Rcf * ->\ p m & •*v*s5*frr». i M : • T ''' V ■ -v : v: * . <* v, ùÉMÌ< HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. f,?30 'à, icfotj- te v^ l^^g^?>^s- ^y^'g^fg!- j^y^ v^^r^r^. jg^v^r .g^^t g'^^ ^h^! ^ MEMORIE 1 m I M )0 REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE 4$ & M IS li i 4P P MEMORIE REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TOEINO MEMORIE REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO SERIE SECONDA Tomo LUI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1903 PROPRIETÀ LETTERARIA Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi e della Beale Accademia delle Scienze. i SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI INDICE CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Contribuzioni alla Ornitologia delle Isole del Golfo di Guinea; Parte I: Uccelli dell'Isola del Principe; del Socio Tommaso Salvadori . . . Pag. 1 Id. Id. Parte II: Uccelli di San Thomé „ 17 Effetti della dispersione e della reattanza nel funzionamento dei trasformatori. Metodi di misura ed applicazioni; Memoria del Socio Guido Grassi „ 47 Alcuni sistemi diottrici speciali ed una nuova forma di teleobbiettivo; Memoria del Socio Nicodemo Jadanza . . . . . . . ,72 Alfonso Cossa; Commemorazione letta dal Socio Icilio Guareschi . . „ 79 Contribuzioni alla Ornitologia delle Isole del Golfo di Guinea; Parte III: Uccelli di Anno-Boni e di Fernando Po; del Socio Tommaso Salvadori . „ 93 Teoria elettromagnetica dell'emissione della luce; Memoria di Antonio Garbasso „ 127 Canali venosi emissari temporali squamosi e petrosquamosi; Ricerche, morfologiche dei Dottori Alfonso Bovero e Umberto Calamida . •-, . . ,,159 Sui gruppi di trasformazioni geodetiche; Memoria di Guido Fubini . . „ 261 Echinidi della scaglia cretacea veneta; Memoria del Dott. Carlo Airaghi'£ .-'<:„ 315 / Funghi Ipogei italiani raccolti da 0. Beccari, L. Caldesi, A. Carestia, V. Cesati, P. A. Saccardo; illustrati dal Socio Oreste Mattirolo . . . „ 331 La fisiologia dell'apnea studiata nell'uomo; Memoria del Socio Angelo Mosso n 367 L'apnea quale si produce nei cambiamenti di posizione del corpo; Memoria del Socio Angelo Mosso „ 387 I movimenti respiratori del torace e del diaframma ; Ricerche del Socio Angelo Mosso „ 397 CONTRIB UZIONI ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA i. UCCELLI DELL'ISOLA DEL PRINCIPE PER TOMMASO SALVADORI Approvata nell'Adunanza del 14 Dicembre 1902. Le isole principali del Golfo di Guinea sono quattro: Fernando Po, l'Isola del Principe, S. Thomé ed Anno-bom; esse sono disposte in una serie lineare ed emer- sero probabilmente per una contemporanea azione vulcanica, procedente dai monti Cameroon verso Sud-Ovest nell'Oceano Atlantico. Queste isole sono state visitate recentemente dal Sig. Leonardo Fea, il quale vi si è recato per ricerche zoologiche e le collezioni da lui fatte mi hanno dato l'oc- casione per uno studio intorno alla Ornitologia di dette isole, che mi propongo di pubblicare in tre diverse parti, cominciando dall'Isola del Principe. Questa isola è molto piccola ed è situata alquanto a Nord dell'Equatore fra l'Isola di S. Thomé e quella di Fernando Po. Qualche notizia intorno alla sua fauna si trova nelle opere di Lopez de Lima e dell'Erman, ma secondo il Dohrn (P. Z. S. 1866, pp. 331, 332) esse non sono molto attendibili. Il primo scrisse un libro intorno alla statistica di San Thomé e dell'Isola del Principe, e dette brevi cenni intorno alla Storia Naturale delle due isole, senza averle visitate ; l'Erman poi ricevette da un brasiliano alcune pelli di uccelli del Principe insieme con altre di Bissao, ma indicò come di Bissao quelle del Principe e viceversa. Prima del 1866 le notizie intorno all'Ornitologia dell'Isola del Principe si ridu- cevano a pochissima cosa ed erano al tutto frammentarie; inoltre parecchie specie proprie di quell'isola furono descritte di località ignote, o diverse dalla vera. La prima specie conosciuta, che ora sappiamo essere propria dell'Isola del Prin- cipe, è il Lamprocolius ignitus (Nordm.) descritto nel 1835 come proprio dell'Africa occidentale , e che forse è da identificarsi col Choucador di Le Vaillant (= Sturnus ornatus, Daud.) e col Lamprotornis vigor si, Blackwall, descritto nel 1831. Nel 1849 fu descritto il Dicrurus modestus, Hartl. dell'Isola del Principe, insieme con altre specie di S. Thomé. .Hfrtk II. Tom. LUI. * Z TOMMASO SALVADORI Nel 1850 il Bonaparte descrisse il Symplectes princeps sopra esemplari del Museo di Parigi. Nello stesso anno l'Hartlaub pubblicava un lavoro, ripubblicato poi nel 1852, intorno alla Ornitologia della costa e delle isole dell'Africa occidentale, nel quale menzionò soltanto 4 specie dell'Isola del Principe (Dicrurus modestus, Lamprotornis ignita, Spermestes cuculiata ed Halcyon torquata). L'anno appresso, nel 1851, i fratelli Jules ed Edouard Verreaux descrissero la Columba Màlherbei, indicandola erroneamente del Gabon. Nel 1854 la specie che l'Hartlaub aveva attribuita M'Halcyon torquata fu da lui riconosciuta distinta col nome di Halcyon dryas. Poscia nel 1857 l'Hartlaub descriveva la Nectarinia Hartlaubi Verr. e la Parinia leucophaea, la prima come proveniente d'Angola e la seconda del Gabon. Finalmente nel 1862 G. R. Gray descriveva il Ligurinus rufobrunneus senza pre- cisa indicazione della località. Con questa pubblicazione del Gray terminò il periodo primo, o frammentario della Ornitologia dell'Isola dèi Principe, e "nel 1866, per opera del Dolirn e del Keu- lemans, furono pubblicati due lavori che riassumevano ed accrescevano le nostre cognizioni intorno alla Ornitologia di quell'isola. Il primo, recatosi nell'isola per ricerche zoologiche, dopo esservi rimasto per sei mesi, dall'aprile al settembre 1865, e fattevi sufficienti raccolte, pubblicò i resultati ottenuti, annoverando 34 specie di uccelli, delle quali sei vennero denominate e descritte dall' Hartlaub: Cotyle eques (= C. cincia), Cuphopterus Dolimi, Zosterops ficedulina , Buserinus rufilatus (— Ligurinus rufobrunneus) , Columba chlorophaea (■=. C. màlherbei) e Peristera principalis. Il Dohrn fece notare che i! Neophron pileatus menzionato dal Lopez de Lima come abitante l'Isola del Principe, e quattro specie menzionate dall' Erman (Necta- rinia splendida, N. senegalensis, Lamprotornis aeneus e Pogonias vieilloti) pure come abitanti detta isola, non vi si trovano. Il Keulemans, che accompagnò il Dohrn nella qualità di preparatore, pubblicò pure nel 1866 un lavoro intorno agli uccelli dell'Isola del Principe, contenente nume- rose note intorno ai loro costumi, e che si riferiscono a circa 40 specie. Nel 1880 il Barboza du Bocage, in un breve lavoro intorno ad alcuni uccelli di Bolama e dell'Isola del Principe, annoverò cinque specie già note di questa località. Finalmente nel 1887 il De Sousa pubblicò pure una breve nota intorno a cinque specie dell'Isola del Principe, raccolte da F. Newton, una delle quali, la Ceryle rudis, nuova per l'isola; egli fece contemporaneamente l'enumerazione delle specie menzio- nate dal Dohrn e dal Keulemans. Il Fea, recatosi da S. Thomé all'Isola del Principe col proposito di farvi colle- zioni zoologiche, per causa di molte circostanze avverse, non riuscì a mettere insieme altro che una piccola collezione di 41 esemplari, appartenenti a 16 specie, delle quali una non ancora descritta, il Turdus xanthorhynchus , ed un'altra, la Phoeniconaius minor, nuova per l'isola. Tra i resultati più importanti dello studio della collezione del Fea è da segna- lare la non identità dell' Haplopelia principalis coM'H. simplex di S. Thomé, ammessa recentemente dal Reichenow, laddove le due specie sono affatto diverse. CONTRIBUZIONI ALLA ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA à L'Ornitologia dell'Isola del Principe è specialmente notevole pel fatto della man- canza completa dei rapaci tanto diurni, quanto notturni. L'Avifauna dell'isola ha carattere decisamente africano, come mostrano i rap- presentanti dei generi Lamprotornis, Dicrurus, Hyphantomis, Spermestes, Turturoena, Vinago ed Haplopelia. Due generi, Parinia e Ouphopterus, sono esclusivi dell'isola, la cui avifauna è molto simile a quella di S. Thomé, ma molto più povera. Bibliografia Ornitologica dell'Isola del Principe. (1835) Ekman, A. G., Reise uni die Erde. Naturhistorischer Atlas (Lamprotornis ignita, Nordm.J. (1849) Hartlaub, Dr. G., Description de cinq nouvelles espèces d'Oiseaux de l'Afrique occidentale {Rev. et Mag. de Zool. 1849, pp. 494-497) (Dicrurus modestus, nov. sp. p. 495). (1850) Bonaparte, C. L., Conspectus Generimi Aviurn (Symplectes prineeps, nov. sp. p. 439). (1850) Hartlaub, Dr. G., Beitrag zur Omithologie Westafrica's (Verzeichnisa der offentlichen und Privat- Vorleaungen, welche am Haniburgischen akademischen Gymnasium u. s. w. gehalten werden. Herausgegeben von K. W. M. Wiebel). Hamburg, 1850, pp. 1-47 (Dicrurus modestus, Lamprotornis ignita, Sin nuoti* cuculiata, Halcyon torquata . (1850) „ Neue Arten des hamburgischen naturhistovischen Museunis (ibid. pp. 48-56). (1850) „ Oraithology of the coasta and Islanda of Western Africa (Centr. Orn. 1850, pp. 129-140). (1851) Verreaux, J. et E., Description d'espèces nouvelles d'Oiseaux du Gabon (còte occidentale d'Afrique) (Rer. et Mag. de Zool. 1851, Columba Malherbii, p. 514). (1852) Hartlaub, Dr. G., Beitrag zur Omithologie Westafrica's (Abh. Naturw. Ver. Hamb. Il, 2, pp. 1-47) (Dicrurus modestus, Lamprotornis ignita, Spermestes cuculiata, Halcyon torquata). (1852) „ Neue Arten des hamburgischen naturhistorischen Museums (ibid. pp. 48-56). (1852) „ Zweiter Beitrag zur Omithologie Westafrica's (Tafeln I-XI). (1854) , Versuch einer synoptischen Omithologie Westafrica's (Journ. f. Orn. 1854, Halcyon dryas, p. 2). (1857) , System der Omithologie Westafrica's (Neetarinia Hartlaubi Verr., p. 50, Parinia leuco- phaea, p. 71). (1862) Grat, G. R., Description of a few West African Birds (Ann. and Mag. N. H.(B) X. Ligurinus rufo-brunneus, p. 444). (1866) Dohbn, Dr. H., Synopsis of the Birds of Ilha do Principe, with some remarks on their riabita and Description of New Species (P. Z. S. 1866, pp. 324-332, pi. XXXIV) (Cotyle eques (=C. cincta), Cuphopterus dohrni, Zosterops ficedulina, Buserinus ruftlatus (= Ligurintts rufobrunneus), Columba chlorophaea (= Turturoena malherbei), Peristera principalis). (1866) Keulemass, J. G., Opmerkingen over de Vogels van de Kaapverdische eilanden en van Prins- eiland (Ilha do Principe) in de Bogt van Guinea gelegen. — De Vogels van Uba do Principe (Prinseiland) (Nederl. Tijdschr. v. Dierk. III, pp. 374-401). (1880) Bocaqe, Barboza du, Aves de Bolama e da Ilha do Principe {Jorn. Se. Lisb. No. XXIX, pp. 71-72). (1887) Sousa, J. A. de, Aves da Ilha do Principe colligidas pelo Sr. Francisco Newton (Jorn. Se. Lisb. No. XLV, pp. 42-44) (Ceryle rudis). (1901) Salvadori, T., Due nuove specie di Uccelli dell'Isola di S. Thomé e dell'Isola del Principe, raccolte dal Sig. Leonardo Fea (Boll. Mas. Tor. No. 414, pp. 1-2) (Turdus xanthorhynrhus). TOMMASO SALVADOKI 1. Chelidon urbica (L.). Hirundo urbica, Keulem., N. T. D., Ili, p. 384 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). - Boc, ibid. (2), No. I, p. 36 (Uba do Principe) (1889). Chelidon urbica, Sharpe, Cai B. X, p. 87 (1885). — id., Mon. Hirund., I, p. 7, Pls. 1, 2 (Prince's L). Il Keulemans incontrò questa specie nel mese di gennaio all'altezza di 1500 piedi nell'Isola del Principe, e ne uccise una femmina. 2. Cotile cincta (Bodd.). Cotyle eques, Hartl. in Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 325 (Prince's I.). — Sharpe, P. Z. S., 1870, p. 297. — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 43 (1887). - Boc., ibid. (2), No. I, p. 36 (liba do Principe) (1889). Hirundo torquata, Gm. — Keulem., N. T. D., Ili, p. 384 (Prinseil.) (1866). Cotile cincta, Sharpe, Cat. B., X, p. 101 (note p. 102) (1885). — id., Mon. Hirund., I, p. 67, pi. 10 (1885). Rara secondo il Dohrn, non infrequente secondo il Keulemans. 3. Dicrurus modestus, Hartl. Dicrurus modestus, Hartl., Rev. et Mag. de Zool., 1849, p. 495 (He du Prince). — id., Beitr. Orn. Westafr., p. 26, n. 191 (1850). — id., Contr. Orn., 1850, p. 131. — id., Abh. naturw. Ver. Hamb., II, 2, pp. 2, 26, 50, Taf. IV (1852). — id., Orn. W. Afr., p. 101 (partim) (1857). - Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 327 (Prince's L). — Keulem., N. T. D., Ili, p. 378 (Ilha do Principe) (1866). — Sharpe, Cat. B., Ili, p. 232 (partim) (1877). — Boc, Jorn. Se. Lisb., No. XXIX, p. 72 (Ilha do Principe) (1880). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 43 (Ilha do Principe) (1887). — Boc, ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). — Shell., B. Afr., I, p. 47 (1896). — id., Ibis, 1901, pp. 589, 591 (Prince's L). a (40) d" ad. Bahia do Oeste, 30 maggio 1901. Lo Shelley recentemente limita l'area di diffusione del D. modestus alla sola Isola del Principe. 4. Cuphopterus dohrni, Hartl. Cuphopterus dohrni, Hartl. in Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 326, pi. XXXIV (Prince's Island). — Keulem., N. T. D., Ili, p. 386 (1866). — Sharpe, Cat. Afr. B., p. 42, n. 397 (Prince's I.) (1871). id., Cat. B., Ili, p. 302 (1877). — Boc, Jorn. Se. Lisb., No. XXIX, p. 72 (1880). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 43 (1887). — Boc, ibid., (2), No. I, p. 36 (1889). a (7) 9. Roca Infante D. Henrique, 29 gennaio 1901. h{8)9 „ „ „ 19 febbraio 1901. e (12) 2 „ „ „ 4 marzo 1901. La località Gaboon (Verreaux) attribuita ad un esemplare di questa specie nel Museo Britannico mi sembra che meriti conferma. 5. Cinnyris hartlaubi (Verr.). Nectarinia hartlaubi, Verr. in Hartl., Orn. W. Afr., p. 50 (Angola!) (1857). — id., J. f. O., 1861, p. 109 (Gabon! Gtijon). — Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 326 (Prince's I.). — Keulem., CONTRIBUZIONI ALLA ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA 5 N. T. D., Ili, p. 389 (Prinseil.) (1866). — Sharpe, Cat. Afr. B., p. 37, n. 346 (Prince's I.) (1871). — Boc, Orn. Angola, p. 179 (Ile du Prince) (1881). — Sousa, Jorn. Se Lisb., No. XLV, p. 43 (1887). Nectarinia (Adelinus) hartlaubi, G. E. Gr. Hand-List, I, p. 108, n. 1324 (Angola!) (1869). Cinnyris hartlaubi, SheU., Mon. Nect., p. 295, pi. 94 (Prince's I.) (1876-80). — Gad.. Cat. B., IX, p. 79 (1884). — Boc, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, pp. 250, 251 (Ile du Prince) (1887); No. XLVIII, p. 211 (Ile du Prince) (1888); (2) No. I, p. 36 (1889). Cyanomitra hartlaubi, Shell., B. Afr., I, p. 5, No. 70 (1896); II, p. 135 (Prince's I.) (1900). a (39) ?. Bahia do Oeste, 10 giugno 1901. Concorda bene colle descrizioni e colla figura date della femmina di questa specie, la quale è notevolmente più grande del C. neivtoni di S. Thomé. 6. Cinnyris obscurus (Jard.). Nectarinia fraseri, Dohrn (nec Jard.), P. Z. S., 1866, p. 326 (Prince's L). — Keulem., N. T. D., Ili, p. 390 (Prinseil) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 43 (1887). Cinnyris obscurus (Jard.). — Shell., Mon. Nect., p. 291, pi 92 (1879). — Gadow, Cat. B., IX, p. 77 (Prince's I., Kenlernans, Ingall) (1884). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 43 (nota) (1887) {= N. fraseri). — Boc., ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). Cyanomitra obscura, Shell., B. Afr., II, pt. 1, p. 125 (1900). Questa specie vive , secondo il Dohrn , in regioni più elevate del C. hartlaubi. Mi sembra che gli esemplari dell'Isola del Principe debbano essere ulteriormente confrontati con quelli di Fernando Po e della costa occidentale d'Africa. 7. Parinia leucophaea, Hartl. Parinia leucophaea, Hartl., Orn. W. Afr., p. 71 (Gabon!, Verreaux) (1857). — id., J. f. O., 1861, p. 161 (Gabon, Du Chaillu). — Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 327 (Prince's L). — Keulem., N. T. D., Ili, p. 388 (1866). — Sharpe, Cat. Afr. B., p. 36 (1871). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 43 (1887). Thamnobia (Parinia) leucophaea, G. R. Gr., Hand-List, I, p. 212, n. 3000 (Gabon) (1869). Zosterops leucophaea, Sharpe, in Gad., Cat. B., IX, p. 200 (1884). — Pinsch, Thierr., Zoste- ropidae, p. 43 (1901). Parinia leucoptera (errore), Boc, Jorn. Se. Lisb. (2), No. I, p. 36 (1889). Malacirops leucophaea, Shell, B. Afr., I, p. 8, n. 112 (1896). Speirops leucophaea, SheU., B. Afr., II, p. 203, pi. 8, f. 2 (Prince's I.) (1900). a (11) d\ Roca Infante D. Henrique, 6 marzo 1901. J(38)^. Bahia do Oeste, 23 maggio 1901. Probabilmente anche questa specie è confinata nell'Isola Principe e non si trova nel Gabon. 8. Zosterops ficedulina, Hartl. Zosterops ficedulina, Hartl. in Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 327 (Prince's L). — Keulem., N. T. D., III, p. 389 (Costumi, nido, uova) (1866). — G. R. Gr. Hand-List, I, p. 162, n. 2127 (1869). — Sharpe in Gad., Cat. B., IX, p. 203 (Prince's I.) (1884). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 43 (1887); No. XLVII, p. 157 (S. Thomé) (1888). - Boc, op. cit. (2), No. I, p. 36(1889). — Shell., B. Afr., p. 7, n. 96 (1896); II, p. 185, pi. 8, f. 1 (1900). — Pinsch, Thierr., Zosteropidae, p. 37 (1901). 0 TOMMASO SALVADOEI a (26) '?; Gabon!). — G. R. Gr. List B. Brit. Mus., Columbae, p. 30 (1856). - Gieb., Thes. Ora., I, p. 747 (part.) (1872). Peleioenas malherbii, Rchnb., Tauben, I, p. 54 (1862?); II, p. 168 (1862). Pelecoenas (errore) malherbii, Hartl., J. f. O., 1861, p. 266. Columba chlorophaea , Hartl. in Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 329 (Prince's L). — G. R. Gr., Hand-List, II, p. 232, n. 9240 (1870). — Shell., Ibis, 1883, p. 273 (var. Col. lìviael). - Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Columba -?, Keulem., N. T. D., Ili, p. 395 (Prinseil.) (1866). - Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). 12 TOMMASO SALVADORI Turturoena nov. sp.?, Boc, Jorn. Se. Lisb., 1867, p. 144, n. 114 (S. Thorné), p. 338 (= C. chlo- rophaea, Hartl.). — id., J. f. 0., 1876, p. 315 (S. Thorné). — Sousa , Jorn. Se. Lisb., No. XLVII, p. 153 (1888). Turturoena malherbii, G. R. Gr., Hand-List, II, p. 234, n. 9254 (1870). — Oust., Nouv. Arch. Mus., 1879, p. 141 (Gabon!). — Shell., Ibis, 1883, p. 291 (syn. emend., Gaboon!). — Boc., Jorn. Se. Lisb., XII, No. XLVI, p. 81 (S. Thorné) (1887). — Sousa, ibid., No. XLVII, p. 154 (1888). - Boc., ibid., pp. 213, 234 (1888); (2), No. I, p. 35 (1889); No. Ili, p. 210 (1889); No. VI, p. 82 (St. Thorné et Ile du Prince) (1891). — Salvad., Cat. B., XXI, p. 331 (Prinee I. and St. Thomas I.) (1893). — Shell., B. Afr., I, p. 136, No. 1868 (1896). — Porb. et Robins, Bull. Liverp. Mus., II, p. 135 (1900). — Rchnw., Vog. Afr., I (pt. 2»), p. 419 (1901). Turturoena chlorophaea, Sousa, Mus. Nac. Lisb., Colunibae, p. 12 (S. Thorné) (1873). Turtur chlorophaeus, Gieb., Thes. Ora., Ili, p. 726 (1877). Turturoena iriditorques, part., Shell., Ibis, 1883, p. 291 (S. Thorné tantum). Columba iriditorques, Sousa (nec Cass.), Jorn. Se. Lisb., No. XLVII, p. 158 (S. Thorné) (1888). Coluinba livia var. (C. chlorophaea), Boc., Jorn. Se. Lisb. (2), No. I, p. 36 (1889). a (3) rf ad. Roga Infante D. Henrique, 31 gennaio 1901. J(18)-' juv. Bahia do Oeste, 17 maggio 1901. TI maschio adulto è simile ad un altro di S. Thorné, ma ha dimensioni alquanto minori. TI giovane differisce dagli adulti per le dimensioni minori, per le piume verdi metalliche della cervice con riflessi meno porporini e per avere alcune piume ros- signe, residuo dell'abito giovanile, lungo il mezzo delle parti inferiori. Non v'ha dubbio che questa specie sia confinata nelle Isole di S. Thorné e del Principe, e che la località Gabon, attribuita all'esemplare tipico, sia erronea. 29. Haplopelia principalis, Hartl. Peristera principalis, Hartl. in Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 330 (Prince's L). — Gieb., Thes. Ora., III, p. 67 (1877). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). — Boc., ibid. (2), No. I, p. 36 (1889). Columba (Turtur) ...'?, Keulem., N. T. D., Ili, p. 396 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Haplopelia principalis, G. R. Gr., Hand-List, II, p. 244, n. 9405 (1870). — Shell., Ibis, 1883, p. 295. - Salvad., Cat. B., XXI, p. 542 (1893). - Shell., B. Afr., I, p. 136, n. 1874 (1896). Aplopelia simplex, part., Rchnw., Vog. Afr., I (pt. 2a), p. 422 (1901). rt(33)d" ad. Bahia do Oeste, 28 maggio 1901. Esemplare adulto bellissimo. Fronte di color cenerino puro; gola bianca; collo e petto di color rossigno vinaceo; occipite e cervice con riflessi rameici; regione anale e sottocoda di un bianco-roseo. 6(19)^. Bahia do Oeste, 22 maggio 1901. Simile al precedente, ma meno bello e con colori meno puri ; il petto ed il collo di color vinaceo meno vivo; i riflessi rameici della cervice meno vivi; addome e sottocoda bianchi. e (14)*. Bahia do Oeste, 22 maggio 1901. " Iride violacea; palpebre e piedi rosso-vinacei „ (Fea). Differisce dai maschi per le dimensioni minori, pei colori più oscuri, pei riflessi sulla cervice più decisamente verdi, per la fronte cenerina scura e pel colore rossigno vinato delle parti inferiori più oscuro e che tinge anche il sottocoda. r/(23) f juv. Bahia do Oeste, 24 maggio 1901. CONTRIBUZIONI ALLA ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA 13 Colorito generale bruno; le cuopritrici delle ali, le scapolari e le remiganti ter- ziarie con margini apicali rugginosi; lievissimi riflessi verdi sulla cervice ; parti infe- riori di color rossigno, più chiaro sull'addome e sul sottocoda; fronte cenerina; gola bianchiccia. Quando io scrissi il Catalogo delle Colombe del Museo Britannico non aveva ancor visto alcun esemplare dell'Isola del Principe. Il Reichenow (1. e.) ha creduto di dover identificare l'H. principalìs coiì'H. simplex, ma questa identificazione è certamente erronea, giacché mentre tutti gli esemplari dell'Isola Principe hanno il petto rossigno- vinaceo {vinaceo-rabente secondo la descrizione dell'Hartlaub), un giovane di S. Thomé e due femmine adulte della stessa località, conservate nel Museo Britannico, e da me descritte, hanno il petto grigio. Forbes e Robinson hanno attribuito a questa specie un esemplare dell'interno della Guiana conservato nel Museo di Liverpool! L'asserzione veramente straordi- naria m'invogliò ad esaminare tale esemplare, che infatti ho potuto avere in comu- nicazione per grande cortesìa del Dr. Forbes, Direttore del Museo di Liverpool, ed ho potuto constatare che esso appartiene ad una specie affatto diversa. 30. Glareola melanoptera, Nordm. Glareola nordmanni, Fischer. — Dolina, P. Z. S., 1866, p. 330 (Prince's I.). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). — Boc, ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). Glareola ...'?, Keulem., N. T. D., Ili, p. 399 (Prinseil.) (1866). — Sousa, 1. e. Glareola melanoptera, Sharpe, Cat. B., XXIV, p. 57 (1896). Il Dohrn dice di aver raccolto un esemplare non differente da altri della Russia. 31. Ardea gularis, Bosc. Ardea gularis, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 330 (Prince's L). — Keulem., N. T. D., Ili, p. 398 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Lepterodius gularis, Sharpe, Cat. B., XXVI, p. 114 (1898). " Comune sulle roccie della spiaggia „ (Dohrn). 32. Butorides atricapilla, Afzel. Ardea atricapilla, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 330 (Prince's L). — Keulem., N. T. D., Ili, p. 399 (Prinseil.) ( 1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Butorides atricapilla, Sharpe, Cat. B., XXVI, p. 172 (1898). " Meno comune dell'ai, gularis „ (Dohrn). 33. Lampribis olivacea (Du Bus). Geronticus olivaceus, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 330 (Prince's L). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Ibis (Geronticus) olivaceus, Keulem., N. T. D., Ili, p. 397 (Prinseil.) (1866). Lampribis olivacea, Elliot, P. Z. S., 1877, p. 507, pi. LI (Guinea, Prince's I.). — Sharpe, Cat. B., XXVI, p. 38 (Prince's I.) (1898). Lampribis rara, Rotsch. et Hart., Nov. Zool., IV, p. 377 (1897). - Sharpe, Cat. B., XXVI, p. 266 (1898). Theristicus rarus, part. Rchnw., Vóg. Afr., I, 2, p. 328 (Prinzeinsel) (1901). 14 TOMMASO SALVADORI «(l)d' ad. Roca Infante D. Henrique, 26 gennaio 1901. L'esemplare suddetto somiglia alla figura di questa specie data dal Du Bus (Esq. Ora. I, tab. 3) copiata dal Reichenbach (Grallatores, t. 133, f. 2384); invece esso differisce dalla figura data dall'Elliot (P. Z. S. 1877, pi. II) per avere le piume delle parti inferiori non distintamente di color cannella nel mezzo e marginate di verde cupo, ma di color bruno nero con lievi riflessi verdi ed alquanto più chiare lungo il mezzo. La figura dell'EUiot, secondo me, rappresenta l'abito di un esemplare immaturo, quale fu descritto anche dal Cassin (Pr. Ac. Philad., 1857, p. 39 (R. Muni); 1859, p. 174 (Camma)). Questo uccello vive nelle parti meridionali dell'isola, secondo il Dohrn, ed anche nelle occidentali, secondo il Keulemans. Scrive il Fea: " Mi dicono che è raro e che vive lungi dal mare nella foresta „. 34. Numenius arquata (L.). Numenius arquatus, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 331 (Prince's I.). — Sousa, Jom. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). — Boc, ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). — Sharpe, Cai B., XXIV, p. 341 (1896). Il Dohrn dice che questa specie vive nelle paludi presso la città. 35. Numenius phaeopus (L.). Numenius phaeopus, Keulem., N. T. D., III, p. 400 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Il Keulemans menziona questa e non la specie precedente fra quelle da lui osser- vate nell'Isola del Principe, e siccome le sue osservazioni furono contemporanee a quelle del Dohrn, viene il dubbio che l'uno, o l'altro abbia sbagliato nella identifi- cazione della specie; tuttavia non è affatto improbabile che ambedue le specie s'in- contrino nell'isola. 36. Totanus glottis (Lath.). Totanus glottis, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 331 (Prince's L). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). — Boc., ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). Glottis nebularius (Gunn.). — Sharpe, Cat. B„ XXIV, p. 481 (1896). " Vive nelle paludi presso la città „ (Dohrn). 37. Tringoides hypoleucus (I-.). Actitis hypoleucus, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 331 (Prince's I.). — Keulem., N. T. D., III. p. 400 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). " Vive nelle paludi presso la città „ (Dohrn). 38. Ancylocheilus subarquata (Guldenst.). Tringa subarquata, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 331 (Prince's L). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). — Boc., ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). Tringa . . . ?, Keulem., N. T. D., Ili, p. 399 (Prinseil.) (1866). — Sousa, 1. e. " Vive nelle paludi presso la città „ (Dohrn). Il Keulemans (1. e.) sotto il nome Tringa comprende tre specie diverse, proba- bilmente VA. subarquata, la Limonites minuta e la L. temmincki. CONTRIBUZIONI ALLA ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA 15 39. Sterna anaestheta, Scop. Sterna melanoptera, Sw. — Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 331 (Prince's L). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). - Boc, ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). Sterna panayensis, Orni. — Keulem., N. T. D., Ili, p. 401 (Prinseil.) (1866). — Sousa, 1. e. Sterna anaestheta, Saund., Cat. B., XXV, p. 101 (1896). Il Dohrn dice di aver osservata questa specie soltanto nella Bahia do Oeste. 40. Anous stolidus (L.). Sterna stolida, Keulem., N. T. D., Ili, p. 401 (Prinseil. e S. Thomas) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). " Si trova in gran numero lungo le coste della parte meridionale dell'isola „ (Keulemans) . 41. Phaeton aethereus, L. Phaeton aethereus, Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 331 (Prince's L). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). — Boc., ibid. (2), No. I, p. 36 (liba do Principe) (1889). ? Phaeton candidus, Temm. — Keulem., N. T. D., Ili, p. 375 (Prinseil.) (1866). — Sousa, 1. e. Phaeton sp., Keulem., 1. e, p. 401 (1866). Il Dohrn dice di aver visto varie volte il Ph. aethereus volare sulle coste del- l'isola, tuttavia la determinazione non pare sicura, siccome sembra che non ne sia stato raccolto alcun esemplare. Non è improbabile che il Ph. candidus citato dal Keulemans si riferisca alla stessa specie, ma è anche possibile che ambedue le specie s'incontrino nell'isola. 42. Sula leucogastra (Bodd.). Sula fiber, Auct. — Dohrn, P. Z. S., 1866, p. 331 (Prince's L). - Keulem., N. T. D., Ili, p. 400 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). — Boc, ibid. (2), No. I, p. 36 (Ilha do Principe) (1889). Sula sula (L.). — Grant, Cat. B., XXVI, p. 436 (speeim. r, Prince's I. Dr. Baikie) (1898). " Comune sulla costa occidentale dell'isola „ (Dohrn). 43. Phoeniconaias minor (Geoffr.). a (41) ' juv. Città di S. Antonio, Isola del Principe, 27 giugno. " Mi dicono che non sia raro e che se ne vedano comitive occupare in schiere trasversali le ribeiras per dare la caccia a pesciolini (?) ed altri animaletti acqua- tici „ (Fea). Questa specie non si conosceva dell'Isola del Principe. 16 TOMMASO SALVADORI CONTRIBUZIONI ALLA ORNITOLOGIA, ECC. APPENDICE Specie dubbie, od erroneamente indicate dell'Isola del Principe. 1. Lanius? Lanius ?, Keulem., N. T. D., Ili, p. 380 (Prinseil.) (1866). Lanius excubitor (?) , Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Il Keulemans dice di aver visto varie volte un uccello che gli sembrava non diverso dal Lanius excubitor (!) e che era noto anche agli abitanti dell'isola. — Cer- tamente non poteva trattarsi del L. excubitor ! 2. Sylvia? Sylvia ('?), Keulem., N. T. D., Ili, p. 375 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). La indicazione di una specie di Sylvia nell" Isola del Principe non è accompa- gnata da alcuna circostanza che la confermi. 3. Motacilla sp. Motacilla ?, Keulem., N„ T. D., Ili, p. 391 (Prinseil.) (1866). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLV, p. 44 (1887). Il Keulemans menziona un uccello somigliante al giovane della M. alba, da lui incontrato nell'Isola del Principe. 4. Cinnyris splendidus (Shaw). Nectarinia splendida, Hartl, Beitr. Orn. Westafr., p. 20, n. 87 (lina do Principe, Nordmann, Emi., Atlas, p. 6) (1850). — id., Abh. nat. Ver. Hamb., II, 2, p. 20 (1852). Cinnyris splendida, Hartl., Orn. W. Afr., p. 46 (Iiha do Principe, Erniari) (1857). Questa e la seguente specie furono erroneamente indicate dall' Erman come viventi nell'Isola del Principe. 5. Chalcomitra senegalensis (L.). Nectarinia senegalensis, Hartl., Beitr. Orn. Westafr., p. 20, n. 83 (Ilha do Principe, Erman, Atl., p. 6) (1850). - id, Abh. nat. Ver. Hamb., II, 2, p. 20 (1852). Cinnyris senegalensis, Hartl., Orn. W. Afr., p. 49 (Ilha do Principe, Erman) (1857). 6. Lamprotornis aenea (Gm.). Hartl, Beitr. Orn. Westafr, p. 27, n. 216 (Ilha do Principe, Emi., Atl.) (1850). — id, Abh. nat. Ver. Hamb, II, 2, p. 27 (1852). 7. Melanobucco vieilloti (Leach). Pogonias vieillotii, Leach. — Hartl, Beitr. Orn. Westafr, p. 35, n. 342 (Hha do Principe, Erm., Atl, p. 1) (1850). — id, Abh. nat. Ver. Hamb, II, 2, p. 35 (1852). — id, J. f. O, 1854, p. 197. — id, Orn. W. Afr, p. 170 (liba do Principe, Erm.) (1857). CONTRIBUZIONI ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA IL UCCELLI DI SAN THOMÉ PER TOMMASO SALVADORI Approvata nell'Adunanza del 25 Gennaio 1903. L'Isola di San Thomé, più grande dell'Isola del Principe, e molto più grande ancora della piccolissima Anno-bom, si trova situata fra esse, quasi sotto l'Equatore ; anzi l'isolotto Rollas, che è una dipendenza di S. Thomé, lo oltrepassa di poco. Essa è stata esplorata recentemente dal sig. Leonardo Fea, il quale vi giunse il 29 maggio 1901, restandovi parecchi mesi. Egli ha publicato (*) intorno a S. Thomé un articolo inti- tolato " Ricordi ed impressioni „ nel quale sono descritte le condizioni fisiche del- l'isola, e quelle non troppo liete degli abitanti, in mezzo alle quali è costretto a vivere lo straniero che si reca in quell'isola. — In quell'articolo non mancano alcuni cenni generali intorno alla fauna ed alla flora dell' isola. La sua fauna fu inve- stigata dal Weiss, che vi si recò negli anni precedenti il 1850, e più tardi dal Sr. Francisco Newton, che vi fece l'accolte per conto del Museo Reale di Lisbona. Prima del Weiss si conoscevano pochissime specie di uccelli, e fra queste la più anticamente conosciuta era la Columba sylvestris ex insula Sanctì Thomae descritta dal Marcgrav nel 1648, e che il Gmelin più tardi chiamò Columba Sancii Thomae. Conviene venire fino al 1842 per trovare una seconda specie dell'isola, il Ploceus collaris descritto dal Fraser. Lo stesso Fraser, l'Hartlaub, il Thomson ed il Gray fra il 1843 ed il 1849 descrissero altre poche specie di uccelli dell'isola. La collezione ornitologica fatta dal Weiss sopramenzionato fu inviata al Museo di Amburgo; essa comprendeva 26 specie, e fu studiata ed illustrata dall'Hartlaub, che publicò un lavoro intorno alla medesima nel 1850, ripublicandolo più tardi nel 1852. ;*) Boll. Soc. Geogr. Ital. (4), III, pp. 40-59, 1902. Serie II. Tom. LUI. 18 TOMMASO SALV ADORI 2 Lo stesso Hartlaub negli anni successivi, in diversi lavori relativi all'ornitologia dell'Africa occidentale, aggiunse parecchie specie a quelle raccolte dal Weiss. In un terzo periodo, nel quale giunsero al Museo di Lisbona le collezioni fatte in diverse volte dal Sr. Francisco Newton, il Barboza du Bocage dal 1867 al 1891, publicò diversi lavori intorno agli uccelli di S. Thomé. Anche il Sr. A. F. Moller ha visitato l'isola di S. Thomé, facendovi collezioni botaniche e zoologiche, che egli ha inviato al Museo di Coimbra; gli uccelli, appar- tenenti a 28 specie, furono determinati dal Barboza du Bocage, ma la lista fu publi- cata dal Dr. L[opes] V|ieira] nel giornale " Instituto „ 1887, N. 11; la collezione conteneva una specie nuova, che era stata descritta precedentemente dal Barboza du Bocage (Prinia molleri) insieme col Cinnyris newtoni. Nel 1888 il De Sousa publicò un breve lavoro riassuntivo intorno alla ornito- logia di S. Thomé, annoverando 64 specie (invero non tutte con buon fondamento), 24 delle quali erano rappresentate nel Museo di Lisbona. Successivamente lo stesso Barboza du Bocage, lo Sharpe, l'Hartert ed io stesso abbiamo aggiunto parecchie specie al novero di quelle indicate dal De Sousa, Il Sig. Leonardo Fea non fu molto fortunato neppure nell'isola di S. Thomé, e la sua collezione, fatta in mezzo a grandissime difficoltà, conta soltanto 103 esem- plari, appartenenti a 21 specie, delle quali due sono state descritte da me come nuove, discriminandole da altre colle quali erano state confuse. Secondo le mie ricerche le specie di S. Thomé conosciute attualmente sono 63 e di queste ben 22 sono proprie ed esclusive dell'isola. Queste specie sono le seguenti: 1. Tersiphone atrochalybea 12. Hyphantornis grandis 2. Lanius newtoni 13. Heteryphantes sancii Thotnae 3. Elaeocerthia thomensis 14. Lagonosticta thomensis 4. Cinnyris newtoni 1">. Oriolus erassirostris 5. Zosterops feae 16. Onycognathus fulgidus 6. Speirops lugubris 17. Chaetura thomensis 7. Prinia molleri 18. Coryihornis thomensis 8. Turdus olivaceofuscus 19. Scops leucopsis 9. Amaurocichla bocagei 20. Strix thomensis 10. Linurgus thomensis 21. Vinago sancii Thomae 11. Neospiza (n. gen.) concolor 22. Columba thomensis. Una specie, Y Amblyospiza concolor, appartiene, secondo me, ad un genere nuovo, che finora non avrebbe rappresentanti altrove. Altro genere, esclusivo di S. Thomé, non si conosce. Nel preparare il presente lavoro io dovetti ricorrere all' illustre Prof. Barboza du Bocage, dal quale ottenni, per poterli studiare, alcuni esemplari del Museo di Lisbona, ed anche all'amico Ogilvie-Grant del Museo Britannico, per taluni confronti e schiarimenti; ad ambedue rendo publicamente vivissime grazie. CONTRIBUZIONI ALLA ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA 1!» Bibliografia Ornitologica dell'Isola di San Thomé. (1648) Marcgrav, G„ Historiae rerum naturalium Brasiliae, libri octo. — Quintus de avibus (Men- ziona e descrive la Columba Sylvestris species ex insula Sondi Thomae = Vinago scindi Thomae). (1788) Gmelin, J. F., Systema naturae (Denomina Columba sancti Thomae, I, 2, p. 778, No. 46, la specie menzionata dal Marcgrav). (1842) Thomson, T. R., Description of a New Genetta and of two species of Birds from Western Africa {Ann. Nat. llist. X, p. 104) (Muscipeta atrochalybea). (1842) Fraser, L., Un some New Species of Birds from Fernando Po [and St. Thomas Island] (P. Z. S. 1842, pp. 141-142) {Ploceus collaris, Fras. nec VieillA (1843) „ On Birds from Western Africa (Treron crassirostris (P. Z. S. 1843, p. 35) = V. sancti Thomae). (1848) Hartlauh. Dr. G., Description de cinq nouvelles espèces d' Oiseaux de l'Afrique occidentale (He». Zool. 1848, pp. 108-110) (Tre specie sono di S. Thomé: Zosterops lugubris, Sycobius St. -Thomae, Ploceus erythrops). (1848) Alle», W. and Thomson, T. R. H., A Narrative of the expedition sent by Her Majesty's Government to the River Niger in 1841. A pag. 41, 42 del voi. II sono menzionate le seguenti specie dell'Ilha das Rollas (*): Columba trigonigera (= C. thomensis?), Turtur chaleospilus or rufous winged turtle dove (— Haplopelia simplex?), Turtur semitorquatus (= Turturoena malherbei?), Treron crassi- rostris, Malaconotus olivaceus ('?), Malaconotus chrysogaster (?), Melasoma edolioides (?). (1849) Gray, G. R., Genera of Birds (Hyphantornis grandis = P. collaris, Fr.). (1849) Hartlaub, Dr. G., Description de cinq nouvelles espèces d'Oiseaux de l'Afrique occidentale (4 specie di S. Thomé : Onycognathus fulgidus, Coturnix histrionica, Athene leucopsis, Turtur simplex) (Pev. et Mag. de Zool. 1850, pp. 494-497). (1850) „ Beitrag zur Ornithologie Westafrica' s (Verzeichniss der offentlichen und Privat-Vor- lesungen, welche am Hamburgischen akademischen Gymnasium u. s. w. gehalten werden. Herausgegeben von K. W. M. Wiebel). Hamburg , 1 850 , pp. 1-47 (Sono annoverate 26 specie di uccelli di S. Thomé, raccolte dal Weiss). (1850) „ Neue Arten des hamburgischen naturhistorischen Museums (ibid. pp. 48-56) (Ridescrive le varie specie di S. Thomé descritte precedentemente e per la prima volta il Turdus oli- vaceo-fuscus). (1850) „ Ornithology of the Coasts and Islands of Western Africa (Contr. Orn. 1850, pp. 129-140) (Annovera le 26 specie di uccelli di S. Thomé, raccolte dal Weiss e menzionate prece- dentemente). (1852) , Beitrag zur Ornithologie Westafrica's (Abh. Natura: Ver. Hamb. II, 2, pp. 1-47) (Ristampa del lavoro pubblicato nel 1850). (1852) „ Neue Arten des hamburgischen naturhistorischen Museums (ibid. pp. 48-56) (Tafeln I-III, VII-XI, rappresentano specie di S. Thomé). (1852) „ Zweiter Beitrag zur Ornithologie Westafrica's [ibid. pp. 57-68). (1852) , Description de quelques nouvelles espèces d'oiseaux (Strix thomensis, Rev. et Mag. de Zool. 1852, p. 3). (1854) „ Versuch einer synoptischen Ornithologie Westafrica's (Forsetzung) (Journ. f. Orn. 1854, p. 2) {Halcyon dryas, Lamprocolius ignitus!). (1857) , System der Ornithologie Westafrica's (Neophron pileatus, Psittacus erythacus, Oriolus cras- sirostris, Numenius haesilatus, N. phaeopus). (1861) „ Berichtigungen und Zusàtze zu meinem * System der Ornithologie Westafrica's , {Journ. f. Orn. 1861, pp. 97-112, 161-176, 257-276) (Annovera 8 specie che sarebbero state rac- colte in S. Thomé dal Gujon, ma probabilmente sono di altra località: Halcyon cancro- phaga, C'eryle maxima, Merojis aegyptius (= saperci! iosus), Merops hirundinaceus , Merops erythropterus, Passer simplex, Psittacida roseicollis, Parrà africana). (*) L'Isola Rollas è una dipendenza dell'Isola di S. Thomé. 20 TOMMASO SALVADOBI 4 (1867) Barboza du Bocage, J. V., Aves das possessoes portuguezas da Africa occidental que existem no Museu de Lisboa (Jorn. Se. Lisb. I, pp. 129-153) (Sono menzionate 6 o 7 specie di S. Thomé, fra le quali tre nuove per quell'isola: Hyphantornis capitalis. Turturoena sp., Rallus caerulescens, Phaeton candidus). (1869) Sharpe, R. B., On the Birds of Angola (P. Z. S. 1869, pp. 563-572) (Menziona 3 specie già note di S. Thomé). (1870) Finsch, Dr. 0. und Hartlaub, Dr. G., Die Vogel Ost-Africas (È menzionato un esemplare di S. Thomé del Phoenicopterus erythraeus conservato nel Museo di Brema e raccolto dal Weiss) ed il Merops aegtjptius Hartl. (nec Forsk.) è identificato col M. superciliosus). (1879) Barboza du Bocage, J. V., Subsidios para a Fauna des possessoes portuguezas d'Africa occi- dental {Jorn. Se. Lisb. No. XXVI (Ilha de S. Thomé, Aves, pp. 86-87) (Sono annoverate per la prima volta ì'Estrelda Astrila e la Vidua principalis). (1882) Greef, R., Die Insel Rolas (Globus, 41 Bd. 1882, 9 pag.) iNon vidi). (1884) , Die Fauna der Guinea-Inseln S. Thomé und Rolas (Sitgsber. Ges. z. Beford. des ges. Naturieiss. Marburg, 1884, No. 2, pp. 41-79) (Contiene alcuni cenni (pp. 46-47) intorno a poche specie già menzionate dall'Hartlaub). (1887) Barboza do Bocage, J. V., Oiseaux nouveaux de l'ile St. Thomé (Jorn. Se. Lisb. No. XL1V, pp. 250-253, {Prillili moileri, Cinnyris newtoni). (1887) L[opes] V[ieira], Aves da Ilha de S. Thomé {Instituto, 1887, No. 11, pp. 1-4, Coimbra) (4 specie nuove per l'isola: Hirundo rustica, Vidua paradisea, Herodìas garzetta, Anous stolidus). (1887) Barboza du Bocage, J. V., Additamento a fauna ornithologica de St. Thomé (Jorn. Se. Lisb. No. XLVI, pp. 81-83) (Aetitis hypoleucos, Columba arquatrix var.). (1888) „ Sur un oiseau nouveau de St. Thomé de la Famille " Fringillidae „ (ibid. No. XLVI1, pp. 148-150) (Phaeospiza thomensis). (1888) De Sousa, J. A., Enumeracao das Aves conhecidas da Ilha de S. Thomé, seguida da Lista das que existem d'està Ilha no Museu de Lisboa (ibid. No. XLVII, pp. 151-159) (Cuculus canorus, Ciconia alba, Estrelda thomensis). (1888) Barboza du Bocage, J. V., Note sur la " Phaeospiza thomensis , (ibid. No. XLVII, pp. 192-1931. (1888) „ Sur quelques oiseaux de l'Ile St. Thomé (ibid. No. XLVIII, pp. 211-215). (1888) „ Oiseaux nouveaux de l'Ile St. Thomé (ibid. No. XLVIII, pp. 231-234) (Scops sca2mlatus, Amblyospiza concolor, Columba arquatrix var. thomensis, Lampribis olivaeea). (1889) „ Breves consideracòes sobre a Fauna de S. Thomé (ibid. (2), No. I, pp. 33-36) (Chaetura sabinii, Totanus glareola, Strepsilas interpres, Ortygometra egregia). (1889) „ Sur deux espèces à ajouter à la faune ornithologique de St. Thomé (ibid. (2), No. II, pp. 142-144) (Euplectes aureus, Nectarinia thomensis nova sp.). (1889) „ Aves da Ilha de S. Thomé (ibid. (2), No. III, pp. 209-210) (Sterna fuliginosa). (1891) „ Oiseaux de l'Ile St. Thomé (ibid. (2), No. VI, pp. 77-87) (Lanius (Fiscus) Newtoni, Chri- tagra chrysopyga, Sterna anaestheta, Procellaria sp., Siila fiber). (1892) Sharpe, R. B., Description of some new Species of Timeliine Birds from West Africa (P. Z. S. 1892, pp. 227-228) (Amaurocichla bocagei, nov. sp.). (1896) Barboza du Bocage, J. V., Aves d'Africa de que existem no Museu de Lisboa os exemplares typicos (Jom. Se. Lisb. (2) No. XV, pp. 179-186) (Annovera anche parecchie specie di S. Thomé). (1900) Hartert, E., Chaetura thomensis, sp. n. (Bull. B. O. C, X, pp. LILI-LIV). (1901) Salv adori, T., Due nuove specie di uccelli dell'Isola di S. Thomé e dell'Isola del Principe (Boll. Mus. Tor. No. 414, pp. 1-2) (Zosterops feae). (1902) „ On a New Kingfisher of the genus Corythornis (The Ibis, 1902, pp. 566-569, pi. XIII) (C. thomensis). CONTRIBUZIONI ALLA ORNITOLOGIA DELLE ISOLE DEL GOLFO DI GUINEA 21 1. Hirundo rustica, L. Hirundo rustica. L. V., Instituto, No. 11, p. 2 (St. Thomé, Moller) (1887). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLVII, p. 154 (1888). - Boc, ibid. (2), No. VI, p. 86 (1891). Si conosce un solo esemplare di questa specie raccolto in San Thomé dal Moller 2. Terpsiphone atrochalybea (Thoms.). Muscipeta atrochalybea, Thoms., Ann. and Mag. N. H., X, p. 204 (Fernando Po!) (1842). — Hartl., Rev. et Mag. de Zool., 1849, p. 497 (St. Thomé). — id., Beitr. in Wiebel's Verz., pp. 1, 3, 25, 46 (1850). — id., Contr. Orn., 1850, p. 131 (St. Thomas). — id., Abh. naturw. Ver. Hanib., II, pp. 1, 3, 25, 46 (9) (1852). — id., J. f. 0., 1854, p. 29. - Boc, Jorn. Se. Lisb., II, p. 137, n. 53 (<*" St. Thomé) (1867). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLVII, p. 151 (1888). Tchitrea atrochalybea, Hartl., Orn. W. Afr., p. 92 (descr. foeminae errata) (1857). — G. R. Gr., Hand-List, I, p. 333, n. 5009 (1869). - Gieb., Thes. Orn., III, p. 593 (1877). Muscipeta melampyra, Boc. (nec Verr.), Jorn. Se. Lisb., No. II, p. 137, n. 54 (? St. Thomé) (1867). — id., Orn. Ang., p. 194 (nota) (1877). — Sousa, Jorn. Se. Lisb., No. XLVII, p. 153 (nota) (1888). Terpsiphone atrochalybea, Pinsch u. Hartl., Vog. Ostafr., p. 313 (nota) (1870). — Sharpe, Cat. B., IV, p. 362 (1879). — Boc., Jorn. Se. Lisb., VII, No. XXVI, p. 86 (descr. foeminae) (1879). — L. V. Instituto, No. 11, p. 3 (St. Thomé, Moller) (1887). — Boc, Jorn. Se. Lisb., No. XLVII, p. 150 (1888). — Sousa, ibid., pp. 152, 157 (1888). — Boc, op. cit., No. XLVIII, p. 233 (1888); (2) I, p. 35 (1889); II, p. 144 (1889); in, p. 209 (Rio do Ouro) (1889); VI, p. 78 (ova e nido) (1891). — Dubois, Syn. Av., p. 281 (Congo!) (1900). — Sharpe, Hand- List, III, p. 255 (R. Congo !) (1901). Terpsiphone costata part., Oust., Nouv. Arch. Mus. (2), II, p. 99 (St. Thomé) (1879). — Sousa, Jorn. Se Lisb., No. XLVII, p. 153 " Nome volgare 'Tome-Gagà' „ (F. Newton). a (8)^ Rib. Palma, 5 luglio 1900. 6 (13) d- „ 26 „ e (14) *" „ 23 d (60) d- „ 7 agosto „ e (76) s Vista Alegre, 23 settembre 1900. f(12)9 Rib. Palma, 5 luglio 1900. g (46) i „ 1° agosto » h (54) 9 » 8 i (78) 9 Vista Alegre, 25 settembre 1900. La descrizione della femmina data dall' Hartlaub e ripetuta nell' opera Vogel Ostafrika's è affatto sbagliata; esatta invece è quella data dal Barboza du Bocage. Siccome questa specie non si trova nell'Isola del Principe, interposta fra S. Thomé e Fernando Po, mi era venuto il dubbio che gli esemplari di S. Thomé potessero essere diversi da quelli di Fernando Po; invece, fatto confrontare dall'Ogilvie-Grant un maschio adulto di S. Thomé coll'esemplare tipico del Museo Britannico, indicato di Fernando Po, non è apparsa differenza alcuna, e siccome il Boyd Alexander non ha trovato questa specie in Fernando Po, pare probabile che per errore questa località sia stata attribuita all'esemplare tipico e che la specie sia esclusiva di S. Thomé. 22 TOMMASO SALVADORI 6 3. Lanius newtoni, Boa Lanius (Fiscus) Newtoni, Boc, Jorn. Se. Lisb. (2), No. VI, p. 79 (Si Miguel et Eio Quija, F. Newton) (1891). Fiscus newtoni, Boc, Jorn. Se. Lisb. (2), No. XV, p. 182 (Tipo) (1896). Lanius newtoni, Grant, Nov. Zool., IX. p. 467 (1902). Il Bocage ebbe cinque esemplari di questa specie, due maschi adulti, una fem- mina adulta e due giovani. Egli asserì che gli adulti avessero le parti inferiori tinte di giallo; questa cosa mi parve tanto straordinaria per una specie del genere Lanius, da farmi dubitare che si trattasse invece di una specie dei generi Laniarius, o Chlorophoneus. Avendo potuto, per cortesia del Barboza, esaminare due esemplari del Museo di Lisbona, una femmina adulta ed un giovane, con mia sorpresa, ho trovato che la femmina adulta ha le parti inferiori bianche, senza traccia della tinta gialla menzionata dal Bocage (!). Il giovane ha il bianco delle parti inferiori tinto di fulvo; il nero delle parti superiori alquanto bruniccio; il bianco delle scapolari misto di nero e di fulviccio; le cuopritrici delle ali e le remiganti marginate di rossigno; gli apici delle timoniere bianchicci e non bianchi, come nell'adulto. — Come ha fatto notare il Barboza, questa specie si distingue dalle affini L. smithi, L. collaris e h. humeralis pei seguenti caratteri: 1° Mancanza di specchio bianco sulle ali. 2° Colorazione nera del groppone e del sopraccoda. 3° Inversione del bianco sulla timoniera esterna, che invece di avere il bianco sul vessillo esterno, l'ha sull'interno. Rispetto alla tinta gialla delle parti inferiori, asserita dal Bocage, essa non appare affatto negli esemplari da me esaminati, e non so comprendere per quale errore sia stata indicata. La frase specifica di questa specie dovrà essere come seguo: Supra nitide niger, subtus albus; speculo alari nullo; scapularibus albo terminatis; remigibus nigris, intus albido limbatis; subalaribus albis, extimis fuscis; rectricibus nigris, extimae pogonio interno et apice albis, tribus sequentibus albo terminati*; rostro pedibusqui nigris. Long. tot. circa 200 mm. ; alae 87; caud. 105; rostri culm. 14; tarsi 23. 4. Elaeocerthia thomensis (Boc). Nectarinia thomensis, Boc, Jorn. Se Lisb. (2), I, No. II, p. 143 (St. Miguel, F. Newton) (1889); No. VI, p. 78 ( Rib. Palma, 22 luglio 1900. b (44) 9 Rib. Palma, 29 agosto 1900. 21. Vidua principalis (L.). Vidua principalis, Boc., Jorn. Se. Lisb., VII, No. XXVI, p. 87 (St. Thomé) (1879); No. XLIV, p. 251 (1887). — L. V., Instituto, No. 11, p. 3 (St. Thomé, Moller) (1887). — Sousa, ibid., No. XVII, pp. 154, 158 (1888). - Boc, ibid., No. XLVIII, p. 234 (1888); (2), No. Ili, p. 210 (Rio do Ouro) (1889); No. VI, p. 81 (1891). a (67) s Ribeira Palma, 16 agosto 1900. b (96) il flusso considerato e con R la riluttanza del suo circuito magne- tico. Poi sulla OC si prende OE= n2T2 sarà EB = n^ ; cosicché, compiendo il parallelogrammo, si ha OA = njx AB = n.,1,. La f. e. m. di selfinduzione dovuta al flusso disperso, nel primario, sia e%. Fatto OB = r^! in fase colla corrente primaria, RP=e1 in quadratura colla corrente primaria, PQ = Ex in quadratura col flusso OX, la OQ sarà la f. e. m. impressa, che diremo E0, da applicare ai morsetti del primario. Abbassate le AG e BH perpendicolari ad OX, è facile vedere che si ha (L4sen(cp + 6) = ABcosf -f OBsenQ 0^1 cos (q> -4- 9) = AB senf + OS cos 9. Pongasi per brevità — -=- = «; e notando che -— -= — £-. si ottiene r AB OA «[/, (1) (2) «2^2 sen(q> -f- 9) = — *j- (cos y ~|- a sen0), cos (q> -I- 9) = J"i~- (sen T + « cos 9) , Ht il 3 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 49 Rapporto delle correnti. — Dal triangolo AOB, riflettendo che cos^OB = — sen(T + 9), si ricava la relazione che lega fra loro le intensità primaria e secondaria: (3) n\I\=n\I\ j 1 + a2 + 2a sen(T + 6) j- Forza elettro-motrice impressa. — Dal triangolo POQ si ha OQ2 = PO2 + OR2 + RP2 + 2PQ j PR cos(op + e) + OR sen(cp -f 6) j ■ Sostituendo i valori dei vari segmenti, e approfittando delle relazioni (1) e (2), si ottiene la formola che dà la forza elettromotrice impressa: (4) £,02=i,f+r?J? + «?+2JE1^je1(senT + «cose) + r1Z1(cosT+asene)|- Rapporto di trasformazione totale. — Chiamo rapporto di trasformazione totale o interno, quello che passa fra la f. e. m. impressa al primario e la f. e. m. totale nel secondario; cioè tra E0 ed E2. Ora si noti che E\ »i e indicando con p l'impedenza del secondario, si ha E2 = I2p pcosT = r2. Infine potremo mettere la f. e. m. di selfinduzione sotto la forma ex = Xj/j chiamando \x la reattanza dovuta alla selfinduzione, più propriamente al flusso disperso, nella spirale primaria. Con queste sostituzioni, dividendo tutta la (4) per È\, si ottiene la seguente equazione, che dà il rapporto cercato: <« (tr=(t)2+(^r^>+a2+2asen(T+e)Scos2T+ + — j X,(senT + acos9) + ^(cost + «sen9)|cosT- Dunque il rapporto di trasformazione totale risulta da una serie di termini, di cui il primo dipende solo dal rapporto fra i numeri di spire primarie e secondarie, e gli altri sono funzione, oltreché degli elementi del trasformatore, anche di quelli del circuito esterno; e propriamente la resistenza esterna (compresami) è sempre Serie II. Tom. LUI. a 50 GUIDO GRASSI 4 al denominatore, mentre invece appaiono come fattori le funzioni senr e cosr dello sfasamento della corrente secondaria. — Il primo termine ha in generale valore pre- valente sugli altri. — Però prima di decidere quali fra i termini seguenti siano tras- curabili convien esaminarne il significato. Valore del rapporto a. — Per definizione OB _ B 0 AB ~~ O^TTnj/j ' D'altra parte sappiamo che la f. e. m. E2 è data da E2 = 10-82tt«<1>m2 indicando con n la frequenza della corrente. Eliminando si ottiene il valore di a, che si può scrivere a = £■ : 2im ^- IO9. h B. Ma 2 non è altro che il coefficiente di selfinduzione della spirale secondaria, e propriamente quello che si riferisce a tutto il flusso che, prodotto dalla spirale secondaria, si concatena anche colla primaria. E dunque un coefficiente che differisce dal vero coefficiente di selfinduzione soltanto della piccola frazione che corrisponde al flusso disperso. Moltiplicato per 2mi e per IO9 ci dà (sempre a meno di una pic- cola frazione) la reattanza della spirale secondaria in unità pratiche, che indicheremo con A. Si ha dunque Eì che si può scrivere anche (6) P r2 A Aco9T cioè si può dire che a è assai prossimamente eguale al rapporto fra l'impedenza del circuito secondario e la reattanza che avrebbe la spirale secondaria se fosse sola. Il valore numerico di a si determina più facilmente colla seguente sostituzione. Sia B l'induzione massima nel nucleo, S la sezione, l la lunghezza, u la permeabilità; avremo Bl 0,4TtH,/2H e, tenuto conto del valore di E2, La potenza del trasformatore nel secondario è 5 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA "REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 51 Posto il volume SI — Q, risulta (7) « = 2,5.10-^=$?^. Siccome per trasformatori a carico normale il rapporto Q : W e poco diverso da 1 (un po' maggiore nei trasformatori piccoli, e un po' minore in quelli di grande potenza), si vede che a differisce poco da 2,5.10-8 — cost a carico normale. Se fosse, per es., £ = 4000, n = 50, u = 1600, si troverebbe, per cost = 1, a = 0,0125. Col diminuire del carico a aumenta. Sostituiamo nella (5) il valore (6) di a; ossia poniamo a cost 1 r2 A ' scriviamo inoltre n2 otteniamo (8) (J|)2=^+2 ^e + nsene _._ r£±V + ± ^+ Wcos9) senT C0ST + Ht^ + W + ^H^ Si noti che gli elementi del circuito esterno, cioè r2 e y, entrano soltanto negli ultimi due termini, i quali si annullano o per r2= °o (circuito aperto), o per cosy = 0, cioè quando la reattanza è così grande da portare la corrente in quadratura. Tanto in un caso, quanto nell'altro, il rapporto di trasformazione è lo stesso ; sempre mag- giore del rapporto tra i numeri delle spire, sebbene di poco, specialmente se vi è dispersione notevole di flusso. Rapporto di trasformazione esterno. — Ciò che si misura direttamente è il rapporto tra la f. e. m. impressa E0 e la tensione V ai poli del secondario; rap- porto che si può distinguere dal precedente chiamandolo esterno. Ma nella pratica è più semplice chiamarlo rapporto di trasformazione, senz'altra qualifica. Nel diagramma della fig. la si prenda OD = E2, f. e. m. totale del secondario; e quindi, fatto DC normale a OC, sarà: OC=r2I2. Chiamando r' la resistenza della spirale secondaria e r quella del circuito esterno, faremo OS = rh SC=r'L. 52 GUIDO GRASSI 6 Allora DC è la f. e. m. dovuta alla reattanza, che si compone della parte CU corrispondente alla reattanza esterna, e della rimanente DU corrispondente alla selfinduzione della spirale secondaria, cioè alla dispersione magnetica. Porremo, come si è fatto pel primario, DU = e2 = X2J2. È chiaro che tirando la ST parallela a CD, e la UT parallela a CO, si avrà in OT la grandezza e la fase della tensione ai poli ; cioè OT = V e lo sfasamento della corrente rispetto a V è SOT=$. Dalla figura si ha direttamente OD cost = OC = OS — = OTco&fi -^| ossia, sostituendo i valori dei segmenti, (9) #2cosy = ~ Fcosp. Analogamente si trova -E^seny = J^senjJ -j- X2/2 e siccome Fcos(3 = rJs, si ottiene (10) #2senY = Fsenp 4- -^ Fcosp. Quadrando e sommando le (9) e (10), si ha (11) Eik2 = k' e infine (17) mp1=ps. Dunque quando si vorrà, nelle formolo seguenti, introdurre la condizione che siano eguali i coefficienti di dispersione magnetica, bisognerà porre mpx = p2 (e non già pi = p2). Colle sostituzioni precedenti risulta (18) C0 = l + ^- focose + sen e) m + (-^-)2(1 + p!)- 54 GUIDO GRASSI 8 La resistenza >■' della spirale secondaria sarà sempre piccolissima rispetto alla reattanza totale A, e quand'anche px raggiunga parecchie unità, il 2° e il 3° termine nell'espressione di C0 saranno sempre frazioni trascurabili. Noto poi che nell'equa- zione (12) il termine prevalente nel 2° membro è il primo; i coefficienti di sen(3cosf5 e di cos2P sono frazioni piccole di C0k2. Perciò non si commette un errore sensibile se in questi termini in luogo di C0 si mette il suo valore approssimato, cioè C0=l. Con questa sostituzione il fattore di 2senpcosp diventa _L(A*x, + x1 + -^cose) e introducendo le precedenti espressioni di Xj e X2 si ha k2 — \ mpt + p2 + m2 —■ (1 -j- pf) cose | . Porremo per brevità (19) Cx = -£ j mPl + p2 + m2 -£■ (1 -f p\) cos9 j . Anche qui si può osservare che Cx sarà sempre una frazione piccola, perchè, a carico normale , r' si riduce a qualche centesimo di r, spesso anche a meno di — ^ . Per conseguenza il rapporto r' : A è ancora più piccolo, e si potrà quasi sempre trascurare il termine ultimo, scrivendo semplicemente (20) C1 = ^r(mp1+pì). Finalmente il fattore di cos20 nella (12), posto C0 = 1, per le ragioni già dette, e sostituendovi le espressioni di Xt e X2, si può mettere sotto la forma k C'2 essendo (21) C2= (^)2\2^{m + i) + m2--l+(,npì + P2)2 + 2m2(l+p\) we+^co.8 | , Dei termini tra parentesi il primo è sempre molto grande rispetto agli altri ; perciò il valore di C2 nella maggior parte dei casi risulterà poco diverso da (-£-)' '£*»+* e riflettendo che r2 e >• differiscono pochissimo tra di loro, si avrà con molta appros- simazione (22) d = -^L(mj|_i) cioè anche il coefficiente C2 è, in condizioni normali, una piccola frazione. 9 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 55 L'equazione generale (12) prende adunque la forma (23) ~ (f?)2 = C0 + 2(7lSenPcos? + <72cos2P ovvero (24) ^(|°)2=(70 + J + Cl8en2p + ^cos2f5 avendo posto (25) A = f- Tensione a vuoto. — Quando il circuito secondario è aperto, i coefficienti Ci e C2 si annullano. Chiamando V0 la tensione in questo caso, cioè la tensione a vuoto, si ha l <--0 ' Si sa che con molta approssimazione C0=l; però considerando l'espressione (18) di C0 si vede che in generale V0 subisce una piccola variazione, e propriamente varia nello stesso senso di A. Ora A è proporzionale alla frequenza: dunque, a pari condizioni nel resto, V0 deve crescere colla frequenza. Ma A dipende anche dalla riluttanza magnetica del circuito, e questa a sua volta dipende dalla induzione: ne si può dire che A segua sempre una stessa legge di variazione, poiché, a seconda del grado di magnetizzazione, A può crescere o diminuire al crescere di B. Però d'ordinario varia nello stesso senso. Ne viene di conseguenza che col crescere della f. e. m. applicata al primario, aumentando l'indu- zione, deve crescere anche il rapporto di trasformazione. In ogni modo la correzione è piccolissima. Infatti si osservi che il rapporto r':A, che entra nei termini correttivi dell'espressione di C0 è una piccola frazione. Sic- come 6 è sempre piccolo, il 2° termine della espressione di C0 si può scrivere, rife- rendosi alla (6), o Pir o Pirn C09T A fi Abbiamo veduto che — ed a sono frazioni dell' ordine di pochi centesimi ; perciò j- è dell'ordine di pochi diecimillesimi, e quindi per quanto pl (cioè la disper- sione magnetica) sia grande, C0 differirà sempre ben poco dall'unità. Nelle forinole seguenti riterrò sempre Et = kV0. Variazione della tensione secondaria con carico reattivo. — Posto nella (24) quest'ultima espressione di E0, si ha ( -£. )2 = C0 + A + dsen2P + A cos2 p. 56 GUIDO GRASSI 10 Trasformando col solito metodo si ha (26) (■£ f = C0 + A + Csen(2p + a) dove (27) C2 = C\ + ^42 (28) tana = 4- La (26) si può trasformare in modo da mettere in evidenza la variazione di ten- sione, con una semplice costruzione grafica. Ritenendo C0 = l, e ponendo A + Csen(2 P + a) = u si può scrivere •l + « Ora, tenendo presente che u è una piccola frazione, sviluppando il radicale e trascurando i termini d'ordine superiore al 2°, si ottiene F=(l-f.+ J-M*)F0, e sostituendo il valore di u £ = 1 - f +| ^-| (l -| J) sen(2P + a) + | C8en»(2|5 + a). Ma sen2(2(5 + a)=-L- ^-senfép + 2a + -J-) e risulta quindi (29)^ = l-f + 4^+^^-f(l^-^)sen(2p + «)-Ac72sen((4p+2a+i). Questa equazione rappresenta una curva formata da due onde sinusoidali, sovrap- poste ad una ordinata costante. La 2a sinusoide ha ampiezza molto minore della prima, e il suo periodo è la metà. Questa curva rappresenta il modo di variare della tensione ai poli del secondario, quando al primario si mantiene la f. e. m. costante, e nel secondario si fa variare p, ma si mantiene costante la resistenza; perchè in tal caso A e C conservano i loro valori. Se si tien conto della piccolezza di A e C, si vede che con molta approssima- zione la curva è rappresentata dalla equazione più semplice (30) -£-=l-f-f sen(2p + a). 11 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 57 Valori approssimativi di A e C. — Siccome -4 = y e con molta appros- simazione si ha c2 = _ 2r r (m -1-1) A 2 = — m + 1 2 Tenendo conto delle relazioni (20) e (27) risulta C 2 2 -j/(W + l)2 + (mp1+i>2)2. Per farsi un concetto del significato di questa quantità, consideriamo il caso, che corrisponde alle condizioni di un ordinario trasformatore, in cui all'incirca m = 1 mpx = p2 perchè le spire primarie e secondarie hanno lunghezze poco diverse, la densità di corrente si fa quasi eguale nei due circuiti, e per la simmetria dei due avvolgimenti, rispetto al nucleo, la dispersione non differisce molto dal primario al secondario. Allora si ottiene C yV^ + x,1 2 r Il numeratore di quest'ultima frazione esprime ciò che si può chiamare la impe- denza apparente della spirale secondaria, cioè l'impedenza che risulta dalla sua resi- stenza e da quella parte di reattanza che è dovuta al flusso disperso. La indiche- remo con p'. Con questa sostituzione la (30) prende la forma V ._, r, + p'sen(2p+q) (àl> V0~l r che vale, naturalmente, soltanto nelle condizioni ora supposte. In ogni modo si comprende che, anche in condizioni un po' diverse, il coeffi- ciente p' avrà sempre un significato analogo e una grandezza dello stesso ordine. L'espressione più generale di p' sarebbe (32) p'=r'Ì(^U[^f^f. Variazione di tensione nel funzionamento a resistenza costante. — È questo il caso che io ho già discusso nella nota sopra citata (*). Ne darò qui una discussione più completa, e in una forma alquanto modificata. {*) Vedi anche il cenuo fatto in una breve comunicazione all'Associazione Elettrotecnica nel- l'assemblea dell'ottobre 1902 (" Atti dell'A. E. I. ,). Serie II. Tom. LUI. B 58 GUIDO GRASSI 12 Perciò disegno la curva rappresentata dall'equazione (31). Comincio dall'osservare che essendo si ha tan a = p'sena = r'. La scala del disegno essendo arbitraria, supponiamo di far in modo che sia V0=l ed r=l. Allora disegnata una sinusoide (fig. 2a) di ampiezza p', riferita a un asse PP, Fig. 2*. e quindi una parallela QQ a distanza PQ = r', le ordinate della curva contate dal- l'asse QQ sono i valori di r' -f p'sen(2P + a). Per (3 = 0 si deve avere r' + p'sena = 2r'. Dunque P =0 corrisponde al punto O che si trova tagliando la sinusoide colla RR parallela alla QQ e a distanza 2r\ Le ordinate di questa curva vanno sottratte dal- l'ordinata 1 che rappresenta V0, poiché la (31) colla scala adottata diventa V= 1 — jr' + psen(2P + a)j. Fig- 3'. Si ottiene così la curva della fig. 3, che è quella della fig. 2 cambiata di segno. L'asse orizzontale V0 corrisponde alla tensione a vuoto. Per {$ = 0 la caduta di tensione è OC; cioè OC rappresenta la caduta che si osserva quando si chiude il secondario sulla resistenza (che nella scala del diagramma è=l, ma può essere una resistenza determinata qualunque), priva di induttanza. 13 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 59 Se ora si produce un piccolo ritardo di fase (senza mutare la resistenza) la ten- sione diminuisce, e la diminuzione continua fino in D. Poi, mentre la reattanza magne- tica seguita a crescere, la tensione cessa di diminuire e va crescendo da D fino ad E per raggiungere il valore F0 quando la corrente è in quadratura. Il fenomeno della diminuzione di tensione (da C a D) col crescere dello sfasa- mento non era stato avvertito, che io sappia. Io l'ho poi verificato con ripetuti espe- rimenti, ed ho trovato che l'andamento del fenomeno corrisponde esattamente alla teoria. Misurato VQ a vuoto, si chiuda il circuito del secondario su di una resistenza formata da due spirali sovrapposte, con avvolgimento di verso contrario, per annul- lare l'induttanza, e si noti la tensione V. Spostando una delle spirali, in modo da produrre una reattanza crescente a poco a poco, la tensione comincia a diminuire; poi, raggiunto un minimo, prende a crescere gradatamente, insieme colla reattanza. Introducendo dei nuclei di ferro nelle spirali separate si può fare che lo sfasamento B risulti assai prossimo a 90° e allora la tensione s'avvicina al valore che aveva a vuoto. Nella curva vi corrisponde il punto E. La nuova forma data alla soluzione del problema permette di ritenere questo risultato come esatto (nei limiti dell'approssimazione ammessa nel ridurre le forinole); mentre nella mia nota sopra ricordata avevo creduto di fare qualche riserva a questo proposito. E infatti quando 3 s'approssima a 90°, vuol dire che l'impedenza del circuito . esterno è grandissima e allora, la corrente essendo minima, è naturale che la caduta di tensione sia quasi nulla. Quando R è negativo, vi corrisponde il tratto CBA della curva. Dapprincipio la tensione cresce, raggiunge in B il valore che aveva a vuoto, poi lo oltrepassa, tocca un massimo in M e decresce infine per riprendere ancora il valore V0 quando la corrente è in avanzo di 90°. E interessante notare che: Il minimo di tensione si ha per (3 = 45° — a. Il massimo si ha per B = — (45° -4- a). La tensione diventa eguale a quella a vuoto, oltreché per B = ± 90°, anche per 8 = — a. La posizione adunque di questi punti dipende essenzialmente da a, cioè dal rap- porto fra la resistenza della spirale secondaria e la reattanza dovuta alla dispersione magnetica. La curva ora discussa rappresenta il fenomeno soltanto per approssimazione, perchè si è dedotta da una forinola ridotta; e s'intende sempre nell'ipotesi che tutte le grandezze alternate in giuoco si possano considerare come sinoidali. Se si vuol tener conto della equazione più esatta (29), bisogna fare alla curva le seguenti correzioni : 1° La distanza tra PP e QQ (tìg. 2a) va leggermente diminuita, perchè, invece di corrispondere ad — , dovrebbe essere 2 8 A 16 ° ' 60 GUIDO GRASSI 14 2° L'ordinata massima della sinusoide va pure diminuita un poco, nel rapporto di -g- a 3A f X-2 3° Bisogna sovrapporre alla curva stessa una seconda sinusoide, di frequenza _§_ 16 doppia, di ampiezza j^ C2 e colla fase 2a -4- -jp Il valor massimo di questa sinusoide si ha per • = ~r corrisponde adunque al punto di mezzo di 00'. Segnato questo punto è facile trac- ciare la curva, con frequenza doppia della precedente. Nella fig. 2a ho segnato questa seconda sinusoide, però in scala esagerata. In condizioni ordinarie l'ampiezza di quest'onda è una piccola frazione di quella dell'onda principale. L'effetto dell'onda secondaria è di rendere la curva della fig. 2a più schiacciata nel ramo positivo e più acuminata nel ramo negativo. Analogamente si modifica la curva della fig. 3a. Il minimo valore di V anticipa; cioè quando p da 0 cresce, per reattanza magnetica, la minima tensione ai poli si raggiunge più presto, cioè prima che |3 abbia il valore 45° — a, ed il minimo è meno risentito. Quando invece p diventa negativo, per effetto di capacità, la tensione ai poli cresce più rapidamente e il massimo è più risentito. Per (3 = ± 90° la tensione resta un po' minore di quella a vuoto. In ogni modo però la deformazione della curva è piccola. Funzionamento a corrente costante. — Per vedere come varia V quando si mantiene la intensità costante, e varia (3, conviene considerare 1' equazione (23). Colle semplificazioni già adottate, porremo C0 = l ^ 2p2r 2A2 '"' - r - ~V C* = %- (m + 1) f =v0. Con queste sostituzioni la (23) diventa l-^r' = l -4- — senf3cosf5 -| cos^p. D'altra parte se T è la corrente nel secondario, si ha ri = FcosP 15 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 61 e quindi (33) F02 — V = 2 VI 1 2\2 sen8 + r'(m + l)cosB j che si può scrivere anche, nel caso di m = 1 , (34) F0a — V2 = 4 Vip' sen(8 -f- a) dove a ha ancora il valore precedente. Qualunque sia I si avrà V= V0 quando sia e per B negativo, con valore assoluto >ct, si avrà sempre la tensione V maggiore di quella a vuoto. Per (5 compreso fra — a e 0, la tensione V è minore di V0; col crescere di B oltre 0, la V seguita a diminuire; però raggiunge anche qui un minimo (come quando si mantiene costante la resistenza) e precisamente per Oltre questo valore di 8 la tensione torna a crescere. Con metodo analogo a quello che ci ha servito per discutere il caso precedente si può rappresentare graficamente la variazione della tensione. Considerando che nella (34) la differenza tra V0 e Ve sempre una piccola fra- zione di V0, potremo scrivere con sufficiente approssimazione V= T"0 — 27p'sen(8 + a) 4- ^f- 9en2(3 + a). ' 0 Ma sen»(P + a) = ± - |sen (23 + 2a -f-|) ; e perciò si ottiene (35) V= V0 + ^ - 2/p'sen(3 + o) - (-^sen (23 + 2a+ |)- Abbiamo un'equazione che rappresenta una curva composta di due sinusoidi, sovrapposte ad una ordinata costante. La seconda sinusoide ha un'ampiezza molto minore della prima, e una frequenza doppia. Il fenomeno è abbastanza bene rappresentato dalla prima sinusoide (36) V = r0 — 2 Jp' sen(B + a) di ampiezza 27p', che è quella disegnata nella fig. 4a con tratto pieno ABCD. Anche qui p' sena = >•'. Perciò, scelta una scala opportuna per cui 21= 1, basta sottrarre dall'ordinata costante V0 le ordinate della sinusoide. 62 GUIDO GRASSI 16 Per (3 = 0 la tensione è diminuita di OM=r' (nella scala scelta); col crescere di p la tensione dapprincipio diminuisce, poi torna a crescere. Però anche quando fosse (3 = 90° la tensione sarebbe sempre notevolmente minore di V0; la differenza è QE. Per (3 negativo la tensione aumenta da M a B; passa pel valore Tr0 in corri- spondenza di (3 = — a, nel punto C; poi continua a crescere fino a B. Qualunque sia la grandezza di a, cioè qualunque sia il valore del disperdimento, anche se nullo, la tensione continua a crescere per un avanzo di fase, rispetto a quella che si ha per (3 = 0. Invece la dispersione influisce nel rendere più o meno spiccato il passaggio dalla diminuzione all'aumento della tensione, per valori positivi di [3. Non si ha più aumento, ma soltanto diminuzione (da C a D nella curva), quando sia a = 0, cioè la dispersione grande. Invece quando la dispersione è abba- stanza piccola, a arriva a 45° e anche più; allora i punti 0 e Q si avanzano verso destra, e si prolunga il tratto DE che corrisponde al rialzo della tensione. Se la dispersione fosse trascurabile, sarebbe a = 90°, il punto M si porterebbe in D, e per (3 = 0 si avrebbe la minima tensione. Producendo un ritardo o un avanzo di fase, la tensione sempre aumenterebbe, per raggiungere il valore della tensione a vuoto quando la corrente fosse in quadratura. La tensione minima si ha per [3 = 90° — ■ a. La tensione massima per (3 = — 90°. La tensione diventa eguale alla tensione a vuoto per (3 = — a. Per tener conto dell'equazione completa bisogna fare le seguenti modificazioni, come risulta dalla (35): 1° Spostare verso l'alto l'asse V0 di una quantità ; quantità che eviden- temente sarà sempre una frazione piccolissima di V0. 2° Sovrapporre alla sinusoide disegnata una 2a sinusoide di frequenza doppia e di ampiezza, che sta a quella della 1" come ip':2F0 e che sarà quindi una piccola frazione. La fase di questa 2a sinusoide è 2a -f- 9 ' ec' il valor massimo si ha per 17 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 63 Dunque il massimo corrisponde al punto C, e partendo da questo punto, con frequenza doppia, è facile tracciare la curva, che è quella segnata nella figura, però con ampiezza esagerata rispetto a quanto si riscontra in pratica. Si vede che la deformazione consiste essenzialmente nel rendere meno spiccata la diminuzione iniziale di tensione, per piccoli ritardi di fase. Però la deformazione è piccolissima e quasi inapprezzabile. Anche qui ricordiamo che quando non siano soddisfatte le condizioni: m = 1 e mpx =^2) la quantità p' si dovrà determinare mediante la forinola (32). Funzionamento a potenza costante. — Se nella (33) si pone l'espressione della potenza esterna W= F/cosS si ottiene (37) IV - V2 = 2 PFJ2X2tanp + r\m + 1)J . Questa relazione ci dice che passando 3 da + 90° a — 90°, la tensione V passa in generale gradatamente da valori piccolissimi a valori grandissimi, se si vuole che la potenza si mantenga costante. In particolare si osserva che quando f3 cresce, V dimi- nuisce, il che significa che la corrente deve aumentare rapidamente; inoltre ($ non può oltrepassare il limite che corrisponde a 7=0 e pel quale si ha 2\atanf$ = |£-r'(m + l). Anzi non può neanche raggiungere questo limite, perchè con V=0 non si avrebbe W costante (teoricamente vi corrisponderebbe una corrente infinita). Praticamente (3 non potrà dunque variare di molto, se si vuol mantenere la potenza costante, senza oltrepassare di troppo la intensità sopportabile dal trasfor- matore. Però della relazione ora trovata si può approfittare per risolvere due problemi. Determinazione della resistenza interna del secondario. — Se si carica il trasformatore con resistenze non induttive in modo che si possa ritenere tanfi = 0, chiamando 1^ la corrente e Vx la tensione in questo caso, si ha V0*-V1* = 2V1Ilr'(m+l) e quindi j — Fi*— Fi» (38) 2VMm + i) Si ha così un metodo facile per misurare la resistenza della spirale secondaria, osservando semplicemente la caduta di tensione dovuta a un certo carico Ix ottenuto con resistenza non induttiva. In questa prova risulterà sempre che la caduta di tensione è piccola rispetto al valore assoluto della tensione; perciò se la relazione precedente si scrive r, __ (Vq+ Vi)(Vq- Vi) 2ViIl{m + l) 64 GUIDO GRASSI si vede che con molta approssimazione si avrà ..' _ v0 - V, (39) (m + l)I, Questo metodo è molto comodo; conviene adoperare un voltometro con una scala ampia nell'intervallo in cui avviene la variazione di tensione; ma basta assicurarsi che sia misurata con esattezza la differenza V0 — V, poiché il valore assoluto della tensione non entra nella formola. Se si ha il mezzo di assegnare il valore di m, prendendo misure sul trasforma- tore, la formola permette di calcolare direttamente r'. Ora osservo che il metodo può avere importanza quando la resistenza r' che si vuol conoscere è molto piccola, tanto che sarebbe difficile misurarla direttamente coi metodi ordinari. Ciò accade pei trasformatori con grande rapporto di trasformazione, per la spirale a bassa tensione, la cui resistenza si riduce spesso a pochi millesimi di ohm e anche meno. In tal caso però è sempre grande, relativamente, la resistenza dell'altra spirale. Ritenendo che appunto questa sia rappresentata da i\ , avremo >\ = mk2r' e combinando questa colla precedente, si ottiene j_*ì— Ti (40) /, k2 Qui gioverà ricordare che /» = 1 quando le spire primarie e secondarie hanno lunghezze medie eguali, e sono eguali le densità di corrente nei due circuiti. Allora si ha senz'altro (41) '-' = J^- Misura del rapporto di dispersione o della f. e. m. di selfìnduzione. — Si può procedere in generale a questa determinazione facendo due prove succes- sive con diverso fattore di potenza, e misurando nei due casi la corrente, la tensione ai poli e la potenza; cioè, in conclusione, eseguendo le letture sui tre strumenti, amperometro, voltometro e wattometro, che si trovano d'ordinario su qualunque cir- cuito a corrente alternata. Distinguendo coll'indice 1 i valori corrispondenti alla seconda prova, si avrà un'equazione simile alla (33), cioè (42) TV - IV = 2 r,/i j 2 X2 senih + r'{m + 1) cosp, j . Siano w e u\ le indicazioni del wattometro nelle due prove; si avrà cosp = -^ cosSj = -"! • 19 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 65 Con queste sostituzioni le (33) e (42) diventano F02 — V2 = 4\2 }/V2P — w2 + 2{m + \)r'w TV— VS=i\2 ^V1*Il*—u>l* + 2{m + l)r'wi e quindi in generale ,43) x _ 1 »',( *V - V) - iv{ V? - TV) 4 «j, j/ rJ /5 - «»2 - «- • r,2 j,2 - V ' Però una forinola più comoda pel calcolo si ottiene, osservando, come si è fatto sopra, che con sufficiente approssimazione si può scrivere VJ* — v% _l» 1_ — y„ v Allora la (33) diventa (44) ^°~^ = 2X8tanp + r'(m -f- 1). Ripetendo la prova con f? = 0, e intensità I1 , si ha A^Zt=r> + l) e quindi M tt v _ 1 / ^o - V F0 - V, \ v ' ò 2tan3 icosP /, / In generale X2 si misura senza bisogno di conoscere le resistenze, ma soltanto mediante le letture dei tre strumenti. Il valore di cosP si ha dall'osservazione del wattometro; e nelle tavole si trova il valore corrispondente di tanfi. Questo procedimento è migliore di quello in cui si ripetono le due prove con valori di (3 entrambi diversi da zero, perchè quanto maggiore è la differenza fra i due valori di p, più esatto è il risultato, e quindi conviene partire da 3 = 0. Se si fanno le due prove con intensità eguali, si ottiene addirittura la f. e. m. di selfinduzioiie, che dirò e2, cioè <46> ^=^=2tb|-S~-(ro-Fl)|- Si noti che in queste misure bisogna adoperare strumenti ben tarati, affinchè riesca esatta la determinazione di cosg. Ho eseguito parecchie misure su trasformatori di vario tipo per assicurarmi dell'applicabilità del metodo, tanto per la misura della dispersione quanto per quella della resistenza. Per un trasformatore Ganz ad anello, del primo tipo, con rapporto di trasfor- mazione da 18 a 1; potenza 4 chilowatt: \2 = 0,022 r> = 0,0308. Serik II. Tom. LUI. i 66 GUIDO GRASSI 20 La dispersione è piccola ; il coefficiente di dispersione sarebbe circa p2 = 0,7. Un altro trasformatore Ganz. ad anello, del tipo a ferro esterno, e di piccola potenza, mi ha dato \2 = 0,052 r' = 0,137 p2 = 0,38. Com'era da aspettarsi qui il coefficiente di dispersione è piccolissimo ; anzi appunto per la sua piccolezza la determinazione non si può ritenere molto precisa. In ogni modo si vede che con questo tipo di costruzione si rende la dispersione quasi trascurabile. Invece un trasformatore di tipo recente, dell'officina di Savigliano, a nucleo diritto coi due avvolgimenti sovrapposti, e circuito magnetico doppio; potenza 8 kw\ rapporto 10:1; ha fornito i seguenti risultati: X2 = 0,216 r' = 0,050 p2 = 4,3. Il disperdimento è notevole, ma evidentemente il risultato corrisponde al tipo di costruzione. Confronto fra la caduta di tensione con carico non reattivo, e la caduta con carico reattivo. — Le formolo ora trovate ci permettono di mettere in evidenza qualche altra particolarità interessante, paragonando i diversi risultati che si ottengono, secondo che vi è o non vi è reattanza. Il comportamento del trasformatore a questo riguardo è diverso e caratteristico secondo che la dispersione è più o meno grande e raggiunge o meno certi limiti. Supponiamo anzitutto la dispersione nulla. Avremo e8 = 0 e la forinola (46) ci dà, a intensità costante, (47) V0-V=(V0-Vì)cost. Ricordiamo che V0 — V^ è la caduta per 3 = 0. Dunque: la caduta con carico reattivo, se la dispersione è nulla, è sempre minore della caduta con carico non reattivo per uguale intensità di corrente, e diminuisce proporzionalmente al fattore di potenza. Questa particolarità, facile a riconoscere praticamente, permette appunto di giu- dicare se la dispersione è piccola. Invece se vi è dispersione, si ha (48) V0 - V = ( P0 - PJ j cosp + f^ ) ed il comportamento è molto diverso da quello precedente. 21 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 67 Quando {3 è positivo, cioè vi è ritardo della corrente, la caduta di tensione con carico induttivo è sempre maggiore di quella che si avrebbe se non vi fosse dispersione. Però non si deve credere, come pure si afferma d'ordinario, che tale caduta sia sempre maggiore necessariamente di quella che corrisponde al carico non induttivo. Infatti dall'equazione ultima si vede che V0— V sarà minore di F0— Vi tutte le volte che sia Siccome dalla (39) si ha, per l'intensità I, r X 1 + m ed inoltre sappiamo che e2 = X2/ X2 = p2r' la precedente disuguaglianza si può scrivere anche Vi < — 2 — tanT' Dunque se p.2 è inferiore a questo limite, sì avrà con carico induttivo una caduta di tensione minore che con carico non induttivo. Evidentemente per ottenere questa condizione di cose bisogna che la dispersione sia molto piccola; perchè d'ordinario m — 1 circa, e quindi p2 dovrebbe essere minore di tan-|-, che è sempre una frazione. Però abbiamo riconosciuto, negli esperimenti sopra indicati, che col tipo di trasformatore a ferro esterno, dove le spirali di rame sono completamente circondate da ferro, il coefficiente p2 è così piccolo da potere anche dar luogo a questo fenomeno. Quando 3 è negativo, cioè la corrente in avanzo, la caduta di tensione con carico reattivo è sempre minore di quella che si avrebbe se la dispersione fosse nulla, perchè il termine che contiene e2 risulta negativo. Col crescere di e2, e per un determinato valore negativo di p, si raggiunge la condizione per cui la caduta è nulla, quando sia ossia quando Se la p2 cresce oltre questo limite, la V0 — V diventa negativa, e si ha il feno- meno già considerato della sopraelevazione di tensione. Applicazione delle forinole trovate al calcolo del numero di spire, nel progetto di un trasformatore. — Quando si deve fare il progetto di un trasformatore, i dati sono V, /e P, cioè gli elementi del circuito esterno; oltre la ea = r„-vt 2tanP Pt = . 1 + m 2tanP ' 68 GUIDO GRASSI 22 f. e. m. impressa E0. La prima parte del progetto deve necessariamente consistere nel scegliere il tipo di costruzione, e quindi la forma del nucleo. Ma propriamente basta assegnare la forma della sezione, e la forma delle spire. Allora si può calcolare le dimensioni della sezione, con una formola semplice. che si può scrivere (*) , > _S_ _ JO^ »t + l Pogi l4yJ 7, ^2 m nBrt dove S è la sezione cercata, B l'induzione massima, p0 la resistività del rame, ti la percentuale di perdita nel rame. Secondo la forma scelta della sezione S si può in ogni caso esprimere il rap- porto S : li in funzione di una delle dimensioni. Per esempio, se la sezione si vuol fare quadrata di lato x, e le spire circolari, si ha S = xì h = atxxfZ dove a è un coefficiente maggiore di 1, di cui si può assegnare facilmente il valore approssimato sapendo quale spessore si vuol dare all'avvolgimento. Si ottiene così 3=10» 2"+!^. Con forme diverse, varia il coefficiente numerico, ma sempre si ottiene una espressione del medesimo tipo, che permette di calcolare direttamente le dimensioni della sezione. Non occorre che questo calcolo sia fatto con forinole più precise; né il suo grado di approssimazione influisce su quanto segue. La grandezza della sezione S essendo determinata, avremo il numero delle spire primarie Wl = IO8 = ti V2 nBS Questo numero si può adottare come definitivo, senz'altra correzione, purché si (*) Questa formola si ottiene supponendo che la f. e. m. applicata al primario sia eguale alla f. e. m. d'induzione, cioè che il suo valore efficace sia E = IO8 ^n,BS. La perdita di energia per effetto Joule si rappresenta quindi come una frazione T, della potenza apparente Ei% e si ha •fiEH, =r,*1a + rt2 dove (') e i% sono le intensità efficaci. Posto quindi >-, = mìtrr i j = kii = k qt 0"i "ì h e fatte le sostituzioni nell'equazione precedente, si trova la formola (49), la quale si deve ritenere come una relazione approssimata. 23 EFFETTI DELLA DISPERSIONE E DELLA REATTANZA NEL FUNZIONAMENTO, ECC. 69 calcoli il numero di spire secondarie n2 colla forinola esatta; basta perciò risolvere la (23) rispetto a k. Si ottiene (50) n, = m, -£ |/C0+C1sen2p + (72cos2p. Per mostrare l'applicazione della forinola e dare un'idea dell'aumento che deve subire il numero delle spire secondarie rispetto al rapporto di trasformazione che si vuol ottenere supponiamo che sia Wl = 1000 E0=IOV j» = l pa = B cosS = 0,866 e si voglia caricare il trasformatore in modo che la >• esterna sia 100 volte la resi- stenza interna r' . Si avrà C„ = l C1 = 2pi^r = 0,06 Ct = (1 + m) ¥- = 0,04 Risulta dalla (50) sen20 = 0,866 cos2p = 0,75. Mg = 104,0. Se si volesse caricare fino a che la r fosse = 50 r', i valori di Ct e C2 divente- rebbero doppi e si troverebbe «2 = 107,9. Quando si debba lavorare con intensità costante conviene mettere l'equazione sott'altra forma, ponendo Fcosg r^—j— Si ottiene (51) «a = «i !; j/l + 2 -^ ] 2/>2sen(5 + (in + 1) cosp j . Con questa si può riconoscere in qual modo si deve far variare il numero di spire secondarie per ottenere sempre la stessa tensione V ai poli, con corrente costante, ma con sfasamento variabile. Un esempio numerico mostrerà meglio l'andamento della cosa. Suppongo come prima tit =- = 100 ed m=l; inoltre ri _ 1 __, v — 100 P* — b e quindi dalla (51) m2 = 100 j/l + ^ (lOsen? -f 2cosp). 70 Si ottiene GUIDO GRASSI 24 — 45° 94,17 0 101,98 81 84 — 40 94,98 5 102,82 — 35 95,81 10 103,64 87 78 — 30 96,68 15 104,42 88 75 — 25 97,56 20 105,17 89 70 — 20 98,45 25 105,87 89 65 — 15 99,34 30 106,52 89 60 — 10 100,23 35 107,12 88 55 — 5 101,11 40 107,67 87 48 0 101,98 45 108,15. Dalle successive differenze appare che col crescere di 3 positivo l'aumento nel numero delle spire è sempre più piccolo. Rendimento e determinazione di a sene. — Dal diagramma della fig. la, si ricava una espressione del rendimento, che è utile tener presente, sia per calco- lare questo elemento, sia per determinare sperimentalmente la quantità asen6 che dipende dalle condizioni magnetiche del nucleo. Indicando con \\> l'angolo AOQ di ritardo della corrente primaria rispetto alla f. e. m. applicata, il rendimento n si esprimerà con E0I, cos H> Dalla fig. la è facile vedere che si ha £0cosi|i = OR + P£sen(

2 e cp3 le distanze focali del secondo e terzo sistema. 2 ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI SPECIALI ED UNA NUOVA FORMA DI TELEOBEIETTIVO 73 In questo caso, poiché si ha: Ax — 1 0 0 K2 — 1 0 1 Ko — 1 0 + 1 A, — 1 0 1 A, — 1 0 1 K3 0 0 1 K3 K = Ki[A2K8 + 1] = K1 + K1KSA8. Sostituendo in quest'ultima il valore di A2 ricavato dalla (2) si ottiene: (3) Indicando con cpn 2 = cp3 si deduce: (8) F=F, F* - Ff = Fs Fi = 4cp2 Ossia : L'obbiettivo (composto) di un cannocchiali terrestri' t un sistema divergente (da imma- gine reale diritta) avenk la medesima distanza focale dell'obbiettivo semplice. Il primo fuoco coincide col primo fuoco dell'obbiettivo semplice: il secondo fuoco dista dal- l'obbiettivo semplice (dal centro ottico di esso) di una quantità eguale a qpi -+- 4cp2. La posizione del sistema di raddrizzamento può essere qualunque (Nella pratica si mette in una posizione tale da ottenere la immagine diritta e reale fuori delle due lenti che formano l'apparecchio di raddrizzamento). T F, F' 2 l • Fisr. 1\ La figura qui unita rappresenta schematicamente l'obbiettivo composto del can- nocchiale terrestre. M è l'obbiettivo semplice; le due lenti eguali N, 0 formano l'ap- parecchio di raddrizzamento (oculare di Campani). I fuochi principali del sistema composto sono F, F*, il primo coincidente con F1: il secondo distante da M di cpx + 4q>2. I punti principali si trovano il primo E alla sinistra di F, il secondo E* alla destra di F*. La posizione dell'apparecchio- di raddrizzamento nella figura è quella comune- mente adoperata dai costruttori; esso però potrebbe essere situato anche in vicinanza della lente M; il secondo fuoco F* si troverebbe sempre dove è attualmente. 2°) I tre sistemi immersi in uno stesso mezzo, e i primi due formino un sistema telescopico, cioè sia : Ai donde: A,=- f-J- = «Px + 4 ALCUNI SISTEMI DIOTTRICI SPECIALI ED UNA NUOVA FORMA DI TELEOBBIETTIVO 71 e poiché è: K=l<3 + KiKgAj, e quindi: (9) Ossia: la distanza focale del sistema composto di un sistema telescopico e di un sistema diottrico di distanza focale cp3 è data dal prodotto dell' ingrandimento angolare del sistema telescopico per la distanza focale del terzo sistema. Se il terzo sistema è convergente ed il sistema telescopico è positivo, anche il sistema composto sarà convergente, mentre sarà divergente se il sistema telescopico è negativo. Il secondo fuoco del sistema composto coincide col secondo fuoco del terzo sistema, cioè si ha: F* = F3*. Il primo fuoco è quello che rispetto al sistema telescopico ha per coniugato F3 (primo fuoco del terzo sistema); esso sarà dato dalla equazione: F-f^-^-tJi-J",*). Nel caso di q>i = cp2, la precedente diventa: F=Fl + Ft — Ft* = F, — (F2* - FJ ossia : F=F3 — 4cp2 cioè il primo fuoco è anch'esso un punto fisso che dista dal primo fuoco del terzo sistema di un segmento eguale a quattro volte la distanza focale comune delle lenti che compongono il sistema telescopico. F» E* ' . Un cannocchiale terrestre può considerarsi come composto di un obbiettivo con- vergente di distanza focale q>0 e di un oculare costituito come il sistema 2°) ora studiato; codesto oculare è un sistema divergente di distanza focale cp = — ^s-"^"- I punti cardinali di questo oculare sono situati nel modo indicato dalla qui unita figura, nella quale M ed N sono le due lenti che costituiscono l'apparecchio di rad- drizzamento (oculare di Campani), la lente 0 è l'oculare propriamente detto. La imma- gine data dalla lente obbiettiva si formerà nelle vicinanze di F (a destra), l'oculare composto la raddrizzerà e la ingrandirà. 76 NICODEMO JADANZA Il teleobbiettivo ad ingrandimento costante. Un sistema telescopico può essere costruito con due lenti una divergente e l'altra convergente; dovrà la distanza focale della lente convergente essere maggiore del valore assoluto della distanza focale della lente divergente. La distanza A tra le due lenti deve essere eguale alla differenza (aritmetica) tra le distanze focali di esse. Fig. 3». Nella figura (3a) si vede un sistema telescopico formato con due lenti M ed N, la prima divergente di distanza focale — cp2, la seconda convergente di distanza focale cp3: A = cpx — cp2- L'ingrandimento lineare di codesto sistema sarà -| e sarà sempre maggiore di uno. Qualunque sia la posizione dell'oggetto, la immagine data dal precedente sistema telescopico avrà sempre la medesima grandezza, sarà sempre diritta rispetto all'oggetto e sarà più grande di esso. Dove si dovrà trovare l'oggetto affinchè la immagine di esso sia reale e quindi la si possa o fissare sopra una lastra sensibile, o guardare per mezzo di un micro- scopio? La forinola, che dà la relazione tra l'ascissa £ di un punto dell'asse e l'ascissa £* del suo coniugato dato da un sistema telescopico è, nel caso che stiamo esaminando : ossia: (10) Fs* = A± (E — F2) 3 tp22 v 2> £* — -Fa* _ JP% e questa dice che le due differenze E — F2 e E* — F3* sono sempre dello stesso segno, o amendue positive, o amendue negative. Tutte le volte che l'oggetto si tro- verà alla sinistra di F2, la sua immagine si troverà alla sinistra di Fs*; essa rag- giungerà la lente N quando _F3* — E* diventerà eguale a ù il sistema delle due lenti AI ed Ne il sistema telescopico positivo d'ingrandimento lineare-^2 =v (nella figura n = 3). La immagine Ft* P di un oggetto a distanza infinitamente grande sarebbe situata nel secondo fuoco Fx* della lente 0. Il sistema telescopico MN ne dà una immagine reale P*F* che è n volte FfP (in figura 3 volte FfP), e questa immagine giace nel secondo fuoco F* del sistema composto. La lunghezza del cannocchiale, cioè la distanza tra la lente obbiettiva ed il secondo fuoco F*, è minima quando F* cade sulla lente N. Indicando con L tale lunghezza, si avrà: L = cpt + F2 — F±* +2, e siccome per la (11) è: W 77 * "P» ~ "PS 2 ovvero : (» - D2 „ (13) L=cpi + La lunghezza del cannocchiale, se l'obbiettivo fosse una semplice lente di distanza focale equivalente, sarebbe ». tarsi 1,15. 33. Apalis lopezi, B. Alex. Bull. B. O. C, XIII, p. 35 (Bakaki) (1903). Nn.o.,a,a,ry ffl.r.v = 0 , intendendo che sia: " 7T,Q,fl,Jt,Q,U =: JtjI,Q,ft T J-'-L'TCQ./lt , , > D = 4- . V 71/17" \ <" / 1'7t.Q,/J,,G,T,V 1JJ17T,Q.ll,C,ry- Il numero complessivo di queste equazioni si ottiene sommando il numero totale delle capacità col numero totale dei fili ; esse sono dunque tante quante sono le in- cognite q ed i. Il resultato dell'eliminazione si esprime, come è noto, applicando a ciascuna q ed a ciascuna i il determinante dei coefficienti. Ora, poiché ogni suo ele- mento è al massimo di primo grado in D, il determinante sarà una funzione di D di grado non superiore a p + m. In realtà però, svolgendo, si troverebbe che il grado è minore, e la cosa può anche riconoscersi a priori. Si avrà infatti per le (1) e (2): DI*q„= - IT8I.« i^,, = 0. E quindi possibile fare in modo, con semplici addizioni di linee, che il D risulti fattore in una orizzontale del determinante; allora il grado (t) di quest'ultimo diventa: T = p + m — 1. Se dunque si studia un condutture comunque complesso ogni sua carica ed ogni sua corrente è determinata da un'equazione differenziale lineare ed omogenea (la stessa per tutte le variabili), il cui ordine è inferiore di uno alla somma, che si ottiene aggiungendo al numero delle capacità il numero dei fili. La caratteristica di tale equazione, che per brevità chiameremo nel seguito ca- ratteristica del conduttore, si scrive ponendo senz' altro a zero il determinante e con- siderando in esso il D come un' incognita e non più come un simbolo operatorio ; avrà in generale il grado p -f- ni — 1. Così, per esempio, se si tratta di due capacità riunite da un unico filo, come nel caso classico di Lord Kelvin, la caratteristica diventa di secondo grado. Se le capacità sono due ed m i fili, il grado della caratteristica è m -f- 1. Se si avesse un conduttore costituito secondo lo schema della benzina, come fu disegnato dal Kékule, e si interpretassero gli atomi come capacità e i tratti di linea, relativi alle valenze, come fili, la caratteristica risulterebbe di ventesimosesto grado. In pratica il procedimento di calcolo che abbiamo seguito non suole essere con- veniente, perchè, se appena la struttura del conduttore si complica un poco, l'ordine del determinante appare elevatissimo, ed il suo svolgimento diviene lungo e penoso. È più comodo eliminare le cariche dalle (3) per mezzo delle (2) ; si ottiene così un sistema di m equazioni fra le m correnti, e l'ordine del determinante si riduce Serie II. Tom. LUI. D 130 ANTONIO GAEBASSO anche ad m. Naturalmente con questo non muta la natura e il grado della carat- teristica. Converrà anche distinguere i diversi fili con un solo numero progressivo, e mettere le (3) sotto la nuova forma : (4) ZvP(t,viv = 0, la caratteristica si induce allora all'aspetto semplice: •*1,1 -^ 1,2 • • • "l,m H= 1. 2, ..., m (5) Pt,\ 1 i,ì ■ ■ ■ £%,v PmAPm.t...Pm = 0. § 3. Conduttore ad una sola oscillazione. — Passiamo adesso allo studio di qualche caso particolare, sia per vedere come si applichi in pratica il metodo indi- cato nell'ultimo paragrafo, sia per dedurre alcuni resultati, che saranno utili nel se- guito della ricerca. Il conduttore più semplice, che si possa imaginare, è costituito da due capacità uguali, congiunte da un filo (Fig. 1 «); in questo caso il sistema (4) si riduce all'unica equazione: [(5 + LZ>)2> + -|]* = 0; posto : (J8 + LZ>)Z)+-§ = S, si ha dunque come caratteristica: 8=0. Se la resistenza è piccola il conduttore emetterà una riga, corrispondente al periodo : LC_ 2 § 4. Conduttore a due oscillazioni. — Si abbiano invece tre capacità iden- tiche, riunite da due fili, uguali fra loro, rettilinei e ortogonali (Fig. 16). Distin- guendo i fili con gli indici 1 e 2 si scriverà il sistema (4) sotto la forma: ( [(B + LD)D + -|] ». — \ h = 0 , se ora si pone: 5 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL'EMISSIONE DELLA LUCE la caratteristica del conduttore diventerà: 8 131 S S2 _ ,.2 _ (fl _ ,.) (S + r) = o . Qui le onde sono due, e i loro periodi sono definiti dalle relazioni: Tj. = 2tt \/LC, Fig. 1. — «) Conduttore ad una sola oscillazione. 6) Conduttore a due oscillazioni. e) Conduttore a tre oscillazioni, d) Conduttore le cui oscillazioni si riducono a due. § 5. Conduttore a tre oscillazioni. — Il caso immediatamente successivo è quello di quattro capacità tutte uguali, congiunte da tre fili (1, 2, 3) rettilinei, uguali fra loro, e paralleli ordinatamente agli spigoli di un triedro trirettangolo (Fig. le). Le equazioni (4) diventano: [(JB + iD)D + 4-]<8--g-H = 0f e con i soliti simboli la caratteristica si scrive: 8 r 0 r S r =8(8* — 2r2), = S(S+r]/2){S— r\l2) = 0. 132 ANTONIO &ABBASSO Vi sono dunque nello spettro tre righe, corrispondenti ai periodi: 7\ = 2ir]/- T, = 2tt |/- Ts = 2ti j/ ■LC 2 — T'2" XC 2+V2 § 6. Un altro conduttore a tre oscillazioni. — Negli esempii, che ab- biamo trattato al penultimo e all'ultimo paragrafo, il calcolo è reso semplice per il fatto die l'induzione mutua è ridotta a zero. Le formole ottenute hanno però un'im- portanza maggiore di ciò, che si potrebbe credere a prima vista; in quanto esse valgono per approssimazione anche se i fili costituenti i conduttori si orientano in altro modo, purché codesti fili siano lunghi in confronto del loro diametro. L'esame di un caso particolare riesce opportuno per mettere in chiaro la pro- prietà di cui si tratta. Supporremo che il conduttore sia nuovamente costituito da tre pezzi di filo (uguali) e quattro capacità, anche uguali fra loro; ma i fili vogliamo che siano secondo una medesima retta, e le capacità saranno dischi di lamiera, forati nor- malmente nel centro (Fig. 4 b e ic). Chiameremo M il coefficiente di induzione relativo a due fili vicini (1,2; 2,1 ; 2.3; 3,2) e m il coefficiente per la coppia di due fili lontani (1,3; 3,1); ponendo per semplicità : J_ C ' I = IPM a = D*m , la caratteristica del conduttore diventa: s 1 a I s I 0 I S : (S — a) (S2 + aS — 2P) = 0. Se ora si effettua lo svolgimento, si trascurano le resistenze e si pone ancora: a = L2 -f L»m — 2AP, b = | (2L + m + 2M) , e2 risulta : [(L — m) D* + -|-] («D* + ÒZ>2 + e) = 0 7 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL'EMISSIONE DELLA LUCE 133 e quindi: T2 = 2tt ]/- (L — m) C Adesso bisogna naturalmente calcolare M ed m, ma la cosa è subito fatta se si suppone di conoscere L; perchè, chiamando l la lunghezza di ciascun tratto di filo, verrà : L(2/) = 2L(0 + 2.V. e quindi: M=}[L(2l)-2L(l)]; (*) similmente : L(3Z) = 3L(0 + 4M+2m, e dunque: m = -|-[L(30 — 8L(0-4JfJ- (**) A questo punto si noti che, secondo una formola del Poincaré, è: L(0 = 2z(logif-l), ove con d si indichi il diametro del filo. Sostituendo nelle (*) e (**) risulta dunque: i¥=nog4, 27 w = nog~- Le espressioni di L, M ed m fanno vedere che, mentre la prima grandezza di- pende da l e dal rapporto -~ , le ultime due sono funzioni della sola l. E poi chiaro che al diminuire della d la L cresce ; se dunque i fili sono lunghi e sottili l'induzione mutua sarà piccola davanti all'autoinduzione. La ragione fisica di questo fatto sta in ciò che una corrente, distribuita in un mantello cilindrico, agisce all'esterno come se fosse concentrata su l'asse ; il risultato è dunque generale, più che non possa apparire dal caso che si è considerato. § 7. Conduttori a quattro e cinque oscillazioni. — Volendo procedere al calcolo di conduttori sempre più complessi noi supporremo precisamente che i fili, di cui sono costituiti, siano lunghi e sottili. 134 ANTONIO CiAHBASSO Se per esempio vi sono in tutto cinque capacità (uguali), riunite due a due da quattro fili, uguali anche fra loro, come nella figura 4 a, la caratteristica si potrà scri- vere sotto la forma : S r 0 0 r S r 0 0 r S r 0 0 r S dalla quale si deducono i periodi: T, = 2tt T, = 2tt T3=2tt r4= 2tt S* — 3r2S2 + r* = 0, LC -t 3 + V5 k-n -1 i 3 — V 5 2 + 1 3 + V5 Se le capacità sono sei, tutte uguali, congiunte due a due da cinque fili pure eguali, viene come caratteristica: S r 0 0 0 r S r 0 0 0 r S r 0 0 0 r S r 0 0 0 r S e di qui si ricavano i periodi : = S{S* — 4r2S2 + 3r±) = 0 , = 2*]/- iC 2— j/3 T2=2ti|/LC, LC 3 T4 = 2tt ]/- r 2 + ^3 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL EMISSIONE DELLA LUCE 135 Sarebbe facile scrivere, con le solite ipotesi, le caratteristiche di sistemi sempre più complessi, ma per ora non ne abbiamo bisogno. Ritorneremo su l'argomento più tardi. § 8. Conduttori per i quali si abbassa il numero delle oscillazioni: caso particolare. — La regola del paragrafo 2, secondo la quale il grado della caratteristica si calcola con la forinola : Y = p -|- m — 1 , assegna in realtà un valore massimo ; non è escluso che, per una scelta particolare delle costanti, o una disposizione speciale dell'apparecchio, il grado si abbassi o certe radici diventino doppie o multiple. Può servire come esempio il caso del conduttore rappresentato dalla figura 1 d. Si tratta di quattro capacità identiche, riunite due a due da tre fili rettilinei, uguali, e disposti secondo gli spigoli di un triedro trirettangolo : Il sistema (4) prende la forma : [(2? + LZ))£ + -|]t1+-^i! + -|i3^0, [{R + LD)D + -§] i2 + ± i, + ± i, =0 , [(R f LD) D + -§] i3 + -| h + ± H = 0 , e la caratteristica diventa: S — r — r r S —r r —r S = S{S* — r*) — 2r*{S + r), = {S— 2r)(S+»-)'2 = 0. Quindi rimangono solamente due righe, determinate dai periodi: T, = 2tt \/LC, 2tt 1 LC e una costituisce l'ottava dell'altra. § 9. Oscillazioni di un sistema di conduttori. — Imagineremo che il sistema comprenda un numero qualunque a di conduttori, uguali o no, poco importa. Chiameremo a, f? gli indici correnti dei conduttori ; tt, p, 0", t gli indici correnti delle capacità ; u, v gli indici correnti dei fili. Ogni conduttore si distinguerà con un indice solo (come a). Ogni capacità con due indici (come a, ti), il primo relativo al conduttore e il secondo alla capacità stessa. Ogni filo poi si distinguerà con quattro indici (come a, 1 ;i, ANTONIO GAEBASSO 10 ir, p, u), il primo relativo al conduttore, il secondo e il terzo alle capacità che il ilio congiunge, il quarto al filo stesso ; finalmente ogni coppia di fili si distinguerà con otto indici (come a, tt, p, u, p, cr, t, v), i primi quattro relativi al primo filo e gli ultimi al secondo. Per le cariche, le capacità, le resistenze, i coefficienti di autoinduzione, le cor- renti e i coefficienti di induzione mutua manteniamo gli stessi simboli di prima. Si osserverà espressamente che ia,n,e4i è la corrente che, nel conduttore a-esimo, va dalla n-esima alla p-esima capacità, seguendo il u-esimo filo. Si avrà: la.TT.jr./i =- - > (!) 1 a=1'2 " si ottiene: £^P„,/}i/?=0. Ogni ia è dunque un integrale dell'equazione: PM Pu .-. Può A, R, ... P*,„ »a = 0 , P,,, P... ... P„ che sarà lineare omogenea e dell'ordine 2 a, come avevamo previsto. §11. Sistemi di due conduttori qualunque. — Se si sono scritte le equa- zioni (5) per i diversi conduttori, che compongono il sistema, è molto facile costruire la (V); in realtà l'eliminazione delle cariche dalle equazioni (III) si fa gruppo per Vò TEOEIA ELETTROMAGNETICA DELL EMISSIONE DELLA LUCE 139 gruppo, quindi le equazioni (IV) non sono che il complesso dei sistemi (4), modificati nel senso che in ciascuna equazione si devono aggiungere dei termini della forma che rappresentano l'azione induttiva, che i fili appartenenti ad altri conduttori eser- citano sopra il filo a cui l'equazione si riferisce. Si abbiano ad esempio due conduttori in presenza e uno contenga m fili e l'altro ne contenga r ; distinguiamo i primi coi numeri da 1 ad m, i secondi coi numeri da m -fi ad m -\- r. Le equazioni (5) prenderanno la forma: 1H = Pi,i P.,1 P,„, P» P» P,m = c PmA P„,2 ■ Pm,m fi P»+>, +2 ■■ Pm + !,«'+' p-«*« = 0 P,+v +1 x m+r.m+J e la (V) si scriverà senz'altro: P,, Pi* ... P,,. D*Mhm+ì D*Mlim+t ... D*Mhm+r P,i p2,2 ... pm i^-i/,,^ w,+ì ... Dmìm+r p,l Pra,s . Pm,m i»-'J/,„,m+l D*Mm,m+t . • ■ Z>=M/m.„1 + P^A,. ,, />M4+,,J • • D*Mm+lim P ,.»,»+, Pm+1,»+8 • .. Pm+1,m+r M^, p^+2,* . ■ D*Mm+iim J m h!,m i-l "m+2,m+2 ■ ■ Pn+!,m+r P2^,, p2i!A„+r,2 ... p2il/„,+r,„, Pm+I,m+1 pm+r,mH p,+,„ = 0. Dividiamo quest'ultimo determinante in due matrici, una di m e l'altra di r oriz- zontali, e sviluppiamolo secondo i minori estratti dalla prima. Fra i minori ci si presenta anzitutto BT e il suo complementare è IR; sicché una prima serie di termini nello sviluppo del determinante grande è riassunta nel prodotto m% In tutti gli altri minori, che si possono estrarre dalla matrice superiore, vi saia almeno una verticale formata coi termini aggiunti della forma D2i¥,t,v; e la stessa cosa si deve dire dei complementari di questi altri minori; sicché i termini dello 140 ANTONIO GABBASSO 14 sviluppo del nostro determinante, che non sono già contenuti nel prodotto 2H|\, hanno almeno due M„tV a fattore, potremo dunque scrivere: intendendo per le A"„,v,„v dei polinomii, i cui termini sono al minimo di ordine zero nei coefficienti .l/„,v. Se ora le M„y sono piccole rispetto alle induttanze il secondo termine dell'espres- sione di $1 è piccolissimo rispetto al primo. Ne viene dunque che se due conduttori differenti si trovano in presenza (e non sono troppo rifinì) lo spettri), che essi emettono, è poco diverso da quello, che si otterrebbe sopraponendo gli spettri, che ciascuno fornisce quando è isolato. § 12. Due conduttori ad una sola oscillazione. — Gli spostamenti, che le righe di un dato conduttore subiscono per la presenza di un secondo conduttore di diversa natura, si lasciano calcolare agevolmente in alcuni casi semplici. Supponiamo anzitutto che si abbiano due apparecchi, del tipo di quello che fu studiato nel paragrafo 3. Scriveremo : (R1 + L1D)D + jr = Sl, (R2±L2D)D + ^ = S2, D3Mlt = D*M=s. Con queste notazioni le caratteristiche, relative a ciascun conduttore isolato, sarebbero : 51 = 0, e: 52 = 0; l'equazione (V) si presenta dunque sotto la forma : S, s s S2 Trascurando le resistenze viene SA — s2 = 0. (L1L2-Jf*)^ + 2(f+f)D*+1A_ = 0) e pero : Z\=2n T,=2tt ULi - M- % + %-1[% + %)'-G£™ — Mì) LtL, — M% l+t+yilr+t)'-^^ — M2) 15 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL EMISSIONE DELLA LUCE 141 Delle forinole relativamente più semplici si ottengono se si suppone che le ca- pacità (Fig. 2 a) o i fili (Fig. 2 b) siano uguali nei due conduttori. Fig. 2. — a) e è) Sistemi di due conduttori ad una oscillazione; emettono spettri di due righe, e) e d) Sistemi di due conduttori a due oscillazioni; emettono spettri di quattro righe. § 13. Due conduttori a due oscillazioni. — In secondo luogo si potreb- bero prendere due conduttori del tipo di quello che è rappresentato dalla fig. 1 è e disporli uno accanto all'altro, per modo che il primo filo agisca sul primo e il secondo sul secondo solamente, e per di più i coefficienti delle due coppie risultino uguali. In armonia con ciò che s'è fatto prima porremo: 1 -" 4=ri' 1 -■ ft=r" e : D*Mlt3 = D*MiA = D2M = s. Le due (5) prenderanno la forma: Si ri S, = o, = 0, e però la (V) si scriverà: Si >\ s 1 rx Sj 0 s 0 S2 r 0 s r, S = {SiSs - - 'Va — s2 — ^SA + ry-, — «*)■ — (rA + rA)" riS2 - r&ìfàS, + nr2 - s* + rA + rA) = 0. 142 ANTONIO GABBA- 16 Trascurando le resistenze viene: {LlL2-M*)& +(%+%)& + -£ e quindi : T ■ 9,r1 / 2(£,£, — il/-') 1 i - e, +t +v(*+*)'- e, e. TV 2(£,Z,2 — M2) c2 +t -f(S+t)"- LJ^ — M1 TV 2(£,£2 - M1) i+t+ffè+tr- Z,,L2-il/2 T 2(i,L2-JI/2) ^-l^ + ir)'-4- Di nuovo si avrebbero delle forinole più semplici se le capacità (Fig. 2 e) o i fili (Fig. 2 d) fossero uguali nei due conduttori accostati. Questi calcoli si potrebbero fa- cilmente generalizzare, ma la cosa non ha importanza per le applicazioni, e quindi preferisco non indugiarmi in proposito. § 14. Sistema di due conduttori uguali. — Quando i due conduttori in presenza hanno la stessa forma e la stessa grandezza, ragionando come al para- grafo 11, si può dimostrare che la caratteristica del sistema si svolge secondo una forinola del tipo : % = W + Iif„,v./,',v'itf«,v 3/„.,v . E vuol dire che se si affacciano due conduttori uguali lo spettro che. essi mandano si ottiene da quello, che ciascuno dei due fornirebbe quando fosse isolato, sostituendo ad ogni riga una coppia (doublet). Con quale legge poi si deduca il doublet dalla riga, che gli dà origine, non è facile dire, almeno in generale; ma in un caso particolare notevole si giunge senza molti calcoli ad un risultato semplice ed elegante. Si consideri anzitutto un conduttore costituito da m-\-l capacità uguali, riunite da m fili, anche uguali fra loro; ogni capacità sia incontrata da due fili, salvo la prima e l'ultima. Supponiamo ancora che le cose siano disposte per modo che l'in- duzione mutua sia trascurabile davanti all'autoinduzione: questo si verifica rigorosa- 17 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL EMISSIONE DELLA LUCE 14:1 mente nei conduttori studiati ai paragrafi 4 e 5 e può verificarsi per approssima- zione in una infinità di altri apparecchi, come si è avvertito a suo tempo. Con i soliti simboli la caratteristica del nostro problema (l'equazione (5)) si scriverà : M(S) S r 0 0 r S r 0 0 r S r 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 . . . r S r 0 0 0 0 . . . 0 r S = 0. A questo primo conduttore se ne affacci un secondo identico in tutto, in modo che il |u-esimo filo agisca solamente sul u-esimo, e i coefficienti di induzione mutua per le singole coppie siano uguali. Di nuovo la cosa si può fare rigorosamente coi tre conduttori studiati ai paragrafi 3, 4 e 5 e per approssimazione con molti altri. La (V) del sistema prenderà in generale la forma : S r 0 0 r S r 0 0 r S r 0 0 0 0 0 0 0 0 s 0 0 0 0 s 0 0 0 0 s 0 0 0 0 0 0 0 0 0 . 0 0 0 s 0 0 0 . 0 0 0 0 s 0 0 . 0 0 0 0 0 s 0 . r S r 0 0 0 0 . 0 r S 0 0 0 0 . 0 0 0 8 r 0 0 . 0 0 0 r S r 0 . 0 0 0 0 r S r . 0 s 0 0 0 0 0 . 0 0 s 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 s 0 0 0 s 0 0 0 0 0 0 0 0 0 r s r 0 r S Si imagini adesso di dividere il determinante in due matrici di m orizzontali, e si aggiungano alle linee della prima le linee della seconda ordinatamente. Fatto questo si spezzi il determinante in due matrici di m verticali, e si tolgano dalle colonne della seconda le colonne della prima ordinatamente. 144 ANTONIO GAEBASSO LS Risulterà S+s 0 0 r S+s r 0 0 r S+s r 0 0 0 0 . . r SH r 0 0 0 0 . . 0 0 0 0 0 0 0 . . 0 r N-. s 0 0 0 0 . . 0 0 0 s 0 0 . . 0 0 <> S — s r 0 0 . . 0 0 0 0 s 0 0 . .. 0 0 0 r Ss r 0 . . 0 0 0 0 0 s 0 . . 0 0 0 0 r S—s >■ . . 0 0 0 0 0 0 0 ... 0 s 0 0 0 0 ... 0 0 0 0 0 0 /■ S- 0 = 0. e quindi senz'altro: ji =m (.s + s)]. [m (s-s)]. Se dunque i periodi delle righe, che emette il conduttore isolato, sono certe funzioni dell'induttanza : T1(L).T2{L)...T„(L), i doublets relativi al sistema di due conduttori uguali si determineranno con le forinole : l T,{L-\-M) j T2(L + 3I) j T,„(L + i¥) ( TX{L — M)' ì r,{L — M) '" ì Tn{L — M). Con un ragionamento semplice, fondato su la considerazione delle dimensioni, si potrà poi riconoscere che le funzioni T devono essere proporzionali alla radice qua- drata dell'argomento, e ne seguirà che il rapporto dei periodi, per le due righe di uno stesso doublet, è costante in tutto lo spettro e uguale a : 1 L + M . L — M ' in altre parole, essendo Tu il periodo di una oscillazione propria del conduttore iso- lato, il doublet, in cui la riga si sdoppia quando al primo conduttore se ne affaccia un secondo nel modo che s'è detto, corrisponde ai periodi : 2J.-V L + M r«.f 19 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL EMISSIONE DELLA LUCE 145 § 15. Casi particolari. — È facile adesso sottoporre al calcolo gli apparecchi rappresentati dalle figure 3 a, b, e, i quali rispondono alle ipotesi, che abbiamo am- messo per la dimostrazione del teorema del paragrafo precedente. Il primo (Fig. 3 a), che è formato con due conduttori del tipo di quello del pa- ragrafo 3, darà un solo doublet corrispondente ai periodi : | Ti=2Tt|/^+^l (£ — M)C Il secondo (Fig. 3 b), nel quale stanno affacciati due apparecchi, simili a quello del paragrafo 4, emette due diversi doublets coi periodi : ( T1=2nftL + M)C, / T2=2tt\/(L— M)C, f T4=2Tr|/ I L - M < ■ {L — M)C Fig. 3. — o) Sistema di due conduttori uguali ad una oscillazione ; emette un doublet, b) Sistema di due conduttori uguali a due oscillazioni; emette due doublets. e) Sistema di due conduttori uguali a tre oscillazioni; emette tre doublets. Il terzo finalmente (Fig. 3 e), che risulta dalla riunione di due conduttori, uguali in tutto a quello da noi studiato nel paragrafo 5, avrà uno spettro di tre doublets corrispondenti ai periodi: ~M)0 '2 f T2=2tt|/ (L — MìC 2 - V 2~ Serie II. Tom. LUI. 146 ANTONIO GAKBASSO 20 ( T3=2nJ/- [L + M)C (L — M)C (L + M)C ( r8=2nl/ r = 2tt1 97r1/g-3f)c" 2 + y 2 § 16. Sistema di tre conduttori qualunque. — Il problema delle oscilla- zioni di un sistema costituito di tre conduttori differenti non presenta nessuna mag- giore difficoltà di quello da noi trattato nel paragrafo 11. Anche le conclusioni a cui si arriva nei due casi sono simili. Supponiamo, per fissare le idee, che il primo conduttore abbia m fili, il secondo r e il terzo s ; siano le loro caratteristiche : 1H = 0, 3R = 0, $ =0, L'equazione (V) del sistema complessivo si potrà scrivere simbolicamente: IH Qi, 3 ^0 intendendo per le Q certe matrici formate di termini del tipo D'Mpy, relativi alle azioni che s'esercitano fra fili appartenenti a conduttori diversi. Se, per esempio, i fili del primo conduttore si distinguono coi numeri da 1 ad m, i fili del secondo coi numeri da m -\- 1 a m + r, i fili dell'ultimo coi numeri da m -\- r -f- 1 a ni + r ~\- s, sarà : D2M, D*Mlia+r D*Mmi , D2Mm+r+ì . . . D-M„.,m+, .. DìMm+Tin . . . D^^+m . . . Z>2M„,+r+v, Z>2ilf, />-'.!/. . D2JHni+1,B+r+, . D*Mm+r+1>m+t . D>Mm+r+,,m+r 21 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL'EMISSIONE DELLA LUCE 147 Dividiamo il determinante B in due matrici, una di m -\- r e l'alti-a di s oriz- zontali, e sviluppiamolo secondò i minori estratti dalla prima. Fra i minori ci si presenta anzitutto quello che fu chiamato Jl al paragrafo 11, e il suo complementare è £> ; sicché una prima serie di termini dello sviluppo del de- terminante grande è riassunta nel prodotto £1.5. In tutti gli altri minori, che si possono estrarre dalla matrice superiore, vi sarà almeno una verticale formata coi termini aggiunti della forma D2M/U,V; e la stessa cosa deve dirsi dei complementari di questi altri minori. Tutti i termini dello svi- luppo del nostro determinante, che non sono già contenuti nel prodotto $|$, hanno dunque almeno due il/„,v a fattore. Se ora si rammenta l'espressione del determinante % si potrà scrivere senz'altro : B = MS + IA„,v.,cy i¥u,v Ma-y , avendo le A'„,v,/(\v il solito significato. Se le Mu, v sono piccole rispetto ai coefficienti di autoinduzione, il secondo termine dell'espressione di B è piccolissimo rispetto al primo. Ne viene dunque che: se tre conduttori differenti si trovano in presenza (e non sono troppo rifinii lo spettro che essi emettono è poco diverso da quello, che si otterrebbe sopraponendo gli spettri relativi ni singoli conduttori isolati. § 17. Sistema di tre conduttori uguali: caso particolare. — Quando i tre conduttori in presenza hanno la stessa forma e la stessa grandezza, ragionando come al paragrafo precedente, si può dimostrare che la caratteristica del sistema si svolge secondo una forinola del tipo : B = M3 -1- I/vw.«y MuyMwx. E però: se si affacciano tre conduttori uguali lo spettro che essi mandano si ottiene da quello, che. ciascuno dei tre fornirebbe quando fosse isolato, sostituendo ad ogni riga una tema (triplet). La legge poi, con la quale si deduce il triplet dalla riga a cui corrisponde, non si può esprimere facilmente a parole, anche se il sistema considerato è molto semplice. Io mi accontenterò di supporre ch'e i tre conduttori uguali siano del tipo di quello studiato al paragrafo 3, siano paralleli, disposti in un medesimo piano, nel modo che appare dalla figura 5«, distando il primo dal secondo come il secondo dal terzo. Le tre caratteristiche hanno nel caso nostro la forma : S=o, scriveremo poi: (V> = Q,, = 1,17, y/2+y/ !=H- = i,«2, y/2+y/ i±£- = 1,90 Proviamoci dunque a scrivere: B 0-62 = ^4 9 81 1,1, = J____f 1,62 = ^4 — — — ,U"J ^ 25 625 Si calcoleranno così i valori delle costanti A, B e C; portando questi ultimi nella: Kl = A 4 B e A 36 1296 xr' = i.9i . risulta: che è appunto il reciproco della quarta onda. Ma qui conviene fare subito un' osservazione. Se veramente gli atomi della ma- teria fossero costituiti , come s' è detto , e disposti con le regole ammesse al § 14, dovrebbe valere per essi il teorema secondo il quale il rapporto dei periodi per le righe di un doublet è in tutto lo spettro medesimo ; questo non accade in realtà. Si trova invece che il rapporto in quistione varia poco, ma varia, e non sempre con una legge bene determinata. L'imagine dunque è più semplice del processo, che si vuole descrivere; bensì la semplificazione non dovrebbe essere eccessiva, per quello almeno che possiamo giudicare. 25 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL'EMISSIONE DELLA LUCE 151 § 21. Atomi di corpi chimicamente simili. — Allo scopo di precisare meglio e di completare lo schema degli atomi, che fu abbozzato nel paragrafo pre- cedente, vogliamo porre adesso una nuova quistione. I corpi chimicamente affini, quelli cioè che appartengono ad uno stesso gruppo della serie naturale periodica, hanno, come si sa, degli spettri costruiti quasi sempre in modo simile. E poiché la simiglianza della radiazione suppone la simiglianza dei sistemi vibranti, vogliamo domandarci appunto come si debba intendere la cosa. Come, ad esempio, quando si conoscesse la costituzione dell'atomo del Litio, se ne potrebbe dedurre la struttura del Sodio, o del Potassio, o di un altro metallo alcalino qualunque. Consideriamo all'uopo un sistema di conduttori, e supponiamo per un momento che siano trascurabili le resistenze dei fili; supponiamo anche trascurabili i pesi di questi ultimi davanti a quelli delle capacità, per modo che il peso dell'intero sistema si ottenga sommando i pesi delle capacità, che esso contiene. In queste ipotesi si dimostrano facilmente alcune proposizioni notevoli. E anzi- tutto : se le dimensioni lineari di un dato sistema si moltiplicano per un numero k, le lun- ghezze delle onde emesse dal medesimo sistema riescono moltiplicate anche per k. Infatti il determinante, che annullandosi fornisce l'equazione caratteristica del sistema proposto sotto la forma (V), sarà costituito da elementi, i quali contengono termini di tre sole forme, e cioè: D2L , D2M e -j- . Ora se le dimensioni lineari del conduttore crescono nel rapporto di 1 a k anche i coefficienti di autoinduzione e di induzione mutua e le capacità devono crescere nel medesimo rapporto. I termini, che costituiscono gli elementi del determinante, pren- deranno dunque le forme: o anche: D*kL, D'-kM e ~ DWL, DWM e ~ , perchè il significato dell'equazione non muta se la si moltiplica un numero qualunque di volte per il parametro k. Ciò posto se Dn era una radice dell'equazione primitiva -— — sarà certamente una radice della nuova caratteristica, perchè i risultati delle sostituzioni di D„ nell'una e di — r^ nell'altra coincidono. k Ma le radici come D„ sono inversamente proporzionali alle lunghezze delle onde emesse dal sistema, al quale la caratteristica si riferisce; e però le onde crescono nel rapporto nel quale le radici diminuiscono. Dal che segue la proposizione enunciata. Se invece i fili conservano la loro lunghezza e la posizione reciproca, e le capacità crescono nel rapporto di 1 a k, si riconoscerà con lo stesso procedimento che le onde devono crescere nel rapporto di 1 a yk. 152 ANTONIO GAKBASSO 26 Ma in quest'ultima ipotesi i pesi risulteranno pur sempre moltiplicati per ks e però indicando con P, P, K e X'„ i pesi dei sistemi e le onde corrispondenti (quelle cioè che derivano da una stessa radice della caratteristica) prima e dopo la trasfor- mazione, avremo senz'altro: £ = »•. V* = Vh, ed eliminando k, i-t Se si chiama, per comodità di linguaggio, famiglia di sistemi una serie di sistemi, che s'ottengono uno dall'altro lasciando inalterati i fili e moltiplicando le dimensioni lineari di ogni capacità per una stessa costante, potremo ritenere, per ciò che si è visto or ora, che in una famiglia le onde corrispondenti stanno come le radici seste dei pesi. Ciò posto, un confronto numerico insegna che è lecito interpretare gli atomi di un dato gruppo della serie periodica appunto come una famiglia di sistemi, quando alle onde, che abbiamo chiamato corrispondenti, si sostituiscano le onde omologhe di Kayser e Runge, quelle cioè che derivano da uno stesso valore del parametro n. La corrispondenza, che si stabilisce in questo modo fra i resultati teorici e i resultati sperimentali, non è completamente rigorosa: e che non possa esserlo segue già dalla considerazione della formula empirica : secondo la quale il rapporto -^- non è sempre il medesimo, ma deve anzi variare di continuo al variare del parametro n. Se però si prova ad eseguire effettivamente i calcoli si riconosce che, per i va- lori che si debbono attribuire nel caso pratico alle costanti, la variazione è lenta e regolare, ed offre un andamento caratteristico. Noi faremo il confronto prendendo in esame gli spettri del Litio e del Sodio. Per le costanti di questi corpi Kayser e Runge hanno determinato i valori, che ri- porto nella tabella seguente (*) : A B C Li Na 28587 24475 109625 110065 1847 4148 (*) Riferisco ora e nel seguito i numeri relativi alla prima serie accessoria (erste Nebenserie), perchè è quella per cui si ha la maggior copia di dati. 27 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL'EMISSIONE DELLA LICE 153 dai quali valori si ricavano i rapporti di lunghezze d'onda segnati qui appresso: « 3 4 5 6 7 i. (U.v„ L,34 1,23 1,21 1,19 1,18 1,17 Avendosi d'altra parte: risulta anche: (JP)]fc = 28I ! (P)Na (PlLx 1,22. Il rapporto dunque delle lunghezze d'onda relative alle prime righe dei due spettri è notevolmente diverso da quello delle radici seste dei pesi atomici ; ma per le coppie successive le cose cambiano, e la deviazione è al massimo del 3 per cento del valore totale. Se si fa la media dei cinque numeri: si trova : 1,34 1,23 1,21 1,19 1,18 1,23, che è vicinissimo al quoziente delle radici seste. Fig. 4. — a) Conduttore a quattro oscillazioni, lì) e e) Conduttori a tre oscillazioni; i loro pesi stanno come 7 e 23, e le onde corrispondenti come 1 e 1,22. mentre il rapporto delle onde omologhe negli spettri del Litio e del Sodio è in media di 1 a 1,23. Una cosa simile si osserva confrontando col Litio il Potassio, il Rubidio ed il Cesio. I rapporti delle prime righe si allontanano infatti dal valore teorico, ma, dopo, Serie II. Tom. LUI. t 154 ANTONIO GARBASSO 28 lo scostamento è sempre assai piccolo. Per la seconda e per la terza coppia si trovano inoltre dei valori prossimi alla media di quelli forniti dalle prime cinque coppie, e prossimi ai rapporti delle radici seste dei pesi atomici. Riferisco qui sotto i numeri relativi ai confronti delle terze righe {n = 5) : « fè-w» $&=»*> &-»■»» ?;;:;,='.» ffs=^ IW=^- Per i metalli non alcalini le cose vanno assai più semplicemente perchè le righe omologhe di due corpi, contenuti nel medesimo gruppo, hanno dei rapporti, che va- riano ben poco col parametro n. Anche qui mi accontenterò di riportare alcuni dati, che si calcolano per n = 5: fH=^ ?IH'°9 M=w (X)z„ ~~ 1,,,D (X)a fe = '.15 M = ^- Questi numeri bastano, se non mi inganno, per stabilire che la regola delle radici seste ha il valore di un fatto naturale, almeno nei limiti di approssimazione nei quali è vera, ad esempio, la nota legge di Dulong e Petit. Come si diceva a proposito della formola, secondo la quale si deducono i doublets dalle righe semplici corrispondenti, la teoria è sempre schematica in confronto della realtà. Essa determina infatti, per i rapporti delle righe omologhe, certi numeri, in- torno ai quali i valori forniti dall'osservazione sembrano oscillare. Per le prime righe lo scostamento è più forte, ma queste rispondono anche meno bene alla formola di Kayser e Runge. § 22. Modello per le molecole materiali. — Se è lecito considerare gli atomi come sistemi di conduttori, le molecole le potremo intendere come sistemi di sistemi. Per il primo teorema del paragrafo 18 dobbiamo dunque ritenere che lo spettro di un corpo composto risulti sopraponendo gli spettri dei suoi componenti, e defor- mandoli un poco. Dalla quale osservazione segue subito il perchè delle opinioni discordi, che furono espresse da varii autori su questo argomento. Se infatti i singoli sistemi componenti hanno dei periodi, che corrispondono a regioni molto diverse nella scala luminosa, sarà facile riconoscere i loro spettri, anche se un poco deformati; ma se le righe dei varii sistemi si alternano, il voler asse- gnare le onde della molecola complessa al primo o al secondo o ad altro componente è opera vana. 29 TEORIA ELETTROMAGNETICA DELL'EMISSIONE DELLA I 155 A ragione dunque il Kayser ritiene arbitrarie le conclusioni del Griinwald e del Ciamician, perchè in nessun modo giustificate ; il che non toglie che quelle conclu- sioni qualche cosa di vero possano anche contenere. Il Griinwald, per esempio, trova che lo spettro del vapore d'acqua si deduce sopraponendo gli spettri dell'idrogeno e dell'ossigeno, dopo di aver moltiplicati i pe- 1 23 5 riodi del primo per -»- e quelli del secondo per ?-"r o — . Se la regola fosse desti- tuita di fondamento non avrebbe permesso di calcolare un gran numero di righe nell'ultravioletto, le quali furono poi riscontrate da Liveing e Dewar. Del resto, un fatto simile a quello, che il Griinwald credette di riconoscere, si verifica nel sistema (estremamente più semplice a vero dire) della figura '2.. = &,3 = 03,8 = , u) Calori ha trovato che nella docciatura del seno petro- squamoso del temporale di un fanciullo di 8 anni vi ha: " la foce di una vena diploica temporale, dalla quale foce comincia come una lacuna che corre obliquamente in basso ed in avanti per il tratto di 12 millim., al termine della quale ha un forame emissario rotondo avente due millim. di diametro, il quale forame è comune a quelli di due canali che discendono divergendo, ed uno è posteriore più stretto avente il suo sbocco al di sopra della radice esterna dell'apofìsi zigomatica corrispondentemente al diametro trasverso alla parte media della cavità glenoide, e tale sbocco è per un forame largo 1 millimetro; l'altro anteriore più largo che ha il suo sbocco distante dal precedente 1 centimetro al di sopra della radici/ trasver interna dell'apofìsi medesima per un forame rotondo avente 2 millim. di diametro ,. In tal cranio cioè esistevano due forami giugulari spuri, aprentisi entrambi al di sopra dell'apofìsi zigomatica. Calori aggiunge che anche nell'adulto si può trovare tale canale od avvisarsene le traccie; in 50 crani aperti esso gli sarebbe occorso 2 volte dai due lati, una volta solamente a destra. Poirier (52), dopo aver ricordato (pag. 417) come particolarità normale della faccia endocraniana della squama temporale l'esistenza della docciatura per il seno petrosquamoso, aggiunge ancora, descrivendo la faccia superiore concava dell'apo- fìsi zigomatica (pag. 418), che: " on trouve très souvent sur rette face des trous veineux, qui me paraissent représenter les vestiges du sinus pétro-squameux, dont le trajet est visible sur la face endocranienne do l'écaille, le long de la suture tynipano-squanieuse „. In nota (pag. 430) osserva poi come la docciatura petrosquamosa talvolta prenda origine in addietro non direttamente dalla docciatura per il seno trasverso, ma bensi da un canale che o si apre nello spessore dell'osso o sbocca ugualmente nel seno trasverso: l'estremità anteriore raggiungerebbe sempre il foro sfenospinoso , ma qualche volta sboccherebbe ad un canale che si perde nello spessore dell'osso. In 15 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETBOSQUAMOSI 173 un caso la docciatura, trasformata in canale su una parte del suo decorso, si apriva nella scissura di Glaser con un foro ampio 2 min. Due volte su 40 crani Poirier avrebbe visto partire dall' estremità anteriore della docciatura petrosquamosa un canale, che egli chiama canal zygomatiaue, il quale, dopo un tragitto contorto, si apriva alla faccia superiore della base dell' apofisi zigomatica ; esso non rappresen- terebbe altro che uno dei canali numerosi del fondo della docciatura ingrandito. In un cranio il canale zigomatico era doppio ed una delle sue branche si apriva immedia- tamente al di sotto del tubercolo zigomatico anteriore: in un altro temporale, impor- tante per parecchie anomalie, Poirier avrebbe trovato (pag. 431) che il seno petro- squamoso si apriva nella cavità glenoide con un orificio di 2 mm. 11 Lowenstein (44), sotto la guida di L. Stieda ed accettando ancora i dati di Kathke e Luschka sulla cronologia dello sviluppo delle vene giugulari, si è prefisso di studiare in una serie numerosa di crani adulti l'occorrenza delle eventuali traccie della via tenuta dal sangue venoso endocranico nella vita embrionale per passare nella giugulare esterna; in 663 crani di adulti e giovani, dei quali 118 erano aperti, in 20 mezzi crani ed in 109 temporali isolati, egli ha ricercati il canale temporale colle sue aperture endo- ed extracraniana, il solco petrosquamoso, l'acquedotto di Verga : inoltre ha tenuto calcolo pure del comportamento del processus articularis poslerior e cioè della rilevatezza, che stabilisce eventualmente il limite posteriore della fossa mandibularis: tale processo fu riscontrato con sviluppo differente nell'81 % dei casi. Per quanto riguarda il forame giugulare spurio di Luschka, considerato come apertura esterna del canale temporale, sopra 663 crani egli l'avrebbe riscontrato in 61 (9,65 °/0) e più specialmente in 13 bilateralmente (1,96%) ed in 51 (7,69%) da un lato solo (25 volte a destra, 3,77 r'/0; 26 a sinistra, 3,92 %). Nei rimanenti 129 preparati, dei quali 55 appartenevano alla metà destra del cranio e 74 alla metà sinistra, incontrò il forame giugulare spurio 12 volte e cioè nel 9,3 °/„ (Svolte a destra, 8,48%; 7 Volte a sinistra, 10 %). Relativamente alla posizione del forame stesso all' esocranio , Lowenstein dice che nella maggioranza dei casi esso si apre dietro il processus articularis posteriori talvolta tuttavia si troverebbe in immediata vicinanza alla radice anteriore dell' apofisi zigomatica; il foramen jugulare spurium può aprirsi nella sua posizione normale anche quando non esiste un processus artìcuhtri* posterior. Nel massimo numero dei casi l'apertura misurerebbe 1 mm.; Lowenstein ha però pure calcolato anche forami assai più piccoli. Relativamente all'apertura interna egli potè studiarla solo nei 118 crani segati: in questi l'apertura esterna esisteva 18 volte (15,22 %) e più esattamente 4 volte (3,39%) dai due lati, 5 volte (4,22%) a destra, 9 volte a sinistra (7,62 %); l'aper- tura interna venne riscontrata con chiarezza solo 6 volte (5,08 %) e cioè 3 volte da entrambi i lati (2,54 %), 3 volte solo a sinistra (2,54 °/0). Negli altri 129 pre- parati (55 destri, 74 sinistri) trovò l'apertura interna 8 volte, delle quali 3 a destra (6,38 %), 5 a sinistra (8,06 %). Ordinariamente 1' apertura interna è meno chiara- mente visibile dell'esterna, ha però la medesima ampiezza. In alcuni casi Lowenstein potè trovare permeabile il canale ad una setola o ad un filo metallico: pei casi in cui ciò non è possibile, ammette o un subitaneo restringimento del canale o un de- corso a gomito. Lowenstein non riporta cifre per la percentuale del solco per il seno petrosquamoso. assevera però che esso è raro nel cranio adulto : invece non 171 ALFONSO BOVEKO — UMBERTO CALAMIDA L6 gli sarebbe occorso mai di osservare il canale di comunicazione di Verga. Peri dati anatomo-comparativi Lowenstein si rimette quasi completamente a quanto è stato detto dagli A A. precedenti, limitandosi a riferire i risultati di alcune ricerche sui Primati. Fra i Primati catarrini. in 9 crani di Cercopithecus, G di Oynocephalus, 3 di Semno- pithecus egli avrebbe riscontrata la mancanza completa di foro giugulare spurio: invece questo era presente tra l'estremità mediale del processo postglenoideo forte- mente pronunciato e il condotto uditivo esterno in 11 crani di Inuus. Fra i Primati platirrini trovò pure più o meno ampio il detto forame dietro il margine mediale del processo articolare posteriore in 3 crani di Àteles, 5 di Cebus, 3 di Mycetes e 4 di Rapale. Del resto nei Primati il modo di comportarsi riguardo al foro giugulare spurio ed al canalis (meatus) temporalis sarebbe simile all'umano {menschenàhnlich). Le ricerche di Lowenstein furono continuate coi medesimi intendimenti e sotto la stessa guida dal Kopetsch (34) in un lavoro la cui conoscenza dobbiamo alla cor- tese premura del prof. Stieda. 