HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOÒLOGY. PARTI TEANO DS VARO, SOA all ‘ III Regione xk Dea lai DA SATA utt: pi; Lo Ù di, N LAU NT br tRA (O PISA VI ICAO VICINI COESESEsE Tw= TT __yT_v=yy ov —TT-==z=-Ccs-@ — SS “EE SE&SEE>E EEE <= TETTE Mor MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE nati eta an da E TERI SE naar DI TORINO SERIE SECONDA “Tomo LI STORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 Hl 5) CO ERTZ°Z4A RITEARTTNRTARI SIZZ DIAZ AR PE PERDZAZ& AA AZZ | II Sd (o NEMMENO MAI 3 ZA SME PRA RARZIIZZAAZIUMALZIZIAZARZAIZNAIZAZAZAMAIAIAZIA ai Na an VV azz Vi Vezza Meazza "rt AA SAMI RIZZA MAMA AE EÉ I —PEsE SV e ee ) NEMMENO <= ZE SÈ E Ba; E I MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO Tra ea PT adito, 1) ARAN | Lira db: AVRA TAO] M LITMARSTÙ n SA CUT, Ri: % (TI ni) AA LUI NARA Le, VANORE TE NOTI n TA Db. i Noi» n AL) JIA Vi ARSA niger NO Ling i ) DS) Ù Ji t9 1 CSTAMORENT i n Kn) 1 sd (OTTO Ù ras Î MPA VRIGIO Mez i 0h Ù ATA Ù RIOT 5 Vor 21908 fi x Ù n j AL 1 DI i ve Di il ti ì VIE { K voci : A hi; MAIPET dae I AMARA O ETA VITERTI N î | j Ù fi Tio AT L Pr A ni n più trat I 4 i MAT ACRI Di i Rai PA; ATI * È it , A, Ù cv Ne CS) 24 nie I Da CIreei CAO DELL REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DERLORTNO SERIE SECONDA Tomo LI U, TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1902 SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGIOHE INDICE CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE rico di Cangrande I della Scala e la sua famiglia; Memoria del. Socio n dii de aqua Ni terra , attribuita a Dodo, 3 Memoria I: La FITO ì 3 ; A ; 3 3 è A 3 : 5 Habretti. Notizie sulla vita e sugli scritti; raccolte dal Socio Ermanno o CIPOLLA . i ; È È S'ITIZIAT 161 213 co (UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA È E LA SUA FAMIGLIA È MEMORIA del Socio CARLO CIPOLLA Approvata nell’ Adunanza del 23 Dicembre 1900. Un personaggio, che fu amico e fedele servitore di Cangrande della Scala e che estò l’opera sua anche in profitto dei suoi successori, ha richiamato la mia attenzione. Le memorie della sua vita si trovano per la massima parte scritte nei docu- enti che compongono l’archivio della famiglia dei Conti Sacco, poichè la persona secolo. po lui e della sua © miglia pnarols le Ri, Nozle o che esse pos- ande, quelle dei suoi fedeli saranno almeno degne di ricordo. Paolo Schubring (1) narrò la vita del pittore Altichiero. Descrivendo la società a quale questo artista sviluppò il suo genio, disse che Verona era allora “ il foco- della vita dello spirito nell'Italia superiore ,. E soggiunse che “ Cangrande le , procurato questa potente posizione, sia politicamente, sia intellettualmente ,. x o che essa è una società di armi, di toga e di commercio. In mezzo agli affari XIV in poi costituiscono il patriziato, affinarono la loro forza e arricchirono il loro patrimonio sec. XIV specialmente col commercio (Cf. “ Arch. Ven. ,, XIX, 333-4). Serie II. Tom. LI. 1 2 CARLO CIPOLLA La società della capitale degli Scaligeri si rassomiglia più o meno a quella di molte altre città, nelle quali intorno allo stesso tempo elaborossi la nuova Signoria, donde fu assai facile il passo allo Stato, che caratterizza il Quattrocento. Lo studio di questa società, intimamente considerata, ci può quindi dare qualche buon insegnamento per conoscere la interiore elaborazione di ciò che all’esterno ap- parisce sotto forma politica, letteraria ed artistica. Esso ci fa vedere come le muta- zioni introdottesi nelle abitudini famigliari, lo sfarzo nobiliare che si sostituisce alla agitazione della vita mercantesca, corrispondano alle nuove estrinseche manifestazioni della politica e della vita sociale. Forse non sempre e dovunque avviene che nelle signorie e nelle monarchie i discendenti degli antichi signori feudali si veggano “ stringersi attorno al trono , e “ farsi cortigiani , (1); poichè ci sono anche molti casi, nei quali, estinta o allon- tanata l’aristocrazia feudale, nasce e si sviluppa una aristocrazia nuova, alla quale servono di base le ricchezze acquistate col commercio e coll’esercizio dei pubblici offici. Questa novella aristocrazia, raggiunto il potere, e in esso adagiatasi, diventerà patriziato. Quello che avremo ad esporre, ci insegnerà appunto questo. La gentilezza con cui il conte Antonio Sacco mi aperse l'archivio della sua an- tica e illustre famiglia è degna di essere posta ad esempio. Debbo quindi la mag- giore gratitudine a quell’egregio gentiluomo, e riguardo siccome il pagamento di un vero debito, la pubblicazione degli appunti, che trassi dalle numerose pergamene custodite in quell’archivio, per il periodo della Signoria Scaligera. L'archivio è ora conservato nella villa dei conti Sacco, a Colà, villaggio del Ve- ronese, presso il Lago di Garda. Assai prima di me, verso il principio del sec. XVIII, l'archivio Sacco venne esa- minato da un assai diligente e perspicace raccoglitore di notizie storiche veronesi, da un degno amico di Scipione Maffei, cioè dal canonico Carlo Carinelli, al quale dobbiamo le genealogie delle principali famiglie di Verona. Il Carinelli tesseva le sue genea- logie, non basandosi sopra leggende create da vane ambizioni. Egli invece si fondava sullo studio dei documenti, dei quali compulsò un numero sterminato. Anche per compilare la genealogia dei Sacco egli quindi ricorse alle fonti genuine, e dal suo archivio citò espressamente parecchi documenti. Forse altri ne vide, ma, pur giovan- dosene, non credette allegarli. Sembrami conveniente di riferire qui la parte principale del cenno sull’origine della famiglia, ch'egli aggiunge alla tavola genealogica, e alle allegazioni dei docu- menti (2). (1) Pasquare Der Giupice, La feudalità italiana nel Dugento, in Arte, Scienza e Fede ai giorni di Dante. Milano, Hoepli, 1901, p. 4. (2) L'opera del Carinelli sulle famiglie Veronesi si conserva manoscritta nella Biblioteca Comu- nale di Verona. La famiglia Sacco vi è descritta nel vol. II (in fol.). UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 3 “ Bergamo cità antichissima di Lombardia fu la patria primiera della famiglia Guidotta, che di qua riconoscere deve la sua derivazione, come chiaro risulta a mio credere da ‘istromento dell’anno 1286, 30 marzo, in atti di Galvan q. Bonaventura Frissoni, conservato nell'Archivio Sacco, nel qual si nomina Guglielmo de Guidotti di Bergamo, giudice di Verona, mentr’ era podestà della medema Boson d’Ugubio. Stabilitasi dunque questa casa circa questi tempi in Verona, fondò la sua abitazione nella contrà di San Giorgio, in un particolar sito della medema, denominato di Sacco. Onde furono comunemente chiamati Guidotti di Sacco, com’ apparisce da locatione fatta l’anno 1306, primo marzo, da Isnardin q. Bernardo de Guidotti di contrà di Sacco. Vedasi l'Archivio sopracitato... E var) altri istromenti, che per brevità tra- lasciansi. Nel corso però di poch’anni negletto il vero primo cognome, fu introdotto invece di quello il nome della contrata di Sacco, che di presente pure conservasi in questa famiglia. Quale, e per privileggi ottenuti da Scaligeri e per qualità di sog- getti, così nell’arme, come nelle lettere, per parentati e cariche sostenute, per no- biltà eccedente il corso d’anni 350, merita d’essere considerata e distinta fra le più riguardevoli e degne che fioriscano in questa patria ,,. Così il Carinelli, le cui asserzioni credo giustissime, ancorchè non abbia rinve- nuto listromento 1 marzo 1306 da lui citato. Se non trovai questa carta, ciò non prova ch’essa sia andata perduta. Destinai all’esame delle pergamene tre giorni, sulla fine del settembre 1900, e può essermi avvenuto, data la sproporzione fra l'ampiezza | del materiale e la ristrettezza del tempo, di cui poteva disporre, che mi sia sfuggito qualche documento, meritevole d’essere considerato. * Nel mettere insieme queste note non ebbi in mira di registrare ogni singolo du particolare sulla vita di ciascuno dei membri della famiglia Sacco, dei quali dovrò | occuparmi. Mi proposi invece di esporre lo sviluppo di questa famiglia, mostrando come l'esercizio di molti officì e dignità, nonchè l’operosità industriale e commer- ciale l'abbia sollevata in alto, e ne abbia fatto uno strumento valido e vigoroso nelle mani degli Scaligeri. Raggruppai queste notizie intorno al nome del giudice Pietro da Sacco, che, vissuto nella prima età della signoria Scaligera, lasciò orma di sè nella storia. Egli fu al servizio di Cangrande e di Mastino II, e venne occupato in ifficili mansioni. Sopra di costui raccolsi quella miglior luce che mi fu possibile. I Il Carinelli giustamente avvertì il documento del 30 marzo 1286, che ferma rigine della famiglia Sacco dalla famiglia Guidotti. Esso peraltro non è il primo nella serie degli istromenti, che si riferiscono alla permanenza di questa famiglia i Verona. Abbiamo la pergamena originale del 16 giugno 1283, rogata a Verona “ in mo- resterio Sancte Marie in Organo , nella quale l'abate di detto monastero “ investivit tum dominum Crescimbenum nomine dictorum suorum filiorum Guilielmi, Petri et Ysnardini et dictos Guilielmum, Petrum et Ysnardinum , di varie pezze di terra situate nelle pertinenze di Sorgà. “% 4 CARLO CIPOLLA Addì 30 marzo 1286, in atto rogato “ in palacio Verone ,, comparisce “ dominus Guilielmus de Guidotis de Pergamo iudex Comunis Verone, tempore domini Bosoni de Kugubio potestatis Verone ,. È probabile che questo Guglielmo si identifichi con Guglielmo figlio di Crescimbene e fratello di Pietro, Ruffino e Isnardino, del docu- mento precedente. In questo paragrafo mi basta di assicurare l'origine dei Sacco, dai Guidotti di Bergamo. II. A questo punto ci si fa innanzi la maggiore personalità che dalla famiglia Sacco uscisse nel XIV secolo, cioè il sunnominato Pietro, che, come giudice, e come amico e servitore fedele di Cangrande, ebbe campo di far valere la propria valentia. Nu- merosissimi sono i documenti d’affari che lo riguardano: trattasi di compere, di atti di locazione e simili. Non di tutti mi pareva necessario tener conto. Volli peraltro registrarne alcuni, perchè fosse possibile giudicare, con qualche approssimazione, degli estesi possessi, di cui egli era arricchito. Parleremo di lui, collocandolo anzitutto nel posto, che gli si compete nell’albero genealogico. Abbiamo testè veduto ch'egli è ricordato al secondo posto, quasi fosse il secon- dogenito fra i fratelli, in un documento del 1283, in cui si menzionano Crescimbene de’ Guidotti, e i suoi figli, i quali vengono dati in quest’ ordine: Guglielmo, Pietro, Tsnardino. Questo Guglielmo si identifica con quello ricordato in atto del 18 giugno 1289, cioè: “ Guilielmus filius domini Crescinbeni de Guidotis, de guaita Sancti Georgii ,. Infatti non pare dubbio che il Guglielmo q. Crescimbene del doc. del 1289 sia una sola persona col suddetto primogenito di Crescimbene. L’identificazione col Guglielmo giudice, menzionato nell’atto del 1286, sembra posta in forse da un documento del 30 aprile 1302, citato dal Carinelli. In questo, Crescimbene q. Bernardino, della con- trada di San Giorgio (Verona), emancipò i suoi figli Pietro, Guglielmo ed Isnardo. Qui il primo luogo è tenuto da Pietro, ma non avendo io veduta la pergamena originale non posso con certezza ritenere che veramente il Carinelli abbia mante- nuto l’ordine genuino. Quello su cui non è possibile che abbia a cadere alcun dubbio è sul fatto stesso della emancipazione. Ora forse si pena a comprendere come avesse bisogno di eman- cipazione chi da parecchi anni esercitava ormai l'ufficio di giudice. Ma bisogna riflet- tere alla circostanza, che il padre era vivo, e come tale reggeva la famiglia. Sicchè la difficoltà è piuttosto apparente che reale. Il documento stesso ci dà il nome del padre di Crescimbene, che chiamavasi Bernardino. Carinelli cita anche una sentenza del 18 febb. 1298 pronunciata in favore di Isnardino q. Bernardino Guidotti. Egli conosce anche un documento del 7 no- vembre 1288, nel quale comparisce fra i testimoni il chierico Bartolomeo de’ Gui- dotti del fu Daniele. Qui siamo dinanzi — a quanto suppose il Carinelli — ad una branca della famiglia Guidotti, la quale non trova il suo posto nella genealogia. Forse il giudice Guglielmo apparteneva ad un ramo separato. Forse era fratello di Crescimbene e di Isnardino e figlio egli pure di Bernardino. Questa seconda ipo- UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 5 tesi sembra avvalorata dalla circostanza che il nome si ripete nel figlio di Crescimbene. Ma l'ipotesi non mi par certa. Anzi sembrami possibile identificarlo con Guglielmo di Crescimbene. Tuttavia nella tav. II lo registrai a parte (sotto A). Questa prima parte della genealogia dei Sacco, che porta ancora il cognome Guidotti, dovremo dunque ristabilirla nel modo seguente. Avverto che se vi lascio | il nome dell’arciprete Rufino, pure segnato dal Carinelli, ma senza che peraltro egli | citi alcun documento per raffermarne l’esistenza, e il posto assegnatogli, lo faccio «non solo sulla fede di quel diligente erudito, ma anche in base al testamento che addì 11 ottobre 1330, fece rogare il giudice Pietro, siccome dirassi. Infatti in questo testamento si fa menzione di Rufino, del quale nessun altro ricordo trovai. BernaRrDINO $ avanti 1298 CrESCIMBENE IsnARDINO GueLIELMO viv. 1288 viv. 1297 giudice viv. 1286 | | | | Pierro Rourprino GuecieLmo not. IsvARDo IsnARDINO not. viv. 1283 arciprete di viv. 1283 viv. 1283 S. Pietro in Castello Il nome di Guglielmo giudice, fratello di Isnardino, non ha altro valore che quello Rimangono disgiunti: Daniele + av. 1288, e suo figlio Bartolomeo chierico, | viv. 1288. Non è inverisimile che Daniele fosse padre di Bernardino, e che costui . fosse fratello di Bartolomeo. Con questa ipotesi si potrebbe risalire fino alla metà incirca del sec. XIN. Non è detto peraltro che Daniele fosse già venuto da Bergamo a Verona. 1 i 5 Staccato rimane anche Bonagrazia de’ Guidotti, di S. Benedetto, il cui nome Jesse il Carinelli in un istrumento del 21 novembre 1320, pure nell'archivio Sacco. È Neppure so trovar posto a Deodato de Sacho, veronese, padre di Diambra, la quale ebbe una figlia di nome Malgaria. Alla educazione di quest’ultima (1) pensò . Bonineontro, vescovo di Verona, che nel 1298 testò, facendo oltre a questo, anche | altri atti di carità. | Il Carinelli cita parimenti, sotto la data del 26 dicembre 1304, il testamento di . Umiltà, vedova di Isnardino del fu Bernardo, la quale chiamò a suoi eredi il giudice etro, Guglielmo e Isnardino, vale a dire i nepoti ex fratre del suo defunto marito. (1) Verei, Marca Trivig., VII, 31. 6 CARLO CIPOLLA IV. Come si è detto, dal documento del 16 giugno 1283 dovremo argomentare che Guglielmo fosse il primogenito di Crescimbene (1). Ma si è anche avvertito come in un documento del 1302, citato dal Carinelli, il nostro Guglielmo figura al secondo posto. Il Guglielmo giudice del documento del 1286 forse non si distingue da quello di cui-ora parliamo. Pur troppo il documento tace sulla sua paternità. Il primo documento che io possa susseguentemente attribuire a questo Guglielmo è del 18 giugno 1289. In esso si legge: “ Guilielmus filius domini Criscinbeni de Guidotis de guaita Sancti Georgii ,. Viene poi un istromento del 18 febbraio 1301, rogato “ palacio Comunis Verone ,. Vi si legge: “ Ad peticionem domini Guilielmi de Sacho not., procuratoris et procura- torio nomine domine Mabilie de Sancto Stephano, dominus Gracianus de Arientis de Bononia iudex Comunis Verone per huius publici instrumenti vissionem vel per via- torem Verone districte precipiendo mandat massario ville Paludis (2) quatenus ete. ,. Nell’adempimento di somigliante officio egli ricomparisce il 19 marzo 1304, in atto rogato “in palacio Comunis Verone ,. Vi si legge: “ Ad peticionem domini Guilielmi da Sacho, dominus Nicolaus de Pocapovina, iudex, procurator Comunis Ve- rone, per presens instrumentum, vel per viatorem Verone districte precipiendo mandat massario terre Paludis, quatenus, viso hoc instrumento vel precepto habito, inconti- nenti elligere debeat quatuor de melioribus et antiquioribus hominibus ,, al fine di determinare i confini di una pezza di terra. Abbiamo: già citato l'atto di emancipazione emesso nel 1302 da Crescimbene in favore dei suoi figli. Una pezza di terra situata in Torbe, venne acquistata da “ domino Guilielmo not. de Sacho filio domini Criscimbeni de Sancto Stephano ,, con atto redatto in Verona, 3 genn. 1309. A Verona, addì 19 genn. 1311 “ dominus Guilielmus not. domini Crisimbeni de Sacho de Sancto Stephano , fece una locazione. Da un documento, che riferirò, per estratto, in appresso, dove parlo di Pietro giudice, apparisce che il not. Guglielmo era già morto il 6 aprile 1328; ma non posso stabilire con maggiore precisione la data della sua morte. Era egli andato ad abitare nella contrada di S. Stefano, che non era molto lontana da quella di S. Giorgio, dove abbiamo veduto trovarsi suo padre ancora nel 1302. I suoi tre figli erano già noti al Carinelli, il quale peraltro non ne accompagna i nomi Fiordaligi, Crescimbene, Nicolò, nè colla data, nè colla allegazione dei docu- menti che li riguardano. i Ma ora lasciamo da parte la famiglia di Guglielmo. Verrà il momento in cui dovremo riprendere questo filo della genealogia dei Sacco; ora ci chiama a sè l’ar- (1) Poco fa citai un documento del 1286 col nome di Guglielmo Guidotti giudice, ma non so se questo e quel Guglielmo siano da considerarsi come la stessa persona. (2) Palis. Palù un Comune, nel distretto di Isola della Scala. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA I LA SUA FAMIGLIA 7 gomento principale del nostro lavoro, il personaggio più notevole che dalla famiglia uscì nell’età Scaligera. Soltanto fermiamo ancora il ricordo del terzo fratello, Isnafdo o Isnardino. Ad Isnardino fratello di Pietro, di Ruffino e di Guglielmo, si riferisce un istru- «mento rogato addì 15 marzo 1300 “in palacio Comunis Verone ,. Vi si legge: “ Ad È: peticionem domini Isnardini not. de Sacho procuratoris et procuratorio nomine ete. ,. i "A Il documento è della natura stessa che quelli del 18 febbraio 1301 e del 19 marzo 1304 . di suo fratello Guglielmo. Isnardino era adunque notaio. Penso che costui non si identifichi con Isnardo de Sacco, che occorre in un doc. del 28 nov. 1332 (1), poichè Umiltà, sua moglie, | era già vedova nel 1304. ì Il Carinelli gli assegna un figlio, di nome Francesco, e credo abbia ragione. | Tuttavia la cosa è dubbiosa. È Alcuni documenti, 16 maggio 1370; 6 marzo 1371; 12 marzo 1372, menzionano il notaio Francesco figlio del fu Isnardino de Saco della contrada di Pontepietra; egli era allora un degli “ Extimatores Comunis Verone ,. Due documenti del 1384 e del 1389 sono scritti e sottoscritti da: “ Ego Fran- | ciscus condam domini Isnardini de Sacho notarius camere Comunis Verone ,. Natu- ralmente costui si identifica con quello che abbiamo testò incontrato, come uno dei pubblici stimatori. I suddetti documenti sono pubblicazioni di beni. Ne riproduco i due inizi, per | i nomi che contengono e per le consuetudini giuridiche, di cui serbano memoria. Il primo è del 23 gennaio 1384: “ .... super rengeria palacij Comunis Verone, Presentibus dominis Johanne de Porcelinis vicario dni Potestatis, Manfredino de Mantua iudice malleficiorum comunis Verone, Henrico de Bononia iudice comunis Verone et È Tomaxio de Pilato iud. tallarum comunis Verone testibus. In publica et generali et vulgarizavi infrascriptam sententiam sive condempnationem tenoris infrascripti ,. De Corana, ete. .__»—’ L'altro. documento è del 22 settembre 1389, e principia: “..... super rengeria dl palacij Comunis Verone, presentibus dominis Vectore de Doiono vicario domini pote- | statis, Geronimo de Porchastris de Vincencia iudice malleficiorum comunis Verone, Sebastiano de Cereto Pontis et Leone de Porgellis de Turino iud. Comunis Verone. i In publica et generali concione comunis Verone, ad sonum campane more solito con- | gregata, ego Franciscus not. infrascriptus stans super dicta rengeria coram nobili | viro dno Gabriele Eimo dicto Blancho de Veneciis pot. Verone et de eius licentia È et mandato, alta et viva voce legi et vulgaricavi infrascriptam sententiam sive con- i dempnactionem tenoris infrascripti ,. Dre CASELLIS, ete. (1) Verci, Marca Triv., VII, storia, p. 58. ee fi; 8 CARLO CIPOLLA VE Così abbiamo accennato all’avo, al padre, e ai due fratelli di Pietro, e abbiamo collocato al suo posto il personaggio più illustre per offici esercitati, prodotto allora dalla famiglia Sacco, cioè Pietro giudice (1), al quale abbiamo già visto accordato in documento del 1286 il primo posto nella serie dei figli di Crescimbene. Fu giurista e diplomatico. Servì Cangrande e gli Scaligeri, con tanta fedeltà, da ricavarne danni personali, a ricompensa dei quali egli ottenne l'esenzione da im- poste. Negoziò con Bologna, e poi col rappresentante di Lodovico il Bavaro. Fu per Cangrande ambasciatore a Venezia. Morto Cangrande, sotto Mastino II fece parte di una commissione per esaminare se la riscossione delle tasse si facesse regolarmente nel vasto dominio Scaligero. Tutte queste mansioni ci fanno concepire un alto con- cetto di lui, dell'integrità del suo carattere, e della sua valentia intellettuale. Non sappiamo se di lui siasi servito Cangrande anche per le sue riforme degli Statuti. Quel principe pensò infatti a rifondere prima gli Statuti dei Mercanti (1319), e poi a rifare quelli del Comune (1328). Non ci è noto di quali giuristi egli siasi giovato. Forse il nostro Pietro fu uno di questi. Fu anch'egli emancipato nel 1302. Da allora in poi esso comparisce in un gran- dissimo numero di documenti, in generale di natura privata, dai quali possiamo com- prendere in quanti affari egli fosse continuamente coinvolto. Si tratta di compere, di locazioni, ecc.; sicchè possiamo credere ch'egli possedesse di molti beni. Ciò tut- tavia non basta ancora a provare ch'egli fosse straordinariamente ricco. Forse non c'è perfetta armonia fra i risultati che sembrano doversi dedurre dai documenti. Ma ad ogni modo è certo, che a quest'uomo spetta un’ alta posizione, tanto nella propria famiglia, quanto nelle vicende politiche della sua città. Già nel 1298, ottobre 9, si ha una carta in cui si legge: “ a domino Petro iu- dice de Sacho ,. Lo trovo pure ricordato in atti 20 maggio e 22 ottobre 1299. Il giorno 25 settembre 1300 egli fece una compera nel villaggio di Minerbe. Ma si riguar- dava sempre quale veronese, siccome è detto espressamente in carta 23 marzo 1301: “...domini Petri de Sacho iudicis de Verona ,. Interessante è il seguente do- cumento, che parla della prima sua moglie e della dote della medesima. Addì 11 agosto 1301 “ in palacio Comunis Verone , fu fatta una compera di beni posti in Minerbe “a domino Petro iudice de Sacho filio domini Crixinbeni de Sancto Ste- phano, de denariis dotalibus domine Sophie uxoris dicti domini Petri iudicis ,. Di qui puossi ancora dedurre ch'egli abitava nella contrada di S. Stefano, dove trovammo anche suo fratello Guglielmo. Il Carinelli cita un istromento in data 25 settembre 1300, per il quale Pietro, coi denari dotali di Sofia del fu Pietro da S. Fermo, acquistò varî beni situati in Minerbe, vendutigli da Beatrisina Masota. (1) Im un catalogo di giudici, che esercitarono il loro ufficio in Verona, leggiamo il nome di ‘ Petrus de Sacho ,, negli anni 1298 e 1343. Quel catalogo fu pubblicato da O. Perini, in “ Arch. stor. Veron. ,, XXIII (1884), p. 258, senza alcuna indicazione sul suo valore e sull’epoca in cui fu compilato. A i UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 9 Nel 1302 (doc. in copia del 1308) “ d. Petrus iudex de Sacho de Sancto Ste- phano , fece un acquisto in Minerbe, pagando “in aquilinis et venetis ,. Questo valga per la storia della moneta. Lo trovo menzionato, specialmente in relazione con Miverbe, in atti 23 set- tembre 1302; 9, 10, 11 ottobre 1303; 20. sett. 1304. Colà aveva anche una casa, come apparisce da istromento 21 sett. 1304, rogato “ in Minerbio, sub porticu domus domini Petri de Sacho iudicis ,. Atto 30 dicembre 1305 “in Minerbio sub porticu domus domini Petri de Sacho iudicis ,, compera fatta “a domino Petro de Sacho iudice domini Criscinbeni de Sancto Stephano ,. Kgli è pure ricordato in atti 25 ott. 1304; 2 genn. 1305 (1); 10 dic. 1305; 2 luglio 1307. Già abbiamo veduto com’egli fosse erede di Umiltà, vedova di suo zio Isnardino. Il testamento di Umiltà, citato dal Carinelli, porta la data del 26 dic. 1304. Mi soffermo sopra una compera fatta, Verona, 30 agosto 1306, “ a domino Petro iudice domini Criximbeni de Sacho de ora Sancti Stephani ,, poichè ne ricaviamo ch'egli abitava ancora in S. Stefano, e che suo padre era ancora in vita. Dando i documenti riguardanti il not. Guglielmo, avevamo visto che Crescimbene era ancora in vita nel 1311. Pare morisse nel 1312, poichè “in villa Leniaci ,, il 2 ott. 1312, fu fatta una locazione “in dominum Petrum de Sacho iudici (sic) condam domini Criximbeni de Verona de Sancta Fomia ,. E addì 13 dicembre 1312 “ in palacio co- munis Verone , fu fatta una compera “a domino Petro iudice filio condam domini Crissimbeni de Guidotis de Sacho de guaita Sancte Fomie ,. “« Nella. primavera del 1313, mentre Cangrande guerreggiava contro i Padovani, Verona era retta dal podestà Federico della Scala (2). Di lui abbiamo un diploma in favore di Pietro de Sacho, il quale viene particolarmente lodato per quanto aveva fatto in servizio del defunto Alboino della Scala e di Cangrande. Nel diploma non viene con precisione detto quali siano state veramente le opere per le quali Pietro sì meritò così alti elogi, ma è facile credere che si tratti di negoziati politici. Forse anche le imprese militari non erano del tutto aliene dal suo carattere e dalle sue abi- tudini. Quando produrremo (Cap. XIV) l'inventario degli oggetti trovati nelle sue case, al momento della sua morte, vedrassi ch’egli possedeva anche armi; cosa del resto ben comune a quel tempo. Credo ad ogni modo che il fatto al quale sostanzialmente allude il presente diploma, sia da identificarsi con quello cui si riferisce una rubrica degli Statuti di Cangrande, dove si cita un diploma di Alboino e di Cangrande con- ceduto nel 1309 a Pietro, ch'era stato personalmente ingiuriato, con pericolo di morte, dagli officiali di Bologna. Peraltro il diploma del 1313 nella mente di Federico della | Scala forse non contemplava soltanto questo suo merito, ma considerava anche quanto Pietro fece nel tempo successivo. Se il velo, che nasconde questi avvenimenti, si po- tesse stracciarlo, noi assisteremmo senza dubbio ad un episodio bello e importante E per la storia della Signoria Scaligera, la quale, in molte delle sue parti più dram- fi matiche e più importanti, rimane nascosta per la deficenza dei documenti. Probabil- mente il fatto, cui partecipò, con tanto suo pericolo, il nostro Pietro, si collegava (1) Locazione fatta “in palacio Comunis Verone ,. (2) Cfr. Srarcensere, Cangrande I, I [Berlino, 1892], 65-6. Serie II: Tom. LI. (is) 10 CARLO CIPOLLA colla guerra di Ferrara, che si combatteva allora fra mille complicazioni. A quella guerra prendevano parte, diretta o indiretta, quasi tutte le Signorie dell’Italia supe- riore e media. Reco prima di tutto il diploma di Federico della Scala, 4 aprile 1313. È questo presso a poco il momento in cui giunse a Verona l'ambasciata di Enrico VII, che mirava a raccogliere attorno a sè tutti i suoi fidi. “ (S. T.) Exemplum ex autentico rellevatum. Die mercurij quarto aprilis, in camino domus nove, presentibus Francisco magistri Paxolini not., et Francisco not. a Botessellis, testibus et alijs. Licet ad quorumlibet fidellium subditorum et ami- corum intimorum domini Vicarij nostri prosequenda servicia nostri favoris concrescat intentio, illis tamen specialitate est debitrix, quos pro honore, statu et servicio do- mini Vicari] domusque sue et Comunis Verone penas, periculla ac diversa tormenta manifeste vidimus ab experto fuisse perpessos, Nos Fredericus de la Schalla, Verone potestas pro magnifico domino Canegrandi de la Schalla, sacri imperij Vicario Ve- rone et Vicentie, considerantes pure fidei et devotionis constantiam, quam dominus Petrus de Sacho iuris peritus, erga dominum Vicarium memoratum domumque suam et Comune Verone semper noscitur habuisse, et ateudentes atentius ad grata et ac- cepta servicia et ad tormentorum pasiones, quas pro honore ac statu virorum no- billium dominorum Albuyni de la Scalla recolende memorie et Canis grandis fratris de la Scalla, Vicariorum etc., fideli devotione substinuit, volumus, et, iuxta Ancia- norum mensium marci] et aprilis seriem, presentibus districte mandamus, omnibus et singulis officialibus Comunis Verone, tam presentibus, quam futuris, cuiuscumque conditionis existant, quatenus privilegium immunitatis graciosse concessum domino Petro de Sacho prefato et suis descendentibus per bone memorie magnificos dominos Albuynum et Canem grandem de la Scala Vicarios etc. inviolabiliter debeat obser- vari, poena (sic) et bono nostro arbitrio auferendis. # Anno Domini millesimo tricentesimo terciodecimo, indictione undecima. “ Ego Yvanus domini Bonefine notarii prefati domini potestatis scripsi. “ Ego Luchexius domini Bonaventure de Sancta Maria in Organo (1) notarius, au- tenticum huius exempli vidi, legi et una cum infraseripto notario de verbo ad verbum diligenter ascultavi, nichil addito vel diminuto, quod sensum vel sententiam mutet in aliquo, et de auctoritate et mandato infraseripti iudicis, ut inferius continetur, bona fide me subscripsi. “ Ego Severius condam domini Criscimbeni de Sacho, imperiallis auctoritate no- tarius, autenticum huius exempli vidi, legi, et una cum suprascripto notario de verbo ad verbum dilligenter ascultavi et de auctoritate et mandato nobis facto per do- minum Gibellinum de Faventia iudicem domini Vicari] et Comunis Verone die iovis septimo iunij in palatio Comunis Verone, presentibus Carfanto et Schenexio notariis millesimo suprascripto, nil per me addito vel diminuto, quod sensum vel sententiam mutet in aliquo, bona fide exemplavi et in publicam formam redegi ,. Nel 1313 il 7 giugno scadeva appunto in giovedì, sicchè la data non presenta alcuna difficoltà. (1) Ms. organ. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 11 La seconda autenticazione è fatta dal notaio Severo figlio di Crescimbene de Sacho. Con quest’ultimo nome forse si vuol significare un nipote del notaio Guglielmo, fratello del giudice Pietro. Il Carinelli non tiene memoria di Severo notaio; ma non saprei quale altro posto accordargli nella genealogia della famiglia Sacco. Ora passiamo agli Statuti compilati l’anno 1328 da Cangrande, poichè in essi nuovamente si confermò il privilegio di Pietro. Trascrivo addirittura la rubrica 212 del libro I dei detti Statuti, giusta l’ori- ginale, di proprietà del conte Francesco Campostrini, il quale lo volle depositato presso la Biblioteca Comunale di Verona. “ .ccxj. De privilegio concesso domino Petro de Sacho iudici propter graves iniurias quas substinuit a perfidis Bononiensibus occasione comunis Verone. “ Item statuinus quod privilegium immunitati concessum domino Petro de Sacho iuris perito civi Verone, filijs et eius heredibus et posteris, natis et nascituris, utriusque sexus, de aliquibus muneribus seu honeribus realibus seu personalibus, sive mixtis, scuffis et facionibus equisque inpositis eidem seu eis per Comune Verone, sive guaitas civitatis Verone, seu de cetero imponendis per viros nobiles dominos Albui- num et Canem grandem de la Scala tunc Capitaneos Comunis et Populi Verone, ob atroces et gravissimas iniurias et severissime mortis pericula et tormenta quas in proprio corpore pertulit, illatas a Potestate, Capitaneo, Ancianis, Barissello, Primi- strallo, Procunsule et ceteris Comunis Bononie officialibus in Comunis Verone et pre- dictorum Dominorum iniuriam et discrimen, de quo privilegio constat instrumento scripto sub signo et nomine Alberti filij domini Salinbeni de la Colgerella in mille- « [1] . . ° . . . . 00 O simo .Cccc. nono, indictione septima, die lune quarto decimo iunij, per Comunis Ve- rone perpetuo et inviolabiliter observetur. Et ipsum privilegium, concessionem et immunitatem innovamus et de novo concedimus eidem domino Petro et filijs suis et heredibus atque posteris, utriusque sexus, natis et nascituris ,. Nell’Archivio Sacco conservasi una copia pergamenacea di questa rubrica. Essa è preceduta e seguita rispettivamente dai seguenti tratti: “(S.T.) Reperitur in libro novo Statutorum Comunis Verone, primo, sub capi- tulo cexijj unum statutum huius tenoris. “ Ego Facinus Johannis notarius dicti libri Statutorum prout reperi statutum predictum in dicto libro novo Statutorum scriptum, ita hic ipsum fideliter transcripsi die veneris xxv] augusti, in millesimo trecentesimo vigesimo octavo, indicione un- decima ,. | La data di questa copia, cioè il 26 agosto 1328, forse giova a meglio precisare il momento in cui lo Statuto di Cangrande venne compilato (1). Vuolsi notare che gli Statuti Viscontei non riproducono il privilegio che la fa- miglia Sacco aveva acquistato come premio per quanto il giudice Pietro aveva fatto (1) Che gli Statuti di Cangrande fossero stati compilati nell’anno 1328 già era ben noto; cfr. anche il mio Compendio della storia politica di Verona. Verona 1900, p. 246. 12 CARLO CIPOLLA in favore di quella dinastia che da Gian Galeazzo Visconti era stata abbattuta. Caduta la dinastia Scaligera, perdevano di efficacia i privilegi concessi a rimeritare i servizi fatti in sua difesa. VI. Nell'archivio dei Conti Sacco si conservano altresì alcuni documenti della fa- miglia Cevolario, uno dei quali parla di avvenimenti politici riguardanti l’anno 1309. Non bisogna peraltro pensare che questi atti siansi mescolati colle carte interessanti la famiglia Sacco, per una relazione di natura politica, quasi che il fatto cui si rife- risce il documento del 1309, al quale ora allusi, si identifichi con quello di cui fu parte, al tempo stesso, il giudice Pietro Sacco. La ragione per cui le pergamene dei Cevolario vennero a trovarsi insieme con quelle dei Sacco, è probabilmente diversa. I Cevolario avevano diritti in Cancello, e altrove, cioè in luoghi dove pure ne ave- vano i Sacco (1). In ogni modo è bene tener conto adesso dei documenti dei Cevolario, poichè se anche la loro presenza qui non prova una qualsiasi relazione di carattere politico, tuttavia non si può escludere che l’ avvenimento per il quale Pietro da Sacco fu gratificato di un privilegio da Albuino e da Cangrande della Scala nel 1309, non possa avere avuto rapporto con quello, al quale nel medesimo anno partecipò un Cevolario. Anzi questo rapporto si presenta come molto probabile, ancorchè la scar- sezza dei documenti non permetta fino ad ora di vederne il nesso in modo chiaro. Un documento del luglio 1302 parla delle relazioni di amicizia e di devozione che verso Bartolomeo della Scala professava il notaio Guglielmo detto Cevolario, del fu Benvenuto, abitante in Verona, nella contrada di S. Pietro in Carnario. Lo Scaligero ben doveva sentire obblighi di gratitudine verso il medesimo, se, a titolo di rico- noscenza per i benefizi avuti, gli fa quelle generose elargizioni di cui i documenti sud- detti ci parlano. L’atto fu rogato il 15 luglio 1302 (2) a Verona “ in guaita Sancte Marie Antique, in curtivo palacii infrascripti domini Bartholomei de la Scala ,,, e comincia (dopo la serie dei testimoni) nella maniera seguente. “ Nobilis et magnificus dominus Ber- tholameus de la Scala, Comunis et Populi Verone Capitaneus generalis, natus olim bone memorie domini Alberti de la Scala, volens facere [gratiam speciallem domino] Guilielmo notario dieto Cevolario, quondam domini Benvenuti, de Sancto Petro in Carnario, intimo amico suo, de infrascriptis decimis, eundem dominum ...:. reci-] pientem pro se et suis heredibus iure recti et legalis feudi, sine aliqua dacione, cum (1) Almeno più tardi fuvvi amicizia fra i Cerolario e i Sacco. Nel primo testamento, 1330, del nostro Pietro giudice si incontra Guglielmo del fu Benvenuto Cevolario, della contrada Ferrabò, in ‘9 Verona. Questo Guglielmo s’identificherà con l’omonimo del nostro documento del 1302. Il testamento ricorda anche Benvenuto merciaio, del fu Antonio Cevolario, ma era della contrada detta di Muro- nuovo. Il testamento stesso fu poi rogato dal suddetto Guglielmo e da un altro Cevolario, cioè Giovanni del fu Bartolomeo. (2) Di questo documento esiste l'originale, oltre ad una copia del XIV secolo. L'originale è avariato e qui e colà lacunoso. Le sue lacune cercai di riempiere ricorrendo alla copia. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 13 una carta, quam in suis manibus detinebat, investi[vit...,. Oggetto alla elargizione erano le decime di Soave, per intero, e metà delle decime di Cancello, Varano e Penè. Doveano essere stati ben grandi i meriti del nòtaio Guglielmo Cevolario, se veni- vano così largamente rimeritati. Pare che la fedeltà verso gli Scaligeri divenisse ereditaria in quella ‘famiglia. Riproduco qui per intero il documento di carattere politico, che accennai poc'anzi. Esso porta la data del 20 marzo 1309. Con esso Alboino della Scala, fratello e suc- i cessore di Bartolomeo, affidò a Benvenuto, figlio di Guglielmo Cevolario, la delicata missione di recarsi a Brescia, per riscuotervi una somma che quel Comune doveva allo Scaligero e al Comune di Verona. Pur troppo il documento non dice parola sulle ragioni storiche e giuridiche di quel credito. Possiamo qui ricordare che nel 1308 | era avvenuta una mutazione del governo di Brescia, per la morte del vescovo Be- rardo Maggi, che aveva tenuta anche la signoria civile di quella città. Morì Berardo | Maggi il 16 ottobre di quell’anno. Nel governo della città gli successe il fratello Maffeo; il figlio di costui, Federico, ebbe il potere episcopale (1). Così Brescia si man- tenne fedele alla parte ghibellina, e tale rimase fino al tempo della discesa di En- rico VII, allorchè passò sotto alla parte guelfa, o sotto a Tebaldo Brusati (2). “ Die iovis, vigesimo marci], Verone. In palacio magnifici domini Albuyni de la Scala (3) infrascripti. Presentibus dominis Ursio notario quondam domini Ni- colay, Fontebono domini. Negrelli et Anthonio quondam domini Taffani de Fossato, Veronensibus, testibus vocatis et rogatis. (n Nobilis et magnificus dominus Al- buynus de la Scala, Comunis et Populi Verone Capitaneus generalis, pro se et dicto Comuni Verone fecit, constituit et ordinavit discretum virum dominum Benevenutum not. domini Gulielmi Zevollarij, civem Verone, presentem et mandatum sponte su- scipientem, suum et dicti Comunis Verone sindicum, nuncium et procuratorem ad pe- tendum et recipiendum a dominis ... Rectoribus et Officialibus ac Comuni Brixie centum viginti libras, duos solidos et quinque denarios Venetos grossos, et quatuor denarios parvos, quam peccunie summam dicti domini Rectores et Officiales ac Co- mune Brixie tenentur prefato domino Capitaneo et Comuni Verone, et ad vocandum sibi fore solutum ipsius domini Capitanei et Comunis Verone nomine, et pro eis, de illa quantitate quam receperit, et ad liberandum solventem. seu solventes, et Co- mune Brixie de quantitate, quam receperit, et ad promissiones, obligationes, remu- erationes cuiuscumque generis et iuramenta in animam dicti domini Capitanei fa- endas et facienda, recipiendas et recipienda, et generaliter ad omnia et singula, que in predictis et circa predicta fuerint utilia et necessaria. Dans et concedens ictus dominus Capitaneus pro se et dicto Comuni Verone ipsi procuratori et sindaco, (1) Oporici, VI, 278-9. JI monumento sepolcrale del vescovo Maggi, insigne lavoro di Ugo da _ Carpione, fu testè restaurato e collocato nella cattedrale di Brescia: cf. C. v. FasrICzy, in Repert. ; Kunstwissensch., 1899, p. 252-3; American Journal of Archaeol., IV [1900], p. 276. (2) Oporicr, VI, 283 sgg. (8) Non era naturalmente diverso dal palazzo di Alberto che è ricordato anche in un docu ento dell'Archivio Sacco, dove si aggiunge la notizia non trascurabile, di una torre, situata ac- canto ad esso. L'atto, del 28 agosto 1298, fu rogato “ Verone, in via pubblica, iuxta turrim palacij nobilis viri domini Alberti de la Scala ,. K 14 CARLO CIPOLLA presenti et recipienti, in predictis et singulis et quolibet predictorum, plenum liberum et generale mandatum, cum plena libera et generali administratione, ac promittens eidem ac michi subscripto notario, stipulanti et recipienti nomine et vice omnium, quorum interest vel interesse poterit, se firmum, ratum et gratum habiturum quicquid per dictitim sindicum et procuratorem dictum et factum fuerit in predictis et sin- gulis et quolibet predictorum, sub suorum omnium et dicti Comunis Verone obliga- tione bonorum. “ Anno Domini millesimo trecentesimo nono, indicione septima. ‘“ Ego Bonaventura de Sancta Sophya imperiali auctoritate notarius et prefati domini Capitanei Verone scriba, predictis omnibus presens rogatus, ex eius mandato publice scrips) ». VII. È Negli anni seguenti si incontra con molta frequenza, nei documenti, il nostro giudice Pietro. Egli faceva di sovente acquisti in terreni. Piacemi riferire qui la pubblicazione di uno di tali acquisti, fatta coll’ intento di assicurare il diritto dei contraenti e dei terzi. È del 22 marzo 1316. Non è priva di valore per chiarire le consuetudini della procedura allora vigente. “ (S.T.) In Christi nomine, die lune vigesimo secundo marci}. Super rengeria palacii Comunis Verone, presentibus dominis Conrado de Ymola iudice malleficiorum, Gibellino de Faencia, Iohanne de Cremona iudicibus Comunis Verone, Nicolao de Len- denaria, Iohanne de Monte iudicibus consulibus comunis Verone testibus et aliis. In publica et generali concione Comunis Verone, ad sonum campane more solito con- gregata, coram nobili viro domino Ugolino de Sesso de Regio potestate Verone pro domino Vicario, ego notarius infrascriptus stans super dicta rengeria, de mandato ipsius domini Potestatis, legi et vulgarigavi unam publicationem tenoris infrascripti. De Turbis. Unusquisque sciat quod ser Bonaventura condam ser Petri de Zenglo fecit venditionem domino Petro iudice de Sacho de infrascripta pecia terre pro precio xvij libr. denar. Ver., ut constat publico instrumento ipsius vendicionis seripto sub signo et nomine Iohannis notarij de Guardaluchexis, die sabbati tertio decimo marci], in Millesimo trecentesimo sexto decimo, ind. xm?. Qua lecta et vulgarizata, idem dominus Potestas sedens pro tribunali pronunciavit et aprobavit in omnibus et per omnia ut superius continetur. Pecia terre hec est: una pecia terre aratoria, zapatoria, cum vineis sclavis, iacens in pertinentia de Turbis, in hora Nogarollis, de duabis partibus Antonius ser Petri de Zenglo, de alijs heredes Duralis, de quarta iura plebis Nigrari. Anno domini millesimo tricentesimo sextodecimo, indicione quarta decima. Kgo Bonaventura de Chastagneto not. camare Comunis Verone seripsi ,. Un istromento del 5 gennaio 1314, rogato “in palacio Comunis Verone , di- mostra che non era ancora dimenticato il cognome Guidotti: “ dominus Petrus iudex condam domini Crixinbeni de Guidotis, qui nune moratur in guaita Sancte Heufomie ,. Addì 2 ottobre 1316 fu scritto un istromento “ Verone, in guaita Sancte Eufomie, sa Ù Spr peo UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 15 sub porticalia dicte guaite ,. Da questa espressione dobbiamo adunque dedurre che ci fossero, almeno nella parrocchia di S. Eufemia, alcuni portici di pubblico uso. Colà adunque il “ nobilis miles dominus Cavalcanus quondam domini Caracij, de guaita Sancte Heufomie , donò una terra in Minerbe a Pietro “ de Sacho , giudice. Fra i numerosi documenti degli anni successivi, che ricordano Pietro, noterò solo quelli che hanno maggiore importanza. Apparisce da un atto del 28 maggio 1318 che “ dominus Petrus de Sacho iudex, olim domini Criximbeni de Guidotis , posse- . deva terreni in Minerbe, in Orti e in Porto (Porto Legnago?). Nel palazzo del Co- | mune di Verona, il 1° febbraio 1319, fu fatta una compera per conto di Pietro _ “de Sacho ,, il quale aveva affidato questo affare a “ domino Petro toschano, qui fuit de Florencia. i Non è senza un qualche interesse che incontriamo il ricordo di un fiorentino, in Verona, dove avevano trovato rifugio molti, cui le vicende politiche avevano fatto andare esuli da quella città. Principali tra gli esuli furono Dante Alighieri e Uguc- cione della Faggiuola. Non trascuro per questo riguardo un atto del 23 luglio 1320, rogato a Verona | “in guaita Sancti Zilij (1), sub loga domorum habitationis ser Thomaxini, condam 4 domini Veronexij de Camucijs ,. In cospetto di Nicolò de Alberti “iudex consul — Comunis Verone, tempore domini Ugulini de Sesso potestate Comunis Verone ,, si | fece menzione di un acquisto fatto per conto del giudice Pietro “ de Sacho ,. Fra i i presenti si ricorda anche: “... Danti toscano condam Aldegerii de Somaia, et mo- . ratur Verone in guaita Sancti Marci ,. i Questi non è sicuramente Dante Alighieri, ma è egli pure un Dante figlio di | un Aldighiero, e d'origine toscana. Può trovar BOLO: accanto al Dantino del docu- . mento Padovano del 1306 (2). | Sappiamo che nel 1321 il nostro Pietro Sacco partecipò al funerale di fr. Bar- | tolomeo da Pastrengo, de’ Predicatori, il quale era uno dei fidecomissari di Guglielmo da Castelbarco (3). VII. Le vicende di Germania, e i progetti di Lodovico il Bavaro richiamarono il nostro giudice alla trattazione delle cose pubbliche. Bertoldo di Marstetten calò in Italia, e si recò a Milano, dove il 28 giugno 1323 fu segnata la lega tra il Bavaro, gli Estensi, i Bonacolsi e Cangrande (4). Rappresentante dello Scaligero a quella a fu “ dominus Petrus de Sacho iuris peritus ,. (1) S. Egidio. (2) Cf. G. De Re, in Giorn. stor. lett. ital. XVI, 334. (3) Il documento che fa parola di questa circostanza fu riassunto da R. PrepeLLI, Commemoriali, ‘ol, I, p. 228. Abbiamo due testamenti col nome di Guglielmo da Castelbarco, rispettivamente datati: 14 die. 1305 e 15 agosto 1319, ma nè in quello, nè in questo si legge il nome di fra Niccolò da | Pastrengo. I due documenti si trovano negli Antichi Archivi Veronesi, Mensa Episcopale, rotolo + 171 e Esposti, rotolo n. 1196. (4) Il documento fu pubblicato dal MurarorI, Ant. Estensi, Il, 74-75, e fu riprodotto dal Verci, __ Marca Trivig., IX, 42, n° 966. 16 CARLO CIPOLLA Nel 1326 Pietro da Sacco ed altri giureconsulti diedero un consulto sull’obbligo cui erano astretti i cappellani della Chiesa di S. Marco di Venezia di non cgnvertire in uso privato l’olio somministrato dalle Chiese di Fano e di Pola (1). Non fu piccolo onore per il nostro giudice quello di essere chiamato in consulto dalla repubblica di Venezia. Tengo nota anche di un atto di compera fatta da Pietro da Sacco, in Minerbe “in curtivo domini Petri de Sacho iudicis ,, addì 31 gennaio 1328. Vi corrisponde un atto -del 23 agosto, del medesimo anno, rogato pure “ in Minerbio, in curte domini Petri de Sacho iudicis ,. Costui trovavasi a Minerbe anche il 16 ottobre seguente, « allorchè dava altrui in uso una cavalla, di mantello rosso, balzana dal piede sinistro. Interessante assai è il documento 6 aprile 1328, rogato “ Verone, in guaita Sancti Benedicti, ad tabulam magnifici domini Canisgrandis de la Scala, pressentibus Crescimbene notario quondam domini Guilielmi notarii de Sacho, Iacobo condam Ysnardi de Sancta Sophia et Iohanne condam Zappe qui [habitabat in guaita Sancti] Benedicti et moratur in Sancta Fomia (2), testibus et alijs. lbique dominus Petrus iudex de Sancta Euffomia , fa una locazione. In questo documento troviamo una notizia finora affatto sconosciuta, che cioè Cangrande teneva tabula, tavola di cambio, a Verona, e precisamente nella contrada di S. Benedetto, cioè a breve distanza dall’antico Foro, Piazza Erbe, e dalla Piazza dei Signori. Di Cangrande come banchiere, nessuno, ch'io sappia, ha mai parlato. TX. La repubblica Veneta concesse frattanto, 12 marzo 1329, la cittadinanza a Can- grande. Eccone il privilegio. “ Privilegium (3) magnifici domini Canis, vicarij Verone, Padue et Vincentie pro Sacro Imperio Generalis. “ Franciscus Dandulo, Dei gracia Veneciarum, Dalmacie, atque Chroacie dux, dominus Quarte Partis et Dimidie tocius imperis Romanie, universis et singulis presens privilegium inspecturis, salutem et sincera dilectionis affectum. —Ducalis beni- gnitas in liberalitatis operibus solita celeberime conversari, tanto personas magni- ficas et dignitatis honore conspicuas prevenire studet honoribus et dotalibus ampliare favoribus, ipsarumque petitionibus liberalius exaudire, quanto se nostro Ducatui devo- tiores fide ac claritate laudabilium operum ostenderunt, unde cum honorabilis et dilectissimus amicus noster, vir magnificus dominus Canis Grandis de la Scala, civi- tatum Verone, Padue et Vincentie pro Sacro Imperio Vicarius Generalis, honoris et nominis nostri zelator assiduus, quod semper cum eius progenitoribus se verum (1) PrepeLLI, Commemoriali, II, p. 17. (2) S. Eufemia. È (8) Commemoriali, II, f. 41; ms. Mi trascrissi questo documento nel 1875. Fu pubblicato con errori dal Verci, Marca Trivig., IX, pag. 124-5, nota. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 17 expressit venetum et perfectum, de nostra gratia confisus, ac se penes nostrum Ducatum sentiens suis meritis gratiosum, nostra fecerit magnificentie supplicari, ut ipsum eiusque filios et heredes dignaremur aliorum nobilium Venetorum nostrorum et fidelium numero gratiosius aggregare, ut beneficiis citadinantie Veneciarum dotati, nobilium et civium Veneciarum privilegio congauderent, nos attendentes dilectionem ingentem ac gratam devotionem et fidem, quam semper prefatus dominus Canis ad nos et nostrum Ducatum et singulares personas eiusdem ferventes et laudabiliter ostendit, acceptorum operum per effectum, benemeritam supplicationem ipsius duximus digne retributionis munere gratificabiliter acceptandam. Notum igitur fieri volumus universis et singulis, tam presentibus quam futuris, quod, omni iuris consiliorum et ordinamentorum nostrorum integra solemnitate servata, prefatum dominum Canem, cum suis filiis et heredibus, in Venetos et cives nostros fecimus et facimus, et pro Venetis et civibus nostris in Veneciis et extra ubilibet habere volumus et tractari, ipsos sincere dilectionis brachiis amplexantes ac firmiter statuentes, quod eisdem libertatibus et beneficiis, graciis et honoribus ac immunitatibus, quibus alij nobiles cives Veneciarum gaudent, praefati dominus Canis et sui heredes in Veneciis et extra ubique gaudeant, plenissime utantur. In quorum omnium testimonium et evidenciam pleniorem presens privilegium fieri mandavimus et bulla pendenti aurea com- munim. Datum in nostro ducali palacio, anno dominice incarnationis millesimo trecentesimo vigesimo nono, indicione x1J*, die x13° intrante mense marcio ,. Pochi giorni appresso, l'ambasciata di Cangrande sì recò a Venezia a prestare il giuramento di fedeltà alla Signoria, siccome risulta dalla seguente annotazione (1): “ Mcocxxvug, mense marcij. Procuratores nominati in infrascripto procuratorio, die xx dicti mensis, constituti in presencia illustris domini Francisci Dandulo ducis Veneciarum et sui Consilij, nomine et vice domini Canis et in eius anima iuraverunt fidelitatem domino Duci et Comuni Veneciarum, occasione citadinancie ,. Segue l’atto di procura (2), scritto dal celebre Benzo di Alessandria, storico e poligrafo, ora cancelliere di Cangrande. Intorno a Benzo scrisse il prof. L. A. Ferrai (3). “(S.T.). In Christi nomine. Die mercurij quintodecimo marcij, Verone, in contrata Sanete Marie Antique, super sala palacij magnifici domini Canis Grandis de la Scala Infrascripti, presentibus nobilibus et prudentibus viris dominis Petro de Marano, Johanne de Principibus, militibus; magistro Egidio physico, magistro Bonmartino cirurgico, Andrea sescaleo, Petrobono quondam domini Torelli de Clavica notario, _magistro Nicolao doctore gramatice et Tobaldo condam magistri Danielis notarii, — familiaribus dicti domini Canis et aliis quampluribus testibus vocatis et rogatis. (1) Nel ms. Commemoriali, vol. III, f. 47r (R. Archivio di Stato di Venezia). (2) Nel ms. Commemoriali, vol. III, f. 47». Questo documento fu riassunto dal PrepELLI, Comme- mortali, vol. II, pag. 27. i (3) Benzo d'Alessandria e è cronisti milanesi del sec. XIV, in “ Bull. Ist. stor. ,, n° 7, p. 97 sgs. e n° 9, p. 15 segg. Poco si conosce intorno alla permanenza di Benzo in Verona. Vi si recò dopo del 1316; fu cancelliere, sia di Cangrande, sia dei suoi successori Alberto e Mastino della Scala. Serie II. Tom. LI. ; 3 18 CARLO CIPOLLA Magnificus et potens dominus Canis Grandis de la Scala pro Sacro Romano Imperio civitatis Verone, Padue et Vincentie Vicarius Generalis, fecit, constituit nobiles et prudentes viros dominos Petrum de Verme militem, Guillielmum de Servideis et Petrum de Sacho iurisperitos cives Verone, et quemlibet eorum in solidum, absentes tamquam presentes, suos procuratores et nuncios speciales ad accedendum, et se cum debita reverentia presentandum coram illustri et magnifico domino, domino Francisco Dandulo, duce Veneciarum, Dalmacie atque Chroacie, domino Quarte Partis et Dimidie totius Imperii Romanie et nobilibus ac prudentibus viris dominis Consiliariis, Consilio et Comuni Veneciarum et ad supplicandum prefatis domino Duci et Consiliariis, Con- silio et Comuni, ut eis placeat recipere predictum dominum Canem, filios et heredes suos in cives Civitatis Veneciarum; ita quod de cetero predictus dominus Canis, filij, et heredes, sint eorundem cives et admittantur et promoveri valeant ad omnes digni- tates, privilegia, honores et comoda, ad que de iure vel approbata consuetudine ceteri honorati cives Veneciarum admittuntur, seu etiam promoventur, et per ipsum dominum- Ducem, Consiliarios, Consilium et Comune Civitatis Veneciarum tamquam eorum cives honorabiles pertractentur, et ad recipiendum investituram nomine et vice dicti domini Canis, filiorum et heredum, de predicta citadinantia, seu omni iure, quod alii cives Civitatis Veneciarum habere noscuntur, et ad prestandum, faciendum, et recipiendum conventiones, promissiones et iuramenta generis cuiuscumque, ac etiam obligationes reales et personales, quas ceteri Veneciarum cives faciunt et recipiunt, secundum ipsorum consuetudines approbatas et ad cetera omnia negotia, que predictus dominus Canis in civitate Veneciarum posset habere et gerere, si personaliter interesset, occa- sione citadinantia supradicte, et ad ‘omnia alia, que in predictis et circa predicta predictis procuratoribus et corum cuilibet necessaria seu utilia videbuntur, dans et concedens dictis suis procuratoribus et cuilibet eorum liberum et generalem mandatum, liberam et generalem administrationem et potestatem in omnibus et singulis supra- dictis. Promittens etiam mihi notario infrascripto stipulanti vice et nomine prefati domini Ducis, Consiliariorum, Consilij et Comunis Verone et omnium aliorum quorum interest, vel interesse potest, firmum, ratum et gratum habere et tenere, ac etiam inviolabiliter observare quicquid per dictos procuratores vel eorum alterum dictum vel factum fuerit, seu quomodolibet pertractatum, sub bonorum suorum omnium ypotheca. Anno Domini millesimo trecentesimo vigesimo nono, indictione duodecima. Ego Bencius Alexandrinus civis Verone imperiali auctoritate notarius predictis omnibus presens interfui et rogatus scripsi , (1). » Ricorda il nostro giudice, già ritornato a Verona, un istromento rogato 21 maggio 1329 in Verona “in guaita Sancti Benedicti, ad tabulam cambii domini Bonaventure campssoris de Medicis , (2). (1) Nel ms. Commemoriali, III, f. 53 (R. Archivio di Stato di Venezia). (2) In quest'anno, 27 novembre, poco dopo la resa di Padova Cangrande armò molti cavalieri. Fra essi per altro non comparisce il giudice Pietro de Saco. Cf. Notae Veronenses, in Ant. Cron. Veron., I [Venezia, 1890], pp. 472-738; Cod. Sigoniano del Chronicon Parisiano. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 19 X. Da poco tempo era morto Cangrande, quando i suoi successori Alberto II e Mastino II ebbero colla Signoria qualche ragione di dissenso, riguardo ai beni, che i fratelli Rizzardo, Gerardo e Bianchino da Camino tenevano nel Trevigiano. Di ciò abbiamo qualche notizia nella risposta che il doge diede ad un ambasciatore Scali- gero, del quale si tace il nome. Infatti il relativo documento principia così: “ Responsio incliti domini domini Ducis Veneciarum ad ambaxatam eleganter et prudenter expositam per sapientem virum ambaxiatorem et nuncium magnificorum virorum dominorum Alberti et Mastini de la Scala fratrum, Capitaneorum et Dominorum Verone, Padue, Vicencie et Tarvisii,. Lagnavasi il doge per i diritti che gli Scali- geri si attribuivano rispetto ai possessi di Rizzardo, Gerardo e Bianchino da Camino (1). La questione ebbe seguito. Gli Scaligeri mandarono poco appresso, forse nel gennaio 1330, una nuova ambasciata a Venezia, della quale facevano parte Pietro da Sacco e Guglielmo da Pastrengo. Il da Sacco era adunque accompagnato da un giudice di molta fama, e di molta letteratura: noto poi sopratutto per la sua amicizia col Petrarca. Abbiamo. la risposta, pur troppo senza data, che la Signoria diede ai due amba- sciatori (2). La trascrivo qui. “ Responsio illustris domini Ducis Veneciarum, ad ambaxatam magnificorum Alberti et Mastini de la Scala, civitatis Verone, Padue, Vicencie et Tarvisii Capi- tanorum et Dominorum Generalium, expositam per viros prudentes Petrum de Sacho et, Guielmum de Pastrengo, iurisperitos, cives Verone. Primo quidem, ipsorum Dominorum salutem prosperam exoptata, Respondet prefatus dominus Dux, quod. si ipsi Domini summe desiderant, ut asserunt, more suorum predecessorum, tenere et conservare dilectionem, amiciciam et vera fraterni- tatem, que dudum fuit et viguit et est inter Comune Veneciarum ex una parte et Domum de la Scala et Comune Verone ex altera, et idem dominus Dux et suum Comune, simile votum gerentes, verbo et opere in eadem dilectione et fraternitate avide permanserunt et continuare semper intendunt, pro sua parte, affectuose dispositi ad singula, que cedant in conservacionem et augmentum dilectionis prefate. Ad aliud vero quod ambaxatores predicti [dixerunt] ambaxatores ipsius domini Ducis dixisse, quod Comuni Veneciarum placebat, quod questio orta occasione Mote et aliorum castrorum et locorum Comunis Veneciarum cognosceretur de iure, Respon- sionem facit dominus Dux predictus, quod de verbis huiusmodi plurimum admiratur, “cum clare habeat per antedictos ambaxatòres suos, quod numquam per eos dicta nec | mota fuerunt dicta verba, que nec dicere poterant, nec expedit in iudicium et questionem ‘ (1) Il documento si legge nel vol. ms. III f. 317, dei Commemoriali. Fu dato dal Minorto (Docu- menta @ Belanum, ete., II, 23), e riassunto dal PrepeLti, Commemoriali, vol. II, pag. 31. (2) Leggesi nel vol. ms. III, f. 60v dei Commemoriali nel R. Archivio di Stato di Venezia. Fu riassunto questo documento dal PrepELLI, op. cit., II, 32-33. 20 CARLO CIPOLLA deducere rem et iura tante claritatis et evidentissimi iuris Comunis Veneciarum, quiete et pacifice possessi per ipsum Comune et ipsius nomine per spacium annorum quadra- ginta, cum in ipsis terris et locis exercerit ipsum Comune et exercet iurisdicionem et dominium, ut est omnibus manifestum, et potuerint ipsi Domini per ea, que sibi alias pro parte dicti Comunis dicta et estensa sunt, de ipsis iuribus lacius informari. Et propterea, consideratis iuribus prelibatis, quorum contrarium non apparet, non expe- ctabat ipse dominus Dux talem responsionem a Dominis antedictis, sed sperabat pocius iustas requisiciones suas pluries sibi factas per ambaxatores Comunis Veneciarum et. litteras super damnis et occupacionibus per suos factis totaliter adimpleri, et desisti a qualibet novitate, de quibus ulla ipsi Duci responsio non est facta, quod forcius sibi admiracionem inducit, unde non intendentes dominus Dux eiusque Comune eorum iura, sicut clara et evidentia, sub iudicij strepitu relaxare, Rogant et requirunt instanter ipsorum Dominorum magnificentiam et dilectionem, quam caram et intimam habere cupiunt et servare, quatenus, tum iurium predictorum intuitu, tum amoris Comunis Vene- ciarum, corumque Dominorum amoris obtentu, sibi placeat, iuxta materiam dilectionis conservande inter partes, cessare et cessari facere suos ab omni molestia, novitate et gravamine prefatorum castrorum, terrarum et locorum, hominum et bonorum perti- nentium castris et locis prefatis et iuribus eorumdem, ac providere et fieri facere cum effectu restitutionem, et satisfacionem omnimodam aliquibus Venetis de dampnis sibi illatis per subditos ipsorum Dominorum in locis predictis, locorum et hominum ipsorum, prout extitit requisitum alias a Dominis prelibatis; ut, sic rebus iuste dispo- sitis, tam grandis dilectio iuxta observationem antiquorum temporum valeat in honorem [utrumque] parcium conservari, omni questionis et turbacionis materia propulsa; super quibus placeat ipsis Dominis eorum responsionem et finalem inten- tionem eidem Domino Duci breviter destinare, ut sciat cum suo Comuni qualiter vivere habeat cum eisdem, cum teneatur et intendat iura Comunis Veneciarum, cum Deo, honore ac iustitia conservare ,. La risposta della Signoria era fiera e dignitosa, anzi più fiera che dignitosa. Specialmente la chiusa era tale da non lasciar luogo ad equivoci sulle sue inten- zioni. La Signoria non respingeva la piccola provocazione, se provocazione era real- mente. L’accettava anzi, come buona occasione. Fino da questo momento si prepa- rava adunque la discordia finale e la guerra, che fu poi causa della rovina degli Scaligeri. Alberto e Mastino risposero, facendo le consuete proteste di amicizia. Ma rispetto alla sostanza della quistione non cedettero, e chiesero un giudizio di arbitri. Rife- risco per intero la risposta loro (1), che porta la data del 6 febbraio 1330. “ Exemplum litterarum Dominorum de la Scala, respondencium ad suprascripta. “ Illustri et magnifico domino Francisco Dandulo Dei gratia Veneciarum, Dalmacie atque Chroacie duci, necnon domino Quarte Partis et Dimidie totius Imperii Romanie, Albertus et Mastinus de la Scala fratres, civitatum Verone, Padue, Vincencie, Tar- visii etc. Capitanei et Domini generales, salutem et prosperos semper ad vota suc- (1) Nel ms. Commemoriali, vol. III, fol. 617. Un sunto ne diede il PrepeLLI, Commem., vol. II, p. 33. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 21 di Cessus. Visa et intellecta responsione vestra ad ambaxiatam vobis expositam per dominos Petrum de Sacho et Guilietmum de Pastrengo, nostros ambaxiatores, sic vestre magnificencie respondemus, quod nostre intencionis et sume voluntatis est, tenere et conservare dilectionem, amicitiam et veram fraternitatem, quam semper habuerunt et tenuerunt illi de Domo nostra cum Comuni Veneciarum, nec ab ea rece- dere ullo modo. Hec autem est ratio et causa maior, quia desideramus removeri questiones et lites, que solent inter amicos et convicinos odia et scandala suscitare, unde prefatos nostros ambaxiatores misimus ad presentiam vestram, procurantes ‘vobiscum, quod nune modo orta occasio Mote et aliorum Castrorum et Hominum illorum de Camino inferiori, que dicitis esse vestra, cognosceretur de iure et summarie | per comunes amicos, de quo, ut vestra indicat responsio, videmus plurimum admi- | rari, quod nullo modo credere poteramus, cum numquam sit auditum, quod Comune Veneciarum, totius iustitie zelator, alicui iusticiam negavit, aut recusavit, quod iusticia cognoscatur. Scitis, sicut notorium est omnibus, quod Comune et Homines Tervixij, cum toto suo districtu ac iurisdictione dederunt se nobis seque summiserunt prote- ctioni et custodie nostre, asserentes nobis quod terre et loca, que tenuerunt prefati de Camino, sunt et fuerunt ab eo tempore citra, cuius non extat memoria, Comunis È Tervixij, in quibus dietum Comune suam exercerit iurisdictionem, sicut et in aliis | terris suis; et de hoc patent privilegia et alia publica documenta Comunis predicti; | ex quorum consideratione dicitur manifeste apparere iurisdictionem prefatam spectare 4 ad Comune Tervixij et in ea potiora iura alijs optinere, in quibus a nobis speravit et sperat indubie manuteneri etiam et defendi, previa ratione. Nos autem confi- dentes, quod ipsum Comune, prout videre possumus, in....., quodque cum nostro | honore in casu tali deficere non possumus, rogari vos fecimus de iuris cognitione . habenda in questione predicta, nullatenus credere volentes in hoc maxime a vobis | repulsam habere, immo exaudictionem ultroneam dari. Cum autem tanta sit in nos de vobis confidentia circa iustitiam ac etiam equitatem, ut de nostris patrimonialibus bonis omnem questionem poneremus in manibus vestris, nec alium advocatum aut udicem peteremus, rogamus excellentiam et amiciciam vestram, serie presentium Seriose, quantum ad premissa vestrum intuitum dirigentes, dignemini et velitis con- sentire, quod de predictis, ostensis utriusque partis iuribus, non per iudicij strepitum, sed sumarie cognoscatur per comunes amicos; ita quod si res vestra erit, cam cum benedictione Dei et omni bona voluntate etiam habeatis, quam pro vobis defensa- bimus, sicut vestra. Si vero fuerit Comunis Tervixij, Comuni redimus, quod est simile velle nostrum nec vobis nec alijs iusticiam amantibus debeant talia fore molesta. Per hanc autem viam cessabunt questiones et lites et augmentabitur dilectio et fra- ternitas supradicta; intendentes quod si per nostrantes facte fuerunt alique occupa- tiones, aut damna illata vestratibus, post ortam questionem, nos eas et ea volumus, prout alias scripsimus, in statum debitum reduci facere et etiam emendari. “ Datum Verone, .vy. februarij, indictione xmty ,. Non ho alcuna notizia sullo svolgimento successivo degli avvenimenti. E neppure ;osso dire da chi la lettera degli Scaligeri, or ora trascritta, sia stata portata a Venezia. È difficile che Pietro da Sacco ne sia stato il latore; pare che la sua dignità | fosse superiore a questo ufficio, probabilmente disimpegnato da un qualsiasi cursore. 22 CARLO CIPOLLA GE Il 2 ottobre 1330 Pietro de Sacho era presente alla rogazione di un documento che lo riguardava, e pochi giorni dopo dettava il suo primo testamento, li ottobre. Nei documenti degli ultimi anni il cognome Guidotti scompare. Ma ecco, che esso ricorre nuovamente nel citato testamento, dove Pietro chiama sè stesso “ de Sacho ,, nel mentre che poi si dice figlio di Crescimbene “ de Guidotis ,. È facile com- prendere che in un atto così importante, com'è il testamento, il nostro giudice vo- lesse porre al sicuro da ogni possibile contrasto ciò che costituiva l’ultima sua volontà. Quindi non voleva passare sotto silenzio il cognome originario della sua famiglia. Ordina di essere sepolto nel monumento che si era fatto costruire nel chiostro di S. Eufemia di Verona, davanti alla porta del Capitolo. In queste parole abbiamo alcune notizie di carattere topografico, non trascurabili. De’ suoi parenti ricorda la moglie Caterina. Già abbiamo veduto che nel 1301 egli aveva in moglie Sofia q. Pietro, della contrada di S. Fermo. Egli aveva dunque contratto un secondo matrimonio. Non sappiamo quando sia avvenuta la morte della prima moglie. Invece si può congetturare che recentissimo fosse il suo secondo matrimonio. Ricorda poi una figlia defunta, di nome Umiltà, della quale restavano due figli maschi e quattro fanciulle. Lascia l'eredità ai figli e alle figlie, che sarebbero nati da Caterina o da altra legittima moglie, e ai figli di Umiltà. Mancando i figli propri, l’eredità passi tutta ai figli di Umiltà, da partirsi così, che metà venga divisa fra i maschi, e l’altra metà fra le femmine. Fa un legato a Caterina, e prescrive che essa sia tutrice, senza obbligo d'inventario, dei beni mobili, spettanti ai figli nascituri da lei. Stabilisce che Caterina, se non passa a seconde nozze, se non entra in monastero, se non per- cepisce il legato, resti usufruttuaria di tutti i beni del marito. Fa un legato a cia- scuno dei monasteri dei Domenicani, dei Frati Minori, degli Eremitani, dei Servi di Maria e dei Carmelitani, per celebrazione di messe ed altri suffragi. Fa altri lasciti col medesimo scopo. Fra questi noto i seguenti: a frate Rizzardo suo confessore; @ don Rufino suo fratello arciprete di S. Pietro in Castello; per restauri nelle chiese dei SS. Simone e Giuda e di S. Giovanni in Foro; all'Ospedale Domus Dey di Verona, e ad altri ospedali nella città e nei suburbî; legati in vestiti ai poveri di Minerbe, legati per la chiesa di S. Maria Maddalena a Castione sopra Garda. Se avrà figli legittimi — il che portava naturalmente la loro successione all’ere- dità — fa un legato per Alena, figlia di Umiltà, quando andasse a marito. Nello stesso caso, dispone d’altri legati per ciascuno dei figli o delle figlie di Umiltà. Dispone in favore dei figli e delle figlie di Umiltà di una somma a completare la dote ch'egli aveva avuta da Sofia, loro ava, e propria moglie; a loro assegna anche alcuni beni in Minerbe e in Bonavigo, che già furono di Luica, madre di Sofia. Questi beni erano dati in affitto, e fra i locatori comparisce il nome di Aleardo Aleardi. Queste notizie genealogiche saranno completate da altri documenti, e special- mente dal secondo testamento di Pietro. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA DO (05) Nomina gli esecutori testamentari, il primo dei quali è suo fratello Rufino. s Nelle disposizioni che si riferiscono al trapasso dell’eredità ai figli e ai nepoti, il testatore si riferisce più volte agli Statuti di Verona, allora vigenti. Dò nella sua integrità il testamento, che può riuscire forse di qualche utilità, anche per la conoscenza delle costumanze giuridiche, allora seguìte in Verona. “ (S. T.). In Christo nomine, die iovis undecimo oetobris, in Verona, in guaita Sancte Heufomie, in domo habitationis infrascripti domini Petri testatoris. Pre- sentibus Guilielmo notario filio quondam domini Benvenuti notarij de Cevolarijs, de Perabebus, Paxio notario quondam magistri Vivaldi de Clavica, Iohanne Scavezatore filio domini Alexandri de Pontepetre, Nicolao Rarolo filio domini Ysnardi de In- sulo Superiori, Iohanne tintore quondam domini Landi de Sancto Vitali, Salvestro Zuperio quondam domini Andree Boiocerij de Sancto Stephano, Daniele Zuperio filio dni Henrici de la Rota de Sancto Vitali, Rafaelo Zuperio magistri Brazamonti de Sancto Sebastiano, Bartholomeo quondam domini Azolini de Sancto Silvestro atque Benvenuto merzario filio dni Anthonij Cevolarij de Muronovo, testibus rogatis et ad hec specialiter convocatis. Tbique dominus Petrus de Sacho iudex, de Sancta Fomia, filius quandam dni Crescinbeni de Guidotis, sanus corpore et mente sincerus, volens de suis bonis disponere et testamentum ordinare, ut post eius decessum inter | eius posteros nulla possit oriri contencio pro ipsis benis, suum testamentum et ul- | timam voluntatem disposuit per ordinem ut inferius declaratur, suo ore proprio, sic dicens. Imprimis elligo sepulturam meam in claustro ecclesie Sancte Fomie de i Verona, in monimento meo, quod est ante portam capituli dicte ecclesie, et in om- nibus meis benis mobilibus et inmobilibus, cuiuscumque generis, tam presentibus, quam futuris, filium seu filios masculos naxituros ex me et ex domina Cathelina, | mea uxore, seu ex quacunque alia mea uxore legitima, quotcunque fuerint masculi, | sive nati fuerint, me vivo, sive me mortuo, infra decem menses a tempore mortis | mee connumerandos, ex nunc ipsos michi equaliter heredes instituo. Et si aliquis | seu aliqui dictorum meorum filiorum naxiturorum, ut supradictum est, deceserit sive deceserint infra pupilarem etatem, vel postea quandocunque, usque ad etatem decem | et septem annorum, alium vel alios filios masculos superviventem seu supervivertes | substituo vulgariter et pupilariter, usque ad pubertatem, et per fidei comissum usque ad decem et septem annos completos. Et si omnes deceserint infra pupilarem | sent michi, una vel plures, me vivo vel mortuo infra spacium decem mensium a morte mea connumerandum, ex dicta mea uxore domina Cathelina, vel ex altera quacunque mea uxore legittima, et filios earum, que decescisent, sive nati fuerint, me vivo, vel mortuo, in stirpes, et non in capita, et filios et filias quondam Umili- | tatis mee filie eidem vel eisdem substituo pupilariter usque ad pubertatem et per fidei comissum usque ad decem et septem annos, ita quod de parte pertinenti dictis. . filijs dicte Umilitatis, masculi, qui sunt duo, habeant medietatem, et femine, que sunt quatuor, aliam medietatem. Et si solum filie femine, una vel plures, nasce- | rentur michi ex dieta domina Cathelina, mea uxore, vel ex alia quacunque mea uxore legitima, me vivo, sive mortuo, intra decem menses computandos a tempore 24 CARLO CIPOLLA mortis mee, ipsas ex nunc et quamlibet (1) earum, et filios earum, masculos et fe- minas, qui nascerentur legitime ex eis, me vivo, vel mortuo, et filios quondam dicte mee filie Umilitatis, michi heredes instituo, ita quod filie mee succedant in capita, et filij quondam dicte mee filie Umilitatis, loco earum matrix, in stripes (sic), et filij et filie dictarum mearum filiarum, si matres earum essent defuncte cuiuslibet earum, et filij dicte Umilitatis succedant in stirpes loco earum, ita quod masculi habeant partem sibi contingentem ex forma Statutorum Comunis Verone nunc curencium, et femine similiter. Et si aliqua dictarum mearum filiarum, que michi nascerentur modo predicto, una vel plures, decederent infra pupilarem etatem vel postea quandocunque, sine legitimis heredibus ex se descendentibus, usque ad etatem quindecim annorum, aliam vel alias superviventes natas, ut suprascriptum est, vel nascituras, in capita, et filios earum in stripes et filios quondam dicte Umilitatis mee filie, loco earum matrix, in stripem substituo, pupilariter usque ad pubertatem, et per fidei comissum usque ad quindecim annos, ita quod masculi et femine habeant partem eis et. cui- libet (2) earum pertinentem, seu contingentem, ex forma Statutorum Comunis Ve- rone nunc curencium. Et si filij masculi et femine michi nascerentur ex me et dicta domina Cathelina, mea uxore, vel ex alia quacunque mea uxore legitima, me vivo, vel mortuo, intra decem menses a tempore mortis mee connumerandos, tune masculos omnes michi equaliter heredes instituo et eos in vice substituo pupilariter et vulgariter usque ad pubertatem, et per fideicomissum usque ad decemseptem annos, et eorum filios masculos et feminas legitimos, in stirpes, ita quod fiat divisio inter eos, secundum formam Statutorum Comunis Verone, et filiabus predictis, que nascerentur ex me et dicta domina Catelima mea uxore, vel ex qualibet alia uxore legitima, me vivo, vel mortuo, inter tempus decem mensium connumerandum a tem- | pore mortis mee et cuilibet earum Jego millecentum libras pro qualibet, que sibi dentur tempore, quo nubent, et ad maritum ibunt, et interim honorifice alantur, per meos heredes et in ipsis quantitatibus ipsas et quamlibet earum michi heredes in- stituo et eas iubeo et volo esse tacitas et contentas pro debito iure nature et pro omni iure, quod sibi competere poset in omnibus meis bonis. Et si aliqua earum Ù deceserit infra pupilarem etatem, vel postea quandocunque (3), usque ad etatem | quindecim annorum, masculos et feminas predictos michi naxituros, ut suprascriptum est, superviventes vel superviventem in capita et filios earum in stirpes, et. filios quondam mee filie Umilitatis in stirpe, loco earum matrix, eidem vel eisdam sub- | stituo, vulgariter et pupilariter, usque ad pubertatem et deinde usque ad quindecim annos completos per fideycomissum, ita quod fiat divisio semper inter masculos et feminas cuiuslibet stirpis, secundum formam Statutorum Comunis Verone nune cu- | rencium. Et si nullus filius vel filia michi nasceretur ex me et dicta domina Cathelina, mea uxore, vel ex alia quacumque mea uxore legitima, me vivo, vel mortuo, infra dictum tempus decem mensium a tempore mee mortis computandum, ex nunc filios et filias quondam dicte mee filie Umilitatis michi heredes universaliter instituo, videlicet masculos, qui sunt duo, pro dimidia, et feminas, que sunt quatuor, pro alia (1) Ms. qualibet. (2) Ms. cuiuslibet. (8) Ms. quocumque. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 25 dimidia. Et rogo eos per fidei comissum ad invicem, quod si unus vel plures eorum deceserit vel deceserint sine heredibus legitimis ex se discendentibus, vel mona- sterium legitime non ingredientibus, quod alius vel alij superviventibus vel super- viventi restituat partem suam hereditatis mee predicte. Et in casu silicet sive michi filius nasceretur vel filia ex me et dicta domina Cathelina, mea uxore, sive non, relinquo et indico dicte mee uxori domine Catheline de meis bonis ducentas libras, conputato lucro dotali, quod est quinquaginta librarum, et si habuero filios masculos seu feminas, natos vel nascituros ex me et dicta domina Catalina, mea uxore, infra decem menses conputandos a tempore mortis, relinquo dictam meam uxorem tu- tricem dictis meis filijs et filiabus. Et remito sibi confectionem inventarij de meis bonis immobilibus. Item relinquo ipsam dominam Cathelinam dominam, masariam et usufructuariam meorum bonorum, donec vixerit et in castitate permanserit, et ad secunda vota non transierit, et monasterium ingresa non fuerit, et dictum legatum ducentarum librarum exigere noluerit. Item relinquo et indico pro anima mea et predecesorum meorum et pro male ablatis, incertis, centumquinquaginta libras denariorum Veron., de quibus dari volo conventibus Fratrum Predicatorum, Minorum et Heremitanorum et Servorum Sancte Marie de la Scala, Fratrum Carmelitanorum Sancti Thomaxij pro missis et orationibus dicendis pro anima mea et meorum pre- decesorum et illorum quibus in aliquo teneor et essem incertus, centum soldos pro quolibet convertu. Item conventui (1) Sancti Gabrielis tres libras occaxione predicta. Item fratri Rizardo confesori meo tres libras occaxione predicta. Item domino dum Rofino fratri meo archipresbytero Sancti Petri in Castello decem libras occaxione predicta. Item conventui (1) Saneti Philipi tres libras occaxione predicta. Item relinquo pro anima mea et predictorum in reparatione eclesiarum seu altariorum Sanctorum Simonis et Jude et Sancti Iohannis ad Fornm de dictis centumquinqua- ginta libris tres libras pro qualibet ipsarum ecclesiarum. Ttem hospitali Domus — Dey de Verona viginti solidos. Item cuilibet alij hospitali de Verona et suborbiis tenenti infirmos quinque solidos pro quolibet. Item volo et iubeo quod de dictis eciam centunquinquaginta libris ematur centum brachia grixij a quinque solidis brachio qui predicti (?) dispensentur inter magis pauperes de vila Minerbij, masculos seu feminas, ita quod non detur alicuy ultra unam gonellam, pro anima mea et pre- dictorum. Item volo et indico quod expensentur seu expendantur de dictis cen- tumquaginta libris in lignamine et cupis quinquaginta libras ad eclesiam Sancti Marie Magdalene in copertam in vila Castroionis (2) supra Gardam et eciam in reparatione diete eclesie vel altariorum ipsius, totum ilud quod superabundabit ad dictam sumam centumquinquaginta librarum pro anima mea et predictorum. Item in illo casu seu casibus suprascriptis, videlicet quod si habuero filios masculos tantum unum vel plures, vel filios masculos et feminas: natos vel natas tempore mortis mee, seu eciam naxituros ex me et dieta mea uxore domina Cathelina vel ex alia quacunque mea uxore legitima infra decem menses a tempore mortis mee computandos, relinquo et iudico Alene mee nepoti, filie quondam Umilitatis mee filie, trecentas libras, si nubet, tem- (1) Ms. conventu. i (2) Ms. Castroion. Trattasi del villaggio di Castione. Serie II. Tom. LI. i 4 26 CARLO CIPOLLA pore quo nubet et ad maritum ibit. Item in casu sive casibus proxime dicto re- linquo cuilibet aliorum filiorum et filiarum quondam dicte mee filie Umilitatis centum libras pro quolibet sibi dandas per heredes vel heredem meum, seu substitutos vel plures, silicet nepotibus masculis, quando nubent et uxores ducent, nepotibus vero fe- minabus si legitime nubent et ad maritum ibunt, vel religionem intrabunt et pro- fectionem facient. Et si aliquis predietorum nepotum meorum masculorum vel feminarum omnium, postquam (1) nupserint modo predicto, deceserit sine legitimis heredibus ex se descendentibus legitime, ante quindecimum annum completum, rogo eos et quamlibet earum, quod suprascriptas quantitates sibi per me relictas restituat aliis superviventibus vel ipsorum legitimis heredibus, qui ex eis vel aliquo eorum legitime descendisent, in stirpes et non in capita. Item relinquo dictis meis ne- potibus, filijs quondam dicte mee filie Umilitatis, masculis pro dimidia, qui sunt duo, et feminis pro alia dimidia, que sunt quatuor, secundum determinationem Statutorum Comunis Verone, trecentas triginta quinque libras denariorum Veron., secundum re- stitutionem dotis quondam domine Sophie uxoris mee et avie predictorum, fata per me solitione obitus (2) ipsius et necesariorum circha ipsius obitum et legatorum reli- ctorum per eam de superfluo sue dotis, et eciam de meo proprio non modicum. Item relinquo dictis meis nepotibus masculis et feminis pro partibus antedictis, pos- sessiones omnes, que fuerunt domine Luyche earum proavie et matrix quondam dicte mee uxoris domine Sophie, iacentes in pertinentia Minerbij et Bonayci et alibi, de quibus solvunt fictum dominus Aleardus de Aleardis septem minalia frumenti, Bernardus Nanna de Sancto Stephano viginti solidos, Zeno quondam Henrici de Saneto Stephano unum minale, unam quartam frumenti; Panencolus cum fratribus dat fitum decem minalia frumenti et heredes Viviani quondam Omneboni de Mi-. nerbio duo minalia et tres quartas frumenti, salvo iure pluris vel minus. Et ad omnia suprascripta legata danda et solvenda et distribuenda constituo et ordino do- | minum dum Rofinum suprascriptum et dominum Bonaventuram quondam domini Alti- cherij iudicem et dominum Danielem de Bocafolia iudicem et Ramondum de Cuimis meos fideycomissarios, ita quod ipsi vel maior pars eorum tantum viventium vel se volentium intromitere in supradictis, posint et valeant et debeant omnia suprascripta ta et singula effectui et executioni mandare, non obstante conditione meorum heredum, unius (3) vel plurium, vel eis substitutorum, unius vel plurium, vel alterius cuiuscunque persone. Et hoc volo quod sit meum ultimum testamentum et mea ultima vo- luntas et quod valeat iure testamenti et cuiuslibet ultime voluntates. Et si dicto iure valere non poset propter deffectum, qui esset in eo, vel evenire posset, volo quod | valeat iure codicillorum, donationis causa mortis, et omni alio iure, quo melius valere potest et poterit. Et si hinc retro fecissem aliquod aliud testamentum vel ultimam — voluntatem, ipsum et ipsam casso; irrito et revoco eciam omnem donacionem, quam in aliquam meam uxorem fecissim vel in quamlibet aliam personam, que morte con- (1) Ms. posquam. (2) Si osservi l’uso della parola obito, per trasporto funebre del cadavere. Questa parola, in egual È senso, è in uso anche oggidì nel volgare veronese, cf. Paruzzi-BoLoenmi, Dizion. del dialetto moderno | di Verona. Verona, 1901, p. 150. (3) Ms. unus. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 27 firmaretur et revocare posset de iure, exceptis que in hoc testamento contine[n]tur, non obstantibus aliquibus verbis derogatoriis, que huic meo testamento in aliquo obviarent seu derogarent. Et rogo vos notarios' omnes hic astantes scribere et subscribere dictum meum testamentum et hic presentes esse testes. «“ Anno Domini millesimo trecentesimo trigessimo, indictione terciadecima. “ Ego Johannes quondam domini Bartholomei de Cevolario imperialis auctoritate notarius interfuit et rogatus scripsi. “ Ego Guilielmus condam domini Benvenuti Cevolarij imperiali auctoritate notarius interfuit huic testamento et rogatus me subscripsi , (1). XII. Morto Cangrande, il giudice Pietro da Sacco continuò a godere la fiducia dei suoi Signori. Quando Alberto e Mastino della Scala ricevettero da Nicolò (da Milano) la investitura di alcune decime “ Petrus iudex da Saco, de Sancta Eufemia Verone , prese parte al documento, in qualità di testimonio (2). I documenti notarili continuano a parlare di lui. Lo riguarda, fra gli altri, un istromento del 18 agosto 1333, che può essere qui opportunamente citato, anche per la consuetudine giuridica di cui esso ci serba memoria. L'atto si svolge “in palacio Comunis Verone, ad banchum Procuratorum Comunis, pressentibus — ,. Ne trascrivo l’inizio: “ Ad peticionem domini Petri de Sacho iudicis, de Sancta Heufomia, dominus Mutulus, milex Procuratorum Comunis Verone, per presens instrumentum, vel per viatorem Comunis Verone, id habentem, districte precipiendo mandat vicario (3) et massario (4) de Colade, quatenus, viso hoc instrumenti vel hahito precepto a Viatore Comunis Verone, incontinenti eligat et elligere debeat duos vel tres de hominibus dicte terre et qui melius sciant confines infrascriptarum peciarum ter- rarum ipsius domini Petri iacentium in infrascriptis contratis seu locis ,. Segue la descrizione dei confini. Per la vita di Pietro ha interesse anche l’istromento 29 aprile 1334, rogato a Verona, “in guaita Sancte Heufomie, in domo habitationis domini Petri iudicis de Sacho ,. Costui concesse in mutuo ai sindaci del Massaro del Comune di Colà, 140 lire di denari veronesi, per impiegarli nella costruzione del molino, che egli, Pietro, e il Comune di Colà “ faciunt, de societate, in pertinencia Colade ,. Altri documenti, in buon numero, abbiamo ancora del nostro Pietro. Sono com- pere, locazioni, ecc. Può essere curioso anche in questi documenti l’osservare la varietà che va assumendo il suo cognome. Ne dò i tipi diversi: x (1) La seconda firma è d’altra mano dal resto, il che serve a confermare che il documento è originale. è. (@) Verci, Marca Trivigiana, X, 164. (3) Me. vicar. Non è il caso di pensare al plurale. (4) Ms. massar. 28 CARLO CIPOLLA 1335, febbraio 23. dominus Petrus de Sacho iudex, olim domini Criscimbeni bd) de Guidotis; 1335, aprile 19. dominus Petrus iudex, condam domini Criscimbeni de Guidotis de Saco; 1335, agosto 11. dominus Petrus iudex a Saco; 1338, luglio 23. dominus Petrus de Sacho iudex. Per altro riguardo è notevole un documento del 21 aprile 1339, rogato in Verona “ in guaita Sancte Euphonie in domo habitationis domini Petri iudicis de Sacho ,. In questo documento comparisce quale attore “ Andreas filius domini Petri iudicis de Sacho de Sancta Euphomia ,. Siccome dal testamento del 1330 appariva che Pietro non avesse ancora figli maschi, così devesi ritenere che Andrea fosse ancora bambino, quando gli si fece fare tal parte nel citato documento. Questa congettura viene confermata da varì documenti posteriori, i quali, dopo la morte di Pietro, ci parlano di Andrea e delle sue sorelle, e dicono che tutti questi si trovavano sotto la tutela di Caterina loro madre. Tutti costoro dovevano dunque essere ancora in età molto giovanile. Del 31 agosto 1331 è un altro documento non inutile per la vita di Pietro, e più ancora per le costumanze del tempo. “ Ad peticionem domini Petri de Sacho iudicis, pro se et nomine et vice domini Bonaventure de Altecleriis iudicis, —Prudens vir dominus Guilielmus de Arimondis de Parma legum doctor et generalis vicarius magnifici dni dni Mastini de la Scala, una cum magnifico dno dno Alberto fratre suo, civitatum Verone, Padue, Vicencie, etc. domini Capitanei generalis, comissit cuilibet viatori comunis Verone hanc cartam habenti, quatenus , mettano i detti Pietro e Bonaventura in possesso di alcune terre in Colà, già proprietà di Bartolomeo de Corubio. I primi anni dopo la morte di Cangrande furono prosperi per gli Scaligeri. Nel 1333 Carlo IV accettò la splendida ospitalità di Mastino II ed Alberto II. Due anni dopo Parma, Lucca, Reggio riconobbero l'autorità degli Scaligeri. Ancorchè essi immediatamente cedessero Reggio a Guido e a Feltrino Gonzaga, tuttavia in quel periodo di tempo la dominazione Scaligera era amplissima, come quella che compren- deva oltre che sopra Verona, anche Padova, Vicenza, Treviso, Brescia, Feltre, Belluno, Parma, e Lucca. Tanta prosperità destò poco appresso la gelosia dei Veneziani e dei Fiorentini, che strinsero seco la lega del 22 giugno 18336, foriera di gravissimi guai alla Signoria dei Dalla Scala (1). Ai monumenti dello splendore spetta un diploma di Mastino, datato da Verona addi 31 ottobre 1335. Da questo si intende che lo Scaligero aveva qualche tempo innanzi dato l’incarico ad alcuni giudici di esaminare tutte le partite delle imposte pubbliche, sia in Verona, sia in ogni altra città e luogo della Signorìa Scaligera. (1) Per la lunga e intricata storia delle trattative fra Venezia, Firenze e i Carraresi, che finì colla lega, 1337, di tutti questi nemici degli Scaligeri, veggasi ora Vinc. Lazzarini (Storia di un trattato tra Venezia, Firenze e î Carraresi, © N. Arch. Ven., XVIII [1899], p. 243 sgg.), che recò un nuovo contributo a quanto avevano detto, nel secolo XVIII, G. B. Verci, Marca Trivig., X, XI, e negli ultimi anni G. BoLoGnIni, Le relazioni tra la repubblica di Firenze e la repubblica di Venezia, ece., in “ Nuovo Arch. Veneto ,, IX [1895], p. 12 sgg. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 29 Dovevano costoro esaminare se c'erano abusi. Scoperto il male, erano tenuti a rife- rirne al Signore, il quale ne doveva giudicare, sentito il parere di Nicolò Tacoli, giudice e vicario generale di Guido da Correggio, podestà di Verona. Così, dopo un esame calmo e prudente, si dovevano prendere gli opportuni provvedimenti. Ma gli affari politici e militari avevano reso impossibile a Mastino di prendere parte per- sonalmente agli affari. Sicchè i giudici componenti ciò che ora si direbbe la Com- missione d'inchiesta, avevano dovuto agire senza ricorrere all'autorità centrale. Per tale motivo Mastino emanò il decreto di cui dicemmo, collo scopo di approvare defi- nitivamente tutto quello che essi avevano fatto. L’officio dei giudici, chiamati a far parte di questa Commissione d’inchiesta, era grave per fermo e delicatissimo. Riusciva quindi di grande onore a chi lo sosteneva. Uno di tali giudici è appunto Pietro da Sacco. Il diploma, di cui parlo, si trova in originale nell’archivio Bevilacqua, abbando- nato dalla duchessa Bevilacqua-La Masa, morta qualche anno fa. Porta esso ancora il sigillo, ad impressione applicato sulla parte inferiore della pergamena. È a forma di scudo. Nell’interno ha la scala a quattro gradini, sormontata dal cane alato (1). Gira attorno allo scudo la seguente leggenda in caratteri gotici: | 6. MASTCINI DE LA SCALA. Ciò premesso, ecco il documento (2). Sciolgo le abbreviazioni. Chiaro n'è il carat- tere, che per altro non può dirsi molto elegante. È il solito carattere cancelleresco, che non ha altra pretesa, che quella di farsi leggere facilmente. “ Nos Mastinus de la Scala, una cum magnifico domino Alberto fratre. nostro, civitatum Verone, Brixie, Parme et tocius Marchie Tarvixine Capitaneus et Dominus generalis. Dum de prudencia et legalitate sapientum virorum dominorum Nicolai de Aldemario de Tarvixio, Mathei de Gotesaldis de Parma, Bartholomei a Campanea, Petri de Sacho iudicum, nec non Fantolini de Clavica et. Bonaventure de Mitifogo, civium nostrorum Verone, plenarie confideremus, eosdem Iudices et Asessores nostros duximus statuendos ad inquirendum, faciendum et cognoscendum et fine debito ter- minandum rationes omnium et singulorum Officialium et Familiorum nostrorum et quorumeunque aliorum Officialium nostrorum et Comunis Verone et aliorum Comunium et Locorum subiectorum nobis et magnifico domino Alberto de la Scala, fratri nostro, massariorum, exactorum colectarum, daciorum et daciarum et quarumeunque intra- (1) Gipino, Trattato dei ritmi volgari (ed. Giuliari, Bologna, 1870, p. 99), nella ballata minima, strofe 2°, scriveva: “ Viva lo suo Mastino Che come uciel divino La ricopre con l’ala ,. Nella ballata comune menora (ivi, p. 94): “ Questo biancho Mastino Con l’ale d’oro sempre vola in alto ,. (2) Nulla d’antico sta sul verso della pergamena. 30 È CARLO CIPOLLA tarum nostrarum et dictorum Comunium nostrorum et quarumcunque aliarum perso- narum, cuiuscunque condicionis existant, et ad audiendum et cognoscendum omnes querimonias, que de ipsis vel aliquo ipsorum fierent per quoscunque, occasione &ali- quorum extorsionum, seu aliquorum ablatorum indebite et receptorum iniuste per ipsos Officiales, Familios nostros et Comunium nostrorum et personarum predictarum ab aliquibus Personis, Comunitatibus et Collegiis seu Universitatibus, et super om- nibus et singulis actis, gestis et negletis, omissis per ipsos vel aliquem eorum, quacunque de causa, servato et non servato iuris ordine, tempore feriato et non feriato, summarie et de plano et sine strepitu et figura iudicii. Et quod super cedulis in capsis depositis et repertis et querimoniis productis coram eis et inquisi- tionibus fiendis per eos contra quoscunque, de quibuscunque excessibus et delictis procedere possint et valeant ad cognitionem et decisionem ipsorum delictorum et | excessuum, non obstante quod in predictis vel predictorum aliquo iuris solenitas ser- _ vata non fuerit, vel alia in processu et cognitione sub alia sint omissa, dummodo per testes, vel reorum confessiones, vel alia indubitata iudicia et legiptima argu- menta, excessus et delicta aliqua fuerint probata vel probari poterint. Dantes et concedentes eisdem ad prefata audienda facienda et cognoscenda et fine debito ter- minanda, ex vigore nostri arbitri et de. nostre plenitudine potestatis, ex certa scientia, plenum mandatum et auctoritatem et liberam facultatem. Mandantes universis et singulis Officialibus Civitatum, Comunium et Terrarum nostrarum et qui- buscunque subditis nostris requisitis per predictos dominos Judices et Officiales nostros, quatenus eisdem pro prefatis, seu premissis faciendis et exequendis, obedire et inten- dere debeant, sub pena et banno singulis contrafacientibus nostro arbitrio aufferendis, hoc adito et adiecto, quod ante deffinitionem vel determinationem alicuius rei ex premissis, de omnibus hiis, que audierint vel inquisierint, per ipsorum relationes reddant nos claros, conscios atque certos, ut de predictis omnibus et singulis, nostris patentibus litteris et nostro sigillatis sigillo evidenter apparet. Cunque ipsi Ases- sores et Officiales nostri in dicto officio per nos eis conmisso bene, solicite et lega- liter et eorum Notarij se gesserint, et processus, quos expedire potuerunt, nobis prius certificatis, de nostro mandato, cum deliberatione prudentis viri nobilis Nicolai de Taculis iudicis et generalis Vicarij nobilis viri nobilis Guidonis de Corrigia civitatis Verone honorabilis Potestatis et tocius Curie domini Potestatis predicti, simul cum ipso domino Vicario, terminaverunt et sentencialiter diffinierunt, secundum iuris ordinem et arbitrium sibi datum per nos et concessum, ut supra plenarie continetur. Et cum per eos non steterit quominus procederent in pendentibus, quia non potuerunt de nobis copiam habere, propter multa magna et varia negocia, quibus occupati fuimus pro augmento status nostri et subditorum nostrorum, omnia et sin-. gula per eos facta, gesta et terminata in dicto officio, tam in civilibus, quam in criminalibus,; quocunque modo, ratifficamus, approbamus et ex certa scientia confir- mamus, et ipsos et quemlibet ipsorum et eorum notarios a dicto officio et ab omnibus et singulis actis, gestis, negletis et omissis, quocunque modo et quacunque de causa, comuniter et divisim, ex nostro arbitrio et de nostre plenitudine potestatis, et omnibus modis, quibus melius possumus, absolvimus, et absolutos esse volumus et iubemus, ita quod de cetero, occasione dicti officij, de nostro mandato, per eos et quemlibet eorum administrati, tam de administratis, actis et gestis, quam de negletis et omissis UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 81 per eos vel aliquem eorum, nullatenus possint vel valeant molestari, impediri vel inquietari, modo quolibet vel ingenio, per quascunque singulares Personas, Collegia, Capitula et Universitates. Mandantes Potestatibus, Judicibus et ceteris Officialibus presentibus et futuris nostris, et Comunitatibus et singularibus Personis quarum- cunque Civitatum et Locorum nobis et fratri nostro subiectorum, quatenus de dictis nostris Officialibus vel aliquo eorum, occasionibus antedictis, nullam querimoniam audiant nec admittant vel faciant sub penis et bannis nostro arbitrio aufferendis. Que omnia et singula suprascripta valere volumus et iubemus perpetuo et decer- nimus ex arbitrio nostro et de nostre plenitudine potestatis, non obstantibus aliquibus iuribus civilibus et municipalibus, statutis et refformationibus civitatis Verone seu aliarum Civitatum et locorum nobis et dicto fratri nostro subiectorum editis vel edendis, et generaliter nullis aliis obstantibus iuribus, que predictis vel alicui predi- ctorum in aliquo obstarent, quominus dicta absolutio sortiretur effectum, quibus ommibus et singulis in predictis casibus ex certa scientia derrogamus, in ceteris vero suam obtinentibus firmitatem. In quorum omnium testimonium presentes fieri et nostro sigillo iussimus communiri. Actum et datum Verone, die martis ultimo octubris, sub anno Domini millesimo trecentesimo trigesimo quinto, inditione tertia ,. Due anni dopo, mentre la potenza Scaligera si affievoliva, Pietro si occupava ancora della cosa pubblica. Infatti il Carinelli allega un documento del 1337, nel quale Pietro viene menzionato nella qualità di giudice all’Officio degli Estimatori. Il Cari- nelli cita l’atto come èsistente nel suo proprio archivio, e cioè: “ Arch. Carinelli, 0. P, m.3, n. 5 ,. L’officio degli Extimatores Comunis involgeva l'obbligo di occuparsi di affari delicati, e per i quali era richiesta l’opera di persone meritevoli della fiducia pubblica. Ma non aveva importanza politica. Le sventure militari costrinsero il Comune di Verona ad incontrare alcuni prestiti coi cittadini. Così si formò una società di creditori del Comune, intorno alla quale finora poco sappiamo (1). Non è questo il luogo di parlare di ciò. Mi basti di notare che nel primo documento di detta società, in data 18 maggio 1337 (2), troviamo inscritto il nome di Pietro da Sacco: “ Dominus Petrus iudex de Saccho de Sancta Fomia uyxx libr. ,. Egli prestò dunque al Comune la forte somma di 320 lire. Addi 31 agosto 1339 il Comune fece un nuovo prestito “ arduis suis necessitatibus et utilitatibus persolvendis, et negociis expediendis ,, e anche in questo caso, nell'elenco delle persone “ que mutuaverunt , denaro al Comune, «si incontra: “ Dominus Petrus iudex de Sacho centumsexagiunta libr. Ver. , (3). Anche in un atto d’affittanza, 28 luglio 1358 (4), nel quale si ripetono i nomi pro certis magnis et dei creditori, ricomparisce il giudice Pietro da Sacco, sempre per la stessa somma di (1) L’atte del prestito 18 maggio 1337 fu pubblicato fra i documenti illustrativi aggiunti all'opera __ L'anfiteatro di Verona di Barroronro Giurrari, in Arch. stor. Veronese, IV, 17 sgg. (estr., Verona 1880, | pp. 154-61). ; (2) Liber Juriwm spectabilis Universitatis Veronae, f. 2v (Ant. Arch. Veron.). Questo documento è a stampa, come si disse nella nota precedente. ò (8) Liber Jurium citato, f. 13. i (4) Liber Jurium, f. 34. Persamena n. 16 della “ Università dei Cittadini ,, Ant. Arch. Veron. 