellittica. 49. — Le considerazioni svolte nel $ prec. permettono di determinare senza difficoltà tutte le congruenze del 3° ordine prive di linea singolare e rappresentabili sopra una rigata ellittica. Sappiamo intanto che una tale congruenza deve contenere una serie co! ellittica di rigate quadriche, inviluppanti la superficie focale; e che le 00! quadriche sostegni di queste rigate devono stare in una rete X. Questa rete potrà anche avere infiniti’ punti basi; ma certo le co! rigate della nostra congruenza non potranno avere a comune nessuna direttrice (se no tutti i punti di questa sarebbero singolari per la congruenza). Potranno invece avere a comune una o due generatrici. Di qui si trae che la rete X: o avrà soltanto un numero finito di punti basi (dunque otto punti basi, ma che potrebbero non essere tutti distinti); oppure si comporrà delle quadriche passanti per una data retta (che sarà gene- ratrice comune delle rigate da considerarsi) e per altri quattro punti fuori di questa (eventualmente non tutti distinti); ovvero infine si comporrà di quadriche aventi a comune due rette dello stesso sistema (e non altri punti fuori di queste). Esamineremo ora separatamente questi tre casi. I punti basi isolati (nei primi due casi) si supporranno per semplicità tutti distinti; ma ciò che diremo potrebbe estendersi senza difficoltà al caso di punti basi infinitamente vicini. (') Al momento di licenziare le bozze di questa Memoria mi accorgo che quest’ultimo ragiona- mento si potrebbe modificare in guisa tale da rendere superfluo quello del n° 47 (facendo vedere anzitutto che g non può avere a comune con R' più di due punti distinti, ed esaminando poi quante loro intersezioni possono cadere in ciascuno di questi punti). Il lettore se ne persuaderà facilmente. 46 GINO FANO Essendo il genere numerico p, di una rigata ellittica eguale a — 1, le formole dei ni 34-35 diventano per questo caso: i e to it lea R=3/(21!) 42-37 | Possiamo anche osservare che, nel sistema co! di rigate quadriche aventi per luogo la nostra congruenza, ciascuna quadrica sarà tangenziale di altre 4; e le 2.4=8 intersezioni (tutte distinte) di una sua generatrice arbitraria con queste 4 saranno le sole intersezioni di quella generatrice colla superficie focale della con- gruenza, all’infuori dei propri fuochi. Ora queste intersezioni devono essere in numero di 2p; sarà perciò 2p=8, ossia p=4. Le congruenze (3, n) riferibili a una rigata ellittica sono tutte di genere sezionale 4.. Hsse avranno perciò una superficie focale di 12° ordine e di classe 2(n + 3), con una curva cuspidale di ordine R=36—9t—31'. (Sarà anzi sempre t7=0, e quindi R=36— 97). I 50. — Consideriamo una rete Z di quadriche con otto punti basi (A;, As, ... Ag). Le generatrici di ambo i sistemi di queste quadriche formano, com'è noto, un com- plesso cubico T, che i signori Sturm (!) e ReyE (?) hanno incontrato in varie ricerche, e che è stato poi oggetto di speciale studio da parte del signor MontEsANO, nella Memoria: Su di un complesso di rette di 3° grado (Mem. Acc. di Bologna, ser. V, t. III; 1893). Il cono del complesso uscente da un punto generico dello spazio è quello che proietta la quartica base del fascio formato dalle quadriche di X che pas- sano per questo punto. Questo complesso può rappresentarsi birazionalmente sullo spazio punteggiato, e ci sarà anzi utile una delle rappresentazioni che ne ha date il signor MontESANO (Mem. cit., n° 11, p. 18 e seg.). Consideriamo uno dei punti basi della rete, p. e. A,. Un raggio generico « del complesso appartiene a una quadrica determinata della rete; e sopra questa quadrica, la quale contiene il punto A,, sarà pure individuata la generatrice v di sistema opposto a « passante per A, stesso. Il punto uv si assuma allora come corrispondente al raggio u. Viceversa, dato nello spazio un punto gene- rico P, vi sarà una ed una sola quadrica della rete che contiene la retta A, P, e la seconda generatrice di questa quadrica passante per P sarà la retta corrispondente a P nel complesso. La corrispondenza è dunque tale che due elementi omologhi qualunque si appar- tengono. Si vede altresì che: A rette u di una stessa rigata quadrica corrispondono punti di un raggio della stella A, (di quel raggio che è direttrice di questa rigata). La rete X viene così riferita in corrispondenza razionale (1,2) alla stella di raggi A,, e birazionalmente a un’involuzione I, di questa stella. In particolare agli 00? fasci di quadriche contenuti nella rete X corrisponderanno nella stella A, i coni (1) “ Journ. de Crelle ,, Bd. 70; “ Math. Ann. ,, Bd. 6. (*) Geometrie der Lage, 3'° Aufl., Bd. 3, p. 137. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 47 cubici proiettanti le quartiche basi di questi fasci, ossia gli 0? coni cubici passanti per i sette raggi A, A=ay(é=2,3,...8). L’involuzione I, è definita appunto da questa rete di coni. i Ora, la congruenza (3,x) che noi andiamo cercando deve comporsi delle gene- ratrici di un sistema co! ellittico d’indice tre di quadriche, contenuto nella rete I. A un tale sistema di quadriche (che può concepirsi come una cubica piana, entro la rete Z considerata come un piano) corrisponderà nella stella A, un cono di 9° ordine appartenente all’involuzione I, e avente come tripli i sette raggi (fondamentali) @,;. Questo stesso cono, come luogo di punti, sarà l’immagine della congruenza formata dalle generatrici di ambo i sistemi delle 00! quadriche considerate. Ma questa congruenza sarà di 6° ordine, poichè per ogni punto dello spazio passano tre quadriche del sistema 0c0!, e due generatrici di ciascuna di queste. A noi occorrerà pertanto un sistema oo! di quadriche | R | tale che, variando una qua- drica entro di esso, i due sistemi di rette di questa quadrica deserivano due con- gruenze distinte, ciascuna delle quali sarà allora di 3° ordine. E perchè questo avvenga, è necessario e sufficiente che il cono di 9° ordine corrispondente al si- stema |R| di quadriche nella stella A, si spezzi in due coni ellittici non appar- tenenti all’involuzione I, (e perciò mutuamente coniugati in questa involuzione). Ora, questi due coni non potranno essere che uno di 3° ordine e uno di 6°, oppure uno di 4° ordine e uno di 5°. Nel primo caso il cono cubico dovrà contenere sei dei 7 raggi fondamentali a,; (e non il settimo), e il cono di 6° ordine avrà quegli stessi sei raggi come generatrici doppie e il settimo come generatrice tripla. Nel secondo caso, il cono quartico conterrà come doppî due dei 7 raggi fondamentali e passerà semplicemente per gli altri cinque, mentre il cono quintico avrà questi ultimi per doppî e i primi come semplici. — Viceversa, ogni cono siffatto, insieme al suo coniugato nell’involuzione I,, dà luogo a un cono (riducibile) di 9° ordine come a noi occorre. E ciascuno di quei coni può scegliersi entro un numero finito (7, oppure | : = 21) di sistemi lineari 003. Esistono dunque certo congruenze del 3° ordine contenute nel complesso cubico delle generatrici di una rete generale di quadriche, e riferibili a una rigata ellittica. E noi le abbiamo sostanzialmente già determinate tutte, perchè abbiamo detto quali sono le superficie che ne sono immagini in una nota rappresentazione di quel complesso cubico sullo spazio. Precisamente, in ogni complesso F sono contenuti 74214 21+7=56 sistemi 003 di congruenze soddisfacenti alle condizioni ri- chieste. Ma questi 56 sistemi si distribuiscono in 28 coppie, tali che due sistemi 03 di una medesima coppia provengono dagli stessi 003 sistemi |R| di quadriche, e sol- tanto da generatrici di opposte schiere di questi. Chiameremo per brevità coniugate due congruenze costituite dalle generatrici di diverse schiere sopra un medesimo sistema |KR| di quadriche. E allora potremo dire che i 56 sistemi 003 di con- gruenze di 3° ordine da noi trovati inf si distribuiscono in 28 coppie, tali che i due sistemi 003 di ciascuna coppia si compongono di congruenze mutuamente coniugate. 51. — Proponiamoci ora di studiare un po’ più da vicino queste congruenze, determinandone la classe, i punti singolari, ecc. 48 GINO FANO Ricordiamo intanto che la rete Z di quadriche contiene un sistema oo! di coni, d’indice quattro e di genere tre; e che la curva K (pure di genere tre) luogo dei vertici di questi coni è di 6° ordine. Si riconosce facilmente (Montesano, Mem. cit., p. 19) che, nella rappresentazione data del complesso cubico sullo spazio punteggiato, una superficie di ordine u la quale abbia il punto A, come pP, le rette a; come multiple di ordine c;, e la curva K come multipla di ordine x, è l’immagine di una congruenza (contenuta nel complesso M) di ordine m =4(u—kxk)—P— Zo; e di classe n= 3 (3u — Z0; — 4x) (dunque sempre multipla di 3). Ora le superficie immagini delle congruenze che cer- chiamo sono tutte coni di vertice A, (onde p = p), e non passano per la curva K (onde «= 0). Sarà perciò: m= 3u— E; n=3(3u — Zo)= 3m. E poichè già sappiamo che m = 3, ne segue tosto n= 9; il che viene anche confermato dalle formole scritte, in ogni singolo caso. Le congruenze di 3° ordine che così otteniamo sono tutte di classe 9. La linea cuspidale della superficie focale (di 12° ordine) dovrà avere la pro- prietà che il fascio delle quadriche di Z passanti per un suo punto qualunque incontri il sistema |R| secondo tre quadriche coincidenti; sia cioè, per così dire, un fascio tangente d’inflessione del sistema |R |. Essa si comporrà dunque delle quartiche basi dei nove fasci tangenti d’inflessione del sistema |ER |; e sarà perciò, complessivamente, di 36° ordine. Ciò è d'accordo colla formola del n° 49, dovendosi porre in questa t=v =0. Questa congruenza non si è presentata nelle mie ricerche precedenti; ma ne è anche chiaro il motivo. Nel mio lavoro del 1894 io aveva infatti supposto, a pro- posito delle congruenze di genere sezionale 4 (nota (?) a p. 20, e p. 21), che la curva cuspidale della superficie focale non si spezzasse: le maggiori difficoltà allora incon- trate mi avevano indotto a porre questa restrizione. E nel caso attuale, come si è visto, la detta curva si spezza in 9 quartiche. Per la stessa ragione non mi sì sono presentate allora nemmeno le congruenze che incontreremo al n° 55. 52. — I punti singolari della congruenza non potranno cadere che nei punti comuni a tutte le quadriche del sistema |R |, ossia negli otto punti basi della rete X; e nei vertici di quei coni che appartengono al sistema |R |. Viceversa, questi punti saranno anche tutti singolari per la congruenza. Quanto al cono singolare uscente dal punto A,, è facile determinarlo in base all'osservazione seguente: Considerate nel complesso F due congruenze (3,9) coniu- gate, quel cono di genere uno, che è immagine di una di queste nella rappresentazione adottata del complesso cubico sopra $3, appartiene all’altra come cono singolare. Si avrà dunque sempre un cono ellittico di ordine < 6. Siccome poi i punti A., A3,... Ag si trovano tutti, rispetto alla rete X, nelle stesse condizioni di A;, così anche ciascuno di essi sarà vertice di un cono ellittico di raggi della congruenza. E una volta noto il cono singolare A,, si potranno deter- minare gli altri 7, valendosi della proprietà (Montesano, Mem. cit., p. 6-7) che ogni e Pa NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 49 rigata quadrica della rete X contiene uno ed un solo raggio di ciascuna stella A,; e che, assumendo come corrispondenti, in due determinate di queste stelle, i raggi che appartengono a una stessa rigata, si viene a stabilire fra le due stelle una cor- rispondenza cremoniana di 5° ordine con sei raggi fondamentali doppî: quelli che proiettano i rimanenti 6 punti A, I coni singolari uscenti da A,,... si otterranno dunque applicando al cono A, queste trasformazioni cremoniane. Ecco il risultato a cui si giunge: Vi sono due diversi tipi di congruenze (3, 9) contenute nel complesso Te costituite da un sistema col ellittico di rigate quadriche. Per le congruenze del primo tipo, gli otto punti A; sono vertici rispett. di due coni singolari cubici (A,, As) e di sei coni di 5° ordine (Az, ... As). Queste congruenze hanno 15 raggi doppì di 1* specie, che sono precisamente le congiungenti @, per i,k=3,4,...8; il raggio a,» non appartiene invece alla congruenza; le altre rette Qi, Qi ne sono raggi semplici. Le congruenze del secondo tipo contengono invece due coni sestici (A,, Ao) e sei conì quartici (As, ... Az). Esse hanno un raggio triplo (4,9) e 12 raggi doppî (a, da) di prima specie (che equivalgono insieme a 15 raggi doppî); le altre congiungenti 4, ne sono raggi semplici. Due congruenze coniugate sono sempre di tipo diverso. Vediamo infine quanti coni quadrici contengano queste congruenze (ossia quanti coni vi siano in un sistema |R|). Nella nostra rappresentazione del complesso cubico sullo spazio, a ogni generatrice di un cono contenuto nella rete X corrisponde il punto vertice di questo cono; e viceversa a questo punto corrisponde nel com- plesso ogni generatrice di quel cono. Bisogna dunque cercare le intersezioni del cono di vertice A, e di ordine v = 3, 4, 5,6 che è immagine della nostra congruenza (3, 9) colla curva KS luogo dei vertici dei coni quadrici contenuti nella rete X, ovverosia col cono che proietta questa curva da A,. Si trova allora che, delle 6v generatrici comuni ai due coni, sempre 6(v-— 1) cadono nei raggi fondamentali @,;. E di qui si conclude: La congruenza (3,9) con- tiene sempre sei coni quadrici, appartenenti al sistema |R |. È chiaro altresì che due congruenze coniugate contengono gli stessi sei coni quadrici. Pel vertice di uno qua- lunque di questi coni passa anche un raggio isolato della congruenza (appartenente alla quadrica tangenziale di quel cono nel sistema | R |). I 14 coni singolari verificano appunto le due relazioni generali dei n' 40 e 41, che in questo caso diventano: (5) —Zi(3)=60 n SO dove le somme 3 vanno estese agli 8 coni ellittici, e le somme X, ai sei coni quadrici. 58. — Considerata la rete X di quadriche come un piano, e, per conseguenza, il sistema co! dei coni di questa rete come una quartica q (di genere tre), il sistema delle singole schiere rigate contenute nelle quadriche di X si potrà concepire a sua volta come un piano doppio, di cui la quartica 9 sarebbe la curva limite (o di dira- mazione). La ricerca del nostro sistema |R| di quadriche si riconduce allora a Serik II. Tom. LI. G 50 GINO FANO quella di una cubica ellittica la quale, nel piano doppio, sia immagine di una coppia di curve ellittiche (anzichè di un’unica curva irriducibile, contenente un’involuzione ellittica di coppie di punti). Per questo è condizione necessaria che la cubica sia tangente alla quartica 9g in ogni sua intersezione con essa, dunque in seé punti (che saranno i coni quadrici del sistema |R |). Ma questa condizione, che sarebbe anche sufficiente se si trattasse di una curva razionale, non lo è per una curva di genere > 0. La questione può tuttavia risolversi completamente, e in modo assai semplice, considerando il piano doppio come proiezione di una superficie cubica da un suo punto; e il breve ragionamento che occorre cammina di pari passo col nostro del n° 50. Dei 64 sistemi 00? di cubiche tangenti in sei punti a una data quartica (1) risulta pertanto che 28 hanno, rispetto al piano doppio con quella quartica come curva limite, la proprietà dianzi accennata. Questi 28 sistemi sono precisamente quelli per i quali i punti di contatto vengono segati sulla quartica dalle 003 coniche passanti per i punti di contatto di una bitangente; sicchè essi vengono a corrispon- dere in certo qual modo alle 28 bitangenti della quartica. JI 54. -- Consideriamo ora una rete X di quadriche aventi a comune una gene- ratrice 9g e quattro punti A,, As, A3, Ai fuori di questa. Le generatrici di queste quadriche di sistema opposto a g costituiranno allora il complesso lineare speciale avente g stessa per direttrice (asse); questo complesso si staccherà perciò dal com- plesso cubico formato da tutte le rette delle 00? quadriche di X, e resterà un com- plesso quadratico F, costituito da tutte le generatrici dello stesso sistema di g. D'altra parte in questo caso le quadriche di X passanti per un punto generico P hanno a comune, oltre alla retta g, una cubica passante per P e avente g come corda; e le generatrici di queste quadriche del sistema di g e passanti per P hanno per luogo il cono quadrico che da P stesso proietta quella cubica. Poichè in questo caso le generatrici dei due sistemi delle quadriche di X for- mano due complessi distinti, noi possiamo affermare sin d’ora che, prendendo entro X un qualsiasi sistema 00! di quadriche d’indice 3 e ellittico, e considerando sopra queste quadriche le generatrici del sistema di g, otterremo una congruenza di 3° ordine soddisfacente alle condizioni imposte. Conviene però esaminare più da vicino la natura del complesso , per potere poi costruire quelle congruenze nel modo più semplice. (4) Cfr. ad es. CLessca-Linpemann: Vorlesungen iiber Geometrie, I, p. 853. La determinazione di questi sistemi di cubiche 6-tangenti alla quartica risale però a Hesse e Sremer, ‘“ Journ. de Crelle ,, 49. Osserviamo anche che da un noto teorema di Hrsse (1. c.) — il quale soltanto più tardi fu dimo- strato rigorosamente —, che cioè l'equazione di ogni quartica piana può mettersi sotto forma di un determinante simmetrico di 4° ordine ad elementi lineari nelle coordinate eguagliato a zero, segue che la quartica costituita dai conì di una rete generica di quadriche è una quartica affatto generale. n NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 51 Una retta generica passante per uno dei punti À; appartiene certo a una qua- drica della rete X; e essendo sghemba con g, sarà generatrice dello stesso sistema di questa, e apparterrà perciò al complesso quadratico F. Questo complesso contiene dunque per intero le quattro stelle di rette A,, e sarà perciò un complesso tetra- edrale, avente A,AsAzA, come tetraedro fondamentale; sarà anzi quel complesso, com- pletamente determinato, che ha questo tetraedro fondamentale, e contiene il raggio g. Ora un complesso tetraedrale può rappresentarsi sullo spazio di piani in guisa tale che ogni raggio del complesso appartenga al piano omologo, e sia precisamente intersezione di questo col piano che ad esso corrisponde in una determinata colli- neazione (!). In questa rappresentazione a ogni congruenza di ordine m contenuta nel complesso tetraedrale corrisponde un inviluppo 0? di piani di classe m; e quella congruenza potrà quindi ottenersi come luogo delle intersezioni delle coppie di piani corrispondenti di due inviluppi di piani di classe w, fra loro collineari. Viceversa, due inviluppi di piani siffatti generano anche sempre una congruenza di ordine wm, contenuta in un complesso tetraedrale; e la classe di questa congruenza è in gene- rale 3m. Ma se uno dei piani uniti della collineazione — che sono poi i piani fonda- mentali del complesso tetraedrale — appartiene a uno e quindi anche all’altro dei due inviluppi con una certa multiplicità %, il piano stesso (come piano rigato) si staccherà dalla congruenza con eguale multiplicità, e la classe di questa si ridurrà perciò a 3m — k. Più generalmente, se i quattro piani uniti appartengono ai due inviluppi collineari rispett. colle multiplicità %,, £s, #3, #4 (2 0), la congruenza generata da questi invi- luppi sarà di ordine m, e di classe: n=3m — (k4k,+%3+ ka; e sussisteranno altresì le proprietà seguenti: I quattro piani del tetraedro fondamentale saranno piani singolari della con- gruenza, e conterranno inviluppi di rette di questa delle classi rispett. i, K2, &3, #4 (supposti questi numeri > 0); I vertici dello stesso tetraedro rispett. opposti a quei piani saranno punti sin- golari della congruenza, vertici di coni degli ordini rispett. 2 — (k°.+k3 + 44), 2m — (k1+k3 + ka), ....... semprechè, ben inteso, anche tali numeri siano >0; Lo spigolo del tetraedro fondamentale intersezione dei due piani multipli di ordini %, e %, sarà raggio multiplo della congruenza di ordine m — (%,+- %s) (sup- posto > 0); e analogamente per gli altri cinque spigoli. Da queste proprietà generali si dedurranno facilmente quelle delle congruenze (3,n) che andiamo cercando. 55. — Una congruenza di 3° ordine (come a noi occorre) contenuta in un com- plesso tetraedrale si potrà dunque generare con due inviluppi di piani di 3? classe, (*) Notissima rappresentazione del complesso tetraedrale, esposta in lavori di Werer, “ Zeitschr. f. Math. u. Ph. ,, 22; Lorra, “ Atti della R. Ace. di Torino ,, vol. XIX, dove si vedranno anche citati lavori anteriori di Krern e Li; nella 2* e 3* ediz. della Geometrie der Lage del Reye, e nel- l’opera più volte cit. di Srurx (I, pp. 342, 369-71). De GINO FANO fra loro collineari. Solo che, per avere una congruenza non razionale, ma riferibile invece a una rigata ellittica, si dovranno prendere due inviluppi costituiti dai piani tangenti di due curve piane generali di 3° classe y e Y°. Viceversa, due inviluppi siffatti, tra loro collineari, genereranno sempre una congruenza di 3° ordine, rappre- sentabile sopra una rigata ellittica, e le coppie di tangenti omologhe delle due curve y e y' saranno assi di fasci di piani contenuti rispett. nei due inviluppi e fra loro proiettivi, i quali genereranno le co! rigate quadriche che già sappiamo ($ 6) dover essere contenute nella congruenza. Queste rigate avranno anche tutte una generatrice a comune: l'intersezione dei piani delle curve y e v'. La congruenza così ottenuta sarà in generale di classe 9; avrà gli spigoli del tetraedro fondamentale della collineazione come raggi tripli (di prima specie); e da ciascun vertice di questo tetraedro escirà un cono di 6° ordine e genere uno di raggi della congruenza, coi tre spigoli del tetraedro come raggi tripli. La classe della con- gruenza può scendere tuttavia fino a cinque, prendendo i due inviluppi generatori in modo che contengano uno o più dei quattro piani uniti della collineazione; ma nes- suno di questi piani può essere piano multiplo dei due inviluppi. In ogni caso dai vertici del tetraedro fondamentale escono altrettanti coni ellittici della congruenza. E questa è sempre di genere sezionale 4 (n° 49). Non ci fermiamo a esaminare sepa- ratamente i varî casi, anche perchè incontreremo più avanti ($ 12) le congruenze analoghe razionali, generate da inviluppi di 3* classe non degeneri. Poichè i piani delle due curve Yy e y' sono tripli per i due inviluppi generatori della congruenza, così si conclude facilmente che il raggio « loro intersezione è un raggio triplo della congruenza. E questo è precisamente un raggio triplo di 2° specie. Per ogni punto di « i tre raggi della congruenza che ne escono si possono pensare disposti secondo tre generatrici consecutive del cono del complesso tetraedrale uscente da questo punto; e ogni piano per « godrà della proprietà duale. La proiettività determinata dal complesso T fra la punteggiata w e il fascio di piani w (nella quale a ogni punto di « corrisponde il piano tangente lungo « al cono del complesso uscente da quel punto) è precisamente quella da noi considerata in generale al n° 14. Le coppie di tangenti omologhe delle due curve Y e y' determinano sopra v una corrispondenza (3,3), la quale avrà seî punti uniti. Nel caso più generale di una congruenza (3, 9), ciascuno di questi sei punti sarà vertice di un cono quadrico di rette della congruenza, il quale conterrà il raggio v e apparterrà al sistema co! | R | di rigate quadriche. E questi saranno anche i soli coni contenuti nel sistema | R| di quadriche. Questi sei coni formeranno insieme la rigata R*** = R!2 delle rette della congruenza che si appoggiano ad w. Se però uno o più piani uniti della collineazione sono comuni ai due inviluppi generatori della congruenza, nelle intersezioni di questi piani con v cadranno altret- tanti punti uniti della corrispondenza (3,3) dianzi considerata, e quindi altrettanti dei sei punti singolari della congruenza posti sopra v. Da ciascuno di questi punti escirà allora soltanto un fascio di rette della congruenza (contenente il raggio «). La retta u è sestupla per la superficie focale (di 12° ordine); ciò segue da quanto si è detto al n° 15, e si può anche riconoscere direttamente. Essa può considerarsi altresì come facente parte della curva cuspidale della NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 59 superficie focale. All’infuori di essa vi è una curva cuspidale di 27° ordine, com- posta delle 9 cubiche che, insieme ad «, formano le curve basi dei 9 fasci di quadriche tangenti d’inflessione al sistema | R|. II. 56. — Consideriamo infine una rete 2 di quadriche aventi a comune due gene- ratrici u,u' dello stesso sistema (e non altri punti). Le quadriche di questa rete che passano per un punto generico P formano un fascio, la cui curva base si compone di quattro rette; le generatrici « e v', la retta v condotta per Pa incontrare le due precedenti, e un’altra secante comune delle v,', e sia v', completamente determi- nata dalla v, e variabile con essa. Le generatrici di queste quadriche che passano per P e appartengono al sistema di , v', stanno dunque tutte nel piano P?', e for- mano perciò un fascio; dal che si trae che il complesso di tutte le generatrici del detto sistema sopra le 00? quadriche di 2 è un complesso lineare (non speciale). D'altronde, dal complesso cubico formato da tutte le rette appartenenti a una di queste quadriche si staccano nel caso attuale i due complessi lineari speciali di assi « e v' (solo che la quadrica di Z contenente una retta generica appoggiata ad uo u'è una coppia di piani): e rimarrà perciò un complesso lineare, contenente tutte quelle rette che sono sghembe con w e u'. Anche in questo caso (come al n° 54), prendendo nella rete X un qualsiasi sistema co! di quadriche d’indice tre e ellittico, le generatrici di queste quadriche dello stesso sistema di v,w' formeranno una congruenza di 3° ordine rappresentabile sopra una rigata ellittica. Ma questa congruenza sarà contenuta in un complesso lineare non speciale; e sarà perciò una congruenza (3,3), caso particolare di quella incontrata al n° 20. La superficie F* (di S,) immagine di questa congruenza conterrà un sistema co! ellittico di coniche, aventi a comune due punti; gli o! piani di queste coniche for- meranno perciò un cono cubico ellittico (di 2* specie). Diremo dunque: La congruenza (3,3) contenuta in un complesso lineare non speciale diventa riferibile a una rigata ellittica quando la superficie FS di Sy che ne è immagine può segarsi dalla Mj immagine del complesso lineare con un cono cubico ellittico di 2° specie. Le rette « e '’, a cui corrispondono sulla F6 le due intersezioni della M$ colla retta asse del cono cubico, sono raggi tripli di 2* specie della congruenza, come il raggio u nel caso precedente. La superficie focale di questa congruenza (di 12° ordine e 12* classe) è una rigata, avente v e u' come direttrici (sestuple): essa è infatti l’inviluppo di co! qua- driche della rete XZ, e sappiamo che due qualunque di queste (in particolare due consecutive) hanno come intersezione variabile una coppia di rette appoggiate a veu'. La stessa rigata ha 18 generatrici cuspidali, che costituiscono, a coppie e insieme con v e w', le curve basi dei 9 fasci tangenti d’inflessione al solito sistema 00! di quadriche. La formola dell'ordine della curva cuspidale (n° 48) non è applicabile in questo caso, essendo stata stabilita in base alla considerazione del carattere t, che non 54 GINO FANO ha senso per congruenze contenute in un complesso lineare: essa dà però egual- mente R = 18. Nella rete X ogni cono è spezzato in una coppia di piani; e le co! coppie di piani formano un sistema d’indice due. Il nostro sistema o! di quadriche conterrà dunque 6 coppie di piani, e perciò la congruenza (3,3) conterrà 12 fasci di rette. Di questi fasci, sei conterranno il raggio v, e gli altri sei conterranno il raggio w': quelli e questi avranno, a coppie, un raggio a comune. Le rigate R"* = R6 formate dalle rette della congruenza che si appoggiano a «o w' si comporranno rispett. di quelle due sestuple di fasci. $ 8. Congruenze razionali. Congruenze di genere sezionale zero. 57. — Per le congruenze razionali, essendo p, = 0, le formole dei ni 34-35 diventano : pp p+2) _ è 2 R=sf(Pi/)+1-381—r}. G ele Osserviamo in particolare che d non può essere nullo se non quando sia, oltre che t=0, anche p=n — 1, oppure n+p—4= 0. E quest’ultima relazione, se n>p (n° 21), è soddisfatta soltanto per a=3, p=1('). Possiamo dunque coneludere (tenuto conto anche dei risultati precedenti): Le sole congruenze di 3° ordine prive di raggi multipli di prima specie sono: la congruenza (3, 3) contenuta in un complesso lineare; le congruenze (3, n) di genere sezionale p=n—-1(n<7); la congruenza (3, 3) di genere sezionale uno. Per quest’ultima, che è una congruenza nota, si sa che è t=0 e perciò anche d = 0. D'altronde, poichè un punto triplo non apparente della superficie F"** produce un abbassamento di tre unità nel genere delle sezioni iperpiane che lo contengono, così per p< 3 sarà certo t= 0. E lo stesso avverrà per p=3, perchè dei sistemi lineari 005 semplici di curve piane di genere 3 (di cui sono noti tutti i tipi) nessuno contiene un sistema lineare co4 irriducibile di curve razionali. Per tutti questi casi (e sempre quando sia t=0) sarà precisamente : Fg. (n-p—1)(n-p+2) PS (n-p— Dntp_4) — 92 TRI 9 L. E se è pure 7 =0, sarà: n=sflii) vale a dire l’ordine della curva cuspidale della superficie focale dipenderà (al pari (!) Poichè per a=4, p=0 non si troverebbero che congruenze composte di co! fasci di rette, e aventi perciò infiniti punti singolari. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 55 dell'ordine di questa superficie) soltanto dal genere sezionale della congruenza, e non dalla sua classe. 58. — Congruenze di genere sezionale zero. — Le sole congruenze di rette di genere sezionale zero e non composte di un sistema co! di fasci di rette sono (!): 1° La congruenza (1,3) delle corde di una cubica sghemba; 2° La congruenza (3, 1) duale della precedente; 3° Una congruenza (2, 2) con un fascio di rette doppie, che è una partico- lare intersezione di un complesso lineare speciale con un complesso quadratico. Di queste, soltanto la seconda è di 3° ordine, ed è priva altresì di linea sin- golare (anzi non ha alcun punto singolare). Vi è dunque una sola congruenza del 3° ordine priva di linea singolare e di genere sezionale zero; e questa è la congruenza duale di quella delle corde di una cubica sghemba, ossia la congruenza cremoniana (3, 1) generata da due piani collineari in posizione generale. Questa congruenza ha co! piani singolari, contenenti ciascuno un inviluppo quadrico di rette (n° 1). Due qua- lunque di questi piani sono incontrati dalle rette della congruenza in coppie di punti corrispondenti di una determinata collineazione ; e tutti sono osculatori a una me- desima cubica sghemba v. La superficie focale di questa congruenza sarebbe, secondo le formole generali, di ordine quattro e classe zero, con una cubica cuspidale. Essa è infatti la svilup- pabile circoscritta alla cubica y; ed ha per piani tangenti gli stessi o! piani singolari. 89. Congruenze di genere sezionale uno. 59. — Le congruenze (3, n) di genere sezionale p= 1 saranno rappresentate nello spazio S; da superficie razionali F"!* a sezioni ellittiche. Ora è noto che le superficie razionali a sezioni ellittiche sono tutte di ordine non superiore a nove (?); sarà perciò n + 3<9, ossia n< 6. Le congruenze (3, n) prive di linea singolare e di genere sezionale uno sono tutte di classe < 6. È noto (3) che queste congruenze esistono anche effettivamente, per ciascuna delle classi n» = 2, 3, 4, 5, 6; e che per n= 5 ve ne sono due tipi affatto distinti, corrispondenti alle due diverse specie di superficie razionali F* a sezioni ellittiche (4). Queste congruenze avranno, secondo le nostre formole generali, una superficie focale di 6° ordine e di classe 2n, con curva cuspidale pure di 6° ordine. Esse non potranno contenere coni ellittici, e nemmeno coni razionali dai cui ver- tici non escano raggi isolati della congruenza, perchè se no la rigata (riducibile) (1) Cfr. ad es. la mia Mem. cit. degli Annali di Matem., n° 3. (*) DeL Przzo, Sulle superficie dell’ n° ordine immerse nello spazio di n dimensioni, “ Rend. di Pa- lermo ,, t. IL (3) Cfr. i lavori dei sig." Segre e CasreLnuovo citati nell’Introduzione, nonchè Ja mia Memoria degli “ Annali di Matem. ,. (4) Der Pezzo, l. c. 56 GINO FANO formata dalle rette della congruenza che si appoggiano a una retta generica pas- sante pel vertice di un tal cono sarebbe di genere > 2 (cfr. n° 8). I coni singolari di queste congruenze saranno dunque tutti razionali ; î loro vertici saranno punti doppi della superficie focale, e per questi passerà sempre anche un raggio isolato della congruenza. Le due formole generali dei ni 40 e 41, essendo nulle in questo caso le somme Lx, diventano: h (a—-2 3 r (1) — @029G+9 xh=02(n-L 3) ‘essendo in entrambe estesa la somma X a tutti i coni singolari della congruenza. (n 2)(n—3) 2 scuno dei quali dovrà appartenere ad almeno un cono singolare (n° 17). La congruenza avrà inoltre d = raggi doppi di prima specie, cia- 60. — Nel caso estremo n= 6 vi sono dunque sei raggi doppi, quindi almeno altrettanti coni singolari di ordine >3. Ora le due somme X PA, e Zh, per n= 6, valgono entrambe 18, e risultano perciò già esaurite da sei coni cubici ; concludiamo dunque che i sei coni a cui appartengono rispett. i raggi doppi sono precisamente di 3° ordine, e sono anche i soli coni della congruenza. D'altronde è anche noto che sopra una F? razionale a sezioni ellittiche l’ordine di ogni curva è multiplo di tre; e la nostra congruenza, di classe 6, non può certo contenere coni di ordine > 6. Ogni congruenza (3, 6) di genere sezionale uno contiene dunque sei conî cubici ra- zionali, le cui generatrici doppie sono altresì raggi doppi della congruenza. Ciascuno di questi coni contiene i vertici degli altri cinque; e all'infuori di questi non vi sono altri coni singolari. 61. — Esclusa la congruenza (3, 6), per tutte le altre la superficie immagine F"** conterrà almeno un fascio di coniche; e i piani di queste coniche formeranno (per ciascun fascio) una M7+!, normale (al pari della F"t*) per uno spazio S,.3. Da questa M?* (che non è certo contenuta nella Mj fondamentale, poichè se no la congruenza si comporrebbe di 00! coni o inviluppi quadrici di rette) la F"** potrà segarsi con una quadrica non degenere (la Mj fondamentale); e l’intersezione residua di queste due varietà si comporrà di 2 (n +1) — (1+3)=nx—1 piani. Di questin — 1 piani, sulla Mf fondamentale, n — 2 dovranno appartenere a un medesimo sistema (punti) e il rimanente al sistema opposto (piani); perchè così degli n + 1 punti che un piano generico del primo o secondo sistema della Mî ha comuni colla M}? ne resteranno appunto rispett. 3 e n sulla F"*?. Di qui si conclude: All’infuori della (3, 6), tutte le altre congruenze (3, n) di ge- nere sezionale uno contengono almeno una serie razionale co! di rigate quadriche (invi- luppanti la superficie focale), tale che ogni retta della congruenza appartiene a una ed una sola di queste rigate. Ciascuna di queste serie o! contiene in particolare n — 2 coni quadrici e un inviluppo piano di 2° classe; nonchè 5 —n rigate spezzate in coppie di fasci di raggi (corrispondentemente a un egual numero di coniche spezzate in coppie di rette). NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 57 62. — La superficie F8 di seconda specie contiene in generale (1) due fasci di coniche. La corrispondente congruenza (3, 5) — che potremo anche chiamare “ di seconda specie , — conterrà perciò 6 coni quadrici, due inviluppîi piani di 2° classe, e Dì) e ZA (eguali rispett. a 12 e 16), si vede immediatamente che non resta possibile altra ipotesi che quella di un cono quartico, al quale dovranno appartenere i tre raggi doppi di prima specie che spettano appunto alla congruenza. La congruenza (3, 5) di seconda specie ha dunque 7 punti singolari, vertici rispett. di un cono quartico razionale e di sei coni quadrici; e due piani singolari, contenenti inviluppî quadrici di rette della congruenza. nessun fascio di rette. Per esaurire le due somme X | 63. — Tutte ie altre F"!° razionali a sezioni ellittiche contengono in generale, per n>3, 6— n fasci di coniche; la F° ne contiene invece cinque. In ogni caso dunque (anche per n» = 2) la congruenza corrispondente (3, n) conterrà (n — 2) (6 — n) coni quadrici; e il numero complessivo dei fasci di rette sarà quello delle rette con- tenute nella F", ossia ( [ A: Quanto ai raggi doppi di prima specie, per n= 2 e n=8 non ve ne sono af- fatto; e pern=4 ve n'è uno solo; il quale apparterrà perciò a un cono cubico razionale. Infine per "n= 5 vi saranno tre raggi doppi; e si vede anche facilmente che questi apparterranno rispett. a tre diversi coni cubici. è È È n—-2 ù ano È A è Vi sono dunque in ogni caso | 9 coni cubici razionali. Ed essendo verificate le due identità : = (*)=-296—m+3("7?)= 2049 ( se 17")+ 2(n—2)(6—n)+3("3 ")=2@+3) corrispondenti alle relazioni dei ni 40 e 41, si conclude che non vi saranno altri punti (o coni) singolari. Dunque: Le congruenze (3, n) di genere sezionale uno — esclusa soltanto la (3, 5) fasci di rette, (n —2) (6 — n) conì l—-n 2 di seconda specie — contengono in generale | quadrici, e Mg) coni cubici razionali. 1 raggi doppi di questi ultimi sono tali anche per la congruenza. I vertici di questi coni sono tutti punti doppi per la superficie focale; il loro numero complessivo è: Sancigi +(a_-2)(6—») +("3 0) —12— n. Questo stesso numero di punti singolari ha anche la congruenza (3, 5) di seconda specie (poichè ne ha 7, ed è n= 5). (1) Der Pezzo, l. c. Diciamo “ in generale , perchè i due fasci potrebbero anche coincidere. E analoghe avvertenze si tengano per fatte in seguito. Serie II. Tom. LI. H 58 GINO FANO 64. — Congruenze (3, n) del tipo delle precedenti furono ottenute dai Signori SEGRE (1) e CastELNUOVO (?) come proiezioni di sistemi di rette contenuti in varietà cubiche dello spazio Sy con un numero finito e > 6 di punti doppi (generabili con tre reti proiettive di spazi S3). Si può domandare ora se le congruenze (3, n) così ottenute siano le più generali fra quelle di genere sezionale uno. — A questa domanda po- tremo rispondere affermativamente quando ci saremo assicurati che la superficie focale (di 6° ordine) di una congruenza (3, n) generale di genere sezionale uno può ottenersi come contorno apparente di una di quelle Mj di S,; e per questo è suffi- ciente (3) far vedere che la sestica cuspidale della stessa superficie focale è interse- zione di una quadrica e di una superficie cubica, ha cioè il genere 4, ovvero (il che fa lo stesso) ha 6 punti doppi apparenti. Ora la superficie focale di una qualunque delle congruenze (3, x) da noi incon- trate in questo $ è di 6° ordine, e non ha in generale altre singolarità all'infuori delle seguenti: Una curva cuspidale di 6° ordine, completamente priva di punti singolari, e i cui punti doppi apparenti supporremo in numero di }; i 12 — x punti singolari della congruenza, che sono punti doppi conici di essa, e non appartengono alla curva cuspidale. Ciascuno di questi ultimi punti produrrà nella classe della superficie un abbas- samento di due unità. — Quanto alla curva cuspidale, è noto (4) che, per una su- perficie di ordine u, la presenza di una curva cuspidale di ordine R con » punti doppi apparenti (e senza punti singolari) fa discendere la classe di: 12uR — 9R? — 15R + 184 unità. Nel nostro caso sarà dunque: 6.5? — }12.6.6 — 9.62? — 15.6 + 184{—2(12—n)= 2 da cui: 184 = 108 ossia he=/61 Le congruenze di Segre-CAsTELNUOvVoO sono dunque le più generali congruenze (3, n) di genere sezionale uno. Rimandiamo alle Memorie cit. di questi egregi geometri per uno studio più par- ticolareggiato delle varie congruenze; delle configurazioni formate dai loro punti e piani singolari; del numero delle congruenze che hanno la stessa superficie focale, e quindi gli stessi punti e piani singolari; ecc. (4) “ Mem. della R. Acc. di Torino ,, s. 22, t. 39, 1888. (?) “ Atti del R. Ist. Veneto ,, s. 63, t. 5 e 6. (*) Segre, l. c., n° 1, 3. (4) Sarwon-FrepLer, Analytische Geometrie des Raumes (3*° Aufi.), II, p. 658. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 59 $ 10. Congruenze (3, n) dì genere sezionale due. 65. — Una congruenza (3, n) di genere sezionale due avrà per immagine in Sg una superficie razionale F"**° a sezioni di genere due. Ora è noto (!) che una tal su- perficie è sempre di ordine <12; sarà dunque n <9, vale a dire: Le congruenze (3, n) prive di linea singolare e di genere sezionale due sono tutte di classe < 9. Queste congruenze avranno una superficie focale di 8° ordine e di classe 2 (n + 1), con curva cuspidale (in generale) di 12° ordine. Al pari delle congruenze di genere sezionale uno, esse non potranno contenere coni ellittici; ma potranno contenere dei coni razionali dai cui vertici non escano raggi isolati della congruenza. Le due relazioni dei ni 40 e 41 diventano in questo caso: (1) x, (g)}=n—-3 ILA: estese entrambe le somme a quei coni singolari, dai cui vertici esce anche un raggio isolato della congruenza. La superficie F"** immagine della congruenza deve contenere un (unico) fascio di coniche; e i piani di queste coniche formeranno una M}, normale, al pari della F"#, per uno spazio S,y.. Da questa M? la F"** potrà segarsi con una quadrica (la Mi fondamentale); e l'intersezione residua di queste due varietà sarà costituita da 2n — (n +3) =n»—3 piani, che dovranno appartenere sulla Mj tutti a uno stesso sistema (il sistema dei punti). Siccome poi nel fascio di coniche sulla F"** sono con- tenute (in generale) 9 — x coppie di rette (?), così concludiamo: Ogni congruenza (3, n) di genere sezionale due contiene‘un (unico) sistema razio- nale co! di rigate quadriche (inviluppanti la superficie focale), tale che ogni retta della congruenza appartiene a una e una sola di quelle rigate. In questo sistema o! sono contenuti n — 3 coni quadrici, e altre 9 — » rigate si spezzano in due fasci di rette. La congruenza contiene perciò n— 3 conî quadrici e 18 — 2n fasci di rette, Dai vertici di questi coni e dai centri di questi fasci esce sempre anche un raggio isolato della congruenza. Infatti la rigata R"* delle rette della congruenza che si appoggiano a una retta generica uscente dal vertice di uno di quei coni qua- drici ha a comune due generatrici con ogni rigata quadrica del sistema co! consi» derato; avrà dunque a comune anche con quel cono due (e non tre) generatrici. Un ragionamento analogo può farsi pei fasci di raggi. Questi n — 3 conì quadrici e i 18 — 2n fasci di rette rendono già le due somme contenute nelle relazioni (1) eguali ai corrispondenti secondi membri; e non vi saranno perciò altri punti singolari i quali siano doppi per la superficie focale. (5) Srare, Sui sistemi lineari di curve piane algebriche di genere p, “È Rend. di Palermo ,, t. I; CasreLnuovo, Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve iperellittiche (ibid., t. IV). (3) CasrELNUOVO, l. c., n° 5. 60 GINO FANO Si può anzi affermare che in generale, una congruenza (3, n) di genere sezionale due non contiene altri punti singolari all’infuorî dei (18 — 2n)+(nT—-3)=15—n già incontrati. Così avviene infatti, per n = 3, della congruenza di Roccella (1), generata da tre fasci proiettivi di complessi lineari in posizione generale, la quale contiene soltanto 12 fasci di rette; e anche per x > 3 avremo agio di persuadercene fra poco (n° 67). È vero che, per n > 3, la congruenza deve contenere Î Do raggi doppi di 1* specie (n° 57); però questi possono non appartenere ad alcun punto sin- golare, ed essere ad es. tangenti alla superficie focale in 4 punti diversi. 66. — Di congruenze (3, x) di genere sezionale due si possono avere per cia- scuna classe n23e <9 diversi tipi, corrispondentemente alle diverse superficie a se- zioni di genere 2 di ogni singolo ordine < 12. — È noto che queste superficie possono distinguersi a seconda delle loro direttrici minime (?); e che come direttrice minima esse hanno una conica, ovvero una retta, o anche un punto (o un numero finito > 1 di tali enti), tranne che nel caso estremo n= 9, nel qual caso la superficie F"*#*, che è di 12° ordine, può anche avere come direttrici minime un fascio di cubiche. Se le 00! coniche della superficie F"** hanno uno o due punti a comune (di più non possono averne), questi punti saranno tripli per la superficie, e ad essi corri- sponderanno perciò raggi tripli (di 2° specie) della congruenza. Quei punti saranno però punti tripli propri apparenti; proiettando la superficie F"*° in S; essi si proiet- teranno in punti (della curva doppia) che non impongono condizioni ulterioni alle superficie aggiunte. Nelle formole del n° 57 sarà dunque da porsi 1 = 1 0 2 (et = 0). Se vi è una direttrice rettilinea, a questa corrisponderà nella congruenza un ulteriore fascio di rette, il cui centro sarà punto comune a tutte le quadriche so- stegni delle co! rigate, e apparterrà perciò, non solo alla superficie focale da esse inviluppata, ma anche alla curva cuspidale di questa. 67. — Mostriamo ora come si possano ottenere congruenze (3, n) di genere sezionale due e delle varie classi, le quali non abbiano altri punti singolari oltre quelli considerati al n° 65. In un sistema lineare 008 di quadriche affatto generale — quindi privo di punti basi — si prenda un sistema co! razionale d’indice 3 non contenuto in una rete. Esso potrà rappresentarsi con un’equazione del tipo: (1) ast + 3a, t? + 3agt + ag = 0 nella quale # è un parametro, e le a; sono forme quadratiche nelle coordinate proiet- tive di punto. Queste 00! quadriche inviluppano la superficie di 8° ordine: (2) 4 (000, — 91°) (1, az — a3°) — (an ag — a ag)? = 0 (!) Sugli enti geometrici dello spazio di rette... (Piazza Armerina, 1882). (°) Casrenuovo, l. c., ni 6-8. Queste direttrici sono curve incontranti in un solo punto variabile le coniche del fascio contenuto nella superficie. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 83° ORDINE, ECC. 61 ‘colla curva cuspidale di 12° ordine: E le generatrici di ambo i sistemi di quelle co! quadriche formeranno in generale un’unica congruenza (irriducibile) del 6° ordine. Ora il sistema (1) è contenuto nel sistema lineare 008: (3) No do + Ma di + da ag 4-3 ag =0; e l'insieme delle singole rigate quadriche contenute nelle superficie di questo sistema lineare può considerarsi come uno spazio doppio, la cui superficie di diramazione ® (del 4° ordine, con dieci punti doppi, e sarebbe precisamente un così detto simme- troîde (*)) è costituita dalla varietà co? dei coni contenuti in (3). In questo spazio doppio il sistema (1) è rappresentato da una cubica sghemba y in posizione gene- rale, incontrante la ® in 12 punti; dal che si trae che il sistema delle rigate qua- driche contenute in (1) è iperellittico di genere 5 (poichè la relativa 9} contiene 12 elementi doppi). Ma se la cubica y diventa tangente alla superficie ® in ogni sua intersezione con essa, dunque in 6 punti (e ve ne saranno ancora 008 soddisfacenti a questa condizione), quel sistema co! di rigate quadriche verrà ad acquistare, cor- rispondentemente ai 6 punti di contatto, altrettanti elementi doppi, e si spezzerà perciò in due sistemi co! razionali. Allora le generatrici dei due sistemi delle quadriche (1) costituiranno due distinte congruenze, ciascung del 3° ordine, aventi la (2) per comune superficie focale, e (in generale) di genere sezionale due. Se la curva y è tangente alla ® in 6 punti generici, immagini di coni non spez- zati in coppie di piani, si avranno congruenze contenenti 6 coni quadrici e nessun fascio di rette, e perciò di classe 9. Se invece la curva y contiene un certo numero % (> 0 e < 6) dei 10 punti doppi della superficie ®, i quali sono immagini delle coppie di piani contenute in (8), si avranno congruenze nelle quali la serie co! delle rigate quadriche conterrà 6 — % coni e % rigate spezzate in due fasci; dunque congruenze di classe 9 — % (come si dedur- rebbe anche immediatamente dalla considerazione del numero delle rigate tangenti a un piano generico). In ogni caso, se vi fosse qualche altro cono singolare (oltre i coni quadrici e i fasci anzidetti), questo dovrebbe contenere una generatrice (almeno) di ogni qua- drica del sistema (1); e perciò quest’ultimo, e quindi anche il sistema lineare (83), dovrebbero avere il vertico di quel cono come punto base (contro l’ipotesi fatta). Se invece il sistema lineare (3) si componesse di quadriche aventi a comune una generatrice «, per ogni sistema (1) le co? generatrici dello stesso sistema di w formerebbero una congruenza di 3° ordine, avente « come raggio triplo di 2? specie (n° 66). E la classe di questa congruenza sarebbe ancora 9 — X, se delle 6 interse- zioni del sistema (1) col sistema quadratico 00? dei coni contenuti in (3) # (< 6) si spezzano in coppie di piani. (!) Sarmon-FrepLer, Analytische Geometrie des Raumes (3*° Aufl.), II, p. 468. 62 GINO FANO Similmente, se le quadriche del sistema lineare (3) hanno a comune due gene- ratrici «, u' di una stessa schiera (nel qual caso ogni cono contenuto in (3) si spez- zerà in due piani), per ogni sistema (1) contenuto in (3) le 00? generatrici della stessa schiera di «, «' formeranno una congruenza (3, 3) avente u e w' per raggi doppi di 2* specie, e contenente 12 fasci di rette, dei quali 6 conterranno a lor volta il raggio «, e 6 il raggio «'. 68. — Alcune particolari congruenze (3, 3), (3, 4), (3, 5) di genere sezionale due sono state oggetto di studio speciale nella mia Memoria degli “ Annali di Matem. , (ser. 2°, t. 21). Fra altro, mi sono ivi occupato delle congruenze contenute in un complesso tetraedrale, e che sono precisamente le duali delle congruenze cremoniane di Hrrsr ('), generate da due piani in corrispondenza birazionale cubica. Queste par- ticolari congruenze (3, n) (n = 3, 4, 5), oltre ai coni quadrici e ai fasci di rette del caso generale, contengono ancora due inviluppi piani di 2? classe, e due coni razio- nali di ordine n —- 1 aventi a comune una generatrice (n — 2)P", cioè rispett. sem- plice, doppia, o tripla. Qui voglio ancora accennare come, per n > 6 (e < 9), si possano avere particolari congruenze (3, n) di genere sezionale due contenenti un cono razionale di ordine n — 1; le je generatrici doppie di questo cono (eventualmente sostituibili a terne da generatrici triple) saranno allora appunto i raggi doppi di prima specie della con- gruenza. — E siccome le congruenze (n, 3) duali di queste rientrano in un tipo ge- nerale stato considergto dal CaporaLI (?), così prenderemo le mosse da queste ultime. Si abbia in un piano # un sistema lineare 008 di cubiche aventi a comune un punto doppio A e £ (>0e<3) punti semplici B,. Questo sistema rappresenta una superficie (rigata) razionale dello spazio Sg, di ordine 5 —%. Sia ® una tal superficie, riferita dunque birazionalmente al piano m in modo che alle sue sezioni piane corrispondano in t le 008 curve del sistema lineare proposto. Allora le co? rette che congiungono i singoli punti del piano m ai punti rispett. omologhi sopra © formeranno una certa congruenza, della quale si possono stabilire molto facilmente tutte le proprietà. Ad es.: la congruenza è di 3? classe. Il piano m contiene un inviluppo razio- nale di ordine 8 — # di rette della congruenza (x), generato dalla corrispondenza biunivoca fra la curva di ordine 5 — % sezione di ® e la cubica corrispondente ad essa nel sistema lineare proposto. La congruenza è perciò di ordinen =(8— K)+1=9—-#. Il punto A è vertice di un cono quadrico di rette della congruenza, e per esso pas- sano inoltre n — 3 raggi isolati di questa (contenuti in x). Questi n — 3 raggi del fascio A (m) incontrano le generatrici rispett. omologhe della rigata @, alle quali sono riferiti (punto per punto) proiettivamente; e determinano perciò con queste altrettanti inviluppi quadrici di rette contenuti nella congruenza. Quest'ultima .con- (1) “ Proc. of the Lond. Math. Soc. ,, vol. 16: “ Rend. di Palermo ,, I, p. 64. @®) Sopra alcuni sistemi di rette, © Rend. Acc. di Napoli ,, 1879 (o anche: Memorie di Geometria, p. 126 e seg.). La costruzione indicata in seguito è appunto quella di Carorari, applicabile ad ogni sistema lineare 00? di curve piane algebriche. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 63 tiene anche 2% = 2 (9 — n) fasci di rette, dei quali metà hanno i centri nei punti B,, e l’altra metà hanno i piani passanti per le rette AB,; ecc. Che poi questa congruenza (n, 3) sia di genere sezionale due, è confermato dalla rappresentazione che se ne ha immediatamente sul piano m, facendo corrispondere a ogni raggio la sua traccia su questo piano: alle rigate intersezioni della congruenza coi complessi lineari corrispondono infatti in rx quartiche passanti doppiamente per A e semplicemente per i punti B.. Resta così assodata l’esistenza di congruenze (3, n) di genere sezionale due (duali delle precedenti) le quali contengono (6 2 non può mai essere immagine di una congruenza di rette del 3° ordine. Ovvero anche: La superficie immagine di una congruenza (3, n) di genere sezio- nale p> 2 non può avere le sezioni iperellittiche. Infatti la rigata R;* formata dalle rette di una congruenza (3, x) che si appoggiano a una retta generica contiene una serie lineare 93, senza elementi fissi. E se fosse iperellittica, essa dovrebbe contenere anche una 9g}. Ora un ente algebrico co! il quale contenga in pari tempo una 9} e una 93 senza elementi fissi è (come si vede immediatamente) di genere < 2. Occupandoci pertanto, nei prossimi $$, delle congruenze (3, n) di genere sezio- nale p > 2, potremo sempre supporre che le superficie loro immagini in S; abbiano le sezioni non iperellittiche. Sil. Congruenze (3, n) di genere sezionale tre. 70. — Le congruenze (3, ») di genere sezionale tre hanno la superficie focale di 10° ordine e di classe 2 (n + 2), con curva cuspidale di 21° ordine. Possono con- tenere, e vedremo anzi che contengono sempre, un cono ellittico; ma non possono 64 GINO FANO contenerne più di uno, perchè la rigata residua formata dai raggi della congruenza che si appoggiano a una retta passante pel vertice di un cono ellittico deve essere razionale (n° 8), e non può dunque contenere una componente ellittica. Tenuto conto di questo, e indicando con % l'ordine dell’unico cono ellittico, sup- posto esistente (e ritenendo invece %X = 0 in caso contrario), le solite relazioni dei ni 40 e 41 diventeranno: (=egt+=(t) 2&k—X,h=3n—15 estese le due somme Z; a quei soli coni, dai cui vertici esce anche un raggio isolato della congruenza. Ora, nella prima di queste relazioni, il primo membro (essendo %< n — 1) non può essere superiore a Cratnae e d’altra parte il secondo membro è > Coe. Sa- Tu Hr h Ù ò n_- 1 È e ranno perciò entrambi i membri eguali precisamente a pensano di qui si trae k=n—1: vi sarà cioè effettivamente un cono ellittico, di ordine n — 1; e h o i ò s c ° d bc CI >; | n = 0, ossia dei coni razionali dai cui vertici esce anche un raggio isolato della congruenza, nessuno potrà avere l'ordine 4 > 2. Questi coni saranno dunque tutti fasci di rette; e il loro numero x si può ricavare dalla seconda delle relazioni scritte di sopra, la quale diventa ora 2 (n — 1) — = 3n -- 15, e dà perciò x= 13 — n. Questo mostra implicitamente che sarà sempre n<13(!); e possiamo perciò concludere: Le congruenze (3, n) prive di linea singolare e di genere sezionale 3 sono tutte di classe<13; esse contengono un cono ellittico di ordine n — 1, e 13 —n fasci di rette aventi ciascuno (come si riconosce facilmente) un raggio a comune con quel cono (?). To (1 Da — 4) doppi (di 1 specie) della congruenza. generatrici doppie del cono ellittico esauriscono appunto i raggi La superficie @ (n° 23), di ordine n — 4, è costituita dall’unico cono di questo ordine aggiunto al cono ellittico contenuto nella congruenza. 71. — Ogni congruenza (3, n) di genere sezionale tre si può dunque rappresen- tare birazionalmente sulla stella di piani avente per centro il vertice del suo cono ellittico, poichè in ciascuno di questi piani sta un solo raggio di essa non apparte- nente in generale a quel cono. Più intuitiva riesce la rappresentazione della congruenza (n, 3) duale della pre- cedente. Questa contiene un inviluppo piano ellittico di classe n — 1, e 13 — » fasci (') D'altronde è anche noto (CasteLNuOvo, Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere tre, “ Atti della R. Ace. di Torino ,, vol. XXV) che una superficie razionale a sezioni di ge- nere tre è di ordine < 16. Sarà dunque per noi x-4-3<16, ossia appunto n < 13. (*) Infatti, se così non fosse, la superficie F*t* immagine della congruenza verrebbe incontrata da un S, generico passante per la retta corrispondente a uno di quei fasci secondo una C31* appar- tenente a tale S,, e con n —1 punti in linea retta: il che è assurdo, poichè gli S3 per questa retta segherebbero sulla C3+° una serie lineare g8. i NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 65 di rette coi centri nel piano m di questo inviluppo; e si vede subito ch’essa si rap- presenta birazionalmente sul piano m, in modo che alle rigate sue intersezioni coi complessi lineari corrispondono 00° quartiche piane, passanti semplicemente per i centri dei 13 — » fasci. Queste congruenze esistono anche tutte, per ogni classe (o ordine) n tale che sia 3< n<13. Infatti per n=4 e n=5 queste congruenze furono già ottenute e studiate nella mia Memoria degli “ Annali di Matem.,. Per 7 2, la curva generica di X starebbe in un S,; e perciò il sistema X sarebbe contenuto (parzialmente) nel sistema delle sezioni iperpiane di F, e nel sistema normale 00” cui questo appartiene. Rispetto a questo sistema normale esso ammetterebbe allora un sistema lineare residuo di dimensione virtuale (?): n_-2p+p+1=nt+p,—-7 e di dimensione effettiva non inferiore alla precedente. Questo sistema residuo seghe- rebbe dunque sopra una sezione iperpiana generica di F (almeno) una gità”. Essendo n>5 e (per ipotesi) p, > 2, la dimensione di questa serie si annullerà soltanto per n = 5, p, = 2. In questo caso la superficie F"**= F8 sarebbe essa stessa normale, e perciò le curve del sistema X dovrebbero stare o in spazi S3, o in spazi Sy per una retta; dal che si trae che la F8 dovrebbe contenere o infinite coniche, o una retta doppia; cose entrambe da escludersi. Se invece la serie lineare 9}: ha la dimensione > 0, essa, giacendo sopra una curva di genere 4, sarà certo speciale ogni qual volta p, > 2 (e basterebbe anzi (1) CasteiNvovo, Ricerche generali sopra î sistemi lineari di curve piane “ Mem. della R. Acc. di Torino ,, s. II, t. 42, n° 28, a. (2) Mem. cit., n° 29, p. 37. Serie II. Tom. LI. I 66 GINO FANO p.=>1). Ora sopra una curva di genere 4 non iperellittica le sole serie speciali com- plete sono la serie canonica gi e le serie gi, gi, 9}; perchè dunque la g?*8"” si iden- tifichi con una di queste, o con un'altra serie contenuta in una di esse (essendo p, > 2), non è possibile altra ipotesi, se non p, = 2,n =6; nel qual caso si ha una gi. Ma in questo caso il sistema residuo di 2 si comporrebbe di co! curve di 3° ordine, e piane, perchè sulla F"** = F° normale (di S;) le curve di X dovrebbero segarsi cogli $; di un sistema lineare 003, dunque passanti per un piano (!); si troverebbe così una congruenza di rette con infiniti punti o piani singolari (di ordine tre), e perciò questo caso non fa per noi. de Resta pertanto escluso che il sistema X sia di genere p,>2; e la sua curva ge- nerica non potrà dunque essere che ellittica o razionale. — D'altra parte, poichè la nostra congruenza (3, n) contiene certo qualche cono ellittico (2), così la superficie F"#* immagine di essa avrà certo delle sezioni iperpiane spezzate in due curve ellittiche (n° 8); e una almeno di queste due sarà sempre contenuta (parzialmente) in X. In- fatti le curve di X incontrano quelle due curve ellittiche complessivamente in 6 punti variabili; dunque una almeno di esse in non più di tre punti; e su quest’una non potranno segare allora che una gì, cioè una serie lineare di dimensione inferiore a quella di X. Il sistema % non potrà dunque essere nemmeno di genere < 1 (poichè contiene delle curve ellittiche): e sarà perciò precisamente di genere uno. 73. — Il sistema Z, completo, di dimensione 3 e di genere 1 (perciò di grado 3), potrà rappresentarsi mediante una superficie cubica di S3; ossia la nostra F"** potrà riferirsi a una superficie cubica (razionale) di Sz in modo che al sistema X aggiunto a quello delle sue sezioni iperpiane corrisponda il sistema delle sezioni piane della nuova superficie. Alle sezioni iperpiane di F"*, e anzi della F*** normale di S,, cor- risponderanno allora sulla superficie cubica curve di 6° ordine e di genere 4: dunque intersezioni di essa con quadriche. Ma un sistema lineare di curve siffatte è al più 009; sarà dunque n<9, ossia: Le congruenze (3, n) razionali di genere sezionale 4 sono (come anche quelle non razionali) di classe < 9. E dalla rappresentazione della F"*' sulla superficie cubica si passa subito alla sua rappresentazione piana: Le congruenze razionali (3, n) di genere sezionale 4 possono rappresentarsi su piano in modo che alle rigate loro intersezioni coi complessi lineari corrispondano curve di 6° ordine aventi a comune 6 punti doppi e 9 — n punti semplici. Queste congruenze conterranno perciò, in generale, 9 — » fasci di raggi non aventi a due a due alcun raggio a comune, e 27 rigate quadriche, corrispondenti rispett. ai 6 punti doppi della rappresentazione piana, alle 15 rette che congiungono (4) Sarebbe questo il caso della F° di Sg rappresentata da un sistema di curve piane di 9° or- dine con 8 punti basi tripli. (2) Infatti la relazione generale del n° 40 diventa in questo caso 3 (6) 3 (6) =(n+1)(n- 83); sicchè sarà certo 2g (6) > 0 (anzi = 12). i NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 67 questi a due a due, e alle 6 coniche che li congiungono a 5 a 5. — Noi potremo supporre n> 5 (n° 21) (!); e a questo proposito osserveremo ancora: che pern = 5 i dieci punti basi (6 doppi e 4 semplici) del sistema di sestiche non potranno stare sopra una cubica; se no a questa corrisponderebbe una retta doppia della superficie F"?° — F8; e che per x = 6 i nove punti basi non potranno appartenere a un fascio di cubiche; se no a queste corrisponderebbero sulla F"** anche cubiche piane, e nella con- gruenza coni o inviluppi piani di rette. 74. — Ai coni ellittici della congruenza (3, n) corrisponderanno, nella rappresen- tazione piana di questa, altrettante curve di 3° ordine passanti pei 6 punti fondamen- tali doppi e eventualmente anche per qualcuno dei punti fondamentali semplici. Non esi- stono infatti altre curve ellittiche, le cui residue rispetto al sistema di sestiche siano pure ellittiche. Due qualunque di queste cubiche (rappresentanti coni ellittici) potranno avere a comune o due, o uno, oppure nessun punto fondamentale semplice; e, corrisponden- temente, esse dovranno incontrarsi in altri 1, 2, o 3 punti. Le stesse due cubiche costituiranno insieme una particolare curva del sistema 005 di sestiche; e anzi una curva totale di questo, se vi si aggiungono i punti fondamentali semplici comuni ad esse. Di qui deduciamo: Due conì ellittici della congruenza hanno sempre una genera- trice a comune, che può essere semplice, doppia, o anche tripla (per essi e per la con- gruenza). In quest’ultimo caso i due coni esauriscono la rigata R"** delle rette della congruenza che si appoggiano alla congiungente dei due vertici; mentre invece nel secondo caso la stessa R"*° contiene ancora un fascio di rette, e nel primo caso due fasci di rette. In ogni caso poi questa R"** (composta di due coni ellittici, e eventualmente, anche di uno o due fasci), essendo l’intersezione della nostra congruenza con un com- plesso lineare, dovrà contenere un raggio (almeno) di ogni fascio di rette apparte- nente alla congruenza. E siccome due diversi fasci di questa non hanno alcun raggio a comune, così questo raggio di ogni ulteriore fascio dovrà appartenere a uno dei due coni ellittici contenuti nella R"*. Di qui si trae: Ogni fascio di raggi contenuto nella congruenza deve avere un raggio a comune con tutti î coni ellittici, meno uno (al più); e il suo piano deve perciò contenere i ver- tici di tutti questi coni, meno uno. D'altra parte si vede anche facilmente che nel piano di un fascio di rette della congruenza non possono stare che i vertici di al più fre coni ellittici. Infatti, sup- (1) Facendo n=3, e prendendo i 12 punti basi del sistema di sestiche (6 doppi e 6 semplici) tutti sopra una cubica, si ha un sistema lineare (sovrabbondante) rappresentativo di una F° di $, con un punto triplo, la quale è una particolare intersezione di una M3 e di una M$. Se la M3 non è degenere (ossia se i 6 punti basi semplici non possono ripartirsi in due terne formanti coi 6 punti doppi i gruppi basi di due fasci di cubiche), questa superficie è immagine di una con- gruenza (3,3) razionale contenuta in un complesso lineare non speciale, e con un raggio triplo di 2% specie: un caso intermedio fra la congruenza (3, 3) generale del n° 20 e quella (riferibile a una rigata ellittica) del n° 56. 68 GINO FANO posto che ve ne fossero quattro, segue già da quanto precede che questi sarebbero vertici di un quadrangolo, e che due qualunque di essi non sarebbero allineati sul centro del fascio; dunque le sei rette che congiungono quei quattro vertici a due a due sarebbero raggi della congruenza, e isolati (in questo piano singolare). Il numero di tali raggi essendo = n — 2 (n° 36), la cosa sarebbe possibile soltanto per n = 8, e quando i sei raggi fossero semplici. Ma per n= 8 vi è nella congruenza un solo fascio di rette, e quindi il raggio comune a due coni ellittici è sempre doppio o triplo; dunque è escluso che nel piano considerato stiano i vertici di quattro coni ellittici. Se vi è pertanto un fascio di raggi (vale a dire se n<8), vi saranno al più quattro coni ellittici: dei quali tre aventi i vertici nel piano di quel fascio, e il quarto fuori di questo piano. Ma anche se n=9 non vi potranno essere più di quattro coni el- littici; infatti in questo caso, non essendovi fasci di raggi, due qualunque di quei coni dovranno avere a comune una generatrice tripla, e i loro ordini avranno per somma 34+-9= 12. Saranno dunque tutti coni di 6° ordine, con tre generatrici triple; dal che si trae subito che di questi coni ve ne saranno precisamente quattro. Concludiamo perciò: Le congruenze (3, n) di genere sezionale 4 contengono al più quattro conîi ellittici. Faremo ora vedere che (in generale) ne contengono precisamente quattro. 75. — Dalla rappresentazione piana della superficie F"** si vede facilmente che questa, al pari della F"** normale di cui è proiezione, non ha in generale punti tripli propri (1); la congruenza (3, #) non avrà dunque raggi tripli di 2? specie, e nelle formole del n° 57 dovrà perciò porsi t=t =0. La superficie «focale avrà dunque una linea cuspidale di ordine R= 33; e dalla formola (1') del n° 41 si ricaverà: 2Zh=7n-15+Z Ah. Ora nella somma X,} vanno certo computati i 9 —» fasci di rette (poichè ciascuno di essi ha una R"** residua di genere 3); sarà dunque 2,129 — n, e perciò: 3 h>3(n—- 1) Ossia: La somma degli ordini dei coni ellittici della congruenza è Z3(n — 1). E siccome questi coni sono tutti di ordine < n —1 (poichè, se ve ne fosse uno di ordine n — 1, la congruenza potrebbe rappresentarsi sul piano con un sistema di quartiche, come al n° 71, e avrebbe perciò il genere sezionale < 3), così concludiamo che gli stessi coni saranno in numero di quattro almeno, c. s. v. d. Le congruenze razionali (3, n) di genere sezionale 4 contengono quattro conì ellit- tici; e, sen<9, i loro 9 — n fasci di rette sono contenuti in altrettante facce del te- traedro determinato dai quattro coni. Consideriamo ora uno qualunque degli co! complessi tetraedri aventi il tetraedro anzidetto per fondamentale. Esso avrà a comune colla data congruenza (3, ) i quattro (4) Se i punti fondamentali doppi della rappresentazione piana stessero sopra una conica, si avrebbe però un punto doppio conico. NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 69 coni ellittici (i cui ordini hanno somma =3 (n — 1))ei9 —» fasci di rette; dunque complessivamente una rigata di ordine non inferiore a 3(n —1)+9—n=2(n+3). Se dunque fra questi 0! complessi consideriamo quello che contiene un’altra retta arbitraria della data congruenza, questo stesso dovrà pure contenere tutta la con- gruenza. Vale a dire: Le congruenze razionali (3, n) di genere sezionale 4 sono tutte contenute in un complesso tetraedrale. Esse potranno dunque generarsi (cfr. ni. 54-55) mediante due inviluppi co? di piani di 3* classe fra loro collineari, e risulteranno precisamente dalle intersezioni delle coppie di piani omologhi dei due inviluppi. — Viceversa, dalla nota rappresentazione di un complesso tetraedrale sullo spazio (di punti o di piani) si deduce facilmente quella delle congruenze di 3° ordine e di classe <9 generate nel modo anzidetto; e si vede che queste, nell’ ipotesi che i due inviluppi generatori non abbiano come piano doppio comune nessuno dei piani uniti della collineazione ('), hanno tutte il genere sezionale 4. 76. — Ricordando ora le proprietà generali delle congruenze contenute in un complesso tetraedrale (cfr. n° 54), se ne possono dedurre facilmente quelle relative alle congruenze (3, n) di genere sezionale 4 (5 1); infatti il sistema parziale segato su ®6 dai piani per A po- trebbe appartenere tutt'al più all’involuzione cubica segata dalle rette per A stesso; e a questa non appartengono certo le rimanenti curve del sistema co4, Il sistema delle Cj si potrà dunque rappresentare con una superficie f* di S,, a sezioni di genere 3, che risulterà riferita birazionalmente alla F° primitiva. E alle 10 cubiche piane contenute in F? corrisponderanno sopra f* anche cubiche piane. Infatti le C8 aggiunte al sistema delle sezioni iperpiane di F°® si proiettano su ®6 in curve aventi in A un punto triplo; e devono perciò incontrare la cubica Y in tre punti (variabili). Ora la f° non può avere nemmeno essa le sezioni iperellittiche. Infatti, se le avesse tali, essa dovrebbe contenere un fascio razionale di coniche; e ciascuna di queste coniche dovrebbe incontrare le singole cubiche in due punti (se no il fascio di coniche non sarebbe razionale): dunque i piani delle 0! coniche dovrebbero incon- trare in rette i piani delle 10 cubiche, e dovrebbero perciò passare tutti per le inter- sezioni di questi piani a due a due. E ciò è impossibile. Eseluso questo caso, la f' di Sy dovrà rappresentarsi sul piano con uno dei due sistemi lineari seguenti (1): 1° Sistema delle quartiche con 10 punti basi semplici; 2° Sistema delle curve di 6° ordine aventi a comune 7 punti doppi e 2 punti semplici. Nel 2° caso la f5 conterrebbe bensì 2 fasci di cubiche piane; ma fra queste non si potrebbero trovare le 10 che a noi occorrono, aventi cioè a due a due un punto comune, variabile da una coppia all’altra (2). Va dunque esclusa anche quest’ipotesi; e perciò la f° dovrà in ogni caso rappresentarsi con un sistema di quartiche aventi 10 punti a comune. Alle cubiche che congiungono questi 10 punti a 9 per volta corrisponderanno anche cubiche piane sopra f*, e precisamente come a noi occorrono. Alle sezioni iperpiane della superficie F* corrisponderanno sopra /* curve di 8° ordine e genere 5, appartenenti a S,; e perciò curve canoniche Ci. Ciascuna di queste curve, essendo base di una rete di quadriche, si potrà certo staccare da /* con una quadrica (anzi con infinite quadriche). Se ne conclude che il sistema li- neare 005 di quelle Cì su f5 sarà contenuto (parzialmente) nel sistema lineare doppio di quello delle sezioni iperpiane di f5. E sul piano rappresentativo di f5 esso non (1) CasteLnuovo, Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve di genere tre, © Atti della R. Ace. di Torino ,, vol. XXI. (3) Si vede infatti immediatamente che, dei vertici dei 10 coni cubici della congruenza (3, 6), supposta esistente, tre qualunque non possono stare in linea retta. Inoltre, la congiungente di due qualunque di questi vertici deve essere raggio della congruenza; poichè se no 1l piano di essa e di un terzo vertice qualunque sarebbe singolare, e questo può escludersîi facilmente. 72 GINO FANO potrà rappresentarsi che col sistema delle curve di 7° ordine passanti doppiamente per i 10 punti fondamentali (del quale sistema quello che rappresenta f* è precisa- mente l’aggiunto). Concludiamo perciò : Se esiste una congruenza (3, 6) di genere sezionale 5, la superficie F° immagine di essa in S; dovrà rappresentarsi sul piano col sistema delle curve di 7° ordine aventi 10 punti doppi a comune. 78. — Viceversa, il sistema lineare delle curve piane algebriche di 7° ordine con 10 punti basi doppi (non appartenenti a una cubica) rappresenta appunto una superficie F° di S;, contenente 10 cubiche piane, le quali corrispondono alle cubiche che congiungono a 9 a 9 i punti fondamentali, e hanno perciò ancora a due a due un punto comune. Questa superficie F° sta certo sopra una quadrica (M5). Infatti il sistema li- neare 002° di tutte le quadriche di Ss sega su di essa un sistema lineare di curve di grado 4.9= 36 e di genere 5+5 +9 —1= 18 (come si vede subito conside- rando una curva spezzata in due sezioni iperpiane); dunque la dimensione di questo sistema (certo non sovrabbondante) sarà <36 —18 + 1, ossia <19, e perciò < 20 (mentre sono invece 0c0?° le quadriche di S;). — E si riconosce anche facilmente che questa quadrica (unica) passante per F°, dovendo contenere i piani delle 10 cu- biche, le quali hanno a due a due un punto (variabile) a comune, non può nem- meno essere degenere. La superficie F° rappresenterà dunque una certa congruenza di rette; e questa è precisamente di 6 classe, e quindi di 3° ordine (o viceversa), perchè, ad es., il piano determinato dalle mutue intersezioni di tre cubiche a due a due (piano che appartiene alla Mi fondamentale, incontrando in rette i piani di queste tre cubiche) incontra F° in sei punti (le tre intersezioni delle cubiche a due a due, e un altro punto su ciascuna di esse). Esiste dunque veramente una congruenza (3, 6) di genere sezionale 5, contenente 10 coni cubici (e, in generale, non altri punti nè piani singolari). Essa può rappresentarsi sul piano, in modo che ai suoi 10 coni cubici corrispondano le curve di 3° ordine che congiungono a 9 a 9 certi 10 punti. La sua superficie focale è di ordine 14 e classe 20, e ha una curva cuspidale di ordine gii ai 08: $ 14. La congruenza (3, 7) di genere sezionale 6. 79. — Occupiamoci infine della congruenza (3, 7) di genere sezionale 6, già riconosciuta come possibile (n° 42), e della quale dimostreremo ora l’effettiva esi- stenza. Essa sfugge al teorema generale del $ 6, avendo per immagine in S; una superficie il cui ordine, indicato con p il genere (= 6) delle curve sezioni, sarebbe precisamente = 2p — 2. E vedremo infatti ch’essa non è razionale, nò riferibile a una rigata. Sappiamo che questa congruenza, supposta esistente, deve contenere 20 coni cubici di genere uno. Diremo per brevità che due punti singolari vertici di tali coni NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. Ya) sono congiunti, ovvero non congiunti, secondo che la retta da essi determinata è, o non è raggio della congruenza (e quindi anche generatrice dei due coni). Ciò pre- messo, si riconosce facilmente: a) Se due punti singolari A e B non sono congiunti fra loro, ciascuno di essi è congiunto ad ogni altro C. Infatti il piano ABC non è certo piano singolare, perchè se no (tanto se contenesse un inviluppo quadrico di rette della congruenza, quanto se ne contenesse un fascio) si troverebbe in esso qualche punto non singolare, pel quale dovrebbero passare tre raggi della congruenza contenuti in quello stesso piano; il che non può avvenire. Non potranno dunque stare nel piano ABC più di sette raggi della congruenza. Ora 6 di questi, tutti distinti, sono dati da altrettante gene- ratrici dei due coni A e B; dunque fra questi 6 dovranno già esser comprese due delle tre generatrici del cono C; vale a dire le rette AC e BC dovranno appar- tenere alla congruenza. 5) Se due punti singolari A e B sono congiunti, ve n'è certo un terzo non con- giunto a uno almeno dei primi due : Supponiamo infatti che i punti A e B siano congiunti, oltre che fra loro, anche (entrambi) a ciascuno degli altri 18; e sia C uno qualunque di questi. I tre coni A, B, € avranno a comune: i tre vertici A, B, C; ciascuno dei quali, essendo triplo per uno dei tre coni, conta come 3 intersezioni almeno ; altri 3 punti nel piano ABC (le ulteriori intersezioni delle rette BC, CA, AB rispett. coi coni A, B, 0): almeno 16 dei rimanenti 17 punti singolari; poichè questi 17 sono tutti congiunti a A e B, e al più uno di essi può non essere congiunto a C. Si avrebbero dunque complessivamente almeno 28 intersezioni, tutte distinte. Concludiamo perciò che i tre coni ABC dovrebbero avere infiniti punti a comune, costituenti una loro comune direttrice; e questa dovrebbe anche variare se, tenendo fermi A e B, si fa variare il cono €, perchè se no ogni punto di essa apparterrebbe a più di 3 raggi della congruenza, e sarebbe perciò singolare. Ora è impossibile che la curva di 9° ordine intersezione dei due coni A e B (anzi di 8° ordine, quando se ne tolga la generatrice comune ad essi) si scinda in 18 parti, appartenenti rispett. agli altri coni. Vi sarà dunque certo, fra questi 18 coni, uno il quale non sia con- giunto o ad A o a B. Dalla proprietà a) segue che quelli fra i 20 punti singolari, che non sono con- giunti a ogni altro, si distribuiranno a coppie; in modo che i due punti di ciascuna coppia non siano congiunti fra loro, ma lo siano entrambi ad ogni altro. E queste coppie dovranno anche esaurire i 20 punti — vi saranno cioè 10 coppie consimili —, perchè se no resterebbero sempre due punti congiunti fra loro e ad ogni altro, caso escluso in 8). Dunque: I venti punti singolari si distribuiscono in dieci coppie, tali che due punti di una stessa coppia non sono mai congiunti, ma due punti di coppie diverse lo sono sempre. Nel piano di tre punti, dei quali due non siano congiunti, abbiamo già veduto come sono distribuiti i sette raggi della congruenza. Nel piano di tre punti singolari A, B, €, a due a due congiunti, apparterranno alla congruenza le tre rette BC, CA, AB; Serie II. Tom. LI. J 74 GINO FANO un’altra generatrice ancora di ciascuno dei tre coni A, B, €, e un 7° raggio non contenuto in alcuno di questi tre coni. 80. — Consideriamo ora la superficie F!° di S; immagine della nostra congruenza, e domandiamoci in quante varietà cubiche (Mj) essa sia contenuta. Il sistema lineare di tutte le M? di Sj è di dimensione È )_-1=55. Sulla F10 queste varietà segheranno un sistema lineare di curve | T | di grado 9.10 = 90, e il cui genere si può dedurre facilmente dalla considerazione delle curve spezzate in tre sezioni iperpiane: esso varrà precisamente 3.6 4-3.10 —2=46. Ora, se in- dichiamo con | C | il sistema delle sezioni iperpiane di F!°, il sistema triplo | 8C] sarà appunto |T|, ovvero il sistema normale in cui quest’ultimo è contenuto. Di più, | C] è il sistema residuo che si ha staccando da |3C| una curva generica del sistema |2C |; e quest’ultima curva è di genere 2.64 10 — 1 =21, sicchè la serie lineare segata su di essa da |3C|, la quale è di ordine 60, è certo non speciale. Di qui si trae che la sovrabbondanza del sistema lineare | C| non può essere inferiore a quella di |3C| (*). — Ora la superficie F!° ha le sezioni non speciali (n° 21); dunque il suo genere geometrico è nullo, e perciò ogni sistema lineare su di essa va consi- derato come non speciale. Se p, è il suo genere numerico (che vedremo in seguito essere anche nullo), la sovrabbondanza di | C| sarà — p,; e quella di |8C|, sup- posto di dimensione r, sarà r — 90 + 46—1—p,=r—45 — pn. Avremo perciò: — Pa — 45 — Pau ossia »<45 (2). — Concludiamo pertanto che per F!° passerà un sistema lineare di Mj di dimensione 2 9. Fra queste vi sono però le 005 costituite dalla quadrica fondamentale in cui F!° deve supporsi contenuta, e da un S, variabile. Esisterà quindi un sistema lineare almeno co? di Mî passanti per F1° e nessuna delle quali conterrà come parte la quadrica fondamentale. Vale a dire: La nostra congruenza (3, 7), supposta esistente, appartiene a un sistema lineare almeno 3 di complessi cubici (tutti irriducibili, non potendo la congruenza stare in un complesso di grado < 3). 81. — Riferiamoci ora, per maggior chiarezza, alla congruenza (7,3) duale di quella considerata precedentemente. Questa conterrà 20 inviluppi piani di 3* classe e genere 1, e apparterrà anche a almeno 003 complessi cubici. Siano a,, as i piani di due dei 20 inviluppi, tali che la retta 0,0, non appar- tenga alla congruenza (n. 79); e siano £,, fs © Yi, Ys altre due delle 10 coppie di () CasreLnuovo, Alcune proprietà fondamentali dei sistemi lineari di curve tracciati sopra una su- perficie algebrica, “ Annali di Matem. ,, s. II, t. 25, n° 39,1, p. 75. Per la definizione di sovrabbon- danza, v. n° 35. (?) Indicato con pi il genere (= 46) del sistema lineare | 83C |, la sua serie caratteristica sa- rebbe di ordine 2p, — 2, e avrebbe perciò potuto essere la serie canonica. Ed è stato per escludere questo, e concluderne #<45 (anzichè soltanto r<46) che abbiamo dovuto fare un ragionamento un po’ più lungo. PIEVI LATTE er NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. (È) piani consimili. Esisterà certo un complesso cubico T contenente la data con- gruenza (7, 3) e le tre rette 0,03, 8, Bs, Yi Yo. Esso conterrà per intero i sei piani rigati e; 8;, Y;:: e perciò, se consideriamo, ad es., il punto a,B,f1, 1 tre fasci di raggi aventi i centri in questo punto e contenuti rispett. nei tre piani 0,, Bi, Yi apparterranno anche a quel complesso. Ma, fra i 7 raggi della congruenza uscenti dal punto a,8,Y,, sappiamo che ve n’è uno non contenuto in alcuno dei tre piani C, Bi, Y:; e da ciò si trae che il complesso l conterrà altresì l’intera stella di rette a, BY, come pure le analoghe a; 8; Y;: in numero complessivo di otto. D'altra parte le tre coppie di piani 0,2, 8182, Y1Ys individuano una rete di quadriche (avente per punti basi gli otto punti a, f;Y.); e le generatrici (di ambo i sistemi) di tutte le quadriche di questa rete formeranno anche un complesso cubico F;. Dico che i due complessi V e T, coincidono. Infatti essi hanno a comune anzitutto i sei piani rigati a,, Bi, Y; e le otto stelle di rette a, f; y.. Di più, nella rete considerata vi è un fascio di quadriche passanti per la congiungente s dei due punti basi 0,B,Y, e 0982 Y3; 0 la curva base di questo fascio si compone della stessa retta s e di una cubica passante per gli altri sei punti a; fi Yi e avente s per corda. La congruenza (1, 3) delle corde di questa cubica appartiene certo a F,; e appartiene pure a T, avendo a comune con quest’ultimo complesso i sei coni quadrici che proiettano la cubica dai suoi sei punti a;f;Y,, e inoltre il raggio s. Ora, di congruenze (1, 3) di questo tipo, e perciò comuni a e f,, ve ne sono quattro; dunque più che a suf- ficienza per concludere che i due complessi coincidono (1). La congruenza (7, 3) sarà dunque contenuta nel complesso cubico formato da tutte le generatrici della rete di quadriche determinata dalle tre coppie di piani 0,09, Bis, Tifo. Sia ora è;d, una quarta coppia di piani analoga alle precedenti, e consideriamo l’altra rete determinata dalle coppie di piani 4,09, 8182, d;ds (2). Le due reti avranno a comune il fascio determinato dalle due coppie di piani a,a, e B,fs; e i corrispondenti complessi cubici avranno a comune i quattro piani rigati a,, @2, B1, Bs e le due congruenze lineari di direttrici rispett. 0,8, © 0982, 0,82 e d58,. L’interse- zione residua di questi complessi sarà allora la (sola) congruenza (7,8) considerata. Dunque: La congruenza (7, 3) di genere sezionale 6, supposta esistente, deve po- tersi ottenere come intersezione parziale dei complessi cubici formati dalle generatrici di due reti di quadriche aventi un fascio a comune. Possiamo anche osservare che nel sistema lineare 005 determinato dalle quattro coppie di piani 0,09, B1B2, Yifs e è1ds dovranno essere contenute (in generale) altre sei coppie di piani. Su ciascun piano di una tal coppia il sistema 03 di quadriche segherà soltanto una rete di coniche; e ogni retta contenuta (parzialmente) in (!) Questo ragionamento coincide sostanzialmente con quello di cui si vale il sig. MoxtEsazo (Mem. cit., n° 1) per mostrare che un complesso cubico contenente otto stelle di raggi, delle quali quattro qualunque abbiano i centri non in un piano, si compone delle generatrici delle quadriche di una rete. (2) Le due reti considerate saranno certo distinte, o almeno si possono supporre tali, perchè una rete di quadriche la quale non contenga (come non contiene nel nostro caso) infinite coppie di piani, contiene al più 6 di tali coppie. Questo numero massimo è raggiunto quando essa contenga quattro fasci di coni; e ciò avviene ogni qual volta vi sia un tetraedro autopolare comune a tutte le quadriche della rete. 76 GINO FANO questa rete apparterrà a tutto un fascio di quadriche del sistema 003, dunque a una quadrica sì dell'una che dell’altra delle due reti considerate di sopra (e che sono contenute nel sistema 00°): essa sarà perciò una retta della nostra congruenza (7, 3). Vale a dire: I piani delle coppie di inviluppi di 3° classe non congiunti della congruenza (7, 3), supposta esistente, sono le 10 coppie di piani di un sistema lineare 08 di quadriche; e gli inviluppi stessi sono le Cayleriane delle reti di coniche segate da questo sistema c0 8 sopra quei piani. 82. — Viceversa, sia dato un sistema lineare 008 di quadriche (2), privo di punti basi; e si considerino entro di esso due reti arbitrarie. Le generatrici delle quadriche di queste due reti costituiranno rispett. due complessi cubici, aventi a comune la congruenza (2, 6) delle corde di quella quartica, che è curva base del fascio comune alle due reti (Nel caso considerato al n° prec. questa congruenza si spezzava in due congruenze lineari e quattro piani, rigati). L’intersezione residua dei due complessi sarà perciò una congruenza (7, 3). Questa conterrà precisamente 20 inviluppi piani di 3* classe, nei piani che a coppie formano quadriche del si- stema Z; e questi inviluppi saranno le Cayleriane delle reti di coniche segate da X sopra tali piani. — Si vede anche facilmente che la congruenza avrà il genere se- zionale 6; perchè, se aj, è una coppia di piani contenuta in X, la rigata R!° delle rette della congruenza che si appoggiano all'intersezione ajas si comporrà dei due inviluppi di 3° classe e genere uno contenuti nei piani stessi a, e a, (i quali non hanno rette a comune), e di una rigata razionale di 4° ordine, avente 0a, per di- rettrice semplice, e avente ancora tre generatrici a comune con ciascuno di quei due inviluppi: sicchè questa rigata (riducibile) sarà appunto di genere 6. Esistono dunque effettivamente congruenze (7,3) o (3, 7) di genere sezionale 6. Per definirle nel modo più opportuno, possiamo ancora osservare che ogni retta della congruenza (7, 3) testè ottenuta è generatrice comune di due quadriche distinte appartenenti rispett. alle due reti considerate in X, e quindi anche di tutto un fascio di quadriche contenute pure in XZ. — D'altra parte, considerato entro Z un qual- siasi fascio di quadriche aventi una retta a comune (ossia un fascio la cui curva base si spezzi in una retta e una cubica), si vede subito che quella retta apparterrà al complesso cubico delle generatrici di ogni rete di quadriche contenuta in X (poichè questa rete ha certo una quadrica a comune con quel fascio), e perciò anche alla congruenza (7, 3) intersezione (parziale) di due qualunque di quei complessi cubici. — La congruenza (7, 3) non è dunque legata a nessuna particolare coppia di reti contenute in Z, ma soltanto a quest’ultimo sistema; essa è l’insieme di quelle rette che appartengono a tutto un fascio di quadriche di X, anzichè a una sola di queste quadriche (come avviene per una retta generica). Essa appartiene altresì al complesso cubico delle generatrici di ogni rete di quadriche contenuta in X; e così si hanno precisamente gli 008 complessi cubici passanti per essa (n° 80). Esistono dunque congruenze (3, 7) di genere sezionale 6; e precisamente la con- gruenza duale (7, 3) è sempre congiunta a un determinato sistema lineare co di qua- driche privo di punti basi e affatto generale. Essa può definirsi come l'insieme di quelle rette che appartengono a due diverse e perciò a tutto un fascio di quadriche del NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 77 sistema c08. Sotto altra forma si può anche dire che, fra gli c0* fasci contenuti nel sistema co 3, ve ne sono co? la cui curva base si spezza in una cubica e una retta corda di questa cubica; e sono precisamente le 00? rette così ottenute quelle che costituiscono la congruenza. La congruenza (7, 3) è priva di punti singolari, ma con- tiene 20 inviluppi piani di 3° classe e genere uno, in quei piani che a coppie formano quadriche degeneri del sistema 003. Questa congruenza è dunque quella delle “ rette principali , (“ Hauptstrahlen ,) di un sistema lineare 008 di quadriche, già stata considerata dal sig. ReyE (!), il quale ne ha pure determinato l’ordine e la classe. — Ogni punto dello spazio appar- tiene (senza eccezioni) a una rete di quadriche del sistema 00, la quale ha altri 7 punti basi, in generale distinti fra loro e dal primo; le rette della congruenza uscenti da quel primo punto sono quelle che lo congiungono a questi suoi associati. Un piano generico sega le quadriche del sistema co 3 secondo un sistema lineare co 3 di coniche, nel quale sono contenute quattro rette doppie (?); le rette della con- gruenza che stanno in questo piano sono le diagonali del quadrilatero formato da quelle quattro rette (8). i La congruenza (3, 7) si troverà in una relazione duale con un sistema li- neare 008 di quadriche-inviluppi. 83. — Consideriamo ora di nuovo la superficie F!° dello spazio S;, a sezioni di genere 6, immagine della nostra congruenza (3, 7). Essa dovrà contenere 20 cu- biche piane, ciascuna delle quali avrà un punto a comune con tutte le rimanenti, meno una. E gli spazi S, passanti per una di queste cubiche incontreranno ulterior- mente la F!° secondo curve di 7° ordine e genere 3, aventi con quella cubica tre punti a comune. Proiettiamo la superficie F!° su di uno spazio Sg da una retta generica 7 del piano di una sua cubica y. Avremo una superficie ®©" di S3 con un punto triplo A immagine della curva Y, e con una curva doppia di 9° ordine (non passante per A). Il secondo piano della quadrica fondamentale passante per r darà come traccia un punto B, quadruplo per la superficie ®" e sestuplo per la sua curva doppia (0°). Da questo punto la C° verrà proiettata secondo un cono cubico, privo di generatrici doppie (per ragioni analoghe a quelle vedute al n. 33) e perciò ellittico; e questo cono incontrerà ancora la ®? secondo una cubica piana è (proiezione di quella cu- bica di F!° che non ha punti comuni con Y). Per la superficie F!°, e quindi anche per la ®” che ne è proiezione, è nullo, oltre che il genere geometrico, anche il genere numerico; ciò risulta infatti dal- l’espressione di p, trovata al n. 33, nella quale deve porsi #=0 (n° 30) e t=0 (4) Geometrie der Lage, 3*° Aufl. III, p. 140 e seg. (*) Cfr. ad es. Seare, Considerazioni intorno alla geometria delle comiche di un piano..., “ Atti della R. Ace. di Torino ,, vol. XX. (*) Un caso particolare notevole sarà quello in cui il sistema lineare X si componga delle prime polari dei punti dello spazio rispetto a una data superficie cubica. I tre raggi della congruenza contenuti in un piano del pentaedro di questa saranno le diagonali del quadrilatero segato su tale piano dagli altri 4 piani del pentaedro. 73 GINO FANO . (essendo la congruenza risultata completamente priva di raggi multipli). D'altronde si può anche far vedere direttamente che per una superficie di 3° ordine (la quale dipende da 19 parametri) il passaggio per la curva C° e per il punto A (condizioni richieste, perchò essa sia aggiunta a ®”) equivalgono precisamente a 20 condizioni semplici. La F!° (o la ©") è dunque una superficie regolare di genere zero. — Le super- ficie ®4 aggiunte a D" segheranno sopra quest’ultima curve di 10° ordine, costituenti il sistema lineare | 0’ | aggiunto al sistema | € | delle sezioni iperpiane di F!9, Fra queste superficie vi sono quelle composte del cono cubico che da B proietta la curva C° e di un piano per A; le corrispondenti curve C' si spezzeranno nella cubica è (di genere uno) e in una sezione piana di ®” passante per A (perciò di genere 3). Queste due curve avendo 3 punti a comune, se ne conclude che il genere del sistema || è 1+34+3—1=6, come per | C|. E il suo grado (trattan- dosi di sistema co5 normale) sarà 6-+5 — 1=10. I due sistemi IC ue 004] hanno dunque gli stessi caratteri. Di più, | C| dovrà segare sulla curva generica di | C' | una serie lineare Gio, la quale non potrà essere che la serie canonica di questa curva. E di qui si trae che | C| è a sua volta l’aggiunto di | C' |, ossia coincide col proprio secondo aggiunto. Dunque la superficie di cui si tratta, non è razionale, ma ha invece il bigenere P= 1 (1). La congruenza (3, 7) di genere sezionale 6 non è razionale, ma è invece un ente algebrico co? regolare di genere zero e bigenere uno. La superficie D” dianzi considerata ammetterà pertanto una superficie biaggiunta di 6° ordine; vi sarà cioè una e una sola superficie di 6° ordine passante doppia- mente per la C° e avente anche in A un punto doppio. L’intersezione residua di questa superficie colla ®", esclusa la C° che è doppia per entrambe, si comporrà di una curva di 6° ordine avente in A un punto sestuplo, e che dovrà perciò spezzarsi in rette passanti per A. Siccome ®” contiene soltanto tre rette passanti per A (im- magini dei tre punti in cui l’asse di proiezione r sopra F!° incontra la cubica Y), così, per ragioni di simmetria, quell’intersezione si comporrà di queste tre rette, contate ciascuna due volte. La superficie di 6° ordine biaggiunta di ®" avrà le se- zioni ellittiche, e si rappresenterà sul piano con un sistema lineare 008 di cubiche aventi a comune 3 punti in linea retta. 84. — I risultati principali di tutta la nostra ricerca si possono riassumere negli enunciati seguenti: ì Le congruenze di rette del 3° ordine prive di linea singolare sono tutte di classe n<13 e di genere sezionale ps 6. Di genere sezionale p=0 è soltanto la congruenza cremoniana (3, 1) generata da due piani collineari in posizione generale. (!) Enriques, Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche, “ Mem. della Soc. It. delle Scienze ,, s. 1II, t. X, n° 89. Si osservi che se | C| e | C' | sono mutuamente aggiunti, il sistema somma |C|-4+|C"| avrà per aggiunto tanto | 20 | quanto | 20° |, e sarà perciò | 2C| = |2C (a meno di curve eccezionali). ite eda li i NUOVE RICERCHE SULLE CONGRUENZE DI RETTE DEL 3° ORDINE, ECC. 79 Le congruenze di genere sezionale p= 1 (n = 6) si possono ottenere tutte come proiezioni di sistemi di rette contenuti in varietà cubiche di S, con un numero finito e < 6 di punti doppi. Quelle di genere sezionale p= 2 (n < 9) contengono tutte un unico sistema co ! razionale d’indice 3 di rigate quadriche inviluppanti la superficie focale (che è di 8° ordine). Quelle di genere sezionale p= 3 (n = 13) sono caratterizzate dal contenere un cono ellittico di ordine n — 1. In questo senso esse costituiscono la naturale esten- sione delle congruenze di 2° ordine di prima specie (contenenti un cono razionale di ordine n — 1) (!). Quelle di genere sezionale p = 4 (n < 9) sono tutte contenute in un complesso tetraedrale; fatta eccezione per: 1) la congruenza (3, 3) intersezione di un complesso lineare non speciale con un complesso cubico; 2) la congruenza (8, 9) formata da un sistema co! ellittico d’indice 3 di rigate quadriche non aventi alcuna generatrice a comune ($ 7, I). Le congruenze di genere sezionale 4 contenute in un complesso tetraedrale si pos- sono considerare come le analoghe delle congruenze di 2° ordine di seconda specie (?). Le congruenze di genere sezionale p= 5 sono tutte di classe 6, e contengono 10 coni cubici ellittici; quelle di genere sezionale p= 6 sono di classe 7, e conten- gono 20 coni cubici ellittici. Queste congruenze sono tutte rappresentabili sul piano, fatta eccezione soltanto : A) per alcune di quelle di genere sezionale 4, e precisamente: 1) la congruenza (3, 3) contenuta in un complesso lineare, la quale è in generale di genere (geom.°° = num°®.) uno, ma in casi particolari può diventare razio- nale, o anche riferibile a un cono ellittico ; 2) la congruenza (3, 9) di cui sopra, che è pure riferibile a un cono ellittico; 8) le congruenze contenute in un complesso tetraedrale e che, nella con- sueta rappresentazione di questo complesso sullo spazio di piani, corrispondono a inviluppi di piani tangenti a una curva piana generale di 3? classe: queste sono anche riferibili a un cono ellittico; B) per la congruenza (3, 7) di genere sezionale 6, la quale è di genere (geom.®° = num.°) zero e di bigenere uno. Messina, dicembre 1900. (4) Srurx, Op. cit., II, p. 50, n° 318. SER O SKOVPFRCA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO MEMORIA DI FRANCESCO SEVERI Approvata nell'adunanza del 13 Gennaio 1901. INTRODUZIONE Th Nel presente lavoro ci proponiamo di risolvere alcune questioni numerative re- lativamente a curve algebriche di un iperspazio. Per lo spazio ordinario risultati della natura di quelli di cui noi tratteremo, si trovano dapprima in una Memoria del CAvLEY (') e poi in una più completa di ZeurHEN (*); lavori d’indole più parti- colare dei precedenti nello stesso ordine di ricerche sono quelli di Prcquer (*) e di Griser (‘). La trattazione puramente algebrica dei problemi risoluti da questi autori, e di altri ancora, trovasi nelle Memorie che il BriLr, a più riprese, pubblicò nei “ Mathematische Annalen ,. Altre citazioni faremo nel seguito, allorquando se ne presenterà l’occasione. (!) Cfr. CayLey, On skew surfaces, otherwise scrolls (“ Philosophical Transactions ,, 1863, t. 153, p. 413; oppure: “ Collected Math. Papers ,, t. 5, p. 168). () Cfr. Zeurnen, Sur les singularités ordinaires d’une courbe gauche et d’une surface développable (£ Ann. di Mat. , (2), t. 3, 1869). (3) Cfr. Prcquer, Sur les courbes gauches algébriques; surface engendrée par les sécantes triples; ete. (© Bulletin de la Société Math. de France ,, t. I, p. 270, 1870). Per una correzione a due risultati di questo lavoro cfr. Guccra, Sopra alcune formole del signor Picquet (“ Rend. di Palermo ,, t. 1, p. 27, 1885). (4) Cfr. Griser, Ueder die dreifachen Secanten einer algebraischen Raumcurve (“ Collect. Math. , in m. D. Chelini, 1881). Cfr. anche la Nota del Prof. Berzorari, Sulle secanti multiple delle curve alge- briche dello spazio a 3 0 a 4 dimensioni (“ Rend. di Palermo ,, t. 9, 1895). Serie II. Tom. LI. K 82 FRANCESCO SEVERI 2 IL Questo lavoro dividesi in due parti: nella prima si suppone la curva oggettiva dotata delle singolarità che compariscono nelle note formole del VeRONESE (*), e si fanno ricerche attorno alle varietà costituite da corde della curva che soddisfano a condizioni assegnate (*); nella seconda parte si suppone la curva oggettiva priva di punti multipli e si fanno, in special modo, ricerche intorno agli spazi che hanno con la curva dati contatti. Alcune di queste ricerche sono condotte lasciando indetermi- nata la dimensione dello spazio ambiente, altre fermandosi a curve di uno spazio a quattro, od a cinque dimensioni. Ma si vedrà che il metodo seguito per risolvere problemi relativi a curve di questi spazî, può tenersi per risolvere le questioni ana- loghe negli spazîì superiori. I resultati della seconda parte, in quanto sono ottenuti prescindendo dalle singolarità proiettive della curva oggettiva, si possono conside- rare come appartenenti alla geometria sull’ente (*), ed acquistano veramente la forma sotto cui si suole presentare le proprietà invariantive per trasformazioni birazionali, quando si riferiscano alla serie lineare segnata sulla curva dagli iperpiani del suo spazio. Avremo frequentemente occasione di profittare dei principî di corrispondenza sopra una curva, e, come di solito, la. maggior difficoltà nella loro applicazione si presenterà nel determinare il grado di molteplicità delle coincidenze. E alcune volte vinceremo questa difficoltà usando di un artificio che qui esponiamo: Suppongasi di avere sopra una curva © immersa in uno spazio S,, una corri- spondenza (a, a') pienamente definita soltanto dal fatto di dare la curva, e sia O un punto unito di essa. Allorquando un punto P mobile sulla curva, cade in O, fra gli o' punti P' omologhi di P, ve ne sono un certo numero che pure cadono in O, e questo numero è funzione di alcuni caratteri della curva. Ricordiamo che il numero delle volte che il punto O va contato fra i punti uniti è dato dalla somma degli ordini infinitesimali delle distanze che passano fra un punto P della curva che si approssimi ad 0, e i punti P' omologhi di esso punto P, che gli sono infinitamente vicini, avendo assunto la distanza OP come infinitesimo principale (4). Orbene se ci riferiamo ad una curva che siasi ottenuta particolarizzando quei caratteri dai quali non dipende il numero dei punti P' che con P cadono in O, e per la quale la cor- rispondenza primitiva abbia ancora senso, poichè gli ordini infinitesimali delle di- (*) Cfr. Veronese, Projectivische Verhiiltnisse, etc. (£ Math. Annalen ,, Bd. 19). (*) Non presumiamo certamente di avere esaurito questa classe di problemi; molti ancora ne restano da risolvere. (3) Per una trattazione della geometria sopra una curva cfr. Sere, Introduzione alla geometria sopra un ente algebrico semplicemente infinito (£‘ Ann. di Mat. , (2), 22, 1894). Ivi si troverà anche un’estesa bibliografia inerente all’argomento. (‘) Le distanze di cui si parla nel testo si potranno contare sopra la superficie di Riemann rap- presentatrice dell'ente algebrico. Cfr. Zrurmen, Note sur le principe de correspondance (“ Bulletin de Darboux ,, t. 5, p. 186, 1873). Cfr. pure: ZeurHen, Nouvelle démonstration du principe de correspon- dance de Cayley et Brill, ete. (£ Math. Annalen ,, Bd. 40, p. 99, 1892). > SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 83 stanze prima considerate dipendono solo dalle proprietà della curva nell'intorno di O, determinando per quella particolare curva il grado di molteplicità della coinci- denza 0, otterremo un numero che esprime il grado di molteplicità che desideravamo in generale. II. Norazioni. — Raccogliamo qui le notazioni che saranno più spesso usate; altre ne introdurremo nel seguito. Denoteremo con: r la dimensione dello spazio ambiente, n l'ordine della curva oggettiva, n; l’î-esimo rango (i=1,...,rT—-2), m la classe, d il numero dei punti doppi (nodi), p il numero delle cuspidi, p; il numero degli $S; stazionarî (î=1,...,r—1), h il numero dei punti doppi apparenti, p il genere della curva. PARTE PRIMA $ 1. — Sopra certe rigate costituite da corde della curva. 