11 Kopetsch, i risultati del quale noi avremo campo di esaminare con maggior diffusione più tardi, servendosi di un materiale molto ricco per quantità di specie e per numero di crani delle stesse, conclude che posseggono un forame giugulare spurio molto ampio le famiglie Bovina, Orina, Antilopim e Devexa: un foro moderatamente ampio le famiglie Cebidae, Canidae, Ursidae, Chiroptera, Eri- nacei, Moschidav, Camelidae, Equidae, Nasicornia, Tapyrina, Phascohmydae, e Macro- podidae; un foro giugulare spurio piccolo i Gynopithecini, Arctopitheci, Lemuridae, Viverridae, Mustelidae, Soricidea, Talpina, Myrmecophaga , Dasypus, Didelphyidae e Dasyuridae. Ne sarebbe dubbia, secondo Kopetsch, l'esistenza nei Rodenti// , man- cherebbe negli Anthropomorpha, Galeopithecidae, Felida<\ Hyaenidae, Phocina, Lamnun- guia, Proboscide//, Obesa, Suina, Delphinidae, Manis, Orycteropus, Bradypoda e Phalan- gistidae. I risultati di Kopetsch concorderebbero quindi in generale con quelli degli A A. precedenti: sarebbero reperti nuovi la dimostrazione dell'esistenza di un foro giu- gulare spurio nei Nasicornia, Tapyrina, Phascolomyidae, Macropodidae e Dasyuridae. Allo scopo di determinare il parallelismo delle a. carotidi esterna ed interna rispet- tivamente colla v. giugulare esterna (vena carotide esterna) e colla v. giugulare interna (v. carotide interna) Launay (39) segue ancora una volta nella filogenesi l'evoluzione dei due sistemi venosi: relativamente alla questione però che ci occupa, egli osserva che nei Mammiferi in cui la v. giugulare unica (v. giugulare esterna, vena carotide esterna) serve esclusivamente #come via di deflusso del sangue intracraniano, questo sangue ne esce specialmente per un foro postglenoideo posto dietro la cavità glenoide, davanti il condotto uditivo, e per un foro sopraglenoideo posto sopra la radice dello zigoma: i canali originanti dai due fori confluiscono in uno solo, canale temporo- parietale, col quale si continua direttamente il seno trasverso, in corrispondenza del margine superiore della rocca, là ove negli animali forniti di giugulare interna il detto seno si continuerebbe col seno sigmoide : da questo punto parte pure il canale che andrebbe a sboccare nel foro mastoideo: questa condizione sarebbe propria del Montone e della Capra. Tali fori diminuiscono di numero e di importanza quando la /iugulare interna compare come abbozzo ed è insufficiente: il primo a scom- parire sarebbe il foro sopraglenoideo, rimanendo invece più o meno ampio il post- glenoideo (Cane; alcune Scimmie). Infine anche questo scomparirebbe quando la giù- 17 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSE E PETROSQUAMOSI 175 gulare interna riesce sufficiente e preponderantemente sviluppata (Scimmie superiori, Uomo). Launay trova un emissario della 2a categoria nel Coniglio, nel quale, pur essendo la giugulare interna insufficientemente sviluppata, non esisterebbero fori post- o sopraglenoidei , ma il sangue effluirebbe essenzialmente per i fori venosi della base e per i plessi vertebrali. Nell'evoluzione dell'Uomo si troverebbero le diverse tappe successive simili ai diversi stati che persistono nella serie animale. Anche Charpy (6), parlando del seno petrosquamoso, riporta l'evoluzione del sistema della giugulare nella serie dei Mammiferi e tratta del significato degli emis- sari squamosi. Egli insiste inoltre ancora, come già Labbé e Launay, sul significato differente dal punto di vista embriologico ed anatomo-comparativo delle due porzioni costituenti il seno laterale; la porzione orizzontale o seno trasverso propriamente detto sarebbe comune in tutti i Mammiferi, filogeneticamente primitiva e destinata, nella gran parte dei Mammiferi che non hanno giugulare interna, a continuarsi, ven- tralmente, in rapporto del margine inferiore della rocca, con una porzione che non pare di norma nell'Uomo o per lo meno diminuisce sommamente d'importanza, la quale corre poi fra l'osso petroso e lo squamoso e si apre all'esterno col foro tem- porale; la porzione inferiore o seno sigmoideo sarebbe di sviluppo secondario, com- parirebbe cioè solo quando la giugulare interna raggiunge la sua massima importanza come scaricatoio del sangue endocraniano : contemporaneamente alla sostituzione di questa porzione a quella orizzontale scomparirebbe pure il foro temporale. Cheatle (8) sopra 2585 crani del " College of Surgeons „ di Londra avrebbe trovato in 23 dei residui rudimentali dello sbocco all'esterno del seno petrosqua- moso: l'apertura esterna risiedeva nella cavità glenoide 3 volte, 3 nel processo zigomatico, 6 nella base dello zigoma, 11 precisamente all'esterno della scissura di Glaser sopra la riunione del tubercolo postglenoideo con l'osso timpanico. Il residuo del seno petrosquamoso in una o nell'altra forma sarebbe per Cheatle piuttosto la regola che la eccezione in tutte le età, ma più specialmente nell'infanzia e nella fanciullezza, nei quali può esistere il seno, senza che ne esistano ben marcate le tracce nell'osso. Oltre alle corrispondenze anatomo-comparative, Cheatle richiama ancora l'attenzione sull'importanza anatomo-patologica del seno venoso stesso, spe- cialmente perchè in esso sboccano costantemente piccole venuzze provenienti dalla cavità timpanica e che, come egli dimostra, possono rappresentare la via di diffu- sione di un processo patologico alle meningi coi relativi seni. Denker (12, a), inferendo i risultati delle sue osservazioni sull'osso temporale dei Mammiferi eseguite, come già da Hyrtl (30), col metodo della corrosione, ricorda pure come in molti di essi dalla fossa cranica superiore decorra in avanti ed in basso sopra la parte mediale del condotto uditivo esterno un ampio canale vascolare {meatus o canalis temporalis) attraverso cui viene esportata dall' endocranio la massa princi- pale del sangue venoso. Detto canale sarebbe specialmente sviluppato nel Vitello e nell'Orso bianco: esso mancava invece, fra gli animali da lui studiati, in Pithecus gorilla, Felis pardus, Sus scropha, Phocoena phocoena ed Echydna ìujstrix. Denker ricorda come nei Primati e nell'Uomo possano esistere in singoli esemplari rudimenti del canale in forma di forame giugulare spurio interno od esterno. Cabibbe (4) trattando del processo postglenoideo accenna incidentalmente al foro omonimo, raffigurandone un bell'esempio in un cranio ($, anni 60, imbecille), 1 , 6 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 1 8 affermando che isso si riscontra nell'Uomo solo raramente e che ad esso è da attri- buirsi l'identico significato del foro giugulare spurio (Luschka, Legge), dell'acquedotto del temporale (Verga), deìVemissarium temporale (Krause). Finalmente aggiungeremo per completare i dati statistici, che il Ledouble, il quale nel 1897 aveva presentato alla " Société d'Anthropologie „ di Parigi uno spe- cimen di forame giugulare spurio con la denominazione di canal prétympanique (41 a), dopo la presentazione di una serie di preparati e fotografie fatte alla riunione di Montpellier (1902) della " Association des Anatomistes „ a nome nostro dal Prof. Fusari, ci avvertiva epistolarmente, autorizzandoci anche alla pubblicazione, che su 200 crani della Turenna di ambo i sessi egli avrebbe riscontrato 9 volte un foro postglenoideo più ampio di 1 millim. (6 volte dai due lati, 2 solo a destra, 1 solo a sinistra): il foro postglenoideo esisterebbe , secondo Ledouble , nella maggioranza dei crani umani, ma non sarebbe permeabile che ad una fina setola. Il foro sopraglenoideo sarebbe più raro e più piccolo: una volta sola egli avrebbe riscontrato dallo stesso lato e sul medesimo soggetto un foro sopraglenoideo ampio 2 millim. ed un post- glenoideo di 3 millim. Dobbiamo inoltre ricordare, a complemento di ciò che abbiamo di già riferito per l'anatomia veterinaria, come generalmente gli AA. da noi consultati descrivano il canale temporale degli animali domestici in modo affatto analogo a Gurlt ed a Schwab: noi ci limitiamo a ricordare Patellani (51), Thomas [Montone, Capra (69)], Strangeways (65), Frank (17), il quale avverte, contrariamente a Gurlt, che nel Maiale manca un " eigentliche Sehlàfengang „, Chauveau et Arloing (7), Sussdorf (61), Ellenberger e Baum perii Cane in particolare (13a) e per gli animali domestici in generale (13, b) ed infine Krause (36), che nel Coniglio accenna ad emissari temporali attraversanti il margine inferiore del processo squamoso del temporale. Infine, oltre ai trattati già menzionati nel corso della nostra rivista, fanno in qualche modo cenno delle varie formazioni che rientrano nel gruppo degli emissari squamosi e petrosqua- mosi (canale giugulare spurio, canale temporale, seno petrosquamoso) riconoscendone il significato morfologico ed anatomo-comparativo, però affidandosi unicamente agli studi speciali sinora da noi riassunti (particolarmente a quelli di Luschka), Milne- Edwards (48), Gegenbaur (18), Quain (54), Debierre (11), Langer-Toldt (38), Se- bilau (60), Morris (49), Mac-Ewen (46), Testut (68), Romiti (56), Spee (611 ed altri minori. Abbiamo appositamente lasciato per ultimo l'esame dei risultati importantissimi delle ricerche compiute da Salzer (57), sotto la guida del Prof. Hochstetter, sopra lo sviluppo dei vasi venosi del cranio principalmente della Cavia, roditore fornito nella età adulta di un forame giugulare spurio, e secondariamente di altri Mammiferi (Coniglio, Gatto, Maiale, Uomo), in quanto detti risultati, tratti da ricerche condotte su sezioni microscopiche rigorosamente seriali di embrioni dei vari stati e sui modelli di ricostruzione degli stessi embrioni, rispetto ai reciproci rapporti cronologici dello sviluppo delle due vene giugulari, sono completamente discordanti da quelli che emergerebbero dalle ricerche di Rathke e di Luschka e che, come abbiamo ve- duto, furono accolti senza ulteriore controllo di studio embriologico da tutti gli AA., che trattarono ex professo od incidentalmente di questo argomento. Secondo le ri- cerche di Salzer il processo di sviluppo delle vene del capo avviene nei vari Mam- 19 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 177 miferi in un modo affatto analogo. In tutti la primissima via di deflusso del sangue venoso della porzione cefalica del sistema nervoso centrale giace medialmente agli abbozzi dei nervi cranici. In un secondo stadio il vaso mediale ai nervi viene sostituito da un altro il quale, relativamente a questo, assume una posizione laterale: Io spo- stamento di posizione avviene per la formazione di anelli venosi, dapprima attorno airAcustico-Facciale, quasi nello stesso tempo attorno al Vago; quindi segue primie- ramente lo spostamento della via venosa rispetto airipoglosso : rispetto al Trigemino la vena rimane mediale per un tempo relativamente lungo. Formatosi lo scheletro cartilagineo, il sangue della regione anteriore del cervello abbandona la cavità cra- nica assieme al n. faciali*, mentre quello del cervello posteriore e del retrocervello viene accolto da una vena, la quale decorre all'esterno attraverso il foro giugulare al lato laterale del Vago : quivi si riuniscono i due vasi nella vena giugulare interna. Tosto tuttavia, dopo la formazione di una anastomosi dorsalmente all'organo dell'udito, si oblitera la vena decorrente accanto al n. facialis, cosicché la vena accollata al Vago e corrispondente alla p. jugularis interna rappresenta l'unica via di deflusso del sangue del cranio. In prosieguo di sviluppo occorrono secondariamente delle riu- nioni anastomotiche dei vasi intracranici in parte colle vene facciali, in parte colle vene spinali, e la via attraverso il forame» jugulare scompare o completamente op- pure solo in parte. La riunione secondaria, occorrente nella maggior parte dei Mam- miferi, è quella che passa attraverso il f or amen jugulare spurium; vi hanno tuttavia anche animali (Gatto) nei quali una tale riunione non giunge a formazione, benché la vena giugulare interna sia quasi scomparsa ; in questi casi entrano in gioco le riunioni secondarie colle vene orbitali e colle vene del retrocervello. Con ciò la vena giugu- lare interna, quale prosecuzione del seno trasverso e quale compare tipicamente nel- l'Uomo e nei Primati, rappresenta, contrariamente alle asserzioni di Rathke, Luschka, Koelliker, un comportamento più primitivo di quello che si verifica negli animali, nei quali la vena giugulare esterna, che giunge a sviluppo completo assai dopo l'in- terna, collo sviluppo cioè del cranio facciale, rappresenta la via principale di de- flusso, se non l'unica, dall'interno del cranio. Per questi risultati, perentoriamente confermati ed anche per certi aspetti com- pletati di recente da Grosser (21) nei Chirotteri e più specialmente nei Microchi- rotteri, da Fischer (13) nella Talpa europaea, e che si prestano come abbiamo veduto a molte considerazioni generali di indole morfologica, oltreché per altre ragioni cor- relative da noi pure precedentemente esposte, ci è parso opportuno riprendere lo studio anatomico degli emissari squamosi e petrosquamosi nell'Uomo e negli altri Mammi- feri partendo appunto dai criteri fissati da questi ultimi AA. Anzitutto è da avvertire la concordanza del modo con cui evolve lo sviluppo del sistema venoso della porzione cefalica del corpo dei Mammiferi, quale appunto è dimostrato da Salzer e da Grosser, con le modalità di formazione e con le modalità di successione delle diverse dispo- sizioni delle vene anche nella porzione cefalica degli altri vertebrati (Selaci: Rarl, Raffaele, Rex, Hochstetter — Anfibi: Field, Houssay, Hochstetter, Gruby, Rex, Goette, Grosser e Brezina — Uccelli: Kastschenko). Secondariamente, come già avvertiva Salzer e come, con criteri però non esatti, anche altri AA. da noi ri- cordati, sono da considerarsi quale o quali siano le condizioni (sviluppo della bulla timpanica, portamento della testa, sviluppo diverso della muscolatura dorsale e di Serie II. Tom. LUI. x 178 ALFONSO BOVEBO — UMBERTO C'ALAMIDA 20 quella ventrale della colonna vertebrale, rapporti di questa muscolatura colle vene?), che permettono nella grande maggioranza dei Mammiferi inferiori ai Primati la successione, cronologicamente secondaria, di uno stadio di sviluppo, che invece non si verifica se non come anomalia, o per lo meno in forma rudimentale, nell'Uomo e nei Primati superiori. Ritenute come effettivamente e definitivamente dimostrate le modalità di sviluppo del sistema venoso del capo, quali emergono dagli studi di questi ultimi AA., rimarrà a vedere quale significato si debba attribuire alle for- mazioni eventuali che nell'Uomo, come anche negli altri Mammiferi in cui esse si manifestano abnormemente, rappresentano la via o le vie di riunione stabilitesi in un periodo relativamente tardivo dello sviluppo ontogenetico fra la giugulare esterna e le vene intracraniane : indubbiamente i criteri adottati dagli AA., che precedettero le ricerche di Salzee, vanno, se non completamente invertiti, per lo meno modificati di molto, e per conseguenza anche sotto questo aspetto non ci pare ingiustificai a una ricerca intesa a questo scopo. Come causali delle nostre ricerche dobbiamo aggiungere che ci è parso non tutti gli AA. abbiano tenuto sufficiente calcolo, per quanto riguarda l'Uomo, di ogni modalità e dell'ubicazione differente con le quali possono comparire traccio del pas- saggio attraverso la squama del temporale, oppure attraverso le suture della squama con le ossa vicine, di rami venosi di deflusso del sangue craniano affluenti alla vena giugulare esterna; o per lo meno ci è parso che non a tutte le dette vie si assegnasse il medesimo significato morfologico, quale invece risulta dalla conoscenza del modo col quale avviene realmente lo sviluppo del sistema venoso del capo. An- cora, talune disposizioni sono siffattamente rare, da rendere desiderabile una dimo- strazione più chiara di quanto sia stato fatto precedentemente. Anche dal lato an- tropologico dobbiamo ricordare come in Italia, escluse le poche osservazioni di Calori e quella isolata di Legge, manchino dei dati statistici sufficientemente ampi sulla occorrenza delle dette formazioni. Finalmente, per quanto gli studi di Cupe e di Kopetsch vertano su un materiale anatomo-comparativo molto ricco, pure, per le stesse ragioni che abbiamo sopra enunciate relativamente alla nostra specie, allo scopo di togliere alcune inesattezze e contraddizioni facili a verificarsi nella lettera- tura, abbiamo cercato di estendere coi medesimi criteri le nostre ricerche ai vari ordini di Mammiferi. Queste ricerche, che noi abbiamo potuto compiere per l'aiuto cortesissimo dei nostri Maestri Prof.1' R. Ftjsabi e L. Camerano, vertono quasi essen- zialmente su crani macerati, e solo in piccola parte su osservazioni che specialmente uno di noi (Bovero) potè fare su cadaveri opportunamente iniettati. Coll'esame quasi esclusivo dei crani, noi ci siamo d'altronde messi nelle identiche condizioni degli AA. che ci precedettero in questo studio: inoltre è così particolare il comportamento dei vasi emissari in generale e, nella fattispecie, degli emissari squamosi e petrosqua- mosi, così esclusivi i rapporti che essi contraggono e chiare le traccie che lasciano per rispetto alle ossa, da diminuire molto il valore di una possibile obbiezione alla qualità del nostro materiale di studio. Abbiamo di già veduto come i vari AA. usino una terminologia differente relativamente al canale della squama temporale per cui decorrerebbe la presunta ra- dice primitiva della giugulare esterna anomala nell'Uomo, normale in molti Mammi- feri e relativamente alle aperture endo- ed esocranica dello stesso. Difatti mentre la 21 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 179 grande maggioranza degli AA. (Luschka, Hyrtl, Henle, Koelliker, Zucherkandl, Legge, Lowenstein, Kopetsch, Calori, ecc.) chiamano l'apertura esterna del canale osseo destinato ad allogare la predetta via di riunione foramen jugulare spurium, seguendo in ciò Rathke, altri invece lo indicano come trou tempora! (Labbé, Charpv), foro postfjlenoideo (Cabibbe), oppure moltiplicano le denominazioni a seconda del- l'ubicazione differente dell'apertura stessa (Cope, Launay) : altri autori ancora danno al canale propriamente detto, indipendentemente cioè dal suo sbocco esterno, il nome di canalis temporali* (Schlafengang) (Otto, Rathke, Wagner, Lusciika, Knott, Legge, Lowenstein, Kopetsch, Denker), oppure indifferentemente quello di meatus temporalis (Hallmann, Hyrtl, ecc.), di canal zygomatique (Poirier), canal prétympanique (Ledouble), caiiale petrosquamoso (Cheatle) od ancora (molti anatomici veterinari) di canale tem- poropar letale; altri finalmente usano del nome canale emissario squamoso o petro- squamoso (Calori), o più semplicemente quello di emissarium temporale (Krause). Il solco posto all'endocranio tra la piramide del temporale e la squama e destinato ad accogliere il sinus petrosus squamosus (Luschka, Charpy, Knott, Labbé, Hedon), sìnus squamoso-petrosus (C. Krause), sìnus petrosus antcrior (Winslow, Malacarne, Loder, Portal, Lauth, Cortese, Verga), vien chiamato anche da Luschka sulcus transversus spurius ; Verga, nei casi in cui il solco è trasformato per un tratto più o meno lungo in un vero canale, adopera, come è noto, l'espressione di acquedotto del temporale o acquedotto di comunicazione. Noi crediamo, oltre che per le ragioni sopra addotte, non assolutamente propria la denominazione di foramen jugulare spurium adoperata dalla maggioranza degli AA., anche perchè non indica con sufficiente esattezza la possibile diversità della sua ubi- cazione: inversamente ci paiono troppo esclusive talune delle altre espressioni usate, a meno che queste cambino (Cope) a seconda della posizione differente. Per le medesime ragioni, anche la terminologia di canalis temporalis pare a noi troppo generale, in quanto si possono meglio localizzare, anche per riguardo alla nomenclatura, i rapporti che esso contrae colle varie porzioni dell'osso temporale. Noi preferiamo usare dei termini di canali (o vasi) emissari selliamosi o petrosquamosi a seconda che il decorso degli stessi avviene esclusivamente nello spessore della squama temporalis, oppure in rapporto della sutura di quest'osso colla pars petrosa. Per rispetto alla apertura esocranica ci pare conveniente riferirci a parecchi punti di repere e cioè alla posizione che essa assume: «) relativamente alla cavità glenoide (fossa mandibularis) coll'eventuale conus articularis o tuberculum articulare posterius [processus articularis posterior (Luschka), processo postglenoideo (Quain, Launay, Ca- bibbe, ecc.), tubercolo auricolare (Sappey), tubercolo zigomatico posteriore (Poirier)]: b) oppure relativamente alla apofisi zigomatica, di cui la linea temporalis costituisce la radice sagittale, il processus articularis (interior ora accennato la radice frontale; e) oppure ancora relativamente alla porzione squamosa propriamente detta (pars verticalis della squama) del temporale. Per l'apertura endocranica le variazioni sono relativamente minime, verificandosi essa quasi costantemente nel sulcus petrosus squamosus più o meno manifestamente pronunciato e destinato ad accogliere il sinus omonimo. Veniamo ora alla descrizione dei reperti da noi avuti nei singoli ordini di Mam- miferi, avvertendo che per la classificazione e per la nomenclatm-a degli individui dei 180 ALFONSO BOTERÒ — UMBERTO CALA5IIDA 22 vari ordini di Mammiferi .studiati ci siamo attenuti essenzialmente a quelle di Forbes (16) e di Trouessart (71) (*). Od. PBTMATES Subord. Anthropoidea. Fam. Hominidae. Homo. — I crani di cui abbiamo tenuto calcolo nelle nostre ricerche appartengono in massima parto alle varie raccolte del- l'Istituto Anatomico di Torino e sono 1176. per il maggior numero intieri: ad essi si devono aggiungere 120 temporali isolati di adulti conservati già da tempo, oppure j ri- parati, previo accurato esame delle parti molli, da noi stessi. In complesso disponiamo quindi di 2472 temporali di adulti. I 1176 crani sono rappresentati da 322 crani della Collezione Normali, di ambo i sessi e di tutte le età fino ad un massimo di 106 anni; 321 crani della Coli. Varietà appartenenti pure ad individui normali e col- lazionati anno per anno, perchè presentanti qualche particolarità; 115 della Coli. Mili- tari: 340 della Coli. Criminali; 46 della Coli. Microcefali e cretini; 32 della Coli. Negri. Oltre a questi abbiamo osservato un gran numero di temporali (150) di feti o di neonati, o di bambini dei primi due anni di vita, isolati o non, per la massima parte preparati da uno di noi (Boveko). In realtà il numero dei crani da noi studiati è assai superiore a quello rappresentato dalle cifre sopra esposte, avendo pure prese in esame parecchie altre centinaia di crani macerati negli anni 1900-1902 in diversi Istituti di Torino; di essi però non abbiamo potuto per ragioni speciali tenere un calcolo sufficientemente esatto, perchè i dati relativi possano trovare posto nell' esposizione delle nostre ricerche. Per verificare il comportamento degli eventuali emissari nell'epoca fetale noi ci siamo serviti eziandio di alcune serie di sezioni frontali di crani del 3°, i e 5° mese di vita intrauterina, fatte dal prof. Giacomini : dichiariamo però subito che, riguardo alla esistenza o meno degli emissari stessi nelle dette epoche, le nostre osser- vazioni non hanno avuto nessun risultato perentoriamente probativo, specialmente perchè le sezioni non sono rigorosamente seriate, come pure per la qualità e per lo stato di conservazione del materiale adoperato. Noi crediamo di dispensarci qui da una particolareggiata descrizione anatomica delle varie regioni dell'osso temporale nelle quali occorrono più frequentemente gli emissari che stiamo studiando: tale descrizione è d'altronde riportata, oltreché in tutti i trattati di anatomia, anche e minutamente nelle memorie di Luschka. di Lowenstein e Cabibbe; stimiamo quindi inutile ripetere ciò che è universalmente noto. Relativamente alle aperture endo- ed esocraniane degli emissari temporali squa- (*) I risultati preliminari delle nostre ricerche furono già in precedenza comunicati con presen- tazione dei preparati e fotografie alla R. Accademia ili Medicina ili Torino (seduta 10 luglio 1901), alla IV' Session de V 'Associai ion des Anatomistes (Montpellier, aprile 1902), alla VI* Riunioni della Società Otologica Italiana (Roma, ottobre 1902). Aggiungiamo inoltre che, per quanto non si possa sempre e costantemente in modo assoluto distinguer" rio che spetta più precisamente ;i ciascuno di noi, mentre il concetto informatore del lavoro, le ricerche sui Mammiferi inferiori all'Uomo e le considerazioni morfologiche e descrittive sono più specialmente opera del Dr Bovero, l'esame dei crani umani, la rassegna della letteratura, le considerazioni pratiche spettano al Dr Calamida: si cercò tuttavia di fare in modo che le singole ricerche itte p.irallelamente, in guisa da costituirci un vicendevole, continuo controllo. 23 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 181 mosi e petrosquamosi, noi dobbiamo primieramente notare come la ubicazione del- l'apertura esoeranica vada soggetta assai più che non la endocraniana a variazioni relativamente ampie a seconda dei differenti individui. Mentre difatti lo sbocco endo- craniano si verifica quasi costantemente, per lo meno nella maggioranza grandissima dei casi, in rapporto della solcatura petrosquamosa , più o meno pronunciata a se- conda dell'età ed a seconda degli individui, o per lo meno in rapporto della linea che segna nell'adulto la riunione avvenuta fra le porzioni squamosa e petrosa del tem- porale, con oscillazioni solo leggere in senso anteroposteriore della posizione della apertura stessa, noi vediamo invece come l'apertura esterna varii in tal guisa di posizione che il canale propriamente detto può attraversare la squama temporale direttamente e in direzioni diverse, oppure compiere il suo tragitto in rapporto delle varie porzioni delle suture petrosquamosa o squamosotimpanica. In ogni caso però, anche nella massima parte di quelli in cui il canale, diversamente diretto, è esclusi- vamente scavato nello spessore della pars squamosa, la sua apertura endocranica si trova, salvo eccezioni che noi vedremo, in un punto corrispondente alla preesistente sutura petrosquamosa o per lo meno in tutta sua vicinanza. Per la medesima ragione, e cioè per la minima variabilità nella ubicazione dell'apertura endocranica di canali in casi differenti diversamente diretti, e quindi con aperture esocraniche in punti ugualmente differenti, ciò che si può verificare anche in un medesimo cranio, come pure per la possibile occorrenza dallo stesso lato di due canali emissari squamosi con apertura endocranica comune, con le rispettive aperture esterne distinte e topogra- ficamente diverse, noi crediamo che si debbano ritenere affatto analoghi, genetica- mente e funzionalmente, i forami emissari abnormi nella nostra specie, i quali fanno comunicare la circolazione venosa della fossa cranica media colle radici della v. giu- gulare esterna, sia che essi sbocchino all' esocranio in una, sia nell'altra porzione della squama temporale. Diciamo subito che, morfologicamente, le eventuali diversità di posizione, come la molteplicità delle stesse aperture diversamente collocate nello stesso lato di un cranio ci paiono di grande importanza, perchè possono riprodurre esattamente le condizioni differenti che si riscontrano eventualmente come caratteri fissi e costanti nei differenti Mammiferi, come pure perchè una data posizione di un forame emissario temporale anomalo nell'Uomo può trovare esatto riscontro nella posi- zione dell'emissario stesso in altri animali, nei quali esso compare tuttavia come anomalia, in una forma però e con modalità relativamente più fisse che non nella nostra specie. La maggior variabilità nell' ubicazione dell' apertura esoeranica dell' emissario squamoso in confronto all'endocranica e la correlativa direzione differente dei vari (•anali, si spiega facilmente pensando che si tratta appunto di canali venosi di afflusso ad una o indifferentemente all' altra (vv. temporali profonde anteriori , posteriori, auricolari, ecc.) delle radici della v. giugulare esterna, canali indipendenti nel tragitto da altri organi (arterie o nervi): ed essenzialmente si spiega ricordando come, mentre lo schema di distribuzione dei vasi venosi endocraniani è presso a poco analogo nei singoli ordini di Mammiferi, è invece nella serie degli stessi ordini assai mutevole il punto in cui le vie di comunicazione, attraversanti l'osso temporale ed indipendenti da altri organi, fra tale sistema venoso e la giugulare esterna di formazione onto- e filogeneticamente secondaria sboccano all'esocranio. 182 ALFONSO BOTERÒ — UMBERTO CALAMIDA 24 Anche per questi caratteri quindi si può verificare nella disposizione degli emis- sari petrosquamosi dell'Uomo, qualunque ne sia il significato morfologico ed onto- genetico, una esatta ed ampia ricapitolazione delle disposizioni tipiche che si riscon- trano nella filogenesi. Per la posizione differente dell'apertura esterna degli eventuali canali emissari squamosi o petrosquamosi nella nostra specie, noi distinguiamo tre categorie, in ciascuna delle quali possono occorrere anche delle varietà secondarie. Anzitutto noi dobbiamo avvertire come la maggior parte di questi emissari anormali interessino preferibilmente, per ragioni naturalmente troppo ovvie perchè si debbano qui diffusamente esporre, la porzione basilare della squama, in rapporto o in tutta vicinanza delle suture squamosotimpanica e squamosopetrosa, oppure la por- zione immediatamente soprastante a quella basilare, mentre solo in via eccezionalis- sima, e come disposizione secondaria a modalità di altro significato, possono interes- sare la parte alta della squama. La distinzione in tre categorie si fonda appunto essenzialmente sui rapporti che le aperture stesse contraggono con la apofisi zigo- matica e con le parti differenti che costituiscono detto processo, il quale stabilisce come un limite molto netto ed evidente fra la cosi detta porzione basilare e la por- zione verticale della squama. Nella prima categoria noi raggruppiamo tutti i canali emissari, i quali si aprono all'esterno caudalmente alla radice posteriore o sagittale dell' apofisi zigomatica (linea temporalis) e a questi noi potremo dare la denominazione di forami emissari squamosi sottozigomatici. Nella seconda categoria invece comprendiamo gli emissari il cui sbocco è situato cranialmente alla detta linea temporale, forami emissari squamosi soprazigomatici. Finalmente nella terza categoria si raccolgono alcuni pochi casi in cui l'apertura esocranica degli emissari squamosi si riscontra al davanti della radice anteriore o frontale (tuberculum articulare) dell'apofisi zigomatica, e cioè nella porzione posteriore della fossa infratemporale, fonimi emissari squamosi prezigomatici. È da avvertirsi come non sempre si possa stabilire nettamente se un eventuale forame emissario appartenga all'una piuttosto che all'altra di dette categorie, poten- dosi ad esempio riscontrare l'apertura di un emissario esattamente sulla sporgenza della radice posteriore del processo zigomatico (Fig. 17): ancora, noi potremmo a rigore fondere i pochi casi della terza categoria con quelli delle due precedenti, e rispet- tivamente alla prima e alla seconda, quando lo sbocco si riscontra inferiormente o superiormente alla crista infratemporalis, che rappresenta come un prolungamento venti-ale della radice anteriore del processo zigomatico ; però il raggruppamento a parte di questi ultimi è giustificato dal modo di comportarsi degli emissari complessiva- mente alquanto differente da quello degli altri due gruppi. Anche in ciascuna categoria, a parte il rapporto fondamentale colla linea tem- poralis o col tuberculum articulare, si possono fare parecchi sottogruppi: I. Nella prima difatti i forami emissari possono per rispetto al meatus acu- sticus externus occupare posizioni leggermente differenti; le varietà nell'ubicazione nono sia nei casi in cui è presente un conus articularis o tuberculum articulare posterius, come in quelli in cui questo fa difetto. Quando il conus è presente, qua- lunque ne sia lo sviluppo, lo sbocco dell'emissario può trovare sede: 1° sulla sua faccia posteriore, cosicché ne sarebbe giustificata fino ad un 25 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETBOSQTJAMOSI 183 certo punto la denominazione usata da taluni AA. di foro postglenoideo (sarebbe più appropriata quella di foro postarticolare o sottozigomatico posteriore); 2° oppure sul margine mediale dello stesso processo (Fig. 1 fszm) più o meno vicino alla base e quindi alla estremità laterale della fissura Glaseri; ■ '< oppure ancora sul margine laterale, più o meno in prossimità all'apice od al punto di emergenza del conus articularis stesso (Fig. 2, Fig. 3 fszl); in que- st'ultimo caso può accadere che il canale emissario eventuale si apra nell'interstizio più o meno ampio, che sta fra la linea temporalis propriamente detta e il conus articularis (Fig. 3 fszl, cu), cioè esattamente fra le due branche di biforcazione della radice sagittale dell'apofisi zigomatica, biforcazione che appare tanto più evidente quanto più è sviluppato il conus e rilevata la linea temporalis propriamente detta. Nei casi in cui il cono manca, l'apertura esterna di un emissario può: 4° essere posta in rapporto della estremità laterale della scissura di Glaser, quasi a rappresentare un allargamento della stessa, dalla quale però l'apertura ano- mala, conducente in un canale che si apre all'endocranio nel seno petrosquamoso, è costantemente separata (Fig. 6 fszl) mediante un ponticello osseo più o meno evidente; 5° anche quando manca completamente il cono articolare, oppure questo si presenta sotto forma di una rilevatezza appena percettibile a ridosso della sutura squamosotimpanica (Fig. 5 co), noi possiamo avere l'apertura di un emissario imme- diatamente al di sotto della cresta sagittale, sviluppata diversamente a seconda degli individui e dell'età, rappresentante la linea temporalis; 6° sempre nei casi di mancanza del cono articulare , l' apertura esterna di un eventuale emissario petrosquamoso può occupare una posizione intermedia fra le ultime precedentemente accennate, essere situata cioè nella parte posteriore della fossa mandibolare (Figg. 7, 8 fpg), vale a dire nel punto in cui si impianta abi- tualmente la base del cono articolare stesso: nei pochi casi da noi riscontrati di questo sottogruppo 1' ampiezza relativamente grande dell'apertura (escludiamo natu- ralmente le usure), come la loro ubicazione, sono appunto da riferirsi alla mancanza, costante in detti casi, di un cono articolare anche mediocremente sviluppato (emis- sario sottozigomatico postarticolare o postglenoideo); 7° in casi assai più rari ancora è possibile riscontrare, anche concomitante- mente ad un cono articolare a maggiore o minore sviluppo, un esile forellino nella porzione più mediale della fossa mandibularis, subito avanti alla scissura di Glaser. Evidentemente, oltre alle ubicazioni meno frequenti, i siti principali di elezione dell' apertura esterna degli emissari di questo gruppo, con o senza cono articolare, sono due, e cioè: a) immediatamente sotto la radice sagittale del processo zigomatico, a livello del quarto anteriorsuperiore del contorno del porus acusticus externus: gli emissari di questo sottogruppo potrebbero comprendersi sotto la denominazione comune di emissari sottozigomatici laterali: h) immediatamente all'esterno dell'estremità late- rale della scissura di Glaser, vale a dire in un punto, che corrisponde alla porzione anteriorsuperiore della parete del meatus acusticus eocternus, emissari sottozigomatici mediali. Quest'ultima distinzione da noi fatta non può naturalmente avere sempre un valore assoluto e ciò specie nei casi in cui manca un cono articolare, al posto del quale, come abbiamo visto, può occorrere un emissario più o meno ampio, rap- presentante come una forma di passaggio fra gli emissari sottozigomatici mediali e quelli laterali nettamente distinguibili per la presenza di un cono eventuale. 1 , ( ALFONSO BOVERO UMBERTO CALAMIDA 26 Dalle nostre ricerche, per quanto non possiamo riportare le cifre rigorosamente esatte, appunto perchè è difficile pronunciare molte volte un giudizio perentorio sulla esistenza di un conus artieularis, ci pare poter affermare che indubbiamente sono assai più frequenti (come 2 a 1) i forami emissari posti sul margine mediale del cono o in rapporto dell'estremità laterale della scissura di Glaser, che non quelli occorrenti sul margine laterale dell' eventuale cono o immediatamente al di sotto della sporgenza della radice sagittale del processo zigomatico. L'ubicazione di un fo- rame emissario alla faccia dorsale del cono può anche sfuggire alla osservazione, specialmente nei casi di grande sviluppo del cono stesso, per i rapporti che questa formazione contrae colla opposta parete ossea del condotto uditivo; è probabile tut- tavia che il progresso dello sviluppo del cono colla età costituisca, dati i detti rap- porti, una condizione poco favorevole alla permanenza di un eventuale emissario, che ne occupi collo sbocco la faccia posteriore. La occorrenza di un cono articolare, modifica anche notevolmente la apparenza esterna della apertura a seconda dell'ubicazione. Per le medesime ragioni enunciate a proposito dei canali emissari sboccanti sulla faccia posteriore del cono, le aper- ture situate medialmente a tale cono, per quanto più frequenti che non quelle poste lateralmente, ci paiono complessivamente meno ampie, ridotte per lo più ad esilissinn fori non sondabili. La riduzione del calibro degli emissari sottozigomatici mediali spiega perchè il nostro reperto della maggior loro frequenza per rispetto a quelli laterali contraddica chiaramente i dati degli altri AA. e principalmente di Luschka e Lo- wenstein, i quali ammettono invece che la posizione più frequente di dette aperture sia precisamente subito al di sotto della radice sagittale del processo zigomatico : è probabile che questi AA. nel ritenere come emissari quelli che noi abbiamo classifi- cati nel 2° sottogruppo {mediali), emissari che per altro possono sfuggire facilmente all'osservazione, abbiano usati criteri più ristretti, il che si comprende anche com- parando le loro cifre statistiche con le nostre. Nei casi in cui l'ampiezza è relativa- mente grande, l'apertura situata sul margine mediale del cono è per lo più ovalare e continuata in basso da una solcatura rivolta medialmente: invece, quando il conti* artieularis manca (Figg. 7, 8), gli emissari di una certa ampiezza (1 rara.) del gruppo mediale sono per lo più circolari, eventualmente disposti a fessura irregolare per la sporgenza in un senso o nell'altro delle labbra della scissura squamosotimpanica: in ogni caso i canali che fanno seguito alle aperture di questo sottogruppo hanno una direzione presso a poco verticale per raggiungere il solco petrosquamoso. Anche la lunghezza del tragitto è naturalmente pure più breve di quella degli emissari laterali. Questi ultimi possono eziandio avere un'apparenza diversa ed i canali una dire- zione differente a seconda della occorrenza o mancanza di un conus artieularis. Nei casi in cui il cono manca completamente e 1' apertura è relativamente ampia (mm. 0,5-1), essa è per lo più abbastanza regolarmente circolare, continuata all'esterno da una solcatura trasversale più o meno evidente, concava in basso; il canale per lo più ha una direzione verticale o quasi. Nei casi in cui la solcatura è molto evidente e il cono articolare poco pronunciato, questo appare lateralmente come bifido; in quelli invece in cui il cono articolare è potentemente sviluppato, oppure anche quando, senza questa esorbitante sviluppo, il forame emissario è situato immediata- mente al di sotto della sporgenza della radice sagittale dell'apofisi zigomatica, la 27 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 185 solcatura risulta meno evidente, assai più breve, e l'apertura stessa per lo più ha una forma nettamente ovalare, talora imbutiforme ; il canale che ne deriva in questi ultimi casi assume una direzione complessivamente orizzontale o per lo meno forte- mente obliqua in alto e in dentro. Indipendentemente dalla suddivisione in sottogruppi, fra i quali vi hanno pure, come abbiamo veduto, differenze evidentissime nella frequenza colla quale compaiono, gli emissari della la categoria sono di gran lunga più facili a riscontrarsi che non quelli delle altre due (SI, 88 % dei casi): per questa ragione parecchi degli AA., che studiarono questo argomento, nelle loro descrizioni si riferiscono esclusivamente ad essi e, preferibilmente, per la facilità colla quale si dimostrano, a quelli del sotto- gruppo laterale, trascurando completamente o quasi i forami emissari delle altre due categorie. Ciò nullameno, come avremo occasione di vedere ancora riportando i ri- sultati statistici nelle nostre ricerche, la percentuale dei canali della 2a categoria è ancora tanto alta e le modalità colle quali compaiono quelli da noi aggruppati nella 3a sono così caratteristiche , che non se ne può tralasciare in modo assoluto lo studio, reso tanto più interessante d'altra parte per i riscontri anatomo-comparativi. II. Anche gli emissari della 2a categoria, i quali rappresentano il 15,94 % dei casi da noi complessivamente riscontrati, possono occupare posizioni leggermente dif- ferenti; tuttavia la distinzione netta in sottogruppi presenta difficoltà ancora maggiori che non per quelli della la categoria, mancando in questa regione formazioni anche eventuali, che possano essere utilizzate come limiti topografici : ciò nondimeno, fatta questa riserva, noi distinguiamo due sottogruppi di forami emissari sottozigomatici, avvertendo subito che, come si possono riscontrare forme di passaggio alla 1" ed alla '•' categoria, cosi non è sempre facile stabilire a quale sottogruppo della 2a appartengano. 1° Come forami emissari soprazigomatici posteriori si possono ritenere quelli che si aprono indietro del punto in cui il margine posteriore della porzione basale del processo zigomatico si continua come linea temporalis: la loro apertura ha sede o direttamente sulla rilevatezza di detta linea (Figg. 1 , 7 fszp), oppure subito al di sopra della rilevatezza stessa (Figg. 3, 11 fszp), nella regione cioè del planum temporale, che sovrasta immediatamente alla estremità superiore del porus acusticus externus. 2° Diamo invece il nome di forami emissari squamosi soprazigomatici anteriori a quelli la cui apertura esocranica si trova nella porzione del planum temporale subito sovrastante alla faccia superiore della base del processo zigomatico, fra i punti in cui i margini anteriore e posteriore di questo processo si continuano rispettivamente come erista infratemporalis e come linea temporalis (Fig. 10 fsza). A proposito dell'ultimo sottogruppo dobbiamo osservare come, quasi costantemente, la squama temporalis al di sopra della base dell'apofisi zigomatica presenti nell'adulto una serie (2, 4 e più) di minutissimi, microscopici forellini ai quali naturalmente non si può dare il valore di vasi emissari, rappresentando invece lo sbocco di sem- plici vasi diploici, tributari delle vene temporali profonde, e la cui importanza mor- fologica risulta precisamente dal fatto che essi possono eventualmente trasformarsi in veri canali emissari, i quali corrispondono a loro volta ai canali venosi di quelle specie di Mammiferi nei quali le comunicazioni del sistema venoso della fossa cranica media colla giugulare esterna attraversano la squama temporale appunto al di sopra della Serie II. Tom. LUI. y 186 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 28 base del processo zigomatico. Noi abbiamo voluto ricordare questo fatto normale nella grandissima maggioranza degli individui, perchè ci è parso che, per quanto sal- tuariamente notato da alcuni AA., e raffigurato spesse volte, non sia stato finora considerato nel suo giusto valore. Nei casi in cui un eventuale emissario soprazigomatico posteriore si apre sulla rilevatezza formata dalla porzione iniziale della linea temporale, esso ha ordinaria- mente la forma di una fessura ovalare a grande asse disposto sagittalmente : l'aper- tura può essere limitata da margini netti, oppure assumere un aspetto imbutiforme (Figg. 11, 17 fszp) in guisa che la linea temporale propriamente detta, indipenden- temente dalla sua biforcazione inferiore rappresentata da un eventuale cnnus arti- cularis, può apparire come bifida; ciò è specialmente evidente quando l'emissario ha una certa ampiezza (1-3 min.). Nei casi in cui il forame soprazigomatico posteriore è situato al disopra della linea temporale , l' apertura è generalmente circolare (Figg. 1, 3 fszp): nel] 'un caso e nell'altro il canale più o meno ampio, che fa seguito a tale apertura, decorre per lo più orizzontalmente in dentro, oppure obliquamente in avanti e medialmente ; talvolta, in ispecie quando la linea temporale è robusta- mente pronunciata o l'apertura dell'emissario è situata ad una certa distanza supe- riormente alla linea temporale, il canale è più o meno accentuatamente discendente in basso e medialmente. Noi non possiamo dire con certezza se i forami emissari di questo sottogruppo occorrono con maggior frequenza in corrispondenza della rilevatezza della linea tem- porale, oppure al di sopra di questa, e ciò per le differenze grandissime (per età, individuali, sessuali, etniche) nello sviluppo della linea temporale stessa: tuttavia ci pare poter affermare che il sito di elezione, nei casi in cui la linea temporale è assai manifesta, dei forami emissari di questo sottogruppo corrisponde appunto alla parte più sporgente lateralmente della linea temporale stessa e cioè verticalmente sopra il condotto uditivo. I forami del sottogruppo anteriore, astrazion fatta dai forami semplicemente diploici e dalle forme di incerta classificazione, ci sono parsi meno frequenti di quelli del sottogruppo posteriore : invece la loro ampiezza e quindi anche quella dei canali corrispondenti sono spesso, a parità di condizione, maggiori di quelli posteriori. In parecchi degli esemplari da noi riscontrati, l'apertura esterna misurava 2-3-4 rara. Tale apertura è d'ordinario più o meno regolarmente circolare e talora viene conti- nuata (Fig. 10 fsza), in basso ed in avanti da una solcatura più o meno pronunciata, che può anche essere manifesta sulla cresta infratemporale, risultando così evidente l'afflusso del sangue portato dall'emissario alle vene del plesso pterigoideo. In un caso (Fig. 13 fszp), in cui il forame emissario, per la sua posizione, può essere consi- derato come una forma di passaggio fra i soprazigomatici anteriori e i posteriori, esso assume l'aspetto di un'ampia fessura col maggior diametro (4 mm.) disposto sagittalmente, situata appunto nell'angolo diedro delimitato dalla porzione posteriore della faccia superiore del processo zigomatico col planum temporale: in questo caso la fessura è come infossata per la presenza di una cresta dipendenza della linea temporale, (li) descrivente una curva concava in avanti e in alto. In generale i canali del sottogruppo anteriore hanno un tragitto assai breve, attraversando la porzione inferiore verticale della squama temporale in direzione net- 29 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROStjUAMOSI 187 tinnente perpendicolare alle sue faccio: alcune volte però i canali, che fanno seguito a dette aperture, hanno un decorso più o meno obliquo indietro e medialmente fram- mezzo ai due tavolati della squama. In ogni caso i canali soprazigomatici dei due sotto- gruppi decorrono esclusivamente nello spessore della squama; ma mentre quelli poste- riori si aprono costantemente all'endocranio nel solco petrosquamoso (Fig. 4 eps, sps), invece non di rado quelli anteriori si aprono all'interno alquanto lateralmente al solco petrosquamoso, al quale possono essere tuttavia riuniti mediante una solcatura più o meno pronunciata. III. I forami emissari squamosi prezigomatici occorrono all'osservazione molto raramente e ciò sia che si considerino nella serie degli emissari squamosi, rappre- sentando essi il 2,17 " ,, dei casi, come se si esamini la serie dei crani (9 volte). Non ostante la rarità noi possiamo dividere i pochi casi osservati in due gruppi, cioè a seconda che si aprono all'esterno superiormente o inferiormente alla crista infratem- poralis, che stabilisce come un limite topografico fra la porzione basilare e la verti- cale della squama : si possono dare ad essi rispettivamente le denominazioni di emissari prezigomatici superiori e di prezigomatici inferiori. Carattere di questi forami è la loro ampiezza relativamente maggiore di quella degli altri, mancando invece forami di calibro minimo, che ragionevolmente in questa regione si possano ritenere in realtà come emissari. L'ampiezza dell'apertura esterna può raggiungere mm. 5,5, come nel cranio di una donna di anni 64 {Collez. Criminali, n° 326), in cui (Fig. 12 fps) il forame prezigomatico superiore, ovalare, è posto 1 cm. al di sopra della porzione dorsale della crista infratemporalis ; cosi pure nel temporale sinistro isolato di un individuo giovane (Fig. 15) l'apertura dell'emissario prezigomatico inferiore, regolar- mente circolare, posta immediatamente in avanti del tubereulum articulare, misura mm. 3,5. Negli altri casi l'ampiezza media dell'apertura esocranica (Figg. 8, 12 fps, fpi) misura in media mm. 1,5-2,5, è quindi sempre di molto superiore a quella abituale degli emissari delle altre categorie. L' apertura di questi emissari , esclusi i casi sopracitati in cui 1' ampiezza è molto pronunciata, ha un aspetto per Io più imbu- tiforme, il canale cioè che ne deriva si restringe tosto notevolmente. Dobbiamo notare come, qualunque sia l'ampiezza dei detti emissari, i canali che hanno origine dalle aperture esterne decorrono esclusivamente nello spessore della squama tempo- rale, attraversandola perpendicolarmente alle sue superfici (Fig. 15), oppure con decorso obliquamente diretto in avanti e medialmente (Fig. 12), oppure orizzontal- mente in addietro e medialmente (per i fori prezigomatici inferiori). In ogni caso il tragitto del canale è relativamente assai breve e l'apertura endocranica è posta o in prossimità del margine sfenoidale della squama, oppure di poco più in addietro, ma costantemente ad una certa distanza dal solco petrosquamoso (Figg. 9, 15, 18). L'aper- tura endocranica è abitualmente al fondo di una docciatura ossea, la quale con dire- zione diversa giunge per lo più al foro sfenospinoso, oppure alla porzione anteriore del solco petrosquamoso ; parrebbe cioè che le vene emissarie decorrenti in tali ca- nali non servano al deflusso del sangue contenuto nel seno petrosquamoso che in- direttamente, potendo essere con questo riunite per diramazioni secondarie, che lasciano egualmente traccie all'endocranio, ovvero per mezzo di una diramazione delle vene meningee medie. Dalla precedente rassegna risulta quindi che i forami emissari da noi studiati 188 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMiDA :>0 si aprono esternamente colla massima frequenza al di sotto della linea temporale come forami emissari sottozigomatici (81,88 °/0 dei casi), appunto come già la mag- gioranza degli AA., molti dei quali ritennero solo questi come emissari, hanno de- scritto. Per ordine di frequenza vengono dopo gli emissari soprazigomatici (15,94 °/0 dei casi), e finalmente i prezigomatici (2,15 ° ,, dei casi). Noi abbiamo visto inoltre come l'ampiezza cresca in complesso inversamente alla frequenza. Di più, mentre gli emissari sottozigomatici, per lo meno nella grande loro maggioranza, come pure gli emissari soprazigomatici posteriori si possono in realtà ritenere per il decorso del canale, o per lo meno per la posizione della loro apertura endocranica, come emissari ■pel rompiamosi, buon numero dei soprazigomatici anteriori e tutti quelli prezigomatici si debbono invece ritenere per il loro decorso esclusivamente come emissari squamosi. Per quanto riguarda l'apertura endocranica, qualunque ne sia il calibro e la posizione nel solco petrosquamoso più o meno marcato, oppure indipendente da detto solco, essa assume le forme più diverse; e cioè può essere circolare, imbutiforme, ovalare, in forma di fessura: spesso, in ispecie nei casi in cui il canale ha un de- corso molto obliquo, il forame che ne rappresenta lo sbocco endocranico può essere mascherato (Fig. 9) da sporgenze dentellate o variamente foggiate delle labbra del- l'eventuale solco petrosquamoso, rappresentate dal tavolato interno dello squamoso e dal margine anteriore del petroso, in guisa che una setola introdotta in detti ca- nali può incontrare difficoltà, anche se questi sono molto ampi, ad entrare nella cavità craniana. Il calibro di questa apertura è in generale corrispondente a quello della apertura esterna; altra volta invece può essere leggermente più ampio: tuttavia nella massima parte dei casi in cui sia rilevabile una differenza, essa è a favore del- l'apertura esocranica. In complesso ancora i canali, per lo meno nei casi più classici delle varie categorie, sono diretti dall'esterno all'interno e dorsalmente, presso a poco cioè nella direzione della corrente sanguigna nel seno petrososquamoso, che si può ritenere come la porzione ventrale della branca orizzontale del seno laterale. Relativamente alla occorrenza degli emissari temporali per rispetto ai due lati del cranio, noi non abbiamo notato nelle nostre osservazioni una preferenza granché spiccata per un lato piuttosto che per l'altro: tuttavia ci è parso che i detti canali fossero leggermente più frequenti dal lato sinistro (poco più di metà nei casi di emissario unilaterale): per contro abbiamo notato, e questo è ovvio trattandosi di canali venosi da ritenersi, anche quando sono presenti, come anormali, che difficilmente si può riscontrare dai due lati una disposizione perfettamente simmetrica. Prima di tutto, come vedremo tosto, è assai più frequente la presenza unilaterale di questi canali che non quella bilaterale ; nei casi poi in cui vi ha questa seconda evenienza è estremamente difficile riscontrare a destra e a sinistra una posizione perfettamente identica delle aperture esocraniche come un calibro uguale: e cioè, da un lato si può benissimo riscontrare un canale emissario di una data categoria, mentre dal lato opposto questo o manca oppure presenta un'apertura esocranica appena percettibile, oppure ancora questa può essere situata in una regione differente della squama ed il canale avere quindi un calibro e una direzione differenti. I canali delle differenti categorie possono occorrere anche dal medesimo lato del cranio (Figg. 1, 3, 8): e cioè noi possiamo, ad es., avere dal medesimo lato un emis- sario soprazigomatico anteriore o posteriore ed un forame sottozigomatico laterale 31 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 189 o mediale, oppure assieme ad un canale sottozigomatico o ad uno soprazigomatico un altro prezigomatico. Ci è occorso eziandio ripetutamente di riscontrare due canali della stessa categoria e dal medesimo lato del cranio, con differenze solo affatto secon- darie nel punto del loro sbocco esocranico (Figg. 2, 12). I casi di forami emissari multipli dal medesimo lato sono tuttavia molto rari, in guisa che nelle nostre osservazioni, su 414 temporali con emissari, abbiamo ri- scontrata tale molteplicità solo in 1S casi, e cioè nel 0,72 °/0 dei temporali, nel 4,34 °/0 dei casi di emissari : la rarità di questo reperto risulta anche chiaramente dall'esame della letteratura dell'argomento. Quando occorrono dal medesimo lato due emissari della medesima categoria oppure di categorie differenti, essi possono essere: 1° nel loro decorso, come nella loro apertura endo- ed esocranica, perfettamente indipendenti uno dall'altro (Figg. 1, 8, 9, 11, 12); 2° oppure dal solco petrosquamoso o dall'angolo diedro che lo rap- presenta si originano a distanza varia uno dall'altro due canali, i quali convergono per sboccare all'esterno con una apertura unica (Fig. 10); 3° inversamente accade talvolta che due canali, aperti separatamente all'esocranio (Figg. 3, 4), confluiscano nel medesimo sbocco all' interlinea petrosquamoso. Sempre nei casi di duplicità accom- pagnati da un solco petrosquamoso molto pronunciato, trasformato parzialmente e per un tratto più o meno lungo in canale dalle spicole ossee da noi ricordate, può occorrere di introdurre, ad es., una setola in un forame soprazigomatico e di vederla fuoriescire all'esocranio dall'apertura di un altro emissario sottozigomatico (Fig. 1), reperto questo che riproduce esattamente quanto è facile constatare in crani di Mam- miferi, in cui è normale la molteplicità degli emissari squamosi. Per quanto si riferisce al calibro dei singoli canali emissari, già con la conoscenza del loro significato morfologico si può capire a priori come sia enormemente variabile. Noi abbiamo ritenuto come tali anche dei forami minutissimi, non sempre permeabili per tutto il loro decorso anche alle più fini delle setole, quando per la ubicazione delle aperture endo- ed esocraniche non poteva esistere alcun dubbio sul loro signi- ficato. L'impedimento al passaggio di setole anche finissime, può spiegarsi assai bene o per un cambiamento brusco nella direzione del canale, o per occlusione dovuta ad una incompleta macerazione, od anche perchè realmente il canale possa essersi chiuso alla sua parte intermedia. Per la diagnosi di canali emissari, mancando il criterio del passaggio di una setola, noi siamo ricorsi parecchie volte con successo ad iniezioni di liquidi colorati. Si devono già ritenere come abbastanza ampi i canali che misu- rano 1 mm. di diametro nella loro apertura esocranica, e ciò specialmente per quelli sottozigomatici concomitantemente ai quali occorra un eventuale conus articularis. Sull'influenza di tale processo, il quale si sviluppa col progredire dell'età, mancando come formazione completamente sviluppata negli individui giovani, sulla ubicazione e sul calibro dei canali sottozigomatici, noi abbiamo già parlato trattando di questi ultimi. Aggiungiamo qui che, come abbiamo avvertito di già per l'Uomo, anche in altri animali e specialmente nelle Scimmie è evidente il restringimento relativo degli emis- sari sottozigomatici, o per lo meno l'affondamento della loro apertura esocranica fra il tegmen tympani e la faccia posteriore di tale processo col progredire dell'età, in guisa che esso può riuscire meno evidente ad un esame rapido. Nella nostra specie 190 ALFONSO BOVERO UMBERTO CALAJIIDA 32 la presenza sia pure eventuale di un conus articularis, spiega perchè sia stato affermato da taluni AA., che i forami emissari squamosi (foramen jugulare spurium di Luschka) occorrono più frequentemente nel bambino che non nell'adulto. Noi non potremmo sottoscrivere a tale opinione, se non perciò che si riferisce al calibro di detti emis- sari, il quale senza dubbio è, relativamente, nei singoli casi più ampio nella giovane età. Ammettiamo tuttavia che lo sviluppo progressivo di un tuberculum articulare posterius possa favorire la occlusione di un eventuale emissario e ciò perchè, oltre- passata una certa età, da 15 a 20 anni, la presenza percentuale ed il calibro degli emissari temporali non mutano sensibilmente anche esaminando serie di crani di età molto diverse. La concordanza nella frequenza degli emissari squamosi nel bambino e nell'adulto si verifica poi chiaramente, ad esempio, per gli emissari sopra- zigomatici, i quali compaiono con uguale percentuale nell'uno e nell'altro. Ad ogni modo alle lievi diversità nella occorrenza percentuale dei forami emissari sottozigo- matìei nel bambino e nell'adulto, anche perchè queste diversità non si verificano per i soprazigomatici (tralasciamo i prezigomatici perchè in numero troppo scarso) si deve dare un significato diverso da quello che vorrebbero gli AA., che ritengono la presunta maggiore frequenza nel bambino come una prova della importanza ontoge- netica che avrebbe l'eventuale emissario, come espressione di un comportamento pri- mitivo della circolazione venosa; noi per l'esame anatomo-comparativo, come per i caratteri assunti dai forami sottozigomatici, nei casi di mancanza del conus articu- laris, crediamo invece che tale differenza, quando non sia solo apparente, sia rife- ribile al conus articularis stesso. Per ciò che si riferisce ancora all'età, aggiungiamo finalmente come siano occorsi alla nostra osservazione dei forami emissari, relativamente ampi delle varie cate- gorie anche in età molto avanzata (104 anni). Per quanto riguarda i reperti statistici, tenuto calcolo delle osservazioni fatte relativamente al calibro, su 2472 temporali esaminati noi non abbiamo trovato traccia alcuna di emissari in 2058, cioè nell'83,25 °/0. Esistevano invece canali emissari delle varie categorie in 414, vale a dire nel 16,74 °/0: di questi casi 339 (81,88%) appar- tengono ai sottozigomatici, 66 (15,94 °/0) ai soprazigomatici, 9 (2,17 °/0) ai prezigomatici. Fra i 1176 crani esisteva un emissario da un solo lato in 196, cioè nel 16,66 " 0 dei crani ; di questi casi, 103 appartenevano al lato sinistro, 93 invece appartenevano al lato destro (7,90 °/0 a D, 8,75 °/0 a S): vi ha quindi una leggera preponderanza nella frequenza dal lato sinistro (52,55 °/0) di fronte a quelli osservati a destra (47,44 % dei casi di emissari unilaterali). Gli emissari invece erano bilaterali in 95 crani (8,07 °/0 dei crani). Su 120 temporali isolati noi abbiamo riscontrati i canali emissari in 28 casi; dobbiamo però osservare che i 120 temporali staccati appartengono ad una serie selezionata per altri studi, quindi le cifre percentuali sono indubbiamente superiori a quelle che dovrebbero essere per gran parte della serie, non avendone noi a tempo opportuno tenuto un calcolo sufficientemente esatto : considerando tuttavia i 28 casi come unilaterali, aggiungendoli ai 196 della serie dei crani studiati (224) e facendo il computo percentuale della occorrenza degli emissari col numero dei tem- porali, risulta che essi sono complessivamente unilaterali nel 9,14 °/0 dei temporali. Nel computo percentuale dei casi delle varie categorie quale abbiamo sopra 33 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 191 riportato, abbiamo ritenuti i temporali con emissari doppi come appartenenti alla categoria alla quale si potevano ascrivere per il canale emissario di calibro maggiore. Esaminiamo ora un po' più particolarmente i rapporti eventuali fra i canali emissari e le traccie lasciate sull'endocranio dai vasi che collegano la circolazione venosa della fossa media con quella della fossa cranica posteriore. I caratteri del solco per il seno petrosquamoso, i rapporti che esso contrae dorsalmente colla docciatura per il seno sigmoide, ventralmente col forameli spinosum, sono cos'i noti ed esattamente descritti da molti AA. (Verga, Luschka, Lowenstein, Cheatle), che noi ci dispensiamo dal ripeterne ora una descrizione minuta. Diremo solamente che la esistenza del seno venoso non è assolutamente legata alla esistenza di un solco lungo la linea di riunione primitiva tra il petroso e lo squamoso. Diffatti mentre il seno petrosquamoso esiste quasi costantemente, con diverse gradazioni di sviluppo, ed anche eventualmente connesso in avanti con le vene meningee medie, il solco per accoglierlo rappresenta tutt'altro che la disposizione più frequente: e cioè può decorrere lungo la primitiva sutura petrosquamosa un evidentissimo ed ampio seno omonimo, facilmente rilevabile nel cadavere mediante iniezioni speciali, oppure semplicemente perchè ripieno di sangue, senza che si debba necessariamente riscontrare, distaccando la dura madre, una solcatura ossea speciale per accoglierlo. Così pure noi abbiamo visto talvolta l'apertura endocranica di un emissario della la o della 2a categoria, e specialmente negli individui giovani, ma talvolta anche in età avanzata, situata in corrispondenza della primitiva sutura squamosopetrosa, senza che perciò si riscontrasse contemporaneamente un solco, il quale invece può compa- rire anche indipendentemente da un eventuale emissario. Ciò vale tuttavia in gene- rale solo per forami emissari di piccolo calibro e naturalmente non per tutti : Invece noi abbiamo trovati quasi costantemente nell'adulto delle traccie più o meno pro- nunciate del solco petrosquamoso, ogni qualvolta il calibro dei canali emissari (sottozigomatici e soprazigomatici posteriori) era di una notevole ampiezza (1 min.). Quando le labbra d'un eventuale solco petrososquamoso , delle quali quella laterale appartiene al tavolato interno dello squamoso, quella mediale al margine anteriore del petroso, sono fornite di sporgenze a dentelli, di spicole ossee fra loro confluenti, possiamo riscontrare, invece di un semplice solco, dei tratti più o meno lunghi, anche molteplici, di un canale osseo (Figg. 4, 9 et, sps), il quale era destinato ad accogliere il seno corrispondente. La trasformazione in canale è tanto più evidente ed occorre con tanta maggiore frequenza, quanto più noi esaminiamo una porzione dorsale del solco petrosquamoso: quando la porzione di tale solco prossimo allo spigolo superiore della piramide temporale si trasforma in canale, noi abbiamo allora il così detto acquedotto temporale o canale di comunicazione descritto primieramente da Verga. Questa dispo- sizione, contrariamente a quanto avrebbe notato Lowenstein, che dice di non averla riscontrata in 118 crani, a noi è occorsa molto frequentemente. Difatti in 772 crani segati noi abbiamo trovate delle traccie più o meno evi- denti del solco per il seno petrosquamoso in 222 (33,03 %): esse mancavano invece completamente in 450 (66,96 %); il solco petrosquamoso con sviluppo di tutte le gradazioni esisteva bilateralmente in 149 crani, solo a destra in 28, solo a sinistra in 45. Per quanto naturalmente il criterio per giudicare della esistenza o mancanza di tale solcatura non possa essere sempre puramente obbiettivo, pure è interessali- 192 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 34 fcissimo ricordare come in una serie piccola per numero, ma invece molto importante per qualità di materiale, di microcefali, su 30 crani siasi riscontrato il solco petro- squamoso per lo più nettamente marcato in 18 casi (60 % dei casi) e cioè in 13 bilateralmente, in 1 caso solo a destra, in 4 solamente a sinistra. La sproporzione fra il comportamento del solco petrosquamoso nei crani di individui normali adulti e, rispettivamente, nei crani di microcefali in massima parte giovani (da 4 a 30 anni) è troppo forte perchè non debba essere rilevata: aggiungiamo tuttavia che in questi ultimi gli emissari petrosquamosi non occorrono più frequentemente che nei primi, e ciò pur tenendo calcolo della età relativamente giovane dei soggetti. La copertura più o meno estesa del solco petrosquamoso nella sua porzione posteriore, facendo cioè astrazione dei piccoli ponticelli ossei, dipendenza dello squa- moso oppure del petroso, posti nella parte anteriore del solco predetto, la esistenza cioè di un canale di Verga più o meno lungo, più o meno ampio e regolare, scavato apparentemente all'estremità laterale dello spigolo superiore della rocca, continuan- tesi in avanti col solco petrosquamoso, aprentesi in addietro colla parte alta della docciatura per il seno sigmoide, venne da noi constatata, fra i 672 crani aperti in 93 casi, vale a dire complessivamente nel 13,83% dei crani: il canale di Verga è bilaterale in 36 (5,35 % dei crani): esiste solo a destra in 25 (3,72 %), solo a sinistra in 32 (4,76%): complessivamente cioè è unilaterale nell'8,48 %. Non ostante la spro- porzione accennata fra i crani di microcefali e quelli di normali per il solco petrosqua- moso, la proporzione della occorrenza del canale di Verga nei microcefali è affatto analoga (13,33%) a quella degli altri. Dobbiamo notare come è possibile l'esistenza di un canale di Verga, natural- mente senza che vi siano traccie di canali emissari squamosi o petrosquamosi: come pure non raramente ci è occorso osservare anche bilateralmente un canale di Verga molto ampio, senza che la porzione del seno petrosquamoso posta ventralmente alla apertura anteriore del canale stesso abbia lasciato delle traccie in forma di solca- tura rilevabile. Non è qui luogo di aggiungere alcunché alle esattissime descrizioni date da Verga e da Cheatle per tale formazione, quali noi abbiamo riportate nella rassegna della letteratura; ne ricordiamo però l'importanza morfologica già accen- nata specificamente da Legge, come riproduzione chiara, per quanto per lo più in- completa, del canale temporale esistente in molti ordini di Mammiferi. La correlazione fra il canale temporale dei Mammiferi ed il canale di Verga acquista tanto maggiore certezza quando, come a noi è occorso di rilevare ripetu- tamente, esso più che un canale esclusivamente temporale è un vero canale tempora- 'parietale appunto come avviene in molti Mammiferi. In parecchi dei casi da noi esaminati, nei quali la incisura squamosomastoidea del temporale è molto pronun- ciata e viene riempita come d'ordinario dall'angolo mastoideo del parietale, si nota che il canale di Verga è delimitato nella sua porzione anteriore, come di ordinario, da una parte dalla squama temporale, dall'altra dalla piramide; nella sua porzione posteriore invece medialmente è chiuso dal margine superiore della base della pira- mide temporale, lateralmente da una laminetta ossea dipendenza del tavolato interno àell'angulus mastoideus del parietale. Evidentemente noi abbiamo in questi casi, com- plessivamente però molto rari, una disposizione perfettamente identica a quanto è normale in altri Mammiferi, nei quali il così detto canale temporale o meglio tempero- 35 i ANALI VENOSI IMMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETEOSQUAMOSI 193 parietale è costituito, almeno per una parte del suo decorso, da due semidoccie vòlto l'una vei'so l'altra, di cui una scavata a spese del margine squamoso del parietale, l'altra corrispondente alla sutura petrosquamosa ed, in addietro, alla base dell'osso petroso. Può avvenire eziandio che, V augnili* mastoideus del parietale essendo sosti- tuito da uno o più ossicina fontanellari (asteriche o preasteriche), l'eventuale canale di Verga decorra, come a noi occorse tre volte osservare (2 a D ed 1 a S), nello spes- sore dei tavolati delle ossicina stesse e si apra come di consueto nella parte alta della docciatura per il seno sigmoide, oppure anche all'esterno analogamente a quanto vedremo tosto. In condizioni normali però il canale di Verga del cranio umano decorre realmente solo attraverso all'osso temporale, la sutura fra l'angolo mastoideo del parietale e le parti contigue dell' osso squamoso comparendo all'endocranio ad un livello superiore al canale stesso. Su un'altra particolarità eccezionale di decorso del canale di Verga noi vogliamo ora richiamare l'attenzione. In 3 crani di individui adulti, in 2 dal solo lato destro, in 1 a sinistra, il canale di Verga molto ampio, invece di sboccare alla parte alta del seno sigmoide, si mantiene da questo affatto indipendente, continua il suo decorso in direzione dorsale, si immette fra i due tavolati dell'angolo mastoideo del parietale e si apre all' esterno in corrispondenza della faccia esocranica dell' angolo mastoideo stesso; anche in detti casi noi abbiamo cioè un canale temporoparie- tale, il cui significato tuttavia è diverso da quello sopraccennato, in quanto ripro- duce esattamente il reperto che si può avere in parecchi Mammiferi (Artiodattili, Perissodattili), nei quali alla parte posteriore della faccia esterna dello squamoso e alla porzione inferiore della stessa faccia del parietale possono occorrere dei piccoli forami, dai quali partono canali comunicanti internamente col canale temporale pro- priamente detto (foramina postsquamosa, postparietalia di Cope). Nei tre casi sovrac- cennati in cui esisteva il forame anomalo, che si potrebbe chiamare emissario parietale inferiore, come pure in 2 casi in cui, l'angolo mastoideo essendo sostituito da ossicina fontanellari, il canale di Verga si apre nella sutura fra 1' ossicino posteriore e la squama occipitale, sono tuttavia presenti, per quanto un po' ristretti, i forami emissari mastoidei corrispondenti. In un cranio di donna, di anni 33 (Collez. Criminali, n" 2!)."., assassina), dal lato destro il canale di Verga si comporta come abbiamo accennato ora, e da questo lato si aprono nella sutura occipitomastoidea due ampi emissari mastoidei: a sinistra invece il canale di Verga, molto esile, sì da dar passaggio appena ad una fina setola, si apre all'esterno nella porzione mastoidea del temporale, imme- diatamente al di sotto dell'angolo formato dal margine posteriore della pars squamosa col margine supcriore della pars mastoidea. Un comportamento analogo a quello riscon- trato a sinistra nel caso precedente noi abbiamo riscontrato a destra nel cranio di una bambina di 11 anni (Collez. Normali, n° 23: anni 11), da questo lato però mancava ogni traccia di altro emissario mastoideo. È curioso notare come in quest'ultimo caso fosse bilateralmente presente un ampio canale emissario temporale soprazigomatico ante- riore e all'endocranio un solco petrosquamoso ben evidente, in guisa che con opportune manovre, una setola introdotta dall'emissario soprazigomatico poteva essere condotta prima nel solco petrosquamoso, poi nel canale di Verga ed infine fuoriescire ancora per mezzo del foro del processo mastoideo, senza che si potessero dimostrare comu- nicazioni col seno sigmoideo. Serie II. Tom. LUI. 1!(4 ALFONSO 130VERO — UMBERTO CALAMIDA 36 Tutte le disposizioni sovraccennate presentano un intei'esse morfologico non dubbio in quanto, come vedremo, non sono che l'esatto ritorno a disposizioni facili a riscontrarsi in parecchi ordini di Mammiferi. Relativamente alla ipotesi di Labbé (37) che, nei casi di mancanza del foro mastoideo, potesse esistere un forame temporale molto sviluppato, noi possiamo asse- rire che non esiste alcun rapporto costante fra l'una e l'altra forma, poiché nella massima parte dei 414 casi di emissari squamosi e petrosquamosi da noi riscon- trati in crani completi, quasi costantemente vi ha pure e dal medesimo lato un emissario mastoideo, nel cui calibro però occorrono le variazioni solite negli altri casi. Anzi in parecchi dei casi da noi esaminati, in cui manca da un lato un emis- sario mastoideo visibile, è deficiente pure dal medesimo lato ogni traccia di emissario squamoso o petrosquamoso, mentre eventualmente, dal lato opposto, in parecchi rasi esistono ben sviluppati entrambi : non vi ha cioè tra le due formazioni alcuna cor- relazione evidente. Similmente noi non abbiamo verificato mai, anche nei casi in cui il calibro degli emissari è molto ampio, un rapporto qualsiasi fra l'ampiezza del foro giugulare e l'eventuale emissario : la medesima asserzione possiamo ripetere relativamente all'am- piezza dei fori sfenospinoso , grande rotondo ed ovale, attraverso i quali si scarica pure, in condizioni normali, una certa quantità di sangue dall'interno del cranio. Noi riteniamo tuttavia più probabile che nella fattispecie, anche se non se ne pos- sano trovare traccie nel calibro dei fori predetti, data l'ampiezza rilevante colla quale compaiono abitualmente, nei pochi casi osservati, gli emissari prezigomatici come talune forme di sottozigomatici, la quantità del sangue decorrente nelle vene che accompagnano la seconda e la terza branca del trigemino, le quali hanno tanta importanza nella ontogenesi, come nelle vene satelliti dell'arteria meningea media, possa eventualmente essere diminuita per la presenza degli emissari squamosi: in- vece ci spieghiamo assai bene come per il calibro sempre relativamente minimo degli emissari soprazigomatici e della maggior parte dei sottozigomatici non sia rile- vabile mai un'eventuale diminuzione del calibro del forameli jugulare, il cui calibro, anche quando vi hanno emissari zigomatici (sottozigomatici e soprazigomatici), non si mostra specificatamente diminuito dal lato in cui esiste l'emissario squamoso. Relativamente al seno petrosquamoso abbiamo veduto come Cheatle (S) an- netta al seno stesso una grande importanza anatomo-patologica per la possibilità di trasmissione di processi settici dalla cavità dell' orecchio medio al detto seno, con possibile diffusione conseguente del medesimo processo al seno laterale ed alla pia meninge del lobo temporoparietale. Il Cheatle corrobora le sue osservazioni anatomiche con reperti anatomo-patologici, mediante i quali dimostra che la via di diffusione è data appunto da piccole venuzze, che attraversano dalla cavità del tim- pano il fondo della docciatura per il seno petrosquamoso costituente parte del tetto della cavità medesima, per isboccare nel seno. L'esistenza di tali venuzze è appunto, come afferma Cheatle, affatto costante, facilmente dimostrabile distaccando la dura 31 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 195 madre, per cui il fondo dell' eventuale docciatura petrosquamosa corrispondente al tegmen tympani può presentare uno o parecchi minutissimi forellini di calibro vario, difficilmente però sondabili, i quali danno appunto passaggio alle venuzze predette tributarie del seno petrosquamoso , come anche a fini rami anteriori dipendenza della branca posteriore della arteria meningea media [Giannelli (19) | e destinati alla mucosa della cavità timpanica. Nei cadaveri in cui concomitantemente ad una affezione auricolare purulenta si trova una meningite basilare ed una trombosi limitata esclusivamente al seno petrosquamoso, col seno laterale integro, è più che naturale pensare che il processo infettivo si sia fatto strada direttamente per i vasi sanguigni attraversanti il tegmen, allo stesso modo che, per un'eventuale deiscenza della parete esterna del golfo della vena giugulare interna, in rapporto della por- zione posteriorinferiore della parete interna della cavità del timpano oppure uno spessore assolutamente minimo di tale parete, spiegano la diffusione con relativa trombosi direttamente alla parte alta della giugulare ed al seno sigmoide. Anche gli emissari squamosi potrebbero, a nostro avviso, assumere una certa importanza clinica ed anato mo-patologica : per quanto a noi manchi tuttora una prova obbiettiva convincente, trattandosi tanto più di formazioni anomale, è ammis- sibile che, dato, ad esempio, lo sviluppo di un flemone profondo o di ascessi nella parte alta della regione parotidea, oppure anche di talune forme pericondrali di ascessi del condotto ed un eventuale canale emissario sottozigomatico che può, come abbiamo visto, avere talvolta un calibro di 2-3-4 mm., la venuzza che vi decorre, direttamente, o indirettamente colle vie linfatiche che accompagnano costantemente tali vene, possa rappresentare la possibile, se non sempre facile, via di trasmissione del processo settico all'endocranio. A noi fanno difetto sinora osservazioni sia cli- niche che anatomo-patologiche dalle quali si possa trarre un'affermazione perentoria; enunciamo tuttavia la detta ipotesi, che non pare a noi certo illogica. Abbiamo tralasciato dalla nostra descrizione molte particolarità non direttamente attinenti all'argomento che ci interessa, limitandoci esclusivamente allo studio dei canali venosi emissari. Come tali naturalmente noi non consideriamo parecchi casi di forami occorrenti in punti differenti della squama e dovuti ad usura, a riassor- bimento dei tavolati interno ed esterno della squama stessa, in guisa da risultarne delle comunicazioni più o meno ampie tra la fossa temporale e la cavità craniana: tali riassorbimenti non hanno in realtà alcuna importanza morfologica trattandosi di lesioni di origine prevalentemente patologica. Similmente lasciamo parecchi casi, molto interessanti d'altra parte anche per la rarità, di divisioni anomale della squama temporale per suture complete o non, frontali o sagittali. Piuttosto, mentre dobbiamo ricordare che in tutta la serie dei crani da noi esa- minati non ebbimo mai occasione di imbatterci nel canale attraversante lo spessore dell'apofisi zigomatica dalla sua faccia interna alla esterna quale venne descritto da Giuffrida-Ruggeri (20) come canale, infrazigomatico, prima di accingerci a riferire i risultati delle nostre ricerche sugli altri Mammiferi, desideriamo accennare ad un reperto 196 ALFONSO BOVERO — UMBERTO OALA5I1DA avuto in due crani, in uno dai due lati, in un altro ed in modo molto dimostrativo solo a destra, e che ci pare, per quanto non nuovo, di una eccezionale rarità. In quest'ultimo caso (Gollez. Criminali, n° 47, 5 47 anni, da Torino, suicida — Fig. 14) sulla faccia esterna della squama temporale di destra, verso la parte media della porzione verticale, a 24 nini, sopra la faccia superiore della base del processo zigo- matico esiste un esile forame in forma di fessura (fis), aperta in alto, dalla quale ori- gina superiormente una solcatura superficiale, tosto diramantesi in due branche di- vergenti, risolventisi a loro volta in altre solcature più piccole decorrenti sulla parte alta della squama e sulla porzione inferiore del parietale [satpp). Dal foro stesso ha origine in basso un canale verticale, decorrente per circa 3 cm. nello spessore della squama, immediatamente coperto dal tavolato interno assottigliato, ed aprentesi all'endoeranio in una fessura simile a quella esocranica, e che si continua verso il foramen spinosum in una docciatura presentante i soliti caratteri delle impronte la- sciate dall'", meningea media: la docciatura per questa è tuttavia indipendente dalla precedente e la solcatura della branca posteriore dell'a. meningea incrocia superfi- cialmente, decorrendo ad arco in addietro, il canale scavato nello spessore della squama. È a notarsi inoltre come dalla apertura esocranica del canale squamoso anomalo parta in avanti una sutura abnorme, visibile anche all'endocranio, ove per altro tende a scomparire, lunga 20 mm., leggermente ondulosa, ma in complesso sagittale (Fig. 14 a), la quale raggiunge la sutura squamoso-grande ala a 27 mm. al disopra della sporgenza della cristo infratemporalis: detta sutura rientra evidentemente fra quelle cui abbiamo precedentemente accennato e delle quali non è qui caso di occu- parci piii in disteso. Dal lato sinistro del cranio stesso non vi ha particolarità alcuna che si allontani dalle condizioni normali. In un altro cranio ($ 19 anni) esiste bilateralmente un comportamento analogo; solo l'apertura esocranica è assai più piccola, meno evidente per non dire mancanti il solco temporoparietale esterno, appena percettibili le solcature endocraniche del- l'", meningea media. Per i rapporti della docciatura del favolato interno della squama, la quale fa ito all'apertura endocranica del canale anomalo, col forame spinoso, per i caratteri e per la ubicazione delle solcature esocraniche affatto corrispondenti a quelle note già da molto tempo e descritte ancora recentemente da Ledouble (41 b) come traccia del decorso dell'", temporalis profunda posterior, noi non esitiamo ad affermare che, nei nostri due casi, l'arteria ora nominata, invece d'originarsi, come di solito, direttamente dal tronco della ". maxillaris interna, pi-oveniva dall'", me- ningea media dalla quale si originava nell'interno del cranio. Tale reperto, già descritto da Gkuber (22) in un sol caso e da un solo lato e ricordato in seguito da W. Keause (in ITenle), Poirier, Romiti, ecc., fu pure d'altronde constatato una volta nella Sala dissettoria di questo Istituto direttamente da uno di noi (Bovero) sul cadavere di una giovane donna e dai due lati: un piccolo tronchicino arterioso, assolutamente esile ed originantesi dalla branca posteriore di biforcazione dell'". m< - ningea inedia, raggiungeva a traverso la parte alta della squama la porzioni dorsale della fossa temporale, coperto dalla parte corrispondente del muscolo omonimo: la piccola arteria non potè essere seguita però più in alto della sutura squamoso- parietale. In detto caso per altro esisteva tuttavia, per quanto ridotta, Va. temporalis 39 (ANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 197 profunda posterìor della a. maxillaris interna; quindi al detto ramo anomalo si doveva dare piuttosto il significato di un'", temporalis profunda posterìor accessoria, mentre nei due casi sopracitati, data l'ampiezza del canale osseo e la mancanza assoluta di traccie del solco temporoparietale esterno (Ledouble) nella parte bassa del planum temporale, con ogni probabilità realmente il tronco della «. temporalis profunda posterìor era fornito dall'", meningea media. La disposizione ora descritta è interessante anche per l'argomento generale che stiamo trattando, in quanto non è illogico pensare che la branca o le branche arte- riose anomale, percorrenti dall'interno all'esterno il canale infrasquamoso ed origi- nantisi dall'", meningea media, fossero accompagnate in tutto il loro tragitto da diramazioni venose destinate a portare alle vv. meningee medie, ed eventualmente ad un seno venoso petrosquamoso, il sangue raccolto dalla porzione corrispondente della fossa temporale, in corrispondenza della quale possono comunicare con le vene proprie della regione direttamente tributarie della v. jugularis externa: ne risulte- rebbe cioè in tal guisa ancora una comunicazione speciale tra il sistema venoso en- docraniano e quello extracraniano per mezzo delle vene satelliti di un'«. tempo- ralis profunda posterìor anomala, sia questa direttamente originata dall'", meningea media, oppure rappresenti puramente un ramo accessorio al ramo normale. Per altra parte abbiamo riscontrata una corrispondenza molto evidente al re- perto sopra accennato in alcuni crani di Cercopitecini, nei quali, come vedremo più tardi (Figg. 22, 23), per quanto tale possibilità non sia stata finora a nostra scienza accennata, pare che essa debba occorrere tutt' altro che raramente: qui notiamo solo che, a corroborare la nostra ipotesi, che le vene satelliti dell'arteria anomala pos- sano stabilire una comunicazione tra i sistemi venosi delle due giugulari, sta il fatto che in un Cercocebus fuliginosus dai due lati l'apertura endocranica del canale infra- squamoso anomalo è posta subito lateralmente al seno petrosquamoso essendo conti- nuata verso la sua estremità ventrale e quindi verso la apertura endocranica del- l'ampio emissario petrosquamoso da una ben marcata solcatura. Finalmente anche l'arteria anomala merita per se stessa una speciale atten- zione per il suo possibile significato morfologico, e ciò avuto anche riguardo alla occorrenza diversamente frequente di detta disposizione in specie differenti. Dato il significato filogenetico dell'», meningea media, sul quale uno di noi si è occupato altra volta incidentalmente (3), e le connessioni che si possono verificare nella filogenesi nella fossa cranica media fra i rami dell'", carotis externa e dell'», stapedia con Va. diploètica magna (dell'a. carotis interna) scomparsa in tutti i Mammiferi ad eccezione dei Monotremi, ricordando le diramazioni di quest'arteria ed i rapporti con la squama temporale quali risultano dagli studi di Hyrtl, Hochstetter , Tandler (67, a, b), si potrebbe forse ventilare l'ipotesi se non esista fra i rami arteriosi anomali da noi ricordati e la detta a. diploètica magna o le sue branche alcun rapporto morfologico : rimarrebbe, vale a dire, a ricercare se cioè la porzione extracraniana dell'arteria ano- mala non potrebbe in qualche modo riferirsi ad un'", diploètica (o ad una delle sue diramazioni collaterali), di cui sia andata scomparsa la porzione prossimale e nella quale quindi il sangue abbia assunto una diversa direzione. Questa supposizione avrebbe certo bisogno di essere lumeggiata e svolta assai più diffusamente di quanto 198 AXFONSO BOVEKO — UMBERTO CALAMIDA 40 non sia permesso a noi in questo lavoro: noi non intendiamo perciò di dare alla nostra idea alcun valore all'infuori di quello di una timida ipotesi. Esponiamo ora i reperti avuti da noi negli altri Primati, relativamente ai forami e canali emissari squamosi e petrosquamosi, avvertendo che, per le nozioni contradditorie lasciate da altri ricercatori e per i fatti nuovi messi in luce dalle imstre osservazioni, la descrizione dei reperti stessi risulterà necessariamente più diffusa di quella degli altri ordini di Mammiferi. Fani. Simiidae. — Nelle Scimmie antropomorfe, a quanto risulta dalla lette- ratura, mancherebbero completamente traccie di canali emissari squamosi e petro- squamosi: la loro ricerca avrebbe diffatti dato risultato negativo a Cope (9) per il Gorilla e per il Cimpanzè, a Kopetsch (34) per l'Orang e per il Gorilla, a Cheatle (8) per il Cimpanzè, il Gorilla e l'Orang, a Denker (12) per il Gorilla: il Kopetsch avverte tuttavia che non intende di negare la possibilità della loro occorrenza in altri esemplari. A questo riguardo i risultati delle nostre osservazioni discordano recisamente dai reperti degli altri AA., perchè nel materiale da noi studiato (Istituto Anato- mico e Museo di Anatomia Comparata di Torino) esistono delle traccie non dubbie e, relativamente al numero esiguo di esemplari esaminati, assai più frequenti che non nella nostra specie, di emissari squamosi e petrosquamosi. Per la ubicazione del- l'apertura esocranica degli stessi, data la stretta rassomiglianza dell'osso temporale degli Antropomorfi con quello dell'Uomo, vale la medesima classificazione da noi adottata per quest' ultimo. Avvertiamo che nei pochi esemplari delle varie specie da noi esaminati il foramen jugulare è costantemente molto ampio. Simia Satyrus. — Complessivamente noi abbiamo avuto agio di osservare 6 crani di Orang, tutti però appartenenti ad individui molto giovani (1 dell'Istituto Anatomico, r> del Mus. d'An. Comp.), ed in ognuno di essi noi, per rispetto agli emissari in questione, abbiamo avuto costantemente un reperto positivo. Nel cranio di una 9 juv., di circa 2 anni (Ist. Anat.) (Fig. 19), a destra vi hanno due fori esilissimi, disposti uno avanti all'altro, separati fra di loro da una microscopica trabecola ossea {fszp), situati subito al di sopra dell'inizio della radice lon- gitudinale del processo zigomatico, in corrispondenza di una linea che prolungasse ver- ticalmente in alto l'asse trasversale della fossa mandibularis: entrambi i forami danno passaggio ad una delle setole più fini e mettono in un canale unico, sonda- bile per breve tratto, il quale riesce molto probabilmente ad un foro visibile dal- l'endocranio nella fossa media, a metà circa della sutura petrosquamosa, nel fondo di un'ampia solcatura diretta in senso sagittale, originantesi anteriormente alla estre- mità laterale della fessura sfenosfenoidale e destinata probabilmente a dar ricetto al ramo posteriore dell'», meningea media. Alla detta, apertura endocraniana riesce pure a destra un canale sondabile con una setola, il quale si apre all'esocranio su- bito medialmente ad un ben pronunciato conus articularis {fszm, co), fra questo e la estremità laterale della fissura Glaseri; detto forame, alquanto più ampio degli altri sopradescritti, si prolunga chiaramente sul margine mediale del conus ini iati uri* mediante una superficiale solcatura; in altre parole abbiamo dal lato destro del cranio di questo Orang, ad un tempo due emissari soprazigomatici posteriori ed un emissari') sottozigomatico mediale, confluenti all'endocranio allo stesso punto della 41 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 199 sutura petrosquamosa. A sinistra vi ha un foro pure estremamente esile, posto sulla sporgenza smussa della linea temporalis, nel punto ove questa continuasi col mar- gine esterno dell'apofisi zigomatica, non permeabile però alla più fina delle setole: ad esso corrisponde all'endocranio un'apertura come a destra, alla quale riesce un solco sagittale similare. Negli altri 5 crani di Orang, noi abbiamo trovato costantemente dai due lati un foro circolare sempre molto piccolo (mm. 0,20-0,30), posto alla base del mar- gine mediale del conus articularis, continuantesi in un canale aperto superiormente nel solco per il seno petrosquamoso , talvolta in una fossetta molto approfondata. alla quale in un caso conviene pure, come in quello prima descritto, la docciatura dei vasi meningei medi. La solcatura petrosquamosa può presentarsi anche nel- l'Orang delimitata da labbra frastagliate, talvolta confluenti fra di loro in guisa da essere trasformata tratto tratto in un canale. Quasi costantemente 1' apertura eso- cranica dell'emissario viene prolungata sul margine mediale del conus artici/lari? da una solcatura più o meno manifesta. Anthropopithecus Troglodytes. — Xel cranio di una y juv. di circa 2 anni (Ist. An.). come in un cranio pure giovane del M. d'An. Comp., entrambi con conus articularis relativamente ben pronunciato, non ci venne dato riscontrare traccia in nessuna re- gione della squama di emissari saliamosi o petrosauamosi anomali. Nel solo caso in cui ci è stato concesso di esaminare l'endocranio, abbiamo trovato ben evidente la solcatura per il seno petrosquamoso. Gorilla (3 crani). — Nel cranio di una £ di anni 2 Va circa (Istit. Anat.), medialmente al conus articularis robustamente sviluppato, tra questo e la estremità laterale della scissura di Glaser , vi ha un foro circolare , più ampio a sinistra (mm. 0,35), appena percettibile a destra, dal quale ha origine un canale, permeabile però solo a sinistra ad una setola, diretto verticalmente in alto per riuscire nella fossa media del cranio in rapporto dell'unione del terzo mediale coi due terzi late- rali della sutura petrosquamosa. Il solco per il seno petrosquamoso è superficiale, però più marcato a sinistra e ad esso confluisce pure una solcatura sagittale, meno regolare di quella riscontrata nell'Orang, per i vasi meningei medi. In un altro Gorilla (9, ad.; M. d'Anat. Comp.) esiste bilateralmente, come nel caso precedente, un forellino circolare sottozigomatico mediale, ampio lj2 mill., posto fra la estremità laterale della scissura di Glaser obliterata ed il conus articularis robustamente pronunciato. In un terzo esemplare adulto nessuna traccia di emissari. Hijlobates (5 crani). — In un H. hoolock ad. (Ist. Anat.) con quasi tutte le suture, craniofacciali chiuse, con robusto conus articularis, manca ogni traccia di emissari sottozigomatici o sopra zigomatici ; per contro dal lato destro si riscontra (Fig. 20 fps) nella parte media della fossa infratemporale, 0,5 mm. superiormente alla sporgenza della cresta omonima (ci), a 3 mm. posteriormente alle traccie della sutura squamoso- alisfenoide un foro, emissario prezigomatico superiore, ampio tanto da dar passaggio a una voluminosa setola, il quale conduce in un canale aprentesi nella fossa media in rapporto dell'estremità anteriore della sutura petrosquamosa obliterata, resa evidente da una stretta solcatura per il seno omonimo: questa è relativamente più manifesta ancora dal lato sinistro. L'apertura esocranica del canale emissario di destra è con- 200 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAM1DA 12 tinuata in alto ed in avanti da una solcatura superficiale decorrente sulla parte an- teriore della squama temporale. Detto forame manca completamente a sinistra. In un H. leuciscus (M. d'A. C.) a destra si riscontra un esile forame sul margine laterale del conus artieularis permeabile ad una setola; a sinistra vi ha un forellino più ampio, medialmente allo stesso conus artieularis. In un altro H. sp.? ad., vi ha dai due lati un esilissimo foro circolare, posto alla faccia posteriore del conus artieularis, fra questo e il condotto uditivo osseo. Finalmente in un H. albimana (M. d'A. C.) adulto, come in un H. sp.? giova- nissimo, notevole per la presenza di un preinterparietale unico, manca ogni traccia di emissari temporali squamosi o petrosquamosi. Come si scorge dalla precedente rassegna, occorrono pure nelle Scimmie antro- pomorfe, e con frequenza così grande sì da essere ritenuti in talune specie come costanti (Orang), dei canali emissari temporali squamosi delle varie categorie. Anche negli Antropomorfi, come nell'Uomo, questi occorrono più spesso come emissari squa- mosi sottozigomatici mediali, eccezionalmente come sottozigomatici laterali (H. leuciscus a sinistra), o soprazigomatici posteriori {S. satyrus, Hylobates sp.), oppure ancora come prezigomatici superiori (H. hoolock). La disparità dei nostri reperti da quelli degli altri A A. riconosce forse come causa i criteri meno ristretti da noi seguiti nella diagnosi degli emissari ; certamente la giovane età dei crani di alcune famiglie può avere, per le ragioni addotte per il cranio umano, la sua importanza sulla persi- stenza degli emissari stessi, appunto perchè in tutti gli Antropomorfi pare carattere costante lo sviluppo di un conus artieularis. Relativamente al Cimpanzè, di cui tut- tavia abbiamo esaminati solo 2 crani, noi potremmo giudicando per analogia ai reperti delle altre famiglie far nostro il dubbio espresso da Kopetsch che la man- canza di tali emissari non significa punto che questi possano realmente far difetto, anche se si esaminino delle serie di crani più numerosi di quanto non sia stato ad altri e a noi concesso. Per il numero esiguo dei crani per ciascuna specie e per le ragioni addotte non è lecito a noi stabilire dei paragoni sul grado di frequenza degli emissari stessi nelle singole specie: a noi basta aver fissato perentoriamente la possibile occorrenza degli emissari in questione, anche delle differenti categorie, nei crani dei diversi Antropomorfi. Fam. Cereopithecidae. — Noi sappiamo di già dal minuto esame fatto dalla letteratura come i pareri dei vari AA. relativamente alla esistenza dei canali emissari squamosi e petrosquamosi in questa famiglia di Catarrine siano molto discordanti : ricor- deremo ancora come, mentre Otto (50) avrebbe trovato un piccolo canale temporale nei Cercopiteci e nei Cinocefali, Lusciika (45 a, b) lo ammette nel Macacus cynomolgus, negandolo neW'Inuus ecaudatus. — Cope (9) nega l'esistenza dei forami nel Semnopithecus e nel Gynocephalus, affermando esistere invece un esile postglenoideo nel Macacus. — Anche Lowexstein (44) non ha riscontrato traccie di foramen jugulare spurium in 9 crani di Cercopithecus, 6 di Gynocephalus e 3 di Semnopithecus; esso invece esi- steva in 11 di Inuus. — Kopetsch (34) avrebbe trovato traccie più o meno evidenti dello stesso foramen jugulare spurium fra 3 crani di Semnopithecus, in uno solo (S. priamus), mancanti in 2; su 9 crani di Cercopithecus, 4 volte (( . aethiops, C. sabaeus, 43 I ANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUA3IOSI 201 C. ruber,C. nyctitans); sopra 21 crani di Inuus detto forame mancava completa- mente in 3 soli, esistendo invece bilateralmente in 17 (16 /. cynomolgus, 1 /. neme- strinus), da un solo lato in un I. nemestrinus ; finalmente, sopi-a 14 crani di Gynocephalus, Kopetsch non riscontra il forameli jugulare spurium in 6, esistendo invece bilateralmente in 3 C. babuin, in 3 C. mormon, 1 C, ursinus, 1 C. leucophaeus; in complesso quindi, sopra 47 crani di Cinopitecini, il Kopetsch ha verificato l'esi- stenza degli emissari che ci occupano in 31, vale a dire nei due terzi all'incirca dei casi esaminati: se aggiungiamo i reperti avuti dallo stesso A. nelle Scimmie platirrine e negli Arctopiteci, nei quali il cos'i detto foramen jugulare spurium è costante, pur tenendo calcolo del reperto negativo in 4 crani di Antropomorfi, non si comprende perchè egli affermi recisamente che un foramen jugulare spurium non occorra nei Piteci generalmente, ma solo in via eccezionale; facendo un computo percentuale di tutti i crani esaminati da questo A., risulterebbe invece che detti emissari furono da esso osservati nel 72,6 % dei crani. Cheatle ricorda come nei giovani Macachi sia ben conservata l'apertura ante- riore od esterna del canale temporale, mentre nell'adulto l'apertura è abitualmente chiusa o rudimentale, permanendo invece molto chiaramente la scanalatura petro- squamosa. — Anche Cabibbe (4) ricorda un foro postglenoideo nel Cercopithecus cattitricus. — Infine Fischer descrive, in un suo recentissimo lavoro sullo sviluppo del cranio scimmiesco (14 b), il foramen jugulare spurium già in embrioni relativamente giovani e più precisamente in un embrione di Macacus cynomolgus (25 millim. Vertice-Coccige), in uno di Semnopithecus pruinosus (mm. 47,5 V.-C.) e in uno di S. maurus (mm. 53 V.-C), raffigurandolo anche nei rispettivi modelli, appunto come già 0. Hertwig (27) nel modello (Ziegler) di un embrione umano lungo 8 cm. (V.-C.) Tutti gli AA. sovraccennati però si riferiscono nelle loro descrizioni ad emissari occupanti colla loro apertura esterna una posizione dorsale e mediale ad un tempo al eonus articularis: nessuno accenna a forami di altre categorie (sottozigomatici laterali, sopra- o prezigomatici). Data l'incertezza e la disparità dei giudizi dei vari AA. sopra ricordati, era interessante anche a questo riguardo una ricerca il più possibilmente ampia. Subfam. Semnopithecinae. — Abbiamo esaminati 4 crani del Museo d'A. Coinp. ed 1 dell'Istit. Anat.: è in quest'ultimo (S. entellus, ad.), che si incontrano le dispo- sizioni più complesse ; esiste invero , come del resto anche negli altri Semnopiteci (Fig. 21 co), un conus articularis assai sviluppato sotto forma di una " lamina apo- fisaria appuntata „ (Cabibbe) o di un processo conoide fortemente appiattito in senso anteroposteriore e coll'apice evidentemente ricurvo in avanti e medialmente: in addietro al cono articolare, ma più verso il suo margine mediale, fra questo e la porzione laterale ed anteriore dell' osso timpanico, esiste dai due lati un ampio foro ovalare (fpg), con un massimo diametro di mm. 3,5 disposto quasi frontal- mente: esso ha margini regolari e si apre, dato il minimo spessore dello squamoso, immediatamente all'endocranio con un forame pure ovalare, posto in rapporto della sutura petrosquamosa obliterata, alla unione del terzo mediale coi due terzi late- rali della stessa: dorsalmente all'apertura endocraniana la detta sutura è trasfor- Sekie II. Tom. LUI. a1 202 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 44 mata dapprima in una doccia molto ampia limitata da labbra taglienti, appar- tenenti rispettivamente al margine anteriore del petroso ed al margine inferiore del tavolato interno dello squamoso: poi la docciatura viene trasformata in un canale dall'apposizione del tavolato interno dell'osso parietale alla estremità po- steriore del margine anteriore della piramide, in guisa che si ha qui un canale di Verga, canale temporoparietale , perfettamente corrispondente a quelli ricordati nella nostra specie. Il canale è più lungo a sinistra che a destra, ove per altro la sutura parietopetrosa è per buon tratto scomparsa, rimanendo invece aperta completamente a sinistra: il canale molto ampio (2-3 mm.) si apre posteriormente nella parte alta del solco per il seno sigmoide e questa apertura è come ricoperta da una lamina ossea dipendente dalla parte laterale del margine superiore dell'osso petroso, il quale margine si presenta sotto forma di cresta tagliente molto pronun- ciata e vòlta dorsalmente, per ossificazione del margine corrispondente di attacco del tentorium cerebelli. Alla parte anteriore del contorno dell' apertura endocranica dell'emissario riesce pure in entrambi i lati una fine e superficiale solcatura irrego- larmente oudulosa, la quale decorre però complessivamente in senso sagittale sulla faccia cerebrale della parte inferiore della squama temporalis, poi più in avanti sulla faccia cerebrale àeW'ala magna sphenoidalis e dell'angolo sfenoidale del parietale, sino alla estremità laterale del margine posteriore tagliente del pavimento della fossa cranica anteriore, ove si continua con un canale comunicante con la cavità orbitaria; tale solcatura è evidentemente destinata ai vasi meningei medi: di questi le vene, mancando il foro spinoso , sono tributarie dell' emissario petrosquamoso, le arterie invece originano dall'«. lacrimalis. Dal lato sinistro il fondo della doc- ciatura per i vasi meningei medi presenta, in corrispondenza della sutura squa- mosoalisfenoide , un orificio ovalare ampio 1 min., il quale dà origine ad un breve canale aprentesi all'esterno nella fossa infratemporale, immediatamente al di sopra della cresta omonima, con un altro orificio situato appunto in rapporto della sutura squamosoalisfenoide, essendo tuttavia scavato per maggior parte nella squama temporale. Tale foro, che ha pure il valore di un emissario prezigomatico, manca completa- mente a destra: da questo lato invece ve ne ha un altro scavato (fp) completamente nella porzione posteriore della squama, ad 1 cm. circa posteriormente e superior- mente alla parte alta dell'orificio auditivo esterno, subito al di sotto del prolunga- mento posteriore smusso della linea temporalis, tra questo e la cresta assai pronunciata, che continua in avanti ed in basso sulla squama temporale la linea curva occipitale superiore: tale forellino è ovalare, ampio 1 mm., e conduco in un canale obliquamente diretto in avanti e medialmente per sboccare all'endocranio nella porzione della docciatura per il seno petrosquamoso trasformata in canale: una setola introdotta dall'apertura esterna di questo canalino può con tutta facilità entrare nella cavità craniana e fuoriuscire dall'apertura più ampia posta medialmente e dorsalmente al cono articolare. Riassumendo, nel cranio del nostro S. entellus noi troviamo tre specie di emissari: 1° dai due lati vi ha un canale, che, per la ubicazione della sua apertura esterna, si può classificare come emissario sottozigomatico posteriore, da considerarsi come una varietà dei sottozigomatici mediali, per quanto la sua posizione dorsalmente al cono 45 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 203 articolare sia puramente secondaria al grande e caratteristico sviluppo del cono articolare stesso; 2° dal lato sinistro vi ha un emissario prezigomatico superiore e come tale si può ritenere anche se si apre nella sutura squamosoalisfenoide ; 3° dal lato destro ne esiste invece un altro, che, per la ubicazione della apertura esocranica, noi potremmo chiamare emissario postsquamoso, giusta la denominazione di Cope per altri Mammiferi. Che quest'ultimo, da noi mai riscontrato nell'Uomo, come anche il pre- zigomatico, di cui pure abbiamo trovato non frequenti esempi nell'Uomo e negli An- tropomorfi (Hylobates), abbiano realmente il valore di veri canali emissari è facilmente e chiaramente dimostrato dai rapporti, che ciascuno di essi contrae colle solcature endocraniane lasciate dal seno petrosquamoso e dai vasi meningei medi. Nessuna traccia esiste di forami sottozigomatici laterali. In un cranio di S. obscurus (ad.), come in uno di S. sp. ? mancano invece tutte le traccie delle tre specie di emissari ora descritti : in un altro finalmente (M. d'An. Comp.) esisteva subito medialmente al cono articolare un piccolo forellino circolare del diametro di 1 min. {emissario sottozigomatico mediale). Ancora in questa sottofamiglia il nostro giudizio è riservato per 2 crani di Colobus (C. ursimts e C. guereza) per le condizioni di macerazione non adatte ad un accu- rato esame. Subfam. Cercopithecinae — Noi abbiamo avuto a nostra disposizione un materiale molto abbondante di questa sottofamiglia, e cioè complessivamente 86 crani delle varie specie (Cercopithecus, Cercocebus, Macacus, Oynopithecus, Theropithecus, Papio). Dobbiamo avvertire che le condizioni di macerazione di taluni di questi crani im- pedirono di poterci pronunciare recisamente sulla esistenza o mancanza degli emissari squamosi; come pure è da ricordarsi che solo nella raccolta, però relativamente ricca, dell'Istituto Anatomico di Torino ci fu possibile di esaminare contemporaneamente anche la faccia interna del cranio. Gen. Cercopithecus. — Degli 86 crani della sottofamiglia, 27 appartengono al genere Cercopithecus p. d. e più precisamente 3 C. sabaeus, 1 C. griseoviridis, 1 C. la- landii, 1 C. diana e 21 C. sp.?. Gli emissari squamosi e petrosquamosi, che occor- rono nei Cercopiteci sono di due specie e più precisamente emissari sottozigomatici laterali e sottozigomatici mediali; quest'ultimi sono anche più frequenti, enormemente più ampi comparativamente a quelli laterali, la cui importanza, astrazion fatta dalla loro presenza, è assolutamente minima. Le due categorie di canali, data la maggior frequenza di quelli mediali, occorrono naturalmente nello stesso tempo nel medesimo cranio. In complesso nei Cercopiteci possiamo asserire che, sia nei giovani come negli adulti, i canali petrosquamosi sotto- zigomatici mediali, i quali sono anche gli unici che per la loro ampiezza possono realmente funzionare da emissari, esistono almeno in metà dei casi, avendoli noi trovati presenti dai due lati e con caratteri costantemente identici in 12 casi, solo dal lato destro in un unico caso; ne mancava ogni benché minima traccia in 11, mentre in 3 l' incompleta macerazione e il mancato esame della cavità cranica ci vietano dare un giudizio definitivo. Nei 13 crani di Cercopiteci, in cui noi abbiamo avuto un reperto positivo (1 C. diana, 1 C. lalandii, 10 C. sp.? dai due lati; 1 C. sp.? 204 ALFONSO BOVERO UMBERTO CALAMITA 46 solo a destra), l'emissario petrosquamoso si apre costantemente all'esocranio con una apertura più o meno ampia (da min. 1 a 2,5), circolare nei giovani individui, ridotta ad una fessura allungata in direzione frontale negli individui adulti; la ubicazione di tale apertura è sempre medialmente al cono articolare ben sviluppato, in forma di una lamina appuntita, fortemente schiacciata in senso anteroposteriore, emissario sotto- zigomatico mediale pr. d.\ talvolta, e specie negli individui adulti a completo sviluppo del cono, l'apertura dell'emissario appare situata posteriormente al margine mediale del cono stesso, in guisa da costituire, come nel Semnopithecus, un emissario sotto- zigomatico posteriore; in ogni caso però è in tutta vicinanza della fissura Glaseri dalla cui estremità laterale è separata mediante un sottile ponticello osseo : la sporgenza del cono posto anteriormente e quella dell' osso timpanico situato in addietro pos- sono facilmente mascherare lo sbocco dell'emissario, in guisa da risultare necessario un esame accurato per escluderne la mancanza. Dalla apertura ha origine un breve canale, il quale ha per lo più una direzione alquanto obliqua medialmente ed in avanti e riesce all'endocranio con uno sbocco circolare, ampio generalmente 1 min. circa, posto nella sutura petrosquamosa. Dorsalmente allo sbocco endocranico la sutura petrosquamosa si trasforma in una solcatura per il seno omonimo, solcatura che, allargandosi e facendosi meno marcata in addietro, raggiunge la parte alta del solco per il seno sigmoide. Alla apertura endocranica dell' emissario petrosquamoso arriva pure costante- mente una solcatura sagittale corrispondente ai vasi meningei medi, appunto come abbiamo visto di già nel Semnopithecus. È da notarsi come, anche nei casi in cui manca ogni traccia di canali emissari petrosquamosi dell'uno o dell'altro gruppo, è costante la docciatura per il seno petrosquamoso , continuantesi in avanti con una solcatura più superficiale e ristretta per i vasi meningei medi. Abbiamo osservato parecchie volte una evidente asimmetria nell'ampiezza sia dei canali emissari sotto- zigomatici mediali dei due lati, come della docciatura per il seno petrosquamoso. In tutti i crani di Cercopiteci poi ci è parso che il foramen jugulare sia sempre rela- tivamente ristretto per rispetto all'ampiezza del seno sigmoide corrispondente, onde è logico ammettere che una buona parte del sangue endocraniano sia esportato per mezzo dei seni e plessi venosi vertebrali, come anche probabilmente per mezzo del furo, uni lacerum anterius, a cui arriva, come d'ordinario, il prolungamento anteriore del seno petrosquamoso occupante la porzione della sutura omonima posta ventral- mente allo sbocco dell'eventuale emissario petrosquamoso sottozigomatico mediale. I canali emissari la cui apertura è situata lateralmente al cono articolare non sono stati mai finora ricordati dagli altri AA. nei crani scimmieschi; la loro esistenza è tuttavia indubbia almeno in un terzo dei casi da noi studiati. Infatti si riscontra in corrispondenza del punto in cui il margine laterale del cono , più o meno robusto, va via via allargandosi per confondersi colla faccia inferiore della radice sagittale dell'apofisi zigomatica, immediatamente al di sotto della sporgenza più o meno pro- nunciata di questa radice, un forellino minutissimo, veramente microscopico, sonda- bile mediante uno dei più fini crini di cavallo per lo più solo per breve tratto: tali forellini sono volta a volta doppi da ciascun lato, visibili nettamente solo con una lente, talvolta apparenti solo sotto forma di una leggerissima, appena percettibile in- taccatura dell'estremità basale del margine laterale del cono, continuati tal' altra 47 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOS1 205 verso l'esterno da un'esile docciatura ; e si potrebbe rimanere in forse nell'attribuire ad essi il significato di veri emissari, se noi non avessimo potuto in due casi, e cioè in un Maeacus nemestrinus (ad.) ed in un M. sp. ? (giov., Istit. Anat.) e dai due lati far penetrare nel canale, che fa seguito a tale fine apertura, una esilissima setola: il canale decorre nei due casi quasi orizzontalmente in dentro ed un po' in alto, per riuscire all'endocranio nello stesso punto di sbocco dell'ampio canale sottozigo- matico mediale, nel fondo della estremità anteriore allargata del solco per il seno petrosquamoso. La loro estrema picciolezza spiega perchè difficilmente possano es- sere dimostrati senza un esame molto accurato e spiega pure perchè siano stati finora completamente trascurati : ma nello stesso tempo autorizza la supposizione che il loro ufficio sia pressoché nullo: sarebbe al riguardo assai interessante stu- diare comparativamente la occorrenza degli emissari dei due sottogruppi nei crani fetali per stabilire se in un certo periodo gli uni e gli altri si equivalgano funzio- nalmente. E poiché la concomitanza dei canali dei due gruppi si verifica pure, come vedremo, anche negli altri generi della subfam. Cercopithecinae con i medesimi rap- porti di ampiezza, è d'uopo accennare qui come nei rari casi in cui, nella nostra specie, occorrono dallo stesso lato due emissari che, per la ubicazione della loro apertura esterna, siano da classificarsi rispettivamente come emissari sottozigomatici laterali ed emissari sotto zigomatici mediali, mentre confluiscono all'endocranio in un'unica apertura, si abbia una riproduzione esatta di quanto , con frequenza enormemente maggiore, si verifica nei crani di queste Scimmie. In tutta la serie dei Cercopiteci osservati non ci venne fatto riscontrare inai degli emissari al di sopra od in avanti della apofisi zigomatica. In 2 crani però {Cere, sp.?), una volta dai due lati, un'altra solo a destra, abbiamo constatato nella parte alta delia squama e verso la sua metà, a 3-4 mm. dalla sutura parietosqua- mosa, 1' esistenza di un esilissimo forame in forma di fessura aperta in alto, dalla quale origina un canalino decorrente in basso e medialmente nello spessore della squama ed aprentesi all'interno del cranio in tutta prossimità del punto della sutura petrosquamosa a cui arriva la solcatura per i vasi meningei medi: detto canalino era probabilmente occupato da un ramo della a. meningea media distribuentesi al- l'esocranio come a. temporalis profunda posterior e dalle sue vene satelliti, appunto come abbiamo visto di già nell'Uomo e come vedremo, in modo anche più complicato, nei Cercocebus. Gen. Cercocebus. — In due C. fuliginosus abbiamo avuto dai due lati reperto completamente negativo, per ciò che si riferisce agli emissari sottozigomatici laterali, positivo invece per gli emissari sottozigomatici mediali. L'apertura esocranica di questi è esclusivamente mediale al cono articolare, di forma ovalare, ampia mm. 1,5, situata tra la estremità laterale della scissura di Glaser ed il margine mediale del cono articolare, a ridosso dell'osso timpanico. Il canale che le fa seguito è asso- lutamente breve e si apre all'endocranio, come abbiamo verificato in un esemplare molto interessante (Ist. Anat.), nel fondo del solco petrosquamoso (Fig. 23 eps, sj)s), nel punto in cui la sutura omonima da sagittale si fa obliqua in avanti e medialmente : il solco per il seno petrosquamoso è solo evidente dorsalmente allo sbocco dell'emis- 206 ALFONSO BOVEKO — UMBERTO CALAMIDA 48 savio ed è tuttavia assai ampio, a labbra smusse. All'apertura endocranica dell'emis- sario arriva, come abbiamo di già visto in altri crani di Scimmie, la docciatura diretta sagittalmente, per i vasi meningei medi: vi hanno però differenze rilevanti nei rapporti delle varie parti dai due lati. A destra esiste un foramen spinosum molto ampio (Fig. 23 fs), a cui fa seguito lateralmente una netta solcatura, la quale raggiunge con direzione quasi frontale la solcatura sagittale per i vasi meningei medi. A sinistra invece il foramen spinosum e la corrispondente docciatura mancano completamente; il forameli lacerum anterius è più ampio che a destra, così pure è assai più largo il canale osseo che fa comunicare ventralmente la docciatura per i vasi meningei con la cavità orbitaria sinistra. Le differenze dei due lati sono secondarie alla presenza, pure con alcune diversità a destra ed a sinistra, di canali anomali attraversanti la squama temporale, certamente in relazione con una origine anomala dall'a. meningea media dell'a. temporalis profunda posterior, sulla quale ci siamo per altro già a lungo intrattenuti. A destra sulla superficie esterna dell'osso squamoso, a circa 15 mm. al di sopra della base del processo zigomatico vi hanno (Fig. 22) due forami ovalari in forma di fessura, tagliati molto obbliquamente a spese del tavolato esterno della squama : di questi uno è posteriore, situato lungo una linea, che prolungasse verticalmente in alto l'asse del cono articolare, a mm. 6 dal margine superiore della squama; ed uno è anteriore posto 8 mm. ventralmente al precedente, a 9 mm. dal margine supe- riore della squama, leggermente più ampio di quello posteriore. Detti forami rappre- sentano l'apertura esterna di due canali indipendenti scavati nello spessore della squama stessa, fra loro convergenti in basso e medialmente: dei due canali infra- squamosi infatti l'anteriore (fisa) si apre nella parete esterna della solcatura sagit- tale per i vasi meningei medi, nel punto in cui questa si congiunge con la solcatura ben marcata a direzione frontale, che si inizia al foramen spinosum, in guisa che detto canale pare continui direttamente nello spessore della squama il decorso della solca- tura predetta a direzione frontale. Il canale posteriore invece sbocca all' endocranio 4 mm. più in addietro, subito lateralmente al punto in cui la solcatura sagittale raggiunge lo sbocco superiore dell'emissario sottozigomatico (Fig. 23). Esso nella sua porzione intermedia è, per un tratto di circa 2 mm. (a), scoperto dall'interno del cranio, di modo che i vasi che vi decorrevano erano quivi ricoperti immediatamente dalla dura: poi nella porzione inferiore il canale è di nuovo completo e si apre infine con uno sbocco relativamente assai più ampio ed evidente che non quello ante- riore (fisp). Dal lato sinistro sulla faccia esterna della squama del temporale, a mm. 15 superiormente alla base del processo zigomatico, ad 8 mm. dal margine superiore della squama si ritrova un forame ovalare, più ampio di quelli di destra, per rispetto ai quali occuperebbe anche una posizione intermedia : esso si continua, come gli altri, in un canale decorrente pure in basso e medialmente attraverso la squama tempo- rale: il canalino poi si apre in basso nella fossa media del cranio, alla estremità laterale di una breve docciatura diretta verticalmente, ampia 1 mm., la quale viene a terminare allargandosi nella docciatura sagittale per- i vasi meningei medi (più ampia che a destra), precisamente nel punto ove questa raggiunge l'apertura endo- cranica dell'emissario sottozigomatico mediale. 49 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMoSI 207 Non è più il caso di insistere ancora qui sul significato dei canali infrasquamosi ora descritti : piace a noi far rilevare però come è probabile che a destra esistessero due rami arteriosi {aa. temporali profonde posteriori) originanti da una a. meningea media proveniente, attraverso il foro spinoso molto ampio, direttamente dall'a. mascellare interna, mentre il ramo dato dall'a. lacrimale aveva un'importanza affatto secondaria, disposizione questa che sarebbe, già di per se , cioè indipendentemente dall' ori- gine delle aa. temporali profonde posteriori, anomala nelle Scimmie di questa specie [Tandler (67)]. A sinistra invece l'a. meningea media proveniva con tutta probabilità esclusivamente dall'a. lacrimale, come deporrebbe l'ampiezza del canale scavato fra l'angolo sfenoideo del parietale e le estremità laterali dell' alisfenoide e della pars nrbitalis del frontale, mentre, se pure esisteva, il ramo della a. mascellare interna entrava nel cranio a traverso il foro lacero ed aveva un'importanza secondaria. Per noi poi è specialmente interessante verificare come i rapporti dei canali infrasquamosi sia con le docciature per il seno petrosquamoso e per i vasi meningei medi, sia con l' apertura endocranica dell' emissario sottozigomatico dimostrino chiaramente, ciò che non si poteva asserire recisamente per l'Uomo, che detto emissario adem- pieva parzialmente pure l'ufficio di via di deflusso per le vene satelliti alle aa. tem- porali profonde posteriori abnormemente originate. In un terzo Cercocebus fuliginosus (M. di A. Comp.) il reperto per gli emissari petrosquamosi delle varie categorie fu assolutamente negativo. Gen. Macacus. — I crani delle varie specie di questo genere da noi esaminati sono in numero di 40 e più precisamente 20 Macacus nemestrinus, 6 M. cynomolgus, 4 M. rhesus, 5 M. inuus, e 5 di specie non determinata. Anche nel genere Macacus, come già nel Cercopithecus, esistono degli emissari sottozigomatici nettamente distinguibili per la ubicazione della loro apertura esterna in due sottogruppi. Gli emissari sottozigomatici laterali, posti a ridosso della parte alta del margine laterale del cono articolare, occorrono con frequenza di poco superiore a quella dei Cercopiteci ; sono anche nei Macachi assolutamente microscopici , dif- ficilmente permeabili ad mia finissima setola, precisamente come abbiamo visto prima : solo in un M. nemestrinus ad. (Fig. 24 fszl) ci riusci con opportuni artifici (iniezione di liquido colorato) e da un sol lato a dimostrare la comunicazione del canalino stesso coll'endocranio con uno sbocco comune allemissario sottozigomatico mediale molto più ampio: del resto valgano la descrizione e le considerazioni fatte per i corrispondenti emissari del gen. Cercopithecus. Invece la esistenza degli emissari sottozigomatici mediali va diventando nel Macacus un fatto quasi costante: difatti, esclusi 7 crani (6 di M. nemestrinus ed 1 di M. inuus), nei quali noi non possiamo per le condizioni di macerazione pronunciarci sulla loro esistenza o sulla loro mancanza, noi abbiamo ritrovato detto emissario bilateralmente in 28 crani (6 M. cynomolgus, 9 M. nemestrinus, 4 M. rhesus, 4 M. inuus, 5 M. sp.?): in un cranio di M. nemestrinus il canale emissario esisteva solo dal lato sinistro, in altri 4 della stessa specie invece non siamo riusciti a persuaderci della sua esistenza, avvertendo però che il nostro esame si riferisce solo alla faccia esocranica della corrispondente regione. Anche la posizione dell'apertura esterna dell'emissario è affatto costante e cioè medialmente al cono articolare, oppure subito posteriormente j - ALFONSO BOYEKO — UMBERTO CALAMIDA 50 al margine mediale del cono stesso (Fig. 24 fszm), fra questo e la porzione corri- spondente dell'osso timpanico. La posizione esclusivamente mediale è propria degli individui giovani: coll'accrescimento in larghezza del cono l'apertura dell'emissario appare spostata un po' posteriormente, onde si possono facilmente trovare le varie forme di passaggio: nei giovani l'apertura è relativamente più ampia (2-3 mm), spesso circolare; negli individui adulti invece essa è ovalare, più spesso a mo' di fessura, talvolta mascherata dalla sporgenza del cono e dell'osso timpanico. Tre volte noi abbiamo verificato una evidentissima asimmeti'ia nell' ampiezza dell' apertura stessa da uno all'altro lato, fatto questo che si ripeteva pure all'endocranio nell'ampiezza dell' apertura superiore e del solco per il seno petrosquamoso corrispondente: in 2 crani di M. nemestrinus Y emissario di sinistra aveva un calibro quasi triplo di quello di destra, essendo questo ridotto ad un forellino appena permeabile ad una fine setola; tale asimmetria spiega la possibilità (1 M. nemestrinus) della mancanza completa dell'emissario di un lato. Per ciò che si riferisce alla ubicazione dell'apertura endocranica dell'emissario, come al comportamento del solco per il seno petrosquamoso, il gen. Macacus non differisce punto dagli altri precedentemente studiati della sottofamiglia Cercopithecinae. Il solco per il seno petrosquamoso però, comparativamente a quello del gen. Cerco- pithecus, ci è parso generalmente, nella porzione posta dorsalmente all'apertura endo- cranica dell'emissario, più ampio e più profondo anche negli individui giovani, deli- mitato nei crani di adulti da labbra taglienti : in un cranio di M. cynomolgus dai due lati la porzione posteriore di detta solcatura è trasformata in un ampio e lungo canale, suturandosi fra loro il tavolato interno del parietale e il margine superiore della base della piramide: una disposizione analoga, però assai meno accentuata, esiste a sinistra in un cranio di M. nemestrinus, nel quale una ristretta lamella ossea dipen- dente dal petroso si porta lateralmente a riunirsi col parietale. Le connessioni ed i rapporti delle solcature per i vasi meningei medi, come nei Cercopiteci, dimostrano chiaramente come l'emissario petrosquamoso serva non solo al deflusso del sangue dal seno omonimo, ma anche di quello, o per lo meno di gran parte, delle vene me- ningee medie. Il foramen jugulare come nei precedenti è, relativamente all'ampiezza delle solcature dei seni, considerevolmente ristretto. È infine da accennarsi come in un M. inuus, molto interessante per altre varietà dello scheletro facciale, esiste a sinistra un canalino che dalla parte alta della super- ficie esterna della squama temporale si porta in basso e medialmente nello spessore della squama stessa per terminare nella fossa cranica media: il suo comportamento, come il suo significato, sono perfettamente identici a quelli dei canali già da noi descritti ripetutamente nell'Uomo, nel Cercocebus fuliginosus e nel Cercopithecus. Gen. Cynopithecus, Theropithecus, Papio. — Aggruppiamo assieme i tre generi precedenti perchè il comportamento degli emissari squamosi o petrosquamosi è affatto identico in tutti, come è sostanzialmente simile a quello descritto pei Cercopiteci e pei Macachi. Il nostro esame volge su 3 Cynopithecus nigrescens, 1 Theropithecus gelada, 2 Papio porcarius, 1 P. mormori, 1 P. sphinx, 3 P.hamadryas e 5 Cynopithecus sp.? Anche in questi crani, come in quelli di Cercopiteci e di Macachi, occorrono le due specie di canali emissari sottozigomatici mediali e laterali, gli uni e gli altri coi 51 (ANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 209 soliti caratteri, sia per ciò che si riferisce alla frequenza, come alla loro ampiezza ed importanza. Dei canali sottozigomatici laterali noi accenneremo solamente come siano com- plessivamente più rari di quelli mediali e come la loro presenza non appaia in rela- zione diretta con l'età, potendo essere presenti in crani di individui giovanissimi, come in crani di individui adulti e vecchi. I canali delle due categorie occorrono generalmente dallo stesso lato del medesimo cranio: solo in un Theropithecus yelada, mancando l' emissario sottozigomatico mediale dal lato sinistro , è da questo lato alquanto più ampio che a destra un emissario sottozigomatico laterale, permeabile ad una setola fino alla solcatura per il seno petrosquamoso , ristretto in forma di fessura (Fig. 25 eps). Per contro in un Cynopithecus nigrescens ad., dal lato destro mancando il forame sottozigomatico mediale, manca pure ogni traccia del laterale, mentre a sinistra entrambi sono presenti con gli abituali caratteri. Per il canale emissario sottozigomatico mediale i caratteri sono affatto analoghi a quelli dei generi precedenti : 1' apertura esocranica è posta medialmente al cono articolare sempre robustamente sviluppato, oppure subito in addietro del margine mediale del cono stesso. Tale emissario è presente dai due lati in 2 Cynopithecus nigrescens, in un altro invece manca completamente dal lato destro: in un Theropi- thecus gelada, come in un Cynopithecus sp.? manca invece a sinistra: in tutti gli altri sovra accennati esso esiste bilateralmente, alcune volte più ampio da un lato che dall'altro : nei casi di asimmetria anche la solcatura petrosquamosa corrispon- dente presenta differenze nell'ampiezza da uno all'altro lato. Del resto detto solco offre i soliti caratteri, è costantemente molto marcato, spesso a labbra taglienti. La sua chiusura a costituire un canale occorre abbastanza di raro, avendola constatata, su 16 crani dei vari generi, solo 2 volte e dal lato sinistro e più precisamente in un C. nigrescens (Fig. 25 ci) ed in un P. porcarius; in quest'ultimo la parte coperta dal canale è lunga 12 mm. Riassumendo, per quanto riguarda la subfam. Cercopithecinae noi possiamo asse- rire che gli emissari petrosquamosi occorrono nei vari generi con una frequenza molto maggiore di quanto non sia ammesso dai vari AA., che ci precedettero nello studio di questo argomento. Lasciando in disparte i casi eccezionali di forami anomali della parte alta della squama temporale (Gercocebus, Cercopithecits, Macacus inuus), il cui significato è d'altra parte molto diverso, noi abbiamo potuto vedere come quasi costantemente esistano degli emissari, che si aprono all'esterno in una posizione pure costante nei vari generi, cioè medialmente al cono articolare: abbiamo notato anche come quasi solo a questi si debba, per la loro ampiezza, dare il valore di emissari venosi. Invece ad altri canali aprentisi all' esterno sul margine laterale del cono articolare, straordinariamente piccoli e meno frequenti, pur non negando loro assolu- tamente il valore di emissari, si deve assegnare un' importanza molto secondaria, per quanto, non ostante la loro frequenza (1/3 dei casi), siano stati finora completamente trascurati. Fam. Cébidae. — I reperti dei vari AA. nelle Scimmie platinine sono un po' più concordanti dei risultati riferiti per le catarrine. Tralasciando i cenni di Otto (50) e di Luschka (45 a b), noi vediamo difatti come Cope (9) ammetta nel Cebus Serie II. Tom. LUI. E1 210 ALFONSO BOTERÒ UMBERTO CALAMUIA 52 un foro postglenoide ed uno postparietale, mancando invece ogni traccia di foro nel- ì'Ateles, Callitrix e Mycetes; Lowenstein (44) invece avrebbe riscontrato costantemente dietro la porzione mediale del cono articolare il foramen jugulare spurium in 3 Ateles, 5 Cebus, 3 Mycetes: così pure Kopetsch (34) sopra 6 Mycetes avrebbe trovato il forame» jugulare spurium dietro il robusto cono articolare, molto ampio in 4, appena percettibile in 2; esso esisteva pure nei 3 Ateles e nei 7 Cebus da lui esaminati, vale a dire più o meno pronunciato in tutte le 16 platirrine osservate. Cheatle (8) ne afferma la esistenza nel Cebus e nel Crysotrix, mentre secondo Cabibbe (4) man- cherebbe nel Cebus apella. I nostri reperti confermano essenzialmente i risultati dei differenti AA., allar- gando anzi di molto per certi riguardi le nozioni che si avevano sul numero e sul- l'ubicazione dell'apertura esocranica degli emissari temporali stessi, in quanto si sono sempre considerati quasi esclusivamente come tali solo quelli aprentisi all'esterno caudalmente alla radice sagittale dell'apofisi zigomatica. Subfam. Mycetinae. — I crani di questa sottofamiglia avuti in esame sono 8 : fra essi dobbiamo però escludere un M. flavicauda perchè la condizioni di macera- zione dello stesso impedivano di ben scorgere le regioni corrispondenti allo sbocco degli eventuali emissari. Negli altri 7 (3 Mycetes seniculus niger, 4 M. sp. ?) noi abbiamo trovato due specie di canali emissari venosi temporali e più precisamente da clas- sificarsi rispettivamente come prezigomatici superiori e come sottozigoma fici mediali. Gli emissari prezigomatici superiori sono assolutamente costanti e dai due lati in tutti i 7 crani sovraccennati, in guisa che si può ben asserire che tale ubica- zione, da noi riscontrata come rarissima anomalia nel cranio umano e come occor- renza pure eccezionale in altre Scimmie (Hylobates), costituisce una caratteristica fissa dei Mycetes. Il forame prezigomatico si apre nella porzione della squama, che guarda la fossa infratemporale, essendo situato ad 1-2 mm. (Fig. 26 fps, ci) al disopra della sporgenza della cresta omonima: il calibro di detta apertura varia molto nei diversi esemplari, da un forame ampio mm. 1-1,5 ad un microscopico forellino, che dà passaggio solo ad un fine crine di cavallo (1 M. sp.? ad.). Il calibro può variare anche dai due lati ; a noi occorse infatti di verificare in un .1/. seniculus niger (Fig. 26) che il forame di destra era doppio di quello sinistro; ciò è forse in relazione col fatto che a destra mancava un emissario sottozigomatico mediale, esistente invece a sinistra. L' apertura esocranica prezigomatica può essere anche doppia come in un M. seniculus niger ad. (M. d'An. Comp.) a destra. Ad ogni modo il canale originante da detta apertura si porta in dietro nello spessore della squama e, dopo breve tratto, si apre all' endocranio , sotto forma di una fessura più o meno regolare nel fondo della docciatura per il seno petrosquamoso : nel solo caso in cui noi abbiamo potuto esaminare la cavità craniana {M. seniculus niger ad. ; Ist. Anat.), tale solco era poco pronunciato, a margini smussi, confluente in addietro col solco sigmoide, mentre in avanti, ventralmente allo sbocco dell'emissario prezigomatico, riceve la solcatura sagittale più ristretta per i vasi meningei medi. Gli emissari sottozigomatici mediali sono invece meno costanti ; diffatti fra i 7 casi sovra ricordati, dovendosene ancora escludere uno perchè l'esame è reso impossibile dalla macerazione incompleta, ne manca ogni traccia dai due lati in 1, nel quale 53 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 211 anche i prezigomatici sono pure bilateralmente piccolissimi, esiste solo a sinistra molto piccolo in un altro (M. seniculus niger ad. ; Ist. Anat.), mancando invece a destra. Del resto anche 1' ampiezza di tale emissario negli altri casi è, comparati- vamente a quanto abbiamo riscontrato ad es. nei Cercopiteci, Macachi, Cebidi, Hapa- lidi, assolutamente minima, sì da permettere solo il passaggio di una piccola setola. Essi si aprono all'esterno immediatamente all'indietro del margine mediale, per lo più tagliente, del cono articolare, fra questo e l'osso timpanico in guisa che l'aper- tura stessa può essere mascherata: l'apertura endocranica, corrispondentemente pic- cola, si fa pure, nel solo caso in cui ci è stato possibile l'esame endocranico, in fondo della docciatura per il seno petrosquamoso , a 3 min. dorsalmente all'apertura del- l'emissario prezigomatico. Dobbiamo notare ancora nei Mycetes la forma caratteristica del cono articolare, il quale si presenta come una lamina sempre robustamente sviluppata e fortemente ricurva in avanti ed in basso a mo' di un becco. Nei vari casi non abbiamo potuto verificare l'esistenza di alcun altro emissario squamoso : dato il rapporto fra il calibro dei canali delle due categorie è indubbio che i canali sottozigomatici mediali, per quanto frequenti, giuocano nei Mycetes, comparativamente ai prezigomatici, un ufficio affatto secondario. Subfam. Cebinae. — In 2 crani di Brachyteles tuberifer ed in 1 di Ateles paniscus noi abbiamo riscontrato dai due lati due specie di emissari squamosi; e cioè un' apertura relativamente ampia (1 mm.) posta immediatamente dietro al margine mediale del cono articolare ed inoltre un' altra fine apertura posta nella parte ante- riore della squama subito al di sopra della crista infratemporalìs, in una posizione cioè perfettamente identica a quella del foro analogo descritto nel Mycetes: da questo il foro prezigomatico differisce solamente per la maggiore piccolezza relativa: dei detti 3 crani ci manca 1' esame endocranico, in guisa che nulla possiamo dire rela- tivamente al rapporto dei rispettivi canali emissari col solco per il seno petro- squamoso. Assai diversamente si comportano gli emissari nel gen. Cebus e le differenze si differiscono sia all'ampiezza veramente grande degli emissari sottozigomatici, alla man- canza assoluta di prezigomatici, come alla comparsa quasi costante di altri emissari, da noi riscontrati nelle Scimmie finora solo eccezionalmente (Semnopithecus, Fig. 21), e che chiameremo emissari postsquamosi. In 14 crani di Cebus (6 C. capucinus, 3 C. fatuellus, 5 C. sp. ?) noi abbiamo riscon- trato costantemente dai due lati, in individui giovani come in adulti, immediatamente indietro al margine od alla metà mediale del cono articolare, nell'interstizio triango- lare a base laterale compreso fra la faccia posteriore del cono ed il cercine timpanico, un forame circolare od ovalare, relativamente ampio (2-3 mm.), a margini regolari, che si può ben considerare come un emissario sottozigomatico posteriore, ritenendo naturalmente questi, per le ragioni addotte ripetutamente, come una sottovarietà degli emissari sottozigomatici mediali: talvolta vi ha dai due lati un' evidente asim- metria nell' ampiezza di detta apertura : tal' altra questa è come scavata al fondo di una doccia della faccia posteriore del cono articolare stesso. Date le dimensioni generali del cranio, come degli organi circoscriventi la regione in cui si aprono detti emissari, essi sono i più ampi ed i più regolari di quanti già abbiamo descritto 21 li ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 54 nelle altre famiglie di Scimmie. All'ampia apertura esocranica corrisponde all'endo- cranio un foro pure ugualmente largo, per lo più regolarmente circolare, il quale si apre alla estremità anteriore di un' evidente solcatura petrosquamosa , limitata da due labbra nettamente rilevate: in uno dei crani in cui l'esame della cavità ci fu possibile, tale solcatura è dai due lati, ma per un tratto maggiore a destra, tras- formato in un canale da una spicola ossea che dal petroso si porta lateralmente verso il tavolato interno dell'osso parietale. E interessante notare come in detto caso, da ciascun lato, la docciatura si prolunghi in addietro nettamente marcata oltre 1' estremità superiore del seno sigmoide , sino alla apertura endocranica del foro mastoideo, posta alla parte alta della sutura occipitomastoidea, cioè esattamente all'asterion. Mentre il foro emissario sottozigomatico esiste in tutti i Cebus da noi esami- nati, meno costante per la esistenza come per la ubicazione ci è parso l'emissario postsquamoso. Anzitutto esso manca completamente dai due lati in 2 crani di C. sp. ? ed in un C. capucinus (juv.); in un C. fatuellus manca a sinistra ed è appena per- meabile dal lato destro. Nella maggior parte degli altri casi però (in 7 crani bila- teralmente, in 1- solo a destra) il forame postsquamoso , per lo più regolarmente circolare, ampio mm. 0,5-1,5, si trova situato nella sutura parietotemporale e più precisamente nel punto in cui la sutura parietosquamosa, solo leggermente curva per non dire appianata, si continua con la parietomastoidea, vale a dire nell'angolo ampiamente ottuso delimitato dal margine superiore della squama e da quello della pars mastoidea: esso si troverebbe cioè immediatamente al di sopra dell'estremo po- steriore della linea temporale, in corrispondenza di una retta, che prolungasse verti- calmente in alto l'attacco del corno posteriore del cercine timpanico; in tutti però, per quanto collocato nella sutura, il forame interessa quasi esclusivamente la squama, essendo solo chiuso per brevissimo tratto in alto ed in addietro dal tavolato esterno del parietale. In 2 crani (1 C. fatuellus, 1 C. capucinus) dai due lati il forame pre- detto, invece di trovarsi direttamente nella sutura, è per contro posto subito in avanti di questa, scavato completamente nello spessore della parte alta e posteriore del tavolato esterno della squama, essendo separato dalla sutura mediante un interstizio di mezzo millimetro circa, in guisa che il parietale non entra punto a circoscriverne l'apertura; tale disposizione si verifica pure dal lato destro di un altro C. fatuellus, mentre a sinistra il forame, più ampio, corrisponde al punto in cui confluiscono le suture parietosquamosa e parietomastoidea. In ogni caso tale forame, sia che cor- risponda alla sutura, come alla squama, e specialmente in quest'ultimo caso, ha un calibro sempre minore di quello costante posto dorsalmente al cono articolare: la sua presenza coesiste anche sempre col foro mastoideo più o meno ampio, talvolta in forma di larga fessura, posto a varia altezza della sutura occipitomastoidea o nel margine posteriore della pars mastoidea del temporale. Vi hanno anche talvolta va- riazioni nel calibro del canale dei due lati. Il canale che fa seguito al forame post- squamoso è corrispondentemente ampio, si dirige in avanti ed alquanto medialmente per aprirsi nella parete laterale della porzione posteriore della solcatura per il seno petrosquamoso: nel caso sovra accennato, in cui questa è trasformata in canale, l'apertura endocranica dell'emissario postsquamoso corrisponde appunto alla porzione coperta, ed una grossa setola, introdotta dal foro postsquamoso, imboccando il detto 55 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 213 canale può facilmente fuoriuscire ancora dal cranio attraverso il forame emissario sottozigomatico. Noi vedremo più esagerata ancora tale disposizione nelle Hapalidae. Riassumendo, mentre i gen. Atéles e Bracìujteles per la presenza di un canale prezigomatico concomitante ad uno sottozigomatico mediale si possono avvicinare chiaramente al gen. Mycetes, il gen. Cebus se ne differenzia affatto perchè, concomi- tantemente al sottozigomatico, possiede come carattere quasi costante, non più un emissario prezigomatico, ma bensì un postsquamoso: non è escluso, ciò che potrebbe risultare dall'esame di materiale più abbondante, che anche nel gen. Ateles e Bra- cìujteles possa occorrere un postsquamoso e nei Cebus un prezigomatico: data tut- tavia 1' affinità dei vari generi della detta sottofamiglia , non pare tuttavia inutile accennare al comportamento diverso negli uni e negli altri degli emissari temporali. Subfam. Pithecinae (Brachyrus). Subfam. Nyctipithecinae (Callitrix, Crysotrix). — In un Brachyrus calvus ad. le condizioni di macerazione del cranio non ci permet- tono di pronunciarci sulla esistenza di emissari posteriormente al cono articolare: certamente mancano emissari postsquamosi. Invece in 3 Callitrix ad. esiste dai due lati un foro ovalare, specialmente ampio in 2 crani e dai due lati, esilissimo in un altro sì da permettere appena il pas- saggio ad una fine setola, posto, come nei Cebus, subito dietro il margine mediale del cono articolare. In un cranio solo esiste bilateralmente nella porzione anteriore dell'angolo mastoideo del parietale un esile forellino, che conduce in un canale diretto in avanti verso il solco per il seno petrosquamoso. In 2 crani di Crysotrix sciurea juv. (Ist. Anat.), dietro e medialmente al cono articolare relativamente ben sviluppato, fra questo e l'osso timpanico, vi ha da ambo i lati un forame ovalare. ampio 2 mm. a destra, mm. 1,5 a sinistra, cui corrisponde nella fossa cranica media un'apertura similare situata all'estremità anteriore di una ampia solcatura per il seno petrosquamoso, delimitata da labbra taglienti e comu- nicante dorsalmente colla solcatura sigmoide: tale solcatura, per quanto profonda, è completamente scoperta. Manca ogni traccia di emissari delle altre categorie. Fam. Hapalidae. — Negli Arctopiteci la esistenza degli emissari squamosi è ammessa come carattere costante da tutti gli AA. (Cope, Lòwenstein, Kopetsch, Cheatle, ecc.): quasi tutti però, salvo il Cope (9), che ricorda nell'Hapale un foro postglenoide ed uno postquamoso, si riferiscono solo esclusivamente a! primo di questi. I crani esaminati sono 7 e più precisamente 3 Hajxde jacchus , 1 H. melanura, 1 H. rosolia e 2 H. sp. ? . In tutti i detti crani il comportamento degli emissari è, salvo un'eccezione, perfettamente simile: abbiamo cioè anche qui, come nel gen. Cebus, due specie di canali emissari, cioè emissari sottozig ornatici ed emissari postsquamosi: l'importanza però dei primi è assolutamente secondaria, in genere per la loro ampiezza prevalendo di molto i postsquamosi, mentre nel Cebus occorre il fatto inverso. I forami sottozigomatici sono cioè assolutamente esili, sondabili con estrema difficoltà con una finissima setola, posti subito medialmente al cono articolare ben pronunciato, in un caso solo immediatamente dietro il margine mediale di questo, fra esso e il cercine timpanico: la loro picciolezza ed il fatto di essere collocati in una specie di fessura delimitata dal cono articolare, fortemente appiattito e disposto con la base obliquamente diretta in dentro e dorsalmente, e dall'attacco del corno 214 ALFONSO BOVEKO UMBERTO CALAJIIDA 56 anteriore del cercine timpanico, ne rende la ricerca spesse volte difficilissima. Tali forametti conducono nella fossa cranica media al fondo di una ristretta docciatura decorrente tra la piramide e la squama in addietro e lateralmente. Ventralmente all'apertura endocranica degli emissari sottozigomatici la docciatura si continua con una solcatura superficiale per i vasi meningei medi, medialmente si può seguire tra la piramide e la squama fino al foro lacero anteriore. In addietro, dopo un tragitto di 2-3 min, la docciatura petrosquamosa si trasforma, nei 2 individui da noi esa- minati dall'endocranio, in un canale ugualmente ristretto, il quale riesce alla estre- mità superiore del solco per il seno sigmoide: la parte coperta della solcatura per il seno petrosquamoso è assai più lunga (5-7 mm.) della parte scoperta (2-3 mm .) : in altra parola il canale petrosquamosoparietale è più lungo della porzione disposta semplicemente a doccia, ciò per lo meno nei 2 casi da noi avuti in esame. I forami emissari post squamosi mancano solo bilateralmente nell'i/, rosolia: negli altri 6 crani interessano la parte posteriore della squama temporale, essendo scavati completamente nello spessore di questa, per quanto in 3 casi dai due lati ed in 1 a sinistra il forame si presenti come una intaccatura quasi circolare della porzione posteriore della squama, completata solo per minimo tratto dal margine opposto del tavolato esterno del parietale. In ogni modo tali forametti sono più o meno regolar- mente circolari, imbutiformi, posti immediatamente al di sopra della sporgenza della linea temporale, nell'angolo ottuso aperto in alto determinato dall'incontro di questa con la arista mastoidea, verticalmente al di sopra della parte media del poro acustico esterno: essi sono ampi in media un po' meno di 1 mm. e conducono in un canale lungo 2-3 mm., diretto obliquamente in avanti, in basso e medialmente per riuscire nel fondo della docciatura petrosquamosa subito ventralmente al punto in cui questa si trasforma in canale: la apertura endocranica dell'emissario postsquamoso, rela- tivamente ampia, e quella ristrettissima dell'emissario sottozigomatico mediale distano fra di loro 2 mm.: la porzione della docciatura per il seno petrosquamoso trasformata in canale petrosquamosoparietale è situata affatto dorsalmente all' apertura endo- cranica dell'emissario postsquamoso non solo, ma il suo sbocco posteriore nel solco per il seno sigmoide è situato pure assai dorsalmente (3-4 mm.) dell'apertura eso- cranica del medesimo emissario: data la direzione del canale emissario postsqua- moso e la ristrettezza della parte scoperta della docciatura per il seno petrosqua- moso, una setola introdotta dall'apertura esocranica del primo può, con tutta facilita, cioè senza speciali manovre, quali non si possono compiere nei crani integri, fuori- uscire ancora dal canale emissario sottozigomatico mediale: in questo caso il canale postsquamoso funziona realmente come emissario principale per la fossa cranica media, ufficio che non compete più che molto secondariamente, al canale sottozigomatico. Subord. Lemuridae. — La esistenza degli emissari temporali nelle Prosimmie è ricordata già da Otto (50): Cope (9) afferma che nei gen. Lemur, Chirogaleus e Tarsius vi ha solo un forameli postglenoideum , il quale tuttavia non sarebbe asso- lutamente costante secondo le ricerche di Kopetsch (34): infatti, mentre questo A. descrive appunto dietro il cono articolare un forame emissario molto ampio in 2 Lemur mongoz ed uno finissimo in uno Stenops gracilis, ne ricorda invece la mancanza unilaterale in 1 Nyctkebus tardigradus, compieta in 2 crani di Galeopithecus volans. 