32 CARLO CIPOLLA 160 lire veronesi. Ma qui il nome sta per la ditta. E infatti nel catalogo dei cre- ditori, istituito nel 1339 (1), troviamo la seguente notazione: “ Dominus Petrus iudex de Sacho, redactus ad rationem domini Andree condam domini Petri iudicis de Sacho, in carta 79 Gba oa 5 Andrea chiamavasi appunto il figlio del giudice Pietro, siccome si dirà. ; XIII. Il giudice Pietro ebbe un figlio e due figlie dalla sua seconda moglie. Egli doveva quindi modificare il testamento del 1330. Ciò fece assai tardi, e solo nei suoi estremi momenti, mentr’era oppresso dall'ultima malattia. Il secondo testamento è del 9 agosto 1839. Non ci è giunto nell’originale. Ne abbiamo peraltro un esemplare quasi con-. temporaneo, ma in forma semplice. Il trascrittore tralasciò di copiare la firma dei notai. Questo nuovo testamento è assai diverso dal primo. Contiene molte elargizioni alle chiese, agli ospedali ed ai poveri. Ripete l’elargizione in favore delle chiese e degli altari di S. Giovanni in Foro e dei SS. Simone e Giuda. Pietro si ricorda anche del suo confessore, ch'era fra Giacomo, lettore in S. Eufemia. Minuziose sono le notizie che questo testamento ci offre sulla famiglia di Pietro. Della sua prima moglie, denominata Sofia, è detto, che gli portò in dote alcuni. beni in Minerbe. Figlia di questo primo matrimonio, fu Umiltà, che sposò Raimondo figlio di Pagano de Coymis, al quale generò molti figli: Guglielmo, Alena (che sposò Abriano), Gemma (che entrò monaca in S. Martino di Avesa), Luica, Fodalice, Fran- cesco. Rimasto vedovo, Raimondo sposò Finadore. Pietro ebbe da Caterina, sua seconda moglie, il figlio Andrea (che qui viene nominato erede universale), e le figlie Persenia e Bartolomea. Alla moglie, affidò Pietro l’officio di filecommissaria per l’esecuzione del testa- mento. La beneficò con varî lasciti, sottoposti peraltro alla condizione che essa rima- nesse nello stato vedovile. Riferisco il documento. “« Exemplum ex autentice relevatum. In Christi nomine, anno Domini mille- simo tricenteximo trigessimo nono, indicione septima, die lune nono augusti. —Verone, in guaita Sancte Fomie, in domo domini Petri iudicis de Sacho filij condam domini Crisimbeni de Guidotis de Sancta Fomia. Presentibus domino G..... iudice de Ser- videis condam domini Servidei de Sancto Benedicto, domino Johanne iudice de Quinto filio domini Nicolai de Pigna, domino Francesco condam domini ..... phini a Cam- panea de Sancto Matheo, Isnardo condam domini Isnardi de Sancto Stephano, Cri- simbeno condam domini Guilelmi de- Saco de Sancta Fomia, Gabriele condam domini Guilielmi Panice de Sancto Stephano, F........ aurifice condam domini Isnardi de (1) Liber ommium civium, ecc., “ Univ. dei Cittadini ,, f. 21%. pi È Ù È UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 989 Sancto Stephano, magistro Bartholomeo condam domini Pelegrini de Sancta Cruce, magistro Icenno condam ser Petri de Sancto Vitali et Thomaxio notario condam domini Nicolay de Paucapovina de Sancto Petro in Carnario, qui huic testamento debet se subscribere, testibus rogatis et alijs, qui predicti testes diserunt et aseruerunt se cognoscere infrascriptum dominum Petrum testatorem. Ibique dominus Petrus iudex de Saco de Sancta Fomia, filius dni Crisimbeni de Guidotis, sanus mente, licet corpore languens, volens de suis bonis disponere et ordinare testamentum, ut post eius decessum inter posteros nulla possit oriri contencio pro ipsis bonis, suum testamentum et ultimam voluntatem per ordinem disposuit, ut inferius declaratur, suo ore proprio sic dicens. In primis eligo sepulturam meam in inclaustro Sancte Fomie de Verona, in monumento meo, quod est ante portam Capituli dicte eclesie. Item iudico et relinquo pro anima mea et eorum quibus teneor pro male ablatis, incertis, usque ad concurrentes quantitates, et predecessorum meorum, videlicet patris et matris, patruy et avie meorum iugalium ducentas libras denariorum Verone par- vorum, de quibus dari volo conventui fratrum Heremitarum octo libras, pro missis et oracionibus pro anima mea et suprascriptorum. Item conventibus fratrum Predi- catorum, Minorum, Servorum Sancte Marie de la Scala, fratrum Carmelitarum de Insulo Verone centum solidos pro quoque dictorum conventuum, occasionibus supra- scriptis. Item conventui Sancti Gabrielis tres libras, suprascripta de causa. Item fratri Jacoho lectori de Sancta Fomia confessori meo centum solidos, supra- scripta de causa. Item conventuy Sancti Phylipi de Verona tres (1) libras, ocaxione predicta. ‘tem [pro] reparacione ecelesiarum seu altariorum Saneti Johannis ad Forum et sanctorum Simonis et Jude tres libras pro quaque eclesia. Item infirmis hospitalis Domus Dey viginti solidos. Item cuilibet hospitali de Verona et . suburbij tenenti infirmos decem solos pro quoque. Item sorori Jeme de Sancto Mar- timo ad Avesam nepti mee centum solidos pro oracionibus pro anima mea. De su- perfluo dictarum ducentarum librarum ematur panus grisi], qui constat sexaginta sex lib. vel plus et sit tria centenaria grisij, qui dispensetur inter pauperos de Minerbio magis necessarios, masculos sive feminas, ita quod non detur alicuy ultra unam vestem; et superfluum dictarum ducentarum librarum expendatur similiter in panno grisij, qui dispensetur inter pauperes de Verona, secundum quod infrascripte mee fideycomisarie melius videbitur dispensandum. Item remito et. relinquo Michaeli condam domini Alberti de Manticis illas terras et possessiones emptas per eum nomine meo a Bonaventura eius fratre, pro precio octuaginta trium librarum, VIN solidorum et octo denariorum, de qua empcione constat publicum instrumentum per Johannem notarium condam magistri Bartholomey medici de Cortinis, die iovis secundo marcij millesimo trecenteximo trigeximo quinto, indicione tercia, ipso dimi- tente dictas possessiones conductoribus habentibus locacionem de eis, ab eis qui ipsas de iure facere potuerunt, pro ficto in dictis locationibus contento, vel de iure haben- tibus causam a conductoribus predictis, quod fictum videtur esse duodecim mina- lium furmenti, tempore quo manifestaverunt tenere pro me, quod fuit die lune quarto septembris millesimo tricenteximo trigeximo quinto et die martis quinto (1) Ms. tres tres. Serie II. Tow. LI. 5 94 CARLO CIPOLLA septembris, suprascripto millesimo, ut in instrumentis scriptis per Farinam notarium condam domini Fineti plenius continetur. Item dico et protestor quod dedi filie mee Umilitati, quando nupsit Raymondo, domini Pagani de C[oy]mis, in doctem sex- centum libras, de qua docte habeo instrumentum. Item dedi Raymondo predicto pro predicta mea filia in augmentum doctis quatuor centum et sexaginta libras, de” quibus habeo instrumentum. Item dedi Alene filie dicte mee filie et dicti Raymondi in doctem, tempore quando nupsit Abriano, tricentum et quinqueginta libras, de quibus habeo instrumentum. Item dedi sorori Jeme, filie condam dicte mee filie, quando intravit monesterium Sancti Martini ad Avessam centum libras, que date fuerunt sorori Bonafemine condam domini Salveti de Servideis, tunc priorisse dicti mone- sterij. Item dedi Raymondo de Coymis legiptimo aministratori sui filij Gulielmi et dicte olim mee filie Umilitatis centum libras, tempore quo duxit Finadorem eius uxorem, de quibus est instrumentum et ipsum habeo. Item restituy Raymondo tamquam legiptimo aministratori suorum filiorum et filiarum predicte olim mee filie Umi- litatis trecentum et quinquaginta libras pro docte condam domine Sophye olim uxoris._ mee et avie predictorum filiorum dicti Raymondi, de quibus habeo instrumentum. - Item dedi et assignavi dicto Raymondo, legiptimo aministratori dictorum suorum filiorum, possessiones, que venerunt in partem dicte domine Sophie, de bonis condam domine Luyche, matris condam domine Sophye predicte, que sunt in pertinentia Minerbij. Item iudico et relinquo Luyche, Fodalei et Francisco filijs dicti Raymondi et dicte condam mee filie Umilitatis centum libras pro quolibet, sibi dandas, quando nubent et ad maritum ybunt, et ipsi Francisco quando nubet et uxorem ducet. Item iudico et relinquo filijs et filiabus condam dicte domine Umilitatis filie mee et; condam uxoris Raymondi de Coymis vigintiquinque libras denariorum Verone par- vorum, pro quaque et quoque ipsorum, in quibus vigintiquinque libris et alijs legatis eisdem per me relictis et alias datis, ipsos et ipsas michi heredes instituo et iubeo et precipio ipsos et ipsas esse tacitos et tacitas, contentos et contentas, de predictis, pro omni iure debito, iure nature, falcidie et tribilianice et pro omni iure quod habere possent in bonis meis, et si quis et sì qua predictorum filiorum et filiarum condam domine Umilitatis mee filie inquietarent vel molestarent heredem meum infrascriptum de hereditate et bonis meis ultra suprascripta legata, ipsum vel ipsam, qui contra- faceret, privo (?) a suprascripto legato vigintiquinque librarum, a substitucione per me facta de ipsis ad filium meum Andream, de qua substitucione infra fit mencio. Item iudico et relinquo filiabus meis Persenie et Bartholomee millequingentas libras pro quaque, sibi dandas per infrascriptum meum heredem, quando quelibet earum nubet et ad maritum ibit, et interim honorifice alantur de meis bonis et in ipsis quantitatibus ipsas et quamlibet earum mihi heredes instituo et iubeo eas esse tacitas et contentas pro legiptima et pro omni iure, quod habere et petere posset in honis meis quacunque de causa. Et si contingerit eas vel aliquam earum velle ingredi monasterium, tune relinquo illi, que monasterium intrare vellet, solum quingentas libras et in ipsis quingentis libris ipsam vel ipsas, que intraret vel intrarent mona- sterium michi heredes instituo. Et si aliqua ipsarum decederet infra pupilarem etatem vel postea, quandocumque antequam nuberet et ad maritum iret, tune sub- stituo ipsi decedenti infrascriptum meum heredem pupilarem et per fideycomissum in mille libris et aliam supervenientem in quingentis, et si ambe decederent infra UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 95 pupilarem etatem, vel postea quandocumque, antequam nuberent et ad maritum irent, tune substituo eis et cuilibet earum infrascriptum meum heredem pupilarem et per fideycomissum. Item relinquo dominam Catalinam, dilectissimam uxorem meam, ‘ dominam masariam et usufructuariam omnium meorum bonorum donec vixerit et vitam duxerit vidualem et cum meis filiis steterit. Item iudico et relinquo dicte domine Cataline uxori mee usumfructum unius pecie terre casalive, murate, copate et solarate, iacentis Verone, in guaita Sancti Mathei, cuy coheret de-una parte via comunis, de secunda domina Flordalix uxor condam domini Danielis iudicis de Bocafolo, tenet a tercia Nicolaus notarius filius domini Thomey notarii de S. Matheo, de quarta (1) et si qui allij sunt coherentes, quam peciam terre dictus dominus Petrus emit a fideicomissarijs condam domini Bartholomey a Corubio, donee vixerit et vitam duxerit vidualem, in vita sua tantum in viduitate et castitate permanente, et post eius mortem deveniat in infrascriptum meum heredem liberam et expedi- tam. Item relinquo dictam meam uxorem tutricem filiorum meorum et suorum, ita quod de bonis meis inmobilibus non teneatur facere inventarium nec racionem red- dere de ministratis per eam, seu quem per eam aministrari debuerit, alicuy persone, et si finita tutela uxor mea non posset pacificare cum infrascripto meo herede, seu dolet, quod absit, tunc relinquo sibi, ipsa stante in castitate et non traseunte ad secunda vita, totum podere meum quod habeo in Lenico (2) et eius pertinentia, in vita sua tantum, et quod post eius mortem ipsum podere deveniat in ipsum meum heredem libere et expedite. In omnibus alijs meis bonis mobilibus et inmobilibus et iuribus, cuiuscunque iconditionis existant, Andream filium meum et dicte mee uxoris domine Cataline michi universalem heredem instituo, et si dictus meus filius decederet impupilari etate vel postea sine filijs legiptimis, usque quod compleverit etatem sexdecim annorum, eidem substituo filios et filias, laicos et laycas, condam dicte mee filie domine Umilitatis pro tercia parte, ita quod masculi habeant dimidiam dicte tercie partis et femine aliam medietatem, et dicte femine layce teneantur dare sorori Jeme de Sancto Martino ad Avexam, eius sorori, quolibet anno, donec vixerit, duodecim libras, silicet quatuor libras pro qualibet, et Perseniam filiam meam pro alia tercia parte et Bartholomeam filiam meam pro alia tercia parte pupilariter et per fideicomissum. Item prohybeo dicto meo heredi universali, ne alienet aliquam mearum possessionum et bonorum inmobilium alicui persone, Comuni et Colegio, seu Capitulo, donec compleverit vigintiquinque annos, cum mee intentionis sit ipsas meas possessiones et bona inmobilia remanere debere in mea et sua familia, et ad suprascripta omnia et singula exequenda et complenda facio, constituo et ordino dictam dilectissimam meam uxorem dominam Catalinam meam fideycomissariam et executricem dicti mei testamenti. Et hoc volo quod sit meum ultimum testa- mentum et mea ultima voluntas, et quod valeat iure testamenti et ultime voluntatis; quod si non posset valere iure testamenti propter aliquam solenitatem obmissam, volo quod valeat iure codicilorum, donationis causa mortis et omni iure quo melius valere et tenere potest, volo quod valeat et teneat. Et si hinc retro fecissem aliquod aliud testamentum seu ultimam voluntatem vel donacionem aliquam in (1) Lacuna nel ms. (2) Forse: Leniaco (?). 36 CARLO CIPOLLA aliquam personam, que morte mea confiteretur, seu confirmaretur, ipsum et ipsas revoco, anullo et nullius valoris esse precipio, non obstantibus aliquibus verbis dero- gatorijs in eis positis. Et rogo vos Verardum notarium, filium domini Henrici notarii de Sancta Maria ad Fratam, scribere hoc meum testamentum et ultimam voluntatem et Tomaxium notarium suprascriptum, qui debet se subscribere, et eciam omnes notarios, qui hic estis, hoc meum testamentum seu ultimam voluntatem con- dere et in publicam formam reducere, unum et plures, si hopus fuerit, et predictos homines esse testes huic meo testamento et ultime voluntati ,. XIV. A tenore del testamento, che abbiamo ora riferito, Caterina era libera nella sua amministrazione e non era tenuta al rendimento dei conti. Ciò non pertanto essa, morto il marito, pensò immediatamente a far redigere l’inventario dei beni mobili. esistenti nelle case di lui, in Verona, in Colà e in Castione. Questo inventario fu ese- guito da un nepote del defunto, Crescimbene de Gwidotis de Saco, del quale dovremo in appresso (cap. XVII) discorrere. Il maggior numero degli oggetti, messi ad inventario, si trovavano naturalmente in Verona, letti, vestiti, coffani, scrigni, panche, arnesi di cucina e di cantina, tavole, deschi, armi difensive ed offensive, cose di stalla, e inoltre un puledro e un ronzino. I libri non erano molti e tutti di legge. Il Digestum vetus (i libri I-XXIV, tit. 2 del Digesto), lInfortiatum (i libri XXIV, tit.3, XXXVII del Digesto), il Digestum Novum (libri XXXIX-L), il Codice, la Somma di Azzone (1), due volumi di Decretali, e un altro volume non descritto secondo il suo contenuto: forse era l’ Autentico (Novelle). Anni or sono pubblicai l’elenco dei Jibri posseduti nel 1364 da un giudice Ve ronese (2). Egli pure avea l’Infortiatum e il Digestum Novum: possedeva anche le Decretali di Imnocenzo III. Questo giudice era ancora meno provvisto di Pietro da Sacco. Invece assai meglio provveduto era un causidico, nel 1247, de’ libri del quale stampai pure l'elenco (3). Egli possedeva libri di vario genere, e perfino aveva la “ Istoria Longobardorum , (di Paolo Diacono), nonchè una “ Istoria Romana ,. Pietro de Sacco non teneva tanti libri. Gli bastavano quelli, che riguardavano direttamente le sue occupazioni di officio. A Colà aveva, oltre a oggetti da cucina e da cantina, anche granaglie nonchè bestie date in soccida, ecc. A Castione si trovava quanto era necessario per le camere d’abitazione, per la cucina e per la cantina. È da osservarsi che vi si trovavano anche oggetti di culto, il che significa che v'era una cappellina domestica. Anche a Castione si aveano granaglie, nonchè bestie affidate in soccida. Riferisco l'inventario nella sua integrità. Esso c’insegna che Pietro da Sacco, nonostante le molte possessioni ch'egli teneva, nonostante i difficili e onorevoli officî (1) Azzone morì verso il 1220. Sulla sua celebre Summa, cfr. Lanerors, La Somme Acé, in “ MEél. d’archéol. et d’hist. de l’école franc. de Rome ,, V, 110 sgg. i (2) “ Arch. Ven. ,, XXI, pp. 141-2. È (3) “ Arch. Ven. ,, XXVI (1883), pp. 169-71. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA SI sostenuti, viveva senza sfarzo. Tuttavia non in ogni cosa disdegnava quel lusso, ch’era richiesto, non solo dalla sua condizione, ma ancora dagli usi del tempo. Questo lusso, se pure è il caso di adoperare tale parola, si fa manifesto in qualche modo nel vestiario. Ma la nota caratteristica non è certo quella dello sfarzo, sibbene la mo- destia e la parsimonia. L'inventario è del 6 aprile 1559. La vita veronese del sec.. XIV ci è abbastanza nota. Non è del tutto inutile l'inventario di Aleardo Aleardi, che visse fino al principio del sec. XV; pubblicai quel documento parecchi anni or sono (1). Ma preziosissima è poi la raccolta di un “centinaio di miniature, che servono ad illustrazione d’un trattato di medicina. Alludo ad uno splendido codice, della seconda metà del secolo XIV, che fu già della famiglia veronese Cerruti, e che ora si trova a Vienna. Quelle miniature furono in gran parte pubblicate, con utili spiegazioni, da Giulio von Schlosser (2), e servono assai per la conoscenza della vita familiare nell’età Scaligera, anzi sono da considerarsi come il più prezioso materiale, che ci sia giunto, per la illustrazione della storia del costume nell’Italia superiore, durante il secolo XIV. Per la storia del costume questo inventario può riuscire di qualche utilità. Nè sarà senza qualche interesse l’avvertire le varie specie di panni, dei quali in esso si fa menzione. Oltre ai tessuti di origine veronese, si ricordano quelli di Firenze, di Milano, di Francia, di Irlanda. Anche il dialettologo può avvantaggiarsi da questo documento. In generale — ma non sempre, peraltro — gli oggetti vi sono descritti con parole dialettali, o per lo meno fortemente influenzate dal dialetto. « (S. T.) In Christi nomine amen. Die lune, sexto mensis septembris. In ecclesia Sancte Fomie, in presentia dominorum Johannis iudicis filij domini Nicolai iudicis de Quinto, de guaita Pigne, Francisci condam domini Rolfini a Campanea de Sancto Marcho, Dexiderati condam domini Nigri a Pedibus Magnis de Sancto Qui- richo, Prosperi ser Johannis a Rippa de Insulo Superiori et Johannis aurificis condam | ser Vivencij de Sancta Fomia, testibus rogatis et alijs, dicentibus noscere infra- scriptam dominam Cathalinam et infrascriptum magistrum Criscimbenum aurificem eius procuratorem. Ibique magister Criscimbenus aurifix condam domini Guilielmi: de Sancta Fomia, procurator et procuratorio nomine domine Cathaline uxoris condam domini Petri iudicis, condam domini Criscimbeni de Guidotis de Saco, per eandem dominam Cathalinam tutricem testamentariam et tutorio nomine suorum filiorum Andree, Persenie e Bartholamee fratrum, filiorum condam dicti domini Petri iudicis de Saco, ut de dicta tueria constat ex testamento confecto per condam dictum do- minum Petrum iudicem de Saco, scriptum per Bernandum notarium filium ser Henrici notarii de Sancta Maria ad Fractam et subscriptum per Tomaxium notarium condam (1) Libri e mobiglie di casa Aleardi, in “ Archivio Veneto ,, XXIV, 28 sgg. (2) Ein Veronesisches Bilderbuch u. die hòfische Kunst des XIV Jh., in “ Jahrb. d. Kunsthist. Samm- lungen d. allerhòchsten Kaiserhauses ,, XVI, 144 sgg. Vienna 1895. Da questa bellissima pubblica- zione furono desunte le fototipie che adornano il volume Arte, Scienza e Fede ai giorni di Dante, Milano, Hoepli, 1901. 38 CARLO CIPOLLA domini Nicolai de Pauca Povina die lune nono augusti (1), millesimo cum indicione infrascriptis, et ut de dicta procuraria costat publico [instrumento](2) ibi viso et lecto, seripto per me Johannem notarium infrascriptum, die dominico quinto se- ptembris, millesimo cum indicione infrascriptis, volens dicto nomine conficere inven- tarium tutelare de bonis mobilibus condam dicti domini Petri iudicis de Saco, comparuit coram sapienti viro domino Pexono de Guardaluchexijs, iudice consule Comunis Verone, tempore nobilis viri domini Ursij Justignani de Venecijs potestatis Verone, et prius, Christi nomine invocato, et facto eciam signo venerabilis crucis + manu propria ipsius procuratoris, dicto nomine, premissa prius in principio medio et fine dicti inventarij hac protestatione, videlicet, quod ipse procurator dicto nomine non intendit aliquos facere creditores dicte hereditatis, qui vere non erunt creditores, ex eo quia [faceret] (3) scribi pro creditoribus in inventario infrascripto, et quod [non] (4) intendit, quod ex hoc aliquod ius predictis pro creditoribus scriptis in dicto inven- tario, qui non essent veri creditores, acquiratur, nec dictis puppillis, nec dicte tutrici aliquod facere preiudicium vel gravari per predicta, et quod non intendit aliquos facere debitores dicte hereditatis, vel quod computentur dicte tutrici sive dictis pup- pillis in patrimonio dicte hereditatis, qui vere non essent debitores, ex eo quia ipsos faceret scribi pro creditoribus in dicto inventario, et quod non intendit (quod) ex hoc aliquod facere preiudicium dicte tutrici sive dictis puppillis. Item quod si faceret; scribi in dicto inventario aliqua bona tamquam bona hereditatis et condam dicti domini Petri, que non fuissent dicti domini Petri et que non essent hereditaria, non intendit aliquod facere preiudicium dicte tutrici, sive sibi procuratorio nomine dicte tutricis, ex eo quia ipsa bona scribi faceret in inventario predicto. Et quod non intendit propterea [quod] dicta tutrix ad restitucionem dictorum bonorum teneatur, que non fuissent dicti domini Petri, sive in hereditate predicta. Item non intendit aliquod facere preiudicium dicte tutrici et dictis puppillis, si contingeret quod aliqua bona, que fuissent dicti domini Petri et nunc in hereditate predicta omitteret scribi in dicto inventario facere, ex eo quia dicta bona non forent scripta in dicto inventario, sed intendit dicto nomine quod omnia iura sint salva dicte tutrici, tutorio nomine predicto, et dictis puppillis, ac si dieta bona in dicto inventario forent scripta. Qua sua protestatione premissa et salvis eciam omnibus alijs iuribus sibi procuratorio nomine predicto et dietis tutrici ‘et puppillis [spectantibus](5), dixit et protestatus fuit dicto nomine se invenisse in bonis et hereditate predicta, infrascripta bona et res mobiles, videlicet. Primo duos letos vergatos cum tribus plumaciis. Item octo lectos parvos cum octo plumaciis. Item unam cultram magnam cendali vermilei. Item. unam cultram cendali a gnechis. Item unam cultram cendali a bindellis, parvi valoris. Item duas cultras de panno lini a ondis. Item tres cultras de bocarano. Item tres cultras parvas endegas, parvi valoris. Item unam cultram a ondis, parvi valoris. Item unam cultram parvam a bindellis. Item quatuor paria lintheaminum magnorum lini. (1) Scrivo in corsivo queste parole Zune nono augusti, perchè supplite (di prima mano?) in uno spazio lasciato bianco. (2) La parola instrumento, se fu dimenticata dal notaio, è richiesta dal senso. (3) Anche la parola faceret è richiesta dal senso. (4) Così pure ripetasi della parola non. (5) Anche Ja parola spectantibus è richiesta dal senso. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 39 Ttem quatuor paria lintheaminum ab equitando. Item quatuor paria lintheaminum parvulorum a familia. Item sexdecim toaias a discho inter magnas. et parvas. Item. quatuordecim toaias a manu. Item unam tunicham mescli vermilei ab homine. Item unam guarnaciam dicti mescli sufultam vari ab homine. Item unam tunicham de mesclo. Ttem quatuor drapos a capite a oxelis. Item duas toaias a manu a oxelis. Item unam tunicham mescli vermilei ab homine. Item unam guarnaciam dicti mescli, sufultam vari, ab homine. Item unam tunicham de mesclo. Item unam guarnaciam de mesclo, sufultam pele agnelina. Item unum tabarum dicti mescli, sufultum de coneglo, omnes ab homine. Item unam tunicham de mesclo viridi Mediolanensi. Item unam guarnazam foratam pelle, de dicto mesclo. Item unam mantelinam de dicto mesclo foratam pelle, de homine omnes. Item unum tabarum sufultum vari, parvi valoris. Item unam tunicham sale Irlande. Item unam tunicham beretini Veronesi]. Ttem unam mantelinam dicti panni. Item unum tabarum. foratum cendali. Item unam guarnatiam saie Irlande, sufultam pelle. Item unam guarnatiam et unum tabarum panni vidiris sufultum cendali violati. Item unam guarnatiam saie mezolane Florentine cum una mantelina sufultam sindonis vermilei. Item unum tabarrum morelli. Item unam tunicam panni albi sufultam pelle. Item unum bagarozum foratum pelle. Item duos bagarozos, sine foraia. Item unum, zupellum bocarani. Item unum zupellum bocarani. Ttem unum zupellum cendali, omnes ab homine. Item duos capuzos, sufultos vari. Item unum capucium saie Irlande, sufultum media grana, fornitam, cum presoris argenteis doratis, a femina. Item unam guarnaciam sufulta (sic) vari, cum presoris malgarie (1), dicti panni. Item unum mantellum sufultum cendali dicti panni, a femina. Item unam tunicham, fornitam, cum presoris argenti doratis, mescli Francisci, a femina. Item unam guarnaciam dicti panni sufultam vari cum duabus lanzetis a smalto (2). Item unam zupam a femina cendali vermilei, for- nitam, cum presoris argenti doratis. Item unam quarnaciam de canzacolore, su- fultam cendali, cum una cavezatura dorata. Item unam guarnaciam mescli Florentini, foratam vulpis. Item unam tunicham saie Irlande viride, cum ponicelis argenti. Item unam guarnaciam mescli Florentini, sufultam pelle. Item duos coffanos, cinctos feri. Item unum coffanum copertum. Item unam casitulam nogarie. Item unum serignolum nogarie. Item duos scrignos magnos nogarie. Item unum banchum. albari. Item unum banchum. Item unum banchum picij. Item unum banchum nogarie, parvi valoris. Item unum banchum picij, parvi valoris. Item unum banchum pici). Item unum banchum pici], sine pozo. Item duas casetas longas cum duobus, caltis de picio. Item unam casetam picij, parvi valoris, Item unum scrineum nogarie. Item unam casetam longam de. picio. Item unum scrineum azaginum, a farina. Ttem unam casiam pici a farina. Item unum scrineum nogarie, sine coperculo. Item unam pelaoram. Item septem tabulas, a mensa. Item trexdecim trispos. Item quatuor dischos. . Item duodecim banchas. Item duas centuras argenti, doratas, cum smaltis, sub | filo argenti. Item unum stivum sete lazure, furnitum argenti dorati. Item unum (1) MS. malgare. (2) Ms. smaltl. 40 CARLO CIPOLLA stivum sete viride et azure, furnitum argenti, a rasetis doratis. Item unum stivum sete albe parvum, furnitum argenti dorati. Item unum stivum sete viride, fur- nitum argenti dorati. Item duos calcirellos coperto[s] stagni. Item unum calci- rellum rami. Item unum calcirellum copertum rami. Item sex bronzinos rechalchi. Item mj® brongelos rechalci. Item unum labetum brondi magni. Item unam labetam brondi parvam. Item tres sex labetes lapidis magnas. Item quatuor labetes prete parvulas. Item unam paelam prete magnam. Item paelam prete parvam. Item tres paelas rami. Item tres graygolas feri. Item tres gratalaxolas. Item quatuor astas feri. Item unam calderam rami. Item parolum rami. Item unum parolum rami, stagnatum. Item unum raminum rami. Item duas cogemas rami. Item duas mosas (1) fodi. Item quatuor catenas feri. Item unum reabium feri. Item unum par maiarum (2) feri. Item unam paletam feri. Item octo brandinatas feri. Item duos tripoydos feri. Item duas situlas rami. Item sex situlas ligni. Item unum stagnolum ab oleo, stagni. Item duas stagnatas a vino. Item quinque centenarios lapidis, ab oleo. Item sex centenarios ligni ab oleo. Item circa vigintiquinque brentas olei. Item tres mezenas porcinas salatas. Item unam brentam ab oleo. Item duas bazetas ab oleo. Item duas cacias feri ab oleo. Item unum tor- torum ab oleo. Item septem veietes roveri de tresdecim quartarijs pro quaque. Item duos tinazos roveri a (sic) boliendum uvas. Item duas tinas picij, parvi va- loris. Item quatuor veietes pici]. Item unam veietem roveri de quinque modia (ste). Item circa duo plaustra vini albi. Item tres leterias magnas. Item sex leterias parvas. Item sex caregas. Item unum schanum magnum foratum, a necesso. Item tres scanos parvos. Item duas breelas. Item duas vazianas a (sic) buratandum. Item duos petinos avolij. Item duos tabulerios a schachis. Item unum tabulerium a tabulis. Item unum dischum nogarie rotundum. Item duo paria salarolorum stagni. Item duas brentas ab erbis et a lexia. Item unam loram a vino. Item unam situlam a vino. Item sex pavexius (sîc). Item duas targetas. Item unum scuttum catenanum. Item scutum. Item quatuor lancias. Item unum slapum. Item duas crestatas. Item unam cerveleriam. Item tres spatas. Item unum stochetum. Item duas lancetas. Item unum casetum feri. Item unam guarnaciam feri. Item unum par manicarum de ma- daia. Item duos colarios feri. Item colarium feri, parvum. Item unum centum de madaia. Item tres (sic) paria cilothecarum feri. Item duos mani- chetos feri de madaia. Item duas magias feri. Item duas securas feri ad defendendum lingnas (3). Item unum polerium brumbaium. Item unum roncinum baium. Item tres selas ab equis. Item unum bastum a soma. Item unam valixiam a soma. Item duas valixias parvas. Item tres calcirellos rami a (ste) ponendum orzum in fredo. Item unum librum Digestum vetus. Item Codicem. Item unum Inforzatum. Item unum Digestum novum. Item Summam Acij. Item unum par Decretalium. Item unum volumen. Item dixit et protestatus (1) Si leggerà: mesas. (2) Si leggerà forse: moiarum. (3) Cioè: lignas. ca ‘È UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 41 fuit dicto nomine se invenisse in dictis bonis et hereditate infrascriptas res et bona mobilia, que sunt in terra Colade, in domo heredum olim dicti domini Petri iudicis de Saco, Primo vigintinovem minalia frumenti. Item decem octo minalia spelte. Item tres (sic) minalia et tres quartas fabarum. Item duas quartas et dimidiam cicerum alborum. Item quinque quartarolos pigolorum. Item duas quartas lentarum. Ttem unum minale siliginis. Item unum letum parvi valoris. Item unum plumacium. Item duo lintheamina. Item unam cultram cendali. Item unam labetem covri. Item unam cathenam feri ab igne. Item unam labetem lapidis parvam. Item unam cogemam (sic) rami. Item octo taieros. Item sex scuelas. Item unam mesam fodi. Item unam tabulam cum duobus trispis. Item unum minale ligni. Item unam quartam ligni. Item unam palam. Item unum tinacium roveri. Item duas veietes largij. Item unam veietem picij. Item duos vezolos roveri. Item unum centenarium largij. Item unum cente- narium salgarij, ambos ab oleo. Item unam brentam ab oleo. Item unam bazetam ab oleo. Item unam caciam feri ab oleo. Ttem duas brentas a vino. Item unam situlam a vino. Item unam tinam salgarij, de plaustro. Item duas tinas parvas. Item unam leteriam magnam. Item unam leteriam parvam. Ttem circa tria quartaria vini vermilei. Item circa quatuor brentas olei. Item unum torculum a (sic) torculandum uvas, cum suis apparamentis. Item duas vachas cum duabus vitulis, quos tenet in socidum Bonamatus de Colada. Item unam vacham pregnam. Item unam manzam cum una vitula. Item unam vitulam; quas bestias tenet Cavalerius in socidum. Item unum polerium sternum. Item unam equam magnam, quas (1) tenet Florius Martinis (2) in socidum. Item unam capram. Item duas pecudes. Item unum castronum; quas (3) tenet Bartholomeus ser Choy de Colada in socidum. Item duas caregas. Item duas lucernas. Item unum scutum. Item unam lanciam. Ttem unam vacham cum una vitula, quas tenet Zulianus in socidum. Ttem unam asinam cum uno polerio. Item tria plaustra feni. Item dixit et protestatus fuit dicto nomine se invenisse in dictis bonis et hereditate condam dicti domini Petri in tera Castione infrascripta bona et res mobiles, vide- licet. Primo duos letos. Ttem duos linzolos magnos. Item duos linzolos parvos. Item unum plumacium. Ttem unam cultram bocarani, parvi valoris. Ttem unum scrineum nogarie. Item unum banchum picij. Item unum banchum roveri. Item unam casetam picij, parvi valoris. Item unam leteriam. Item unum coxinum. Item unum drappum a capite. Item unum petinem de avolio. Ttem duos bacinos recalchi parvos.. Item unam lanternam. Item duas leterias. Ttem dischum roveri. Item unam toaiam a discho. Item unam toaiam a manu. Item unam lucernam. Item tres labetes covri. Item unam paelam feri. Item duas brandinatas. Item unam mesam fodi, a pane. Item unum scrineum aza- ginum. Ttem unam paelam feri. Item unam cathenam feri. Item unam feri (4). Item unam scuelariam. Item unum minale ligni. Item unam quartam (1) Si riferisce al puledro e alla cavalla. (2) Forse si leggerà: “ de Martinis ,. (3) Si sottintenderà: “ bestias ,, come poco sopra. (4) Sic. Manca il nome. Serie II. Tom. LI. 6 49 CARLO CIPOLLA ligni. Item unam mensuram, a foleis. Item unum plaustrum feni. Item sex vegetes (1) picij. Item unam veietam roveri, de tribus plaustris. Item unam veietam larzij, de duobus plaustris. Item unum vezolum picij. Item unum vezolum ab aceto. Item unam loram. Item duas brentas a vino. Item unum canestrum canestratum copertum. Item duas tinas magnas ab oleo. Item unam bazetam ab oleo. Item unam caciam feri ab oleo. Item virj minalia et unam quartam fru- menti. Item sex spelte. Item unam cogemam (sic) rami. Item unum raminum rami. Item unam tabulam cum duobus trispis. Item tres caregas. Item duas banchas. Item tres toaias ab altare. Item unum calicem rami deauratum. Item tres libros ad dicendum missam. Item unum toribolum. Item unum do- plerium. Item unum altariolum sacratum. Item circa trigintatres brentas olei. Item unum torculum. Item unam magnaoram ab equis. Item tabulerium de cipreso a scachis et a tabulis. Item duos conzos. Item unam gratacaxolam. Item duo minalia et unam quartam scandelle. Item unam vacham cum vitulo et uno manzo, quas (2) tenet Torellus de Castione in socidum. Item quinque capras. Item duas pecudes. Item unum montonum, quas (2) tenet Talia de Castrino in socidum. Item unam axinam cum uno polerio, quas (2) tenet dictus Talia in soci- dum. Dicens eciam et protestatus dicto nomine se confecisse dictum inventarium bona fide, sine fraude, et nullum dolum vel fraudem in eo comisisse. Et si aliqua bona mobilia pertinencia et spectacia dicte hereditati inveniet, quod ipsa bona in presenti inventario vel in alio inventario conficiendo ponet et scribi faciet, et salvis semper et reservatis dicto nomine suprascriptis suis protestacionibus et omnibus aliis suis iuribus et protestacionibus generis cuiuscumque. Quibus ommibus sic peractis, dictus dominus Pexonus iudex consul Comunis Verone ipsi inventario suam et comunis Verone aucto- ritatem interposuit pariter et decretum. “ Anno Domini millesimo trecentesimo trigessimo nono, indictione septima. “ Ego Johannes condam magisti Bartholomei medici de Sacto Matteo cum Cortinis, imperiali auctoritate notarius, hiis omnibus interfui rogatus et scripsi ,. Non mi pare fuor d’opera aggiungere qui un tentativo di spiegazione dei vocaboli, che si incontrano in questo inventario. Dissi spiegazione, e non illustrazione, poichè il mio scopo è modesto. Per illustrarli a dovere, ci sarebbero volute la dottrina, l’acutezza e la diligenza del compianto prof. C. Merkel. E anche rispetto alla parola spiegazione, ne restrinsi il significato, accontentandomi — com'è giusto — di parlare di un tentativo di spiegazione. Non tutte le parole infatti riuscii a interpretare adeguatamente. Buoni suggerimenti ebbi dall'amico e collega prof. G. Fraccaroli, e da mio fratello prof. Francesco, ai quali mi è cosa grata esprimere qui la mia gratitudine. Dò qui i titoli integri dei lavori ai quali specialmente mi sono riferito, e che ai singoli luoghi citerò in forma abbreviata. (1) Ms. vetes. (2) S'intenda “ quas bestias ,. wr tl) A UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 43 Axncenuccr A., Catalogo della Armeria reale di Torino, Torino, 1890. Brver® R., Arredì, suppellettili, utensili W’uso nelle provincie Napoletane dal XII al XVI sec., in “ Arch. Stor. Nap. ,, XXI. In., Vestimenti e gioielli in uso melle provincie napoletane dal XII al XVI secolo; in “ Arch. Stor. Napol. ;, XXII. Ip., Ordigni ed utensili per Vesercizio di arti ed industrie, ecc., in “ Arch. Stor. Napol. ,, XXII. Bortoran Domenico, Vocabolario del dialetto antico Vicentino, Vicenza, 1894. Crocanmti B., La vita dei Veneziani nel 1300; le vesti, Venezia, 1886. Ciponna C., Libri e mobiglie di casa Aleardi nel principio del sec. XV, “ Arch. Veneto ,, XXIV, [1882], p. 28 sgg. Ducance 0., Glossarium mediae et infimae latinitatis, edd. HnnscHEL et FasrE, Niort, 1888-87. : Cito quest'opera con DE. Foromuuini-Dn Vir, Totius latinitatis lexicon, Prati, 1859 sgg. Garrer Luigi, ZI dialetto di Verona nel secolo di Dante, in “ Archivio Veneto ,, XXIV. Gatti Ettore, La mobilia di un canonico del sec. XIV, Pavia, 1899 (nota degli oggetti abban- donati da un canonico di Pavia, eseguita nel 1398). Maysoccni Rodolfo, Catelano Cristiani notaio visconteo, Pavia, 1900. Mazzi 0., La casa di maestro Bartolo di Tura, “ Bull. Senese di st. patria ,, III | Siena, 1896], fino a VII [1900]. Merknu Carlo, Tre corredì milanesi del sec. XV, in “ Boll. dell’Istit. storico ,, n. 13 [1898]. In., Il castello di Quart nella Valle d’Aosta, in “ Bull. Istit. stor. ,, n. 15, p. 7 sgg. [1895]. Ip., Come vestivano gli uomini del Decameron, in “ Rend. Accad. Lincei ,, t. VI [1897]. Patuzzi-BoLoenINI, Piccolo dizionario del dialetto moderno di Verona, Verona, 1901. Prou M., Inventaires des meubles du card. Geoffroi d’ Alatri 1287, in “ Mel. d’archéol. et d’hist. de l’école frang. de Rome, V [1885], p. 382 sgg. Somnosser, von, Giulio, Ein Veronesisches Bilderbuch u. die hòfische Kunst des 14 Jh., in “ Jahrb. d. kunsthistor. Sammlungen d. allerhichsten Kaiserhauses ,, XVI [Vienna, 1895], p. 144 sgg. (le tavole, che c’interessano, sono quelle segnate XIII-XXIL). ScHuLtn A., Geschichte des mittelalterlichen Handels und Verkehrs, Lipsia, 1900, 2 voll. Stanremti L., Due case di campagna nel sec. XIV, Modena, 1900. Tommasro Niccolò e Bruuini Bernardo, Vocabolario della lingua ‘italiana, Torino 1865-1879. Gitasi con TB. VioLuat-La-Duc, Dictionnaire raisonné du mobilier frangais, vol. I e III, Parigi, 1874. Vocabolario dell'Accademia della Crusca, A-K, 5* ediz. Firenze, 1863-99. Citasi con Cr°. altariolum sacratum, piccolo altare consacrato, riposto naturalmente nella cappellina privata. apparamentum. Dicesi di un torchio, coi suoi apparamenti, cioè cogli apparecchi necessari al suo funzionamento. asina axina, asina. asta ferri. Nella cucina verano quattro di queste “ aste di ferro ,. Siccome anche nella cucina di Casa Aleardi (Znvent. 1408, p. 51) c'erano aste di ferro, e di queste, altre col piede e altre senza, sembra trattarsi qui di arnesi destinati a sostenere le vivande, che si vogliono cucinare. Aste con piedi sono rappresentate nei focolari ritratti presso ScanosseRr, tav. XVI, n° 4; XIX, n° 4. azaginus, aggettivo, che sembra significare la materia con cui l'oggetto è fatto. Siccome si tratta di due scrigni, di cui uno per la farina, così si può pensare ad una specie di legno. Che si tratti dell’acero ? È vero che troviamo nel nostro documento larzius per acero, ma abbiamo la duplicità dell'espressione anche in lazurus e azurus. Qui ad ogni modo si espone una semplice ipotesi, non mi si offrendo una spiegazione più soddisfacente. azurus, azzurro. Cfr. lazurus. avolium, avorio. Anche l’ant. dial. vicentino (cf. Bortoran, Voc.) ha: avolio. bacinus, bacino. (1) 44 CARLO CIPOLLA bagarozus. È un vestito, che talvolta era foderato, e talvolta no. DY registra baga per “ saccus , e TB baga per “ sacco per lo più di pelle ,, ma questa parola manca a 0°. Non so peraltro se questa parola baga abbia qualche relazione col nostro vocabolo. Si può notare che l’odierno dial. ver. ha la similitudine: grosso come una baga, per dire di chi è molto grosso. Si direbbe adunque che il bagarozus fosse un vestito ampio e largo. bancus banca. DF bancus “ sedimen ligneum longius, quod plures una sessores capit ,. Belli esempi di banchi, di semplice forma, sono a vedersi presso VroLter-Le-Duc, I, 33-5; uno elegantissimo, a p. 36. bastum a soma. Cr° basto “ quell’arnese che a guisa di sella portano le bestie da soma e sul quale si adatta il carico ,. bazeda. Vecchia misura per l’olio, che anche adesso si ricorda e che anche ora in dial. ver. appellasi senza mutazioni bazeda. DY registra bazea, nel senso di vaso per l’acqua. beretinum. 0° berettino “ di colore grigio o cenerognolo ,. Nell’ant. dial. vicent. (cf. Bor- toLAN, Voc.): beretino con egual significato. bindellis, a, cultra cendali. Cr? bindella bendella “ fettuccia, nastro ,. Ant. dial. Vic. (cf. BortoLan, Voe.): bindello, “ benda ,. Forse si vuol parlare di una coltrice, fatta a fascie di colori alternati. L’Inventario Aleardi del 1408 (p. 45, 48) ha: “ una cultra filli a bindis rubeis et viridis ,, “ cultra a bindis rubeis et azuris ,. Queste espressioni chiari-- scono abbastanza quelle meno evidenti impiegate nel nostro inventario. In questo medesimo senso un doc. veneziano del 1360 (CeccHertI, pp. 127-128) ci parla di una coltre “ de veludo e de drapo a oro a binde , e di altra coltre “ de drapo lana... a binde ,. bocaranum. Cr°: bucherame “ sorta di tela, per lo più di bambagia, sottile e di pregio ,. DF registra boccaramen, boccaran. brandinata ferri, alari, DF: brandanale, “ fulerum fucarium ,. Nel dial. piemont. dicesi anche oggidì brandè, e in genov. brandà, appunto nel senso di alari. Ora il dial. ver. ha: cavedon, nè conserva alcun vocabolo che si accosti a “ brandinata ,, cf. PATUZZI-BoLoGNINI, Dizion. breela. Nell’ant. dial. Vicent. (efr. BortoLan, Vocab.) breella “ predella ,. Chiamasi in dial. ver. brela (ma non breela) l’asse su cui la lavandaia lava e sbatte la biancheria; ma non pare probabile che qui si tratti di tale arnese. Qui la “breela , sta presso agli scanni, e quindi l’interpretazione predella pare preferibile. brenta. In uso anche ora nel dial. veron. come arnese e misura per il vino. brondum, brodum. L’ant. dial. vicentino (cf. Borroran, Voc.) ha brondo, nel significato di bronzo. La pronuncia “ brondo , per “ bronzo , è ancora del dialetto rustico, e “ sacri brondi, per “ campane , scriveva P. ZenarI, Poesie scelte, Verona, 1891, p. 164. broncinus broncellus. Cr? bronzino, vaso di bronzo. Ant. dial. Vic. (ef. BortoLan, Voc.) bronzino, nel senso di brocca. Penseremo a qualcosa di simile al nostro bicchiere, cf. Gavi, p. 28. Ma esiste tuttora la parola nel senso di “ marmitta di ferro ,. PATUZZI- BoLognINI, Dizion. brumbaius. Questo vocabolo, che ricorre come aggettivo qualificativo di un puledro, forse indica che il suo mantello stava fra il bruno ed il bajo. buratare, cribrare. Anche nell’odierno dial. veron. dicesi buratar, buratare. cacia. Vols. Ver. cazza, specie di ramajuolo, con lungo manico. Anche DF' registra caza e cazia. Gati, p. 28, interpreta “ cazia ,, in cui egli pure si imbattè, per “ tazza ,; ma i passi stessi ch’egli cita si accordano a dar al vocabolo il senso di ramaiuolo o mestola. calcirellus, calcirellus copertus. Nel volg. ver. “ calzirel ,, secchio di rame; è piuttosto voce rustica, che urbana. caldera, caldaja. Nell’ant. dial. vie. (cf. Borroran, Voc.): caldiera. L’odierno veronese ha caldera (Paruzzi-BoLocnINI, p. 80). calix, calice. Il calice qui descritto era di rame dorato. Anche nell’inventario del Card. d’Alatri, 1287, trovasi indicato: “ unus calix deauratus , (Prov, p. 390). caltus, tiretto, cassetto. Questo vocabolo calto è in uso anche nell’odierno dial. veron. Qui si dice che c'erano due calti in due lunghe cassette. canestrum canestratum copertum, canestro con coperchio. Il MrrKEL, Tre corredì, p. 126, UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 45 scrive: “ Il canestrum, voce che il Du Cange dice strettamente italiana, segna forse il più modesto dei numerosi bagagli destinati a serbare il corredo della... sposa ,. canzacolore. Cr° cangiante. Fra gli esempi: “... vestita di cangiante ,. capra, capra. capucius capuzus, cappuccio. carega, seggiola. Anche oggi in dial. ver. dicesi caréga, con eguale significato. Gamrmr (7 dialetto, p. 368) registra pure questa parola. Altrove si usava dire “ catedra ,, o “ cadrega ,, cf. GauLI, p. 30. — Era più onorevole dello scanno, secondo Srarretti, p. 10. caseta, casitula, piccola cassa. Of. sotto “ caltus ,. casetum ferri, DF cassettus “ cassidis species ,. casia, cassa. castronum, castrone. catena ferri; cathena ferri ab igne, catena del focolare. La frase veronese odierna è: cadena del fogolar, del camin (cf. Paruzzi-BoLogNINI, p. 29). cavezatura. È detto di. una guarnacca. Oggidì nel dial. ver. dicesi cavézo, nel senso di scampolo. MrerkEL, Tre corredì, pp. 108-110 parla distesamente dei cavezzi, concludendo che tale “ vocabolo in generale indicò lo scampolo, oppure la pezza intiera, e talora anche il vivagno di questa ,; peraltro ammette che si adoperasse eziandio nel significato speciale di colletto. & in quest’ultimo senso sembra adoperato anche nel nostro inventario, quando non lo si dovesse interpretare per or/atura in generale. Ma il significato di colletto è preferibile. cendalum. DF cendalum “ tela subserica, vel pannus sericus ,; TB zendado “ specie di drappo sottile, propriamente di seta ,. centenarius. Anche oggidì in dial. ver. dicesi gentenar, nel senso di ziro. Con egual signi- ficato centenaro in ant. dial. vicent. (cf. BortoLan, Vocabd.). centum. ©": cinto “lo stesso che cintura ,;. L’ant. dial. vicentino (cf. Borroran, Voc.) ha cento per cinto. Ì centura, cintura. La cintura era un oggetto di grande importanza del vestiario sì maschile che femminile (cf. VioLuer-08-Dvo, INI, 104 sgg.), e splendidi fermagli faceano parte del corredo di Valentina Visconti, 1386 (Camus, La venue en France de V. Visconti, “ Misc. di stor. ital. ,, XXXVI, 35). cerveleria, DA cervellerium, cervelleria “ cassidis species, quae superius cawitis partem operit ,. Cr° cervelliera “ specie di cappelletto di ferro, che si portava a difesa della testa ,. Nel medesimo significato Garrter (p. 365) registra zervelera. E quest’ultima forma ricorre pure in un documento veneziano del 1325, cf. CeccartTI, p. 120. cicer album. Dovrebbe identificarsi coi pizoli, che sono bianchi, a distinzione della lenticchia, “ cicer lens ,. j cilotheca feri. Cioè: “ chirotheca ,, guanto di ferro che fa parte dell'armatura. cipresus, cipresso. coffanus; coffanus copertus. L’ant. dial. Vicentino (cf. Borroran, Voc.) aveva: coffano per cassone. Era la grande cassa, spesso adornata con figure e foglie d’intaglio. Ne parla molto a lungo e molto bene il compianto MurkEL, Tre corredì, pp. 127-130, il quale nota che nel Piemonte si conservò fino ai dì nostri cofò (cofo) nello stesso significato. Questo cas- sone era destinato a contenere il corredo della sposa. Tale vocabolo manca affatto al dia- letto veronese odierno, cf. PatUZzzI-BoLogNnINI, Dizion. Ver. cogema, cocoma. Dial. ver.: cégoma. colarius. DH: collare, collarium “ armaturae species, qua scilicet collum militantis tegitur ,. Del collare di ferro discorre BeverE, Ordigni, p. 725. ‘coneglus, coniglio. Nell’odierno dial. ver. cunel, ma in altri dial. veneti conegio. « « conzus. Non so se sia da pensare a “ congius , (Brvere, Ordigni, p. 707), o “ concius ,, misura. DE.“ congius, congius, ponderis vel mensurae species ,. Cr° riferisce congio come antica misura, adoperata specialmente per i liquidi. covrum. È la materia di cui sono fatte alcune veggie. Forse si spiegherà per cuprum, specie di rame. SrarrentI, p. 15, trovò “ lebetes duas de covaro ,, ma non ne diede sicura spiegazione. 46 CARLO CIPOLLA coxinus, cuscino. A molti usi era impiegato il cuscino, come dichiara MrRrKEL, Tre corredì, p. 189. Anche nell’Invent. Aleardi, 1408 (p. 50) si incontrano “ due cossini pro sedendo, de capreto ,. crestata, elmo. DF “ cristatus, galeatus ,. cultra, coltrice. L’ant. dial. Vicentino (cf. Borrovan, Voc.) ha: coltra. defendere, fendere. Il passo nella sua integrità è questo: “ duas securas feri ad defendendum lign]as ,, e non lascia luogo a dubbi. dischus, desco, mensa. Of. DF, s. v. Cr8: “ desco, tavola e propriamente quella su cui si dispongono i cibi e l'apparecchio per mangiare ,. Di solito era rotondo, cf. SrarrenTI, p. 10. doplerium. Cr°: “ doppiere, doppiero, grossa candela, torcetto, torchio, e simili, di cera ,. Nell’ant. dial. Vicentino (cf. Bortoran, Vocab.): dopiro. drapi a capite. Sono ricordati anche nell’Inventario Aleardi, 1408, p. 47. È pure costumanza odierna nel Veneto, che le donne, uscendo di casa, coprano il capo col drappo. endege, di colore di indaco. DI: endegus “ indicus color ,, Cr: “ colore d’indaco... ossia turchino cupo ,. In egual significato l’ant. dial. Vicentino ha endego (cf. BortoLan, Voc.). equa, cavalla. faba, fava. familia, a, paria lintheaminum parvulorum. Forse: asciugamano. fodum, faggio. Volg, ver. fo. foraia, fodera. foratus, foderato. Volg. Veronese fodrar, per foderare; participio fodrà. E fodrar usa- vasi pure nell’ant. dial. Vicentino (cf. Borroran, Voc.). fornitus, furnitus, fornito, adornato. Volg. Ver., e ant. dial. Vic. (cf. Borroran, Voc.): fornido. grana. Cr°: “ grana, colore di grana..., rosso ,. Cf. anche Mazzi, in “ Boll. st. sen. ,, V, 88, e specialmente MarknL, Tre corredì, p. 132 sgg. Fra i prodotti minerali ricordasi la “ grana , presso ScauLtE, I, 707. Dunque il nome del colore del panno è assunto come nome del panno stesso. gratacaxola, grattugia. La stessa parola usavasi anche nell’ant. dial. ver. (cf. GamtnR, p. 368), e nell’ant. dial. vie. (cf. Borronan, Voc.). Nell’antico Napoletano “ gratacaxeum ,, cf. BaveRR, Arredì, ecce., in “ Arch. st. nap. ,, XXI, 645. L’odierno dial. Veron. ha gratacasòola (ef. Paruzzi-BoLoGNINI, p. 102). graygola. Da pronunciarsi “ graygola ,, graticola; dial. veron.: gradèla. gnechis, a, una cultra cendali. Che cosa siano i gnechi, non so dire. Senza dubbio è a pen- sare che si tratti di un ornato della coltre, corrispondente ad a ondis, @ owelis. Ma non saprei proporre alcuna identificazione. Mi proposi anche la lettura @ grechis, pensando l’or- nato a greco, di cui parla anche C°, ma non posso dimostrare che per siffatto ornamento fosse in uso tale denominazione, già nel sec. XIV. guarnacia guarnacca guarnaza, guarnacia feri, guarnacca. labetum, labes. Cioè “ lebetum ,, lavaggio. T°B spiega: “ vaso che s’usa in alcuni luoghi per cuocervi dentro la vivanda, in luogo di pentola, ed ha il manico come il paiuolo ,. lanceta (arma). TB: “ Lancetta, piccola lancia ,. Il documento nostro ricorda “ duas lan- cetas , insieme con altre armi, difensive ed offensive. | lancia, lancia (arma). lanterna, lanterna. : lanzeta a smalto. Trattasi di oggetto spettante ad una guarnacca. Probabilmente bisogna qui pensare ad un fermaglio. C'erano fermagli a smalto, o altrimenti ornati, come c’insegna MrerKBL, Come vestivano, ecc., p. 508 sgg., dove peraltro non s'incontra la parola “ lancetta ,. larzius, larice. Oggidì in dial. ver. dicesi larese, e vi corrisponde anche l’antico dial. Vicentino (cf. BortoLan, Voc.). lazurus, azzurro. Anche in ant, dial. Vicentino (cf. BorroLan, Voc.) dicevasi lazuro. — cf. azurus. lenta, lenticchia. Volg. Veronese odierno: lenta. È leteria, lettiera, scheletro del letto. L’ant. dial. Vicentino ha: lettiera per fondo di letto, secondo BorroLan, Voc. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 47 letus, letto, materasso. Anche nell'inventario Aleardi, 1408, p. 34, si usa letto nel senso di materasso. lexia, lisciva. Il dial. ver.: lìsia, e così anche l’ant. dial. vicent. (cf. Bornonan, Voc.). lintheamen. Presso ForceLnInIi-Dr Vir spiegasi linteamen per linteum, e si fa anche cor- rispondere all’ital. lenzuolo. Alla parola linteum, la si traduce per “ panno lino, tela o pezza di lino, fazzoletto, sciugatoio ,, e le si dà anche altri significati, compreso “ grem- biule ,. Vedendo che nel nostro documento i lintheamina sono notati per paia, penseremo volentieri al lenzuolo, ancorchè.per questo si usi qui una parola speciale, linzolus. Anche il fatto che i lintea mina sono ricordati, sia per rispetto alla casa in Verona, sia per quella in Colà, accanto alle coltrici, suggerisce la stessa spiegazione; aggiungasi ancora che l’in- ventario enumerando gli oggetti trovati a Castione, nella casa di Pietro Sacco, ricorda i linzolos proprio in corrispondenza coi lintheamenta della casa in Verona. Ma fa difficoltà contro questa spiegazione, se la si vuol assumere in forma esclusiva, la circostanza che si parla anche di quattro paia di “ lintheamina ab equitando ,. Parmi che si possano eliminare queste difficoltà supponendo che la parola lintheamen abbia in quest’ultimo passo un significato largo, che comprenda tutti i capi di lingeria, e non questi soli. Nell’inven- tario edito da Garni si legge (p. 7): “ lectum unum de tellis quinque, cum uno plumazio, et paria tria lenteaminum bona ,, e qui l’interpretazione non può dar luogo a incertezze. Siechè Vntheamen, dove non è uopo ricorrere a spiegazioni speciali, si intenderà quale sinonimo di Zrzolus, ed equivalente a “lenzuolo ;; cf. STAFFETTI, p. 9. lintheamen ab equitando. Sembra alludersi alla gualdrappa, o ad alcun che di consimile. linzolus, lenzuolo. Nell’ant. dial. vicent. linzolo (cf. Bortonan, Voc.), e anche nel dial. ver. odierno linzòl, linzélo. lora, pévera. Anche oggidì nel dial. ver. usasi la parola lora, in questo significato. lucerna, lucerna. madaia. Forse maglia, almeno a giudicare dal senso. Questa parola, nella frase “ de madaia, trovasi aggiunta a centum (cento), manica e manichetus. Nell’odierno dial. Ver., e così pure nell’ant. dial. Vic. (cf. BortoLan, Voc.) incontrasi maia, per maglia. magnaora, mangiatoia. Usasi anche oggidì nel dial. Weron., specialmente rustico. ce maiarum par. Pare che sia da leggersi: moiarum. In questo caso si intenda delle molle. Nel dial. ver. odierno le molle chiamansi moiéta, e nell’Inventario Aleardi, 1408, p. 51, leggesi: “ una moia feri ab igne ,. malgaria. Si tratta evidentemente di oggetto di lusso e d’ornamento. Non so se sia il caso di pensare a margheritius, margaritius, di cui 7?B parla così: “ globetti di vetro traforati, de’ quali si fanno vezzi e altri ornamenti femminili ,. Nè ivi si tralascia natu- ralmente di spiegare questa parola anche per “ perla ,. Fra gli esempi adducesi: “ fregio d’oro lucente e caro di margherite ,. manica de madaia. TB “ manica... specie di armatura di maglia di ferro per difesa delle braccia ,, e fra gli esempi ricorrono ivi anche i seguenti: “ maniche di ferro ,, “ maniche di maglie ,. La “ manica ferrea , viene ricordata da Bevera, Ordigni, p. 726. manichetus ferri de madaia. Dal posto in cui questa frase si trova, risulta essere questa una armatura, probabilmente a difesa della mano. Un doc. veneziano del 1889 (CaccantTI, p. 78) ci dì manigetus per manicotto. Nel caso nostro si tratta certo di un’arma difensiva, ma il doc. veneziano può almeno indirettamente servire alla sua interpretazione. mantellina, mantellina. Sulla natura e sull’uso di questa veste è a vedere MurksL, Tre cor- redi, p. 158. Cf. anche CaccHEmmI, p. 72. mantellum, mantello. . manza, vacca. Anche l’odierno dialetto veronese dice manza e vacca. macia, mazza. Brvere, Ordigni, p. 728, registra: “ macza ferrata de homo de arma ,. TB: “ mazza, bastone, clava; mazza o mazzaferrata dicevasi quel bastone noderato e ferrato, che si portava in battaglia ,. Un doc. veneziano del 1325 (Caccmerti, p. 120) ricorda una “ mazoleta... de fero ,. mesa fodi, madia. L’Inventario Aleardi, 1408, p. 51: “ una mesa fodi ,. E mesa usavasi 48 CARLO CIPOLLA nell’ant. dial. Vic. (cf. Borroran, Vocab.). Nell’odierno dialetto Veronese il vocabolo soprav- vive, cf. Patuzzi-BoLoenInI, Diz., p. 198. î mosa. Sta, pare, per mesa. mensura a foleis, misura (arnese per misurare) con ornamenti a fogliame. Così nell’Inventario Aleardi, 1408 (p. 45) si parla di una lettiera “ cum foleis ,. mesclus vermileus, viridis; Franciscus, Florentinus. I primi due aggettivi si riferiscono al colore, e i due ultimi al luogo di fabbrica del panno. La parola meselus corrisponde a mis-cio dell’odierno dial. ver. — TB: “ mischio, detto di panno, marmo, o sim., vale: punteg- giato di diversi colori; in antico preferivasi mescolato ,. DF: “mixtum, supertunica de mixto, quia varii coloris vel diversi panni ,. MERKEL, Come vestivano, p. 441, registra in senso consimile miscolatus. Quando si diceva mesclus vermileus o m. viridis sì sarà inteso di un panno a tinte o rosse o verdi, di forze variate. La frase “ mesclo da Florenza ,, che si legge in un documento veneziano del 1328 (CrocmentI, p. 17%; cf. p. 57) corri. sponde perfettamente ad una delle espressioni usate dal nostro inventario. Nell’inventario pubblicato dal GALLI (p. 8) si elenca: “ pellandam unam de miscuilo ,. In un inventario del 1440 pubblicato dal Mayoccni, p. 43, leggiamo: “ vestem unam panni misgi ,. mezena. Dial. ver. mezena, lardo. GaAItER, p. 362, 382, registra mezena, e spiega: “ metà del corpo del maiale ,. Ant. dial. Vic. (cf. Borroran, Voc.) mezene = lardo. Paruzzi- BoLoenInI, Dizion.: “ un intero lardo ,. mezolana mezolanus. Questa parola è ancora viva nel dial. ver. nel senso di panno tessuto in parte, ma non intieramente, di lana mezolan, medolan. MrrkEL, Come vestivano, p. 483, registra: “ de mezolana ,. I “ panni mezalani , di Verona sono ricordati nella tariffa modenese del 1306 (presso Muratori, Antig. Ital., II, 897), ed è a presumere che nel nostro documento si parli appunto di panni provenienti da fabbriche locali. Forse a questa stessa specie di panni allude anche un documento del 1274 (Astrarano, Cod. diplom. Cre- monae, I, 358), ancorchè ivi non se ne parli in modo specificato. minale, misura dei grani. È la terza parte del sacco veronese, d’antico uso. modium, moggio. morellum. Anche in questo caso il nome del colore è preso come nome del panno; DI registra moretum per “ panni subfusci species ,. MrerKEL, Come vestivano, p. 433, ci dà morello come nome del colore del panno. L’uso di distinguere i diversi panni dal loro colore, è comunissimo, cf. ScauLte, I, 119 e 141. necesso, a. Questa frase, di cui non intendo il significato, è aggiunta al ricordo di un grande scanno foderato. È in composizione così: “ unus scanus foratus, a necesso ,. ondis, a, cultra de panno lini. S’intenda: coltrice tessuta ad onde. Cf. MerkrL, Tre corredì, p. 106-8; Brvere, Arredi, p. 628. oxelis, a, drapus a capite: toaia a manu. Drappo o tovagliolo dipinto o tessuto a figure di uccelli. Vesgansi le notizie recate da MprKEL, Tre corredì, p. 108 e p. 110, e da Mazzi, La casa, p. 398. Per i tessuti figurati si consulti pure l’erudito lavoro di A. Luzio e R. Renier, in N. Antol., LXIII, 449-452. Bellissimi esempi di stoffe figurate si possono vedere riprodotti presso VroLLet-LE-Duc; certamente d’origine italiana è la casula di Tolosa, data ivi al t. III, tav. alla pag. 148, con figure d’uccelli, di due forme, a ciascuna delle quali sta rispettivamente la legenda: “ Helide ,, “ Paone ,, in caratteri gotici del sec. XIII-XIV. Nell’Inventario Aleardi, 1408, sì ricordano una coltrice nuova “ picta a lionpardis, cum armis Aquile et Baynerie , (p. 45), un “ linteamen ab oxellis , (p. 46), e altra coltrice “ picta a serpentibus nigris et figuris albis et rubeis , (p. 49). Curioso è il modo con cui si esprime un doc. veneziano del 1366 (CreccnettI, p. 126), che ricorda un drappo “ de seda a stranii animali ,. paela, padella. DY registra paella. L’ant. dial. Vicentino (cf. BortoLan, Voc.) ci dà in egual significato: paella. Nell’odierno volg. Veron. padèla. paleta, paletta, per il focolare. La parola vive tal quale anche nell’odierno dial. Ver. parolum, paiuolo. Anche oggidì in dial. Ver. dicesi: parl, parélo. pavexius, pavése. Che cosa fosse il pavese, e quali usi se ne facesse, può vedersi presso AnGE- UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 49 Lucci, Catalogo, pp. 199-200, nota. DF: “ pavexium, scuti genus ,. TB “ pavese, arma difensiva che s’'imbracciava come scudo ,. Il Borroran nel Vocab., p. 199, dell’an- tico dial. vicentino registra: pavesi, scudi. pecudes, pecore. pelaora. BorroLan, Vocab., p. 200, reca pellaura, pelo. Forse non è ardito supporre trat- tarsi di una cassa, o altro arnese somigliante, destinato a ricevere le penne dei polli e degli altri uccelli spennati. pelis agnelina, pelle d’agnello. petinis petinus, pettine. picium. 7B “ pezzo, pinus pinea, albero molto simile all’abete ,. pizoli, ceci, e precisamente: “ Cicer arietinum ,. In volg. Veronese dicesi, o piuttosto dicevasi (perchè la parola è quasi affatto scomparsa): pizoi. Questa pianta è rappresentata nella tav. XV, n° 4, di ScHnosseR. plaustrum, carro; nel senso di una misura determinata. Così devesi intendere l’espressione: “ unam veietem roveri, de duobus plaustris ,; e lo stesso si ripeta di altre espressioni consimili. La parola carro, in certi casi, nel dialetto Veronese, è tuttora adoperata con questo significato. È plumacium, piumaccio. GartrR, I dialetto, p. 390, spiega per: matterasso e piumaccio. Nel dial. ant. Vicent. (secondo Bortoran, Voc.) piumazo usavasi per capezzale o guanciale di piuma. Dall’odierno dial. Veron. questa parola è scomparsa. polerius, pulledro. Volg. ver. polér, poléro. ponicelus. Dal contesto sembra doversi pensare ai bottoni o qualcosa di simile. DF “ po- mellus, globulus... ornamentum in vestibus sacris ,. pozus. Nel dial. Ver. dicesi pozar, per appoggiare. Cr® “ appoggiatoio, sostegno, spal- liera, ringhiera e simili. Fra gli esempi mi sembra in modo speciale notevole il seguente, che è tolto dal Varchi: “ alcune panche: con gli appoggiatoi ,. BortoLan (Voc., p. 213) registra, per l’ant. dial. vic., pozo, coperta della balaustrata. Nel dial. Veron. odierno non si ha che pozél, con significato affine, ma non identico. presora, dal senso pare si debba intendere: fermaglio, fibbia. preta, pietra. Ant. dial. Vicentino (cf. Borroran, Voc.): prea e preda. Garrer (p. 378) ci dà preda, ma oggidì il dial. ver. ha soltanto: piera. quarta, misura per grano. È la quarta parte del mirale, e quindi la dodicesima parte del sacco. quartarium. Misura per vino (cf. Du CanGr, s. v. quartarius), che corrisponde senza dubbio al quarto della brenta. quartarolus. Misura per grani. È la quarta parte della quarta. Anche nell’odierno dial. Ver. dicesi quartarol quartarolo, ma le parole che si riferiscono a done antiche misure vanno scomparendo insieme colle misure stesse. raminum, ramino. Vols. ver.: ramina. raseti, “ uno fornimento...raccamato di razi di filo d’oro ,, “ uno invollitoio ...raccamato per tutto ad razi di scaglette d’oro e fila d’oro ,. C. Mazzi, La casa di messer Bartolo di Tura, in Bull. stor. Sen., V, 419; VI, 145. La lancetta dell’ orologio chiamasi anche oggi, in dial. Ver., rasa, cf. Partuzzi-BoLoenINI, p. 179. reabium. L'odierno dial. Ver. rustico conserva ancora la parola rabio, per indicare uno stru- mento ferreo, con cui si cavano le brace dal forno. Più volte, presso ScaLosser (tav. XVI, n° 4; XXI, n° 5) vediamo un uomo seduto presso al fuoco, che con una lunga verga acco- moda la legna che arde. rechalcum, oricalco, ottone. roncinus, ronzino. TOVEerus, rovero, rovere, quercia. saia Irlande. Cr° e TB registrano saja quale una “ specie di pannolano, sottile e leggero ,, citando Fazio degli Uberti, Dittam., IV, 46, il quale indica l'Irlanda come famosa “ per le nobili saje, che ci manda , Serie II. Tom. LI. 7 50 CARLO CIPOLLA salarolus, saliera. BorroLan, Voc., p. 289, da un doc. del 1376 riferisce il pl. salarii, che richiama il sing. salarius. salgarius, salice. Oggi dicesi salgàr, salgaro in dial. Veronese. L’ant. dial. Vicentino (Bor- TOLAN, Voc.) ha: salgaro. scachi, scacchi. Veggasi sotto: tabularium. scandella, Volg. Ver. scandèla, parola oggidì quasi scomparsa. DF: “scandella, genus frumenti ,. TB “scandella, orzuola che matura in cinquanta dì, cantharinum ordeum, si dice nel Veneto ,. scanus, scanno. Molti scanni servono a sedere, nelle scene famigliari riprodotte da ScHuLosser, DO:dI 0 bg NOI 0 GE scrignum scrineum, scrignolum, scrineum sine coperculo, scrigno. In quanti significati si adoperasse la parola scrinium può vedersi da DF.; 7?B spiega scrigno con “ specie di forziere ,. Diverse forme e qualità di scrigno indica VronLet-LE-Dvo, I, 378 sgg. scuela, scodella. Oggidì in dial. Veronese dicesi scudèla. Ant. dial. Vicentino (cf. BortoLan, Voc.): scuella. scuelaria. DF “ scutellarium, locus vel vas ubi reponuntur scutellae ,. scuttum catenatum. Scudo colla catena, che serviva per portarlo appeso dietro alle spalle. Per quest’uso dello scudo, cf. AnesLucoI, Catalogo, p. 199, nota (*). Il Bortonan, Voc. Vic., p. 249, registra scuto. L’odierno dial. Veronese ha: scudo. secura, scure. Nell’odierno dial. Veronese c’è la parola segureto. sela ab equis, sella per cavalli. siligo. DF “ siligo, proprie est genus tritici levissimi et candidissimi, ex quo laudatissimus panis conficitur ,. | f situla, secchia. slapum. È un’arma, ma non saprei dir quale. Pensai a slopetum, che dicevasi anche per scelopetum (cf. DF VII, 357, 501). Per l’uso degli schioppi al tempo in cui fu compilato il nostro inventario può vedersi L. CigrArIO, Della qualità e dell'uso degli schioppi nel 1347, in “ Mem. Accad. Torino ,, II Serie, VI, sc. morali, p. 218 sgg.; n. 1844. Ma a questo avvicinamento non attribuisco valore. socidum, soccida. 7B “soccida, accomandita di bestiame ,. L’ant. dial. Vicentino (cf. Bor- ToLAN, Voc.) aveva soceda. E soceda ebbe (cf. GarTER, p. 348) ed ha tuttodì il dial. Veronese. spata, spada. Odierno dial. Ver., spada. spelta, spelta. stagnolus, stagnata. In dial. Veronese chiamasi stagnà un grande vaso di rame, che serve sopratutto per cuocervi la polenta. Bortovan, Voc., p. 271, per l’ant. dial. Vicentino registra stagnà, pignatta; stagnola, pignattina; stagnolo, acquasantino. stagnum, stagno. sternus. TB: “ storno, grigio ,. stivus. È un oggetto di vestiario, che interpretai per cintura, quando pubblicai l’Inventario di Casa Aleardi 1408 (p. 49; cf. p. 35), dove si ricorda uno stivum di seta rossa, per signora, lungo meno che tre braccia, con fibbia, con pendagli e con dieci lamine di argento dorato. Tale descrizione sembra corrispondere assai bene alle caratteristiche di una ricca cintura da signora. Nel presente Inventario nulla trovo che confermi l’interpretazione altra volta da me data a questo vocabolo, ma non vi trovo neppure nulla che vi contraddica. In favore, sta la circostanza che gli stivi sono ricordati subito appresso alle cinture. Un pre- zioso stivus di seta, ornato di argento, si troverà ricordato più innanzi (cap. XX) nel testa- mento 14 febbraio 1424 di Agostino da Sacco. Ma neppure in questo luogo apparisce chiaro il significato del vocabolo. stochetus, dimin. di stocco, secondo 7°B, dove stocco si spiega per “ arma simile alla spada, ma più acuta e di forma quadrangolare ,. Dello stocco d’arme, arma bianca manesca, tratta, colla sua consueta dottrina, l’AnceLuccI, Catal., p. 271. sufultus, foderato. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 51 tabarum, tabarro. Dial. Veronese tabàr, tabaro. tabula a mensa, tabula, tavola. tabula, in servizio del gioco, v. sotto: tabulerium. tabulerium a scacchis, a tabulis. TB “ tavogliere, tavoletta sopra la quale si giuoca, a tavole, a dama, o simili ,. Vi si riferisce questo esempio dedotto dalle Nov. ant.: “ qual prese a giucare a ara, e qual a tavole o a scacchi o ad altri diversi giuochi ,. Del frequentissimo uso che facevasi del tavogliere per il giuoco discorre eruditamente MERKEL, Tre corredì, pag. 126. taierus. TB: “ tagliero e tagliere, arnese da cucina, di legno grosso, di forma quadra press'a poco, e con manico, sul quale si affetta e si trincia carne e altro ,. targeta. TB: “ targa, specie di scudo di legno e di cuoio , “ targhetta, diminutivo d targa ». Delle varie maniere di targa fa parola AnerLucor, Catalogo, p. 201. tina salgarii de plaustro. Tina di salice, che contiene un carro, assunta quest’ultima parola nel senso di misura di capacità. 7'B registra tina, come voce antiquata, per piccol tino, corrispondente a tinella, tinello, vocabolo in uso. tinacium, tinazium, tino. Anche oggidì in dial. Veronese tinazo appellasi l’ordigno, di grandi dimensioni, nel quale si fanno bollire le uve. toaia ab altare, tovaglia da altare. Anche oggidì in dial. veronese dicesi toaia, per tovaglia. Egualmente nel dial. Vicentino (cf. BorroLan, Voc., p. 285). toaia a discho, tovaglia da tavola. toaia a mano, tovagliolo. Nel dial. veronese dicesi oggi toajé6l; Borroran, Vocab., p. 285, registra toagiolo. “ Toaga da man , ci dà un doc. veneziano del 1325: CrccEETTI, p. 120. È notevole la presenza dei tovaglioli, che non sono comuni nel sec. XIV (cf. Gatti, p. 21). torculus, torchio. Dial. odierno Veronese: tércolo. toribolum, turibolo. Dial. odierno Veronese: toribolo. tortorum. Nel dial. Ver. chiamasi tortòr un arnese di cantina in forma di imbuto. tripoydi, treppiè: arnese da cucina, fatto di tre spranghe di ferro disposte a triangolo equila- tero, sostenute ai vertici da tre piedi. Nell’Inventario Aleardi, 1408, p. 49, adoperasi tripodes nel senso in cui qui si usa la parola trispi, perchè i “ tripodes , si dicono di larice, e si accostano a una tavola. Qui invece i “ tripoydi , sono di ferro, e stanno fra gli oggetti di cucina. Anche nell'inventario degli oggetti del card. d’Alatri, 1287, si ricorda: “ 1 tri- pedium de ferro ,, cf. Prov, p. 403. trispi, cavalletti per sostenere la tavola, che di solito chiamansi “ tripodes ,, cf. Ganni, p. 29. tunicha, tunica, tonaca. vacha, vacca. valixia, valigia. valixia a soma. Pare trattarsi di una speciale valigia, destinata a collocarsi come soma sull’asino. varum, vaio. vaziana a buratandum, vaglio per cribrare il grano. veies, veges, DI: veges. TB: “ veggia, botte,. Nel dial. Veronese vezoto. L’ant. dial. Vicentino (cf. BorroLan, Voc.) ci dà: vezatto, per botticella. vergatus, listato, versato. L’ant. dial. Vicentino (cf. BortoLan, Voc.) ci dà pure vergado per a righe. Anche nell’Inventario Aleardi, 1408, p. 48, leggiamo “lectus vergatus, e “ plu- macius vergatus ,. Pare vergata la coltrice del letto rappresentata nella tav. XXI, n° 4, presso SCHLOSsER. vermileum, vermiglio. Ant. dial. Vicentino (cf. Borronan, Voc.): vermigio, vermeio. vezolus. DF s. v. veges registra vezolus e vezola, coll’identico significato. vitula, vitella. vulpis, volpe. Dicesi di una guarnacca foderata con pelle di volpe. zupellus. Cr: “ giubberello, sorta di veste più corta del giubbone, farsetto ,. CrconEmmI, p. 81, registra zupellus, e traduce giubboncino. ) zupa, giubba. Ant. dial. Vicentino (cf. Bortoran, Voc., p. 310): “ zupon, giubbone ,. 592 CARLO CIPOLLA XV. Il figlio del giudice Pietro, come vedemmo, chiamavasi Andrea. Dapprima stava sotto la tutela della madre Caterina (1). In un atto del 18 genn. 1349 egli è ancora chiamato “ [de Gui]dotis de Sacho ,, ma negli altri documenti viene regolarmente denominato soltanto dal nuovo cognome, ormai dimenticato l’antico. Continua ad abi- tare nella casa paterna, in contrada di S. Eufemia. Talvolta peraltro si reca a fare qualche atto di locazione “ in guaita Sancte Marie Antique, in statione schavigarie domini Francisci a Campanea, sita in palatio Comunis Verone , (2). È in relazione con famiglie ch’ebbero larga parte nella cosa pubblica. Infatti, 17 nov. 1366, in Colà, contrattò una permuta con Franceschino figlio del nobile Nicolò Cavalli, “ ab Equis ,, che aveva in Colà una casa. Quando vennero i giorni della decadenza Scaligera, e si fecero frequenti le ven- dite dei beni pubblici, Andrea ne acquistò. Notevole è un documento del giovedì 20 (agosto?) 1381 rogato “in palacio Comunis Verone, ad banchum novum Extima- torum , (3). Colà “ in publico et generali conscillio Comunis et Hominum civitatis et burgorum Verone, ad sonum campane, more solito et loco debito congregato, di- scretus vir dominus Iohannes de Lixola de Cremona miles, procurator Comunis Ve- rone , eseguendo l’ordine dato dal defunto Cansignorio ({ 19 ottobre 1375), con stru- mento del 31 ottobre 1369, vendette “ ad maiorem incantum, sono tube pluries et pluries premisso et baculum proiectum pro maiori precio elevando , una terra in Colà, cedendola al nostro Andrea. Come persone che presero parte alla vendita, l’atto nomina “ dominos Gidinum de Summacampanea et Tomaxinum de Pelegrinis generales factores , di Bartolomeo e di Antonio della Scala. Gidino è il notissimo autore del . Trattato sui Ritmi volgari. Tommaso Pellegrini fu uomo d'affari, ma il suo nome va legato anche a cose d’arte; fu sepolto nel bellissimo suo mausoleo nella Chiesa di S. Ana- stasia in Verona (4). Egli, nella qualità di “ factor generalis , di Antonio della Scala, e come “eius procurator et procuratorio nomine pro eo ad vendendum' et vendi- ciones faciendum de bonis, iuribus et possessionibus dicti Domini, ei quoquo modo spectantibus et pertinentibus ,, secondo la procura del 2 maggio 1386, vendette con atto 7 luglio 1386 (“ Verone, in palacio Comunis Verone, in factoria ... Domini de la Scala ,) ad Andrea una terra in Uavalcaselle presso il lago di Garda. Altri terreni pure in Cavalcaselle, comperò Andrea il 17 dicembre 1386, dal suddetto Pellegrini e da Manfredo del fu Alberto da S. Quirico, che si appellano “ factores generales magnifici et potentis domini domini Anthonii de la Scala ,. (1) Doc. 18 giugno 1340. (2) Doc. 1° marzo 1356, e 23 dic. 1357. (3) Un atto del 16 aprile 1364 venne rogato “in palatio Comunis Verone, ad banchum Pxti- matorum Comunis Verone ,. Qui il banco non è detto nuovo, come nel documento del 1381. (4) Sulla sua vita, cfr. quanto scrissi in “ Arch. Ven. ,, X, 348; XIX, 231-2. Dalla iscrizione in- cisa sul suo monumento sepolcrale risulta ch'egli morì il 16 giugno 1392. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 59 Di poco anteriore è un altro atto di compera di beni pubblici fatto da Andrea Sacco il 5 agosto 1384 “in palacio Comunis Verone, ad banchum novum Extima- torum ,. Colà “ in publico et generali [consilio] Comunis et Hominum civitatis et burgorum Verone ,, Pietro “ a Sale , giudice, e Giovanni “ de Lixola , da Cremona, milite, quali procuratori del Comune, eseguendo la “ ambaxatam , di Cansignorio “ super venditionibus fiendis per procuratores Comunis Verone, de honis debitorum ,, datata dal 31 ottobre 1369, agendo per Antonio figlio di Cansignorio, e colla parte- cipazione di Nicolò Taccoli, da Reggio, milite e socio di Gabriele Emo, detto Bianco, da Venezia, Podestà di Verona, vendettero ad Andrea “ de Sacho ,, alcuni beni in Colà. Un altro acquisto Andrea fece da Tommaso Pellegrini e da Manfredo da S. Qui- rico, fattori generali di Antonio della Scala, con atto rogato nella fattoria del Signore, il 1° febbraio 1387. Non credo che questo acquisto venisse poi promulgato in pubblico. Nè ciò pare fosse necessario, trattandosi della vendita di beni privati del Signore, e non di possessi del Comune. In data 25 marzo 1382, Antonio della Scala fece una generosissima donazione di beni a Cortesia figlio di Bonifacio Serego (1). Occasionalmente vi si fa cenno di alcuni beni che in S. Maria di Zevio teneva “ Andreas condam domini Petri iudicis de Sacho de Sancta Heufemia ,. Più tardi lo troviamo banchiere. Infatti, un atto del 24 aprile 1389 fu rogato “ Verone, in guaita Sancte Marie Antique super cambio... Andree de Sacho ,. Ma continuò ad abitare in S. Eufemia, come nel documento stesso viene detto espres- samente. Lo veggo menzionato per l’ultima volta il 13 nov. 1389 in un documento, scritto, come quello testè citato, nel suo “ cambio ,, in contrada di S. Maria Antica. È già ricordato per morto in un istrumento del 14 marzo 1394, rogato “ in pa- lacio Comunis Verone ,. Vi comparisce come locatore “ Petrus campsor condam do- mini Andree de Sacho de Sancta Fomia ,. In atto del 13 aprile 1402 è chiamato semplicemente “ Petrus filius condam domini Andree de Sacho de contrata Sancte Hufomie, civitatis Verone ,. Ma pochi anni appresso, in un istromento del 7 ot- tobre 1405, Pietro del fu Andrea porta il titolo di “ nobilis et egregius miles ,. Ci è pervenuto un documento del 1384, che serve a gettare non piccola luce sulla storia economica della capitale degli Scaligeri. È la resa del conto rispetto ai dazi delle porte. Pietro di Andrea Sacco era allora l'amministratore di quella azienda, e in tale qualità egli riscuoteva i denari, e li trasmetteva alla massaria del Comune, mese per mese. Il conto va dal 1° agosto 1384 al 31 luglio 1385 (2). Andrea, suo padre, era vivo, ma non è detto che avesse rapporto diretto coll’azienda dei dazi. Siccome peraltro il banco era suo, così si. può pensare che il padre ed il figlio fossero insieme impegnati nella medesima azienda, nei medesimi affari. (1) L'originale della donazione si conserva in Verona presso la famiglia dei Conti Serego, i quali gentilmente mi concessero ogni agevolezza, perchè approfittassi delle loro antiche carte. (2) Ho altrove studiato, come termine di confronto rispetto al valore del denaro, il prezzo dei gallinacei; alla fine del sec. XIV ciascun gallinaceo si calcolava a soldi 10 (* Arch. Veneto ,, XI, 344-5). Fatti i raffronti, si potrebbe supporre che la lira del 1380 avesse un valore quadruplo del- l'odierno. Con questa supposizione il dazio annuale qui riferito raggiungerebbe un valore di circa 160.000 o 170.000 franchi. 54 CARLO CIPOLLA Dò qui i totali di ciascun mese, affinchè si possa facilmente vedere la linea ascendente e discendente, che disegnava l'ammontare del dazio nelle diverse stagioni. 1384 agosto lire 5558 soldi 5 denari 6 settembre 7972 15 ottobre 2746 novembre 2435 dicembre 8678 1 1385 gennaio 1000 febbraio 1493 17 8 marzo 1013 9 aprile 1075 7 8 maggio 1710 giugno 1605 luglio 3877 residuo 540 16 2 39705 12 0 Faccio qui seguire il testo integro del documento. “ Im Christi nomine. Anno Domini millesimo trecentesimo octuagesimo quarto, indicione vIj?. “ Petrus de Sacho campsor fillius dni Andree de Sacho de Sancta Heufomia, mas- sarius denariorum dacij introitus portarum Civitatis et Burgorum pro anno incepto de mense augusti suprascripti millesimi, dedit in massaria comunis Verone infrascriptas denariorum quantitates de pagis dicti daci]j infrascriptorum mensium, diebus et men- ‘sibus infrascriptis, ut inferius continetur. De mense augusti 1384. Primo mv°xxuj lib. vijs. vj d. quas mille quingentas viginti tres libras, septem solidos, octo denarios dedit in massaria Bonaverius de Saneto Paulo disci- pulus ad cambium dicti Petri, xxvj augusti. —Spinellus not. massarie s. Item mwxxxmj libr. xvijs. xd. quas duomilletriagintaquatuor libras, decem et septem solidos, decem dr. dedit in massaria Bonaverius, vj sept. Spi- nellus not. mass. s. È Item ww libr. Quas duo mille libras dr. dedit in massaria dictus Bonaverius, x1j sept. Spinellus predictus s. De mense septembris 1384. Primo mmwclx lib. Quas tresmille centum sexaginta libras dr. dedit in massaria Bo- naverius predictus ultimo septembris. Ego Spinellus not. mass. s. Item max libr. Quas duo mille decem libras dedit in massaria Bonaverius predictus, nIj oct. Spinellus not. mass. s. Item mv° libr. Quas mille quingientas libras dr. dedit in massaria Petrus suprascriptus, die xj octubris. Andreas de Ferabobus s. Item mcccrj lib., xv s. Quas milletrecentasduas libras, quindecim solidos, dedit in mas- saria Bonaverius suprascriptus, xx} octobris. Marcusgeno not. s. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 55 De mense octubris 1384. Primo muj°xLv) libr. Quas mille quatuorcentum quadraginta sex libras dedit in massaria Bonaverius de Sancto Paulo discipulus dicti Petri de Sacho, die VII] novembris. Andreas de Ferabobus s. Ttem mccc libr. Quas milletrecentas libras dr. dedit in massaria Bonaverius predictus, XXI} novembris. Spinellus not. s. De mense novembris 1384. Primo mvun°xxxv libr. Quas mille noningentas tringintaquinque libras dr. dedit in mas- saria suprascriptus Bonaverius pro suprascripto Petro massario, xmj de- cembris. Spinellus not. mass. s. Item v° libr. Quas quingentas libras dr. dedit in massaria Petrus de Sacho massarius predictus, xxj decembris. Andreas de Sandrato s. De mense decembris 1384. Primo moxx libr. Quas mille centum viginti libras dr. dedit in massaria dictus Petrus, die xxj decembr. Marcusgeno not. mass. s. Item wcc libr. Quas mille ducentas libras dr. dedit in massaria Bonaverius suprascriptus Petro, xxij decembris. Spinellus not. mass. s. Item mw libr. Quas duomille libras dr. dedit in massaria dictus Bonaverius pro supra- scripto Petro, xx1rj decembr. Spinellus not. mass. s. Item muxxx libr. Quas mille octuaginta libras dr. dedit in massaria dictus Bonaverius pro suprascripto Petro, xxvij decembris. Spinellus not. mass. s. Item vinj libr. Quas noningentas libras denariorum dedit in massaria dictus Bona- verius pro suprascripto Petro, 1rj° ian. 1385. Spinellus not. mass. s. Item vujfx libr. Quas octingentasdecem libras dr. dedit in massaria dictus Bonaverius pro suprascripto Petro, vij ianuarij 1385. Spinellus not., mass. s. Item vuj°Lx1j libr. vj s. Quas octingentas sexagintaduas libras novem solidos dr. dedit in massaria dictus Bonaverius pro suprascripto Petro, die xxvij ia- nuarij 1385. Marcusgeno not. mass. s. Item vij° v libr., x1j s. Quas septingentas quinque libras duodecim solidos dedit in massaria Bonaverius suprascriptus, die vuj februarij 1385. Andreas de Ferabobus s. De mense ianuarij 1385. Primo x» libr. Quas mille libras dr. dedit in massaria Bonaverius suprascriptus pro suprascripto Petro, xx1j februari]. Spinellus s. De mense februarij 1385. Primo vinj°rxxxj libr., xvij s., vj d. Quas noningentas octuaginta quatuor libras, decemseptem solidos, octo denarios dedit in massaria Bonaverius de Sancto Paulo eius discipulus xnj marci]. Andreas de Ferabobus s. Item v°vinj libr. Quas quingentasnovem libras denariorum dedit in massaria Bona- verius suprascriptus pro dicto Petro, die xxvnj marci). Andreas de Sandrato s. 56 CARLO CIPOLLA De mense marci] 1385. Primo sxrj libr., viuj s. Quas milletredecim (sic) libras, novem solidos denariorum dedit in massaria Bonaverius disipulus (sic) dicti Petri, die xvrij aprilis 1385. Andreas de Sandrato not. massarie s. De mense aprillis 1885. Primo vj°Lx libr. Quas sexcentum et sessaginta libras dnr. dedit in massaria Bona- verius discipulus suprascripti Petri de Sacho, die martis vinj maij.' Andreas de Ferabobus s. Item cxv libr. vij s., vj d. Quas centumquindecim libras, septem solidos, octo denarios ; dedit in massaria suprascriptus Bonaverius, xvj maij. Marcusgeno not. s. Item ccc libr. Quas trecentas libras denariorum dedit in massaria Bonaverius supra- scriptus, die xxvj mai). Andreas de Sandrato s. De mense maij 1385. Primo mx libr. Quas mille et decem libras denariorum dedit in massaria Bonaverius eius discipulus, die xv iunij. a Item vij° libr. Quas septingentas libras denariorum dedit in massaria dictus Bona- verius, XXVII) luni). Spinellus not. s. De mense iunij 1385. Primo vij°v libr. Quas noningentas quinque libras denariorum dedit in massaria Bonaverius suprascriptus pro suprascripto Petro, xj iullij. Spinellus s. Item vij° libr. Quas septingentas libr. den. dedit in massaria suprascriptus Bona- verius, die xvij iullij. Andreas de Sandrato s. De mense iullij 1385. Primo mcxv libr. Quas mille centum quindecim libras denariorum dedit in massaria Bonaverius suprascriptus, xxvij iullij. Spinellus not. massarie s. Item xvj° libr. Quas millesexcentas libras denariorum dedit in massaria dictus Petrus, die mj augusti. Andreas de Sandrato s. Item vj°vij libr. Quas sexcentas septem libras denariorum dedit in massaria Bona- verius suprascriptus, xvi augusti. Andreas de Sandrato s. Item c libr. Quas centum libras denariorum dedit in massaria dictus Petrus, xxv au- gusti. Spinellus not. massarie s. i Item mnjLv libr. Quas quadringentas quinquagintaquinque libras denariorum dedit in massaria dictus Bonaverius, xxvj septembris. Spinellus not. mass. s. Solucio v°xL librarum, xvj solidorum, 1} denariorum. Petrus de Sacho de Sancta Heu- fomia massarius generalis dacij introitus Portarum et Burgorum Verone incipiendo primo augusti 1384 et finiendo ultimo iullij 1885 pro solu- cione unius eius residui totidem denariorum Iohanni de Pel. (1). massario Comunis Verone, in quibus dr. residuum est in massaria Comunis Ve- rone, facta eius racione per raxonerium capelle Comunis Verone ete. in et pro (?) causa residui extraordinarii, quas quingentas quadraginta libras, sedecim solidos duos dr. solvit (2) idem Petrus die quarto octo- bris 1385. Ego Iacobus de Massardo not. resid. Massarie S. ,. (1) Forse: de Pelegrinis. (2) Ms. sol. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 57 XVI. Ho parlato di Pietro da Sacco figlio di Andrea, e dissi che nel luglio del 1405 egli portava il titolo di “ nobilis miles ,. T documenti dell’archivio dei Sacco non ispiegano tale cambiamento. Ma esso ha la sua ragione in un fatto politico, cioè nella soggezione della città ai Veneziani. Quando questi, alleati a Francesco Gonzaga, signore di Mantova, assediavano la città, i Veronesi elessero un Capitano del Popolo, ultimo ricordo della libertà cittadina, e costui fu Pietro da Sacco. Il 22 giugno 1405 si presentarono alle porte di Verona, tenuta allora dai Car- raresi, quattrocento cavalieri Veneziani. La città era da parecchio tempo circondata dalle armi veneziane, alle quali stavano unite quelle di Francesco Gonzaga. Il popolo soffriva per fame, nè aveva motivo di dirsi contento del dominio attuale. Perciò corse alle armi ed occupò la piazza; comprendeva che ormai era impossibile la re- sistenza. Coll’incarico di trattare con Giacomo dal Verme, e di consegnare la città ai Veneziani, esso nominò “ Capitano del Popolo , “ Pietro da Saccho ,. L’eletto domandò a Giacomo da Carrara il Ponte Nuovo e l’ottenne. Dopo di che diede tosto la porta di Campo Marzo a Giacomo dal Verme ed invitò in città tre bande di fanti. Frattanto, obbedendo al mandato popolare, recavansi al campo veneziano in Mortorio, Giovanni Pellegrini, Antonio Maffei e Giacomo de’ Fabbri (1). A Murtorio si trova- vano Francesco Gonzaga, capitano generale, Giacomo dal Verme, Gabriele Emo, nonchè i Provvisori Giacomo Suriano, Rosso Marino e Barbone Morosini. Con questi ven- nero stabiliti i patti della dedizione, i quali furono a suo tempo confermati dal Senato di Venezia, il che avvenne addì 16 luglio appresso (2). Così stabilito, si dispose che l’ingresso solenne avesse luogo il dì seguente, 23 giugno. Entrò per la Porta dei Calzari, a bandiere spiegate, l’esercito veneziano, e con esso vennero Gabriele Emo, Giacomo Suriano, Rosso Marino, Barbone Moro- sini. Il popolo accorse loro incontro coi confaloni. Secondo un cronista (3) si arma- rono, alla porta, parecchi cavalieri, fra i quali viene ricordato anche Pietro da Sacco (4). Giunto sulla piazza, Gabriele Emo fu ricevuto sul capitello, e colà furongli (1) Gararo, ap. Muratori, XVII, 919. (2) Senato Secreti, XVII, 126: 16 luglio 1405 (Arch. di Stato di Venezia). Questi patti vennero poi inserti in una ducale di Michele Steno, pure datata dal medesimo giorno 16 luglio. In questa si ricordano le convenzioni stipulate dal Gonzaga, dal Dal Verme, dall’Emo, ecc., colla Comunità di Verona, e si confermano, secondo la petizione fatta dagli ambasciatori Veronesi, che si erano recati 2 Venezia. Uno tra essi, come sarà detto in appresso, è appunto Pietro da Sacco. Gli stessi amba- sciatori fecero alla Signoria altre domande, il che diede luogo ad altra ducale di pari data. Queste due ducali furono, insieme con altri documenti, pubblicate da O. Perini, Condizioni di Verona all'av- venimento del dominio Veneziano, in “ Arch. Stor., Veronese ,, XIII [1882], pp. 57-62, 63-6. î (3) Presso Verci, Marca Trivig., XVIII, doc. 2025. La cosidetta Cronaca di Prerro Zacara (ed. G. B. Brancorini, II, 45) dice soltanto: “ Adì 23 el popolo de Verona tolse la città a quelli de Car- rara, e adì 24 la dete a la Signoria de Venezia ,. (4) Secondo A. Torresani (E/ogia, II, 382, ms. nella Bibl. Comun. di Verona), che si riferisce a M. Cavicchia, scrittore del sec. XVI, Pietro Sacco fu “eques a Francisco Mantue marchione creatus, dum pro Venetis Veronam ingrederetur ,. Serre II. Tow. LI. 8 58 CARLO CIPOLLA presentati i simboli del dominio, la bacchetta, la chiave, il sigillo. Gabriele dei Fabri recitò una orazione, che parve della e degnissima. In Castel Vecchio rimanevano ancora gli antichi reggitori, Giacomo da Carrara, e il suo fido amico Paolo da Leone. Poco appresso fuggirono, ma furono catturati ad Aselogna, piccolo villaggio in vicinanza di Cerea. Questi e i fatti successivi ormai non presentano per noi alcun interesse. Noi dobbiamo trasportarci senz'altro all’atto col quale gli ambasciatori di Verona fecero la loro sottomissione a Michele Steno, doge di Venezia. Ma prima riporto i docu- menti, che raffermano e chiariscono le cose dette. 1405, giugno 24, Verona. Il Consiglio dei XII elegge l'ambasciata che deve recarsi a Venezia per la prestazione dell’obbedienza (Atti Consiglio, A, f. 2-3; Ant. Arch. Veronesi). “ In Christi nomine amen. Anno Domini millesimo quadringentessimo quinto, indicione x1j?, die mercurii vigesimoquarto mensis iunij, in palacio Comunis Ve- rone, in camera dominorum Duodecim Deputatorum ad Utilia Comunis Verone; pre- sentibus sapiente iurisperito domino Bartholomeo de Carpo advocato Comunis Verone, et Bartholomeo de Leonibus notario, de Insulo Inferiori, sindico Comunis Verone, testibus. “ Ibique convocato Conscilio dominorum... Duodecim Deputatorum ad Utilia Comunis Verone, loco et more consuetis, ad sonum campane, in presentia egregii mi- litis domini Petri de Sacho Capitanei Generalis Popoli et Comunis Verone, in quo quidem Conscilio interfuerunt infrascripti de numero Sapientum. d. Iohannes a Castro iuris peritus. Gaspar de Quinto. Leo Petrus de Fregastorijs. Baylardinus Magnus de Nichexola. Tohannes pezarolus Bonadici. Nicolaus de Pignis. Gualengus notarius. Bartholomeus de Cavaiono notarius. Jacobus de Cristatis. Nicolaus Cendratus. Franciscus de Archo. “ Proposito in dicto Consilio per egregium legum doctorem dominum Jacobum de Fabris et egregium dominùm Iohannem de Pelegrinis, quod, considerata felici aquisi- tione et intrata Civitatis Verone, aquisita et facta per illustrem et excelsam Ducalem Dominationem Veneciarum etc., presentialiter bonum et utile sibi videretur ac salubre pro utilitate et honore rey publice Civitatis Verone, quod fieret electio aliquorum - nobilium civium Civitatis Verone, qui mitantur pro ambaxiatoribus pro parte et no- mine Comunis Verone ad prefatam ducalem Dominacionem, causa ipsam visitandi et eydem consignandi baculum dominij Civitatis predicte, claves portarum et pontium ipsius Civitatis, et causa iurandi fidelitatem, nomine tocius Comunis et Populi UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 59 Verone in manibus prefate Dominationis et causa petendi aliquas gratias necessarias et utiles pro Comunitate Verone, qui sint vestiti omnes de pezia, ad unum insigne, et de uno colore, et qui debeant et habeant fieri sindici Comunis Verone in Maiori Conscilio ad facienda predicta omnia, nomine Comunis Verone. “ Qua propositione sic facta et intelecta, dicti domini... Deputati, consciderantes predicta fore utilia et necessaria pro honore Rey Publice, Comunis et Civitatis, cu- pientes in quantum possunt et sciunt venerari prefatam Dominationem, ut debitum est, eligerunt infrascriptos pro ambaxiatoribus, qui nomine Comunis Verone ire de- beant ad Civitatem Veneciarum, causa adimplendi predicta, et qui debeant fieri sin- dici Comunis. “ Electio ambaxiatorum predictorum. dominus Pelegrinus de Cavilongis bi d. Iohannes de Pelegrinis d. Veritas de Veritatibus dominus Aleardus de Aleardis milites. . Paulus Philippus de Fregastorijs . Petrus de Sacho . Johannes Nicola de Salernis . Jacobus de Fabris legum doctor . Iohannes a Castro luristi. . Bartholomeus de Carpo La LL Petrus de Cavalis Dominicus de Tiserthis Thomeus de Caliarijs Clemens notarius de Insulo Superiori Nicolaus de la Capela Tebaldus de Broylo Rofinus a Campanea Zeno de Nigrelis Paxius de Guarientis. “ Providentes ex nunc et deliberantes, quod omnes dicti ambaxiatores possint du- cere secum quattuor equos per eos recuperandos, et se vestire debeant suis expensis de panno albo novo, ad unum insigne, videlicet vestem, caputeum et galigas, et quod per Comune Verone fiant et solvantur expense cibi et potus pro dictis ambaxiato- ribus et equis, quos secum ducent. “ Item eligerunt Bartholomeum notarium ab Auricalcho in et pro expenditore ad recipiendum denarios expendendos in et pro occaxione dicte ambaxarie et eos expen- dendum, quam melius sciet, pro honore et utilitate res publice Civitatis Verone, pro- videntes quod secum ducant unum equum pro persona sua, quem accipere possit ad JI/K//I/}I{ expensas Comunis Verone eteisdem, equo suo et persone ipsius Bartholomey, expensas cibi et potus, et quod singullo die debeat in actu conscilij in sero confficere et ostendere expensam per eum factam dicto die, cum domino Iohanne de Pelegrinis milite et domino Bartholomeo de Carpo iudice et Tomeo de Caliarijs. 60 CARLO CIPOLLA “ Ttem in antedicto Conscilio, dicti domini... Deputati pro honore et utilitate Comunis Verone, et ne... ambaxatores, qui mituntur pro Comuni Verone, materiam habeant pro sui utilitate quidquam impetrandi expensis Comunis Verone, providerunt et deliberaverunt, quod dicti ambaxiatores, qui de presenti debent miti ad inclitam ducalem Dominationem prelibatam, et omnes, qui de cetero etiam mitentur, nomine Comunis Verone, nullo modo, sive ingenio, vel aliquo quesito colore, per se vel aliam interpositam [personam], palam vel secrete, pro se, vel pro aliquibus alijs personis, audeant, debeant sive presumant impetr|are] aliquod officium, sive beneficium, vel gratiam, sed solum intendant ad faciendum id quod sibi imponetur per Comune Ve- rone et aliter non, in pena et sub pena legis ,. 