1. — Ordine della rigata luogo delle corde ognuna delle quali giace nell’iperpiano osculatore în uno dei due punti d'appoggio. Seghiamo la M; delle corde della curva © con un $,_s generico, e sia F la curva che ivi otteniamo come sezione. Fra i punti di { consideriamo una corrispondenza così definita: Dato un punto A di [ si tirino per quello gli w iperpiani osculatori a C e per ciascuno dei loro punti d’osculazione tiriamo le n —1 corde di C appoggiate a ; i punti d'appoggio su T di queste corde li chiameremo punti A’ omologhi di A. Dato un punto A’ di F, siccome questa curva è di ordine /%, avremo 2/4 punti A, omologhi di quello, e questi punti costituiranno la completa intersezione di [ con una forma (quadratica) del suo spazio. Dunque la corrispondenza è dotata di valenza ( Werthigkeit) nulla, e, per il prin- cipio di corrispondenza di Cayley e Brill, sono 2% + m(n — 1) le sue coincidenze. E si hanno: a) Nei punti ove FT è incontrata dalle x generatrici della rigata di cui si cerca l’ordine. 5) Nei punti in cui l è incontrata dalle n, tangenti di C appoggiate ad essa. c) Nei punti in cui è incontrata dai piani osculatori a C nelle p cuspidi ('). © (1) Questi piani osculatori fan parte della Mz delle corde come sostegni dei fasci di rette aventi per centri le cuspidi; tutte le rette di quei fasci sono corde improprie di C. Cfr. Levi Beppo, Sulla varietà delle corde di una curva algebrica (£ Memorie della R. Acc. di Torino , (2), t. 48, 1898). 84 FRANCESCO SEVERI 4 Attualmente il numero dei punti A' che cadono nel punto A da cui essi pro- vengono, quando A coincide con un punto unito, dipende, com'è facile verificare, soltanto dalla dimensione dello spazio ambiente. Quindi se noi rappresentiamo rispet- tivamente con a, 8, y, i gradi di molteplicità della prima, seconda, terza classe di coincidenze della nostra corrispondenza, potremo, per determinare a, f, y, ricor- rere a curve di S, di ordine e genere prestabiliti. Si ha l'equazione: (1) 2h4m(nT-1)=axr + Bn + vp. Applichiamo la (1) ad una curva razionale normale di $S,, avvertendo che per essa è €e= 0. Avremo un’equazione con la sola incognita B, e quindi ne trarremo: B=r—1. Applichiamo ora la (1) alla proiezione generica su S, di una curva razionale normale di S,,,. Per essa proiezione il numero x si determina mediante l’ordinario principio di corrispondenza, applicato ad un fascio di iperpiani. Si troverà che: ar=(r+1°_-(+1b)=r(r +1). E allora dalla (1) segue: a= 1. Applichiamo ancora la (1) ad una curva di S, proiezione della curva razionale normale di S,., da un punto di una sua tangente, avvertendo che per essa curva (come rilevasi mediante l’applicazione del principio di corrispondenza ad un fascio di iperpiani) è «=2r — 1. Dalla (1) allora segue Y=r — 2. E dunque si ha: a=2h+m((n—-1)—(r-1)m—(r-2)p()). 2. — Ordine della rigata luogo delle corde ognuna delle quali giace in un iper- piano osculatore alla curva, fuori de suoi punti d’appoggio. Seghiamo, come facemmo al n° precedente, la M; delle corde della curva ogget- tiva C con un S,_s generico di S,, e sulla curva T che ivi otteniamo come sezione consideriamo una corrispondenza così definita: Dato un punto A di si tiri la corda , di C per esso, e per ognuno de’ suoi punti d’appoggio si conducano gli m—r iper- piani osculatori a © fuori di essi punti. Questi iperpiani secano l in 2/(m — r) punti che chiamiamo punti A' omologhi di A. Dato un punto A' di F sono m(n—1)(n— 7) i punti A da cui esso proviene. La corrispondenza è dotata di valenza nulla, onde sarà: 2h(m_-r)t+tmhn—-1)(n—- r), il numero delle sue coincidenze. Le quali hanno luogo: a) Nei punti d'appoggio su l delle y generatrici della rigata di cui si cerca l’ordine. 5) Nei punti d’appoggio su T delle x generatrici della rigata di cui al numero precedente. c) Nei punti d’intersezione di l coi piani osculatori a C nelle p cuspidi. (4) Per lo spazio ordinario: Cfr. Zeurmen, Sur les singularités, etc., n° 15. “a sati 5 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 85 Onde: (1) 2h(m_-r)+m(n_-1)n-r)=ay+Bx+ vp, ove con a, B, y si denotano i gradi di moltiplicità rispettivi della prima, seconda, terza classe di coincidenze. Anche adesso si stabilisce subito come sia legittimo per determinare a, f, y ricorrere a curve di S, di ordine e genere prestabiliti. Appli- chiamo la (1) alla proiezione generica su S, della curva razionale normale di $,41. Per essa è y=0, onde la (1) da B=r. Per la curva insieme di due curve razionali normali di S, la rigata di cui si vuol l’ordine si spezza in due rigate d’ordine uguale; e siccome una qualunque di queste rigate è costituita dalle rette che riuniscono le coppie di punti omologhi nella corrispondenza involutoria che si ottiene sopra una delle due curve, facendo corri- spondere due suoi punti allorquando sono segnati su essa da un iperpiano osculatore all’altra, troviamo: y=rrt_—1)—ri_—1=r(r— 1). E la (1) allora porge: a= 2. Si applichi infine la (1) alla proiezione su $, della curva razionale normale di S,3; da un punto di una sua tangente, tenendo presente che per essa è y= 0. Se ne trae Y=r—2. E quindi: 2h(m_-r)+mhn_-1L)n_-r)=2y+rx+(r—2)p Sostituendo ivi la espressione di x, ottenuta al n° precedente, si ha: y= $ i mn_—1)(n_-2r) + 2hM(m—-2rn)+re— bay + (e D&e—2p | (0). $ 2. — Numero delle corde principali. Numero dei gruppi ciclici per una corrispondenza sopra una curva. Poligoni principali. 3. — Chiamiamo corde principali di una curva di S, le corde (generalmente in numero finito) ognuna delle quali giace negli iperpiani osculatori nei due punti di appoggio (°). Ci proponiamo di determinare il numero di queste corde. Chiamiamo con T la corrispondenza che si ottiene su C accoppiando ad un punto della curva i punti di ulteriore intersezione con l’iperpiano osculatore in quello. La corrispondenza T°, che si ottiene applicando due volte successivamente (1) Per lo spazio ordinario: Cfr. Zeurnen, Sur les singularités, ete., n° 16. , (2) La denominazione è del Prof. BertInI, il quale determinò il numero delle corde principali di una quartica gobba di seconda specie. Cfr. Bertini: Sulla quartica gobba, ecc. (£ Rendiconti del- l’Ist. Lombardo , (2), t. 5, 1872). 86 FRANCESCO SEVERI 6 le operazioni della corrispondenza T, ha gli indici: (m — r)?, (n — r)?, e, siccome la corrispondenza T ha la valenza uguale ad r, sarà: (n-r+(n—-r°—2r°p, il numero dei punti uniti della corrispondenza T° (1). Queste coincidenze si presentano: a) Nei punti d'appoggio delle x corde principali, ciascuno da contarsi a volte fra le coincidenze. 6) Nelle P cuspidi, ciascuna da contarsi f volte. c) Nei p; punti in cui TS, osculatore è stazionario, ciascuno da contarsi f, volte @(=4W..je 1) d) Nei d nodi ciascuno da contarsi 1 volte. Otteniamo dunque l’equazione: (1) (mr + (—r)?—2r2p= Zar + ep +2, pp. + rd. Applicando la (1) alla proiezione su S, della curva razionale normale di S,,, da un punto d’una sua tangente, segue: a=ax pb, la quale non può esser soddisfatta se non essendo: x = 0, B=B,_1="1. E allora, applicando la (1) alla curva ellittica normale di $S,, per cui è: (e-1°_-(e+ 1 __ rle-2)r+1) Leg 2 do 2 ? come si deduce con la rappresentazione parametrica per funzioni ellittiche, si trae: 2 Per una curva di S, proiezione della curva razionale normale di $,, da un (41 punto di un suo S,4, osculatore è y= (' 9 Ci rimane da determinare y. Sia 0 un nodo di C. Allorquando un punto A si avvicina ad O su uno dei rami R,, di cui O è origine, dei punti A' omologhi nella T uno si avvicina ad O sull’ altro ramo R., di cui O è origine; e fra i punti A” omologhi dei punti A' nella T, e quindi omologhi di A nella T°, ve n’ha uno che li e quindi dalla (1) segue B,= 1. (*) I numero dei punti uniti della corrispondenza prodotto delle corrispondenze (a,, Bi, Yi), (02, Ba, Ya), -.., (04, Bk, Tx), ove le a, B, y denotano rispettivamente gli indici e le valenze, positive o negative, delle corrispondenze considerate, è dato da: k09. 0 + BiPo...8% +(- 1Y4! 5 2YiYa... Ykp. A questo risultato, sotto una forma così generale, l’Hurwrrz giunge nella Memoria: Ueder al- gebraische Correspondenzen, etc. (£ Math. Annalen ,, Bd. 28, p. 568, 1886). Nel caso che le Y siano positive lo stesso si trova mediante una formola nota del Cayley. Cfr. p. e. SeGRE, loc. cit., n° 49. 7 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 87 col tendere di A ad O su R,, si muove su questo ramo tendendo esso pure ad 0. Quindi il punto 0 conta almeno due volte come punto unito della T°, giacchè si pre- senta fra le coincidenze e come origine di R, e come origine di R.. Se proviamo che come origine di uno dei rami conta una volta sola fra le coincidenze, avremo provato che y=2. Il punto A sia abbastanza prossimo ad 0 su R,; dicasi A’, quello fra i punti A' omologhi di A nella T che trovasi su R,, e A”, quello fra gli omologhi di A nella T°, che trovasi su R,. Diciamo inoltre f, e # le tangenti ad R, ed R, in 0. La retta AA’, mentre A tende ad O, si mantiene nell’iperpiano osculatore a R, in A, ed ha per limite la tangente f,; e così la retta A’, A", ha per limite la #. Quindi : 9 " : È 4 ROSATI (tt. lim ASA x lim sen a sà 1 po sen tit) == 1 i AA, sen AAA, sen (tt) : f N t lim ESS lim SER Se ala 4 AAI sen A 0A‘, sen(t4ta) e AA",, OA essendo dello stesso ordine di AA'’,, son del medesimo ordine infinite- simale. In altri termini l’ordine di AA”, rispetto ad OA è uguale ad 1. Ed allora è provato che il punto 0, come origine di R,, conta fra le coincidenze di T° una volta sola. La (1) dunque dà: rl (mr? +(n_r)?T—2r2p=2x +p+ Xp + 2d. l Da questa relazione, mediante le note formole del Veronese, si potrebbero eli- minare p, p,; -.., P,_1; ma è più semplice osservare che le cuspidi e i punti in cui l’S, osculatore (î = 1, ...,r — 1) è stazionario, si presentano come punti uniti della corrispondenza T, e, in forza di una utile osservazione ('), ciascuno di essi conta fra le coincidenze una volta sola. Onde: (Mm_r-)}@—r)t2rp=p+#+2p;, la quale confrontata con l'uguaglianza precedente, dà: ro (e de na —2p("i')-d ). (!) Cfr. Se@re, loc. cit., fine del n° 48. (?) E se la curva ha un punto s-plo ordinario 0, siccome i punti omologhi di 0, come origine di uno dei rami, che cadono in esso, sono in numero di s— 1, e l’ordine del segmento AA‘, essendo A un punto di uno dei rami per il punto s-plo, ed A' uno degli omologhi che gli sono infinitamente prossimi, rispetto ad OA è uguale ad 1 (il che si prova con lo stesso ragionamento fatto nel testo per un punto doppio), quel punto s-plo conta, fra i punti uniti della T°, s(s—1) volte; e quindi (ISCA produce sul numero delle corde principali un abbassamento di | . | unità. Il problema delle corde principali dal punto di vista della geometria sull’ente, può formularsi così: Data sopra una curva di genere qualsiasi una g7, trovare il numero delle coppie di punti della curva che sono comuni a due 88 FRANCESCO SEVERI 8 4. — La considerazione delle corde principali ci spinge ad occuparci del pro- blema assai più generale di determinare il numero dei gruppi ciclici di dato indice v (= vi va"... vy44, ove le v, son numeri primi) per una corrispondenza T di indici a, f e di valenza (positiva o negativa) r, data sopra una curva di genere qualsiasi p; cioè il numero dei gruppi di v punti della curva, tali che applicando v volte conse- cutive la T ad uno qualunque di quei punti, si ritorni a quello passando una sol volta per ciascuno degli altri punti del gruppo. La corrispondenza TY, potenza v-esima della T, è dotata, in virtù della formola di Hurwrrz da noi usata nel n° precedente, di: Via ana coincidenze. — Rappresentiamo con |v] il numero dei punti che fan parte dei cicli d’indice v (dimodochè sarà Dee, il numero di tali gruppi): allora i punti uniti di Tv si presentano nei |v] punti suddetti, negli x, punti che sono uniti per la corrispon- v v denza Ti (iv =1,2,...,9) senza esserlo per alcuna delle corrispondenze T “i “i (ove v,, vi, è una combinazione semplice di classe due dei fattori primi di v), negli Vv xii, punti che sono uniti per la corrispondenza Ti“ senza esserlo per qualche cor- 12 v rispondenza Ti“; (vi, Vivi essendo una combinazione semplice di 3 delle v,,..., v V,);«-.-; nOgli Ziriz...i,- punti che sono uniti per la Tia... “in (ove Vi, Vi... Vi,_, è una Vv combinazione semplice di g—1 fattori primi di v), senza esserlo per la TVi%:--Vi, e infine negli x,,..., punti uniti di quest'ultima. Quindi: (1) [v] = }v | a Zi Li, 77 Zi Zisa — a Loria Tirig..ig_a _ Zi2...9 * v Fra i punti che sono uniti per le corrispondenze T “i “Vi, i quali sono in nu- . v . . . DIO mero di si sì presentano i Z;,i,...i, Zi,i,...., punti che sono uniti per esse ù CLI (n corrispondenze senza esserlo per alcuna delle potenze inferiori di T; i punti che sono gruppi della serie lineare in guisa che l’un gruppo abbia uno dei punti della coppia come r-plo, e l’altro gruppo presenti la stessa singolarità nell’altro punto della coppia. Si scorge allora una ragione più intima del fatto che ogni punto s-plo produce un abbassamento di l > unità sul nu- s mero delle corde principali, imperocchè le Î 9 coppie (distinte dal punto di vista della geometria sull’ente), riunite nel punto s-plo sono coppie soddisfacenti alle condizioni volute rispetto alla serie delle sezioni iperpiane. — La stessa considerazione mostra che se la curva possiede Si biosculatori (i=1,.., r— 1) ogni corda che riunisca i due punti d’osculazione di un Si siffatto, conta una volta sola fra le corde principali. ryxd- 9 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 89 v uniti per le corrispondenze T “i “i senza esserlo per alcuna delle potenze infe- { v riori di T; e bisogna badare che questi punti uniti portano nel Z;,iz...i ì | un ce. Vs, v ; O via) sua N° È "5 contributo di | di Zita... Ci,...i, unità, perchè i punti che sono uniti per la T Vi, = Va+1 v “i; ecc. Onde: N) dv | E i(t ne: sai Lari Dica =D Vie Va | t dda det Di | t ra ba ia ceisl. — [i lena (edi ca2,9). È . «e ‘gi (641 È gta compariscono come punti uniti di | de corrispondenze T “i Questo è un sistema di equazioni lineari nei Z;,...i,%i,..a (0=1,-..,9,; che ci permette di esprimere tali sommatorì in funzione dei di 3 = z (ids59); t...2t î Cn CA } e precisamente si ha: VASTA aa i 0 ora PIO +0(£)j LIPARI ET ARIA ViVa... Vq Sostituendo nella (I), dopo le sostituzioni il vena comparisce nel secondo membro con coefficiente uguale a: n -(#)+(7)=({)+.+c»(*)]=en n= E quindi la (1) diviene: ble de en i sommatorì essendo estesi a tutte le combinazioni semplici dei fattori primi di v. Si noti che prescindendo dal simbolo operativo }, il secondo membro della uguaglianza precedente esprime quanti sono i numeri inferiori a v, che son primi con v. Concludendo possiamo dire che: Il numero dei gruppi ciclici d’indice v (=wM...v,Fa) per una corrispondenza di indici a, B e di valenza (positiva 0 negativa) 1, data sopra una curva di genere p, è espresso da: LE Serie II. Tom. LI. 6 90 FRANCESCO SEVERI 10 è sommatorì essendo estesi a tutte le combinazioni semplici deì fattori primi di v, e il simbolo }v} indicando a" + 8" +(—1)VH2Y"p (1). 5. — Chiameremo poligono principale di una curva di S, un poligono A, A»... Ay che sia iscritto in essa in guisa che l’iperpiano osculatore in uno dei vertici A; passi per il successivo, convenendo di prendere A, come successivo di A, (?). I v-goni principali li otteniamo come gruppi ciclici d’indice v della corrispon- denza T che si ottiene sulla curva accoppiando ad ogni suo punto i punti di ulte- riore intersezione dell’iperpiano osculatore in quello. Tale corrispondenza è di indici: m—_—-T, n_r e quindi applicando il risultato di cui al n° precedente, avremo che il numero dei x v-goni principali è espresso da: È | Ema + AD m_r)Mi= LS Ge vg 10 Hm (Et A+ tet |, ove v,...v, sono i fattori primi di v, e i sommatorî s'intendono estesi a tutte le loro combinazioni semplici. La formola precedente è valida anche se la curva possiede le singolarità che compariscono nelle formole del Veronese. Tali singolarità portano una riduzione sul numero delle corde principali, ma (almeno esplicitamente) non portano riduzione sul numero dei v-goni principali (v > 2) giacchè eventualmente compariscono fra i punti uniti di una potenza (ad esponente maggior di 2) della T, solo in quanto si presentano fra i punti uniti di T°, oppure fra i punti uniti di T. (4) Questa proposizione è analoga a quella che dà il numero dei gruppi ciclici per una corri- spondenza birazionale fra i punti di un iperspazio, la quale proposizione fu enunciata da S. KAnToR (Sopra le trasformazioni quadratiche in S. — “ Rend. dell’Ist. Lomb. , (2), 27, 1894). Cogliamo qui l'occasione per avvertire che un ragionamento del tutto analogo a quello fatto nel testo, serve per stabilire la proposizione seguente, che è una generalizzazione di quella di Kantor: Il numero dei gruppi ciclici d’indice v per una corrispondenza d’indici a, B e di ordini mi, ma, x .., M_1, fra punti di un Sr, è espresso da: RIE essendo vi ..Vq i fattori primi di v, i sommatori essendo estesi a tutte le combinazioni semplici di questi, ed essendo tv =" +4 B" + +... + mr. (?) La considerazione dei poligoni principali di una curva piana, trovasi dapprima in CLessca. La denominazione è stata introdotta dal BramiLLa nella Memoria: I poligoni principali della quar- tica gobba dotata di un punto doppio (£ Mem. della R. Ace. di Napoli , (2), t. 9, 1899). Cfr. pure Zecca, Sopra una classe di curve razionali (“ Giornale di Battaglini ,, t. 25, 1887) e Tuca, Eine Cremona’sche Punkt-Gerade Verwandtschaft, etc. (Iena, 1890). LI SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 91 Abbiamo detto almeno esplicitamente, perchè se nella formola che dà i v-goni principali (per v > 2) non compariscono che m, x, p, r, non è però men vero che quando la curva possiede le singolarità del Veronese il valore di m impiccolisce e quindi il numero dei poligoni principali si riduce. PARTE SECONDA $ 3. — Numero degli S,_, che hanno con una curva di genere qual- siasi, immersa in S,, due dati contatti, ì . 6. — Perchè il problema di determinare il numero degli S,_s che hanno con la curva € di S, un contatto v;-punto e un contatto v,-punto sia possibile e deter- minato, bisogna che sia soddisfatta la relazione: vtv=r. La formola che mi propongo di dare in questo paragrafo, per p= 0, rientra in una formola che fu da me data in una Nota pubblicata nei “ Rendiconti dei Lincei , (*). 7. — In $, fissiamo due punti generici P_e Q. Dato un punto A di (€ si chia- ‘ mino omologhi di esso i punti A’ in cui gli iperpiani passanti per P e per l’S,,-1 osculatore a © in A, hanno altrove contatto v:-punto con la curva. Gli iperpiani per P e per l’Sv,-1 suddetto, segnano su € una serie lineare gY3_! n—-vi (tralasciando i punti fissi), che ammette: ‘vain—Vvi + (v0—-1)p—v+1i=vjan—-r+(v—-1)p+1), punti vy-pli (*), i quali si hanno precisamente nei punti di contatto v,-punto degli iperpiani di quel sistema lineare. Onde i punti A’ omologhi di A sono in numero di vs}nr — r + (v:-1)p+ 1}. Dato un punto A' i punti A, da cui esso proviene, sono i punti in cui gli iperpiani per P, e per l’Sv,-1 osculatore a C in A', hanno contatto vi-punto con la curva, e quindi sono in numero di v\)n —-rx+ (v\_—1)p+ 1. La corrispondenza T, fra le coppie A, A’, ammette certò una valenza, perchè può generarsi sopra ogni curva (?), e se diciamo Y la valenza incognita avremo: vile r+(—D)p+1|+v]n—r+(—1Dp+1{+21p, coincidenze della T,.. — Queste coincidenze si presentano nei punti di contatto degli (1) Cfr. Severi, I gruppi neutri con elementi multipli, in un’involuzione sopra un ente razionale (“ Rendiconti della R. Ace. dei Lincei , (5), t. 9, 1900). (2) Cfr. p. e. Seere, loc. cit., n° 42. (*) Hurwirz, loc. cit. 92 FRANCESCO SEVERI 12 iperpiani osculatori a C per P, che sono in numero di r}n —r+(r—1)p+ 1}. Onde: vijn_rt(vi_bDpt+1{+v2}#_r+(v-1)p+1{+2p=r}n-r+(—-1b)p+.1}, dalla quale segue: Y = vi va. Or si consideri sulla C una corrispondenza T, generata, col sussidio del punto Q, nel modo analogo a quello con cui si generò T, col sussidio del punto P. Se A, A' son due punti di C che si accoppiano in ciascuna delle due corrispon- denze T, e T», esisterà un iperpiano per P, che ha con C un contatto v.-punto in A e vy-punto in A', e un iperpiano per @, avente con C un contatto v-punto in A_ e un contatto v,-punto in A'. Posson darsi due casi: a) I due iperpiani suddetti sono distinti; ed allora l’S,_s ad essi comune con- terrà l’S,,-1 osculatore in A e l’Sv,-1 osculatore in A', e quindi sarà uno degli S,_» cercati. È necessario avvertire che se v\ = v, per ognuno degli S,_s cercati si ot- tengono due coppie comuni alle corrispondenze T, e T,, perchè è indifferente l'ordine in cui si considerano i due punti di contatto. 5) I due iperpiani possono coincidere. Effettivamente ciò accade in corrispondenza degli iperpiani passanti per la retta PQ e aventi con la curva un contatto v;-punto e un contatto v,-punto. — Il numero di questi iperpiani per una formola dovuta a De JowquIÈRES ('), è espresso da: Vivae[(n—r+2)(n—r+1) +(—2D(n—r+1bp+ (vt Dv 1D)p(p— 1]; Se Viva, e dal numero precedente diviso per 2, se v. = v.. Ma in tal caso per ogni coppia di punti di contatto degli iperpiani per la retta PQ, si ottengono due coppie co- muni alle due corrispondenze, perchè, al solito, è indifferente l'ordine in cui si con- siderano i punti di contatto come punti omologhi nella T, o nella T.. Quindi anche se v, = vg il numero delle coppie comuni alle due corrispondenze, provenienti dagli iperpiani per PQ che hanno con C un contatto v,-punto e un contatto v,-punto, è espresso dalla formola ultimamente scritta. Per la formola citata di Hurwitz il numero delle coppie comuni alle due cor- rispondenze è: 2viva}n rt (v_Dp+1}}n_r+ (vw_bp+1}—2vivep; dunque potremo scrivere: 2viva}n—rt(v_1)pt+1{}n—-r+(vw-1)p+1{— 2vivip = ax + + viva }(m_r+2)(0_r+1)+(r—2) nr" +1)p+(v:1)(m1)ppA)i (1) Cfr. Joxuibres, Mémoire sur les contacts multiples d'ordre quelconque, etc. (° Crelle ,, Bd. 66, 1866); oppure: Bri, Ueber Entsprechen von Punktsystem auf einer Curve (£ Mathematische Annalen ,, t. 6, pag. 46, 1872). 13 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 93 ove x denota il numero che si cerca, e a=1, o a=2 secondochè è v,j=#=vy 0 vy=Vx Dopo facili riduzioni si ottiene: MAIA nc Po 8 !va\{ a ani I Concludendo possiamo enunciare che: Il numero degli S,-s che hanno con una data curva di ordine n e genere p appar- tenente ad S, due contatti dati di ordine rispettivi v\ —1, va —1, (M+v:=7r) è espresso da: 2V,Vo sa +1 | sa (pt) + eine —2rG— D+ (#)(2)(£), ovela "1, ‘se Vir vas ai 2, sei = ve). $ 4. — Una formola sopra gli S,_; che hanno 3 dati contatti con una curva di genere qualsiasi immersa in S,. 8. — Vogliamo calcolare il numero degli S,_3 che hanno con una curva di ge- nere p dello spazio S, un contatto v,-punto, un contatto vs-punto, e che la incon- trano altrove. Bisognerà anzitutto che sia: Vt+va=r_-2. Calcoleremo il numero delle terne di punti della curva C per ognuna delle quali passa un S,_3 avente con C un contatto v,-punto in un punto della terna, un con- tatto v.-punto in un altro, e un semplice incontro nel punto restante della terna. Per ottenere da questo n° il numero che ci siamo proposti inizialmente di calcolare, basterà evidentemente dividere per a, essendo a= 1 se i 3 numeri v,, vs, 1 son dif- ferenti.ira:loro,\a==:2 se 'Vi=; 0! se. v=;l,ta.= deo. ve = vee 9. — Fissiamo in S, un punto P, e consideriamo gli S,_3 che hanno con © contatti v.-punto e v-punto e sono appoggiati in punti A’ alla retta AP che con- giunge P col punto A di C. (') Dalla formola di De-Jonquières citata al n° precedente si può trarre il numero degli iper- piani che hanno con una data curva di Sr due contatti, l'uno (r—v+1)-plo e l’altro (r— va-4-1)-plo (vt: + va=r). Per dualità si ottiene il n° dei punti di S- da ognuno dei quali escono due iperpiani osculatori che contano r — vi 4-1 e »x—va +1 volte rispettivamente fra gli iperpiani osculatori per quel punto. — Fra questi punti si trova ogni punto d’intersezione dell’Sv,-1 e dell’Sva-1 osculatori nei punti di contatto di un S;—» avente con la data curva un contatto vi —punto e un contatto va— punto, ma vi si trovano anche altri punti. Così p. e. se vyw=r— 1, v»="1, si presentano i punti in cui le tangenti nei punti ove l’Si osculatore è stazionario (7= 1, 2, ... » — 1) (le quali tangenti per qualche valore di è esistono di necessità se la curva, come supponiamo, non ha punti multipli e quindi, in particolare, non ha cuspidi) incontrano gli S,—: osculatori ad esse appoggiati. — Dunque il problema risoluto dalla formola del testo non si poteva risolvere trasformando per dualità un caso particolare della formola di De-Jonquières. 94 FRANCESCO SEVERI 14 Al variare di A sulla curva abbiamo una semplice infinità di coppie AA', e il numero delle coincidenze che si presentano in questa infinità di coppie di punti, come si rileva mercè l’applicazione del principio di corrispondenza ad un fascio di iper- piani, si ottiene aggiungendo al numero delle coppie AA' il cui punto A sta in un dato iperpiano, il numero delle coppie il cui punto A' sta in un dato iperpiano e togliendo il numero delle coppie la cui retta AA' appoggiasi ad un dato S,_e. Il n° delle coppie il cui punto A giace su un dato iperpiano è dato evidente- mente da: nln-1l,r_-2,r-4;vyvehb (3), poichè, come rilevasi proiettando da AP su un S,-», il numero delle coppie di cui fa parte il punto A è uguale a [nr — 1, r — 2, r—4; vive). — Il numero delle coppie AA' il cui punto A' giace in un dato iperpiano è ancora espresso da: n[n-1,r_-2,r—-4; Vi; Ve, giacchè il dato S,_, taglia il cono proiettante da P la curva C secondo una curva Cl' la quale ha in comune un € » punti, che per la M,_, degli S,_3 aventi con C con- tatto v-punto vx-punto, son multipli secondo: [ar -2,r-4; vive _—[n-1,r-2,r-4; vive: onde fuori di questi n punti C' taglia la M,_, in n[n,r-2,r--4;vi,vehbh— n}[a,r-2,r—-4;vy vl [n—-1,r—-2,r—-4;voVohi punti, ognuno dei quali può assumersi come punto A’ di una coppia ben determinata. E infine il numero delle coppie la cui retta AA’ appoggiasi a un dato S,-s è espresso dall’ordine del cono proiettante da P la curva data, moltiplicato per il nu- mero delle coppie per cui il punto A è dato, ossia ancora da: nn_-1l,r-2r—-4; V, Vo Dunque si hanno: nn—-1,rT_-2,rT—-4;V; Ve coincidenze. E si presentano: a) Nei punti facenti parte delle terne di cui vogliamo il numero, e nei quali gli S,_s delle terne corrispondenti si appoggiano semplicemente a ©. 5) Nei punti di contatto (v, + 1)-punto degli S,_, per P che hanno con € con- tatti (v\ + 1)-punto e v,-punto, ciascuno da contarsi v,-volte fra le coincidenze (?). (') Rappresentiamo col simbolo: [w, #, #; vi, Va, «.. vi]p il numero degli Sx che hanno con una curva d'ordine » e genere p di Sr contatti v.-punto, va-punto, ... v-punto ((r—%)Zvi-t=(k+1)(r—%)). (@) Che tali punti vadano contati vi-volte fra i punti uniti, si può provare col procedimento esposto nell’Introduzione a questo lavoro (n° II), prendendo come curve particolari le curve razio- nali, per cui il problema di cui ci occupiamo è già risoluto. Cfr. Severi, loc. cit. 15 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 95 Questo numero di coincidenze è espresso dal simbolo vi [n, r — 1, r—-3; v+1, ve) se vv+1=-v: e dal simbolo 2v[n, r-1,r-3;v+1, vw) sev+1i=v. c) Nei punti di contatto (v: + 1)-punto degli S,_s per P aventi con © con- tatti (vs + 1)-punto e v;-punto, ciascuno da contarsi vs volte. E qui vale l’ analoga osservazione a quella fatta in bd). Si ha l'equazione: nin—1,r-2,r-4;v, Vh= al, r, 5-3; v, va, 1} + Buia, 1,r—-3;v +1, vo] + + Rive IA rbr-3; Vi, Ve 1} , ove B.= 1 se v.41=- va, 0 B.=2 se v+1=v, e analogamente di casi di fs. Tenendo presente il risultato di cui al $ precedente, si ottiene: o[n,r,r—-3; Vi, Va, 1],= =n| wr) +vlo-Do—9-6G-90-9].2+8(2)(#}(3)}- —nfmt iv, fig i 05 Rel — (De. +8(*5)(2)(2)}— —vaf(+bu (777?) + + vele + 8(8) (5) (2)}. Donde segue, dopo facili riduzioni: [n,r,r—-3;V,, Vo, 1h = = gi ite (PT) 4 Mala) +r01De-2)p + ul n AXa—r+2(2)( ri )_-wn@vm—r+2)| | ; . Possiamo dunque enunciare: Il numero degli S,-3 che hanno con una data curva di ordine n e genere p appar- tenente ad S,, contatti v\-punto, vs-punto e un semplice incontro (v4+ ve=r— 2), è espresso da: [n,r,r—3;vy vo, 1} = = Sa SZ) + =- inm—1L(r-4)—-2a(r1L)(e-3) + re Db—2)} d + + si 2n—r+2)( hi | A — ViVo(2vive— r +2); n ’ ovea=1 se vv: ed entrambi da 1, a=2 se vi=V 0 se ve=1, a=3 sev=ve=1 (1). (') Nel caso estremo vy:=v»="1 la formola del testo dà il numero delle trisecanti di una curva dello spazio S,, e particolarizzando il procedimento generale si ha un nuovo metodo ben semplice per ottenere le trisecanti di una curva di S,, ricorrendo soltanto ai principii di corrispondenza. 96 FRANCESCO SEVERI 16 $ 5. — Numero degli S, che toccano in un punto e r-secano altrove una curva appartenente ad S3,;. 10. — In uno spazio S»,., consideriamo una curva C di ordine n e genere p. Il numero degli 5,4, passanti per un punto P dello spazio che toccano la curva e la r-secano altrove, è uguale al numero: | 2nF LS]; degli S, tangenti r-secanti di una curva d’ordine n e genere p di S;,... — Ciò pre- messo per ogni punto A di © consideriamo gli S, (r + 1)-secanti della curva, appog- giati ad AP, e chiamiamo A' i punti (diversi da A) in cui quegli S, si appoggiano ad AP. Abbiamo così una semplice infinità di coppie AA', le cui coincidenze, al so- lito, si ottengono sommando il numero delle coppie il cui punto A giace in un dato iperpiano, col numero delle coppie il cui punto A’ giace in un dato iperpiano e sot- traendo da questa somma il numero delle coppie la cui retta AA' appoggiasi a un dato Sx. Dato un S:,., esso taglia C in » punti ognuno dei quali può assumersi come punto A, e siccome ogni tal punto appartiene ad [n — 1, 2r, r — 1; 1,...,1), coppie AA', come rilevasi proiettando € dalla retta AP su un S del suo spazio, saranno n|n— 1, 2r, r— 1; 1,..., 1], le coppie il cui punto A giace in un dato iperpiano. Un dato S»,,, taglia il cono proiettante C dal punto P in una curva C' d’or- dine », che ha in comune con € » punti i quali per la M,,,; degli S, (r + 1)-secanti di C, sono multipli secondo: [n, 2, er — 151, db 12rj,e-1;1,...:1 come rilevasi osservando che l’ordine della M,,4, è uguale al numero degli S,_, che (r + 1)-secano una curva d'ordine n e genere p appartenente ad S,,, e che una mo- nosecante di C taglia la M.,., fuori del punto d’ appoggio sulla curva stessa, in [n —-1, 2r,r—-1;1,...,1) punti. Dunque la curva Cl’ taglierà la varietà M.,,, fuori dei punti multipli suddetti, in: n[n,2r,r-1;1,...,1]—n}[,2r,r—1;1,...,1}—[n—-1,2r,e—1;1,...,1]} punti, ognuno dei quali può assumersi come punto A', e per ciascuno di tali punti si ha una sola coppia AA' il cui punto A' sta sul dato Serj Il numero delle coppie la cui retta AA' appoggiasi ad un dato Se, è evidente- mente espresso dall’ordine del cono proiettante da P la curva C, moltiplicato, questo ordine, per il numero delle coppie AA' per cui il punto A è dato; ossia è uguale a: nn—-1;2r, r-1; 1,1, 1 Si hanno dunque: nn_—-1,2r,r-1;1;.....db coppie in cui i punti AA' coincidono. Di tali coppie se ne ottengono: “a 17 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 97 a) (r+2)[n,2r+2,r;1,...,1], nei punti d'appoggio degli S, (r+2)-secanti di C. 5) [n,2r+1,r;2,1,...,1], nei punti in cui gli S,.1 tangenti di C e ulteriormente r-secanti, per il punto P, toccano la C medesima. — Dunque: [1,2r+1,r;2,1,....1]}+(r+2)[n,2r+2,r;1,...1b=%n—1,2r,e—1;1,...,1). Ma: [n,2r+ 2,11, N e en .( A EI Quindi: ar Asia pa 21b1= a e) Questa formola esaurisce il problema degli S, che hanno dati contatti con una curva di genere qualsiasi immersa in $:,;1, giacchè se diciamo v\ — 1, v:— 1, ... v— 1 gli ordini dei contatti dovrà essere: C+DEm—t=6+1? la quale è soddisfatta solo se le v sono in numero di r + 1, ed una di esse è uguale a 2, mentre tutte le altre sono uguali all'unità (?). Riassumendo : Il numero degli S. che hanno con una curva d’ordine n e genere p immersa în Soya un contatto (del 1° ordine) e r semplici incontri, è dato da : \ c (r+1)r+2)—in (n—r-1—2i [iride Ro ela 0 (*) Cfr. CasteLnuovo, Un'applicazione della geometria enumerativa alle curve algebriche (* Rendi- conti di Palermo ,, t. 3, 1889). (*) L’uguaglianza: (r+)Evi—t=(r +1), può scriversi: (+ 1)Z(v.-)+rt=(+1), ossia: x (libare r Ora, siccome r-+ 1 è primo con r, dovrà essere "+1 — X(vi— 1) divisibile per r, e ciò, se r>1, accade solo quando 1=Z(v; — 1), dalla quale rilevasi che tutte le v uguagliano l’unità, ecce- zione fatta per una, che è uguale a 2. (*) Si arresti lo sviluppo al primo termine nullo. Serie II. Tom. LI. M 98 FRANCESCO SEVERI 18 $ 6. — Ordine della M,,, degli S, (r + 2)-secanti di una curva di genere qualsiasi immersa in Syyr 11. — Quando si ha sopra una curva 0 dello spazio S, un sistema co di gruppi di % punti posti ognuno in un S, (£ > r) e s’indica con x, il numero dei gruppi del sistema che hanno uno dei punti su un dato Si, con x il numero dei gruppi il cui sostegno S, appoggiasi a un dato Sa, in un punto, con y il numero dei gruppi nei quali due (soli) dei X punti del gruppo coincidono, con 2 il numero dei gruppi nei quali » + 1 (soli) dei % punti appartengono ad un S,_;, si ha la relazione: 2490 RO E RA k—2 Usi r 20 r(r-41) da Set 1) 0). 12. — Orbene, se noi consideriamo gli o' $, che (r + 2)-secano una curva C, di ordine n e genere p, immersa in Sy, in virtù della formola data al n° prece- dente, avremo la relazione: pci 1 ry To 742 2 42? giacchè, come subito si prova, attualmente è 2«= 0. Nella formola precedente x denota l'ordine incognito, x, denota il numero degli S, (r + 2)-secanti di C che hanno uno dei punti d’incontro con €, sopra un dato Sx,, e y denota il numero degli S, tangenti r-secanti di C. è Siccome un S., taglia C in n punti e da ognuno di questi escono tanti S, che (r + 1)-secano altrove la C, quanti sono gli S,_, che nello spazio S,, (r + 1)-secano una curva d’ordine n — 1 e genere p, in virtù della formola del Castelnuovo che già usammo al n° 10, avremo: ana Di (3): VV} e, in virtù della formola stabilita al medesimo n° 9, avremo: Onde: AL Wi bee (1) Questa relazione fu ottenuta da Scmusert mediante l'applicazione dell'ordinario principio di corrispondenza a forme fondamentali. Il Prof. Segre, al quale fu comunicata, la pubblicò nella Nota: Sulle varietà algebriche composte di'una serie semplicemente infinita di spazî (£ Rendiconti de’ Lincei ,, t. 3, 1887), facendone un'applicazione per trovare una formola che lega il genere delle varietà sud- dette alla dimensione dello spazio in cui sono immerse. — La formola di Schubert data nel testo, è fondamentale nella trattazione puramente geometrica della geometria sopra una curva, quale tro- vasi nella citata Introduzione del Prof. Segre. 19 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 99 Dalla quale, dopo facili riduzioni, si trae: NSA (1 er) ‘Ea 1) ( r+2—-2i n_-2r—2 (n (1). $ 7. — Numero degli S,_, che in un S, toccano e (2r — 5)-secano una curva di genere qualsiasi. 13. — Fissato in S, un punto P, per ogni punto A della curva € data, si tirino gli S,-» che (2r —4)-secano altrove la curva stessa e si appoggiano alla retta AP (fuori di A) in punti A’. Al variare di A si ha una semplice infinità di coppie AA', e il numero di tali coppie costituite da due punti coincidenti si ottiene togliendo dalla somma dei numeri che denotano rispettivamente quante coppie AA’ hanno il punto A su un dato iperpiano e quante coppie AA' hanno il punto A’ su un dato iperpiano, il numero delle coppie la cui retta AA' appoggiasi a un dato S,_s. Il numero delle coppie il cui punto A giace su un dato S,_; è uguale ad: n[n+1,r,r-2;1,..,1b— fm r, r— 2; 1,41 perchè ogni punto A fa parte di {n +1, r,r— 2;1,...1b—[mr,r—-2;1,..,1h coppie AA’. Il numero delle coppie il cui punto A’ giace su un dato iperpiano uguaglia il numero dei punti comuni al cono proiettante la C dal punto P, al dato iperpiano, e alla M,_, degli S,_. che (2r — 3)-secano €, all'infuori degli x punti che appartengono a questa varietà e alla curva medesima C. Siccome l'ordine della M,_; è espresso da: [n+1,r,5-2;1,..,1b— [lr 5-2;1L..,1b+[n-1,r-1rT_-3;1,....1], e d'altronde gli » punti che vanno esclusi sono per la M,_, suddetta multipli se- condo [n 1, r—1, r—3;1,...,1], saranno: nn41,r,5r-2;1,.1b_n[a,rr-2;1,...1)h le coppie AA’ il cui punto A’ sta su un dato iperpiano. Sicchè le coincidenze sono in numero di: nn+1,r,7r-2;1,...1b— nr, e —2;1,..,1hp e si presentano: a) 2(r--1)[n, rx, r— 2;1,..., 1], nei punti d'appoggio su € degli S,-»: che la (2r — 2)-secano, (') Si arresti lo sviluppo al primo termine nullo. 100 FRANCESCO SEVERI 20 3) x nei punti di contatto degli S,-, per P che contengono ciascuno un $,_» (2r — 3-secante di C, e che la toccano in uno dei punti d’appoggio di questo S,.». Onde si ha: e=n[n+41,r,r-2;Lislh = (#2 =2)[a, ee 254,500 Ed ora per ogni punto A di C si tirino gli S,_s ulteriormente (2r — 4)-secanti e, dopo averli proiettati dal punto P, si chiamino punti A' omologhi di A i punti in cui gli iperpiani tracciati tagliano C fuori di A. Si ottiene fra i punti A, A' una cor- rispondenza dotata di valenza positiva eguale ad [n —1,r—1,r—3;1,.., i}, e i punti A' omologhi di A in questa corrispondenza, si repartiscono in due gruppi: il gruppo dei punti A’, che giacciono negli S,_. (2r — 4)-secanti per A, e il gruppo dei. punti A”, che costituiscono la residua intersezione degli iperpiani tirati per P. La corrispondenza A, A', è involutoria e d’indice: (2r — 4A) 1r-1,r-3;1, 1] e le sue coincidenze si hanno nei punti di contatto degli S,_, tangenti e (2r — 5)- secanti di C. La corrispondenza A, A”, ha per indici: (2r—-3)}(2+1,r,7—2; 1,1 brr =3;4, 1], (n-2r+4+3)[n-1,r—-1;r—-3;1,....1}, e le sue coincidenze si hanno negli x punti di contatto degli iperpiani per P che contengono ognuno un $S,_; (2r — 3)-secante di C, e la toccano in uno dei punti di appoggio di quello. Onde per una nota formola di Cayley ('): [n,r,r—2;2,1,...,1], = 4(r—2)[n—1,r-1LrT—3;1,...,1] + 2p[ln_1,rA,r-3;1,...,1] 4 + (n—2r+3)[n—1,:—-1,r—3;1,....1,+ @r—3)[m+1,,e_2;1,...,1] — — (2r—3)[n,rnr—Z2;1,...1 — &, e ricordando l’espressione già trovata per x, avremo: [n,r,r—2;2,1,..,1]),=(n42r—5)[n—1,r—1,r—3;1,...,1] + 2p[lo—1,e—-1,we—3;1,....1], + + (n+1)[n,r,e—2;1,...,1]} — (n—-2r+3)[n41,r,e—-2;1,....1b- Siccome: irta e (a o r_—l-è peil=? (*) Cfr. Sere, loc. cit., n° 49. (#) Cfr. CasreLnuovo, loc. cit. 21 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 101 avremo sostituendo e riducendo: [n,r,r—-2;2,1,... = L= 2,1 Marie 9(" i) pi(7E718) Wa s) casio () i o_a(g18) SR AVO EA LO Dunque: Il numero degli S,-» che in un S, toccano e (2r—5)-secano una curva di ordine n A e genere p, è espresso da: ZII GE a(" RIS) REA CO a pae $ 8. — Sopra alcune singolarità delle curve di uno spazio a quattro dimensioni. 14. — Ordine della M, costituita dai piani tangenti-bisecanti di una curva di Sy. Sopra una retta generica « di S, consideriamo una corrispondenza involutoria, chiamando omologhi due punti A, A’ di « quando esiste un punto P della curva data C, tale che fra i piani tangenti a C in P, che la tagliano ulteriormente in un punto e che si appoggiano ad « ve n’ha uno passante per A ed uno per A’. Siccome il numero dei piani tangenti-monosecanti di C per un punto A di $, è uguale a 2(n — 2) (n — 3) + 2p(n — 6), come si deduce proiettando da A su un $;, sarà 2}(n—-2)(n—3)+p(n— 6)((n —3) l'indice della corrispondenza. — Le 4(n--3))(n—2)(n —3)+p(n— 6)} coincidenze, hanno luogo : a) Nei punti in cui la retta a è incontrata dagli x piani tangenti-bisecanti di C, ognuno da contarsi due volte fra le coincidenze (?). b) Nei punti in cui a è incontrata dai piani che giacciono negli S; bitangenti di C per a e che congiungono una delle due tangenti in uno di tali S3, col punto di contatto dell'altra. Ognuna di tali coincidenze va contata una volta, perchè in uno di questi punti uniti cade uno solo de’ suoi omologhi; il qual fatto, a causa della simmetria della corrispondenza, ci abilita ad affermare quanto abbiamo asserito. Il numero di queste coincidenze è uguale al doppio del numero delle bitangenti apparenti di C rispetto ad a, ossia a: 4(n—-2)(n—-3)+8p(n—-3)+4p(p— 1). (') Si arresti lo sviluppo al primo termine nullo. (?) Si può verificare che la molteplicità di questa classe di coincidenze è proprio due, ricorrendo alle curve razionali per cui l'ordine che si cerca si può determinare col principio di corrispondenza sulla curva, chiamando omologhi due suoi punti quando per essi passa un piano quadrisecante della curva appoggiato ad 4. 102 FRANCESCO SEVERI 22 Si ha dunque l'equazione: 4(n—-3)}(n--2)(n-3)}+p(n— 6){=2r+ 4(n—-2) (n--3)+8p(n—-3) + 4p(p—1), donde: ar=2(n— 2)(n —3)(n—- 4) +2p(n—-3)n—-8)— 2p(p—1)(5). 15. — Ordine della rigata delle corde da ognuna delle quali esce un piano tan- gente alla curva in uno dei due punti d'appoggio e ulteriormente secante la curva stessa. Fra gli iperpiani di un fascio poniamo una corrispondenza, dicendo che due iper- piani Z e Z' sono omologhi, quando X passa per il punto di tangenza e 2’ per uno dei due punti di semplice incontro di un medesimo piano tangente-bisecante di C. La corrispondenza è di indici: 2Qni(n—3)(n_-4+pn— 7) nin —3) n — 4) — 2p}, e le sue coincidenze si presentono: a) Negli S} del fascio che passano per i 3(n — 3) (n — 4)+ 6 (n — 6)p punti d’osculazione dei piani osculatori-secanti di © (?). b) Negli S; del fascio che contengono generatrici della rigata di cui si vuol l'ordine x. — Si ha dunque: In(n —3)(n - 4)+ 2pn(nT—-8)=3n—-3)(n—-4)+6pn—6)+%, da cui: er=3(n_-1)(n_-3)h_-4)+2p(nT_- 2)(n_-9). 16. — Ordine della rigata delle corde per ognuna delle quali passa un piano tan- gente alla curva fuori dei due punti d'appoggio. Fra gli S3 di un fascio poniamo una corrispondenza involutoria, chiamando omo- loghi due S;, allorquando ognuno di essi passa per un punto d'appoggio sulla curva di un medesimo piano tangente-bisecante. L'indice della corrispondenza è: 2n(n—-3)n — 4)+ 2pn(n— 7), e le sue coincidenze si hanno: a) Negli S; che passano per i punti di tangenza dei piani bitangenti della curva (*), ognuno da contarsi una volta fra gli S: uniti. (!) Il procedimento seguìto per giungere a questa formola si estende senza difficoltà per deter- minare l’ordine della Mr-1 luogo della Sr-2 che hanno un contatto (r — 2)-punto e 2 semplici incontri con una curva di Sr. Si trova che quest'ordine è espresso da: (-2)(n-n)Mner+Dla-r+2)—l-2—r+1}r-2)— 2-3) p—(r-de-3)p(p_1). (?) Ved. al n° 7. (2) Ved. al n° 7. — pc eg peo —— 23 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 103 3) Negli S; che contengono una generatrice della rigata di cui si vuol l’or- dine x, ciascuno da contarsi due volte fra le coincidenze. — Dunque: 4An(n—3)(n — 4) +4nnT—7)p=4n—-3)(n-4)+8(n—-6)p+4p(p—1)+ 2, dalla quale: a=2(n-1)(n_-3)(n-4+2p(n-2)(n-7—2p(p+ 1). 17. — Ordine della rigata costituita dalle corde che giacciono nei piani cinque- secanti. Dato un fascio di S3 chiamiamo omologhi due spazì di questo fascio quando contengono ciascuno un punto d’appoggio di una corda giacente sopra un piano cin- quesecante della curva oggettiva. Si ha una corrispondenza involutoria d’indice: \(a_-3d)(n-4}(n—-5) __ (M—-4—-5) pl dn, 12 9 p rale Le sue coincidenze si hanno: a) Negli S che contengono generatrici della rigata di cui si cerca l’ordine x, ognuno da contarsi due volte. 6) Negli S; che contengono i punti di tangenza dei piani tangenti-trisecanti, ognuno da contarsi una volta fra le coincidenze (V. al n° 13). Si ha dunque: (n-3)(n—-4) (n — 5) 4) (n—5) I A DIRO AXn-3)(n-4)(n—-5) 8n| 12 2 p+|5)|=2+ 3 a AUn—-4)(n-5)(n—-12 Pa Ù ( 3 ) ( ) p— 2% —8)p(p—1), dalla quale: DI (a-1)(n- Seni (nu —-5) _(n_-4) ai (7a —12) p DE EINE 8) p(p— DI 18. — Nello spazio a quattro dimensioni il problema di determinare il numero degli spazî che hanno dati contatti con una curva d’ordine n e genere p è comple- tamente risoluto dalle formole che qui riuniamo. [n,4,1;1,1,1]h=("°) —G@-0p 0, [n, 4,2;2,2],=2—3) (0-49 +4n—6p+4{5) 0, (!) CasreLnuovo, loc. cit. Ved. anche la nota alla fine del n° 9. (2) Ved. al n° 7. 104 FRANCESCO SEVERI 24 An-3)(n_-4)?(n—-5) di An—A4)(n—5)(n —12) (n, 4,2;2,1,1,1},= ; ; p_4(n—-8)($) (1, [a 4, 2 oe 1b=+ feta fari pl fai (Pa +7 @-90@-9(5)- (7) 0 [n 8:22,22=16[["9)+(99)2+(* 5) (f] +e (g)+ (A) t [2, 4,3; 3,2, 2], = 6[M—4(n_5)@—6)+4n—5)(Mm—6)p + 5n—6)p(p — 1)+ | eno (2215 [1,4,3:3,3h=9[("3) +2@—5p+200—1)], |n, 4,3; 5), =5[n+4p— 4]. E il problema dell'ordine è completamente risoluto dalla formola che dà l’ordine della M; dei piani cinquesecanti, il quale risulta espresso da: (n_-2)(n_-3)(n-4}(n—-5) (a-3)(n- 4)(n—-5) p 924 vrai 3 p+@—-4(5)0. $ 9. — Digressione. — Integrazione di una classe di equazioni fun- zionali. 19. — Nelle ricerche successive faremo uso del metodo funzionale quale fu ap- plicato dal Cayley per determinazioni numerative intorno alle curve sghembe (°). Le equazioni funzionali che si presentano in questioni numerative della geometria delle curve iperspaziali, non sono così semplici come quelle che si presentano nelle ricerche analoghe per lo spazio ordinario, nè quindi si possono con facilità scorgere volta (4) Ved. al n° 13. (2) CasreLNUOvo, loc. cit. (3) Cfr. De JonquièRrEs, loc. cit., per questa formola e per le successive. (*) Cfr. TawruRrRI, Ricerche sugli spazî plurisecanti di una curva algebrica (“ Ann. di Mat. ; (3), t. 4, 1900; ved. il n° 5, Cap. II°). Avvertiamo che nella formola del Tanturri è incorso un errore di stampa, essendosi tralasciato di moltiplicare per E l’espressione soggetta al sommatorio. () Cfr. CayLer, loc. cit. — Nel metodo di Cayley per scrivere l'equazione a cui soddisfa la fun- zione da determinarsi, occorre considerare la curva insieme di due curve non aventi punti in comune. E ciò costituisce un vantaggio notevole di questo metodo sul metodo analogo di Picquet (ved. Picquer, loc. cit.), perchè nell’applicare quest’ultimo metodo, dovendosi considerare un insieme connesso di due curve, a causa dei punti a queste comuni, occorre, prima di scrivere l'equazione funzionale, fare dei calcoli certo meno semplici dei calcoli accessori da eseguirsi nell’applicazione del primo metodo. E questi calcoli presentano maggiore difficoltà per il concetto geometrico, specialmente quando si tratti di questioni di contatto; tant'è vero che non fu finora, ch'io sappia, risoluta qualche questione di contatto (con curve) ricorrendo al metodo di Picquet. 25 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 105 per volta gli artifici che conducono alla loro risoluzione. — Ci proponiamo perciò di rendere più sistematico il metodo funzionale, che pure è un prezioso strumento per sciogliere problemi di geometria numerativa, dando una formola generale riso- lutiva delle equazioni funzionali che più di frequente si presentano in questi problemi. 20. — Le equazioni funzionali che noi avremo da considerare saranno tutte del tipo : Ù Ù Ala (MP ESOI; Filo Ro, Ce Can Cat La) = (01, 5 ERE LT Pao ea) ove f è una funzione data degli argomenti 1, ..., %n, 2, ....2%, i quali variano nel campo dei numeri interi e positivi (lo zero incluso); e @ è la funzione che si tratta di determinare. Diremo che una funzione è un integrale della precedente equazione quando la soddisfa identicamente, e integrale generale si dirà la funzione più generale che sod- disfi identicamente quella equazione. — Non staremo qui a stabilire le condizioni (relative alla natura della funzione f) per l’esistenza di un integrale della equazione considerata ('), giacchè nelle applicazioni geometriche a cui miriamo se ne potrà a priori stabilire l’esistenza. 21. — Cominciamo a integrare l’equazione: pa+) =) +e) + ff 2), nell’ipotesi che esista un suo integrale. : Se X è un numero intero, dalla equazione precedente si traggono le seguenti uguaglianze: (e +24" +...+9)= (e) + pe +2" +...) + ezio Eizo), o(e1+ "+... +9) = oe) + een +e" ++ A fe + 2), (e +... +e) =”) + pe +++ fe +.. +e), @(ef AL 9) = pel) + pe) + fe; cD), che sommate membro a membro dànno: ole + +-+ =) + AT + + N + ++ +f(ed'ne” +. +e) ++ fe; al). (') Fra queste condizioni si presenta evidentemente come condizione necessaria quella che la ; af i ; 3 f(x, xa, «. Cn; T1, +. Xn) si muti in sè scambiando x; con 4, ..., ©n con x, € reciprocamente. Serie II. Tom. LI. N 106 FRANCESCO SEVERI E ivi ponendo x;=x,=. «aa 1, si ottiene un’uguaglianza del tipo: P(y) = 9(1).y +2 fa; y— 3). Dunque: P(2,) = €10, tam 3,7), ove c, è una costante arbitraria. 22. Ed ora passiamo ad integrare l’equazione generale: (1) per ta',, Lg + d'a, Ln + La) == PX, Sana Un) + P(2,', cda) +f(2, BAIE A E Ivi scambiamo «; con a';: (21421, tn +0 =P(21,%3 2) + Pra) + È da In questa uguaglianza si ponga x, =x',=.. P(21,...,0)=P(0, Ca, St 5) + P(,,0, i) AF f(0, Lay 0009 Un Lay 0, [LO 0). La quale relazione ricorrente porge: ®(0, 23,...,%,) = @(0,0,x3,...,%,) + 9(0, 23,0, ..., 0) + (0, 0, #3... 30, 9, 0, ..:,0). P(0,0,..., O, torta) =D(0,,0,5..,0; 2) + 0(0h.. e) 710 0 000 E sommando membro a membro si ha: (2) (11, La, 1) Cn) = >, P(0, 0, ob) 0, X50, 2055) 0) = Z.f(0,..50,&;%;41, «009Cnj 000,0). 1 2 Dalla (1), se si pone: SEEM =. (0, ...,0, 2 + 2%, 0,...,0)= P(0, ...,0,%4, 0, ...:0) + 9(0,...,0, 24,0, ....0) + LF(0}....; 0; 200} 07 a, 0a, 0) Dalla quale, applicando il resultato di cui al n° precedente, si rileva: zl P(0,....:0;75;0,--30))=.c # E f(0}--,0170,.-..,0:3:00 0,030); : Li ove cx è una costante arbitraria, e l'indice % posto a piè di 1 denota che si è fatto Lr Il IT, SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 107 Sostituendo nella (2) si ha: n Zx71 n k P(x1, do, 119 Di) — ta ChXK sE DI di f(0, 0009 0, RS 0, BEALUIO 0, sO, dr —Î, 0, 000) 0) + 1 ALS f(0, 1.0 a, 1230, 0; 0,0; ..,,0). 1 E possiamo enunciare il teorema: Se esiste una funzione soddisfacente ad un'equazione funzionale del tipo: (21 +21,...,tn+- La) = P(21 - 0) + P(21,7) + fa), ove f è il simbolo d’una funzione data e gli argomenti x1,...,%n0'1,...,1n variano nel campo dei numeri interi e positivi (lo zero incluso), essa è della forma: xl (11,3%) = di, CkXKk + a z, F(0,-130, 1,,0, +009 0; 0, 659 0,a—?, 0, 0009 0) + l + x MOIO RR 000), 2 ove le c sono costanti arbitrarie e col simbolo 1, si vuole esprimere che è stato fatto Xx Il (1). $ 10. — Sopra alcune singolarità delle curve di uno spazio «a cinque dimensioni. 23. — Numero degli S3 aventi con una data curva un contatto tripunto e tre sem- phici incontri. Per la curva insieme di una Ch, (€) e di una Cn. il numero che si cerca si scinde: a) Nel numero @ (n, n) (3) degli S: aventi un contatto tripunto e trisecanti altrove C°. 8) Nel numero analogo rispetto a C*. c) Nel numero degli S3 aventi un contatto tripunto e bisecanti la Cl", appog- giati a C”; il qual numero si ottiene moltiplicando »' per l’ordine della M, degli $, aventi un contatto tripunto e 2 semplici incontri con C", ed è quindi uguale a: n'}3—3)(n—4(n— 5) + 3p(n—4)(2n—15) — 6p(p—1){= = 3 n'n(n—-4)(2n— 15)—3 n'(n:—2n+2) (n —2n) — Inn'n-4)(n_-9) (4). ti (4) Di questo teorema ho fatto pure applicazioni nella Nota: Ricerche sulle coniche secanti delle li curve gobbe (“ Atti della R. Ace. di Torino ,, t. XXXV, 1900) e nella Nota: Sulle coniche che toccano e secano una 0 più curve gobbe (“ Atti della R. Ace. di Torino ,, t. XXXVI, 1900). (2) Così indichiamo una curva d’ordine n e primo rango #4. (8) Qui si suppone che il n° che si cerca sia funzione solo di n e di n,; nè è difficile giustifi- care questa ipotesi allorchè si ponga algedbricamente il problema. (4) Ved. la nota alla fine del n° 14. 108 FRANCESCO SEVERI 28 d) Nel numero degli S; bisecanti e aventi un contatto tripunto con C* ap- poggiati a C°. i e) Nel numero degli S3 aventi un contatto tripunto, un semplice incontro con C", e bisecanti di C”. Se supponiamo la C" in un S, degli S; che si richieggono ve ne sono (5) ns (n — 3) ivi, ognuno dei quali congiunge una delle | (SÌ corde di 0” nello spazio di C*, con uno degli n, piani osculatori di C", ad essa corda appoggiati. Degli Ss cercati ne otteniamo ancora considerando gli spazî congiungenti i piani . osculatori-secanti di C", con corde di C* ad essi appoggiate, e precisamente in nu- mero di: h')3(1—3)(m—4)+ 6p(n— 6){. Quindi il numero che si ricerca è dato da: (5 )male —3) +4'}302—3) (0-0 + 6rn—6){= = 3% -n-3)(3) +) Ki) — SA 1Ini(n_-6) — Bn(n— 7). f) Nel numero degli S3 aventi un contatto tripunto con C*, appoggiati an- cora a questa curva in un punto, e che sono bisecanti di C". g) Nel numero degli S; aventi un contatto tripunto con Cl" e trisecanti di C*. Se si suppone che C* giaccia in un Sy si vede subito che il numero che si cerca si ottiene moltiplicando », per l’ordine della rigata delle trisecanti di C*, ed è quindi espresso da: ,r , 2ng (i) — 7 non'n' 1 +non',=6(n,—n) (E) — i (nn—n)n'n'1 4 3B(n — nn h) Nel numero degli $3 aventi un contatto tripunto con C” e trisecanti di C”. Si ha dunque l’equazione funzionale: pm +90) =) + 00/01) + 607) E nta tonno + 6012) (7) — (ana +3) +8) (3) + + Bm(a—6)(3)—3nla—2(3) — Sw (m—-6) + 5 aliln—-7) +33) + + 3n'.(n'— 6) ha )- 3n'(n Tu: a i nn (n'—6) + i na (n 7) + +3 n'n(n_-4) @n_15) — È a'(m—22+2)(m—2n) — Bnn'm—4) (M—-9) + +- 3. nn'(n' —4) (2n' —15) i ufo, — 2n' 4-2) (n'1—-2n')—Bnn'(n' —4) (n' —9). Dalla quale, applicando il teorema dimostrato al n° 22, si trae: Qi) = alii 72(3) —24(7)144(3) +24 n) + 6m (5)— È 147 3 — 27n; ( 1 nana nn, —gmm_n). 29 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 109 Le due costanti c e ec, son legate dalle relazioni: (4,6) =0 = 4ce + 6c, + 624 p(5,8) =0 = 5c+ 8c, + 912, donde segue: c= 240, c. = — 264. E quindi: otnad=72 (2) -24(2) — 10417) +ason+2s(3)-+0m (3)- Î 3 — 27, | 5 + <= nn, — g Munn) — 264n,. Introducendo il genere p, abbiamo: 9(,2(n+p— 1) =(@—4)(n—5} @—6) + + 2p(n—5) (n—6) (n—10)— 6p(p—1)(n—8). 24. — Ordine della M degli S; bitangenti-monosecanti. Per la curva C7+”, insieme delle curve Cz, Cz il numero che vogliamo deter- minare si spezza: a) Nell’ordine @(x, n) della M, degli S3 bitangenti-monosecanti di C”. 5) Nel numero analogo rispetto a C"'. c) Nell’ordine della M; costituita dagli S; tangenti-monosecanti di 0" e tan- genti di C*, il quale ordine è dato dal prodotto del numero che denota quanti S; tangenti-monosecanti di C" e appoggiati ad una retta data, passano per rette di un dato fascio, per il grado della rigata costituita dalle tangenti di ©". Suppongasi la retta data incidente col piano del fascio dato; per la retta di questo fascio che si appoggia alla retta data, passano 4n + n,(n — 6) S: tangenti-monosecanti di €, (tanti quante sono le tangenti-secanti della proiezione di C" sopra un $). All’infuori di questi S;, gli S3 cercati hanno in comune collo spazio che congiunge il fascio dato con la retta data, un piano passante per un dato punto (il centro del fascio). Sic- come allo spazio congiungente nominato si appoggiano n, tangenti di C”, saranno ni(n— 2) gli S3 che si ottengono in questo secondo modo. — Dunque l’ordine della M, degli S; tangenti-monosecanti di C" e tangenti di C” è uguale a: n'\}An+n(n_-6) + n(n—-2){= 2n' mn +2) — Sn! d) Nell’ordine della M, degli S, bitangenti di ©” appoggiati a C*, il qual nu- mero è evidentemente dato dal prodotto di »' per il numero degli $3 bitangenti di C" appoggiati a due rette a, è. E quest’ ultimo numero lo si ottiene subito suppo- nendo a, è incidenti: degli Sz cercati ne avremo 2 —2)n_-3) + 4p(n—6)+2p(p_1) 110 FRANCESCO SEVERI 30 passanti per il punto «4 (tanti quanti sono i piani bitangenti della proiezione di C" sopra un S,), e i 2(n—2)(n —3) + 4plnr —3) + 2p(p—1) che incontrano il piano ad secondo una retta (tanti quante sono le bitangenti ap- parenti di Cl"). Onde l’ordine cercato è espresso da: in'in_-2)(n_-3) +4 (n—-9)p+p(p—1)i=n' n —16n' (n n. e) Nell’ordine della M, degli S: bitangenti di ©”, appoggiati a 0". f) Nell’ordine della M, degli S$; tangenti-monosecanti di 0” e tangenti a O". Sicchè la (x, n,) soddisfa all’equazione funzionale: p(n+ n", m+ n) =P, mm) + P(1°,00/) + 2a (142) — 16m + 2 (mn +-2) + +an'nî + nn'i—16n/(n—n) — 16(n,—n')m, donde segue p(n,n) = cn + cm + 32 | z — 16 | n + nn(n— 12). Dalle equazioni: (4,6) —=0 = 4c + 6c, — 192, 9(5,8) =0 == 5e + Se, — 288, sl trae: e=— 96 C='96, E quindi: (n, n) = 32 | 5 — 16 | Di) + nn(nm —12) + 96(— n), ossia: P(n,2(n+p—1)) = 4 —3)(n_4)(n—5) +4p(n—4)(2n_-15)+4p(p—1)M—8). 25. — Numero degli Ss bitangenti-secanti di una Ot. Se insieme alla C» data si considera una Cr. per la curva complessiva il nu- mero che si cerca si spezza: a) Nel numero g (n, »)) degli Ss bitangenti-bisecanti di Cf. b) Nel numero analogo rispetto a Cr. c) Nel numero degli $, tangenti di C" e tangenti-bisecanti di C”. d) Nel numero degli S; tangenti di C” e tangenti-bisecanti di C". e) Nel numero degli S; tangenti-monosecanti di C" e tangenti-monosecanti di C”. f) Nel numero degli S; bitangenti di ©" e bisecanti di O" 9) Nel numero degli S, bitangenti di C* e bisecanti di C". h) Nel numero degli S, bitangenti-monosecanti di C" appoggiati a 0". î) Nel numero degli $; bitangenti-monosecanti di C" appoggiati a C°. 31 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO palgl Il numero c) è uguale al numero delle rette comuni alla rigata delle tangenti di C", e al sistema co’ (complesso) di rette che giacciono negli S; tangenti-bisecanti di C". Siccome in un fascio vi sono: An (a — + (n — 3) — 60) Ta (e —10) rette del complesso (tante quant'è l'ordine delle M, dei piani tangenti-bisecanti della proiezione di C* in un S; (!)), sarà: 4min' (n' — 4) + nn°, (n' — 3) (n° — 6) — = nin'i(n'1 — 10) il numero cercato. Il numero e) si ottiene facilmente supponendo che ©" si trovi in un $3, e così pure 0”. È allora evidente che uno degli S; cercati non potrà tagliare lo spazio di C” (o di €") secondo un piano, e lo spazio di C” (o di €") secondo una retta, ma dovrà tagliare entrambi gli spazì in cui sono immerse le due curve secondo una retta, o secondo un piano. Nel primo caso sarà uno degli S3 congiungenti una tan- gente-monosecante di C" con una tangente-monosecante di C”; e così degli Sy ri- chiesti ne otterremo: sin + n, (n — 6)} }4n' + nn (n° — 6). Nel secondo caso passerà per la retta comune agli spazîì delle due curve e conterrà un piano tangente dell'una e un piano tangente dell'altra; e così noi otterremo: nn'i(n_-2)(n' — 2) S.. Dunque in tutto gli S; cercati sono in numero di: }4An + ni (n — 6) }4n' + nn (n — 6){ + an (n—- 2) (n' —2). Per calcolare il numero f) suppongasi la C" in un Sy. Questo contiene (o corde di C” e per ognuna di esse passano 2(n—2)(n—3) + 4p(n —3) + 2p(p— 1) S; bi- tangenti di C"; se uno degli S: che si cercano non giace in S; contiene uno degli S. bitangenti di C" e una corda di €”; onde in tal modo ne otteniamo: h'}2(n—-3)(n—4) + 4pn—6) + 2p(p—1)l. Il numero f) è dunque espresso da: N}Am—8)(2— 4)+-Ap(m—6)+-2p(p—1)} + (3 ))2m-2)(n—3) + 4pla—-3) + +2pp—D)i=($)}4@—3P+20m—22+2)@n—-9) +(m— 2n+2)(m —2n){ — — 3 n', 2(n—-3)(n-4)+2(n— 6)(n_-2n+2) + 5 (n-2n+2)(m_2n) . (4) Ved. al n° 14. 112 FRANCESCO SEVERI 32 Infine il numero %) si ottiene facendo il prodotto dell'ordine della M, degli S3. bitangenti-monosecanti di C" (1), per n. La 9(n,n,) soddisfa dunque all’equazione funzionale: o(n+a',m+ n) =, m) + pw, n) + dan (0 —4) + man (n' —3) (n° — 6) — _ 3 nin'(n'' 10) +4 4n'm(n—4) + nin'(n—-3) l—6)—} nin'(n — 10) + LIE | n) 4A(n—8)2-+2(m—2n+2) (n—9)+m—2n+2) (m_2n)}-4 r'$2An—Bn—4)+ + 2ln—6)(m—22+-2) +4 (m—-2n4+-2)(0m—20)} + Î n )} a — 3} + + 2(n'—2n'+-2) (209) + (211-2042020) 3 mi 2(n'—3) (n' —4)+ + 2(a' —6)(01—2a +2) + 3 (0120 +2)(21—20)} +322' (3 Sen | + + n'nn(n.—12) + 96n'(n—n) +32n( si —16 n(") + nn'n'(n'-12) +960(nn)+ + }4n4-m(n —6)}}4n" +a'un' — 6} + ni'ln — (n 2). Dalla quale si trae: (nm) = cn + cm + 48(3)—176( 3 19 3( n) + cai 5 )+2(5 (7 \m | È | — 16 (3) + 5dum. Dalle equazioni: p(4,6) = 40 + 6,+ 10° = 0 @(5,8) = 5ce + 8e, +1230= 0 segue: 1815, c= 480, ci n Onde: olon)=s8(1) 196 (7) 4.003 (3)+8(7)+2(5)(3)- 1815 03 —Tm(5)—16n (5) +54nm— Ni. E, introducendo il genere p della (7, si ha: P(n,2(n+p_—1)) = 2@m_-4)n—5)?(n—6) + 4(n—5)(n—6)(n—10)p + + 4(n° — 20n +97) (£ )_ 12 (AE (') Ved. al n° precedente. 33 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 113 26. — Nello spazio S; il problema di determinare il numero degli spazì che hanno con una data curva d'ordine n e genere p dati contatti è completamente risoluto dalle formole qui riunite: [n 5,2;2,1,1,=(—3)(@—4)(—5) +p@—5)—-19)—4(2) 0. ln, FOGECIA 1,= (n—-4) SZ (a_-7) La (n—5) sedie odi n= ___2(m_6) emilia) DE al 6(—10)(È @). [n,5,3;2,2,1,1,=2n—4)n—5) (n—6) + 4(n—5) (n— 6) (nT—10)p + L dn 20n + 97)( 5 P\_ 12(5) (8). [n,5,3;3,1, 1, 1])=(n_4)M—5)?n—6)+2pn—5)(n—6)m_10)—6p(p_1)(n—-8) (4). (n, 5,3:3,2]), = 6M—4)(n—5) + 6(3n—20)p + 24 | 10. [1, 5,34, 1], =40—4) (1-5) + 4(6n—20)p (0). LIL LIA, = 2 Carini (0) I (e (+ +3 (1)(0)(8)(%7) 2 [n, 5,4:2,2,2,2,2=32[("7)+(*)2+(*7) (5) \ | + ("3 0) (5 DD è [n, 5,4:8,2,2, 2],= 96 ioni + 120 (#75) + 144 ("5 | [Rae + 168@—8)(5) +192(%). [n, 5,4:3,3,2),=54("3°)+90(*3°)p+14@—(8)+216(8). fn, 5,454,2,2],=48 (*3°) +80(*2°)p+112%@—0(2)+16(8): [n, 5,4;4,3], = 24 ("> 3) + 60(1 —6)p + 144 (2). VA SSA ae ("_°) + 50@—6}p + 80 ( Lil [n,,5,4; 6], =6(n+5p—d). (') Ved. al n° 9. (3) Ved..al n° 13. (9) Ved. al n° 25. (©) Vedwtalin®®23. (5) Ved. al n° 7. (6) CasreLnuOvo, loc. cit. (*) De-JowxeuiirEs, loc. cit., per questa e per le formole successive. Serie II. Tom. LI. 0 114 FRANCESCO SEVERI — SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 84 E il problema dell'ordine è completamente risoluto dalle formole seguenti: Ordine della M; dei piani quadrisecanti= (n_-2)(n—3)(n—4)(nt—-5) 8 —M_—8)@—3}p+($)0). Ordine della M, degli S; 7-secanti = Dale he che 18 3n-4\n—5)n_6}(n—7) (—5)(n_6)(n —7 \ 80 n = 2 p+ 7) ua )n (2) -@—6(£) @). 27. — Il metodo funzionale, come noi l'abbiamo usato per alcune determina- zioni numerative nello spazio a cinque dimensioni, può usarsi per ricerche analoghe negli spazìi superiori. X Le difficoltà algebriche si vinceranno sempre con l’aiuto del teorema generale stabilito al $ 9, e le difficoltà geometriche, che si ridurranno a determinare il nu- mero degli spazî comuni a due sistemi convenientemente infiniti, sì vinceranno con l’aiuto di un teorema dovuto a ScHuBERT, che appunto dà il numero degli spazi co- muni a due sistemi (3). Dimodochè virtuulmente il problema degli spazî plurisecanti di una curva algebrica, e il problema più generale degli spazì che hanno dati con- tatti con essa, sono risoluti; ma è certamente utile che si proseguano le ricerche su tale argomento affine di potere scrivere la formola generale. Torino, novembre 1900. (!) Ved. al n° 12. (2) TanrurrI, loc. cit. (3) Cfr. Scnusert, Losung des Charakteristiken-Problems fiir lineare Riume beliebiger Dimensionen (‘ Mittheilungen der Math. Gesellsch. in Hamburg ,, t. I, 1886, pag. 134). Lo stesso teorema si dimostra come applicazione del principio di corrispondenza fra gli Sx di Sy, principio che io ho stabilito nella Nota: Le coincidenze di una serie algebrica co(k+U(1-1) gi coppie di spazì a ke dimensioni, immersi nello spazio ad r dimensioni (“ Rendiconti dei Lincei ,, t. IX, (5), 2° semestre, pag. 321, 1900). rr TTTÒ@m@—_—_—__m__ Ymm ÉÈÈ_m’’’ STUEL CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO . SPAZIO ORBRDINAZIRIO MEMO RIA DI EMILIO VENERONI Approvata nell'adunanza del 10 Marzo 1901. Oggetto del presente lavoro è lo studio sistematico delle corrispondenze fra i punti di uno spazio ordinario S e le rette di un altro spazio ordinario X, tali che a un punto di S corrisponda in Z un complesso lineare di rette e viceversa a una retta di Z corrispondano i punti di un piano in S. — Sotto l’aspetto di rappresen- tazione sui punti o i piani dello spazio dei complessi lineari di un sistema lineare c0È, tale corrispondenza è da lungo tempo nota ai geometri come quella che condusse alla rappresentazione sui punti di uno spazio ordinario dei complessi di 1° e 2° grado. — Nella ipotesi che gli spazî S, X sieno distinti la corrispondenza fu esaminata in una nota del prof. A. Del Re (*) nella quale si trovano gran parte dei risultati e delle formole stabilite da me nel primo paragrafo. — Anche nella ipotesi che gli spazî S, 2 sieno sovrapposti la corrispondenza fu oggetto di una memoria generale del Sig. U. Masoni (**), nella quale vengono dedotti, come casi particolari di un connesso conico (1, m), alcuni dei risultati a cui per via diversa pervengo nel 2° para- grafo. — Bisogna però notare che in tale memoria il nome di connesso conico non significa che la corrispondenza fra punti e piani focali che viene da me esaminata nel detto paragrafo, mentre una tale corrispondenza non determina un solo connesso bilineare fra punti e rette nel senso che alla frase viene attribuito in questo lavoro, poichè esistono c0* connessi bilineari per cui tale corrispondenza è la medesima (con- nessi omofocali), che generano cioè il medesimo connesso conico. (*) A. Der Re, I/ connesso lineo-lineare, ecc., © Rend. Acc. di Napoli ,, 1888. Cfr. anche del mede- simo A.: Le superficie polari congiunte, ecc., ib., 1888, ed Escursioni matematiche diverse, VI, © Giornale di Napoli ,, 1890. (**) U. Masonr, Sui connessi conici, e in particolare sui sistemi di rette del 2° ordine, © Rend. Ace. di Napoli ,, 1883. 116 EMILIO VENERONI 92 Premetto al lavoro un largo sommario che, mi pare, dà sufficiente idea della via da me seguìta e dei risultati che ho potuto ottenere (*). SOMMARIO I 1. Fondamenti geometrici della corrispondenza omografica che genera il connesso bilineare. Le tre categorie di connessi. 2. Rappresentazioni analitiche più semplici. 3. Connessi specializzati. JT 4-5-6. Sovrapposizione degli spazî S,Z. Corrispondenza nulla fra punti e piani che ne deriva. — Il sistema delle quadriche (Q). — I cinque punti uniti, e i raggi principali di un connesso. . Invarianti assoluti di un connesso di ciascuna delle tre categorie. sz 9. Rappresentazioni analitiche. II. 10. Connessi con una retta di punti uniti, della 1% categoria. 11. Connessi della 1* categoria con una conica di punti uniti. 12. Connessi della 1° categoria con una cubica gobba di punti uniti. 13. Connessi della 2* e della 3*% categoria con infiniti punti uniti. — Connessi della 3* categoria con un piano di punti uniti. 14. Connessi una volta specializzati. — Connessi a sezioni identiche. î TV 15. Intersezione di due connessi bilineari. — Fascio di connessi. — Rigata delle rette fondamentali dei connessi di un fascio. 16-17. Corrispondenza fra punti e congruenze lineari determinata da un fascio di connessi. — Il complesso delle direttrici delle congruenze. — Punti e piani tripli della rigata suddetta. 18. Fasci di connessi con infinite congruenze degeneri: i centri delle stelle che le compongono for- mano una retta, una cubica, una conica, una quartica o una quintica razionale. 19. Fascio di connessi in cui i detti centri formano una quartica ellittica. 20. Caso in cui tutti i connessi del fascio hanno le stesse rette fondamentali. 21. Fascio di connessi a spazî sovrapposti. Complesso razionale del 38° grado formato dalle rette che incontrano le corrispondenti. — Caso particolare: complesso di Montesano. VE 22. Cenno sulla intersezione di tre connessi bilineari. 23. Cenno sulla intersezione di quattro connessi bilineari. VI. 24. Definizione e costruzione del sistema lineare 00* dei connessi fra loro omofocali. Esso contiene il sistema lineare 00° dei connessi a sezioni identiche. 25. Sistema lineare 004 delle quadriche (C) dei connessi omofocali. — Relazione omografica fra tale sistema e il sistema di connessi. — I 10 fasci di connessi della 3* categoria, e i 5 fasci di connessi una volta specializzati contenuti nel sistema omofocale. 26. Rappresentazione sui punti di un S, del sistema lineare 00* dei connessi omofocali. (*) Questo scritto fu recentemente presentato come dissertazione per la libera docenza in Geo- metria Projettiva nella R. Università di Pavia, e nella sua compilazione fu tenuto conto degli auto- revoli suggerimenti della Commissione Esaminatrice. Adempio, quindi, a un grato dovere nell’esprimere, qui, i miei vivi ringraziamenti ai chiarissimi Commissarî, e in particolare all’illustre Prof. C. Segre a cui debbo, in proposito, preziosi consigli. 3 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 117 1. — Poniamo una relazione bilineare fra le coordinate ,(s = 1,2,34) di un punto di un S} che diremo S, e le coordinate xy(i = 12, 13, 14, 34, 42, 23) di una retta di un altro Sz, che diremo X. Essa sarà del tipo (1) ZsCastats=0, dove i,k,s=1,2,3,4 mentre cas = — Gus e determinerà fra i punti di S e le rette di x una corrispondenza tale che al punto di coordinate x, di S corrisponde in X il complesso di coordinate (2) Pix = È;64,:%; e alla retta x, di X il piano in S di coordinate (3) mE = ZarCasTi I complessi lineari (2) formano un sistema lineare di 3* specie che può essere formato da tutti i complessi lineari aventi in comune due rette distinte, oppure coincidenti, oppure un fascio di rette; secondo che accade il primo, il secondo, o il terzo caso diremo che il connesso è della 1%, 2% o 3° categoria. — Supponendo, come noi faremo sempre, quando non avvertiremo in contrario, che non sieno tutti nulli i minori di 4° ordine della matrice ME E: [| Cis T Cris | ) | k=12,13,14,84,41,23 le (2) (3) mostrano che a un complesso del sistema (2) corrisponde in S un sol punto, mentre a un piano E, di S corrispondono in le rette di una serie rigata, le cui equazioni in coordinate di rette sono ad esempio E :Eo:Eg:E= Zia Cat Cik,a ik * Zi: Casda : Za Canali le quali infinite serie rigate hanno tutte in comune le rette che appartengono a tutti i complessi del sistema (2). Se queste rette coincidono, cioè se il connesso è della 22 categoria, le serie rigate son poste su quadriche aventi in comune una retta e in ogni punto di questa il medesimo piano tangente. Se il connesso è della 82 categoria tutte le serie rigate si scindono nel fascio delle rette comuni a tutti i complessi (2) e in un fascio variabile avente col primo una retta comune. Se il piano &, di S descrive un fascio, la quadrica contenente la serie rigata corrispondente descrive in Z pure un fascio, che ha per base; per un connesso della 1° categoria, le due rette fondamentali comuni a tutti i complessi, e le direttrici della congruenza lineare base del fascio di complessi corrispondenti ai punti dell’asse del fascio dei piani; per un connesso della seconda categoria, le due direttrici analoghe 118 EMILIO VENERONI 4 e l’unica retta fondamentale contata due volte; per un connesso della 3? categoria, le quadriche si spezzano nel piano del fascio fondamentale e nel fascio di piani che ha per asse la direttrice della congruenza base del fascio di complessi corrispondenti ai punti della retta, che passa per il centro del fascio delle rette fondamentali. Pertanto la corrispondenza univoca fra i piani di S e le quadriche contenenti le serie rigate è projettiva (degenere per i connessi della 3? categoria). Poichè in un fascio di complessi sono contenuti due complessi speciali, segue che il luogo ‘dei punti di S corrispondenti a complessi speciali di X è in tutti i casi una quadrica. Per i connessi della 1° categoria, poichè gli assi dei complessi speciali contenuti nel sistema (2) sono le rette della congruenza che ha per direttrici le due rette fondamentali, la quadrica dei punti corrispondenti a tali complessi non è spe- cializzata, dovendo contenere due serie di generatrici distinte corrispondenti ai due sistemi di fasci di rette contenuti nella congruenza. Per i connessi della 2? categoria, poichè gli assi dei complessi contenuti nel sistema (2) sono le rette della congruenza speciale che ha per direttrici infinitamente vicine le due rette fondamentali coinci- denti, segue che sulla quadrica dei punti corrispondenti a tali complessi i due sistemi di generatrici coincidono in uno, e la quadrica è un cono il cui vertice corrisponde al complesso che ha per asse l’unica retta fondamentale. Per i connessi della 3° cate- goria, poichè gli assi dei complessi contenuti nel sistema (2) sono le rette della stella che ha il centro nel centro del fascio delle rette fondamentali e le rette del piano del medesimo fascio, la quadrica dei punti corrispondenti a tali complessi si scinde in due piani rispondenti nei loro punti, l’uno alle rette della stella, l’altro alle rette del piano, e segantisi in una retta, i cui punti corrispondono ai complessi speciali aventi per assi le rette del fascio fondamentale. Per una retta generica di Z, che non sia fondamentale, passa una determinata serie rigata, degenere o no, del sistema (4): non fanno eccezione, come mostrano le (4), che le rette fondamentali per cui passano tutte le serie rigate (4). Se tut- tavia, per i connessi della prima categoria, la retta che si considera s’appoggia al- l’una o all'altra delle rette fondamentali, la rigata si scinde in due fasci, e così avviene pure della rigata formata dalle direttrici di essa, che sono gli assi dei complessi speciali contenuti nella rete di cui la prima rigata è base. Pertanto alle rette appoggiantisi all'una o all’altra delle rette fondamentali corrispondono piani tangenti alla quadrica, che diremo quadrica (C), luogo dei punti di S corrispondenti a complessi speciali del sistema (2). E se la retta considerata s'appoggia ad entrambe le rette fondamentali il piano corrispondente tocca la quadrica (C) nel punto che corrisponde al complesso speciale che ha la retta per asse. Analogamente, per un connesso della 2? categoria, a rette appoggiantisi all’unica retta fondamentale corrispondono piani per il vertice del cono (C), ed a rette della congruenza speciale formata dagli assi dei complessi speciali del sistema (2) cor- rispondono piani tangenti al cono (C) nel punto corrispondente al complesso speciale che ha per asse la retta, e quindi lungo tutta la generatrice di (C) che passa nel punto. Infine per un connesso della 3* categoria, :a una retta generica corrisponde un piano segante i due piani che compongono (C) nelle rette che corrispondono ai fasci di raggi della stella che ha per centro il piano del fascio fondamentale, e del piano di questo fascio, che hanno rispettivamente per piano e per centro il piano od 5 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 119 il punto determinato dalla retta e dal centro o dal piano del fascio fondamentale. Alla serie rigata composta del fascio stesso contato due volte corrispondono gli infiniti piani del fascio determinato dai due piani in cui si scinde la quadrica (C), potendosi tale serie rigata degenere considerarsi, in infinite maniere, come base di una rete di complessi del sistema (2). In particolare si possono considerare come serie rigate degeneri di tale natura la stella. che ha il centro nel centro del fascio fondamentale, e il piano rigato che lo contiene cui corrispondono i 2 piani in cui si scinde (C). 2. — Si ottengono ben facilmente, per spazîì distinti, le equazioni più semplici dei connessi delle 3 categorie. Per i connessi della 1° categoria si assumano in X le rette fondamentali come rette A, Ao, Az A, del tetraedro di riferimento, e in $ come punti corrispondenti ai complessi speciali che hanno gli assi A, Az, Aj Ay, Ag Ag, As A, i vertici B, B» B; By del tetraedro di riferimento in $, e come punto corrispon- dente al complesso speciale che ha per asse la retta che dal punto unità, scelto comunque in X, s'appoggia alle A, Ao, Az A, il punto unità H di S. Con tali con- dizioni si verifica facilmente che è Cso 4 CoX23 + &st14 + data = 0 l'equazione del connesso ed è L1X4 _ L9gXg = 0 l'equazione in S della quadrica (0). Se il connesso è della seconda categoria si assuma in X come retta fondamen- tale A, As la retta fondamentale del connesso, e si scelgano su di essa i punti A, A», e fuori di essa i punti fondamentali A; A, e il punto unità E per modo che sieno Aj As Az, Ax Ag Ag, Ax As E i piani contenenti i fasci della congruenza che hanno i centri nei punti A, As E; (indicandosi con E;s la projezione di E su A, As fatta da Az A). Si assumano poi in S come punti fondamentali B, Bz B, i punti corrispondenti ai complessi speciali che hanno gli assi rispettivi A, A, A, Az, A3 A, come punto unità H, il punto corrispondente al complesso speciale d’asse E E,», e infine come punto fondamentale Bs il punto corrispondente al complesso non speciale del sistema che contiene, oltre alle due rette coincidenti nella fondamentale A, A>, anche le rette A, A;, Ag Ay, Ag Ax: l'equazione del connesso è allora LiL34 + Co(%93 n C14) + 030,2 + Cesa = 0 ed è ca + 304 = 0 l'equazione, in S, del cono (0), mentre sono eg4= 0 Cog + dra =" 0 120 EMILIO VENERONI 6 le equazioni, in X, della congruenza speciale che contiene gli assi dei complessi speciali del sistema. Infine per un connesso della 3* categoria, assunti in X come punto e piano A, e o, di riferimento il centro ed il piano del fascio delle rette fondamentali e assunti ad arbitrio gli altri elementi di riferimento in X, si assumano in S come punti fon- damentali di riferimento B, B, B; B, i punti corrispondenti ai complessi speciali che hanno gli assi A, Ao, Ai A3, A A4, Ap Az: con ciò il sistema lineare di complessi in X ha l'equazione k,X34 + k3%49 + kgeu 4 kacag = 0 e assumendo allora ancora in S come punto unità H il punto corrispondente al com- plesso non speciale del sistema Xs4 1 Cao + Cra + ca = 0 l'equazione del connesso diviene XX34 L x20142 + d3%14 + 04023 =0 e la quadrica (C) si spezza nei due piani di S, di cui il primo risponde nei suoi punti ai complessi speciali i cui assi giacciono nel piano a,, e il secondo a quelli i cui assi passano per A,. 3. — Dalle formole (2) segue che le z, non sono mai tutte nulle per un medesimo sistema di valori per le y, se non son nulli tutti i minori del quart’ordine della matrice | Ciks T Chi,s | Se questo succede, cioè se è tre la caratteristica della matrice, i quattro complessi Lin Casta = 0 (s= 129,4 appartengono alla medesima rete, e a questa appartengono quindi tutti i complessi di equazione Lx Cinsta®, = 0 per qualunque sistema di valori per le x,. Si avrà allora identicamente Pax CiaXa = ZA Ziks ik Cik,s (s il; 2,9 per determinati valori costanti delle p,A,, Xp, 3: l'equazione del connesso è cioè riducibile alla forma (4) Zs(P2; + \,c4) Cikys Lik = 0 (s = ita 2, 3 7 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 121 o anche alla più generale si (5) Za oe Casta = 0 ali = IA dove le al sono forme lineari nelle x}x3x3%;. Ciò mostra che in tal caso a un punto corrisponde ancora un complesso il quale tuttavia rimane il medesimo per tutti i punti della retta h(pe, + A &:) = K(pes 4 Noa) = Upez + Ag.) per la forma (4), o della hab = ob = 700! per la forma (5), qualunque sieno le costanti hk!. Si ha dunque che il connesso si riduce a una corrispondenza omografica fra le rette di una stella e i complessi di una rete, essendo, nei due casi (4) e (5) rispettivamente pe, + a, = 0; all — 0 (s=1,2,3 le terne di equazioni che determinano il centro della stella. — Il connesso si dirà in questo caso una volta specializzato. — Formole e ragionamenti analoghi si hanno allorchè sia due la caratteristica della matrice | Ciks T Chi,s Il . Il connesso si dirà in tal caso due volte specializzato, e si ridurrà a una omo- grafia fra un fascio di complessi e un fascio di piani. — Se la caratteristica è l’unità, il connesso tre volte specializzato fa corrispondere a un medesimo complesso tutti i punti dello spazio (*). IL 4. — Gli spazî S, Z sieno sovrapposti. Di ogni punto M di S è determinato il complesso corrispondente in X e quindi il piano polare u' di M rispetto ad esso. In tal modo a un punto M corrisponde in generale un determinato piano per esso. Viceversa, preso un piano pu’, i complessi corrispondenti ai suoi punti M formano una rete, e i poli, rispetto ad essi, del piano u', formano un sistema (M’) projettivo e sovrapposto al sistema (M) dei punti M. I 3 punti uniti di tali due sistemi sono tali che il piano polare di ciascuno di essi rispetto al complesso corrispondente è u'. — (*) Per tutte le considerazioni svolte in questo paragrafo, cfr. A. DeL RE, Il connesso lineo- lineare, ecc., Ace. Napoli, 1888. Serie II. Tom. LI. . P 122 EMILIO VENERONI 8 Nasce così tra i punti e i piani M e u' di (SX), una corrispondenza nulla [13] tale che a ogni punto corrisponde un piano per esso che si dirà piano focale del punto rispetto al connesso e ad ogni piano corrispondono tre punti di esso che si diranno fochi del piano rispetto al connesso. Se M descrive una retta r, il piano corrispondente u' inviluppa un cono quadrico. Infatti se N è un altro punto qualunque di (SX), i piani polari di N rispetto ai complessi corrispondenti ai punti M di r formano un fascio, il cui asse è la retta che da N s’appoggia alle direttrici della congruenza lineare comune a tutti quei complessi. Questo fascio di piani viene segato da » in una punteggiata (M') projettiva alla (M). I due punti uniti in tale projettività sono tali che il piano polare d’ognuno di essi rispetto al complesso corrispondente passa per N. Quindi l’inviluppo dei piani u' è della seconda classe. Se M descrive un piano, il piano focale w' inviluppa una superficie del 3° ordine con quattro punti doppì. Infatti, poichè il piano n dei punti M contiene o? rette, il richiesto inviluppo contiene 0? coni quadrici, di cui due qualunque hanno un piano comune. Inoltre l’inviluppo stesso è della 4* classe: preso infatti un punto N fuori di mt, il piano polare di N rispetto al punto M variabile su m descrive una stella projettiva al piano m. Esiste quindi su m una conica ©, di punti tali che i loro piani focali pas- sano per N. Così per un altro punto P si troverà su m una seconda conica C,. I quattro punti comuni alle coniche C, e C, son tali che i loro piani focali passano per la retta NP. Ciò mostra che l’inviluppo è della 4 classe, ed è quindi, per l’os- servazione antecedente, l’inviluppo correlativo alla superficie di Steiner ed è allora formato dai piani tangenti di una superficie del 3° ordine con 4 punti doppiî. Inoltre l’inviluppo ha un piano triplo nel piano n e tre fasci di piani doppî che hanno per assi le congiungenti le coppie di fochi del piano ©. 5. — Se il piano u' ruota intorno a un punto P, i punti corrispondenti descrivono una quadrica (Q). Infatti i piani corrispondenti ai punti di una arbitraria retta » formano un cono quadrico: di questi piani pertanto due passano per P, e vi sono quindi su r due punti del luogo richiesto. Tutte le quadriche (Q) costituiscono un sistema lineare con cinque punti base: questi cinque punti sono talîi che ad ognuno di essi corrisponde un complesso lineare speciale il cui asse passa pel punto. Intanto tali cinque punti si possono trovare nel modo seguente: se il connesso è della prima categoria, si consideri in (SZ) la quadrica (€): le sue due serie di gene- ratrici 9, 9, sono riferite proiettivamente ai piani per le due rette fondamentali a, è rispettivamente (I, 1): gli incontri di ogni generatrice col piano corrispondente si distri- buiscono in due cubiche gobbe C, C; poste su (C), e che avendo per corde le gene- ratrici di sistema contrario su (C), si incontrano in cinque punti. Per ciascuno di questi passando i piani corrispondenti alle due generatrici di (C) incrociantisi in esso, passa anche l’asse del complesso speciale corrispondente. — Se il complesso è della seconda categoria, la quadrica (C) è un cono; le sue generatrici corrispondono pro- iettivamente ai piani ed ai punti dell’unica retta fondamentale @, che siano piani e 9 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 123 centri dei fasci di rette assi di complessi speciali corrispondenti ai punti delle gene- ratrici. Il luogo dei punti in cui si incontrano le generatrici di (C) e i piani corri- spondenti al fascio @ è una cubica gobba C,, ai cui punti, come assi dei corrispon- denti complessi speciali, corrispondono nella congruenza speciale d’asse «, le rette di una rigata gobba del 3° ordine di cui le direttrici, semplice e doppia, coincidono in «. Quindi €,, che ha chiaramente « per corda, incontra fuori di @ la detta rigata in cinque punti che sono proprio i cinque punti richiesti. — Se infine il connesso è della 3° categoria, (0w) essendo il fascio delle rette fondamentali, la quadrica (0) si spezza in due piani 0, 8: a corrispondendo nei suoi punti proiettivamente alle rette della stella (0) e B a quelle del piano w: allora esistono sopra « tre punti per cui passa l’asse del complesso speciale corrispondente: così pure in Rw esistono due simili punti, che sono i punti uniti della proiettività che si ha su Rw, considerando i suoi punti una volta come punti di f, e l’altra come sezioni degli assi appartenenti al fascio che in w corrisponde alla retta 8w di R. — Tali cinque punti di cui si è in ogni caso constatata l’esistenza si diranno punti uniti del connesso. — Nella cor- rispondenza poco fa stabilita fra i punti e i piani di (SZ) i cinque punti uniti sono eccezionali. A ciascheduno di essi corrispondono tutti i piani della stella che lo ha per centro. Segue tosto che la quadrica (Q) relativa a un punto qualunque di (SZ) con- tiene tutti e cinque i punti uniti. — Osservando infine che dei piani passanti per una retta sono fuochi i punti della quartica in cui si segano le quadriche (Q) rela- tive a due punti qualunque della retta, segue che il sistema (Q), contenendo tutto il fascio determinato da due sue quadriche qualunque, è un sistema lineare proiettiva- mente riferito ai punti di (SX), e con ciò risulta dimostrato completamente il Teorema. 6. — Sia m un piano ed ABC i suoi fochi: se un punto M descrive la retta A B, il complesso corrispondente descrive un fascio: la retta AB appartenendo ai com- plessi corrispondenti ai punti A, B, appartiene a tutti i complessi del fascio. — Onde il piano focale di un punto qualunque di AB passa per AB, o anche conducendo per AB un piano qualunque, due dei suoi fochi sono su AB, sulla quale tali coppie di fochi formano una involuzione quadratica. — Siccome poi i tre fochi di un piano si possono riguardare come i 3 punti che insieme ai 5 punti uniti formano il gruppo degli 8 punti base della rete di quadriche (Q) corrispondente ai punti del piano, segue che Le rette che congiungono le coppie di fochi di un medesimo piano sono i raggi principali del sistema di quadriche (Q). (Hauptstrahlen). Esse si diranno anche raggi principali del connesso e possono definirsi in uno dei tre modi seguenti: 1° Con- giungenti due fochi di un medesimo piano. — 2° Congiungenti due punti base (che non sieno i punti uniti) di una rete di quadriche (Q). — 3° Rette che appartengono a tutti i complessi corrispondenti ai loro punti. È chiaro infine che / raggi principali di un connesso formano una congruenza [23] del 2° ordine e della 3% classe. I cinque punti uniti sono, per essa, punti singolari di 2° ordine: esistono poiù 10 punti e 10 piani singolari di 1° ordine centri e piani di 10 fasci di raggi principali. Queste ed altre proprietà di tale congruenza sono ben note, e verranno, più sotto, quando occorra, ricordate (*). (*) Per tale congruenza [23] cfr. ad esempio i trattati del Reve e dello Sturm e le memorie di Reye, Voss, STAHL, SCHUMACHER. 124 EMILIO VENERONI 10 La collineazione che in ogni piano m nasce facendo corrispondere a ciascun punto A di n il polo A' di r rispetto al complesso corrispondente ad A, determina un connesso piano [11] in cui al punto A corrisponda il fascio di raggi di centro A”. — Tale connesso piano o anche la collineazione che lo determina, si dirà Za sezione del connesso dato fatta con m. Se il piano m è generico, i 3 punti uniti della collinea- zione sono i fochi (distinti) del piano m. Se m tocca la superficie focale della con- gruenza |23] dei raggi principali, dei 3 raggi principali che giacciono in m, due coin- cidono in uno, uscente dal punto di contatto di m, e quindi dei 3 fochi di n, l’uno è il punto di contatto e gli altri due coincidono nell’incontro del raggio principale doppio coll’altro raggio principale giacente in m. Ciascuno dei piani singolari di 1° ordine della congruenza [23] contiene un fascio di raggi principali, onde segherà il connesso in una omologia, di cui il centro è il punto singolare di 1° ordine che giace nel piano, e l’asse è la congiungente dei due punti singolari di 2° ordine, cioè dei due punti che giacciono nel piano (*). Per un connesso generale esistono dunque dieci piani che lo segano in omologie; per ogni coppia di punti uniti passa uno di tali piani. Se il connesso è della 3 cate- goria, di tali dieci piani singolari, uno è il piano del fascio fondamentale il quale sega il connesso in una collineazione degenere, mentre gli altri 9 piani singolari lo segano in omologie. 7. — Se il connesso che si considera è della 1° categoria, sono ben determinati i cinque punti uniti e le due rette fondamentali distinte. Viceversa dati 5 punti e due rette in posizione generica, è determinato in modo unico il connesso che hanno quei 5 punti come uniti e quelle due rette come rette fondamentali. — Infatti dei cinque punti sono determinati i complessi corrispondenti che hanno per assi le rette che uscendo da ciaschedun punto unito s’appoggiano alle fondamentali. Perciò è determi- nata la corrispondenza omografica fra i punti dello spazio e i complessi del sistema 008 di cui sono le date le due rette fondamentali, e quindi il connesso. — Considera- zioni analoghe conducono a concludere che è determinato un connesso della 2? cate- goria quando sia data la congruenza speciale avente per asse l’unica retta fonda- mentale e formata dagli assi dei complessi speciali del sistema, e inoltre i 5 punti uniti. — Per un connesso della 3* categoria non si possono assegnare ad arbitrio i punti uniti e le rette fondamentali: due punti uniti giacciono nel piano delle rette fondamentali, ed una terna giace fuori (II, 5). Così assegnati i punti uniti e il fascio (0w) delle fondamentali, benchè sia, come nei casì precedenti, ben determinato il sistema co 3 di complessi relativo al connesso, non è determinato il connesso: poichè se di cia- scuno dei 3 punti uniti della terna è noto l’asse del complesso speciale corrispon- dente, che è la retta che proietta il punto da 0, non sono noti gli assi analoghi per punti uniti della coppia, di cui sappiamo solo che devono passare per tali punti e giacere in w. Perchè il connesso sia determinato occorrerà dare, in w, anche il punto R di incontro dei detti due assi. — Da queste osservazioni si possono dedurre (#) Cfr. Reve o Srurx, op. cit. ikil SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 125 tosto le condizioni perchè due connessi della stessa categoria si possano trasformare l’uno: nell’altro con una omografia. Se sono U,, a, 5; U',, a’, d' (r=1, 2,3, 4, 5) i punti uniti e le rette fondamentali di due connessi F F', allorchè la figura formata dai punti U, e dalle rette «, 3 sarà proiettiva all’analoga formata dai punti U', ed a'b', allora, e allora soltanto, si potrà con una trasformazione lineare passare da T a l' e precisamente con quella trasformazione lineare che muta U,, a, db, in U', a', d'. Segue che Un connesso della prima categoria ha otto invarianti assoluti, tanti essendo i parametri che determinano le rette «,d rispetto al pentaedro (U,). — Se si consi- derano le due cubiche gobbe che passando pei punti U, hanno per corda rispettiva- mente le a, 5, queste coincidono con quelle cubiche gobbe €, C, che abbiamo ante- riormente incontrato (II, 5). Sopra ciascuna di esse i cinque punti uniti e gli appoggi con a, oppure con d formano un gruppo di 7 punti, formanti fra loro quattro rap- porti anarmonici indipendenti (invarianti assoluti del gruppo). In tal modo si hanno otto birapporti che possono, com'è chiaro, assumersi come gli otto invarianti asso- luti del connesso. Se i connessi F F' sono della 2* categoria, detti U,, a, (A); U',, @' (A)' rispettivamente i punti, la retta fondamentale e la congruenza speciale di cui essa è l’asse, allorchè la figura formata dai punti U, e dalla retta « si potrà, con una trasformazione lineare, trasformare nella figura formata dai punti U', e dalla retta a’, per modo che la stessa trasformazione muti la congruenza (A) nella (A'), allora, e allora soltanto, F e [' si potranno linearmente trasformare l’uno nell’altro. Ora perchè ciò avvenga è necessario in primo luogo che il gruppo dei punti U, e della retta « sia proiettivo al gruppo dei punti U', e della retta @’' e ciò importa che i quattro parametri indipendenti che determinano « rispetto al gruppo (U,) sieno eguali ai quattro che determinano @'’ rispetto al gruppo (U',). Inoltre poichè a determinare la congruenza speciale d’asse « rispetto al pentaedro (U,) occorrono 3 parametri, occorre che questi sieno eguali agli analoghi che determinano la congruenza speciale d’asse a’ rispetto al pentaedro (U',). Si conclude che Un connesso della 2° categoria possiede sette invarianti assoluti. La prima quaterna di invarianti assoluti può, sulla cubica C, passante per i punti U, e avente « per corda, interpretarsi come nel caso prece- dente. Per gli altri tre parametri possono prendersi i birapporti che determinano su a i centri B, (r = 1, 2, 3, 4,5) dei fasci della congruenza giacenti nei piani rispet- tivi a A,, dei quali birapporti tre soli sono indipendenti, dovendo il gruppo dei punti (U,) sopra C, essere proiettivo al gruppo dei punti (B,) su «. Se i connessi T T' sono della terza categoria, le condizioni che fanno sì che l’uno sia trasformabile linearmente nell’altro, sono quelle che assicurano che il gruppo dei punti 0,(A,), R relativi al connesso l sia trasformabile linearmente nell’analogo gruppo 0", (A',), R' relativo al secondo. S’intende che le posizioni dei punti 0, A,, R non sono arbitrarie, ma soggette alle limitazioni che scaturiscono dalle osservazioni pre- cedenti. Quindi, fissati ad arbitrio i punti A, e il punto 0, il punto R non si può prendere a caso, ma deve giacere sul piano determinato da 0 e da una coppia di punti A, (piano del fascio delle rette fondamentali). Segue che il connesso T possiede cinque invarianti che sono i tre parametri che determinano 0 rispetto al pentaedro (A.), e i due che determinano R sul detto piano. Quindi Un connesso della 32 cate- goria ammette cinque invarianti assoluti. 126 EMILIO VENERONI 12 8. — Cerchiamo per via analitica la conferma dei risultati principali ottenuti nei numeri precedenti. L’equazione del connesso si può scrivere sotto la forma (6) ZsCastat= 0 dove s varia da uno a quattro, e le iX variano pure, da 1 a 4 con queste condizioni Ciks = Chi,s di cui le Cin sono conseguenza. In tal caso l'equazione del piano focale di un punto «;, si ottiene, essendo Li = ZiYx To Yo col supporre nella (6) che sia x, = 2;(2= 1, 2,3, 4), col che si otterrà dalla (6) stessa l'equazione del piano stesso nelle coordinate y; di un suo punto: l’equazione si può dunque scrivere Zi YiZrs Castel =0 e le coordinate del piano & focale di x, sono le Ei = di; Cik,s Cs. Ciò mostra che se il piano & vuota intorno a un punto 2,, il suo fuoco x; descrive la quadrica Dietas Cik,st®% = 0 che è la quadrica (Q) relativa al punto 2;. Ciò conferma che le quadriche (Q) formano un sistema lineare 00? riferito projettivamente ai punti di S. Il sistema è determinato dalle quattro quadriche Qi=Zk Gatti Ora si ha identicamente (7) x Hi Qi =: 0. i=1 Onde i punti base, se esistono, del sistema 008 sono i punti comuni alle Q,039g, tolti fra questi otto punti quelli che annullano insieme Q,Q,Q; e la cqordinata Uy: Ora di tali ultimi punti, ne esistono effettivamente tre. Infatti, ponendo in ciascuna delle Q, QQ; la 2x4="0, si ottiene identicamente Q0 = Zen, ks dove le i, t,s assumono i soli valori 1, 2,3. — Per la (7) avendosi identicamente 3 Za, QI = 0 1 PP n ____v_ _=e=-_ rm 13 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 127 i punti comuni alle Q!" = 0 (?=1, 2, 3) sono quelli che annullano Q! e Qî, tolto, se vi è, ogni punto per cui sia x3 = 0. Ora posto nelle Q!Q! anche #3=0 la pre- cedente diviene mQP + 2009 =0 che è per la (7) identicamente verificata. Perciò delle soluzioni di Ql!®!=0 l’una dovrà essere x, = 0, l’altra dovrà appartenere anche a Q!% —=0. Segue quindi che tre sono i punti comuni a QUQY”Q0, e quindi 5 i punti comuni a Q;QQ; per cui non sia d= 0, e quindi sono cinque i punti base del sistema (Q). 9. — Diamo in questo numero le forme ridotte dell'equazione di un connesso generale di ciascuna delle tre categorie. Per i connessi delle prime due categorie si assuma come tetraedro di riferimento il tetraedro che ha per vertici quattro punti uniti e per punto unità il quinto punto unito. Per la prima condizione l’ equazione del connesso è del tipo XL 1(434%%4 + UZCZAO) -- U:3%23) + q (dna So bis0 + Db34l34) + + Cs(c12%10 _ Cra + Centa) + Li(A23%23 + da%31 AL Aiot19) = 0 e le quattro quadriche Q; sono x30;(ca + da) + ced — do) + c203(— d3 — co) =0 Lido(dro + 4,0) + Lies(c1o — 423) + 230,(— cri — dg) = 0 XC2(023 + dig) + c204(d23 — da) + ca dai — dg) = 0 C3%3(ba + cs) + 23210 — ca) + viel dee — da) = 0. Allora la condizione che il punto unità sia il quinto punto unito importa che le quattro Q, passino per esso, e che sia quindi cao +di + bn — de bg — ca=0 di + dg + Cia — dg — ca — dg=0 493 + dia + dos — dsi — di — ag =" 0 F da + cai + ds — ca — de — da = 0 t delle quali una è conseguenza delle tre rimanenti. In virtù di esse pertanto nella equazione del connesso non compaiono più che otto costanti non omogenee indipen- denti, che è proprio il numero degli invarianti assoluti di un connesso della 1° cate- goria. — Se poi oltre alle precedenti scriviamo anche l’unica condizione che assicura che la quadrica (C) è un cono, il connesso rappresentato dall’equazione data è della 2* categoria e nella sua equazione non compaiono più che sette costanti m0n omogenee, com'è il numero degli invarianti di tale connesso. Per un connesso della terza categoria sembra più conveniente la seguente dispo- sizione degli elementi di riferimento. Il centro del fascio delle rette fondamentali si 128 EMILIO VENERONI 14 prenda come punto A,, come punti AsA3A, i punti uniti della terna: come piano unità della stella (A;), cioè come piano proiettante la retta unità del piano A3A3A, si assuma il piano delle rette fondamentali: il punto unità dovrà allora trovarsi sopra il raggio unità, già bene determinato, della stella (A,): si prenda precisamente per punto unità l’incontro di tale raggio col piano che insieme al piano A3A3A, costi- tuisce la quadrica (C). In tali ipotesi sarà intanto Cl Ars Upg + ko XLagi + k3.03 yo + key&4%2 = 0 l'equazione del connesso, e poichè il piano delle rette fondamentali, cioè il piano polare di A, rispetto al complesso D Gr Cr 0, ha l'equazione U9% + Ai3:d3 + ast = 0, dovrà essere ds —'ag='@f=@ La quadrica (C) spezzandosi allora nei due piani | Ti—0) (8) Î CI (27 + dat 493) + koxx 4 4303 +4 kyag = 0 dovrà anche essere A34 + duo + 493 4 ko 4 k34- ku= 0. Con tali condizioni nell’ equazione del connesso non compaiono più che cinque costanti non omogenee, pari al numero degli invarianti. — I rimanenti due punti uniti si trovano come incontri della retta (8) con una quadrica generica (Q). III. 10. — Senza entrare in una minuta disamina dei casi particolari che possono avverarsi per i connessi delle tre categorie, vogliamo qui rintracciare i tipi fonda- mentali dei connessi delle tre categorie pei quali i punti uniti divengono infiniti. Mostreremo in 1° luogo che vi sono tre tipi di connessi della 12 e della 2? categoria con infiniti punti uniti: essi sono: 1° Connessi con una retta di punti uniti e due punti uniti esterni alla retta; 2° Connessi con una conica di punti uniti e un punto unito esterno alla conica; 3° Connessi con una cubica gobba di punti uniti. Ci si persuade dapprima che non possono esistere connessi delle prime due cate- gorie, tali che un piano generico contenga più di tre punti uniti. Infatti, se ciò avve- nisse, il connesso piano secondo cui un piano generico sega il connesso dello spazio che si considera (II, 5) dovrebbe essere un connesso identico, oppure una omologia. 115) SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 129 Nel 1° caso tutti i punti dello spazio sarebbero uniti, perchè al complesso corri- spondente a un punto M dovendo appartenere tutti i fasci di raggi col centro in M e il piano per M, al punto M generico corrisponderebbe un complesso speciale con l’asse per M. Onde il sistema lineare 003 di complessi, relativo al connesso, sarebbe composto tutto di complessi speciali, il che è assurdo. Nel 2° caso la qua- drica (C) dovrebbe essere da ogni piano segata in rette, epperciò spezzarsi in due piani, ciò che non avviene pei connessi delle 1° due classi. — Ciò mostra che i tre casi sopra enunciati sono i soli possibili. Ora essi sì dànno veramente. In 1° luogo per costruire un connesso della 1* categoria con una retta di punti uniti, osservo che se tal retta esiste, essa è generatrice della quadrica (C) e corri- sponde proiettivamente ad un fascio di raggi della congruenza che ha per direttrici le due rette fondamentali a, 5; anzi tale corrispondenza è prospettiva; perciò la retta unita « incontra una delle rette fondamentali, e sia a. Presa dunque una retta « che ne incontri una seconda «, e sia in posizione generale rispetto ad una terza bd, si immagini una qualunque quadrica (C) che abbia per generatrice la retta «: sulla (0) vi sono due sistemi di generatrici: uno di questi sistemi contiene la «, l’altro è for- mato da rette incidenti la v: si riferisca allora il fascio di piani per a in modo qua- lunque alle generatrici del primo sistema, purchè sieno omologhi il piano av e la generatrice u. E il fascio di piani per 5 si riferisca proiettivamente alle generatrici del secondo sistema, per modo però che un piano per è e una generatrice di tale sistema sieno fra loro corrispondenti quando s'incontrano in un punto della retta w. — La quadrica (C) è così, in modo determinato, riferita proiettivamente nei suoi punti alle rette della congruenza di direttrici a, è per modo che ai punti di « cor- rispondono rette passanti pei punti stessi. — E considerando queste rette come assi di complessi speciali, la corrispondenza ora posta determina un connesso pel quale le rette (a, 3) sono fondamentali, la quadrica assegnata è la quadrica (C), e la retta « è tutta di punti uniti. — E questo è il modo più generale per costruire un connesso siffatto. — Delle due cubiche ©, C, la prima degenera nella retta « e in una conica appoggiantesi in un punto ad vu: la seconda si spezza nella retta x e nelle due gene- ratrici di (C), di sistema contrario ad v, che s’appoggiano a d. Se queste sono % &, ognuna di esse incontra la quadrica precedente in un punto che è unito pel con- nesso. Cioè Fuori della retta unita esistono ancora due punti uniti. Il sistema delle quadriche (Q) ha per base la retta unita « e i due punti uniti A, B. Fra i raggi principali vi sono quelli che si appoggiano ad v, che formano una congruenza di 1° ordine e di 2° classe perchè di ogni piano un foco è sopra «, e quelli che mon s'appoggiano ad v, che formano una congruenza lineare. Poichè ogni piano per « sega il connesso in una omologia, essendo « tutta di punti uniti, i raggi principali della 12 specie sono le rette unite nelle infinite omologie determinate dal connesso nei piani per «. I centri di tali omologie formano quindi una conica appoggiata ad « in un punto. Il piano a v sega il connesso in un connesso piano degenere. — Infine il sistema lineare 03 delle quadriche (Q) contiene due fasci di quadriche spezzate in due piani, poichè il sistema 004 determinato dalle sole condizioni che i punti di « e i punti A e B ne sieno punti base, contiene le due reti di quadriche spezzate in due piani, formate l’una dal piano A « e da un piano qualunque per B, l’altra dal piano B « e da un piano qualunque per A. Segue che gli assi dei fasci di piani suddetti sono Serie II. Tom. LI. Q 130 EMILIO VENERONI 16 due rette / m, per A e per B. — Un piano qualunque per / appartenendo intera- mente a una quadrica (Q) sega le quadriche (Q) stesse nelle coniche di una rete. A questa appartengono le coniche degeneri costituite dalla retta che unisce A col punto d'appoggio di « col piano, e dalle rette del fascio in cui il piano stesso sega il fascio di piani d’asse m. Le rette di questo fascio sono, di conseguenza, raggi principali per il sistema di quadriche (Q) non appoggiantisi ad «: onde Le direttrici della con- gruenza lineare dei raggi principali non appoggiantisi ad u sono le rette 1 m. Si ha quindi: In un connesso avente una retta unita esistono tre fasci di piani seganti il connesso in omologie. Gli assi di questi fasci sono la retta unita, e le rette 1, m, I centri delle omologie poste in piani per 1 sono su m e viceversa: i centri delle omologie poste in piani per u, sono sopra una conica che s'appoggia ad u. A determinare il connesso si possono fissare i seguenti elementi ad arbitrio: le rette a, « incidenti in P, la retta 5 generica rispetto alle prime, i punti A e B e una quadrica generica, come quadrica (0), passante per v, A, B. Infatti in tal caso è nota la corrispondenza che deve intercedere fra i piani per d e le generatrici di sistema contrario ad v e così quella che sta fra i piani per a e le generatrici del- l’altro sistema: ai tre piani a u, « A, @ B devono infatti corrispondere la «, e le gene- ratrici uscenti da A e da B. Si possono quindi costruire le cubiche degeneri C, G;, e quindi il connesso. — Ora si dicano A By gli incontri della generatrice di (C) del sistema di x che esce da A, colla generatrice % dell’altro sistema che esce da B, e della generatrice di (C) del sistema di «u che esce da B colla generatrice % dell’altro sistema che esce da A. — Fissati su % e £ i punti A, By è determinata (0) dalle condizioni di contenere u, %, #, AB», BAn. — Segue tosto che un connesso di questa natura ha quattro invarianti che sono il birapporto dei punti A À, coi punti d’ap- poggio di % colla «, l'analogo birapporto pei punti BB,, e i due parametri che fis- sano A nella stella (P). 