57 (ANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQTJAMOSI 215 Anche Cablbbe ricorda un foro postglenoideo voluminoso nel Lemur albifrons e nel- Ylndris brevicaudatus. Disgraziatamente il materiale di cui abbiamo potuto disporre è assai scarso e per di più non completamente utilizzabile per le nostre ricerche: in un cranio di Lemur catta ed in uno di L. albifrons si può bensì escludere la esistenza di forami posti superiormente alla radice sagittale dell'apofisi zigomatica, ma non possiamo tuttavia pronunciarci sulla loro esistenza o mancanza nella regione del cono arti- colare. Invece in un altro L. catta ed in uno L. nìger dai due lati, immediatamente dietro al cono articolare assai robustamente pronunciato, fra questo e l'anello tim- panico, in fondo di una evidente docciatura scavata sulla faccia dorsale del cono stesso, si riscontra un'ampia apertura ovalare (mm. 1-1,5), la quale immette diret- tamente nella cavità craniana; per la posizione quindi si tratterebbe anche in queste due Lemuridi di un emissario sottozigomatico posteriore: nulla possiamo dire sul com- portamento dei solchi vascolari corrispondenti dell'endocranio. Infine in un cranio di Galeopithecus variegatus ad. possiamo con certezza escludere assolutamente ogni traccia di forami emissari. Dato il numero piccolissimo di crani di cui abbiamo potuto usufruire, non ci è naturalmente permesso nelle nostre considerazioni andar oltre alla affermazione che i nostri reperti si accordano in genere con quelli di Kopetsch; parrebbe cioè che gli emissari squamosi sottozigomatici siano costanti nel gen. Lemur, non occorrano invece nel gen. Galeopithecus. Considerando ora in complesso i risultati ottenuti dall'esame diligente dei crani dei Primati relativamente alla occorrenza degli emissari temporali delle varie cate- gorie, noi vediamo come questi vadano aumentando d'importanza quanto più discen- diamo dall'Uomo e dagli Antropomorfi agli Arctopiteci. Anzitutto si può affermare che nelle Scimmie, quando non sono costanti, la loro occorrenza percentuale è pur certamente superiore a quella che noi abbiamo trovato nell'Uomo. Nelle Scimmie infatti generalmente, fatta eccezione del sito di elezione dello sbocco esocranico degli emissari, è piuttosto da considerarsi anomala la loro mancanza che non la loro pre- senza; inoltre nelle varie famiglie va appunto via via pronunciandosi la tendenza ad aumentare non solo il calibro alle singole aperture, e ad assumere per lo più carat- tere di formazioni fisse, ma eziandio la tendenza all'accrescimento del loro numero. Noi sappiamo di già come, salvo la maggior frequenza, negli Antropoidi gli emissari, per quanto più esili relativamente all'Uomo, hanno nella loro sede un com- portamento diremo quasi umano, vale a dire prevalgono i sottozigomatici mediali (Orang, Gorilla), sono invece più rari od affatto eccezionali, appunto come nell'Uomo, i sottozigomatici posteriori (Orang) ed i prezigomatici superiori (Hylobales), gli uni e gli altri affatto corrispondenti a quelli di ugual nome descritti nella nostra specie. Nella fam. Cercopithecidae, i Semnopitecini portano preferibilmente un emissario sotto- zigomatico mediale, comparendo come fatto speciale anche un forame emissario post- squamoso; nei Cercopitecini va gradatamente crescendo l'importanza del sottozigomatico mediale, che occorre nella grandissima maggioranza dei casi, contemporaneamente ad un emissario sottozigomatico laterale di valore tuttavia assolutamente secondario al precedente. 216 ALFONSO BOVEKO — UMBERTO CALAMUIA 58 In parecchi esemplari dei vari generi della fam. Cercopithecidae occorrono poi le traccie di una origine anomala dell'w. temporalis profunda posterior precisamente e certo con frequenza maggiore che nella specie nostra. Nella fam. Cebidae le Mycetinae hanno per caratteristica la esistenza costante di un emissario prezigomaticò superiore e quella, per lo meno frequente, di un emis- sario sottozigomatico mediale, quest'ultimo di importanza un po' secondaria a quella del primo; nelle Cebinae il forame sottozigomatico mediale o posteriore, costante, assume ancora una spiccata prevalenza sul postsquamoso , non costante ma frequen- tissimo. La preponderanza si inverte nella fam. Hapalidae in cui il post squamoso è molto più ampio ed assai più costante che non il sottozigomatico mediale. Come si vede chiaramente, anche a riguardo degli emissari temporali, nelle varie famiglie di Scimmie, ed in modo abbastanza diverso da famiglia a famiglia, si riscon- trano come caratteristiche che si sono rese fisse, per lo più quasi immutabili se si considerano generi affini, delle disposizioni che invece nell'Uomo rappresentano fatti anche puramente eccezionali. Lasciando in disparte gli emissari sottozigomatici la cui corrispondenza per la grande affinità di conformazione della regione nell'Uomo e nelle Scimmie, è troppo ovvia, è in special modo persuasivo il raffronto che si può stabi- lire, ad esempio, fra i forami prezigomatici superiori dell'Uomo, che sappiamo di una estrema rarità, con i prezigomatici costanti dei Mycetes. A questo riguardo ancora noi dobbiamo avvertire che non avremmo veramente trovato nelle Scimmie dei pre- zigomatici inferiori, quali invece abbiamo descritto e raffigurato per l'Uomo: non tenendo calcolo della possibilità che su un materiale più ricco questi ultimi si pos- sano anche ritrovare nelle Scimmie, noi non possiamo però fare a meno di rilevare come la posizione leggermente diversa sopra o sotto la cristo ìnfratemporalis, non possa in realtà avere un gran valore morfologico, tanto più dato il grado diverso con il quale spicca e sporge all'esterno la cresta stessa nell'Uomo e negli altri Pri- mati, in guisa che possiamo ben insistere ancora sulla corrispondenza quasi perfetta del gruppo prezigomatici dell'Uomo coi prezigomatici superiori anomali o normali degli altri Primati. Cosi pure non è meno interessante l'avvicinamento che si può fare fra i post- squamosi aprentesi nelle Hapalidi preferibilmente nella parte posteriore della squama temporale, nei Cebus prevalentemente nella sutura parietosquamosomastoidea, con i rarissimi casi di sbocco esocranico del canale di Verga all'esterno da noi descritti nell'Uomo. Old. CHIROPTERA. La conoscenza degli emissari temporali e della via tenuta dal sangue refluo dalla cavità craniana attraverso al temporale nelle varie famiglie dei Chirotteri ri- monta già ad Otto, il quale dice che la vena giugulare esterna " per foramen quoddam satis amplum in osse temporum post foveam glenoidalem positum, in sinum cerebri trasversum intrat „. Hyrtl (30 a) afferma che in parecchi Chirotteri la base del processo zigomatico presenta una perforazione conducente in un canale, il quale avrebbe parecchie aperture: una corrisponde alla cavità cranica fra la pars petrosa e la squamosa, altre due si troverebbero nella sutura parietosquamosa; il canale 59 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETBOSQUAMOSI 217 quindi decorre per tutta l'altezza della squama e sarebbe destinato ad accogliere il tronco della vena temporale, la quale prende un ramo dal seno petroso. — Cope accenna all'occorrenza di un forame postglenoideo, di un subsquamoso e di uno postsquamoso nel Pteropus, di un postglenoideo, di un postparietale e mastoideo nello Scotophilus, mentre in altri generi esisterebbero solo il postglenoideo ed il postparietale. — Kopetsch in 14 crani di vari generi avrebbe riscontrato dietro la cresta limitante posterior- mente la fossa mandibolare, anteriormente e superiormente all'apertura uditiva esterna, un forameli jugulare spurium pure costante e relativamente ampio. Infine Grosser (21) nei Microchirotteri trova che il foramen jugulare spurium giace immediatamente indietro del cono articolare, avendosi cioè un foramen postglenoideum nel senso di Cope : la vena fuoruscente da questa apertura si immette nello stretto spazio fra il cono e la bulla timpanica. In tale spazio sbocca anche la v. temporalis super- fìcialis, la quale porta essenzialmente il sangue dalle parti superficiali del muscolo tempo- rale: essa attraversa pure la radice dell'arco zigomatico mediante una stretta fine apertura, corrispondente forse, secondo Grosser, ad un foramen supraglenojdale (Cope), non accoglierebbe però nessuna vena cerebrale. Nei Vespertilionidi come nei Rino- lofidi il seno trasverso decorre ventralmente nell'attacco del tentorio, poi si divide in due branche di cui mia giace nell'interno della diploe e quivi avvolge l'a. me- ningea media, mentre l'altra rimane dapprima nello spessore della dura e poi si fa anch'essa diploica raggiungendo, assieme alla precedente, lo sbocco endocranico del- l'emissario temporale: il seno trasverso sarebbe riunito con un fine ramo (s. sig- moidei^) al foramen jugulare rerum. Nei Macrochirotteri la disposizione dei vasi e dei rispettivi canali ossei è, secondo Grosser, alquanto diversa, in quanto il foramen /ligulare spurium sarebbe un po' più piccolo e minore la quantità di sangue espor- tata dall'emissario temporale: vi sarebbe cioè nei Pteropidi un indice come questo, nell'ulteriore accrescimento degli emisferi, possa diventare di nuovo una via sem- plicemente sussidiaria e come possa il comportamento primitivo (deflusso del sangue per il foramen jugulare veruni) ritornare nuovamente in opera : del resto anche nei Pteropidi, parallelamente con il seno trasverso durale, si forma anche un canale diploetico, il quale porta però solo il sangue delle vene temporali profonde, come dall'osso, non rappresentando punto un mezzo di riunione con le vene cerebrali. Per la storia dello sviluppo Grosser conferma nei Chirotteri la cronologia delle varie disposizioni successive del sistema venoso, già descritte da Salzer, e dalle quali risulta che la porzione ventrale del seno trasverso, come lo stabilirsi dell'emissario temporale, appartengono ad un periodo relativamente tardivo dello sviluppo. Noi non possiamo aggiungere gran che di nuovo sull'argomento e ciò per pa- recchie ragioni, fra le quali principali sono la mole molto piccola dei crani dei Chirot- teri da noi esaminati, che rende i procedimenti di macerazione e l'esame naturalmente molto difficili, come pure l'aver dovuto restringere esclusivamente sui crani il nostro studio, essendo d'altra parte il sistema vascolare già classicamente compulsato da Grosser. Le nostre osservazioni vertono esclusivamente sui Microchirotteri, e più pre- cisamente sul Vespertilio murinus (9 cr.), Vesperugo noctula (4 cr.), Plecotus auritus (3 cr.), Binolophus ferrum equitanti (6 cr.), i cui crani furono da uno di noi (Boterò) appositamente preparati. Diciamo subito che vi ha un comportamento dei canali, che ci occupano, fondamentalmente identico nei vari generi esaminati. Sebi» IL Tom. LUI. cl 218 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 60 Esaminando con una lente la regione temporale del cranio di Binolophus e di Plecotus si scorge abbastanza facilmente come sulla faccia dorsale di una crestolina ossea, disposta in direzione frontale e rappresentante il cono articolare, in prossi- mità del punto di attacco del cono stesso, cioè verso la sua base, si nota un forel- lino regolarmente circolare, ampio da mm. 0,2-0,1, che guarda immediatamente all'in- dietro: da questo ha origine un brevissimo canale, il quale attraversa obliquamente diretto in alto, in avanti e medialmente la parte inferiore della squama temporale per aprirsi all'endocranio nella parte più bassa della fossa cranica media in corrispon- denza della sutura petrosquamosa: tale forellino per la sua posizione è nettamente anteriore all'apertura uditiva esterna, non solo, ma per rispetto a un piano frontale, appare situato subito lateralmente al contorno anteriore dell'apertura stessa. Nei crani ben macerati esso è chiaramente visibile nella porzione descritta anche ad occhio nudo. Nell'interstizio molto ristretto limitato dalla faccia posteriore del cono arti- colare in avanti, dalla cresta tagliente rappresentante la linea temporale in alto e lateralmente, dal contorno anteriore della bulla tympanica in dietro e medialmente, in una posizione alquanto superiore e dorsale per rispetto al forame precedente- mente descritto, vi ha ancora un altro minutissimo forellino costante, assai più pic- colo del precedente, mascherato per lo più dalla sporgenza della crista temporalis, sulla cui faccia inferiore è continuato verso il forame precedente da una fine ma ben marcata docciatura: da tale forametto ha origine un canale difficilmente sondabile, il quale corre quasi verticalmente in alto ed un po' in addietro nello spessore della squama temporale, poi fra i due tavolati del parietale: la presenza di questo canale diploico è avvertibile già all'ispezione esterna del cranio mediante una lente come una rilevatezza rugosa della superficie, e può presentarsi anche, specie nella sua por- zione inferiore, immediatamente al di sopra della linea temporale, parzialmente aperto all'esterno; detto canalino si divide e si suddivide frammezzo ai due tavolati del parietale, ciò che è avvertibile anche alla ispezione macroscopica, e in qualche caso pare anzi che esso giunga fino a livello della sutura sagittale e più precisamente giunga alla docciatura per il seno corrispondente: una setolina introdotta per l'aper- tura inferiore del canalino può anche riuscire nella cavità craniana per una soluzione di continuo del tavolato interno, analoga a quelle facili a riscontrarsi all'esocranio immediatamente al di sopra della linea temporale. Nel Vespertillo murinus come nel Vespertino noctula le difficoltà dell'esame aumen- tano ancora di più per la piccolezza dei crani: in questi la sporgenza della cresta limitante in addietro la fossa articolare è, anche relativamente, assai meno pronun- ciata e l'interstizio fra la bulla, il conus e la linea temporalis è, sia pure relativamente, assai più ristretto. Tuttavia usando i debiti artifici si può verificare che anche in questi vi ha sulla faccia posteriore del cono, in una posizione relativamente più affondata che non nel Binolophus e nel Plecotus, e cioè in tutta prossimità del mar- gine mediale del cono stesso, una finissima apertura colla massima difficoltà sonda- bile per mezzo di una minuta setola; ad essa fa seguito un canalino diretto in alto, in avanti e medialmente, appunto come negli altri prima studiati. Il canale diploico poi si apre, come nel Binolophus, in addietro e lateralmente al precedente e pare che il suo sbocco, comparativamente al calibro di quello anteriore, sia più ampio che nel Binolophus: una setola introdotta in detto canale diploico penetra costantemente 61 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI L'I'.I nella cavità eraniana nella sutura parietosquamosa, essendo però continuato in alto sul tavolato interno del parietale da una evidente docciatura ramificata in guisa da ricordare quella dei vasi meningei medi. Senza dilungarci oltremodo nella discussione e nella interpretazione delle partico- larità ora descritte, noi crediamo che solo al canale aprentesi sulla faccia dorsale del cono articolare in prossimità della sua base si debba dare il significato di un vero forame emissario nel significato che abitualmente si dà a questa parola; come risulta dalle ricerche di Grosser esso rappresenta precisamente la via tenuta dalla porzione ventrale del sinus transversus per continuarsi con la v. jugularis externa, e noi sappiamo come appunto per questa via decorra la massima parte del sangue refluo del cervello per ritornare al cuore. Analogamente ad Hyrtl invece noi crediamo che al secondo canale da noi descritto si debba dare piuttosto il significato di un canale diploico, destinato ad allogare una vena tributaria della giugulare esterna appena questa si è originata all'apertura esterna del forame sottozigomatico di cui abbiamo prima parlato: o per lo meno detto canale diploico potrà servire come emis- sario solo secondariamente, in quanto anche le vene della dura parietale possono imboccare i tronchi venosi che vi sono contenuti: oppure anche perchè questi (specie nel Rinolophus) possono parzialmente rappresentare una via più diretta di deflusso alla jugularis externa del sangue del sinus sagittalis. Ad ogni modo, a parte le scoperture del canale diploico, più evidenti e più frequenti nel Riuoloplius che nei Vespertilionidi, dobbiamo notare che quasi costante- mente in questi ultimi, oltre ai forami precedentemente descritti, occorre da ciascun lato un ampio forame ovalare di min. 0,6-0,3, aprentesi nella parte posteriore della squama temporale, indietro dell'apertura uditiva esterna, immediatamente al di sopra ed in avanti del punto ove la linea temporalis si continua con la crista occipitalis: tale forame, che può eventualmente anche essere in parte circoscritto dal margine inferiore del parietale è, paragonato ad entrambi i fori sottozigomatici, molto ampio e mette nell interno del cranio nel punto ove dalla porzione ventrale del solco per il sinus transwrsus si distacca la tenue e poco pronunciata docciatura per il sinus sigmoideus (Grosser). Anche nei Vespertilionidi però il foro postsquamoso può eccezionalmente mancare da uno o dai due lati. Nel Rinolophus e nel Plecotus invece ne è eccezionale la presenza: del resto negli uni come negli altri vi ha pure costantemente un emissario mastoideo, per lo più abbastanza ampio, circolare od ovalare, o in forma di fessura posta nella sutura occipitotemporale. Concludendo quindi è normale nelle varie famiglie di Chirotteri la esistenza di un ridiale emissario sottozigomatico laterale, attraverso cui si scarica il sinus trans- iger sus: a quest'ufficio può essere secondariamente devoluto un canalino più ristretto ma pure costante, decorrente nella diploe della squama temporale e del parietale; infine nei Vespertilionidi vi ha pure come carattere fisso, nei Rinolofidi come ecce- zione, un canale emissario postsquamoso. Ord. TNSECTIVORA. Vari accenni ai canali e forami emissari temporali in quest'ordine occorrono in Otto (59), Rathke (55), Luschka (45) e Cope (9): quest'ultimo descrive un forame postsquamoso nei gen. Blarina, Condyhira, Scalops, un postglenoideo ed un postsqua- 220 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 62 moso m\V Erinaceus e nel Mystomys (dalle figure di Allman), un postglenoide, un post- parietale ed un mastoideo nel Centetes, un postglenoideo ed un postparietale nel Solenodon (dalle fig. di Peter). Kopetsch (3) in 6 crani di Erinaceus avrebbe trovato sotto la radice del pro- cesso zigomatico, tra la squama e la piramide, un' apertura discretamente ampia, entro la quale può penetrare verticalmente attraverso il cranio una setola: assieme a tale forame ne esisterebbe ancbe un altro tra la squama ed il parietale o nello spessore della squama stessa, dal quale la setola introdotta direttamente dal forame sottozigomatico può ancora riuscire all'esterno. Kopetsch ritiene l'apertura inferiore come forumai jugulare spurium, la superiore invece servirebbe all'ingresso nel cranio di una vena destinata a portare il sangue refluo dai tegumenti. Nei Soricidi tale A. descrive poi un' apertura capillare posta medialmente ad un cono articolare ben sviluppato. Nelle Talpidae infine dietro alla superficie articolare, sopra e medial- mente all'apertura uditiva esterna, esisterebbe un esile forame da cui prenderebbe origine un canale diretto in addietro fino al solco trasverso : oltre a questo Kopetsch descrive un' altra apertura più ampia posta dietro al canale uditivo esterno, la quale conduce pure nel cranio: a quest'ultimo forame pare si riferisca eziandio Fischer (1 la) e nella descrizione e nella figura, trattando appunto del forame» jugulare spurium in embrioni di Talpa a vario stadio di sviluppo, nei quali l'A. studia col metodo delle ricostruzioni lo sviluppo del cranio primordiale. Fra gli Insettivori noi abbiamo preso in considerazione della famiglia Erina- ceidae 6 crani di Erinaceus europaeus , della famiglia Talpidae 5 crani di Talpa europaea, macerati da uno di noi (Bovero). Fani. Erinaceidae. — Neil' Erinaceus europaeus la superficie inferiore della base dell'apofisi zigomatica si presenta relativamente molto allargata, limitata poste- riormente da un leggero rialzo apofisario, che si sutura direttamente col suo mar- gine laterale alla porzione mastoidea del temporale, coprendo le due porzioni ossee disposte medialmente a doccia il condotto uditivo esterno. Subito medialmente alla crestolina predetta, rappresentante il cono articolare, si riscontra costantemente una ampia fessura ovalare, col massimo diametro di 2 mm. disposto frontalmente, con un diametro minore di mm. 0,5-1 : tale fessura, forame sottozùjomatico mediale, si pre- senta essenzialmente come una incisura del margine posteriore della fossa mandibolare, completata in addietro dall'osso petroso, in guisa che detta fessura potrebbe apparire come un allargamento localizzato della sutura petrosquamosa ; la porzione timpanica poi sovrappassandola in addietro tende a mascherarla più o meno completamente. Essa, dato il minimo spessore dalla squama, si apre immediatamente nella cavità craniana in fondo di una escavazione a margini irregolari, posta nella porzione laterale della sutura petrosquamosa, escavazione alla quale convengono pure parecchi altri canali. di calibro però tuttavia assai minore. Uno di questi si apre all'esterno nella sutura parietosquamosa, con un forame in forma di fessura, ampia si da dar passaggio ad una grossa setola, fessura però che è scavata completamente nello spessore della squama, mentre il margine infe- riore del parietale non fa che chiuderla medialmente, costituendo anche la parete mediale del canale che da essa ha origino: in due casi però l'apertura predetta fri CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PBTROSQUAMOSI 221 era localizzata completamento nello spessore della squama temporale. Dobbiamo avvertire che, anche nei casi in cui detto forame è situato nella sutura squamoso- parietale, la squama temporale presentando per delimitarlo una profonda incisura ed essendo quindi molto bassa, esso non dista che di 1 mm. circa dalla estremità posteriore del margine superiore più o meno smusso dell'apofisi zigomatica, in guisa che esso si può ben considerare come un forami soprazigomatico. Da questo ha ori- gine un canale diretto verticalmente in basso, o interamente nello spessore della squama, oppure nella sutura squamosa per raggiungere la parte laterale e superiore della incavatura visibile dall'endocranio fra la porzione squamosa e petrosa del tem- porale, il cui fondo è rappresentato dall'apertura endocranica del canale sottozigoma- tico mediale. Una setola introdotta dal forame soprazigomatico fuoriesce colla mas- sima facilità dal forame sottozigomatico mediale, mentre è assai difficile far seguire alla setola la direzione inversa. In tutti i crani da noi esaminati sulla superficie esterna del processo zigomatico, immediatamente in avanti e superiormente al punto in cui il margine inferiore della base si continua colla cresta poco pronunciata rappresentante il cono artico- lare, esiste un forellino microscopico, per lo più perfettamente circolare, in cui tut- tavia può entrare nella maggioranza dei casi una finissima setola; da esso ha origine un canale diretto orizzontalmente in dentro, attraversante cioè in direzione frontale tutto lo spessore della squama, per riuscire nella parete laterale della esca- vazione sopra descritta fra l'apertura del canale soprazigomatico e quella del canale sottozigomatico. In un caso e da un solo lato l'apertura di questo canale, che noi potremmo chiamare per i rapporti che contrae col cono articolare forame sottozi- gomatico laterale, era spostata assai più in addietro del cono articolare, immediata- mente in avanti della sutura squamosomastoidea rilevata a cresta, in guisa da meritare il nome di forame postsquamoso. Inoltre, in quasi tutti gli esemplari esaminati, nella parte alta della porzione mastoidea del temporale, subito dorsalmente alla sutura squamosomastoidea si riscontra un ampio forame pure permeabile ad una grossa setola, il quale conduce in un canale diretto orizzontalmente in avanti ed aprentesi nella parete posteriore della escavazione descritta nella fossa media fra l'osso petroso e l'osso squamoso: anche per questo forame mastoideo osserviamo che una setola, che vi sia introdotta, può fuoriescire con facilità dal forame sottozigomatico mediale. Finalmente dobbiamo avvertire ancora che in alcuni casi la porzione del solco trasverso immediatamente sovrastante al confluente dei vari canali nella fossa media può essere trasformata in un canale completo, canale parietopetroso : in ogni caso è interessante ricordare come nell'i?, europaeus sia caratteristica la molteplicità dei canali emissari temporali, con spiccata prevalenza per il calibro del canale sottozigomatico mediale: verrebbero poi per importanza il canale mastoideo ed il soprazigomatico [sopra- squamoso di Cope) ; infine, per quanto assolutamente esile, è costante un canalino sotto- zigomatico laterale: cos'i pure è caratteristica la confluenza dei vari canali in un medesimo punto della fossa cranica media, il qual fatto dimostra che il canale sottozigomatico mediale, appunto per il suo calibro maggiore, rappresenta la via di deflusso collettrice del sangue decorrente negli altri canali. Per il canale soprazigo- matico, astraendo da ogni possibile via arteriosa che vi decorra dalla cavità cranica 222 ALFONSO BOVEKO — UMBERTO CALAMIDA 64 all'esterno, è probabilmente vera l'osservazione di Kopetsch, che sia destinato ad una vena raccogliente il sangue degli involucri cutanei : questa, come pure la vena decor- rente nel canale mastoideo, probabilmente funzionano da emissari solo in via affatto secondaria. Fam. Talpidae. — Assai diverso è il comportamento dei canali emissari nella Talpa, per la quale vale completamente la descrizione data da Kopetsch. Manca com- pletamente un cono articolare ; subito all'indietro ed in basso della superficie articolare, a distanza di mm. 1,5-2 dalla faccia inferiore della base dell'apofisi zigomatica estre- mamente esile, superiormente e medialmente all'apertura uditiva esterna assai spostata in basso, si riscontra una finissima apertura, la quale si continua in un canale scavato esclusivamente nello spessore della squama, decorrente orizzontalmente in dietro, de- cussando perciò la parete superiore del condotto uditivo esterno nella sua porzione laterale, per aprirsi, dopo un decorso da 2 a '■'< mm., nella fossa cranica media in fondo di una docciatura più o meno evidente posta nella sutura petrosquamosa. Questa docciatura continua a sua volta la direzione dorsale del canale sopra descritto e, a livello della estremità posteriore della sutura petrosquamosa, si continua ancora in un canale aprentesi all'esterno con una apertura ampia per lo più 1 mm., circolare od ovalare, posta nella porzione posteriore della pars mastoidea in tutta prossimità della sutura temporooccipitale : una setola introdotta dal forame prima descritto (per la posizione corrisponde ad un sottozigomatico laterale), assai più esile del forame mastoideo, che fu ritenuto da Rathke e Luschka come foramen jugulare spurium, può colla massima facilità fuoriescire posteriormente attraverso quest'ultimo; così pure si verifica il fatto inverso. Data la diversa ampiezza dei due canali è probabile che la principale via di deflusso sia rappresentata appunto dal canale mastoideo. È a notarsi come in crani di individui presumibilmente vecchi il solco petro- squamoso sia in gran parte trasformato in un canale completo, rimanendo coperto solo per un tratto di mm. 0,5-1. Ord. CARNIVORA. E inutile riportiamo qua ancora una volta i reperti avuti dai vari A A. sopra l'esistenza dei canali emissari nelle diverse famiglie di Carnivori, avendo già rile- vato dall'esame della letteratura, come quasi tutti gli AA. [Otto (50), Rathke (55), Verga (72), Luschka (ihab), Flower (15), Ellenberger e Baum (13o), ecc.] ritengano come carattere costante nella fam. Canidae la esistenza di un ampio forame posto immediatamente all'indietro del conus articidaris potentemente sviluppato. Il medesimo reperto è dato come caratteristico pure delle fam. Mustelidae, Vìver ridae e Ursidae (Otto, Rathke, Flower) : al contrario tale caratteristica farebbe difetto, come nel- l'Uomo, nella fam. Felidae (Luschka, Flower, Denker (12«)), o per lo meno esiste- rebbe solo negli individui molto giovani (Otto). Cope (!),' afferma che nei Carnivori i forami sono pochi di numero e assai bene definiti, nessuno di essi ne avrebbe più di 3, mentre nelle forme specializzate terrestri od acquatiche non ve ne sarebbe traccia: così esisterebbe solamente un forame post- glenoide nei gen. Procyon, Nasua, Bassaris, Canis, Vulpes, Urocyon, Viverra, Mustela, Putorius e Mephitis; nei gen. Ursus, Arcboiherium, Hyaenodon, Enhydrocyon, Temnocyon 65 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETBOSQUAMOS] ed altri, esisterebbe, accanto al forame postglenoide, un forame postparietale e in taluni anche un forame mastoideo: tra i Felidi il Gatto avrebbe talvolta un forame postglenoide; ne mancherebbero completamente i gen. Hyaena, lincia, Cynadurus. Kopetsch (34) ha trovato che, su 192 crani di quest'ordine. 150 posseggono un forame»! juguìare spurium, solo 42 ne mancano affatto. Il forame giugulare spurio venne da questo A. trovato costante nei crani delle fam. Canidae (81), Viverridae (10) ed Ursidae (16), eccezionale ne sarebbe la mancanza nelle fam. Mustelìdae (su 45 man- cava solo in 3) : invece ne sarebbe rarissima (1 su 37) la presenza nelle fam. Felidae, costante la mancanza nella fam. Ryaenidae (3). Le nostre ricerche confermano in generale, completandoli, i reperti avuti da questo A.; per alcune famiglie tuttavia, specialmente per il Gatto, i nostri risultati sono affatto diversi. Fam. Canidae. — Noi abbiamo esaminato in complesso 89 crani di questa fa- miglia, e cioè 30 di Canis familiaris di varie razze e delle età più disparate. 27 di C. lupus, 1 di Lupulus mesomelas, 1 di Lupus magellanicus , 4 di C. Azarae, 24 di Vulpes vulgaris di provenienze diverse. 2 di C. lagopus. Possiamo nella descrizione dei reperti delle varie specie riferirci completamente a quanto occorre nel Cane, ap- punto perchè, salvo leggere differenze, il comportamento dei canali che stiamo stu- diando è perfettamente analogo in tutti. Nel C. familiaris, come nelle altre specie sovraccennate, il processus articu- laris posterior o conus articularis è costantemente molto sviluppato sotto forma di " una robusta apofisi a faccia inferiore concava, posteriore convessa, margine esterno più lungo dell'interno, base spessa ed apice arrotondato „ [Cabibbe (4)] ; l'apice più o meno tagliente è costantemente rivolto in avanti a mo' di un becco. Sulla faccia dorsale del cono articolare (Fig. 27 co), più verso il margine mediale di tale processo che non verso quello laterale, nell'interstizio delimitato anteriormente da detta faccia del cono, in alto e lateralmente dalla faccia inferiore della linea temporale disposta sotto forma di una pronunciatissima cresta, in addietro e medialmente dall'attacco dell'osso timpanico, alla estremità superiore di una docciatura fortemente scavata nella faccia dorsale del cono e diretta verticalmente, si riscontra un'ampia apertura che per la continuazione colla docciatura predetta appare ovalare e per la ubicazione è da ritenersi come un foro sottozigomatico 'posteriore molto ampio (fpg)- Tale apertura può essere più o meno ricoperta o mascherata, specialmente nei crani di individui molto avanzati in età, dalla sporgenza del margine ricurvo in avanti dell'osso timpanico. La docciatura verticale (Fig. 27 a), scavata sulla faccia dorsale del cono artico- lare, va via via affievolendosi e scomparendo verso 1' apice del cono stesso ed è nella massima parte dei casi rivolta direttamente indietro; qualche volta, special- mente nelle razze pure od incrociate a cranio relativamente largo, essa può essere aperta in dietro, in basso e un po' lateralmente, come pure pare che, essendo l'aper- tura inferiore del canale sottozigomatico spostata alquanto in alto e dorsalmente per rispetto all'apertura del condotto uditivo esterno, la docciatura si mantenga non più verticale, ma fortemente curva in alto ed in addietro : per queste disposizioni il forame sottozigomatico sembra, a parità di condizioni, più ampio che non negli altri casi. 22 1 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 66 Per seguire l'ulteriore decorso del canale temporale è necessario, come osserva Kopbtsch (34), di esaminare un cranio aperto, o meglio ancora le varie porzioni dell'osso temporale isolate. Si scorge allora che il canale predetto attraversa obli- quamente dal basso in alto, volgendosi anche dorsalmente, la porzione inferiore della squama del temporale per aprirsi superiormente fra l'osso petroso ed il tavo- lato interno dell'osso parietale in prossimità della estremità laterale dello spigolo superiore della piramide: il canale presenta costantemente un calibro molto ampio, abbastanza costante entro certi limiti anche per crani di volume molto diverso, da 2 mm. a 3-4-5 min., il qual fatto fa sì che il canale appare relativamente più ampio nei crani piccoli: esso nella sua porzione inferiore è esclusivamente circoscritto dal- l'osso petroso e dallo squamoso, è cioè esclusivamente un canalis temporalis; più in alto invece, mentre la sua parete laterale è formata dalla parte superiore della squama, la sua parete superiore è costituita dall'apposizione del tavolato interno del parietale al margine opposto della piramide, si trasforma cioè in canalis temporo- parietalis. Alla apertura endocranica (Fig. 28) fa seguito dorsalmente il solco molto affondato per il sinus transversus, il quale dalla faccia interna dello squamoso passa sulla faccia interna dell'angolo mastoideo del parietale per immettersi in seguito, in rapporto della faccia cerebrale della squama occipitale, fra le due lamine del ten- torium cerebelli ossificato. Data la grande ampiezza del canalis temporalis (et) ci si spiega molto facilmente come, ciò che appunto avviene, la massima parte del sangue venoso della cavità craniana defluisca alla v. jugularis externa attraverso il canale descritto. Nel Cane, come nel Lupo e nella Volpe, il comportamento di questo canale nel suo decorso, come nella apertura endocranica e nei suoi rapporti con il solco per il sinus transversus, è perfettamente identico. Negli uni come negli altri possono occor- rere delle piccole differenze individuali, o anche dipendenti dall'età del soggetto che si esamina, nella lunghezza relativa del canale, occorrendo talvolta specie nei sog- getti giovani di riscontrarne l'apertura superiore molto spostata in avanti quasi per- pendicolarmente al di sopra dell'apertura inferiore : il canale in questi casi è esclu- sivamente un canalis temporalis ed il sulcus transversus si presenta relativamente più lungo per una non effettuata apposizione o sinostosi del tavolato interno dell'osso parietale col margine opposto dell'osso petroso. Altre volte invece il sulcus trans- versus è assai breve arrivando il canale temporale precisamente sino a ridosso della estremità laterale dello spigolo superiore della piramide, od anche alquanto più dor- salmente. È a notarsi che quasi costantemente in rapporto della porzione anteriore del contorno dell'apertura sottozigomatica, nel punto in cui questa si continua colla doc- ciatura sovradescritta, attraverso alla quale, dato il calibro, si può introdurre anche una sonda flessibile di calibro corrispondente, si riscontrano uno o due forametti molto piccoli, che rappresentano semplicemente lo sbocco di canali diploici. Come leggiere differenze da ciò che abbiamo sopra detto, ricordiamo come nel C. lupus il forame sottozigomatico appaia relativamente più ampio che non nel Cane, mentre in complesso la docciatura che continua il forame predetto sulla faccia po- steriore del cono articolare, è indubbiamente meno nettamente pronunciata e meno estesa. Nella Volpe infine l'apertura predetta occupa, come già notò Eopetsch per il C. aureus e per il C. cerdo, una posizione alquanto superiore a quella occupata 67 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 225 generalmente dal forame corrispondente nel C. familiaris per rispetto al contorno dell'osso timpanico. Nel Cane ci è occorso anche alcune volte, oltre al forame sottozigomatico poste- riore, di osservare in rapporto della base del margine laterale tagliente del cono articolare, nel punto in cui esso si continua in avanti col margine laterale della fossa mandibolare, un microscopico forametto non accessibile però neanche alla più lina delle setole e che per la posizione corrisponderebbe precisamente ad un forame sottozigomatico laterale, quale noi abbiamo riscontrato nell'Uomo ed in alcune Scimmie. Data la piccolezza di tale canale e della sua apertura esterna, certamente non è da assegnarglisi alcun valore come emissario: tuttavia noi abbiamo voluto ricordarlo in quanto per la sua occorrenza non assolutamente infrequente nel C. familiaris, ma per la costanza della sua posizione, come pure anche perchè non venne finora de- scritto da altri AA., ci è parso non indegno di nota, ne privo di valore morfologico. Accenniamo ancora a questo proposito come specialmente nel C. familiaris possano occorrere saltuariamente al di sopra della base dell'apofisi zigomatica, in posizioni diverse, come pure nella parte alta della squama, dei minuti forellini, affatto ana- loghi a quelli che possono occorrere, a parità di condizioni, anche nella nostra specie, ed ai quali si deve dare semplicemente il valore di canali diploici. Nel Cane e nel Lupo è costante da ambi i lati un forame mastoideo più o meno ampio, occorrente nella parte alta della sutura occipitomastoidea. Il calibro di tale forame oscilla entro limiti molto ampi, a differenza di quanto avviene per il canalis temporalis: per lo più si presenta sotto forma di una fessura irregolare col massimo diametro secondo la direzione della sutura: tale fessura può anche mancare come accade di frequente nella Volpe, oppure assumere delle dimensioni molto rilevanti (6-7 mm. di lunghezza per 3-4 di larghezza). Si riscontrano anche evidenti delle asim- metrie: nel cranio di un C. familiaris, molto interessante per altre particolarità (annul- lamento completo della sutura sagittale per interposizione di ossificazioni anomale, come in un caso già pubblicato da Staurenghi), il forame mastoideo a sinistra assume l'aspetto di una vera soluzione di continuo, irregolarmente ovalare (6 mm. per 5 mm.), mentre a destra è ridotto ad una fessura che dà appena passaggio ad una fine sonda. In ogni caso il forame mastoideo si apre all' endocranio subito inferiormente al solco per il sinus transversus. Il foramen jugulare nei Canidi è molto ristretto, certo sempre meno ampio del canalis temporalis. Fani. TJvsidae. — Noi abbiamo avuto a nostra disposizione complessivamente 23 crani delle varie specie (U. maritimus, U. arctos, U. americamts) e in tutti abbiamo riscontrato il medesimo comportamento, non dissimile per altro da ciò che abbiamo descritto nella precedente famiglia. Il conus articularis è robustissimo, concavo ven- tralmente, convesso in addietro. Sulla sua faccia dorsale, in tutta prossimità del suo margine mediale, in una posizione alquanto inferiore a quella riscontrata nella fam. Canidae, si apre un foro sottozigomatico posteriore molto ampio, a cui fa seguito in basso una docciatura meno evidente che nella fam. Canidae: il canale, che da questa apertura ha origine, ha d'altronde i medesimi rapporti ; il forame sottozigo- matico si differenzia solamente in quanto è più spostato verso la linea mediana. Serie II. Tom. LUI. d< 226 ALFONSO BOVERO — ■ UMBERTO CALAMIDA 68 Fani. Cercoleptinae. — In 4 crani di Nasua socialis, nella parte intermedia della faccia dorsale del cono articolare, in rapporto della sutura squarnosotimpa- nica, si riscontra dai due lati un'apertura perfettamente circolare forame sottozigo- matico posteriore: manca ogni traccia della gronda che continua nelle fam. Canidae e Ursidae il forame predetto sulla faccia posteriore del conus .articularis. Fam. Mustelidae. — Di questa famiglia noi abbiamo presi in considerazione 3 crani di Meles taxus (subf. Melinae), 3 di Mephitis suffocans, 6 di Mustela ermineti, 1 di M. Pennantii, 4 di M. martes, 1 di M. americana, 38 di M. fobia (subf. Mustelidae), 9 crani di Lutra (subf. Lutrinae). Anche per questi i nostri reperti sono complessi- vamente analoghi a quelli di Kopetsch. Nel Meles taxus il conus articularis si presenta sotto forma di una cresta molto allungata ia direzione frontale e relativamente poco alta; la sua altezza va aumen- tando portandosi verso la linea mediana ove misura in media mm. 2,5-3; in com- plesso questa cresta è concava in avanti servendo cosi a delimitare posteriormente la fossa mandibolare, la quale si presenta appunto assai allungata in direzione fron- tale. La sua faccia posteriore è molto ampia, disposta obliquamente dal basso in alto e dall'avanti all'indietro, in guisa che l'interstizio fra la sporgenza della cresta e il contorno anteriore dell'apertura uditiva esterna è di circa 1 cm. A 6 nini, medialmente all'apertura uditiva esterna, nella sutura squamosotimpanica, e quindi ad un livello inferiore all'apertura uditiva stessa, alla base della faccia dorsale del cono articolare più vicino alla sua estremità mediale che non a quella laterale, vi ha un forame circolare, ampio mm. 1,5-2, forame sottozigomatico posteriore, da cui ha origine un canale diretto in alto e dorsalmente nello spessore della porzione squa- mosa, il quale si comporta superiormente nell'identico modo descritto per la fam. Canidae. Da notarsi in un caso una evidentissima asimmetria nei forami sottozigo- matici dei due lati, in quanto, quello di destra essendo normalmente sviluppato, quello di sinistra invece è assolutamente ridotto di calibro in guisa da dare appena pas- saggio ad una fine setola. Comparativamente il canale temporale ha un tragitto più lungo che non nella fam. Canidae e nel suo decorso contorna come un semimanicotto la doccia della porzione squamosa, che limita cranialmente il condotto uditivo esterno. Nelle varie specie di Mustela noi abbiamo avuto costantemente un reperto ana- logo al precedente. Il conus articularis è anche qui poco rilevato, è invece assai esteso in larghezza, fortemente concavo in avanti; dorsalmente ad esso si estende una larga superficie irregolarmente quadrangolare, rivolta in basso ed in addietro, che ne costituisce come la faccia posteriore. In prossimità dell'estremità laterale della scissura squamosotimpanica, e quindi in una posizione immediatamente superiore alla apertura uditiva esterna, si trova situato un forame emissario sottozigomatico posteriore, che noi abbiamo riscontrato in tutti i 51 crani delle varie specie, con differenze solo leggere di posizione. Nella M. erminea, come nella M. foina, il forame è relativamente più esile, completamente nascosto nei crani di adulti dal contorno anteriore dell'anello timpanico, continuato sulla porzione mediale della larga super- ficie dorsale del cono articolare da una docciatura nettamente pronunciata a mo' di una intaccatura. Il canale che fa seguito a tale forame sottozigomatico posteriore è, come nel Meles taxus, fortemente curvo indietro ed in alto, quasi ad abbracciare 69 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 227 il contorno anteriore della docciatura squamosa, che entra a delimitare l'apertura uditiva esterna. AU'endocranio si apre nella solcatura petrosquamosa più o meno completamente trasformata in un canale a seconda dell'età. L'apertura esocranica di detto canale, essendo continuata dalla docciatura sopra descritta, appare ovalare e misura in media da mm. 0,5 a 1 mm. In una .1/. americana (Fig. 29 fszl) l'aper- tura di detto canale misura invece 2 mm. circa, si presenta situata subito superior- mente all'apertura uditiva esterna, non mascherata cioè dall'osso timpanico. In un Ermellino l'apertura esocranica del canale sottozigomatico è duplice, cia- scuno dei due forami però dà appena passaggio ad una fine setola. Un comporta- mento analogo a quanto abbiamo accennato per la Mustela si verifica nel Mephitis. Nella Lutra, dietro il conus articularis, tra questo e il condotto uditivo esterno si estende pure una larga superficie pianeggiante, rappresentante la superficie dor- sale del cono articolare stesso, ampia cent. 1,5 nel senso frontale, cm. 1 sagittal- mente. All' estremità esterna della sutura squamosotimpanica si apre un forame sotto zigomatico posteriore, generalmente molto ampio (2-3 mm.), che è l'ingresso di un canale diretto quasi orizzontalmente dall'avanti all'indietro, come nelle Mustelidae. Per quanto l'apertura esocranica sia relativamente ampia, in alcuni casi il passaggio di una setola è difficoltato dal decorso onduloso e probabilmente anche da restrin- gimenti o da spicole ossee. Nel cranio di una Lontra adulta, ventralmente e late- ralmente al foro sottozigomatico posteriore, sulla faccia dorsale della base dell'apotìsi zigomatica, vi ha bilateralmente un forellino circolare, forame sottozigomatico laterale, più ampio a destra (mm. 0,5) che a sinistra; esso conduce in un canale diretto obliquamente in avanti e cranialmente, ove riesce sulla faccia superiore della base dell'apofisi zigomatica mediante un'apertura esattamente corrispondente al forame soprazigomatico anteriore da noi descritto nel cranio umano; con opportuni artifizi però una setola introdotta dal forame sottozigomatico laterale invece di fuoriuscire dal forame soprazigomatico riesce nella cavità craniana nella porzione anteriore del solco petrosquamoso. A sinistra il forame sottozigomatico laterale è più esile, ne ci è riuscito penetrarvi con la setola tranne che per breve tratto; da questo lato manca pure ogni traccia di forame soprazigomatico. È interessante ricordare come anche nel cranio di un' altra Lontra giovane bilateralmente esista un esilissimo forellino sul margine laterale del cono artico- lare immediatamente al di sotto della linea temporale, però non permeabile ad una setola: cosi pure in una L. esanguis bilateralmente e in una L. brasiliensis solo a sinistra, noi abbiamo riscontrato, oltre al foro sottozigomatico posteriore coi soliti caratteri, nella posizione ora descritta, anche un forellino sottozigomatico laterale, ampio circa mm. 0,5, il quale dà passaggio ad una robusta setola, che riesce nella porzione ventrale del canale petrosquamoso. Negli altri 5 crani di Lontra da noi esaminati, esiste esclusivamente il foro sottozigomatico posteriore, mancando invece quello laterale. L'occorrenza di un canale sottozigomatico laterale accompagnato o non da un eventuale forame sopra- o prezi- gomatico ci pare quindi uu fatto non tanto raro nella Lontra, e giustifica l'accenno che noi abbiamo fatto di una formazione presso a poco identica nel Canis familiaris: oltre a ciò ci pare degna di rilievo tale evenienza anche per il fatto che non venne ancora notata da altri AA. nelle varie famiglie dei Carnivori, e perchè il forame 228 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 70 sottozigomatico laterale, sia pure come fatto eccezionale, occorre in famiglie in cui è normale una grande ampiezza del canale sottozigomatico posteriore, che rappre- senta la via principale di deflusso del sangue (Cane, Lontra), potendo in questi even- tualmente funzionare anche da vero emissario (Lontra), come pure, a quanto vedremo tosto, in altri in cui il canale sottozigomatico posteriore è pure di molto ridotto per ampiezza, come anche per- frequenza. Pam. Hyaenidae e Viverridae. — Mentre Kopetsch (34) afferma che in un cranio di Hyaena crocuta avrebbe trovato dai due lati, dietro il cono articolare, una fine apertura solo parzialmente sondabile, a noi invece non riusci di trovarne traccia alcuna in due crani di H. striata. Similmente abbiamo pure avuto reperto negativo in un cranio di Herpestes ichneumon, in cui per altro Kopetsch (34) avrebbe trovato anteriormente e superior- mente all'apertura uditiva esterna un foramen jugulare spurium capillare. Fam. Felidae. — I risultati delle nostre ricerche in questa famiglia discor- dano notevolmente da quelli avuti dalla grande maggioranza degli altri AA., i quali negano per lo più la esistenza di forami emissari temporali nelle varie specie. Noi abbiamo esaminato a questo riguardo 43 crani di Felis catus di tutte le età e delle provenienze le più diverse, ma a preferenza della varietà domestica, 5 crani di F. con- color, 3 di F. pardus, 4 di F. tigris, e 4 di F. leo. Per quanto si riferisce al Gatto è a notarsi che il conus articularis è relativa- mente ben pronunciato, sotto forma di una apofisi laminare quasi verticale o per lo meno solo un po' concava in avanti, più alta medialmente che lateralmente. In 14 crani senza distinzione di età noi abbiamo trovato assolutamente mancante ogni traccia di forami o di canali che potessero con sicurezza riferirsi a canali venosi emissari : negli altri 29 crani, e cioè nei due terzi dei casi, abbiamo invece trovato dei veri canali emissari e di categorie nettamente diverse, con una proporzione differente per ciascheduna. Ordinariamente, in specie negli individui giovani, ma non raramente anche in individui avanzatissimi in età come si può giudicare per la completa sinostosi delle loro suture craniane, sul margine mediale del cono articolare, oppure sulla faccia posteriore del cono stesso, però costantemente in tutta prossimità del margine mediale, si riscontra un esile forellino circolare nettamente distinto dalla sutura squamosotimpanica (Fig. 30 fszm), dalla quale è costantemente separato mediante un lieve ponticello osseo. Tale forametto è nella massima parte dei casi assoluta- mente piccolo, talvolta visibile solo coll'aiuto di una lente, mascherato tal'altra dall'attacco anteriore del cercine timpanico : per quanto piccolo, tuttavia nella mas- sima parte dei casi può dar passaggio ad un minutissimo crine di cavallo; si può dimostrare quindi con relativa facilità come il canale, di cui il forame sottozigomatico mediale, ora descritto, rappresenta l'apertura esocranica, riesce nel cranio attraverso la squama del temporale nella porzione anteriore della sutura petrosquamosa, sutura, che, specialmente nei giovani soggetti, si presenta ampiamente aperta e con dispo- sizioni perfettamente simili a quelle del temporale di individui giovani della nostra specie. Manca tuttavia all'endocranici un sulcus transversus aperto o trasformato in 71 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETBOSQUAMOSI 229 canale paragonabile a quello descritto nel Cane e negli altri Carnivori. Una volta noi abbiamo riscontrabile anzi da ciascun lato un forame sottozigomatico mediale posto esat- tamente al punto di attacco del margine mediale del cono articolare ed un altro forame più piccolo posto sulla faccia posteriore del cono a mm. 1,5 di distanza dal precedente: esistevano cioè dai due lati due forami sottozigomatici mediali. Men frequentemente, ma però certo non estremamente di rado, assieme al fu- rarne sottozigomatico mediale od anche indipendentemente da questo, si può verifi- care sulla faccia dorsale del cono articolare stesso (Fig. 30 fszl), ma verso la sua parte esterna ed anteriore, a distanza di 2-3 mm. al di sotto del margine superiore tagliente della base dell'apofisi zigomatica, un altro forellino, foro sottozigomatico laterale, sempre piccolissimo, difficilmente permeabile alla più fina delle setole, in guisa che noi siamo una sol volta riesciti a dimostrare perentoriamente dai due lati la comu- nicazione del canale, che fa seguito a tale apertura, colla porzione anteriore della solcatura petrosquamosa. Più raramente ancora, anzi solo come fatto estremamente eccezionale, si può riscontrare una terza apertura, pure minutissima, immediatamente al di sopra della linea temporale, in una posizione che corrisponderebbe esattamente a quella occupata nella nostra specie dai forami soprazigomatici posteriori; tale apertura a noi occorse in verità solo una volta (Fig. 30 fszp) e dai due lati, contemporaneamente alla esistenza pure da ciascun lato di un foro sottozigomatico mediale e di uno sottozigomatico laterale: per essa però non ci riuscì di far penetrare una fine setola altro che per un tratto di circa 2 mm. Noi abbiamo riscontrato un forame sottozigomatico mediale, sondabile o non, dai due lati in 18 casi, 3 volte solo a destra, 2 volte solo a sinistra; in un caso il forame sottozigomatico mediale era duplice da ciascun lato. Esisteva invece solo un forame sottozigomatico laterale dai due lati in un solo cranio (Gatto del Pampas, ad.) ; in due casi esistevano bilateralmente il sottozigomatico laterale e quello mediale, in due il mediale occorse dai due lati, quello laterale solo a destra. Data la piccolezza del calibro di questi differenti canali, evidentemente la somma di sangue, che può esserne esportata, è assolutamente minima e il loro valore fisio- logico come emissari è naturalmente trascurabile; la ubicazione delle varie aperture però è così fissa e caratteristica per le differenti categorie ed anche così frequente, per lo meno per i forami sottozigomatici mediali, nei crani di tutte le età, e non solamente in crani di individui molto giovani, che stupisce non ne sia stato finora rilevato esattamente e nella giusta misura il significato morfologico. Fra 4 crani di F. leo mancava ogni traccia di forami emissari in 2 ; invece negli altri 2 (1 5 ad. ed 1 5 juv.) sulla faccia posteriore del conus articularis straordi- nariamente sviluppato, in prossimità della sua estremità laterale, al di sotto del mar- gine arcuato tagliente della linea temporale nella femmina, spostato più medialmente nel maschio, abbiamo veduto dai due lati un'apertura relativamente ampia, mm. 2,5-3, corrispondente ad un foro sottozigomatico posteriore ; sull'ulteriore decorso del canale che fa seguito a tale apertura noi non possiamo dare alcun schiarimento. In 4 crani di F. tigris non ci riuscì verificare l'esistenza di alcun forame cui si potesse dare il valore di emissario. In un F. concolor e in due F. pardus manca pure ogni traccia di canali emis- 230 ALFONSO BOVERO UMBERTO CALAMIDA 72 sari ; invece in un altro F. pardus ed in 4 F. concolor esiste, come nel Gatto, bila- teralmente un foro esilissiino, appena permeabile ad una setola, alla parte superiore della faccia dorsale del robusto cono articolare, in tutta vicinanza del margine me- diale dello stesso, foro sottozigomatico mediale; manca invece ogni traccia di canali sottozigomatici laterali. Da quanto abbiamo esposto, senza che ci diffondiamo di più a discutere i risul- tati ottenuti, emerge che, mentre nelle fam. Canidae, Cercoleptinae, Mustelidae ed Ur- sidae il forame sottozigomatico posteriore rappresenta l'apertura inferiore di un canale corrispondente alla via tenuta dalla gran parte del sangue endocranico per ritornare al cuore, e cioè, più che considerarsi come semplice emissario, è da ritenersi come la via principale di deflusso, nella fam. Felidae, i canali delle varie categorie sono ridotti realmente al valore di emissari di importanza molto secondaria. Ancora è da osservarsi che, mentre la costanza e la ubicazione dell'apertura inferiore del canalis temporalis delle prime famiglie di Carnivori sono giustamente riconosciute dalla mas- sima parte dagli AA., i reperti da noi avuti nelle fam. Felidae, e più specialmente nel Gatto, si discostano notevolmente da quelli consegnati nella letteratura. Ord. P1KNIPJEDIA. Sono scarsissimi e contradditori i cenni sugli emissari temporali nelle varie specie di questo ordine: difatti mentre Otto (50) nega l'esistenza di un canalis temporalis nel gen. Trichecus, avrebbe avuto risultato positivo per il genere Phoca. Un reperto analogo ha avuto Cope (9), il quale non trovò forami nel gen. Trichecus ed Arctoce- phalus, solo un postglenoide rudimentale nella Phoca. Kopetsch (34) nega e canalis temporalis e foramen jugulare spurium nei Pinnipedi (25 crani), non arrischiandosi a dare tale significato ad una o due aperture non sondabili, che occorrerebbero in tutti i casi dietro la cresta rappresentante il cono articolare. Le nostre ricerche confermano completamente il risultato negativo degli altri AA. per quanto riguarda il Trichecus rosmarus (fam. Trichecidae), non essendo noi riusciti a verificare l'esistenza in 6 crani di alcun forame, che verosimilmente potesse interpre- tarsi come emissario. I nostri reperti sono invece diversi per ciò che si riferisce alla fam. Phocidae: di questi noi abbiamo esaminati 13 crani e cioè 7 di P. vitulina, 4 di P.cristata,l di P. groenlandica, ed 1 di P.hispida: solamente in 3 casi (P. groen- landica, P. vitulina e P. cristata) dai due lati ed in un altro (P. vitulina) a sinistra, noi abbiamo potuto escludere perentoriamente la esistenza di qualsiasi traccia di eanali emissari temporali delle varie categorie. Nella Phoca esiste costantemente un conus articularis lamelliforme, molto pro- nunciato, più spesso e più alto medialmente. In alcuni casi (fig. 31 fszm) alla faccia dor- sale di tale lamina apofisaria, in tutta prossimità del suo margine mediale, nell'inter- stizio che sta fra il cono ed il contorno anteriore della bulla tympanica (bt), esiste un forame circolare o leggermente ovalare, ampio mm. 1-1,5, continuato verso l'estre- mità inferiore del cono articolare da una docciatura più o meno evidente. Da tale t'orarne ha origine un canale diretto dapprima verticalmente in alto, poi quasi oriz- zontalmente in dietro, per aprirsi in seguito nel pavimento della fossa cranica media, 1 cm. ventralmente alla sutura petrosquamosa, verso la quale è continuato da una docciatura ben pronunciata: usando le debite precauzioni noi siamo riusciti a far 73 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI --''l penetrare a traverso tutto il canale descritto una grossa setola : l'impedimento ad entrare nel cranio può a nostro avviso essere rappresentato dal brusco cambiamento di direzione del canale stesso e da ciò che questo nella sua porzione orizzontale è coperto dal tavolato interno della squama, contro il quale viene ad urtare vertical- mente una setola introdotta dal forame sottozigomatico mediale. Noi abbiamo riscon- trato il forame sottozigomatico mediale, solo od accompagnato con forami di altra categoria, e di cui ci riuscì dimostrare la comunicazione diretta colla cavità craniana, 3 volte dai due lati, una solo a destra. Contemporaneamente all'apertura suddescritta (Fig. 31 fszl), oppure indipendente- mente da essa, può occorrere nel cranio di Phoca, un forame sottozigomatico laterale, posto sulla porzione esterna della faccia dorsale del cono, 6-7 mm. al disotto della linea temporale più o meno sporgente: detto forame è volto direttamente all'esterno, continuato però in alto da una docciatura più o meno pronunciata: è ampio mm. 1-1,5 e si continua medialmente con un canale a decorso orizzontale o solo un po' obliquo in alto, il quale raggiunge il canale sovra descritto nel punto in cui da verticale si fa orizzontale. Anche per l'apertura sottozigomatica laterale ci venne fatto di pene- trare con una setola nella cavità craniana: la comunicazione con il canale sotto- zigomatico mediale e colla cavità cranica si può anche dimostrare facilmente con iniezioni di sostanze colorate. Il forame sottozigomatico laterale occorse nelle nostre osservazioni 4 volte dai due lati; in un caso (Fig. 31) esisteva pure il sottozigoma- tico mediale bilateralmente, in un altro quest' ultimo esiste solo a destra, in un altro ancora al lato sinistro coesiste un esilissimo forame però non sondabile al di sopra della base della apofisi zigomatica: finalmente in un caso dai due lati si veri- ficò solo l'esistenza esclusiva del sottozigomatico laterale. Ancora, noi abbiamo constatato l'occorrenza di un forame, situato 3-4 mm. supe- riormente alla linea temporale, lungo una verticale che decussi il contorno poste- riore dell'apertura uditiva esterna e per la sua posizione riferibile ad un forami- emissario postsqaamoso : tali aperture sono per lo più assolutamente piccolissime, quasi microscopiche: in casi eccezionali (1 P. frittata) il forame è ampio circa 1 mm. ed il canale, che gli fa seguito, attraversa a tutto spessore la squama diretto dorsal- mente e medialmente. Finalmente anche al di sopra della base della apofisi zigomatica possono occor- rere dei microscopici forametti, i quali, pur rappresentando per lo più lo sbocco di semplici canali diploici, tuttavia possono talvolta (un caso e da un solo lato) dar passaggio ad una finissima setola (foro soprazigomatico posteriore). Risulta quindi evidente che nel gen. Phoca, a differenza di quanto asseriscono gli altri AA., si riscontrano appunto dei forami emissari temporali molteplici e da classi- ficarsi in categorie diverse: è tuttavia da avvertirsi come, specialmente per quelli posti al di sopra dell'apofisi zigomatica e della linea temporale, si debba ventilare l'ipotesi che essi siano ridotti a semplici canali diploici: certamente, pure ammettendo la im- portanza complessivamente minima degli emissari delle varie categorie, i superiori non sono in genere degni di nota altro che per il loro significato morfologico: a noi basta aver dimostrato perentoriamente l'esistenza degli uni e degli altri. In un cranio di Callorhynus ursinus (fam. Otariidae) bilateralmente, in altro solo a destra, sul margine laterale del cono articolare abbiamo verificato la esistenza 232 ALFONSO BOYERO — UMBERTO CALAMIDA 74 di un forame, sondabile però solo per breve tratto, corrispondente affatto per la ubi- cazione al forami' sottozigomatico Intende descritto per la Phoca. Ord. RODENTI A. 11 decorso delle vie sanguigne di deflusso del sangue endocranico attraverso l'osso temporale nella grande maggioranza dei Roditori è abbastanza ben conosciuto, appunto perchè, come nel massimo numero dei Carnivori e degli Ungulati, esso costi- tuisce una disposizione perfettamente normale: e noi abbiamo di già ricordato diffu- samente nella letteratura i reperti dei vari A A. Noteremo qui solamente ancora una volta come Salzer (57) abbia studiato il modo con il quale si stabiliscono tali vie per rispetto alla cronologia dello sviluppo appunto principalmente nella Cavia, rodi- tore in cui, come carattere permanente, lo sgorgo di gran parte del sangue si fa attraverso il temporale. I vari ricercatori si limitano per lo più ad accennare vaga- mente tale fatto, specialmente in relazione alla ubicazione della apertura esterna dei canali ossei, che a detta via danno ricetto. Così secondo Cope (9) nei Roditori non sarebbero mai presenti il forame sopraglenoideo ed il postparietale, il mastoideo è raro, generalmente presente il subsquamoso, che si può facilmente confondere col postsquamoso : in alcune specie (Lepus, Lagomys, Lagidium, Cercolabes) non esiste- rebbe traccia alcuna dei vari forami, in altri invece esisterebbe un forame postgle- noideo isolato (Lagostomus, Geomys, Erithizon), o confluente con un postsquamoso (Hystrix, Hydrochaerus, Neotoma, Arvicola), oppure separato da questo {Castor, Oynomys, Spermophilus). Più esatte e più diffuse sono le descrizioni cbe dà Kopetsch (34) nelle varie famiglie: dalle sue ricerche risulterebbe che non tutti i Roditori, relativamente alle particolarità che abbiamo in esame, si comportano in modo identico: nei Leporidi non esisterebbe alcun forame giugulare spurio, il quale invece, pur essendo piccolo, sarebbe costante nei gen. Sciurus, Tamias, Oynomys, ('attor, Cercolabes, Cavia e Dasyprocta: alquanto maggiore occorre pure nei gen. Arctomys, Georrychus ed Hydrochaerus : final- mente il forame predetto raggiunge la massima ampiezza, presentandosi sotto forma di una larga fessura semilunare, nei gen. Cricetus, Mtts, Meriones, Arvicola, Hystrix, Coelogen/js e Myopotamus. Le nostre ricerche confermano, in gran parte, dilucidandoli ed allargandoli, i risultati di Kopetsch : per alcuni riguardi però i nostri risultati sono completamente diversi da quelli di tale A. Subord. Sciuromorpha ; Fam. Sciuridae. — Di questa famiglia noi abbiamo esaminato 15 crani di Sciurus (3 S. concolor, 12 S. vulgaris), 1 di Xerus Erytropus, 6 di Arctomys marmata e in tutti, salvo leggere differenze, esiste un identico com- portamento. Negli uni e negli altri, come del resto in tutti i Roditori, manca com- pletamente ogni traccia di cono articolare e la fossa mandibolare si presenta diretta sagittalmente, limitata lateralmente dalla faccia inferiore della base del pro- cesso zigomatico, medialmente dalla porzione basilare della squama temporale: le dimensioni della fossa mandibolare variano naturalmente a seconda della specie. Nello Sciurus al di sotto della radice orizzontale del processo zigomatico, poste- riormente al punto in cui da detta radico si distacca il margine dorsale tagliente 75 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 233 fortemente convesso in basso e posteriormente del processo stesso, a 2-4 mm. supe- riormente ed anteriormente al contorno dell'apertura uditiva esterna, vi ha da ciascun lato nello spessore della squama temporale, oppure nel limite fra l'osso timpanico e l'osso squamoso un'apertura ovalare scavata a fossetta, larga da 1 a 2 mm., che si può ritenere come un foro sottozigomatico laterale. Tale apertura è ordinariamente il confluente di 3-4 canali, dei quali uno, più lungo, è diretto in alto e dorsalmente fra la squama e l'osso petroso ed arriva nella cavità del cranio nella sutura petro- squamosa subito in avanti e superiormente al braccio anteriore del canale semicir- colare superiore ; questo canale non solo è il più lungo, ma è anche quello relativa- mente più ampio in guisa che una grossa setola può percorrerlo con la massima facilità. Un altro canale invece, assai più breve, conduce quasi trasversalmente nella fossa media, a 3-4 mm., al davanti dell'apertura endocranica di quello precedente- mente descritto, sempre però nella sutura petrosquamosa ; una setola introdotta dal- l'apertura endocranica del primo canale può riuscire, invece che all'esterno, nell'in- terno del cranio dall'apertura superiore del canale aprentesi nella fossa media; vi ha cioè un tratto della sutura petrosquamosa, corrispondente alla porzione ventrale del solco per il sinus transversus, completamente chiuso e trasformato in un canale, il cui comportamento, astrazion fatta dalle aperture esocraniche, è analogo a quello del canale di Verga dell'Uomo. Costantemente ancora alla apertura sottozigomatica laterale ora descritta giunge pure un canale diretto verticalmente in alto, fra la faccia interna della squama e il tavolato interno del parietale, ed aperto inoltre all'esocranio nella sutura parieto- squamosa sotto forma di una vera fessura molto allungata in direzione sagittale: la lunghezza di quest'ultimo canale varia da 1 a 2 mm. ed una setola introdotta dall'apertura parietosquamosa può fuoriescire con eguale facilità o dal forame sotto- zigomatico laterale, oppure dal forame endocranico situato nella sutura petrosqua- mosa nella fossa craniana media. In 2 casi, invece di un forame parietosquamoso, l'apertura superiore del canale verticalmente diretto era scavata esclusivamente nello spessore della squama; data la minima altezza di questa si può ben parlare di un forame soprazigomatico posteriore {soprasquamoso nel senso di Cope). Finalmente nella massima parte dei casi alla apertura sottozigomatica laterale, o per lo meno alla parte posteriore della fossetta, che la rappresenta, riesce pure un fine canalino, il quale origina da un forametto situato subito posteriormente ad essa, immediatamente al disopra della apertura esterna del condotto uditivo, essendo separato dal sottozigomatico laterale mediante un esile ponticello osseo. Per la sua ubicazione, quando non si voglia ritenere come uno sdoppiamento del sottozigoma- tico laterale, si potrebbe ritenere come un sottosquamoso (Cope) ; certo è sempre molto più esile dello altre aperture, ridotto per lo più ad una fine fessura, nella quale si introduce colla massima difficoltà una minutissima setola; nei casi in cui esso manca, si può ammettere siasi confuso col sottozigomatico laterale, appunto perchè quest'ul- timo si presenta in tali casi assai più ampio e cioè sotto forma di una fessura semi- lunare, quale noi riscontreremo, però più esagerata, in altri generi di Goditori. Nello Sciurus quindi si deve ritenere come affatto costante l'esistenza di un forame sotto- zigomatico laterale molto ampio, che rappresenta il confluente di parecchi altri canali Serie II. Tom. LUI. , 23-1 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 76 secondari, di cui due si aprono all'endocranio in punti diversi della sutura petrosqua- mosa, un altro si apre superiormente come forame parietosquamoso o soprazigomatico, un altro come sottosquamoao. Neil' Arctomys marmata esistono disposizioni alquanto differenti da quelle descritte per lo Sciurus: costantemente al disopra della radice sagittale dell'apofisi zigoma- tica, ad 1-2 mm. di distanza dal margine tagliente di detta radice, in una posizione complessivamente ventrale all'apertura esterna del canale uditivo, nello spessore della parte bassa della porzione verticale della squama temporale, vi ha un'ampia apertura ovalare (Fig. 32 fszp), con un massimo diametro di 5-7 mm. disposto sagittal- mente e che corrisponde ad un forame soprazigomatico posteriore: all'apertura esterna ne corrisponde un'altra perfettamente analoga sulla faccia cerebrale dell'osso squa- moso isolato (Fig. 33 fszp). Dall'apposizione dell'osso petroso allo squamoso ne risulta medialmente a tale apertura una specie di fossetta, che può considerarsi come il punto di confluenza di parecchi altri canali. Di questi, uno ha origine da un forel- lino per lo più molto esile apreatesi all'esterno sopra la radice sagittale del pro- cesso zigomatico, immediatamente all' indietro del precedente, vale a dire subito superiormente all'apertura esterna del condotto uditivo: e questo, quando non voglia considerarsi come prodotto dallo sdoppiamento del forame soprazigomatico poste- riore, potrebbe anche considerarsi, come un foro postsquamoso nel senso di Core: esso tuttavia è tutt' altro che costante, avendolo noi riscontrato una sol volta dai due lati ed in un cranio solamente dallato sinistro; in ogni caso il canale che lo continua, del resto assai breve, riesce alla parte posteriore della fossetta prima descritta. Più frequente è invece un altro forame (Fig. 32 fszl) posto caudalmente alla radice orizzontale del processo zigomatico, che lo ricopre, mascherandolo lateralmente; esso può considerarsi come un forame sottozigomatico laterale; è sempre, quando esiste, assai più piccolo del soprazigomatico, per lo più ovalare, con un massimo diametro di mm. 0,5-4, evi corrisponde nella faccia interna dello squamoso un'apertura affatto corrispondente, distinta da quella, del soprazigomatico (Fig. 33 fszl) : il canalino, che fa seguito all'apertura del forame sottozigomatico, riesce ad ogni modo alla parte bassa della fossetta delimitata medialmente al forame soprazigomatico dalla apposizione dell'osso petroso allo squamoso, in guisa che una setola o una sonda, introdotte ver- ticalmente dal foro soprazigomatico, fuorescono immediatamente dal foro sottozi- gomatico. Quest'ultimo non è tuttavia assolutamente costante: in 2 casi (uno gio- vanissimo ed un adulto) non ci riusci di trovarne traccia alcuna. Dalla sutura dello squamoso coll'osso petroso risulta che la fossetta sovraccen- nata, a cui confluiscono i vari canali, è per lo più ampiamente aperta in alto e medialmente, rappresentando cosi la via di deflusso del seno trasverso, che lascia traccie molto evidenti in avanti ed in addietro nella sutura petrosquamosoparietale, sotto forma di una pronunciatissima solcatura. Accade però, specie negli individui adulti (Fig. 34 sps), che il sulcus transversus venga parzialmente trasformato in un vero canale dalla riunione dell'osso petroso col tavolato interno dell'angolo mastoideo del parietale; onde, osteologicamente, la fossetta descritta, posta fra la squama e la piramide, si aprirebbe nella cavità cranica rispettivamente con una apertura ante- riore (a) e con una posteriore (fi), corrispondenti appunto esattamente alle rispettive aperture del canale teinporoparietalo. 77 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 235 Nella Marmotta quindi si deve ritenere come carattere fisso l'esistenza di un forame soprazigomatico posteriore, molto ampio, attraverso cui defluisce la maggior parte del sangue del seno trasverso: i forami sottozigomatico laterale e postsquamoso sono meno costanti ed hanno anche per il loro calibro un' importanza piuttosto secondaria. Poiché stiamo discorrendo dell' Ar et omgs marmata crediamo interessante rile- vare come in questo roditore gli apici delle due rocche petrose vengono a riu- nirsi fra di loro, superiormente alla faccia endocranica del basisfenoide per mezzo di due robusti prolungamenti ossei appiattiti in direzione craniocaudale, in guisa da determinare la formazione di una sutura sagittale fortemente dentata, lunga 2-3 mm. al disopra del basisfenoide (sutura crittica) : su questo fatto molto interessante e così oscuro ritornerà prossimamente uno di noi (Bovero). Ancora della fam. Sciuridae, nello Xerus Erythropus esiste solo un forame sopra- zigomatico ovalare, ampio 2 mm., mancando invece il forame sottozigomatico. Fam. Castovidae. — Nel Gastor fiber (6 crani) il condotto uditivo è molto proeminente in alto e spostato in addietro, lasciando fra il margine posteriore del- l'apofisi zigomatica e il suo contorno anteriore un interstizio di 17-18 mm. Subito al disotto della linea temporale vi ha costantemente un forame irregolarmente ova- lare o circolare di min. 1-2,5, forame sottozigomatico laterale, scavato completamente nella squama, a cui segue un canale diretto in alto e dorsalmente per raggiungere il sulcus transversus all'estremità posteriore della sutura pari etopetrosa : in un cranio dai due lati, in altri 2 solo dal lato destro, invece di un solo forame sottozigo- matico se ne riscontrano due, dei quali il posteriore è costantemente il più ristretto, sì da dar passaggio appena ad una setola: il canale che gli fa seguito si riunisce tosto al precedente. Quasi costantemente vi ha ancora un altro canalino, vertical- mente discendente dalla sutura parietosquamosa a raggiungere il canale originante dal foro o dai fori sottozigomatici. Subord. Myomorpha; Fam. Muridae. — Di questa famiglia abbiamo preso in esame 43 crani e cioè: 23 di Mus decumanus, 7 di M. rattus, 4 di M. musculus, 6 di Cricetus frumentarius, e 3 di Arvicola amphibius, in grande maggioranza macerati da uno di noi (Bovero), ed in tutti abbiamo verificato press'a poco l'identico comportamento. Dietro la superficie articolare per la mandibola, allungata sagittalmente, caudalmente alla linea temporale, che si fa tanto più smussa quanto più si considera in addietro, nel limite fra il margine inferiore della squama temporale ed il contorno anteriore dell'osso timpanico, esiste un'ampia soluzione di continuo sotto forma di fessura semi- lunare, a grande asse obliquo in alto e dorsalmente, la quale mette direttamente nella cavità craniana. Questa fessura è limitata specialmente nel suo margine supe- riore da una concavità molto marcata del margine inferiore dello squamoso, poste- riormente ed inferiormente dalla convessità dell'osso timpanico. Le dimensioni di detta fessura, attraverso la quale defluisce la gran parte del sangue endocraniano, variano naturalmente a seconda della specie: nel M. decumanus il diametro mag- giore oscilla da 4 a 6 mm., quello minore verticale da 2-3 mm.: negli altri Mus queste dimensioni sono notevolmente diminuite. AU'endocranio tale ampia fessura si apre 236 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA /8 nella fossa media, subito a ridosso della piramide e si continua dorsalmente e late- ralmente con il solco transverso. Oltre alla predetta apertura, i cui caratteri corrispondono abbastanza esatta- mente a quelli descritti da Kopetsch, noi ne abbiamo ritrovata costantemente un'altra piccolissima, talvolta veramente microscopica, raramente sondabile con un finissimo crine, posta in alto ed in avanti alla fessura semilunare ora descritta, immediata- mente al di sotto del punto in cui la linea temporale si continua col margine poste- riore del processo zigomatico: tale minutissimo forellino è per lo più in forma di fessura e dista, per lo meno nel M. decumanus, 1-2 mm. dalla porzione del margine inferiore della squama delimitante la fessura squamosotimpanica : il canalino, che ne origina, attraversa la squama a tutto spessore, obliquo in alto e ventralmente per aprirsi nel cranio alquanto al disopra della precedente apertura: per distinguere le due aperture sottozigomatiche ora descritte si potrebbe chiamare la prima fessimi sottozigomatica, la seconda forame sottozigomatico laterale, avvertendo che quest'ultimo sfuggi completamente a Kopetsch come agli altri AA. Altre aperture, però non costanti ed evidenti, occorrono ancora nel gen. Mus: frequentemente, in ispecie nel M. decumanus, come pure nel Cricetus frumentarius, nel quale la mancanza è veramente l'eccezione, subito al disopra dell'estremità posteriore della linea temporale, od anche sulla sporgenza stessa di quest'ultima, immediatamente in avanti del prolungamento temporale della cresta occipitale, cui corrisponde la sutura squamosomastoidea, si verifica l'esistenza di un forametto sempre esilissimo, microsco- pico, notevole solo per la frequenza con la quale compare e per la costanza della sua ubicazione, sì che ragionevolmente, anche senza che non vi si possa mai far penetrare una fine setola, si deve ritenere come un emissario e più precisamente come emissario postsquamoso nel senso di Cope : questo forametto venne pure osser- vato da Kopetsch in un Cricetus ed in un Meriones. Infine, ancora nelle varie specie di Mus, abbiamo riscontrato non raramente, specie nel M. decumanus, l'esistenza di un forame sempre esilissimo (una volta ci fu possibile farvi penetrare una fine setola) nella sutura parietosquamosa, nel punto ove questa si fa orizzontale e cioè lungo una linea verticale, che decussa il margine posteriore del processo zigomatico, a distanza di mm. 1-1,5 dalla sporgenza della linea temporale : in un cranio di M. decumanus tale forame era dai due lati scavato completamente nello spessore della squama, subito cranialmente alla linea temporale, in guisa da costituire un forame soprazigomatico posteriore: questo assumeva per rispetto all'esile forame sottozigomatico laterale, naturalmente astrazion fatta dal calibro, la medesima posizione che il soprazigomatico costante nella Marmotta assume per rispetto al sottozigomatico incostante. Riassumendo, nel gen. Mus la via di deflusso principale del sangue venoso en- docraniano decorre attraverso un'ampia fessura sottozigomatica o squamosotimpanica : costantemente però vi ha inoltre un forame emissario sottozigomatico laterale, frequen- temente un forame emissario postsquamoso, ed un forame parietosquamoso, eccezional- mente un forame soprazigomatico posteriore. Subord. Hystrichomorfa ; Fani. Hystricidae. — In 2 crani di Hystrix cristata la sutura timpanicosquamosa è ampiamente aperta all'esterno. Alla parte 79 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 237 posteriore e superiore di questa sutura, e quindi cranialmente all'apertura del con- dotto uditivo esterno, esistono due ampi forami irregolarmente ovalari, separati da un esile ponticello osseo, i quali si aprono superiormente e isolatamente in fondo di una spiccatissima, solcatura petrosquamosa. La loro apertura esterna è sormontata da una specie di labbro osseo dipendenza della squama, che si prolunga avanti ed in basso, servendo cosi a delimitare una docciatura obliqua caudalmente, in avanti e lateralmente, il cui fondo è occupato dalla sutura petrosquamosa: all'estremità anteriore di tale docciatura la sutura petrosquamosa cambia direzione per farsi trasversale. In un altro Hystrix sja.? e dai due lati, invece di due aperture, vi ha un'unica ampia fessura squamosotimpanica, come descrive appunto neìY Hystrix il Eopetsch : del resto il comportamento è identico ai casi precedenti. Fam. Octodontiflae. — In 2 Myopoiamus coypus il reperto da noi avuto è perfettamente analogo a quanto abbiamo visto néìl'Hystrix, osservando però che la apertura squamosotimpanica è unica. Fam. Lagostomi dae. — Anche in 2 Lagostomus tricodaetylus la porzione squamosa ripara completamente, come ne\Y Hystrix, con un processo fortemente spor- gente e disposto a semicanale, la porzione petrotimpanica. Superiormente ed ante- riormente al condotto uditivo esterno la sutura petrosquamosa si apre a costituire una specie di fessura dilatata posteriormente, e cioè un forame ovalare, che conduce nella cavità cranica. Fam. Dasyproctidae. — Noi abbiamo esaminato un cranio di Dasyproda Azarae e 2 di Coelogenìs Paca (Paraguay): nell'uno e nell'altro le disposizioni sono poco differenti. Il comportamento della regione che ci occupa nel D. Azarae è anche perfettamente analogo a quello della Cavia : la squama temporale è completamente distinta dall'osso petroso e la sutura fra le due ossa è fortemente curva colla concavità posta al di sopra del condotto uditivo esterno : più che di una vera sutura si tratta qui di una fessura anteroposteriore, qua e là più o meno allargata, sì da dar passaggio ad una setola. Oltre a questo, al punto di riunione della regione ba- silare colla porzione laterale della sutura petrosquamosa, immediatamente all'indietro della fossa mandibolare, in una posizione cioè corrispondente al forame sottozigo- matico laterale di altri Roditori, vi ha un esile forellino circolare separato dalla por- zione ventrale della sutura predetta da un leggero ponticello osseo, forellino che dà passaggio solo a una finissima setola. Nel Coelogenìs Paca la rima delimitata dalla squama e dalla porzione petrosa è assai più larga, aprendosi ampiamente all'interno del cranio, specialmente allargata alla sua porzione anteriore: in uno dei 2 crani tale porzione anteriore è trasfor- mata in un forame circolare, ampio 3 mm., perfettamente distinto dal resto della porzione dorsale della fessura per l'apposizione al margine inferiore concavo della squama di un robusto dentello osseo, dipendenza dell'osso petroso. Nel Dasyprocta, come nel Coelogenìs, il labbro superiore della fessura sporge all'esterno assai più che non il labbro inferrore costituito dall'osso petroso. 2 - ALFONSO BOVEEO — UMBERTO CALAMIDA 80 Fani. Caviidae. — In 6 crani di Cavia cobaya occorrono ancora le medesime disposizioni riscontrate nel Coelogenis. La fessura petrosquamosa semilunare è tut- tavia assai più ristretta, allargata solamente a costituire una specie di forame cir- colare, ampio all' incirca 1 mm. alle sue estremità rispettivamente anteriore e po- steriore: di questi due forami, che danno comodamente passaggio ad una grossa setola, l'anteriore è posto immediatamente in addietro della fossa mandibolare, nel punto in cui la porzione laterale della sutura petrosquamosa si continua con la porzione basilare trasversale e questo rappresenterebbe un forame sottozigomatico la- terale; il posteriore invece occupa per rispetto al condotto uditivo una posizione supe- riore ed alquanto dorsale, in guisa che corrisponderebbe ad un sottosquamoso (Cope). Subord. Lagomorpha. Fam. Leporidae. — I reperti da noi avuti in questa famiglia non concordano punto con quelli di Kopetsch. In 15 crani di Lepus timidus ed in 16 di L. cuniculus di differente età e di prove- nienza diversa, noi abbiamo costantemente visto che la fessura squamosopetrosa, già descritta in altri Roditori, è anche qui fortemente curva colla concavità rivolta in basso ed alquanto dorsalmente, quasi ad abbracciare il contorno superiore del condotto udi- tivo osseo. Più che una vera sutura si tratta della apposizione del margine inferiore concavo della porzione posteriore della squama ridotta, come del resto in molte fa- miglie di Roditori, ad una tenue lamella ossea, all'osso petroso, in guisa che questo si trova coperto dal margine predetto della squama : in altre parole il margine della squama delimitante la fessura sporge a guisa di un orletto al di sopra e lateralmente all' osso petroso. Per la massima parte di questa fessura le due ossa vengono a mutuo contatto in guisa da non lasciar passare neanche la più fina delle setole; solo nella sua porzione anteriorsuperiore vi ha costantemente una vera soluzione di continuo, e cioè un' apertura ovalare più o meno ampia (mm. 0,5-1 in senso antero- posteriore, 1-2 mm. in senso verticale), che mette immediatamente nel solco petro- squamoso. Contrariamente cioè a quanto asserisce Kopetsch (34), attraverso alla fes- sura petrosquamosa e nella sua porzione anteriorsuperiore vi ha un' apertura, che serve appunto per il decorso di un ramo venoso di deflusso della cavità craniana. Indipendentemente da questa via e dalla rispettiva apertura ossea, ancora costan- temente nel Coniglio e nella Lepre noi abbiamo verificato, subito indietro della superficie articolare allungata trasversalmente sotto la base del processo zigomatico, nell'interstizio fra il limite posteriore di detta superficie articolare e il margine poste- riore della base dell'apofisi stessa, nel fondo di un solco arcuato disposto trasversal- mente, fortemente concavo in basso, l'esistenza di un minutissimo forellino circolare od ovalare, attraverso il quale, solo molto raramente, si può far passare una minu- tissima setola e che per la posizione si può considerare come analogo ai forami sottozigomatici laterali ripetutamente descritti. Esso, ripetiamo, costituisce un carat- tere affatto costante, per lo meno in tutti gli esemplari da noi esaminati, qualche volta è cosi fine da essere necessario l'aiuto della lente per dimostrarlo: altre volte però può assumere delle dimensioni abbastanza rilevanti, come è dimostrato da un caso (L. timidus, ad.) in cui a destra misurava 1 mm. di diametro, a sinistra circa 0,5 mm., ed era perfettamente sondabile. In ogni caso esso- si continua con un 81 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETBOSQUAMOSI 239 canale, .che attraversa la squama del temporale e si apre nella fossa cranica media superiormente alla porzione ventrale del sulcus transversus. Ancora, nella Lepre come nel Coniglio, noi abbiamo riscontrato talvolta un altro forametto pure estremamente esile immediatamente al di sopra del margine poste- riore della base dell'apofisi zigomatica; attraverso ad esso però non siamo riusciti mai a penetrare nella cavità cranica: noi lo ricordiamo solamente come foro sopra- zigomatico posteriore per la costanza della sua ubicazione; certamente i due forami sopra- e sottozigomatico devono avere un valore molto secondario come emissari, per rispetto all'apertura situata più dorsalmente nella sutura squamosopetrosa : questa a sua volta, paragonata alle ampie fessure riscontrate in altri generi, ha pure dimi- nuita la sua importanza. Riassumendo, nelle varie famiglie di Roditori noi troviamo delle disposizioni assai differenti sulle quali d'altra parte ci siamo già fermati assai diffusamente. Anzitutto è da ricordare come in tutti i Roditori, ciò che del resto è dimostrato dalla storia dello sviluppo ed in parte è noto già per precedenti ricerche, gran parte del sangue della cavità craniana fuoriesce dal cranio attraverso l'osso temporale e cioè mediante canali perforanti preferibilmente ed esclusivamente la squama, oppure decorrenti lungo le linee di riunione della squama con l'osso petroso: le vie di deflusso si possono distinguere in principali ed in secondarie, costituenti quest'ultime, fisiologicamente, dei veri emissari, il che del resto si verifica, come abbiamo visto, anche per altri ordini di Mammiferi. Mentre nelle specie in cui la squama temporale si è ridotta di molto nei suoi diametri verticali, le vie principali decorrono all'esterno attraverso la sutura petrosquamosa, disposta a fessura di varia foggia, in altri Roditori (Sciurus, Arctomys etc.) le medesime vie principali decorrono invece essenzialmente attraverso la squama stessa (foro soprazigomatico, f. sottozigomatico), e ciò avviene nelle famiglie in cui la squama temporale, pur mantenendosi per tutta la vita completamente distinta dalla porzione petrosa, ha conservato delle dimensioni verticali relativamente grandi. In questo gruppo di Roditori occorre anche un maggior numero di forami secondari, veri emissari, fra i quali più frequenti sono il sottozigomatico laterale (costante o quasi) ed il postsquamoso. Il sottozigomatico laterale si riscontra pure come carattere quasi fisso anche in taluni Roditori (Lepre, Coniglio) in cui le vie di deflusso attraversanti la fessura petrosquamosa sono relativamente ad altri (Coelogenys, Mus) diminuite di valore fisiologico. Ord. UNGULATA. I rapporti del sistema venoso con l'osso temporale variano assai nelle differenti famiglie di quest'ordine, perchè, mentre da una parte in parecchie famiglie il deflusso del sangue endocraniano si fa prevalentemente per opera della vena giugulare esterna attraverso il canale temporale, in altri invece il sangue refluo è esportato preva- lentemente dalla v. giugulare interna, oppure dalla v. vertebrale, oppure ancora per opera della giugulare esterna mediante gli emissari occipitali, sfenoidali, orbitari ed anche per mezzo delle vene satelliti dei tronchi nervosi cerebrali. Il comportamento dei canali ossei, che danno ricetto al vaso od ai vasi riunienti il seno trasverso alla vena giugulare esterna, siano questi canali destinati a vie principali come a vii accessorie decorrenti attraverso le varie parti costituenti l'osso temporale, è abbastanza 240 ALFONSO BOVERO UMBERTO CALAMIDA 82 ben conosciuto, in ispecie per ciò che riguarda i Mammiferi domestici, in quanto questi fanno essenzialmente oggetto di studio dell'Anatomia veterinaria, come abbiamo del resto visto minutamente dalle descrizioni dei vari AA. Per alcune famiglie tuttavia il materiale studiato è ancora relativamente scarso, in guisa che non paiono inutili ulteriori ricerche; per altri infine, relativamente a talune particolarità secondarie, noi non troviamo cenni abbastanza chiari e concordanti, oppure anche questi mancano completamente. Tralasciando ora i dati generali già riferiti nella rivista della letteratura (Otto, Gurlt, Schwab, Hallmann, Rathke, Luschka, Flower, Denker, Lowenstein, Legge, Chauveau e Arloing, Ellenberger e Baum, Sussdorf, ecc.) noi vediamo come Cope (9) neghi l'esistenza di qualsiasi forame, che rappresenti l'apertura di canali venosi attraversanti il temporale, negli Iracoidi, nei Proboscidei e in taluni Artiodattili omnivori (Sus, Dycotiles, Phacochaerus): nei Perissodattili il numero dei forami va aumentando dal Bhinocerus (postparietale) e dal Tapirus (postparietale e mastoideo) alla famiglia degli Equidi (postparietale, postsquamoso, postglenoide e supraglenoide): fra gli Artio- dattili omnivori, YHyppopotamus ed il Chaeropsis, a differenza dei Suini, avrebbero parecchi dei forami sopra accennati : i Ruminanti, sia attuali che fossili, sono carat- terizzati dalla presenza di un numero di forami superiore a quello di qualunque altro ordine di Mammiferi. Kopetsch (34) conferma la mancanza di ogni traccia di forame venoso emissario temporale negli Iracoidi (7 crani), nei Proboscidei (3 cr.), negli Artiodattili non rumi- nanti (Obesa, 4 cr. ; Suina, 17 cr.): negli Artiodattili ruminanti (Cavicornia, 80 cr.; Cervina, 41 cr.; Deoexa, 1 cr. ; Moschidae, 1 cr. ; Camelidae., 1 cr.) è costantemente presente un foramen iugulare spurium per lo più molto ampio, il quale conduce, o direttamente o coll'interposizione di un breve canale (meatus temporalis), nella ca- vità craniana: in modo analogo si comportano tutti i Perissodattili (Eauidae, 13 cr.; Nasicomia, 2 cr.; Tapirina, 2 cr.). Per le considerazioni prima esposte e per la conoscenza relativamente ampia dell'argomento che ci occupa nei Mammiferi domestici vediamo ora, più succinta- mente che per gli altri ordini, i reperti avuti dalle nostre ricerche. Subord. Hyracoidea. — Fani. Procaviidae. — In un Byrax capensis il forame giugulare è discretamente ampio dai due lati, il cono articolare enormemente svi- luppato: manca tuttavia qualsiasi traccia di forame temporale, che si possa inter- pretare come una via venosa. Subord. Proboscidea. — Fara. Elephiintiilae. — In un Elephas indicus giova- nissimo (Museo Se. Veter. di Torino) il cono articolare si presenta ancora sotto forma affatto rudimentale, a mo' di una piccola cresta limitante dorsalmente la superficie articolare: da ciascun lato sul margine esterno di detta cresta, inferiormente alla radice sagittale del processo zigomatico, ventralmente al contorno anteriore dell'osso timpanico, vi ha un esilissimo forellino circolare, ampio uu po' meno di 1 mm., non permeabile che per un tratto brevissimo ad una setola; questo forellino cor- risponde con ogni probabilità ad un forame emissario sottozigomatico laterale. Inoltre dai due lati, superiormente alla base del processo zigomatico, verso la parte poste- riore della porzione del planum temporale immediatamente sovrastante a detto pro- cesso, esiste un forellino circolare, ampio mm. 1,5 a sinistra. 1 mm. a destra, dal 83 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAHOSI 241 quale ha origine un canale diretto medialmente ; attraverso tale apertura, che per la ubicazione rappresenterebbe un emissario soprazigomatico posteriore, non siamo riusciti tuttavia a penetrare nella cavità craniana. In altri due crani di E. indicus ad. (M. d'An. Comp.) con cono articolare enor- memente sviluppato, i nostri reperti furono completamente negativi. Subord. Perissodactyla. — Fam. Rhinocerotidae e fam. Tapiridae. — Nel cranio di un Rhinocerus javanicus, analogamente a quanto ha riscontrato Kopetsch in un R. indicus, noi abbiamo osservato, superiormente e alquanto medialmente alla superficie articolare per la mandibola, un' apertura ampia 5 mm., cui segue un canale, che sbocca superiormente nella cavità del cranio. Manca ogni traccia di forami sopra- zigomatici. In un Tapirus americanus il cono articolare è robustamente sviluppato ; indietro e medialmente a questo vi ha un' apertura ovalare, ampia 2 mm., foro sottozigomatico mediale. Al di sopra della radice sagittale del processo zigomatico esiste pure bila- teralmente un forellino circolare, foro soprazigomatico posteriore, attraverso a cui si giunge nella cavità cranica. Fam. Equidae. — ì$ell'Equus caballus (10 ci\), come nell'i?, asinus (3 cr.), e nell'i?, quagga (1 cr.), esistono disposizioni fondamentalmente identiche, in guisa che le descrizioni dell'uno possono riferirsi anche agli altri. Il cono articolare si presenta sotto forma di un robusto mammellone osseo, schiacciato in senso dorsoventrale, più alto medialmente che non lateralmente: sulla faccia posteriore del cono si riscontra un'ampia e profonda docciatura, decorrente sagittalmente in addietro, limitata lateralmente e medialmente da due creste dipen- denti dello squamoso: dalla apposizione dell'osso petrosotimpanico allo squamoso, tale docciatura, conformata a semicanale rivolto in basso e dorsalmente, viene chiusa e trasformata in addietro in un canale completo, la cui apertura è parzialmente mascherata dalla sporgenza dell'osso timpanico. Essa ad ogni modo occupa una po- sizione immediatamente posteriore al cono articolare, merita perciò di essere con- siderata come un foro sottozigomatico posteriore: il canale, che si origina da detta apertura, è dapprima compreso, come abbiamo detto, fra l'osso petroso e lo squamoso, si volge obliquamente curvo in alto ed all'indietro, per farsi in seguito orizzontale; in questa sua porzione orizzontale è limitato lateralmente dalla squama tempo- rale, inferiormente dalla faccia superiore della base della rocca, medialmente dal tavolato interno dell'osso parietale suturato o sinostosato coll'osso petroso. In ad- dietro, giunto cioè a livello della estremità laterale dello spigolo superiore della rocca, il canale viene a continuarsi ancora orizzontalmente sulla faccia interna del- l'osso occipitale. Esso corrisponde cioè esattamente al decorso del seno trasverso della dura madre e, date le ossa che lo delimitano, viene giustamente denominato dalla maggioranza dei Zootomi canale temporoparietale. Tale canale al suo sbocco inferiore, come nelle due porzioni petrosquamosa e parietoteinporale, ha una sezione per lo più circolare ed un' ampiezza varia da 6-7 mm. ad 1 centim., corrispondente- mente all'ampiezza del seno venoso cui dà ricetto, il quale, come è noto, è destinato ad esportare dal cranio la massima parte del sangue refluo. Il canale temporoparietale riceve nel suo decorso lo sbocco di parecchi altri Serie II. Tom. LUI. f1 242 ALFONSO BOVEKO — UMBERTO CALAJIIDA 84 canali secondari. Anzitutto dobbiamo notare come posteriormente, al di sopra della estremità dorsale della linea temporale costantemente molto rilevata nel Cavallo e nell'Asino, assai meno sporgente nel Quagga, nella sutura fra il margine posteriore della squama temporale ed il margine anteriore della squama occipitale, esista costan- temente un' ampia soluzione di continuo, irregolarmente circolare od ovalare, oppure in forma di fessura corrispondente alla così detta fessura mastoidea dei Zootomi: da questa ha origine un breve canale, che raggiunge la estremità- posteriore del canali temporoparietale nel punto in cui questo sta per continuarsi colla porzione occipitale. Poiché il calibro del canale parietotemporale, come noi abbiamo potuto persua- derci con sezioni opportune, è assai maggiore della porzione occipitale dello stesso canale, è presumibile che attraverso il forame occipitosquamoso {fessura mastoidea) entri nello spessore delle pareti craniane una parte del sangue refluo dalla porzione posteriore dei tegumenti del cranio, per fuoriescire ancora assieme al sangue refluo del cervello dal forame sottozigomatico posteriore. Al canale temporoparietale, nella sua porzione orizzontale (canale parietosqua- mosopetroso) confluiscono inoltre, aprendosi nella sua parete superiore, un numero vario di piccoli canali, i quali si aprono all'esterno nella parte alta della squama temporale {forami soprasquamosi), oppure talvolta anche nella sutura parietosquamosa, od ancora nella porzione inferiore della faccia esterna del parietale (forami postpa- rietali di Cope) : ordinariamente i fori soprasquamosi nel Cavallo e nell'Asino sono in numero di 3-4, a breve distanza uno dall'altro, a 1-2 cm. al davanti della fessura occi- pite-squamósa ed hanno un'ampiezza di 1-3 mm. I canali, che da detti forami hanno origine, raggiungono il canale temporoparietale con un decorso per lo più verticale: nell'i?, quagga da noi esaminato i fori soprasquamosi sono in numero di 9 a destra, 6 a sinistra, disposti in serie lineare in tutta prossimità della sutura parietosquamosa. Non costantemente nella parete inferiore della porzione orizzontale del canale temporoparietale del Cavallo e dell'Asino, si apre ancora un canale diretto obliqua- mente in basso, in addietro e lateralmente, il quale sbocca all'esterno immediatamente al di sotto della linea temporale, alla estremità superiore della sutura squamoso- mastqidea, con un'apertura irregolare a margini frastagliati, ampia 2-3 mm. (foro sottosquamoso). Ancora, nella parete anteriore del canale temporoparietale, nel punto in cui la porzione obliqua si continua con la porzione orizzontale, si apre un canale di am- piezza varia, obliquamente diretto in avanti e lateralmente per sboccare all'esterno nell'angolo diedro formato dalla base del processo zigomatico col planimi temporale, con un forame di ampiezza variabilissima da 1 a 4 mm., foro soprazigomatico posteriori. Mentre questo forame è affatto costante nei vari esemplari da noi esaminati, non così costante invece ci è parsa la connessione del canale che gli fa seguito col con- dotto temporoparietale, in quanto alcune volte per il piccolissimo calibro pare ridotto ad un semplice canale diploico. Detto canale può d'altra parte comunicare col con- dotto temporoparietale con parecchie aperture, una o due delle quali sono anche visibili dall'esterno, in fondo del semicanale costituito dallo squamoso dietro il cono articolare. Per le connessioni dei forami soprazigomatico, soprasquamoso e sottosquamoso ora descritti col canale temporoparietale propriamente detto, è chiaro che, mentre quest'ul- CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 24:ì timo rappresenta la via principalissiina di deflusso, agli altri sopranominati è preci- samente riferibile il valore di semplici emissari. oltre a questi ultimi però possono inoltre occorrere altri canali emissari indipen- denti dal canale temporoparietale. Noi abbiamo trovato difatti in 2 casi, in uno da entrambi i lati, in un altro solo al lato sinistro, in fondo di un'ampia fossetta situata sulla faccia inferiore della squama temporale, subito medialmente al conus articularis, un forametto circolare, ampio 1-2 mm., il quale si apre immediatamente, dato il mi- nimo spessore della squama in questo punto, nella fossa craniana media, ove è con- tinuato in avanti da una evidente fine docciatura: a questo forametto possiamo ben dare il significato di un emissario squamoso sottozigomatico mediale; la sua presenza, per quanto finora non ricordata da altri AA., si deve tuttavia ritenere più come una condizione eccezionale che non come un carattere normale. Negli Equidi quindi, oltre al canale temporale o temporoparietale dei Zootomi, aprentesi con una apertura sottozigomatica posteriore, occorrono dei canali emissari secondari, che si aprono all'esterno con forami delle varie categorie: così ancora possono esistere nello spessore della squama dei canali, che si debbono ritenere pure come emissari, però perfettamente indipendenti dal canale principale temporoparietale. Subord. Artiodactyla. — Fani. Suidae. — Analogamente a quanto hanno riscontrato tutti gli altri AA., in 1-4 crani di Sus scropha, var. domestica, delle razze e provenienze più diverse, noi non abbiamo mai potuto riscontrare traccia alcuna di forami emissari nelle diverse porzioni della squama temporale, per cui si deve ra- gionevolmente ammettere che il sangue venoso endocraniano defluisca per altre vie e più precisamente attraverso il forameli jugulare, discretamente ampio, riunito col forameli lacerum anterius mediante una ristretta fessura. I reperti sono alquanto diversi nel Cinghiale (Sus scropha, var. fera) di cui noi abbiamo potuto esaminare 27 crani, eziandio di provenienze le più diverse. In 15 di questi, in gran parte provenienti da San Rossore (Toscana) e dalla Sardegna, i reperti sono pure affatto negativi, come nel Sus scropha, var. domestica. Invece in quasi tutti gli altri 12, provenienti dall'America del Sud (Equador, Pampas) noi abbiamo tro- vato delle traccie abbastanza evidenti di forami emissari. Uno di questi è situato al di sopra della faccia superiore molto ampia della base del processo zigomatico, in una posizione corrispondente al forame soprazigomatico posteriore. Ordinariamente tale forame è situato nell'angolo diedro aperto all'esterno, delimitato da detta faccia e dal piami m temporale: è circolare, ampio meno di 1 mm., difficilmente sondabile. In un cranio di individuo molto giovane (America) esso è spostato in alto ed in addietro, in guisa che a destra si trova subito al di sotto della sutura squamosa, a sinistra nella sutura squamosa stessa [forame soprasquamoso). Del resto la ubicazione è abbastanza costante, come pure è normale la sua esistenza in tutti i Cinghiali esotici da noi esaminati, poiché fra 12 crani esso mancava solamente 2 volte da un lato (a sinistra), esistendo invece dal lato opposto (a destra). Noi non possiamo asserire alcunché di perentorio sul destino del canale, che da detto forame ha origine, poiché non ci riuscì di far penetrare mai, probabilmente anche a causa dello stato di macerazione, una setola entro di essi all'infuori di un breve tratto: è probabile però che il foro soprazigomatico, tale almeno per la sua ubica- 244 ALFONSO BOVEEO UMBERTO CALAMIDA 86 zione. serva esclusivamente per il tragitto di una vena proveniente dalla mucosa tap- pezzante le cavità pneumatiche scavate nello spessore della squama, ed invadenti anche la base del processo zigomatico : tutt'al più si potrà pensare ad un vero foro emissario nell'unico caso in cui l'apertura per la sua ubicazione era da classificarsi fra i soprasquamosi. Il medesimo significato si deve pure necessariamente dare ad un forame assai meno frequente, riscontrato 2 volte bilateralmente nei Cinghiali d'America, una volta pure dai due lati in un Cinghiale di San Rossore, situato medialmente e poste- riormente all'ampia superficie articolare per la mandibola, verso la estremità mediale della sutura squamosotimpanica, in una posizione cioè affatto corrispondente al foro sottozigomatico mediale. Tale forametto è molto esile, ne ci riuscì che una sol volta di introdurvi una minutissima setola, la quale riesce appunto sul pavimento di una delle cellule della cavità pneumatica surricordata, cavità per altro perfettamente indipen- dente dal cavo craniano: noi ci siamo persuasi dei rapporti che il canalino sotto- zigomatico mediale contrae colla sua estremità superiore, demolendo dall'endocranio la parete interna e superiore del recesso pneumatico stesso. Noi non osiamo certamente pensare che funzionino come emissari ne i forami soprazigomatici, ne quelli sottozigomatici ora descritti; tutto al più ci permettiamo no- tare la costanza della occorrenza del soprazigomatico nei Cinghiali d'America e la posi- zione perfettamente identica occupata dal sottozigomatico mediale nei 3 casi ricordati. I canali corrispondenti con la massima probabilità sono destinati a dar ricetto a venuzze provenienti dalla mucosa della cavità pneumatica e le loro aperture esterne, come i eanali stessi, possono tuttavia ben considerarsi come un rudimento dei canali e delle aperture, che in altre famiglie dello stesso ordine rappresentano o dei vari canali principali o semplicemente delle vie emissarie. Ci piace poi far rilevare la differenza veramente strana che si ha fra il Sus scropha ed i Cinghiali nostrani da una parte ed i Cinghiali esotici dall' altra. La esistenza dei canali da noi descritti, non ricordata da altri AA., ci pare possa clas- sificarsi molto appropriatamente fra i caratteri di razza, potendo anche rappresentare uno degli esempi molto netti di variabilità nella medesima specie. In un Phacochaerus aetiopieus, come in 2 Potamochaerus sp. ? manca ogni traccia di forami sopra- o sottozigomatici. Fam. Hii>popotainitlae. — In un esemplare di Hippopotamus amphibhis noi abbiamo riscontrato dai due lati, nella parte posteriore della fossa temporale, ad 1 cm. al di sotto della sutura squamosoparietale , un forame aperto obliquamente in alto, forame soprasquamoso, cui segue un canale diretto in basso, in avanti e me- dialmente, il quale riesce nella cavità cranica. Nello stesso individuo sul margine inferiore del parietale vi ha un foro consimile (foro postparietale di Cope). In altri 2 Hippopotamus manca il foro soprasquamoso, esiste invece dai due lati il postparietale; in uno di essi questo interessa la porzione posteriore della sutura parietosquamosa. Fam. Camelidae. — In 2 Camelus dromedarius, al davanti del condotto udi- tivo, sulla faccia dorsale del cono articolare, ad 1 cm. inferiormente alla sporgenza della linea temporale, esiste un'apertura, ampia 4 mi., rivolta direttamente all'esterno ed alquanto in basso; il canale che gli fa seguito, ugualmente ampio, si dirige oriz- 87 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 245 zoii tal mente in dentro verso la cavità craniana; data la direzione di questo canale e la posizione della relativa apertura, forame sottozigomatico posteriore, fatta astrazione del calibro molto maggiore, tale formazione corrisponde abbastanza bene a quella descritta con egual nome nell'Uomo, come in molte altre specie dei diversi ordini. Oltre a detto forame ve ne ba pure un altro relativamente ampio, meno però dei precedenti (2,5-3 mm.), posto al disopra della base del processo zigomatico, forame soprazigomatico posteriore, cui segue pure un canale diretto orizzontalmente in dentro e dorsalmente. In 5 crani di Llama il comportamento degli emissari temporali è presso a poco analogo a quanto abbiamo descritto per il Cammello. Vi esistono cioè un foro sot- tozigomatico posteriore ed un foro soprazigomatico posteriore meno ampio: i due canali , che fanno seguito ad essi , raggiungono fondendosi uno all' altro il sulcus transversus : alcune volte però (in un cranio bilateralmente) il foro soprazigomatico è doppio da ciascun lato e dei due canali, che seguono a tali fori, uno si apre im- mediatamente in quello che continua il forame sottozigomatico, l'altro può sboccare isolatamente nella cavità craniana. In 2 casi abbiamo riscontrato pure due forami postsquamosi nella parte alta della squama temporale in tutta vicinanza della sutura squamosoparietale; in un altro invece detto forame corrispondeva alla sutura stessa. Fam. Cervidae. — In 39 crani di parecchie specie (Cervus alces 2 cr.; C. elaphus 21 cr.; Rangifer tarandus 3 cr.; C. Wapiti 2 cr.; C. gymnotus 4 cr.; C. canadensis 1 cr. ; C. capreolus 6 cr.) il comportamento dei canali venosi attraversanti il temporale è fondamentalmente identico in tutti ed anche analogo, salvo leggere differenze, a quello riscontrato nelle precedenti famiglie. Vi ha cioè costantemente un'apertura molto ampia (3-4-5 mm.), posta dorsalmente al cono articolare, rappresentante lo sbocco di un canale temporoparietale affatto simile a quanto abbiamo in questo stesso ordine diffusamente descritto. È da notarsi solo che l'apertura inferiore di detto canale, forame sottozigomatico posteriore, destinato al tragitto della principalissima via sanguigna di deflusso, può presentarsi abnormemente divisa in due, di modo che esistono allora due forami sottozigomatici posteriori, posti uno medialmente all' altro (C. elaphus di Sardegna a destra, C. canadensis bilateralmente): in ogni caso il forame sottozigomatico posteriore occupa preferibilmente la parte mediale del cono arti- colare ; alcune volte però l'apertura è spostata alquanto lateralmente, rivolta in basso ed all'esterno. Mentre il comportamento di detto canale nella ubicazione e nel calibro della sua apertura esterna è relativamente costante, si notano invece differenze sensibili, indi- viduali o di razza, per rispetto al numero ed alla ubicazione di altri forami posti al di sopra del processo zigomatico e della linea temporale, che continua dorsal- mente tale processo. Ordinariamente subito al disopra della base del processo zigo- matico esistono 1, 2 o più forami aggruppati, oppure in numero maggiore (6-8) scaglionati a livello diverso nello spessore della squama, in guisa da rappresentare delle forme di passaggio fra i forami soprazigomatici, i soprasquamosi e i post- squamosi. Quando esiste un unico forame soprazigomatico posteriore, posto cioè im- mediatamente al disopra della base del processo zigomatico, esso può avere un ca- libro molto diverso, da 1 mm. a 4 mm., e il canale che gli fa seguito si riunisce ■_> 1 6 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 00 per lo più al canale principale aprentesi dietro il cono articolare. Quando invece abbiamo parecchi forami soprazigomatici, uno di essi ha per lo più un calibro mag- giore (2-3 mm.), gli altri sono assai più esili sì da dare per lo più passaggio solo ad una setola: tuttavia questi forami soprazigomatici possono mancare anche total- mente, contemporaneamente alla mancanza di forami posti pure subito al di sopra della linea temporale, oppure mancare nella loro posizione abituale al di sopra della base dell'apofisi zigomatica, pure essendo presenti uno o più postsquamosi ed uno o più soprasquamosi. La mancanza di forami soprazigomatici posteriori è stata da noi verificata dai due lati in 3 C. gymnotus su 4, e in 2 C. capreolus su 6. Per lo più vi hanno pure nelle varie specie di Cervus dei forami nella sutura parietotemporale in numero di 1-2 : oppure questi possono essere spostati un po' più in basso nello spessore stesso della squama. Quasi costantemente ancora noi abbiamo verificato l'esistenza di 1-2 forami, ampi 1-2 mm. al disopra della estremità poste- riore della linea temporale, subito ventralmente alla cresta squamosoccipitale. Così pure quasi costantemente al di sotto della estremità posteriore di detta linea, nella parte alta della sutura squamosomastoidea, come nella sutura mastoidoccipitale esistono dei forami venosi di calibro diverso. Nei Cervidi quindi, accanto al canale temporoparietale aprentesi all' esocranio con un forame sottozigomatico posteriore, canale che rappresenta la via tenuta dalla massima parte del sangue endocraniano nel suo decorso refluo, vi ha una serie mu- tevole per numero, per ubicazione, per costanza, di altri canali in ogni caso di ca- libro minore, aprentisi all'esocranio con forami delle varie categorie (soprazigomatici, soprasquamosi, postsquamosi, sottosquamosi, mastoidei nel senso di Cope), i quali canali comunicano per lo più direttamente col canale temporoparietale, oppure con la por- zione del solco transverso situata dorsalmente alla apertura endocranica del canale stesso, oppure ancora direttamente colla cavità craniana, indipendentemente cioè dal solco trasverso : la piccolezza del calibro, come la variabilità numerica e disposizione del loro sbocco esocranico, dimostrano chiaramente come ad essi si debba dare il significato di veri emissari venosi del seno trasverso. Relativamente poi ai reperti che noi abbiamo avuto nel C. gymnotus e nel C. ca- preólus, possiamo affermare che nell' aggruppamento e nella posizione, come nella mancanza di taluni di detti forami, sono da ricercare, più che delle variazioni indi- viduali, delle vere variazioni di razza o di specie. Fani. Giraffidae. — Nella Giraffa (2 cr.) vi ha dai due lati, dietro al cono articolare, un largo foro circolare, ampio mm. 10, rappresentante lo sbocco inferiore del canalis temporoparietalis, diretto obliquamente in alto, in avanti e medialmente. Un altro forame bilaterale, aperto superiormente alla base dell'apofisi zigomatica, si continua con un canalino, che imbocca il canale temporale dalla sua parete anteriore in tutta vicinanza dell'apertura sottozigomatica. Fam. Bovtdae. — Subfam. Neotraginae. — In due Pediotragus campestris vi ha un comportamento identico a quello della Giraffa, e cioè un canalis temporalis aperto inferiormente con un forame sottozigomatico posteriore ed un piccolo forametto soprazigomatico posteriore. Quest' ultimo in un Oreotragus saltatoi- è spostato più in 89 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETKOSQUAMOSI 24 ! addietro, sopra la linea temporale, è esilissimo sì da non permettere il passaggio ad una setola. Subfam. Antilopinae. — Noi abbiamo preso in esame un cranio di Aepyceros melampus, 10 cr. di varie specie di Antilope (Antilope Saiga, A. Alcini, A. Somme- ringi, Gazzella subgutturosa, Colui elipsiprymnus), nei quali tutti vi hanno le mede- sime disposizioni. Esiste cioè un ampio foro sottozigomatico posteriore dietro la cresta appena accennata rappresentante il conus articularis : tale apertura è ordinariamente circolare, talvolta però in forma di fessura; più che un vero canale temporale si verifica, per lo meno nei giovani soggetti, che all'apertura esocranica corrisponde immediatamente dall'endocranio un'apertura similare, posta nella porzione anteriore del solco trasverso. Costantemente vi hanno inoltre 1-3 aperture, il cui calibro è sempre minore del foro sottozigomatico, poste immediatamente al di sopra della base del processo zigomatico, comunicanti pure direttamente colla cavità craniana: quando vi ha un unico foro soprazigomatico, questo può continuarsi con un breve canale, diretto alquanto dorsalmente per isboccare nel contorno anteriore del foro sottozigomatico. Nel Colus elipsiprymnus il foro soprazigomatico, a differenza delle altre Antilopi, assume uno sviluppo preponderante per rispetto al sottozigomatico ; si presenta cioè circolare, ampio 1 cm. e si apre direttamente nella parte anteriore del solco trasverso. Spesso esiste inoltre un piccolo forame, ampio da 1 a 2 mm„ superiormente alla porzione posteriore della linea temporale ; altre volte ve ne ha un altro in rapporto della parte alta della squama, oppure in rapporto della sutura parietosquamosa : la presenza di questi ultimi però non appartiene certo alle condizioni assolutamente costanti, mentre invece si deve ritenere tale nelle Antilopinae la esistenza dell'emis- sario soprazigomatico, funzionante vicariamente al canale temporale. Subfam. Hippotraginae. — In un Hippotragus equinus, assieme al canale tem- porale comportantesi come d'ordinario, vi hanno da ciascun lato due piccoli forami soprazigomatici; mancano invece gli emissari postsquamosi e soprasquamosi. Subfam. Traghelaphinae. — In questa sottofamiglia (Traghelaphus scriptus 1 cr.; T. Spekai 2 cr.; Tragocamelus pallas 1 cr.; Strepsiceros Kudu 1 cr.; S. capensis 1 cr.) si mantiene ancora il rapporto sovraenunciato tra il canale temporale, aprentesi in basso dietro il conus articularis appena accennato, ed i forami soprazigomatici posteriori, occorrenti per lo più in numero di 2 nell'angolo diedro delimitato dal planum temporale colla faccia superiore della base del processo zigomatico: i canali od il canale corrispondenti si aprono per lo più nel contorno anteriore del canale temporale. Più frequentemente che nelle Antilopine, nella grande maggioranza dei crani sopraricordati esistono inoltre 1-2 piccoli forametti, posti subito superiormente alla estremità posteriore della cresta temporale e comunicanti pure col canale temporale, forami postsquamosi. Costantemente ancora, indietro del foro uditivo, nella sutura squa- mosomastoidea, ad 1 o 2 min. al disotto della sporgenza della cresta temporale, vi ha un esile forametto ampio mm. 0,5-1, forame emissario sottosquamoso, che rap- presenta pure un emissario del canale temporale. Forami analoghi si possono anche 248 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 90 talvolta constatare nella parte alta della squama temporale, oppure direttamente nella sutura parietosquamosa. Nel Traghelaphus scriptus, fra la porzione inferiore e posteriore del margine superiore della squama ed il margine anteriore dell' angolo mastoideo del parietale, vi ha un' ampia fessura , alla quale viene a sboccare una diramazione del canalis temporalis, appunto come abbiamo verificato negli Equidi. Subfam. Rupicaprinae. — In un Haplocerus americanus, oltre all'ampia apertura sottozigomatica del canale temporale, occorrono da ciascun lato un forame emis- sario soprazigomatico, un postsquamoso ed un sottosquamoso, come nelle precedenti famiglie. Subfam. Caprinae. — Le nostre ricerche vertono su 8 crani di Capra ibex, 6 di C. oegagrus, 10 di C. hircus, 7 crani di Ovis aries, 2 di 0. nahoor, 9 di 0. mussimi»!, nei quali occorre una straordinaria concordanza di comportamento. Dietro al cono articolare, presentatesi sotto forma di una cresta tagliente disposta in direzione frontale ed assai più alta medialmente, inferiormente all'apertura esterna del con- dotto uditivo si scorge una ampia apertura circolare, scavata completamente nello spessore della squama temporale; da questa ha origine un canale decorrente curvo in alto ed in addietro, per aprirsi sulla cavità craniana a livello della estremità laterale del margine superiore della piramide, essendo nella sua porzione posteriore delimitato superiormente dall'osso parietale, canale petrosquamosoparietale. Il foro sotto- zigomatico posteriore ha un diametro che oscilla fra 5 mm. ed 1 cm.; può tuttavia essere suddiviso in 2-3 aperture secondarie , poste una medialmente all' altra e di calibro naturalmente assai piccolo; per questa via fluisce, come è noto, gran parte del sangue venoso endocraniano. Oltre a detto forame vi ha ancora al disopra della base del processo zigomatico un'altra apertura, pure molto ampia, in nessun caso minore della precedente, spesso anche maggiore (da 5 a 12 mm.), forame soprazigomatico posteriore. I forami sopra- e sottozigomatici si corrispondono un l'altro di guisa che il breve canale, il quale li riunisce, pare attraversi verticalmente la base del processo zigomatico: al contorno posteriore di questo canale infrazigomatico giunge la estremità ventrale del canalis temporalis propriamente detto. In altre parole il forame soprazigomatico ha assunto, nella sottofamiglia Caprinae, come carattere fisso un' ampiezza per lo meno pari a quella del sottozigomatico, cui nella grande maggioranza delle famiglie di Ungulati fin'ora esaminate, nelle quali il deflusso del sangue endocraniano avviene appunto prevalentemente attraverso l'osso temporale, spetta la maggior importanza funzionale corrispondentemente al maggior calibro. Il foro soprazigomatico cioè rappresenta, non più lo sbocco di un semplice emissario, ma bensì una delle aperture principalissime del canalis temporalis. Il valore di semplici emissari è invece conservato nelle Caprinae ad altri pic- coli forami, che occorrono quasi costantemente nella parte alta della squama, oppure nella porzione posteriore della sutura squamosoparietale (fori soprasquamosi nel senso di Cope), oppure immediatamente al disopra della cresta temporale, che continua in addietro il margine laterale del processo zigomatico, oppure direttamente sulla spor- 91 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 249 genza laterale della stessa cresta più o meno in prossimità della sutura squamoso- mastoidea (fori postsquamosi di Cope). Sia i forami soprasquamosi come i postsqua- mosi hanno generalmente un'ampiezza da 1 a 2 min, ; sono per lo più unici, talvolta invece, specialmente i soprasquamosi, in numero di 1, 2, 3 o più: i canali, che da essi hanno origine, confluiscono con decorso a direzione diversa al canale temporale. La presenza dei canali delle due categorie, semplici o molteplici, appartiene alle condizioni normali, tuttavia ci pare più costante la esistenza dei forami soprasqua- mosi, mentre non di rado mancano il forame od i forami postsquamosi, oppure sono ridotti estremamente di calibro, sì che a mala pena danno passaggio ad una fine setola. Subfam. Bovinae. — In 12 crani di Boa taurus di provenienze, sesso ed età diverse noi abbiamo verificato un comportamento presso a poco analogo a quanto abbiamo ora descritto nella subfam. Caprinae. La differenza essenziale sta in ciò che il forame soprazigomatico posteriore ha caratteri meno fissi di quanto non occorra nella subfam. Caprinae. Mentre cioè talune volte, ciò che succede specialmente nei Vitelli, tale apertura ha un'ampiezza anche superiore a quella del forame sottozigo- matico, altre volte occorre, e in modo speciale negli individui adulti ma anche in quelli giovani, che esso abbia un calibro ridottissimo, sino a mm. 0,5-1-2. Alcune volte invece i forami soprazigomatici, costantemente piccoli, sono in numero di 3-4; del resto, qualunque ne sia il calibro, essi si comportano per rispetto al canale tem- porale ed alla sua apertura sottozigomatica nell'identico modo da noi di già ripetuta- mente descritto. Per il foro sottozigomatico dobbiamo notare, che in 2 Vacche si pre- senta da ciascun lato suddiviso in due forami secondari, disposti frontalmente uno accanto all'altro: l'ampiezza del forame sottozigomatico unico, oscilla da 3-4 mm. (negli individui giovani) fino ad 1 cm. Quasi costantemente al disopra della estremità posteriore della cresta temporale, oppure sulla sporgenza stessa di questa cresta, si nota un forametto ovalare o cir- colare [forame postsquamoso), talvolta anche 2 o più scaglionati sagittalmente, i quali, con canali propri attraversanti la squama in avanti e medialmente, raggiungono il ca- nale temporale in prossimità della sua apertura endocranica. Costantemente pure esi- stono uno o due altri fonimi soprasquamosi, nella parte alta della porzione posteriore della squama temporale, oppure nella sutura parietosquamosa, immediatamente in avanti della cresta occipitomastoidea. Altro forame, però meno frequente, si può ritrovare al disotto della cresta temporale nella parte alta della sutura squamosomastoidea (forame sottosquamoso). Nei Bovini quindi noi dobbiamo ritenere che costantemente la via principalis- sima di deflusso del sangue venoso endocraniano è rappresentata dal canale tem- porale; nei giovani soggetti, come talvolta anche nell'adulto, il forame soprazigoma- tico, il quale pure nella maggioranza dei casi, ha il valore di un semplice emissario, può diventare equipollente funzionalmente al sottozigomatico. Il valore di emissari è conservato ai forami sottosquamosi e postsquamosi. Riassumendo quindi noi vediamo come negli Ungulati i rapporti dell'osso tem- porale colle vie venose di deflusso del cranio siano molto diversi nei vari sottordini : difatti, mentre in alcuni di questi (Iracoidi, Proboscidei, Tapiridi, Rinocerotidi, Suidi) i canali venosi emissari temporali dei vari gruppi mancano o sono estremamente Serie II. Tom. LUI. a* 250 ALFONSO BOTERÒ — UMBERTO CALAMIDA 92 ridotti, invece in tutti gli Artiodattili ruminanti e, fra i Perissodattili, negli Equidi non solo l'osso temporale è scavato dal canale omonimo, percorso cioè dalla via principale di deflusso del sangue venoso, ma anche vi esistono per lo più un numero abbastanza rilevante di canali accessori destinati a dar ricetto a vie di deflusso semplicemente sussidiarie. I canali accessori raggiungono il loro numero maggiore negli Artiodattili ruminanti, e più ancora in talune famiglie (Ovinae, Bovinae), che non in altre. Dei vari forami sussidiari al canale temporale il più frequente è il foro soiim zigomatico posteriore ed è pure quello che va soggetto alle maggiori oscillazioni nel calibro, fino a raggiungere (Caprinae ed eventualmente anche Bovinae) un'am- piezza tale da doversi considerare necessariamente come equipollente al sotto- zigomatico. Gli altri forami emissari (soprasquamoso , postsquamoso e sottosquamoso) conservano per lo più un calibro relativamente minimo, come pure, esaminati nella serie delle varie famiglie, sono anche meno costanti e nella posizione e nella loro esistenza stessa. Le nostre ricerche poi se da una parte confermano i reperti nega- tivi degli altri AA. relativamente agli Iracoidi, dimostrano pure per altri sottordini, ad es., per i Proboscidei, per gli Obesa (Hippopotamus), come anche per la fam. Suidai . contrariamente alle affermazioni degli altri ricercatori, la esistenza di formazioni che possono essere interpretate come traccie o rudimenti di canali emissari venosi delle varie categorie. Relativamente a questi ultimi noi ricorderemo ancora una volta il fatto caratteristico riscontrato nel Cinghiale, in cui la esistenza di un emissario sotto- zigomatico mediale può essere considerata come un vero carattere di razza. Ord. SIBERIA. — Ord. CETACEA. In un Manatus australis (Sirenia), in 6 crani di Delphinus Delphis, come in 1 di Beluga leucas ed in 1 di Balenoptera (Cetacea), non venne a noi dato mai di verificare l'esistenza di forami nella regione temporale, che si possano ricondurre a canali venosi emissari, analogamente ai dati di Otto (50), Denker (11, b), Cope (9), e Kopetsch (34). È da notarsi tuttavia come, data la scarsità del materiale da noi e da altri studiato, come pure le difficoltà di una macerazione veramente completa del cranio, non è impossibile che tali emissari vengano appunto dimostrati in pro- sieguo da altri ricercatori. Ord. EDENTATA. Negli Sdentati le conoscenze dei rapporti, che le vie venose contraggono even- tualmente con l'osso temporale, sono scarsissime, però sufficientemente concordanti fra loro. Difatti Otto (50) ammette l'esistenza del canalis temporalis in Myrmeco- phaga jubata, in .1/. tridaetyla e nel Dasypus, negandolo invece nel gen. Bradypux. Cope (9), come già Hybtl (30, a), e come più tardi venne più diffusamente descritto da Tandler (67«, b) anche nei Monotremi, accenna al fofame d'ingresso per l'arteria diploetica magna, in una posizione molto prossima al forame emissario venoso sub- squamoso, nella Tamandua : nel Dasypus sexcintus vi sarebbe un foro postglenoideo ampio, un postsquamoso ed un sottosquamoso, nel Clamydophorus un postglenoideo unico, nel Manis un postzigomatico ; mancherebbe invece ogni traccia di forami nel Bradypus e nel Cholaepus. Kopetsch (34) conferma l'esistenza di un foramen jugulare 93 (.'ANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETR0SQUA1I0SI 251 spurium nei gen. Myrmecophaga e Dasypus, nei quali anzi sarebbe doppio, mentir nei gen. Manis, Orycteropus e Bradypus non se ne troverebbe traccia. Noi abbiamo potuto usufruire anche di un materiale relativamente assai scarso ed i risultati che noi abbiamo avuti sono puramente confermativi. In 2 Bradypus tridaetylus mancano tutti i forami, che si possano interpretare come emissari venosi della porzione basilare del temporale: in un solo cranio ed esclusivamente dal lato destro esiste sul prolungamento dorsale del margine superiore del processo zigoma- tico un forame comunicante con la porzione dorsale del seno trasverso. In 3 Myrmecophaga 'tubata alla parte posteriore della superficie articolare, nella sutura squamosotimpanica vi ha una irregolare fessura unica o divisa in due porzioni (1 cr. bilateralmente) in guisa da costituire due piccoli forami posti uno a lato dell'altro e ampi poco più di 1 mm.: sia la fessura, come i due forami, attraversano la squama temporale per aprirsi verticalmente in alto nel fondo del solco trasverso (forami sottozigomatici posteriori). In un caso al di sopra della base del processo zigomatico rudimentale vi hanno da entrambi i lati due piccoli forami, attraverso i quali può penetrare nella cavità cranica una piccola setola, foranti soprazigomatici posteriori. In 3 Dasypus novemeintus, in avanti e superiormente al condotto uditivo esterno, vi ha bilateralmente un forame, ampio 1 mm., corrispondente per la posizione al soprazigomatico posteriore, dal quale si può penetrare nella cavità craniana: in 2 casi vi ha inoltre sul prolungamento posteriore della radice zigomatica un forame ovalare ampio all' incirca 2 mm.; in un altro da ciascun lato vi sono nella parte alta della squama parecchi minuti forellini non permeabili però ad una setola. In un Manis Temninki esiste un forame irregolarmente ovalare sulla superficie esterna dell'ampio processo zigomatico: il detto forame si continua con un canale diretto orizzontalmente in addietro e medialmente verso la cavità craniana. Facendo quindi astrazione dallo scarso materiale e dai rapporti più complicati con branche arteriose proprie dei Mammiferi inferiori (Sdentati e Monotremi), quali cioè non compaiono normalmente negli ordini di Mammiferi sinora studiati, si può asserire che anche negli Sdentati una parte del sangue venoso endocraniano può defluire all'esterno attraverso l'osso temporale, sboccando all'esocranio in punti cor- rispondenti all'apertura delle vie principali (sottozigomatico) od accessorie (soprazigo- matico, soprasquamoso, postsquamoso) dei Mammiferi finora studiati. Ord. MARSUPIALIA. — Ord. MONOTREMATA. Anche nei Marsupiali una parte del sangue venoso endocraniano decorre per imboccare la giugulare esterna attraverso l'osso temporale. Secondo Cope (9) i tipi di quest'ordine hanno generalmente il foro postglenoide e quasi mai il supraglenoide o il postparietale; essi si distinguerebbero generalmente per la presenza del sotto- squamoso, il quale in alcuni (Phascolarctos) può rappresentare l'unica via di deflusso del seno laterale: nei Marsupiali inoltre esisterebbe sopra il meato uditivo esterno un forame sopratimpanico, comunicante con la cavità dell'orecchio medio. Kopetsch (34) a sua volta afferma che, ad eccezione del gen. Phalangista, tutti gli altri Marsupiali posseggono un foranien jugulare spurium. 