1405, giugno 28, Verona. Il Consiglio Maggiore conferma a sindaci della Città e del Distretto le persone eletta nel Consiglio dei XII, coll’incarico di sottoporre Ve- rona a Venezia, e stabilire i patti relativi (Atti del Consiglio, A, f. 30). “ In Christo nomine amen. Anno Domini millesimo quadringentesimo quinto, indictione x1rj?, die dominico vigesimo octavo mensis iunij, super sala magna palacij Comunis Verone, presentibus domino Petro notario de Bertolinis condam domini (1) de Sancto Michaéle ad Portas, Francisco de Tripelis condam domini Avantij de dicta contrata, Bartholomeo notario a Falcibus condam domini Boniohannis de Sancto Vi- tale, Andrea notario a Levata condam domini (1) de dicta contrata, Zanino a Seta de Sancto Paulo, Guilelmo notario condam domini Jacobi de Sancto Sebastiano, Jacobo Centrago campsore de dieta contrata, Anthonio de Quinto notario condam do- mini (1) et Gaspare notario de Fontanelis condam domini Lafranchi, ambobus de Sancto Stephano, ad hoc testibus vocatis, et alijs presentibus. “ Ibique convocato Maiori et Generali Conscilio civium et hominum Civitatis Verone, loco et more consuetis, ad sonum campanarum et ex preceptis viatorum, pro utilitatibus rey publice pertratandis et maxime causa constituendi, ultra suprascriptos ambaxiatores Comunis Verone mitendos ad prefatam inclitam ducalem Mominationem Veneciarum, sindicos ad infrascripta; in quo quidem Conscilio interfuerunt ultra duas partes duodecim Deputatorum ad Utilia Comunis et ultra duas partes Hominum et Civium Civitatis et Burgorum, omnes et singuli ambaxiatores supranominati creati fuerunt sindici Comunis et Populi Verone, ad visitandam, nomine civitatis Verone, prefatam inclitam Dominationem et eydem recomandandum totum Comune et Populum Verone, et ad iurandum fidelitatem, nomine (omunis, et Populi Verone, et iuramentum debitum faciendum, in talibus necessarium et oportunum, de iure vel consuetudine, item ad dandum, presentandum, cedendum et trasferendum plenum (2) dominium Civitatis et Burgorum ac Districtus Verone, cum omni modo, iurisdictione, potestate et baylia dicte Civitati quomodolibet spectante et perti- nente, in manibus prelibate ducalis Dominationis, ita et taliter quod prefata du- calis Dominatio habeatur et inteligatur imperpetuum esse vera domina et dominatrix omnium Hominum, Civium et Popoli Civitatis, Burgorum et Districtus, conne- xorum et dependentium ab eysdem. Item ad tradendum et traddi faciendum (1) Lacuna nel ms. (2) Parola aggiunta di prima mano nell’interlinea. È, @ È. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 61 antelate ducali Dominationi infrascripta signa, que dominium et dominii titulum Civitatis et Distrietus Verone efectualiter representant, videlicet sigilum Comunis, claves dicte Civitatis Verone, baneriam in qua sit signum sancte Crucis coloris iali in campo azuro, baneriam in qua sit signum precise Crucis albe in campo rubeo. Et tandem baculum et septrum candidum et rectum, cum omni subiectiva reverentia tradendum, in suis manibus dimitendum. Item ad prelibatam inclitam ducalem Dominationem in dominio ipsius Civitatis et tocius Districtus Verone intro- mizandum, cum omnibus alijs actibus et solempnitatibus in talibus debitis et opor- tunis, cum omnimoda auctoritate, baylia et potestate, ac merum et mixtum imperium, per se vel alium exercendum. Item ad porrigendum antefate ducali. Dominationi certa capitula nomine Comunitatis, Hominum et Popoli Verone et pro eorum utili- tate notata, et a prefata ducali Dominatione gratiam super contentis in dictis ca- pitulis impetrandum, implorandum et obtinendum, circha ipsorum capitullorum con- tinentiam concludendum et non aliter, nec ultra, nec alio modo. Ht generaliter ad omnia alia et singulla dicenda et facienda, que ipsis Sindicis constitutis utilia visa fuerint et necessaria, in predictis et circha predicta et quolibet predictorum tantum. Dantes et concedentes predicti omnes existentes in dieto Maiori Conscilio Hominum et Civium Civitatis predicte, representantes totam Comunitatem Verone, nomine et vice tocius Comunis et Populi Verone, predictis Sindicis, quamquam absentibus, con- stitutis ut supra, plenum liberum generale et speciale mandatum, cum plena libera generali et speciali administratione, predicta omnia et singulla et alia necessaria, circha predicta tamen, dicendi et faciendi, quemadmodum totum Comune et Populus Verone dicere et facere possent, si actualiter adessent, hoc tamen addito, quod nihil petere debeant ultra continentiam dictorum capitulorum, nisi de conscientia et scitu dicti Comunis et Hominum Verone, vel saltem Duodecim Deputatorum ad Utilia Communis Verone ,. Adgi 12 luglio si solennizzò, in Venezia, la cessione di Verona. Il giorno 8 pre- cedente gli oratori Veronesi avevano lasciato la città natale. Pietro da Sacco, com'era dovere, ebbe parte in quella solenne cerimonia, dove figurò tra i “ milites ,. Con lui stavano, fra gli altri, Verità dei Verità (colla famiglia del quale si trovava legato da amicizia, siccome impareremo di qui a poco da un do- cumento del 1407), Aleardo Aleardi (le mobiglie del quale, secondo l’inventario fat- tone nel 1408, ci servirono a chiarire qualche espressione dell'inventario del giudice Pietro da Sacco), Gian Nicola Salerni (1), ecc. Tl nostro Pietro da Sacco, insieme con due altri oratori, ebbe l’incarico di pre- sentare al doge Michele Steno “ tres claves Verone et sui Districtus, dominium et possessionem representantes ,. Mentre si trovavano a Venezia, gli ambasciatori Veronesi dovettero occuparsi anche della conferma dei patti della resa, nonchè del loro ampliamento. Non è questo il luogo di dichiarare con ampiezza maggiore cotali avvenimenti, ai quali del resto feci allusione anche poco fa. (1) Costui fu nel 1421 Senatore di Roma. Cf. quanto di lui scrissi in “ Archivio Veneto ,, XIX, 248-9; XXII, 341. 62 CARLO CIPOLLA Gli ambasciatori furono di ritorno a Verona il 26 luglio (1). Pare che Pietro da Sacco morisse non molto appresso. Infatti il Carinelli cita il suo testamento, 7 settembre 1405. Pietro vi ricorda la moglie Agnese q. Andrea Banni, incinta: la figlia Marta, ch'egli ebbe dalla medesima, e che era passata a nozze con Gianandrea da Castello. Menziona pure alcuni figli di Isnardo, cioè Antonio, Francesco, Pietro, Agostino (2). Nomina fidecomissaria Dorotea figlia di Francesco delle Passioni, moglie a Verità Verità (3). In un documento del 18 maggio 1407, rogato in Verona “in guaita Ferabobum, in domo habitacionis nobilis militis domini Veri- tatis de Veritatibus , comparisce Dorotea “ De Veritatibus , quale tutrice di Pietro figlio del fu “ nobilis militis Petri de Sacho de Sancta Heufomia Verone ,. Col duplice titolo ottenuto dall'ultimo Capitano del Popolo si entra ormai in (1) L'atto che leggesi nel X, f. 24w. dei Commemoriali ms. all'Arch. di Stato di Venezia (cf. Pre- peLLI, Commemoriali, III, p. 810) fu pubblicato dal Verci, Marca Trivig., XVIII, doc. n. 2048. (2) Cronica detta di P. Zacara, II, 51. È (3) Non sarà inutile trascrivere qui alcuni appunti ch'io presi dal testamento, 26 agosto 1424, di Agnese vedova di Pietro, e quelli che feci leggendo i testamenti 3 dic. 1487 e 17 dic. 1442 della figlia Marta. Gli originali si conservano nell'Archivio Notarile di Verona, dove li potei esaminare, col gentile concorso di quegli egregi officiali, e specialmente del cav. T. Boccoli, notaio archivista. “ (S. T.) In Christi nomine. Anno eiusdem nativitatis millesimo quadrigentesimo vigesimo quarto, indictione secunda, die dominico vigesimosexto mensis augusti, in villa Piscantine, in ora Molendinorum, in domo habitationis de presenti infrascripte domine testatricis. Presentibus Bo- naventura not. condam ser Guilielmi — Nobilis et honesta domina Agnes, filia condam circum- specti viri Andree campssoris de Bani de Pigna Verone, et uxor in primo matrimonio condam spectabilis millitis domini Petri de Saco de Sancta Heufemia Verone, et postea in secundo matri- monio Alberti condam domini Marchiori de Formaierijs de Sancto Andrea Verone ,. — Essendo sana di mente e di corpo fa il suo testamento, ordinando di essere sepolta © in ecclesia Sancta Marie de la Scala ,, dove è sepellito anche Alberto suo secondo marito. Istituisce ad eredi universali “ Antonium, Jacobum et Andream ipsius testatricis et condam Alberti de Formaierijs iugalium filios legitimos et naturales ,. Il testamento fu presentato all'Ufficio del Registro il 2 sett. 1424, come dice una notazione sul verso. N “ (S. T.) In Christi nomine amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo quadringentesimo trige- simo septimo, indictione quintadecima, die martis tertio mensis decembris, Verone, in contrata Sancte Euphemie, in domo habitationis olim condam Iohannis a Castello et mune infrascripte testatricis. Presentibus Antonio q. ser Ambrosi} de Ambrosijs de Sancto Sebastiano Verone — Quamvis in- certa et dubia mortis hora debeat prudenti animo suspecta semper existere, attamen corporis imi- nente langore ipsius magis formidatur eventus; et ideo dispositioni substantie temporalis, ne con- tingat quempiam intestatum decedere, tune precipue est insistendum. Quocirca nobilis et honesta domina Marta filia q. spectabilis militis domini Petri de Sacho et uxor q. sapientis et egregii legum doctoris domini Iohannis a Castello de contrata Sancta Euphemie Verone, licet aliquamtulum egra corpore, tamen per gratiam ommipotentis Dei sue mentis sana, sobria et compos, — ordina che il suo corpo sia: sepolto “ in cimiterio ecclesie Sancte Eufemie Verone, ubi illa filiorum suorum requiescunt ,. — Fa un lascito ai figli della defunta sua figlia Manadona, che fu moglie del detto Antonio de Ambrosijs. Lascia poî eredi universali i figli Pietroandrea e Nicolò. Il testamento fu presentato all'Ufficio Registro il 7 dic. 1437. © (S. T.) In Christi nomine amen. Anno nativitatis eiusdem Domini millesimo quadringente- simo quadragesimo secundo, inditione quinta, die lune decimoseptimo mensis decembris, Verone, in contrata S. Sebastiani, in domo habitationis Antoni] q. Ambroxij q. m. Vineli, in qua domo etiam habitat infrascripta domina Marta, testatrix infrascripta, presentibus Castelano not. condam ser Bar- tolomei de S. Sebastiano Verone ,. — Fa un legato per Benedetto figlio del defunto suo figlio Pietro- andrea, e uno in favore di Mattea vedova di quest'ultimo e figlia di Ambrogio del fu m. Vinello. Isti- tuisce proprio erede universale il figlio Nicolò. Il testamento fu presentato all'Ufficio del Registro il 21 dic. 1442. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 63 un nuovo periodo storico. Colla vecchia Signoria medioevale finirono d’esistere anche le antiche abitudini. Comincia l’età umanistica, e le raffinatezze e i gusti delle Corti principesche si fanno strada anche là dove la Corte signorile fu spazzata via dai tempi nuovi. XVII. Ora prendiamo in considerazione un altro personaggio di questa famiglia, che ci rappresenterà un nuovo aspetto nell’attività di quegli uomini, che non avevano ancora preso le abitudini, solite ad assumersi nei giorni della vita agiata e tranquilla. Da Guglielmo fratello del giudice Pietro nacquero Crescimbene e Nicolò, oltre ad una figlia di nome Fiordaligi. Intorno a Crescimbene possediamo numerose notizie. Ho già indicato, parlando del giudice Pietro, un documento del 6 aprile 1328, che fra i presenti indicava anche . Crescimbene. Il testo è questo? “ ..... Crescimbeno not. quondam domini Guilielmi not. de Sacho ,. Pare adunque clie, nella sua giovinezza, anche Crescimbene si dedi- casse all’arte della notaria. Ma assai presto si volse ad un’altra arte nobile e proficua nel tempo stesso. Il primo documento che me lo presenti come orefice è del 6 aprile 1335 e in esso vediamo “ Ser Nicolaus filius condam domini Guilielmi de Sacho de Sancto Stephano , involto in affari con “ Ser Crescimbeno aurifice suo fratre et filio condam dicti domini Guilielmi ,. Stese l’ inventario riferito al cap. XIV. In atto del 17 ot- tobre 1339 leggesi: “ magister Creximbenus aurifex condam domini Guilielmi de Sancta Fomia de Verona ,. Egli porta l'appellativo “ de Sacho ,. Il 29 ottobre 1853 acquistò i diritti spettanti a Mauro del fu Guglielmo “de Favanigra , sopra metà di una “ stationis posite in Verona, in contracta S. Marie Antique ,. Questa metà aveva in addietro appartenuto ad altro orefice. E fra i presenti all’ atto compari- scono: Daniele del fu Pietro di S. Maria in Chiavica, e Francesco del fu Nascimbene “ de Spolverinis , (1), orefici. Colla bottega, oggetto del contratto, confina Galvano “ de Frisono , orefice. La famiglia Spolverini, che qui ci comparisce sotto le vesti di un orefice, divenne poi patrizia, e nel sec. XVIII, nella persona di un suo lontano rappresentante, acquistò eziandio bella fama nella poesia didascalica. Anche in appresso troviamo Crescimbene in relazione con orefici. Doc. 20 di- cembre 1353, Verona. “ Bonaconsa aurifex filius domini Thomaxini de Chamucijs de Sancto Gilio (2) Verone ,. — 15 febbraio 1356: “ Laurencius aurifex condam domini Johannis de Clavica ,. — 17 luglio 1363: “ in stacione magistri Ravaneli aurificis posita Verona in guaita S. Marie Antique ,. — 24 novembre 1368: “ Nicolaus aurifex condam magistri Galvani aurificis de Sancto Stephano ,, “ Bartolomeus aurifex condam ser Marchexini de Santo Johanne in Valle ,, “ Johannes aurifex condam ser Bona- venture de Insulo infra ;. Questi stessi nomi ricorrono in diversi documenti, ma a me importa solamente di stabilire la loro esistenza. (1) Un doc. del 20 die. 1358 lo dice della contrada “ de Falsurgo ,. (2) In atto del 22 giugno 1367 è detto “ de Camuciis ,. 64 CARLO CIPOLLA Più volte si ricorda la sfacio di maestro Crescimbene, posta “ Marie Antique, super bina aurifficum , (doc. 15 febbraio 1356). Egli era ricco. Aveva una casa anche in Calmasino (doc. 25 aprile 1374). In in guaita Sancte Verona continuava ad abitare la casa paterna in S. Eufemia, come ci viene attestato da buon numero di documenti (p. e. da un atto del 4 maggio 1363, ecc.), ancorchè avesse la sua bottega sulla dina degli orefici (1), cioè sulla linea occupata dalle bot- teghe degli orefici, in contrada di S. Maria Antica. Tali botteghe stavano disposte in fila l'una accanto all’altra. Un documento del 26 novembre 1360 (pervenutoci in copia di poco posteriore) ci conservò notizia di una notevole consuetudine giuridica. Clemente e Silvestro, del fu Giacomo de Balistis, della guasta (2) di S. Eufemia volevano fabbricare presso alla pro- prietà di maestro Crescimbene “ de Sacho ,, orefice. L’ottennero dalla vicinia della contrada, radunata “in chapitulo monasterii S. Heufomie ,. Il documento dice così: “ Ibique in publica et generalli vicinia hominum Sancte Heuphomie de Verona, more solito, loco consueto, coadunata, in qua vicinia fuerunt infrascripti, videlicet Culianus piliparius ac sindicus sindicario nomine guaite et hominum et personarum Sancte Heu- phomie de Verona ,, ed altre dodici persone, “ qui homines fuerunt maior pars hominum dicte guaite S. Heuphomie ,. Continuava adunque la vicinia ecclesiastica o contradale, la quale non intralciava l’azione del Consiglio cittadino, ma si occupava solamente degli interessi particolari della contrada. Questo fatto mi pare notevole nella vita civile delle città medioevali. Gli orefici erano assai numerosi in Verona, a questo momento. E ciò costituisce un indizio del benessere di cui godeva la reggia degli Scaligeri. Le pergamene del- l'Archivio Sacco bastano a farci persuasi della verità di questa asserzione, giacchè, senza uscire di là, troviamo numerosi i nomi degli orefici. 24 agosto 1310: “ Magister Petrus aurifex condam domini Boni de Sancto Paulo , — “ magister Julianus aurifex de Santa Cecilia ,. 2 aprile 1323: “ magister Simeon aurifex ,. i 1° aprile 1333: “ ser Bonaventura aurifex condam magistri Agii aurifficis de Sancto Se- bastiano ,. 14 ottobre 1339: “ Verone, in guaita. Sancte Marie Antique, in stacione Johannis aurificis de Libardis ,; “ Bartholamius aurifex condam domini Arduyni a Sablono de Sancto Petro in Carnario ,; “ Dominicus aurifex condam domini Torelli de Santa Maria ad Fractam ,. 3 settembre 1346: “ domina Finaflor uxor condam magistri Johannis aurificis ,. Questo Giovanni era figlio di un giudice, Bartolomeo. 27 gennaio 1356: “ magister Nicolaus dictus Ravanellus aurifex condam domini La- zari da Falfurgo ,. (1) La parola dina vale coppia, filare; cf. Paruzzi-BoLocnini, Dizionario del dialetto moderno di Verona, Verona, 1901, p. 18. (2) F. Novami, Vita e poesia di corte nel Dugento (nel volume Arte, Scienza e Fede ai giorni di Dante, Milano 1900, p. 260) parla delle “ castella... immerse in un arcigno silenzio, rotto soltanto... dal grido monotono della “gaita ,, che dalla maggior torre segnala altrui l'ora del dì o della notte ,. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 65 17 luglio 1363: “in stacione magistri Ravaneli aurificis, posita Verone, in guaita S. Marie Antique ,. 24 ottobre 1371: “ magister Franciscus aurifex condam domini Marchexij de Sancto Matheo cum Cortinis ,. 21 maggio 1373: “ Nicolaus aurifex condam domini Zilii de Leniaco de Sancto Quirico , (1). 29 marzo 1378: “ Franciscus aurifex condam domini Guilielmi de Ferahobus , (2). 16 ottobre 1386: “ Pellegrinus aurifex condam domini Francisci de la Bruna de Insulo inferiori ,. 24 febbraio 1388: “ Bonmartinus aurifix ,. 27 aprile 1398: “ Bartholomeus aurifex condam domini Petri de Sancto Paulo ,; “ Petrus aurifex condam domini Marchi de Sancto Petro in Carnario , (8). Crescimbene morì verso la fine del 1374. Infatti, sotto il 15 gennaio 1375 abbiamo un documento rogato “ in guaita Sancte Fomie in domo olim habitationis magistri Crisinbeni aurificis de Sacho et nunc eius heredum ,. Vi si menziona la vedova, di nome “ Contessa..... de contracta Sancti Zilii ,. Lessi due documenti che parlano di Nicolò del fu Guglielmo de Saco. Lo ve- demmo indicato nell'atto di compera di suo fratello Crescimbene, 6 aprile 1335. Da uno. stromento del 29 ottobre 1351 apprendo ch'egli abitava in S. Eufemia. L'altro, 2 novembre 1360, fu scritto “ in guaita Sancte Marie Antique, super granarios Domi- norum de la Scala, qui sunt super mezarias merchati Verone ,. Queste poche parole raccolgono buone notizie topografiche. Fiordaligi viene menzionata in una locazione del 1° marzo 1339, rogata “in guaita Sancti Stephani, in domo habitacionis infrascripte locatricis..... Ibique domina Flordalix, uxor condam ser Accij et filia condam domini Gulielmi de Sacho ,. XVII. A Crescimbene, il Carinelli assegna quattro figli: Giovanni, Isnardo, Bartolomeo e Bernardo. Di essi, Giovanni, Bernardo e Bartolomeo vengono indicati nella citata locazione fatta dalla loro madre Contessa, l’anno 1375. Trovo Giovanni ricordato già come attore in un documento del 4 febbraio 1369. Da un altro documento, 24 febbraio 1379, apprendo che egli era allora “ massarius monete Factorie , di Bartolomeo e Antonio della Scala. In questo stesso officio l’avevo trovato anche molti anni or sono (4) in un doc. del 31 ottobre del medesimo anno 1379. Quest'ultimo documento fu scritto nella Fattoria dei Signori, nel palazzo del Comune. (1) In questo documento comparisce come attore Andrea fu Pietro giudice de Sacko. (2) Im questo atto si parla di Isnardino orefice figlio dell’orefice Guglielmo de Sacco. (3) Sto pubblicando i documenti sulle Relazioni tra Verona e Mantova nel sec. XIII. Anche qui (p. 280) trovo sotto il 1297 un orefice, cioè: “ Bonus de Guarisis , e sotto il 1299 (p. 352): “ Iu- lianus aurifex ,. Gli orefici compaiono quivi quali testimoni anche in atti diplomatici. (4) “ Arch. Ven. ,, XI, 356. Serie II. Tom. LI. 9 66 CARLO CIPOLLA In esso comparisce “ providus et disscretus vir dominus Montenarius de Campsoribus condam domini Johannis de Sancto Sebastiano Verone ,, quale “ factor generalis ,, dei Signori, e come procuratore “ad vendendum et venditiones faciendas de bonis et pos- sessionibus dictorum Dominorum specialiter constitutus, sub signo et nomine Marcij condam domini Nigri de Ramis, de Insulo Superiori, die iovis XVIJ februarij, millesimo IIJ° LXXVIIIJ® indictione secunda , (1). Le terre vendute si trovavano in Cavajone, Bardolino e Caprino. Acquistolle Gualimberto del fu Gabriele di Bardolino, e il prezzo venne fissato, in ragione dell’otto °/, sul fitto, in 200 lire veronesi piccole. Questa proporzione tra il fitto e il valore del campo, che ai calcoli odierni potrà parere gravissima, può fornire un dato non trascurabile per la storia dell'economia rustica; per bene apprezzarlo bisogna valutare la differenza dei pubblici aggravi sui fondi. Una figlia, Ayca, di Gualimberto da Bardolino, entrerà poi in Casa Sacco, come moglie di Francesco medico figlio di Isnardo figlio di Crescimbene; ne parleremo in appresso. XIX. Isnardo od Isnardino figlio di Crescimbene, ebbe in moglie Benvenuta figlia di Antonio Trivella (2), della contrada di S. Martius Aquarum, come impariamo da un documento del 28 novembre 1367 (3). Egli stesso era “ aurifex ,; lo ricordano docu- menti 12 febbraio 1372; 25 febbraio 1377; 28 febbraio 1377; 28 sett. 1380, ecc. Vien detto “ magister , in doc. 14 aprile 1395. Della sua bottega parla un istromento del 29 marzo 1378, rogato -a Verona “ in guaita Sancte Marie Antique, in stacione..... Isnardini ,. Un atto del 12 marzo 1397 fu scritto “ in guaita Sancte Marie Antique, in statione aurifigarie magistri Isnardini aurificis condam Crescimbeni aurificis de Sancta Heufemia ,. Anche da un documento del 16 ottobre 1395 apparisce che Isnardino abitava sempre a S. Hufemia. Anche Isnardino guadagnava, e comperava terreni (4). Parimenti la moglie faceva acquisti (5). Del 28 luglio 1386 abbiamo un atto, che si riferisce alla compera di varie terre pubbliche vendute da Tommaso Pellegrini. L’atto fu rogato “ Verone, in comuni palacio, in Factoria infrascripti Domini ,. Il testo dell’atto principia così: “ Finus not. de Isolanis, canzelarius magnifici domini Anthonij de la Scala Verone et cetera, ex parte ipsius Domini dixit, ambaxatam fecit discreto viro domini Tomaxio de Pelegrinis eius factori, quod idem Dominus vult et mandat, quod fiat et observetur, prout infra subscriptum est et responsum petitioni infrascripte, cuius petitionis, sub- scriptionis et responsionis tenor talis est — ,. E segue poi l’atto di vendita fatto dal Pellegrini, in data 8 agosto successivo. (1) Altri documenti su Montenarius de Campsoribus, pure del 1379, citai in “ Arch. Veneto ,, XI, 351 e 354. : (2) Un documento del 10 maggio 1364 ricorda, come già defunto, Antonio Trivella, e menziona la vedova Desiderata e il figlio Tealdo. (3) Essa era tuttora in vita nel 1409. i Estimo compilato in questo anno (“ Ant. on vo nesi ,), f 105, essa si trova così registrata: “ Domina Benvenuta uxor condam domini Isnardi de Saco decem septem liber ,. Un estimo di 17 lire significava una non piccola agiatezza. (4) Doc. 13 marzo 1390. (5) Doc. 16 ottobre 1395. UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 67 Abbiamo anche un documento del 19 novembre 1386, scritto pure nella Fattoria di Antonio della Scala. In esso si cita l'ambasciata fatta, sotto il dì 10 novembre, da Antonio della Scala ai suoi fattori Tommaso Pellegrini e Manfredo da S. Quirico. La vendita si riferisce ad alcuni beni in Calmasino ceduti al nostro Isnardo da Sacco. L'ultima notizia di Isnardo del fu Crescimbene, è del 10 giugno 1398 (1). Adaì 28 novembre 1399 è ormai menzionato come defunto. Del 6 luglio 1400 abbiamo un atto di locazione, rogato nella casa di S. Eufemia da Benvenuta q. Antonio Tri- velli, vedova di Isnardo “ de Saco , orefice. Un documento del 12 febbraio 1387 ci dà il nome di Bernardo fratello di Isnar- dino: “ Isnardinus et Bernardus fratres, filij condam magistri Criximbeni aurificis de S. Fomia ,. Sulla vita di Bernardo non posso comunicare altre notizie. Forse esso si potrà identificare con quello, in cui mi incontro in un documento del 1344 (2). Fra i ereditori di Cortesia Serego, vi si menziona: “ Johannes domini Didaci, cognatus Bernardi de Sacho ,. L’identificazione mi sembra probabile, ma non vorrei dirla sicura. Il Carinelli cita il testamento di Crescimbene figlio del fu Bernardo, in data 19 ottobre 1399. Vi ricorda la madre Caterina, figlia di Deodato del Seda, e le sorelle Marzia, Maddalena, Margherita. Di Bartolomeo Sacco si narra che nel 1399, insieme con Benedetto da Malca- sina, avvelenasse Gianfrancesco di Antonio della Scala (3). Ma l’accusa merita esame, poichè la fonte che la riferisce non dà sufficiente guarantigia di esattezza. Veggasi in proposito il cenno del Verci (4). XX. Nella genealogia del Carinelli, vengono assegnati molti figli ad Isnardo del fu Crescimbene. E cioè: Agostino, Giacomo, Pietro canonico, Elena, Nicolò, Francesco, Desiderato, Ravanino, Antonio. Non di tutti ho trovato memoria. Ecco quel che rinvenni, o di cui reputai utile tenere qui conto. Agostino fu il primo della famiglia Sacco inscritto nel Consiglio citta- dino, dopo la sua definitiva organizzazione all’epoca Veneziana (5). Ancorchè egli, per quanto se ne sappia, non abbia avuto occasione di mescolarsi in affari di rilievo, basta la suddetta circostanza, perchè si faccia menzione speciale di lui. Infatti il suo (1) Questo documento fu rogato “ Verone, in guaita S. Zilij, in fonticho Anthonij condam do- mini Francisci de Mapheis ,. Anche questa famiglia patrizia era nel sec. XIV dedicata al commercio. Sopra la stessa famiglia, va citato anche un atto del 14 febbraio 1314, rogato “ Verone, in guaita Sancta Secilie super cambio Gregorii campsoris de Mafeis, ‘ Gregorius campsor fillius dni Rolan- dini de Mafeis de Sancta Secilia ,. Questo documento spetta all'Archivio Sacco. (2) Ant. Cron. Veronesi, 1 [Venezia, 1890], p. 506. (3) Cronaca togata, ed. G. B. Branca, II, 24. (4) Marca Trivigiana, VII, 116. (5) Questo fu pure avvertito da A. CarroLari, Famiglie ascritte al nob. Consiglio di Verona, I [Verona, 1854], p. 235. Un secolo prima la stessa cosa era stata avvertita da G. A. Verza, Vero- nensium civium nomina ecc. (1750), vol. I, f. 237» (“ Ant. Arch. Veron. ,). Infatti il nome di “ Augu- stinus de Sacco , si legge tra i consiglieri eletti per l’anno 1409 nel vol. I, f. 113, delle Provvisioni del Consiglio (“ Ant. Arch. Veron. ,). 68 CARLO CIPOLLA ingresso nel Consiglio ha ormai il significato, più o meno chiaro e preciso, della ottenuta dignità patrizia. E in quanto non l’ha ancora, esso costituisce di fatto la elevazione della famiglia al patriziato. Non mi pare inutile di richiamare l’attenzione anche sui suoi due testamenti, i quali ci dicono qualche cosa sulla sua famiglia, e servono nel tempo stesso a corredo dell'inventario del Pietro giudice (1339), col ricordo di vestiti e mobiglie. Nel primo dei due testamenti, il quale è del 4 ottobre 1415, si parla del letto e delle sue mas- serizie; nel secondo, 14 febbraio 1424, si discorre particolareggiatamente degli ador- namenti femminili, degli anelli, e dello stivo di seta (1). Pietro Agostino figlio di Isnardino “ de Sacho ,, da S. Eufemia, viene già quale canonico di Verona ricordato in documento del 1° agosto 1387. Egli ottenne questa dignità, in grazia di un breve di Urbano VI, del 3 dicembre 1386, che nell'Archivio. Sacco si conservò nell’originale, e che trascrivo. “ Urbanus episcopus servus servorum Dei venerabili tratri... Episcopo Vicentino Salutem et Apostolicam benedictionem. Dignum arbitramur et congruum ut illis se reddat Sedes Apostolica gratiosam, quibus ad id propria virtutum merita lauda- (1) Ecco alcuni appunti presi dai due atti. Gli originali si conservano nell'Archivio Notarile di Verona. Scrivo in corsivo le parole colle quali riassumo alcuni dei tratti soppressi. Va da sè, che io non intesi di dare il regesto dei documenti, ma solo di ritrarne quel tanto che serve al mio scopo. A) Testamento del 4 ottobre 1415. “(S. T). In Christi nomine amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo quadrigentesimo quin- todecimo, indicione octava, die veneris quarto mensis octobris, Verone, in contrata Pontispetre, in domo habitationis infrascripti testatoris — Augustinus de Sacco, filius condam Isnardi de Sacco de Sancta Fufemia et nunc de Pontepetre Verone, per gratiam domini nostri Jesu Christi sanus, sobrius et compos mentis et intellectus ac corporis sui, — elegge Za sua sepoltura “ apud ecclesiam Sancta Eufemie conventus fratrum Heremitarum Verone, Ordinis Sancti Augustini ,. Pra è lasciti, uno è in favore della moglie Desiderata figlia del fu Guglielmo de Panicijs, cui lascia le mobiglie esistenti nella sua casa È ac omnes et singulas et quascumque vestes et indumenta laneas et lineos et se- riceas, et anulos, balteos et vela et reliqua omnia et singula ornamenta et adobamenta pro per- sona eiusdem domine Dexiderate ,, ‘ ac unum lectum vergatum, cum fodra nova, cum duobus plu- macijs, uno magno vergato et altero parvo, cum duobus linteaminibus a predicto lecto — ,. Fra i fidecommissari, menziona suo fratello È magistrum Franciscum phisicum de Sacco ,, che elegge anche suo erede universale, insieme con sua madre Benevenutam, e l’altro suo fratello magistrum Petrum theo- logie professorem. Il testamento fu presentato addì 8 ott. 1419 all’Officio del Registro. B) Testamento del 14 febbraio 1424. “(S. T.) Im Christi nomine amen. Anno nativitatis eiusdem millesimo quadringentesimo vige- simo quarto, indicione secunda, die lune quartodecimo mensis februarij, Verone, super sala olim malleficiorum palacij comunis Verone, positi in contrata S. Marie Antique... IZ “ prudens vir Au- gustinus de Sacho q. domini Isnardi civis Verone, contrata Pontispetre ,, fa testamento, ordinando il suo corpo “ ad eclesiam S. Euphemie de Verona super uno cadileto (cataletto) coperto deferri de- bere et ibi sepelliri in eius et suorum predecessorum tumulo, posito in dicta eclesia, ante capellam altaris S. Bartholomei ,. Fra i lasciti, ce n'è uno per sua moglie Caterina figlia del not. Domenico “ de Raynaldis ,, «Wa quale regala anche “ et donaria, que sunt de presenti in eius domo habitationis , nonchè “ tres anullos aureos legatos basse, videlicet unus ballassius, unus smeraldus et unus saffillus, et generaliter omnes et quoscumque alios anulos cuiuseumque generis, quos ipsa haberet. Itemque eidem eius uxori legavit unum stivum sete de pelo carmaxino, fulcitum argento — ,. Fra è suoî esecu- torì testamentari, nomina il fratello © egregium artium et medicine doctorem magistrum Franciscum de Sacco ,. Chiama ad eredi le figlie Benvenuta e Desiderata, e chi nascerà dal ventre pregnante di sua moglie. Il testamento fu presentato all’Officio del Registro il 18 febbr. 1424. PESTE to! | È Î UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA 69 biliter suffragantur. Volentes itaque dilectum filium Petrumaugustinum, dilecti filij Isnardi de Sacho natum, clericum Veronensem, apud nos de vite ac morum honestate alijsque probitatis et virtutum mentis multipliciter commendatum, horum intuitu, favore prosequi gratioso, fraternitati tue per apostolica scripta mandamus, quatinus, si, post diligentem examinationem, eundem Petrumaugustinum ad hoc ydo- deum esse reppereris, super quo tuam conoscientiam oneramus, eidem Petroaugustino de canonicatu Ecclesie Veronensis, cum plenitudine iuris canonici, auctoritate nostra provideas, faciens ipsum vel procuratorem suum eius nomine in eadem ecclesia in canonicum recipi et in fratrem, stallo sibi in choro et loco in capitulo ipsius ecclesie, «cum dicti iuris plenitudine, assignatis. Prebendam vero, si qua in dicta ecclesia | vacat ad presens, vel cum vacaverit, quam dictus Petrusaugustinus per se vel pro- _ curatorem suum ad hoc legitime constitutum, infra unius mensis spatium, postquam | sibi vel eidem procuratori vacatio illius innotuerit, duxerit acceptandam, conferendam È: eidem Petraugustino, post acceptationem huiusmodi, cum omnibus iuribus et perti- | nentijs suis, dominationi tue eadem auctoritate reserves, districtius inhibendo Venera- ‘bili fratri nostro... Episcopo et dilectis filijs Capitulo Veronensi, ac illi vel illis ad quem 3 vel ad quos in eadem Ecclesia prebendarum collatio, provisio, presentatio, seu quevis alia dispositio pertinet communiter vel divisim, ne de dicta prebenda interim, etiam ante acceptationem eandem, nisi postquam eis constiterit, quod Petrusaugustinus vel procurator predicti illam noluerit acceptare, disponere quoquo modo presumant, ac nichilominus prebendam huiusmodi, quam reservabis, si, ut premittitur, vacat, vel cum vacaverit, eidem Petroaugustino, post acceptationem predictam, cum omnibus iuribus et pertinencijs suis, auctoritate predicta conferas et assignas. Inducens | per te, vel alium, seu alios, eundem Petrumaugustinum, vel procuratorem suum, eius nomine, in corporalem possessionem prebende iuriumque et pertinentiarum predictorum A | et defendens inductum, ac faciens sibi de ipsorum canonicatus et prebende fructibus, | redditibus, proventibus, iuribus et obventionibus universis, integre responderi. Con- | tradictores auctoritate nostra, appellatione postposita, compescendo. Non obstantibus | de certo canonicorum numero et quibuscunque alijs statutis et consuetudinibus ipsius ecclesie contrarijs, iuramento confirmatione apostolica, vel quacumque firmitate alia roboratis. Aut si aliqui apostolica quavis auctoritate in eadem ecclesia in cano- nicos sint recepti, vel ut recipiantur insistant, seu si super provisionibus sibi faciendis de canonicatibus et prebendis in ipsa ecclesia spetiales vel alijs beneficijs ecclesia- sticis in illis partibus generales dicte Sedis vel legatorum eius litteras impetrarint, etiam si per eas ad inhibitionem, reservationem et decretum, vel alias quomodolibet sit processum, quibus omnibus preterquam auctoritate nostra in ecclesia ipsa receptis vel prebendas expectantibus in eadem, dictum Petrumaugustinum in assecutione huius- modi prebende nolumus anteferri, sed nullum per hoc eis, quoad assecutionem ca- | nonicatuum et prebendarum aut beneficiorum aliorum, preiudicium generari. Seu si | eisdem Episcopo et Capitulo vel quibusvis alijs, communiter vel divisim, a dicta sit | .Sode indultum, quod ad receptionem vel provisionem alicuius minime teneantur; et ad | id compelli, aut quod interdici, suspendi, vel excommunicari non possit, quodque de | canonicatibus et prebendis ipsius Ecclesie, aut alijs beneficijs ecclesiasticis, ad eorum | collationem, provisionem, presentationem, seu quamvis aliam dispositionem, coniunctim | vel separatim, spectantibus, nulli valeat provideri per litteras apostolicas, non fa- 70 CARLO CIPOLLA cientes plenam et expressam, ac de verbo ad verbum, de indulto huiusmodi men- tionem, et qualibet alia dicte Sedis indulgentia, generali vel speciali, cuiuscumque tenoris existat, per quam presentibus non expressam vel totaliter non insertam effectus earum impediri valeat quomodolibet non differri, et de qua, cuiusque toto tenore, habenda sit in nostris litteris mentio spetialis. Aut si dictus Petrusaugustinus presens non fuerit ad prestandum de observandis statutis et consuetudinibus ipsius Kcclesie solitum iuramentum, dummodo in absentia sua per procuratorem ydoneum, et cum ad Ecclesiam ipsam accesserit, corporaliter, illud prestet. Nos enim, si dictus Petrusaugustinus ad hoc repertus fuerit ydoneus, ut prefertur, ex nunc perinde ir- ritum decernimus et inane, si secus super hijs a quoquam, quavis auctoritate, scienter vel ignoranter, contigerit attemptari, ac si die datationis presentium eidem Petroau- gustino canonicatum Ecelesie predicte contulissemus, ac prebendam, si qua in dieta Ecclesia tune vacabat, vel cum vacaret ibidem, quam idem Petrusfranciscus duceret acceptandam, ut prefertur, conferenda, cidem Petroaugustino (1) acceptationem huius- modi donationis apostolice cum interpositione (2) decreti duxissemus spetialiter re- ferendam. —Dat. Janue, 1j nonas decembris, pontificatus nostri anno nono , (8). Maestro Francesco fratello di Pietroagostino era medico; ebbe per moglie Ayca del fu Gualimberto da Bardolino; abitava nell’antica casa “in guaita Sancte Heu- fomie ,. Di tutto questo parla un documento del 7 luglio 1403. Un altro stromento, 8 giugno 1401, ricorda, unitamente al “ magister Franciscus phixicus ,, anche suo fratello Antonio: “ magistro Francisco phixico et Anthonio fratribus, filijs olim domini Isnardi de Sacho de Sancta Heuphomia Verone ,. Nell’Estimo del 1409 Francesco è ricordato dappresso alla madre Benvenuta, ma con un estimo proprio. Il che significa ch'egli viveva separatamente (4). Un documento del 30 aprile 1400, Verona, ricorda il solo Antonio, e ne dà la paternità: “ Anthonius filius condam Isnardi magistri Crisimbeni de Sacho de Sancta Heuphomia Verone ,. Quindi nella persona di Francesco un nuovo officio vediamo esercitato nella famiglia Sacco, la cui attività erasi dimostrata in così varia maniera nei documenti, di cui mi sono anteriormente occupato. Elevati offici ecclesiastici e civili ricoprirono i membri di questa famiglia, che tennero diverse dignità nel clero, che prestarono l’opera loro come giudici, come notai, come stimatori del Comune, come governatori dei dazi, come medici, come orefici, che rappresentarono Cangrande in difficili nego- ziati, che prepararono l'ingresso alla Signoria Veneziana. (1) In rasura, d'altra mano. (2) Ms. intepositione. (3) Sulla plica internamente: “Jo. da Papia ,, ed esternamente: “Jo. de Anglade. M.,. Del sigillo resta solamente la cordicella serica, ma il bollo andò perduto. (4) L'annotazione, f. 105, è questa: © M. Franciscus q. domini Isnardi de Saco physicus tribus libris ,. Al luogo stesso si legge ancora: “ Magister Petrus de Saco filium condam suprafuisti Isnar- dini una libra ,. Non so se costui sia da identificarsi con Pietro Agostino canonico, o se si debba in lui riconoscere un altro figlio di Isnardo. — _—_okt>o>>©——— 71 UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E LA SUA FAMIGLIA POVI AIA OUI]opatg tp OqIOQuITfenso) ep ‘} VIVIICIST(] (9 VIONIANI (9 | FORI ‘ATA ‘IPIUUNT BULIAIEO (9 vody ‘ds GIFI AIA GIFT AIA ‘Izziueg equiIOpiso(I (2 ‘ds LOS CEN SREIL Coeonio) OUIpegH) OT[SISUOA, TOP OINOLNY ONINVAV OLVATGISA(] OOSTONVA] QUODIN — VNITH ONILSODY OULUT] ONOOVI) FZpI 92899 ‘ONIISODY | VIIIIHDUV]{ VNTIVAAV]I VIZIVIN 6621 Q9S9J INTARIOSAUA) | V[[2ALT], tanuoAUog ‘dg Upog [op turpe) ‘ds (4) 6681 “ATA 668 ‘AV L ‘8681 AIA GLET (ATA 6ecerrae | ‘ocuvnaag OTNOTOLIVEY 990F9I0 ‘ONITUVNS] OCUYNST INNVAOIS) | L | 666T ‘AIA GLPLEI ROM L oT[agsto tp ImueAot9 ‘dg ‘8881 A© 4 om0oy "ds 09:G66T (ATA fotpisg ‘S tp vssopuop ‘ds OUTITA VIUVIN TOITVAUOI,] QUODINI QOYQ1O OIVJOU ‘INUINIOSHU() | lea | (1reteuItTO] 0pIOqqy 10d osods aqenb r]) torto omettqy ‘ds eiopeung ‘ds | Isseg Op torpuy Tp ‘] asouSy ‘ds OOSTONVAU { VATVAO] VOINT VINO) VNUTV, ONIITTOOO) ‘LOFT ‘A© 4 ‘opgrur opigou ‘ojodod [op ouegidto ‘oretqpueq ‘ourarg | | (eroavnig 10d ‘ds GEGT (ATA GEET ATA Fegei "Ae d ‘687 “AIA QZZou 9puooas UT AI) INTO CANONIVAY] “dg VINOTOLIVE VINISUTg Quetqouto ‘VAZANY (9 oggt ‘ae £ qimmg (2 | 6867 "AIA “gqom ‘oosmoNva] | OSSI ‘AV d ‘FOgI 29593 opatuiog tp ‘5 tig ‘ds TOSI Ae + ‘E861 (ATA ‘JOU ‘ONIGUYNS] OAUVNS] | euneItO (9 ROTMIT Tp. 0 (CUOIO A) OULIA.] ‘S EP 0I9ATg IP ‘3 2HOg (0 ‘ds OGGI ‘AIA oTrogsEO WI (0440rg ‘S IP_2goIdtoae 688I + ‘€821 cata TIEI ‘68gI Ala ONIITAY QOIpnis ‘OusaIg, ‘10U ‘ONTITONI) 8661 ‘A + QoIpnis : L6GI (ATA ONIIIIDNIO) _ ONICUYNS] | TISI ‘88G1 ‘AIA UNATMIOSAU() i ‘8697 ‘AG 4 ‘ONIGUYNUWA i 72 CARLO CIPOLLA — UN AMICO DI CANGRANDE I DELLA SCALA E UÙ, . È 1a $ Rami staccati. i E: A) GuerieLMo DE’ GuportI da Bergamo, giudice 1286. B) DanreLe, | av. 1288. La BarroLomeo, chierico, viv. 1288. Na! E è 7 ", n, PE TO apr \ C) Deopato na Pat A 4 A SE e AE, DrAmBRA 6 Marcaria, viv. 1298. D) Bowacrazia Gurporti, 1320. . È» \ Ù il n PA 2 È i” G è 4 \ # î È ia pf È n 16 NE. A X i A So pia fa LIT È | L D ba 1] Ù e 4 Da w o GIUSEPPE BOFFITO INTORNO ALLA “QUAESTIO DE AQUA ET TERRA, ATTRIBUITA A DANTE MEMORIA I LA CONTROVERSIA DELL'ACQUA E DELLA TERRA PRIMA E DOPO DI DANTE Approvata nell'adunanza del 23 Giugno 1901. NERO. tum veritatis amore, tum etiam odio falsitatis. — Quaestio, $ 1. A scanso d’equivoci, che quando si tratta di cose disputabili, tornano spesso fatali, mi preme di dichiarare subito quale sia stato il mio intendimento nello studio presente. Intorno all’autenticità della Quaestio ferve da parecchio tempo contesa fra i let- ‘terati. Col nome di Dante in fronte, pubblicata nel 1508 dall’agostiniano Giovanni Benedetto Moncetti in Venezia, fu tenuta generalmente in conto di genuina da quei ochi che durante il corso dei tre secoli seguenti ebbero occasione di ricordarla, : finchè il Foscolo prima, il Witte poi, indi il Minich, il Bartoli, il Lodrini, il Passerini, Gi Luzio e sovra tutti il Renier, per citare i maggiori (1), assalirono, chi da una arte chi dall'altra, qual con minore e qual con maggior critica, l’opuscoletto che si | arrogava una paternità sì gloriosa, e poco è se non lo ridussero in minuzzoli. Il pic- . colo edifizio, che a più d’un segno tradisce la origine sua in un tempo che ancora presso molti era in onore l’antica e ormai decrepita filosofia, e le battaglie incruente tra le scuole tomistica, scotitista e agostiniana non posavano, leva in alto le sue quattro mura smantellate, scalcinate, sbilenche, fa le crepe da tutte le parti e naccia prossima la rovina. Ciononostante alcuni, come per il passato il Torri e il Giuliani ed oggi il Moore, e più di recente ancora Vincenzo Russo e, a quanto pare, nche l’Angelitti, si son messi in animo di restaurarlo. I naestro nell'Università di ‘Torino, ho potuto vedere il pro abbozzo manoscritto. Serie Il Tom. LI. 10 74 GIUSEPPE BOFFITO 2 Accostandomi con animo spregiudicato a un’opera di così disputata autenticità, credetti opportuno di dover dapprima studiarla come non appartenente ad alcun tempo, come un’opera che non avesse storia. Parrà strano a taluno questo modo di studiar la questione, ma, a lavoro finito, se ne vedrà l'opportunità, si vedrà che era forse questa l’unica via da tenere perchè la Quaestio si andasse a collocar da sè senza alcuno sforzo nel tempo che le compete. Da lontano, procurai anzitutto di osservare le linee principali del singolare edifizio. Ricercai qual era il soggetto gene- rale trattato nella Quaestio; ed ebbi la risposta dal $ 2 del libretto attribuito a Dante. Nella Quaestio si tratta del dislivello fra la terra emersa e l’acqua: è questa nella sua circonferenza naturale più alta o più bassa di quella? Questione, come si vede, intimamente collegata con quella della forma e posizione di quei due, già cre- duti, elementi, dalla quale il disputante prende le mosse. Ma come procede egli alla soluzione? Cominciando dapprima ad escludere che l’acqua sia in tutto ($ 12, Fig. 12) o in parte ($ 13, Fig. 2*) eccentrica; provando poi con l’esperienza dei sensi ($ 15), che la terra è superiore di livello all'acqua; nè gl’'importa che ciò torni a detrimento della sfericità della terra ($ 19, Fig. 3), arrivando quest’ultima sol per mezzo d'un enorme rigonfiamento (“ tantam elevationem , $ 21) a raggiungere e a superare il livello dell’acqua per ogni altra parte intorno ad essa ugualmente distribuita. Ma perchè un tal rigonfiamento? Nei $$ 18 e 19 è assegnata la causa finale (“ ut mixtio “ sit possibilis ,, $ 19), nel $ 21 la causa efficiente [“ virtus elevans est illis stellis... “ (tra 0°-67° lat. nord) sive elevet per modum attractionis, ut magnes attrahit ferrum, “ sive per modum pulsionis generando vapores pellentes ut in particularibus montuo- “ sitatibus ,]. L'autore della Quaestio giunge a queste conclusioni per via d’un lavorìo dialettico e logico che ho creduto meglio. di trascurare affatto in questa prima memoria, per non complicare di troppo la trattazione. Son passato quindi a doman- darmi se nell’ antichità o nel medio evo qualche filosofo o cosmografo avesse mai trattato della situazione reciproca della terra e dell’acqua e che se no fosse mai determinato. Chissà, andavo io pensando tra me, durante le indagini intraprese allo scopo nelle ricche biblioteche di Roma (1), che non mi sia dato di venir a capo, per questa via ancora intentata, di sciogliere l’ intricata questione? o di poter almeno definire il tempo e l’autore probabile della Quaestio. Così è nata la presente memoria, nella quale, prendendo le mosse dal momento che apparve nella storia il concetto della sfericità della terra, verrò studiando le varie soluzioni date al problema della reciproca posizione dell’acqua e della terra, continuamente paragonandole con la soluzione che ce ne fornisce l’autore della Quaestio. Era questo, come si vede, un lavoro preparatorio indispensabile alla ricerca parti- colareggiata delle fonti; che mi propongo d’intraprendere in una seconda memoria. Dal quale però, se non m’inganno, già, tra l’altro, risulterà: (1) Nella Vaticana, di cui il benemerito p. Ehrle mi aperse con mano liberale i tesori; nella Nazionale, dove il ch."° letterato co. Gnoli e il cav. Gulì agevolarono di molto il mio còmpito; nella Casanatense, degnamente presieduta dal ch. e compitissimo cav. Giorgi; nella Corsiniana, dove il ch.'t° prof. Celestino Schiaparelli mise pure a mia disposizione, con una gentilezza di cui non so come ringraziarlo, la sua privata raccolta di libri orientali; nella biblioteca, pur privata, della Società Geografica italiana, di cui la cortesia del degnissimo presidente della Società comm. prof. Giuseppe Della Vedova e del comm. prof. Pietro Tacchini mi aperse l’adito; nell’Angelica, già degli Agosti- niani, presieduta dal prof. Bonanno; ecc. ecc. / QUAESTIO DE AQUA ET TERRA », ATTRIBUITA A DANTE 75 “ 8 INTORNO ALLA 1° che non c'è ragione alcuna per dire che la Quaestio sia nata al tempo di Dante, sebbene già fin d’allora esistessero quasi tutti gli elementi dall'incontro dei quali essa doveva avere origine; 2° che è ben difficile, per non dire impossibile, che Dante ne sia stato l’autore; 3° che vi ha più d’una ragione per credere che sia nata sul finire del sec. XIV o sul principio del XV, ma quasi ugual numero di ragioni vi hanno per ritenerla originata tra il sec. XV e XVI; 4° che l’autore della Quaestio s'ha a cercare nella scuola teologica agostiniana, rimanendo tuttavia incerto se si debba identificare con Giovanni Benedetto Moncetti, primo editore della Quaestio, o con un altro qualsiasi Agostiniano e più probabilmente con Paolo Veneto. CCAPORE Filosofi e scienziati greco-romani. Padri dell’oriente e dell'occidente — Cosmografi medievali. La soluzione data dall'autore della Quaestio al problema della reciproca situa- zione della terra e dell’acqua, importa sei cose, che formulerò in sei proposizioni numerate, richiamandomi ad esse per amor di brevità, nel corso del lavoro: N. 1. Che la terra, come elemento, sia sferica fuorchè dalla parte da cui emerge; N. 2. Che, fuorchè da questa parte, sia tutta coperta dall’ampio strato, pure sferico, dell'elemento acqueo; N. 3. il quale è impossibile sia eccentrico @) totalmente, 6) parzialmente, per via di qualche gibbosità; N. 4. Che siffatta elevazione della terra sia necessaria: @) per la concentricità dell’acqua ($ 13), Ù N. 5. 6) per la formazione dei corpi misti (minerali, piante, animali); N. 6. e sia stata prodotta, contro la naturale inclinazione della terra, o da un influsso attrattivo delle stelle sopra la terra, dalla parte del nostro emisfero setten- trionale, pari a quello che il magnete esercita sul ferro; o dalla formazione per influsso stellare di vapori sotterranei. 81°, Vediamo che ne pensavano invece i filosofi e gli scienziati antichi. Conviene rifarsi da questi, perchè, com’ è noto, le lor dottrine ebbero una lunga eco in tutti i secoli fino a Galileo Galilei e più oltre ancora. 1. Opinione di Platone e di Aristotele. — Per quanto si può capire da qualche passo delle opere platoniche, e specialmente dal Fedone, Platone ammetteva la sfe- ricità della terra, già prima di lui sostenuta da Pitagora; credeva che il continente da noi abitato fosse come un'isola circondata dal mare, ma di là da questo imma- ginava che sorgesse un altro continente circolare più alto del nostro, ricordo mitico 76 GIUSEPPE BOFFITO 4 smarritosi per avventura nella cosmografia platonica (1). — Differisce pur grandemente dalle opinioni cosmografiche dell’ autore della Quaestio la dottrina di: Aristotele. La terra ha per lui la forma perfetta d’una sfera; e a provarlo, oltre alle ragioni d’espe- rienza generalmente note (2), egli ne adduce un’altra, intima o meccanica che si voglia dire, desunta dalla tendenza delle singole parti della terra verso il centro del mondo. Nell’ Antiqua Translatio delle opere aristoteliche (ch'io citerò di preferenza, perchè fu quella probabilmente di cui Dante più si valse, preferendola alla traduzione fatta da Michele Scoto di sul testo arabo, ch'era per lui una traduzione già invecchiata (3)), si legge infatti: Figuram autem habere sphaericam necessarium est ipsam (terram): unaquaeque enim par- ticularium gravitatem habet ad medium, et minor a maiori pulsa non potest intumescere sed comprimi magis, et consentire alteram alteri quousque utique veniant ad medium (4). Era un confluir naturale, come Aristotele segue a dire, delle singole parti della terra al centro, non violento ossia prodotto dal moto circolare del cielo, come alcuni filosofi antichi avevan pensato (/0. 5). Che dovesse risultarne una sfera, era chiaro- quando particelle uguali da tutte le parti all’ingiro si fossero mosse verso il centro, ma se da una parte fossero state in eccesso? Il risultato sarebbe stato identico, secondo lui. Soggiunge infatti: Sive igitur ab extremis divisae partes conveniant ad medium sive aliter se habeant facient idem. Quod quidem igitur similiter unumquodque ab extremis latum ad medium necessarium similem fieri undique molem manifestum. Aequali eniîm undique apposito aequaliter necesse est distare a medio extremum. Haec autem figura sphaerica est. Nihil autem differt ad rationem, neque si non cx omni parte similiter conveniant ad medium partes ipsius. Plus enim semper quod ipso minus propellere necessarium usque ad medium inclinationem habentibus ambobus et graviori propellente usque ad hoc minus grave (5. e). : Nè valeva il dire in via d’ipotesi che da una qualunque delle parti della terra, già così costituita nella sua sfericità, poteva ben darsi il caso che si aggiungesse un’escrescenza di maggior peso perchè, per lo stesso principio che la parte maggiore sospinge la parte minore, essa escrescenza sarebbe scesa con moto naturale, finchè il suo centro non fosse stato nel centro del mondo: Quod enim utique quis dubitabit, eandem habet his solutionem. Si enim existente in medio et sphaerica terra multo maior gravitas apponatur ad alterum hemisphaerium, non idem erit medium totius et terrae. Quare aut non manet in medio, aut si quidem quiescet non etiam medium habens aut nata est moveri nunc. Quod quidem igitur dubitatur hoc est. Videre autem non est difficile modicum intendentes et dividentes qualibet significamus quancumque magnitu- dinem ferri ad medium gravitatem habentem. Palam enim quod non usquequo tangat centrum extremum, sed oportet praevalere quod plus, donec utique sumat suiipsius medio medium, usque ad hoc enim habet inclinationem. Nihil igitur differt hoc dicere in bolo et in parte contingente (1) Mi prendo la libertà di rimandare, per maggior dichiarazione sia di questo che di altri punti della storia della controversia a un altro e più ampio mio lavoro, ancora inedito, ma che vedrà fra breve la luce. (2) Son le prove riferite anche, fra i molti, dall’Hucues nel suo Manuale di Storia della Geografia. (3) E. Moore, Studies in Dante, First Series, Oxford, 1896, pag. 312 sgg. (4) L'Antiqua Translatio è stampata d'ordinario con le opere di S. Tommaso d'Aquino. Io mi valgo dell’ediz. del Blado, di Roma, 1570, in-f°. Cfr. in questa, De Cuelo et Mundo, lib. 2, lez. 27; alla nota marginale «, c. 587. Il passo corrisponde al De Caelo, lib. II, cap. 14 nelle edizioni comuni di Aristotele. :9) INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE MT, aut in tota terra. Non enim propter parvitatem aut magnitudinem dictum est accidens, sed de omni inclinatione habente ad medium. Itaque sive tota ab aliqua parte ferebatur sive secundum partem necessarium usque ad hoc ferri, doncec utique unumquodque similiter sumat medium adaeguatis minoribus a maioribus propulsione inclinationis (Ib. d, e; c. 58 0-59 r). Così essendo, ha tutto il diritto Aristotele di conchiudere che, sia che la terra esistesse ab aeterno, come credeva egli, sia che si fosse formata coll’andar del tempo, doveva essere ad ogni modo di figura sferica: Sive igitur facta est, hoc necessarium factam esse modo. Quare manifestum quia sphaerica generatio ipsius, sive ingenita semper sive manens eodem modo habet quo et genita utique primum facta est. Secundum hanc itaque rationem necessarium est esse figuram sphaericam ipsius (Ib.f, c. 597). L'acqua, ossia il mare che è per Aristotele il natural luogo dell’elemento acqueo, non è uniformemente disteso intorno alla terra, come l’autore della Quaestio sup- pone (n° 2), ma ne riempie le cavità, lasciando allo scoperto la terra nell’ emisfero settentrionale e nel meridionale (De Caelo, II, c. 2; Met., II, c. 2); dalle cavità minori scorre nelle maggiori (1), le quali tutte per altro non sono molte nè profonde, nè tali, come si rileva dai passi riferiti e da altri ancora, da diminuire sensibilmente la sfericità della terra, come non la tolgono i monti che si levano sublimi nel set- tentrione (2). Solo nel caso impossibile che fosse cessata l’evaporazione, a cui si doveva la salsedine del mare (3), la sfera dell’acqua, che per sè doveva essere superiore e concentrica alla terra (come la sfera dell’aria rispetto a quella dell’ acqua e quella del fuoco rispetto a quella dell’aria) (4), si sarebbe distesa a coprire tutta la terra. Ma finchè durava l’attuale ordine di cose, e il sole proseguiva la sua via secolare (1) Meteor., II, lez. 1°, c. 18 0-19 7, dell’ediz. cit.: “ Fluens autem mare videtur secundum angustias; “ sicubi propter adiacentem terram in modicum ex magno coartatur pelago propterea quod libratur “ hue et illuc siepe: hoc autem in magna multitudine inmanifestum. Quare autem propter angustiam “ terrae modicum obtinet locum necessarium eam que in lato modicam librationem ibi apparere “ magnam. Quod autem infra Herculeas columnas totum secundum terrae concavitatem fluit et fluviorum multitudinem: Meotis quidem enim in Pontum fluit, iste autem in Aegeum ete. Et propter multitudinem fluviorum accidit hoc..... et propter brevitatem profunditatis ,. (2) Zb., c. 19r: * Si isitur et secundum partem ex altis fluvii videntur fluentes sic et totius terrae ex altioribus quae ad arctum fluxus fit plurimus; ubi hi quidem propter effusionem non profundi, qui autem extra pelagi profundi. De eo autem quod quae ad arctum sunt terrae altae signum quoddam et multos persuasos esse antiquorum meteorologorum, solem non ferri sub terra, sed circa terram et locum hune , ecc. (3) Met., II, lez. 2%, c. 197, col. 1*: “ Opponitur autem altera ad hane opinionem dubitatio: cur quidem non est consistens aqua haec (maris) potalis si quidem principium omnis aquae sed salsa? Causa autem simul et huius dubitationis solutio erit et de mari accipere propriam existimationem necessarium recte. Aqua enim circa terram ordinata, sicut circa hane aeris sphaera et circa hane quae dicitur ignis; hic enim est horum ultimus sive ut plurimi dicunt sive ut nos. Lato autem sole hoc modo et propterea permutatione et generatione et corruptione existente, quod quidem subtilissimum et dulcissimum sursum ducitur per singulos dies et fertur iterum disgregatum et vaporans in superiorem locum. Ibi autem rursus constans propter infrigidationem, deorsum fertur iterum ad terram. Et hoc semper vult facere natura ,. (4) Nel De Cuelo et Mundo, lib. II, lez. 6%, c. 38.0, prova la sfericità del cielo dicendo: “ Si aqua quidem est circa terram, aer autem circa aquam, ignis autem circa aerem et superiora corpora secundum eandem rationem; continua quidem enim non sunt, tangunt autem haec, superficies autem aquae sphaerica est; quod autem sphaerico continuum aut motum circa sphaericum et ipsum tale necesse est esse. Quare et propter hoc manifestum est quoniam sphaericum est coelum ,. Cfr. anche la nota preced. “ G 78 GIUSEPPE BOFFITO 6 sollevando i dolci e sottili vapori dell’ acqua, era ben naturale che una parte della terra dovesse rimaner scoperta. Aristotele non ha quindi bisogno di deformare così stranamente la terra, come fa l’ autore della Quaestio (ni 1 e 4): era tanto naturale che l’avanzo dell’acqua evaporata dovesse rimanere nelle cavità terrestri ed essere inferiore di livello alla superficie della terra emersa! La superficie dell’acqua era e doveva essere sferica, come il nostro filosofo, movendo dal principio che l’acqua scorre sempre nel luogo più cavo, e più cavo s'ha a ritenere il luogo che è più vicino al centro, dimostra geometricamente nella seguente maniera (Fig. 4): Quod aquae superficies talis (sphaerica) manifestum suppositionem sumentibus, quia nata est semper fluere aqua in magis concavum, concavius autem quod centro propinquius. Ducantur igitur ex centro, quae AB et quae AG et adiungatur in qua BG. Ducta igitur ad basem AD minor est earum quae ex centro; profundior igitur locus. Quare circumfluet aqua donec ubique aequetur; aequalis autem his quae ex centro quae AE. Itaque necesse apud eas quae ex centro esse aqua; tune enim quiescet. Tangens autem eas quae ex centro circularis. Sphaerica igitur aquae superficies in qua BEG (1). 2. Archimede e gli altri scienziati greci. — Con altra e miglior dimostrazione matematica, alla quale forse inteso d’alludere l’autore della Quaestio (n° 4) e che riferirò per disteso di sulla traduzione del Commandino, dimostrava Archimede, nella sua opera De his quae in humido vehuntur, che la superficie d'ogni liquido che si trovasse sopra la terra in istato di riposo, era porzione d’una sfera che aveva per centro il centro della terra, ossia, come suona l’ enunciato greco della proposizione seconda (una delle poche reliquie del testo greco, da secoli smarrito): mavtòg Udarog fAovyd- Zovtog WOTE dKiveroy uéverv î) émipovera CPaipoerdig torar éXouga TÒ aùTò Ti) Yîj KÉvTpov. Intelligatur humidum consistens manensque et secetur ipsius superficies plano per centrum terrae ducto. Sit autem terrae centrum % (Fig. 5°) et superficiei sectio linea abed. Dico lineam aded circuli circumferentiam esse cuius centrum %. Si enim non est, rectae lineae a puncto % ad lineam abed non erunt aequales. Sumatur recta linea quibusdam quidem a puncto & ad ipsam abed ductis major, quibusdam vero minor; et ex centro % intervalloque lineae sumptae circulus describatur. Cadet ergo ipsius circumferentia partim extra lineam abcd, partim intra; quoniam ea quae ex centro quibusdam quidem a puncto % ad ipsam ductis est major, et quibusdam minor. Itaque sit circuli descripti circumferentia /0%; et ex d ad X ducta linea iungantur /W, the quae angulos aequales faciant. Describatur autem et ex centro % circumferentiam quaedam cop in plano et in humido. Ergo partes humidi quae sunt ad circumferentiam x0p aequaliter iacent, ac continuatae inter sese; et premuntur quidem partes quae ad zo circumferentiam, humido quod loco ad continetur; quae vero ad cireumferentiam op premuntur humido quod continetur de. Inaequaliter igitur premuntur partes humidi ad circumferentiam #0 et op. Quare minus pressae a magis pressis expellentur. Non ergo consistet humidum. Atqui ponebatur consistens et manens. Necessarium est igitur lineam abed esse circuli circumferentiam cuius centrum %. Similiter autem demonstrabitur, et si quomodocumque aliter superficies humidi plano secta fuerit per centrum terrae, sectionem circuli circumferentiam esse et centrum ipsius esse et terrae centrum (2). La dimostrazione d’Archimede fu generalmente accolta da tutta l’antichità clas- sica, come generalmente ammessa fu con Aristotele l’ esistenza di altri continenti oltre al nostro. Da quella anzi prende le mosse Strabone per combattere Eratostene (1) De Caelo et Mundo, II, lez. 6%. Ib. (2) Aronmmep:s, Opera, ed. Torelli, Oxonii, 1792, in-f°, pag. 384. La traduzione è del Commandino. ; 1 / INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 79 che ingannato forse, come congettura il Giinther (1), da un’erronea livellazione del- l’istmo di Corinto fatta sotto Demetrio Poliorcete, o dalla scoperta di conchiglie marine entro terra, aveva repudiato, almeno di fatto, il principio archimedeo: ’Ev Toîg | mepì TU OXOUMEVWY TavTòg Ùpoù KaBeoTNKOTOG Kai PEVOVTOG TÎ]V ÈTIPOVELOY CPAPIKi]v ; | eîval, Cpaipag TAUTÒ KEVTPov Exouons tf) Ti, taUTtnV Yàp Toiv dézav bmodéyovtar mivTEG oî pa@nudtuyv Tmws dyduevor, éKkeîvog dE [Eratostene] Tv évtòg Bdiartay, xaitep piov oUcayv, ug quo, où vopiler Utò piov éti@dverav TetdX0aL GANN oùÙdE TOîgS cUvErTug TOTOIG (2). 3. I Romani: Cicerone, Seneca, Plinio, Ovidio, Manilio. — Cicerone, versato come era nella filosofia greca, immagina l’universo a foggia d’una gran sfera, e sferica pensa perciò anche la terra, di cui tutte le parti, e con esse l’acqua, tendono al centro del mondo, disponendovisi ugualmente tutto all’intorno: Si mundus globosus est, ob eamque causam omnes eius partes undique aequabiles ipsae per se atque inter se continentur, contingere idem terrae necesse est, ut omnibus eius partibus in medium vergentibus (id autem medium infimum in sphaera est), nihil interrampat quo labe- factari possit tanta contentio gravitatis et ponderum. Eademque ratione mare, cum supra terram | sit, medium tamen terrae locum expetens, congregatur undique aequabiliter neque redundat neque effunditur (3). La terra da noi abitata “ angustata verticibus, lateribus latior, parva quaedam “ insula est circumfusa illo mari quod atlanticum , ecc. (4), e superiore perciò, sia | pure per poco, di livello, al mare medesimo, come pare Cicerone credesse d’ accordo in parte con l’autore della Quaestio; ma un'altra terra (e qui non c’era più accordo) sorgeva agli antipodi “in quo qui insistunt adversa nobis urgent vestigia , (10.). Il mare e la terra sono al medesimo livello per il filosofo Seneca. Asserisce questi infatti: Si quis excelsa perlibret, maria paria sunt. Nam par undique sibi ipsa tellus est. Cava eius et plana eius inferiora sunt. Sed istis a deo in rotundum orbis aequatus est, in parte autem eius et maria paria sunt, quae in unius pilae aequalitatem conveniunt. Sed sicut campos intuentem quae paullatim devexa sunt fallunt, sie cum non intellegimus curvaturas maris videtur planum quidquid apparet, at illud aequale terris est (5). Ne deduce quindi che non sarà difficile che il mare, cresciuto sovratutto per le piogge e per le acque somministrate dall’abisso terrestre, giunga a coprire nel diluvio finale la cima delle più alte montagne: Ideoque ut effluat, non magna mole se tollet, dum satis est illi ut supra paria veniat leviter exurgere nec a litore ubi inferius est sed a medio ubi ille cumulus est defluit (J0.). Attingendo alla filosofia greca, adduce Plinio la ragione della rotondità della terra: a differenza del cielo dove “ cava in se convexitas vergit et cardini suo, hoc “ est terrae, undique incumbit , la terra “ solida atque conferta adsurgit, intume- “ scenti similis extraque protenditur. Mundus in centrum vergit, at terra exit a (1) Studien eur Geschichte der mathematischen und physilkalischen Geographie. Halle, 1879, pag. 132. TE (2) SmrasonIs, Geographica, ediz. Miller, Parigi, Didot, 1853, pag. 45, lib. I, c. 3, n° 11. Cfr. anche | pag. 52. (3) De natura Deorum, II, cap. 45 delle Opera, ed. Miller, parte IV, vol. II, pag. 88. (4) De Republica, VI, cap. 20, Ib., pag. 375. (5) Quaestiones naturales, INI, cap. 28, ediz. Haase, pagg. 234-255. 80 GIUSEPPE BOFFITO 8 “ centro inmensum eius globum in formam orbis adsidua circa eam mundi volubilitate “ cogente , (1). Vero è che altri preferivano darle la forma di pigna per potersi meglio persuadere l’esistenza di uomini nelle terre degli antipodi, intorno a che regnava gran contesa fra i dotti e il volgo (J0., II, c. 65, p. 100), come altresì intorno alla forma della superficie marina: “ Volgo maxima haec pugna est si coactam in ver- “ticem aquarum quoque figuram credere cogatur , (/6.). Ma, quest’ ultima special- mente, non aveva ragion d’essere, perchè era troppo evidente che doveva esser sferica: “ Atqui non aliud in rerum natura adspectu manifestius. Namque et dependentes “ ubique guttae parvis globantur orbibus, et pulveri inlatae frondiumque lanugini “ impositae absoluta rotunditate cernuntur et in poculis repletis media maxime “ tument , (1b.). Lo stesso doveva avvenire in proporzioni maggiori nel mare, come del resto l’esperienza confermava: “ Eadem est causa propter quam e navibus terra “ non cernatur e navium malis conspicua, ac procul recedente navigio, si quid quod “ fulgeat religetur in mali cacumine, paulatim descendere videatur et postremo occul- “ tetur , (/0.). Rimaneva 1° Oceano inesplorato e libero da ogni vincolo di sponde. Che pensare di esso se non che avesse ugual forma sferica? “ Denique Oceanus quem “ fatemur ultimum quanam alia figura cohaereret atque non decideret nullo ultra. “ margine includente? , Solo così avveniva che non cadesse, come gli scienziati greci avevan dimostrato. L’ acqua infatti, come già Aristotele aveva notato, tendeva di natura sua al luogo più basso, ossia più vicino al centro della terra; or accadeva appunto che dal giro più ampio della convessità marina, le linee condotte al centro o ai luoghi bassi più prossimi al centro, fossero più brevi che non quelle tracciate verso di essa dalle acque più vicine al lido: Contra quod ut sint plana maria et qua videntur fisura non posse id accidere magno suo gaudio magnaque gloria inventores graeci subtilitate geometrica docent. Namque cum e sublimi in inferiora aquae ferantur, et sit haec natura earum confessa nec quisquam dubitet in litore ullo accessisse eas quo longissime devexitas passa sit, procul dubio apparere, quo quid humilius sit, propius a centro esse terrae, omnesque lineas quae emittantur ex eo ad proximas aquas, breviores fieri quam quae ad extremum mare a primis aquis. Ergo totas omnique ex parte aquas vergere in centrum ideoque non decidere quoniam in interiora nitantur (4d.). Plinio tuttavia non sembrerebbe alieno dall’ammettere che l’acqua del mare fosse. nella sua superficie, più alta delle più alte cime delle montagne, giacchè le fonti che qui scaturiscono, sono alimentate, secondo lui, direttamente dall’ acqua del mare. Seguita egli infatti a dire: Quod ita formasse artifex natura credi debet ut cum terra arida et sicca constare per se ac sine humore non posset nec rursus stare aqua nisi sustinente terra mutuo inplexu iunge- rentur, hac sinuus pandente, illa vero permeante totam, intra extra supra, venis, ut vinculis discurrentibus atque etiam in summis iugis erumpente, quo spiritu acta et terrae pondere expressa siphonum modo emicat, tantumque a periculo decidendi abest ut in summa quaeque et altissima exiliat. Qua ratione manifestum est quare tot fluminum cotidiano accessu maria non crescant (Zb.). Dei poeti latini, Ovidio e Manilio, facendo eco a Plinio, a Seneca, a Cicerone, cantano la sfericità della terra: (1) Natur. Hist., IT, cap. 64, ediz. Jan, I; 100. K 9 INTORNO ALLA QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 81 Terra pilae similis, nullo fulcimine nixa, Aere subiecto tam grave pendet onus. Ipsa volubilitas libratum sustinet orbem: Quique premat partes angulus omnis abest. La ragione era, come già per Aristotele, che la terra occupava con tutte le sue parti ugualmente, il centro del mondo: Cumque sit in media rerum regione locata, Et tangat nullum plus minusve latus, te; Ni convexa foret parti vicinior esset, Nec medium terram mundus haberet onus. (Fasti, VI, 269-76). «I mari la circondavano da ogni parte formando con essa un globo solo (Metam., I, 36). Anche per Manilio la terra è tenuta nel centro del mondo dal rivolgersi indefesso dei | cieli, e l'aspetto che qui ci presenta non è quale s'immagina l’autore della Quaestio, St SS O sed condita in orbem Undique surgentem pariter pariterque cadentem. (Astronom., I, 204-205). 4. Filone, Erone, Seneca (il retore). — Sono questi gli unici scrittori dell’anti- chità che facciano parola d’un’altra configurazione della terra e dell’acqua che s’ac- | costa in qualche modo a quella dell’eccentricità combattuta dall’autore della Quaestio. Filone alessandrino vi accenna per vero assai confusamente, dicendo che l’ acqua salsa del mare sia un elemento a sè, del tutto separato dall’acqua dolce che scatu- riva dalla terra o pioveva dal cielo (1). Il retore Seneca, inducendo Alessandro Magno a deliberare intorno all'impresa oceanica, dopo aver messo in bocca ad Avito, che ne lo voleva dissuadere, le famose parole: “ Post omnia Oceanus, post Oceanum nil ,, fa dire a Fabiano, altro degli interlocutori: Sacrum quiddam terris natura cireumfudit Oceanum. Illi qui iam siderum collegerunt meatus et annua hyemis atque aestatis vices ad certam legem redegerunt, quibus nulla pars ignota . mundi est, de Oceano tamen dubitant utrumne terras velut vinculum circumfluat an in suum colligatur orbem et in hos per quos navigatur sinus quasi spiramenta quaedam magnitudinis suae exaestuet; ignem post se cuius augmentum ipse sit habeat an spiritum (2). | Hrone alessandrino ci tratteggia negli Spiritali un’ immagine del cosmo, che a | prima vista si direbbe suggerita da Talete, ma è più verosimile fosse comune tra | gli Egizi del suo tempo. La terra galleggia nel centro della superficie d’una mezza sfera ripiena d’acqua (Fig. 62): Miverai dÈ kal opaîpa diamavig éYouoa èvtdc Eavtig dépa kai iypòv kai èvtòg aùtfig Èv uEow cparpioy ele Umoderrua Tod koopov. Fiverar yùp dio Muopaipia ddMva: TÒ dé Ev adrmy Emppiocerar Xetiò xoaAxf tpumnua èyoùon èv uéow otpoyfuiov: TobTWw dÈ GParpiov yiverai ENatTOy Kodqpov, kal éupaMetar TÒ Gpuipiov ci ddwp èv TD ÉTéEPw Muiopaipiw. eita mpooTIBETAL TOUTW TÒ diateppaypevov Muopaipov al mogod vpoò ézapedévtog ÈKk TOÒ idaTog Kadézer TÒ Omaipiov È Èv uéow TòoTog. Tpootegévtog oi Toî Étépou Huogaipiou datorereîtar TÒ mporeiuevov (3). k: - (1) De mundi opîficio, delle Opera, 22, Coloniae Allobrogum, 1613, alle parole bibliche : “ Fons autem di Dx ascendebat a terra , ecc.: Oî uev yàp dAXor Puéoopor tò ciutav Udwp èv oTOLXETov eivai paor TÒòY TETTÀAPWY tE dv é Kéouog ébnusoupnon: Mwofg .....oTorgeiov uèv oletar eivar tiv perdinv BdAatTAv oÎpav Terdptnv TÒòv cuuTAvTWwY, fjv of per’ adtòv Wkeavdy mpoocayoevovteg tà Tap iMuîv TAWTÀ TEAdYN Mpévwy éxew peréon vouiZovor® Tò dè Aukxù kal motiuov Sdwp diékpivev dirò TOÙ BaNattiov, ecc.. (2) Suasoriarum liber, ed. Miller, Vindobonae, 1888, pag. 520. | —’‘(8) Hwronrs Arex., Opera (W. Schmidt). Lipsia, 1899, I pag. 222. La figura è pur desunta da questa ediz. Serre II. Tow. LI. 11 (0.0) DI FRANCESCO SEVERI 2 JOE Questo lavoro dividesi in due parti: nella prima si suppone la curva oggettiva dotata delle singolarità che compariscono nelle note formole del VeRroNESE ('), e si fanno ricerche attorno alle varietà costituite da corde della curva che soddisfano a condizioni assegnate (*); nella seconda parte si suppone la curva oggettiva priva di punti multipli e si fanno, in special modo, ricerche intorno agli spazi che hanno con la curva dati contatti. Alcune di queste ricerche sono condotte lasciando indetermi- nata la dimensione dello spazio ambiente, altre fermandosi a curve di uno spazio a quattro, od a cinque dimensioni. Ma si vedrà che il metodo seguito per risolvere problemi relativi a curve di questi spazi, può tenersi per risolvere le questioni ana- loghe negli spazî superiori. I resultati della seconda parte, in quanto sono ottenuti prescindendo dalle singolarità proiettive della curva oggettiva, si possono conside- rare come appartenenti alla geometria sull’ente (*), ed acquistano veramente la forma sotto cui si suole presentare le proprietà invariantive per trasformazioni birazionali, quando si riferiscano alla serie lineare segnata sulla curva dagli iperpiani del suo spazio. Avremo frequentemente occasione di profittare dei principî di corrispondenza sopra una curva, e, come di solito, la maggior difficoltà nella loro applicazione si presenterà nel determinare il grado di molteplicità delle coincidenze. E alcune volte vinceremo questa difficoltà usando di un artificio che qui esponiamo: Suppongasi di avere sopra una curva C immersa in uno spazio S,, una corri- spondenza (a, 0') pienamente definita soltanto dal fatto di dare la curva, e sia O un punto unito di essa. Allorquando un punto P mobile sulla curva, cade in O, fra gli a’ punti P' omologhi di P, ve ne sono un certo numero che pure cadono in O, e questo numero è funzione di alcuni caratteri della curva. Ricordiamo che il numero delle volte che il punto O va contato fra i punti uniti è dato dalla somma degli ordini infinitesimali delle distanze che passano fra un punto P della curva che si approssimi ad O, e i punti P' omologhi di esso punto P, che gli sono infinitamente vicini, avendo assunto la distanza OP come infinitesimo principale (4). Orbene se ci riferiamo ad una curva che siasi ottenuta particolarizzando quei caratteri dai quali non dipende il numero dei punti P' che con P cadono in 0, e per la quale la cor- rispondenza primitiva abbia ancora senso, poichè gli ordini infinitesimali delle di- (!) Cfr. Veronese, Projectivische Verhdltnisse, ete. (£ Math. Annalen ,, Bd. 19). (*) Non presumiamo certamente di avere esaurito questa classe di problemi; molti ancora ne restano da risolvere. (°) Per una trattazione della geometria sopra una curva cfr. Sere, Introduzione alla geometria sopra un ente algebrico semplicemente infinito (£ Ann. di Mat. , (2), 22, 1894). Ivi si troverà anche un'estesa bibliografia inerente all'argomento. (‘) Le distanze di cui si parla nel testo si potranno contare sopra la superficie di Riemann rap- presentatrice dell'ente algebrico. Cfr. Zeurmen, Note sur le principe de correspondance (“ Bulletin de Darboux ,, t. 5, p. 186, 1873). Cfr. pure: Zeurnen, Nouvelle démonstration du principe de correspon- dance de Cayley et Brill, ete. (‘ Math. Annalen ,, Bd. 40, p. 99, 1892). 3 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 83 stanze prima considerate dipendono solo dalle proprietà della curva mell’intorno di O, determinando per quella particolare curva il grado di molteplicità della coinci- denza 0, otterremo un numero che esprime il grado di molteplicità che desideravamo in generale. II. Norazioni. — Raccogliamo qui le notazioni che saranno più spesso usate; altre ne introdurremo nel seguito. Denoteremo con: r la dimensione dello spazio ambiente, n l’ordine della curva oggettiva, n; l’î-esimo rango (i=1,....r 2), m la classe, d il numero dei punti doppi (nodi), p il numero delle cuspidi, p; il numero degli $; stazionarì (f=1,...,r—1), h il numero dei punti doppi apparenti, p il genere della curva. PARTE PRIMA $ 1. — Sopra certe rigute costituite da corde della curva. 1. — Ordine della rigata luogo delle corde ognuna delle quali giace nell’iperpiano osculatore în uno dei due punti d'appoggio. Seghiamo la M; delle corde della curva C con un $S,-» generico, e sia la curva che ivi otteniamo come sezione. Fra i punti di [ consideriamo una corrispondenza così definita: Dato un punto A di l si tirino per quello gli m iperpiani osculatori a C e per ciascuno dei loro punti d’osculazione tiriamo le n —1 corde di C appoggiate a T; i punti d'appoggio su F di queste corde li chiameremo punti A" omologhi di A. Dato un punto A’ di F, siccome questa curva è di ordine %, avremo 2% punti A, omologhi di quello, e questi punti costituiranno la completa intersezione di T con una forma (quadratica) «del suo spazio. Dunque la corrispondenza è dotata di valenza ( Werthigkeit) nulla, e, per il prin- cipio di corrispondenza di Cayley e Brill, sono 2% + m(n —1) le sue coincidenze. E si hanno: a) Nei punti ove l è incontrata dalle x generatrici della rigata di cui si cerca l’ordine. i 5) Nei punti in cui [ e) Nei punti in cui incontrata dalle n, tangenti di C appoggiate ad essa. incontrata dai piani osculatori a © nelle p cuspidi (').. © (4) Questi piani osculatori fan parte della Mz delle corde come sostegni dei fasci di rette aventi per centri le cuspidi; tutte le rette di quei fasci sono corde improprie di C. Cfr. Levi Berpo, Sulla varietà delle corde di una curva algebrica (£ Memorie della R. Acc. di Torino , (2), t. 48, 1898). 84 FRANCESCO SEVERI 4 Attualmente il numero dei punti A' che cadono nel punto A da cui essi pro- vengono, quando A coincide con un punto unito, dipende, com'è facile verificare, soltanto dalla dimensione dello spazio ambiente. Quindi se noi rappresentiamo rispet- tivamente con a, f, y, i gradi di molteplicità della prima, seconda, terza classe di coincidenze della nostra corrispondenza, potremo, per determinare a, 8, y, ricor- rere a curve di S, di ordine e genere prestabiliti. Si ha l'equazione: (1) 2h+m(n—-1)=ax +4 Ba 4 vp. Applichiamo la (1) ad una curva razionale normale di S,, avvertendo che per essa è x=0. Avremo un’equazione con la sola incognita B, e quindi ne trarremo: B=r—1. Applichiamo ora la (1) alla proiezione generica su S, di una curva razionale normale di $S,,,. Per essa proiezione il numero x si determina mediante l’ordinario principio di corrispondenza, applicato ad un fascio di iperpiani. Si troverà che: c=(r+1}-GC+D=rfr+1) E allora dalla (1) segue: a = 1. Applichiamo ancora la (1) ad una curva di $, proiezione della curva razionale normale di S,:, da un punto di una sua tangente, avvertendo che per essa curva (come rilevasi mediante l'applicazione del principio di corrispondenza ad un fascio di iperpiani) è *x=2r — 1. Dalla (1) allora segue Y=r —2. E dunque si ha: a=2h+m(n—-1)—(r-1)am—(r-2)p(). 2. — Ordine della rigata luogo delle corde ognuna delle quali giace in un iper- piano osculatore alla curva, fuori de suoi punti d'appoggio. Seghiamo, come facemmo al n° precedente, la M; delle corde della curva ogget- tiva C con un $,_. generico di S,, e sulla curva T che ivi otteniamo come sezione consideriamo una corrispondenza così definita: Dato un punto A di l' si tiri la corda di C per esso, e per ognuno de’suoi punti d’appoggio si conducano gli m—, iper- piani osculatori a C fuori di essi punti. Questi iperpiani secano [ in 24(m — ») punti che chiamiamo punti A' omologhi di A. Dato un punto A' di F sono m(n—1)(n— ») i punti A da cui esso proviene. La corrispondenza è dotata di valenza nulla, onde sarà: 2h(m_-r) + m(n-1)(n—- 7), il numero delle sue coincidenze. Le quali hanno luogo: a) Nei punti d'appoggio su l delle y generatrici della rigata di cui si cerca l'ordine. 6) Nei punti d'appoggio su delle x generatrici della rigata di cui al numero precedente. c) Nei punti d’intersezione di l coi piani osculatori a C nelle p cuspidi. (1) Per lo spazio ordinario: Cfr. Zrurnen, Sur les singularités, ete., n° 15. 5 SOPRA ALCUNE SINGOLARITÀ DELLE CURVE DI UN IPERSPAZIO 85 Onde: (1) 2h(m_-r)t+mn—-1)n-r)=ay+Bx+ vp, ove con a, 8, y si denotano i gradi di moltiplicità rispettivi della prima, seconda, terza classe di coincidenze. Anche adesso si stabilisce subito come sia legittimo per determinare a, 8, y ricorrere a curve di S, di ordine e genere prestabiliti. Appli- chiamo la (1) alla proiezione generica su S, della curva razionale normale di $,4- Per essa è y=0, onde la (1) dà 8B=r. Per la curva insieme di due curve razionali normali di S, la rigata di cui si vuol l'ordine si spezza in due rigate d’ordine uguale; e siccome una qualunque di queste rigate è costituita dalle rette che riuniscono le coppie di punti omologhi nella corrispondenza involutoria che si ottiene sopra una delle due curve, facendo corri- spondere due suoi punti allorquando sono segnati su essa da un iperpiano osculatore all’altra, troviamo: g=rtr—1)-rf-1)=rf—-1). E la (1) allora porge: a=2. Si applichi infine la (1) alla proiezione su $, della curva razionale normale di S,,, da un punto di una sua tangente, tenendo presente che per essa è y= 0. Se ne trae 1=r—2. E quindi: 2h(m—-r)+mhn—-1)n—-r)=2y+rx+(r—2)p Sostituendo ivi la espressione di x, ottenuta al n° precedente, si ha: y= 3} mln -1)0-2) +2%(m_-2r) +rlr— Dm +G—Db—2o (0). $ 2. — Numero delle corde principali. Numero dei gruppi ciclici per una corrispondenza sopra una curva. Poligoni principali. 8. — Chiamiamo corde principali di una curva di S, le corde (generalmente in numero finito) ognuna delle quali giace negli iperpiani osculatori nei due punti di appoggio (°). Ci proponiamo di determinare il numero di queste corde. Chiamiamo con T la corrispondenza che si ottiene su C accoppiando ad un punto della curva i punti di ulteriore intersezione con l’iperpiano osculatore in quello. La corrispondenza T°, che si ottiene applicando due volte successivamente (!) Per lo spazio ordinario: Cfr. Zeurnen, Sur les singularités, ete., n° 16. (2) La denominazione è del Prof. Bertini, il quale determinò il numero delle corde principali di una quartica gobba di seconda specie. Ofr. Berrmi: Sulla quartica gobba, ecc. (“ Rendiconti del- l’Ist. Lombardo , (2), t. 5, 1872). 86 GIUSEPPE BOFFITO 14 gli pare abbia del prodigioso il continuo riversarsi dell’ acqua nel mare, senza che questo per nulla ridondi (1), ciò non gli vieta di riconoscere altrove il meccanismo dell’evaporazione: | De mari aqua radiis solis hauritur et quod subtile eius est rapitur; deinde quanto altius elevatur tanto magis etiam nubium obumbratione frigescit et imber fit, qui non solum terrenam temperat siccitatem sed etiam terrena arva fecundat (2). In vari luoghi parla S. Agostino, durante il corso dei suoi commenti scritturali, delle relazioni che intercedono fra la terra e l’acqua e dappertutto ‘afferma, come l’autore della Quaestio, che la terra emersa è superiore di livello all’ acqua. Nel De Genesi ad Litteram, alla domanda dove si fossero radunate le acque che prima coprivan tutta la terra, fa la seguente supposizione che arieggia molto l’ipotesi del- l’eccentricità combattuta nella Quaestio: Numquidnam in altum congregatae sunt, sicut fit cum ad ventilandum in area messis trita subrigitur, et congesta in aggerem nudat locum quem diffusa contexerat? Ma ciò non poteva darsi, attesa l'uguaglianza del livello marino: Quis hoc dixerit, cum videat usquequaque campos maris aequabiliter fusos, qui etiam cum aquae fluctuantis quidam velut montes eriguntur, sedatis rursus tempestatibus, complanantur? La ragione era da cercarsi altrove: forse l’acqua era in origine allo stato vapo- D to) roso e occupava perciò maggior luogo; forse la terra stessa sprofondandosi da ogni parte, potè presentare alle acque una o più cavità dove si riducessero, lasciando ja scoperto la nostra terra: An forte rarior aqua terras tegebat, quae congregatione spissata est, ut ex multis eas par- tibus, in quibus arida posset apparere, nudaret? Quamquam et terra longe lateque subsidens, potuit alias partes praebere concavas, quibus confluentes et corruentes aquae reciperentur, et appareret arida ex his partibus unde humor abscederet (lib. I, c. XII, 26; PL. XXXIV, 255-56). Perciò Sant'Agostino propendeva a credere che 1° emisfero opposto fosse tutto coperto d'acqua (3); ed era convinto che la superficie della terra scoperta fosse supe- riore di livello al mare, come non si stanca più volte dal ripetere: Quaestiones in Genesim n° 1321: Haec locutio, si intellisatur in psalmo ubi scriptum est Qui fundavit terram super aquas (Ps. XXIII, 2) non coguntur homines putare sicut navem natare terram super aquam. Secundum hanc enim locutionem recte intellicitur quod altior sit terra quam R retur. Denique docent hoc qui voluerunt haec duo sibi maria connectere atque in se transfundere. Sesostris Aegyptius, qui antiguior fuit et Darius Medus, qui maioris contuitu potentiae in effectum voluit adducere quod ab indigena fuerat ante tentatum. Quae res indicio est quod superius est mare Indicum, in quo mare Rubrum quam aequor Aegyptium quod inferius alluit. It fortasse ne latius se mare effunderet de superioribus ad inferiora praecipitans, ideo molimina sua rex uterque revocavit ,. Hexaem., lib. INI c. 2, 12, t. XIV, 160-61. (1) Hex., III, c. 2, 10, col. 160: “ Hoc itaque maioris miraculi est, quomodo omnes congregationes [aquarum] in unam congregationem defluxerint et una congregatio mon adimpleta sit. Nam et Scriptura hoc inter mirabilia constituit dicendo: Omnes torrentes eunt in mare et mare mon adimpletur (Zecl., I, 7) .....Circumscripta igitur imposito fine maria clauduntur , ecc. (2) Hexaem., lib. II, e. 5, 22, col. 165. Cfr. anche lib. II, c. 3, 14, col. 152. S. Ambrogio fu anche ben lontano dal pur immaginare che la terra muotasse sopra l’acqua. V. In Ps. CI expos., 20, 1b., t. XV, col. 1367. (3) © Etiamsi figura conglobata et rotunda, mundus esse credatur, sive aliqua ratione monstretur, “mon tamen esse consequens ut etiam ex illa parte (contraria terrae) ob aquarum congerie nuda “ sit terra , ecc. De Civitate Dei, XVI, c.9, in Mione, PL., XLI, 487. GI R R R 15 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 87 L aqua; altius quippe ab aquis sustollitur ubi habitent terrena animalia (1); Quaest. in Deutero- nomium, n° 5 (Ib., col. 750): An ideo dietum est sub terra quod terra nisi superior aquis esset habitari utique ab hominibus et animalia terrena habere non posset (efr. Quaestio, n° 4); De Genesi ad Litteram lib. IL c. I, n° 4, col. 264: Ilud namque (Pundavit terram super aquas) in psalmis aut figurate dictum recte accipi potest..... Aut si ad litteram quisquam cogit intel- ligi, non incongruenter vel sublimia terrarum sive continentium sive insularum accipiuntur, quae superiora sunt aquis; vel ipsa tegmina speluncarum quae super aquas pendula. soliditate firmata, sunt. 7. Cosmografi e dottori medievali. — Etico, che sebbene vivesse nel quarto secolo, si può ben collocare per l’indole dell’opera sua in questa categoria di cosmografi, parlando dei poli che egli considera come i veri cardini del mondo, esprime l’opi- nione che sotto quello settentrionale, l’oceano: sia tutto in ribollimento e si levi a maggior altezza che in ogni altro luogo: Cardines mundi hos, ut alii philosophi dicunt, sed firmius affirmat, dicens duas plagas mundi majorem vim habere tam in ventorum flatu quam et in alia divisione agris, sive in diversis elementorum. varietatibus, septentrionem et meridiem. Dicit in uno nimium rigorem et maiorem motionem oceanum: habere et elevationem quam in reliquis plagis orbis (2). Macrobio pone l’alveo maggiore dell'oceano nella zona torrida, donde erede egli che una coppia di due correnti l’una all’altra opposte muova verso il settentrione e verso il mezzodì a circondare i quattro continenti terrestri disposti nelle quattro Zone temperate terrestri, producendo: nell'incontro il flusso e' riflusso del mare: ... ius (oceani) alveus tenet zonam perustam et tam ipse qui aequinoctialem quam sinus ex eo nati qui horizontem circularem ambitu suae flexionis imitantur omnem terram quadri- fidam dividunt et singulas. habitationes... insulas faciunt... Ab occidente pariter duo enascuntur sinus qui ad. ambas... extremitates (sept. e& ast.) refusi occurrunt ab Oriente demigsis, et dum vi summa et impetu immaniore miscentur invicemque se feriunt, ex ipsa aquarum collisione nascitur illa famosa accessio pariter et recessio (3). Quattro continenti circondati dall'oceano nei quattro emisferi terrestri ammette pure L'altro cosmografo del secolo. V,, Marciano Capella (4). L'Anonimo; Ravennate, per cui merito la cosmografia toccò in Italia, durante il corso del secolo settimo, ill colmo della puerilità e dell’insulsaggine, non ha nulla a dirci in proposito. Egli sa (l’ha imparato dalla Sacra Scrittura) che tutti i fiumi corrono al mare e non però -il mare trabocca; ma come possano tornare al loro luogo d’origine per scorrer nuo- vamente al mare, è per lui tal mistero che bisogna lasciarlo solamente a Domeneddio: Omni modo hoc ab omnipotenti potest fieri Domino quod omnia flumina intrant in mare et mare non redundat, in locum unde exeunt flumina revertuntur ut iterum fluant, pro certo verum est sed nullo modo ab humanis videtur obtutibus (5). (1) Quaest. in Heptat., lib. I, Ib., XXXIV, 583. (2) Cfr. D'Avazac, Zthicus et les ouvrages cosmograph. intitulés de ce nom, Parigi, 1852, pag. 240; Estr. dalle “ Mém. de l’Acad. des Inscr. et Belles Lettres ,, t. 2. (3) Za somnium Scipionis, Hib. II, c. 9, ediz. Eyssenhardt, Lipsia, Teubner, pp. 614-615. (4) De nuptiis Philologiae et Mercurii, lib. VI, ed. di Basilea, 1577, col. 129 e 131: “ De quinque “ zonis terrae .....Altera quae e contrario ad meridiem atque austrum fertur quam habitare illi aesti- < mantur qui vocantur avrowor. Similiter ex infernatibus dune, sed hi qui nobis obversi Antipodes € memorantur, qui contra illos quos avrorcovg dicimus, Antichtones appellantur. ... Rotunditatis autem È ipsius (terre) extima, circumfusus ambit Oceanus, sicut navigatus undique comprobatur ,. (5) Cosmographia, ediz. Pinder-Parthey, Berlino, 1860, pag. 16. 88 GIUSEPPE BOFFITO 16 Dall’Anonimo Ravennate a Isidoro di Siviglia, che si può considerare come suo contemporaneo, il passo è grande. Più e meglio di ogni altro scrittore medievale Isidoro tratta il problema del dislivello fra l’acqua e la terra. Alcuni fisici (allude forse a qualche passo mal compreso di Plinio o di Seneca) dicevano che il mare era. più alto della terra (“ physici autem dicunt mare altius esse terris , (1)); ma non così egli la pensa: l'oceano, vario di profondità e uniformemente convesso di superficie, si distendeva intorno intorno alla terra scoperta (“oceanus regione circumductionis “ sphaerae profusus, prope totius orbis alluit fines , cap. 48, col. 1016; “ cuius cum “ sit altitudo diversa, indiscreta tamen dorsi eius aequalitas , c. 41, col. 1012), rima- nende sempre per varie ragioni, e tutte d’ordine naturale, al medesimo livello al ricever di tanto tributo d’acqua dai fiumi. La prima di esse (“ eo quod naturaliter salsa, “ aqua fluentum dulce in se receptum consumat, eo quod fit ut illud salsum maris ele- “ mentum quantascumque recipit copias aquarum nihilominus exhauriat , /0.) è da lui attribuita a Clemente Romano, di cui pur cita nel capo precedente il passo sull'oceano già da noi allegato, ma è tolta invece dalle romanzesche Itecognitiones Olementinae che non risalgono oltre la metà del secondo secolo (2); ma i venti e il calor del sole, o-in una parola sola, l’evaporazione, pur vi concorre (“adde etiam quod venti rapiunt et “vapor calorque solis absumit , Iò.) come già S. Ambrogio, a cui egli si richiama subito dopo, aveva affermato. À ciò s'aggiunge ancora conforme diceva l’Ecclesiaste. (I, 7) che: “ Ad locum unde exeunt flumina revertuntur; ex quo intelligitur:mare ideo “ non crescere quod etiam per quosdam occultos profundi meatus aquae revolutae ad “ fontes suos refluant et solito cursu per suos amnes recurrant , (/d.). Queste medesime ragioni compendia Rabano Mauro nel De Universo, in cui troppo di sovente s'è fatto eco. fedele di Isidoro (lib. XI, cap. 2; PL. CXI, col. 311). Con miglior accorgimento Beda asserisce, servendosi quasi esclusivamente di parole di Plinio, che: Aqua Creator orbem medio ambitu praecinxit, quae ex omni parte in centrum terrae ver- geret et in interiora nitens decidere non posset, ut, cum terra arida et sicca constare per se ac sine humore nequiret, nec rursus stare aqua nisi sustinente terra mutuo amplexu iungerentur, hac sinus pandente, illa vero permeante totam intra extra supra infra, venis ut vinculis discur- rentibus atque etiam in summis iugis erumpente (3). (1) De natura rerum, cap. 41, in Mione, PL., LXXXIII, col. 1012. (2) Kraus, Op. cit., ed. cit., I, 148. Sono posteriori al 160. Il passo addotto da S. Isidoro si legge nel lib. VIII, c. 24; Mrcwr, PG., n. vers. lat., t. I, col. 791. (3) De natura rerum, cap. XLIV; Mione, PL., X0, 262-63. À der enne de ca NA “hi È Ù 17 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 89 CAPO IL Scrittori Arabi ed Ebrei. I Padri e Dottori della Chiesa conservarono, più e meglio di quello che comu- nemente si creda, le reliquie dell'antica filosofia; ma agli Arabi spetta la gloria d’averla quasi interamente instaurata. Nel secolo nono e decimo, all’uscire da un periodo che corrisponde in parte al periodo mitico primitivo di altre nazioni, mentre nel mondo latino si continua a ripetere balbettando e fraintendendo, alcuni detti degli antichi, troviamo già adulta la scienza cosmografica araba. Con la quale talmente si intreccia la ebraica, che riescirebbe difficile trattarne separatamente. 