11. — Mi propongo ora di costruire un connesso con una conica (e) luogo di punti uniti. — Per la conica (e) conduco ad arbitrio una quadrica (C), e immagino due rette sghembe a, d appoggiate ad (e). Si facciano corrispondere alle generatrici Ya dell’un sistema di (0) i piani del fascio @ che contengono i rispettivi loro punti d'appoggio con (e); così pure alle generatrici dell’altro sistema 9, si facciano corri- spondere i piani per dè che contengono i loro punti d’appoggio con (e). Si è allora riferita proiettivamente la quadrica (C), nei suoi punti, alle rette della congruenza di direttrici a, è per modo che a un punto della conica (e) corrisponde una retta passante pel punto stesso. E considerando le rette appoggiate ad « e è come assi di complessi speciali risulta determinato un connesso di cui (e) è una conica di punti uniti. E questo è il modo più generale per determinare un connesso di tale natura. La cubica C, si decompone nella conica unita (e) e nella generatrice del sistema 9, che s'appoggia al punto dove a incontra di nuovo (0) fuori di (e). Così la cubica C, si decompone nella conica (e), e in quella generatrice del sistema %, che s'appoggia al punto dove è incontra di nuovo (C) fuori di (e). A far parte rispetti- vamente di €, C, entrano così due generatrici 4, X di (C) appartenenti a sistemi contrarî, epperò incontrantisi in un punto 0, unito pel connesso. Dunque fuori della conica unita vha un punto unito isolato. Il sistema delle quadriche (Q) dovendo avere pa HF SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 131 per base la conica (e) e il punto 0 è completamente determinato dai suoi elementi base e ad esso quindi appartiene la quadrica (C). La congruenza dei raggi principali si scinde anche in questo caso: infatti di ogni piano due fuochi sono sulla conica unita (e): quindi sono raggi principali del connesso tutte le rette del piano della conica unita. Esiste inoltre una congruenza del 2° ordine e di 2° classe costituita da raggi principali del connesso unisecanti la conica (e), come si vede tosto considerando le rette che uniscono un punto qualunque cogli incontri con (e) del piano focale del punto. — Tale congruenza ha nella conica (e) una linea singolare e in 0 un punto singolare di 2° ordine, poichè è chiaro che ad essa appartengono tutte le rette che da 0 proiettano i punti di (e). Quindi essa può essere di questi due tipi: o è formata dalle rette appoggiantisi ad (e) e ad una retta per 0 non incidente (e), oppure è for- mata dalle tangenti al cono quadrico che da 0 proietta (e), nei punti della conica (e). Ma se sì avverasse il primo caso, un piano condotto per la direttrice rettilinea per 0, dovrebbe contenere due fasci di raggi principali, e il connesso sezione del dato col piano sarebbe un connesso identico; tutti i punti di (C) sarebbero uniti, ciò che è assurdo. — Si avvera dunque il secondo caso. — I piani focali di ogni punto M del cono che da 0 proietta (e) segano il connesso in un connesso piano che avendo per punti uniti 0, M e l'appoggio di 0 M con (e) è una omologia avente 0 M per asse e per centro l’ulteriore incontro del piano focale con (e). Ma se tale ulteriore incontro non coincidesse col punto d’appoggio di 0 M con (e) e fosse invece un punto diverso, H, la congruenza dei raggi principali unisecanti (e) conterrebbe il fascio che ha per centro H, e per piano A 0 M, che è assurdo, essendo formata dalle tangenti al cono (0(e)) nei punti di (e). Segue dunque che A ogni punto del cono (0 (e)) corrisponde come piano focale il piano tangente în esso al cono, piano segante il connesso în una omologia singolare. È da notarsi che la proprietà trovata prima che la quadrica (0), è nel caso in questione, una quadrica (Q), è caratteristica per i connessi di questa natura. Se infatti la quadrica (C) di un connesso f, è luogo dei punti i cui piani polari passano per un punto © di (0), come deve succedere per la definizione data per le quadriche (Q), un piano qualsivoglia per C sega (C) in una conica (c) per C, ai punti della quale corrisponderanno come assi di complessi speciali le generatrici di una serie rigata, per modo che il piano che proietta da ogni punto di (0) la generatrice corrispon- dente della serie passa per C. Ma nel piano di (c) si trova una retta della congruenza (a 5), il cui punto corrispondente deve quindi trovarsi su (c): tale retta appartiene allora alla serie rigata, e la sezione della quadrica che contiene questa serie col piano che si considera, si scinde nella retta nominata e in una direttrice della serie riferita prospettivamente alla conica (c), quando a ogni punto di (c) si faccia corri- spondere l’incontro di tale direttrice colla generatrice della serie rigata, che è asse del complesso speciale corrispondente al punto fissato. Risulta pertanto che i due punti dove la direttrice sega la conica (c) sono due punti uniti del connesso. Quindi in ogni piano per © giacendo due di tali punti, il connesso ammette una conica di punti uniti. Infine si noti che la corrispondenza fra punti e piani determinata dal connesso, diventa nel presente caso una reciprocità birazionale. Infatti non solo a ogni punto corrisponde un determinato piano focale, ma altresì di ogni piano vi è un solo fuoco, 132 EMILIO VENERONI 18 esclusi i punti della conica unita. Il piano della conica unita ha per fuochi tutti i suoi punti e sega il connesso în un connesso identico. Si verificano poi facilmente le seguenti proprietà : Ai punti di un piano corrispondono, come piani focali, i piani di un inviluppo di 2° classe cui appartiene il piano della conica unita. Ai punti di una retta corrispondono nello stesso modo i piani di un cono qua- drico cui appartiene pure il piano della conica unita. I fochi dei piani di una stella sono su una quadrica (Q): è fochi dei piani di un fascio sono i punti di una conica che incontra due volte la conica unita. Si osservi ancora che un connesso di questa specie è completamente determinato se si dànno ad arbitrio: la conica unita (e), il punto unito 0, le due rette fonda- mentali a, è incidenti in (e), e il punto R dove la retta che uscendo da O incide le a, b, sega la quadrica (C). In tale ipotesi è costruibile infatti la quadrica (0) colle condizioni che debba contenere (e), R, 0, e le rette che da 0 si appoggiano alle a, d, ed alla conica (e). È determinata allora la corrispondenza prospettiva fra i piani per a e per 2, e le generatrici di (C) e quindi il connesso. — Il quale per- tanto ha tre invarianti che sono: detti L M gli appoggi con (e) delle generatrici di (C), per 0: 1° il birapporto dei punti ABLM su (e), essendo A, B gli appoggi con (e) di a, 5; 2°il birapporto (0 H « 5) secondo cui O H s’appoggia alle a, 8; 3° il birapporto che determina su OL (oppure su O M) l’appoggio di a (o di d). 12. — Sopra una quadrica (C) si fissi una generatrice a: i piani per a si rife- riscano prospettivamente alle generatrici di (C), di sistema contrario ad a: si riferi- scano poi proiettivamente le generatrici dello stesso sistema di @, ai piani passanti per una retta arbitraria 5. In tal caso a ogni punto di (C) corrisponde proiettiva- mente una retta della congruenza di direttrici («, è), e considerando le rette di questa come assi di complessi speciali, si è costruito un connesso di cui a, è sono le rette fondamentali, e la quadrica data è la quadrica (0); tale connesso possiede una cubica gobba di punti uniti. Infatti se M è l’incontro di un piano per è colla corrispondente generatrice di (C), l’asse del complesso speciale corrispondente al punto M sta nei due piani Ma, Mb, epperò passa per M. — Dunque Esiste una cubica gobba (il luogo dei punti M) formata di punti uniti, di cui una delle rette fondamentali (b) è corda, mentre l’altra (a) è unisecante. Il connesso è determinato completamente quando si dieno la cubica unita e le due rette fondamentali, di cui l’una, 5, sia corda, l’altra « unisecante della cubica. Infatti è nota in tal caso la quadrica (C) che deve contenere la cubica unita, e l’unisecante, quindi la proiettività tra le generatrici di (C) appoggiantisi ad @ e i piani per a, ed essendo nota la cubica, è nota anche la proiettività fra i piani per è e le generatrici dell’altro sistema: e quindi il connesso è determinato. — Esso ha pertanto due invarianti che sono i due rapporti anarmonici, sulla cubica, che spet- tano al gruppo formato dai punti d'appoggio della corda, dall’appoggio dell’unisecante, e dai due punti in cui la cubica è segata dai due piani condotti per l’unisecante e per ciascuno dei punti d'appoggio della corda. Alcune notevoli proprietà del connesso risultano dalla sua rappresentazione analitica. Si assuma come vertice A, del tetraedro di riferimento in (SX) l'appoggio 19 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 168 di a colla cubica: come retta A, A. la retta « stessa, come generatrice di (0) di sistema contrario ad «, passante per A, la A, Ag che sarà una corda della cubica; sia precisamente A; l’ulteriore suo appoggio colla cubica; A, ed E (essendo E il punto unità) sieno i punti della cubica posti su d, e sia infine A, A» la generatrice di (C) di sistema contrario ad a, che passa per A,. Il fascio di piani di asse A, A» e d’equazione Nx3 + pa, = 0 ci si riferisca prospettivamente alle generatrici della quadrica (C) di sistema contrario ad a, e il fascio di piani d’asse A,E= proiettivamente alle generatrici dell’ altro sistema e quindi ai piani del fascio A,A3. — Le equazioni dei fasci A,E, A,A3 sono h(a— x) + k(a°—a;)=0 ar + Ba = 0. La proiettività è determinata da una relazione bilineare fra le 4, %, a, B del tipo ha + mak+nhB+qkB=0 nella quale dovrà però per le ipotesi fatte essere g = 0. Allora di ciascuno dei punti ALA3A3 AE è ben determinato l’asse del complesso speciale corrispondente come intersezione, rispettivamente, delle coppie di piani eli==0 A) tir=0 n=) o—-t%3=0; a—-%=0; x%=0; —m(e— x) + la — 23) = 0; Lg — Xa = 0 m(ei— 2) +M— D(c:— a) =0. Ne segue che le equazioni dei cinque complessi speciali corrispondenti sono cut re=0; %s=0; dat re=0; mag —lxg3=0; — mag + meat (-m_-n+I)ayt+(—-#cxa+(— #rg=0 onde l'equazione del connesso è (9) ((_-m—- neu kt co)c— 30 + mat cole — (man — la) a,= 0 che contiene il minor numero di costanti possibile. Qualche osservazione sul sistema dei raggi principali di un siffatto connesso. — Il sistema delle quadriche (Q) degenera nella rete che ha per base la cubica unita. Un piano generico sega il connesso in un connesso piano di cui i 3 punti della cubica posti in quel piano sono i 3 punti uniti. — Dunque sono raggi principali del con- nesso le corde della cubica. Inoltre se mediante la (9) cerchiamo le coordinate n, del piano focale del punto «,, troviamo pnir= — mascg + mazxy = 0 pn=(—m_—-nxa,t ness + mass — Laz, pn= —((—nax— na +e, pni=(—m— n)(c123— 2102) + m(aca — 1303). di (db) a EMILIO VENERONI 20 Queste formole mostrano che la detta corrispondenza è degenere e a ogni punto (x) corrisponde un piano focale passante evidentemente pel punto fisso A,: il piano stesso sega quindi il connesso in una omologia, di cui il centro è A, e l’asse è la corda della cubica unita che passa per (x): se ciò non accadesse, ogni piano per A, seghe- rebbe il connesso in un connesso piano identico, e tutti i punti della quadrica (0) sarebbero uniti, il che è certamente assurdo. La congruenza dei raggi principali si spezza dunque nella stella (A,) e nella congruenza [13] delle corde della cubica. 13. — Le cose dette nei paragrafi precedenti per i connessi della 1? categoria si potrebbero senza difficoltà estendere con lievi modificazioni ai connessi della 2° categoria, e si troverebbero tre tipi analoghi di connessi con infiniti punti uniti, sui quali non insistiamo per amore di brevità. Infine nei connessi della 3? categoria possono esistere, in varî modi, infiniti punti uniti. Può esistere una retta di punti uniti nel piano del fascio fondamentale che dovrà essere la intersezione di questo col piano, componente la quadrica degenere (0), i cui punti corrispondono ai complessi speciali i cui assi giacciono nel piano del fascio delle rette fondamentali: gli assi dei complessi corrispondenti ai punti della retta unita formeranno allora un fascio posto nel detto piano e prospettivo alla retta. Dei 3 punti uniti della terna, posti sull’altro piano componente (C), uno è l’incontro di esso colla retta unita. Fuori di questo vi sono ancora dunque due soli punti uniti. Può esistere una retta di punti uniti invece, in questo secondo piano compo- nente (C), i cui punti corrispondono a complessi speciali i cui assi passano per il centro del fascio delle fondamentali. La sezione di questo piano col connesso è una omologia: vi è sopra il piano un altro punto unito esterno alla retta, e fuori del piano un secondo punto unito isolato, poichè un punto dei due punti uniti della coppia (II, 5) sta sulla retta. Può esistere una conica unita nel piano del fascio fondamentale, e ciò accade ogniqualvolta questo coincide col piano componente (0) i cui punti corrispondono a complessi speciali i cui assi son posti nel 1°. Nell’altro piano componente (C) e fuori della conica vi è un altro punto unito isolato. Può anche esistere una conica unita come nel caso precedente, e inoltre una retta unita, incidente ad essa, nel secondo piano componente (0). Tutti questi casi stanno perfettamente a riscontro delle particolarità analoghe che già riscontrammo per i connessi delle due prime categorie. Ma possono anche darsi i due casi seguenti che non trovano i loro corrispondenti nelle altre categorie. Il piano e componente (€) i cui punti corrispondono ai complessi speciali i cui assi passano per il centro A, del fascio fondamentale, può, in particolare, essere pro- spettivo alla stella (A.), e allora tutti i suoi punti sono uniti, e ogni piano sega èl connesso in una omologia. Fuori del piano non esiste più nessun punto unito. Tutte le quadriche (Q) si scindono nel piano fisso € e in un piano variabile. Queste ed altre proprietà risultano tosto dalla rappresentazione analitica. — Si assuma come vertice A, del tetraedro di riferimento il centro del fascio delle rette fonda- mentali: sia A3 AjA; = a, il piano e, A A3 A4j=" 0, il piano delle rette fondamentali cioè il piano polare di A, rispetto al complesso corrispondente ad A,, ed a, 03 rispet- tea” a 21 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 135 tivamente i piani polari di Az A, rispetto al medesimo complesso. Con una scelta opportuna del punto unità l'equazione del connesso si riduce tosto alla forma acr(ve-— La) + k (220344 30 + 24693) = 0. a x N o . . x Il rapporto — non è però un'invariante del connesso, poichè con una trasfor- mazione | ZIO EM in cui le 4, soddisfino alle sole condizioni ZII aBh = kh, essendo a, 8 due costanti qualunque fissate, l’ equazione precedente si riduce alla forma AdY, (ie Y34) "a 8 (Y2Ys “* YzsYa "i Y4Ys3) = e ciò mostra che il rapporto = dipende dalla scelta del punto unità epperò Il con- nesso non ha invarianti assoluti. Il sistema delle quadriche (Q) è determinato dalle seguenti quattro Q= a =0 O=zi=0 Q= ra =0 Q= 73 = 0. Cioè tutte le quadriche (Q) si spezzano nel piano fisso a, # € e in un piano variabile che passa costantemente per il centro del fascio delle fondamentali. L'equazione del piano variabile che insieme ad a, costituisce la quadrica (Q) corrispondente a un punto y, è precisamente Yad Yda + Y3Li— Ya = 0. Esso è, dunque, il piano polare del punto y; stesso rispetto al complesso Lio — C34 = 0 ‘corrispondente al centro del fascio fondamentale. Quindi La corrispondenza nulla fra i piani e i loro fochi si riduce a una ordi- naria polarità nulla. Tutte le rette dello spazio si possono riguardare come raggi principali. Se poi oltre alle ipotesi sin qui fatte, accade anche che il piano fondamentale coincida col piano n che oltre ad e compone (C), nel connesso oltre al piano di punti uniti e, esiste, nel piano n, una retta di punti uniti che insieme alla en forma la conica dei punti di n che stanno sugli assi dei complessi corrispondenti. In tal caso ogni piano per la retta unita sega il connesso in un connesso identico. Assu- mendo ancora come punto fondamentale A, il centro del fascio delle fondamentali, come piano n il piano A, A3 Aj, e come piano A» 43 A, il piano e, con opportuna 136 EMILIO VENERONI 292 disposizione dei punti A, A3 A, sui piani e, n su cui sono posti, e con una scelta opportuna del punto unità, l'equazione del connesso si riduce alla forma Ci (210 + Cr9) + Cota + Xote + dara = 0 che mostra nuovamente che il connesso non ha invarianti: il sistema (Q), si vede pure, degenera; e ogni quadrica (Q) si scinde nel piano fisso €, e in un piano varia- bile intorno alla retta unita. 14. — Chiudiamo la già troppo lunga rassegna col considerare ancora due tipi di connessi una volta specializzati di cui ci serviremo in seguito. Un connesso una volta specializzato è determinato da una corrispondenza proiettiva fra le rette di una stella (A,) e i complessi d’una rete (R). In particolare gli assi dei complessi speciali della rete sono le generatrici di una serie rigata, di cui le direttrici sono le rette comuni a tutti i complessi della rete (R). A tali complessi speciali corri- spondono le rette di un cono quadrico della stella (A), e vi sono quattro punti in cui s'incontrano una generatrice del cono e la corrispondente della serie rigata. Infatti, proiettando da A, le generatrici della serie rigata, si ottiene un cono qua- drico-inviluppo, i cui piani rispondono proiettivamente alle rette del 1°, e vi sono quattro di queste rette che giacciono sopra i piani corrispondenti del cono-inviluppo. Si ottengono così quattro punti uniti pel connesso. — Il punto A;, cui corrispondono tutti i complessi della rete (R) si dirà punto fondamentale del connesso degenere. — Se si fa, anche qui, corrispondere a ciascun punto di (S X) il piano polare rispetto al complesso corrispondente, ragionando come già facemmo nei primi numeri del par.° II°, si viene ancora a determinare una corrispondenza [I, 3] tra punti e piani: in particolare si trova nuovamente che è fochi dei piani passanti per un punto P_sono su una quadrica (Q) passante per P. Inoltre tutte le quadriche (Q) contengono i quattro punti uniti e è punto fondamentale A,, perchè A, è anch'esso fuoco di tutti i piani per A,, corrispondendo ad esso tutti i complessi della rete. Possiamo quindi concludere che / sistema delle quadriche (Q) relativo a un connesso una volta specia- lizzato ha per base i quattro punti uniti, e il punto fondamentale del connesso. Il secondo connesso una volta specializzato che vogliamo considerare si ottiene assumendo per rete (R) di complessi, la rete dei complessi speciali che hanno per assi le rette di una stella (A;) e riferendola proiettivamente ai raggi della stessa stella (A) per modo che « un raggio di (A;) corrisponda il complesso speciale che ha per asse il raggio stesso. Tutti i punti dello spazio sono in questo caso uniti: la sezione del connesso con un piano è il connesso identico del piano. Il connesso in questione si chiamerà perciò connesso a sezioni identiche. Il punto A, si dirà centro del connesso. L'equazione di un connesso a sezioni identiche il cui centro abbia le coordinate y,(r= 1,2,3,4) è ponendo X,= — (25%, + Lys + xa Lrg) X= (03% + 4x3 + 2103) ki=> (1, Cio + 1% Pa xy) X;= (11 08 + 2.03 + 43010) (10) 23 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO io la 4 (11) Z yr XK, = ya + yeXo + yoXo +yiXa=0 forma che verrà più avanti ricordata. IV. 15. — Se sono lisca lena le equazioni di due connessi bilineari fra i punti (x,) di un medesimo spazio pun- teggiato S e le rette (x,,) di un medesimo spazio rigato Z, a ogni punto di $S corri- sponderanno in X due complessi lineari segantisi in una congruenza lineare di rette, e viceversa a una retta di X corrisponderanno in S due piani segantisi in una retta. Cioè i due connessi hanno in comune una quintuplice infinità di elementi (coppie di punti e rette): tutte le rette che con un dato punto formano un elemento, sono le rette di una congruenza lineare, e tutti i punti che con una data retta formano un elemento, sono sopra una retta. — Le congruenze corrispondenti agli 03 punti di S formano un sistema algebrico razionale o, che è riferito proiettivamente ai punti di S. — Le congruenze stesse non variano se, invece dei due connessi da cui siamo partiti, si prendono due connessi qualunque del fascio . (12) À 2. Cini Ki Cs - \' 2 cin: Xi Xts = 0. Ogni connesso di questo fascio ha, in generale, due rette fondamentali che si trovano come intersezioni dei complessi ' r À ZikCiks Lik + NE, ik,s Lin = 0 per s= 1,2,3,4. Si vede quindi che la rigata formata dalle rette fondamentali dei varî connessi del fascio si può ottenere come luogo delle coppie di rette comuni ai complessi corrispondenti di quattro fasci proiettivi. — Essa è perciò una rigata dell'ottavo ordine e del genere tre, che diremo R, e la sua immagine nella nota rappresentazione dello spazio rigato sopra una M{? di S; è l’intersezione coll’ MÉ della rigata Q9 del quarto ordine, luogo degli S, in cui si tagliano gli S, corrispondenti dei quattro fasci (12). — Tale rigata può essere di due specie a seconda che è uno o due l’ordine della sua direttrice minima: nel 1° caso la Qî viene a rappresentarsi sul piano mediante le 00° cubiche di un sistema lineare con un punto doppio fisso e una tangente fissa in esso; nel 2° il sistema lineare ha ancora un punto doppio base, ma, anzichè la tangente fissa, possiede un secondo punto (semplice) base, distinto dal primo. L'immagine della rigata R sul piano è una curva del 6° ordine con un punto quadruplo nel punto doppio fisso, e un punto doppio nel punto semplice fisso Serie II. Tom. LI. R 138 EMILIO VENERONI 24 (infinitamente prossimo al primo, o no). — E in S; l’immagine di R è una curva s che basta a definire il sistema degli 003 Sg di Ss che segnano sopra la M® le imma- gini delle congruenze lineari del sistema. — Infatti tali S3 devono incontrare tutti gli S, che costituiscono Q5, perchè ognuno di essi è in un Sy con ognuno degli Si. Segue che nella rappresentazione di Q6 sul piano le sezioni di tali Sz colla Ql sono rappresentate dalle coniche passanti per i due punti base, semplice e doppio, infini- tamente vicini o no. E viceversa a una tal conica corrisponde un unico $3 incon- trante tutti gli S, di Q?, che è quello per cui passano gli S, le cui sezioni con QS" son rappresentate nel piano dalle cubiche spezzate in quella conica e in rette pel punto doppio fisso. Ogni tale S3 sega quindi la curva s in 6 punti, cioè: Ogni congruenza del sistema contiene 6 generatrici della rigata R. e viceversa ogni congruenza contenente 6 generatrici di R appartiene al sistema. Questo mostra che la rigata R basta a carat- terizzare in X il sistema di congruenze. — Le coppie di generatrici a, 6 di R che sono rette fondamentali per i varìî connessi del fascio segnano su R una %, onde R è iperellittica, ed essendo 3 il suo genere saranno 8 gli elementi doppî della gì cioè In un fascio generale di connessi giacciono otto connessi della 2° categoria. Invece, poichè nessuna generatrice di Qf appartiene in generale alla MPI nel fascio non è in generale nessun connesso della 3° categoria. 16. — Se una retta d è direttrice di una congruenza lineare del sistema, vi è nel fascio un connesso che contiene (nel sistema di complessi ad esso relativo) il complesso speciale d’asse d: perciò 4 dovrà appoggiarsi a due generatrici coniugate nella g3 segnata su R dal fascio di connessi. — Viceversa una retta appoggiantesi a due generatrici corrispondenti di R è asse di un complesso speciale di un connesso del fascio e quindi è direttrice di una congruenza del sistema. Le direttrici delle con- gruenze del sistema sono dunque tutte e sole le rette che s'appoggiano a rette coniugate nella g3 su R. Esse formano quindi un complesso del 4° grado. E infatti quattro è la classe dell’inviluppo delle rette che congiungono le coppie di punti corrispondenti della gì che sta nella curva sezione di R con un piano qualunque. Prese due coppie qualunque di generatrici di R coniugate nella gì, esistono due rette che s'appoggiano ad entrambe, e che quindi sono doppie per il complesso O delle direttrici. Si può così ottenere una doppia infinità di rette: ora il cono del com- plesso 0‘ che esce da un punto qualunque di 2 potendosi intendere come luogo delle rette appoggiate da quel punto alle coppie di generatrici di R coniugate nella 93, è razionale, ed ammette quindi, in generale, 3 rette doppie non poste in un piano. Così pure in ogni piano avremo tre rette doppie del complesso non passanti per un punto. Cioè Il complesso delle direttrici ammette una congruenza di rette doppie del 3° ordine e della 3* classe, non contenuta in un complesso lineare (congruenza di Roc- cella). — La rigata R è superficie di singolarità pel complesso delle direttrici: per ogni suo punto M il cono-complesso si scinde nel fascio che da M proietta le gene- ratrici corrispondenti a quella, g, che passa per M, e in un cono di 3° ordine con una retta doppia: delle 3 generatrici di questo, che appartengono al fascio, una è la retta singolare s relativa al punto scelto, le altre sono due rette della congruenza doppia: la retta s ha per punto singolare il punto M, mentre il piano singolare dovendo toccare in M la superficie singolare, è il piano sg: la s s’appoggia alla de I. È © PI Pa 25 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 139 coniugata g' in un punto M° che è anche l'intersezione di g' col piano sg; onde la punteggiata descritta da M su yg essendo proiettiva al fascio dei piani tangenti nei varì punti M di 9, cioè al fascio dei piani sg, e a questa essendo proiettiva la punteggiata descritta da M’ su g', segue: Le rette s= MM singolari pel complesso delle direttrici aventi il loro punto singolare sopra una stessa generatrice di R formano una serie rigata, di cui sono direttrici la detta generatrice di R e la sua coniugata. Una coppia di generatrici coniugate gg' genera allora due simili serie rigate, le quali avendo in comune due direttrici 9 g', hanno ancora in comune due generatrici, ognuna delle quali, essendo doppia per due coni di ©‘, è doppia per 0‘. Esse sono a riguardarsi come le rette appoggiantisi alla coppia gg' e alla coppia di genera- trici coniugate infinitamente vicina in R. 17. — Nello spazio punteggiato S si immaginino le cv quadriche (C) relative ai connessi del fascio: poichè a un punto di S corrisponde in XY una congruenza lineare, per la quale passano due complessi speciali, Le quadriche (C) relative agli infiniti connessi del fascio formano una serie 0! di indice 2. — Inoltre, a ciascuno degli otto punti comuni a 3 quadriche (C) deve corrispondere una congruenza lineare per la quale passino 3 complessi speciali: essa deve dunque scindersi in un piano e in una stella, gli assi dei 3 complessi appartengono a un medesimo fascio, tutti i complessi corrispondenti a quel punto in tutti i connessi del fascio, sono speciali, epperò gli otto punti sono comuni a tutte le quadriche (C), le quali appartengono a una medesima rete. Ai punti di una retta di S corrispondono in * le congruenze lineari intersezioni dei complessi corrispondenti di due fasci proiettivi: le coppie di direttrici di esse formano una rigata del 4° ordine contenuta nella congruenza che ha per direttrici le due rette comuni a tutti i complessi dell’uno e dell’altro fascio, e segnano su di questa una 93, la quale ammetterà quattro coincidenze, poichè è uno il genere della rigata. — Se la retta di S passa per uno degli otto punti comuni a tutte le (0), la rigata si scinde nel fascio delle direttrici della congruenza degenere corrispondente a quel punto e in una rigata razionale del 3° ordine, sulla quale la 93 analoga alla precedente ha due coincidenze, cioè I punti di S cui corrispondono in X congruenze a direttrici coincidenti, formano una superficie del 4° ordine, avente otto punti doppî nei punti comuni a tutte le quadriche (C) (superficie di Cayley). Ricordando allora che ogni congruenza del sistema contiene sei generatrici di R segue ben tosto che delle generatrici di R che devono appartenere ad ognuna delle otto congruenze degeneri, tre appartengono alla stella e tre al piano componente la congruenza: infatti 1’S3 che in S; segna su M® l’ immagine della congruenza degenere, sega Q5 in una cubica gobba che ha tre punti in comune con ciascuno dei due S, che compongono la inter- sezione dell’ S3 coll’M. Onde La rigata R ammette otto punti tripli nei centri delle stelle che son parte delle congruenze degeneri del sistema, e otto piani tripli nei piani che compiono le dette congruenze (*). La rigata R stessa può quindi ottenersi come (*) Che otto, e non più, sia il numero dei punti tripli della rigata R risulta anche, come il chiarissimo Prof. Segre mi fece osservare, da una formola del Sig. Castelnuovo (° Rendic. Circolo 140 EMILIO VENERONI i 26 luogo delle rette che s'appoggiano ai raggi corrispondenti di quattro fasci proiettivi: tali sono quattro qualunque degli otto fasci determinati da un punto triplo e dal piano triplo per esso. I raggi di uno di questi fasci sono infatti le rette che dal suo centro s'appoggiano alle coniugate nella g:' di R, di guisa che le coppie di gene- ratrici coniugate di R si appoggiano a tutte le otto rette che negli otto fasci sono assi di complessi speciali relativi al connesso per cui le generatrici della coppia son rette fondamentali. Onde gli otto fasci sono proiettivi fra loro e al fascio di connessi e il nostro asserto è giustificato. — Il piano di ciascuno di questi fasci contiene 3 generatrici di R, e altre tre generatrici passano per ciascuno dei centri. — Se A, A:,0, 0 sono centri e piani di due degli otto fasci, la retta A, A., e così la a; 00, incontrano R ciascuna in due punti, fuori dei punti A, A; per la prima retta, e fuori degli incontri colle rette che giacciono in 0, e a, per la seconda. Ora i detti due punti in cui a, A; sega R si possono ottenere così: sulla a, 0 i due fasci proiettivi (A, 0), (A 0) segnano due punteggiate proiettive sovrapposte con due punti uniti: se E è uno di essi, dovrà esistere una coppia di generatrici coniugate di R incidenti le A, E, A, E: non potendo le due generatrici della coppia giacere nel piano A, A» E se non si vuole che appartenga al fascio un connesso della 3* categoria (IV, 15), dovrà una di esse passare per E,, l’altra giacere in A, A3 E. Cioè Le due generatrici di R che incontrano la congiungente di due punti tripli, fuori di questi, sono le coniu- gate delle due che s'appoggiano alla intersezione dei due piani tripli coordinati ai due punti, non giacenti in essi. 18. — Il sistema di congruenze relative ad un fascio di connessi contiene dunque in generale otto congruenze degeneri, scisse cioè in un piano e in una stella. — Vogliamo ora determinare quei fasci di connessi per cui le congruenze degeneri sieno in numero infinito: occorrerà in tal caso che pure infiniti sieno i punti base della rete che contiene le quadriche (C). Ciò può avvenire in uno dei tre modi seguenti: A) — La rete contenente le (C) ha una retta base, e fuori di essa ancora quattro punti; : B) — La rete stessa possiede una conica base e fuori di essa due punti; C) — O infine la rete ha una cubica gobba base. Caso A. — Ai punti della retta base in S, corrispondono in X e in due con- nessi qualunque del fascio due fasci di raggi prospettivi come assi di complessi speciali, e allora I vertici delle stelle del fascio di connessi stanno su una retta p, e è piani rigati ne contengono un’altra p'. Tutti i punti di p sono tripli per la rigata R; tutti i piani per p' sono pure tripli per R. Le 3 rette di R uscenti da un punto di p non giacciono in generale in un piano per p', e la rigata si scinde in due: quella P formata dalle rette uscenti dai punti di p, e quella P' formata dalle rette giacenti Palermo ,, 2°, 3°). Che poi ogni piano triplo si ottenga nel modo esposto in seguito risulta anche come segue: Un piano triplo a sega R oltrechè in tre generatrici, in una curva del 5° ordine y°, la quale essendo iperellittica come R ammette necessariamente un punto triplo A, pel quale passano 3 generatrici di R, dunque punto triplo di R. — E le coppie di punti di y° allineati con A, cioè coniugate nell’iperellitticità, saranno sulle coppie di generatrici di R coniugate nella stessa 9°, epperò saranno atti di complessi speciali, ecc., ecc. 27 SUI CONNESSI, BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 141 in piani per p. — Le P, P' sono rigate del 4° ordine; la prima ammette oltre alla retta tripla p, una sviluppabile di piani bitangenti della 3° classe, e la seconda, oltre all’asse triplo p', ammette una cubica gobba di punti doppîi. — Le due rigate P P' hanno in comune quattro generatrici, come si vede subito considerando i punti di incontro di ciascuna delle p, p' colle rigate P' P. — Lé rigate P P' sono fra loro proiettive: una generatrice di P e la corrispondente di P' sono rette fondamentali di un medesimo connesso del fascio. — Nello spazio S la superficie dei punti cui corrispondono congruenze speciali, è una F* con una retta doppia e 4 punti doppi fuori di essa (Plicker). Caso B. — In questo caso le quadriche (C) avendo tutte in comune una conica, la suddetta F* possiede una conica doppia e due punti doppî fuori di essa. — Poichè alla rete cui appartengono le (C) appartiene un fascio di quadriche degeneri com- poste del piano della conica e di un piano variabile intorno alla retta che unisce i due punti base di (C), vi saranno tra le (C) due quadriche degeneri, epperò al fascio appartengono due connessi della terza categoria. Quindi la rigata R si spezza in due fasci e in una rigata del 6° ordine. Alla conica base delle (C) corrispondono in X e per due qualunque connessi del fascio le generatrici di due serie rigate come assi dei complessi speciali corrispondenti ai punti della conica, riferite tra loro in modo che due generatrici corrispondenti si incontrino. Ora ciò può aver luogo in tre modi diversi: 1°. Le due serie rigate possono avere una direttrice in comune, ed essere corrispondenti due generatrici delle due serie incontrantisi in un punto della direttrice comune. Allora I luogo dei centri delle stelle componenti le congruenze degeneri del sistema è la retta direttrice comune delle due serie rigate. E l’inviluppo dei piani rigati componenti le stesse congruenze è una sviluppabile di 3° classe formata dai piani delle coppie di generatrici delle due rigate incontrantisi in punti della direttrice comune. I punti della retta e i piani della sviluppabile sono punti e piani tripli per la rigata del 6° ordine che entra a comporre R. La stessa rigata ammette ancora due punti e due piani tripli isolati. x 2°. Le due serie rigate possono essere proiettive per modo che sieno corri- spondenti le generatrici incontrantisi nei punti di una conica posta su entrambe le quadriche su cui stanno le rigate. Il luogo dei centri delle stelle è dunque in questo caso una conica. Quanto al luogo dei piani rigati si osservi che questi dovendo con- tenere una generatrice di ciascuna delle suddette quadriche, sono piani tangenti ad entrambe: le quadriche stesse si segano oltre che nella detta conica, in una seconda conica: i piani tangenti comuni formano due conì quadrici, aventi i vertici in due punti della retta intersezione dei due piani tangenti (comuni) alle due quadriche negli incontri delle due coniche. Uno di tali coni quadrici è precisamente formato dai piani dalle coppie di generatrici delle due serie incontrantisi in punti della 1 conica. Dunque / piani rigati formano un cono quadrico. Questo e la conica sono proiettivi per modo che per ogni punto della conica passa il piano corrispondente del cono. La rigata del 6° ordine ha una conica di punti tripli, un cono di piani tripli, due punti e due piani tripli isolati. 3°. Le due serie rigate possono essere proiettive per modo che sieno corri- spondenti due generatrici incontrantisi in punti di una cubica gobba di cui sieno 142 i EMILIO VENERONI 28 unisecanti. — Questo sottocaso è correlativo al 1°: Il luogo dei centri delle stelle è una cubica gobba; l’inviluppo dei piani rigati è un fascio, ece. Caso 0. — Rimane infine a considerarsi il caso in cui tutte le (C) abbiano comune una cubica gobba: non appartiene alla rete nessuna quadrica degenere, epperò il fascio non contiene nessun connesso della 3* categoria. Ai punti della cubica comune a ogni (C) in due qualunque connessi del fascio corrispondono connessi speciali, i cui assi formeranno due rigate cubiche razionali riferite proiettivamente fra loro per modo che due generatrici corrispondenti si incontrino. Sieno P, Pi le due rigate, s, 5», d, de le loro direttrici semplici e doppie. Si debbono distinguere i sottocasi seguenti: 1°. Le due direttrici semplici s,s, coincidano e sieno corrispondenti due gene- ratrici di P, P, incontrantisi in un punto della direttrice semplice comune. Il 2uogo dei centri delle stelle è allora la direttrice semplice comune. IL luogo dei piani rigati è un fascio gobbo di 5° classe. Infatti ogni piano per s, contiene due generatrici delle due rigate P, P., e se facciamo corrispondere due piani del fascio (s;) quando con- tengano due generatrici corrispondenti delle P, P., sarà fra i piani del fascio posta una corrispondenza [22], ed esisteranno quindi quattro piani rigati passanti per s,: inoltre per ogni punto di si passa un altro di tali piani, quello determinato dalle due generatrici corrispondenti di P, P. in esso incontrantisi. Con ciò è giustificato l’asserto. — Di tutte le coppie di rette fondamentali di un medesimo connesso del fascio, una retta è sempre s,, l’altra varia a descrivere una rigata dell’8° ordine, formata dalle rette in cui si segano terne di piani del fascio gobbo di 5? classe, che sono quindi le direttrici doppie delle infinite rigate cubiche che si ottengono conside- rando gli infiniti connessi del fascio. 2°. Le due direttrici doppie s;s: sieno distinte: un piano per s, contiene due generatrici di P, e quindi due punti d'incontro di esse colle corrispondenti di P.; onde 1 centri delle stelle formeranno una conica, una cubica, una quartica razionale, 0 una quintica razionale a seconda che dei tre punti d'incontro di s, con Ps, nessuno 0 uno o due o tre sieno punti d'incontro di generatrici corrispondenti delle due rigate. Nel primo caso il luogo dei centri di stelle è una conica: per ogni direttrice semplice, per esempio per s;, passano tre piani rigati, quelli che contengono le tre generatrici di P, appoggiate ad s, e quindi le tre corrispondenti di s,. Per ogni punto di s, passa poi un altro piano rigato, quello che contiene la generatrice di P, passante per il punto. Quindi / piani rigati formano un fascio gobbo razionale di 4° classe: per cia- scuna direttrice doppia, p. es. d,, passano invece due. soli piani rigati: infatti la direttrice doppia incide la conica in un punto, e incontra P, fuori di questo in due punti che dànno luogo a due piani del fascio gobbo contenenti d,. Dalle note pro- prietà delle quartiche di 2° specie e dei fasci gobbi correlativi segue quindi: Le diret- trici semplici delle rigate cubiche formano una serie rigata che è parte di R: le diret trici doppie formano una rigata del 6° ordine. 3°. Nel secondo dei casi poco sopra accennati risulta con ragionamento affatto simile: IZ luogo dei centri delle stelle è una cubica gobba e il luogo dei piani rigati un fascio gobbo di 3% classe. Le direttrici semplici delle rigate cubiche sono assi del fascio gobbo e unisecanti della cubica e formano una rigata del 4° ordine. Le direttrici semplici sono corde della cubica, per ciascuna di esse passa un sol piano del fascio gobbo: esse formano pure una rigata del 4° ordine. 29 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 143 4°, Il terzo dei casi accennati è duale al caso 2. / centri delle stelle formano una quartica di 2° specie: è piani rigati toccuno un cono quadrico. 5°. Il quarto dei casi stessi è duale al caso 1. I centri delle stelle formano una quintica razionale; i piani rigati formano un fascio. 19. — Otterremo in questo numero un nuovo fascio di connessi, cui pure com- petono infiniti centri di stelle e infiniti piani rigati, supponendo che la rete delle qua- driche ‘contenenti le (C) sì riduca ad un fascio. Il fascio di connessi sia r r NE Cis Lis 4 A Z.x,sC ik,s Vin Cs = D) e si ponga (CC) = Zu E; (Cz: Sen Cis) Ls + z: (ci, > & Cona) Us (CC') = Zig il; (Cas a Chi,s) Ls z, (RES e i Cos) Ls + + 2; (ca peri Cave) Us. Zi (C'in,s var l'io) Ly i (C'C') = Zito >, (Cine ol Cris) ds 2. (Cho STA (MAE essendo s=1,2,3,4 ik, uv= 12, 34; 13, 42; 14, 23. Allora l'equazione della quadrica (C) relativa a un connesso (M') del fascio è la (13) \2(CO) + (CC) + N2(C'C")= 0. Ora si supponga che, per qualunque sistema di valori per le x,, si abbia iden- ticamente (14) a(CC) + p(CC) + y(C'C)=0 essendo a, ,y delle costanti. Allora, e allora solo, le (C) appartengono a un mede- simo fascio. Ora pei due connessi (A,M) (XX) tali che sia (15) cid, A + B(M N) + AN + YMiNM=0 la (13), supposta identicamente verificata la (14), resta inalterata. E allora la (15) dice: Se le quadriche (C) appartenenti a un fascio di connessi sono le quadriche di un fascio, allora tra i connessi del fascio resta stabilita una involuzione, tale che due con- nessi în essa coniugati ammettono la medesima quadrica (C). Se si suppone che sia Ri—ax==0, la involuzione (15) ha due elementi doppiî distinti: e supponendo che i connessi doppi della detta involuzione sieno i due I Cik,s Lt = 0 Ù a Ze ixsti ds = 0 144 EMILIO VENERONI 30 la relazione identica (14), dovendo essere per ipotesi a == 0, si riduce alla (CC')=0 che dovrà essere soddisfatta identicamente. In tal caso dunque Esistono due connessi del fascio tali che î due complessi che in essi corrispondono a un punto qualunque di S, sono fra loro involutorîì. E se si prendono a generare il fascio, due connessi coniugati nella involuzione [15], siccome essi hanno la medesima quadrica (0), a un punto di S cui corrisponda un complesso speciale nell’uno corrisponde un connesso speciale anche nell’altro. Onde un simile fascio può, e in infinite maniere, costruirsi riferendo pro- iettivamente fra loro le rette di due congruenze lineari e poi queste rette ai punti di una medesima quadrica. Vi è quindi una quartica ellittica luogo dei punti in cui si incontrano rette corrispondenti delle due congruenze, e un fascio gobbo di 4% classe luogo dei piani in cui giacciono le stesse coppie di rette. Esiste cioè una quartica ellittica di centri di stelle e un fascio di 4* classe ellittico di piani rigati relativi al fascio di connessi. Se poi si suppone che sia 8—ay=0 l’involuzione (15) è degenere, ed esiste un connesso, che noi riterremo sia quello d’equazione Di CIO Lin Vj (0) cui sono coniugati tutti gli altri: in tale ipotesi la (14) dice che dovrà essere iden- ticamente (c'e) =0 e la (13) che la quadrica (C) corrispondente a tale connesso è indeterminata, cioè a ogni punto di S corrisponde nel connesso, in X, un complesso speciale. Quindi il con- nesso che si considera sarà degenere, cioè almeno una volta specializzato e la rete di complessi ad esso relativa sarà formata tutta da complessi speciali. Si noti che la corrispondenza fra i connessi del fascio e le quadriche (C) del fascio è proiettiva. 20. — Il caso particolare più notevole che un fascio di connessi presenti, si ha nella ipotesi che le rette fondamentali siano le medesime per tutti i connessi del fascio, cioè che i sistemi lineari 003 di complessi coincidano in uno. Questo unico sistema lineare 003 di complessi in X è riferito a sè stesso in 0° omografie se si considerano i complessi corrispondenti a un medesimo punto di S in due qualunque diversi connessi del fascio. — Similmente i punti di S sono legati fra loro in una duplice infinità di omografie, se consideriamo fra loro corrispondenti due punti quando, in due diversi e qualunque connessi del sistema, sieno gli omologhi di un medesimo complesso del sistema lineare co 8. — I quattro complessi uniti in due qualunque delle omografie in X, sono uniti in tutte le omografie di X, e hanno, in qualunque con- nesso del fascio, per corrispondenti i quattro punti uniti comuni a tutte le omografie S1 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 145 di S. Esistono cioè quattro punti in S cui in % corrispondono, anzichè congruenze, com- plessi lineari. Si diranno punti fondamentali del fascio di connessi. Si vede facilmente: 1°. A un punto M di S corrispondono in X i complessi di un fascio; 2°. A un piano w di S corrispondono in X e nei varîì connessi del fascio le serie rigate di una congruenza gobba del 3° grado; 3°. A un complesso del sistema 0? corrispondono in $ e nei varî connessi del fascio i punti di una cubica sghemba; 4°. A una serie rigata contenente le due rette fondamentali in X corrisponde in S un fascio di piani avente per base una retta m. Si riferiscano proiettivamente i complessi del sistema ai piani di uno spazio S': allora le congruenze corrispondenti a punti di S sono in S' rappresentate dalle rette di un complesso tetraedrale. I complessi speciali del sistema essendo rappresentati in S' dai piani tangenti ad una quadrica, esisteranno otto generatrici di questa, quattro per ciascuna serie, appartenenti al detto complesso tetraedrale. Cioè Vi? sono otto congruenze corrispondenti a punti di S che si scindono in un piano e in una stella : Quatiro centri di stelle sono su una retta fondamentale a, e quattro sull’altra b. Così pure quattro piani rigati passano per a, e quattro per 5. Alle congruenze scin- dentisi nelle stelle coi centri su a, e nei piani per d, corrispondono in S quattro punti B,: così pure alle congruenze scindentisi in stelle coi centri su 5, e in piani per a, corrispondono in S quattro punti B;. I punti B,, B, sono doppî per la F4 di S cui corrispondono in X congruenze speciali: inoltre la stessa F* acquista altri quattro punti doppî nei quattro punti A uniti nelle omografie poste in S, e ai quali corrispondono in X complessi anzichè congruenze. A una retta passante per uno di questi punti corrispondono infatti in X e in due connessi qualunque del fascio due fasci proiettivi di complessi lineari con un complesso unito comune, e vi sono solo due congruenze intersezioni di complessi corrispondenti, che sieno speciali. — In tutto si hanno per la F* 12 punti doppî divisi in 3 quaterne: A, B,, B,. Le due quaterne B, B, formano, come si sa, un gruppo di otto punti base di una rete di quadriche. Questo succede anche per le due coppie A, B.; A, B.. Infatti il complesso tetraedrale di S' è rappresentato coi punti di S, e, come è noto, le sue sezioni cogli 005 complessi lineari sono rappresentate dalle 005 quadriche passanti per i quattro punti A. E poichè le rette di S' di cui le immagini sono i punti B, stanno su una serie rigata, intersezione di 3 complessi, i punti B, si troveranno su tre quadriche indipendenti passanti per i punti A. Quindi: Una coppia qualunque delle quaterne A, Ba; B; costituisce un gruppo di otto punti base di una rete di quadriche. Inoltre poichè la retta corrispondente a un qualunque punto B, nel complesso tetraedrale di S', è asse di un complesso lineare speciale contenente tutte le rette corrispondenti ai punti B, (e infatti le quattro rette corrispondenti ai punti B,, e le quattro cor- rispondenti ai punti B, sono quaterne di generatrici di sistema opposto di una qua- drica), avendo a mente che l’immagine in S della sezione del complesso tetraedrale di S' con un complesso speciale il cui asse appartenga al 1° è un cono quadrico il cui vertice è l’immagine dell’asse, segue: Proiettando da ogni punto B, è punti B, e i punti A s'ottengono sette rette che stanno su un cono quadrico. O anche La curva Jacobiana della rete di quadriche di cui sono gli A e Bi è punti base passa per i Serie II. Tom. LI. S 146 EMILIO VENERONI MEG punti Bi: e così la Jacobiana della rete di quadriche di cui sono A e B, i punti base passa per i punti B, (*). 21. — Ritorniamo alle ipotesi più generali, che cioè le rette fondamentali variino col connesso del fascio, e supponiamo che i due spazî S, X sieno sovrapposti. Allora a un punto M di S corrisponde in X una congruenza lineare di cui una retta m passa per M. Facendo variare M in tutti i modi possibili, anche m varia descrivendo un complesso del 3° grado. Infatti fissati due connessi qualunque del fascio e preso un piano © di (SX) ai punti M di tr corrispondono nel 1° e nel 2° connesso i com- plessi di due reti proiettive, i cui poli rispetto al piano t descrivono in m due sistemi piani (M') (M”) proiettivi al sistema (M). — Le rette su cui sta una terna di punti corrispondenti in (M) (M') (M') sono le rette di un inviluppo di 3* classe giacente in n. — Ma tali rette sono proprio rette m, giusta la definizione datane al principio del numero. — A una tale retta m considerata come appartenente a X corrisponde una retta m' (intersezione dei piani corrispondenti ad m nei varî connessi del fascio); le rette m m' si incontrano in M. Dunque Le rette m di X che incontrano le loro cor- rispondenti in S formano un complesso del 3° grado. Questo complesso è rappresentato in modo biunivoco sullo spazio 5, quando di ogni sua retta si ritenga corrispondente l’incontro M di essa colla corrispondente m'. — Se il punto M descrive una retta r, i complessi corrispondenti ai punti di y» in due connessi del fascio, formano due fasci proiettivi, e i piani focali dei punti M di r nei due connessi formano (II, 4) due coni quadrici proiettivi per modo che si corrispondono i piani focali di un medesimo punto. Le intersezioni delle coppie di piani corrispondenti, cioè le rette m relative ai punti M di r, formano quindi una rigata razionale del 4° ordine di cui r è diret- trice semplice. Segue quindi Le superficie ® luoghi dei punti corrispondenti alle rette del complesso giacenti in un complesso lineare formano un sistema lineare 2° di super- ficie del 4° ordine. Si osservi poi che un cono-complesso uscente da un punto V di S è rappresentato da una quartica ellittica passante per V, che è l'intersezione di due quadriche (Q) (II) relative al punto V in due connessi qualunque del fascio. — Inoltre la generazione, data al principio del numero, di un inviluppo del complesso posto in un piano t mostra che le rette di tale inviluppo sono rappresentate dai punti di una cubica ellittica giacente in m. Segue che due superficie ® si segano in una linea varia- bile del 7° ordine, spezzantesi in una quartica ellittica e in una cubica piana quando le due superficie corrispondano a due complessi speciali ad assi incidenti. — Quindi Tutte le superficie ®© hanno in comune una curva storta del 9° ordine. — Il complesso O ha in generale un numero finito di rette doppie, come ora vedremo: ne segue che se- gando © con una arbitraria congruenza lineare otteniamo una rigata del 6° ordine che non ha altra singolarità che due rette triple nelle due direttrici, ed è perciò di genere quattro. — Tale è dunque il genere della suddetta curva variabile del 7° or- dine, la quale avrà dunque 11 punti doppî apparenti: allora dalla formola nota h_-h'= 3 (d — d')(m — 1)(m'—1) (*) Per questa superficie cfr. Ronn, “ Math. Ann. ,, Bd. XXIX, pag. 88. — Essa corrisponde al simbolo XII». 38 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 147 che lega gli ordini d, d' e i numeri %, #' dei punti doppî apparenti di due curve in cui si spezzi l'intersezione di due superficie di ordini m, n°, ponendo n=wm' = 4, h'=11, d=9, d'=7, ricaviamo il numero 4 = 20 dei punti doppî apparenti della curva fondamentale del nono ordine y comune a tutte le ®. In ciò è ammesso impli- citamente che y non abbia punti multipli effettivi, ipotesi, del resto, a cui siamo condotti dallo stesso significato della linea y. — Un punto di questa deve infatti, poichè appartiene a tutte le ©, rappresentare un fascio di rette O, e quindi deve appartenere a una direttrice della congruenza che gli corrisponde nel fascio di con- nessi. Ciò mostra anche che la linea ‘y è il luogo dei punti uniti dei connessi del fascio: un punto suo sarà multiplo pertanto solo quando sia punto unito per due e quindi per tutti i connessi del fascio, ciò che in generale non è. — Il complesso 0® può anche riguardarsi come luogo delle rette che sono raggi principali in qualcuno dei con- nessi del fascio. Infatti un raggio principale di un connesso appartiene a tutti i com- plessi di questo che corrispondono ai suoi punti, e quindi fra i complessi che in un altro connesso corrispondono agli stessi punti, ve n’è certo uno che contiene quel raggio. — Ora le congruenze dei raggi principali di due connessi del fascio hanno in comune 13 rette, ognuna delle quali appartiene a tutte le congruenze lineari cor- rispondenti ai suoi punti. — Conducendo per una di tali rette un piano n ad arbitrio, e cercando, come facemmo, l’inviluppo del complesso che giace in m, poichè la retta fissata contiene infinite terne di punti corrispondenti dei tre sistemi (M) (M') (M'), essa è doppia per l’inviluppo. Onde Il complesso O® ammette 13 rette doppie. Una tal retta appartiene a tutti i piani focali dei suoi punti rispetto a due connessi qua- lunque del fascio. Quindi se diciamo corrispondenti due punti di essa che siano fochi di un medesimo piano rispetto ai due connessi, otteniamo fra i punti stessi una cor- rispondenza [22], che nelle sue quattro coincidenze ci dà quattro punti di y posti sulla retta. Dunque Ogni retta doppia del complesso sega in quattro punti la curva fondamentale x. — Se si considera una congruenza di raggi principali relativi a un connesso del fascio, e quindi appartenenti a 0°, essa sarà rappresentata in S dai punti di una superficie: ora da un punto generico di Y escono due rette che sono raggi principali di quella congruenza e che hanno per immagine quel punto: dunque la curva y è doppia per tale superficie. Siccome poi ognuna delle 13 rette doppie è rappresentata in S da tutti i suoi punti e la congruenza in questione contiene le 13 rette, segue che la superficie conterrà pure le stesse 13 rette: ma due congruenze siffatte non hanno altra retta in comune fuori delle stesse 13 rette. Da ciò, e da semplici calcoli segue: Le superficie che rappresentano in S le congruenze dei raggi prin- cipali dei connessi del fascio, formano un fascio di superficie del 7° ordine: la curva base del fascio si scinde nella linea x e nelle sue tredici quadrisecanti: la linea Y è doppia per ogni superficie del fascio. Essa quindi va contata quattro volte nella intersezione. Un caso particolare notevole di questo complesso del 3° grado si ottiene suppo- nendo che due e quindi tutti i connessi del fascio abbiano comuni i 5 punti uniti. Mostreremo che in tal caso è complesso O diviene il noto complesso di Montesano formato dalle generatrici delle quadriche di una rete. Infatti si osservi in primo luogo che un punto unito comune a due connessi è vertice di una stella di raggi apparte- nente interamente a ©, rappresentata da quel solo punto, il quale è allora comune e doppio per tutte le . oltre ogni curva che rappresenti in S un cono del com- 148 EMILIO VENERONI d4 plesso, passa semplicemente pel punto, perchè alla stella appartiene di certo una generatrice del cono. Invece una curva immagine in S di un inviluppo del complesso non passa in generale per il punto. — Considerando allora la intersezione di due superficie relative a complessi speciali ad assi incidenti, si ha tosto: La linea fon- damentale x passa tre volte per ogni punto unito comune ai connessi del fascio. Se quindi due connessi del fascio hanno in comune tutti e cinque i punti uniti la linea Y do- vendo avere cinque punti tripli effettivi si spezzerà in due o più componenti. — Ciò si prevedeva del resto perchè i cinque punti comuni a tutti i connessi del fascio fanno sì che un connesso qualunque non possa avere altri punti uniti senza averne infiniti, e poichè la linea y si può riguardare come il luogo dei punti uniti dei con- nessi del fascio, essa dovrà essere costituita (III°) da un gruppo di linee, rette, coniche, cubiche gobbe, unite in determinati connessi del fascio. — Supposta affatto arbitraria la posizione dei 5 punti uniti rispetto a due coppie di rette fondamentali in due connessi del fascio, ciascuno di essi dovrà comportarsi egualmente rispetto alla linea y: di guisa che se alla linea y appartiene la congiungente di due dei punti uniti, alla stessa devono appartenere le congiungenti di un’altra coppia qualunque di punti uniti; ciò essendo impossibile perchè y è dell'ordine 9, e le dette congiun- genti sono dieci, segue che a comporre Y non entrano in generale rette. S’esclude nello stesso modo il caso in cui le componenti della y sieno coniche: una tal conica, infatti, deve contenere, al massimo, solo tre punti dei 5 uniti, perchè questi sono in posizione generica, e a far parte di y entrerebbero 10 coniche per le ragioni di simmetria ricordate. Siamo ridotti a un solo caso possibile: che la linea Y si decom- ponga in 3 cubiche gobbe, passanti tutte per 5 punti uniti fissi. Quindi In un fascio di connessi aventi tutti cinque punti uniti comuni, esistono tre connessi con una cubica gobba di punti uniti. Ora in ciascuno di tali connessi la congruenza delle rette prin- cipali si scinde nella congruenza [I, 3] delle corde della cubica gobba e in una stella che ha per centro l'appoggio della cubica colla retta fondamentale unisecante (II, 11). Quindi, oltre alle 5 stelle aventi i centri nei punti uniti comuni a tutti i connessi del fascio il complesso 0° contiene le tre stelle ora trovate, epperò in tutto otto stelle, onde, come mostrò il prof. Montesano (*), esso è composto dalle generatrici delle quadriche di una rete. Le ultime tre stelle trovate sono rappresentate dalle tre qua- driche che contengono le tre coppie di cubiche unite, come anche direttamente si verifica, o del resto si rileva dalla mem. cit. di Montesano. Vi 22. — Lo spazio S sia riferito allo spazio rigato 2 mediante 3 connessi non appartenenti al medesimo fascio. — A un punto M di S corrispondono in È le rette di una serie rigata, intersezione dei 3 complessi corrispondenti al punto M nei tre connessi: viceversa a una retta di X corrisponde in $S, in generale, un sol punto, quello dove si segano i piani corrispondenti al punto nei 3 connessi dati. I tre con- (*) D. Montesano, Su di un complesso del 3° grado. Bologna 1893, pag. 5 e seg. 35 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 149 nessi hanno dunque in comune una quadruplice infinità di elementi. — Le serie rigate di X corrispondenti ai punti di S formano in X un sistema algebrico razionale co È, riferito proiettivamente ai punti di S. — Le serie rigate non variano se invece dei 3 connessi dati \ N== Catixt, = 0 (16) Î pi = z Cis Tk Ls = 0 ire =0 si considerano tre connessi qualunque della rete NESS = 0. Per una retta di X passa, in generale, una sola serie rigata del sistema co 3, poichè vi è una sola terna di complessi corrispondenti nei tre connessi, che conten- gono la retta. — Tuttavia esistono co? rette m per ognuna delle quali passano 0! serie rigate corrispondenti a punti di S: queste rette non sono che le co? rette fon- damentali degli 0? connessi della rete e si possono ottenere in uno dei due modi seguenti: o come rette in cui si segano terne di congruenze lineari corrispondenti nei 3 sistemi di complessi relativi a tre complessi della rete; o come rette comuni alle quaterne corrispondenti in quattro reti proiettive di complessi lineari. Poichè i poli di un piano qualunque rispetto ai complessi delle 4 reti formano sul piano 4 sistemi collineari, esistono in ogni piano 6 rette su ciascuna delle quali sta una quaterna di punti corrispondenti nei 4 detti sistemi. E quindi Le rette m per cui passano infinite serie rigate del sistema, formano una congruenza del 6° ordine e della 6° classe. — Nello spazio S le quadriche (C) relative agli 20? connessi della rete for- mano un sistema algebrico w0? e si distribuiscono in 0? sistemi quadratici 0! cor- rispondenti agli cv? fasci della rete, per modo che due sistemi quadratici hanno una quadrica (C) in comune, quella relativa al connesso della rete comune ai due fasci di connessi cui corrispondono i due sistemi quadratici di quadriche (C). Tutte le (0) formano dunque una varietà Cî normale del 4° ordine immersa in una varietà lineare M;: gli S} di M; che contengono le varietà C di C corrispondenti ai varì fasci della rete giacciono, a coppie, in Sy di M; inviluppanti una M di 3? classe e 4* specie. — Un $, di M; rappresenta un sistema 04 di quadriche contenuto nel sistema lineare 005 cui appartengono tutte le (C), il quale non ha in generale punti base: però ai sistemi lineari c04 aventi un punto base corrispondono in M;, co? $, costituenti una varietà V® di 3° specie e 8? classe, perchè per ogni S: che rap- presenta una rete, passano otto Sy di tale natura. Se un Sy della V$ appartiene alla M?, ne contiene due S, seganti C# in CP, e si avranno nella rete due fasci di connessi di cui i due sistemi corrispondenti di quadriche (C) hanno uno stesso punto base. A un tal punto corrisponde in X una serie rigata che si spezza in due fasci, e viceversa ogni punto di S cui corrisponda in X una serie rigata spezzata in due fasci, è punto base comune a due reti di quadriche contenenti due sistemi qua- dratici di quadriche (C) corrispondenti a due fasci di connessi della rete. Dunque 150 EMILIO VENERONI 36 Il luogo dei punti di S cui corrispondono in X serie rigate scindentisi in due fasci è anche il luogo dei punti base delle reti determinate dagli 0? sistemi quadratici di qua- driche (C) rispondenti agli o? fasci della rete: ogni punto che appartenga al luogo, è punto base, non di una, ma di due di tali reti. — Inoltre ritenute le notazioni altrove usate (II, 19), la condizione perchè la intersezione di 3 connessi corrispondenti a un medesimo punto (x) dei sistemi (16) si scinda in due fasci è data da (CC) (CC) (CO) (ce'c’)=| (00) (C'e) (c'e) | =0 (CC) (00%) (CC la quale equazione che è del 6° grado nelle x,, mostra che: I punti di S cui cor- rispondono in X coppie di fasci formano una superficie del 6° ordine. Essa si può riguar- dare come luogo delle intersezioni delle terne di quadriche corrispondenti delle 3 reti proiettive Xo(CO) + M(C07) + A,.(CC")= 0 Xo(C'C) + A, (0°C) + A(C'C"”) = 0 No (C'C)+A,(0"C")+4.(C"C")= 0 Ma essendo (CO) =(C'0); (CC")=(0"0); (00) =(C"0) le tre reti precedenti formano un complesso simmetrico e quindi la superficie generata ammette 32 punti doppî (*), pei quali passano tutte le superficie (di 4° ordine, di Cayley) generate da due fasci corrispondenti in due delle reti generatrici. Le coor- dinate di tali punti annullano tutti i minori del determinante (C C' 0”) e ciò vuol dire che la serie rigata corrispondente a uno di questi punti si riduce a un fascio contato due volte. Dunque La superficie del 6° ordine anzidetta possiede 32 punti doppî, pei quali passano tutte le superficie di Cayley relative agli 0? connessi della rete, e a cui corrispondono în X serie rigate riducentisi a fasci contati due volte. Si supponga, ora, che le rette fondamentali sieno le stesse per tutti i connessi della rete, e quindi sieno due rette comuni a tutte le serie rigate del sistema 003. Allora si ha: 1°. A un punto M di S corrisponde in X una serie rigata contenente le due rette fondamentali (@, 3); 2°. Se M descrive un piano u, la serie rigata cor- rispondente descrive un complesso del 3° grado che ha due rette triple nelle rette 4, 5, e che contiene 27 congruenze lineari, delle quali 6 godono della proprietà che in ognuna di esse si segano i complessi che in tutti i connessi della rete corrispondono a un certo punto M di S; 3°. A una serie rigata per le a, è, in X, corrisponde in S un unico punto; 4°. A un complesso di X per le a, è, come luogo di serie rigate (*) Cremona, Mémoire de géom. pure sur les surfaces de III. ordre, pag. 27. 37 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO boy per le a, è, corrispondono in S i punti di una superficie del 3° ordine V! conte - nente 27 rette, delle quali 6 godono della proprietà che in ciascuna di esse si segano i piani che in tutti i connessi della rete corrispondono a una medesima (retta, e quindi) serie rigata per le (a, d). Risulta da ciò: Esiste in S una linea del 6° ordine per cui passano tutte le superficie VS, e a ogni punto della quale corrisponde în E, anzichè una serie rigata, una congruenza lineare. E così pure Esiste in X una con- gruenza del 6° grado formata da serie rigate per a, b, per la quale passano tutti i com- plessi del 3° grado del n° 2 e a ciascuna (retta, e quindi) serie rigata per a, b della congruenza corrisponde in S, anzichè un punto, una retta. Detta y la linea del 6° ordine, e A la congruenza del 6° grado si ha subito che alle’ serie rigate di A corrispondono le trisecanti di Y e viceversa ai punti di Y corri- spondono congruenze lineari contenenti tre serie rigate di A. La curva Y è del genere 3, e quindi tre è anche il genere della rigata delle sue trisecanti, perchè questa risulta biunivocamente riferita alle serie rigate di A, che è come luogo di queste, come Y, di genere 3. Si ricava quindi che la rigata stessa è dell’8° ordine, ha nella linea Y una linea multipla secondo 6, e non ha, fuori di y, linee nodali: se M è un nodo, infatti, in M concorrono 2 trisecanti di 1, e ad M corrispondono due serie rigate per le «, è, ciò che non accade se ad M non corrisponde un’intera congruenza lineare, cioè se M non è su y. Il luogo dei punti di S cui corrispondono in X serie rigate spezzate in due fasci è ancora una superficie del 6° ordine, che ha nella linea y una linea doppia. — Infatti se una retta si appoggia a Y, ai suoi punti corrispondono in > le serie rigate di una congruenza del 3° grado, che si scinde in una lineare, e in una di 2° grado dotata di due rette doppie (le rette @, è) per le quali passano 4 coppie di fasci contenenti serie rigate degeneri della congruenza. La stessa super-. ficie del 6° ordine sî può in infiniti modi ottenere come luogo dei punti nei quali S'in- contrano è piani tangenti in tre punti corrispondenti di tre quadriche protettive. Le tre quadriche sono le quadriche (C) relative a tre connessi indipendenti della rete: sì corrispondono quei punti di esse che nei tre connessi determinanti la rete corri- spondono a un medesimo complesso speciale avente per asse una retta appoggiantesi alle a, 6. — Considerando nella rete un fascio di connessi qualunque, vi sono in S (IV, 20) 4 punti fondamentali a ciascuno dei quali nel detto fascio di connessi cor- risponde in X un complesso anzichè una congruenza: è chiaro che La linea Y può riguardarsi come il luogo dei punti fondamentali dei fasci di connessi della rete. Inoltre le quaterne stesse segnano su y i gruppi di una serie lineare gi: è chiaro infatti che due punti A, B di y appartengono ad una e una sola di tali quaterne: invero ad A, B corrispondono in X due congruenze lineari a, 8, basi di due fasci di com- plessi lineari, per modo che ogni complesso per a o 8 corrisponde ad A o B in un fascio di connessi della rete: i connessi della rete si dispongono così in doppio modo, in un fascio di fasci: il 1° fascio di fasci è formato da fasci di connessi aventi A per punto fondamentale, e il 2° da fasci di connessi aventi B per punto fondamen- tale. Questi due fasci di fasci hanno in comune un fascio di connessi pel quale A, B sono punti fondamentali. Cioè A e B determinano una ed una sola quaterna che li contenga. Ricordando poi che y è di genere 3, segue che la gi ne è la serie cano- nica; cioè Le quaterne di punti fondamentali per i fasci di connessi della rete formano su Y è gruppi della serie canonica. 152 EMILIO VENERONI 38 23. — Sieno finalmente MF” 1" quattro connessi indipendenti, cioè non appartenenti a una medesima rete. — A un punto M dello spazio punteggiato S corrisponde in Z una coppia di rette, intersezione dei 4 complessi corrispondenti a quel punto nei 4 connessi. — Viceversa a una retta di X corrispondono in S_ quattro piani che in generale non si tagliano in un punto. — E le rette cui corrispondono in S quattro piani segantisi in un punto, sono le rette di un complesso del 4° grado la cui equazione, ritenute le solite notazioni, è Z chia x Cir, Dik va Cig Lik x Ci, Tak (O) Il I ° ri fi ri III 26 ik Dik }3E ik,? Tak Ze 1k,3 Li Ze ik,4 Lik cioè: Le rette corrispondenti a punti di S formano un complesso del 4° grado. L’equa- zione precedente pone anche in luce che lo stesso complesso © è costituito dalle coppie di rette fondamentali per gli 0? connessi del sistema lineare d’equazione ed Ù Ù " " rr rr 0 = À pa Cik,s Lx %; ar ì )R (6 tk,s LipCs - A > ce ik,s LL + ) = c ik,s LipCs che ponendo Qigs = Nes + N e'ns + cas + Ne diviene Aide, 0 Ponendo allora Ax: _ Ziuolla,r ras pie) (7 sr! Uan) | ik,uv= ] 2,94; 13,42; 14,23; 2À,; = E (0; ba; dir) (003 — ou, + (Quo, T Ar) (Oir,s — Api) \ MESS) i &; 2, 3, 4 il discriminante della quadrica (0) relativa al connesso A, eguagliato a zero, fornisce la condizione perchè il connesso A del sistema lineare co? determinato dai quattro connessi dati sia della 2* categoria. Tale condizione è quindi data da LAgs=0 rele la quale dice che nella varietà lineare 203 dei connessi del sistema i connessi della seconda categoria costituiscono una varietà dell’8° ordine generabile con tre reti protettive di varietà quadratiche x ?, che sono le HA: + PoAo; + Ho Agg + DuA = 0 s=1,2,3,4 le quali reti essendo formano un sistema simmetrico onde la varietà VA, 1=0 den o — RU — € pe Re n e — È o 39 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 153 possiede ottanta elementi doppî. — Questi ponno essere di due specie: o sono connessi della 3* categoria, oppure connessi una volta specializzati. Si vede infatti con facilità che un fascio di connessi cui appartenga un connesso dell’una o dell’altra natura contiene fuori di esso solo sei connessi della 2* categoria. Ora se il connesso A è una volta specializzato, sono nulli i minori della matrice Î Aix, Fon Cris Il cioè, nello spazio lineare 0? dei connessi del sistema, tali connessi sono quelli comuni agli S. corrispondenti dei 6 sistemi proiettivi Vik T Va%;x,o + vs A;x,8 + Va dix,a = 0 e quindi (*) sono in numero di 20. Segue che n un sistema lineare 03 di connessi esistono 60 connessi della 3° categoria, e 20 connessi una volta specializzati. B poichè le rette fondamentali formano un fascio per un connesso della 3* categoria, e una serie rigata per un connesso una volta specializzato, ponendo mente alla doppia ge- nerazione del complesso © si ha /l complesso © contiene 120 fasci e 40 serie rigate divisi in due sistemi di 60 fasci e 20 rigate ciascuno, rispondenti alle due generazioni di ©. — Notiamo infine che se tutti i connessi del sistema cv 3 hanno la stessa coppia di rette fondamentali, quattro complessi corrispondenti in 4 connessi a un medesimo punto di S, non hanno in generale, all'infuori di detta coppia, altre rette in comune; e se ne hanno un’altra, hanno in comune una serie rigata passante per le due rette fondamentali. I punti cui corrispondono in X tali serie rigate formano una superficie del 4° ordine in $, e le serie rigate formano un complesso del 4° grado, in X, come facilmente si può verificare. ME 24. — Come ultimo argomento tratteremo di un particolare sistema lineare co 4 di connessi bilineari, tale che per tutti i connessi del sistema la corrispondenza fra i punti di S o i loro piani focali è la medesima per tutti i connessi del sistema. — Si è visto, per limitarci al caso fondamentale in cui i punti uniti abbiano posizione generica, che un connesso della 18 categoria è determinato completamente, dati i cinque punti uniti e le due rette fondamentali. Queste poi, si è notato, sono raggi principali per il sistema delle quadriche (Q) relativo al connesso dato. — Tale sistema di quadriche è, d’altra parte, completamente determinato dalla condizione di avere i cinque punti uniti come punti base e di avere le due rette fondamentali come raggi principali: infatti ciò equivale a dire che al sistema debbono appartenere i due fasci di quadriche che hanno per base una delle rette fondamentali e la cubica gobba che passando pei cinque punti uniti ha per corda la retta: tali due fasci di quadriche (*) Cremona, loc. cit. Serie II. Tom. LI. n 154 EMILIO VENERONI 40 non avendo, in generale, nessuna quadrica comune, determinano un sistema 00? che li contiene e di cui le due rette date sono raggi principali. — Fissato allora un qualunque sistema 03 di quadriche con 5 punti base, assumendo due arbitrarì raggi ‘ principali di tale sistema come rette fondamentali, risulterà determinato un connesso di cui i 5 punti base sono punti uniti, i due raggi principali sono rette fondamentali, e quindi il sistema dato è il sistema delle quadriche (Q). Si possono in tal modo costruire c04 connessi pei quali tutti il sistema delle quadriche (Q) è sempre il mede- simo, e quindi ogni piano di S ha i medesimi fuochi rispetto a tutti i connessi del sistema. Tali connessi si diranno omofocali e risulta quindi: / connessi omofocali ad un dato formano un sistema quattro volte infinito. Ma se si considerano due connessi fra loro omofocali, e il fascio da essi determinato, in due e quindi in tutti i con- nessi di questo fascio il piano focale di un punto O sarà sempre un medesimo piano w per O perchè il fascio (O w) appartiene a due e quindi a tutti i complessi corrispon- denti ad O nei varì connessi del fascio. Cioè // sistema 04 dei connessi omofocali ad un dato contiene tutto il fascio determinato da due suoi connessi qualunque, epperò è un sistema lineare. Ricordando la definizione di un connesso a sezioni identiche risulta senz'altro che Un connesso a sezioni identiche è omofocale a un dato connesso qualunque. D'altra parte le formole (11) del n° III, 14 ci dicono che i connessi a sezioni iden- tiche formano un sistema lineare 00 ?, proiettivo al sistema lineare dei centri dei con- nessi stessi: quindi Il sistema lineare dei connessi. omofocali a un dato contiene è sistema lineare dei connessi a sezioni identiche, ed è anzi completamente determinato da questa condizione, come quel sistema lineare 04 passante pel sistema lineare c0 3 dei connessi a sezioni identiche che contiene il connesso dato. Se è allora al solito = Le: Cikys i ds = 0 il connesso dato, ricordando le formole e le posizioni del n° 13, sarà N +ynXA 4 yXo + vs + vi =0 È essendo y,y:Y3y« arbitrarie costanti, l’ equazione di un qualunque connesso confo- cale a T. Ora se è AREE 0 l'equazione di un qualunque sistema lineare 004 di connessi, la quadrica (0) relativa a un qualunque connesso del sistema, ritenute posizioni analoghe a quelle del N° 17, è X2(CO) + XEXM(CCM) + E AMNI(CMCE) = 0 dove e dove la seconda sommatoria va estesa a sole combinazioni (con ripetizione) degli ILA N BEALA RAID Kc apici ‘,/,”'.'", e non a disposizioni. PU 41 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO 155 Nel nostro caso si hanno identicamente, posto rm dm X (7) — ta ti a: Iv RAI AE MI = y, le seguenti relazioni (0) C®) — 0 Mm, (= A LA DI v (C©Cl) = 0 e quindi il sistema delle quadriche (0) relativo al sistema di connessi omofocali è \(CC) + XV (C Mt x’ (CC") + (CC) + x°(COM = 0 la quale mostra che: Le quadriche (C) relative agli 0 * connessi omofocali formano un sistema lineare 204 proiettivo al sistema di connessi omofocali. Si osservi poi che è (CC) = Da Cik,s OX, = Q: ciò che dice (II, 8): Nella detta proiettività ai connessi a sezioni identiche corrispondono le quadriche (Q) relative ai centri dei connessi stessi, in un qualunque connesso non degenere del sistema. 25. — Che le quadriche (C) relative ai connessi omofocali del sistema debbano formare un sistema lineare, si vede, anche per via sintetica, ben tosto. Se si con- sidera infatti l’intersezione di due di tali quadriche, ad ogni suo punto corrispondono, nei due connessi di cui le date sono le quadriche (0), due complessi speciali i cui assi devono giacere nel piano focale del punto rispetto a un connesso qualunque del sistema: segue tosto che a quel punto in ogni connesso del fascio determinato dai due considerati, deve corrispondere un complesso speciale il cui asse giaccia nel piano focale del punto; onde 1? sistema delle quadriche (C) contiene tutto il fascio determinato da due sue quadriche qualunque, cioè è un sistema lineare. Anche la cor- rispondenza biunivoca fra i connessi omofocali e le quadriche (C) (le quali, sì noti, passano tutte per i cinque punti uniti) risulta da ben semplici considerazioni geome- triche. Infatti, non solo di un connesso del sistema è determinata la quadrica (C), ma anche, data una quadrica qualunque per i 5 punti uniti, è determinato in modo unico un connesso del sistema confocale per il quale essa è quadrica (0): infatti su tale quadrica si trovano solo due cubiche passanti per i cinque punti uniti, le quali, fuori delle congiungenti due a due i punti uniti, hanno, ciascuna, una sola corda, che sia raggio principale per il sistema delle quadriche (Q). Il connesso che ha tali corde per rette fondamentali, e per punti uniti i cinque punti comuni alle (Q), è il connesso richiesto. — Questa e la precedente osservazione conducono di nuovo @ concludere che la corrispondenza fra le quadriche, per i cinque punti uniti e î con- nessi omofocali, è proiettiva. 156 EMILIO VENERONI 49 Il ragionamento ora esposto non soffre, riguardo alle conclusioni, eccezione nessuna, come d’altronde confermano i risultati analitici. Occorre tuttavia modificarlo quando la quadrica (C) non sia generica per i punti uniti. In primo luogo si supponga che la quadrica (C) sia un cono il cui vertice non sia uno dei punti uniti. Il vertice di tale cono determina l’unica cubica che passando pei cinque punti uniti giace sul cono, e si trova, come prima, una sola retta fondamentale; e infatti il connesso corrispondente al cono deve essere della 2° categoria. — Di ogni punto del cono è determinato l’asse del complesso speciale corrispondente, che è la retta in cui si segano il piano focale del punto, e il piano che dal punto proietta l’unica retta fon- damentale del connesso. — E il connesso è ben definito. Se poi si assume come quadrica (C) una coppia di piani, di cui l’uno contenga una terna, e l’altro una coppia dei cinque punti uniti, il connesso della 3? categoria per cui tale coppia di piani è quadrica (C), ha per rette fondamentali il fascio di raggi principali del sistema che giace nel piano singolare di 1° ordine contenente la coppia di punti uniti per cui passa il secondo piano componente (C), e di ogni punto sia dell'uno che dell’altro piano componenti (C) si può costruire l’asse del complesso speciale corrispondente. E il connesso è ben determinato. Si osservi che fra i connessi confocali ve ne sono co! della 3° categoria cui compete un medesimo fascio di rette fondamentali, che si ottengono variando il piano componente (0) intorno ai punti uniti della coppia. Si hanno, quindi, nel sistema confocale, dieci fasci di connessi della 3° categoria. Se in terzo luogo si assume come quadrica (C) una quadrica del sistema (Q), relativa a un punto P di essa, le due cubiche gobbe poste su (Q) e passanti pei 5 punti uniti, hanno per corde i due raggi principali del sistema (Q), che escono da P, che sono generatrici della quadrica (Q) relativa a P. A ogni punto di questa dovendo pertanto corrispondere un complesso speciale il cui asse deve essere posto sul piano focale del punto, piano che passa per P (per la nota definizione della qua- drica (Q) relativa a P), tale asse sarà la retta che congiunge il punto scelto con P. Onde nel connesso che ha la quadrica (Q) come quadrica (0), tutti i punti di (Q) sono uniti: lo sono pertanto tutti i punti di S e il connesso è a sezioni identiche di centro P, come noi già vedemmo analiticamente. L’assumere una quadrica (Q) come quadrica (C) equivale ad assumere per rette fondamentali di un connesso confocale, due raggi principali incidenti e non appartenenti a un fascio di raggi principali. Il connesso è ancora determinato, ma è il connesso degenere a sezioni identiche che ha il centro nell'incontro dei due raggi principali scelti. Notiamo ancora che alla congruenza dei raggi principali appartengono, com'è noto (*), cinque serie oo! di serie rigate, essendo ciascuna serie coordinata a un punto unito per modo che le quadriche su cui stanno le rigate della serie passano per gli altri quattro e non per il primo. — Se allora per quadrica (0) si assuma un cono quadrico avente il vertice in uno dei punti uniti, le cubiche per i cinque punti poste sul cono, sono infinite: e tra le loro corde quelle che sono raggi prin- cipali formano precisamente una rigata della serie coordinata al punto unito con- (*) Cfr. Srurm, Liniengeometrie, Bd. II, S. 229 e seg. 43 SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE NELLO SPAZIO ORDINARIO dor siderato. —- Quindi il connesso ha in questo caso infinite rette fondamentali formanti una serie rigata ed è pertanto un connesso una volta specializzato. D’ altronde ciò risulta anche nel modo seguente: se si prendono per rette fondamentali di un con- nesso omofocale che si voglia costruire, due rette poste sopra una medesima serie rigata coordinata a uno dei punti uniti, il connesso che si ottiene è certamente dege- nere, poichè le rette che dai quattro punti uniti fuori del considerato si appog- giano alle due rette fondamentali scelte appartengono alla medesima serie rigata, mentre i quattro punti non sono su un piano. — Questi quattro punti sono i punti uniti del connesso degenere, e il punto unito escluso è il suo punto fondamentale (14). Si hanno quindi nel sistema confocale 5 fasci di connessi una volta specializzati. 26. — Non è priva di interesse la rappresentazione del sistema lineare dei connessi omofocali sopra i punti di un S, che si riferisca proiettivamente al sistema. — Ai connessi a sezioni identiche corrispondono nell’S, i punti di un $S;, proiettivo nei suoi punti al sistema delle quadriche (Q), mentre l°S, è nei suoi punti proiettivo alle quadriche passanti pei 5 punti uniti. — I punti di S, che corrispondono a con- nessi omofocali della 2% categoria formano nell'’Sj una varietà VW del 4° ordine e della 3° specie. Infatti in un fascio di quadriche per i 5 punti uniti giacciono 4 coni e quindi In un fascio di connessi omofocali vi sono solo quattro connessi della 2° cate- goria. — Osservando poi che ogniqualvolta il fascio di quadriche assunto contiene una quadrica scissa in una coppia di piani, oppure un cono avente il vertice in uno dei punti uniti, in esso non sono contenuti che altri due coni, ne verrà: Ai dieci fasci di connessi della 3° categoria, e ai cinque fasci di connessi degeneri (una volta specia- lizzati) contenuti nel sistema confocale, corrispondono nell’S, quindici rette, doppie per la VS. Di più tutti i connessi del sistema che hanno una data retta fondamentale formano una rete, quella che corrisponde alla rete delle quadriche che passano per la cubica gobba pei 5 punti uniti avente per corda la retta. — A tali connessi cor- risponde allora in S, un Sx, e tutti gli S; che così si ottengono, formano nell’$, una congruenza del 2° ordine, perchè per ogni punto di S, passano i due $; relativi alle due rette fondamentali del connesso corrispondente al punto. E poichè per un con- nesso della 2° categoria le due rette fondamentali coincidono, si ha: La VS! è varietà focale per la congruenza dei piani Ss. Inoltre poichè i coni appartenenti a una rete avente per base una cubica gobba pei 5 punti uniti formano nella rete un sistema quadratico, I piani S. toccano VW lungo coniche. L' Sy tangente a Vl in un punto d’una di tali coniche deve contenere l’S, su cui sta la conica; onde L’inviluppo degli spazì tangenti a VS è formato dai fasci di Sz aventi per base i piani S» della anzidetta congruenza. A un Sz qualunque di S, corrispondono nello spazio S dei connessi le quadriche di un sistema 003, che fuori dei punti uniti non ha in generale punti base. — Ma se l’S; passa per un S, della nominata congruenza, il corrispondente sistema lineare 003 dovendo contenere una rete con una cubica gobba base, ha un 6° punto base, fuori dei cinque punti uniti. Discende quindi: A un Sy che tocchi VS) corrisponde in S un unico punto, e viceversa a un punto di S corrisponde nell'S, un Ss tangente alla VS nel punto immagine del cono quadrico che ha il vertice nel primo punto di S 158 EMILIO VENERONI — SUI CONNESSI BILINEARI FRA PUNTI E RETTE, ECC. 44 e passa pei 5 punti uniti. Inoltre Agli co? Sg tangenti alla VS uscenti da un punto di S, corrispondono i punti di una quadrica pei cinque punti uniti. Da questa rappresentazione sui punti di un $S3 segue senz'altro, ricordando i risultati ottenuti in proposito dai prof.i Segre e Castelnuovo (*), che La V!° è la varietà reciproca alla nota varietà del 3° ordine e 4° classe con 10 punti doppî in un Si. (*) Segre, Varietà cubiche con 10 punti doppî, “ Atti della R. Accademia di Torino ,, 1887. — Varietà cubiche dello spazio a 4 dimensioni. Memorie, Ivi, 1888. — CasreLnuovo, Sulle congruenze del 3° ordine nello spazio a 4 dimensioni, © Atti del R. Istituto Veneto ,, 1888. — Ricerche di geometria della retta nello spazio a 4 dimensioni, Ivi, 1891. ERE E CERTE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE MEMORIA DEL SOCIO Prof. LORENZO CAMERANO Approvata nell’ Adunanza del 12 Maggio 1901. Nell'anno 1862 C. H. Andersén richiamò l’attenzione dei naturalisti sulle diffe- renze che passano fra le Renne delle isole Spitzberghe e quelle della Groenlandia e della Lapponia (1). Fondandosi particolarmente sopra caratteri osteologici, egli ritenne le Renne delle isole Spitzberghe tassonomicamente diverse da quelle delle due loca- lità sopradette e le distinse colla denominazione di “ forma spitzbergensis ,. Murray più tardi, nel 1866 (2), accolse le idee dell’Andersén. W. Lilljeborg al contrario (3) considerò poco importanti i caratteri differenziali indicati dall’Andersén. M. A. Newton nel 1864 nel suo lavoro: “ Notes on the Zoology of Spitzbergen , (Proceed. Zool. Soc. of London, pag. 495, 1864) parlando della Renna delle Isole Spitz- berghe dice: “ These Deer are tolerably abundant: they are certainly smaller than “the Lapland Reins, whether wild or tame; and though I can hardly profess to speak “ generally on the subject, yet all the antlers which I saw in Spitzbergen seemed to “ me to be slighter in the beam than those of the continental race; nevertheless, the “ points being in old stags considerably elongated, the expanse of antler was not much “ inferior. The average type of a good Spitzbergen head is very well represented by “ the first figure in the “ Fauna Boreali Americana , (vol. I, p. 240), of the so-called “ Barren-ground caribou (Cervus tarandus, var. ®. arctica, Richardson); and it is pro- “ bable that the same cause which influence the development of the antlers in the “ Reindeer of the mauvaises terres in North-America affected in like manner those “ of their Spitzbergen brethren ,,. A. J. Malmgren nel 1863 (Schwed. Acad. d. Wissens., II, 1863, p. 127) ha le seguenti parole rispetto alla Renna delle Spitzberghe, che io cito nella traduzione (1) Am Spetsbergsrenen, Cervus tarandus, forma spetsbergensis, Oefversigt af Kongl. Ventenskaps- Akadem. Férhandlingar ,, 1862, pag. 457 (Stocolma, 1868). (2) Geogr. Distr. Mam., p. 154. (3) Sveriges och Norges Ryggradsdjur. I. Diggdjuren. Upsala, 8°, 1874, p. 838. 160 LORENZO CAMERANO 2 tedesca (Archiv f. Naturg., 1864, p. 87): “ Das spitzbergensche Renthier ist iberhaupt “ kleiner, als das skandinavische und erbietet ausserdem einige osteologische Eigen- “ thiimlichkeiten, auf welche Herr Andersén neulich aufmerksam gemacht hat. Aber “ das spitzbergensche unterscheidet sich von dem skandinavischen auch dadurch, “ dass bei jenem wihrend der letzten Hàlfte des Sommers eine 2 bis 3 Zoll dicke Schicht von weissem und wohlschmeckenden Speck zwischen der Haut und dem “ Fleische vorhanden ist, was dieser nicht haben diirfte. Diese Fettschicht wird “ innerhalb einer sehr kurzen Zeit im Juli gebildet; denn noch zu Ende des Juni waren die Renthiere an der Treurenberg-Bay mager und kaum essbar; doch schon “zu Ende des Juli waren die an der Brandywine-Bay, 80° 24' N. B., unglaublich fett. “ Ohne Zweifel dient diese Fettschicht den Thieren im Winter zum Schutze gegen die Kélte; doch ich bin, geneigt, derselben noch eine andere, wichtigere physiolo- “ gische Bedeutung beizulegen. Ich halte nîimlich dafùr, dass das Renthier im Winter, ‘ venn der Schnee die iberdies iusserst dirftige Vegetation bedeckt, von welcher es seine Nahrung nimmt, zu nicht unbedeutendem Theile auf Unkosten dieser Fett- “ schicht lebt. Im Friihling, in Mai oder zu Anfang des Juni, hat das Renthier nach “ der langen Fastenzeit wahrend des ganzen Winters keine einzige Spur von diesem “ Fettlager iibrig und ist dann so mager und elend, dass es kaum zu essen ist ,. Il Brook nel suo lavoro: “ Classification of the Cervidae , (Proceed. Zool. Soc. of London, 1878, pag. 927) riunisce tutte le forme di Renna sotto un solo nome, specifico Rangifer tarandus (Linn.). Dopo aver enumerato le località dove si trova 1a Renna egli aggiunge: “ There are many well-marked varieties of Reindeer in this “ wide and varied range; but the study of a considerable series has only shown me “ the difficulty, if not impossibility, of defining them; and consequently I have been “ constrained to include all under one title in this synopsis, although I think the “ differentiation of the form according to latitude and locality merits further attention ,. In tempi più vicini a noi, H. Nitsche con un lavoro di più minuta comparazione fra due cranii di Adventbai delle Spitzberghe ed altri cranii di Norvegia ed un cranio di Renna domestica della Russia (1) giunse a conclusioni che confermano le vedute dell’ Andersén. Il Trouessart nel suo recente “ Catalogus mammalium , (2) considera come specie distinte di Renne le seguenti: ES 1° Rangifer tarandus Linn. (Europa, Asia artica, Nuova Zemlia, Lapponia, Siberia sett., Islanda (in cui venne introdotto). Unisce a questa specie: il È. sibi- ricus Murray della Siberia orientale e del Kamtschatka; il È. spiteber- gensis Murray (3) delle Spitzberghe; il £. groenlandicus Linn. della Groenlandia; il R. areticus Richards dell'America artica. 2° Rangifer caribou Linn. dell'America settentrionale. 3° Rangifer terraenovae Bangs. — Terra Nuova. ò (1) Bemerkungen iiber zwei aus Spitzbergen stammende Rentierschidel, “ Jahreshefte des Vereins fiir vaterlindische Naturkunde in Wiirtemberg.,, 1893, p. 111. (2) Berlino, 1898, pag. 887. (3) Il Trouessart avrebbe dovuto far seguire al nome spitzbergensis quello di Andersén, che ha la priorità rispetto a quello di Murray. Il lavoro dell’Andersén è del 1862, quello del Murray è del 1866. O I i 3000 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 161 Una divisione di specie così fatta appare, in vero, poco razionale, come verrà indicato in seguito. In questi ultimi tempi altri autori cercarono di precisare meglio i caratteri diffe- renziali di altre forme di Renne abitanti l'America del Nord, la Siberia, la Groen- landia, ecc. (1), e il Lydekker nella sua recente opera monografica intitolata: “ The deer of all Lands , (Londra, 1898) ritiene la specie Rangifer tarandus (Linn.) divi- sibile nelle razze seguenti (2): a) Rangifer tarandus typicus della Scandinavia, della Svezia, della Lapponia, della Russia europea e di parte non ben precisata ancora della Siberia. b) x 2 spitzbergensis — Spitzberghe. c) È o caribou — America del Nord (in parte) e forse nella porzione Nord-Est dell’Asia. d) Ù ; terrae-novae — Terra Nuova (3). e) 5 di groenlandicus — Groenlandia (4). f) "e x arcticus — America artica fino al mar polare (5). Recentemente al tutto Seton-Thompson che ha esplorato il Nord della Colombia Britannica e l’Alaska (Bull. American Museum of Nat. Hist., vol. XIII, p. 31, 1900) ha descritto una nuova specie. di Renna col nome di Rangifer montanus (Ottawa Naturalist, XIII, n. 5 - Agosto 1899). Questa specie di Renna venne poi studiata più minutamente da S. A. Allen (Bull. American Museum of Nat. Hist., vol. XHI, p. 1-18, 1900). L’esame dei lavori citati mostra le numerose divergenze degli autori intorno al modo di valutare i caratteri differenziali delle varie forme di Renne, divergenze che dipendono in gran parte dallo scarso materiale riferentesi alla maggior parte delle forme stesse, che sino ad ora venne studiato. Il materiale per lo studio delle Renne è in realtà assai difficile da riunirsi sia per (1) Per la forma americana cfr. Anpuson and Bacaman, “ Quadr. N. Amer. ,, vol. III (1858). — Barep, “ N. Amer. Mamm. ,, (1857). — J. A. Arren, “ Bull. Amer. Mus. ,, vol. VIII (1896). — MrnLeR, “ Proc. Boston Soc. ,, vol. XXVIII (1897). (2) Il Lydekker nella diagnosi del genere Rangifer dice: “ Upper canines wanding ,. In tutti i cranii da me esaminati delle isole Spitzberghe, di Norvegia, di Siberia, di Groenlandia, giovani e adulti dei due sessi, ho trovato i canini superiori relativamente ben sviluppati, come si può vedere dalle descrizioni e dalle figure unite a questo lavoro. (3) Per la forma di Terranuova cfr. Banes, Descript. of Newfoundlana Gun ibou, Boston (1896). — J. A. ALten, “ Bull. Amer. Mus. ,, vol. VIII, (1896). (4) Per la forma di Groenlandia, Robert Brown nel 1868 nel suo lavoro: On the Mammalian Fauna of Greenland (“ Proceed. Zool. Soc. of London ,, p. 330, 1868), a proposito della Renna dice: “ Rangifer tarandus (Linn.), var. groenlandicus Kerr. I will not here enter into any discussion of the “ vexed question of the identity of the European and American Reindeers, or whether the Greenland “ Reindeer is specifically distinct from the American species; suffice it to say that the heading of “ this note sufficiently expresses my views on the subject, after very excellent opportunities of “ comparison and study, and that I consider the Greenland Reindeer only a climatic variety of “ the Kuropean species. I have, moreover, seen specimens of Reindeer horns from Greenland which “ could not be distinguished from European, and vice cersa. On the whole, however, there is a slight “ variation, which may be expressed by the trivial name to which I have referred at the commen- “ cement of these remarks ,. Cfr. anche: Caron, Antelope and Deer of America (1877). — J. A. ArLen, Op. cit. (1896). (5) Pel Rangifer tarandus arcticus, cfr. J. A. ALten, op. cit. (1896). Serie II. Tom. LI. U 162 LORENZO CAMERANO 4 la natura di molti dei luoghi dove le Renne vivono, sia anche pel fatto che, fino ad ora, pochi viaggiatori si curarono della cosa. Lo stesso British Museum, come si può vedere dall'opera recente sopra citata del Lydekker, presenta molte lacune a tale riguardo (1). Molto importante è quindi, dal punto di vista scientifico, il materiale relativo alle Renne delle isole Spitzberghe che S. M. il Re Vittorio Emanuele III raccolse nell’anno 1898 durante un viaggio che egli fece in compagnia di S. M. la Regina a bordo del yacht “ Yela , (2) e da Lui dato in dono, con altre interessanti collezioni zoologiche, al R. Museo di Zoologia e di Anatomia Comparata di Torino. “ In sette giornate di caccia nelle isole Spitzberghe (3) furono uccisi: 52 renne; “1600 circa uccelli varii, tra cui moltissimi eider; 6 foche; 1 volpe. “ Buona parte di questa ricca preda è dovuta a S. A. R. la Principessa di Napoli, “ ardita ed instancabile nella marcia quanto l’augusto Principe, e del pari abilissima “ nel tiro, tanto da cogliere a palla gabbiani al volo ,. Due Renne intiere, numerose teste di Renne giovani, semiadulte, adulte, maschi e femmine e numerosissimi cranii di tutte le età, che io verrò enumerando più sotto, sono oggi prezioso ornamento delle collezioni del Museo Torinese e formano una ricca serie di materiali relativi alle Renne delle isole Spitzberghe. Come materiale di confronto ho potuto avere due cranii colle corna (è) di Siberia; un cranio ($) colle corna di Holstenborg (Groenlandia), 2 paia di corna di è adulti del- l'America settentrionale, due cranii è di Norvegia ed un cranio di 3 colle corna molto sviluppate avuto dal Museo di Torino da quello di Copenaghen in sul principio del secolo scorso e che, dai caratteri che esso presenta, proviene, molto probabilmente, dalle isole Spitzberghe; tre paia di corna $ di Norvegia e tre paia di corna 9 pure di Norvegia. Se altri, disponendo di serie numerose di cranii e di corna di Renne, vorrà pro- cedere ad uno studio minuto di comparazione seguendo il metodo quantitativo sta- tistico da me proposto, od altro analogo (ed ho appositamente dato in fine a questo lavoro le misure assolute affinchè esse possano servire anche ad altri metodi di com- parazione e di calcolo), è lecito sperare si possa giungere a chiarire anche per le altre forme di Renne, come credo di esser riuscito a fare per quelle delle isole Spitzberghe, il loro valore tassonomico. Lo studio delle Renne è del resto non solo interessante dal punto di vista spe- ciografico; ma anche, data la loro grande area di distribuzione geografica e la natura molto diversa dei luoghi da esse abitati, dal punto di vista della conoscenza delle leggi generali dell'adattamento e della variazione. (1) Colgo questa occasione, per precisare una notizia che si legge nella pubblicazione di Nordenskj61d sul viaggio della “ Vega ,. A pag. 99 della traduzione italiana è detto: “ Nel Museo “ di Tromsoe si conserva lo scheletro d’una renna uccisa nella Terra di Re Carlo, che ai lombi aveva “uno strato di grasso dai 7 agli 8 centimetri ,. Ora il sig. Sparre Sneider del Museo di Tromsoe, al quale mi sono rivolto per ottenere la fotografia del sopradetto scheletro, cortesemente mi scrive: © Es ist richtig, dass im 1872 (oder 73) ein Kennthier auf K. Karls Land ulegt wiirde, im Museum “ist aber Kein Skelett. nur eine maxilla inferior und ein Stiick gezalzenes Fleisch mit 3 zoll “ Speck von diesem Exemplar ,. I, (2) X. Y., Sulle coste di Norvegia e delle Spitzberghe. Appunti di un viaggio compiuto nell'estate 1898 dal yacht “ Yela , di proprietà di S. A. R. il Principe di Napoli; “ Memorie della Soc. geogr. ital. ,, vol. IX, 1899, pag. 82 e segg. (3) Op. cit., pag. 101. RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 163 ui II. I cranii delle Renne delle isole Spitzberghe che io ho avuto a mia disposizione mancano, in misura maggiore o minore, della porzione posteriore-inferiore della scatola cranica, poichè questa venne tolta nel preparare la pelle della testa; alcuni sono stati segati superiormente per esportarne le corna, e quindi mancano della vòlta cranica. Anche in queste condizioni i cranii possono tuttavia servire per lo studio di numerosi caratteri, come verrò esponendo in seguito. Nello studio di questi cranii ho applicato il metodo del coefficiente somatico e il metodo quantitativo statistico da me proposti in precedenti pubblicazioni (1). Essi dànno buoni risultamenti per una comparazione dei caratteri fra loro e fra specie diverse, e non solo concedono di valutare l’importanza e la direzione delle varia- zioni: ma rendono utile lo studio di qualunque serie di materiali, poichè i risultamenti sono facilmente comparabili con altri ottenuti collo stesso procedimento. La lunghezza base scelta in questo studio è la distanza che passa trasversalmente fra le metà dei fori sopraciliari, distanza che si può misurare facilmente con suffi- ciente esattezza e che nei cranii a mia disposizione era in generale possibile perchè fuori delle parti state esportate. I cranii ho diviso in varie serie, nel modo che segue, secondo l’età loro presu- mibile. Per fare ciò ho seguìto il criterio della dentatura, il solo che io potessi seguire per le ragioni sopra dette intorno alle condizioni dei cranii stessi. L'esame della dentatura, dà, del resto, in molti casi dati più sicuri di quello delle corna per deter- minare entro certi limiti l’età degli individui di Renna: 1° Serie. Individui giovanissimi - Molari superiori ed inferiori in numero di 3 o 4 per parte. 2* =, Individui maschi giovani - Molari superiori ed inferiori in numero di 5 per parte. Il 6° molare non è ancora spuntato. 3* x» Individui maschi semiadulti - Molari superiori in numero di 6. Il 6° molare in via di uscire, od uscito da poco - Molari inferiori in numero di 5 o di 6. 4%» Individui maschi adulti - Molari superiori ed inferiori in numero di 6 e più o meno logori dall’uso. 5* » Individui femmina semiadulti. Molari superiori in numero di 5 o di 6. Il 6° molare in sulla via di spuntare. Molari inferiori in numero di 5. (1) Cfr. L. Camerano, Lo studio quantitativo degli organismi ed il coefficiente somatico, © Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXV, 1900. — Lo studio quantitativo degli organismi e gli indici di variabilità, di variazione, di frequenza, di deviazione e di isolamento, Ibidem. — Osservazioni intorno al modo di dividere la “ lunghezza base ,, nel calcolo del coefficiente somatico, “ Boll. dei Musei di Zool. e Anat. comparata di Torino ,, vol. XV, n. 373, 1900. — Ricerche intorno alla variazione del “ Bufo vulgaris , Laur., “ Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, ser. II, vol. L, 1900. 