252 ALFONSO BOVEEO — UMBERTO CALAMIDA 9 l In 8 crani di Macropus halmaturus giganteus ed in un M. Bennettii, immediata- mente al davanti dell'apertura esterna del condotto uditivo, sulla faccia posteriore di un con us articularis costantemente ben sviluppato, più in prossimità del suo margine mediale che non di quello laterale, vi ha un forame sempre relativamente ampio, da mm. 1,5 a 3-4 mm., più o meno regolarmente circolare, cui segue un canale diretto verticalmente in alto, il quale sbocca nella cavità cranica, nella porzione anteriore della sutura petrosquamosa : a detto forame si può assegnare il valore di un sottozigomatico posteriore. Costantemente ancora, al disotto della radice sagittale del processo zigomatico, immediatamente al disopra del porus acusticus externus, vi ha un forellino ovalare, ampio 1 mm., aperto al fondo di una specie di docciatura, cui segue un canale obli- quamente diretto in basso ed in avanti e comunicante con la cavità timpanica. Molto probabilmente è appunto a questo forame, destinato certo al decorso di vasi arteriosi o venosi, che allude Cope parlando del forame sopratimpanico. Oltre a quelli ora ricordati, quasi costantemente al disopra della radice sagit- tale del processo zigomatico, nello spessore della squama temporale, verticalmente al di sopra del poro acustico e quindi del foro sopratimpanico di Cope, esiste un forellino circolare ampio 2 mm., cui corrisponde un canale attraversante la squama per aprirsi nel solco petrosquamoso. Alcune volte tale forame venne da noi riscon- trato esattamente sulla sporgenza della linea temporale ; nell'un caso come nell'altro questo forame soprazigomatico posteriore è sempre relativamente ampio ed è facile dimostrarne la comunicazione diretta col solco petrosquamoso, a cui giunge per lo più nel medesimo punto in cui sbocca il canale sottozigomatico. Infine in un cas< i i dai due lati {M. giganteus ad.), oltre al forame soprazigomatico, al sottozigomatico ed al sopratimpanico, esisteva pure dai due lati un foro post squamoso. E a notarsi che nei Macropus, come del resto anche negli altri Marsupiali, vi ha un'ampiezza relativamente grande del forameli jugulare. In un Phascolomys, nella parte verticale della squama, subito al disopra della base del processo zigomatico, vi hanno bilateralmente 3 piccoli forami aggruppati, forami sopra zigomatici posteriori, ampi circa 1 mm. caduno, i quali si aprono in un unico canale, che sbocca nel seno petrosquamoso; un altro foro della stessa cate- goria è posto più dorsalmente, sopra la linea temporale a livello del condotto uditivo e si apre isolatamente nel solco petrosquamoso; le condizioni di macerazione ci im- pedirono di ben esaminare la porzione basilare della squama. In un Didelphys Azarae e in un I). vìrginiana, dorsalmente al eonus articularis molto sviluppato, in prossimità del suo margine mediale, vi ha un forame ovalare ampio 4 mm., che si apre immediatamente in alto nel seno petrosquamoso. Nel D. vìr- giniana, lateralmente al cono articolare, subito al disotto del margine tagliente della radice sagittale del processo zigomatico, vi ha un piccolo forellino (1 mm.), il quale mette nel seno petrosquamoso unitamente al precedente; in questo cranio quindi esistono due forami sottozigomatici, uno mediale ed uno laterale. Per i Monotremi noi non abbiamo criteri personali, in quanto nell'unico esem- plare da noi avuto in esame di Echydna histrix le condizioni di macerazione ci impe- divano assolutamente di poter pronunciare un giudizio: ricorderemo solamente come, mentre Tandler (67 b) descrive e raffigura solo il foro per l'ingresso dell'a, diploetica 95 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PBTBOSQTJAMOSI 253 magna nell'Echydna aculeata tipica, Cope (9) nel Tachyglossus oltre ai forami per la detta arteria, accenna pure ad un forame postzigomatico, nell' Ornithorhyncus ad un postzigomatico e ad un postsquamoso. In ogni caso però questi ultimi hanno sem- plicemente il valore di emissari, poiché, come è noto, specialmente per le ricerche di Hochstetter (28), il seno trasverso dei Monotremi, invece di imboccare o un forameli iugulare spurium oppure il forameli jugulare veruni, segue la via della vena capiti lateralis, contraendo cioè rapporti molto stretti colle varie porzioni dell' osso tem- porale, seguendo all'incirca il decorso del n. facialis, e mantenendo quindi come defi- nitivo un comportamento che è abbozzato di già nelle prime fasi di sviluppo del sistema venoso anche degli altri ordini di Mammiferi. Oltre a ciò, come abbiamo di già osservato altra volta per le eventuali branche venose accompagnanti attraverso la squama temporale un'a. temporale profonda posteriore abnormemente originata dall'a. meningea media (Uomo, Cercocebus, ecc.), anche per gli Sdentati e per i Mono- tremi non è assurdo ammettere che i forami ed i canali scavati nella squama tem- porale e destinati a dar ricetto alla, diploetica magmi normale possano accogliere pure diramazioni venose satelliti dell'arteria stessa, alle quali competa precisamente l'ufficio di canali venosi emissari della circolazione endocranica. Del resto, data la complessità di rapporti e le modificazioni profonde che avven- gono nella conformazione della regione temporale degli ultimi ordini di Mammiferi studiati (Sdentati, Marsupiali, Monotremi) relativamente agli altri, i quali d'altronde sono anche a questo riguardo meglio conosciuti, si capisce come, mentre per noi è sufficiente aver dato un cenno rapido delle particolarità che possono eventualmente aver rapporto con l'argomento che siamo andati studiando, per una più minuta cono- scenza delle stesse, sarebbe necessario un materiale assai più ampio e differentemente conservato e uno scopo più lato di quello che noi ci siamo prefissi. Abbiamo finito così la lunga rassegna dei reperti avuti da noi in tutte le classi dei Mammiferi attuali, dall'Uomo ai Marsupiali, relativamente alle vie tenute dal sistema venoso refluo dalla cavità craniana per giungere all'esterno attraverso l'osso temporale. La nostra descrizione è necessariamente stata assai diffusa come era in- dispensabile per rendere possibile la comparazione dei diversi risultati. Per quanto una parte dei reperti da noi avuti collimi abbastanza esattamente con quelli di altri ricercatori, pure noi ci siamo persuasi, come emerge d'altronde dalla lunga serie delle nostre ricerche, che la questione delle comunicazioni fra il sistema venoso endo- craniano e la e. jugularis externa è assai più complessa di quanto non appaia dalle osservazioni prima d'ora eseguite. In realtà difatti noi abbiamo pure esposto un gran numero di constatazioni obbiettive, le quali si devono ritenere affatto nuove, di modo che è giustificata appieno la nostra convinzione di aver notevolmente allargata la conoscenza delle vie venose emissarie temporali in quasi tutti gli ordini di Mammiferi esaminati, o per lo meno in moltissimi generi delle varie famiglie dei differenti ordini, spesso anche in generi sui quali più completo era l'accordo fra i molteplici AA., che prima di noi si occuparono di questo argomento. A parte le considerazioni puramente descrittive, noi abbiamo tenuto dietro passo a passo alla evoluzione seguita dalle sovraccennate comunicazioni attraversanti il 254 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 96 complesso osso temporale, sia che queste rappresentino delle vie semplicemente ausi- liarie, o pure delle vie di importanza vieppiù crescente sino a diventare le princi- palissime, se non le uniche, per il decorso del sangue refluo dall'encefalo e dai suoi involucri. Nei Primati, e fra questi precipuamente nell'Uomo e nelle Scimmie antropo- morfe, i canali venosi temporali squamosi e petrosquamosi, costanti od eventuali, tributari della giugulare esterna, sono per lo più rudimentali, di modo che si pos- sono funzionalmente classificare fra le vie semplicemente emissarie, appunto come altri canali più o meno costanti, i quali attraversano le ossa della calvaria e della base cranica, in quanto le venuzze a cui detti canali danno passaggio suppliscono in parte la via principale rappresentata dalla vena giugulare interna. Ma noi vediamo che, a differenza dell'Uomo e dei Primati superiori, in molti altri ordini di Mammiferi la via principale di deflusso del sangue venoso endocraniano non è rappresentata più dalla vena giugulare interna, ma bensì dalla giugulare esterna, riunientesi alla por- zione ventrale del seno laterale attraverso il canale temporale: in questo caso la vena giugulare interna stessa, se pure esiste, può rappresentare a sua volta semplicemente una via sussidiaria, certo di importanza minore, alla giugulare esterna: in questo caso ancora, attraverso all'osso temporale, oltre al canale omonimo, possono eventual- mente aver decorso altre vie pure egualmente sussidiarie, le quali si aprono all'esterno indipendentemente dal canale temporale, col quale pure, qualora non si originino direttamente dalla cavità cranica, possono avere delle ampie comunicazioni. Dallo studio da noi fatto risulta quindi che la via principale di deflusso va grada- tamente spostandosi dalla giugulare interna (Uomo, Antropoidi) alla giugulare esterna considerando la serie stessa dei Primati e la diminuzione di importanza della prima va di pari passo, parallelamente all'aumento di calibro e quindi di importanza, alla maggiore frequenza e quindi anche al maggior numero dei canali che nell'Uomo, occorrendo eventualmente, rappresentano delle semplici vie ausiliarie. Discendendo infatti dall'Uomo agli Arctopiteci, noi abbiamo viste le modifica: zioni, sulle quali è ora inutile ritornare, che subiscono, nella frequenza e nell'am- piezza, i canali venosi temporali. Discendendo tuttavia negli altri ordini di Mammiferi si può verificare facilmente ancora come, quanto più ci allontaniamo dai Primati, tanto più aumenta abbastanza costantemente l'importanza delle vie, o almeno in modo speciale di una di queste, attraversanti l'osso temporale e come parallelamente au- mentino anche e nel numero e nell' ampiezza i canali temporali che, relativamente a quello principale, canale temporale propriamente detto o canal- temporoparietale, sono da ritenersi come sussidiari. In altre parole, data la successione cronologica dei vari periodi dello sviluppo del sistema venoso della cavità cranica, quale si deve ritenere definitivamente e perentoriamente dimostrata dagli studi di Salzer, Hochstetter, Grosser e Fischer pei Mammiferi, nell'Uomo o nei Primati superiori si mantengono, come in altro modo nei Monotremi, delle condizioni che appartengono ad un periodo più primitivo dello sviluppo, mentre nei Primati inferiori e nella massima parte degli altri Mammiferi acquistano carattere permanente di fissità delle disposizioni, che rappresentano nella storia dello sviluppo, un periodo più evoluto. Quali siano le cause che favoriscono nell'Uomo e nei Primati superiori la per- 97 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 255 manenza di condizioni, che si stabiliscono in un periodo più precoce della ontogenesi, noi non possiamo certamente affermare: è probabile tuttavia che il grande svi- luppo della massa encefalica, o il modo con cui evolve la craniogenesi della capsula labirintica, oppure ancora la posizione occupata rispettivamente ai tronchi nervosi dalle vie venose, oppure tutte queste cause sommate assieme rendano inutile se non impossibile la formazione delle vie attraverso all'osso temporale; o per lo meno queste pur comparendo mantengono costantemente un carattere rudimentale. Anche come formazioni rudimentarie però esse sono passibili di una schema- tizzazione abbastanza facile, in quanto le varietà della ubicazione esterna delle aper- ture dei canali destinati a dette vie ausiliarie si possono ricondurre ad alcuni tipi fondamentali, in ciascuno dei quali le oscillazioni di posizione e di frequenza ripetono esattamente le eguali condizioni di ubicazione e di frequenza che noi ritroviamo nella serie degli altri Mammiferi. Così ad esempio noi sappiamo come nell'Uomo, sia pure come varietà, i canali emissari temporali si aprano più frequentemente all' esterno in una posizione tale per cui sono da classificarsi come sottozigomatici mediali o late- rali; e noi vediamo pure ripetersi nella serie dei Mammiferi con continuo crescendo di importanza la medesima posizione di ubicazione dell'apertura esterna del canalis temporalis. Ancora, noi abbiamo osservato come ai canali emissari sottozigomatici seguano immediatamente per frequenza e per importanza i soprazigomatici, e noi abbiamo verificato in egual modo come in quasi tutta la serie di quei Mammiferi, in cui, ripetiamo, occorre quale carattere fisso un canalis temporalis aprentesi sotto la radice sagittale del processo zigomatico, fra i canali semplicemente emissari delle varie categorie, sia pure il soprazigoma^co quello che, dopo il sottozigomatico, ha la maggiore frequenza e la maggiore importanza, fino a diventare equipollente (Ca- prinae) o quasi (Bovinae) al sottozigomatico. Ma anche esaminando le variazioni che avvengono nell'ambito di ogni singolo tipo, in un dato ordine, noi possiamo seguire il passaggio graduale, quasi diremmo sistematico, da un sottogruppo all'altro: difatti dei due sottogruppi in cui noi ab- biamo distinto, ad es., i forami sottozigomatici, noi sappiamo come nell'Uomo il sottozigomatico mediale sia quello più degno di nota sotto l'aspetto della frequenza ed, in certe condizioni, anche dell'ampiezza: ora nella serie degli stessi Primati in- feriori all'Uomo è appunto il forame sottozigomatico mediale, che va aumentando gradatamente d'importanza discendendo agli Arctopiteci, aumento che, salvo ecce- zioni, si va pronunciando ancora di più negli altri ordini di Mammiferi ; coll'aumento d'importanza e di calibro del canale stesso, noi possiamo pure seguire lo spostamento graduale di detto forame dal margine mediale del cono articolare alla faccia poste- riore dello stesso. Anche per i forami più raramente occorrenti, ad esempio, per il prezigomatico, come per i postsrpiamosi, gli uni e gli altri veramente eccezionali nell'Uomo, noi abbiamo veduto come essi, nell'ordine stesso dei Primati, si riproducano con mag- giore frequenza, si da diventare per talune sottofamiglie o generi anche un carattere fìsso (foro prezigomatico dei Mycetes, foro postsquamoso delle fam. Cebidae, Hapalidae). Abbiamo accennato anche alle variazioni che sono possibili nella occorrenza di un dato canale in varietà diverse del medesimo genere, in guisa che la presenza o la mancanza dell'emissario stesso si può ritenere, fino ad un certo punto, non comi' 256 ALFONSO BOVERO — UMBERTO CALAMIDA 98 una variazione individuale, ma bensì come una variazione di razza (Cinghiali esotici, C. nostrani). Noi non abbiamo criteri sufficienti per giudicare se questo fatto si possa verificare anche per la specie nostra: non sarebbe strano però ammettere tale pos- sibilità aprioristicamente, tenendo calcolo di quanto avviene per altre particolarità osteologiche del cranio. Queste poche considerazioni ci pare facciano risaltare a sufficienza il valore morfologico delle formazioni che noi abbiamo preso in esame e giustificano anche la diffusione che noi abbiamo dato al nostro studio. È impossibile riassumere ora in poche semplici proposizioni i reperti da noi avuti nei singoli ordini di Mammiferi: questo d'altra parte è stato parzialmente fatto a mò di conclusione per i reperti avuti in ciascun ordine ; e noi abbiamo volta a volta paragonato, quando ciò era possibile, i reperti avuti nelle famiglie più o meno numerose di uno stesso ordine; sarebbe quindi una ripetizione inutile riferire ancora una volta i paralleli da noi fatti precedentemente. Le considerazioni generali, alle quali noi siamo venuti ora, possono servire benissimo di conclusione alla somma delle constatazioni obbiettive fatte per ogni singola famiglia di ciascun ordine, come la parte descrittiva del nostro lavoro rappresenta lo schiarimento delle considera- zioni morfologiche derivanti dalla conoscenza della letteratura ed esposte come spie- gazione dei criteri fondamentali ai quali ci siamo attenuti nelle nostre ricerche. Dall'Istituto anatomico dell'Università di Torino, diretto dal prof. R. Fi-sari. Marzo 1903. 99 CANALI VENOSI EMISSARI TEMPORALI SQUAMOSI E PETROSQUAMOSI 257 LETTERATURA 1. Arnold P., Handbuch der Anatomie des Mais, -lini, 1 Bd., 1845, g. 394. 2. Bochdalek V. A., Anleitung ;>im praktischen ZergliecU rung des menschlichen Gehirns. Prag, 1833, s. 201. 3. Bovero A., Mancanza quasi completa della squama temporalis nel cranio murino associata ad altre anomalie, * Archivio Italiano di Otologia ,, Voi. XIV, fase. 1, 1902. 4. 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Strangeways Th., J. C, Descriptive Anatomy o{ the Horse. Edinburg, 1870, pag. 67. 66. Sussdorf M. , Lehrbuch der vergleichenden Anatomie des- Haussàugethiere. 1 Bd. . s. 185-186, Stuttgart, 1895. 67. Tandler J., (a) Zur vergleichenden Anatomie des Kopfarterien bei den Mammalia, " Denkschriften der KK. Akademie der Wissenscbaften „; Mathem.-naturwiss. Classe, voi. LXII. Wien, 1899, s. 677-784. — (bì Id., " Anatomiscbe Het'te „, LIX, 1901, s. 327, 368. 68. Testut L., Traiti d'Anatomie luminine, Tom. I, pag. 134; Tom. II, pag. 211, 1889-1891. — Tra- duzione italiana di Sperino e Varaglia. Voi. I, pag. 166, 1901 (2" ediz.), Osteologia. Voi. II, part. I, 1894, pag. 194. 69. Thomas, Éléments d'Osteologie descriptive et comparée ih l'homme et des animane domestiques. Paris, 1865, pagg. 122, 124. 70. Trolard, Les veines méningées moyennes. Étude anatomique, physiologique et pathologique, " Lea sciences biologiques „, décembre 1890, pagg. 491, 494, 495. 71. Trouessart E. L., Catalogne Mammalium tam viventiitm quam fossilium. Berolini, R. Friedlander et Sohn, 1897-1899. 72. Verga A., Sul sistema venoso della fossa media della base del cranio umano e specialmente su di un nuovo canale osseo od acquedotto per cui comunica con lincilo della fossa posteriore, " Giornale del R. Istituto Lombardo „, Tomo VI, fase. 36, 1855 — ristampa in A. Verga, Studi anatomici sul cranio e sull'encefalo, Voi. I, parte anatomica, 1896, pagg. 48-54. 73. Wagner L, De partibus mammalium os temporum constituentibus. Dorpat, 1858, s. 35. 74. Winslow J. B.. Esposizione anatomica della struttura del corpo umano. Trad. Napoli, 1763, pag. 122, Tom. IV. 75. Zdcherkandl E., Beitrag zur Anatomie des SchlSfenbeins " Monatschrift tur Ohrenheilkunde ,, 1873, N. 9, s. 202. 203. 260 ALFONSO BOVERO - UMBERTO CALAMIDA — CANALI VENOSI EMI 102 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Indicazioni generali: st squama temporalis — ot os tympanicum — pp pars petrosa — pm pars mastoidea — fG fìssura Glaseri — mpst margo parietalis equamae temporalis ■ mpst margo petrosus squamai; temporalis — bt bulla tympanica — satpp sulcus arteriae temporalis profundae posterioris — pz processus zigomaticus ci «rista infratemporalis — It linea temporalis — ca conus articularis — fin fossa mandibularis — pae porus acu bicus externus — pai porus aoustious internus — e in crista mastoidea — sps sulcus petrosquamosus _— et canalis temporalis — fszl foro sottozigomatico Litorale — fszm l'oro sottozigomatico mediale — fpg foro sottozigomatico posteriore — fszp foro soprazigomatioo posteriore — — fsza foro soprazigomatico anteriore — fps foro prezigomatico superiore — fpi foro pre- zigomatico inferiore — fp foro postsquamoso — fin foro infrasquamoso — fj forameli .iugu- lare — eps emissario petrosquamoso — font forameli occipitale niagnum — co condylus occipitali» — rm condylus maxillaris — op os parietale — oo os occipitale — oz os zygoma- ticum — ama ala magna sphenoidalis — fs forameli spinosum — samm sulcus arteriae meningeae mediae. (Le fig. 1-14 sono tratte da fotografìe eseguite dal prof. R, Fusahi). Fig. 1". Cranio J ad. (Collez. Crim., N. 3 Cat., assassino) - Regione temporale, dal basso e da sinistra. „ 2*. „ 6 ad. (Collez. Var„ N. 310 C), „ „ 3*. „ 9 an. 34 (Collez. Crim., N.107C, prostituta) -Regione temp., da destra e dall'indietro. 4». m „ - Fossa cerebrale media e faccia superiore della piramide, dall'alto. 5». „ § an. 58 (Collez. Nomi., N. 141 C.) - Regione temporale sinistra, dall'esterno. 6». „ 9 an. 60 (Collez. Crim., N. 259 C.) - , , dal basso. 7". , 5 ad. (Collez. Var., N. 252 C.) - , „ dal basso e dall'avanti. 8*. , $ ad- (Collez. Var., N. 337 C.) - „ „ dal basso e dall'esterno. (11 processo zigomatico fu resecato presso alla base). 9". n „ „ - Fossa cranica media sinistra, dall'alto. „ 10°. „ 9 ad. (Collez. Var., N. 47 C.) - Regione temporale sinistra, dall'alto e dall'esterno. „ 11». , è ad. (Collez. Var., N. 312 C.) - „ „ » dilato. , 12\ , 9 ad. a. 64 (Collez. Crini., N. 326 C.) - Regione temporale ed infratemporale di sinistra, di lato e dall'avanti (Il processo zigomatico fu resecato in prossimità della sua I „ 13". „ c5 ad. (Collez. Var., N. 290 C.) - Regione temporale sinistra, di lato e un po' dall'alto. „ 14\ „ $ a. 47 (Collez. Crim., N. 47 C, suicida) - Regione temporale destra, di lato e dal- l'indietro — a Sutura sagittale anomala della squama. , 15a. Osso temporale sinistro di $ giov. (9-10 anni) - Faccia cerebrale, dall'alto e dall'indietro. „ 16". „ destro di 9 di 6 anni - Faccia inferiore della piramide e della squama. 17a. „ sinistro di J giov. - Dal basso e lateralmente (Il tegmen tympani fu com- pletamente asportato assieme al condotto uditivo osseo). , 18". Osso squamoso di sinistra isolato di J giov., faccia cerebrale. „ 19a. Satyrus Orang 9, 2 anni - Regione temporale destra, dal basso e di lato. „ 20*. Hylobates hoolok - Fossa infratemporale destra, dal basso. „ 21*. Semnopithecus entellus, ad. - Regione temporoparietale destra, di lato e dall'indietro. „ 22*. Cercocebus ftUiginosus „ » » di lato e dall'avanti. „ 23». » - Fossa craniana media, dall' alto — a tratto scoperto del canale infrasquamoso posteriore. „ 24*. Maeaeu» nemestrinus, ad. - Piramide temporale sinistra, dalla taccia inferiore. „ 25*. Oynopithecus nigrescens - Piramide temporale destra, faccia cerebrale dall'alto e dall'indietro. „ 26:i. Mycetes seniculus niger - Fossa infratemporale di destra, di lato e dall'alto. „ 27». Canis familiaris - Regione temporale di sinistra, dal basso — a docciatura verticale sulla faccia dorsale del cono. „ 28*. , - Fossa cranica media, dall'alto. „ 29". Mustela americana - Regione temporale sinistra, dall'esterno. „ 30*. Felis Catti*, ad. - Regione temporale, dalla faccia inferiore e di lato. „ 31*. Phoea vitulina, iuv. - Faccia inferiore regione temporale sinistra, dal basso e dall'avanti. „ 32*. Arctomys mai-mota 9 ad. - Regione temporale destra, di lato. „ 33*. „ „ - Osso squamoso destro, faccia cerebrale. 34». „ - Metà destra del cranio dalla Faccia ìerebrale e di lato — pertura endocranica anteriore, g id. posteriore del canale temporale. BOVERO e CALAMIDA-Canali venosi emissari temporali ecc ì GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE MEMORIA DI GUIDO FUBINI Approvata nell'adunanza del 22 Febbraio 1903. Il problema della trasformazione delle equazioni dinamiche fu assai studiato in recenti lavori : io mi sono proposto di determinare quei problemi dinamici le cui traiet- torie ammettono un gruppo continuo di trasformazioni in sé stesse, e che presentano perciò speciali proprietà per la loro integrazione. Ho cominciato naturalmente dal caso di forze impresse nulle ; in questo caso il problema si può tradurre geometricamente nel problema di trovare tutti gli spazii, che ammettono un gruppo, che conservi le geode- tiche: a questo problema è riservato il presente lavoro. Sotto questa forma il problema non è nuovo; già il Lie lo affrontò per il caso delle superficie senza riuscire a risolverlo. Il Koenigs (cfr. p. es. la Nota del Koenigs aggiunta al 4° volume della Théorie des surfaces del Darboux) indica (*), partendo da ricerche generali, un mezzo, con cui si potrebbero per le superficie completare i risultati del Lie. Una parte del problema in questione fu già completamente da me risoluta (" Annali di Matematica „, 1902), quando ho risoluto il problema di determinare tutti gli spazii che ammettono un gruppo continuo di movimenti. Però ne i' metodi da me seguiti in questa memoria, né i metodi del Lie, con cui l'illustre analista non riuscì a risolvere il problema per il caso delle superficie, possono certo bastare per la trattazione generale del pro- blema. In questa memoria svolgerò dei nuovi procedimenti che possono bastare per il caso di spazii a 2 o a 3 dimensioni e che anche completano quasi interamente la trattazione per il caso generale di spazii a un numero qualsiasi n di dimensioni. Solo appunto in questo caso generale si presenta uno specialissimo caso particolare, per cui non mi riuscì di esaurire interamente la discussione. Esempii particolari, dal cui studio non riuscii a trarre un procedimento generale, mi fanno credere però che i miei metodi possano essere sufficienti per studiare con bastante rapidità anche (*) Cfr. anche Raffy, " Journal de Mathématiques „, 1894. — Quando il presente lavoro era già in corso di stampa, in una nota dei " Comptes Rendus „, Bodlangek trova un elemento lineare a tre variabili, che ammette un gruppo geodetico a un parametro ; il metodo usato conduce però a equazioni, che allo stesso autore sembrano inestricabili. 262 GUIDO FUBIXI questi specialissimi casi eccezionali; cosa del resto che, credo, il lettore riconoscerà facilmente. Come esempio di trattazione, io svilupperò poi completamente il caso di n = 3, e accennerò al caso di n = 2, senza però sviluppare per w=2 tutti i calcoli relativi, che sarebbero senza interesse, dopo la memoria del Koenigs. Il principio fondamentale della presente memoria consiste in questo: mentre le equazioni, cui devono soddisfare i coefficienti delle trasformazioni infinitesime del nostro gruppo sono alle derivate parziali del secondo ordine, ciò che rende difficilissima la discus- sione, si riesce con particolari artifici a ridurre il sistema al successivo studio di sistemi di equazioni alle derivate parziali del primo ordine e molto spesso di sole equazioni alle derivate ordinarie. Sia (1) § 1. Formule preliminari. ds'2 = Z (/,t dx, dx,, l'elemento lineare di uno spazio a n dimensioni. Indicheremo con |a| il discriminante di questa forma, con Atlc il complemento algebrico di a,k in questo discriminante diviso per \a\ stesso. Naturalmente questo è lecito, perchè |« |=H= 0. Indicheremo con ' ' dove i, k, l sono tre indici qualunque della serie 1,2, .... n l'espressione: . . J_ / ò"ii i orna 9a W 2 ' ftxt ' te, dxi I ' (3) Porremo poi: i?i=s^ra- Indicheremo con (rk, ih) dove al solito r, k, i, h sono indici qualunque i sim- boli di Riemann: *■ •* 2 \ ÒXi ftafc ' ÒXrÒX), ÒXhÒXk teròx, I ' Z-é \ L m J L l J Questi simboli come si sa soddisfano alle identità: (kr, ih) = — {rk, ili) = (ih, kr) = — (kr. hi) (5) [rk, ih) + (ri, hk) + {rh, ki) = 0. Porremo poi, indicando con r, v, i, h indici qualsiasi: :J[T]: (6) !>-v. i//j = Ii„(ri, ih) :ì •i?j !)x\ òx, >s~ì i Sh) ' 3 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 263 Come è noto è: (7) \rv, ih{ = — }rv, hi[. Dalle formule precedenti, si trae: raditi (8) (rk, ih) == I «,.., 1 /7, /A '. Queste notazioni sono le stesse che il prof. Bianchi usa nella sua Geometria Dif- ferenziale. Un teorema di Schur ci dice che affinchè lo spazio in discorso sia a cur- vatura costante K è necessario e sufficiente (se n > 3) che esso sia a curvatura costante K in ogni singolo punto per qualsiasi orientazione. Tradotto analiticamente (*) questo teorema ci dice che se è: (9) (rk, ih) — K(a„ aM — a , <>.,..) = 0 (ciò che ci esprime costante in ogni punto la curvatura K) è K una costante; e lo spazio è a curvatura costante K. Moltiplicando questa relazione per A,r, dove v è un indice qualsiasi e sommando rispetto a k da 1 a n, la precedente formula diventa: (10) )rv, ih j — K(ar:€h, — arhet,) = 0 dove £/,»(«„) sia nullo se A==v(< — v) e sia uguale a " 1 „ nel caso contrario. Ricorderemo ancora che se xlt ..., ~xn sono un nuovo sistema di coordinate, e se: To,.,I.,\iÌj' è l'elemento lineare espresso con esse sarà: /-, , v V"* _ te òxk . ST1 te te i,ì i,k Forinole analoghe valgono per ogni sistema covariante della forma, come è ben noto. In particolare se con (rs,tk) indichiamo i simboli a quattro indici per la forma trasformata è: ,i,n z r~i V1 , ■ , ,n te àxk tei òxi (12 (rs,tv)= > (ik,lil)-z= c=- -5= 5= — y ' v ' ' Lj te- òx, dxt te ik.hl Consideriamo ora ima trasformazione infinitesima: (*) Bianchi, Sui simboli a 4 indici, ecc., " Rendiconti dei Lincei „, 5 gennaio 1902. 264 GUIDO FL'BINI 4 Denotiamo con e una costante infinitesima: e applichiamo questa trasformazione al nostro elemento lineare; esso diverrà: (14) La,i.dx,dxt -|- eX[Xa, -.<* m|è=S[(^¥)(.+^)|^^)} Da cui sviluppando, ordinando secondo e, trascurando le potenze di e di espo- nente maggiore di 1 troviamo che: „ =«,M + e ^W) *& + 2*40 ^ + £«»<*') ^ Ponendo le x% al posto delle x,' troviamo precisamente le (15). Questo stesso ragionamento si può applicare a ogni sistema Xr,,„. .,.„ covariante ad ni indici. 5 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 265 Noi disegneremo sempre d'ora in poi sei è una quantità qualunque relativa alla (1) con A + e A' la quantità analoga corrispondente alla (14). Avremo allora con ragionamenti analoghi ai precedenti: Se Xr,r,...r„ è un qua ! u nque sistema covariante ad m indici, varranno sempre le formule : (16) A",,, ..,. = £ [> £ <*" ■'-> + X- — • "•' &{ + - ] t dove nel secondo membro t si sostituisce successivamente a r,, r2, r3) ... rm. In particolare otteniamo : (17) (ih,kl)'=^lZr~(ih,ty+(rh,kl)^+(ir,kl)^^^ che è per noi una equazione di importanza fondamentale. Se noi seguissimo per le Aik un metodo analogo a quello tenuto pei sistemi covarianti, potremmo pure trovare le A'm; e con metodi analoghi trovare le formule anàloghe alle (16) per i sistemi controvarianti. Noi procederemo per maggior brevità cosi. Dalle: (a) ZaikJih = elch si deduce: Z(a'ikAih + aikA'ih) = 0. Moltiplicando per Aky e sommando rispetto a k otteniamo: J\v + I-Ó,.l,. ,i,, = o donde, per la (15) si trae: (18) A>^{Z,^-A^-Ah,- Dalla (2) si trae: ., \' i k "y 5«'.i j òxì dxi Ricordando le (15), sostituendo, otteniamo con facili riduzioni: (-)[?j=i[-£fe+^C"]+i-v]£+mt+L?j^]- Dalle (3) otteniamo: Ricordando le (18) e le (19) troviamo le formule fondamentali seguenti: <9M \iki'— a'e» | yr? a jik) , \ir\ ae, , \kr\ as, \>kj di. ( ' }v S ~ ÒXiòXH "T" Li L ' j7r|v( + |v|tet|»U \ r )■ dxr J r Serik II. Tom. LUI. i1 (» 2[?] = -tf+Ì 266 GUIDO FUBINJ 6 Troviamo infine il valore di )r\,ih\'. Dalla (6) si ha: |rv, ih{' = Z[A'„(rl, ih) + A Ari. ih)' \ donde per le (17), (18) si ricava con facili riduzioni: (21) !,v,^;' = 2[E'àirv'^-^^!'6+^i7C+''-v-/A^^!''v'^ t La trattazione in alcuni punti acquisterebbe di simmetria se noi considerassimo anche le variazioni dei primi membri delle (9), (10); ma, tanto per non introdurre fin da principio nuovi simboli, useremo soltanto quelli finora descritti, anche so l'ele- ganza e la semplicità dovessero un pochino essere diminuite. In ogni modo la considerazione delle )rv, ih\' è uno dei punti fondamentali del presente lavoro. § 2. Formule fondamentali. Noi diremo che una trasformazione infinitesima è geodetica per un dato spazio. quando il gruppo da essa generato permuta tra loro le geodetiche dello spazio stesso : un gruppo generato da trasformazioni infinitesime geodetiche sarà detto geodetico. Noi ora ci chiediamo quando una trasformazione (13) sarà geodetica per (1). Ciò, com'è ben chiaro, avverrà allora e allora soltanto che su (1) e (14) si corrispondano le linee geodetiche. Noi troveremo ora le semplici equazioni, che traducono questo fatto; esse sono di grande importanza, e contengono le derivate seconde delle £ rispetto alle x. Per lo spazio (1) l'equazione delle geodetiche è: m ^.ydx^dx^^ikl (i,k,t=l,2 n). yl> ,,<<'■ ) (J=l, 2, ..., »). dove : Uhi' Per le (1) la (8) — (la'^à, ; I che comparisce nel secondo membro delle (6) si può considerare come una forma di terzo grado nelle x, (i=l, 2, ..., n). Essa ha un notevole significato geometrico, come 268 91 11)0 Fl'BINl b risulta dalla (14) (§ 1). Per le (6) abbiamo dunque che — (Za'mpxmxp) dev'essere in virtù della ?.am,Amx,, = 1 uguale a una forma di primo grado nelle x,; e che a questa medesima forma devono essere uguali tutti i quozienti: £.1' iltXiXt (GÌ —£-= : (/=1. 2 »). k Questa condizione non è altro che un'altra forma della condizione (3). Ciò che si conferma del resto facilmente col calcolo effettivo. Infatti moltiplichiamo numera- tore e denominatore della (9) per Alv; e sommiamo tanto al numeratore quanto al denominatore rispetto a l. Essendo tutte le (9) uguali, otterremo così un'altra fra- zione uguale ad esse, che per la (7) è: ,.k I r \ Affinchè questo quoziente sia una forma di primo grado nelle x, deve essere appunto y '( =0 per iM=v, A- =!=?>. Questo quoziente diventa allora: (8'» »[jvf*+,,S{':j*] dove i percorre tutti i valori, eccettuato il valore v. Questa ultima espressione d( ve essere poi indipendente da v\ ciò che dà che se iM=v devono essere verificate le: w/' -> S' r)' I , S " - / r S ■ Queste equazioni sono appunto le (3). Quanto di nuovo abbiamo perii appreso da questa discussione è l'elegante significato geometrico (8) della espressione: (b ) Li > >• \ ds e le altre semplici forme sotto cui questa stessa espressione si può scrivere. Questa forma (8") è covariante, nel senso che non muta il suo significato col variare del sistema coordinato; ciò che ce ne dà una assai curiosa particolarità; essa ci misura la derivata seconda rispetto all'arco di una geodetica dell'incremento che per la X subisce l'arco stesso (diviso per (.). § 3. Equazioni del primo tipo alle derivate parziali del prim'ordine per le E.. Come abbiamo già detto nell'introduzione, noi vogliamo trovare delle equazioni alle derivate parziali del primo ordine per le lT. Con due particolari artifici noi ne troveremo due sistemi; e comincieremo intanto dal primo. 9 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 269 Dalle (6) del § 1 abbiamo chiaramente: Ariì' Arhr che naturalmente dev'essere equivalente alla (21) del § 1. Sia ora p. es. v — r, v=M, v=#/i. Otterremo per le (3) del § 2: iv|-iv|-U' Cosi pure dei termini che compariscono nella sommatoria del secondo membro sono differenti da zero soltanto i termini (se è ancho r =4= i, r =4= li) : {riì'krhì iril'Uh). \ r i ì ivhì' _ \rhYiril \rhY Ufi l Wi J IviJ' !fi!v|t!n|vjt[v}(»ì f r H v J (Mfvi |vjiv| Ma per le (?>) stesse: JrrfJ'lvtJ' \riY_ir\V JvAl'_J**J' Se ne conclude che anche tutta la somma del secondo membro della (1) è nulla. Avremo perciò che: (2) \rv,ih\' = 0 (v4=r, v=K v=4=/t) nel caso che sia anche r=M, r=j=A. Ma si vede tosto che queste disuguaglianze ultime sono superflue. Intanto osserviamo che se i = h la (2) è identica; cosicché supposto p. es. r = i , potremo ammettere r =4= h. In questo caso unici termini non nulli tra quelli che compariscono nella sommatoria del secondo membro di (1) sono: liiì'lihì | iiiìivhì' |f*J'U»; Uhl'iiil UA)jv»7 Mlf»)"*"!»)!») ìmIvì f f n v j [vii»! E questa espressione è ancora nulla, perchè per le (3) del § 2, ij : (t f {'_ o J*<ì'_ 9$ Vi 1' _ Uf )' , J» *)'. \ v/, )' _ l*«' La (2) è perciò dimostrata in generale. Sia ora r = v , r=4= i, r =4= A. In questo caso avviene ancora che la sommatoria del secondo membro delle (1) è nulla perchè unici termini non nulli sono : iriì'irhì i^riì'iihì j_iri) irh)' Irhl'Lriì irh)' ihi\ _ irkì iriV } r \\A + \iS}r\+\r\\r\~\ r \ \ r%\ \ h \ \r j \ r \}r] che si riduce a: 270 GUIDO FUBIN'I 10 che è nulla per le (3) del § 2; il termine: per le (3) del § 2 è uguale a e dipende perciò soltanto dai valori di i, h e non da quello di r; cosicché, se abbiamo un quarto indice s tale che s =+= i , s =4= v , sarà : (2') )rr, ih\' — \ ss, ih[ = U (s#=i, s4=A) (r=j=i, r=(=A). Se s = r, oppure i=h quest'equazione è un'identità. Sia ora v = h; allora si trova facilmente che per le (3) del § 2 se r- Ari)' •w ÙXh '.''. 1 [•IVI' •{Yil •2 ÒXh dxt rh, ihl' — dx, -T | r J ? ft J "T" | » H M "+" 4J ? I 5 ? /' * _ s '•/' i' }*•**_$ »■* n *'i _ i r/' ì i **ì' — di rri' 2 òxì * 2 La} l Sì l\ >) h\ì h \ 2 ') h\ ] h S irrì' + 2 Zj n « 2 dm ~T 2 Là') 1 S I I \ i Questa espressione non dipende evidentemente da " h „. Indicando con k un quarto indice avremo perciò: (2") ) rh, ih (' — ) ?•/,-, i k[' = 0 (r =!-=/<, »={=A, *•#=&, i=!=A-) Si verifica infatti analogamente a quanto abbiamo fatto più sopra che questa equazione vale anche se r = i. Le (2), (2'), (2") ci danno un semplice sistema di equazioni alle derivate par- ziali del primo ordine per le Sr, sistema che è naturalmente per noi della massima importanza. Noi vedremo infatti più tardi che non useremo quasi mai delle equa- zioni (3) del § 2, alle derivate parziali del second'ordine nelle " E „. E in particolare, useremo specialmente delle (2) che, com'è chiaro, sono più semplici che le (2'j e le (2"). § 4. Prirne conseguenze delle equazioni del § 2. Una prima conseguenza immediata è questa: Se una trasformazione conforme è insieme geodetica, essa è una trasformazione simile. Infatti se una trasformazione X è conforme, avremo che a'it = \a,,, ; dove X è funzione delle coordinate. Dico che se X è 11 SUI GRUPPI DI TKASFORMAZIONI GEODETICHE 271 anche geodetica, deve essere X costante. Infatti dalla a'ai=\aik si trae perla (a) (§ 1) A'tk — — \Alk e per la (t) dello stesso paragrafo: La (P) del § 1 ci dà: Fikl' . I ikl , 1 T dX , òX dX 1 E l'equazione precedente diventa dunque per le (a) del § 1 : Ma se i =4= v, A; =4= v questa espressione dev'essere nulla per la (3) del § 2 anche se i = k. E poiché a,* =4=0, se » = & (perchè restiamo nel campo reale) sarà: 2 4,-^ = 0 qualunque sia poi l. Poiché il determinante \AU\ che è reciproco di \a\ è differente da zero, è ben chiaro che - — =0 ossia X = cost. Viceversa è evidente che una tras- òxi formazione simile è geodetica conforme. Dimostreremo ora che dalle (3) del § 2 si possono dedurre le derivate terze delle it1 £2, ..., E„ in funzione delle E, stesse e delle loro derivate prime e seconde. E poiché le (2) del § 3 ci danno espresse tutte le derivate seconde in funzione delle E,, delle loro derivate prime e delle -r-4- , ne risulterà che una trasformazione r dx \ geodetica è determinata quando sono dati i valori delle E,-, delle 5— edelle ^—t(i,k=l,2..n), ossia quando sono dati n (n + 2) costanti ; il gruppo geodetico di uno spazio qua- lunque non può perciò contenere più di »(« -f- 2) costanti arbitrarie. Le equazioni del § 3 dovranno naturalmente potersi ottenere come condizioni per l'integrabilità del nostro sistema; il numero massimo n(n-\-2) di costanti arbitrarie non potrà esser raggiunto, che quando queste equazioni siano identità. È intanto ben chiaro che dalle (3) del § 2 si possono ottenere tutte le deri- da vate -t— t — r — (l^=i, l=\=k) in funzione delle E,, delle loro derivate prime e seconde. Per far questo basta ricordare che è sempre in questa ipotesi: _J_W_o dx, Uì Supposto poi sempre i =f= l, l =)= k, la : ci permetterà di ottenere . " , in funzione di -, . "', — , delle E, delle loro derivate OXioari riXiO.rhO.ri 272 GUIDO FUBINI 12 prime e seconde ; ossia per il risultato precedente anche in funzione soltanto delle £, delle loro derivate prime e seconde. Infine dalla: [ì'/f-i ì'/ì'j-» e*« otteniamo, ricordando il precedente risultato relativo a ^ , . che si potrà espri- mere anche f-J- in funzione al solito delle E e delle loro derivate prime e seconde. Sari A noi non interessa però di scrivere effettivamente le formule definitive. Soltanto osserveremo che quando lo spazio ammette un gruppo geodetico con n(n-\-2) parametri, esso è uno spazio a curvatura esimiti-, e il gruppo corrispondenti ciò propria il gruppo proietti m degli spazii ad " n „ dimensioni. Infatti in tal caso (Lie, Transformationsgruppen, tomo 1°, teor. 112) il gruppo è appunto simile al gruppo proiettivo su n variabili; da ciò si deduce facilmente che lo spazio è geodeticamente applicabile p. es. su uno spazio euclideo ed è quindi a curvatura costante per un noto teorema di Beltrami. Daremo ora un esempio particolare di applicazione delle precedenti formule, risolvendo una questione interessante per la geometria degli spazii a tre dimensioni, che ammettono un gruppo G± di movimenti a 4 parametri. Se noi p. es. prescindiamo dalle questioni di realità, abbiamo, come dimostrò il prof. Bianchi {Sugli spazii a tri- dimensioni, ecc. " Memorie della Società Italiana delle Scienze „, 1897J, due soli tipi di tali spazii, i cui elementi lineari sono : (I) dx\ -\- dx\ -\- 2 x1dx2dx3 -4- (x\ -\- l)dxl (II) dx\ + i-'ulA -\- 2neXìdx2dx3 4- dx\ (m=cos t i cui gruppi di movimenti non sono simili. Noi ci chiediamo: Sono questi due spazii applicabili geodeticamente l'uno sull'altro? Se questo fosse, dovrebbe esistere una trasformazione che conducesse le geodetiche dell'uno su quelle dell'altro, e quindi anche il massimo gruppo geodetico del primo sul massimo gruppo geodetico dell'altro. E poiché i due spazii hanno ciascuno un gruppo G4 di movimenti non simile a quello dell'altro, bisognerà intanto che l'uno e l'altro posseggano un gruppo geodetico a più di 4 parametri. Sarà dunque da risolvere la questione preliminare. Ammette, p. es., lo spazio I un gruppo geodetico a più di 4 parametri? Noi dimostreremo ora di no; e sarà allora dimostrato che gli spazii I, II non sono geodeticamente applicabili. Per vedere questo costruiamo intanto i simboli a 3 indici per lo spazio 1°. Si trova: che tutti sono nulli, eccetto che i seguenti: \SSi_ i 12 i x, U'^_l S 23 ^ J_ \13t_ 1-A . M3/ | x, ? 1 S~ _ Xl' ? 2 \ 2 ; 1 3 )~ T' ? 1 S~~ 2 ' ) 2 S ~ 2 ' ì 3 W 2 ' Le equazioni (3) del § 2 diventano così: w / 1 1 ò.r2, ' ' dar, dx3 L bx3 W In- òxsbx3 "T" 2 (V, 2 d.T3 2 dx2 Xl òxt 13 (T) W (€) (2) (n) (6) (0 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 273 US ò% Ò^'i da:2 1 d.r, + (1-^) d£3 òri !828f=ft+^-&-' hr 4 Hi'. ? 3 S I22i' j 3 \ ii2 e / 8 \ d;£2 da^da^ da:, 1-a:2, d£2 da;2 -^-+1^+^ = 0 da;-, Ò^l 0#1 a*ga da-22 d2E3 . .r, ò£3 1 d£3 da:,da'2 2 da:» 2 òx3 4^ = o ox3 a, ò£a | 1— &\ àii . 1— a:2, j)E3 " "2~ da-3 ' 2 òxi ' 2 òx3 J_ d£, |J_^fi_l_*lÒ£3 0 2 da;, •" " »-- " " " A~ a-, _d£j ~2~da^ = 0 2 da-2^ 2 da l Jlli'_)12i'_<18i' 1_ i 22 i' ( 21 1' < 23 i' 1_ } 33 i' _ V 13 4' _ 1 23 i' Fhi~|2!_(3Ì; 2 ? 8 I — f 1 J C S ? ' 2 ? 3 S ~ ? U ì 2\ Le equazioni: M diventano infine: (X) (M) (v) (0) (tt) (p) 1 d2s, 2 da-2, ò% da-,da:2 d3E3 ih da-,da:3~^ 2 *' J_d^ ' 2 d*3 1-a;3, dj 2 da;2 a^dj^ ■ 1 -x\ d£3 2 daji ' 2 da:2 A--"1" 2 da;,"1" ° »- 2 da-, 1 d% a-, d£^ __ d2£, , a;, jfa 2 da;22 2 da-a da:,da-2 ' 2 da: d2£ 1 d£, 2 da;3 J^d£, 2 da-, da;3da;2 ' 2 da:, ' 2 da;2 "T" 2 da:3 \r- da-,da;3 agi \ _ re t;2d 1 —a:1, d£, a-, d£, d2£3 >„ B.-Lr *3l\ — ò*** " 4- J ^ _ iì '^d*, "r"^ daj ~~ da;2da-3 "•" 2 da-, 2 da-3 a-, d£, , 1— a;2, d£. da:2 da:2 J_ d£a _ x d% 2 da;3 2 da;, x da;. Se noi deriviamo la (a) rapporto x2, la (P) rapporto (%) e sottraggiamo, ricor- dando le seguenti otteniamo: da;2 = 0 per cui dalla (t) si ottiene: ■'■:. da?g = 0 ossia ossia h = h (*i, *») : £3(^1, X3). Dalle (p), (1) sottratte l'ima dall'altra si ottiene : 0 ossia 52 = £2 (xt, xs) Ì..C-2 Sebie li. Tom. LUI. 274 GUIDO PUBENI col che le (8), (i) Ihnno: mentre la (v) dà: dii = te3 ÒX3 ÒE, _ dls 14 Le quali due ultime equazioni ci dicono intanto che EXl S2 sono funzioni armo- niche coniugate delle variabili a;, , x3. Le (b), (e) sommate ci dicono che anche E3 è armonica nelle variabili ;ru .. Secondo tipo di equazioni alle derivate parziali del primo ordine per le Er. Daremo in questo paragrafo delle nuove equazioni alle derivate parziali del primo ordine per le E, che in alcuni casi offrono il mezzo più comodo per la discussione 15 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE ■li: del nostro problema, e specialmente nel caso di n = 2, in cui le equazioni del § 'A si riducono a identità, danno un mezzo diretto per la risoluzione del problema di Lie. Per ottenere queste equazioni, ricordiamo che, come abbiamo già osservato, aftinché una trasformazione infinitesima sia conforme, devono essere soddisfatte le equazioni: («) U".). dove u sia una funzione delle coordinate dei punti dello spazio; se poi u è costante, le (a) ci esprimono le condizioni necessarie e sufficienti, affinchè la trasformazione in discorso sia insieme conforme e geodetica. Noi cercheremo ora di generalizzare le (a) e di ottenere un sistema di equazioni di tipo analogo, che valgano per ogni trasfor- mazione geodetica non conforme. Per ottenere questo ricorderemo i noti risultati del prof. Dini (che già il Lie stesso conosceva) generalizzati dal prof. Levi-Civita alle varietà di un numero qualunque di dimensioni. Il risultato del prof. Levi-Civita è il seguente (Cfr. " Annali di Matematica „, Sulle trasformazioni delle equazioni dina- miche, 1896): Se due spazii S„ sono geodeticamente applicabili l'uno sull'altro, i loro elementi lineari sono riducibili alla forma: (1) (2) da*-- ds* TT/(y;,, . — ij/„,) I KTSdxTdx, 1 ',»=ph+i {«■VP, + &)(Pi + P TT', {yp Hip) I A' , 1 allora ty,,, è una costante. Le \\>Pl devono però in ogni caso essere distinte l'una dall'altra. Li' K... dove r, s sono indici compresi tra p,_[-j-l e p, sono funzioni qualsiasi di xPl_l-\-l,xPli-\-2, ...,xPr Se p, — p,_, = 1, allora di tali K„ havvene una sola, a cui si può dare il valore 1. Infine nei fattoriali Tì't(}i>p — hiPì), / percorre tutti i valori 1, 2, ..., n — m-{ 1 eccetto che il valore j=l. Noi faremo anzi sempre la convenzione che accentuando il simbolo di fattoriale (sommatoria) si debbano escludere quei valori dell'indice variabile, che danno un fat- tore nullo (un addendo infinito o indeterminato). Facciamo ora alcune osservazioni sugli elementi lineari (1), (2). Se fosse m = n, le p e le ijj si ridurrebbero alla p0 = Q, aliaci e alla vy,,,; la \\>Pì sarebbe una costante e i due elementi lineari sarebbero simili; noi escludiamo senz'altro questo caso. Divi- 276 GUIDO FUBINI 16 deremo allora le variabili .f, .r, e„ in tanti gruppi ponendo in un medesimo gruppo le XiX2 .... :/>,; in un secondo gruppo le xPt+i , xPì+2....xp, e così via. Diremo che duo variabili sono della stessa specie, o anche che i loro indici sono della stessa specie, quando appartengono a uno stesso dei precedenti gruppi. Se alcuni di tali gruppi sono formati di una sola variabile, essi per l'ipotesi fatta saranno i frinii di tutti. Noi diremo che le variabili e gli indici corrispondenti sono del primo sistema : cosicché se di tali gruppi ve ne sono t noi diremo che il primo sistema contiene t variabili e indici ; denominazione che conserveremo anche se t fosse uguale a zero. Le varia- bili e gli indici poi di specie t+1, t+ 2, si diranno rispettivamente del secondo, del terzo sistema e così via. Il sistema cui appartiene un indice si indicherà con un affisso; p. es. con r, indicheremo un indice del v-esimo sistema; con ri"' invece indi- cheremo un indice di specie v. Infine diremo elemento lineare aggiunto dell' ele- mento (1) l'elemento dsi = n'z\T]/(wPj— VPl)~\dxl Se ognuno dei numeri p supera di 1 il precedente, l'elemento lineare. (1) coin- cide col suo elemento aggiunto. Faremo poi la seguente semplice osservazione, che insulta senz'altro chiara dalla Memoria del prof. Levi-Civita citata. Data la corrispondenza geodetica tra gli spazii (1), (2), il sistema delle xx, x2,.... x„ è completamente individuato, se ogni specie contiene una sola variabile. In caso opposto vi è una indeterminazione, la quale proviene dal fatto che alle m variabili di una stessa specie possiamo sostituire come coordinate, in loro funzioni indipendenti qualunque. Quest'os- servazione sarà nel seguito per noi abbastanza importante. Consideriamo ora una trasformazione infinitesima X, che supponiamo geodetica non conforme per il nostro spazio (1) del § 1. E consideriamo una trasformazione generica T del gruppo G1 da quella generato. La trasformazione T stabilirà una cor- rispondenza geodetica non conforme tra due pezzi distinti della varietà e perciò nel- l'intorno di un punto 0 regolare per X e per la varietà, ci definirà un sistema coordinato (di cui abbiamo già vista la eventualmente possibile indeterminazione) che dovrà fare assumere all'elemento lineare la forma (1) del paragrafo attuale. Facciamo tendere ora la trasformazione T verso l'identità. Questo sistema coordinato tenderà verso un sistema limite, che noi diremo un sistema canonico relativo alla nostra tras- formazione. La sua possibile indeterminazione è precisata dall'osservazione precedente. La trasformazione infinitesima X dovrà mutare l'elemento (1) in un elemento del tipo (2) però infinitamente vicino al tipo (1). Quando mai può avvenire che un ele- mento lineare (1) e un elemento (2) siano infinitamente vicini? Ciò non può avvenire che quando a, 8-1 siano quantità infinitesime che noi potremo indicare rispettiva- mente con /) q — e — e — - — n — m -f- 1 n — m dove p, q sono nuove costanti. Fatte queste posizioni, dovrà l'elemento (2) essere uguale al trasformato di (1) per A", ossia esso dovrà essere uguale a: ZaadXidx* + tX('Za,i.*=|>l_i + llpw + 2,...,l»0; '<',l—(l„:['l + PH>l -\-P(Wp, + M'ft+ — + %'„_„, + ,)]• Sono queste le equazioni cercate, che, com'è chiaro, dipendono soltanto dalle derivate prime delle l. Naturalmente le (3) del § 2 sono una conseguenza differenziale di queste, che si deduce da esse, eliminando le costanti p, q. Ma non viceversa dalle (3) del § 2 si possono dedurre queste ultime equazioni ; le quali , com' è ben chiaro, non valgono che se il sistema coordinato è già sistema canonico per la trasforma- zione. Se noi facciamo p = 0 otteniamo le (a) relative alle trasformazioni simili. Del resto anche per queste valgono le precedenti considerazioni; se non che in tal caso il sistema canonico è formato tutto di variabili della stessa specie ed è quindi completamente indeterminato. Se nelle (3) è p=k=Q, la corrispondente tras- formazione è geodetica non conforme; poiché poi aggiungendo alle V una stessa costante, l'elemento lineare non cambia, potremmo in questo caso servircene per fare 5 = 0. Moltiplicando la X per — si può poi fare p=l. Ma dalle formule (3) ri- sulta una proprietà notevolissima, per giungere alla quale noi ci proponiamo la seguente domanda: Quando mai a un sistema canonico possono corrispondere più trasforma- zioni geodetiche non conformi? Prima di rispondere a questa domanda, vogliamo vedere quando mai uno spazio può ammettere un gruppo GT a più di un parametro di similitudini, che non siano tutte puri e semplici movimenti. Per veder questo ricorriamo alle (a), ossia alle dove ur è una costante che varierà dall'una all'altra trasformazione infinitesima Xu X2, ..., X\ del gruppo, e almeno per una di queste trasformazioni dovrà essere differente da zero. Sia p. es. u, =t= 0. Allora alle trasformazioni infinitesime distinte ut A', — u, Xj (*= 2, 3, ..., n) corrisponderanno evidentemente costanti nulle, ossia esse saranno dei puri movimenti. Dunque : Se un S„ ammette un Gr di trasformazioni conformi geodetiche (simili) ammette almeno un Gr_! di movimenti, invariante in Gr. Ritorniamo alla questione precedente. Esista un gruppo Gr = (X1, X2, ..., Xr) le cui trasformazioni infinitesime corrispondano tutte allo stesso sistema canonico. Var- ranno per ciascuna delle X{ le (3) dove si faccia p=Pi, q=qt- Se tutte le p, fossero nulle il gruppo sarebbe un gruppo conforme; sia p. es. pi-=0; allora alle trasforma- zioni p±Xi — piX1(i = 2, 2, ..., n) distinte corrispondono valori nulli delle costanti p; esse sono perciò conformi. Quindi: Se a un sistema canonico corrisponde un gruppo Gr, questo Gr {se r > 1) contiene un Gr_, di trasformazioni simili e questo almeno un fir_, di movimenti. GUIDO FCBINI L8 versa se Y è la pia generale trasformazione simile di uno spazio in sé, e X è una trasformazione geodetica non conforme, le trasformazioni infinitesime X + jiY, dove jì = cost, ammettono uno stesso sistema canonico; nessun' altra trasformazione geodetica dello spazio ammette lo stesso sistemo canonico. §6. Applicazione dei risultati precedenti al problema di Lie. Noi vogliamo ora indicare come i precedenti risultati conducano a un metodo diretto per risolvere il problema di Lie, cioè a trovare quelle superficie che ammet- tono un gruppo geodetico. Noi non svilupperemo tutti i calcoli, che dopo i risultati del Koenigs e del Raffy non avrebbero più alcun interesse, ne tratteremo completa- mente il problema. Ci arresteremo soltanto al punto fondamentale della questione, quello appunto di cui il Lie non riuscì a trionfare, alla ricerca cioè delle superficie che ammettono una trasformazione geodetica non conforme. Ci varremo appunto delle formule del § 5. Scriviamo l'elemento lineare della superficie sotto la forma: ds* = (Uì — U2){dx* — dx%\ dove l\ è funzione di xu U2 è funzione di x2-t x2 si deve supporre puramente imma- ginario, se si suppone ^j reale. Le equazioni del § 5 assumono la forma (ricordiamo che si può fare p = 1, q — 0): a'll = all(2Ul + £-,); a'„ = aw{U1 + 2Ut)i o'12 = 0 ossia : O <^l , ì,U,'— Ì2C2 9r- _l_ TT (i) ,--^.;v:^^r1 + 2^ I te, _ te. _ ~ * bx, Queste equazioni sono molto più semplici di quelle da cui parte il Lie, che natu- ralmente contengono le derivate seconde delle E. Da esse discende : _ ò2 | te, òxidrs \ fa dxidx3 \ òm ossia: d* i „ te, \ __ _ dj I ,} te Sostituendo a 2 ^'-,2-'^ i valori che si traggono da (1). eseguendo le opera- nx, BXa zioni, ricordando le: )Es j d'h __ a àj| \ '.r j \ Ò ^S 19 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 279 e le analoghe, otteniamo, dopo facili riduzioni, l'equazione: W ' t£l I " ' iC,-r,f 2 (Ui-Utfl ^ da:, \ D,-D, 2(,D-D8)S/J + 'TW.-W 2 lOi-DiJV 9xsId3-D, 2 (DS-D,)3JJ __ 3 ft f PJPJ' \ ■ 1 /ir I nrrW Pi" 3 D,a \ -T-^Tl^ai' + T^ + ^^H Di-Di 2 (D,-D2)»J -1(^ + 2^)1 Quando mai questa equazione può essere identica? Si vede che in tal caso potremmo integrare le (1) prefissando a piacere i valori iniziali di El7 E2, —A = ~ E poiché Ej = S2 = 0 non è una soluzione del sistema (1) avremmo quattro trasfor- mazioni infinitesime linearmente indipendenti geodetiche non conformi con lo stesso sistema canonico ; la superficie ammetterebbe perciò almeno un G3 di similitudini e quindi almeno un G.2 di movimenti e sarebbe perciò a curvatura costante. Notiamo anzi che, essendo nelle (1) nulla la costante q che compare nelle equazioni generali (?>) del § 5 si potrebbe facilmente riconoscere che il G3 teste citato è addirittura un gruppo di movimenti. La (2) si può supporre perciò non identica; noi potremo risolverla rispetto Et o E2, e sostituire poi nelle (1). Troveremo così p. es. le derivate di S2 in funzione lineare della Eg stessa; anzi una delle derivate sarà data sotto due forme. La condizione di integrabilità e la condizione che le derivate siano ben deter- minate daranno infine cosi due equazioni lineari per E2. Se esse fossero identità, vor- rebbe dire che il valore iniziale di E2 è indeterminato; la superficie ammetterebbe almeno due trasformazioni infinitesime con lo stesso gruppo canonico; e perciò per l'osservazione precedente, sarebbe una superficie di rotazione che ammette un Gl geodetico non conforme (oltre al G1 di movimenti). Se esse invece non fossero iden- tità, si otterrebbe da esse la determinazione di £2 e quindi per la (2) di lu ecc. ecc. Risostituendo i valori così trovati di tx e H2 nelle (1), si avrebbero equazioni in '',. U2 che integrate risolverebbero il nostro problema. Si noti ancora che i calcoli si possono un po' abbreviare, quando si pensi che le equazioni tra l\ e U2 sono equa- zioni tra funzioni di due variabili indipendenti tra di loro. Io non svilupperò tutti i calcoli, facendo soltanto osservare qual è la causa che rende il nostro metodo più semplice di quello di Lie. Essa è semplicemente questa, che mentre il Lie dà equa- zioni che valgono per ogni trasformazione geodetica, noi scindiamo il problema cer- cando una alla volta queste possibili trasformazioni e dando equazioni che valgono solo per una di esse, considerata indipendente dalle altre. La rapidità dei nostri me- todi si riconoscerà meglio in un caso specialmente importante, nel caso cioè di w = 3, che vogliamo ora trattare completamente. 280 GUIDO FUBINI 20 § 7. Risoluzione completa del problema di determinare gli spazii a tre dimensioni che ammettono un gruppo geodetico. Comincieremo intanto a determinare quegli spazii a tre dimensioni che ammet- tono una trasformazione geodetica non conforme, e ne cercheremo poi il gruppo geodetico più ampio. Il resto della ricerca, come è intuitivo e noi rapidamente mostreremo, non presenta poi alcuna difficoltà. Se uno spazio a tre dimensioni ammette un gruppo geodetico non conforme, il suo elemento lineare sarà (§ 5) riducibile a una delle due forme seguenti: (1) ds2 = T[T]/(U,-U,)cH\ (2) ds2 — ( Ux — a) \dx\ + Edx\ + 2Fdx/»( (6") )ì-i,ki\ = )kj,kjl. Le ultime tre equazioni si possono anche scrivere: (/,/, /,/) _ M . .//■■,i^ __ (./'■■/«) . (A-- »,/-•/) _ (fc/, *-y) «i/i «tt "^ «" "jj oppure anche su ito la forma: (7) '''■''■''■'■' = '/;;-''-'= !/ ^ ' (ludi, OitflWt «;;"/.;. che (§ 1) dimostrano essere lo spazio a curvatura costante in ciascun punto e quindi a curvatura assoluta costante. Noi possiamo ora ricercare la natura dell' elemento lineare (1) in questo caso, ossia riconoscere che specie di superficie sono le x1,x2,xs. Se noi procedessimo alla discussione analitica del precedente sistema, troveremmo che esso ci dà (in generale): (8) U'i = aU\ + blT\ + cU\ + d dove a, b, e, d sono costanti. Ma assai più rapido e il metodo sintetico. Il sistema coordinato xu x2, x3 per l'elemento (1) è (§ 5) il sistema canonico per una trasfor- mazione g geodetica non conforme del nostro spazio, che ora supponiamo a curva- tura costante. Sia T il suo assoluto e V la varietà trasformata di T per g; nella trasformazione g havvi certamente per ogni punto 0 una (e per ipotesi una sola) terna di rette ortogonali che resta ortogonale anche se trasformata per g (questa terna è precisamente quella delle normali in 0 alle superficie coordinate passanti per 0). Ma questa terna non è che la terna degli spigoli del triedro che ha il vertice in 0 e che è autoconiugato rispetto a T, T, ossia è la terna delle direzioni uscenti da 0 nor- mali (rispetto all'assoluto T) alle quadriche inscritte nella sviluppabile circoscritta a T, T', ossia alle quadriche omofocali con T". Il sistema delle xu x2, x3 è dunque un sistema di quadriche omofocali. E osser- viamo di più che la supposta trasformazione infinitesima che ha questo sistema orto- gonale per sistema canonico lo trasforma in se stesso. Ma però naturalmente le altre trasformazioni geodetiche del nostro spazio, che non hanno il sistema coordinato per sistema canonico non sono certamente tutte di questo tipo. Viceversa si può dimostrare che preso un sistema di quadriche omofocali come sistema coordinato in uno spazio a curvatura costante, si può in generale porre l'ele- Serik II. Tom. LUI. k1 282 GUIDO FUBINI 22 mento lineare sotto la forma (1) dove siano verificate le (8). Per lo spazio euclideo ciò è cosa ben nota. Nello spazio ellittico, in cui si usino coordinate di Weierstrass legate dalle x\ + x\ -\- x\ -j- x\ — 1 l'equazione di un sistema triplo ortogonale di qua- driche omofocali si può porre sotto la forma: P> ZfeTT = dove le kx sono costanti, X è il parametro variabile da quadrica a quadrica del sistema. La (9) si può anche suppone essere l' equazione che determina i valori Xi,X2,X3 del parametro \ corrispondenti alle 3 quadriche del sistema passanti per un punto 0. Si dimostra allora, con procedimento analogo a quello che si si nello spazio piano, che: 3 ds* = dx\ -f- Ciri + dxt + dx\ = ^T TT',^)X') d\\ 1=1 dove P{\) è un polinomio di quarto grado in X. Mutando i parametri X, nei para- metri I dXi l'elemento lineare diventa appunto della forma (1), dove le V sod- J l P(K) disfano alle (8). Abbiamo così trovato in più modi il teorema: II sistema canonico relativo a una trasformazione geodetica di uno spazio a curva- tura costante è un sistema di quadriche omofocali (in generale). A cui si può aggiungere l'altro, che si dimostrerebbe in maniera analoga: Nella rappresentazioni geodetica ili due spazii a curvatura costante l'uno sull'altro esiste (se la rappresentazione non è una similitudi terale uno <■ un solo si ortogonale, che si conserva ortogonale. Questo sistema è un sistema di quadriche confocali. Esaurito così lo studio del caso A = 0, passiamo al caso di vi =4=0, in cui, come abbiamo dimostrato, è: £=g,(x.) (i=l,2,3). Allora ogni trasformazione infinitesima geodetica, trasforma in se il sistema triplo ortogonale delle xu x.2, x3. Questo è dunque senz'altro il sistema canonico relativo a qualsiasi trasformazione infinitesima del gruppo geodetico e varranno quindi per qualsiasi trasformazione geodetica le formule (3) del § 5. Di più se il gruppo ha p. e. r parametri, siccome esso deve per ipotesi contenere almeno una trasformazione geodetica non conforme, possederà (§ 5) se r > 1 un sottogruppo a " r — 1 „ para- metri di similitudini e questo se r > 2 possederà almeno un sottogruppo a " r — 2 „ parametri di movimenti. Scriviamo intanto le equazioni (3) del § 1. Esse diventano: (10) 2-^+ i>n'rlf'3+ K*')?* =P + 2gP1 + gpi r1r* 0 .i'| ' i — U3 I :: — (-1 ed analoghe, dove p, q sono costanti. Poiché £, = £,(*,) ne deduciamo che hV^zM±-qUl-qUs 2 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 283 non dipende da x2 e quindi per simmetria neppure da xx. Questa espressione è dunque una costante effettiva e3 e noi potremo porre (11) ^:f' =qU1 + qUa + ea oltre alle equazioni analoghe che si ottengono rotando gli indici. La (10) diventa cosi (10') donde si deduce indicando con \x, \2, X3 nuove costanti (12) E, = | (P - e2 - e3)*i + y e le analoghe. La (11) ci dà allora: I due membri di questa uguaglianza dipendendo rispettivamente soltanto da xx e da x2, saranno ambedue uguali a una stessa costante n3. Ripetendo le stesse con- siderazioni, ma scambiando gli indici 2, 3 troviamo così: (11') \i±(p-e.2-e3)x1^^U'ì = qU\ + e3Ul+r]3 = qU-i+e2U1 + r]2 e le analoghe che si ottengono rotando gli indici. Dalla (11') si trae: (13) (€3-62)^ + %-n^O. Cosicché se non è ?71=cost, sarà €2=63, 1;> = 1'3- Analogamente se U2^=cost, sarà e1 = e3, 11 = 13- Ossia se almeno due delle Ux, U2, U3 non sono costanti è €, = €3=e3, ni=la=l3. Poiché le U1, TJ2, U3 non sono tutte e tre costanti (nel qua! caso lo spazio sarebbe euclideo, ciò che escludiamo), se due delle U, sono costanti, la terza è certamente variabile. Sia p. es. ?7i=f=cost, mentre U2, U3 sono costanti (naturalmente distinte, che altrimenti l'elemento (1) sarebbe degenere). Sarà intanto per la (13) (1-1) €2 = £3; 12=1:; e si avrà poi la seguente equazione analoga alla (13): (^-e^+tn, — r,3)=:0 ossia per (14) (ex— e2)U2 + {rìl-rÌ2) = 0 (e1-e2)P3 + (ni-n2) = 0. Poiché U2^=U3l queste due equazioni danno di nuovo *i=*y, 1i=l2- GUIDO TUBINI 24 In tutti i casi è dunque e1=€2=e3; Hi— 12— %• Noi potremo perciò senz'altro sopprimere gli indici delle e e delle n. La (12) e la (11') diventano cosi: (IT.) E, = \ (p - 2e).r, + *' (/ = 1.2,3) (16) ±-[(p-2e)xi + \i]U',=;qUii-\- eUi + r,- (» = 1,2,8) E la nostra questione è così ridotta alla facile discussione del sistema (15). (16). Le (15), (16) ci danno però un assai elegante risultato che può servire a semplificare ancora il calcolo. Per ottenerlo notiamo che se q = 0 la trasformazione è, come dimostrano le (10), conforme. Supponiamo ora che sia g=t=0 e che nessuna delie t\ sia costante, nel qual caso lo spazio ammetterebbe già il movimento — . Allora cer- tamente aggiungendo a tutte le U, una stessa costante (che può anche essere com- plessa) (ciò che non muta l'elemento lineare (1)) si può fare chiaramente nelle (16) n = 0. Poiché per ipotesi nessuna delle U{ è costante, e quindi nessuna delle nuove Ut può essere nulla, potremo mutare le U, in --- . Con questa trasformazione si passa per i risultati di Levi-Civita, ad uno spazio applicabile geodeticamente sul prece- dente. Infatti gli spazii sono per le formule già citate al § 5 applicabili geodeticamente. Se noi poniamo ora C, = -=r nelle (10) in cui sia fatto n = 0, troviamo (1 6') | [(p - 2e) x, + X,] V\ = - e V, - q. Quindi la trasformazione geodetica per il primo spazio iniziale e quindi anche per lo spazio Z[U',(V,— Vt)]dx\ è una trasformazione conforme per questo ultimo spazio, perchè nei secondi membri delle (16') manca il termine in V;2. Dunque: Se uno spazio del tipo (1) ammette una trasformazione geodetica esso è geodeticamente applicabile su un nitro spazio, per cui questa trasformazione è soltanto una similitudine; esclusi luti' al più quelli ili questi spazii per cui una delle U, è costante e che perciò ammettono un movimento puro. Escludiamo perciò il caso che una Ci sia costante ; allora, poiché, com'è evidente per la natura stessa della nostra questione, noi non dobbiamo considerare come distinti due spazii geodeticamente applicabili, basterà che risolviamo il semplice pro- blema di riconoscere quando uno spazio (1) ammette una similitudine, ossia quando è risolubile il sistema delle (15), (16), dove si ponga '/=0. Ciò che si risolve senz'altro. 25 SUI GKUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 285 Poiché nessuna delle U, è costante non potrà per la (16) essere nulla una dello E,, né potrà essere contemporaneamente e = r| = 0 ; e quindi le (16) si potranno scrivere: f \ 7 k n eUi + r) "" (p— 2€)r, + X, - Distingueremo ora parecchi casi. I) Sia e =#= 0 , p — 2e ={= 0 ; aggiungendo alle U, una stessa costante e alle x, delle altre costanti potremo fare assumere al sistema (17) la forma: (17') d-^ = h^- (A = cost) x ' ili xì che ci dà (A) U, = taf . (A-, = cost) (» = 1, 2, 3) II) caso: Sia e = 0, p — 2e=)=0. Mutando lo spazio in uno spazio simile e aggiungendo alle xt convenienti costanti, le (17) si possono ridurre alla forma: X, donde (B) U{ = log hXi . {h = cost) (i = 1 , 2, 3) III) caso: Sia e— ^ = 0. Indicando con k, delle costanti, le (17) si scrivono sotto la forma: dUi = k,dxi donde, aggiungendo alle x% convenienti costanti, (C) Ux = hx, . IV) caso: Sia p — 2e = 0, e =4=0. Con i soliti mutamenti si vede che le (17) si possono scrivere: l£- = kidxt (*, = cost) donde si trae: (D) Ui= htekiXi . (h, = cost; k, = cost) {i = 1 . 2, 3) Prima di studiare questi 4 tipi passiamo al caso che vi sia qualche Ui costante ; ve ne sia dapprima una sola costante, p. es. la TJX che si potrà supporre nulla; perchè se fosse p. es. Ul =±= 0 basterebbe aggiungere alle Ut la — Ul per renderla nulla. Noi dovremo ricorrere alle (15), (16). Posto nelle (16) s' = l, se ne trae: n=0 cosicché per le Ut, U3 varranno le: (18') \ [X, + (p - 2e)*,] U/= U,(qUt+ e). (t = 2, 3) 286 GUIDO FUBINI 26 Se fosse q = € = 0, allora sarebbe, poiché TJ'2 =4= 0, U'3 =j= 0, \2 = \3 = p — 2e = () ossia E, = -~ ; 23= £2 = 0 e la trasformazione sarebbe la v- . Escluso questo caso possiamo supporre q ed e non contemporaneamente nulli e scrivere l'equazione precedente sotto la forma Discutiamo ora la (18). Sia g = 0; sarà allora e =4=0. I) 3e p — 2e = 0; la (18) integrata ci darà indicando con h2,h3,k2, k3 delle costanti : (E) &i = 0, U2 = h2<*&, U3 = h3e*#*. II) Sia p — 2e=4=0. Aggiungendo alle z2, #3 opportune costanti, possiamo tare \2 = X3 = 0; la (18) integrata dà, indicando con h,k2,k3 delle costanti: (F) C, = 0, U2 = k2x\, I Sia ora invece g =4= 0. Se fosse e =4= 0, sostituendo alle C, le 1 — £ = F, otterremo uno spazio applicabile geodeticamente sul nostro, per cui V1=0; e si verificherebbe che la nostra trasformazione sarebbe simile per questo spazio, ossia si tornerebbe ai tipi (E), (F). Supponiamo dunque e == 0. I) Sia p = 0; la (18) integrata dà, indicando con k2,k3 delle costanti Ci =0; r =k2x3; — = tipo che rientra nel precedente per h = — 1 . II) Sia p =4=0. Aggiungendo alle x2,x-ò opportune costanti, si può fare \,= 0; le (18) integrate danno indicando con h,k2lk3 tre costanti: (G) 17, = 0; -~ = hlogk2x2 -^r = h\ogk3x3. Siano ora invece due delle C, costanti, p. es. la C, e la U2. Passando a uno spazio simile e aggiungendo alle U, una stessa costante si potrà fare C,= 0; 17,= 1. Lo spazio ammetterà intanto i due movimenti t— , -z — . Facendo nella (16) successivamente »=1, i = 2, troviamo: «1 = 0, e = — q. Si riconosce come al solito che per una terza trasformazione infinitesima geo- detica che non appartenga al G2 generato dai precedenti movimenti la (16) si può scrivere (per i = 3) / , q-v dUz p dri 1 ' sDi(Di— « (p + '2q)x3+\3 dove 5=4=0. Come abbiamo già osservato al § 5 si potrà senz'altro porre 2 = 1. 27 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 281 I) Sia p + 2 = 0. La (19) ci darà = hdxs (h = cost) DifPi-1) e si potrà faro, mutando .r3 in ot3 -f- cost Di ossia (H) Pi=0 UB=1 U, 1 — e1'1- II) Sia invece p -\- 2 =4= 0. Potremo supporre a3=0. E la (19) integrata dà, indicando con k, h due costanti :V7 = **S - ossia (i) cr, = o v2=i u3 = 1 - A:.r3" E abbiamo dunque: Se uno spazio del tipo I ammette una trasformazione geodetica [oltre al movimento ^— nel caso che una delle U, sia costante <> ai due movimenti \ òr, -jr— , -v — se Ui, Uk sono costanti) esso è geodeticamente applicabile su uno degli spazii di uno dei tipi (A), (B), ...(I) con conservazione del sistema ortogonale xl,xi,x3; e quindi dai precedenti si può dedurre con le formule del prof. Levi-Civita. Se noi perciò, di tutti questi tipi di spazii, determineremo il gruppo geodetico più ampio, avremo completamente risoluta quella parte della nostra ricerca, che si riferisce agli spazii (1). Tipo A) U, = £,.«•;' fi = 1,2, 3) fc,4=0 {h =4=0). Sostituendo nelle (16) si trova J_ [(p _ 2e).r, + \^hhxtl = qkìxf -f ek.xl + 1 • Supponiamo dapprima /*=i«l. Ne traggiamo ti = 0 e = \ (p - 2e). Se anche /j=4= — 1 è inoltre ^ = 0, q — Q e si ha la sola trasformazione infini- tesima (conforme) la;, t-. Il caso poi di /* = — 1 si può trascurare, poiché sosti- tuendo alle U{ le loro inverse (con che lo spazio resta geodeticamente applicabile su se stesso), si può fare /* = 1. In questo caso la più generale trasformazione geo- detica è ò \yx,— + u) -r- s— (^. u costanti arbitrarie). Lj òr, L-à !', Òx, '_>- GUIDO FUBINI 28 Lo spazio ammette perciò un gruppo generato dalle yti vii «_J ' a** — *'■ da-. Quindi il tipo (A) dà origine ai due tipi: I) Il = krf (£, = cost =4= 0) (i = 1, 2, 3) (h = cost #= 0) (A =4= + 1) che ammette la Si x, ^— (conforme). II) tr, = £,a+1 (A, = cost =4= 0) (i = 1,2, 3) che ammette le /Ai- (conforme) > y r- (conforme). Ili) Il tipo (B), come si verifica in modo analogo, ammette sempre una sola trasformazione infinitesima. Per esso è: Ut = log k\ ./', E la trasformazione infinitesima corrispondente è ò y Xj-j — (conforme). Del tipo (C) è inutile occuparci, perchè rientra nel tipo (A), anzi coincide col tipo (A), dove si ponga A=l. IV) Come si verifica, sostituendo come sopra nelle 16, il tipo (D) per cui è l\ = hi e"<*< ammette la sola trasformazione infinitesima geodetica: Si -à (conforme)- V) Il tipo (E) è definito da: Ul = 0 U2 = h2ek^ U3 = h3ek*> . Sostituendo in (18)' i valori di U2, U3 si trova: q=p — 2e = 0 ^-^7 (»=2,S). Dove = è simbolo di proporzionalità. Se ne deduce che esiste soltanto il gruppo generato dalle trasformazioni è; - £ k + h k (confonni>- 29 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 289 VI) Studiamo il tipo (F) in cui CTj = 0 Ih = k2 4 U3 = k3xl Sostituendo in (18) si trova che se h=¥= — 1 esistono le sole trasformazioni infinitesime 3 d (conformi). óxt VII) Se invece /; = — 1, esistono le tre trasformazioni: i Vili) Il tipo (G), in cui è Ui = 0 -jjr = /( log A2 r2 — = /« log As .cs ammette soltanto, come si verifica coi soliti metodi, le: 3 d IX) Il tipo (H) è definito dalle: Pj = 0 17,1 = 1 Esso ammette i movimenti —, ^-; per trovare le altre possibili trasformazioni geodetiche si ricorra alla (19); e si troverà che esso ammette inoltre soltanto la ~— . dx3 X) Il tipo (I), definito dalle: 17. =0 U. = l Ua= — —-, 1 2 3 1— fce3* ' ammette soltanto le trasformazioni : — — y x — ì come si verifica tosto, ricorrendo alla (19). Ora facciamo una semplice osservazione : Se noi non vogliamo considerare come identici spazii geodeticamente applicabili, dovremo ai tipi precedenti aggiungere quelli che si deducono da essi col metodo del Prof. Levi-Civita, anche usando di costanti complesse, e che corrispondono a essi con conservazione delle geodetiche. Ma se noi, come pare più naturale, riguarderemo identici dal nostro punto di vista spazii geodeticamente applicabili, potremo ridurci ai 10 casi precedenti, anzi potremo senz'altro trascurare i primi casi fino al VI) incluso , le cui trasformazioni geodetiche sono tutte delle pure similitudini (caso che noi studieremo più avanti) e considerare soltanto i 4 tipi VII, Vili, IX, X. Serie II. Tom. LUI. Ti 290 GUIDO FUBINI 30 Con questa convenzione dunque abbiamo che gli spazii del tipo (1) danni) oltrt gli spazii a curvatura costante <• oltre spazii ••<>» un gruppo di sole similitudini soltanto quattro nuovi casi: il VII, l'VIII, il IX, il X. Per trovare tutti i possibili 58 che ammettano un gruppo geodetico, non com- pletamente composto di trasformazioni conformi, ora ci basta studiare gli spazii del tipo (2). Per ottenere anche qui delle formule semplici ed eleganti in modo che una trasformazione geodetica /—A rVT, 1 sia sempre del tipo i ricorreremo a un semplice artificio; introdurremo cioè come variabili x2, x3 i para- metri delle linee di lunghezza nulla delle x1 — cost ; dovremo però sempre ricordare (poiché noi trattiamo sempre soltanto del caso, in cui spazio e trasformazioni sono reali) che x2, x3 sono variabili immaginarie coniugate. Così l'elemento (2) diventa del tipo 1 20 1 ds2 = ( Ut — ot ) {dx\ — 2 X dx% dx3 1 dove a = cost, l\= Ul(x1),\ = \(x2,xì). Scritto sotto forma reale, l'elemento (20) si scrive (20') ds- = ( Di — a) [difi — 2 m (ch/l -\ dove y! = Xi ; x2 = t/2 + i ih ■ ->*3 = ìli — i Ih, : x (-r2, »s) = M I .'/„• , Jfo I. Posto H— 1 /tfMogn , tf logn\ A_ V _3_I_U'_)2 2\ dy\ "r" dy\ ) U-a 2 U—a ' le equazioni: j 23, 23 {' = 5 21, 21 (' ; j 31, 81 }' = 1 32. 32 (' J23, 12j' = |82, 13 (' = 0 J21, 23 {' = ) SI, 32 J' = 0 per l'elemento (20') danno (se indichiamo con X= //li 5— la supposta trasforma- zione geodetica): V , Il - uA) + 2 (H— m A) |^ = X(H— uA) + 2 (H— uA) ^ = 0 ry/2 0^3 (fl- uA)?? = {H _ uAl |13 = (ff_ A) *u = (J7_ A) *k = 0 ' ° ' dar, dx3 dx, dx, Osserviamo ora che le equazioni: 122)' _ \33l' _ (32)' U22)' _ 132)' _ 1 (33)' _ . \b] —U) ~U) tU) ~"U) 2/3} per l'elemento (20') dimostrano per le (21') che r)2 1- n.3-7— è una trasforma- zione geodetica per le superfìcie xy = cost; se essa fosse conforme, dovrebbe essere £2 = £2 (x2), £3 = £3 (x3) perchè le linee di lunghezza nulla dovrebbero restare linee di lunghezza nulla. Se non fosse conforme, potremmo supporre (§ 6) l'elemento lineare delle #i = cost già ridotto alla forma di Lionville e varrebbero equazioni del tipo seguente (dove alle antiche y3, n.3 si sono sostituite le i y3, i n3) (a) u = U2 (ij2) — U3 (y3) (T) 2 |J. + "'^-y-1' = U2 + 2 Ua 0!)2 ^2 <->3 (b) insieme alla dia _ dr^ ày3 \, x2, x:. forma il sistema canonico e quindi (§ 5) devono valere le equazioni (3) del § 5, che qui diventano (*) : (22) £17&+2^T = a + 2^ (23) ^ + ^+E3A^ + £ + ||=f/1 + 2« ■941 ?! = dh = 9£l \ dh = ò£| K ò£a = 0 * ' d#2 òa;3 da;2 òxt òx3 dx, Le (2-!) dirimi] appunto che E2 — ?2 fe), 23 = E;; [x3 . Di queste forinole io ho anche data la precedente dimostrazione, perchè apparisca più chiaro che il sistema coordinato è per ogni trasformazione geodetica proprio il sistema canonico e si pos- sono quindi applicare le (3) del § 5; ciò che poteva non riuscire abbastanza chiaro per l'indeterminazione, già da noi precisata al § 5, del sistema canonico in questo e in simili casi. Se noi dunque vogliamo trovare tutti gli spazii del tipo (2) oltre a quelli a curvatura costante che ammettono un gruppo geodetico, tale che almeno una delle sue trasformazioni infinitesime non sia conforme, dovremo intanto cercare (piando si possono integrare le (22), (23) con valori non tutti nulli delle E„ E2, £8, in cui sia E, = E, (xì). Se noi poi vogliamo cercare quelli degli spazii (2) per cui il gruppo citato sia un gruppo a più di un parametro, dovremo poi determinare quelli tra gli spazii determinati per cui si ammette ancora una trasformazione simile^E, (.r,) — . Risolviamo intanto la prima parte di questo problema; ricerchiamo cioè quando è integrabile il sistema delle (22), (23) quando E; (* = 1, 2, 3) sia funzione della sola xt. Si riconosce facilmente che, indicando con k una costante, la (23) si può scrivere : (25) g1_El__(U1 + 2a)=:-* ,0R, ? e) log* _i_ z dlog* i dE. i oh _ k (26) ^ ^r + 3 ò*s + d*s ^ à*, - A • Dalle (22), (25) si ricava (27) 2^=U1-a + k = all + k. E il sistema delle (22), (23) è equivalente al sistema delle (25), (26), (27). Poiché noi vogliamo sempre studiare soltanto spazii e trasformazioni reali, le l2,h ° *"IK) ambedue nulle, o sono ambedue differenti da zero; in questo secondo caso potremo (essendo H2 = i2(^2), h—hi^sì), cambiando i parametri delle linee x2,x3, supporre E2=l, E3 = l; cosicché la trasformazione geodetica considerata si potrà supporre di uno dei due tipi: (28) «iWi (29) M*j£4 £ + £• (*l Qui, trattandosi di una trasformazione geodetica non conforme, abbiamo posto 7 = 0, p — 1; ciò che abbiamo già notato essere sempre lecito. 33 SUI «RUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 293 Nel caso (28) la (26) dà £ = 0; e X può essere qualunque; per la (27) poi essendo an=\= 0, si ha .à- =4=0. Eliminando quindi £7, fra le (25), (27) si ottiene: (30) Mi" = 3a£/ + 2E/2 dove per l'osservazione precedente è Ei=f=cost. I) Se a = 0 la (30) ci dà integrando, indicando con d, e due costanti (d H= 0) 2i = «, + e ' n (x,-(-C)2- Mutando a^ in .<-, + e, si può fare e = 0 ; passando quindi a uno spazio simile si può fare d=l, cosicché si ha infine: (A) E1 = - ; a11 = -—ì. II) Sia a =4= 0. Presa (poiché £t 4= cost) la Et come variabile indipendente y, la 2/ come incognita z, posto a' = — , la (30) diventa : yz' = 2z + 3a ossia dz _ dy 2z + 3a — y "«""" ~ 2 "' Integrando e indicando con e una costante si trova: a 2St' — c£2 — 3a oppure Ei' = 5- <*• Reintegrando e indicando con d un'altra costante, si trova che _l/!^ 1 + 4'iWr-M . a _ 12a d/3^r,+ (i oppure Si = — ax! + rf «11 = — 3a. Nel primo di questi due casi, otteniamo prendendo \/3ca. xx -\- d come parametro delle x, = cost, passando a uno spazio simile e moltiplicando la trasformazione infi- nitesima per un conveniente fattore che si potrà porre: (C) 1 _ & ~" (1 _ e*>f Nel secondo caso troviamo, con procedimenti analoghi, che si potrà fare: (C) £,=*, «n = l. Risolviamo intanto la questione: Quando i tre spazii dei tipi definiti dalle (A), (B), (C) possono ammettere un gruppo geodetico a più di un parametro, ossia, per 294 GUIDO FUBINI -'.4 quanto abbiamo già dimostrato, quando mai possono dessi ammettere una trasfor- mazione simile 3 a &w£ E noi risolveremo dapprima la questione generale: Quando mai lo spazio (20) ammette una trasformazione simile, che sarà necessariamente della forma precedente? Varranno in tal caso chiaramente le (22), (23) in cui si ponga una costante " h „ nei secondi membri al posto di 2J7, + a, [7, + 2a. E la (28) cosi modificata si sdoppia di nuovo in due equazioni; cosicché, indicando al solito con k una nuova costante avremo il sistema : E, -K + 2 -**- = h MogX. .àlogX + d£, + ò^ = k v ' J àx2 ' à òx3 ' dx* ' òx3 E la prima e l'ultima di queste danno: (y) 2^= k ossia E] = -5- flJj + e (e = cost). La (a) dimostra, ciò che sapevamo, che E2 t^~ + ^3 Tjr è una similitudine per le xt = cost, e se ne deduce (ponendo e == k = h = 0). I) Lo spazio (20) ammette come similitudini (che sono del risto puri movimenti) tutti i movimenti E2 ^ r~ ^3^ — ammessi eventualmente da ds2= — 2\dr.,',; per cui " 2 „ sia il rapporto di similitudine, ossia tale che r2 IT ""■" £S "dlT ) (Xrf*2^) = 2 Xffa2 '/'' ■ Abbiamo così determinati tutti i casi, in cui uno spazio (20) può ammettere una trasformazione simile (oltre al caso in cui (20) fosse a curvatura costante). E ne otteniamo subito: Il precedente tipo (B) non potrà ammettere altre trasformazioni geodetiche che se le xt = cost ammettono dei movimenti (che saranno in tal caso dei movimenti per tutto lo spazio), ossia se le xy = cost sono di rotazione o a curvatura costante. Il tipo (A) rientrn nel ci/so del teor. Ili precedente ; esso non potrà ammettere altre trasformazioni geodetiche dir nel <' (x2 — xt) e *«• (*) Esso è ricondotto alla ricerca ben facile e nota delle superficie che ammettono un gruppo di similitudini; ecco qui sotto i varii tipi di tali superficie. Superficie con un G; di similitudini : ds1 = dy% -f- dy1} (piano). Superficie con un G3 di similitudini (che sono anzi puri movimenti): dsi = dy\-\-BeD.tyIdy*a ds1 = dy*3 -f- e2x\fa-sa (sfera e pseudosfera). Superficie con un G2 di similitudini : d& = (y3 -f- y3)m (dy\ + dy23) (in = cost) che ammettono la 9 d b , d r — — t~ e la }'2 c \- ih 5— • òijì oy3 dyt dy3 Superficie con un G, di similitudini: ds* =

è funzione arbitraria di x2 — x3. La (27) (27') Di - o = «„ = 2 -||l - * dà, sostituita in (25), (32) 2E1E1"=(2E1'-i)2 + (Sa-*) (2 E/ — *). .1 ogni integrale Ej di questa equazione alle derivate ordinarie (che si può ridurre facilmente del prim'ordine) corrisponde un corrispondente spazio del tipo (20) cow ««a trasformazione geodetica (29) definito dalle (27'), (31). E noi ci chiediamo: Quando mai un tale spazio ammetterà anche un gruppo geodetico a più di un parametro, ossia ammetterà qualche trasformazione simile? Per i teoremi I, II, III teste dimostrati ciò potrà avvenire soltanto in tre casi. I) La funzione qp è tale che le x1 = cost ammettano anche qualche movi- mento, che sarà anche un movimento della q>3; dalla nota precedente lo studio di questo caso è esaurito. II) La funzione an definita dalla (27') è della forma heòr' (h,b costanti). Il nostro spazio ammetterebbe in tal caso le trasformazioni simili -^- e S2 -^- + h^~ , quando E2^ f-£3—^— fosse il più generale movimento infinitesimo ammesso eventualmente dalle Xi = cost. Tratteremo a parte il caso di ò = 0 ossia di an = cost; ma sup- posto ò=t=0 è per la (27') -fr = l + ir^ ossia E^e+A^ + JLe*,, dove e è una nuova costante. Sostituendo in (32) si trova h = Q e quindi au = 0, ciò che è assurdo. Di questo caso è perciò inutile occuparci. Ili) La funzione an definita dalla (27') è della forma hxf (h,b costanti). Esclu- deremo il caso in cui fosse ò = 0 ossia an = cost. E ne trarremo in modo analogo al precedente: »»+-! -&=i + i*? *.=«+£«.+-!-&• Nel primo di questi casi si trova, sostituendo, l'eguaglianza assurda h = 0. Nel secondo si trova, ricordando che b =1= — 1, b =4- 0, sostituendo in (32) che deve essere b = — 2. E perciò si ritorna al caso (A) già studiato. Ed anche del caso au = cost è inutile occuparci, perchè esso rientra nel tipo (C) precedente. Ci basta perciò determinare ora soltanto quelli dei nostri spazii che. am- mettono oltre agli eventuali movimenti delle xt = cost un gruppo geodetico a non più di un parametro; e bisogna perciò integrare la non semplice equazione (32). Noi ci serviremo del seguente artificio per semplificarla: Se non si considerano distinti spazii geodeticamente applicabili si può supporre nella (32) 3 a — k = 0. Sia infatti 3 a — k =4= 0; poniamo per semplicità U— a = M/;P = 3a — ft; dyx = 77=4=; H= ,jrjpjr 37 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 297 Lo spazio (2) ds2 = \\i (dx\ — 2 X dx2 dx3) è geodeticamente applicabile per il teor. di Levi-Civita sullo spazio: (2') ds'* = H j dy\ — -j- dx2 dxJ . La trasformazione - Ò , . Ò Irò" _ Ò I r Ò | - Ò dove rii ^ *P +P = ii sarà perciò geodetica su (2'). Io dico ora che essa è per (2') proprio una trasformazione simile. Dal confronto delle (25), (f3) si vede che, poten- dosi supporre u; #= cost, come abbiam già notato, si vede che basterà dimostrare che ri, -5— log H è costante ossia che è costante £, r — log — -?-=-. 0;/] ° * bxt ° Hi-(-g Ma infatti per la (25) è : Dunque se esiste un gruppo a un solo parametro, questo si può se 3 a — k =4= 0 supporre senz'altro un gruppo simile. Si può dunque supporre 3a — k = 0 col che la (32) assume la forma più semplice: (32') 2£1£1" = (2E1'-À-)*. Gli altri casi rientrano in quello degli spazii con un gruppo geodetico tutto formato di similitudini; problema che ora noi tratteremo. Come abbiamo testé osservato, per la risoluzione completa del nostro problema, manca ora soltanto la ricerca di quegli S3, che ammettono un gruppo geodetico tutto formato di similitudini; perchè, come abbiamo visto, tutti gli altri si riducono ai quattro tipi citati a pag. 30, ai tipi (A), (B), (C) di pag. 33, al tipo definito dalle (31), (27'), (32') e agli spazii a curvatura costante (*). Spazii che ammettono un Gj di similitudini. Se con t- indichiamo la trasforma- ne zione generatrice, le equazioni — — = u (u cost) danno aik = e-"r' cik {x2l x3). Spazii che ammettono un G2 di similitudini (e che quindi ammettono un Gx di movimenti). Prima di studiare questo caso, dimostreremo il seguente teorema generale: Nessuno spazio può ammettere due trasformazioni simili con le medesime traiettorie. (*) Le considerazioni seguenti si potrebbero semplificare, valendoci dei risultati della mia nota sui gruppi conformi, pubblicati negli Atti di codesta Accademia, dopo già cominciata la stampa del presente lavoro ; da essa si deduce che gli spazii ora cercati sono conformemente (non geodeticamente) applicabili sugli spazii, che ammettono puri movimenti. Serik II. Tom. LUI. Mi 298 GUIDO FUBINI 38 Questo teorema corrisponde al teorema analogo del prof. Bianchi (Sugli spazzi a tre dimensioni, ecc., " Memorie della Società Italiana delle Scienze „, 1897) che dice non potere esistere uno spazio, che ammetta due movimenti infinitesimi con le stesse traiettorie. Però, mentre il teorema del prof. Bianchi vale in generale, nella dimo- strazione del presente teorema, io farò uso della condizione che lo spazio sia reale : unico caso del resto che c'interessi. La nostra dimostrazione è naturalmente perciò un po' più complicata e distinta da quella, che il prof. Bianchi dà per i gruppi di movimenti (*). Siano .Xj , X2 due trasformazioni simili con le stesse traiettorie ; per il teor. del prof. Bianchi esse non potranno essere ambedue due movimenti. Esisterà però (§ 5) una loro combinazione lineare che è un movimento puro ; e per semplicità diremo A', questa combinazione lineare; indicando con X2 un' altra combinazione lineare distinta da X, , sarà X2 una trasformazione simile, ma non un movimento e per essa varranno le formule: a'ik= uà*, dove u è una costante non nulla, che, moltiplicando la X8 per — , si può rendere uguale ad 1. Poniamo: 1 Lj òzi dove con n indichiamo il numero delle dimensioni dello spazio; indicando con X una funzione di x1,xt,...,xn sarà *=^±- Poiché Xt è un movimento, avremo E poiché X2 è una trasformazione simile per cui 1 è il rapporto di similitu- dine, sarà: (34) 2i LXEr i^r + a" ~hr + a* -^r J = ""■ ■ Sottraendo dalla (34) la (33) moltiplicata per X si ottiene: v r r 9X . _ ÒX _i (35) Lla'X^ + ak'Ir^.\ = 'U- Ponendo nella (35) i = k si ottiene: dX (36) 2-^ £«*£, = a ,.. Moltiplicando la (35) per 2 ^- ^- e ricordando che per (36) si ha: otteniamo /«,„■* là* \* i / ÒX 2 n ^ <^ (*) Cfr. la mia Nota citata per un teorema più completo. 39 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 299 Ma ora, trattandosi di elementi reali, è (38) lan akk — 4<4 > 0. (i=¥=k) Moltiplicando la (38) per (-%— * — ]2 otteniamo, se t— -5 — =4= 0. Se invece fosse -t — t — = 0 dovremmo nella (39) al posto del ÒXi OXk 0X, OXìt v > * segno > sostituire il segno = . Ma ora la (39) diventa per la (37) Mas) Masr) -W^r) +°»l-sr) J >0 ossia che è un'uguaglianza assurda. E dunque sempre: Se dunque fosse p. es. -ì =4= 0 dovrebbe essere ossia X = X (x'j). Cambiando le coordinate, si vedrebbe che dovrebbe essere perciò X = cost, e quindi sarebbe assurda la (35). Ma anche più chiaramente si può procedere così: Ponendo nella (35) t=t=l, fe=)=l si otterrebbe per le (40) 0 = a,,; (*'4=1, A- =4=1) uguaglianza, che è evidentemente assurda. È perciò assurda la nostra ipotesi; né quindi potrà mai esistere uno spazio reale con due trasformazioni simili che ammet- tano le stesse traiettorie. Premesso questo teorema, noi possiamo ritornare alla nostra questione che è immediatamente risoluta. Siano, p. es., Xlt X2 le due trasformazioni simili dello spazio. Per i noti teoremi di Lie noi potremo supporre o (X, X2) = (i oppure (X, X2) = X,. Una combinazione lineare delle X1, X2 dovrà essere un puro movimento ; nel primo caso possiamo supporre che questo movimento sia proprio la X1; nel secondo caso potremo supporre che esso sia la Xx o la Xa. Anzi, poiché il gruppo di movi- menti è invariante nel gruppo totale di similitudini, dovranno essere o ambedue le Xa, À'2 puri movimenti (caso del prof. Bianchi) oppure la Xx sarà un movimento. 300 GUIDO FUCINI ^O Poiché le Xu X2 sono linearmente indipendenti, potremo, per i teoremi di Lio, porre nel primo caso ^ * = £' X>=h< Nel secondo caso potremo porre Nel caso (41), indicando con u la costante di similitudine di ars, avremo: ò '. „ ògg da -, c\i_, ^ ,k ossia dove le c,fc sono funzioni di ,r3. Nel caso (42) troveremo, con notazioni analoghe, dai* __, dn,t , à(e-*s) . d(f— *0 rt ^- = M«, e -^-gj- + «., -^- + aw ^ = 0 donde rtu = e."*»cu(a;s); a13 = e."-^,..^); a33 = f"'V:;:j(.rs) «12 = «-"H^ic^^s) + c12(.r3)] a32 = ef^ixiCuixs) + c23(*3)] ,/,,„ = e/*" [2aj,Ci2(a!3) + c22(a;3) + ajfcls(a;8)] . Spazzi 83 che ammettono un S3 di similitudini. Essi ammetteranno un gruppo G2 di movimenti; perciò (Bianchi, loc. cit.) il loro elemento lineare si potrà supporre di uno dei due tipi: (43) ds2 = dx\ + adx\ + 2$dx2dxs + i 0), allora il gruppo G„, è un gruppo di movimenti. Infatti in tal caso l'elemento lineare del nostro spazio si può porre sotto la forma ds* = dx\ -4- ^ atlidx,dxi 41 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 301 e il gruppo Crm_! ha trasformazioni generatrici del tipo >\A dove ^=0 La Aav da;f (Cfr. la mia meni.: Sugli spazii a un numero qualunque di dimensioni che ammettono un gruppo continuo di movimenti, § 1°, " Annali di Matematica „, 1902). Se indi- chiamo con H=I>i la w-esima trasformazione generatrice di Gm oltre a quelle di 6rm_, sarà per l'ipotesi fatta n, =0. Sia ora u il parametro di similitudine di questa trasformazione; sarà a'ik = [xaik e in particolare a'u = M«n ossia (poiché «u=l, alk — 0 se fc=f=l, r)i = 0): 0 = |*. Quindi anche H è un movimento; il gruppo Gm è tutto formato di movimenti. Ritorniamo ora al nostro problema; siccome il G3 supposto non è un gruppo di puri movimenti, non potrà per il teorema precedente essere intransitivo; ossia, posto : X, La *'T> dovrà essere S^O. Per gli spazii (43) troviamo per (45) che sarà: ^L=È!l — o- ò^-=a- ^- = c- ò-^- = b- ^*- = d dx, à.r3 ' dx? ' òx3 ' *x3 ' 0 n'i(.*'i) = M n's = Tl'3 = °- Cambiando il parametro xx in xy + cost , moltiplicando la X3 per un conveniente 302 GUIDO FUBIN1 42 fattore costante e sottraendone una conveniente combinazione lineare di X, , X2 vediamo perciò che si potrà fare: A':; = xl j^ 4- {ax2 + c^3) ^- 4- (&e2 + cfo3) ^- . Le «'22 = 2«22, «'33 = 2a33, «'23 = 2a23 danno un sistema di equazioni lineari per le a, (3, y che s'integrano con le solite regole. Nel caso (44) la condizione: (T.fXX,) ) + (A,(A:;A,) ) + (WA) ) = 0 dà a=c = 0. Togliendo poi da Xs un conveniente multiplo di X2, si ha per le (4.")) che si può supporre b = 0. Per le (45) avremo, che indicando con ni,n2,n3 delle unzioni di .r,, si può porre: * = m-£ + [n, + (* + n,)*l£+n.-£. Si riconosce, come sopra, che si può fare ih = .'i e che è n2 = cost, n3 = cost. Sottraendo da A'3 la Xt moltiplicata per la costante n3, mutando .r2 in :r2 + cost, si vede facilmente che si può fare Z3=*i^+-^ oppure X,= *1^|;-+*.-4. Le equazioni corrispondenti, tanto nell'uno che nell'altro caso, si integrano senza difficoltà. Non è poi necessaria la ricerca degli S3 che ammettono un gruppo simile a più di tre parametri; perchè, ammettendo essi allora un gruppo di movimenti ad almeno tre parametri, essi rientrano tutti nei tipi studiati dal prof. Bianchi. Il nostro pro- blema è così completamente risoluto (*). § 8. Ricerca generale degli spazii ad n dimensioni che ammettono un gruppo geodetico. Poiché il problema della determinazione degli spazii ad n dimensioni, che am- mettono un gruppo continuo di movimenti è già stato da me ampiamente trattato in una Memoria già citata, e poiché uno spazio che ammette un Gr geodetico con- forme, ammette anche un G ._, di movimenti, noi considereremo già risoluto il pro- blema della determinazione degli spazii che ammettono un gruppo geodetico tutto formato di trasformazioni conformi ; e ci accontenteremo di ricordare oltre ai risul- tati, che si possono dedurre dalla mia Memoria, quelli ottenuti per il caso generale nelle ultime pagine del § 7 e quelli della mia Nota citata. E ricercheremo ora quegli spazii ad n dimensioni, che ammettono una qualche trasformazione geodetica non con- (*) Per i risultati della mia nota citata un S3 con un G, di similitudini dovrebbe essere appli- cabile conformemente su uno dei tre tipi di spazii che ammettono un (?4 di movimenti, il cui gruppo 6r3 derivato dovrebbe ancora essere un G3 di movimenti: la ricerca è perciò una cosa faci- immediata. 43 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE forme. I loro elementi lineari devono essere del tipo (1) del § 5 e di più il sistema coordinato deve essere il sistema canonico di qualche trasformazione infinitesima. Cominciamo intanto a studiare quelli di questi spazii, il cui elemento lineare coincide con l'elemento aggiunto, ossia gli spazii del tipo (i) «fo» = £rn/(q*— ¥,)]&£. Fondamento della nostra ricerca è la semplice osservazione che tutti i simboli a 4 indici di seconda specie di questo spazio sono tutti nulli eccetto che i simboli del tipo \ij, ij\ = — )ij,ji\ (*=f=/) e che tra questi valgono le due seguenti identità, di cui la prima fu già da noi trovata nel caso particolare di n = 3. I) Le quantità — ,1J . _^_' ' ' * per i =#=/#= &4= i sono simmetriche nei tre indici i,j, k; noi le indicheremo con (i,j,k) e potremo quindi scrivere: (i, j, k) = (j, i, k) = {i, k, j) = (k, j, i) = (k, i,j) = (/, k, i). (i =j=j dp / II) Se i,j, li, k sono quattro indici distinti qualunque, è: (2) (ip. — H>,) (* i j) + (% - mi») (kj h) 4- (Và - Vl) (Jfc A j) = 0. Questa identità si verifica facilmente con l'effettivo sviluppo. Premesse queste due serie di identità, il nostro problema per gli spazii (1) si risolve rapidamente. L'equazione )ij,ki\' = 0 {i^j=^k) dà: [ ; ij, ij j - ) i k, ik ( ] -gL = o ossia (i kj)-gr = 0. Se non è quindi .' = 0 (j=hk) sarà qualunque sia i, purché differente da j, k (3) (ikj) = 0 (i~k.i^j). Siano i, h due indici distinti tra loro e differenti da ;', k; sarà per (3) (ikj) = (hkj) = 0. E quindi per (2) sarà (3') {khi) = 0 (i^h:i^=k.i^j-h^kj,-\i\. Le (3), (3') danno che sarà sempre {3") {khi) = 0 {h^i^k^h). Sia t un indice distinto da /•, h, i. Avremo (3'") (kti 0 (t^=k, li, i;k^i). Le (3"), (3'") insieme all'equazione che si deduce da (2) ponendovi k. t, li, i al posto di k, h, j, i danno infine (4) (ith) = Q 304 GUIDO FTJBIN1 44 con la sola condizione che i =*= t 4= /t =#= ». Dunque se anche una sola delle derivate — non è nulla 0'=t=/fc), dovranno essere verificate tutte le (4) ossia avremo sempre \it,it\ = \i h, i li (i =f= M =#= &) ossia (< <, t Q (i h, i h) mi ahh ossia le espressioni Ji^L («=)=*) saranno tutte uguali; e per un teorema di Schur lo spazio sarebbe a curvatura costante. Quanto al sistema delle xu x2, x3 x„ ba- sterebbe poi ora ripetere le considerazioni già svolte per « = 3. Escluso questo caso anche per n > 3 potremo perciò scrivere E, = 2, (x,) ; e quindi il sistema coordinato sarebbe canonico per ogni Gt geodetico e si avrebbero quindi le: La discussione di questo sistema per n > 3 è in parte analoga e in parte no a quella svolta per il caso n = 3. Noi la svolgeremo rapidamente. Dalle (5) si deduce, come nel caso n = 3 che Ei W,' — irV/r i i -v ip, — njr 1 VT ' è una costante, che noi indicheremo con n,r = nri. Ne traggiamo E, ip,' — q Vi2 — Htr V. = gr Mi/ — g vp,'2 — n„ i(i,. Queste due espressioni saranno uguali ad una stessa costante eir = er,. E noi avremo : (ti) 2, Vi = 2 W + n,r Y, + e,r- Le (5) diventano così (7) 2 g =p-(n-8)jM.i-2'nfr = 0 dove nella sommatoria del secondo membro si deve escludere che sia r = i. Dalle (6) si ha poi che Air Mi. + Ut non dipende dal valore dell'indice r, (naturalmente però differente da i). Ora, siccome per ipotesi lo spazio non è a curvatura costante nulla, si potrà supporre che una delle iji almeno, p. es. la \\>1, non sia costante. Poiché le riir Vi 4- £ir sono uguali, se ne deduce che nlr, elr non dipendono dal secondo indice; cosicché si potrà scrivere Hlr = n «ir = £ dove n, e sono due costanti. Ma ora per l'osservazione precedente, se r, s sono due indici distinti fra loro e da 1, sarà (Tiri — HrS) Vr + (, + e 2 £,' = j3 — (w — 1) n — (« — 3) ^ l|), e scrivendo ^? in luogo di p — (n — 1) n (9) 2 l'—p — (n — S)qWi- Dalla (8) ricaviamo, poiché tutte le ijj, sono distinte: Se alcuna delle 4», è costante e lo spazio (1) ammette una trasformazione geode- tica, le y, costanti saranno soluzioni di una stessa equazione di secondo grado; non possono perciò esistere più di due ip; costanti. Studiamo dapprincipio il caso in cui nessuna delle iy, sia costante. Si può allora dimostrare un teorema generalizzazione di uno già trovato per n = 3. Se uno di questi spazii ammette una trasformazione geodetica X, esso è applicabile geodeticamente su un altro spazio per cui X è una trasformazione simile. Infatti se in (8) fosse g = 0 la trasformazione sarebbe per (5) simile. Supponiamo dunque q =4= 0. Allora aggiungendo alle tp, una stessa costante si può fare e = 0. Osserviamo ora che lo spazio (1) è geodeticamente applicabile su (10) =^y^^=^dxi Mutiamo i parametri x„ ponendo dtj\ = ni"-3 dx\. L'elemento (10) si scriverà con le nuove coordinate (il) JjTT/w-rodtf dove V — — , Vi = — .La trasformazione X= 7 £, -» — diventa X = 7 n, dove 1 % Vt Lj ox, /_i di'. , dx, e la (8) diventa (poiché e = 0) (8') ni^==_T|Fi-j Serie II. Tom. LUI. N1 306 GUIDO FUBIXI i6 che è analoga alla (8) dove manchi il termine che contiene il quadrato di V,. La nostra trasformazione è perciò una similitudine per (11). Come per w = 3, abbiamo qui dovuto escludere il caso che una delle i\> iniziale fosse costante, perchè altrimenti avrebbe potuto una delle V, diventare infinita. Ma noi ora possiamo per il caso n>3 completare il precedente risultato. Per il risultato precedente possiamo porre g = 0 nelle (8), (9). Esse diventano così : (8") E, ip,' — imi, + r (9"). 2Zi'=P ossia £,= ;; a dove X, sono costanti. La (8") diventa quindi (12) ■-. +X, )Vl' = imi, 4-e. Naturalmente di tutti questi spazii non ci interessano che quelli che oltre alla supposta trasformazione simile ammettono eventualmente una qualche trasformazione geodetica non conforme; per cui oltre alla (12) dovranno sussistere altre equazioni come le (8), (9) in cui il valore di q non è nullo. Indicando con j,; n,, p,, «, delle costanti, dovranno sussistere le equazioni : (13) li hV = g, m + li Vi + €, (gì =t= o) ,/E; dxi (14) 2 g = px-(« -3)glV, dove naturalmente è Hj = S^ (»<). Noi studieremo un po' più tardi questo sistema di equazioni; e vogliane minare dapprima il caso in cui una o due delle i)J, siano costanti. Se lo spazio cor- rispondente ammette solo un gruppo G1 geodetico (oltre al movimento -— se la sola i)j, è costante, oppure oltre ai movimenti a -r 1- B -j— (a, S costanti) se sono costanti le ip„ %.) si possono ripetere ragionamenti analoghi a quelli tenuti per il caso n = 3. Si deve cioè supporre nelle (8), (9) q =f= 0, e si deve ammettere che il polinomio del secondo membro delle (8) si annulli quando al posto di ip, si sostitui- scano i valori di quella o di quelle ty che si suppongono costanti. L'eliminazione dalle (8), (9) delle l ci dà poi un'equazione alle derivate ordinarie per quelle iy, che non sono costanti, e che serve a definirci tutti gli spazii cercati. Noi ora vogliamo risolvere la questione di cercare quelli di questi spazii che ammettono oltre alle trasformazioni ora citate, qualche altra trasformazione geode- tica, ossia (§ 5) qualche trasformazione conforme. Anche qui, come precedentemente, il problema si riduce alla ricerca di quei sistemi di valori delle iy, per cui valgono le (12) e si possono integrare le (13). E alla discussione di questo problema noi ora ci rivolgeremo. I" caso. Siano due delle iy„ p. es. le ij»i, H»2, costanti. Ponendo in (12) i= 1, i = 2 si trova n i^ -f- e = n ip2 -f- e = 0 ; poiché i)^ =i= n>2 sarà ti = £-0 e quindi (-£- Xi + \ ) v/ — 0. Poiché se i =4= 2,1 è qi/ 4= 0, sarà dunque p = 0, X, = 0 (i =4= 1,2); 47 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 307 quindi le uniche trasformazioni conformi possibili sono i movimenti noti a priori — , ^-; di questo caso è perciò inutile occuparci più oltre. II0 caso. Sia una sola al più delle ijj„ p. es. al più la \yu costante. Se p = 0, aggiungendo alle x, opportune costanti, si può fare X, = 0. Se n 4= o, aggiungendo alle iji; una stessa costante si può fare e = 0. Sia p. es. p=4= 0, n =f= 0. Avremo dalla (12) che sarà H>, — k\ x,0 (A„ ò costanti). Dalla (14) otterremo, indicando con v, delle costanti: 2 E, = v, + Pl Xi - (n - 3) ch ^~- x^ (se b =H - 1) 2 li = Vi + px cui — (n— 3) g fc, log a', (se b #= — 1). Sostituendo in (13) troviamo nel secondo caso, poiché ^ #= 0, »-3=)= 0, che sarebbe fc, = 0 ; ciò che è assurdo. Nel primo caso (osservando che b =4= 0) troviamo, paragonando i coefficienti di scf" , 2l/^= — (« — B)q1k\ -j^- che è assurda, poiché 3x4=0, A-, == 0 (i > 1), »>3, ò=*=0, b=i=— 1. Sia ora invece p = 0, n=t=0: si potrà supporre e = 0. Dalla (12) otteniamo: yi = hieWi dove h„\Xi sono costanti e /ì, =!= 0, u, =4=0 (se « > 1). Per la (14) è, indicando con v, delle costanti: 2 2, = v, + p, .r, £■ 2x «"** (» - 8) (» > 1) . Sostituendo in (13) e uguagliando a zero il coefficiente di e2^» si trova l'ugua- glianza assurda: - (n — 8) -|- *J e*?"*< j, = gr, h] e-'"-- . Sia ora p ==0, ti — 0. Si potrà supporre \, = 0. E dalla (12) si ottiene che, indi- cando con €, p, delle costanti, si può fare: H>, = e log Xi 4- p, (e =4= 0) donde, per la (14), 2 2, = v, -f [px — (« — 3) gx p,] .r, — (» — 3) ft € (r, log a* — j\) — v. + bi + (w — 3) 2i (e — P')J x< ~~ (" — 3) 2i € ''• lo= ''■■ Sostituendo in (13) e confrontando i coefficienti di log2 .r, si trae l'uguaglianza assurda - («-3)gi4 = 2i€2- Dovremo dunque supporre j> = n = 0. Se anche e fosse nullo dalla (12) si trar- rebbe X, = 0 per i>l e anche per i = 1 se ^1 =*= cost- Non vi sarebbe perciò nessuna nuova trasformazione conforme. Sia dunque e =1=0; 308 GUIDO FUBINI 48 sarà allora per (12) ip,'=!=0 anche per * = 1; ossia nessuna ip, sarebbe costante: e potremmo porre per (12) 4», = 2 k, x, (À-, = cost). La (14) ci dà: 2 l: = v, + ^- x, — (n — 3) g, /, che sostituito in (13), dà un'uguaglianza che dev'essere identicamente soddisfatta. Annullando il coefficiente di x\ abbiamo: — («— -3) v,A-; = 4 qxk\ che è assurdo. Possiamo dunque dire: Lo spazio (1) se non è a curvatura costante e se nessuna delle u», è costante non può per ii > '■'<■ ammettere più di una trasformazione geodetica noti conforme; e per un teorema precedente si può perciò restringere la ricerca a quei casi in cai una <> dm delle i)i, sono costanti. E anche lo studio di questi casi si trova completato nelle pagine precedenti. Volgiamoci ora all'altro caso: al caso cioè di quegli elementi lineari del tipo (1) del § 5 che non coincidono con l'elemento lineare aggiunto. Imprendiamo le notazioni e le denominazioni del § 5. Risolviamo intanto il pro- blema di determinare tutti gli elementi (1) per cui il sistema coordinato sia inva- riante e quindi anche canonico per qualche trasformazione geodetica dello spazio e di trovare corrispondentemente tutte queste trasformazioni. Osserviamo per maggior precisione, che con ciò intendiamo dire che queste trasformazioni > £r -z — sono tali che le H; il cui indice è, p. es., della v-esima specie sono funzioni soltanto delle x, della v-esima specie. Scriviamo intanto le (3) del § 5. Esse sono: r, rW Nella (16) la specie £-esima non deve essere del primo sistema; >\ prende natural- mente soltanto i valori degli indici del primo sistema, mentre i, k, r prendono soltanto i valori degli indici di specie ^-esima. Se poi indichiamo con i, k due indici di specie differente avremo le: ht, . V òi d7) «'<■=!>.. A + 5> _ 0 O.T, dove ;' percorra tutti gli indici della stessa specie di i, li tutti gli indici della specie di k. Queste equazioni (77) sono nella nostra ipotesi identicamente soddisfatte. Come precedentemente, dalle (15), 1(5) le quantità (18) e„ = e„ = ^r_Vft - 9 fa* - 49 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE sono effettive costanti; cosicché dalle (15) si trae, posto u = « — m + 1, (19) 2 g = p - £'e* - (fi - 3) g ift, dove nella sommatoria del secondo membro è s=M. Il sistema delle (18), (19) si discute come i sistemi analoghi precedentemente. La (16) in virtù delle precedenti diventa poi: (1 La (20) dimostra che N lT -y- è una similitudine per r(i] Zk,h d.i\ d.r se i, k variano, restando di specie ^-esima. Poiché i gruppi simili furono da me già studiati in memorie citate, noi potremo senz' altro riguardar note le Er di specie Z-esima (/=i=l) e le K,k relative. Le Er del primo sistema si ottengono dalle (18), (19) (■oii metodi analoghi a quelli usati nelle pagine precedenti. È così risoluto completamente il problema di trovare gli spazii (1) del % •"> che am- mettono trasformazioni geodetiche, per cai il sistema coordinato è invariante, e di deter- minare queste corrispondenti trasformazioni infinitesime. Noi ora dimostreremo che, tranne al più qualche caso specialissimo, tutte ti trasformazioni geodetiche 'li un qualsiasi spazio del tipo (1) del § 5 lasciano invariato il sistema coordinato; e. per il teorema precedente si potrà quindi immaginare risoluto, eccetto al più in questi specialissimi casi, il nostro problema. Di più troveremo una lunga serie di equazioni che anche per questi specialissimi casi permetterebbero cer- tamente, volta per volta, di completare senza difficoltà la discussione, sebbene io non sia riuscito a dimostrar questo per il tipo generale e per n qualsiasi. Prima di di- mostrare quanto abbiamo ora enunciato, voglio fare due osservazioni, che sono assai utili per semplificare volta per volta la discussione degli eventuali casi eccezionali testé citati. 1...T Se / £>--^— è una trasformazione geodetica per il nostro spazio, allora ^ E,,— (>\ del primo sistema) è geodetica per l'elemento lineare. T Za ile l quando nelle lr, si riguardino come parametri arbitrarvi le " x ., del secondo, del terzo ecc sistema . Così pure più in generede la dove r percorre gli indici di un certo numero di sistemi /compreso il primo) è geodetica ,,er quell'elemento line ire dir si ottiene do quello del nostro spazio annullando i coeffi- ;ll(l GUIDO FUBIXI 50 denti che moltiplicano differenziali di variabili degli altri sistemi, 'piando nella (a) a queste variàbili si dia il significato di parametri arbitrarli. Per vedere questo basta osservare che questi elementi lineari sono chiaramente elementi lineari di varietà totalmente geodetiche nello spazio ambiente. Questa osser- vazione fa sì che lo studio dei nostri spazii (1) del § 5 con t sistemi distinti di indici si potrebbe parzialmente ridurre allo studio di spazii con soli t — 1, t — 2, ecc. sistemi di variabili ; di più, dall'osservazione che il gruppo geodetico di una varietà è sempre d'un numero finito di parametri, riesce in parte determinata la forma delle nostre trasformazioni geodetiche; perchè al variare delle x, che nel teorema precedente si devono considerare soltanto come parametri arbitrarli, le trasformazioni (a) devono generare un gruppo con un numero finito di parametri. Cosi, p. es., esistano due sistemi di variabili, e il primo sistema sia formato di almeno due variabili. Allora indicando con Xx. A', Xa delle trasformazioni geo- detiche per l'elemento lineare che si deduce da quello dello spazio dato, annullando i differenziali delle variabili del secondo sistema, avremo che la più generale trasfor- mazione geodetica del nostro spazio dovrà essere del tipo (a) Z =)t8,t8'„klk (s 51 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETI 311 dove naturalmente, se la specie t fosse del primo sistema e quindi i = k, sarebbe fr* = l. (22) |*.;„*>U = l»i,*J|. (?=^h,j=hl) (s=4=l) . i h,\ = \i i, jh\, + 4- Y— ? — — — fO'* /" i ■■■ > Tutti i simboli a quattro indici, che non entrano in uno dei tipi (21), (22). (23) sono certamente nulli. Ammettiamo ora che esistano almeno tre specie di indici ossia che l'elemento aggiunto contenga almeno tre variabili. L'equazione JiWjfcW JMJM(' = 0 dove s, t, h sono simboli di specie distinte ci dà ossia per la (21) A-„ [ }sm, swj„ — J**,s*(«J -^- =0. Òli A Poiché fctì H= 0, ne deduciamo che se -r— =4= 0 J SW, SW j„ = j St, SÌ f0 qualunque sia s, purché distinto da £, u. Ripetendo ragionamenti già usati, ne dedu- ciamo che lo spazio aggiunto è a curvatura costante. Dunque, se lo spazio aggiunto non è a curvatura costante, e se esistono almeno tre specie di variabili, certamente i coefficienti di una trasformazione geodetica, corri- spondenti alle variabili della v-esima specie, non possono dipendere che da queste stesse variabili. Già di qui si vede che il caso da noi discusso è il caso generale; noi vedremo subito che se le £ corrispondenti a variabili di una certa specie fossero funzioni anche di variabili di altra specie dovrebbe essere soddisfatta anche un' altra lunga serie di equazioni. La \ith„k,l,[' = 0 (h =4= k =4= l =4= h) (s =4= *) (s =4= 1 ) dà ossia per (22) La equazione }»**>* >,!<-/>■' !' -;;v r./"1. /,M,:' = o (4=4= Z) dove u è indice d'una specie distinta dalle specie v, s e queste sono distinte tra loro dà (supposto naturalmente che la specie s non sia del primo sistema) : 312 GUIDO FUBINI 52 r«) ri') (a) ^l^i^+S^^lS- ri«) rni Diciamo ora t la curvatura, supposta costante dello spazio aggiunto, avremo, indicando con Zbkk dx\ (fe = 1, 2, ... >* — m + 1) quest'elemento aggiunto : |sri,sHJa = Y&« (s=#=H). E quindi per la (21) jr<" «;w, Z(sì <"*»( = feri )« M, a uja = fer! T6„=Tart. L'equazione (a) diventa così: Le equazioni (24), (25) si possono porre sotto una forma più simmetrica. Po- niamo (Cfr. § 1): [i k,lt] = (i k, lt) — f (a,, au — a,, al:l) = = Xa,*[|*v, lt\ — T(e„ a« — e,, a,,)]. V Queste quantità, se fossero nulle dimostrerebbero lo spazio a curvatura costante ; e soddisfano alle stesse equazioni lineari cui soddisfano i simboli di Riemann (§ 1). Le (24), (25) si possono scrivere: £ [jr h, k l{ + eu t«h - e,,, T«*r] || = 0. Moltiplicando per ahv e sommando rispetto ad h si trova mutando gli indici h, v: (26) S[r*'*']-& = ° che vale dunque se h, le, l sono indici qualunque di una stessa specie che non sia del primo sistema, e ì è un indice di un'altra specie qualunque. Naturalmente la (26) è molto più simmetrica delle (24), (25), perchè con lecite permutazioni si può por- tare l'indice r, rispetto a cui si somma, ad un posto qualunque, oltre che al primo. Sia ora v una specie del primo sistema, s una specie che non sia del primo sistema. La |AW,w #4 JW|' — o dà, analogamente alle precedenti equazioni: E; fcw ,.o fcw y, t *Zl _ j h i, i i { pi — ) h i, k i { U = 0 53 SUI GRUPPI DI TRASFORMAZIONI GEODETICHE 313 ossia I r, dà i SE, OS, )hr,kl[-^- -^fau^ — fahkT^ = 0 ossia, posto i-M [)hl,km\] = 'ZAnlhv,km~\, ci dà: (27) £D*r'^G £=0- Formule analoghe si troverebbero nel caso che esistessero 2 sole specie di indici. Dalle (26), (27) si vede a quante equazioni lineari dovrebbero soddisfare le de- rivate delle i di una specie rispetto alle variabili di un'altra specie; se esse non fossero tutte nulle dovrebbero esistere tra i simboli a quattro indici citati più sopra lunghe serie di relazioni che non sono certo soddisfatte in generale; ciò che con- ferma quanto abbiamo enunciato. Del resto le (26), (27) insieme alle (a), (f5), ecc., di pag. 64, danno un sistema di equazioni, che assai probabilmente bastano in ogni caso particolare a completare la discussione; io però non sono riuscito a discutere il caso generale (*). Si deve ancora ricordare che il sistema coordinato si deve sup- porre canonico per almeno una trasformazione geodetica non simile; per la quale, oltre alle equazioni precedenti, valgono le (15), (16), (17). Detta / 5r -r— questa trasformazione, le (16) dimostrano che 2> ò dav<" dove r varia, prendendo i valori di tutti gli indici di specie v, è una trasformazione conforme (che eventualmente potrebbe anche non essere simile) per l'elemento lineare I Ku dx, dxu ; dove i, k variano restando di specie v-esima ; lo studio degli spazii con trasformazioni conformi, cui ho dedicato una nota, pubblicata teste negli " Atti dell'Accademia „ , dà perciò un nuovo metodo per la discussione di quegli eccezionalissimi casi eventuali per cui non fosse sufficiente la precedente discussione. Nel caso n = 3 del resto abbiamo già visto p. es. come i nostri metodi permettano di studiare il caso eccezionale (per la teoria generale) di un elemento lineare aggiunto a due sole variabili. (*) A queste equazioni se ne può anche aggiungere un'altra assai semplice; se i è di specie distinta dagli indici h, I supposti pure distinti tra loro, dalla < > = 0 si deduce che : (a) (dove r varia restando della stessa specie di h, 1) è indipendente da xv, ossia la (a) dipende soltanto dalle variabili della specie di h, I. Naturalmente nella discussione generale si dovrebbe anche tener conto delle equazioni del § 2. Serie II. Tom. LUI. ECHINIDI DELLA SCAGLIA CRETACEA VENETA MEMORIA DEL DOTTOR CARLO AIRAGHI Appr. nell'Adunanza del 5 Aprile 1903. Nel Veneto le formazioni del cretaceo superiore, che da più d'un secolo passano sotto il nome di scaglia, sono molto sviluppate e si può dire che dal Garda si esten- dono senza interruzione alcuna fino all'Isonzo. Talora, com'è noto, sono costituite da calcari bianchi o rossi, compatti o mandorlati, a struttura scagliosa, a frattura irre- golare, tal' altra da calcari marnosi , rosei , alternati da calcari bianco-gialli con traccie di selce. Di queste formazioni molti geologi si sono occupati e tra i principali noto Ca- tullo (1), De Zigno (2), Secco (3), Taramelli (4), Rossi (5), Muniek (6), Nicolis (7), Balestra (8), Dal Lago (9), ma, caso tutt'altro che raro, questi geologi non giunsero tutti alle medesime conclusioni, e mentre alcuni ritennero la scaglia veneta senoniana, altri conclusero essere la scaglia daniana, altri ancora senoniana in parte e in parte daniana, conclusioni queste che discuterò in base allo studio degli echinidi che, per la stratigrafia, come venne già dimostrato da molti autori, hanno un'importanza tutt'altro che trascurabile. Alcuni echinidi della scaglia veneta vennero fin dal 1827 descritti da Catullo nel suo Saggio di Zoologia fossile, e benché di poi essi siano stati oggetto di osser- (1) T. A. Catullo, Saggio di Zoologia fossile delle provincie venete, Padova, 1827. (2) A. De Zigno, Osservazioni sul terreno cretaceo dell'Italia sett. (" N. saggi d. Acc. di Padova ,, voi. VI), Padova, 1846. — Id., Nouvelles observ. sur les terr. crét. de l'Italie sept. (" Bull. Soc. Géol. de France „, 2e sér., voi. VII), Paris, 1849. — Id., Sulla costit. geol. dei M. Euganei (" ,R. Acc. di Padova ,), Padova, 1861. (3) A. Secco, Guida geologico-alpina di Bassano e dintorni, Bassano, 1880. (4) T. Taramelli, Geologia delle provincie venete (" Mem. B. Acc. dei Lincei „), Roma, 1882. (5) A. Rossi, La provincia di Treviso (" Boll. Soc. geol. ital. „), Roma, 1883. (6) Munier Chalmas, Étud. du Thit., du Crét. et du Tert. du Vicentin, Parigi, 1891. (7) E. Nicolis, Carta geologica della provincia di Verona, Verona, 1882. (8) A. Balestra, Contrib. geol. al periodo cret. del Bassanese (" Boll. Ann. del Club Alpino Bassa- nese ,, voi. Ili), Bassano, 1897. (9) D. Dal Lago, Note geol. sulla Val d'Agno, Valdagno, 1899. 316 CARLO AIRAGHI © -e 1.1 2 ?3 C tu O'C o o _0 T3 ' a -s e © o li CJ 0> - d tì* e id 0) o P.2 o - - | S l "l ^ £ a © a ór D 53 S&i OS5J d ci . C a T = «° =j 2 -3 a g 2 ° - S a sS 1 x cS -3 ci - ~ r^ - » o J a 0=2 a> 5'a 88 or:3 a^gj | 5T a-oO a ONTINVQ ONVINOHnj, 'ti ce - 6o"g< S <1 J^S OJ -, ■W co -2 .2 o k" c Sg- Ctì a' .Uh bo a co a<» s a ... o ~«co a £ .So '§ 9 q.-'c? ^£ Ó 53 - la C5 ., 1894, p. 11. — Fischer, in " Rab. Crypt. Flora „, pag. 57. Questa Tuberacea nota oramai, si può dire, di tutta Italia e anche delle isole (2); che Vittadini, vorrebbe riconoscere già ricordata dalle parole enigmatiche che allu- dono al Tuba-uni tertium genus di Mattioli (3), è rappresentata nella collezione Bec- cavi da un unico individuo raccolto da Ludovico Caldesi nel gennaio 1873 nelle colline di Faenza. La raccolta Cesati contiene pure, senza indicazione di epoca, un individuo di questa specie trovato a Biella. L'Abate Carestia raccolse e mi trasmise il 1° di- cembre 1895 questo ipogeo da Cellio in Valle Sesia. N. 10 esemplari (1872-75) (1) Una statistica, tolta dal registro riguardante il T. Magnatum, dimostra che io, sopra 100 volte, raccolsi detta specie 1 volta sola in luglio; 4 volte in agosto; 5 in settembre; 17 in ottobre; 30 in novembre; 31 in dicembre e 12 in gennaio. (2) Nei miei registri trovo il T. rufum raccolto in : Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana, Romagna, Marche, Campania, Sicilia e Sardegna. (3) Ecco le parole testuali del Mattioli [Edizione di V. Valgrisi , Venezia, 1565, testo latino] nelle quali il Vittadini vorrebbe trovare indicato il T. rufum : " Est et tertium genus in Ananiensi et Tridentino tractu proveniens laevi corticc, colore subrufo, caeteris longe minus , insipidimi et gitslu iniucundo „. — Queste parole nel testo italiano [Venezia, 1581, Eredi di Vincenzo Valgrisi] sono così tradotte: " Trovatisi nella Valle Anania della giuridittione di Trento di quelli (Tartufi) che oltre all'esser piccioli, hanno la scorza liscia et pallida, sciapiti et poco aggradevoli al gusto ,.. — Ora, io reputo, che trattando il Mattioli di specie eduli, voglia alludere al T. excavatum di Vittadini e alle sue varietà comuni nel Trentino (olivacee e subrufe, mai rufe), che ancora si mangiano in Lombardia (Canton Ticino e monti del Lago di Como) dove si conoscono sotto il nome di " Tartufi bianchi ., ( Trifui bianch), che sono poco pregiate. 15 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 315 dei dintorni di Faenza, figurano nell'Erbario Caldesi, tutti scavati nei mesi di dicembre e gennaio ; ed un esemplare proveniente da Conegliano (veneto) si trova nell'Erbario Saccardo. Tuber nitidum Vitt. Tuber nitidum Viti, M. T., p. 48, tab. II, fig. X. — Tulasne, F. H., p. 142. — Hesse, H.D., p. 12, voi. II, tab. XVI, f. 4. — Mattirolo, Gli Ipogei di Sardegna e di Sicilia, p. 29, loc. cit. Due esemplari (in gran parte rovinati), figurano nella collezione Caldesi, l'uno proveniente dai dintorni di Forlì, l'altro da quelli di Faenza (gennaio 1875). Intorno a questa specie, che va ritenuta sinonima dell' Oogaster Venturii di Corda {Tuber Vmturii, menzionato da Tulasne, F. H., p. 151, fra le specie " nondum descriptae ,) e al suo valore sistematico mi sono già espresso nel lavoro sopracitato. Bafsamia Vitt. Balsamia vulgaris Vitt. Balsamia vulgaris Vitt., ,1/. T., p. 30. — Tulasne, F. H., p. 123. — Hesse, H. D., Band II, p. 35. — Fischer, loc. cit., p. 63. Questo ipogeo veramente volgare in Italia ; dove occorre, secondo le mie ricerche, ovvio, in Piemonte, in Lombardia, nel Veneto, nell'Emilia, nella Romagna, in To- scana, nelle Marche, in Sicilia, ecc., è rappresentato da un solo frustulo di esemplare nella raccolta Beccari, trovato da L. Caldesi, nell'inverno dell'anno 1872-73 presso Casola in Val di Sennip. La B. vulgaris, che conta fra le specie eduli più vili a ca- gione del suo intenso odore nauseabondo, è rappresentata poi da ben 25 esemplari nella collezione Caldesi, provenienti: N. 20 dai dintorni di Faenza (località diverse), gli altri da Forlì e da Castelbolognese; esemplari tutti stati raccolti negli anni 1872-73-75. Nell'Erbario Saccardo trovai, oltre ai tipi autoptici classici, individui provenienti da Ascoli Piceno, ivi raccolti dal Mascarini. GhOÌromyceS Yittaclini. Choiromyces meandriformis Vitt. Choiromyces meandriformis Vitt,, Vittadini, M. T., 1831, p. 51, tab. II, fig. 1. — Tulasne, F. H., 1851, p. 170, tab. XIX, fig. 7. — Zobel, in " Corda Icon. Fung. „, voi. VI, 1854, p. 68. - Hesse, H. D., Bd. II, 1894, p. 37, tab. XII, fig. 22 e tab. XVI, fig. 22. — Fischer, Tuberaceen und Hemiasceen, in " Rabenhorst Kryptog. Flora „, p. 68, 74. Per la sinonimia di questa specie vedi Mattirolo, Sid valore sistematico del " Choiromyces meandriformis „ Vitt. e del " Ch. meandriformis „ Vitt. " Malpighia „, anno VI, 1892. Alcuni esemplari raccolti nel Trentino da Beesadola si conservano nell'Erbario Saccardo. Il Choiromyces meandriformis, specie relativamente comune in Piemonte, in Lombardia, nell'Emilia, nella Toscana, è da ritenersi velenoso. Serie II. Tom. LUI. s1 346 ORESTE MATTIROLO 16 Terfezia Tulasne. Terfezia Leonis Tul. (Vedi la Bibliografia relativa, nei lavori di Tulasne, di Chatin e in quello recente di Pirotta e Baldini (1)). Nell'Erbario Caldesi si trovano gli esemplari N. 242 e 91 dell'Erbario Crittoga- mico italiano, raccolti rispettivamente da Inzenga e da Gennari; nonché l'etichetta errata del N. 241 dei Fungi Europaei di Rabenhorst, di cui ho trattato in altro lavoro; mentre nella collezione Saccardo esistono esemplari raccolti da Bagnis a Civi- tavecchia nell'anno 1875. Terfezia Magnusii Matt. (Vedi Mattirolo, Illustrazione di tre nuove Tuberacee, " Meni, della K. Acc. delle Scienze di Torino „, 1887, e " Bollettino della Soc. Bot. Italiana „, 1896. Firenze (2)). Di questa specie, sotto il nome errato di Choìromyces meanolriformis Sardous, esiste nella collezione Caldesi l'esemplare N. 185 dell'Erbario Crittogamico italiano pubblicato dal Gennari nel 1864. Delastria Tulasne. Delastria rosea Tul. Delastria rosea Tul., F. H., p. 178, tab. Vili, fig. I et tab. XVI, fig. 1. — Corda, Icones fung., voi. VI (curante Zobel), tab. XX, fig. 145, p. 67. — 0. Mattirolo, La Delastria rosea Tul. in Italia, " Bollettino della Società Botanica Italiana „, 14 giugno 1896. Numerosi esemplari di questa specie, molti dei quali rovinati dagli insetti, si trovano nella collezione Beccari. Essi furono trovati nella stessa località nella quale Pietro Savi ed Odoardo Beccari raccolsero nell'ottobre 1862 gli individui pubblicati nell'Erbario Crittogamico italiano, Serie II, N. 346. Per ordine di data i cartellini dei 5 cartocci segnano: I. Selva Pisana in S. Rossore. Ottobre 1862. II. „ „ in Palazzetto, sui tomboli arenosi. 9 ottobre 1862 (3). III. „ „ Autunno 1862. IV. , „ in S. Rossore. Ottobre 1862. V. „ „ Autunno 1863. (1) R. Pirotta e A. Albini, Osservazioni .sulla biologia del Tartufo giallo {Terfezia Leonis Tul.), " Rendiconti Accademia dei Lincei „, voi. IX, 1° sem., serie 5, fase. I, gennaio 1900. (2) 0. Mattirolo, Che cosa sia il " Choiromyces meandriformis „ (Sardous) di Gennari e De Notaris, pubblicato nel!" Erbario Crittogamico Italiano „ al N. 185 (1185), anno 1864. (3) Avverto il lettore a cui interessassero ragguagli intorno alla località precisa (Viale del Gombo a S. Rossore), dove certo ancora si potrebbe raccogliere questo raro ed elegante ipogeo, di leggere la mia nota. Gli esemplari raccolti da Pietro Savi e comunicati all'" Erbario Crittogamico „, portano la data 1867; mentre quelli che di lui si conservano nel R. Orto botanico di Pisa (come ho saputo per gentile comunicazione del Prof. Arcangeli) segnano il 22 ott. 1862 come data di raccolta. Il Beccari invece scrive 9 ottobre; da ciò mi pare lecito arguire che il merito della scoperta della Delastria in Italia spetti al Beccari. 17 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 347 Elaphomyces Nees v. Es. Elaphomyces mutabilis Vitt. Elaphomyces mutabilis Vitt., M. T., p. 65, tab. IV, fig. 14; Mori. Lycoperd., " Meni, della E. Acc. delle Scienze „, serie 2*, tom. V, 1843, p. 213. — Tulasne, F. H. , p. 103, tab. Ili, fig. I; tab. XIX, fig. III. — Hesse, H. D., voi. II, p. 65. — Fischer, loc. cih, p. 84. li Elaphomyces mutabilis (che io trovai abbondante in Piemonte, in Lombardia, che incontrai pure in Toscana), è, nel solo Erbario Saccardo, rappresentato da alcuni autoptici di Spegazzini già pubblicati nelle Decades Mycologicae Italicae al N. 6. Elaphomyces citrinus Vitt. Elaphomyces citrinus Vitt., M. T. , p. 65, tav. IV, fig. 16; Monog. Lycop., p. 214. — Tulasne, F. H., p. 103. — Spegazzini, Decades, n. 5. — Fischer, in " Rabenhorst Kiypt. Fior. „, p. 85-86. — Saccardo, Bytlog., Vili, p. 864. L'Erbario Saccardo contiene gli autoptici di Vittadini e di Spegazzini già pub- blicati nei lavori sopracitati. Elaphomyces anthracinus Vitt. Elaphomyces anthracinus Vitt., M. T., p. 66, tav. Ili, fig. Vili; Monograph. Lycoperd., p. 72. — Tulasne, F. H., p. 106. — Fischer, loc. cit., p. 89. Il cartellino accompagnante i frustuli di un esemplare contenuto nella Collezione Beccavi, lo dice raccolto a Riva Valdobbia nell'anno 1865, sulla terra, in una selva, dall'Abate Carestia. Lo stato veramente deplorevole dell'esemplare mi ha obbligato a fare la determinazione avendo riguardo, quasi unicamente, ai caratteri morfologici e metrici delle spore, che risultarono perfettamente identiche a quelle degli esemplari autoptici di Vittadini. Nell'Erbario Saccardo invece si conservano i tipi di Spegazzini pubblicati al N. 4 delle Decades, e ricordati sulla Michelia, IV, p. 416. Elaphomyces variegatus Vitt. Elaphomyces variegatus Vitt., M. T., p. 68; Mon. Lycop., p. 220. — Tulasne, F. H., p. 108 et " Annal. Scienc. Nat. „, 1841, p. 23. — Hesse, H. D., Band II, p. 72. — Fischer, loc. cit., p. 91. La raccolta Beccavi non contiene altro che un esemplare dimezzato di questo ipogeo, ovvio in Piemonte, Lombardia, nel Veneto, nel Trentino, nell'Emilia, in To- scana. Questa metà di esemplare con corteccia di colore ocraceo, con verruche poco sviluppate, concorda colla forma " pallens „ di Tulasne (V. IV, p. 108). Nell'Erbario Cesati figura un esemplare raccolto in Oropa il 17 maggio 1865 ; mentre nella collezione Saccardo, esistono numerosi individui raccolti da Spegazzini, da Massalongo, da Bizzozero e già da loro pubblicati. 348 e IRESTE MATTIROLO 18 Elaphomyces decipiens Vitt. Elaphomyces decipiens Vitt., M. T., p. 68; Monog. Lycop., p. 75, tab. Ili, fig. IV. — Tulasne, F. H., p. 108. — Sacoardo, Michetta, TV, p. 416. — Spegazzini, Decades, N. 3. — Fischer, in " Rabenhorst „, ecc., p. 93. L'Erbario Saccardo, oltre agli autoptici di Vittadini e di Spegazzini, contiene anche quelli di Bizzozero. L'È. decipiens, forma assai curiosa, sul valore sistema- tico della quale non è detta ancora l'ultima parola, risultò finora propria dell'Italia settentrionale (Lombardia- Veneto), della Francia e della Boemia (Vittadini, Spegaz- ztni, Bizzozero, Tulasne e Corda). Elaphomyces Persoonii Vitt. Elaphomyces Persoonii Vitt., M. T. Milano, 1831, p. 70, tav. IV, fig. XVIII e tav. V, fig. II; Monographia Lycoperdineorum , Aug. Taurinoram, 1842, " Mem. Acc. delle Scienze di Torino „ serie II, tom. V, p. 79 (Estratto). — Tclasne, F. H., p. 112. — P. A. Sac- cardo, Michelia, IV, p. 417. — Spegazzini, Decades Mycol. Hai., N. 2. — Bizzozero, Fior. Veti. Critt., p. 362. — E. Fischer, in * Rabenhorst Krypt. Fior. „, Tuberaceen und Hemiascee». Leipzig, V Abth., 1897, p. 99. — P. A. Sacoardo, SyUoge, voi. Vili, pag. 870. Di questo elegante Elaphomyces, che si può ritenere caratteristico della Flora idnologica italiana, alcuni esemplari ancor giovani, raccolti sul Monte Pisano a Vico- pelago, nell'autunno del 1863, si osservano nella collezione Beccari. L'È. Persoonii, che io raccolsi in migliaia di esemplari nei boschi di quercia e di castagno dell'alta Lombardia (intinti del lago di Como e di Varese), nei boschi dell' Apennino Toscano; che fu trovata da Spegazzini, da Bizzozero, da Cuboni nel Veneto (V. Erbario di P. A. Saccardo) e altrove, ci presenta, per un caso singolare, uno strano errore di sinonimia che, copiato successivamente, rimase per oltre mezzo secolo nella scienza e nei libri che si occupano di Ipogei, e nel quale incorsi io pure (Elenco degli Ipogei di Vallombrosa, p. 14). La storia di questo errore è. brevemente riassunta, la seguente: L. R. Tulasne nell'anno 1853 (Editio altera) trattando (V. F. H., p. 112) dello E. Persoonii, di cui egli aveva soltanto veduto esemplari secchi, segnò come sinonima di questa specie una ipotetica Phlyctospora Persoonii Corda, ap. Sturm, Deutschlands Fiora, 19-20, p. 21 (1), incorrendo con questa citazione in due errori; poiché: I. Corda nel libro, citato dal Tulasne, descrisse e figurò un fungo che egli indicò col nome di Phlyctospora fusca, senza parlare ivi di una P. Persoonii. IL La descrizione è a p. 51 e non 21. Curioso particolare che è prova evi- dente dei successivi errori. (1) Corda si occupa in due lavori del genere Phlyctospora. Nella Flora tedesca di Sturm 1841, ne dà la figura e la descrizione; quindi a pag. 95 dell' Anleituny zum Studium der Mycologie riferì la frase latina precedentemente pubblicata e sistemò il fungo fra le Sclerodermaceae coi generi Hyperrhiza, Melanogaster, CeratogaBter, Elaphomyces, Pompholix, Scleroderma, Calostoma, Diplo- derma, Mylitta e Anixia. 19 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 349 E ciò che maggiormente stupisce in questa citazione è il fatto che Tulasne stesso si occupò diffusamente del genere Phlyctospora e della P. fusca (V. F. H., pp. 98. 99); facendo rilevare, ciò che poi venne confermato più tardi, che questo ge- nere doveva avere relazione col genere Scleroderma " Phlyctospora forsan scleroderma subterraneum foret „. Dopo il lavoro di Tulasne, senza che venisse dato uno sguardo né agli esem- plari, ne alla figura di Corda, ne al testo, lo Zobel si impadronì dell'errore e nel 1854, nel volume VI delle Icones di Corda, edito dopo la morte dell'eminente micologo (sventuratamente spentosi nell'anno 1849 nelle acque americane) nella Osservazione II, a p. 52, portò nuova confusione nella questione ; parlando, anche lui, dopo il Tulasne, della ipotetica Phlyctospora Persoonii che Corda non aveva mai sognato di descrivere e di figurare! Lo Zobel, basandosi sul criterio desunto dalle spore reticolate, ritiene che tanto Y Elaphomices Persoonii di Vitt. quanto YE. cianosporus Tulasne, debbano far parte del genere Phlyctospora, e ciò gratuitamente, discutendo senza aver mai osservato i detti funghi! Tanto è vero, che al Corda non era venuto in mente che il genere Phlyctospora potesse essere confuso col genere Elaphomycesl Più tardi si occuparono del genere Phlyctospora: Rabenhorst (1) che lo classi- ficò fra i Trichogastres (2) di Fries. Tulasne (3) che lo annoverò fra gli Hymeno- gastrei, come fecero Winter (4) e Saccardo (5). Gunther Beck (6) che in uno studio interessantissimo sul modo di formazione delle spore, ne dimostrò le relazioni coi Melanogastrei fra gli Eymeuoyastrei. Fischer E. (7) che ne curò la sistemazione fra le Sclerodermataceae(Plectobasidiineae), facendone un sottogenere del gen. Scleroderma; e finalmente F. Bucholtz (8) che parimenti classifica le due specie ben note del ge- nere Phlyctospora nel genere Scleroderma di Pers. nell'antica divisione degli Sclero- derma di Fries, fra i quali egli comprende pure i generi Melanogaster, Corditubera, Scleroderma, Pompholyx, Pisolithus e Sclerangium. Da questa breve inchiesta, risulta adunque provato: I. Che il genere Phlyctospora (ora Scleroderma p. p.) fu fondato da Corda e da lui giustamente classificato in vici- nanza del genere Scleroderma; IL Che Tulasne (non si può saper per quale ragione!), inventò (con citazione errata) una Phlyctospora Persoonii Corda, e che la sua citazione, gonfiata da Zobel, fu copiata tale e quale, da E. Fischer (9), da Saccardo (10) (1) Rabenhorst, Deutschland Kryptog. Flora, I, s. 296 (1846). (2) E. Fries, Syst. Mycolog., 1829, voi. Ili, p. 3. (3) Tulasne, Fungi Hipogaei, p. 98, 99. (4) Winter- Rabenhorst, Krypt. Flora, II ediz., 1884. — Winter, Die Pilze, voi. I, p. 884, classifica il genere Phlyctospora fra i generi dubbiosi degli Hymenogastrei, e riferisce la figura di Corda. (5) P. A. Saccardo, Sylloge, voi. VII, pag. 179. Il genere Phlyctospora figura quivi fra i " Genera minus nota „ delle Hymenogastree. (6) G. Beck, Ueber die Sporenbildung der Gattung Phlyctospora Corda, " Berichte d. Deut. Bot. Gesell. „, 1889, p. 212. (7) E. Fischer in Engler e Prantl. Pflanzenfamilien, 1897, p. 336. (8) F. Bucholtz, Beitrage zar Morphologie und Systematik der Hypogaeen. Praga, 1902, p. 173, ricorda le due specie di Phlyctospora fusca Corda e di P. Magni Ducis di Sorokin, nel genere Scleroderma, senza entrare in questioni minute di sinonimia. (9) E. Fischer in " Rabenhorst Kryptog. Flora „, II, Die Filze, "V. Abt. Tuberaceen und Hemiasceen, pag. 99. (10) P. A. Saccardo, Sylloge fungorum, voi. Vili. Tuberoidee = auct. J. Paoletti, p. 870. 350 ORESTE MATTIROLO 20 (Paoletti) e purtroppo anche da me (1); ragione per cui ora ho creduto dover fare questa rettifica, perchè l'errore non rimanga nei cataloghi e nelle Flore. Nello studio dell'i?. Persoonii va tenuto presente che gli individui singoli, pure conservando le caratteristiche proprie del tipo, possono tra loro variare nel colore del Peridio pseudoparenchimatoso, che a seconda dell'età va dal bianco dei giovani individui (parte interna), al bruno scuro di quelli perfettamente maturi, prossimi cioè a disgregarsi. La massa delle spore varia essa pure di colore collo stato di matu- razione; di color glauco nei giovani, è verde scuro negli individui maturi; carnosa nei primi è pulverulenta nei secondi. La grossezza e la regolarità delle verruche (in certi individui identiche a quelle dei Tuber (T. brumale, tnelanosporum ad es.), varia essa pure; imperocché queste ver- ruche alcune volte e per estesi tratti cedono il posto a superficie tubercolose o a superficie liscie. Varia anche assai notevolmente la forma complessiva dei singoli individui e la grossezza; alcuni si presentano piriformi, altri lenticolari, altri sferoi- dali, altri infine bilobi o differentemente formati; variabile è pure la base general- mente conica e i tratti occupati dal caratteristico micelio giallo che decorre rego- larmente fra le verruche. L'È. Persoonii di Vittadini, a spore con perinio reticolato, quale è magistralmente descritto dall'Autore, risulta specie essenzialmente italiana — ed io continuerò a ri- tenerla tale, sino a quando la citazione, di E. Fries nella Stimma vegetabilium Scafi- lii mirine (1846-49, p. 445) (2), venga confermata — parendomi un fatto assai strano, che un fungo noto finora di paese relativamente meridionale, si debba anche trovare nell'ambito di una alta ree/ione boreale limitata, mancando in tutto l'immenso tratto di paese che corre tra l'una e l'altra regione; dove (trattandosi di un fungo di dimen- sioni vistose) non avrebbe potuto sfuggire alle ricerche degli Idnologi. HYMENOGASTREAE Hymenogaster Vitt. Hymenogaster luteus Vitt. Hymenogaster luteus Vitt., M. T., p. 22, tav. Ili, fig. IX. — Ti-lasxe, F. H., tab. I, fig. III. — Corda, le. Fung., p. 40, tav. VIII, fig. 76. — Hesse, B. D., tab. VII, fig. 41 e pag. 130, voi. I. — Winter, in " Rabenhorst Krypt. Fior. ,, p. 875, voi. I. N. 18 esemplari di questa specie distinta per la tessitura del Peridio, per il color della carne e per il tipo delle spore (ellittiche, oblunghe, ottuse od acute, prive di papilla, provviste di un tenue residuo di stilo, liscie, trasparenti, di color giallo pallido) figurano nell'Erbario Caldesi. Di esse N. 16 furono trovate in località vicine alla città di Faenza (Sarna, S. Giorgio, Scavignano, Pergola, Guaiola, Errano, ecc.) ; (1)0. Mattirolo, Elenco dei "Fungi Hijpogaci „ raccolti nelle foreste di VaUùnibrosa negli anni 1S99-900 (estratto, p. 14). (2) Ivi è semplicemente (.letto: " E. Persomi Vitt., 1. Seau. „. 