8. Alfragano e Albategno. — Mohammed ibn-Ketyr al-Fergàni, detto volgarmente Alfragano (+ 883 od 834) (1) consacra un capo del suo “ Libro dei movimenti celesti e compendio della scienza delle stelle ,, che nella traduzione latina porta il titolo di Chronologica et astronomica elementa (ediz. del Christman, Francoforte, 1590, in-8°) o di Elementa astronomica (ed. del Golio, Amsterdam, 1669, in-4°) a dimostrare che l’acqua costituisce con la terra un sol globo. Senza ricorrere ad argomenti reconditi, gli basta allo scopo l’osservazione dei vari aspetti del cielo: Ratio haec est ut videamus solem ac lunam reliquasque stellas non oriri aut occidere simul eodemve tempore: in locis enim orientalibus citius quam in occidentalibus conspiciuntur. Id manifeste eclipsis alicuius observatio comprobat... Si autem loca inter septentrionem et meridiem dissita consideremus, versus polum arcticum stellae quaedam nobis apparent et versus antar- cticum nonnullae perpetuo occultantur, quin etiam polus arcticus modo elevatur modo depri- mitur prout ad eum accedimus vel ab eo recedimus. Horum omnium accidentium causa nulla alia praeter rotundum aquae et terrae tumorem excogitari potest (cap. 3°, ed. di Frane., pag. 18). Alfragano però non si trattiene a parlare di proposito intorno alla terra sco- perta, come fa, a breve distanza da lui, Albategno ossia Mohammed ibn-Djaber al-Battaàni (nato sul finire del sec. IX a Battan nella Mesopotamia) il cui Opus astro- momicum (2) splende in pieno medio evo di purissima luce. Dopo aver divisa la terra abitata in tre parti e aver soggiunto che forman esse appena la dodicesima parte della terra intiera, si domanda egli che sia delle rimanenti undici parti. Risponde (a differenza della Q. n° 2) che ragion voleva che tutte le parti fossero nelle mede- sime condizioni sia fisiche che biologiche, non variando da luogo a luogo le condi- zioni astronomiche: In tres partes Terra dividitur, quarum prima a mare Viridi [ AWantico] a septentrionibus et a sinu qui e Ponto exiens in mare Magnum [Medtterr.] profluit, nec non a terra quae est inter Maeotidem et Pontum [incipit]... Secunda pars ab austro maris Aegypti usque ad Aethiopum (1) 1 RemauD, Géogr. d'Aboulféda, t. I, Introduction, Paris, 1848, pag. LI, lo fa morire, d'accordo con altri scrittori, nell’anno 208 dell’egira (830 di Cr.); ma il Giinruer (Studien 2ur Gesch. d. mathem. und physik. Geogr. Halle, 1879, pag. 55) corregge l'errore. (2) Il prof. Nartino ne ha pubblicato in questi ultimi anni il testo arabo (Ar-BarranI sive Arrareni, Opus astronomicum ad fidem codicis’ Escurialensis arabice editum, pars II, Mediolani Insubrum, apud U. Hoeplium [Roma, De Luigi], 1899, in-4°. — Fa parte delle Pubblicazioni del R. Osservatorio di Brera) e ne vien pubblicando con un erudito commento la versione latina, di cui, per cortesia del ch. prof. Celestino Schiaparelli, ho potuto vedere i primi fogli di stampa. Serre II. Tom. LI. 12 90 GIUSEPPE BOFFITO 15 mare patet... Tertia pars reliquam terram habitatam complectitur, cuius termini Tanais amnis, sinus al-‘Arish et Aylah ab occasu, mare al-Yemen et Indorum a meridie, extrema terra orien- talis Sinarum, Sinaeque ipsi ab oriente Asia Maior vocatur. Hae tres partes omnia climata, regiones et loca culta amplectuntur. Quod omnino ignoratur utrum cultum an desertum sit 44/,, Terrae efficit; duodecima pars in qua sunt regiones cultae notae, a linea aequinoctiali incipit, et maria atque deserta etiam continet. Si quis quaerat an in illis undecim partibus plantae animantes et loca culta habeantur, sciat nos de his rebus tantum ex coniectura disserere posse, quae in analogia nitatur; terra enim a nobis habitata fines et terminos descriptos non superat et quid ultra eos sit nemo nobis retulit. Ratio tamen et opinio, analogia nitentes, ad id per- veniunt quod intellisentium nemo infitiari potest: cum Sol Luna et Sidera respectu nostrum moveantur et eorum variis motibus aestas, hiems, plantae animalia et loca culta omnibus nota gignantur, si Sol et stellae, ut respectu nostrum, super omnes etiam partes reliquas sphaerae terrestris oriuntur, possibile immo necesse est, plantas animalia maria et montes eo esse ut apud nos. 9. Abul-Kasem, Masciallah, Bar-Cepha e la seita dei Buoni Fratelli. — Altri tre scrittori, un arabo-giudeo, un arabo-maomettano e un giudeo-cristiano verso quel medesimo tempo affrontano meno scientificamente il problema dell’emersione dei con- tinenti, ma Jo risolvono in maniera per noi assai più interessante perchè sembra pre- ludere alla lontana alla soluzione data nella Quaestio (n° 6). Verso la metà del secolo ottavo il celebre astrologo giudeo-arabo Masciallah com- poneva una Epistola de rebus eclipsium ecc. tradotta da Giovanni di Siviglia (Ioh. Hispa- lensis) in latino l’a. 1140 e in ebraico dal famoso Abraham ’ibn-Esra, e in processo di tempo più volte stampata (1493, 1533, 1549, ecc.) ordinariamente col titolo De ratione circuli (1), nella quale paragonava l’influenza esercitata dai pianeti sulla terra a quella che il magnete esercita sul ferro. Così infatti egli dice nel capo I: ..Dominus altissimus fecit terram ad similitudinem sphaerae et fecit circulum altiorem in circuitu eiusdem volubilem et posuit terram fixam et immobilem in medio circuli, non decli- nantem ad dextram neque ad sinistram et posuit quatuor elementa mobilia et fecit ea movere per motum septem planetarum. Caput vero draconis et signa et universae stellae participantur septem planetis in operibus suis atque naturis. Simile est ergo opus planetarum in hoc mundo lapidi magnetis et ferro, quia sicut subtrahitur ab hoc lapide ferrum per notam longitudinem, ita omnis creatura et universa quae sunt super terram efficiuntur a motu planetarum, et uni- versorum quae sunt super terram tam sementum quam animalium, fortuna seu impedimentum, aptatio quoque vel destructio fit ex motibus planetarum et operibus eorum. Cuius rei maxima significatio est diversitas hominum in esse suo et in fortunis atque infortuniis. ece. Del medesimo paragone si valse, modificandone peraltro in parte l'applicazione, un altro arabo, cioè Abu 1 Kasim Obaidallah ibn-Abdallah ibn-Khordaàdhbeh, che nato sul principio del terzo secolo dell’egira e convertitosi al Maomettismo dalla religione di Zoroastro, ebbe a passare lunghi anni nell’ufficio centrale delle poste a Samarra o a Bagdad, e potè così raccogliere fra il 230 e il 234 come congettura il Goeje i materiali del suo lavoro che s'intitola appunto Libro delle poste e delle province (1) Sremscanemer, Intorno ad alcuni passi di opere del medio evo relativi alla calamita, nel “ Bull. di bibl. e di st. delle sc. mat. e fis. ,, IV, 276. Il passo, secondo la traduzione critica ch'egli ne fornisce suona così: “ Le operazioni (cioè l'influsso) delle stelle nel mondo somigliano alla pietra “che si chiama Magnet, la quale attrae il ferro (quando è) vicino ad esso ,. Io mi valgo dell'edizione di Basilea del 1533, in-8°, dove l’opera di Messahallah si trova pubblicata (I, pag. 115) in com- pagnia di molte altre opere astrologiche col titolo: “ Iunmr Frrwicr ManeRNI, Astronomicon, libri VIIL “ His accesserunt: Cr. Proemari dmoTEXeGUdTwY quod Quadripartitum vocant , ecc. ecc. 19 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 91 (Kitàb-al-masalik wa'l-mamalik). Libro non astronomico; nel quale peraltro, essendo usi gli Arabi a prender le mosse in ogni loro scritto dall’alto, troviamo nelle prime pagine alcune nozioni generali di cosmografia. Abou’l Kasim dit: La terre est ronde comme une sphère et placée au milieu de l'espace celeste, comme le jaune dans l’intérieur de l’ceuf. L’air l’enveloppe et l’attire sur tous les points de la surface vers l’espace celeste. Tous les corps sont stables sur la surface du globe, parce que l’aîr attire les principes légers dont ces corps se composent, tandis que la terre attire vers son centre leurs parties pesantes, de la méème manière que l’aimant agit sur le fer... Le quart septentrional est celui que nous habitons tandis que le quart méridional est désert, à cause de l’excessive chaleur qui y règne. L’autre moitié de la terre placée au-dessous de nous ne ren- ferme pas d’habitants... L’étendue de la terre dans le sens de sa largeur (latitude) est égale è son étendue dans le sens de sa longitude, mais elle n’est pas habitée que jusqu’au 24° degré à partir de l’équateur, le reste étant couvert par la grande mer (1). Hcco ricomparire fra gli Arabi, in una con l’antichissima immagine dell’uovo cosmico, la configurazione, pure antica, dei continenti emersi; ma accanto a questa, ecco una spiegazione, in apparenza nuova, del fatto. Non si tratta già dell’odierno magnetismo terrestre, ma d’una speciale attrazione reciproca fra l’aria e la terra che dà per risultato ultimo lo scoprimento di questa, attirando l’aria a sè le cose leg- giere e la terra i corpi pesanti; è insomma l’evaporazione aristotelica che combinata colla “ levitas , e “gravitas , degli elementi, ci ricompare davanti. Contemporaneo forse di Abou ’1 Kacem fu Mosè Bar-Cepha che, trattando del Paradiso terrestre, | trova modo di accennare alle dottrine cosmologiche dei filosofi e dei Dottori, inter- pretandole bizzarramente: Philosophorum prophanorum imo nonnullorum etiam ecclesiasticorum doctorum sententia est elementa ipsa alterum in altero esse atque alterum ‘ab altero circumdari, terra enim ab ipsa aqua, aquam ab aere, aerem ab igne contineri... et proinde existimant mare Oceanum totam ambire terram non secus atque coma caput aut cingulum lumbos, ita ut ab extima Oceani parte nulla prorsus terra sit sed aer ei orae ex omni regione circumfusus (2). Concetti parimenti meno scientifici, ma assai più filosofici, furono comuni nel secolo X tra la setta arabica dei Buoni Fratelli, diffusamente illustrata dal Dieterici, nelle dottrine dei quali torna a rivivere l’ opinione platonica del mondo animato e, intesa nel suo vero senso, quella delle sfere concentriche (Terra, Acqua, Aria, Fuoco, Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Cielo Stellato, che è lo sgabello di Dio, e il Cielo, che è trono di Dio) di cui la Terra, che forma icon l’Acqua una ‘sola sfera, occupa il centro, circondata dall’Aria come dall’albume il rosso dell'uovo (3). Era provvidenza divina che la terra fosse in parte scoperta dall’ acqua, perchè cioè potesse accogliere nel ‘suo seno le piante e gli animali: (1) Ho trascritto questo ‘passo secondo la traduzione, quasi in tutto concorde, di tre orientalisti, . che ebbero a occuparsi nella seconda metà del secolo scorso del nostro autore, che sono: il Barsier DE Meynarp, Le livre des routes et des provinces par Tbn Khordadbeh, Paris, 1865, in-8°, pp. 127-130; | Îl Dr Goxya, Biblioth. Geograph. Araborum, pars VI, Lusduni Batavorum, 1889, in-4°, pagg. 2-3; e lo Sremscanemer, Op. cit, loc. cit. La parola nesîm, come notano questi autori, si tradurrebbe meglio I | con quella di atmosfera terrestre che con quella di aria. i (2) De Paradiso Commentarius seriptus ante annos prope septingentos, ecc.; trad. di A. Masio, Anversa, Plautiniana, 1569, in-8°, cap. 12, pag. 35. (3) Fr. Drererici, Die Noturanschauung und Naturphilosophie der Araber im X Jahrhundert, 22 ed., Lipsia, 1876, in-8°. Cfr. la parte 5% dell’opera che porta il titolo: Die Naturwissenschaft der Araber, pagg. 24-27. 92 GIUSEPPE BOFFITO 20 Als die Kreise sich ordneten, stand ein jedes dieser Elemente an seiner ihm speciell bes- timmten Stelle, eines das andre rund umschliessend, das Wasser ausgenommen, denn die séttliche und herrliche Weisheit hindert dasselbe, die Erde in (allen) diesen Richtungen zu umschliessen; denn umgiibe die Wasserkugel die Erdkugel von allen Seiten, so wiirde dies das Entstehen der Thiere und Pflanzen auf der Oberfliche der Erde hindern (1). 10. Massoudy. — Opinioni mitiche e tradizionali si trovan mescolate con poco o niun discernimento ad opinioni filosofiche nello zibaldone dal titolo Moroudj-Aldzeheb (Praterie d’oro) compilato tra il 943 e il 947 da Aboul-Hassan-Aly ibn-Hossein al-Mas- soudy, che antonomasticamente meritò d’esser chiamato il Plinio dell'Oriente, ma, a giudizio del Vivien, meglio se ne direbbe il Polibio (2). Le opinioni dei filosofi egli professa in massima di seguire, attenendosi alla tradizione solo quando sia accreditata da nomi autorevoli. Ma non di rado la sua scienza della natura si riduce a un nudo elenco di opinioni, tra le quali esitava forse dubbioso il poco esperto compilatore. Intorno alla terra e all'acqua ecco, secondo Massoudy, che ‘pensavano i filosofi. La terre est ronde, son centre passe par l’axe de la sphère, l’air l’entoure de tous les còtés, et comparée è la sphère du zodiaque, elle est petite comme un point mathématique. La portion habitée s’étend depuis un groupe de six îles nommées les îles Eternelles (Fortunées) et situées dans l’Ocgan Occidental, jusqu'àè l’extrémité de la Chine. Cette étendue correspondant à douze heures (de la révolution journalière du soleil) ils ont reconnu que le soleil se lève pour les iles Eternelles ...quand il se couche è l’extrémité de la Chine, et qu'il se lève pour cette partie reculée de la terre quand il se couche pour ces îles. Cette portion est la moitié de la circon- férence terrestre... Ce point intermédiaire entre les iîles Kternelles et l’extrémité de la Chine, c'est ce que l’on nomme la coupole de la terre... (3). ...La configuration des mers a soulevé aussi des discussions. La plupart des anciens philosophes de l’Inde et des sages de la Grèce, à l’exception de ceux qui adoptent la révélation, soutiennent que la mer suit le mouvement sphé- rique de la terre et ils le prouvent par de nombreux arsuments. Ainsi quand on gagne le large, la terre d’abord puis les montagnes s’effacent sraduellement (4). Ma a questo punto dove noi ci aspetteremmo la discussione della quistione, l’au- tore passa ad altro argomento. Forse anch'egli, come Aristotele e altri, non vide il bisogno d’intrattenervisi maggiormente perchè l’emersione dei continenti era conse- (1) Diererici, Op. cit., pag. 60. (2) Rrim4un, Op. cit., I, pag. riv; Vivien, Hist. de la Géogr., Paris, 1876, pag. 258. (3) A torto si darebbe a questo nome, che è la reliquia d’un’antica concezione mitica, e nulla più, un significato proprio. Così, il Marinelli, compendiando il Giinther che si riferisce a sua volta al Peschel-Ruge, mostra di credere che il Masudi risusciti una vecchia veduta (Ippocrate, Eratostene, Polibio, indi forse teosofisti della scuola di Bisanzio e indi opinione di Colombo e altri navigatori) che la terra incognita fosse separata dalle regioni accessibili all'uomo, da un enorme rigonfiamento equatoriale, cioè che la terra ferma in una certa direzione presentasse un rigonfiamento a guisa di cupola, di campana o di timpano (Iruiorno agli studi della Storia della Geografia mat. e fis. del dr. Gùnther, nel È Boll. della Soc. Geogr. It. ,, serie 2, vol. V, 1880, pag. 472). L'espressione usata dal Masudi non licenzia a tanto; ma è solo, a quanto io credo, un richiamo puramente nominale e fortuito all’antichissima concezione cosmografica indo-persiana della terra scoperta. Anche il Marinelli, o meglio il Giinther, sembra essersene accorto, soggiungendo subito dopo (pag. 473; del Giysner, Op. cit., pag. 144) che forse tali concetti si possono riannodare tutti ad una prima idea di un paradiso terrestre, che in origine si voleva collocato nell’ estremo oriente, poi si era venuto man mano cangiando di posto, lo si avea quindi portato sulla sommità del monte Aryn-(nel che forse si può ravvisare un'eco del Meru delle leggende indiane) e finalmente lo si era trasformato nella montagna cosmica dell’Indicopleuste, che sorgeva nel mezzo dell'Asia centrale. (4) Les prairies d'or, traduz. di Barbier du Meynard e Pavet de Courteille, t. I, Parigi, 1861, pagg. 179-180, 193, cap. VII. 21 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 93 guenza immediata dell’evaporazione. Soggiunge egli infatti a proposito della salsedine «marina: Il ne faut pas s’étonner, si l’ean de la mer conserve toujours le méme poids et la méme mesure, puisque les parties subtiles que la chaleu» lui enlève se changent en rosée et en eau d’où naissent les torrents qui cherchent les rigoles, les étangs et coulent dans les parties humides de la terre jusqu'è ce qu’ils arrivent enfin au vaste gouffre de l’Océan. C'est ainsi qu'il ne se perd absolument rien de cette eau et que les sources sont comme les machines qui, puisant l’eau d’un fleuve, la versent dans une rigole d’où elle s’écoule de nouveau dans ce fleuve. On a comparé ce phénomène à ce qui se passe dans le corps d’un étre animé au moment de la nutrition; sous l’influence de la chaleur elle attire vers les membres les parties douces des aliments consommés et laisse les parties lourdes imprégnées de sel et d’amertume, telles que l’urine et la sueur (1). 11. Avicenna. — Abou ibn-Sinà, detto volgarmente Avicenna ({ 1037), che fu uno dei primi, se non il primo, a far conoscere agli Arabi la filosofia aristotelica, è anche, a mia notizia, il primo a rimettere in campo nel De Coelo ek Mundo (c. 10) a proposito della sfericità della terra ia prova, che diremo meccanica, già addotta da Aristotele. Al pari dell’acqua, la terra avrebbe dovuto ridursi attorno al centro del mondo in figura di una sfera, se la durezza e il ripieno non ne l'avessero impedita; come accadeva per l'appunto nei monti. I quali peraltro, essendo un nulla a confronto del diametro della terra, non ne impedivano la rotondità, come avrebbe fatto invece una gibbosità del genere di quella che l’autore della Quaestio attribuisce alla terra (n° 1). Una siffatta gibbosità sarebbe discesa senz'altro, secondo Avicenna, verso il centro della terra lasciando dietro a sè la terra piana, perchè nel contrasto fra la durezza della parte emergente e la gravità di essa parte (la qual gravità, al contrario di quel che tiene l’autore della Quaestio nel $ 18, non è uniformemente distribuita ma è mag- giore nei corpi più duri e più lontani dal centro) avrebbe finito di vincere la seconda. Il passo è per noi troppo importante; ed eccolo perciò per disteso quale si legge nell’edizione assai scorretta, delle Opere di Avicenna, fatta dallo Scoto in Venezia l’a. 1508 (c. 40 è, col. 1°), che è l’unica edizione a me nota. Quod fisura terre sperica est. — Dico quod terra motum habet equalem, et aqua etiam movetur de loco in quo est ad alium locum propinquiorum centro, si non fuerit occupatus ab alio sibi similis et si non prohibuerit durities et continuatio. Durities etenim et continuatio iam prohibent aliquam partem terre descendere ad locum propinquiorem centro quam sit ille in quo est, quamvis ille non sit occupatus ab alio sibi simili, sicut montes. Cum autem non fuerit durities et continuatio, tune eius dispositio erit sicut dispositio aque. Durities vero et conti- mnuatio non possunt totalitatem terre prohibere quin sit fisure sperice, sed id terre quod est ultra rotunditatem eius ponderositas eius equipollet duritiei et continuationi eius. Cum autem ‘eminentia partis quae excedit terrae rotunditatem parva fuerit comparatione dyametri terrae, durities vero eius et continuatio fortes fuerint, contigit idcirco ut remaneat extra rotunditatem. | eius. Si autem putaremus eminentiam partis quae excedit rotunditatem terrae magnam compa- | ratione dyametri terrae et eius durities et continuatio, quantumeumque fortiores essent, non ‘possent retinere partem illam quin moveretur propter ponderositatem suam a loco qui est ei | possibilis et propior est centro. Omne enim quod excedit quantitatem terrae plus habet gravi- tatis quam quod est propingquius centro. Cum enim currentes partes quae excedunt terrae rotun- ditatem fuerint parvae comparatione totius terrae, durities tamen et continuatio fortes sunt et inobedientes quod non contigit ut remaneant extra rotunditatem eius. Ommne autem terrae id quod (1) Magoùni, Op. cit., vol. I, pag. 279. 94 GIUSEPPE BOFFITO 29 est durius est ponderosius. Non autem inveniemus vim duritiei partis terrae multipliciter for- tiorem esse ponderositate. Vis autem duritiei et continuationis etsi sit fortior ponderositate non est tamen ita fortior quando aliqua comparatio sit inter illa cognita sed est inter illa in excessu virtutis comparatio cognita. Cum ergo supposite fuerint super unam partem tot partes quarum quantitas virtute ponderositatis vincat virtutem duritiei ipsius partis in fine, oportebat tune ut virtus ponderositatis vincat virtutem duritiei et continuationis illius donec subsedeat. Et quando quidem hoc sic est oportet ut illa pars quae excedit rotunditatem terrae tota cadat et fiat in locis proximioribus sibi quae sunt propinguiora centro. Et quando quidem sie est tune oportet; ut tota terra sit sperica quamvis non sit ita ut spera que ex cera cerea nec taliter ut super- ficies aquae ideo quod probibuit durities et continuatio aliquarum partium eius. Iam ergo mani- festum est quod figura totius terrae sperica est naturaliter. 12. Edrisi ed Averroè. — Al secolo duodecimo appartengono due scrittori arabi, un geografo e un filosofo, ciascuno nel suo genere quasi ugualmente famosi. La Geo- grafia che va sotto il nome di Edrisi ossia, con nome intiero, Abu Abdallah Muhammed ibn-Abdallah ibn-Idris, più nota agli Arabi sotto il titolo di “ Libro del re Ruggero , o di “ Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo , (nuzhat ‘al mustàq fi ihtiràg ‘al ’afaàg), risale per l'appunto agli ultimi anni della vita di questo re ({ 1154), quando assicuratasi ormai col trattato di San Germano (25 luglio 1139) la signoria sulle pro- vincie meridionali e sulla Sicilia, dandosi alle opere della pace, provvide fra l’altro, dopo lunghi studi e ricerche e viaggi, che fosse gittato un grande e massiccio disco di puro argento e che sopra di quello venissero esattamente incise le figure dei sette climi con i loro paesi e regioni, con i mari, i golfi, le vie di comunicazione (1), ecc. Tl libro compilato da Edrisi doveva servire di commento a siffatta rappresentazione: grafica della terra. La prima cosa di cui prende a trattare, com’egli medesimo ha cura di avvisarci, è “ la figura della Terra chiamata garàfiyà, il qual nome le fu dato da Tolomeo , (pag. 8 della trad. dello Schiaparelli): La terra è rotonda come una sfera (pag. 9)....., di forma sferica, ma non perfetta, avendo essa delle parti basse ed alte sulle quali scorrono le acque dalle parti più elevate alle più basse (pag. 10). L'acqua vi aderisce e vi si posa per inerzia naturale senza staccarsene. La terra, e l’acqua son fisse nello spazio celeste in posizione centrale come il tuorlo in mezzo all’ uovo e l’atmosfera le circonda da ogni parte e le tira verso il cielo o le respinge. Dio sa il vero a questo riguardo. La terra sta immobile nello spazio del cielo in virtù della grande velocità colla quale questo si muove. Tutte le cose create [giacciono] sulla sua superficie: l’ atmosfera trae a sè quanto vi ha di leggiero nei loro corpi, e la terra trae a sè quanto v'ha di pesante, a quel modo che la calamita trae il ferro (pag. 9). È, come si vede, la medesima spiegazione della gravità data da Abul-Kasem. Ma ecco (pag. 9) da ultimo un paragone che, preso alla lettera, ricorderebbe l’imma- ginazione alessandrina della terra galleggiante sull’acqua, descritta da Erone, accen- nata da Filone e da Seneca e accolta anche da ‘qualche Padre: L’Oceano ‘circonda metà della terra senza interruzione, come una zona, sì che essa non ne emerge che metà; ed a quel modo che si presenta un uovo immerso in una tazza d’acqua, così la terra è sommersa per metà nel mare (pag. 10 della trad. di Schiaparelli). (1) M. Axanr è C. Scuraparecti, L'Italia descritta nel “ Libro del Re Ruggero , compilato da Edrisi,. Testo arabo con vers. e note, in “ Atti della R. Accad. dei Lincei ,, serie 2%, vol. VIII, 1876-77, Roma, 1883, pag. im ‘è sesso. Le edizioni e traduzioni fatte anteriormente di tutta l’opera, în latino, col titolo di Geographia Nubiensis (Parigi, 1619) e in francese da Amedeo Jaubert nei tomi V e VI, dl 1836-40, del Recueil de voyages ct de mémoires, della Società Geografica di Parigi, a quanto mi assicura il dotto prof. Celestino Schiaparelli (a cui, come ho già detto in principio, son debitore ‘di molte indicazioni bibliografiche riguardanti l’argomento di questo capit.), non son troppo corrette nè fedeli. . 23 INTORNO, ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 95 Ma Faltro paragone, usato prima, del globo terracqueo col tuorlo dell’uovo ci vieta di dare tale interpretazione;.tanto più che soggiunge subito dopo: “Il mare “è circondato dall’ atmosfera la quale respinge l’una e l’altra tira a sè, siccome “ abbiamo detto poc'anzi , (pag. 10), e parlando dell’oixovuévn, così s’esprime: La parte abitata della Terra di quà e di là dall’ equatore si estende per [soli] 64 gradi; il rimanente è deserto e spopolato per l’intensità del freddo e del gelo. Gli uomini vivono tutti nella quarta parte settentrionale del globo perchè la quarta parte meridionale, che è quella che trovasi al di là dell’equatore, non è popolata nè coltivata per l’intensità del caldo che vi [domina] e [perchè] il sole quando si trova nella parte più bassa dell’ orbita sua, passando allo zenit, rasciuga le acque di quelle regioni, [che rimangono] deserte di animali e di piante per man- canza di umidità (pag. 9). Di poco posteriore a Edrisi è Aboul-Walid Mohammed ibn-Ahmed ibn-Mohammed ibn-Roschd (1126-1198) detto più brevemente Ibn-Roschd e dai latini con strana stor- piatura Averroè. Nel “ grande , e nel minor commento egli si tiene stretto solita- mente ad Aristotele, ma non sì che talora non vi aggiunga di suo. L’originalità dell'ingegno, lo stato progredito di coltura degli Arabi, depositari oramai di tutto il sapere degli antichi, il testo aristotelico che aveva davanti, turpemente a volta a volta sfigurato nella traduzione araba d’una traduzione siriaca dell’originale greco (1), tutto contribuiva ad impedirgli di ritrarre fedelmente le fattezze del sommo dei filo- sofi. Anche per lui, come per Aristotele e per Tolomeo (di cui compendiò 1’ Alma- gesto) la terra è sferica (2) come sferica è l’acqua, il cui luogo naturale è la super- ficie della terra (3); ma la parte abitabile settentrionale (curiosa coincidenza a rovescio col libro quarto di Esdra!) (4) si riduce appena a poco più del settimo: Mensura quae accepta est per sensum et rationem mathematicam ex parte habitabili in hac parte septentrionali est minus sexta parte terrae et est quasi septima (Meteor., lib. 2, e. 2, c. 1997 d. t. e d. ed. cit. e 1407). Con Aristotele e contro Tolomeo ed Avicenna sostiene pure l’inabitabilità della zona equinoziale, adducendone per ragione, oltre l'analogia fondata sull’ esistenza d'una zona inabitabile per il freddo, il cammino annuo del sole: Aristoteles et secta Peripateticorum putant quod locus in quo est possibilis habitatio in terra ex parte solis est illud quod est circa duas partes circuitus eius in duobus partibus eius, (1) E. Renan, Averroòs et VAverroîsme. Paris, 1861, pag. 52. (2) De Caelo, lib. II, cap. 3 della Summa 4% e segg., c. 707 segg., della ediz. d’Aristotele, coi comm. d’Averroè per il Giunti di Venezia, 1550, vol. 5°; Quesito 3° della Summa 1°, c. bD4 r, ecc. (3) © Elementa de sui substantia habent ut fisurentur sphaerice cum sunt in locis propriis natu- “ ralibus ,, De Caelo, lib. II, tex. 26, c. 52. “ Terrae superficies est veluti locus naturalis aquae “ in quo ipsa quiescit et non movetur illic nisi violenter ,, Id., tex. 81, c. 137 ». (4) © Et tertio die imperasti aquis congregari in septima parte terrae, sex vero partes siccasti “ et conservasti ut ex his sint coram te ministrantia seminata adeo et culta. Verbum enim tuum < processit et opus statim fiebat ,, cap. VI, vv. 42 e 43, pagg. 23-24 dell’ediz. crit. pubblicata nel 1895 dal Bexsur e dal James col titolo The Fourth Book of Ezra, nei Texts and Studies del RoBinson, vol. III, n° 2. Sull’età e sull’autore di questo apocrifo, molto si disputa. Il libro qual era in origine (capi III-XIV), fu forse scritto da un Giudeo poco dopo la distruzione di Gerusalemme (Cfr. Le Hr, Etudes bibliques, Paris, 1869, I, pag. 173), ma fu ritoccato, forse sul principio del III secolo, da un cristiano, il quale vi aggiunse pure i due primi capitoli, se pure non si devono alla penna d'un altro giudeo. Di tutto il libro fanno invece autore un cristiano il Gfroerer, il Dillmann, il Langen e altri; mentre altri pochi ne fanno risalire la composizione a un tempo anteriore a Cristo. Cfr. R. CorweLy, Hist. et crit. introd. in V. T. Libros Sacros, I, Parisiis, 1885, pagg. 203-204. 96 GIUSEPPE BOFFITO 24 scilicet septentrionali et meridionali, et quod illud quod est sub aequinoctiali et prope ipsum impossibilis est habitatio in eo propter dominium caloris..... In tali loco manifestum est quod impossibile est permanere plantas et animalia, nam conservatio animalis et plantae est per quatuor revolutiones et circuitiones anni quia sunt compositae ex contrariis ex quibus compo- nuntur et talia loca si imaginaverimus in eis esse revolutiones seu circuitiones essent octo (Ib.). Ma posto siffatto principio, ne seguiva logicamente che anche altre parti della terra, sia nel mezzogiorno che agli antipodi, fossero scoperte dall'acqua e abitabili: Sed secundum hoc sequeretur ut sit habitatio in his duobus partibus, in quatuor partibus sub terra et super ipsam. Nam siccitas harum partium, secundum quod primo adspectu videtur, est propter solem; habitudo autem eius est ad has quatuor partes una habitudo. Sed si posue- rimus loc ita, esset magis conveniens ut inveniatur siccitas et dominium elementi terrei in eo quod est sub circuitibus Solis propter fortitudinem caloris ibidem. Poteva mai darsi ciò, quando il diametro dell’acqua doveva esser necessariamente maggiore di quello della terra, attesa la proporzionalità degli elementi? No certa- mente. Ma ecco allora sorgere un’altra difficoltà: perchè la terra era venuta a sco- prirsi dalla nostra parte, nella nostra quarta settentrionale, anzichè altrove? Averroè- si cava d’impiccio ricorrendo alla virtù calorifica delle molte stelle fisse che s'aggi- rano sul nostro capo, combinata all’azione solare : Et cum hoc positum sit ita, sequitur ut sit maior pars terrae discooperta nec esset dia- meter aquae maior diametro terrae, sed erit minor vel aequalis ei. Hoc autem est contra sensum et rationem. Sensum autem quia videtur quod pars aquae, cum sit terra, redit ad minorem quantitatem, et e contrario in dispositione aeris cum aqua. Ratione autem, quia lam declaratum est quod elementa sunt aequalia secundum suas totalitates et ideo habent per- manentiam et perpetuitatem. Aequalitas autem possibile est ut sit inter elementum subtile rarum faciliter passibile et inter grossum difficulter passibile cum sit rarum multae quantitatis et maioris corporis, et ideo oportet de necessitate ut sit iam diameter aquae multo maior dia- metro terrae, cum imaginati fuerimus aquam rotundam solidam. Et cum hoc sit ita, aquae debent notare in maiori parte eius, nam haec est dispositio naturalis eius; et videtur secundum hoc ut non sit habitata ex quatuor quartis terrae nisi haec pars ut sit locus generabilium et corruptibilium, de quorum natura est ut sit super terram iste locus. Et secundum hoc non est causa in esse siccitatis in hac parte Sol tantum sed cum illo cum adiungitur ei ex caliditate multitudinis stellaram fixarum in hac parte. Nam maior pars stellarum, ut videtur, est in hac parte quam videmus; et erit in parte meridionali secundum plurimum aqua super ipsam et similiter quod est sub solstitiis circuitibus, quamvis caliditas sit ibidem fortior. Sed est exic-. catio Solis in parte septentrionali operatio propria Solis cum contemperatur per caliditatem harum stellarum, non secundum quod sol tantum, scilicet quia fortificatur siccitas eius sicut est dispositio in calore cordis, quia cum contemperatur per frigiditatem cerebri facit acquirere sensum (Lb., c. 199). Ad Aristotele, come Averroè ben sapeva (1), era bastata l’azione del sole a spie- gare l'emersione dei continenti; ma Aristotele, come congettura il nostro troppo sotitil (1) “ Terra cuius dies est longior et frigidior quam sit dispositio, per moram quae accidit solî “ in capiti duorum solstitiorum seu circuitu videtur ut sit caussa in habitatione multorum locorum. | ..Sed nos cum posuerimus rem esse ita ut declaratum est in dispositione Solis, sequitur ut sint “ loca in quibus possibilis sit habitatio secundum istum modum in duobus partibus circuitus solis, “ scilicet septentrionali et meridionali. Et hoc iam dictum est ab Aristotele. Nam ipse affirmat ut “ sit alia habitatio in quarta meridionali similis quartae habitabilis septentrionalis, et si eccentricum “ Solis habet diversitatem sensatam erit latitudo partis habitabilis ex parte meridionali propinquior “ polo meridionali et remotior a circuitu solis, opposito modo quam res se habet in parte septen- “ trionali , (Meteor., lib. II, c. 2, ediz. cit., c. 1990). : rn ridi aan 25 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 97 commentatore, doveva essere in fondo della sua opinione, perchè, pur ammettendo l’esistenza d’un continente meridionale non ne parla mai, quasi che avesse quegli potuto dirne per certa scienza alcuna cosa! p Tacuit Aristotiles de parte meridionali [habitabili] nam ipse videt quod necessarium est ut aquae dominentur super plures partes terrae, ex quo haec est dispositio earum naturalis cum terra. Praeterea quia locus aquae oportet ut sit maior loco terrae. Et ratio super hoc est ex parte scilicet quod apparet pars aquae cum ingrossatur et lapideatur reddi ad partem et quan- titatem minorem, similiter pars aeris cum fit aqua scilicet quod ipsa ingrossatur, et propter hane causam secundum me non curavit Aristoteles de parte meridionali, dividere ipsam ad habitabilem et inhabitabilem, ut fecerunt expositores. Con Averroè ci siam venuti accostando d’un passo alla soluzione data nella Quaestio (n° 6). Anche la causa finale da lui assegnata al discoprimento della terra non differisce sran che, chi ben guardi, da quella della Quaestio (n° 56). Ma Averroè, al pari di Avicenna, non avrebbe mai attribuito alla terra quel rigonfiamento che le attribuisce l'anonimo autore del nostro opuscolo. Si veda il commento al passo ari- stotelico già riferito, dove tra l’altro asserisce che nella terra “ quaelibet pars cum “ fuerit extra medium movebitur per gravitatem quae est in ca quousque perveniat “ad medium , e che “ eadem est causa quod terra sit sphaerica sive posuerimus “ quod terra sit generata ex omnibus partibus aut posuerimus ipsam sicut est modo “ aeternam, quoniam partes terrae in eo quod est terra, omnes quaerunt centrum et “ pars maxima expellit parvam et superior inferiorem, ita quod omnes partes vici- “ nantes aquae habent distantias aequales a centro ,, ecc. (De Coelo, lib. II, cap. 7°; e. 770, col. 22-787, col. 12 dell’ed. di Venezia, 1550). 13. Mosè Maimonide, Abramo ben Haija, Jehuda Hadosci. — Più accennato che discusso è il problema dell’emersione dei continenti da questi tre scrittori ebrei del secolo dodicesimo. Gli Ebrei, che, come fecero dapprima anche gli Arabi, s'attennero di preferenza alle dottrine neoplatoniche, ebbero nel famoso rabbino della corte di Saladino, Mosè Maimonide, il loro Platone, o almeno quello che essi decantano volen- tieri come tale. Lasciando al Munk discutere se gli Ebrei abbiano o non abbiano avuto una filosofia (1) e qual posto spetti in essa al Maimonide, certo si è che la sua concezione dell'universo sembra ispirata più a Platone che ad Aristotele: Quest'universo nel suo complesso non forma che un solo individuo ossia il globo del- l’ultimo cielo con tutto quello che contiene è indubitatamente un solo individuo, come l’indi- vidualità di Ruben e di David. Avviene delle sue diverse sostanze, ossia delle sostanze di questo globo con tutto ciò che contiene, come avviene per esempio delle diverse sostanze delle membra dell’individuo umano. Come dunque Ruben per esempio è un solo individuo, benchè composto di diverse parti, come la carne e le ossa, e di umori e spiriti differenti; così questo globo nel suo complesso abbraccia le sfere e i quattro elementi con ciò che ne è composto. Non vi è assolutamente alcun vuoto ma è un solido pieno che ha per centro il globo terrestre: la terra è circondata dall’acqua questa dall’aria questa dal fuoco e quest’ultimo è circondato dal quinto corpo il quale si compone di molte sfere [non meno di diciotto, compresi gli eccentrici] con- tenute le une nelle altre. Bra il moto del cielo quello che mescolando tra loro gli elementi, faceva emer- gere la terra: (1) Mélanges de philosophie juive et arabe. Paris, 1851, 469 segg. Serre II Tom. LI. 13 98 GIUSEPPE BOFFITO 26 Quando tutto il quinto corpo compie il suo moto circolare, ne nasce sempre negli ele- menti un moto forzato pel quale escono dalle loro regioni ossia (ne nasce un moto) nel fuoco e nell’aria che sono spinti (ambedue questi elementi) verso l’acqua e tutti penetrano nel corpo della terra\sino nelle sue profondità, in guisa che ne risulta una mescolanza di elementi. Poscia cominciano a muoversi per ritornare nelle loro regioni (rispettive) e quindi anche delle parti- celle abbandonano i loro luoghi riunendosi all’acqua all'aria al fuoco (1). Il cosmografo Abramo ben Haija, ebreo spagnuolo o francese del secolo XI o XII, dimostra con l’autorità e gli argomenti degli antichi la rotondità del mondo (aspetto del cielo, forma circolare più adatta al moto e più comprensiva) e in particolare la sfericità della terra. Di questa egli dice: i Ita quoque tribuerunt terrae qualitatique suae corpus sphaericum et globi simile. Montes ac valles quae sunt in superficie eius, non sint tibi curae neque respectui eo quod nullam com- parationem et proportionem ad corpus eius habent. Et propter corpus eius sphericum quod habere perhibetur, videmus solem lunam et alias stellas non in diversis locis, in oriente et occidente una atque eadem hora oriri (2). La parte abitabile della terra si estendeva “in plaga boreae ab aequatore usque “ad latitudinis 662 sradum , (cap. 6°, pag. 29). DO Tehuda Hadasci, autore giudeo della setta dei Karaiti (partigiani del testo) che viveva in Oriente al tempo di Ibn Esra (1149), nella sua opera ebraica a stampa intitolata Eshkol ha-Kofer, rimette in campo, ma solo per rigettarlo, il paragone del magnete usato già da Messalach e che doveva esser comune tra gli scienziati ebrei. Tra i miracoli della creazione egli ha appena annoverato la sospensione della terra nel mezzo del cielo, che tosto soggiunge: Risponderanno coloro i quali contorcono la verità, i sapienti della cognizione che il cielo è della famiglia del magnete cioè la pietra che prende e porta il bedil (sic) ed il ferro per sospenderlo. Ciò non può darsi (replica l’autore), perchè la pietra, secondo l’opinione di codesti sapienti, è composta delle quattro mescolanze (erudim) della terra, e il cielo sarebbe quindi anch’esso composto (3). 14. Gli ultimi cosmografi arabi. — Nessuno degli scrittori arabi ed ebrei passati fin qui in rassegna, ha avuto ricorso all’ eccentricità dell’acqua, che l’autore della Quaestio si trattiene a confutare nel $ 12, per spiegare il discoprimento della terra. Con Kazwini, Dimashqui, Abulfeda, Magrizi e altri cosmografi di minor importanza, noi arriviamo all’età di Dante e oltre ancora, senza sentire alcuno far parola dell’ec- centricità dell’acqua. E la cosa è tanto più notevole in quanto che questi cosmografi arabi ammettevano comunemente il sistema degli eccentrici, già combattuto a varie riprese da Averroè, fedele in questo ad Aristotele, e ricorrendo all’eccentricità del sole cercano di risolvere il problema. Dal cielo era agevole in questo caso passare alla terra, e a questa e all’acqua facendo l'applicazione d'un tal principio, sentenziare che la terra e l’acqua avevan centri differenti. Eppure nessuno, che io mi sappia, (1) Moise sen Manon, La Guida degli smarriti, trad. di D.S. Maroni, Livorno, 1871, cap. 72, t. II, parte I, pagg. 218.21. La traduzione del Maroni è fatta di su quella del Munk (Parigi, 1856-61, 2: tomi in-8°). (2) Sphaera mundi autore Rabbi Abrahamo Hispano filio R. Haija ecc. Quos libros Oswaldus Schreckenfuchsius vertit in linguam latinam, Sebastianus vero Munsterus illustravit annotationibus. In fine: Basileae per Henricum Petrum Mense Augusto Anno MDXLVI, in-4°, pagg. 8, 13-14 del cap. I. (3) Sremscanemer, Art. cit., loc. cit., pag. 277-78. (4 27 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 99 pensò a fare questa applicazione, tanto in quei tempi che gli studi della filosofia naturale di Aristotele erano ancora in fiore, repugnava a’ principî generalmente ammessi la semplice supposizione che l’acqua non fosse concentrica alla terra! Solo in un codice della Sfera del Sacrobosco (Vat. Lat. 3133, c. 370, marg. infer.) di provenienza, a quanto pare, straniera, giudicato dal mio venerato maestro prof. conte Carlo Cipolla della prima metà del sec. XIV, io mi avvenni in una rappresentazione grafica del- l’eccentricità dell’acqua (Fig. $ della Tav.), non accompagnata da alcuna nota dichia- rativa: primo tentativo forse di trarre dalle teorie arabiche la conseguenza che legit- timamente ne derivava, della eccentricità dell’acqua. Kazwini (Zacharija Ben Muhammed Ben Mahmùd El-Kazwiîni) dimostra la sferi- cità dell’acqua dall'esperienza dei naviganti: Man behauptet die Form des Wassers sei sphirisch, weil dem auf dem Meere Fahrenden, wenn er sich einem Berse nihert zuerst die hòchsten Spitzen desselben sichtbar werden und dann erst die unteren Partieen desselben, trotzdern dass der Abstand zwischen ibm und den hoheren Punkten gròsser ist, als awischen ihm und des unteren; und hitte nicht das Wasser einen Lauf, der diess hinderte, so wiirde er nicht die hòchsten Punkte des Berses vor den untersten desselben sehen. Tuttavia la rotondità dell’acqua, al pari di quella della terra non era perfetta, di che la causa finale s'aveva a ricercare nell’intenzione del Creatore di fare della terra la dimora stabile delle sue creature: Aber die Rundung der Wassersphîre ist keine vollkiommene aus folsenden Grunde. Da der allmichtige Schòpfer die Erde zum festen Wobnsitz fiùr die Geschòpfe hat machen wollen, speciell fix die Menschenklasse die ausgezeichnetste aller Thiergattunsgen ist, .....so hat Gott ..in seinen Huld und Gite die Erde so erschaffen dass sie unebene, schwer zugingliche Orte hat die aus dem Wasser heraustreten, rauhen und schwierig zugtinglichen Orten entsprechend, die sich auf dem Riicken der Sphòrenfliiche befiden. Vero è che siffatte ineguaglianze non si poteva dire che impedissero la sfericità della terra o dell’acqua: Und das beeintrichtiot nicht, dass die Form des Wassers oder die der Erde doch der Sphire nahe kommt (1). Il discoprimento della terra era adunque per Kazwini una delle più mirabili opere di Dio, se non fosse la quale, la terra sarebbe tutta circondata dall’acqua, come nel- l'uovo il tuorlo dall’albume. Iddio aveva a ciò provvisto (ed ecco la causa efficiente) dando alla terra e al sole centri differenti; onde avveniva che il sole riscaldava vieppiù l’acqua nell'emisfero meridionale al suo perigeo e l’acqua riscaldata cercando nel mare un luogo dove poter essere al sicuro lasciasse allo scoperto la contrada opposta che diventava terra ferma. Das Entstehen des Meeres in einem Theil der Erde. Eins der Wunderwerke Gottes ist auch das Blossein der Oberflîiche eines Theiles der Erde vom Wasser; und wire dem nicht so, so wirde das physische Gebot es zur nothwendigen Folge haben, dass das Wasser die gesammte Erdoberfliche iberzòg, so dass die Erde inmitten desselben dem Gelben im Ei &hnlich wère, wihrend das Wasser um dasselbe herum den Eiweiss entspriche. Wire das der Fall, so wide die wunderbare géttliche Weisheit und die Schine Weltordnung nichtig sein, die wir mit Hinsicht (1) Zacmariza Ben MunAmwen sen Mann El-Kazwînrs, Kosmographie, trad. di H. Bthé, Lipsia, 1868, in-8°, pagg. 207-208. 100 GIUSEPPE BOFFITO 28 auf die Schòpfung der Thiere und Pflanzen bereits erwihnt. Drum hat die gòttliche Weltleitung es notwendig erfordert, dass zwischen dem Sonnen- und Erdencentrum ein Gegensatz herrsche, so dass die Sonne um ihr specielles Centrum, das eben von dem Centrum der Erde verschieden ist, ihrem Umlauf hiilt und sich nun den einen Theil der Erde nîhert, von dem anderen aber wieder entfernt. In Folge dessen wird das Wasser der Sonne zunîchst gelegenen Gegend erwàrmt; und zu dem Wesen des Wassers, sobald es warm wird, gehòrt es, dass es sich nach der Gegend hinzieht, in der es in den Meeren einen sicheren, geschiitzten Ort findet. Zieht es sich nun dorthin so wird die Oberfliche der Erde in dem Theile, der jenem gegeniiberliest, von Wasser entblésst, d. h. in der Richtung, von der die Sonne weit entfernt ist; die Richtung némlich, der die Sonne nahe ist, ist der Siiden, and diejenige, von der die Sonne weit abliegt, der Norden. — So ist nun also der siudliche Theil zum Meer, und der Nòrdliche zum trockenen Land geworden, auf dass die gòttliche Weisheit vollkommen sei, und sich die Welt in der Weise zusammenreiche und ordne, in der sie eben existirt. Heilsgesegnet ist er, die sie zuerst in ’s Dasein gerufen, und allmichtig er, der sie erschaffen! (pp. 210-211). Contemporaneo di Dante è Schems-eddin Abou Abd-allah Mohammed ( 1327) soprannominato Aldimaschky (Dimashqui, Dismishqui) dalla sua città nativa di Damasco. In un lungo passo ch'io riferirò quasi per intiero dalla traduzione del Mehren, attribuisce anch'egli l'emersione della terra alle ineguaglianze del suolo e all’eccentricità dell’orbita solare. Paragona inoltre l'influsso dell'atmosfera sulla terra alla virtù del magnete; ma ciò egli fa non a spiegare la formazione dei continenti, ma per dichiarare in qualche modo come la terra stia sospesa senza cadere, nel centro dell'universo, cosa che altri spiegavano ricorrendo al moto di rotazione della sfera celeste oppure alla gravità della terra. Elle (la terre) est située au milieu de la sphère céleste, mais ne peut en aucune manière y étre prise en considération, la moindre étoile fixe la surpassant de beaucoup en grandeur; la moitié de la sphère céleste est au-dessous d’elle, qui ressemble au centre d’un cercle ou au moyen d’un ceuf. Placée au milieu de la sphère, elle est entourée d’eau, excepté la portion qui s'en élève, et qui, par la gràce de Dieu, est devenue l’habitation des étres vivants. Avec les inégalités et les aspérités de sa surface, elle ressemble è la noix de galle, qui, malgré ses rugo- sités, conserve sa rotondité originaire . . . . . Par la volonté de Dieu chaque élément entoure l’autre, è l’exception de l’eau que la bonté de Dieu contient pour rendre la Terre habitable, en ayant donné des centres différents au soleil et è la Terre. Le soleil se meut autour de son propre centre, qui n’est pas le centre de la Terre, ainsi qu'è son périgée, il s’approche d’une partie de la Terre, la partie méridionale, en s’éloignant è son apogée de l’autre, la partie septen- trionale qui devient terre ferme et élevée, puisque les eaux sont attirées par le soleil vers la partie méridionale en se retirant de la partie septentrionale . . . . . La mer entoure la Terre et la couvrirait tout entière, si elle n’avait pas des inégalités, mais la gràce divine fut clemente envers le genre humain et fit surgir du milieu des eaux une partie de la Terre afin qu'elle devînt le centre de l’univers (1). L’eau entoure la Terre selon cette loi de la nature que tout ce qui est léger est aun-dessus de ce qui est lourd; l’eau étant plus légsère que la Terre, elle l’entoure de tous cotés; de la meme manière la Terre est attirée également de tous còtés dans l'espace par l’air, comme le fer par l’aimant; par suite elle occupe le milieu. D’autres disent que la Terre tient cette place étant pressée également de tous còtés par la sphère céleste comme des grains de poussière jetés dans un verre mis en rotation forte et perpétuelle; ces grains seront rejetés vers le milieu; de la méme manière, des brins de paille jetés dans une tasse d’eau è laquelle on imprime une rotation tournent avec l’eau et se rassemblent vers le centre. D’après une autre opinion, la Terre par sa nature est douée d’une force centripète pressée toujours également par la sphère qui l’entoure; c'est pourquoi lorsqu’au dernier jour, les (1) Vale a dire “ dell'influsso universale del cielo ,. Il contesto non consente altra spiegazione. 29 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 101 etoiles seront dispersées et que la sphère sera anéantie, pliée comme les feuillets du livre de Sidijl [efr. Corano, cap. 21, v. 104], la cause de cette ‘force centripète cessera et la Terre étendue et dépliée sera aplatie jusqu'aux extrémités du nouveau ciel de l’éternité Si on pergait la Terre en passant par le centre en ligne droite jusqu’au point opposé, on ren- contrerait de l’autre còté des pieds humains; ainsi les habitants de la Chine et ceux de l’Espagne, qui occupent les points extrémes du diamètre de la Terre, sont antipodes, et le lever du soleil et de la lune d'un còté correspond au coucher de l’autre (1). Aboù ’1 Feda ({ 1331) altro contemporaneo di Dante, celeberrimo nella letteratura araba per gli Annali dell'Islam, nella sua Geografia tradotta e pubblicata dal Reinaud, già più volte citata, mostra d’aver meglio compreso l’azione del sole sulla terra secondo che si trovava al suo apogeo o perigeo. Egli sa che altri hanno osservato che: ....S1 le quart septentrional du monde est habitable et si le quart méridional ne l’est pas, clest uniquement à cause de la proximité du soleil. En effet, lorsque le soleil est au zénith du quart meéridional de la terre, il se trouve placé dans la partie méridionale du zodiaque et il est à son périgée. En conséquence il est plus rapproché de la terre, son volume est plus grand, ses rayons sont plus puissants et plus sensibles (2). Ma Aboulfeda ama di rimettersi all'opinione di Nassyr-eddin, astronomo del secolo decimoterzo, che aveva dimostrato che la differenza di volume nel sole a seconda che si trovava all’apogeo o al perigeo non era sensibile. Non si poteva quindi assegnare altra causa del fatto, se non la causa finale, la volontà di Dio: “ Tout “ cela n'est done qu'un effet de la volonté divine ,. Per questa e non per altro, seb- bene l’acqua avesse “ le caractère propre d’entourer la terre et d’éètre entourée par “ l’air , (pag. 21) e la terra quello d’essere “ entourée d'eau de tous les cotés , essendo il suo luogo naturale nel centro dell’universo, “ une partie de la terre est “« découverte et... surnage au-dessus de l’eau de manière à pouvoir servir de demeure “ aux animaux terrestres et aux plantes , (70.). Ben era vero che altri avevan pre- teso di dar la ragione dell’inabitabilità della quarta meridionale “ parce qu'il a la “ voie brùlée au zénith. Or l’on entend par voie brùlée l’espace du ciel qui est situé “ entre les deux points où a lieu l’abaissement du soleil et de la lune et qui cor- “ respond à certains degrés de la Balance et du Scorpion ,. Ma era un ragionamento di poco o niun valore e come Nassyr-eddin aveva notato, non poggiava che “ sur “ les réveries des astrologues , (pag. 6). Aboulfeda tuttavia distingueva tra le altre due zone terrestri temperate divise da una zona equatoriale quasi per intiero resa inabitabile dagli eccessivi calori, ma soggiunge tosto che la zona temperata meri- dionale è “ à ce que l’on dit, couverte par les eaux , (pag. 7), il che più avanti afferma recisamente adducendo per di più le prove che ne portavano i filosofi, tra i quali è facile riconoscere Averroè: Les trois autres quarts environ son submergés par les eaux. Voici comment les philosophes prouvent que la mer recouvre les trois quarts de la terre. Le Dieu très-haut, disent-ils, a disposé chaque élément de telle manière que, si un élément venait è se changer en un autre il présenterait une masse égale è celle de ce dernier. Or si l’eau ne recouvrait pas les trois quarts de la terre, elle ne se trouverait pas en assez grande quantité pour qu’en devenant terre elle égalat le volume de la terre elle-méme. En effet l’eau, en se faisant terre, diminuerait de volume et sa masse se condenserait. (1) Sam ep-Din Asow ‘Azpirrra Monsmmen, Manuel de la cosmographie du moyen dge, trad. par M. A. F. Mehren, Copenhague, 1874, in-8°, pp. 3-5. Di lui parla anche il Riermaup, Op. cit., vol. cit., pp. cr. (2) RermmauD, La Géogr. d’Aboulfeda, ediz. cit., vol. II, pagg. 5-6. 102 GIUSEPPE BOFFITO 30 Questo principio, che risaliva in ultima analisi ad Aristotele, malamente inteso doveva condurre man mano durante il corso del sec. XIV ad ammettere l’eccentricità dell’acqua, che popolarmente fu anche raffigurata nella terra galleggiante sull’acqua. In questa seconda forma ci appare nella Descrizione topografica dell’ Egitto (Kitab almenaîdh ecc.) di Ahmed-al-Magrisi (1360-1442) più noto sotto il nome di Taki-. ed-din (dalla fede pura); nella prima forma si trova fra gli altri in uno scrittore ebreo di Spagna convertitosi al cristianesimo, Paolo Burgense, che non v'ha quasi dubbio che l’attingesse dalle dottrine dei suoi primi correligionari o degli Arabi (V. più avanti al n° 26). Ecco, secondo la traduzione del Bouriant, che pensa Magrisi della forma e figura della terra e dell’acqua: La Terre est un corps rond comme une sphère; d’aucuns cependant prétendent qu'elle n'est pas sphérique. Elle est placée dans l’air avec son ensemble de montagnes et de mers de pays habités et d’étendues désertes. Elle est enveloppée par l’air de tous les còtés comme le jaune dans l’intérieur de l’ceuf; elle est située è égale distance de tous les points du ciel. Le point inférieur de la Terre est en réalité déterminé par son épaisseur, de la surface au centre, en quelque lieu que l’on soit, l’opinion générale étant que la Terre est comme une sphère placée | au milieu de l’air et semblable au jaune de l’oeuf dans la coquille, la Terre occupant le milieu et se trouvant è égale distance de tous les points du ciel. “ Au-dessous de la Terre, assure Hecham ben el-Hacham, est un corps doué-de la io de s’élever, c'est ce corps qui empéche la Terre de tomber; quant è lui, il n’a pas besoin d’appui puisqu’il ne tend jamais è tomber, mais au contraire à s’élever ,. Le méme écrivain dit encore: “ Dieu a établi la Terre sans appui ,. D’après Démocrite, la Terre repose sur l’eau et cette eau est si bien pressée sous la Terre qu’elle ne trouve aucune issue, par où elle puisse; s'échapper. D’après un autre, la Terre est placée au centre (de l’Univers), à égale distance de tous les points du ciel qui l’attire de tous cotés; c’est pourquoi la Terre n’incline nî vers un un còté ni vers l’autre, car la force d’attraction est partout égale. C'est le meme phénomène que celui de la pierre d’aimant attirant le fer; de sa nature, le ciel est l’aimant de la Terre, et l’attire, mais celle-ci se maintient au centre è cause de la rapidité du mouvement du ciel qui de toutes parts repousse la Terre vers le centre. Si l’on met de la poussière dans une bouteille que l’on fait tourner vivement, la poussière restera au centre du vase. Mohammed ben Amed el-Khouarezmi dit que la Terre est située au centre du ciel, c’est-à-dire en has du ciel en réalité; qu'elle est ronde, qu'elle est pleine d’aspérités à la surface è cause des montagnes . . . .. ne l’empéchent pas d’etre ronde... .. Si par malheur l’eau l’environnait de toutes parts... .. c'en serait fait des propriétés spéciales dont jouissent les minéraux les plantes et les tres animés. Rendons done gloire à Celui dont personne hors lui ne peut pénétrer les mystérieuses décisions. La surface extérieure de la Terre, baignée par l’air de tous cotés, occupe la partie supé- rieure; l’air se tient au-dessus d’elle, l’enveloppe et l’attire de toutes parts. Au-dessus de l’air sont les firmaments ..... l’un au-dessus de l’autre ..... La Terre est immergée dans l’eau comme un grain de raisin flottant sur un liquide; la moitié environ est visible, tandis que l’autre moitié reste plongée dans l’eau..... La partie visible de la Terre située au sud de l’équateur est inhabitée; l’autre partie, a nord de l’équatenr représente le quart habité de la Terre (1). (1) Maarizi, Descr. topogr. et histor. de VEgypte, trad. par U. Bouriant, 1° partie, Paris, 1895, in-4°, pag. 22, cap. II (nelle “ Mém. publ. par les membres de la Mission Archéol. du Caire ,, t. XVII, fase. 1°) Di Abbumasar che troveremo citato dagli autori posteriori non ho parlato perchè non ho potuto attingere direttamente alla fonte delle sue opere, di quella almeno (Introductorium mais) nella quale secondo i detti scrittori avrebbe egli manifestato um’opinione analoga a quella di Alba- tegno. Nell’Introductorium in astronomiam, ed. a Venezia dal Ratdolt nel 1489, in-49, nulla ho trovato di somigliante, sebbene qui affermi ‘terre corpus rotundum globosum , (lib. I, c. 1) e insista sulle operazioni delle stelle sulle varie parti del mondo. ti da li INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 103 CAPO HI. Cosmografi, scienziati, enciclopedisti dei secoli XII-XV. Nel mondo latino la filosofia araba ed ebrea mette capo a due classi di scrittori: gli scolastici e i cosmografi; coi quali ultimi hanno molti rapporti quelli che, come Pietro d’Abano, Rogero Bacone, ecc., potremmo dire gli scienziati del tempo. Stanno di mezzo gli scrittori enciclopedici (e un poco allora lo erano tutti) che non hanno colore proprio, non professano mai opinioni proprie e formano, con le debite ecce- zioni, una vil schiera di “sciaurati che mai non fur vivi ,. 15. Onorio d’ Autun, Guglielmo di Conches, Neckam, Gervasio di Tilbury. — Proce- dendo anche in questo capitolo, per quanto è possibile, in ordine cronologico, ci imbat- tiamo fin dalla prima metà del secolo decimosecondo in un trattatello di cosmografia che ebbe l’onore di varie imitazioni e rifacimenti per opera della badessa Herrade (Hortus deliciarum), di Gautier di Metz (1245) e di altri e fornì a Brunetto Latini l'argomento della terza parte della sua vasta enciclopedia (1). È questo il De Imagine mundi di Onorio d’Autun. Per lui, come tra gli altri, per il suo contemporaneo Abe- lardo (2) la terra è situata in mezzo al mondo come “ pinguedinis gutta in ovo , (3). Attorno ad essa sono distribuite le altre sfere degli elementi, ad eccezione di quella dell’acqua, la quale pur avendo il suo natural luogo sopra la terra e sotto l’aria (4) non ricopre tutta la terra, ne lascia anzi allo scoperto una gran parte (5) sia perchè (1) Sunpsr, Della vita e delle opere di Brunetto Latini, trad. dal danese da R. ReNIER, con appen- dice di Del Lungo e di Mussafia, Firenze, 1884, in-8°, pagg. 79 segs., 97 segg.; Hist. Vitt. de Fr. XXIII, pag. 294. (2) “ Bene autem ovo nondum vivificato aut formato illa confusa congeries comparatur, in qua “ tamquam in ovo quatuor in se contimenti quatuor elementa comprehenduntur. Est quippe in ovo “ testa exterior, deinde intus tela, id est cartilago quaedam testae adhaerens, ac postmodum albugo, © denique medium illud ovi quasi medulla eius. Quod quidem medium ovi quod vitellum dicimus, © quasi terra est in mundo; albugo quasi aqua terrae adhaerens, tela tamquam aer, testa ut ignis ,. P. AparrarpI, Expos. in Hexaemeron, in MartenE e DuranD, Thes. Nov. Anecdotorum, t. V, Parigi, 1717, col. 1367. — Altri scrittori che si son serviti di siffatta immagine, sono citati nella Hist. Zitt. de France, vol. XXIII, pag. 307, nota 1%: Virgilio di Cordova, in Gor. Hrme, Arecdota hispanica, Berlino, 1848, pag. 217 ecc. Cfr. Lesrur, Dissertations sur Vhistoire ecclésiastique et civile du diocèse de Paris, ecc., t. II, Parigi, 1739, pag. 193. (3) Lib. I, cap.I, nella PL. del Micene, t. 172, col. 121: “ Mundus dicitur quasi undique motus, “ est enim in perpetuo motu. Huius figura est in modum pilae rotunda. Sed instar ovi elementis “ distincta. Ovum quippe exterius testa undique ambitur, testae albumen, albumini vitellum, vitello € gutta pinguedinis includitur. Sic mundus undique caelo, ut testa, circumdatur, caelo vero purus “ aether ut album, aetheri turbidus aer, ut vitellum, aeri terra ut pinguedinis gutta includitur ,. ‘Questa similitudine fu da Gautier di Metz tradotta e inserita nel suo poema. Cfr. Hist. Wtt., vol. cit., pagg. 306-307. (4) © Ex his (elementis) terra ut puta gravissima imum, ignis ut puta levissimus, supremum “ obtinet locum, alia duo medium, quasi quoddam soliditatis vinculum. Quorum aqua gravior, terrae È proximum, aer levior, ignis primum obtinet locum ,, lib. I, cap. 3, col. 121. (5) Nel cap. 6° del lib. I, parlando delle zone terrestri, ne pone due abitabili, le temperate (col. 122). 104 ' GIUSEPPE BOFFITO 99; penetra e scorre per il gran corpo terrestre come il sangue nel corpo umano (1) sia perchè si riduce nei serbatoi marini a forma di superficie convessa (2). Alessandro Neckam tenta di accordare le dottrine degli astronomi, dei quali cita Alfragano, con la lettera della Sacra Scrittura e con la tradizione, ma malamente ci riesce. Egli sa che Alfragano dice “ unam esse sphaeram aquarum et terrae , (3), o, come torna a ripetere nel poema: Unica sphaera tamen est et telluris et undae Ut censent cives, astronomia, tui (4). Ne deduce che non si poteva considerare l’acqua come inferiore alla terra. Che se il Profeta diceva “ Dominum firmasse terram super aquas , (/ò., pag. 159) non se ne poteva inferire la conseguenza “ aquas esse inferiores terra ,, perchè “ sancti expo- “ sitores referunt illud prophetae ad cotidianum usum loquendi quo dici solet Parisium. “ fundatam esse super Secanam ,. Ma come conciliare con ciò altri detti scritturali “ (Terminum poswisti quem non transgredientur, ecc.) e la tradizione del Paradiso ter- restre? Quanto alla prima difficoltà se la sbriga citando l’esperienza: “ Mare vero “ superius est littoribus, ut visus docet. Unde divinae iussioni attribuendum est quod “ metas positas a Domino non transgreditur mare , (Z0.). Più malagevole era disbri- garsi della seconda. Messo alle strette egli propende a sacrificare alla leggenda la verità, rappresentata per lui dalla dottrina di Alfragano: “ Rei tamen veritas est “ quod paradisus terrestris superior est aquis, cum etiam lunari globo superior sit. “ Unde et aquae cataclysmi paradyso nullam intulere molestiam; Enoc qui in para- “ diso iam tunc erat collocatus aquarum non sensit diluvii incrementa ,. Onde, se le ineguaglianze del terreno non impedivano secondo gli antichi la rotondità della terra, un'eccezione bisognava farla per il paradiso terrestre: Ausi sunt veteres terram censere rotundam, Quamvis emineat montibus illa suis: Quid quod deliciis ornatus apex paradisi Lunarem tangit vertice pene globum? (5). Arditi concetti, che sarebbero maggiormente degni di ammirazione se non fossero presi a prestito da Macrobio (6) e da altri e non si trovassero mescolati a trite simi- litudini (7)fe usuali pensieri, si leggono espressi nel De Philosophia mundi già attri- (1) “ Interius meatibus aquarum, ut corpus venis sanguinum penetratur, quibus ariditas ipsius “ ubique irrigatur. Unde ubicumque terra infoditur, aqua reperitur ,, lib. I, cap. 5, col. 122: “ Oceanus “ fluviorum occursu non augetur, quia flnenta dulcia partim salsis vadis consumuntur, vel ventis “ vel vapore solis abripiuntur, partim per occultos meatos in suos amnes revertuntur ,, Cap. 45, col. 134. “ Quae (aqua dulcis) licet universa mare influat, amaris tamen aquis non commiscetur. Sed ut puta “ levis super graves aquas labitur et in occultum suum cursum revertitur ,, cap. 47, col. 135. (2) De solis affectibus, cap. VI, 1b., col. 103: “ Quaeritur de aqua si tumorem habeat, quod videre “ esse non posse, cum liquida et descendit usque ad planitiem; sed videndum est quod hoc non est, “ quippe eius natura est semper in tumorem descendere, ut videtur in gutta, et ubicumque est aqua, “ pone oculum in uno littore, iam prae tumore medio aliud littus non videbis (3) De naturis rerum, ed. Wright, Londra, 1863, pag. 159, cap. 49. | (4) De laudibus divinae Sapientiue, ed. col preced., pag. 398. (5) De laudibus, ecc., pag. 441. (6) Ciò che si dice nel lib. LIL, cap. 14 del flusso dell’Oceano, è senza dubbio alcuno preso da Macrobio. Così è pure di vari altri passi. (7) Nel lib. IV, cap.I si legge: “ Est ergo terra elementum in medio mundi situm atque ideo “ infimum. Mundus nempe ad similitudinem ovi est dispositus. Namque terra est in medio, ut n° K 33 INTORNO ALLA “ QUARSTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 105 buita a Onorato d’Autun, ma rivendicata ora a maggior diritto a Guglielmo di Conches come quella che è identica alla Philosophia minor di quest’autore (1). Senza ombra di dubbio son qui ammessi gli antipodi dandosi la terra come abitata sia nelle due zone temperate del nostro emisfero che in quelle dell'emisfero opposto: Pars igitur zonae habitabilis, in qua sumus in duo dividitur. Cum enim temperies aeris ex omni parte sit terrae, quaedam pars temperata est et habitabilis. Sed quoniam reflexiones Oceani latera terrae iuxta qualitatem horizontis cingit, in duo illam dividunt. Cuius superiorem partem habitamus: Antipodes vero nostri inferiorem. Nullus tamen nostrum ad illos neque illorum ad nos pervenire potest. Ex parte enim septentrionis frigus et refluxiones transitum prohibent; ex parte vero orientis et occidentis sol et refluxiones. Similiter alia habitabilis in duo dividitur: superius quorum dvrio. nostri obtinent et inferius &vrutodoi illorum (2). Gervasio di Tilbury ({ 1218) che nei suoi Otia imperialia accoglie volentieri favole e leggende, è il primo ad ammettere che la terra fosse dappertutto circondata da un vero e proprio mare. Era un prendere rigorosamente alla lettera ciò che da Aristotele in poi s'era continuamente ripetuto intorno alla concentricità delle sfere elementari, e ciò che Abelardo, Guglielmo di Conches. Onorio d’Autun, ecc. avevano a questo pro- posito asserito servendosi d’una similitudine nota al nostro autore (3). Ma forse, più che tutto potè, a indurlo in questa falsa opinione, quello che dicono i Padri intorno alle acque supracelesti. Tanto almeno è lecito sospettare dal racconto che egli sog- giunge d’un fatto che sarebbe avvenuto al suo tempo. Sunt qui dicunt terram ut centrum in medio circumferentiae omni parte aequaliter ab extremitatibus distantem mari circumcingi atque concludi, secundum illud tertiae dicit: Con- GRCIAVIDINI Subsidit enim terra ut centrum et aquae in circuitu sunt includentes terram, secundum illud: qui firmavît terram super aquas. Quod ergo aer sit inter terram et aquas, arbitrantur plerique et quod aquae circunferantur aeri quadam cereatoris virtute. Sic enim constat, omnia in Dei virtute formata quod nullum illorum sit fandamentum alterius ....... Quod autem fontes a mari procedant, arbitrantu: quasi per occultos terrae poros resudantes... . In ipso maris fundo aquae dulcissimae reperiuntur [perchè filtrate dalla terra]. Accedit ad pro- bandam maris superioris supereminentiam temporibus nostris novum divulgatum tamen mira- bile. Cum enim die festo in maiori Britannia populus post audita missarum solemnia Ecclesiam | plebanam passim egrederetur tempore quidem plurimum nubilo ac propter nebularum densi- tatem subobseuro, apparuit anchora navis lapideo tumulo, infra septa circuitu infixa, fune in aere protenso ac pendulo: obstupuit populus ecc. (4). 16. Bartolomeo di Parma e il Campano. — Tra il 1286 e il 1297 fu lettore nello Studio di Bologna un astronomo di cui il Narducci ha rinfrescato la fama, Barto- lomeo di Parma, autore d'un Tractatus Sphaerae in parte ancora inedito (5) e sup- posto autore d'un Liber philosophiae Boetii (6), specie d’enciclopedia ancora del tutto “ vitellus in ovo. Circa hane est aqua ut circa vitellum albumen. Circa aqua est aer ut panniculus “ continens albumen. Extra vero concludens omnia est ignis ad modum testae ovi ,. Cfr. Micene, PL, CLXXII, col. 85. V. anche lib. III, c. 16 e 17, col. 82. (1) Mise. Vitt. de Prunce, XXIII, pag. 294. (2) Lib. IV, c. 3, loc. cit., col. 85. (8) Gravasit TioBeriensIs, Otia Imperialia, in Script. Rer. Brunsvic., I, pag. 885, pars I, cap. I. (4) Zb., c. XIII De mari, pag. 894. Anche quello ghe dice degli antipodi, c. 45, pag. 975, e della creazione, pag. 887, conferma il sospetto della derivazione suesposta. (5) E. Narpucor, I primi due libri del “ Tractatus Sphaerae y di Bartol. da Parma, pubblicati, ece., Roma, 1885, in-4°, pagg. 174, con tav., estr. dal “ Bull. di bibl. e di storia delle sc. matem. e fis. , del Boncompagni, t. XVII, genn.-marzo 1884. (6) E. Narpucor, Di Burtol. da Parma astron. ital. del sec. XILI e di vn suo tratt. sulla sfera con- Serie II. Tow: LI. 14 106 GIUSEPPE BOFFITO 34 inedita. Accogliendo per buona la congettura del Narducci, ecco in breve che pensa quegli intorno ai rapporti dell’acqua e della terra. In origine la terra era tutta coperta di acqua in parte diversa dall'attuale: Tune terra erat tota cooperta aqua ut vitellus ovi ab albugine et aqua tune erat spissior quam modo est ad magnam partem aeris elevata; aer etiam spissior quam modo sit et obscurior ut quando est magna calligo. Causa vero huius est et erat defectus luminis corporum lumino- sorum ut stellaram et planetarum quae nondum creata erant. Unde non erat lumen in eis neque virtus purificandi immunda, ece. (c. 130, 2* col. del cod. Sessoriano o di Santa Croce 228 della bibl. Vittorio Emanuele di Roma). Ma quando fu da Dio disteso il firmamento e sopra di esso e sotto di esso furono innalzate le acque, il calor del fuoco cominciò il suo lavoro di prosciugamento del- l’acqua rimasta sulla terra, dando origine ai corpi più duri che si vedon sulla super- ficie terrestre (1). La terra è rotonda, al pari del cielo (“ forma sfere celî et terre “ est rotunda omnino ,, pag. 50 del 7. SpA.) e a causa specialmente della sua roton- dità s'innalza nella zona torrida sopra il livello dell’acqua talmente che il diluvio non giunse quivi a coprirla con le sue acque: Ista torrida zona est in alciori parte terre. Unde tumor terre et eius rotunditas prohibet ne inferiora videantur a nobis et superiora nobis non occultentur. Et quia tantus tumor terre est in ea parte respectu aliarum collateralium partium que dicuntur zone temperate reperitur quod aqua diluvii tempore Noe illuc non ascendit (pag. 49). La zona torrida separa la nostra zona temperata da quella abitata dai mostri antipodi (propriamente: anteci), e perciò noi non vediamo le stelle meridionali. Solo forse alla fine del mondo ci sarà dato di vederle, quando le mutate condizioni del cielo saranno causa alla terra dell’ultima catastrofe: Unde nos habitamus temperatam in parte septentrionis et nostri antipodes habitant tempe- ratam quae est in parte austri et propter tumorem terre qui est in medio zone, omnes stelle celi unius emispherii nunquam volverunt (?) per effectum in alteram partem nec pervenient, nisì forte in fine mundi, quod omnino non affirmamus. Bene quidem reperitur in evangelio: Celum et terra transibunt et transmutabuntur ab uno esse in aliud esse. Et sic potest dici quod alter mundus fiet et alter mundus erit et quod illi qui sunt in una zona venient in alteram ete. servato nella Bibl. Vittorio Emanuele, in “ Trans. della R. Accademia dei Lincei ,, vol. VII, ser. IMI, a. 1884. Il codice Sessoriano o di Santa Croce già segnato col n° 145 e ora col n° 228 è qui descritto dal Narducci. Si trova anche descritto (dal cav. Ienazio Giorgi, attuale bibliotecario della Casana- tense) nel cat. ms. dei mss. Sessoriani a c. 136 0-137 r. (1) “ Cum aque usque ad unam partem aeris essent elevate ...ex calore ignis exsiccata congolata et dura corpora produxerunt multa et multe diversitatis ut herbas et arbores , ece., c. 13 7, 2* col. Species aque sunt duo: masculina et feminina. Masculina est levis, clarior cristallo, et munda, cuius levitate moratur in alto super firmamentum celi ...ymo est congelata ut glacies et cristallus, qui dicitur celum crystallinum, cuius quantitas a firmamento superius usque ad nonum coelum. quanto est a firmamento usque ad terram. Causa huius est ut recipiat illum fortissimum calorem | qui exib a motu nonae sphaerae quae dicitur coelum empyreum in quo sunt angeli dei. ...De ista quidem aqua dicitur in divina pagina: Laudate eum celi celorum et aque omnes que super celos sunt laudent nomen domini. ...Infra vero firmamentum est altera aqua similiter congelata et recipit calorem motus rote superioris qui est tantum et talis quod si non esset illa aqua sic congelata totus mundus in una hora combureretur. De hac aqua dicit Deus: posut firmamentum in medio cal “ aquarum ,, c. 16r, col, 1°. Nel Tract. Sph.. a stampa, pag. 52: “ Inter nonam spheram et octavam dicitur esse celum christallinum per aquam (non aguewn, come ha letto a torto il Narducci), que aqua est clara et frigidissima, cuius frigiditate temperatur ipsius calor qui procedit de motu rote firmamenti que continue volvitur inter duas aquas, scilicet superiores et inferiores ,. » GS R R R 9d INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 107 quorum (?) hanc sententiam relinquimus Deo et veridicis theologis. Unde quando sol est in una parte mundi propter tumorem terre qui est im medio latet, cuius umbra facit noctem. Ergo quando nos septentrionales habemus diem et australes habent noctem et eadem de estate et hyeme et de vere et autumpno (c. 158 v, col. 2°). La sfera del cielo si volge intorno all’asse del mondo (che il nostro autore defi- nisce “ linea intellectualis a terra usque ad coelum circa quam sfera coeli continue “ volvitur et movetur ut rota carri circa salam in centro ,, pag. 46) e nel mondo ‘opera per una virtù misteriosa simile a quella che il magnete esercita sul ferro: Hec axis spere licet dicatur esse linea directa ipsa non est per substantiam visibile et malteriale, ut esset filum vel corda vel collumpna, sed virtus invisibilis a deo procedens, ut patet de virtute callamite qua acus ferri movetur sine tactu, sed ex solo aspect directo iun- gitur eî et obedit sibi: Et quia spera celi circumdat orbem terre et cetera elementa quae sunt in spera predicta ut vitellus ovi..... conservat res in suo esse. .... que spera si non con- tinue moveretur . .... nec homo nec aliqua bestia, nec avis in aere nec piscis in aqua nec mare moveretur; nec aqua dulcis possit currere nec in fonte surgere nec ventus sufflare per orbem (pag. 47 del Tyracf. Sph.). Quidam philosophus nomine Arthabradus dixit in suo libro tractans de spera: Natura enim est anima mundi, que continuo movet suo spiritu speram exte- | teriorem, cuius virtute et cuius potentia cetere spere intra se minores applicantur sibi coniun- | Gtione invisibilis virtutis, ut exemplum patet de accu ferri et de lapide callamita, quando ipsa accus ferri diete petre coniungitur et illi applicata manet (pag. 54). Nella Sfera del novarese Campano, della cui vita poco o nulla si sa, si leggono «due brevi capitoli che si riferiscono più da vicino alla nostra controversia. Nel primo egli asserisce (lo proverà poi nel cap. 15) (1) che la natural forma, posizione ed ordine degli elementi è di racchiudersi sfericamente l’un l’altro, rimanendo al centro la terra, alla periferia il fuoco e di mezzo vicino al fuoco l’aria, sopra la terra l’acqua. Nel- l’altro capitolo si domanda perchè la sfera dell’acqua non è intiera; risponde ricor- rendo al comando divino .del Congregentur aquae, ecc. (Gen., I, 9) in virtù del quale non l’acque lasciaron la lor forma sferica, sì bene la terra; che pur rimanendo al centro del mondo venne a sporgere con una sua parte fuori dell’acqua formando uno “4 (1) Campanus, De Sphaera, cap. 15, c. 196 v dell’ediz. degli Spherae Tractatus 0 raccolta di trat- tati cosmografici pubblicata a cura del Gaurieo dal Giunti di Venezia nel 1531, in-f°: £ Quod ele- ‘ menta et mixta ex eis non habent motum nisi ad centrum et a centro. ..... Ex praemissis constat _“ quod primum locans est sphaericum et omnino locata ab ipso et ad se invicem usque ad mixta “ sunt etiam sphaerica locantia et locata. In quo apparet quod omne locatum desiderat aequidistare “ suo locanti et alia vicina primo mobili. Densata vero non rarefactibilia nusquam possunt aequi- Ù “ distare primo locanti et per consequens nec medio misi sint in centro et circa centrum unde “ necesse est quod omnia moveantur ad centrum nisi fuerint prohibita ab illo fortiori. ...Si possent “se rarefacere nisi essent prohibita facerent unam sphaerulam circa centrum. ...Unde constat quod 0 SA È si terra esset perforata diametraliter et demergeretur una sphaera ferrea in illud foramen quod “ ipsa descenderet usque ad centrum quousque centrum illius sphaerae esset verissime centrum “ terrae ibique in perpetuum quiesceret nisi a maiori potentia pelleretur. Unde cum terra sit gravis- “ simum omnium corporum sequitur quod ipsa suo pondere iquiescet immobiliter in medio coeli. “ Quod si per intellectum subtrahemus terram necessario tota aqua tamquam omnium corporum ‘ gravius diffunderet se undique sphaerice circa centrum. Similiter quoque aqua et terra per intel- “lectum subtractis hoc facient aer et ignis, densato aere in parte inferiori prope centrum et rare- “ ficato eo et igne versus cireumferentiam, ita ut impleant omne spatium quod a centro usque ad concavum sphaerae lunae eo quod natura vacuum non subsistet et superiora corpora rarefactionen “ aut condensationem non recipiunt..... ,. 108 GIUSEPPE BONFITO 36 o due continenti terrestri (1). Nel che il Campano viene ad accostarsi in parte alla Quaestio. Ma per lui causa finale del fatto è l’uomo, causa efficiente è Dio. De naturali forma, situ et ordine elementorum. Cap. IV. Naturalis autem situs istoram elementorum forma ipsorum et ordo est secundum quod dicam. Finge tibi terram esse verissime sphericam et totam massam aquae spherice circa eam diffundi. Et totum aerem spherice similiter totam aquae spheram involvere, ignemque totum tres praedictas spheras spherice continere. Eruntque quatuor elementa praedicta vere spherica vereque concentrica, unum commune centrum quod est centrum terrae similiter habentia. Iste est situs et forma et ordo finalis elementorum. ; Quare sphera aquae non est integra. Cap. V. Quod autem aqua non involvit spherice undique terram fuit propter finem rerum creatarum qui est homo. Qui cum multis sibi necessariis non posset existere nisì in arida. Unde factor omnium intuens naturalem situm praedictum et praeordinans elementa ad finem propositum inquit: Congregentur aquae quae sub coelo sunt in locum unum et appareat arida; quod non est intelligendum ut intumuerint a forma spherae in altum elevate sed quod terra în parte quae apparet nunc arida exurrexerit quasi in modum insulae spheram aquae intercipiens et suam veram sphericitatem dereliquens. Cum enim propter sui humiditatem non sit terminabilis nisi termino alieno, terra vero propter sui siccitatem et compaxionem de se terminabilis, inaequalitas praedicta per recessum a fisura spherae non fuit possibilis in aqua, in terra vero fuit. Nam cum omne ponderosum qua parte vicinius potest properet ad centrum suum morem praedictum intellisamus in aqua fore ultra convenientiam suae spherae; nihil enim erit quod impediat aquas tumentes ad suam spheram descendere cum in situ suae spherae sint centro viciniores (1) Nel cap. 46, c. 2007, così s'esprime: © ...Intelligantur duo circuli maiores quorum unus sit “ aequator et alius transeat per polos eius et per primum locum babitatum ex parte orientis. Isti “duo circuli dividunt totam sphaeram in quatuor quartas, quarum duae sunt australes et duae “ septentrionales. Harum duarum illa quae continetur inter duos semicirculos quorum unus est equa- “ toris a punceto orientis in occidentem et alter est alterius circuli ab eodem pnneto orientis per “ polum arcticum in occidente sola est habitata. Alie vero due sunt aquis marium cooperte. Unde “ Macrobius totam terram habitabilem assimilat figure chlamidis extense ,. Quando invece scriveva l’altra sua opera, il Tractatus de Computo Maiori, pare che fosse di altra opinione: “ Aqua, quae “ comparata ad terram est levis comparata ad acrem et ad ignem est gravis, terram undique deberet “ naturaliter ambire, Sed huius orbicularis ambitus defectus, Dei factus est precepto eo dicente: “ Congregentur et terra in sue decisionis partem modicum consurrexit. Quod ideo factum est ut haberet “ homo (qui quodammodo est finis omnium) locum sue habitationi congruentem. Ideoque rationabiliter “ concedendum solum illum locum terre detectum esse ab aquis qui fuit humano usui necessarium,, “ quia igitur sola quarta terrae (quam continent duo semicirculi) quorum unus ab oriente in occi- “ dentem per polum septentrionalem, alter vero supponitur acquinoctiali habitatar (ut omnes aiunt), “ oportet ut alias tres quartas terre esse coopertas aquis ,. — Il trattato del Computo maggiore da cui ho trascritto questo secondo passo, fa parte d'una pregevolissima edizione di vari Commenti sulla sfera (Miscell. Cusanatense, 1388, in-f°. Cfr. c. 159 v, 2* col.), ignota ai bibliografi e che merita perciò d'esser brevemente descritta. Il frontispizio porta la seguente leggenda: “ Sphera | cum com- “ mentis in hoc volumine | contentis. videlicet | Cichi Esculani cum textu | Expositio Joannis Baptiste “ Capuani in candem | Jacobi Fabri Stapulensis | T'heodosii de Spheris | Michaelis Scoti | Questiones “ Reverendissimi domini Petri de Aliaco ec. | Roberti Linchoniensis Compendium | Tractatus de “ Sphera solida | Tractatus de Sphera Campani | Tractatus de computo maiori eiusdem | Disputatio “ Joannis de monte regio | Textus Theorice cum expositione Joannis Baptiste Capuani | Ptolomeus c. 143 », 2* col.; “ Thebit, De imaginatione sphaerae ,, c. 2507; * Theorice planetarum. Joannis Cremonensis ,, 250 0; “ Propositiones quaedam ,, c. 253. È una bella ediz. in-f°, s. a. e note tipogr. in car. got., di c. 249 numerate (2-249) nel 7, più 4 c. senza numero in fine. — Pra le varie edizioni. di Miscellanee di trattati della sfera, da me compulsate, non trovo che quella di Venezia (Scoto, 1518, 19 gennaio), da poter paragonare al descritto esemplare. Cfr. Riccarpi, Bibl. mat. Ital., parte I, vol. II, col. 447 segg. 4 SI INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 109 quam ultra suam spheram elevate. Quod erso apparet de terra factum est resurgens in medio universitatis aquarum quemadmodum in pluribus locis exursunt insulae super mare idest sicut quaelibet insula vere loquendo in suis partibus plus distat a centro quam partes superficie maris. Unde tota arida est sicut maxima insula elevata in aere ultra superficiem aquae. Ex praedictis collicitur quod superficies universitatis aquarum est vere spherica et quod centrum eius est centrum naturalis spherae terrae et centrum reliquarum duarum spherarum elementorum scil. ignis et aeris. 17. Scienziati del secolo XIII. — Pietro d’Abano, come già ebbe ad accennare Sante Ferrari nel suo poderoso lavoro su / tempi, la vita e le dottrine di P. dA. (Genova, 1900, in-8°, a pag. 273), enumera le varie cause che si potevan assegnare dell’emersione della terra, la quale per lui sporge dall'acqua assai più largamente che non per l’autore della Quaestio, ossia nell'emisfero australe e agli antipodi (1). La causa finale, identica a quella pur indicata da altri, era la conservazione degli ani- mali; cause efficienti potevan essere: un particolare influsso sul mare proveniente dalle costellazioni settentrionali; un’elevazione maggiore della terra nel settentrione, a che sembrava pure alludere Aristotele; l’evaporazione. Pietro non mostra di dare . la preferenza ad alcuna; ma aggiunge un’osservazione, che si trova pure nella Quaestio, cioè che, se il fatto poteva parere contrario alla natura particolare degli elementi, non lo era però rispetto alla natura universale dell’universo. Tanto si legge nella Differentia XII del Conciliator nella quale si dimostra che “ aqua sit primum humi- “ dorum et non aer ,; Sciendum quod aqua est corpus simplex cuius locus naturalis est ut circundet terram et È circundetur ab ea, cum in situ eius permanserit naturali, frigida natura et humida, cum gra- Vitate comparativa, cuius in generatis finis extat formas figurare lineare et temperare. Dictum est autem: “ Cuius locus naturalis ete. ,, quoniam terra in quadam eius parte invenitur aquis . discooperta. Quod multiplici de causa potest contingere; aut enim virtute stellarum existentium | in 12 imaginibus quae sunt extra zodiacum in septentrione compescentium mare oceanum ne superabundet terram iuxta illud Psalmiste “ Congregasti aquas in utre ,, propter quarum vir- tutis relaxationem enigmatizatur diluvium contigisse; vel quoniam in parte septentrionis terra | est elevata (Methaurorum, 2°) quod ostendit ibidem fluxus maris methydis sive thanai per marun reliqua tandem in hispanicum; aut quia terra rara est et porosa ita ut humidum | imbibat aque; sive propter radiorum calorem et maxime solarium resolventem aquam in vapores; vel propter animalium permanentiam; magis perfectiora enim esebant aere ad caloris eorum conservationem, necesse namque fuit quod terreitas dominaretur in ipsis ut sapienter facta con- | sislerent, unde opus fuit denudari in aliquibus locis terram aeri, ut ad esse nobilium faciat animalium. Quare Algazel: Degere namque non possent in aqua cum saudeant pulmone. Quod si videatur contra naturam particularem elementorum talis ordo concurrere non tamen contra umiversalem existit universi (Differentia 15) cuius intentio est cuncta semper in melius ordinare, donec ad summum appetibile perveniatur, quod omnium finale appetitivam (De anima 3). Est | autem triplex aque materies. Una quidem congregata mare constituit et maxime amphitrides appellatum vel oceanum, nam hic locus est proprius aquarum et ideo quidam dixerunt in eius medio fore aquam simplicem puram insipidam, cum elementum certum omni tertia maxime carcat qualitate, mixtione namque consurgit. Est et alia in cavernis terre et montium precipue retenta, diseurrens motu quodam impulsivo sub ipsis. Nonnulla vero ut que fluminum super | faciem terre effluit manifeste. Universaliter quoque permutatur aqua secundum naturam terre precipue ac etiam aeris in quibus moratur et transit. Est autem humidum in hoe loco auditum quod actu in ultimo exstat tale (Differentia 15) (2). È (1) Sanne Ferrari, Lfempi, la vita e le dottr. di P. d’Abano. Genova, Tip. Sordomuti, 1900, pag. 275. by (2) Ho ricopiato il passo da un esemplare posseduto dalla biblioteca Vaticana, dell’ediz. dello . Scoto di Venezia, 1496, ricordata anche dal Ferrari, Op. cit., pag. 136. L’ediz. è in-f° pice. di c. 265 110 GIUSEPPE BOFFITO 98 La similitudine, trita oramai, del magnete usata a spiegare l’occulto operare del cielo sulla terra, ricompare in un celebre medico astrologo della fine del sec. XITI, Arnaldo da Villanova, che parlando della malattia dell’epilettico e del lunatico così si esprime: Sane secundum astrologos opus planetarum simile est magneti et ferro quia sicut ferrum eo trabitur, ita omne elementatum a motu et potestate afficitur planetarum. Quod evidentius manifestatur in luna. Ex quibus omnibus liquide claret acute videntibus quod hic languor caducus iure hoc lunaticus sortiatur a luna (1). La configurazione della terra scoperta che ci tratteggia il grande Bacone non differisce gran che da quella di Albategno da cui si direbbe che egli l’abbia presa: Similiter si loquamur de aliis duabus quartis et consideremus vias naturales secundum quod philosophia naturalis decurrit, non erunt illae coopertae aquis, ut vulgus mathematicorum aestimat. Nam cum poli et regiones versus eos sint eiusdem remotionis a sole et planetis secundum comparationem polorum ad vias planetarum in medio mundi inter duo tropica; necesse est quod secundum haec aeguales dispositiones sint in quarta nostra et in quarta ultra aequinoctialem versus alteram polum et similiter in quarta sub pedibus nostris usque ad aequinoctialem et in quarta ultra aequinoctialem (2). SÉ E non solo fuori del nostro quadrante, e specialmente nell’emisfero australe (8), vi son luoghi scoperti e abitabili, ma sotto l’equatore medesimo il clima temperato che anche secondo Tolomeo (De dispositione sphaerae) e Avicenna (De Animalibus, 1) e ji teologi (che vi avevan collocato il paradiso terrestre), vi regna, consente di poter abitare, checchè ne dica in contrario il volgo (4). La terra era sferica perchè ugual- numer. con seen. nei quad. A-KK, a caratt. got. a 2 col. con iniz. ornate, di lin. 66 nelle pag. piene. In calce alla ce. 265” si legge: “ Petri Aponensis libri Conciliatoris divini Et eiusdem de venenis “ finis deo duce impositus est a Boneto Locatello Bergomense nobilis viri domini Oetaviani Scoti “ Modoetiensis impensa cum hoc novissimo annexo de rigore 92° differentie qui ut correctior redde- “ retur ex libris alias impressis et postmodum correctis a medicis praestantissimis magna adbibita “ diligentia extractus est Venetiis idibus Martijs 1496 Domino Augustino Barbadico Principe feli- “ cissime regente ,. Segue nel ». il registro e il simbolo dello Scoto. Nel ». della 1° carta che serve da frontespizio (nella quale non si legge che il titolo: Conciliator) è la prefazione: “ Franciscus “ argilogues de Valentia artium et medicine doctor lectoribus Sa. P. D. ,, ecc. Il passo trascritto si trova a c. 19 v, 2* col. (1) Opera, Lugduni, 1509, c. 310, col. 1%. Cf. Sremscanemer, Art. cit., loc. cit., pag. 266. (2) Opus maius, Venetiis, 1750, pag. 188. x (3) Nel quadrante australe cioè: “ ex defectu aquae ibi quam in quarta nostra, quoniam in parte: illa est oppositum augis solis et sol descendit ad terram ad multum, unde oportet quod comburat “ quartam illam in aliqua parte sui ...et residuas usque ad polum magis \calefaciat... Et similiter contingit persuadere de religua quarta sub illa... Et iterum sumitur argumentum ad hoc per Ari- stotilem in I° Coeli et Mundi et per Averroem quod reliqua medietas terrae ultra aequinoctialem “ circulum est locus sursum in mundo et nobilior et maxime competit habitationi. Et propter hoc ex ordinatione naturae erit quod impedimenta habitationis magis excludantur saltem in magna “ parte illius medietatis scilicet Tongius ab opposito augis solis si eccentricum ponimus et ubique, si non ponatur eccentricus et hoc propter stellas nobiliores, ut vult Averroes I° Coelì et Mundi. Et Ptolomeus dicit in libro De dispositione sphaerae quod natura exigit ut sint duo genera Aethiopum G E GI GI “ scilicet sub duobus tropicis. Ex quo arsuunt aliqui quod habitatio est ultra aequinoctialem sicut citra. Et secundum haec non erit figura habitabilis quartae sphaerae nec semicirculus descriptus in plano, nec aqua circuet in circuitu mundi per polos et oriens et occidens cooperiens tres quartas eius ut creditur, sed magis erit figura aquae huius vel consimilis (Fig. 10%) ita quod hoc mare vocetur Oceanus habens plurimum de aqua circa polos cuius longitudo extenditur a polo in polum “ inter principium Indiae et fimem Hispaniae, quae est mathematicis nota , (pag. 138). (4) “ Et propter hoc quod via solis est inter duos tropicos aestimat vulgus quod totus ille locus est combustus et quod nihil ibi sit temperatum et ideo aestimant quod locus sub aequinoctiali cireulo sit maxime combustus ,, ecc. Op. M., pag. 61. 4 G G GI EA A E da « 39 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 111 mente in ogni sua parte distante dal cielo, sferico: “ Quod autem corpora contenta “in coelo habeant figuram sphaericam hoc demonstratur de aqua, ut per consequens “ pateat de aliis , (1). La dimostrazione ch'egli dà della sfericità dell’acqua arieggia quella d’Aristotele, ma è assai più chiara e confortata inoltre di maggior copia di prove geometriche. Ducantur lineae undique ad superficiem aquae a centro terre, planum est quod aqua semper eurrit ad inferiorem locum propter suam gravitatem, ut videmus. Erso si una illarum esset brevior alia, aqua curreret ad extremitatem illius donec aequaretur. Ergo omnes lineas ductas undique a centro mundi ad superficiem aquae aequari necesse est. Sed ad planum aequari non possunt per 28 et 32 primi E/ementorum nec ad convexum per 8 tertii. Ergo oportet quod superficies aquae continens terram sit concava el non cuiuscunque concavitatis sed sphaericae, quoniam in illa sola figura omnes diametri sunt aequales. Et haec demostratio non solum tenet de aqua interius sed exterius. Nam exterius fluit ad inferiorem locum semper sicut interius. Et ideo oportet quod sit convexa exterius, nam neque ad planum neque concavum exterius possunt omnes lineae ductae a centro esse aequales secundum formam demostrationis. Et hoc patet per experimentum cum demostratione. Nam |Fig. 9 della Tav.|] sit navis gd et portus @ et e sit superficies navis ubi figitur malus et d sit extremitas mali et ducatur ca linea perpen- diculariter a portu ad extremitatem mali. Pronum est per XIX et XVIII primi Element. quod ab linea est longior quam ac. Ergo si mare esset planae figurae tune oculus existens in € videret portum melius quam existens in 5, quoniam d plus distat ab « quam ae. Sed per ‘experientiam scitur quod ille qui est in summitate mali potest videre portum citius quam ille qui est in superficie maris. Ergo relinquitur quod aliquid impedit visum illius qui est in navi. Sed nihil potest hoc nisi tumor sphericus aquae. Ergo est sphericae figurae. Sed si hoc tune terra est sph. fis. convexae nam aliter non elongaretur aequaliter e coelo neque appropinquaret centro mundo aequaliter. Ma perchè la terra emergeva dall'acqua? Quando qualcuno avesse posto a Bacone il quesito (egli, a quanto io sappia, non se lo pone mai) facile avrebbe trovata la risposta, perchè egli si figurava la terra assai maggiore dell’acqua: l’oceano che sepa- rava nell'emisfero opposto al nostro il principio dell’India dai confini occidentali della Spagna, sebbene alimentato di continuo dall’acqua che il freddo polare, da cui alte montagne difendevano le nostre contrade (2), produceva, non era tale di ampiezza da poterla menomamente competere con la terra, e, secondo la figura (V. Fig. 10 d. Tav.) con cui Rogero Bacone ha tentato (se le edizioni son fedeli) di rozzamente rappre- | sentarlo, somiglia assai più a uno stretto canale che a quell'’ampia distesa di acqua che il semplice nome di Oceano richiama tosto al nostro pensiero. Bacone cerca di ‘confermare il suo asserto ricorrendo al 4° libro dello Pseudo-Esdra, già da noi citato, ad Aristotele e ad Averroè, alla leggenda di Alessandro Magno e di Nerone: Ptolomeus in libro de dispositione spherae valt quod fere sexta pars terrae est habitabilis propter aquam et totum residuum est coopertum aquis. Et ideo in Almagesti 2° libro posuit quod habitatio nota non est nisi in quarta terrae scilicet in qua habitamus..... Sed Aristotiles vult in fine secundi Coelì et Mundi quod plus habitetur quam quarta, et. Averroes hoc con- firmat..... A. fime Hispaniae sub terra tam parvum mare est quod non potest cooperire tres A quartas terrae ..... Versus polos mundi oportet quod aqua abundet, quia loca illa frigida (1) Op. M., pag. 71 ed anche: Specula Mathematica, Francoforte, 1619, pag. 63, cap. >. (2) £ Procul dubio secundum quod Plinius et Martianus et alii docent, montes maximi sunt ad “ ubera Aquilonis, ut montes Ryphaei et Hyperborei et alii quorum altitudo immensa est, propter “ quam possunt prohibere frigus Aquilonis sieut accidit in montibus Italiae apud loca quae sunt “ inter solem et montes ,, pag. 61. Op. M., ed. cit. 112 GIUSEPPE BOFFITO 40 sunt propter elongationem a sole, sed frigus multiplicat humores, et ideo a polo in polum decurrit aqua in corpus maris et extenditur inter finem Hispaniae et inter principium Indiae non magnae latitudinis et vocatur Oceanus, ut principium Indiae possit esse multum ultra medietatem aequinoctialis circuli sub terra accedens valde ad finem Hispaniae (pag. 137). 18. Vincenzo di Beauvais, Brunetto Latini e Sidrac. — Nulla di veramente nuovo ci presenta la farraginosa e ponderosa opera di Vincenzo di Beauvais. Sulla guida di Pietro Comestore, che a sua volta si lascia guidare dai Padri, ci ritrae lo stato primitivo del globo terrestre (1); con alcune ragioni di Alberto Magno spiega perchè l’acqua lasci allo scoperto una parte della terra (2), quanto a sè tuttavia preferendo ‘Tattribuir la cosa a miracolo (3); con Plinio argomenta della convessità della superficie “ceanica (4) e con Tommaso Cantipratense (se a costui s'ha ad attribuire il liber de naturis rerum spesso citato dal Bellovacense (5)) discorre della formazione dei monti (6). Brunetto Latini, profugo in Francia dopo la battaglia di Montaperti, rallegrava il suo esiglio scrivendo in verso italiano una breve enciclopedia, il cosidetto 'eso- retto, e in prosa francese la massima sua enciclopedia, il 7ésor, nel quale, avendovi | egli raccolto il fiore della sua dottrina e coltura, potè credere, raccomandandola a Dante nell’Inferno, di sopravvivere con la miglior parte di sè stesso. Il Tesoretto, mutilo com'è (essendo andati probabilmente smarriti gli ultimi fogli che dovevan con- tenere la risposta di Tolomeo (7)), non ci fornisce che qualche idea vaga e generica (1) V. BrrovacensIs, Speculum quadrupler, Duaci, 1624, in-f°. Speculum Naturale, lib. V, cap. I, col. 307: “ In locum unum dicuntur congregatae (aquae); unde potuit esse quod aquae quae totum “ geris spatium scilicet vaporabiles occupabant, soliditate tamen modicum obtinerent locum. Et terra paululum subsedit ut eas tanquam in matrice concluderet. Et sic apparuit arida quae prius latebat sub aquis ,. Cfr. Perri Comesroris, Hist. Scolastica, Historia Libri Genesis, cap. V, in Mione, PL, . 198, col. 1059. (2) I6., cap. 2°: “ Verum si secundum naturam terra est in medio omnium videbitur esse quoad omnem partem in medio aquarum, et videtur quod deberet aquis undique esse cooperta et nullibi apparere arida. At vero non est simile de aquis et de aere et de igne: quantum enim elementum quodlibet rarius est, tantum locum occupat maiorem et quanto spissius tanto minorem, unde et. dicit Philosophus quod ex uno pugillo aquae fiunt decem aeris. Propter hoc aqua in minori loco est quam aer. Unde non sequitar, si aer et ignis ambiant terram undique quod etiam aqua ambiat eam undique ,. E nel lib. VI, cap. I, col. 369: “ Si forte secundum naturalem elementorum ordinem aqua sit superior terra quaerit aliquis quo modo terrà apparuit arida et non potius undique remansit aquis cooperta, sicut ista duo elementa undique sunt aere et isne iuxta sphaerarum suarum gradus circumdatae. Verum ...non est aquae vel similis proportio ignis et aeris ad terram, cum aqua secundum humidi sua naturam dissolvit terram eius poros influens Ideoque operitur a terra saepe et non operit eam undique. Aer vero non ita dissolvit eam humido nec influit eam. Et ob hoc undique circundat siquam et etiam terram, similiter et ignis ,. (3) Lib. VI, c. 6, col. 373: “ Potest dici quod secundum ordinem naturae tota superficies terrae aqua cooperitur et aere. At vero Creator omnium Deus magno beneficio suo voluit unam partem terrae aquae supereminere ut in ea esset hominum habitatio et animalium ,. (4) Lib. VI, c. 12, col. 377: Quod etiam Oceanus terram cingens in verticem sit conctus. Sed vulgo haec pugna est maxima ,, ecc. Nel capo precedente ha, pur con Plinio, dimostrato che: “ terrae globus sit verticosus ,. (5) Così crede Erxrsro Mexer, Gesch. der Botanik, vol. IV, 91 segg., 102. Cfr. Sunpsr, Op. cit., pag. 118. i (6) Lib. VI, e. 20, col. 382: “ De montibus et causis eorum. — x %bro de naturis rerum. — “ Terra, ut dictum est supra, in initio dispositionis suae rotunda fuit... Nunc autem est montuosa “ sed tamen sphaerica ,, ecc. (7) Suxpry, Op. cit., ed. cit., pag. 33. Sul finire del poemetto, apparsogli Tolomeo “ maestro di storlomia e di filosofia ,, Brunetto lo mette a ragionare: “ Di que’ quattro elementi — E di lor “ ct R R DI GI Gi G (1 K 41 INTORNO ALLA “ QUAESTIO DE AQUA ET TERRA , ATTRIBUITA A DANTE 113 «intorno alla disposizione degli elementi, senza mai entrare nel merito della contro- versia (1); ma non è. così del Tesoro, e principalmente della terza parte, della quale esiste pure un'antica versione, che risale ai tempi di Brunetto, pubblicata da Bar- . tolomeo Sorio col titolo di Trattato della Sfera (Milano, 1858). Gli elementi son tutti | disposti concentricamente l'uno entro all’altro al pari delle sfere celesti: Sì come la terra è tutta rotonda secondo il compasso del quale il punto |reonde, è son compas, dont li points, ecc.| è nel profondo della terra cioè nel miluogo, il quale è chiamato abisso, così sono compassati li cerchi delli elementi e delle pianete e del firmamento. Sicchè sono tutti ritondi l’uno dentro all’altro e l’uno intorno all’altro (2). “ fondamenti — E come son formati — E insieme legati — Ed e’ con belle risa — Rispose in questa, “ guisa,. Il poema rimane così in tronco. Cfr. Br. Lartmi, Il Tesoretto e il favoletto, a cura di G. B. Zannoni, Firenze, Molini, pag. 232. Lo Zannoni è pur di parere che si trattasse d'una prosa or perita. V. pag. im della Prefazione. ; (1) Nel cap. 6°, pag. 38 dell’ediz. or citata, la Natura dice a Brunetto: “ Al terzo [dì], ciò mi (_ “ pare — (Dio) Spacificò lo mare — E la terra divise — E in ella fece e mise — Ogni cosa bar- “ bata — Che ’n terra è radicata ,, ece. Tutti i codici, meno uno, hanno specificò, tuttavia lo Zannoni preferisce spacificò, perchè altrimenti si dovrebbe dare al passo significazione ricercatissima, cioè che Dio diè forma in certo modo alle acque da sè già create, le quali coprivan la terra, adunandole in un luogo e chimandole mare. A me pare che lo Zannoni sia qui in errore; perchè questa inter- pretazione che a lui sembra così ricercata, è anzi assai comune tra i Padri e Dottori della Chiesa. Nel cap. 9°, pag. 70, leggiamo: “ Altresì tutto ’1 mondo — Dal ciel fin lo profondo — È di quattro “ elimente — Fatto ordinatamente — D’'aria d’acqua e di fuoco — E di terra in suo luoco — Chè ° per fermarlo bene — Sottilmente convene — Lo freddo per calore — I ’1 secco per l’omore — _ “E tutti per ciascuno — Si.rinfrenan ad uno — Che la lor discordanza — Ritorni in aggua- .