164 LORENZO CAMERANO 6 La prima serie è formata da 7 cranii , seconda ù 5 Dio , terza Ri 7 io È , quarta 3 ; 10 la , quinta 3 n Stia In totale sono 41 cranii di Renne delle Spitzberghe che io ho studiato e misu- rato col metodo sopramenzionato, Ho studiato inoltre altri 8 cranii della stessa loca- lità, nei quali era stata segata la parte superiore per modo da non concedere più la misura della lunghezza base sopra indicata. Lunghezza assoluta. Per indicare la lunghezza assoluta dei cranii sarebbe stato conveniente misurare, come ha fatto il Nitsche (1), la base del cranio dal margine anteriore del foro occi- pitale all'estremità dell’osso incisivo. Non potendosi nei nostri cranii procedere a tale misura, per mancanza quasi totale dell’occipitale, ho pensato di servirmi come misura assoluta per indicare la lunghezza del cranio della distanza che corre dal condilo alla base del 1° incisivo della mascella inferiore. Anche questa misura, come la prece- dente indicata, può servire per uno studio comparativo della lunghezza assoluta dei cranii in questione. I risultati ottenuti sono i seguenti, espressi in millimetri: 1? Serie. Individui giovanissimi - Classi di varianti (2): 130-140,-150. 22» Maschi giovani - Classi di varianti: 188-195-205-(206,50)-210,-2250. 8, Maschi semiadulti - Classi di varianti: 200-210-213,-215,-(222,50)-223- 225-230-235-237-240-245. 4°, Maschi adulti - Classi di varianti: 225;-227-2303-235-(237,50)-240,-250. 5* —» Femminesemiadulte-Classi di varianti: 189-190-192-193,-195-(197)-200-205. Un'idea generale della grandezza assoluta del cranio si può avere anche consi- derando la lunghezza scelta come base, cioè la distanza trasversale fra le metà dei fori sopraciliari. 12 Serie. Individui giovanissimi - Classi di varianti (2): 51-52-53-(54)-55-56,-57. 2°, Maschi giovani - Classi di varianti: 59-60-63-(64)-68-69. 38» Maschi semiadulti - Classi di varianti: 60-62-63-64-67-68-69-70.. 43,» Maschi adulti - Classi di varianti: 64,-66,-67,-68-69-70. 58, Femmine semiadulte - Classi di varianti: 60-62-63-(64,50)-65-66,-67-69. (1) Op. cit. (2) Il numero stampato in carattere più grosso e nero è quello della classe media. Se esso è collocato fra parentesi vuol dire che nella serie studiata esso non è stato verificato. I numeri a sinistra della classe media indicano le classi di varianti inferiori alla media; quelli a destra le classi di varianti superiori alla media stessa. I numeri più piccoli collocati in basso a destra di ciascuna classe indicano la frequenza della classe nella serie. — Una classe la di cui frequenza è eguale ad 1 non porta nessun numero più piccolo a destra. V| RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 165 Calcolando l'indice di variabilità (A) si può vedere che la variabilità della misura presa come MISURA BASE non è molto grande nelle singole serie studiate. Infatti: Nella Serie 1° abbiamo A = 7 Da n bb) ca » nisi ” d° ” pe ” da ” SU ” 5* ” AE 10. IDEE Considerazioni tassonomiche sulle Renne delle isole Spitzberghe, di Groenlandia, di Siberia e di Norvegia. Dalla descrizione delle singole ossa del cranio delle Renne delle Spitzberghe, dalla loro comparazione con quelle delle Renne di altre località, dallo studio delle estremità e dalla descrizione delle corna risulta: 1° Le Renne delle Spitzberghe sono notevolmente diverse da quelle di Groen- landia, di Siberia e di Norvegia; 2° Le Renne di Groenlandia, di Siberia, di Norvegia sono pei caratteri osteo- logici notevolmente simili fra loro; 3° Dal punto di vista tassonomico non è accettabile l’idea del Lydekker (1) di dare alle Renne delle Spitzberghe, di Groenlandia e di Norvegia, ecc. eguale valore di sottospecie o di varietà. Neppure si può accogliere la divisione seguìta dal Trouessart (2) di dividere le Renne in 3 specie: PR. tarandus Linn. (nella quale sono comprese le Renne delle Spitzberghe, della Groenlandia, della Norvegia, della Siberia e dell’Ame- rica artica), R. caribou dell'America settentrionale e £. Terraenovae di Terra Nuova. Per poter procedere ad un raggruppamento tassonomico, delle varie forme di Renne, a mio avviso migliore, è d’uopo anzitutto considerare il valore delle differenze che le forme stesse presentano. I caratteri differenziali del cranio devono, sembra a me, essere divisi in due categorie: 1° caratteri differenziali fondamentali; 2° caratteri di rassomiglianza pro- dotti da fenomeni di convergenza e aventi la loro probabile causa prima nelle modi- ficazioni di sviluppo e di forma avvenute nelle corna. Appartengono alla prima categoria le differenze delle ossa nasali, dei mascellari superiori nei loro margini a contatto coi nasali stessi, il maggior o minor sviluppo dei denti e particolarmente dei molari tanto nella mascella superiore, quanto nella mascella inferiore; la posi- zione delle ossa intermascellari accessorie, lo sviluppo delle cavità orbitarie. Appartengono alla seconda categoria, ad esempio, le modificazioni che sì osser- vano nella parte cranica propriamente detta, al disopra delle cavità orbitarie e le differenze della parte latero-posteriore della parte cranica propriamente detta. (1) Cfr. cap. 1° di questo lavoro. (2) Id. id. 166 LORENZO CAMERANO 8 Alle differenze osteologiche del cranio fanno seguito quelle di altre parti dello scheletro. A questo riguardo non ho potuto studiare che quelle dei piedi (metatarso, metacarpo, falangi). Forse altre ne esistono che potranno essere messe in chiaro da uno studio comparativo completo dello scheletro delle Renne delle varie località. Vengono in terza linea, a mio avviso, le differenze o le rassomiglianze delle corna. Le Renne, complessivamente considerate, presentano nelle loro corna un unico piano fondamentale di struttura, il quale varia tuttavia assai, si potrebbe dire, in due direzioni: 1° Il fusto principale delle corna tende ad allungarsi e a divenire cilin- drico per la quasi totalità della sua lunghezza; 2° Il fusto principale delle corna tende invece ad accorciarsi e ad allargarsi a modo di lamina per una maggiore o minore parte della sua lunghezza. Alla prima categoria di corna appartengono quelle delle Renne di Norvegia, di Groenlandia, delle Spitzberghe e quelle dell'America artica: alla seconda apparten- gono le Renne di Siberia e dell'America settentrionale. Le variazioni sopradette delle corna, per quanto posso giudicare, non sono in rapporto colle differenze fondamentali (12 categoria sopradetta) delle ossa del cranio. Fatta astrazione dell’azione dell’addomesticamento che in generale tende a pro- durre, a quanto pare, nelle Renne una riduzione di sviluppo nelle corna, le Renne con corna a fusto principale lungo e cilindrico si trovano in località in cui mancano le foreste e a clima rigido, mentre le Renne con corna a fusto principale più corto e appiattito si trovano in località ricche di foreste e a clima più mite. Sarebbe a questo riguardo utile fare uno studio comparativo dei resti di Renne fossili che vissero nell'Europa centrale. Ciò premesso, tenendo conto del fatto che sia nell'America del Nord, sia nella Siberia, le Renne emigrano volentieri verso il Nord fuori della zona delle foreste, per fuggire, come è noto, la molestia dei ditteri; si può pensare che le forme delle corna delle Renne che presentemente abitano le terre nude settentrionali tanto del- l’Asia quanto dell'America siano derivate da modificazioni di corna molto appiattite come quelle del R. caridou e del R. di Siberia (1). La forma e lo sviluppo dei pugnali sono molto variabili tanto nell’un tipo di corna quanto nell'altro. Si può tuttavia osservare che nel tipo a corna con fusto principale cilindrico meno frequenti sono nei pugnali stessi le dilatazioni palmate : fa eccezione il 1° pugnale principale, il quale spesso assume questa forma. Sono anche da considerarsi le differenze di colore della pelle, le quali appaiono abbastanza spiccate secondo le descrizioni dei vari autori. Non volendo formolare conclusioni più estese di ciò che mi concedono stretta- mente le ricerche personali dirò: 1° Le Renne delle Spitzberghe costituiscono una forma ben distinta pei carat- teri osteologici del cranio e delle estremità e meritano di essere indicate con nome specifico distinto: Rangifer spitzbergensis Andersén; 2° Le Renne di Groenlandia, di Norvegia, di Lapponia e forse di una parte della Siberia si possono probabilmente riunire sotto un solo nome specifico Rangifer tarandus (Linn.). (1) Cfr. LypE€KER, op. cit., pag. 37 e Scmarrr, “ Proceed. Iris Akad. ,, ser. 3°, vol. IV (1897). 9 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 167 Seguendo le ide@ già espresse e discusse nel mio precedente lavoro intorno alla “ Variazione del Bufo vulgaris , (1) rispetto al significato in cui si deve, a mio avviso, adoperare la parola varietà in tassonomia, io distinguo le due varietà seguenti nel Rangifer tarandus (Linn.), tenendo conto della forma del fusto principale delle corna. 4 Var.: cilindricornis. Norvegia, Lapponia, Groenlandia (2), Var.: compressicornis. Siberia (probabilmente in parte). 3° E probabile che le Renne americane si possano pure raggruppare sotto un nome specifico: Rangifer caribou (Gmel.) e che vi si possano pure distinguere due varietà: Var.: cylindricornis (Rangifer arcticus Rich.) dell'America artica, e probabilmente porzione dell'Asia artica. Var.: compressicornis, America settentrionale (A. caridbou Gmel. tipico, R. Terraenovae Allen) Terranuova, e (A. montanus, Seton-Thompson) Nord della Colombia Britannica. Non ho avuto a mia disposizione cranii di Renne americane per poter stabilire confronti con quelli delle regioni europee ed asiatiche, quindi non intendo di trattare a fondo la questione se le Renne americane debbano realmente essere separate spe- cificamente dalle Renne europee ed asiatiche e se le Renne americane debbano rite- nersi una sola specie o più specie distinte. Come già ho detto sopra, a mio avviso, il solo esame delle corna non è suffi- ciente alla separazione specifica delle Renne; ma è necessario procedere ad uno studio comparativo, minuto dei cranii. Dirò tuttavia che l'esame delle figure delle corna e dei cranii del Rangifer montanus del Nord della Colombia Britannica mi fa credere ad una rassomiglianza notevole fra questa forma di Renna e la Renna della Siberia, la quale a sua volta, per la forma del cranio, è affine alla forma scandinava. L'esame delle corna del R. montanus figurate dall’Allen (Bull. Americ. Mus. Nat. Hist., XIII, 1900) mi conferma pure nell’idea sopra espressa del variare indipendente della forma delle corna rispetto alla forma fondamentale del cranio, e del variare della forma del cranio dal Sud al Nord delle Renne nella loro distribuzione geografica. Il E. montanus per ciò .che riguarda le corna, si potrebbe dire una forma intermedia fra il R. caribou tipico e il R. arcticus. Il R. groenlandicus (si debba riu- nire questa forma, come io ho proposto, a quella scandinava o a quella americana (È. caribou)) rappresenta un tipo di modificazione estrema. (1) “£ Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, ser. II, vol. L, pag. 111 e segg. (2) “ Je ne sais si l’on a essayé d’introduire au Groenland des rennes domestiques de la Laponie. “ Un faon que l’on avait capturé près de Godthaab fut apprivoisé très facilement. On raconte qu'un “ roi de Danemark a fait transporter des rennes de Norvège au Spitzberg; peut-ètre faut-il rapporter “ce renseignement à quelque tentative faite pour introduire l’élevage de cet animal au Groenland , (A. E. NorpensKJÒLD, La seconde expédition suédoise au Groenland, trad. francese, Paris, Hachette, 1888, pag. 423). — Nordenskjéld portò nella sua spedizione alle isole Spitzberghe nel 1872-73, quaranta Renne domestiche, le quali fuggirono qualche giorno dopo che erano state sbarcate (op. cit., pag. 140). Si trattava però di Renne castrate (Viaggio della “ Vega ,, trad. italiana, vol. I, pag. 96). 168 LORENZO CAMERANO 10 Le Renne presentemente conosciute si possono forse disporre provvisoriamente nel modo seguente: 1° Gruppo. Contiene una sola specie ben distinta, il Rungifer spitzbergensis Andersén, limitato, per quanto se ne sa ora, alle isole Spitzberghe. 2° Gruppo. Contiene forse anche una sola specie propriamente detta, il Rangifer tarandus (Linn.), distribuito nelle terre che circondano le regioni polari artiche, con variazioni nelle corna e forse anche nell’ingrossamento delle ossa delle estremità e nella colorazione, che si mostrano spiccate dal Sud al Nord tanto nel continente antico quanto nel continente nuovo, e che sì possono disporre nel modo seguente, tenendo conto delle denominazioni state assegnate dagli autori alle varie forme (1): AMERICA Europa Asia R. arcticus R. groenlandicus R. arcticus (?) Regioni polari propriamente dette Regioni settentrionali intermedie |. montanus R. tarandus R. tarandus | PR. Terraenovae ; R. sibiricus R. caribou Regioni relativamente meridionali La diagnosi del Rangifer spitebergensis Andersén può essere formulata nel modo seguente: Rangifer spitàbergensis, Andersén. Andersén “ Oefversigt of Kongl. Ventenskaps-Akad. Foòrhandl. , Stocolma, 1862, p. 457. Ossa nasali coi loro margini esterni divergenti nel loro terzo anteriore; ossa nasali superiormente depresse e senza rialzi longitudinali; apice anteriore della sutura mediana dei nasali collocata notevolmente in alto rispetto agli apici dei prolungamenti anteriori dei nasali; margine anteriore dei nasali senza intaccature e quindi i prolungamenti mediani anteriori lungo la sutura mediana dei nasali rudimentali o mancanti: cavità orbitarie grandi e notevolmente sporgenti ai lati e sulla parte superiore del cranio; solco sopra orbitario lungo e profondo; mascellari superiori rigonfi longitudinalmente; denti molari della mascella superiore e della (1) Per la cortesia del Prof. E. L. Mark, direttore del “ Museum of Comparative Zoology , di Cambridge Mass., ho potuto avere le fotografie delle ossa metatarsee del R. caribou. Da esse e dal- l'esame delle figure dei cranii, che si trovano in varii Autori, risulta una spiccata rassomiglianza fra questa forma di Renna e quella di Norvegia. Saranno ad ogni modo utili altre ricerche più minute e complete sui loro caratteri osteologici, onde giungere ad una conclusione sicura. VA VAS) fedi RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 169 mascella inferiore relativamente molto grandi e quindi lo spazio che essi occupano relativamente lungo; porzione anteriore del capo e della mascella inferiore, al davanti dei molari, relativamente corta; capo in complesso corto e tozzo. Ossa metatarsee, metacarpee e delle falangi relativamente corte e spesse, unghie relativamente larghe e spesse. Corna con fusto principale cilindrico e pugnali di forma variabile; spesso il 1° pugnale è palmatiforme; nei vecchi individui è le dimensioni generali non sono inferiori a quelle dei vecchi individui di Norvegia e di Lapponia, la qual cosa unita alla mole generale dell'animale in complesso inferiore a quella delle Renne di queste ultime località dà a quelle delle Spitzberghe una facies speciale. Rangifer spitzbergensis Andersén. — Cranio e corna. L'animale in abito invernale è di color bianco-sporco, del colore, come venne detto, delle placche di neve distese sul terreno e sporche di terriccio; le orecchie internamente di color grigio nero; il contorno degli occhi è nero; nere sono le parti laterali del muso; posteriormente alle aperture delle narici la macchia nera si estende lateralmente, fino al margine della bocca. La parte anteriore del muso, fra le narici e il contorno anteriore della bocca, sono bianchi e queste parti spiccano sulle parti nere sopradette del muso e sul fondo biancastro del rimanente del corpo; la parte mediana superiore della regione facciale è nerastra fino a livello degli occhi: la fronte è bianco-sporca come il resto del corpo. La peluria che ricopre le corna è bruniccia, più scura alla base e nella parte laterale esterna delle corna, più chiara nella parte distale delle corna stesse. Le regioni metacarpea e metatarsea sono brune-nerastre sopratutto nella loro parte prossimale. La coda nella livrea estiva è superiormente grigio-nera come il resto del corpo ed inferiormente è bianca. L’ani- male in livrea estiva è di color grigio più o meno nerastro o brunastro: le macchie bianche della porzione internasale e della regione anteriore del muso sempre ben Serre II. Tom. LI. v 170 LORENZO CAMERANO 12 spiccate. La fronte e il margine delle orecchie sono biancastri: la macchia nera cireumoculare spiccata: la gola è grigio-chiara o biancastra; il vertice del capo e la regione laterale intorno alle orecchie sono grigio-biancastre. Gli individui molto giovani in livrea d'inverno hanno colorazione bianco-chiara, con macchie del capo meno scure degli adulti e con tendenza al color bruno. Negli “ Appunti di un viaggio compiuto nell’estate 1898 dall’yacht “ Yela , di proprietà di S. A. R. il Principe di Napoli , (1) sono molto ben indicate le carat- teristiche esterne principali delle Renne delle Spitzberghe colle seguenti parole: “ La Renna, simile alla Renna domestica della Norvegia e della Lapponia, si “ distingue da questa pel corpo meno snello, per gli arti meno alti, per la testa più corta e alquanto più piccola, per le corna in generale meno sviluppate e più irre- “ golari nella ramificazione. Vive in branchi, si nutre di muschi e di licheni. È tut- “ tora una incognita il come questo artiodattile riesca a trovare pascolo nella cruda freddissima stagione invernale. Si vuole che nell'inverno esso abiti gli altipiani centrali delle Spitzberghe, ove dominano venti impetuosi che impediscono alla neve di raccogliersi sul suolo, il quale, rimanendo scoperto, offre loro nutrimento. Sta di fatto che le Renne da noi cacciate all’inizio della buona stagione, allorchè a mala pena le nevi e i ghiacci cominciavano a sciogliersi, erano in ottimo stato di nutri- zione, e la carne che ne mangiammo era tenera e squisita al gusto. La Renna si “ lascia facilmente avvicinare dal cacciatore sino a distanza di 50 metri ed anche minore; che se poi il cacciatore sì arresta immobile, avviene spesso che questo animale, spinto da curiosità, gli si avvicini a sua volta a breve portata. I colpi di “ fucile non lo intimoriscono. Epperò per fare abbondante caccia di Renne, oltrechè “ di buone gambe, di buoni polmoni e di abilità nel tiro, fa d’uopo di calma e di “ pazienza ,. Credo utile di ricordare qui le parole seguenti della comunicazione fatta da S. A. S. il Principe Alberto I di Monaco al Museo di Parigi intorno alla sua esplo- razione nelle isole Spitzberghe nel 1898 (2): “...les terres de Barents et de Edge, “ qui forment la còte orientale du Storfjord, sont habitées par des Rennes. Mais c'est “ sur la còte occidentale de Spitzberg, au fond de l’Isfjord, que j'ai eu l’occasion “ d’observer ces derniers animaux. “ Durant ces explorations è l’intérieur, pendant lesquelles je rencontrai un si grand nombre de Pétrels (Fulmarus glacialis), j'ai observé l’insouciance des Rennes “ vis-à-vis de l’homme; leur vue et leur ouie sont lentes è les prévenir du danger. “ Sur les terrains dénudés qu’ils habitent, je les ai approchés jusqu’à une centaine “ de mètres sans qu’ils manifestassent de l’inquiétude; et lorsque leur téte finissait “ par se tourner vers moi, c’était sans nervosité. Si, alors, je m’accroupissais en me balangant de manière è ne plus leur présenter qu’une forme humaine très vague, “ ces animaux faisaient lentement quelques pas vers moi. Quand ils s° éloignaient, “ méme après que l’un d’eux fùt tombé sous un coup de carabine, ils semblaient “ etre plutòt sous l’impression de l’étonnement que sous celle de la peur et ils s'ar- (1) Anonimo. X. Y., “ Memorie della Società Geografica Italiana ,, vol. IX, 1899, pag. 102. (2) “ Bulletin du Muséum d’Histoire naturelle ,. Paris, 1899, pag. 10. È ; È 13) RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 171 “ rèétaient sans cesse pour se retourner. Deux explications de cette bizarrerie phy- “ siologique sont possibles: les Rennes oublient pendant huit ou dix mois de sécurité “ absolue un peu de la frayeur que deux ou trois Norvégiens leur ont causée lors “ des beaux temps; ou bien il descendent d’ancétres domestiqués et c’est l’atavisme «“ qui leur donne cette belle ignorance du danger. J'ajouterai qu’ils n’ont pas d’autres “ennemis que les rares humains susdits, car les Ours blanes se nourrissent des “ Phoques, dont la graisse est un aliment favorable aux habitants de la banquise et des neiges ,. La prima delle spiegazioni può essere accolta nelle sue linee generali, non cer- tamente la seconda: le Renne delle Spitzberghe non discendono da alcuna forma stata addomesticata : esse appartengono ad una specie ben distinta come sopra è stato detto; d’altra parte poi non si saprebbe in questo caso vedere l’azione di un atavismo (quando questo avesse esistito, il che qui non è il caso) del genere di quello supposto dal Principe di Monaco, che dovrebbe essere molto antico, mentre è noto che, in generale, l’animale discendente da individui stati addomesticati, ritornando alla vita libera, perde in brevissimo tempo i caratteri di animale domestico. Rispetto alla vita delle Renne nelle isole Spitzberghe ricorderò le parole seguenti del Nordenskjéld (Viaggio della “ Vega ,, traduz. ital., vol. I, p. 99): “ D'estate la “ Renna si trattiene sui campi erbosi, nelle vallate dell’isola sgombre di ghiaccio; “ad autunno inoltrato si ritira, a quanto ne dicono i cacciatori, alle spiaggie del “ mare per mangiare l’alga che si trova ammassata sulle spiaggie, e d’inverno si “ reca sulle alture coperte di musco all’interno del paese, dove sembra viva a tutto “ suo agio, benchè il freddo debba essere d’inverno tremendamente rigido. Infatti, “quando a primavera le Renne tornano alla costa, sono ancora molto grasse; ma, “ dopo poche settimane, quando s'è formato sulla neve un lembo di ghiaccio ed una “ crosta gelata rende poco accessibili i pendii dei monti, diventano magre al punto “ che non si possono più mangiare. D'estate però ingrassano ben presto; anzi d’au- “ tunno arrivano al punto che in un'esposizione di bestiame otterrebbero certamente “ il premio. Nel Museo di Tromsoe, ad esempio, si conserva lo scheletro di una “ Renna uccisa nella Terra di Re Carlo, che ai lombi aveva uno strato di grasso “ dai 7 agli 8 centimetri (1). _ “« Nelle regioni in cui le si dà la caccia, la Renna è molto selvatica; però, purchè “ il terreno non sia perfettamente piano, si può benissimo accostarsele a tiro, purchè “ sabbia la precauzione d’avvicinarsi dalla parte del vento. Nell’epoca degli amori, “ che cade nell’autunno inoltrato, avviene talvolta, a quanto dicono, che i maschi delle Renne aggrediscano il cacciatore ,. Anche l’asserzione che la Renna non abbia a temere l’orso polare non pare accettabile, dati i costumi di quest’ultimo e la sua voracità grandissima, come risulta dalle osservazioni dei viaggiatori polari anche i più recenti. Il Nordenskj6ld, per non citare che un esempio, nel capitolo quarto della sua relazione del viaggio della “ Vega ,, dice: “ In una località non molto lontana da Port-Dixon il capitano Palander ci “ precedeva nella lancia a vapore per esaminare le acque ancora sconosciute. Nel “ cammino egli incontrò ed uccise un orso maschio di grandezza e grossezza straor- (1) Vedi a proposito di questo particolare una precedente nota nel AN lavoro. / 172 LORENZO CAMERANO 14 “ dinarie. Al pari dell'orso ucciso ivi nel 1875 da Théel, anche questo non aveva “ nello stomaco che musco e radici; ora non essendo probabile che in quella regione “ l’orso possa pigliare d'estate molte foche, è lecito supporre che il suo nutrimento “ consista principalmente in sostanze vegetali, a cui forse è da aggiungere qualche “ Renna che gli riesce a scannare. Nel 1875 vedemmo colà un vecchio orso maschio “ che pareva pascolasse pacificamente insieme ad alcune Renne, probabilmente col- “ l'intenzione di accostarsi ad una di esse per ghermirla ,. Per la distribuzione delle Renne nelle Spitzberghe in tempi passati e presente- mente si consultino anche i lavori sopracitati del Newton, del Malmgren, ecc. IV. Comparazione dei cranii e delle loro parti di Renne delle Spitzberghe, di Groenlandia, di Norvegia e della Siberia. Dal materiale da me studiato e dai dati che ho potuto ricavare dalle descrizioni dei vari autori si possono dedurre le considerazioni seguenti: Parietale. — La misura rs (1) è molto variabile anche nei 3 adulti e non mi pare possa fornire caratteri differenziali fra gli individui delle varie località. La misura ad (1) che si riferisce al prolungamento mediano è in complesso maggiore nelle Renne delle Spitzberghe che non nelle altre. Nei maschi adulti dà la media 46,50 e la classe estrema 67. Questo prolungamento manca nelle Renne studiate di Siberia; manca quasi totalmente nel cranio di Norvegia studiato dal Nitsche; in quelle da me esaminate ha 34-42. Nella Renna di Groenlandia ha: 39. Frontale. — La lunghezza della sutura mediana longitudinale dei frontali non presenta differenze importanti nei cranii delle varie località: essa dipende del resto, in parte, dallo sviluppo maggiore o minore del prolungamento ab del parietale. La lunghezza e lo sviluppo del prolungamento dei frontali fra i nasali si comportano diversamente nei cranii delle varie località. In quelli delle Spitzberghe ($ adulti) si ha la media 70,50 e una classe maggiore 118. Nei cranii di Siberia si ha sol- tanto: 48-62, in quello di Groenlandia: 49, e nei cranii di Norvegia : 38-46. Nel cranio di Norvegia studiato dal Nitsche il prolungamento è minimo. La porzione laterale dei frontali che concorre alla formazione della cavità orbi- tale, nelle Renne delle Spitzberghe ($ adulti) ha: media=109, classe maggiore = 131. In quelle di Siberia è: 98-106. In quella di Groenlandia: 112; in quelle di Norvegia è: 82-102. Si ha perciò una notevole differenza fra le Renne delle Spitzberghe e quelle di Siberia, Groenlandia e Norvegia nel senso che nelle prime la parte ossea delle cavità orbitali è più sviluppata che non nelle seconde. La sporgenza delle cavità orbitarie sulla parte mediana del frontale dà nelle Renne delle Spitzberghe ($ adulti): (1) Vedasi la descrizione del parietale nel capitolo della descrizione di questo osso, che viene in seguito. e i MET SI ST eco x-W®: Cdl «da gra Ag e e 75, 15) RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 173 media = 76, classe maggiore 90. In quelle di Siberia si ha: 27-33, in quella di Groen- landia: 29, in quelle di Norvegia: 30-42. Perciò le cavità orbitarie dei cranii delle Renne delle Spitzberghe dànno al capo nella regione da esse occupata un facies al tutto caratteristico. Il solco sopraorbitario non presenta differenze molto spiccate fra le Renne della Siberia e quelle delle Spitzberghe dove è ben sviluppato. Molto meno sviluppato, come notò pure il Nitsche, è nelle Renne di Norvegia. La lunghezza del margine della cavità orbitaria misurata fino al punto in cui esso si piega in alto verso la base delle corna dà nelle Renne delle Spitzberghe (5 adulti): media = 115,50, e classe maggiore =124 (nel cranio adulto avuto da Copenaghen e che probabilmente proviene dalle Spitzberghe si ha: 151). In uno dei cranii di Siberia il margine si prolunga, senza piegatura ad angolo, sino alla base delle corna; nell'altro si ha: 58. Nel cranio di Groenlandia è: 107. Nei cranii di Norvegia è 60-55. È questa come si vede una parte assai variabile: le differenze fra i cranii delle Spitzberghe e quelli delle altre località dipendono dalla maggior sporgenza delle cavità orbitarie che si osserva nei primi. Forse lo sviluppo maggiore o minore delle corna ha qualche azione sopra questo carattere. La larghezza massima del frontale, alla base delle corna, nei cranii di Renne delle Spitzberghe (ò adulti) dà: media: = 408,50, classe maggiore = 447 (nel cranio di 5 molto vecchio avuto da Copenaghen si ha: 480). Nei cranii di Siberia si ha: 475-504: in quello di Groenlandia 559: in quelli di Norvegia 478-434. Anche sopra questo carattere influisce lo sviluppo delle corna: tuttavia pare si osservi una maggior larghezza del capo nelle Renne di Siberia. La lunghezza massima del frontale, all’angolo del margine ascendente dell’orbita, nelle Renne delle Spitzberghe è: media = 444,50, classe maggiore= 476. Nei cranii di Siberia: 523-555, in quello di Groenlandia: 476, in quelli di Norvegia: 542-554. Si nota un maggior sviluppo di questo diametro nei cranii di Siberia e di Norvegia rispetto a quelli delle Spitzberghe e di Groenlandia: ciò dipende in parte dalla con- formazione a cresta appiattita del margine laterale del frontale che dalle orbite sale alla base del cranio. In complesso la porzione del frontale che sta fra la base delle corna e le cavità orbitarie, ha figura quasi quadrangolare nei cranii delle Renne delle Spitzberghe e della Groenlandia, mentre tende alla forma trapezoide nelle Renne di Siberia e di Norvegia, come si può vedere dalle numerose figure unite a questo lavoro, e dalle figure date dal Nitsche. Il margine laterale del frontale, che dalla cavità orbitaria sale alla base delle corna, nelle Renne di Siberia e di Norvegia, tende ad essere fortemente appiattito a mo’ di cresta: mentre in quelle delle Spitzberghe e di Groenlandia esso è arroton- . dato con un solco longitudinale più o meno spiccato. Nasali. — La lunghezza della sutura mediana longitudinale dei nasali nelle Renne delle Spitzberghe dà: (3 adulti) media = 353,60, classe maggiore = 405. Nei cranii di Siberia si ha: 426-542, in quello di Groenlandia: 335, in quelli di Nor- vegia: 386-407. Il diametro trasversale minimo dà per le Renne delle Spitzberghe ($ adulti) media = 106, classe maggiore 122 (cranio avuto da Copenaghen 125); nei cranii di Siberia: 129-149, in quello di Groenlandia: 136, in quelli di Norvegia: 174 LORENZO CAMERANO 16 137-152. È notevole la minor larghezza dei nasali delle Renne delle Spitzberghe, rispetto a quella delle Renne delle altre località. Rispetto alle differenze che si notano nei margini laterali esterni dei nasali, le loro estremità anteriori e le intaccature e prolungamenti del loro margine anteriore interno e i rapporti di posizione degli apici anteriori rispetto all’apice anteriore della sutura mediana dei nasali non ripeteremo qui ciò che è detto in seguito nella descri- zione che ad essi si riferisce: faremo osservare soltanto che le differenze per le parti sopradette che intercedono fra i cranii delle Renne delle Spitzberghe e quelli delle Renne delle altre località sono molto notevoli e molto costanti: mentre le differenze che intercedono fra i cranii di Norvegia, di Siberia e di Groenlandia, a' tale riguardo, sono piccole e tali da non alterare sensibilmente il fucîes delle parti sopra dette. Ossa sopramascellari accessorie. — Esse sono molto variabili nei cranii di Renne delle diverse località. Un carattere differenziale notevole fra le Renne delle Spitzberghe e quelle delle altre località si trova nella posizione dell’apice superiore delle ossa sopramascellari accessorie rispetto all'apice anteriore della sutura mediana dei nasali. Nelle Renne delle Spitzberghe l’apice sopradetto in 62 casi (fra destra e sinistra) si presenta 9 volte soltanto al disopra dell’apice anteriore della sutura mediana dei nasali, 26 volte è allo stesso livello e 27 volte è collocato al disotto. Nelle Renne di Siberia, Groenlandia e Norvegia sopra 10 casi (fra destra e sinistra) non ve n'è alcuno al disotto o a livello; ma tutti stanno sopra l’apice anteriore della sutura mediana dei nasali. Ciò può essere espresso quantitativamente mediante gli indici di frequenza seguenti: Renne delle Spitzberghe. Casi 62. Indice di frequenza sopra l'apice, ecc. = 0,1453 E * a livello =!0}4195 5 sotto i — 0,4857 Renne di Siberia, Groenlandia, Norvegia. Casi 10. Indice di frequenza sopra l'apice, ecc. = 1,0000 d " a livello = 0,0000 A b sotto = 0,0000. Nelle Renne delle Spitzberghe la distanza massima (al disopra) dell’apice poste- riore del sopramascellare accessorio dall’apice anteriore della sutura mediana dei nasali è: + 34, mentre nelle Renne di Siberia, Norvegia e Groenlandia è: 187. In quelle delle Spitzberghe il valore massimo, ecc., al disotto è: — 60. Zigomatico. — Come si può vedere dalle misure date in seguito a proposito della descrizione di questo osso, vi è qualche maggior affinità da una parte fra le Renne delle Spitzberghe e quelle di Groenlandia e dall’altra fra quelle di Siberia e di Norvegia. 17 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE MO Lacrimale. — Questo osso appare, dalle misure dei varì suoi diametri, più svi- luppato nelle Renne di Siberia, Norvegia e Groenlandia che non nelle Renne delle Spitzberghe. Lacuna etmoidale. — Appare più stretta e corta nelle Renne di Norvegia che non in quelle delle altre località. Mascellare superiore. — I diametri trasversali A, B, C (vedi descrizione del mascel- lare superiore) non presentano fra i cranii delle Renne delle Spitzberghe e quelli delle Renne di Siberia e di Groenlandia differenze notevoli salvo pel diametro C cioè pel diametro trasversale dei due mascellari uniti, misurato al margine anteriore del 1° molare che appare maggiore nei cranii delle Spitzberghe. I cranii di Norvegia presentano uno sviluppo anche minore dei precedenti pei diametri trasversali A e C. Nei cranii di Groenlandia le misure D, E sono maggiori che non in quelli delle Spitzberghe, il capo è cioè più lungo a partire dal primo molare verso l’apice degli intermascellari, e ciò si osserva anche rispetto ai cranii di Renne di Norvegia. Lo spazio occupato dai molari nelle Renne (ò adulti) delle Spitzberghe dà: media = 470,50, classe maggiore = 518. Nelle Renne di Siberia è: 355-408, in quella di Groenlandia è 447, in quelle di Norvegia 346-393. Si ha qui, come si vede, una differenza notevolissima fra i cranii delle Renne delle Spitzberghe e quelli delle Renne delle altre località. La stessa cosa si osserva per la distanza dell’apice anteriore dell’apofisi tempo- rale del zigomatico al margine posteriore dell’ultimo molare e per la distanza dal foro sottorbitario al margine dell’orbita nel punto determinato dalla sutura del lacrimale col zigomatico. Analogamente si comporta la misura della sutura longitudinale palatina dei mascellari superiori. Si vede, da quanto precede, che nelle Renne delle Spitzberghe la regione del capo occupata dai molari superiori è più lunga che non nelle Renne delle altre loca- lità: mentre in queste ultime tende ad essere più lunga la porzione del capo che sta allo innanzi del primo molare. Differenze notevoli si osservano pure fra le Renne delle Spitzberghe e quelle delle altre località nei margini laterali dei mascellari a contatto coi nasali, come è detto in seguito nella descrizione particolareggiata dei mascellari stessi. Apertura nasale e ossa intermascellari. — La forma e la grandezza dell'apertura nasale sono variabili, ma con facies molto diverso nei cranii delle Spitzberghe da quello che si osserva nei cranii delle altre località. Nelle prime il diametro antero-poste- riore dà: media = 468,50 (nei $ adulti), classe maggiore = 546: il diametro massimo trasversale dà: media = 222,50 e classe maggiore = 237. Nelle Renne di Siberia il — diametro trasversale massimo è 274. In quelle di Groenlandia il diametro ant.-post. è: 578, il diametro trasv. mass. è 219. Nelle Renne di Norvegia il diametro ante- | riore-post. è: 425, e il trasv.-massimo 218-226. | L’apertura nasale appare minore nelle Renne di Norvegia che non nelle altre. In quella di Norvegia è più lunga che non nelle altre. La lunghezza dell’apofisi interna degli intermascellari è maggiore nelle Renne di Groenlandia e di Norvegia che non in quelle delle Spitzberghe. 176 LORENZO CAMERANO 18 Orbite. — Nelle Renne delle Spitzberghe il diametro massimo antero-posteriore (ò adulti) dà: media = 255, classe maggiore = 270. Il diametro trasversale massimo dà: media = 229, classe maggiore = 242. Nelle Renne di Siberia si ha rispettiva- mente: 231-274 e 214-264. Nelle Renne di Groenlandia: 262 e 253 e nelle Renne di Norvegia: 232, 240 e 208, 219. Si vede che nelle Renne di Norvegia le orbite sono più piccole che non nelle Renne delle Spitzberghe, di Siberia e di Groenlandia. Forse ciò dipende dalle condizioni dei luoghi, dalle condizioni di luce, dalla presenza o man- canza di speciali nemici, orsi e insetti parassiti, ecc. Il diametro trasversale del capo misurato ai margini inferiori delle orbite dà nelle Renne delle Spitzberghe (3 adulti): media = 717 e classe maggiore = 781. In quelle di Siberia: 568-672; in quella di Groenlandia: 661; in quelle di Norvegia: 606-614. Queste differenze dipendono dalla maggior sporgenza delle orbite nelle Renne delle Spitzberghe. Per ciò che riguarda il maggior diametro trasversale misurato sui rigonfiamenti del parietale, al disotto delle corna, che presenta il cranio di Groenlandia, la cosa dipende forse dal grande sviluppo delle corna dell'esemplare esaminato (lungh. del fusto principale: m. 1,30). Il diametro trasversale del capo misurato sulle arcate zigo- matiche nelle Renne delle Spitzberghe dà: media =611, classe maggiore — 677, nelle Renne di Siberia: 657 ; nella Renna di Groenlandia: 578; in quelle di Norvegia: 517-571. Le Renne di Norvegia sembrano più strette nella parte posteriore del cranio che non le altre delle località sopramenzionate. Palatini. — Queste ossa sono notevolmente più larghe nelle Renne delle Spitz- berghe (ò adulti) che non nelle Renne di Siberia, di Groenlandia e di Norvegia. Mascellari inferiori. — Non ho potuto esaminare queste ossa nelle Renne di Siberia. Nelle Renne di Groenlandia e in una di Norvegia ho trovato lunghezza totale e lunghezza dello spazio occupato dai molari, minori (sopratutto quest’ ultima misura) che non nelle Renne delle Spitzberghe. In queste ultime lo spazio occupato dai molari dà: media = 557,50 e classe maggiore = 628. In quella di Groenlandia si ha 505, e in quella di Norvegia: 401. In complesso la mandibola inferiore nelle Renne delle Spitzberghe appare più sviluppata e più robusta che non nelle altre. L’apofisi coronoide nelle Renne delle isole Spitzberghe dà per la sua altezza : media = 202,50 ($ adulti), classe maggiore 225, e per la sua larghezza massima : media= 97 e classe maggiore: 107. Nella Renna di Groenlandia si hanno rispet- tivamente 224 e 92. Nella Renna di Norvegia 208 e 79. La distanza del foro mentoniero dal 1° molare nelle Renne delle Spitzberghe dà: media (ò adulti) = 191,50 e classe maggiore = 214. Nella Renna di Groenlandia si ha: 194, in quella di Norvegia: 203. Ciò dipende dalla maggior lunghezza dello spazio occupato dai molari. La distanza del foro mentoniero dal 1° incisivo nelle Renne delle Spitzberghe (ò adulti) dà: media = 223 e classe maggiore = 243; nella Renna di Groenlandia si ha: 267; in quella di Norvegia: 263. Ciò dipende dal maggior sviluppo in lun- ghezza della mandibola nella sua parte anteriore, la qual cosa corrisponde ad analogo sviluppo della mascella superiore come sopra è stato osservato. Il capo delle Renne delle Spitzberghe, paragonato con quello delle Renne di Groenlandia, Siberia e Norvegia, appare più sviluppato nella regione occupata dai ug et: E Pe 19 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 170” molari tanto nella mascella superiore quanto nella inferiore e al contrario è meno sviluppato nella porzione che è allo innanzi della regione dei molari superiori ed inferiori. Ne risulta pel capo delle Renne delle Spitzberghe un facies caratteristico: x esso è più corto e tozzo che nelle altre. Denti. Lunghezza del canino (ò adulto) Spitzberghe: media = 40,50, classe maggiore 54 È Ù Siberia $ 31 hi i z Groenlandia 7 24 a È Norvegia î 28 1° molare della masc. sup. (3 adulti) Spitzberghe: media = 64,50, classe maggiore 69 n 5 Siberia i A 49-58 be; È Groenlandia n 63 È a Norvegia Ù 55-60 do, ni È Spitzberghe , =79 3 90 è, Li Siberia È 49-62 > E Groenlandia 3 68 A A Norvegia h, 55-60 3° 5 n Spitzberghe , = 78,50 ; 90 ” G Siberia È 58-62 } Ù Groenlandia x 73 E È Norvegia z 55-60 4° 3 3 Spitzberghe , = 88,50 è 101 A AA Siberia A 62-72 Sì n Groenlandia È 83 108 o 3; Norvegia È 67-74 | Bo ; d L Spitzberghe , = 90 È 108 :; È; Siberia Si 71-82 A " Groenlandia i 92 hi 1, $ Norvegia 5 69-82 ui :6° "i n Spitzberghe , =(101,50) 5 116 i 3 3 Siberia si PONI È e Groenlandia a 83 5 5 Norvegia n 69-82 3; Analogamente procedono le cose pei molari della mascella inferiore, come si può vedere nel capitolo della descrizione dei denti. i La stessa cosa si dica per gli incisivi. È Da quanto precede, appare spiccatissimo il maggior sviluppo dei denti delle Renne — delle Spitzberghe rispetto a quello di Groenlandia, di Siberia e di Norvegia; si nota pure che fra queste ultime lo sviluppo è un po’ maggiore in quella di Groenlandia, xd la quale, a questo riguardo, è come una forma intermedia fra le Renne delle Spitz- Si berghe e quelle di Norvegia e di Siberia. i Senie II. Tom. LI. x 178 LORENZO CAMERANO 20 V. Della variabilità in generale delle ossa del capo negli individui delle Spitzberghe di tutte le serie studiate. Lo studio della variabilità delle ossa del capo negli individui dei due sessi e di varia età appartenenti ad una stessa specie, in confronto colle specie dello stesso genere, o non venne fatto finora nella massima parte dei casi, o venne fatto in modo che i dati che ne risultano non sono fra loro comparabili. A dimostrare la necessità di questo studio, in particolar modo, per quanto riguarda l’uso dei caratteri differenziali che si deducono dalle ossa del capo nelle diagnosi specifiche, valgono le stesse ragioni che io ho già lungamente esposto a proposito dello studio comparativo in generale dei caratteri degli organismi (1). Nel caso nostro, prima di poter conchiudere intorno all'importanza delle diffe- renze che le ossa del cranio delle Renne delle Spitzberghe presentano rispetto a quelle delle Renne di altre regioni, è necessario procedere ad un esame della variabilità delle ossa stesse coi dati comparabili che ci fornisce lo studio quantitativo-statistico. Sarà utile a questo proposito considerare gli indici di variabilità delle varie ossa, che si deducono dalle classi di varianti che si trovano nelle pagine seguenti. Esaminando anzitutto gli indici di variabilità riferentisi ai diametri delle ossa disposti lungo la linea mediana longitudinale del capo o paralleli a questa e che si trovano nella parte superiore del capo stesso, troviamo: Indice di variabilità. Giovanissimi è giovani è semiad. è adulti 9 Parietale. - Lunghezza diam. a, 6 (2) 20 N 42 42 19 Frontali. - Lungh. sutura mediana longitud. 76 _ 67 40 68 Nasali. - Lungh. sutura mediana longitudin. 55 109 109 104 145 Distanza dall’apice ant. della sutura mediana longit. dei nasali all'apice degli intermasc. 58 33 69 156 44 Ne risulta una variabilità notevole negli individui giovanissimi nella lunghezza della zona del capo occupata dalla parte mediana dei frontali, variabilità che va scemando nei 5 adulti, mentre nelle femmine permane come nei è giovani. La varia- bilità della lunghezza dei nasali va per contro aumentando dagli individui giovanis- simi agli adulti. Va pure crescendo notevolmente dagli individui giovanissimi ai $ adulti la varia- bilità dell’ultimo carattere che si riferisce all’ampiezza dell'apertura nasale. Le fem- mine a questo riguardo si comportano come i $ giovani. In complesso si può ritenere che negli individui giovanissimi e giovani, e semiadulti > e 9, è più variabile in (1) Cfr. il mio precedente lavoro: Ricerche intorno alla variazione del “ Bufo vulgaris , Laur. “ Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, ser. II, vol. L, 1900. (2) Per maggiori ragguagli si veda la descrizione delle varie ossa nelle pagine che seguono. DI RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 179 lunghezza la regione superiore cranica che non la regione superiore facciale; quest’ul- tima è all'incontro molto più variabile negli adulti. Esaminando nella parte inferiore nel capo i caratteri seguenti si trova: Indice di variabilità. Giovanissimi è giovani è semiadulti $ adulti 9 Lunghezza della sutura longitudinale o mediana dei palatini . . . i 15 15 36 46 67 —_— Lunghezza della sutura palatina i i tudinale mediana dei mascellari sup. 35 34 73 62 69 È Lunghezza dell’apofisi interna degli fn intormascellari . \.....° 81 47 31 64 53 La variabilità in lunghezza va crescendo dai giovanissimi individui agli adulti, ‘in complesso, a misura che dalla parte posteriore del capo si procede verso la parte anteriore. Confrontando questo specchietto col precedente, appare anche che le ossa | che costituiscono la faccia superiore del capo nella loro porzione mediana longitudi- «nale variano di più che non quelle che stanno nella faccia inferiore del capo stesso e concorrono a formare la volta della cavità boccale. Esaminiamo ora la variabilità dei diametri trasversali del capo, come ad esempio i seguenti: Indici di variabilità. Giovanissimi è giovani è semiad. $ adulti 9 Diametro trasversale del capo misurato alle protuberanze laterali dei parietali — —_ 40 51 42 Idem sulle arcate zigomatiche . . . = = 65 12% 24 Idem ai margini inferiori delle orbite — 89 106 128 47 . Lungh. del frontale alla base delle corna 36 - 88 78 55 Distanza (lunghezza base) fra i due fori Sopraciliari .. . . 7 11 11 T 10 Diametro trasversale dei di: de superiori misurato alla protuberanza sopra il 4° molare. . . 45 33 74 61 48 Idem al margine anteriore del 1° Ei 44 49 38 81 49 Idem al margine posteriore dei canini 56 26 47 (ari 55 Diam. trasv. mass. dell’apertura nasale 30 13 34 30 43 L'esame di questo specchietto lascia scorgere immediatamente: 1° il fatto che 3 la variabilità dei diametri trasversali si trova essere minore nella zona corrispondente | aifori sopraciliari; 2° che la variabilità dei diametri trasversali va crescendo a partire da questa zona tanto verso la parte posteriore, quanto verso la parte anteriore del capo; 3° che la variabilità è in complesso maggiore negli adulti che non nei giovani | e nei giovanissimi individui. Nei $ adulti è pure da notarsi la grande variabilità dei diametri trasversali del capo nelle regioni zigomatica ed orbitale, la qual cosa è forse in rapporto collo svi- sa delle corna. 180 LORENZO CAMERANO 29 Il confronto della variabilità dei diametri trasversali delle varie regioni della faccia, nelle diverse serie, conduce a conclusioni analoghe a quelle già fatte pei dia- metri longitudinali della stessa regione del capo. Per quanto riguarda l’altezza del capo nelle sue diverse regioni io non ho potuto per lo stato, già precedentemente indicato, del materiale a mia disposizione, fare che le misure seguenti: Indice di variabilità. Giovanissimi giovani è semiad. $ adulti 9 Altezza del capo misurata al punto più alto: delcnasaltitet asd 36 d4 32 76 54 Idem all’apice anteriore della sutura lon- gitudinale det nasali. . . . . . 39 Pia A) 55 28 Anche qui si nota il crescere della variabilità dagli individui giovanissimi ai è adulti, mentre le 9 si comportano come i $ giovani. Mandibola. - Indice di variabilità. Giovanissimi giovani è semiad. 3 adulti 9 Lungh. del condilo alla base del 1° incisivo 137 80 196 121962015 Distanza dal 1° molare al 1° incisivo. . 56 56 160 71 62 Idem del foro mentoniero dal 1° molare 24 33 49 46 47 Jdem dal “I° *ncisivo ee eee: 16 32 59 41 78 Notevolissima appare la variabilità della mandibola nella sua lunghezza. Oltre alla variabilità propria agiscono sulla lunghezza della mandibola le variabilità delle due zone del capo, la cranica e la facciale. Indice di variabilità. Giovanissimi è giovani è semiadulti è adulti Q Altezza della mandibola 60 59 73 89 53 La variabilità va crescendo dai giovani agli adulti. Le femmine si comportano come i maschi giovani. Per la variabilità delle singole ossa del capo si vedano le descrizioni che ad esse si riferiscono nel seguito di questo lavoro e le tabelle generali dei dati quantitativi. In queste tabelle sono registrati gli indici di variazione e di frequenza. Debbo tuttavia osservare che per la determinazione di questi indici, che servono ad indicare il facies della variazione particolare alle Renne delle Spitzberghe sarebbe necessario esami- nare un maggior numero di individui delle varie serie. Chi possegga altri cranii della forma in discorso, seguendo il metodo generale di misura e di calcolo potrà comple- tare le serie delle varianti e rendere così il valore degli indici sopradetti più dimo- strativo. Negli specchietti seguenti C indica il numero delle classi di varianti, A l'indice di variabilità, « l'indice di variazione, Ce le classi estreme delle serie, M la classe media delle serie, F M l’indice di fre- quenza delle varianti superiori alla media. 50 i 000c°0 0 000°0 | 0S‘F61 | 3IZ-22I | 2991°0 | 989 ; ; È * Iestu 19p 0qqe nid ogund qe equInsiur o1uvIO [op ezzogIy ‘84 0006'0 0 0006°0 ZLI 98I-8SI | 690z‘0 | 67/9 * QIR[[oosturtagui [op o1ortague optde [e OutUtO ]op ostq eImep = "17 FIL: c‘0 0 98ZF‘0 221 e6I-ISI | 82910 | EF | LZ : 3 . : s * OUIULO [Op 0stq te c1U[owx .,] [ep tzuegsi(g ‘9% =. 5 =. — Sa gi a TEowr tep 0pedno90 asortodns 21\[[aostur [op orzeds o[[ap tzzogSun ‘6g ooggo | o |oogzio | ostse | 6eze | 00080 | 8 | 7 PA 3 ; AS AI 00240 0 00S3°0 3eI ILI-€8I | 9Z0L1°00 | 6£ | # s È : * BAISTOUI BInpiode [[ap Q10188tw a|euIpauziSUO] 0IZAUICI(] ‘88 5 AE a 100920 A 08I- SEE RI "008008 TE e AR IOO SE LISA LI PISO PAGS Sp O E egee‘) 0 L999‘0 695 08-89 | eIzi'o | SE | 9 * Tontodus We[poostwr Tap tuigefed aqeurpnzi suo] tanzns E[op Di “13 Li 1999‘0 0 eeee‘0 IT 08I1-99I | 0003°0 | SI | 8 ; È ; $ DUReroA Top ojeutpnpisuo] vanzns e[op tzzoqsun ‘0g N EFILIO | 0 |L9830| 0S00IE | 866-881 | 20100 | 95/9 merda * © Huxuto JO 9atq Ulje oquInstu WapI ‘GI 6 eee8‘0 0 29910 | 08°08% | 08-69 POET'O 55 |9 o î * oIorredus QIB[OUL o] [PP QI101T9FUB QUISIEW è OgUINSIUL Wp] ‘8I x 199T°0 | 2991°0 L999'0 CIF LEF-E6£ E881°0 | 9 agoriodns aIe[our jp pe tidos 98 ego ezutIoqu9go1d egfe ogeansia wp] LI E 00ez°0 0 00% 30 FLY 687-657 | 066I0 | IS | È cata * tt ®© Iegermed ozzoq os oqvansiw wap] ‘9T D — — 687-08F — — | g ATPIPVWOSIZ'AFUOT? 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PIC 39 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 191 VE Descrizione delle singole ossa. Parietale. Nei cranii delle Renne delle Spitzberghe il margine inferiore del parietale è gene- ralmente conservato e può essere studiato nei suoi rapporti coi frontali. Nitsche (1) dice: “ Ein ganz auffiliger Unterschied zwischen den Spitzbergen- “ renen und den Vergleichsschideln besteht aber in der Gestalt des Scheitelbeines “und auf diesen ist weder von Andersén noch von Lilljeborg hingewiesen worden. “ Wie man leicht aus dem Vergleiche von Fig. 5 mit Fig. 3 ersieht, ist nàimlich der “ Zwickel des Scheitelbeines rs, der sich von hinten her zwischen die beiden Stirn- “ beine resp. die Stirnzafen vorschiebt, viel schmiiler bei den Spizbergenrenen als bei “ den Vergleichsschideln, und wéahrend bei den Vergleichsschideln das Vorderende “ des Scheitelbeines fast quer abgeschnitten ist, bildet es bei den Spitzbergenrene, “ eine vorspringende Spitze in der Mitte. Doch niéhert sich der russische Schàdel E “ etwas mehr den Verhiltnissen der Spitzbergenrene, als die beiden Lapplandschàdel... “ Einen durchgreifenden Wert kann ich aber diesem Merkmale darum nicht beimessen, “ da diese Bildung mit der Stàrke des Geweihes zusammenzuhingen scheint ,. Nelle serie di cranii delle Spitzberghe il margine inferiore del parietale si pre- senta nel modo seguente: Serie 1%. Individui giovanissimi. — Il margine inferiore del parietale è più o meno arrotondato con una prominenza grossolanamente triangolare mediana che viene a far capo alla sutura longitudinale mediana dei frontali. Si nota la tendenza a for- marsi un prolungamento, largo (r, s nelle figure unite a questo lavoro ed r, s nelle figure date dal Nitsche) (2) che si insinua fra i frontali. Misurando (misura approssimativa) 7, s ed a, 5, cioè l'altezza del prolungamento mediano triangolare, si hanno i dati quantitativi seguenti (3): r, s= 161-166-171-(193,50)-206-224-226 a, b= 32-35-(41,50)-45-48-51. Serie 22. Maschi giovani. — Un solo cranio concedeva lo studio di questo carat- tere. In esso si nota un maggior sviluppo verso i frontali del prolungamento mediano del parietale, e quindi si ha una minor larghezza di r, s. ye. = 168 a; ib== 72 (1) Opera citata, pag. 125. (2) Opera citata, pag. 122, fig. 3 e pag. 123, fig. 5. (3) Salvo avvertenze speciali i valori sono in 360-esimi somatici e quindi, senz'altro, comparabili fra loro. 192 LORENZO CAMERANO 94 Serie 3%, Maschi semiadulti. — Il prolungamento mediano del margine inferiore del parietale è meglio individualizzato e tende a prendere forma quadrangolare: il prolungamento triangoliforme mediano è spesso assai spiccato. I margini sono sinuosi e le dentellature più spiccate che negli individui giovanissimi. r, s= 122-128-144-(147)-149-161-166-172 a, b = 17-27-(37,50)-43-48-54-57-58. Serie 4%. Maschi adulti. — Non molto diversi dai precedenti. r,s= 81-(136)-141-149-161-164-185-191 a, b = 26,-32-41-43-(46,50)-54-67. Serie 5%. Femmine. — Si comportano presso a poco come i maschi semiadulti e come i maschi giovani. r,s = 144-158,-(159)-162-172-174 a, b =29-30-34-(38)-44,-47. Gli indici di variabilità sono i seguenti: r,8 Ser. 180A = 1/66 Ser Al Serg 2A_-olut Ser,.b* A= 31 a, b x N 20 b 4 42 j n 42 n, DE 19. In uno dei due cranii di Renne di Siberia da me esaminati (n. 4918), adulto e con corna ben sviluppate, il prolungamento mediano del margine inferiore del parie- tale è quadrangolare r, s ed è eguale approssimativamente a 77: manca il prolunga- mento a, db. Nell’altro cranio (n. 4919) il prolungamento in questione è a margini arro- tondati con r,s= 155: manca pure il prolungamento mediano a, b. Nel cranio di Renna di Groenlandia con corna molto grandi il prolungamento mediano del margine inferiore del parietale è quadrangolare, r,s = 146, a, 0 = 39. Nei cranii di Renne di Norvegia, in uno con corna grandi r,s= 145 e a,6=34, nell'altro con corna piccole r,s=176 e a,6= 42. Nel cranio di Renna 3 molto vecchio con grandi corna, morto a Copenaghen in principio del secolo scorso e pro- babilmente proveniente dalle Spitzberghe, r,s = 125 e a,b = 85. Frontale. Il margine superiore è già stato indicato parlando del parietale, poichè la sua configurazione è in rapporto con quella del margine inferiore del parietale sopra descritto. La sutura mediana longitudinale dei due frontali è nei cranii da me esaminati sempre ben evidente. La lunghezza di questa sutura dall’apice inferiore del prolun- gamento mediano triangolare del parietale all’apice posteriore della sutura dei nasali varia nel modo seguente: (A) Serie 12 - Individui giovanissimi: 455-457-472-484-(492,50)-494-495-580. s 933 - $ semiadulti (1): 510,-516-535-(543)-554-565-576. » 4 - è adulti: 507-514-516-522-(526,50)-529,-542-546 » 5% - 9: 491-497-504-(524,50)-540-546-558. (1) Della serie 2° maschi giovani ho un valore solo: 540. PRE ario n ani 985 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 193 Confrontando i valori medii delle serie sopradette, coi valori medii delle serie della lunghezza del prolungamento mediano del margine inferiore del parietale e coi valori medii della lunghezza della sutura mediana longitudinale dei nasali si scorge che la lunghezza del frontale va crescendo dagli individui giovanissimi ai maschi semiadulti. Da questi ai maschi adulti il valore diminuisce, mentre crescono i valori del prolungamento del parietale sopradetto e la lunghezza della sutura mediana dei nasali. Nelle femmine la lunghezza dei frontali si avvicina a quella dei maschi giovani. Le modalità di sviluppo del frontale, per quanto riguardano la sua lunghezza e la sua larghezza, sono molto probabilmente in rapporto collo sviluppo delle corna, in guisa che negli individui $ adulti il frontale finisce per essere proporzionatamente un po’ più largo che lungo, paragonato con quello degli individui 9 e coi $ giovani e semiadulti. Il frontale è più o meno convesso nella sua metà superiore, al disopra cioè a un dipresso della linea trasversale che unisce i fori sopraciliari, ed è notevolmente in- cavato nella sua metà inferiore: esso torna a rialzarsi a livello dell’angolo posteriore delle fosse lacrimali, tendendo verso il margine posteriore dei nasali. La forma del profilo del frontale lungo la sua linea mediana concorre in modo speciale cogli altri caratteri del capo a determinare il facîes dell'animale; ho creduto utile perciò di stu- diare questo carattere più minutamente. Con un po’ di terra da modellare si prende esattamente l'impronta delle curva- ture del frontale, lungo la sua linea mediana dall’apice posteriore della sutura all’apice inferiore della stessa: poscia si disegna sulla carta la curva dal modello così otte- nuto. I profili si misurano in seguito come indica la figura unita a questo lavoro. La depressione massima dei frontali lungo la sutura mediana è espressa dai valori seguenti: (B) Serie 12 - Individui giovanissimi: 23-29-32-35,-38-41 » 8° - è semiadulti: 42-48-51,-(51,50)-54-55-61 » 4 - $ adulti: 47-48-51,-(52,50)-53-54-58, n» 58 - 9: 41-42,-46-(48)-51-52-55. Il margine inferiore dei frontali nel suo rapporto coi margini posteriori dei nasali deve anche essere esaminato minutamente. I due frontali si addentrano con una punta più o meno spiccata fra i due nasali per modo da costituire una sorta di espansione grossolanamente triangolare che si incastra nella divaricazione a V del margine poste- riore dei nasali stessi. La lunghezza massima di questo prolungamento dei frontali dà i valori seguenti: (C) Serie 1* - Individui giovanissimi: 42-45-(45,50)-49 s 28 - © giovani: 46-48-63-(73,50)-98-101 » 8° - è semiadulti: 21-42-53-54-59-61-(62)-63-64-73-75-103 » 4 - è adulti: 23-42-43-49-53-55-(70,50)-101-103-116-118 » 58 - 2: 63-72-(74,50)-76,-78,-86. Gli indici di variabilità sono: Serie 1° A=8 Ser. 3° A = 56 Ser. 4% A = 96 Ser. 53° = 24. Serie II. Tom. LI. Z 194 LORENZO CAMERANO 36 Se si confrontano questi indici con quelli del prolungamento mediano del parie- tale si nota che la variabilità procede a un dipresso collo stesso andamento. La porzione laterale dei frontali che concorre alla formazione della cavità orbi- taria appare notevolmente sviluppata e sporgente. Misurando la distanza che corre fra la metà del foro sopraciliare e il margine dell’orbita si hanno i dati seguenti: (D) Serie 1° - Individui giovanissimi: 50-(60,50)-62-64,-66-69-71 » 2° - È giovani: 92-95-(100)-104,-108 » 8° - $ semiadulti: 93-100-104-105-(105,50)-107,-114-115-116-118, » 4 - $ adulti: 87-94-95-101-102,-(109)-114-118-131 5a - Q: 75-78-80-(84,50)-87-93,-94,. Gli indici di variabilità sono rispettivamente: Ser. IX: A:=22;. Ser:2% A=17° Ser..8* A=26 Ser 48445 fSer br Ai==20 Come si vede si è nei maschi che questo carattere assume il suo maggior svi- luppo. I margini delle orbite appaiono notevolmente sporgenti rispetto alla porzione mediana del frontale. Collocando un regolo trasversalmente sul margine superiore delle orbite nel punto loro più alto si può misurare la distanza della metà della retta così determinata dal frontale. Si ottengono i dati seguenti: (E) Serie 12 - Individui giovanissimi. — Per la convessità grande dei frontali, ante- riormente, e pel poco sviluppo dei margini orbitali, ne risulta, proce- dendo col metodo sopra proposto, che i margini orbitali superiori sono più bassi della parte mediana del frontale 9a - & giovani: 58-63-66-(69)-72-73-80 » 33 - è semiadulti: 59,-62-64-66-73-77-79-(80,50)-81-102 » 4° - è adulti: 62-63-64-70-73,-(76)-79-90 n 08 - 9: 44-55-60-70-73-74-75-76. Gli indici di variabilità sono: Ser. 22 A= 23 Ser. 3° A = 44 Ser. 48 A = 29 Ser. 5* A = 33. Il solco sopraorbitale nel quale stanno i fori sopraciliari è profondo e talvolta è limitato verso la parte interna da una piccola cresta ossea longitudinale. Esso è ben spiccato lungo tutta la cavità orbitale e nella maggior parte dei casi si continua in una sorta di doccia che va fino alla lacuna etmoidale. Il margine osseo che dalla parte posteriore dell’orbita sale alla base della pro- tuberanza frontale è di forma e sviluppo variabili. Nelle Renne delle Spitzberghe si determina tuttavia sempre un angolo ben spiccato fra il margine superiore della cavità orbitale e la parte laterale del frontale. Perciò il frontale nella sua porzione che va dalla base delle corna fino alle cavità orbitarie appare di forma schiettamente rettangolare. Volendo esprimere quantitativamente i caratteri sopradetti si può misurare: 1° la a SR “oo: d Ù do 37 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 195 lunghezza del margine osseo della cavità orbitaria fino al punto in cui esso si piega in alto verso la protuberanza del frontale. Questa misura servirà pure a dare idea della sporgenza laterale della cavità orbitaria sul frontale; 2° la larghezza massima del frontale alla base delle protuberanze delle corna; 3° la larghezza del frontale al punto in cui il margine posteriore dell'orbita si ripiega ad angolo salendo alla pro- tuberanza delle corna del frontale stesso. Misura 1° - Lunghezza del margine della cavità orbitale, ecc. Serie 1? - Individui giovanissimi: 57-58-59-64-69-71 s 88 - $ semiadulti: 110-113,-118-122-124-138 s 4 - è adulti: 107-108-110-(115,50)-116,-124, s 58 - 9: 98-99,-104-(104,50)-107-108-109-111. Misura 2* - Larghezza massima del frontale alla base delle corna. Serie 12 - Individui giovanissimi: 424-(441,50)-442-450,-459 » 8° - è semiadulti: 381-397-401-413-416-(424,50)-436-468 s 4 - è adulti: 370-397-407-(408,50)-411-435-439-447 » 58 - 9: 360-(387)-389-399-401-402-414, Misura 3?. Larghezza massima del frontale all'angolo del margine ascendente dall’orbita, ecc. Serie 1? - Individui giovanissimi: 459-461-(474)-480-484-489 s 8° - è semiadulti: 407-411-413-430-454-(459)-505-510 s 4- è adulti: 413-424-428-434-(444,50)-456-476 n 58 - Q: 420-488-(447)-453,-458-459-474, Nei maschi semiadulti, nelle femmine e in qualche esemplare di è adulto delle serie studiate, due creste ossee arrotondate, più o meno spiccate, vanno dal margine posteriore dell’orbita alla protuberanza delle corna, delimitando un solco abbastanza profondo. Nei > più vecchi non vi è più traccia nè delle due creste, nè del solco; ma si trova una sola cresta, più o meno appiattita sul margine. Questa modificazione cambia notevolmente l’aspetto dei lati del frontale nei suoi rapporti coll’orbita, come si può vedere dalle figure unite a questo lavoro. In 2 cranii di Siberia la sutura mediana longitudinale dei frontali presenta le misure seguenti: 720-533 (1). La convessità del frontale, nell’esemplare normale, non è gran fatto diversa da quella dei è adulti delle Spitzberghe. La lunghezza massima del prolungamento anteriore mediano dei frontali entro ai nasali è: 48-62. La distanza fra la metà del foro sopraciliare e il margine dell’or- bita è: 98-106. L'altezza del margine superiore delle orbite rispetto alla parte più (1) È da notare che il cranio che presenta questo ultimo valore è anomalo nel frontale nel senso che presenta un corno accessorio nella sua metà destra, inserito presso la sutura mediana (confr. capi- tolo relativo alle corna). 196 LORENZO CAMERANO 38 bassa mediana del frontale è: 27-33. Il solco sopraorbitale nel quale stanno i fori sopraciliari è spiccato e profondo come nelle Renne delle Spitzberghe (ò adulti). Le tre misure relative al margine osseo che dalla parte posteriore dell’orbita sale alla base della protuberanza frontale, e relative allo sviluppo trasversale del frontale stesso nella sua porzione compresa fra le orbite e la base delle corna, dànno nelle Renne di Siberia i valori seguenti: Misura 1%: 144-58. In uno dei cranii il margine superiore dell’orbita è molto inspessito e si con- tinua a guisa di piano inclinato, senza brusca piegatura ad angolo, sin quasi alla base delle corna: ciò spiega l’elevato valore 144. Misura 28: 504-475 Misura 32: 523-555. In uno dei cranii il margine laterale del frontale che va dall’orbita alla base delle corna è arrotondato, senza solco longitudinale e questo margine non è appiattito a mo’ di cresta: nell’altro invece è appiattito spiccatamente come in varî è adulti delle Spitzberghe. Nel cranio di Renna di Groenlandia la misura A è: 632; la misura C è: 49; la misura D è: 112; la misura E è: 29. Il solco sopraorbitale è spiccato: ma meno profondo che non nelle Renne delle Spitzberghe. La misura 1? è: 107; la misura 2? è: 559; la misura 3 è 476. Il margine laterale del frontale che va dall’orbita alla base delle corna presenta un solco longitudinale come nei cranii delle Renne delle Spitzberghe. Nei cranii di Renne di Norvegia la misura A è: 555-531. Nel cranio avuto da Copenaghen la misura A è: 600. La misura © nei cranii di Renne di Norvegia è: 38-46; nel cranio di Copenaghen è: 55. Nei cranii di Norvegia la misura D è: 82-102. Nei cranii di Copenaghen è: 130. La misura E nelle Renne di Norvegia è: 30-42; nel cranio di Copenaghen è: 60. Il solco sopraorbitale è quasi nullo nei cranii di Renne di Norvegia: è invece assai profondo e lungo in quello di Copenaghen. La misura 1? nei cranii di Norvegia è: 60-55; nel cranio di Copenaghen è: 151. La misura 2? nei cranii di Norvegia è: 478-484; nel cranio di Copenaghen è: 480. La misura 3? nei cranii di Norvegia è: 542-554; nel cranio di Copenaghen è: 465. Nei cranii delle Renne di Norvegia il margine laterale del frontale che dall’or- bita sale alla base delle corna è fortemente appiattito a modo di cresta. Nel cranio di Copenaghen è arrotondato con traccia di solco longitudinale come nelle Renne delle Spitzberghe. Nasali. Misurando la lunghezza dei nasali dall’apice posteriore della loro sutura longi- tudinale mediana all’apice anteriore della stessa, nelle Renne delle Spitzberghe si hanno i dati seguenti: 39 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 197 (A) Serie 12 - Individui giovanissimi: 167-169-177-(194)-199-203-221 » 2? - è giovani: 246-286-(300)-313-315-354 3% - è semiadulti: 262-285-288-(316)-322-323-334-337-344,-354-370 » 4 - $ adulti: 302-322-350-(353,50)-360,-365-372-373-401-405 , 5a - O: 207-252-261-275-(279)-284-288-351. Appare ben evidente il progressivo svilupparsi in lunghezza dei nasali dai gio- vani agli adulti e in misura maggiore nei 5 che non nelle 9, le quali si avvicinano per questo carattere ai 3 giovani. Il diametro minimo trasversale dei due nasali uniti dà i valori seguenti: (B) Serie 1? - Individui giovanissimi: 63-64-(72)-76-77-78-79-81 » 2? - è giovani: 78-(87,50)-89-92-95-97 » 88 - è semiadulti: 77,-86-87-89,-(89,50)-95-96-97-102, » 4° - è adulti: 90-104,-(106)-107,-108-111-115-118-122 n 53 - 9: 73-75-78,-82-(83)-86-87-93. Si vede che l'andamento dello sviluppo di questo carattere nelle serie è analogo a quello del carattere precedente. I nasali presentano la loro maggior larghezza a livello dell’angolo anteriore della lacuna etmoidale. Nelle Renne delle Spitzberghe si hanno i valori seguenti: (C) Serie 12 - Individui giovanissimi: 139-157-(168,50)-171-173-193-198. , 2 - è giovani: 217-222-(286,50)-245-252-256 s 38 - è semiadulti: 168-195-211-(213)-226,-227-230-231-238-252-258 » 4 - è adulti: 206-(232,50)-235-236-240,-242,-249,-258 » 58 - 9: 172-180-(204)-207-210-216-221-229-236. Diametro trasversale dei nasali, uniti, al loro apice anteriore. (D) Serie 12 - Individui giovanissimi: 76-77-(87,50)-92-97-99 » 2? - è giovani: 115-116-122-(135)-155 » 38 - è semiad.: 108-118-118-122-125-126-127-128-129-(132)-140-156 » 4 - è adulti: 134,-135-142-145-148-(151,50)-152-153-169 n 58 - 9: 98-(118)-114-115-116-118-128. Del margine posteriore dei nasali nel suo rapporto col frontale già venne detto a proposito del frontale stesso. È utile tener conto della distanza fra gli apici anteriori laterali dei nasali e l'apice inferiore della sutura mediana dei nasali. Questa distanza è determinata da due parallele condotte per l’apice dei nasali e per l’apice della sutura stessa. L'essere l'apice anteriore della sutura mediana più o meno vicina all'apice dei nasali dipende dallo sviluppo dei prolungamenti mediani dei nasali. La misura presa nel modo ora detto serve anche ad indicare il protendersi maggiore o minore dei prolungamenti sopradetti. 198 LORENZO CAMERANO 40 (E) Serie 1° - Individui giovanissimi: 28,-32-33-(33,50)-38-39 » 2? - è giovani: 0(1)-23-(283,50)-32-46-47 3% - è semiadulti: 35-39-41-43-51-52-58-60-(60,50)-86 s 4 - è adulti: 34-48-52-59-60-62-63-(66)-98 »s 53 - 9: 39-40-41-48-(57,50)-59-76. I margini laterali esterni dei nasali hanno una forma assai variabile: ma quasi sempre è assai spiccata la divergenza loro verso l'esterno, la quale incomincia in generale poco al disopra del livello al quale si trova l’apice anteriore della sutura mediana longitudinale. La divergenza del margine esterno dei nasali è seguìta nello stesso senso dalla divergenza del margine interno (sebbene in grado minore) di quel tratto dei nasali che si prolunga anteriormente al di là dell’apice anteriore della sutura mediana stessa. Perciò nelle Renne delle Spitzberghe i nasali appaiono spiccatamente diver- genti nella maggior parte dei casi nelle loro estremità anteriori. Ciò è anche espresso dalle misure sopra riferite del diametro trasversale minimo e del diametro trasver- sale misurato all’apice anteriore dei nasali. Diametro trasversale minimo Diametro trasversale all'apice anteriore Serie 1? - Giovanissimi . .M= 72 Me E 3 ‘23% Maschi ‘giovani: ©, = 875005000 195 n | 00 °--Maschii semiaduiti: 9o= 89, 50M e 192 n, A3:- Maschi adulti. =:106 astri * "Ba = Femmine (isa ==W83 ISLES Pali LI] VISI, Il margine anteriore di ciascun nasale molto raramente è intaccato per modo da determinare un prolungamento che continua la sutura mediana longitudinale dei nasali stessi. Quando questo prolungamento esiste esso è relativamente molto piccolo e corto. Le figure unite a questo lavoro dànno un’idea del variare dei margini laterali esterni dei nasali nei loro rapporti coi mascellari superiori e colle ossa sopramascel- lari accessorie di Vrolik. Nei cranii di Renne di Siberia la lunghezza dei nasali ecc. è: 426-542. Il dia- metro trasversale minimo ecc. è: 129-149. Il diametro trasversale maggiore all'angolo anteriore della lacuna etmoidale è: 264-275. Il diametro trasversale ai loro apici anteriori è: 142-168. La distanza fra gli apici anteriori dei nasali e l’apice inferiore della sutura mediana dei nasali stessi in uno dei cranii è ==0, vale a dire l’apice anteriore della sutura è a livello degli apici anteriori laterali; nell’altro cranio l’apice della sutura oltrepassa i secondi di 14. La divergenza verso l’esterno dei margini laterali dei nasali è minima, tanto che essi appaiono nella loro porzione anteriore essere a margini quasi paralleli fra loro. L’intaccatura del margine anteriore del nasale è profonda e il prolungamento (1) L'apice anteriore della sutura mediana dei nasali è a livello degli apici anteriori dei nasali. È i | 41 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 199 che sta lungo la sutura mediana assai lungo, tanto da oltrepassare in uno dei cranii l’apice dei prolungamenti esterni del margine anteriore dei nasali stessi. Nella Renna di Groenlandia la misura A è 835: la misura B è 136: la misura C è 243, la misura D è 132: la misura E è 53. I margini laterali dei nasali sono quasi diritti e i nasali non divergono allo esterno nelle loro estremità anteriori come nelle Renne delle Spitzberghe. I nasali presentano inoltre, come nelle Renne di Siberia, uno spiccato rialzo longitudinale (confr. capitolo del mascellare superiore). L’intaccatura del margine anteriore dei nasali è appena indicata, come si osserva nella massima parte dei cranii di Renne delle Spitzberghe. Nei cranii di Renne di Norvegia la misura A è: 386-407; in quello avuto da Copenaghen è: 365. La misura B è nei cranii di Norvegia: 137-152; in quello di Copenaghen: 125. La misura © nei cranii di Norvegia è: 266-268; in quello di Copenaghen: 285. La misura D nei cranii di Norvegia è: 120-157; in quello di Copenaghen è: 160. La misura E nei cranii di Norvegia è: 13-28; in quello di Copenaghen è: 120. Nei cranii di Norvegia la forma dei margini laterali dei nasali è come nei cranii di Renne di Siberia e la divergenza verso l’esterno delle estremità anteriori dei nasali x N stessi è nulla. Simile è pure la forma dei nasali nella loro faccia superiore ed il loro rialzo longitudinale è pure ben spiccato. Nel cranio avuto da Copenaghen i margini laterali, la divergenza delle estremità anteriori e la forma della faccia superiore dei nasali sono simili intieramente a quelli dei maschi adulti delle Renne delle Spitzberghe. Ossa sopramascellari accessorie. Molto variabili nei cranii delle Renne delle Spitzberghe sono la forma, lo svi- luppo e i rapporti delle ossa sopramascellari accessorie, o di Vrolik, coll’ estremità anteriore dei nasali, coi mascellari superiori e colle ossa intermascellari. Nello stesso cranio le ossa sopramascellari accessorie sono frequentemente e fortemente asimmetriche. La loro lunghezza massima fornisce i dati seguenti: Serie 1° - Individui giovanissimi: a destra: 59-(68)-71,-77 a sinistra: 64-66-77-(80)-96 » 28 - Maschi giovani: a destra: 73-(84)-90-95 a sinistra: 90-94-(98)-106 » 38 - Maschi semiadulti: a destra: 72-73-81-87-98-101-(103)-110-134 a sinistra: 38-(74)-76-78-81-83-86-93,-95-110 200 LORENZO CAMERANO 42 Serie 4% - Maschi adulti: a destra: 62-73-81-85-(89)-91-93-107-114-116 a sinistra: 51-76-79-81-(81,50)-86-90-101-118-112 s 5 - Femmine: a destra: 59-64-78-(96,50)-103-109-134 a a sinistra: 64-66-68-83-(106,50)-149. Larghezza massima. Serie 1* - Individui giovanissimi : a destra: 13-19-(19,50)-21-26 a sinistra: 13-(17)-19-20-21 s 28 - Maschi giovani: a destra: 21-26-(28,50)-36 a sinistra: 26,-(28)-30 s 38 - Maschi semiadulti: a destra: 21-26,-27-30-(31)-33-36-37-41 a sinistra: 11-17-21-26-(29,50)-30-31-32-39-48 s 4 - Maschi adulti: a destra: 17-213-(28,50)-27-32,-34 a sinistra: 16-21,-22-23-27-28-(29)-32-42 so 58 - Femmine: a destra: 24-26-29,-33-(33,50)-43 a sinistra: 17-20-22-(25,50)-26-34. Indice di variabilità A. Lunghezza massima Larghezza massima a destra a sinistra a destra a sinistra 1 Serie - Individui giovanissimi 19 33 14 9 2°, - Maschi giovani. . . 283 IU, 6 5 33, - Maschi semiadulti. . 63 73 2a 38 43, = Maschi adula . 455 62 18 27 5*.., ed Hemnunet. 0. RD 86 20 18. Pure assai variabile è la posizione delle ossa sopramascellari accessorie rispetto ai prolungamenti anteriori dei nasali. Ora esse sono collocate lungo i margini laterali esterni dei prolungamenti anteriori dei nasali: ora sono a contatto con questi solo per la loro porzione posteriore, come si può vedere dalle figure unite a questo lavoro: ora sì trovano collocate in posizione intermedia fra le due estreme ora menzionate, con frequenti asimmetrie dalle due parti nello stesso cranio. 43 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 201 Conducendo due linee parallele fra loro per l’apice anteriore della sutura mediana dei nasali e per l’apice posteriore delle ossa sopramascellari accessorie si possono avere i dati seguenti. I valori preceduti dal segno — indicano la distanza dell’apice posteriore dell’osso sopramascellare accessorio dall’apice anteriore della sutura mediana dei nasali nei casi in cui il primo è collocato più in basso del secondo: i valori preceduti dal x segno + indicano la stessa distanza nei casi in cui il primo è collocato più in alto del secondo: lo 0 indica che i due apici sono collocati allo stesso livello. Serie 18 - Individui giovanissimi: a destra: 0(— 7) — 19 — 20 a sinistra: 0(— 7) — 19 — 20 ro 2% - Maschi giovani: a destra: 0, — 16 a sinistra: 0, — 16 s 98 - Maschi semiadulti: a destra: 0, — 36 a sinistra: 06 — 16 — 36 »s 4 - Maschi adulti: a destra: 0 + 11-17 4 21-+ (22,50) + 26 — 11--21(— 22) — 33 a sinistra: 0, + 11 + 21 +- (22,50) + 26 +4 34 — 21 —-26(— 80) — 49 » 58 - Femmine: a destra: 0, 11 — 12(— 27,50) — 29 — 33 — 55 a sinistra: 0, — 11 — 12(— 27,50) — 29 — 33 — 55. Come si vede dai dati precedenti, le ossa sopramascellari accessorie sono molto frequentemente asimmetriche nello stesso individuo sia nella loro lunghezza che nella loro larghezza. È utile calcolare l’indice di asimmetria secondo il procedimento da me proposto (1). Giovanissimi È giovani È semiadulti È adulti O) Lunghezza mass. as=1,0000 as=0,6667 as=0,7667 as=0,8889 as=0,6667 Larghezza mass. as=0,3333 as=0,6667 as—=0,7667 as=0,6667 as=1,0000 Più frequente è l’asimmetria nella lunghezza che non nella larghezza. Nei cranii delle Renne di Siberia: in uno, a destra, lunghezza 259, a sinistra 240 e larghezza a destra 67 e a sinistra 77; nell’altro: lunghezza a destra 129, a sinistra 124, larghezza a destra 40 e a sinistra 36. (1) Lo studio quantitativo degli organismi e gli indici di mancanza, di correlazione e di asimmetria (‘ Atti R. Accad. delle Scienze di Torino ,, volume XXXVI, 1901). Str TO LI a 202 LORENZO CAMERANO 44 La distanza dell’apice posteriore delle ossa sopra mascellari accessorie dall’apice anteriore della sutura mediana dei nasali è: a destra: + 129 + 187 a sinistra: + 129 + 187. Nei due cranii gli apici posteriori delle ossa sopramascellari accessorie sono sim- metricamente collocati fra loro. Nel cranio di Renna di Groenlandia a destra si ha: Lunghezza massima 136 e largh. mass. 49; a sinistra lungh. mass. 151 e largh. mass. 49. La distanza dell’apice posteriore delle ossa sopra mascellari accessorie dall’ apice anteriore della sutura mediana dei nasali è: a destra: + 39 a sinistra: + 73. Nei cranii di Renne di Norvegia la lunghezza massima presenta: a destra: 116-129 a sinistra: 116-129 la larghezza: a destra: 43-32 a sinistra: 43-37. Nel cranio avuto da Copenaghen la lunghezza è: a destra: 60 a sinistra: 90 la larghezza è: a destra: 25 a sinistra: 30. La distanza dell’apice posteriore delle ossa sopramascellari accessorie dall’apice anteriore della sutura mediana dei nasali nei cranii di Norvegia è: a destra: + 74 + 88 a sinistra: + 74 + 88. Nel cranio avuto da Copenaghen è: a destra: — 60 a sinistra: — 40. Zigomatico. Nelle Renne delle Spitzberghe il zigomatico presenta nel suo margine a contatto col lacrimale le dimensioni seguenti, misurate dal suo apice anteriore all'apice supe- riore che fa parte dell’orbita. (A) Serie 1? - Individui giovanissimi : 116-120-129-131-(136)-157 » 2? - è giovani: 174-(181)-183-185-189-198 s 83 - è semiadulti: 172-174-175-183,-185-(188)-190-192-199-204 »s 4°- è adulti: 183-191-195-197-199-206,-214-(214-50)-226-246 » 58 - 9: 153-162-186-172,-(180)-183-207. La lunghezza del zigomatico, misurata dall’apice anteriore del margine a contatto col lacrimale all’apice del prolungamento posteriore che si unisce all’apofisi zigoma- tica del temporale, fornisce nelle Renne delle Spitzberghe i dati seguenti: 45 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 203 (B) Serie 1 - Individui giovanissimi: 426-(432)-437-438 » 23 - è giovani: 450-(481)-494-499-512 » 3° - è semiadulti: 473-476-469-503-505-506-516-(521,50)-569-570 » 4 - è adulti: 468-485-502-503-(507)-508-516-537-540-546 »s 58 - 2: 435-449-459-(469,50)-470-476,-494-504. N Larghezza del zigomatico, misurata all'origine del prolungamento posteriore che si unisce all’apofisi zigomatico del temporale. | (C) Serie 1? - Individui giovanissimi: 85-90-92-(94)-103 +» 2? - $ giovani: 120-122-(125,50)-126-131 » 8° - è semiadulti: 97-113,-116,-122-(123,50)-126-143-150 » 4° - $ adulti: 103-118-(126,50)-132,-135,-137-150, s 52 - 2: 109-110-115,-116-120-(121,50)-122-134.- Nei cranii delle Renne di Siberia la lunghezza (A) è: 191-240; la lunghezza (B) è: 417-552; la larghezza (C) è: 107-120. 4% Nel cranio di Renna di Groenlandia la misura A è: 228; la lunghezza B è: 573; ì la larghezza C è: 141. / Nei cranii di Renne di Norvegia la misura A è: 199-227; in quello avuto da * Ò Copenaghen è: 250. La misura B nei cranii di Norvegia è: 461-480; in quello di 4 Copenaghen è: 465. La misura C nei cranii di Norvegia è: 90-116; in quello di i Copenaghen è: 135. th) Lacrimale. i Diametro longitudinale massimo nelle Renne delle Spitzberghe. (A) Serie 12 - Individui giovanissimi: 107-138-(139)-141-151-163-171 3 » 2? - è giovani: 234-238-240-246-(246,50)-259 » 988 - é semiadulti: 211-231-232-(2383,50)-236,-243-246-247,-252-256 » 4° - è adulti: 235,-236-238-247-252-253-254-259 » 58 - 9: 186-212-221-(224)-230-244-246-247-262. i Diametro trasversale massimo. (B) Serie 12 - Individui giovanissimi: 75-(85,50)-88-90,-95-96 » 23 - è giovani: 109-110-111-(115,50)-120-122 » 88 - é semiadulti: 94-97-98-102-103-104-106-109-113-114-122 » 4 - è adulti: 94-104-106-108-113,-116-118 » 5% - 9: 82-94-(94,50)-96-97-98-99-104-107. Profondità massima della fossa lacrimale misurata rispetto al margine laterale Li interno del lacrimale: ; (C) Serie 18 - Individui giovanissimi: 20,-21-26-32, » 2° - è giovani: 18,-26-(30)-42 » 8% - è semiadulti: 11-21,-23-(24)-27-28-30-35-37 s 48 - & adulti: 15-16,-21,-(21,50)-23-27,-28 n 53 - 9: 21-23-24-(25)-27:-28-29. 204 LORENZO CAMERANO 46 Come si vede, il lacrimale varia assai col crescere dell'animale e si può dire senza andamento costante. Gli indici di variabilità per le tre misure precedenti sono: Diametro mass. longitud. Diametro mass. drasvoale Profondità della fossa lacrimale Serie 13 A = 65 ; È 22 È 1 x ì 13 za 26 14 25 pi LR 46 29 27 gia 25 29 14 GE 77 26 9 Nelle Renne della Siberia il diametro longitudinale massimo è: 336-244. Il dia- metro trasversale massimo è 158-102. La profondità della fossa lacrimale è 58-27. Nel cranio di Renna di Groenlandia la misura A è 272, la misura B è 141, e la misura C è 49. Nelle Renne di Norvegia la misura A è: 269-259, in quella avuta da Copenaghen è: 285. La misura B è nelle Renne di Norvegia: 94-97, in quella di Copenaghen: 140. Nelle Renne di Norvegia la misura C è: 30-28, in quella di Copenaghen è: 25. Lacuna etmoidale. Lunghezza massima nelle Renne delle Spitzberghe. Nella serie degli individui giovanissimi ho potuto prendere due sole misure: essendo questa parte del cranio in gènerale non ben conservata. Le misure sono: 92-148 M = 120 (A) Serie 2° - è giovani: 144-155-(168,50)-177-185-19300— , 38 - 4 semiadulti: 154-161-170-172,-175-(185)-188-192-198-211-216 , 4 - $ adulti: 164-167-175-180,-186-193-204-208 s 5a - Q: 148-155-164-167-(167,50)-169-172-186-192. Larghezza massima nelle Renne delle Spitzberghe. — Individui giovanissimi: due soli valori per le ragioni sopradette: 49-77-M = 63. (B) Serie 28 - è giovani: 63-69-(70,50)-73,-78 s 38 - è semiadulti: 64-70-72,-75-76-77-79-80-89-90 s 4 - è adulti: 68-73-74-77-(77,50)-79-81-82-86-87 s 58 - 9: 57-58-59-73-(73,50)-76,-78-90. Nelle Renne della Siberia la lunghezza massima è: 191-240. La larghezza mas- : sima è: 53-72. Nella Renna di Groenlandia la misura A è: 185; la misura B è: 87. Nelle Renne di Norvegia la misura A è: 159-166, in quella avuta da Copenaghen è: 205. La misura B è nei cranii di Renne di Norvegia: 55-56, in quello di Cope- naghen: 65. 47 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 205 Mascellare superiore. Diametro trasversale dei due mascellari superiori uniti misurato alla protube- ranza mascellare nelle Renne delle Spitzberghe. (A) Serie 12 - Individui giovanissimi: 393-398-399-402-415-437 , 28 - $ giovani: 480-460-(466)-470-475-482 » 8% - è semiad.: 437-466-467-473-(473,50)-476-480-483-488-489-491-510 » 4 - è adulti: 475-483-(505)-507,-516-518-524-535 » 53 - 9: 426-438-(449,50)-453-454-458-462-465-473. Diametro trasversale dei due mascellari superiori uniti misurato al margine posteriore dei canini. , 2% - $ giovani: 243-252-(255,50)-261-268 , 3% - è semiadulti: 247-258,-259-266-267-269-(270,50)-279-287-294 » 4 - è adulti: 251-259-269-270-272-287-(289,50)-290-304-311-328 n 5° - 9: 209-234-(236,50)-240-246-249-252-256-264. Diametro trasversale dei due mascellari superiori uniti misurato al margine ante- riore del primo molare. (C) Serie 12 - Individui giovanissimi: 259-(280,50)-282-289-295-298-302 » 2% - è giovani: 287-(310)-313-323-333 s 82 - è semiadulti: 306-308-312,-314-316-321-322-324-(324,50)-333-343 » 4 - è adulti: 319-323-333-338-339-349-(359)-360-371-372-399 » 58 - L: 261-273-284-(285)-298-299-300-306-309. Distanza dal margine posteriore del canino all'apice anteriore dell’intermascellare. (D) Serie 18 - Individui giovanissimi: 158-162-171-(172)-177-180-186 » 2? - è giovani: 226-2383-240 » 88 - è semiadulti: 226-231-235-236,-238-(241)-247-249-250-252-256 » 4 - È adulti: 209-227,-236,-(246,50)-247-253-257-259-284 » 58 - 9: 191-210-218-227-(280,50)-231-267-270. Distanza dal margine anteriore del 1° molare al margine posteriore del canino (E) Serie 12 - Individui giovanissimi: 151-162-171-(172)-177-183-187-193 » 2° - è giovani: 201-(228)-227-232-245 » 3% - è semiadulti: 209-220-222-232-(234,50)-235-236-240-242-250-252-260 » 4° - è adulti: 220-238,-245-247-248,-251-252-284 n 53 - 9: 214-218:-222-231-(234,50)-238,-255. 206 LORENZO CAMERANO 48 Lunghezza dello spazio occupato dai molari. Della 1% serie nessuno dei cranii da me esaminati delle Spitzberghe era nella parte posteriore della regione dentale in condizione da fornire una misura sicura. Della seconda serie due cranii soli con- cedevano una misura sicura di 487 in ambedue. (F) Serie 3* - $ semiadulti: 468-473-476-483-494-(498)-499-501-504-513-517-528 4° - è adulti: 423-447-459,-460-(470,50)-483-490-499-502-518 » 58 - 9: 444-481-(486)-511-528. Lo spazio occupato dai molari va facendosi proporzionatamente minore col cre- scere dell'animale. Distanza dall’apice anteriore dell’apofisi temporale del zigomatico al margine posteriore dell'ultimo molare. Per le ragioni dette a proposito del carattere prece- dente non ho dati pella 1® serie di cranii, un solo dato per la 28 che è 327, e due dati per la 5% che sono: 309-320. (G) Serie 3° - 3 semiadulti: 337-338-349-360-(377,50)-387-418, , 4° - $ adulti: 407-413,-422-430-439-(454,50)-470-490-502. Distanza dalla metà del margine posteriore del foro sottorbitario al margine dell'orbita nel punto determinato dalla sutura del lacrimale col zigomatico. (H) Serie 12 - Individui giovanissimi: 170-(226)-244,-247-277-282 , 2*- & giovani: 377,-(892,50)-427-408 »s 38 - È semiadulti: 391-392-396-399-402-407,-408-413-(425)-438-459 4% - 5 adulti: 392-402-411-418-422-434-446-453-(458)-483-524 5° - 9: 333-365-(371,50)-390-392-397-399-407-410. Lunghezza della sutura longitudinale palatina dei mascellari superiori. (L) Serie 18 - Individui giovanissimi: 268-272-275-281-(285)-291-302 s 2? - È giovani: 317-(333,50)-339-348-350 » 8? - è semiadulti: 324-334-338-349,-355-(360)-365,-366-396 s 4 - è adulti: 349-3553-365,-(379,50)-382-383-407-410 n 53 - 9: 298-303-328,-(332)-344-349-360-366. La forma dei margini dei mascellari superiori in contatto coi nasali già venne menzionata a proposito dei nasali stessi. Nelle Renne delle Spitzberghe il capo si presenta spiccatamente appiattito nella regione che corrisponde al terzo anteriore dei nasali e ciò per l’appiattimento dei nasali stessi e per lo sviluppo dei mascellari verso la parte superiore longitudinale del capo. Fra il margine estremo del nasale e l'apertura del foro sottorbitario il mascellare è come rigonfio longitudinalmente, la qual cosa dà a questa regione della faccia, unitamente alla forma dei nasali, un facies al tutto caratteristico e costante in tutti gli individui delle serie studiate, giovanis- simi, giovani, maschi e femmine. 49 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 207 Nelle Renne di Siberia la misura A è: 444-538; la misura B è: 298; la misura C è: 320-336; la misura E è: 262-302; la misura F è: 355-408; la misura G è: 377; la misura H è: 400-518; la lunghezza L è 364-437. Nelle due Renne di Siberia studiate la forma del capo è diversa; in uno i nasali si presentano appiattiti e i mascellari superiori hanno la porzione che è a contatto coi nasali spiccatamente inclinata, senza tuttavia essere rigonfi longitudinalmente come nei cranii delle Renne delle Spitzberghe: nell'altro i nasali presentano una specie di piegatura longitudinale spiccatissima che determina nettamente in ciascuno una faccia superiore ed una laterale: la superiore è piana e la laterale è fortemente inclinata in basso e si continua coi mascellari superiori, i quali non sono rigonfii longitudinalmente come nelle a a' Renne delle Spitzberghe. Le figure qui unite dànno un'idea schematica delle differenze sopra menzionate. Nella Renna di Groenlandia la misura A è: 496; la misura B è: 292; la misura C è: 306; la misura D è: 292; la misura E è: 282. Lo spazio occupato dai molari è a sinistra 447; a destra i molari sono anormalmente sette, lo spazio occu- pato dai molari a destra è perciò maggiore, cioè 495; Higa: il molare sopranumerario è probabilmente il 1°. La mi "i a o giuria. sura G è: 418; la misura H è: 471; la misura L è: 369. La forma dei margini dei mascellari superiori in contatto coi nasali è a un dipresso come nelle Renne di Siberia e così pure si dica per la forma del capo nella regione dei mascellari. A questo riguardo il capo della Renna di Groenlandia si scosta notevolmente da quello delle Renne delle Spitzberghe avvicinandosi a quello delle Renne di Siberia. La figura schematica 2 qui unita riferentesi al cranio di Siberia vale anche per quello di Groenlandia. Nei cranii di Renne di Norvegia la misura A è: 414-416; in quello di Renna avuto da Copenaghen è: 475. La misura B nei cranii di Renna di Norvegia è: 263; in quello di Copenaghen è: 310. La misura © nei cranii di Norvegia è: 236-300; in quello .di Copenaghen è: 300. La misura D nei cranii di Norvegia è: 259. La misura E negli stessi cranii è: 253-296. La misura F nei cranii di Norvegia è: 347-395; in quello di Copenaghen è: 440. La misura G nei cranii di Norvegia è: 346-393; in quello di Copenaghen è: 430. La misura H nei cranii di Norvegia è: 420-425; in quello di Copenaghen è: 490. La misura L nei cranii di Norvegia è: 351-423. Nei cranii delle Renne di Norvegia la forma del capo nella regione dei mascel- lari superiori e la forma dei margini dei mascellari stessi in rapporto coi nasali si presentano come nelle Renne di Siberia sopradescritte e particolarmente come la fig. 2 qui unita. Nel cranio di Renna proveniente da Copenaghen le cose vanno come nei $ adulti delle Renne delle Spitzberghe (fig. 1). 208 LORENZO CAMERANO 50 Ossa intermascellari ed apertura nasale. La forma dell’apertura nasale dipende superiormente dalla forma del margine anteriore dei nasali e lateralmente ed inferiormente dalla forma degli intermascellari. Sopra questi ultimi ha azione la forma di quella parte del mascellare superiore che porta il canino e che sostiene lateralmente per lungo tratto l’intermascellare stesso. Lo sviluppo dell’intermascellare, nella sua parte posteriore-superiore, dipende dallo sviluppo e dalla posizione dell’osso sopramascellare accessorio di Vrolik. Nelle Renne delle Spitzberghe la porzione ascendente dell’intermascellare che delimita l'apertura nasale è, nel suo terzo superiore, spiccatamente inclinata verso l'apertura nasale: a livello circa dell'inserzione del canino essa si fa convessa verso l'esterno e poco dopo si ripiega verso l'interno tendendo all’ apice suo anteriore. Questo modo di comportarsi dell’intermascellare dà al mascellare stesso un profilo particolare e all’ apertura nasale pure un fucies caratteristico, come si può vedere dalle figure unite a questo lavoro. Lunghezza dall’apice anteriore della sutura dei nasali all’apice anteriore degli intermascellari : (A) Serie 1° - Individui giovanissimi: 303-311-321-(331,50)-334-353-360 » 2° - è giovani: 366-(392)-397,-418 » 3° - è semiadulti: 407-413-421-4303-435-437-(441)-444-455-475 » 4 - è adulti: 391-423-424-433-439,-456-467-(468,50)-486-546 » 58 - 9: 367-(388,50)-392-402-404-407-410,. Diametro trasversale massimo dell’apertura nasale misurato sul margine supe- riore degli intermascellari : (B) Serie 12 - Individui giovanissimi: 158-167-169-170-(172,50)-180-187 , 2 - $ giovani: 188-185-188-(189)-195 » 38 - è semiadulti: 183-194-199-(199,50)-200-209-210-212-214-215-216 » 4 - è adulti: 208-211-212-215-219-220-222-(222,50)-237 » 52 - 9: 174-180-186-193-(195)-199-201-216. Lunghezza dell’apofisi interna degli intermascellari: (C) Serie 1? - Individui giovanissimi: 183-(208)-212-216-233 » 2? - è giovani: 271-287-(294)-317 3% - è semiadulti: 283-285-287-291-295,-(298)-306-308-312-313 s 4° - è adulti: 286-295-303-307-313-317-(817,50)-321-322-332-349 » 58 - 9: 246-264-(272)-274-283-289-291-298. 51 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 209 Diametro longitudinale massimo dell’apertura incisiva: (D) Serie 12 - Individui giovanissimi: 133-(152)-162-164-171 » 2° - è giovani: 193-206-207-(212,50)-232 » 3° - è semiadulti: 195-206-209-215-(216,50)-219-220-228-235-238, » 4*- $ adulti: 198-206-217-(222)-226,-229-236,-246 n 52 - 2: 175-186-198-206-211-221. Diametro trasversale massimo dell'apertura incisiva: (E) Serie 1° - Individui giovanissimi: 32-33-35-(35,50)-39 » 2? - è giovani: 48-(45,50)-47-48 , 3% - $ semiadulti: 41-46,-17-48,-(50,50)-52-54-60 » 4 - è adulti: 43-45-48.-(51,50)-52-56-60 n 52 - 9: 38-39-41-(43,50)-46-48-49, Nelle Renne di Siberia gli intermascellari sono rotti. Il massimo diametro trasversale dell’apertura nasale è: 231-274 (1). Nella Renna di Groenlandia la mi- sura A è: 578; la misura B è: 219; la misura © è: 399; la misura Dè: 243; la misura E è: 53. Nelle Renne di Norvegia la misura A è: 425, in quello avuto da Copenaghen è: 560. La misura B nelle Renne di Norvegia è: 218-226, in quella di Copenaghen è: 225. La variante 218 appartiene ad un cranio che presenta negli intermascellari una ana- loga anomalia di quella sopra menzionata pel cranio di Siberia che ha la variante 231. La misura C nelle Renne di Norvegia è: 423, in quella di Copenaghen è: 335. La misura D nelle Renne di Norvegia è: 189, in quella di Copenaghen è: 205. La misura E nei cranii di Norvegia è: 65, in quello di Copenaghen è: 55. Orbite. Diametro massimo antero-posteriore misurato sui margini dell’orbita stessa nelle Renne delle Spitzberghe: (A) Serie 1? - Individui giovanissimi: 236-244-247-(254)-272 » 2% - è giovani: 245-(250,50)-252,-254-256 » 3° - è semiadulti: 231-238-242,-244-247-251-(256,50)-262-269-282 » 4 - è adulti: 240-252-254-(255)-257,-258-259,-270 s 52 - Q: 235-296-238-240-246,-(246,50)-256-258. (1) Nel cranio con corna anomale impiantate nel frontale si trova la variante 231. Anche gli intermascellari non sono normalmente sviluppati: essi hanno i loro margini superiori come ripiegati verso l’interno dell’apertura rfasale, supponendoli normali, la variante sarebbe approssimativamente 275. Serie II. Tow. LI. 5! 210 LORENZO CAMERANO 52 Diametro massimo trasversale misurato sui margini: (B) Serie 12 - Individui giovanissimi: 203-205-212-(223,50)-244 , 2% - $ giovani: 217-230-(280,50)-235-240-244 » 3° - è semiadulti: 209-211-215-216-231-233-(236,50)-238-240-250-252-264 » 4° - © adulti: 216-217-222-(229)-230-231-235-236,-242 n» 58 - 9: 209-211-213-215-(227,50)-234-235-238-246. Dal confronto dei due diametri si osserva che dai giovani agli adulti il contorno dell'orbita varia nel senso che da ovale tende alla forma rotonda. Per ciò che riguarda i caratteri dell’orbita nelle parti che la costituiscono e che appartengono al lacrimale, al zigomatico e al frontale si vedano le descrizioni di queste ossa. Nelle Renne delle Spitzberghe le orbite nel loro complesso appaiono molto spor- genti rispetto alle parti del cranio e della faccia, e in generale il margine inferiore x esterno è più sporgente del margine superiore, in guisa che il piano che chiude il contorno esterno dell’orbita appare spiccatamente inclinato. Il diametro trasversale del cranio misurato ai margini inferiori delle orbite nelle Renne delle Spitzberghe presenta i dati seguenti (negli individui giovanissimi il mar- gine inferiore delle orbite era stato intaccato e quindi non concede misure esatte): (C) Serie 2° - $ giovani: 669-672-679-(712,50)-738-756 , 33 - é semiadulti: 668-682-684-694-697-698.-(720,50)-725-736-750-773 > 48 - $ adulti: 653-704-705-709-714-(717)-741,-743-760-781 , 5a - Q: 653,-666-672-676-(681)-684-708-709. Il diametro trasversale del cranio, misurato sulla parte laterale rigonfiata del parietale al disotto delle corna, nelle Renne delle Spitzberghe, dà i valori seguenti: (D) Serie 1° - Individui giovanissimi: 459-(474)-475-480-489. Nella serie dei è giovani un solo cranio aveva la parte che si misura intatta col valore: 462. Serie 3° - è semiadulti: 426-427-430-432-(445,50)-446-465 s 4° - è adulti: 423-430-439-(448)-467-473 s 53 - 9: 407-418-(427,50)-436-448. Diametro trasversale massimo del cranio misurato sull’arcata zigomatica. Nessun dato per la serie 1°, essendo questa parte del cranio incompleta. Due soli valori per la serie 22, cioè: 611-624. Serie 32 - è semiadulti: 558-586-(590)-593-603-612-622 » 4 - è adulti: 557-569-600-(617)-634-642-677 s 53 - 9: 575-(586,50)-596-598. 539 i RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 211 Confrontando i tre diametri ora indicati ne risulta evidente la notevolissima x sporgenza delle orbite come sopra è stato detto. Questo carattere nelle Renne delle x Spitzberghe è inoltre molto variabile. Diametro tas. del cranio eco a er I Alen n nio ona cso:Die dei parietali ecc. sulle arcate zigomatiche Serie 2* - Indice di variabilità A = 89 — Pe n Bla x sig = 106 A = 40 A°==. (65 nica ” ” = 128 bi=unl ra Md? 5 3 ei PAL PEA Nelle Renne di Siberia la misura A è: 231-274; la misura B è: 214-264; la misura C è: 568-672; la misura D è: 466-497; la misura H è: 657. Nella Renna di Groenlandia la misura A è: 262; la misura B è: 253; la misura € è: 661; la misura D è: 656; la misura F è: 578. Nelle Renne di Norvegia la misura A è: 232-240; in quella avuta da Copenaghen è: 250. I La misura B nelle Renne di Norvegia è: 208-219; in quella di Copenaghen è: 250. La misura C è in quella di Norvegia: 606-614; in quella di Copenaghen: 675. La misura D nei cranii di Norvegia è: 463-517; in quello di Copenaghen è: 440. La misura E nei cranii di Norvegia è: 517-571; in quello di Copenaghen è: 575. Palatini. Lunghezza massima misurata lungo la sutura mediana longitudinale nelle Renne delle Spitzberghe: (A) Serie 1? - Individui giovanissimi: 166-(173)-177-180 » 2% - $ giovani: 224-229-(281)-232-238 3 gr $ semiadulti: 236-238-244-252-(253,50)-256-257-258-271 » 4 - $ adulti: 233-249-251-(255,50)-258-259-27 n 53 - O: 191-209-(224)-227-229-240-257. Diametro trasversale massimo dei palatini uniti: (B) Serie 18 - Individui giovanissimi: 183-193-201-203 s 2° - $ giovani: 201-214-(215,50)-223-230 » 8% - $ semiadulti: 185-209-(209,50)-211-214-220-221,-226-229-233-234 » 4° - è adulti: 214-226-233-(234)-236-240-242,-246-254 » 5 - 9: 196-201-203-204.-(206)-209-212-216. Nelle Renne di Siberia la misura A è: 191-288; la misura B è: 115-130. Nella Renna di Groenlandia la misura A è: 282; la misura B è: 126. Nelle Renne di Norvegia la misura A è: 239-263; in quella di Copenaghen è: 250. Nelle Renne di Norvegia la misura B è: 213-217; in quella di Copenaghen è: 235. 212 LORENZO CAMERANO 54 Mascellari inferiori. Nelle Renne delle Spitzberghe la lunghezza del mascellare inferiore, dal condilo alla base del 1° incisivo, dà i valori seguenti: (A) Serie 1° - Individui giovanissimi: 852-900,-(920)-951-969-988 » 2° - è giovani: 1111-(1150)-1175,-1190 » 9° - è semiadulti: 1095-1146-15553-1180,-(1192,50)-1207-1220-1279-1290 » 4 - $ adulti: 1190-1208,-1217-1223-1235-(1250)-1267,-1370 » 58 - Li 969-1032-1044-1065-(1074)-1088-1101-1162-1179. Altezza massima del mascellare inferiore (fino all’apice dell’apofisi coronoidea): (B) Serie 1° - Individui giovanissimi: 393-407-418-422-(422,50)-424-452 » 2° - è giovani: 522-527-545-(551)-580 » 8? - è semiadulti: 540-548-550-553-565-575-(576)-585,-598-606-612 s 4 - è adulti: 548-581,-(592)-596-603-619,-628-636 sb? - 9: 512-519,-526-533-(588)-540-542-564. Lunghezza dello spazio occupato dai molari: (C) Serie 22 - è giovani: 412-(446)-460-470-476 s 83 - è semiadulti: 411-435-441-443-468-(504,50)-509-534-538-542-553-598 » 4 - & adulti: 487-491-499-513-521-540-542-552-(557,50)-628 so 58 - 9: 403-407-410,-424-438-451-499. Distanza dal 1° molare alla base del 1° incisivo: (D) Serie 12 - Individui giovanissimi: 242-249-258-264-(269,50)-270-297 » 2? - è giovani: 321-323-333-(348,50)-376 » 3° - è semiadulti: 306-324-338-344-350-354-355-371-382-(385,50)-402-465 » 4 - è adulti: 350-360-370-376-383-(385)-397-405-407-420 » 58 - 9: 305-811-313-327-333-(335,50)-338-342-366. Altezza del mascellare inferiore misurato al margine anteriore del 1° molare: (E) Serie 12 - Individui giovanissimi: 64-77-79-(80,50)-88-96-97 » 2° - è giovani: 122-125-126-(127)-132 » 83 - è semiadulti: 120-123-126-127-129;-(129,50)-134-139, » 4% - è adulti: 107-112-(125)-129-134-135+141,-142-143 » 53 - 2: 110-113-116,-120,-(120,50)-126-131. 55 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 213 Altezza del mascellare inferiore misurata al margine posteriore del 5° molare: (F) Serie 2? - $ giovani: 151-153-155-(157,50)-164 » 38 - è semiadulti: 140-144-145-149-150-151-(152)-157-159-161-162-164 » 4 - $ adulti: 159-164-166-169-(171)-172-180;-183 so 52 - Qi: 137-140-141-144-147-149-150-151. Altezza del mascellare inferiore misurato al margine posteriore del 6° molare: (G) Serie 48 - è adulti: 149-172-(172,50)-180,-183-186-188-191-196. Altezza massima dell’apofisi coronoide: (G') Serie 12 - Individui giovanissimi: 144-148-149-(156,50)-159-161-169 » 2? - $ giovani: 185-(187)-188-189, » 3% - è semiadulti: 172-183-185-193-(194)-199-201-203-206-209-212-216 » 4 - $ adulti: 180-185-190-198-(202,50)-204,-206-220-225 » Bb - Qi: 172-183,-186,-(188)-192-195-204. Larghezza dell’apofisi coronoide alla sua base: (H) Serie 12 - Individui giovanissimi: 68-71,-72-(72,50)-76-77 » 2? - è giovani: 94-95-(105)-115-116 » 83 - è semiadulti: 72-91-97,-98-99-100-102-106-116-126 » 4 - è adulti: 87-90,-91-94-95,-(97)-102-107 n 53 - 9: 86-89-93-(97)-98-103-105,-108. Spessore del mascellare inferiore misurato fra il 2° e il 3° molare: (L) Serie 18 - Individui giovanissimi: 59,-64-(65)-68-71 » 28 - è giovani: 68-(73,50)-74-79, » 88 - è semiadulti: 68-72-74,-75,-76-78-79-81-84 n» 4*- è adulti: 71-73-74-76-79.-(80,50)-81,-90 n 5A - Qi: 64-66,-68-69-70-72,. Diametro trasversale massimo del condilo: ; i (M) Serie 1? - Individui giovanissimi: 96,-98-(101)-102-104-106 di » 23 - è giovani: 101-115-122-(128)-155 3a - & semiadulti: 102-104-106-108-111-(114)-115-116-118,-123-126 4 - & adulti: 115-118-120-122-124-127-129 52 - O: 104-109;-(109,50)-110-111-113-114-115. 214 LORENZO CAMERANO 56 Spessore massimo del condilo: (N) Serie 1° - Individui giovanissimi: 32-33-34-35:-(35,50)-39 s 2° - è giovani: 37-40-42-(43)-49 » 38 - 5 semiadulti: 27-31,-32-33,-(34,50)-36,-37-38-48 s 4 - è adulti: 28-31-323-(33)-34-37-38, » 53 - 9: 273-295-(88)-36-39.. Distanza del foro mentoniero dal margine anteriore del 1° molare: (0) Serie 1? - Individui giovanissimi: 118-125-(129.50)-130-135,-141 » 2? - è giovani: 166-175-(182)-198 »s 3% - 5 semiadulti: 161,-172-175-177-180-183,-185-198-209 » 4 - è adulti: 169,-170-172-177-180-(191,50)-202-214 ® - 9: 143-161-(166)-167-172-174,-180-189. (o, Distanza del foro mentoniero dalla base del 1° incisivo: (P) Serie 1° - Individui giovanissimi : 144-148,-149-(151,50)-155-159 » 2% - $ giovani: 165-(180,50)-188-189-196 »s 3° - 5 semiadulti: 170-183-188-190;-(199)-204-206-214-215-222-228 s 4% - $ adulti: 203-204-212-221-(228)-226-231-236-240-243 » 9° - 9: 150-177-180-(188,50)-192-197-199-218-227. Nella Renna di Groenlandia la misura A è: 1361; la misura B è: 612; la misura C è: 505; la misura D è: 462; la misura E è: 132; la misura F è: 146; la misura G è: 151; la misura G’ è: 224; la misura H è: 92; la misura L è: 78; la misura M è: 107; la misura N è: 39; la misura O è: 194; la misura P è: 267. Nella Renna di Norvegia di cui ho potuto esaminare la mandibola inferiore si hanno le misure seguenti: A = 1201, B=568, C=401, D=397, E=120, F=139, G=143, G'=208, H=79) L_ 60, M_4l6/6Ni=2o710/—'203:

) DO >) DO (En (er [{©) DO a DO Fa DO (06) DO (3 ai (©p) e I pin QI (i SN i Ut jan UT 38) 44 | | | 133/55|61|50]57 28|26|81|31|29|25|.29|19/ —|21/20/22/ 21/22. | | | 3 8{35|32|27]|32 Siege e02 > IND UT | > DO Si Ot bi GO N uo dI = i (eda 4 (td d (DA | SD ut =] i (0.0) a ID bs S _ Je) DO [ar DD si DO N N d pe (ep) DO i) pun -Jl [Sr N ATE I («©») (6) (AS) DI i (dj 2 I PG (3) (6) 90 > (21 49|60/57|53|51|50) 51|44|40 4543/44) 44 LA F: | | NI n af — 15/2781) -—|—|29|35|30] 84[24|31|-|30[30] 29|— |29|16|35|30|27|34]|38 } 8 79|96|88|.80|76|90| 75|65|70|72\65|70) 7: i 10.7 40/—|—-|41|42/40|.37]36| —| 3635/32] 3 58 | 64 | 58/59 54/551 57/44! —|51!52|50| 5 39145 | 42) — |41|42| 42|[33| —|38|36|38| 3 222 LORENZO CAMERANO 64 Spitzberghe Spitzberghe Spitzberghe - 6 Individui giovanissimi . 6 giovani Orbite. Diam. mass. antero-posteriore | — | 40 |—| —|38!35|36 |42!42|44|48/47|48|48| 48 |45 |431/4 A È trasversale . .| —|36/— —|32|30|31 |40|40|41|41|44{[46|46| 43 |43 |39 capo marg. inf. orbite.| — | —|—| —|—!/!—|— [123|124|123/127\130|133/133) 133 |130 È , arcate zigomatiche| — |—|--|—|— i-|— [104;—|—|—-|-|[{|-|-- {107 |114 + = sotto le corna. .|—|70/—|—|76|6870X7Z7}—|_{—\-JI=}=-17807|83 Palatini., | | Î | Lunghezza massima We 00. —-S|28/24 8892040435250, Diam. trasv. mass. palatini uniti | — | — [29129/80|—|31 |[—|35|39|38|44[41|43| 38 |41 Luncuezza pasE - Diametro tras- versale fra i fori sopraciliari |56 |58 157/52|56|51|55 |60|59/63|68|69|69|70| 62 |67 Mascellare inferiore. Lungh. dal condilo a. base 1°inc. (140|140|/— 140/140 140/130 | — |195|205/210|225]245/235| 210 |215 Altezza massima. . . . .|65|"60/—|61]|66]|64|60 { —|95|92/103/100|{112/110| 103 |107 Spazio occupato dai molari .|—{—|—|—|—{|—-|—T {|—-|78|82]|87|79{10399|103 |81 Dist. 1° molare dalla base incis. | 41|38 | —|36 |42|42|37 {—|58|56|63|72|71|68| 80 |64 Altezza al 1° molare . . . .|(15/13|—|14[12!9 [12 f—|20|22|25/24423]|26|:24 |24 ’ 0° n <<. .|—|—||_|—|—-|J— {|--|25|27]|31]|29]|29|31| 27 |26 È 6° so at |—|+|—-{_-]|=-|_J_--|—|—-|=-{—{—{32|— | » mass. apofisi coronoide|25 | 22 |—|23|23}|24|22 |—|31|33[35]|36|33|40| 35 |37 Lungh. apofisi coron. alla base| 12/10/—|11|11|10|11 {—|19|20|18|18|19|19| 20 |19 Spessore mascel. fra il 2°-3° mol.| 10| 10|/—|10|10}{10{9 {—|10|13|14|13|16|16| 13 |14 Diam. trasv. mass. del condilo | 15/15 /—|15|15|15|15 {—|20|20|19|22{20|24| 20 |22 Spessore mass. del condilo. .|6|5|—|5|5|5|5 {1—_|{8|7]|8|7{6}j|7]|.7 7 Dist. del foro menton. d. 1° mol. | 21|19|/—|{18|21|20/18 {—|—-|[29]|33|38[34|35]| 36 |34 n dal 1° incisivo . . . .|23|22|/—|23|23]|22]|22 | —|27|33/37/36|41/37| 37 |34 Denti. Mascella inferiore. 1°, Molare:- Tunghezza: . i | 80|9 [| 490] 80|9 09 ||] 128 8 2° n ” - + -|[14|14|/-|13|14|13|12 |—|12|13|14|12117]|15| 12 |413 8° 5 ’ .- + .|[21(21/—|21|20|/21/20 |—|20|20|20|21/16]|15]| 21 |21 4° È 7 sale — 19/19|]17|19]{17|18| 20 .| 18 bo o > — |—||—-|—-|—-|— |—|18|20{18|20{20|19| 20 |18 6° È 5 urna] le — | — |—— | T— | TIT |_- — —_- Mascella superiore - canino .| 6|7|6|6|—|5|6 |—|5|—-|5|6{6]/|6}| 5 6 Mascella inferiore. 1° Incisivo - Larghezza . .|:2|2/-{2{|2|2|2 [_—|-{--[{3|2]4{|3|- |4 2° 4 È .|:2|12|-|2|2|2{|2{_-||-|4|--J]4|38|—- |4 3L È x .-;4|4|-|4|3]|4[|3 [—|—-|{5|5|-{5|5|— |5 4° s a .-b|5|/—|5|4|5]5 |—|T—|6]|6|6{6]|5|—- | 6 Mascella superiore. | | | | 1° Molare - Lunghezza . . .|12|11/12/11|11|11{|10 {10|10|11|12|11{15/13| 12 |- DA a o .- + +|17|16|/16/17|16]|16|16 |15|14|15/15/16{15/14]| 14 |_— 3° a A SO LL LO NRZAI7 11616 17415 15 STASI 4° A z - al |-]T]—1—=|_ |16]16|17]18.|1719148]"18|= 5° i 5 . > .\.—-|—|-|—|—|—|— {18|18|18|19|18|18|18]| 183 |— Lobo: o RN O pane a n Par RE RE i ae 65 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 223 hat EIA Siberia È E Norvegia Spitzberghe - è adulti Spitzberghe - 9 = | 840 CIS = [dal sa. pe; 46| —|47|50/49|47|48|43/45 4343/44] 44 |44/45157/52|54|50{[54/52 41\—|43|42|42|43|43|41|40|38}41|41|39|40|40{55 50 |51|45 134/143/139/127/140133132|118/131/122/114/122| 128 124/1116140 135|142/133 — 124/102) — | —|106/114j=|— |108/104| —| — (107|— [139 115|133/112 —|-|-|84|73|80|82|—|78|—|73|75| —|—|82/97 88 |108) 94 44|51|46/—|47—|46|40|40|—|40|39) 47|—|35]|60/43|58|50|56|57 44|45|44|44|48|45|43]34|39|39/35|35| 39/39 /36|27|26|26/47|50 47 | | | | | | 6866 66|70|68 67/64/60 69/65 63 62 66 67 66/75/81|74|72|84 78 | | | | | | | 225/240] — (235/230|225/225|192/200/193/190 203) 195 2051189] — | — [280 — |— (260 117|115| — |113/1141117110| 90 |98|95|98|97] 95 110195] —|—|[126| —|— |123 97/98|—|97|92|97|98|78|78|90177 78] 75/75175|—|—{104|—|— |87 Noize — olio (70725760 55|57/63] 61|63/57/|—|o1|—|j_ (86 24|26|—|26|27|24|25|{21/21|21/21|20| 24|21]22|—|—]|27|]—|— 26 81\388| — |31|34|31|30|25|27|26|26|26] 25 25|/27|—|—|[s0|—|—|30 dae 29137] gala ra 88|35|—85|39|38|40/32|33|38/34|40] 34/32/34|—|—[46|—|—|45 eee o 918) 7 6181818 |18/17|/—|—|19-|=—|17 eee ad 1212 12/12] | ae] 513 ada 2103 2322/1234 19°20/20 20/19) /20|21|20]—|—|22j—|j—|25 Ì Ger ooo ez 5 5607] Re 3 32|37| — |38|3232|32|29/32/31/33|30 33|30/27j—|—]|40|—|—|44 ) 40 | 44|— |43|46|42\46|32|34|27 34/39) 36 137|33|—|—|35|[—{|— 57 ei to ion i laif1of89918|8/8|s|s|-|—[u|=|=|9 15|14|15/14|/ —|[14|13|15|14|13|12|13/13|12]12/12/12|—|—[15|]—|—|13 171616 /18|—\16|15|15 14/19 20/20 .20/20|19/20/19|—|—[17{[—|—|13 bol 17 (2018 |18fb/19 18|18|19/18/18|18| 18 18|18|—|—{17]-|— (15 19|18|19|18|—|17|17|19|19|17|19 —|18|17|18|18/18|/—|—[19|—|-|15 ee | I |-19 ei ene me 71556 | 6. 6Η|7Z]jS5|e|—|6 e 4a 20] ao 44 444543 e e 855545 554 TESI 5|5|5/5|—|—|-|5|6]|5|6|7|6|6|6/7|6{—|—|5{—{[—|4 il | | | | | | #}02/12(12|13(13|11|1212|12/12|12|10/10|10|11| 1011) 9|12|11{13|13|14|12 b|16|15\1315/15/|14\14/13/14|14f15 14/15/15 14/15 15 14|13 11|14{15|14 12 de 1515 |14|15|14/13 13/15|14|16|16]16|17|15]16|15|17|13/13|15|—|14|12 QAS (18 15/16)17|14/15|14/18|18|16|17|16|17|16 17 |17|17|15|14{17|15|16/14 W|/i8 18|18|17/18|15|14|15|18|18|18/18|19/18|17|17|18/18|17/16|19|17|19/15 618 (17)16/18|17/18/17]17]16}-—|—|—|-| — |_|16|13]17]17]|19|15 224 LORENZO CAMERANO 66 Ossa metatarsee. Ho potuto esaminare due ossa metatarsee di Renne delle Spitzberghe; credo utile darne la descrizione, poichè in questa parte dello scheletro si notano differenze ri- spetto alle Renne di altre località, per quanto si può rilevare dagli scarsi studii sino ad ora fatti in proposito. Non possedendo l’intero scheletro di Renne delle Spitzberghe, ho studiato l’osso metatarseo per sè stesso, isolatamente, col metodo del coefficiente somatico. Analogamente ho studiato 2 ossa metatarsee di $ giovane di Renna di Norvegia. Vengono così messi in evidenza i rapporti dei varii diametri dell'osso fra loro, e ne viene di certa guisa determinato il facies. Misure assolute Misure in millimetri in 860°"! somatici ‘Spitzberghe Norvegia {Spitzberghe| Norvegia | destro | sinistro| destro | sinistroj destro | sinistro| destro | sinistro Lunghezza base misurata nella faccia an- | teriore dell’osso dal margine superiore dell’incavatura che separa i condili arti- colari delle dita al margine dell’estre- mità superiore dell’osso “stesso . 182 182) 231 233|j 360 360) 360 360 Lunghezza del solco longit. mediano della | faccia anteriore (1). , ; . | 165|165|217|217|327|327|339 | 336 Id. della faccia posteriore (1) . Ù . | 156|148|190|190|309| 293 | 296 | 295 Diametro massimo trasversale 4 .| 28 | 25 | 22 | 21| 55 | 50. | 34 | 33 : minimo i | 29° 1120 201) 200440 Largh. massima della faccia later. esterna 1 29 1:29 130%] 30 | 57 | 57747947 n i A interna | 30 30 | 28 | 27 | 59 | 59 | 44 | 42 hi minima Fe esterna | 16 | 15 | 15 | 16 | 32 | 30.| 23.|-25 interna | 15 | 14 | 16 | 161 380 | 28 | 25 | 25 Diametro antero- posteriore massimo del- | l'estremità anteriore . 3 .|27|25]|25|23]|53|50|39 | 36 Id. trasversale 3 (25 | 25 | 27 | 28 | 50 | 50 | 42 | 43 Diametro antero- posteriore massimo del- | | l'estremità posteriore . . | 16 |F17 | SL'StNILREI 2° | S42N29828 Id. trasversale id. id. a livello dell’incav a- | tura che separa 1 condili artic. delle dita | 37 | 31 | 84 | 39 | 73 | 61 | 53 | 60 Diametro trasversale massimo dei condili | 1 000 articolari delle dita (uniti) . È .. 1:89 1936 | 41,] 4L4 7700 67644064 Profondità dell’ incavatura che separa i ‘| | condili articolari delle dita mediane .| 13 | 13 | 12 | 12| 26 | 26 19 | 19 Le ossa metatarsee delle Renne delle Spitzberghe, paragonate con quelle delle Renne di Norvegia, presentano un notevole maggior sviluppo dei diametri trasversali nelle varie loro regioni, rispetto ai diametri longitudinali; in complesso esse sono (1) Queste misure sono approssimative, non essendo possibile (entro certi limiti) determinare con esattezza dove ha termine il solco nella parte inferiore. 67 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 225 proporzionatamente più corte e più robuste che non quelle delle Renne di Norvegia che sono invece più lunghe e sottili. Spiccata è sopratutto la differenza, come si vede nello specchietto precedente (misure in 360esimi somatici), nelle due estremità dell'osso. J. D. Tscherski nel suo lavoro intorno alle ossa di mammiferi posterziani delle regioni della Lena e delle isole della Nuova Siberia, raccolte dal Dott. A. Bunge e dal Barone E. Toll (1), ha studiato (pag.219) varie ossa metatarsee fossili di Renna dell’ isola Ljachow e di Minussinsk e le ha confrontate nelle misure con ossa di Renna della Lapponia. Nello specchietto seguente sono riunite le misure date dal Tscherski (assolute e ridotte in 360esimi somatici) e le misure corrispondenti (asso- lute e in 360esimi somatici) delle Renne delle Spitzberghe e di Norvegia da me studiate. Misure assolute in millimetri Misure in 360° somatici METATARSO ze [FÉl:e| #5 | ee es) #8 ={s|as\es #8 #e DS SS SE | 28 SC E STE Fa 3° ZE 3° (a) olo e viole ae, Lunghezza dell’osso nella linea || | | | 4 mediana della sua faccia su- | ie periore (lunghezza base) .|270 | — —|281 233/231/182/182|360/360/360/360/360]360 Larghezza maggiore dell’estre- | | | mità prossimale ; .|30 |36| — 35 | 28|27|25|25|40|45|43|42,50|50 Diametro antero-poster. del- | | l'estremità prossimale .|81 |36/31] — |23|25(25|27|41|—|36!39 50/53 Larghezza dell’osso alla sua | | metà . . 1 . . 121,5] 80|26/31,5| 20|20|24|24|29|40/31|31|48]|48 Larghezza minima alterzo della | sua lunghezza . : .| 18 |25| —/23,5| 20|20|20|22|24/30|31|31|40 44 Diametro antero-poster. sotto | «il terzo della sua lunghezza | 20 | — — 22 |17|17|16|16|27|28/26/27|32 |32 Larghezza maggiore della su- |! | | | | perficie articolare all’estre- | | Micra mità distale È } .|41 | —|—|45,5|41|41]|36|39]55|58/64|64|68]77 Diametro antero-poster. della | | lalti stessa 5 ; 3 . 123,5 —| —| — |18|18|16|17|30|—-|28|28|32|34 Lunghezza maggiore dell’osso 1276 | —| —| — |245/245/197|197[367| — 380|382:390|390 Profondità delsolco della faccia E | inferiore dell'osso ; .| 13 |18—|12,5)12/12|11|11|17|16|19 | 19/2222 (1) Wissensch. Resultate der von d. K. Akad. der Wissensch. zur Erforschung des Janalandes und der Neusibirischen Inseln. “ Mém. de l’Acad. des Sciences de St-Pétersbourg ,, VII ser., vol. XL, 1892. Serie II. Tow. LI. p! 226 LORENZO CAMERANO 68 Ossa metacarpee. Delle Renne delle Spitzberghe ho potuto esaminare un solo metacarpo, di Nor- vegia due, appartenenti ad un è giovane. Valgono per queste ossa le considerazioni fatte a proposito delle ossa metatarsee. Misure assolute Misure in millimetri Jin 860e5mi somatici Norvegia destro | sinistro Norvegia destro | sinistro Spitzberghe sinistro Spitzberghe sinistro METACARPEO PRINCIPALE. Lunghezza base misurata nella faccia anteriore del- l'osso, dal margine superiore dell’incavatura me- diana che separa i condili articolari delle dita me- diane al margine dell’estremità sup. dell’osso stesso (125/167 169|360|360) 360 Diametro trasvers. massimo dell’estremità superiore | 24 | 33 | 34 | 69 | 71| 72 o a metà della sua lunghezza 24 18 [220204524 434948 > E antero-posteriore nel solco ION IT N TE290] Sa Do sa minimo dell'osso È 481 1942201652844 massimo dell’estremità micro a melo della soleatura fra i condili articolari delle dita. î 31|40 | 40 { 89 | 86 | 85 Diametro trasversale dei ‘due condili Articolani delle | dita (uniti) . È .|34|44 | 43 | 98 | 95 | 92 Larghezza massima della faccia laterale Sfiierna SEZ 20 RIA Aa esterna .|13|17]|20{37f37 | 43 Profondità” massima del "solco longitudinale della faccia posteriore . 9 ALA LE dae i Diam. antero-post. massimo o all'estremità ant. dell'osso | 19 | 23 | 24 | 55 | 50 | 51 5 infer.. (3, fl L0C0 16 0615470) 856052 Profondità dell’incavatura che separa i condili arti- colari delle due dita mediane . . . | 90 2 CIR 20 e Zona Lunghezza totale massima dell’osso 3 ; . | 137 |180|180|395 | 389 | 383 METACARPINO INTERNO. Lunghezza È : | . ; $ x . | 50 | 68 | 65 [144|147 138 Larghezza massima . - ) : i : | Ve 105] 10. P20 224 METACARPINO ESTERNO. Lunghezza 3 È È È n .| 50 | 75 | 68 | 144|162|145 Larghezza massima . : 3 , È : «ih 9 000 a Le ossa metacarpee delle Renne delle Spitzberghe paragonate con quelle delle Renne di Norvegia, presentano differenze analoghe alle osse metartasee, vale a dire esse sono proporzionatamente più corte, più larghe e più robuste. J. Tscherski (1) dà le misure di 7 ossa metacarpee principali fornite dall’isola Ljachow, di 1 di Jana, di 2 di Balagansk, di 1 di Irkutsker pure fossili e di uno recente di Lapponia. Nello specchietto seguente sono riferite le principali misure assolute date dal Tscherski e le stesse misure espresse in 360esimi somatici, assu- mendo come misura base la lunghezza mediana dell’osso nella sua faccia superiore, affinchè i dati si possano paragonare con quelli dello specchietto precedente. (1) Opera citata, pag. 210. QI | | | | | À Fre — |pselccelzze\rac/ezelrze|pze|ezelose|zze] 60z| — |661|S°00| 103 | FST [S'98T| L6T | 861 |S'OTZ|E61|608|" © © * * 08S0.II9p BWISSBUI 0]890) BZzoySUN'T oci—|zg|er|oz|og|gt|tz|z|et|og|st| tT| — |STI| OT | IT | 01) 6 | IT |S'TT] 68 |0T|0T |0880,19p"950d eroogzerTop 09]OS JOp ‘SSBUI BYIPUOFJOI] IA CACACE 8 e O 9854 CAN A E o En È 0.101199S0d-0197U® 01701 gI(] È #8|0og|es|gs|92|gs|xs|xs|os|sc|es|ez| zx |< vr 2e|1H|W| eh) #|SGF #R || 14] 018981 100H1e erogedns EI e[[ep BWISS BUI 8ZZ0YSICT] 2 lxpl—|selsr|wr[er{zr\wr|ie|xelee|eeloc|— |#3| |43 |R8]|i3 | 5 |A8|k3 Sea Pata a La asa pe la ala a Satana Sr a | bi enaie | TOIYRUIOS ruso098 UI QIUSTT TIYQUIT[[IUT UL OFN[OSSE QUNSTTI 298 LORENZO CAMERANO 70 Paragonando fra loro le misure dei metacarpi principali fossili di Ljachow (vi- dotti ad essere comparabili fra loro cioè espressi in 360esimi somatici) si notano due forme principali: una con diametri trasversali meno sviluppati, ed una con diametri trasversali molto più sviluppati e quindi più robusta, e relativamente più corta. Questa forma appare tuttavia meno frequente della precedente. Mettendo in serie i valori dei diametri trasversali e ant.-post. a !/s della lunghezza dell’osso e il dia- metro minimo ant.-post. o trasversale al disotto del terzo della lunghezza nelle ossa fossili si ottiene: 1° Diametro trasversale a !/, della lunghezza dell’osso: 32-33-37-38-39:-(42,50)-44-45-46-47-53. Avremo A = 22, M= 42-50. Come si vede, la classe 53 è, dato l'andamento delle classi nella serie, spiccatamente isolata. Il suo indice di isolamento: I= 0,2273. Essa comprende inoltre una sola variante, quindi il suo indice di isolamento e fre- quenza è if=0,0207. 2° Diametro antero-posteriore massimo a !/, della lunghezza dell’osso (faccia laterale interna) :° 39-41-42-43,-(45)-47,-48-49-51 A=13, M=45. La variante 31 appartiene allo stesso esemplare della variante 53 della serie precedente. 3° Diametro trasversale minimo sotto al terzo della lunghezza dell’osso: 32-34-35-39-42-(41,50)-43-44,-48-51 A = 20, M=41-50. La variante 31 appartiene allo stesso esemplare delle varianti 51 e 53 delle serie precedenti. I metacarpei principali delle Renne di Lapponia (Tscherski) e di Norvegia (da me esaminati) non raggiungono i valori precedentemente indicati pei caratteri 1, 2, 3, ma hanno: 1° carattere 43, 483, 48. 2° carattere 43, 45, 45. 3° carattere 41, 43, 47. Il metacarpo principale da me esaminato di una Renna delle Spitzberghe pre- senta invece per gli stessi caratteri i valori seguenti: 1° carattere 52. 2° carattere 49. 3° carattere 52. Questa forma di metacarpeo si avvicina notevolmente alla forma d (specchietto precedente) fossile dell’isola Ljachow, e si allontana da quelle recenti di Lapponia e di Norvegia. L’esame complessivo dei diametri trasversali del metacarpeo princi- : n REI OTO O E ZI RT TTT rog {A RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 229 pale della Renna delle Spitzberghe fa vedere un loro maggior sviluppo (rispetto alla lunghezza dell’osso) che non nelle Renne fossili e recenti di Lapponia e di Norvegia. Sarebbe utile tuttavia confrontare un maggior numero di esemplari delle Spitzberghe e di altre località per chiarire meglio questo punto. La forma del metacarpo delle Renne delle Spitzberghe presenta una analoga variazione delle ossa metatarsee, come sopra è stato detto. Probabilmente anche i metacarpini presentano analoghe diffe- renze di sviluppo rispetto ai loro diametri trasversali (confr. specchietti precedenti). Falangi dei piedi anteriori e posteriori e unghie. Le misure che ho potuto fare delle ossa falangee in Renne delle Spitzberghe e della Norvegia, e le misure date dallo Tscherski per una Renna di Lapponia, mostrano, come appare dallo specchietto seguente, differenze generali fra le Renne delle Spitzberghe e quelle delle altre due località, analoghe a quelle che si osservano nelle ossa metatarsee e metacarpee, se le riferiamo alla misura base della lunghezza del metatarso e del metacarpo rispettivamente. i Le unghie studiate con analogo procedimento e colla stessa misura dase si pre- sentano pure più larghe e spesse nelle Renne delle Spitzberghe, che non nelle Renne della Norvegia e della Lapponia. Non ho tenuto conto della lunghezza delle unghie, perchè questa misura è troppo incerta per l’usura maggiore o minore che le unghie stesse possono presentare; cosa che può dipendere dalla natura del suolo nel quale ha soggiornato l’animale anche per un tempo relativamente breve. 230 LORENZO CAMERANO 9, Piedi posteriori Piedi anteriori Piede post. È x & oS=|s82 (Misure assolute | Misure in {Misure assolute| Misure in Fi e in millim. |860esimi somat. in millim. |360esimi somat | .& $ A|.5$ 8 1 (1) #35/582 & E È E isf n tv 50 35; "n .8 50 fis; 60 253 S £ ni so pe [ato pa bo Hi CI) = sp Se | SS ® ® ® 1) ® ® ® v oa (CSA | 2 > 2 > 2 > 2 > pEilLas N | Lal N e] N ta N a] © o SII (e) 35) le) S= ° bal (©) Sa 33 (I Zi 2, a (A Zi Du CZIO I ALE DN | (Cp) (Cp) (vp) 3 ° bi UA uz) 13 FALANGE. Lunghezza massima lungo la linea med. sulla faccia ant. dell’osso| 37 | 46 | 73 | 71} 36 | 46 |104| 98 | 56 | 72 Diametro massimo trasversale del- | l'estremità prossimale . -| 20 1:22, |:40. | 34-19 21 55, 45 | 290029 Idem, diametro antero-posteriore | 18 | 20 | 36 | 31 | 18 | 19 | 52 | 41| 23 | 29 Diametro trasversale a metà della | | lunghezza dell'osso . . i 18 | 13 |:36 | 20. J..14,.|.14.| 40,)/30| d4./48 Idem, diametro antero- “posteriore 11° 13°| 22] 2011-139932 287/0220 Diametro trasversale massimo del- l'estremità distale . È 15 | 18 | 30 | 281 15 | 1847 | 394 20'|.26 Idem, diametro antero- -posteriore 10 | 13 | 20 | 20| 8 | 13 | 23 | 28 | 16 | 20 2* FALANGE. | | Lunghezza massima lungo la linea | med. sulla faccia ant. dell’osso| 30 | 32 | 59 | 50 | 27 | 81 | 78 | 66 Diametro trasversale massimo del- | | | l'estremità prossimale . .| 16 | 13 | 32 | 20 | 16 | 18 | 46 | 39 Idem, diametro antero-posteriore | 18 | 22 | 36 | 34 | 18 | 19 | 52 | 41 Diametro trasversale a metà del- | l’osso : 13. 19/269) 20] 13532428 Idem, diametro antero- -posteriore 11 | 13.| 224/20, |PLI | 12/292 | 26 Diametro trasversale massimo del- | È l'estremità distale . : | 1384135264 (200142 158404032 ‘ Idem, diametro antero- —posteriore 14 | 18| 28 | 28| 14 | 17 | 40 | 36 13 FALANGE DELLE DITA LA- | | TERALI NEL PIEDE ANTERIORE. | Lunghezza massima lungo la linea | | med. sulla faccia ant. dell’osso | | | 22 | 26 | 63 | 56 fl i Diametro trasversale a metà del- | | Ì l’osso 4 | | | | 6 te ND: 7 1) Idem, diametro antero- posteriore | | 8 | 10 | 23 | 21 UNGHIE DEI PIEDI. | | Larghezza massima alla base e| | | misurata sulla curvatura esterna | | dell’unghia di un dito mediano.| 64 | 64 |127| 99 | 60 | 65 | 73 |139 Spessore massimo, alla base, della | stessa. 23 | 25 | 46 | 36 | 22 | 23 | 63 | 49 Largh. mass. alla base, c come sopra, | dell'unghia di un dito laterale .| 40 | 35 | 79 | 54|40 | 37 |115| 79 Idem, spessore massimo . AT15. (1473002211317 (1) Prendendo come misura base, come per gli altri esemplari, la lunghezza del metatarso nella linea mediana della sua faccia anteriore. 73 RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 231 Corna. Molto variabili si presentano le corna delle Renne nella loro forma generale e nello sviluppo e forma delle loro diramazioni. Descrizioni minute delle corna delle Renne delle Spitzberghe sino ad ora non vennero date dagli Autori, nè disegni, all’infuori delle due che si trovano nel lavoro ripetutamente citato del Nitsche, le quali non rappresentano corna di individui completamente adulti, e di quella che si trova a pag. 154 (fig. 9) del lavoro, oramai raro, di A. Murray (“ The geogra- phical distribution of mammals ,. Londra 1866). Nessuna figura e nessuna descri- zione dà il Lydekker, nel suo recente lavoro ( “ The Deer of all Lands ,. Londra 1898), di corna delle Renne delle Spitzberghe. Fra il materiale proveniente da questa località, che è a mia disposizione, vi sono, oltre a varie paia di corna di individui giovani, anche sei corna isolate, rac- colte sul terreno, che appartennero a maschi adulti. Il Museo di Torino possiede pure, come è stato detto precedentemente, un cranio colle corna di un vecchio maschio di Renna avuto in sul principio del secolo scorso dal Museo di Copenaghen, cranio che appartiene alla specie di Renna delle Spitzberghe. Il dare un’idea precisa con parole e con misure della forma delle corna, per poter procedere a confronti, è cosa, come fa pure osservare il Lydekker, assai ma- lagevole; ho perciò creduto necessario di unire al presente lavoro le fotografie delle corna da me studiate. Volendo applicare allo studio delle corna il metodo del coefficiente somatico ed il metodo quantitativo statistico, ho seguito il piano seguente di misure. Debbo anzitutto osservare che per ciò che è delle denominazioni delle varie parti delle corna, data la molteplicità di nomi che i varii Autori, in particolar modo quelli che si sono occupati dei cervidi dal punto di vista sportivo, hanno dato alle diramazioni delle corna (1), considero: 1° il fusto principale; 2° i pugnali o dirama- zioni del fusto principale; 3° le punte o diramazioni dei pugnali. I pugnali vengono designati con numeri progressivi: 1°, 2°, 3°, ecc., a partire dal pugnale più vicino alla base del corno. Le misure vennero prese nel modo seguente: 1° lunghezza totale del fusto prin- cipale, dalla base all’apice, misurata sulla superficie esterna del fusto stesso; 2° lun- ghezze dei varii pugnali, misurate pure sulla loro faccia esterna; 3° diametri antero- posteriore e trasversale del fusto principale, misurati a metà della sua lunghezza totale; 4° diametri antero-posteriore e trasversale del fusto principale, misurati a un quarto della sua lunghezza totale a partire dalla base; 5° diametri antero-po- steriore e trasversale del fusto principale a tre quarti della lunghezza totale pure a 3 partire dalla base. Data la forma delle corna delle Renne, queste misure mi sem- brano sufficienti. In corna di altre forme si potranno rendere più numerose, o meno, | secondo il variare di forma del fusto principale dalla base all'apice. È Per lo studio quantitativo statistico ho assunto come misura base la lunghezza totale del fusto principale, per modo che tutte le altre vengono riferite a questa. x (1) Confr. H. Nirscnur: Studien iiber Hirsche. Heft {I. Untersuch. iiber Mehrstangige Geweihe und die Morphologie der Hufthierhòrner im AUlgemeinen. Leipzig 1898. 232 LORENZO CAMERANO 74 Le misure assolute e gli indici di variabilità, di variazione sono riuniti negli specchietti seguenti e sono dedotti dalle varianti qui sotto riferite: Lunghezza del 1° pugnale: 81-(104)-106-113-120-121-127 Id. Ide ì 95-116-(119,50)-124-135-140-144 Id. 3 s manca rudimentale, 14-(22,50)-26-27-31 Id. Fa : 58-(71,50)-72-75-76-77-85. Diametro ant.-post. del fusto principale a !/, della sua lunghezza : 10-11,-(12,)-14 Id. trasversale È 5 7 9,-(10,)-11 Id. antero-post. 5 1/o 4 10-113-(12)-14 Id. trasversale i È È 7-89-(93)-11 Id. antero-post. È A È 8-11-(11,50)-12,-13-15 Id. trasversale È i x A 7,-(8)-9. Notevole è la variabilità della lunghezza dei pugnali, sopratutto dei due primi, viene in seguito il 4°, meno variabile di tutti è il 3°. La variabilità dei diametri trasversali e antero-posteriori del fusto principale, va aumentando dalla metà al- l'apice superiore del fusto stesso. Come si può vedere dalle fotografie unite a questo lavoro, cinque presentano il 1° pugnale allargato più o meno in forma palmare: mentre uno solo presenta questo pugnale stiliforme. Di eguale struttura in tutti, salvo alcune differenze nel numero delle punte, è il 2° pugnale. Nelle corna 1, 2, 3, 5, in cui il 8° pugnale è sviluppato, si nota nel fusto prin- cipale una piegatura più o meno brusca verso lo innanzi, nella regione dove sorge il 3° pugnale stesso. Questa ripiegatura manca nel corno 6, in cui il 3° pugnale manca, ed è meno accentuata nel corno 4, in cui il 3° pugnale può essere conside- rato come rudimentale. Nelle corna delle Renne delle Spitzberghe, si nota nel fusto principale una tendenza ad appiattirsi lateralmente, a cominciare circa dai 8/, della sua lunghezza dalla base. L’indice di frequenza della forma palmare del 1° pugnale (date 6 varianti e due classi, una di 5 varianti, che hanno questa struttura, ed una di 1 variante stiliforme) è eguale a 0,8333. L'indice di frequenza della variante stiliforme è eguale a 0,1667. Nelle corna di Renne di Norvegia ($), date 5 varianti, l’indice di frequenza della forma palmare del 1° pugnale è 0,4000. Nella femmina, date 6 varianti, è invece soltanto di 0,1667. 233 L8 |S‘z8| gg (a‘egietTic‘Le’ © È : (as0q niunsuu) opediourid 03s0} [op ezzoySun] | IT A OL'T|OS'T|OT'G |08°T|08°8 |08T|% ®© © © OTesIoASBI) 0IFOWUBIP “WOPI | OT 00° | 02° 08° |09°8 |06°E 06° | 9SEq e[pep ‘owI00 [op ezzoySun] elpop */s è ‘s0d--que o1qourerg | 6 0T°G|08T 09" (084108 |09G|% > >) * O[ESIGASBI) 0IPPUIEIP ‘WOPI | 8 0F°E| 09° 108° 08° (0g (06/7 | 0uI00 [op ezzoySun] erop #/; e e1dos owr09 ‘9s0d-'que 0IJRUIBI(] | £ QEAlCOrt LI" 6.07 0#°8| 0g (09° |0T°3|00°8|08"8|" * "TT ®© @TESIOASCI) 01JOUIRIP ‘WOP] | 9 II. |0L| *EUI09 OUP a[[O9p dAIGOASII ISEQ QIMNSIUI d[[OP BOIZOUIFLIV VIPOUI E[[Ep Cqep A (4) ‘sut0018s21 duo? ‘IRA (8) "sus0dtipunfio “IRA (2) ‘nuoqstuado) ep ognar c1e[dwoshi (I) 69 PAe 62 LF 9g 0L È ; È Iredound IJsnz SnRAIOD toide 1]3 61} ‘Wop] 89 CI IOT ES c9 18 AO + SIONI GI va 78 2% 69 19 a Zi : DI RRIONI 66 45 GG 97 145 cr i i i i ‘ ezzoySun] 030] [jp */, è ‘Wwop] 9 9 L 9 9 L ; È ò SESA LULA 010] ARI BuUIOO Onp o][ep BzZuegsIi( 06 60T OS'O8IT T9 TL OS'LOT : : } (,) 2509 DUNST 2010] BI} 8UI09 onp ol[op VZ0 RISI €6 | L8 | SOT |OTT |OET | TETI | S9 | 89 GL 9L | OLI | SOL |. i s(e LIMA pins) ojediourid 09SnJ [op v2490 Juli] ari ee gu Ie Ve 81 Pan A e î MII pe ion eo IS a e RI TL | LE Pali e ; AGE * ’ rados euroo ‘ouI09 z [op ezzogSun] ejop *» è e301109s0d-01909UB 0I1JQUIBI(] a RAS A: (os 0 a aa ca | 06G|% © © © * @[BSI0ASBI} 0IJOureIp ‘Wop] ca an a aio er) PO. 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RICERCHE INTORNO ALLE RENNE DELLE ISOLE SPITZBERGHE 239 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TaAvoLa I. Rangifer spitzàbergensis Andersén. 1, 6, 16 — Cranio di $ adulto. 2, 13 — Idem (tav. II, fig. 20). 8, 12 -— Idem. 4 — Idem di 9. 5 — Idem di & adulto (con dentatura difettosa). 7 — Idem di individuo giovanissimo (tav. II, fig. 19, 26). 18 — Idem di $ semiadulto (tav. II, fig. 21, 25). 17 — Idem di & adulto. 8, 14 — Idem di Rangifer tarandus Linn. var. compressicornis di Siberia (tav. II, fig. 29). 9, 11 — Idem di Rangifer tarandus Linn. var. cylindricornis di Groenlandia, in cui si nota, a sinistra, un molare sopranumerario. 10 — Idem di Norvegia, 3 semiadulto, var. cylindricornis (tav. II, fig. 22, 27). 15 — Idem di Norvegia $ adulto, idem, idem. 19 — Mandibola inferiore di 3 semiadulto in cui si trova nella branca destra un alveolo di dente sopranumerario al davanti del 1° molare. Tavoa 0 Rangifer spitaàbergensis Andersén. Ma 5, 6, 12,13, 9, 46,617 — Corna. Rangifer tarandus Linn. . 15 — Norvegia, var. cylindricornis. 4, 10, 11 — Groenlandia, var. cylindricornis. 1, 14 — Siberia, var. compressicornis. Rangifer caribou (Gmel.). 8, 6 — America del Nord, var. compressicornis. 2, 18 — America del Nord, var. cylindricornis. 19, 26 — Cranio di Kangifer spitebergensis Andersén - Individuo giovanissimo (tav. I, fin). 20 — Cranio come sopra di $ adulto (tav. I, fig. 2, 13). 21, 25 — Idem, idem di $ semiadulto (tav. I, fig. 18). 28, 24 — Idem, idem di @ (tav. I, fig. 4). 22, 27 — Idem di Fangifer tarandus (Linn.), è semiadulto di Norvegia (tav. I, fig. 10). 23, 30 — Idem, idem, 3 adulto di Siberia con corna anomalo nella parte mediana del frontale destro. 29 — Cranio di Rangifer tarandus Linn. & di Siberia (tav. I, fig. 14). 31, 32, 33 — Rangifer spitzbergensis Andersén, giovani maschi, 31 in livrea d’in- verno, 32, 33 in livrea d’estate. 240 Fig. Si è% = > * % %* % x * LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO ALLE RENNE, ECC. 82 TavoLa III. Tarandus spitzbergensis Andersén. 2 _ Prolungamento del margine anteriore del parietale in un cranio di è adulto. , 3, 4, 5, 6, 7 — Idem in cranii di individui giovanissimi. 5 — Idem in cranio di è giovane. 9, 10, 11, 17, 18, 19, 20 — Idem in cranii Di è semiadulti. 12, 13, 1a 15, 16 — Idem in cranii di è adulti. 21, 922, 28, 24 — Idem in cranii di 9. 25, 26, 29, 33 — Nasali di è semiadulti; è ossa sopramascellari accessorie, c ossa intermascellari. 27 — Idem di individuo giovanissimo. 28 — Idem di 9. 29, 30, 31, 32 — Idem di è adulti. 34 — Contorno dell’ apertura nasale in un cranio di È adulto: n nasali, 1) ossa sopramascellari, c ossa intermascellari. 35 — Idem in un cranio di è semiadulto. \ 36, 37 — Da cranii di è adulti, c intermascellari, d mascellare superiore, e canino. 38 — Profilo della faccia superiore del frontale secondo la linea longitudinale mediana. A insenamento mediano in un cranio di ©. 39 — Idem in un maschio semiadulto. 40 — Idem in un individuo giovanissimo. 41 — Idem in un individuo adulto. (Tutte queste figure sono in grandezza naturale). [e N c . k D Memorie R. Accad. Sc. è Forino JA Ho) è TI. : ; 7 I CAMERANO - elererche ZZIZZAZIZ, atte Sten È Sc. OI i Sc. Fio. Mat. e IT at. Tio mogli! L SC, . VAZA 19 0le 7 lerghe. OTOGRAFÒ | Ba, peo Ò d di ha ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO: MILANO Fanta. rarcànaeà TNTORINO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA MBEEPNEOREULZA DEL Prof. EDOARDO MARTEL Approvata nell'adunanza del 12 Maggio 1901. Numerosa è la schiera dei botanici che sino ad oggi si occuparono di dare alle varie parti del fiore delle Crocifere, in particolare, un significato morfologico tale da ricondurre il diagramma del fiore a un tipo razionale. Altri spingendosi oltre, si provarono di assembrare in un solo gruppo le varie Crociflore, cioè Hypecoum, Fu- mariacee, Crocifere, Cleomacee. Se i risultati sinora ottenuti non corrisposero a quanto gli Autori di quelle ricerche si erano ripromesso, ciò va dovuto probabilmente a due cause: 1° al nu- mero troppo limitato di osservazioni intese a chiarire la struttura anatomica del fiore; 2° alla poca importanza che si diede all’anatomia comparata del fiore fra i varii sotto gruppi. Per quanto mi riguarda, mi provai di colmare quelle due lacune e presi a base delle mie osservazioni, l'armatura fibro-vascolare del fiore. Dall'esame comparato di questa, nei varii sotto gruppi, e dalle analogie di posizione e di forma fra i fillomi di verticilli corrispondenti presi partenza per giungere alle conclusioni che esporrò a suo tempo. Il Prof. R. Pirotta, Direttore del R. Istituto botanico di Roma, al quale rivolgo i miei più vivi ringraziamenti, nonchè il compianto Prof. Gibelli, misero a mia dis- posizione non solo consigli, di cui feci tesoro, ma pure il materiale necessario a studii che principiati in Roma, ma più volte interrotti, vennero da poco terminati nell'Istituto botanico di Torino. Per ragioni che qui è superfluo accennare, dovetti, nell'esame fatto dei varii sotto- gruppi, procedere, non complessivamente ma successivamente. Il metodo analitico che mi venne imposto nella compilazione di questo lavoro, se da una parte si prestò all'esame accurato del fiore in ciascun dei sotto-gruppi osservati, ebbe l'inconveniente di mandare a lunga scadenza le conclusioni da formolarsi per la costituzione del tipo che sintetizza in sè le varie forme successivamente studiate e quello che è peggio Serie II. Tom. LI. e! 242 EDOARDO MARTEL 92 di permettere che emettessi per uno dei sotto-gruppì considerati isolatamente, giudizi che l'esame di altri, che studiai dopo, contribuì a modificare. La via che intendo seguire nella compilazione di questa memoria è nettamente tracciata dallo scopo stesso cui essa mira. Rammenterò nel più breve modo possibile la struttura del fiore in quei sotto- gruppi che furono già oggetto per parte mia di pubblicazioni speciali, profittando di ciò per indicare le correzioni che mi vennero suggerite da ulteriori studii, quindi passerò successivamente in rassegna i due sotto-gruppi non ancora esaminati (Cro- cifere e Cleomacee). Mi proverò finalmente di raccogliere in un solo tutto, le varie osservazioni compiute sui singoli sotto-gruppi per servirmi di queste, onde costituire un unico tipo morfologico che riassuma in sè l'architettura fiorale delle Crociflore. Hypecoum procumbens. Le ricerche fatte ulteriormente alla Memoria (1) che pubblicai sull’anatomia di questo genere, non avendo modificato il modo d’interpretare la struttura del fiore, mi limiterò semplicemente a rammentarla. Il diagramma florale regolarissimo appartiene al tipo dimero perfetto e com- prende 6 verticilli. La disposizione delle parti è la seguente: 1° Verticillo 2 Sepali ant. post. 2° id. 2 Petali trasversi. 3° id. 20 d: ant. post. 4° id. 2 Stami trasversi. 5° id. 2 id. ant. post. 6° id. 2 Carpelli trasversi. L’armatura del fiore, relativamente semplice, ha origine da quattro tronchi va- scolari, da ciascuno dei quali si diparte un sistema di ramificazioni ben distinto. La indipendenza di quei sistemi ha per conseguenza quella dei fillomi cui le ramificazioni si distribuiscono, epperciò i limiti fra le varie unità florali si trova nettamente segnato. Una sola eccezione a questa regola la presentano i lobi laterali dei petali ant. post. (3° vert.) i quali, quantunque nettamente definiti, per essere spostati sen- sibilmente all'indietro del lobo medio, hanno nell’interno del ricettacolo il loro fascio principale d’innervazione per un certo tratto a contatto di quelli che innervano i fillomi del verticillo precedente (Petali trasversi) (fig. 1, Tav. I). Avrò occasione più in là di tornare su questo particolare. (1) Vedi MarreL, Contribuzione all’ Anatomia dell’Hypecoum procumbens, “ Memorie della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1897-1898. 3 INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 2483 Dicentra spectabilis. D. 0. In questo genere che, per la regolarità del fiore, può ritenersi tipo delle Fuma- riacee, sì ritrovano i quattro tronchi vascolari d’innervazione dell’Hypecoum, colla diffe- renza che mentre in questo genere ognuno dei tronchi rimane indiviso alla base, nella Dicentra i due tronchi trasversi si biforcano alla base, e le parti che derivano da questa biforcazione obliquando vanno a fondersi coi tronchi ant. post. (1) (fig. 10, Tav. 10 Siffatta concentrazione dei fasci vascolari nel piano di simmetria ant. post. de- termina necessariamente la saldatura del parenchima dei fillomi che si trovano per questo motivo molto ravvicinati, i quali perciò perdono quella indipendenza che nel- l’Hypecoum rende così facile la determinazione delle unità fiorali. Il diagramma empirico della Dicentra comprende soltanto cinque verticilli così ordinati: 1° Verticillo 2 Sepali ant. post. 2° id. 2 Petali trasversi. 3° id. 2° id. ant. post. 4° id. 2 Falangi stamifere trasverse. 5° id. 2 Carpelli trasversi. (fig. 5, Tav. I). Ognuna delle falangi staminali trasverse (4° verticillo), comprende tre stami dei quali il medio solo è munito di antera biloculare, i due laterali l'hanno dimez- zata. Ponendo a riscontro il diagramma empirico della Dicentra con quello dell’ Hy- pecoum si scorge che il primo differisce dal secondo per l’assenza dei due stami ant. post. (fig. 9, Tav. I). 3 Siccome però ai carpelli è conservata l’orientazione trasversa che già hanno nell’Hypecoum, così i fillomi dei due ultimi verticilli nella Dicentra si sovrappongono, anzichè alternare fra loro come lo esigerebbe la filotassi. A spiegare il difetto di alternanza e sempre all’intento di ricondurre il dia- gramma della Dicentra a quello dell’Hypecoum, vennero fatte varie ipotesi che io esaminai distesamente nel mio precedente lavoro. Di queste, mi limiterò qui a ram- mentare la più nota. Quest’ipotesi vuole che gli stami delle falangi opposte, collocate da una stessa parte del piano di simmetria trasverso, derivino dalla segmentazione in lunghezza di un filloma ant. post., le cui parti dopo essersi separate si sarebbero rovesciate ai lati di ciascuno dei due fillomi trasversi del verticillo precedente (Stami medii delle falangi) (2). (1) E. Marte, Contribuzione all’Anatomia della Dicentra spectabilis D. C., “ Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, 1898-1899, Tav. I, fig. 3. (2) Frumero ParLatoRE, Monografia delle Fumariacee. Firenze, 1844. 244 EDOARDO MARTEL 4 Se questa teoria ha da una parte il vantaggio di restituire al diagramma la sua disposizione normale, essa offre d’altra parte l'inconveniente di derivare i due stami uniloculari delle falangi opposte, dalla segmentazione di due fillomi nel senso della loro costola medio-principale. Gli Autori che chiamarono ingegnosa quella teoria, perchè trattandosi di Fuma- riacee, spiega il dimezzamento delle antere degli stami laterali delle falangi, do- vettero trovarsi alquanto imbarazzati quando alle Fumariacee vollero sostituire le Crocifere, poichè gli stami che in questa famiglia, per posizione, corrispondono a quelli laterali delle falangi, hanno antere intere. Sino a poco tempo fa mi ero schierato fra quelli assai più numerosi, che dànno ad ognuna delle falangi il significato di filloma trasverso (1). A confermarmi in questa teoria valse il fatto da me posto in rilievo, della presenza di due fasci ant. post. ciascuno dei quali s’insinua fra le due valve ovariche contrapposte e nasconde dietro di sè un cordone placentare. Per non avere seguito quei fasci nel ricettacolo alla loro origine, credevo ch’essi facessero parte integrale delle pareti ovariche, ed anzi, la loro presenza mi aveva indotto ad unirmi «al Prof. Lignier (2) per sostenere che i due carpelli delle Fuma- riacee, anzichè avere orientazione trasversa come il diagramma empirico l’indica, l'avessero ant. post. così da alternare colle falangi staminifere come lo esige la filo- tassi. Avevo perciò immaginato che ognuno dei carpelli supposti ant. post. fosse trilobato e che, mentre il lobo medio di essi rimaneva rappresentato da ciascun dei due fasci ant. post., i due laterali completamente sviluppati, mediante i rispettivi margini esterni, si saldassero coi lobi omonimi del carpello contrapposto e coi loro margini interni si saldassero fra loro due a due d’innanzi al lobo medio (3). La teoria da me sostenuta conduceva necessariamente a considerare i fasci, che tutti credevano costole medie delle valve, quale unione dei fasci marginali di due carpelli opposti. Questa teoria che all’infuori dell'origine dei fasci ant. post., trovava nell’anatomia del fiore un validissimo appoggio, offriva però troppo il fianco alla critica perchè non pensassi più a controllarla con ulteriori osservazioni. Anzitutto, coll’assegnare ai carpelli una orientazione ant. post., venivo a spez- zare uno dei tratti più salienti di affinità fra i due sotto-gruppi delle Fumariacee e dell’Hypecoum, e venivo -d’altra parte a cozzare di contro ad un grave ostacolo, quello cioè della placentazione. Concessa infatti ai carpelli una orientazione ant. post., le linee placentali do- vevano per quel fatto stesso, trovarsi nel piano di simmetria trasverso. Ora da tutti è noto che le placente nelle Fumariacee si trovano nel piano di simmetria ant. post. A questa obbiezione rispondevo che se le linee placentali si trovano nel piano di simmetria ant. post., ciò si deve al chè queste corrispondono, non alla saldatura dei margini dei carpelli contrapposti, bensì a quella dei margini dei due lobi laterali di uno stesso carpello d’innanzi al lobo medio. Questa mia risposta all’ obbiezione (1) Vedi Memoria citata. (2) Lirenier 0., La fleur des Crucifères comparée à celle des Fumariacées, “ Comptes-rendus de l’Acad. des Sciences ,, 1894. (3) E. MarreL, Mem. cit., Tav. III, fig. 36, lett. c. . 5 INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 245 che mi si poteva muovere, se contrastava con quello che si osserva nei casi di placentazione parietale, aveva per me il merito di corrispondere ai fatti. Gli studii intrapresi sul fiore delle Crocifere dopo ch’ ebbi pubblicato la mia Memoria sulla Dicentra contribuirono a dissipare i dubbii che in me erano rimasti riguardo alla struttura dell’ovario. Nelle Crocifere infatti avevo bensì ritrovato due fasci ant. post. corrispondenti a quelli che nelle Fumariacee s’insinuano fra le valve ovariche: ma avendo seguito il decorso di quei fasci nell'interno del ricettacolo mi accorsi che ciascun di essi rimaneva indipendente dai fasci innervatori delle valve ovariche, e biforcandosi alla base, veniva coi rami derivanti da quella biforcazione ad innestarsi sui due stami lunghi posti da una medesima parte del piano di simmetria trasverso. Posto su quella via, tornai al fiore della Dicentra, e feci le preparazioni neces- sarie onde mettere a scoperto le basi di ciascuno dei fasci ant. post. Procedendo con due metodi diversi, tali da controllarsi a vicenda, potei accertarmi che ognuno dei fasci ant. post. si collega nel ricettacolo coi fasci innervatori degli stami late- rali delle falangi opposte, collocati da una stessa parte del piano di simmetria trasverso (fig. 2-4-8-11, Tav, I). Questa osservazione che ripetei su un gran numero di esemplari e che ognuno può controllare, mi condusse a modificare di pianta il mio modo d’interpretazione dell’androceo. Lasciai da quel momento di considerare come fillomi distinti, ognuna delle fa- langi staminali di cui solo gli stami medii meritano quel significato, e considerai invece come fillomi ognuno dei due sistemi ant. post. che risultano da un fascio medio insieme ai due stami laterali delle falangi posti da una stessa parte del piano di simmetria trasverso. Si apponevano al vero gli Autori (1) che ammettevano nelle Fumariacee l’esi- stenza di un 5° verticillo, con due fillomi ant. post. corrispondenti ai due stami di stessa orientazione nell’Hypecoum, ma erravano, secondo me, quando asserivano che quei due fillomi si bipartissero in senso longitudinale per dare origine agli stami con antere uniloculari. La scoperta dei due fasci ant. post. che si uniscono per la loro base a ciascun paio di stami uniloculari, toglie alla teoria ora ricordata quello ch’essa aveva di strano, la bipartizione cioè di un filloma nel senso della sua nervatura medio principale (2). Al pari degli Autori che mi precedettero, ammetto dunque nelle Fumariacee un 5° verticillo dimero di fillomi ant. post., con questa differenza che quei fillomi, anzichè bipartirsi come si credeva, si dividono in tre segmenti di cui il mediano ri- dotto al suo fascio d’innervazione si porta all’avanti e s’insinua fra i margini delle valve ovariche contrapposte, mentre i due laterali si adattano a stami petaloidei e sì rovesciano a destra e a sinistra ai lati dei fillomi del verticillo precedente ossia degli stami medii delle cosidette falangi staminali. Il dimezzamento delle antere che l’antica teoria attribuiva alla bipartizione dei (1) F. Parzarore, Monografia delle Fumariacee. — M. Mussar, Actes du Congrès intern. de Bota- nique de Paris, pag. 181. (2) Non ignoro punto che una segmentazione longitudinale della costola medio principale, non è rara in alcuni frutti. La segmentazione però in questo caso, si spiega mediante un contrasto di trazioni che manca assolutamente nel caso di cui mi occupo attualmente. 246 EDOARDO MARTEL 6 fillomi, va secondo me, attribuita alla petalizzazione degli stami, ossia ad un feno- meno di metamorfosi regressiva analogo a quello che determina il dimezzamento delle antere nella Canna d’India. Determinata che fu la composizione dell’androceo e restituiti che furono all’an- droceo stesso i due fasci ant. post. che credevo parti integranti del gineceo, la com- posizione di quest’ultimo verticillo appare in tutta la sua semplicità. Se infatti, dall'armatura ovarica si escludono i due fasci ant. post., rimangono i due fasci trasversi ai quali restituisco il significato di costole dorsali e i due cor- doni placentali che derivano dalla fusione nel piano di simmetria ant. post. dei fasci marginali di ognuna delle valve ovariche opposte. La composizione del gineceo, torna in una parola, ad essere quella indicata dal diagramma empirico colla differenza di due fillomi in più e con quella che gli angoli rientranti ant. post. derivanti dall’associazione dei carpelli sono occupati dai due segmenti medii del verticillo precedenti; questi segmenti necessariamente nascon- dono dietro di sè i due cordoni placentali. Correzioni fatte, il diagramma delle Fumariacee va ora formolato in questo modo: 1° Verticillo 2 Sepali ant. post. atrofizzati. 2° id. 2 Petali trasversi. Sì id. 2 id. ant. post. 4° id. 2 id. trasversi (stami medii di ognuna delle due falangi). DS id. 2 Fillomi trisecti. — Dei tre segmenti, il medio s’insinua fra i margini opposti delle valve ovariche, mentre i segmenti laterali adattati a stami petaloidei si adagiano ai lati degli stami trasversi del verticillo precedente. 6° id. Carpelli trasversi. (fig. 6, Tav.gb DN Placentazione parietale. I due fasci ant. post. che rappresentano i lobi medii dei fillomi del 5° verticillo han lunghezza tale da oltrepassare le valve e contribuiscono insieme ai due fasci che rappresentano le costole dorsali delle valve stesse alla innervazione dello stilo e dello stigma (fig. 11', Tav. I fm). u Siccome ad ognuno dei quattro fasci stigmatici corrisponde un lobo, così pure, quattro sono i lobi stigmatici. Ora siccome dietro a ciascun dei fasci ant. post. si nasconde un cordone placentale, così, contrariamente alle regole di alternanza, quei cordoni appariscono opposti ai lobi stigmatici ant. post. Questo fatto che diede ori- gine a discussioni varie, si spiega agevolmente, sapendo ora che i fasci ant. post. ed i lobi stigmatici ad essi corrispondenti non appartengono morfologicamente al- l’ovario ma al verticillo che precede. Dei quattro lobi stigmatici i due soli che fan parte dell’ovario sono i trasversi e questi alternano coi cordoni placentali, come lo esige la filotassi. Mentre nell’Hypecoum ognuno dei petali ant. post. è profondamente trilobato, quelli della Dicentra sono semplici. All’opposto è da notarsi che i due petali trasversi che nella Dicentra raggiungono dimensioni straordinarie, nell’ Hypecoum sono di me- diocre sviluppo. Questo contrasto m’indusse a cercare se fra i petali trasversi della \ 7 INTORNO ALL’'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 247 Dicentra e quelli ant. post. non vi fosse una relazione analoga a quella che lega 1 fillomi trasversi del 4° verticillo (stami medii delle falangi) con quelli del 5°, se cioè i petali trasversi non dovessero le loro enormi dimensioni alla loro saldatura coi lobi laterali dei due fillomi ant. post. del verticillo seguente. Volli in una parola cercare se i petali ant. post. della Dicentra non fossero trisecti al pari di quelli dell’Hypecoum e se i duo segmenti laterali di quei petali anzichò rimanere uniti al loro lobo medio, non si fossero uniti ai due petali trasversi del verticillo precedente. Perchè un fenomeno di questo genere potesse succedere e perchè i lobi laterali dei petali ant. post. del 3° verticillo potessero connascere con i petali trasversi del verticillo precedente occorrerebbe: 1° che la segmentazione dei petali ant. post. fosse profonda ed in secondo luogo che quei petali nella parte che rimane nascosta nel ricettacolo fossero respinti verso la periferia. Ciò si verificherebbe qualora quei pe- tali nella loro parte libera s’incurvassero per portarsi verso il centro. Una incur- vatura di questo genere, supposta fissa la estremità superiore dei petali, non si potrebbe infatti ottenere senza uno spostamento verso la periferia della parte infe- riore. Ammesso anzi che l’incurvamento fosse molto pronunciato, potrebbe darsi che la base stessa del petalo cedesse, e si spostasse a suo turno. Se ora da una semplice ipotesi si passa al fatto concreto si osserva che nel- l’Hypecoum il lobo medio dei petali ant. post. s’incurva in modo che la punta di essi dopo di avere oltrepassato gli stami del 5° verticillo, viene a poggiare di contro all’ovario (fig. 7, Tav. I). Discorrendo dell’Hypecoum in principio di questo lavoro, feci notare che, conformemente a quello che dissi poco primà, i fasci dei lobi laterali dei petali antero posteriori nell’interno dell’ovario connascono con quelli dei petali trasversi (fig. 1, Tav. I). Nella Dicentra l’incurvamento dei petali ant. post. è tale che le punte dei due petali, non solo vengono a contatto dell’ovario, ma s'incontrano al disopra dello stigma, ed insieme si saldano (fig. 13, Tav. I). Se nell’Hypecoum l’incurvamento poco sensibile dei petali ant. post. determina nello interno del ricettacolo un principio di connascimento fra i lobi laterali che da esso dipendono ed i petali trasversi, maggiormente si rende probabile un connascimento di questo genere nella Dicentra, dove, come dissi, l’incurvamento dei petali ant. post. è più spiccato. A suo tempo dimostrerò che nelle Crocifere 6 per ragioni analoghe si ottiene un fenomeno di spostamento consimile a quello osservato nell’ Hypecoum e nella Dicentra. Non solo presunzioni basate sui fatti d'ordine teoretico inducono a credere che l'ipotesi da me fatta abbia un fondamento di vero, bensì altre basate sull’osservazione diretta. Nella Dicentra i petali trasversi sono divisi in due parti da un restringimento e la parte superiore di essi nel fiore giovane si applica di contro allo stigma, mentre più tardi lo abbandona per rovesciarsi all’indietro (fig. 12’ e 14, Tav. DU movimento così eseguito dalla parte superiore dei petali trasversi deve evidentemente attribuirsi ad uno squilibrio di trazione fra i fasci che innervano i petali. Ora dall'esame che feci dell'armatura vascolare risulta che in ognuno dei petali trasversi vi sono tre sistemi d’innervazione, uno medio e due laterali. Questi ultimi sì trovano di fronte, per essere i petali trasversi fortemente ripiegati su sè stessi lungo 248 EDOARDO MARTEL 8 la rispettiva costola mediana (fig. 3, Tav. I). Lo squilibrio di trazione che determina il movimento all’indietro della parte superiore dei petali, deve necessariamente rife- rirsi al vario sviluppo che acquista il sistema d’innervazione medio, relativamente ai due laterali, il che implica fra i tre sistemi una certa indipendenza che non facil- mente si verificherebbe se appartenessero allo stesso filloma. Siccome la nervatura dorsale dei petali trasversi alla base si biforca e che le biforcazioni vengono a contatto dei due tronchi vascolari ant. post., così difficile è il decidere se i sistemi d’innervazione laterali dei petali che sorgono dai punti di contatto sono in dipendenza della costola dorsale dei petali trasversi oppure di quella dei petali ant. post. Se dunque si considera: 1° che non v'è ragione alcuna perchè i petali trasversi acquistino uno sviluppo così sproporzionato come l’hanno; 2° che la connessione fra i lobi laterali dei petali ant. post. coi petali tras- versi, se non è compiuta, è però già schiettamente iniziata nell’ Hypecoum e nelle Crocifere; 3° che una connessione analoga a quella che credo esistere fra i lobi laterali dei petali ant. post. e dei petali trasversi esiste già fra i lobi laterali dei fillomi ant. post. del 5° verticillo ed i fillomi trasversi del 4°; 4° che l'inserzione dei sistemi laterali d’innervazione rimane dubbiosa. Si viene alla conclusione che molto probabilmente si verifica nel perianzio delle Fumariacee un fenomeno di connessione analogo a quello che si verificò nell’androceo. A quel fenomeno deve probabilmente attribuirsi l'enorme sviluppo dei sepali trasversi. Crocifere. Il diagramma empirico delle Crocifere ha il seguente ordinamento: 1° Verticillo 2 Sepali ant. post. 20 id. 2 id. trasversi. 3° id. 4 Petali diagonali. 4° id. 2 Stami trasversi (brevi). 5° id. 2 id. diagonali (lunghi). 6° id. 2 Carpelli trasversi. (fig. 15, Tav. 1). Placentazione parietale. — Siliqua biloculare Oltre ai due piani di simmetria ortogonali esistenti nei sottogruppi già esaminati, in questo ve ne sono due diagonali. Il diagramma empirico delle Crocifere è irrazionale non solo per la coesistenza di due simmetrie, bensì anche per l’assenza di due verticilli, uno dei quali dovrebbe, per principio di alternanza, essere collocate fra il 2° ed il 3°, l’altro fra il 5° ed il 6°. I fillomi del primo fra questi verticilli mancanti, dovrebbero essere opposti ai sepali ant. post., e quelli del secondo, alternare cogli stami trasversi. A queste anomalie, si aggiunge il fatto di un ovario biloculare, quantunque di placentazione parietale e di cordoni placentari opposti ai lobi stigmatici ant. post. 9 INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 249 Considerato nei suoi caratteri puramente esterni, il fiore delle Crocifere si ran- noda a quello dell’Hypecoum e delle Fumariacee pei fillomi dei due primi verticilli e per la conformazione dell’ovario. A meglio chiarire le spiegazioni che dovrò fornire più in là, sulle singole parti del fiore, darò sin d'ora un cenno intorno all’armatura generale del fiore, considerata nel suo complesso. I fasci innervatori maestri dei varii organi florali sono, nelle Crocifere, distribuiti in quattro piani di simmetria, di cui due ortogonali (ant. post. e trasversi) e due diagonali. Eccezione fatta dei fasci che armano le costole mediane dei sepali, tutti quanti gli altri che si trovano nei due piani di simmetria ortogonali, risultano dalla con- vergenza in quei piani di due fascetti, che alla loro base vanno a saldarsi coi fasci innervatori degli organi florali diagonali (fig. 5-7, Tav. II). I fasci che si trovano in ciascuna ‘metà del diametro ant. post., sono in numero di tre: 1° fascio innervatore di sepalo, 2° fascio che al livello del ricettacolo s'incurva verso l’ovario, per indi occu- pare l’angolo rientrante che risulta dall'incontro delle due valve ovariche opposte, 3° fascio occultato dal precedente, nell’interno della cavità ovarica. A formare i tronchi trasversi contribuiscono per ogni metà: 1° la costola mediana di un sepalo, 2° il fascio innervatore di uno degli stami trasversi (brevi), 3° fascio che arma la costola mediana di una delle valve ovariche. In ogni metà dei diametri diagonali si hanno: 1° fascio innervatore di un petalo, 2° fascio innervatore di uno stame lungo. Ai piani diagonali poi si rannodano, come dissi prima, le biforcazioni dei fasci ant. post. e trasversi, nonchè i fasci marginali dei sepali. Da questo primo cenno sull’armatura fiorale delle Crocifere, si scorge che mentre i fasci innervatori degli organi fiorali diagonali sono semplici; doppi, epperciò di valore anatomico superiore, sono quelli che innervano gli organi posti nei piani di simmetria ortogonali. Noterò che lo svolgimento dei fasci vascolari si compie nelle Crocifere, in via centripeta, per cui la parte di essi meno differenziata è quella ch'è più profonda. Ciò obbliga l'osservatore che desidera di farsi un concetto del decorso completo dei fasci a servirsi di fiori progrediti in sviluppo, nei quali la direzione naturale dei fasci stessi può essere contrariata da cause varie. Avviene spesso anzi, che le costole medio-principali dei sepali, solo per la loro estremità superiore si trovino nei rispet- tivi piani di simmetria, mentre per la parte rimanente rimangono così spostate da venire a contatto coi fasci diagonali. Altra difficoltà creano allo studioso le anastomosi laterali dei fasci, alle quali | si è propensi a dare un valore superiore di quello che meritano. L'esame di un gran numero di esemplari, permette però di fare astrazione delle irregolarità incidentali. Passerò ora all'esame particolareggiato dei singoli verticilli. Perianzio. Calice. — Se divergenze fra Autori, non sono possibili riguardo al numero dei sepali, così non può dirsi riguardo a quello dei verticilli. Serie II. Tom. LI. e! 250 EDOARDO MARTEL 10 Se infatti il massimo numero dei botanici consente nel tipo dimero, alcuni, quali De Candolle, Seringe, Moquin-Tandon, Webb, Godron, ammettono invece il tipo tetramero. Il Payer (1) asserisce, che in alcune Crocifere da lui osservate, i sepali sono disposti a spira e G. Henslow (2) che il fiore delle Crocifere fu in origine pentamero, ed a cause meccaniche si deve, secondo lui, se ora è dimero. Per quelli che consentono nel tipo dimero, il verticillo esterno è quello che è occupato dai sepali ant. post. A sostegno della loro opinione notano: 1° che i sepali ant. post. sono’ quelli che coi loro margini ricuoprono i trasversi; 2° che nei sotto gruppi affini i sepali ant. post. essendo evidentemente esterni, per analogia lo stesso debba verificarsi per le Crocifere. Lasciando per ora in disparte la seconda di queste considerazioni si può asse- rire nel modo più reciso, che la prima è vera (fig. 12, Tav. I). J. Klein (3) pel primo, poi O. Lignier (4) e R. Chodat e Lendner (5), senza negare che i sepali ant. post. nella loro parte libera, siano esterni ai trasversi, osservano che nell’interno del ricettacolo, i primi a portarsi verso la periferia sono i fasci destinati alla innervazione dei sepali trasversi (fig. 10, Tav. Il. Secondo gli Autori su riferiti, ciò dimostrerebbe che, anatomicamente parlando, i sepali trasversi sono quelli da considerarsi esterni. Partendo da questa osservazione ed anche dal fatto che nelle Fumariacee i sepali ant. post. sono organi atrofizzati, il Prof. Lignier spingendosi più in là viene alla conclusione che i sepali ant. post. delle Crocifere non corrispondono, come gene- ralmente si crede, ai sepali di stessa orientazione delle Fumariacee, ma bensì ai loro petali ant. post. (3° verticillo). Siffatti petali, per essere stati respinti alla periferia, avrebbero secondo il Prof. Lignier, oltrepassato nel loro movimento verso la peri- feria i sepali trasversi e preso il posto degli antichi sepali. Questi poi nelle Crotifere sarebbero completamente abortiti. Se sono pienamente d’accordo cogli Autori sopracitati, riguardo al fatto mate- riale osservato da loro, dissento riguardo alle cause che l’han prodotto, e credo non giustificata la teoria del Prof. Lignier. Dal fatto che i fasci innervatori dei sepali trasversi si staccano dall’anello centrale più presto, ossia ad un livello inferiore a quello dei fasci destinati ai sepali ant. post., non si deve inferire assolutamente che i primi siano di sviluppo anteriore ai secondi. Il livello più profondo al quale avviene lo scostamento dei fasci trasversi è una conseguenza della maggiore apertura d’angolo, che quei fasci debbono fare coll’asse florale. Da tutti è infatti noto che mentre i sepali ant. post., nel fiore giovane, han direzione eretta, quelli trasversi si portano molto all’ infuori, onde formare quella gibbosità ch'è necessaria a contenere il nettario che accompagna gli stami brevi. Il fortissimo incurvamento all'infuori cui i fasci innervatori dei sepali trasversi (1) Traité d’Organogénie de la Fleur. (2) “ Transactions of Linnean Society ,, 1874. (3) Der Bau der Kruciferen Bluthe auf anat. Grundlage. (4) La fleur des Crucifères comparée à celle des Fumariacées, “ Comptes-rend. Ac. Sc. ,; 1895. (5) “ Bulletin de l’herbier Boissier ,, 1897. 11 INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 251 si sottopongono, determina necessariamente per ciascun d’essi un maggiore scosta- mento dall’ asse, scostamento che si protende tanto più all’ingiù, quant'è maggiore l’incurvamento stesso (fig. 8, Tav. II). A prova di ciò, basta osservare che la prio- rità di scostamento dei fasci trasversi relativamente agli ant. post. è tanto meno sensibile quanto meno sono gibbosi i sepali trasversi ed in genere quanto più gio- vane è il fiore. Queste obbiezioni, ed il fatto evidente che i sepali ant. post. coprono i trasversi, bastano, io credo, perchè non si possa modificare l'opinione generalmente professata intorno all’esteriorità dei sepali ant. post. L'ipotesi sostenuta dal Prof. Lignier, che, cioè, i sepali ant. post. delle Croci- fere non corrispondono a quelli di stesso grado nelle Fumariacee, bensì ai petali ant. post. spostati, non regge alla discussione. A spiegare per quali ragioni i fasci innervatori dei sepali trasversi sono in- terni agli ant. post. nell'interno del ricettagolo, mentre sono ad essi esterni all’in- fuori del ricettacolo, occorre ammettere l’intervento di una spinta dal centro alla periferia applicata in un punto della lunghezza dei sepali. Ora se questa spinta, alla quale bisogna attribuire il trasporto degli attuali sepali dal 3° verticillo al 1°, esi- stesse, questi anzi che avere nel fiore giovane, direzione verticale, l'avrebbero obliqua. Se i sepali delle Crocifere hanno, come lo vuole il Prof. Lignier, lo stesso si- gnificato morfologico dei petali ant. post. delle Fumariacee, come spiegare l'enorme differenza di struttura e di sviluppo fra gli uni e gli altri? I sepali ant. post. delle Crocifere, infatti, sono organi meschini in via di atrofia ed anzi, sotto questo aspetto hanrio varii punti di ‘contatto, non coi petali, ma bensì coi sepali ant. post. delle Fumariacee (fig. 12, Tav. I). I petali nel fiore delle piante di questa famiglia, sono invece di tutti gli organi florali i più vistosi e con tutte le concessioni fatte al- l'adattamento, non si arriva a spiegare le enormi differenze che le separano dai sepali delle Crocifere. - Nell’Hypecoum ognuno dei petali ant. post. è munito di due grandi lobi laterali ed il Prof. "Lignier, a completare l'assimilazione dei petali di quel genere con i sepali delle Crocifere, considera quali lobi laterali di essi, gli organi florali che nelle Crocifere rivestono i caratteri di petali. Dato pure che l’adattamento sia così po- tente da produrre fra le parti di uno stesso filloma differenze così straordinarie come quelle che separano nelle Crocifere i sepali dai petali, non si arriva con esso a spiegare come avviene, che mentre nell’ Hypecoum il lobo medio dei petali si porta fortemente all’avanti verso l’ovario ed i lobi laterali all’infuori, nelle Crocifere i sepali si comportano in modo diametralmente opposto a quello del lobo medio delle Fumariacee. Il fatto anatomico sul quale il Prof. Lignier poggia la sua teoria è quello della saldatura dei fasci marginali dei sepali ant. post. coi fasci dei petali che stanno ai lati di essi. Il fatto riferito dal Prof. Lignier è vero, ma egli non si accorse che sui fasci innervatori dei petali, non solo si saldano quelli marginali di sepali ant. post., bensì anche quelli dei trasversi (fig. 2-4-6, Tav. II). Ciò dato non si sa vedere per quali ragioni i petali han da essere considerati quali dipendenze dei sepali ant. post. | anzichè dei trasversi. Osserverò inoltre che la saldatura dei fasci marginali delle due | specie di sepali, non avviene per ognuna di esse ai lati opposti dei fasci petaliferi, 252 EDOARDO MARTEL 12 ma alla parte anteriore di questi. Più che saldatura dei fasci marginali dei sepali coi fasci petaliferi è qui questione di saldatura fra loro dei fasci marginali di sepali contigui, d’innanzi al fascio petalifero. Sotto qualsiasi aspetto si consideri, la teoria del Prof. Lignier, benchè ingegnosa, presta troppo il fianco alla critica per avere valore scientifico. Escluse le conclusioni che J. Klein ed O. Lignier traggono dalla disposizione relativa dei fasci innervatori dei sepali, rigettata la teoria dell’ultimo di questi Autori sulla costituzione del calice e della corolla, rimango dell’opinione di quelli che vogliono il calice di due verticilli con sepali ant. post. esterni. La sistematica dà ai due fillomi del secondo verticillo fiorale dell’ Hypecoum e delle Fumariacee il nome di petali trasversi, mentre dà ai fillomi di stessa orien- tazione nelle Crocifere, quello di sepali. Le analogie di posizione di forma ed anche di contenuto (nettari) che legano i fillomi trasversi del 2° verticillo nei tre sotto- gruppi, sono troppo evidenti perchè possa sorgere il dubbio ch’essi abbiano signi- ficato morfologico diverso. A meglio rammentare quelle analogie, forse sarebbe stato più razionale di conservare ai petali trasversi delle Hypecoum e delle Fumariacee il nome di sepali petaloidei (fig. 12-12’, Tav. 1). Corolla. — Il 3° verticillo che nell’Hypecoum e nelle Fumariacee è occupato da due petali ant. post., lo è nelle Crocifere da quattro organi petaloidei diagonali (petali degli Autori). È inammissibile che questi quattro organi petaloidei diagonali derivino dalla segmentazione di due fillomi ant. post., perchè ad una ipotesi di questo genere si oppongono recisamente gli studii di organogenia e perchè i fasci innervatori di quegli organi sono separati da altri fasci ben distinti. Siffatta ipotesi ammette implicitamente la segmentazione di un filloma nel senso della costola media, ed un fenomeno di questo genere è troppo raro per non meri- rare di essere seriamente controllato. Faccio poi osservare che fra i tanti casi di anomalia sin qui consegnati in varie opere e specialmente in quella del Prof. 0. Penzig (1) non si è dato il caso di due petali ant. post. in sostituzione dei quattro diagonali. Taluni non tenendo conto alcuno delle analogie che legano le Crocifere alle Fumariacee, considerano quale verticillo indipendente quello occupato, nel primo di questi gruppi, dagli organi petaloidei (petali degli Autori) e vogliono che i fillomi, che, secondo la filotassi, dovrebbero sovrapporsi ai sepali ant. post., siano rappre- sentati dai due nettarii che in varie Crocifere sporgono fuori dagli stami lunghi. Quest’ipotesi è oggi quasi completamente abbandonata dalla generalità perchè insostenibile. Ammesso infatti che quei nettarii risultino dall’atrofia di due fillomi, essi dovrebbero conservare traccia d’innervazione, poichè è ovvio che le parti che più difficilmente si prestano a sparire, sono quelle che offrono la maggiore resistenza agli agenti esterni. Ora le ricerche dirette a rintracciare i fasci innervatori, con- dussero tutte quante a risultati negativi (fig. 12, Tav. II). Mi avvenne anzi d’incon- (1) Pflanzen teratologie. 13 INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 253 trare alcuni di quei nettarii vuoti e trattenuti al torus da sottile pedicello. Non mancano casi nei quali mancano del tutto, ed altri all’ opposto in cui sono in numero doppio ed occupano posizione diversa da quella generalmente tenuta (fig. 1, Tav. ID). Col Prof. Gibelli, che si occupò in modo speciale di questo argomento, sono del parere che ai nettarii non debba attribuirsi significato superiore a quello di appendici della massa ghiandolare che in talune Crocifere (Cheiranthus Cheiri) ricuopre quasi per intero, il ricettacolo. I nettarii ant. post. non sono d’altronde i soli originati da quella massa ghian- dolare; altri pure vistosissimi si rinvengono nel piano di simmetria trasverso ai lati degli stami brevi ed a nessuno, che io sappia, venne in mente di attribuire a questi, il significato di fillomi (fig. 8, Tav. Il). Divido pienamente col Prof. Lignier l'opinione che gli organi petaloidei delle Crocifere non abbiano il valore di unità fiorali, bensì solo quello di parti o lobi, ma dal Prof. Lignier dissento sulle cause dell’apprezzamento del valore da attribuirsi a quegli organi e sulla specie dei fillomi dai quali essi dipendono. Non tornerò sulle ragioni che spinsero il Prof. Lignier a considerare gli organi petaloidei delle Cro- cifere quali dipendenze dei sepali ant. post.: dirò invece quali sono le osservazioni che mi guidarono nel dare a quegli organi il significato di lobi florali e nella scelta dei fillomi da cui essi dipendono. Tornando all'esame dell'armatura generale del fiore, ricordo anzitutto che gli organi florali posti nei due piani di simmetria ortogonali, sono i soli i cui fasci innervatori siano composti, mentre semplici sono quelli che innervano gli organi diagonali. Da questa osservazione venni alla conclusione di accordare agli organi contenuti nei piani ortogonali un valore superiore a quello degli organi diagonali. Nello studio che già ho fatto dei due gruppi precedenti risulta che la costola media di un filloma si biforca alla base, ogni qualvolta il filloma stesso, dà origine a lobi laterali divergenti. A queste due prime osservazioni ne aggiungerò una terza, ed è che gli organi petaloidei delle Crocifere, quantunque talora provvisti di estesa lamina, posseggono un'armatura fibro-vascolare maestra assai più semplice di quegli organi ai quali non è possibile, per la posizione che occupano (sepali - valve ovariche), di negare il significato di unità fiorali. In questi ultimi infatti l'armatura maestra comprende sempre tre fasci, negli organi petaloidei uno solo (fig. 17, Tav. I). Ammesso che gli organi petaloidei delle Crocifere, presi due a due, siano solo lobi laterali di un filloma ed esclusa la teoria del Prof. Lignier, qual'è il lobo medio al quale ogni paja di quei lobi si rannoda? A mettere in rilievo questo punto capitale della struttura del fiore, basta osservare una sezione di esso condotta parallelamente al piano di simmetria trasverso dopo di avere tolto con delicatezza i sepali ant. post. Operando nel modo qui detto, si scorgerà che i fasci innervatori dei due organi petaloidei posti da una stessa parte del piano di simmetria trasverso, e gli stami lunghi posti nelle stesse con- dizioni si rannodano alle biforcazioni di uno di quei fasci ant. post. che si piegano sotto il ricettacolo per raggiungere le pareti ovariche e che indi si raddrizzano per collocarsi nell’angolo rientrante corrispondente alla unione delle due valve ovariche (fig. 7-11, Tav. II). Ognuno di questi fasci percorre l’ovario in tutta la sua lun- 954 EDOARDO MARTEL 14 ghezza e talora l’oltrepassa per contribuire, come si vedrà più in là, alla formazione del rostro. Invece di operare su sezioni verticali si può, volendolo, adoprare sezioni oriz- zontali che abbraccino lo spessore del ricettacolo (fig. 1, Tav. II). Il risultato ot- tenuto è lo stesso. Tacendo per ora degli stami lunghi, di cui parlerò poi, non v'ha dubbio alcuno per me che ognuno dei sistemi, formati da due degli organi petaloidei e dal fascio medio al quale essi si rannodano, abbia il significato di filloma di 3° verticillo, e credo operare logicamente, assimilando ognuno di quei sistemi ai petali ant. post. dell’ Hypecoum e delle Fumariacee. La mia convinzione a questo riguardo non solo si fonda sulla posizione e sull’orientazione delle parti considerate, bensì anche su alcuni fatti di analogia che non possono essere trascurati. Nelle Crocifere si è visto ora che il fascio medio di ciascun dei sistemi si porta verso l’ovario per applicarsi di contro alle sue pareti: ora tanto nell’ Hypecoum quanto nelle Fumariacee, il lobo medio dei petali ant. post. si porta verso l’ovario e mentre nel primo viene semplicemente a contatto con esso (fig. 7, Tav. I), nelle seconde l’oltrepassa per venire al disopra dello stigma a contatto col lobo medio del petalo opposto e con esso saldarsi (fig. 13, Tav. I). Trattandosi dell’Hypecoum v'è anzi da osservare che in seguito alla spinta determinata dall’ incurvarsi del lobo medio al- l’avanti, i lobi laterali sporgono fra i sepali ant. post. ed i petali trasversi nello stesso modo col quale gli organi petaloidei delle Crocifere sporgono fra le parti del calice. La figura teorica n° 3 della Tav. III, che si può paragonare colle figure 7 e 11 della Tav. II, dà un'idea esatta del mio modo di pensarla riguardo alla interpre- tazione da darsi ai due fillomi ant. post., che nelle Crocifere tengono il posto dei petali ant. post. delle Fumariacee e dell’Hypecoum. Si veda pure la figura teorica n° ts, Lav HE Riassumendo le mie osservazioni sul perianzio dirò che i tre primi verticilli nei sotto-gruppi delle Crociflore non solo ammettono lo stesso numero di fillomi, ma fillomi di orientazione corrispondente e di struttura vascolare analoga. Androceo. — Questa parte del fiore fu pei botanici oggetto di attivissime ri- cerche, intente, è superfluo dirlo, a ricondurla ad un tipo normale. Delle tante ipo- tesi escogitate sino ad ora, mi limiterò a rammentare le quattro principali. La prima di queste, sostenuta da Aug. St.-Hilaire e da Moquin-Tandon (1), vuole che l’androceo appartenga al tipo tetramero, con unico verticillo recante due stami trasversi interi e due ant. post. sdoppiati. Questa teoria nella quale all’androceo è concesso un verticillo unico, è oggi completamente abbandonata. Colla seconda ipotesi formolata da J. Klein (2) si vuole pure l’androceo tetra- mero, ma con due verticilli. Il più esterno di questi porterebbe secondo lui, quattro stami ortogonali, di cui i due ant. post. atrofizzati, ridotti a nettarii, mentre il più interno porterebbe quattro stami diagonali. (IRSA nniSSci Nati, 10.520) (2) Der Bau der Kruciferen auf Anat. Grundlage. 15 INTORNO ALL'’UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 255 In altra parte di questo lavoro spiegai le ragioni per cui dal maggior numero dei botanici l’idea di considerare quali fillomi atrofizzati i nettarii che spesso spun- tano fra i due stami lunghi delle Crocifere è stata abbandonata e non vi tornerò. J. Klein considerava quali fillomi indipendenti e di orientazione diagonale, gli organi petaloidei, epperciò era razionale per lui dare pure agli stami lunghi il si- gnificato di fillomi indipendenti, sovrapponibili per logge di filotassi, agli organi petaloidei stessi. Dopo la teoria che ho dato del perianzio, l’orientazione diagonale degli stami lunghi è solo possibile qualora si tolga a quegli organi il grado di fillomi indipendenti per lasciare loro soltanto il significato di parti o lobi. Se dunque ia teoria che io diedi del perianzio si appone al vero, quella di J. Klein riguardo all’androceo è inammissibile. La terza ipotesi sull’androceo è quella di Eichler (1), nella quale si sostiene che l’androceo delle Crocifere comprende due verticilli dimeri con l’inferiore munito di due stami trasversi (st. brevi) ed il superiore di due ant. post. sdoppiati. Noto in primo luogo che l'ipotesi di Eichler lascia insoluta la questione del perianzio. I due fillomi ant. post., dai quali l'Autore fa derivare gli stami lunghi, sono bensì opposti ai sepali ant. post., ma invece di occupare il 3° verticillo come lo vorrebbe la filotassi, occupano il 5°. Riguardo poi allo sdoppiamento dei due fillomi ant. post., non posso che ripetere quello che già dissi rammentando la teoria di Aug. St.-Hilaire, e quella di Eichler, per questi motivi, non mi pare di certo più razionale di quelle che la precedettero. La teoria dell’androceo sostenuta dal Prof. Lignier è quella che considera i sei stami delle Crocifere quali segmenti di due fillomi trasversi. In ognuno di questi, il segmento medio è rappresentato da uno degli stami brevi, mentre i segmenti la- terali lo sono dagli stami lunghi situati da una stessa parte del piano di simmetria ant. post. Il principale rimprovero che si fece a questo modo d’interpretare l’an- droceo fu quello di volere riunite in un medesimo verticillo, parti che evidentemente appartengono a verticilli diversi. Il rimprovero mosso al Prof. Lignier è certo giusto, ma al Lignier non mancano, certo, mezzi di difesa. La differenza di statura fra gli stami trasversi e quelli diagonali è infatti tanto maggiore quanto più i primi nella projezione orizzontale son lontani dai secondi. In quei generi nei quali il fenomeno della tetradinomia è poco spiccato, i sei stami sembrano poco lontani d’occupare uno stesso verticillo. Il fenomeno della tetradi- nomia si spiega infatti coll’obbligo in cui si trovano gli stami trasversi di descri- vere nell'interno del ricettacolo una curva più o meno pronunciata che permette loro di adattarsi alla posizione di un nettario che si oppone alla loro uscita imme- diata (fig. 8, Tav. II). Per uscire dal ricettacolo a distanze varie dal centro, i com- ponenti dell’androceo nelle Crocifere sembrerebbero appartenere a verticilli diversi, fosse pure dimostrato che appartengano ad un solo. In secondo luogo gli stami trasversi. per stendersi nel ricettacolo, perdono in altezza quanto spendono nel senso orizzontale, cosa che non si verifica pe’ diagonali, e ciò basta a spiegare il fenomeno della tetradinomia. Conseguenza immediata di (1) Bluthen-diagrame. 256 EDOARDO MARTEL 16 quel che precede, è che lo scostamento degli stami trasversi dal centro e la loro piccio- lezza relativa saranno tanto maggiori quanto più i nettarii che si oppongono alla loro uscita saranno più sviluppati. Tenute presenti queste condizioni, non v'è nulla di straordinario se il Prof. Lignier abbia pensato che teoricamente parlando, l’androceo delle Crocifere potesse essere considerato come univerticillato. Il Prof. Lignier si lasciò probabilmente troppo trasportare dal desiderio di legare l’androceo delle Crocifere a quello delle Fumariacee. Egli vedendo che nell’ Hy- pecoum gli stami trasversi sono uno per parte, che nel Gen. Fumaria sono ancora uno per parte, ma con tre antere, che nella Dicentra ognuno degli stami si fa tri- partito, ha pensato che nelle Crocifere gli stessi si facessero trisecti. Credo attribuire l’errore del Prof. Lignier nella interpretazione dell’androceo al non avere sufficientemente tenuto conto delle risorse che l’anatomia era in grado di fornirgli. Se l'Autore qui citato, avesse esaminato attentamente la struttura va- scolare del fiore, si sarebbe accorto che ponendo a sè d’innanzi una sezione verticale del fiore condotta parallelamente al piano di simmetria trasverso, spicca un sistema vascolare costituito da un fascio medio ant. post., il quale mentre, nella sua parte li- bera, occupa l’angolo rientrante formato dall'incontro nel piano di simmetria ant. post. degli orli delle due valve ovariche opposte, nell’interno del ricettacolo si biforca ed i rami che risultano da questa biforcazione nel procedere all’ingiù, prima incontrano gli stami lunghi compresi nella sezione e indi gli organi petaloidei che si trovano con essi compresi nello stesso diametro diagonale. Se l'esame della sezione si compie dalla parte di essa, rivolta verso il centro del fiore, non è difficile in taluni casi di trovare il fascio medio nella parte libera, sdoppiato in due fascetti paralleli, di cui l’uno occulta l’altro. In generale però l'osservazione limitata alla sola sezione verticale, genera in chi la esamina l'opinione che l’intero sistema vascolare corrisponda alla innervazione di un sol filloma pentasecto (figg. 11-11'-13-13', Tav. II, e fig. 14, Tav. III. Se alle indagini fatte col mezzo di sezioni verticali se ne aggiungono altre ope- rate su sezioni orizzontali che comprendono lo spessore del ricettacolo e la base dell’ovario, non si tarda a riconoscere che l'armatura vascolare di cui ho parlato sopra è sdoppiata ed è formata cioè da due sistemi vascolari appartenenti a due verticilli diversi, i quali però per essere foggiati sul medesimo stampo e fra loro vicinissimi alla estremità superiore si occultano. Il più esterno di questi sistemi com- prende, come già dissi, un fascio medio che si confonde colle pareti ovariche fra i margini contrapposti delle valve e le cui biforcazioni nell’interno del ricettacolo si rannodano ai fasci innervatori degli organi petaloidei. Il doppio sistema di questa specie (uno ant. l’altro post.) corrisponde come già dissi ai due fillomi del 3° verti- cillo delle Fumariacee. Il sistema più interno comprende un fascio medio che rimane rinchiuso nell’ovario e le sue biforcazioni nell’interno del ricettacolo si rannodano agli stami lunghi compresi nella sezione: Il doppio sistema di questa specie (ant. e post.) rappresenta fillomi del 5° verticillo, i quali, astrazione fatta della direzione degli stami, sono paragonabili a quelli di stesso grado delle Fumariacee. I sei stami dell’androceo appartengono bensì a due verticilli come la gene- ralità degli Autori lo vuole, ma hanno valore morfologico diverso. Gli stami brevi: infatti rappresentano due vere unità fiorali, mentre i lunghi presi due a due da una stessa parte del piano di simmetria trasversa hanno solo il valore di lobi. Essi bleTA INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 257 infatti a somiglianza di quello che si verifica per gli stami laterali delle falangi nelle Fumariacee, sono i lobi laterali di un filloma il cui lobo medio, per portarsi all’a- vanti, rimane incluso nell’ovario (fig. 12, Tav. III). Pistillo. — Fra le tante silique che esaminai, quella che più agevolmente si presta a spiegare la costituzione del pistillo è quella della Vella. Principierò per dare una descrizione sommaria delle osservazioni che si possono compiere su una serie di sezioni ovariche, condotte dalla base dell’ovario stesso a partire dal livello in cui gli stami lunghi si rendono liberi. Le sezioni operate a siffatto livello, presentano complessivamente dieci traccie vascolari di cui sei in due gruppi di tre ciascuno alle estremità del diametro ant. post. e un paio di tracce alle due estremità del diametro trasverso (fig. 5 A, Tav. III). Il contorno della sezione è quasi circolare, e mentre il tessuto posto all’infuori della linea che congiunge le tracce vascolari è compatto ed ha l'aspetto di tessuto corticale, quello che ne occupa l’interno è delicato ed ha aspetto di parenchima midollare. Più in alto le tracce che si trovano a ciascuna delle estremità del diametro trasverso si fondono due a due in una per ogni estremità, per cui da questo momento il complesso delle tracce si riduce a otto (fig. 5 B, Tav. III). Le due tracce trasversali che risultano da questa fusione, abbandonano poco a poco il loro posto primiero per portarsi all’infuori, ed il parenchima che le accompagna va man mano differenziandosi in una valva che gradatamente si stacca dal parenchima centrale (fig. 5 C, Tav. II). Nel mentre le valve stanno formandosi, nel modo indicato, le tracce dei due fasci laterali di ciascuno dei gruppi ant. post. si scindono in due e di queste, mentre una rimane a posto, l’altra descrive un arco che la porfà nel piano di simmetria innanzi alla traccia media ed in quel piano si fonde con quella dell’altro lato del gruppo. Raggiunto questo livello, le tracce vascolari nella sezione, tornano ad essere in numero di dieci, di cui due gruppi ant. post. di tre ognuno, due tracce trasverse, ciascuna delle quali occupa il posto medio delle valve incipienti e finalmente due che sono quelle che vennero formandosi nel piano di simmetria ant. post. d’innanzi alla traccia media di ognuno dei gruppi posti in quel piano. Nel mentre le quattro tracce ch’erano prima ai lati di quella media ant. post., descrivono la loro conversione onde incontrarsi due a due nel piano di simmetria ant. post., il parenchima centrale primitivo sparisce graduatamente per lasciare il posto a quello che le tracce conducono con sè. Il tessuto così trasportato dalle due tracce evolutive, poste da una stessa parte del piano di simmetria trasverso, forma nello spazio limitato dalle valve e dai due gruppi ant. post. una protuberanza trian- golare con vertice rivolto al centro. Siccome lo stesso fenomeno si produce contem- poraneamente alle due estremità ant. post., così il parenchima centrale primitivo viene a un dato livello, rimpiazzato da due protuberanze triangolari che per lo spazio limitato, rimangono fra loro a contatto pel vertice, e così ha origine il replum (fig. 6, Tav. III) Siccome dalla base dell’ovario all’insù il diametro ant. post. dell’ovario va cre- scendo almeno sino a una certa altezza, così le due protuberanze fra loro saldate trovandosi sottoposte ad una trazione sempre maggiore, vanno gradatamente modi- ficandosi nella forma che da triangolare va facendosi bislunga (fig. 6’, Tav. III). Il Serre IL Tow. LI. n' 258 EDOARDO MARTEL 18 parenchima che riempie ognuna delle protuberanze relativamente omogeneo alla base, va a misura che sì procede in alto e che la trazione aumenta, facendosi sempre più lacunoso. Se ora, trascurando la parte media dell’ovario che non presenta interesse per lo scopo a cui io miro, si esaminano le sezioni condotte orizzontalmente nella parte superiore dell’ovario, si scorge che mentre le valve vanno sempre più rim- picciolendosi sino a sparire del tutto, a rimpiazzarle, vanno graduatamente crescendo due sistemi vascolari ant. post. disposti a V. Questi due sistemi finiscono per in- contrarsi colle estremità opposte e così ne risulta un rombo allungato, il quale rimane diviso in due parti dai replum. Fatto da notare perchè della massima importanza è che gli ovoli s’inseriscono ai lati del replum (fig. 6, Tav. II. Considerate isolatamente le sezioni di cui sopra ho dato la descrizione, non bastano certo per farsi un concetto esatto della morfologia dell’ovario. A rendere ciò possibile occorre una descrizione dell'armatura ovarica dedotta dall'esame di preparati schiariti. A limitare la cavità ovarica a destra ed a sinistra, si trovano due foglie per- fettamente distinte, ciascuna delle quali comprende una costola medio-principale con ramificazioni laterali e due fasci marginali (fig. 10 cv, Tav. III). Queste due foglie ovariche o carpelli che si voglia, non combaciano coi rispettivi margini come ciò si verifica nell’Hypecoum, ma fra loro rimane uno spazio libero che viene all’avanti e all'indietro occupato da un altro sistema vascolare. Ognuno di quei sistemi, per ciascuna metà ant. post. dell’ ovario, comprende due fasci Fme Fmi (fig. 10 e 11’) il *primo dei quali esterno, occulta il secondo. Il fascio più esterno Fme nel ricettacolo si biforca per rannodarsi ai petali, mentre il più interno colle sue biforcazioni si rannoda agli stami lunghi. Nella Vella, ognuno dei fasci interni, manda rami vascolari che vanno ad appoggiarsi di contro alla ner- vatura marginale dei carpelli laterali e così viene a chiudersi l’intervallo esistente fra questi. Paragonando questa descrizione con quella che precede, delle sezioni orizzontali inferiori si ha una spiegazione delle variazioni che le tracce vascolari subiscono nelle loro posizioni rispettive. La traccia media dei due gruppi vascolari ant. post., che in tutte le sezioni conserva la medesima posizione, corrisponde alla nervatura dei segmenti medii spostati dei fillomi del 3° verticillo. Le due tracce laterali dei due gruppi ant. post., rappresentano nell’origine le biforcazioni della costola mediana dei due fillomi del 5° verticillo. La scissione di ognuna di quelle tracce laterali in due altre, di cui una rimane a posto sul limitare della valva, mentre l’altra descrive una evoluzione per portarsi nel piano di simmetria d’innanzi al fascio medio del gruppo a cui apparteneva, si spiega pure facilmente. Delle due parti che risultano dalla scissione di ognuna delle tracce laterali, la prima, quella che cioè conserva la sua posizione o quasi, corrisponde a una delle ramificazioni laterali del fascio interno, la seconda ad un ramo di biforcazione della costola media che tende a congiungersi colla sua omonima, onde insieme unite, co- stituire il fascio interno stesso. rici nt 19 INTORNO ALL’UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 259 La formazione del replum, quale si deduce dall’esame delle sezioni in serie (fig. 5, Tav. III), trae origine dal fatto, che i due fasci interni ant. post., per avvi- cinarsi molto fra loro alla base, rimangono aderenti l’uno all’altro per mezzo del parenchima che accompagna ognuno di essi. Procedendo dalla base dell’ovario all’insù, i due fasci opposti, pel dilatarsi della cavità ovarica, si allontanano l’un dall’altro ed il parenchima che li collega va sempre più assottigliandosi ed assumendo sempre più aspetto laminare. Nella Vella l’ovario porta al vertice un’appendice o rostro il quale per raggiun- gere, in questo genere, dimensioni straordinarie si presta a facile esame. La fig. 10 #, Tav. III, dimostra che l'armatura di quel rostro proviene dal prolungamento e dalla ramificazione al disopra del livello delle valve e per ognuna delle due metà ant. post. dell’ovario, dei fasci che rappresentano i segmenti medii dei fillomi del 3° e del 5° verticillo. Ognuno di quei fasci, infatti, raggiunto il livello superiore delle valve dà ori- gine ad un sistema di ramificazione disposto ad angolo diedro, acutissimo. Siccome il sistema di ramificazione di ciascun dei fasci ant. post. esterni ricopre quello dei fasci interni e che i due sistemi concentrici ant. s'incontrano mediante i margini coi due post., così viene formandosi al disopra dell’ovario, una specie di gabbia vascolare, che ha nel suo complesso la forma di una piramide con base romboidale, ma nella quale la bissettrice ant. post. è di gran lunga superiore alla trasversa (fig. 8, Tav. II. La Vella non è sola a presentare un rostro molto sviluppato. Nella fig. 7, Tav. II, presento una sezione passante per la parte superiore dell’ovario dell’Eruca, e ciò alla base del rostro. In quella figura si vede il teSsuto del rostro che tende a sostituirsi a quello delle valve. Nella fig. 7’ st. Tav., la sostituzione è compiuta. Le due fig. 3 e 9, Tav. II, dimostrano che il tessuto del rostro è indipendente da quello delle valve. Lo studio che feci dell'armatura fiorale, e quello del rostro, potrebbero bastare da sè a dimostrare la indipendenza delle valve dai due fasci ant. post. che si tro- vano alle due estremità del replum. La fig. 9, Tav. IH, ricavata dalla siliqua del Nasturtium che dimostra la perfetta indipendenza delle valve dal setto, convince sempre maggiormente, che nell’ovario delle Crocifere, le valve nulla hanno di co- mune, morfologicamente parlando, con i sistemi vascolari ant. post. (1). La figura teorica 13, Tav. III, più di qualsiasi discorso serve a chiarire il mio modo di pensarla, relativamente alla composizione dell’ovario. Dall'esame di questa figura, si scorge che a costituire l’ovario entrano 6 elementi, di cui, due di orienta- zione trasversa sono rappresentati dalle valve v. (che hanno per me significato di carpelli sterili), quattro di orientazione ant. post. rappresentano ognuno il lobo medio spostato all’avanti, di fillomi appartenenti a verticilli precedenti e precisa- ‘ mente al 3° ed al 5°. Dei 4 elementi antero post. poi i due più esterni hanno ufficio prettamente meccanico e contribuiscono specialmente all’armatura del rostro, i due più interni con- (1) È vero che in un certo numero di generi il connascimento fra il tessuto delle valve e quello del setto è completo, ma basta che in alcuni casi la separazione fra i due tessuti sia evidente, perchè si debba: ammettere l'indipendenza delle parti. 260 EDOARDO MARTEL 20 tribuiscono invece, alla formazione del replum e portano gli ovoli, per cui fungono da carpelli ant. post. fertili. Il gineceo delle Crocifere, al pari dei verticilli che lo precedono, appartiene al tipo dimero, come vi appartiene quello dell’Hypecoum e delle Fumariacee. Nell’Hy- pecoum però l’ovario ammette solo i due carpelli trasversi; nelle Fumariacee a quei due carpelli che rimangono fertili si aggiungono nel piano di simmetria ant. post. due fasci che rappresentano lobi medii di fillomi precedenti. Nelle Crocifere quei due fasci si spingono nell’interno fra i carpelli trasversi, ed assumono essi l’incarico di portare gli ovoli. Non potendo col solo tipo dimero, giungere a dare del gineceo una spiegazione razionale, varii Autori, quali Griffith (1), Kunth (2), Godron (3), J. Lindley (4), J. Klein (5), Henslow (6), Duchartre (7), ricorsero al tipo quaternario e sostennero che le due valve rappresentassero due carpelli regolarmente sviluppati, ma però sterili, mentre i due carpelli ant. post., ridotti a due fasci, fossero i soli fertili. Come si vede, la teoria ovarica sostenuta dagli Autori, di cui ho citato i nomi, si avvicina apparentemente alla mia. Morfologicamente parlando però, la differenza nel modo di concepire la struttura ovarica è alquanto diversa, in quantochè gli Autori dànno ai fasci ant. post. che sostengono gli ovoli, il significato di carpello ossia di filloma, ridotto sì, ma di fil- loma, mentre io restringo il significato degli stessi, a quello di semplice lobo, o frazione di filloma. Gli Autori hanno bensì ammesso l’esistenza di due carpelli ant. post. atrofizzati, ma non si sono preoccupati di cercare le cause dell’atrofia, secondo me, poco facile a determinarsi. A spiegare l’atrofia di cui i due carpelli sono colpiti, bisogna infatti ricorrere ad una pressione laterale che ne impedì lo sviluppo regolare, e questa pressione potè solo essere esercitata dai carpelli trasversi. Ora, per legge di alter- nanza, i due carpelli ant. post. essendo più esterni dei trasversi, ossia più vecchi, non si comprende come possano essere stati soverchiati da altri più giovani. Da alcuni, è vero, si volle spiegare l’atrofia dei carpelli ant. post. coll’adattamento di essi alla sola produzione degli ovoli, ma questo modo di ragionare fatto ad usum delphini, mi pare mancare di base scientifica, epperciò inammissibile. La teoria ovarica sostenuta dagli Autori, di cui diedi la lista, serve ad avva- lorare la mia, per la ragione che se si toglie ai due fasci ant. post., sui quali s’in- seriscono gli ovoli, il significato non giustificato di carpelli, rimane solo la risorsa di considerarli, quali li considerai, parti di fillomi. Non dubito per altro, che se gli Autori si fossero accorti delle relazioni anatomiche che passano fra i fasci ant. post. e gli stami lunghi, non avrebbero esitato a modificare la loro opinione. Il solo fatto serio sul quale poggi la teoria tetracarpellare è quello che pre- (1) Notulae ad plantas asiaticas. (2) Ueber die Bluthen und Fructbildung der Kruciferen. (3) Mémoire sur Vinflorescence des Crucifères, “ Ann. S. Nat. ,. (4) The vegetal Kingdom. (5) Berichte der Botan. Gesellschaft, 1893. (6) “ Journal of Linn. Soc. ,, V, 28, n. 192. (7) Mémoire sur une monstruosité de la fleur du Cheiranthus, “ Ann. Sc. Nat. ,. 21 INTORNO ALL UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 261 senta l’ovario tetraloculare del Tetrapoma. Questo fatto non infirma affatto il mio modo di concepire l'architettura dell’ovario, dappoichè date speciali condizioni è pos- sibile che i segmenti medii del 5° verticillo, ordinariamente ridotti a semplici fasci, acquistino tale sviluppo da assumere l’aspetto fogliaceo. Un principio di allarga- mento di quei segmenti già si ebbe nella Vella. Per riassumere dirò che, nelle Crocifere, come nelle Fumariacee e nell’Hypecoum, il diagramma morfologico (fig. 2, Tav. I), comprende 6 verticilli dimeri disposti nel seguente modo: 1° Verticillo 2 Sepali ant. post. do id. 2 Sepali trasversi. 3° id. 2 Fillomi trisecti il cui segmento medio, in ciascuno, si porta verso l’ovario, si applica alle sue parti, e contribuisce alla formazione del rostro; i due segmenti laterali si adattano a petali. 4° id. 2 Stami trasversi (brevi). DO id. 2 Fillomi trisecti il cui segmento medio, in ciascuno, si porta fra le valve ovariche e regge gli ovoli, mentre i segmenti laterali si adattano a stami (st. lunghi). 6° id. 2 Carpelli trasversi sterili (valve). Il lettore potrà accertarsi percorrendo questa breve Memoria che per raggiun- gere i miei fini ed ottenere i risultati sovra esposti, non fu necessario che ricorressi ad ipotesi fondate su fatti eccezionali, quali aborti di fillomi, sdoppiamenti degli stessi, ecc.; l'esame anatomico comparato del fiore, nei varii gruppi, fu la sola guida che mi diresse. Cleomacee. Di questo gruppo esaminai la struttura anatomica della sola Cleome pungens (Wild.), la quale si rannoda immediatamente alle Crocifere per la disposizione dell’androceo. Le differenze, che separano il fiore di quella specie da quello delle Crocifere, si riferiscono all’ovario, il quale mentre nella Cleome è costantemente sostenuto da un podaginio, nelle prime è di regola sessile. Aggiungerò che, mentre nelle Crocifere i due fasci che rappresentano i lobi medii del 3° e del 5° verticillo si spingono sino al vertice dell’ovario e spesso l’oltrepassano, nelle Cleome si esauriscono prima, epperciò alla formazione dei lobi stigmatici, contribuiscono unicamente i carpelli trasversi. Le differenze qui rammentate non son certo d’importanza tale da separare com- pletamente la Cleome dalle Crocifere, ma conducono a considerarla quale passaggio alle Capparidee. Una formola fiorale applicabile al tipo che in sè riassume il complesso delle Crociflore non è, secondo me, possibile che pei 4 primi verticilli. Pel 5° ed il 6° ver- ticillo il numero dei fillomi rimane costante come costante rimane l’orientazione dei medesimi. Mentre però nell’Hypecoum i fillomi del 5° verticillo rimangono indivisi, trisecti e con vario adattamento delle parti, sono quelli di stesso ordine nei sotto- gruppi seguenti, epperciò impossibile, lo ripeto, adottare per tutte le Crociflore una formola che in sè condensi le varie modalità dei fillomi. A complemento di quanto ho esposto in questa Memoria, presento ora un quadro nel quale in poche linee si riassumono le modificazioni che il fiore delle Crociflore subisce in ognuno dei sotto-gruppi. (Li (evi EDOARDO . MARTEL 262 eo erdoeue a[[ep equogigsnis o1osso I10d ‘auorssaIdso eqgegis agorod ‘IsteAstI) Tpegod ogorzue 1opro[egad 770425 aworssardso ] mb otadopy ‘(,1) ® (1) *(AYPLIBAO QATRA) ISIDASTI) I[fodaeo 7 ‘OLTRAO,][®P_99IGIOA ]L o1oSunisstI Ip _ewIIA 2WIIOF IS IUMO]{Y rOp oIpow 09uouISAs [I ‘quod aquoparerd oddnis jeu euro) ‘ISIOASBIY IMIVIS Z *‘OTIBAO,[19P 991719A | oSuniSSRI uOT 1010]]H] rap orpawu oguemses [I ‘oquop -a001d oddnis ou @UI09 08S99S OTT ‘ISIOASRIZ Tedog g ‘qs0d ‘que dog g *suo8und 2091) ‘(paoo1d Ipo y) eqeitdordde nid vIiquies 1 ‘02189 pr po 1ddna5-0970s rutad anp I BIj OUOITOISVIY ‘(OUOLIVAO PATRA) ISTOASRI) T[edaro 7 ‘(tuSun] IWIV9g) TUIRIS V OMBqqepe IS ITeI -age[ IQuowsos | ‘OTMOIQIOA 58 Op TWO][H T19p orpowr 073uo9wI -Bos [ep 09@gno00 VOLIBAO BUA -V0 R]]QU O}BUIQZUI IUVTILI IUBA -è [Te Is07equod otpewr oquewrsas I] ‘19gsod o199ue ‘19998119 TO]]J Z ‘(IAQI TUIBIS) ISTOASBIZ IURIS g ‘Tepod è OUBqJepe Is Ie1ogv] 1 19oted ons alje eor]dde 18 0 OTIBAO,] OSIOA VAIMIUI SOTPpOI 09UQWISOS JI QIqueg ‘g80d ‘que 199ast1g Tuo][Y g ‘(topro]egod 210769) astq te Isoqgqra IstoAsRI) Tedog % “sod ‘que Iedog g *919JI2019) *(OUOLIBAO FATBA) ISTOASBIY I[®dIe) % "(OIMIOIRIOA cp) ISIOASVI9 IWueqs I]S9p ge] te oueIs -2pe IS ‘Topro]egad Iuegs ® 1989 -qept ‘Ieroqe] quawsas 7 - ogsod -do AgoLIRAO FAVA a][op 1urSaRta IV IQueAR [e asurds 18 ‘Or0Sst] un pe oqqopri ‘orpotr 0guewrSas Il ‘r0gsod d10que ‘1900st1) TUTO][G 7 ‘(18ueqe; o[[op eunuso Ip Mpa IIVB9S) ISTOASBI) IWIBIL g ‘muss o][ep eIdos -Tp je Ijep]es CIO] VIJ O OLTIBAO ] OstaA IpeaImouI ‘q80d ‘que Ipegod & ‘(I) oseq erge ISOqgqis ‘As@tIg Topro]egod Ipedag g ‘qsod ‘que Iedog g ‘9909 B1IVUIN,K ‘ISIQASBIZ INodae) Z ‘gsod ‘que IuEIS Z ‘ISIOASTIY IMIRIS Z ‘OLTVAO | OSIQA OAIMOLI OIpPamI 00] uod Tqo]tTg ‘380d ‘que 1eg9d & *(T) (ASE39 rapro]egod Ipedog % “qgs0d ‘que Iqedog g “mn 009d£H 104 “ 09 oG 08 06 0 IOIRIOA 1 TTTIOILUA A b © 23 N° N° N° N° N° N° 10. 11. INTORNO ALL’UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 263 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tavona I. — Hypecoum. Questa figura serve a dimostrare che nei punti wr", i fasci marginali dei petali trasversi P opposti, si fondono coi fasci innervatori dei petali ant. post. Si con- fronti questa figura con quella della Tav. III, n° 8 delle Crocifere. — Dicentra. Sezione verticale parallela al piano di simmetria ant. pòst. che lascia scor- gere l'armatura di una delle falangi staminali. Da questa si vede che gli stami laterali sì, sl' sono completamente indipendenti dallo stame medio della falange stessa sm. — Dicentra. Presenta nel suo complesso l’innervazione dei petali trasversi e di uno dei petali ant. post. Si scorge che ognuno dei petali trasversi ha due sistemi d’innervazione ss' che insieme si fondono per unirsi poi alla base alla innervazione dei petali ant. post. — Dicentra. Proiezione orizzontale del fiore. Dimostra la indipendenza degli stami laterali di ogni falange dallo stame medio. I fasci innervatori degli stami laterali s! anzichè convergere verso lo stame medio vanno ad inserirsi su ognuno dei fasci ant. post. Fm che si ergono fra i margini delle valve ovariche. — Diagramma empirico (Da BarLLon, Hist. des plantes): sa sepalo ant. post., pt petalo trasverso, F falange staminale. O ovario. — Diagramma teorico-pratico risultante dalle mie osservazioni: Sap sepalo ant. post. Pt petalo trasverso Pap. Petalo ant. post. St Stame medio della falange (stame trasverso) Fap filloma ant. post. trisegmentato di cui i segmenti laterali sono rappresentati dagli stami laterali delle falangi opposte. 0 ovario. Le parti tratteggiate corrispondono ai due petali ant. post. che si saldano fra loro al vertice, al disopra dello stigma. — Hypecoum. Sezione del verticale del fiore parallela al piano di simmetria ant. post. P petalo ant. post. 2 lobo medio. 0 ovario. Serve a dimostrare che nell’Hypecoum come nella Dicentra il lobo medio del petalo s’incurvi all’avanti per venire a poggiare di contro all’ovario. — Dicentra. A pari della Fig. n° 2 e 4 serve a dimostrare l’indipendenza dei fasci in- nervatori degli stami laterali s! da quello che innerva lo stame medio sm. I due stami laterali si dimostrano dipendenze del fascio Fm che s’insinua fra i margini delle valve ovariche opposte. 