21 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 351 e due a Castelbolognese e a Montecchio. presso Brisighella. Questa specie che Vit- tadini trovò in Lombardia e nella Lomellina, fu da me già ripetutamente raccolta anche nell'Emilia, in Toscana ed in Romagna. Hymenogaster Bulliardi Vitt. Hymenogaster Bulliardi Vitt., M. T., p. 23, tab. Ili, fig. V. — Ti lasse, ' Ann. Sciences Naturelles „, tom. XIX, 2' sèrie, fig. 14-16; F. H., p. 71. — Hbssb, H. D., p. 120, voi. I. — Witter, in " Eabenhorst ,, voi. I, p. 876. L'Rym. Bulliardi Vitt., che io già raccolsi in Piemonte e nella Toscana, figura in due esemplari dell'Erbario Caldesi; l'uno raccolto il 17 gennaio 1875 a Scavignano presso Faenza; l'altro due giorni dopo a Castelbolognese. Gli esemplari di Caldesi corrispondono perfettamente agli autoptici di Tulasne. Hymenogaster calosporus Tul. Hymenogaster calosporus Tul, F. H., p. 70, tab. X, fig. IV. — Hbsse, H. D., voi. I, p. 129, tav. VII, fig. 34. Di questa Hymenogastrea sinora nota di Francia e di Germania, un solo esem- plare fu trovato da 0. Beccari a Ripoli nell'aprile 1898, e da lui gentilmente comu- nicatomi. La forma delle spore, la tessitura del Peridio, ecc., corrispondono perfet- tamente a quella degli esemplari autoptici Tulasneani, coi quali ebbi la ventura di poter fare dei paragoni. Anche nell'Erbario Caldesi osservai un Hymenogaster raccolto a Campiano presso Faenza il 9 gennaio 1875, che pur avendo molte analogie con quello ora ricordato, ne differisce per riguardo alla struttura delle spore, più lunghe, più strette. Hymenogaster Klotzschii Tul. Hymenogaster Klotzschii Tul., F. H., p. 64, tab. X, fig. XII. — Hesse, H. D., voi. I, p. 123, tav. II, fig. 10-13; tav. VII, fig. 48. — Exicc. " Rabenborst „ , Fungi Europaei, N. 242. — Schkòter, Filze Schlesiens, N. 1679. Questo Hymenogaster distinto fra gli altri per la piccolezza delle spore (10-14x6-9), trasparenti, ocracee, ovali, finamente bitorzolute, ad apice ottuso, generalmente prive di un qualsiasi accenno ad un ispessimento papillare, e nelle quali è appena appena riconoscibile l'attacco stilare, è rappresentato nella collezione Caldesi da un solo indi- viduo raccolto il 26 gennaio 1875 a Celle presso Faenza. Noto che YHym. Klotzschii ha un' area di distribuzione vastissima, come si os- serva in genere in tutti gli Imenogastrei e nelle Tuberacee, abbracciante l'Europa, Francia (Tulasne), Germania (Hesse-Klotzsch), Svezia (Fries), Inghilterra (Berkeley), Italia (Mattirolo), Australia occidentale (V. Saccaedo, Silloge, VII, p. 170). In Italia trovai già questa specie in Toscana e nella Sicilia (V. Mattirolo, loc. cit.). 352 ORESTE MATTIROLO 22 Hymenogaster muticus Berk. Hymenogaster muticus Berk. et Broome, " Annal. and Magaz. of Nat. History „, serie II, voi. II, p. 267 (ott. 1848). — Tulasne, F. H., p. 65, tab. X, fig. VII. — Hesse, H. D., voi. I, p. 118. Nella raccolta Beccavi, trovansi due individui di questa specie provenienti dalla Selva Pisana (Sotto i Lecci, ottobre 1862 e 1863); ed un altro mi fu pure comu- nicato dal Beccari, raccolto a Ripoli (Villa Beccari) nell'aprile 1898. L'Erbario Caldesi è ricco di N. 10 individui, tutti provenienti dai dintorni di Faenza, Castelbolognese, Brisigbella, Sarna. L'area di distribuzione di questa specie in Italia deve essere ritenuta assai vasta ; mentre io l'aveva finora indicata della Sicilia e della Toscana, posso regi- strare ora la sua presenza anche in Piemonte, nella Romagna e nell'Emilia. Le spore obovate oblunghe, prive di papilla, misuranti 18-23X10-13, distinguono questa specie. Hymenogaster Lycoperdineus Vitt. Hymenogaster Lycoperdineus Vitt., M. T., p. 22, tab. II, fig. V. — Tulasne, F. H., tab. X, fig. V e pag. 64. Di questa specie, distinta per la forma e le dimensioni delle spore, trovai N. 9 esemplari nell" Erbario Caldesi, tutti raccolti in differenti località nei dintorni di Faenza, nel gennaio e nel febbraio del 1875. A Bologna e a Firenze, e quivi anche nell'Orto botanico dei Semplici a S. Marco, avevo già incontrato questo fungo che Vittadini dice abbondante nei colli e nei monti transpadani, dove vive unitamente al Tuber Borchii, col quale, per i caratteri esterni, potrebbe essere confuso. Questo ipogeo, secondo le indicazioni della Sylloge, sarebbe stato trovato anche in Francia e nella Fennia. Lo Splanchnomyces lycoperdineus di Corda (le, voi. VI, p. 42, tav. Vili, fig. 81) non pare, a giudicare dalla descrizione e dalle figure, possa essere ritenuto sinonimo della specie vittadiniana. Hymenogaster Populetorum Tul. Hymenogaster Populetorum Tul., " Ann. Se. Naturelles », 2" sèrie, tom. XIX; F. H., p. 66, tav. X, fig. X. — Hesse, H. D., voi. I, p. 119. Di questo Hymenogaster, la cui determinazione riesce difficilissima sul materiale secco, incontrai tre soli esemplari nella collezione Caldesi, raccolti in Romagna nel gennaio e nel febbraio del 1875 (dintorni di Faenza e di Castelbolognese). La deter- minazione fu decisa dietro a paragoni cogli esemplari autoptici di Tulasne. Trat- tandosi di una specie appartenente ad un gruppo estremamente critico, ed operando io sopra materiale secco, ho dovuto ricorrere a questo mezzo di determinazione, l'unico che, in tanta confusione di descrizioni, permetta di intuire il pensiero ed i criteri diagnostici del Tulasne. 23 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI L'H. populetorum, che vive in Francia ed in Germania (dove fu incontrato da Tulasne e da Hesse), fu già da me ricordato fra le specie componenti la Morula ipogea dell'Orto botanico fiorentino dei Semplici (V. Mattirolo. Gli Ipogei d degna e di Sicilia). Hymenogaster tener Berk. Hymenogaster tener Berk., " Ann. and Magaz. of Nat. Hystory „, XIII, 349 et XVIII, 75. Hymenogaster argenteus Tul., " Giornale Botanico Italiano „, anno I, fase. 7-8, p. 55, 1844. Hymenogaster tener Tul., F. H., p. 72, tab. I, fig. IV; tab. X, fig. I. — Hesse, H. D., voi. I, p. 122, tav. VII, fig. 47. — Wintek , in " Rabenhorst Krypt. Flora „, voi. I, p. 877, N. 2602. — Mattieolo, loc. cit., Ipogei di Sardegna. Nella raccolta Cesati esiste un solo individuo di questa specie, trovato il 3 di- cembre 1873 in H. hot. Neapolitano, in Vallecula, sub Ollis. Non credo errata la determinazione, quantunque essa sia stata fatta su materiale secco, mancante per conseguenza, dei caratteri cromatici ed organolettici, per ciò che le spore si presentarono binate, ternate, a contorno ovato ellittico (non obovate come nel vicinissimo H. arenarius Tul.), asperate da piccoli bitorzoli, attenuate inferiormente in un piccolo residuo stilare e superiormente in una minuta papilla diafana, mancante nelle spore dell'IT, arenarius, come ho rilevato sui materiali autoptici di Beoome e di Tulasne e sopra altri già da me raccolti in Toscana. L' Hym. tener, noto di Inghilterra, di Francia, di Germania e di California (Hartkness) ; che fu già da me ricordato fra le specie componenti la Florida degli Ipogei viventi nell'Orto botanico di Firenze nel centro della città (V. Mattieolo, loc. cit., Ipogei di Sardegna, pag. 7), fu, a mio avviso, illustrato dal Cavara, sotto il nome di Hym. cerebellus (1). Coli' Hym. tener probabilmente dovrà essere confuso YH. niveus di Vittadini. il quale, da questo e d&ll'Hym. arenarius, come risulta dalle 'descrizioni, differirebbe solo per caratteri cromatici ed organolettici. Le spore delle specie arenarius, tener (Cerebellus) esigono, per essere differen- ziate, un esercizio continuato ed una pratica lunga : queste specie necessitano ancora di diagnosi più precise. Hymenogaster niveus Vitt. Hymenogaster niveus Viti, M. T., p. 24, tab. IV, fig. IX. — Tulasne, F. H., p. 71. — Hesse, H. D., p. I, p. 121. — Wintek, " Krypt. Flora di Rabenhorst ,, voi. I, p. 876, N. 2601. Registro fra le Hijmenogastreae della collezione Beccari anche questa specie, affi- nissima all'IT, tener Berk., perchè il cartellino dell'esemplare, portando scritto di pugno del Beccaei Hym. niveus, mi affida che all'acutezza di tanto micologo non saranno sfuggiti i caratteri diagnostici accennati dal Vittadini, i quali si possono riassu- (1) F. Cavara, Intorno alla morfologia e bioloffia di una nuora specie di lli/menoffctster, " Atti del Laboratorio Crittogamico di Pavia „, 1893, voi. III. Serie II. Tom. LUI. t! 354 ORESTE MATTIROLO 24 mere nell'odore particolare, nel nitore sericeo del peridio (bianco niveo). rufescente al tatto, e nella mollezza della carne. Hesse assegna alle spore di questo Hymenogastreo (di cui non mi fu possibile vedere esemplari autoptici) 10-14X9-10; episporio rugoso, rosso bruno, munito di piccole papille, e di residuo stilare come nell'i?, tener. Secondo Vittadini YH. niveus odorerebbe di Pelargonium, mentre secondo Tulasne ed Hesse YH. tener avrebbe odore fungino debole e le vicine specie H. arenarius odore alliaceo intensissimo (acerrimus); YH. pusillità odorerebbe pochissimo. Tutte e quattro queste specie hanno peridio bianco, gleba dapprima carnicina poi bruna. Del- YH. niveus manca qualsiasi figura che accenni ai caratteri morfologici delle spore e l'indicazione di Vittadini, scritta nel 1851, — sporidia ovata — non è sufficiente a distinguere questa specie che dovrebbe essere frequente in Lombardia e che io non riuscii a trovare ancora, quantunque ivi io abbia raccolto YH. tener di Tulasne. Beccari trovò questo ipogeo nell'ottobre 1862 nella Selva Pisana a Palazzetto, sotto le foglie delle quercie. Hymenogaster citrinus Vitt. Hymenogaster citrinus Vitt., M. T., p. 21, tab. Ili, fig. II. — Tulasne, F. H., p. 69, tab. I, fig. I; tab. X, fig. Ili; " Annales des Sciences Naturelles „, 2" sèrie, voi. XIX, tab. 17, fig. 9-io. — Corda, le, tona. V, tab. IX, fig. 87. - Hesse, H. D., voi. I, p. 112, tav. VII, fig. 29. — Berkeley, " Ann. and Magaz. of Nat. Hystory „ , tom. XIII, 346, " British Fung. „, fase. IV, 284. — Fries, Sion. Veget. Scand., p. 436. — Winter, in " Rabenhorst „, voi. I, p. 875, N. 2597. — Exicc. Rabenhorst Fung. Europaei , N. 34. Di questa elegante specie distinta, sia per il colore giallo citrino del peridio nei giovani individui, sia per quello della gleba, come anche per le spore limoniformi papillate. opache, rugose, fornite di una appendice stilare molto spesso ripiegata (20-30 X 10-14), incontrai due esemplari nella raccolta Caldesi; ambedue provenienti dalla Komagna (dintorni di Faenza e di Castelbolognese, gennaio dell'anno 1875). L'Hy. citrinus, che Vittadini notò frequente nei colli e nei monti traspadani, è specie ubiquitaria. Fu trovato in Italia, in Francia, in Inghilterra, Svezia, Germania e ancora nell'America boreale (V. Sylloge, VII, pag. 169). In Italia incontrai finora questo Hymenogastreo in Toscana, in Komagna ed in Sicilia (V. Mattirolo, loc. cit., pag. 49). Hymenogaster vulgaris Tul. Hymenogaster vulgaris Tul., " Ann. des Se. Naturelles „, serie 2\ tom. XIX, tab. 17, fig. 15 (sub. Hym. griseus Vitt.). ; F. H., p. 67, 68, tab. X, fig. XIII (non Hesse). Di questo Hymenogaster (che a me pare debba presentare intimi rapporti co\YHy»t. griseus di Vittadini, del quale, per mancanza di materiale adatto, non ho potuto ancora avere un concetto preciso) trovai due esemplari nell'Erbario Caldesi, raccolti a Savi- gnano presso Faenza il 17 gennaio 1875. La forma delle spore, oblunghe, fusiformi, coll'apice acuto e col residuo stilare allungato, coll'episporio rugoso e intensamente colorato; le dimensioni loro di 30 circa per 14, e più di tutto i paragoni da me fatti con esemplari autoptici Tulasneani, mi permettono di segnalare questa specie fra le specie italiane, quantunque io non abbia potuto ancora osservare altro che mate- riale essiccato. 25 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 355 Hymenogaster Thwaitesii Berk. et Broome. Hymenogaster Thwaitesii Berk. et Broome. " Ann. and Magaz. of Nat. History „, voi. XVIII, p. 75. — Tulasne, F. H., p. 71, tab. X, fig. XI. — Hesse, H. D., p. 125. Di questo ipogeo, finora osservato in Inghilterra ed in Germania, trovai tre esem- plari nelle raccolte Beccavi e Caldesi. La forma quasi globosa delle spore (differenti da tutte quelle delle altre specie), scabre, papillate, ed i paragoni colle figure di Tulasne, mi autorizzano a ritenere esatta la determinazione fatta su materiale secco. Lo H. Thwaitesii fu raccolto dal Beccari due volte nell'Orto botanico di Pisa nel settembre e nell'ottobre 1862 ; dal Caldesi nei dintorni di Faenza, il 12 febbraio 1875. Octaviania Vittadini. Octaviania asterosperma Vitt. Octaviania asterosperma Vitt., M. T., p. 17, tab. Ili, fig. VII. — Tulasne, F. H., p. 77, tab. XI, fig. 1. — Corda, Icon., VI, p. 35. — Hesse, E. D., p. 72, voi. I. Di questa Octaviania che io già incontrai in differenti località di Lombardia, del Canton Ticino e della Toscana, esiste nella collezione Cesati, 1 esemplare da lui stesso raccolto nell'anno 1845, nel mese di settembre, a Costalunga, località che non mi fu concesso di specificare, ma che deve essere piemontese, poiché in quell'anno il Cesati non si scostò dalla provincia di Novara (Vercelli-Biella). Hydnangium Walroth. Hydnangium carneum Walr. Octaviania carnea Corda, Icon., tom. VI, p. 36, tav. VII, fig. 66. — Tulasne, F. H., p. 75. - Hesse, H. D., p. 82, tav. II, fig. 18 e 19; tav. V, fig. 16. Questa Hijmenogastvea, caratteristica degli Ericeti (V. Broome, Klotzsch, Tu- lasne, HESseì, che io non raccolsi finora, ma ebbi dalla cortesia dei colleghi Prof. Baccarini e Dr. Petri; che Broome aveva già trovata in Italia (a Lucca), presenta una strana predilezione (V. Tul., F. H.t pag. 75) pel terreno dei vasi delle aranciere degli orti botanici, dove a mia conoscenza ebbero già a raccoglierla De Bary, Schroter, Hoffmann, Hesse, De Notaris, Cesati, Baglietto, Canepa, Baccarini e Petri. Nell'Erbario Cesati esistono esemplari raccolti nell'anno 1845 nelle serre del Parco Reale di Monza (in calidarii H. B. (Modiciensis) ) ; e nell'Erbario Crittogamico Italiano, sotto il nome di Octaviania mollis (N. 51) si riscontrano individui raccolti dal De Notaris, da Baglietto e da Canepa durante gli anni 1854, 1861 e 1862 nelle aranciere dell'Orto Botanico di Genova, nei vasi con terriccio di castagno e di brughiera contenente piante delle famiglie delle Mirtaceae e delle Rhamnaceae (1); mentre a Firenze la stessa specie fu riscontrata da Baccarini e Petri nei vasi di Mirtacee e Cesalpiniee. (1) Intorno a questo Ipogeo vedi le pagine scritte da De Notaris nel " Comm. della Soc. Critt. italiana „, N. 1, febbraio 1861, Genova, 1861, p. 33. 35, tav. II, fig. IV. :;;,l, ORESTE MATTIROLO 26 Le differenze che De-Notaeis invoca nel Commentario per segnare l'autonomia della sua nuova specie, e le differenze tra essa e VE. carneum, dopo minuzioso esame e misurazioni, mi parvero doversi riguardare come insufficienti. Leucogaster Hesse. Hesse. Die Bypogaeen Deutschlands. Halle, 1891, p. 68. Leucogaster badius Mattirolo nov. sp. (Vedi Tavola, fig. 1, 2, 3). Nel luglio 1862, 0. Beccari raccolse, quasi epigei, nell'Abetina di Boscolungo nell'Apennino Pistoiese, alcuni esemplari di un Leucogaster, affluissimo a quello da me trovato nelle Abetine di Vallombrosa e descritto sotto il nome di Leucogastt r fragrans (1); ma da esso differente, sia per il colore del pendio, come per quello della gleba e conseguentemente delle spore; e per le maggiori loro dimensioni. In omaggio al significato della parola creata dall'HEssE, per servire di appel- lativo ad un raggruppamento di specie aventi un peridio bianco, l'ipogeo raccolto dal Beccari di colore castaneo-badio (2). non andrebbe compreso sotto il nome di Leucogaster, ove la costituzione anatomica e istologica di esso non consigliasse la infrazione alle leggi che dovrebbero regolare l'uso delle parole aventi un significato determinato. Ma però i funghi del Beccari, quantunque non sieno bianchi, tuttavia sono siffattamente concordanti colle specie ascritte al genere Leucogaster, che io non esito a riferirli a questo, avvertendo però che io mi affido in questa descrizione unicamente allo esame di esemplari essiccati; e che sfortunatamente ancora non posseggo indicazioni intorno ai caratteri del nuovo Leucogaster, in natura. A giudicare adunque dagli esemplari d'Erbario, il Leucogaster badius presenta un corpo fruttifero irregolarmente sviluppato, grosso come una nocciuola od una piccola noce, mammellonato, di colore castaneo-badio, sulla superficie del quale (come si os- serva anche nel L. fragrans), decorrono delle fibrille rizomorfiche. La superficie è liscia, qua e colà notata da screpolature lineari e la tessitura del peridio è fibrosa. La polpa fruttifera, o gleba, è pure di colore castaneo-badio, più scuro di quello esterno; e in essa si notano le areole sporifere poligonali, assai evidenti, come nelle specie del genere Melanogaster (Melanogaster variegatus e rubescens); alle quali per gli esterni caratteri si può avvicinare il nuovo Leucogaster. Le areole per lo più sono esagonali, o anche pentagonali o irregolarmente poligonali, ripiene di una polpa, derivante dalla gelatinizzazione delle ife imeniali (basidii e ife) che cementano fra loro le numerosissime spore chiuse nelle areole limi- tate da setti fibrosi, formati da ife sottilissime incolore, gelatinose e molto rifrangenti. Mentre (nel secco) le areole della porzione più esterna della gleba sono ripiene di polpa sporifera, si mostrano invece lacunose e vuote quelle della porzione interna, (1) 0. Mattjbol », Elenco dei " Fungi Hypogaei „ raccolti nelle Foreste di Vallombrosa negli anni 1899-900, ivi a pag. 20, 21, 22 dell'estratto " Malpighia „, voi. XIV. (2) Almeno negli esemplari essiccati in Erbario. 27 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI '■'■'>! come succede in genere nei Mejlanogaster, nelle Octavìanit e come fu già segnato da Messe per il Lene, floccosus e come pure io riconobbi nel Leno, fragrali*. L'imenio che tappezza dette lacune non è differenziato e regolare come nella Octaviania e nella Martellia, ecc., ma invece assai poco differenziato, come nel vicino genere Melanogaster, dove esso è formato dalle ife che decorrono lungo la parte esterna delle reticolature; le quali si erigono, dirigendosi verso l'interno delle lacune, gonfiandosi alla loro parte apicale e diventando terminazioni basidiali. Negli esemplari secchi non fu possibile studiare il numero delle basidiospore; ma posso dire però che l'imenio, e conseguentemente i basidii, si mostrano costruiti sul tipo di quelli descritti dall'HESSE e da me studiati nei giovani esemplari di Leuc. fragrane. Le spore presentano cortissime appendici sterigmatiche, le quali diffìcilmente si possono ancora riconoscere nelle spore mature. Esse sono in generale sferiche e presentano la proprietà che caratterizza le spore del genere Leucogaster; possiedono cioè una parete leggermente bernoccoluta, avente la parvenza quasi di essere ricoperta da un reticolo a maglie sottili, av- volta da un involucro, ialino, rifrangente, gelatinoso (1). Le spore del Leuc. badius si differenziano da quelle delle specie congeneri, per il colore molto più intenso, di un giallo scuro, se viste isolate al microscopio, e di un castaneo-badio, se vedute in massa, come nell'interno delle areote. La membrana gelatinosa è meglio visibile nelle spore giovani, ancora poco colorate e aventi dimensioni minori; mentre quasi interamente scompare nelle spore mature, aventi diametro maggiore e colorazione assai intensa. In media, i diametri delle spore variano fra i 12 e i 15 miera, la forma è ge- neralmente sferica, quantunque non rare sieno le spore allungate, ovoidali. Il nuovo Leucogaster, da quanto si è detto, risulta vicinissimo al Leuc. fragrans, differendone in specie per il colore ; poiché anche gli esemplari vecchi del Line. fragrans, mantengono, essiccando, il loro colore bianco-giallastro, che nemmeno lon- tanamente si avvicina al colore del Leuc. badius, le cui spore sono evidentemente anche più grosse, in complesso, di quelle delle altre specie. I particolari della struttura delle spore; le piccole prominenze che in esse simulano, come nel Leucogaster fragrans, una reticolatura, appaiono bene evidenti colorando i preparati colla tintura di iodio od anche col rosso di rutenio. La nuova specie vive (secondo le indicazioni del Beccaei), quasi epigea, mentre assolutamente sotterranee vivono, secondo Hesse, le altre specie del genere {streng subterran), ed io stesso trovai fra le radici dei Faggi e degli Abeti di Vallombrosa, al disotto della superficie del terreno il Leucogaster fragrans. Lasciata alquante ore nell'acqua distillata una sezione di Leucogaster badius, essa le comunicò una colorazione brunastra assai marcata, ciò che avvenne, in molto minor proporzione, per alcune sezioni di Leuc. fragrans mantenute nelle identiche condizioni. (1) Va ricordato che questo involucro gelatinoso fu notato e descritto anche dal Tulasne nelle spore di Scleroderma. V. Tulasne, Fructification du scleroderma, " Ann. de Sciences Nat. „, IP serie, tom. XVII, et planche lc, fig. 9. 358 ORESTE MATTIROLO 28 Trattate con alcune goccie di una soluzione di percloruro di ferro, le due solu- zioni diventarono scure in proporzione della intensità della colorazione primitiva, rivelando la presenza di sostanze tanniche come materiali coloranti. Riassumendo, i caratteri più salienti della nuova specie, si potrebbero espri- mere cosi: Leucogaster badius Mattirolo nov. sp. L. irregularis, globosus, vel gibberosus, castaneo-badius (siccus), nucis avéllanae, aut ovi magnitudine. Peridium fibrosum laeve, tenue, micelii ramulis radiciformibus adhae- rentìbus Saltini instructum. Gleba castaneo-badia loculis sporiferis, plerumque pólygonis, magnitudine varia faretti — loculis, ob basidio, dein labe, dia, sporis plerumque repletis, quae 12-15 mirra circiter diam. mentiuntur. Exosporium minutissime tuberculatum, rattì- culum simula iis, gelatina hyalina cinctum. Habitat in Abetinis Boscolungo prope Pistorium Oppidum ubi C/ar. 0. Beccavi detexit, anno 1862 mense juli. Rhizopogon Fries. Rhizopogon rubescens Tul. Rhizopogon rubescens Tul., Fungi nonnulli hypogaei, novi vel minus cogniti, " Giornale Bota- nico Italiano „, amio I, fascicoli 7, 8, 1844. — Tul., F. H., p. 89. Hysterangiurn rubescens Tul., Champignons hypogés de la Famttle des Lycoperdacées observés dans les environs de Paris et les départements de la Vienne et d'I, aire et Loire, " Ann. des Sciences Naturelles „, 1843, 2° sèrie, tom. XIX, p. 375. Hysteromyces vulgaris Vitt., Notizie naturali e civili della Lombardia, voi. I. Milano, 1844. Rhizopogon rubescens, var. Vittadinii, Titlasxe, F. H., p. 89. Rhizopogon rubescens Tul., Hesse et Aut. Le raccolte Beccavi e Cesati contengono buon numero di esemplari di questo ipogeo caratteristico del suolo delle Pinete; alcuni furono trovati dal Cesati nella estate (1860?) nelle Pinete di Sciolze (Piemonte); altri invece furono dal Beccari raccolti nel giugno e nel settembre dell'anno 1862, lungo lo stradone del Gombo (Pisa-S. Rossore); e nell'ottobre e nel novembre dello stesso anno nella Selva Pisana in Palazzotto. A proposito di questo comune Hymenogastreo, che si incontra epigeo o appena appena ipogeo, e allora visibile attraverso alle screpolature del terreno, credo oppor- tuno indicare che il Tulasne fu il primo a descriverlo sotto l'attuale nome di Rhi- zopogon rubescens, dopo averne fatto menzione un anno prima, fra gli Hysterangium (V. loc. cit.). La descrizione di Tulasne, apparsa nel medesimo anno (1844), nel quale Vit- tadini pubblicava lo stesso fungo e lo illustrava, battezzandolo col nome di Hyste- romyces vulgaris (1) (V. Vitt., loc. cit.), e la pubblicazione di Vittadini, rimasta (1) Il genere Hysteromyces di Vittadini comprendeva due specie: Lo H. vulgaris di cui ora stiamo trattando e VHyst. graveolens che (a giudicare dalle osservazioni di Tulasne, il quale ebbe agio di studiare un frammento di un esemplare autoptico : v. F. Hyp., p. 88) deve essere riguardato come identico al Rhizopogon luteolus del Tulasne: Sporae finn forma cuoi colore et erassitudine ab illis Eh. luteoli non clifferunt, dice, dopo la descrizione, il Tulasne. 29 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 359 quasi ignota ai micologi (1), contribuirono all'abbandono del genere Hysteromyces, e alla definitiva sistemazione del Rhizopogon rubescens nel genere Rhizopogon già isti- tuito da Fries nel 1817 (Symbolae Gasteromycorum ad illustrandam Floram suecicam. Lundae, 1817-18, pag. 5). Ciò che sorprende, è la creazione di una speciale varietà istituita dal Tulasne per gli esemplari inviatigli dal Vittadini, i quali vennero da lui classificati sotto il nome di Rhiz. rubescens P Vittadinii, avendo ritenuto il Tulasne che essi fossero differenti da quelli di Francia. Specìmina Hysteromycetis mlgaris Vitt. quae copiosa exsiccata a ci. Vittadinio ipso Mediolani olim accepimus formam a typo ob crassitudinem vulgo majorem et sporas subminores dilutioresque forsitan paulo discrepantem sistere videntur. Fungis typicis commixtam liane formam nonnunquam videmus in Pinetis Olbiis. Avendo avuto occasione di raccogliere durante parecchi autunni a Roderò (Prov. di Como) alcune migliaia di esemplari di Rliizopogon rubescens; e avendo studiato e paragonato questi, con esemplari autoptici di Tulasne (avuti dalla cortesia del compianto M. Cornu), credo poter affermare che i due funghi non differiscono fra loro; e che la grossezza dei corpi fruttiferi e la minor colorazione delle spore, si osservano saltuariamente anche in individui che paiono provenire dalle briglie di uno stesso micelio; e che differenze apprezzabili di grossezza nelle spore, degli individui più grossi e meno colorati, io non sono riuscito a trovare, paragonandoli a quelli tipici. Anche Hesse (Hip. Deutsch., pag. 94), trovò concomitanti gli individui grossi e meno colorati, cogli altri più piccoli e più intensamente colorati nella parte spo- rifera. " Sie triti gar nicht selten an denselben Platzen auf, an denen Rh. rubescens Tid. vorhommt, und zwar haiifig. epigaisch „. Il Rhiz. rubescens è esempio degli Ipogei ubiquitari, a vastissima area di distri- buzione. Nel giro di una quindicina di anni mi fu dato esaminare esemplari di questa specie, provenienti dalla Russia (Bucholtz), dalla Francia, dalla Germania, dall'Inghilterra, dall'America (Carolina del Sud, Ravenel), N. Jersey (Ellis), dall'Au- stralia e dal Giappone. In Italia osservai la specie e la raccolsi in Piemonte, in Lombardia, nel Canton Ticino, in Toscana, nel Trentino, nel Modenese. Specie congeneri in Italia non mi fu dato ancora di osservare, quantunque, a giudicare da quanto scrisse il Vittadini, debba incontrarsi pure da noi Y Hysteromyces graveolens Vitt., che il Tulasne considera come specie sinonima del suo Rhizopogon luteolus. L' Hysteromyces graveolens, fu da Vittadini, trovato presso Uboldo (circa Medio- lanum) humo semi-immersus vere, haud frequens (V. loc. cit.). Facilissimo riescirebbe a distinguere questo e il Rhiz. provincialis Tul. dal Rhiz. rubescens, perchè queste due prime specie hanno un peridio relativamente spesso, subcoriaceo, avvolto da un capillizio di fibrille rizomorfiche miceliari, e cellule ime- nifere minutissime, che negli individui essiccati di Rhiz. luteolus sono completamente riempite di spore. Dall'esame degli autoptici di Tulasne, posso assicurare che il fungo cornu- ti) Perchè rappresenta un solo capitolo di un'opera assai nota avente riguardo alle condizioni politiche e naturali della Lombardia (V. cit). 360 !' - ''• MATT1ROLO 30 nicato da J. Babla (1), nell'Erbario Crittogamico italiano al N. 350, raccolto nelle pinete dei dintorni di Nizza marittima, nell'autunno dell'anno 1859, non rappresenta altro che il Rhizopogon rubescens identico a quello di Piemonte e di Lombardia. Dell' Hysteromyces graveolens di Vittadini, per quanto io abbia cercato, non potei riescire a procurarmi un esemplare. Melanogaster Curia. Melanogaster variegatus Tul. Octaviania variegata Viti, M. T., p. 16, tab. Ili, fig. IV. — Tdlasne, u Ann. d. Sciences Naturelles „, tab. 17, fig. 22, 2" serie, toni. XIX, pag. 377. — He-., p. 106-108, tav. II, fig. 5-9; tav. V, fig. 9-10; tav. VII, fig. 4-6; tav. IX, fig. 27-34. L'Erbario di P. A. Saccardo contiene un autoptico vittadiniano di questa rara specie che io già trovai in Toscana (V. Mattirolo, I, loc. cit.) e che mi fu comu- nicata in un certo numero di esemplari dai dintorni di Serravalle Sesia, dal signor Cacciami Italo, studente in medicina, nel dicembre dell'anno 1902. (1) 6. Pollacci, Micologia Ligustica, Genova, " Atti della Società Ligustica di Scienze Naturali „, voi. Vili, fase. I, 1897, ricorda fra gli Ipogei di Liguria il Rh. provinciali* di Barla, che vuol essere quindi corretto in Rh. rubescens Tul. e V Octaviania mollis De Notaris, sinonimo di Hydnangium carneum. 31 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 361 HYMENOMYCETES (?) Cenococcum Fries. Cenococcum Fries, Syst. Orò. veget, 1, p. 364; Syst. myc, IV, p. 65. Cenococcum geophilum Fries, Scler. Suec. exic. Dee, XXXVII; Fries, Syst. Myc, III, p. 65. — Vittadini, Nonographia Lycoperdineorum, p. 85, tab. Ili, fig. V. — Tulasne, F. H., p. 179, 180, 181, tav. XXI, fig. Vili. Queste curiose formazioni , che in Italia trovansi frequenti nella terra di castagno in Piemonte ed in Lombardia, furono pure raccolte nell'autunno del 1863, dal Beccari nei monti Pisani a Vicosi, e quivi pure immerse nell'humus. Quantunque i recenti studi di Boudier e Patouillard (1) e di Van Bambeke sul Cenococcum xylophilum Fr. (ora Coccobotrys xylophilus Boud. et Pat.) abbiano fatta conoscere la vera natura di analoghi granuli, che il Fries cosi efficacemente definisce: gru ut/In exacte globosa, libera, omne thallo et radice destituta, laevia, glabra, aterrima, magni- tudine seminis viciae, in humo atro copiosissime nidulantur, pure ho creduto bene ricordare fra i Funghi Ipogei anche questo, perchè dalla maggior parte dei botanici ed anche da specialisti eminenti, come Vittadini, Tulasne, ecc., fu ritenuto per lungo tempo avessero le specie del genere Cenococcum relazione con quelle del genere Elaphomyces. Ora i rappresentanti del genere Cenococcum pare si devano ritenere come stadi vegetativi scleroziati di un micelio; forme miceliari per cosi dire transitorie, perchè quelle appartenenti al Cenococcum xylophilum di Fries (ora Coccobotrys xylophilus di Boudier et Pat.) si dimostrarono appartenere al ciclo di sviluppo della Lepiota Meleagris (Sow) Sacc. Ed è curioso che Fries (lo scopritore) considerasse i Ceno- coccum come Sclerozii dapprima, e poi li avvicinasse agli Elaphomiceti, avendo cre- duto di trovare in essi delle spore, che pure il Tulasne descrisse nella sua opera, ma che mancano affatto in natura. Nessuno finora sa però quali relazioni abbia il Cenococcum geophilum, né quale possa essere il presumibile basidiomiceto che dovrà rappresentarne la forma perfetta, la quale a me non è riuscito ancora, malgrado i tentativi fatti e quelli che sto fa- cendo, di poter ottenere. Ricordo che notevoli differenze si riscontrano fra il Ceno- coccum geophilum e il Cenococcum xylophilum. LYCOPERDINEAE Gastrosporium Mattirolo, nov. gen. Gastrosporium simplex Matt. nov. sp. (Vedi Tavola, fig. 4 a 10). Singolare tipo è quello rappresentato dal fungo, che Odoardo Beccari raccolse fra le radici delle graminacee in due località differenti: S. Giuliano (Monte Pisano, die. 1862) e Sasso (Bologna, aprile 1864) e lasciò indeterminato nella sua collezione. (1) Boudieb et Patouillard, Note sur deux chcimpignons hypogés, " Bull. Soc. Myo. de France „, t. XVI, 1900, fase. Ili, p. 141. — Van Bambeke, Le Cenococcum Coccobotrys xylophilus (Fries) Boudier et Patouillard (Cenococcum xylophilum Fries) est le Mt/celium des Lepiota meleagris (Sow) Sacc. " Soc. Roy. de Bot. Belge ,, Séance dèe. 1900. Serie IL Tom. LUI. u» 362 ORESTE MATTIROLO 32 Esso è ili costruzione assai semplice ; ma di sistemazione difficile, anche perchè le conclusioni risultanti dal suo studio, si basano soltanto sopra l'esame dell'apparato riproduttore giunto allo stato di perfetta maturazione. Il Gastrosporium, come indica il nome, è formato da una cavita ripiena di innu- merevoli minutissime spore, limitata da una parete doppia (V. Tavola, fig. 4 a 7). Il corpo fruttifero globoso o globoso-Iobato è di color bianco latteo, di grossezza che varia da quella di un pisello a quella di una noce, misurando il più grosso esem- plare esaminato un diametro di circa tre cent. Il Pendio è formato da due strati nettamente differenziati (V. Fig. 8). L'esterno, dello spessore di circa * 2 mill. pulverulento, calceo, risulta (negli esem- plari essiccati) composto di un materiale farinoso, facilmente esportabile colle dita. In esso si notano ife sottilissime lassamente fra loro intrecciate, immerse in una massa di sostanza microcristallina, che agisce sulla luce polarizzata e che calcinata annerisce, lasciando un residuo bianco, il quale, coll'acido solforico, dà luogo a cristalli aghiformi geminati a ferro di lancia (V. Fig. 8, S. E.). Quanto alla natura dell'acido combinato colla calce : l'insolubilità in acido acetico e la solubilità in acido cloridrico, lasciano giudicare si tratti, con tutta probabilità, di acido ossalico. La sostanza microcristallina adunque sarebbe ossalato di calcio cristallizzato. L'interno strato, spesso circa 1/8 di mill., e quindi meno sviluppato di quello esterno, nettamente dal primo differenziato, risulta di ife saldate fra di loro intima- mente da una gelatina tenace, brillante (V. Fig. 8, S. /.). Col rosso di Rutenio la massa gelatinosa si colora e più intensamente si colorano le ife, dimostrando cosi la natura pectica delle loro membrane. La colorazione indicata permette di seguire il decorso sinuoso delle ife sottili, intrecciate, aggrovigliate, ramificate, qua e colà inspessite, presentanti nel loro de- corso diametri differenti (1). Questo strato molto rifrangente limita le cavità della gleba, dentro la quale, e per breve tratto, si vedono sporgere le ife parietali. Gleba. — La gleba è formata da una massa di sostanza avente colore olivaceo chiaro, composta niente altro che da spore piccolissime, misuranti nel diametro circa 3 micra, a contorno circolare o leggermente ovale, le quali, solamente a forte ingran- dimento, lasciano scorgere ancora il punto di attacco colla sterigma (V. Fig. 8, 10). Queste spore sono liscie, hanno colore verdastro chiaro, sono trasparenti, con- tengono nell'interno un materiale molto rifrangente, oleoso. Col rosso di Rutenio la loro membrana si colora debolmente. Su tutta la gleba, manca qualsiasi accenno ad ife appartenenti ad una trama, ne si notano traccio di capillizio; null'altro ho notato nella gleba, che una quantità di spore. La frase diagnostica, la quale vale tanto per il genere, come per l'unica specie, può quindi essere così riassunta : (1) Queste ife più grandi, presentanti dei rigonfiamenti, si potrebbero considerare analoghe alle note ife vascolari. 33 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 363 Gastrospoi'ium .simplex. — Fungus hypogaeus globosus vet globoso-irregularis, pendio crasso, exterm lacteo, pulverulento ; interne gelatinoso hyalino intente, Gleba omo- genea, sine lacunis; sporis, innumeris minutissimis sphaericis, laevibus, hyalinis, olivaceis 3 micra diam. composita. Capillitio ìndio. Hab. — Inter radices graminum Etruria-Emilia. Sept. Dee. leg. Clar. 0. Beccari. Posizione sistematica. — La posizione di questo genere nella seriazione naturale delle forme è assai difficile a concretarsi ; perocché se indubbiamente possiamo assi- curare che la nuova forma appartiene ai Gastromycetes , non possiamo ugualmente indicare a quale dei gruppi di questi funghi debba essere ascritta, mancando l'esame degli stadi di evoluzione. Fra i Gastromycetes, come è noto, si contano parecchie serie e da tutte si distingue il Gastrosporium per caratteri importanti e facili a rilevarsi. Così esso differisce : I) Dagli Hymenogastrei, per la mancanza assoluta nella gleba delle tipiche concamerazioni tappezzate dall'Imenio; per la struttura del peridio e per il tipo delle spore. II) Dalle Lycoperdineae, per la mancanza, nella gleba matura, di capillizio; per il tipo strutturale del peridio, che pure è doppio. Ili) Dalle Phalloideae, perchè privo di una glejsa a concamerazioni imeniali; perchè manca di un ricettacolo, di una volva, e perchè differentemente si comporta durante lo sviluppo. IV) Dalle Nidulariaceae perchè privo dei Peridioli concamerati, ecc. Il Gastrosporium adunque non può essere altrimenti classificato che fra le forme più semplici dei Gastromycetes; fra quelle, che per non essere state ancora sufficien- temente studiate in tutti i periodi della storia di sviluppo, Edoardo Fischer cre- dette recentemente di riunire in un gruppo, a cui diede il nome di " Plectobasidineae „ . Le Plectobasidineae però non rappresentano una unità sistematica indipendente, ma un gruppo artificiale, nel quale si comprendono forme relativamente semplici ap- partenenti alle vai'ie sezioni dei Gastromycetes ; imperocché fra le Plectobasidineae di Fischer, le Sci eroder mataceae hanno rapporti evidentissimi colle tipiche Hymenogastreae; le Calostomataceae e le Tulostomataceae e forse anche le Podaxineae, colle vere Lyco- perdineae; il genere Pisolithus colle Nidulariaceae; mentre il genere Spliaerobolus si connette alle Phalloideae. Il Gastrosporium adunque sarebbe, per ora, da riguardarsi come una Plectobasidinea, nel senso che rappresenta un Gastromicete semplicissimo, con gleba priva di conca- merazioni, senza vene sterili, risolventesi a maturità in una massa pulverulenta priva di capillizio, con peridio formato da due strati ; ma però come un tipo che presenta moltissime analogie colle Lycoperdineae, dalle quali unicamente differisce per la man- canza del capillizio; imperocché le spore sono morfologicamente identiche a quelle della maggior parte dei tipi ascritti a questa famiglia, e il peridio è duplice, e pul- verulento come in alcune specie del genere Lycoperdon e l'aspetto generale è analogo a quello delle Lycoperdineae. 364 ORESTE MATTIROLO 34 La sistemazione del nuovo genere non può ancora essere ritenuta definitiva, poiché, per ora, mancano quei dati indiscutibili di giudizio, i quali allora soltanto si potranno avere, quando i botanici ritroveranno questa forma e la potranno studiare, avendo riguardo ai primi stadi evolutivi dell'apparato sporifero. SCLERODERMATACEAE Fischer. Phlyctospora. Phlyctospora fusca Corda. Phlyctospora fusca Corda, in " Sturm Deutschland Flora „, III Abth. , 19-20 Heft, 1841, p. 51, tab. 16. — Tulasne, F. H., p. 99. — Winter, in " Rabenhorst Plora „, p. 885, voi. I. — G. Beck, Ueber die Sporeribildung der Gattung Phlyctospora Corda, " Bericbt. d. d. Boi Gesell. „, Band VII, 1889, p. 212-216. Scleroderma fuseum E. Fischer, in " Engler und Prantl. Naturi. Pflanzenfaniilien „, toni. I, Abt. I, 1900, p. 336. Un solo esemplare di questa specie, nota finora di Boemia (Corda), di Francia (Tu- lasne), di Moravia (Welwich) , di Russia (Bucholtz, " Beitrage zur Morphologie und Systematik der Hypogaeen „, Riga, 1902, p. 172 e seg.), di Portogallo (Saccardo, Sylloge, VII, p. 179), esiste nella collezione Cesati, raccolto nel 1859 a Biella (S. Giovanni). Lo Scleroderma fuseum è qui menzionato per riguardo alla sua stazione quasi ipogea. L'esemplare di Cesati concorda esattamente con un autoptico di Hollos, raccolto nell'agosto 1899, in Transilvania. ONYGENACEAE (Fischer). Onygena Fers. Onygena equina (Wild) Pers. (Vedi la Bibliografia relativa a queste specie in: Fischer, Tuberaceen und Hemiasceen e " Kabenborst Kryptog. Fior. „, V Abth. Leipzig, 1897, p. 103, e nel recente lavoro di Marshall- Ward). Di questa specie, la cui parentela cogli Elaphomycetes e cogli Aspergini è stret- tissima, trovai alcuni esemplari nelle raccolte Cesati e Beccari, provenienti: Da Riva Valdobbia, 26 dicembre 1863 ed ivi raccolta dall'Abate Carestia (sul- l'unghia putrescente di un bovino) — (V. Bresadola e Saccardo, Enumerazione dei Funghi della Valsesia, Genova, " Malpighia „, 1897). Da Bocca d'Arno, 1863 (O. Bec- cari) (sullo zoccolo di un cavallo). DISCOMYCETES Hydnocystis Beccari Mattirolo. Hydnocystis Beccari Mattirolo, Gli Ipogei di Sardegna e di Sicilia, " Malpighia „, anno XIV 1900, p. 57 e seg. Senza indicazione precisa di località, contiene la raccolta Beccari, alcuni fru stuli di questa specie che, già da me indicata per la Toscana e la Sicilia, venne nel maggio 35 I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 365 del corrente anno scoperta dal Dott. G. Gola, fra le radici di un Oistus proveniente dalla Scaffa presso Cagliari. Nel lavoro citato, ho abbastanza ampiamente trattata la questione relativa alla sistemazione del genere Hydnocystis Tul. fra i Diseomycetes, per dovervi ritornare sopra in questa occasione; in appoggio alle mie conclusioni credo opportuno accennare ora, che in un esemplare di questa specie, della raccolta Tulasne del Museo di Parigi, osservai il parassita classico delle Pezize limicole (della Lachnea art nieola Quél, ad es.). La presenza della Melanospora Zobelii Corda sull'imenio delle Hydnocystis (fatto già osservato da Tulasne, v. F. H., p. 186) mi pare una nuova conferma delle re- lazioni intime fra le Pezizae e le Hydnocystis. L'esemplare della raccolta Tulasne, determinato col nome di Hyd. arenaria Tul., concorda esattamente colla mia Hydn. Beccavi e non si adatta alla descrizione della Hyd. arenaria; cosicché io non dubito di affermare che, anche la mia specie debba esser ritenuta propria della Flora idnologica di Francia. L'esemplare da me esaminato proveniva dalle isole di Ht/ères. OOPHYCOMYCETES (?) Endogone Link. Endogone lactiflua Berk. Endogone lactiflua Berk., Notices of british hypogaeus Fungi, " Annal and Magaz. of Naturai Hystory „, voi. XVIII, 1846, p. 81. - Tulasne, F. H., p. 183. — Hesse, H. D., Band II, 77, 78. — Fischer, loc. cit, p. 126. — Mattirolo, Elenco chi " Fungi Hypogaei „ raccolti nelle foreste di Vallombrosa, " Malpighia „, 1900. Questa bella specie, da me già raccolta in alcune località della Toscana (Vallom- brosa, Bivigliano), venne incontrata dal Beccaei nell' ottobre 1862 nella Selva Pisana, nei luoghi umidi sotto le foglie, nei boschi di Quercie. La determinazione fu avvalorata col paragone di materiali autoptici di Berkeley appartenenti al Museo di Parigi. Per le ricerche di Baccarini e Pampaloni (1) pare accertato che i funghi ipo o semi-ipogei del genere Endogone debbano riguardarsi come appartenenti agli Ooficomiceti. (1) Baccarini, So2>ra i caratteri di qualche Endogone, App. al " Nuovo Giorn. Bot. Ital. „, voi. X, 1903, N. 1. — Id., Sopra alcuni microrganismi del Dissodile di Melilli, " Bull. Acc. Gioenia „. Catania. — Pampaloni, Microfauna e microflora del Dissodile di Melilli, " R. Acc. Lincei „, voi. XI, 2° sem., serie 5', fase. 9". — Id., / resti organici nel Dissodile di Melilli in Sicilia, * Paleontografia italiana,, voi. Vili. Pisa, 1902. 366 ORESTE MATTIROLO I FUNGHI IPOGEI ITALIANI 36 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1, 2. — Leucogaster badius Mattirolo, nov. sp. Aspetto esterno di un individuo essiccato e sezionato. ,3. — Spore, dello stesso. Obb. 8; Ocul. 2 Hartnack; Cam. lucida Nachet; i, involucro gelatinoso. , 4, 5, 6. — Gastrosporium simplex Mattirolo, nov. sp. Aspetto esterno di alcuni individui in grandezza naturale. n 7. — Id. Id. Aspetto di un individuo sezionato conservato in Erbario. G, Gleba. „ 8. — Id. Id. Sezione del peridio. 5. E. strato esterno; 8. I. strato interno. S. spore; Obb. 4 Hartnack; Ocul. 2; Cam. L. Nacb. (per segnare i contorni della figura). , 9. — Id. Id. Ife decorrenti nello spessore dello strato peridiale interno gelatinoso (colo- rate con rosso di Rutenio). Obb. 10 Hart. irnni. ; Ocul. 2; C. L. N. „ 10. — Id. Id. Spore. Ocul. 2; Obb. 8 Hartnack; C. L. N. , 11. — Pachyphloeus Saccardoi Mattirolo, nov. sp. Sezione, per far vedere: TV. trama; V. E. vene esterne; As. aschi. Obb. 2; Ocul. 2. Figura a metà schematica. , 12, 13. — Id. Id. Aschi giovani. Nella fig. 12 è rappresentato un asco ancora sprovvisto di spore; mentre esse sono già iniziate nella fig. 13. Obb. 8; Ocul. 2 Hartnack; C. L. N. 1 14. — Id. Id. Parafisi filamentose, decorrenti fra gli aschi, colorate col rosso di Rutenio. Obb. 10 imm. acqua. Hartnack; Ocul. 2; C. L. N. „ 15. — Id. Id. Spore. Obb. 8 Hart.; Ocul. 2; C. L. N. „ 16. — Pachyphloeus conglomeratus Berk. Spore. Obb. 8; Ocul. 2 Hartnack; C. L. N. s 17. — Genea sphaerica Tul., forma sporis spinuloso-tuberculatis Mattirolo. Spore. Obb. 8; Ocul. 2 microm. Hartn. ; C. L. N. MATTI ROLO O.-l funghi ipogei. iSLccclA.^.A-. Sciewze. AjAPo-zUvo, Ct. oc. ftò. niat.o n-.Ì? ! ■ ■ 0 MaJtirolti dis. lit Sa lusso! io , 7ivv.no LA FISIOLOGIA DELL'APNEA STUDIATA NELL'UOMO MEMORIA DEL SOCIO ANGELO MOSSO Approvata nell'Adunanza del 26 Aprile 1903. § 1. Le variazioni personali nella produzione dell'apnea. La presente memoria è un tentativo per studiare l'apnea sull'uomo. Le espe- rienze fatte sopra noi stessi hanno il vantaggio che oltre al tracciato dei movimenti, uno sente cosa succede dentro di sé. È stato nelle esperienze fatte sopra me stesso che mi accorsi essere la funzione del ritmo una cosa indipendente da quella della forza dei movimenti respiratori. Il tracciato 1 fu scritto con un pneumografo doppio applicato sopra le mammelle e stretto bene intorno al torace (1) : mi ero proposto di produrre l'apnea mentre ero coricato orizzontalmente, e di respirare subito appena che, dopo finite le dieci inspi- razioni profonde, venisse un impulso interno. Ero pronto a respirare al minimo cenno di un bisogno che si svolgesse spontaneamente senza partecipazione della volontà, avendo per parte mia solo il desiderio di dargli sfogo quando si presentasse: ma trascorsero 38 secondi (come si vede sotto nel tracciato del tempo scritto ogni 2 se- condi) prima che questo impulso venisse, e quando comparve, le respirazioni erano più forti del normale. Ritornerò in seguito su questo argomento mostrando come in altre persone possa dopo l'apnea diminuire la forza dei movimenti respiratori. Questo è un altro tipo di apnea, nel quale si forma dopo il riposo una scala ascendente di inspirazioni successivamente più forti, mentre in me sono decrescenti le respirazioni che faccio dopo l'apnea. In questo tracciato si vede pure che la tonicità del torace diminuisce durante l'apnea, cos'i che il torace prende una posizione espiratoria più pronunziata che non avesse prima. Questa diminuzione della tonicità per effetto del- ti) In tutte le esperienze contenute in questa memoria adoperai il pneumografo doppio quale trovasi nel catalogo del meccanico Verdin, di Parigi, figura 22. 368 ANGELO MOSSO l'apnea è molto più notevole nel diaframma e può considerarsi come un fatto costante. Finita l'apnea, nel tracciato 1, occorrono circa 8 respirazioni perchè si ristabilisca la tonicità primitiva. Sapendo che si può trattenere volontariamente il respiro, sembra a primo aspetto che tali ricerche non debbano dare risultati sicuri : ma basta fare una sola, e meglio parecchie inspirazioni profonde, per sentire che il respiro cessa spontaneamente per un tempo molto più lungo di quanto non possa farsi colla inibizione volontaria, e si prova una minore molestia, anzi nessuna mentre dura l'apnea. Le esperienze procedono del resto con tale regolarità che scrivendo il respiro uno s'accorge dalla costanza Fig. 1. dei risultati che non entra una perturbazione dovuta all'elemento incostante della volontà. Negli animali l'apnea si produce artificialmente dilatando i polmoni per mezzo di un soffietto, nell'uomo le inspirazioni profonde sono fatte volontariamente. Questa è una differenza che merita di essere esaminata subito. Generalmente si crede che non esista la fatica nei muscoli della respirazione, ma ho già pubblicato i tracciati dai quali si vede che anche dai muscoli respiratori si può ottenere una curva della fatica simile a quella che si ottiene nei muscoli delle estremità per mezzo dell'ergo- grafo (1). Basta fare 15 o 20 inspirazioni profonde l'una dopo l'altra con un ritmo più frequente del normale per conoscere gli effetti della fatica respiratoria. Nelle esperienze sulla apnea non è tanto la diminuzione successiva nella forza delle inspirazioni profonde che dobbiamo prendere in considerazione quanto il fatto centrale della fatica che tende ad abbreviare il periodo di riposo dell'apnea se si prolungano per un tempo troppo lungo le inspirazioni profonde. Per dare un esempio del rapporto che passa fra il numero delle inspirazioni profonde e la durata del- l'apnea riferisco una esperienza fatta sopra di me. Dopo il numero delle inspirazioni profonde è scritto il tempo in secondi che ha durato l'apnea. Fra una esperienza e l'altra intercedono 3 minuti. 1 = 18' 3 = 22" 6 24" 9 = 22" 12 = 18" 15 = 18". Il massimo effetto l'ottenni facendo 6 inspirazioni profonde, e dopo il tempo dell'apnea diminuiva, sebbene io sentissi una leggera vertigine per i mutamenti suc- (1) A. Mosso, Fisiologia dell'uomo sulle Alpi, 1898. p. 34. 3 LA FISIOLOGIA DELL'APNEA STUDIATA NELL'UOMO 369 ceduti nella circolazione del sangue. Sopra di me bastavano dunque 6 inspirazioni profonde per produrre la durata massima dell'apnea. Ma questo vale solo per questo giorno. Infatti nel primo tracciato si vede che per dieci inspirazioni l'apnea fu molto più lunga e durò 38". Per evitare la complicazione della fatica respiratoria, mi limitai nel maggior numero delle esperienze a produrre l'apnea con un numero minore di inspirazioni. Comincierò colle esperienze eseguite facendo una sola inspirazione profonda. Occorre a tale scopo di lasciare libero il respiro e respirare tranquillamente secondo gli impulsi automatici senza cercare di dominarli, rimanendo il più che sia possibile distratti. Le esperienze fatte stando in piedi non riescono bene, perchè presto uno si affatica; anche da seduti non sono sempre paragonabili i tracciati, perchè gli organi dell'addome possono modificare i movimenti del diaframma; da coricati non si è sempre comodi a cagione della posizione del capo e del peso del corpo che preme orizzontalmente, e perchè sono diverse le curve della colonna vertebrale nelle inspi- razioni profonde. Per evitare tali inconvenienti ho preferito di fare queste esperienze appoggiandomi ad un piano inclinato in modo che il mio corpo faceva un angolo di 45° colla verticale : a tale scopo serve comodamente la bilancia a tavola costrutta dal meccanico Corino per studiare i mutamenti della circolazione ; ma qualunque tavola larga, ricoperta da una materassa, può servire a tale scopo. Più che tutto occorre in queste esperienze di rimanere tranquilli, e questo l'ottenevo, lavorando solo in una stanza coll'aiuto di un assistente e cercando di mantenermi distratto, senza che però la distrazione fosse troppo completa. I movimenti del respiro tanto per il ritmo come per la forza procedono in tali condizioni con grande regolarità. Fig. 2. Il tracciato 2 rappresenta una serie di inspirazioni profonde fatte da me al mat- tino, mentre sto poggiato contro il letto a 45°. Il pneumografo doppio è messo intorno al torace, all'altezza delle mammelle, ed oltre che dalla cinghia è tenuto in tale posi- zione da un nastro che passa intorno al collo. Ad ogni inspirazione profonda succede una pausa apnoica di circa 20" ; verso il fine della medesima sento che il cuore batte più forte, come succede in me nel leggero grado di asfissia, quando si ferma il re- spiro. Le inspirazioni che compaiono dopo finita l'apnea sono più profonde che non siano le normali e vanno rapidamente decrescendo. Ad ogni 45" un assistente mi avverte che devo fare una nuova inspirazione profonda. Il tempo è segnato ogni 2 secondi. Dopo la pausa apnoica solo la forza delle inspirazioni cambia e va decre- scendo: il ritmo è quello primitivo. Nell'ultima parte si vede il tempo che occorre perchè le inspirazioni diventino normali. Sebie IL Tom. LUI. v1 370 ANGELO MOSSO Il tracciato 3 è una esperienza eguale fatta sopra me stesso, scritta con velocità maggiore del cilindro. Anche qui il tempo come in tutti i tracciati successivi è segnato ogni 2 secondi e per brevità non ripeterò più tale avvertimento. L'ultima apnea I invece di durare 20", durò solo 14". Questo esempio indica l'errore massimo che si produce in me quando faccio una serie di inspirazioni profonde egualmente forti. Tale errore non può recare una perturbazione, perchè nella discussione che farò dell'apnea non occorre tenere cal- colo di simili differenze. Qualche volta le variazioni dipendono da ciò che le inspirazioni che generano l'apnea non furono fatte egualmente profonde. Per economia ho tagliato la parte superiore della curva e quindi il lettore non può più giudicare di queste differenze; sarebbe stato uno spazio troppo grande di sfondo nero, e ho creduto meglio sopprimerlo nei tracciati per poterne riprodurre un numero maggiore. Ma i tracciati delle inspirazioni saranno dati per intero anche in altezza, quando sarà indispensabile di mostrare che le inspirazioni profonde erano egualmente forti in una serie dove sianvi dei raffronti importanti. Ripetendo queste esperienze e vedendo che il respiro ^ dopo l'apnea si rinforza senza che uno cerchi di trattenerlo, g e sentendo che il cuore batte più forte verso il fine dell'apnea, subito si pensa che succederà in noi quanto Gad aveva osser- vato sul coniglio (1). Levando lo sterno senza aprire la pleura e facendo la respirazione artificiale egli vide che l'orecchietta destra del cuore aveva il suo colore venoso ed era invece più rossa e quasi di colore scarlatto la sinistra: prodotta l'apnea, Gad vide che i movimenti del respiro incominciavano solamente quando l'orecchietta sinistra era diventata notevol- mente più scura che in condizioni normali. Questo prova se- condo Gad che per mezzo delle manipolazioni del respiro ar- tificiale si è diminuita la eccitabilità del centro respiratorio. L'aumento della forza delle respirazioni che osservasi nel mio tracciato dopo l'apnea può sembrare a primo aspetto che dipenda dall'arresto volontario del respiro: ma il fenomeno è più complesso, esso corrisponde ad un mutamento della ecci- tabilità del centro respiratorio il quale vedesi anche negli animali profondamente addormentati quando si produce l'apnea per mezzo della respirazione artificiale. Nel tracciato 4 si scrive il respiro di un coniglio del peso di 1700 grammi, leg- germente addormentato colla iniezione di un grammo di cloralio nell'addome. La trachea aveva un tubo a T il quale da una parte era libero e serviva al passaggio dell'aria, dall'altra era in comunicazione con un timpano di Marey che scriveva sul (1) J. Gad und Heymans, Kurzes Lehrbuch der Physiologie des Menschen, 1892, p. 414. 5 LA FISIOLOGIA DELL'APNEA STUDIATA NELL'UOMO 371 cilindro rotante: il tempo è segnato in secondi. La respirazione artificiale si fa per mezzo di un soffietto : durante la medesima si ferma il cilindro e si chiude, compri- mendo il tubo di gomma, il passaggio dell'aria nel timpano a leva di Marey. La prima volta si fanno 12 respirazioni; la seconda 15; la terza 18. A queste piccole differenze nel numero delle respirazioni da 12 a 15 a 18 corrisponde un aumento crescente nella intensità e nella durata dell'apnea. Fig. 4. Quando ricomincia il respiro le prime inspirazioni sono deboli e vanno succes- sivamente crescendo. Sorpassano anche qui l'altezza della respirazione normale e dopo decrescono. Nel ritmo succede dopo l'apnea un leggero rallentamento e quindi cresce la frequenza nelle respirazioni successive. L'interpretazione più semplice di questi tracciati è che essi rappresentino una azione diminuita del centro respiratorio, il quale riprendendo a funzionare dopo la pausa, trova una quantità di anidride carbonica nel sangue maggiore del normale, come dimostrò Gad nel coniglio. Vi sono delle persone che non riescono a produrre l'apnea con una semplice inspirazione profonda in nessuna epoca del giorno, mentre altre riescono al mattino e non nel pomeriggio, a digiuno e non dopo aver mangiato. Qui appare subito una prima differenza colle ricerche fatte dal Lcevy, il quale trovò che la eccitabilità del centro respiratorio non varia, mentre invece vedremo in una prossima memoria che essa è variabilissima nell'uomo: ma costante per determinate condizioni. Le persone da me studiate trovai che possono dividersi in tre gruppi : 1° quelle in cui è difficile produrre l'apnea; nelle quali poche respirazioni, cioè quattro o cinque, per quanto siano profonde e rapide l'una dopo l'altra, non bastano per dare un arresto del respiro; 2° quelle nelle quali si riesce con una inspirazione profonda a produrre l'apnea, ma non sempre, cosicché di regola occorre farne parecchie ; 3° quelle nelle quali si ottiene l'apnea con una sola inspirazione profonda. Al primo gruppo appartengono generalmente le persone giovani fino oltre i 20 anni. Nel secondo stanno comunemente le persone fino ai 50. Nell'altro (ed anche qui la cosa non può affermarsi in modo assoluto) le persone di un'età più avanzata. Per brevità non riproduco alcun tracciato delle persone del primo gruppo che diedero risultati negativi; e comincierò con quelle del secondo gruppo. Fra queste ho studiato bene l'inserviente del mio laboratorio , Giorgio Mondo , di anni 44, che da oltre 22 anni mi serve per gli studi sulla respirazione. In lui una sola respira- zione non basta generalmente a produrre l'apnea, e questo succede specialmente nel pomeriggio quando è un po' eccitato per il lavoro e le occupazioni sue e dopo che ha mangiato. Al mattino a digiuno, o alla sera e nel pomeriggio, quando stando co- 372 ANGELO MOSSO ricato viene preso dalla sonnolenza, è più facile che si produca l'apnea per una sola inspirazione profonda come si vede nella fig. 5. Mentre nei miei tracciati la scala delle inspirazioni dopo l'apnea è decrescente, cioè finita l'apnea comincia una serie di inspirazioni più forti del normale le quali formano una scala decrescente, qui come in altre persone, e come nel tracciato 4 del coniglio, la scala è crescente: cioè le respirazioni incominciano coll'essere deboli e gradatamente si rinforzano. Dimostrerò meglio in un prossimo lavoro come la funzione del ritmo e della forza della respirazione siano due funzioni distinte del centro respiratorio e studierò quali siano i fattori che le modificano. Per ora basta supporre che in questo caso la funzione del ritmo divenga attiva prima di quella che accresce la forza delle inspi- razioni; mentre invece sopra di me si desta meno presto la funzione del ritmo e diviene solo attiva quando l'altro meccanesimo dal quale dipende la forza delle inspi- razioni ha già ripreso tutta la sua attività. Iu alcune persone l'apnea non si manifesta come un arresto del respiro, ma si produce solo un rallentamento considerevole del ritmo. Esaminerò questi casi in una prossima memoria sull'azione dell'aria rarefatta. Il tracciato 6 ve nne scritto dal Dott. Alberto Aggazzotti, di anni 25, nelle ore del pomeriggio in condizioni analoghe alle precedenti: cioè stando appoggiato al piano inclinato a 45°. Anche in lui si produce in modo costante una serie di inspi- razioni crescenti. Invece di una sola il Dott. Aggazzotti faceva quattro inspirazioni profonde e molto rapide l'una dopo l'altra. Ciò malgrado il respiro non si arrestava, e l'apnea si manifesta solo con una diminuzione nella forza delle inspirazioni che vanno dopo gradatamente rinforzandosi, essendovi nel principio un leggiero aumento nella frequenza del respiro. La diminuzione di eccitabilità del centro respiratorio nell'apnea. Il tempo che dura l'apnea e il numero delle inspirazioni che bisogna fare per produrla sono estremamente variabili e dipendono dallo stato di eccitabilità del centro LA FISIOLOGIA DELL APNEA STUDIATA XELL UOMO 373 respiratorio. I mutamenti che si producono nei gas del sangue per la ventilazione maggiore o minore nei polmoni, si rendono evidenti solo in quanto essi riescono a modificare la eccitabilità del centro respiratorio per produrre una sospensione dei moti del respiro; essi sono il mezzo per agire sul centro respiratorio, ma non sono essi i fattori preponderanti. Per vedere come si spengano i movimenti del respiro nell'apnea occorre prendere un animale che abbia una ec- citabilità forte del centro respiratorio come si vede nel tracciato 7. È un cane del peso di 9 Kg., il quale fu avvelenato col curare, esso ha i vaghi intatti e tutti i muscoli sono paralizzati eccetto il diaframma che si contrae con forza e basta a mantenere la respirazione. Faccio la respirazione artificiale per mezzo di un soffietto messo in comunicazione colla trachea. La respirazione artificiale non fa scomparire subito le respirazioni normali e queste vanno lentamente decrescendo fino a che cessano. Sospesa la respirazione arti- ficiale l'apnea dura poco. Il tempo è scritto ogni 2 secondi. Ripeto nuovamente la respirazione artificiale e questa volta invece di 9 il cane eseguisce spontaneamente solo 4 respirazioni decrescenti. Ripeto una terza volta la respi- razione artificiale e succedono solo 3 inspirazioni spon- tanee. In questo tracciato nel quale sono scritte contempo- raneamente le inspirazioni naturali e quelle artificiali, si vede come va diminuendo l'eccitabilità del centro respira- torio fino alla produzione dell'apnea. La frequenza del ritmo dopo l'apnea è minore, ed è anche minore l'altezza delle inspirazioni: e nelle tre volte che si produsse l'apnea fu necessario un numero decrescente di inspirazioni artificiali per arrestare i moti spontanei della respirazione. Nel diaframma diventarono più evidenti e più forti le ondulazioni della tonicità muscolare: e di questo fenomeno parlerò in un prossimo lavoro. Per mostrare che i gas del sangue non hanno un'im- portanza decisiva nella produzione dell'apnea, ma che questa può ottenersi più o meno rapidamente, più completa o meno, secondo lo stato di eccitabilità del centro respira- torio, si può fare la seguente esperienza. Ad un cane amministrai due grammi di cloralio nella vena giugulare e quando era profondamente tranquillo gli feci la tracheotomia e vidi che sei inspirazioni profonde produc evano regolarmente un arresto del respiro di circa 20". Lasciato l' animale tranquillo, dopo un'ora era cessata l'azione del cloralio e l'animale si era bene svegliato; il medesimo numero di inspirazioni fatte col soffietto non bastava più a produrre 1' apnea e neppure il 374 ANGELO MOSSO doppio bastava; ma bisognava prolungare la respirazione artificiale per un tempo quattro volte più lungo onde ottenere l'apnea. Esamineremo con altre esperienze simili i risultati che ottenni facendo l'analisi del sangue; posso intanto affermare che la condizione dell'apnea non dipende dallo stato momentaneo dei gas del sangue: perchè questo può essere eguale e mancare l'apnea, quando non si riesca colla ventilazione polmonare a diminuire l'eccitabilità del centro respiratorio. Onde convincersi che nell'apnea è depressa la eccitabilità del centro respiratorio basta guardare il tracciato 8. Esso è preso da un coniglio del peso di 1700 gr. al quale si era iniettato un gramma di cloralio nell'addome: quando fu addormentato si legò nella trachea un tubo a T, un ramo lo si mise in comunicazione con un tim- pano di Marey che scriveva sul cilindro i movimenti della corrente dell' aria respi- rata che passava nell'altro ramo aperto. Nel punto A si ferma il cilindro e si fanno Fig. 8. 12 forti movimenti respiratori col soffietto e poi torna a mettersi in movimento il cilindro. Il respiro si ferma per 48'': ma i movimenti non tornano più all'altezza di prima, se non dopo un altro minuto dalla fine del presente tracciato. Il tempo è scritto ogni 2 secondi. Che l'eccitabilità del centro respiratorio sia diminuita durante l'apnea, l'aveva dimostrato primieramente Rosenthal, quando trovò che l'eccitazione elettrica del mon- cone centrale del vago rimane senza effetto nell'apnea (1). Dopo lo dimostrarono Kronecker e Marckwald irritando direttamente il centro respiratorio nell'apnea (2). L'azione dell'apnea si estende a tutto il sistema nervoso perchè la pupilla si restringe quando cessa il respiro, e la pressione nelle arterie diminuisce perchè si dilatano i vasi sanguigni, e Leube trovò che cessano le convul- sioni prodotte dalla stricnina. Knoll (3) aveva già veduto che per mezzo del cloroformio e dell'etere è più facile produrre l'apnea negli animali e che essa dura più lungamente, e lo stesso avevano trovato Kionka e Filehne (4) per mezzo della morfina, e quanto più intenso era l'av- velenamento tanto maggiore era l'apnea. Anche nell'uomo succede una diminuzione nell'eccitabilità del centro respiratorio per effetto dell'apnea simile a quella che osservammo nel tracciato 7 preso su di un cane. Riferisco una esperienza fatta sopra di me (fig. 9). Dopo colazione alle 14 (1) ' Archiv f. Phys. „ 1879, p. 593. (2) " Arch. f. An. und Phys. „, 1867, p. 629. (3) Knoll, " Akad Berichte, Wien „, 1876, p. 233. (4) Filehne und Kionka, " Pfliiger's Archiv „, 1896, p. 234. LA FISIOLOGIA DELL APNEA STUDIATA NELL UOMO 37.: mi seggo e applicato il pneumografo doppio sul torace all'altezza delle mammelle sto 15 minuti immobile, perchè il respiro diventi normale e regolare. Ad un certo punto un assistente mi dice di fare tre profonde inspirazioni. La pausa che succede dura solo 9". Il tempo è scritto ogni 2 secondi. Dopo l'15" che feci la prima inspirazione profonda sono nuova- mente avvertito che devo fare tre inspirazioni pro- fonde. Questa volta l'apnea dura 16". Dopo un tempo eguale al primo, ripeto tre profonde inspirazioni e l'apnea dura 22". Faccio una quarta volta tre inspi- razioni e l'apnea dura nuovamente 22" e dopo conti- nuando non cresce più ma rimane costante 22". Aspetto 15 minuti senza fare alcun esercizio di apnea, stando seduto perchè il centro respiratorio torni ad essere nelle condizioni di prima: facendo nuo- vamente tre inspirazioni il periodo di arresto è sempre di 20" a 22". Delle esperienze simili le feci con eguale risul- tato sul meccanico del mio Laboratorio, Luigi Corino, d'anni 51, ma non mi riuscirono su altre persone e ricorderò fra queste l'inserviente Giorgio Mondo e il Dott. Aggazzotti, nei quali sono meno evidenti e spesso mancano completamente i fenomeni dell'apnea per tre ed anche per sei inspirazioni profonde. Malgrado queste eccezioni si può tuttavia consi- derare come una regola confermata nel cane e nel coniglio, che quando si produce per la prima volta l'apnea con un numero determinato di respirazioni, questa ha una durata minore che non abbia l'apnea successiva fatta con un numero eguale di respirazioni, e questa è più breve della terza. Tali differenze si osservano solo se l'apnea viene fatta ad intervalli di tempo non troppo lunghi, e di- pendono dalla diminuzione di eccitabilità che produce nel centro respiratorio ogni singola apnea, cosi che riprendendo la respirazione artificiale il centro respi- ratorio non ebbe ancora tempo a rimettersi comple- tamente dal disturbo subito nelle precedenti apnee. Qualche volta succede di trovare delle persone nelle quali l'eccitabilità del centro respiratorio è così grande che invece di scemare la forza delle respirazioni dopo averne fatte alcune profonde invece aumenta. Dei vari esempi che mi capitarono ne riferisco uno solo : Depaoli Maria è una donna robusta di 22 anni nella quale non è possibile produrre l'apnea con una serie di inspirazioni profonde. Si osserva anzi il fenomeno contrario; perchè quanto più durano le inspirazioni profonde e sono più numerose, altrettanto cresce dopo la forza 376 ANGELO MOSSO 10 del respiro per effetto della fatica. In questa donna un arresto di 20" dei movimenti respiratori non produce alcun effetto, come si vede nel tracciato 10. Essa è appog- giata alla tavola imbottita nell'inclinazione di 45°. Con un pneumografo doppio sul torace stretto sopra le mammelle ed un altro sull'addome fissato all'altezza dell'om- bellico. La linea superiore è quella del torace, la inferiore dell'addome. Le chiudo le narici comprimendole colle dita durante 20", e si vede che non succede alcun mutamento nel torace e nel diaframma, e i movimenti respiratori ricominciano inal- terati colla medesima forza di prima. Ripeto una seconda volta l'esperienza con eguale assenza di reazione. Questa insensibilità del centro respiratorio ai mutamenti del sangue, apparve anche più evidente quando le feci respirare dell'anidride carbonica; ma di questo parlerò in una prossima memoria. Dirò solo che la respirazione in me si cambia in modo profondo per delle inalazioni di anidride carbonica, che in questa donna non producevano alcun effetto e questo dimostra che esistono delle differenze profonde nella eccitabilità del centro respiratorio. Fig. 10. È noto per le ricerche di vari autori, e per quelle recenti di Aronson (1) che nei neonati non si riesce a produrre l'apnea e nei gatti anche una ventilazione che durasse cinque minuti non era capace di produrre una pausa del respiro. La spiega- zione che diede Aronson di questo fatto non mi persuade; per comprendere questo stato refrattario del centro respiratorio ai mutamenti del sangue che succedono ad una forte ventilazione, a me pare molto più semplice di ammettere che le cellule del centro respiratorio funzionino per virtù propria e non si lascino influenzare da questi mutamenti dei gas del sangue. Questo vale per uno stato di grande vitalità del centro nervoso, e specialmente negli animali neonati e molto giovani. Quando coi cambiamenti del respiro, facendo una ventilazione forte del polmone si riesce a produrre l'apnea, è segno che la vita- lità non è più così grande, e che si può facilmente produrre una depressione nella eccitabilità delle cellule nervose. Ritornerò su questo argomento in una prossima memoria sulla fisiologia generale della respirazione; per ora mi basta mostrare che le persone nelle quali per mezzo di una serie di inspirazioni profonde non sono riu- (1) H. Aronson, Ueber Apnoe bei Kaltblutern und neugeborenen Saugethieren , ' Arch. f. Phys. ,, pag. 267. 11 LA FISIOLOGIA DELL APNEA STUDIATA NELL UOMO 377 scito a produrre l'apnea, erano anche insensibili alla diminuzione dell'ossigeno e ad un aumento dell'anidride carbonica nel sangue. Un fenomeno simile lo si può osservare in modo molto più evidente nei cani leggermente curarizzati che hanno tutti i riflessi esagerati. Questo lo vediamo in questo cane della Fig. 11 : In alto è scritta la respirazione toracica, in basso l'ad- dominale; il tempo è segnato ogni 2". Tutte tre le volte che facciamo il respiro artificiale aumenta la forza delle re- spirazioni, e poi queste vanno rapidamente decrescendo. L'aumento della forza è maggiore nel diaframma che non sia nel torace. Fig. 11. I tracciati riprodotti in questo capitolo mostrano quali siano le difficoltà che presentansi in questo studio per le variazioni individuali, e per i cambiamenti che succedono nella stessa persona in condizioni differenti. Quando però le esperienze siano limitate a delle persone che si conoscono bene e queste si studino nelle condi- zioni del determinismo sperimentale, le variazioni non sono punto di ostacolo, anzi costituiscono un mezzo efficace per l'analisi dell'apnea, perchè lavorando nelle stesse condizioni, i fenomeni sono costanti in ogni individuo e le variazioni individuali aiu- tano a conoscere meglio la natura dell'apnea. § 3. Inspirazioni coli 'ossigeno — l'anidride carbonica e l'idrogeno. Facendo una inspirazione profonda coll'ossigeno non si trova un effetto diverso da quello che si produca facendo una inspirazione egualmente profonda coll'aria: e neppure respirando a lungo l'ossigeno si produce più rapidamente l'apnea di quanto succeda coll'aria atmosferica. Queste esperienze hanno una grande importanza per la dottrina dell'apnea, ed è stato Hoppe-Seyler il primo che abbia fatto notare come l'aumento dell'ossigeno nel sangue non abbia importanza nella produzione dell'apnea. Vi fu intorno a questo argomento un lungo dibattito che non è qui il luogo di pren- dere minutamente in esame perchè si trova riferito in quasi tutti i lavori sull'apnea. Seme II. Tom. LUI. x1 378 ANGELO MOSSO 12 Dirò solamente che le ultime ricerche di Fredericq (1) colle quali determinò la ten- sione dell'ossigeno nel sangue arterioso di cani che respiravano dei miscugli gassosi ricchi in ossigeno, permisero di troncare tale questione mostrando che l'aumento del- l'ossigeno nel sangue ha pochissima influenza nella produzione dell'apnea. Infatti la tensione dell'ossigeno raggiunge il 70 °/0 di un' atmosfera nel sangue di un cane il quale respira dell'ossigeno puro, senza che si produca l'apnea. Venne cosi definitivamente abbandonata la dottrina di Pfliiger il quale ammetteva nelle prime ricerche fatte per analizzare l'apnea, che nel sangue vi sia una provvista di sostanze facilmente ossidabili le quali producono la dispnea, e che devono essere continuamente distrutte dall'ossigeno. Quando si produce una lunga ventilazione dei polmoni, facciamo aumentare il contenuto dell'ossigeno libero nel plasma e nei tes- suti e diminuisce, o si distrugge, questa provvista di sostanze facilmente ossidabili. In seguito a tale modificazione del sangue l'animale nell'apnea consuma meno ossi- geno, o quasi punto, perchè non esistono più queste sostanze facilmente ossidabili ; e solo lentamente tornano ad accumularsi. Ammesso che la mancanza di ossigeno fosse la causa dei movimenti respiratori, Pfliiger credeva di aver spiegato in questo modo l'apnea. Anche Rosenthal (2) al quale dobbiamo la parola apnea, e che studiò profonda- mente questo fenomeno, credeva che il grado di attività del centro nervoso della respirazione si dispiegasse in ragione inversa del contenuto in ossigeno del sangue, e che succedesse l'apnea quando il sangue era saturo di ossigeno ; ma queste dottrine insieme a quella di Hoppe-Seyler (3) che faceva dipendere l'apnea dalla stanchezza dei muscoli respiratori non servono per spiegare l'apnea. Per brevità non riproduco i tracciati delle esperienze che feci respirando l'ossi- geno, non essendosi osservato alcuna differenza in raffronto coll'aria, tanto nelle per- sone nelle quali si produceva facilmente l'apnea, quanto in quelle nelle quali era più difficile e nelle altre in cui non si poteva ottenere. Che l'ossigenazione più abbondante del sangue non sia il fattore dell'apnea era già risultato dalle esperienze di Thiry fin dal 1865, il quale era riuscito a produrre l'apnea con una mescolanza a parti eguali di aria e di idrogeno (4). Ma è stato Head (5) il fisiologo che recentemente ha studiato meglio la respirazione dei gas indifferenti e riuscì a produrre l'apnea nel coniglio, insufflando per mezzo di una pompa dell'idrogeno puro nei polmoni. Esperienze simili possono anche farsi sull'uomo, come si vede nel tracciato 12. Mi servo di due cilindri della capacità di circa 50 litri, come quelli che si trovano nel commercio per trasportare l'ossigeno compresso a 10 atmosfere. Uno di questi cilindri è pieno di aria compressa a 2 atmosfere e l'altro è pieno di idrogeno a 2 atmosfere. Una maschera che serve a coprirmi la faccia è messa in comunicazione con un cilindro pieno di idrogeno compresso. La corrente di idrogeno è così forte (1) " Centralblatt f. Physiologie ,, 1894, p. 34. (2) J. Rosenthal, Altes und Neues ilber Athcmbewegungen, " Biologisches Centralblatt „, I B., p. 121. (3) Hoppe-Seiler, Ueber die Ursache der Athembewegungen, " Zeitschrift f. phys. Chemie „, 1879, m B., p. 105. (4) Fbedehicq, Dictionnaire de Physiologie par Charles Richet, Tome I. 634. (5) Head, On the Regulation of Respiration, " Journal of Physiology „, Voi. X, 1889, p. 40. 13 LA FISIOLOGIA DELL'APNEA STUDIATA NELL'UOMO 379 quando si apre la chiavetta, che sono sicuro di respirare solo idrogeno. Dopo fatta questa prima parte della esperienza nella quale si vede in R che l'apnea durò 16", un poco meno di quanto per solito succeda in me dopo una inspirazione profonda, faccio una esperienza coll'aria contenuta in un cilindro eguale e compressa egualmente a 2 atmosfere. Adopero la medesima maschera e faccio una sola inspirazione mentre che passa una forte corrente d'aria, e non si vede in A una differenza notevole nella durata dell'apnea. Fig. 12. Il tracciato 13 è un'esperienza fatta sopra Giorgio Mondo, a digiuno, stando coricato, dopo che aveva dormito. Nel cilindro avevo fatto una mescolanza di aria compressa e di idrogeno in modo che l'analisi dava 7,3 °/0 di ossigeno. Dopo una Fig. 13. inspirazione profonda, l'arresto durò 26". La curva è diversa da quella del tracciato 5 preso sulla medesima persona. Ma questa differenza 1' attribuisco alla sonnolenza nella quale trovavasi Giorgio Mondo e la medesima curva si ottiene talvolta anche se respira l'aria normale. Se però invece dell'aria atmosferica facciamo una inspirazione con dell'anidride carbonica, anche se questa trovasi mescolata a molt'aria, succede un mutamento no- tevole nel respiro. Analizzerò meglio queste esperienze con un tracciato fatto sopra me stesso. Nella fig. 14 faccio una inspirazione di anidride carbonica servendomi della stessa maschera che aveva servito per l'idrogeno e per l'aria. Un assistente, nel punto se- gnato C02 , mentre stavo compiendo una inspirazione, fa passare una forte corrente di anidride carbonica dentro la maschera ; succede un leggero arresto e dopo l'inspi- razione procede senza essere molto profonda. Eccetto il sapore acido dell'anidride carbonica, durante l'inspirazione e l'espira- zione successiva, non provai alcuna sensazione. Anche nella prima inspirazione che feci dopo coll'aria normale non sentii nulla di variato dentro di me: ma nella seconda 380 ANGELO MOSSO 14 si manifestò una leggera ambascia, sentii che diventava più forte il bisogno di respi- rare e anche nel capo ebbi una impressione di molestia, come di una fugace sen- sazione di vertigine e di ronzìo nelle orecchie. Il tempo è segnato ogni 2 secondi. Il ritardo di oltre 10 secondi nella sensazione soggettiva, è dovuto non solo al tempo che occorre perchè il sangue più ricco di ossigeno arrivi al midollo ed al cer- vello, per questo basterebbero due o tre secondi, ma i 10 secondi sono necessari perchè si accumuli l'anidride carbonica nelle cellule del midollo. E dunque piuttosto la funzione del lavaggio e della ripulitura che è impedita e il C02 non agisce av- velenando colla sua penetrazione, che in tale caso sembra dovrebbe essere più rapido, l'effetto della sua presenza nel sangue. Fig. 14. Quanto alla durata così lunga dell'azione dell'anidride carbonica, quando certa- mente l'aria nei polmoni ed i gas del sangue ritornarono normali, è una questione che studierò con maggiore attenzione in un prossimo lavoro. Nell'inserviente Giorgio Mondo l'anidride carbonica produce il medesimo effetto. Il tracciato 15 è un' esperienza fatta scrivendo la respirazione toracica nella quale Fi*. 15. l'anidride carbonica viene inspirata insieme a molt' aria, perchè la maschera è tenuta lontana quasi 5 centimetri dalla faccia. Vi fu una sola inspirazione fatta colla mesco- lanza di aria ed anidride carbonica, ma l'effetto è grande: non solo manca l'apnea che prima mi ero assicurato che producevasi con una inspirazione egualmente pro- fonda coll'aria e che vedemmo prodursi anche coll'idrogeno nella Fig. 13; ma i mo- vimenti del respiro, rinforzatisi, impiegano un tempo lungo prima di tornare allo stato primitivo. Tali esperienze avendo mostrato che nell'apnea si produce una diminuzione della eccitabilità del centro respiratorio e le osservazioni fatte coll'idrogeno avendo pro- vato che l'apnea non dipende da un aumento di ossidazione del sangue, resta un solo 15 LA FISIOLOGIA DELL'APNEA STUDIATA NELL'UOMO 381 fatto che noi dobbiamo considerare come causa dell'apnea ed è la diminuzione del- l'anidride carbonica nel sangue. Avendo io dato il nome di acapnia alla diminuzione dell'anidride carbonica nel sangue ed ai fenomeni che essa produce, devo considerare come una forma dell'acapnia l'arresto del respiro e i fenomeni che si producono nell'organismo, quando per mezzo di una ventilazione più attiva dei polmoni scema nel sangue l'anidride carbonica. § 4. Analisi dei gas del sangue nell'apnea. La dottrina dell'apnea si fonda in parte sulle analisi del sangue apnoico fatte da Pfliiger (1) e da Ewald (2), e i risultati delle loro ricerche sono noti. Augusto Ewald trovò che nell'apnea il contenuto di ossigeno nel sangue arterioso è aumentato fino quasi alla sua completa saturazione, mentre che è molto diminuito il contenuto di anidride carbonica. Ho voluto ripetere le analisi del sangue arterioso e mi servii a tale scopo del- l'apparecchio di Barcroft e Haldane (3), il quale permette di fare analisi esatte dei gas del sangue con delle quantità molto più piccole di sangue di quelle che si ado- peravano prima per simili studi. Ad un cane da pastore del peso di circa 10 chilogrammi iniettiamo alle ore 15.5' 4 grammi di soluzione di cloralio nella cavità dell'addome per renderlo più tranquillo. Ore 15.55 prendiamo 1 ce. di sangue dalla carotide destra. Vediamo che il sangue è meno rosso del normale 02 = 16.65% C02 = 39.50% Ore 16.7 si fa agire il soffietto per 35" fino a che si produce l'apnea, e si prende un ce. a cominciare da 15" fino alla fine del respiro artificiale O2 = 20.1% C02 = 27.35%. La quantità di anidride carbonica contenuta nel sangue apnoico di questo cane è molto maggiore che non siasi trovato nelle ricerche di Ewald, il quale in alcune analisi trovò appena la sesta parte di anidride carbonica nel sangue arterioso durante l'apnea, essendo scese da 35.1 a 6.5 %. La quantità maggiore di anidride carbonica da me trovata dipende dal tempo molto più breve che ha durato la ventilazione; perchè la ventilazione durava nelle esperienze di Ewald mai meno di 15 minuti. In questo cane avevo prodotto il sonno per mezzo del cloralio e anche questo contribuisce a rendere maggiore la quantità di anidride carbonica. (1) E. Pfluger, Ueber die Ursache der Athembewegungen, sowie der Dyspnoe und Apnoe, * Arch. f. d. g. Physiol. „ I Bd., 1868, p. 101. (2) Adgust Ewald, Zur Kenntniss der Apnoe, " Arch. f. d. g. Physiologie „, VII B., 575, 1873. (3) Barcroft and J. S. Haldane, A method of estimuting the oxygen and carbonio acid in sinall quantities of blood, " Journal of Physiology „, Voi. XXVIII, p. 232. 382 ANGELO MOSSO Ui Nella esperienza della Fig. 16 appare evidente che l'apnea non si produce quando i gas del sangue hanno raggiunto un valore determinato: ma quando invece essi modi- ficarono la eccitabilità del centro respiratorio in modo tale di depressione da pro- durre l'apnea. Si tratta di un cane nel quale ho fatto l'analisi del sangue arterioso preso nella carotide in due condizioni differenti di eccitabilità procurando di ottenere colla respirazione per mezzo del soffietto le medesime variazioni nei gas del sangue. Fi?. 16. Per rendere più eccitabile il midollo amministro all'animale 5 ce. di una soluzione di curare, del quale 0.2 bastano per paralizzare una rana, il cane pesa circa 9400 gr. Quando l'animale è paralizzato quasi completamente e funziona solo più il diaframma, mi assicuro che non può ottenersi l'apnea nel modo ordinario. Nel punto segnato P e fino nel segno { prendo il sangue che analizzo: 0,= 16.91 °/0 C02 = 22.44 °/0. Fig. 17. È dunque un sangue che ha i caratteri dell'apnoico, e sebbene contenga meno ossigeno e meno anidride carbonica del sangue precedente, che ho riferito per raf- fronto, non si riesce a produrre l'apnea. Aspetto che sia passata l'azione del curare e dopo un'ora somministro ripetuta- mente quattro schizzetti che contengono ciascuno 1/2 gr. cloralio. Diminuita a questo modo la eccitabilità del midollo compare l'apnea quando si fa la respirazione artifi- ciale. La Fig. 17 rappresenta la continuazione della esperienza, in alto è scritta la respirazione toracica, in basso l'addominale: poi viene il tracciato del tempo scritto ogni 2 secondi. 17 LA FISIOLOGIA DELL' APNEA STUDIATA NELL'UOMO 383 Quando è finita la respirazione artificiale che continuai per un tempo quasi eguale, prendo dalla carotide un altro campione di sangue da a in ai. L'analisi diede 02 = 17.59% C02 = 22,94%. La quantità del C02 era dunque quasi eguale a quella dell'esperienza precedente e poco superiore l'ossigeno, ma questa volta si produsse l'apnea, mentre è mancata nell'altra. § 5. Influenza della posizione del corpo sulla durata dell'apnea. È noto che il respiro ed il polso cambiano la loro frequenza secondo le posizioni del corpo. Se studiamo la durata dell'apnea stando in piedi, o coricati, osservasi una differenza ; nella posizione eretta dobbiamo fare uno sforzo e la contrazione dei mu- scoli ci stanca: ma il fenomeno è più complesso. Esaminerò meglio in un prossimo lavoro come varii il respiro nelle varie posizioni del corpo, per ora mi , limito a dire che l'apnea dura meno nella posizione orizzontale, che nella posizione verticale. In queste esperienze, come nelle precedenti, le persone per non affaticarsi si appoggia- vano contro il letto inclinato a 45° ; e questo poteva facilmente mettersi in posizione orizzontale senza che la persona si movesse, perchè la tavola era fissa con due perni intorno ai quali poteva girare facilmente prendendo l'inclinazione da noi voluta. Nell'inserviente Giorgio Mondo stando in posizione orizzontale l'apnea prodotta da quattro inspirazioni profonde durava circa 18 secondi: mentre che per un egual numero di inspirazioni profonde fatte stando inclinato a 45° l'apnea durava in media 24 secondi. Riferisco per maggiore esattezza le cifre di una serie di simili esperienze. Posizione orizzontale. Fa quattro profonde inspirazioni: durata dell'apnea 17". Dopo 10 minuti fa altre quattro inspirazioni: durata 20" e dopo altri 10 minuti durata 17". Mettiamo Giorgio Mondo nella posizione inclinata a 45° girando la tavola, sulla quale è coricato. Facendo quattro inspirazioni egualmente profonde e alla medesima distanza l'una apnea dall'altra, otteniamo i seguenti valori 22", 24", 25". Nel Dott. Marro una serie di esperienze eguali diede un risultato analogo. Stando orizzontale e facendo quattro inspirazioni profonde, in lui si produce un'apnea più lunga che nell'inserviente Giorgio Mondo; ecco i risultati di due serie. Posizione orizzontale. Durata dell'apnea in tre osservazioni fatte l'una dopo l'altra alla distanza di 10 minuti: 30", 25", 25". Lo si mette nella posizione di 45°, girando la tavola colla materassa. Fa nuova- mente una serie di tre osservazioni alla distanza di 10 minuti, con quattro inspira- zioni profonde per ciascuna, la durata dell'apnea è maggiore, perchè l'arresto del respiro dura 33", 34", 35". Dice che sente la vertigine più forte che non provasse nella posizione orizzontale, e che compare prima, cioè a 14" e 15" dopo la prima inspirazione profonda, mentre che nella posizione orizzontale la vertigine per anemia cerebrale compariva dopo 16" a 17" ed era più debole. 384 ANGELO MOSSO 18 Facendo queste esperienze ci eravamo messi davanti ad un grande orologio a pendolo che segnava i secondi, cosi che potevasi vedere il tempo. Eguali esperienze fatte sopra di me ed altre persone diedero i medesimi risultati. In un prossimo lavoro dimostrerò che la quantità d'aria misurata non cambia se facciamo una inspirazione profonda stando coricati, o stando nella posizione di 45°. Le differenze che osservammo ora dipendono dai mutamenti che succedono nella circolazione del sangue per effetto delle inspirazioni profonde. § 6. La pressione del sangue nell'apnea. Studiando nell'uomo l'apnea collo sfigmomanometro si vede che la pressione del sangue diminuisce. La fig. 18 è un'esperienza fatta sul Dott, Colombo. L'altezza delle pulsazioni co- mincia già a diminuire durante le 8 inspirazioni profonde e diventa minore nell'apnea Fig. 18. per crescere durante le prime inspirazioni. Le ondulazioni di Hering e Traube che prima erano bene evidenti scompaiono. La pressione era 11 cent, di mercurio. Sopra di me (fig. 19) appare meno evidente la diminuzione nella forza del polso, ma pure è notevole la diminuzione della pressione sanguigna durante l'apnea, che prima era uguale a 12 cm. di mercurio. Qualche volta, come si vede in questo tracciato preso su me stesso collo sfigmo- manometro, vi è un aumento successivo della pressione sanguigna, il quale corrisponde al periodo dell'incipiente asfissia, quando sono anche più forti le respirazioni. La diminuzione della pressione sanguigna durante l'apnea e il successivo au- mento, quando ricominciano i moti respiratori, si può vedere meglio nel tracciato preso sopra di un cane (fig. 20). In un cane del peso di 10.500 gr., al quale si è fatta la tracheotomia, si scrive la pressione del sangue per mezzo di un manometro a mercurio messo nella arteria 19 LA FISIOLOGIA DELL'APNEA STUDIATA NELL'UOMO 385 femorale. Un pneumografo di Marey applicato sul torace trasmette i movimenti della respirazione ad un timpano a leva. Le curve sono rovesciate, cioè, contrariamente a tutte le altre riprodotte prima, la linea scende nella inspirazione e sale nella espi- razione. La pressione oscilla fra 12 e 14 centimetri di mercurio nel principio del trac- ciato. Devo avvertire che fu trattenuta la penna del timpano che scriveva il respiro perchè non toccasse la curva della pressione, cos'i che le inspirazioni non furono scritte in tutta la loro escursione, dal punto dove comincia la respirazione col sof- fietto fino dove finisce. La pressione si abbassa notevolmente durante la respirazione artificiale. Appena questa cessa, sale la pressione sanguigna. La frequenza del polso è maggiore durante l'apnea, ma di poco. Quando la pressione ha raggiunto e supe- rato il valore primitivo non è ancora ricominciato il respiro. Fig. 20. Finita l'apnea il torace si porta in una posizione fortemente espiratoria. Anche nell'uomo vi è questa diminuzione di attività del centro respiratorio, come abbiamo detto in principio, cosi che il torace prende una posizione espiratoria più pronunciata. Tale depressione del torace la vediamo in quasi tutti i tracciati precedenti ed è un segno che l'attività del centro respiratorio è scemata nell'apnea. Ma si vede pure nei Sekie II. Tom. LUI. i1 386 ANGELO MOSSO LA FISIOLOGIA DELL APNEA STUDIATA NELL UOMO 20 tracciati che la tonicità si ristabilisce rapidamente e torna normale la condizione di riposo dei muscoli del torace e quella del diaframma. Riferisco ancora una esperienza fatta sul coniglio. La pressione sanguigna nella carotide era 13 cm. di mercurio nel principio del tracciato 21. L'animale aveva una cannula nella trachea a tre vie, un tubo a T, da una parte vi era un timpano a leva di Marey il quale scriveva la corrente dell'aria inspirata ed espirata come si vede nella linea superiore. Fig. 21. Al coniglio si era iniettato 1 gr. di cloralio nell'addome. Quando si faceva la respirazione col soffietto da a in uu dovevamo chiudere comprimendolo il tubo di gomma che metteva la cannula della trachea in comunicazione col timpano a leva per non guastare la sua membrana coi colpi del soffietto. La pressione scende di oltre 2 centimetri durante la respirazione artificiale e cresce rapidamente appena cessa il movimento del soffietto. Durante l'apnea cresce ancora e supera il livello che aveva prima. È questo un fatto costante il quale cor- risponde al periodo asfittico che osservasi nell'apnea per la forte depressione nella eccitabilità del centro respiratorio. Tale aumento lo osservai in modo costante, così che può dirsi che tanto nell'uomo, quanto negli animali, vi è una contrazione dei vasi che precede ed accompagna le prime inspirazioni quando cessa l'apnea. Questo almeno lo verificai sempre, quando cessa l'apnea nei casi in cui le respi- razioni sono più profonde; e dopo lentamente la pressione torna al valore di prima, mentre pure le respirazioni vanno prendendo l'aspetto normale. Mostrerò in una prossima memoria come un rapido abbassamento della pressione sanguigna possa arrestare i movimenti del respiro. Nei casi qui esposti non credo che tale mutamento della circolazione fosse da solo capace di produrre l'apnea; ma l'ab- bassamento della pressione del sangue che precede l'apnea in modo costante, è certo un fattore non trascurabile della medesima. La diminuita eccitabilità del centro respi- ratorio da cui dipende l'arresto del respiro nell'apnea si produce più facilmente, se insieme all'acapnia vi è una incipiente anemia del centro respiratorio. L'APNEA QUALE SI PRODUCE NEI CAMBIAMENTI DI POSIZIONE DEL CORPO MEMORIA DEL SOCIO ANGELO MOSSO Approvata nell'adunanza del 24 Maggio 1903. § 1. Salathé (1) fu il primo a studiare nel Laboratorio di Marey col metodo grafico i mutamenti che succedono nella respirazione di un coniglio legato sopra una tavo- letta di Czermak, tenuto verticale colla testa in alto e i piedi in basso. In questa posizione i movimenti del respiro vanno rallentandosi e diminuiscono di ampiezza fino a che cessano completamente, mentre il cuore continua ancora a battere. Si tratta qui di un fenomeno molto complesso. Salathé fa dipendere la diminu- zione e l'arresto del respiro dall'anemia del cervello e dai mutamenti che succedono nella secrezione del liquido cerebrale, io ho preso in considerazione altri fattori. Il metodo più comodo per tale studio è di legare un cane che dorma per mezzo del cloralio, sopra un sostegno girevole di Rothe ; e di scrivere con due pneumografi il respiro addominale e toracico. Quando dalla posizione orizzontale si gira il sostegno in modo che l'animale abbia la testa in alto, succede un arresto del respiro, cui segue un rallentamento molto notevole del ritmo respiratorio, senza che cresca in propor- zione corrispondente la forza dei movimenti respiratori. Si produce una vera apnea, come si vede nel tracciato 1. In questo come in tutti i tracciati seguenti si scrissero in alto i movimenti della respirazione toracica e in basso quelli del diaframma. Per brevità non starò più a ripetere tale avvertimento pei tracciati successivi (2). A prima vista questo tracciato potrebbe lasciar credere che per il cambiamento di posizione siasi modificato il bisogno di respirare, perchè il cane rimase mezzo minuto senza respirare, e dopo il torace e l'addome cominciarono a muoversi con un ritmo (1) Salathé, De l'anemie et de la congestion cérébrales provoquées mécaniquement . Travaux du Labo- ratoire de M. Mabey, II, 1877, pag. 259. (2) Il respiro fu scritto con due pneumografi fatti da un timpano a bottone colla membrana elastica; il movimento veniva registrato sul cilindro colla trasmissione ad aria per mezzo di un timpano a leva del Marey. Le penne erano così disposte che nella inspirazione la linea si alza, e si abbassa nella espirazione. Per brevità mi servirò di questo segno ° per indicare la posizione verticale colla testa in alto ; e di questo o— per indicare la posizione orizzontale. 388 ANGELO MOSSO lentissimo quale si vede nella seconda parte della fig. 1. È però facile convincersi che l'arresto del respiro produce un'incipiente asfissia e che il ritmo è divenuto troppo lento per provvedere in modo sufficiente allo scambio dei gas. lavimi» """ ■"' L»"""""* L*"" ' X^*"** Fig. 1. La fig. 2 rappresenta le fasi successive di un'altra esperienza simile. E un cane grosso leggermente cloralizzato. Scrissi il tracciato della respirazione addominale e toracica, ma per brevità riproduco solo quello della respirazione del torace; la penna che scriveva era messa in modo che la linea scende nella inspirazione e si alza nella espirazione. Il cane era legato sopra il sostegno di Rothe; nel principio si trova in posizione orizzontale »-, quando lo metto verticalmente °, succede un arresto del respiro che dura 24". Il tempo è scritto sotto ed ogni interruzione Fig. '2. corrisponde a 2"; per brevità non ripeterò più tale avvertimento. Dopo una inspira- zione più profonda il respiro ricomincia colla stessa forza di prima, ma il ritmo è ridotto quasi alla metà. La parte superiore della curva che segna la espirazione va leggermente rafforzandosi. Quando mettiamo nuovamente il cane orizzontale nel segno o- succede un rapido aumento della frequenza e i movimenti respiratori sono più intensi di quelli che vedonsi in principio del tracciato. Torniamo a mettere il cane in posizione verticale nel segno i e si riproduce l'apnea come prima. Per ottenere questa apnea dovuta ai cambiamenti di posizione del corpo occorre che gli animali siano addormentati con un narcotico qualunque. In altre esperienze, come già osservammo nello studio dell'apnea nell'uomo, le respirazioni formano una serie crescente, mentre che l'animale persiste nella posizione colla testa in alto e le gambe in basso. l'apnea quale si produce nei cambiamenti di posizione del corpo 389 Il tracciato 3 è preso sopra un cane cloralizzato, e fisso sul supporto di Rothe, nel quale si scriveva il respiro per mezzo di un tubo a T messo nella trachea: per per un ramo passava l'aria e l'altro stava in comunicazione con un timpano di Marey. Era un piccolo cane del peso di 4700 gr. Anche qui sebbene per brevità non sia riprodotto il tracciato normale della posizione »•— prima dell'apnea, si vede il fenomeno dell'aumentata respirazione pas- sando alla posizione orizzontale. La reazione che succede colla intensità maggiore dei Fig. 3. movimenti respiratori, e la frequenza cresciuta, mostrano che l'animale mentre era nella posizione verticale non respirava a sufficienza e dalla forma della scala crescente e decrescente possiamo farci fino ad un certo punto un'idea dei bisogni respiratori e del modo col quale si è riparato al disturbo succeduto. Nella seconda parte della fig. 3 vediamo come si ristabilisce spontaneamente il respiro nella inci- piente asfissia per mezzo di una serie crescente di respirazioni. Fig. 4. Facendo delle esperienze sui conigli si vede che l'apnea è tanto più lunga e completa quanto più diminuiscono le forze dell'animale ed è profondo l'assopimento. Il tracciato 4 è una esperienza fatta sopra di un coniglio del peso di 1800 gr., al quale iniettammo 32 ce. di soluzione di cloralosio 1 °/0. Si era messa nella trachea una cannula a T, un ramo della quale era in comunicazione con un timpano di Marey e scriveva i movimenti del respiro sul cilindro, mentre l'altro serviva al passaggio dell'aria. Si scrive un primo tracciato A sollevando il coniglio nel segno °: esso non era legato alla tavoletta, e lo tenemmo semplicemente per le orecchie alzandolo, mentre le gambe pendevano in basso. Aspettiamo che l'assopimento sia divenuto più profondo e torniamo a sollevarlo nello stesso modo. La curva sottostante B rap- 390 ANGELO MOSSO 4 presenta questa esperienza: vediamo nel segno ° che il respiro cessa completamente e tale arresto è durato più di un minuto. Qualche volta l'arresto è tanto completo che l'animale muore. Quando il respiro è molto lento e debole questo metodo della cannula a T non basta per decidere se sono cessati i moti respiratori. Per convincersene basta guardare il tracciato 5. Si tratta di un coniglio clora- lizzato che ha una cannula a T nella trachea colla quale si scrive il respiro con un timpano Marey ; mettendolo in posizione verticale, nel segno f il respiro si arresta ; ma tale arresto è solo in apparenza completo: chiudendo la cannula tracheale in modo che i polmoni restino in comunicazione solo col timpano registratore subito appaiono evidenti i moti del respiro. Fig. 5. Nel tracciato 5 è pure evidente che successe una diminuzione profonda nella fre- quenza del ritmo e nella forza dei movimenti respiratori passando dalla posizione oriz- zontale alla verticale. Nell'ultima parte della fig. 5 appare quanto sia intensa la reazione che succede nella forza e nella frequenza del respiro quando si torna alla posizione orizzontale , e dalla forma delle curve vediamo che prevale la corrente espiratoria. Oltre all'anemia cerebrale di cui si è già occupato Salathé (senza averla però analizzata con sufficiente estensione) nasce il dubbio che questo arresto del respiro sia un fenomeno riflesso, ed una inibizione simile a quella che studieremo fra poco nell'uomo, dove osserveremo rallentarsi il respiro nel passare dalla posizione oriz- zontale alla verticale. Avendo però veduto che alcuni conigli profondamente clora- lizzati possono morire, quando si mettono in posizione verticale, senza poter più ese- guire alcun movimento respiratorio, si deve respingere il dubbio che si tratti di una inibizione in via riflessa. § 2. La circolazione sanguigna nei cambiamenti di posizione del corpo. L'influenza che la forza di gravità esercita sulla circolazione del sangue venne già studiata da L. Hill (1). Interessandomi di analizzare meglio questa influenza per i rapporti che essa ha coi fenomeni dell'apnea, ho voluto fare alcune esperienze scrivendo contemporanea- (1) L. Hill, The influence of the force of gravity on the circulation of the blood, " Journal of Phy- siology ,, Tome 18, pag. 15. l'apnea quale si produce nei cambiamenti di posizione del corpo 391 mente il respiro e la pressione del sangue con un manometro a mercurio, come si vede nel tracciato 6. È un coniglio del peso di 1900 gr. avvelenato con 15 ce. di solu- zione satura di cloralosio iniettato nella vena giugulare. Ho messo nella trachea un tubo a T e dal ramo libero scrivo nella linea superiore i movimenti della corrente di aria respirata. Noi vediamo che la pressione sanguigna diminuisce quando l'animale passa dalla posizione orizzontale a quella verticale. Se si tiene per breve tempo il coniglio in questa posizione succede un abbassamento della pressione di 60 o 70 mm. e si sarebbe inclinati a credere che questa sia la causa dell'apnea; ma prolungando YYVYWYVTìI '|mAll«w^#w^ f^^-À^/ Kg. 6. per un tempo più lungo 1' osservazione come succede in questa esperienza (fig. 6) vediamo che la pressione da 130 mm. scende a 76 mm., poi si rialza e supera il valore primitivo per scendere nuovamente a 100 mm. L'influenza che la posizione del corpo può esercitare sulla circolazione del sangue e sulla funzione del respiro appare evidente nella sincope la quale succede nelle per- sone molto deboli, se dopo una lunga malattia passano improvvisamente dalla posi- zione orizzontale a quella verticale. Hill attribuisce a questi mutamenti della circolazione un'influenza inibitrice sul respiro; egli crede che nel cambiamento di posizione vi sia uno stimolo dei nervi sensibili e che le terminazioni dei vaghi siano eccitate da una tensione dovuta al cambiamento di posizione. Ma vedremo che l'apnea ed il rallentamento del respiro si producono anche negli animali che hanno i vaghi tagliati: onde tale fatto deve spiegarsi in altro modo. § 3. Influenza della gravità sui movimenti del respiro. Il peso degli organi contenuti nella cavità dell'addome e del torace, quando questi gravitano e tirano in basso il diaframma e il torace, può diventare un ostacolo per il libero funzionamento dei moti respiratori. Un coniglio normale, come un cane, può respirare per un certo tempo, quando è messo in posizione verticale: ma se per mezzo del cloralio, o dell'anemia, o di un mezzo qualunque, si diminuisce la forza 392 ANGELO MOSSO 0 dei centri nervosi e dei muscoli, esso non può più respirare bene, ed è specialmente il diaframma che ne soffre. L'esperienza della fig. 7 venne fatta sopra un coniglio coi vaghi tagliati, che pesava 1600 gr., al quale iniettammo 1 gr. di cloralio nella cavità addominale. L'ani- male è legato sul supporto di Czermak e scriviamo il respiro per mezzo di una can- nula a T messa nella trachea, essendo un ramo del tubo in comunicazione con un timpano a leva. Nel passaggio dalla posizione orizzontale alla verticale il respiro quasi scompare nel tracciato tanto sono deboli gli impulsi che la corrente dell'aria trasmette al timpano registratore. Mettendo nuovamente il coniglio in posizione oriz- zontale, succede una forte reazione. I movimenti espiratori sono essi che colla intensità insolita producono questo effetto, che sembra sproporzionato alla causa della breve interruzione che lo ha prodotto. Per eliminare gli effetti della gravità pensai di immergere gli animali nell'acqua. Preparai un grande recipiente pieno di acqua tiepida a 36°. Nella fig. 8 si vede nel principio il tracciato normale, poi nel segno f il cambiamento di posizione. Quando si mette il coniglio verticale il respiro si arresta, ma appena in A si immerge il coniglio nell' acqua fino al collo, cessa 1' arresto del respiro. Evitata l'azione della gravità, il diaframma e l'addome funzionano bene. Torno a rimettere il coniglio in posizione orizzontale o- e manca la reazione, od è piccola. Nel segno ° si rimette il coniglio nell'acqua in posizione verticale e manca l'apnea. L'arresto del respiro non è dunque dovuto all'azione dei vaghi che siano stirati, perchè qui erano recisi; e neppure è la circolazione che basti a produrlo, ma la influenza preponderante è meccanica. Il peso dei visceri che agiscono sul dia- framma (e che prenderò meglio in esame fra poco) l'animale può sollevarlo nella espirazione, finché sono normali le sue forze, ma se per mezzo del cloralio, o di altro narcotico, si indebolisce l'animale, i movimenti del respiro cessano. Succede pel dia- framma, quanto vediamo nei muscoli flessori delle dita coll'ergografo, che non sono più capaci di muovere un peso, quando questo supera colla sua resistenza lo sforzo del quale i muscoli sono capaci. Fenomeni simili di arresto avvengono pure nell' uomo, benché in grado meno spiccato. È noto che la frequenza del respiro cambia secondo la posizione del corpo, la media che trovasi nei trattati per la frequenza del respiro nell'uomo adulto è di 13 movimenti al minuto stando coricati, 19 seduti, e 22 stando in piedi. Questo non lo si verifica più stando per qualche tempo orizzontali e passando 7 l'apnea quale si produce nei cambiamenti di posizione del corpo dopo alla posizione verticale. Se nelle circostanze comuni della vita la respirazione è più frequente stando in piedi, ciò dipende da altre cause che sono più influenti per accelerare il respiro di quelle che ora studiamo. Il tracciato 9 fu preso prima in posizione orizzontale su Giorgio Mondo. Dopo aver scritto la respirazione toracica e ad- dominale inclino il tavolo sul quale esso è coricato. Nel passare alla posizione ° di 45°, il torace si deprime portandosi in una posizione più espiratoria, mentre il diaframma si abbassa por- tandosi più in inspirazione. Giorgio Mondo in questa come in 393 Tor Ad Fig. 9. tutte le altre esperienze simili sente una leggera vertigine nel momento che passa dalla posizione orizzontale a quella di 45°: è questo un segno di un'incipiente anemia cerebrale. I movi- menti del torace si rinforzano, ma divengono più lenti ; e poco per volta tendono a prendere la frequenza e la forza di prima. I movimenti dell' addome rimangono più deboli nella posizione verticale di quanto non fossero nella orizzontale. Sopra di me il rallentamento del respiro nel passaggio dalla posizione orizzontale alla verticale dura più a lungo e anche la forza delle inspirazioni toraciche diviene maggiore, come si vede nella figura 10 dove è scritta solo la respirazione tora- cica. Verso la metà venne inclinata la tavola su cui ero coricato e passai dalla posizione orizzontale a quella di 45°. In me non si produce la sensazione della vertigine, sebbene il peso degli organi addominali che agiscono tirando in basso il torace e il diaframma sia maggiore. Infatti io sono più grasso e peso 85 chilog. con una statura di 1,78, mentre Giorgio Mondo pesa solo 64 chilog. ed è alto 1,69. Osservai che nelle persone magre e giovani succede un rallentamento del respiro meno notevole, quando passano dalla posizione orizzontale alla verticale. Gli organi che agiscono sul diaframma pesano più di 4 chilog. Serie II. Tom. LUI. 394 ANGELO MOSSO Il fegato pesa da solo quasi 2 chilog. La milza, lo stomaco non li contiamo, ma il cuore gravita certo sul diaframma nella posizione eretta, e sono 350 gr. pel muscolo cardiaco e 360 per il sangue contenuto nei ventricoli senza contare le orecchiette ed i grossi vasi. I polmoni pesano in media 1300 grammi, ma varia molto il peso del sangue che possono contenere. Questo peso, che può calcolarsi ad un minimum di Fig. 10. 4 chilog. ma che certo lo supera, agisce in due direzioni dal disopra e dal disotto del diaframma e tirando injbasso il diaframma produce un aumento^, della capacità dei polmoni, come si vede nel tracciato della fig. 11. Io ero nel principio coricato sulla tavola in posi- zione orizzontale. Sotto il tempo che segna i 2 se- condi vi è una linea spezzata fatta per mezzo di una penna che si alza quando passo dalla posizione orizzontale alla verticale e viceversa torna ad ab- bassarsi ad ogni movimento orizzontale che viene impresso alla tavola. In FP è indicata la posizione delle penne. Faccio alcune inspirazioni profonde in modo da produrre 1" apnea , poi chiudo la narice destra con un tappo di cera modellato prima sulla apertura della mia narice destra in modo che la chiuda bene. Questo tappo è attraversato da un tubo di vetro che comunica con un timpano a leva di Marey. Chiudo la narice sinistra comprimendo col dito contro il setto nasale. L'aria dei polmoni, mentre tengo aperta la laringe, forma una cavità chiusa dal timpano e si scrivono le pulsazioni del cuore. Nel punto A si abbassa la tavola dalla parte dei piedi e passo alla posizione di 45°, l'aria nei polmoni si dilata e la leva si abbassa. Subito dopo si torna a mettere la tavola in posi- zione orizzontale e la leva si alza e torna alla posizione di prima. In B passo nuo- vamente alla posizione verticale e torna a dilatarsi la cavità toracica e la pressione diventa negativa. Ritorno alla posizione orizzontale e l'aria torna alla pressione di prima. In C si ripete ancora una volta il passaggio alla posizione di 45° e torna a prodursi una rarefazione dell'aria. Il restringimento del torace che producesi tutte le volte che noi passiamo dalla Fig. il. 9 l'apnea quale si produce nei cambiamenti di posizione del corpo 395 posizione orizzontale alla verticale, è dunque compensato dall'allungamento del dia- metro verticale per l'abbassarsi del diaframma. Per conoscere il valore reale di questi mutamenti della capacità polmonare, ho messo un manometro in comunicazione colle narici. Era un semplice tubo di vetro piegato ad U pieno di acqua, con una divisione in millimetri. Feci l'esperienza che ho riferito colla fig. 11, solo che invece di scrivere i cambiamenti di pressione col timpano di Marey, si leggevano i valori della pressione sul manometro. Ripetendo queste esperienze, facendo precedere una leggera apnea, trovai che passando dalla posizione orizzontale alla verticale di 45° producesi una pressione negativa di 15 mm. di acqua nei polmoni. La differenza di volume deve essere maggiore (1), come dimostrai studiando la circolazione nei polmoni in seguito ai movimenti del respiro, nel mio lavoro sulla circolazione del sangue nel cervello dell'uomo (Capitoli IX e X). Esaminerò ancora in una prossima memoria sulla fisiologia comparata del diaframma e del torace i mutamenti che succedono nel respiro pei cambiamenti di posizione del corpo. (1) Supponendo che in me l'aria residua e di riserva, cioè 1' aria contenuta nei polmoni alla fine di una espirazione moderata, come succedeva in queste esperienze, sia di 2800 ce, la diminu- zione di volume che si produrrebbe passando dalla posizione orizzontale alla verticale, sarebbe solo di 4 o 5 ce. MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA KICEBCHE ANGELO MOSSO Approvata nell'adunanza del 24 Maggio 1903. I. L'azione dei centri nervosi sui movimenti del respiro. I problemi fondamentali della respirazione intorno ai quali da lungo tempo discu- tono i fisiologi sono essenzialmente due: si tratta di sapere se i movimenti del respiro siano riflessi od autoctoni ; se vi sia solo un centro respiratorio nel midollo allungato, o se pure esistano altri centri nel midollo spinale e nel cervello. Mi sono già occupato due volte di questo argomento: nel 1878 (1) e nel 1885 (2). Ora comunico altre esperienze le quali dimostreranno meglio che i movimenti del respiro sono autoctoni, e che i movimenti del torace, del diaframma, della faccia e dell'addome funzionano in modo indipendente per mezzo di centri nervosi speciali fra loro associati. Comincierò con una esperienza fatta sopra un animale coi vaghi tagliati, per vedere subito cosa succede facendo la respirazione artificiale in un cane dove sia eliminata la variazione ritmica dei gas del sangue che si produce nella respirazione normale, e dove sia esclusa la sensibilità dei polmoni. Si tratta di un cane del peso di 8500 grammi, il quale in ripetute iniezioni aveva ricevuto 9 grammi di cloralio nella vena giugulare, ed al quale si erano dopo tagliati i due nervi vaghi. Quando incomincia il tracciato (fig. 1) è più di un minuto che fac- (1) A. Mosso, Sui rapporti della respirazione addominale e toracica nell'uomo, " Archivio per le scienze mediche ,, 1878. (2) Id., La, respirazione periodica, " Memorie della R. Acc. dei Lincei ,, 1885. Tor Ad 398 ANGELO MOSSO 2 ciamo la respirazione artificiale per mezzo di un soffietto messo in comunicazione colla trachea, senza che ci riesca di modificare i movimenti del respiro. In alto è scritta la respirazione toracica ed in basso l'addominale. Adoperai a tale scopo due timpani messi intorno al torace come quelli del pneumografo di Marey, i quali per mezzo di un tubo a forchetta comunicavano con un timpano a leva, il quale scriveva sul ci- lindro di un motore Baltzar. Un altro timpano che portava sulla membrana elastica un bottone sporgente di sughero, poggiava sull'addome in corrispondenza della regione epigastrica, ed era tenuto in posto da un tubo di piombo pieghevole per adattarlo meglio per mezzo di un sostegno nella posizione voluta. In questo come in tutti i tracciati seguenti le linee si alzano nella inspirazione e scendono nella espirazione: il tempo è scritto in modo che ogni dente corrisponde a un intervallo di due secondi. Per brevità, non dirò più nulla riguardo al tempo, bastando questo avvertimento anche pei tracciati successivi. Quando si sospende la respirazione artificiale vediamo che il ritmo del respiro spontaneo procede inalterato, che i movimenti del torace e del diaframma non cam- biano menomamente. Una respirazione artificiale intensa che aveva durato più di un minuto non era dunque bastata a produrre l'apnea, e dobbiamo conchiudere che questo animale sia insensibile ai mutamenti dei gas del sangue che si producono per mezzo della respirazione. Nel tracciato 1 ricominciamo due volte a far la respira- zione artificiale per circa 40 secondi e tutte due le volte vediamo che il respiro non subisce alcun mutamento. Da questa esperienza appare che anche dopo il taglio dei vaghi esiste un go- verno della respirazione, e che i mutamenti del sangue quali si producono anche nella respirazione più intensa, non bastano a modificare il ritmo e la forza dei movimenti respiratori e che per ciò dobbiamo considerarli come automatici, od autoctoni, come il Gad propose di chiamarli. Tutte le modificazioni del respiro che succedono negli animali coi vaghi intatti si possono riprodurre dopo recisi questi nervi, solo che bisogna adoperare degli sti- moli più forti. Questo lo vediamo nel tracciato 2. È un coniglio del peso di 1600 gr. al quale si amministrò un grammo di cloralio nell'addome. Fatta la tracheotomia, quando fu bene addormentato gli si tagliarono i vaghi, e legammo un tubo a T nella trachea: un ramo fu messo in comunicazione con un timpano di Marey; l'altro libero serviva alla respirazione. La cur.va scritta in I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 399 questo tracciato rappresenta la velocità della corrente dell'aria inspirata ed espi- rata, e siccome il coniglio impiegava un tempo più lungo ad inspirare che non ad espirare, così nel tracciato normale quasi non si vede l'inspirazione e solo appare l'espirazione colla linea ascendente. Nel punto a segnato da una freccia } avviciniamo un debole getto di anidride car- bonica al tubo della trachea donde penetra l'aria nei polmoni. La inspirazione si rinforza, ma la espirazione diviene più energica che non sia l'aumento della inspira- zione. In w cessa l'amministrazione di anidride carbonica che penetrava nei polmoni mescolata con molta aria. Sebbene fossero inattivi i vaghi, vediamo che si è prodotta una modificazione profonda del respiro. Le due curve, quella che unirebbe il vertice di tutte le espi- razioni da a in iu; e quella sottostante che unirebbe il principio di tutte le espira- zioni, non si rassomigliano. Questo dipende da ciò che per eifetto dell'anidride car- Fig. 2. bonica reagirono in modo diverso il centro inspiratorio e quello dei muscoli espiratori. L'effetto sulla espirazione, come vedesi nella curva guardando il vertice delle espi- razioni nella linea superiore, si mantiene più lungamente elevata che non la linea che passerebbe per la base di tutte le inspirazioni verso il basso. Questa esperienza è istruttiva per coloro che ancor oggi non ammettono che la espirazione sia attiva. Qui appare evidente che l'anidride carbonica agisce per un tempo più lungo e più intensamente sul centro espiratorio che non su quello inspi- ratorio. L'anidride carbonica esagera i fenomeni respiratori nell'animale coi vaghi tagliati dove vediamo entrare in azione i muscoli espiratori dell'addome e spesso anche quelli della faccia in modo più forte che non succeda nel respiro normale. Ritornerò su questo argomento con altre esperienze più evidenti dove scriveremo le contrazioni dei muscoli retti dell'addome. L'animale è così profondamente addormentato per mezzo del cloralio che non reagiva più al dolore. Per tale ragione dobbiamo ammettere che l'anidride abbia agito direttamente sui centri della respirazione. Non può essere un riflesso" dovuto ai nervi della pelle, o ad altri nervi sensibili, perchè comprimendo forte le zampe con una tanaglia non erasi ottenuto prima alcun effetto. Non mi fermo a discutere se la respirazione dipenda da riflessi che si producono per influenza della sensibilità generale; dirò solo che ad un cane avvelenato profon- damente col curare e nel quale solo il diaframma si muove, si possono stritolare le 400 ANGELO MOSSO 4 ossa delle dita, senza che succeda la più piccola modificazione nel ritmo e nella forza delle contrazioni diaframmatiche. Ho già pubblicato i tracciati di cani resi insensibili col cloralio (1), nei quali aprii largamente l'addome e il diaframma, e i muscoli del torace continuavano a funzionare, mentre i polmoni erano in collasso, cosicché i movimenti respiratori erano inutili. La stessa anidride carbonica, che forse è lo stimolo più potente del centro respi- ratorio, può diventare anch'essa inattiva. Amministrando ripetutamente del cloralio ad un coniglio si ottiene un sopore così profondo, che la temperatura rettale può scendere a 24°. I movimenti del respiro diventano estremamente deboli. Se in tali condizioni si chiude la trachea, spesso gli animali muoiono di asfissia senza reagire. I movimenti del respiro si rallentano e crescono pochissimo di profondità, fino a che cessano completamente. Centri respiratori cerebrali. Ho già dimostrato in un altro lavoro le relazioni dei centri respiratori cerebrali coi muscoli della faccia; ora vedremo meglio come agiscano sul respiro i centri respi- ratori cerebrali e le funzioni psichiche. Quando scrissi il tracciato 3 io ero coricato Fig. 3. sopra un sofà ed avevo intorno al torace un pneumografo doppio (2) ; ero solo nella stanza e sul tavolo dinanzi a me stava il motore Baltzar, sul quale scrivevasi il tracciato del respiro. Stando profondamente tranquillo compaiono delle ondulazioni nel tracciato, e mi accorgo che esse corrispondono ai fenomeni psichici. Quando, sto attento, il tracciato forma una linea orizzontale: ma tutte le volte che mi distraggo, la serie delle respirazioni si abbassa. Quando mi accorgo che nella mia coscienza appaiono delle imagini e delle cose alle quali prima io non pensavo, e si stabiliscono dei fatti psichici che non hanno più una concatenazione collo stato pre- cedente delle idee, guardando il cilindro vedo che la penna si è alzata e il torace (1) La respirazione periodica e di lusso. Tav. VII, pag. 43. (2) In tutte le esperienze fatte sull'uomo in questa memoria, adoperai il pneumografo doppio di Ch. Verdin che non descrivo perchè la figura trovasi a pag. 102 del suo catalogo. Dirò solo che feci sempre attenzione perchè la membrana elastica dei due timpani fosse egualmente tesa. Una cinghia di cotone inestensibile serviva a fissare il pneumografo per mezzo di una fibbia intorno al torace o all'addome. La tensione giusta della membrana elastica si ottiene facendo scorrere late- ralmente 1' uno o 1' altro timpano che sono mobili e si fissano per mezzo di una vite a pressione. Nella inspirazione la penna si alza. 5 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 401 è passato in posizione inspiratoria più forte. Le inspirazioni diventano più piccole e la tonicità dei muscoli toracici aumenta. La differenza nei mutamenti del torace e dell'addome durante l'attenzione, la distrazione ed il sonno l'ho già descritta in due lavori precedenti, ma non avevo tenuto calcolo della rapidità colla quale si compiono queste modificazioni. Nel sonno è facile dimostrare che la coscienza ed il pensiero si destano e funzionano prima che abbia potuto modificarsi la circolazione. In un mio prossimo libro sul sonno pubbli- cherò le osservazioni che feci in tale riguardo studiando la circolazione sanguigna nel cervello dell'uomo. I riflessi si compiono nell'uomo con ritardi abbastanza lunghi, ed è lunghissimo fra tutti quello della deglutizione. Fra l'eccitazione dei nervi sensibili e la contrazione successiva dei muscoli inter- cede un tempo percettibile; ma per i mutamenti del respiro, non ho potuto accorgermi di questo ritardo; quando succede il mutamento psichico succede contemporaneamente il mutamento nel respiro. Guardando il tracciato appena cessa la distrazione e si ristabilisce il fenomeno dell'attenzione, vedo che si è arrestata nella discesa la penna e che è già cominciata una inspirazione più alta. Sono dunque fenomeni sincroni e diversi dai riflessi comuni, onde si deve ammettere l'esistenza di centri respiratori cerebrali. Pur riconoscendo che vi sia nel midollo allungato un centro che manda impulsi ritmici ai centri spinali del respiro, dobbiamo ritenere che fra la corteccia cerebrale ed il centro del midollo allungato devono esistere delle relazioni più intime e più dirette che non siano quelle che producono i riflessi ordinari, i quali si compiono con lentezza molto maggiore. Differenze individuali, e mutamenti nella eccitabilità del centro respiratorio. Il concetto che noi dobbiamo farci di un eccitamento è quello di una causa che produce un mutamento nella condizione della vita delle cellule; di una causa cioè che è capace di alterare la costituzione chimica delle cellule. Quanto maggiore è la vita- lità delle cellule, tanto più sarà grande la resistenza che esse oppongono agli agenti perturbatori. È questa una affermazione che a primo aspetto lascia dubbiosi ; ma per comprendere come dobbiamo tenere distinto il concetto della vitalità da quello della eccitabilità, basta pensare a cosa succede negli animali neonati, che sono i più refrat- tari all'asfissia. Invecchiando gli animali e l'uomo diventano sempre meno resistenti alle cause perturbatrici del respiro. È questo un fatto importante per la fisiologia generale della respirazione che ho già accennato in una precedente memoria sull'apnea, e che torna utile di esaminare meglio. Loewy in un lavoro che fece sulla eccitabilità del centro respiratorio giunse alla conclusione che " la eccitabilità del centro respiratorio presenta una grande (auffallend) costanza „ (1). Le esperienze che ho fatto sull'uomo mi diedero dei risul- tati che contraddicono tale affermazione. (1) A. L(ewt, Zur Kennlniss der Erregbarkeit des Athemcentrums, " Arch. f. d. g. Physiologie voi. 47, pag. 620. Sesie II. Tom. LUI. a2 402 G LO MOSSO Non mi fermerò qui a fare la critica del metodo di Lcewy, né a cercare la ragione di questa differenza. Credo clie ad impugnare tale affermazione del Lcewy siano sufficienti le esperienze che ho già pubblicate intorno all'apnea e quelle che esporrò adesso. Il metodo che adoperai in queste ricerche consiste nel chiudere il naso e sospen- dere la respirazione per un tempo eguale p. e. 10" e vedere quali sono le modifica- zioni che succedono nel respiro. Mettendo un pneumografo intorno al torace e scri- vendo i movimenli respiratori si osserva una grande costanza nei tracciati quando le persone stanno tranquille. Per maggiore regolarità dei tracciati è meglio chiudere le narici sempre alla fine di una espirazione. Fi" 4. Il primo fatto che risulta da queste esperienze è che le persone giovani sono generalmente più refrattarie all'asfissia che non gli adulti od i vecchi, cioè un arresto del respiro produce nei giovani una reazione meno intensa che negli adulti e nei vecchi. Questo lo vediamo nei seguenti tracciati: Al ragazzo del laboratorio Gay Giu- seppe, che ha l'età di 15 anni, applico un pneumografo doppio di Marey intorno all'addome. Come nelle precedenti ricerche sull'apnea, per evitare la fatica di stare in piedi, le persone da me studiate si appoggiavano contro una tavola imbottita che stava inclinata a 45°. Nel tracciato 4 chiudo per 3 volte successive il naso, comprimendogli colle dita le narici. L'addome si rilascia e passa in una posizione espiratoria maggiore durante la pausa del respiro ; l'altezza delle inspirazioni rimane quasi costante, solo la toni- cità e la posizione espiratoria del diaframma si è modificata e dopo si ristabilisce. Il tracciato 5 rappresenta pure il respiro del diaframma e fu preso sopra di una donna coricata in posizione orizzontale. Il tempo nel quale le tenevo chiuse le narici è più lungo e varia da 16" a 20". Anche qui vediamo che la pausa del respiro non produce alcun effetto e le inspi- razioni che succedono dopo tale arresto non sono cambiate, ne per il ritmo, ne per la forza. I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 403 Il tracciato 6 lo prendemmo sopra un garzone del laboratorio meccanico, certo Clhiffa, di anni 15: esso rappresenta la respirazione del torace scritta mentre stava coricato orizzontalmente. Gli chiudo le narici e dopo 24" le apro: succede una inspi- razione più forte, ma questo non è un fatto costante, perchè era mancata nell'esperienza precedente e manca pure nella successiva. L'importante è di vedere che un arresto così lungo produce un effetto minimo sulle respirazioni successive. Nelle persone adulte non vi è più questa impassibilità del respiro per una pausa. Dei molti esempi che potrei riferire, ne prendo due a caso nella serie delle esperienze fatte e li riproduco colle figure 7 ed 8. Un vecchio di 76 anni, certo Manini Carlo, 404 ANGELO MOSSO O ha il pneumografo doppio intorno al torace (fig. 7). Per quattro volte gli chiudo le narici comprimendole colle dita durante 10". In tutte queste esperienze, come nelle precedenti, e nelle successive fatte in altri giorni per raffronto, ottenni sempre una reazione più forte del respiro che non succeda nei giovani per una pausa eguale del respiro, o per una molto più lunga. Il tracciato 8 fu preso sopra Agostino Caudana, un uomo robusto dell'età di 51 anno, sul quale feci le mie prime ricerche sulla respirazione ora sono già più di 25 anni. Anche in lui, come succede in me, l'arresto del respiro fatto per 10" produce una reazione costante e molto più grande che nelle persone più giovani. In queste esperienze non possiamo dire che l'eccitamento fosse minore: anzi siamo certi che nello stesso tempo si accumula nei giovani una quantità maggiore di anidride carbonica nel sangue. Forse era doppia la quantità di anidride carbonica che per il medesimo peso in chilogrammi produceva il ragazzo di 18 anni e la donna di 22, in confronto del vecchio di 76, secondo avevano già mostrato le esperienze di Scharling. In questo sono tutti d'accordo che il ricambio materiale sia più attivo nei giovani che nei vecchi, e malgrado che l'intensità dell'eccitamento sia maggiore (se vogliamo chiamare con tale nome la diminuzione dell'ossigeno e l'accumularsi del- l'anidride carbonica nel sangue) è minore la reazione del centro respiratorio nei gio- vani, mentre è più intenso l'effetto negli adulti e nei vecchi. Il prof. Benedicenti fece nel mio Laboratorio una serie di ricerche con altro metodo, le quali diedero il medesimo risultato (1) : studiando il tempo che uno può resistere tenendo il naso chiuso, trovò delle grandi differenze, come era già noto ; ma analizzando l'aria espirata dopo la pausa, vide che la durata più o meno lunga non dipende dalla capacità polmonare, ne dalla quantità di ossigeno consumata, ne da quella dell'anidride carbonica eliminata, ma che le differenze sono dipendenti dalla maggiore, o minore resistenza dei centri nervosi nei diversi individui. Ho pubblicato nel mio libro sulla Fisiologia dell'uomo sulle Alpi, a pag. 274, una tabella grafica nella quale si vedono i rapporti fra la capacità polmonare e il tempo che uno può resistere quando gli si chiude il naso. Facendo queste esperienze sugli studenti che frequentano le mie lezioni ho trovato delle differenze personali inaspet- tate, che certo non possono spiegarsi coll'eccitamento per l'accumularsi dell'anidride carbonica nei polmoni, o coll'azione che la diminuzione dell'ossigeno può avere come eccitamento sul centro respiratorio. Uno studente di Veterinaria, il sig. Gambarotta, di aspetto piuttosto debole e pallido, ci sorprese colla grande resistenza che egli presentò all'asfissia. Credo sia un caso eccezionale, perchè in parecchie esperienze poteva stare un minuto e mezzo senza respirare; e questo succedeva anche quando non faceva una inspirazione profonda prima che gli chiudessi le narici, come si vede nel tracciato 9. In questo foglio vi erano due tracciati eguali fatti sopra di lui. Ho dovuto tagliarne uno in due per non riprodurre una figura troppo lunga. Il respiro fu scritto nel solito modo con un pneu- mografo messo intorno al torace. La penna scende nella inspirazione e si alza nella espirazione. Non ho scritto il tempo, perchè lo contavo coll'orologio a secondi. In (1) A. Benedicenti, Sull'arresto del respiro nell'uomo e cause che ne modificano la durata, R. Acca- demia di medicina, aprile 1897. I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 405 questo tracciato da a in w sono passati 91 secondi prima che aprisse la bocca. Per quasi un minuto il tracciato del torace è perfettamente immobile e si vedono i bat- titi del cuore. In principio della seconda linea il torace non sta più fermo ed immo- bile come prima, ma vedesi un leggero tremito coll'accenno a dei moti inspiratori. Questo tracciato fa uno strano contrasto con altri che pubblicherà fra poco il prof. Galeotti, che pure essendo giovane e robusto resiste normalmente solo 8 secondi alla chiusura delle narici, e deve qualche volta aprire anche prima la bocca per respirare. Degna di meraviglia in questo tracciato è la durata minima della reazione che manifestasi quando il signor Gambarotta apre la bocca e respira spontaneamente. Dopo due inspirazioni profonde il respiro era normale. Lo stesso è succeduto anche Fig. 9. in un tracciato dove stette 98 secondi senza respirare. Non ho riprodotto questo tracciato perchè nell'ultima parte il torace era meno immobile che in questo della figura 9. Nei suoi compagni della medesima età e dello stesso corso il respiro si potè trattenere in media solo circa 30", alcuni anche solo 17", senza che vi fosse alcun rapporto colla capacità polmonare, il peso, o la statura, come appare dai dati miei e da quelli che pubblicò il prof. Benedicenti. Questi fatti mostrano quanto sia diverso lo stato di eccitabilità del centro respiratorio e come non siano attendibili le conclusioni alle quali è giunto Lcewy, che ammette essere costante in tutte le persone e in tutte le circostanze e le ore della giornata la eccitabilità del centro respiratorio, facendo dipendere tutto dagli eccitamenti che agiscono irritando il centro respiratorio. Critica delle dottrine fisiologiche per mezzo delle esperienze fatte sull'uomo. Gli studi grafici che ho pubblicato e che pubblicherò in seguito sulla respirazione spero avranno per risultato di convincere i colleghi che gli esperimenti sull'uomo siano per molti problemi preferibili alle ricerche che si fanno sugli animali. Fu un errore di non aver cercato sempre prima di enunciare una dottrina, se non era possi- bile di rettificarla sull'uomo. I conigli, sui quali vennero fatte fino ad ora la maggior parte delle esperienze per fondare la dottrina generale della respirazione, hanno l'inconveniente di respirare con un tipo diverso dal nostro. La vivisezione, l'uso dei frenografi e degli strumenti che si applicano direttamente al diaframma aprendo la 40G ANGELO MOSSO 10 cavità dell'addome sono metodi violenti che servono meno bene dello studio grafico fatto sull'uomo. Dopo le ricerche di Hering e Breuer (1) tutti i fisiologi danno una grande im- portanza alle eccitazioni dei rami nervosi terminali , colle quali i nervi vaghi si distribuiscono al polmone. È noto come Breuer ed Hering abbiano affermato in seguito alle loro espe- rienze che i mutamenti di volume dei polmoni, cioè la loro estensione e il loro restringimento, influiscono per mezzo del nervo vago sui moti della respirazione; così che la distensione dei polmoni agisce in via riflessa paralizzando l'inspirazione e producendo l'espirazione, e viceversa che per mezzo della diminuzione del volume polmonare si ferma la espirazione, e si eccita una inspirazione. Questi risultati non si ottengono nell'uomo. Esaminando molte persone in varie ore della giornata, alle quali chiudevo le narici per un tempo più o meno lungo Fig. 10. e ripetutamente con metodo nelle varie fasi della rivoluzione respiratoria, mi accorsi che non si verifica nell'uomo la legge dei riflessi enunciata da Breuer ed Hering. Questo disaccordo si vede nel tracciato 10 preso sopra Agostino Caudana, dove essendosi chiuse le narici alla fine di una inspirazione, non incomincia dopo una espi- razione, ma succede invece un' altra inspirazione. Nella 'seconda esperienza avendo chiuso le narici alla fine di una espirazione si produsse una inspirazione dopo l'ar- resto. Nella terza ripetendo la chiusura alla fine di una inspirazione si ottiene non già una espirazione, ma un'altra inspirazione, e così successe parecchie volte di seguito. Per eliminare il contatto colla pelle ho ripetuto queste esperienze servendomi di una maschera di guttaperca modellata sulla faccia delle persone che servivano alle mie esperienze. Il tubo di vetro messo in corrispondenza del naso poteva chiudersi facilmente por mezzo di un tappo conico di sughero . o di gomma , che chiudeva ermeticamente l'apertura. La maschera era a tenuta d'aria per mezzo di mastice da vetrai messo intorno sul bordo. La persona dopo essersi riposata respirando spon- taneamente, sapeva che bisognava lasciar funzionare liberamente il respiro senza intervenire in nessun modo colla volontà. Durante la chiusura la linea decorre orizzontale. (1) Breuer, Die Sélbststeuerung der Athmung durch den Nervus Vagus, * Sitzungsberichte k. Ak. der Wiss. Wien „, 1868, pag. 909. 