“ glianza ,. Infine nel cap. 10°, pag. 229, giunto sull'Olimpo “ di sopra in sulla cima — E qui lascio “la rima — Per dir più chiaramente — Ciò ch'io vidi presente — Ch'io vidi tutt’il mondo — Sì ‘ com/egli è ritondo — E tutta terra e mare — E ’l foco sopra l’aire — Ciò son quattro elementi “— Che son sostenimenti — Di tutte creature — Secondo lor nature ,. __\2) IZ Tesoro di Br. Latini volgarizz. da Bono Gramsowi, Bologna, a cura di Gaiter, vol. I, 1878, pas. 335, cap. 39. Nel cap. 35 del medesimo lib. I, pag. 309 sega. se ne adducono le ragioni: © A ciò € fu natura bene provveduta quando ella fece il mondo tutto ritondo, chè nulla cosa puote essere _ “ sì fermamente serrata in sè medesima siccome quella ch'è ritonda..... [perchè contiene meglio e “ non è sofferente di vuoto]. Perciò voi potete intendere che la terra è tutta ritonda. H altresì < sono gli altri elementi che si tengono insieme in questa maniera. Chè quando una cosa è rin- ‘ chiusa e intorniata dentro dell’altra conviene che quella che racchiude tenga quella rinchiusa; — “e conyiene che quella ch'è rinchiusa sostegna quella che la rinchiude. — La ragione come: Se il “ bianco dell'uovo che aggira il tuorlo non tenesse e non lo rinchiudesse dentro di sè, egli cadrebbe “ in sul guscio, e se ’l tuorlo non sostenesse l’ albume certo egli cadrebbe nel fondo dell’ uovo. E “ perciò conviene in tutte cose che quello ch'è più duro e più grave, sostegna tutti gli altri e sia | ‘nel mezzo di tutti: però che come la cosa è di più salda e dura sostanza, tanto può meglio soste- “nere le altre cose che sono d'intorno a lei. E com'ella è più grave, tanto si conviene che la si — “ tragga nel mezzo o nel fondo dell’altre che intorno di lei sono; cioè in tal luogo ch’ ella non È potesse più montare, nè più scendere nè andare nè quà nè là. E questa è la ragione perchè la “ terra ch'è il più srave elemento e la più salda sustanza è assisa nel miluogo di tutti i cerchi e ù “ di tutti i torniamenti, cioè al fondo de’ cieli e degli elementi. E perciò che l'acqua è il più grave e l’acqua è assiso il quarto elemento, cioè il fuoco che è sopra tutti gli altri... c ] si i lt. 17 RES ana o Celum Sai | Lit. Salussolia - Torino. Principium. Hispaniw CE Polus Borealis Fig: 12 A ccaò. Re delle SE MI6S OM eine Ò LOC DIE Te To). ou? AE È; Se ced Oovro Lil. Lig. 6 centrum| terre centrum|magnitudjnis centrum| gravitatis ARIODANTE FABRETTI NOTIZIE SULLA VITA E SUGLI SCRITTI raccolte - : dal Socio ERMANNO FERRERO _ Appr. nell’ Adunanza del 23 Giugno 1901. Si Giuseppe Goffredo Ariodante, primogenito della numerosa famiglia di Giuseppe È Fabretti e di Assunta Corsi, nacque a Perugia il 1° di ottobre 1816. In questa città i passò i primi anni; poscia fu a Magione, dove il padre, nativo di Deruta, teneva e tenne per molti anni l'ufficio di cursore; or si direbbe di usciere giudiziario. Giu- | seppe Fabretti era uomo curioso d’imparare, appassionato per la lettura, ricercatore "9 delle memorie locali; per quanto gli consentiva la tenue entrata riunì libri, special- mente di storia del paese, ceramiche umbre e marchigiane, allora mediocremente DETTO | stimate, or brama e delizia dei raccoglitori intelligenti: non mancavano in questa i collezioncina alcuni piatti di mastro Giorgio da Urbino. | »—’‘Non di rado giovanetti d’ingegno furono invogliati a certi studii dai libri tro- vati in casa; accadde così ad Ariodante Fabretti, il quale, sin dai teneri anni, s'inna- rò delle lettere e della storia, e con l’avida lettura delle opere della libreria erna cercava soddisfare la voglia d’istruirsi. Dopo tre anni lasciò le non buone In un foglietto di cenni sulla sua vita, che pur troppo non va oltre agli anni giovanili, scrisse il Fabretti: “ Nel 1829 ricominciai a studiare regolarmente ripi- enza aiuti e senza protezioni: tre anni di lettere, uno di umanità, due di retorica, sotto abili insegnanti: riportai sempre negli esami grande considerazione, la quale “ libertà di parola..... I tempi non consentivano studii assai lunghi ed ordinati : adem- Serie Il. Tox. LI. 21 162 ERMANNO. FERRERO 92 “ pievo a qualche cosa di più che ai doveri; e fondava una accademia di amici per “ leggere composizioni in prosa e in poesia (1). C'era un desiderio grande di operare: “ma avrei avuto bisogno di una guida più sicura che cominciai a trovare nei pro- “ fessori Antonio Mezzanotte pel greco, G. B. Vermiglioli nell’archeologia, in Seba- “ stiano Purgotti per la chimica. Nessuna professione speciale piacevami. Mi sentiva “ inclinato, per indipendenza di carattere, alla libertà delle lettere, e segnatamente «“ agli studii storici. C’entrava un po° la politica, che aveva fatto in me capolino, “ quando dopo la rivoluzione del 1831, della quale avevo oscuro ricordo, gli spiriti “ dei Perugini si manifestarono ostili alla corte di Roma: per assistere al tumulto “io aveva disertato la scuola di grammatica. Nè divertimenti, nè affetti mi disto- glievano dagli studii con un sentimento vivissimo di giovare alla redenzione della “ patria, ». Nell’Università di Perugia, fra il 1837 e il 1839, seguì i corsi di lingua e di letteratura greca, di eloquenza e di poesia del Mezzanotte, di chimica e di farmacia del Purgotti, di anatomia e di fisiologia di Alessandro Ferroni. Con ampie attestazioni di diligenza e di profitto dategli da’ suoi maestri (2), sullo scorcio del 1839 si recò all’Università di Bologna per compiervi lo studio della veterinaria. “ Là frequentai , soggiungono gli.appunti citati “ le lezioni di chimica e farmacia date dal Sant'Agata “e dallo Sgargi, di anatomia umana dal Mondini, di anatomia comparata dall’ Ales- “ sandrini (3), di fisiologia dal Medici, di storia naturale dal Ranzoni, di botanica dal “ Bertoloni; ma il maggior desiderio era quello di conversare coi letterati bolognesi “e romagnoli, di sentire i consigli del conte Marchetti, di assistere alle lezioni del “ marchese Angelelli. Nel giugno 1840 prendeva il baccellierato in medicina (4) e “ dopo un anno una matricola in veterinaria (5). E qui si arrestano gli studii scien- “ tifici per abbandonarmi esclusivamente alle lettere ed agli studii storici. Le aspi- “ razioni di libertà e d’indipendenza della patria erano addivenute la mia esistenza: tutto avrei ad essa sacrificato, e sacrificavo di fatto il mio avvenire chiudendomi la via a quelle facilitazioni che non mancano a chi si mostra in tutto benevolo ai governanti. Percorreva un periodo d’incertezza senza speranza di un avvenire; nè trovavo contrasto nei desiderii e nella volontà di mio padre. Ad un buon vecchio che dicevami “ conviene pensare ad una posizione , io rispondeva: “io consacro i miei studii allo scopo di ridestare ne’ miei concittadini i sensi d’indipendenza e “ di libertà. E da qui nacque l’idea della pubblicazione: Biografie dei capitani ven- “ turieri dell'Umbria illustrate con documenti , (6). (13 « (1) Nel 1837. Quest’ accademia di giovani era detta dei :lopedì. Il Fabretti conservava nelle sue carte (ora nella biblioteca comunale di Perugia) un quadernetto dei componimenti in verso ed in prosa da lui recitati. (2) Ebbe anche premii per il greco, l’eloquenza, la chimica. (3) Sono del Fabretti un sonetto a stampa in lode del Mondini (1840) e versi sciolti in onore dell’Alessandrini (1841) presentati a questi professori dai loro scolari. (4) Esami per il baccellierato nella Facoltà chirurgica sostenuti con pienezza di voti il 19 giugno 1840. — Diploma del 27 giugno 1840. Pon (5) Esami per il grado di licenza in medicina veterinaria sostenuti con pienezza di voti il 17 giugno 1841. — Diploma del 26 giugno 1841. (6) Cessano a questo punto i brevissimi cenni autobiografici. 3 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 163 Quest'opera, che si stampava a Montepulciano, cominciò ad essere pubblicata a dispense nel 1842: essa è composta di quattro volumetti di biografie e di uno, un po’ più grosso, di note e di documenti (1). L'intendimento dell'autore nella scelta del soggetto è indicato nell’introduzione. Non tutte le regioni d’Italia, e fra queste l'Umbria, hanno la loro storia. “ Perchè “ una storia italiana possa comparire in tutta la sua estensione perfetta, è pria “ d'altro necessaria la esecuzione di storie parziali. In ogni città sorga un generoso “ a narrare le geste de’ suoi concittadini; ogni regione faccia pro di siffatti lavori, “ gli riassuma, li fonda in un solo, dia loro quella unità voluta in un’opera artistica, ._“ che tutti hanno dovere di consultare: un grande ingegno — e tutti i secoli ne han .“ date più d'uno — questi elementi tra loro congiunga, ne faccia un tutto perfetto, . "e il codice d'Italia sarà compiuto. Prescelsi questa regione perchè fu nel medio — * evo feconda d’uomini che per tutta Italia ebbero fama d’uomini valorosi; perchè o fin qui non venne abbastanza illustrata; e perchè nato in questi luoghi, mi fu age- Ì “ vole raccorre quanto di prezioso si racchiude nella nostra pubblica Biblioteca, e Gi presso alcuni spiriti gentili mi fu caro togliere all’obblio monumenti di qualche “utilità , (2). “ Altri penserà a scrivere la storia dei condottieri italiani , egli sog- | giunge (3). E questa storia, mentre appunto uscivano le Biografie del Fabretti, era data alla luce da Ercole Ricotti (4). Fra le due opere dei due giovani scrittori coe- . tanei, allora l’ uno all’ altro ignoto, più tardi colleghi nell'Accademia delle scienze A e nell'Università torinesi, non si deve, nè si può istituire un confronto (5). Quella del Ricotti, abbracciando, oltre alle vicende delle compagnie venturiere, anche lo stato | amteriore degli ordini militari in Italia e la ricerca delle conseguenze generate e | delle traccie lasciato da queste compagnie, riesce una storia della milizia italiana — durante più secoli; mentre il Fabretti non aveva che il modesto assunto di narrare le vite dei condottieri della sua regione; onde poche pagine gli bastarono nell’introduzione per indicare l'origine, la natura; gli effetti delle compagnie venturiere. “ Moltissimi “ sono i Capitani di ventura nati nell’Umbria, ma non tutti di uguale celebrità. Dei “ primi verranno estese particolari biografie..... Di que’ Capitani, che non ebbero una parte principale nella storia, e che nelle azioni alta fama non levarono, si parlerà senza offendere l’ordine stabilito nel volume dei Documenti. Tengo fiducia che il SA quinto volume sia per riuscir grato a questa regione, di cui mi piace render chiara la gloria, perchè conterrà brani di storia inedita, nuovi monumenti letterarii da s (1) Biografie dei capitani venturieri dell'Umbria scritte ed illustrate con documenti, Montepulciano, coi tipi di Angiolo Fumi; in-12°; vol. I (1842), pagg. 298; II (1843), pagg. 334; III (1844), pagg. 263; IV (1846), pagg. 298. — Note e documenti che servono ad illustrare le biografie dei capitani venturieri VUmbria, volume unico, 1842, pagg. 632. Esso non uscì tutto nell’anno, di cui porta la data. Le Itime dispense furono pubblicate nel 1850. (2) Biogr., vol. I, pag. 10. (3) Pag. 22. ? (4) Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino, 1844-45; vol. 4. (5) Ho notato altrove che il Ricotti non conobbe i due primi volumi delle Biografie, che giun- ano in dispense alla biblioteca del re a Torino, e dai quali avrebbe potuto trarre qualche notizia utile per il suo lavoro (Della vita e degli scritti di Ercole Ricotti, Torino, 1888, p. 44, e in Mem. della Accad. delle scienze, serie II, t. XXXVIII, p. 335). Il Fabretti, ne’ suoi ultimi volumi, ebbe conoscenza della storia del Ricotti. SARTI LIRE Re 164 ERMANNO FERRERO 4 i È “ niuno 0 da pochissimi conosciuti, e alcune carte diplomatiche, le quali non possono “ leggersi che presso alcuni particolari , (1). Felice consiglio fu quello di non moltiplicare ed ingrossare le note delle Bio- grafie soffocandone il testo, con noia del lettore, ma di rimandare ad un volume separato gli schiarimenti con “ molti documenti inediti ..... brevi, diplomi, lettere, “ prose e versi latini e italiani, atti municipali ece... brani di storie, i quali seb- “ bene noti a molti, non tutti hanno il comodo di leggere , (2). Già fin d’allora il Fabretti conosceva l’arte di fare il libro, arte difficile, ch'egli diceva spesso doversi chiedere anche a chi scrive opere di pura erudizione. Quest’arte non consiste solo nell’ opportuna distribuzione della materia, ma nell’ esposizione e nella forma; ed anche fin d’allora il Fabretti si rivelava scrittore facile ed accurato. In questo suo primo lavoro appena appena si può notare talvolta la vaghezza, assai comune nei giovani di allora, in cui si leggevano e si studiavano a fondo i nostri classici, d’imi- tare troppo da vicino questi scrittori anche nelle voci e nel fraseggiare, che hanno fatto il loro tempo. Gli atti virtuosi e scellerati, i fatti gloriosi e turpi, che gli pas- savano dinanzi, commovevano l'animo del narratore, e ne facevano sgorgare calda ed imaginosa la parola. La schiera dei condottieri umbri si apre, sul declinare del secolo XIV, col peru- gino Biordo Michelotti, con Boldrino Paneri da Panicale e con Ugolino Trinci da Foligno. Le geste di questi capitani sono oscurate da uno dei maggiori guerrieri d’Italia del secolo XV, da Braccio Fortebracci. “ La sua vita sono vent’anni di storia “ tutta nostra, tutta italiana , dice il Fabretti, che al Montonese consacra perciò ben più lungo discorso che ai precedenti. Oddo Fortebracci raccoglie, giovanissimo e per un istante, ma più di nome che nel fatto, l’eredità del genitore. Il vero erede di Braccio è stato Niccolò Piccinino, su cui pure s’indugia il nostro autore dopo aver menzionato i fatti di Ruggero Cane Raineri. Dopo il Piccinino, Niccolò Forte- bracci, Erasmo Gattamelata, valendosi per questo ultimo di documenti comunicatigli da Giovanni Eroli, che più tardi largamente illustrò la vita del condottiero suo con- cittadino (3). Seguono Francesco e Jacopo Piccinini, Carlo Fortebracci, Braccio Ba- glioni, Antonio, Lodovico e Ranuccio conti di Marsciano, Niccolò, Vitellozzo, Paolo Vitelli, Astorre e Giampaolo Baglioni, Bartolomeo d’Alviano, Malatesta IV Baglioni (4). La vita di quest’ultimo era stata da poco scritta da un maestro del Fabretti, Giovanni Battista Vermiglioli (5). Ma l’animo del Vermiglioli, come disse un altro suo discepolo, “ sì ardente del patrio onore, desioso, se lo avesse potuto, di poter “ mostrare, che tutto che spettava a Perugia era grande, nobile, immacolato, non (1) Biogr., vol. I, p. 28 e seg. (2) Note e documenti, p.5. — In principio degli schiarimenti ad ogni biografia sono riferite epi- grafi dettate da Cesare Ragnotti, amico del Fabretti, le quali riassumono fatti ed indole del condottiero. (3) Erasmo Gattamelata da Narni, suoi monumenti e sua famiglia, Roma, 1877. 3 (4) La vita di Malatesta fu pure pubblicata a parte, insieme con gli schiarimenti, che la con- cernono, in un volumetto col titolo: Vita e fatti d'arme di Malatesta Baglioni condottiero dei Fiorentini scritti ed illustrati con documenti, Montepulciano, 1846; 12°, pagg. 212-cvr. Sono gli stessi fogli del vol. IV delle Biografie e di quello delle Note e documenti. Di nuovo non vi è che un’avvertenza pre- liminare al lettore (p. 3-6). (5) La rita e le imprese militari di Malatesta IV Baglioni, Perugia, 1839. 1) 5 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 165 “ sapea resistere alla tentazione, che lo trascinava a discorrere di Malatesta con “ minor severità degli scrittori, che lo avean preceduto, attratto o ingannato in questo “ fors'anco da qualche indulgenza iscontrata nelle parole dell’istorico Segni o del “ nostrò concittadino Pompeo Pellini , (1). Il Fabretti battè altra via, lasciandosi | guidare soltanto dalla verità. Il Malatesta, che vien fuori dalle sue pagine, è un mancatore di fede, non solo perchè così lo chiamò la voce de’ contemporanei, che talora possono essere tratti in inganno da false apparenze, ma perchè altro giudizio ‘non può esser dato da chi, senza passione in cuore, senza stimolo di dire diversa- mente dagli altri, esamini e pesi gli atti del condottiero dei Fiorentini (2). Ma quando — cominciò Malatesta a tradire? Il Fabretti ne crede obliqui gl’ intendimenti sin da | quando i Fiorentini stipularono con lui gli accordi per la condotta. Altri sostenne, più tardi, diverso parere, e diversamente interpretò documenti, che il Fabretti per il primo aveva dato alla luce (3). I fatti di Ascanio della Corgna, difensore dei Perugini nella guerra del sale, juei di Alessandro Vitelli, di Astorre Baglioni, vittima dei Turchi a Famagosta, e fi del fratello Adriano, che servì l’imperatore e il re di Francia e militò contro gli | ugonotti, pongon fine all’opera del Fabretti. di. Mentre attendeva a questa pubblicazione, non lasciandosi scoraggiare dalle dif- È ficoltà, talora non lievi, che gli si paravano dinanzi nella prosecuzione dell'impresa, il Fabretti fondò, con alcuni giovani amici, e poscia diresse un’appendice letteraria j al giornale perugino: L'Osservatore del Trasimeno (4). In essa egli stampò recensioni F di libri, qualche articolo originale ed una serie di lezioni elementari di storia peru- | gina a partire dai tempi più antichi e rimaste troncate all'anno 1194: “ Son lezioni (1) Conestabile, Della vita, degli studi e delle opere di G. Battistu Vermiglioli, Perugia, 1855, p. 160. (2) “ Se Fiorenza con un condottiero prode e leale poteva o no la libertà sua mantenere e difen- | “dere contro la voglia de’ Medici fuorusciti, di un papa Clemente VII e di un imperatore Carlo V, __“ vincitore di Francesco I re di Francia, fortunato padrone di mezza Europa, arbitro della politica __“ del mondo, ora non cerco. Ma certamente non l’Italia, nè Malatesta Baglioni, nè taluni altri tra “ gli stessi Fiorentini avevano fede nell'evento di quell’assedio. Ad ogni modo Malatesta aveva giu- ‘“ rato combattere con ogni sua possa le forze smisurate dei nemici: e combattere doveva, vita e ‘ speranze sacrificando, o scendere dall'ambito governo delle armi fiorentine; salvare almeno l'onore della sua bandiera, risparmiare al nome suo la vergogna ,. Vita di Malatesta Baglioni, p.4 e seg., ell’avvertimento «2 Vettore, aggiunto, come è stato detto, all'edizione a parte. Non diversamente dice il De Leva, Storia di Carlo V in correlazione all'Italia, vol. II, Venezia, 1864, p. 619, che, dopo aver esposto il giuramento di Malatesta, eletto capitano generale, pronun- ato il 16 di gennaio 1530 nella chiesa di San Nicolò “ di difendere la città insino alla morte , joggiunge: “ A questo atto solenne e sacro ponga mente il lettore, per conchiuder appresso che |“ sarebbe orribile spregio della virtù sotto qualsivoglia titolo specioso cercar scusa allo spergiuro , in nota indica il libro del Vermiglioli. (3) Falletti (Fossati), Assedio di Firenze, contributo, Palermo, 1885, parte I, p. 97. Il documento, cui accenno, è la lettera del Baglioni a Clemente VII dell’8 aprile 1529, conservata nell'Archivio Firenze e pubblicata dal Fabretti nel vol. IV, p. 87, nota 1. Il Falletti non ne cita il primo edi- e. L'opinione di questo autore che nei primi atti di Malatesta a Firenze non vi sia indizio di radimento è stata accolta dal Perrens, Hist. de Florence depuis la domination des Médicis jusqu'à la hute de la république (1434-1531), t. III, Paris, 1890, p. 300, nota 1. © (4) L’Appendice all’Osservatore del Trasimeno, che nei primi numeri aveva il sottotitolo: foglio periodico di scienze, lettere, arti, teatri e varietà, cominciò ad uscire il 10 gennaio 1844. Si pubblicava, presso Vincenzo Santucci, il 10, il 20 ed il 80 di ogni mese; nel 1845 mutò alquanto la forma, ed ebbe la firma di Ariodante Fabretti direttore. L'ultimo numero è l’85°, del 10 agosto 1846. Per gli articoli del Fabretti vedi l’elenco de’ suoi scritti, che do alla fine. 166 ERMANNO FERRERO 6 » elementari , dice l’autore “ (non un corso completo di storia patria) che a miglior “ tempo forse verranno pubblicate, raccolte in picciol libro. Sono scritte pei padri “ di famiglia e pegli educatori de’ giovinetti, cui di tante cose si riempie e si affatica i cit i “ Ja memoria, e non di brevi e compendiate notizie sul paese in cui nacquero e vivono “e che debbono aiutare col consiglio e coll’opera. Le menti tenere e vergini di noie “ cittadine volontieri ascoltano la voce di chi lor narra antiche avventure; colla “ guida de’ maestri acquistando conoscenza degli uomini e de’ fatti delle passate età, “ alcuni piglieranno amore agli studi storici, e col soccorso di questi cammineranno “ più franchi nell’apprendimento d’ogni severa disciplina. Così l’apprendere la storia “ del nostro paese, che non si può o non si vuol fare da uomini, si farebbe da fan- “ ciulli. La patria, cred’io, guadagnerebbe qualcosa; certo nulla perderebbe ,. Ma già oltre alle indagini storiche, anche l'archeologia cominciava allora ad attrarre il Fabretti. Gli fu maestro il Vermiglioli, che la sua grande operosità non solo rivolse ad illustrare i fatti, gli uomini più famosi, i monumenti della sua Perugia, ma, comprendendo, con largo intendimento, tutto il vasto campo dell'archeologia, fu il primo a dettare, con le sue Lezioni elementari di archeologia (1), un trattato com- piuto di questa disciplina. “ Il Vermiglioli , disse più tardi il Fabretti “ trovò aperto, anzi facilitato il cammino nello studiare i tempi che precedettero, or gloriosi, or avversi; e veramente lo percorse con una costanza e con una liberalità di animo rare 2 trovarsi negli uomini di lettere. Fornito di tutte le comodità della vita, tranquillo anche in mezzo alle commozioni politiche d’Italia, percorse il campo vastissimo della. storia e dell’erudizione, e volle rinverdire ogni memoria che fosse gloriosa a’ suoi concittadini. Se non esempio di squisita critica, se le sue opere, molte e svariate, lasciano desiderare diligenza maggiore nel rendere gli antichi monumenti, certo son tesoro di erudite ricerche, utilissime a quelli che succedutigli vorranno elevarsi a miglior altezza , (2). L'archeologia locale riceveva allora nuovo incremento dalla scoperta dell’ipogeo dei Volunnii avvenuta nel 1840, la quale, dirò pure con parole del Fabretti, “ aveva risvegliato il desiderio di ricercare e met- “ tere allo scoperto le impenetrate tombe, che all’oriente della città componevano “ un'antica necropoli e disegnavano l’ultimo periodo della civiltà etrusca in questa contrada, considerata provincia toscana sino ai tempi del Machiavello. Quanti pre- ziosi ricordi di un popolo caduto, quanti monumenti dell’arte vetusta conservati alla scienza dalla religione dei sepolcri! Urne e sarcofagi, spesso con grande magistero artistico condotti, vasi di ogni maniera, suppellettili di bronzo, arredi e ornamenti, e insieme un prodigioso numero di leggende erano il frutto delle appassionate esplorazioni. Novelli tesori conquistava l'archeologia: il Vermiglioli pigliava argo- mento alle sue dichiarazioni scientifiche, altri s’infervoravano nello studio dell’an- “ tichità , (8). Erano questi altri il Fabretti e Giancarlo Conestabile. Il Vermiglioli apprezzava « “ (‘4 (13 R x (1) Lezioni elementari di archeologia esposte nella pontificia Università di Perugia, Perugia, 1822-23, i 2 vol. Un'altra edizione fu fatta a Milano nel 1824. ] (2) Pref. al vol, II delle Cronache e storie inedite della città di Perugia (Arch. stor. ital., vol. XVI, parte 2°), p.xv e seg. (3) Elogio funebre del conte Giancarlo Conestabile, Perugia, 1878, p. 13. 7 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 167 l'ingegno e la soda dottrina del Fabretti, con parole di somma lode lo proponeva nel 1842 al Consiglio municipale per l’ufficio di civico bibliotecario (1), e quando, (1) Riporto la proposta del Vermiglioli, che trovasi fra le carte del Fabretti: “ La istituzione e l’uso delle pubbliche Biblioteche, siccome è uno dei mezzi più bisognevoli a “ promuovere la costituzione delle scienze, così appresso le nazioni più saggie fu sempre un oggetto “ di sincera attenzione. “ Nè va ascoso agli eruditi quanto su questo proposito già scrissero Lipsio, Struvio, Montfaucon ed altri. Uno dei tratti più luminosi della storia de’ Tolomei, degli Fumenidi, degli Augusti e di altri Cesari Romani, è certamente la istituzione di pubbliche Biblioteche in Alessandria, in Pergamo, ed in Roma. Perugia d'ogni scientifica e letteraria disciplina sempre coltivatrice ebbe Biblioteche, e forse destinate a publico uso fino dal secondo lustro del secolo XIII; e noi publicandone altrove la storia per succinta maniera, non dimenticammo per avventura i lodevoli impegni che fino d’allora ed in progresso di tempo n'ebbero i nostri Magistrati. Codesti impegni medesimi lodevolmente si accrebbero sul declinare del secolo XVI, e quando Prospero Podiani fece amplissimo dono della sua Biblioteca alla Città nostra, e per la quale oggi i provvidi Magistrati tolgono nuove cure non minori di quelle praticate nel secolo stesso in cui viveva il Podiani; che volendola provvedere anche di un potente Protettore ed illustre, lo elessero nella persona del dottissimo Cardinal Baronio, il padre della Ecclesiastica Storia; circostanza per avventura che sola basterebbe a rendere cele- ‘ bratissima la Pubblica Perugina Biblioteca. Ma le cure de’ zelantissimi nostri Magistrati oggi sono anche rivolte a provvedere questo prezioso deposito dell'umano sapere di un Conservatore e di un Bibliotecario, nobilissimo impiego tenuto sempre in altissima venerazione presso ogni culta nazione: e fra que’ soggetti che fra noi potrebbero aspirarvi noi crediamo che a sostenerlo si renda ben degno e meritevole sopra ogni altro l'onesto, culto e studiosissimo giovine Perugino signor Ariodante Fabretti. Solleciti i Magistrati di ricercare, per un impiego di tanta importanza, quelle prerogative che indispensabilmente debbono andar riunite alle incombenze ed alle solleci- tudini di un publico Bibliotecario, noi pensiamo (anche per una non breve esperienza che abbiamo di lui) che Assi tutte le anzidette qualità rinverrebbero in questo diligente, onesto, bene accostu- mato e studiosissimo giovane Perugino, prime doti e indispensabili a questo onorevolissimo impiego. Che se tali ottime qualità non fossero sufficienti, noi aggiugneremo come il signor Fabretti non è straniero alle lingue dotte, e nella Greca e Latina è a sufficienza versato: è bastantemente perito nella lettura e intelligenza de’ vecchi caratteri e degli antichi codici, come appare mani- festamente dalla preziosa Raccolta di Documenti storico-diplomatici che va pubblicando nell’ Appen- dice della sua applauditissima opera dei Capitani Venturieri dell'Umbria: opera che fa sperare all’Umbria e insiememente a Perugia d’avere un giorno una storia compiuta della loro Provincia: egli non è straniero alla Bibliografia e specialmente Perugina, il requisito maggiore che possa esigersi da un soggetto il quale abbiasi da destinare alla solerte cura di publico Bibliotecario. Laonde da questo diligente giovine possiamo noi stessi e la Perugina Letteratura sperare quel medesimo lustro e quella utilità che in questo secolo stesso recarono ad ogni ragione di studi i Tiraboschi, gli Andres, i Morelli, i Bandini, i Marini, grandi nomi del sapere italiano, e tutti destinati alla cura delle prime Biblioteche italiane. Così mercè le assidue e diligenti cure del signor Fabretti, anche Perugia potrà bene augurarsi di vedere un giorno migliori regolamenti e disposizioni migliori della sua publica Biblioteca, e per sua cura fatti noti importantissimi oggetti non tutti fin qui in quella considerazione che meritano; poichè furono dimenticati talvolta i pre- ziosissimi cimeli tanto di prime stampe singolarissime che di manoscritti. Delle quali cose tutte ‘noi fermamente pensiamo che il signor Fabretti a preferenza di altri sia abile a renderne un giorno . “ragione e mostrarne i rapporti con nuovi e diligenti cataloghi, da rendere più illustre e più noto JB questo municipale e scientifico stabilimento, e da recare nuovi e non leggeri vantaggi alle scienze — “ ed alle buone lettere. i “ K perchè noi stessi abbiamo forse non lieve cognizione di quello scientifico letterario deposito, Ri; © avendolo più volte tenuto in custodia nella lontananza del benemerito Professore Canali, avendone | “ perfino da più anni compilato un ragionato catalogo dei più vecchi codici greci, latini e italiani, “ ci protestiamo di offerirci a qualunque bisogno e dimanda del cultissimo signor Fabretti, finchè “la piccolezza nostra e la povertà del nostro sapere lo concederanno. “ Tanto io posso sulla fede di ogni sicurezza accertare il sempre provvido, zelante e sapientissimo; © municipale Consiglio perugino, sulla esperienza continuata che io ebbi ed ho del signor Fabretti, 168 ERMANNO FERRERO 80 infermo, dovette lasciare l'insegnamento dell'archeologia nell'Università, lo designava suo supplente. A tale ufficio il Fabretti era assunto il 27 di novembre 1846 (1). Nel gennaio del 1848 era nominato titolare della cattedra e vicebibliotecario della Comu- nale. Il Vermiglioli chiudeva la sua lunga vita il 3 di decembre dello stesso anno. Nelle solenni esequie, celebrate il 5 nella Chiesa Nuova, il Fabretti disse “ calde ed « erudite parole , (2), che non furono mandate alla stampa (83). Gli studii non scemavano nel Fabretti la volontà di operare per la patria. Già, sembra dopo il suo ritorno da Bologna, era entrato fra i Carbonari. Con giovani amici formava disegni per ripetere con frutto il fallito moto del 1831, nè, come allora, rimanere senz'armi. La polizia pontificia era informata da chi, fingendosi d’accordo; svelava nomi e proponimenti (4); ma, salvo la vigilanza, non pare che il Fabretti “ della sua diligenza ed assiduità non comune negli studii, e di quelle prerogative che meritevole “Jo rendono onde ottenere il bramato onorevole publico impiego ,. Perugia, 15 Decembre 1842. Gio. BarmIsrA VERMIGLIOLI Professore di Archeologia nella Patria Università. (1) Lettera del vescovo di Perugia, cancelliere dell’Università (Giovacchino Pecci) al conte Bene- detto Baglioni, 27 novembre 1846: “ .....quantunque non pochi nè di lieve momento siano i docu- i “ menti che il nominato supplente a dar saggio di sé mi ha esibiti, pure primo e più ragguardevole “ sarà sempre quello di essere stato prescielto e direttamente proposto da un sì chiaro e benemerito “ Professore ad assumere in sua vece l’insegnamento di sì vari e pregiati studi ,. (2) Conestabile, Vita di G. B. Vermiglioli, p. 179, nota 1. (3) La notizia anonima sul Vermiglioli nella Nuova Enciclopedia popolare del Pomba (4% ed., — Torino, 1866, p. 178) è del Fabretti, il quale in essa ha ricordato di possedere un Trattato di greca a archeologia del Vermiglioli, inedito. Questo trattato, non registrato nell’elenco degli scritti inediti del Vermiglioli, dato dal Conestabile (p. cxxv), trovasi ora, con la libreria del Fabretti, nella Comu- nale di Perugia. Ne parlò anche il Fabretti nell’Arch. stor. italiano, nuova serie, t. V, panta Da p. 20 e seg. () Fra le carte del Fabretti si conserva la seguente relazione alla Direzione della polizia di Roma: “ Ritrasferitomi a Perugia col giorno 19 corrente (*), vi stetti sino al 22. Mi accostai con più | intimità e frequenza a quegli amici, che quantunque non dirigano gli affari, hanno tuttavia contatto di Menicucci e di Vincenzo Rossi, che siedono sopra la Casta. Primieramente ebbi un congresso in casa di Ariodante Fabretti in compagnia di Cesare Ragnotti; e quivi si parlò a lungo. È di Perugia e di Napoli. In seguito mi unii a Nazzareno Sebastiani; e da costoro due ultimi fui | perfino accompagnato per più miglia al mio ritorno a Todi passeggiando in continui e sediziosi — colloqui. Non cadde in mio potere il discoprire alcuni nomi, che metterebbero molta luce sull stato degli affari; perciocchè per giungere a queste particolarità v'ha d'uopo d'essere suì fatti, trattenersi lungamente nei luoghi. i “ Colle varie riunioni avvenute sulla irriverente esultanza della morte del Vescovo (**), si con- gregarono ancora le intelligenze liberali, ed in una di quelle, da due intervenuti, che poi si dires-. sero a Città di Castello, si parlò, e si eccitò la sollevazione; ma il loro progetto non piacque per | non esservi preparati, e per aver poca fede su Napoli. Chi fossero quei due non ho potuto sapere ma non li perderò d’investigazione. Dettero il movimento italiano da quella parte per certo, cui la Toscana e lo Stato Pontificio dovrebbero rispondere; e questa coincidenza è omai troppo nota | e diffusa negli anelli della catena settaria, come tutto sembra intendere, a un generale preparativo, al cioanlo Perugia non è bastantemente disposta. “ Mi assicurò inoltre il Fabretti che la ordinazione delle armi venute d'Inghilterra a Livorno i “ qualche mese indietro ha prossima la scadenza del pagamento, e che il difetto dei fondi occor- “ renti alla estinzione delle cambiali, è cagione di allestimento alla rivolta. Le armi sono sparse “ per tutto, e dicesi che non se ne patirà la penuria del 31. Si parla ancora di patriottismo GI E R G R R (#) Sembra sia il 19 settembre 1845. (**) Carlo Filesio Cittadini, morto il 16 aprile 1844. Sa e n 9 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 169 i b, h L 1 ed i compagni abbiano avuto allora altre molestie. Forse si aspettava a colpirli che meglio si fossero scoperti; forse il governo, giudicandosi forte, non sentiva paura intanto Pio IX montò sul trono. Il Fabretti fu tra i pochi, che i primi atti del nuovo papa non trassero alle smisurate speranze, che empierono i cuori ed inebriarono le menti (1). Nel 1847 fu eletto tra 1 consiglieri municipali della sua città (15 settembre) (2). Nelle elezioni dei depu- tati all'Assemblea Costituente, fatte il 21 di gennaio 1849, fu nominato, con sette- mila voti, fra i rappresentanti di Perugia. Nella sua seconda adunanza (8 febbraio), la Costituente elesse il Fabretti, con tre colleghi (3), all'ufficio di segretario. Egli non “ Re di Piemonte, e si fondano molte lusinghe sulle sue truppe per resistere all’irruzione tedesca. “ La prodigalità di sì funeste speranze sarà ella un impotente delirio? Se potrò avvicinarmi a Masi “ dopo il congresso di Napoli, desidero di palpare le cose in tutta la loro nudità. “ Con i sudetti Ragnotti e Sebastiani si discusse a lungo sulla maturità degli eventi; e si * dimostrò che il filosofico sistema della ‘educazione del popolo era una poesia politica, la quale “ non conduce alla rivoluzione: quando un popolo è educato, il suo governo lo è ugualmente, perchè “i medesimi individui appartengono all'uno ed all’altro, e perchè tutti sono egualmente sottoposti “ alle influenze del secolo: e allorchè i torti di un governo spariscono, allorchè le di lui istituzioni © migliorano sotto l’azione d’umn perfezionamento morale, a che più serve una rivoluzione? Il suo “ scopo è perduto. Non vi resterebbe per noi che l’idea di nazionalità, a raggiungere la quale e i ‘ secoli, e i tanti occorsi politici hanno vanamente adoperato. Da tutto che si conchiuse esser bene “ di cominciare, e per Perugia seguire le iniziative di Napoli quando fossero prese. “ Gircola in Perugia stessa un recentissimo opuscoletto di Gioberti (*), avidamente letto, e che ‘ ha per fine di difendere i principii dell'autore, d’insultare la S. Sede, e di agire pel sovvolgimento ‘ delle due Sicilie colle sciagurate memorie di Cosenza. Avendolo raccolto, lo compiego in seno ai ‘ presenti fogli, con preghiera di tornarmelo a suo commodo, onde respingerlo al mio remittente. “ Corre ancora nella stessa Perugia la voce, che i Gesuiti facciano pratica di colà stabilire una ‘ di loro casa, e che abbiano fautrici le patrizie famiglie dei Conestabili, Oddi-Baglioni e Sorbello. _ Un’irosa indignazione si è ripercossa in tutta la città e specialmente nella parte liberale. — Si è “ già deliberato di scacciarli a colpi di sasso, di mettere le vie a rumore, ed anche io sono stato ‘ invitato a lanciare la mia pietra. Intanto alcuni scienziati hanno fermato di prestarsi gratuitamente ‘ all'istruzione dei giovinetti a combattere viemmeglio le utili apparenze dei stabilimenti Gesuitici. ‘ Questa notizia la è certa, e merita qualche attenzione dal lato del Governo, se realmente ‘ codest'Ordine pensasse di esporsi e sacrificarsi. Sarebbe poi nella presente condizione dei tempi “ nn provocare il paese a conseguenze fatali ,. Il Fabretti, che ha dovuto avere questa carta a Roma nel 1849, vi annotò di sua mano: “ La “ relazione confidenziale è del d" Luigi B..... di Todi. Fu a Perugia il 2 dec. 1844, come risulta “ dagli appunti di Nazz. Sebastiani , Hssa però si riferisce al ritorno della spia a Perugia, come è da credere, nel settembre del 1845 Im fatti vi si accenna al congresso degli scienziati a Napoli, che si tenne appunto in questo mese. Insieme con questa lettera trovasi la minuta di quella riservatissima del direttore generale della . polizia, in data 2 ottobre 1845, che comunica le informazioni avute al delegato apostolico di Perugia invitandolo “ specialmente di far con ogni accuratezza sorvegliare i soggetti, che vi si nominano, e di “ adottar quindi su di loro quelle disposizioni, che a seconda dell’emergenze, che ne svilupperanno, “ crederà la di lei saggezza e prudenza convenienti ,. Rispondeva subito il delegato (5 ottobre) i |eDasdgnt “ che sarà raddoppiata la sorveglianza su di alcuno de’ soggetti ivi nominati abba- * stanza cognito per le sue cattive qualità ,. (1) Le riforme liberali di Pio IX furono però lodate dal Fabretti nell’Accademia perugina dei Filkdoni, di cui egli era vicedirettore di letteratura, in un’adunanza fatta il 10 di ottobre 1847 per A festeggiare la nomina di Luigi Donini a deputato della provincia di Roma. Le parole del Fabretti sono | stampate in un opuscolo allora pubblicato (v. in fine l’elenco degli scritti, n. 19). (2) Fu anche luogotenente della Guardia civica istituita nel 1847. Na (8) Quirico Filopanti, Giovanni Pennacchi, Antonio Zambianchi. Più tardi in luogo del Filopanti fu eletto Giuseppe Cocchi. ; (*) È il libro: Prolegomeni del primato morale e civile degli Italiani, Brusselle, 1845. Seri: II. Tox. LI. 22 170 ERMANNO FERRERO 10 potè perciò prender parte alle discussioni dell'Assemblea; ma ricordava con com- piacimento aver posto la sua sottoscrizione, come segretario, al primo atto dell’As- semblea, che proclamava la decadenza del potere temporale del papato e la repubblica romana (9 febbraio) (1). Tenevasi onorato di aver seduto in quell’Assemblea, che nel pericolo seppe essere veramente romana. Nel commemorare, molti anni appresso nell'Università di Torino, Giuseppe Garibaldi, scelse “ un canto dell’epopea nazio- “ nale , la difesa di Roma, risuscitando la memoria di quei giorni di speranza, di gioia, di gloria e di dolore (2). (1) La proclamazione della repubblica dalla Costituente fu fatta alle 2 ant. del 9 di febbraio: nella notte stessa si cominciò a festeggiarla. In quel giorno il Fabretti scriveva a suo padre: “La caduta del Papa e la proclamazione della Repubblica il popolo ha udito con applausi fra- gorosi dalla loggia del Campidoglio. Eravamo commossi a vedere alla parola Repubblica Romana lanciare in alto i cappelli; e i giacé de’ soldati sulle baionette sollevati e le piume de’ carabinieri ondeggiare per l’aria. Vado orgoglioso che il mio nome abbia segnato, come segretario della grande assemblea, il grande decreto. Abbiamo inalzato un gran pezzo di marmo; ora lo scolpi- remo — se ci dan tempo i nemici, se le popolazioni ci assecondano —. Ad ogni modo abbiamo, credo, adempiuto alla principal parte del nostro mandato. “ Roma non piange la perdita del papato, e festeggia la SS fondata dagli uomini dello Stato, non dalla influenza morale degli stranieri ,. Dalle poche altre lettere scritte al padre da Roma riporto alcuni passi, che concernono i fatti di quei giorni. “ 3 maggio. STA Dalla cupola di S. Pietro ieri alle 8 pom. vidi il campo francese a 14 miglia distante. “ Quest'oggi non si vede più: è andato alla volta di Civitavecchia: solo un corpo piccolo francese “è rimasto lontano 15 miglia da Roma. “ Dimani sera arriveranno 12 mila Napolitani con circa 36 pezzi d’ artiglieria: li batteremo. “ Grandi barricate dappertutto: l’entusiasmo del popolo è immenso: la sera la città è sempre illu- minata. Pare carnevale. Fra cittadini e soldati regolari staranno alle mura circa ventimila uomini. Qualche prete o frate è stato fucilato: la faccenda grave è che c’è poco danaro per mantenere « Gi “ le truppe. “....Io aspetto qualcuno de’ fratelli a Roma — giacchè sarebbe una gran fortuna che i citta- “ dini delle provincie armati venissero a battere i Napolitani alle spalle — ma presto , 7 maggio. sug I Napolitani pare che non vengano innanzi. Se si trattengono lontano, la nostra truppa andrà ad attaccarli. Ma domani Garibaldi farà qualche cosa contro quella canaglia di Napolitani. “ Oggi sono partiti gli ufficiali francesi prigionieri (nel numero di 12) e i soldati francesi pri- gionieri (in numero di 560): è stata una scena commuoventissima: sono partiti cantando la Marsi- gliese ed evvivando la Repubblica romana ed universale..... (a s n 12 maggio. IR Le cose nostre vanno come al solito. I Francesi non hanno intenzione di attaccarci; e stanno lungi 14 in 15 miglia. I Napolitani, dopo la paga che hanno avuto, si rimarranno inoperosi e lontani. Attendiamo, come punto di salvezza, le notizie di Francia che ieri erano buone. Bologna si batte; ma temc da un momento all’ altro — fors’ anco quest'oggi — sentire che i Bolognesi hanno dovuto’ cedere..... I 30 giugno. vet lo scioglimento della questione sarà nella settimana; e, se nulla sì frappone di ostacolo, mi troverò in Perugia. L'autorità della Repubblica fu sempre avversata dalle autorità in Perugia: “ oggi poi è cessata più pella viltà del Municipio che per la intervenzione austriaca..... Se foste spet- “ tatore dell’andamento fracassato della macchina governativa fuggireste..... “ La situazione del paese è triste, per colpa d’una ipocrita intervenzione francese che ci è venuta “a legare le mani e toglierci modo di battere l’Austriaco. Ma ci rimane qualche speranza di batterlo, ‘ quand’anche i Francesi siano entrati in Roma..... , R (2) Commemorazione di Giuseppe Garibaldi fatta nella Regia Università di Torino il 14 giugno 1882, Torino, 1882. 11 VITA E SORITTI DI A. FABRETTI 1701 II L’ammistia data il 18 di settembre 1849 dal pontefice rientrato nel possesso dello Stato escludeva “i membri dell’Assemblea che hanno preso parte alle deliberazioni “ dell'Assemblea stessa ,. Il Fabretti, tornato a Perugia, dovette prendere la via dell’esilio, e si ritirò a Firenze (ottobre 1849). Ivi ebbe lavoro da Giovan Pietro Vieusseux, fondatore ed editore dell'Archivio storico italiano. Insieme con Francesco Bonaini e con Filippo Luigi Polidori stampò due volumi di cronache e di storie inedite di Perugia dal 1150 al 1563, con note e con documenti non ancora divulgati (1). Non attendeva ad altro che a’ suoi lavori, allorchè nel 1852 il governo granducale gl’intimò di partire per la fine di agosto. Invano si adoprarono i suoi amici acciocchè questo ordine fosse revocato. Il governo non si lasciò piegare, pur dichiarando che il Fabretti aveva ‘sempre rispettato l'ospitalità toscana, e che di lui mai non aveva dovuto darsi pen- . siero la polizia. L’esule venne allora a Torino: il Bonaini lo aveva raccomandato al Cibrario, il Vieusseux al Gazzera. Da parecchi anni egli si era accinto a radunare gli elementi per un glossario di tutte le voci degli antichi idiomi italici, che si leggono nelle epigrafi o furono serbate dagli scrittori. Era questo un lavoro immenso, che doveva essere accompagnato dalla ricerca dei testi epigrafici, di cui conveniva stabilire la provenienza, la genuinità, la lezione esatta. A condurre innanzi un lavoro sì fatto sarebbe stato necessario. vivere in piena calma, senza angustie, senza penosi pensieri. (1), Cronache e storie inedite della città di Perugia dal MCL al MDLXIII seguite da inediti docu- menti tratti dagli archivj di Perugia, Firenze e Siena con illustrazioni ed a cura di Francesco Bonaini, Ariodante Fabretti e Luigi Filippo Polidori, Firenze, 1850-1851, 2 parti; 8°, pagg. cxv-750, xn11-694. Formano le due parti del vol. XVI dell'Archivio storico italiano. La prima parte contiene una prefazione del Bonaini e l’illustrazione dell’iscrizione della porta Marzia di Perugia scritta dal Borghesi (p. r-cvi), il poemetto di Bonifacio Veronese intitolato Eulistea sui fatti dei Perugini dal 1150 al 1293, pubblicato per la prima volta, da un codice posse- duto dal Conestabile, a cura dei tre editori dell’opera (p. 1-52); i brevi annali di Perugia dal 1194 al 1352, scritti, come pare, da un membro della famiglia degli Oddi, tratti da un manoscritto della biblioteca comunale di quella città pubblicati ed annotati dal Fabretti, con qualche nota del Bonaini (p. 53-68); la cronaca di Perugia dal 1309 al 1491 detta Diario del Graziani secondo un i D codice appartenente ai conti Baglioni, supplita nei luoghi mancanti con estratti di altre cronache , inedite, pubblicata dal Fabretti con note sue e del Polidori e con alcune del Bonaini (p. 69-750). La seconda parte si apre con una prefazione del Fabretti contenente cenni e giudizii sugli storici perugini È | e notizie sugli autori delle cronache edite nel volume (p.1x-x1m). Queste sono la cronaca dal 1492 al 1503 di Francesco Matarazzo detto Maturanzio pubblicata dal Fabretti con note sue e dei due compagni (p. 1-243); le memorie perugine di Teseo Alfani dal 1502 al 1527 da un codice della È Comunale edite dal Bonaini con note sue, del Fabretti e del Polidori (p. 245-319); nella stessa guisa | sono dati in luce i ricordi di Perugia dal 1520 al 1550 di Cesare di Giovannello Bontempi conti- | muati simo al 1563 da Marcantonio Bontempi (p. 321-401); il racconto della guerra del sale nel 1540 ricavato dalle memorie inedite di Girolamo di Frolliere (p. 403-476). Il volume termina con un regesto e con documenti di storia perugina tratti dagli archivii di Perugia, di Firenze, di Siena e di altri luoghi (p. 477-630), con una tavola alfabetica e con aggiunte e correzioni. 172 ERMANNO FERRERO 12 AI contrario, il Fabretti, negli anni, che precedettero l’inizio della pubblicazione della sua grande opera, si trovava nella condizione più grave, in cui possa essere un uomo di studio: doveva sostenere una lotta quotidiana con la miseria: sprovvisto di propria entrata, senza alcun ufficio, per procacciarsi il pane era costretto a dar pri- vate lezioni. Ebbe però una grande fortuna: una compagna, che lo assisteva amo- rosamente, e faceva ogni sforzo perchè quella sorte gli sembrasse men dura. Nel 1844 egli aveva sposato la sua concittadina Filomena Ferretti (n. 1820), che a lui non diede dote nè figli, ma il tesoro di un animo affezionato e coraggioso. “ È stata “ il mio angelo consolatore , diceva il Fabretti, piangendo, a’ suoi amici, quando la morte gli tolse la sua nobile consorte (1885). Il Fabretti avrebbe forse potuto uscire dalle strettezze, se fosse stato men rigido. Il governo piemontese diffidava dei Mazzmiani, li avversava, li teneva in disparte: il Fabretti, pur rimanendo a Torino, come a Firenze, estraneo alla politica, non ripu- diava, come non ripudiò mai la sua ammirazione, il suo affetto per il Mazzini, anche quando, più tardi, riconobbe che nella monarchia di Savoia stava la salute d’ Italia. Mi raccontò egli che, poco dopo la sua venuta a Torino, il conte Conestabile gli aveva mostrato possibile ottenere dal governo papale il ritorno in patria. Rifiutò, ‘ non volendo accettare le condizioni, che gli si chiedevano. “ E sì , mi diceva £ mi “ avrebbe fatto comodo tornare a Perugia ,. Io pensava che alludesse al trovarsi andar attorno liberamente per lo Stato meglio a casa sua. “ Avrei potuto , continuò “ “romano a veder iscrizioni per la mia raccolta ,. Innanzi tutto la scienza! K la scienza lo sorresse in quegli anni angosciosi. Ogni momento libero egli passava nelia biblioteca dell’Università, a cui allora era preposto Costanzo Gazzera, ed in quella del re, formata e retta da Domenico Promis. Il Promis, religiosissimo, rigido conservatore, non vide nel Fabretti il rivoluzionario, il repubblicano, il pro- scritto dal pontefice, ma solo l’uomo mite, lo studioso assorto in una grande impresa scientifica. E il Promis agevolò al Fabretti il lavoro nella biblioteca, di cui era capo, gli procurò libri desiderati, s'adoprò per ispianargli la via ad effettuare la pubbli- cazione della grande opera. Il Fabretti conservò sempre la più viva riconoscenza per Domenico Promis e per i suoi. “ Ai funerali annui in suffragio di mio padre , mi diceva quell’ anima candida di Vincenzo Promis “il Fabretti non manca mai ,. Intanto che allestiva la sua opera con lavoro indefesso, il Fabretti cominciava col dare qualche saggio della sua perizia nell’ antica epigrafia italica. Già trovan- dosi a Roma, nel 1849, in una lettera a Guglielmo Henzen, stampata nel Bullettino | dell’ Instituto di corrispondenza archeologica, aveva fornito notizia di nuove epigrafi etrusche di Perugia, specialmente della necropoli del Palazzone, con l'intento di pro- seguire quanto prima faceva il Vermiglioli (1). Più tardi egli divulgava altre iscri- — zioni rinvenute nella stessa villa del Palazzone sul finire del 1852 e quella di una. statuetta di bronzo del museo di Firenze, ch'egli dubitava fosse inedita, com'era in. (1) Scavi di Perugia, lettera del sig. prof. Fabretti al dott. Henzen (Bu. dell’Inst., 1849, p. 49-55, dell’aprile): © sarò brevissimo; imperoechè mi prevalgo di qualche ora che mi concedono di riposo “le incombenze del mio officio e perchè scrivo senz’'aiuti di libri, riandando solo sulle mie schede “ epigrafiche ,. I titoli qui dati sono ripetuti nel Corp. inscr. Ital., n. 1229-1232, 1253-1256, 1310-1312, 1678, 1753, 1756. In parte egli li aveva riferiti nell’articoletto: Scavi perugini nel 1846 inserito nel- l’Appendice all’Osservatore del Trasimeno, anno II, n. 84, 30 luglio 1846. "Oa : È e : 13 VITA E SCRITTI DI A. FABREUTI 173 fatti (1); dichiarava od emendava altri titoli etruschi della sua città (2); illustrava due lapidi in caratteri etruschi, l’una trovata nel territorio di Spozia e conservata a Genova, l'altra, che dal museo del conte di Bellino in Busca, nel cui agro dicevasi scoperta, passò in quello di Torino (3); stampava un'iscrizione di Volterra, compen- diando un commentario ed un tentativo d’interpretazione del Migliarini, della quale non pareva sufficientemente persuaso (4). Una pubblicazione del Conestabile, di cui rese ampio conto, porgevagli argomento a dilucidazioni di epigrafi etrusche e ad osservazioni sulla punteggiatura degli Etruschi e di altri popoli italici (5). Il 1° di aprile 1857 era pubblicato il manifesto di associazione al Glossarium Italicum: l’anno appresso cominciavano a comparire le dispense dell’opera: essa era compiuta sullo scorcio del 1867. Frattanto il Fabretti era assunto ad ufficii, che gli assicuravano un vivere mo- desto e tranquillo. Nel 1858 (6) era nominato secondo assistente nel R. Museo egizio e di antichità. Sopravvenivano i fatti, che condussero all’unione dell’Italia centrale allo Stato di Savoia. Luigi Carlo Farini, il quale ebbe il vanto di dare alle Univer- sità, che si trovarono sotto la sua dipendenza, nuovi insegnamenti e buoni insegnanti, essendo dittatore delle provincie modenesi e parmensi e governatore di Romagna, con decreto del 22 di novembre 1859, nominò il Fabretti professore di storia lette- raria e di eloquenza nell’ Università di Modena e vicebibliotecario della Biblioteca comunale. Il Fabretti non prese tali uffici: poichè il Farini, divenuto governatore delle provincie dell'Emilia, con decreto del 4 di febbraio 1860, lo trasferì all’Uni- versità di Bologna ad insegnarvi lingue italiche antiche e dialettologia dell’Italia moderna. Il Farini creava pure allora le regie Deputazioni di storia patria per l'Emilia, ed in quella per le provincie di Romagna iscriveva il Fabretti (7), il quale fece parte della commissione, che preparò lo statuto di queste Deputazioni (8). (1), Di alcune iscrizioni etrusche scoperte in Perugia nel 1852 (Il Cimento, anno I, vol. II, Torino, 1852, p. 633-640). Le iscrizioni del Palazzone sono nel Corpus del Fabretti ai n. 1453-1472, quella della statuetta al n. 256. 1 (2) Iscrizioni etrusche. Da lettera al sig. conte Giancarlo Conestabile (Bu. dell’Inst., 1853, p. 118-121). Sono i n. 1756, 1757, 1906 del Corpus. (3) Lettera al prof. Luciano Scarabelli sopra due iscrizioni etrusche che si conservano negli Stati Sardi, Vuna in Genova, V alira in Torino (Rivista contemporanea , vol. III, anno II, Torino, 1855, p. 892-404). Sono nel Corpus ai n. 32 e 101. Sul sasso di Busca il Mommsen (Die nordetr. Alph., p. 205) sollevò dubbii confermati da Carlo Promis (St. dell’ant. Torino, p. 3, nota 3), che, più tardi, non parvero fondati al Fabretti (v. Framm. d’iser. etr. scop. a Nizza, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, vol. VII, 1871-72, p. 854 e segg). (4) Di una nuova iscrizione etrusca scoperta mel territorio di Volterra (Arch. stor. ît., n. s., t. IV, | parte 1%, 1856, p. 137-148). È nel Corpus al n. 346. (5) Di Giovan Battista Vermiglioli, dei monumenti di Perugia etrusca e romana e della letteratura e bibliografia perugina, nuove pubblicazioni del conte Gian Carlo Conestabile (Arch. stor. èt., n. s. t. V, parte 2°, 1857, p. 35-70). (6) R. Decreto 20 siugno 1858. Era ministro della pubblica istruzione il Cibrario, che preceden- temente aveva fatto avere al Fabretti un piccolo sussidio pecuniario per l’incoraggiamento alla compilazione del Glossario. (7) Decreto d’istituzione delle Deputazioni 10 febbraio 1860. (8) Lo statuto ebbe vigore con R. decreto 6 luglio 1862. Sulla preparazione di questo statuto v. La R. Deputazione di storia patria per le provineie di Romagna dall'anno 1860 al 1894, Bologna, 1894, p. 16, nota 1. 174 ERMANNO FERRERO 14 A Bologna il Fabretti fece un breve corso cominciato da una prolusione detta il 7 di maggio. Un R. decreto dell’11 di agosto 1860 lo chiamava alla cattedra di archeologia, allora istituita nell'Università di Torino (1). Alla fine del medesimo anno l'Accademia delle scienze lo eleggeva fra i socii nazionali (2). Alcuni altri brevi lavori di epigrafia e di filologia italiche erano intanto da lui dati alla luce: la dichiarazione di sei laminette scritte di bronzo, originarie della Lucania ed entrate nel museo di Torino (3); la pubblicazione, con alcune osservazioni, del fac-simile di una lapide scritta coi caratteri cosidetti nord-etruschi e scoperta nel Novarese; più tardi riconosciuta celtica (4); quella dell’iscrizione di due elmi di bronzo del museo di Palermo provenienti dal Sannio o dalla Lucania (5); un discorso sui nomi personali usati dalle antiche genti della penisola (6), nel quale dichiarava di abbrac- ciare apertamente “ la opinione di coloro che la etrusca lingua rannodano all’umbra “ ed all’osca o sannitica, e che dalle antichissime iscrizioni italiche, non che dal latino “ arcaico e dalla greca favella, traggono sussidi per le più solide interpretazioni , (7). Tornava sul medesimo concetto in uno scritto inserito nel volume stampato per cele- brare il centenario di Dante; scritto, in eui riunì osservazioni e testimonianze per provare che gli antichi idiomi italici sono come altrettanti dialetti di una lingua e ch’essi presentano analogia col greco, col latino e coi viventi (8). Nel programma di pubblicazione della grande sua opera questa aveva il titolo di Glossarium Italicum; ma, oltre “ i vocaboli di ogni dialetto territoriale, ricordati dagli “ scrittori o ricavati dai monumenti, colle dichiarazioni degl’interpreti migliori, coi “ raffronti fra le diverse lingue e con la scorta delle etimologie; sì che facciasi palese “ (1) Questa cattedra fu istituita dalla legge sulla pubblica istruzione 13 novembre 1859. Il decreto di nomina del Fabretti la chiama di antiquaria greco-latina. (2) L'elezione fu fatta nell'adunanza della Classe di scienze morali, storiche e filologiche del 6 dicembre 1860 ed approvata con R. decreto del 15 dello stesso mese. (3) Nota sopra sei laminette di bronzo letterate antiche della Lucania (Atti e Mem. della R. Dep. di st. patria per le prov. di Romagna, anno II, Bologna, 1864, p. 155-157). Sono ripetute nel Corp. inser. It., p. ccoxm; n. rv. Il Fabretti le giudicò scritte in latino. Ma due sole sono in questa lingua, le altre quattro e l'iscrizione nella parte posteriore di una delle due latine sono osche, sebbene i caratteri adoprati siano latini. V. C. I. L., X, n. 501-508. (4) Gazzetta ufficiale, 1864, n. 80, nel rendiconto dell’ adunanza della Classe di scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia delle scienze del 20 marzo, e in Gorresio, Sunti dei lavori scientifici letti e discussi nella Classe di sc. mor. ecc. dal 1859 al 1865, Torino, 1868, p. 245-249. Il Cantù comunicò l'iscrizione pochi giorni dopo (14 aprile 1864) all'Istituto lombardo (v. R. Ist. lomb., Rend., vol. I, 1864, p. 46 e seg.). Com'è noto, questa importanté iscrizione scoperta nel terri- torio di Briona e conservata nella raccolta lapidaria della Canonica di Novara, fu studiata da molti e riconosciuta celtica, fra cui dal nostro Flechia (Riv. contemp. naz. ital., t. XXXVIII, 1864, p. 231-257). Trovasi nel Corpus del Fabretti, al n. 41%. (5) Gazzetta ufficiale, 1864, n. 142 (rendiconto dell’ adunanza della Classe di scienze morali del 29 maggio 1864) e in Goxrresio, op. cit., p. 259-261. È riportata nel Corpus, n. 2890 a, d. (6) Dei nomi personali presso i popoli dell'italia antica (Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino, serie II, t. XX, 1863, p. 69-86). (7) L’autore accenna alle strane interpretazioni di leggende etrusche, che a quel tempo erano date dal P. Tarquini, il quale ingegnavasi dichiararle per mezzo dell’ebraico, mentre, partendo dalla stessa base, lo Stickel a Iena giungeva ad opposte traduzioni. (8) Analogia del’antica lingua italica con la greca e la latina e co’ dialetti viventi a illustrare il libro della volgare eloquenza di Dante Alighieri (Dante e il suo secolo, Firenze, 1865, p. 761-774). In un breve articolo anonimo, inserito nella Nuova Enciclopedia popolare italiana (4% ed., vol. XV, Torino, 1862, p. 754-760), espose i principii della lingua osca. elmo fare i 15 VITA E SCRITTI DI A. PABRETTI 175 “ che le prische favelle italiche si collegano colla latina lingua e coi parlari moderni, “e che questi e quelle si ricongiungono alla grande famiglia indo-pelasgica, , s’indi- cava che il libro avrebbe riunito “ tutte le inserizioni antichissime appartenenti alle “ varie contrade della patria nostra (e molte delle etrusche inedite o corrette sugli “ originali) ,. L’opera finita ebbe quindi il doppio titolo di Corpus inseriptionum Ita- licarum antiquioris aevi et Glossarium Italicum (1). “ Le escavazioni che furono con alacrità riprese nell’agro perugino dopo la for- “ tunata scoperta del sepolcro dei Volunnî, avvenuta nell’anno 1840, , dice il Fabretti nella prefazione, ove rende conto del lavoro suo e de’ suoi predecessori, “ m’invoglia- “ rono a tentare la interpretazione di qualche leggenda, sussidiato dalla parola di “ G. B. Vermiglioli; ma prima di ogni altra cosa parevami necessario incominciare “ dal registrare alfabeticamente e nomi e voci che dai monumenti etruschi fossero “ conosciuti, notarne le differenze e istituire confronti per meglio discorrere delle “ iscrizioni che man mano venivano alla luce. Da qui la prima idea di un glossario “ etrusco, che ampliato delle voci umbre, osche, volsce e sabelliche prendeva il titolo “ di Glossarium Italicum..... Come per un buon dizionario di ogni lingua perduta “ occorre che i monumenti ‘siano pubblicati con la maggiore esattezza possibile, e “ che, se questi andarono smarriti, tengasi conto degli apografi più accurati, così “ per la epigrafia italica era innanzi tutto necessario raccogliere e coordinare tutti î monumenti scritti, accertarne la provenienza e la sincerità, appurarne per ogni “ verso la lezione, e prender nota delle molteplici varietà di scrittura ,. Se per le iscrizioni umbre ed osche si avevano la raccolta del Lepsius e per le ultime ancora le pubblicazioni del Mommsen, del Minervini, del Garrucci, del Fiorelli, per le etrusche, all'opposto, non esistevano che sillogi parziali fatte senza la dovuta correttezza. Un corpo epigrafico dell'Etruria era stato meditato dall’Orioli, tentato dal Migliarini in ‘una raccolta, rimasta manoscritta, imperfetta per numero, distribuzione, riproduzione ' dei testi. “ Ciò ch’erasi fatto per l’Italia meridionale, e più tardi per le nostre regioni “ settentrionali, mancava all’Etruria che di monumenti scritti aveva grandissima dovizia; e molti di questi monumenti rimanevano sconosciuti o dimenticati, altri non pochi andavano per le stampe, ma riprodotti con tali errori che inducevano “ spesso il dubbio nei linguisti e non di rado li deviavano dal retto cammino... “ Qualche iscrizione era stata da altri corretta; ma nè pure le correzioni erano sempre “ soddisfacenti, e spesso richiedevano nuove rettificazioni. In quale maniera prepa- “ rare questo materiale di filologia etrusca, da marmi, terrecotte e bronzi sparsi in “ tutte le città della Toscana e in altre dell'Umbria, nelle provincie della superiore “ ed inferiore Italia e nelle principali città di Europa ove si formarono pubblici musei “e splendide collezioni di privati? L’impresa era difficile e per alcune parti non “ possibile a compiersi per opera di un solo ,. (1) Corpus inscriptionum Italicarum. antiquioris aevi ordine geographico digestum et Glossarium Italicum in quo omnia vocabula continentur ex Uinbricis Sabinis Oscis Volscis Etruscis altisque monu- mentis quae supersunt collecta et cum interpretationibus variorum explicantur, Aug. Taurinorum, 1867; 4°, pagg. xrx e ccexiv, coll. 2210, tav. 58. Le cinquantotto tavole contengono molte iscrizioni, specialmente le maggiori e quelle, che offrono forme grafiche più notevoli: altre minori iscrizioni e molte monete sono inserite nel Glossario. . 176 ERMANNO FERRERO 16 Sin da quando viveva a Perugia, il Fabretti aveva dato opera ad accertare la lezione delle epigrafi etrusche, messe in luce non fedelmente dal Vermiglioli, ed a copiare le nuove, che si andavano discoprendo. Tale lavoro egli volle allargare agli altri titoli dell'Etruria. “ Di tanta copia d’antichità scritte, qua e là disseminate, “ era cosa difficilissima ottenere apografi esatti in ogni loro parte; l’opera e i mezzi “ di un solo, comechè aiutato dalla benevolenza degli amici e dalla cortesia di “ nomini consacrati allo studio delle antichità, erano al certo insufficienti allo scopo. «“ All’opera collettiva di molti, a' quali talfiata o i corpi accademici o i preposti al “ reggimento degli studii concedono aiuti efficaci, dovevano in questa grande collet- “tanea di iscrizioni sostituirsi le forze e l’opera di un individuo. Fin dove m'era “ data facoltà di trascrivere e rilevare impronte co’ metodi ordinarii, per fermo non “ intralasciai di ottenerli; ond’è che molte iscrizioni inedite ora si offrono abbastanza “ corrette, ed altre emendate ch’erano state lette e pubblicate con trascuranza o “ con precipitazione. Senonchè ciò che potei fare per l’Etruria centrale, non m'era “ concesso per l’Etruria marittima; conciossiachè perdurando le conseguenze degli” “ avvenimenti che nel 1848 avevano mutato le condizioni degli stati romani, io non s poteva discorrere le altre provincie ricche di monumenti, quali sono al certo quelle «“ di Viterbo, di Vulci, di Toscanella, di Cere e di Tarquinia ,. Come adunque si vede, il merito principale del Fabretti sta nell'avere, per il primo, compreso in un sol corpo i titoli epigrafici dell'Etruria, facendo il possibile per riprodurli con esattezza. Quanto alle iscrizioni degli altri popoli della penisola; molto minore è stata la fatica dell’autore, il quale, per lo più, non ebbe che da trarli da pubblicazioni dove già si era sperimentata la critica epigrafica: ad ogni modo per la prima volta tutti i monumenti scritti delle favelle italiche erano disposti insieme in un libro solo di comoda consultazione. L'ordine scelto dal Fabretti fu il geografico: gli servirono d’esempio il corpo delle iscrizioni greche del Boeckh, quello . delle latine dell’ Italia meridionale del Mommsen, modello al Corpus inscriptionum. Latinarum dell’Accademia di Berlino. “ Per tal modo al primo sguardo è dato cono- “ scere quali regioni e quali città ci hanno conservato e somministrato iscrizioni “ antiche, ove in maggiore, ove in minor numero: certo poi dall’una all’altra pro- “ vincia variano al tutto le forme grafiche: diversi sono intra loro i caratteri del- “ l’Italia superiore, dell'Etruria propria, dell'Umbria, della Campania, del Sannio; “ della Messapia: diverse pur anco le forme delle parole: anzi è pure da avvertire “ che in una stessa regione vengono innanzi voci di una diversa natura; così avviene “ nell'Italia settentrionale, ove talune iscrizioni si appalesano celtiche, procedenti da “ sinistra a diritta, ed altre paiono doversi riferire agli antichi abitatori avanzati “ dalla dispersione degli Etruschi e modificati dalle sopravvenute tribù celto-galliche. “ Nella stessa Etruria, se non varia l'alfabeto, si possono al certo rannodare in un: “ gruppo le iscrizioni di Volterra, di Chiusi e di Perugia; ma per certi vocaboli “e per la struttura stessa delle iscrizioni sono in tutto diverse da quelle che pre- “ sentano Orvieto, Viterbo, Toscanella, Cere, Vulci e Tarquinia, ossia tutto il tratto “ della Etruria marittima ,. i | Un ostacolo non lieve si opponeva al nostro raccoglitore per seguire rigorosa- mente la distribuzione geografica: questo ostacolo consisteva nel numero notevole di epigrafi, la cui provenienza era sconosciuta. “ Dappoichè i monumenti italici hanno CN 17 VIPA E SCRIDTI DI A. FABRETTI 177 spesso mutato di luogo, e per la vendita degli antichi raccoglitori passarono e ripassarono da una mano all’altra, spesso da una ad altra città e in collezioni “ diverse, e molti furono trasportati oltremonti, riusciva difficile stabilirne ad ogni passo la provenienza: anzi di alcuni era incerto il territorio onde erano usciti, di “ altri erasi perduta ogni traccia; scomparsi talvolta i monumenti, distrutti o dispersi, ne rimaneva vestigia in qualche codice o in qualche libro, copiate le iscrizioni “ alla buona, edite scorrettamente o con caratteri moderni; le quali, se trascritte avanti il secolo nostro, quando il valore dei segni alfabetici non era fissato, a mala pena possono venire in ogni parte restituite. Questa incertezza della prove- nienza faceva inciampo ad una severa distribuzione geografica, rimanendo per “ verità soverchio il numero delle iscrizioni di origine incerta; nò io fui in grado di superare tutte le difficoltà, tanto più che alcune di quelle avevano differenti |“ attribuzioni secondo gli scrittori, e in certi casi mi avvidi tardi da qual parte “ fosse l’errore ed a qual luogo fossero veramente appartenute ,. Le iscrizioni d’in- certa provenienza furono dal Fabretti ordinariamente raggruppate insieme; talora esse rimasero con quelle de’ luoghi ove si conservano, benchè straniera ne possa essere l’origine. Sono inconvenienti, che non sempre si possono evitare, che si riscon- trano in altre grandi collezioni epigrafiche: per. quella del Fabretti non sono così gravi come parrebbe dal rimprovero, che al nostro mosse l’editore del nuovo corpo delle iscrizioni etrusche (1). “ La numerazione delle epigrafi , dice ancora il Fabretti “ io aveva fissata sin “ dal 1857: le scoperte successive portarono qualche perturbazione nei numeri d’or- “ dine: sotto un medesimo numero dovevano comprendersi molte iscrizioni venute “ alla luce nell’ultimo decennio, e specialmente quelle non poche che nell’estate “ del 1865 ebbi la ventura di copiare nei territorii di Volterra, di Siena, di Chiusi “ e di Montepulciano. Per tal modo le iscrizioni etrusche, segnate dal n. 101 al “ n. 2677, in verità salgono a circa 3500; e tutto il corpo delle iscrizioni antiche "a 4270.,. Con tali elementi principalmente fu compilato il Glossarium italicum, possibile soltanto, come si è detto, dopo la collezione critica dei monumenti epigrafici. Nella sua prefazione il Fabretti ricorda i tentativi dal secolo XVI in poi di radu- nare le voci etrusche, tentativi, che diedero solo indici magri e manchevolissimi: di essi migliori l’elenco di centottanta vocaboli formato dall’Amaduzzi e quelli del Lanzi, ove pure sono comprese le voci degli altri popoli italici. Come per l’epigrafia così per la lessicografia di queste genti, .il Fabretti non ebbe da superare gli ostacoli, che incontrò per l’etrusca: la via gli era fatta piana dai lavori del Mommsen sui parlari dell’Italia inferiore, dell’Huschke sulla lingua degli Osci e dei popoli affini, del Lassen, del Grotefend, dell’Aufrecht e del Kirchhoff, dell’Huschke anzidetto e del Newmann sopra quella degli Umbri. (1) “ ....in ea re Fabrettium imitari nolui, qui alias eos titulos sub uno conspectu ponit, qui ‘“ eodem loco inventi sunt, alias eos, qui eodem loco asservantur, qua ex re difficultates mon mediocres “ conseguantur necesse est ,. Corp. înser. Etr., p. 2. Il Pauli continua dicendo che il museo Vaticano e quello di Palermo sono ricchi di titoli etruschi, niuno de’ quali fu scoperto nelle regioni, ove tali musei si trovano. Ma il Fabretti non sognò mai di collocare titoli etruschi in queste regioni. In parte le iscrizioni etrusche di origine incerta sono dal Fabretti riunite insieme (n. 2454-2677). Seri: II. Tow. LI. 23 178 ERMANNO FERRERO 18 « A queste opere attinsi nella compilazione del Glossario, additando a ciascuna “ voce il valore che nella divergenza delle interpretazioni sembravami si potesse con “ miglior consiglio accettare; ma le opinioni di altri scrittori non trascurai..... Nel “ campo delle etimologie io non volli spaziare, per quanto fosse facile porre a tortura “i vocaboli di lingue affini; e mi tenni pago di ricercare i confronti nel latino e “ nel greco, ritraendo spesso le singole voci alle radici sanscrite, con le quali ave- “ vano comunanza di origine: nel che mi affidai ai lavori del Pott, del Bopp, del “ Benfey, del Curtius ,. Evitò d’ingombrare d’incomoda erudizione la sua opera, tenendo conto dei tanti sforzi di etimologisti, non solo dei secoli XVII e XVII, ma anche del XIX. “ Nè il Lanzi , soggiunge “ nè quelli che, al pari del Vermiglioli, “ seguirono le sue dottrine erano fuori di strada nella interpretazione dei monu- “ menti scritti di tutta l’Italia antica: non mancò loro che la face della grammatica “ comparata, portato di questi ultimi tempi, per procedere più sicuri nel difficile. “cammino, e scansare gli ostacoli che ad ogni piè sospinto incontravano; e se di “ maggior diligenza fossero stati capaci nella publicazione delle molteplici epigrafi “ avrebbero per fermo assai meglio giovato a se stessi e ad altrui. Per i monu- “ menti etruschi era quasi tutto da rifare; ed in questa parte ho speranza di non “ aver tentato una del tutto inutile impresa..... nel Glossario non mi fermai a regi- “ strare e dichiarare le singole voci dei dialetti municipali e provinciali che si leg- “ gono in tanta copia di monumenti venuti in luce in ogni contrada d’Italia: non “ solo ricercai negli scrittori di Grecia e di Roma le voci accidentalmente ricordate, “ che furono proprie dei Sabini, degli Umbri, degli Etruschi, dei Volsci, degli Osci, “ dei Sanniti, dei Messapii e dei Siculi; parvemi che gli stessi nomi di territorii e “ di provincie, di monti, di fiumi e di laghi, di città e di castella, nei quali talfiata “ si ravvisano e spesso si nascondono altrettante significazioni, fossero atti a com- “ pensare in qualche maniera lo smarrimento delle antichissime favelle nostrane ,. Come mezzo di comparazione e come sussidio alla fonologia di queste favelle giudicò conveniente annotare le forme arcaiche del latino e quelle popolari e gl’idiotismi “ che rivelano il periodo dei linguaggi che si trasformano e che ponno esser di lume “ alla storia della lingua italiana ,. Giovarongli in tale ricerca le raccolte generali e parziali delle epigrafi latine, che precedettero il Corpus berlinese, e di questo il primo volume, il solo allora uscito, in cui, per opera del Mommsen, sono adunate le più antiche, e il gran volume del Ritschl, che ne rappresenta le imagini. Nè tra- lasciò certe forme popolari fornite dalle iscrizioni cristiane, “ le quali, più conformi “al parlare delle plebi, somministravano una parte, benchè minima, al Glossario; e “lo stesso dicasi dei codici di antiche opere romane, che con le alterazioni intro- “ dottevi dagli amanuensi ritraevano i cambiamenti dei suoni, che incessantemente subiva il linguaggio col mutarsi dei tempi e col maturarsi di una nuova civiltà. “Im quanto alla significazione dei vocaboli etruschi, che si leggono ne’ monu- menti quasi tutti funerarii, non fu concesso fin ora giudicare con sicurezza: la prenomi ‘e di gentilizii, quasi tutto rimane oscuro: pochissime sono le voci delle quali fu scoperto o indovinato il significato, e non è lecito assicurare che poche forme grammaticali. Da ciò la divergenza delle opinioni, le interpretazioni strane, ì tentativi più volte abbandonati, più volte ripresi, e quasi sempre falliti. Tempo “« «a critica dei linguisti non accumulò che congetture; e là dove non si tratti più di Ù Sd di i 19 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 179 “ verrà che anche le leggende degli antichi abitatori dell'Etruria, il cui nome suona “ famoso negli annali d’Italia, congiungendosi a quelle che manco discoste dal ser- “ mone laziare non resero vane le indagini degli interpreti, daranno elementi alla “ grammatica comparativa degli antichi dialetti italici: intanto era necessario met- “tere in piena luce i monumenti, far tesoro di tutto ciò ch'era stato discoperto e “ le singole voci e i nomi in tutte le loro variate forme rilevare e raffrontare. A. “ questa parte della epigrafia italiana intesi da lunga pezza e con perseverante animo, “ nulla intralasciando che potesse farmi avvicinare allo scopo, cui avevo accennato ,. Il secolo decimonono, che strappò all’Egitto ed all’Oriente asiatico il segreto delle loro favelle, non ha potuto aggiungere a’ suoi vanti quello di avere sciolto lenimma etrusco. Ma negli ultimi suoi decennii serie indagini furono istituite, serii studii tentati, alcuni risultamenti ottenuti, che sarebbero stati forse impossibili; cer- tamente ritardati, se non si avesse avuto alle mani il valido e facile strumento di lavoro allestito dal Fabretti. Era appena uscita dai torchi la grande opera, e già l’autore attendeva a raccogliere i nuovi titoli italici, che venivano alla luce, e quelli, che gli erano sfuggiti. Così formava il primo supplemento alla collezione epigrafica, del quale nel 1872 era pubblicata la prima parte con più di cinquecento altri testi e con correzioni ed osservazioni ai già stampati, sopra tutto di quella regione marit- tima dell’ Etruria, a lui chiusa dopo il 1849, riaperta col cessare dello Stato papale (1). Un indice delle voci nuove od emendate formava una specie di supple- mento al Glossario. Nel 1874 usciva il primo fascicolo della seconda parte, la quale doveva comprendere osservazioni paleografiche e grammaticali sulle antiche lingue italiche. Le sole osservazioni paleografiche furono stampate (2). Per più anni il Fabretti andò rimaneggiando le osservazioni grammaticali (3), di cui anzi era cominciata la composizione tipografica: più tardi i nuovi lavori di filologia italica gli fecero sembrar 2 meno utile il suo; distratto da altri studii e da altre cure, finì col rinunciarvi. Modello di pazienza sono le osservazioni paleografiche, primo ed ancor unico lavoro generale sulle prische scritture italiche. Occorreva per imprenderlo che tutte le forme grafiche fossero accertate e che di quei segni, i quali si discostano dalle fi forme consuete, si assodasse il valore; ciò era impossibile con le copie e con le | pubblicazioni precedenti lontane da precisione. Il Fabretti per la sua raccolta si era |. procurato grande numero di calchi, di lucidi, di fotografie; per certe epigrafi o serie di epigrafi lo soccorrevano libri con buone riproduzioni, per le monete gli originali del medagliere torinese e di altre collezioni. La Stamperia Reale di Torino, per le pubblicazioni epigrafiche del Fabretti, ampiamente si era provvista di riproduzioni di caratteri e di segni nelle loro forme svariatissime. Questo lavoro del Fabretti (1) Primo supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche con Vaggiunta di alcune | osservazioni paleografiche e grammaticali, nelle Mem. della R. Acc. delle scienze, serie II, t. XXVII, È 1873, p. 375-515; separatamente: Torino, 1872; 4°, pagg. 141, tav. 9. gi: (2) Osservazioni paleografiche e grammaticali intorno alle antiche iscrizioni italiche. Libro I, Osser- . vazioni paleografiche, nelle Mem. cit., serie II, t. XXIX, 1878, p. 1-108, e separatamente come altro | fascicolo del Primo supplemento, Torino, 1874, p. 142-252. Fu fatta anche una stampa a parte col | titolo: Ze antiche lingue italiche. Osservazioni paleografiche e grammaticali, Torino, 1874, pagg. 112. | 9 (8) Lesse all'Accademia delle scienze un capitolo sui dittonghi italici. Il sunto si trova negli Atti, vol. IX, 1873-74, p. 958-962. 180 ERMANNO FERRERO 20 non è solo un trattato compiuto di paleografia italica, ma comprende altresì un’e- sposizione della storia della scrittura nella penisola, risalendo alle origini dell’alfa- beto greco dal fenicio, toccando della derivazione di questo dalla scrittura egizia, discorrendo dell’introduzione del primo nell'Italia inferiore, per mezzo delle colonie calcidiche, e per l’ etrusco, propagato quindi nell’Umbria e nell'alta Italia, ammet- tendo una remota e diretta derivazione dallo stesso alfabeto ellenico. Queste osser- vazioni paleografiche furono tradotte in tedesco (1). Nel medesimo anno 1874 il Fabretti dava in luce un nuovo supplemento di centotrenta iscrizioni, tutte etrusche e per la maggior parte di Chiusi e dell’agro tarquiniese (2). Affrettò la pubblicazione di questo supplemento, minore per mole del precedente e del seguente, anche per poter ricordare questi nuovi titoli ordinati e numerati nelle osservazioni paleografiche. Quattro anni dopo, egli licenziava il terzo supplemento (3), ricco di 481 nuova iscrizione. Lo precedono appunti epigrafici, in cui sono esaminate recenti prove d’in- terpretazione dell’etrusco, specialmente l’opera del Corssen (4), annunciata come quella, che doveva illuminare le latebre di quella lingua nella guisa che, caduto l’ultimo riparo, ad un tratto la luce penetra negl’ipogei, dove dormono i morti Tirrenii ed agli attoniti esploratori appaiono in tutta la loro freschezza le cose sepolte ed obliate da secoli e secoli. Ricordo l’impazienza del Fabretti nell’attesa del libro, la febbre della prima rapidissima lettura e quindi la delusione nell’accertare ch'esso era un ingegnoso tentativo, ma null'altro che un tentativo da registrare coi molti, che fal- lirono nell’ostinata lotta contro la Sfinge dell'Etruria. Il terzo supplemento del Fabretti comprende pure iscrizioni di altri idiomi italici: vi è accolto un esteso commento di Domenico De Guidobaldi sopra un'epigrafe osco-sabellica e note di L. G. De Simone intorno alle iscrizioni iapigo-messapiche (5). Negli anni, in cui preparava i suoi tre supplementi, il Fabretti diè pure in luce qualche breve nota separata di epigrafia italica. Dichiarò un'iscrizione umbra sco- perta a Fossato di Vico, dalla quale fu pienamente confermato il valore del vocabolo maro, come di magistrato di quelle antiche genti (6); fece osservazioni sopra l’iseri- zione di un candelabro di bronzo di Bolsena (7); impugnò l'autenticità dell’iscrizione (1) Palacographische Studien, Leipzig, 1877; 8°, pagg. 165. (2) Secondo supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche, negli Atti della R. Ace., vol. IX, 1873-74, p. 111-119, 354-366, 673-679, 876-885, ed a parte: Torino, 1874, 4°, pagg. 33, tav. 1. Nella stampa a parte è detto: “ Avvertirò .....che questo Secondo supplemento pubblicato in più volte “ (dal decembre 1873 al giugno 1874) nel nono volume degli At..... è stato in alcuna parte corretto, “ed ho tenuto conto delle osservazioni che sopra alcuna epigrafe altri ha avuto tempo di fare fino “ ad oggi ,. (3) Terzo supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche, in Atti della R. Ace., t. X, 1874-75, p. 280-302, 427-448, 536-542, 959-967, 1052-1071; Memorie, serie II, t. XXIX, 1878, p. 109-286, ed a parte: Torino, 1878; 4°, page. 250, tav. 17. (4) Ueber die Sprache der Etrusker, Leipzig, 1874. (5) L'iscrizione illustrata dal De Guidobaldi ha il n. 489 (p. 149-162 dell’ed. separata); le wote iapigo-messapiche formano l’appendice (p. 171-250). ‘(6) Sopra un'iscrizione umbra scoperta in Fossato di Vico (Atti della R. Acc., vol. IV, 1868-69, p. 785-797). L'iscrizione è compresa nel Primo supplemento, n. 105. (7) Atti cit., vol. VII, 1871-72, p. 300-303. Questa iscrizione è nel Primo suppl., n. 377. Anche il Fabretti fu tratto in inganno pubblicando come genuini i Frammenti d’iscrizioni etrusche scoperte a Nizza (Atti cit., vol. VII, p. 854-859, 894-896), della cui falsità non tardò ad accorgersi (Primo suppl., p. 41). i È x E 3 hi È È î 3 % i 21 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 181 di un sarcofago di Cere acquistato dal museo Britannico (1). Più tardi restituì la vera lezione di una moneta d’oro di Volsinii, scorgendovi il nome del popolo (2). Dopo il terzo supplemento il Fabretti aveva in animo di rifare il suo Corpus, restringendolo però alle sole iscrizioni etrusche. Le ottime collezioni degli altri titoli italici, che intanto erano venute fuori, come quelle dello Zvetaieff per i monumenti osci e per i sabini, piceni, falisci ecc., lo dispensavano dall’occuparsi ancora di essi. Era sua intenzione dare il fac-simile di tutte le epigrafi superstiti coi procedimenti di riproduzione enormemente migliorati dal tempo, in cui si stampava il Corpus. Questa idea egli accarezzò sopra tutto negli anni circa l’85: con l’aiuto di qualche amico faceva spogli e schede (3). Ma intanto annunciavasi la pubblicazione di un corpo epi- grafico dell'Etruria per opera del Pauli e col sussidio delle Accademie di Berlino e di Lipsia: il Fabretti non insistette più nel suo divisamento. Ebbe ancora in mano, prima di morire, il principio di questa grande opera, non scevra di difetti e di errori (4); fino all'ultimo, con occhio perspicace e con la consueta .sua prudenza, tenne dietro ai conati per penetrare nel mistero dell’etrusco (5); la lunga iscrizione della mummia di Agram non gli destò troppe speranze (6), e quando fu divulgata, ebbe ragione. (1) IZ sarcofago di Cere (lettera a G. (. Conestabile) (La Perseveranza, 19 marzo 1874). Ritornò sull'argomento negli Appunti epigrafici, che precedono il Terzo supplemento, p. 36 e segg., insistendo sull’improbabile somiglianza dell'iscrizione del sarcofago ceretano con quella di una fibula chiusina del Louvre, e lasciando trasparire la sua poca fede sulla genuinità di tutto il monumento. Di questa autenticità non furono pure persuasi altri (p. es. il Martha, L’art &rusque, Paris, 1889, p. 350, nota 1): il Murray, al contrario, dichiarò infondati questi dubbii (v. p. es. A Gwide to the department of Greek and Roman Antiquities in the British Museum, London, 1899, p. 123 e segg., pl. X). Nella stessa lettera al Conestabile il Fabretti si manifestava pur restìo ad accettare come antica una tazza egizia scoperta a Cere o a Sorrento, che si era trovata fra le mani di chi vendette al museo londinese il sarcofago ceretano. Ma l'autenticità di questa tazza (pubblicata negli An. dell’Inst. di corr. arch., t. XLIV, p. 281 e sesg.; Mon. ined., tav. 44, n. 1) è dimostrata (cf. p. es. Perrot et Chipiez, Hist. de Vart dans Vant., t. III, p. 773). Essa è uno dei tanti lavori fenicii, in cui s'imita l’arte egizia. (2) Di una moneta d'oro attribuita ai Volsiniesi (Atti della R. Acc., vol. XV, 1879-80, p. 316 e seg.). Parmi ricordare che il Fabretti mi dicesse avere scritto un cenno archeologico su Chiusi, per invito di Luigi Torelli, che meditava il suo Manuale topografico archeologico dell’Italia. La pubblicazione di questo Manuale non andò oltre al quarto fascicolo (Venezia, 1872-74): l’Etruria non vi è ancora com- presa. Nei libri del Fabretti, ora a Perugia, si trova nella Miscellanea di opuscoli, serie I, vol. 36°, un mezzo foglio di stampa, senza note tipografiche, contenente una breve monografia anonima su Chiusi. Il Fabretti vi aggiunse il suo nome, e come sua la registrò nel catalogo della libreria, aggiun- gendovi data e luogo di stampa (Venezia, 1872). Ma pare che questo articoletto mai non sia stato pubblicato. (3) Un’aggiunta alle sillogi epigrafiche etrusche del Fabretti fu data in luce dal Gamurrini, Appendice al Corpus inscriptionum Italicarum ed ai suoi supplementi di Ariodante Fabretti, Firenze, 1880. (4) Vedi le osservazioni del ch. lia Lattes nella Rivista di filologia e d’ istruzione classica, vol. XXIV, p. 412 e segg., e negli Studi ital. di filol. classica, vol. IV, p.309 e segg.; V, p. 241 e segg.; VII p. 455 e segg. (5) Negli Atti della R. Acc., vol. XXVI, 1890-91, p. 798-800, si legge una relazione del Fabretti sopra un lavoro del prof. Lattes: La grande epigrafe etrusca del cippo di Perugia tradotta ed illustrata. Questo lavoro, presentato all'Accademia delle scienze per essere accolto nei volumi delle Memorie, non fu mai pubblicato per volontà dell'autore. Il Fabretti riferì pure, col collega Pezzi, intorno ad un altro lavoro del Lattes, L’ ultima colonna dell'iscrizione etrusca della mummia, stampato nelle Mem. della R. Acc., serie lI, t. XLIV, p. 151 e segg. V. Atti, vol. XXIX, 1893-94, p. 558. (6) Krall, Die etruskischen Mumienbinden des Agramer National-Museums (Denkschriften der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-Historische Classe, XLI, Wien, 1892, pagg. 70). 182 ERMANNO FERRERO 22 E Il Fabretti non solo fu un valente illustratore della storia della sua regione nativa, un dotto sommamente benemerito dell’epigrafia e della filologia dei più antichi popoli italici; ma egli rese pure grandi servigii all'incremento del museo torinese di antichità, all’antica numismatica, all'archeologia del Piemonte. Come si è veduto, nel 1858 egli era nominato secondo assistente nel museo di antichità ed egizio. Questo museo era allora diretto da Francesco Barucchi, profes- sore di storia antica nell'Università. Il Fabretti era destinato alla cura delle anti- chità greche e romane: primo assistente per le antichità egizie era Pietro Camillo Orcurti, il quale nel 1861 succedeva nella direzione al Barucchi, andato a riposo. Il - Fabretti diveniva primo assistente (1); durante la grave malattia, che afflisse 1° Or- curti sulla fine della sua vita, ricevette l’incarico della direzione del museo, e morto il titolare, fu assunto all’ufficio di direttore (2). Il doppio nome, che allora aveva il museo, indicava la doppia origine delle sue collezioni. Nel 1832 dall'Università era portata nel palazzo dell’Accademia delle scienze la raccolta di antichità greche e romane e riunita col museo egizio formato nel 1824 con la ricca collezione di Bernardino Drovetti. La raccolta delle antichità classiche era sorta con gli avanzi di quella dei principi di Savoia; avanzi che Vittorio Amedeo II aveva ceduto all’Università da lui ristorata e collocata nell’attuale sua sede nel 1720. Tale raccolta era stata accresciuta con le lapidi riunite principalmente per opera di Scipione Maffei nel suo soggiorno in Piemonte e da lui disposte nel cortile del palazzo dell’Università in modo da soddisfare piacevolmente l’ occhio. Scoperte ed acquisti ingrandirono il museo antiquario; lo diminuirono le vittorie francesi; in molta parte fu reintegrato dopo la caduta di Napoleone. Nel palazzo dell’Accademia delle scienze esso ebbe sede in sale, che disparvero quando, verso il 1864, si diè opera alla costruzione di uno scalone: allora si provvide a fabbricare un nuovo locale al piano terreno; ma questo, per la grande umidità, riuscì dannoso alla conservazione dei monumenti, sopra tutto dei bronzi e delle terre cotte più delicate. Le lapidi con alcuni bassi rilievi e coi due bellissimi torsi loricati scoperti a Susa nel 1802 e ristorati a Parigi continuarono a rimanere nell’atrio dell’Università. I monumenti egizii di maggior mole occupavano, al piano terreno, le due spaziose e belle sale, ove tuttora si tro- vano, verso la piazza Carignano ed il cortile: il rimanente della raccolta era allogato in due eleganti sale, al seconda piano, sopra le due anzidette e precedute da un vesti- bolo. Nell’ufficio della Direzione stavano gli armadii del medagliere. Alla metà del secolo XVIII il medagliere comprendeva trentamila pezzi: fra essi si trovavano molte monete e medaglie di tempi non antichi, le quali poi ne uscirono. Esso ebbe un notevole aumento, dopochè il Fabretti era già addetto al museo, mediante (1) All’ufficio di secondo assistente, per le antichità egizie, fu nominato il prof. Francesco Rossi, (2) R. decreto 14 gennaio 1872. + a Re j a 23 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 153 la cessione, che nel 1866 l'Accademia delle scienze fece all’Università, a cui spettava il museo, della raccolta donatale nel 1835 da Filippo Lavy. Nella raccolta Lavy, in cui era entrata la maggior parte delle più cospicue collezioni numismatiche piemon- tesi, le monete antiche erano più di diecimila; ricca e pregevole per esemplari inediti la serie greca (1), quelle del medio evo e le moderne, in numero di seimila. Il museo non ritenne queste ultime, e le diede al medagliere del re, ottenendo in cambio bronzi scoperti nel luogo dell’antica città d’Industria. Il Fabretti si diede con amore particolare ad accrescere la collezione delle monete della repubblica romana. Erano queste appena 550 quando egli assunse la conserva- zione del medagliere; la raccolta Lavy ne fornì circa novecento. Non cessando mai dagli acquisti, facendo larghe scelte nelle collezioni poste in vendita, come per esempio in quella reputata di Gennaro Riccio, valendosi dell’opera d’intelligenti ricercatori di antiche monete (2), riuscì a formare una doviziosa serie di nummi di questo periodo, che nel 1876 superava la cifra di-cinquemila. Allora il Fabretti pensò di pubblicare il catalogo di questa parte del medagliere per merito suo divenuta di molta impor- tanza (3). Non solo egli aveva tenuto conto, con la maggior cura, delle lettere, dei numeri, dei simboli, che formano spesso, nella serie consolare, altrettante varietà della medesima ‘moneta (4), varietà già notate dai precedenti numismatici; ma hadò insino alle differenze nelle forme grafiche delle leggende. Per tale ragione, come pure per il divario nel peso dei nummi di bronzo anteriori a quelli dei monetarii di Augusto, si può dire che pochi sono gli esemplari affatto uguali compresi nella rac- colta: un centinaio di ripetizioni è dovuto alla presenza di più nomi di zecchieri nelle stesse monete ed alla necessità di attribuirle alle genti di ciascuno. Al catalogo poi l’autore aggiunse un indice minutissimo di nomi e di cose, il quale torna di molta utilità altresì ai raccoglitori, a loro agevolando la ricerca e il riconoscimento di esem- plari guasti o di mediocre conservazione. Tale esempio fu imitato dal Babelon nella sua descrizione generale della numismatica repubblicana (5). Il Fabretti aveva pure compiuto il catalogo a schede degli altri nummi del meda- gliere, al quale era preposto. Allorchè dal Ministero dell'istruzione pubblica fu decre- tata la pubblicazione dei cataloghi delle collezioni antiquarie ed artistiche del regno, si principiò dal museo torinese, ed il Fabretti in due grossi volumi diede quello del (1) Il catalogo della raccolta Lavy fu stampato col titolo: Museo numismatico Lavy appartenente alla R. Accademia delle scienze, Torino, 1839-40; 2 vol., 4°. La prima parte comprende la descrizione delle monete greche, in numero di 4879; la seconda delle monete romane, che sono 5747. Autore di questo catalogo è stato Carlo Cornaglia, non dotto numismatico, ma buon conoscitore delle antiche monete. Entrata la collezione Lavy nel museo di antichità, il Cornaglia ebbe il titolo di condirettore ‘del medagliere. Morì, ottantenne, il 7 di marzo 1878. (2) Ricordo specialmente il signor Alessandro Foa di Torino, di cui il Fabretti aveva la più grande stima. (3) Raccolta numismatica del R. Museo di antichità di Torino —- Monete consolari, Torino, 1876. pagg. xv-332. 1 (4) Per esempio, nel catalogo del Fabretti, un denario della gente Calpurnia presenta ben | 1178 differenze di simboli, di lettere, di note numerali, uno della Giulia 162: uno della Papia ha 146 varietà di simboli, 113 uno della Roscia. (5) Description historique et chronologigue des monnaies de la république romaine vulgairement appelées monnaies consulaives, Paris, 1885-86. 184 ERMANNO FERRERO 94 medagliere (1). Nel primo volume si hanno le monete greche in numero di 9266, per le quali sono indicate le opere moderne speciali, in cui si trovano descritte, e quasi sempre è notato il peso. Nel secondo è ripetuto il catalogo delle monete consolari in numero di 5295, fra cui alcune rare, entrate nella collezione dopo la stampa del catalogo del 1876 (2): la seconda parte comprende la serie imperiale col seguito dei nummi bizantini: in tutto 10384 pezzi. La collezione di antichità classiche del museo di Torino (3), aumentata con cambii, con doni, con compere (4), stava a disagio, come si è detto, e con pericolo di deterioramento: da essa separata la raccolta lapidaria rimasta all’Università, non incolume da guasti ed in luogo disadatto a studio tranquillo. Ristretto pure lo spazio destinato alle antichità egizie cresciute di numero dopo l’istituzione del museo (5), sicchè non poche rimanevano celate o quasi; dei molti papiri una parte solamente era stata distesa ed esposta alla pubblica vista. Lamentavano queste cose i dotti, che venivano al nostro museo; ma più di tutti le lamentavano il Fabretti e i due suoi egregii collaboratori, i professori Francesco Rossi e Rodolfo Vittorio Lanzone, ai quali particolarmente era commessa la cura delle raccolte egizie. Altre due impor- tantissime collezioni, albergate nello stesso palazzo dell’ Accademia delle scienze, il museo di storia naturale e la pinacoteca, si trovavano nella medesima condizione del museo archeologico. Finalmente fu decretato il trasporto del museo di storia natu- rale nel palazzo Carignano: i locali al primo piano già occupati da questo museo (1) Regio Museo di Torino ordinato e descritto da A. Fabretti, F. Rossi e R. V. Lanzone — Monete greche, Torino, 1883; 4°, pagg. xv-644. — Monete consolari e imperiali, Torino, 1881; pagg. vim-860. Formano i volumi III e IV della serie prima (Piemonte) del Catalogo generale dei musci di anti- chità e degli oggetti d’arte raccolti nelle Gallerie e Biblioteche del Regno. (2) Fra i nummi desiderati in questa serie il Fabretti ricorda il denario della Numitoria e quello della Pomponia con Erato. Il primo entrò poscia nel medagliere per deposito fattone dalla Società di archeologia e belle arti, a cui, per tale scopo, lo aveva donato il compianto Enrico Bianchetti, che lo aveva scoperto in una delle tombe del sepolcreto di San Bernardo ad Ornavasso. V. Atti della Soc. di arch., vol. VI, p. 81, nota 1. i (3) Intorno al museo il Fabretti pubblicò nel 1872 un'eccellente notizia storica: Il museo di anti- chità della R. Università di Torino, Torino, 1872; 8°, pags. 74. Alla raccolta dei Documenti inediti per servire ai musei d’Italia il Fabretti somministrò un inven- tario del museo di antichità (1816-1832) fatto dal direttore Pietro Ignazio Barucchi (vol. I, Firenze, 1878, p. 428-465), ed un catalogo della collezione Drovetti compilato nel 1822, cioè quando essa fu acquistata ma ancora non era giunta in Italia (vol. III, 1880, p. 296-292). Gli schiarimenti su questi due documenti, che si hanno nelle prefazioni ai due volumi (vol. I, p. xx-xx1v, vol. III, p. x1-x1v), sono pure stati dati dal Fabretti, e contengono utili notizie per la storia del museo torinese. Più tardi Nicomede Bianchi ebbe da un salumaio e diede al Fabretti alcuni notevoli documenti sopra gli arbitrarii ristauri fatti a monumenti egizii del museo dal conservatore Giulio Cordero di San Quintino, non ostante il biasimo e il divieto di una commissione di accademici delle scienze (Amedeo Peyron, Stefano Borson, Carlo Boucheron, Costanzo Gazzera), alla quale il Magistrato della Riforma aveva affidato l’incarico di riferire sopra tali ristauri. Queste carte furono stampate dal Fabretti coi proprii tipi, in un’edizione privata di soli quaranta esemplari: Documenti per servire alla storia del Museo di antichità di Torino, Torino, 1888; 16%, pagg. 48. (4) Nel 1866 si ebbero bronzi d’Industria dalla Casa Reale; nel 1871 un cambio di oggetti del- l’età di mezzo e moderna fece avere dal museo civico di Torino vasi ed altri oggetti di bronzo provenienti dall’Etruria e qualche antichità piemontese: dal Fabretti fu acquistata una serie di vasi - di terra nera di Chiusi; antichità cipriote furono donate dallo scopritore, il conte Luigi Palma di Cesnola, ecc. (5) V. Fabretti, IZ museo di antichità, p. 33. 