9. — Hypecoum. Diagramma teorico-pratico: sap sepalo ant. post. Pt petalo trasverso Pap petalo ant. post. sf stame trasverso sap stame ant. post. O ovario. Le due parti trat- teggiate corrispondono ai lobi medii dei petali ant. post. che s’incurvano verso l’ovario al disopra degli stami che stanno loro d’innanzi (Vedi Fig. 7). — Dicentra. Ft fasci innervatori degli organi florali trasversi. Fap di quelli ant. post. Si vede che i primi si biforcano per unirsi alla base con i secondi. — Dicentra. Ovario con inserzione dei fasci innervatori degli stami laterali delle falangi: O ovario s! stami laterali Fm fascio medio ant. post. che s’insinua fra le valve. 264 N° Ni N° N° N° N° N° N° N° N° N° 11' 12 13. dr, (bad EDOARDO MARTEL DI . — Dicentra. Stigma Fm fascio medio. Questa Figura unita alla precedente dimostra che il fascio medio rimane indipendente dalle valve in tutta la sua intera lunghezza. e 12'. — Il 1° è fiore della Lunaria, il 2° della Dicentra. Serve a dimostrare la grande affinità esistente nel perianzio delle Crocifere e delle Fumariacee. I sepali ant. post. delle prime indicano atrofia quanto quelli delle seconde, per cui non possono avere il significato di petali ant. post. spostati, essendo questi robustissimi. — Dicentra. Sezione verticale di un giovane fiore, parallela al piano di simmetria ant. post. ss' sepali ant. post. pa pa' petali ant. post. O ovario st stigma. An antere. Dimostra che i petali ant. post. s’incurvano verso l’ovario e si saldano fra loro al disopra dello stigma. Si ponga questa Figura a confronto di quella del n° 7 (Hypecoum) e n° 11, Tav. III delle Crocifere. . — Dicentra. Fiore intero coi petali trasversi rovesciati. Da porsi in confronto colla Fig. n° 12. . — Crocifere. Diagramma empirico: sep sepali ant. post. st sepalo trasverso P petalo stt stami trasversi (brevi) std stami diagonali (lunghi) C carpelli. — Crocifere. Diagramma teorico-pratico quale risulta dalle mie osservazioni: sap sepalo ant. post., st sepalo trasverso, FP filloma ant. post. il cui lobo medio ridotto ad un fascio si porta verso l’ovario e i due laterali si adattano a petali, st# stami trasversi (brevi), st filloma ant. post. il cui lobo medio è respinto nell’interno dell’ovario ed è occultato dal lobo medio del filloma precedente ed i cui lobi laterali sono adattati a stami (stami lunghi), C carpelli. — Innervazione di un sepalo A paragonata con quella di un petalo B. TavoLa II. . — Lunaria. Proiezione orizzontale (furono dalla preparazione tolti i sepali): P fasci innervatori dei petali, st! stami lunghi Fm Fm' fasci medii ant. post. Questi fasci sono doppii e mentre quello ch’è in mezzo appartiene ai fillomi del 3° verticillo (Vedi Fig. 16. Tav. I. st) i due altri che si uniscono più in alto appartengono ai fillomi del 5° ver- ticillo (Tav. I. Fig. 16 Y P) C carpelli trasversi (sono 4 fasci che convergono 2 per 2) stt stami trasversi o brevi. — Brassica. Proiezione orizzontale: sap sepalo ant. post. nap nettario ant. post. st sepalo trasverso stt stame trasverso o breve. P petali. ì Dimostra come ai fasci innervatori dei petali non solo si uniscano i fasci innervatori dei sepali ant. post. bensì anche quelli dei sepali trasversi. . — Eruca. Sezione longitudinale parallela al piano trasverso passante pel rostro ed yna valva. Dimostra che le due parti fra loro indipendenti sono semplicemente collegate mediante tessuto connettivo. . — Erysimum. Proiezione orizzontale vista dalla parte inferiore (calice): sap sepalo ant. post. P petalo st sepali trasversi. È Figura complementare di quella del n° 2. . — Raphanus. Armatura generale del fiore ricavata da una sezione verticale parallela al piano di simmetria trasverso ne costola medio-principale di una delle valve st! stame lungo map nettario ant. post. sap sepalo ant. post. P petalo st# stame trasverso st sepalo trasverso. Si scorge che all’infuori dei fasci innervatori dei sepali, tanto quelli che innervano gli stami trasversi che i carpelli sono doppii, mentre semplici sono i fasci degli organi diagonali (petali, stami lunghi). Tav]. e od oto: Classe di si dl (CIO Sol - SPA SDA Como DEE ] Lit.Salussolia Torino Lit..Salressolia Torino 5, A Salassolia ,Tbrino Lit. 25 INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA DEL FIORE DELLE CROCIFLORE 265 N° 6. — Brassica. P petalo sap sepalo ant. post. st sepalo trasverso Y livello in cui i fasci dei sepali contigui sap e st vengono fra loro a contatto al disopra del fascio petalifero P. Mettere questa Figura in confronto con quella dell’IMypecoum Tav. I, Fig. 1. Dimostra che i petali nelle Crocifere non possono considerarsi come dipendenza dei soli sepali ant. post. N° 7. — Hesperis. Armatura generale del fiore ricavata ‘da una sezione verticale parallela al piano di simmetria trasverso. Serve di complemento alla Fig. n° 5. F'N fascio medio doppio st! stami lunghi P petali st stami trasversi (brevi) st sepalo trasverso. Le bi- forcazioni del fascio medio si recano agli stami lunghi ed ai petali. N° 8. — Diplotaris. Sezione verticale contenuta nel piano degli stami trasversi: 0 ovario nl nettario laterale sotto il quale passano gli stami trasversi o brevi stt, st sepali trasversi. Serve a spiegare il fenomeno della tetradinamia e dà la ragione dello staccarsi dei fasci innervatori dei sepali trasversi ad un livello inferiore a quello da cui si dipartono i fasci dei sepali ant. post. N° 9. — Eruca. Sezione longitudinale parallela al piano di simmetria trasverso. Comprende il tessuto del rostro sovrapposto a quello delle valve. Serve di complemento alla Fi- gura n° 3 e dimostra sempre più che il tessuto del rostro è indipendente da quello della valva. i N° 10. — Sezione orizzontale al livello del ricettacolo, sap fasci innervatori dei sepali ant. post. st quelli dei sepali trasversi. È di complemento alla Fig. n° 8. I sepali trasversi si sono già allontanati dal cerchio dei fasci mentre i sepali ant. post. non si sono ancora mossi. N° 11. — Hesperis matronalis. Sezione longitudinale trasversa. Mme fascio medio ant. post. esterno Fmi fascio medio interno. Il primo di questi divergendo si porta ai petali, il secondo agli stami lunghi. Le parti che risultano dalla divergenza di quei due fasci si confondono perchè parallele e vicinissime. Alla base dell’ovario però si separano. N° 1l'. — Figura teorica che spiega la separazione dei due fasci medii ant. post. N° 12. — Brassica. Nettario ant. post. Dimostra che non v'è traccia d’innervazione. N' 13 e 13’. — Vella. Queste due Figure complementari della Fig. 11 servono a dimostrare lo sdoppiamento dei due fasci medii ant. post. La prima è una sezione longitudinale che le comprende, vista dall’esterno all’interno; la seconda dall'interno all’esterno. Tavona III. N° 1. — Schizopetalon: nn' nettario ant. post. sdoppiato. N' 2 e 2°. — Servono a stabilire un confronto fra il modo di innervazione degli stami lunghi st/ nelle Crocifere e degli stami laterali delle falangi opposte nella Dicentra. In ambo i casi gli stami considerati prendono inserzione su un fascio medio Fm. 8. — Figura teorica che serve a dimostrare in qual modo sono formati i fillomi del 8° verticillo nelle Crocifere. Fm segmento medio (fascio medio ant. post.) P_ segmenti laterali petaloidei. Questa Figura deve porsi a confronto con la Figura n° 1, Tav. I (Hypecoum). 4. — Matthiola incana. Apparato nettarifero laterale. » nettario attraversato dagli stami trasversi. Serve di complemento alla Fig. 8, Tav. 11. 5. — Vella. Sezioni condotte in serie orizzontali dalla base dell’ovario all’insù. L'esame successivo delle Figure ABCDEYF permette di vedere in qual modo va formandosi l’ovario ed il replum. Serie II. Tom. LI. n° 266 EDOARDO MARTEL — INTORNO ALL'UNITÀ ANATOMICA E MORFOLOGICA, ECC. 26 Ni 6 e 6. — Cardamina. Serve a dimostrare che il setto è formato da due parti distinte, le quali in sezione trasversa alla base han forma triangolare e indi per causa della trazione si allungano. N° 7. — Eruca. Sezione orizzontale nella parte superiore dell’ovario. Il rostro » tende a sostituirsi alle valve v. N° 7’. — Eruca. Il rostro si è completamente sostituito alle valve. N° 8. — Vella. Sezione orizzontale attraverso il rostro. N° 9. — Nasturtium. Dimostra la completa indipendenza delle valve e del tessuto che accom- pagna i fasci medii ant. post. ed il replum. N° 10. — Vella. Armatura della siliqua in proiezione verticale parallela al piano di simmetria trasverso, sup sepalo ant. post.: Fme fascio medio esterno, Ymi fascio medio interno (si confronti colle Figg. N° 13 e 13’, Tav. II) cv costola delle valve cap tessuto che accom- pagna il fascio medio interno il quale funge da carpello ant. post. + rostro. N° 11. — Vella. Armatura della siliqua in proiezione verticale parallela al piano di simmetria ant. post.: sup sepali ant. post. st sepali trasversi, Yme fascio medio esterno, Ymi interno, c carpello trasverso, r rostro. N° 11’. — Come nella Figura precedente comprende soltanto la parte inferiore dell’ovario vista di sbieco e con maggiore ingrandimento, st sepalo trasverso, st# stame trasverso (breve): oca origine di uno dei carpelli trasversi Mm? fascio medio interno che dà una ramificazione per parte, la quale viene a disporsi di contro ai fasci marginali del dà carpello trasverso. = N° 12. — Hesperis matronalis. Sezione orizzontale al livello in cui gli stami lunghi abbando- nano l'anello di fasci per portarsi alla periferia. Si scorge qui la dipendenza degli stami lunghi sf dal fascio medio Fm. N° 13. — Figura teorica destinata a spiegare la composizione dell’ovario o cavità ovarica li- mitata ai due lati dalle valve. replum. Ogni metà ant. post. di esso è innervata da due fasci Ymi i quali mentre nell’ovario convergono, all’ingiù invece. divergono per unirsi agli stami (st) lunghi. Fme è il fascio medio esterno il quale alla base si bi- forca per rannodarsi ai fasci innervatori dei petali P. La Figura dimostra per conse- À guenza che a costituire l’ovario concorrono le due valve ed i segmenti medii di quattro fillomi di cui due ant. e due post. Per mancanza di spazio non potei, con mio rincrescimento, ripetere le lettere d’indicazione per ognuna delle parti simmetriche di una stessa Figura. - —-.-TTT__e=-t—="@v>——— FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO PATENTE ENTE RI MICA AZIONE ANTAGONISTICA FRA CITRATO TRISODICO E CALCIO RICERCHE SPERIMENTALI DEL Prof. LUIGI SABBATANI Approvata nell’'Adunanza del 26 Maggio 1901. L, In un lavoro precedente (1) ho dimostrato che il citrato trisodico impedisce la coagulazione del sangue della linfa e del latte in quanto immobilizza chimicamente i sali di calcio in essi contenuti, ed ho dimostrato inoltre che si ha immobilità com- pleta del calcio per le comuni reazioni e per le sopradette reazioni di coagulazione enzimatica, sempre che siano presenti tre molecole di citrato trisodico per ogni atomo . di calcio. Da ciò era logico supporre che il citrato trisodico non solo potesse immobiliz- zare il calcio del sangue della linfa e del latte; ma anche quello che trovasi sempre normalmente negli organi e tessuti; e di questo ottenni prova sperimentale indiretta, studiando l’incoagulabilità del sangue, ottenuta per iniezioni endovenose di citrato. Però concludeva “ resta a vedere se i fenomeni tossici prodotti dal citrato trisodico “ siano imputabili ed interamente alla molecola — acido citrico — o non piuttosto “ alla immobilizzazione del calcio-ione dei tessuti ,; ed il dubbio era pienamente giustificato dal fatto che, mentre il citrato produce sempre immobilità chimica del calcio, è altamente tossico e produce disturbi funzionali gravi in tutti gli organi su cui ho potuto sperimentare: il calcio stesso poi è un elemento indispensabile alla vita cellulare degli esseri viventi ed è stato trovato come costituente fisiologico in quasi tutti i liquidi e tessuti degli animali superiori, il che fa giustamente pensare che il calcio abbia una funzione biologica molto importante e generale, la quale può essere messa in rilievo dallo studio farmacologico comparato del citrato e del calcio. (1) Sasparani L., Calcio e citrato trisodico nella coagulazione del sangue, della linfa e del latte, “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, vol. XXXVI, adunanza delli 18 novembre 1900. 268 LUIGI SABBATANI 9 Precisamente come il fisiologo per studiare un organo ne esagera la funzione con stimoli varii o ne sopprime la funzione asportando l'organo, così per la chimica bio- logica era sperabile si potesse mettere in evidenza la funzione del calcio od esage- randone il quantitativo o sottraendolo in qualche modo dall’organismo. E poichè il citrato trisodico, senza produrre precipitati, rende chimicamente inerte il calcio, ho creduto che lo studio fisiologico comparato del calcio e citrato potesse riuscire interessante per la biologia del calcio (1). Esaminai prima l’azione generale, poi l’azione isolata sulla corteccia cerebrale, sul midollo, sui nervi, sui muscoli, sull’apparecchio circolatorio, ecc. Sperimentava separatamente col citrato trisodico, poi col calcio, poi con miscele di citrato e calcio nel rapporto molecolare di tre ad uno; cercava quindi nello studio antagonistico se i fenomeni prodotti dal citrato potevano essere tolti da applicazioni successive di calcio e viceversa. Da tutte queste ricerche si vide che fra il citrato trisodico ed il calcio esiste un'azione antagonistica perfetta, bilaterale, completa. Così non solo ho potuto met- tere in evidenza un nuovo caso di antagonismo, che pure vedremo è molto interes- sante per sè e per eventuali applicazioni pratiche; ma da esso si intravvede l’alta importanza biologica e la funzione di quelle piccole quantità di calcio che trovansi costantemente negli organi e tessuti più importanti e vitali. In tutte le esperienze adoperai sempre del citrato trisodico purissimo, da me stesso analizzato; quasi sempre del cloruro di calcio, rare volte dell’acetato: nei calcoli e nelle pesate tenni sempre per il citrato C*H507Na? + 5-1 H°0 (p. m. 357) e per il calcio CaCl? (p. m. 111): usai sempre soluzioni esattamente titolate e, quando lo credetti opportuno, le preparai di valore crioscopico determinato. + II Azione antagonistica generale. L'azione generale dell’acido citrico, citrati ed eteri citrici è stata studiata ac- curatamente qui nel Laboratorio di Farmacologia dallo studente Serra e però non mi intratterrò affatto sulle differenze che passano fra le manifestazioni tossiche dell’acido e dei citrati, non mi intratterrò neppure sulle manifestazioni varie che si ottengono sopra i comuni animali da esperimento. A me ora interessa solo studiare comparativamente l’azione generale del citrato trisodico e del calcio, e l’azione loro combinata; però riferisco qui solo quelle esperienze colle quali si determinava prima l’azione generale del citrato e del calcio separatamente, poi l’azione loro combinata sulle rane per iniezioni ipodermiche o peritoneali, e sui cani per iniezioni endovenose. (1) Manifestamente qui non è affatto questione dei depositi calcarei (fosfato tricalcico, carbo- nato, fluoruro, apatite) che in ispeciali organi assumono funzione di sostegno e protezione come endo- od ecto-scheletro. ge N Ù 3 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 269 Alcune volte si iniettava del citrato trisodico e del cloruro di calcio mescolati in un’unica soluzione ed in rapporti molecolari fissi (tre ad uno); altre volte si fa- cevano iniezioni contemporanee o successive di volumi eguali di soluzioni separate dei sali, a varia concentrazione; ma sempre nel solito rapporto molecolare. Da queste esperienze si vedrà che l’azione generale del citrato e del calcio è del tutto opposta, che fra essi esiste un antagonismo perfetto, bilaterale, che il ci- trato trisodico, pur essendo da solo molto tossico, diventa quasi del tutto indifferente, quando si inietta mescolato con calcio nei rapporti molecolari sopradetti. In fine, dall'esame critico di queste e di molte altre esperienze sul sangue, sulla linfa, sul latte, sui muscoli, sui centri nervosi, ecc., si potrà stabilire il perchè della tossicità grande del citrato trisodico iniettato in circolo. Esperienza 1°. A nove rane inietto nel sacco linfatico dorsale rispettivamente cm 0,1-0,2-0,3-0,4-0,5-0,6- 0,7-0,8-0,9 di soluzione di citrato trisodico al 4,2 °/,- Mentre le prime sei rane non presentarono alcun disturbo, le altre tre, che ebbero più citrato, in 20'-25' caddero in paralisi flacida, preceduta da leggerissimi moti convulsivi a ca- rattere tetanico. Dopo essere rimaste a lungo paralizzate, immobili, col respiro arrestato, stimolate comin- ciarono a reagire alquanto e poscia presentarono reflessi esagerati; da ultimo, stimolate anche leggermente, reagivano assai ed erano colte da convulsioni tetaniche nette, paragonabili, per il momento in cui comparivano, al cosidetto tetano di ritorno, che compare nelle rane stricnizzate, dopo una lunga fase di paralisi. Nel giro di 16 ore poi tutte le rane trattate con dosi alte di citrato si ristabilirono per- fettamente e non si distinguevano da rane normali. Esperienza 2°. A quattro rane inietto nel sacco linfatico dorsale rispettivamente un em? di citrato triso- dico al 4,2°/,. Dopo 15’ sì mostrano già molto depresse, stimolate reagiscono poco, fanno salti piccoli, poste sul dorso non si raddrizzano o con stento. Dopo 20' circa reagiscono ancora più debolmente e si nota che spesso gli arti posteriori sì irrigidiscono come in una contrazione tetanica. Dopo 30' il respiro è cessato, poste sul dorso, vi restano immobili, stimolate non reagi- scono affatto e solo si notano lievi tremolii fibrillari dei muscoli e delle dita. A questo momento inietto nell’addome di due rane così paralizzate un em? di cloruro calcico all’1,26 °/, ed osservo che in breve la paralisi scompare. 45' dopo l’iniezione di calcio queste due rane si sono perfettamente ristabilite, sì che non si distinguerebbero da rane normali, mentre le altre due, che avevano ricevuto solo il citrato, ed erano rimaste per controllo, erano tuttora in paralisi flacida e qualche tempo dopo presen- tarono reflessi esagerati e contrazioni tetaniche. Esperienza 3°. A quattro rane inietto nel sacco linfatico dorsale 1 em* di cloruro calcico all’1,26 °/,. Dopo '/, ora, nessuna di queste rane presentando disturbi, a due di esse inietto 1 cm$ di citrato trisodico al 4,2 °/, e queste pure, come le altre, stettero benissimo e quattro ore dopo non presentavano ancora nulla degno di nota. 270 LUIGI SABBATANI 4 Da queste esperienze vediamo che le rane si mostrano poco sensibili all’azione del calcio e del citrato, di cui occorrono dosi relativamente forti (1) a produrre di- sturbi serii: vediamo poi che il calcio è per le rane un eccellente mezzo curativo dell’avvelenamento per citrato e giova tanto «iniettato dopo a farlo scomparire, quanto iniettato prima a prevenirlo. Esperienza 4°. Cane m. di Chgr. 2,200. — Si inietta nella giugulare destra della soluzione di citrato trisodico (cristallizzato) all’8,49 °/,. 18,25". — Iniezione di cm? 3,2. — L'animale si lamenta, grida, si agita fortemente, poi s’ir- rigidisce in una contrazione tonica generale e lunga con arresto del respiro. Cessato l’accesso tetanico, si pratica la respirazione artificiale per alcuni minuti e dopo l’ani- male respira da sè, debolmente, ed è molto abbattuto. . 18,34. — Iniezione di cm* 9. — Durante l’iniezione il respiro s’arresta di nuovo e poco dopo il cuore cessa di battere, la respirazione artificiale colla compressione del torace a nulla giova e l’animale muore. Questo animale morì dopo aver ricevuti cm* 12,2 di soluzione, contenenti gr. 1,08 di ci- trato trisodico. Esperienza 5°. Cane m. di Chgr. 2,900. — Iniezione nella giugulare sinistra di soluzione di citrato tri- sodico all’8,49 °/g- 18,50". — Iniezione di cm* 10. — L'animale si lamenta, si agita, e presenta arresto di respiro; si pratica la respirazione artificiale e, quando l’animale torna a respirare da sè, si fa un’altra iniezione. 18,53". — Iniezione di cm* 5. — Arresto di respiro, respirazione artificiale come sopra. 18,58. — Iniezione di cm* 10. — Arresto di respiro e di cuore, l’animale muore, a nulla giovando la compressione ritmica del torace. Questo animale morì dopo aver ricevuti cm* 25 di soluzione, contenenti gr. 2,12 di ci- trato trisodico. Esperienza 6°. Cane m. di Chgr. 4,100. — Iniezione nella femorale destra di soluzione di citrato triso- dico all’ 8,49 °/o. 17, 7". — Iniezione di cm? 5 Gi rta 4 ) adr pro Durante le iniezioni l’animale si lamenta, si agita e rallenta 10 h o) i ae il respiro. a eo VERE P 17,177. — 7 LIO. Presenta una contrazione tetanica generale ed arresto di respiro, contrazione spasmodica della glottide: si pratica la respirazione artificiale colla compressione del torace. (1) Biwer P. (‘ Compt. Rend.,, T. 115, p. 251) trovava come dose mortale minima di CaC1? nelle rane (del peso di gr. 30) gr. 0,07. nietaità 5 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 271 17,20". — Imiezione di em° 5. — Convulsioni tetaniche intense, poi depressione grande dell’a- nimale ed arresto del respiro — respirazione artificiale. i 17,31’. — L'animale torna a respirare da sè. 17,382". — Iniezione di cm* 5. 17,95". — b » 5. — Si ha tetano, poi depressione ed arresto di respiro — respi- razione artificiale. 17,43". — Mentre si mantiene in vita l’animale colla respirazione artificiale, si pratica ancora una iniezione di em? 5. 17,48. — Ultima iniezione di em* 5. — Si ha arresto del cuore. Questo animale morì dopo aver ricevuti cmî 45 di soluzione, contenenti gr. 3,82 di citrato trisodieo. Esperienza "?. Cane f. di Chgr. 3,500. — Iniezione nella giugulare destra di soluzione di cloruro calcico RIO, 11,40. — Iniezione di cm? 5 MIA e PO] 11,50". — È IO 11,55". — - feto 11,56". — 5 Pi Durante le iniezioni l’animale non si agita affatto, non dà 11,57. — 5 » | segni di dolore, non presenta alcun fenomeno degno di nota; 11,59 — 3 ,s 5 il cuore pulsa fortemente e solo durante le ultime iniezioni si 12° —- È s | affievolisce. 12, 1. — ; go 12,2. — È RIN 12, 6. — d SR) 12, 8. — E pro 12,10". — Si arresta il respiro, il cuore pure si arresta e l’animale muore senza essersi mosso mai, senza neppure traccia di convulsioni asfittiche. Aperto subito il torace, il cuore è fermo in diastole, ineccitabile; aperto, non contiene affatto coaguli. Questo animale morì dopo aver ricevuti cm* 60 di soluzione, contenenti gr. 0,52 di clo- ruro calcico. Esperienza 8°. a) Cane m. di Chgr. 4,350. — Iniezione nella giugulare destra di soluzione di cloruro calcico al 0,87 °/,- 18,55'-18,57’. — Iniezione di cm° 22,1. — Durante l’iniezione la pressione venosa s’innalza forte- mente, sì che un po’ di sangue refluisce per un momento verso la buretta graduata con cui pratico l’iniezione; il cuore pulsa validamente; l’animale è tranquillo, immobile. 18,59. — Iniezione di cm? 9,5. — Il cuore si arresta, s’arresta pure il respiro, quasi contem- poraneamente, e l’animale muore senza presentare convulsioni asfittiche. Questo animale morì dopo aver ricevuto cm 31,6 di soluzione, contenenti gr. 0,27 di clo- ruro calcico, 0,06 per Chgr. d’animale. 272 LUIGI SABBATANI 6 b) Un altro cane di Chgr. 3,900, morì dopo iniezione endovenosa: di em? 108,2 di solu- zione di cloruro calcico al 1,387 °/,, corrispondente a gr. 0,38 per chilo. c) Colla stessa soluzione un altro cane di Chgr. 5,100 morì dopo avere ricevuti cm? 93, corrispondenti a CaC1? gr. 0,25 per chilo. d) Con una soluzione di CaCl? al 0,87 °/, si ebbe la morte in un cane di Chgr. 3,100 dopo iniezione di cm? 47, corrispondenti a gr. 0,13 per chilo d’animale. e) In un altro cane in fine di Chgr. 3,820 e colla stessa soluzione al 0,87 °/, si ebbe la morte dopo iniezione di cm* 85, corrispondenti a gr. 0,19 per chilo. Riassumendo abbiamo da queste cinque prove, come dose di CaC1? minima mortale media per chilo di cane e per iniezione endovenosa gr. 0,20. Esperienza 9°. Cane m. giovane di Chgr. 2,900. — Inietto nella giugulare destra una soluzione mista di citrato trisodico e cloruro calcico nel rapporto molecolare di tre ad uno, contenente di citrato trisodico (cristallizzato) gr. 8,49 °/, e di cloruro calcico (anidro) gr. 0,87 °/e. 11,10". — Iniezione di cm 5 11,12%. — E Si) gi È SEZ. bo 3 RO) RAPIRE i gie o Bi Durante tutte queste iniezioni l’animale non presenta alcun 11,16. — \ Vi: disturbo degno di nota. Respira sempre bene da sè, non pre- LA i MIpE senta mai nè tetano nè contrazione spasmodica della glottide e lio ù e LIONE si lamenta. be 5 DURO 11,25". — 2 nie 6 rS oe —- 11,26". — s ; Solo alle ultime iniezioni presenta un legger grado di contrazione tonica agli arti posteriori. 11,27. — Slegato rapidamente l’animale, subito cammina bene e solo ha i movimenti degli arti posteriori un po’ impacciati, e li tiene alquanto rigidi. — Alla sera l’animale sta bene e mangia: il giorno dopo stava sempre benissimo. Questo animale aveva ricevuto em° 55 di soluzione mista contenenti gr. 4,68 di citrato trisodico e gr. 0,48 di cloruro calcico. Esperienza 10°. Cane f. di Chgr. 3,220. — Iniezione nella femorale di una soluzione mista di citrato e calcio nel rapporto molecolare di tre ad uno, contenente gr. 5,35 di citrato e gr. 0,55 di Call? °/. 17,50’. Si ; 17.5 4 Iniezione di cm? 50. Slegato l’animale, si mostra depresso, cammina barcollante, impacciato nei movimenti, specie degli arti posteriori. Presto però si ristabilisce perfettamente e stabilmente. Questo animale ebbe per via endovenosa e contemporaneamente gr. 2,67 di citrato e gr. 0,275 di cloruro calcico. AZ FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 273 Esperienza 11°. Cane f. di Chgr. 3,400. — Iniezione nella giugulare destra di soluzione mista di citrato e calcio come nelle due esperienze precedenti. 18,50". — Iniezione di cm? 5. 18,54. — x RIE 18,55”. — K a k0; L81908 È DELOS i n » 10. — L'animale presenta un lieve stato di contrazione generale dei muscoli. 19, 5. — È » ©. — Presenta un accesso tetanico lieve, di breve durata. i GE 3 o Lo CRI È » 5. — Si ha unleggero grado di contrazione tonica agli arti inferiori. 19714! — e » 5. — Ogni tanto l’animale si agita e si lamenta. 19,18 — 5 » 5. — Convulsione tonica lieve, che si ripete all’iniezione successiva. 19,21. — n IS 19,24". — 5 Ud TR na » 9. — Accesso tetanico. 19,29. — x AA RSS n agiata Presenta una contrazione tetanica generale di breve durata L93668 n » © {| ad ogni iniezione. 19,388". — ui SEE Slegato l’animale, resta per un pezzo sdraiato sul fianco, tranquillo, cogli arti tesi; dopo sì ristabilisce del tutto. Questo animale aveva ricevuto cm* 100 di soluzione mista, contenenti gr. 8,49 di citrato e gr. 0,87 di cloruro calcico. Esperienza 12°. Cane f. di Chgr. 3,580. — Preparo ambo le vene femorali e vi innesto due cannule in connessione la destra con buretta graduata piena di soluzione di citrato trisodico (cristallizzato) al 10,71 °/,, e la sinistra con un’altra buretta graduata, piena di soluzione di cloruro caleico (anidro) all’1,11 °/,. Volumi uguali di queste soluzioni contengono citrato e calcio nel rapporto molecolare noto di tre ad uno. Pratico allora iniezioni successive alternate con citrato e calcio. 15,58". — Iniezione di citrato cm* 5. — Tetano. 15,59. — È caleio , 5. — L'animale torna tranquillo. ORA e HI Giurato ne 409 Mo — È calcio PMCASt8 ; BOstor — A citrato , D— mei. — calcio , 5,— oo o citrato , 5,— SARAI LA Ma; ice È cala solito Mentre durante noe di aitnato l’animale bi 16,17, — ; Citato, bi— prosenla SI CR SIVUNCORA queste, colla ) Bons — 4 Galdo tic successiva iniezione di calcio, scompaiono. 16,20". — Pi citrato“ j 5, 16;21'. — i calcio , 5, 16,23". — A curato, d,— 16,25”. — 5 CaleroMMel 5 = 16,29. — Imiezioni contemporanee di cm? 5 di citrato e em? 5 di calcio. 16,81’. — Iniezioni contemporanee di em? 5 di citrato e em? 5 di calcio. Serie II. Tox. LI. o 274 LUIGI SABBATANI e 8 Durante queste due ultime iniezioni contemporanee, l’animale non presentò affatto convul- sioni. Slegato camminava bene e solo si mostrava un po’ impacciato nei movimenti degli arti posteriori. 19,40". — Rifiuta il mangiare; ma il giorno dopo sta bene e mangia. Questo cane aveva ricevuti, parte alternativamente e parte contemporaneamente, cm? 44,3 di ambo le soluzioni, contenenti gr. 4,74 di citrato e gr. 0,49 di cloruro calcico. Esperienza 13°. Cane m. di Chgr. 8,200. — Si ripete l’esperienza precedente, facendo per le vene femorali delle iniezioni alterne o contemporanee di citrato e calcio, usando le stesse soluzioni, che a volumi uguali contengono calcio e citrato nel rapporto molecolare tre ad uno. Imniezioni in cm} di ORE Mr SE OSSERVAZIONI citrato | calcio OL 10, 0 E 11,12-11,15"| — 20 11,16'-11,19' | 80 — Mentre coll’iniezione di citrato insorgono convulsioni tetaniche, 11,20'-11,22" | — 30 queste cessano colla successiva iniezione di calcio. L25127 15 - 11,28'-11,29" | — 15 11,381'-11,82" | 15 _ 11,388'-11,34' | — 15 11,48'-11,56' | 50 90 Durante quest’ultima iniezione contemporanea di citrato e calcio non compaiono affatto convulsioni; l’animale non dà alcun segno di risentire la grossa iniezione di citrato subìta. Slegato, si regge bene in piedi; ma gira un po’ barcollante ed a scatti, poichè ha gli arti posteriori un po’ rigidi. Alle ore 14,21' però è del tutto e perfettamente ristabilito; alle 16 mangia con avidità e tenuto in osservazione poi per 48 ore non presentò alcun disturbo. Questo animale aveva ricevuto, parte alternativamente, parte contemporaneamente cm 130 di ambo le soluzioni, contenenti rispettivamente gr. 13,92 di citrato e gr. 1,44 di cloruro calcico. Esperienza 14°. Cane m. di Chgr. 4,600. — Dalle 16,41' alle 17,50’, si iniettano nella femorale destra cm? 100 di solazione mista di citrato e calcio, contenente gr. 5,85 di citrato e gr. 0,55 °/, di eloruro calcieo. Durante liniezione l’animale presenta tremiti generali, poi contrazione spasmodica dei mu- scoli della testa, del laringe e del collo: arresto di respiro passeggero. Slegato, ha lievi contrazioni tonico-cloniche, diffuse per tutto il corpo, che scompaiono In icircatz/p Ora. Alle 18,30" l’animale sta bene, e gira, quantunque molto barcollante. Il giorno dopo sta benissimo e mangia avidamente. Questo animale ebbe per chilo corporeo gr. 1,16 di citrato e gr. 0,12 di cloruro calcico. 9, è FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 275 Da queste esperienze sui cani resta dimostrato che fra il calcio ed il citrato trisodico esiste un’azione antagonistica nettissima, poichè quello uccide gli animali con fenomeni di paralisi generale, questo invece li uccide con fenomeni di eccita- zione dei centri nervosi e produce tetano. Il calcio ed il citrato si neutralizzano reciprocamente nei loro effetti tossici, poichè l'eccitazione prodotta dal citrato viene prontamente tolta dal calcio, e la depressione che questo produrrebbe, non compare con successiva amministrazione di citrato. Si neutralizzano ugualmente bene nei loro effetti, tanto se vengono iniettati in circolo mescolati in un'unica soluzione, quanto se vengono iniettati separatamente, in modo alterno o contemporaneo. La neutralizzazione però è completa solo quando si introducono in circolo quan- tità di citrato e calcio che stanno fra loro nei rapporti di tre molecole di quello per un atomo di questo. Solo quando si conserva con cura questo rapporto, gli animali sopportano bene e senza gravi disturbi grosse dosi di citrato e di calcio, le quali, separatamente, sarebbero mortali, e ciò si vede bene dalla seguente tabella, in cui sono riassunti i dati principali e gli esiti di tutte le esperienze sui cani sopra riferite. < SOSTANZE INIETTATE Zi Peso | | A . | in gr. DI | . = aaa in gr. per chilo cain Modalità | Esito DI 3 _ e— | ——— > delle iniezioni dell'animale 7a) in Chgr. | # citrato cloruro citrato cloruro trisodico | di calcio | trisodico | di calcio | | 48 2,200 1,03 — | 0,47 — | isolata | muore 5a 112:900 2,12 73 = d È 68 4,100 3,82 0,93 = : E Tai d, "500 — 0,5 52 ARR EE È a 8a Media di cinque prove | — 0,20 | È | È 9a 2,900 4,68 0,48 1,60 0,17 | mista | sopravvive 10° 3,220 2,67 0,28 0,88 | 0,09 | È | È 112 3,400 8,49 RZ VO 0,26 3 | ò li 3,980 4,74 0,49 | 13 0,14 (alterna-contemp. ” ag 8,200 DG O Vl Pai 7 A I o DO 3 n 148 4,600 SONE 0:55 1,16 0,12 mista ti 276 LUIGI SABBATANI 10 II. Azione antagonistica sulla corteccia cerebrale. Abbiamo visto che il citrato trisodico per iniezioni endovenose produce nei cani convulsioni a carattere tetanico; applicato invece sulla corteccia cerebrale ed a dosi così piccole, che per iniezioni endovenose non darebbero alcun disturbo, dà convul- sioni, ma nettamente epilettiche. In ambo i casi il citrato dà fenomeni d’eccitazione, che però sulla corteccia si manifestano con caratteri speciali, inerenti alla funzione dell'organo su cui isolatamente viene applicato. Il calcio ed il citrato hanno pure sulla corteccia cerebrale un’azione del tutto opposta; e mentre l’uno ne deprime grandemente l’eccitabilità elettrica, come ha bene dimostrato recentemente il mio Assistente Dott. P. Regoli (1), l’altro l’esalta assai, ha azione epilettogena e per applicazione diretta sulla corteccia di soluzioni forti, o per applicazione prolungata di soluzioni anche deboli di citrato si raggiunge tale una ipereccitabilità della corteccia, che stimoli molto piccoli provocano attacchi epilettici intensi, ed in fine scoppiano accessi epilettici spontanei. Il calcio ed il citrato trisodico poi si neutralizzano reciprocamente nella loro azione sulla corteccia, sì che quando l’eccitabilità è stata depressa dal calcio, il ci- trato la rialza e viceversa; e quando l’animale è in preda a convulsioni epilettiche, provocate dal citrato, prontamente scompaiono col calcio. Il Dott. Regoli ha sperimentata l’azione del calcio sull’ eccitabilità della cor- teccia cerebrale, sia iniettandolo nelle vene, che applicandolo direttamente sulla corteccia; io invece col citrato ho sperimentato solo applicandolo localmente sulla corteccia, poichè l'iniezione endovenosa di citrato provoca disturbi generali e di circolo assai gravi, durante i quali vano sarebbe tentare i saggi, sempre delicati, dell’eccitabilità corticale. Dopo avere determinata così l’azione di queste sostanze, in varii modi ne studiai l’azione combinata. Alcune volte applicava contemporaneamente l’una sostanza da un lato e l’altra dall’altro, sopra punti simmetrici della zona motrice, e sempre otteneva depressione dell’eccitabilità nella zona bagnata con soluzione di calcio, e contemporaneamente esaltazione grande di essa dall’altro lato, bagnato con soluzione di citrato: queste esperienze davano conferma alle precedenti, ed allontanavano con certezza molti dubbi ed obbiezioni, che di leggeri sì comprendono, ed io non starò qui ora a discuterli. Altre volte applicava prima il calcio od il citrato e successi- vamente l’altra sostanza sullo stesso punto della corteccia, ed il risultato costante che ottenni fu la dimostrazione evidente dell’azione antagonistica che esiste fra essi rispetto alla eccitabilità elettrica della corteccia. (1) ReGori P., Azione dei metalli alcalino-terrosi sull’eccitabilità elettrica della corteccia cerebrale, “ Bullettino della Società fra i Cultori di Scienze Mediche e Naturali in Cagliari ,. Comunicazione fatta il 28 giugno 1900. 11 soddisfacente. ampì. FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 277 In fine tentai alcune esperienze con soluzioni miste di calcio e citrato, uniti nel rapporto molecolare molte volte ricordato di uno a tre, colla fiducia che la mi- scela potesse riuscire inerte sulla corteccia; ed il risultato ottenuto fu abbastanza Sperimentammo sempre sui cani, cui, senza uso di anestetici, si scopriva la zona motrice da uno o da ambo i lati, a seconda del bisogno; lasciammo sempre riposare gli animali !/, ora fra l’atto operativo ed il principio dell’osservazione; tenemmo in tutte le esperienze come centro di saggio corticale quello che eccitato provoca in- nalzamento della zampa anteriore (opposta); come stimolo elettrico adoperammo sempre la corrente indotta di una slitta Dubois-Reymond, mossa da una pila Grenet, e ci servimmo poi sempre di un eccitatore a punte di platino, mantenute a distanza fissa di due millimetri, ed applicate sulla corteccia per due secondi soltanto. Trovato il punto di saggio, si determinava la corrente minima sufficiente a pro- durre innalzamento lieve dell'arto, poi si applicava sulla corteccia, come sopra ho detto, il calcio (cloruro, acetato), od il citrato trisodico, servendoci di un batuffo- letto di cotone, appiattito e rotondo a forma di bottone, del diametro di circa 15 mm., il quale, inzuppato nelle soluzioni da sperimentare, veniva posato leggermente sulla corteccia. Trascorsi 10 minuti, si saggiava di nuovo l’eccitabilità, cercando di fare il minimo numero possibile di eccitazioni, e poscia si ripetevano le applicazioni ed i saggi per varie volte, or con l’una or con l’altra sostanza. In molte esperienze a principio ebbi cura di adoperare delle ‘soluzioni di calcio e citrato, isotoniche col sangue dell'animale (A=09,60), onde allontanare il dubbio che le variazioni dell’eccitabilità potessero dipendere in parte da una tossicità fisica delle soluzioni; ma poichè Regoli ha dimostrato che soluzioni leggermente ipertoniche od ipotoniche di cloruro sodico non portano variazione sensibile dell’eccitabilità, così potei usare con sicurezza soluzioni di varia concentrazione entro limiti abbastanza In ogni applicazione di sostanza col batuffoletto di cotone si portava a contatto della corteccia un centimetro cubo circa di liquido, non più certo; però possiamo calcolare approssimativamente la quantità di calcio o citrato che in ogni saggio si portava a contatto della corteccia nelle esperienze che ora riferirò. In 100 p. Quantità in gr. SOSTANZE di acqua A= |di sostanza contenuta in un em gr. | | di soluzione Mieruto sodico iii. Ti 00,62 | 0,01 Cloruro calcico . . 0,26 2 0,0026 Acetato calcico PrO aan 2,9 09,60 | 0,025 Wibratorbrisodico . .. CL. . .. Abe "09,98. 0,0417 Salziona mista citrato trisodico . iste): i6 0A I ue cloruro caleico 0,47 | 278 LUIGI SABBATANI 12 Esperienza 15°. Cane f. di Chgr. 6,500. — Messa allo scoperto la zona motrice a sinistra, dopo riposo di ‘'/, ora si ha innalzamento netto e pronto della zampa anteriore destra coi roechetti della slitta a mm. 126. Dopo applicazione sulla corteccia di soluzione all’1°/, di cloruro sodico per la durata di 10', mercè un batuffoletto di cotone, si ha ancora movimento pronto coi rocchetti a mm. 126. Dopo una seconda applicazione come la precedente si ha ancora movimento deciso coi rocchetti a mm. 126. Applicata allora al modo solito sulla corteccia per 10' della soluzione di cloruro calcico al 0,26 °/,, si ebbe poi movimento debole e tardo colla corrente data dai rocchetti a mm. 115. Applicata di nuovo per altri 10’ la soluzione di calcio, si ebbe movimento pronto solo coi rocchetti a mm. 105. Esperienza 16° (Regoli). Cane m. di Chgr. 5,800. — Scoperta la zona motrice di sinistra, si ha movimento della zampa anteriore destra coi rocchetti a mm. 143. Dopo applicazione per 10' di un batuffolo imbevuto in soluzione di CaC1° al 0,26 °/, con- venne avvicinare i rocchetti a mm. 180. Dopo una seconda applicazione della stessa soluzione e per altri 10' si aveva movimento lieve solo portando i rocchetti a mm. 115. Esperienza 17°. Cane m. di Chgr. 5,500. — Posta allo scoperto la zona motrice a destra, dopo riposo di ‘/, ora si trova che la minima corrente, sufficiente a dare un lievissimo innalzamento del- l’arto anteriore destro si ha coi rocchetti a mm. 180. Applicato per 10' un batuffolo imbevuto in soluzione di citrato trisodico al 4,17 °/,, mentre con un pezzetto di garza umida tocco legger- mente la corteccia, onde togliere (come faccio sempre) il po’ di liquido rimasto, l’animale co- mincia a fare vivaci movimenti coll’arto anteriore sinistro, poi col posteriore pure di sinistra, ed infine coi muscoli della faccia: è colto poi subito da un accesso epilettico intenso, generale, che dura tre minuti circa. Lasciato riposare l’animale, dopo venti minuti trovo che si ha movimento manifesto del- l’arto anteriore sinistro coi rocchetti a mm. 140. Porto allora sulla corteccia per 10' un batuffolo imbevuto in soluzione di cloruro calcico (A=0°,59), e dopo ciò ottengo movimento dell’arto solo coi rocchetti a mm. 105. Esperienza 18°. Cane f. di Chgr. 6,609. — Sperimentando sulla zona motrice di sinistra, in varie prove sì constata che essa risponde bene solo alla corrente data dai rocchetti a mm. 148-146. Applicata allora per 10' al modo solito della soluzione di citrato al 4,17 °/,; si ha movi- mento ancora a mm. 146; ma applicato di nuovo il batuffolo, inzuppato di citrato, dopo 4 spontaneamente compare un accesso epilettico intenso, prima alla metà destra, poi generalizzato a tutto il corpo: in appresso si ripetono molti accessi, sì che, non ostante si sia allontanato il citrato, in 21’ presenta 7 accessi fortissimi. Subito dopo il sesto accesso si applica sulla cor- teccia della soluzione di cloruro calcico al 0,26 °/,, e durante l'applicazione compare il settimo accesso; ma fu l’ultimo. Dopo 10', tolto il batuffolo imbevuto della soluzione di calcio, si otte- neva movimento dell’arto solo coi rocchetti a mm. 100. A questo momento, dubitando che la diminuzione dell’eccitabilità dipendesse da esaurimento prodotto dalle ripetute scariche epilet- tiche, e non dal calcio, alternativamente applicai, sempre per 10’, le sopradette soluzioni: prima il citrato, poi il calcio. Dopo il citrato l’eccitabilità aumentò di nuovo, ebbi movimento del- 13 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 279 l’arto coi rocchetti a mm. 135, ed alla quarta stimolazione elettrica comparve un nuovo accesso epilettico. Dopo il calcio infine l’eccitabilità diminuì di bel nuovo, fino a mm. 95. Esperienza 19°. Cane f. di Chgr. 5,100. — Scoperta la zona motrice a sinistra, dopo riposo di '/, ora si ebbe movimento sensibile dell'arto a mm. 125. Applicata per 10', al modo solito, la soluzione di acetato di calcio al 2,5 °/,; Si ebbe mo- vimento ancora a mm. 125. Dopo una seconda applicazione comparve movimento solo a mm. 115. Dopo una terza si ebbe a mm. 110. Applicata allora la soluzione di citrato al 4,17 °/,, dopo 10/, si notava movimento a mm. 160. Durante una seconda applicazione di citrato presentava scosse convulsive lievi alla metà destra del corpo; e dopo altre due applicazioni di citrato, coi rocchetti a mm. 145 si ottene- vano movimenti convulsivi lievi a tutta la metà destra del corpo. A questo momento, tornando ad applicare dell’ acetato di calcio, l’eccitabilità elettrica diminuì assai, e dopo 10’ era scesa a mm. 110; dopo 20' a mm. 105. Tornando infine ad applicare la soluzione di citrato, già in 10' V’eccitabilità tornò ad au- mentare a mm. 120. Esperienza 20°. Cane f. di Chgr. 4,300. — Scopro la zona motrice da ambo i lati e quindi applico a si- nistra ripetutamente della soluzione di cloruro calcico al 0,26 °/,; constatato che così si era raggiunta una forte diminuzione dell’eccitabilità, persistente ancora dopo 40’ di riposo, su questo stesso lato della corteccia applicai la soluzione di citrato al 4,17 °/,, e contemporaneamente sull'altro lato della corteccia, ancora intatta, applicai la soluzione sopradetta di calcio. Ottenni così che mentre a sinistra l’eccitabilità depressa dal calcio si rialzava col citrato, dall'altro lato e contemporaneamente l’eccitabilità diminuiva per opera del calcio, come si vede chiaro dall’unito specchietto riassuntivo. Distanza minima sufficiente dei rocchetti a produrre innalzamento della zampa anteriore opposta per eccitazione della corteccia ORE A sinistra | A sinistra — sE o __P—_ SIONI | ——_——_ rr —___———@@—@———€ Applicando per 10' del... mm. Applicando per 10' del... mm. 18,30" = 130 18,33 | Cloruro di calcio — | 18,43’ —_ 100 18,47” | Cloruro di calcio - | 18,57 = 80 | 19,—' Cloruro di calcio = | | 19,10" — 75 | 19,51’ _ 80 | —_ | 127 19,57” Citrato trisodico - Cloruro di calcio | = A 0 RC — 90 ’ = 117 20,10" Citrato trisodico | _ | Cloruro di calcio —_ 20,20" = 100 — 112 20,27' Citrato trisodico = Cloruro di calcio se 20,37" = 110 _ | 110, 20,47' Citrato trisodico | = Cloruro di calcio _ 20,57" —_ | 125 - | 115 Ì 280 LUIGI SABBATANI 14 Notisi che, durante l’ultima applicazione di citrato a sinistra, l’animale presentava lievi scosse convulsive spontanee all’arto anteriore destro. Esperienza 21°. Cane f. di Chgr. 3,600. — Messa allo scoperto la zona motrice di sinistra, dopo riposo di '/, ora sì trova che, a produrre un lieve movimento della zampa anteriore destra, occorre usare la corrente data dai rocchetti a mm. 143. Si applica allora al modo solito e per 10' sulla corteccia una soluzione mista di cloruro calcico e citrato trisodico, contenente di CaC1? gr. 0,47 °/, e di citrato gr. 4,54 °/,; si ha allora movimento solo coi rocchetti a mm. 134. Dopo una seconda applicazione si ha movimento coi rocchetti a mm. 145. Dopo una terza applicazione soltanto compaiono movimenti convulsivi spontanei alla metà destra del corpo, e quindi un accesso epilettico generale, forte e lungo. Passato l’accesso, si ha movimento coi rocchetti a mm. 147. Da tutte queste esperienze vediamo che il calcio ed il citrato trisodico hanno azione diretta ed intensa sulla corteccia cerebrale, poichè a dosi piccolissime, tali che per iniezione endovenosa non produrrebbero alcun disturbo, a contatto della cor- teccia vi provocano disturbi funzionali rilevanti e variazioni forti dell’eccitabilità elettrica. Vediamo che, applicando contemporaneamente sulla corteccia calcio e ci- trato si hanno disturbi lievi e tardi: infatti nell'esperienza 21%, dapprima prevalse l’azione depressiva del calcio e si notò una diminuzione dell’eccitabilità ; in appresso prevalse quella del citrato e s’ebbe un lieve aumento. Mentre poi con soluzioni pure di citrato al 4,17 °/ si ebbero moti convulsivi ed accesso epilettico intenso alla fine della prima od al principio della seconda ap- plicazione (Esp. 172, 18), con soluzione mista di citrato e calcio, pur contenente più citrato, si ebbe accesso epilettico solo dopo una terza applicazione. Teoricamente si dubitava che la soluzione mista di citrato e calcio, nel rapporto molecolare di tre ad uno, dovesse riuscire inerte sulla corteccia, e l’esperienza solo in parte ha corrisposto alla previsione; ma la prevalenza del calcio in un primo momento e del citrato in ultimo si può attribuire ad una diversa diffusibilità dei due sali verso la corteccia. Resta poi bene dimostrato da tutte queste esperienze che mentre il calcio de- prime, il citrato esalta l’eccitabilità, e che l’effetto dell'una viene prontamente neu- tralizzato dall'altra sostanza; però anche rispetto all’eccitabilità elettrica corticale esiste fra questi sali un'azione antagonistica bilaterale. DO 90 (er 15 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO IV Azione antagonistica sul midollo spinale. Studiando l’ azione generale del citrato nei canì per iniezioni endovenose, ab- biamo visto che produce convulsioni intense; e poichè queste hanno carattere netta- mente tetanico, è lecito credere che siano di orgine spinale. L’esperienza dimostrò che così è in fatti, poichè, sezionato il midollo a livello della prima vertebra lom- bare, per iniezione endovenosa di citrato trisodico si ebbero convulsioni tetaniche intense, sia nella parte anteriore del corpo, che nella posteriore, in connessione nervosa col moncone inferiore del midollo sezionato (Esp. 22°). Ciò mi indusse ad esaminare, come per la corteccia cerebrale, l’azione isolata prima, combinata poi, del calcio e del citrato sul midollo spinale; e poichè da alcun tempo è invalso l’uso di applicare sul midollo sostanze medicamentose, mercè inie- zioni lombari, così mi sono servito volentieri di questo mezzo, col quale poteva raggiungere l'intento mio, evitando una operazione grave, quale è quella di mettere allo scoperto il midollo. Applicando poi le sostanze in questo modo, poteva conservare in vita gli ani- mali e protrarre l’osservazione a lungo quanto voleva. Teneva l’animale legato bocconi sull’apparecchio di contenzione, cogli arti un * po’ tesi; radeva il pelo ai lombi, e quindi praticava l’iniezione, servendomi d’una comune siringa di Pravaz, della capacità di un cm*, munita di un ago robusto e lungo, che introduceva obliquamente in avanti, da fuori in dentro e dall'alto al basso, in modo da penetrare nello spazio intervertebrale delle ultime vertebre lom- bari. In molte esperienze poi, per essere ben certo di penetrare nel canale spinale in modo conveniente, senza ledere il midollo, metteva a nudo le vertebre con taglio parallelo e rasente i processi spinosi, e dopo ciò fra vertebra e vertebra più sicu- ramente praticava le iniezioni. Solo quando volli determinare su qual punto agiscono il citrato ed il calcio, misi a nudo il midollo lombare, e così potei applicare queste sostanze da un lato solo del cordone spinale, ed avere le radici spinali accessibili al taglio od alla sti- molazione elettrica. Esperienza 22°. Cane m. di Chgr. 4,720. — Alle ore 16,25’ si seziona il midollo spinale a livello della 1° vertebra lombare. Alle ore 18 si inietta nella giugulare destra cm° 10 di citrato trisodico al 10,7 °/,- Tosto compare una contrazione forte in tutti i muscoli della parte anteriore del corpo ed una contrazione assai meno intensa negli arti posteriori. Si ha spasmo della glottide, il cuore pulsa debolmente, s’arresta il respiro, l’animale diventa cianotico e si rilascia com- pletamente. Praticata la respirazione artificiale per alcuni minuti, e quando l’animale sì è riavuto, si tornano ad iniettare altri 10 em* di soluzione: tosto compare una contrazione tetanica per tutto il corpo, che è però assai più intensa nella parte anteriore, meno nella parte posteriore. Serie II. Tom. LI. K! 282 LUIGI SABBATANI 16 Esperienza 23°. Cane f. di Chgr. 6,000. — Verso le ore 11, messe a nudo le vertebre ai lombi, iniettai nel canale spinale */,, di cm° di soluzione al 2,5 °/, di cloruro caleico, ed istantaneamente, senza che l’animale desse alcun segno di dolore, presentò paraplegia completa di moto e scom- parsa dei reflessi nella parte paralizzata. La sensibilità quivi era conservata; ma la motilità del tutto abolita, e per tutto il giorno, volendo muoversi, si trascinava dietro gli arti del tutto inerti e flacidi. n 5 A poco a poco poi la paralisi andò scomparendo, e 24 ore dopo il cane era del tutto guarito. Esperienza 24°. Cane f. di Chgr. 3,500. — Messe a nudo le vertebre ai lombi, inietto nel canale spinale '/,cm* di soluzione di cloruro di calcio al 5,°/, e subito compare una paraplegia completa. L'animale non dà segni di dolore, gira sforzandosi colle zampe anteriori e trascina abbando- nate, flacide e distese le posteriori. Quivi i reflessi sono scomparsi; ma la sensibilità persiste e pizzicato dà segni di dolore. Mezz’ora dopo, persistendo ancora la paralisi, inietto nel canale spinale 1 cm° di citrato trisodico al 4,2 °/,. L'animale non dà alcun segno di dolore, non presenta affatto moti con- vulsivi; ma, slegato, si nota che riesce a muovere un po’ la zampa posteriore sinistra e poco dopo riesce a camminare, quantunque malamente. Quantunque poi questo cane, molto più piccolo, avesse ricevuta una dose assai maggiore di calcio, pure riacquistò intera la motilità nel treno posteriore assai prima del precedente. Esperienza 25°. Cane f. di Chgr. 3,900. — Messe a nudo le vertebre ai lombi, penetro coll’ago, già mon- tato nella siringa, entro il canale spinale. Constatato allora che la semplice introduzione dell’ago non provoca alcun disturbo e nulla pure compare iniettando 1 cm? di soluzione fisiologica (1 °/,), inietto appena poche goccie di citrato al 4,17 °/, (A —=0",58). Immediatamente compare tetano gravissimo, che da dietro in avanti rapidamente si generalizza. | Seguito ad iniettare tutto il liquido della siringa (1 cm*); ma l’animale muore. prima, che sia terminata l’iniezione, la quale procedeva lentamente. Esperienza 26°. Cane f. di Chgr. 4,900. — Si fa colla siringa di Pravaz una iniezione lombare di cm? 0,1 di citrato al 5 °/, (A=0°,70), corrispondente a cinque milligrammi di. citrato trisodico (cri- stallizzato). Immediatamente gli arti posteriori si estendono in dietro, si irrigidiscono in una contrazione tetanica intensa, che rapidamente, nel giro di pochi secondi, si. diffonde agli arti anteriori, al. collo ed al muso. Il respiro è arrestato, il cuore batte lento, tutto l’animale è immobile e rigido. Fatta subito una seconda, poi una terza iniezione di ‘/,) di cm?, durante la terza iniezione la. con- trattura dei. muscoli cede, le mucose da cianotiche si fanno pallide, e l’animale muore avendo ricevuti soli 15 milligrammi di citrato (calcolato con 5.'/, molecole d’acqua di cristallizzazione). 17 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 283 Esperienza 27*. Care f. di Chgr. 3,400. — Inietto nel canale spinale cm8 0,1 di citrato trisodico al 5 di (A=0°,70); immediatamente compare un accesso tetanico gravissimo che, notisi, incomincia con contrazione tonica intensa degli arti posteriori, poi si estende agli arti anteriori. L'animale fa un lungo mugolio; è presenta trisma éd opistotono intenso. Si hà arresto di respiro, ral- lentamento grandissimo dei battiti cardiaci: l’animale si fa cianotico 6, perdurando l’arresto di respiro, si lascia come morto. A poco a poco però l’animale si ristabilisce completamente e, non presentando più alcun disturbo, si fa una seconda puntura coll’ago innestato nella siringa, piena di soluzione fisiolo- gicnn(ieo i SA —=0% 60). Non essendo comparso alcun fenomeno per la semplice puntura, si abbassa lo stantuffo rapidamente, iniettando così 1 cm° della soluzione: con questo ancora non compare alcun disturbo. Tolta allora la siringa, lasciando l’ago in' posto, si inietta ‘/,j di cm? di soluzione di ci- trato al 4;17 °/; (A==00,58), ossia poco più di 4 milligrammi di citrato. Istantanéamente com- pare tetano violento, prima dietro, poi avanti, alla nuca ed al muso. Si introducono altri “hig di soluzione; ed il tetano dura intenso e gravissimo. A questo momento si cambia rapidamente la siringa, lasciando l’ago in posto, e si inietta 1 em? di acetato calcico al 25 °/, (A = 09,69). Tosto il tetano scompare dal treno posteriore interamente e dopo pochi secondi diminuisce nel' resto del corpo fino a sparire del tutto in brevissimo tempo. L'animale si ristabilisce prontamente e, slegato, si trova che, essendo nel resto' del tutto normale, è affetto da pàraplegia completa di moto e di senso. Al mattino seguente la paraplegia è quasi’ interamente scomparsa. Esperienza 28?. Cane m. di Chgr. 5,200. — Alle ore 10,30’, sotto la narcosi cloroformica, si scopre il midollo lombare, asportando l'arco posteriore delle vertebre lombari 4°, 5%, 6% e metà della 7°. Sospeso il cloroformio, dopo 20' circa con un piccolo pennello si applica al lato destro del midollo della soluzione di citrato trisodico al 10,7 °/,. Dopo che si fu spennellato così il mi- dollo 3 o 4 volte, in corrispondenza delle radici del plesso sciatico, comparve una fortissima contrattura di tutto l’arto posteriore destro, che rimaneva esteso e rigido all'indietro, mentre il sinistro rimaneva del tutto rilasciato, come allo stato normale. Quasi subito poi si notava che la coda, fatta rigida, era incurvata fortemente a destra, lievemente in alto: tutta la colonna vertebrale poi era incurvata a destra, sì che il muso dell'animale guardava la zampa ‘poste- riore destra. Chiusa la breccia ossea con garza, e posti dei punti di sutura ai muscoli ed alla cute, sì conserva l’animale per fare altre prove. Alle ore 18, essendo l’animale tornato in condizioni normali, si tolgono i punti di sutura volanti, e, posto di nuovo allo scoperto il midollo, col pennello si applica ancora della soluzione di citrato al 10,7 °/; al lato esterno della metà destra del midollo. Tosto ritompaiono gli stessi fenomeni di contrattura unilaterale sopradescritti. Esperienza 29°. Cane f. di Chgr. 4,050. — Alle ore 10,30’, sotto la narcosi cloroformica si scoprì il mi- dollo lombare, asportando- gli archi vertebrali della 4*, 5°, 6%, 7° vertebra lombare. 284 È LUIGI SABBATANI 18 Dopo 20' circa si applicò col pennellino della soluzione di citrato al 10,7 °/, sulla metà destra del midollo, in corrispondenza delle radici. Subito comparve una forte contrattura del- l’arto posteriore destro, la coda s’incurvò rigida/a destra e la colonna vertebrale sì piegò a semicerchio con concavità a destra. Avendo sollevato leggermente il midollo con un uncino, un po’ del liquido che si trovava a destra della doccia formata fra il midollo e la meninge aperta per lungo e leggermente tesa da uncini, passò in avanti ed a sinistra del midollo. Istantaneamente comparve rigidità dell’arto posteriore sinistro, che fino allora era rimasto rilasciato; la coda, pur rimanendo rigida, si portò sulla linea mediana, fortemente incurvata in alto, e la colonna vertebrale si raddrizzò, pur rima- nendo rigida. Esperienza 80°. Cane f. di Chgr. 3,180. — Sotto la narcosi cloroformica alle ore 16 si è terminato di scoprire il midollo lombare in corrispondenza delle vertebre 4%, 5, 6% e 72. Alle 17,30' si applica col pennello la soluzione di citrato al 10,7 °/, sul lato destro del midollo, e subito compare la solita contrattura dell’arto posteriore destro, compare pure rigi- dità della coda, che s’incurva a destra, ed incurvamento a destra di tutta la colonna vertebrale. Tagliate quattro radici posteriori di destra, che vanno al plesso sciatico, immediatamente la contrattura scompare; ma riappare prontamente, appena si riapplica la soluzione di citrato a destra (1). Applicando successivamente sullo stesso lato del midollo, ed in corrispondenza delle radici tagliate della soluzione di cloruro calcico all’ 1,26 °/, (A=0%,58), prontamente scompare la contrattura dell’arto posteriore destro; ma persiste la rigidità nella coda e nella colonna ver- tebrale, per cui l’animale conserva l’incurvamento a destra. Alle ore 19 si riapre la ferita, che s'era chiusa temporaneamente con punti volanti, e quindi si bagna tutto il tratto di midollo lombare scoperto con soluzione di citrato al 4,2 °/,(A =0%,58). Immediatamente compare una forte contrattura degli arti posteriori, che rimangono estesi in- dietro e rigidi, della coda, che sta dritta in alto, un po’ incurvata verso il dorso, e della co- lonna vertebrale, che fa gobba assai prominente. Asciugato con garza il midollo, vi si applica sopra della soluzione di cloruro calcico all’1,26 °/, (A =00,58). In pochi minuti la contrattura cessa del tutto e l’animale torna in condizioni normali: la sensibilità dell’arto posteriore sinistro (dal quale lato le radici spinali sono ancora tutte intatte) è bene conservata. A questo momento sollevo con uncini il secondo paio di radici che concorrono a formare il plesso sciatico di sinistra, indi taglio la radice posteriore un po’ lontano dal midollo e rac- comando il moncone centrale ad un filo, poi taglio la radice anteriore presso il midollo e rac- (1) Credo che la scomparsa momentanea della contrattura per il taglio delle radici posteriori, fatto che è in disaccordo con tutte le altre esperienze, possa interpretarsi come fenomeno di inibi- zione, provocato dalla stimolazione meccanica del taglio o dal fatto che il taglio delle radici poste- riori porta diminuzione dell’eccitabilità delle radici anteriori. BeLmxonpo e Oppi (Intorno all'influenza delle radici spinali posteriori sull’eccitabilità delle anteriori, “ Rivista Sperimentale di Freniatria e di Medicina Legale ,, Vol. XVI, Fasc. III, 1890) osservavano: “ La transitoria ineccitabilità [delle radici “ anteriori] osservata poche volte dopo una forte irritazione [delle radici posteriori] già sappiamo “ doversi attribuire, secondo noi, ad una momentanea inibizione proveniente da centri superiori (per “ l'impressione dolorifica percepita dalla coscienza); 0, come ci sembra, si possa pure ammettere, ad “un semplice arresto spinale, per il diffondersi dell’irritazione alle cellule gangliari del midollo ,. 19 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 285 comando il moncone periferico ad un altro filo. Eccitando allora con una corrente faradica debole la radice posteriore, l’animale dà segni vivi di dolore, mentre eccitando la radice ante- riore si hanno forti contrazioni dell’arto posteriore sinistro. Dopo ciò applico sul midollo una soluzione forte di cloruro di calcio al 4,5 °/,, e poco dopo si ha paraplegia completa di moto e di senso in tutta la parte posteriore del corpo: si ha inoltre che, eccitando la radice posteriore non si provoca più alcun segno di dolore, mentre invece, eccitando la radice anteriore, si provocano sempre forti contrazioni dell’arto. Da tutte queste esperienze si vede che, parallelamente a quanto avviene sulla corteccia cerebrale, il calcio ed il citrato trisodico spiegano un’azione locale intensa sul midollo spinale, e si può localizzare l’azione loro sopra un breve tratto del mi- dollo, ed ‘anche da un lato solo di esso. Provocano istantaneamente fenomeni gravissimi, e ciò per dosi così piccole, che mai, per iniezione endovenosa, riuscirebbero a dare alcun disturbo. Ancora qui il calcio ha azione depressiva e paralizzante, il citrato invece eccitante; questo pro- voca convulsioni tetaniche, che incominciano agli arti posteriori e rapidamente si estendono a tutto il corpo, quello dà paraplegia. Anche sul midollo spinale il citrato ed il calcio hanno azione antagonistica, e reciprocamente si neutralizzano nei loro effetti, poichè il tetano prodotto dall’ iniezione lombare di citrato subito scompare col calcio, e la paraplegia data dal calcio più presto scompare con applicazione successiva di citrato, il quale allora viene tollerato dal midollo a dosi assai mag- giori, senza che provochi convulsioni tetaniche. Col crescere della dose di calcio applicata sul midollo lombare, prima si ha paresi, poi paraplegia completa e scomparsa dei riflessi, rimanendo la sensibilità integra o di poco diminuita; da ultimo si ha perdita completa anche della sensibilità. Riguardo poi al punto del midollo su cui il citrato ed il calcio portano la loro azione, osserveremo che il taglio delle radici posteriori non impedisce l’azione teta- nizzante del citrato; che, allorquando con applicazioni lievi di calcio si fa scompa- rire il tetano provocato dal citrato, le radici spinali anteriori e posteriori sono ancora irritabili; che quando in fine con dosi forti di calcio si è ottenuta paralisi completa di moto e di senso, le radici posteriori non sono più irritabili, mentre le anteriori lo sono ancora, come in condizioni normali. Però è a ritenere che il citrato ed il calcio portino entrambi la loro azione non sulle radici, ma sul midollo propria- mente, sulla sostanza grigia di esso, analogamente a quanto avviene per la sostanza grigia della corteccia cerebrale. 286 LUIGI SABBATANI 20 V. Azione antagonistica sui nervi. Come sui centri nervosi, il citrato ed il calcio hanno sui nervi di moto un'azione antagonistica, sì che quello ne aumenta e questo ne diminuisce l’eccitabilità elet- trica; e ciò risulta evidente dalle poche esperienze che qui riporto. Esperienza 31°. Rana temporaria. — Fatte due preparazioni di zampa-nervo; immergo il nervo alternati- vamente in. soluzioni di citrato o. di calcio (A=0%,58); e prima e dopo le immersioni deter- mino la distanza massima dei rocchetti della slitta, alla quale si ottiene ancora un leggero movimento della zampa per eccitazione faradica del nervo. Prima preparazione. In condizioni normali si aveva movimento della zampa coi rocchetti a $ 3 cent. 52 Dopo immersione del nervo per 5! in citrato E 5 5 : È b i si 68 Dopo immersione: del nervo per altri 5' in citrato : , 7 - ) ; pi 6 Dopo: immersione: del: nervo per 5! in calcio è O ; È . : 7 np 67 Dopo immersione del nervo per altri 7’ in calcio x 7 : È 7 a n 66 Dopo immersione del. nervo per altri 10' in calcio . : ; i ; ‘ s{RTELe Seconda preparazione. Dopo immersione del nervo in citrato per 5". ; 3 5 ; à , °° cent: 67 Dopo immersione del nervo in calcio per 5' È 3 3 9 e 5 ° , 45 Dopo immersione’ del’ nervo in citrato per 5' : ò 7 ; È y : por Dopo immersione del nervo in calcio per 5' 5 1 È 4 : 7 , gi 88 Dopo immersione» del nervo im citrato per 5". ; : A 5 4 , 148 Esperienza 32°. Discoglossus: — Ripetuta l’esperienza precedente, ebbi: Prima preparazione. Normale . i e TARE ; gt 7 dagli. TRA 7 N ACC LI Citrato per 2’. È : 3 7 5 7 ì È ; ; : 5 Rel), Calcio per 2° . : ; 5 È : 2 Z : : : : 89 A RA E ° : o . 5 I. ; ; î : È n 84 Seconda preparazione. Normale 3 i: ; ) 3 : È ° : ; 9 ; ° 3 cent. 45 Citrato per 2°. 3 3 3 « , è ; ; è 5 : : s LOW Calcio per 2° . ; } 3 ; : 4 - ; è è b : s 44 x SIA SIR. : 3 . ; L j < 3 ; 3 ì 3 rv 4 i s ; 5 (28 e e a NT, Calcio per 2' . } - È x : : : , : e : : d.7.98 Citrato per 2’. . È i» è 3 ; È - 1 i i; dd i ea PA ER A AF SR, VI. Azione antagonistica sui muscoli striati. È nota l’analogia grande che esiste fra la coagulazione del sangue e la rigidità cadaverica, per cui si parla di plasma muscolare, di miosina e di siero muscolare, come si parlerebbe di plasma sanguigno, di fibrina e di siero sanguigno. Al fibri- nogeno del sangue corrisponderebbe, secondo Halliburton, il miosinogeno ed il para- miosinogeno del muscolo, i quali coll’intervento del miosinfermento formerebbero la miosina. Ancora qui, come nel sangue, sarebbe indispensabile l’intervento dei sali di calcio, nella reazione enzimatica coagulante del muscolo; in questo senso almeno viene interpretata la percentuale alta di calcio nella miosina, ed a questo conducono le esperienze di Cavazzani (1) sull’azione dell’ossalato di potassio sopra il plasma muscolare, dalle quali concludeva: “ è indubitato che, nella contrazione muscolare “ e nella rigidità cadaverica i sali di calce vengono ad assumere (subordinatamente “ all’esattezza degli studîì dell’Arthus e Pagès, e di quelli dell’ Hammarsten e del “ Lundberg) una importanza eccezionale e finora non supposta da alcuno ,, conclu- sione alla quale pienamente io mi associo ora in base alle mie ricerche sul citrato, le quali, mentre già confermarono pienamente la teoria di Arthus, circa l’importanza che i sali di calcio, hanno nella coagulazione del sangue, della, linfa e del latte, ora confermano le conclusioni di Cavazzani rispetto alla rigidità cadaverica ed alla fun- zione del muscolo. Ho studiato prima separatamente l’azione del citrato e del calcio sulla rigidità cadaverica, sull’irritabilità, del muscolo, sull’ampiezza delle contrazioni, sulle moda- lità delle contrazioni; dopo ho studiata l’azione combinata di queste sostanze sul (1) Cavazzani A., Dell’azione dell’ossalato potassico sul plasma muscolare quale contributo alla dot- trina, della contrazione e di un nuovo antagonismo farmacologico, © Riforma Medica ,, NÉ 131-182, giugno 1892. 288 LUIGI SABBATANI ; DZ: muscolo. Nella maggior parte delle esperienze non solo feci uso di soluzioni esatta- mente titolate e pure di cloruro calcico, di citrato trisodico e di cloruro sodico (pei controlli); ma ebbi anche cura di fare, per quanto mi fu possibile, le soluzioni iso- toniche fra loro e di valore medio fisiologico, A= 09,60. A) Esperienze sulla rigidità cadaverica. Negli animali che morivano avvelenati con iniezioni endovenose di citrato tri- sodico, allorchè studiava l’azione generale di esso, non ebbi mai a notare che la rigidità cadaverica comparisse con qualche ritardo sensibile, e ciò manifestamente perchè allora, già con dosi piccole di gr. 0,70 per chilo d’animale, si otteneva la morte, e la dose di citrato era però troppo piccola, perchè potesse influire sulla coagulazione del muscolo, come del resto non riusciva a produrre neppure l’incoa- gulabilità del sangue. Per vedere bene l’influenza che il calcio ed il citrato trisodico hanno sulla ri- gidità cadaverica conviene iniettarli ad alte dosi nelle arterie. Esperienza 34°. Cane m. di Chgr. 7,700. — Temperatura ambiente 10° C. Alle ore 15,50’ uccido l’animale colla puntura del bulbo, indi apro rapidamente l'addome e, poste due cannule di vetro nelle arterie iliache comuni (1) verso la periferia, contempora- neamente inietto per quella di destra cm? 50 di soluzione all’1,26 °/, di cloruro calcico (A = 09,58) e per quella di sinistra em? 50 di soluzione di citrato trisodico al 4,2 ‘/, (A =0%,58). Alle ore 16,3' (dopo 13’ dalla puntura del bulbo) si praticano le iniezioni e si osserva che mentre a destra, iniettando il calcio, non si osserva alcun fenomeno; a sinistra, durante l'iniezione del citrato l’arto sì estende, si irrigidisce alquanto con una contrazione tonica gene- rale dei suoi muscoli; ma subito poi si rilascia e pende flacido sul tavolo, mentre i muscoli dell’arto presentano per qualche minuto ancora delle contrazioni fibrillari diffuse e rapide. E mentre poi quest’arto dell'animale, che sta supino, resta adagiato sul tavolo, l’altro che ebbe l'iniezione del calcio a poco a poco si solleva, si estende e s’irrigidisce fortemente in brevis- simo tempo. Alle ore 16,40" (circa 30' dopo l’iniezione) l’arto di destra aveva già raggiunto il massimo di rigidità cadaverica, mentre l’arto di sinistra e tutto il resto del corpo non ne dava ancor cenno. ” Alle ore 19 soltanto compare lieve rigidità cadaverica alla mandibola. Alle ore 20 poi (dopo 4 ore circa dalla morte) la rigidità cadaverica è diffusa e forte in tutto il corpo, tranne che nell’arto inferiore sinistro, in cui s’era iniettato il citrato. Solo durante la notte compare rigidità anche in quest’arto, ed al mattino seguente però si notava che la rigidità era massima all’arto posteriore destro, e minima a quello di sinistra. (1) In questa ed in altre esperienze tengo per brevità la denominazione iliaca comune; secondo ELensere W. e Baum H. (Anatomie descriptive et topographique du chien, traduit par J. Deniker, Paris, Reinwald et Ci, 1894, p. 421) dovrebbe dirsi — ‘arteria femorale subito dopo che s'è staccata dall’aorta addominale e prima che abbia dato il ramo, femorale profonda. 93 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 289 Esperienza 35°. Cavia m. di gr. 710. — Temperatura ambiente 10° C. 14,50". — Viene uccisa con un colpo alla nuca. 14,58". — Si iniettano nell’aorta addominale verso la periferia cm* 6 di soluzione di citrato trisodico al 4,2 °/, (A —=09,58). 17,45". — (Circa tre ore dopo l’iniezione) presenta rigidità cadaverica manifesta soltanto alla mandibola. 19,30. — (Circa 5 ore dopo l'iniezione) tutta la parte anteriore del corpo è rigida, la parte posteriore invece non presenta ancora traccia di rigidità. Durante la notte poi anche qui compare rigidità cadaverica, un po’ meno intensa però che nella parte anteriore del corpo. Esperienza 86°. Cavia f. di gr. 620. — Temperatura ambiente 10° C. 15, 5°. — Viene uccisa con un colpo alla nuca. 7 15,10. — Si iniettano nell’aorta addominale verso la periferia cm* 6 di soluzione di cloruro di calcio all’1,26 °/, (A—= 09,58). 15,35. — (25' dopo l’iniezione) la parte posteriore del corpo comincia a presentare rigidità cadaverica. 15,45". — (35' dopo l’iniezione) nella parte posteriore la rigidità è completa e forte, mentre nel resto del corpo non ve n’è pur traccia. 17,45". — Solo ora (dopo quasi tre ore dalla morte) presenta rigidità cadaverica lieve alla mandibola ed alle zampe anteriori. Esperienza 37°. Cane f. di Chgr. 6,000. 10, 1’. — Viene ucciso colla puntura del bulbo. 10,14. — Inietto nell’arteria iliaca comune di destra, verso la periferia, cm? 50 di soluzione all’1,26 °/, di CaCl? (A— 09,58) e contemporaneamente con una cannula di vetro, posta nella vena attigua, raccolgo il liquido che deftuisce. 10,17". — Terminata l’iniezione, si nota che il liquido che defluisce all’ultimo momento è quasi del tutto incoloro. 10,29. — (15' dal principio dell'iniezione) l’arto posteriore destro presenta già rigidità cada- verica forte. 10,34. — L’arto è fortemente esteso e rigido. 10,42". — Si fa ora nell’arteria una 1* iniezione rapidae di citrato al 4,2 °/, (A=0%58): di cm' 50. PALMI 200 2° iniezione lenta di cm8 50. ld a 3° iniezione lenta di cm? 50. utenti l: deipigzione lenta di cm° 50 dlgs | ; 11,20". — La rigidità cadaverica dell’arto non ha punto ceduto e non è ancora comparsa affatto nel resto del corpo. 13,30. — La rigidità dell’arto posteriore destro è sempre fortissima e comincia a comparire nel resto del corpo. Serie II. Tox. LI. i 290 LUIGI SABBATANI 24 Esperienza 38°. Prendo un gastrocnemio fresco di rana e, tagliata la parte centrale, questa sfibro cogli aghi da dilacerazione e distribuisco varii fascetti muscolari in tre vetrini da orologio, sui quali verso poi subito delle soluzioni di cloruro sodico, di citrato trisodico e di cloruro di calcio (le soluzioni hanno un valore di A = 0°,60). Mentre i fascetti immersi nel cloruro sodico non mostrano alcuna variazione macroscopica sensibile, quelli a contatto del citrato per alcuni secondi presentano delle contrazioni rapide ed isolate delle singole fibrille, e quelli a contatto col calcio restano del tutto immobili e solo si accorciano e raggrinzano alquanto. Il muscolo immerso in soluzione fisiologica e di citrato si lasciava dilacerare bene ed al microscopio non presentava nulla degno di nota; quello invece immerso nella soluzione di calcio, già dopo pochi minuti, non sì poteva più dilacerare longitudinalmente, in modo da avere le singole fibrille isolate; ma si spezzettava in blocchi corti, rigonfiati. A piccolo ingrandimento in questo muscolo non si vedeva più la striatura trasversale e nelle fibre muscolari si notavano grossi blocchi, leggermente granulosi, separati da solchi trasversali, grossolanamente disegnati, i quali avevano l’apparenza di figure descritte in alcune forme di degenerazione cerea. A più forte ingrandimento si vedevano permanere in alcuni fascetti muscolari delle fibrille striate ancora trasversalmente; ma in queste la striatura era più minuta, ed erano alternate da fibrille completamente omogenee; mentre poi in altri fascetti non si riscontrava traccia di fibrille striate. Da queste esperienze risulta che il calcio accelera ed il citrato ritarda grande- mente la comparsa della rigidità cadaverica, e che una volta comparsa la rigidità, questa non viene tolta dal citrato, come del resto il citrato può impedire la coagu- lazione del sangue; ma non è capace di sciogliere il coagulo di fibrina, quando si sia formato. Il muscolo di rana poi, immerso in soluzione di cloruro calcico, mostra una alterazione istologica assai più profonda della semplice rigidità cadaverica. B) Esperienze sulla contrazione muscolare. Per studiare l’azione del calcio e del citrato sul muscolo, sperimentai sul ga- strocnemio di rana, servendomi d’un apparecchio motore Baltzar e d’un miografo sistema Baldi, leggermente modificato (1). Come stimolo usai sempre la scossa d’in- (1) Un cilindretto di vetro, largo mm. 20 ed alto mm. 95, è aperto in alto e chiuso in basso: presso il fondo si stacca da esso lateralmente un tubo di piccolo diametro, chiuso da un tubo di gomma, stretto da morsetto a vite. Al fondo del cilindretto è saldato un filo di platino che fuori comunica con uno dei fili dell'apparecchio d’induzione e dentro è foggiato ad anello, e ad esso si fissa, mercè un uncinetto metallico, uno degli estremi del gastrocnemio di rana, il quale resta così sospeso verticalmente entro il cilindretto di vetro, essendo l’altro estremo suo fissato con un filo di platino sottile all'estremo d'una leva di primo genere. La leva è d'alluminio e all’altro estremo libero porta la penna scrivente sul cilindro aftumicato: fra il fulero e la parte libera scrivente della leva, in un punto fisso è attaccato un piattino, su cui si pone un peso noto, costante. La leva e il cilindretto sono stabilmente fissati sopra un unico sostegno d’ottone, al quale fa capo l’altro filo conduttore dell'apparecchio d’induzione. Così si può, riempiendo il cilindretto, tenere il muscolo immerso quanto si vuole nelle soluzioni in esperimento, poi, aprendo il morsetto a vite, allontanare il liquido ed eccitare il muscolo con scosse d’induzione. 25 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 291 duzione data da una slitta Dubois-Reymond, nella quale aveva eliminato l’interruttore automatico e vi aveva sostituito un metronomo interruttore a contatti di mercurio, con cui si aveva regolarmente chiusura ed apertura del circuito primario ogni due minuti secondi. La corrente primaria era data da una pila Grenet modello medio, ed adoperava poi scosse d’induzione deboli, in modo che il muscolo rispondesse solo alla scossa di apertura e non a quella di chiusura. In fine un interruttore a tasto, intercalato nel circuito primario, mi permetteva di comunicare al muscolo un numero di eccitazioni, grande o piccolo a volontà, che il metronomo manteneva regolate ad intervalli costanti di due secondi. Il muscolo in tutte le esperienze era teso da un peso costante di gr. 7,5 (compresa la leva ed il piattino). Così, mantenendo costanti le condizioni generali dell'esperimento, potei vedere come variasse l'ampiezza della contrazione del muscolo dopo che era stato a con- tatto del calcio o del citrato, potei vedere come variasse colla percentuale del calcio o del citrato o colla durata dell’immersione; mantenendo costanti le soluzioni e la durata dell’immersione potei stabilire come variasse l’irritabilità del muscolo, tenendo conto della distanza massima dei rocchetti alla quale il muscolo cominciava a rispondere con una lieve contrazione alla scossa di apertura. Potei mettere in evidenza l’azione antagonistica fra citrato e calcio, alternando le immersioni in so- luzioni di calcio e di citrato con uno stesso muscolo. In fine, scrivendo la curva di contrazione sul cilindro a grande velocità, potei vedere come si modificasse la curva comparativamente col calcio o col citrato (1). In ogni esperienza faceva sempre delle prove di confronto, immergendo il mu- scolo in soluzione di cloruro sodico, e quando era possibile, faceva ambo le prove di confronto sui due gastrocnemii d’una stessa rana, curarizzata o no a seconda dei casi. Tutte le soluzioni usate avevano un valore crioscopico di A = 09,60. Esperienza 39°. Esperimento di confronto sui gastrocnemii d’una stessa rana, dopo che sono stati immersi per 10' l’uno in soluzione di cloruro sodico all’1°/, e l’altro in soluzione di cloruro calcico all’1,26 °/,, e determino la distanza massima dei rocchetti della slitta alla quale cominciano a dare un lieve accenno di contrazione alla scossa di apertura. In alcune prove saggiava prima l’irritabilità del muscolo immerso nel cloruro sodico, in altre prima l’irritabilità di quello immerso nella soluzione di calcio, e questo ripeteva poi nelle rane normali e nelle rane curarizzate. (1) Per quest'ultime esperienze interposi nel circuito primario, così combinato come sopra ho detto, un segnale Despretz, che scriveva la chiusura ed apertura del circuito; e, non possedendo un diapason, mi servii di un ordinario apparecchio d’induzione piccolo ad uso medico, nel circuito primario del quale interposi un secondo Despretz, che vibrava sincrono al trembler dell’induttore. Aveva così modo di scrivere una vibrazione rapidissima ed abbastanza regolare che mi dava 144 vibrazioni semplici al minuto secondo. 292 LUIGI SABBATANI 26 | ? Dà | Difterenza Gastrocnemio di rana SE GRo DeL far accenno di contrazione, in meno per il calcio coi rocchetti a cent. | in cent. Il I }l NaCl 21 3 | 2 CaC1* 18 normale | \ 3 Ca01? 15 È LAI NaCl 17 | 2 | 5 Ca01? 9 I | 6 NaC01 13 4 curarizzata | 7 CaC1? 10 | IV|g NaQ01 13 3 Esperienza 40°. Cerco di confronto, in condizioni del tutto identiche a quelle dell’esperienza precedente, come varii l’irritabilità del muscolo dopo immersione per 10' in soluzione di cloruro sodico all’1°/, o di citrato trisodico al 2,94 °/,, ridotta a A=0°,60 con aggiunta di cloruro sodico. Immerso per 10" D à : , Differenza Gastrocnemio di rana Tai: si di |accenno di contrazione| in più per il citrato TESTO UGIODO coi rocchetti a cent. in cent. "n Ja: Citrato 22 4 \ 2 Cloruro sodico 18 normale Il 3 Cloruro sodico 20 9 4 Citrato 22 IND Citrato 15 \ Li ) 6 Cloruro sodico 14 i curarizzata | 7 Cloruro sodico 12 f O Citrato 13 : Da queste esperienze (39%, 40?) risulta evidentissimo che, mentre il calcio de- prime l’irritabilità del muscolo, il citrato l’esalta. Esperienza 41°. Qui cerco come varii l'ampiezza della contrazione muscolare colla durata dell’immersione e la concentrazione della soluzione di citrato in cui vien posto il muscolo. L’eccitazione dei muscoli nelle singole prove vien fatta costantemente coi rocchetti a cent. 12. (27 AIN FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 293 Gastrocnemio di rana normale | Liquido in cui viene immerso il muscolo LI da I IA si Ampiezza | == = == | RA n : NC della N° d'ordine | Dopo immersione omposto da Fontezenigi Di CASAARERNR e prove | della durata Dea ter eat A pi ciato cana successive di minuti primi | “geni 1 Ur | pg 4,2 lo pai ca SII, a [la I RAR A DR i O) | f | a ; | 7 Il 3 | 30! 90 10 0,42 | 6 ‘|, {41 40' | | 6 I | | 1| 10' | | | 8 a 20' | | È | a | 6 2 3 30' | 80 | 20 0,84 | 4 4 40’ | | 9 | : 10' | | 11:4/, da 20' Le | ; 11 1 3 30 | 70 30 1,26 giu ER i II | | | | | 1 10' | | | 20 '/s ez 20' | TSE ii 3 30! | 60 | 40 1,68 gei- 4 40’ | | 3 1 | 10' | | 20 MEZ 20' | 910 CA li 3 30’ | 50 | 50 2,10 | Sine 4 | 40’ 1 100 | | | 1 10' | 20 2 | 20' | 2° 4 È _ Il D il 2 Î 3 30 | sù | di = appena accennata 4 — | | — 1 10’ | | | 24 aa R2 20" | DI NAZEINEE: | 22 È s 607 30 | 70 ABI o 2: to IV 4, 40' | | | 2 | 2°—-1 10' 20 | 80 | 3,36 | 20 Da questa esperienza si vede che mentre per una prima immersione di 10 mi- nuti nel citrato l'ampiezza della contrazione aumenta colla percentuale del citrato stesso, successive immersioni rendono la contrazione sempre più debole, e l’indebo- limento è più rapido e forte colle soluzioni più ricche di citrato. Notisi poi che quando s'immergeva il muscolo nelle soluzioni di citrato, e più ancora quando si allontanava il liquido, il muscolo presentava rapide contrazioni fibrillari ed a volte anche contrazioni a carattere tetanico colle soluzioni più ricche di citrato, il che non avveniva mai quando s’'immergevano i muscoli in soluzioni di cloruro sodico o clo- ruro calcico, pur avendo tutte le soluzioni un valore crioscopico costante di circa S=0°.60. 294 LUIGI SABBATANI 28 Queste contrazioni fibrillari e contrazioni tetaniche del muscolo immerso in so- luzione di citrato, le abbiamo già viste nell’Esp. 38°, quando si ponevano dei fa- scetti muscolari di rana isolati a contatto del citrato e le abbiamo viste pure nell’Esp. 348 sul cane appena ucciso, quando s’iniettava nell’arteria iliaca comune la soluzione di citrato. Esse verosimilmente sono di origine muscolare e non prodotte da un’azione del citrato sui nervi o sulle terminazioni nervose, poichè in prepara- zioni di muscolo e nervo di rana l'immersione del nervo nel citrato non provoca alcuna contrazione del muscolo e per contro compaiono ancora nei muscoli di rana completamente curarizzata. Esperienza 42°. Sopra uno stesso muscolo di rana faccio agire alternativamente per 10’ della soluzione di calcio all’1,26 °/, e della soluzione di citrato al 2,94 °/,, ridotta con eloruro sodico a A =09,60; e mantenendo la distanza dei rocchetti a cent. 13, noto come varii l’ampiezza della contrazione dopo l'immersione del muscolo nel citrato o nel calcio. Immersione per 10' in soluzione di Ampiezza della contrazione in mm. dopo il eu II: Pt Www ___ _ | ___t r6€_______m+&ggpes o) Citrato trisodico Cloruro calcico Citrato Calcio IE _ 8 —_ DI 2° a 5 '/s 3° = Ù — — de = 54 0% = 7 = — 6° = Doe = di E mne d z | n 5/4), CA 9 — 5) P2 10* = 4a = DE _ 4 = 2a _ 2a 138 — 4 Dre 143 — 5 > 15° — DS A Los - Datls ai Esperienza 48°. Ora faccio ripetute immersioni del muscolo in soluzione di citrato, come sopra, al 2,10 °/s e quando il muscolo è così avvelenato dal citrato e le contrazioni sono debolissime, lo immergo ripetutamente in soluzione di calcio all’1,26 °/, e quando, dopo essersi rialzate, le contrazioni sono di nuovo quasi del tutto spente per avvelenamento con calcio, torno ad.immergerlo nel citrato. Rocchetti a cent. 15. 29 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 295 Immersione per 10’ in soluzione di Altezza della contrazione in mm. dopo l'immersione nel e |[[EÈEwuwwezhlk®oe Si SaR BD Ss © o £ g © sgo 5 Ò, a 5 3 E + Se 3 ‘aporutapodi po asouaropua mora od 091pos ans 2uo0o UMsUUUIMD ‘MSSDAB dI4IS DIP PWD VUNIPD IP VPISS0], 09 IUTIINK OOIUO[E OIUBLIO[BAOS] 09LIIIMMGOS] “ 0911HZNT “ oo1uoIdo1q “ “K 091909 Y “ ODIULIO,] OCTIO V 301 IUBFELIVS IUBFBAES FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO TuBregges 35 HO DI EIRIITI È È 06 HO 700 apiow a è G8E HO ‘09 ‘ssHn9 HO 009 HO HO 00x/ HO ajJow i ; CHI HO 09 HO HO ‘00 o HO 0090 QuoIssaIdop eLIONSULIJ A i VLI HO 00° 5 HO 00° Ho QqIOWI L È 2 HO 09° HO HO 009° HO QATAABIdOS È 2 9II È) ‘90° 0H % & a GL HO ‘00 HO ‘HO HO 00 (HO) HO gpu BsougAOpuo QUEI OSI HO 700°" (HO) 2 HO ‘09° sine FEI HO 00 "#H0O Vinnie t reni sti snai n ni iii aci ii ii HO{&00€HINéessggi 091[BSsO) 091910) 09110) 09IHUOI 7 0919 [C KH OOLIBUN,] ODILLIOV O9LIBZIV], ONITEH 302 LUIGI SABBATANI 36 ® Quantità di sale = È l necessaria ad immobilizzare <8 > Sia un atomo di calcio s'g.É Ì =) ds _reeEbor=_—ctt)6te ———< si . so > SALI | Bg | | Bag | Ses: in numero | inpeso | £5 © | 2a e | molecolare | Dis di molecole | (equivalente) | È Si Citrato trisodico . . . 258 + 8 774 Î 0,50 Oleato sodico . . . . 304 2 608 ! 0,25 | | Ossalato sodico . . . 134 fi 134 0,17 | | da cui si vede che la dose minima letale per chilo corporeo nel cane e per iniezione endovenosa cresce in questi acidi colla quantità molecolare di essi necessaria ad immobilizzare un atomo di calcio. Solo possiamo osservare che la tossicità dell’oleato per questo rispetto è un po’ alta, e ciò potrebbe spiegarsi bene ammettendo col Bottazzi che la velenosità dei saponi è dovuta, ma in piccola parte soltanto, alla dis- sociazione idrolitica di essi. Rispetto alla causa intima della tossicità dell'acido ossalico, Onsum pensava che dipendesse da precipitati di ossalato calcico insolubile, che si formassero nel sangue e fosser causa della morte, producendo embolie nei capillari dei polmoni; ma era oppugnato (1). Cavazzani (2) aveva osservato che nelle rane esiste azione antagonistica fra ossalato e calcio per la coagulazione della miosina; per l’irritabi- lità muscolare, la quale scompare con iniezioni di ossalato nell’aorta addominale e riappare con successive iniezioni di calcio; per i centri nervosi ancora, che per grosse dosi di ossalato si ha, sempre nelle rane, paralisi d'origine centrale, la quale scom- pare con iniezioni successive di calcio. I fenomeni di antagonismo però da lui osser- È vati non erano e non potevano essere, come vedremo fra poco, così costanti, netti e reciproci, come quelli ch'io ho ottenuti fra citrato e calcio; e preoccupato dalla | teoria di Hermann, che cioè la contrazione muscolare sia subordinata ad un processo — di coagulazione della miosina, considerando l’azione anticoagulante dell’ossalato e l’azione paralizzante sua sui centri nervosi, giunge a dubitare “ se ia funzione dei ; “ centri nervosi, che vediamo sospesa dall’ossalato, sia essa pure un fenomeno di — “ coagulazione ,. Vero è che subito dopo intravede il lato vero della questione e si chiede ancora: “ possiamo noi pensare che per l'adempimento delle funzioni nervose “ centrali, sieno necessarii i sali di calcio? ,: ma poi il concetto dinamico prevale sul concetto chimico e conclude: “ trattasi dunque di un antagonismo farmacologico “ fra l’ossalato di potassio ed il cloruro di calcio; esso è den da distinguere dall’anti- “ dotismo chimico che si verifica nello stomaco, quando ad un individuo, avvelenato (1) Noranager H. e Rosssaca M.-J., Nuovi elementi di materia medica e terapeutica. Versione ita- liana, Napoli 1887, p. 358. - (2) L. cit. DIÙ FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 303 “ con ossalato, si somministra per bocca l’acqua di calce ,. E ciò quantunque poco 3 dopo, a spiegare alcuni risultati sperimentali, sia portato a dubitare che forse “ la “ presenza contemporanea nell'organismo dell’ossalato di potassio e del cloruro di “ calcio dà luogo alla formazione di qualche principio deleterio, di qualche precipi- : “ tato, ecc., che diventa causa della morte quando i due sali sono in quantità i “ eccessiva ,. Così Cavazzani, pur avendo osservato fatti interessanti ed intraveduto per un momento l’importanza di essi, non ne trasse tutto il profitto che sarebbe stato desiderabile, ed in parte non poteva, poichè non è sperimentando sulle rane, poco sensibili al calcio, che si può porre in rilievo bene l’Azione biologica di esso, nè lo studio dell’antagonismo fra ossalato e calcio poteva dare maggiori frutti, per i pre- cipitati di ossalato di calcio, che necessariamente si formano, i quali rendono poi im- possibile (1) sperimentare nei mammiferi con iniezioni endovenose. Se ora consideriamo la tossicità dell'acido citrico, ed a tutte le ragioni induttive esposte aggiungiamo tutti i fatti positivi raccolti nello studio dell’antagonismo fra citrato trisodico e calcio, parmi veramente non si possa avere più alcun dubbio sulla causa intima per cui il citrato trisodico riesce tossico. Abbiamo dimostrato che il citrato non è di per sè tossico, poichè mescolato con calcio, nel rapporto molecolare di tre ad uno, può essere iniettato nelle vene dei cani ad alte dosi e senza inconvenienti gravi; abbiamo dimostrato che è tossico in quanto immobilizza chimicamente i sali di calcio degli organi, ed infatti si pos- sono rendere immuni le rane all’azione del citrato, aumentando in esse la quantità dei sali di calcio, si possono far scomparire del tutto i fenomeni tossici prodotti dal «citrato ridando all'organismo quella quantità precisa di calcio che teoricamente: si prevede possa essere stata immobilizzata dal citrato, si possono fare scomparire i . fenomeni tossici prodotti dal calcio con iniezioni di citrato, che immobilizza il calcio stesso. Se adunque i fenomeni tossici prodotti dal citrato sono dovuti non alla molecola — acido citrico — per sè; ma alla immobilizzazione del calcio libero che incontra negli organi, esso doveva essere, ed è infatti un veleno di azione molto generale, e n sarà tossico per tutti quegli esseri od organi nei quali è indispensabile la presenza di calcio chimicamente attivo. Si potrebbe pensare poi che tutti gli acidi, i quali possono immobilizzare il calcio, debbano dare una sindrome di fenomeni tossici iden- tica, o per lo meno molto simile a quella prodotta dall’acido citrico. Veramente abbiamo già visto che il grado di tossicità dell’acido citrico, ossalico, oleico è dello stesso ordine; ma poichè, pur immobilizzando tutti chimicamente il calcio, l’ acido citrico non lo precipita, e l’ossalato ed i saponi sì, così ne viene che, iniettando in circolo il citrato, non si forma nel sangue alcun precipitato, mentre iniettando del- .l’ossalato o dei saponi, si ha necessariamente formazione di precipitati finissimi di ossalato o sapone calcare, il quale viene a complicare le manifestazioni tossiche; e | nel caso dei saponi la dissociazione idrolitica le complica ancor più. io 0 (1) Iniettando direttamente nelle vene dei cani e cavie dell’ossalato sodico, ho assai spesso osser- vato che si producono rapide trombosi generalizzate, e ciò poi diventa un fatto costante, quando sì praticano iniezioni contemporanee o successive od alterne di ossalato e calcio. 304 LUIGI SABBATANI È 38 Pur tuttavia osserviamo che già Mitscherlich (1) notava che i sintomi dell’av- velenamento per acido ossalico sono molto simili a quelli per acido citrico; e mentre il citrato trisodico produce sempre fenomeni di eccitazione e per via endovenosa dà nel cane convulsioni a carattere tetanico, tutti gli Autori concordemente notano fra i sintomi frequenti dell’avvelenamento per acido ossalico ed ossalati, convulsioni o tonico-cloniche o nettamente tetaniche. Se ora consideriamo che” sempre il calcio ed il citrato hanno azione opposta rispetto al fenomeni generali tossici, rispetto alla corteccia cerebrale, al midollo, ai nervi, ai muscoli, ecc., sì che quello dà sempre fenomeni di depressione e questo sempre di eccitazione; se consideriamo infine che iniettando calcio veniamo ad aumentare il calcio circolante normalmente nell’organismo ed iniettando il citrato invece diminuiamo la quantità fisiologica di calcio circolante, è logico ammettere che i calcio che trovasi fisiologicamente e sempre nel sangue, nella linfa, nei centri nervosi, nei muscoli, ecc. abbia una funzione permanente moderatrice dell'attività cellu- lare, per cui diminuendone la quantità si ha aumento della funzione, e aumentandola diminuzione. i Questa conclusione, che io ritengo pienamente giustificata dai fatti che ho rac- colti fin qui, e che mi viene confermata da altre esperienze attualmente in corso, sarà, credo, punto di partenza a svariate ricerche fisiologiche e patologiche. Recentemente Herbst Curt (2) osservava che nelle uova di Echini in via di segmentazione, poste in acqua di mare priva di calcio, le cellule di segmentazione, invece che rimanere legate insieme, si allontanano isolandosi; Stefani Umberto (3) ha notato da tempo che: “ La soluzione fisiologica, addizionata di cloruro calcico in “ dosi opportune, conserva più a lungo, che la soluzione fisiologica pura, l’eccitabilità “ dei nervi nella rana ,, e Battelli (4) alcuni mesi or sono, osservava che una so- luzione di cloruro sodico e cloruro calcico, satura d’ossigeno, aumenta considerevol- mente la durata delle funzioni dei centri nervosi, in confronto di soluzioni non con- tenenti calcio, che si usano come liquido di circolazione artificiale. Come il calcio è elemento normale di quasi tutti i tessuti e liquidi degli organismi animali, così è indispensabile in quasi tutte le manifestazioni vitali (5); e le mie ricerche assegne- (1) Citato nel Manuale di materia medica del BernarziE e Vost, tradotto da P. Albertoni. Milano, F. Vallardi, p. 340. (2) Herssr Curt, Uedber das Auseinandergehen von Turchungs- und Gewebezellen in Kalle freiem Medium, “ Arch. f. Entwickelungsmechanik der Organismen ,, Bd. IX, 1900. (3) Srerani U., Zatorno all’azione del cloruro di calcio sull’eccitabilità nervosa, sull’eliminazione della calce per l’orina negli alienati e sul suo uso terapeutico in alcune psicopatie, “ Rivista sperimen- tale di Freniatria e di Medicina Legale ,, vol. XIX (1893), p. 574. (4) BarreLLi F., Influence des différents composants du sang sur la nutrition des centres nerveux; 1° Action de Veau, des sels inorganiques et du glucose, “ Journ. de Physiol. et de Pathol. gén. ,, N° 6, novembre 1900. (5) Vedi per ciò: Borrazzi F., Chimica fisiologica, Milano, Società Editrice, 1898, vol. I, p. 66-68. 39 FUNZIONE BIOLOGICA DEL CALCIO 305 rebbero una funzione moderatrice permanente sull’attività cellulare a quelle picco- lissime quantità di calcio che trovansi nei liquidi e tessuti animali allo stato sciolto, capaci di reagire col citrato, che trovansi allo stato libero, verosimilmente di ione. Forse variano nei diversi animali il carattere, le abitudini col variare di queste quantità di calcio (1)? Forse esistono delle forme morbose dipendenti da eccesso o deficienza di calcio-ione circolante? Stefani U. fece da tempo un accurato lavoro su questo indirizzo (1. c.); in esso trovasi raccolta la letteratura relativa, e molte espe- rienze interessanti sulle rane e sui malati di mente; io credo però valga ora la pena di riprendere quest'ordine di ricerche, considerando il calcio come elemento moderatore dei centri nervosi. Dal Laboratorio di Materia Medica e Farmacologia sperimentale della R. Università di Cagliari, aprile 1901. (1) AsperzaLpEN (citato dal Borrazzi, ivi, vol. II, p. 114) trovava in 1000 p. di sangue di diversi animali le seguenti quantità di calcio: 0,069 0,064 0,070 0,069 0,066 0,051 0,054 0,068 bue toro pecora pecora capra cavallo cavallo porco I TL DI II 0,072 0,062 0,049 0,053 coniglio cane cane gatto. I II Serie II. Tom, LI. xi CON'FERIB:IUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO SU APPOGGI ELASTICI MEMORIA » dell’Ing. Dott. MODESTO PANETTI Approvata nell’ Adunanza del 1° Dicembre 1901. . Nel campo delle Costruzioni applicate sono frequenti i casi di opere d’arte, nelle quali la parte portante, considerata nel suo complesso, non è una trave nel senso generico attribuito a questa parola, ma un complesso di travi, in cui si suole decom- porla, per farne lo studio statico. Così un viadotto in muratura a più campate risulta di una serie di archi (travi ad arco) impostati su pile (travi ad asse rettilineo); e d’ordinario se ne verifica la stabilità, considerando gli archi come indipendenti fra loro e muniti di appoggi rigidi, e le pile come soggette a forze uguali alle azioni sui piani di imposta calcolate per gli archi. Una trattazione rigorosa di questi sistemi conduce a risolvere un problema di equilibrio con molte quantità staticamente indeterminate; ed è quindi laboriosa, qua- lunque sia il metodo seguìto. Fra i procedimenti applicabili è notevole quello proposto da Bruno Schulz in due memorie (*) inspirate ai metodi del Miiller-Breslau. In esso si assume come incognita immediata del problema la risultante delle forze relativa ad una sezione ti fatta in una campata intermedia del sistema. Si decompone detta risultante nei suoi | tre parametri, e cioè in due forze aventi determinate linee d’azione, e nel momento che nasce, trasportando la risultante a passare pel loro punto di concorso. Detto punto e dette linee sono poi scelti in modo che le tre equazioni di elasticità che risolvono il problema contengano ciascuna uno solo dei tre parametri testò enumerati del- l’incognita. L'autore però, applicando il suo metodo alla trave ad arco continua, si limitò a sistemi con tre sole quantità staticamente indeterminate, nel qual caso le (*) Bruno Scuunz, Ueber die Berechnung mehrfach statisch unbestimmter Systeme, “ Zeit. fir Archi- _ tektur und Ingenieurwesen ,, 1898. 308 MODESTO PANETTI 9 due travature in cui resta diviso il complesso considerato dalla sezione scelta non hanno più vincoli sovrabbondanti, e il procedimento riesce facile e di minor interesse. Recentemente il prof. Engesser riprese il problema per via analitica, introdu- cendo negli sviluppi ipotesi semplificative per ottenere formole adatte alle applica- zioni (*). Scopo della presente Memoria è quello di illustrare un procedimento tuttora ine- dito del prof. Ritter del Politecnico di Zurigo, consistente in un’applicazione nuova della teoria dell’ellisse di elasticità. L’illustre professore tratterà in modo esauriente l'argomento nel IV Volume delle sue Anwendungen der graphischen Statik, che è già in corso di pubblicazione ; tuttavia egli mi permise di svolgerne un esempio durante la mia frequenza al Politecnico nello scorso luglio, sia per concretare le modalità del procedimento, sia per apprez- zare l’importanza di certi termini sui risultati, al quale scopo non vi è mezzo più sicuro che lo sviluppo di un caso speciale. Il metodo del prof. Ritter mi parve poi così semplice nel principio e così fecondo nelle conseguenze, che tentai darne un'interpretazione puramente geometrica, la quale, ponendo in evidenza parecchie proprietà grafiche degli elementi usati nel risolvere il problema, suggerisce una variante al procedimento. Inoltre un semplice confronto col metodo già citato di Bruno Schulz applicato a questi casi più complessi rivela l'analogia perfetta fra le costruzioni grafiche occorrenti in entrambi; e finalmente i risultati dedotti nell'esempio numerico, confrontati con quelli ottenibili coi metodi di calcolo comunemente in uso, dànno un criterio utile per valutare il grado di appros- simazione di questi ultimi. 1. Principio fondamentale del procedimento. — Il metodo ideato dal profes- sore Ritter consiste nel prendere in esame separatamente i singoli archi di un manu- fatto, e considerare per ciascuno di essi le due parti residue del sistema, come costi- tuenti due appoggi elastici, ai quali i suoi piani di imposta sono solidali. Ora per ogni punto di un sistema elastico il diagramma della corrispondente legge di elasticità è rappresentabile con un’ellisse nel cui centro è applicato un peso elastico, e, se si ammette l’ipotesi di Navier sull’indeformabilità delle sezioni trasver- sali, questa stessa ellisse è l’ellisse di elasticità della sezione a cui appartiene il punto considerato (**). (*) Fr. Ewcesser, Uedber Bogenbriicken mit elastischen Pfeilern, “ Zeit. fir Bauwesen ,, 1901. (#*) Ricordiamo che, rispetto all’ellisse di elasticità relativa ad un punto qualsiasi d’un sistema: 1° la linea d’azione della forza ad esso punto applicata con un braccio di leva rigido arbi- trario e il centro intorno a cui punto e forza rotano, in seguito alle deformazioni elastiche del corpo, sono polare ed antipolo ; 2° L'ampiezza della rotazione è misurata dal prodotto dell’intensità della forza per il momento statico del peso elastico rispetto alla linea d'azione della forza; | 4 3° In conseguenza delle proposizioni 1% e 2* il punto si sposta normalmente alla direzione coniugata alla linea d'azione della forza, e la grandezza dello spostamento è misurata dal prodotto della forza pel momento di secondo ordine del peso elastico rispetto alle rette secondo cui opera la forza ed ha luogo lo spostamento. d CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 309 Ciò premesso, i sistemi di cui ci occupiamo (Fig. 1) sono sempre tali che in vicinanza al piano di imposta S', di un arco B vengono a fondersi insieme in un’altra sezione S'”, l’arco adiacente A e la pila P,; cosicchè, trascurando le deformazioni elastiche dell'angolo diedro formato da S', con S"”,, si può ammettere che i cedimenti dell'imposta $S', siano uguali a quelli della sezione 8", considerata come appartenente al sistema elastico AP,. Tracciata allora l’ellisse di elasticità del complesso AP, per la sezione S”,, si potrà considerarla come l’indicatrice delle condizioni dell'imposta sinistra S', dell'arco B, e quindi, ripetuto un lavoro assolutamente analogo per l’im- posta destra S”., risolvere coi noti metodi analitici o grafici il problema dell’equi- librio dell'arco. La difficoltà principale consiste nella ricerca del peso elastico e dell’ellisse di elasticità di un determinato sistema per una sezione intermedia S",. 