11 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 407 Il tracciato 11 fu preso sopra Giorgio Mondo; esso ha un timpano doppio intorno al torace e sta coricato nella posizione di 45°. Nella prima esperienza, chiudendo l'accesso dell'aria alla fine di una inspirazione, non vi è alcun cenno di una espirazione e siamo incerti se si verifichi la legge di Breuer ed Hering, ma nelle due esperienze successive non si verifica più. Quindi non possiamo ammettere che nella respirazione normale l'azione del centro nervoso sia influenzata dagli stimoli meccanici che vengono dalla periferia per mezzo del nervo vago. Qui vediamo che la distensione polmonare dovuta all'inspirazione non produsse l'inibizione del movimento inspiratorio : la prima volta si ebbe un prolungamento della inspirazione, e nelle due ultime esperienze il respiro cominciò con una inspirazione. Bastano, credo, questi esempi per mostrare che la dottrina di Breuer ed Hering non può applicarsi all'uomo e ritornerò in seguito su questo argomento. Respirazione coli' idrogeno. Dopo essermi convinto con queste esperienze che manca la sensibilità tattile e per cosi dire meccanica per i movimenti del polmone, uno può facilmente convincersi che manca pure la sensibilità chimica nelle terminazioni periferiche del vago. Respi- Fig. 12. rando l'idrogeno, l'azoto, e l'acido carbonico mi assicurai che questi gas non eccitano il polmone, e che per essi il polmone è insensibile. L'idea di servirsi dell'idrogeno per eliminare l'azione dell'ossigeno nella respi- razione, fu una delle prime che venne ai fisiologi: ma non si trasse da queste espe- rienze molto profitto, perchè si faceva respirare troppo lungamente questo gas in modo da produrre l'asfissia. Bisogna fare solo due o tre inspirazioni. Riproduco una esperienza fatta coll'idrogeno sopra me stesso (Fig. 12). Mentre sono coricato in posizione orizzontale col pneumografo doppio sul torace e si scrive il 408 ANGELO MOSSO 12 respiro, mi viene messa sopra la faccia una maschera di metallo dalla quale esce una forte corrente di idrogeno puro che trovasi compresso a 5 atmosfere in un cilindro. La corrente è così forte che sono quasi certo di respirare tutto idrogeno. Faccio tre inspirazioni profonde e non ho alcuna sensazione, i movimenti profondi del respiro si compiono liberamente come se respirassi dell'aria, manca ogni riflesso che accenni menomamente a modificare il respiro, anche l'apnea che succede è normale: ma i movimenti quando cominciano sono molto più forti che non fossero quando respiro dell'aria. Questo si spiega perchè i polmoni erano pieni di idrogeno e il sangue cir- colando per essi ha potuto liberarsi dell'acido carbonico, ma non ha potuto trovare l'ossigeno occorrente. Head (1), al quale dobbiamo le prime esperienze fatte col metodo grafico per studiare l'apnea nella respirazione coll'idrogeno, esperimentando nei conigli per mezzo di una pompa colla quale insufflava il gas, trovò che la durata dell'apnea è minore di quanto non si trovi respirando l'aria atmosferica o l'ossigeno. Questo mio trac- ciato è più dimostrativo che non sia la curva V della Tav. V di Head. Nell'uomo questa esperienza riesce dunque meglio che nel coniglio. E non trovai che la durata dell'apnea sia molto minore. Ho ripetuto nel giorno che feci questa esperienza sei altre eguali e tutte dettero un risultato identico a questo tracciato che riprodussi. Non riproduco per brevità alcun tracciato dell'apnea ottenuta respirando l'aria atmosferica con tre inspirazioni profonde, perchè simili tracciati li pubblicai nella memoria precedente sull'apnea. La cosa importante non sta nel vedere che per mezzo di un gas indifferente possa prodursi l'arresto del respiro, il che prova che non è l'aumento di ossigeno del sangue che generi l'apnea; ma piuttosto che la diminuzione dell'anidride carbo- nica produca l'apnea. Non possiamo però dire che in questo tracciato non si veda alcun effetto per la deficienza dell'ossigeno. Paragonando le respirazioni che succedono dopo l'arresto del respiro nell'aria atmosferica, troviamo in modo costante che esse sono meno alte di quello che siano dopo la respirazione dell'idrogeno. Dopo la respirazione dell'idrogeno si osserva un aumento di tonicità maggiore che non si osservi dopo aver respirato l'aria atmosfe- rica. Il ritardo che succede prima che si manifesti questa reazione ed il piccolo effetto per la mancanza di ossigeno, ci mostra come l'azione di questo gas nei limiti di queste esperienze sia meno importante dell'anidride carbonica, nell'intimo meccane- simo della respirazione. Malgrado che i polmoni siano pieni di un gas irrespirabile, vi fu una pausa del respiro che ha durato 16 a 20 secondi. (1) H. Head, On the regulation of respiration, " Journal of Physiology „, voi. 10, pag. 40. 13 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 409 n. Il ritmo, la forza dei moti respiratori e il tono dei muscoli che servono al respiro sono fra loro indipendenti. Il numero dei muscoli che prendono parte alla funzione del respiro è troppo grande, perchè sia ragionevole il supporre che tutti vengano messi in azione dalle poche cellule nervose che stanno nel midollo allungato. La differenza fra le funzioni del diaframma e del torace che tratterò fra poco in un capitolo speciale, sono così profonde che certo devono essere dei centri nervosi diversi quelli che entrano in azione. È possibile che nel midollo allungato esista il centro coordinatore di tutti i centri secondari, ma vedremo che ciascuno di questi centri può funzionare in modo indipendente, con delle variazioni sue proprie nel ritmo, nella forza delle contrazioni e nella tonicità dei suoi muscoli. Uno dei fatti più comuni nello studio grafico, quando si confronta la forza dei movimenti respiratori, è di trovare nei tracciati una serie crescente, o decrescente di movimenti respiratori, la quale si forma mentre che rimane costante la frequenza del ritmo. Questo dimostra che la trasformazione delle energie chimiche dalla quale si generano gli eccitamenti succede con un ritmo il quale si sviluppa e funziona in modo indipendente dalla intensità delle conflagrazioni. Cosicché dobbiamo supporre che esistano dei congegni estranei al ritmeggio i quali regolano l'intensità del pro- cesso distruttivo che genera gli impulsi nervosi, che vengono mandati ai muscoli sotto forma di eccitamenti, ora deboli ed ora più forti, ora limitati ad alcuni muscoli ed ora estesi ad altri. La tonicità ossia l'azione persistente colla quale le cellule dei centri respiratori tengono in un leggero grado di contrazione i muscoli che servono al respiro, è anch'essa una funzione che si estrinseca senza dipendere dalle altre. Per conoscere l'economia energetica delle cellule nei centri nervosi dell' attività respi- ratoria non abbiamo altro mezzo che studiare queste tre funzioni, che sono: E la ritmicità che può chiamarsi ritmo e forse meglio ritmeggio ; F la forza ossia l'intensità dei movimenti respiratori; T la tonicità ossia il tono dei muscoli che presiedono al respiro. Le combinazioni possibili di R ed Fsono otto che possono esprimersi coi seguenti segni : l°i?>.^>. 2°R<.F>. 3°R<.F<. i°R>.F<. 5° R costante . F > . 6° R costante . F < . 1° R <.F costante. 8° R>. F costante. Le prime tre combinazioni possono facilmente verificarsi sopra un medesimo animale. Sappiamo infatti dalle ricerche di Winterberg sulla nicotina (1) che le pic- cole dosi di questo veleno agiscono affrettando il ritmo ed approfondendo la inspira- zione cioè R >. F >. Le dosi medie rallentano il respiro e lo approfondiscono R <. F>. (1) Winterberg, Ueber die Wirkung des Nicotins auf die Athmung, " Arch. f. exp. Path. und Pharmak. „, XL1TI, pag. 406. Serie II. Tom. LUI. b2 410 ANGELO MOSSO 14 Le forti dosi rallentano la frequenza dei moti respiratori e fanno diminuire la loro forza fi < . F < . Le esperienze sul dolore sono quelle dove senza volerlo si vede più spesso l'in- fluenza del sistema nervoso sul respiro, e dove appaiono le altre combinazioni, che mostrano disgiunti la profondità ed il ritmo del respiro. Per impressioni deboli ge- neralmente si accelera solo il ritmo e non cambia la profondità, ma possono anche crescere entrambe in modo imponente: oppure si possono col dolore far entrare in azione altri muscoli che non funzionano normalmente nel respiro, e specialmente quelli espiratori dell'addome; come pure si modifica profondamente la tonicità dei muscoli. Nella febbre, nella tachipnea prodotta dal caldo, è facile osservare nei cani che la respirazione è molto frequente e superficiale. La debolezza, le fatiche, le emor- ragie, le emozioni psichiche e molti farmaci producono il medesimo effetto che può rappresentarsi col simbolo E>.F<. Nell'avvelenamento col cloralio e nelle inala- zioni fatte con anidride carbonica si presentano le due combinazioni R costante .F> oppure R costante . F < . La settima forinola si ottiene per mezzo del cloralio o del dolore R <.F costante. L'ottava R >.F costante può aversi respirando dell'aria che contenga 20 a 30 % di anidride carbonica. Non riferisco altri esempì, che sarebbe facile mettere insieme una lunga lista di citazioni prese dal campo della farmacologia : mi basta affermare che esistono tutte queste otto combinazioni, e con esse viene dimostrato che le due funzioni fonda- mentali del ritmo e della forza sono fra loro indipendenti. Nel cuore il ritmo varia direttamente con la eccitabilità : nel respiro queste funzioni non sono collegate fra loro da un intimo rapporto. Però anche nello studio della respirazione appare con evidenza l'applicazione di una legge generale nei pro- cessi della vita, che la diminuzione della temperatura rallenta e scema l'intensità dei processi chimici e quindi anche delle funzioni delle cellule : mentre quando aumenta la temperatura delle cellule nervose diventano più intense le loro funzioni. Ho già detto nella precedente memoria sull'apnea come io sento dentro di me la funzione del ritmo cessare in modo indipendente da quella della forza; mentre in alcune persone quando si produce l'apnea le respirazioni incominciano essendo pic- cole e vanno crescendo, in me, come in altre persone, succede il fenomeno inverso, che le inspirazioni dopo la pausa sono più forti del normale e vanno decrescendo formando una scala inversa. Siccome sento che durante l'apnea manca dentro di me lo stimolo a respirare e quando questo si ristabilisce trovo che sono più forti i movimenti respiratori, devo conchiudere che sono due funzioni fra loro indipendenti, perchè l'una diminuisce e scompare mentre l'altra cresce. Tale indipendenza può anche osservarsi negli animali. Il tracciato 13 fu preso sopra un grosso cane al quale avevamo iniettato 4 gr. di cloralio nella giugulare ed al quale erasi chiusa la trachea in modo da produrre l'asfissia. Si era aspettato che cessasse completamente il respiro, e dopo cominciammo la respirazione artificiale col soffietto, la quale durò circa un minuto senza che l'animale ricominciasse a respirare spontaneamente. Questi tracciati Tor e Ad sono scritti per mezzo di due pneumografi di Marey messi l'uno sul torace e l'altro sull'addome, in modo che le due penne dei timpani registratori si alzano nella inspirazione e scendono nella espirazione. 15 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 411 Nel principio del tracciato 13 si vede come fosse cessata la respirazione arti- ficiale, il torace in alto e il diaframma in basso sono completamente immobili. In A si comincia nuovamente la respirazione, il cane fa una inspirazione spontanea, con- tinuasi per poco il respiro artificiale e subito dopo l'animale comincia a fare delle respirazioni forti che formano una scala decrescente. La frequenza dopo le prime respirazioni si accelera alquanto e dopo si rallenta. Anche qui il congegno nervoso che regola la forza dei movimenti respiratori era pronto a funzionare; mentre quello del ritmo, malgrado la respirazione artificiale Tor Ad Fig. 13. prolungata per circa un minuto, non era in condizione da poter funzionare. Nel torace col ristabilirsi della funzione respiratoria vediamo che si solleva lentamente la posi- zione di espirazione, il che accenna ad un aumento di tonicità che non compare nel- l'addome. Quando per azione della fatica, della corsa o dell'acido carbonico o del freddo facciamo variare profondamente il ritmo e la forza delle respirazioni, è la forza dei movimenti respiratori che torna prima allo stato normale (e qualche volta diviene anche più piccola) senza che la frequenza del ritmo siasi ancora ristabilita al valore di prima. È dunque la funzione del ritmo che dura più a lungo alterata: ed è questa la più sensibile, in cui appaiono più facilmente le modificazioni per delle cause minime, come si vede nei fenomeni psichici e nel dolore. Esperienze sulla tonicità dei muscoli respiratori. Ho già scritto un capitolo intorno alle oscillazioni della tonicità dei muscoli che servono alle funzioni del respiro (1), ora riprendo questo studio per analizzarlo meglio e mostrare la sua indipendenza dalla funzione del ritmo e della forza dei movimenti respiratori. Vedremo pure che il tono presenta delle oscillazioni indipendenti nei vari centri, così che le oscillazioni del tono diaframmatico non corrispondono a quelle della cassa toracica. (1) A. Mosso, La respirazione periodica, * Memorie della R. Aocad. dei Lincei „, 1885, cap. VI. 412 ANGELO MOSSO Iti Guardando un coniglio che respiri tranquillo si vede che l'addome presenta oltre ai movimenti del respiro, dei sollevamenti e degli abbassamenti dovuti ai cambia- menti di tonicità del diaframma. Questi movimenti si compiono in modo lento ed è per ciò escluso il dubbio che dipendano dai muscoli dell'addome. Il tracciato 14 rappresenta i movimenti del respiro di un grosso coniglio. Si era messo sotto all'addome un timpano che aveva nel mezzo un bottone di sughero: un tubo di gomma faceva comunicare questo timpano con un altro timpano a leva capo- volto, cosicché la linea scende quando l'addome si dilata e la curva rappresenta i movimenti dell'addome come si vedono coll'occhio e come sono effettivamente nel diaframma. Il coniglio era libero ed in condizioni perfettamente normali. La prima idea che viene vedendo questi cambiamenti continui che presenta la posizione del diaframma, che ora si innalza ed ora si abbassa, mentre respira tran- quillamente, è che si tratti di fenomeni psichici. Guardando i vasi dell'orecchio per trasparenza vedo però che i loro movimenti di dilatazione e di restringimento non corrispondono ai mutamenti di tonicità del diaframma. Fig. 15. Per decidere se hanno un rapporto con dei fenomeni psichici che non si rivelino con un cambiamento nello stato dei vasi, provo ad addormentare il coniglio iniettan- dogli mezzo grammo di cloralio nella cavità dell'addome. Quando il coniglio dorme profondamente torno a scrivere i movimenti del re- spiro (fig. 15), trovo che sono rallentati e meno forti: male oscillazioni della tonicità esistono egualmente, anzi sono divenute più forti. Non dobbiamo dare importanza alla diminuzione nell'ampiezza dei movimenti respiratori, perchè può dipendere in parte dalla posizione dell'animale: ma erano realmente più deboli guardandoli direttamente. Inietto un altro mezzo grammo di cloralio per produrre una narcosi più profonda e trovo che le oscillazioni nella tonicità sono completamente scomparse. Per due minuti la linea è perfettamente orizzontale ed uniforme. Il tracciato 16 fu preso in queste condizioni: poco prima che cominci il tracciato gli amministrai dell'anidride carbonica e per ciò la serie delle respirazioni va leg- 17 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 413 germente decrescendo per ritornare allo stato normale ; in S si grida forte nell'orecchio e non succede alcun mutamento. In a avvicino alla testa dell'animale una debole corrente di anidride carbonica. Le respirazioni si rinforzano, ma il ritmo cambia poco. Entrano in funzione i muscoli dell'espirazione attiva ; in w cessa l'inalazione di anidride carbonica e il respiro torna lentamente allo stato di prima. In S faccio un suono forte per mezzo di una campana e anche questa volta non vi è più alcun effetto per l'azione del cervello sul respiro. Noi vediamo come siano scomparse le oscillazioni della tonicità, mentre persistono le altre due funzioni del ritmo e della forza. Ora viene spontanea la domanda se questa tonicità abbia il suo centro di azione nel midollo allungato, o nel midollo spinale: se cioè lo stato di leggera contrazione nella quale sono tenuti i muscoli del respiro abbia per origine una relazione di sen- sibilità che esiste nel midollo spinale (come succede per gli altri muscoli) : oppure se dobbiamo ammettere che tali mutamenti abbiano la loro sede nel midollo allungato. Coi progressi della tecnica si misureranno con esattezza questi tempi e sarà questo un campo fecondo di studi; per ora possiamo solo dire, giudicando grossola- namente, sia più logico l'ammettere che i fenomeni della tonicità da noi riferiti pei muscoli respiratori abbiano la loro origine nel midollo spinale e nel cervello. Nella fig. 17 scrivo contemporaneamente sopra di me i movimenti del torace e dell'addome e vediamo che si corrispondono nelle loro variazioni. Tutte le volte che diminuisce la tonicità del torace nella linea superiore Tor, diminuisce pure l'am- piezza dei movimenti del diaframma linea Ad: e quaildo cresce la tonicità del torace cresce anche la forza dei movimenti del diaframma. Vi è qui una corrispondenza simile a quella che ho descritto nella fig. 2 della Memoria sulla respirazione perio- dica nell'uomo studiando gli effetti della distrazione e dei fenomeni psichici. Vi è dunque una relazione immediata fra i centri della respirazione toracica e del dia- framma colla tonicità dei muscoli che entrano in azione, e la forza dei movimenti respiratori presenta delle variazioni sincrone coi mutamenti di tonicità del dia- framma e del torace. Colle impressioni sui nervi della pelle può modificarsi profondamente la tonicità dei muscoli respiratori. Per economia riferisco solo la parte inferiore di un grande tracciato nel quale scrissi sopra me stesso la respirazione del torace e dell'addome durante l'azione del freddo. Il tracciato 18 rappresenta la parte inferiore delle respirazioni come furono scritte dall'addome e vediamo in esso i mutamenti che successero nella posizione del dia- framma per l'azione del freddo. Nel principio del tracciato le respirazioni sono rego- lari. Nel punto segnato dalla prima freccia, mentre mi trovavo nella posizione incli- nata di 45° coi piedi scoperti, il meccanico li bagna con acqua a 14° coll'inaffiatoio che serve alla pulizia del laboratorio. Dove c'è la seconda freccia in basso cessa il getto dell'acqua sui piedi. Per azione del freddo il torace si portò in forte posizione inspiratoria e cosi pure il diaframma, tanto che nel tracciato non si vedono queste prime inspirazioni che furono molto rapide e forti e la loro base nella espirazione passò sopra il vertice delle inspirazioni. La stessa cosa successe pure nel torace, come 414 ANGELO MOSSO 18 vedremo meglio in seguito parlando del tetano inspiratorio. Mentre durava ancora il getto dell'acqua fredda sui piedi il diaframma si rilasciò e prese una posizione di X espirazione profonda, nella quale però eseguiva dei movimenti molto più ampi. Il torace e l'addome si comportarono in modo diverso, ma sarà questo uno studio che faremo in seguito, per ora basta notare quanto siano profondi i cambiamenti nella tonicità del diaframma e come questa diminuisca, mentre ancora persiste l'azione 19 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 415 eccitante; che la frequenza del respiro è diventata quasi doppia di quanto fosse prima, che i moti del diaframma si fecero profondissimi e che l'azione ha durato lungamente quando già era cessata la sensazione del freddo. Alla fine malgrado un moto cosi violento del respiro continuato per un tempo cosi lungo, io non ebbi alcuna sensazione di stanchezza, mentre meno di venti respirazioni volontarie egualmente profonde avrebbero bastato a stancarmi. Quale sia la ragione di questa reazione cos'i intensa è difficile comprendere. Certo questi riflessi della pelle fanno parte di un congegno regolatore. Ma la rea- zione che succede per 'una causa cosi piccola, è tanto intensa, che non sembra pro- porzionata all'effetto utile cui devono tendere i movimenti riflessi per la conserva- zione dell'individuo producendo una intensità maggiore del respiro. Questa forte e prolungata diminuzione del tono nel diaframma appare come un effetto patologico dovuto forse alla stanchezza che si produce nel centro diaframmatico in seguito ad una eccitazione troppo forte. Per effetto del freddo e del dolore sembra che la costituzione chimica delle cellule dalle quali dipendono i movimenti respiratori sia divenuta più instabile. Si comprende che questo sia utile nei processi moderatori, e che i nervi sensibili alla superficie del corpo regolino i processi del metabolismo nel centro respiratorio. Qui vediamo nella sua massima intensità la funzione di questi congegni e questo ci spiega come l'effetto del freddo e del dolore durino così a lungo per la conservazione dell'economia. Il fatto che entrino in funzione i muscoli dell'addome e l'azione degli stimoli respiratori in un campo più esteso di muscoli, fa comprendere l' intento cui sono destinati questi riflessi, che è quello di mantenere il sangue nelle condizioni migliori che occorrono per la nutrizione efficace degli organi, quando giunge dall'esterno una causa perturbatrice. Tetano inspiratorio. Si crede giustamente che i movimenti riflessi siano tutti coordinati ad uno scopo utile che è quello della conservazione dell'individuo; ma spesso non riusciamo a sco- prire il lato utile dei riflessi: e questo lo si vede anche nei movimenti della respi- razione. Riferisco come esempio il tracciato 19 dove io respirai una mescolanza di 20 % di C02 : 30 ossigeno e 50 aria. In un cilindro stava compresso a 5 atmosfere questa mescolanza di gas, eguale ad ossigeno 40 %, anidride carbonica 20 °/0, azoto 50 %• Nel punto segnato dalla linea superiore, quando mi si avvicina alla faccia la ma- schera dalla quale esce un forte getto di questa mescolanza di gas, la linea si abbassa, e quando cessa si alza; succede un tetano inspiratorio, simile a quello che produce il freddo: non saprei come chiamare altrimenti questo fatto pel quale le contrazioni dei muscoli del torace diventano rapidamente più piccole e più alte. Prima che sia finita l'inalazione cominciano già a diminuire le respirazioni e dopo la tonicità scende sotto il normale. Non ebbi alcuna sensazione spiacevole, solo mi accorsi dal gusto acido che respirava anidride carbonica, ebbi un po' di caldo alla testa e sentii rinforzarsi il respiro. Vedendo che il torace si portò in posizione 416 ANGELO MOSSO 20 inspiratoria e che i movimenti sono divenuti più piccoli, non si comprende quale sia l'effetto utile di questo riflesso dove insieme alla dilatazione profonda del torace succede una serie di inspirazioni più piccole e più frequenti. La tonicità del torace subisce dopo una diminuzione, e anche di questo non sappiamo comprendere l'utilità. L'accasciarsi del torace che a primo aspetto si sarebbe inclinati a considerare come un fenomeno di fatica non è cosa costante e lo vidi mancare anche quando l'azione dell'anidride carbonica fu più intensa. Nel tracciato 20 per poco non perdetti la coscienza. Io ero coricato, e si scri- veva il respiro toracico come al solito. Il meccanico Corino mi avvicinò la maschera al volto dopo aver aperto il robinetto del cilindro pieno di anidride carbonica compressa. Avevo fatto alcuni minuti prima un'esperienza simile, ma non avevo potuto resistere perchè l'azione irritante del gas mi aveva prodotto un leggero colpo di tosse. Fig. 20. Nel tracciato 20 respiro l'anidride carbonica da a in w. La maschera non era ermeticamente chiusa sulla faccia; ma fu questa la volta che ne respirai di più perchè l'ambascia e l'affanno furono profondissimi e mi sentii male: però il ronzio negli orecchi e la palpitazione del cuore cessarono presto; tenni gli occhi chiusi e mi parve che si offuscasse la coscienza poco dopo aver fatto segno colla mano di allontanare la maschera. In questa esperienza sebbene sia stato più forte l'eccitamento, se così è lecito esprimersi, fu minore l'effetto che nel tracciato precedente quanto alla tonicità del torace. 21 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 417 Nei movimenti del diaframma per l'azione dell' anidride carbonica si osser- vano tali variazioni nella stessa persona, adoperando la stessa mescolanza, che per spiegarle dobbiamo ammettere una variazione di eccitabilità dei centri respiratori. Ho già riferito una esperienza fatta coll'anidride carbonica su Giorgio Mondo, qui ne riproduco un' altra dove l' effetto sulla tonicità del dia- framma e del torace è più intenso (fig. 21). Egli stava in posizione orizzontale: e nella fig. 21 si vede che per 1' inalazione fatta con anidride carbonica a 20 % essendo il resto di Tor aria, compare un forte tetano inspiratorio nel to- race e nel diaframma. Quando si fanno le esperienze in posizione verticale sono meno evidenti le variazioni nella tonicità del diaframma perchè il peso del fegato e dei visceri addominali tirano in basso il dia- framma. Questo spiega in parte le differenze: ma non basta a spiegarle completamente, come dimostrerò meglio nel capitolo seguente. Quando si trattiene il respiro succede un aumento della tonicità del torace. Nel tracciato della fig. 22 venne scritta con due timpani la respirazione toracica e addominale. Una persona mi chiudeva le narici e quando facevo un segno Pi„ 21. colla mano mi lasciava libero il naso ed io co- minciavo a respirare profondamente. La tonicità del torace si mantiene elevata per un certo tempo e l'effetto è maggiore nel torace che nell'addome. Per vedere se le penne Ad Fig. 22. a leva scrivevano bene essendo eguali i quattro timpani sull'addome e sul torace nel segno X faccio fermare il cilindro ed invertire i tubi. La linea del torace viene in basso e quella dell'addome in alto. Ripeto l'esperienza. L'asfissia compare meno presto perchè fermai alla fine di una inspirazione e dopo ricomincia con una inspirazione profonda. Serie IL Tom. LUI. e2 418 ANGELO MOSSO 22 La fig. 23 rappresenta un'esperienza fatta su Giorgio Mondo, egli era in posi- zione orizzontale ed aveva la maschera sul volto. Nel punto segnato da una freccia applico nel tubo della maschera il tubo di gomma che comunicava colle valvole di Muller. Queste erano molto grosse: in quella che serviva all'uscita dell'aria espirata Tor Ad "" ' ' """" "■■■"■■«■ ■ .,m...,....iii.i.ii.miimmim Fig. 23. vi era appena tant'acqua che bastasse a chiudere ed impedire che nelle forti inspi- razioni l'aria penetrasse nel recipiente. In quella che serviva all'entrata dell'aria per l'inspirazione vi erano 55 mm. di acqua sopra il livello inferiore del tubo per cui Tor Ad Fig. 24. doveva entrare l'aria inspirata. Anche qui 1' effetto è immediato : aumenta la forza delle inspirazioni e si rallenta il ritmo. Non si tratta dunque di un effetto chimico, ma di un riflesso di natura mecca- nica; non è in altre parole un aumento nella forza dei movimenti respiratori causato da un mutamento succeduto nel sangue. Quando si leva il tubo immediatamente il respiro torna normale senza alcun segno di fatica. Questa resistenza di 55 mm. 23 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 419 viene superata senza che si modifichi la tonicità, e scompare senza che la tonicità si alteri. L' aumento di tonicità si osserva non solo per le cause chimiche , per il freddo, ecc., ma anche per le cause meccaniche. Sopra Giorgio Mondo chiudo bene la maschera con mastice da vetrai sulla faccia; un tappo di gomma conico entra esattamente nel tubo di vetro della medesima e lo chiude. Nel punto segnato da una freccia { nella fig. 24 chiudo il passaggio dell'aria, ma non completamente, metto solo un ostacolo ed una piccola parte può ancora pas- sare. Vediamo che la seconda inspirazione diviene più forte, e il ritmo si rallenta. Succede come un tetano inspiratorio: appena levo il tappo torna al normale la toni- cità del torace, e la respirazione un poco più forte ricomincia collo stesso ritmo. Durante la chiusura non vi fu un effetto di asfissia, ma agirono dei semplici movi- menti riflessi che rinforzarono i movimenti del l'espiro e la tonicità dei muscoli. Anche qui appare la legge generale che quando mettiamo un ostacolo alle inspirazioni, è il torace che reagisce ed ha la prevalenza, perchè sono diventate più piccole le contrazioni del diaframma. A primo aspetto si potrebbe credere che si tratti di un fatto dipendente dal senso muscolare, e che l'impulso che deve mettere in moto i muscoli si rinforzi spon- taneamente quando incontra un ostacolo che impedisce al muscolo di raccorciarsi in misura proporzionata allo stimolo. Ma la modificazione del ritmo e il rallentamento del respiro, non può spiegarsi a questo modo : per esso deve esistere un riflesso cen- trale. Vedremo in seguito che un ostacolo messo sopra il torace con un peso di 40 chilogr. non basta per produrre questo rallentamento, cosi che sono probabilmente i nervi vaghi che servono alla produzione di questi riflessi. Influenza della fatica sulla tonicità dei muscoli respiratori. Per studiare la fatica dei muscoli respiratori bisogna eliminare l'apnea e cercare di mantenere costante e normale la composizione del sangue. A tale fine adoperai Fig. 25. un grosso e lungo tubo capace di contenere tutta l'aria complementare. Applicata la maschera sul volto facevo il tracciato della respirazione toracica. Dopo con un lungo tubo di gomma della capacità di circa 1500 ce. facevo delle inspirazioni profonde. Nel tracciato 25 ho fatto una tale esperienza sopra me stesso. Dopo aver ese- guito 14 inspirazioni profonde nel tubo di gomma si vede che è diminuita la toni- cità del torace e che va lentamente scomparendo tale effetto, mentre che le respi- razioni rimangono per un certo tempo più intense di prima. 420 ANGELO MOSSO 24 Tutto induce a credere che in questa esperienza si tratti non di fatti bulbari, ma di fenomeni corticali e spinali dovuti agli impulsi volontari, ed è probabile che gli impulsi che in questa esperienza fecero agire i muscoli del respiro non siano passati per il centro respiratorio come ho già- detto parlando dell'azione del freddo. Che nella stanchezza si produca una diminuzione della tonicità è facile vederlo anche senza fare un grande lavoro muscolare. Al ragazzo del laboratorio Giuseppe Gay applicavo il pneumografo doppio intorno al torace lasciandovi sulla pelle solo una maglia di lana bene aderente. Il pneumografo era fissato non solo circolarmente all'altezza delle mammelle, ma per mezzo di due grossi nastri inestensibili si fissava pure sulle spalle anteriormente e posteriormente in modo da essere sicuri che non si movesse correndo. Dopo aver scritto il tracciato normale (fig. 26) mentre era appoggiato in posi- zione di 45°, si alzò, prese in mano il sostegno di ferro che portava il timpano Fig. 26. registratore e fatta una breve corsa fino in fondo al corridoio del laboratorio, salì sulle soffitte, poi scese in cantina, tornò sulle soffitte e poi sceso al 1° piano donde era partito, ritornò in l'30" a coricarsi sul letto in posizione di 45° avendo percorso due volte 16 metri in altezza sopra una scala di 94 gradini. Prima di scrivere nuo- vamente il tracciato mi assicuravo per mezzo dei segni fatti che il pneumografo fosse a posto come prima. Come si vede, le respirazioni sono molto accelerate e profonde. La tonicità del torace è diminuita. Per un po' si mantiene alla medesima altezza la posizione espi- ratoria del torace e poi diminuisce. Questo fatto lo riscontrai in tutte le esperienze che feci su questo ragazzo. In altri questa seconda parte era meno evidente; ma in tutti la posizione del torace dopo una corsa faticosa con affanno del respiro, portavasi in basso, come si vede in questo tracciato. Il prof. V. Aducco pubblicò già una serie di tracciati interessanti sulle varia- zioni della tonicità muscolare respiratoria nei cani che gli servirono per i suoi studi sull'azione della cocaina sul centro respiratorio bulbare (1). In questo lavoro il prof. Aducco vide che si manifestavano dei cambiamenti di tonicità nei muscoli della (1) V. Aducco, Sur l'existenee et sur la nature du centre respiratoire bulbaire, " Arch. ital. de Biologie „, Tome XIII, pag. 116. 25 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 421 cassa toracica, mentre era completa la paralisi bulbare ed esisteva l'assenza dei movimenti respiratori spontanei. Il tracciato 27 fu preso sopra un cane avvelenato col cloralio nel quale si pro- dusse l'asfissia chiudendo la trachea. Quando cessò il respiro si aprì la trachea, il cuore batteva forte, e si cominciò la respirazione artificiale col soffietto, che durò più Tor di due minuti senza che l'animale respirasse spontaneamente. Nel tracciato 27 si vede in alto la respirazione toracica in basso l'addominale. Al cessare della respira- zione artificiale succede una espirazione forzata e dopo lentamente il torace riprende la posizione di riposo. Nell'addome succede un movimento inverso. Ripeto tre volte queste pause e tutte tre le volte si produce un tracciato identico al pezzo riprodotto nella fig. 27. Nel tracciato successivo, mentre si fa la respirazione artificiale dopo l'asfissia, come si vede nella fig. 28, succedono tre cambiamenti che per la lentezza colla quale Tor Ad Fig. 28. si producono non sappiamo bene decidere se siano movimenti respiratori o semplici cambiamenti di tonicità. Per la durata loro di 12 e più secondi, cioè di 5 al minuto, sarebbero dei moti come non si osservano generalmente. Ma la cosa più singolare è che riprendendo il respiro artificiale, benché questo si compia in modo uniforme, compaiono differenze nel tracciato delle singole respirazioni, che sono dovute ai cam- biamenti di tonicità nei muscoli del torace e del diaframma. 422 ANGELO MOSSO 26 Il cambiamento di tono dei muscoli è una delle questioni difficili che abbiamo nella fisiologia; mi occupai già di questo studio colle ricerche che feci per mezzo dell'ergografo sulla contrattura nell'uomo (1). Dopo ritornai su questo argomento colle ricerche fatte col miotonometro insieme al prof. Benedicenti (2). Se ne occupò pure il prof. Aducco nel mio Laboratorio (3), pubblicando dei tracciati simili a quelli che qui ho riprodotto colle fig. 27 e 28. In questa esperienza vediamo come la tonicità non solo sia una funzione dei muscoli indipendente da quella del ritmo, e dalla forza delle contrazioni, ma appare qui come il primo segno della influenza che il centro nervoso respiratorio risveglian- dosi esercita sui muscoli. L' interpretazione più semplice di questi fatti è quella di ammettere, come abbiamo già sostenuto prima, che il centro respiratorio abbia solo la funzione di coordinare e di regolare i vari centri che costituiscono il sistema re- spiratorio. Comunque sia essendo la tonicità un riflesso prodotto da una eccitazione debole e permanente che giunge ai muscoli dal midollo per mezzo dei nervi motori, dobbiamo riconoscere che la sensibilità per produrre il tono si risveglia nelle cellule nervose centrali prima dell'attività dalla quale dipendono il ritmo e la forza dei movimenti respiratori. Considerazioni sulla natura dei centri respiratori. Tra la funzione del cuore e quella dei centri respiratori vi è una rassomiglianza profonda, perchè entrambi questi organi trasformano l'energia loro interna in un'altra forma di energia che si manifesta periodicamente per mezzo del ritmo, della forza delle contrazioni e della tonicità muscolare. Ritornerò su questo argomento in una prossima memoria sulla respirazione periodica. Le ricerche contenute in questa serie di pubblicazioni alla quale mi accingo, confermarono i concetti esposti da Luciani (4) e da me ora sono già passati più di venti anni, cioè che le funzioni dei centri re- spiratori non dipendono dall'azione diretta ed immediata degli stimoli esterni ed estrinseci ad essi, ma dai processi chimici delle cellule nervose inerenti alla loro vita e dei quali non conosciamo ancora il meccanesimo. Il centro respiratorio dobbiamo considerarlo come un complesso di energie chi- miche le quali si tramutano ritmicamente in altre forme di energia. Certo la vita di queste cellule è legata alle condizioni generali dell'organismo, ed abbiamo veduto come si modifichino le loro funzioni per gli agenti estrinseci, ma ciò nulla meno queste cellule hanno dei processi chimici loro propri che le rendono indipendenti dagli sti- moli esterni. Come in ogni organo fisiologicamente attivo, dobbiamo ammettere l'esi- stenza di una corrente centripeta che porta il materiale per la nutrizione delle cellule nervose; ma questo anabolismo sono pochi i fatti che lo mettano in evidenza; e così pure l'altra corrente di ripulitura e di lavaggio dei congegni nervosi per mezzo della (1) A. Mosso, " Arch. ital. de Biologie „, XIII, pag. 168. (2) Benedicenti, " Archives ital. de Biologie „, Tome XXV, 1896, pag. 385. (3) Aducco, Ibidem, Tome XIII, p. 116. (4) L. Luciani, Del fenomeno di Cheyne e Stokes in ordine alla dottrina del ritmo respiratorio, Sperimentale „. Firenze, 1879. 27 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 423 circolazione linfatica e sanguigna è difficile studiarla. La parte che conosciamo meglio è quella del processo distruttivo, ossia del catabolismo, che appare manifesta nei movimenti respiratori. Lo studio della respirazione è interessante per la fisiologia generale, perchè dal- l'azione che queste cellule esercitano automaticamente sui muscoli, noi desumiamo quale sia il corso e l'intensità dei processi chimici che succedono in esse. La mancanza di ossigeno, l'accumularsi dell'anidride carbonica, le emozioni psi- chiche, l'azione del freddo e del caldo, modificano i processi chimici nelle cellule del centro respiratorio, rendendo più instabile l'equilibrio del loro edificio e promoven- done un disfacimento più rapido. I fenomeni per mezzo dei quali si estrinseca il catabolismo nelle cellule dei centri respiratori sono come delle conflagrazioni periodiche; e vi sono dei processi regolatori i quali impediscono che l'energia accumulata nelle cellule, sviluppi con un processo continuo la sua forza fino all'esaurimento delle energie nervose motrici. Le cellule nervose dalle quali partono gli impulsi che fanno muovere i muscoli della respirazione, essendo le sole che indiscutibilmente abbiano un'attività periodica loro propria, lo studio di questa loro proprietà è utile non solo per controllare lo studio controverso della innervazione cardiaca, ma noi possiamo con esso estendere meglio le nostre conoscenze sulla vita delle cellule nervose. La struttura dei centri respiratori è foggiata sul medesimo tipo degli altri centri nervosi; essi sono probabilmente costituiti da cellule afferenti o centripete, da cel- lule intermediarie nelle quali si sviluppano gli eccitamenti autoctoni e da cellule efferenti o centrifughe che trasmettono gli impulsi ai muscoli, ma è anche possibile che non esistano le cellule intermediarie. Le scorie e i prodotti chimici dovuti alle trasformazioni che succedono nelle cellule per effetto della loro attività non dobbiamo considerarle come dei prodotti inutili e nocivi, perchè essi prendono parte nei processi regolatori. Così ad esempio, l'ani- dride carbonica respirata produce un forte aumento nella forza e nel ritmo del respiro, mentre che la sua diminuzione nell'apnea e nell'acapnia li diminuisce entrambi. Quando vediamo che il cervello modifica tutti i riflessi anche i più lontani, che esso può inibire od eccitare i muscoli involontari, quando in una rana senza cervello vediamo che le comunicazioni fra le cellule del midollo spinale sono così facili e com- plete che basta pungere la pelle in un punto qualunque, perchè tutti i muscoli delle estremità e del tronco si contraggano, sembra inutile il voler ammettere che solo in un centro, cioè nel midollo allungato, esistano le cellule che rispondano in modo coor- dinato agli impulsi che generano i moti del respiro. La velocità dei processi nervosi è così grande ed i moti del respiro sono così lenti che possono sussistere fra le cellule dei centri spinali e cerebrali addetti alle funzioni del respiro, delle relazioni molto più complesse di quanto non si creda ora generalmente. I lavori recenti degli istologi e specialmente quelli del Golgi che mostrarono nelle cellule nervose una rete tanto fitta di terminazioni delle fibre sensibili e delle ramificazioni del cilindro dell'asse, vengono indirettamente a dare una base anatomica alla dottrina del decentramento, cosicché possiamo ammettere l'esistenza di un sistema respiratorio costituito dalle cellule che si trovano in varie parti dei centri nervosi. 424 ANGELO MOSSO 28 III. Fisiologia comparata del diaframma e del torace. In due miei lavori precedenti (1) ho già iniziato questo studio: oravi aggiungo altre osservazioni. La differenza fisiologica tra il diaframma e i muscoli del torace appare evidente nell'azione del curare. Il tracciato 29 rappresenta le respirazioni del torace e dell'ad- dome scritte contemporaneamente in un cane con due pneumo grafi. Era un cane del peso di 8500 grammi al quale in C iniettiamo lentamente 10 ce. di una soluzione Tor Ad Fig. 29. di curare, della quale 0,2 ce. bastano per curarizzare una rana ; vediamo che la forza delle contrazioni toraciche diminuisce rapidamente, mentre cambia poco quella del diaframma. Nel segno \ cessa l'amministrazione del curare. Poco dopo il ritmo si rallenta e le contrazioni del diaframma si mantengono per lungo tempo forti e costanti nel ritmo, mentre la respirazione toracica va poco per volta scomparendo comple- tamente. Questa maggiore resistenza del diaframma pel curare era già nota e Tillie (2) l'ha osservata e descritta. Viceversa nell'avvelenamento colla sparteina, Cushny e Matthews (3) trovarono che i muscoli del torace e dell'addome si contraggono quando (1) A. Mosso, Sui rapporti delia respirazione addominale e toracica nelV uomo, " Archivio delle scienze mediche „, 1878. — Id., La respirazione periodica e di lusso, " Memorie della R. Accademia dei Lincei „, 1885. (2) Schmiedeberg, Grundriss der Arzneimittellehre, 3. Auflage, pag. 62. (3) Cdshnt und Matthews. Ueber die Wirhung des Sparteins, " Arch. f. exp. Path. u. Pharm. „ XXXV, pag. 136. 29 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 425 il diaframma è già paralizzato per modo che anche irritando il nervo frenico colle correnti non si muove più. Ancora recentemente nel Laboratorio farmacologico di Tokio, Hayashi e Muto (1) studiando l'Andromedotossina, videro che quando il nervo frenico era ineccitabile, non erano ancora paralizzati il centro respiratorio e gli altri muscoli respiratori del torace e della testa. Nel mio lavoro del 1878 sui Rapporti della respirazione addominale e toracica nell'uomo, ho già dimostrato la differenza e l'antagonismo che si produce nel sonno fra la funzione dei muscoli del torace e del diaframma ; per cui mentre quest'ultimo scema la forza dei suoi movimenti, quelli del torace la rinforzano. Altre osservazioni che mostrano delle differenze nel modo di funzionare del torace e del diaframma le pubblicai nella Memoria sulla respirazione periodica e di lusso del 1885, dimostrando come dovesse abbandonarsi il concetto dell'esistenza di un solo centro respiratorio. Ora pubblico altre esperienze che servono a svolgere meglio tale concetto per mezzo dei movimenti riflessi. Riflessi meccanici. ' Mettendo improvvisamente una resistenza ai movimenti di inspirazione, o di espi- razione si producono nell'uomo dei mutamenti nello stato di contrazione o di rila- sciamento dei muscoli del torace, e nel diaframma. Ho già parlato di queste espe- Tor ilSiìiluif itlfcil :yy\jyyvj Ad wm mmWMWw Fig. 30. rienze in un capitolo precedente nel quale dimostrai che le conclusioni degli studi fatti sugli animali da Breuer ed Hering non possono applicarsi all'uomo. Adesso riferisco altre esperienze dalle quali si vede che nei movimenti riflessi per un impe- dimento alla respirazione, si comportano in modo diverso il torace e il diaframma. Invece di chiudere le narici colle dita per evitare ogni contatto colla pelle e chiu- dere improvvisamente il passaggio dell'aria nella trachea, preferisco servirmi della (1) Hayashi und Muto, Ueber Athemversuche mit einigen Giften , * Archiv f. exper. Path. und Pharmak. ,. XLVII, pag. 209. Serie II. Tom. LUI. D* 426 \.\(.i:i.u MU--ÌU 30 maschera di guttaperca bene modellata sul volto, in modo che chiuda ermetica- mente mettendovi intorno un po' di mastice da vetrai rammollito con vasellina od olio. Un tappo di sughero, o di gomma, leggermente conico, chiude pure ermetica- mente il tubo di vetro piantato nel mezzo della maschera e può mettersi dentro, per chiudere l'accesso dell' aria, e levarsi dopo con eguale facilità. Il tracciato 30 rappresenta una di queste esperienze fatta su Giorgio Mondo mentre stava inclinato a 45° con due pneumografi , 1' uno intorno al torace Tor, e l'altro sull' addome Ad, colla maschera bene applicata sul volto. Per tre volte chiudo alla fine di una inspi- razione e tutte tre le volte, come del resto succede sempre, si arresta la respira- zione, ma in modo diverso ed opposto nel torace e nel diaframma. Il torace fa ancora una leggera mossa inspiratoria e poi si ferma. Il diaframma si rilascia imme- diatamente e tutti due fanno dopo un movimento inspiratorio contrariamente alla legge di Breuer ed Hering. Se invece, come avviene nel tracciato 31, chiudiamo alla fine di una espirazione, succede un rilasciamento del torace ed una contrazione del diaframma che appena Tor Ad Tor Ad Fig. 31. Ficr. 32. iniziata si arresta. Vediamo cioè che nel torace i fenomeni si compiono perfettamente al contrario di quanto avevano stabilito Breuer ed Hering. Essi infatti affermarono che la diminuzione del volume dei polmoni arresta l'espirazione e subito produce l'inspi- razione, mentre che la dilatazione dei polmoni arresta in via riflessa la inspirazione e produce la espirazione successiva. Il riflesso che si produce tanto nel torace quanto nel diaframma quando si mette un ostacolo che permette all'aria di penetrare, ma con una certa difficoltà, ed in proporzione molto minore di quanto succede normalmente, è assai istruttivo. Il tubo della maschera per cui passa l'aria ha un diametro interno di 15 millimetri. Vi met- tevo dentro un tappo che lasciava intorno uno spazio un po' minore ad un millimetro, e lo tenevo colle mani, solo per metà circa di un atto inspiratorio. Nel tracciato 32 sono scritte contemporaneamente la respirazione toracica e quella addominale. Nel punto segnato da una freccia si vede che con un ostacolo 31 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 427 momentaneo al passaggio dell'aria, subito l'inspirazione si rinforza e diventa più lungo il tempo nel quale si compie. Tale fatto dipende certamente da un riflesso centrale: siccome le respirazioni successive sono quasi eguali alle precedenti, dobbiamo escludere ogni azione chimica, e considerarlo come un riflesso dovuto ad un'azione meccanica. Anche in altra maniera può vedersi che funzionano in modo diverso il centro dei movimenti del torace e quello del diaframma. La mancanza di sincronismo nel sonno che ho già descritto, studiando i rapporti della respirazione addominale e tora- cica, fino dal 1878, appare spesso evidentissima in condizioni normali e sempre quando si mette un ostacolo alla inspirazione. Il tracciato 33 rappresenta una esperienza fatta sopra Giorgio Mondo, mentre sta in posizione di 45° ed ha il pneumografo doppio intorno al torace ed un altro intorno Tor Ad Fìet. 33. all'addome. Gli avevo messo sulla faccia la maschera di guttaperca chiusa ermeti- camente, col tubo della maschera si erano messe in comunicazione per mezzo di una forchetta le valvole di Miiller. Quella per la espirazione conteneva appena tant'acqua che bastasse per impedire il passaggio dell'aria inspirata: nella valvola dove passava l'aria inspirata vi erano 55 mm. di acqua, che serviva come di resistenza alla inspi- razione. Questi tracciati rassomigliano a quelli già pubblicati da Marey nei suoi primi studi sui movimenti respiratori (1), ed io non mi fermerò a descrivere le modifica- zioni che produce un ostacolo alla inspirazione. Solo che nel presente tracciato, oltre la respirazione toracica scritta in alto, vi è anche l'addominale sotto. Il tempo è scritto in secondi, si vede dai punti di ritrovo segnati in corrispondenza della posi- zione delle penne che il diaframma entra in azione prima del torace e si rilascia quando i muscoli del torace sono ancora in azione. La differenza del tempo è note- vole, perchè il torace funziona nell'espirazione con un ritardo di oltre un secondo, ciò che per i fenomeni nervosi costituisce una mancanza di sincronismo troppo grande perchè tali movimenti possano avere un centro comune dal quale ricevano l'impulso. Le esperienze che feci colle inalazioni di anidride carbonica, vengono pure ad appoggiare tale concetto. (1) Maket, Pneumographie, " Journal de l'Anatomie „, 1865, pag. 447. 428 ANGELO MOSSO 32 Nel tracciato 34, Giorgio Mondo sta in posizione inclinata di 45° col pneuino- grafo doppio intorno al torace e all'addome e sul principio del tracciato si scrive il respiro normale. In a si avvicina la maschera alla faccia e si fa passare una cor- rente di aria mescolata a 26,5% di anidride carbonica; si era preparata prima questa mescolanza in un cilindro per mezzo dell'aria compressa a 5 atmosfere; così che bastava aprire la chiavetta del recipiente per avere un getto abbondante di quest'aria. Appena incomincia la respirazione di quest'aria, succede un forte tetano inspiratorio nei muscoli del torace, mentre il diaframma si mantiene nella sua posi- zione e rinforza molto i suoi movimenti. Tor Ad Fig. 34. Anche qui entrano in azione due centri che hanno un modo diverso di compor- tarsi per l'anidride carbonica; ne si può ammettere, come per il curare, che si tratti di un'azione periferica diversa sui muscoli. 11 ritmo si accelera molto, come nelle esperienze precedenti: mentre che per mescolanze dove l'anidride era in quantità minore, Gad, Marcuse e Lcewy non trovarono una differenza nel ritmo. La differenza fra le contrazioni del diaframma e dei muscoli toracici appare in modo costante per poco che la tecnica grafica sia buona. Nel tracciato 35 sono le curve del respiro toracico e addominale scritte sopra di me nel solito modo. Dopo aver fatte 10 inspirazioni profonde, succede l'apnea. Come ho già mostrato in un mio precedente lavoro (1), si accumula del sangue nei polmoni durante l'attività maggiore del respiro. Sebbene io sia coricato in posizione orizzontale ed una parte del peso del sangue accumulatosi, sia sopportata dalla cassa toracica, ciò nulla meno la dilatazione dei polmoni, e forse anche quella dei grossi vasi sanguigni, spinge il diaframma verso la cavità dell'addome. Vediamo infatti che nell'addome succede un movimento inverso a quello del torace. La tonicità varia in modo differente nel torace e nell'addome : infatti guardando la parte inferiore delle curve si vede che la linea la quale passerebbe per la posi- ci) A. Mosso, La circolazione del sangue nel cervello dell'uomo, " Memorie della R. Accademia dei Lincei „, 1880, capitolo X. 33 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 429 zione della base espiratoria delle singole respirazioni addominali e toraciche ha un decorso diverso, e cosi pure la forza delle respirazioni non si comporta in modo iden- tico nel torace e nel diaframma. Qui abbiamo la gravità ed il peso del sangue che agiscono allungando il diametro verticale della cassa toracica abbassando il diaframma. Tor Ad Fig. 35. Quando l'azione meccanica della gravità è meno intensa, e si tratta di persone giovani che hanno una tonicità maggiore dei vasi sanguigni, e nelle quali il diaframma !B....ii.i.iii.ii.iii..i..iM.ii..iiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiuiuii;t':i;iiiiiii Fig. 36. è più resistente, come nel ragazzo del Laboratorio, Giuseppe Gay, durante un arresto del respiro osservasi un movimento inverso del diaframma, cioè un sollevamento del medesimo in posizione maggiormente espiratoria, così che la linea scende come si vede nel tracciato 4. Per eliminare il dubbio che questa differenza tra le due esperienze ora riferite dipenda dall'apnea, riproduco un altro tracciato, fig. 36, preso su Giorgio Mondo, che ha 44 anni. Vediamo che in esso, durante un arresto di 14 .secondi per chiusura delle narici, si produce un abbassamento del diaframma come succede in me e una 430 ANGELO MOSSO 34 dilatazione della cavità toracica. Anche in questa esperienza la persona era in posi- zione orizzontale. Dopo ricominciando il respiro vi è un forte aumento della tonicità nel torace, mentre che nel diaframma succede il fatto inverso. Nei punti segnati da una -f- si ferma il cilindro, si aspetta un minuto e dopo torna a mettersi in movi- mento. Queste differenze nel modo di comportarsi della tonicità del diaframma nei cambiamenti di posizione sono importanti perchè mostrano il modo diverso di com- portarsi dello stesso muscolo in persone di differente età e complessione. Paragone fra la forza del diaframma e dei muscoli toracici inspiratori. Dopo le ricerche di Hutchinson (1) vennero quelle di Valentin (2), il quale per primo fece delle misure attendibili per mezzo del suo pneumatometro. Vi sarebbero molti autori che dovrei citare i quali studiarono la forza dei muscoli inspiratori ed espi- ratori. Fra i lavori più recenti, ricorderò quelli di Aducco (3), di Sewall e Pollard (4). Questi ultimi facendo su loro le misure, trovarono che si respira di più col torace che non col diaframma, facendoli contrarre separatamente. Non è difficile dominare i muscoli respiratori in modo da far contrarre solo il diaframma, o solo i muscoli del torace. Hultkrantz (5), dimostrò in questo esercizio una abilità tecnica non ancora su- perata ; trovò sopra se stesso che la parte centrale del diaframma nella inspirazione tranquilla si abbassa di 10,5 mm. Nelle inspirazioni profonde 42 mm. Egli faceva fare delle escursioni al diaframma come massimo dalla posizione espiratoria di 58 a 63 mm. Hultkrantz trovò delle differenze nella medesima persona secondo le ore della giornata, i vestiti, il riempimento dello stomaco, ecc. La stessa cosa riscontrai nelle misure che feci per mezzo di un contatore su varie persone che mi servirono a questi studi. Per assicurarmi che il torace stesse immobile quando doveva contrarsi il dia- framma e viceversa, facemmo prima degli esercizi preparatori; ci mettevamo un pneumografo intorno al torace e un altro intorno all'addome e guardando le penne che scrivevano sul cilindro, cercavamo di ottenere delle curve indipendenti e questo non riesce difficile. Il contatore era bene equilibrato e funzionava con soli 2 o 3 mm. di pressione di acqua. I seguenti numeri sono presi sopra di me mentre ero in posizione inclinata di 45°. Colla inspirazione toracica inspiro 2025 ce. addominale „ 1350 , (1) John Hutchinson, Voti der Capacitàt der Lungeti, 1849. (2) Valentin, Lehrbuch der Physiologie, I Bd., 1847, pag. 530. (3) V. Adocco, Centro espiratorio ed espirazione forzata, " Atti R. Accademia delle Scienze di Torino ,, marzo 1899. (4) Sewall e Pollard, Oh the relations of diaphragmatic and costai respiratioii, " Journal of Physiology „, voi. II, pag. 159. (5) W. Hultkrantz, Ueber die respirato risene n Bewegungen des menschlichen Zwerchfells, ' Skand. Arch. f. Physiol. „, II Bd., pag. 70, 1891. 35 I MOVIMENTI RESPIRATORI DEL TORACE E DEL DIAFRAMMA 431 Per brevità non riferisco i tracciati e neppure le cifre che ottenni sopra Giorgio Mondo e Carlo Foà, perchè variavano sensibilmente da un giorno all'altro ed anche ripetendo una serie di osservazioni successive, presentavano delle variazioni. I risul- tati che ottenni sono come quelli di Sewall e Pollard. Più costante invece è la forza del diaframma e del torace, perchè la misuravamo col manometro a mercurio che è uno strumento di misura meno sensibile del contatore. Queste ricerche furono fatte servendosi della maschera di guttaperca, o per mezzo di un'altra metallica che aveva un bordo fatto con un tubo di gomma pieno di aria per modo che comprimendo la maschera sopra la faccia si chiudeva ermetica- mente sulla pelle del naso, delle guancie e del mento, e si poteva, facendo una inspi- razione, rarefare l'aria e sollevare la colonna di mercurio del manometro. Fig. 37. Fig. 38. Il tracciato 37 fu scritto dal Dott. Carlo Foà. La prima linea discendente segna la forza della inspirazione quando si contrae solo il diaframma; la seconda quando si contraggono solo i muscoli del torace e la terza quando si fa una inspirazione completa, facendo agire i muscoli del torace insieme al diaframma. Sapendo che dobbiamo moltiplicare per 2 questi valori di 1,1,6,2,8, avremo che la forza del dia- framma nel Dott. Carlo Foà è tale che il diaframma solleva 20 mm. di mercurio: 32 il torace e 56 tutti due insieme. Si ripete poco dopo la medesima esperienza, i valori sono un poco più piccoli e stanno fra loro presso a poco nel medesimo rapporto. Il tracciato 38 è un'esperienza fatta sopra Giorgio Mondo: vediamo in questa persona, che ha la medesima statura, una forza maggiore dei muscoli inspiratori toracici, mentre che la forza del diaframma è presso a poco eguale. I rapporti sono: Diaframma 10 X 2 = 20 Torace solo 20 X 2 = 40 Inspirazione completa 38 X 2 = 76. Misurando la forza inspiratoria diaframmatica sopra di me (fig. 39) , trovai dei valori più piccoli che sopra Foà pel diaframma, cioè 5 X 2 = 10 ; la mia inspirazione toracica invece era più forte 19 X 2 = 38. Vedendo questi valori in mercurio, uno può illudersi sulla reale forza del torace e del diaframma, ma dobbiamo pensare che quando noi solleviamo, colla contrazione 432 ANGELO MOSSO 36 dei muscoli del torace, una colonna di mercurio alta 30 o 40 mm., succede nel nostro torace e sul diaframma ciò che vediamo nel torchio idraulico. Le pressioni dei gas come quelle dei liquidi si trasmettono in tutti i sensi. La pressione che si produce sulla colonna negativa di 30 o 40 mm. di mercurio del manometro e la solleva, agisce nella stessa direzione e colla stessa forza su tutta la superficie della cassa toracica e del diaframma, e per ciò è grandissima la forza che noi produciamo colla semplice inspirazione dei muscoli toracici e del diaframma. /ywwwvwww VvV/^vvvvwm., WV.V.VVVVVVVVV +MAww GRANDE Ili sferza, perchè non solo soffoca ogni propensione allo studio " ma fa sembrare ai gio- vani una galera la scuola, e non può infine metter l'ingegno ove non c'è „ (1). Devesi saper grado al M. per questa mitezza di punizioni corporali, proclamata in tempi in cui la sferza doveva esser Io stendardo della scuola. Tuttavia alle volte il castigo corporale pare si imponga, e il M. in un caso, ma sol o, lo per- mette: nei falli dei costumi. Di quest'avviso era già stato G. Locke, che pure in un caso solo acconsentiva che il fanciullo fosse battuto, quando si mostrava ostinato e ribelle; ma anche allora in guisa che non il dolore, ma la vergogna avesse la parte principale nel castigo. Del resto prima di loro, fra i molti altri, anche Michele de Montaigne nel suo aureo Libro dei Saggi, che fu giustamente appellato dal Cardinale Du Perron " il '• breviario dei galantuomini „, aveva già scritto contro le pene corporali usate contro i discenti (2). In seguito il sistema d'educazione, a base di battiture, andò sempre scompa- rendo sotto i colpi dei dotti, ma non tanto rapidamente e facilmente, se da noi solo nel 18K) fu definitivamente abolito, quale del tutto antipedagogico e servile. Ma per ritornare a noi, siccome il M. intendeva far notare la gravità dei falli dei costumi, ci pare non s'apponesse male ricorrendo, in quell'unico caso, alla gravita ed eccezionalità della punizione. Del resto il suo scopo era evitare assolutamente ogni avversione alla scuola, ed in questo modo egli riusciva benissimo nel suo intento. Ad evitare poi le occasioni di questi castighi che avviliscono non meno l'educando che l'educatore, il M. suggerisce di ricorrere alla ragione, e di dimostrare al giovane che volontariamente erra, il torto che fa a chi cerca il suo bene e non bada a pre- mure e sacrifizi (3). Se questo pure non vale, è inutile ricorrere alla forza, perchè difficilmente si ottiene con essa quanto fu negato alla prudenza e alla ragione. I sistemi moderni, l'abbiamo già detto, hanno dimostrato che il M. aveva ra- gione, e a noi non resta che registrare questo merito di più nell'opera civile mu- ratori a na. La parola indirizzata al cuore, e la conversazione coi dotti. — Ma primo, principa- lissimo mezzo pedagogico si deve considerare la parola che lega l'educatore all'educando. (1) Lettera al Conte Giovanni Artico di Porcia. (2) " J'accuse toute violence en l'éducation d'une ame tendre, qu'on dresse pour l'honneur et " la liberto. Il ny a ie ne scais quoy de servile en la rigueur et en la contrainete ; et tiens que se " qui ne se peult taire par la raison, et par prudence et addresse, ne se faict iamaia par la force. * On m'a ainsin eslevé: ils disent qu'en tout rnon premier ange, ie n'ay tasté des verges qu'à deux " coups, et bien mollement „. Egli pertanto usa il medesimo trattamento coi figli suoi, per i quali non adopra per correggerli " que paroles, et bien doulces: et quant mon desir y seroit frustré, il " est assez d'aultres causes ausquelles nous prendre sans entrer en reproche avecques ma discipline, " que ie scais estre iuste et naturelle. Je n'ay veti aultre effect aux verges sinon de rendre les ames " plus laches, ou plus malicieusement opiniastre „ (M. de Montaigne, Essate. Parigi, 1843, libro II, cap. Vili, pag. 239-40,1 Ed altrove riferendosi al comune uso della scuola, di " imparar il verbo al suon di nerbo „ si esprime con non minor forza ed efficacia. " Cette institution „ — l'insegnamento — " se doibt conduire par une severe douleeur, non comme il se faiet; au lieu de convier les enfants " aux lettres, on ne Ieur presente, a la verité, que horreur et crauté. Ostez moy la violence et la " force: il n'est rien, à mon advis, qui abastardisse et estourdisse si fort une nature bien nee „ (Kb, libro I, cap. XXV, pag. 89). (3) Cfr. Filosofia Morale, cap. XX, pag. 175. 17 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 81 Mercè la parola maestro e discepolo comunicano insieme, si interrogano, si rispondono ; mercè la parola si ammaestra, si erudisce, si compie in fine il più alto magistero educativo. " La lingua dell'Uomo è uno strumento mirabile delle umane azioni, a lui dato da Dio, acciocché l'uno possa comunicare coll'altro gl'interni suoi pensieri per mezzo delle parole „ (1). Ma anche la parola deve essere educata e guidata da sagge regole, e perchè essa riesca veramente efficace deve essere rivolta al cuore. Si deve mirar sempre, e prima di tutto al cuore, consiglia continuamente ed insi- stentemente il M., bisogna parlare al cuore, indirizzarsi al cuore, lusingarlo colla lode, coll'approvazione, coll'amor proprio, che è il primo mobile delle azioni umane (2). Ma anche qui occorre badare che il discente non luceva passivo la parola del- l'educatore, ma essa sia l'effetto del loro lavoro mentale, e alla sua formazione concorra l'opera d'entrambi. A tal uopo utilissima torna la conversazione coi dotti, che si può davvero dire la più dilettevole e facile palestra d'istruzione. Il M. ne fu sempre vaghissimo, ed essa appunto formava il desiderio più imperioso della sua gioventù. È commovente vedere come egli scrive a venticinque anni: " Haec una me tangit cupido, hoc unum mihi votimi inhaeret, ut ab eruditis literarum culto- ribus amoiis communionem obtineam „ (3). Ed in seguito: " Dulce est erudictionis sectatoribus quotidie cum mortuis (= libri) versari, dulcius profecto futurum cum vivis, a quibus brevi facilique compendio eruditior in die discedas „. E con dolce, affettuosa compiacenza ricorda ancora quel giorno (4), in cui per la pubblicazione di alcuni versi potè aver l'adito alla dotta conversazione di alcuni felici ingegni e let- terati. Oh! possano questo intendere taluni, e persuadersi una volta che grande, im- menso bene può a volte derivare da una sola parola loro, da un solo sguardo, da un saluto. Se lo ricordino cui tocca, se lo ricordino cui sta a cuore il progresso delle scienze, che l'inaccessibilità non è mai virtù, ma debolezza perniciosa, e che nessuno mai nacque maestro. Imitazione. — L'imitazione è un fatto necessario, naturale alla creatura umana, perchè dal di fuori questa deve prendere gli elementi che le abbisognano per lavo- rarli internamente e uniformarli a se, onde formare il carattere. Grande importanza, secondo il M., occorre quindi dare all'imitazione, e grande cura aversi perchè gli ele- menti che essa si assimila siano sani. Occorre pertanto che il bambino sia circondato da persone che si comportino bene, perchè più potente e gagliarda che mai è l'imi- tazione nei verdi anni. Infatti come il bambino si appropria della lingua loro, così si appropria dei loro costumi, e un abito contratto in gioventù resta generalmente compagno per tutto il rimanente della vita. Indicibile è la forza dell'ambiente, e quelle stesse leggere impressioni che noi crediamo senza conseguenza, finiscono col t^mpo di imprimersi nella mente del bambino con tanta forza, che egli seguiterà adulto a fare, od evitare, ciò che allora gli piaceva, o ripugnava. Devesi inoltre av- vertire che la forza delle impressioni cattive è maggiore di quelle buone, vuoi per l'innata tendenza al male, vuoi perchè la fantasia nostra propende maggiormente pel piacere immediato che suol seguire alle azioni cattive, che non pel remoto che ci (1) Cfr. Filosofia Morale, cap. XX, pag. 170. (2) Id., cap. XII, pag. 126. (3) Lettera a Corrado Janning. Milano, VII Kal. Aprili*, 1627, Camfori, I, 316-17. (4) Vedi lettera al conte di Porcia. Sekie II. Tom. LUI. 82 STEFANO GRANDE 18 offre la virtù. " Certo se non mancassero a questo dovere i Genitori, e se tutti sa- pessero dare, come il latte per cibo a i Corpi, cosi il latte dei buoni Costumi a gli Animi de' loro figliuoli, non sarebbe così copiosa al mondo la schiera dei malviventi e degli scapestrati „ (1). Ma non basta che l'imitazione sia spontanea, non basta che si lasci imita] deve far imitare, e favorire l'imitazione, ma imitazione riflessiva e consapevole di se. Questa imitazione poi suppone due termini armonici: il tipo da imitarsi, e l'azione di chi scientemente imita ; termini che abbracciano, si può dire, tutta la scienza pe- dagogica, e dei quali non ci occorre parlare partitamente, perchè intorno ad essi si aggira tutto il complesso della nostra trattazione. Emulazione. — Frutto dell'imitazione riflessiva e consapevole di sé, si può rite- nere l'emulazione. È questa un potente mezzo, e una forza di primo ordine pel pro- gresso scientifico e per la coltura in generale. Occorre pertanto che il buon istitutore la favorisca, ma nello stesso tempo abilmente la guidi, affinchè non fuorvii e degeneri dal suo scopo. " Concordia nimirum, et collatis consiliis res literaria crescet, ac ubi aemulationem ingenia conceperint, non nisi uberrimi fructus in literis videntur spe- randi „ (2). Ma essa è un' arma di difficile uso, e il M. stesso che, per trar frutto da una sana emulazione, aveva tentato di riunire in una Repubblica Letteraria i più valorosi ingegni d'Italia, se ne ricredeva tosto, persuaso che ne verrebbe più scandalo che vantaggio, perchè quella che egli proponeva per emulazione, si sarebbe tosto cambiata in ringhiosa invidia. " E al vedere in lontananza, scrive egli (3), le mene, le brighe, le invidie, i sotterfugi, le calunnie di quella gente (i Letterati), che sarà da vicino?.... Che non farebbero quei grandi animali della gloria (sic), cioè gli uomini di lettere, posti tutti in un serraglio (continua la metafora, scriverebbe il Giusti!) e tutto dì gli uni sul volto degli altri?.... Pur troppo allora più che mai si vedrebbe, che il bollor degl'ingegni, la diversità delle sentenze, e l'ostinazione in esse, il cre- dersi, o almeno il desiderarsi superiore agli altri, e il concorrere a' medesimi premj, o pure al sol premio della gloria, son tutti troppo gagliardo incentivo alle gare et invidie „ (4). Ma è un fatto innegabile che usata in più modeste proporzioni, e saggiamente interpretata, l'emulazione non può a meno di dare buonissimi frutti. Occorre col- tivarla senza timore, ma insieme con maestria e destrezza; ed allora è così certa la sua efficacia, che in base ad essa principalmente il M. stesso non dubita di anteporre le scuole pubbliche alle private, ove essa manca, riconoscendo che " essa è la fonte prima di quel diletto che rende agevole ed anche dolce ogni fatica, e il quale con gran cura dovrebbe studiarsi per farlo nascere in cuore ai giova- netti „ (5). Ma anche altrove (6) il M. si dimostra assai favorevole alla saggia emulazione, ed anzi nella sua importantissima lettera del 1721 al Conte di Porcia, afferma che (1) Filosofia Morale, cap. XLII, pag. 395. (2) Lettera a Girberfco Borromeo Arese, 1699, Campobi, li, 416-18. (3) Lettera al Conte di Porcia. (4) Ibidem. (5) Ibidem. (6) Cfr. Filosofia Morale, cap. XXX, pag. '-'77. 19 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 83 all'emulazione sopratutto egli doveva i suoi progressi giovanili. E pertanto da con- siderarsi essa come un grande mezzo educativo, e molto da consigliarsi, se ebbe il vanto di ottenere sì lusinghiera confessione da tanto maestro. Ordine e (/irida negli studi. — Accanto ai grandi mezzi pedagogici citati dob- biamo riporre l'ordine che deve esser ispirato, nel suo magisterio, da chi educa e da chi insegna. " Uno dei pregi grandissimi e di chi insegna, e di chi pubblica (e di chi studia, aggiungiamo noi) è l'ordine che facilita la memoria, che favorisce l'intelletto, e da cui nasce la scienza, ed un Ingegno mediocre, ben regolato, e infaticabile nello studio, può giungere a fare cose mirabili, e superar di lunga mano altri Ingegni grandi, e vasti, ma non regolati, ma impazienti, ma incapaci di applicazione, e di fatica „ (1). Il danno che deriva dalla mancanza del buon ordine è incalcolabile, e molti ingegni vanno cosi sciupati, perchè " o non istruiti o mal regolati sulle pi-ime, gittano mesi ed anni in imparar quello, che nulla deve loro servire; e troppo tardi conoscendo quel buono, o quel meglio, che si doveva loro ispirare o insegnare nell'età giovanile, o niun frutto poi danno, o ne danno assai meno di quel che avrebbero potuto „ (2). Si va dicendo che l' Italia è povera di grandi ingegni, che essa ha fatto il suo tempo ; niente di più errato. Ingegni non ne mancano, ma noi li strozziamo nella culla per non saperli istradare e favorire (3). Grande pertanto è il vantaggio che viene dall'ordine negli studi, ordine che necessariamente ci deve esser ispirato e suggerito da una saggia guida e dal saggio criterio altrui (4). Tali concetti propugna pure il M. nella celebre lettera, già ricordata, ai " Capi, Maestri, Lettori, ecc. degli Ordini religiosi „ ed altrove ancora (5), dove saggia- mente tratta pure del metodo e dell'ordine degli studi, disapprovando di sana pianta il sistema delle scuole dei suoi tempi, principalmente religiose, e alla mancanza di esso attribuendo la mancanza di dotti religiosi, ed anche di grandi ingegni italiani. Bellissime parole intorno al buon ordine negli studi, e alla scelta del metodo scrisse pure il M. nella sua eruditissima lettera al Conte di Porcia, più volte citata, ma noi dobbiamo accontentarci di questo breve accenno, per non dilungarci troppo nella nostra trattazione. Veniamo ora ai mezzi della seconda specie, cioè a quelli propri dell'educazione che l'uomo fatto dà a sé stesso per raggiungere il fine ultimo della sua destinazione. Anche questi si differenziano secondo le diverse forme del mondo fisico e sociale in cui l'uomo assolve la sua vita, e secondo quell'ordine dovrebbero essere distribuiti, ma noi ci limitiamo ad esporli semplicemente in base al criterio citato. Lettura. — È questo uno dei più potenti e facili mezzi che l'uomo ha in sua facoltà di adoperare per la propria educazione, e la sua efficacia è così evidente che in nessun trattato pedagogico o filosofico essa è trascurata. Dato questo universale accenno, non bisogna qui aspettarci dal M. gran che di nuovo, ma in questo campo, (1) Delle Riflessioni, parte II, cap. VII. (2) Lettera al Conte di Porcia. (3) Cfr. Delle Riflessioni, parte I, cap. I, pag. 122. (4) Cfr. Lettera al Porcia. (5) Cfr. Delle Forze dell'Intendimento Umano, o sia il Pirronismo confutato. Venezia, Pasquali, 1745, pag. 340. 84 STEFANO GKANDE 20 del resto mai del tutto sfruttato, più che altrove " repetita juvant „. La lettura, osserva il M., deve essere ordinata e saggia; non è col divorare libri che si istruisce e si educa la mente, ma col leggere buoni libri, morigerati, dettati da persone di dottrina e pietà. Senza grande e buona lettura difficilmente s'otterrà gloria e fama nel mondo letterario, né giammai si potrà mirare con ampiezza il grande orizzonte delle scienze e delle arti. Colla lettura si sveglia l'ingegno, si facilita lo stile, si invoglia allo studio, si scopre la nostra distanza dai grandi ingegni, si giudica con più riguardo delle virtù e dei difetti altrui, si apprendono i principi, gli assiomi, le massime generali delle scienze, gli argomenti poco o male trattati, ci prepariamo un vasto e fertile campo d'azione . . . (1). Frutto di mancanza di lettura, o di disordinata lettura, è quel fare da saputelli che distingue i giovani appena usciti dalle pubbliche scuole (2), i quali si danno a giudicare e sentenziare di tutto temerariamente (3). Il M. con riuscito paragone li confronta alla mosca di Esopo, che dal razzo della ruota dove si era posta, pavo- neggiandosi, mormorava: " Quantum pulverem moveo! „. Ora tale difetto non può esser meglio corretto che dall'abbondante e sana lettura, che ci fa intendere la vera portata delle nostre forze e delle altrui. E infatti universalmente ammesso che più si impara, più si conosce che c'è da imparare, perchè viemeglio si rivelano alla nostra mente gli sconfinati orizzonti della scienza. " Bisogna confessarlo, benché sospirando; per quanto l'uomo studj, e si discer- veili nelle Scuole, e su i Libri, oppure sul vivo e vastissimo libro del Mondo ; in- comparabilmente sempre sarà più quello, che gli resterà da sapere; e sempre, se ha senno, e non è un misero adulator di se stesso, potrà e dovrà confessare, es- sere maggiore senza comparazione la sua Ignoranza, che la Dottrina sua „ (4). Data questa nostra insufficienza, il M. deduce che la scienza, anzi che superbia, deve ingenerare umiltà (5). Così essendo in realtà le cose, ecco quale dev'essere la bandiera dello studioso : " Bisogna primieramente studiar molto, leggere molto, meditar molto, e mettere un buon capitale di pi-imi Principi, di Riflessioni, e d'Erudizione, nella guardaroba della Memoria. Ma questa è una trafittura ai melensi, ai neghittosi, ai troppo agiati Pro- fessori del sapere, e della Letteratura, i quali forse si aspettavano una facile e nuova strada per giungere in quattro passi alla Gloria. Altra io per me non ne so ; ed altra non se n'è finora conosciuta, né si conoscerà, quando il Cielo non voglia far de' miracoli „ (6). Questa pertanto la via alla vera scienza, alla gloria, via erta e difficile, ma resa sommamente più agevole dalla pratica delle cose suggerite, e sopratutto dalla buona lettura. A complemento di queste osservazioni mi piace riferire quanto il M. dice di sé stesso, quando giovane ed inesperto, pasceva la sua fervida mente delle fole, e delle trovate fantastiche de' romanzieri. (1) Ct'r. Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, pai-te II, pag. 315-25. (2) Cfr. Filosofìa Morale, cap. XXXIX, pag. 372. (3) Cfr. Delle Riflessioni sopra il Buon Gasto, parte II, pag. 318. (4) Filosofia Morale, cap. X, pag. 112. eap. XXXIX, pag. 373. (6) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, pag. 317. 21 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 00 - Ne' miei più teneri anni mi avvenni in alcuni Romanzi, i quali tanto mi sol- leticarono il gusto, che quanti ne potei ottenere, tutti con incredibile avidità i- vorai, fino a portarli meco alla mensa, pascendo con più sapore allora di quelle favole la mia curiosità, che il corpo de' cibi. S'io dirò che questa lettura serv'i non poco a svegliarmi l'ingegno, a facilitarmi lo stile, e ad invogliarmi sempre più di leggere, forse dirò il vero. Ma debbo nello stesso tempo intimare massimamente a i giovanetti, che non venisse lor mai talento d'imitare un sì pericoloso esempio; perciocché quand'anche potessero qualche cosa guadagnare dalla parte dell'ingegno, potrebbono perdere molto da quella de' costumi . . . „ (1). Il M. parla per esperienza, e noi non sappiamo, se non avessimo altra via da contemperar la scienza colla virtù, se sarebbe bene ritentare liberamente la sua prova; ad ogni modo questo è il fatto, che ci devono più star a cuore i' buoni co- stumi che le scienze, perchè il mondo, fu già detto, può viver.e senza grandi ingegni, ma non senza galantuomini. Giornali. — Dopo la lettura in generale, riguardata come mezzo pedagogico, si devono considerare per importanza, popolarità ed efficacia, i giornali. Ma il M. non ha occasione di occuparsi di giornali politici e quotidiani, che questi sono un regalo dei tempi nostri: egli si riferisce più particolarmente a giornali d'erudizione, di lettere, di scienze, dei quali si augura larga diffusione, lontano di molto dal pen- siero che essi avrebbero un giorno inondata la società. " L'Italia nostra, scrive egli (2), ha da rallegrarsi, che se ne sia ripigliata la fabbrica anche presso di noi altri ne' Giornali che oggidì si stampano in Venezia, con gloria de' loro Autori, ed utilità e diletto del pubblico. Egli è da desiderare, che loro abbondino i buoni Libri, e che la savia Lode o la savia Critica invaghino sempre più i Lettori di comporne de i migliori „. Propugna frattanto alacremente nuove istituzioni di riviste di scienza, annuali e mensili, sull'esempio delle nazioni più progredite, affinchè si dia notizia dei migliori libri composti sì italiani che stranieri, perchè se ne adornino le biblioteche e se ne approfittino gli studiosi. Ma il marchio doveva farsi sentire già fin d'allora, perchè il M. si lamenta che esse sieno talora troppo ligie e partigiane, miranti spesso non tanto a raccomandare un buon libro, quanto a compiacere un amico, o ad adulare un influente personaggio (3). Ad ogni modo i suoi desideri furono effettuati dai tempi posteriori, con immensi vantaggi davvero per la coltura e per le scienze, ma non senza gravi strappi a quella parte che stava più a cuore al M., e noi non sapremmo se egli, ai tempi nostri, rinunzierebbe piuttosto alle sue idee o a questo progresso. Stampa. — Considerati gli effetti, è naturale risalire alle cause, e trattato della lettura e dei giornali, si presenta spontanea la questione della stampa in genere, e della sua utilità. Noi siamo usi, e a ragione, di parlar della stampa, come di una delle più maravigliose invenzioni dell'ingegno umano, ma il M. considerando la que- stione dal lato morale, si propone di esaminare se questo nostro naturale giudizio (1) Lettera al Conte di l'orchi. (2) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, pag. 328. (3) Idem, parte I, cap. [, e Lettere ad A. Vallismeri, Campori, IV, pag. 1329-331, 1545, 1553-54. 86 STEFANO GBANDE l'I sia proprio giusto, e dà sentenza che può credersi arrischiata. " Ingens Bibliotheca — scrive egli (1) — ingens malum est, et si rogetis quid commodi Ars Impressola non intulerit, ego reponam, quid non incommodi? „. E la questione de' tempi, e il male, si può osservare, era già sentito fin da quando, prima della stampa, il libro costava tante noie e disturbi prima che entrasse in circolazione, ed era già lamen- tato da Cicerone stesso. Ma, continua egli, " nisi aliquando tempus cribrimi admoveat, quo progressura est insana haec cudendi libros prurigo? „ (2). E qui che cosa dob- biamo rispondere noi del secolo vigesimo? Che diremo noi, non già della quantità dei libri, che sarebbe il meno male, ma dell'immorale, indecoroso uso della stampa, che è fatta ormai ministra di corruzione? Non ci farebbe sorridere l'esortazione del M. agli stampatori di consigliarsi con uomini dotti e savi, prima di intraprendere la stampa di un libro? (3). In tal questione poi il M. viene a trovarsi nell'imbarazzo, e alla revisione di stampa che allora esisteva, e come!, verrebbe quasi ad aggiungere un'altra opera simile, per frenare le intemperanze e gli eccessi degli scrittori. Cosi egli che si dimostra altrove tutt'altro che tenero per la revisione, tanto da invocare piuttosto il tempo dei ma- noscritti, ora si professa tutt'altro che proclive alla libertà della stampa. E per l'una scrive: " Un' (sic) incomparabil beneficio noi certo riconosciamo dalla mirabil'inven- zione della stampa, potendo noi oggi, se vogliamo, con poca spesa, divenir dotti. Ma dappoiché senza misura, senza scelta alcuna han faticato, e faticano i torchi, per imprimere tanti libri, che non meritano la luce e tanti ancora che meritavano di perderla, abbiamo anche di che lagnarci di questo beneficio , (4). D'altra parte poi lamenta la crassa ignoranza e grettezza dei censori, la loro completa dipendenza e partigianeria, per cui egli stesso è obbligato a non dir ciò che sente e gli " re- stano nella penna molte osservazioni, forse non inutili, le quali vorrebbero pure la licenza di scappar in Pubblico, ma son costrette a restar in casa „ (5). E ricorda un increscioso incidente che gli capitò, in grazia di questa revisione, a proposito della pubblicazione del suo trattato: " De Ingeniorum moderatione, ecc. „. È questa un'opera della più sana ortodossia (6), compenetrata del più giusto rispetto agli uo- mini e alle cose, ove il M. dimostra che la religione, di origine divina, e quindi di natura infallibile, deve far chinare la fronte agli ingegni umani di natura fallaci; esser pertanto da biasimarsi coloro che lasciano troppo la briglia ai loro cervelli, ma tuttavia esser necessaria una certa giusta libertà di pensiero. Ora in grazia di una gretta revisione " in una delle gran città d'Italia, scrive egli (7), non se ne volle permettere la stampa, perchè si pretendeva che in un punto io non dessi assai al Capo visibile della Chiesa di Dio; e né pure in Francia all'incontro mi si voleva permettere, perchè si pretendeva, che in quel medesimo punto io gli dessi troppo Il libro pertanto fini coli' esser pubblicato a Parigi, ma con giunte e parentesi che il M. dovette poi pubblicamente riprovare. (1) Lettera citata a Gilberto Borromeo Arese. (2) Ibidem. (3) Cfr. / Primi Dissenni della Repubblica Letteraria, ecc. (4 Della Pubblica Felicità, ecc., pag. 76. (5) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, pag. 22. (6) Cfr. Campori, voi. Ili, pag. 914-15; 920; 1100-1. (7) Lettera al Porcia. 23 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 87 Inconvenienti gravissimi pertanto da una parte e dall'altra, rimediabili, nella mente del M., gli uni coll'istruzione, ..." imperciocché non fanno già paura a i Let- terati i Censori dotti e savi, ma bensì gli ignoranti e gli imprudenti . . . „ (1) e gli altri coll'educazione. Ma ai giorni nostri il male si acuì siffattamente da una parte e dall'altra, che pur riconoscendo le buone intenzioni del M., non possiamo a meno di paragonare la sua voce a quella del " clamantis in deserto „. Belle Arti. — Ci sono delle occupazioni e degli studi che possono cooperare mol- tissimo alla cultura della mente e del cuore, e nel tempo stesso ricreare lo spirito : tale la moderata applicazione alle Belle Arti. La pittura, la musica, ecc. sono oppor- tunissime a sollevare la mente profondamente immersa negli studi gravi, e il M. non cessa di raccomandarle agli studiosi. Così scrive (2) al matematico Gian Simone Enriquez de Cabrerà: " Ella può temperar bene un'applicazione sì seria (le matema- tiche) con la dolcezza ed amenità delle arti liberali, e massimamente della musica e pittura. E per verità non è solamente convenevole, ma necessario ancora agli animi nostri, questo dolce tradimento che si fa agli studi gravi „. Alla musica e alla pittura poi egli unisce la loro indivisibile sorella, la poesia, " il cui proprio fine è quello dei dilettare „ (3). Altrove, in verità, il M. è disposto a vedere altri più nobili intenti nello studio della poesia e delle arti belle, e pensa alle loro alte concezioni etiche e morali, ma qui non può che riferirsi al loro scopo ricreativo, a cui evidentemente e mirabilmente servono. " La poesia è da lodare perchè dirozza l'Intelletto ed aguzza l'Ingegno, e se non altro, può dilettare: il che è un Bene a cui non manca il suo pregio „ (4). Ma anche il fatto di mutar momentaneamente occupazione, può esser di sollievo al nostro spirito, ed in questo senso appunto, più che altrimenti, devesi intendere il metodo suggeritoci di alternar il profondo studio coll'applicazione alle arti amene. Ed egli canta ai giovani: Non La quiete, ma il mutar fatica Alla fatica sia solo ristoro (5). È un metodo un po' duretto, ma non fallisce giammai. u Si meraviglia talora la gente oziosa in veder persone di lettere, che non sanno levar gli occhi da' libri, sempre studiando, e senza perdonarla neppure alla villeggiatura. Ve', dicono, quel buon uomo ! ne sa tanto o crede di saperne tanto, e non sa che egli è dietro a farsi seppellire prima del tempo . . . „ (6). Ma io non vorrei che si prendessero troppo alla lettera queste espressioni, e si pensasse al mio M. come ad un cupo e taciturno cultore delle scienze, o ad un mi- santropo ; egli pure ama il divertimento, lo consiglia, lo esige anzi (7). Il soverchio lavoro gravita troppo sul cervello e lo affatica eccessivamente, sicché lo stesso sistema nervoso è sinistramente scosso. È necessario, doveroso il sollievo ed il diverti- ti) Delle Riflessioni, ecc., parte II, pag. 22. (2) Lettera dedicatoria del 1° libro della Vita di C. M. Maggi, Campori, II, 452. (3) Delle Riflessioni, parte I, cap. IV. (4) Della Pubblica Felicità, ecc., pag. 171. ritti inediti di L. A. Muratori, pubblio, pel suo secondo centenario, pag. 45. (6) Lettera al Porcia. (7) Cfr. Filosofia Morale, cap. VIII, pag. 97. STEFANO GRANDE 24 mento (1), ed il M. pure sapeva a tempo e luogo prenderselo ed anzi egli, l'ardente ed infaticato cultore delle scienze, arriva perfino a raccomandare al suo principe di istituire pubblici spettacoli, giuochi, divertimenti, accademie, ecc., tome un bisogno e sollievo del popolo. Teatro. — " E perciocché il mondo vuol ridere, e sarebbe un misantropo (sic), chi non ammettesse pubblici e privati divertimenti, io non ho difficoltà di dire, che anche le Commedie potrebbono influire non poco nel medesimo fine „ (2). Grandis- sima importanza infatti dà il Muratori al teatro, e non dubita punto di considerarlo, se interpretato bene e guidato da buon fine, come una grande scuola intellettiva e morale. " Francamente oso affermare, scrive egli (3), che fra tutti i pubblici spetta- coli, approvati dalla Politica e dalla Morale per ricreazione de' popoli, il più profit- tevole, e quasi direi il più dilettevole, è quel delle Tragedie e Commedie, purché queste siano composte secondo le Regole, che loro e dalla Filosofia Morale, e dalla Poetica sono prescritte, e purché siano recitate da valorosi attori „. Più che alla tragedia poi, egli dà importanza etica alla commedia, perchè più piana e semplice, e più direttamente parla al cuore del popolo; ripetutamente pertanto consiglia agli studiosi d'occuparsi di questa parte della letteratura, che è fra le più feconde e le meno coltivate (4). Ma anche sotto altri aspetti è da approvarsi e promuoversi il teatro. Di- cemmo già che esso può servir di palestra di buon costume, ed ora aggiungiamo che può anche servire al principe come buon mezzo di popolarità e di ben operare. " Il teatro per sé stesso non è illecito. Tale lo fan divenire le oscenità dei Comici, e le Commedie di cattivo costume; il che troppo disdice ad un ben regolato Governo, e molto più alla purità del Cristianesimo. Il veder quivi insegnate le malizie, scre- ditata e messa in ridicolo la Virtù, il Vizio allo stringer de' conti felice, non ci vuol già un Catone, per riconoscere la deformità di un tale abuso, tanto più pernicioso, quanto maggiore è la folla degli spettatori. Commedie adunque o in prosa o in versi, le quali sapessero far ridere, correggessero il ridicolo de' costumi, delle usanze mal concertate, delle Opinioni stolte del volgo, e destramente porgessero buoni ammae- stramenti, o almeno nuocere non potessero: renderebbero il Teatro una scuola se- greta del ben' operare, e però utile alla Repubblica. Se i Principi saggi oggidì im- piegassero stipendi e regali a chi provvedesse il Teatro di Commedie tali, s'ha egli da dubitare, che non ne riportassero lode ed onore nel Mondo, e dirò anche paga- mento da Dio? Lo stesso è da dire delle belle e varie Tragedie; ma di queste non ne scarseggia l'Italia „ (5). Dato questo ottimo fine e questa innocenza, il M. non teme di venir meno alla sua gravità, e alla santità del suo ministerio, occupandosi egli stesso di recitazioni teatrali, incaricandosi di scegliere gli argomenti, di distribuire le parti, di provve- dere i personaggi per le rappresentazioni le quali, principalmente per merito suo, si allestivano alle Isole Borromee, a Cesano, ed altrove, dove il M. andava coi suoi (1) Cfr. Lettera al Porcia. (2) Filosofia Morale, cap. XXVIII. pag. 259. (3) Della Perfetta Poesia Italiana. Venezia, Coleti, 1730, pag. 47 (4) Cfr. Primi Disegni della Repubblica Letteraria. (5) Della Pubblica Felicità, ecc., pag. 172-73. 25 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI »y protettori a villeggiare. " Finora, scrive egli stesso (1), ci siamo ricreati con burlette improvvise, che son riuscite a meraviglia bene. A me è toccata la cura di trovar ogni giorno i soggetti nuovi e poi di essere il direttore di tutto con fatica e diletto „. Il M. era troppo uomo pratico per non conoscere i bisogni della natura umana, e cercando di appagarli nei giusti limiti, non farne buon tesoro (2). Bisogna con- temperar la fatica coll'opportuno sollievo, perchè anche questo è una necessità della natura nostra, ed il M. stesso, come desiderava primeggiare nello studio, nelle occu- pazioni intellettuali così non ricusava di cercar la lode anche nel divertimento. " Se si potesse avere qualche relazione di quel prodigioso e dilettevole giuoco di T(arocco?), in cui fate prodezze, scrive all'amico Gatti (3), mi farei grande onore in questa città „. In un piano di studi pertanto, o in un trattato pedagogico, devesi pur tener conto del divertimento, e sia questo il teatro o siano i tarocchi, purché non si trasmodi, si provvederà ad un ragionevole bisogno della natura umana. Ma del teatro e di altri divertimenti e giuochi terremo parola altrove. Conferenze. — Posto non trascurabile fra i fattori delle scienze hanno le con- ferenze, le quali in un piano di studi dovrebbero aver larga parte. Il M. nella famosa lettera ai Capi, Maestri, Lettori degli Ordini religiosi, suggerisce insistentemente questa pratica, della quale vede tutta l'efficacia, e pel vivo incitamento allo studio, e per la soddisfazione dell'allievo. L'efficacia delle conferenze è sociale, perchè ri- guarda un pubblico intero, che molto più facilmente s'adatta ad apprendere le no- zioni generali d'una qualunque scienza esposte a voce, che non su libri; è scolastica perchè scuote la mente, per lo più soverchiamente passiva del discente, sicché questi segue con attenzione particolare l'oratore, per approvarlo ed imitarlo se per lui ha stima già prima concepita; per criticarlo, o almeno per giudicarlo, se l'oratore gli è nuovo, o press'a poco della sua portata. Propone pertanto il M. che si stabiliscano dei giorni fissi, destinati esclusivamente alle conferenze, ed ogni allievo per turno tenga la sua, potendosi così formare un'utile palestra di emulazione, di gara, di studio. Noi moderni possiamo esser giudici delle rette opinioni del M., noi che sappiamo qual voga abbiano preso ai dì nostri le conferenze, ciò che non sarebbe davvero un male, se la tendenza ad esse non si fosse cambiata in vera manìa. Molti altri mezzi usa l'uomo ancora per continuare la sua coltura individuale, e raggiungere il suo fine nel mondo in cui deve vivere; e molti in realtà ne sug- gerisce ancora qua e là il M., viaggi, passeggiate, accademie, foro, ecc.. ma a noi pare di aver detto abbastanza per rivelare il pensiero e l'attitudine pedagogica mu- ratoriana, tanto più che di alcuni di essi avremo occasione di parlare ancora lungo la nostra trattazione. (1) Lettera a Gio. Jacopo Tori. Cesano, 7 ottobre 1699, Campori, II, 410-11; cfr. inoltre la lettera a Carlo Borromeo Arese, 1699, Campori, II, 410; e quella ad Apostolo Zeno, 1699, Campori, II. 394-95. (2) Cfr. Filosofia Morale, cap. XXVIII, pag. 260. (3) Lettera ad Antonio Gatti, 1701, Campori, II, 503. Serie IL Tomo LUI. 12 90 vo graxde 26 PARTE SECONDA L'educazione considerata nelle sue forme. V. — L'Educazione Fisica. Seguendo l'ordine naturale della scienza, considereremo i pensieri pedagogici muratoriani secondo la comune divisione dell'educazione in Fisica, Intellettuale e Mo- rale, prendendo le mosse dalla prima. L'educazione fisica ha la sua origine fondamentale nella necessaria unione fra lo spirito e il corpo; e siccome lo spirito si serve del corpo come strumento della sua operosità esteriore, appare facilmente quanto importa che questo sia conve- nientemente educato. Tale certa ed evidente corrispondenza, affermata più o meno incondizionatamente fin dai tempi più antichi, è pur notata in tutta la sua ampiezza dal nostro diligente maestro. " È da por mente, che se non in tutto, almeno in gran parte, l'animo umano non può operare senza ajuto de' Sensi, e dipendenza dagli organi del Corpo. Ed in oltre lo stesso corpo, coi suoi movimenti, spiriti, ed umori, ha bene spesso una potente influenza sopra dell'animo „ (1). Organi del pensiero sono segnatamente quelli proprii dei sensi fisici esterni, i quali tutti hanno il loro centro nel cerebro. E qui il M. scrive parecchie eruditissime pagine — Capitoli II, III, IV della " Filosofia Morale „ — dimostrandosi informatissmo dei pronunziati e dei progressi dell'anatomia e fisiologia, sorprendendoci talora della competenza e precisione delle sue cognizioni. I sensi fisici sono le finestre per cui le impressioni del mondo corporeo entrano nell'anima, che su di esse elabora le sue conoscenze, le quali quindi saranno tanto più perfette quanto più perfetto è l'ufficio dei sensi. Da quanto egli espone possiamo fra l'altro, stabilire: 1° che havvi una inces- sante e intima corrispondenza d'azioni fra l'anima e il corpo; 2° che lo spirito si sviluppa mercè il sussidio dei sensi fisici esterni. Da questi due punti pertanto emanano due grandi conseguenze pedagogiche: a) che la vita corporea ben sviluppata esercita una benefica influenza sulla vita della mente ; b) che lo spirito umano ha nel corpo uno strumento adatto alla sua attività. se esso, mediante l'educazione fisica, è cresciuto agile, sano e vigoroso. Sono due grandi leggi pedagogiche di indiscutibile verità ed universalmente am- messe, le quali devono pure indicare qualche cosa nella concezione scientifica murato- riana. Ma procediamo. È variamente discussa la questione dell'eredità fisiologica in pedagogia, se cioè i figli sortano dalla nascita un organismo preformato e predestinato ad un avvenire patologico simile ai genitori. Il M. l'accetta e vi riconosce una moderata influenza, ma a questa contrappone un' altra forza, l'ambiente fisico, il quale fa pure sentire (1) Filosofia Mordle, cap, 11, pag. 25. 27 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 91 vivamente la sua virtù modificatrice sul nostro corpo. Ed ecco come ragiona : " Do- vrebbe un Uomo dotato di felicissimo ingegno , o sia di un Cerebro lavorato con gran parzialità d'artificio, produrre un altro Uomo affatto simile; dovrebbe la testa meschina d'un altro mirarsi copiata a puntino ne' suoi figliuoli; e in fatti nella prole si trasfondono non di rado i lineamenti, le inclinazioni, e massimamente le malattie de' Padri. Ma questi innesti noi li osserviamo non poche altre volte poco simili al tralcio loro. E non per altro, se non perchè l'Uomo, quantunque solo principio vero della generazione corporea dell'altr'Uomo, non può senza il concorso altrui formare un altro se stesso: e concorrendo il Sangue, gli Spiriti, il Latte e insino la Fan- tasia della sua Compagna a concepire, a formare, a perfezionare ed alimentare il feto, vien questo perciò a sortire bene spesso configurazioni, forze, spirito, ed umori, che son tutti diversi da quei del Padre, e dissomiglianti ancora da quei della Madre : non potendo se non troppo difficilmente in un miscuglio di tali spiriti mantenersi quella sola architettura, che proveniva dal Padre „ (1). Non è quello che si può dare di più rigorosamente scientifico, tuttavia il con- cetto muratoriano balza fuori chiaro e netto. Ma oltre alla ragione fisiologica, deve pur tenersi conto, nella produzione e nello sviluppo umano, della ragione fisica, ed il Capitolo IV della " Filosofìa Morale „ è in gran parte destinato dal M. a dimostrare l'influenza degli oggetti fisici esterni sulla nostra formazione e costituzione. Il clima caldo pi-oduce ingegni più vivaci, perchè il calore solare sviluppa calore interno nel corpo; il freddo esterno genera forza e vigore alle fibre e ai muscoli, ma general- mente produce spiriti grossolani. L'aria è pure un efficacissimo coefficiente fisico. I paesi umidi, paludosi e bassi difficilmente produrranno spiriti di egual vigore che le colline e i monti, mentre l'aria pura, asciutta, colla sua maggiore elasticità confe- rendo maggior brio, " e per così dire un certo fuoco al sangue „, produrrà ingegni più sottili e pronti. Altrettanto è da dirsi per chi abita al mare, o lontano da esso, in paesi soggetti a venti secchi o a venti umidi, ecc. ecc., cause tutte che influiscono sulla salute e sullo sviluppo del corpo. Ma il M. non si contenta di stabilire così semplicemente il fatto, egli vuol de- durne norme etiche e pedagogiche. Questo infatti è il magistero dell'educazione fisica, che studiando le cause e ponendole in armonia colle leggi fisiologiche, ne ricava norme e mezzi che contribuiscono ad assolvere il suo compito. Questi mezzi pertanto, secondo i migliori pedagogisti (2), si riducono a tre: Igiene, Ginnastica, Coltura dei sensi fisici. Riguardo all'igiene osserviamo, che se poco può darci il M. sotto l'immediato rispetto pedagogico, intorno ad essa in generale considerata, scrisse erudite disserta- zioni " De potu vini calidi „ e buoni trattati " Del Governo della Peste „ ecc., e parte della " Filosofia Morale „ ; per lo scopo nostro particolare detta poi sagge osserva- zioni sulla casa, sui vestiti, sulla nettezza e pulizia del corpo, salubrità dell'aria, nutrizione, sonno, ecc., ed in generale su tutti i fenomeni della vita vegetativa (3). (1) Filosofia Morale, cap. Ili, pag. 49-50. (2) Cfr. G. Allievo, Studi Pedayogici, pag. 375. (3) Si può dire che tutto il Trattato del Governo della Peste sia basato su norme igieniche , e ad esso mandiamo pei- questa parte. 92 STEFANO GRANDE 28 Ma più abbondanti sono i suoi accenni al secondo mezzo dell'educazione fisica, alla ginnastica, la quale egli considera anche dal punto di vista morale. " Nei secoli barbari si esercitava la nobil Gioventù in Giostre, Tornei, ed altri armeggiamenti, in Caccio e Giuochi faticose e in suonar vari strumenti. Ne sapevano più de' nostri tempi, ne' quali veggiamo di che tempra sieno i solazzi della nobil Gioventù. Quanto meno sarà essa in Ozio, dandosi ad applicazioni e fatiche oneste, tanto più sarà lungi dall'abbandonarsi a i Vizi. Giacché molti non hanno mente capace d'alti i nobili applicazioni, almeno tengano il corpo applicato a onesti esercizi, o ad arti convenevoli a persone civili. Io non oserei dire che i Giovani de' vecchi tempi, fos- sero migliori de' nostri: ma si può ben dire che nel loro contegno comparisse più del virile, non perdendosi essi le due ore alla Toletta, per addottrinar la zazzera colle maniere femminili, e per prendere in prestito dai bussolotti quel colore che la natura lor negò „ (1). Cosi egli dalla ginnastica, mezzo di educazione fisica, si eleva a considerazioni morali e sociali , e raccomanda ai Principi , e in generale ai Capi del governo, di aver a cuore la prosperità fisica dei loro popoli, di non lasciarli infiacchire nel- l'ozio e nella quiete, di allestir per loro pubblici spettacoli ginnici, corse di cavalli, giostre, carroselli, regate ecc. (2). Colla ginnastica hanno strettissima relazione i divertimenti e in generale tutte le azioni che suppongono moto, e al bisogno del moto è subordinata tutta la vita, e principalmente la giovanile. Ma il M. non si contenta di parlar in generale di diver- timenti ed esercizi fisici, egli viene anche al particolare, e li considera e li individua- lizza dal punto di vista di convenienza a ciascuna età, condizione, sesso, luogo ecc. " V'ha di que' giuochi, che non solamente son leciti, ma anche tali, che se ne può lodare e raccomandar l'uso a i Giovani, e son quelli, che entrano nella schiera degli esercizi corporei, e contribuiscono alla conservazione d'un importante bene, cioè della Sanità. Sono da annoverare fra questi la Lotta, la Racchetta, la Palla (non osando io parlare si francamente del pallone) il Trucco da Tavola, o sia il Bigliardo, il Pallamaglio, le Poma ecc. Altri son leciti e lodevoli per le persone gravi, come i giuochi d'ingegno, purché onesti, gli Scacchi, lo Sbaraglino, ecc. Altri infine sono o pericolosi, o cattivi, se non per loro natura, certamente per l'abuso, che ne fan d'or- dinario gli stolti mortali, col cagionare o a se stessi, o ad altri, un grave danno .. (3). Cosi ottemperando alle esigenze ed ai bisogni della natura, il M. informa tutti i divertimenti giovanili al moto ed alla ginnastica. Alla lotta, palla, bigliardo ecc. egli unisce altrove l'equitazione, la caccia, il nuoto ecc., ma prima di tutte e in modo speciale, le passeggiate. E non è poco pel secolo XVIII, e dico anche pei tempi nostri, in cui falsandosi un giusto intento, si obbligano maestri e scuolari a far nella scuola capitomboli, salti, l'uomo volante, e simili giuochi da acrobatici della piazza (4). (1) Della Pubblica Felicità, pag. 39. (2) Id., eap. 26. (3) Filoso/io Morale, eap. Vili, pag. 98. (4) Cfr. G. Allievo. La riforma dell'Educazione modi ma, ecc., pag. 61 : ed 0. Turchetti in " Gaz- zetta di Torino „, 29 ottobre 1878. 29 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI t. A. MURATORI Ma il M. nel campo dell'educazione fisica è benemerito anche sotto altri aspetti. Egli vuole che si lasci alla natura di formar il corpo come crede, e senza incorrere nelle esagerazioni degli Spartani, bandisce gli eccessivi riguardi, le soverchie atten- zioni che rendono delicati e viziati i fanciulli, e irresistenti alle menome contra- rietà (1). E questo già il pensiero di Quintiliano, che insorge contro la soverchia accondiscendenza fisica verso i fanciulli: u Utinam liberorum nostrorum mores non " ipsi perderemus. Infantiam statini deliciis solvimus: mollis illa educatio, quam indul- " gentiam vocainus. nervos omnes et mentis et corporis frangit „ (2). Non diversamente la pensava il Montaigne, il quale pure scriveva (Mi: L Endourcissez l'enfant à la sueur " et au froid, au vent. au soleil, et aux hazards qu'il lui fault mespriser: ostez luy " toute mollesse. et delicatesse au vestir et coucher, au manger, et au boire ; accou- " stumez le à tout: que ce ne soit pas un beau garson et dameret, mais un garson * vert et vigoreux. Enfant, nomine vieil, i'ay tousiours creu et jugé de mesme „. Punto diversamente scriveva il Locke, e in tempi piti vicini a noi il Rousseau ed in gene- rale tutti i più insigni maestri dell'arte pedagogica. Di qui alla morale è breve e facile il passo pel M.. il quale si ferma attorno a questa, tanto più volentieri, in quanto che per lui la ginnastica non è solo l'indice più sicuro della buona sanità, ma anche, e giustamente, un valido mezzo di pratica moralità. Ma anche dei mezzi opportuni pel buon mantenimento della salute parla il M.. e tra i primissimi ricorda la Temperanza " virtù cotanto essenziale, che da i saggi è riposta fra le primarie, e che sobrietà si nomina, in quanto ci ammaestra, affinchè non rechiamo nocumento a questa material parte di noi stessi, ed essa noi rechi all'altra, cioè all'Anima nostra „ (4). Nocivi al corpo sono pertanto tutti gli eccessi di qualunque genere, " imperciocché ogni eccesso che si commetta nei piaceri corporei, snerva o infievolisce il Corpo stesso, e gli prepara una dura penitenza di febbri e d'altri malanni „ (ó). Qui egli passa in esame le funzioni, gli usi, gli scopi dei sensi, di tutti notando le intemperanze e gli eccessi, e sopratutto fermandosi sul Gusto. " Del " Ne quid nimis „, celebre documento d'un antico filosofo, dappertutto deve farsene conto: e qui specialmente, essendo evidente, che l'opprimere col cibo e colla bevanda il Corpo, o presto o tardi si ha da pagar caro colle Malattie, e spesso ancora con quelle che non han rimedio „ (6). II male è vecchio e il M. cita l'epistola XCV di Seneca, dove i cuochi non sono davvero considerati come i più grandi benefattori dell'umanità: " Nunc quam longe processerunt mala valetudinis! Has usuras Volu- " ptatum pendimus, ultra modum fasque concupitami ni. Innumerabiles esse Morbos " miraris ? Numera coquos „. Non meno utili e sagge osservazioni ci dà sugli altri sensi, la vista, l'udito, il tatto ecc., per il che, anche senza poterlo oltre seguire, ci pare di poter rilevare qui (1) Filosofi» Morale, cap. XXXIV, pag. 318. — Identici concetti espone pure nel lib. T, cap. XXV. pag. 81, e lib. II, cap. VI, pag. 227 dei suoi Saggi il Montaigne, che al Muratori non doveva certo essere ignoto. (2) Quintiliano, Istituzioni Oratorie. (3) Mohtaighb, Essais, lib. 1. cap. XXV. pag. 89. 4 Filosofia Morale, cap. XXXIII, pag. 301. (5) Idem, pag. 302. (6) Ìbidem. 9 | STEFANO GRANDE 30 un nuovo merito del M. Egli infatti senza punto piccarsi di pedagogia, non solo non trascura nessuna parte di essa, ma parla anche diffusamente della coltura dei sensi (1), ciò che altri della professione, e sensisti convinti, si dimenticarono di fare. Molti altri mezzi di educazione fisica, che possiamo dire indiretti, si pò raccogliere nel M., quali la tranquillità e serenità dell'animo, la moderata applica- zione del pensiero, l'integrità del costume ecc., ma questi mezzi s'accostano di troppo alla filosofia morale, ed è forse sufficiente l'accennarli semplicemente così. Chiudiamo pertanto queste poche cose sull'educazione fisica, ritornando ancora >ul inerito del M. il quale, in tempi in cui la sana cultura del corpo era del tutto, o quasi, trascurata, si riferiva ad essa insistentemente, dando regole e precetti se non del tutto originali, certo non trascurabili, sulla conservazione della salute cor- porale, e sullo svolgimento delle forze fisiche; scopo la prima dell'igiene, il se- condo della ginnastica. VI. — Educazione Intellettuale. Dopo l'educazione del corpo si presenta a noi spontanea e diretta la trattazione dell'educazione della mente, che si divide in intellettuale, estetica, morale e religiosa. L'educazione intellettuale deve essere formale e materiale; quella ha per ufficio il pensare, questa il conoscere. Tale divisione misconosciuta da alcuni, che tutta la cultura intellettuale riducono all'apprendere, cioè all'istruzione, troviamo accennata dal M. nella sua definizione dell'intelligenza e dell'ingegno. " Quantunque Intelletto ed Ingegno o siano o paiano la stessa cosa, tuttavia per nostro modo d'intendere, nel nome d'Ingegno, noi siamo soliti a significare la forza dell'Intelletto, perciocché tutti gli uomini hanno Intelletto, ma non tutti Ingegno „ (2). Ingegno pertanto è la forza dell'intelletto. " e col nome di Intelletto (3), che anche si vuol appellare Mente, intendiamo la Facoltà o Potenza, che ha l'anima nostra, di pensare, cioè di appren- dere le Idee delle cose, di combinarle, di dividerle, di astrarre, di giudicare, di formar assiomi universali, di raziocinare, di far altre simili azioni, delle quali è solamente capace un Ente ed Agente reale spirituale, ed è incapace la Materia, per quanto si voglia organizzata e sottilizzata „. Da tutto questo pertanto si deduce che pel M. l'ingegno è l'intelligenza cono- scente, scopo della cultura materiale; l'intelletto la pensante, scopo della cultura formale. Ma quantunque non siano l'identica cosa, il pensare e il conoscere hanno il loro centro d'unità nella medesima potenza, e per conseguenza anche le due specie di cultura intellettuale devono integrarsi a vicenda, e in guisa armonizzare che l'una sia il necessario complemento dell'altra. Ma il M. rilevato cosi il fatto, non può fer- marsi a dar precetti separati per queste due funzioni dell'intelligenza, e a noi non rosta quindi a considerarle che come miranti ad un fine solo, l'istruzione. Relazione fra le scienze. — Cominciamo col metter in evidenza il merito del M. di aver notata e propugnata, sì in teoria che in pratica, la necessaria corrispondenza ed armonia fra le scienze. Non è una novità, il M. stosso ne conviene, e ricorda che (1) Cfr. Filosofia Morale, cap. XXIII. XXI V. XXV. (2) Delle Forze dell'Intendimento Umano, ecc., pag. 338. (3) Della Forza della Fantasia Umana, pag. i. 31 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI I.. A. MURATORI 95 già Aristotele scrisse (1): " èmKoivoùo"i iràffai éTno"rrmai àXXiiXais „; e Cicerone: " omnes " artes, quae ad humanitatem pertinent, habent quoddam commune vinculum, et " quasi cognatione quadam iater se contineatur ., (2). Data quest'universale corrispon- denza delle scienze, si vede subito la grande utilità che deriva dall'applicarsi con- temporaneamente ad esse. " Non si può dire, quanto gran vantaggio possa trarre l'ingegno umano da tanto apparato, mentre le ragioni, i fondamenti, le divisioni, e tant'altri lumi di una Scienza possono poi servir di base, prova, ornamento ed esempio dell'altre. E ci ha alcune d'esse, che necessarie assolutamente sono per ben inten- derne, e ben trattarne alcune altre, inquantochè chi manca nelle prime, sicuramente non passerà franco per le seconde „ (3). Ma il M. non vuole consigliare agli studiosi la coltura contemporanea di tatti- le discipline, perchè sa benissimo che spesso, al dir di Eraclito, " TroXuuàGiv voòv où òiòàffKe'. ,,-"A me basta di dire, che la cognizione di molte scienze ed arti e la diversa Erudizione, qualora s'accoppiano con Ingegno e Giudizio singolari, possono produrre effetti mirabili, e cagionare, che allora perfettamente si truovi e mostri il Bello di quella Disciplina, che si vuol trattare ex professo. E Plutarco nel Libro dell'Educazione dei Figliuoli è di parere che almeno s'abbia da assaggiare l'Enciclo- pedia, in guisa che non ci arrivino nuove le varie Discipline „ (4). Il pensiero del Muratori pertanto si è, che occorre applicare la mente giovanile contemporaneamente in un vasto campo, non in uno studio solo, perchè cosi essa può esplicarsi e fortificarsi meglio. Il voler subito restringerla in una data materia, è volerle precludere ogni altra via di azione e di estrinsecazione, cosa che sarà poi necessario praticare quando, corroborata dai principi generali comuni fra le scienze, essa si sarà rivolta da se, spontaneamente, ad una scienza particolare. Cosi fece egli, senza punto temere di cadere in un lavoro vano, o in una confusione di materie e studi. Del resto, la varietà delle opere stesse del M., le diverse scienze da lui feli- cemente trattate, nel tempo stesso che ci rivelano l'universalità del suo ingegno, ci provano luminosamente la verità delle sue asserzioni. Ma primo frutto di questa generale coltura delle scienze è l'indecisione, e il Mu- ratori stesso, a 22 anni, quando ha già dato prova di non comune ingegno, quando ha già scritto brillantemente una celebre e dotta dissertazione sulla lingua greca, e ne prepara un' altra non meno insigne sulla storia — le vedremo tutte due — e sta pub- blicando il primo tomo dei suoi Aneddoti, il M. stesso, dico, indeciso, sconfortato, piena la testa di studi, ma incerto dove piegare il suo ingegno, mestamente scrive: " Equidem nonnunquam et nunc temporis potissimum sollicitari non desino, quum nullam ^istituendi studii rationem comperiam, et inter tot, quibus animum possem advertere, nulla se meis obiiciant oculis, quae certam fructus olim referendi spem faciant „ (5). Passate pertanto in breve rassegna le scienze, a ino' di conclusione ri- batte: " quod obiici posset nosco, sed quo pendere mens debeat hactenus non vidi, et quidem unde mihi honor lucrumque sii obventurum ignoro „. Ma questa inde- (1) Aristotele, Analitici Posteriori. (2) Cicerone, Orazione a furor d'Archia. (3) Delle Riflessioni, ecc., pag. 321. (4) Ibidem, pag. 322. (5) Lettera a Francesco Caula. Mutinae, V Idib. Feb. 1694, Campori, I. 478. 96 STEFANO GRANDE 32 cisione gli tornerà utile, ed egli non lascierà di compiacersene, e di proporla all'altrui imitazione. " Non si sarà già maravigliata V. S. Illustrissima — scrive egli tutto sod- disfatto, un quarto di secolo dopo, al Conte di Porcia — ma potrebbe ben maravi- gliarsi e ridere alcun' altra persona al vedere tanta mia instabilità, e tanto mio caracollare per varie arti e scienze, potendo parer questa un' intemperanza d'ingegno, e una voglia di non imparar nulla, per voler imparar tutto; ma chi giudicasse cosi non si scoprirebbe testa di gran circonferenza. Ne si può dire, che aiuto e che nerbo dia un' arte all'altra e che legame abbia insieme la maggior parte della erudizione e della scienza „. Ne il M. si cura di suggerir piuttosto questo o quello studio, tutti sono buoni, purché si coltivino con serietà e giudizio, e tutti si danno infine la mano, essendo comune a tutti lo scopo ultimo. I difetti che nelle scienze e nelle arti noi riscon- triamo, non sono veramente difetti loro, ma di noi stessi che, o non le sappiamo bene, o le studiamo male, o le esercitiamo peggio (1). Non è che tutte le scienze abbiano eguale importanza, ognuna ha un valore proprio, ma qualunque esso sia, qua- lunque siano le nostre occupazioni intellettuali, esso ci sarà utile, perchè ogni scienza riceve dall'altra forza, lume ed aiuto per progredire. Fermata così la corrispondenza fra le scienze, facciamo una corsa fra esse. La Repubblica Letteraria Italiana. L. A. Muratori aveva 21 anni quando sognò di unire in una grande lega tutti i letterati d'Italia, fondendo in essa le numerose accademie italiane, frivole e stec- chite. Fu un sogno, ma uno di quei sogni di cui sono capaci le sole anime grandi, bisognose di estrinsecarsi. Lo scopo della grande Repubblica era l'accrescimento e la perfezione delle arti e scienze, e la gloria d'Italia; il mezzo triplice: a) determi- nare le cause del fiorire e del decadere delle lettere ; b) descrivere i difetti delle singole arti e scienze, e proporne i rimedi; e) correggere e migliorare l'insegnamento delle scuole, determinando le vie da seguirsi. Troppo giovane per acquistarsi l'uni- versale fiducia per sì grandiosa impresa, ricorse allo pseudonimo, e pubblicò a Venezia, colla falsa data di Napoli, nel 1703, i suoi Primi Disegni della Repubblica. Letteraria d'Italia, firmandosi Lamindo Pritanio (anagramma del suo pseudonimo Antonio Lam- pridi). II progetto fece rumore, i migliori approvarono, i più arditi applaudirono, ed il M. rinvigoriva il suo sogno con lettere, con scritti, con nuovi incitamenti. Qual- cuno anche si oppose, il dotto e pio Padre Bianchini — Lettera del 7 febbraio 1705 da Roma — che scambiava i generosi sentimenti del M. per una sete perniciosa di gloria mondana. Entrano in campo i cortesi e generosi Letterati d'Italia, i Lettori dell'Università di Padova, i Principi più munifici e potenti ... e il sogno si va con- cretando, se non nella realtà del fatto, almeno negli effetti desiderati dall'autore. Fra gli effetti più immediati, e per noi più benefici, di questo grandioso disegno, ricordiamo l'opuscolo ora citato dei Primi Disegni, ecc. e il trattato del Buon Ghisto nelle Scienze e nelle Arti, opere interessanti ed erudite, le quali, scambiate per que- stioni formali ed accademiche, sono forse fra le opere Muratoriane le meno note e (1) Cfr. Delle Riflessioni, pag. 155 e seg 33 ' IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 97 studiate. Lo scopo di quest'ultima era fornire ai giovani sagge norme per l'ordine e il criterio nello studio, dimostrando loro gli eccessi e i difetti delle varie scienze ed arti. I Primi Disegni ecc. invece, ci danno il grande abbozzo d'un piano sistema- tico di studi da praticarsi dalla futura repubblica. Vi sono proposti dieci professori : due per Lettere, e cioè uno per l'Eloquenza e la Poesia, l'altro per la Storia; due per la Filosofia naturale e Medicina; due per l'Astronomia, Geografia e Matematica; due per la Teologia Dogmatica e per la Storia ed Erudizione Ecclesiastica ; due per le Lingue Orientali e per l'Erudizione profana. Questo il piano di studi ideato dal M. a sostituire il rancido ed acefalo de' suoi giorni. Dall'ordine delle discipline e dal numero dei professori si può già in qualche modo arguire l'importanza che loro avesse assegnata il M., ma noi chiariremo meglio le sue idee, essendo nostra intenzione di passare in rassegna le diverse scienze e discipline scolastiche in quanto formano un sistema di studi, oggetto della Pedagogia e Didattica. La Storia. Incominciamo la nostra rassegna dalla Storia, cioè da quella scienza ove si rese più benemerito il M., e cerchiamo di chiarirne il concetto e le leggi. " Niuna parte della Letteratura ci è, scrive egli (1), che sia tanto capace d'esser sempre mai trat- tata con utilità, e novità insieme, perchè utili mai lasciano d'essere le Cose dette e ridette . . . Ora utilità e novità può essere o per le sole Cose, o per la Scelta, e per l'Ordine delle Cose, o per le Riflessioni; egli è da avvertire che l'Istoria per se stessa altro non porge che avvenimenti, detti e fatti altrui, e descrive cose, che già furono o son tuttavia. E questo è il fine suo immediato. Un altro fine di lei anche più nobile si è quello d'insegnare alle genti a ben vivere e a ben governarsi. Ella è, dico, una scuola pratica di Morale, una scuola di Religione, di Politica, di Eco- nomia, di Filosofia, e d'altre simili Discipline, conforme al soggetto ch'ella tratta „. Due fini pertanto scopre qui il M. nella storia: porgere dei fatti e dedurne degli ammaestramenti, ma ad essi altri ancora vanno uniti, e noi non mancheremo di ricercarli. Facciamo nostro punto di partenza un'importantissima ed eruditissima lettera del M. (2) diretta tutta a scopo didattico, e quindi opportunissima a noi. In essa alle osservazioni dottrinali sono intrecciate abbondantemente le considerazioni pratiche, e il M. ci si rivela in tutta la forza del suo giudizio, descrivendo con mano maestra tutta l'efficacia intellettuale non solo, ma morale, etica, pratica della storia. " Tu leggi ogni giorno la storia, dice al giovine Conte Borromeo, tu scruti con- tinuamente i fatti degli antichi e fai bene: " optimum sane consilium, si et utile; neque enim lectio tantum amanda, quia delectat, sed quia prodest „ . Ecco due grandi doti della storia: il diletto, e prima di esso l'utilità. " Quid autem Historiis ad ro- bustam eruditionem hauriendam commodius ? Quid ad vitam recte effingendam acco- modatius? . . . „. Noi dobbiamo molto alle età passate, perchè l'uomo dall'esempio è tratto, con muto tirocinio, alla prudenza ..." alienis in erroribus nostros emendandos (1) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte li, pag. 253. (2) Lettera al Conte Giovanni Benedetto Borromeo Arese. Caesani, 7 Idib. Novembr. MDCXCV È una vera gemma del primo volume dell'Epistolario del Campori, pag. 107-110. Serie II. Tom. LUI. 13 98 STEFANO GRANDE 34 deprehendiinus, alicnis in virtutibus nostras amamus, sique vitiorum imperium pa- timur, alienis expensis discimus ea posse puniri „. E un altro grande principio storico. Dai fatti passati, dai loro nessi e rapporti con noi, coi nostri interessi, coi tempi nostri, dobbiamo attingere la norma direttrice della nostra vita, imparando a spese dei nostri maggiori ad evitarne gli errori, e dalle loro generose azioni a superarne l'esempio. È la più grande affermazione che la storia è la maestra della vita e la prima palestra di etica dignità. Ma la storia, continua egli, non offre solo un vantaggio individuale, essa riguarda il tempo, l'uomo, la sua vita, il suo operare in generale, e generale è perciò il suo intento, sociale il suo scopo. " Aliquis saepe tibi e lectione reponendus est fructus, tibi non modo profuturus, sed in humani Consortii condimentum transiturus „. Ecco frattanto come dal fatto storico, a prova di quanto ha detto, egli risale ad una norma astratta, ad un principio etico: Nerone dopo l'incendio di Roma, beneficò molto generosamente il popolo, eppure non gli restò, nella sua rovina, nemmeno un amico ; ognuno dimenticò il principe liberale, per non ricordarsi che del tiranno : " Praeter alia heic animadvertas velim quam sapienti sit aequalitas necessaria „. E un principio fondamentale che può servire di norma tanto all'uomo privato che al principe, tanto all'individuo che alla società. Ma il M. procede : Si raddoppiano i be- nefizi della storia, se a questo studio portiamo alcune doti della ragione, informata ad una retta disciplina morale. Ed egli scolpisce con mano maestra queste norme, esprimendo con riuscita e potente efficacia alcuni precetti di filosofia morale. " Clau- dicat virtus, quum suam in societatem vitium aliquod adsciscis: Prima in nomine virtus est vitiis carere, proxima abundare virtutibus... „. Come la presenza d'una nube può oscurare il sole, così la presenza d'un vizio può oscurare la virtù. Cesare fu grandissimo principe, " eximiae in ilio virtutes, sed non sine suspicione superbiae „ tanto bastò perchè ci rimettesse l'impero e la vita. " Sibi igitur in virtutibus aequalis sit sapiens, quum et ipsa aequalitas in nomine virtutum sit culmen „. Così continua egli, intrecciando ai principi della storia sani precetti di morale, ribadendo sempre più il concetto che anzi tutto la storia deve essere la famosa magistra vitae. Togliete questa fonte di dignità, e voi toglierete ogni pregio, distrug- gerete anche la scienza. " Hac sublata, sapientis eximium perit ornamentimi, quin immo et ipsa sapientia „. Al contrario forti di essa nulla si ha da temere, e il pro- fitto è certo. " Hanc artem si tenes, cur peiora sectaris? Cur non poenitendae rei te poenitebit? Ad scopulos non deflectit, neque per ludum, nauta cogitans portum „. La lettera finisce con alcuni precetti di morale al giovane Conte. " Quaeris quid nomini ad gloriam sit opus : optimi mores. Quid ad gloriae perennitatem ? Aequalitas. Virtutes, affectusque compressi id impetrabunt, ut plurimum amorem tibi promerearis, aequalitas ut nullius odium „. Questa pertanto è la via della gloria e della virtù, da seguirsi dallo storico non solo, ma da ognuno che tenda al bene. Coefficiente della gloria sono i buoni costumi, coefficiente della sua durata, la coerenza a noi stessi, e ai buoni principi. Tale è la sostanza di quell'eruditissima lettera che non sembra certo scritta da un giovane di 22 anni, ma da un provetto ed esperto cultore delle scienze sto- riche, tanta è la maturità d'ingegno, e la sicurezza nel giudicare gli uomini e i grandi periodi della storia. 35 IE PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 99 Ma questo non è che il preludio della grande concezione storica muratoriana, il cui degno esame non è fatica poco ardua, e del resto per lo scopo nostro inop- portuna. Ci limiteremo pertanto a poche osservazioni e conclusioni. La Storia pel M. è l'incarnazione della morale ai fatti umani in modo da pro- curar la loro verità, da scoprirne dei nuovi, da presentarne l'insegnamento e dare al tutto forma organica. Sono quattro leggi, o meglio quattro grandi principi infor- matori della storia (1). La prima legge pertanto è la verità, che è l'ideale e la vita della nostra mente, la luce che ci rischiara, la fonte da cui ritraggono pregio tutte le scienze e ci por- gono utili insegnamenti. Non è la storia una narrazione ordinata a dilettarci sem- plicemente o lusingarci, essa è il santuario più fedele delle più solenni verità. Ma alla verità, in fatto di storia, si può venir meno in tre modi ; o per deliberato pro- posito, o con pie frodi mirando anche a fini buoni, o per colpevole inettitudine. Ma in contrapposizione è universalmente saputo che la verità finisce sempre col venir a galla, che essa non ha bisogno di puntelli, e che disdegna i mezzi termini e le accomodature. Ecco come si esprime il M.: " Che si trovino letterati, i quali cre- dendo di insegnare la verità, e facendo quanto possono per raggiungerla vendano per inavvertenza il falso, noi lo veggiamo tutto dì; ma questi abbagli, siccome non figliuoli della loro volontà, sono errori, non colpe. Che si siano poi trovati anche di coloro, che ad occhi aperti, abbiano spacciato in vece della verità, le menzogne, non ne mancano le prove, e gli esempi ; e forse di costoro non sarà finita la razza mal- vagia. (Il M. pensa qui ai Giguera e ai Zapati in Spagna; ai Curzi Inghirami, ai Ligori in Italia, ecc.). Ma fra queste due schiere ve ne ha un' altra di mezzo, et è di coloro, che vogliono, e non vogliono dire il falso. Noi vogliono, perchè se sapes- sero di dirlo se ne guarderebbero, e lo vogliono perchè volontariamente eleggono la via per cui chi non v'ha ben l'occhio, di leggieri abbandona la verità: Parlo di chi troppo avidamente pensa a crescere di fortuna, a salire a gli onori, a empiere la borsa. Il principale oggetto di questi tali suol facilmente essere più che la brama di trovare il vero quella di piacere. Perciò anche senza pensarci eccoli adulatori, eccoli sostenitori di tutto ciò che è più in grado a chi dispensa la buona ventura e l'oro. Mancano (chi noi vede?) mancano a gente sifatta i primi principj de' veri letterati. Niun principe, niun premio ha mai da essere bastante a fare che uno scrittore onorato sostenga se non quello, ch'egli dopo sincero esame conosce, o crede di conoscere giusto e vero ,, (2). Così parla, e così continua egli, salariato di un principe, a dar prova di ammi- rabile indipendenza e libertà di giudizio in omaggio alla verità. Ma non basta non propalar menzogne ed errori, occorre anche appurare quelli che ci tramandarono i nostri avi. Dobbiamo studiare fra gli autori chi erra per ma- lizia, per personalità o ignoranza; dobbiamo confrontar le traduzioni cogli originali; l'intenzione dell'autore e il senso che ne venne fuori; paragonare i luoghi, i tempi, le citazioni ; conciliare le differenze, ricorrere ai manoscritti più antichi, e non dispe- rare di trovare un buon soccorso talora da un semplice accenno, da una citazione, da una parola sola. Ma qui entriamo nella critica, e di questa parleremo altrove. (1) Lettera al Conte di Porcia. (2) Cfr. Scritti Inediti di L. A. Muratori, eco. Sezione Storica. 100 STEFANO GRANDE 36 La seconda grande legge storica consiste nel far conoscere cose nuove, e di essa possiamo senza timore asserire che si rese il M. più benemerito che di tutte le altre ancora. Il ridire le cose dette, osserva egli, non è un gran merito per uno studioso; occorre cercare di allargare il campo degli studi, e spingere in avanti lo sguardo. E qui egli distingue i lavori che dico di schiena, da quelli dell'ingegno; i primi possono giovare per diffondere utili conoscenze e risultati noti, ma gli altri più par- ticolarmente ed efficacemente giovano al progresso delle scienze, rinforzandole ed ampliandone i confini. Ne possa da taluno ritorcersi a danno del M. questa verità. perchè egli nell'immensa mole del suo lavoro storico dà campo a sagge osservazioni, all'estensione e perfezione di certe conoscenze, di certi principi, notando negli avve- nimenti umani le relazioni, le cause, gli effetti; facendo dappertutto buona scelta di autori e di documenti, scoprendo, correggendo, confrontando, vagliando . . . Ma noi dobbiamo riconoscere a proposito di questo secondo principio storico dei meriti singolarissimi nel Muratori. Infatti nella sagacia del suo giudizio, egli intravvide una nuova miniera di studi sommamente giovevoli alla storia, e con co- raggioso tentativo ne rassodò la via: alludo ai suoi studi numismatici e paleografici. I tempi moderni hanno dimostrato che egli aveva veramente ragione, e i benefizi che derivarono alla storia dalla cultura di quegli studi sono davvero meravigliosi. Chi prende in mano un'opera di storia antica, od anche solo medievale, composta mezzo secolo fa, e la confronta con un trattato recente, riconosce di leggeri la ve- rità delle nostre osservazioni. Ora il M. colla sua raccolta di iscrizioni " hi , stantia et usu veterum Inscriptionam „ diede valida spinta a questi studi, spinta che fu in seguito sempre più aumentata fino ai tempi moderni, ai quali fu riservato di abbattere del tutto quell'immensa mole di favole e fantastiche leggende che avevano inondato la storia di quei tempi. Ma rifulse non meno chiaramente il sottile discernimento, e il sicuro giudizio del M. nel conoscere tutta l'importanza della storia dell'età di mezzo. Quivi non si vedeva che orridume, che rozzezza, che barbarie, e pochi pensavano che vi si potesse pure trovare il lato bello. Tra i pochi è il M. Anch'egli dapprincipio, piena la testa della grandiosità, sontuosità ed eleganza classica, segue le viete idee dei puliti uma- nisti e dei signori della rinascenza, ma tosto si ricrede, e a discapito stesso dell'età classica, afferma che non in questi, ma nei tempi di mezzo, si deve ricercare la più abbondante e giovevole messe di studio (1). Ed egli inoltratosi nella " selva sel- vaggia „ di quei secoli di mezzo, ne usciva colle sue più importanti opere storiche. A questo merito del M. nel campo di questa seconda legge storica, va aggiunto l'altro non meno insigne, di aver chiaramente veduto l'importanza e la necessità degli studi sacri, delle storie ecclesiastiche. Vasto è pur questo campo, vastissima la messe, ma pochi i buoni cultori. Il pensiero comune essendo rivolto all'erudizione profana, si disconosce in generale l'importanza di questi studi, anche da coloro cui dovrebbero stare più a cuore, e il M. se ne richiama vigorosamente agli studiosi, a cui descrive tutta la vastità delle materie, a cui suggerisce persino gli argomenti da trattare (2). (1) Lettera al Porcia. (2) / Primi Disegni della 'Repubblica Letteraria, ecc. 37 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 101 Ma anche altrove il M. si riferisce a questi studi che sono una delle più sen- tite necessità dell'erudizione, e formano uno dei più vivi desideri della sua Repub- blica " potendosi ben francamente dire, che in sì ricca miniera si possono tutto dì scoprire nuove gemme, e materia per acquistar nuova gloria ,, (1). Ma anche indi- pendentemente da questi vantaggi, osserva egli, incombe ad ogni buon cristiano di attendere seriamente a questi studi, in questi tempi in cui la storia è divenuta tanta parte della nostra vita, perchè essa è una terribile arma in mano de' nostri avversari, e al lume della storia 'ormai si devono esclusivamente provare le nostre ragioni. La terza grande legge della concezione storica muratoriana è l'insegnamento che devono i fatti porgere alla vita e alla condotta degli uomini. È il principio etico che guida al retto giudizio, e alla giusta interpretazione dei fatti e delle istituzioni, secondo le norme d'una sana morale, e di una saggia economia politica. Già vedemmo la dotta lettera del M. al Conte Borromeo Arese, informata massimamente a questo principio, il quale non consiste già nell'inserire lezioni morali nelle esposizioni, ma nel guidare lo studioso a conoscere ed apprezzare la giustizia, l'utilità, la bellezza dei fatti, in modo che, pur cibandosi da sé, non possa cadere nell'errore. La mente dello storico poi deve essere retta da grande amore alla giustizia, all'onestà, alla virtù, ed egli deve lodare senza restrizione gli stessi nemici, e ri- provare senza parzialità anche gli amici ; così operando egli si acquista più credito presso gli altri, e maggior soddisfazione per se. " La Storia è una Maestra della Pratica, facendoci vedere nelle azioni altrui ciò, che la Teoria degli altri c'insegna; cioè quello, che han saputo operar bene tanti saggi Principi, ed Uomini illustri, o di male tanti altri o imprudenti o cattivi. La storia dei tempi passati serve a regolare il mondo presente. La gioventù, e princi- palmente i giovani Principi debbono studiarla, ma lasciando da parte le questioni cronologiche e la memoria di tante battaglie e persone „ (2). E a proposito di Prin- cipi, egli richiama tutta la loro attenzione sullo studio della storia, perchè per essi principalmente è istruttiva e significativa (3). Nella storia poi hanno più efficacia e potenza sulle anime nostre le vite degli uomini illustri, per il loro fascino più di- retto ed insegnamento più immediato; e noi sappiamo che l'illustre G. G. Rousseau permetteva al suo Emilio la lettura del solo Plutarco, per l'efficacia appunto delle sue splendide biografie (4). La quarta legge è la forma organica e il giusto criterio che deve reggere e vivificare i fatti della storia. Questa in realtà è norma non tanto della materia che dello scrittore, che deve saper dare alla sua esposizione una bella struttura, e stabilire un legame continuo con quello spirito, con quel colorito che meglio risponde ai bisogni di chi legge. Quivi pertanto più che altrove si distingue il valore dello storico che vaglia, pondera, discerne, dal inerito del raccoglitore che raduna e ammassa. (1) / Primi Disegni della Rep. Leit. (2) Della Pubblica Felicità, pag. 163. (3) Idem, pag. 9. (4) Ricordiamo che il Rousseau non permetteva al suo Emilio nemmeno la lettura di Tucidide, che pur riconosceva come un modello di sobrietà di stile e di pensiero, perchè egli s'occupa esclu- siTamente di guerra. i | |2 STEFANO GRANDE 38 Questo per sommi capi l'ideale storico del M., questo il midollo della sua con- cezione storica efficacemente ed essenzialmente utile e pratica. Qui pertanto si im- porrebbe un confronto fra il M. e il Vico, fra lo storico che afferma e discerne i fatti, e il filosofo che li indaga e li scruta. Si tratta di due forze disgiunte, osservò già il Manzoni, ma promettenti nello stesso tempo un mirabile effetto dalla loro possibile unione. Ma noi non possiamo indugiarci in uno studio critico di tal fatta, fatica punto per le nostre spalle, e d'altra parte troppo superiore al nostro scopo. Queste poche cose abbiamo voluto esporre, perchè ci parvero indispensabili nel pensiero storico del M., al quale ci inchiniamo riverenti, come a colui che fu salutato il Padre della Storia Italiana. Le Lingue. L'italiano. — Dicemmo che fra le opere più trascurate del M. devonsi porre le Riflessioni sopra il Buon Gusto nelle Scienze e nelle Arti, e / Primi Disegni della Re- pubblica Letteraria Italiana. In tanto allagare di moderno realismo, le concezioni ideali e filosofiche sono ridotte in proprietà di pochi eletti ; ne più si vede in esse ciò che è più pratico e positivo di tutto il positivismo moderno. Questi Disegni e quelle Ri- flessioni infatti, che sono spesso scambiate per questioni formali, rappresentano invece il lato vero e reale delle cose, la critica dello stato delle lettere e delle scienze nel secolo XVIII. Ma esse, per di più, non si limitano a descrivere la sola malattia, ma sug- geriscono financo i rimedi stessi, sicché a noi non pare andar errati osservando che osse, vedi mo' contraddizione !, sono una delle più belle prove della praticità dell'eru- dizione muratoriana, e dei suoi pratici intenti nel campo delle lettere e delle scienze. Ai mali letterali d'Italia il M. trova un rimedio nello studio delle lingue, ma studio pratico, come richiedeva il suo intento di esser prima uomo utile che dotto. È il rimedio già notato da G. B. Vico che col M. s'accorda qui perfettamente. Ed ancor qui si potrebbe stabilire un bellissimo parallelo fra questi due grandi maestri, i quali simili in molti casi della vita, negli studi, negli uffici, dissimili sotto altri rispetti, qui si integrano in un' unità di vedute (1). Le lingue rappresentano un fatto civile, sociale, perchè sono lo specchio più sin- cero delle condizioni materiali d'un popolo e riflettono nello stesso tempo i suoi mo- menti più pratici, le sue gloriose o dolorose epopee, i prodotti più genuini ed autentici del suo spirito. Esse sono il mezzo più potente per la formazione dell'umana società, e si nell'insegnamento, che in una esposizione pedagogica, devesi incominciare dallo studio di esse, tanto più perchè esse s'acquistano, in generale, nella prima età e colla memoria che nei fanciulli vale moltissimo (2). Prima fra tutte le lingue, per debito di riconoscenza, dobbiamo studiare l'italiana, che è la lingua nostra, già maestra di civiltà, e studiata e riverita un giorno presso tutti i popoli. Ma noi non sembriamo compresi di questa importanza, e le scuole nostre, scrive il M., " è forza confessarlo con dolore, perchè non si può, senza ver- gogna „, la trascurano per ridursi ad un più o meno felice insegnamento della grain- (1) Per lo studio delle lingue secondo il Vico, e per le sue idee pedagogiche, vedi G. B. Gerini, Le idee educative di G. B. Vico. Torino, 1898. Estr. dal period. " Il Nuovo Risorgimento „, pag. 23. (2) Cfr. G. B. Vico, De nostri tempori» studiorum ratione, ed altra orazione del 1707, ricordate pure dal Cerini, monografia citata. 