25 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 185 furono destinati al museo di antichità: le sale di quest’ultimo al secondo piano pas- sarono alla pinacoteca (1). Il trasporto e il riordinamento del museo di antichità si fecero tra il 1877 © il 1878. La raccolta egizia, oltre a due sale sottostanti a quelle, in cui era disposta al piano superiore, si potè svolgere in una galleria lungo tutto il lato maggiore del palazzo verso il cortile. Alle pareti di questa galleria si posero le stele, con cui si unirono gessi di altre ricevuti dall'Egitto: il mezzo della galleria fu occupato spe- cialmente da vetrine con le molte statuette funerarie, gli scarabei ed altri piccoli oggetti. Delle due sale menzionate quella verso la piazza fu destinata ai papiri, tutti (2) in quadri lungo le pareti a giusta altezza, sì da poter essere letti como- damente, oppure, se scritti da entrambe le parti, in quadri con doppio vetro disposti verticalmente sopra tavole in mezzo alla sala. Queste tavole ed altre lungo le pareti sotto i papiri avevano piani scorrevoli, che il visitatore poteva trar fuori per iscri- vervi le sue note. Un ballatoio di ferro fuso, a cui si saliva da una scaletta a chioc- ciola, correva nella parte superiore della sala, e permetteva l’esame di altri papiri meno importanti ivi collocati. Alle pochissime antichità assire e fenicie ed alle poche cipriote fu destinata una piccola camera di passaggio alle sale verso la via dell’Acca- demia delle scienze, ove dall’infelice loro sede furono trasportate, in massima parte, le antichità classiche. In una sala si disposero specialmente i marmi, a cui più tardi si unirono cinerarii e tegoli scritti etruschi; in un’altra i vasi fittili, di cui abba- stanza copioso il numero dei vasi dipinti dell’ Etruria e dell’Italia meridionale; in una terza i bronzi: le antichità piemontesi di certa provenienza furono ordinate entro vetrine apposite in queste due ultime sale. Il medagliere continuò ad essere custodito negli uffici della Direzione, anch'essi ingranditi. Taluno avrebbe voluto che il meda- gliere fosse collocato in mostra pubblica; il Fabretti fu contrario a tale mostra, che richiedeva spazio grandissimo, presentava difficoltà di sorveglianza e di studio, nè riusciva di vantaggio ai profani della numismatica. Egli tuttavia, come piccolo saggio della collezione monetaria, collocò nella terza sala qualche centinaio di nummi. Rimasero al piano terreno nelle loro sale i monumenti della scultura egizia, che già vi stavano; nelle tre altre, a cui si fecero nuove riparazioni per risanarle, si lasciarono statue ed altri marmi di maggior mole, e qui finalmente si poterono acco- gliere le lapidi dell’Università. Era intenzione del Fabretti costituire una generale raccolta delle epigrafi subalpine, supplendo coi gessi alla mancanza degli originali altrove esistenti. Lapidi e gessi furono distribuiti insieme in ordine geografico in queste tre sale: una ricevette i titoli della parte del Piemonte a sinistra del Po, compresa nell’undecima regione augustea ossia nella Transpadana e quelli della pro- vincia delle Alpi Cozzie. Furono poste nella seconda le molte iscrizioni torinesi e quelle piemontesi di origine incerta; alla terza si assegnarono i marmi del Piemonte cispadano, già nella regione, che nell'ordinamento amministrativo di Augusto fu la nona ed ebbe il nome di Liguria. Le due statue segusine si posero l’una di faccia (1) Per il trasporto de’ musei il Regio Governo aveva nominato suo commissario il prof. Ercole Ricotti. (2) Salvo frammenti di minore importanza, per i quali mancava lo spazio, e che rimasero negli ufficii della Direzione. Serie II. Tom. LI. 24 156 ERMANNO FERRERO 26 all’altra nell’atrio del palazzo (1). Questi due monumenti sono forse i soli, che resta- rono a posto nelle grandi mutazioni, che il museo ebbe dopo la morte del Fabretti. Come è stato detto, il Ministero della pubblica istruzione aveva stabilito la pub- blicazione dei cataloghi de’ musei del Regno; idea buona, anzi ottima, messa in atto però imperfettamente, poichè l’edizione, non posta in commercio, fu fatta di poche centinaia di esemplari distribuiti non solo a biblioteche e ad altri istituti d'istruzione, dove sono a loro posto, ma anche a capriccio a privati alieni dagli studii archeo- logici. Tale pubblicazione non andò poi più in là del museo di Torino e di quello egizio di Firenze. Il Fabretti stampò, come pure si è detto, in due volumi il catalogo del medagliere: i professori Rossi e Lanzone in due altri quello delle raccolte egizie (2), lavoro diligente, anche sotto l’aspetto tipografico (la Stamperia Reale di Torino si era provveduta dei tipi geroglifici occorrenti), stimato e lodato dai competenti, utile per il facile rinvenimento dei singoli oggetti nel museo. La nuova distribuzione, che questo ebbe più tardi, tolse sì fatta utilità al catalogo. Doveva essere seguìto da quello delle antichità classiche: il Fabretti, pur promettendo la sua cooperazione e la sua direzione, preferì che l’incarico fosse affidato a persona estranea al museo da più anni quotidiana frequentatrice de’ suoi uffici. Questa persona pose mano al lavoro, non ne condusse innanzi che piccolissima parte, e non se n'è pentita. Per lungo tempo nel museo di Torino, come in generale nelle collezioni anti- quarie d’una volta, poco o punto badavasi alla provenienza degli oggetti. Salvo le lapidi, fra cui anche non mancano quelle di patria sconosciuta (3), salvo la maggior parte delle statue, dei busti e di altri marmi, che nelle collezioni di Emanuele Fili- berto e di Carlo Emanuele T dovettero entrare per acquisti fatti a Roma (4), salvo (1) Il trasporto della collezione lapidaria dall'Università e la sua collocazione a posto nel museo si fecero nell’estate del 1878. Il Fabretti, allora non bene in salute, aveva dovuto recarsi alla sua villa, e ne lasciò la cura a chi scrive. (2) Regio Museo di Torino ordinato e descritto da A. Fabretti, F. Rossi e R. V. Lanzone — Anti- chità egizie, Torino, 1882; 4°, pagg. 1v-484; Torino, 1888, pagg. 342. Formano i volumi I e II della seria prima (Piemonte) del Catalogo generale dei musei di anti- chità e degli oggetti d’arte raccolti nelle Gallerie e Biblioteche del Regno. È del Fabretti la brevissima prefazione al vol. I (p. m-1v). (3) Vedi fra le iscrizioni Pedemontanae incertae registrate nel C. I. L., V, n. 7142-7208, quelle che sì trovano nel museo di Torino. (4) La galleria ducale finì con l’essere in massima parte distrutta da un incendio nel 1666. I monumenti, i quali nel secolo seguente passarono al museo dell’Università, rarissimamente si pos- sono riconoscere nelle imperfette e sommarie note, che sopra gli acquisti si hanno nei documenti editi dal Manno negli Atti della Soc. di arch. e belle arti, vol. II, p. 196-226, e forniti dal Bianchi ai Docum. ined. per servire alla storia dei musei d’Italia, vol. II, p.397-423 (cfr. vol. I, p. vi e seg.), e nell'inventario del 1631 pubblicato dall’Angelucci negli Atti della Soc. di arch., vol. II, p. 53-83. Fra i monumenti del museo provenienti dalla galleria ducale vi è un Cupido dormiente, con traccie di finte restaurazioni, le quali porsero al Lange occasione .di crederlo il Cupido, scolpito da Michelangelo appunto con queste finte restaurazioni, come narrano il Condivi ed il Vasari, al tempo dei quali la statua si trovava a Mantova (Zeitschr. fir bild. Kunst, XVII, 1888). Il Fabretti diede conto del lavoro del Lange all'Accademia delle scienze (Atti della R. Acc., vol. XVIII, 1882-88, p. 801-805). In vece di credere il Cupido venduto per antico a Torino, pensava fosse uscito dal museo dei Gonzaga al tempo del sacco di Mantova del 1630. Esso avrebbe avuto così la medesima sorte della celebre tavola isiaca, venuta essa pure da Mantova a Torino. Ma l'identità del Cupido torinese e del miche- langiolesco fu contrastata (Venturi, in Arch. stor. dell’arte, anno I, 1888, p. 1 e segg.), e non ostante la difesa del Lange (Der schlafende Amor des Michelangelo, Leipzig, 1898), non sembra ammissibile (K[risteller], in L’arte, anno I, 1898, p. 341 e seg.). i | 27, VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 187 bronzi scavati ad Industria e poche altre antichità del Piemonte e della Sardegna, la maggior parte della raccolta archeologica prima della sua unione col museo egizio (1832) comprendeva oggetti, la cui origine era affatto ignota (1). Alquanto meglio si procedette dopo, e con altri monumenti industriensi si seppe di antichità esumate a Torino, ad Alba, a Pollenzia ed altrove; tuttavia, specialmente per gli oggetti piccoli, che in moltissima parte hanno dovuto uscire dal suolo di questa regione, continuava ad essere taciuta la scoperta; scarsi quindi gli elementi per uno studio sicuro dell’antica civiltà nella contrada subalpina. À dare impulso a questo studio giovò la fondazione della Società di archeologia e belle arti. Parecchi cultori della storia, delle antichità e dell’arte del Piemonte si riunirono nel 1874 con lo scopo di “ costituirsi in Società e congiuntamente prendere “ di mira, limitando la propria azione nella Provincia di Torino, quali fossero i ter- “ reni da esplorare con profitto dei musei locali, quali i monumenti che chieggono riparazione a prevenirne l’annientamento, e il pregio di una illustrazione, perchè la “ loro importanza sia meglio conosciuta, non escludendo tra questi le opere meno “ antiche che entrano nella storia delle arti italiane. , Una Giunta di antichità e belle arti era stata creata nel 1832 per proporre, sotto la direzione della Segreteria di K . Stato per gli affari dell'interno, i provvedimenti necessarii a promuovere la ricerca e la conservazione dei monumenti. Ma mentre la Deputazione sovra gli studii di storia patria, sorta pure in quel torno, subito aveva goduto di vita rigogliosa, la Giunta menzionata, non ostante il buon volere degli uomini egregii, che la componevano, senza, stabili sussidii pecuniarii dal Governo, poca traccia lasciò della sua esistenza. A dar vita alla nuova Società concorsero Carlo Baudi di Vesme, Nicomede Bianchi, capo dell'Archivio di Stato, Francesco Gamba della Pinacoteca, Gaspare Gorresio della biblioteca dell’Università, Bartolomeo Gastaldi del museo civico, Ercole Ricotti, Gau- denzio Claretta, Pio Agodino, il Fabretti, che volle pure il suo amico Giancarlo Cone- stabile, il quale allora dimorava buona parte dell’anno a Torino. Una prima adunanza preparatoria fu tenuta il 20 di febbraio 1874, nell’ufficio della Direzione del museo, rimasto sino alla morte del Fabretti sede della Società: il 3 di marzo era formolato un disegno di statuto. Poco dopo, la Società otteneva il richiesto patrocinio della Deputazione provinciale di Torino e da questa i fondi necessarii per dar opera subito a scavi archeologici, e si allargava con nomine di socii perpetui e corrispondenti (2). Il Fabretti fu l’anima della nuova Società (3). Anni prosperi per essa furono i primi. Dalla provincia di Torino essa riceveva l’annuo sussidio di duemila lire, a cui si aggiunse (1876) quello di cinquecento lire del Municipio di Torino (4); nè mancò qualche aiuto del Governo. In questo tempo furono fatti scavi in più luoghi del Piemonte, e non nella sola provincia di Torino, essendosi persuasa la Società di non (1) Cf. l'inventario edito dal Fabretti sopra ricordato (Doc. ined., vol. I, p. 428 e segg.). (2) Sulla fondazione della Società vedi l'introduzione del Fabretti al vol. I degli Atti della Soc. di arch., Torino, 1875, p. 7-18. Ivi è pure ricordata la Giunta di antichità e belle arti del 1832. (3) Il Fabretti assunse l’ufficio di segretario della Società alla sua costituzione il 20 febbraio 1874; fu riconfermato il 10 maggio 1877; nominato presidente il 23 febbraio 1882, riconfermato il 9 dicembre 1886, vicepresidente il 28 giugno 1888, di nuovo presidente il 21 dicembre 1891. (4) Abolito poi, dopo la morte del Fabretti, sulla fine del 1896. 188 ERMANNO FERRERO 98 potere trascurare, fuori della provincia, da cui essa s'intitola, i luoghi fertili di sco- perte atte ad illuminare l'archeologia subalpina. Cominciossi la pubblicazione degli Atti, di cui a non lunghi intervalli uscivano i fascicoli, copiosamente illustrati, con- tenenti relazioni di scoperte, dichiarazioni di monumenti, ricerche sopra l’arte pie- montese (1). I primi scavi della Società furono diretti ad esplorare un luogo, nel territorio di Avigliana, sulla sponda sinistra della Dora Riparia, dove precedentemente erano venute alla luce iscrizioni rammentanti il culto delle Matrone e la stazione doganale ai confini fra la provincia Cozziana e l’Italia. Questi scavi diedero scarso materiale archeologico ed epigrafico, ma condussero a determinare in buona parte la pianta di : un edificio dell’età romana, violentemente rovinato ed incendiato (2). Seguirono altri | scavi a Monteu da Po, dove sorgeva Industria (3), a Carrù per iscoprire un sepol- creto del principio dell'impero (4), a Palazzolo Vercellese, dove fu rinvenuta una necropoli, nella cui suppellettile primeggiano vetri svariatissimi e bellissimi (5), a Crescentino, a Corbiglia, frazione di Rosta, a Fontanetto da Po, luoghi ove pure si esumarono tombe e corredo funerario (6). Tutti gli oggetti procurati da questi scavi, insieme con alcuni altri avuti in dono, la Società affidò in deposito al museo di antichità, nel quale collocò pure i gessi dei bassi rilievi, dell’iscrizione e di qualche particolare architettonico dell’arco di Augusto a Susa, su proposta del Fabretti ed a sua cura ricavati nel 1875 (7). Nel medesimo anno la Società accettava dal muni- cipio di questa città l’incarico di compiere scavi nelle vicinanze dell’arco, sopra tutto per iscoprire interamente le due arcate, che si trovano a mezzogiorno di questo, e per riaprirne il passaggio (8). Parecchie cause estranee alla Società ritardarono questi lavori fino al 1884 (9). . Intanto la Società era costretta ad interrompere la sua opera intesa a quei ritro- vamenti, con cui, dirò con le parole del Fabretti: “ la storia antica delle regioni “ subalpine si arricchisce di fatti nuovi, de’ quali non si trova traccia negli scrittori (1) Fino alla morte del Fabretti (1894) uscirono cinque volumi degli Atti, di cui ciascuno porta, nel titolo, la data del suo primo fascicolo, sebbene non tutti i fascicoli siano usciti in quell’anno. Il volume I (1875) è di pagg. 416 con 25 tavole, il II (1878) di pagg. 396 con 21 tavola, il III (1880) di pagg. 320 con 81 tavola, il IV (1883) di pagg. 360 con 21 tavola, il V (1887) di pagg. 428 con 22 tavole. I quattro primi volumi si compongono di cinque fascicoli ciascuno, l’ultimo di sei. Ad ogni volume il Fabretti appose minuti indici delle cose ed indici epigrafici. (2) Scavi di Avigliana, in Atti della Soc., vol. I, p. 19-30, cfr. p. 395. (3) Fabretti, in Atti, vol. I, p. 98 e seg., p. 192; vol. II, p. 241 e seg.; vol. III, p. 67-71; Not. degli scavi, 1876, p. 177. (4) Fabretti, in Att?, vol. II, p. 10, 241; e Scavi di Carrù (ibid., p. 245-254). Un brevissimo suo | cenno è pure in Not. degli scavi, 1878, p. 3. i (5) Fabretti, in Atti, vol. II, p. 242 e seg.; Not. degli scavi, 1878, p. 360. Una relazione degli scavi di Palazzolo fu promessa dal Fabretti (cfr. At cit., p. 254), che aveva fatto disegnare le forme dei vasi; ma essa non fu mai allestita. (6) Fabretti, in Atti, vol. IV, p. 1. Il compianto Vittorio Del Corno, il quale con molta cura teneva dietro alle scoperte nel territorio di Crescentino e nei vicini, riferì sopra gli scavi, da lui fatti nel primo, per cura della Società (Not. degli scavi, 1880, p. 1, 165 e seggi). (7) Atti, vol. I, p. 87, 92. (8) Ibid., p. 87-92. (9) Vol. II, p. 9, 244; III, p.9; V, p. 9-14. 29 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 189 “romani, vogliam dire dei costumi degli abitanti e del loro grado di civiltà nel “ primo secolo dell'impero: in queste abitazioni dei morti si hanno sicure testimo- “ nianze della vita degli antichi. Maggior frutto, per fermo, avremmo ottenuto, e le “ bene avviate investigazioni sarebbero state con crescente attività continuate, se “ quella stessa Amministrazione della Provincia di Torino, che aveva dato esistenza “ alla Società nostra nell’anno 1875, non fosse stata inclinata, nei mutati intendimenti “ economici, a disfare troppo presto l’opera sua. Nel bilancio del 1881 la ringiovanita “ Deputazione Provinciale cancellava il sussidio di lire duemila, e questa delibera- RAZIONE vo. confermava nell’adunanza del 28 luglio 1881, perchè i sussidii alle ricerche “ di antichi monumenti, che sono tanta parte della gloria di queste provincie, ritengonsi “ estramei alla istruzione professionale! , (1). E discorrendo con amarezza di questa gretta determinazione, il Fabretti chiedeva se fossero affatto inutili per l'istruzione professionale i tanti vasi di terra cotta e di vetro con forme eleganti, di squisita fat- tura, procacciati dagli scavi di Palazzolo e dagli altri e collocati alla pubblica. vista nel museo. Cessato il sussidio, “ che aveva procurato nelle escavazioni un valore venti volte “ maggiore, , la Società dovette ridurre la sua attività alla pubblicazione dei proprii Atti, non cessando tuttavia dal vigilare sopra la conservazione degli antichi monumenti, quantunque per questo rispetto il suo lavoro fosse alleviato dall’ istituzione della commissione provinciale conservatrice dei monumenti di arte e di antichità, a far parte della quale, con altri colleghi della Società, era stato chiamato il Fabretti (2). Gli scavi della Società non furono la sola sorgente donde trasse aumento il museo torinese. Il Fabretti volle restringere gli acquisti del museo in una cerchia ben defi- nita, ove con gli scarsi mezzi pecuniarii, di cui disponeva, questo museo fosse in grado di progredire con reale vantaggio per la scienza. Non poteva il nostro com- petere coi grandi musei nell’andar in cerca d’insigni opere d’arte o nel raccogliere antichità di ogni provenienza (3): neppure la collezione egizia, sempre una delle prime per copia e per varietà, poteva sperare notevoli ampliamenti. Il Fabretti ebbe in mira sopra tutto, col già ricordato aumento del medagliere (specialmente della serie: di Roma repubblicana), quello delle antichità del Piemonte. Così, per opera sua, (1) Vol. IV, p.9 e seg. (2) La commissione fu istituita con R. decreto del 18 di maggio 1878. Il Fabretti vi fu nomi- nato con decreto del 16 di giugno. Cfr. Atti, vol. III, p. 10. (3) Il Fabretti comprò pure talora per il museo antichità non subalpine, come bronzi e terre cotte dell’Italia centrale, specialmente cassette funerarie e tegoli sepolcrali di Chiusi; ma per lo più tali acquisti da lui erano fatti allorchè gli avanzava qualche somma da spendere entro l’anno finanziario, la quale altrimenti non si sarebbe potuto conservare per unirla coi fondi di anni suc- cessivi e far poi un solo e cospicuo acquisto. Il Consorzio istituito nel 1877 fra la provincia ed il municipio di Torino per dare maggiore incremento all’ Università aveva assegnato al museo di antichità, allora istituto universitario, la somma di lire duemila all’anno, la quale dal Fabretti era massimamente adoprata per procacciarsi monumenti piemontesi. Nel 1878, in cui cominciarono ad esser dati i fondi dal Consorzio, il museo cessò di dipendere dall'Università. Essendovi rimasto a capo il Fabretti, non fu avvertita la nuova condizione del museo, il quale continuò a ricevere il sussidio, ridotto poi alla metà e in ultimo ad un quarto, sino a che, morto il Fabretti, la Giunta amministrativa del Consorzio, giudicò contrario allo scopo di questo l’aiutare un istituto, che non aveva più alcuna relazione con l'Università. Soppresse quindi il sussidio, e parte destinò alla scuola universitaria di archeologia, perchè potesse cominciare a fornirsi di riproduzioni di monumenti, . indispensabili per l'insegnamento. 190 ERMANNO FERRERO 30 il museo diveniva ciò che devono essere i musei locali, sforniti di larga entrata: diveniva il deposito dei monumenti dell’antica civiltà della regione. A tal uopo egli acquistava il corredo di oltre cento tombe di Castelletto sulla destra del Ticino, ana- loghe a quelle, che si scoprono sulla sponda opposta, in più territorii, principalmente nel comune di Golasecca, donde il nome del tipo di queste sepolture. Non pubblicò, come aveva in animo, questa suppellettile, accuratamente distribuita nel museo, secondo le tombe, di cui rifece due, di forma differente; riprodusse però i due più preziosi fra gli oggetti: una situla di bronzo con cordoni orizzontali, adoprata per cinerario, e una coppa di bronzo con singolari figure di mostri alati, che a questa era stata posta per coperchio (1). Il vicino territorio di Varallo Pombia gli forniva un sepol- creto non più preromano, ma del primo secolo dell'impero (2). Altre antichità del tempo imperiale egli si procacciava da Corbiglia, borgata di Rosta (3), da Palazzolo Vercellese, da Fontanetto e da Monteu da Po, luoghi ove già aveva diretto le inve- stigazioni della Società, dalla Lomellina (4) e da altre terre della nostra regione. L'acquisto della svariata suppellettile della necropoli barbarica di T'estona, scavata ed illustrata da Claudio e da Edoardo Calandra (5), arricchiva il museo di una serie cospicua di monumenti, altrove ricercati, ma che da noi per la prima volta erano studiati: qualche altro oggetto di tale età entrava poscia nel museo (6). In esso avrebbe pure desiderato il Fabretti accogliere la copiosa raccolta di antichità preisto- riche, nella quale molte si hanno rinvenute nel Piemonte, fatta da Bartolomeo Gastaldi e posseduta dal museo civico di Torino, dove, essendo stata soppressa e ceduta precedentemente al museo di antichità la piccola collezione archeologica romana, essa stava nella disadatta compagnia dei monumenti del medio evo e di tempi più recenti. Ciò che non riuscì al Fabretti fu, senza difficoltà alcuna, ottenuto dopo la sua morte. Come abbiamo avvertito, il Fabretti aveva in animo di raccogliere nel museo il corpo epigrafico del Piemonte, collocando riproduzioni in gesso in luogo dei titoli mancanti. Questo ottimo disegno non fu colorito che in parte e non grande; ad ogni modo marmi somministrati da recenti scoperte ed altri già noti entrarono nel museo: un certo numero di gessi venne a pigliar posto insieme coi titoli originali, con van- taggio degli studiosi, che potevano comodamente esaminare queste fedeli riproduzioni. Fra esse campeggiavano le due faccie dell'iscrizione dell'arco di Susa: l’una insieme coi gessi dei bassi rilievi nella sala al piano superiore, ove tuttora si trova; l’altra, a cui non era stato possibile dar posto nella stessa sala, al piano terreno con la raccolta lapidaria, nel luogo ove stavano marmi e gessi di val di Susa (7). Parecchi (1) Atti della Soc., vol. V, p. 16 e segg. Nelle Not. degli. scavi, 1885, p. 28 si legge un breve cenno del Fabretti sopra le tombe di Castelletto. (2) Necropoli della Cascinetta (Atti, vol. IV, p. 302-305). Un brevissimo cenno è stato dato dal Fabretti nelle Not. cit., 1876, p. 97. A (3) Sulle antichità di Corbiglia acquistate dal museo ho riferito nelle Not. degli scavi, 1895, p. 451 e seg. (4) Sulle antichità lomelline entrate nel museo ho dato ragguaglio nelle Not. cit., p. 401 e segg. (5) Atti della Soc., vol. IV, p. 17-52. (6) Atti, vol. V, p. 18 e seg. (7) Il Fabretti fece porre sui gessi dell’iscrizione dell’arco lettere di legno imitanti quelle di bronzo, che un tempo erano sopra questa iscrizione. Era sua intenzione pubblicare negli Atti della, a di C di 51 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 191 titoli subalpini furono dati alla luce per la prima volta od emendati dal Fabretti (1), il quale finamente illustrò pure gli avanzi di un mosaico scoperti nella cattedrale di Acqui ed entrati, molti anni dopo, nel museo. In questo mosaico egli, come altri, volle riconoscere due parti, l’una del secolo II o del III, l’altra del 1067, anno della ricostruzione della chiesa per opera del vescovo Guido, il cui nome compare nella lacera iscrizione del mosaico stesso (2). Lo scritto più notevole del Fabretti sopra le antichità subalpine è, senza dubbio, la monografia dell’antica Industria (3). Il solo Plinio ricorda tale città fra quelle della Liguria, ed osserva essersi chiamata originariamente Bodincomago dal nome, con cui i Liguri appellavano il Po (4). La collocazione d’Industria presso il villaggio di Monteu da Po, intraveduta già sul principio del secolo XVII, fu determinata sicuramente dagli scavi fattivi nel 1745 dai conservatori del museo dell’Università, Giovanni Paolo Ricolvi ed Antonio Rivautella, i quali scoprirono avanzi di edifizii, antichità figurate e scritte, fra cui una tavola di bronzo dedicata dal collegio dei pastofori industriensi. Altre ricerche erano già state tentate prima, altre si ripeterono nel secolo XVIII: importanti per risultamenti topografici e per i bellissimi oggetti rinvenuti quelle del conte Bernardino Morra di Lavriano nel 1808 e nel 1811. Ritrovamenti fortuiti o per conseguenza d'indagini fatte con l'intervento degli agenti del Governo o per lo più da abitanti del luogo a scopo di guadagno si ebbero appresso: nel 1875, nel 1876 e nel 1878 il Fabretti, come si è detto, vi scavava per cura della Società di archeo- logia e belle arti. “ In quasi centocinquant’anni di ritrovamenti casuali, e di ricerche “ intraprese per omaggio alla scienza o con la speranza di trar fuori dalla terra “ qualche oggetto di raro pregio e valore, moltissimi monumenti vennero successi- “ vamente alla luce; de’ quali taluni presero posto nelle collezioni del Museo torinese “ di Antichità, ed altri andarono, se non perduti, fuori d’Italia in pubbliche o private “ raccolte. Col crescente desiderio, che dappertutto si manifesta, d’interrogare i monu- “ menti delle antiche civiltà, anche i ricordi del vetusto municipio d’Industria ver- “ ranno accresciuti: e se fin qui le scoperte condussero solamente all’acquisto di docu- “ menti del predominio e della influenza romana, dalla età augustea insino al primo “ periodo dell’era bizantina, altre indagini nelle terre circostanti allargheranno forse “ il campo alle dimostrazioni storico-archeologiche d’Industria o per dir meglio di x “ Bodincomago, di cui non è conosciuta la necropoli, probabilmente costrutta a modo Società un’illustrazione dell'arco, riproducendo i gessi dei bassi rilievi, e a tal uopo ne aveva ordi- nato le fotografie. Ma il suo disegno non ebbe effetto: fu ripreso, dopo la sua morte, dalla Società, a cura della quale fu allestita una pubblicazione sull'arco con riproduzioni ricavate direttamente dagli originali e non più dai gessi. (1) Iscrizioni pedemontane, in Atti della Soc., vol. IV, p. 277-297. Vi si trovano anche i bolli dei fittili di Palazzolo Vercellese e di altri luoghi. Altre lapidi piemontesi da lui edite si hanno in Atti, vol. I, p. 94 e segg.; II, p. 241; V, p.21. (2) Musaico di Acqui nel R. Musco di antichità di Torino (Atti della Soc., vol. II, p. 19-80). Tl mosaico fu scoperto nel 1845; trasportato a Torino, vi stette dimenticato; nel 1877 fu posto, com'era al momento della scoperta, nel pavimento della sala del museo al piano punezione, parti colarmente destinata alle terre cotte. Ora esso si trova nel museo civico. (3) Dell’antica città d’Industria detta prima Bodincomago e dei suoî monumenti (Atti, vol. III, p. 17-115, 199). (4) N. H., III, 5, 16. 192 ERMANNO FERRERO 32 “ di quelle della Cascinetta, di Carrù e di Palazzolo Vercellese, che appartengono al “ primo secolo dell'impero. E resterà pur sempre a ricercare le testimonianze di una “ più antica civiltà, non ancora modificata dagli usi e dai costumi di Roma , (1). Il desiderio del Fabretti è pur sempre un desiderio. Gli scavi della Società, pri- vata dei mezzi necessarii a proseguirli, si fermarono. Industria attende tuttora il com- pimento della sua esplorazione, come attendono di essere scientificamente investigate altre città, che nell’evo romano fiorirono in questa regione e poscia disparvero, ed altri luoghi, nel cui suolo devono celarsi dovizie archeologiche. Venga presto il giorno della ripresa di scavi seriamente condotti: si può fare assai anche con mezzi mediocri, purchè di questi si sappia far uso conveniente ed intelligente (2). Tornando alla monografia del Fabretti, questa è da lodare e da segnalare ad esempio per l’accurata riunione delle notizie sopra gli scavi e le scoperte industriensi, consegnate in opere a stampa ovvero nei documenti degli archivii, per il corpo epi- grafico, per la descrizione di tutti gli oggetti, anche dei frammenti, restituiti dalla vetusta città, che si trovano nel museo di Torino ed in altre collezioni, e per la loro riproduzione in ventitrè tavole, precedute da cinque piani topografici. gi Il Fabretti, invitato a leggere, nel 1880, il discorso per la riapertura dell’Uni- versità, trovò un argomento appropriato nel trattare degli studii archeologici in Pie- monte (3), argomento, che gli porgeva altresì, com’egli disse, “ opportunità di significare “ affetto agli uomini di questa terra ospitale ,. Se egli doveva gratitudine al Pie- monte ove, esule, trovò ricovero, i mezzi di continuare e di far noti gli studii altrove cominciati, e poscia la quiete ed i comodi della vita; egli però ben seppe compen- sare il Piemonte, promovendo lo scoprimento e l'illustrazione di molti documenti del suo passato. Eppure quest'uomo, che aveva acquistato così profonda conoscenza della nostra archeologia, soleva dire che, per lo studio tanto della storia quanto delle anti- chità locali, bisogna esser nati e cresciuti nel paese, neppure una lunga dimora bastar a procurare intima familiarità con esse. Così diceva nella sua modestia: ma l’archeo- logia subalpina ne ha già scritto il nome fra i suoi cultori più cospicui. (1) Atti cit., p. 71 e seg. (2) Si ricordino, ad esempio, i buoni risultamenti, che per la topografia di una delle nostre città romane, Augusta Bagiennorum, si ottengono dalle pazienti investigazioni, scarsamente sussi- diate dal Governo, dei ch. Assandria e Vacchetta (v. Atti della Soc., vol. VII, p. 31 e segg., 69 e segg., 186 e segg., 236 e segg.) \ (8) Degli studi archeologici in Piemonte - Discorso letto per l'inaugurazione dell’anno accademico 1880-81 nella R. Università di Torino li 3 novembre 1880, Torino, 1881, pagg. 48. ade lede ie i 33 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 193 TIVA Il Fabretti tenne sino alla morte la cattedra di archeologia nell'Università tori- nese, a cui era stato scelto nel 1860: però nei due ultimi anni la mala salute lo obbligò a non fare più scuola, valendosi dell’aiuto di un supplente. L'opera del Fabretti come insegnante è stata certamente molto minore della sua opera come scrittore e come direttore del museo. Egli, la cui conversazione fami- liare era un incanto — voce armoniosa, pronuncia squisita, parola facile, viva, ele- gante — quando doveva parlare in-pubblico, era assalito da timidezza, non riusciva a signoreggiare il suo imbarazzo. Anche nella scuola (nè ciò taceva) non si trovava al suo posto. Dava quindi le sue lezioni nell’ufficio del museo. Non volle cercare sede più comoda quando crebbe di assai il numero degli studenti di lettere e quando il museo cessò di appartenere all’Università. Avvenne tale cambiamento nel 1878 (1): l'Università allora non alzò la voce per conservare un istituto creato per essa, che da un secolo e mezzo le apparteneva e il quale poteva essere utile per l’insegnamento se non dell'archeologia generale, almeno di certe discipline antiquarie, come la numis- matica e l’epigrafia, e per l’istradamento allo studio delle antichità locali: non par- liamo dell'archeologia egizia. Il Fabretti faceva scuola in una sua stanza da lavoro, dinanzi ad una grande tavola, coperta di libri e di carte, per lo più in disordine. Libri e carte sulle sedie ed anche in terra, poi gli attrezzi della piccola officina tipografica, di cui diremo. Qua e là oggetti antichi da studiare; vasi di fresco scavati da ripulire e da acco- modare. In una finestra una grande gabbia di canarini, che allegramente cinguetta- vano. Non erano lezioni, dicevano i frequentatori, erano discorsi alla buona, pieni di dottrina, gradevolissimi ad udirsi, ma per gli scolari meno utili di un’esposizione ordinata, da poter essere facilmente consegnata per iscritto, facilmente studiata. Il Fabretti era però un professore poco severo sì per la frequenza come per lo studio degli allievi. Compiacevasi di non aver mai rimandato alcuno all'esame! (2). Ma meglio (1) Un R. decreto del 10 febbraio 1878 nominò il Fabretti direttore nel ruolo unico degli uffi- ciali addetti al servizio dei musei di antichità, approvato con R. decreto del 3 gennaio. Tre altri ruoli unici furono successivamente approvati con decreti del 13 marzo 1882, del 27 marzo 1887, del 4 luglio 1889. In essi il Fabretti ebbe il grado di direttore incaricato (R. decreti 15 giugno 1882, 31 marzo 1887, 17 ottobre 1889). (2) “ Ariodante Fabretti , scrisse di lui un suo discepolo “ non ebbe le doti brillanti dell’inse- “ gnante, non voce gagliarda, non intonazione incisiva, non copia di eloquio; ma possedeva virtù “ più solide e proficue, come conoscenza profonda della materia insegnata, idee chiare e lucide, “ ordine preciso e opportuna selezione. Non fu popolare tra gli studenti nel senso, che comune- “ mente si attribuisce a questo vocabolo, perchè il suo portamento severo, calmo e riservato inge- “ nerava più rispetto che intima confidenza; ma tutti l’amavano schiettamente, perchè in lui vene- “ ravano la dottrina, l'integrità del carattere e la bontà paterna ,. Rinaudo, Commemorazione di Ariodante Fabretti (Riv. stor. ital., vol. XI, 1894, p. 604). Serie II. Tom. LI. 25 194 ERMANNO FERRERO 34 che nella scuola egli serviva ai giovani desiderosi d’istruirsi coi consigli, con l’aiuto, con l'esempio. Per dare maggiore e più conveniente svolgimento agli studii dell’antichità fu istituita a Roma nel 1875 una scuola di archeologia, che nel 1878 fu congiunta con la Facoltà di lettere. Era stato stabilito che a professare certi corsi in breve numero di lezioni, venissero insegnanti delle altre Università. Il Fabretti accettò l’incarico di un corso di numismatica, che mai non fu fatto: frattanto la scuola ebbe nuovi ordi- namenti. Egli tuttavia stimava che non la sola Università romana dovesse divenir sede di ampliati insegnamenti antiquarii: voleva che in ciascuno dei principali atenei, tenuto conto dell'importanza archeologica delle singole regioni, si creassero cattedre particolari: di archeologia italica ed etrusca a Bologna e a Firenze, di archeologia greca a Palermo e via dicendo. A Michele Coppino, ministro dell’istruzione, suggerì che a Torino dal corso di archeologia largamente intesa dal legislatore sì da farvi entrare anche le antichità classiche, in quanto ricevono lume dai monumenti scritti (1), si scindesse l'insegnamento di queste ultime e dell’epigrafia, e se ne formasse sog- getto di un corso speciale, comecchè le iscrizioni romane siano fra i più importanti resti antichi di questa estrema provincia d'Italia. Il disegno del Fabretti era accolto dal ministro; ma questi, prima di attuarlo, ebbe un successore; ciò nel luglio del 1879: il disegno non fu più ripreso. Per dire ancora di quanto ha tratto alla vita universitaria del Fabretti, è da ricordare che fra il 13880 e il 1883 diresse nella Facoltà di lettere la scuola di magi- stero, donde l'archeologia non era stata ancora bandita, che nel 1882 fu chiamato nella Giunta del Consiglio superiore della pubblica istruzione: già si è fatto parola del discorso inaugurale degli studii pronunciato nel 1880 e della commemorazione di Giuseppe Garibaldi, letta nell'Università pochi giorni dopo la morte del grande Ita- liano (2). Un'altra commemorazione, eloquente ed affettuosa, quella dell'amico e com- pagno di studii, Giancarlo Conestabile, da lui fu letta nel 1878 nell’ Università di Perugia (3), nella quale l'illustre patrizio aveva continuato la gloriosa tradizione del Vermiglioli, ricevendo nel 1850 quella cattedra, che per breve tempo era stata occu- pata dal Fabretti. Negli ultimi dieci anni il Fabretti era tornato agli antichi suoi studi sulla storia della sua patria. Raccolse ed illustrò gli statuti e gli ordinamenti suntuarii intorno al vestire degli uomini e delle donne in Perugia dal 1266 al 1536, prepo- nendovi cenni sopra tal genere di disposizioni in altri tempi e presso altri popoli, a partire dai Romani (4). Preparò un’ altra parte sopra gli ordinamenti posteriori del secolo XVI: la lesse, come la prima, all'Accademia. delle scienze; la stampa, (1) I programmi dell’insegnamento dell'archeologia nella nostra Università formolati dopo la legge del 1859, che istituì tale insegnamento, comprendono altresì l’epigrafia greca, l’italica, la latina “ diretta a completare la conoscenza delle istituzioni civili, politiche e militari dei Romani ,. (2) V. pag. 10. (3) Elogio funebre del conte Giancarlo Conestabile, Perugia, 1878; 8°, pagg. 34. (4) Statuti e ordinamenti suntuarii intorno al vestire degli uomini e delle donne in Perugia dal- l’anno 1266 al 1536 raccolti ed annotati (Mem. della R. Acec., serie II, t. XXXVII, 1888, p. 137-232). 4 Il Fabretti lesse questo lavoro in più adunanze a partire dalla fine del 1884. L'Accademia lo approvò per la stampa l'11 di aprile 1886. LI 35 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 195 approvata, non fu fatta (1). Provvedutosi di una piccola tipografia, dilettavasi nello stampare volumetti di cronache e di documenti perugini, che poi donava a pubbliche biblioteche e ad amici. Erano due serie, che dovevano procedere di pari passo; l’una di cronache, l’altra di documenti inediti. “ Molte sono le cronache e le memorie , egli scriveva in testa al primo volume delle Cronache, terminato nel marzo del 1887, “ molti i diarii, i racconti e i ricordi storici, dei quali è ricca la città di Perugia, “ quasi tutti inediti, se si eccettuano le narrazioni, certo le più importanti pubbli- “ cate nel tomo XVI dell'Archivio storico italiano. Ame lontano dalla terra natale, e indirizzato per altra via di ricerche scientifiche, non fu concesso continuare l’opera intrapresa nel 1840, interrotta nel 1848 e ripresa in Firenze negli anni 1850-52. Ora, oltrepassato avendo il cammin di nostra vita, ritorno all’opera interrotta e non mai dimenticata; e profittando di qualche momento di riposo, ho stimato che non “ fosse del tutto inutile di mettere innanzi ai miei concittadini nel miglior modo che “ per me si potesse (senza ricorrere al patrocinio di un editore e all’arte di un tipo- “ srafo) un primo volumetto di memorie storiche perugine , (2). E licenziando il primo volumetto dei Documenti nell’ottobre del medesimo anno: “ In questo volume K vengono alla luce alcuni documenti di storia perugina, da me copiati per la maggior parte tra gli anni 1845 e 1848. Piuttosto che lasciarli dimenticati tra le mie carte, pensai che con un poco di buona volontà, sottraendo una parte del tempo a più gravose occupazioni e un'altra parte a svaghi improduttivi, avrei potuto far gemere, proprio gemere, i torchii anch'io. Nel camino di una sala del palazzo municipale di Perugia, ove i padri nostri, seduti in giro, accorciavano le lunghe ore invernali riscaldandosi e discorrendo del più e del meno, leggevasi il motto: Negotium in otio et otium în negotio. Non so se «queste parole vi si leggono tuttora: se furono tolte, ce le rimetto io; e le ricordo perchè servono a spiegare questa mia prova “ più tipografica, che storica o letteraria. i “ Alcuni di tali documenti sono curiosità storiche, forse non senza qualche inte- resse per coloro che intendono di conoscere meglio la vita civile dei comuni italiani nei passati tempi. Nella loro disposizione non osservai sempre l’ordine cronologico: documenti distaccati gli uni dagli altri, furono stampati come mi venivano alle mani. Gli amici, a cui li presento in una maniera poco praticata nella repubblica “ letteraria, cioè senza spesa di sorta, vorranno scusare le mende, probabilmente non (1) Questa seconda parte fu letta nelle adunanze accademiche dell’11 marzo 1888, 14 aprile 1889, 10 gennaio 1892 ed approvata in quella del 20 marzo 1892 (v. Atti della R. Ace., vol. XXIII, 1887-88, p. 333; XXIV, 1888-89, p. 553; XXVII, 1891-92, p. 291, 571). Il manoscritto non è stato mai conse- gnato per la stampa. (2) Cronache della città di Perugia, vol. I (1308-1438), Torino, 1887; 16°, pagg. rv-246. “ Questo volumetto .. . comprende varie cronache, delle quali mi occorse far uso nel riem- “ piere qualche lacuna, che esisteva nella maggior cronaca perugina, che va col nome di Cronaca “ del Graziani edita nei citati volumi dell’Archivio storico italiano ,. Si hanno prima tre cronachette, di autori ignoti, comprendenti i fatti dal 1308 al 1398 e conservate in un codice della biblioteca comunale di Perugia “ da me copiato nel 1848, quando dividevo il tempo in tra le ricerche storico- “ archeologiche, le discussioni del Circolo Popolare, e l’indirizzo dell’agitazione politica nella Vendita “ dei Carbonari ,. Seguono le memorie dal 1309 al 1379 raccolte da Mariano del Moro speziale, vissuto nella metà del secolo XVI, ed altre cronache dal 1335 al 1438. Su questo volume v. le osservazioni del Sanesi, nell’Arch. stor. it., serie V, t. II, 1888, p. 238 e seg. 196 ERMANNO FERRERO 36 “ poche, che qua e là s’incontreranno, ed essere critici indulgenti e benevoli. Dico i “ loro intanto, che ho la speranza di continuar con maggior cura e più avveduta- «“ mente l’intrapreso lavoro , (1). Tre altri volumi di Cronache (2) ed un secondo di Documenti (3) uscirono dall’officina del Fabretti (4). Era pronto un quinto volumetto di Cronache, a cui solo mancava la prefazione e la fine dell'indice dei nomi e delle cose, che anche a questi libri il Fabretti soleva apporre (5); avviata la stampa di un terzo e di un quarto volume di Documenti, quello doveva contenere lo statuto del 1279, corretto nel 1305, con un volgarizzamento ordinato nel 1322, promulgato nel 1342: l’importante documento era trascritto dal Fabretti dal codice membranaceo originale avuto in prestito dal municipio perugino (6). La morte troncò questi lavori. (1) Documenti di storia perugina, vol. I, Torino, 1887; 16°, pagg. 111-208. Fra i documenti compresi in questo volumetto notevole è la serie di quelli, che concernono la prostituzione in Perugia. Il Fabretti li pubblicò anche a parte in un'edizioncina di 24 esemplari: La prostituzione in Perugia nei secoli XIV e XV, documenti inediti, Torino, 1885, pagg. 46. Più tardi li ripubblicdò con aggiunte e con breve prefazione: La prostituzione in Perugia nei secoli XIV, XV e XVI, Torino, 1890, pagg. 99. (2) Cronache, vol. II (1393-1561), 1888, pagg. xvi-247; vol. III (1503-1579), 1890, pagg. xr-218; vol. IV (1517-1586), 1892, pagg. xv-307. Il vol. II contiene il Diario di un Antonio dei Veghi o meglio dei Veli, dal 1423 al 1491, le memorie di Francesco di ser Nicolò di Nino dal 1398 al 1541, quelle di un anonimo dal 1454 al 1540 e quelle dal 1517 al 1561 scritte da Niccolò Zuccone. Si hanno nel vol. III frammenti di cronache dal 1502 al 1593 di diversi autori; le memorie dal 1540 al 1545 di Francesco Baldeschi; frammenti delle memorie di Teseo Alfani dal 1506 al 1527 e di Cesare Bontempi dal 1506 al 1563, soppressi nell’edizione dell'Archivio storico italiano perchè non collegantisi con la storia generale d’Italia; le memorie di Sciro Sciri dal 1502 al 1544, quelle di Vincenzo Fedeli dal 1549 al 1573 e di Ranieri Franchi dal 1563 al 1579. Nel vol. IV sono pubblicate due sole cronache, quella di Giovanni Battista Crispolti dal 1578 al 1586 e le memorie di Giulio di Costantino dal 1517 al 1550. Di queste ultime Adamo Rossi fin dal 1868 aveva cominciato la stampa, poscia interrotta. Il Fabretti conviene col giudizio del Rossi che “ di tutti i cronisti perugini non è chi meriti di essere conosciuto più di “ Giulio di Costantino, sia per la condizione cui appartiene, sia pel sentimento, di che mostrasi “ pieno, sia per la conoscenza dei fatti, sia pel modo come li racconta ,. Un esame di questi due cronisti, fatto dal Sanesi, si ha in Arch. stor. it., serie V, t. XIII, 1894, p. 197 e segg. (3) Documenti, vol. II, 1892; pagg. 111-283. Nel volumetto sono compresi atti di vendite di parecchie gabelle nel secolo XIV (il Fabretti diede pure in un’ edizione a parte di 40 esemplari: La vendita della gabella delle some grosse e del pedaggio fatta dal comune di Perugia negli anni 1379 e 1391, Torino, 1888, pagg. 67), una raccolta di documenti sulla condizione degli Ebrei (edizione a parte, con prefazione: Sulla condizione degli Ebrei in Perugia dal XIII al XVII secolo, Torino, 1891, pagg. 91), un documento, che può dare con approssimazione il numero degli abitanti di Perugia al principio del secolo XV, e l’elenco dei soldati, che avevano combattuto nell'assedio di Firenze con Malatesta ed erano incorsi per ciò nella scomunica. Sui due volumi dei Documenti e sui tre primi delle Cr onache parlò E. Monaci nella Rd N bibliografica della letteratura italiana, anno I, 1893, p. 13-16. (4) Il Fabretti stampò ancora coi proprii tipi: Documenti per servire alla storia del Museo di antichità di Torino, Torino, 1888, pagg. 48, di cui già abbiamo parlato; Una lettera di Pietro Aretino ai priori delle arti di Perugia pubblicata nella sua integrità, Torino, 1890, pagg. 13; Il processo del diavolo ad Issime nella valle di Gressoney pubblicato da A. Fabretti e P. Vayra, Torino, 1891, pagg. 54. | (5) Sono stampate 240 pagine. Il volume conteneva le memorie di Romolo Allegrini dal 1580 al 1591 e quelle di Cesare Rossi dal 1575 al 1630. ca (6) Dello statuto, ossia del vol. III dei Documenti, sono stampate 144 pagine (il Fabretti ne apparecchiava anche un’edizione a parte). Del vol. IV si hanno 120 pagine; i documenti stampati sono i seguenti: 1. vendita della gabella del sale (1386); 2. altra vendita della gabella del sale diversa dalla precedente (1399); 3. vendita della gabella dei quadrupedi (1387?); 4. vendita della pastura del Chiugi di Perugia (1379?); 5. vendita delle poste del Chiugi perugino (13799); 6. altra 87 VITA E SCRILTI DI A. FABRETTI 197 La tarda età aveva guastato al Fabretti la salute ed affievolita la sua robusta fibra di lavoratore; ma nulla tolto alla vivacità ed alla lucidità della mente. Lunga e penosa malattia lo afflisse nell'inverno dal 1893 al 1894: la sopportò con rasse- gnazione il buon vecchio privo da alcuni anni della sua affettuosa consorte: cercavano gli amici rendere meno triste la sua solitudine. Si riebbe; pareva avesse ricuperato la sanità di prima. La sera del sabato 15 di settembre 1894, verso le 10, nella sua villa di Monteu da Po, postosi per riposare qualche istante, non si svegliò più. Gli mancavano due settimane a compiere il settantottesimo anno. La sua salma, trasportata a Torino nella notte dal 17 al 18, fu recata al cimi- tero nelle ore pomeridiane con gran seguito di amici commossi e con gli onori dovuti al grado dell’estinto. Ivi nella mattina seguente, secondo la volontà da lui manifestata nel testamento, fu consumata dalle fiamme (1). Le ceneri furono portate a Perugia, che il 21 le accolse con nuovi e solenni onori (2). Il Fabretti fu di corpo mediecre, magro, ben fatto. Figura bella e regolare; fronte spaziosa, naso diritto, barba lunga e fluente, un dì bruna; occhi scuri, sguardo di uomo buono ed intelligente. Semplice negli abiti, semplice nella casa, semplice nella vita. Sempre calmo, sereno, affabile con tutti, anche con gli umili, ma parco di parole sì da parere d’indole fredda a chi poco usava con lui. Ma con gli amici s’ani- mava, sopra tutto nel discorrere di scienza o di politica; nè era alieno dal conversare giocondo. Grande e vera la sua modestia: non cercò e non curò lodi; non cercò onori, vendita delle poste del Chiugi perugino, posteriore alla precedente (1389); 7. vendita del Chiugi per dieci anni (1381); 8. vendita e proventi delle acque del lago di Perugia e delle gabelle del pesce (1379); 9. altra vendita delle comunanze e delle gabelle delle acque dellago Trasimeno (1394); 10. vendita delle rendite della zeppa di Valiana (1388); 11. vendita delle rendite del monte Tezio (1389); 12. cedola delle gabelle di Monte Malbè (1394); 13. matricola dell’arte dei cartolari (1338); 14. matri- cola dell’arte della seta e bambagia (1350). La Società (ora R. Deputazione) umbra di storia patria, che, nel costituirsi, pochi giorni prima della morte del Fabretti, lo aveva acclamato suo presidente onorario (12 settembre 1894), nell’adunanza del 9 di novembre 1895, deliberò di cominciare la pubblicazione dei fonti di storia con lo statuto perugino e di dedicare questo primo volume alla memoria del Fabretti (v. Boll. della Soc. umbra di st. patria, vol. II, 1896, p. 23). (1) Il Fabretti era stato tra i fautori della fondazione in Torino di una società per la crema- zione, la quale ebbe vita nel 1883, e di cui egli fu presidente. A memoria del Fabretti fu collocata nel tempio crematorio il 15 di settembre 1895, primo amniversario della sua morte, una lapide dettata da Arturo Graf: Ad Ariodante Fabretti | uomo di alto intelletto | di virtù adamantina | di ogni civile incremento | promovitor generoso | la Società per la cremazione | che lui nascendo salutò presidente | e sotto il suo patrocinio | stette, crebbe, si avvalorò | attesta in questo marmo | ammirazione profonda | riconoscenza imperitura | Nato in Perugia il 1° ot- tobre MDCCCXVI| morto in Monteu da Po il XV settembre MDCCCXCIV. (2) Il Consiglio comunale di Perugia, nell’ adunanza del 27 di ottobre 1894, stabilì che la via dell’Università prendesse il nome di via Ariodante Fabretti. A lui fu pure intitolato il tempio cre- matorio nel cimitero. Vi si legge la seguente epigrafe: Quest’ara crematoria | affermazione di pen- siero altamente civile | nella pietà per gli estinti | Perugia | volle onorata del nome | di | Ariodante Fabretti | sacro alla scienza alla patria | 1894. — Sull’urna, che contiene le ceneri del Fabretti, sta scritto: Le ceneri di | Ariodante Fabretti | n. in Perugia il I ottobre MDCCCXVI | m. in Torino il XV settembre MDCCOLXXXXIV | di storiche e archeologiche discipline | insigne scrittore e maestro | nella costituente romana e in Parlamento | costante propugnatore di libertà | alla città natale | malgrado novilustre assenza | sempre adorata | di sua ricca biblioteca | donatore munifico | per comunale decreto | alla venerazione dei posteri | quest'urna conserva. 198 ERMANNO FERRERO 98 ma ne ebbe di alti. Appartenne ad illustri Società scientifiche d’Italia e straniere. Nella nostra Accademia delle scienze (1) fu direttore della Classe di scienze morali, storiche e filologiche (2), nell'’83 succedette al Ricotti nella presidenza, e la tenne sino all’85 (3); indi vicepresidente (4) e di nuovo direttore della Classe (5). L’Acca- demia dei Lincei lo ebbe fra i primi suoi membri (6): quella delle iscrizioni e delle belle lettere lo elesse corrispondente (7); egli fu lieto di questo onore venutogli dalla Francia, da lui amata ed ammirata; fu socio, oltre che della Deputazione di storia patria per la Romagna (8), anche di quella per la Toscana, l'Umbria e le Marche (9) e della veneta (10), socio nazionale non residente dell’Accademia di archeologia, let- tere e belle arti di Napoli (11), corrispondente dell’Instituto di corrispondenza archeo- logica (12), dell’Istituto lombardo (13), del veneto (14), dell’Accademia della Crusca (15), di quella di storia di Madrid (16) e di altre minori. Ebbe insegne equestri non pari al suo valore (17): non mancarongli però quelle dell'Ordine civile di Savoia (18). Fu pro- fessore onorario dell’ Università di Perugia (19), nella XIII legislatura (1876-80) fu deputato della sua città natale (1° collegio), ch’egli aveva sperato di rappresentare nel primo parlamento della nuova Italia (20). Nel 1889 fu nominato senatore (21). Alla Camera recavasi con certa frequenza, non così al Senato, ove, come altri illustri, fu ammesso troppo tardi, quando già gli acciacchi della vecchiaia avevano scemato la volontà di muoversi. Entratovi prima, vi avrebbe portato il suo senno e le sue cognizioni specialmente in fatto di pubblica istruzione e di tutela del nostro patrimonio artistico ed antiquario. Nè sarebbe rimasto estraneo alle più gravi que- (1) Vi era stato ascritto, come si è detto, sul finire del 1860. (2) Elezione del 26 dicembre 1880. (3) Elezione del 6 maggio 1883, approvata con R. decreto del 20 maggio. (4) Elezione del 17 maggio 1885, approvata con R. decreto lel 6 giugno; rielezione il 17 giugno 1888, approvata con R. decreto dell’8 luglio. (5) Elezione del 27 dicembre 1891, approvata con R. decreto del 24 gennaio 1892. (6) Elezione approvata con R. Decreto 4 agosto 1875. (7) El. 23 dicembre 1876. (8) V. pag. 13. (9) 1° gennaio 1864. (10) Membro onorario, 28 ottobre 1888. (11) Corrispondente 5 luglio 1864; socio nazionale non residente, 9 dicembre 1891. (12) 9 dicembre 1849. (13) 9 febbraio 1865. (14) 23 marzo 1884. (15) El. 26 giugno 1877, appr. con R. decreto 23 luglio 1877. (16) El. 22 ottobre 1886. (17) Cavaliere (21 giugno 1860) indi ufficiale mauriziano (13 giugno 1864); commendatore della Corona d’Italia (20 dicembre 1878). Fu anche cavaliere della Legione d'onore di Francia (24 feb- braio 1869) e della Rosa del Brasile (20 luglio 1872). | (18) R. decreto 2 agosto 1868. (19) Deliberazione della Giunta municipale 11 marzo 1869. Il Municipio diede al Fabretti la medaglia d'oro ad onore degli uomini insigni di Perugia che Vhanno illustrata e la illustrano per dotte pubblicazioni di opere scientifiche e letterarie (verbale della Giunta 27 maggio 1874). (20) Dopo il 1861 fu anche candidato in altre elezioni politiche. (21) R. Decreto 26 gennaio 1889. | Appartenne anche al Consiglio comunale di Torino dal 1887, ed ai consigli dell’Istituto nazio- nale per le figlie dei militari e delle Opere pie di San Paolo di questa città. aa A 39 VITA E SCRITTI DI A, FABRETTI 199 stioni di politica interna ed esteriore; poichè per lui lo scrutare il passato non volle dire mai restare senz'occhi e senza cuore per il presente. E la patria, per cui aveva operato e sofferto, egli amò sempre di amore intenso, come sempre ebbe culto pro- fondo per la libertà e per la giustizia. Nessun maggior dolore che vederle offese ed oppresse sopra tutto da chi mostrava rinnegare sentimenti ed azioni di una volta. “ No, non è questa, , esclamava talora amaramente sul cadere de’ suoi giorni “ non “è questa l’Italia dei nostri sogni giovanili. , Anche calmandosi nei tempi mutati, si mantennero in lui gli affetti della fresca età. L’antico carbonaro era rimasto, con alto grado, fra i Liberi Muratori. Ma, tollerantissimo con tutti, non s’indispettiva se taluno non si chiariva persuaso dell'opportunità che una tale associazione sopravviva ai giorni nostri. Rispettava negli altri, a cominciare dalla sua consorte, la fede, ch'egli non aveva; rispettava giudizii e pregiudizii politici opposti a’ suoi: libertà egli voleva per tutti; giammai cercò alla propria piegare le opinioni dei giovani, che lo frequentavano. Ebbe perciò affettuosa e fedele familiarità con uomini di diverso sentire, ma con cui erano comuni la rettitudine e la sincerità (1); in sacerdoti pii e dotti trovò pure amici ed estimatori. Come nel resto, così nella scienza egli voleva la più larga libertà. Una cosa sola chiedeva ai giovani italiani, che italianamente studiassero: “ Ho speranza , diceva nel 1878 a proposito dell’istruzione archeologica, che si voleva ringagliardire, “ per “la fortuna e per la gloria d’Italia, che più larghi e meglio ordinati insegnamenti, “ impartiti nelle primarie Università del Regno, e prima in Roma, inducano la gio- “ ventù italiana a penetrare nella conoscenza delle antichità con propositi nazionali, non accattando con amore sconfinato forme e concetti stranieri; ma vedere e inter- rogare i monumenti coi nostri occhi e con la nostra intelligenza; a conservare almeno la favella che per proprietà e per chiarezza ammiravasi nelle opere di Luigi Lanzi, di Ennio Quirino Visconti e di Bartolomeo Borghesi (2) ,. Al pari di questi, e spesso con penna più elegante, il Fabretti scrisse lavori, che, anche nelle più aride e sottili disquisizioni, rispecchiano sempre il suo ingegno lucido e preciso, sui quali non sovrappesa mai un’erudizione fuor di luogo, che, se nelle opere di un tempo « « “ “« (1) Ecco com’egli parlò del suo amico Conestabile e come si può ripetere di lui: “ una grande virtù rifulgeva in lui..... quella della tolleranza. Ed io, forse meglio di molti, per trent'anni di non interrotta corrispondenza e di familiari colloquii, giammai turbati per considerazioni o giudizii contrarii, ho ragione di affermare che pochi sapessero praticare al pari di lui la virtù della tol- leranza: nella immutabilità dei supremi principi di ordine morale eravamo concordi; mala virtù della tolleranza, che è condizione necessaria di vivere composto nelle società civili, era compiuta in lui, e compagna indivisibile in ogni manifestazione della sua intelligenza. In questo era esempio raro ed ammirabile, più raro in tempi di politici tramutamenti, che trascinano alla lotta ogni ordine di cittadini, ne! quali le opinioni diverse, diritte o fuorviate, si urtano e si contrastano, e i conati degli uni ingenerano i timori e la resistenza degli altri. È quella virtù possente e salu- tare, che spunta le armi degli avversarii, e riconduce ad un comune intento, nella comunanza dei mezzi, il volere delle maggioranze, che chieggono la libertà nella scienza. Di questo naturale con- nubio, del sapere con la libertà, fu propugnatore il Conestabile negli atti e nelle parole . . . . . “ La libertà non è privilegio di pochi o di molti: è patrimonio sacro, conquistato col sangue, di “ tutte le umane coscienze: le illusioni scompaiono, gli accidenti politici si mutano, le passioni si “ calmano col passare delle generazioni: la verità, manifestazione di Dio, perdura immortale ,. Elogio funebre del conte Giancarlo Conestabile, p. 26 e seg. (2) Elogio cit., p. 23. R (13 200 ERMANNO FERRERO 40 aveva il pregio di sudata conquista, in quelle d’oggidì non è per lo più che il facile bottino di manuali e di lessici della nostra scienza. Il Fabretti ebbe cultura estesa oltre ai confini già larghi delle discipline predi- lette. Non dimenticò i giovanili studii delle scienze fisiche e biologiche: volontieri s'istruiva con opere di politica e di letteratura. Ebbe amore per i libri, e la paterna libreria aumentò grandemente: sopra tutto fu assiduo raccoglitore di opuscoli, mas- simamente di archeologia, di filologia italica, di storia patria (1). I suoi libri e Ie sue carte legò a Perugia (2). Ho cercato di adempiere, come meglio ho potuto, l’ufficio commessomi dai col- leghi accademici di ricordare la vita e le opere di Ariodante Fabretti. Un commercio familiare con lui per più di vent'anni mi rese facile consegnare i ricordi dell’ultima parte della sua vita. Per i tempi anteriori certamente non ho detto tutto, perchè tutto non ho saputo: di sè poco parlava il Fabretti; ebbi informazioni da alcuni cor- tesi, a cui sono grato (3). A chi avrà letto queste povere pagine chieggo sia scusato — il discepolo, che del maestro venerato, del der vissuto saggio (4) altro elogio avrebbe scritto se il cuore fosse bastato ad eccitare l'ingegno. (1) La biblioteca del Fabretti comprendeva più di 4500 volumi, di cui un novecento di opuscoli. Egli lamentava non fosse rimasta a Perugia la ricca biblioteca del Vermiglioli, venduta nel 1877, nella quale si contenevano migliaia di opuscoli. Tale collezione, diceva, cessata circa il tempo, in cui egli aveva dato principio alla sua, sarebbe stata ottimamente insieme con questa, da lui destinata alla biblioteca perugina. (2) Il carteggio del Fabretti comprende lettere del Bréal, del Bruzza, del Conestabile, del Corssen, del De Vit, del Garrucci, del Gozzadini, dell’ Henzen, del Renier, del Ritschl, del Tommaséo e di altri chiari eruditi e letterati. (3) Specialmente al prof. Ferdinando Fabretti, nipote di Ariodante. (4) Così chiamollo felicemente Arturo Graf, salutandone la spoglia a nome dell’ Università torinese. Dissero del Fabretti il presidente Domenico Farini, nella tornata del Senato del 5 dicembre 1894 (Atti parlam. della Cam. dei senatori, Discussioni, leg. XVIII, 2* sess. 1894-95, p. 23); Gaudenzio Claretta alla Società di archeologia e belle arti per la provincia di Torino, nell'adunanza del 17 novembre 1894 (Atti della Soc., vol. VII, p. 3-10); Michele Kerbaker alla R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, nella tornata generale del 6 gennaio 1895 (Soc. Reale di Napoli. Rendiconto delle torn. dell’Acc. di arch., lett. e belle arti, n. s., anno IX, 1895, p. 10 e seg.); Costanzo Rinaudo, nella Rivista storica italiana, vol. XII, 1894, p. 601-606; la Direzione, nella Rivista numismatica italiana, anno VII, 1894, p. 389-390; Ermanno Ferrero, nell’Ann. della R. Un. degli studi di Tor. per Vanno accad. 1894-95, p. 90-99; Ignazio Guidi nei Rend. della R. Acc. dei Lincei, cl. di sc. mor., stor. e filol., s. V, vol. II, p. 941-943; L. Tiberi, nel Boll. della Soc. umbra di storia patria, vol. I, 1895, p. 189-194; Cesare Goldmann alla Società di cremazione di Torino nell'assemblea generale del 1° marzo 1895 (Il tempio crematorio di Torino — Cenno storico, descrizione del tempio, commemorazione di Ariodante Fabretti — inaugurandosi il nuovo Cinerario XV settembre MDCCCXCY, Torino, 1895, p. 15-22). 41 VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 201 Scritti di ARIODANTE FABRETTI. 1. A Francesco cavalier Connestabili de’ conti della Staffa, di questa Città gonfalo- niere operoso integerrimo, delle belle arti magnanimo proteggitore, gli studenti nella perugina Accademia del disegno nel dì xv settembre MDCCCXXXIX alla esposizione dei triennali concorsi e distribuzione de’ premi sacrato in dimostranza di gratitudine offerivano il seguente sonetto. Perugia, tipografia di Gio. Balducci; foglio. 2. Sonetto. Bologna, Tipografia della Volpe; foglio. È in lode di Francesco Mondini, professore di anatomia umana nell’ Università, e fu presentato dagli studenti alla fine del corso nel giugno 1840. Col sonetto sono stampate alcune parole del dott. Carlo Mongardi. 3. Al cavaliere Antonio Alessandrini professore d’anatomia comparata e zooiatria in Bologna gli scolari del 1841. Bologna, pei tipi delle Muse alla Capra; foglio. Sono versi sciolti. Ho . AI padre Andrea Mariani da Torino de’ servi di Maria, Maestro in S. Teologia, che nella Chiesa del suo Ordine in Bologna con universale applauso compie un corso di quaresimali orazioni alcuni ammiratori o. d. c. Sonetto. Bologna, MDCCCXLI, co’ tipi delle Muse; foglio. 5. Almanacco georgico per la provincia ferrarese anno 1841 (Ferrara pei tipi del Negri . alla pace). [Recensione]. (4! Solerte, giornale letterario dell'Emilia, anno III, n. 47, Bologna, 23 marzo 1841). (cn) . Biografie dei capitani venturieri dell'Umbria scritte ed illustrate con documenti. Montepulciano, coi tipi di Angiolo Fumi, 1842-1846; 12°, vol. 4, pagg. 298, 334, 263, 298. Note e documenti raccolti e pubblicati che servono ad illustrare le biografie dei capitani venturieri dell'Umbria. Montepulciano, 1842; 12°, pag. 632. È estratto dal vol. IV e da quello delle Note il volume: Vita e fatti d’arme di Malatesta Baglioni condottiero dei Fiorentini scritti ed illustrati con documenti, presso l’ editore in Perugia, coi tipi di Angiolo Fumi di Montepulciano, 1846; 12°, pagg. 212-cvi. È preceduto da un’avvertenza al lettore (p. 3-6). Serre II. Tow. LI. 26 202 ERMANNO FERRERO 49 7. Michelangelo Gualandi e le sue memorie di belle arti — Rosini — Cantù e il giuoco del lotto — Domini stranieri in Italia di Filippo Moisè — L’Etruria-Celtica — Un'iscrizione quadrilingue. (Appendice all’Osservatore del Trasimeno, anno I, n. 1, Perugia, 10 gennaio 1844, p. 3 e seg.). 8. Sunto del primo articolo scritto dal sig. Raoul-Rochette secretario dell'Istituto di Francia, e pubblicato nel Journal des Savants (ottobre 1843, pag. 598) intorno al Sepolcro dei Volunni scoperto in Perugia nel 1840 e ad altri monumenti ine- diti etruschi e romani esposti da Gio. Battista Vermiglioli. (Jd., anno I, n. 2, 20 gennaio 1844, p. 5 e seg.). 9. Archivio storico italiano (vol. VII, parte I) — Gio. Pietro Vieusseux — Agostino Sagredo — Emanuele Cicogna, Documento inedito del sec. XIV ad onore del. cav. Jacopo Gradenigo (Venezia, 1843) — Album bibliografico edito pel 1844 i (Fano 1843) — Gabriele Calindri, Storia geografica statistica dello Stato Pontificio — Ateneo Italiano | Recensioni]. (Id., anno I, n. 6, 28 febbraio 1844, p. 22 e seg.). 10. Iustrazione storico-artistica del Palazzo de Priori oggi Palazzo Vecchio di Firenze e dei monumenti della piazza per cura di Filippo Moisè — Firenze presso Ricordi e Jouhaud 1843 |Recensione]. (Jd., anno I, n. 21, 30 luglio 1844, p. 82 e seg., n. 22, 10 agosto 1844, p. 87 e seg.). 11. Del presepe di Fontignano ultimo dipinto di Pietro Vannucci detto il Perugino storia e descrizione con notizie sulla possibilità del ritrovamento delle ossa di lui, di Silvestro Massari prof. di scultura e ornato in plastica ecc. nell'Accademia di belle arti in Perugia — Perugia 1844. Memorie istoriche di Ottaviano Nelli pittore eugubino illustrate con documenti da Luigi Bonfatti — Gubbio 1843. Cenni biografici sopra Muzio Flori del prof. A. Guerrini [ Recensioni]. (Zd., anno I, n. 23, 20 agosto 1844, p. 91 e seg.). 12. Ambasciatori perugini a Cola di Rienzi (da cronaca inedita). (Id., anno I, n. 25, 10 settembre 1844, p. 99). 13. Il castello di Bettona. (Za., anno I, n. 36, 30 dicembre 1844, p. 143). 14. Lezioni elementari di storia perugina. (Id., anno II, n. 37, 10 gennaio 1845, p. 148 e seg.; n. 38, 20 gennaio, p. 152; n. 39, 380 gennaio, p. 156; n. 40, 10 febbraio, p. 159 e seg.; n. 42, 5 marzo, 43 do 16 17. 18. 19. I RESTI TE TE MRI PRE ET, NOE TR e nn di ait 20. î È pi. 22. 15. VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 203 p. 168 e seg.; n. 43, 10 marzo, p. 175; n. 45, 31 marzo, p. 180 e seg.; n. 46, 10 aprile, p. 184; n. 47, 20 aprile, p. 189; n. 50, 20 maggio, p. 201; n. 53, 20 giugno, p. 212; n. 54, 30 giugno, p. 216 e seg.; n. 55, 10 luglio, p. 221; n. 58, 10 agosto, p. 232 e seg.; n. 59, 20 agosto, p. 237; n. 61, 10 settembre, p. 244 e seg., p. 247; n. 62, 20 settembre, p. 249; n. 68, 20 novembre, p. 273; anno III, n. 78, 10 febbraio 1846, p. 298; n. 76, 10 marzo, p. 304; n. 78, 30 marzo, p. 314). La tomba de’ Volunnii accresciuta e corretta con un’ appendice di monumenti inediti. Seconda, edizione [ Recensione]. (Z@., anno II, n. 60, 81 agosto 1845, p. 240 e seg.). Recensione del libro del Vermiglioli. Lettera al sig. Antonio Tosi direttore della Rivista a Roma intorno all’articolo “ Veduta della magnifica fontana esistente sulla grande piazza di Perugia scritto dal sig. C. e inserito nell’A/bum, anno XII, 20 decembre 1845. (d., anno II, n. 74, 20 gennaio 1846, p. 283 e seg.). » Statuti suntuari sul vestire degli uomini e delle donne, sui doni e conviti ordi- nati dai Priori delle arti di Perugia nei secoli XIV, XV, XVI e XVII per la prima volta raccolti e publicati. e (Za., anno IM, n. 81, 30 aprile 1846, p. 324-326; n. 82, 10 maggio, p. 328 e seg.; n. 83, 20 luglio, p. 333 e seg.;n. 84, 30 luglio, p.338; n. 85, 10 agosto, p. 340 e seg.). È Scavi perugini nel 1846. (Zd., anno II, n. 84, 30 luglio 1846, p. 335 e seg.). [Parole indirizzate al Deputato della provincia perugina]. (La elezione del Deputato della Provincia in Roma Luigi Donini i Filédoni perugini nella loro accademica sede festeggiano a’ X di ottobre MDOCCXLVII, Perugia, presso V. Bartelli, p. 11-24). Scavi di Perugia. Lettera al dott. Henzen. (Bullettino dell'Instituto di corrispondenza archeologica, Roma, 1849, p. 49-55). Viterbo e il suo territorio, archeologiche ricerche di Francesco Orioli viterbese. Roma 1849; in-8vo [ Recensione]. (Archivio storico italiano, Appendice, t. VII, Firenze, 1849, p. 534-535). Cronache e storie inedite della città di Perugia dal MCL al MDLXIII seguite da inediti documenti tratti dagli archivj di Perugia, Firenze e Siena con illustra- zioni ed a cura di Francesco BonarnI, AriopantE Fasrerti e Frurepo Lurer Ponipori. Firenze, G. P. Vieusseux, 1850-1851, parti 2; 8°, pagg. cxv-750, xLmI-694. Formano le due parti del vol. XVI dell'Archivio storico italiano. 204 ERMANNO FERRERO 44 23. Della vita e delle opere di Gherardo Cremonese traduttore del secolo XII, e di Ghe- rardo da Sabbioneta astronomo del secolo XIII, Notizie raccolte da Baldassarre Boncompagni. Roma 1851, in 4to. Della vita e delle opere di Guido Bonaiti astrologo ed astronomo del secolo XIII, Notizie raccolte da Baldassarre Boncompagni. Roma 1851, in Svo. Sulla vita e sulle opere di Guido Bonatti, lettera del prof. Luigi Maria Rezzi, biblio- tecario corsiniano, al sig. D. Baldassarre de’ principi Boncompagni. Roma 1851, in Svo. Delle versioni fatte da Platone Tiburtino traduttore del secolo XII. Notizie raccolte da B. Boncompagni. Roma 1851, in 4to [Recensioni]. (Arch. stor. ît., App., t. VIII, 1850, p. 567-570). 24. Di alcune iscrizioni etrusche scoperte in Perugia nel finire del 1852. (Il Cimento, rivista di scienze, lettere ed arti, anno I, volume II, Torino, 1852, p. 633-640). 25. Iscrizioni etrusche. Da lettera al sig. conte Giancarlo Conestabile. (Bull. dell’Instit. di corr. arch., 1853, p. 118-121). 26. Di un sepolcreto etrusco scoperto presso Bologna. Relazione del conte Giotanni Gozzadini. Bologna 1855 — in 4.to con tavole [Recensione]. (Arch. stor. i., nuova serie, t. I, parte 12, 1855, p. 220-222). 27. Altre viste sugli antichi popoli Italiani di P. U., socio dell’Accademia Etrusca © di altre Accademie. Cortona 1853, in 8vo di pag. 242 [Recensione]. (Arch. stor. ît., n. s., t. I, parte 2, 1855, p. 163-181). 28. Lettera al prof. Luciano Scarabelli sopra due iscrizioni etrusche che si conservano negli Stati Sardi l’una in Genova l’altra in Torino. (Rivista contemporanea, vol. IN, anno II, Torino, 1855, p. 392-404). 29. Grammatica sanscrita di Giovanni Flechia — Parte I e II (Torino, per Giacinto Marietti, 1855) [Recensione]. (Rivista contemporanea, vol. TV, anno II, 1855, p. 710-711). 30. IZ cambio di Perugia. Considerazioni storico-artistiche per l’ab. Raffaele Marchesi. Prato 1853, pag. r-x11, 1-496 [Recensione]. (Arch. stor. it., n. s., t. III, parte 12, 1856, p. 167-171). 81. Di una nuova iscrizione etrusca scoperta nel territorio di Volterra. (Arch. stor. it., n. s., t. IV, parte 1, 1856, p. 137-148). 45 32. 39. dd. 95. 36. 37. 38. 39. 40. 4l. VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 205 Intorno ad altre settantuna tombe del Sepolereto etrusco scoperto presso a Bologna, e per far seguito alla descrizione già pubblicata. Cenni del conte Giovanni Gozza- dini. Bologna 1856, in 4to [Recensione]. (Arch. stor. it., n. s., t. IV, parte 1°, 1856, p. 227-228). Di Giovan Battista Vermiglioli, dei monumenti di Perugia etrusca e romana e della letteratura e bibliografia perugina, nuove pubblicazioni del conte Gian Carlo Cone- stabile. Parte I, II e III in 4to; con tavole e atlante in folio. Perugia 1855-1856 [Recensione]. (Arch. stor. ît., n. s., t. V, parte 2°, 1857, p. 35-70). Osca lingua. (Nuova Enciclopedia popolare italiana, 4° ed., vol. XV, Torino, 1862, p. 754-760). Dei nomi personali presso i popoli dell’Italia antica. (Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, serie II, t. XX, Torino, 1863, sc. morali, p. 69-86). Moneta inedita di Acalissus (Licia). (Rivista della numismatica antica e moderna, volume I, Asti, 1864, p. 4). * Nota sopra sei laminette di bronzo letterate antiche della Lucania. (Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, anno II, Bologna, 1864, p. 155-157). [Nota sopra un'iscrizione scoperta nel Novarese comunicata alla Classe di scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia delle scienze di Torino (adu- nanza del 20 marzo 1864)]. (Gazzetta ufficiale, 1864, n. 80; Gorresio, Sunti dei lavori scientifici letti e discussi nella Classe di scienze morali, storiche e filologiche della Reale Accademia delle scienze di Torino dal 1859 al 1865. Torino, 1868, p. 245-249). [Nota sopra l'iscrizione di due elmi dell’Italia meridionale comunicata alla Classe di scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia delle scienze di Torino (adunanza del 29 maggio 1864)]. (Gazzetta ufficiale, 1864, n. 142; Gorresio, Sunti dei lavori scientifici, p. 259-261). Vermiglioli (Giovanni Battista). (Nuova Enciclopedia popolare italiana, 4* ed., vol. XXIV, Torino, 1866, p. 178). Analogia dell’antica lingua italica con la greca, la latina e co’ dialetti viventi a illustrare il libro della volgare eloquenza di Dante Alighieri. (Dante e il suo secolo, Firenze, 1865, p. 761-774). 206 ERMANNO FERRERO 46 49. Relazione fatta alla Classe nella seduta del dì 11 di giugno 1865 intorno ad alcuni monumenti ritrovati nel 1837 dal Prof. Carlo Promis nel sito dell’antica Luni vicino tre miglia di Sarzana, e mandati in dono dal sig. Marchese Angelo Remedi, possessore di quel sito, alla Giunta di antichità e belle arti, stabilita in quel tempo a Torino. (Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. I, 1865-66, p. 143-145). 43. [Intorno all'opera di G. C. Conestabile: Pitture murali a fresco e suppellettili etrusche in bronzo ed in terra cotta scoperte in una necropoli presso Orvieto nel 1863]. (Atti della R. Acc., vol. I, 1865-66, p. 236-238). 44. Iscrizione etrusca. (Bull. dell’Inst. di corr. arch., 1866, p. 239-240). È il titolo di Chiusi Corp., n. 560 ter %, di cui riconosce la genuinità prima sospettata. 45. Corpus inscriptionum Italicarum antiquioris aevi ordine geographico digestum et Glossarium Italicum in quo omnia vocabula continentur ex Umbricis Sabinis Oscis Volscis Etruscis aliisque monumentis quae supersunt collecta et cum inter- pretationibus variorum explicantur. Aug. Taurinorum, ex Officina regia, 1867; 4°, pagg. xIx e ccoxIv, coll. 2210. 46. Sopra una iscrizione umbra scoperta in Fossato di Vico, osservazioni. (Atti della R. Acc., vol. IV, 1868-69, p. 785-797). 47. Figuline di Cipro nel museo di Torino — Lucerne del museo Palagi a Bologna — Bronzo etrusco dello stesso museo — Lapide di Terni nell’Umbria. (Bull. dell'Inst. di corr. arch., 1870, p. 202-205). 48. Nota storica intorno all'origine dei monti di pietà in Italia. (Atti della R. Ace., vol. VI, 1870-71, p. 464-476). 49. Tazza cornetana. — Da lettere a W. Helbig. (Bull. di corr. arch., 1871, p. 152-153). 50. [Osservazioni sull’iscrizione di un candelabro di bronzo]. (Atti della R. Acc., vol. VII, 1871-72, p. 300-303). 51. Frammenti d’iscrizioni etrusche scoperti a Nizza. (Atti della R. Ace., vol. VII, p. 854-859, 894-896). 52. Il museo di antichità della R. Università di Torino, notizie raccolte ed ordinate. Torino, fratelli Bocca, 1872; 8°, pagg. 74. 47 dò. od. 55. 56. 08. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 207 Primo supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche con l'aggiunta di alcune osservazioni paleografiche e grammaticali. (Mem. della PR. Acc., serie II, t. XXVII, 1873, p. 375-515). Stampato a parte: Torino, Stamperia Reale, 1872; 4°, pagg. 141, tav. 9. Secondo supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche. (Atti della R. Acc., vol. IX, 1873-74, p. 111-119, 354-366, 673-679, 876-885). Stampa a parte: Torino, 1874; 4°, pagg. 33, tav. 1, con un'avvertenza, dov'è detto che esso “ è stato in alcuna parte corretto ,,. Scavi dell’isola di Cipro. (Atti della R. Acc., vol. IX, p. 955-957). Sunto di un capitolo delle osservazioni grammaticali sulle antiche lingue italiche. (Atti della R. Acc., vol. IX, p. 958-962). . Il sarcofago di Cere. (La Perseveranza, Milano, 19 marzo 1874). È una lettera diretta a G. C. Conestabile: fu riprodotta nel giornale perugino 77 Corriere dell'Umbria del 24 marzo 1874. Introduzione. (Atti della Società di archeologia e belle arti per la provincia di Torino, vol. I Torino, 1875, p. 7-18). Scavi di Avigliana. (Atti della Soc., vol. I, p. 19-30, cfr. p. 395). Atti della Società (1875). (Atti della Soc., vol. I, p. 85-100). Nota aggiunta all’articolo precedente. (Atti della Soc., vol. I, p. 104). Nota ad un articolo di E. Maggiora-Vergano, Coppa di vetro di Refrancore (p. 101-103). Raccolta numismatica del R. Museo di antichità di Torino — Monete consolari. Torino, fratelli Bocca, 1876; 8°, pag. xv-332. [Brevissimo cenno sugli scavi di Varallo Pombia]. (Notizie degli scavi di antichità, 1876, p. 97). [Cenni sugli scavi di Monteu da Pol. (Not. degli scavi, 1876, p. 177). Atti della Società (1876). (Atti della Soc., vol. I, p. 193-194). 208 ERMANNO FERRERO 48 66. Vaso di vetro trovato a Cavour. (Atti della Soc., vol. I, p. 198-201). 67. Sigillo in bronzo. (Atti della Soc., vol. I, p. 202-203). 68. Atti della Società (1877). (Atti della Soc., vol. II, 1878, p. 9-14). 69. Musaico di Acqui nel R. Museo di antichità di Torino. (Atti della Soc., vol. II, p. 19-30). 70. Terzo supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche. (Atti della R. Acc., vol. X, 1874-75, p. 280-302, 427-448, 536-542, 959-967, 1052-1067; Mem., serie II, t. XXIX, 1878, p. 109-286). i — Stampa a parte: Torino, 1878, 4°, pagg. 250, tav. 17. 71. Elogio funebre del conte Giancarlo Conestabile... pubblicato a cura del patrio municipio. Perugia, Tipografia G. Boncompagni e C., 1878; 89, pagg. 34. 72. Osservazioni paleografiche e grammaticali intorno alle antiche iscrizioni italiche. Libro I. Osservazioni paleografiche. (Mem. della R. Acc., serie II, t. XXIX, 1878, p. 1-108). Stampa separata come altro fascicolo del Primo supplemento, Torino, 1874, p. 142-252. Altra stampa a parte col titolo: Le antiche lingue italiche. Osservazioni paleografiche e grammaticali, Torino, 1874, pag. 112. Traduzione tedesca: Palaeographische Studien, Leipzig, B. G. Teubner; 8°, pag. 165. 73. [Brevissimo cenno sugli scavi di Carrù]. (Not. degli scavi, 1878, p. 3). 74. [Cenni sugli scavi di Palazzolo Vercellese]. (Not. degli scavi, 1878, p. 360). 75. Atti della Società (1878). (Atti della Soc., vol. Il, p. 241-244). 76. Scavi di Carrù. (Atti della Soc., vol. II, p. 245-254). 77. Di una moneta di oro attribuita ai Volsiniesi. (Atti della R. Acc., vol. XV, 1879-80, p. 316 e seg.). 78. Atti della Società (1879). (Atti della Soc., vol. INI, 1880, p. 9-15). 49 VITA E SCRITTI DI A, FABRETTI 209 79. Dell’antica città d'Industria detta prima Bodincomago e dei suoi monumenti. (Atti della Soc., vol. III, p. 17-115, p. 199). 80. Degli studi archeologici in Piemonte — Discorso letto per l’inaugurazione dell’anno accademico 1880-81 nella R. Università di Torino li 3 novembre 1880. (Legia Università di Torino — Discorso inaugurale e annuario accademico 1880-81, p. 5-48). 81. Commemorazione di Giuseppe Garibaldi fatta nella R. Università di Torino, il 14 giugno 1882. Torino, Tipografia Roux e Favale, 1882; in-8°, pagg. 17. 82. Atti della Società (1880-1882). (Atti della Soc., vol. IV, 1883, p. 9-16). 83. [Discorso per il primo centenario della R. Accademia delle scienze di Torino]. (Atti della E. Acc., vol. XIX, 1883-84, p. 489-497). Pronunciato nell'adunanza solenne dell’Accademia tenuta il 9 marzo 1884. 84. Regio Museo di Torino ordinato e descritto da A. FaBRETTI, F. Rossi e R. V. Lan- zona — Monete greche. Torino, Stamperia Reale della Ditta G. B. Paravia e C., 1883; 4°, pagg. xv-644. Id. — Monete consolari e imperiali. Torino, 1881, pagg. vrr-860. Formano i volumi III e IV della serie prima (Piemonte) del Catalogo generale dei musei di antichità e degli oggetti d’arte raccolti nelle Gallerie e Biblioteche del Regno edito per cura del Ministero della Pubblica Istruzione (Roma, presso la Direz. Gen. delle Antichità e Belle Arti). I volumi I e II comprendono le Antichità egizie, e sono opera dei prof. Rossi e Lan- zone. È del Fabretti la brevissima prefazione al vol. I (p. mv). 85. [Nota sopra una statua creduta il Cupido di Michelangelo nel museo di antichità di Torino]. (Atti della R. Acc., vol. XVIII, 1882-83, p. 801-805). 86. [Lettera al prof. Giuseppe Gatti su due iscrizioni etrusche false]. (Bullettino della commissione archeologica comunale di Eoma, anno XII, 1884, Roma, 1884, p. 104). Si tratta di due iscrizioni etrusche da un falsario ricavate da due monumenti sepolcrali noti (Corpus, n. 1011 dis; Terzo suppl., n. 101) ed incise su due pesi anepigrafi, che si dice- vano scoperti sul Quirinale. . 87. Iscrizioni pedemontane. (Atti della Soc., vol. IV, p. 277-297). 88. Necropoli della Cascinetta. (Atti della Soc., vol. IV, p. 302-305). 89. [Breve nota sulle tombe scoperte a Castelletto sopra Ticino]. (Not. degli scavi, 1885, p. 28). Ser II. Tom. LI. 27 210 ERMANNO FERRERO 50 90. [Parole commemorative di Giovanni Gozzadini]. (Atti della R. Acc., vol. XXIII, 1887-88, p. 50-51). 91. Atti della Società (1883-1886). (Atti della Soc., vol. V, 1887, p. 9-29). 92. Cronache della città di Perugia. Torino, coi Tipi privati dell’ Editore, volume I (1308-1438), 1887; 16°, pagg. rv-246; volume I (1393-1561), 1888, pagg. xvi-247; volume III (1503-1579), 1890, pagg. x1-218; volume IV (1517-1586), 1892, pagg. xV-307. 98. Documenti di storia perugina. Torino, coi Tipi privati dell'Editore, volume I, 1887; 16°, pagg. 111-208; vol. II, 1892, pagg. 1m-283. Dal primo volume furono estratti: I giuramento del podestà secondo lo statuto perugino del 1279 — edizione di 50 esemplari — Torino, 1886, pagg. 6; La prostituzione in Perugia nei secoli XIV e XV, documenti inediti — edizione di 24 esemplari — Torino, 1885, pagg. 46 (ripubbl. più tardi con aggiunte, v. infra n. 99). Dal volume II furono estratti: La vendita della gabella delle some grosse e del pedaggio fatta dal comune di Perugia negli anni 1379 e 1391 — edizione di 40 esemplari — Torino, 1888, pagg. 67, e Sulla condizione degli Ebrei in Perugia dal XIII al XVII secolo, Torino, 1891, pagg. 91 (con prefazione). 94. Diseorso inaugurale. (Ricordo dell’inaugurazione del Tempio crematorio in Torino, 17 giugno 1888, Torino, Stabilimento tipo-litografico fratelli Pozzo, pag. 5-10). 95. Statuti e ordinamenti suntuarii intorno al vestire degli uomini e delle donne in Perugia dall'anno 1266 al 1536 raccolti ed annotati. (Mem. della R. Acc., serie II, t. XXXVIII, 1888, p. 137-232). 96. Documenti per servire alla storia del Museo di antichità di Torino. Torino, coi tipi privati dell'editore, 1888; 16°, pagg. 48. Edizione di 40 esemplari. 97. [Discorso di chiusura del quarto Congresso storico italiano (Firenze, 28 set- tembre 1889)]. : (Archivio storico italiano, serie V, t. VI, 1390, p. 156-158). 98. Relazione sul lavoro del Prof. Blia Lattes: La grande iscrizione etrusca del cippo d di Perugia tradotta ed illustrata. (Atti della R. Acc., vol. XXVI, 1890-91, p. 798-800). 99. La prostituzione in Perugia nei secoli XIV, XV e XVI, documenti. Torino, coi tipi privati dell'Editore, 1890; 16°, pagg. 99. 100. Una lettera di Pietro Aretino ai priori delle arti di Perugia pubblicata nella sua ; integrità. Torino, coi tipi privati di A. Fabretti, 1890; 16°, pagg. 13. “casi VITA E SCRITTI DI A. FABRETTI 211 101. Sulla condizione degli Ebrei in Perugia dal XII al XVII secolo. Torino, coi tipi È privati dell’editore, 1891; 16°, pagg. 91. o È un estratto dai Documenti, vol. II, vi è premessa una breve prefazione. 1 processo del diavolo ad Issime nella valle di Gressoney pubblicato da Fasretti e P. Vayra. Torino, coi tipi privati di A. Fabretti, 1891; 16°, g. 54. ; Edizione di 120 esemplari fuori commercio. ni romane di Gubbio e di Terni nel museo di Torino. (Atti della Soc., vol. V, pag. 409-410). a Giovanni Gozzadini]. e di storia e archeologia a Giovanni Gozzadini pubblicate da Nerio Mal- 1. I, Bologna, 1898, p. 199-200, 200-202, 219-221). FEDERICO ASINARI CONTE DI CAMERANO POETA DEL SECOLO XVI MEMORIA DI FERDINANDO NERI Approvata nell’ Adunanza dell'8 Dicembre 1901. Il Conte di Camerano fu de’ primi gentiluomini, in Piemonte, ravvolti nelle cure guerresche e diplomatiche e lieti a un tempo nell’esercizio delle lettere; e lo studio di un poeta, che nell’insieme degli scrittori del Cinquecento non tiene gran posto, riesce utile nell’additare anch'esso l’estendersi della comune cultura italiana e il riflesso degli stessi intendimenti d’arte. La vita e le opere del Conte di Camerano diedero argomento di lunghe ed amo- rose ricerche a un erudito piemontese assai notevole, il barone Giuseppe Vernazza (1), il quale non giunse ad un lavoro definitivo, ma aiutò del materiale raccolto il Napione, e la monografia che questi ebbe a compilarne rimane tuttavia ciò che di più impor- tante si sia scritto sul Nostro (2). Io son tornato agli appunti del Vernazza (3), ed (1) Sul Vernazza mi limito a ricordare lo studio di G. CrareEnTA, Sui principali storici piemontesi (£ Mem. della R. Accad. delle Sc. di Tor. ,, S. II, T. XXXI, v. specialm. pp. 284-85). L’opuscolo G. Vernazza ne’ suoi studi e nelle sue relazioni letterarie, Tor., Paravia, 1878, non è altro che un “ estratto antidatato , della precedente memoria (v. A. Manno, in “ Miscell. di St. Ital. ,, XXXVI, p. L). (2) Grawrrancesco GarrAani Naprone, Vita di F. A. e. di C. in È Mémoires de l’Académie Royale des Sciences de Turin ,, XXII (1813-14), p. 121 e sgg.; e in Vite ed elogi di IMustri Italiani, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1818, p. 3 sgg.; mi valgo della ristampa, la quale è senza mutamenti; solo è priva della riproduzione di una medaglia, della quale farò cenno. (3) Le carte del Vernazza, già conservate negli Archivi di Corte della Casa di Savoia, passarono all'Archivio di Stato di Torino, e di qui i mazzi 4, 6 e 7 all'Accademia di Alba; la parte che tratta del Camerano è ora compresa nel mazzo 4. Non vi è ordinamento come per un lavoro preparato: sono quasi tutte schede alla rinfusa, oltre a qualche abbozzo incompiuto ed un fascicolo (legato in pergamena) contenente, copiati da’ libri, estratti utili per l'argomento. Ritroviamo quasi tutto nello scritto del Napione. Questa raccolta non offre certamente intero il frutto delle ricerche del Vernazza; di molte cose è solo un cenno fugace, si tace di altre che senza dubbio il Vernazza conobbe. Egli | ebbe assidua corrispondenza con altri eruditi, e dal carteggio conservato nell'Accademia delle Scienze, e dalla Racc. Cossilla (Bibl. Civica di Torino) trassero già notizie il Roserti (Il carteggio erudito fra _G. V. e G. A. Ranza, in “ Atti R. Accad. Sc. di Tor. ,, XXIX, p. 810 sgg.) e il Cran (Nel primo cen- tenario della morte di G. Tiraboschi, in “ Riv. stor. ital. ,, XII, v. p. 473 sgg.). 914 FERDINANDO NERI 2 ho riprese le ricerche d’archivio per la parte biografica di questo lavoro; il quale però è specialmente inteso alla considerazione dell’opera poetica del Conte di Came- rano in modo più attento e con criteri più esatti che non sia stato fatto dal Napione (nè per il tempo suo gli si vuol recare gran colpa), sì da stabilire il valore qualsiasi di quell’opera nella storia letteraria. Nobilissima ed antica la famiglia onde uscì Federico Asinari (1), figlio di Gio- vanni Francesco Asinari, conte di Camerano, e di Lucrezia Torelli. Per la data della nascita non abbiamo documenti precisi; ma già il Vernazza (2) pose innanzi l’argo- mentazione fondatissima, secondo la quale, essendo avvenuto il matrimonio de’ geni- tori nel dicembre 1526 e dichiarandosi Federico in un atto notarile del luglio 1548 maggiore di anni venti, questi dovette nascere sulla fine del 1527 o nella prima metà del 1528. Quanto al luogo, la famiglia abitava in Asti ed anche in Camerano; in atti pubblici egli si dichiarò cittadino di Asti (3). Mancano le notizie sulla prima parte della sua vita; egli abitò un certo tempo, . forse dopo la morte del padre, a Parma; dove sposò nel 1547 (4) Costanza Fran- (1) Il Vernazza aveva atteso con cura a una ricostruzione dell’albero della famiglia, risalendo fino al 1200; materiale utile si può ritrovare nelle Genealogie di famiglie nobili del Piemonte di Ignazio della Chiesa e di Agostino (mss. Bibl. Reale di Tor.): quest'ultimo nella cronologia fram- mentaria della fam. Asinari non dà contributi alla vita del Nostro; chè una data 1515 seguìta dal nome di Federico credo sia da attribuirsi a qualche falsa congettura (vol. I, c. 58 7). (2) V. NapronE, p. 7 n. (3) Il Naprone (p. 10) propende per Camerano: nell’atto del 31 genn. 1560 — di cui è pur copia fra le carte vernazziane di Alba — un testimonio dice che non sa quando Federico sia nato, ma Francesco, suo padre, dopo il matrimonio per lo più stava in Camerano, benchè sovente andasse e venisse in Asti. — Negli atti di una lite del 1539 testimoni numerosi e concordi dichiarano che Francesco da moltissimo tempo abitava in Asti con la famiglia, e si recava talora nel castello di Camerano e in altre sue terre (Arch. di Stato di Tor., Prov. d'Asti, mazzo 10, n. 18). — G. A. Morano (Scrittori di Casale, Asti, Pila, 1771, p. 11; v. anche la rist. L. Torre, Scrittori monferrini, Casale, Pane, 1898, p. 7) fa il nostro “ gentiluomo di Casale , e solo “ originario d’Asti ,; ma dalle insi- stenti domande del Vernazza il Morano si era sempre schermito con pretesti d'ogni genere: v. il “ gustosissimo aneddoto , ricordato dal Rosermi (cit. p. 816); cfr. con lett. 29 luglio 1775 al Can. Degio- vanni di Casale (minuta nella Racc. Cossilla). — Il VarraurI (Sf. della Poesia in Piemonte, Torino, 1841, vol. I, p. 134) afferma pure che il Camerano nacque in Casale, ma non siamo di fronte ad una trat- tazione storica troppo valida; e la forma stessa dell’affermazione risente del Morano. — m quel di Casale il Camerano aveva possessioni; alcuni Asinari vi abitarono e vi ebbero cariche. — Di Asti senza nessun dubbio lo dice G. M. De-Roranpis, Notizie sugli scrittori astigiani, Asti, Garbiglia, 1839, p. 39; ma guai se dessimo peso a quel cenno, ove sono più errori che parole; basti ricordare: “ stimato dall’Apostolo Zeno, dal Cinzio Giraldi letterati di quell'epoca... ,. } (4) Il matrimonio era stato disegnato per il 1546, come dimostra una minuta incompleta di ricognizione di debito al Conte per la dotè di Costanza (Arch. di Stato di Parma, Carte Sanseverino); questa vien detta senz’altro moglie del Conte di Camerano; il docum. non è datato, ma dal testo risulta del 1546. — Nel 1548 i coniugi erano già in Asti, e rimane di quell’anno (19 luglio) un atto. di procura, ove anche si parla dell’istrumento dotale dell’anno precedente, e per l’età del Conte è Q detto ch'egli è per sua dichiarazione, minore di 25 anni, maggiore però di 20; e la Contessa minore di 25, maggiore di 24. Rat ai cia bee Fi $ "i TASSINARI: (RIE STI Pre ro e OE (rali Sant ni RN e ICE 3 IL CONTE DI CAMERANO 215 cesca Sanseverini (figlia di Giulio e di Ippolita Pallavicini; nipote di Roberto conte di Cajazzo), dalla quale ebbe due figli (1). Gli anni trascorsi a Parma dovettero anzi esercitare notevole influenza sull’indole e sull’ingegno suo; dovettero infondergli quel germe di letteraria e cavalleresca eleganza ch'egli conservò e svolse, ritornato in Piemonte, nella sua molteplice vita. Allusioni a Parma, alla società, alle singole per- sone ritroviamo nelle sue rime; e a quella città lo unirono i vincoli e della moglie e della madre. I Principi di Savoia l’ebbero: a corte (2); ma noi vediamo assai presto il giovano Conte fra le armi, nelle discordie tra feudatari, cui era campo il Piemonte, così agi- tato dalle guerre esterne. — Il lettore deve rappresentarsi nell'insieme dei complessi fatti del tempo le particolari contese ch'io ricordo. — Egli aveva ereditato dal padre una pretesa sul feudo di Costigliole; la raccolse arditamente, e verso la fine di novembre del 1549 s'impadronì con le armi di quel castello. Avendolo occupato per sua propria autorità e forza, l’atto-fu giudicato quasi di ribelle; incorse, come vien detto, nell’indignazione dell’autorità sovrana, che quelle discordie avrebbe voluto risol- vere essa col suo intervento. Rimangono documenti notevoli, dai quali appare chiara- mente come il Conte di Camerano, senza mostrare disprezzo per gli ordini del Duca e di Emanuele Filiberto — Principe di Piemonte e Conte d'Asti — in realtà oppose . una ferma resistenza (3). Sappiamo ch'egli scrisse ripetutamente a Don Ferrante Gon- zaga, luogotenente imperiale, il quale, mentre per l’ufficio suo avrebbe dovuto mostrarsi amico del Duca di Savoia, cercava in vero ogni maniera di produrgli impaccio e allora appunto voleva apparecchiargli un danno gravissimo; condizion questa assai LD) (1) Noto subito, poichè le date di nascita non si conoscono: i due figli ebbero nome Giovanni Francesco e Giulia Margherita. (2) Verso la, fine d'agosto del 1549 il Conte di Camerano, di ritorno dai Paesi Bassi, recava al Duca Carlo II (III) una lettera di Emanuele Filiberto: e altre del Langosco di Stroppiana (amba- sciatore alla Corte Cesarea) avea perdute, bruciate, come pare, ne’ pericoli del viaggio (v. lett. del Duca a Em. Filib. e allo Stroppiana, da Vercelli, 24 e 25 ag., in Arch. di Stato di Tor. Regg. lett. Corte. 1536-1550; e dello Stroppiana al Duca, da Bruxelles, 4 ott. in Lett. Ministri, Austria, mazzo 2). (3) Nell’'Arch. di Stato di Tor., Protocolli Segret. Ducali (mi riferisco sempre alla Serie Corte), reg. 181, ff. 174-75, sono gli ordini di Em. Filib. e del Duca (Vercelli, 28 nov. 1549), affinchè il Conte di Camerano esca, sotto pena della perdita dei beni, dal castello di Costigliole, ove s’intruse nocturno tempore, dice un docum., e l’altro de nocte clandestine. Nello stesso reg. ff. 177-78, in data del 4 dic., sono gli ordini successivi di Aman. Filib. e del Duca contro il Camerano “ contumace e © inobbediente ,. Ma più minutamente siamo informati d’altra parte: Arch. Camerale (Torino), Atti per Feudi, 152. V'è prima l’ordine di Eman. Filib.: poichè il Conte di Camerano si è mostrato con- tumace e inobbediente col non desistere dall’occupazione del castello di Costigliole, il Vice Refe- rendario d'Asti, di ciò commissario, riduca in poter suo il luogo e territorio di Camerano e ogni altro qualsiasi bene del predetto Conte. Fra il 6 e il 9 dic. è un gran da fare tra il Commissario e il Castellano di Camerano che nega di aprire le porte, chiede una dilazione per avvisare il Conte assente, e intanto egli stesso, pur facendo seguire le dovute personali restrizioni, usa un linguaggio vivo ed esplicito: “ protestando che non sia mente di soa Fx. [Em. Filib.] che si procede (sic) al “ modo che si procede conciosia cosa che sin a quest’hora non si he mai recognosciuto questo castello “ de Camerano da soa Ex.* [era infatti feudo imperiale] et che caso che consti d’alcuna competentia “e non altrimente intende mandar da soa Ex.* alla Corte de suoa May.t® Ces.* ,. Alle ripetute inti- mazioni non dà risposta diversa: i sindaci di Camerano, per l’assenza “ che è notoria , del Conte, non possono deliberare: si dichiarano “ persone de villa illiterate et che non hanno scientia , ma non consta loro che il Commissario possa esimerli dal giuramento di fedeltà che essi hanno prestato al Conte; e la cosa per questa parte si arresta qui. 216 FERDINANDO NERI 4 favorevole al Conte di Camerano, ch’era pur feudatario imperiale (1). Il Gonzaga infatti intervenne; rappresentò al Duca di Savoia i tempi difficili e, pur dichiaran- dosi in ogni modo avverso all’audace condotta del Camerano, pregò si desistesse dai propositi minacciosi (2); e il Duca, desideroso forse di non aggiunger nuovi contrasti ai più gravi, di già impegnati, accettò il consiglio (3). Io riproduco in nota una let- tera del Camerano al Duca di Savoia, ove mi sembra esposto in bel modo l’atteg- giamento rispettoso, ma risoluto ch’ egli addimostrò verso il Principe: il vassallo professa la sua fedeltà, qualunque danno gli sia arrecato dal nemico, ma richiede liberamente l'osservanza della giustizia (4). Non ci è noto tutto lo svolgimento della contesa; per quella giustizia, tratta in mezzo così di frequente, le proteste conti- nuarono, ed i giureconsulti ebbero molto da fare; i signori di Costigliole furono (1) La mala disposizione del Gonzaga verso il Duca di Savoia si trova largamente rappresentata nei segg. lavori di A. Secre, Una questione tra Carlo III, duca di Savoia, e Don Ferrante Gonzaga, luogotenente imp. in Italia, nel 1550 [per la gabella del sale], in “ Atti R. Accad. Sc. di Tor. ,, XXXII, p. 170 seg. — Appunti sul ducato di Carlo II di Savoia tra il 1546 e il 1550, in “ Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, Cl. di sc. morali, ecc. ,, s. V, vol. IX, p. 134 sgg. e Un episodio della lotta tra Francia e Spagna a mezzo il Cinquecento. Carlo Duca di Savoia e le sue discordie con Ferrante Gon- zaga [1550-1552], in “ Arch. stor. lomb. ,, XXVII (s. II, vol. XIII), p. 357 sgg. Fu pubblicata dal Naprone (p. 81 n.) la lettera del Camerano (di Costigliole, 29 nov. 1549), in cui si allude a prece- dente comunicazione del 27 a Don Ferrante stesso: si annunzia come gli usurpatori del luogo, da lui cacciati, abbiano fatto cumulo di genti, e ne possa nascere disordine “ per essere vicini a fran- “ cesì ,; ove vogliano vedere il caso loro per arme, dovrà egli pure cacciarsi d'intorno, come si esprime, con altrettanti e più. Chiede di potersi difendere, o si faccian cessare i tumulti © rimettendo il “ giudicio alla ragione ,. La lettera si trovava negli Archivi di Guastalla, e l’Affò, per mezzo del Tiraboschi, ne aveva data comunicazione al Vernazza (v. Crax, cit., p. 474); ora si conserva nell’ Arch. di Stato di Parma, Epistolario scelto. (2) Arch. di Stato di Tor. Lett. Principi, Mantova. Istruzione del Gonzaga a Francesco Biffo, con la credenziale al Duca, Milano, 4 dic. 1549. (8) Arch. di Stato di Tor. Regg. lett. Corte. 