2. — A tale scopo, principiando dal caso più semplice, nel quale alla sinistra di S', vi è un solo arco A ed una pila P,, che hanno in comune la sezione S"”,, si Fig. 1. osservi che una forza qualunque È applicata al sistema AP, e collegata rigidamente ad S"”, si decomporrà in due 7, ed #, operanti rispettivamente sulle travi A e P.. Le forze Y, ed Y, staticamente indeterminate devono essere tali che lo spostamento di S",, considerata come sezione finale libera della trave A incastrata in S', e sot- toposta ad /,, sia uguale allo spostamento di S",, considerata come sezione finale libera della trave P, incastrata al piede e sottoposta ad £,, e sia pure uguale allo spostamento di S"”,, considerata come sezione intermedia della trave AP, sollecitata 310 MODESTO PANETTI 4 dalla forza . Tracciate dunque coi noti procedimenti le ellissi di elasticità G, e G, per le travi A e P, supposte svincolate in $",, e calcolati i pesi elastici 9, e g,, si potrà dedurre l’ellisse ed il peso elastico corrispondente al sistema AP,, applicando tre volte il principio enunciato. Infatti si consideri una traslazione della sezione 8", di grandezza arbitraria 7 in una direzione qualsiasi t. Le forze Y, ed , capaci di produrla, operando sulle travi 4 e P, rispettivamente, passeranno pei baricentri elastici G, e G, e avranno per linee d’azione i diametri coniugati alla » normale a # rispetto alle corrispondenti ellissi di elasticità (cfr. Nota a pag. 2). Inoltre dovrà essere: (1) T= GawFa= 9 E, Ove Galla € Yp, indicano i momenti di 2° ordine dei pesi elastici 9, © 9, rispetto alle linee d'azione delle corrispondenti forze ed alla direzione dello spostamento relativo. La risultante £ delle forze Y, ed 7, così determinate applicata alla sezione $", del sistema AP, deve produrre anch'essa una traslazione 7" diretta come t, quindi passerà pel baricentro G dell’ellisse di elasticità cercato, e la sua direzione sarà coniugata della perpendicolare a t. Inoltre dovrà. essere : (2) T=gwR, ove i simboli hanno rispetto all’ellisse G i significati testè definiti. Si ripeta per un altro spostamento 7” nella direzione #' la stessa ricerca delle forze F', ed F', e della loro risultante P'. Il punto di incontro di R con R' è il baricentro G cercato. | Siano ora @ e p le antipolari di G rispetto alle ellissi G, e G,: consideriamole come linee d'azione di due forze C, e C,: la prima applicata alla trave A fa rotare la sezione finale S", di un angolo d, = C.9a*, intorno al punto G; la seconda appli- cata a P;, fa rotare la stessa sezione dell’ angolo è, = C,9y7» intorno allo stesso punto G, essendo r, ed », i bracci di leva di C, e O, rispetto ai baricentri G, e G,. Ma una rotazione intorno al baricentro elastico G del sistema AP, non può essere prodotta che da una coppia; dunque, acciocchè O, e €, si possano considerare come le forze in cui si scompone una sollecitazione applicata al complesso delle due travi, bisogna che « e p siano parallele e si abbia: / (CAO; da = dp; e quindi: ROSSI Allora la coppia costituita dalle due forze C di momento Cd dovrà far rotare la sezione S",, considerata come appartenente al sistema AP,, dello stesso angolo è, quindi coll’uguaglianza (3) Cdg—bd—i0gni Wo si calcolerà il peso elastico g, e, sostituendolo nella (2), o in quella perfettamente analoga alla (2), che si ottiene ragionando sullo spostamento 7” e sulle forze F da tc tr, SR 6) CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 811 che lo producono, si potrà dedurre il valore di w o di w', ciascuno dei quali basta a determinare l’ellisse (*). 38. — È ovvio il modo di procedere nel caso in cui il sistema al quale è solidale il piano d’imposta dell’arco preso in esame, sia più complesso di quello scelto come esempio, per la presenza di più archi 4, B, C... e di più pile P,, P..... Basterà: 1° Partire da un’estremità del manufatto e dedurre col metodo spiegato dalle ellissi dell'arco A e della pila P, l’ellisse G relativa al complesso AP, per la sezione S"”,. L’ellisse G sostituisce, per ciò. che riguarda lo studio delle deformazioni elastiche, tutta la parte di viadotto alla sinistra dell’arco B; si può quindi considerarla come l’indice di elasticità di un sistema che precede detto arco. Ma allora si potrà : 2° Comporre l’ellisse G con quella dell'arco B per ottenere l’ellisse del com- plesso relativa alla sezione $S',. Il procedimento da applicarsi è quello stesso a cui si ricorre per costruire l’ellisse d’inerzia di un sistema decomposto in due o più altri (**); 3° Dedurre dall’ellisse che risulta dall'operazione 2° e dall’ellisse della pila P. l’ellisse relativa all’imposta sinistra dell'arco C, e seguitare così fino alla campata del manufatto di cui si studia l'equilibrio. 4. — È anche semplice il modo di tener conto della cedibilità del suolo, che si suol misurare, dando la pressione % in Kg. per cm? necessaria a produrre l’affonda- mento di un cm., e ritenendo trascurabili gli spostamenti paralleli al piano di appoggio. In tale ipotesi, in corrispondenza delle basi delle pile e delle spalle, o delle sezioni di imposta degli archi sul suolo basta considerare un peso elastico 9g = na il cui indice è un’ellisse di semiasse normale al piano di appoggio nullo, e di semiasse parallelo uguale al corrispondente raggio di inerzia della sezione. E in vero, se un momento M==1 sollecita la sezione di appoggio di area £ secondo un piano tale che il momento di inerzia corrispondente sia /, detta sezione ruoterà di un angolo i quindi, ricordando il 2° enunciato della nota a pag. 2 si deduce il valore di g. Invece sotto l’azione di una forza normale N= 1 il piano di appoggio si sposterà parallelamente a sè stesso ed in direzione perpendicolare di un tratto io Q donde, in virtù del 3° enunciato della stessa nota, si ricava il valore del semiasse giacente nel piano di appoggio. (*) In fatti la linea d’azione della forza ® relativa allo spostamento 7 e la normale x condotta per G alla direzione # sono in posizione due diametri coniugati dell’ellisse. Un’altra coppia di dia- metri coniugati è fornita da R' e da »' perpendicolare a #. Finalmente w è la misura del momento di 2° ordine di un peso elastico uguale all'unità rispetto ad e a #, e vale il prodotto delle distanze di uno degli estremi del diametro x da queste stesse rette. Quindi, noto w, si deduce in grandezza il diametro disteso su n, restando così determinata l’ellisse, della quale anzi si possono ottenere diret- tamente gli assi. In posizione essi coincidono coi 2 elementi a e B coniugati ed ortogonali nell’invo- luzione dei diametri: per dedurne la grandezza si proceda così: Da un estremo N del diametro noto » si guidi NX parallela al suo diametro coniugato R ed NY parallela ad 0 per esempio fino all’in- contro di 8; il semiasse disteso su Bè uguale alla media geometrica fra GX e GY. (**) Cfr. W. Rirrer, Opera citata, Parte III, Appendice. 312 MODESTO PANETTI 6 5. Interpretazione geometrica del procedimento. — Consideriamo le ellissi di elasticità G,, G, e G delle travi A;, P, e del sistema AP, per la sezione comune S”,, e rammentiamo che l’ellisse G fu dedotta (N° 2) dalle altre due, ricorrendo al seguente principio: Una forza qualunque R applicata in S'", e producente un determinato sposta- mento si decompone in due F, ed F, tali che le travi A e P,, sulle quali dette forze agiscono, supposte svincolate, subirebbero nelle sezioni finali S"", lo stesso spostamento. Dunque i centri di rotazione relativi alle tre forze È, Y, ed 7, devono coinci- dere, o, in altre parole, esiste un punto 0, che è simultaneamente l’antipolo delle loro linee d’azione r, @ e p rispetto alle corrispondenti ellissi G, G, e G,. Inoltre le rette », a e p si devono intersecare tutte e tre in ‘uno stesso punto 0', poichè lungo r agisce la risultante delle forze operanti lungo « e p. Inversamente, siano date tre ellissi, tali che le rispettive antipolari #, @ e p di un punto qualunque 0 concorrano in un altro punto 0', sarà sempre possibile fissarne i pesi elastici in modo che qualsiasi forza avente per linea d’azione la 7, decompo- nendosi in due altre secondo « e p, soddisfi alla condizione enunciata nel principio fondamentale ed espressa dalle (1) e (2). 6. — Così il problema meccanico è ridotto ad un problema geometrico, che si risolve studiando la corrispondenza definita da una coppia di ellissi G, e G, fra i punti 0 ed i punti 0', in cui si intersecano le antipolari a e p di 0 (Fig. 2). Una tale corrispondenza è reciproca, poichè le antipolari «' e p' di 0" devono passare per 0. Se O percorre una punteggiata s, di cui siano S, ed S, gli antipoli, le antipo- lari « e p di O descriveranno i due fasci di centri S, ed S,. Ciascuno di questi fasci è in involuzione colla punteggiata descritta da 0, dunque essi sono proiettivi fra loro; ed il luogo dei punti 0' intersezione degli elementi omologhi è una conica pas- sante per S, ed S,. In particolare, se s è la retta all'infinito, i punti S, ed S, coincideranrio coi centri G, e G, delle ellissi; i due fasci proiettivi generatori della conica saranno i fasci dei diametri delle due ellissi. I Ora fra le coppie di elementi corrispondenti in questi fasci ne esisteranno sempre due coi raggi omologhi paralleli. Invero, se spostassimo parallelamente uno dei fasci di diametri fino a divenire concentrico all’altro, avremmo due forme involutorie sovrap- poste, ellittiche, per le quali è sempre possibile trovare una coppia di elementi coniu- gati in entrambe. Siano x ed y le direzioni definite da questi elementi; i loro punti all’ 0 si corrispondono in doppio modo, dunque appartengono alla conica j, che cor- risponde alla retta all’ co, ed è per conseguenza un’iperbole. 7. — Consideriamo il raggio G,G, e i suoi coniugati y, e Y, nelle involuzioni dei diametri delle ellissi G, e G,. Il punto G, è il corrispondente del punto all’ oo nella direzione r,, il punto G, di quello nella direzione a. Siccome poi l’involuzione dei diametri di un’ellisse è tale che due coppie di elementi coniugati si separano, dovranno i raggi Y, € Y,, coniugati di un medesimo elemento, trovarsi nello stesso angolo a formato dagli elementi paralleli agli assin- toti x ed y. Si immagini ora che un raggio del fascio G, parta dalla posizione x, e fi CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 313 roti, descrivendo l'angolo a, fino a raggiungere la posizione y.; e che parallelamente a lui si muova un raggio del fascio G,, passando da x, ad y, e descrivendo lo stesso angolo a. Questi due raggi proiettano un segmento della retta all’ co come luogo dei punti O; i loro coniugati roteranno simul- taneamente, proiettando un ramo dell’iper- bole limite, poichè passano dal suo punto all’ co nella direzione y a quello nella dire- zione x. Ma durante questa rotazione la prima coppia di raggi assumerà tanto la posizione parallela a y, quanto quella pa- rallela a y,; quindi i punti G, e G, appar- tengono allo stesso ramo dell’iperbole j. 8. — Supponiamo che un punto £ per- corra questo ramo in uno dei tratti esterni al segmento G,G,, per esempio, partendo da X verso G,, e consideriamo il raggio r che lo proietta dal centro G, ed è diviso da G, stesso in due semiraggi: quello che contiene il punto 9, che diremo ro, ed il suo complementare 7°. ro descrive il semiangolo ®, passando da x, 2 G,G,; simultaneamente le anti- polari « e p di £ si muoveranno mantenen- dosi parallele al diametro coniugato ad ro rispetto all’ellisse G,, il quale diametro de- scrive l’angolo y, passando da y, coniugato di x, a Y, coniugato di G,G,. Nessun ele- mento di pg può appartenere a yw nè essere infinitamente prossimo ad un elemento di y. Quindi, quando £ è in X, @ passa per G, e taglia » in un punto A interno al se- miangolo @, cioè in un punto del semi- raggio ro; spostandosi 2 verso G., A penetra in r' e lo percorre allontanandosi indefini- tamente. In vece P, intersezione di p con 7, appartiene costantemente al semiraggio r', e lo percorre partendo da G,, ma non può allon- XJ tanarsi indefinitamente, poichè p è sempre a distanza finita e non è mai parallelo ad r. Siccome i movimenti accennati avvengono con continuità, esiste certo una posi- zione intermedia U del punto sul segmento G,X dell’iperbole, per la quale A e P coincidono. Le antipolari di U rispetto alle ellissi G, e G, saranno sovrapposte in una medesima retta «, tale che a qualunque suo punto corrisponde U. In modo perfettamente analogo si dimostra l’esistenza di un punto eccezionale V nel tratto G,Y. Sia v la sua retta corrispondente. Serie II. Tom. LI. 314 MODESTO .PANETTI 8 L’intersezione W di v con v è tale che le sue antipolari rispetto a G, ed a G, coincidono nella UV = w, quindi W appartiene all’iperbole ed è il 3° punto ecce- zionale del sistema, e forma con U e V un triangolo antipolare rispetto ad entrambe le ellissi G, e G,. | Intanto, poichè ogni retta del piano deve tagliare i tre lati u, 0, w, le coniche corrispondenti passeranno pei tre vertici del triangolo antipolare, e saranno iperboli, parabole, od ellissi, secondochè le rette a cui corrispondono tagliano, toccano o non hanno nessun punto comune coll’iperbole j. Come caso particolare, se una retta passa per un vertice U del triangolo, la conica degenera in una coppia di rette, una delle quali è il‘lato opposto « e l’altra passa per U. 9. — Ammettiamo che esistano altre ellissi tali che l’antipolare di un punto qualunque 0 rispetto ad esse passi pel corrispondente punto di concorso 0' di a e di p; il triangolo U, V, W sarà anche per esse antipolare. Ne risulta che i centri di queste ellissi devono essere interni al triangolo. In oltre essi apparterranno all’iperbole j. In fatti il fascio di raggi che da uno qualunque di questi centri G proietta i punti dell’iperbole, considerato come fascio delle antipolari dei punti all’co del piano, è proiettivo ai fasci che da G, e G, proiettano la stessa iperbole. E in questa - proiettività si devono corrispondere i raggi che passano pel medesimo punto dell’iper- bole, in virtù della proprietà fondamentale delle ellissi G, G, e G,. Dunque il fascio G si può considerare come un fascio generatore dell’iperbole, alla quale per conseguenza il suo vertice appartiene (*). Inversamente: se G è un punto del segmento UV dell’iperbole j, i due fasci di raggi col centro in G che proiettano la retta all’o e l’iperbole sono proiettivi, cor- rispondendosi gli elementi che appartengono a punti omologhi. Fra queste coppie notiamo quella dei punti all’o degli assintoti xy; essi si corrispondono in doppio modo: lo stesso accadrà quindi dei raggi appartenenti ai due fasci col centro in G, che li proiettano, dunque questi fasci sono in involuzione. Di più l’involuzione è ellittica. Infatti consideriamo un raggio 2 appartenente all'angolo a formato dai raggi x ed y uscenti da G. Il suo omologo taglierà in un punto P dell’iperbole j il diametro del fascio G, coniugato alla direzione 2; dunque P apparterrà all'angolo 8 formato dai raggi x, ed y, uscenti da G,. Ma è noto che, se da differenti punti presi su di uno stesso ramo di iperbole si conducono coppie di rette parallele agli assintoti, ciascuna delle quali limita quindi due regioni (angoli) di ampiezze a e B costanti, ogni punto della curva apparterrà simultaneamente a tutti gli angoli a o a tutti gli angoli 8. Si può dunque conchiudere che il punto P e per conseguenza il diametro coniu- gato di 2 si troveranno nell'angolo B formato dai raggi x ed y uscenti da G, cioè che due coppie di elementi coniugati si separano. L’involuzione di raggi così determinata si può dunque considerare come l’invo- luzione dei diametri di una ellisse. Detta ellisse resta poi determinata, se si calcola (*) In ciò consiste la ragione geometrica del parallelismo delle antipolari @ e p del centro G rispetto alle ellissi Ga e Gp, constatata nella 3* operazione del N° 2. Allora non si era potuto darne che una prova indiretta. 9 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 315 la grandezza di uno dei suoi diametri, per esempio di quello disteso sulla retta UG, in modo che l’antipolare di U sia u. È facile dimostrare che questa ellisse è una soluzione del problema. Infatti, preso un punto O qualunque nel piano, si consideri la retta 7, che lo congiunge ad U, e gli antipoli M,, M, ed M rispetto alle ellissi G,, G, e G. Tanto rispetto alla coppia di ellissi G, G, quanto rispetto alla G,G il luogo corrispondente alla m è una coppia di rette risultante della « e di un’altra retta che passa per U e per il punto / dell’iperbole j, che in entrambe le corrispondenze è l’omologo del punto all’oo di wm. Dunque i fasci di antipolari M, ed M, edi fasci M, ed M proiet- tano una medesima retta. In particolare le antipolari di un punto 0 concorrono in un altro punto O0' (#). 10. — Concludendo: Date due ellissi G, e G, in un piano, ne esistono infinite altre, le quali godono con esse della proprietà che le antipolari di un punto qualunque O convergono tutte in uno stesso altro punto O'. Il luogo dei loro centri è un arco dell’iper- bole, che contiene gli omologhi dei punti allo del piano, ed i cui assintoti danno in direzione la coppia dei diametri coniugati, che si conserva parallela in tutte le ellissi . del sistema. I punti estremi del luogo sono i vertici UV del triangolo antipolare comune. Applichiamo al problema del N° 2 le conclusioni dedotte, osservando che l’ellisse G appartiene al fascio di ellissi definito dalla coppia G,G,. Risulta imme- diatamente che una forza È avente per linea d’azione uno qualunque dei lati del triangolo antipolare, per esempio, il lato v, si decompone in due altre /, ed #,, agenti rispettivamente sull’arco A e sulla pila P,, che hanno ancora la stessa linea d'azione. È facile dedurre la grandezza di queste componenti, rammentando che la rota- zione della sezione S, a cui le forze sono applicate, dev'essere la stessa, conside- randola come sezione finale sia dell'arco A sottoposto ad /,, sia della pila P, sollecitata da ,, o come sezione intermedia del complesso AP, sotto l’azione di E. Dette perciò è, è, e è, le distanze di G, G, e G, dalla linea d’azione comune, si ha: Rgò = FaGado = FyIpdp: e quindi le forze X, ed 7, si possono calcolare, moltiplicando la & per un coefficiente numerico noto e costante (**). Supponiamo dedotti questi coefficienti per le tre dire- zioni invariabili «, v, w%. Allora, data una forza qualsiasi agente sul complesso AP}, la si decomponga in tre altre aventi per linee d’azione le direzioni suddette. Di ciascuna di esse si calcoli la 7, e la 7, corrispondente. La risultante delle forze /, è l’azione sopportata dall'arco A; quella delle £, opera sulla pila P,. Così l'operazione fondamentale del problema di statica, che ci proponiamo di svolgere, si può eseguire in modo semplice senza ricorrere alle ellissi di elasticità, (*) I risultati dei Nîì 8 e 9 si possono dedurre da proprietà note dei fasci di coniche, conside- rando le due ellissi immaginarie definite dalle antipolarità rispetto a Ga e Gp. Il fascio da esse determinato dà le altre infinite antipolarità che qui occorrono. Si preferì tuttavia questo procedi- mento come più conforme all’indole di uno studio di ingegneria applicata. ("*) Dev'essere inoltre soddisfatta l'uguaglianza 7x4 7) = E, che permette una verifica. 316 MODESTO PANETTI 10 una volta costruito il triangolo antipolare. La cui ricerca, se teoricamente è molto complessa, dovendosi determinare i suoi vertici come intersezioni di due coniche (N° 8), si semplifica assai nei casi pratici, accontentandosi di un’approssimazione sufficiente in una ricerca grafica, e procedendo per tentativi. Esempio. Il viadotto scelto come esempio per illustrare il metodo discusso risulta (Tav. 1) di tre archi uguali e simmetrici che reggono la via, e si impostano su due pile di altezza differente e su due spalle identiche. I piani di appoggio delle pile e delle spalle si supposero immobili. Del resto si è veduto come si potrebbe tener conto dei loro cedimenti elastici (N° 4), se la natura del terreno non permettesse di trascurarli. Le dimensioni del manufatto, fissate secondo norme pratiche, sono indicate nella HieSdo Laws 11. — La ricerca delle ellissi di elasticità delle pile e dell’arco, che sono gli elementi necessarî alla soluzione del problema, è fatta nella Fig. 2 della Tav. 1 (*), trascurando le deformazioni dovute al taglio, e considerando l’elemento di arco come quello di una trave ad asse rettilineo. Quindi per ogni tronco di lunghezza As abbastanza piccola per poter ritenere costante la sezione trasversale del corpo, l’ellisse di elasticità coincide coll’ellisse centrale d’inerzia della sezione longitudinale fatta col piano di sollecitazione (**).* (*) Tutte le costruzioni grafiche furono eseguite in scala assai maggiore e poi ridotte per l’au- tografia. (**) Si può dare una dimostrazione diretta di questo enunciato. In vero si consideri (Fig. 8) un prisma di sezione rettan- x Zi PA n Da de. k N golare £ lungo As, incastrato ad un estremo e libero all’altro. h GEA e Il piano di sollecitazione sia un piano di simmetria del solido. 17° [oa La porn Per azione di una coppia M applicata alla sezione finale S Wi LADA de; detta sezione deve rotare intorno al baricentro G dell’ellisse Ae DI ela 1 3 di elasticità. Ma in questo caso la curva elastica della trave è Fig. 3. un arco di cerchio, quindi, trattandosi di deformazioni picco- lissime, la tangente in S incontrerà l’asse primitivo nel punto di mezzo G. Cioè il centro dell’ellisse di elasticità è nel bari- centro della figura. Inoltre una forza P normale all’asse geometrico ed una N diretta come l’asse spostano rispettivamente la sezione S nelle direzioni stesse di P e di N; dunque l’asse geometrico e la sua normale per G sono in direzione gli assi dell’ellisse di elasticità. Per dedurne la grandezza consideriamo: 1° Sotto l’azione della sola P la trave si inflette in modo che la tangente al suo punto estremo S incontra l’asse primitivo in un punto X (centro di rotazione) che dista dall’incastro 1/3 As. Ma X dev'essere l’antipolo di P rispetto all’ellisse, quindi il semiasse orizzontale varrà: i= taste 2° Sotto l’azione di una forza normale N' operante con un'eccentricità uguale a metà altezza 11 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 817 Nei centri di queste ellissi sono - applicati i pesi elastici As calcolati e regi- HTS strati nella seguente tabella, assumendo per semplicità il modulo E= 1, e valutando il momento di inerzia I per la sezione media di ciascun tronco. Volendosi poi tener conto della scarpa secondo cui sono disposti i fianchi del manufatto, non si potè limitare lo studio statico ad una zona di viadotto dello spes- sore di 1%, ma si dovette considerarne l’intera larghezza. Tabella pel calcolo delle pile. N° As b l 1= Di AGES Di | m m m. mi 0 Mont ars garza 1: 00084 Ae 00 bio: | 59,25%) 0,017 Ia 5409390 112670 0,075 4 ME ag elio) 0153 5 | 5,00 | 5,68 | 3,10 | 1400 | 0,357 6 , | 5,88 | 8,80 | 17,64 | 0,283 7 e ia 350 iepzco | G221 Me an 920 or |, AMI 9 id ie9sst| 407%! 88.90 | 0,128 10 7 00095 | 4,= x Ag = 1,534 Il calcolo delle ellissi di elasticità delle pile non ha richiesto due operazioni distinte, essendosi divisa la pila più alta in 10 tronchi, 8 dei quali costituiscono appunto la pila bassa. Scelto quindi un primo asse dei momenti statici XX normale agli assi di simmetria delle pile, si determinarono i centri relativi X', ed X', del complesso degli 8 e dei 10 pesi elastici, applicati ai baricentri dei singoli tronchi. Si rifecero le stesse ricerche per un altro asse verticale YY, che non è segnato d È : a , N'As , della sezione, S subisce una traslazione 7 nella direzione dell'asse uguale a 0 ed una rotazione N°} As EI Il moto risultante è una rotazione intorno ad un centro Y intorno a G di ampiezza D= % sE VELI De hi A AI che dista da G nella direzione normale ad N di fo a 6° Quindi =) 9 h. È h. Ma i valori di i e di #, sono per l'appunto quelli dei semiassi dell’ellisse d'inerzia. 3818 MODESTO PANETTI 12 nella figura, poichè per comodità di calcolo lo si fissò alla distanza di !/; di metro dall’asse parallelo baricentrico. I semiassi delle ellissi G, e G, ricavati come medie geometriche fra le distanze di ciascun baricentro da ogni asse e dal centro relativo sono registrati nelle tabelle della Fig. 3, Tav. 1. 12. — Le costruzioni grafiche dell’arco si poterono limitare ad una metà sola di esso, grazie alla simmetria. Divisa la metà del suo asse geometrico in 10 segmenti di ugual lunghezza As = m. 1,11, si calcolarono per i corrispondenti tronchi i pesi elastici registrati nella seguente Tabella pel calcolo dell'arco. N° ) h Ig, Ag i 20 10 | 5,05 | 1,02 | 0,45 2,483 | g=2Ag= 26,336 Poi si procedette alla ricerca dei momenti statici e dei momenti di inerzia dei singoli Ag rispetto agli assi baricentrici orizzontale x e verticale y per potersi in seguito valere dei poligoni funicolari tracciati, come di linee d'influenza per le rea- zioni di appoggio dell’arco supposto perfettamente incastrato alle imposte. I poligoni p, e p'; relativi all'asse y furono tracciati con distanze polari f,= e c, arbitraria. I poligoni p, e p'> relativi all'asse # con distanze %, e c, entrambe arbitrarie. I segmenti intercettati sull’asse y dai lati estremi di p',, e sull’asse « dai lati estremi di p', sono la metà dei segmenti # e #, misura dei momenti di inerzia di tutto il sistema. 13 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 319 Si dedussero quindi i semiassi dell’ellisse di elasticità: Ue : uao DI ii =Vet = 42,44 i = sini 1 Finalmente si valutò per approssimazione l'elasticità delle spalle, sostituendole con solidi parallelepipedi retti, il che è perfettamente lecito, attesa la piccolezza del peso elastico corrispondente, che si potrebbe anzi trascurare, ritenendo il piano di imposta assolutamente fisso. 13. — Le Ellissi di elasticità dei piani di imposta delle tre arcate sono il risultato di successive operazioni eseguite (Fig. 3, Tav. 1), sugli elementi preparati col calcolo precedente. Queste operazioni sono, come si è detto, di due tipi diversi. Le operazioni del primo tipo servono nel caso in cui si debbano comporre sem- plicemente le ellissi relative a due travi situate l’una di seguito all’altra, per dedurne quella del complesso rispetto ad una delle sue sezioni estreme supposta libera. Le operazioni del secondo tipo permettono di ottenere l’ellisse di elasticità di un sistema costituito di due travi relativamente alla sezione comune, nella quale esse si saldano. Il procedimento è quello spiegato nel N° 2. Ellisse Gy per la trave che risulta formata della spalla s e dell'arco A e cor- rispondente alla sezione finale destra. “$i ha: gi (ME) i» Ya = 26,336 i = 4,43 î: distanza fra i due baricentri G, e G, m. 14,75. Calcolata la posizione del baricentro G,. dei due punti G, e G, in cui siano concentrati i pesi g, e 9a, si costruì l’ellisse, determinandone tre coppie di tangenti parallele col metodo grafico dovuto al prof. Ritter (*). (*) W. Rirrer, ‘ Schweizerische Bauzeitung ,, 24 agosto 1889. Però, essendo della massima importanza conoscere in modo esatto la posizione degli assi del- l’ellisse G4, se ne verificò analiticamente l'inclinazione @ per mezzo della formola: mdsen2B + gsli°es — i15)sen 2a galitra — 21) + gs(ifas — i°15)cos 2a — md cos 28’ TERA tang2p = (4) Fig. 4. ottenuta cercando i valori di @ pei quali è massimo o minimo il momento d'inerzia del sistema G:Ga rispetto ad un asse passante per G. Il significato dei simboli adottati risulta dalla Fig. 4; per brevità però si è posto: gsts=9YatA=M e rst+ra=d. , 320 MODESTO PANETTI 14 I semiassi così dedotti risultarono: i, = 4,50 ta = 1530 l'angolo di inclinazione del primo sull’orizzontale e del secondo sulla verticale =:1°:204, Ja = Is + ga = 26,449. il peso elastico Ellisse Gy corrispondente alla sezione in cui si saldano l’arco A e la pila 1. Si considerò prima uno spostamento orizzontale 7° della sezione. La forza capace di produrlo operando sulla pila è orizzontale e definita da T= F,.1,811.6,55°. La forza da applicarsi all'arco forma un angolo così piccolo coll’asse maggiore dell’ellisse di elasticità G,. che, entro i limiti di approssimazione di un calcolo grafico, sì può porre: T= F,.26,449.1,30?. Dal rapporto delle precedenti uguaglianze si deduce il rapporto fra le intensità delle due forze dr = 0,795. Le loro linee d’azione sono, per quanto si è detto, l’asse orizzontale dell’ellisse relativa alla pila e l’asse maggiore ?, dell’ellisse G,. Si può quindi costruirne la risultante £ che dovrà contenere il punto Gn. Uno spostamento verticale 7" è l’effetto di una forza verticale 7”, operante sulla pila, tale che: 1° — RSA 095 Rispetto all’arco la forza F”, capace di produrre lo spostamento 7” ha per linea d’azione il diametro coniugato all’ orizzontale nell’ ellisse G,,. Quindi allo scopo di scrivere la relazione fra spostamento e forza, si valutarono le distanze dell’ estre- mità del diametro orizzontale dalla direzione verticale e da quella di /",. Il loro prodotto, pari a m.? 19,488 (*), moltiplicato per il peso elastico 9, misura il momento di secondo ordine rispetto ai due assi nominati; perciò: T'= F', 26,449 19,448, (*) Qui pure si verificarono analiticamente i risultati. L'angolo yw che Fa forma coll’asse èé è tangy __ è 4,50? tangg i. 130 Se ne dedusse y=15°. 40’; quindi l'inclinazione di F' sulla verticale è misurata da y—g=14°. 20' Ciò premesso la distanza dell'estremo del diametro orizzontale dalla direzione di Fa che gli è coniugata vale il raggio d’inerzia del sistema rispetto a detta direzione, cioè Vi cosy +%sen?y. La distanza del medesimo estremo dall’asse verticale si deduce dalla precedente dividendola per i, cosìy + 4%, sen?y i cos(y — ®) legato all'angolo @ che l’asse è fa coll’ orizzontale dalla relazione cos(y — 9), cosicchè il momento di secondo ordine è espresso da ga 15 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 321 Confrontando i due valori di 7" si ottiene ca 435,76; quindi la risultante k' delle due forze 7", ed F”, coincide sensibilmente colla linea d'azione della prima che è l’asse di simmetria della pila. L’intersezione di R' con R è il baricentro di elasticità G,, cercato, e gli assi della nuova ellisse sono con grandissima approssimazione l’ uno verticale e l’ altro orizzontale. Si tracciarono poi le antipolari @ e p del baricentro G,, rispetto alle ellissi G 4 e G,. Lette sul disegno le distanze di ciascuno di questi centri dalla corrispondente antipolare, e delle due antipolari fra loro, si potè scrivere la duplice uguaglianza (3), ponendovi C=1: 22,40 ga = 4,80. 1,311 = 0,238. 26,449. Donde gGan= 0,281. Quindi i semiassi 2, ed ?, dell’ellisse di elasticità G,, devono essere tali che: T=R 0281 8 TR 0280 077 E dal confronto colle espressioni di 7° e di 7” già scritte si deduce: i, = 92,42 i = 20,05. Ellisse Gg relativo alla sezione finale destra della trave che risulta del si- stema A'1 e dell'arco B. Il suo baricentro appartiene alla retta che congiunge i baricentri elastici G,, e Gg, divide la distanza che li separa in parti inversamente proporzionali ai pesi in essi concentrati, la cui somma vale il peso elastico risultante Gang _ 26,617. L’inclinazione degli assi dedotta colla (4), semplificata pel fatto che a = n è: pir=20371. Graficamente si ottiene: i, = 498 PA Ellisse Gap» corrispondente alla sezione in cui si saldano il sistema: 4'1B e la pila 2. Uno spostamento orizzontale 7 è prodotto da: una forza orizzontale F, passante pel baricentro G, della pila e tale che RSA 594.9,00?, una forza F, passante per G,n8, diretta sensibilmente come l’asse maggiore della corrispondente ellisse e tale che T= F,.26,617 .1,70?. Serie II. Tom. LI. Pi 322 MODESTO PANETTI » 16 Si deduce 32 = 0,618, e si può quindi tracciare la linea d’ azione della risul- tante È. Uno spostamento verticale 7” è prodotto da: una forza verticale Y°, passante per G; e tale che T° i. 1534 01: una forza F', avente per linea d’azione il diametro coniugato all’orizzontale dell’ellisse G,:5, e tale che TE? 20,6170419-8829 ove 19,882, misura del momento di 2° ordine di un peso elastico unitario rispetto al diametro verticale ed alla linea d’azione della forza /,, fu calcolato come per l’ellisse G,.. Si deduce a 338,15: anche qui la risultante R' coincide sensibilmente col- l’asse della pila: resta quindi determinato il baricentro Gun ps. Segnate le sue antipolari rispetto alle ellissi Gp e Gs, ne risultò in virtù della (3) 27,75 Gange = 6,79 . 1,534 = 0,39 . 26,617. Donde Ganga = 0,374. I semiassi dell’ellisse G_,,3z sono dunque tali che: T="R.0,9%4n4 T"= R'.0,374.41- E dal confronto colle espressioni di 7 e di 7" già scritte si deduce: TS NEZA in = 29,04. In modo perfettamente analogo, procedendo dall’estremità destra del manufatto, si sono calcolati gli elementi delle ellissi relative alle imposte di destra degli archi B ed A. La tabella della Fig. 2, Tav. 1, che contiene i risultati di queste operazioni, dispensa da ogni altro schiarimento. 14. Calcolo dell’arco A. — Isolato l’arco A dal rimanente della costruzione, sostituendo alla spalla sinistra ed alla porzione di viadotto situata alla destra le corrispondenti ellissi di elasticità G, e Gc»81, si procedette al calcolo grafico delle linee d'influenza delle 3 componenti di ciascuna delle reazioni di appoggio, prendendo come centro di riduzione il baricentro elastico di tutto il sistema (Tav. 2). Il procedimento seguìto deriva immediatamente da quello proposto dal prof. Ritter per archi simmetrici (#); solo, per tener conto della asimmetria del sistema, scelsi (*) Cfr. W. Rirrer, Der elastische Bogen; ovvero Graphische Berechnung von Bogentrigern nel Dizionario tecnico di Orro LueGER. SRI SE, £7 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 323 come linee d’azione delle componenti delle reazioni di appoggio i diametri y" ed @' coniugati all’ orizzontale ed alla verticale, il che permette, come si vedrà, di non variare le costruzioni grafiche, e di dedurre per le incognite espressioni quasi altret- tanto semplici. Portati sopra MN segmenti proporzionali ai 20 tronchi in cui si è diviso l’arco (Cfr. N° 12) e a quelli testè calcolati per i due appoggi si tracciò un primo poligono funicolare p, connettente detti pesi, considerati come forze verticali, scegliendo per distanza polare la somma g= 26,785 dei pesi stessi. L’intersezione S, dei lati estremi determina l’asse baricentrico verticale S,G. Considerati poi i pesi elastici come forze orizzontali si dedusse con un nuovo poligono funicolare p, l’asse orizzontale SG, e quindi, come intersezione dei due assi il punto G. Questo secondo poligono, attesa la piccolezza dei segmenti intercettati sull'asse baricentrico in confronto alla distanza fra i vertici inferiori dei suoi due rami, non poteva fornire con precisione sufficiente gli elementi necessarî. Perciò la misura dei momenti statici dei pesi elastici rispetto all’asse baricentrico x, rappre- sentati sul segmento U'V', fu calcolata analiticamente, scegliendo per base di ridu- zione hy = o, Un 3° poligono pz connette le forze misurate dai segmenti, che i lati del 1° poli- gono intercettano sulla verticale baricentrica y. I punti di applicazione di queste forze sono gli antipoli dell’asse S,G rispetto alle ellissi di elasticità dei singoli elementi. La distanza polare c, arbitraria fu scelta di m. 5,00. Il segmento t, compreso fra i lati estremi risultò di m. 4,30, cosicchè il raggio d'inerzia rispetto all’asse y vale i, = Vext, = 4,64. Così pure, considerati i segmenti della retta U'V' come forze orizzontali, appli- cate negli antipoli dell’asse x, si tracciò un poligono funicolare p, con una distanza polare c, = m. 10,00. I suoi lati estremi intercettano sull’ orizzontale un segmento t, = m. 6,33, cosicchè: Finalmente, connettendo con un 5° poligono funicolare ps le forze precedente- mente considerate, ma dirette verticalmente, si ottiene nel segmento £ = m. 1,50, intercettato sull’asse y, la misura del momento di 2° ordine W rispetto agli assi ed y. Invero W = hocsk. I valori di i, ed è, dànno le distanze delle tangenti verticali ed orizzontali dal baricentro G, e permettono quindi di descrivere il rettangolo circoscritto all’ ellisse di elasticità coi lati paralleli ad x ed y. Il momento di 2° ordine W rispetto a questi assi determina i punti di contatto delle tangenti tracciate. Così per le tangenti orizzontali, indicando con K la distanza dei punti di contatto D, dall'asse y, si ha W= gisK. Uguagliamo le due espressioni 924 MODESTO PANETTI 18 di W, tenendo presente il valore di i, ne dedurremo K = | ; donde la costruzione e) del triangolo G7'B per tracciare la direzione y' coniugata all’orizzontale x. Il senso in cui devesi portare il segmento 7°B = % è definito dal segno del segmento £, che, supponendo l’asse x positivo verso destra e l’asse y verso l’alto, risulta in questo caso negativo. I punti di contatto D, delle tangenti verticali, pei quali passa l’asse e’, si tro- vano immediatamente, conducendo dai punti D, le parallele alla diagonale 77 del rettangolo circoscritto all’ellisse. Finalmente indicheremo con d, la distanza di ciascuno dei punti D, dall’asse y/, e con do la distanza di ciascuno dei punti D, dall’asse x’. Ricorrendo a questi segmenti, i momenti di 2° ordine rispetto alle coppie di assi 22’ ed yy' si espri- mono rispettivamente con gi3d, e gî,d;. È noto ora come il 1°, il 3° ed il 5° poligono funicolare ci forniscano le defor- mazioni elastiche di una delle estremità del sistema, supposta svincolata, prodotte da un carico verticale P. E precisamente, se con 2,2, e 2, si indicano le ordinate comprese fra i 3 suddetti poligoni e i loro lati estremi di destra, misurate sulla verticale di P, la sezione di appoggio sinistra subirà una rotazione di ampiezza di =>Pgz uno spostamento verticale Vi_tigicri b ; orizzontale h= Phscszo. La reazione sinistra & deve annullare queste deformazioni, quindi, decompo- nendola in due forze H e V, che hanno per linee d’azione gli assi x’ ed y', e nel momento M, che nasce trasportando È a passare pel baricentro G, dovrà essere: èd= Mg v= Vgidi h=Hgi3d,; ovvero, uguagliando fra loro le due espressioni di è, di v e di 4%, e rammentando i valori di è, ed iî,, si deduce: (5) M= Pz V= Pr 2 H= Pr Le equazioni risolventi sono dunque appena più complesse di quelle note per l'arco simmetrico, e ciò grazie alla scelta degli assi x’ ed y', tali che una forza avente per linea d’azione «' produce esclusivamente uno spostamento orizzontale, ed un’altra forza operante secondo y' dà luogo a spostamento verticale. Se poi insistono più carichi P sull’arco si avrà: i i MESSA ve >Pa H=-3-x*Pe,. LA Le stesse espressioni valgono per la reazione dell'appoggio destro, se con 2,2 e 2, si intendono le ordinate comprese fra i soliti poligoni funicolari e il lato estremo sinistro. Ì 19 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 325 Il peso proprio, preso in esame per primo, fu valutato per ogni mezza arcata tanto per i 10 conci ideali in cui si era divisa, quanto per le sovrapposte striscie di riempimento in terra, di massicciata, di muri di paramento e di parapetti. I 19 carichi con linee d’azione distinte che ne risultano sono registrati in ton- nellate in fondo alla Tav. 2 sulle verticali corrispondenti, e per essi e per i loro simmetrici, uguali ad essi e insistenti sull’altra mezza arcata, si valutarono le 6 som- matorie, che determinano le reazioni degli appoggi: = 9Qt.m. = 4,64 = È M = 3233 == 430 X445 1963 = 474,87 1,98 = mr per l'imposta sinistra; Mi —=Bl65 hw: . V'= —— 1928 = 466%,50 H' = —— 384 = 61,58 per l'imposta destra. Con questi risultati si costruì il poligono delle forze tracciato nella figura, dal quale risultano in posizione e grandezza le reazioni R ed P'. Per verifica i loro estremi Y ed L debbono trovarsi su di una verticale, ed intercettarvi un segmento, che nella scala delle forze misuri il carico totale Q. Finalmente i valori di M e di M' permisero di dedurre le linee d’azione delle È, che incontrano i piani di imposta dell’arco in punti assai poco discosti dall’intradosso. Però l’azione del peso proprio degli altri archi, di cui non si tenne conto in questa ricerca, modificherà profondamente i risultati. 15. — Lo stesso procedimento si applicò agli altri due archi, pei quali è quindi sufficiente riassumere i risultati : Arco B. (Tav. Il). = V5,00 x 442 =4070 (CERTE sla oa 50 om 06. La disimmetria nei poligoni p, e p3 è praticamente insensibile, quindi: Me — a VIA Finalmente JHi= 124%;20 H' =159t,80. Arco C. (Tav. II). 5 "== =""=== 10 X 6,68 ea il SO — gm(4. 7 li a 7 465 9 — 45142 M= 3181t.6 V= ras 1912 = 451420 ire 2,04 ATA — ROH9 H= lan Ai = 69128 per l’imposta sinistra; ‘ 326 MODESTO PANETTI 20 M' = 3259411.9 trata —— 2015 =475t,50 H'—=—"T 1599 = 29485 ". per l'imposta destra. 16. — È utile vedere come le direzioni scelte per decomporre le reazioni assunte come incognite e le linee d'influenza costruite per calcolarne i parametri si possono interpretare come linee d’azione e linee d’influenza delle quantità staticamente inde- terminate proposte nel metodo di Bruno Schulz citato a pag. 1. Ciò varrà a porre in rilievo la possibilità di spiegare le ricerche fatte, ricor- rendo al principio dei lavori virtuali. Sia S (Fig. 5) una sezione qualsiasi di un arco del manufatto considerato. Si rappresenti la risultante incognita delle forze relative ad S coi 3 parametri M, V°, H° ottenuti, scegliendo come centro di riduzione. il baricentro elastico G di tutto il sistema e l’asse verticale y ed il suo coniugato x' passanti per G. Immaginiamo staccate le due parti s e d in cui S divide il sistema. Per non turbare lo stato di equilibrio si dovranno applicare ad entrambe il momento M e le forze V° ed H° in sensi opposti, come indica la figura. Diciamo òy, dy, dx i lavori virtuali corrispondenti alle sollecitazioni \bi===] ee Ho ——1 applicate tanto ad s quanto a d ed agli spostamenti effettivi dell’intero sistema pro- dotti da un carico P,. Allora, se il lavoro delle reazioni di appoggio è nullo e la temperatura costante, si ha (*): (6) $i = Pmdum — Mòuu — V°duv — H°dug e due altre espressioni analoghe per dg e dy; nelle quali ogni è con doppio indice rappresenta la somma algebrica dei lavori di deformazione relativi ai sistemi s e d per una delle condizioni di carico ipotetiche anzidette e per gli spostamenti prodotti in detti sistemi dalla condizione di carico corrispondente al 2° indice. Nel caso che trattiamo dy= dv = dg=0, poichè lo spostamento della sezione S è lo stesso per entrambe le semitravature s e d, unico e determinato, e quindi il lavoro compiuto da una delle sollecitazioni unitarie applicata al sistema s è uguale e di segno opposto a quello corrispondente alla sollecitazione di ugual nome applicata a d. Ma è facile dimostrare che anche dyuv, du, dvg sono nulli. Infatti siano G, e G, i baricentri elastici delle due parti s e 4 in cui fu diviso il sistema. Questi punti devono essere allineati con G (Fig. 5), ed i pesi elastici g, e 4a in essi concentrati devono avere momenti statici uguali e di segno opposto rispetto a qualunque asse passante per G. (*) MiiLLer-BresrAu, Neueren Methoden der Festigkeitslehre. 21 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 327 Ciò posto le forze H° — — 1, aventi per linea d’azione l’asse 2' e dirette oppo- stamente, fanno rotare le sezioni affacciate S di angoli uguali in grandezza (perchè espressi dai prodotti dei rispettivi pesi elastici g, e 9g, per Ie distanze di G, e G, dall’asse x') e concordanti in senso. Dunque il lavoro virtuale della coppia M= — 1 per la semitravatura sinistra è uguale e di segno opposto al lavoro della coppia omonima per la semitravatura destra. Si ha cioè dgy = 0. Consideriamo poi gli antipoli X, ed X, dell’asse x’ rispetto alle. ellissi di elasti- QX DI ; Î cità delle due semitravature s e d. Essi i Fry ; . at o Gua : una VV sono i centri di rotazione delle sezioni S VA, TT dei due sistemi supposti sollecitati da forze operanti secondo l’asse x’, e devono quindi appartenere ad una parallela all'asse con- iugato y verticale. Supponiamoli entrambi a sinistra di y. Come appare poi dalla figura, X, ed X, devono di necessità tro- varsi da parti opposte dell’asse x’. Dunque sotto l’azione delle forze H°=—1laV'ap- |; plicata al sistema s e collegata rigidamente ad S rota in senso tale da compiere un lavoro negativo, mentre Vî applicata a d compie un lavoro positivo. In valore as- soluto questi due lavori sono uguali, perchè le rotazioni intorno ai punti X, ed X; sono di uguale ampiezza: concludendo dyg = 0. Finalmente, per opera del momento M=-— 1, la sezione $ della parte sinistra gira nel senso positivo intorno a G,, e trascina V!, facendogli compiere un lavoro UA, y negativo, invece la sezione relativa alla parte destra gira in senso negativo intorno a Ga, mentre V? compie un lavoro positivo. Le ampiezze degli spostamenti di V? e di V®, valutati nella direzione delle forze stesse, sono uguali, poichè i momenti sta- tici di g, e di gi rispetto all’asse y sono uguali; dunque dyv=0. Ma allora dalle (6) si deduce: een» pops Ho= p, tr. " èMu' " oyy! ° dHH La prima espressione coincide senz'altro colla 18 delle (5). Infatti è yy è la somma delle ampiezze delle rotazioni prodotte dalle coppie M=—1 sulle sezioni affacciate S delle 2 semitravature, e quindi vale 9g; + gi = 9; dun misura invece la rotazione di S prodotta dal peso P, ed è uguale per ciò alla distanza polare g per l’ordinata 7 compresa fra il poligono p; e il lato estremo di sinistra o di destra, secondochè P insiste su s o su d. (Superficie d’influenza tratteggiata nella figura). Invero, se P insiste sulla porzione s, la semitravatura d è scarica, cosicchè, supponendola svincolata dagli appoggi, e solidale in S ad s, si sposterà per effetto 328 MODESTO PANETTI 23 delle deformazioni di s come un corpo rigido. Quindi la rotazione della sezione finale destra di d data (N° 14) dal prodotto di g per l’ordinata compresa fra il poligono pi ed il lato estremo sinistro, coincide con quella della sezione S. Analogamente è chiaro che, insistendo P sulla porzione d, l’ordinata Z, che dà la rotazione di S, va invece misurata fra il poligono p; e il lato estremo destro. Per questo fatto si sostituì alle lettere = usate nel N° 14, le Z, che hanno il significato qui definito. La seconda espressione, ricorrendo agli elementi determinati nel calcolo grafico del N° 6, si può ridurre a V°=P, si ove Z, è l’ordinata della superficie d’influenza 1 compresa fra il poligono pz ed i suoi lati estremi limitati alla verticale baricentrica della sezione S. Se ora formiamo il poligono delle forze H° e V°, il cui lato di chiusa è la risultante cercata, e se la decomponiamo in H e V secondo le direzioni x' ed y/, scelte nella trattazione grafica del N° 14, ne risulta immediatamente che: V BTO coso cos(p+y) ’ e, moltiplicando numeratore e denominatore per GD,, Fi n) ie Ù = dina TELNIGO che è per l'appunto la 2? delle (5). Analogamente si otterrebbe la 3°, scegliendo come linee d’azione delle 2 com- ponenti V° ed H° la y' e la x, e ripetendo un ragionamento identico a quello premesso. 17. Curva delle pressioni per il peso proprio. — Ricorrendo al principio della sovrapposizione degli effetti, si comprende che la risultante delle forze relativa ad una sezione qualsiasi di un arco del viadotto è uguale a quella corrispondente al regime studiato nei N' 14 e 15 per l’arco stesso, in cui non si tien conto del peso degli altri due archi, composta colle azioni che essi trasmettono. In particolare, per determinare la reazione di una delle imposte estreme, per esempio dell'imposta destra dell’arco C, si può procedere così (Fig. 3, Tav. 1). L'azione R',, che l'arco A per effetto del peso proprio esercita sulla sua imposta destra, si decompone in due forze: la A, applicata alla pila 1 e la Ag a tutta la parte restante del viadotto. 7 Per trovare queste componenti basterà determinarne le linee d’azione come antipolari rispetto alle ellissi G, e Go dell’antipolo della R', rispetto all’ellisse Gos8y ovvero ricorrere al metodo delle tre direzioni invariabili, spiegato nel N° 10. La Ag si compone coll’azione destra R'z dell'arco B, dando luogo alla Rus. Questa alla sua volta si decompone in una forza B, operante sulla pila 2 ed in un’altra B. applicata all'arco C. Finalmente, componendo 5, con ', si ottiene l’azione risultante £; relativa all'imposta estrema destra di tutto il sistema. Partendo dall’arco 0, e operando in modo perfettamente analogo, si dedusse l'azione risultante R, relativa all'imposta estrema sinistra; poi, componendo F', con 23 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 329 Ba, Rcs con Ax, R'1g con O, ed Ec con Be si ottennero le altre 4 azioni risultanti sui piani di imposta intermedì. I poligoni delle forze, coi quali si eseguirono queste operazioni, sono aggruppati in modo da porre in evidenza tutte le possibili verifiche. 18. Superficie di influenza per le tensioni unitarie massime in una sezione qualsiasi S di un arco. — I 8 parametri M, V, H della risultante delle forze relativa ad S e dovuta ad un carico P=1 mobile sull’arcata B, a cui supponiamo che S appartenga, sono dati dalle superficie di influenza limitate dai poligoni py p3 Ps; dedotti per. l’arco B, e dai loro lati estremi fino alla verticale passante pel baricentro di S (Fig. 5), come fu dimostrato nel N° 16. Se si ammettono le solite convenzioni relative al senso positivo di M, di VW e di H, i segni coi quali si devono leggere le ordinate Z, Z, e Z, delle tre superficie, per dedurne la risultante delle forze alla sinistra di S, sono quelli indicati nella figura anzidetta. Vogliasi ora calcolare la tensione unitaria all’estradosso in S, basterà valutare il momento M, delle forze esterne intorno al punto di nocciolo inferiore » della sezione considerata. Chiamando ', ed y, le distanze di detto punto dagli assi y ed x’ misurate nor- malmente agli assi stessi, e ritenute positive se il punto si trova sopra x’ ed alla destra di y', si ha: M=M+ Va, Hy,=t+i4e-dy% Sostituendo ai simboli i valori dedotti colle costruzioni grafiche della Tav. II: M,=Z+0,2262',Z, — 0,146Y/,Lo. Rimane a studiare l’effetto di un carico insistente sulle altre arcate A e C del viadotto. Consideriamo ad esempio l’arco A, e ricordiamo (pag. 4) che una coppia M' applicata alla sua imposta destra agisce su B con una forza C, e sulla pila 1 con un’altra forza parallela, uguale ed opposta a C.,, tale che il loro momento vale M'. Nell'esempio trattato | C,=0,0413.M' (Fig. 3, Tav. 1). Così pure le forze V' ed H' agiscono su B colle loro componenti = 0,28 V! I8lyg= 0,76H°. Dunque una forza P=1 insistente sull’arco A, in quanto produce sulla sua imposta destra un’ azione di componenti M'’, V’ ed H', genera intorno al punto » della sezione S un momento: Csa Ra pali M,= —0,0413.c.2 + 0,28 nd, 0 0,767 7 22; dove tutti i simboli si riferiscono a grandezze dedotte nel calcolo grafico dell'arco A, cosicchè : tilnico Ina — (0,242 a = 0,160. Serie II. Tom. LI. o 392 MODESTO PANETTI 26 Trattandosi di un viadotto per strada ferrata, si scelse come carico accidentale quello di un treno formato da una o da due locomotive tipo coi loro tender, e se ne determinò per tentativi la posizione più sfavorevole nei singoli casi. Le pressioni trasmesse dalle ruote furono considerate sia come carichi matema- ticamente concentrati, sia come carichi diffusi per azione del sottoposto riempimento in terra su di una zona calcolata secondo la regola del Winkler. Per aver poi un criterio sul grado di approssimazione dei metodi d’uso più comune si sostituì al treno un carico mobile uniformemente ripartito di 7* per m.l. e sì tracciò la curva delle pressioni per l’arco perfettamente incastrato nelle tre ipotesi del sopracarico esteso su tutta, o su metà lunghezza, e del solo peso proprio. Il metodo seguìto è quello dovuto al chiar.®° Prof. Guidi (*) preferibile per la rapidità di esecuzione e per il rigore delle ipotesi, potendosi tener conto delle defor- mazioni prodotte dallo sforzo normale. I risultati sono riassunti nella seguente tabella: COMPRESSIONE UNITARIA IN F8/em 7 rue. -/)>»e«»P>-]-]_\S,»>»; 5 r”P”Y_= all’estradosso in chiave A nia, i) TONDI z i DS) | MIO. z sz |'F3. > Se ATCÒ:SCAITCO 204 CALARE 0 _ 8,25| — — ° { £ |Sopracai ripartito sull’intero arco| — _ 9,90 | — — 8,65 n È < 7 A su mezzo arco| — — 8,15 i Mera 00 S | carichi concentrati .| 7,00 | 4,37 |11,37 | 8,25 | 2,80 | 11,05 < | Treno tipo | ( carichiî: diffusi 1. / 317,00 |113:90 [10,90] = MAR 2 z| | carichi concentrati | 6,18 | 6,58 |12,76| 7,97| 3,98 |11,95 22° Treno tipo | si al [| carichi diffusi . | 6,18 | 5,80 |11,48 —_ _ _ Le conclusioni che si possono dedurre dall’esempio numerico trattato sono le seguenti: La solidarietà delle arcate migliora le condizioni statiche del manufatto rispetto alle sollecitazioni prodotte dal peso proprio. Invece il carico accidentale mobile influisce assai più svantaggiosamente nel caso dell’arco continuo sopra tutto nelle sezioni in chiave, cosicchè le compressioni unitarie massime risultanti riescono di circa !/s supe- (*) Cfr. C. Guini, Lezioni sulla Scienza delle Costruzioni. Parte IV. Teoria dei Ponti. Torino 1897. M. PANETTI — Contributo alla trattazione dell'Arco continuo. Tav.l. x G «| ! di I ! i È LO o NEGOrI, È i ell'isse| peso samiassi |tncli= ellisse peso MIZZZIAIA RITA ineli» ù i ALS | ore Î bl - 1) È elasteco) srt. |razioni eletslico cn. |rexione x ì ILE i H Ù . i iz i ì i | I] ) Is 0,113 | 1,53 | 2,42 To d 0,113 | 1,63 | 8,4 AI ' A' RG449| 4,60 | 1,30 | 1290 È i) 26.449| 4, 60 1 1,311| 095| 6.61 | R 1,534| 1,01 | i ' {MA A 0,201| 2,05 | 9,42 Ì Cr 0,336| 2,16 | 9,9 | C'2B | 26,670) 4,60 | 1,70 | 22-20 H Ba "È sa \ | sig Superlicie d'influenza C'2B1 | 0336] 7,871) 9.88 Î i | Mornento M, nella Ui sezione tn chiave dell'arco B Morcentto M,, nella ai 07 osta senostra dell'arco B d' influenza Linea Fig. 34 = 80,0 > Scala delle ordinate A--1" {Scala "Toson (PEARCE CIGARO Tav.Il. M. PANETTI — Contributo alla trattazione dell'Arco continuo. ha vu G/? LoL DI RINZAI:"D/ I È ESTE è FS SIMS a TE s 2 sè za #8 Sa 2 ° ge, sa Î si n ri #4 FIA CERI ECO LA n | È fr i pga3 \ T 3 T ur RI UA a/ dI Ii SI lors V7 (7 RI 9UuOILI02]UI P DIIT CA si n i i | 4 LA | : ii e GA geo) SUN Ci E] LE IR" L i, | Ji Paza, e x RS — 2 Ss TN 4 i H TE; DURI L \ st ar. = Il S | bi csi H K D Î 4 e Ce e NE | / \ VI Tg | Sad È Ss vl | PAN E [pa e — i A \ A°rpi=yo dI; lj n ZI | N il / |: [e i | do il Cr i 1/ vil Ja ni 7 : M. PANETTI — Contributo alla trattazione dell’Arco continuo. eloccad. R. delle Sc di Coriuo. Classe di Sec. Cor oloal. è DIOSI Tav.Ill. ? Serie I 6omo SI. — Î [ei ji ij i! 21 1918 17 16. ké I. ere (EOS CASE, 9-0 (G Gi----------- mln =--- 3A | I si WARAS. esi — 27 CONTRIBUTO ALLA TRATTAZIONE GRAFICA DELL'ARCO CONTINUO, ECC. 333 riori a quelle dedotte nell’ipotesi dell’arco incastrato, considerando i carichi come matematicamente concentrati. La ripartizione dei carichi che avverrà certamente per effetto del sottoposto riempimento in terra attenua la differenza constatata, in modo di renderla appena superiore ai limiti di approssimazione di un calcolo fatto a scopo pratico. Non sì può conchiudere altrettanto, sopra tutto per la sezione in chiave confron- tando i risultati ottenuti coi metodi di calcolo d’uso più comune. La differenza rag- giunge il 17 °/, in più per i metodi rigorosi relativi all’arco incastrato ed il 22,5 % per quello col quale si calcolò l’arco continuo, pur limitandosi ai risultati ottenuti nell’ipotesi che il riempimento in terra ripartisca le pressioni. Ciò prova che i carichi uniformemente ripartiti, che si sogliono sostituire al treno nel calcolo dei ponti ad arco in muratura possono essere talvolta insufficienti. Nel caso testè svolto, per ottenere in chiave le medesime sollecitazioni massime, bisognerebbe adottare un carico di 16 t. per m.1., cioè più che doppio di quello assunto nel cal- colo: invece, per ciò che riguarda le sezioni di imposta, basterebbe calcolare l’arco come sopracaricato su di una metà sola della sua corda in ragione di t. 9,25 per m. 1. di proiezione orizzontale. Naturalmente non è lecito dedurre da una sola ricerca leggi generali, che potreb- bero soltanto essere suggerite da una serie di esempi svolti per tipi diversi di arcate, conducendo alla formazione di Tabelle razionali per la ricerca del sopracarico uni- formemente ripartito, equivalente, da adottarsi nei metodi approssimati di calcolo. Possiamo però già convincerci, che, per gli archi a monta rialzata e con sezione fortemente variabile dalla chiave alle imposte, appartenenti ad un viadotto con pile di grande altezza, non è prudenza assumere come carico accidentale uniformemente ripartito lo stesso valore, sia nell’ ipotesi dell’ arcata completamente sopracaricata, sia in quella dell’arcata sopracaricata su di una metà sola; ma conviene esagerare nel valore adottato per la prima di queste due verifiche, dalla quale si deduce la compressione unitaria massima nella sezione in chiave. e — [/— SULLE SCARICHE OSCILLATORIE EEGCHIEROSENE DI A. BATTELLI e L. MAGRI Approvata nell’ Adunanza del 12 Gennaio 1902. INTRODUZIONE 1. — Lo studio del movimento dell’elettricità nella scarica dei condensatori è complicato da circostanze così diverse e così rimarchevoli che, nonostante i numerosi ed importanti studi di cui è stato oggetto, siamo ben lontani dall’averne una nozione chiara e completa. Le ricerche teoriche di Thomson (1), di Kirchhoff (2), di Neumann (8) e di Lorenz (4) dettero bensì una guida sicura per le ricerche sperimentali; ma le equazioni che essi stabilirono non sono direttamente applicabili ai casi più comuni della pratica. Infatti le condizioni teoriche di cui si tien conto per stabilire la nota formula : 21 (ETA IC 4° non corrispondono completamente ai casi dell’esperienza, sia per le complicazioni che derivano dal comportamento non sempre ben conosciuto del dielettrico compreso fra le armature del condensatore, sia per la presenza della scintilla, sia per le eventuali dispersioni della carica: circostanze tutte che potranno avere un’azione più o meno sensibile sul movimento di quella parte di elettricità che si scarica nel circuito, e me influire sul valore del periodo 7° d’oscillazione della scarica. Ora, uno studio sistematico e simultaneo delle influenze che possono far variare 7° non è stato ancora eseguito, perchè le disposizioni adoperate fin qui non si son pre- state a ricerche fra limiti molto estesi ed in modo da tener conto simultaneamente, se non di tutti, almeno dei principali elementi. (bf: Phil Mag:,,. (4),.5) p. 393, 1853; . (2) “ Pogg. Ann. ,, 121, p. 551, 1864. (3) “ Gott. Nachr. ,, p. 17, 1869. (4) © Wied. Ann. ,, 7, p. 161, 1879. 3596 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 2 Nè si è presa mai in considerazione l’importanza della scintilla; alla cui resi- stenza vera non si è potuto assegnare un valore esatto, nonostante le ricerche di Trowbridge, di Cardani e di Heydweiller, date la grandissima mutabilità della scin- tilla stessa da un caso all’altro e la variabilità della sua resistenza dal momento in cui si stabilisce a quello in cui viene a cessare. Oltre le circostanze accennate sopra, a modificare il movimento dell’ elettricità nella scarica interviene il fatto che, nelle scariche oscillanti, la corrente non si distri- buisce uniformemente in tutta la sezione del conduttore. Di questa complicazione — che (come fu mostrato prima da Maxwell e poi più ampiamente da Lord Rayleigh, da Stefan e da Barton) modifica il valore della resistenza e dell’autoinduzione — non è stato tenuto conto se non per la scarica lungo fili rettilinei, pei quali soltanto, il calcolo della resistenza vera e dell’ autoinduzione vera per correnti rapidamente oscillanti è stato ‘eseguito. Infine, la trattazione completa dell'argomento richiede la conoscenza dell’energia spesa nelle varie parti del circuito, compresa la scintilla; ed in vero lo studio di tale distribuzione ha formato l'oggetto di importanti ricerche. Oltre quelle di Riess, di Paalzow, di Villari, le quali furono più che altro d’indole qualitativa, si hanno le esperienze di Heydweiller e di Cardani, nelle quali fu misu- rato il calore svolto nella scintilla e quello svolto in resistenze liquide o metal- liche facenti parte del circuito di scarica. Ma in tutte le suddette esperienze, sebbene si tenga conto del come le quantità misurate dipendono dalla capacità, dall’autoinduzione e dalla resistenza del circuito, non si determina però in qual modo la ripartizione della energia può essere influen- zata dal periodo della scarica; perchè nel caso di scariche oscillanti le misure sono state eseguite per un solo valore del periodo di oscillazione, o quelle eseguite per periodi diversi, da diversi sperimentatori, sono fra loro difficilmente confrontabili. Come dunque si vede da questo rapido cenno, gli elementi che possono influire sul fenomeno della scarica oscillatoria non sono stati studiati che isolatamente, sia nelle ricerche teoriche importantissime, sia nei varì lavori sperimentali. Manca sempre uno studio generale e sistematico, ed è quello che noi ci siamo proposti di fare, 2. — Diamo relazione, in questa memoria, della prima parte delle nostre ricerche, che conducono gia a notevoli risultati. Per esse, noi abbiamo messo insieme in uno stesso apparato: 1° Una disposizione per la misura del periodo d’oscillazione; 2° Condensatori esenti dal difetto di ritardo di polarizzazione, e circuiti di coefficiente d’autoinduzione ben noto; i 3° Calorimetri speciali per determinare la quantità del calore svolto dalle sca- riche, sia nella scintilla, sia nel circuito metallico da esse attraversato; 4° Un elettrometro che permettesse un’esatta misura del potenziale di scarica; 5° Un dispositivo per determinare la carica residua. Apparecchi tali insomma, che ci permettessero di conoscere il periodo di oscilla- zione, l'energia disponibile al principio della scarica, la quantità di elettricità effet- tivamente scaricata, e l'energia dissipata sotto forma di calore nelle varie parti del circuito. È 18) SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 337 I. MISURA DEL PERIODO DI OSCILLAZIONE A) Rivista delle ricerche anteriori alle nostre. 3. — Sebbene il carattere oscillatorio della scarica fosse riconosciuto la prima . volta sperimentalmente da Henry di Washington (1), ed anche Helmholtz (2), nella sua memoria sulla conservazione della forza, ritenesse che la scarica di una batteria fosse oscillante, fu veramente W. Thomson (3), che, per primo, stabilì le equazioni differen- ziali del movimento dell’elettricità nella scarica dei condensatori attraverso un cir- cuito completamente metallico. Integrando tali equazioni, il Thomson ottenne, pel periodo di oscillazione della scarica, la formula — già citata e ben nota — 2 1) IP= ======: ” VAGA I R? * AE A Dopo le belle esperienze del Feddersen, che richiamarono maggiormente l’atten- zione dei fisici su questo fenomeno, furono eseguite varie ricerche, sia per dimostrare sperimentalmente l’esistenza delle ondulazioni elettriche, sia per verificare le formule teoriche del Thomson. Tali esperienze — cui crediamo utile accennare brevemente — possono essere divise in due gruppi, a seconda che sono state eseguite per misurare il valore di 7 col metodo di Feddersen, o che avevano per iscopo di determinare la curva, che rap- presenta il modo in cui varia col tempo l’intensità della corrente di carica o di scarica di un condensatore. 4. JI. Esperienze eseguite colla fotografia della scintilla. — Il Feddersen (4), come sopra accennammo, fu il primo che misurò il periodo della scarica oscillatoria . ci un condensatore, fotografando la scintilla dopo che questa era stata riflessa da uno specchio rotante. In tal modo egli riuscì a constatare sperimentalmente, che, quando la resistenza del circuito è grandissima, la scarica può essere o intermittente o continua, ma che diviene effettivamente oscillante quando la resistenza scende al di sotto di un certo valore. Il periodo di oscillazione, che egli dedusse dalle misure che potè eseguire sulle fotografie delle scintille, varid — a seconda delle capacità adoperate — fra 446 e 156 X 107 sec. (1) Cfr. Lone, Modern Wiews of Electricity, p. 370. (2) Die Erhaltung der Kraft, p. 44. Berlin, 1847. (3), “© Philos. Mag. ;, (4), 5, p. 393, 1855. (4) “ Pogg. Ann. ,, 103, p. 69, 1858; 108, p. 497, 1859; 113, p. 487, 1861; 116, p. 132, 1862. Serie II. Tom. LI. R! 398 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 4 Il Feddersen studiò l’influenza della natura del conduttore, della sua resistenza, della capacità della bottiglia, ecc.; ma, non avendo eseguito misure assolute della capacità e dell’autoinduzione, ottenne soltanto delle leggi qualitative, delle quali non è il caso di occuparci. Le esperienze sopra accennate del Feddersen furon poi riprese dal Lorenz (1); il quale trovò che i valori calcolati per la durata di oscillazione della scarica corrispon- devano, per l'ordine di grandezza, ai valori osservati, ma eran sempre alquanto mag- giori di questi. Tal differenza può spiegarsi benissimo con il valore troppo piccolo attribuito alla costante dielettrica del vetro che formava il coibente dei condensatori adoperati. Per eliminare questa causa d'incertezza Trowbridge e Sabine (2) studiarono la scarica di un condensatore ad aria. La scintilla, anche in queste esperienze, era fotografata dopo la riflessione su di uno specchio rotante. Poichè la resistenza del circuito — formato da due fili di andata e ritorno — era piccolissima, la formula 1) si riduceva a T=2nV LC. Trowbridge e Sabine posero in essa il valore di L calcolato con la formula di Rayleigh per correnti rapidissimamente alternanti, ed ottennero valori di 7° dell’or- dine di 0,0000031 sec., assai concordanti con quelli teorici. Senza fermarci sulle esperienze del Boys (3) con le quali, per mezzo di un obiet- tivo rapidamente rotante, era fotografata la scintilla, — esperienze che non furono eseguite allo scopo di verificare la formula teorica, bensì per mostrare qualitativamente ad un uditorio numeroso il carattere oscillatorio della scarica stessa —, accenneremo invece a quelle appositamente instituite dal Miesler (4) per verificare la formula di Thomson. Egli fotografò la scintilla per mezzo di una lente e di uno specchio piano messo in rotazione da un movimento di orologeria. Il circuito di scarica era formato da diverse spirali di ottone, la cui autoinduzione era determinata sperimentalmente con le correnti continue, ed il condensatore era formato da alcune bottiglie di Leyda. Il periodo delle oscillazioni misurate variò da 0,000016 a 0,0000052 sec., in buon accordo con i valori teorici. Sopra tutte notevole per le opportune condizioni sperimentali e per l'accuratezza delle misure è la ricerca eseguita da Lodge e Glazebrook (5). Essi adoperarono un condensatore ad aria e un rocchetto di grande autoinduzione ma di piccola resi- stenza; e il loro metodo per misurare il numero delle oscillazioni consisteva nel foto- grafare la scintilla della scarica su di una lastra rotante, la cui. velocità si poteva mantenere costante e si poteva misurare con grande esattezza. Scopo delle ricerche era di mostrare come questo metodo possa servire a determinare il valore della velo- (1) ©‘ Wied. Ann. ,, 7, p. 161, 1879. (2) “ Phil. Mag. ,, 80, p. 323, 1890. (8) “ Phil. Mag. ,, 30, p. 248, 1890. (4) “ Wien. Ber. ,, 99, IL a, p. 579, 1890. (5) Cambr. Phil. ‘Trans; 18, p.136;. 1399. TRE MT I, venne ei pn re 5 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 339 cità critica v con la formula v= suli CL, essendo 7 il periodo di oscillazione. Intro- ducendo in questa formula i valori di L e di C e del periodo di oscillazione, che si potevano avere con grande precisione, essi trovarono vE 3,009 >< 1010 RIT e quindi anche queste misure possono servire di verifica alla formula che dà il periodo di oscillazione secondo la teoria del Thomson. Va notato che i valori del periodo misurati da Lodge e Glazebrook sono com- presi fra Sao Teva di sec. e sì riferiscono quindi ad oscillazioni assai lente; ma i risultati hanno tuttavia speciale importanza, perchè le singole determinazioni supe- rano in esattezza quelle di tutti gli altri. Periodi di oscillazione assai più brevi (dell’ordine di Tod 006 di sec.) furono stu- diati dal Decombe (1), il quale fotografò la scintilla di un risonatore hertziano com- binando insieme una lente ed uno specchio rotante. Con le fotografie così ottenute fu constatato che un eccitatore hertziano — conformemente alle teorie di Poincaré e Bjerknes — emette oscillazioni di un solo periodo. Peraltro queste ricerche non vennero eseguite per fare uno studio quantitativo esatto del periodo di oscillazione, talchè le abbiamo qui citate sopratutto per indi- care fino a quale rapidità di oscillazione sono state finora fotografate le scintille dei condensatori. Ed a questo medesimo scopo ricorderemo finalmente che anche Trowbridge e Duane (2), misurando la velocità con la quale si propagano le oscillazioni elettriche nei fili metallici, fotografarono, col solito metodo dello specchio rotante, delle scin- tille il cui periodo era di circa 2 X 107 sec. 5. — II. Esperienze eseguite col metodo delle curve di carica e di scarica. — Prima di riferire le esperienze fatte per dedurre il periodo di oscillazione dall’anda- mento che si osserva nelle curve di carica o di scarica di un condensatore, ricorde- remo che v. Oettingen (3) aveva riconosciuto la natura oscillante della scarica, studiando il segno e il valore della carica residua di una bottiglia di Leyda in un istante imme- diatamente successivo a quello in cui la scarica era avvenuta. Ma crediamo inutile fermarci ad esporre dettagliatamente i metodi ed i risultati di tali esperienze, che hanno avuto solamente carattere qualitativo, tanto più che nemmeno si prestano a misure del periodo di oscillazione. Si possono peraltro ricavare opportunamente i valori di detto periodo dallo studio dell'andamento della carica o della scarica di un condensatore: carica e scarica, che si fanno avvenire attraverso un circuito contenente una resistenza e un’autoin- duzione. (1) * C. R. ,, 126, p. 518, 1898. (2) “ Phil. Mag. ,, 40, p. 211, 1895. (3) © Pogg. Ann. ,, 115, p. 513, 1862. 340 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 6 Dalla forma delle curve che rappresentano il fenomeno, — e che si possono tracciare misurando in istanti successivi, sia la quantità di elettricità, sia il potenziale di una delle armature del condensatore —, è facile dedurre il valore del periodo col quale si compiono le oscillazioni. Disposizioni sperimentali che si prestano assai bene per tali ricerche, sono quelle nelle quali si fa uso del classico interruttore a pendolo, di cui si servirono l’Helm- holtz (1) e lo Schiller (2) nei loro studi sulle oscillazioni elettriche. Tali oscillazioni si producevano in un circuito indotto A' (i cui estremi comunicavano con le armature di un condensatore), allorchè si stabiliva o s’ interrompeva una corrente in un circuito inducente A vicino ad esso. Ordinariamente però, invece di caricare il condensatore con una corrente indotta, E si eseguisce la carica con una pila (fig. 1) P nel cui circuito sia inclusa GS una spirale $S. Coll’interruttore si apre in un dato istante il circuito della E pila nel punto A, e dopo un determinato intervallo di tempo l'interruttore "ol stesso apre il circuito della spirale in B e si misura la carica che resta SG) dI allora sul condensatore. Fra gli studi più accurati, fatti in questo indirizzo, possono citarsi le misure eseguite da Hiecke (3) sulla quantità d’elettricità che rimaneva su d’un con- densatore in istanti diversi e successivi a quello in cui si interrompeva la carica. I risultati di tali misure concordarono pienamente con le deduzioni teoriche. Esperienze più recenti son quelle del Robb (4), il quale teneva il condensatore in comunicazione con la sorgente di elettricità durante tempi brevissimi e via via crescenti. Il tempo della carica era determinato dalla durata del contatto che si sta- biliva per l'urto fra due sfere d’ acciaio. Questa durata dipendeva dal peso delle sfere e dall’altezza da cui cadeva una di esse sull’altra. Quando la durata dell’urto, e quindi della carica, diveniva inferiore a circa 20 X 107° sec., la carica acquistata dal condensatore e misurata con un galvanometro Siemens a grande resistenza, non era costante, ma presentava delle oscillazioni in più o in meno rispetto alla carica normale. Quelle oscillazioni erano tanto maggiori, quanto più piccola era la resistenza del circuito di carica e quanto maggiori erano la capacità, la f. e. m. e l’autoindu- zione, precisamente come si deduce dalla teoria, che all’ampiezza di tali oscillazioni assegna il valore A DI Li t Ee : y loani Ma l'incertezza che si ha nel valutare con questo metodo la durata del tempo di carica, dà anche a queste esperienze un carattere solamente qualitativo. Parimente il Wulf (5), in uno studio sulla dissipazione dell’energia nei dielettrici, determinò, mediante il solito interruttore mosso da un peso cadente, la curva della 1) “ Werh. d. Nat. Med. Ver. zu Heidelberg ,, 30 aprile 1869, p. 855. 2) “ Pogg. Ann. ,, 152, p. 585, 1874. 8) © Wien. Ber. ,, 96, Il a, p. 134, 1887. 4) ‘* Phil. Mag. ,, 34, p. 389, 1892. 5) ‘ Wien. Ber. ,, 105, Il a, p. 667, 1896. (2) TC SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 541 carica residua; e fra il valore misurato del periodo e quello calcolato con la formula T=2nY LC ottenne buon accordo pei condensatori che non presentavano penetra- zione della carica, ma trovò una divergenza discreta per 2 condensatori a carta paraffinata. Disposizioni meglio adatte a fornire verificazioni quantitative, si hanno peraltro nelle esperienze eseguite da Tallqgvist, da Seiler e da Webster. Tallgvist (1) imprese a verificare le formule che esprimono la carica di un con- densatore in funzione del tempo; e per misurare la durata della carica si servì di un interruttore a pendolo. Dalla forma che il Tallqvist ottenne per la curva rappresentante la carica assunta in tempi via via crescenti da un condensatore a lamine di mica, si deduce che per una data combinazione di capacità e di autoinduzione (C= 1,012 microf. L= 0,587 X10? cm.) la durata dell’oscillazione varia fra 4,859 e 4,832 millesimi di secondo, mentre per quei valori di L e di C la formula teorica dà 4,821 o 4,868 X 107 sec., a seconda che si adopera il valore L =0,5817 X 10° che il Tallqvist trovò per correnti con- tinue, o l’altro L= 0,5932 Xx 10° che trovò per correnti alternate. Il. valore speri- mentale medio 74,845 X 107? differisce solo dell’1°/ dal valore medio di questi due. Il Tallqvist avrebbe anche trovato che mantenendo L e C costanti e facendo variare È da 3 a 65 ohm il valore di 7 resta costante. Anche Seiler (2) eseguì ricerche simili a quelle del Tallqvist, con un interruttore a pendolo che permetteva misure ancora più accurate del tempo di carica. Il con- densatore cominciava a caricarsi appena il pendolo interrompeva un contatto che chiudeva in corto circuito la pila; e la carica — che si compieva attraverso il cir- cuito di un rocchetto d’autoinduzione nota — durava finchè il pendolo non apriva un secondo contatto. Il Seiler trovò dapprima che mantenendo costante L e facendo variare C, risul- tava verificata la formula 7T=2nV/LC; ossia, le durate di oscillazione crescenti da 0,00141075 a 0,0044763 sec., soddisfacevano benissimo alla relazione si —=GOSLì Constatato ciò, dal valore noto della capacità del condensatore e dalla durata di oscillazione trovata sperimentalmente, il Seiler dedusse i valori del coefficiente di autoinduzione di 7 rocchetti diversi, e li confrontò con quelli che per ciascuno di essi può dedursi mediante la formula di Stefan (3) che vale per le correnti continue. I valori sperimentali sono tutti minori di quelli trovati con la formula; ma le diffe- renze non superano mai il 4 °/oo per valori che vanno da 315 X 103 a 502730 X 103 cm. Il Seiler per ultimo confrontò il decremento logaritmico delle oscillazioni, che dalla teoria è dato da om V G L è) con quello che si deduce dalle curve da lui ottenute. L'accordo qui manca affatto, (1) © Wied. Ann. ,, 60, p. 248, 1897. (2) “ Wied. Ann. ,, 61, p. 30, 1897. (3) ©“ Wied. Ann. ,, 22, p. 107, 1884. 342 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 8 e il Seiler suppone che la divergenza debba attribuirsi a ciò che la teoria dello smor- zamento non è finora conosciuta completamente. Ricerche analoghe, condotte col classico metodo di Helmholtz e di Schiller, furono eseguite recentemente da Webster (1). Per eliminare le incertezze dovute alla capacità del rocchetto, quelle sull’assor- bimento di energia nel dielettrico del condensatore e quelle sull’isteresi e sulla con- duttività del coibente, il Webster sì servi di un condensatore ad aria e di due spirali avvolte appositamente, in modo che la loro capacità fosse trascurabile. L'interruzione dei contatti, anzichè col pendolo, era fatta mediante un peso lasciato cadere da altezze diverse (di circa 75 cm.); il quale, muovendo successivamente due leve, permetteva di misurare, secondo quanto asserisce il Webster, fino a 0,0000005857 sec. Con tale disposizione il Webster poteva seguire con molta precisione I’ anda- mento del fenomeno; ed il valore della carica in un istante determinato era dedotto dalla differenza di potenziale che in tale istante esisteva fra le armature del conden- satore e che veniva determinata con un elettrometro. I periodi di oscillazione misurati dal Webster erano compresi fra 0,0000246 e 0,0000586 sec. Egli si servì di tali misure per trovare il valore del rapporto fra l’unità elettrostatica e quella elettromagnetica mediante la relazione __ 2nVCL = ro ottenendo v = 3,0259 X 101° °»/x... La differenza fra questo risultato e quelli ottenuti con altri metodi è dal Webster attribuita alla incertezza nel valore adoperato per L, perchè il rocchetto non era costruito in modo da poterne determinare le dimensioni esatte. Del resto il Webster si proponeva di riprendere le misure stesse, facendo osservare che da quelle sopra riferite non si può avere un’ esattezza maggiore dell’ 1 9%. + ia 6. — I valori dei periodi fin qui osservati si trovano riassunti nello specchietto seguente: Periodi di oscillazione delle scariche. a) determinati con la fotografia delle scintille: Feddersen (1858)... .. ... ... + 4,46 a 1,56 X 107? sec. Trowbridge e Sabine (1890) . . . Sali X1078 % Boys.(1890) >. tannini Ra Bar A Miesler (1890) . ì , 5 ad XMLOES OR Trowbridge e Duane (1896) . . . DISCO 5 Lodge e Glazebrook (1899) . . . 12a0,6X10* , bh) determinati dalle curve delle correnti di carica 0 di scarica: Tallqvist (1897); n.004 00 (2,184 9,bo 086: Seller (1897) 1.5.0 CAO ee Webster: (1898) i, i Rea ele (1) © Phys. Rew. ,, 6, p. 297, 1898. RE ERE ET, VERE 7 Se n n O O nn 9 SULLE SCARICHE OUSCILLATORIE 343 Ma si deve notare che misure vere e proprie di oscillazione col metodo «) sono soltanto quelle di Trowbridge e Sabine, quelle di Miesler e quelle di Lodge e Glazebrook. Ora tanto le prime (di Trowbridge e Sabine) come le ultime (di Lodge e Glazebrook) sono importanti perchè eseguite con grande precisione, ma ciascuna di esse si riferisce ad un solo caso particolare e non servono quindi ad una verifica- zione completa della teoria. Le misure del Miesler sono state fatte in condizioni più svariate, ma, come vedremo in seguito, non si può dire che i valori da esse ottenuti sieno molto sicuri, a motivo delle incertezze che in esse presentano le misure del tempo e quelle delle fotografie delle scintille. Sono invece abbastanza buone le misure eseguite col metodo 3); ma in esse non si sono raggiunti periodi molto brevi. Era quindi opportuno l’intraprendere, intorno ad una questione così importante, nuove e più larghe ricerche. Dei due metodi che sono stati usati in tali ricerche, quello delle curve di carica e scarica dei condensatori — non introducendo scintilla nel circuito — si avvicina di più alle condizioni teoriche che servirono a stabilire la formula predetta; ma oltre i difetti che gli sono inerenti, esso non si riferisce ai casi che hanno la maggiore importanza pratica, nei quali appunto si presenta nel circuito anche la scintilla. E fra i difetti di tale metodo, il principale è quello che si riferisce alla misura del tempo che corre fra due aperture di contatti, provocate da un pendolo o da un peso cadente. Poichè sebbene le considerazioni teoriche possano condurre a ritenere misurabili frazioni piccolissime di secondo, sembra difficile si possa in realtà contare con sicurezza sui decimilionesimi di secondo come fa il Webster (v. sopra). Basta pensare alle incertezze inerenti alle disuguaglianze inevitabili del passo della vite micrometrica, a piccole oscillazioni inevitabili nel pendolo o nel peso che apre i contatti, e all’incertezza maggiore che introduce la scintilla; che (sia pur debole) si ha sempre alla rottura del contatto, per persuadersi che il più delle volte l’apprez- zamento di così piccole frazioni di secondo è del tutto illusorio, se il grave che determina l'apertura dei contatti non ha una velocità molto grande (almeno 15 ”*/see) e se non si adottano disposizioni che permettano di ridurre trascurabile od almeno costante l’azione della scintilla di apertura. Oltre a ciò è da notare che questi metodi indiretti non possono adoperarsi nel caso di periodi molto brevi, potendo al più essere adatti a rivelare con sicurezza periodi non inferiori a qualche decimillesimo di secondo. Il metodo invece della fotografia della scintilla, oltre permettere la misura di periodi molto brevi, può anche darci un’idea dell'importanza che hanno le modifica- zioni, che la scintilla stessa introduce nel movimento dell'elettricità. Fra le disposizioni pratiche messe in uso con tal metodo (cioè quella classica dello specchio rotante, quella dell’ obiettivo rotante del Boys, e quella della lastra fotografica rotante del Lodge e del Glazebrook), le due ultime non si prestano a rag- giungere una velocità angolare molto grande, e riescono insufficienti quando si voglia arrivare a periodi di pochi milionesimi di secondo. La disposizione dello specchio girante è quella che conduce senza dubbio a poter misurare periodi anche molto più piccoli, quando nella loro esecuzione si apportino tutte le cure di cui faremo parola in seguito. Z44 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI DO. B) Metodo e apparecchi usati nelle nostre esperienze per la misura sperimentale del periodo. 7. Per le ragioni suesposte noi ci siamo attenuti al metodo dello specchio rotante. In esso la condizione necessaria per avere misure assai esatte, è che la distanza fra i varî tratti luminosi componenti l’immagine della scarica sia abbastanza grande rispetto alla larghezza di questi stessi tratti. Ciò, entro certi limiti, si può ottenere rendendo grande il valore della velocità v con cui l’immagine della scintilla si sposta sulla lastra fotografica e rimpiccolendo la grandezza di quella stessa immagine. Se r è la distanza della lastra dallo specchio ed « il numero di giri che questo compie in un secondo, il valore di v è dato da v=4nra. Nella pratica è difficile superare, sia pure per pezzi rotanti assai piccoli, la velocità di circa 800 giri per secondo e mantenere costante per un tempo assai lungo una così grande velocità di rotazione; per solito riesce più conveniente pren- dere r più grande che è possibile e dare ad a dei valori moderati (da 60 a 200 giri per secondo). Ciò tuttavia nel caso nostro avrebbe portato a due inconvenienti. Il primo sarebbe stato di dover usare specchi di dimensioni notevoli per avere una buona luminosità dell'immagine, ossia specchi che si sarebbero frequentissimamente deformati e non di rado anche rotti con tali velocità angolari sempre assai grandi; l’altro inconve- niente sarebbe consistito nella necessità di aggiungere all’apparecchio di rotazione bracci rotanti simili a quelli usati dal Feddersen e da Trowbridge e Sabine, ece.; altrimenti non si sarebbe potuto far avvenire le scintille quando lo specchio si trovava in posizione opportuna per rifletterne l’immagine sulla lastra fotografica. Ciò avrebbe complicato troppo il circuito e nociuto molto alla precisione delle misure. Abbiamo quindi preferito adottare un apparecchio che permettesse di dare all'immagine una grandissima velocità angolare e ad » valori assai piccoli. Ciò, oltre a portare il van- taggio di avere immagini della scintilla abbastanza luminose, permette di utilizzare un angolo grande di rotazione dello specchio senza dover ricorrere a lastre fotogra- fiche di grandi dimensioni e quindi molto costose. Nelle nostre prime ricerche ci servimmo di un movimento di orologeria di Froment, il cui ultimo asse poteva compiere circa 450 giri al secondo. Ma la velocità di rotazione ottenuta con questo movimento non era sufficiente per tutte le nostre ricerche, ed inoltre, nonostante che la costruzione del nostro apparecchio fosse delle più accurate, trovammo che era impossibile mantenere costante il movimento; ciò che del resto accade sempre con questi strumenti, nei quali per regolare la velocità non intervengono che gli attriti e la resistenza del mezzo. Questo difetto inevitabile negli strumenti di rotazione attivati da un movimento di orologeria, fa nascere qualche dubbio sull’esattezza dei risultati ottenuti dal Miesler 11 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 345 (conf. pag. 64). Per la stessa ragione noi abbandonammo le prime serie delle nostre esperienze e adottammo nelle ricerche definitive, per la rotazione dello specchio, spe- ciali turbine il cui funzionamento ci risultò nella pratica del tutto regolare. 8. — La prima di queste turbine venne fabbricata con molta cura nell’officina dell'Ing. Santarelli di Firenze, e consiste precisamente in una sirena ordinaria (fig. 2), che ha, tanto sul disco mobile che su quello fisso, un doppio giro di fori. Il giro esterno è costituito da 26 fori, e il giro interno da 25. Il disco mobile di alluminio è leggerissimo, ed è solidamente fissato all’asse por- tante lo specchio. Quest'ultimo è di acciaio, lucido da ambe le parti. Inferiormente l’asse porta una ruota dentata pure di acciaio, la quale ingrana esattamente in una seconda ruota uguale il cui asse sostiene un secondo specchio simile in tutto al primo. L'immagine della scintilla, data da un obiettivo fotografico, viene riflessa dal primo specchio sul secondo e da questo sulla lastra fotografica. Fig. 2. Fig. 3. In tal modo la velocità dell'immagine è doppia di quella che si avrebbe con un ‘solo asse. Per mettere in rotazione costante questa sirena abbiamo adoperato con buon successo la seguente disposizione. Il vapor d’acqua fornitoci dalla caldaia di una macchina elettrica di Armstrong, che poteva resistere alla pressione di 6 atm., arrivava alla turbina attraversando il tubo 7 (fig. 3) il quale era immerso nel tubo di sfuggita del fumo per una lun- ghezza di circa 70 centimetri. In questo tubo il vapore subiva un notevole sopra- riscaldamento, ma veniva inoltre portato a temperatura assai più alta, essendo costretto a passare per un serpentino racchiuso in un manicotto di terra refrattaria, mantenuto quasi rovente da tre grandi becchi a gas. Era condizione necessaria che nella turbina il vapore arrivasse molto soprari- scaldato per evitare che vi si condensasse e che l’acqua così formata venisse a proiettarsi contro il disco mobile con un inevitabile e considerevole cambiamento della sua velocità di rotazione e con pericolo di rottura della sirena. Bisognava anzi avere l'avvertenza di aprire a poco per volta il robinetto di sfuggita, acciocchè il getto di Serie II. Tom. LI. 3: 346 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 12 vapore riscaldasse la turbina e facesse evaporare quel poco di acqua che sempre si condensava al principio dell’esperienza. La sirena poi era tutta racchiusa in una doppia custodia di ottone, munita di un grosso tubo di sfuggita, che portava il vapore fuori della stanza dove si facevano le esperienze. Dal coperchio della custodia sporgevano le estremità superiori dei due assi col relativi specchi. Quando la sirena si muoveva con piccola velocità, le due serie di fori davano due note diverse che si fondevano in un suono molto discordante, ma a poco a poco, col crescere della velocità questi suoni, aumentando talmente di altezza da sorpas- sare il limite della loro percettibilità, davano luogo al suono di combinazione. Questo suono però era molto puro e si udiva con notevole intensità malgrado il rumore degli ingranaggi. Per giudicare esattamente la nota ci servivamo di un risuonatore di Helmholtz di cui si potevano variare, entro certi limiti, le dimensioni. Dall’altezza di questo suono si poteva valutare con sufficiente esattezza la velo- cità della rotazione. Con tale turbina eseguimmo una prima parte delle ricerche, ma, dovendo in seguito prolungare anche maggiormente la durata delle sin- gole esperienze, ci fu necessario ricorrere ad un appa- recchio più robusto e perciò facemmo costruire dal meccanico del nostro Istituto, sig. Giuseppe Pierucci, un’altra turbina che è rappresentata dalla fig. 4 e che nelle parti essenziali è simile a quella di Foucault. Il vapore entra nella camera PP, ed uscendo da due aperture va a battere contro la corona di pa- lette C, portata dall’asse A, insieme con lo specchio di acciaio S efcon la ruota d’ingranaggio AR. In quest’ultima ingrana un’altra ruota perfet- tamente uguale £', portata dall’asse A’, nel quale, nel modo solito, è incastonato lo specchio S". Gli assi sono sostenuti dalle viti di registro VV, V'V'. Queste viti sono forate Fig. 4. per tutta la loro lunghezza e portano in fondo dei cuscinetti di zaffiro, pure essi forati, per consentire un'abbondante oliatura, che deve farsi per tutto il tempo nel quale ruota la turbina. Da principio, per mettere in moto l'apparecchio, ci servimmo della stessa dispo- sizione di cui si è parlato a pag. 11, per la sirena. In seguito trovammo più con- veniente e più comodo fare uso di un getto di aria compressa fornita da un grande serbatoio, nel quale veniva iniettata per mezzo di una pompa premente. L’aria con- sumata dalla turbina era un poco maggiore di quella che poteva fornire la pompa, ma riempiendo prima il serbatoio fino alla pressione di circa 6 atmosfere, e, lasciando agire la pompa durante l’esperienza, si poteva mantenere costante la velocità della turbina per circa un quarto d’ora. La regolarità dell'andamento della turbina dipende molto dalla quantità di olio che si fornisce ai perni girevoli sugli zaffiri: l’oliatura deve essere continua, ma con- dotta in modo che l'olio non ecceda di troppo. La rotazione dell’asse diviene infatti molto irregolare, sia per difetto di olio, perchè allora è troppo grande l'attrito, sia Treo na e utenti it OSE TETTO Tann ——__o 13 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 347 per eccesso, perchè in tal caso ne entra fra il disco mobile e la cassetta di distri- 1 buzione. ; È poi assolutamente necessario che l’aria iniettata nella turbina non trasporti nè goccie dell'olio della pompa, nè grani un po’ grossi di polvere, perchè fra la parte girante e la parte fissa della turbina non vi sono più di ?/1o di mm. A tale scopo sul tragitto dell’aria abbiamo posto un grosso recipiente seguìto da un lungo filtro formato da più strati di fitta rete metallica. . Per la misura della velocità di rotazione abbiamo ricorso ad un mezzo più pre- ciso di quello dell’altezza del suono. Sull’asse A della turbina era fissato un piccolo e leggiero dischetto di alluminio al cui orlo era attaccato un corto crine. Vicino a questo dischetto era posto un rullo di ottone ricoperto di carta affumicata, cosicchè, muovendosi il rullo, il crine ad ogni giro dell’ asse della turbina faceva un segno sulla carta. Alla stessa altezza del crine, segnava sul rullo girante una sottile punta metal- lica mossa da un diapason elettromagnetico, di cui si era verificato con esattezza il nu- mero di oscillazioni per secondo. Contando i tratti segnati dal crine su di una certa lunghezza del rullo e le oscil- lazioni del diapason comprese nello stesso tratto, si poteva aver conesattezza il numero < dei giri al secondo, fatti dall’asse rotante. Il rullo poi era mosso da un movi- mento di orologeria opportunamente rego- lato, il quale portava un dispositivo permet- tente di far compiere al rullo stesso un solo giro. Dopo varî tentativi si riuscì a trovare la velocità opportuna e tale che il rullo, dopo una piccola frazione di giro (che era circa !/;), acquistasse un moto sufficiente- mente costante. La fig. 5 rappresenta l'insieme della turbina, del rullo girante e del diapason. Alle colonne della turbina erano assicurate due robuste sbarre di ferro, alle quali era affidato il telaietto portante la lastra fotografica, le cui dimensioni erano SI12 emi VR Re e TV VI SRP OR =» e li np. ted AL ben a ubi di a in e i p; Ero ; er. dad È via 9. — La scintilla che si doveva fotografare avveniva in A (fig. 6) entro una grande cassa di legno che impediva l'irraggiamento luminoso. Questa cassa, C, portava in 0 un foro che poteva venire aperto o chiuso per mezzo di uno dei soliti otturatori fotografici pneumatici. Da O si partiva un tubo di cartone, il quale arrivava fino all'obiettivo L che era un astigmatico Zeiss. L'imma- gine, formata da L, veniva riflessa dallo specchio rotante S sulla lastra fotografica 348 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 14 se lo specchio stesso si trovava in posizione conveniente. La distanza dallo specchio al centro della lastra era di cm. 19,4. Un opportuno schermaglio impediva che la luce emessa dalle scintille di apertura del diapason elettromagnetico cadesse sulla lastra fotografica, onde evitare velature nocive alla chiarezza delle immagini. * 10. — Ecco come procedevano le esperienze. Quando la pressione dell’ aria aveva raggiunto nel serbatoio le 5 o 6 atmosfere, "ur AE poneva la lastra fotografica nel suo telaietto, si ec- citava il diapason elettromagnetico, e si cominciava a far passare l’aria compressa nella turbina, rego- landone l'uscita mediante un opportuno robinetto a vite che permetteva di far crescere lentamente e re- golarmente la velocità fino al valore necessario: il confronto fra la nota resa dal movimento dell’asse e quella del diapason elettromagnetico permetteva di giudicare se, approssimativamente, il valore di questa velocità era raggiunto. Per solito essa era così grande che il suono proprio della turbina aveva già oltrepassato il limite della percettibilità e si udiva soltanto il suono dell’ asse. La costanza di questo suono d’asse, e quindi l’uniformità del movimento si poteva giudi- care con sicurezza dal suo confronto col suono reso dal diapason elettromagnetico, che era mantenuto in vibrazione durante tutta l’ esperienza. Nella massima parte delle nostre misure quei due suoni erano pressochè all’unisono. Quando, nel modo ora detto, si era certi che il movimento della turbina fosse uniforme, si faceva avvenire la scarica fra le sfere dello spinterometro, ed appena si scorgeva sulla lastra fotografica l’immagine rifiessa dallo specchio, si chiudeva l’otturatore dell'obiettivo e si poneva in moto il rullo girante, su cui l’asse della turbina e la punta del diapason segnavano le rispettive grafiche. Non restava quindi che sviluppare e fissare la lastra coi soliti processi. In generale si prendevano 6 o 7 fotografie per ogni periodo di oscillazione e per ogni distanza esplosiva. 11. — L'esperienza così fatta ci forniva i dati per la misura della velocità del- l'immagine e per quella della distanza fra le varie scintilline sulla lastra fotografica. Poichè la velocità dell'immagine si deduceva facilmente da quella dello specchio e dalla distanza fra questo e la lastra; e la misura poi della velocità dello specchio si aveva senz'altro dal calcolo della formula ae 517,2.% n , dove n è il numero di vibrazioni del diapason comprese in un tratto della grafica, ed »' il numero dei segni tracciati sul tratto corrispondente dal crine unito all'asse della turbina, essendo 517,2 il numero delle oscillazioni complete che fa il diapason in un secondo a 25°. ai 15 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 349 Perciò in queste prime nostre esperienze (nelle quali abbiamo sempre usato un solo asse della turbina) la velocità dell'immagine sulla lastra fotografica era V=4ndN essendo d la distanza fra lo specchio e la lastra, distanza che nel nostro caso era di cm. 19,4. La determinazione delle distanze fra le immagini delle varie scintilline era invece una cosa che richiedeva una cura speciale ed una certa pratica. Nelle esperienze preliminari eseguivamo una tale determinazione servendoci di un comparatore di Froment diviso in mezzi millimetri, il cui nonio poteva dare il centesimo di milli- metro. Sul pezzo scorrevole di questo comparatore portante il nonio, era stato fis- sato un oculare di piccolo ingrandimento munito di reticolo. La misura si faceva ‘ sulla lastra quattro volte, due andando in un senso, due nell’altro, e se ne pren- deva la media. Per dare un'idea dell’esattezza di queste misure riportiamo i valori spettanti ad una lastra qualunque (N° 4, 1* Serie): Distanze successive fra le scintilline corrispondenti a periodi completi. 18 misura mm. 0,38 0,34 0,35 0,31 0,39 0,36 0,31 0,35 10° CISA 0,39 0,33 0,36 0,29 041 0,84 0,32 0,35 RIN, MESMSNIO IR 0 96 10,300 0,40. 0,34 0 0,82. 10/35 RARCOR et piaga: 0:95 © 00,30 Col ‘034 0,32 ‘0,95 Media 0,385 0,332 0,355 0,380 0,402 0,345 0,318 0,35 La misura, eseguita sulle lastre fotografiche, delle distanze fra le singole scin- tilline che si riferiscono a periodi completi, non ci ha mai fatto rilevare notevoli differenze fra i primi e gli ultimi periodi di oscillazione. Ma poichè siffatta misura presenta spesso verso il finire della scarica troppa incertezza in causa della poca luminosità, così nelle nostre determinazioni abbiamo finito per tralasciare sempre di considerare queste ultime scintilline così incerte. In tutti i casi però, per la stessa scarica, abbiamo sempre fatto due misure, una per le scintille che presentano la luminosità positiva all’elettrodo superiore ed una per le scintille che la presentano all’elettrodo inferiore. Era necessario poi ridurre la lettura di queste distanze, determinate sulle lastre, all’arco di cerchio. Ora le misure dirette ci forniscono i valori di NA ed NB del- l'arco a corrispondente che ci è dato evidentemente da NB NA a = arctang SN arctang SN se SN (fig. 7) è la distanza fra lo specchio e la lastra fotografica. 350 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 16 Trovato a, il periodo 7 della scarica, che è dato da T=9, ci è quindi fornito anche dalla formula n Di 4m.517,2np si) che si presta assai bene pei calcoli numerici. Y A B Z Fig. 7. 12. — Riportiamo nelle tabelle qui unite alcuni esempi relativi alla misura di un periodo di oscillazione. In esse D e D' sono le distanze NB ed NA della fig. 7; n ed n' sono i numeri di vibrazioni del diapason e dei giri della turbina contati su tratti corrispondenti delle grafiche, p il numero dei periodi compresi nel tratto di lastra misurato. Me ET SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 351 Esperienze colla grande spirale avvolta sul marmo (v. pag. 44). Autoinduzione della spirale cm. 4546000. Capacità del condensatore C= cm. 14175. ; T=®" VIO=0,00005317 — distanza esplosiva mm. 2. Di sore n n' D D p T OSSERVAZIONI SE Z ì o 148 | 24 5,0495 | 0,5205 | 4 0,00005404 14 9 — a 4,4705 | 0,0015 | 4 0,00005374 La 138 | 21,8 2,818 4,748 7 0,00005339 ge 15 È (| = 3,423 5,280 8 0,00005363 È : | 122 | 18,9 9,326 2,031 3 0,00005417 See 706 | 1431 | 3'|0/00005434 : ! 151 | 30 2,1675 | 4,7525 | 5 | 0,00005444 17 i — = 1,4875 | 5,3945 | 5 | 0,00005386 | 156 | 35 5,433 | 0,712 | 3 | 0,00005403 18 — | — | 45605 | 0,021 | 3 | 0,00005303 È 139% 02319 | 254484 6 | 0,00005347 19 25 o TA ds ty 4,096 | 5 | 0,00005296 Valore teorico 0,00005317. Media 0,00005376. 352 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 18 Esperienze colla piccola spirale avvolta sull’ebanite (v. pag. 44). Autoinduzione complessiva del circuito cm. 57797. Capacità del condensatore C = cm. 3568. mr VLC=0,000003008 — distanza esplosiva mm. 2. o 3 si TE ° n n oi zè 1 | 122 | 122 23 147 | 1492 8}|- | 4 144 | 144,3 5) 126 | 129,8 6 1200 LS 7 144, | 147,3 D' p 10 5,005 6 (0,000002986 9,226 6 |0,000003037 1,682 13 (0,000003011 0,345 9 |0,0000083173(2) 5,2485 | 10 |0,000003032 4,3095 | 8 |0,000008053 1,077 1,300 3,721 3,462 9,062 9,916 4,976 4,718 4,300 4,928 Valore teorico 0,000003008 9 |0,000003011 9 :0,000003022 10 (0,000003034 9 0,000002981 4 10,000002904(?) 4 (0,000003039 14 |0,000003036 14 |0,000003001 5 0,000003042 7 |0,000003021 Media 0,000003024. OSSERVAZIONI Non è netta. Si misurano due scintille che si sono succedute sulla lastra a breve in- tervallo. SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 353 Esperienze con circuito di filo di rame a forma di cerchio (v. pag. 42). Autoinduzione complessiva del circuito per 7 = 0,00000120 em. 9242. Capacità del condensatore C = cm. 3568. T= = VLC=0,000001201 — distanza esplosiva mm. 5. n n D | ID} | p (E OSSERVAZIONI della lastra 4,941 2,985 | 15 | 0,000001213 77) | 1845| 138 | 4,863 | 2,526 | 15 | 0,000001205 5,202 | 0,634 |29 | 0,000001224 79} | 158 | 157 | 5,296 | 0,898 |31 | 0,000001229 2,580 | 2,451 |33 | 0,000001220 80%} 122 | 120 2,521 | 0,854 |22 | 0,000001232 SATA 2,347 | 5,378 | 19|0,000001194| *.813| 143 | 140 ù i 2,275 | 5,212 |19| 0,000001205 1,818 5,493 | 23 | 0,000001189 | di. 2,966 3,050 | 39 | 0,000001210 Meet83 | 162 162 "O: 2,893 2,843 | 37) 0,000001221 3,147 1,153 | 28 | 0,000001210 i 74 | 76 | | 1,742 | 5,488 | 23 | 0,000001197 si 153 | 153 3,080 0,959 | 26 | 0,000001224 Valore teorico 0,000001201 — Media 0,000001212. Ca Ti LL %; 354 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 20 Dalle tabelle qui sopra riportate — che contengono le misure di uno dei periodi più lunghi, di uno degli intermedi, e di uno tra i più brevi che noi abbiamo otte- nuto — si vede che anche quando le difficoltà delle misure sono le più grandi l’errore che si può commettere nella valutazione del periodo non arriva al 29; e per i periodi non molto brevi si consegue un’esattezza anche maggiore. Noi crediamo che, nello stato attuale, una precisione più alta di quella da noi conseguita non si possa raggiungere, e ne diremo a suo luogo le ragioni. Ora, volendo confrontare il valore sperimentale con quello che pel periodo si ha dalla teoria di Thomson, era necessario disporre le cose in guisa da poter ottenere con un’esattezza non inferiore a quella sopra indicata i valori degli elementi che entrano nella formula del Thomson, cioè della capacità, della resistenza e dell’auto- induzione del circuito di scarica. È quindi necessario che esponiamo brevemente il modo 6 le cure con cui abbiamo misurato cotesti elementi del circuito. C) Capacità, resistenza e autoinduzione del circuito. a) Condensatore. 13. — Onde conoscere la capacità con l'esattezza dovuta, sia per la misura del periodo, come per quella dell'energia disponibile che ci occorreva determinare per lo studio della ripartizione della scarica nelle varie parti del circuito, era anzitutto neces- sario che il condensatore non presentasse le difficoltà che verrebbero introdotte dalla penetrazione della carica e dal ritardo di polarizzazione, che si hanno sempre nei con- densatori a dielettrico solido. Ciò poteva conseguirsi solamente adoperando un con- densatore ad aria, che abbiamo costruito espressamente per queste ricerche. Esso è formato da 70 lastre di vetro da specchi, piane, ricoperte di stagnola da entrambe le faccie, e separate l'una dall’altra da prismetti di vetro. Le lastre da specchi ci sono state gentilmente fornite dall’Ing. Sauter della Fab- brica di specchi S. Gobain e Cirey di Pisa. Esse sono rettangolari, ed hanno una superficie di 70 X 35 cm. e uno spessore variabile da lastra a lastra, compreso fra 7 e 10 mm. Su ciascuna di esse è stata distesa, come si è detto, da ambe le parti una lamina sottile di stagnola tutta di un sol pezzo, facendola aderire, con cure speciali, al vetro in modo che non restassero nè increspature, nè la minima bolla d'aria. Le medesime stagnole, dopo distese sul vetro, furono tutte tagliate delle dimen- sioni esatte di 63 X 28 cm., in maniera che intorno ad esse restasse libero un orlo di vetro di 3,5 cm. di larghezza. Le due stagnole poi applicate sulle due faccie di ciascuna lastra furono riunite tra loro per mezzo di una sottile strisciolina di ottone (larga circa 4 mm.), la quale serviva, allo stesso tempo, per stabilire le opportune comunicazioni. : ] 1 i : 4 i î DI SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 355 Le 70 lastre furono disposte in due pile di 35 ciascuna; lasciando alla prima e all'ultima lastra di ogni pila la stagnola dalla sola parte interna. Perchè fra le suc- cessive lastre l’intervallo rimanesse inalterato e ben noto, ciascuna coppia fu sepa- rata con sei prismetti di vetro, i quali furono scelti con lo sferometro uguali fra loro fino al centesimo di millimetro. Credemmo però opportuno misurare anche direttamente la distanza fra le lastre, dopo che i condensatori erano stati completamente montati. A questo scopo ci ser- vimmo di un ottimo catetometro, che ci confermò i risultati delle misure fatte con lo sferometro. E cioè i prismetti della pila dei condensatori N. 1 risultarono di uno spessore medio di cm. 0,743, quelli della pila N. 2 dello spessore medio di cm. 0,738. In ognuno dei due condensatori furono messe in comunicazione fra loro rispettiva- mente le lastre di numero pari e quelle di numero dispari, riunendo poi le rispet- tive code di ottone in due fasci, che vennero congiunti a due serrafili, portati da bastoni di vetro. Ciascun condensatore era collocato su d’un solidissimo banco di legno e le rispet- tive lastre erano sorrette lateralmente da sei squadre di vetro, perchè si avesse un’ assoluta stabilità. L'apparecchio infine era difeso da una custodia‘ di vetro, nel- l'interno della quale 1’ aria era mantenuta asciutta da quattro recipienti d’ acido solforico. 