39 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 103 matica latina e della retorica. Che si insegni, che si insegni il Latino, ma in modo che da tale studio si avvantaggi pure l'Italiano, e non si verifichi il doloroso fatto che si esca dalle scuole ignoranti del nostro idioma patrio (1). E rivolto alle scuole, e prin- cipalmente alle religiose dove è più trascurata, ricorda la necessità di questo studio, principalmente in gioventù, perchè quando " si son fatte l'ossa „ l'intelletto sta tutto rivolto ad imparar cose, né più ci basta l'animo di ritornare allo studio della Gram- matica. Il M. parla per esperienza, perchè figlio di tali scuole, risente del loro difet- toso insegnamento, e nelle sue opere, bisogna pur confessarlo, non sono soverchia- mente rare le forme punto punto eleganti e le scorrette, e fin anche le mende gram- maticali. D'altro lato poi è doloroso veder lui, il diligente, lo studioso Muratori, rivol- gersi nelle sue lettere ai più insigni letterati toscani per informazioni precise sull'uso di certi vocaboli, di certi suffissi, pronomi, particelle... Date queste condizioni, ci spie- ghiamo perchè egli insista così fortemente su questo studio " che ci è raccomandato da natura „ e che noi non dobbiamo per niuna ragione trascurare, principalmente in gioventù, quando l'animo nostro docile e pieghevole si preoccupa più particolarmente dello studio della parola e della forma. " Siamo nati in Italia, esclama egli, e tuttodì parliamo la Lingua Italiana, adunque e la gratitudine e il bisogno richiede, che noi non solamente impariamo questa Lingua, ma che le apportiamo con tutte le forze onore „ (2). Questa è lingua nobile, è lingua maschia, ed egli si adira contro " un impertinente scrittore francese „ che aveva osato dire che Carlo V usava solamente la lingua italiana parlando colle donne, e si rivolge tutto offeso all'amico Maglia- bechi (3) pregandolo di appurargli alcune indicazioni, perchè egli non può sopportare l'ingiuria, e si prepaia a respingerla. La parte più raccomandata poi di questo studio è la Grammatica e la Eetorica. Sì anche la retorica è necessaria, perchè noi naturalmente, o per forza d'educazione, tendiamo al bello, all'ingegnoso, epperò anche quelle dottrine, quelle verità che ci sono esibite in forme vaghe e ingegnose, ci dilettano e ci colpiscono maggiormente (4). Si impone pertanto lo studio della retorica, ma non di quella concettosa e sdolcinata che insegna a infrascare, a gonfiare leziosaggini, concettini inzuccherati, e sbrigliate metafore, la quale così melensamente si impartisce nelle scuole, ma della sana re- torica che ci fa padroni dello stile, delle forme, delle parole più proprie ai diversi bisogni, e ci sforza insensibilmente allo studio, giacché " le materie più aspre e sot- tili addimesticate e pulite piacciono agli ignoranti medesimi „ (5). Questo studio poi è indispensabile specialmente per la poesia, ed il M. ne è così compenetrato, che ci spende attorno gran parte del suo trattato Della perfetta poesia Italiana. Per lui questo studio è utile e necessario, perchè costituisce una so- praveste indispensabile alle nostre parole, e sopraveste luminosa " di cui troppo vo- lentieri si adorna la verità per maggiormente piacere al guardo degli uomini, e senza cui compare meschina, o ruvida, o spiacevole „ (b'). (1) Vedi: Vita di Carlo Maria Maggi, di Lod. Art. Muratori. Milano, Malatesta, 1700, pag. 86. (2) i" Primi Disegni delia Repubblica Letteraria. (3) Lettera ad Antonio Magliabechi, 1701, Campoki, II, 547. (4) Vedi in seguito il cap. dell' Educazione Estetica, pag. 59-62. (5) Lettera ai Capi, Maestri, Lettori, eco. (6) Ibidem. 104 STEFANO GRANDE 40 Quanto tin qui dicemmo della lingua italiana si può pure riferire, come norma astratta, e in generale, alle altre lingue, avvertendo però che il M. non si riferisce affatto alle lingue vive, quantunque di alcune di esse avesse perfetta conoscenza. Così egli nella sua concezione letteraria passa in rassegna " l'Italiano che ci è vivamente raccomandato dalla Natura, il Latino dalla Necessità, il Greco dall'Eru- dizione, l'Ebraico dalla Santità „ (1), a cui aggiunge ancora in generale le Lingue Orientali, di utilità indiscutibile, e necessarie per una perfetta coltura. Latino. — A proposito del latino il M. non spende molte parole, essendo ab- bastanza studiato, e premendogli di più lo studio del greco che ebbe già in Italia tanti e sì illustri cultori. Ma il latino ha una superiorità incontrastata sul greco, " nam si conferatur uterque sermo, Latinus omnibus, Graecus quam plurimis mea sententia necessarius videtur ; ille communi utilitate, hic propria nobilitate magis commendabilis, ille amplectendus, iste non negligendus „ (2). Ed ecco perchè il latino è necessario : " Essendo noi figliuoli della Chiesa Latina, che con la Lingua sua ci fa udire i suoi misteri, ed avendo altresì con essa tanti Santi Padri, e tanti Autori Sacri e profani spiegata la loro dottrina e i loro concetti; constando ancora, che non c'è Lingua in Europa più comune, e più praticata della Latina, sia nei Tribunali, sia nelle Scuole, sia fra gli studiosi, è manifesto che dob- biamo per necessità impararla „ (3). Sono ragioni addotte pure dal Vico in favore di questa lingua, il quale inoltre propone che in ogni studio letterario si incominci da essa appunto e dal greco. Anche il Montaigne è di questo parere, ma trova che queste lingue si acquistano a troppo grave prezzo: " C'est un bel et grand adgencement sans doubte que le grec et latin, " mais on l'achete trop cher „ (4). Ma se il M. approvava lo studio di questa sì importante lingua, non approvava certo il metodo in uso, che obbligava " le tenere teste dei fanciulli a riflettere, ad argomentare, e per di più a metafìsicare „. Egli invece, più pratico e più ragionevole, suggerisce che si coltivi e si eserciti la loro memoria, si arricchisca di nozioni e di regole facili, perchè i fanciulli " in quell'età sogliono essere, per così dire, sola me- moria, e però questa fa d'uopo coltivarla allora, e arricchirla, per quanto si può, di cose facili, senza imbrogliarla in sottigliezze, e nozioni inutili e metafisiche „ (5). Di qui appare il metodo essenzialmente pratico che suggeriva il M. doversi tenere nel- l'insegnamento, sul quale, giacché ci si presenta l'occasione, giova fermarci alquanto. Il M. è grandemente favorevole a quelle teorie che vorrebbero esclusi, o quasi, i libri di testo; per lui il profitto del giovane è perfettamente correlativo all'opera dell'insegnante; questi è che dà la scienza, che erudisce, poco monta l'adoperare questa o quella grammatica, questo o quell'autore (6). (1) 1 Primi Disegni della Repubblica Letteraria. (2) Lettera a Girberto Borromeo. Mutinae, Idib. Julii 1693, Campori, I, 10-35. (3) / Primi Disegni della Repubblica Letteraria. (4) M. de Montaigne, Essate, cap. XXV, pag. 94. (5) Lettera al Porcia. (6) A conforto di quest'opinione del M., mi piace riportare qui parte d'una sua lettera al Padre D. Lodovico Siena, Proposto dell'Oratorio di Sinigallia. 30 giugno 1735. " Archivio Murator., pa- gina 327-28 „ : " S'io debbo parlare schiettamente a V. R. non credo, che nella scelta della Gram- matica, consista il profitto, che si cerca da' fanciulli, perchè ogni Grammatica (e ve n'ha infinite) H IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 105 È lecito qui essere di parere diverso dal M., e ognuno vede di leggeri la forza delle obbiezioni che gli si possono muovere. E press' a poco la nota questione cui alludemmo poco fa, della maggiore o minore utilità dei libri di testo, strenuamente combattuta e difesa da valorose persone. Ma che sia indifferente dare in mano al giovane la più infelice grammatica di tre secoli fa, purché contenga " il massiccio delle regole „, od una delle moderne più elaborate, non si può davvero ammettere senza fare troppo grave torto a tanti valentuomini, che in questi studi consumarono tanto tempo, e senza disconoscere i progressi grammaticali apportatici dall'esperienza stessa. Tuttavia queste idee del M. si possono chiarire ed anche rinforzare. Infatti lo scopo del primo insegnamento del latino, non essendo la scienza della grammatica, la linguistica (non so se si possa dire nata quando scriveva il M.), ma bensì l'intelligenza della lingua, non la legge del fatto, ma il fatto stesso, si può quasi ritenere che a questo possa bastare, con un po' più di sforzo, l'opera solerte del maestro, e l'aiuto, comunque sia, di una qualunque grammatica. Così la teoria muratoriana acquista maggior tinta di verità e forza, ma non si può negare che offra altri lati alla critica. Il M. ritorna pure altrove, e più accanitamente ancora, all'assalto. I ragazzi fanno poco profitto ? È colpa del maestro ignorante, o dell'ignoranza del buon me- todo. " Nella guisa che hanno i maestri con istento appresa la Lingua Latina, in quella eziandio quantunque imperfettamente l'insegnano agli altri, e nulla di più si cerca. E pure uomini eccellenti han proposto e praticato varj Metodi più utili e spe- diti Io so che il Cardinale Sirleto, Flaminio de' Nobili, e il Maffeo Gesuita, celebri persone, approvavano di molto il dar prima un poco di tintura di Grammatica, e sopra tutto delle Declinazioni, e poscia il far rivolgere tutto lo studio a conoscere le voci e a metterle a memoria, e ad esercitarsi in esse in guise varie e dilettevoli, senza badar per anche a' solecismi, e barbarismi. Finalmente consigliavano, che s'in- segnassero le Regole, mercè delle quali si emendassero poi gli errori della lingua appresa In effetto la natura c'insegna a cosi fare, perchè nella stessa maniera im- pariamo la lingua materna, che poi correggiamo coll'arte, e conciossiachè le Lingue propriamente consistono nell'uso della Memoria, più che in quello del Raziocinio, più ancora ad arricchire ed esercitare la memoria dei fanciulli si deve attendere, che a farli raziocinare „ (1). Non sappiamo se si possa pretender tanto dal maestro, privarlo del testo, e fors'anche obbligarlo a foggiarsene uno in testa propria, e crearsi una serie di eser- cizi corrispondenti alle inclinazioni d'ognuno ; ma senza indagare la giustezza e l'op- portunità delle idee del M., sta il fatto che il metodo tenuto ai suoi tempi non do- contiene il massiccio delle Regole Grammaticali, se non che Fune sono più corte e ristrette, e ser- vono a dirizzare e dare il primo buon abbozzo ; ed altre più diffuse, perchè contenenti anche il minuto di molte osservazioni, ed eccezioni, e la Prosodia, ecc. Ora secondo me dipende il profitto dal sapere, e giudizio de' maestri, e dall'esercizio degli scolari. Mi dia queste due qualità, con qualunque Grammatica, che abbia qualche credito, si otterrà l'intento . . . Però torno a dire che non dovrebbero cotesti signori darsi gran pensiero per l'elezione di questa, o di quella Grammatica, perchè tutte le più usate possono servire, ma pregare Iddio che i loro figliuoli siano ricchi di memoria e di intendimento, e che il maestro sappia fondatamente il suo mestiere, e faccia loro conoscere nella spiegazione dei buoni autori le Regole, e il meglio del parlar latino „. (1) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, pag. 260. Serie IL Tomo LUI. 14 1Q6 STEFANO GRANDE 42 veva essere il più felice, se già egli, fin da quando giovanetto sedeva sui primi banchi della scuola, sentiva la necessità di modificarlo (1). Il metodo poi di applicare allo studio delle lingue morte le norme colle quali si impara la lingua materna, non è affatto un mezzo di ginnastica intellettuale, come dovrebbe essere, e più che metodo pratico si può dire meccanico. Anche il Montaigne, il Locke, il Vico, l'Elvezio, il Rousseau, il Bain, ecc. ecc. propugnano simile metodo, e fra i moderni non si sente parlar d'altro, ma questo non esclude che si possa esser persuasi dell'efficacia della grammatica, quale disciplina intellettuale — scopo delle lingue classiche — e che essa formi davvero una delle materie che meglio addestrano il ragionamento e il giudizio de' giovanetti. La lingua materna, è vero, si impara coll'uso e colla pratica; ma essa è la lingua del paese, dei genitori, degli amici ; tutto quanto ci sta attorno ci parla in quella lingua, ogni suono, ogni accenno è in quella lingua, di quella lingua è il costume, le istituzioni, la vita. Se adattandosi a tutte queste circostanze, si vorrà apprendere una lingua, non lo neghiamo neppure noi, la si imparerà bene, ma essa sostituirà verisimilmente la materna. Ne fece chiaro esperimento il padre di Michele de Montaigne, che circondò rigorosamente il figlio di persone che parlavano esclusivamente latino, dal maestro e dalla madre, al servo e alla cameriera. A sei anni M. Montaigne dava lezioni ai suoi maestri, a sette preferiva la lettura di Ovidio a qualunque altro autore (2). Ma tanto profitto fu effimero, e M. Montaigne a tredici anni era forse ancora il primo della sua scuola in latino, ma del latino incapace a valersi (3). Non so se sia veramente cosi che si vuole intendere lo studio d'una lingua col metodo della materna, ma so che anche dopo questo celebre esempio, si continuò a pensare a quella guisa. Così se voi chiedete, ad esempio, a Claudio Adriano Elvezio, punto punto tenero del latino, come dovete insegnare al vostro allievo questa lingua. " Entourez l'enfant, vi risponde, d'hommes qui ne parlent que latin „ (4). Ma in realtà altro è studiar il latino collo scopo pratico di quei nostri buoni avi, altre studiarlo come mezzo di ginnastica intellettuale, o per scopo linguistico: pel primo caso l'esempio del Montaigne ci pare molto significativo, per l'altro ci pare di poter asserire che a tredici anni, molti, senza aver l'ingegno del Montaigne, riu- scirono a fare più di lui, sotto la guida della grammatica, non punto del metodo della lingua materna. (1) Cfr. Lettera al Conte ili Porcia. (2) M. Montaigne, Essais, cap. XXV, pag. 94 : * Quant a moy, i'avoy plus de six ans, avant que i'entendisse non plus de francois ou de perigordin que d'arebesque ; et, sans art, sans livre, sans grammaire ou precepte, sans fouet et sans larmes, i'avois apprins du latin tout aussi pur que mon maistre d'eschole le scavoit; car ie ne le pouvois avoir meslé ny altere „. Ed altrove ancora, pag. 95: " Le premier goust que j'eus aux livres, il ine veint du plaisir des fables de la Metamorphose d'Ovide: car environ l'aage de sept ou huict ans, ie me desrobois de tout aultre plaisir peur les lire; d'autant que e.ette langue estoit le plus aysé livre que ie cogneusse. et le plus accomodé a la t'aiblesse de mon aage, à cause de la rnatière „. (3) Montaigne, Essais, luogo citato: " Mon latin s'abastardit incontinent, duquel depuis par desaccoustumance i'ay perdu tout usage; et ne me servit cette mienne inaccousturnee institution, que de me taire eniamber d'arrivee aux premieres classes ; car. à treize ans que e sortis du college, i'avois achevé mon cours (qu'ils appellent), et, à la verité, sans aucun fruict que il peusse à present mettre en compte ». (4) Elvezio, De l'Somnie, ili- ses facultés, 43 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 107 Ma questo era il pensiero del M., e noi lo riferimmo nella sua integrità, liberi di non sottoscriverlo. Greco. — Ma dove il M. rivolge più fervide le sue esortazioni si è allo studio del Greco, del quale riconosce tutta l'utilità e l'importanza. Il greco nel secolo XVIII si era ridotto in mano di pochi privilegiati, ed il M. se lo volle conoscere, dovette studiarselo da sé. Fu fatica grave e sorprendente, ma è più sorprendente ancora il vedere come egli in poco tempo se ne rese padrone. Come già per la Storia, anche qui ci somministra ampia messe di studio una sua eruditissima lettera, scritta a vent'anni, nella quale egli, con rara facondia e competenza, discorre della bellezza, importanza, utilità di questa trascuratissima lingua (1). È una dottissima dissertazione la quale, si può ben dire raccolga tutti gli argomenti più importanti comunemente citati in favore di questa lingua, e riesce a noi in modo speciale di vera attualità pel poco buon vento che spira presentemente nelle scuole pel greco. La lettera s'apre con uno sguardo all'infelice condizione letteraria d'Italia: * Oh Italia jam non illa, quae dudum reliquas orbis plagas imperio non minus temperasti, quam scientiis excellueris; non illa, inquam. quae postremo hoc aevo, barbaris de- pulsis, bellorumque ingruentium impetu fracto, prior optimas artes, ac studia resti- tuisti, quumque sub Turcis Graecorum res penitus excidissent, heres una et illorum gloriam reparasti, tuamque ulterius promovisti! „. Per colpa del tempo, del poco amore allo studio, dell'infelice metodo, della mancanza di saggi protettori, della nostra stessa indifferenza, scadiamo continuamente nella considerazione dei popoli e disconosciamo l'importanza degli studi. " Mehercle nostris adolescentibus summum scientiarum in Musis colendis constitutum videtur, eisque quod in literis humillimum omnium stat loco. Et utinam in hoc etiam praecellerent, saltem enim forent aliquid in parvo, et quid pusillum in nihilo „. Ma nemmeno questo è loro dato, e frattanto urge a noi alzare in alto lo sguardo, e ricercare i rimedi a si triste condizione di cose. E rimedio primo, efficacissimo, è da ritenersi lo studio delle lingue, e sopratutto del Greco, che quasi quasi conosciamo solo più per fama, come una cosa che fu. Deserte ne sono le scuole " nemo publicum ad praeceptorem confluit et vidua sedent toto anno con- stituta ad hoc gymnasia „. Ma intanto, quando si studiava il greco non si giaceva in si infelici condizioni, il nome nostro risuonava ben alto nelle scienze, e si produ- cevano buone cose. " Erant, et heic prestantissimi homines publica conducti pecunia, ut Graecis literis adolescentes erudirentur, quorum e disciplina celeberrimi saepe viri prodierunt „ . Ora invece siamo ridotti ad ammirarli solo, senza seguirli, senza inten- derli quei benemeriti, e siamo anche ridotti, ciò che è più sconfortante, ad ammirare le loro stesse donne, insigni in tali studi, e per giunta dichiararci ad esse inferiori. Il M. dice il vero, e la Storia Letteraria registra accanto ai nomi celebri del Castel- vetro, di Francesco Porto, del Molza, del Sigonio, quelli non meno insigni di Tar- quinia Molsa, di Lucia Ploppa, di Lodovica Foliana " aliaeque non inferiores erudi- tione mulieres sub vulto foemineo animum et ingenium virile complexae „. (1) Lettera a Girberto Borromeo Arese, ecc. Fu già da poi più volte citata, ed è comunemente conosciuta sotto il titolo di dissertazione De Graecae Linguae usa et praestantia. Fu già da pa- recchi autori stampata e riprodotta. Vedi fra gli altri Giuseppe Pecci : Dei pregi della Lingua Greca, Napoli, 1742, in una prolusione che ristampò più volte. 108 STEFANO GRANDE 4 1 Noi pertanto dobbiamo scuoterci e studiarlo il Greco, che nell'erudizione dovrebbe occupare uno dei primissimi posti. " Vin rationem ? En tibi illam: Siquidem in ipsa sermonis Graii cognitione, si bene perpendas, eruditio simul taciteque ebibitur, quod versa vice non accidit, et uno hoc in animum alte immisso constantissime in alia studia mere homines adnimadvertimus, quasi sibi sat virium inde fecerint ad ma- lora curanda, aut sat cupiditatis. Veluti enim qui humanioribus litteris se addicunt humanitatem quandam plerumque, et dulcem morum facilitatem inde hauriunt, ita qui in Graecas incumbunt Litteras magnos plerumque contrahunt animos et mirandum quoddam eruditionis robur, ut excellere deinde mirum in modum cernantur Deinde quo pacto vere aliquem eruditimi appellas, si Graecae is est linguae imperitus, quae una et parens, et altrix eruditionis merito venit nuncupanda? „. Ecco dunque perchè dobbiamo studiare il greco: da esso succhiamo erudizione, riceviamo robustezza di giudizio e mirabile forza per poggiar in alto ; da esso è ap- pianata la via al più grande progresso, da esso parte il più forte stimolo per la cultura generale. E volete sapere perchè al di là delle Alpi si è dotti, si è celebri, e si lavora utilmente? Là si studia il greco, e non dagli uomini solo, ma financo dalle donne, che così l'apprendono " quantum ad constituendum magnum inter nos virum satis foret„. Nessuna meraviglia pertanto se se ne percepiscono i vantaggi, e vantaggi grandi, i quali derivano dalla grande parentela del greco con tutte le scienze. Questa relazione in verità potrà forse a taluno sembrar molto discutibile per alcune scienze, come per la Morale, per la Metafisica, per la Matematica, che in realtà sono le meno collegate col greco " at in reliquis scientiis uti in Theologia doctrinali et exposititia, in Medicina, Astronomia, Geographia, sacra profanaque Historia, et sexcentis aliis huiusmodi studiis adeo Graeei eloquii necessitas nobis incumbit, ut nulla ex iis per- fecte hauriri, ac possideri sine hac ope queat „. E non è punto difficile la prova. il greco è necessario per gli studi Ecclesiastici perchè continuamente si com- batte cogli eretici su canoni, su interpretazioni, su asserzioni, e giova ricorrere per quanto si può alla fonte più genuina e pura (1). È necessario per i Medici che di greco infarciscono le loro opere, con nomi greci indicano le malattie e i rimedi, e la Grecia fu la culla dei più insigni medici. È necessario per la Giurisprudenza, perchè dalla Grecia derivarono non poche delle produzioni legislative, là si elaborarono le leggi, si applicarono certi principii, e di là emana in gran parte il diritto canonico. È necessario per la Poetica, giacché i Latini stessi ci rimandano ad Aristotele, e Dante, Tasso, Ariosto non sanno far di meglio, e noi di quei principi fummo già cosi schiavi da ritenerli sacri come voce d'oracolo. Cosi è necessario per le altre scienze, né potrà alcuno, che giudichi colla propria testa, disconoscere quali vantaggi arrechi alla Storia, alla Geografia, alla Filosofia, alla Cronologia, ecc., scienze tutte che dal greco prendono le mosse, e nella Grecia hanno toccato il massimo della perfezione del tempo. Ma la lingua greca ci si impone pure per altri rispetti, giacche essa ci offre le più incomparabili bellezze. Anche lasciando stare l'antichità, l'estensione, l'universalità, la ricchezza, l'armoniosità, l'originalità sua, dobbiamo riconoscere sotto molti altri (1) Cf'r. pag. 37, e in seguito pag. 46. 45 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 109 aspetti la sua incontrastata superiorità sulle altre lingue nelle produzioni scienti- fiche, artistiche e letterarie. E noto infatti il valore degli uomini che essa vanta, il numero delle opere che produsse, la profondità delle teorie in essa svolte in tutto il campo dello scibile umano. Ammessa questa evidente superiorità, se studiamo, ad esempio, il latino e ne ammettiamo la necessità, perchè altrettanto non facciamo ed ammettiamo pel greco?... " Nani si Latinis ideo operam impendimus, quia per vetustos illius Linguae auctores nobis eloquentia insinuatur, et quidquid scientiarum, et eruditionis tum sacrae tum profanae in illa habetur, discendi facultas nobis aperitur, quanto magis deferendum est Graecis, qui pluribus in quacumque rei literariae notitia laboribus fulserunt, et adhuc fulgent? „ Ma si può dir di più, ed io vi chiedo: Chi ha fatto i Latini? " Illa, illa Graecia Latinos fecit, et quum Latinos laudas illorum parentem Graeciam iis involvi laudibus scias „. Ma e le versioni? " Alienis oculis videt, alieno palato gustat, qui ad unius ver- sionis normam se regit... Te miserum interpres fefellit, et cum caeco caecus aberras „. Ma vogliamo essere generosi: A parte che la versione non ci rivela il metodo di scrivere e pronunziar rettamente molti vocaboli, non ci rivela la loro etimologia, la struttura di certi metri storpiati, o comunque mal interpretati, a parte moltissimi altri inconvenienti, come si possono gustare nelle versioni certe bellezze, siano pure involte sotto una veste accurata, studiata fin che si vuole, ma che non è la propria? Chi non vede la differenza fra un'opera originale e la sua traduzione, tra Virgilio latino, e la versione, quantunque classica, del Caro? Tra Omero e i suoi numerosi traduttori? La versione non può riferire la forma, la precisione, la scultorietà d'una lingua, e riesce di necessità incolora, indecisa, incerta. D'altra parte come tradurre tutte le opere greche? E scoprendosene altre, dobbiamo rinunziare a sì facile campo di gloria? Ma ancora: e i difetti intrinseci del traduttore? Ognuno, lo si sa, ha un metodo proprio e segue un punto di vista che gli pare più opportuno, ma data l'indole diversa delle lingue, volendo esser fedele, sciupa la forma dell' originale, volendo essere libero sciupa la fedeltà. Chi leggendo Pindaro, Aristofane, oserà af- fermare che quegli è il principe della lirica, questi della commedia? I Latini stessi lamentavano già questi mali, e Quintiliano esclamava: " Quam male latine loquuntur " Demosthenes, Plato, Homerus, Xenophon, aliique Graeci „. Se cosi per.il latino che col greco ha strettissima relazione, che dovremo dire dell'italiano? Ma non ò ancora tutto qui : Ogni lingua presenta delle frasi, dei modi di dire proprii, intradu- cibili, che obbligano il povero interprete a ricorrere a lunghe e oziose circonlocu- zioni, in cui se il senso non è sempre sforzato, è sempre almeno sciupata la forma. E chi d'altronde può dire d'aver tanta pratica, e padronanza di una lingua da tro- vare sempre, e in tutti i casi, la frase, l'elocuzione, la parola corrispondente all'ori- ginale? E se è così, dove se ne va la chiarezza, la proprietà? Né questi sono da stimarsi difetti di poca entità, perchè essi intaccano i car- dini d'una lingua: il contenuto e la forma. Che intacchino la forma lo vedono fino i ciechi: che intacchino il contenuto lo sappiamo noi, che vediamo cadere alle volte dei grandi sforzi d'erudizione, dei veri edilìzi di meditazione, fondati sulla cattiva interpretazione d'un passo d'un autore od anche d'un semplice verso, d'una sola pa- rola, che vediamo tuttodì imbrattar carta per sostenere o combattere questa o quella HO STEFANO GRANDE 46 lezione, questo o quel significato Occorre quindi conoscere il testo primo, l'origi- nale, e saggiamente operano coloro che non ammettono a continuare negli studi, se non chi si è prima impadronito di questa lingua. Del resto conoscere le lingue è conoscere il mondo che fu, è abbracciarne lo spirito e l'estrinsecazione. " Mihi pro- fecto videtur iis, qui plures capiunt linguas, magna quaedam et vasta mens esse, quum orbem praeteritum quodammodo, lapsaque tempora animo complectantur, neque aliter se gerant, quam si cum illius oevi doctissimis viris corani loquerentur. Et hinc Ennius tria se habere corda dicebat, quod loqui sciret Graece, Osce, et Latine ... Ma il M. dalla cultura di questi studi si eleva anche ad arguire le condizioni politico-sociali di una nazione, e stabilisce dei veri e grandi principi etici e morali. Egli sa che il tempo dell' ignoranza è il tempo dell' eresia, e lo studio delle buone lettere ed arti è il mezzo più potente per far trionfare la verità e la ragione. Pertanto dopo uno sguardo alle infelici condizioni letterarie del sec. XVI, egli termina la sua preziosa dissertazione, molto adatta ai nostri tempi, e alla generale diffidenza pel greco, opportunissima poi per il nostro scopo presente, perchè ci lascia vedere la condizione degli studi dell'età muratoriana. Ma anche altrove il M. si rife- risce allo studio del greco, sempre ed ovunque insistendo sulla necessità di appren- dere e di conoscere bene questa lingua, e là dove comanda egli, nella sua ideale Repubblica, esige che essa sia diffusa e studiatissima e che i Colleghi " ne predichino i pregi e l'utilità, confortando i giovani ad apprenderla, e risvegliando per le Uni- versità e pei Collegj, le Cattedre d'essa „ (1). Ebraico. — Accanto al greco, devono pure esser coltivate altre lingue antiche, di importanza non dubbia, e fra esse prima l'Ebraico. Come già il greco, il M. si studiò da se questa lingua, con quella fatica che si può ben immaginare, e di essa conservò sempre buonissima opinione, come di una lingua importantissima per gli studi sacri. " L'ossequio e lo studio che noi dobbiamo alle sacre scritture, la maggior parte delle quali fu a noi tramandata dalla lingua Ebraica, assai medesimamente ci dà a vedere quanto sia il pregio e la santità di quella lingua e quanto giovi la sua cognizione „ (2). Ma essa è assai poco studiata, e quantunque abbia dato e dia tut- tora dei buonissimi frutti, pure se ne disconosce l' importanza e l'utilità. " Molti uomini di valore in essa ha vantato e vanta ancora oggidì l'Italia, ma converrebbe accrescere il numero dei professori e degli amanti di essa „ (3). Lingue Orientali. — Ma il M. non si ferma qui, e consiglia pure, come molto utile, lo studio delle Lingue Orientali in generale: " Uno dei nostri desiderii si è pure, che lo studio delle altre Lingue fiorisca nella nostra Repubblica, e fra questa rac- comandiamo l'Arabica, lingua anch'essa di vasta erudizione, e di cui come di altre lingue pellegrine, si sono stabilite in Italia ai giorni nostri le stampe. Certo è che sarà presso di noi una grande raccomandazione l'essere addottrinati in sì fatte Lingue, ma molto più l'insegnarle e l'illustrarle „ (4). Questo è quanto ci parve bene di dire a proposito dello studio delle Lingue secondo il M., ne possiamo più a lungo fermarci sopra, essendo le cose dette di estrema evidenza, e d'altra parte essendo appieno rivelato il pensiero muratoriano. 1.1) I Primi Disegni della Repubblica Letteraria. (2) Ibidem. (3) Ibidem. (4) Ibidem. 47 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 111 Eloquenza e Poesia. L'importanza di queste due arti non è tanto in se, quanto nel servizio che pos- sono rendere agli altri studi : sotto questo aspetto pertanto occupano il primo gradino nella scala degli studi, sotto l'altro, l'ultimo. Ma sì l'una che l'altra, sì nell'uno che nell'altro caso, abbisognano di fine sagacia e di grande erudizione, perchè riescano bene e diano buoni frutti. La potenza dell'eloquenza è tale che il suo studio si impone, e al Muratori stesso che dirigeva tutto il sapere, e dico di più, tutta la filosofia, ad uno scopo pratico. non sfugge questa importanza, opperò stabilendo un piano di studi, non dubita di considerarla la prima. L'animo nostro è tale che rifugge dall'ordinario, dal triviale. e tende al nuovo, al bello (1); ne diversamente opera l'ingegno, ma si compiace di più di quel buono che gli vien esibito in forme vaghe, in maniere ingegnose ed adorne. È questo un bisogno di natura, e noi anche inconsciamente cerchiamo di appagarlo. " Desideriamo, scrive egli (2), che la verità, le notizie, e le ragioni delle cose si lascino vedere in abito non sordido, non deforme, non troppo rustico, e spia- cevole, ma con gli ornamenti, che si convengono alla loro dignità e con quel decoro, che in tutte le cose dee cercarsi, che s'ama, e si cerca da gli animi veramente no- bili, e di gusto perfetto „. Perciò si impone lo studio dell'eloquenza e della retorica, ma non della verbosa e lussureggiante, ma della grave e buona retorica (3), per cui distinguiamo lo stile sano dal corrotto, il proprio dall'affettato; si impone lo studio dell'efficace eloquenza, perchè di essa adorniamo le nostre immagini, i nostri pen- sieri sì bellamente che sforzano e piacciono. " La vera eloquenza, scrive egli (4), non consiste in frasche e sole parole, non in concetti o sterili amplificazioni, ma sì bene in dir cose di sostanza con bella grazia, e in far che l'Ingegno e la Fantasia s'ac- cordino in saviamente esporre la Verità, le Ragioni, e gli Ammaestramenti intorno a chi legge od ascolta „. Ma noi parleremo ancora in seguito di stile e di retorica, di bellezza e di perfezione, a proposito dell'Educazione Estetica, e là completeremo questi pochi accenni. Ma il M. nel tempo stesso che raccomanda questo studio, esige che sia guidato da buon discernimento e fine sagacia affinchè non degeneri dal suo scopo. " L'Elo- quenza e la Poesia sono giardini, ove spuntano erbe disutili e maligne. L'andarle di mano in mano sbarbicando è una provvidenza necessaria, affinchè non crescano di soverchio, e non affoghino le speranze migliori dell'agricoltura „ (5). Ma purtroppo l'eloquenza allo stato attuale è tutt'altro che arte perfetta, molto e molto resta a fare, e molto deve ripromettersi ancora da lei la nostra Repubblica. Il M. poi non dimentica nulla, e coll'eloquenza, dirò, profana, raccomanda lo studio della sacra, per la quale pure dà utili insegnamenti e precetti, e invita i suoi più insigni colleghi (1) Vedi indietro pag. 39. (2) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, ecc. parte I, pag. 216. (3) Vedi pag. 39. (4) Della Pubblica Felicità, pag. 170. (5) / Primi Disegni della Repubblica Letteraria. ]12 STEFANO GRANDE 48 della Repubblica ad occuparsene in modo degno " sia col trattarla più ampiamente, sia col correggerla „. Venendo alla Poesia, molto e molto ci sarebbe da dire sulle orme del M. Come l'eloquenza serve ad allettare l'animo nostro ad apprendere le cose, così la poesia serve a ricrearlo. Forse non tutti saranno disposti ad accettare come fine della poesia il puro diletto, ma, rigorosamente parlando, non si può nemmeno dire che il M. sia strettamente di questa opinione, da quanto appare là dove parla delle norme della perfetta poesia. Tuttavia partendo dal lato pratico, bisogna riconoscere ch'egli le riserva l'ultimo posto nel suo piano di studi. * L'ultimo luogo par che si dovesse alla poesia, il cui proprio fine, essendo quello di dilettare, può perciò farla restare inferiore a tutte l'altre Arti liberali, nonché alle Scienze „. Ma tosto si ri- piglia e soggiunge: " E non è già poco suo pregio quel del dilettare, poiché avendo o-li animi umani bisogno di qualche ricreazione, e sollievo, qual più onesto, nobile e spiritoso diletto può trarsi che dalla Musica, dalle belle Immagini, dalle bizzarre Invenzioni, e dalle Acutezze degl'Ingegni poetici? „ (1). Ma altrove il M. si dimostra più favorevole ancora verso lo studio della poesia, ed egli stesso non disdegna di occuparsene " ex professo „ ; di scrivere un trattato di poetica " Della Perfetta Poesia Italiana „, di raccogliere e commentare le rime di un poeta " Vita e Rime di Carlo Maria Maggi „, e finalmente in una celebre lettera, di considerarla coll'eloquenza la prima fra le arti a cui dobbiamo rivolgere i nostri studi (2). Ma egli distingue fra verseggiatore e poeta, e lamenta nel citato trattato (3), la moltitudine dei primi e dei maestri dell'arte poetica, e la scarsezza dei veri poeti. Bisogna persuadersene una buona volta: la poesia è arte difficile e delicatissima, e alla sua coltura occorre l'opera continua, solerte, indefessa della nostra volontà non solo, ma anche il contributo della natura. " Senza buon fondo di sapere e senza gran lettura, e massimamente di quegli eccellenti originali, che han prodotto le lingue greca, latina, et italiana sarà un mezzo miracolo, che alcuno ottenga la gloria di gran poeta „. ...Ma non basta ancora, e il M. continua: " E suppongo sempre che a sì fatto studio si porti vivacità d'ingegno, e inclinazione naturale; altrimenti con tutto quel fondo e lettura si saprà forse dire dei bei sensi in versi, ma non si potrà mai fare delle poesie leggiadre e perfette „ (4). Così la pensava, e molto giustamente, il M. su quest'arte che è pur tanta parte della nostra vita, e dei nostri studi; ma egli si dilunga assai in essa, e noi non pos- siamo seguirlo, trattenuti dalla modesta indole del nostro lavoro. Scienze Fisiche. Così denominiamo le scienze che il M. comprendeva sotto il nome generico di Filosofia Naturale. Qui dalla sua mente pratica che tutto riduceva ad uno scopo reale, positivo e utile, non dobbiamo aspettarci che una concezione essenzialmente pratica (1) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, ecc., parte I, pag. 158. Cfr. pure cap. IV della nostra trattazione. (2) Lettera dell'abate N. N. (leggi L. A. Muratori) arconte della Repubbl. Letter. d'Italia al signor N. N. Modena, 12 Agosto 1703, Campoki, II, 642-47. Fa pure parte dei Primi Disegni, ecc. (3) Della Perfetta Poesia Italiana. Venezia, Coleti, 1730, cap. II. (4) Lettera al Conte di Porcia 49 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 113 e immediatamente attinente alla vita reale. Nessuna meraviglia pertanto se egli tuona contro Aristotele e gli Aristotelici, contro gli Scolastici, i Metafisici, ecc. Tuttavia egli non eccede, e la condizione di tali studi a' suoi tempi scusa, o meglio, spiega le sue acerbe invettive. I vecchi Peripatetici sono asciutti e ostinati , i moderni seguaci della filosofia naturale, audaci e sospetti, noi inoltriamoci nella via di mezzo, senza darci pensiero che della verità, e senza il preconcetto di dover difendere o seguire una scuola o un maestro, sia egli antico, o sia moderno. Con questi ottimi pensieri egli entra nell'arringo, propugnando con sommo vigore il metodo essenzialmente pratico, sperimentale di questi studi. Tutta la Filosofia naturale pertanto egli aggira sopra due cardini, l'esperienza e il raziocinio, alla cui luce, egli osserva, devono cadere le sofistiche ed astruse teorie di cervelli vaganti fra le tenebre d'una incompresa filosofia. Ma egli sopratutto ha di mira la Sofistica alla quale propone la più spietata guerra. Ma ci resta ben altro e " ancora bramiamo che alla Logica, e alla Metafisica si taglino molte penne, acciocché non facciano inutile pompa di sé stesse, vagando qua e là senza verun profitto, ma fedelmente e con pronta ubbidienza accompagnino la Mente nostra allo scoprimento della Verità „ (1). Cosi alle sottigliezze metafisiche, alle astruse sofisticherie sottentra una scienza più pratica e più corrispondente ai bisogni della vita e della realtà. Ecco le sue parole: " L'attenta osservazione degli effetti e delle cagioni delle cose, i Cimenti, o vogliamo dire gli Esperimenti nuovi, il ritrovar nuove Macchine, e mezzi per giun- gere più da vicino a conoscere la fabbrica, le virtù, l'origine, gli artifizj occulti, la lega, o inimicizia, ed altre infinite qualità di tanti e si varj corpi della natura, for- manti il Mondo terreno, e celeste, moventisi, o privi di moto; sono questi studj che noi vorremmo principalmente coltivati dai nostri Filosofi, e che possono aiutati dal raziocinio porgere gran soccorso alla storia della Natura. Qui dunque si debbono esercitare le nostre forze, qui procurar di far cammino, perciocché le sole specula- zioni dell'Ingegno non sono sempre bastevoli cannocchiali per raggiungere la verità delle cose fisiche „ (2). Cosi si esprime il M. nel campo della Fisica. Esacerbato dall'infelice condizione in cui si eran ridotti questi studi, non vuole più la fisica speculativa, ma la speri- mentale, la pratica, affinchè le menti di tanti, che spaziano in nebulose ed insipide argomentazioni, siano attratte in un campo più sodo e positivo. Ed egli stesso ci spiana la via e ce ne dà un forte esempio, giacché il M. si occupò sempre, quan- tunque non " ex professo „, di questi studi, ed anzi appena ventenne, componeva una brillante ed eruditissima dissertazione sul barometro, sostenendo l'abbassamento della colonna mercuriale per effetto della tensione dei vapori acquei, ed ottantenne ancora scriveva un'importantissima e davvero fatidica lettera sull'elettricità (3). Medicina. — Dopo la fisica in generale, vediamo la Medicina, a proposito della (1) / Primi Disegni della Repubblica Letteraria. (2) Ibidem. (3) Vedi Opinioni e Scritti di L. A. Muratori intorno a cose fisiche, mediche e naturali, per opera del Cav. Prof. L. Salimbesi, in " Memorie della R. Accad. di Scienze, Lettere ed Arti in Modena „, tomo XIII, parte II, 1873. Cfr. anche alcune sue lettere, tra cui, a proposito di applicazioni baro- metriche, quella a G. G. Leibniz. Campoki, IV, pag. 1293-94. Serie II. Tom. LUI. 15 1 1 | STEFANO GRANDE 50 quale il M. preme assai la mano. Questa scienza, è giusto ricordarlo, ha ultimamente ampliato le sue cognizioni, riformati molti abusi, ma pur dista sempre immensamente non solo dalla perfezione, ma dalla stessa mediocrità. Ben sa il M. che alla più parte dei suoi inconvenienti non si può riparare, perchè di natura irrimediabili, ma sa pure che si può umanamente pretendere molto di più, e che si deve ottenere, essendo questo uno studio molto utile, e di utilità non già individuale, ma sociale. " Ma intanto i mali non scemano, dice egli (1), ne gli infermi sono più facilmente curati di prima. Troppo è frale la natura, e ha da signoreggiare nel Mondo questa gran torma di mali che vi intromise il primo Padre, e che noi vi conserviamo a gara coll'intemperanza dei Corpi e dell'Anime „. Questa pertanto, secondo lui, la grande cagione dei mali, la nostra intempe- ranza ; ne è poi tutto torto degli studiosi, se questa scienza poco procede, e quan- tunque sia così faconda, magniloquente e dotta sui libri e sulle cattedre, riesca in pratica così poco efficace. Ma prescindendo da particolari osservazioni, il M. era troppo dotto per essere ciecamente ligio a questi studi, nei quali riconosce un progresso, ben caratteristico davvero! sui tempi passati, il progresso " non leggiero di far sì che la medicina se non può molto giovarci, non ci possa neppure molto nuocere „ (2). È un po' poco pei seguaci di Esculapio, ma pure il M. la pensava proprio così E questa non è opinione d'uomo profano, perchè il M. si intendeva pur parecchio di medicina, e ad essa attese assai utilmente, come ci provano le sue numerose opere mediche, che riscossero le lodi e l'ammirazione generale dei dotti. E a tal proposito ricordiamo il suo trattato Del governo della peste, la dissertazione De potu vini calidi, l'opera citata II Cristianesimo Felice nelle Missioni de' Padri della Compagnia di Gesù nel Paraguay, propriamente argomento di scienza naturale, la Biografia del medico Torti, diversi capitoli del trattato Della Pubblica Felicità, parte del trattato Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, alcuni capitoli della sua Filosofia Morale, e finalmente moltissime lettere ai più insigni medici contemporanei, a B. Ramezzini, ad A. Yal- lisnieri, professori dell'Università di Padova, a F. Torti, A. Pacchioni, D. Sancassani, F. Bertini, ecc. ecc., dei quali tutti godeva la massima stima. Ma non deve stupire l'opinione del M. così pessimista riguardo alle scienze me- diche, perchè egli aggraverà ancora la mano, tanto da scrivere che può valere tanto, e spesso meglio che un medico, la vecchierellà del paese che scongiura colle sue magiche medicine tutti i malanni umani (3). Ma quello che può stupire si è che l'esempio del M. non è unico, è molti altri filosofi e pedagogisti, intendentissimi di medicina, dimostrarono lo stesso e maggiore disprezzo ancora, per quest'arte. G. Locke, ad esempio, suggerisce egli i piccoli ed efficaci rimedi pei fanciulli, e non vuole che si ricorra al medico, ma si lasci agir spontanea la natura. G. G. Rousseau va più avanti, e scrive (4) che la medicina " è arte più perniciosa agli uomini di tutti i mali che pre- tende di guarire, e funesta al genere umano „. Riguardo poi al M. bisogna confessare che peggio de' medici ancora tratta un'altra (1) / Primi Disegni della Repubblica Letteraria. (2) Ibidem. (3) Vedi Della Pubblica Felicità, oap. XI. (4) Rousseau, Emilio, I. 51 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 115 specie di eruditi, i Grammatici, ma dopo questi chi hanno, per lui, spacciato al mondo più frottole sono senza dubbio i medici (1). Matematiche. — Ben diversamente egli la pensa a proposito delle Matematiche. Questo è un campo vastissimo e fecondo di bei trovati, di paesi nuovi, di ricchezze non prima osservate, e il progresso che tali scienze fecero ai nostri tempi, è dav- vero meraviglioso. Ma anche qui il M. non pensa alla matematica puramente specula- tiva, ma bensì alla applicata, alla pratica. " A noi piacerà maggiormente chi facendo servire le Matematiche alla Filosofia, alla Medicina, e ad altri argomenti, coll'aiuto di esse penetrerà in miniere finora incognite „ (2). E acutamente parla dell'applica- zione loro, non solo alle scienze citate, ma alla Meccanica, alla Geometria, alla Nau- tica, all'Ottica, all'Architettura, alla Musica, ecc., citando i grandi vantaggi e com- modi che ne possono derivare. Ma il M. vede nello studio delle matematiche un altro vantaggio, quello cioè di sviluppare l'intelletto e la penetrazione giovanile, e di riuscire di mirabile ginnastica intellettuale. Ma anche qui non bisogna smodare, ed egli stesso disapprova le ecces- sive lodi di Cartesio e dei Cartesiani (3). Anche G. B. Vico partecipa di queste idee. Egli in una lezione universitaria, ripro- dotta nella sua Autobiografia, e in appendice al De antiquìssima Italorum sapientia, dichiara che s'addice bene alle menti giovanili la Geometria, ma moderata, la quale sviluppa l'intelligenza, la dispone ad intendere le cose astratte, formando così la logica della loro età ; ma pure apertamente biasima Cartesio e i Cartesiani che rim- pinzano la mente dei giovani di magnifici vocaboli di evidenza, di dimostrazione, di assiomi " come se dovessero uscire nel mondo degli uomini, il quale fossesi com- posto di linee, di numeri, di specie algebriche „. Così è infatti: lo studio della matematica, nei suoi giusti limiti, ha certo un'im- portanza pedagogica, la quale da taluni è perfin creduta superiore ad ogni altra disciplina, in base a quali seri e provati argomenti non sappiamo, dimenticando che in ogni caso si deve pure pensare che la nostra vita è formata di realtà ben più vive e concrete delle cifre e dei numeri ; che essa non è dominata dalla rigidità ed inflessibilità delle matematiche, e che queste infine non sviluppano ne punto, né poco il senso pratico e l'esperienza. Anche Platone, Quintiliano ed altri molti nell'antichità ne sostennero l'efficacia, ma est modus iti rebus, e il considerarle come il più efficace esercizio del pensiero, e la ginnastica intellettuale più potente, è tirarci addosso gli strali di insigni pensatori, Bénard, Hamilton, Girard, Pascal, Berkeley, Gravesande, D'Alembert, Ledere, Basedow, Weiller, ecc. ecc. Geografìa. — Dei vantaggi delle matematiche partecipano pure la Geografia, l'Astronomia, ecc. per le loro reciproche relazioni. Il M. è ben favorevole a questi studi, di cui conosce tutta l'utilità, e nel tempo stesso tutta l'imperfezione del mo- mento, e caldamente invita i futuri socii della sua Repubblica ad occuparsene seria- mente, perchè esse tuttodì ci rivelano fatti nuovi, principi, computi, determinazioni non prima affermate, e continuamente allargano l'orbita del loro campo e delle loro (1) Della Pubblica Felicità, cap. XI. (2) I Primi Disegni della Repubblica Letteraria. (3) Ibidem. 116 STEFANO GRANDE 52 utili investigazioni. Che il M. pur si mantenesse al corrente di questi studi ne abbiamo ampie prove, e noi lo vediamo in parecchie lettere rivolgersi agli amici, ai dotti in materia, per avere informazioni di pubblicazioni, di scritti, di carte, di atlanti (1). Anzi egli va più in là, fino a suggerirci gli argomenti più bisognosi delle cure e delle investigazioni nostre, augurandosi studi su una più regolata e precisa determinazione della longitudine e latitudine, sull' ubicazione delle città, sulla cartografia, ecc. ecc. Parlato così di queste discipline, veniamo a quella che in modo speciale stava a cuore al M., alla Filosofia. Filosofia. Dopo quanto siamo venuti fin qui esponendo, e particolarmente nel Cap. IV, appare chiaro quale dovette essere il pensiero del M. sulla filosofia. Ogni scienza è importante, ogni scienza è buona per sé, ma su ogni altra importante e buona è la filosofia. Quelle sono scienze, questa è sapienza : a questa pertanto devono essere indi- rizzati i nostri sforzi, a questa che è di utilità prima, immediata, infallibile; a questa che formò già uno dei pregi principali degli antichi popoli ; a questa infine che è la fonte più copiosa di etica saggezza, e la maestra prima della vita e della virtù. Sono questi pensieri comuni a tutti i grandi pensatori dei secoli, ma nel caso presente, ad un sommo italiano più volte citato, a G. B. Vico, ed anche, e principalmente, a Michele de Montaigne, che certo non fu ignoto al Muratori (2). Intorno a questi pensieri s'aggira tutta la sua vita pratica e scientifica, e al loro svolgimento consacra lettere, dissertazioni, opuscoli, libri, trattati, dimostran- dosi ovunque amatore indefesso della prima utilità dell'uomo, della vera sapienza, e sopratutto acuto e profondo indagatore di principi etici e morali. Ma dopo tanti sforzi, egli pure s'accorge che a questa vera scienza poco si bada, ed è forza confes- sare che, purtroppo, il suo non è più che un nome vano. Ma scendiamo ai particolari. Qua! sia il concetto generico della filosofia già lo sappiamo e lo sapremo meglio (3) ; in larga sintesi, essa ci rivela i primi principi, le massime, le cagioni, le ragioni, le relazioni delle cose, le applica seguendo le idee della mente, mirando non ad arricchir la memoria, ma a regolar l'intelletto; essa è perciò scienza pratica perchè prende le mosse dai fatti e si eleva ai principi delle cose; è scienza sovr'ogni altra stimabile perchè mira all'intelletto, sede della ragione, non alla semplice memoria, sede dell'erudizione. Nel suo ampio circuito abbraccia particolarmente la logica, la metafisica, la morale, ma entra in tutte le scienze " e loro (1) Cfr. Lett. ad Ant. Magliabechi, Campoei, II, 547 ed altra a Giambattista Bianconi, 1727. Archiviti Muratoriano, pag. 356 ecc. ecc. Prova degli studi geografici del M., oltre che dalle sue opere sto- riche, ci è pure data dalla sua corrispondenza coll'illustre bibliotecario di Oxford, Giovanni Hudson, il quale anzi gli dedicava il tomo III dei suoi Geografi Minori Greci. Campoki, IV, pag. 1581-82 ecc. (2) M. uè Montaigne, Essais, cap. XXV, pag. 84-85 : " Entre les artes liberaux commenceone par l'art qui nous faict libres: elle servent toutes voirement en quelque maniere à l'instruction de nostre vie, et à son usage, comme toutes aultres choses y servent en quelque maniere aussi; mais choissisons celle qui y sert diréctement et prof'essoirement... Si nous s9avions restreindre les appar- tenances de nostre vie à leurs iustes et naturels limites, nous trouverions que la meilleure part dea sciences qui sont en usage est hors de notre usage: et en celles mesmes qui le sont, qu'il y a des estendues et enfonceures que nous ferions mieuls de laisser là, et suivant l'institution de Socrates, borner le cours de nostre estude en icelles où fault l'utilité „. (3) Vedi avanti pag. 57-58. 53 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 117 contribuisce il nerbo migliore e l'interno buon sugo, siccome la Rcttorica suole con- tribuir loro l'esterna vaghezza „ (1). Senza di esse le materie si trattano superficial- mente, i libri riescono incerti, imperfetti, vuoti, perchè solo chi sa ben filosofare sa ben maneggiare le scienze. È un precetto che dovrebbe scriversi a caratteri cubi- tali sulle pareti delle scuole. Riguardo alla Logica il M. scrive: " Tale e tanta è, non dirò l'utilità, ma la necessità, che chi non è ben fondato in questa non può mai ripromettersi di discor- rere con lode in qualsivoglia alta o bassa materia, sia scienza, sia arte „ (2). Ma della Logica il M. ha un concetto particolare, elevatissimo; egli l'incorpora colla cri- tica, essendo identico, o quasi, il fine loro di cercare l'ordine, la precisione, la per- fezione nelle scienze. Ma di essa parleremo a proposito dell'arte critica. Per la Metafisica il M. è tutt<ro che tenero : ammette che sia, almeno in ori- gine, scienza utilissima, ma ora, per l'abuso che ne fu fatto, non è più scienza consi- gliabile. " Quattro mesi bastano per insegnarla, qualora i maestri non si perdano in frasche „ (3). Purtroppo di questa infelice condizione partecipa pure la Fisica, ma non la particolare, pratica, scienza importantissima e di grandissime speranze, ma la generale, speculativa, nella quale " non si veggono se non battaglie, senza mai sa- pere, chi abbia vittoria „ (4). Dominarono già padroni, osserva egli, Platone e Ari- stotele, detroneggiati dai Gassendisti e Cartesiani, battuti alla lor volta dai Newto- niani, Leibnitziani, Wolfiani che stanno aspettando egual fortuna. È il regno dell'oscurità e dell'incertezza, e il M., niente pratica e positiva per eccellenza, ne rifugge naturalmente. Ma per queste scienze in particolare vedi il Cap. VI. E veniamo alla Morale. " Oh ! qui sì che ci vuole Iddio, e ci chiama tutti, tanto Idioti che Letterati; e qui fa d'uopo che ognuno studj „ (5). Il fine di essa è di inse- gnare ad essere saggi, cioè sapienti, ed essa formò già il pensiero primo dei più grandi ingegni dell'antichità. " A questa infatti più che ad altro badavano, ed in questa incanutivano gli antichi Filosofi, tali non già chiamati unicamente per lo studio della Logica, Fisica e Metafisica, né per l'Astronomia e Matematica, né per l'Eloquenza, né per altri studj scientifici; ma sì bene per questa Filosofia „ (6). E l' anima candida del M. sviscera tutta la sua affettuosa, cordiale , persuasiva eloquenza a favore di questo studio che dovrebbe star a capo dei pensieri di tutti, che dovrebbe informare tutte le scienze, che dovrebbe dominare vivissimo nelle scuole, nei libri, nella vita. " Gran vergogna de' nostri tempi, per altro sì studiosi, e liberati dalla ruggine de' Secoli barbari — scrive egli con toccante affetto — che oggidì si occupi in tanti studj o di Lingue, o di Belle Lettere, o di Fisica, o di Metafisica, o di Giurisprudenza, o di Matematiche l'età fiorita de' Giovani; e che questi poi ter- minino il corso delle Scuole, senza avere né pure appreso, che e' è al mondo una Scienza, appellata Filosofia Morale. Questa, questa più d'ogni altra è quella, che ha da insegnarsi, e impararsi. Questa spezialmente, e non altra, questa è, che giusta- (1) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, cap. I, pag. 59. (2) Della Pubblica Felicità, ecc., cap. XIII, pag. 151. (3) Idem, cap. XIII, pag. 155. (4) Idem, pag. 156. (5) Filosofia Morale, cap. I, pag. 13. (6) Idem, pag. 14. 118 STEFANO GRANDE 54 mente da Tullio viene appellata Medicina degli Animi. Possono altri studj giovare; ma senza d'essi può anche passarsela l'Uomo. Non dovrebbe già veruno all'incontro compiere la carriera delle Scuole, senza aver procurato a sé stesso l'ornamento e sussidio di quella Scienza, che insegna a ben regolare la Vita Morale dell'Uomo Mi si perdoni, se ritocco un tasto già toccato altrove (in realtà molto sovente) : per- ciocché il bisogno richiede, che si scuota in questo la sonnolenza de' nostri tempi „ (1). Così altrove^ ritornando sull'argomento, fa pubbliche, sentite lodi al re di Sardegna, Carlo Emanuele III, ancor in vita, per aver istituito nell'Università di Torino la cattedra di Filosofia Morale (2). Anche il Montaigne riconosce la necessità di studiar, prima d'ogni altra scienza, la Morale, e perchè ci deve anzitutto star a cuore di esser saggi e onesti, e perchè essa facilita mirabilmente lo studio di tutte le altee scienze, che su di essa debbono poggiare (3). Posto non inferiore occupa l'insegnamento della Morale nei disegni scolastici e pedagogici di altri insigni pensatori, in Locke, ad esempio, in G. G. Rousseau stesso, che, come sappiamo, si mostrava invece così rigoroso verso la Storia e la Grammatica. Un ramo di questa sì importante scienza si può ricondurre alla Pedagogia, che colla Teologia forma una delle sue più dirette emanazioni (4). La Teologia, scienza importantissima nella concezione filosofica e morale del M., è ridotta, lamenta egli, dai vigenti sistemi di studio in uno stato lacrimevole. Essa, si può dire, è tanto importante quanto mal trattata, una selva di inutili questioni, di barbari sermoni, di strane ed intemperanti opinioni, un infarcimento di filosofia profana, una continua e spinosa metafisica ne ha invaso e sterilizzato il campo. E sentita la necessità di una riforma che tagli tante frasche e filastrocche, appiccatele da barbari commentatori, che regga e guidi la nostra mente nei giusti limiti, nelle sane opinioni, negli utili argomenti. Il M. si fa apostolo appunto di quest'opera di riforma, e alla Teologia considerata nella sua divisione di Dogmatica, Scolastica, Polemica, e Morale, cerca di provvedere con uno studio più sodo e di maggior attua- lità della Dogmatica e della Polemica, fondendo in esse lo studio delle altre due, fattosi campo di triboli e di spine. Questo il pensiero muratoriano nel campo della Filosofia, della Morale, e della Teologia: queste le linee generali della riforma, le quali noi cercammo brevemente chiarire, per quanto ci permetteva la ristrettezza del nostro argomento. E qui sarebbe il luogo di vedere dell'ortodossia del M. accusato di giansenismo, e di non so quale illecita relazione coi dotti protestanti della Germania, se quanto si disse, si scrisse, si stampò su di lui, sacerdote, proposto della Pomposa, filosofo, teologo, non fosse noto a tutti, e notissimo che da ogni accusa riuscì vittorioso e più illustre. Le sue contraddizioni infatti, i suoi sogni, i suoi principi giansenistici, le sue idee libere ed antiromane, non sono che illusioni di nemici, e per convincer- sene basta pensare alla difesa che di lui fece Cristoforo Migazzi, arcivescovo di (1) Filosofiti Moro/,-, cap. I, pag. 96-97. (2) Della Pubblica Felicità, ecc.. cap. Vili. (3) Montaigne, Essate, cap. XXV, pag. 85. (4) / Primi Disegni, ecc. 55 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 119 Vienna, e lo stesso pontefice Benedetto XIV (1). Egli è riformatore, innovatore pur anco, ristucco delle rancide opinioni, delle spinose metafisicherie che invadevano e tiranneggiavano gli studi, specie filosofici e morali dei suoi tempi, ma egli è pur sempre cattolico, apostolico, romano (2). Lo studio delle Leggi. Il M. è poco favorevole allo studio della Giurisprudenza, pur riconoscendone tutta l'importanza. È questa una scienza utile, ed anche necessaria, osserva egli, e che durerà quanto l'uomo, ma essa più d'ogni altra ha bisogno di essere emendata, migliorata, riformata. L'infelice condizione di questi studi, l'infelice loro applicazione ai casi pratici, avevano già suscitato lo sdegno del M. fin da quando, giovanetto, per assecondare il desiderio del padre, si era dato per qualche tempo alle leggi. Tuttavia nella sua vita il M. non trascurò mai del tutto questi studi, ed intorno ad essi scrisse un trattato Dei Difetti della Giurisprudenza ecc., e non già per disprezzo di essa, ina per promuoverne la riforma. È vero che il M. vede quivi un'infinità di difetti, di abusi, di mali, e a stento si adatta ad accettarne i rappresentanti nella sua Repubblica, ma tale condizione non è per anco disperata. Pertanto egli scrive " che sarebbe molto grata la Repubblica Letteraria, e più la Repubblica civile, a quei valentuomini i quali tentassero la purgazione di tanti abusi, di tante sentenze comuni fra loro contrarie, di tanti autori, che vagliono più ad avviluppare che a decidere le questioni, e insomma di tutti quegli ostacoli che rendono eterne le liti e infiniti i processi „ (3). Dei difetti della Giurisprudenza, secondo il suo trattato, altri sono intrinseci alla materia, altri esterni. Fra i primi ricordiamo: a) la mancanza di chiarezza nelle leggi, per cui non si vede netta la mente del legislatore, ed è necessità sofisticare su ogni sillaba, su ogni punto, su ogni virgola; b) l'insufficienza delle leggi, non potendo esse provvedere a tutti i casi della vita, che sono infiniti; e) la difficoltà di interpretare la mente degli uomini, per esempio nei contratti, testamenti, costi- tuzioni di società, matrimoni, dotazioni, ecc., sicché si può veramente dire che il notaio lavora per l'avvocato. Fra i difetti esterni, che sono numerosissimi, citiamo le debolezze, i capricci, e spesso l'ignoranza dei giudici, i difetti di varia natura degli avvocati, la voluta vizio- sità delle cause, le ingerenze esterne, le prerogative dei governanti, ecc. ecc. Ma il M. non è uomo da lasciarsi spaventare da questo ammasso di difficoltà, e se non è possibile riparare ai difetti di natura, suggerisce di rimediare almeno ai formali. Si potrebbe pertanto a ciò provvedere: 1° Col ridurre in un corpo solo tutte le sentenze più fondate, sparse nelle dif- fusissime opere legali, le quali, quantunque non siano ancora state decise chiara- mente dalle leggi, sono però state approvate dal consenso dei più saggi legisti, o de' tribunali più famosi. (1) Vedi Archivio Muratoriano : Scritti inediti, ecc., pag. 126-30. (2,i Per l'avversione del M. ai principii giansenisti e protestanti vedi sua corrispondenza con Celso Cerri. Campobi, IV, pag. 1459-61 ; 1464 ecc., e sopratutto la sua lettera a Paolo Segneri. Idem, pag. 1471-80. (3) I Primi Disegni della Repubblica Letteraria. 120 STEFANO GRANDE 56 J Coll'insegnare il modo di applicare le sentenze generali ai casi particolari. 3° Col dimostrare quanto si scosti l'uso presente del foro dalle leggi, e dagli statuti composti per sbrigar con prontezza le liti. 4° Col proporre quei disinteressati espedienti che ogni persona di senno crede atti a liberare questa scienza dalla sofistica e dagli abusi da cui è contaminata. Questi i rimedi principali proposti nei suoi Primi Disegni, ma altri molti suggerisce ancora nel suo trattato sulla Giurisprudenza, e qua e là nelle lettere; ma purtroppo noi dobbiamo riconoscere che in gran parte sono essi ancora oggi pii desiderii, alla effettuazione dei quali, molto e molto volentieri ci sottoscriveremmo ancor noi moderni. Ma nella giurisprudenza non si deve veder tutto difetto , e il lato bello non manca, e lato molto persuasivo e solleticante, il lucro e una più appariscente carriera. Siamo sinceri, è così, " e se tanti volsero confessarla senza corda, direbbono che, quando pure vi truovano gusto, non vien già questo dall'essere saporite od amene quelle scienze, ma bensì dal guadagno, che si spera un giorno o attualmente si ricava dalla professione di quelle „ (1). A tale è ridotto lo studio delle leggi, o almeno così rigidamente è descritto dal M., che di natura ne rifugge una mente libera, e un intelletto generoso. " Cer- tamente un intelletto libero, cioè non legato da comando di superiori, e un intelletto generoso, che voglia fare sua comparsa nel mondo, difficilmente troverà sua delizia in sacrificarsi tutto alla Morale o alle Leggi „ (2). Ma egli rincara ancora la dose, ed apertamente asserisce che questo studio " è più tosto fatica, per così dire di schiena, che industria di ingegno „ (3) e cerca pro- vare la sua asserzione coli' esempio dei più grandi ingegni, Petrarca, Ariosto, Tasso, ecc. ecc. che si ribellarono sempre a esso. Questa così poco confortante descrizione della giurisprudenza fu al M. dettata da una parte dalla giusta considerazione delle esose prerogative ed ingerenze delle persone più potenti, per cui la giustizia non era altro che il loro volere (4), dall'altra dalla sua indole dolce e mite, amante della quiete e della tranquillità, epperò natu- ralmente contraria ai rumorosi studi del foro. Infatti ce lo dice egli stesso : " Quid de juris scientia sperari liceat in compertum habeo; hoc unum scio, genio meo non arridere prorsus hujusmodi studia; is enim sum, qui mini quietem potius optem, ac venalem jurisperitorum loquacitatem et tricas effugere dulcissimum putem „ (5). Non fa pertanto meraviglia che chi scriveva così a ventidue anni, nell'età del- l'irrequietezza e dell'ardore, premesse di più la mano nell'età matura, naturalmente portata alla tranquillità. L'arte critica. A proposito di critica si pronunziarono già sul M. i più disparati giudizi, ed io non so che cosa non si disse e si scrisse dagli studiosi delle sue opere. Il vero, il ra- gionevole si è che noi non dobbiamo pretendere da quest'arte, nel M. ancora bam- (1) Lettera al Conte di Porcia. (2) Ibidem. (3) Vita di C. M. Maggi. Milano, Malatosta, 1700, pag. 7. (4) Vedi pag. 78-79 a proposito del contegno del Principe nell' esercitare la giustizia. (5) Lettera a Francesco Caula, Mutinae, V Idib. feb. 1694, Campori, I, 47-48. 57 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 1-1 bina, quanto essa darà poi fattasi adulta; né sarebbe giusto, nell'immensa mole delle opere di lui, ricercare quel sottile raffinamento critico che caratterizza i tempi moderni. Ma checche si sia detto, è un fatto certo che della critica il M. sentì tutta l'impor- tanza e la necessità, e se tentennò alquanto non fu sull'arte in se, ma piuttosto sulla persona dei critici " i quali facilmente si conducono a mirar dall'alto con superio- rità, anzi con dispregio quasi tutti gli altri, che non sono cosi ben forniti del sapere medesimo. Costoro sono gl'Iinperadori delle Lettere, e la fanno da Dittatori e da Maestri sopra qualunque più riverito scrittore . . . , e rara cosa è, che uno sia un gran Critico, e insieme un gran Modesto „ (1). Di qui emerge quella diffidenza che il M. suggerisce doversi avere per le opere di cotestoro, pur ammettendo che per essi procedono mirabilmente le scienze; si scoprono molte verità, molti fatti nuovi; si distruggono molte favole e credenze assurde. " Né perchè se ne abusino alcuni, continua egli, s'ha ella da riprendere, o levare dal Mondo, siccome non hanno perciò a tagliarsi tutte le viti, perchè taluno s'ubbriaca „ (2). Ma per la critica, considerata come arte, il M. è molto meglio disposto, e non solo ne riconosce e ne predica l'incondizionata utilità, ma ben anche l'assoluta neces- sità nelle scienze. " Egli è da dirsi che chi non è fornito di Giudizio Critico, e non sa l'arte critica, presa in tutta la sua maggior estensione, costui farà sempre una infelice comparsa fra i veri Letterati „ (3). Ma la critica pel M. è molto affine alla filosofia, e non andrebbe forse errato chi affermasse che in ultima analisi esse si danno la mano, e si integrano a vicenda. Si pensi infatti al concetto che aveva il M. della filosofia, per la quale, dice, " noi vogliamo far intendere la virtù del raziocinare, del ritrovare colla speculazione le ragioni, le cagioni, gli effetti, e le amicizie, corrispondenze, e relazioni delle Cose, o pur le loro nemicizie o disuguaglianze, e la virtù del saperle ordinare; e sopra tutto quella di distinguere il Vero dal Falso, il Buono dal Cattivo, il Bello dal Brutto, l'Apparenza dalla Sostanza, l'Opinione dalla Scienza, e l'Incerto dal Certo, senza lasciarsi abbagliare da' Sofisti, dai Mentitori, dagl'Ignoranti, dai Declamatori, dai pessimi Gusti ed usi de' tempi, e da altri somiglianti nemici della Verità, e della vera Bellezza. Ora questa filosofia si è quella, che in ogni Scienza ed Arte nobile entrando, loro contribuisce il nerbo migliore, e l'interno buon Sugo, siccome la Ret- torica suole contribuir loro l'esterna vaghezza „ (4). È la vera critica insomma, l'arte che deve informare ogni scienza, ogni studio, e che egli definisce altrove con presso che identiche espressioni (5). Uno dei più grandi principi informatori di quest'arte, si è d'apprendere sulle spalle altrui " imparando a conoscere gli altrui diffetti ed errori per nostro vantaggio e per disinganno altrui „ (6). Ma purtroppo non tutti sanno trarre partito da essa e " oggidì fa pietà, per non dir peggio, il veder alcuni, che dopo tanti lumi, de' quali ci ha provveduto la diligenza critica de' due prossimi passati secoli, tuttavia citano (1) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, pag. 293. (2) Idem, pag. 300. (3) Ibidem. (4l Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, cap. I, pag. 53. (5) Delle Forze dell'Intendimento Umano, pag. 333. (6) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, pag. 300. Serie II. Tomo LUI. ]22 STEFANO GRANDE ;.- Autori apocrifi, e Libri già supposti per ignoranza o per malizia ad uomini ragguar- devoli, oppure seguitano a prestar fede a tante imposture, o favole nate ne' secoli barbari, fondando sopra sì fatte menzogne o inezie la forza o l'erudizione de' loro ragionamenti. Fa pietà il vedere, elio senza discernimento di tempi, di luoghi, di persone, e d'autori, osano alcuni trattar materie erudite, e massimamente le sacre „ (1). Il M., persuaso della grande utilità di questa scienza, ne raccomanda lo studio anche ai giovani, affinchè per tempo si addestrino a conoscere le mende degli scrit- tori, a censurare o a difendere queste o quelle opinioni, questi o quegli autori. Ma eo-H ben conosce l'arditezza del suo consiglio, e tosto lo tempera con una buona con- dizione, osservando che i giovani devono bensì attendere a questo studio, ma sotto la scorta di un saggio maestro, che guidi il loro giudizio, che li avverta degli errori in cui possono essi stessi cadere, che moderi la loro presunzione, che loro indichi quanto distino dalla perfezione. « Questo consiglio, vaglia il vero (2), il riconosco anch'io, per un poco pericoloso, ma la condizione da me aggiunta, gli toglie per av- ventura, tutta la comodità di nuocere ai giovani, e alle Lettere stesse „. Lo studio delle opere critiche infatti, ben inteso e disciplinato, non può a meno di non eser- citare grande influsso sulla mente del giovane, naturalmente portato ad osservare ed a notare i difetti altrui, ma a parlar sinceramente, anche a noi pare indispensa- bile la condizione imposta dal M., checche egli altrove vagamente accenni in essi a sufficiente maturità di giudizio. Altro principio direttivo della critica è la sincerità, l'imparzialità, e perciò si richiede in essa una mente calma, serena, spassionata, che veda i difetti altrui non solo, ma anche i propri, che non sia guidata da presunzione, da secondi fini, da preconcetti. " Io, scrive il M. (3), per superbia o rancore non criticherò mai alcuno. ma stimo ben necessario lo scoprire i difetti di chi ha stampato, acciocché se ne guardino gli altri; e in fatti quando lo comporta il luogo, non lascio d'accennare quelli ancora dei grandi uomini, che noi veneriamo come capi della Poesia „ (4). Così concepisce il M. la critica, arte nobile ma difficilissima, ed arma a doppio taglio, che solo i veri prudenti sanno utilmente usare. Ora da quanto egli ha praticato nelle sue opere, e da quanto abbiamo noi fug- gevolmente accennato, si può, almeno all'ingrosso, giudicare se il M. non si sia reso pur anche benemerito di quest'arte, e se non siano esagerati i giudizi troppo recisi pronunziati talora a suo riguardo. Agraria. Ci piace terminare la nostra rassegna delle discipline scolastiche sotto la scorta del M., coll'accenno ad un'arte troppo dimenticata dai dotti dei secoli passati: l'Agraria, Abbiamo più volte accennato allo spirito pratico che informa tutte le vedute e i pen- sieri del M., al suo grande e disinteressato amore a tutto ciò che può tornar utile alla società; l'abbiamo visto dar l'ostracismo alla poesia, all'arti belle, alle matema- (1) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte I, cap. VII, pag. 215. (2) Idem, pag. 300. (3) Lettera ad Apostolo Zeno, 15 luglio 1701, Campori, II, 516-17. (4) Pensa sopratutto alla sua critica del Petrarca di cui pubblicò le Rime, Padova, 1711, e cfr. lettera dedicatori;! ad Antonio Bambaldo di Collalto. Campori, IV, p. 1346-59. 59 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI l-;< tiche astratte, alla filosofia mal intesa, alla medicina teorica, or lo vediamo con oppor- tuno intendimento portar al grado di scienza di prima utilità l'agricoltura. " Più a mio credere è da stimare un Libro che insegna a un Mercatante, ad un Marinaio, a un Giardiniera o Agricoltore, ad uno Speziale, ecc., il suo mestiere col meglio di quel- l'Arte, che cento libri di secca filosofia, di smilza erudizione, e di poesie poc' altro contenenti che infilzate parole „ (1). Ma questo in larga sintesi, ed egli venendo al particolare dedica l'intero Capi- tolo XV del suo trattato " Della Pubblica Felicità „ alla Scienza dei Campi, e rac- comanda vivamente al suo Principe di averla a cuore, di farla coltivare e progredire. Ogni grande questione relativa all'agronomia è presa da lui in esame, ed egli tratta dei vari prodotti che danno o dovrebbero dare le regioni, delle diverse coltivazioni, dei climi più adatti, dei vari metodi di coltura, di ingrassi, di seminagioni, di pian- tamenti, ecc., ecc., dappertutto trasfondendo quell'aura di affetto e di persuasione che spirava la sua competenza e il suo gran buon cuore. Ma egli vorrebbe che si istituissero scuole particolari di agraria, che si tenes- sero conferenze, che si insegnasse ai contadini, se non di più, almeno nei giorni festivi, che si sistemasse, che si coltivasse questa scienza che come le altre, e più delle altre, ha ragione di vita, e si merita una cattedra speciale... e non dice di più perchè teme di farsi un augurio ineffettuabile. I tempi moderni invece hanno dimo- strato l'effettuabilità del suo progetto, e noi abbiamo scuole e cattedre di agraria, la piena attuazione cioè del voto del M., e noi non ci peritiamo qui di asserire che quel capitolo muratoriano, potrebbe servir benissimo di prolusione storica ad uno di quei corsi. Il M. come altrove, anche qui precede i tempi suoi, e giova metter in luce questo suo merito guadagnato in pieno secolo XVIII, a dispetto di rancide opinioni, e affermato con tal forza che quest'arte, ritenuta vile e spregevole, egli pone al di sopra di molte altre, e sopra tutto della milizia, proclamandola onorifica perfino ai nobili, il che vuol pur dire qualche cosa pei suoi tempi. Qui terminiamo l'esposizione delle idee muratoriane relative alla coltura intellet- tuale, senza indugiarci più oltre a trarre nuove conclusioni pedagogiche, contenti se da quanto esponemmo potrà essere assodato il gran principio del M., che l'intelli- genza va educata ed ammaestrata in servigio della vita. E pensatamente chiudemmo la nostra rassegna delle discipline scientifiche coll'agricoltura e col voto del M., perchè cosi più che mai ci parve indicato che l'istruzione non deve essere fine a se stessa, ma mezzo e tirocinio alla vita. VII. — Educazione Estetica. Non da tutti è riconosciuta come parte essenziale del magistero pedagogico l'educazione estetica, e pedagogisti insigni trascurarono di considerarla " ex professo ... Per vero dire questa lacuna non è del tutto involontaria in alcune scuole. Locke, Elvezio, Rousseau, Spencer, Barn, ecc., che in essa non vedono che un semplice, ed anche superfluo ornamento della mente, o se meglio piace, una coltura di lusso, ila (1) Della Pubblica Felicità, eap. V, pag. 51. 124 • NO GRANDE 60 in realtà anche questa parte dell'educazione ha la sua ragione di essere nella natura dell'uomo, ed il M. stesso, che non si occupa direttamente e particolarmente di peda- gogia, l'intuisce e la propugna, senza però, ben si intende, poter darne esplicite e siste- matiche regole, ne comporle ad unità scientifica. L'educazione estetica è la coltura delle potenze aventi per oggetto il bello. Ma che cosa è questo bello? " La grandiosità, e maestà, la proporzion delle parti, un grazioso e ben ordinato movimento, un vivace e delicato colore, e massimamente se ben compartito, la soavità e il concerto delle voci, l'essere lucente, la finezza del lavoro (venga essa dall'arte, ovvero dalla Natura), le varietà, le novità, ed altre simili configurazioni e qualità nelle cose corporee cadenti sotto il senso della Vista e dell'Udito, son quelle, che combinate insieme ora più, ora meno, danno occasione a noi di dirle Belle. Cosi tutto ciò, che ha del grande, del nuovo, del delicato, e mostra acutezza, possanza, e chiarezza dell'Ingegno altrui, con farci sentire, che ne abbiamo ancora noi la parte nostra, o che ci guida a scoprire una rara maestria, leggiadria o Virtù in altrui, e altre somiglianti doti, concorrenti negli oggetti intel- lettuali, impetrerà ad essi il titolo di Bello „ (1). Questa è 1' espressione del Bello nell' arte e nella natura, nelle quali esso ap- pare come l'incarnazione d'un ideale della mente, e perchè di essa esprime i pen- sieri, e perchè risponde all'aspirazione del cuore. Ma un vincolo naturale unisce il Bello, col Vero e col Buono, e cioè le potenze estetiche colle intellettuali e morali. L'intelligenza nostra è ordinata alla visione del vero, la volontà all'effettuazione del buono, l'attività al culto dell'arte. Ora queste tre potenze si svolgono insieme nella loro interna armonia, e si integrano a vicenda. " Chi studia le discipline, cerca di sapere e di imparare. E che altro cerca egli di imparare e di sapere, se non il Vero, e il Buono, affinchè dal primo resti illuminato l'Intelletto, e dal secondo la Volontà sia fatta migliore, quando al conoscimento del Buono si voglia far seguire ancor l'elezione? E chi ad altri insegna, che altro pre- tende di fare, se non d'insegnare il Vero, ed il Buono? Adunque il vero ed essen- ziale fine de gli studi ha da essere questo, apprendere il Vero e il Buono „ (2). Dall'armonica unione di queste tre potenze nasco di necessità il diletto nelle tre forme di arte, di scienza e di moralità. " Tutto ciò che è bello, è anche atto a dilettarci, perchè a noi si presenta qual bene, o quale indizio e sopraveste di Bene, cioè di qualche pregio naturale o morale: per la qual ragione parimenti il Vero, e il Buono, Belli da noi son chiamati „ (3). Per effetto di natura, e per forza d'educazione noi aspiriamo a quest'immenso ideale estetico, e lo sentiamo, e lo appetiamo nel campo naturale e nell' artistico. " 0 l'Istinto, o la Ragione ce ne rendono caro l'aspetto, e sovente ci muovono, inni solo ad amarlo, ma anche a desiderarlo „ (4). Ma perchè si assolva nella sua inte- grità il magistero estetico, non deve in una produzione artistica venir meno nem- meno una delle potenze estetiche, perchè esse si suppongono a vicenda. " All'erudito e Filosofo di Buon gusto, non basta di trovare e pubblicar cose vere, e cose moral- (1) Filoso/in Morali-, eap. XVI, pag. 153. (2) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte I. pag. 134. (3) Filosofia Morale, cap. SVI, pag. 153. (4i Idem, cap. XXXVII, pag. 349. 61 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 12.". mente buone, e almeno non cattive, e di ben ordinarle fra loro, egli eziandio ha da osser- vare qual'effetto possa e debba verisimilmente cagionare in altri quella sua fattura „ (1). Così ci avviciniamo alle arti amene, alle belle lettere, alla musica, pittura, poesia, ecc., diretta applicazione pratica di quelle potenze estetiche nella lor duplice funzione di conoscenza delle bellezze naturali e artistiche, e di diletto. Ma delle arti belle noi già toccammo qua e là nella nostra trattazione e particolarmente nel Cap. IV. Primo coefficiente della bellezza è l'ordine, non essendo il bello che la produ- zione dell'ordine e della proporzione, in guisa da indurre perfezione e beatitudine onesta nell'uomo. " Perciò, o non Belle, o come Belle non si presentano a i nostri Sensi, e all'Intelletto nostro, quelle cose, le quali son prive d'ordine, e noi tutti pro- viamo, che in quella parte, in cui le cose mostrano imperfezione, e difetto, elle in essa non possono a noi piacere, se pur sanamente giudichiamo, non essendo elle con ciò valevoli a cagionare perfezione, o dilettazione, o beatitudine onesta, o ne i sensi, o nell'Intelletto nostro. Ora, quant'è necessario, che la Natura ci provveda d'un In- gegno penetrante per conoscere il Vero dal Falso, e il Buono dal Cattivo, e un'in- clinazione buona della Volontà per amare il Buono vero, e non il Buono apparente e fallace; altrettanto bisogna ch'ella ci doni un'amore del Bello, un'Abilità innata per discernere ciò, che ha Ordine e perfezione o in Noi, o in altri, o al meno conferire in-linazione a produrcela „ (2). Ma qui il M. lasciando da parte ogni altra produzione artistica, si riferisce solo alle lettere, perchè " lo studio delle Belle lettere, cioè della Rettorica severa, e della Poetica non frascheggiante, s'è quello, che può aiutarci sommamente a conseguire cotal Bellezza „. Questo studio pertanto deve essere universale, deve entrare in tutte le arti, e informare anche le più severe produzioni dello spirito umano. " Non mo- strino dispregio, non dicano male di tale studio gli Uomini seguaci dei soli studj austeri, perchè anch'esso è in qualche maniera necessario (utilissimo è almeno) a que' medesimi studj austeri, e a tutti gli altri, qualora si vogliano trattare con pulizia, con leggiadria, e tenere attenti i Lettori, e non tediarli sì di leggieri „ (3). Con questo studio ha strettissima relazione, principalmente nel campo letterario, l'eloquenza che ha pure per fine la beltà, e la leggiadria dell'esposizione, ed è del- l'estetica la più grande fautrice „ (4). Ma a noi preme di stabilire qui un principio pedagogico dal M. chiaramente in- dicato. Il Bello non è un fatto immutabile, ma vario secondo le persone, l'età, la coltura, il sesso, ecc., e per logico corollario, l'educazione estetica va conformata alle condizioni psicologiche e sociali del discente e dell'ambiente esteriore. Così se tu parli al popolo, nota egli, la bellezza consisterà in saper ben spiegare, sminuzzare e dipingere le verità severe ed astruse perchè possa intenderle; se parli a discepoli, la bellezza consisterà nell'esporre le cose con facile metodo, con chiarezza e forza di ragioni ; se con dotti, la novità delle notizie, il metodo, le ragioni, le confutazioni, ecc., costituiranno il Bello che tu cerchi nel tuo magistero. (1) Delle Biflessimii sopra il Buon Gusto, parte I. pag. 310. (2 [dem, pag. 308. (3) Idem, pag. 312. !i Della Pubblica Felicitò, cap. XIV pag. 170. Vedi anche qua e là nella nostra trattazione, pag. 39, 48, ecc. \2t\ STEFANO GBANDE 62 Si possono frattanto stabilire da quanto esponemmo fin qui, e dice altrove il M., dei mezzi vuoi positivi, vuoi negativi, atti a favorire lo sviluppo della percezione, del sentimento, e dell'immaginazione del Bello artistico e naturale. Ai mezzi nega- tivi il M. dedica tutto il Capitolo XXXVII della sua Filosofia Morale, intitolato " Del Buon Regolamento dell'Appetito del Vero, del Bello, ecc. „, mirando a suggerir pratiche per non impedir il libero sviluppo delle potenze estetiche, e nello stesso tempo per ben regolarle e moderarle. Pei mezzi positivi è ovvio pensare, sotto la guida stessa del M., all'osservazione delle bellezze artistiche e naturali, alle arti amene, agli spettacoli, ai giuochi, ecc. Alle letture estetiche è abbastanza propenso il M. (1), ma è inflessibile pel romanzo, e quantunque ne veda tutta l'efficacia, e lo sappia egli stesso per pratica (2), tuttavia l'esclude assolutamente e rigorosamente dalle mani dei giovani " perciocché quando anche potessero con essi qualche cosa guadagnare dalla parte dell'ingegno, potreb- bono perder molto da quella de' costumi „ (3). Ma egli è meglio disposto pel teatro; egli ben sa che ormai esso si è ridotto a palestra di corruzione, ma nel suo ammirabile buon senso, sa pure bene che ormai è impossibile inibirlo all'uomo, epperò non si oppone punto che si mettano in scena i difetti dei personaggi, ma per deriderli e correggerli, non per imitarli, in guisa insomma che senza privarci di sì dilettevole ed istruttivo divertimento, non si venga meno alla morale ed al buon costume. Altri mezzi di educazione estetica non mancano suggeriti nelle molte opere mu- ratoriane, ma il primo, il principale è pur sempre l'inclinazione naturale. " Ci vuole il genio, altrimenti non si fanno eccellenti cose. L'arte, lo studio, e la conoscenza di tutti o di moltissimi principj del Bello può di poi mirabilmente servire per farci discernere il Bello nelle Cose, ed Operazioni altrui, e per dimostrarlo nelle nostre. Lo studio accresce e perfeziona l'abilità naturale, e spezialmente per conto delle Lettere „ (4). Così è infatti, e noi non dubitiamo di asserire che se è indubitato che le potenze estetiche hanno il loro principale fondamento nell'essenza dello spirito nostro, non è meno certo che esse devono riguardarsi come un dono, un portato della natura. Ma da quanto dicemmo è pur messa in evidenza un'altra grande legge pedago- gica, che cioè l'educazione estetica ha libera e reale attinenza coll'intellettuale non solo, ma colla morale, al cui sviluppo concorre mirabilmente. Così senza più oltre indugiarci su quanto possa aver scritto altrove il M. sul- l'estetica, ci pare d'aver dimostrato che egli non trascura, sotto il punto di vista del suo scopo, questa parte dell'educazione, che forma una così grande lacuna nei sistemi educativi di pedagogisti insigni e di professione. Vili. — Dell'Educazione Morale e Religiosa. Basta ricordare che l'educazione morale ha per scopo di render l'uomo capace di retto ed onesto operare, per richiamarci alla mente quanto ha dovuto scrivere su (1) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II, pag. 316. idi indietro pag. 21, e lettera citata ad A. Rambaldo di Collalto. Campori, IV, pag. 1346-59. (3) Lettera al Conte di Porcia. (4) Delle Riflessioni sopra il Buon Gusto, parte II. pag. 309. 63 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 127 questo argomento il M., che al retto ed onesto operare indirizzò tutte le sue fatiche, i suoi studi, le sue opere, la sua vita. Noi ci siamo con amore fermati qua e là sulla morale muratoriana, e ne vedemmo il concetto, il fine, i mezzi, ora notiamo ch'altro è istruzione morale, della quale più di proposito ci siamo occupati, altro è educazione morale, perchè il conoscere il giusto e l'onesto, non è l'esser di fatto giusti e onesti. È la stessa- differenza che intercede fra scienza e sapienza, ed il M. ci insiste molto. " Non bisogna confondere la Scienza colla Sapienza: sarà la prima nei Dotti ; trovasi la seconda in quei solamente, che sanno ben vivere con Dio, con gli altri Uomini, e in sé stessi ; ora Tessere Dotto o Dottore, appartiene a pochi, ma il ben vivere sag- giamente è, o certo dovrebbe essere il mestiere d'ognuno „ (1). Ma questa scienza non ha solo colleganza coll'istruzione morale, ma ancora con un' altra necessaria scienza, la Religione, in cui' ha il suo fondamento e la sua es- senza, e colla quale forma la scala per arrivare alla vera sapienza. " Due sono i lumi e gli aiuti di cui Dio ha fornita l'umana Natura, affinchè essa possa pervenire al nobilissimo godimento della Sapienza: la Religione e la Filosofia Morale „ (2). Ma per religione non si devono intendere le elucubrazioni, e le lambiccature dell' ingegno umano; essa è un qualche cosa di superiore a noi, essa è la figlia di Dio. All'incontro invece è figlia dell'Uomo la filosofia morale, la quale perciò appunto abbisogna della religione per reggersi da se. " Non è già questa scienza d'origine Celeste, scrive egli (3), venendo essa di pianta dalle osservazioni e riflessioni de' Saggi e degli antichi Filosofi; con tutto ciò può essa e suol divenire un'utile serva alla Religione e Teo- logia medesima ; ne a lei si deve negare la preminenza sopra tutte l'altre Scienze ed Arti, inventate o coltivate dagli Uomini, eccettuatane la sola Teologia „. Cosi l'edu- cazione morale è subordinata alla religiosa, avendo la morale il suo fondamento na- turale in Dio. Le potenze su cui s'aggira l'educazione morale sono il sentimento, la coscienza e la libertà morale, il cui scopo si è rispettivamente di formare il cuore del discente alla vita morale e religiosa, stabilire il giusto criterio del saggio ed onesto operare, costituire il carattere morale e religioso. Ciascuna di queste potenze poi abbisogna pel suo fine di mezzi di coltura proprii, il cui ufficio generale si è trasformare le loro operazioni in virtù, ciò che costituisce appunto il fine ultimo dell'educazione morale e religiosa. Vediamo pertanto, sotto la guida del M., di queste virtù in ordine alle potenze morali. Sentimento morale. — Virtù propria di questa potenza umana è l'amor del Bene. Per bene poi il M. intende " tutto ciò, che può recare, o essere mezzo per recare a noi Piacere e Contento, o pure accrescerlo: ovvero sminuire, o togliere da noi il Dolore „ (4). Esso si può distinguere in varie guise, ma sempre e in tutti i casi ha per fondamento l'amor proprio. " Per ora a noi basti di saper questo primo importante assioma : che tanto i Buoni, quanto i Cattivi, tutti cercano il Bene, e tutti a cercarlo son mossi dall'Amor proprio. Il bene dico, che essi credono, che abbia qualche rela- (1) Fìlnxnfi,, Morale, cap. I, pag. 15. Vedi anche nostra trattazione, pag. 9, ed altrove. (2) Idem, pag. 12. (3) Idem, pag. 14. (4) Idem, pag. 133. | 2 - STEFANO GRANDE 64 zione alla propria lor Felicità, sia direttamente o indirettamente, sia mezzo e stru- mento, o pur fine a conseguire un tale da tutti desideratissimo stato „ (1). Il M. non teme obbiezioni, e continua asserendo che perfino nell'amor del prossimo, e nello stesso amor di Dio, il movente è sempre l'amor proprio (2). Questo amore, nessun ne dubita, può essere fonte di molti errori e mali, ma è pur la causa d'ogni operazione morale. " Ma intanto io seguito a stabilire, che questo Amore è il Principio d'ogni operazione Morale, ed è principio innato di tutte le Creature Ragionevoli, e quel che è più, dato e impresso loro dall'Autore sapientissimo della Natura, e perciò in sé stesso buono, utile, anzi necessario e indispensabile nell'Uomo „ (3). A questo naturale ed universale principio ubbidisce la stessa volontà, la quale ne è così intrinsecamente governata, che se ella vuole, quel solo vuole che le è dettato da esso " a misura però de i lumi veri o falsi che vengono dall'Intelletto „. E qui egli è davvero elo- quente ed efficace. " Miriamo pure e annoveriamo qualunque opera volontaria, che dall'Uomo si faccia: troveremo che l'Amor proprio è quello, che la comanda, e la vuole. Lavora egli colui? Passeggia, studia sui Libri, va alla guerra? È Amor proprio, che il guida a tali azioni. Si mette egli a tavola, pensa ad ammogliarsi, tratta d'af- fari, fa orazioni, digiuna, e che so io? Tutto vien dall'Amor proprio, tutto da quel Principio interno, che in mille guise va movendo, sollecitando o pur ft-enando l'Uomo, e gli fa produrre tante e sì differenti azioni, ovvero il ritiene da tant' altre. Ruba egli quell'altro, toglie la vita al nemico, sfoga la lussuria, monta in collera, in su- perbia, fa usure, monopolj, congiure, e così discorrendo? Ancor qui l'Amor proprio è autore di tutto, comandando la Volontà, in quanto è spinta da esso, non men queste, che quelle azioni „ E il movente dell'amor proprio è la nostra felicità. " Se stu- diamo, se fabbrichiamo, se componiamo, è l'Amor nostro, che ci spinge colà. Quello, dice egli, è buono per te; questo ti renderà o ora, o col tempo, molto o alquanto felice. Se ci mettiamo in cammino, se al giuoco, se a tavola, se battiamo le antica- mere dei Grandi, se studiamo su i Libri, o stiamo attenti a un Libro di conti, o abbiam per le mani mille altre faccende: Amor nostro è colui, che credendo ciò atto a farci di presente, o in avvenire in qualche guisa felici, noi spinge e sollecita a farlo. In una parola ogni nostro pensiero, desiderio e movimento va a finire in cer- care e volere in tante diverse cose una sola, cioè qualche Bene, qualche Felicità di noi stessi. Questo è il viaggio continuo dell'Ignorante e del Dotto, de' Filosofi e de gl'Idioti, essendo a ciascuno maestro e consigliere in questo cammino quell'Amore, che tutti, senza che alcuno ci ammaestri, o ci esorti, polliamo all'essere nostro „ (4). Ma noi non vorremmo che si interpretassero male queste espressioni. È vero, verissimo che il puro, genuino amor di se, è giusto, razionale, onesto, perchè fondato sul rispetto proprio della nostra dignità personale, fornita dell'augusto carattere mo- rale, ma esso non va confuso coll'egoismo, o con qualche altro pernicioso eccesso, perchè essenzialmente immorali, a scongiurare i quali il M. consacra un Capitolo intero, il XXVIII, della sua Filosofia Morale, intitolato appunto Del buon regola- mento dell'Amor proprio. Ili Filosofia Morale, cap. XIII, pag. 130. (2) Idem, cap. XII, pag. 123. (3) Idem, pag. 124. (4) Idem, pag. 127. 65 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 129 Il M. poi ci dà la nota divisione del bene, in quanto concerne l'operare umano, in bene onesto, utile, e dilettevole; e finalmente la definizione di questo bene morale " che è quello che s'accorda nelle Leggi dell'Ordine, che Dio per onor proprio, pel bene, o sia per la Felicità universale de gli Uomini desidera e vuole da essi Uomini , (1). Ora il bene morale è tale che riscontrasi nelle sole creature intellettuali e libere, cioè negli esseri personali , eppcrò l'amor del bene appartenendo a noi ed ai nostri simili, si trasforma in amor di sé e degli altri. Dell'amor di se già parlammo, vediamo ora qualche cosa dell'amor degli altri. Il M. parla volentieri di questo dovere, ma più volentieri ancor lo pratica. Esso costi- tuisce due grandi virtù, la Giustizia e la Carità, le quali si imparano senza logorar i banchi delle scuole, perchè stanno segnate dalla mano di Dio nel cuore dell'uomo, il quale senza di esse non è più tale, ma un mostro, un nemico del genere umano (2). Qui il M. particolarizzando, viene a parlare dei molteplici doveri che incombono al- l'uomo; doveri di figlio, sposo, padre, suddito, padrone, ecc., dei doveri insomma che spettano a lui, qualunque sia il suo stato e la sua condizione. Ma l'amore di se e degli altri non comprende tutto quanto l'amor del bene, ed è imperfetto e limitato, come è imperfetta e limitata la persona umana; esso pertanto è altresì ed assai più amore di Dio. E verso Dio noi abbiamo doveri di riconoscenza, amore, ubbidienza, ecc., doveri che principalmente costituiscono il sentimento reli- gioso su cui poggia, come su solido fondamento, il sentimento morale. Ma noi non possiamo più oltre seguire il M. senza allontanarci di troppo dal nostro scopo. Coscienza morale. — " Con essa, scrive il M. (3), vogliam significare quella Cono- scenza, che mercè della Ragione ha la mente nostra di poter nelle occasioni fallare, e peccare, o pure d'aver fallato, e peccato, sia coll'operare, sia col non operare „. Questa pertanto è pel M. o dono di natura, o frutto della ragione, e si fa sentire contro qualunque altro suggerimento, richiamandoci al dovere. " Non si ha nondi- meno per questo a metter la Coscienza per una Facoltà o Potenza distinta dall'In- telletto, altro non essendo essa, se non un atto d'esso intelletto, che riflette sulle azioni fatte o da farsi, per riconoscerne la lor bontà o malizia mediante la Ra- gione , (4). Molte sono le virtù proprie di essa, e noi possiamo dire che quella parte dei Rudimenti Morali al Duca di Modena — ne parleremo in seguito — che tratta del Governo Individuale, pare scritta dal M. appunto per formare e sviluppare questa potenza morale. Noi pertanto, trascurando ogni altro accenno, riassumeremo brevis- simamente quanto colà è detto, il che ci sembra sufficiente per lo scopo nostro. Premesse alcune notizie di Antropologia e Morale, il M. esamina le quattro virtù cardinali, Prudenza, Giustizia, Temperanza, Fortezza, di ognuna delle quali dà la definizione, la divisione, e cita gli opposti e gli eccessi. Così si distinguono tre classi di Giustizia, verso Dio, verso il prossimo, verso noi, alle quali corrispondono le tre classi dei doveri che noi abbiamo di già esaminati. Anche la Prudenza si divide in tre parti: politica, economica, monastica. La prima riguarda il governo pubblico, la (1) Filosofia Morale, cap. XXIII, pag. 196. (2) Idem, cap. XXV, pag. 218. (3) Idem, cap. IX, pag. 104. (4) Ibidem. Serie II. Tom. LUI. 130 STEFANO GRANDE 66 seconda la famiglia, la terza sé stesso. Essa ha cinque fonti: il lume naturale: gli insegnamenti dei savj e gli aforismi ; la cognizione delle cose naturali e lo studio delle arti belle e meccaniche; le scienze, la lingua ed altri mezzi dell'umano sapere ; la propria esperienza. A queste grandi virtù pertanto deve l'educatore informare la coscienza dell'alunno, e tenerlo lontano dai loro eccessi, che rapiscono l'intuizione delle verità morali e religiose. Dopo queste virtù, cardine di tutta la vita umana, vengono le virtù necessarie nella Conversazione civile, alla quale, come già sappiamo, il M. dava grandissima importanza, sia come mezzo di educazione che d'istruzione (1). " La conversazione civile è legame degli uomini, raccomandata a noi dalla natura ; e chi non conversa, ed è solitario in mezzo alla Repubblica, sarà per sentimento d'Aristotele o un Dio o una bestia „. Tre sono le virtù che si richiedono nella conversazione, e società umana, l'Affabilità, la Veracità, l'Urbanità, virtù necessarie a tutti, e che rivelano la bontà dell'educazione ricevuta, siamo noi principi, o siamo semplici cittadini. Il M. passa in seguito in rassegna le seguenti virtù, Liberalità, Magnificenza, Magnanimità, Modestia, Umiltà, Mansuetudine, Verecondia, e di tutte dà la definizione, nota gli eccessi, e con grandi esempi della storia, descrive l'eccellenza e l'utilità. In ultimo il M. esamina che cosa sia l'appetito sensitivo dell'uomo, nelle sue due facoltà, concupiscibile ed irascibile. Dalla prima siamo portati a desiderare e cercare ciò che è, o sembra, bene per la vita umana, e dall'altra siamo forniti di mezzi per acquistarlo e difenderlo. Da queste due facoltà pertanto nascono varie ed opposte passioni ed affetti: amore, odio, timore, speranza, dolore, collera, ecc., col- l'esame dei quali si chiude questa prima parte dell'opuscolo muratoriano, intesa a formare a virtù il cuore dell'uomo in generale, qualunque sia la sua condizione ed il suo stato. Così ci par detto a sufficienza delle virtù della coscienza morale. È vero che nell'opera del M. queste non sono espresse colla forma più adatta all'apprendimento del fanciullo, ma esse non furon punto dettate per la sua età. Il M. quando parla al fanciullo usa un altro linguaggio e un ben diverso magistero ; egli parla coi fatti e cogli esempi, ma qui era pur necessario stabilire in astratto questi principi, i quali del resto inculcati col discernimento, colla larghezza di mente, colla sincerità e col convincimento che il M. richiede ed esige assolutamente dall'educatore, possono ottenere egualmente lo stesso ottimo risultato. Libertà morale. — Questa è una potenza d'indole essenzialmente attiva, ed è la cagione prima ed efficiente dell'onesto e virtuoso operare. " Di tal forza ha provve- duto Iddio l'Anima nostra, che essa può, se vuole, prevenire e fermare il precipitoso corso degli sregolati moti interni, tanto che la Mente disamini prima, se veramente sia un Bene, o pure un Male, l'azione proposta dalla Passione focosa, con antivedere, e raccogliere le conseguenze di ciò che è per farsi „ (2). Virtù proprie della libera volontà sono l'ordine dell'anima nostra, cui si oppone la dissolutezza; l'ubbidienza alla legge morale, cui s'oppone la licenza. (1) Vedi indietro pag. 17. (2) Filosofìa MoroB, cap. VII, pag. 90. 67 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 131 Tre sono pertanto gli ordini cui deve aspirare la nostra ragione: Ordine verso Dio, ordine verso i nostri simili, ordine verso il nostro interno. A proposito di quest'ul- timo poi il M. osserva " che esso è precisamente oggetto della Filosofia, per quello che riguarda i Costumi, e l'operar delle Creature Ragionevoli. Dico pertanto, che sic- come il Corpo, allorché è libero da ogni male, o sia da qualsivoglia infermità e Dolore, e per conseguenza Sano, si truova in quell'Ordine, e buon sistema, che ad esso con- viene : cosi l'Anima è da dire ben' ordinata in se stessa, qualora è libera dall'Errore, dal Peccato, e dal Delitto (veri Disordini dell'Anima, e perciò Mali morali) o almeno qualora ella sente vero abbonamento ad essi, e fa quanto può per guardarsene, o per liberarsene „ (1). Ora liberare l'anima nostra dall'errore, dal peccato e dal delitto, cioè da ogni azione contraria a virtù e sapienza, è appunto il mezzo più efficace di educazione della libera volontà. Occorre quindi imprimere profondamente nell'animo dell'alunno il convincimento che la vita nostra deve essere una continua, costante latta contro quei nostri nemici interni, e che questo lavoro sostenuto in omaggio del dovere, è la più nobile estrinsecazione della nostra attività. A ciò si presentano vari mezzi ovvii e sicuri che si possono riassumere nel precetto, che non si deve contrastare al regolare esplicamento della libera volontà, affinchè essa operi per virtù sua pro- pria, non per impulso esteriore; ma nemmeno le si deve lasciar libera la briglia affinchè non travii e cada nella licenza, oppure intorpidisca e si estingua nell'indif- ferenza ed apatia. Cos'i ci pare d'aver considerata l'educazione nelle sue forme principali di edu- cazione fisica, intellettuale, estetica, morale e religiosa sotto la guida del M. Trascu- riamo di trattare separatamente di altre forme, educazione domestica, extradomestica, tecnica, classica, ecc., avendone qua e là detto a sufficienza, tanto più che difficil- mente si potrebbero raccogliere in capitoli speciali i pensieri del M. a tal riguardo. Riserviamo tuttavia un capitolo speciale per l'educazione della donna e del Principe, de' quali ci pare abbia più distesamente e particolarmente parlato il Muratori. (1) Filosofìa Morale, cap. XXVII, pag. 243. 132 STEFANO GRANDE 68 PARTE TERZA L'educazione considerata nella sua sintesi finale. Riconoscimento e coltura del carattere. — Stabiliti i principi generali educativi, è logico e naturale vedere della loro applicazione, e a noi resta appunto da trattare di quella parte dell'educazione che dalla teoria scende alla pratica, dall'astratto al concreto, e si occupa direttamente della formazione del carattere, centro a cui devono tendere tutte le altre parti dell'educazione. Ma come questa parte ha la sua ragione d'essere nelle cose fin qui discorse, cosi da esse dobbiamo desumere la sua tratta- zione, senza aspettare altre grandi cose dal Muratori. È la conclusione che dobbiamo tirare dalle premesse. Tre sono i cardini su cui s'aggira la grande opera della formazione del carat- tere: Riconoscimento del carattere individuale, coltura di esso, scelta dello stato. Per quanto riguarda il riconoscimento e la coltura del carattere il M. si mostra infor- mato dei principali criteri dei diversi sistemi educativi: egli li passa in rassegna, e da ognuno esporta quel tanto di vero e di buono che gli pare. Così egli accetta in generale, e adopra come buon criterio per riconoscere le varie disposizioni del carat- tere, l'esame della massa cerebrale; la struttura, le prominenze, il volume cranico: il temperamento; gli umori corporei; gli spiriti; l'eredità psicologica, ecc., e al loro studio e riconoscimento dedica vari Capitoli, II, III, IV, V della sua Filosofia Morali -. Sono pagine assennate e dotte che rivelano una buona coltura filosofica e fisiologica nel grande Modenese, e costituiscono un altro grande suo merito. Ma noi non pos- siamo qui seguirlo più d'appresso, e perchè i precetti e le teorie da lui propugnate sono già state affermate ed accolte dalle scienze fisiologiche e anatomiche moderne, e perchè ci allontaniamo di troppo dal nostro scopo. I criteri citati, temperamento, massa cerebrale, volume cranico, ecc., sono esclusivi all'organismo corporeo, mentre il carattere, riguardando le disposizioni pro- prie ingenite dello spirito, abbisogna per la sua formazione e coltura, di ben altri criteri. E qui, sotto la scorta del M., ricordiamo la continua e sagace osservazione dei genitori e degli educatori (1), l'opportunità dell'ambiente domestico e sociale che avvolge l'alunno (2), l'educazione autonoma (3), l'imitazione consapevole e riflessiva (4). Ben altri mezzi si trovano suggeriti ancora nel M., mezzi di minore importanza, ma pur sempre efficaci; ma per questi ci accontentiamo di quanto per avventura abbiamo potuto dire nella nostra trattazione, premendoci di fermarci di più su due punti speciali: i Collegi Convitti e la Scelta dello Stato. (1) Cfr. Filosofia Morale, cap. XXV, pag. 227-28. (2) Idem, cap. Ili, pag. 47-48; cap. XLII, pag. 393-99; Lettera al Porcia; Della Pubblica Felicità, cap. XIV, pag. 165-66. (3) Idem, cap. X, pag. 116; Delle Rifless. sopra il Buon Gusto, cap. IV, ecc. ecc. (4) Vedi pag. 17-18. 69 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 133 Il Collegio. L. A. Muratori è un fautore convinto dei collegi e li raccomanda vivamente per la buona educazione dei giovani. Egli non vede in essi che bene; in essi i giovani apprendono, meglio che altrove, i principi d'una vita morigerata, il rispetto, l'ubbi- dienza ; in essi evitano molte probabilità di cadute morali. Il collegio racchiude tutti i vantaggi delle scuole pubbliche e delle private, della vita domestica e dell'extra- domestica, è, in una parola, il vero santuario dell'educazione e dell'istruzione. " Per questa cagione, oltre a tant'altre, saranno sempre da lodare e da giudicare utilissimi i Collegi de' Nobili e i Seminarj istituiti in Italia, purché posti in man di saggi e pii Direttori. La disputa è antica, e Quintiliano ne tratta, se sia meglio il mandare i fanciulli alle pubbliche Scuole, dove lor giova l'emulazione, o pure il dar loro Maestri in casa, dove non è da temere della compagnia de' cattivi. Or l'imo e l'altro bene- ficio può nello stesso tempo ottenersi in questi Collegj „ (1). Egli pensa pur anche alla scuola paterna e, a parità di meriti, non l'escluderebbe, se non ci occorresse qui un padre saggio, un maestro scelto, un abile soprintendente, una casa dovizio- sissima e poi e poi ' al tirare de' conti non si restringesse a pochi il potere e sapere dare a' figliuoli nelle loro case tutto quell'alimento di buoni costumi (e non parlo qui dell'Educazione e delle Scienze) il quale si può sperare da' Collegi e Semi- nari regolati con savia Disciplina „ (2). Io espongo e non discuto, persuaso delle buone intenzioni del M., ma più che altro credendole, almeno per conto mio, pii desideri. Noi moderni non siamo più tanto ottimisti, e alle due sole condizioni richieste dal M. perchè il Collegio sia dav- vero quello stupefacente santuario di educazione e di virtù, ne aggiungiamo tant'altre da riempiere un lungo capitolo. Gran che un pio direttore e una savia disciplina; ma devesi pur pensare che il livello comune che domina la vita del Collegio è un guaio grandissimo ; che non si può sottoporre alla medesima igiene fisica e morale ragazzi forti e deboli, superbi ed umili, generosi ed egoisti, robusti e delicati: che il vizio è in essi più presto insinuato in forza dell'esempio; che l'educazione del libero arbi- trio, del carattere non può farsi in massa e sopra una folla cotanto varia; che lo strettoio del regolamento uniforme comprime tutte le volontà; che quella necessità di continua e fredda disciplina, quel regime militare, quell'aspetto, per lo meno, da caserma, quegli istitutori, in generale tutt'altro che arche di scienza e di coscienza..., che tutto questo po' po' di cose, ed altre ancora, non finiscono per rendere tanto accetto quell'Eden muratoriano (3). Ma questi non sono che gli inconvenienti, e non tutti, di un lato solo della que- stione, la quale presenta tanti aspetti quanto la testa d'Argo. I collegi, chi non lo sa? dovrebbero essere i continuatori della vera educazione domestica, e i preparatori della sociale, invece ne sono quasi i distruttori. Sono fa- miglie artificiate, dice Gino Capponi, fondate a sostegno d'una parte, d'un ordine, o (1) Filosofia Morale, cap. XL1I, pag. 397-98. (2) Ibidem, pag. 398. (3) Cfr. G. Allievo, La Riforma dell'Educazione moderna, ecc., pag. 30-32, e 49-50; e Studi Pedagogici, pag. 333-35. 134 STEFANO GBANDE 70 di un ceto, e non di rado intese a promuovere con la industria di un metodo un'am- bizione privata o un privato interesse. Se sono nazionali , il governo vi sviluppa i suoi intendimenti politici e arieggiano la caserma ; se privati, in mano del clero, lo spirito religioso prevale sullo scientifico e civile e arieggiano il convento; se privati, in mano di laici, per lo più predomina la speculazione e l'interesse e arieggiano la bottega Ma noi dobbiamo ritornare sui nostri passi, e a me pare di non fare nessun torto al M., alle sue dottrine e alle sue idee, osservando che dopo tanto progresso delle scienze e della pedagogia, dopo quanto si vide, si ammise, si dimostrò nell'arte del- l'educazione, in mezzo a tanto allagare di collegi, il M. stesso modificherebbe forse i suoi pensieri, e si accorderebbe colle vedute moderne. Vocazione e Scelta dello Stato. Il conseguire nella società quel posto cui la natura fin dall'origine ci plasma. e l'occuparlo degnamente, è problema non poco arduo, che non si estende solo alla nostra individualità personale, ma tocca pur anche in qualche modo la società, la quale dal nostro felice assetto riceve forza di compagine e vigore. E di somma neces- sità pertanto che si studii ben per tempo le nostre inclinazioni, e che l'educatore noti tutte le manifestazioni e rivelazioni della nostra vocazione attraverso ai molteplici fenomeni dello sviluppo fisico, intellettuale e morale, osservando in quali ci com- piaciamo, e da quali abbordarne La vera, la forte inclinazione è talora infatti pre- cocissima, epperciò deve essere elemento primo di esame, perchè essa è indice sicuro di riuscita. Il M. l'appella genio, e per esso intende, " una certa naturale inclinazione ed anche impulso, che insensibilmente porta chi alla pittura, chi alla musica, e così ad altre arti o meccaniche o liberali, alle lettere, e nelle lettere stesse più ad un campo che all'altro E ben si dovrebbe per tempo ne' Fanciulli e ne' Giovanetti attentamente indagare e scoprire questo genio, e scandagliare le forze loro. Non è poco abbaglio il volerli mettere a volare, se dalla natura non hanno sortito ali e penne, e incamminarli all'oriente, quando il loro cuore è volto a ponente „ (1). Sono parole istruttive ed assennate, le quali fra l'altre cose, assodano un grande principio pedagogico e didattico: che la vocazione sincera e sicura trae con sé da natura forze ed aiuti concomitanti e competenti al suo sviluppo, e alla sua riuscita ; occorre quindi esercitare, sviluppare, rafforzare quelle occulte potenze, affinchè non abbiano più a patir scosse. Ma non bisogna cader nell'estremo opposto e lasciar troppo sbrigliata la prima inclinazione del fanciullo, che può essere effimera ed anche fallace. Deve l'educatore, e principalmente il saggio padre di famiglia, illuminare il figlio con savi consigli, aiutarlo nello studio e nella conoscenza di se e del mondo sociale, e solo allora che le sue parole, i suoi avvisi ed anche le sue preghiere non varranno a smuoverlo dal suo proposito, lasciarlo libero e padrone delle sue intenzioni. " Importa assaissimo il fare attenta riflessione all'Indole varia, e ai diversi Temperamenti e Ingegni, spe- zialmente de' Giovani, per ischivare la mala destinazione, che fanno d'essi non rade volte i lor Genitori, riprovata da tutti i Saggi. Questo alla Chiesa, quell'altro al (1) Lettera al Conte di Porcia. 71 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 135 Secolo; uno allo studio delle Leggi, l'altro alla Medicina, o pure alle Matematiche; e chi ad un mestiere e chi ad un altro. Bisogna in ciò adattarsi al loro naturale talento, e accortamente esaminar le loro abilità ed inclinazioni. Taluno riuscirà va- lente Dipintore, bravo Sonatore di Strumenti Musicali, accorto nella Mercanzia ecc., applicato che sia a quella professione ; ma nelle Scienze niun profitto farà. Altri può essere che riesca un buon Secolare, ma spinto in un Chiostro, senza ben pensare, dove il suo naturale il porti, sia scontento di se medesimo per tutta sua vita, e faccia altri scontento. E a questo dovrebbero ben por mente que' poveri padri, che mandano alla rinfusa i loro figliuoli alle Scuole, per desiderio e speranza di farne un di la propria fortuna; e se li figurano già saliti a gradi luminosi, mutare i cenci in toghe, e sguazzare nell'abbondanza mercè delle scienze, che han tuttavia da impa- rare. Le querce non daranno mai ulivi o pomi „ (1). Non meno chiaramente e magistralmente si esprime egli altrove, e principal- mente in quella importantissima e da noi più volte citata lettera al Conte di Porcia. Una classe sola deve in qualunque caso far studiare i figli suoi, i ricchi, e perchè questo è per loro salutare esercizio, e perchè non perdono mai nulla. " Che i figliuoli de' Nobili e de' benestanti, volere o non volere, s'incamminino per la via delle let- tere è ben fatto. Anco non guadagnando, nulla si perde ; e si guadagna sempre qualche cosa „ (2). Numerose altre cause intralciano la libera scelta dello stato : il metodo stesso e l'ordinamento degli studi; l'ignoranza o l'indifferenza di chi insegna; l'impiego ohe ci attende; il favore dell'arte più lucrosa: l'opinione pubblica; l'esiguità dell'asse patrimoniale, ecc., ecc. Ma nemmeno qui sono indicati tutti gli inciampi che si oppongono allo sviluppo della libera vocazione, né enumerate tutte le cause che ostacolano la libera scelta dello stato; altre ancora si devono aggiungere, imputabili ai genitori e agli educa- tori, o intrinseche ai giovanetti stessi. " 0 nella tenera, o nella soda età furono o son loro troncate le ali; imperciocché talora la negligenza de' genitori non sa per tempo ammaestrarli diligentemente nelle Scienze e spesso le politiche ed economiche esigenze, e l'Interesse e l'Ambizione, rompono a' figliuoli la carriera degli studi let- terari. I giovani stessi, o vilmente atterriti dal primo volto, che in apparenza è orrido, della fatica, o rapiti dagli indomiti effetti del senso, o persuasi dalle lusinghe dell'Interesse, e de' superficiali Onori, o incantati dalla tacita magìa dell'ozio, da se medesimi volgono le spalle alle Scienze, e all'Arti migliori, meglio amando gli indo- rati ceppi delle Corti, la sfrenata libertà della malizia, ma più d'ogni altra cosa la miserabil quiete de gli oziosi „ (3). Frattanto tre buoni rimedi conosce il M. e suggerisce contro questi grandi mali, studio, esercizio, educazione, i quali " hanno da mettere in mostra tutto il buono, che la Natura ci diede „ (4). Che se poi fallissero anche questi, si mandi pure, senza rimproccio di coscienza, il povero all'officina perchè si guadagni il pane; il ricco al collegio perchè eviti il vizio e il peccato. Il M., bisogna riconoscerlo, è pur sempre (1) Filosofia Morale, cap. V, pag. 66-67. (2) Delle Riflessioni sopra il Burnì Gusto, parte II, cap. I, pag. 23. (3) Idem, pag. 12. (4) Ibidem. 136 STEFANO GRANDE 7 li in qualche modo un po' tenero del ricco, del privilegiato della fortuna, contro il quale non arriva a suggerire esplicitamente rimedi radicali (1). Altri invece è più energico, e per giovane tale che finirà per infingardire anche nello studio, scrive M. de Mon- taigne: " il n'y treuve aultre remede, sinon qu'on le mette pastissier dans quelque " bonne ville, feust il fils d'un due ; sujvant le precepte de Platon, qu'il faut colloquer " les enfants, non selon les facultez de leur pere, mais selon les facultez de leur ame „ (2). Ma ritorniamo a noi, e concludiamo. Il problema della scelta dello stato è vasto e arduo, e il M. lo riconosce e, si può dire, lo studia in tutta la sua generalità, e riesce a darci buoni ed importanti precetti ohe sono pur sempre, nella loro univer- sale e continua efficacia, di grande attualità e freschezza. Ma noi non seguiamo più oltre il M. su questo proposito: nella scelta dello stato si ha il centro di gravitazione della nostra vita, ed il punto di equilibrio della società; con esso si chiude un grande periodo dell'educazione umana, l'alunno ha compiuto il suo tirocinio, egli è libero di se, e davanti ai suoi occhi sta il gran mondo di cui egli è il padrone. APPENDICE IX. — L'Educazione della Donna. Due opposte correnti si dividono il campo dell'educazione femminile: secondo gli uni la donna deve vivere fuori d'ogni movimento e d'ogni coltura sociale ed assolvere tutta la sua missione fra le pareti domestiche; secondo gli altri essa deve essere " emancipata „ educata cioè e chiamata ad adempiere tutte le funzioni civili, poli- tiche, scientifiche, religiose, e partecipare a tutti i diritti civili, sociali e morali dell'uomo. E da una parte il richiamo della società antica, e dall'altra il grido della moderna. Il M., non fa bisogno di dirlo, non cade ne nell'uno, ne nell'altro eccesso ; egli sa che antropologicamente l'uomo e la donna appartengono alla medesima, identica specie, epperò per quanto riguarda le loro potenze costitutive, sentire, intendere, volere, essi devono essere trattati alla stessa stregua, ed egli dettando precetti a tal proposito li considera come un tutto solo. Ma egli sa pure che fisiologicamente e psicologicamente le loro potenze sono ben diverse, e vanno quindi diversamente trat- tate, ed egli inclina leggermente per questa parte verso l'antico sistema. Il suo ideale nell'educazione femminile, è il più facile, e osiamo dire, il più conforme a natura, esso si può comprendere nella nota sentenza: Domi mansit, lanam fecìt. La donna è più debole d'organismo e di raziocinio dell'uomo, ma essa è più potente di cuore, più vivace di sentimento, più sbrigliata di fantasia, e la sua nota particolare è la poca pratica del mondo, per cui deve essere guidata e governata da saggi capi. " Convenendo a questo sesso la riservatezza (3), e lo star lungi dal gran Mondo, (1) Cfr. Della Pubblica Felicità, cap. IV, pag. 35. (2) M. de Montaigne, Essais, cap. XXV, pag. 87. (3) Filosofìa Morale, cap. XXXVI, pag. 340. 73 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 137 e non essendo sempre le lor teste perfettamente lavorate nell'officina della prudenza : anzi essendo esse sottoposte a delle stravaganze della lor fantasia, e a varj deliquj di Giudizio ; bene è, che siccome ne' Contratti elle non possono operare senza l'assistenza de' Savi, cos'i in molte altre azioni dipendano dal consenso e consiglio di chi è loro Capo. L'Uomo per troppa Libertà sta in pericolo di scavezzarsi il collo: ma certo più sovente per la troppa Libertà la Donna se lo scavezza. Peraltro le Donne oneste esaggie, allorché sanno bene ubbidire a i loro mariti, anch'esse comandano. L'osservazione fu fatta da Publio Mimo in quel verso : Casta ad tirimi matrona parendo imperai „ . Si potrà non essere del tutto d'accordo col M., ma tolta la severità dell'espres- sione, bisogna pur riconoscere che egli non ha torto. Lo slancio dell'affetto e del cuore che domina tutta la donna deve essere rivolto alla sua speciale missione di figlia, di sposa, di madre, e la sua educazione deve essere essenzialmente informata alle virtù domestiche. Come figlia essa deve tendere a quello spirito di ubbidienza, di ordine, di par- simonia, di raccoglimento che è sicura arra di riuscita nell'avvenire ; come sposa essa deve attendere alla cura e felicità del suo compagno e capo ; come madre alla assennata e coscienziosa educazione dei propri figli; in tutti i suoi stati poi al go- verno della casa e alla cura delle faccende domestiche. Questi pertanto, in sintesi generale, i pensieri del M. sull'educazione della donna. Ma il moderno sistema d'educazione femminile ha ben altre tendenze, e la semplicità del M. coite rischio di essere scambiata per ingenuità. Del resto il sistema di edu- cazione da lui propugnato si confaceva poco anche con quello dei suoi tempi, ed egli se ne difendeva candidamente, mettendo a confronto, in due riuscitissimi quadri, gli effetti dei due diversi sistemi. Ed ecco come egli, con mano maestra insupera- bile, descrive lo snervante spettacolo della donna moderna " excelsior .,. " Ecco la Signora Galantina, che ora la discorre col suo pappagallo, ora col suo cagnolino ; eccola con inquietudine continua negli occhi e nel sedere, quasi non sappia trovar riposo. Sentite che scappata di ridere, ma senza pregiudicare al pregio della bocca studiosamente impicciolita. Mirate come gira, come lancia occhiate di dritto e di traverso ; come sospira senza alcun motivo di tristezza, e ride senza menoma occasion di gioja. Finge d'esser in querela con tutti gli Uomini di sua conversazione, sempre studiando nuove attitudini, nuovi vezzi, e insegnando al suo ventaglio bat- tute e positure sempre nuove, sempre galanti. Ella certo merita d'essere chiamata la Dea delle conversazioni, ella certo vuol piacere, e piacerà: ma a chi? Alle teste leggiere, o a chi forse ama in casa propria, e non già nelle altrui, l'Onore e Giu- dizio: Signor sì; ma non già alla gente Saggia, che sa distinguere l'oro dall'orpello. Leggono i saggi in tutti quei movimenti e atteggiamenti la malaccorta Vanità; leg- gono in quegli occhi, e in quei risi, qualche cosa di peggio. Io lascerò considerare agli Intendenti ciò, che volesse dire a' tempi di Giulio Cesare Publio Mimo, allorché scrisse : Multis piacere quae cupit, culpam cupit. Però non si credano di sì facilmente nascondere i lor fini e desiderj queste Deità, le quali in qualche Città d'Italia altro non fanno dalla mattina alla sera, o per dir meglio dal mezzo dì, in cui sorgono dal letto, fino al tornarvi, se non a guadagnare Idolatri al passeggio, all'assemblea, al tavogliere, e sino in Chiesa. Che se per avventura simili arti vanno a procacciarsi un talamo nuziale, si può ben predire, che in sì fatte reti non caderà alcun Giudizioso, Serie IL Tomo LUI. 18 138 STEFANO GRANDE 74 e Saggio. Cacciatoci tali son destinato per cervelli sventati, che non amano se non la bizzarria, o per cervelli da dozzina, che non si intendono di vera Amabilità, cioè del vero pregio delle cose, e ne faranno la penitenza a suo tempo. Ma forse anche potrebbe toccare questa penitenza alle Donne stesse, le quali alle mani di un Saggio Marito sono felici, infelicissime bene spesso con chi è privo di Virtù e di Giu- dizio „ (1). Ma ben diverso è l'altro aspetto della medaglia, lo spettacolo molto più con- fortante della saggia madre di famiglia, che è stata allevata ed educata al sistema di vita di gran lunga più semplice e nobile, a cui esclusivamente è chiamata da natura. " E ben altro pregio sulle bilance de' migliori quello di una Maritata la quale si compiace più che d'altro, della conversazione de' suoi Figliuoli, e delle sue Ser- venti, per ben educare i primi, e ben governare il resto della famiglia; e truova più gustosi e convenevoli i suoi lavorieri, che lo spendere metà della giornata a prepa- rarsi per perdere l'altra; oppure che il trattenersi l'ore intere in mezzo ad una frotta di adoratori stranieri a riscuotere incensi, a barattar novelle, e a maneggiar carte, che fan perdere il danaro, e si tirano dietro altre conseguenze, con trascurare in- tanto affatto la cura della sua casa, e con logorar sì malamente il tempo prezioso, la roba, e voglia Dio che non anche la purità della coscienza „ (2). Ed ancora: " Quanto a me se mirassi una Nobil Donna passarsene le veglie notturne nella camera sua, in mezzo alla corona delle sue Figliuole e Damigelle, intenta essa, e intente l'altre a questo o a quel lavoriere, dispensar gli ordini oppor- tuni per la buona regola di tutta la casa, e inspirare de' retti sentimenti in chi è a lei sottoposto, si coll'esempio, come co' ragionamenti, e colla lettura di qualche savio Libro, e insino col narrar loro delle Fole morali: mi sentirei voglia di chia- marla una saggia Piegina in quel suo picciolo Regno „ (3). Sono cose vecchie, sapute e risapute, ma pur sempre giuste, e sempre piene di alto significato e di potente efficacia, e che potrebbero star benissimo in un trattato di educazione femminile. Il M. è risentito contro le donne, ma d'altra parte riconosce che non sono esse tutta la colpa del loro male, ma noi stessi che cominciamo a fuorviarle, a trascinarle fuori della loro orbita naturale col pretesto di una nuova, raffinata educazione. Così la donna si introduce nella vita politica, attende agli studi, s'occupa di scienza, d'arte, di religione, di diritto delle genti, si dà allo sport, si spoglia delle sue mi- gliori e più soavi qualità e trascura quel campo dove riuscirebbe veramente bene, veramente amabile ed insuperabile. Non è allo studio che deve mirare la donna, perchè essa non riuscirà mai, ne il moto femminista moderno che vuol emancipare la sua condizione, ha giuste mire. La dottrina delle donne procede non dalla testa, ma dalla lingua, e certe scienze, appunto perchè trattate da loro, scapitano. " Di grazia, scrive egli a Carlo Borromeo Arese (4), non oltraggi la riputazione della Morale col crederne capaci le teste femminili. Da che son divenuto cortigiano, cioè a dire, ho cominciato a studiare la furberia, veggo manifestamente che il saper delle (1) Filosofia Morale, cap. SXXVI1I, pag. 361-62. (2) Idem, pag. 363. (3) Idem, capo Vili, pag. 95-96. ili Lettera a Carlo Borromeo Arese, 1701, Campori, II, 516-17. 75 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 139 donne non viene dalla testa, ma dalla lingua, che va imitando il linguaggio degli uomini „. Se il M. si fosse proposto direttamente di scrivere dell'educazione, forse nella sua schiettezza, non ci avrebbe risparmiato altri sali, che avrebbero potuto dar vita a certe sfumature che noi troviamo nelle sue opere, ed in parte traducemmo qui; ma purtroppo ciò non fa, contentandosi di poche ma luminose pennellate, e qua e e là di qualche terribile stoccata. Tale è pertanto il risultato d'una educazione errata, tali per sommi capi i mali che si presentano all'occhio sommamente pratico del M., come conseguenza d'una malintesa raffinatezza. Frainteso lo scopo della vita della donna, della sua nobile missione, ne sono necessariamente fraintesi i mezzi, e noi assistiamo a quegli stoma- chevoli spettacoli. A questo male non può riparare la moderna educazione a base di emancipazione, perchè ad eccesso oppone eccesso, e snatura da un altro Iato i più gentili, soavi, squisiti sentimenti femminili. Secondo il M. e il suo ammirabile buon senso, vi si può rimediare con un mezzo solo, ma sicuro, infallibile, col ritorno alla antica semplicità, al Domi mansit, lanam fecit. XI. — Dell'Educazione del Principe. Abbiamo riservato un capitolo speciale all'educazione del Principe, e perchè su questo argomento si fermò in modo speciale il M., e perchè ci parve di poter con esso colmare una lacuna nell'opere e nella vita del nostro autore. E pensatamente diciamo una lacuna, perchè mentre tanto si parlò dei grandi precettori reali dei tempi muratoriani, mentre celebri e conosciutissimi sono i nomi del Gerdil, precettore del Principe del Piemonte, Carlo Emanuele IV; del Fénélon, istitutore del Duca di Bor- gogna; di Bossuet, precettore del Delfino di Francia, figlio di Luigi XIV; dell'abate di Condillac, istitutore dell'Infante Ferdinando, nipote di Luigi XV, erede del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, pochi, pochissimi accenni abbiamo a L. A. Mura- tori, precettore del primogenito di Rinaldo d'Este, Duca di Modena. Pochissimi infatti dei biografi del M. parlano, con cognizione di causa, di questo suo eminente ufficio, non escluso lo stesso nipote Gian Francesco Soli Muratori, che appena appena inci- dentalmente e di volo l'accenna. L. A. Muratori , come gli illustri educatori ricordati , scrisse pel suo augusto discepolo un'operetta di Filosofia Morale, la quale però non vide la luce per le stampe che ducente anni dopo la nascita del suo grande autore (1), e presentemente è somma grazia se è conosciuta appena dai dotti in materia, o se qualcuno la degna di una occhiata. Ma la fortuna che mancò a quest'opera, toccò intera alla Filosofia Morale (2), la cui prima idea venne appunto suggerita al M. dalle lezioni che impartiva al suo Signore (3). Però, non ostante i grandi punti di contatto, i due trattati non sono punto la medesima cosa, ed anzi l'opera che si può quasi dire la madre delle (1) Scritti inediti di L. A. Mur. pubblio, pel suo secondo centenario. Bologna, Zanichelli, 1872. (2) Il Trattato della Filosofia Morale fu pubblicato la prima volta a Verona nel 1735, in-4"; quindi a Napoli nel 1737, e successivamente a Milano, a Venezia nel 1754, in-8°, ecc., ecc. L'edi- zione da noi usata, come dicemmo, è quella di Venezia del 1763. (3) Ci'r. Vita del proposto L. A. Muratori di Gian Francesco Soli Muratori. Venezia, Pasquali, 1756. 140 STEFANO GRANDE 76 lezioni morali al duca di Modena, è piuttosto il Trattato della pubblica Felicità, oggetto dei buoni principi, in cui, come appare fin dal titolo, la questione dei doveri e dei diritti, e in generale dell'educazione morale del principe, si presentava di fronte e spontanea, essendo appunto la pubblica felicità il vero fine dei regnanti. Il trattatello muratoriano in questione è diviso in due parti: nella prima intito- lata Del Governo Individuale, l'autore mira a formare il cuore nostro a quelle virtù che ci saranno necessarie, qualunque abbia da essere la nostra condizione, profes- sione, ecc. ; nella seconda, intitolata Del Governo Politico, il M. si rivolge direttamente, e particolarmente al Principe, discorre dei suoi uffici, dei suoi doveri speciali, e delle qualità che lo guidano a regnare saviamente sopra i suoi sudditi. E qui è da notarsi che il M. non fu chiamato all'eminente e delicato ufficio di precettore del futuro monarca, per apprendergli le lettere, le leggi, l'arte della guerra, od altre scienze simili, ma ebbe affidata una parte più nobile ancora, e per noi di o-ran lunga più importante, l'educazione morale. I precetti pertanto, o come li intitola il nipote e fors'anche il M. stesso, le Lezioni di Filosofia Morale per l'istruzione d'un Principe, riguardano esclusivamente la morale, come dice il titolo stesso, epperò noi non dobbiamo ricercare in esse, che le tracce di questa disciplina, e la testimonianza del metodo con cui la insegnò. Ma nemmeno dobbiamo aspettarci qui l'ordine rigo- roso e sistematico d'un vero trattato, ne la scientifica dimostrazione delle verità propugnate; il M. intendeva con esse di additare .semplicemente il cammino della verità e della giustizia , il percorrerlo poi era riservato allo spirito dell' eminente suo discepolo. Della prima parte di quel trattato riferentesi al governo individuale, parlammo già trattando delle virtù della coscienza morale (1), ne altro dobbiamo qui aggiun- gere. L'autore volle porre innanzi ai nostri occhi tutta la bellezza della virtù, mi- rando a dare robusta tempera alla volontà e indirizzare l'intelletto alla verità, per arrivare da una parte alla spontanea tendenza al bene, e dall'altra al comando di noi e al dominio delle nostre passioni. Ma dove il M. ci si rivela in tutta la nobiltà e generosità dei suoi sentimenti, in tutta la soavità dei suoi affetti, e nel tempo stesso in tutta la potenza del suo raziocinio e la forza del suo carattere, si è nella seconda parte di quell'opera, dove tratta del Governo Politico. Non era sua intenzione fare del giovane Principe un filosofo, un poeta, un guer- riero, egli voleva farne un galantuomo, e non vi trascura davvero mezzo alcuno. Egli che seppe con tanta assennatezza e perspicacia dettare, nella sua Filosofia Morale, le regole e le norme della buona vita morale, dovette pur anche sapere, con altrettanto senno ed acume, dettare le regole e le norme di chi è il fondamento di quella. Ed esordisce con forza e vigore degno dell'assunto. " Il Principe è una persona destinata da Dio a governare de i popoli, e a procurare in tutto quello ch'ei può la lor felicità „ . È un ufficio altissimo e sacro, ma di estrema difficoltà e che si assolve solo cercando, promovendo, amministrando la pace, la giustizia, la prosperità comune. Il suo fine è la pubblica felicità, i suoi mezzi l'onore e la gloria. " Ora, dice (1) Vedi pag. 65-66. Di questa prima parte la fonte più diretta è senza dubbio la Filosofia Morale. 77 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 141 egli (1), non vi può già essere gloria più sicura e maggiore per un Principe, che quella di ben governare, e di volere e di saper rendere felici i Popoli suoi, essendo questo il primo impiego, e il più importante pregio della sua Corona „. La gloria delle conquiste, della potenza, della magnificenza è fallace; la vera, la buona, la più duratura gloria è quella che poggia sulle virtù e sulle azioni buone. A questi nobili intenti conviene che l'educatore indirizzi il suo Principe, seguendo tali grandi e luminose linee nel suo sublime ministerio. " Sarebbe da desiderare che chiunque è scelto per l'Educazione d'un giovane Principe, sovra ogni altra cosa fosse persuaso di questa Massima, per piantarla e radicarla, per quanto è mai possibile, nel cuore di chi è destinato al Regno. Cioè, che la principale e più luminosa Virtù d'un Rettor di Popoli ha da essere quella di amarli, e di beneficar ciascuno secondo la sua condizione, per quanto si stende il suo potere. A questo fine Dio l'ha fatto nascere, Dio gli ha destinato il Trono „ (2). Un ottimo Principe, è d'uopo ricordarlo, è un gran Santo; e la sua educazione è una delle cose più difficili e importanti del suo regno. Occorre pertanto che di questa importanza e difficoltà si compenetrino coloro che gli stanno attorno, pen- sando che quanto più è elevata la persona che si educa, tanto maggiore è la respon- sabilità. Lo spirito d'imitazione, potente nelle buone azioni, è potentissimo nel male, e l'esperienza e la storia stanno a dimostrarci con quanta rapidità si propaghi dal trono la corruzione... (3). L'occhio del Principe pertanto non deve vedere che buone massime; il suo orecchio non deve ricevere che saggi ammaestramenti : il suo cuore non deve sentire che nobili aspirazioni. " Se (4) nella Camera de' giovanetti Principi in cartelli appesi alle pareti fossero espressi i primari obblighi e doveri di chi ha da governar Popoli, e questi con giudizio scelti ed inculcati in forma d'assiomi di tanto in tanto nelle lor menti, sarebbe ben questa una tappezzeria, che non .ispirerebbe magnificenza, ma che potrebbe influire a ornare il Principe stesso di pregi sostanziali. Filippo Re di Macedonia stipendiava un uomo, che ogni di, prima di dare udienza, gli dicesse: Filippo, ricordati che sei mortale. Sopratutto scrivere a lettere d'oro: che non è stato inventato il Principato, per far bene al solo Principe, ma principalmente per far del bene alla Repubblica, cioè per procurare la Felicità de' Popoli sottoposti al Prin- cipato „. Ma occorre pure mettere davanti al Principe il rovescio della medaglia. Colui che antepone il proprio all'altrui bene, che cerca solo la sua soddisfazione, non è un principe, è un tiranno. La più giusta definizione del principe è pur sempre quella di Aristotele: " Il Principe è quegli che antepone il bene de' sudditi al proprio „. Non è vero che i sudditi siano creati esclusivamente pei loro Principi, e debbano servire alla loro grandezza, al loro divertimento, e colle sostanze e colla vita. " Non va così. Il ben pubblico è, et ha da essere il fine proprio, e l'oggetto primario de' Regnanti. Hanno i sudditi da ubbidire e servire al Principe : ma il Principe dee fissarsi in capo questa vera massima, cioè, ch'egli molto più ha da servire al bene de' sudditi suoi, (1) Delia Pubblica Felicità, cap. II, pag. 15. (2) Idem, pag. 18. (3) Idem, cap. XIV, pag. 165-66. (4) Idem, cap. II, pag. 18. 142 STEFANO GRANDE 7s perchè confidati a lui a questo fine dalla Divina Provvidenza. Tua non est Respu- blica, sed tu Reipublicae, diceva Seneca „. Molto più poi deve ricordarsi il Principe, che se egli comanda al popolo, anche le leggi devono comandare a lui; che se egli è l'uomo più eminente della società, non cessa però di essere un membro, un individuo di essa, e se come tale gode di diritti propri e può aspirare a quei beni che per nulla s'oppongono al retto governo, deve pure sottostare a dei doveri e alla loro osservanza. Davvero che non pare sentire qui il modesto proposto della Pomposa, ma il so- ciologo — e non del secolo XVIII — che parla in nome dei diritti d'un popolo, il ministro che parla in nome di qualche cosa di superiore ai troni e scettri umani, in nome della sacra verità. Se questo poi non lo tocca, pensi il Principe che nessun ordinamento di governo, ne efficacia di leggi potrà salvare dalla ruina il trono che poggia su altri principi. La storia e l'esperienza, si può ben dire, danno continua- mente ragione al Muratori ! Il primo mezzo pertanto di evitare tanta catastrofe, è il procurarsi l'affetto dei sudditi, che si acquista con un mezzo sicuro: " Si vis amari, ama „. Il Principe non deve essere solo il signore dei suoi popoli, ma anche il padre, egli non deve con- tentarsi di regnare sulle loro persone, deve anche regnare sui loro cuori ; deve trat- tarli come vorrebbe essere trattato egli da un superiore, e ricordarsi sopratutto che dalla rettitudine delle sue azioni, dalla bontà dei suoi costumi, dipende principal- mente la lor felicità. Fin qui pertanto il M. dà precetti generali ; in seguito, particolarizzando, tratta delle singole virtù che deve possedere il saggio Principe, e deve svolgere in lui il buon educatore. In primo luogo il Principe è tenuto ad amministrare la retta giustizia, mante- nendo la pace colla giustizia criminale, e la giusta concordia colla civile. Ma anche contro chi giudica si deve esercitare la giustizia " e quel paese è ben misero, ove non è giustizia contro chi amministra od eseguisce la giustizia „. Non è qui il solo luogo dove il M. si eleva, apertamente o velatamente, contro i giudici o i loro su- periori; egli è conscio che gravi abusi manomettono la giustizia e se ne richiama vivamente e potentemente a tutti (1). I tempi moderni hanno fatto sparire molti degli inconvenienti lamentati dal M., ma non sappiamo se l'opera sia veramente compiuta. Qualcuno qualificò già la giu- stizia per un eufemismo. Col principio della giustizia si connette " l'obbligo preciso che ha il Principe di dare udienza al popolo, di ascoltarlo con amorevolezza, e pazienza, e di spedir pron- tamente i lor memoriali, ordinando ciò che porta il dovere; facendo pagare chi è debitore; rimediando agli aggravi de' particolari, e compartendo le grazie, che si convengono a cadauno „. Ma egli procede oltre ancora, e pensa all'insano spirito di privilegio che informa i suoi tempi, e si chiede per qual ragione si gravino di poco tributo, e persino se ne esentino certi ordini della società, che sarebbe più logico fos- sero i primi ad essere colpiti, e rivolto al suo allievo, limpidamente e candidamente (1) Vedi pag. 56 della nostra trattazione, e la coraggiosa lettera del M. del 1713 al duca Rinaldo I. Campori, IV, pag. 1562-65. 