1536-1550. Di Vercelli, 7 dic. è la risposta al Bifto per il Gonzaga: il Duca ringrazia quest'ultimo del contegno assunto contro il Camerano, e insieme del “ buon parer, che ha subito seguito, ordinando al governatore d’Asti di far deporre le armi agli uomini di Costigliole, per evitare scandali simili ad uno recente “ ove suono stati morti alcuni “ d’essa terra ,; solamente è d’avviso che, mentre il Conte ed i suoi rimangano nel castello, essi uomini si mantengano armati “ et egli darà tal ordine che non si farà alcuna novità da parte d’essi “ huomini ,. — Ancora il 22 dic. 1549 Carlo chiede ai commissari informazione di tutto che può esser di nuovo nel castello, specialmente di ciò che si potrà sapere da un servo che ne è uscito, e in fine “ ne ad ulteriores rixas pro evitandis scandalis procedatur , proibisce a tutti quanti gli abitanti di Costigliole di usar violenza alcuna contro il Conte ed i suoi complici, tranne per difesa (Protocolli Ducali, reg. 181, f. 186). (4) Bibl. Civica di Torino. Raccolta di autografi Cossilla. “ Ill.mo et ecc.mo s" s" mio osser.mo. “ Io non sono entrato nel Castello di Costigliole per disprezzo del’ autorithà di v® ece* ma consul “ tato così potervi entrare da peritissimi jureconsulti et massime senatori di lei col cui consiglio “ mi parve non poter far errore spetialmente contra di v* ecc® nel cui servigio ho perduto la più — “ parte del mio et non vorei ricuperarlo per mezzo che mi arrecasse la disgratia sua, ma inanzi — “ perdervi quel che m’avanza sperando oltre lo esser lodato d’haver fatto quel che devo d’intorno di “ alla fedeltà ch'io le tengo, riportarne remuneratione da v® ece* per mera gratia sua et non esser ‘ espulsso di quel che di ragion mi tocca come degnandossi cometere che sia veduto ne potrà essere “ informata a pieno et ne suplico v® ecc* la qual so non tener mai chiuse le orecchie a missuno “ © baso humilmente le mani pregando n. s. la Ill.ma sua persona felicemente conservi. Di Costigliole “ alli 8 di decembre dil 49 ,. (Segue la firma). che la ragion sua dica come ottimo et giusto prencipe nella cui bontà et giustitia sperando le Qi dle ln ca FL 2A n 2 DI de ir diretti Ri STI 5 IL CONTE DI CAMERANO 217 restituiti nel castello (1), ma il Conte di Camerano ritenne i beni mobili e Je scrit- ture, favorito di poi dallo stesso Emanuele Filiberto (2). Le mosse un po’ ardite, ch'egli aveva compiuto per gl’interessi suoi e della famiglia, non gl’'impedirono una parte notevole al seguito del suo signore; chè anzi raggiunse uffici importanti, venne a porsi fra i numerosi gentiluomini, cui si distribuì, nel rinsanguarsi dello Stato, il compito rinnovatore. Egli ebbe a combattere per gl’Im- periali e, senza attribuire lodi ad un ipotetico valore con l’ingenuità che informa tante vecchie biografie, possiamo credere, pei documenti prima, e poi per la consi- derazione de’ tempi, che costringevano all’azione, e della sua natura, che si annunziò sempre impaziente d'indugi, ch'egli sia stato molto attivo nelle vicende della guerra. Non accettò gl’inviti de’ Francesi, ma, rimasto fedele alla parte del Duca, ebbe ruinati I suoi castelli; recatosi in Ispagna, nel ritorno fu fatto prigioniero dai Francesi; si riscattò, pagando del suo una taglia di 6000 scudi, e il 30 ottobre 1554 fu nominato da Emanuele Filiberto gentiluomo di camera (3). Negli anni seguenti guerreggiò in ti (1) Nel 1552 i signori di Costigliole sono gravemente accusati dagl’Imperiali come amici dei Francesi. Il 20 genn, 1552 il Duca di Savoia chiede ai suoi ufficiali e commissari informazioni sui fatti recenti, avendo inteso d'un assalto mosso dai Francesi ad una compagnia di cavalleria impe- riale, ospitata nel castello di Costigliole; e il 25 dello stesso *mese ordinava al suo Commissario di impadronirsi del castello e d'introdurvi soldati (Arch. di Stato di Tor., Prott. Duce., reg. 184, f. 8-10). Il Gonzaga colse l’occasione per fare strepito contro i signori di Costigliole e contro il Duca; do solo l'indicazione dei documenti, poichè il Conte di Camerano non ha parte nessuna nella questione: Lett. Ministri, Austria, mazzo 2, lett. dello Stroppiana al Duca e al Principe di Piemonte, 16 febbr., 7, 8, 15 e 20 marzo. Lett. Principi, Mantova, lett. di D. Ferrante Gonzaga al Duca, 6 marzo. Lett. Particolari, Asinari, lett. di Cesare Asinari, 9 marzo, e unite due suppliche all’Imperatore in nome de’ consorti. Regg. Lett. Corte 1551-1553, lett. del Duca al Gonzaga, 30 marzo. Gli ordini per la conservazione e sicurezza del castello in Prott. Ducc., reg. 184, ff. 107 e 187, 12 maggio e 28 giugno; cfr. Prov. d'Asti, mazzo 15, Costigliole, in procura dell’8 luglio. (2) A. Tesauro, Novae Decisiones Sacri Senatus Pedemontani, Torino, G. D. Tarino, 1626, c. 22 ». nella decis. XV. Non pare che il Napione leggesse attentamente questa decisione (v. p. 32 n.). ll Vernazza si era occupato anche di ciò, raccogliendo una piccola bibliografia giuridica. (3) Queste notizie si traggono da documenti retrospettivi: Arch. Camerale, Controllo, 1561, reg. 1°, f. 12: © Minuta di declaratione per il conte di Camerano non ostante le alternative di Camera * (sopra il servizio de i gentiluomini de la Camera) ,, Data in Vercelli, 14 genn. 1561; de’ gravi danni di guerra e della taglia si discorre in altri documenti che riprodurrò più oltre. Qui è ricor- data la nomina al grado di gentiluomo di Camera (“ di che egli subito prese il possesso opportuno ,), nomina avvenuta il 30 ott. 1554 “ uscendo egli in quel tempo di prigionia de francesi ove passando © di Spagna in Italia et seguendo la fortuna et servicii nostri era stato detenuto... ,. Non sappiamo di più; ad ogni modo in lett. da Bruxelles, 14 maggio 1554, a Monsignor di Masino, luogotenente generale dello Stato, Em. Filib. dice di aver ricevuto allora lett. del Masino, in data 14 aprile, portata dal Conte di Camerano (Regg. lett. Corte, 1554-55). — In Ispagna si recò forse altra volta: io non ho ritrovato il diploma di Filippo I (7 febb. 1557), cui allude il Napione (p. 88) come non ho ritrovato il documento preciso per la nomina a consigliere di guerra (24 giugno 1558): docu- menti venuti forse al Vernazza dalle carte dei Marchesi Villa da Ferrara; numerose queste, notiamo per incidenza, ma in genere, per la storia della fam. Asinari. — Per il viaggio in Inghilterra, sup- posto dal Napione (pp. 38-39) abbiamo soltanto la probabilità : i vv. © Qui dove or calco l'arenosa “ riva | Del Britannico mar... , potrebbero anche non designare l'Inghilterra; quel sonetto forma con altri una serie, che tratta di un lungo viaggio e per mare, e per terra; di luoghi certi non è nomi- nato che il Reno, nel ritorno. Il CLarertA (I2 Duca di Savoia Em. Filib. e la Corte di Londra negli anni 1554 e 1555, Pinerolo, Tip. Sociale, 1892, p. 58) ricerca quali debbano essere stati in quel viaggio i compagni di Em. Filib., e propone un’ipotesi abbastanza fondata, ma del Camerano non è cenno. Il Narrone, posta subito dopo come certa l’andata del Camerano in Inghilterra, induce che “ l’opera sua stata sia di non poca efficacia per ottener il soccorso di non meno di quindici mila Serie II. Tow, LI. 5 28 218 FERDINANDO NERI 6 Piemonte, ma non sappiamo se di continuo; alle condizioni combattute del feudatario ci riconduce una lettera da Asti, 13 luglio 1556; per le dispute, nella tregua, sulle giurisdizioni rispettive di Francesi e Spagnuoli, egli si lagna di rimaner privo della sua terra di Agliano; e questo dopo aver sofferto molti danni (anche Camerano era stata infestata dai Francesi), nè pur ricevendo la paga della sua compagnia, e di più in contrasto con l'Abate di Masino (1). Nei documenti dobbiamo intravvedere la sua partecipazione alla guerra, poichè ci mancano le attestazioni successive, precise, di ogni suo atto. Ricordiamo una lettera di lui al Duca (da Asti, 12 sett. 1558), ove si allude ad una lettera precedente — ora perduta — sulla presa di Centallo, e si parla di un combattimento non fortunato coi Francesi, raccomandando il Capitano Moretta, fatto prigione (2). : Sul finire del 1559 e nel 1560, al ritorno di Emanuele Filiberto, il Conte di Camerano è al suo seguito (3); e nel riordinamento della milizia, alacremente impreso dal Duca (4), egli, già prima gentiluomo ordinario di camera e consigliere di guerra, vien nominato colonnello di fanteria per la milizia da levare nel contado di Asti (5). “ Inglesi, che contribuirono a vincere la famosa giornata di S. Quintino ,; per il VanraurI (op. cit, I, p. 135), senza citazione: “ giovò in qualche parte alla felice riuscita della giornata di S. Quintino, “ per essersi a sua sollecitazione aggiunto un nerbo di 15000 inglesi alle armi comandate dal duca “di Savoia ,. Il Vallauri fraintese; di vero non rimane che un riaccostamento arbitrario del Napione (pp. 39-41, ove non trovo nemmeno giustificato il lungo ragionamento sulla prigionia del Camerano). (1) Quest'ultimo — l’Ab. Ger. Valperga di Masino, governatore d’ Asti — voleva impedire al Camerano di riscuotere un suo credito sulla terra d'Agliano; dopo aver fatto che la licenza concessa dal Marchese di Pescara fosse sospesa, aizzava gli Spagnuoli principali del luogo contro la persona del Conte; già “ con forse cento homini , avevan tentato di ammazzarlo, ma egli n’era uscito salvo. Nella lettera il Conte si appella al Duca di Savoia e promette di rivelargli, e provare, tutte le colpe de’ suoi rappresentanti in quei paesi (Arch. di Stato di Tor. Lett. Particolari). (2) V. Naprone, pp. 41-42. Ora la lettera è nella Race. Cossilla. Quand’ho a citare documenti già noti al Vernazza e al Napione, s'intende che ho riveduti gli originali e, tenendomi a questi, non ricordo la diversità delle indicazioni dovuta ai mutamenti degli Archivi. — “ Ser.mo mio s*. Scrissi “ questi giorni passati a V® Alt22 dandole aviso della presa di centalo et che essendo mandato dal “ Ducca di Sessa qua in Aste havea fra duo giorni da tornar al campo; hor le scriverò che essendo “in camino per tornarvi accompagnandomi con circa a quatrocento cavalli che ivano per scorta “ di alcuni danari per soccorso del campo; per il poco ordine di quelli che haveano cura della scorta “ et per tradimento della guida presso a ceresola fu rotta la scorta da mons. di brisacco in persona “ con cinquecento cavalli et forse duo millia fanti; io dopo haver fatto il debito mio et mortomi il “ cavallo sotto, salendo sopra un altro come dio volle mi salvai in Aste; et in questa rotta è stato “ preso il cap®° moreta di niza... ;. (3) Il 20 dic. 1559 in Nizza, presente all’investitura del Marchese di Masserano; del 16 feb- braio 1560 è l'investitura sua per il feudo di Camerano; il 26 ottobre dell’anno stesso è a Carignano, nominato in un atto con altri gentiluomini, v. NaPIonE, p. 47 sgg. Fra le carte vernazziane di Alba è uno spoglio di documenti de’ Regi Archivi della Camera, di quei documenti appunto che il Napione cita: per le investiture, cui fo cenno, si rimanda alle NotuZe del segret. Fabri: cfr. Arch. di Stato di Tor. Prov. d’Asti, mazzo 10. Con la data 16 febbr. 1560 riman pure una lettera di Em. Filib. da Nizza, in conferma di privilegi e per investitura: minuta in Prott. Duce. reg. 228bis, f. 78 sgg., copia in un atto rogato ad Asti, 10 marzo 1561, Arch. Camerale. Titoli Stati Antichi, vol. 3, f. 100 sgg.: in entrambi i luoghi è unita copia del diploma dell’Imperat. Carlo V a Francesco Conte di Came- rano (Pavia, 11 giugno 1543); v. l’originale nel cit. mazzo 10 della Prov. d'Asti. (4) V. il complesso ordinamento cui si giunse, in G. A. Levo, Discorso dell'ordine et modo di armare compartire et esercitare la militia del Serenissimo Duca di Savoia. In Torino, Appresso Mar- tino Cravoto 1566 (ristamp. con agg. in Vercelli, Pellippari, 1567). (5) Arch. di Stato di Tor., Prott. Ducc. reg. 223 bis, ff. 69-70, “ Patenti del colonellato del s" Conte ‘ di Camerano. Em. Ph. etc. Essendo necessario per difensione et preservatione di nostri stati sta- vieni anice Tenta een 2 Ti IL CONTE DI CAMERANO 219 La Contessa sua moglie ritroviamo in Corte, presso la Duchessa Margherita (1). Così, dopo tutte le tempeste dell'invasione, i servigi resi in guerra dal Conte sono ampia- mente riconosciuti, e ce ne rimangono le attestazioni, in queste nomine e conferme onorevoli e insieme nelle ricompense di denaro (2). “ bilir in essi una Militia ordinaria, la qual habbia ad esser presta et apparecchiata ad ogni bisogno, “ che sopravenisse accio che non si viva più a beneficio di fortuna (care.: come si è vissuto per il “ passato), ma si possa meglio trattener la Pace et schivar la guerra, Et volendo per ciò deputar quattro Collonelli a carico di quali si distribuirano li paesi di qua da’ monti, per ordinar ogniuno nel suo quartier la gente quivi destinata (care.: sì da piedi come da cavallo), Et conoscendo molto bene per molte prove le degne qualità et bonorate parti de la persona del molto mag.°° consi- gliero et cambellano mio car.®° il conte di Camerano, et massimamente le cognitioni et l’espe- rienza sua de l’arte militare la qual si è acquistata (carc.: et con adsidua lettione di boni auttori et) con la solecita essercitatione ne li maneggi et cariche havute ne le guerre passate, Atteso ancora il sincero affetto che egli mostrò sempre in serv.° nostro seguitando ne maggiori pericoli nostra sorte, C'è parso con matura deliberatione dichiararlo et deputarlo nostro Collonello nel Contado di ast marchesato di Ceva et terra di Costigliole, (cane.: et si) de la gente (cane.: da pie et come “ da cavallo) che in essi luoghi è destinata o si destinerà et haverà da farsi , con l’autorità, dignità, privilegi ecc. spettanti al grado, e “con li salari et soldo a parte stabilito nel suo assegnamento , (Nizza, 10 febbraio 1560). — Arch. Camerale, Patenti e Concessioni, reg. 1561-63, f. 16 “ Lettere di “ dichiaratione di stippendi per il s° Conte di Camerano gintilhuomo ord.° di camera et collonello “ di Sua Altezza nell’Asteggiana ,; si specifica lo stipendio in iscudi mille annuali, oltre i 150, restando sempre il Conte gentil. ord. di Camera. Date in Vercelli, 22 nov. 1560, interinate in Rivoli, 10 marzo 1562, riformate a lire 114 il mese in Rivoli, 8 apr. 1562. V. fra i colonnelli d'ordinanza, ‘ nel bilancio presuntivo delle spese per il 1562, pubbl. dal Ricorsi (St. d. Mon. piemont., vol. II, Fir. 1861, p. 487). — Quanto al sonetto di Raffaello Toscano a Boniforte Asinari (Sonetti di R. 7. in lode di diversi, In Turino, Appresso gl’heredi del Bevilacqua, 1583, p. 84) il Napione (p. 52 n.) vide cose che non si trovan per nulla in quella semplice menzione del Conte di Camerano fra mezzo alle esagerate lodi per il Sargente; infelicissima poesia è di certo, pari alle altre dello stesso volume, cui si può solo riconoscere qualche scarso valore storico nei riferimenti alle persone lodate (Gasorto, Un poeta piemontese del sec. XVI, in “ Propugnatore , N. S. V, P.I, v. p. 393 sgg.). (1) Arch. Camerale, Patenti e Concessioni, reg. 1561-68, f. 9 “ Lettere di constitutione de stippendi “ per la contessa di Camerano ,. A cominciare dal 1° gennaio 1561 le viene assegnata una somma di 150 scudi ogni anno, e dal 12 febbr. dell’anno stesso uno scudo ogni giorno fin che seguiterà la Duchessa e starà nella sua Corte. Vercelli, 20 febbr. 1561. (Il docum. è pure in Controllo, 1° reg. 1561, f. 71). Interinate in Rivoli, 15 genn. 1562. Riformate a lire 24 il mese e 8 il giorno, Rivoli, 11 marzo 1562. — Nel reg. stesso, f. 146 “ Lettere di donatione de scudi mille per mercede fatta < alla Signora Contessa di Camerano ,, libero dono e mercede in aiuto delle spese da lei fatte seguendo la Duchessa, Vercelli, 27 febbr. 1561. (2) V. Naprone, p. 37 sgg. — Arch. Camerale, Controllo, 1561, reg. 1°, f. 12. Ho già citato il docum. e qui reco gli altri, pure importanti, cui ho alluso: Arch. di Stato, Prott. Ducc., reg. 224, ff. 123-24 e Arch. Camer., Controllo, 1561, reg. 3°, p. 249 sgg. “ Lettere di donatione de*scudi trecento | “ ogni anno per il Conte di Camerano assegnati sopra i redditi di Andorno. — Em. Filib. etc. Fu “ sempre costume dei ser. nostri maggiori di dimostrare il loro libero animo verso quegli che con “ affettione gli hanno serviti, dai quali pigliandone essempio noi, et conoscendo con quanta sodisfat- “ tione nostra ci habbi sempre servito et di presente ci serve il Molto mag.°° fedel cons.70 et cam- “ bellano nostro carissimo Federico Asinari conte di Camerano, il quale seguitando di continovo la " travagliata nostra fortuna nelle passate guerre, non solo non ha spargnato le cose sue, ma per “ servitii ne ha consumata la maggior parte con la perdita di tre castelli che gli hanno ruinati i “ francesi per non haver egli voluto accettar mai gli partiti che da loro gli venivano offerti accio “ che si levasse dal nostro servitio, oltra quello che patì essendo per i nostri serviti fatto pregion “ da detti Francesi alli quali per suo riscato pagò una egregia taglia... ,; del che tutto informato, per compensarlo e come esempio agli altri, dona ed assegna scudi 6000; ma, non potendo questi esser subito pagati, intanto gli assegna, per il tempo che manca, scudi 300 d'entrata ordinaria onde paghi gl’interessi a coloro che gl'imprestarono la somma. Rivoli, 20 ott. 1561. Il docum. si ripete R GI R (1) tI 220 FERDINANDO NERI 8 Di una missione del Camerano presso il Duca di Parma Ottavio Farnese, nel 1561, non rimane altra testimonianza che in una lettera di quest’ultimo ad Emanuele Fili- berto (1). Morto Ferdinando I nel luglio 1564, il Conte di Camerano fu inviato dal Duca di Savoia presso il nuovo Imperatore Massimiliano II, specialmente per ottenere alcune concessioni sul Vicariato Imperiale (2). La Contessa era rimasta in Asti, e, in qua- lità di procuratrice del marito, il suo nome ci appare in documenti d’indole eco- nomica (3). Nel 1566 il Camerano ebbe una parte notevole nell'impresa di Ungheria, in ser- vigio dell'Imperatore contro il Turco; sebbene indipendente dalla spedizione coman- data da Bernardino di Savoia, di vero soccorso inviato dal Duca (4), con quest’ultimo nel reg. Patenti e Concessioni, 1551 in 1561, ff. 179-80 (nel reg. Patenti e Concessioni, 1566-73, f. 126, 18 sett. 1570 è poi la “ Commissione et possanza a m. Giuliano Dalbene di riscuotere il reddito di 300 scudi sopra Andorno dal Conte di Camerano, con riserva del riscatto perpetuo ,). Ho voluto” notar qui, con le altre, sebbene precedente, la donazione di un palazzo in Asti, identificato con ogni precisione nel documento, insieme alla torre dell'Orologio e a certe botteghe ed edifici della fiera (Arch. di Stato di Tor., Prott. Ducc., reg. 2283 bis, ff. 87-88, 1° marzo 1560), con agevolazioni per favo- rirne la vendita, che vediamo infatti approvata poco dopo (Arch. Camer., Controllo, reg. 1560, ff. 32-33, 10 ag.) In questa donazione, ove son pure lodati i servigi del Conte, s’indicano solo due castelli ruinati: Camerano e Valdichiesa, e si dice ch'egli s'impegnò per molte migliaia di scudi “ per soste- “ nersi fuori de suoi beni et a nostro servitio ,. — Da un vecchio indice nell’Invent. gener. del- l’Arch. Camer. si rileva che nel 2° reg. 1561 — perduto — era nota di una somma donata al Conte. . E finalmente in Patenti e Concess., reg. 1564-65, ff. 68-69, 10 marzo 1564, un’altra donazione, d’una casa in Asti. (1) Arch. di Stato di Tor., Lett. Principi. Parma. Il Farnese, di Milano, 25 febbr. 1561, ringrazia il Duca di Savoia della lettera presentata dal Conte di Camerano, cui si rimette perchè ne dica di più a voce: intanto si limita a riconfermare il proposito di una visita a S. A. Il Carteggio famne- siano (Arch. di Stato di Parma) ci dà per l’anno 1561 due lettere del Camerano al Duca Ottavio, d'Asti 18 giugno e 18 luglio, ma non trattano se non di ‘certi levrieri. (2) È questo il fatto cui allude confasamente il Narronr (p. 65). — Arch. di Stato di Tor., Materie d’Impero, 2* categ., mazzo 1: memoria particolare al Conte di Camerano, data in Lagnieu, 30 ag. 1564 (Eman. Filib. sì recò in quell’anno a Lione). Fra le Lett. di Eman. Filib., mazzo 2, rimane il pas- saporto per il Camerano, dato anch’esso in Lagnieu, 31 ag. “ Em. Philibert... Envoyant presentement “le Comte de Cameran present exhibiteur en Piedmont et dela en Italye, Zequel « tousiours esté « “ nostre suite... , (ed è immune di peste). (3) Fra le carte vernazziane di Alba è nota di un docum. del 4 sett. 1564 (Asti, rog. Gugl. Canta), “in casa dell’abitazione dell'ill. sig. Conte di Camerano ,. Costanza Sanseverino, moglie del Conte, aveva contratto col fratello Francesco Sanseverino un debito di mille scudi d'oro del sole per ricu» perare metà del possesso di Frassinetto: ora cede quella proprietà al fratello stesso a pagamento del debito, col diritto di riscattarla. Cid non importa molto; ma ritroviamo ch'essa era stata nomi- nata procuratrice del marito, con mandato del 6 marzo 1564, e questo importa un po’ più. (4) Il Naprone, p. 67 sgg., sostiene contro vecchi storici subalpini (il Pingon, e poi il Guichenon) che a capo delle schiere mandate dal Duca di Savoia fu il Conte di Camerano, e non Bernardino di Savoia, signore di Racconigi e di Cavour. Io non tengo a mettere in mostra gli errori del Napione; ma l’Aprrani, ch'egli cita, dice che l'Imperatore © aveva soldato intorno a dumila Italiani parte alla “ condotta del Conte di Camerano, e parte di Giovannalfonso Castaldo , (Zstoria de’ suoi tempi, ed. giuntina del 1588, p. 754). Del resto abbiamo documenti chiarissimi. Nei Prott. Ducc. (reg. 226, f. 150) al 26 apr. 1566 ritroviamo le patenti di nomina di Bernardino di Savoia et di Cavour a “ Capo et “ generale , delle compagnie di cavalleggieri e archibugieri a cavallo in soccorso di S. M. Cesarea per l'impresa di Ungheria: ne’ ff. successivi ritroviamo altre nomine di minor conto per la stessa . spedizione. Il 27 maggio si dà l’ordine al capitano generale e ai capitani delle compagnie di tro- varsi tutti adunati il 3 giugno a Vercelli per “ far la mostra , (v. inoltre nei Regg. lett. Corte 1566-67, f. 6, la lettera del Duca all’Imperat., nel maggio 1566, inviando il Signor di Cavour; cfr. ff. 42 e 9 IL CONTE DI CAMERANO 291 egli si tenne in corrispondenza per informarlo de’ fatti della guerra; ci rimangono due lettere, una da Vienna (1), l’altra da Comar (2). Era nuovamente a corte per la cerimonia del battesimo di Carlo Emanuele, nel 1567 (3); e troviamo nel 1568 un 63, 64, 66: il Duca avverte il 81 ott. che spedisce l’ultima paga). Il 28 maggio (reg. cit. dei Prott., f. 202) è un ordine della Duchessa Margherita, come luogotenente generale dello Stato, in favore del Nostro: “ A tutti sia manifesto qualmente havendo sua M.'* Ces. per litere sue missive diman- “ dato al Duca mio Consorte et marito honor.®° che lasciasse levare al Conte di Camerano sopra “ questi stati infin al num. di otto cento fanti per menargli a la guerra d’Ungheria, si (sic) siamo © contentati et contentiamo di permettere al detto Conte, che levi il detto num.° di gente in qua- “lunche parte di detti stati che li fia più comodo non ostante qualsivoglia probibitione contraria; “ con possanza di adunar sue compagnie nelli luoghi della Montà, di Canale, Castelinaldo, Govone “ et Magliono, le quali terre assigniamo per allogiamento di esse compagnie ,. Comanda la Duchessa a tutti i ministri, ufficiali e vassalli di permettere quelle leve liberamente e “a li sindici huomini “ et comunità di dette terre , di favorizle. Non sono dunque a confondere le due spedizioni. — Con l'estinzione del ramo Asinari di Camerano, nel prince. del sec. XVII, sorsero controversie per la suc- cessione, e il Duca di Savoia intervenne legalmente contro gli Asinari: è a stampa un Sommario delle ragioni prodotte dal Sig. Patrimoniale di S. A. nella causa di Camerano, ecc. s. l. n. a.; ma in una più ampia risposta ms. al discorso delli SS.” di Camerano (Arch. di Stato di Tor. Prov. d'Asti, mazzo 10) per dimostrare la sottomissione dei Conti di Camerano ai Duchi di Savoia, al fatto che nel 1566 “ Mas- “ similiano... costituisce Federico conte de Camerano al suo servitio per collonello de mille fanti “ Italiani chiamandolo come obbligato all’Imperio , si oppone: “ questo Conte servì 1’ Imperatore “ come avrebbe fatto ogni altro Cav, ecc. , — Nei Prott. Ducc., reg. 231, f. 587, vè un docum. del 1566, con la data in bianco del mese e del giorno; sul verso è scritto aprile: è un ordine per le città, indicate in una lista ora perduta, intorno alle operazioni militari del Camerano; ma non vè nessuna relazione con la spediz. d'Ungheria; si tratta solo dell’ufficio di colonnello per la milizia degli Stati del Duca, composta di sudditi; ed è notato che, in mancanza del Conte di Camerano, lo sostituirà il sergente del colonnellato. (1) In data del 18 luglio 1566, v. Napione, p. 68; si raccoglie dalla n. 2 che il Vernazza l’avea conosciuta, sebbene fra le carte di lui non se ne trovi traccia; il caso, come ho avvertito, si ripete molte volte. La lett. ora si trova nella Bibl. Civica di Tor., Race. Cossilla: Giunto a Vienna, dice che S. M. è soddisfatta della sua gente; l'indomani partirà per l’esercito, avrà parte ne’ consigli e par- teciperà del comando sino alla venuta dell'Imperatore nel campo: di tutto terrà minutamente infor- mato il Duca. (2) Dall’esercito imperiale presso a Comar (Kamaru, Komorn), 13 ag. 1566. La lett. ora si trova nell’Arch. di Stato di Tor. Lett. Partie.: può riuscire importante per la storia di quella guerra, essendo ricca di notizie e di osservazioni precise sui movimenti degli eserciti: a noi basta ritrarne gl’indizî di uno spirito pratico e desideroso di azione: egli spiega i suoi disegni e mostra di essere ascoltato e tenuto in conto, sebbene si lagni dell’inerzia che regna fra i capitani, stretti sempre dagli ordini dell'Imperatore. Il Narrone, p. 69, allude a questa lettera, dichiarando di non averne avuto copia; argomenta però che il Camerano abbia partecipato alla vittoria di Tata; invece egli giunse dopo. — Credo che in occasione di questo viaggio egli abbia trattato con i Foccari, di Augusta, per indurli a certe condizioni d’un prestito al Duca di Savoia, come si accenna in lett. di B. Ravoira della Croce (di Vienna, 5 sett. 1567, Arch. di Stato di Tor., Lett. Min., Austria, mazzo 3). (3) Su questo argomento abbiamo una piccola letteratura: il Napione (p. 65 n.) dà l'indicazione di un ms. di Prerre pe Mar pr CGasrerteravo, della Bibl. ora Nazionale di Torino; ma si ha pure a stampa: Les Triomphes du baptesme du tresillustre seigneur Monseigneur Charles Emanuel, Prince de Piemont: en Eglogues, Odes, et Sonnets, vers Latins, Italiens et Prangois... (dedic. a Margherita di Francia, Duchessa di Savoia e di Berry), a Paris, Chez Thomas Richard, 1567. (Il Camerano è nominato con altri gentiluomini a e. 23 0). E poi: Pastorales sur le baptesme de Monseigneur Charles Emanuel Prince de Piedmont. Chamberi, F. Pomar, 1568 (un’arcadietta francese, dai metri festosi). E di Agostino Bucci, lettore di filosofia, IZ battesimo del serenissimo prencipe di Piemonte fatto nella città di Turino Vanno MDLXVII, il IX di marzo, Nella Stamp. Ducal de’ Torrentini [Mondovì], 1567; qui son pure, fra gli altri, versi italiani e latini di G. B. Giraldi. Nel vol. miscellaneo della Nazion. di Tor. (R. IV, 102), ove si contiene quest’opuscolo, sono accodati alla descrizione di altra festa (1587) tre fogli mss. che si riferiscono invece a questa: v'è l'ordine stabilito per la funzione. 2292 FERDINANDO NERI 10 nuovo assegno di stipendio, di 600 scudi l’anno, per la sua qualità di consigliere di guerra e colonnello della milizia (1). I dati biografici procedono alquanto frammentari secondo i documenti ci porgono, ma sufficienti per tratteggiare un'esistenza operosa e varia. Fu il Conte un elegante e stimato cortigiano; richiesto di consiglio, quasi arbitro in questioni cavalleresche (2); una sua impresa riuscì lodatissima fra gl’intendenti della complicata materia (3); e ricordo qui una bella medaglia coniata per lui (4). Quanto alle sue relazioni, alle sue conoscenze, anche senza le testimonianze esplicite, ci sarebbe facile collocarlo in quell’insieme di gentiluomini piemontesi non trascuranti della rinnovata cultura (5). (1) Arch. Camerale, Patenti e Concessioni, reg. 1565-69, ft. 271-72 (10 apr. 1568); perchè possa valersi subito del denaro, gli è assicurata la vita “per quell’anno solamente ,. La provvisione è ripetuta in Controllo, reg. 1567-68, ff. 315-16 e reg. 1568, f. 27; nel reg. 1569, f. 94, si ordina di fare l’assegnamento “ sopra Asti et in luogo ove non gli possa esser fatta alcuna difficoltà ,. Nel reg. 1568, con la stessa data, è anche un altro ordine di pagamento, di scudi 850 in supplemento degli sti- pendi del 1567 “ Et ciò non ostante che egli non fosse assentato sopra il nostro stato, et ordine... di “ non pagar delli denari del presente anno li debiti vecchi ,. (2) Manifesto del molto ill. Sig. Bartolomeo de’ Conti di Cocconato... nella querella che pende tra lui e il Sig. Horatio Cocastello s. d. Qui, come sempre, il Naprone (p. 70) pubblicò dalle carte del Ver- nazza; dobbiamo però ricordare che il Camerano si era interposto fra i due contendenti per la pace (c. 33 sgg.); solo non approva, perchè disonorevoli, le condizioni proposte dall’avversario del Coca- stello (lett. del 20 dic. 1569); risponde in fretta “ essendo col piè in staffa per andar con Sua “ Altezza a caccia ,, come chi sentenzia di cose, nelle quali si tiene di veder rapido e sicuro. (3) Vedila riprodotta in CamrLLo Camini, Imprese iMustri di diversi. Parte Prima, In Venetia, Appresso Francesco Ziletti, 1586, p. 55: un obelisco, e in cima la palla che si credeva contenesse le ceneri di Giulio Cesare, col motto Insidet et cineri: sopra la palla sta la cometa, onde si ricorda Orazio: micat inter omnes Julium sidus * con bellissima relatione, et allusione al nome della Donna “amata ,; il Camilli fa un sommento minutissimo, incominciando a ragionare degli obelischi, e distingue e interpreta assai cose: scienza ben degna di Don Ferrante! L'impresa fu lodata pure, in opposizione ad altra di un Medici, da Ercore Tasso, Della realtà, e perfettione delle Imprese, In Ber- gamo, Per Comino Ventura, 1612, p. 154. Notava già il Vernazza come nell’indice sia recato il nome di Ottaviano; forse il Tasso vide la stampa di Bergamo, 1588, del Tancredi. — Si riferisce al Tasso G. Ferro, Teatro d’Imprese, Venezia, Presso Jacopo Sarzina, 1633 (parte II, pp. 578 e 669). (4) [Terzago], Musaeum Septalianum, Dertonae, typis fill. qd. El. Violae, 1664, p. 233, e [Scara- seni, Museo 0 Galleria adunata dal sapere e dallo studio del sig. Can. Manfredo Settala, Im Tortona c. s. 1666, p. 358; qui il Camerano è Ferdinando. — Museum Mazzuchellianum, Ven., Zatta, 1761, I, XCII, 5. — Naprone, nelle “ Mem. Accad. Sc. di Tor. ,, vol. cit. Sul diritto il busto del Camerano, di profilo a destra, armato di corazza, e intorno: FEDERICVS. ASINARIVS . CO . CAMERANI - PPR; sul rovescio un cavallo sfrenato, col motto FRENAT. VIRTVS. Non riferisco le vecchie attribuzioni: sappiamo che l’autore è il Galeotti — Pietro Paolo Romano — (v. Anmanp, Les médailleurs italiens des XV° et XVI° sideles, 2° éd. Paris, Plon, 1883, I, 227,1); il VarraurI (Storia della Univ. degli studi in Piem., Il, Tor. 1846, p. 68) poneva il Camerano fra i personaggi illustri che nel regno di Em. Filib. furono onorati con medaglia; ad ogni modo il Galeotti lavorò e per la corte dei Savoia e per quella dei Farnesi. — Lo Zeno, Annotaz. alla Bibl. Elog. Ital. del Fontanini, Ven., Pasquali, 1758, I, p. 481, parla di due medaglie, citandone un’altra dalla Sy7loge numismatum elegantiorum... J. J. Luck (Argentinae, typis Reppianis, 1620, p. 218); ma quest’ultima, quando se ne ammettesse l'esistenza, non sarebbe che l'unione del diritto della precedente col rovescio di un’altra, coniata da Leone Are- tino per Ippolita Gonzaga (Diana simboleggiata nelle sue tre forme, col motto PAR VBIQue POTESTAS; basti citare Arman, I, 163, 7 e Pron, Leone Leoni sculpteur de Charles-Quint ete., Paris, Plon, 1887, pp. 263-64). Il Vernazza si occupò diligentemente della questione, e n’ ebbe corrispondenza con l’Ab. D. Carlo Trivulzio. — Il ritratto ch'è sulla medaglia fu poi riprodotto in una litografia (Paro- LETTI, Vite e ritratti di sessanta Piemontesi illustri, Torino, F. Festa, 1324, tav. XVII, ed anche a parte). (5) Ricorti, op. cit., II, 370. — Poco più che nominato è il Nostro nel quadro, pur abbastanza ampio, della vità intellettuale nella corte di Emanuele Filiberto, che C. Bowarpr fece precedere al 11 IL CONTE DI CAMERANO 223 Fra l'altro, egli lasciò una biblioteca ricca specialmente di opere letterarie, con largo posto conceduto ai classici (1). D'altra parte ebbe anche ad occuparsi de’ suoi poderi e dell'agricoltura (2). Nel 1570 si recò per incarico di Emanuele Filiberto a Firenze presso Cosimo I, di recente Gran Duca; questa missione, se non di grande importanza, di delicatezza certo, può riconfermarci il grado raggiunto negli onori dal nostro Conte (8). Egli compari tra i primi feudatari piemontesi, nel 1574, attraversando il Piemonte il nuovo re di Francia Enrico II (4). E l’anno seguente imprese a trattare affari diplomatici suo lavoro su Lo studio generale a Mondovì, Torino, Bocca, 1895, v. p. 9. — Cito qui la menzione che del Camerano fa il GrraLpI in quel lungo capitolo che segue agli Ecatommiti (nella prima ediz.: La seconda parte de gli Hecatommithi di M. Grovanzatista Gianpi Cinvaro. Nel Monte Regale. Appresso Lionardo Torrentino, 1565, p. 799 sgg.) e che rientra, come notò il Cian, nella curiosa categoria dei Trionfi di poeti: l’autore fra “ Un ben felice, et honorato Choro , di nobili piemontesi, nomina pure il Nostro: “ Et con lor se ne viene a mano, a mano | Il gran maestro d’altra arte, et d'altra lingua | “ Il mio Conte Francesco Camerano. | Che il parlar nostro, poetando, impingua, | Con raro stile, et “ con ben colte rime, | Perchè lui mai nè oblio, nè tempo estinguai , (p. 812). Qui è detto Francesco, e anche altri nomi gli furono dati; la ragione di tali scambi, persino in chi dovette conoscere la persona, si trova nella “ usanza non saprei se troppo lodevole, ma antica in Piemonte, di distin- “ guere i feudatarj col semplice titolo del feudo, omettendo il nome proprio, e perfino il cognome “ del casato , (Narrone, p. 76). Il nostro poeta era “ Il Conte di Camerano ,, senz’altro. — Il NAPIONE, p. 90 sgg. s'indugia su di una lettera di Annibale Guasco d'Alessandria al Camerano (Lettere di A. G., Milano, appresso gli eredi del Pontio e G. A. Piccaglia comp., 1601, p. 226 sgg.), senza data; vi son lodi per il Camerano, ma:non si parla che di un miracolo di Spagnuolo, un po’ misterioso e sapien- tissimo. (1) Vedi Nazione, p. 95 sog. Non è che una curiosa ed ingiustificata esagerazione quella di L. Mannini (Vita del Conte G.-F. Napione, Torino, Bocca, 1836, p. 77) secondo il quale il Camerano ebbe per “ precipuo studio , il “ raccogliere i migliori scrittori ne' varii generi di discipline: e la “ sua ricchissima biblioteca era aperta a chiunque bramava d'istruirsi ,. (2) V. citata già dal Ricorti (op. cit., II, pp. 392 e 519) la concessione per due derivazioni d’acqua dal Tanaro: Arch. di Stato di Tor., Prott. Ducc., reg. 227, ff. 146-148, 23 maggio 1570; il proposito è assai commendato, perchè inteso anche ad utile pubblico: “ per beneficar un gran paese ° di terreno che adaquandosi verrà a diventare migliore et a dare maggior frutto a chi lo possede, “ ciò che ridondarà in beneficio de molti particolari che vi hanno delle possessioni et doppoi del © pubblico et della nostra città d'Asti ,. (3) La missione si svolse nel mese di febbraio: Arch. di Stato di Tor., Regg. Lett. Corte, 1570; ha la data dell’ultimo di gennaio una minuta di lettere di Eman. Filib. “ a li Duca, Principe et © Principessa di Parma , affidata al Conte di Camerano, il quale ebbe a passare anche questa volta nella città a lui cara. Queste lettere non furono ritrovate nell’Arch. di Stato di Parma. La lettera di Eman. Filib. a Cosimo, con la stessa data, si conserva nell’Arch. di Stato di Fir., Mediceo, filza n. 2960. Delle circostanze della missione si occupa diffusamente il Dott. C. P. De-MagisrRIs in un suo lavoro, che verrà presto in luce, sulle questioni di precedenza tra Savoia e Toscana. A tali contrasti si collega infatti l’invio del Camerano: all'Imperatore, punto benevolo al nuovo titolo di Cosimo, non piacque il divisamento del Duca di Savoia (v. pur l’AprrANI, ed. cit., pp. 850-51); quest’ultimo protestò di non aver riconosciuta la nuova dignità del Duca di Firenze, e d’aver compiuto solo un atto di cortesia. Arch. di Stato di Tor., Lett. Min. Austria, mazzo 4°; a B. Ravoira della Croce, lett. del 3 giugno 1570, ch'io ricordo solo per il cenno che vi si fa del Camerano. (4) In lett. del 30 luglio, con disposizioni per le accoglienze, è il seguente passo, pubblicato da F. Saraceno (Eman. Filib. e il passaggio in Piem. del Re di Polonia nel 1574 in “ Curios. e ric. di “ st. subalp. ,, V, p. 222). “ I feudatari non accade che vengano altrimenti a Vercelli, per non cau- “ sargli tanta spesa e incomodità, massime che vi saranno il Marchese, e Monsignor di Cavorre con “ Ia cavalleria, oltre quelli della città e contorno, con questi che vengono con noi: ma basterà che vengano a Torino quando saranno avvisati, ove potrà venir con gli altri il Conte di Camerano. “ Se però lui vorrà arrivar sino a Vercelli potrà farlo a suo piacere ,. Cfr. De NoLzmac e SoceRtI, Il viaggio în Italia di Enrico 1II re di Francia. Torino, 1890, p. 199. “« 224 FERDINANDO NERI 12 considerevoli fra il Duca e l'Imperatore, specialmente per il disegnato matrimonio di Emanuele Filiberto con Isabella, figlia di Massimiliano, vedova di Carlo IX re di Francia. “ Conviene veder di captarlo' esso [Imperatore] e i ministri suoi et tentar “ questo per diverse vie et modi , e questi appunto egli indicava con ogni sotti- gliezza (1); rimane però oscura questa missione e sarebbero desiderabili maggiori documenti, dai quali l’operosità diplomatica del Camerano ci apparirebbe sotto un aspetto interessante. La morte del Conte Federico avvenne il 25 dicembre 1575, come ci attesta una lettera del figlio Francesco (2). La moglie gli sopravvisse fino al novembre 1582. Il ramo degli Asinari di Camerano si estinse col Conte Francesco (1602, 31 ottobre); Giulia Margherita, sposa nel 1572 a Ghirone Valperga Conte di Masino, viveva ancora nel 1625. Formataci così un'idea della vita politica del Conte di Camerano, potremo con- siderare l’opera sua quale ci è rimasta; intrecciare le notizie biografiche con l’esame critico non sarebbe stato possibile per le condizioni della materia, non così ricca e concorde da permettere un ‘procedimento parallelo, cui troppe volte l'immaginazione avrebbe dovuto recare soccorso. (1) Arch. di Stato di Tor., Lett. Min. Spagna. Nel mazzo 2 è una minuta, scritta certamente dal Camerano: essa non è qui a suo posto: inoltre vi è segnato sopra falsamente: “ Minuta di lettera di S. A. al Conte di Camerano ,, onde si spiega la doppia indicazione che dà N. BrancHI (Ze mat. polit. relative all’estero, ecc. Modena, 1876, Carteggio diplomat. Spagna) di una lett. del Camerano e di una minuta del Duca: ad ogni modo altro non si trova se non questa minuta, della quale è segnata esternamente la data, 22 maggio 1575. Il Narrone (p. 102) ci conserva il semplice cenno di una lett. in data 10 genn. 1575, del Marchese di Ayamonte, governatore di Milano, e di un'istruzione del Duca, 13 luglio, donde era possibile argomentare un’importante negoziazione affidata al Came- rano. Nemmeno il Napione però non vide questi documenti, che dovevano esistere allora nell’Ar- chivio della Camera. La congettura più probabile è, che il Conte di Camerano dovesse bensì recarsi presso l'Imperatore, ma non compisse poi questa sua missione; della quale doveva essere consape- vole il Marchese d’'Ayamonte. Questi infatti intervenne nelle trattative e per questo matrimonio e per l’altro, voluto dall'Imperatore, fra il Principe Carlo Emanuele e l’Infanta Caterina. Arch. di Stato di Tor. Mat. Polit. (Negoziaz.), mazzo I, Spagna, istruzioni e lettere del Duca per il governatore di Ceva, Carlo Pallavicino: tutte in data 12 dic. 1575. (2) Bibl. Civica di Tor., Racc. Cossilla. La lett. è indirizzata al “ Principe di Savoia ,; dice che Federico morì da cavaliere cristiano, e il nuovo Conte chiede di succedere al padre nella benevo- lenza del principe, assicurando la sua fedeltà e devozione. — La falsa data della morte del Came- rano — genn. 1576 — ripetuta da molti, e da qualcuno anche dopo che il Napione la corresse, si deve alla nota posta da Giulio Cambiano di Ruffia ne’ suoi Memorabili d'estranei (1542-1611), nota che il Vernazza aveva veduto prima della lettera del Conte Francesco. Quei Memorabili furono poi pubblicati da V. Promrs (Mise. di St. Ital., IX, v. p. 199 e n.). Il necrologio è semplice: “ bravo in “ litere et arme ,. 15 IL CONTE DI CAMERANO LO DI Ut II. L'opera poetica del Conte di Camerano comprende una tragedia IZ Tancredi principe, un numero notevole di rime, la più parte amorose, e due poemi Le trasfor- mazioni e L'ira d'Orlando, rimasti incompiuti. Se non teniamo conto di un epigramma latino e di un sonetto (1), possiam dire che, vivente l’autore, nulla fu dato alle stampe; questo non dimostra naturalmente che i suoi scritti, pur essendo inediti, non abbiano avuto qualche divulgazione fra i letterati; anzi, che alcuni dovessero essere abbastanza noti è chiaro sol che si guardi al modo delle pubblicazioni postume. La tragedia ha importanza maggiore: qualche erudito ebbe ad occuparsene, per correggere se non altro gli errori di attribuzione che si trovano nelle stampe; ma è di per sè lavoro che merita di essere esaminato. Le rime andarono in parte sparse in alcune raccolte della fine del secolo XVI. I poemi rimasero inediti sino al 1795, anno in cui vide la luce l’edizione torinese, che è bene citar subito (2). Mi occuperò prima del Tancredi. Nel 1587 il comico italiano Bernardino Lom- bardi (3) fece stampare in Parigi una tragedia La Gismonda sotto il nome di Torquato Tasso (4), accompagnandola di una gonfia dedicatoria a Carlo Barone di Zaretino: quando l'aveva veduto a Siena gli era nato il desiderio di essergli grato, ed ora ha “ imitato “ in ciò quel timido fanciullo, il quale caminando di notte se ne va per pavura cantando ,, ed ha pigliato per sua scorta nel presentarsi al molto lodato signore “ una de l’opere “ del piu famoso Poeta de nostri tempi ,; nè, dice, deve l’autore di tal “ degna elet- “ tione , dolersi. Errò il Lombardi, o volle ingannare? Sembra più probabile questa ultima ipotesi. Ad ogni modo questa Gismonda non è punto del Tasso; non è se non (1) L’episramma latino col trattato De re militari et bello (Ven., F. de Portonariis, 1563) di Pre- mRINO Bento, e il sonetto nelle Rime del Caro (ed. di Ven., Aldo, 1569; di nuovo nel 1572, ecc.). (2) POESIE | DI | FEDERICO ASINARI | CONTE DI CAMERANO || Torino Presso Francesco Prato | MDCCXKCV, in-16. Il primo tomo contiene la parte già pubblicata: la tragedia, rime e un epigramma latino; il secondo la parte inedita: rime e i due poemi. L'edizione, sebbene in essa non sia indicato, fu curata dal Vernazza; egli stesso però se ne mostrò scontento, e ne vagheggiava una “ migliore “ di molto ,. Il Napione chiude il suo scritto facendo voti per “ una splendida, e corretta edizione ‘ delle Rime, e degli altri poetici Componimenti del conte Federico, più degna della bellezza ed ‘ eleganza loro, che non sia quella di Torino dell’anno MDCCXCV , (pp. 110-11); questa dice “ meschina ,. Certo l'edizione non può appagare interamente, manchevole com'è di ogni informa- zione critica, là dove i raffronti sarebbero stati doverosi; ora si aggiunge che è divenuta alquanto rara; ma non credo che nemmeno quest’arsomento possa indurre a compiere il voto, che presto sarà centenne, del Napione: essa è sufficientemente corretta e fu preceduta da uno studio, per quanto incompiuto, de’ manoscritti; io cercherò ora di aggiungere le osservazioni più importanti. (3) De’ comici Confidenti, ed anche autore di una commedia in prosa ZL’ Alchimista (1% ed., Fer- rara, Baldini, 1583). Nell’36 era ancora a Genova; rimane una supplica di lui per la compagnia al Senato Genovese. L. Rasi, I Comici Italiani, vol. II, p. 36. Cfr. Bascner, Les Comédiens italiens à la cour de France, Paris, Plon 1882, p. 89 sgg. e D'Ancona, .Originî*, II, p. 457 n. (4) LA GISMONDA | TRAGEDIA DEL | SIGNOR TORQUATO TASSO NUOVA | mente composta et posta in luce. | All’Illustrissimo Sig. Carlo Barone | di Zaretino | A Paris | chez Pierre Chevillot, jmprimeur et | libraire, rue S. Victor, au | chapeau rouge | 1587, in-8. Seri II. Tom. LI. 29 226 FERDINANDO NERI 14. il Tancredi del Conte di Camerano (1). — Nel 1588 Gherardo Borgogni (2) pubbli- cava in Bergamo il Tancredi (3), attribuendolo sì nel frontispizio al Conte di Came- rano, ma chiamando poi questo, nella dedicatoria al Borromeo, non Federico, ma Ottaviano (4). Allude ad alcune copie manoscritte che andavano a torno della tra- gedia, e di due che vide e raffrontò, e pare, a sentir lui, che pubblichi cosa deside- ratissima. Non fa nemmen cenno della precedente stampa di Parigi, e possiam credere che veramente non l’abbia conosciuta: gli sarebbe convenuto parlarne per accrescere l’estimazione dell’opera. — Poi la tragedia non fu più ristampata sino al 1795, in Torino. Fssa ci è anche conservata in varì manoscritti: e, prima di farne un'analisi interna, è necessario considerare brevemente la costituzione del testo, pur ricono- scendo che non è certo il caso di notare tutte le minuzie di varianti, chè in tale argomento sarebbe inutile eccesso. Do qui una notizia generale dei manoscritti contenenti le poesie del Camerano, riservandomi di trattare particolarmente di ciascuna parte di esse. < Bibl. Marciana. Il ms. Zanetti, ital. LXVI, 103, 8, derivato per eredità dalla libreria di Giambattista Recanati, fu noto allo Zeno, che gli assegnò grande impor- (1) Zexo, Lettere, 2* ed. Ven., Sansoni, 1785, vol. III, p. 239 sgg. Lett. a Pier Caterino Zeno (di Vienna, 81 genn. 1721); partecipa la scoperta. Crede che il Lombardi stesso “o avvertito dell’in- “ ganno, o vergognatosi dell’impostura , abbia procurato ben tosto di sopprimere la stampa. Certo questa è rarissima. — La lettera fu riprodotta dal SoLerti, Vita di T. Tasso. Tor. 1895, vol. II. Appendice. XVIII (v. pure vol. IN, p. 121, fra le © Opere falsam. attrib. a T. T.,). — Il Vernazza aveva fatto una giusta osservazione, di cui bo trovato nota fra le carte di Alba:la poscritta che si legge in seguito alla lett. a P. C. Zeno, di Vienna, 28 genn. 1719 (v. vol. II della citata. ediz. la quale pure è emendata, pp. 470-71) deve porsi invece dopo la lett. del 81 genn. 1721. La cosa appare chiarissima a chi veda le due lettere; la scoperta è detta recente nella lett. del ’21; alla Gismonda creduta ancora del Tasso, si accenna in lett. a P. C. Zeno, di Vienna, 7 dic. 1720 (vol. III, p. 212 sgg.); quella poscritta è assolutamente fuori di posto, e lo scambio dovette avvenire per la data che essa porta (1° febbr.). — Lo Zeno pubblicò le sue osservazioni nelle Annotaz. alla Bibliot. dell'elog. ital. del Fontanini, ed. cit., I, p. 481. Questa tragedia fu sorgente di più d'una confusione ai bibliografi; a p. 881 delle Annotaz. lo Zeno corregge pure l’Arvacci, Drammaturgia, 1% ed., indice sesto: Drammi creduti inediti, ovè collocata una Gismonda del Conte di Camerano, non esistente: “ laonde sotto “i due titoli si comprende una sola Tragedia ,. Il Gurtini (Teatro d'Muomini letterati, Ven., Gue- rigli, 1647, p. 106) attribuisce al Borgogni il Tancredi, come anche interamente Le Muse Toscane; ma non giova rilevare tutte le inesattezze di consimili vecchi repertori. (2) Sul Borgogni, un poligrafo e compilatore, che attese a varie stampe in servigio di tipografi (specialmente pel Ventura di Bergamo), si consulti lo scritto del Vrrnazza (Notizie degli scrittori albesani i quali vissero avanti il secolo XVIII, Asti, Pila, 1773, p. 98 sgg.); il valore del concittadino n’esce un po’ esagerato, ma le notizie sono diffuse e sicure. (3) IL TANCREDI | TRAGEDIA | DEL | SIGNOR CONTE | DI CAMERANO. | DAL SIG. GHHE- RARDO BORGOGNI | di nuovo posta in luce. | Al’TIM.®° Sig. Conte GIO. BATTISTA Borromeo. || Con licenza de’ Superiori. | m BERGAMO, Per Comino Ventura. | MDLXXXVIII. in-8. L’Arracor cita anche un’ediz. del 1586, che non esiste, e non esistono le due ediz. 1583 e 1598, dell’ArceLatI (Bibl. Script. Mediolanensium, t. II, P. II, col. 2070); nè l’ediz. di Venezia, del Morano (1. c.). (4) “ del molt'Tllust. Sig. Ottaviano Asinari, Conte di Camerano, Cavaliero, e Poeta di famoso e “ glorioso nome, e di sempre grata e felice memoria ,. L'errore si diffuse variamente: il MAzzucneLLI, che pure raccolse buone e concise notizie sul Nostro (Serittori d’Italia, vol. I, P. IT, p. 1161-62), dedica un articolo speciale ad Ottaviano Asinari Conte di Camerano, falsamente creduto autore del Tancredi; onde il Gixcueni (Mist. Wtt. d’It., t. VI. Paris 1813, p. 108 n.) ebbe ad intendere Federico, fratello o parente di Ottavio. Si badi: un Ottaviano Asinari di Camerano non esistette; e non m’indugio a ricercare la causa dell’equivoco, avendo già notato la facilità di tali scambi nei nomi di battesimo. 15 IL CONTE DI CAMERANO DO 27 tanza (1). Contiene due libri di Rime, il Tuncredi principe, e delle Trasformazioni i tre primi libri e il principio del quarto (2 ottave). Precede quest’avvertenza: “ Lector “ multa hic cognosces abrasa atque rescripta nam aucetor cum summam manum libello “ huic adhiberet id fecit. Multa enim scriptoris incuria passim fuderat que (sic) resti- “ tuenda erant. Caeterum scias totum hoc qualecumque sit in singulis suis vel minimis “ partibus sive id natura sive id arte evenerit non temere aut casu sed consulto “ exaratum fuisse. , Per questo lo Zeno ebbe a dire quel codice “ quasi originale ,. Le correzioni, assai numerose nell’intero testo, ben esaminate si manifestano della stessa mano, solo di forma un po’ più corsiva; posso affermare, per il raffronto delle scritture, che possediamo in quel codice un autografo (2). Bibl. Nazionale di Torino. Il catalogo Pasini registra un codice del sec. XVII, di poesie del Camerano (3). È il più copioso, poichè contiene Sonetti e canzoni, ma senza divisione di libri; la tragedia; i tre primi libri delle Trasformazioni e il prin- cipio del quarto (anche qui solo due ottave); e tre libri Dell’ira d’Orlando (e si nota esplicitamente che manca il resto del terzo libro). — A questo vennero ad aggiun- gersi altri quattro, donati dal Vernazza (4). L'uno (segnato N. I, 9) non è che la copia del citato codice veneziano, fatta eseguire dal Vernazza per i suoi studi (5). — AI codice veneziano ci riaccostiamo con un altro (N. III, 25), che ha la stessa inti- tolazione (6), e subito dopo la stessa avvertenza in latino, riportata sopra; ma gli errori di scrittura che s'incontrano in quel latino ci dimostrano che qui fu solo copiato, e senza ragione, perchè di abrasioni e di correzioni non v'è traccia. Son più copiose le Rime; contro la dichiarazione del frontispizio la tragedia qui manca, e si trova invece, senza titolo, il principio del poema Dell’ira d'Orlando (tre libri); cui fa seguito {1) Amnot. cit., pp. 480-81 (Il ms. è semplicem. cartaceo, non in pergamena). — Lo Zeno lo vide sin da quando era in possesso del Recanati: anche di un altro fa cenno (Lettere, ed. cit., vol. II, p. 241 © uno era tempo fa presso il fu Angelo Boldù , e crede ne abbia fatto acquisto il Recanati); non so nulla di questo ms. cui non v'è indizio si debba attribuire molto valore: (2) L’avvertenza latina dichiara dell'autore le correzioni, ma di poco poteva essere incolpata l’imeuria dello scrittore, poichè le correzioni non tolgono errori materiali di trascrizione, ma son tutti mutamenti voluti dall'artista: parole sostituite, rifatti versi e sonetti e intere pagine. (3) Si veda fra gli Italici il XCII. L'indicazione che è data del titolo, non è esattissima. Il Maz- zucaeLLi (cit. p. 1162) fa poi notare gli errori nelle due citazioni addotte nel Catalogo: come cioè il Crescimbeni attribuisca a Ottaviano e non a Federico, e come il Rossotti (SyMadus scriptorum Pedemontti... Monteregali 1667) non faccia nessuna menzione del Camerano. — La segnatura presente di questo ms. è N. II, 7. È molto elegante, rilegato con lusso; sulla guardia anteriore reca dipinto lo stemma di Savoia, secondo lo ridusse Emanuele Filiberto con l’'inquarzo delle armi di Sassonia, e continuò ad usarlo Carlo Emanuele I. (4) Sono registrati nell'Appendice ms. al Pasini. Essi recano; tutti e quattro la seguente scritta, di mano del Vernazza: “ Dono del Barone Vernazza alla Regia Pubblica Biblioteca di Torino, mar- “ tedì 30 di marzo 1819 nel qual giorno l’Abbate Alessandro di San Marzano, agnato del Conte di “ Camerano, è stato aggregato al Collegio de? Teologi:,. (5) Infine v'è, con la data del 20 sett. 1775, un’attestazione della bontà della copia, di A. M. Zanetti, custode della libreria di S. Marco. E veramente essa è fedelissima: vi si tien conto di tutte le can- cellature e correzioni. — Il Vernazza era lieto di tal copia — favore conceduto solo a “ persone “ grandi, — e ce lo fa sapere anche il Napione (p. 76 n.) Precedono alcuni fogli mss. del Wernazza, e in uno è copia dell’arma gentilizia del Conte di Camerano. (6) “ Dell’ill.° Sig. Federigo | Asinavi Conte di | Camerano. [| Delle Rime libri due:| Il Tameredì “ Prencipe | Tragedia || Delle Trasformationi | tre primi libri [| Sors mea morta | lis. Non est mortale “ quod opto , 228 FERDINANDO NERI 16 il principio dell'altro poema Delle Trasformazioni (tre libri e del quarto 30 ottave). Anche tacendo della differenza essenziale dei componimenti contenuti, questo mano- scritto non è certo una copia del veneziano: se guardiamo alle rime, esse non corri- spondono pienamente nè alla lezione primitiva, nè alla lezione corretta; ma d'altra parte le somiglianze così strette di alcune parti, persino nelle identiche spezzature di linee nel secondo poema, dove qui lo spazio non le avrebbe richieste, ci dimostrano che questo ms. deve avere con l’altro qualche legame, per quel lavorìo di composi- zione e di correzione che ci apparirà così vario nelle poesie del nostro autore. Io assegnerei questo ms., come il seguente, al sec. XVII. — N. IV, 24, cod. molto scor- retto, è però importante per l'aspetto che offre nel testo della tragedia e delle rime; chè non contiene altro. — Importante senza dubbio è N. III, 5, che si manifesta, in modo chiarissimo, autografo: comprende la tragedia e i tre primi libri delle Trasfor- mazioni (1). Finalmente, manoscritti della sola tragedia conosco il Parmense 1604 (2), il Trivulziano 990, e il Riccardiano 2824 (83). [gt Eccoci ora al testo della tragedia Il Tancredi principe (4), che si presenta nelle varie riproduzioni con alcuni mutamenti notevoli. Oltre alle varianti di singoli versi e parole, ve ne sono pure nella composizione del lavoro; non alterano l’azione, ma rivelano i dubbi e i ritorni dell’autore sulla sceneggiatura. — Il Vernazza aveva già (1) Nelle carte vernazziane di Alba è il semplice cenno di un cod. Villa (della famiglia discen- dente per parte di donna dal Camerano) con la specificazione di autografo; ma il cod. stesso è ricordato in modo preciso nel carteggio col Ranza, tanto che è sicura l’identificazione con N. III, 5 (v. RosertI, Il carteggio erudito, ecc., cit., p. 816 n.). Anche il Ranza possedeva un codice, del Tancredi, e s'era proposto di curarne un'edizione. — Inoltre, il Vernazza accenna al suo codice, compito; io non l'ho veduto, ma ad ogni modo non si tratta che di copia eseguita o fatta eseguire da lui sui codici che allora conosceva, come si deduce da questo schiarimento (sempre nelle carte d'Alba): Nel genere tragico: Il Tancredi, copiato dalla stampa di Bergamo riscontrata con l’ autografo. Nell’ epico: Il poema delle Trasformazioni, copiato dal codice di Torino e riscontrato con l’autografo e il cod. di Venezia. I tre libri dell’Ira d'Orlando, copiati dal cod. di Tor. dove solamente si trovano. Nel lirico 123 composiz. ital. e un’epigr. lat.; delle ital., 24 inedite e copiate dal cod. dell’Univ., un son. copiato dal Ranza, uno dallo Zabata; le altre dall’ediz. di Ven. 1599 riscontrate col cod. di Ven. — È pro- priamente ciò che si contiene nell’ediz. del 1795, la quale dimostra appunto, sebbene non vi sia nessun richiamo ai mss.,, i riscontri con quelli ora citati; solo nel tomo secondo si riconosce che il Vernazza ebbe a vedere qualcosa di più: basti dire che delle Trasformazioni il 1. IV ha le 30 ottave, recate solo da un ms. (ora N. III, 25 di Tor.), non compreso nella preced. indicazione. In questo senso dobbiamo intendere l’affermazione del Napione (p. 111) “ Sappiamo che il Signor Barone Ver- “ nazza emendò soltanto i due Poemi, rimasti imperfetti, ed alcuna altra cosa inedita ,. La stampa fu tutta curata dal Vernazza, ma questi, venuto poi in possesso di altri mss., veduta la maggiore importanza di alcuni (anche senza essersi accorto del valore del veneziano come autografo), non istette più pago a quell’edizione. (2) Nella Bibl. Palatina di Parma. È incompiuto sul fine: una nota ms. — riconosciuta del l’Ab. Michele Colombo — ci avverte che quest’ esemplare era posseduto da Pomponio Torelli, e inoltre che è di mano del Torelli; fatto il confronto, l’affermazione non mi è risultata sicura, e mi ha persuaso nel dubbio qualche errore curioso della copia. (3) Possono riferirsi tutti e due al sec. XVII; in tutti e due, come ‘nel Parmense, l’ autore è indicato semplicemente “ Il Conte di Camerano , (Non è giustificato il nome di Ottavio, segnato nel catalogo del Porro, Trivulziana, Tor., 1884, p. 55, se non pensando alla stampa di Bergamo, che vien pure citata). Il Trivulziano è manchevole in fine, con pochi versi più del Parmense. (4) Il titolo esatto è questo, come lo troviamo nei due autografi e in varie copie. UR7 IL CONTE DI CAMERANO 229 notato (1), confrontando la stampa di Bergamo col ms., allora unico, della Biblioteca dell’Università di Torino, una differenza importante nell’atto quarto (secondo la stampa, che reca la divisione in atti); “ perchè l’azione che nella stampa si vede rappresen- “ tata per via di un dialogo, nel codice vien narrata a dilungo da un noioso messo “ che non finisce mai. , Nel codice, dopo il verso del coro “ Spegna in te l'ira, et “la pietà raccenda , incomincia subito il Sacerdote “ Già dal meriggio verso l’Occi- “ dente, e segue come nella stampa c. 33 v. e sgg.; dopo il v. “ Ministro andrai di doloroso ufficio ,.il Messo continua “ Eccovi le parole ad una ad una. | Signor, rispose Almonio, tutti quelli, | C'hanno di cose dubbie a dar consiglio... , e reca quella parte che nella stampa è posta in principio all’atto IV, con due versi di introdu- zione (c. 30%.): entrano Tancredi e Almonio, e Tancredi domanda: “ Udito, Almonio, “ hai la sciagura mia; | Dimmi, che deggio far? che mi consigli? , e Almonio risponde: “ Signor mio, tutti quelli | C'hanno di cose dubbie a dar consiglio... , — E procedono codice e stampa in relativa concordia sino al v, “ Et glorioso nome di Salerno ,, dopo il quale il codice ha questi vv., essendosi sempre continuata la narrazione del Messo: « Fu d’Almonio crudel questo ’1 consiglio, | Donne, contra Guiscardo. Ghoro. Ahi “ perche fore | De le città ben governate a questa | Arte non si da bando, a questa peste, | Che chiamano Eloquentia, onde ‘1 maligno | Che ne sia dotto l’innocente opprime? | Ma che disse Tancredi? et tu presente, | Che rispondesti, acciò che non seguisse | Così fera sentenza? , La stampa invece (c. 33.) hai vv.: “ Cho. Nulla risponde il Principe: vedete | Come ratto ritorna entro il palagio | Di feroce dolor dipinto il volto; | E nel mesto silentio manifesta | Inchinarsi al consiglio di colui, | Che invidioso il segue. Ahi perche fori | De le città ben governate a questa Arte non si dà bando, a questa peste, | Che chiamano Eloquentia, onde il maligno | Che ne sia dotto l’innocente opprime? | Ma quindi esce del tempio il Sacerdote: | Che se giungea più tosto avrebbe forse | La sententia d’ Almonio rintuzzata. | “ Sac. Già dal meriggio verso l’occidente ..., e v'è la parte che precede nel cod. sino al wv. “ Ministro andrai di doloroso ufficio , cui seguono nove vv. del Messo, mancanti nel cod. “ Poi c'hebbe detto il Principe partissi, | ... Al traditor, la vita; “ a te l'affanno. , (c. 370.), e poi riprende il Coro: “ 0 ministro crudel. Ma tu pre- “ sente | Che rispondesti acciò che non seguisse... , come sopra. — Ora questo sposta- mento non fu arbitrario del Borgogni; nella già ricordata dedicatoria al Borromeo (13 K “ de “ « “ & “ “ (°3 egli scrive di due copie che intese essere in Milano, l’una delle quali era presso il sig. Claudio Albano; giunse ad averle tutte due. “ Ben è vero, egli dice, ch’erano “ alquanto manchevoli, e difettose in molti luoghi; perciò che l’una era senza la “ divisione de gli Atti; et in quella del Sig. Albano mancavano poi molte cose, “ ch’erano nell’altra. Finalmente d’ambedue formai, e ridussi alla sua vera lettione “ la, presente. , Qui si parla di copie manchevoli; infatti, i mss. delle opere del Camerano non presentano un aspetto uniforme: tutte le poesie furono più volte cor- rette e fra le varie correzioni dovette trascorrere del tempo. — Ho già fatto cenno di un autografo che si conserva a Torino, e dell’altro di Venezia così frequente di . (1) Scrittori albesani, cit. pp. 107-108. Si viene a parlare del Tancredi trattando delle pubbli- cazioni per cura di Gherardo Borgogni. 290 FERDINANDO NERI 18 correzioni. Ora, il ms. torinese, che fu pur esso soggetto ad un lavoro di revisione, ci conduce al testo sul quale il ms. veneziano ebbe ancora esercitate altre correzioni ; e, senza stare a lungo per dimostrarlo, basti dire che vari passi, mutati nell’auto- grafo torinese, figurano nel veneziano con la forma corretta; versi aggiunti nell’uno, nell'altro fan già corpo nel testo, e versi tolti più non ricompariscono. — La stesura primitiva della tragedia era col racconto dell’atto quarto (diciamo così per brevità) tutto pronunziato dal Messo, e così troviamo pure nel cod. veneziano; ma il torinese in questa parte dovette essere corretto più tardi; sì che al principio della parlata del Sacerdote v'è un richiamo, e si fa cominciare l’atto col dialogo di Tancredi e di Almonio, press’a poco come nella stampa; e dopo il v. “ Et glorioso nome di Salerno , è una correzione che risponde ai vv. citati della stampa: “ Nulla risponde il prencipe, “hor vedete... La sentenzia d’Almonio rintuzzata ,. Di questa correzione il ms. di Venezia non ha segno nessuno. L'autore dunque, accortosi della monotonia di quella lunga narrazione, volle ripararvi accrescendo di una scena lo svolgimento della tra- gedia; ma non si avvide poi che lasciava sospesa, non fusa la parte onde avea tolti. i versi di quella scena; e nemmeno fu compiuta proprio bene la modificazione con l'aggiunta di que’ nove versi (c. 37 e. della st. di Bergamo, v. s.), che però, pur essendo mancanti negli autografi, io non crederei sostituiti da altri, giacchè li vedo in stampe e mss. fra loro indipendenti. Possiam notare di più: nell’autografo torinese, sulla fine dell’atto quarto dopo il v. “ Et dille ’1 padre, tuo questo ti manda , sono cancellati i vv. “ Come di far “ giuro, per consolarti | Di quella cosa che più ami come | Hai tu lui consolato | Di “ ciò ch'egli più amava. | Così Donne me n'entro et piaccia a Dio | Ch'io non ritorni “a voi | Nuntio di nova morte et novo pianto , (1); e si passa subito al Coro: “0 magnanimo core. , Così mancano i vv. della stampa da “ Ecco ch’ella ne vien “a farsi incontra , (c. 40 ».) sino a “ Colà dentro a morir ratta sen vola , (c. 42 v.), cioè Gismonda non compare in iscena. Nella prima forma l’atto quarto non consi- steva che in una narrazione di fatti al Coro attento e a quando a quando esclamante. Nel cod. veneziano dallo stesso v. “ Et dille, il Padre tuo questo ti manda , riman- gono incomprensibili per le fitte cancellature alcune facciate e si ricomincia a leggere col v. “ L'’opere belle e sante , che è nel Coro seguente all’atto quarto (c. 43 v. della st.). Ma quel lamento di Gismonda è poi dato dall’autografo torinese nell’atto quinto, in un’altra narrazione del Messo; nel qual punto il ms. veneziano reca un'altra lunga cancellatura, onde dovettero essere tolti que’ versi, sì che il testo vien ridotto press'a poco come nella stampa. Per tali spostamenti è avvenuto che l’edizione tori- nese del 1795 reca inavvertitamente quel passo del lamento di Gismonda due volte (cfr. t. I, pp. 77-78 e 85-87), nell’atto quarto e nel quinto. Nel comporre la tragedia l’autore dunque ad una prima condotta dell’azione al’ tutto narrativa, cercò di dar più movimento, spostando alcune parti e facendo che i personaggi stessi venissero in iscena. — Questi brevi raffronti ci persuadono che nè (1) Questi tre ultimi vv. chiudono l'atto IV nella stampa — intendo sempre quella di Bergamo; che ho potuto aver di continuo per i raffronti; ma la disposizione generale, e quindi tutte queste osservazioni, valgono del pari per quella di Parigi —: “ Donne, io la vuò seguir et piaccia a Dio... , perchè susseguono all'uscita di scena di Gismonda. 19 IL CONTE DI CAMERANO 231 .l’autografo torinese, nè il veneziano ci dànno veramente la tragedia in una forma definitiva e ci spiegano la discordia che si mantenne nelle copie, anche del sec. XVII. Noi non possediamo intera una serie di mss., attraverso la quale il testo sia venuto a comporsi in una forma rispondente all’ultimo concetto del poeta; però abbiamo quanto basta. — Dobbiamo leggere la tragedia senza tener conto della divisione di atti e di scene (1). Dobbiamo notare che la stampa di Bergamo, e su questa la tori- nese, danno al Coro fra il terzo e il quarto atto questo principio: “ Poi che dal “ matern’alvo | Fin quando nasce l’uom volt’ha le piante | Al mal, nè trarlo salvo “ | Altro può mai che man del Ciel aitante , mentre tutti i mss. incominciano col Vv. che sussegue “ Sommo Dio, quella gratia onde l’errante ,; cioè vennero pareggiate le stanze là dove l’autore aveva voluto una ballata (ABB: c D c DDBB, tre stanze). . Chi aggiustò, o credette di compiere la manchevolezza di una canzone, o ritenne poco adatta la ballata proprio sulla soglia della catastrofe; ma, a parte gli usi anche gravi e sacri cui la ballata potè piegarsi, chi ben guardi la tragedia italiana del Cinque- cento vede come da molti autori si sia cercato di dare alla parte lirica del Coro, a questo frutto immediato dell’imitazione classica, gli atteggiamenti più varî. — Quanto alla disposizione dell’atto quarto possiamo seguire le stampe, badando a togliere, ove si segua la torinese, la parte sovrabbondante nel quinto. — La stampa di Bergamo presenta poi molte varianti particolari: son mutate alcune parole e alcuni versi man- cano (2); tralasciamo le semplici differenze ortografiche.—L’“ Argomento della Favola , recato dall'edizione del 1795, è tratto dall’autografo torinese, nel quale solo si trova; e solo l'edizione di Parigi e N. IV, 24 contengono l’“ Epitafio di Tancredi Principe di “ Salerno , — di 17 endecasillabi sciolti —, che riassume l’azione con intento morale. (1) Divisione proprio in atti e scene troviamo solo in N. IV, 24, ma è grossolana: poco si bada al mutar dei personaggi e non appare come il Coro sia stabile. La stampa del Borgogni divide in un Prologo (Sacerdote, Ombra) e cinque atti. La divisione della stampa di Parigi corrisponde a quella della stampa di Bergamo, sebbene gli atti sieno chiamati scene, precisamente come avviene nel ms. Trivulziano. — L'autore aveva pensato ad una certa divisione, poichè nell’autogr. torin. si tro- vano qua e là, cancellate, le annotazioni dei personaggi; l’autogr. venez. non ha più traccia di divi- sione; solo rimane una nota, sul principio: “ Fanno il Prologo il Sacerdote et l’ombra ;. (2) Aveva ragione lo Zeno, e nelle Lettere e nelle Annotaz., di affermare che dell’ediz. parigina, sebbene scorrettissima, “ si può far qualche uso, da chi la collazionasse con quella di Bergamo ,, perchè in molti luoghi è più vicina all’originale. — Ho accennato come l’'ediz. del 1795 si sia gio- vata dell'autogr. torin.; il principio direttivo fu per il Tancredi di non togliere nulla dalla stampa di Bergamo, ma di correggere le lezioni varianti secondo l’autografo; siccome ciò ch'è in più nella stampa risponde in genere al ms. veneziano, quel principio non troppo severo di critica approdò a bene, ed è da consigliare la lettura di quest'edizione, preponendola alle altre due ove s’incontrino diversità. Degli errori avvenuti nel confronto col ms. o semplicemente nella stampa, noto alcuni soltanto, che mutano un po’ il senso e passerebbero inosservati: p. 12, Però che vuol col buio della notte = corr. suol; p. 17, Per l’alma, ond’hanno e membra, e carne, e vita = e carni vita; p. 59, Onde battuto da due forze essendo = forze; p. 63, forse ne fia = fosse nè fia; p. 70, Lassa! qual agghiace- ciato orror mi scorse = scorre. — Starei però con la stampa e con la convenienza contro i mss. nell'accettare il v.: “ Sfortunata Città di Principe orda , (p. 90) e non “ Sfortunata Città di Principe “ orbo ;; ma siamo in quell’infelice sticomitia che ha i vv. ironicamente rilevati dal Gaspary: “ Camer® Egli si ha tratto da se stesso gli occhi. — Coro. Fia dunque divenuto un nuovo Edipo ,. E questo, già per il Vernazza era un verso “ scurrile ,, il solo che avesse trovato in tutta la tragedia. 232 FERDINANDO NERI 20 Il. La tragedia, derivata dalla novella del Boccaccio (g. IV, n. 1), ne segue molto da vicino la tessitura e in varî punti si accontenta di verseggiarne la prosa (1): sono interi passi insertati a volta a volta senza nessuna cura di nascondere la fonte, direi quasi con una ricerca di fedeltà, nell’attesa di una successiva elaborazione arti- stica. Ritroviamo subito una parafrasi nel Prologo, come ad introduzione, onde si avvii il racconto: “ Là dietro a quel palagio | È cavata nel monte una spelonea, | Di “ lunghissimi tempi avanti fatta; | Alla qual porge lume uno spiraglio | Pur cavato “ nel monte anch'esso a forza, | E perchè abbandonata fu la grotta | Di già molt’anni; “è fra virgulti e pruni | Lo spiraglio nascosto; | Quindi scender si può ne la ca- E salir poi per lunga scala in alto, | Ove si serra un uscio, | Per cui si verna, “ va nell’una | De le terrene stanze di Gismonda. | Quell’uscio, il qual gran tempo “ è, che si chiuse | Tal, ch’alcun non sapea ch'ivi uscio fosse, | Ha Gismonda trovato “et hallo aperto... , (2). Leggiamo ora nel Decameron: “ Era allato al palagio del “ Prenze una grotta cavata nel monte, di lunghissimi tempi davanti fatta, nella «“ qual grotta dava alquanto di lume uno spiraglio fatto per forza nel monte, il «“ quale, per ciò che abbandonata era la grotta, quasi da pruni e da erba di sopra “ nàtevi era riturato; et in questa grotta per una segreta scala, la quale era in una “ delle camere terrene del palagio, la quale la donna teneva, si poteva andare, come “ che da un fortissimo uscio serrata fosse. Et era sì fuori delle menti di tutti questa “scala, per ciò che di grandissimi tempi davanti usata non s’era, che quasi niuno “ che ella vi fosse si ricordava ,. E simili accostamenti si presentano con una certa frequenza, specialmente verso il fine: il lamento di Gismonda era già stato fatto, e da quel valente narratore, e il poeta tragico lo prese di pianta. Noi possiamo assistere esattamente all’atteggiarsi di questa novella nella dram- matica, al formarsi dei caratteri elementari, necessari per un congegno scenico : vicino a Tancredi, principe onesto, ma carattere debole, Almonio Capitano, animo perverso, invidioso, subdolo insinuatore ed esecutore di male, e un così detto Con- sigliero, che deve poi rimproverare a Tancredi l’imprudenza non più riparabile ; vicino a Gismonda la Nutrice (e basta il nome); e intorno ancora ai personaggi il Coro stabile; così ciascuno di essi può venire sulla scena e parlare. Non è se non uno special modo di ordinarsi e comporsi della forma narrativa. (1) Due esempi, tolti dal lamento di Gismonda, aveva recato G. B. Parisorti nel suo Discorso sopra il Tancredi Tragedia del C. di C. (Race. di opusc. del Calogerà, t. XXV, Ven. Occhi, 1741), pp. 8342-43. Il Vernazza fece un minuto raffronto, ove non è tralasciato quasi nulla: rimane fra le carte di Alba. V. pure il Varrauri, St. della poesia in Piemonte, cit., pp. 144-45. (2) Io mi valgo per solito, quando riferisco vv. del Camerano, del ms. di Venezia con mutamenti di ortografia lievissimi. Da IL CONTE DI CAMERANO 23: )o (DID) Ponete mente ad un componimento drammatico del Cinquecento, soprattutto tragico o pastorale (nella commedia i personaggi sono più liberi in lor moti, le scene più spigliate); quasi sempre l'immaginario spettatore può conoscere ciò che ogni personaggio ha fatto, anche, e specialmente, fuori di scena, dal principio al fine dell’azione; se questa incomincia all'alba e termina la sera, noi possiamo seguire un qualunque personaggio dall’alba alla sera, in quanto ogni sua ventura, ogni suo atto ci è narrato e descritto o da lui stesso o dagli altri; noi sappiamo da lui donde viene e perchè, e dove va e perchè, e gli altri ci fanno sapere dov'è e che cosa fa; tutt'al più l’autore non segue strettamente la successione del tempo: dell’uno o dell’altro non si saprà subito che cosa ha veduto, o pensato, o agito, ma sarà detto poi. Il concetto, di derivazione tutta letteraria, che allora si era determinato dell’azione drammatica, dava scarsissima importanza alla scena; l’azione non era su questa raccolta, sviluppata, resa acuta e violenta, ma entro i limiti stabiliti del tempo si svolgeva in un campo più largo, e la scena le porgeva il modo di farsi nota agli spettatori. L'autore cerca di intrecciare l’ordine dei personaggi e dei discorsi sì da mostrare nel modo più accorto quella trama narrativa ch'egli si è tracciata dinanzi con tutta precisione. E non sono fuor di luogo queste osservazioni trattando del Camerano, perchè appunto la sua tragedia presenta que’ difetti comuni al genere con una ingenua meravigliosa chiarezza. Noi l’abbiamo colto durante la composizione del suo lavoro: mi son fermato con quest’intento sull'analisi dei manoscritti: egli può togliere due parlate ad un messo e tali e quali farle divenire due scene, ed una non è che la parte di un lamento cavato interamente dalla novella, è in fondo un monologo, forma embrionale di drammatica, espressione lirica dell’affetto di un solo personaggio: il Messo e il Coro non raffigurano che un pubblico. Il Camerano non ha tolto nulla, ma ha aggiunto qualche cosa alla favola; ha stretto di più fra loro i personaggi, in modo che si aggirassero più da vicino nella stessa cerchia di pensieri: l’azione è raggruppata nel giorno che celebra la valorosa difesa di Guiscardo e la salvezza di Salerno. Considerando la successione delle scene credo si possa riconoscere il modo in gran parte meccanico di concepire e di applicare le unità. Innanzi l’alba, il Sacerdote coi seguaci muove ad aprire il tempio e di fra gli altari si agita e viene veloce sopra la soglia l'ombra del Duca di Capua, primo marito di Gismonda; narra come stette gran tempo, spirto ignudo, negli occhi dell’amata, ma ne fu cacciato dopo una figurata battaglia fra la ragione e l’appetito, rimasto vincitore. Ora si aggira per quei luoghi ed apparì pur ora minacciosa visione a Gismonda; racconta come gli amanti abbiano uso di trovarsi; ma, egli sa, oggi verrà il Principe per dire alla figlia come l'abbia di propria autorità promessa al “ re de la Sicilia vecchio ,. I richiami alle ore sono frequenti, e quì, fin nel preve- dere, l'ombra ci annunzia “ E come intendo, di meriggio fia | La sua venuta ,. Poi dilegua. Il Sacerdote invoca a Dio riposo per l’anima afflitta; il sole nasce; s'apre il palazzo reale e ne esce lunga schiera di donne. — Fin quì agli endecasillabi sono commisti molti settenarî, i quali si fanno poi rarissimi fino all'atto quarto, tolta naturalmente la parte lirica del Coro; qualcuno a volte si trova nella sconnessione fra due parlate, segno più che altro d’incompiutezza. — Il Coro entra (è veramente Serie II. Tox, LI. 30 294 FERDINANDO NERI 99 il Parodos) e commemora la quinta ricorrenza mensile dello scampo della città (1); rimane sulla scena per tutta l’azione. — Gismonda ricorda alla Nutrice come si diede per amore al prode Guiscardo, non ostante l’impedimento di quelle leggi “ Ch'a la “ morte condannano chiunque | Col nostro sangue osa mischiarsi, prima | Che dal “ Principe insieme e dal Senato | Non si dichiari esser marito degno | De la figlia “ Reale ,. Racconta della visione avuta poco prima. La Nutrice dà consigli: intanto vada in salvo Guiscardo “ poi che le leggi solo | Condannan l’uomo che tal error “ commette, | E la Donna Real resta impunita ,. Gismonda parlerà a Guiscardo che già attende nella grotta. — Il Coro canta la fragilità della vita mortale. Tancredi e Almonio, Capitano dell’esercito, entrano e iniziano una disputa morale; subito Tancredi comincia: “ Se non fosse l’interna parte in noi | Capace ancor d’eterno “ premio quando | Retto si tien di questa vita il corso, ... , nessun animale sarebbe più infelice dell’uomo, e peggio di tutti sta il Principe. Almonio non sa a che mirino queste sentenze; ma discorda: il Principe somiglia a Dio. Ma Tancredì: “ Impor “ legge a sè stesso, e in mano ’1 freno | Tener del senso, è veramente impero, | Che «“ scende in noi da la Divina Mente ,. Almonio obietta: È d'uomo libero il coman- dare. Taner.: “ E tu dirai, che libero o felice | Viva colui, che di sospetto pieno | Ove “ che giri gli occhi o volga ’1 passo | Teme trovar chi della vita ‘1 privi? , Almonio vanta le ricchezze e Tancredi ribatte: sì accende una sticomitia che raggiunge in qualche punto vivacità; ed è importante questo dibattito, sebbene fuor di proposito, per l’esposizione di concetti liberi, per il manifestarsi di uno spirito e di un intento civile notevole in un gentiluomo di quel tempo: il dovere del Principe è inteso ret- tamente ed espresso con una certa fierezza (2). E con bella mossa, che pare acco- rata: “ Credimi, Almonio, che chi regge debbe | Sè stesso abbandonar, tutte obliando “ | Le domestiche cure , “ En cotal servitù tutti viviamo | Noi, che Principi giusti “il mondo appella ,.— E ne dà prova; si confida: ama l’unica figlia sua e perchè figlia e perchè in lei “ Risplende ’l vero et honorato essempio | Del donnesco valor ,. Molti la chiesero in moglie, e fra gli altri il vecchio re di Sicilia, cui non potè dar subito ripulsa. — Veramente volea darla a Guiscardo; Almonio ne è tutto stupito, pensando al basso stato di colui; ma Tancredi non ha tali pregiudizi: Guiscardo è (1) Non è un canto che frammezzi l’azione: sono vv. sciolti (un setten. e poi tutti endec.); porre il prologo a sè, come fece il Borsogni, è falso, tanto più chiudendolo con questo ingresso del Coro, mentre il Coro stesso termina dicendo che vengono Gismonda e la nutrice. (2) L'oro pubblico dev'essere speso per il bene pubblico: non può il Principe darlo a chi vuole. “ Alm. Et ove dispensar quest’oro debbe? | Tarcr. Ov'è l’util maggior di chi gliel porge. | Alm. E “ qual è quel poter ch’a ciò l’astringe? | Tancr. Le leggi han forza di legarlo e sciorre. | Alm. Non è soggetto il Principe a le leggi. | Taner. 0 soggiace a le leggi, od è tiranno. | Alm. Il Principe egli stesso è legge a’ suoi. | Zarer. Quando le leggi pubbliche non sprezza. | Alm. Pur al Principe “ impor la legge tocca. | Tancr. Impor le leggi veramente, et egli | Primo esser dee, che le sue leggi “ osservi ,. Fra le osservazioni un po’ esagerate del Napione, mette conto di notar questa, che si lega a quei giudizi ostili ch’egli espresse più volte sull’Alfieri. Considera la tragedia quando può aver luogo “ tra i savj ordini di buon governo ,: “ Ora se le tragedie del sì applaudito Poeta Asti- “ giano de’ nostri giorni, per avventura influirono nello stabilimento di quelle Italiane Repubbliche, “ che ebbero vita sì breve, e di tanti mali furono cagione, ben possiamo dire, che il Tancredi del- ‘ l’antico Tragico pur Astigiano, fu diretto a fare rispettar il governo di un solo, governo, che formò “ per più di due secoli la felicità dell’Italia , (pp. 80-81). (i (A 23 IL CONTE DI CAMERANO 290 valoroso: “ Se a la virtute il guiderdon si nega | Chi fia giammai, ch’ad alto grado “ ascenda | Se non per vie disonorate e torte? , Alm.: ‘Altri la meriterebbe di più. Taner.: “ Almonio, i giudicar soglio da l’opre | L’altrui virtù, ma forse vela altrui ‘“ | Invidia gli occhi ,. — Solamente gli duole di non poter fare secondo il suo pen- siero: un superbo nemico, che ha già soggiogato Roma, muove contro Salerno “ per “ inondare i nostri dolci campi , (1); e così il giorno prima promise di dare Gismonda al re di Sicilia e l'ambasciatore impegnò l’aiuto alla città minacciata “e di ciò “ tutto | Son seguiti fra noi scritti solenni ,. — Ho seguito un po’ da vicino questo dialogo per l'ordine che lo dirige: l’autore non ha pensato ai personaggi: ha svolto parte per parte il suo ragionamento, su tre punti rigidamente successivi, senza spostare nulla; alla fine della lunga conversazione lo spettatore apprende la deci- sione di Tancredi. — Ora questi va ad annunziarla alla figlia. Il Coro riempie l’inter- vallo con alcuni endecasillabi d’intonazione lirica. Vien la Nutrice che “ D’herbe e “ di fronde sacre i sacri altari | Ha coronati , ed ora andrà da Gismonda, turban- done “la sua dolce dimora | Ne l’amato piacer, che non le lascia | Mirar al leve “ trapassar de l’ore ,. Il Coro ha una canzone di cinque stanze: in ogni stanza un esempio di chi ha di contro un pericolo, se ne crede salvo e allora appunto è sovrappreso da un altro: il triste fine vien sempre espresso negli ultimi tre versi (un setten. collegato per la rima al verso precedente e due endec. a rima baciata, come il commiato); è qui un certo studio di espressione: la sollecita ape esce dagli antri teneri e tenaci; libato il fiore “ susurrando tornar crede a l’albergo , ; la faticosa formica teme il verno: “ Però facendo altrui levi rapine, | La negra schiera per li “ campi aggira, | Sì che ’l seme e ‘1 sentier ne l’opra ferve ,. Entra subito Almonio, e con tono: di scherno: “In qual parte del mondo a “ domar mostri, | A vincer Acheloo, Caco, o Busiri, | Ito è Guiscardo, quel novello “ Alcide, |A cui Tancredi dar volea la figlia, | In premio del valor che tanto “ apprezza ? ,. Tancredi, entrando, disperato, dà ordine sia preso l’uomo ch'è nella grotta vicina, vestito di rozzo cuoio (come nella novella). “ A costui giuro | Per quella “ luce, che dà luce al Sole, | Di trar con le mie mani il cor dal petto , (2). — Lo copra con un manto “ sì che non lo conosca altri passando ,. Tancredi vede avve- rati i segni della funesta visione “ Che poco innanzi il giorno hebbe dormendo , (egli pure ebbe la visione e in quell’ora stessa; ma ci vien detto ora soltanto); si accora con versi sinceri; il Coro si duole che troppo si scagli contro la figlia : Taner.: “ Ma per farvi note | Le mie sciagure, e le sue colpe, voglio | Narrarvi “ come et in qual loco vidi | L’oltraggio e ’1 disonor del sangue mio ,. Il Coro si arrischia a consigliare, ma ne è ripreso con uno di que’ passi di spirito misogine che potrebbero riaccostarsi, per la forma loro, a consimili di Euripide (3). Descrive “ (1) Più d'un verso di Petrarca e di Dante si trova trasportato nella tragedia, uso allora comune; e l’ultimo, a suggello: “ La vita ’1 fine, e ’1 dì loda la sera ,. (2) Il Camerano pensò con questo giuramento di giustificare la catastrofe: non vi badò il Gaspary (Sf. della lett. ital., trad. Rossi, vol. 2*, parte 2°, p. 219) chiedendo: “ Ma che c'entra la storia “ del cuore strappato? Questo non è già un supplizio legale ,. — Certo non è un ripiego lodevole. (3) “ Usate voi di voler porvi, o Donne, | A consigliar, chi del consiglio vostro | Non ha bisogno, “e con la lingua imporre | Legge a ciascun senza mirar a cui. | Ma questo error vi si perdona “ quando | Non è colpa di voi più che del sesso | Debile e infermo che Natura a caso | Cotal pro- 256 FERDINANDO NERI DA come vide gli amplessi di Gismonda; ma, strappato il cuore dell'amante, a lei lo farà vedere: ancora è preveduta l’azione; l’autore vuol collegare più che può le parti del dramma anche con siffatti vincoli di precedenza e di susseguenza. — Vengono Gismonda e la Nutrice; Tancredi racconta ora il suo sogno innanzi l’alba. — Almonio trae con gli armati il prigioniero, e descrive esattamente la lotta per arrestarlo (ecco qui un caso fra i molti, ove tutto è narrato ciò che avviene fuori della scena). Scoperto il reo, è Guiscardo. L'autore ha voluto che il riconoscimento avvenisse sulla scena, nè dell’intenzione possiam biasimarlo, ma si è accontentato del più sem- plice artificio; nell'oscurità Tancredi non aveva riconosciuto Guiscardo, poi lo fece condurre così coperto. — Gismonda sviene; Tancredi è afflitto e triste: Guiscardo conosceva le leggi: perchè le ha violate? Guise.: “ Amor può più, che non queste “ tue leggi | Nè tu, nè io possiamo , e sono le sole parole ch'egli ha sulla scena, nel solo momento che vi appare. Tancredi trova leggiera la scusa, e lo fa trarre via. Gismonda rinviene: prega il padre, racconta la sua vita, come amò Guiscardo: le leggi rigorose si devono temperare con la prudenza del buono e giusto Principe ; ma se proprio il sangue desidera, vada a saziarsene. — La Nutrice corre al Senato, che interceda. Il Coro invoca la grazia di Dio (ricorda la canzone del Petrarca alla Vergine). Il principio dell'atto quarto, considerato a sè, era veramente più acconcio con la parola calma del Sacerdote; ma vediamolo come si trova. Tancredi chiede con- siglio; Almonio premette: “ Signor mio, tutti quelli | C'hanno di cose dubbie a dar “ consiglio, | Spogliar si denno di pietade e d'ira, ! D’amor e d'odio, e non porr’altro “ innanzi | A la nuda ragion, che ’1 vero ignudo , (è, come suol dirsi, eloquente, ma interminabile); non perdoni, non perdoni affatto: l’utilità comune ne avrebbe danno dall’odio del re di Sicilia; e non tema Tancredi che Gismonda si uccida: “ Non “sai tu, che volubili e leggere | Son le femine tutte? E quel che loro | Piacque da “ terza, l’odiano da vespro, | E sono insieme paurose e molli? ,; e la sua figliuola come le altre: si osservino dunque le leggi. — Tutto il popolo col Senato si appa- recchia a chieder grazia per Guiscardo; Guiscardo è condannato dalle leggi a morte, e il Consigliere che ne parla aggiunge che sa dell’ira di Tancredi dalla Nutrice “ ch'a trovar venne | Frettolosa ’1 Senato e poi tornossi | Per la porta minor dentro 71 palagio. | Sac. Or questa è la cagion, ch’ella non venne, | Come promise, al tempio. Cons. È questa certo ,. L'autore nella sua esatta costruzione ha voluto giustificare persino questo mancato passaggio della Nutrice sulla scena. Il Sacer- dote teme che non si ottenga la grazia; ma Cons. “ Io t’assicuro | Da questa parte, “ però che disposto | Hanno le stesse leggi, che non possa | In cotal caso con- dannarsi alcuno, | Quando la città tutta in grazia ’1 chiede. | Cor. Piacemi saper questo ,. Ma v'è la promessa al re di Sicilia; Cons. “ Il Re, che dici, | Da subitano caso estinto giacque | Son quattro giorni ,; il Senato di Palermo ne avvisò lAm- « « “ “ (3 dusse ,. Poco prima avea detto: “ O donne, i’ so che voi | Avete sempre le difese pronte, | Qualor “ altri v'imeolpa, ancor che colte | In fatto siate ,. La questione della misoginìa di Euripide qui non entra: comunque s’intenda, rimangono invariati i raffronti pei singoli passi e perla “ sentenziosità “ con tendenza a generalizzare , considerata unicamente come “una forma speciale, una peculiarità ‘ stilistica prediletta da Euripide , (cfr. Zuremm, in “ Riv. di filol. e d'istruz. class. ,, XXV, p. 84). 25 IL CONTE DI CAMERANO 2951 basciatore “ che quì dimora presso | Al Signor nostro , (come nel Cinquecento). Si noti la successione fredda di questi avvertimenti; io lo direi un tema scenico ragio- nato. — Viene il Messo che porta il cuore di Guiscardo; il Coro vuol che racconti ; quì avvenne lo spostamento di cui ho fatto cenno: è rimasta una certa sconnessione (il Messo dice che potrebbe tutto riferire, il Coro l’impegna a farlo, e il Messo invece comincia con que’ nove versi mancanti nel mss., ove si cerca di riordinare il mec- canismo delle scene: Tancredì si confidò ad Almonio; poi venne fuori —ed è il prin- -cipio- dell'atto. quarto —, poi rientrò, e segue la narrazione del Messo). È descritta la fine di Guiscardo, sono ripetute le sue ultime nobili parole (1); il Principe stava ‘ per commuoversi, ma Almonio feroce troncò ogni indugio, aperse il petto all’infelice, lo tornò a ferire sin che spirò, e poi, tratto il cuore, lo porse a Tancredi; piangeva Tancredi, ma pur lo mandò a Gismonda. — La quale viene in iscena e crede le sia «mandato ferro o veleno; veduto il cuore, si dà a lamentarsi. Segue il canto al cuore, a Guiscardo, di cui Salerno riman priva: “ Noi di te prive siamo | Povera fami- “ gliuola, | Che di fatiche stanco | Si veggia ’l caro padre venir manco ,; dall’influsso petrarchesco ritrasse talvolta il Camerano questa tendenza ad un affettuoso realismo. Nell'ultimo atto o episodio, Tancredi è già pentito; il Consigliere gli rimprovera quelli che sono per noi difetti nella condotta della favola: “ S'eri men frettoloso “ avresti inteso | Del Siciliano Re la morte, e quando | Fosse venuto il popol tuo “ fedele | Supplichevolemente per Guiscardo | A chieder grazia, essendo tu già sciolto “ | Con la morte del Re da la promessa, | E dal periglio che di lui temevi, | Con “ osservar le leggi avresti insieme | A la cittade soddisfatto ,. Tancredi si pente della sua fierezza, vuol consolare Gismonda “ con parole umili , e se fia d’uopo chie- derà perdono. — Vien poi il Messo (2): Gismonda sta per morire, ha bevuto il veleno; il racconto è continuato da una Cameriera: il Principe si è accecato. Il Coro è desi- deroso di sapere, ma l’autore vuole che la Cameriera riepiloghi brevemente tutta la catastrofe (3); poi ci descrive come Tancredi tentò di uccidersi, ma non potè che accecarsi con un paio di forbici. — Viene Tancredi stesso versando oscuro sangue dagli occhi; e la posizione della scena e il lamento del misero principe ricordano l’Edipo re. Il concetto pessimista della vita, con intento morale, può rimaner qui a suo luogo; la menzione del Fato stona; si veda questo passo: “ Ahi quanto meglio “ fora | Per me non esser nato. O maladetto | Giorno in ch'io nacqui, o maladetta “ culla | Ove poi giacqui, e maladetta terra, | Ove ’1 piò mossi poi! | Cor. Lascia di (1) Fra l’altro: vorrebbe morire per mano di Tancredi “ perchè se mai | Piangerà ’l caso mio ‘ “tragico stile, | Mova maggior pietà, qualor si dica:| Chi men far il dovea, Guiscardo uccise. | “ Coro. Quel cor invitto negli estremi affanni | Non lasciò di pensar, come potesse | Dopo la morte “ aver famosi pianti ,. (2) Racconterà la dolorosa ventura prima di ritrarsi “ In solitaria parte, ove non oda | Nè veggia “ chi di Principi e di Corti | Più mi ragioni ,. Noto come i messi, spogli fin dalla Tragedia greca d'ogni personalità propria, esprimano solo, a volte, delle affermazioni morali sui volsimenti di for- tuna, affini in ciò al Coro. Ì (3) È passo aggiunto nell’autogr. venez.: “ Cam. Ci han detto, che Gismonda avea Guiscardo | “ Toltosi per marito; onde avea lui | Tancredi ucciso. Cor. E questo è noto a noi. | Cam. Trassegli “ il core e lo mandò a Gismonda. | Cor. Tutto questo sappiamo. Cam. Ella lavollo | De le lagrime “ sue. Cor. L'abbiamo inteso, | E che con quelle poi bebbe il veneno, | Sì ch'era giunta presso a “ l'ultim'ora. | Cam. Or vi dirò quel c'avvenuto è poi , (finalmente). 238 FERDINANDO NERI 26 “ maledir chi del tuo danno | Cagion non fu. Taner.: Dal fato e non d'altronde | Pende “ l’aspra cagion del danno mio , (1), e si veda come sia poco intesa la necessità del Fato: “ Me se non fossi nato non sarei | Misero qual mi vedi. Ahi mio Salerno | Ahi “ patria mia... , e ne vede i danni futuri, e li descrive con certa mossa robusta. Vuol che lo diano a morte, lo caccino per le rupi senza guida. Ma il Coro non può che pregare con lui e, quand’egli esce, chiude la tragedia con una stanza sui rivol- gimenti della fortuna. Ml Tancredi fu giudicato per molto tempo con un’indulgenza assai larga,-con ammirazione, ma non possiamo riconoscere in quei giudizi un grande valore (2); i critici più recenti l’hanno poi trascurato (3). Adornare una lode per un’opera poetica è (1) Gioverebbero qui le acute osservazioni del D’'Ovipro nel saggio sull’Edippo dell’Anguillara e il Torrismondo del Tasso (Saggi critici, Napoli, Morano, 1878, p. 272 sgg.). (2) Lo Zeno (Lettere, ed. cit., vol. III, pp. 239-40), avuta la Gismonda nella stampa di Parigi l'aveva letta “ con non poco piacere, avendola trovata assai buona, e non indegna al tutto del nome “ del Tasso ,. — Senza ricercare quanta stima meriti l’ opinione del Crescmpeni, questi ad ogni modo non fa che citare il Tancredi fra moltissime altre tragedie (Comentarj, Ven., 1731, vol. I, 1. IV, p. 309), per sostenere i pregi della Tragedia italiana; quella inedita Trafila tragica di G. B. Capponi, ch’egli ricorda dalle © Mem. Accad. Gelati , [Bol. 1672, p. 262], fu poi fatta ricercare dal Vernazza senza frutto. — Il Discorso cit. dal ParIsorrIi è una esercitazione retorica molto vana: il Camerano ottien vanto di tutte le più rare doti di autor tragico, e specialmente è lodato ne’ suoi difetti; l'Ombra del Duca di Capua, che, scacciata dagli occhi di Gismonda, le si aggira intorno a spaven- tarla co’ sogni “© è finzione bellissima essendo poeticamente vera, ed amorosamente cantata e' cre- “ duta , (p. 845). Sarebbe curioso, ma un po’ lungo, riportare il passo in cui, considerando la natura delle anime cristiane, si elogia l’autore di non aver dato all’ombra la facoltà di prevedere, ma solo di congetturare da forti indizi la misera fine de’ due amanti (p. 346). Naturalmente ha ragione il Parisotti quando approva che non si racconti la favola nel Prologo; ma il raccostamento col prologo della Semiramide di Muzio Manfredi non vale se non in quanto si tratta di ombre, cosa assai comune; e prima della Semiramide pubblicata nel 1593, ne passarono di quelle ombre nelle nostre tragedie ! — Il Trragoscni (Storia della lett. ital., 2* ed. moden., t. VII, parte IMI, p. 1298) non ha che un cenno: © per consentimento de’ migliori giudici ha luogo tra quelle, che fanno onore al Teatro italiano ,. — Il Cooper-Warker (Mem. stor. sulla Trag. ital., Brescia, 1810, pp. 96-97) fa un cenno dell’Asinari e della sua “ eccellente tragedia , e si rifà per le poche notizie al Baretti. Il Napione (p. 79n.) lo rimproverò di non aver citato il luogo; sì tratta di The Italian Library, London, Millas, 1757, p. 100 (v. anche p. 107); ma sono semplicemente notizie tolte dall’E70g. Ital., Fontanini-Zeno, come del resto avviene in tutta l’opera (v. p. 310, cfr. L. Piccioni, Studi e ricerche intorno a G. Baretti, Livorno, 1899, p. 228). — Il Vernazza e il Naprone ebbero un entusiasmo che si può comprendere e, se vogliamo, non biasimare. Il Napione si abbandona a considerazioni generali, poco fondate, sul teatro tragico antico e moderno, e sarebbe tanto facile quanto inutile notarne adesso la superficialità. — Il Varrauri (St. della Poesia in Piem., cit., vol. I, p. 136 sgg.) si compiace nel considerare l’opera del Camerano e mostra di accettare il giudizio del Napione, secondo il quale il Piemonte avrebbe prodotto nel Tancredi “ la prima più perfetta tragedia , che “ in quell'epoca mostrar possa l'Italiano “ Parnaso ,; e su questo vanto ritorna in un “ cenno storico , (Il Piemonte e la poesia drammat., in “ Atti R. Accad. Sc. di Tor., II, p. 590 sgs.), volto a stabilire come nella poesia drammatica il campo sia stato sempre tenuto dai Subalpini. 