6) Misura della capacità. a) Valore teorico. 14. — Poichè sono conosciute con esattezza le dimensioni del nostro conden- satore, se ne può valutare la capacità mediante la formula _ (at+)(6+4+0) CE 4nd 0, dove a e 5 sono le dimensioni lineari di ciascuna armatura degli n condensatori ele- mentari costituenti il condensatore complessivo, d la media della distanza fra le faccie prospicienti di ciascun condensatore elementare, ed e un termine di correzione dovuto alla maggiore densità della carica agli orli. Per armature formate da lastre sottili questa correzione consiste nell’aggiungere un termine tale alle dimensioni lineari dell’armatura del condensatore, quale sarebbe quello corrispondente all’ aggiunta di una striscia che avesse la larghezza uguale a d log.2 (1), e che circondasse tutto il perimetro delle armature del condensatore stesso. Quindi nella formula sopra riportata d e=2 7 18.2 (1). (1) Maxwett, vol. I, $ 196. 356 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 29, Le dimensioni delle armature dei singoli condensatori che costituiscono il con- densatore N. 1 sono a=63, b=28 cm., lo spessore medio dei GUDSANE è di cm. 0,743. Avremo perciò come termine di correzione e22 dig — 0,308; sarà quindi la capacità del 1° condensatore (63 + 0,328) (28 + 0,328) C=34 4m X 0,743 = 6533 unità elettrostatiche [C. G. S.]. Pel condensatore N. 2, la distanza media fra le lastre è cm. 0,738, quindi il termine di correzione è e 20189 1g,2. 10,326, e la capacità __ a (68-+0,326)(28+-0,326) _ Co= 34 dm X 0,788 =!600 6.201: La capacità teorica dei due condensatori riuniti in quantità è quindi 13109 U NE [CAGES]: Per altro non ci siamo accontentati di questi valori teorici per i calcoli dei risultati: delle nostre ricerche, perchè, come risulta da esperienze appositamente ese- guite in questo Istituto dal Dott. Gragnani, e non ancora pubblicate, per condensa- tori che abbiano le dimensioni del nostro, la suddetta formula è in difetto; e in secondo luogo perchè in questo condensatore ciascuna armatura è formata da 2 fogli di sta- gnola separati da una lastra di vetro dello spessore da 7 a 10 mm., e ciò fa allon- tanare ancora di più dalle condizioni per le quali la suddetta formula è valida. Inoltre non si può calcolare con sicurezza quale influenza possa avere sulla capa- cità effettiva la vicinanza sia di masse conduttrici, sia delle pareti e del pavimento. Di più quantunque le lastre da noi usate siano da specchio e ben lavorate, non si può essere sicuri che sieno perfettamente piane e tutte esattamente fra loro parallele. Abbiamo quindi misurato la capacità del nostro condensatore, sia per confronto con un campione, sia determinandone sperimentalmente il valore assoluto. B) Valore sperimentale. 15. — 1° Per confronto con un condensatore campione. — Il campione ci è stato favorito dal chiar.®° Prof. Roiti, e porta il N. 1099 della Casa Latimer Clark Muhirhead e C.° (Westminster), formato da lamine di stagnola separate da fogli di mica. Il valore assegnato per la capacità dalla Casa costruttrice è !/3 microfaraday ; quello trovato dal Prof. Roiti (1) con misure appositamente istituite è di 0,3359 microf., assai vicino al valore 0,3336 trovato da Glazebrook (2) per un altro campione for- nito dalla stessa Casa. (1) “N. Cim. ,, (3), 21, p. 137, 1887. (2) “ Phil. Mag. ,, (5), 18, p. 98, 1884. pi RIE LE SIE - LS ER — RT en la nate ai sian sintetiche consi -È. 23 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 5357 Soltanto è da osservare che nel calcolo del valore assoluto della capacità il Ròiti prese per l’unità B. A di resistenza il valore 0,9883 ohm legali, mentre nel Con- gresso di Chicago del 1893 fu stabilito che fosse 1B. A = 0,98703 ohm internazionali; 0,9883 quindi il valore dato dal Riti deve moltiplicarsi per 098708 = 1,0013, per averlo ridotto nelle unità assolute attualmente adottate. Esso diviene adunque: 0,3359 X 1,0013 = 0,3363 microfaraday. Il confronto fra questo campione e il nostro condensatore ad aria è stato fatto scaricandoli successivamente attraverso un galvanometro balistico, dopo averne por- tate le armature a differenze di potenziale che stavano in un rapporto conosciuto, e che erano scelte in modo che le deviazioni dell’ago galvanometrico fossero in ambedue i casi dello stesso ordine di grandezza. La corrente di carica era fornita da 3 accu- mulatori Tudor, il cui circuito durante l’esperienza era permanentemente chiuso attra- verso una grossa spirale di argentana, che aveva una resistenza totale di 51,14 B.A. Per caricare il condensatore campione, si prendeva una derivazione della cor- rente fra un estremo A della spirale e un punto B situato a circa !/ della lun- ghezza della spirale stessa; per caricare il condensatore ad aria si prendeva la derivazione ai due estremi A, C della spirale. Il rapporto fra la resistenza totale e il tratto AB di questo reostato fu trovato uguale a 19,29. Il galvanometro balistico era del modello Du Bois e Rubens, il cui ago aveva un’oscillazione completa della durata di 18 sec. La carica del condensatore si faceva durare 1 secondo. CONFRONTO COL CONDENSATORE CAMPIONE Larimer-CLARK MuIRHEAD E C. x a) La corrente che serve a caricare il campione è presa in derivazione tra i punti A e B del reostato, in cui passa continuamente la corrente di tre accumulatori Tudor. Il condensatore si tiene in carica per un secondo. Deviazioni al galvanometro. | | Posizione di riposo | Punto d’'inversione . Deviazione il 250 46 204 251 47 | 204 250 45 | 205 248,5 43 205,5 858 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 24 Si invertono i poli della pila. 250 454 204 249,5 453 203,5 249 453 204 251 454 203 251 454 203 Media 204,1 ») Si pongono in quantità i due condensatori N. 1 e N. 2. La corrente di carica è presa tra gli estremi A e C del reostato. 248 434 186 248 435 187 248 435 187 249 435 186 248,5 435 186,5 Si invertono i poli della pila. 249 61 188 250 62 188 251,8 64 187,8 è 253 64 189 254 66 188 Media 187,33 La capacità dei due condensatori ad aria è quindi __ 187,33 X 0,3363 — 204,1 X 19,29 = 0,016001 microf. Abbiamo poi ripetute le misure, sostituendo alle resistenze AB ed AC del reostato anzidetto, altre due molto più grandi, fornite da due cassette di resistenza Edelmann, con una delle quali si inserivano 530 unità e con l’altra 9690. Il rapporto fra le resistenze, ai cui estremi si prendevano le derivazioni per le correnti di carica, era quindi 9690 + 530 a = 19,28. VO 25 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 359 Riportiamo qui i risultati ottenuti con le dette resistenze nel circuito. DEVIAZIONI AL GALVANOMETRO col condensatore Latimer-Clark. Posizione di riposo | Punto d’inversione| Deviazione 251 46 205 250 | 45 205 250 44 206 Si invertono i poli della pila. 251 | 455 204 251 454 203 251 | dos Vada Media 204,5 col condensatore ad aria (n° 1e 2 in quantità). 251 438 187 251,5 439 19905 251 438 Ve 186 Si invertono i poli della pila. 251 | 63 | 188 251 63 188 251 | 64 187 187,25 X 0,3363 204.5 X 19,28 — 0,015972. Co — La concordanza tra i valori C, e C, è assai grande e la loro media ci dà per la capacità cercata: C= 0,015987 microfarad. | cioè 14388 unità elettrostatiche C. G. S. 360 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 26 16. — 2° Misura assoluta della capacità. — Per meglio assicurarci del valore della capacità del nostro condensatore ad aria, abbiamo voluto farne — come dicemmo — anche la taratura in misura assoluta col metodo del ponte, proposto da J. .J. Thomson (1). La disposizione che noi abbiamo usata è esattamente quella già adottata e descritta dal prof. Riti (2). Se indichiamo con a, è, d, g e p rispettivamente le resistenze dei tre lati del ponte, del galvanometro e della pila e con » il numero di oscillazioni per secondo del diapason, il valore © della capacità sarà dato da e alla +d+g9a+b+p)—a?] — nllatb+pc+d)—aa+bDila+d+g9a+9)—ala+0d ‘ Come interruttore ci siamo serviti di un diapason elettromagnetico eccitato da un altro diapason all'unisono. Questi diapason favoritici dal chiar.®° Prof. Ròiti son costruiti in modo del tutto simile a quelli descritti nella Nota sopra citata. Il numero » di oscillazioni complete era di circa 126 per secondo. L'andamento regolarissimo dei diapason rendeva facile l’ esecuzione di queste misure. Tuttavia per giudicare del grado di esattezza raggiunto nella determinazione del valore assoluto di ©, occorre indicare con quale precisione potevamo misurare i varî elementi della formula sopra riportata. 1. Determinazione del tempo. — La durata delle vibrazioni del diapason si deter- minava col metodo Duhamel, appena cessata un’esperienza di misura della capacità, registrando contemporaneamente su d’ uno stesso cilindro girante le vibrazioni del diapason stesso, per mezzo di una molletta di ottone portata da uno dei rebbi, e le oscillazioni del pendolo di un cronometro di Graham, mediante un avvisatore elet- trico di Verdin. Questo pendolo fu regolato esattamente col tempo medio mediante un crono- metro della R. Marina, gentilmente favoritoci dal Comando della R. Accademia navale di Livorno. L'esame delle grafiche ottenute ci dava il valore di n con esattezza di 0,2 per mille, poichè per ogni grafica si contavano le vibrazioni compiute in 10 o in 12 secondi, e non si poteva sbagliare di più di 2 o 3 decimi di vibrazione. In tutte le misure da noi fatte si è constatato che rimanendo le stesse le condizioni del diapason, esso manteneva la sua nota assolutamente costante. 2. Determinazione della resistenza d. — Questa misura è stata fatta per mezzo del ponte Elliott N. 1381, che non era mai stato adoperato — da quando fu acqui- stato — con f. e m. superiore a 2 volta. Anche nelle misure attuali, la corrente era fornita da un solo accumulatore Tudor assai stanco. Tal ponte è graduato in unità B. A a 16°C,, e, secondo le indicazioni fornite dalla Casa Elliott, il coefficiente di temperatura del filo di platino-argento da cui son formate le spire è 0,0003. (1) © Phil. Trans. of the R. Soc. ,, part III, p. 707, 1883. (2) “ N. Cim. ,, (8), 21, p. 137, 1887. Pe | SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 361 Poichè si è usato il ponte senza reocordo, le resistenze necessarie a raggiungere l'equilibrio al galvanometro si deducevano da quelle che si dovevano introdurre nel ramo d perchè la deviazione cambiasse di segno. Abbiamo ottenuto i dati relativi a queste misure da esperienze numerose ese- guite in giorni diversi, sia tenendo ambedue le armature del condensatore isolate, sia ponendone una al suolo. In tutte quante abbiamo fatto uso di un galvanometro Du Bois e Rubens coi rocchetti in serie, della resistenza complessiva di 875B.A, ai quali abbiamo aggiunto | una resistenza di 3000 Ohm B.A. In alcune misure abbiamo anche adoperato un altro ponte, pure di Elliott, che è stato accuratamente tarato mediante quello sopra indicato. i Per risparmio di spazio riportiamo qui una sola delle tabelle relative alla deter- + minazione del valore di d. I due condensatori in quantità con una delle armature a terra. GaLvanomerRo Du Bors E RuBENS: Vibrazioni del diapason n = 126,56. | | Hi incratura n A b È pren del i 239,9 3087 10 10000 500 248 _ 262 a 5 È 520 248 —_ 231 È > 3 510 248 n 247 "i x 3 509 248 — 248 E 3 5 508 248 —_ 249,5 Valore corrispondente all’equilibrio 909 239,9 3087 10 10000 505 248 — 255 P È x 510 249 _ 246 n x n 508 249 — 251 È a î 509 249 _ 248 Valore corrispondente all’equilibrio 508,7 Serie II. Tom. LI. lia 362 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI n 28 Si invertono i poli della pila. ARA | ; ) | 1 È leo del Slpenpoo 240 | 8087 10 10000 510 249,5 — 251,5 ’ ” n 508 249,5 — 248 ” » ” 509 249,5 — 250 Valore corrispondente all’equilibrio 508,8 24° SOB mio | 10000 | 508 250 _ 248,5 ” ” 5 510 250 =" 252 n 5 |» | 509 250.1) = 1*2508 Valore corrispondente all'equilibrio 508,8 Si vede da questa tabella che il valore di d si poteva determinare con tutta sicurezza a meno del 2 per mille per ciascuna determinazione. Riportiamo nel quadro seguente i risultati definitivi ottenuti, per i diversi con- densatori, da tutte le misure che abbiamo eseguite. | cd I condensatori I e II in quantità | Temperatura | n | a b d g Valore corrispondente di C 24° | 126,56 | 10 1000 509 3087 | 126,56 508,7 | 508,8 508,8 Medie | 126,56 10 1000 508,82| 3087 C=0,015516 Valore corretto per la temperatura C,= 0,015479 2494 | 126,56 | 100 10000 | 5049,4 | 3087 5047 5052 5055 | Medie 126,56 | 100 | 10000 | 5050,8 3087 C= 0,0155838 Valore corretto per la temperatura C,= 0,015544 er er "i SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 363 Via 3 | Temperatura n a b d g Valori corrispondenti di C 2404 | 126,55 | 1001 | 9999 | 50497 | 3087 126,56 5049,6 | 5049 | 5048 5048,5 da Medie 126,56 | 100,1 | 9999 | 5049 | 3087 C= 0,015606 A Le Valore corretto per la temperatura C, = 0,015567 Hei 249,9 | 126,56] 9,984] 9999 | 506,2 3087 ‘| »C=0;015581 Valore corretto per la temperatura C,= 0,015539 Valore medio di C, (corretto per la temperatura) C,=0,015532 ConpensatoRE N. I Bi: 249,6 126,56 | 100,1 9999 | 10006 3087 sa MT. 10008 10006 | Medie 126,56 | 100,1 9999 | 10007 | .3087 C= 0,0078854 ta Valore corretto per la temperatura C,= 0,0078657 “& OE 20:56] 09,984], 9999 | 999,5 | 3087 C= 0,0078875 Valore corretto per la temperatura Ci = 0,0078663 Valore medio di C, (corretto per la temperatura) C,= 0,0077866 ConpensatoRE N. II 24015 126,56 | 100,1 | 9999 | 10121 | 3087 Vo vr 126,06 | 100,1 | 9999 | 10121 3087 E ile Medie 126,56 | 100,1 | SER MIEI 3087 C—= 0,0077976 è Valore corretto per la temperatura Ci = 0,0077782 | 2059 | 126,56 | 9,984] 9999 |1011,5 | 3087 | C=0,0077946 lo Valore corretto per la temperatura C, = 0,0077736 Valore medio di Ci (corretto per la temperatura) C,= 0,0077759 364 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 30 I valori delle resistenze scritti nelle presenti tabelle sono espressi, come dicemmo, in 104,83 1009 = 0:98617, che è il rapporto che passa fra le unità del nostro ponte e l’Ohm internazionale. Cosicchè avremo per unità B.A.; perciò i valori medi di C, vanno corretti dividendoli per Condensatori I e II in quantità 0,015750 microf. Condensatore Neon e a 100007976308 ; Ni Hu ra 000 788495 17. — Riassumendo possiamo scrivere nel seguente quadro i valori delle capacità ottenuti coi diversi metodi. A) I due condensatori în quantità. Unità elettrostatiche Microfarad. [C. G. S.] \ dedotta dal confronto col campione Latimer-Clark 14388 0,015987 Capacità SPACIS | dedotta dalle nostre misure col ponte. . 14175 = 0,01575 B) Il solo condensatore N. 1. Capacità . dedotta dalle misure col ponte . ; É ; 7178 0,007976 C) IL solo condensatore N. 2. Capacità . dedotta dalle misure col ponte . î È i 7096 0,007885 La somma delle capacità dei condensatori N. 1 e N. 2 concorda quindi abba- stanza con quella dei due condensatori riuniti in quantità, tanto più se si considera che la misura delle capacità di ciascun condensatore singolo presenta minore sicu- rezza, in causa del loro piccolo valore; e che la prossimità fra i due condensatori esercita una debole influenza sulla capacità di ciascuno di essi. L’esiguità della differenza fra il valore assoluto da noi trovato col metodo del ponte e quello dedotto per confronto col campione Latimer-Clark si può ritenere come riprova dell’esattezza delle nostre misure. Tale differenza deriva probabilmente da che il campione può avere subìto una leggera variazione nei 15 anni trascorsi da quando il Prof. Roiti eseguì le sue esperienze, e dal fatto che, nelle esperienze di confronto, la carica durava 1", mentre in quelle eseguite col ponte durava solo !/500 Circa di sec. In queste ultime ci si avvicinava quindi maggiormente alle condizioni in cui il con- densatore funzionava durante la misura del periodo di oscillazione. Riteniamo quindi che il valore da adottarsi nei nostri calcoli sia quello dedotto dalle nostre misure assolute, e cioè: U. E. [C. G. S.] Mierofaraday Pel condensatore N. 1 È E 7178 0,007976 PIRA N..2 È * 7096 0,007885 Per due condensatori in quantità 14175 0,01575 S in serie . 3568 0,003965 18. — A questi valori della capacità del condensatore debbono aggiungersi quelli della capacità delle altre porzioni del circuito; ma, entro i limiti della precisione delle nostre misure, il più delle volte si può senz'altro trascurare questa aggiunta. Infatti .liche, sia nella scintilla; e a tal uopo ci siamo serviti di speciali fila spirale e parte del cannello capillare C erano riempiti di toluolo. | oil: SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 365 il caso, in cui nelle nostre esperienze questa capacità supplementare aveva il massimo valore, era quello nel quale il circuito di scarica era costituito da un filo lungo cm. 1594 del diametro di cm. 0,08 e disteso in forma di quadrato, a 85 cm. di distanza dalle pareti della stanza in cui si facevano le misure. La capacità di questo filo calcolata in misura elettrostatica colla formula l 2g = r (C=> (dove r è il raggio del filo, la sua lunghezza e d la distanza dalle pareti) riesce uguale a cm. 97. In questo caso abbiamo tenuto conto di siffatta correzione, negli altri casi essa è riuscita addirittura trascurabile, di fronte alla capacità del conden- satore che in nessuna disposizione scendeva al di sotto di cm. 3568. D) Resistenza del circuito metallico e della scintilla. a) Principio del metodo. 19. — In queste prime ricerche il valore della resistenza dei circuiti da noi usati era trascurabile per il calcolo del periodo d’oscillazione colla formula di Thomson. Ma invece la cognizione del valore esatto della resistenza offerta dalle parti metalliche alle scariche oscillatorie ci era indispensabile come elemento di confronto, per poterne dedurre la resistenza effettiva della scintilla. Tale confronto è stato da noi fatto misurando la quantità di calore, che una stessa scarica svolgeva, sia nelle singole parti metal- calorimetri. 8) Calorimetri. 20. — Calorimetri a circuito metallico. — Quelli che ado- lE perammo per la misura dell’energia che veniva svolta nelle parti metalliche del circuito avevano la forma indicata nella fig. 8. Il filo rettilineo o la spirale attraverso ai quali si scaricava il | condensatore terminavano in due corti fili di platino saldati a fuoco | alle due estremità di un tubo di vetro. A questo tubo era unito, in posizione verticale, il cannello capil- {ig lare calibro C, opportunamente diviso e saldato nella parte inferiore ad un tubo più largo, a cui era unito il robinetto R: a quest’ultimo, per mezzo di un tubo di gomma, era congiunto il piccolo serbatoio di mercurio M. Tutto il tubo 7, l'interno del tubo su cui era avvolta Il mercurio arrivava almeno un cm. al di sopra del robinetto È: ciò che permetteva di regolare l’altezza del toluolo nel cannello capil- Pigs _ lare C, e d’impedire che questo sfuggisse dal robinetto R. Attorno al calorimetro così . formato fu posto un manicotto di vetro, per rendere regolare lo scambio di calore con 366 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 32 l’ambiente. Per poterle fissare entro i calorimetri, le spirali erano avvolte su tubi di vetro a pareti sottili. Riportiamo qui i dati relativi ai cinque calorimetri di cui ci servimmo nelle nostre esperienze. Calorimetro a spirale N. 1. Diametro. del-filo .. . . | ©. em. 0,078 Diametro esterno delle spire . , 1,521 Numero: delle spire ee 220,25 Lunghezza della spirale. . . , 36,8 Calorimetro a spirale N. 2. Diametro del'.ifilo»0 Mea aerea) 0,078 Diametro esterno della spirale , 1,78 Numero delle spire . . . . , 423 Lunghezza della spirale. . . , 69 Calorimetro a spirale N. 3. Diametro {delie cn 0,078 Diametro esterno della spirale , 1,64 Numero delle spire. .i .. . . | 102 Lunghezza della spirale. . . , 15,6 Calorimetro a filo rettilineo N. 4. Diametro ‘dell'Alo 0 eee cin 0,078 Lunghezza rdel'ifilott. “eRot 100 Calorimetro a filo rettilineo N. 5. Drametro!dgelt-hio.a een 0,078 Lunghezza: del-filo Lea, 147 21. — Calorimetro a scintilla. — Esso era costituito (fig. 9) da due reci- pienti ovoidi /, R,, uno interno all’altro, nel cui interspazio era posto del toluolo che occupava anche il tubo capillare 7. Quest'ultimo era per altra parte congiunto, mediante un cannello munito di rubinetto e un tubo di gomma, a un serbatoio P contenente mercurio. Alzando o abbassando P si poteva variare l'altezza del mercurio nel cannello, e perciò quella del toluolo nel tubo 7. Attorno al recipiente esterno R era avvolto un sufficiente strato di panno di lana; e il tutto, collocato entro una cassetta di legno 0, poteva scorrere mediante SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 367 a il braccio NO su cui era fissato, lungo l’asta di ottone A, e poteva quindi portarsi | ad altezze diverse. di Abbiamo dovuto ricorrere alla disposizione sopra descritta, per poter fare scoc- — care liberamente nell’aria la scintilla, quando dovevamo eseguirne la fotografia. Allorchè l’intervallo dello spinterometro in cui succedeva la scintilla S si voleva escludere, la cassetta si fissava all’altezza disegnata nella fig. 9. Per introdurre poi la scintilla nel calorimetro bastava portare in alto il braccio NO. Si otteneva una buona chiusura delle due aperture aa’ del recipiente calorime- trico È, rivestendo con tubi di gomma le asticelle di ottone D, D' dello spinterometro | nel tratto vicino all’interruzione dove la scintilla scoccava. Siffatto modo di chiusura permetteva di collocare a posto con tutta facilità e prontezza il calorimetro al momento E voluto, ‘quando, cioè, si voleva eseguire la misura del calore che si svolgeva nella | scintilla. a Questa forma di calorimetro ci è sembrata più adatta di quelle adoperate pre- — cedentemente da altri; perchè abbiamo così evitato gli inconvenienti dovuti agli } n effetti esplosivi ed elettrostatici della scintilla. Inoltre abbiamo evitato le difficoltà, | che si incontravano nei calorimetri ad aria, per l’esatto apprezzamento della parte che ha la dilatazione del gas nello spostamento della colonna liquida in un tubo capillare. Se il tubo non è perfettamente calibro, tale spostamento è notevolmente influenzato dalle azioni capillari. Y) Campionamento dei calorimetri. È 22. — Per poter ottenere in misura assoluta dagli spostamenti del menisco nel . tubo capillare dei calorimetri l’energia che era stata svolta nei medesimi, ne abbiamo n a) Pei calorimetri a spirale metallica si faceva passare, per un tempo noto, una | corrente continua d’intensità conosciuta. _ —Da questo valore dell’intensità della corrente e dal valore della resistenza che 368 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 34 la spirale presentava per correnti continue (resistenza che si misurava con un ponte Elliott), si calcolava l'energia spesa nella spirale, e quindi si otteneva la corrispon- denza fra questa energia e lo spostamento della colonna di toluolo nel calorimetro ; 6) Pel calorimetro a scintilla si procedeva allo stesso modo, dopo aver però collegato i due estremi dello spinterometro con una spiralina di costantana, della quale si conosceva la resistenza. Le letture dei calorimetri — fatte a distanza con cannocchiale — si effettuavano in ambedue i casi, determinando di minuto in minuto gli spostamenti che la sommità della colonna di toluolo presentava cinque minuti prima di cominciare l’esperienza, durante l’esperienza, e cinque minuti dopo. Tanto il passaggio della corrente continua nelle esperienze di campionamento, quanto quello delle scariche nelle esperienze di misura definitive, non durava più di 40 secondi. Le letture si facevano sempre di notte, perchè le variazioni di temperatura nella stanza fossero le minori possibili. Nelle tabelle che seguono riporteremo una delle serie di misure fatte pel cam- pionamento dei nostri calorimetri, per mostrare quale è il grado di precisione a cui siamo giunti. In queste tabelle il valore o segnato nella 6% colonna, pei calorimetri 2 spostamento subìto dal menisco del toluolo nel minuto comprendente i 30” durante i quali passava la corrente, e con s e s' sono indicati gli spostamenti nel minuto pre- cedente e nel minuto seguente a quello in cui passava la corrente. Poichè, cessata la corrente, il menisco riprendeva subito il suo andamento rego- lare e quasi del tutto uguale a quello che presentava prima che passasse la corrente, sì può ritenere che il valore così corretto, dia con approssimazione sufficiente, lo spostamento effettivo dovuto al riscaldamento provocato dalla corrente nella spirale. Pel calorimetro a scintilla invece, l'andamento del menisco, successivamente al passaggio della corrente, non ritornava subito identico a quello che si aveva avanti in causa sia del riscaldamento delle sferette dello spinterometro, sia del riscaldamento dell’aria e delle pareti di vetro dell'involucro interno. Quindi, per questo calorimetro, il calcolo dei valori segnati nella 6? colonna si è fatto mediante la formula a spirale è stato calcolato con la formola o = S — , dove con S è indicato lo ii ns1 + Nsbrtbl , OH Nu +. Nstr 2 s dove n, è lo spostamento osservato nel minuto s°sim°, in cui passava corrente, 1, N;-2, N;-3 ... SONO gli spostamenti osservati nei minuti precedenti, ed 7,1, Ns4s +. Nat gli spostamenti osservati negli r minuti seguenti, fino a che l'andamento del menisco non fosse tornato prossimamente quello che si aveva avanti il passaggio delle scariche. Ordinariamente però bastavano soltanto due o tre minuti perchè si avesse il ritorno all'andamento primitivo. Quando si avevano in circuito i calorimetri a spirale soltanto, si facevano le letture di minuto in minuto, e la corrente passava per 30° ogni tre minuti. Quando era in circuito anche il calorimetro a scintilla la corrente passava ogni 5 o 6 minuti soltanto e le letture si facevano di minuto in minuto. 35 CaLorIMmETRO N. 1. R=0,401 Ohm a 12°. SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 369 L'andamento del menisco ritorna regolare 1" dopo il passaggio della corrente. ‘Z Indicazioni E relative al passaggio i fi della corrente 0 | 1 2 3 passa la corrente per 305 4 ) 5 | IRSA I 7 i 8 ; sl 4 “ 3 10 11 "RR e î 13 È N 14 i. Sao W io 17 | Mi i i i i 19 Mi 2% Mi... A 22 MG «55 È 25 ; di 7 27) » ”» ” ui 28 AI A i Media 31 Serie II. Tom. LI. (©) Intensità Posizione 3 della corrente del 2 Spostamenti corretti o in Ampères | menisco SI [A | (09) | 120,7 | 103) 119,4 | 118 oi 4 a PN ARI 0,514 128 10 she —_ —57==11,40 Ù MIN 126,6 | 194.9 — 1,7 | cò | 1,7+24 MN Sas o 0,514 i A +=. 11,55 CSO 92 | — 2.2 | 129,8 sn » sat) m. | DAI, + 2,6 te 87 A 5 7 . = 0,518 | 1385 0 BI 11,10 | Lp | 135,9 | | — 2,9 | 133 D 2,9+3,1 8,5 8,5 n 0,517 141,5 ,9 9; t 11,50 aa] 138,4 od 9; m " 34+2 5 14 (7,4 = 0,512 142.8 { + 1015 — 2,5 140,3 | 178 | 139 x 2843 8,5 |85+ È =11,40 0,514 146 9) 3f 9 | —38 143 | uo e ; | 2,8-+2,7 8,8 (8,8+2—L°°=11, 0,514 149 i n earaz 55 — 2,7 146,3 e | 24) SRI 2,74 2,8 9,2 (9,24+*—-_=11,95 Mi ali TT: PIE — 2,8 | 150 | 147 na | 3+3 8,2 (8,2+ —"——=11,20 Ut 155,2 pre 2 — 3 | 152,2 | O PO a SI 3+2,9 8,2 (824 —_—-=11,15 mR e 2,9 SE do ’ 154,5 ’ Media 11,30 yi 370 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 36 CALORIMETRO A SCINTILLE. In esso è introdotta la spiralina di costantana, la cui resistenza è di 0,378 Ohm a 16°. L'andamento del calorimetro ritorna regolare 2" dopo il passaggio della corrente. Ss n 5 ie Indicazioni £ 55 8. 3 È Gi | relative al passaggio bi SUE STE 2 Spostamenti corretti 0 A della corrente EST e & S Sn D 0 51,4 3,1 1 54,5 RE, 2 58 Da 3 61/506 Sr; 41) 30 | 0,529| 0° 15,8+8+3,2—0I+28 A So la corrente per ; 5 15,8 |15,84+8+3, Xe=la | 8 6 | 89 (R 7 92,2] ©’ | 2,9 8 95,1 9 98 29) | i : DI A Jc h:529 16 [164-694 279 © 8—17,75 10 | 114 RI paia: | 6,9 11 120,9 2,2 12 128,1, 13 125,1 14 197,3 ci , Ci x i a 16,2 |16,2-+5,5+2,3— 3=17,40 15 | 143,5 ROTA a ap 5,5 16 149 2,3 ir 151,3 2,2 18 153,5 19 155,3 Li DO) | | 4 ipa D.'01395 14,4 |14,7T4-6,74-1,9— 194108, | n 20,60 | 5,05 pii215878 pi==4:08 " = 2,17 per T=2,2 X 107. 3 4 So 4 (spirale) (filo rettilineo) (spirale) (filo rettilineo) 4,66 3,01 9,39 3,30 pE=d55 pi= 2/85 ni = 1,84 per T= 1,7 X 10°. NB. I calorimetri sono posti in serie. 41 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE DIO Dall'esame del precedente quadro risulta che la resistenza effettiva di una spirale (rapporto fra l’energia calorifica assorbita dalla medesima ed il quadrato medio del- l'intensità della corrente) è maggiore della resistenza effettiva che offrirebbe lo stesso filo di cui essa è costituita se fosse disteso in linea retta. 26. — Per riconoscere l’ influenza che la vicinanza delle spire può avere su questo aumento di resistenza abbiamo eseguito delle esperienze con altre quattro spirali @, è, c, d ed abbiamo, col metodo precedentemente indicato, determinato il rapporto ci . I fili di rame, col quale erano state costruite le spirali a, d, c avevano uguale lunghezza e spessore, mentre che la spirale d conteneva una lunghezza mag- giore di filo. Nello stesso tempo abbiamo studiato l’influenza che poteva avere la frequenza della corrente introducendo capacità più o meno grandi nel circuito di scarica. I resultati sono riassunti dalla seguente tabella, ove sono stati ordinati per valori crescenti della frequenza e del numero di spire contenute nell’unità di lun- ghezza della spirale. | VALORI DI La p ——__T_mtt 'o————————————__—_—__F_m___+el--_-_-T_ -FFFrcxcC-CFECBQ©C—©_». N. delle spire 30 grosse - SPIRALE i P ciare di vetro | Condensatori | 2 Condensat. Mr: per cm. Corrente |gi i condens. 20 aria SIG ord Un piccoliss. continua ava in quantità in serie condensatore in quantità Spirale @ 2,42 1 1,02 1,14 1,18 1,30 3 b 3,82 1 L000 S7p 1,31 1,34 | 1,70 î c 6,22 1 J450 | 1,66 1,68. | 1,89 ” d 7,52 Ti 1,56 1,72 2,03 2,37 Si vede da questi resultati che per ciascuna spirale la resistenza va sempre crescendo colla frequenza e cresce pure col diminuire della distanza delle spire. Questo fenomeno fa pensare che mentre in un conduttore rettilineo la corrente non passa che per un sottile strato superficiale, quando lo stesso conduttore viene avvolto a spirale, la corrente viene localizzata in uno spazio ancora più ristretto; e ciò è prevedibile se si considerano gli effetti di induzione mutua tra le varie parti del circuito. Una tale localizzazione deve influire sul valore del coefficiente di autoinduzione del circuito; ma si può capire facilmente — e le esperienze che abbiamo fatto a tale scopo ce lo hanno confermato — che una tale influenza è insignificante di fronte a quelle notate per la resistenza. 376 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 42 27. — Da tutto quanto si è trovato sopra risulta adunque che il valore vero della resistenza delle nostre spirali, per un dato periodo, si otterrà moltiplicando il valore della resistenza Èr, che a quello stesso periodo presenta il filo disteso in linea retta, per il rapporto ni determinato da noi sperimentalmente nel modo sopra detto. Avremo quindi per le nostre esperienze i seguenti valori di Rr in Ohm: Pel calorimetro N. 2 R'r=6,710-8 = 0,983 X 1,79 = 1,76; Pel calorimetro N. 1 Riise L05196 106 R'r-s10-5 = 0,643 X 2,15= 1,38 R'r-ozios = 0,761 X 2,17 =1,65; Pel calorimetro N. 3 R' r=1,7.10-8 = 0,440 DI 1,84 = 0,827. E) Autoinduzione. 28. — Anche per l’autoinduzione la trattazione teorica relativa alle correnti alternanti è stata fatta solamente per alcune forme speciali di circuiti piani, e man- cano affatto i calcoli relativi a circuiti avvolti a spirale, pei quali non possono appli- carsi nè il metodo del Maxwell della media distanza geometrica (1), nè i procedi- menti del Rayleigh (2), nè quelli derivanti dalla teoria delle scariche oscillatorie come è stata esposta dallo Stefan (3). Volendo quindi poter valutare con la necessaria precisione anche questo elemento, nelle esperienze relative alla misura del periodo abbiamo fatto uso dei circuiti seguenti, pei quali si conosce il valore teorico dell’autoinduzione. a) Quadrato di filo di rame: raggio della sezione del filo cm. 0,04; lunghezza del lato 2 = 398,6 cm.; 6) Cerchi di filo di rame: cerchio N. 1: raggio della sezione del filo cm. 0,226; diametro del cerchio cm. 201; cerchio N. 2: raggio della sezione del filo cm. 0,226; diametro del cerchio cm. 57,2. (1) Cfr. Wres, “ Wied, Ann. ,, 58, p. 928, 1894. (2) “ Phil. Mag. ,, 21, p. 381, 1886. (3) “ Wied. Ann. ,, 41, p.400 e 421, 1890. 43 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 377 I fili formanti tali circuiti son distesi sopra opportuni telai di legno, e l’isola- mento necessario è ottenuto con cilindretti di ebanite. Durante le esperienze, per tenere i lati del quadrato il più possibile lontani da masse conduttrici, il telaio di legno era inclinato di 50 gradi sull’orizzonte ed aveva uno dei lati all’altezza dello spinterometro. La distanza media fra i lati del quadrato, le pareti della stanza ed il soffitto era di m. 0,85. Ora, secondo Lord Rayleigh (1) l’autoinduzione L' di un circuito piano, di lun- ghezza / e di resistenza ohmica £, per correnti di alta frequenza è data da L=(4+]/E) dove, come è stato detto a pag. 38, p= 2mw ed A è una costante. — La quale costante come risulta subito ponendo p= 0 nella formula [20] della citata memoria, è legata all’autoinduzione L, per correnti continue dalla relazione: 1 L=1|A4+ 9) - Ne segue che la precedente formula si può mettere sotto la forma: | l RS 1) ii ea (nl E Pei diversi circuiti sopra indicati, il valore di Ly ci è dato, per un quadrato (2) il cui perimetro è /, da L,=21(lg.- — 1,9103), per un cerchio di raggio a, da Ls=4ra (lg. — 1,75) essendo r il raggio del filo (3). ___ HM Wien (4) ha riscontrati i valori di L, calcolati con queste formule concor- danti a meno di 0,1% con quelli che egli ottenne da accurate misure; possono quindi ritenersi meritevoli di ogni fiducia. Essi sostituiti nella I) ci permettono di calcolare l’autoinduzione che i suddetti circuiti hanno per ciascun periodo delle sca- riche di cui abbiamo fotografato ‘la scintilla. Si ottengono in tal modo i valori seguenti: Pel quadrato di filo di rame T = 0,00000425 0,00000303 L'= 27390 cm. 27329 cm. (1) “ Phil. Mag. ,, (5), 21, p. 381, 1886. (2) Questa formula si deduce con semplici operazioni algebriche da quella che si trova in Mascart, Hlectr. et Magn., vol. I, p. 630 della 2* ediz. (3) Mascarm, l. c., p. 683. (4) “ Wied. Ann. ,, 53, p. 928, 1894. Serie II. Tox. LI. xi 378 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 44. Pel cerchio N. 1 T = 0,00000235 0,00000167 0,00000120 L'="7829 cm. 7824 cm. 7810 cm. Pel cerchio N. 2 T = 0,0000007 = 4768. Oltre a questi circuiti piani, per la misura del periodo abbiamo fatto uso anche delle due seguenti spirali: Spirale A. — Essa è avvolta su di un tubo di ebanite, accuratamente tornito, ed attraversato per tutta la sua lunghezza da una bacchetta di vetro che ne impe- disce le deformazioni. Il filo è adagiato su di un’elica incisa al tornio sul tubo stesso. Il diametro del filo di rame di cui è costituita è di cm. 0,08, il raggio medio della sezione delle spire è di cm. 0,713. Il numero di spire per centimetro è 6,3025. Tutta intera la spirale conta 485 spire. La sua autoinduzione misurata col metodo di Nernst con correnti ad alta frequenza, come è detto a pag. 45, è di cm. 57230. Spirale B. — Il sostegno di questa spirale è un grosso cilindro di marmo, tor- nito con estrema cura nell’officina meccanica di questo Istituto. La sua superficie può praticamente ritenersi quella di un cilindro perfetto. Difatti le variazioni del diametro della sua sezione, che è di cm. 23,821 a 23° C., non arrivano mai a 0,1 mm. La lunghezza di questo cilindro è di cm. 98. La spirale occupa 85 cm., ha in tutto 283 spire. Lo spessore medio del filo di cui è costituita è di mm. 1,435. La spirale stessa è stata avvolta direttamente sul marmo, servendosi del passeggio del tornio. Per impedire che le spire si possano spostare il tutto è stato coperto con una grossa verniciatura di gomma lacca. Il coefficiente di autoinduzione di questa ‘spirale è di 4.546.000 cm. 29. — A tali valori debbonsi poi aggiungere quelli relativi alle porzioni di cir- cuito, che servono a stabilire le comunicazioni fra il condensatore e lo spinterometro. Per poter rendere piccola la resistenza e calcolabile facilmente l’autoinduzione di tali porzioni, abbiamo fatto le comunicazioni con grossi tubi di ottone, del raggio esterno SR p, = cm. 1 e interno p, = cm. 0,88, e con lastre di rame larghe 5 cm. e dello spes- sore di ?/;,, di mm. Per tali tubi, l’autoinduzione è data da (1) L= 2041g, ne ti Pi î 3108, bi ù dara pi 1 i, = e per i nastri da essendo / la lunghezza, a lo spessore e è la larghezza. (1) Wien, © Wied. Ann. ,, 58, p. 928, 1894. 45 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 379 Quindi pei tre tubi da noi usati, lunghi em. 90, cm. 80 e em. 71 rispettivamente, si hanno i valori L= 762 cm. Mra="6587 a 5 PAZZI 17 FI e per la lastra, lunga 20 cm., a d03cem. 30. — Nelle esperienze poi che ci hanno servito a determinare la resistenza della scintilla, e i cui risultati abbiamo utilizzati per confrontare l’energia disponibile nella scarica con quella che si manifesta nelle varie porzioni del circuito, abbiamo fatto uso, come già si è detto, di circuiti avvolti a spirale; ed anche in quelle espe- rienze noi abbiamo fotografato le scintille. Volendo paragonare i valori del periodo d’oscillazione ottenuti sperimentalmente per queste scintille con 1 corrispondenti valori teorici, bisognerebbe conoscere l’auto- induzione di quelle spirali, le cui dimensioni sono indicate a pag. 32. In mancanza di formule teoriche pel calcolo esatto di tali autoinduzioni, non ci restava che farne il confronto con quella di circuiti teoricamente calcolabili. Per siffatto confronto ci siamo serviti dell’eccitatore differenziale di Nernst (1) che abbiamo leggermente modificato inquantochè per ottenere l’equilibrio nel mede- simo noi mantenevamo costanti le due capacità di confronto e facevamo variare una delle due autoinduzioni. L’autoinduzione variabile era costituita da una spirale di filo di rame della quale si poteva impegnare nelle esperienze un numero qualunque di spire (raggio medio della spirale cm. 0,713, spessore del filo mm. 0,8, numero delle spire per unità di lunghezza 6,3025). B ni K (al SE a S > R = 24 5 ] A Fig. 10 La disposizione che adottammo è indicata schematicamente nella fig. 10, dove L, è la spirale, L, è il circuito di confronto, €, e C, sono i due condensatori di para- gone ed R è il rivelatore. Messi i punti C e D in comunicazione con gli elettrodi di uno spinterometro e coi poli di un rocchetto di Rumkorff, per l’ eccitatore differenziale si potevano far passare delle correnti, la cui frequenza era dello stesso ordine di grandezza di quelle delle scintille da noi fotografate. Allora si esaminava se i punti di attacco A e B tra ciascuna autoinduzione e il rispettivo condensatore si trovavano o no allo stesso potenziale. A questo scopo abbiamo trovato convenientissimo il rivelatore, già consigliato dal Nernst, costituito da un tubo a vuoto senza elettrodi, sui cui estremi erano avvolte due striscie di stagnola che si mettevano rispettivamente in comunicazione con A e B. (1) “ Wied. Ann. ,, 60, p. 600, 1897. 380 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 46 Come è noto, la luminosità nel tubetto è minima quando sia soddisfatta la condizione Ly,C,= Lyle. La precisione del metodo dipende dalla nettezza con cui si apprezza questo minimo, quando una qualunque delle quattro quantità L,, Ls, C,, Cs subisce una piccola variazione. Tale nettezza è massima allorchè la rarefazione nel tubetto è quella che corrisponde al momento in cui cominciano i raggi catodici. Si impegnavano successivamente diversi numeri di spire nella spirale fino a quando nel rivelatore si aveva il minimo di luminosità. L’autoinduzione Ly della spirale si poteva ritenere proporzionale al numero », delle spire adoperate: indicando con il coefficiente di proporzionalità la precedente condizione di minimo veniva rappre- sentata da E,C,=km©s. Ciò fatto, al filo di autoinduzione nota veniva sostituita la spirale della quale si doveva determinare l’autoinduzione x, e nuovamente si variava il numero delle spire, fino a quando per un conveniente numero n si riotteneva il minimo del rivelatore. La condizione di minimo diveniva Ha Ci — kn Cs s Queste due determinazioni davano l’autoinduzione cercata aE=— n) i per correnti di alta frequenza. Le nostre condizioni sperimentali ci permettevano tale nettezza nell’apprezzamento del minimo, che i numeri » ed wo, varianti in gene- rale tra 70 e 350, riuscivano determinati a meno di 1 unità. Al conseguimento di tale precisione noi siamo riusciti usando le seguenti precauzioni: 1° Usare due condensatori di confronto le cui capacità C, e C, differissero il meno possibile l'una dall’altra ; 2° Coprire tutti gli apparecchi che servivano per la produzione delle correnti ad alta frequenza (Rocchetto di Rumkorff, spinterometro, ecc.) con una custodia metallica, per evitare le azioni elettrostatiche tra i medesimi e i varî rami del ponte di Nernst; 3° Coprire ugualmente con custodia metallica i due condensatori di confronto; 4° Evitare che si abbiano conduttori in vicinanza dei fili, e specialmente delle spirali. Con questo metodo per i coefficienti di autoinduzione dei nostri circuiti abbiamo trovati i seguenti valori. Circuito Autoinduzione Spirale N. 1 29470 È NE Zara e i &. Nîe9: £. Ea 7460) Filo N. 4 3669 In questi valori sono compresi anche i tubi e le striscie di rame che stabilivano le comunicazioni. NAT SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 381 II, DISPOSIZIONE E ANDAMENTO GENERALE DELLE ESPERIENZE 31. — Ci resta ora da riferire l'andamento generale delle esperienze e i resul- tati ottenuti per la misura del periodo di oscillazione. Poichè contemporaneamente alla misura del periodo abbiamo molte volte ese- guito anche quella del calore svolto nelle diverse porzioni del circuito, accenneremo qui la disposizigne sperimentale completa da noi adottata, che è quella indicata dalla tavola I. In M è la macchina elettrica, che ha un elettrodo in comunicazione col suolo e l’altro elettrodo riunito ad una delle armature del condensatore, per mezzo di un’asta di legno. W è Vl elettrometro, È il calorimetro a spiralo metallica, S il calorimetro, a scintilla, G è il galvanometro balistico per la misura della carica residua, P il pendolo per stabilire al momento voluto la comunicazione fra il condensatore e questo galva- nometro. Allorchè non si eseguivano misure calorimetriche, il quadrato o il cerchio che costituivano il circuito metallico erano introdotti al posto dei calorimetri metallici, e la scintilla in S avveniva nell’aria. Le esperienze, quando si eseguivano anche le misure calorimetriche, procedevano nel modo seguente. Si prendevano dapprima 3 o 4 fotografie di scariche, indi introdotto lo spintero- metro a scintille entro il calorimetro, e fatte avvenire nuovamente le scariche, si procedeva alla lettura contemporanea del calorimetro a spirale metallica, del calori- metro a scintilla e dell’elettrometro. Dopo ogni serie di queste letture si misurava la carica residua. Spesso terminate le letture anzidette, si ripetevano le fotografie della scintilla. Riportiamo qui un esempio del modo col quale venivano fatte le letture. EspPERIENZA N. 32. Nel circuito è inserita la spirale N.3. . . ..... Lr=17460 Si adoperano due condensatori in cascata : a i 5 Valori dati dalla misura del periodo sulle lastre 111 a 116. Prima delle letture ai calorimetri. dallaltastra SNSeRit® . +, 0% £0;00000169 5 DIMINO Ppg Tomi — . ‘‘0,00000L69 7 Ne arr: 000000170 Dopo le letture ai calorimetri. dalla lastra N. 114 . . . . 0,00000170 Boig MENTI e e 000000167 D MACON [6 di. e 0,00000166 Media . . 0,00000169. 382 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 48 LETTURE DEI CALORIMETRI. Distanza esplosiva millimetri 5. Calorimetro a scintilla Calorimetro N. 8 5 S | Numero | n5g 0 InataoBi Aa ai 58 È delle scariche | Posizioni | | Deviazioni | Posizioni | Deviazioni| ®$ | del Differenze | corrette del Differenze | corrette HS | menisco | menisco F 0 | 78,3 | | 91 de. 83,8 5,5 94 3 P 2 89,1 DIO 93039 2,9 DI 94,2 5,1 99,2 2,9 4 |18 scariche| 113 16:SO 6 110,8 11,6 9,45 250 5 | 119,5 6,9 112,8 2 6 | 123,9 4,4 | 114,5 17; 7 | | 127,9 3,6 115,9 1,4 8 131,3 3,8 117,8 1,4 LEDA È "E | 148 16,7 15 128,1 10,8 9,40 267 10 | 152,0 4,9 | 129,5 1,4 il 155 2,9 130,8 1,9 12. 157 | 2 131,9 1,1 13 159,4 2,4 138 ISt TA RI : 174 TA CRIETON 143,7 10,7 9,50 275 15 | 178,1 4,1. | 145 1,9 16 179,8 1070, 146,1 1; 17 180,3 0,5 | 147,2 Li 18 181,4 dela 148,4 1,2 11999! 182 0,6 149 0,6 20 so ua 196 14....01d45,&], [po 459;1 10,1 9,45 264 21 197,8 RS | 159,8 0,7 29 | | 198 0,2 160 0,2 23 | 197,8 | — 032 160,4 0,4 24 | | 198 0,2 161,1 0,7 29 EE, 211,5 13,5 15,8 171,6 10,5 9,65 271 26 213 1,5 172,6 1 27 | 212,9 | —0,1 173,4 0,8 28 | 212,2 — 0,7 174,5 Il 29 Qlisù. | —0,5 175,4 0,9 30. ; 224,2 12,5 15,9 186,1 10,7 9,40 267 31 | 225,8 1,6 187,8 L% 32 | 224: 40 fl 188,7 0,9 33. | ZO: Sl e EI 189,1 0,4 Media 15,72 Media 9,49 266 Deviazione media per ogni scarica 0,873 Deviazione media per ogni scarica 0,527 Ot =10:0375 Q,= 0;0459 Differenza di potenziale 44,17 UE(C. G. S.). Oltre a questa sono state fatte altre due serie di letture che hanno dato i risul- tati seguenti: Q,= 0,0385 Q. = 0,0486 Diff. di potenziale 45,44 Q, = 0,0361 Q. = 0,0486 Diff. di potenziale 45,40 Media finale Q, = 0,0372 O. = 0;0477 Diff. di potenziale 45 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 383 HI. RISULTATI GENERALI DELLE ESPERIENZE 82. — Dai valori dei singoli elementi, determinati nel modo ora detto, abbiamo poi calcolati i resultati finali delle nostre esperienze, che sono compresi nelle ta- | belleI a XI. I Nelle prime sei tabelle sono riferiti i risultati di misure contemporanee del È periodo d’oscillazione, della quantità di calore svolta nelle varie parti del circuito e del potenziale di scarica. Nella VII tabella mancano i periodi di oscillazione. Le tabelle VII a XI si riferi- | scono a misure fatte esclusivamente sul periodo di oscillazione. LUIGI MAGRI ANGELO BATTELLI 384 EEF00000°0 BIPOH I8F00000°0 1#8°0 680 | S8IT0 9680°0 68%0°0 E2I°0 G6‘9% z 88F00000°0 6180 0840 | 9580°0 8290°0 €080°0 a == ST 68700000°0 983‘0 Iz340 | 0970°0 T980°0 8600°0 = i I 82F00000°0 = ÈL "wo GLIFI=0 wy) 901 =, 02763 = 17 egiguenb ur 1107gsuopuo9 ‘I N 0499UL10]DI "II VITIIVI, EL900000°0 BIPON ARI - | LL900000°0 eg£°0 6830 GEI0 SIOT°0 PA ZA VM) I63I°0 L9°L3 | 6 &8900000°0 (A Sali) PASTALI) 880°0 FILO'0 99710°0 — e MOST | 19900000°0 TIS°0 (4A) SF0°0 89E0°0 Z800°0 = nari VUBAT 62900000°0 = “Z "wo GLIFI=0 wo 9L'T=, 07IFL= 7 ; egiguenb ur 11079gSUA9puoo GC "N 0AFIWIAO]D) da: " = 4 i Sali UI : RA euros epeu eLIo[eo a]o0o0td [909] rn SU AL ali San, 10. OL D Na UI | BOLILOS AA | o | OFUINSTIUWI OPOrI9gq B[[IQUIOS e[[op 0 VOLIROS ISO 190d 10 6 SER e | 2.3 | ZUOYSISOU VI[OAS QI0]LO IP eyiqguenty) Sage] (Cia ‘] VTIUAV], d FIT00000'0 816‘0 TESS'O | 8F80°0 9700 g080°0 8480‘0 L'5% G È GITOO000'0 GE8‘0 9STS0 | 8900 41700 cIT0‘0 GT9I0'0 96°86 ia n 61200000‘0 G08°0 FESF'O | 8050°0 cFE0‘0 9910‘0 FISO"0 8‘7£ g 8 L1300000°0 eGL'0 LSGF°0 | 8630°0 60300 _6800°0 L180‘0 EL le S 61300000°0 199‘0 L868°0 | IZ0°0 8S10°0 €900°0 = "i ST a 81300000‘0 cLS°0 697S°0 | BEI10°0 8600°0 P800°0 si “i I SIZ00000°0 = È wo 8968 = wo) SIT = 27 02768 ="7 ‘(Eqeosgo UT 110FBSUOPUOI) 7 “AT 0472240709) ‘AJ VTIUAVI], #0800000°0 BIPON SULLE SCARICHE OSCILLATORIE Z0800000°0 Tes‘0 L868°0 | 8490‘0 67700 6L10°0 c790°0 vLe G GO800000‘0 07S°0 GO6EO | 8EF0‘0 SIE0°0 €210‘0 = = ST F0800000°0 cTe‘0 18,80 | 128040 1910°0 0900°0 Tr 7 I F0800000°0 = “Z wo gLIL =0 wyo) 86I=%% 02768 = IT. "(T “N 940gesuepuoo) 7 “AT 04724240799) —_ Si —|Hl di ò 5 ; UuY() UL O0ITTR3O0t OTTOOZIO || ariquros ejpou etIo]eo 2]0001d [sica ana ES A ag =d Ù FORT ME RZ De ep ui di Tad OFGINSIVI OporIaq V|[IquIOS e[[ep MoLIgos 1U80 10d 40 ICI 9[erzu99o i 2.8 Ei Ro BI[OAS GIOTRO IP RHJUEND Le e, è i: D ‘Il YTTAAVI], N Nel LUIGI MAGRI ANGELO BATTELLI 386 0510000040 BIPAT 69100000°0 GF8‘0 O8L‘0 | 6F80°0 | L29060 021000000 9790 96240 | 8190°0 | 6FE20°0 89100000‘0 e6%‘0 9tL‘0 | 96F040 | = 6820°0 #L100000°0 198‘0 78940 | 9620°0 9L10‘0 0L100000°0 L3°0 48940 | 8030°0 A COMO) 89100000°0 z6r°0 G6S°0 | 8TTO'0 FL00°0 G9100000°0 = “7 "wo 8998=0 BIBOSBI UL 1107 BSsU9puoo "€ “N 04]AUMLO7DI DA + ea Yi) Ur 09I][egowu OqINo.uIto E ‘ò È td I | L ila = Da Dei RETE OFRINSIVDI OPoLIOq tI[QuIOS eI[ap VZUIJSISIY A VITIUIEYV CLEO°0 F9co'0 L030°0 0210°0 62000 #700°0 ugo 2680 =, 0980‘0 F90°0 PAVISIONO) 80€0°0 09FLI = 7 ST L8°86 PE 10°L3 n Ul [IR UIOS V| [9U gongos IuSO 10d UIpoAs QI0]EO Ip eyquent) auto[eo a]0991d ur G 40 I [ISTRIA O. VBOLIBOS Ip Q[BIZU9ZO qT Mal gAISO]dsa 2ZUEISI(] 387 TZ8000000°0 ®Ipoxw 868000000‘0 788°0 L9T°8 | 2SL0%0 66200 8100 EC80‘0 0077 G 188000000'0 6E5°0 GITE | 9250°0 g810°0 #680°0 G090°0 CILE , s zI8000000‘0 806°0 000° | FFFO‘0 | 87T0‘0 96300 1970%0 PO'gg € _ 738000000‘0 0630 988°T | #S70°0 8800°0 9910°0 cLT0°0 CH'SG G 5 7E8000000°0 68°0 628° | I8T0°0 £900‘0 8TI0‘0 i uo SU i LT8000000‘0 08T°0 ILIÒT | 080040 | “ T#00°0 8700'0 Da Sa I 5; = 862000000°0 =°L wo g968=9 wqo pero = 6998 = 7 x a BYBOsBo UL LI0FPBSUOpuoo 3 ‘EN 04JIULIOMI RR Rai Tae ee TORI 09T[[egauI OFIMOIO | i eqpou | *Woqro a]o0ord [s ‘001 let "L ‘0, 4 so ( I La UL VOLIBOS |a Ùa) T 1Ò od = ° "Tp 5 CHRISTO DOLO e]|Iguros e][op vorrgos 1uS0 10d 10 (03 9[eIzuoJogq SR eZUIjSISOY VIOAS QI0[eo Tp eqrguent) 5 I get ‘IA VTIUSVI, < No) ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI TEE0 198°0 *L OqUINSIWI OPpoLIAq 388 I VIIIMOSREIISD eZU9ISISIY 86840 998‘0 #88°0 688°0 LE7°0 968°0 PESTO #L80°0 GOSO'0 "OLUPDI IIZI0 6160°0 | 19S0°0 ‘vpi a 0uNmi p 1posz1975] L680‘0 0790°0 G980°0 sP_POAHNH 3L80°0 0790°0 0F0°0 1A Al Tr | 00I[[egom 07INIAII [eu LS80°0 FEZ0°0 OFIO‘°0 6880°0 0820‘0 6ST0‘0 'Ò C[[IQUIOS t[[pu gorgos Tudo 190d VBY]oAs QI0[B9 IP epquent) STCAMAVENI UT V.L 8210 L86°0 8I1S0°0 FOET"0 360°0 0200 eLIo[go 9]0001d ur G 40 di G6°L7 08LI ‘9 ‘aaa BOLIBOS tp Q[BIZU930q eAISO[dsa eZUEISI(] 55 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 389 Nelle tabelle da I a VII abbiamo riportato, oltre i valori della distanza esplosiva in millimetri, e quelli del potenziale di scarica, anche la quantità media di calore Q, svolta pure per ogni scarica nella scintilla, quella @, svolta nel circuito metallico, e il rap- porto che serve a dedurre la resistenza della scintilla dalla resistenza del circuito Q. metallico. L'ultima colonna contiene il valore del periodo, dato dalle nostre misure. In capo a ciascuna tabella sono indicati i valori Lr dell’autoinduzione del cir- cuito — compresi i reofori che servivano per le comunicazioni — misurati col metodo di Nernst delle correnti ad alta frequenza; il valore R'r della resistenza del calori- metro metallico calcolato con la formula di Rayleigh e moltiplicato pel valore del rapporto va della resistenza dell'unità di lunghezza del filo della spirale a quello di un’egual lunghezza di filo disteso in linea retta (v. pag. 40). Vi è pure indicato il valore della capacità C del condensatore e il valore teorico 7° del periodo, calcolato con la formula T= su VECI In queste medesime tabelle abbiamo posto anche i valori dell'energia disponibile in ogni scarica, e la somma Q, + @: del calore svolto nell'intero circuito; quantità che ci serviranno per lo studio sulla distribuzione dell’ energia, che faremo al Cap. V. Questi valori teorici non sono peraltro molto sicuri, a motivo dell’incertezza che si ha sul valore di L per le spirali, e non possiamo quindi attribuire loro che una importanza relativa, tanto più che sono stati quasi tutti ottenuti con elettrodi di platino-iridio, coi quali la scintilla è, come vedremo in seguito, molto meno regolare di quella che si ha con elettrodi di cadmio. 38. — Sono invece di ben altra importanza i resultati contenuti nelle tabelle VIII a XI. Esse si riferiscono alle esperienze fatte con circuiti, dei quali l’autoinduzione per ciascuno dei periodi, che si ricavava dalle misure eseguite sulle fotografie delle scintille, si poteva calcolare esattamente; ed è su queste che richiamiamo maggiormente l’at- tenzione. Nelle esperienze riportate nella tabella VIII, colonna a, il circuito era formato da un quadrato di filo di rame di 0,08 cm. di diametro. Il lato di questo quadro era di cm. 398,6. L’autoinduzione di siffatto circuito per 7= 0,00000423 era cm. 27390. A questa doveva aggiungersi l’autoinduzione di due tubi di ottone del diametro esterno di cem. 2, l'uno lungo 90, l’altro 80 cm., più l’autoinduzione di un nastro di rame lungo 20 cm., largo 5 cm., spesso 0,02 cm. L’autoinduzione di queste aggiunte era (v. p. 45) rispettivamente cm. 762, 658 e 103, talchè l’ autoinduzione totale di tutto il cir- cuito era di cm. 28913. La capacità dei due condensatori in superficie ammontava a cm. 14175; ma a questa doveva aggiungersi quella del circuito di cm. 97; talchè la capacità totale risultava di cm. 14272. 390 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 56 Per ciò che riguarda i dati relativi alla colonna 8, è da osservare che il circuito di scarica era quello stesso precedente, soltanto era variato il valore della capacità, che in questo caso ammontava a cm. 7178 4 97 = em. 7275. Poichè il periodo di oscillazione aveva un valore più piccolo, Lr era divenuto di cm. 28852. Nella tabella IX il circuito di scarica era formato da un cerchio di filo di rame del diametro di cm. 201. Il diametro del filo costituente questo cerchio era di cem. 0,452. L’autoinduzione, per 7'= 0,00000240 era 7829, per 7=0,00000167 era 7824 e per T=0,00000120 era 7810. A questi valori doveva aggiungersi l’autoindu- zione del nastro di rame sopradetto e quella di due tubi «del diametro di cm. 2 e lunghi rispettivamente cm. 90 e 71. Il valore dell’autoinduzione di questi tubi era di cm. 762 e 567. Cosicchè il valore totale dell’autoinduzione dei circuiti cui si rife- riscono le colonne a ed e ammontava a cm. 9261; per quelli delle colonne f, ‘1 e è era rispettivamente di cm. 9256 e 9242. I valori della capacità in queste tabelle sono semplicemente quelli dovuti alla capacità del condensatore. Nelle esperienze della tabella X il circuito era formato da un piccolo cerchio di filo di rame (diametro del cerchio cm. 57,2, diametro del filo cm. 0,452). L’autoindu- zione di questo cerchio per 7 = 0,0000007 era di 1768 cm., a cui aggiungendo l’au- toinduzione dei due tubi lunghi 71 e 88 cm., si aveva per l’autoinduzione totale di tutto il circuito il valore di cm. 2993. Il circuito di scarica, considerato nella colonna a della tabella XI, era costituito da una grande spirale di 283 spire avvolta su di un cilindro di marmo. La spirale era lunga 85 cm. ed aveva un raggio medio di cm. 11,982 con l’autoinduzione di em. 4.546.000. Nella colonna 8 e y abbiamo messo, per l’autoinduzione di una piccola spirale avvolta sull’ebanite, il valore ottenuto dal confronto con un quadrato mediante. il metodo di Nernst. SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 391 TaseLLa VIII. a Autoinduzione complessiva del circuito per 7, = 0,00000425 em. 28913. Capacità del condensatore cm. 14175. Capacità del circuito cm. 97. Valore di Cami VIC= 0,000004254 Valore sperimentale di 7. 0,000004214 4304 4244 4226 4202 4202 4266 4277 4185 4210 4196 4204 4302 4177 4262 4279 4291 4240 4226 4209 4213 4252 Valore medio 7 = 0,000004235 B Autoinduzione complessiva del circuito per 7= 0,00000301 cm. 28852. Capacità del condensatore em. 7178 Capacità del circuito cm. 97. Valore di 7= + VLC=0,000003034. Valore sperimentale di 7. 0,000002994 3016 2979 3006 3019 2980 3036 3020 Valore medio 7 = 0,000003006 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 58 TaseLLa IX. a | B Autoinduzione complessiva del circuito | Autoinduzione complessiva del circuito per T'= 0,0000237 | per T'= 0,00000167. em. 9261. | em. 9256. Capacità del condensatore C = cm. 14175. | Capacità del condensatore C= cm. 7178. ni iu VLC=0,00000240. | = + VIC=0,000001707. Distanza esplosiva mm. 2,5. | Distanza esplosiva mm. 2,5. Valore sperimentale di 7. | Valore sperimentale di 7. 0,000002334 | 0,000001655 2348 | 1693 2389 | 1660 2358 | 1648 2370 | 1685 2371 | 1692 2378 | 1679 2408 | 1677 2405 | 1665 Valore medio 7=0,000002373 | IUS | Il 1654 | | 1693 | 1689 | 1668 | 1671 Valore medio 7 = 0,000001672 Ù, Autoinduzione complessiva del circuito per 7'=0,00000120 cm. 9242 Capacità del condensatore C = cm. 3568 20. — qT= i VLC=0,000001201. Distanza esplosiva mm. 2,5. Valore sperimentale di 7. 0,000001162 1160 1196 1193 1173 1166 1209 ERO 1230 1224 1222 1222 1198 1175 Valore medio 7 = 0,000001195 Serie II. Tom. LI. SULLE SCARICHE OSCILLATORIE Segue TABELLA IX. dò Autoinduzione complessiva del circuito per 7= 0,00000120 cm. 9242. Capacità del condensatore = cm. 3568 T= 2 VLC=0,000001201. Distanza esplosiva m. 5. Valore sperimentale di 7. 0,000001213 1205 1209 1220 1232 1205 1194 1190 1.97 1202 1221 1182 1210 1224 Valore medio 7 = 0,000001207 Z 393 394 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI Segue TaseLLa IX. € Elettrodi di platino iridio Autoinduzione complessiva del circuito per 7=0,00000237 cm. 9261. Capacità del condensatore C= cm. 14175. T= ce VLC=0,00000240. Distanza esplosiva mm. 2,5. Valore sperimentale di 7. 0,000002395 2412 2369 2497 2454 2338 2982 2270 2480 2489 2426 2476 2386 2186 Valore medio 7 = 0,00000239 TABELLA X. Circuito formato da un piccolo cerchio di filo di rame. Autoinduzione complessiva del circuito per T'= 0,00000074 cm. 2993. Capacità del condensatore cm. 3568. =" VTO=0,000000684. Distanza esplosiva mm. 2. Valore sperimentale di 7. 0,0000007431 7263 7411 7565 7567 7560 7422 7103 7625 7493 7442 7414 Valore medio 7 = 0,000000744 nic: SARI È cente, a 14 h SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 395 TasBeLLa XI. a B N Autoinduzione Autoinduzione Autoinduzione della grande spirale della piccola spirale della piccola spirale 4546000 e delle comunicazioni e delle comunicazioni n i em. 57797. em. 57797. Capacità del condensatore Capacità del condensatore Capacità del condensatore Cito C= cm. 14175. | C= cm. 3568. pe i VLC=0,00005317. qT= pi VLC=0,000005995. | 7= ny LC = 0,000003008. Distanza esplosiva mm. 2. Distanza esplosiva mm. 2. Distanza esplosiva mm. 2. Valore sperimentale di 7. Valore sperimentale di 7. Valore sperimentale di 7. 0,00005404 è 0,000006201 0,000002986 5374 5993 3037 5339 6067 3011 5363 5923 3173 (9) 5417 6034 3032 5484 6093 3053 5444 5995 3011 5386 5970 3022 5403 Valore medio 3034 5303 T=0,000006034 2981 5347 : 2904 5296 3039 Valore medio 3036 T = 0,00005376 a 3042 3021 Valore medio T=0,000003024 * * * Nella Tav. II sono riprodotte alcune delle fotografie che hanno servito alla | determinazione di 7. Non è stato possibile rendere nè la nettezza, nè tutti i parti- 3 colari esistenti nelle negative sulle quali furono eseguite le misure. Queste riprodu- zioni tuttavia servono al lettore per avere un’idea dell'aspetto che le scariche pre- sentano nei varî casi da noi studiati. La fig. 1 a 6 della prima colonna della Tav. II contengono la riproduzione delle fotogr, da cui sono ricavati i risultati che si trovano nella tabella V a pag. 52. dal d Di TALI Pre ta è 396 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 62 Esse sono state ottenute con elettrodi di cadmio. Pure con elettrodi di cadmio sono state ottenute le figg. 7 a 16. Le figg. 17 e 18 furono fatte invece con elettrodi di platino-iridio, e sono state qui riportate per dare un’idea dell’aspetto che presenta la scarica con elettrodi siffatti: i risultati relativi sono contenuti nella tabella IX, colonna e. La fotografia 9 si riferisce ai periodi più lunghi che noi abbiamo misurato (tabella X, colonna a), i numeri 14 e 13 ai più brevi (tabelle VI e X). La 9 e la 16 sono state fatte tutte e due ponendo in circuito la spirale A (pag. 44), ma variando la capacità del condensatore (tabella XI, colonne 8 e y). La 7 si riferisce a una distanza esplosiva di mm. 5 (tabella IX, colonna è). Le fotografie 8, 10 e 11 appar- tengono rispettivamente alle tabelle IX, colonna a, II e VIII, colonna a. IV. DISCUSSIONE DEI RISULTATI 34. — Per giudicare l’importanza che si deve attribuire all'accordo notevole che si riscontra fra i due valori (osservato e calcolato) del periodo 7, è necessario render conto della precisione che noi abbiamo raggiunto nella determinazione dei varî elementi che a tale misura si riferiscono. a) Misura sperimentale del periodo. È utile che qui esaminiamo brevemente ciò che risulta dall’ osservazione del grande numero di fotografie da noi ottenute. Anzitutto è bene osservare che la sezione della scintilla è assai grande quando sì scarica una quantità considerevole di elettricità, come nei casi riportati nelle tabelle I, II, VIII a, IX a, IX e, Xa esX B. In secondo luogo va notato che le successive scintille componenti una scarica, non scoccano sempre fra i vertici delle calotte sferiche che costituiscono gli elettrodi dello spinterometro, ma in generale prendono sugli elettrodi posizioni diverse, e ciò dà luogo ad un allungamento della distanza esplosiva. Questo fatto si vede chiara- mente in molte delle nostre fotografie, nelle quali l’aspetto della scarica è quello di un nastro la cui larghezza, in generale, va aumentando col tempo (figg. 5, 6 e 15 della Tav. II) (1). Andamento più regolare, per questo riguardo, si ha quando le scintille sono più lunghe, e quando si scarica una minor quantità di elettricità. Allora la sezione della scintilla è assai piccola, ed è meno grande la variazione di lunghezza delle immagini fotografiche delle diverse scintilline elementari. Se poi la scintilla avviene fra elettrodi facilmente volatilizzabili — quali ad es. gli elettrodi di cadmio, — il suo andamento è molto regolare, come si può vedere dalle fotografie che abbiamo riportato nella Tav. II. Se gli elettrodi sono di platino (1) Questo si vede male nelle riproduzioni fatte nella Tav. II, perchè in esse l'ultima parte della scintilla è quasi completamente scomparsa. SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 397 ì Sl o di platino-iridio, la scintilla presenta di solito un aspetto molto irregolare, qual'è | quello delle fotografie 17 e 18 della tavola suddetta, in cui si osservano notevoli sposta- È menti fra le singole scintilline, ciascuna delle quali, per così dire, deve aprirsi da sè la via della scarica. Da tale spostamento delle scintille elementari può dipendere la variazione osser- _ vata da Trowbridge e Sabine nel valore del periodo di oscillazione da una scarica elementare all’altra, e che essi attribuirebbero invece ad un’isteresi dielettrica che | presenterebbe anche l’aria formante il coibente del condensatore. Lodge e Glazebrook notarono a loro volta che l’ultimo periodo della scintilla è più lungo degli altri: ma | attribuiscono questa variazione alla grande resistenza che presenta la scintilla nell’atto N che sta per cessare. Quest'ultima spiegazione di Lodge e Glazebrook sembra più | verosimile di quella data da Trowbridge e Sabine, tanto più che vi è ragione di A ritenere che l’isteresi dielettrica dell’aria, per oscillazioni di grande lunghezza d’onda come relativamente sono quelle di cui ci occupiamo, sia assolutamente trascurabile. Ma che una differenza fra il valore del periodo iniziale e quello definitivo della scarica vi debba esser sempre, risulta anche dalla teoria di Stefan (1). Infatti, integrando l’equazione differenziale che rappresenta il movimento della scarica lungo un conduttore rettilineo, lo Stefan ottiene per l’intensità della corrente al tempo # l’espressione 1) I = (M cos2pqt — Nsen2pgt) E cos 2ngV/t dn + pVt + (U sen 2pgqt + N cos 2pgt) er È. lo e-?îsen2ngV/tdn . dove p e q sono la parte reale ed il coefficiente dell'immaginario di una delle coppie di radici di un’equazione di 4° grado, da cui dipende la soluzione del problema. Nelle ordinarie condizioni in cui avviene ‘la scarica di un condensatore, in uno 1 dei due termini, di cui si compone /, il valore di p è positivo e nell’altro è negativo. Pl Ora, considerando separatamente i termini della 1) si vede che quello corrispon- — dente a p>Q0 al crescere di # tende ad annullarsi, e che invece l’altro relativo a p <0 converge verso 4 t Vrre-@-2°"(Mcos2pgt — Nsen2pgt), | e rappresenta quindi un moto ondulatorio smorzato, della stessa forma di quello — voluto dalla teoria di Thomson. «Segue da ciò che nei primi momenti della scarica, la sovrapposizione di quest'ul- timo moto con quello aperiodico resultante dalla parte della 1) dovuta al termine ‘incui è p>0, può modificare sensibilmente il periodo della scarica stessa. Ci Qualunque sia la cagione dello spostamento suaccennato delle singole scintille componenti la scarica, è chiaro per altro che esso influisce notevolmente sull’ esat- 1) “ Wied. Ann. ,, 41, p. 421, 1890. 398 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 64 tezza che si può raggiungere nella misura sperimentale del periodo di oscillazione. Infatti tale esattezza dipende non solo dalla costanza della velocità di rotazione dello specchio e dal grado di precisione col quale si può misurare questa stessa velocità al momento in cui è presa la fotografia; ma dipende anche dalla precisione con la quale si può determinare la distanza fra le immagini fotografiche di due scin- tilline elementari consecutive. Ora, se queste si spostano sugli elettrodi, la distanza misurata non corrisponde a quella reale. Noi però abbiamo eliminato, almeno in gran parte, tale inconveniente nelle nostre misure, perchè delle molte fotografie che abbiamo fatte per ciascun caso e per ciascuna distanza esplosiva, abbiamo utilizzato soltanto quelle in cui le immagini delle scintille erano molto nette e regolarmente distribuite. Inoltre, come già dicemmo, nel computo del valor medio delle distanze fra due scintille elementari consecutive, si scartavano sempre le prime e le ultime scintille, ed il periodo effettivo si deduceva dalla distanza media fra le scintilline rimanenti, che erano sempre assai numerose. Il valore indicato per il periodo sperimentale era poi la media di quelli che per ciascun caso e per ciascuna distanza esplosiva si deduceva dalla media di molte fotografie. y La concordanza di questi valori era notevole. Per poterlo giudicare abbiamo riportato nelle tabelle VIII a XI tutti i valori che hanno servito alla determinazione sperimentale del valore di 7, per circuiti di autoinduzione ben nota. Misure fatte in giorni diversi dello stesso valore del periodo hanno sempre dato numeri perfettamente concordanti. È da concludere perciò che nei valori del periodo misurato da noi, riportati nelle precedenti tabelle, siasi raggiunta una notevole esattezza. Le sole fotografie del Miesler son quelle che più si avvicinano alle nostre per brevità del periodo. Ma, pure astraendo da quanto abbiamo detto a suo luogo (pag. 10) circa la difficoltà di misurare la velocità vera di rotazione dello specchio col movimento di orologeria che egli usò, l'esame delle fotografie riportate nelle tavole del Miesler fa supporre che altre cause d'incertezza si siano presentate nelle di lui misure. Ed invero, sia per la sfumatura delle immagini, sia per il loro piccolo numero e per la troppo piccola distanza che le separa, sia per la disposizione ottica usata per fotografarle, si rende molto difficile un’esatta misura dell’intervallo di tempo che decorre dall'una all’altra scintillina; onde è probabile che le determinazioni fatte su tali fotografie possano dare dei numeri o più grandi o più piccoli di quelli indicati. Il notevole accordo fra i valori teorici e quelli sperimentali riportati dal Miesler potrebbe quindi essere più apparente che reale. Sono invece di grande precisione le misure fatte da Lodge e Glazebrook sulle belle fotografie da essi ottenute; ma la difficoltà che presentavasi per averle ben nette era per quei due fisici molto minore di quella che si presentava a noi, perchè il periodo di oscillazione da essi studiato era enormemente più lungo di quelli a cui noi siamo giunti. SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 399 b) Valore adottato per la capacità del condensatore. 35. — Le grandi cure da noi usate nella misura assoluta della capacità del con- densatore, e la concordanza del valore così ottenuto con quello risultante dal con- . fronto col campione favoritoci dal Prof. Ròiti, ci autorizza a ritenere che il valore È da noi adottato sia meritevole di ogni fiducia. a Si potrebbe peraltro sospettare che per grandi differenze di potenziale fra le | armature, quali son quelle cui corrispondono le distanze esplosive di qualche milli- — metro da noi usate, la carica si espanda sugli orli di vetro che non sono coperti dalla stagnola, più assai di quello che avviene per cariche debolissime come quelle A da noi adoperate nel campionamento suddetto, e che quindi la capacità vera sia mag- giore di quella indicata. Se ciò accadesse realmente, non ci era possibile verificare; ma è certo che se per alti potenziali vi è maggior diffusione della carica sul vetro, | ciò non può aumentare che insensibilmente la capacità efficace del condensatore, | perchè nell’atto in cui scatta la scintilla nello spinterometro, l'elettricità che si | porta sul vetro non si scarica al modo stesso di quella acquistata dalle armature metalliche. v Potrebbe inoltre obiettarsi che la capacità per cariche rapidamente oscillanti . differisse, anche per i condensatori ad aria, da quella che dànno le misure eseguite | con cariche lente — obiezione che fu infatti sollevata a proposito delle esperienze di Hertz. Ma si dimostra (1) che la capacità per scariche oscillatorie è data, per un con- | densatore circolare di raggio R', da SLI ti | SL TE FICO (2) (d'= distanza delle armature) È ‘ dalla quale risulta che se il rapporto fra la superficie S di una delle armature e il — quadrato della lunghezza d’onda \ delle oscillazioni è trascurabile di fronte ad 2° il — valore della capacità per vibrazioni rapide è quello stesso che si ha-per le cariche lente. Nel nostro caso la superficie S di un’armatura, riunendo i condensatori in - quantità, come risulta dalle dimensioni indicate a pag. 22 è di em.? 63 X 28 x 34 X 2= 119952, A e la lunghezza d’onda, per i IRC misurati di 7 X 107° e 0,8 X 107° sec., varia SIA (1) Cfr. Drunk, Physik des Aethers, p. 459. (2) Questa formula si ricava da quelle esposte nel Drude ricordando che, essendo e la carica totale del condensatore, si ha e aa # ed osservando che, potendosi il campo ritenere uniforme nella i 2 parte centrale del condensatore circolare, si ha V\ —Va=Zd = ud f(t), mentre la carica e è data da È 4 DI | RI? 92 2 p'* i = 1015 (E) mt i. 400 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 66 fra \=3 X 1010 x 5 XxX 1075 e 3 X 1010 x 0,8 X 1075 em.; perciò il rapporto sud- detto ha valori compresi fra NI rg DE L99021: 1 stadi mX 119952. .0. (BPXGT0 SOSTA) (3X 1010 X 0,8 X 10-68)? cioè fra 0,000000017 e 0,00065. Non vi è quindi da apportare, per questo motivo, alcuna correzione al valore sopra indicato per la capacità da noi adoperata. Del resto, siccome la resistenza totale del circuito compresa la scintilla, come si x NI a ù 1 oa za : vedremo in seguito, è trascurabile di fronte a mo me quindi la formula ridotta del Thomson si può ritenere applicabile —, dall’accordo grandissimo che anche in questo caso si ha fra il periodo calcolato e quello osservato si può arguire, che il valore adoperato per la capacità del nostro condensatore ed ottenuto dalle misure eseguite con cariche lente e con bassi potenziali, vale effettivamente anche per le scariche oscillatorie e per i potenziali usati nelle nostre esperienze. Si può inoltre ritenere questa concordanza come prova che l’isteresi dielettrica dell’aria è realmente trascurabile per i periodi delle scariche da noi fotografate. c) Valore della resistenza e dell’autoinduzione. 36. — I metodi calorimetrici da noi usati sono, a parer nostro, i più sicuri per stabilire un confronto tra le resistenze che due circuiti diversi presentano alle sca- riche oscillatorie. Perciò noi, avendo calcolata con la formula di Lord Rayleigh la resistenza di alcuni conduttori rettilinei coi quali abbiamo confrontate le resistenze delle nostre spirali (pag. 37 e seg.), possiamo dire di essere riusciti a trovare in misura assoluta queste resistenze medesime con l’approssimazione della quale sono suscet- tibili queste misure calorimetriche. Si potrebbe obbiettarci che, a rigore, la formula di Lord Rayleigh non è applicabile se non per correnti perfettamente armoniche. Ora Barton (1), recentemente, seguendo come Lord Rayleigh un calcolo che Maxwell riporta nel suo trattato, ha trovato l’espressione della resistenza e dell’autoinduzione di un circuito per correnti armo- niche smorzate, quali sono quelle che si ottengono nella scarica di un condensatore. Nella teoria di Barton lo smorzamento delle correnti viene misurato da un certo numero X che, stando alle notazioni da noi adottate, ha per espressione RATE tan DIO To e che quindi nel nostro caso riesce senza dubbio sempre inferiore a 0,02. Ora, indi- cando con È" e R' i valori delle resistenze di uno stesso circuito calcolate rispetti- vamente con le formule di Barton e di Rayleigh, il loro rapporto è dato da (1) © Phil. Mag. ,, (5), 47, p. 433, 1899. 67 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 401 Si vede da questa relazione, ponendo £ = 0,02, che i due valori R'” ed R' non potevano differire nelle nostre esperienze che dell'uno per cento circa, quantità che può senz'altro trascurarsi perchè inferiore all’approssimazione media con la quale venivano fatte le misure calorimetriche. Del resto esperienze dirette del Cardani (1) fatte con scariche di condensatori dimostrano sperimentalmente che, entro i limiti degli errori di tali misure, si può ritenere che la resistenza di un filo rettilineo per tali scariche abbia in realtà il valore che le assegna la formula di Lord Rayleigh. 37. — Quanto all’ autoinduzione osserveremo che diversi sperimentatori hanno misurato il coefficiente di uno stesso rocchetto con le correnti continue e con quelle alternanti ed hanno trovato valori poco diversi da un caso all’altro; ma le alter- nazioni usate erano sempre di poche centinaia al secondo. Dell’influenza che viene esercitata dal modo di valutare l’autoinduzione del cir- cuito, si occupò specialmente il T'allqvist (1. c.), confrontando i valori sperimentali del periodo di oscillazione con quelli dedotti dalla formula del Thomson. In seguito a tal confronto egli ritiene che i valori reali di L sieno, per le scariche oscillatorie, alquanto minori di quelli che si ottengono sperimentalmente tanto col metodo delle correnti continue quanto con quello del telefono con le correnti alternate. In gene- rale però, il valore di L adattato per le spirali nelle ricerche fin qui eseguite sulle scariche oscillanti è stato sempre quello o calcolato con le formule che valgono per le correnti continue, o trovato sperimentalmente con tali correnti. Invece le nostre autoinduzioni (vedi pag. 42), o sono state direttamente calcolate con le debite correzioni relative alla frequenza delle scariche, o sono state determinate sperimentalmente con correnti di alta frequenza per confronto con le autoindu- zioni già calcolate. Qui bisognerebbe osservare che a rigore, anzichè la formola di Lord Rayleigh, per le ragioni che esponemmo nel paragrafo precedente, bisognerebbe applicare quella di Barton. Però pei valori dello smorzamento che convengono alle nostre esperienze, la differenza tra il valore dato da Rayleigh e quello dato da Barton è addi- rittura insignificante. Quanto al caso di circuiti di forma qualunque, ci potrebbe essere osservato che lo Stefan (2) indicò la variazione che il coefficiente di autoinduzione subisce per la disuguale distribuzione della corrente nella sezione di un filo. Ma il procedimento di Stefan non può veramente estendersi al caso di spirali di piccolo raggio perchè richiede che sia trascurabile lo spessore del filo di fronte al raggio di curvatura del circuito; e richiede inoltre che la corrente sia distribuita simmetricamente attorno all’asse del filo — ciò che non si ha evidentemente nelle. ordinarie spirali, a motivo della dissimmetria nella distribuzione delle correnti: dissim- metria dovuta all’azione di una spira sull’ altra. Quest’azione perturbatrice tende a localizzare le correnti su alcune porzioni soltanto delle superficie del conduttore; e che (1) “ N. Cim. , (4), 7, p. 229, 1898. (2) “ Wien. Ber. ,, 95, Il a, p. 917, 1887. Serie II. Tom. LI. ne 409 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 68 ciò accada realmente lo mostra il fatto, da noi constatato sperimentalmente (pag. 41), della maggior resistenza che per correnti alternanti è opposta da un filo piegato a forma di spirale in confronto di quella che per le stesse correnti avrebbe se fosse disteso in linea retta. In mancanza di formole teoriche che ci dessero l’autoinduzione effettiva di una spirale per correnti di alta frequenza, non ci restava che ricorrere alla via sperimentale e questa ci ha condotto a soddisfacenti risultati. d) Resistenza della scintilla. 38. — Le nostre esperienze ci davano anche il modo di determinare la resistenza della scintilla, che costituisce attualmente uno dei principali problemi inerenti la scarica elettrica. Essa è stata bensì oggetto di alcune determinazioni, ma non si può dire che sia conosciuta con sicurezza, e specialmente non si conosce in qual modo essa dipenda dalla frequenza delle oscillazioni. Biernacki (1) studiò la resistenza della scintilla di un oscillatore, confrontandola con quella di un elettrolito, interposto fra le sferette di un risuonatore identico all’oscillatore stesso. Quando queste due resistenze erano uguali cessavano le oscil- lazioni nel risuonatore. Egli trovò, per distanze esplosive comprese tra cm. 0,01 e 1, valori compresi tra 300 e 1509. Invero non sappiamo in quali unità siano espressi questi numeri, che riportiamo dal sunto pubblicato sul Journal de Physique, non avendo noi trovato la memoria originale del Biernacki; ma non ci pare possano essere in unità elettromagnetiche. Trovò inoltre che il valore della resistenza della scintilla decresce col diminuire della distanza esplosiva, sino ad un minimo al di là del quale ritorna a crescere; e che tale valore R deve potersi esprimere con una formula del tipo R= A+ dove / è la lunghezza della scintilla, A, B, x, sono costanti positive. Questo studio si riferisce però solamente a scintille di oscillatori Hertziani, cioè a scariche oscillatorie di grande frequenza e nelle quali entrano in gioco piccole quantità di elettricità. Il Kaufmann (2) d’altra parte misurò la quantità di calore svolta nella scintilla dalla scarica di una batteria di bottiglie di Leyda, misurando l’aumento di volume della massa d’aria racchiusa nel pallone in cui faceva avvenire le scintille stesse. Egli trovò che questa quantità di calore è legata alla resistenza W della rimanente parte del circuito dalla formula B A A e B essendo costanti. La resistenza della scintilla non potrebbe quindi paragonarsi ad una resistenza metallica. (1) “ Journ. de Phis. ,, (3), 4, p. 474, 1895 (2) “ Wied. Ann. ,, 60, p. 653, 1897. 69 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 409 Di più egli trova che il calore svolto nella scintilla cresce con la differenza di potenziale più rapidamente dell'energia totale della scarica, cioè egli trova press'a poco co = cost. invece di a = cost. Quest'ultimo risultato non è conforme a quelli che dànno le nostre esperienze. Di più egli trova che la quantità di calore svolta nella scintilla è maggiore (circa il doppio) tra due elettrodi di zinco di quello che sia tra due elettrodi di ottone, Noi, per elettrodi di cadmio e di platino-iridio, abbiamo avuto all'incirca gli stessi valori di Q;, (vedi Tabella VII). Misure più recenti e più accurate sono quelle del Cardani (1), il quale per altro determinava la resistenza apparente della scintilla, deducendola dal calore svolto in meno nella parte metallica del circuito. Secondo le sue esperienze — come aveva trovato per altra via anche l’Orgler — (2) la resistenza & della scintilla dovrebbe essere espressa, in funzione della sua lunghezza /, dalla relazione R= Al + B dove A e B sono costanti. Ma dalle esperienze del Cardani non si può dedurre come la resistenza varî col periodo d’oscillazione. Si vede pertanto che le esperienze fin qui eseguite, come sopra dicemmo, non risolvono del tutto il problema. Ma d'altra parte si può ritenere che, per tener conto della presenza della scintilla, bisognerebbe scrivere l'equazione pel movimento dell'elettricità sotto la forma: Q da dQ \? dQ d'Q a: a) Vol dt at+r(%) dk La UH wdt =:0., che differisce da quella che vale per la scarica in un circuito completamente metal- lico a motivo del termine wdt, il quale rappresenta il lavoro eseguito per provocare la scintilla. Se w si potesse ritenere costante, l’azione della scintilla sarebbe com- pletamente uguale a quella di una resistenza, e si dovrebbe comprendere w nel coefficiente di | dela In tal caso la soluzione della a) differirebbe da quella del- l'equazione di Thomson solamente per il valore diverso di , che rappresenterebbe allora la resistenza complessiva del circuito metallico e della scintilla. Ma i processi che sì compiono nella scintilla sono molto complessi, e non se ne conosce con pre- cisione la natura. Già fu osservato da Paalzow (3) che il calore svolto nella scintilla presentava un massimo al crescere della resistenza rimanente del circuito, méntre la carica residua cresceva continuamente. Ciò farebbe ritenere che il calore svolto nella scintilla fosse proporzionale soltanto alla durata della scarica; ma questa ipotesi è contraddetta dal fatto che la lunghezza vera della scintilla varia durante la scarica per effetto della scarica stessa. Il metodo di misura ideato da Paalzow, che si servì di un termometro ad aria, non è d’altronde scevro da obbiezioni, perchè sul movi- (1) “ N. Cim. ,, (4), 11, p. 118, 1900. (2) “ Drude’s Ann. ,, 1, p. 159, 1900. (3) “ Pogg. Ann. ,, 127, p. 126, 1886. 404 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 70 mento dell’indice del termometro, oltre il calore svolto nella scintilla, può influire l’azione elettrostatica della scarica sull’aria dello strumento. Si potrebbe ritenere con Heydweiller (1) che la variazione di resistenza della scintilla fosse rapida sul principio della scarica e poi proseguisse lentamente, in modo che per grandi resistenze del circuito dopo un tempo relativamente breve si stabilisse un regime costante. Ma se ciò fosse, la w sarebbe tal funzione di t e di R che la a) non sarebbe integrabile; onde tale ipotesi non può essere sottoposta a prove sperimentali. i Non restava quindi che sottoporre a nuove misure la resistenza che la scintilla offre in condizioni diverse; ciò che noi facemmo coi nostri apparecchi la cui dispo- sizione permetteva di misurare il lavoro totale speso nella scintilla, e di confron- tarlo con quello che contemporaneamente si spendeva nella parte metallica, la cui resistenza R'r, per le oscillazioni della frequenza volta a volta misurata, si calcolava nel modo indicato a pag. 42. Nelle tabelle sopra riportate, la colonna 8?, che con- tiene i valori di R'7 i dove Q; è il calore svolto nella scintilla e Q, quello svolto 2 nella spirale metallica, serve a darci l’indicazione della resistenza media r della scin- tilla. Quantunque tali valori di & sieno forse un poco più piccoli del vero, a motivo della dispersione di calore che può avvenire lungo le aste metalliche dello spintero- metro, pure le nostre esperienze ci permettono di concludere che la resistenza della scintilla è stata il più delle volte minore di quella della parte metallica, e senza dubbio sempre inferiore a 1 ohm. Le misure da noi eseguite, salvo la riserva sopra accen- nata, assegnerebbero per la resistenza media delle scintille da 1 a 5 mm. valori com- presi tra 0,18 e 0,92 ohm. Altro fatto importante che può dedursi dalle nostre esperienze è che, rimanendo le stesse la capacità e la resistenza delle parti metalliche del circuito, per ogn valore del periodo, la resistenza dedotta dal rapporto -® cresce assai lentamente al a crescere della lunghezza della scintilla (vedi tabelle I a VII). Ciò può spiegarsi, o am- mettendo che la massima parte di questa resistenza si abbia al passaggio dall’elet- trodo all'aria, o che, aumentando la lunghezza, aumenti anche la sezione della scintilla. Con la disposizione da noi adoperata, si può inoltre riconoscere come dipenda la resistenza della scintilla dal periodo di oscillazione; e l’esame delle tabelle sopra riportate mostra che detta resistenza — a parità di distanza esplosiva e di capacità del condensatore — tende ad aumentare al crescere del periodo. 11 notevole accordo fra il valore calcolato del periodo di oscillazione e quello dato dalle nostre esperienze, è una prova dell’ esiguità del valore della resistenza effettiva della scintilla; ed un’altra prova dell’esattezza delle misure da noi eseguite è l’ accordo sufficientemente buono tra l’ energia disponibile del condensatore e la somma delle energie termiche svolte nel circuito metallico e nella scintilla. È poi superfluo di osservare che tutto quanto abbiamo detto riguardo alla resistenza della scintilla si riferisce al valor medio che essa presenta in tutta la sua durata. (1) “£ Wied. Ann. ,, 43, p. 310, 1891. Fai SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 405 —_—V. MISURA DELL'ENERGIA SPESA NELLE VARIE PARTI DEL CIRCUITO i 39. — L'espressione De a W=3 CV? dove C è la capacità del condensatore, e V il potenziale a cui è stato caricato, dà il limite massimo dell’energia che può fornire il condensatore scaricandosi attraverso un circuito qualunque. Ora quando avviene la scarica, una parte dell’energia posseduta dal condensatore si dissipa nel dielettrico, un’altra parte si impiega a vincere la resistenza del circuito e della scintilla, una terza parte viene spesa nel distaccare particelle metalliche dagli elettrodi e nell’ arroventarle e un’ ultima parte infine ne verrà irraggiata, cioè verrà spesa nella produzione del campo elettrostatico ed elettromagnetico. È evidente che queste varie porzioni non si ritroveranno tutte sotto forma di energia termica nel circuito di scarica — la scintilla compresa —; e che occorrerà tener conto del modo col quale si possono misurare le diverse porzioni stesse. Determinazioni dirette dell’energia che si dissipa al di fuori del circuito metallico e della scintilla sono state fatte solamente per la porzione che viene assorbita dal dielettrico del condensatore; e parecchie si riferiscono al caso di correnti alternate fornite dalle ordinarie macchine industriali, come quelle di Rosa e Smith (1), di Lombardi (2), di Arnò (3), di Schaufelberger (4), ecc. Ma nel caso nostro si può tras- curare la perdita di energia ne] dielettrico del condensatore, perchè ci siamo serviti di un condensatore ad aria. Fra le ricerche eseguite per misurare il calore svolto nella scintilla e nella parte metallica di un circuito di scarica, vanno noverate le più recenti di Heydweiller e di Cardani, perchè essi ebbero per iscopo più specialmente la determinazione quan- titativa del fenomeno. Le misure di Heydweiller (5), si riferiscono soltanto a scariche continue, perchè egli includeva nel circuito delle resistenze di qualche megaohm, formate da soluzioni di ioduro di cadmio nell’alcool amilico. Egli determinò, con una specie di termoreostato a liquido, il calore svolto nel sine SOR sita " dl 4 È : Bic; 2 a RE x circuito, ed avendo misurato con la quantità SE (dove go è la quantità di elet- (1) “ Phil. Mag. ,, (5), 47, p. 19, 1899. (2) Lomsarpi, Estratto dall’ “ Elettricista ,, Anno 5, N. 10, £ Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Serie II, tomi XLIV e XLV. (3) Arnò, “ Rendiconti dell’Accademia dei Lincei ,, 1892, 1893, 1894. (4) ScaaureLBErRGER, Inaugural Dissertation (Facoltà di Zurico), 1898. (5) “ Wied. Ann. ,, 43, p.310, 1891. 406 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 2, tricità iniziale, q, quella residua e C la capacità del condensatore) anche il lavoro totale della scarica, potè dedurre per differenza il lavoro speso nella scintilla. L'azione principale della scintilla consisterebbe, secondo Heydweiller, non già nella sua resistenza, ma nel lavoro necessario a mantenere il potenziale di scarica. Il Cardani (1), studiando la resistenza delle scintille, si occupò indirettamente della distribuzione dell’energia in un circuito di autoinduzione costante e piccola, in cui, facendo variare la capacità del condensatore, cambiava anche il periodo di oscil- lazione entro limiti discreti. Esaminando pure la scarica nei gas rarefatti, il Cardani osservò che la parte di energia che si dissipa nella scintilla dipende dalla forma della scarica e dalla sezione della scintilla stessa, essendo assai maggiore quando la scarica si fa per mezzo del fiocco luminoso. Ma tanto le misure di Heydweiller quanto quelle di Cardani non servono a dare la soluzione completa di questa parte del problema, perchè quelle di Heydweiller comprendono semplicemente le scariche continue, e quelle del Cardani non sono rife- rite all'energia disponibile. Per la soluzione del problema è necessario che le misure dell’ energia termica che si presenta nelle varie parti del circuito vengano eseguite simultaneamente; come è anche importante che in misure di questo genere sia messa a confronto, con la somma di tali energie, l’energia totale disponibile nella scarica. E poichè la disposizione delle nostre esperienze per la misura del periodo di oscillazione e per la valutazione delle varie resistenze era tale che ci permetteva di fare simultaneamente tutte le misure occorrenti, ci siamo anche occupati di trarre qualche conclusione circa l'energia che si ritrova nelle diverse porzioni del circuito di scarica, in confronto di quella che si ha disponibile. Per tale scopo oltre le determinazioni già esposte della capacità e del calore svolto nelle parti metalliche e nella scintilla, ci occorrevano quelle del potenziale di scarica e del valore della carica residua. Elettrometro. 40. — Per ottenere il valorè del potenziale a cui la scarica cominciava, abbiamo fatto uso di un elettrometro idiostatico Righi (2), che si presta molto bene per la misura esatta di alti potenziali. Però all’ago di questo elettrometro (tagliato da una sottile lastra di alluminio) abbiamo aggiunto un leggero smorzatore elettromagnetico, costi- tuito da un telaietto di lastra di rame, mobile in un campo magnetico, di forma del tutto simile a quella del galvanometro Despretz-D'Arsonval. L’ago e lo smorzatore erano leggerissimi, ed il loro movimento era quasi per- fettamente aperiodico, in modo che ci permetteva di seguire rapide variazioni di potenziale. Inutile avvertire che sono state prese le necessarie precauzioni per la protezione dello smorzatore e dello specchietto, dalle azioni elettrostatiche. (1) “ N. Cim. ,, (3), 35, p. 142, 1894; (4), 11, p. 113, 1900, (2) “ N. Cim. ,, (2), 16, p. 89, 1876. 73 SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 407 Modo per ottenere la costanza del potenziale. 41. — Gli elettrodi da noi adoperati per la scarica, dopo varî tentativi, ebbero la forma di cilindretti di 3 mm. di diametro terminanti in calotte sferiche. Ci riuscì ‘ molto difficile, stante la piccolezza degli elettrodi, far sì che il potenziale di scarica si mantenesse per ogni serie di esperienze abbastanza costante. Con elettrodi di allu- minio, di cadmio, di ferro, ecc., ecc., le alterazioni superficiali erano così rapide e il ritardo di scarica, quando le scintilline avvenivano nell’interno del calorimetro, così grande e così variabile, da rendere impossibile di attribuire alla deviazione media un valore attendibile. Quindi, nel caso in cui dovevamo eseguire misure calorimetriche, anche per evitare fenomeni di ossidazione, abbiamo trovato molto convenienti elettrodi di platino, e meglio di platino-iridio. Per diminuire notevolmente il ritardo della scarica, ponemmo sia nell'interno del calorimetro a scintille, sia a poca distanza dall’intervallo di scarica, quando si faceva la fotografia, un piccolo tubetto di celluloide contenente un poco di sostanza radioattiva. L'azione di tale sostanza era così efficace che i successivi potenziali di scarica erano pochissimo diversi fra loro, e permettevano di ottenere una buona media per il valore del potenziale di scarica, purchè la superficie degli elettrodi non fosse troppo alterata. Ad ogni modo, perchè le letture calorimetriche fossero attendibili, era necessario che le scintille si producessero abbastanza lentamente da permettere all’ago di seguire le variazioni del potenziale. Per questo motivo non abbiamo potuto fare tutte le volte le letture stesse contemporaneamente a quelle calorimetriche, nelle quali invece occor- reva che le scintille si succedessero con sufficiente rapidità. E abbiamo quindi eseguito in molti casi la determinazione dei potenziali di scarica immediatamente prima e dopo ogni serie di letture calorimetriche, riscontrando sempre un buon accordo fra le let- ture anteriori e quelle che venivano fatte dopo. Ottenemmo poi il valore assoluto del potenziale di scarica, campionando il nostro elettrometro, con un buon elettrometro assoluto a bilancia di lord Kelvin, costruito appositamente per potenziali dell'ordine di grandezza di quelli usati da noi. A seconda delle differenze di potenziale che si dovevano misurare, si regolava l’elettrometro in modo che la sua costante assumesse il valore 1,505 o il valore 2,71. 42. — Riportiamo, come esempio, una tabella. 408 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 74 Letture precedenti Letture posteriori alle esperienze calorimetriche alle esperienze calorimetriche (Deviazioni all’elettrometro) (Deviazioni all’elettrometro) 239 240 238 244 243 250 249 249 250 235 250 242 251 240 250 255 232 1 250 260 240 230 : 230 232 240 230 240 230 246 232 244 238 232 241 248 220 248 243 238 241 234 i Da Media 242,2 241 239 241 Media 239,9 È Valor medio 241,1. Valore di V in U. E. [C. G. S.1=V241,1 X 1,505 = 23,37. Belo. SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 409 » Galvanometro per la misura della carica residua. 43. — Ma per poter conoscere con esattezza la porzione di energia che interviene realmente nella scarica, era necessario, come dicemmo, determinare anche il valore della carica residua. A tal uopo il condensatore veniva caricato mediante una grande macchina doppia di Holtz, mantenuta in moto lento e uniforme per mezzo di un motore elettrico. Quando si voleva determinare la carica residua, perchè il condensatore non si cari- | casse troppo rapidamente, il più delle volte, invece di fare una comunicazione diretta | colla macchina, si affacciava un polo della macchina stessa, terminato in punta, ad un elettrodo piano comunicante con una delle armature del condensatore. L'altra armatura era posta al suolo. Dopo aver stabilita nel modo voluto la distanza fra gli elettrodi dello spinte- _rometro, si regolava la velocità del motore affinchè le scintille scoccassero nello spinterometro a circa due o più minuti primi l’una dall’altra. Dopo di che si proce- deva all'esperienza di misura. E cioè, appena era scoccata la prima scintilla nello spinterometro, si lasciava cadere un corto pendolo opportunamente disposto, in modo che venisse stabilita la comunicazione fra il condensatore e uno dei reofori di un galvanometro balistico, il secondo reoforo del quale era derivato al suolo. Per ottenere un buon isolamento e una completa protezione dell’ago dalle azioni elettrostatiche, il telaio del galvanometro era formato con due soli strati di filo coperto da un grosso involucro di guttapercha, e l'ago (costituito da uno specchiettino d’acciaio magnetizzato) era chiuso in un cilindro la cui superficie laterale era di rete metallica e le cui basi eran di ottone. Le letture si facevano attraverso una sottile — fenditura praticata in una delle basi. si Nelle nostre esperienze, in cui le scintille non superarono mai la lunghezza di 5 mm. e la resistenza del circuito era piccolissima, la carica residua, che era quella dovuta soltanto alla quantità di elettricità che non poteva essere scaricata dalla scintilla stessa, risultò costantemente trascurabile, cioè inferiore sempre al centesimo della carica iniziale. fi A Energia disponibile e sua ripartizione nel circuito di scarica. 44. — Il lavoro speso per conferire il potenziale V al condensatore di capacità €, | rappresenterebbe l’energia effettivamente disponibile e si dovrebbe quindi ritrovare | nella scarica, se nessuna parte ne venisse dissipata nel dielettrico, al di fuori del circuito metallico e della scintilla. Questa dissipazione dell'energia può raggiungere valori sensibili nei condensatori a dielettrico solido, e non si conosce invero un metodo sicuro per calcolarla; poichè bi metodi che si adoprano per le ordinarie correnti alternate delle macchine indu- | striali non sono applicabili al caso presente e il metodo di Wulf (1) — che si basa sulla determinazione del coefficiente di smorzamento dell’ampiezza di oscillazione, ZA fi av (1) “ Wien. Ber. ,, 105, IT a, p. 667, 1896. | Serie II. Tom. LI. 5° 410 ANGELO BATTELLI — LUIGI MAGRI 76 quale si deduce dalla curva della carica residua, e del decremento teorico calcolato mediante le differenze di potenziale corrispondenti a due massimi consecutivi — non offre grande garanzia. Ma nelle nostre ricerche l'inconveniente era reso inapprezza- bile con l’uso dei condensatori ad aria, o per lo meno esso era certamente di ordine inferiore agli errori inevitabili nelle misure calorimetriche. Altra porzione .di energia, che non si ritrova nel circuito, è quella che si irraggia per onde elettromagnetiche. La teoria della scarica oscillante permette di calcolare questa parte di energia, perchè dà il modo di confrontare l'intensità ? della corrente che passa pei fili del circuito di scarica — supposti paralleli e alla distanza d fra di loro — con quella # che si ha nel cilindro di aria che ha per asse uno dei fili e per raggio della base la metà della distanza d fra i due fili stessi. Il rapporto fra i ed ? (vedi DrupE, Phys. d. Aethers, pag. 369) è dato da: AI O da FAO AT at Tali calcoli non si adattano veramente alle nostre disposizioni sperimentali; ma tuttavia si può osservare che essi servono a dare l’ordine di grandezza della parte di energia che viene dissipata. Ad es. se si osserva che nelle esperienze da noi ese- guite il valore di 7c, che è la lunghezza d’onda, è sempre maggiore di 600 m.; e quello di d, anche prendendo per distanza massima quella fra i nostri circuiti e il suolo, è sempre inferiore a 2 metri, la formula precedente dà: È <6(1)°, ossia“ < 0,0000686. Nel caso di circuiti avvolti a spirale, la dispersione non potrà essere molto diversa; quindi nelle nostre esperienze si potrà ritenere sempre trascurabile. Che la somma delle energie spese al di fuori del circuito metallico sia trascu- rabile entro i limiti di precisione che si sono raggiunti nelle misure da noi eseguite del potenziale di scarica e del calore svolto nella scintilla, resulterebbe anche dalle stesse nostre esperienze. Infatti nelle tabelle I a VII abbiamo messo a confronto la somma 0, + @: del calore che si manifesta nella scintilla e nella spirale metallica, con l'energia corrispondente a !/, CV?; e dall'esame di tali tabelle si vede che quasi tutta l’energia si ritrova sotto forma calorifica in quelle due porzioni di circuito. Non possiamo per altro fare a meno di osservare che l'incertezza del valore vero di V (dovuta alla grande variabilità della lunghezza effettiva delle scintille) e il fatto che il calorimetro a scintilla non dà la misura esattissima di tutto il calore svolto nella scintilla stessa, toglie un po’ di valore al nostro confronto. D'altronde però, più che la misura assoluta dell’energia totale, era interessante, in queste prime ricerche, lo studio della sua ripartizione fra la scintilla ed una porzione metallica di resistenza conosciuta, e ciò abbiamo potuto stabilire con sufficiente esattezza. TIT SULLE SCARICHE OSCILLATORIE 411 CONCLUSIONI 45. — Dall’esame di questi resultati ci sembra si possa concludere: 1° Il periodo di oscillazione concorda, dentro i limiti degli errori sperimentali, col valore teorico dato dalla formula di Thomson. L'accordo meno buono che si ha nel caso di periodi molto brevi (circa 7 X 107°) dipende da non poter mettere in calcolo l’autoinduzione del circuito ; 2° La resistenza della scintilla per scariche poco smorzate, dovute a quantità di elettricità assai grandi, come quelle date dai nostri condensatori, e per distanze esplosive comprese tra 1 e 5 mm., è assai piccola e sempre inferiore ad un ohm. A parità delle altre condizioni, essa cresce assai meno rapidamente della lun- ghezza della scintilla. Ciò farebbe ritenere, o che per la massima parte la resistenza della scintilla si abbia nel passaggio dagli elettrodi al gas ambiente, o che al cre- scere della lunghezza aumenti la sezione della scintilla stessa; 8° La resistenza di un filo piegato a spirale è, per le scariche oscillatorie, molto maggiore di quella che offrirebbe lo stesso filo disteso in linea retta. La differenza tra i due valori cresce colla frequenza della scarica e con la vici- nanza tra le singole spire. Quindi la formula di Lord Rayleigh non può applicarsi a circuiti avvolti a spirale; 4° La somma delle energie calorifiche spese dalla scarica nella scintilla e nel circuito metallico, concorda abbastanza bene col valore dell’energia posseduta dal condensatore; 5° Con gli elettrodi di cadmio le scintille sono molto più regolari di quello che si abbia con elettrodi di platino o di platino iridio; 6° I valori che si ottengono per la resistenza della scintilla e per l’energia spesa nella scintilla stessa, sono, nelle condizioni da noi usate, prossimamente uguali per elettrodi di platino iridio e di cadmio. Slecod Rledelle Ono (Cooo di o) Ta 9029 rr 2” 0omo L/ - Tav.I Cda iv iù TED | \ \ il i = ml La =: = uso Vi S TINI | | | \ = Ò | È Torino - Lit. Salussolia. 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