5 (3) Qua e là dei richiami, come in BirancinI, Giambatt. Giraldi e la Trag. ital. nel sec. XVI, Aquila, Vecchioni, 1890, p. 169; ma il solo Gaspary (1. c.) si occupa, brevemente e severamente, del Tancredi; egli nota una rassomiglianza con la favola dell’Oybecche del Giraldi; e forse anche qualche cosa di più si potrebbe notare: l’atteggiamento di Orbecche dinanzi al padre, la figura della Nutrice e anche quella del Messo; ma credo l’analisi della tragedia sufficiente a dimostrare com'essa non risenta così da vicino del sistema giraldesco; il Camerano poi sfugge le ostentazioni di ferocia e non istempera ogni situazione in filatesse di versi. — Per le affinità dell'argomento altri propose il dubbio, se la prima idea della tragedia l’Ordecche non sia venuta al Giraldi dalla novella del Boccaccio (A. AnceLoro Mirano, Le Tragedie di Giambattista Cinthio Giraldi, Cagliari, 1901, p. 37); ma io credo, soprattutto 27 IL CONTE DI CAMERANO 239 assai facile, come è facilissimo d’altra parte ritrovare difetti in una tragedia del Cinquecento e trarne impressioni soggettive, intessute di derisioni; ma l'esame di certi saggi ha qualche valore quando giovi a spiegarci un aspetto, un grado nello svolgimento di un fatto psicologico importantissimo quale è la concezione della forma drammatica. L'argomento, pel suo incontro di passioni ed il suo rapido movimento, doveva apparire assai propizio agli autori drammatici, e ritrovò infatti nelle opere loro più fortuna che non altre novelle del Boccaccio. Una di quelle opere di passaggio, pre- cedenti il dramma classico regolato con istrettezza dall’interpretazione degli esempi antichi, uno di que’ “ drammi mescidati , come acconciamente son detti ora, aveva appunto con quest'argomento tentato molto da vicino l'imitazione della tragedia | latina e un certo uso delle unità; alludo, non occorre dirlo, alla Panfila del Pistoia (1). Quest'ultimo risente ancora degli esempi del teatro a lui contemporaneo nel più ampio giro dell’azione e ad un tempo nella frequente sconnessione delle scene, affine ancora a quella delle rappresentazioni sacre. È sceneggiatura davvero elementare, senza bisogno di trasposizioni speciali nell’ordine degli avvenimenti, ma solo con più larghi dialoghi, d'una frequente intonazione lirica, sebbene, tranne gl’ intermedi, la “ tragedia , sia tutta in terzine. Le chiusure delle catene sono una delimitazione di scene in senso largo (p. e. fa parte della scena il breve monologo che segue), tal- volta anche solo di un concetto importante, pur continuando la scena. Il Pistoia, accrescendo i personaggi, si giova di tutta la novella, a cominciare dall’innamoramento di Panfila (Ghismonda) e di Filostrato (Guiscardo). Ma la favola si poteva ristringere facilmente alla soluzione violenta di un intreccio già conge- gnato, raccogliendo nell’antefatto il germe e lo sviluppo dell'amore, le ragioni che spingeranno Tancredi al terribile castigo (il fidanzamento da lui stabilito per Gismonda con un re straniero; per di più, una cruda legge del paese), tutte le cause prefisse che devono sol più agire, scoppiare con l’aprirsi dell’azione scenica. Le tre unità, espressione rigorosa cui l’ideale classico si ridusse nel nostro Rinascimento in virtù di un procedimento critico (2), volevan raccolta, condensata la maggior forza d’azione, come fosse veduta di scorcio, e i caratteri figurati nel loro culmine. pensando alla novella del Giraldi, che la questione debba ricollegarsi a un diffuso studio del motivo e nella novellistica e nella drammatica; nè certo mancherebbe materia, e per l’importanza degli elementi (v. G. Cecroni, La leggenda del cuore mangiato, ecc. in “ Riv. contemporanea ,, I (1888), vol. III, pag. 386 sgg) e perlo sviluppo molteplice (sino alla ballata del Biirger: KornuER, in “ Zeitschr. fiir deutsche Philol. ,, VIII, p. 101 sgg.); v. alcune indicazioni in J. Eswer, Beitrag 2u einer Geschichte der dramatischen Einheiten in Italien, Brlangen-Leipzig, 1898, p. 147 n. (1) Vedi l'articolo del Rewrer in “ Riv. stor. mantovana ,, I, p. 433 sgg. e la prolissa nota di F. Bucrani, Filostrato e Panfila, Pistoia, tip. Niccolai, 1896 (per nozze). Cfr. Rossi, Il Quattrocento, p. 383. Del Frawmi (17 Cinquecento, p. 239) è forse da attenuare più che l'opinione l’espressione: © Quasi “ violentemente, il Pistoia ha voluto così d'un subito, senza la guida d' anteriori tentativi, rendere “ italiana in tutto e per tutto l’antica tragedia latina ,. Si riconobbe come merito del Pistoia l'avere scelto per una trattazione scenica quella novella (v. G.S. Screroni, rec. all’ediz. di A. Cappelli e S. Ferrari, “ Giorn. stor. lett. ital. ,, V, pp. 257-58). (2) Si veda l'esposizione molto chiara, se non del tutto compiuta, di J. E. Srincarn, A history of literary criticism in the Renaissance, New-York, The Macmillan Company, 1899, p. 39 sgg. e specialm. 100-101. Certo non è sufficiente l'esame delle Poetiche per definire la questione delle unità, perchè, così in questo come in tutti i fatti letterari, progrediscono insieme, aiutandosi, la 240 FERDINANDO NERI 28 La forma drammatica, prima di stabilire una tradizione propria, affermandosi in un suo special tipo, si svolge ricevendo l’influsso di altre forme letterarie già vive e fiorenti. Per il secolo XVI, oltre alla rinascenza del teatro classico, che veniva studiato laboriosamente, se non rettamente, sì da fissare le leggi formali del genere, noi dobbiamo esaminare la materia, il contenuto del genere stesso. Questa materia, sempre ricercata per entro a narrazioni o di storia o di pura immaginazione, con- serva, come ho già detto, l'impronta del genere narrativo. Nell’argomento, quale s'era venuto riducendo per la trattazione drammatica del Camerano, le unità in fine non determinavano una vera causa di debolezza: l’azione potea confinarsi senza grave sforzo in quei ristretti limiti di luogo e di tempo; i caratteri avrebbero potuto nel loro punto più alto esprimersi gagliardamente, snodare con impeto il dramma; e tale doveva apparire la meta anche all'autore. Ecco invece la materia artistica non giunta ancora alla maturità del genere drammatico; noi la vediamo disgregata ancora, accozzata di narrazioni successive; e non solo per ciò ch'è dell’azione, ma anche per i caratteri: come si raccontano fatti avvenuti fuori della scena, a me pare di veder descritti anche quelli che avvengono sulla scena stessa; ed ogni personaggio ci descrive con le sue parole il carattere suo. Le unità non hanno compiuto che pal- lidamente il solo ufficio che avrebbero potuto esercitare con profitto. Manca essen- zialmente la facoltà rappresentativa, in cui ha radice ed ogni sua forza la drammatica. Noi vediamo in tutto il genere della tragedia nostra del Cinquecento (1) come un procedimento psicologico troncato a mezzo. L'intento morale, imposto sempre più severamente dall’interpretazione degli antichi precetti dell’arte, doveva ridursi ad una enunciazione puramente teorica di massime morali. — Chi tratta le antiche favole erra in una contraddizione assidua; concepisce la trama come un qualsiasi racconto che si svolge, e ogni aggiunta, ogni mutamento è uno sfregio al modello; di quì le analisi scherzose e le derisioni e i dispregi per le tragedie del Cinquecento. Un’antica necessità del Fato, non può se non vuol mancare di una ragion d'essere nel dramma rinnovato, non può se non trasformarsi nell’impulso d’una passione; ma questa l’autore designa, non ispiega, annunzia, non svolge: è una passione schematica, a quel modo stesso che noi vediamo i caratteri ridotti alla descrizione, all'espressione esterna, fredda, di certe elementari qualità dell'animo, o in sè o nelle relazioni familiari e sociali: la fierezza, la mal- vagità, l'invidia, il decoro ece. — la fanciulla pudica, il padre severo, il consigliere saggio ecc. (2). teorica e l'applicazione. Ha unito la considerazione delle tragedie l’Eewer, cit. (v. anche l'ampia recensione di A. Garterti in “ Giorn. stor. ,, XXXVII, p. 99 sgg.), ma non ha condotto l'esame su gran copia di saggi. (1) Nel sec. XVI le somiglianze “ quanto ad avviamento artistico , sono strettissime soprattutto nelle opere drammatiche; e lo notava con giustezza a fondamento del suo studio — disuguale — C. Lanza, Intorno alla Tragedia italiana in “ Giorn. napolet. di filos. e lett. ,, N.S., IL p. 191; in pochi altri casi l’esame si può condurre così utilmente, ma anche così facilmente, sopra l’insieme di un genere, copiosissimo; ed anzi io credo che questa sia stata la causa principale dello scarso studio sulla tragedia del ’500; si fecero troppi giudizi complessivi, trasportati subito dalla considerazione di pochi esempi a tutti gli altri non considerati; è troppo libera la via a certe così dette sintesi. (2) Potrei ricollegare a questa osservazione quella del CaneLto (St. della lett. ital. nel sec. XVI, Mil., 1883, p. 223), a proposito della Rosmunda del Rucellai, sulla netta divisione fra le persone 99 IL CONTE DI CAMERANO 241 Le condizioni dello spirito moderno dovevano costringere la forma drammatica, che si nutre de’ pensieri animatori del suo tempo, ad un rinnovamento intimo; si pensi alla tragedia, quale in molta parte si conformò per opera del Giraldi — sì da parlare di un precorrimento del dramma romantico —, e quale seguì sul finire del secolo. Prendere la tragedia latina a modello significava accostarsi ad una forma di produzione classica avvenuta in condizioni già più vicine a quelle del Rinascimento, ad una forma d’imitazione de’ Greci già fraintesi. Il Camerano nella disposizione della sua tragedia si tenne fedelissimo agli esem- plari greci: possiam credere ch'egli abbia studiato que’ tragici, dai quali ritrasse in ogni parte la funzione del Coro; specialmente ricorda Euripide nel modo d’interporre certe sentenze, nella considerazione assolutamente obiettiva dei fatti esposti: l’autore traspare, ma freddo, senza nessuna passione, in tutti quei personaggi che assistono al dramma, più che non vi prendano parte, e lo commentano, essendone commossi non per interesse lor proprio, ma-come si suppone debba esser commosso dalla rap- presentazione lo spettatore, suggerendo essi stessi l’apprensione, Ja pietà, il giu- dizio morale. JI Camerano avrebbe scritto la sua tragedia animato dalla lettura della Gismonda del Razzi, pubblicata in Firenze nel 1569 (1); a Firenze egli era nel febbraio del 1570; inoltre, ultimo nell’avere svolto il soggetto vien detto da Pomponio Torelli nella dedicatoria del suo Tancredi (2). — La tragedia del Razzi (8) è poverissima: lo stampatore avverte nella dedicatoria ch’essa fu scritta più anni avanti per commis- sione “ e in meno di venti giorni ella fu fatta, imparata e recitata ,. L'autore si fa pure scusare, per quell’ordine e quella brevità di tempo, dell’aver mancato in molte cose e d’aver tolto d’altronde il soggetto. Ma qui il Boccaccio è saccheggiato come nessuno avrebbe potuto di più: pagine intere copiate nella maniera più servile, con le sole leggere trasposizioni necessarie per accozzare dei simulacri di endecasillabi e di settenari (4). Il Razzi introduce per prologo un'ombra; unisce a Gismonda una fida donna, una cameriera, e il primo atto incomincia con una scena fra esse due: Gismonda ha avuto una fiera visione. Queste sono le somiglianze più strette che si possano trovare fra le due tragedie, e, come ognun vede, sono comuni a una quantità di loro compagne. Quell’ombra (taluno, ma non sappiamo chi, strangolato per causa d’amore, come avverrà tosto di Guiscardo) prenarra tutta l’azione; questa s’inizia buone e le cattive. Al libro del Canello furon mossi rimproveri per la costruzione così rigida nel suo piano generale di assegnare le cause e di ordinare i fatti. Nell’esame di quelle poche tragedie (p. 221 sgg.) il Canello non applica concetti del tutto sicuri e compiuti: giunge a belle pagine sulle unità, sulle relazioni dell’arte antica con la nuova (p. 227 sgg.); ma, secondo me, il distacco fra il capo VIII ed il IX nuoce allo svolgimento del lavoro. (1) NarronE, p. 77. (2) “ Fu poi dal signor Girolamo Razzi in versi et atti tragici, con molto piacere et utilità di © chi la vede, ridotta; et ultimamente dal Signor Conte di Camerano, et nel soggetto variata e spie- “ gata con sublime vaghezza di stile ,. (3) La Gismonda. Tragedia di Gurovamo Razzi. In Fiorenza. Appresso Bartholomeo Sermartelli, 1569. (4) Si può dire che tutta la novella è trasfusa in questo drammaccio. Di più, il Razzi si giova largamente di versi petrarcheschi; e basti quest’esempio, che tolgo da un monologo di Guiscardo : “ Qual imperio, o qual regno, | O qual stato gioioso | Amore, o la volubile fortuna | Mai diero a chi “ più fur nel mondo amici | Ch’io nol cangiassi ad una | Rivolta d’occhi della mia Gismonda ,. Serix II. Tom. LI. s1 242 FERDINANDO NERI 30 prima del tramonto del sole e si stende nella notte. La novella è sceneggiata fret- tolosamente, senza modificazioni nè aggiunte un po’ notevoli, sino alla catastrofe, che è resa più terribile e spettacolosa: Tancredi si uccide; la fida cameriera di Gismonda appicca il fuoco al palazzo e si precipita nell'incendio dalla più alta torre (questo si vede sulla scena); anche si getta tra le fiamme il fido cameriere di Tancredi. — To ammetto benissimo che il Nostro abbia letto la tragedia del Razzi, ed attraverso ad essa abbia intravveduto una sua opera drammatica, migliore, — sia stato spinto a riprendere la novella: da questa, direttamente, proviene la sua tragedia. I due autori concordano davvero sol quando attingono insieme dal Boccaccio, ma si vede altresì che ciascuno attinge per suo conto. Con certi riscontri, il Camerano può anche apparire un libero imitatore e un elegante verseggiatore. Dell’argomento, com’egli l'aveva accomodato, si valse il Conte Pomponio Torelli (1), che fu nel genere autorità stimatissima (2); lo complicò di un’agnizione: poco dopo l'uccisione di Guiscardo, si apprende ch'egli era figlio del re di Sicilia, il quale per lui appunto aveva chiesta la mano di Gismonda, e ne aveva ottenuto il consenti mento di Tancredi: questi non si accieca, ma lascia il dominio, e spontaneo lo cede al re offeso per raccogliersi a Dio ed a sè in solitaria cella (3). Non s'incontrano passi tolti dal Boccaccio; il Torelli ha conformato la tragedia a quel tanto d’arte che dimostra nelle altre sue, nè voglio dire sia molta (4). L’azione sulla scena è ancora immiserita, sebbene sia accresciuto il numero de’ personaggi: sin da quando entra Tancredi — che sarebbe la 2% scena — Guiscardo è già prigioniero per il suo fallo. La parte sentenziosa — quella che nelle stampe, quasi ad agevolarne il com- puto, si trova in virgolato — è larghissima. Il Camerano è più ingenuo, più rude, espone più nudamente; lo scheletro, la trama della sua tragedia è da lui curata più di tutto; il Torelli ha sovraccaricato, ha soffocato di ragionamenti la trama, e l’im- pressione generale del suo Tuncredi è di strascicatura. Questa tragedia ebbe però maggior diffusione ed è assai più nota agli storici della letteratura. (1) IZ Tancredi. Tragedia del Conte Pomronio ToreLLi di Montechiarugolo, In Parma. Appresso Erasmo Viotto, 1597; ristamp. dallo stesso Viotti più volte, con altre dello stesso autore. La ripub- blicò L. CappeLLEnTI, nella disp. CXLVII della © Scelta di curios. lett. , (Bol., Romagnoli, 1875); la prefazione è senza importanza. V'è anche un accenno all’Asinari, sempre Ottaviano (p. x); solo giudizio citato è una frase dello Haym (Bibliot. ital., donde pure è copiata 1’ indicazione del libro): a farlo apposta non è nemmeno dello Haym: si trova solo nella 2* ed. (Mil., 1771), curata da F. Gian- donati. — Pari conoscenza critica ritroviamo negli Studi sul Decamerone. Parma, Battei, 1880, p. 141 sgo. (2) Vedi Arrò, Mem. della vita e delle opere del C. P. T. in Continuaz. del Nuovo Giorn. de’ let- terati d’It., t. XVIII, Mod., 1779, pp. 152-53, e nelle Mem. degli scritt. e letter. parmig., ad nom. — Sulla parentela del Torelli col Camerano, v. Lettere di G. Tiraboschi al p. I. Affò, a cura di C. Frati, Modena, 1895, p. 56 n. — Il Torelli era più giovane, e la sua attività di autor tragico si svolse quando il Camerano era già morto. (3) Vedi Gaspary, vol. 2°, parte 2*, p. 224. — M Torelli incomincia la dedicatoria così: “ Io mi “ mossi a comporre la presente Tragedia per l'autorità d’Aristotele, il quale non solamente approva © che sopra gli stessi avvenimenti si facciano diverse Tragedie; ma. conferma che, conservato il ‘ fine, molto più differenti, variata la testura loro, negli istessi casi divengono, che se sopra diversi “ avvenimenti con un medesimo modello tessute fossero ,. (4) Il Carepro, i cui giudizi sono ora tenuti in conto, stimò che fra le tragedie del Torelli il Tancredi dovesse anteporsi alla stessa Merore, ma in tutte ammise, facendone un sol fascio col Torrismondo del Tasso, che lo stile non ha valore corrispondente alla “ copia di gravi sentenze..... ‘ perocchè pajono esse quasi sommerse nel verboso inondamento , (Paragone della poesia tragica d’Italia con quella di Francia, Venezia, Zatta, 1770, pp. 14 e 101). iii oneri i : : 31 IL CONTE DI CAMERANO 243 Ritrae poi la favola dalla tragedia del Torelli il Tancredi del Conte Ridolfo Cam- peggi (1); nè ho notato riscontri con quella del Camerano: volendo anche cercare appigli in cose vaghe, può sempre bastare l'influenza del Torelli. Il dramma è far- raginoso; si cerca di dar maggior voce alla passione, e nel fine la mutazione di for- tuna è resa più grave con la prigionia di Tancredi: “ Prence il mattino, e prigionier “la sera , come dice egli stesso (2). I secentismi sono profusi largamente. In fronte al volume è l’avvertimento intorno al cattolicismo dell'autore per l’interpretazione delle parole Fato, Destino, Fortuna, Sorte. L'argomento si trasmette chiaramente dall’uno all’altro autore (3); ma non riceve se non accrescimenti esteriori, e piuttosto se ne smarrisce la ragione drammatica che non si cerchi di determinare i caratteri o di avvivare l’azione. Bastino questi sem- plici accenni: non abbiamo dinanzi opere somme, rappresentative, diciam così, delle quali sia necessario esaminare le particolari differenze nella trattazione dello stesso argomento: sono successivi prodotti secondari che addimostrano ciascuno, come per riflesso, un aspetto di quel sistema tragico che tanto si viziò fra noi. (1) Prima ed.: Bologna, B. Cocchi, 1614; a Bologna era stata pur allora rappresentata. Fu ristam- pata più volte: io ho veduto l’ed. di Venezia, A. Polo, 1620. (2) Vedi Bexnoni, Il Seicento, p. 266; è dato l’argomento, ma si tace appunto dell’assalto sulla città, mosso dall’esercito stesso ch'era venuto per le feste nuziali: il Campeggi aveva posto come nemico di Tancredi lo stesso re di Sicilia, il quale si sarebbe placato soltanto in seguito alle nozze del figlio con Gismonda. (3) Perciò da questa rapida scorsa ho dovuto escludere la Rodopeia di Lronoro VerLaro (Venezia, Franc. Ziletti, 1582), che avrò occasione di ricordare altrove; l'autore, che la compose in prigione, dice ch’ebbe in sogno suggerito da Ovidio il soggetto verissimo, senza l’influenza di tragici nè greci, nè latini, nè moderni; la Rodopeia ha somiglianze notevoli di argomento, ma non si collega diret- tamente con le tragedie citate. Cfr. G. B. Crovaro, La Drammatica a Vicenza nel Cinquecento, Torino, Clausen, 1895, p. 52 sgg. 244 FERDINANDO NERI 32 IV. Tratto ora delle rime, poichè queste raccolgono come l’attività del poeta nell’in- tera sua vita, e valgono a compiere quell’intellettuale ritratto, per il quale — a delinearlo in qualche modo — era necessario parlar prima del Tancredì. Un buon numero di rime del Conte di Camerano fu pubblicato in due raccolte curate pure da Gherardo Borgogni: Le | Muse toscane | di diversi | nobilissimi ingegni | dal sig. Gherardo Borgogni | di nuovo poste in luce | Al molto Mag. et generoso Signore | ID Sig. Gio. Ambrogio Figino || In Bergamo. CIOIOXCILII | Per Comin Ventura. c. 33 r. sgg., 4 canzoni e 1 sonetto. Rime | di diversi | illustri poeti | de’ nostri tempi, | Di nuovo poste in luce, | Da Gherardo Borgogni, | d'Alba Pompea, | L’Errante Academico Inquieto | di Milano... In Venetia | Presso la Minima Compagnia. 1599, p. 17 sgg. Qui è la parte più copiosa: 82 sonetti, 10 canzoni, 2 sestine, 1 ballata e alcune ottave: il Camerano e il Borgogni tengono la maggior parte della raccolta. In entrambe le stampe è recato giusto l’intero nome dell’autore. Altri componimenti spicciolati si trovano in altre stampe, e queste citerò in seguito. Anche nelle rime i mss. presentano discordanze, ma riescono sufficienti per inte- grarsi a vicenda. Nell'insieme l'ordine de’ componimenti si corrisponde nel ms. di Venezia e ne’ due torinesi N. III, 25 e N. H, 7, sebbene quest’ultimo non abbia la divisione in tre libri, segnata negli altri. Il Veneziano si arresta al principio del terzo libro; specialmente nelle rime esso andò soggetto a quell’attento lavoro di cor- rezione di cui ho già fatto cennò; che si tratti di una correzione ad una certa distanza di tempo dalla composizione, dimostra il fatto che le lezioni primitive, e alcuni com- ponimenti cancellati nell’autografo, noi possiam ritrovare in un altro ms. (Torinese, N. IV, 24, scorrettissimo, e ordinato in modo alquanto diverso). La parte pubblicata a Venezia nel 1599, oltre ad essere una semplice scelta, è anche soggiaciuta ad alcune mutazioni arbitrarie; e il disordine si è mantenuto nell'edizione di Torino del 1795, che riproduce nel fine del primo tomo le rime edite e nel principio del secondo le inedite; invece sarebbe stato necessario ricostituire l’ordine che risulta dai mss., perchè anche questo piccolo canzoniere procede secondo un suo filo ideale, chiaramente voluto dall’autore nella serie de’ varî soggetti presi a cantare (1). (1) Per chi voglia o debba leggere le rime del Camerano, ne addito qui il più giusto ordine. L'ed. torin. ha numeri progressivi per i sonetti e per le canzoni (sotto la qual denominazione rag- gruppa tutti i componimenti che non sono sonetti); segno con num. arab. le rime del t.I, con rom. quelle del II: Libro Primo: 1, 2, IV, 3, 4, 5, 16, 6, 7, 8,9, canz. 10, 10, 17, 11, c. 1, 12, 13, c. 11, 14, c. 3, II, III 933 IL CONTE DI CAMERANO 245 È importante una lettera di Annibal Caro al Conte di Camerano, di Mantova, 22 luglio 1559 (1), nella quale si dà giudizio delle rime del Nostro; la forma è cortese e l'intonazione par sincera: lo spirito poetico vien riconosciuto con grandissima lode, e si aggiungono alcuni avvertimenti intorno all’elocuzione; bellissime per qualità interne, sembrano quelle rime al Caro, di numero “ alle volte aspro, alle volte languido ,. Le Rime del Camerano, di spirito e di forma petrarchesche, si compongono in un insieme garbato e, ad onta di poche eccezioni, sobrio. Vi scorgiamo un poeta che ha ritrovato nel Petrarca lo stile per esprimere tutti i suoi sentimenti: con quello studio e con non molto di più egli si è formata l’arte sua. Segue il Petrarca assai da vicino, senza cercare di nasconderne atteggiamenti e mosse; le canzoni sono tutte formate secondo gli schemi del Petrarca, spesso persino con ugual numero di stanze; ed è conformità di schemi rispondente a conformità di argomenti. Anche qui rico- nosciamo il nostro letterato un po’ primitivo, non troppo addentro nella ricerca dell’arte; egli ha ottenuto il senso dell’eleganza del verso, allora diffusa e intesa comunemente nello stesso modo; e di quella si giova poetando de’ casi suoi, trat- tando con cura, ch'io direi tranquilla, argomenti già svolti da tanti, solo per rendere XXI, 57, 56, 18, 58, 59, 67, 68, 69, 70, 71, 72, c. 12, 73, 74, 33. 19, c. 5, 21, 20, 41, 42, 22, 40, 23, 24, 34, 35, 25, 37, 38, XX.II, 39, 43 (39 pubbl. anche nelle Rime del Caro, ed. cit., e nelle successive). Libro Secondo: 44, 45, 46, c. 13, 47, 48, 49, 50, 36, c. 4, 51, 26, 52, 53, c..9, VI, 27, VII, 54, 28, 55, 75, 76, 77, 30, 78, 79, 80, 81,.60, c. 14, 61, 64, c. 6, c. 7, c. 8 (c. 4, pubbl. con qualche annotaz. da A. Mazzoneni, Rime oneste de migliori poeti Ant. e Mod., Bergamo, Lancellotto, 1750, II, p. 117 sgg. posta un po? oltre il suo vero tempo, e anche nelle note, p. 599, del Camerano si parla sotto il 1580. — 51 e 26, pubbl. fra le poesie accodate alle Rime piacevoli di C. CaroratI, del Manno, ecc. Parma, Viotti, 1585, p. 190 e nelle successive ristampe). Libro Terzo: 29, 32, VIII, 31, I, XXIII, XXIV, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV, XXV, XVI, c. I (unica del %. Il), XVII, XVIII, 65, XIX, XX, 62, 63 (XXV, pubbl. già nelle Rime del signor Gro. Marra Agacero, Parma, Er. Viotti, 1598, in fine al vol. fra i “ Sonetti di diversi scritti all'Autore ,). — Fra 29 e 32 dobbiam porre il son. pubbl. a parte nell’ed. torin. (t.I, p. 98) dalla Scelta di rime di diversi eccell. Pocti (fatta da C. Zabata), parte II, Genova, 1579, p. 59 — e a pag. 60 della stessa Scelta v. il son. 62. — Ultima, dopo 63, è da notare una canzone inedita “ Non maligno splendor di fera stella , recata dal solo N, III, 25, ma di attribuzione non dubbia. Restano esclusi i segg. componimenti, che non si registrano in nessuno de’ mss.: — la canzone in lode di S. Giacinto “ Alma celeste che ne’ sommi giri , (c. 2), la quale, pub- blicata come del Nostro nella raccolta di Venezia (p. 35), era stata dal Borgogni stesso pubblicata per sua nel dialogo La fonte del diporto, Bergamo, C. Ventura, 1598, cc. 55 0-56 v (ancora nella rist. Ven., Ciotti, 1602, p. 241 sgg. V. ediz. torin. del Camerano, I, p. 146 n.): Gherardo [il Borgogni] si scusa della sua “roza, e mal composta Canzone , ma, poi ch’essa è recitata, l'interlocutore ne dice un gran bene. — il son. © La bella Dafne mia cangiando loco , pubbl. dal Ranza, Poesie e mem. di donne letter, 1769 [Vercelli, Panialis], p. 73, di su una raccolta del sec. XVI da lui posseduta, contenente rime italiane di vari poeti abbastanza noti, tutte per la morte della fanciulla torinese Laura Nasi, secondo ci dice egli stesso (pp. 20-21, 28, 72); del ms. non si ha più notizia (v. Rosrrti, Il cittadino Ranza, in “ Miscell. St. Ital. ,, XXIX, p. 12 n.). Il Ranza l’avea f comunicato , a D. Saverio Nasi, che “ pare “ avesse intenzione di pubblicarlo , (CrerarIo, St. dî Torino, II, p. 159; cfr. Bibl. Reale di Torino, Miscell. st. p., ms., vol. 170, n. 28, ove si parla anche di una vecchia copia posseduta dal Nasi). — i sonetti “ Ciò che ’1 Tago, il Pattolo, l'Ermo e ’1 Gange , (ed. tor., 15), “ Come natura cangia “ arte e costume , (66) e “ Perchè in biasmo d’Amor canti sovente , (82), contenuti nella racc. di Ven. 1599. ‘ (1) De le lett. famil. del Comm. Axwrsar Caro vol. secondo, Ven. Aldo, 1575, p. 183 sgg. La signora Lavinia, cui si accenna in fine della lett. è la moglie di Giovanfrancesco Sanseverino, ricor- dato sul principio, fratello di Costanza e quindi cognato del Camerano. Se il Caro e il Camerano si conobbero di persona, questo avvenne probabilmente a Parma. 246 FERDINANDO NERI 94 le sue impressioni poetiche, senza pensiero di sceverare la parte dovuta a semplici influenze letterarie. Incomincia cantando la bellezza e la freddezza della donna amata, si mostra tutto esitante fra le speranze e i timori, s'inasprisce perchè il suo amore non è cre- duto. La donna si allontana sulle onde “ del predace fiume ,, ed egli piange la dolorosa assenza; la donna amata ritorna, ritorni primavera; si gode che Amore abbia ora irretito pur lei. Questa parte risente più dell’esercitazione; ma a volte il poeta cerca di animare il canto d'amore con le cure della vita civile e della guerra ; si rivolge all'Italia che ha figli iniqui (1) e oblia gli antichi vanti; nella canzone all'Italia (c. 3, “ Madre di quei gran figli al mondo chiari ,), sebbene l’ispirazione dal Petrarca sia evidente, l’espressione è accesa, violenta, contro i signori discordi e avidi. In realtà è il poeta uomo di parte e canta gl’ideali suoi, in quelli racco- gliendo tutte le aspirazioni della patria a grandezza civile (2); perciò s’invigorivano certe poesie all'Italia, ove non troviamo che la tradizionale figurazione retorica, ma con un impeto robusto alcune volte, cui è necessario pensare abbia contribuito qualche cosa di vivo (8). Il canzoniere procede in successivi episodi, ma non ben chiari, sì da ritrarne poco più che la contenenza lirica. Dell’amore accennato prima, quale la donna, quale il paese, il fiume? Ora si parla di Amarilli, di Titiro e di un più saggio pastore, Fedro: a Titiro fece la donna assai doni: “ Solo ‘1 più caro fior copre et adombra ; “ | Ma più saggio pastor, mentr’ella a l’ombra | Incauta scherza, ’1 colse oggi fa “ l’anno; | 0 felice memoria, o lieto giorno , (s. 56). Dalle sue terre — poichè si parla del Tanaro — Fedro deve allontanarsi “ Fuggitivo d’Amor, servo di Marte , (s. 18) (4). — Poi un grande dolore della sua donna e pianto per oscura cagione; e (1) Il son. 14 “ Questo d’Italia nato iniquo seme , io non riferirei a nessuno personalmente (v. Naprone, p. 61 n.), ma all'insieme di quei signori d’Italia, contro i quali il poeta inveisce più volte; le lor vittorie son vane “ S’altri trionfa, o per noi duro esempio, | Del tuo non degno acquisto, infin “ ch’al collo | Ti ponga ’1 giogo Ariovisto o Breno ,. (2) Sono notevoli per questo rispetto due sonetti ne’ quali si tratta di Emanuele Filiberto (II © Gli alti trionfi, et l’honorata fama ,, III “ È nosco ’1 grande Dio mentre con noi ,). (3) “Il nome d’Italia rimase e crebbe contro l’ imperio, contro il sacerdozio; contro è nemici “ interni e contro i nemici stranieri, col nome e nel nome di Roma ,, G. A. Cesareo, L'Italia nel canto di G. Leopardi e ne’ canti de’ poeti anteriori (“ Nuova Antol. ,, 4° bim. 1889, p. 462); ov’è dato per il Cinquecento ogni risalto alla povertà, ed all’affettazione accademica. (4) A questo breve ciclo si ricongiunge un sonetto, posto dopo 18, e cancellato nel ms. venez., recato pure da N.IV, 24; si tratta di un successo amoroso, onde il poeta si compiace pur nel ricordo: Mentre sereno ’l ciel, l’aure seconde, Facean di verno a Tirsi un lieto maggio, Ei vago d’ombra di un bel mirto o faggio Frutti non colse mai, nè fiori o fronde. Ma poi che sorte nubilosa asconde D'amica stella ogni benigno raggio, Scorgendo qual fu incauto e poco saggio, Piove dagli occhi amare e fervide onde. Phedro ch’accorto già fra mille fiori La violetta sol non ebbe a schivo E di questa s’ornò la fronte e ’1 seno, Fa lieto risonar la Mosa e ’1 Reno Del suo bel fior di cui s’or è ben privo Ne la memoria ancor serba gli odori. Io non terrò conto dei sonetti cancellati nel ms; ma questo mi è parso degno d'una trascri- zione. — Anche qui Tirsi, come nel son. pubbl. dal Ranza. 35 IL CONTE DI CAMERANO 247 varì componimenti su di un viaggio per mare tempestoso e sul ritorno (1), attraver- sando nell’inverno il Reno. Alcuni altri prendono argomento dalla favola di Cefalo: poichè vedremo caro al nostro poeta l’uso di assumere una favola mitologica e raffigurarne i personaggi pur nella lirica, con intenzioni semplicemente liriche, adombrando fatti reali: Solo Cefalo in selva tenebrosa Sotto il pigro Boote si distrugge, Che non ha Procri e non gli appar l’Aurora; (3. 23) ma poi è la gelosia di Procri; e gli amori dolcissimi di Cefalo con l’ Aurora. — Chiude il libro primo un gruppo di sonetti d’argomento vario e di corrispondenza. | Nel secondo libro l’amore annunzia un’intonazione più elevata. Spicca di continuo la parola riamma: per una Fiammetta, o per una Flaminia; lontano da lei, rimasta sul Po, egli si duole, le manda dipinto il suo ritratto. — Qui troviamo interposta la canzone “ O de l'alto signor sembianza eletta , (c. 4), ch’è rivolta alla Duchessa Mar- gherita — colta amica di poeti e in Francia e in Piemonte (2) —; un ms. (Tor. N. II, 7) ha l'intitolazione “ Nelle guerre di Francia a i tempi del Re Carlo Nono ,; il Conte prega Margherita di recarsi in Francia a sedarvi le terribili guerre reli- giose, e ripete l'invito con una certa insistenza di consiglio che non dovette piacer troppo alla Duchessa; sappiamo anzi che non le piacque e lo disse al poeta stesso, il quale stette alcun tempo lontano dalla corte (3). — Si riprende il tema amoroso: la Donna si ammala, il poeta teme ch’ella abbia a morire; ma ella si rià: qualche (1) Non sappiam bene dove: s. 21 incomincia: Non sono, Euri animosi, i vostri fiati, Sì veloci a portarmi in Occidente... e Al: Quì dove or calco l’arenosa riva Del Britannico mar, quì dove irate Fremono l’onde, ove benigne e grate Non spiran aure, nè verdeggia oliva... . Nella canz. 5 leggiamo che la donna era rimasta Ne la città, che con tre capi ’l colle Per entro adorna, e fori ’1 bel terreno Lungo le mura il mio Tanaro inonda. Vedi la xilografia raffigurante Asti, ch'è sul frontispizio delle Constit. simodales per la città e diocesi, stamp. in Asti, F. Garone, 1539. (2) Vedi De Normac e Sorerti, Il viaggio in Italia di Enrico III, cit. p. 217 n. — F. Pintor, Delle liriche di Bernardo Tasso, Pisa, Nistri, 1899, p. 94 seg. (3) Il fatto è raccontato dal Toxso (De vita Emman. Philiberti... libri Quo, Tor., D. Tarino, 1596, p. 199) a dimostrare il grande amore di Margherita per il marito, sì da non aver grato chi le sug- gerisse la lontananza: “ artem et elegantiam laudavit, argumentum minime probavit... quare Fede- “ ricus veritus ne ea res a se voluntatem eius alienasset, recessit sponte, atque ab aula aliquandiu “ abfuit; ne in illius oculos incurreret, quam averso a se animo esse suspicabatur ,; e un simile accenno, tolto ed abbreviato dal Tonso, ha il De MoxpLemncHAMP, L’'histoire d'’Em. Philibert, Amsterdam, Jaque le Noir, 1693, p. 210. — Il Verwazza, in un principio di lezione ms., argomenta che in atto di scusa il Camerano scrivesse il son. “ Portar pensai con la mia debil rima , (51); l’ed. di Ven. reca infatti l'intitolazione “ Alla Serenissima Margherita Valesia Duchessa di Savoia ,. — Le guerre religiose di Francia ebbero principio nel 1562: molto probabilmente il Caro diè il suo giudizio sul 1° libro soltanto. 248 FERDINANDO NERI 96 allusione al luogo ov'ella abita, al Colle, ai pastori. Il poeta deve allontanarsi, ma non mai dimenticherà la sua donna: Non perchè m’allontani "1 fato reo Da voi mia FIAMMA, e m’avvicini a l’Orse; E più gelido assai, ch'unqua non corse Mi porti l’Istro al regno di Tereo; E trovi là, dove il gran Carlo feo, Che ’1 superbo ottomano il freno torse, Beltà da porr'innanzi a quella forse Che ’1 gelato Aquilon arder poteo... (s. 76). Il Po lo riporta a lei; il Colle è abbandonato dalla Fiamma. Alcuni sonetti di corrispondenza e di salutazione, e il libro si chiude con tre canzoni, ricalcate sulle petrarchesche degli occhi ad esaltare la “ Fiamma più d'altra luminosa e chiara ,. Il libro terzo incomincia con queste sonetto: Per lungo d'aspri mari umido solco, In nave carca di famosa gente, Hyssipyle lasciata egra e dolente, Novo ardito Giason pur giungo a Colco. E come vuole Amor, fatto bifolco, Avendo l’ire ai fieri tauri spente Gli avvezzo al giogo, onde felicemente Stranier terreno seminando solco. Nè temer voglio di tal seme acerbe Armate biade, nè che i lumi a tempo Del sempre desto serpe Amor non copra; Anzi "1 vello sperar tardi o per tempo, Sad altrui cruda, a me pietosa adopra La mia barbara maga i versi e l’erbe. Tutto il libro è per questa dardara maga, intrecciando i nomi della favola di Giasone e, dal modo come della donna si parla, ella dovette aver nome Barbara: non nota a lui solo: a un “ Bernardo , — ch'io non conosco — dice di fuggire la barbara maga (s. XXIV). L’Agaccio (Rime, cit.) aveva rivolto al Conte un sonetto D’una Barbara Maga il volto e ’1 carme con la stessa allegoria, dicendo di non potersi avvantaggiare presso di lei: Voi di Marte figliuol, di Phebo amico, Che non temete armate schiere a fronte, Vid’io smarrir, davanti a lei, figura. Ma voi cigno vi feste; io sasso in fonte: Nè Circe ella è però, c'ha il sen pudico; Nè men Medea, c'ha la man bianca e pura. Pur fra le corti, il nostro gentiluomo fugge e dispregia ciò che non è la celeste sua maga (s. XV). È contesa e dispetto fra le città, tutte desiderose di ador- narsi di lei: V'aspetta "1 Tebro, o bella donna, come Infermo alto liquor, che sano il rende; Egli, vostra mercè, superbo attende Tornar, d'onde cadeo, l'antico nome. 37 IL CONTE DI CAMERANO 249 Ma l’umil Parma, ove terrene some Prendeste, e che per voi sì chiara splende, A sdegno seco il Re de’ fiumi accende, Che del suo onor felice altri si nome. Ma il Po di là, donde ha di stelle accesa L'alta sembianza, grida: Io già non voglio, Che quinci "1 Tebro al suo sperar compiaccia. Fatal vendetta avrem di questa offesa, Quando ’1 poco valor col molto orgoglio Di Barbara virtute estinto giaccia. (s. 65). Troviamo frequenti passi e versi di tal suono: ricordo quelli soltanto che pos- sono dar qualche luce. Dalla canzone inedita sappiamo ancora ch'egli s’innamorò della Barbara Maga sui sette lustri (1). (1) Non per ismania dell’inedito, ma poichè tutto il canzoniere è a stampa, e questo componi- mento è fra gli altri importante, stimerei affettazione contraria il tralasciarlo: Non maligno splendor di fera stella, Se ben ha forza ’1 Cielo Quant’alcun crede nell’umano stato, Nè fera voglia altrui che mi sottraggia Alle prime speranze vive e care, Torranno all’alma — innamorata e vaga I pensier dolci suoi. Chi a viver toglie chiuso in fosca cella, Se ben poi cangia il pelo, Non sa gir lungi dall’albergo amato, Qual era tal son or qual che mi traggia Fortuna ingiuriosa ove a lei pare, Nè grave salma — la mia bella maga Consente, che m’annoi. Adunque scarco in questa parte e ’n quella O per caldo o per gelo Corro senza timor di nembo irato; Leggera ella mi segue in ogni piaggia E più sempre leggiadra al cor m'appare, Ove s’incalma — sì che non l’appaga Qual altra i’ veggia poi. Come d’Apollo armata la sorella Se non l’adombra velo Di nembi, assale et pugne di ogni lato La fera, che non posa ov'ella raggia, Così le notti mie costei fa chiare, Ch'altr’arme impalma — e di dolcezza appaga Amor, gli amari tuoi. Dolcemente garrend’i’ vo con ella E quando il dio di Delo Se ’n sta sotterra, e quando esce infiammato, E spera il cor, s'avverrà pur che caggia Ferito a morte, che non fronde amare Di lauro o palma — a sì onorata piaga Saran pregio da poi. So ben ch'io vissi nell’età novella, Nè di ciò mi querelo, Da vie men degno obietto arso e legato, La cera buon scultor prova per ch’aggia Poscia più vive imagini a formare, E nocchier spalma — nave che poi vaga Fia a gl’Esperj e Eci. To avea da sette lustri la mammella Lasciato quando il telo M’avventò Amor dal dolce viso amato. O pera pur chi cotal colpo assaggia Serie II. Tow. LI. 32 250 FERDINANDO NERI 98 Or chi è questa donna cui tanti indizi si volgono? Io vi ho scorto una Signora celebrata e magnifica. — Nella tavola delle Rime di G. M. Agaccio, ad un sonetto che incomincia “ Nova al mondo beltate et leggiadria , (1) è posta questa nota: « Questo Son. et tutta la terza parte delle rime è fatta per la Illustriss. Sig. Con- tessa Barbara Sanseverina Simonetta, Sig. di Colornio ,. Precisamente in questa terza parte è il son. “ D’una Barbara Maga il volto e ’1 carme , — al Conte di Camerano, che rispose: “ Agaccio, quella Maga onde cangiarme , (2). Barbara Sanseverini, — la quale, nata “intorno al 1551 ,, fu Contessa di Sala poi che nel 1564 la sposò Giberto Sanvitale (vedovo di Livia da Barbiano) —, è ricordata fra le donne più insigni dell’età sua (3). Bella e colta, vagheggiata sin da giovinetta, rifulse d’ogni fasto a Parma, a Roma, a Ferrara; fu amata pazzamente da principi, fu cantata dai maggiori poeti. La sua vita, così splendida e varia, non fu immune da contrasti assai gravi; onde la tragica fine di lei anche si ricorda a chi ne venga solo cercando il tempo migliore. — Il Conte di Camerano morì sul cadere del 1575. Fra i versi di Diomede Borghesi, pubblicati nel 1566, vediam reso omaggio alla Sanseverina (4), e già in quel tempo dovea comporre in rima per la. Et a sprezzar tutt'altre non impare, Nè le dia palma — ovunque il mar allaga Di quante son fra noi. Barbara Maga, ma non cruda o fella, Dal cui divino zelo Tal grazia piove che fa l’uom beato, Guerriera ardita nè men bella e saggia, Per cui sprezzando Colco in dolce mare Sostiensi in calma — di voi sola paga Argo carca d’eroi, Più chiara et alma — chel mio cor impiaga Fiamma non ha di voi. Ho tolto certi grossolani errori del ms., ch'è una qualunque copia. (1) Con leggiere varianti in altri esemplari, perchè veramente le ediz. delle Rime nel 1598 furono due (v. Pezzana, Continuaz. degli Scrétt. e lett. parmig. dell'Affò, t. VI, parte 2°, pp. 596-7). Sull’Agaccio, nato non in Parma, come crede il “ bresciano Mazzuchelli , (Seritt. d’It., v.I, parte I, p. 175), ma nel Bresciano, v. Arrò, t. IV, p. 243 n. e Pezzana, l.c., p. 595. (2) L’Affò aveva comunicato al Vernazza il son. dell’Agaccio (Race. Cossilla, lett. 2 e 16 feb- braio 1779, cfr. Cran, art. cit, in “ Riv. stor. ital. ,, XII, p. 474); ed è naturale che l’erudito di Parma avesse intravveduto i riferimenti di quei versi, pur senza aver badato all’avvertenza della tavola. Ma di quei riferimenti non si accorse il Vernazza, nè, in conseguenza, il Napione; a quest’ultimo debbo lasciare l’affermazione che il Camerano abbia amata e cantata una Giulia, forse de’ San Severino (pp. 57-58), affermazione fondata solo sull’impresa, per l’ allusione al nome Giulia (v. Caminur, l. c.). (3) Roncmmni, Vita della Contessa Barbara Sanseverini, in “ Atti e mem. delle RR. Deputazioni di Storia patria per le prov. Modenesi e Parmensi ,, vol. I(1863), p. 25 sgg. SoLerti, Ferrara e la Corte Estense nella seconda metà del sec. XVI, 2% ed. Città di Castello, Lapi, 1900, cap. XVII. — Quando furon pubblicate le rime dell’Agaccio, ella era già passata a seconde nozze col Conte Orazio Simonetta; nel feudo di Colorno era succeduta sin dal 1578, acquistandosi la cagione di tristissimi guai. Nel son. 65 del Camerano abbiamo veduto “ Ma l’umil Parma ove terrene some Prendeste ,; — il RoncHÒÙini (p. 30) crede che Barbara nascesse in Milano; anche ammesso ciò, la vita di lei si svolse a Parma, ed ella fu sempre considerata come una gentildonna di Parma. (4) Padova, Pasquati, 1566, v. Frvanpro CrereNse (A. Cerati), I Sanvitali, Parma, Stamp. Reale, 1787, nella n. a p. 116. RoncHiIni, p. 33. Le antiche rime del Borghesi non si ritrovan più, tranne otto “ da lui stesso rivedute, mutate, et illustrate , nell’ edizione del 1585. — Il Soverti (Ferrara e la Corte Estense, p. cxxxvi n.) crede che Muzio Manfredi abbia composto versi per Barbara Sanse- verina fanciulla; ma il madrigale “ Fiera fu ben la stella , ch'egli ricorda dal cod. estense [ora segnato a, S, 1, 34-36] di Lettere Gonzaga, diciam così sommariamente, vol. III, p. 116, è rivolto a Barbara 39 IL CONTE DI CAMERANO [AS] 51 sua Barbara il Camerano, che parla dell’innamoramento sui cinque lustri: nel 1562 o 1563, ma prendiamo la data come un riferimento un po’ largo, poichè ce l’offre una poesia, La consonanza del sonetto all’Agaccio col restante libro terzo del Can- zoniere è evidente, e notiamo ancora ch’esso è di risposta, e riveda il lettore le terzine che dalla proposta dell’Agaccio ho citate innanzi (1). — Jl son. 65 divien chiaro: la Contessa di Sala si recò a Roma col marito e la figliastra Leonora verso la fine del 1572, e vi figurò assai bene anche nel 1573, quando giunse Alfonso II duca di Ferrara per omaggio al nuovo pontefice Gregorio XIII; allora Torquato Tasso scrisse il sonetto, ch'è notissimo, “ Tolse Barbara gente il pregio a Roma , (2); Curzio Gon- zaga volle rispondere per le rime, alla Barbara opponendo la sua Orsa (3); e per la Sanvitale, figliuola della Sanseverina (cfr. Roncai, p. 42); nella lett. che precede (del 18 marzo 1587), il Manfredi dice: “ Ho finiti i miei cento Madrigali e le mando questi tre, che sono degli ultimi “ fatti ,. Ecco del resto il componimento: La Sig." Barbara Sanvitale da fanciulletta faceva leggiadrissimamente moresche: Fiera fu ben la stella Sotto la qual di BARBARA nascesti, Se di BARBARA il nome anco n’avesti. Ma chi di te più fiera, Che pargoletta, bella, Già ti scopri guerriera? L’altre, ballando, fan segni d’amore; Tu d'ira e di furore. Deh non esser crudel, se pure altera: Usa la mano e ’l core, Non a dar morte, a sovvenir chi more. Nelle Cento donne cantate del Manfredi stesso (Parma, Viotti, 1580) la IX è Barbara Sanseverina “ Marchesana di Colorno et Contessa di Sala, e la X Barbara Sanvitale. — I Cento madrigali furono pubblicati nel 1587 in Mantova, presso Frane. Osanna (v. pp. 84 e 36). (1) Nelle rime dell’Agaccio la Barbara è pur detta Gorgona e Sirena; per il Camerano è sempre Maga. Il RoncHini (pp. 41-42 n.) notò la relazione fra il nome di Barbara e il suggello raffigurante uno scorpione e sopravi una stella, usato dalla Sanseverina e dall’ omonima sua figlia. — Anche l’Agaccio nel son. © Ch'io viva e canti e ’1 pianto usato lassi , parla di gara tra fiumi, tra il Po e la Parma. (2) Sorerti, Vita di T. T., vol. I, p. 180. — Tasso, Le Rime, ed. Solerti, vol. III, pp. 56-57; perla Sanseverina il Tasso ebbe poi a scrivere molte altre rime: pp. 67, 69, 419, 484 sgg. e nel vol. II, p. 117 è da notare, se non altro, l'attribuzione di un ms. — V. inoltre Ferrara e la Corte Estense, cit., p. cxci sgg., e il cenno sul Guarini, che professò anch'egli la sua ammirazione per la bella Contessa. (3) Currio Gonzaga, Rime, ed. di Vicenza, stamperia nova, 1585, p. 102 “ Con mani avvinte, e “ con discinta chioma ,. Che in quest’Orsa si debba riconoscere una gentildonna di casa Orsini, vide già il Bernoni (Curzio Gonzaga rimatore del secolo XVI, in © Propugnatore ,, N. S., vol. IV, parte I, p. 132); a me pare che possa identificarsi con Francesca Baglioni Orsini; nella raccolta Donne Romane di Muzio Manfredi (Bologna, Benacci, 1575) è una gran quantità di versi per questa signora; e ve ne sono anche di Curzio Gonzaga (pp. 97-98, 120-21) con accenni alla Franc'Orsa; tre sonetti, tutti di risposta ad uno di Lucrezia Marcelli, si posson proprio dire di genere amoroso, e in taluno si parla della xov0Orsa, che è il modo solito onde il Gonzaga nelle Rime allude alla sua donna. I tre sonetti si ritrovano fra le Rime; per essi nella tavola è taciuto il nome dell’Orsina ed è segnata la reticenza di quello della poetessa cui sono rivolti; e nel son. “ Novella Clio, tal già sostenni “ Amore , al v. che prima era “ Ma la FRANCH'ORSA più lucente, e chiara , è sostituito “ Ma la “nov ORSA ecc. ,. Questo sia detto per incidenza. Le allusioni de’ nomi si curavano assai fra mezzo all'enorme profluvie poetica per gentildonne italiane, venusti e scioperati esercizi che s’ebbero per lungo tempo campione e raccoglitore Muzio Manfredi. 252 FERDINANDO NERI 40 Sanseverina scrissero pure Maffeo Veniero una canzone in dialetto veneziano (1), e Girolamo Catena versi latini (2). ‘Barbara Sanseverini era nipote di Costanza (sorella di Gianfrancesco), moglie del Conte di Camerano; che si dovessero conoscere è almeno naturale (3), e la distanza di età non'mi sembra un forte argomento in contrario, quando l’uomo è sui trenta- cinque anni e la donna è sposa. Fra i sonetti del Camerano son rivolti a gentiluomini e ad artisti i seguenti : XXI al Borri (4); 37 al Marchese di Pescara; 39 al Caro, del quale rimane il sonetto di risposta, di teorica amorosa; 81 a Giuliano poeta e a Leone Aretino scultore, insieme (5); 60 a Leone stesso, il valente intagliatore; XXV all’Agaccio (cit.); pochissimi altri nomi si ritrovano nelle Rime, ma senza riscontri precisi. — L'esame di questa parte dell’opera del Camerano ce lo dimostra dunque abbastanza assiduo verseggiatore; e soprattutto lo fa riaccostare alla società colta di Parma, ove dovette con molti più essere in relazione, e a Parma dovette vivere più che dalle notizie di natura politica o militare non risulti. (1) Poesie di Maffeo Veniero arcivescovo di Corfù e di altri. Ven., tip. di Alvisopoli, 1817 (è il 2° vol. dei Poeti antichi del dial. venez., pubbl. da B. Gamba; anche a parte con data del 1818). (2) A più riprese scrisse il Catena per la Contessa di Sala: Latina monumenta, Pavia, G. Bar- toli, 1577, c. 507; a c. 93 sono alcuni distici, mentr'ella era inferma; e v. pure allusione in poesia a Giberto San Vitale, c. 115 v. — In seguito di tempo, molti altri ebbero a comporre per la Sanseverina. (3) Nell’Arch. di Stato di Parma. Carte Sanseverino (mazzo 1560-1569) è una breve lettera senza data, ma del 156.., della Contessa di Sala alla Contessa di Colorno sua madre (Lavinia Sanseverini); si rallegra del miglioramento di salute del S.: il padre], e subito termina: “ Se sarà vero chel “ Conte di Camer.®° venga vs. mi farà favor far ch’io sappia se io devo haver speranza di vederlo hò “ no (sic), et subito gionto gli dia una racc.®° per me ,. Io non vi so leggere se non il nome del mio Conte, perchè, fra l’altro, un Conte di Camerino non esisteva. (4) L’Affò, in una delle cinque lettere al Vernazza conservate nella Race. Cassio (12 marzo 1779) allude a un Luigi Borra, parmigiano (Mazzucmenti, Scritt. d’It., vol. II, parte II, p. 178), morto però nel 1545, quindi non accettabile, perchè nel son. il Conte si dice già guerriero. Qui non si può rag- giungere un’identificazione sicura e, in ogni caso, ci sarebbe proprio utile? Una famiglia di quel nome fu diffusa in Parma (v. ad es. R. Pico, Append. di vari sogg. Parmig. Parma, Vigna, 1642, p. 192 e Agg. p. 100); ma un Geronimo Borro senatore ritroviamo intorno alla metà del '500 nella corte dei Savoia (Arch. di Stato di Tor. Lett. partic.). (5) Questo Giuliano è certamente il Gosellini: v. l’intitolaz. nella racc. di Ven. 1599; ma fra le Rime del Goselini (2° ed., Ven., B. Zaltiero, 1573 e 8%, Mil., P. G. Pontio, 1574) non sono poesie al Camerano, nè che si possan far corrispondere al son. di quest’ultimo: “ Giulian, lodaste in rime sparse il suono ,. Il Goselini scrisse anch'egli un sonetto a Leone Aretino (2° ed., p. 100); entrambi appartennero alla cerchia artistica e letteraria di Ferrante I Gonzaga (v. RoncnIni, Leone Leoni d'Arezzo, in “ Atti e mem. RR. Deputaz. St. Patr. Prov. Modenesi e Parmensi ,, III, p.9 sgg. e Pron, Leone Leoni, cit.). Il miglior frutto dello studio di tutti i rimatori minori del Cinquecento sarà di chiarire la conoscenza delle relazioni letterarie, così importanti nella società di quel tempo. I primi letterati piemontesi si avvivarono per l'influsso di altre splendide Corti: si deve riaccostare al gruppo milanese, e al mantovano, Galeotto Del Carretto (v. Grus. MawAcorpA, in “ Mem. Accad. Se. di Tor. ,, S. II, T. XLIX, p. 58). AI IL CONTE DI CAMERANO (1) (hi (Ue V. I due poemi del Conte di Camerano, sebbene addimostrino un lungo lavoro di composizione della materia e uno studio di verseggiatura non ispregevole, hanno però assai scarsa importanza: esercizi, non opere di vera comprensione artistica. Frutti probabilmente degli ultimi anni dell’autore (specialmente le Trasformazioni (1)), ebbero a rimanere quasi sempre ignoti. L'ira d'Orlando, giusta il metodo del Camerano di trar sempre ispirazione diretta da qualche esempio illustre, cerca di concordare la tela del romanzo cavalleresco con l'imitazione classica assai stretta, mantenendo l’ottava, e ricorrendo ad Omero per il nocciolo del poema: l'ira di Achille divien l’ira di Orlando, e gli altri personaggi rispettivamente rivestono il loro-spirito antico delle armature moderne. Così quella conciliazione faticosamente avviata dal Trissino e ricercata con sincera costanza di sforzi da Luigi Alamanni e da Bernardo Tasso, veniva assai leggermente attuata dal Nostro. Vediamo il principio del poema e saremo subito informati della cosa: L’ira del conte Orlando ruinosa Canta, o Musa, che tanto a Francia dolse; Per cui l'Abisso entro la valle ascosa Infinite feroci anime accolse, -Dal dì ch'a rissa grave e disdegnosa Contra ’1 sran Carlo imperator si volse, Tratto da man fatal ch'a le contese / Alme ben sagge intorbidando accese (2). Il poema comincia al punto in cui Angelica, colta in braccio all’Eremita, è fatta preda e portata, diciamo col Camerano, all'Isola del Pianto (Or. fur., VII); qui pensò il nostro d’innestare la sua azione. Atia — ecco le personificazioni dei nomi classici, di schietto tipo trissiniano — assume la forma di Angelica e va ad accendere lite fra Carlo e Orlando. Mentr'ella è condotta a Carlo, Orlando la ritoglie a forza. Carlo raduna i Paladini a consiglio e impone a Orlando di riconsegnare Angelica a Namo: Orlando si alza irato e fieramente annunzia di ritrarsi dalla guerra. “ Ma “ Carlo aduna il general consiglio ,; parlano Gano, subdolo (l’autore si è ricordato, nel raffigurarcelo, di Ulisse), che dopo gran giri suggerisce la morte di Orlando, e Salomone di Bertagna (vecchio re, Nestore), che consiglia il perdono, pur costrin- gendo Orlando a chiederlo. Sciolto il Consiglio, Gano s’insinua presso Carlo e Salo- mone fa sì che Namo, Uggiero Danese, Amone, Oliviero vadano ad Orlando per conciliare la lite (ricorda sempre l’Iliade, l'analogo invio alla tenda di Achille); hanno risposta altera, e la donna, la finta Angelica, fatta arbitra, se ne va coi duci a spargere nuova ira nel campo di Carlo e ottiene l'intento; ma è mandata a Parigi (1) Dico ciò per la maggiore elaborazione formale e per gli accenni certi all’ amore della Barbara Maga. (2) Ein una redaz. che dobbiamo credere anteriore (N. III, 25, che conserva anche le rime nella lor prima forma), la 2° ott. era così: “ Ma qual forza sospinse a tanto sdegno | A tal contesa e di “ sì grave pondo | Quel saggio Cavalier di cui più degno | Nè più fort'ebbe mai la terra a tondo] “ Contra un Imperator che giunse al segno | Di quanti furon mai più chiari al mondo? | Fu solo il & Fato che qual nebbia o polve | Tutte l’umane cose aggira e volve ,. 254 FERDINANDO NERI 49 con Gano. — Sul principio del 1. II si descrivono largamente le mosse degli eserciti nella contesa che scinde il campo franco. Re Marsilio, poi che sa della discordia, se ne vuol giovare; fra le schiere di sua parte troviamo, a capo di 5000 cavalieri, il bel Nireo (ott. 49): Di quanti al Pireneo calcaro il dorso Fu il più bello costui, ma "1 più sdegnoso, Per divisa ha un destrier ch’a tutto corso Par che s’aggiri in un bel prato erboso, Ove ha scossa la sella e rotto il morso: Col motto in fregio d’oro luminoso: Per questa vita 0 torbida 0 serena Propria virtù, non altrui forza il frena (1). Questa divisa è la stessa ch'è incisa sulla medaglia del Camerano; l’artefice n’ebbe di qui suggerita l’idea, e pensava a sè il poeta in quel Nireo? (2). Certo egli fa notare assai chiaramente come si tratti di Spagnuoli in guerra con Francesi, e così gl’Infedeli perdono questo loro aspetto, si nobilitano. L'ordinamento, il piano delle schiere è seguito con precisione numerica (3); nella battaglia ha piena vittoria Orlando. — Libro terzo: Sorgea la luna, e l’argentato corno Gli altri lumi del ciel rendea men chiari, Prendeano i corpi stanchi d’ogn’intorno Dolce riposo, et avean pace i mari, Tacean i campi, ove s’udiro il giorno Le roche voci de’ bifolchi avari; E ruminando ne le stalle amiche Obliavano i buoi le lor fatiche. Ma Orlando non può dormire; gli è presso Brandimarte (Patroclo; dice lo stesso Conte di Camerano: “ Taccian Pilade, e Lelio, e colui tanto | Dal grande Achille “ vendicato e pianto); erra per le tenebre lamentandosi (4) fin che si getta nel-lago per trovarvi morte; Brandimarte fido, che l’avea seguito, si getta egli pure. Nell’ombra essi cadono, non nell'acqua, ma su di un ricco ponte, e una leggiadra donna si fa a loro: la fata Celtonia che tenne Orlando fanciullino: ella narra di Atìa e de’ danni da lei tramati. Qui si arresta il poema (5); il quale può tutt'al più essere degno di qualche ricordo per quell’aspetto suo che rivela esitanze generali del tempo pur nell’arte rigidamente classica. (1) Anche di altre divise si discorre; per l’uso, v. Sanza, Imprese e |divise d'arme e d’amori nel- UV“ Orlando Furioso ,, in “ Giorn. stor. ,, XXXVIII, p. 810 sgg. (2) Orlando valorosissimo batte tutti: “ Nè fatto hai tu, Nireo, migliori acquisti, | Ch'ambi [Nireo “e Folvirano] Ch’ambi vi abbatte la famosa spada; | L’un passato nel cor pien di dispetto, | L’altro “ diviso il capo, il collo e ’1 petto ,. L'ottava fu forse fatta prima della medaglia. (3) Attribuiremo a ciò l’entusiasmo del Naprowe (Dise. sopra la scienza milit. di Torg. Tasso, Torino, stamp. Soffietti, 1777, p. 7 n.). Se fosse compiuta L’Ira d'Orlando “ avrebbe l’Italia un poema roman- “ zesco, in cui farebbe luminosa comparsa la più squisita scienza della tattica, e l’Ira d'Orlando non “ sarebbe stata forse men cara a’ Capitani moderni, di quello che fosse l’Ira di Achille agli antichi ,. (4) Ho notato che i primi 6 vv. dell’ott. 14, 1. III, rispondono, pur non essendo identici, ai primi 6 del son. “ Speme ch’al mio desir porgesti il latte ,; forse per questo il son. non fu accolto nel canzoniere. (5) Fra le carte vernazziane di Alba rimane un disegno di lezione del V. su questo poema: vi sono dei raffronti utili; delle divagazioni di confronti fra l’ira d'Orlando e la pazzia dello stesso, secondo l’Ariosto; e l'esempio di Rinaldo nella Gerusal. liber. quando abbandona il campo. 43 IL CONTE DI CAMERANO 255 Il poema Le Trasformazioni, pure in ottava rima, prende le mosse dalle Meta- morfosi di Ovidio, ma non è imitazione così assidua: Mutate forme in novi corpi io voglio Qual mi detta il pensier pinger cantando. Tu, che spezzi a' mortali il duro orgoglio, Che rendi umile ogni cor fero amando, Et or di piacer tinto, or di cordoglio, Vai fra i seguaci tuoi volto cangiando, Sostieni, Amor, le rime incominciate, Dal secol primo a men antiqua etate. Già dal principio il pensiero è volto con una certa diversità; si confronti: Im nova fert animus mutatas dicere formas corpora; di, coeptis (nam vos mutastis et illas) adspirate meis primaque ab origine mundi ad mea perpetuum ducite tempora carmen. Parla alla amata donna “ Barbara donna , per la quale egli vede in sè tutte le trasformazioni; ho notato, discorrendo le rime, la tendenza del Camerano a gio- varsi di una favola e svolgerla; qui il primo disegno dovette essere ispirato dalla lirica, dall’arte magica attribuita alla donna, e il fine del poema, o almeno della parte che ci rimane, ci riconduce a questo concetto (1). Il Camerano ha congiunto al principio del poema ovidiano anche la narrazione biblica: manca la descrizione del Caos, e s'incomincia dalla Creazione, passando al germe di corruzione svolto in seguito, onde il diluvio; e dopo -dalla terra putrida il sorgere de’ mostri: D’acque e di fango molle e paludosa Restò la terra per molt'anni e molti, Ov'è più bassa e più dal sol nascosa Fra gli alti monti, in cavi lochi e folti, E venne a farsi putrida e fecciosa Ivi la massa de gli umori accolti Che poi Natura con l'usata norma Fece animata e le diè varia forma. Cfr. Ov., I, 416 sgg.: Cetera diversis tellus animalia formis sponte sua peperit, postquam vetus umor ab igne percaluit solis, caenumque udaeque paludes intumuere aestu, fecundaque semina rerum vivaci nutrita solo, ceu matris in alvo, creverunt faciemque aliquam cepere morando. (1) Magia, una fanciulla fabbricata per magìa da Zoroastro, si vendica del re Nino che la respinse, trasformandogli tutti i suoi cavalieri. Ella stessa, sotto finto aspetto, lo induce a venire dove sono quegli amici: vien pure Semirami. Il piano si stacca galleggiando in mare; Magia scompare; si avanza un serpe mostruoso, Nino lo uccide, e vede ucciso un fido amico; e così un altro, che prima di morire lo avverte dell’incanto. La campagna è d'ogn'intorno piena di mostri: vuole Nino strap- pare un ramo sol per difendersi, e vede strappate le membra di un altro amico, Dentici giovinetto, che fu dolcissimo cantore: Ma malgrado di Magia e di fortuna Dentici viverà de gli anni al paro, Verranne un altro più felice ad una Barbara donna e gloriosa caro, Ù Che quand’il giorno imbianca e quando imbruna A lei non fia della sua cetra avaro, E vedrà volti a sè, cantando, i rai De’ più begli occhi che si vider mai. 256 FERDINANDO NERI — IL CONTE DI CAMERANO 44 L’imitazione è più libera, ma non è a dire cessi interamente nemmeno nel seguito, dove più si discosta (1). Il Camerano ha voluto annodare con una specie di trama la serie delle trasformazioni, forse per giustificare e attenuare i passaggi fan- tastici che soglion rendere questo genere di poesia meno simpatico; l’opera d’arte ha infatti bisogno di un'unità, onde sieno rispettati certi vincoli razionali: un poema come le Metamorfosi non può inchiudere un valore artistico se non considerato divi- ‘samente negli episodî. Mancando l’unità interiore, il legare meccanicamente le varie parti non muta gran che, ed un vincolo forzato diviene anzi più fastidioso. Il Camerano dovette pur mirare a qualche particolare episodio, ma riuscì freddo nell’insieme, nè ben chiaro; la forma è quasi sempre lodevole e alcune ottave son proprio di fattura assai fina (vedasi nel 1. III, 105 e segg.). — L’influenza di Ovidio sulla nostra lette- ratura, grandissima fin dalle origini, si continuò fortemente nel Rinascimento, come rappresentando la pura tendenza formale; a quell’influenza si riconduce direttamente il Nostro, più che nelle speciali derivazioni, in tutta la trattazione della materia, nell’intenzione tecnica e descrittiva. Ho cercato di esaminare l’opera del Conte di Camerano con qualche cura, e se taluno la vorrà dire qua e là soverchia, opporrò che ad ogni modo in un sentiero poco battuto io dovea far così; certo non ho esagerato il valore del Conte, ma, giunti al fine delle ricerche e delle considerazioni, possiam dire ch'egli ci è apparso come una forte e simpatica figura, non rinchiuso nella vita di una corte, ma ardito in suoi viaggi e battaglie e un po’ ingenuo nell’arte, e un po’ rude. (1) Nel libro II è evidente l’influenza dell’episodio ovidiano di Scilla e Niso. Ohimè non so, se pur doler mi deggio O rallegrar di questo assedio tristo. Mi duol ch’al padre mio nemico veggio Colui, c'ha fatto di me dolce acquisto, Ma senza questa nimicizia, chieggio, Come avrei sì divino obietto visto? (ott. 82). Laeter, ait, doleamne geri lacrimabile bellum, in dubio est. doleo quod Minos hostis amanti est; sed nisi bella forent, numquam mihi cognitus esset. Ov., VIII, 44 sgg. Fuggi da noi vituperoso mostro, : Le dice in grave e minaccevol grido; Dunque compagno avrem nel letto nostro Un mostro così infame, e così infido? (ott. 95). Di te submoveant, o nostri infamia saecli, orbe suo; tellusque tibi, pontusque negetur. Certe ergo non patiar Jovis incunabula Creten, qui meus est orbis, tantum contingere monstrum. Ov., VIII, 97 sgg. Ma non sono rispondenze frequenti; anche qui la condotta dell'episodio è diversa. Anche su questo poema rimane un abbozzo di lezione del Vernazza, con qualche ricerca di raffronti, soprattutto per il principio. TOPONOMASTICA DELL'ULTIMO RESIDUO DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE MEMORIA DEL SOCIO CARLO CIPOLLA Appr. nell’ Adunanza del 19 Gennaio 1902. Nella monografia di F. e 0. Cipolla: Dei coloni tedeschi nei XIII Comuni Vero- nest (1), si diedero alcune serie di nomi topografici, riguardanti la parrocchia di Giazza, che costituisce l’ultimo residuo della popolazione tedesca tredicicomunigiana. Poco e mal vagliato materiale era stato antecedentemente allestito dall’ing. Lorenzo Pol- . lettini, nella sua grande carta geografica intitolata: Topografia della provincia di Verona (2). Nè si può dir ricca la messe di nomi locali, che trovò ospitalità nel fol. 49 “ Selva di Progno , della Carta d’Italia, pubblicata dall’Istituto Geografico Militare. L'illustre G. Ascoli (3), fino dal 1895, sperò che, sia nei lavori di rilevazione dei terreni per la esecuzione del nuovo Catasto, sia in quelli per il nuovo Censimento, si scegliessero le migliori occasioni per raccogliere i dati riguardanti la toponoma- stica italiana. Seguendo questi sapienti consigli, sollecitai allora il molto reverendo don Domenico Bosco, parroco della Giazza, ad occuparsi di tale argomento. Egli, che già aveva aiutato mio fratello Francesco e me per la raccolta del materiale linguistico, non lasciò passare, senza approfittarne, questa favorevole occasione. Si procurò dagli ingegneri catastali una minuziosa carta topografica della sua parrocchia, (1) “ Archivio glottologico italiano ,, VIII [1882-83], p. 237 sgg. A dimostrare l'interesse che in Germania si continua a dimostrare per queste colonie tedesche, giova citare la recentissima pubbli cazione di A. Bass, Deutsche Sprachinseln in Siidtirol und Oberitalien, Lipsia, Lucius, 1901. (2) Verona, litogr. Penuti, 1866. (3) Nell’“ Arch. glott. italiano ,, Suppl. III, 94 sgg. Egli (p. 98) vi parla anche dei nomi “ cim- brici , raccolti da mio fratello e da me e pubblicati nel citato vol. VIII dell’ “ Arch. glott. ,. Secondo C. De Lottis (“ Nuova Antol. ,, CLXXVI [1901], p. 346) l'Ascoli desidera la compilazione di “ un dizionario completo dei nomi locali d'Italia ,. Serie II. Tom. LI. 383 258 CARLO CIPOLLA 92 e registrò un gran numero di nomi locali. Avendo egli poscia avuta la bontà di comunicarmi tutto quello ch'egli aveva messo insieme, si potò nel 1898 segnare le prime linee della carta toponomastica che qui viene pubblicata, e della relativa illu- strazione. Don D. Bosco non dimenticò poscia il lavoro, di cui egli era il vero autore. Ma un disgraziatissimo incidente di caccia troncò la sua vita giovane e attiva (24 ottobre 1899). Nel 1900 un amico e conterraneo del defunto, cioè il sac. Giuseppe Cappelletti, professore nel Seminario di Verona, si assunse di rivedere il lavoro fatto. Trovai nel Cappelletti un prezioso collaboratore. Tutto fu rivisto più e più volte negli anni 1900, 1901 e 1902. Io stesso ebbi occasione, nell'ottobre del 1901, di recarmi alla Giazza, per ripassare ogni cosa insieme con Domenico e Maria Nordera, nomi già noti a quelli che lessero la citata dissertazione Dei coloni tedeschi. La parte filologica fu studiata da mio fratello Francesco. Tale è l'origine di questo scritto, ch'io presento al pubblico nell’atto stesso che riconosco essere io quegli che meno di ogni altro contribuì a che esso venisse eseguito. Il prof. Cappelletti, mio fratello ed io, nel dar compimento alla presente raccolta toponomastica, pensavamo sempre all'amico immaturamente perduto, a don Domenico Bosco, al quale sopratutto si deve quel che può trovarsi di meno imper- fetto in tutto ciò che negli ultimi anni si è fatto nel campo della lingua e della topografia di questa ormai morente colonia tedesca. Nella trascrizione dei nomi si seguirono i criteri adottati nel lessico, unito alla monografia Dei coloni tedeschi. Quando una località porta anche il nome italiano, questo viene scritto fra due virgolette, p. e.: ‘ Fariselle ’, ‘ Passo del Ristele’ (parte I, n. 1). Se si dà la versione italiana del nome tedesco, ma libera e non chiusa fra le x virgolette, ciò significa che essa non è effettivamente usata. Si indicano le omonimie. CaRrLO CIPOLLA. Ca) TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE DD x (de) I. — Parte orientale. 1. Frazéilj, ‘ Fariselle’, daito (casupola, che serve di abitazione ai mandriani) con montagna annessa; al nord abbiamo il Richtla ‘ Passo del Ristele’, luogo di passaggio per andare a Recoaro. 2. Talja bo da geat in de Scagin ‘um Kampélbar, valletta che conduce alla Scagin di Campo d’Albaro (prov. di Vicenza). 8. Iz Talja ‘un der koate Bant, la valletta del sasso fangoso. 4. De Koate Bant, sasso fangoso. 5. Nuasche-Lén, ovvero De Lòn ‘un Nuischen, lavina dei torrentelli (canali). Nuasch= canale di legno; nel dizionario questa parola viene registrata soltanto col significato di grondaia. 6. Nuasche-Tal, valle dei torrentelli (canali). — Omonimia II, 27. 63. Hulbe ’ume Laggéite, pozza del Laghetto. 7. De Nuàsche, piccoli torrentelli, a modo di canali. —- Omonimia II, 28. 7». Prundan ’ume Laggéite, fontane del Laghetto. 8. In Bek ’ume Lagéite, è una strada divisoria col territorio di Vicenza. 9. Brustolà, in volg. veron. la parola brustolà vale: abbrustolito. 10. Iz Tal ’ume Brustolà, valle di Br. 11. Kalach-Gruabe, la buca della calce. Gruade = spazzo, buca, cfr. nel lessico sotto graben, scavare. 12. Skaliten-Tal, Tal ’un Skaliten. 13. Indere Skaliten. 14. Oubere Lòubie, ‘ Lobbia di sopra’. 142. De Loubie, Untere Lòubie, ‘ Lobbia di sotto”. Baito, con montagna annessa. Nella Carta Militare si ricorda: ‘ Baito Lobia bassa”. 15. Mor-Eikala, Eikala è dimin. di Eike= dosso. 16. De Griabe ’ume Ruger, lo spazzo di Rozza. 17. Indere kaltan Barkan — Omonimia II, 133. 18. Powareita Steil, sasso poveretto. 19. Tanne, abete. 260 20. 202. 29. 368. CARLO CIPOLLA 4 Héuler Tal, valle del sambuco. Fontfnar Bek, questa strada scende dal dosso indicato al n. 15. . Langan Gruabe, spazzo, spianata lunga. . Sant’ Eikala, dossetto della sabbia — Omonimia III, 65. . Bant ‘ume Rautla, sasso del luogo diboscato. Nomi simili II, 43, 63, 113, 113. . Spitzla, piccola punta. . Meapeme-Lur, passo. . Ruar ’un Pljerchen, declive delle tussilaggini. Pljerche = tussilaggine. — Omo- nimia II, 122. . Stadilja, piccola aia. Da Stadal = aia — Omonimia II, 97. . Baize Lòn, lavina bianca. Nella Carta Militare: Vaizele. Le case contraddistinte | con questo nome sono recenti. Ma il nome è antico e comprende tutta quella regione. Waule-Bant, sasso marcio. Iz Tal ‘un der Waule Bant. Così si chiama la parte media di questa valle, i cui nomi nelle parti alte saranno dati ai n. 30, 308, 30°. . Lòuchar, buchi, caverne — Omonimia I, 102. . Tal ’unar baize Lòn, valle della lavina bianca. . Kljàpfe, spaccature — Omonimia II, 56 e III, 47°. . Franceskan Laite, declivio di Fr. . Franéeskan Kuwal, covolo (caverna) di Fr. . Basege Bant, sasso erboso — Omonimia III, 26. . Kaltan Kuwilj, covoli (caverne) freddi. . Alar, nome di una piecola montagna. Alar non ha, per quanto sappiamo, alcun significato. Forse sta per Adalar = aquila. . Alar Tal, valle di Alar. Alar Kuwal ed Alar Bant, caverna di Al., sasso di Al. Oubere Alar, . Mittere Berklja, monticello mediano. . Berklja, monticello. . Hinter de Grol, dietro alla Gr. . Grol, la cornacchia. . Campelvz. 5 422. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. dl. 52. 58. od. DÒ. 96. 97. 58. 588. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 261 De Frate ’un Birtan, la fratta degli osti. Die oubere Prusten, i ‘ Prusti di sopra’. Ricordati anche nella Carta Militare. Die untere Prusten, i ‘Prusti di sotto’, che ricordansi anche nella Carta Militare. Bant, pietra. Pàr Louch, caverna dell’orso. Hals, collo. Sbalman Bant, rupe delle rondini. Grotan. Ivi sono alcune grotte, dalle quali viene il nome. Satilja, piccola sella — Omonimia I, 77. Pruste-Tal, ovvero Tal ’un Prustan, valle dei ‘ Prusti”. Prust’ Eike, con una casa. Nella Carta Militare è notato con il nome: ‘ Prusteich”. Rabakar, ‘ Ravaro’. È una piccola contrada. Nella Carta di L. Pollettini questo luogo è registrato col nome: Ravazzi; nella Carta Militare: Ravaro. Knoute. La parola Knoute indica un’erta faticosa, un dirupo. Quivi poi designa un tratto di erta di fronte alla Loke, fra Ravaro (Rdbdakar, n. 53), e la valle profonda (Tiefe Tal, n. 56) — Omonimie I, 61, 90; II, 45, 122. Prant Eike, altura bruciata. Tiefe Tal, valle profonda. Il Pollettini registra nella sua carta: valle Tifetall. Ruder Bise, prato di Rozza. Ute Ruce, ‘Rozza’, contrada del paese di Giazza, situata sulla sinistra del Progno. Antica è la casa dei Rusalar (Domenico e Matteo Bosco), anzi Domenico Nordera e Pietro Rozza asseriscono che quivi, sotto la Repubblica Veneta, abitasse il Ricevitore. A nord di questa contrada c’era un mulino, ed anche ora il posto è detto: Alte Mul, antico mulino. Uz Eikala, cima del pendio della strada comunale. Puéchljar, piccoli faggi. Da Puache = faggio. Luogo sulla strada comunale. Kuwilja, ora è un semplice sasso, ma c’era una caverna, che andò sfondata. Hoadar Knoute, ammasso di Hoader, Erica arborea — Omonimia I, 54, 90; ie 1023: Télmut Akar, campo dell’assenzio (Artemisia Absinthium). Koa Kuwal, è una rupe, e significa: caverna (covolo) della vacca. Boca Tailjala — Omonimia II, 36, 70. Satal, ‘Le Selle’ è una contrada con boschi e prati annessi. Nella Carta Mili- tare: ‘ Selle di dentro’, facilmente per distinguerle dalle ‘Selle di fuori”. Cf. sotto, al n. 77. 0 78. 19) 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. CARLO CIPOLLA 6 5. Eike ’un Satilj, dosso delle Selle. . Trunkan Bant, sasso ubbriaco. . Boke San; a sud-est della Boke Saà c'è il Tourla, piccola porta — Omonimia III, 40°. . Taldar, valli. Con questo nome qui viene designata una località, con prato, x bosco, una casa ed una stalla, che nella Carta Militare è registrata col nome: Tezza. . Anhorn, acero, ed ivi trovasi un acero. E sulla strada comunale che conduce a Selva di Progno. . Kan Béasan. C'era una contrada, ora ridotta ad un semplice fienile. La famiglia che un tempo quivi abitava, ora trovasi presso alla Ruce (n. 58). Vicino a questa contrada, ma a destra del Pach, vera una casa (iz Haus ‘ume Schnaider), la quale fu distrutta dalla Lon ‘ume Noude, quando, per la | prima volta, si ruppe l’argine della Tiefe Hulbe ‘un Troupfan e venne formato il Tal ’ume Nouce (III, 85). Il nome Lon ‘ume Nouce indica il tor- rente nell’ atto di straripare, e non è un nome locale permanente. T'iefe Hulbe “un Tr. appartiene a Roverè di Velo. . Fan-Eiban, presso all’attuale cimitero. . Fan-Eiban Tal. C'era un burrone, vaio; ora non è più. . Madonnina, saccelletto sulla strada che da Giazza conduce a Selva di Progno — Omonimia II, 72. . Bek ‘un Boasan, stradicciuola, che dalla valle sale fino alla Madonnina. . Toale Bek, bivio dove un ramo guida a Campofontana, mentre l’altro continua verso Selva di Progno. Satilja, ‘Selle di fuori’, piccola sella, nome di una contradella. Nella Carta Mili- tare: Selle di fuori. Cf. sopra al n. 65 — Omonimia I, 50. KljAme. Spitz-Eike, dosso appuntito. Prundan, ci sono infatto delle fontanelle. Auzzere Sàtilja, c'è una tezza, fienile. Trougen, truogoli (dial. ver. albio, ardio); c'è una fontana. Asp’ Eike, dosso del tremolo. Aspe = tremolo (Populus tremula). G6uler Lur, è una strada che conduce ai Gouler ‘Fainelli’, contrada di Cam- pofontana. Metter Eike, dosso di mezzo — Omonimia II, 38. Kuwel ‘ume Longo, caverna (covolo) del Longo. 87. 88. 89. 90. Slo 92. 93. 94. 95. 96. 97. 98. SH 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 263 Héagan Kuwal, caverna, covolto alto. Leder Tal, valle del cuoio, serve di confine fra Giazza e Campofontana. Houtel Bise, prati dei ‘Gauli’. Knoute — Omonimia I, 54, 61; II, 45, 123. Houtilj, ‘ Gauli”. È una contrada. Con questo nome di ‘Gauli’, tale località figura anche nella Carta Militare. Teicala ‘ume Longo, piccolo fienile (tezza in volg. ver.) del L. Akar, campi. Goasan Balt, bosco dei Goas. Col nome Goas veniva indicata la famiglia del fu Andrea Merzari. Cf. qui sotto al n. 106. In questo bosco il giorno 7 feb- braio 1900 fu uccisa una bellissima aquila reale; cfr. F. Cipolla, in Atti Istit. Veneto, LIX, 2, 667-9 [1900]. Téigala, piccolo fienile, dial. ver. tezzetta. Recer Laite, spazzo di R. C'è una petraia. Tal ’un Fagun, valle dei ‘ Faggioni ’. Fagun, Fajun, ‘ Faggioni’, contradella, che anche nella Carta Militare viene notata col nome di: Faggioni. Lòn ‘un Fagun, lavina dei ‘ Faggioni ”. Rec, ‘ Rece’. C'era una contrada, ora non è più; sotto alla strada e in sua vicinanza vi sono due stalle, con rispettivo fienile. Questa località nella DS Carta Militare è registrata col nome ‘Rece”. Ruànj ‘ume Rece, declivi di R. Loòucher, buchi. Kukan Eike, dosso del cucolo, terreno boscoso e prativo. De Laite ‘ume Kukan Eike, spazzo del K.; è un prato. Miéger, è un prato. Goas, è una contrada. Questa località, che anche nella Carta Militare è segnata: Gioas, ora porta il nome: Paradiso. Goasan Prunde, fontana del Goas: È infatti una fontana. 264 CARLO CIPOLLA 8 ‘ I. —-. Parte centrale. 1. Gliétzen, ‘ Giazza’. Nomi delle contrade del centro, procedendo dal Sud al Nord: DO Ju _ Oo UU è» 7 8 a) Sagaruan (ruan= riva, sagarn=segatori o segature); 0) Kan Birtan(Birg, oste, plur. Birtan); c) Pljatz (piazza); d) Kirche (Chiesa); e) Kan Buskan; _ f) Kan Markadantan (dai Mercanti); 9) Kan Staljen (Stalj = stalla, plur. Stiilje); h) Pilaster ‘un Staljen (v'è un sacello); è) De Gartan (Garte= orto, plur. Gartan, gli orti); j) Trouge (forse dal dial. ver. trozo = strada; è in- vero una strada). — Oubere Gliétzen %) Hintan-her (di dietro); /) Kan Liickljar (forse diminutivo del nome Lucchi); m) De Loban (dove sono le case più antiche di Giazza). Queste tre ultime località si trovano situate, l'una accanto all’altra, sopra — una medesima linea, a nord del paese. Tra esse, quella segnata %, è la più occidentale; la ? la mediana; la m la occidentale. Notizie topografiche e storiche sulla Giazza diedi nell’ Appendice LI alla monografia Di alcune recen- tissime opinioni intorno alla storia deì XITI Comuni Veronesi nella “ Miscel- lanea della r. Deput. Storica Veneta ,, t. IV, Venezia, 1887. E altri dati storici raccolsi più tardi in opuscoli d'occasione, Nuove notizie storiche sul villaggio della Giazza, Verona, 1894, e L'origine della parrocchia della Giazza, Verona, 1898, che si chiude con una poesia descrittiva dei siti, composta da mio fratello Francesco. . Gliétzer Bise, prato. . Priindala, fontanella, in vicinanza del progno. . Péudan, fondo piano. . Tzaun, siepi. . Smeder Tal — Cf. II, 10. . Loke, oppure Kar Loke, è una casa. Questa casa, con un mulino, fu fabbricata un mezzo secolo fa. Prima c'era un mulino sulla riva sinistra del torrente Progno, proprio di fronte alla fabbrica moderna. a. Aker ’un der Pagén, campi della contrada Pagani. . Prindala ’un ’ar Loke, fontanella della L. . Halsla, piccolo collo. Da Hals = collo. . Smeder Kuwal, è una caverna — Cf. II, n. 6. . Schwartze Kuwal, è un gruppo di rupi nere — Omonimia II, 110. . Fusin Eike, un dosso. Più presso al Progno: Fusin Laz. . Fusiù, c'era una fucina: luogo accanto alla strada. 9 14. TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 265 Eikala ’ume Lage. Presso al Progno: Lage, lago. 143. Toate Bek, strada morta. Così chiamata, perchè era nascosta e coperta da un bosco. 15. 16. 17. 18. 95 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. Sl. 32. 39. I4. 35. 36. 37. 38. 39. Lin ‘un Pljetze, lavina dello spazzo. È un piano di piccole dimensioni. Pljetz, spazzo, piano di piccole dimensioni. Feceraute, è dato questo nome ad un largo tratto di terreno, dove trovasi anche una casa. Raut vale luogo diboscato. Nella Carta Militare: Feceraut. x Fécilja, è un piccolo fienile (volg. ver. tezza), ma il nome comprende anche il tratto di terreno circostante. Kitzer Stuan, pietra dei capretti. È un macigno di forma aguzza. Séalagan Kuwal, è una grotta, che si diceva abitata dalle Sealagan Laute. Schàffer Kuwal, grotta (covolo) dei pastori. Baitan Kuwilj, caverne (covolì) larghe. È una serie di caverne. Steilj ‘ume Campostrine, rupi di Campostrino. Campostrin, ‘ Campostrin’, grande montagna, con due stalle e fienili, che anche nella Carta Militare porta il nome di: Campostrino. E così pure nella Carta di L. Pollettini. Giséul, un declive, con una fezza (fienile). Kalichlja, piccola calcara — Omonimia II, 67. Schaljen Tal ovvero Tal’un Schaljen, burrone, ovvero ‘vajo delle ciocchette ’, campanelle delle capre. Schàljen Kuwal, è una grotta. Horn, ‘Corno’, monte segnato anche nella Carta Militare con questo stesso nome: Corno. De Laite ‘ume Horne, declive del ‘ Corno”. Balt ‘un Puachan, che vale: bosco dei faggi. Kar, scodella; c'è un prato concavo, a guisa di scodella. De Laite, è un declive boscoso. Kan Pljatan, ‘alle Laste”. Ute Bant, sul sasso — Nome simile al n. III, 63. Louch, è un buco aperto nella roccia — Omonimia II, 61 e III, 60. Raste Pljate, lastra del riposo — Omonimia III, 51. Mitter Eike, dosso di mezzo — Omonimia I, 85. Roat’ Erde, terra rossa — Omonimia II, 698. Serie II. Tow. LI. ; 34 266 CARLO CIPOLLA 10 40. Skatabsr. La Carta Militare porta: Scatavaro. V'è una fezza, fabbricata dai Longo, che per ciò chiamasi anche: Teiéan ’un Langan. 41. Hinter ’m’ Eike, dietro il dosso. 42. Kanéppan Louch; parrasi che la miniera, che ivi esisteva, fosse lavorata da certo Masorgo Canoppa (tirolese). Nome nuovo del medesimo luogo: Orkar Louch = buco dell’Orco. 43. Raut; rautan significa tagliare, ridurre a coltura un bosco. Nomi simili I, 23; _H, 63, 113, 113°. 44, Eibilja, piccolo piano. 45. Knoute, è un prato rivoso — Omonimia I, 54, 61, 90; II, 123. 46. Kame Krautze, c'è un sasso, sul quale sta piantata una Croce — Nome simile III, 64. 47. Schéàfar, è un prato. Schéifar vale pastore. 48. Ronkaun Kuwal, covolo fatto a roncola. 49. Aran Bant, e sotto Unter de Aran Bant. 50. In Weiger, forse i vegri. 51. Ruan ’un Erkilj, declive degli ‘ Ercoli ’. Ivi presso: De Frate, piccolo prato (luogo diboscato) spettante agli ‘ Ercoli”. 52. Kan Erkilj, ‘ Ercoli’; è una contrada. Con lo stesso nome essa è registrata nella Carta Militare. î = 53. Stocken Eike, dosso dei bastoni. 54. Iz Fuchs-Louch, buco della volpe. Si suddivide in: Daz cubere Fuchs-Louch e Daz untere Fuchs-Louch. 55. Krumpan Kuwal, covolo storto. 56. Busken Kljspf, burrone boscoso. 57. Kar Piache, c’era un gran faggio; ora non esiste più. 58. Mandersest. 59. Dau oubere Eiben, la pianura di sopra — Nome simile II, 39. 60. Passe, è la parola ital. passo, mutatane la desinenza. 61. Louch, c'è una caverna — Omonimia II, 36; III, 60. 62. Inder me Louche. 63. Eike ‘un Rautan, dosso su cui fu tagliato un bosco. — Nomi simili I, 23; II 43) 113, 1188 64. Kirchlja, grotta a guisa di chiesetta — Omonimia III, 92. 65. Iz stefez Laz, burrato. 191 TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 267 66. Kuwilj, caverne (covoli). 662. Dau enge Lur, la gola stretta. 67. Kalichlja, calcaretta — Omonimia Il, 26. 68. Moskan Griabe, piccola spianata fatta nei boschi, per collocarvi il carbone. 69. Tal ’ume Loòuchlja, valle del piccolo buco, con una rituali caverna. 69%. Roat’ Erde — Omonimia II, 39. 70. Spiter Bise, prato tardo. Questo prato non è esposto al sole; il fieno quindi vi si matura più tardi che altrove. 71. Roag-Eiben o Rog-Eiben, piano crudo; v'è anche una capanna. 72. La Madonnina — Omonimia 1, 74. 73. Kame Kapérlja. 73%. Stoufal, è un terreno roccioso. 74. Eikala indar ’me Stéufal, dossetto dietro a S. 75. Miner Talja, c'è un fienile (tezza). Si dice vi fosse una miniera di pietra fer- ruginosa. Cf. sotto, al n. 77. 76. Wrischen Wasser, acqua fresca. È una fontana vicino al Progno. 77. Minér Tal, valle di M. Cf. sopra, al n. 75. 78. Roate Tal, valle rossa. 79. Tal ‘un Molitzan, valle delle ‘ Molezze ’. 80. Molitzan, dito (capanna) delle ‘ Molezze’. Con questo nome viene anche desi- gnata la regione circostante. 81. Bek ’un Molftzan, via delle ‘ Molezze”. 82. Matéiles-Balt, bosco di Matteo. È un bosco di abeti. 83. Tauwel Tal, valle del diavolo. 83%. Ut Aibéiben. 83°. Turkéto, ‘Turcato ’, sul territorio austriaco. 83°. Pértege, pertica (volg. ver.: pertega). È sul territorio austriaco. La cima: Wipfel Pertege, punta di Pertega, è pure sul territorio austriaco. 835 In Fuse, è nome della valle. 84. Tre Crose, ‘Tre Croci’, ed è il confine fra il Veronese, il Vicentino e il Trentino. C'è una pietra triangolare, su ciascuna delle cui faccie stanno incise tre croci, colla leggenda Tre Croci. 85. Lur ’un Rikabér. Da questa bocca sì passa per andare a Recoaro. 268 CARLO CIPOLLA 12 86. Bant ’un Molitzan, sasso delle ‘Molezze ’. 87. De Mandar ’ume Cavaline, la mandra di C., da Campofonfana. 88. Hulblja, c'è infatto una piccola cisterna. 89. Stangan, le ‘stanghe’. 90. Bastérte. © 91. ’Ume Kroke, al cespuglio. 92. Guardie, nome di un sasso. 93. Binter, tratto cespuglioso; il nome deriva forse da inverno? Cf. II, 142. 94. In de Bîsalar, nei praticelli. 95. Ciwoljo, ‘La Zeola’, grande montagna — Cf. qui sotto n. 96, 143 e 144. 96. De Laite ‘ume Ciwolje, il declive della ‘Zeola ’. 97. Uz Stadilja, alla piccola aia. Riceve il nome dalla forma del sito, che rasso- miglia all’aia — Omonimia I, 27. 98. Sarun, der auzzere Sarun. Sono due luoghi vicini. 99. Roate Binte, sassi rossi. Nomi simili IMI, 30, 38. 100. Schàteler, piccole ombre. Schat = ombra. È 100°. Ute Storte, sulla storta. Nella Carta del Pollettini: V(alle) Storta. 101. Basséna, ‘ Bassona ”. 102. Roat’ Eike, dosso rosso. 103. Nase, rupe fatta a naso. 104. De Minér, la miniera. 105. In Kué ’ume Ciéa, dove Cita è nome di persona (Kuc = cuccia, del cane). 106. De Regan. 107. Iz Kar, grande scodella; località così chiamata per la sua forma. 108. Prunde ‘ume Kare, e ancora Kan denj altan Prindan, son due luoghi, vici- nissimi bensì, ma distinti. 109. Taratz, ‘ Terrazzo’. Sulla Carta Militare è segnato il: Baito Terrazzo. Anche nella nostra carta il n. 109 indica precisamente il daito; ma col nome Tardta viene designata una montagna con pascoli, bosco, ecc. 110. Schwartze Kuwal, covolo (grotta, caverna) nero — Omonimia II, 11. 111. Unter ’me Louche, sotto al buco, sotto alla caverna. 112. De Ganne ’um’ Eisele, il muriccio dell’asino. 13 TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 269 1123. Eisel Tal, valle dell’asino. 113. Indere Raute, ovvero Eike ‘ume Raute, ovvero Ute Raute. Questi nomi sono omonimi. Il luogo è un monte, con bosco tagliato e distrutto. Nomi simili I, 23; II, 43, 68, 1138. 1133. Auzzere Raute — Cf. il numero precedente. 114. De Schnaide, ovvero De Schnitte, luogo dove si può tagliar l'erba col falcetto. È Da Schnaidan= tagliare colla falce. 115. Auzzere Minér. 116. Hanginje Bant, sasso sul quale è necessario aggrapparsi per passare. Da Hangan = attaccarsi. 117. Tannbalt, ‘ Tambaro”. Letteralmente: bosco d’abeti. Nella Carta del Pollettini: Baito del Tambaro. Anche in questo caso nella nostra carta il numero pre- cisamente indica il dato della montagna omonima, ma il nome indica in realtà tutta la montagna. 118. Goaze Kuwal, covolo delle capre; c'è una caverna. 119. Kasar, che vale casara; c’è in fatto un tale edificio. Cf. al n. 1192. 1198. De Kasar Lur, la gola che conduce alla casara: con quest’ultimo vocabolo appellasi in volg. ver. una specie di capanna de’ pastori, per la confezione del latte. 120. De Kéar, la svolta — Omonimia II, 69. 1208. Kar Walje, alla trappola. Walje = trappola. 121. Betz-Eikala, dossetto da un ‘bezzo’. 122. Pljerchan, tussilaggini — Omonimia I, 26. 123. Knéutan — Omonimia I, 54, 61, 90; II, 45. 124. Comente, un piccolo colle. 125. De Lurlar, le ‘lorette’, golette, accessi per passare. 126. Kame Krautze. La valle che qui ha cominciamento dicesi: Ribegen Tal. 127. Msndar, mandria. 128. Héutal Tal, valle dei Gauli. 129. Riboltlar. 130. Oubere Spiler. Da Spiler = giocatore. 131. Untere Spiler. 132. Skaliitze, è un rapido burrone. Il nome Skalutze significa rapido burrone o buco profondo. Laonde, là dove c’è uno di questi burroni, si dice: hia ist @ Skalutze, 270 139. CARLO CIPOLLA 14 Kaltan Barkan, bocche fredde, varchi freddi — Omonimia I, 17. 133». Kaltan Barkan Laite, petraia, spazzo di K. 194. 195. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. 144. 145. 146. 147. 148. 149. 150. 151. 152. 153. 154. 155. 156. 157. 158. 159. In Stalj, la stalla. De Sfigan, le colature. È una bellissima fontana, la cui acqua scende a casca- telle. In questo luogo la valle si allarga a modo di piazza, col nome di Pljetz ‘un Saigan. Kemez Eike. Ouber de Saigan — Cf. sopra, n. 135. Hintar ’me Spiler. Mittere Spiler. In Pouden ’un der Staudege-Lur, il piano della bocca cespugliata. Cf. II, 150. Gartan, ci sono alcuni orti. A Eike ‘un Binter, dosso dell’inverno. Cf. sopra II, 93. Der oubere Ciwòlje, der untere Ciwéljo, ‘Zeola’ - Per riscontro cf. II, 95-96, 144. De Mandar ‘ume Ciwélje, la mandria della ‘ Zeola’. Cf. al numero precedente. Iz Tal ’un Mandriéljan, è la parte superiore del Krumpe Tal. Cf. II, 154. De Mandrieljen-Laite, spazzo delle M. È un declive. De Mandrieljen, ‘ Mandriele ”. Péudan ’un Mandrieljen, fondo di M. Skagin, frana a scaglie. Nella carta di L. Pollettini: Valle Scaina. Stiudege Lur, valle cespugliata. Cf. II, 140. Lòuchlja, piccolo buco. Eisel Laz, frana dell’asino. Iz Eike ’um’ Eisel, il dosso dell’asino. Krumpe Tal, valle storta. La parte superiore di questa valle porta il nome testè indicato al n. 145. Iz Eike ‘ume roate Kouwilja, il dosso della cima rotonda rossa. K6uwaf= monte, che finisce in una cima rotonda. Péaden Griaban, due luoghi ad uso di carbonaja. Scaljer. Iz Kéat, il fango. De Méndar ’un Schafan, la mandra delle pecore. 15 TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 271 160. Tal un Kampljer, burrone dei campetti. 161. Neizel Tal, valle della ortica — Omonimia III, 93. 162. De Kaimpljer, i campetti. 163. De Poudeme, forse: avvallamento. Da Poudan (tedesco: Boden) che significa sg. _o du »p. Ww fondo, cioè la parte inferiore. III. — Parte occidentale. . Rewòlte, osteria di ‘ Revolto”. . Trappal, ‘ Bocca Trappola’ è un luogo di passaggio. Quivi è fabbricato un rifugio per le R. Guardie di Finanza. Continuando la salita verso nord-ovest, si trova il ‘ Trappolino ’. . Krautz ‘un Malér, Croce, ‘Crose di Maléra?. C'è una croce. . Bek ’un Malér, via di Malera. . Lischin Pljate, ‘La bella Lasta”. . Eike ‘ume Kapilitanar, dosso di Cappelletti. Cf. n. 8 . Mandarla, ‘ Mandrielo’ — Mandirla = piccola mandria. Qui c’è il daito della montagna Mandrielo. - Tal ‘ume Kapilitanar, valle di Cappelletti. Cfr. n. 6. . Daz oubere Mandarla, ‘ Mandrielo di sopra’. . Dau indere Fecer Léite. . Dau auzzere Fecer Lite. . Oubere Moute. . Untere Méute. . Mbute Tal, ovvero Tal ’un der Méute. Nella Carta del Pollettini: Moutedal. . Untere Rewélte, ‘ Revolto di sotto’. Baito con montagna. Ivi presso: Quarteir (Omon. III, 78). Più in giù, verso il Pach, c'è Is Haus ’un Pintarn, la casa delle Guardie, detta ‘Distaccamento ’ in lingua officiale. Cf. ai n. 17, 18. . Tal ’un deme mittere Rewédlte, è una valle. IL76 18. Mittere Riwdltla. Oubere Rewolte, ‘ Revolto di sopra’. Baito con montagna, distinta dai prece- denti n. 15 e 17. 272, CARLO CIPOLLA 16 19. Bek vume Réwolte, strada di ‘Revolto ”. 20. Sea, ‘Lago secco’; la parte nord è in territorio austriaco. 21. Daz alte Poustla, il vecchio posticino. 22. De Lur ’um Mandirla, la gola di Mandrielo. 23. Réate Kéuwilja; Iz Tal ’ume réate Kbuwilja. Kowwilja=monticello, che finisce in punta rotonda — È facile che questa località si identifichi coll’Auser Tal, notato da L. Pollettini. — Omonimia III, 44. 24. Kuwilj um Mandarla, caverne di Mandrielo. 25. Eiker-Laz. Significa propriamente: frana del monte. 26. Béasege Bant, rupe coperta di erba — Omonimia I, 33. 27. Niische Tal, ovvero Tal ’un Nvaschan. Nella Carta del Pollettini: Noussetal | — Omonimia I, 6. 28. De Nuische — Omonimia I, 7. 29. Slérchan Kuwal: Tal ’un der basegen Bant. 30. Réate Bant, ‘Sengio rosso’ — Omonimia II, 99; II, 104. 31. Mgnder Koéuwel, è una caverna (covolo). 32. Bo da springan de Rousch, dove passano i cavalli, nel Progno. 33. Té6ur, portone, sulla strada che va a ‘Revolto’. Sembra che qui ci fosse un por- tone: e questo sarebbe il motivo del nome dato al luogo. 333. Inj Akar, il campo. 34. Sichilj, regione, con una stalla. Nella Carta Militare: Zicoli. Nella Carta del Pollettini è segnata la stalla, ed il nome è spostato sulla sinistra del Progno, ove si legge: Siscil. 35. Tal ’un Sfchilj, ovvero Sfchéàlar Tal, valle. 36. Buca-Taljala; è un boschetto di faggi — Omonimia I, 64; II, 70. 37. Hunte-Bant, sasso del cane. | 38. De Raban, le rape. 39. Ut Eiben, usasi anche la forma Ute Reiben. È una contrada. Nella Carta Mili- tare: Eiben — Per omonimia cf. II, 59. 40. Méapome, pianta. 408. Lurla, piccolo passo. 40°. Kame Tourla, alla piccola porta — Omonimia I, 68. 41. Baldar Bise, prato dei boschi. 17 TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 273 413, In Turn; Turn o è dal nome ital. tornio, oppure viene da Tur = porta, plur. Turn. A questa seconda etimologia si oppone la circostanza, che si dovrebbe dire: In de Turn, nelle porte. 41°. Laz ’ume Pifardulja, declive di ‘ Pigaroletto ”. 42. Pifaroulja, ‘ Pigaroletto’, è una grande montagna. 498. De hoage Tzime, la cima alta. 43. Groaze Balt, ‘ Bosco grande’, vasta regione di bosco. 44. Réate Kouwilja, cima rotonda rossa — Omonimia II, 23. 443. Ute Linte, al tiglio. 44° Indere Schlitze Gin, terreno boscoso — Cf. III, 55. 45. Standéir Tal, torrentello, che scende nella direzione della contrada Bosco (n. 47); si perde prima di raggiungerla. 46. Kéuwel; unter Kéuwel, piccola contrada, con due case e due o tre stalle. Kowwel= monte con cima rotonda. 47. Kan Baldarn, oppure Kan Baldran, ‘Bosco’. È una contrada. Nella Carta Militare è contrassegnata col nome ‘Bosco. Nella Carta di L. Pollettini le case sono segnate al loro posto; ma il nome è fuori di luogo, trovandosi il nome Bosco sulla sinistra del Progno, mentre le case sono alla destra. 47%. Tal’un Kljapfan, valle delle spaccature. 47°. De Kljapfe, le spaccature. Da Klidpf = spaccatura — Omonimia I, 30°. 48. Houlénte, campi di sambuco. Hower, sambuco; lant = campo, plur. lénte. 49. Kan Féran, i ‘Feri’; piccola contrada vicino a quella del Bosco, di cui anzi fa parte. 50. Hulbe ’un Féran, pozzanghera d’acqua sulla strada. 51. Raste Pljéte, una roccia — Omonimia II, 37. 513. ‘Un langan Aker, al campo lungo. 52. Kuwal, caverna, covolo. 53. Bazzar Kuwal, caverna (covolo) dell’acqua. 54. Baize Kuwal, caverna (covolo) bianca. 55. Auzzere Schlitze Gin, terreno boscoso — Of. III, 44°. 56. Muntla, ‘ Monticello’, ‘ Monteselo”. Il vocabolo italiano è più in uso che non il tedesco. È una montagna. 57. Talja ‘un Muntla, è una piccolissima valle. Non è segnata, ma c'è. 572. Kuwilja ‘un Muntla, piccola caverna (covolo) di M. Serie II. Tom. LI. 35 274. CARLO CIPOLLA 18 58. Péutegan, ‘ Poteghe ’; tratto di montagna. Nella Carta Militare: M. Potteghe. 59. Rim’ Eike, dosso dei corvi. 60. Knéutla; e un po’ più a Nord c'è il: Louch — Omonimia II, 36, 61. 61. Skurtzardul, scorciatoia. 61%. Bocar un Trupfan, passo delle Goccie. Località meglio conosciuta con il nome: ‘ Bocara ?. 62. De Trupfan, ‘ Goccie’ o ‘Gozze’, bosco all’est della montagna Muntla (n. 56). Nella Carta Militare: M. Gozze. Cf. sotto, n. 96. 63. Ute Bante, ai sassi, bosco sassoso — Nome simile II, 35. 64. Krautze Bant, sasso della Croce. Ora non è sormontato da una croce; ma vi è una statuetta della Madonna Addolorata. 65. Sant’ Eikala, dossetto della sabbia — Omonimia I, 22. 66. Fantes-Eikala. 67. Mitter Tal, valle di mezzo. 68. Akarlar, campicelli. 69. De Kéar, la volta — Omonimia II, 120. 70. Boca Tailjala — Omonimia I, 64 e III, 36. 71. Léuchurtan Bant, sasso bucato. 72. Laite ‘ume Spitze, declive della punta. 73. Nauge Bise, prato nuovo, così ridotto tagliando un tratto di bosco. 74. Kerschpome; c’è ivi infatto un ciliegio di grandi dimensioni. 75. Kalach Griabe, c'è un’antica fossa per la calce. 76. Skljumpfe, vi si trovano laghetti sotto ad alcune cascate. Ma è un nome gene- rico, applicato alle circostanze locali. 77. Pach ‘un Birte, ruscello, torrente, dell’oste. È il ramo o del Progno d’Illasi; l’altro è il Pach ’un Gljétzen. 78. Quartéir, casa, che, al tempo della dominazione Napoleonica, serviva per quar- tiere alle guardie — Omonimia II, 15. 79. Cornailjen; qui sono abbondanti gli alli di corniola (Corna! = corniolo, Cornus mas). 80. Pil&ster, cappelletta, in volg. ver. capitello — Sotto alla strada ’un-ar Far&ée c'è il Broulja, piccolo prato a modo di brolo. 81. Indere Noué, nome di un fienile (tezza) e di una porzione di prato (forse da Nuz, noce). 19 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. SH 92: 93. 94. 95. 96. 97. 98. TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA NEL VERONESE 275 . Farsce, ‘ Ferrazza’, è una contrada. La Carta Militare ha: Ferrazza; L. Pollet- tini: Terrazza, per evidente errore di scrittura. . Baljala ‘un Zanj. Era un boschetto, ora è prato. Zunj è il soprannome dei fra- telli Cappelletti Ferrazza; probabilmente altro non è che la corruzione di Giovanni, nome del loro padre. Léitla, piccolo declive, fra l’indere e l’auzzere Nouc. Quivi addi 16 ottobre 1899 accadde al defunto Parroco D. Domenico Bosco il doloroso accidente di caccia per cui il 24' seguente egli morì nel Civico Ospitale di Verona. Tal ‘ume Néude, ovvero Néute Tal. Come si disse al n. I, 71, la Lo, che formò questo 7a/, seppelli la casa dello Schraider, quando, per la prima volta essa Lòn discese dalla Tiefe Hulbe ‘un Tr6upfan (cioè dalla pozza profonda delle ‘Gozze ’). La parte inferiore del Tal ‘ume Néuce è chiamata: *Lon ‘un der Farddò, e questo è nome permanente. Auzzere Noué, prato con tezza, fienile. Piate Lur, gola piana. Napan Bant, rupe a cappa. Nape = cappa del camino. Luak, località alquanto estesa di bosco. Gréut, bosco sassoso di poco conto. Kuwal ’ume Luage, covolo (grotta) del LuaX (n. 89). Kirchlja, grotta a modo di chiesetta — Omonimia II, 69. Neitzal Tal, ovvero Tal’un Neitzilj, valle delle ortiche. La sua parte infe- riore chiamasi Lòn ‘un Frankljer, cf. III, 100° — Omonimia II, 161. Nérdar ‘ume Néuce. Knéutler, piccoli piani sassosi. Trupf' Eike, dosso delle goccie. Cf. sopra n. 62. Bisala, è un piccolo prato. Parlstan, ‘ Parlatti’, prato con fienile (fezza). Una cinquantina di metri più a nord della tezza, sulla strada che conduce sul Z'urzeil) (n. 99), vi è il Pilaster ‘un Parl&tan, sacello mezzo diroccato. Proprio di fronte al Pilastar vi era la contrada ‘un Parlatan: composta di sette case, abitate dai vecchi Par- latti e Petterlmi. Questa contrada, nell’anno 1818 oppure 1819, fu sepolta dal torrente (Pack) e dalla Lon ‘un Frinkljer (n. 100). Allora i Parlatti anda- rono nella contrada fue (ora Parlatoni), dove erano due piccole stalle, ed a poco a poco vi si edificarono delle case. I Petterlini andarono nella Giazza superiore, oudere Gliétzen (II, 1), e precisamente in de Loban (Il, 1, m). 99. Turzéilj, luogo tra la strada ed il Progno; vicino alla strada c'è un sacello; qui si biforcano le viuzze, che conducono rispettivamente ai Franchetti e ai Parlatti. 276 100. CARLO CIPOLLA — TOPONOMASTICA DELLA COLONIA ALTO-TEDESCA, ECC. 20 Lòn ’un Frankljer, lavina di sassi — Cf. III, 93. 1008. Ruànj ‘un Frànkljer, rive dei Franchetti. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. Frinkljer, ‘ Franchetti’, contrada, dove c'è una casa, con due stalle. Nella Carta Militare: Franchetti. Nérder Bise, prato settentrionale. Balt ’un der roate Bant, bosco del Sengio Rosso. Roate Bant, ‘ Sengio Rosso”. Nella Carta Militare: Sengio rosso basso — Omonimia II, 99; III, 30. Baite Lur, gola larga. In de langan Bant, sasso lungo. È il nome di un monte. Quivi nel 1898 fu ucciso un camoscio, cf. F. CrroLra, in Atti Istit. Veneto, vol. LVII (1898), p. 98. Burman Laite, declive delle biscie. Tusch, è un luogo ghiaioso vicino al letto del Progno, fra la Lòn ‘un Frinkljar (n. 100) e i Parlatun (n. 109). Parlatun, ‘ Parlatoni’. Innanzi al 1820 qui v'erano due stalle col nome Rifud (rifugio). Distrutta la contrada Parlatti (cf. n. 98), la famiglia della madre di Andrea Parlatti si rifugiò in una di queste stalle. A poco a poco poi vennero fabbricate le quattro case, che ora si vedono. Nella Carta Militare: ‘ Parlatoni ’. Wel Tal, valle sbagliata. Felj, we) = fallare. Il torrentello si perde prima di raggiungere il Progno. rie: 2 Como LL Ci Toe lo (A St Tox ol AIRES L 92. di (E > Cc Oa) Re delle N) C.CIPOLLA - Toponomastica. _—_—T—_—& IRUERELAE apenjs n” IEIY90I4Ed The aa 0}g}S IP QUI} Uog ++++++4++ cO6ì NIZ13119 88 89 6g eli 9° epl 0h ssolia Torino. Lit. Selu V° Sì stampi: Atronso Cossa, Presidente. Enrico D’Ovipio Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. RopoLro RENIER Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. > SR RE TEC = ns &EW E €«€€