79 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 143 gli fa notare che " è dovere del Principe di fare che tutti "paghino a proporzione „. È un suggerimento che dice qualche cosa pel secolo XVIII, e pel M., ma ne vedremo altri di ben maggiore gravità... Ma egli particolarizza ancora, e dai tributi, dai privilegi, dagli aggravi sorge contro la violazione delle leggi, contro i castighi, le pene che col- piscono solo gli umili, ed osserva che è tempo ormai che non si dica più " essere le leggi come le tele de i ragni, che prendono le mosche, e sono rotte dai mosconi „ Ma procediamo: il Principe è tenuto all'onore dei suoi sudditi, non solo, ma egli deve provvedere e riparare ad esso, se richiesto, facendo ciò " con tal destrezza che il rimedio maggiormente non discuopra le piaghe altrui „. Sopratutto poi il Principe è tenuto alla vita dei suoi sudditi, e al M. sanguina il cuore veder sollevate liti terribili, disastrose, sterminatrici, per il puntiglio del Principe, o per la sua cieca ambizione; e vero interprete della sapienza civile dei tempi più recenti, grida alla coscienza del suo Principe che la guerra è il flagello dei popoli, che i tanto vantati conquistatori " può essere che presso Dio sieno i più miseri ed abbominevoli degli uomini „. Il M. è pur conscio dei più sacri diritti dell'uomo, ed intuisce, e sente pur anco, il gran principio della libertà, e ricorda al suo Principe che egli non può, non deve opporsi alla libertà dei suoi sudditi nei contratti, matrimoni, testamenti, vendite, compere, ecc. Vero che egli pone qualche piccola restrizione a questo grande prin- cipio della libertà, ma solo Minerva uscì armata di tutto punto dal cervello di Giove. Dove il M. si rivela davvero più efficace e potente, si è nel rispetto delle so- stanze dei sudditi, le quali non si devono usurpare ne con prepotenze private che metton capo alla violenza, né colle pubbliche che metton capo ai tributi. In due soli casi questi sono giusti: quando occorrono pel convenevole mantenimento del Prin- cipe, o per la difesa dello Stato. E con semplice, felicissima espressione osserva che " ha il Principe da mettere per cosa certa, che egli non è dispotico padrone, ma solo amministratore delle rendite dello Stato „. Oh, sì! Il Principe è padrone di mettere altri tributi, ne metta pure, ma allora egli non è più un principe, non è nemmeno più un tiranno, è un assassino. Sentite : " E che differenza c'è nella sostanza tra uno che va alla strada e colla violenza oc- cupa i danari de' passeggieri, e un Principe, che violentemente occupa que' dei suoi sudditi, i quali non gli possono resistere? Non c'è altra differenza, se non nel modo, e se non che l'assassino si condanna alla morte, ma il Principe non si può ne pro- cessare, né condannare „. Chi crederebbe che tali parole siano state pronunziate e scritte nel sec. XVIII, in Italia, nella corte di un Principe, e dirette a lui, e da un temperatissimo precettore, da L. A. Muratori? Eppure è così! La virtù, non se ne può dubitare, è una sola presso tutte le anime grandi e generose, e non conosce distinzioni di tempo, di luogo, d'età. Ma giacche ci viene a proposito, qui ricordiamo che più oltre ancora arriva il nobile ardire dell'assennato maestro, fino a scrivere al regnante Duca Rinaldo I, che pareva dimostrasse maggior propensione verso il suo secondogenito, che " sarebbe delitto il tacergli „ che egli opera male, che egli non deve portar più affetto a questo che a quel figlio, che non deve, che non può far così (1). E quando, morto Rinaldo 1, (1) Lett. al Duca di Modena, 11 maggio 1711, Arai. Murai. Doc, p. 145; e Campori, IV, p. 1341-42. ]44 STEFANO GBANDE 80 doveva -accedere al trono l'allievo del M., egli non si perita anche in tale, forse non troppo opportuna, occasione di scrivergli tosto per dargli consigli, per invitarlo a rappacificarsi colle sorelle, a non negar loro le carezze e i buoni trattamenti (1). Questo è l'ardire della virtù, questo il linguaggio dell'anima retta, il cuore del padre affettuoso ; né si potrebbero altrimenti spiegare quelle raccomandazioni. Ma, procedendo, il M. non vuole solo che il Principe non faccia, o non permetta si faccia del male ai sudditi, egli vuole anche che faccia loro del bene. E qui egli suggerisce utili consigli e sagge massime, degne veramente di questo alto fine, e ne- cessarie, indispensabili al buon andamento dello Stato. Ma in questa rassegna politica ed economica, per noi troppo minuta e partico- lare, non possiamo più seguirlo da vicino, senza perdere di vista il nostro tema. Egli parla di commercio, di industria, agricoltura, irrigazione, viabilità, arti meccaniche, scienze, lettere, governi, ecc., di ogni cosa insomma riferentesi ad economia politica, ovunque dimostrando un invidiabile buon senso e criterio pratico. Perfino di usura egli parla, e naturalmente il suo discorso cade sugli Ebrei, a cui vorrebbe si levasse il banco feneraticio, rinforzando di danaro i banchi dei Cristiani, e cioè mediante una benintesa concorrenza. A chi pensi che siamo nel secolo XVIII, quando vitali e forti perdurano i secolari pregiudizi, le arbitrarie leggi, le odiose guerre contro gli Ebrei, troverà che ancora qui il M. dà un bellissimo tratto di oculata e progre- dita giustizia. Non chiede una legge draconiana, la quale altri poteva benissimo in- vocare; egli sente, egli sa che tutti gli uomini sono uguali davanti alla natura, e quindi devon esser tali anche davanti alla legge, e che non si può, e non si deve curare una piaga con una piaga anche maggiore. E questo davvero un tratto che pre- corre i tempi, e fa onore allo scrittore e sopratutto al filosofo e sacerdote cattolico. Accennato ai mezzi opportuni per rendere fiorente uno Stato, il M. trova occa- sione di ritornare nel campo prediletto della Morale, ed osserva che i mezzi e pre- cetti da lui suggeriti, perchè riescano veramente efficaci e sicuri, devono essere ispi- rati alla Divina Carità, che è l'anima del buon Principe. E qui all'uomo politico, al filosofo economista sottentra il ministro di Dio, tutto cuore, tutto affetto per gli infelici che soffrono senza colpa, e pieno di evangelica carità, rivolgendosi al suo Principe gli ricorda che principalmente di una classe della società egli deve essere padre, dei poveri, per i quali, nel fervore della sua grand' anima, il M. invoca la più grande clemenza, mitezza e pietà. Finalmente l'opera si chiude col più grande augurio che si possa fare ad un Principe: che egli abbia ad avere ottima volontà, informata al timor di Dio, e retto giudizio, non sottomesso ai traviamenti delle passioni; e finalmente col l'icordo che un Principe tale è la più gran fortuna dei suoi sudditi " e che quando Dio vuol castigare i popoli, permette che tocchi loro un Principe di genio cattivo „ (2). Cosi ci paiono ritratte le principali idee del M. sull'educazione morale del Prin- (1) Cfr. Lettera XI a Monsign. Giuliano Sabbatini, Modena. 20 t'ebbr. 1737, Archiv. Murai., pag. 380-81. Sotto queste carezze, veramente, si nascondeva lo scopo politico, e con esse infatti il Duca Francesco ottenne di farsi cedere dalle sorelle nubili i loro posse (2) Anche Plinio il Giovane ha un tratto press'a poco simile nel suo famoso Panegirico di Traiano, e considera il Principe come un dono di Dio: * quod enim est praestabiliua et pulchriua Dei munus erga mortales, quam eastus et sanctus et Deo simillimus Princeps? „ 81 IL PENSIERO PEDAGOGICO DI L. A. MURATORI 145 cipe; non formano un tutto organico, ne sono rigorosamente dimostrate, l'abbiamo già detto; ma per compenso esse ci paiono piene di alto significato civile e morale. Quando poi si confronti da una parte il concetto che si aveva allora di principe, di libertà, di legalità, e dall'altra le idee propugnate dal M., la sua posizione di sti- pendiato dalla Corte, il suo sicuro linguaggio, non si può a meno di riconoscere in lui il senno e la dottrina del filosofo, la franchezza del galantuomo, il cuore del padre di famiglia. Niccolò Tommaseo scrivendo a Girolamo Galassini che aveva pubblicato l'ope- retta in questione, osservava che " in essa il gran Muratori con esempi sì splendidi dimostrò come il senso del vero, del bene e del bello, la meditazione e l'affetto, la fede e la ragione si possano e debbano non solamente conciliare, ma esercitandoli insieme aiutarsi mutuamente „ (1). Gr. Galassini poi chiude l'elaborata e dotta Introduzione all'operetta muratoriana, osservando che tutti indistintamente hanno qui occasione di apprezzare la vastità della mente, il carattere schietto, la cristiana pietà di quell'aureo cuore che fu de- coro del sacerdozio, modello del cittadino, gloria della patria, luminare della scienza... E se a noi fosse lecito di esprimere pure la nostra modesta opinione, osserveremmo che mai operetta di minori pretese racchiuse precetti di più profonda saggezza, i quali, dettati in un tempo che è separato dal nostro da una delle più strepitose e feconde rivoluzioni sovvertitrici del passato, conservano tuttora la loro efficacia ed attualità. In essi moderatori della cosa pubblica, filosofi, economisti, pedagogisti, let- terati possono trovar gran messe da raccogliere, perchè essi sono il frutto di una scienza universale, enciclopedica, eterna: l'amor del prossimo. CONCLUSIONE. Ed ora deponiamo la penna, non colla persuasione di aver detto del grande M. quanto si merita in questo campo, ma di aver compiuto un dovere, di aver cer- cato, per quanto stava in noi, di richiamar l'attenzione degli studiosi su un nuovo aspetto che può presentare la sua gigantesca figura. Noi Italiani si è usi di studiare i fatti altrui e trascurare i nostri, quand'anche ci si rinfacci, e in tutti i toni, le più inspiegabili assurdità, anche a non trovare nella nostra Storia altro pedagogista che Vittorino da Feltre, o altro filosofo, dopo il Campanella, che il Vico. È così ; e noi lasciamo gemere nell'oscurità dei tempi persone insigni e maestri pur anco di questi poco grati discepoli, e la storia della filosofia italiana aspetta ancora il suo cantore. Frattanto noi stessi, nella nostra modesta cerchia, abbiamo cercato di portar il nostro granellino all'immenso edificio che resta a fare, scrivendo una pagina di più nella grande storia pedagogica. Ma di una cosa sommamente ci duole, che non sia toccato al Grande Modenese uno spirito forte e severamente erudito che avesse potuto dire degnamente e definitivamente di lui, intorno al quale molto e molto noi stessi lasciammo scientemente ; molto e molto ci sfuggì ; molto e molto resta ancora a fare. (1) Archivio Muratoriano, Introduzione ai Rudi nuoti i di Filosofia Morale, pag. 188. Serie II. Tom. LUI. STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CARLO BOTTA TRACCIATO CON LA GUIDA DI LETTERE IN GRAN PARTE INEDITE (*). MEMORIA DELLA Dott. EMILIA REGIS Approvata nell'adunanza del 19 Aprile 1903. I. La vita di Carlo Botta attraverso il suo epistolario. " Molti amici ini stanno continuamente coi pungoli al fianco affinchè io scriva le memorie della mia vita, come a dire le mie confessioni — scriveva a Giorgio Greene Carlo Botta pochi anni prima della sua morte. — Ma io vi ripugno grandemente, né mi ci posso risolvere. In primo luogo mi pare un ramo d' impertinenza quel dir di se stesso al pubblico: Signori miei, io sono il tal dei tali; ho fatto i tali e tali miracoli. Poi non mi credo da tanto che la platea prenda piacere in vedere che viso io mi abbia; che io non sono né un Rousseau, ne un Alfieri, ne un S. Agostino. Fi- nalmente sono stanco di mente e di corpo e la campana dei sessantanove anni mi suona alle spalle. È meglio tacere che far ridere le brigate di me „ (1). Carlo Botta non volle scrivere la sua vita, non volle, mentre già lo spirito era stanco, e le forze gli venivan meno, far scorrere sotto le dita tremanti il rosario (*) Questo mio studio trae la sua origine dal copioso carteggio inedito dello storico canavesano raccolto (in parte vivente ancora lo storico) da Stanislao Marchisio (1773-1859), il noto commedio- grafo, amico pure del Pellico e del Foscolo. Tale carteggio, donato dal Marchisio stesso fin dal 1857 al compianto Giovanni Flechia, l'insigne glottologo, trovasi ora in possesso del Dr. Giuseppe Fleehia, alla cui gentilezza io dehbo i documenti che diedero origine al mio scritto. Oltreché dell'epistolario inedito si è pur tenuto conto delle altre raccolte di lettere Bottiane e principal- mente di quella del Viani (Lettere di Cario Botta, Torino, 1841), eh' io indicai semplicemente colla lettera V., e del Pavesio (Lettere inedite di Carlo Botta, Faenza, 1875), da me indicata colla let- tera P. Di altre lettere pure edite in libri o giornali diedi via via le indicazioni nel lavoro. (1) Lettera a Giorgio Greene, 15 ottobre 1834, edita da Milanesi Carlo, in " Archivio storico italiano ,, nuova serie, tomo I, parte li, pag. 71. 148 EMILIA REGIS 2 dei ricordi. — E fece bene. Se egli si fosse indotto a scrivere la sua vita, pur senza volerlo avrebbe detto, come altri dissero, un' infinità di bugie ; avrebbe dato di se un'idea erronea ed imperfetta, ed a null'altro avrebbe giovato se non cbe a rendere incerte quelle notizie che noi avremmo potuto raccogliere altrimenti. Carlo Botta non ha scritto le suo " memorie „, non ci ha dato le sue " confessioni ,,, ma ha abban- donato a noi il materiale per la ricostruzione della sua vita. Le lettere sue nume- rosissime, che dal 1794, anno da cui data l'esilio dello storico, si susseguono senza interruzione sino al 1837, anno della sua morte, ci offrono da sole ciò che il Botta in niun modo avrebbe potuto dare. Sfogliando quelle lettere pare a noi di sfogliare le pagine della sua vita. Giorni tristi, giorni lieti, ore vissute, pensieri che anima- rono quelle ore, passano e ripassano dinanzi a noi, che in poco spazio di tempo assistiamo alle scene svoltesi in più di quarant'anni della vita del Botta ed allo sno- darsi lento degli avvenimenti. Noi lo vediamo vagare per la Svizzera povero, esule, per un sogno troppo ardito già accarezzato sui banchi della scuola, mentre accompagnavano i suoi studi le grida di ribellione della Francia, gl'inni delle sue vittorie, le orgie sfrenate dei suoi trionfi; lo vediamo medico dell'armata francese vegliare intelligente e pronto sui soldati la- sciati nell'abbandono in misere case sperdute sulle Alpi e gettare a Napoleone, vin- citore, in nome di chi giaceva vinto solo dal male, il grido del fratello commosso e sdegnato: " Sauvez encore une fois l'arme'e d'Italie „; lo vediamo caldo di nuovo entusiasmo prender parte al governo provvisorio stabilitosi in Piemonte per il trionfo delle anni francesi; lo rivediamo esule per il trionfo delle armi austro-russe. Pas- sano dinanzi a noi i giorni febbrili vissuti in Parigi, ov'egli pensò ciò che poteva parer follia allora: la libertà d'Italia, ed ebbe la visione — veduta forse nel sogno che dà la stanchezza tormentosa ed il ritorno incessante e quasi disperato di uno stesso pensiero — la visione dell'Italia una (1). Passano i giorni laboriosi del suo regno in Piemonte, che dovevano trar seco strascichi dolorosi di vendette, di calunnie, e passano infine gli anni molti della sua dimora in Parigi, prima come membro del Corpo legislativo, più tardi, caduto il colosso napoleonico, senza meta fissa, senza la certezza del domani, se si tolgono i pochi anni del suo rettorato nell'Accademia di Rouen, col pensiero continuamente assorto nelle sue opere storiche, finché, all'appros- simarsi della morte, la vita dà a lui i suoi pochi giorni tranquilli. E dal suo primo' esilio, agli ultimi giorni tranquilli, quante mutazioni nell'anima del Botta! L'anima sua fu come la maggior parte delle anime umane e la vita lasciò nel passare i suoi segni. Noi riannodando le fila e ritessendo la vita dello storico, troviamo qua e là dei vuoti che non è possibile colmare ; ci troviamo con delle fila spezzate tra le dita; fila che non possiamo riunir più o solo a fatica. Noi assistiamo al dibattersi dell'uomo fra le morse del bisogno, nelle reti che gli stringono intorno gli avvenimenti, e lo vediamo ad ora ad ora cedere senz'altro, cadere combattendo, liberarsi con uno sforzo supremo. E mentre seguiamo attenti l'uomo nelle lotte di tutti i giorni e gli perdoniamo se si spaventa della miseria ed invoca aiuti, ora che ha la casa popolata di bimbi, mentre da solo esclamava: " On est si tranquille quand (1) Vedasi Un mino della ni,, Botta, Giuseppe Roberti in "Nuova Antologia,, fasci- colo 16 febbraio 1901. 3 STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CARLO BOTTA 149 on n'a pas d'argent „ (1), e lo ammiriamo perchè la lotta non lo renda stanco ed- il lavoro mai rimunerato non lo disgusti, noi vediamo attrarre sopra ogni altra cosa la nostra attenzione due aspetti del Botta, due suoi atteggiamenti : l'atteggiamento politico e l'atteggiamento letterario; oscuro, incerto, quasi disgustoso il primo, netto, deciso, bellissimo il secondo. Xoi vediamo il Botta slanciarsi nel turbine della vita politica col berretto frigio in capo e lo vediamo ritrarsi a poco a poco con tanto di parrucca e di codino. E nulla certo vi sarebbe in ciò di disgustoso quando fosse dato a noi di rintracciare i dubbi che gli hanno allacciata l'anima, scalzando lenti e tenaci i propositi; le lotte sórte nella sua mente fra idea e idea nel tentativo di soverchiarsi a vicenda; quando ci fosse dato di assistere allo sforzo per cui l'uomo esce nuovo da quei dubbi, da quelle lotte, e si afferma risoluto in nome dei principi che 1' hanno attratto. Allora senza stupore alcuno noi seguiremmo la sua lenta trasformazione, come senza stu- pore noi lo vediamo applaudire prima a Napoleone comparso come liberatore d'Italia, più tardi ammonirlo severo quando lo vede traditore di popoli a Campoformio ed ele- varsi infine a suo giudice implacabile quando lo vede sterminatore di popoli in cento battaglie, tiranno di popoli sul trono. Dal giorno in cui il Botta scrive parlando del primo console: " Quand on le voit de loin on l'admire, mais quand on le voit de près on l'admire et on l'aime „ (2), al giorno in cui scrive, parlando dell'imperatore: " J'ai signé un des premiere la de'chéance de Bonaparte et je l'ai signe'e de grand cceur... Cet homme là me suffoquait à force du mal qu'il faisait „ (3), vi è tutta una lunga serie di offese fatte a lui come uomo non solo, ma come italiano; onde se la sua ribellione ha potuto scoppiare ad un tratto, terribile, violenta, si è perchè era preparata da tempo nella sua anima. Ma nel Botta lungi dall'avere una lenta e completa trasformazione, noi abbiamo invece la sovrapposizione di due figure, e quanto diverse fra di loro! La bella voce vigorosa e fidente che ammoniva: " dite al popolo che Dio quando volle punire il popolo d'Israele minacciò di mandargli un re „ (4), si muta via via nella voce malfida e lamentosa di un affaticato ricercatore d'impieghi che dopo aver dichiarato di null'altro chiedere se non che di poter servire 1'" em- pereur „, poco di poi afferma che unico suo desiderio è di servire il re di Sardegna, suo " roi naturel „; la bella voce che imprecava commossa ai tiranni che colle stragi funestarono nel 1797 il Piemonte, si muta nella voce umile del beneficato che nel 1833 dice al re di Sardegna: " La fermezza con cui V. M. procede, s'Ella mi permette di mescolare il mio debole testimonio a cosi alte deliberazioni, è degna di Lei, della sua casa, delle nazioni soggette al suo scettro „ (5), e ciò mentre si ele- vava terribile la voce di Mazzini: " La pagina di storia che si scrisse dalla Mo- narchia sabauda nell'anno 1833, fu tale, che vorrebbe la penna di un Tacito e in- tinta nel sangue ; ed è di quelle che gli uomini dovrebbero rileggere ogni qualvolta (1) Lett. au citoyen Aymar. Grenoble, 28 venderà. (16 ott.), 1799. — P. (2) Lett. a Antonietta Viervil-Botta, in Vita /li C. B., Dionisotti, pag. 104. (3) Lett. a Luigi Rigoletti, 23 aprile 1814, mellita. (4) Lett. al fratello Isidoro, 25 die. 1797. — P. (5) Lett. a Carlo Alberto. 24 die. 1833, edita in * Curiosità e ricerche di Storia Subalpina „ da Antonio Manno, voi. V, pag. 2, Torino, Bocca, 1883. L50 EMILIA REGIS 4 sentono infiacchirsi nell'animo loro l'aborrimento della tirannide e le madri ripetere ai figli perchè v'imparino quali possono essere le sorti di una terra non libera „. È vero, sotto la parrucca s'indovina bene spesso il berretto frigio; sotto l'ap- parente monarchico vigila l'animo del repubblicano, che accoglie con un semplice e commovente: " te voilà, mon enfant, te voilà „ (1) il figlio ribelle a Torino nei moti del ventuno, e che non permette allo storico di cancellare il " tribunato del popolo „ dalla proposizione di una forma di Governo, di cui lo ha richiesto Carlo Alberto. Sorvive nel Botta il Repubblicano, ma da ciò a voler fare di lui, come alcuno vor- rebbe, un repubblicano tutto d'un pezzo, ci corre assai. Ebbe anch'egli le sue debolezze ed il volerle nascondere o cercar di scusarle con debolezze di altri più grandi di lui è triste cosa. La sua figura non ha bisogno di essere senza macchie per imporsi a noi. Basta pensare a lui come letterato italiano, allo spirito che animò le sue opere, alle fatiche che gli costarono, al silenzio che ora lo circonda, perchè ci sorprenda un senso di profonda ammirazione per l'uomo e per lo storico. Basta pensarlo chiuso nel suo povero studio, lavoratore instanca- bile, mentre dà colpi gagliardi e sicuri alla sua opera ed accanto a lui vigila ine- sorabile e fredda la miseria che tenta di sorprendere in un momento di stanchezza e di disperazione l'uomo per sussurrargli una insidiosa proposta. E l'uomo nella febbre del lavoro, nella fiducia dell'opera sua, appena appena fa colla mano un lieve cenno di diniego, e riprende la penna più alacre, più pronto. La sola speranza che dà a lui la fortezza meravigliosa nel lavoro e che lo rende impaziente, scontento di se e della vita quando gli avvenimenti lo costringono all'ino- perosità, è la speranza di fare il bene d'Italia; il solo spirito che animale sue opere è di dire tutta intera e sempre la verità senza guardare in viso ad alcuno, senza lasciarsi guidare da preconcetti o lasciarsi vincere dalle passioni: " La virtù divi- nizzo, il vizio fulmino, e guai a chi tocca! „ (2), esclama egli. Né lo spaventano le critiche acerbe che si scatenano intorno a lui, le ingiurie atroci, le accuse violente; pare anzi che nel seguire attento le opere sue nel loro cammino, nel tendere l'orecchio alle voci che le accolgono, sì buone che cattive, egli provi una segreta compiacenza: " Sapeva — nota egli — che in un secolo di passioni avrei dispiaciuto a molti. La sola verità, la sola giustizia, dico le eterne, ebbi in mira, né mi curo del biasimo che mi danno e coloro a cui fui severo e coloro a cui fui affettuoso; odio non cercai, gratitudine non cercai, perciocché sapeva che siccome mi era impossibile di evitare quello, cosi mi era ancora impossibile di evitar questo „ (3). Le lodi non lo insuper- biscono, i biasimi non lo rendono triste; ciò che solo ha il potere di avvilire quella resistente tempra di canavesano, è la ricerca, ad opera finita, di qualcuno che voglia renderla nota al pubblico. Ha provato anche il Botta la tortura atroce dell'operaio forte che va di porta in porta offrendo il suo lavoro, ed ha come l'operaio i momenti di sconforto che gli strappano le dolorose parole: " Non scriverò più „, ma ha pure le dignitose e violente proteste contro chi vorrebbe prenderlo colla fame. (1) Vita privata dì Curio Botta di Scipione Botta, pag. -19. (2) Lett. al conte Tommaso Littardi, 9 giugno 1822. Genova, tip. del B. [statuto dei Sordo- Muti, 1893. (3) Lett. ad Ant. Papadopoli, 15 die. 1828, edite da. Gozzi Gaspare in Lettere d'illustri italiani ad Antonio Papadopoli, Venezia, Antonelli, 1- 5 STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CARLO BOTTA 151 È la visione di questa triste via da percorrere ed il timore che l'Italia possa rimanere priva di una sua opera, ciò che l'induce ad accettare con animo riconoscente la proposta di scrivere la sua storia ultima col frutto di una sottoscrizione privata. non già la sola fame, come mostra di credere il Leopardi (1). Ed è ancora la certezza di recare colle sue opere utile grandissimo alla patria, quella che gli fa accettare ed anche invocare aiuti. Ne egli s'ingannava quando credeva le sue storie necessarie. L'Italia aveva allora bisogno di qualcuno che le riedificasse d'un colpo il pas- sato sconfortante, che le ponesse dinanzi il presente penoso, che l'aiutasse, accele- rando il suo lavorìo, a pensare al domani. L'Italia trovò nel Botta l'operaio, non trovò l'artista; fu l'opera dello storico come uno di quei ponti che con celerità me- ravigliosa costruisce un esercito per passare dall'una all'altra sponda, ma che distrugge poi alle sue spalle, portando con se solo quel tanto che basti per porre i sostegni ad un'altra via di passaggio. Fu opera frettolosa perchè così voleva l'età, ma ha pure in se un'impronta speciale; nessuno fu maestro al Botta, benché egli prenda per suoi duci e Tacito e Machiavelli e Guicciardini; e neppure ebbe scolari. Egli fu il primo storico che riunì in un tutto con amore e con intendimento le varie regioni d'Italia, che scrisse in una pagina comune le loro glorie, le loro lotte, le loro colpe. L'anima vera e purissima dell'italiano che nel 1799 scriveva da Parigi, mentre nel Piemonte i cittadini si dilaniavano tra odi e rancori : " Volesse il cielo che il nome italiano fosse l'unico nome nostro „ (2), vibra nelle pagine della sua storia, in cui egli si eleva a difensore di Venezia, ad ammiratore di Genova, a giudice di Napoli, ov'egli insomma si sofferma su tutte le città d'Italia, e par che sfiorandole colla sua penna infonda in esse un alito nuovo. Fu detto " storico aristocratico „ e forse nes- suno pili di lui senti battere nel suo animo l'anima di tutto un popolo, ma la sentì fiera, dignitosa e non seppe piegarsi ad essere storico ne menzognero, né adulatore. Certo il dolore stesso che gli faceva pronunciare le parole: " il est si désagréable que d'ètre appelé à tout bout de champ par le noni d'étranger „ (3) dovettero det- targli le pagine più belle delle sue opere, e dare ad esse quel colorito speciale, per cui ogni nuova sua storia veniva considerata dai contemporanei come un vero av- venimento, colorito che purtroppo sfugge in gran parte a noi tardi nepoti, onde l'unico pensiero che può indurci a leggere frettolosi le sue opere ed a frugare nelle sue let- tere, si è di poter meglio conoscere una figura buona, forte, che ha sofferto ed ha lavorato per la patria nostra e che ora è dimenticata. Ed è la speranza appunto che altri con valente penna imprenda a tratteggiare ed a far rivivere la figura di Carlo Botta, è tale speranza, che ci ha indotti a trac- ciare questo breve studio intorno all'uomo che, ricca l'anima di nobili aspirazioni, popolata la mente di vaste idee, visse povero e solo; intorno allo storico che nelle pagine dei suoi libri, nell' infuriare degli avvenimenti, nell'agitarsi di popoli e di principi, non dimenticò l'umile ed il forte, ma primo, — e sia questa la gloria sua maggiore — dagli oscuri sotterranei della Cittadella di Torino seppe trarre a luce gloriosa la bella figura dell'eroe popolare Pietro Micca. (1) Lett. a Colletta, 26 aprile 1829, Epistolario di G. Leopardi, raccolto da Prospero Viani, 5" ristampa. Firenze, 1892, voi. II, pagg. 366-67. (2) Lett. all'Amministrazione Generale del Piemonte, 16 luglio 1799. — P. (3) Lett. al cittadino Gueyrard. — I'., pag. 62. i;,2 EMILIA REC.IS b IL Giudizi di Carlo Botta su alcuni scrittori suoi contemporanei. 1 _ Attorno alla figura di Carlo Botta rievocata da noi sfogliando il suo epistolario, altre figure balzano fuori rievocate dalla penna del Botta. Uomini poli- tici, scienziati, prosatori, poeti, quanto l'Italia ebbe allora di nobile, di laborioso in quel fermento di idee e di azioni, quanto la Francia offri di grandioso in quel rior- dinamento di spiriti e di forme s'affollano intorno allo storico via via cb'egli assegna loro un posto ed esprime un giudizio. Molte figure ch'erano giganti pel Botta s'ac- covacciano d'un colpo dinanzi a noi, lasciando scoperto qualche lato imperfetto nella figura stessa dello storico, altre invece si ergono improvvisamente, quasi soffocando il loro giudice: alcune s'avanzano dall'ombra, altre la cercano a poco a poco. Ma non importa. La schiera rimane ugualmente numerosa ed imponente a testimonio dell'attività straordinaria dell'uomo, che in mezzo alle cure gravi della politica, in mezzo agli studi incessanti, in mezzo alle tempeste della vita trova il modo ancora di seguire il moto incalzante degli ingegni con affettuosa sollecitudine in Italia, con curiosità sospettosa in Francia, in Germania, in Inghilterra. E rimane ugualmente numerosa ed imponente per dimostrare l'affetto degli italiani per l'esule, il patriotta, lo storico malgrado le calunnie dei malvagi all'uomo politico, gl'improperi degli av- versari allo scrittore. Molti della schiera egli conobbe o nel breve suo soggiorno in varie città d'Italia, o nella lunga sua dimora in Parigi, come — per non ricordare che italiani, — il Fantoni, il Cesarotti, il Denina, l'Imbonati, il Manzoni, Franco Salfi, Camillo Ugoni, Ennio Quirino Visconti, poi il figliuol suo Sigismondo Visconti, Pellegrino Rossi : molti ancora egli conobbe per le opere loro, per un giudizio a lui chiesto, per una critica a lui indirizzata, come l'abate Cesari, Silvio Pellico, il Niccolini, Leopoldo Cicognara, il Foscolo, il Monti, il Leopardi, il Rosini, il Colletta, il Romani, Giuseppe Manno ed altri ed altri. Alcuni lo sfiorarono appena passando nella vita, come Brofferio, Terenzio Mamiani, Tommaseo; altri si strinsero a lui, amici buoni, e non lo abban- donarono che colla morte, come il Marchisio, il Maggi, Giuseppe Grassi, Davide Bertolotti, Giovanni Fabbroni. I nomi si succedono ai nomi illuminando le vecchie carte come le figure hanno popolato un tempo la vita dello storico, e da quei nomi, dall'atteggiamento che il Botta assume via via, si delinea e poi si precisa il suo pensiero come letterato, colle sue passioni, coi suoi rancori, colle sue debolezze, mentre al disopra del letterato sta pur sempre, saldo, il patriotta, come in fondo ad ogni sua invettiva o ad ogni suo elogio vibra la nota profonda: Italia. Egli segue il movimento letterario che si opera nella sua patria; consiglia, rimbrotta, applaude, protesta, giudice chiassoso ed esi- gente come uno spettatore che occupi gli ultimi posti : ma giudice che ama chi con- danna, e si commuove egli stesso sovente della sua sentenza. Per questo molti uomini sommi pur condannati da lui senza remissione, circon- darono non di compassionevole indulgenza, ma di affetto riverente l'uomo, che come 7 STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CABLO BOTTA 153 un tempo accoglieva nella sua casa a Parigi i soldati italiani combattenti nell'esercito francese che a lui si rivolgevano, e con affanno ammucchiava le armi di quelli che non tornavano più, cosi ammucchiava con religiosa cura nel suo povero studio le opere dei letterati italiani gettando un grido di dolore agli amici quando alcuno d'essi cadeva morto per via anche se avesse militato sotto bandiera avversaria. 2. — Dicemmo il Botta giudice chiassoso ed esigente : ma non basta. Dobbiamo pur aggiungere che egli si mostrò assai spesso impari al suo ufficio. Molti de' suoi giudizi mentre già si trovano in aperta contraddizione coi giudizi d'una gran parte dei suoi contemporanei, suscitano ora in noi vero stupore. €ome mai potè il Botta formularli? Fu insufficienza artistica? fu debolezza d'animo? L'insufficienza artistica non è sempre buona scusa e non serve affatto quando si tratti di giudizi dati dallo storico nel campo appunto della storia, ov'egli fu se non sommo, certo uno dei mi- gliori ; mentre d'altra parte faremmo un grave oltraggio allo storico volendo le sue parole dettate da basse compiacenze d'amico o da livori di rabbie personali. Egli non conobbe ne le une, né gli altri. Se lodò, se derise, se biasimò e quindi se cadde in errore, fu sempre per seguire i suoi principi letterari, ai quali rimase fedele, passato il primo impeto giovanile, sino alla morte; potremo per questo incolpar essi, non disprezzar l'uomo. Vi fu nei suoi principi letterari, come già nei politici, in un dato momento della vita, una mutazione profonda. Il Botta storico non si mantiene uguale al Botta medico dell'esercito delle Alpi; v'è anzi un distacco cosi palese, un'av- versione così sentita che lo scrittore ossequiente ai Borboni, finisce per non più rico- noscere il giovane repubblicano : l'avversario dei romantici più non ricorda l'appas- sionato lettore di J. J. Rousseau. Eppure ancor egli, il Botta, un tempo, nel desiderio intenso di udire qualche voce vera e forte s'era immerso nella lettura dei filosofi e pensatori francesi, anch' egli si era lasciato trasportare, nella foga giovanile, dalla corrente del fiume che ingros- sava, lottando contro gli ostacoli, nella felicità inaudita di far valere le proprie forze, di abbandonar alla riva l'abito logoro e servile, mentre alla foce, l'uomo nuovo, Napoleone, enorme, additava i troni fracidi che la forza del fiume doveva abbattere. Ma quando s'avvide che la corrente nell'ingrossare s'era fatta torbida, che abbattuti i troni s'erano riedificate le reggie, che si procedeva innanzi senza contare i caduti, Botta imprecando ritornò indietro. È sempre triste il ritorno; quello dello storico oltre all'essere triste ha qual- cosa in se che ci disgusta ed ha qualcosa in sé che ci commuove. Nulla di più disgu- stoso del Botta che nella paura di aver errato, nel timore di mali peggiori, chiama martiri chi un tempo chiamò tiranni; nulla di più commovente dell'uomo che nella consapevolezza dell'errore, nell'amore della sua patria, nell'avversione per tutto ciò che è straniero, conta, dolorando, le parole che da altre nazioni entrano baldanzose in Italia corrompendo l'unica cosa di cui potrebbe vantarsi ancora la sua patria e che unica potrebbe non cedere ai vincitori irrisori: la lingua. Ma anche questa spe- ranza di serbare intatta la lingua, la sola speranza che ormai rimanga a lui, stu- dioso dei mali che nel corso di più secoli travagliarono l'Italia e pei quali egli non vede ne addita rimedio, si dilegua innanzi alle nuove tendenze letterarie. Serie II. Tom. LUI. 20 154 EMILIA EEGIS 8 Intorno a lui il moto dei romantici, appena sensibile dapprima, si disciplina via via, trova i suoi capi, sventola le sue bandiere: il moto si muta in ribellione. Au- dace ed insolente come tutto ciò che è giovane e che si crede nuovo, la schiera dei romantici si ribella contro ogni regola, spezza ogni freno; impaziente ed avida, accoglie ogni voce anche lontana purché gridi il grido stesso che ha nell'anima: attende chiunque le faccia cenno. Per aver più potente l'impeto, più lunga la lena a slan- ciarsi in avanti, ritorna indietro, e dal Medioevo trae con se una infinita sorgente di passione e di sentimenti; per spingersi verso la luce e verso il sole, si tuffa nelle pesanti nebbie nordiche e nelle miti notti lunari. E Botta si agita, impreca, schernisce, leva più potente di tutti il grido " guerra ai romantici! „ grido che pei tiranni significa: " guerra ai ribelli che oggi col pen- siero preparano i ribelli del domani coll'armi „, e pel Botta vuol dire: " guerra a coloro che ci rendono servi delle idee altrui, che ci corrompono la lingua con frasi d'oltr'alpi, che ci corrompono le anime con vaneggiamenti d'altri popoli „. Quand'egli ripeteva le stizzose parole del Monti: " la romanticeria non è una epidemia, ma una epizoozia „ non era guidato solo, come quel grande facitore di versi, da risentimenti artistici, non era neppure in lui l'espressione di un dolore personale del caposcuola che vede diradarsi le file dei suoi discepoli e rafforzarsi quelle di nuovi maestri; non era egli insomma, come il Monti, l'astro che prima di impallidire per luce che vien meno, illividiva di rabbia; ma fremeva, più d'ogni altra cosa in lui, la vergogna per la patria sua che come piegava il capo al giogo stra- niero, così asserviva l'anima e la mente alle idee ed alle forme d'altri popoli. La sferzata terribile che colpi in pieno viso il giovane Brofferio quando alla fiera dichiarazione fatta a Casimir Perier: " sono italiano „ si sentì rispondere: " non comprendo „ colpiva pure lo storico, in mezzo alla tempestosa ma prepotente vita parigina, ad ogni istante nell'anima e vi lasciava solchi. Fu sotto l'azione di quel suo affetto per l'Italia non compreso da molti, deriso dai più, ingigantito nella solitudine, reso permaloso nel disprezzo, che l'ammiratore entusiasta di J. J. Rousseau, il prigioniero che dà ali al pensiero seguendo l'agile fan- tasia dello Sterne, il giovane melanconico che ama le scene orrende della natura più che le gioconde, l'amante della solitudine, il lettore appassionato di romanzi, l'am- miratore di Cesarotti, colui insomma che porta nella sua studiosa gioventù tutti i sintomi dell'" epidemia romantica „ potè subire una trasformazione completa. Solo per quest'affetto, reso geloso dalle lotte combattute, colui che appena ventenne aveva ideato un lavoro seguendo le tracce della " Nouvelle Éloise „ (1), l'esule che dalla solitudine della Svizzera scriveva agli amici : che se l'esser uomo da romanzi è per lo più cagione di fiera malinconia e di crudeli angoscie, d'altro canto il comune pen- sare priva di vivissimi piaceri, onde i primi sono sfortunati perchè non possono go- dere, gli altri perchè non sanno (2): l'uomo che suggeriva alla fidanzata di rispon- dere alle domande delle sue amiche: " si elles te demandent qui je suis, dis leur que j'ai lu J. J. Rousseau, que j'aime les romans, que j'en fais quelquefois „ (3), solo per (1) Cfr. Dionisotti, Carlo Botta a Corfu, 1875, pag. 165, nota. (2) Lettera a Luigi, 28 febbraio 1796, Knutwiel. — P., pag. 189. (3) Lettera di Botta ad Antonietta Viervil, 3 prairial, anno 8° (23 maggio 1800), edita da Dio- nisotti in Vita di Carlo Botta, pag. 513 e seg. 9 STUDI') INTORNO ALLA VITA DI CARLO BOTTA 155 quest'affetto poteva più tardi imprecare ai romanzi, maledirne gli autori. " Nous irons aux Charmettes et rendrons au bon Rousseau un hommage quii agréera bien plus que les pre'sents des Rois ; cet hommage c'est l'amour du bien, la sincérité de nos promesses et le feu qui brulé dans les cceurs tendres et sensibles „ (1), scriveva egli un tempo alla gentile sposa: ma più tardi il silenzio con cui lo storico avvolse lo scrittore massimo iniziatore del romanticismo, dimostra quant'egli fosse pentito di quell'omaggio. E ben si vede ancora come egli avesse dimenticato queste altre parole pure da lui scritte: " jerendsgràce a mon Rousseau pour m'avoir donne' cette pro- fonde sensibilità qui me fera goùter mon bonheur: il m'a rendo, il est vrai, un peu enclin à la mélancolie „ (2), quando più tardi derideva argutamente quella melan- conia che serpeggiava tra i giovani d'allora e finemente descriveva i melanconici per vezzo. Repubblicano, nell'impazienza giovanile di rompere ogni indugio e di guar- dare in viso la lotta, egli incitava i giovani ad udirlo, forzandoli con dolce violenza ad interrompere per qualche istante la lettura di J. J. Rousseau (3), ben mostrando di comprendere che a quella scuola ed a quel maestro si tempravano le menti già fatte accorte e che dalla meditazione di quelle idee che il filosofo aveva fissate, traendole dallo smisurato pensiero dei popoli, si veniva all'azione. Solo più tardi, nella rovina di ogni cosa, sorse in lui potente il pensiero che gli italiani, ciechi seguaci di duci stranieri in campi di battaglia e traditi, si avviassero a nuovi tradimenti, seguendo duci stranieri nel campo delle idee. Da quel pensiero, nell'esilio e nella sventura nacque la formula letteraria del Botta, quella formula che egli non si stancò mai di ripetere e che molti si stancarono di udire. Essa è semplice ed è grande : " perchè gli italiani siano uniti e liberi devono mostrarsi uniti nella lingua, liberi nei pen- sieri : quindi una lingua unica e pura attingendola dagli scrittori del trecento e del cinquecento, inspirandosi al dialetto toscano, riconoscendone la sua superiorità sugli altri dialetti, cessando da qualsiasi sciocca e disgustosa disputa contro i vocabolarii, nella convinzione ch'essi non sono fatti per insegnare l'arte dello scrivere, bensì per presentare gli elementi materiali a chi scrive: accogliendo quelle parole forestiere che sono riconosciute indispensabili dai dotti : quindi ancora uno sforzo costante nel creare nuove forme staccandosi da tutto ciò che è straniero, avendo a sdegno ogni guida la cui anima non sia schiettamente italiana „ (4). Profondamente convinto che la sua formula potesse sciogliere ogni più arduo problema e guidare a forti e sane conquiste, anch'egli, come tutti coloro che non vivono che per un'idea, osò soggiungere: " Fuori di qui non v'è salvezza! „. (1) Lett. oit. (2) Lett. cit. (3) Lett. di Botta al cittadino Cavalli : " Se leggete Machiavelli o Rousseau fermatevi un poco ed ascoltate „, 4 nevoso, anno 7°, 24 die. 1798. — P., pag. 123. (4) Botta espresse in moltissime lettere le sue opinioni linguistiche e letterarie; notevoli Ira le altre, alcune sue lettere aperte pubblicate a più riprese nell" Ape Subalpina „ e nel " Giornale delle Scienze ed Arti di Torino „ negli anni 1811 e 1812. Degna pure di nota, oltre la lettera scritta da Parigi il 6 aprile 1813 a Giov. Rosini (pubblicata in Lettere di rari illustri italiani del secolo XV11I e XIX), la lettera a Lodovico di Breme (19 settembre 1816) già stampata nell" Anto- logia , di Firenze, 1826, tomo XXII, pag. 73 e segg., e ristampata nel " Paese „, giornale di Ver- celli (anno II. N. 33). Aggiungane ancora alcune lettere al Grassi ed al Marchisio, inedite queste. 156 EMILIA REGIS 11) " Fuori di qui non v'è salvezza! „ Ed intanto intorno a lui i romantici arditi e pensosi ricercano le origini della loro storia, scrutano negli abissi profondi del- l'anima, tentano di interpretare tutti i bisogni, tutti gli affetti dell'uomo. Provocatori dei classici ed alla lor volta provocati, le due schiere scendono fieramente in campo, ma nello scendere in campo, gli avversari nell'impeto sciolgono e mescolano le file; contro ogni volere avviene la fusione ed ecco : nel classico Foscolo v'ha del roman- tico: nel romantico Manzoni v'ha del classico. " Io li chiamo traditori della patria — scrive il Botta a Ferdinando Malvica nella sua grande ira contro i romantici — e veramente sono. Ma ciò procede parte da superbia, parte da giudizio corrotto; superbia in servitù di Caledonia e d'Er- cinia, giudizio corrotto con impertinenza e sfacciataggine. Spero che questa infame contaminazione sfumerà e che ancora vedremo nel debito onore Virgilio, il Tasso e l'Alfieri „ (1). La lettera per imprudenza è fatta nota al pubblico e, voce onesta d'un uomo, provoca la protesta meravigliosa di un'anima che ha in se l'anima di mille onesti. " Traditori d'Italia ! — scrive fremendo Mazzini. — No : traditori d'Italia sono i ven- duti d'ingegno e d'anima alla forza che impone o all'opulenza che paga ; son quei che colle pazze superbie municipali e colle eterne contese di lingua perpetuano tra fratelli le divisioni; son quei che immiseriscono l'Italia colle ineziette grammaticali e le questioncelle erudite o ne avvezzano il sonno sugli allori degli antenati; son quei che nel secolo XIX s'ostinano a voler costringere le fervide menti italiane nei ceppi della loro infanzia e combattono, quanto sanno, contro lo slancio universale dell'u- mano intelletto, dannandolo ad una perpetua immobilità ed a pascersi di fole stra- niere alla nazione, alle costumanze, ai bisogni ; son quei che scrivono non per amore del vero, ma per invidia o ambizione, o furor di parte ; finalmente son quei che pri- vano la patria del buon cittadino per darle in cambio il cattivo scrittore o inutile „ (2). Conobbe il Botta queste fiere parole? Saremmo indotti a crederlo da quanto scrive egli in una lettera al Gi-assi, nella quale parlando di alcune sue espressioni come di " ragazzacci, di uomini servili della patria „ che erano andate per certi gior- nali d'Italia, specialmente nel " Giornale Arcadico di Roma „ e nell'" Indicatore Ge- novese „ egli si duole che una lettera di confidenza, com'era quella sua, sia stata resa nota al pubblico. " Sebbene tutti i romantici a parer mio s'ingannino e seminino una peste fatale alla letteratura italiana, non tutti però sono ragazzacci, non tutti vili, non tutti servili uomini, non tutti traditori della patria — notava egli : — Deploro l'errore funesto, ma le persone rispettabili rispetto e non ne mancano fra i roman- ci) Nel marzo del 1828 il " Giornale Arcadico „ di Roma pubblicava una recensione anonima della 2" edizione del libro Della elocuzione di Paolo Costa, ov'era detto l'Italia non aver libro mi- gliore di questo " sia per la bontà di stile, sia per gravità di giudizio e per squisitezza di gusto veramente italiano „. L'articolista dopo aver raccomandato di attentamente leggerlo a coloro che " oggi partecipano con non so quali mostri venutici di là dell'Alpe e del mare „ aggiungeva parergli acconcio' di riferire " un brano di lettera scritta al Sig. barone D. Ferdinando di Malvica da uno dei più solenni letterati dell'età nostra, da Carlo Botta „ e riportava la lettera ove leggonsi appunto le parole da noi citate. (2) Queste parole di G. Mazzini comparvero nell" Indicatore Genovese „ del 9 agosto 1828; trovansi ora nelle Opere, voi. II, pagg. 57-61. 11 STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CABLO BOTTA 157 tici „ (1)- Ma d'altra parte come spiegarci in un uomo che prendeva fuoco per un nonnulla, questa sua calma dinanzi a parole che non costituivano solo una vigorosa protesta, ma ancora una feroce offesa? Che se il Mazzini non volle alludere al Botta parlando dei " venduti d'ingegno e d'anima alla forza che impone o all'opulenza che paga „ non v'ha dubbio invece ch'egli abbia voluto colpire lo storico, che preferì vivere, per meglio comporre le sue opere, in terra straniera, con quelle ultime parole, terribili battute di un periodo concitato, che dovevano fissarsi bene nella mente di chi le udiva anche perchè quel " finalmente „ messo lì rigido come un segnale non permetteva ad alcuno di passar oltre senza soffermarsi. Parrebbe quindi più conforme a verità il credere che il Botta pur avendo sa- puto di certe sue espressioni corse per alcuni giornali d'Italia, non abbia poi cono- sciute tutte le amare parole che esse provocarono ; tranne che non si vogliano con- siderare come dettate in lui dalla fiera protesta del Mazzini, le violente parole con cui lo storico chiude la bella sua lettera scritta al Grassi il 19 agosto 1828, cioè pochi giorni dopo la pubblicazione dell'articolo comparso nell'" Indicatore Genovese „. In essa il Botta dopo d'aver strenuamente difeso il Vocabolario della Crusca dal- l'accusa mossagli da molti e dal Grassi stesso, di essere di gran lunga inferiore ai vocabolari sì inglese che spagnuolo, pone termine a quel suo nobilissimo sfogo scri- vendo : " La rabbia che io ho contro i corruttori della lingua fra i quali tu non sei, fa che non mi possa tenere. Io vorrei avere cento vulcani in questa mano per poterli fulminare. Ma tu li perseguita col tuo acre ingegno, colle tue dotte fatiche e sarà la spada tua come quella dell'arcangelo contro i sudici demoni. Fa loro vedere che la lingua è il più prezioso patrimonio che abbia una nazione e che quando ella lo sciupa, perde quanto di grande, di generoso e di libero c'è in lei. I nemici dell'I- talia sono gli schernitori della lingua, tale quale l'han fatta i nostri padri, i nemici dell'Italia sono i vili imitatori delle cosette francesi: i " nemici dell'Italia „ sono i vili imitatori delle cosacce di Goethe e di Walter Scott „. Queste ultime battute che parrebbero stonare coi periodi che precedono, verrebbero quindi a ricevere la ragione della loro brusca apparizione e ad assumere un nuovo colorito, da quelle altre battute del Mazzini: " Traditori d'Italia, no „. Strano però che si avvinghiassero l'un l'altro e s'assalissero colle feroci parole di " traditore „ e di " nemico ,, d'Italia, Mazzini e Botta, l'uno italiano grande come nessuno fu dopo di lui, l'altro non grande forse, ma italiano innanzi a tutti e certo assai prima di Mazzini. (1) Lettera a G. Grassi, 13 ott. 1828. — Notiamo a questo proposito che Carlo Salsotto nella sua erudita ed accuratissima Nota Per l'Epistolario di Carlo Botta, pubblicata negli " Atti della B. Accad. delle Scienze di Torino „, Voi. XXXVI, adunanza del 23 giugno 1901, accennando a pag. 7 alle parole dello storico esprimenti il suo rammarico per la pubblicità data a certe sue espressioni, mostra credere che si alluda alla lettera del 1816 a L. di Breme, già da noi citata, comparsa nel- 1'" Antologia „ di Firenze nell'aprile del 1826. La lettera è invece, come abbiami visto, quella del Botta al Malvica del 4 gennaio 1828, lettera per la quale l'anonimo articolista del " Giornale Arcadico „ aveva avuto parole di biasimo prima ancora che dal Mazzini, da un collaboratore dell"1 Antologia , di Firenze (1828, N. 90). Notisi pure che noi non possiamo pensare col Salsotto che la lettera all'ab. L. di Breme sia stata edita contro la volontà del Botta, perchè lo storico accennando alla pubblicazione di essa in una lettera al Grassi del 6 agosto 1829, ne parla senz'ombra di rammarico. ] 58 EMILIA BEI 12 3. — Carlo Botta, nemico in teoria dei romantici, nemico degli ammiratori di Napoleone, si lascia guidare nei giudizi da questi suoi due sentimenti; ma cri- tico onesto, com'è uomo onesto, ritorna spesso sulle sue asserzioni un po' severe, un pò! avventate e temendo l'ingiustizia sotto qualsiasi forma si presenti, di soverchia asprezza o di soverchia indulgenza, è indotto sovente a stendere la mano ad un avversario od a brontolare e volgere le spalle ad un amico. Gli esempi abbondano. Ama ed onora Cesarotti nella sua gioventù (1): è lieto che l'autore del " Patriot- tismo illuminato „ accarezzi il modesto autore " Della Proposizione di un Governo libero ai Lombardi „ (2), ma più tardi quando s'avvede del danno immenso che il traduttore di Ossian ha arrecato alla lingua italiana, lo chiama " scapestrato „ metten- dolo in un fascio con alcuni scrittori di Lombardia che qualifica per " sucidi ., (3), mentre al contrario non ha parole che bastino per lodare l'abate Cesari e mostrargli la sua gratitudine per il dono dell' " Inno delle Grazie „ nel quale il Botta dichiara di non poter desiderare " ne maggior eleganza né più sana critica, né più profonda dottrina .. (4). Ama di vivissimo affetto l'amico suo Giuseppe Grassi, ma lo assale col- l'apostrofe: " Tu quoque fili mi „ (5), quando lo vede posporre il Vocabolario della Crusca ai vocabolarii inglese e spagnuolo, scendendo ancor egli, bella e nobile figura di letterato, campione nella lotta contro i puristi. Alle critiche aggressive mosse dal Rosini alla sua " Storia d'America „, e pub- blicate nel " Giornale Enciclopedico „ di Firenze, risponde per le rime in vari gior- nali (6), e si duole cogli amici di questo " Sofista magro e scortese „ (7), parendo a lui che quel suo modo di scrivere non fosse ne da critico, né da letterato, né da gentiluomo, perchè il fatto solo dell'essere andato a concorso con lui lo doveva trat- tenere dal por bocca nelle sue opere in bene od in male (8) ; ma più tardi lo stima e gli è amico pur serbando le sue opinioni in fatto di lingua e di letteratura. li Vedasi lett. a .Melchior Cesarotti, 25 piovoso, anno 6° (13 febbraio 1798), Corfù, e lettera al prof. Bertolli, 17 gerrnile, anno 6° (6 aprile 1798). — P. (2) Lett. a Modesto Paroletti. 25 messidoro, anno 5° (13 luglio 1797). — P. 3) Lett. a Giovanni Rosini, 6 aprile 1813, Parigi. — V. (4) Lett. ad Antonio Cesari, 26 settembre 1813, inserita dal Manuzzi nella prefazione dell'opera esabi, Antidoto pei giovani studiosi contro le novità in opera di lingua italiana, Forlì, presso Matteo Casali. 1829, pagg. xxvi-37. (5) Lett. a G. Grassi, Parigi, 19 agosto 1828, edita da Domenico Berti in " Atti della R. Aec. della Crusca „, Adunanza pubblica del 16 settembre 1878. Firenze, Cellini, 1879, pagg. 95-113. (6) La prima risposta del Botta comparve nell' * Analitico Subalpino „, N. 18, giornale che stani- pavasi allora in Torino. Neil' " Ape Subalpina „ altro giornale che pubblicavasi in Torino, compar- vero poi quattro lettere dello storico, dirette all'Estensore di detto giornale, successivamente e cioè: il 4 febbraio, il 12 aprile, il 25 maggio, il 25 luglio del 1811. In ultimo nel " Giornale delle Scienze ed Arti di Torino „ comparvero due altre lettere del Botta in data 18 febbraio e 15 aprile 1812. Queste lettere, sette in tutto, che sfuggirono alle ricerche del Dr. Salsotto, unite alla lettera del Botta stesso al Malvica, di cui parlammo nella nota a pag. 11, porterebbero a diciannove il numero delle lettere edite vivente lo storico. Giova inoltre notare ch'esse sono importantissime per la piena conoscenza del pensiero bottiano e per ben stabilire il posto occupato dallo scrittore nella intricata ed allora dibattutissima questione della lingua. (7) Lett. a G. B. Somis, 16 novembre 1810, Parigi; lett. ined. (8) Lett. a Davide Bertolotti, 7 gennaio 1811, Parigi; lett. ined. — Botta nel 1810 aveva eon- i eolla sua Storia d'America al premio Napoleonico della Crusca; ma non ne aveva riportata che la menzione onorevole, mentre il premio di diecimila lire era stato diviso tra il Rosini per il poemetto in quattro canti in ottava rima intitolato Le nozze di Giove e di Latona, il Niccolini per la tragedia Polissena e il Micali per la storia: L'Italia avanti il dominio dei Romani. 13 STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CARLO BOTTA ' 159 Si duole che il Niccolini nella sua tragedia intitolata " Foscarini , abbia svi- sata la storia per accrescere l'interesse e dar maggior movenza agli affetti, seguendo le contaminate massime di letterati servili (1); ma più tardi quando lo vede caldo d'amore di libertà e animato da sentimenti schiettamente italiani, perdona le pecche e con gioia confessa: " Tutto mi piace in lui: ma più di tutto il vedere che egli è uomo che pensa da se e la sua mente è sempre feconda di pensieri nobili e profondi „ (2). Insomma il Botta è critico onesto; ma è pur nella critica ciò che fu nella vita: un buon uomo. Si direbbe che anch'egli abbia stabilito per chi deve giudicare, tre classificazioni distinte ed immutabili, come certi maestri che invariabilmente, tutti gli anni, dividono la scolaresca in tre parti: comprendendo nell'una i buoni, nell'altra i birichini, nell'ultima i ragazzacci. Anche il Botta ha i buoni, i birichini, i ragaz- zacci. Son buoni tutti coloro che si stringono a lui, e battono, in fatto di lingua e di letteratura, la stessa via; birichini, coloro che fanno tratto tratto delle piccole scappate nel campo avversario, ma pei quali rimane pur sempre la speranza di una buona riuscita; ragazzacci coloro che son fuori di ogni legge e pei quali ogni speranza è vana: sono insomma i discoli. Un esempio: Monti è buono, Foscolo è un birichino, Manzoni un ragazzaccio. In una parola, il Botta è critico né profondo, uè acuto, e se talvolta può in- gannarci la felice prontezza con cui afferra, anche ad una semplice lettura, il carat- tere generale di un autore o l' intendimento immediato di un' opera, quasi sempre poi ci lascia delusi per quel che riguarda la ricerca dell'intimo pensiero di quel- l'autore o dell'ultima significazione di quell'opera. Per questo ammira cose appena mediocri: gli sfuggono i capolavori. Si direbbe che la mente sua non scopra chele linee principali di un'opera, nella guisa che un occhio non educato non scorge che i contorni delle cose. Succede al Botta critico ciò che succede al Botta storico. Lo storico vede perfettamente il contorno di tutto un popolo, afferra il carattere di tutta una età; ma quali siano le sfumature che danno risalto a quel contorno e quali siano gli elementi che costituiscono quel carattere, egli ignora. Sa che sia la verità, la giustizia, la grandezza ed a queste s'inspira per comporre le sue opere ed a queste risale per condannare un'azione. Ma come non sa scindere l'edificio ch'egli consi- dera, nelle sue parti, cos'i non lo sa ricostrurre; egli abbatte prima e poi accozza. Lo stesso avviene per l'arte. Il Botta sente l'armonia di un verso ben fatto; conosce la dolcezza di un buon periodo italiano: sa pure che lo scrittore nel comporre la sua opera deve inspirarsi alle grandi idee di verità e di giustizia, onde quando egli trova un'idea buona ed una lingua schietta, quando questa lingua gli accarezza l'o- recchio ed il pensiero buono gli commuove l'anima, egli si abbandona alla gioia ed applaude : ma torce il viso dinanzi ai periodi densi di pensiero ed oscuri, in cui l'in- tenzione dell'autore par che si nasconda e sforzi il lettore a ricercarla da sé. Al Botta i concetti " stillati dai lambicchi „ dan noia e fan perdere la pazienza. Si comprende quindi facilmente, dopo quanto s'è detto, perdi' egli assegni al (1) Lett. ad Antonio Papadopoli, 28 maggio 1828, pubblicata da Gozzi Gaspare in Lettere d'il- lustri >ì con vivo onore i Chateaubriand, i Lamartine, i Vittor Hugo, gli Alessandro Dumas, i Lacordaire, rane gonfie, ciarlatani, e si sforza di metter in guardia i suoi amici... — " Oh, se mai vedete comparire sulla vetta delle Alpi i piagnistei, il sospiro per pratica, sonate campana a martello, anzi schizzate loro contro inchiostro attossicato... Almeno Young, ch'essi vogliono risuscitare, piangeva nelle sue " Notti „ la morte di una figlia unica che molto amava, ma questi afflitti per mestiere sono veramente ridicoli „ (1). " Que la douleur est une chose sublime! „ sospira accanto al Botta un melanco- nico uditore del mistico Lacordaire. — " Io lo guardai — dice lo storico —in viso; ei guardò me; io risi ed ei rise e cosi fini „. Ma non finiva sempre cos'i: e ben sovente cogli amici lontani il Botta sfoga quella gran rabbia che non ha potuto aver libero corso altrimenti e che pur lo di- vora, per tutta la finta malinconia che gli pesa d'attorno orribilmente. Egli va, è vero, anche all'altro eccesso di credere finta la melanconia vera, di chiamar mania, quello che era allora un fatale e terribile morbo; di creder frutto dell'ambizione umana ciò che era fiore pallido della coscienza novellamente risorta. Ma la colpa non è sua. Il Botta vede i giovani pallidi e melanconici che ascoltano sospirando le pre- diche di Lacordaire patito, severo come S. Giovanni nel deserto e li rivede alla sera che pranzano fra grida festevoli con compagne belle e non melanconiche nei più lieti ritrovi del Palazzo Reale ; egli vede rigurgitanti le arcate, gremiti gli altari di quanto Parigi offre di grande per intelligenza, di fastoso per ricchezza — uditorio sospeso e commosso — mentre al di fuori il popolo scatenato insulta alle immagini dell'arcivescovo, arde i simulacri, assale con feroce impeto i conventi ed i seminari. La colpa non è sua. IO. — E non è sua la colpa s'egli maledì il romanticismo ed imprecò contro coloro che se ne facevano banditori. Se il romanticismo fosse nato e cresciuto in Italia, il Botta, pur non andando del tutto d'accordo con lui, lo avrebbe guardato con viso sereno ed avrebbe perdonato anche se, irrequieto ed audace, avesse fatto qualche strappo alla realtà storica e si fosse mostrato fantastico e strano. Ma era nato altrove e se pure portava con se nomi illustri, questi suonavano stranieri al Botta, e quindi nemici d' Italia. Non s'avvide lo storico che gì' italiani nell'adottarlo gli avevano mutati e abiti e foggie e modi : esso rimase sempre pel Botta un figlio d'altre terre, che aveva chiamato intorno a se uomini sommi, è vero, ma che s'era pur trascinato dietro una folla innumerevole di vani e di scioperati, i quali sforzan- dosi in ogni modo di imitarne le movenze, raccoglievano intanto e si rimandavano l'un l'altro, via via, quanto quei pochi sommi venivano componendo. Botta imprecò ai pochi sommi, perchè ebbe paura degli scioperati innumeri, non pensando che essi nulla contano nell'indirizzo letterario o politico di un popolo, come nulla contano nella vita, e che se essi hanno una funzione da compiere, questa è appunto di pro- (1) Lett. a St. Marchisio, 14 marzo 1836, ined. 176 EMILIA REGIS 30 durre negli spiriti una reazione contro quelle tendenze di cui essi sono seguaci inetti e non convinti. Botta inveì contro i romantici: eppure non meritava le parole del Mazzini e di quei molti che si scagliarono contro di lui. Egli ripeteva, è vero, il grido dei " go- verni paterni „, ma mentre questi silenziosamente toglievano di mano la penna agli audaci e rinserravano nelle celle le voci potenti, Botta infuriava ed intanto li amava. " Il nostro Monti, secondochè mi narra un romantico, ma uno dei buoni e ch'io amo e stimo molto, sebbene predichi ch'io sono " une vieille perruque „, il nostro Monti dice la romantìceria non epidemia ma epizoozia „ (1), — scrive il Botta, senza avvedersi che queste sue poche parole colla distinzione dei romantici in buoni ed in cattivi, lasciano intravvedere un avversario assai meno temibile di quel che possa apparire dai molti rabbuffi e dalle scomuniche che corrono col suo nome su pei giornali e ci fanno pensare a lui come ad amico del Manzoni, di Silvio Pellico, di Camillo Ugoni. Il Botta, nel desiderio ardente di richiamare l' Italia alla realtà delle cose, nello sforzo di eliminare tutto ciò che non gli sembra atto a render l'Italia una e glo- riosa, precorrendo nella letteratura il pensiero che ebbe Cavour nella politica, vide nel romanticismo non già ciò che realmente era: una chiamata a raccolta degli spi- riti ; ma sibbene un disvio pericoloso dalla vera via e quindi una sosta inutile, un ritardo imperdonabile. Natura schietta e forte, ma un po' brutale e grossolana, non accoglie che le idee che possono tradursi nella realtà immediata dei fatti; le idee che da ciò si scostano, diventano per lui sottigliezze, astruserie e peggio. Si com- prende quindi facilmente perchè parlando al Marchisio di Terenzio Mamiani, esule al- lora a Parigi per motivi politici, osservi: " Certo egli è un uomo molto amabile. Ma dello Stato non so come se ne intenda ed anche è tocco dalle metafisiche. Basta dire ch'ei disse un di questi giorni ad un mio amico " ch'ei non sa capire soldati che obbediscono , ; ciò disse con estrema innocenza e candore... E nata una genera- zione d'uomini che vuol governare il mondo colle sottigliezze più sottili di quelle del dottor Sottile. Cosi poi quando per disgrazia arrivano al governare, la materiaccia dà loro dei gran buffetti sul naso „ (2). Queste parole, mentre ci richiamano alla mente 1' " oggi canta la prima donna „ sussurrato da Cavour all'orecchio di un amico quando Terenzio Mamiani ha chiesto di parlare alla Camera, ci denotano pure quanto fosse rapida e pronta nel Botta l'intuizione di un dato carattere o dell'attitudine speciale di una mente, perchè sembra che esse preannunzino tutte le penose delu- sioni che nel campo della politica provò più tardi il Mamiani, quel filosofo nobilis- simo che sosteneva " non darsi al mondo un principio morale ed uno giuridico e politico; ma esistere solo il principio morale che domina, ordina e si compenetra in tutte le scienze civili „ (3). E come il Botta ha in pochi tratti delineata la figura morale di Terenzio Ma- miani, così in poche parole ci pone dinanzi la figura briosa, ardita, un po' matta del (1) Lett. a Giuseppe Grassi, 13 ottobre 1828; ined. (2) Lett. a St. Marchisio, 18 luglio 1834; ined. (3) Mamiani e Mancini, Fondamenti della filosofia del diritto. Lettere fra i due illustri scrittori. 4" edizione, per cura del prof. Albini. Torino, 1853. 31 STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CARLO BOTTA 177 Brofferio. " Che diavolo scrisse quel vostro raccomandato di me? — chiede egli al Marchisio. — Io lo vidi poche volte, lo condussi dal Salti, mi mostrò una sua ode manoscritta sui Greci, che poi stampò, poi se ne parti poetando per Torino. Diceva nel- l'ode: " Chi ha dichiarato i Greci ribelli? „ e ciò con indignazione poetica. Gli dissi di badarci perchè furono i potentati adunati in Verona. Pure l'ode canta cosi, Dio gliela mandi buona ! Del resto mi è parso buon giovane e piuttosto poeta che altro „ (1). Non sappiamo che cosa scrivesse del Botta il Brofferio a chi l'aveva raccoman- dato ; ma sappiamo bene quanto l'ardito poeta lasciò scritto più tardi nell'opera sua " I miei tempi „. " Prima di lasciarlo — scrive egli, dopo d'aver narrato il suo colloquio col Botta nello squallido studio dello storico — prima di lasciarlo dovetti credere che le sven- ture, gli esili e le pene della vita lo avessero circondato di quella dura corteccia che toglieva qualche pregio alle tante virtù dell'animo suo „ (2). Dura corteccia infatti : ma è questo il vanto di colui che Giovanni Faldella addita come " uno dei nostri grandi dimenticati „; dura corteccia che resistette all'impeto di tutte le tempeste, custodendo gelosa una schietta anima italiana, che nella lontana Parigi sussultava anche al solo udire la lingua della sua patria. " Vengono gli spazzacamini. Parlano italiano e son d'Arona, benedetti! „, esclamava lo storico; e forse solo chi ha sof- ferto l'esilio può comprendere tutto il significato di queste parole. (1) Lett. a St. Marchisio, 16 giugno 1826; ined. (2) / miei tempi, voi. XVIII, pag. 177. Serie II. Tom. LUI. 23 1 ys CA REGIS APPENDICE 32 1. — Scriveva Pietro Giordani al cav. Maggi nella lettera, tuttora inedita, del 16 febb. 1816: " Il conte Luigi Porro mi ha chiesto l'indirizzo di Botta (fortunatissimamente datomi da V. Ecc.) e dissemi di volergli subito con qualche delicato pretesto spedire una cambiale per cinquecento franchi. Poi mi soggiunse: - Ditegli che venga a Milano, ditegli che venga; a Milano non si muore. " E per verità, sebbene non veda che se gli possa prometter nulla di sicuro e meno di pronto, nondimeno questo ancora è il luogo (fra tante universali ed estreme miserie) dove si possa tentare qualche cosa. Troverebbe qui persone commosse alla grandezza del suo merito e alla indegnità della sventura, che, se non altro, griderebbero per lui, farebbero alcun che colle loro facoltà e cercherebbero pur una via di condurlo a bene. E principale fra essi sarebbe Monti che è di moltissimo cuore e che già stimava Botta assaissimo ; e se non avesse perduto due terzi delle sue pensioni, è uomo da far de' fatti oltre le parole. Col passato governo poteva Monti moltissimo; ed allora per un Botta si sarebbe creato subito un impiego, un titolo; ora le cose vanno con altro piede. Il nostro giornale è cosa sul nascere, né può sapersi quale for- tuna e quale profitto possa avere; ma se Botta volesse e potesse applicarsi, sarebbe accettato più come un genio che come un bravo uomo. Intanto s'egli vuole scrivere qualche articolo, tanto meglio; qualunque cosa a suo piacere. Vero è che l'utile per adesso sarebbe poco o nullo; ma potrebbe crescerlo egli stesso, che scrivendo darebbe grido e spaccio al giornale. Non m'in- duco a scrivergli io di ciò, non conoscendo se non la sua penna; né essendomi riuscito quel che desideravo di farmegli prima conoscere; né oso famigliarizzarmi troppo speditamente con uomo che tanto riverisco. Però bramerei che prima V. Ecc. gliene scrivesse. E così a tanti obblighi che mi impongono la benignità e la cortesia usatami da V. Ecc., si aggiungerà anche questo di entrare con sì buon mallevadore nella servitù di Botta e di aver cominciato a pro- vargliene almeno i desiderii d'essergli servitore in effetto ». ° 2. — Botta parla di Camillo Ugoni in molte lettere dirette a St. Marchisio, dando pure in alcune di esse, notizie dei variti lavori ai quali attendeva il loro comune amico. Nella lett. del 18 nov. 1825, scrive: " Ei (l'Ugoni) va frugando in ogni canto per raggra- nellar fatti, fattarelli e fatterelluzzi sul nostro celebre Lagrange; che sapete che Camillo si occupa in letteratura e biografia. Credo che il traditore ha posto la mira anche a me ; ma io il terrò sulla gruccia tanto che potrò, perchè per ora non ho voglia di morire e dovete sapere che a volere che Camillo parli di noi, e' bisogna esser morti. Sicché alla larga „. — Ined. Nella lett. del 24 luglio 1828 a St. Marchisio, riporta il Botta alcune frasi scrittegli dal- l' Ugoni stesso e fra le altre anche la seguente: " Ho bensì l'intenzione di scrivere qualche cosa intorno a Foscolo, ma non sono ancora provveduto di tutti i materiali e d'altra parte mi trovo ora in compagnia di " Grazie , un po' meno eteree e celestiali di quelle di Foscolo, perchè sapete che scrivo del Casti „. Altrove ancora il Botta avverte come l'Ugoni stia scrivendo intorno al " gran Visconti ,. 3. — " Mancano i termini di marineria — scrive il Botta. — Questi vorrei che tu aggiugnessi, che sarà cosa nuova, utile e dilettevole ad un tempo. Forse ti converrà sudarvi più che non hai dovuto sudare sulle cose di terra e certo c'è da vedere assai ; perciocché quando nacque e diventò adulta la nostra lingua, le cose di mare erano ancor bambine rispetto a ciò che diventarono dopo e sono a nostri tempi. Perciò gli scritti ti saran di poco aiuto in questa bisogna. Sarà d'uopo cercar norma nell'uso ed a questo fine sarà necessario raccorre dalle città d'Italia più rinomate per posti di mare e più forti in sull'armi navali, i vocaboli e le frasi concernenti la fabbrica e le parti tutte delle navi sì piccole che grosse, le loro mosse, le bat- taglie, i nomi dei posti e dei lidi secondo la natura loro, dei venti ed altre simili cose rela- tive alle bisogne di mare. I vocaboli di Livorno sarebbero i più autentici, ma non essendovi 33 STUDIO INTORXO ALLA VITA DI CARLO BOTTA 1.79 in quel porto arsenale ad uso di costruì- navi grosse da guerra, tu ti dovrai rivolgere a Genova e specialmente poi a Napoli ed a Venezia. Io opererei così. I Francesi hanno un vocabolario compitissimo di marineria. Di questo farei fondamento all'opera, notando tutti i vocaboli con le spiegazioni loro ed anche tutte le frasi. Poi li manderei a persone fidate e capaci a Livorno, a Genova, a Napoli ed a Venezia, richiedendole di scriver a lato di ciascun vocabolo o frase il vocabolo o frase corrispondente in lingua patria. Quando avrai in pronto tutta questa mole di modi e parlari toscani, genovesi, napoletani e veneziani, tu li paragonerai tra di loro e scerrai quelli che ti sembreranno più chiari, più pieni, più sonori, insomma più belli e più acconci, anteponendo ora il toscano al genovese, ora il genovese al toscano, or il veneziano a tutti questi ed ora il napoletano secondo che accadrà e ti parrà più conveniente. Io ti so dire che questo lavoro aggiunto a quello che già hai fatto, sarà opera da far onore a te ed all'Italia. È cosa ancora di trinca e mi par anche necessaria. Tu farai il nomenclatore italiano per l'arte della marineria; sarai il Linneo di quest'arte. Sicché animo, il mio caro Giuseppe, contentaci anche in questo; che se non la fai tu che sei Grassi, quest'opera non so chi la farà „. Lett. a Giuseppe Grassi. Parigi, 28 giugno 1817. — Ined. 4. — "Ho letto e riletto attentamente quanto per me si è potuto, il suo " Ugolino „ e gli (?) ripeto che mi è piaciuto assai. Pure per obbedirgli ho notato qualche neo o, per meglio dire, ciò che neo mi pare. Replico che l'ho fatto solamente per obbedirgli, perchè non son sicuro della mia opinione: anzi credo che più verisimilmente mi sono ingannato io che egli. Mi pare gran presunzione la mia del giudicare opere teatrali di un tanto maestro qual egli è: me ne son venuti spesso i rossori al viso „. Cosi il Botta: ed in ultimo ponendo termine alla sua critica: " Del rimanente tutta la tragedia è scritta con molta nobiltà di pensieri e questa parte è tutta degna di grandissima lode. Lo stile anche mi pare conveniente al soggetto; solo vi vorrei qua e là più nervo ed anche qua e là qualche tratto alfieriano di più, vivo e vibrato come quel sì bello: " vinti „. Questi tratti partoriscono grand'effetto e molto meglio conferi- scono all'energia dell'espressione degli affetti che lo stile molto figurato e sesquipedale che è vizio, non già del mio signor Marchisio, il quale anzi ne è lontanissimo, ma di molti scrittori dei nostri tempi. Credono questi che aprir largo la bocca sia un aprir largo il cuore; ma è tutto il contrario „. Lett. a St. Marchisio, 8 aprile 1823. — Ined. 5. — " Ella sia contenta di salutare in nome mio il sig. Rosini — scrive il Botta al Fabbroni — il quale venutomi a salutare in Parigi da parte sua, io non posso né dimenticare, né disamare. So che di nuovo è uscito fuori con tassarmi delle capestrerie della lingua. Se abbia ragione, io non lo so ; ma certo ha torto nel dire ch'io abbia errato perchè non ho l'uso della lingua toscana; imperciocché le frasi tassate io non me le sono già succiate dalle dita, bensì le ho tolte di peso non solo dal Davanzati, come si dice, ma ancora e molto più da Machia- velli, dal Guicciardini, dal Varchi, toscani tutti, i quali, cred'io, sapevano il vero andare del favellare e dello scrivere toscano. Sicché se vi è errore, l'error non è mio, ma bensì tutto di toscani „. Lett. a Giovanni Fabbroni. 24 dicembre 1818. — Ined. 6. — " Del Goethe nel suo Fausto non so che dire. 0 io sono una bestia o quel Fausto è una mostruosa porcheria. Bisognerà aver compassione a quegli Italiani che l'ammirano. Goethe era un uomo dotato di gran fantasia, ma in tutta la sua compagine non c'era un grano di ragione. E sì che in questi ultimi tempi volle anche dar torto a Cuvier in cose di storia natu- rale come se di storia naturale sapesse! A tutto ciò è abbastanza risposto con una fischiata. Goethe fu ambizioso e per esser ambizioso volle parer nuovo e per parer nuovo divenne stra- vagante e ridicolo. Gli Italiani che gli corrono dietro han bisogno di essere avvertiti che da quella loro adorazione per quel famoso tedesco a quella di S. Giacomo di Compostella non c'è differenza. Sono superstizioni. Gridano contro l'imitazione e sono servili scimie ! Se diventassero 180 EMILIA KEGIS — STUDIO INTORNO ALLA VITA DI CARLO BOTTA 34 padroni del inondo, il mondo diventerebbe il Caos, il brutto vincerebbe il bello, il vizio la virtù, il delitto l'innocenza, il disordine l'ordine, ogni mala bestia ogni buona e profittevole creatura. E' sono veramente orrendi mostri „. Lett. a Carlo Ignazio Giulio, 6 die. 1833. — Ined. 7. " Ila le dirò bene che qui i preti buoni, che molti ve n'ha, non hanno grido e nissuno a loro abbada, ma bensì i preti ambiziosi i quali hanno intorno ai loro pulpiti una folta corona di uditori così maschi come femmine e così vecchi come giovani, ma più giovani che vecchi, di quei giovani che portano la barba sotto il mento a guisa del becco per parer del medioevo. Questi preti ambiziosi, per farsi scorgere, vogliono ridurre la religione di Cristo al mistico perchè piace ciò che non s'intende, ed al profano, perchè i piaceri del mondo, ai quali essi tentano di dare spiritualità, piacciono ancor più del mistico e danno giaculatorie. E' fondano la loro autorità sugli inganni del diavolo sotto specie d'angeli; state a vedere che fu l'arcan- gello Gabriello che tirò Rinaldo nei giardini d'Armida. Dal dire che il dolore è godimento (costoro la sanno più lunga degli stoici i quali sostenevano bensì che il dolore non è male ma non già che fosse godimento) al far mostra di malinconia il passo è breve. Evvi pertanto qui modo di malinconia, come già fu di gastrite e d'enterite e chi porta il viso pallido e smunto con barba di becco, è più stimato di moda. Il bello poi si è che questi giovinastri malinconici pranzano ogni giorno fra le grida festevoli e con le amorose nei più lieti ritrovi del Palazzo Reale. Vostra paternità mi domanderà forse che altro fanno in quei ritrovi. Le dirò che bevendo allegramente pieni peccheri di sciampagna e di bordò, si ridono degli imbecilli che credono alle parole ed alle smorfie loro. Uno di costoro diceva un giorno a me: "oh! que la douleur est une chose sublime ! „ Io lo guardai in viso, ei guardò me, io risi ed ei rise e così finì. Ora, a questi giorni predica la quaresima nella chiesa di Nostra Donna di Parigi un prete per nom Lacordaire, grande propagatore, non senza eloquenza e mistico e squisito apologista del dolore. Giovane di trent'anni circa, di complessione debole, di viso pallido e magro (il paragonano a San Giovanni nel deserto) alletta moltissima gente a sentirlo. Havvi un concorso infinito ; le donne in ascoltarlo piangono di tenerezza, si spasimano e fanno giaculatorie ; i giovani il por- tano in trionfo dopo la predica dal pulpito in sagrestia e crederebbero commettere un grave peccato se non andassero alla sua messa, cui dice nella chiesa del Carmine, in quella chiesa appunto dove nel 1793 il popolazzo fece quella crudele carneficina di preti. Costui fu seguace un tempo di quel prete birbante di L ; poi si ritrattò dal pulpito in pubblico, il che fa un poco di Fénelon. Ma non dismise perciò l'ambizione e col dare alla religione cattolica un colore ch'ella non ha mai avuto ed avere non può, cerca a far setta e la fa. L'arcivescovo di Parigi e parecchi vescovi assistono assiduamente alle sue prediche ; non so che pensino. So bene ciò che ne pensa Monsignor Dupont, di nazione savoiardo, già vescovo di Diez ed ora se non m'in- ganno arcivescovo di Avignone, il quale mi disse che la religione bandita da questa setta, non è già la religione di Cristo, ma una corruzione tanto più pericolosa, quanto è più lusinghiera, perchè volge al misticismo ed alle passioni mondane. Essa è il sistema cominciato, or son più di trent'anni, dal Chateaubriand col suo libraccio intitolato " Le Genie du Christianisme „, poi continuato da molti e finalmente proclamato ('?) dal Lamartine. Cercano costoro di dare forma di poesia al cristianesimo cioè poetizzarlo com'essi dicono ». Lett. a St. Marchisio, 14 marzo 1836. — Ined. PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO (ilANNONE MEMOEIA DELLA Prof.a MARIA BEGEY Approvata nell'adunanza del W Aprili: 1903. Verso la metà del secolo scorso Pasquale Stanislao Mancini, venuto esule in Piemonte, intraprendeva la pubblicazione di quelle opere del Giannone che giacevano inedite nel nostro Archivio di Stato, nell'intento di rendere alla memoria dell'infelice suo compatriota un tributo di ammirazione, e farne conoscere tutto il pensiero. La sua fatica rimase incompiuta; soltanto i Discorsi sulle Deche di Tito Livio e la Storia del Pontificato di Gregorio Magno videro la luce. L' Autobiografia non fu pub- blicata che nel 1890 dal Pierantoni che continuando le tradizioni e l'opera dell'illustre suo Maestro, tanto contribuì a richiamare l'attenzione degli Italiani su Pietro Gian- none. Ma un'altra opera di cui non s'erano fatte che poche bozze delle prime pagine rimase quasi ignorata nell'Archivio. Non un vano desiderio di erudizione mi muove alla dura fatica di decifrare i fitti, sbiaditi caratteri che coprono le cinquecento grandi pagine del manoscritto Apologia dei Teologi scolastici; ma il convincimento che se un'opera ha tanto mag- giore importanza quanto meglio serve a segnare la evoluzione del pensiero dell'autore, questa, composta verso il 1739, nel Castello di Ceva, e dedicata a quel Padre Prever stesso che si era occupato della sua conversione, ha un valore massimo, perchè serve a chiarire il punto più controverso della vita del Giannone, quello della sua abiura. I. La notte del 24 marzo 1736 Pietro Giannone, insigne giureconsulto napoletano, che aveva dovuto fuggire dalla patria per le persecuzioni ecclesiastiche dopo la pub- blicazione della Storia Civile del Regno di Napoli, andando ramingo a Vienna, Venezia e Milano, veniva strappato col più nero tradimento dalla bella Ginevra, che gli aveva finalmente dato, coi dovuti onori, la lusinga di una calma, operosa vecchiaia. Quando l'arresto fu compiuto a nome di S. M. il Re di Sardegna, Carlo Ema- nuele III, e la notizia ne giunse a Torino, non pure la città, ma la Corte stessa ignorava chi fosse il prigioniero, e quale il motivo del suo arresto. 182 MAEIA BEGEY 2 Il Marchese d'Ormea, da cui partiva l'ordine, serbava il più assoluto silenzio. Correva voce (e il Conte di Provana ne scriveva al Conte di Rivera) che la Storia Civile " détruisoit la religion de fond en comble „ e girava fra gli uomini colti una critica anonima della Storia Civile, critica che il Provana stesso non si peritava di qualificare per:' " le plus mauvais livre qui ait jamais paru „ (1). Del resto, nessuno in Piemonte discuteva gli atti del Re, e l'opinione prevalente era che i delitti di Stato si puniscono e non si rivelano. Ma lo stesso Marchese d'Ormea sapeva su Pietro Giannone poco più di quanto la Corte Pontificia glie ne aveva fatto conoscere per mezzo del Cardinale Albani. L'eretico autore della Storia Civile non rappresentava per lui che il pegno perchè il concordato convenuto con Papa Benedetto XIII fosse accettato anche dal suo suc- cessore, con vantaggio del Piemonte. Già fin dall'ottobre dell'anno precedente il Car- dinale Albani, protettore dei Regii Stati, aveva ottenuto dal D'Ormea la promessa che il Giannone, sfrattato da Venezia, non avrebbe potuto soggiornare in Piemonte. Ora si trattava di concedere favori e di venire a patti; e l'Albani poteva preten- dere di più. Insinuò dapprima velatamente, e poi in modo aperto, la necessità del- l'arresto del Giannone, e l'Ormea ne impartiva l'ordine al Governatore della Savoia Conte Picon, che lo faceva compiere dallo sgherro Gastaldi. E sarebbe stato pronto a dare il prigioniero " legato al Papa, fin dentro Roma „ (2) se il Re di Sardegna non vi si fosse risolutamente opposto. La Corte di Roma, informata privatamente delle intenzioni del Re, manifestò il desiderio, che, almeno, il Giannone fosse tenuto perpetuamente in carcere, e che la Inquisizione lo processasse. Ma il Re aveva già provveduto (scrisse il d'Ormea al- l'Albani) " a spedire appresso a esso un religioso di probità e dottrina esemplare da cui s'impiegherà ogni diligenza possibile per ottenere il suo ravvedimento, e. se saia possibile, una ritrattazione dei suoi scritti „ (3). Cosi accadde che il Giannone, dopo un soggiorno a Chambéry e al forte di Miolans, fu nel settembre del 1737 tradotto nelle carceri di Porta Po a Torino. Quivi conobbe il Padre Prever ed ebbe con lui alcuni colloquii importantissimi nella storia della sua vita. Il religioso lo persuase ad abiurare, il che egli fece dinnanzi al Vicario Generale del Sant'Uffizio di Torino, il 4 aprile 1738. Passato nel giugno al forte di Ceva, Pietro Giannone vi rimase sei anni, dopo i quali fu ricondotto a Torino nella Cittadella; ove morì il 17 febbraio 1748. Questi i fatti, nella loro cruda verità. I documenti raccolti nei nostri Archivi, l'Autobiografia, le lettere ed alcune memorie scritte dal Giannone, ci permettono di seguire passo a passo la storia dei suoi dodici anni di prigionia, ma non bastano a conoscere la storia intima dell'anima sua. Vista attraverso le scritture ufficiali la vita del Giannone ci appare divisa in due periodi distinti : nell'uno egli è il ribelle che lotta contro la supremazia ecclesiastica scuotendone dapprima la base politica, e poi persino la base religiosa. Nell'altro è il pentito che si umilia dinnanzi all'hi- fi) Manoscritti del Giannone, mazzo UT. Lettera del Conte di Provana al Conte di Rivera, 9 maggio 1736. (2) Lettere del D'Ormea, 1° maggio 1736. (3) Lettere del D'Ormea. 3 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 18ù quisizione, chiede perdono, ringrazia di essere stato tolto ai pericoli in cui prima versava, abiura le sue credenze, e scrive un libro dedicato a quel Padre Prever che lo aveva convertito. In mezzo a questo, una serie di contraddizioni che i biografi spiegano in modo diverso, appoggiandosi all'affinità o alla divergenza delle proprie idee con quelle del Giannone; e una questione dibattuta, ardente: la sincerità della sua abiura. Io credo che per risolvere una tale questione, non basti servirsi di documenti o di deduzioni logiche come si è fatto dal più al meno finora; che, se le lettere e le suppliche, come l'abiura stessa, possono, perchè voluti dalle circostanze, non essere la espressione sincera dell'animo dello storico napoletano, le deduzioni logiche hanno bisogno di essere avvalorate dallo studio di quanto fu nel carcere la manifestazione spontanea del pensiero suo: dalle opere cioè, e particolarmente da quella che egli scrisse a prova della sua conversione: Apologia dei Teologi scolastici, ovvero avvertenza che dee aversi nel leggere i Padri antichi. Dedicata al Molto Reverendo Padre Gio. Battista Prever, Sacerdote della Con- gregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri in Torino. Che cosa rappresenta quest'opera nella storia del pensiero del suo Autore? Anzitutto: quali i sentimenti e le idee del Giannone prima della sua abiura? Pietro Giannone, venuto a diciotto anni a Napoli, solo e povero, munito di poche raccomandazioni e di una cultura filosofica scolastica, si era trovato presso un dot- tore ignorante che doveva insegnargli la legge. Ma il suo ingegno mal si appagava di una vita intellettuale così ristretta ; la conoscenza col dotto sacerdote Spinelli fu il mezzo per cui egli venne a frequentare gli uomini più illustri per scienza e dot- trina che si trovassero allora in Napoli. Da questi egli fu indirizzato agli studi. Napoli era allora di tutte le città d'Italia quella in cui ferveva una maggior vita di pensiero. Soggetta alla sovranità pontificia, ne scuoteva ribelle il giogo, e le questioni di diritto nelle relazioni fra il Regno e la Chiesa, erano dibattute con ac- canimento. Il popolo stava ancora totalmente sottomesso; ma come sempre avviene, i grandi ingegni precorrendo i tempi aspiravano all'indipendenza, e si valevano con tutta la loro tenacia dei pochi mezzi di cui potevano disporre. Gli studi di diritto canonico erano fiorenti ; frequentissime le liti fra le congregazioni religiose e le au- torità civili o le corporazioni di cittadini, e ogni vittoria, come ogni sconfitta, pren- deva un'importanza massima perchè pareva vittoria o sconfitta di quel potere regio la cui indipendenza dall'ecclesiastico i napoletani difendevano strenuamente. " Oh noi sappiamo intendere come nella muta servitù palpitassero i cuori dei nostri padri a queste contese, a queste vittorie „ (1). Così Luigi Settembrini che cre- sciuto nella servitù di quel potere regio dai suoi padri difeso, intuiva l'odio profondo delle anime napoletane contro gli oppressori e il dolore, l'onta della sottomissione. (1) Settembrini, Lezioni di Letteratura Italiana. Napoli, Morano, 1884, voi. Ili, pag. 13. 184 MARIA BEM.Y 4 Erano a Napoli sulla fine del seicento i più insigni giureconsulti di quei tempi : Francesco d'Andrea, l'Aulisio, l'Argento, il Capasso, il Biscardi, il Gravina, il Con- forti ; tutti uniti nel sostenere gli stessi principii. Il Metastasio che visse alcun tempo fra loro li chiamò: " ardente falange antivaticana „ (1). E in mezzo a questa falange si formò la mente di Pietro Giannone. Egli stesso ci fa seguire tutta la strada percorsa dal suo pensiero. Coll'avida sete di apprendere si pose agli studi senza un piano determinato. La giurisprudenza lo portò alla storia; la storia alla filosofia; il campo del sapere si allargò dinanzi a lui coi suoi vasti orizzonti. Ma l'animo suo ardeva di quella passione civile onde avvampavano tutti gli insigni suoi contemporanei; sì che nella filosofia non approfondì molto le idee del Gassendi ne quelle del Cartesio, che prese a studiare di poi ; e nella storia, come nella giurisprudenza, una questione lo appassionò sopra ogni altra: le origini del diritto civile e canonico della sua Napoli. Seguendo le norme del suo maestro Aulisio, egli non indugiò negli studi delle origini del diritto romano, ma cercò attraverso la storia civile ed ecclesiastica dei tempi del Basso Impero e del Medio Evo, come grado grado il potere ecclesiastico si fosse formato. Studio noioso ed arduo, come il Giannone stesso confessa; ma a cui egli si accinse volenteroso, stimandolo necessario " non solo per lo rapporto che avevano coi nostri ultimi tempi, per ben intendere la costituzione delle cose, ma perchè il corso di tanti secoli, quanti sono da Costantino Magno fino a noi, aveva recato mutazioni così stupende, introdotto costumi così strani, ed altre cose porten- tose; che parea che il genere umano stesso si fosse tutto cambiato; e gli uomini fino nel pensare, nei loro discorsi e raziocinii e giudizii non pur nei costumi fossero tut- t'altro da quello che prima furono ,, (2). Non lo distrassero dal suo studio le cause che andava trattando per la sua pro- fessione d'avvocato (una di queste particolarmente ricordata dal Giannone fu la difesa dei cittadini di San Pietro in Lama contro le pretese accampate dal Vescovo di Lecce) ; e accadde anzi, che egli venisse spinto ad approfondire i suoi studi predi- letti da un nuovo fatto. Nelle riunioni di giureconsulti a cui conveniva sì spesso Pietro Giannone, era costume che si trattassero questioni di diritto ora dall'uno, ora dall'altro dei dottori. Toccò al Giannone l'argomento della Storia legale dei tempi bassi; ed egli imprese a svolgerlo ; ma nel progresso del suo lavoro venne a conoscere che non poteva esat- tamente capirsi l'istoria delle leggi se non accoppiandola allo studio della storia civile " per sapere gli autori, le occasioni, il fine, l'uso e l'intelligenza che si era lor data. e per conoscere i varii stati e cangiamenti e costituzioni delle cose che diedero causa a tanti varii e molteplici cangiamenti „ (3). Intimorito dapprima dalla vastità del campo, lo incuorò il conforto degli amici, e, egli aggiunge, " la mia ardente brama „ (4). Così si accinse a scrivere la Storia Cirile, che gli costò venti anni di lavoro. (1) Metastasio, Lettere. (2) Autobiografia, pag. 21. (3) Ivi, pag. 42. (4) Ivi, pag. 45. 5 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 185 Sperava il Giannone che le ragioni laiche da lui dimostrate sì chiaramente avrebbero trionfato delle ecclesiastiche. L'aver aiutato l'Argento in uno studio sulla materia beneficiaria per una lite contro la Corte di Roma, l'aveva spronato sempre più nella sua via " perchè riputava, trattando di quelle contese, di poter porre in più chiara luce i confini che si era procurato di confondere tra l'imperio ed il sa- cerdozio ., (1). I primi quattro volumi dell'opera furono stampati quasi segretamente da Nic- colò Naso, col solo permesso dell'autorità civile; e il Giannone fece sì che a revisore fosse chiamato il Capasso. La Storia Civile del Regno di Napoli uscì nel 1723. Altamente lodata dagli amici dell'Autore, avvilita dai nemici che lo calunniavano, essa apparve ai ribelli come alla Corte di Roma nel suo vero aspetto: non storia, ma rivendicazione dell'indipendenza napoletana dal Pontefice. Gaetano Argento disse al Giannone: " Voi vi siete messo in capo una corona, ma di spine! „. La Curia intuì subito il pericolo dell'opera, e la condannò, spargendo in pari tempo la voce che egli avesse negato in essa il mi- racolo di San Gennaro. Questo fatto suscitò contro di lui il furore popolare, sì che dopo esserne scampato più volte e quasi per miracolo, Pietro Giannone dovette in- dursi alla fuga; e il 20 Aprile 1723 partì da Napoli per Vienna. Fu al suo giungere colà ai primi di giugno che egli seppe la Storia Civile proi- bita dal Sant'Ufficio di Roma : " ut haeresim et minimum sapientes „ . Si tentò con ogni mezzo dai suoi amici di avere la lista delle proposizioni erronee in essa con- dannate, ma invano. Esse non furono ritrovate che un secolo dopo dal Mancini, e pubblicate dal Pierantoni. Basterebbe la sola lettura di queste proposizioni, se già non lo avesse dimostrato il Giannone stesso in tutta la prima parte della sua Autobiografia, per convincere del valore della Storia Civile. I passi condannati riguardano, nella massima parte, l'ingerenza di Roma nella politica del Regno, e l'invalidità delle scomuniche e dei tribunali della Inquisizione. Pochissimi sono quelli che trattano di materia religiosa. L'opera sua è essenzialmente storico-legale, come lo dimostra anche il carattere delle sue difese. Proibiscono il suo libro? ed egli stende il Trattato dei rimedi contro le proibizioni dei libri che si decretano in Roma, e della podestà dei principi in non farle valere nei loro Stati. La validità del " cedolone „ è annullata non .pel fatto che lo si accusa di cose false, ma perchè Roma non ha il diritto di lanciarne alle opere permesse dal Viceré. Si contesta la verità di alcune sue asserzioni? Risponde con una memoria d'indole assolutamente storica per sostenerle. Il solo sfogo dell'animo suo è la " professione di fede „ in risposta al gesuita P. Sanfelice, mordace ironia che distrugge le contumelie e le falsità di cui era pieno il libro dell'avversario, ma che egli non voleva stampata per opporre ai libelli di Roma solo " una modesta ri- serva anche nelle difese „. In Vienna, sì per effetto delle persecuzioni, sì perchè per natura sua il Giannone era alieno da qualsiasi intrigo, campò con poco soccorso, conducendo vita ritirata. L'influsso della città cosmopolita su di lui fu notata da tutti i critici moderni; il (1) Autobiografìa, pag. 53. Seuik II. Tom. LUI. 24 186 MARIA BEGEY 0 Ferrari specialmente ne parla a lungo (1), e dice come trovandosi nella città che era allora il centro dell'Europa (perchè a capo di una confederazione di popoli diversi per forma di governo e per religione), amico degli uomini più illustri, Pietro Gian- none fosse portato agli studi filosofici. Ma io credo di poter affermare sulla scorta di quanto egli stesso scrisse nella sua Autobiografia, e per lo studio delle Opere sue, che se molto poterono su di lui e il luogo, e le conversazioni, e le letture, egli dovette l'opera sua maggiore, il Tri- regno, alla naturale evoluzione del suo pensiero, tratto alla meditazione, quando la vita attiva non gli fu più possibile. Difatti nei primi tempi egli si occupò di questioni storiche, legali, e letterarie financo, e le scritture da lui composte fra il 1723 e il 1731, nel periodo cioè in cui egli fu maggiormente a contatto colla società di Vienna, sono le sue difese, la Me- moria sul Tribunale della Monarchia in Sicilia, quella Sui consigli e dicasterii della città di Vienna, e una illustrazione di una celebre moneta d'oro di Re Luigi XII; tutte, e pel soggetto e pel modo con cui sono svolte, si rannodano strettamente alla Storia Civile. Delle difese ho parlato più innanzi; le due memorie sui due Tribunali di Sicilia e di Vienna sostengono per l'appunto la causa regia contro l'ingerenza ec- clesiastica, e il lavoro storico prova che il Re francese aveva fatto coniare la me- daglia col motto : " Perdam Babilonis nomen „ — per " minacciar Roma e per rin- tuzzare l'ardire e l'orgoglio di Papa Giulio II „ (2). Finora dunque tutte le sue opere hanno un ugual valore psicologico, e caratte- rizzano la prima fase di sviluppo del suo pensiero: la ribellione alla potestà della Chiesa, essenzialmente nel campo politico. Ma più tardi, nell'estate del 1731 deluso nella speranza di ottenere un posto negli uffici viennesi, sdegnato per tutti gli intrighi che dominavano nella città, per opera specialmente degli Spagnuoli, scoraggiato e stanco della forzata inazione, ri- solve di tornare agli studi aspettando giorni migliori. La questione a cui ha dedicato tanta parte della sua vita è oramai chiaramente risolta; egli lascia dunque gli studi storici del basso impero, del medio-evo e dell'evo moderno; e naturalmente il suo pensiero si riporta a tempi anteriori. Volendo conoscere sé medesimo e la condizione umana, riprende gli studi filosofici; ma li accoppia con quelli storici. Egli stesso ci dà il suo piano: " investigare più dappresso la fabbrica di questo mondo e degli antichi abitatori: dell'uomo, della sua condizione e fine; e quanto sopra la terra fossesi col suo discorso e riflessione avanzato sopra tutto il mortai genere e avesse dato principio alla società civile onde sorsero le città e i Regni, il culto e le Repubbliche lasciando la vita silvestre e ferale agli altri animali, ai quali non fu concesso tanto acume, industria e intelletto da potersene spogliare „ (3). Cosi si inizia una seconda fase della sua vita intellettuale, e frutto delle sue fatiche è il Triregno. Il Giannone giunge con quest'opera alla piena maturità, al com- piuto sviluppo del suo ingegno ; e benché non finita, e quindi anche imperfetta nella forma, essa serve a rivelarci tutto il suo credo politico, filosofico e religioso: (1) Giuseppe Ferrari, La mente di 'Pietro Giannone. (2) Autobiografia. (3) Autobiografia, pag. 149. 7 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 187 Meditato e scritto dopo la lettura dei libri sacri e di opere storiche di tempi e di popoli diversi, appoggiato alle opinioni filosofiche che il Giannone si era formate leggendo il Gassendi, il Triregno ha per concetto fondamentale lo svolgersi attra- verso ai secoli della finalità umana: dell'ideale cioè della vita e della felicità. Presso i popoli antichi, come attestano tutti gli scrittori da Mosè a Tacito, se fu diversa l'opinione circa l'origine del mondo e dell'uomo, si riscontra però che il " regno terreno „, la felicità mondana era per tutti il fine della vita; sì che le be- nedizioni e le miserie della terra apparivano come il bene ed il male; e male su- premo era la morte riguardata come un perpetuo profondo sonno. Col progresso dei secoli però, questo primo periodo (che il Giannone, accordandosi coi padri della Chiesa, e particolarmente con S. Agostino, chiama: " epoca di natura „) una seconda epoca giunge. Disceso Cristo sulla terra per redimervi gli uomini, col soffio divino della più pura morale, portò l'idealità nuova : la promessa del regno celeste, della vita d'oltre tomba, dove trovano felicità i buoni, castigo i malvagi. Ma la semplice religione ispirata all'amore, alla eguaglianza, e con pochi riti, si va trasformando. Con Costantino Magno s'inizia la potenza temporale ecclesiastica, che va sempre crescendo, sinché un terzo regno, ignoto agli antichi, il " regno papale „ si stabilisce ravvicinando la religione cristiana alla pagana nella molteplicità di riti grandiosi, ed estendendo il suo dominio non pur sulle coscienze, ma sulle nazioni e sui regni. Il Triregno, variamente studiato, fu detto opera di filosofìa, di storia, di filosofia storica. Ma io credo che il darne un giudizio sia cosa molto difficile e se non è giusta l'opinione di Giuseppe Ferrari, come dimostrò il Mariano (1), che esso preluda i Prin- cipi di scienza nuova, non lo è totalmente, parmi, neppure quella del Pierantoni (2) che lo dice opera di storia ecclesiastica. Il Giannone appartenne al secolo che fondò la filosofia della storia, appartenne a quel periodo che Edgard Quinet (3) caratterizza così bene, in cui le monti umane, non più appagate dal pittoresco racconto delle vi- cissitudini dei popoli, cercano di collegarle fra loro, e di scoprire le leggi che le governano. Pietro Giannone tenta pel primo di riunire la storia di popoli diversi subordinandola allo svolgimento di un concetto; fu dunque il primo passo verso la filosofia della storia, ma senza giungervi. Egli non sa assorgere come il Vico, scoprendo nella storia, con un volo potente dell'intelletto, le leggi che regolano l'ascensione dei popoli verso la civiltà; che il suo spirito di giureconsulto e di storico paziente non ha le larghe vedute del filosofo. E troppo egli è preso dalle idee materialistiche del Gassendi, troppo gli arde nel- l'anima l'antica ribellione, per riconoscere, in tutti i fatti che ha radunati, una legge benefica che scoprirà invece Giovanni Federico Herder. L'opera del Giannone prelude piuttosto, parmi, quella dell'Herder che quella del Vico; se non nel pensiero filosofico essi si avvicinano in una certa maniera di con- (1) Mariano, Giannone e Vico, * Rivista Contemporanea „, maggio 1869 (recensione del libro del Ferrari: La mente di Pietro Giannone). (2) Pikrantoni, Prefazione al Triregno. Roma, 1895. (3) Edgard Quinet, Prefazione alla traduzione francese del libro di G. P. Herder : Idées pour une philosophie de l'histoire de l'humanité. 188 MARIA BEGEY 8 siderare e l'aggruppare i fatti storici. Anche l'Herder (che il Triregno non potè cono- scere) seguì il cammino delle idealità umane, e notò nello svolgersi del Cristianesimo le caratteristiche già segnate da Pietro Giannone. Tutti i Libri XVI1-XIX delle Idee per una filosofia della storia dell'umanità rac- chiudono in breve ciò che il Giannone ba dimostrato nei due grandi volumi del Regno Celeste e del Regno Papale; l'origine elevatissima del Cristianesimo, i pochi sem- plici riti, lo scopo del Cristianesimo di fondare il Regno dei cieli; e poi l'ingrandirsi della potenza ecclesiastica e il formarsi della gerarchia. Se non che il teologo tedesco scrivendo serenamente in un libero paese protestante, tenne conto di ogni fatto come di ogni progresso. Filosofo profondamente religioso, egli, attraverso alla corruzione dei costumi, nel dispotismo della Chiesa " che aveva spento la libertà del pensiero immolandolo sotto le folgori della gerarchia, che aveva incatenato e spento l'entu- siasmo, che aveva fatto persin mettere all'incanto il regno di Dio „ (1), riconobbe un impedimento all'imbarbarirsi dell'Europa, e poi un germe di lotta largamente fe- condo di bene, perchè portò un risultato inatteso per la Chiesa come per i ribelli: l'attività rinascente dell'umanità. Pietro Giannone non poteva giungere a questo. Egli apparteneva al periodo di lotta, vi prendeva parte attiva e il suo libro stesso era un combattimento. La ribel- lione incominciata colla Storia Civile si compiè col Triregno, in cui l'autorità tempo- rale della Chiesa non solo, ma tanta parte della spirituale viene scossa, abbattuta. L'animo tutto occupato dalla passione politica, strettamente attaccato ai suoi principi filosofici, Pietro Giannone non sentì che in quell'affinità di credenze di tutti i popoli, vi era la rivelazione dell'anima umana che si manifesta eguale attraverso ai secoli ; non riconobbe che in mezzo ai cambiamenti e anche agli errori si compieva il cammino dell'umanità verso un ideale religioso più perfetto; non comprese che anche dopo " l'epoca di natura „ gli uomini erano ancora rozzi, che la parola divina doveva penetrare poco a poco le coscienze, ed elevarvi ogni sentimento, e che ai tempi di barbarie la forza stessa può essere legge di progresso, come lo è, delle epoche più civili, l'amore. Noi, pur notandolo, non glie ne faremo una colpa troppo grave. L'opera, oggetto di tante discussioni, e per le verità e per gli errori che contiene, è quale ce la po- tevano dare egli ed i suoi tempi. La sua convinzione politica della indipendenza del potere regio dall'ecclesiastico si ribadisce nel Triregno; fra i tanti fatti che lo studio di cento volumi gli ha of- ferto, quelli che egli sceglie e raggruppa sono tali da provare il suo principio pre- diletto. In filosofia è fedele al Gassendi: del Cartesio egli non ha ammirato, e forse compreso, che il Trattato delle Passioni. E lo si spiega : il Gassendi doveva appagare il Giannone che certo ritrovava in lui delle affinità di pensiero, d'anima. — Il filo- sofo che iniziò la sua carriera con la lotta contro l'aristotelismo doveva affascinare chi tanto detestava la filosofia scolastica appresa nell'adolescenza; quel metodo di ricerca fondato unicamente sull'esperienza rispondeva alle sue idee meglio di ogni altro. Perchè il Giannone fu assai più avvocato che pensatore; i fatti lo convinsero (1) Cfr. Herdeh, Ideen zur Philosophie der Gezchichte der Menschheit. 9 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 189 sempre assai meglio delle speculazioni. Eppoi il Gassendi, spesso, nella veemenza delle discussioni, nei suoi scritti giovanili, trapassava il segno ; e il Giannone aveva per comprenderlo un'ardente, appassionata natura di meridionale. La sua fede religiosa sgorga essenzialmente dalle idee filosofiche e politiche. Il Giannone crede in Cristo e nella sua parola, e accetta tutto ciò che il Cristo ha fon- dato. Così egli si inchina alla morale cristiana, ritiene come dogma il Battesimo e la Cena; ritiene vera l'idea della Risurrezione dei morti all'ultimo giorno. Tutto il resto 10 dà per affare di disciplina ecclesiastica; e se accetta la Confessione in cui vede rivivere l'antico uso ebraico di andare dai sacerdoti quando si era mondati dalla lebbra, si ribella però categoricamente a tutto ciò che tende a legare le coscienze o a frapporsi fra la coscienza e Dio. Non solo nel Triregno, ma anche nell'Autobiografia egli ribatte più volt* su questo concetto. Delineando quella soave figura di donna che gli addolcì colla sua bontà gli anni di Vienna, Ernestina di Leichshoffen, egli pone fra i suoi maggiori elogi il se- guente : " Riponeva in Dio ogni sua fiducia, ed in Gesù Cristo come unico e solo me- diatore fra Dio e gli uomini „ (1). Si ribella pure all'idea che i morti raggiungano tosto il premio o la pena eterna, poiché nell'anticipazione del regno celeste, fatta, egli dice, d'arbitrio della Chiesa, vede il germe del regno papale che tanto detesta. Segue invece il concetto che dopo la morte, quando il corpo si dissolve, l'anima si confonda nella gran massa dello spirito onde s'animano tutte le cose; e che nel giorno finale Dio la richiami dalla gran massa dandole un corpo che avrà forma e figura di quello che un tempo ebbe. Il Triregno, si vede dunque, è, anche incompiuto, l'opera più importante nella vita di Pietro Giannone. Gli studi e le opere precedenti lo hanno preparato; e ve- dremo come ad esso strettamente si rannodino tutto le opere che scriverà dal carcere. Che già si avvicinavano gli anni più dolorosi. Nel 1734, cresciuti in Vienna gli intrighi, per opera degli Spagnuoli, il Giannone perdette anche il suo modesto sus- sidio, e dovette partirsene. Andò a Venezia e vi dimorò qualche tempo, dapprima veduto un po' come sospetto per le calunnie sparse ad arte dai suoi nemici; poi, quando per la bontà del Senatore Pisani già incominciava a fare vita tranquilla, fu, per le mene dei Gesuiti, sfrattato con violenza, nel cuore della notte. Andò a Milano, da cui scrisse, offrendo i suoi servigi, alla Corte di Torino, ma ebbe, invece della risposta, l'ordine del Capitano Generale di partire immantinenti dalla città. Egli traversò allora i Regii Stati, pernottò a Torino sotto finto nome, e andò finalmente a Ginevra. Là fu accolto colla larghezza e colla cortesia proprie di un paese libero ; conobbe i principali uomini della città, per mezzo del libraio Bousquet, l'editore che doveva stampargli gli ultimi volumi della Storia Civile. Là egli credeva di poter finire la vita lavorando serenamente. Ma per sventura le sue previsioni non dovevano avverarsi. La Pasqua si avvicinava. Il Giannone, che manifestava la sua fede religiosa (qua- lunque essa fosse non importa) anche nella sua vita, pensava di soddisfare al precetto cristiano. Ne è a meravigliarsene: poiché, se molto in lui poteva il desiderio di non singolarizzarsi mai, è pur anche vero che egli stesso scriveva di aver indirizzato i (1) Autobiografìa, pag. 186. 190 MARIA BEGEY LO suoi studi di Vienna " unicamente pei- essere di norma nella credenza come nei costumi nel suo essere d'uomo interiore „ (1), né trascurò mai le pratiche religiose. Egli aveva protestato contro i riti della Chiesa per ragioni politiche; ma in fondo il culto esterno esercitava un certo fascino sulla sua natura di meridionale e se detestava le questioni teologiche sentiva però lo spirito del Vangelo. Egli stesso narra che avendo avuto curiosità di visitare i templi dei Protestanti e di udire qualche loro sermone, li vide " vacui, nudi, che ispiravano malinconia e si stupì che le lor prediche non fossero che invettive contro la Corte di Roma „. E disse allora (sono parole sue) " al savio e discreto Turrettino, che entrato era nei loro templi e trovati li aveva peggiori delle moschee dei Maomettani, poiché nelle loro mura, se non son figure umane, almanco son dipinture d'alberi ed animali. Onde tanta avver- sione per le immagini le quali per se stesse sono innocenti e tali da potersene trarre buon uso, o almanco son cose indifferenti? ,, • Xè potei contenermi benanco dal manifestar loro il desiderio che le lor prediche e sermoni si fosser rimaste a sole invettive, ma avesser inculcato ciò di cui il paese ha bisogno; la dilezione del prossimo, la pace fra i cittadini l'astenersi infine da altri vizi e rilassamenti, imperocché il fondamento della religione cristiana, sono la mondezza e la integrità di vita e la sincerità degli atti „ (2). I suoi nemici si valsero della sua obbedienza al precetto della Chiesa per impa- dronirsi di lui, e il modo con cui si tradì Pietro Giannone sarà ricordato con per- petua infamia. Un doganiere piemontese del villaggio di Vesnà, Giuseppe Gastaldi, introdottosi nella famiglia Chéne'vé presso cui abitava il Giannone, lo colmò di cortesie, di affet- tuose proteste di amicizia. Stupì il Giannone di sì improvviso affetto in una persona illetterata; ma nell'anima sua leale dileguò tosto ogni sospetto che potè nascervi. II Gastaldi con frequenti istanze aveva più volte pregato lo storico di recarsi alla sua casa, ma non avendo questi ancor potuto accettare l'invito, il Gastaldi lo pregò di recarsi da lui a passare la Pasqua, sì che il Giannone, che aveva manife- stato il desiderio di adempiere il precetto, avrebbe potuto soddisfarvi più comoda- mente che nell'unica chiesetta cattolica di Ginevra. Le feste si sarebbero passate poi lietamente insieme. Andò difatti a prenderlo in una barca la vigilia della Domenica delle palme e lo condusse sul territorio piemontese, a casa propria. Era col Giannone anche suo figlio, che l'aveva raggiunto fin da quando egli era a Venezia: entrambi pranzarono tranquillamente col Chénévé e col proprio ospite, mentre questi protestava la sua gioia per avere nella sua casa un sì illustre scrittore. Ma quando giunse la notte e il Giannone e suo figlio furono ritirati nella propria camera, un gruppo d'uomini armati di forche, di lancie e di lunghi spiedi, irruppe nella stanza guidati dal Gastaldi stesso, urlando che il Giannone doveva essere arrestato, perchè tale era l'ordine del Re e del Papa. L'infelicissimo storico napoletano era alfine preso col tradimento. Questo fatto accadeva la notte del 24 marzo 1736. (1) Autobiografia, pag. 176. a sotto il Pontificato di Gregorio Magno, p. 117. 11 PER UN'oPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 191 III. L'arresto di Pietro Giannone non segna soltanto il principio degli anni più do- lorosi ; divide pur anche lo svolgersi del suo pensiero per cui comincia nel carcere una nuova vita. Finora, leggendo e studiando libero in mezzo alla società lo spirito suo ha progredito per quella via che meglio era conforme alla sua natura ed ai suoi tempi. Ma ora Pietro Giannone è segregato dagli uomini, i suoi libri e le sue carte cadono nelle mani dei suoi nemici, ottenute anch'esse coll'astuzia e col tradimento; solo dopo tante angosciose suppliche egli riuscirà ad avere qualche volume suo, e qualcuno prestatogli dalla Biblioteca di Torino per la pietà del Marchese d' Ormea. Costretto all'ozio, che dopo una vita di sì intenso lavoro intellettuale doveva riuscirgli insopportabile, egli si rivolge meditando al suo passato; non produce più nulla di nuovo, le opere che va componendo parlano della sua vita e portano l'impronta degli studi anteriori. Nel forte di Miolans in cui era stato tradotto dopo undici giorni di dimora a Chambéry, e dove, dalla bontà del Comandante, il Cavaliere Leblanc, ebbe non solo cure materiali, ma conforto morale, il Giannone scrisse la sua Autobiografia : " Prendo a scrivere la mia vita e quanto siami accaduto nella medesima (dice egli stesso) non già perchè io presuma di proporre ai lettori per esempio da imitare, le virtù forse da me esercitate, e per sfuggire i vizi dai quali fui contaminato, ovvero perchè con- tenesse fatti egregi e memorandi, e fuor del corso ordinario delle umane cose ado- perate Prendo a scriverla ritrovandomi fra le angustie di un castello dove, privo di ogni umano commercio traggo miseramente i miei giorni, e dubitando per la mia età cadente che non dovessi quivi finirla, per alleggerire in parte la noia e il tedio e perchè sento avvicinarmi al fine, rivolgendo nella mente tutte le mie passate gesta, posso ritrarre conforto dalle buone e pentimento dalle ree Ma sopratutto prendo a scriverla perchè sia agli altri di documento e spezialmente agli uomini probi, ed onesti ed amanti del vero, quanto sia per essi dura e malagevole la strada che avran da calcare per passare la loro vita in questo mondo liberi e sicuri fra la turba di gente improba ed infedele e tra l'infinito numero di sciocchi e di malvagi, massima- mente a chi avrà sortito la disgrazia di nascere sotto grave e pesante cielo, in un terreno servo e soggetto e ferace di pungenti spine e d'inestricabili pruni e triboli ; e molto più in questi tempi nei quali, spento ogni raggio di virtù, sembra che l'invida maldicenza, l'ambizione, l'avidità delle ricchezze e degli onori, l'avarizia e tutte le umane scelleratezze abbiano date le ultime prove „ (1). E il racconto si estende dalla nascita dell'Autore sino alla sua prigionia nel forte di Miolans. L'Autobiografia ha una forma molte volte trasandata, ripete più volte i concetti preferiti, s'indugia in lunghe, minuziose e spesso anche noiose narrazioni di fatti e di pettegolezzi storici, si che non potrà dirsi mai vera opera letteraria ; ma essa ha però un'' importanza psicologica grandissima per il carattere di assoluta sin- cerità che vibra in ogni sua pagina. Pare che il Giannone riviva, nel narrarli, gli (1) Autobiografia, pag. 3-4. 192 MARIA BEGEY 12 anni trascorsi. Nei capitoli in cui parla dei suoi studi, dei primi anni del suo sog- giorno in Napoli, di quelli in cui scrisse la Stoi . vi è persino nella forma più spigliata, nel tono più sereno, l'ardore della sua forte gioventù, della sua maturità pensosa ; poco a poco però questa forza scema e al racconto delle prime grandi sven- ture l'accento si fa mesto, si sente che il dubbio, la sfiducia, lo sconforto .cominciano ad insinuarsi nell'animo dell'Autore, cui pesano forse anche gli anni. Ma se egli piega dinanzi alla sventura, si eleva nobilissimo dinanzi alla viltà ed al tradimento. Chiuso in carcere inganna le ore disperate di tedio col lavoro, coll'osservare i fenomeni naturali a lui sconosciuti delle nostre Alpi, col ripensare al passato. Ma l'ultima pagina scritta a Miolans rivela infine tutta la tristezza desolata dell'anima sua. Egli non sa che sia avvenuto nel mondo, dacché ne fu segregato: ° sicché - brami il mio vivere imagine di morte „ (1); non sa che avverrà di lui e del figlio, e teme che la Corte di Roma, non volendo aspettare la sua morte, l'affretti coi disagi e coi patimenti, e poi faccia credere al mondo le calunnie che già da tanti anni va spargendo contro di lui. Ma egli ha scritto la sua vita: " affinchè tutti siano infor- mati dei suoi avvenimenti e sappiano discernere il vero dai falsi rapporti ,. (2). Forse avverrà che qualcuno si muova a compassione e lo ricordi; forse dal suo esempio si accorgeranno gli uomini che la Corte di Roma perseguita quelli che non può confu- tare; e meraviglieranno che essa abbia potuto giungere a tanta potenza. " A me, egli conchiude, che non per odio altrui o per disprezzo, ma unicamente per amore della verità e per investigarla fra l'oscurità dei più incolti e tenebrosi secoli ho sofferto tante fatiche e travagli, se accadrà fra queste alpestri rupi lasciare il corpo esanime, pregherò Iddio che è la Verità stessa, che accolga il mio spirto in pace, siccome per lei ho sofferto tanti strazii e martori, giusto è che finalmente diale tranquillità e riposo. " Pregherò pure i paesani e i viandanti che traversando per questi monti, e do- vendo passare per la Savoia in Francia, calcan la strada donde non molto lontano vedesi il Castello di Miolans, che, volti i loro pietosi occhi al gran sasso sotto il quale giaceranno sepolte le mie fredde ossa, mossi da spirito di pietà lor dicano: Ossa aride e asciutte, abbiate quella pace e riposo che vive non poteste ottenere giammai „ (3). E queste ultime parole dopo il racconto della sua vita colle sue virtù e coi suoi errori rivelano il fondo dell'anima del Giannone. Le poche pagine che seguono ag- giunte di poi non sono che date di giorni dolorosi commentate con poche parole. Nel manoscritto, in fondo alla pagina che citavo dianzi, in carattere minutissimo si legge: " Di nuove pene mi convien far versi ... E nella seguente: " 1737. 15 settembre. Da Miolans giunsi alle carceri della Porta del Po. " 20 settembre 1737, a Torino. " 1738. 27 gennaio 1738, il P. Prever „. (1) Autobiografia, pag. 253. (2) Ivi, pag. 254. (3) Ivi, pag. 255. 13 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNOLE 193 La nota di poi si riferisce ad avvenimenti posteriori, si che se vogliamo sapere il racconto della visita del Padre Prever dobbiamo ricorrere alla relazione che questi ne fece e ad altri documenti del nostro Archivio. I biografi del Giannone hanno accennato, e il Pierantoni e l'Occella diffusamente narrato su tali documenti la conversione dello storico napoletano e ciò che la precedette. Fin da quando il Giannone era a Miolans s'erano fatte delle pratiche per indurlo all'abiura; pratiche a cui egli non accenna nell'Autobiografìa, ne, ch'io mi sappia, nelle lettere, e che dovettero andar a vuoto, perchè l'Ormea così scriveva il 16 marzo all'Albani : " Già s'è dato principio a tentare la conversione del suddetto Giannone, ma finora con poco frutto „ (1), e assicurava che i tentativi verrebbero ripresi. Ormai l'Ormea pensava alla conversione del prigioniero non più soltanto perchè l'Albani la desiderava, ma perchè una lettura del sommario del Triregno lo aveva, egli dice, fatto inorridire, tanto che stimava " un colpo del cielo l'arresto di un uomo sì pernicioso „. Di più, l'abate Pallazzi di Selve aveva esaminato i manoscritti da mandarsi a Roma, e le osservazioni sue sul V tomo della Storia Civile (ancora ine- dite nel nostro Archivio) s'intonavano mirabilmente, sebbene fatte con uno spirito un po' meno gretto, con quelle sui quattro primi, della Congregazione dell'Indice in Roma, Pietro Giannone fu dunque condotto nelle carceri di Torino, giacche era (spie- gava il D'Ormea all'Albani) " il primario oggetto del suo arresto, la salvazione di quell'anima. Cosa che riusciva incomoda e difficile in un castello come Miolans, lon- tano dall'abitato, ove non sono altri ecclesiastici se non il Cappellano del forte „ (2). II P. Prever a cui fu dato incarico della conversione, era sacerdote conosciuto in tutta Torino e per la sua pietà e per l'amore che portava ai carcerati di cui aveva una particolare affettuosa cura, sì che ne veniva riverito ed amato. Quando il Mar- chese d'Ormea gli mandò l'ordine di occuparsi di Pietro Giannone accordandogli sei mesi di tempo, il Prever non lo conosceva e sapeva di lui solo " quanto con rincre- scimento cristiano ne sentivano le anime dabbene „ (3). Tuttavia si accinse fiducioso all'opera: " Grazie al Cielo a cui tutto si deve unicamente attribuire (egli narra) poche visite e conferenze bastarono per toccarli il cuore e farli conoscere, confessare e detestare i suoi mancamenti, essendomi singolarmente valso per illuminarlo d'alcuni testi delle epistole di San Pietro e di San Paolo ; ond'egli poi convinto, commosso e intenerito, mi abbracciò nell'atto che io ne partiva, e mi disse: " Fuit homo missus a Deo „ ed io risposi che avevo appunto la sorte di portare il nome di San Giovanni Battista soggiungendoli che ringraziasse il Signore di una così grande misericordia. " Mi ricordo che nella mia visita gli dissi che non pensasse più ad uscir di car- cere o a mutar stato, mentre qualunque esito avesse avuto la mia ingerenza, sarebbe stato, se buono, utile a lui per l'anima solamente e non per altro, come poi vera- mente così fu, e potei conoscere che ne era persuaso. " Desiderò poi di leggere buoni libri e me ne domandò; onde io gli portai quelli di Sant' Agostino De civitate Dei, come paruto a me il più addatto a maggiormente (1) Tali osservazioni si trovano nel mazzo V°, n. 10 dei manoscritti del Giannone. (2) Lettere dell'Ormea. (3) Relazione del Padre Prever pubblicata dall'Occella a pagina 82 del suo libro: Pietro Gian- none negli ultimi anni di sua vita. Sebib II. Tom. LUI. 25 194 MARIA BEGEY 14 istruirlo e confirmarlo nel suo ravvedimento. Me ne ringraziò e ringraziava conti- nuamente il Signore padre di tutti i lumi e delle misericordie, e siccome ancora mi diceva che Iddio benedisse sua Maestà per averli usata questa carità e cercato il suo salvamento, conoscendo, come pure diceva, ogni di più che al suo arresto doveva la sua liberazione, e soggiungeva che il Cielo lo aveva condotto a Geneva, luogo degli errori, per di là condurlo pietosamente a conoscerli, a piangerli, in una prigionia per lui salutare „ (1). Continuava intanto fra l'Albani e l'Ormea un frequente carteggio. L'Albani ve- niva informato di ogni cosa, e quando seppe da un biglietto del P. Prever al Ministro piemontese che la ritrattazione poteva essere prossima, scrisse che il Segretario di Stato di Sua Santità pregava a nome del Pontefice stesso che " quanto allo stesso Giannone, qualunque sono per essere le sue disposizioni mai non basteranno perchè si pensi a restituirgli la libertà, dovendosi sempre temere di un uomo pernicioso che ha tentato di sovvertire la religione cattolica con massime e principi che affatto la distruggono „ (2). L'abiura ebbe luogo il Venerdì santo, 4 aprile 1738. Il Vicario dell'Inquisizione a Torino aveva ricevute le debite istruzioni da Roma per: " la spontanea abiura- zione „ (3). Anche esse giacciono inedite nel nostro Archivio né sono di grande im- portanza per se stesse: ma tutte le notizie che danno intorno al Giannone, alla sua vita, ai suoi scritti, mostrano come la Curia Romana l'avesse seguito sempre, anche negli anni del suo esilio. (Il che è confermato dai recenti studi del Senatore Pieran- toni, il quale dimostrò che si era tentato anche con altre Corti per ottenere la con- segna dello Storico napoletano !). Terminano con l'ordine di far vedere tali memorie al confessore che, così istruito " potrà disporre ed animare il penitente a fare una pubblica ritrattazione anche a stampa, che vada pel mondo a risarcire li danni por- tati alla sua fama e riputazione nell'essersi acquistato il concetto appresso li scrittori li più dotti e savi di scrittore empio, sacrilego e miscredente „ (4). Il P. Prever aveva fatto tesoro dei consigli: il prigioniero cedette, ed ecco quanto il P. Prever racconta: " Venne intanto il Venerdì Santo di quell'anno, giorno in cui il Padre Vicario del Sant'Uffizio stimò di sentirne se riceveva la ritrattazione ed abiura ed io ebbi il contento di servirgli da segretario. " Questo egli fece colle lagrime agli occhi e colle più affettuose dimostrazioni di un cuore pentito. Onde c'intenerì e prima dell'atto medesimo s'esibì di scriverlo, come fece, di proprio pugno, e si dichiarò pronto a spiegarvi tutto quello dippiù che vi fosse suggerito, essendo intenzione sua che la ritrattazione sua fosse non solamente vera, ma anche intiera, e come per ogni riguardo doveva essere. Fece poi nelle mie mani una confessione generale che mi consolò e ricevette la Santa Comunione Pasquale. Fu indi trasferito al Castello di Ceva e vi stette sino all'anno 1745 „ (5). (1) Occella, luogo citato. (2) Lettere del Cardinale Albani. (3) Manoscritti del Giannone, mazzo V", Memoria, ossia istruzione mandata da Roma al P. Vicario del S. Uffizio di Torino " per la suddetta spontanea abiurazione ,. (4) Idem, idem. (5) Idem, idem. 15 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 195 Riguardo all'abiura, ecco invece quanto scrive Pietro Giannone nella nota del- Y Autobiografia che segue l'accenno alla conoscenza col Padre Prever: " Ai dì 15 marzo, su precedente informazione del medesimo Padre e lettera del Re a Roma fu spedita dalla Santa Congregazione del Sant' Uffizio commissione al P. M. Fra Giovanni Alberto Aferio, Vice-governatore del Sant' Uffizio di Torino di ricevere la mia ritrattazione con precedenti istruzioni per se e il padre Prever mio confessore e direttore della mia coscienza, il quale portatosi in dette carceri col detto Padre ricevè la mia deposizione e in conseguenza la mia ritrattazione secondo l'istru- zione mandata sopra i punti in essa prescritti. " In esecuzione di detta commissione fu data assoluzione di tutte le censure, interdetti, ecc. e data licenza al padre Prever di ricevere la mia confessione e di as- solvermi di tutti i peccati e casi riserbati in Roma al Sant'Uffizio „ (1). Null'altro; ma troppo sono differenti l'intonazione di questa nota e il semplice accenno alla visita del padre Prever, dal racconto che questi ne fece ; troppo dice il verso dantesco che precede le poche parole aggiunte dal Giannone in questi ultimi fogli della sua Autobiografia, perchè anche dopo una semplice lettura il dubbio sulla sincerità della sua conversione non si imponga alla mente nostra. È vero che il Soria la chiamava " un benefizio della Provvidenza „ ; è vero che il Cantù scriveva aver il Giannone domandato " spontaneamente di essere sottoposto al Sant'Uffizio e stesa egli stesso la disapprovazione delle singole sue opere, rifiutando ed abiurando gli errori che contenessero e supplicando perdono dalla Santa Madre Chiesa e da tutti i fedeli dello scandalo dato „. E vero, infine, che un anonimo biografo del padre Prever, facendosi interprete di tutta una corrente di opinioni, ascriveva al padre filippino il merito della " sincerissima conversione „ e stampava che " Nobile e oltremodo gloriosa fu la vittoria che il padre Prever riportò sopra l'avvocato Pietro Giannone, così rinomato e temuto ai suoi dì, per rei principii e per le eretiche mas- sime che iva disseminando dappertutto colle parole e colle opere a stampa „ (2). Ma altri scrittori studiando questo stesso momento psicologico della vita dello Storico napoletano, furono tratti a conclusioni ben diverse. I documenti pongono fuor di causa le opinioni del La Farina, di Pier Silvestro Leopardi e del Settembrini che il Giannone fosse costretto all'abiura, e il Senatore Pierantoni ben giustamente com- batte anche l' idea del Biamonti, che la spiega colla debolezza dell'età senile, meglio disposta, come la prima età, ad essere atterrita e commossa dalle forze arcane della religione. Già antecedentemente però l'abate Lionardo Panzini, scrivendo la vita del Giannone, aveva dubitato della sincerità dell'abiura, supponendo che lo Storico vi fosse indotto dai suggerimenti del suo direttore di coscienza, " o forse ancor più da sé stesso, affin di rendere per questo mezzo più piana ed agevole la via al suo de- siderato scampo „ (3) ; e il Pierantoni, che tutte le idee dei vari scrittori circa il fatto dell'abiura raccolse e pubblicò, si attiene a questa (4). (1) Autobiografia, pag. 256. (2) Vita del Padre Giambattista Prever dell'Oratorio di San Filippo Neri di Torino. Torino, per Giacinto Marietti, 1844, pag. 115-16. (3) Lionardo Panzini, Vita di Pietro Giannone preposta alla " Seconda parte delle opere postume di Pietro Giannone „. In Londra, 1 766. (4) Pierantoni, Autobiografia di Pietro Giannone. Appendice, cap. V, pag. 328. 196 MARIA BEGEY 16 Ma tali affermazioni o dubbi o negazioni non valgono a spiegarla, o pare a me che la causa vera di essa e il suo valore non siano state ancora spassionatamente studiate. Pietro Giannone rappresenta per le sue opere, per tutta la vita sua, il principio di lotta contro la potestà ecclesiastica, e come tale è fatto segno all'amore e all'odio di due partiti. Per comprendere quale fosse l'animo suo è mestieri, io sono convinta, levarsi ben più in alto, e, dimentichi delle proprie opinioni, indagare serenamente la verità. Noi abbiamo seguito lo svolgersi del pensiero di Pietro Giannone : abbiamo ve- duto che all'opporsi politicamente al dominio della Chiesa sul Regno di Napoli, è seguita in lui una ribellione, parziale, è vero, nel campo religioso; ribellione che muove ancora dallo stesso principio politico, perchè non ha radice in un dubbio su- scitato dal razionalismo filosofico, bensì dal crollo che gli studi storici hanno dato alla legalità del potere ecclesiastico, sì che egli nell'avversione sua per quanto da questo potere nacque o servì ad ingrandire, nega tutto ciò che dalla Chiesa si è fatto nel corso dei secoli. Ma accanto a questa opposizione perdurava in lui, sia pur anco errata, una fede religiosa. Pietro Giannone credeva in Dio, tutte le sue opere lo attestano ; già fin dal tempo in cui scriveva la Storia Civile, egli faceva la distinzione fra l'idea reli- giosa e la Corte di Roma, e nelle proposizioni " scandalose, eretiche e prossime al- l'eresia „ la Congregazione dell'Indice aveva posto quel passo del tomo IV, a pa- gina 444, in cui il Giannone dice che " il suo libro sarà da Roma maledetto, ma che egli rivolto al Signore che scorge i cuori di tutti ed a cui niente è nascosto, lo pre- gherà vivamente che lo benedica Egli, ed instilli negli altrui petti sensi di veracità e di amore „. Nel Triregno, in cui sono in sì gran numero le frasi violente e mordaci non pure contro abusi, ma contro istituzioni degne di ogni rispetto, la parola di Cristo, la verità della sua religione di pace e d'amore sono affermate con reverenza. Neil' Autobiografia questi sentimenti si manifestano più chiaramente che mai. a confutazione di quanti vollero fare dello storico napoletano un miscredente; l'ultima pagina che io citavo più su non è forse anch'essa una prova? Pietro Giannone era convinto di essere nella verità. L'aveva cercata con un lungo, paziente lavoro; gli errori suoi provenivano da un accecamento per la passione politica che gli vibrava nell'anima; ma era sincero con se stesso, egli che meditando (nel Tri- regno) una parola di S. Paolo, scriveva: " Se mille Chiese avessero costantemente cre- duto ed insegnato, anzi pei suoi canoni deciso che io abbia a credere per articolo di fede ciò che nelle Sacre Scritture non è ne fu mai riputato per tale, anzi devia e si allontana dagli stabiliti, e se pur non devia sarà una cosa nuova che vi si vorrà aggiungere, che non conduce alla nostra salute, io vi darò l'assenso se lo giudicherò conforme alla ra- gione, ma lo rifiuterò se si allontana da quello che in ciò diceva S. Paolo: Niuno mi ili ve giudicare, anzi io posso giudicare tutti. Perchè in ciò la Chiesa non mi deve fare niuna autorità, perchè non è questa la sua autorità ed incombenza ; né si appartiene a lei di rifoggiare di pianta nuovi articoli, né impacciarsi oltre „. (Sì che se si vorranno stabi- lire nuovi dogmi egli risponderà:) " Ciò non ha niente a che fare colla mia salute, né si appartiene punto a quella religione che Cristo mi lasciò. So quali fossero gli articoli di fede della Chiesa nel simbolo chiamato apostolico, che come provenienti da Cristo e 17 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 197 dai suoi Apostoli sono fondamenti della mia credenza. Fuor di quello io non intendo altro, seguiterò in quello il savii.ssimo ammaestramento di Tertulliano: " Nihil ultra scire, omnia scire est „ (1). Alle pratiche di pietà adempieva dunque non solo, come vorrebbero alcuni, per opportunità, o perchè, come opina il Pierantoni, non volesse essere confuso fra la turba dei novatori, onde potere liberamente attendere alla sua missione " di rinnovare la co- scienza della società civile contro la usurpazione del sacerdozio „, bensì perchè esse si accordavano, e lo vedemmo, colla sua fede. Ne è prova il fatto che le continuò a Gi- nevra, dove non aveva ragioni di prudenza che lo spingessero. Ma gli studi fatti lo con- vincevano che la religione di Cristo si era stranamente mutata attraverso ai secoli ; le persecuzioni sofferte tutta la sua vita, il carcere stesso in cui languiva, ribadivano nell'anima sua il concetto che questa potenza papale era ben diversa dalla soave reli- gione del Salvatore. Con questi sentimenti, come era possibile una conversione? Il padre Prever narra che il prigioniero piegò ben presto, e narra certamente la verità. Ma una conversione improvvisa, che sarebbe psicologicamente spiegabile in chi avesse errato nei principi e fosse raggiunto a un tratto dallo sconforto che prende sì spesso chi non ha alcuna idealità che sorregga la vita, non poteva darsi in lui. Pietro Giannone piegò non ad una forza materiale, ma ad una forza morale: piegò alle circostanze ed ai tempi. Egli temette d'essere consegnato a Roma; sapeva di essere perseguitato dalla Corte Pontificia, e lo disse chiaramente più volte e nell'Autobiografia e nelle lettere e nelle Memorie scritte in occasione dello sfratto da Venezia e del suo arresto. La riconoscenza che professa sì spesso nelle lettere a Carlo Emanuele III è interpretata da tutti gli sto- rici come la riconoscenza per non essere stato consegnato nelle mani dell' Inquisizione. " La ricordanza del pugnale che colpì fra Paolo Sarpi e del laccio che strozzò fra Ful- genzio non doveva essere uscita dalla mente di Pietro Giannone; egli sapeva che i roghi di Arnaldo da Brescia, di Cecco d'Ascoli, di Nicola Franco e di fra Girolamo Savona- rola non erano estinti; egli non poteva avere obliato che dieci anni la Curia Romana insistè perchè le fosse consegnato Giordano Bruno e che da ultimo l'ottenne promettendo che sarebbe punito " clementissime et citra sanguinis effusionem „ e che mantenne la sua promessa facendolo ardere vivo e gittando nel Tevere le sue ceneri come già fece con quelle d'Arnaldo „ (2). Cosi Pasquale Stanislao Mancini. Sperò il Giannone (e ne fa fede il Panzini appoggiandosi alle lettere ed alle sup- pliche che il Giannone scrisse negli anni di carcere) di riacquistare la libertà, sperò certamente di rivedere la moglie, i figli, di riaverne almeno notizie. Dov'erano essi? A Vienna aveva saputo che il fratello si appropriava i suoi beni ; e a Venezia il figlio gli aveva dato notizia della madre e della sorella chiuse in convento ; e il figlio stesso, compagno di prigionia a Miolans, era stato restituito improvvisamente in li- bertà e messo una notte, solo, senza denari e senza appoggi, sulla via d'Italia. Pietro Giannone nulla più sapeva del mondo, dei suoi cari; e anche questa desolazione im- mensa della solitudine morale dovette spingerlo all'abiura. (1) Il Triregno. (2) Parole citate dal Pierantoni nell'Appendice dell'Autobiografia, pag. 325. 198 MAEIA BEGEY 18 Il padre Prever narra bensì di avergli accertato che la conversione gli avrebbe giovato all'anima sua soltanto; ma gli promise d'interessarsi per fargli avere le nuove della famiglia. Così dopo le trattative inutili fatte a Miolans, lo storico acconsenti ad abiurare a Torino. D'altronde ancora una scusa egli poteva trovare con se stesso: dice Giu- seppe Ferrari : " Il Diritto Romano, che era il suo vangelo, gli insegnava che ogni deliberazione fatta sotto l'impero della forza maggiore è nulla, ed egli rientrò nel seno della Chiesa che non poteva desiderare una più categorica disdetta „. Fu una debolezza, è vero, ma Pietro Giannone, sebbene se ne sia da molti vo- luto fare un uomo senza pecca, non era un eroe. Egli stesso ci ha detto sincera- mente nella prima pagina della sua vita, che come in lui non furono estreme virtù da imitare, così neppure estremi vizi o estrema ignoranza da fuggire. Ebbe un in- telletto potente, con cui sorpassò i tempi suoi, si che i contemporanei non lo com- presero ; ma l'animo suo piegò affranto dinanzi alla sventura, perchè non lo sosteneva nella lotta nessuna forza d'amore. Nel cozzo fra l'odio del potere ecclesiastico e quello di chi si ribellava, era naturale che piegasse chi possedeva minori mezzi ma- teriali; poiché l'odio non dà che una forza fittizia che può distruggere, ma che nulla edifica e che non basta da sola a sorreggere tutta una vita di dolori. E umanamente, Pietro Giannone doveva cedere. Fu fortuna per lui ; che le pa- role del padre Prever: " il Marchese d'Ormea mi accordò sei mesi di tempo „ sug- geriscono assai facilmente l' idea che se il prigioniero non avesse ceduto, il Marchese avrebbe insistito presso il Re, e forse risolto per consegnarlo a Roma. Certo è che l'abiura fatta rigidamente colle forme prescritte dall'Inquisizione, senza un accento di sincerità che ci persuada, viene ad appoggiare la verità delle induzioni psicologiche che siamo venuti facendo. L'abiura, pubblicata dal Pierantoni (1) e dall'Occella (2), fu esaminata nelle sue varie parti dal Panzini, in prima, da Giuseppe Ferrari poi, ed entrambi s'accordano nel negarne il valore e per ciò che il Giannone ritratta e per la forma in cui la ritrattazione si compie. Il significato del " se po- tessi, vorrei che fossero annullate tali stampe „ è quello stesso di " ibis redibis non „ . Ciò che egli aggiunge circa i manoscritti mandati in Roma, è in gran parte inven- tato. La scusa che il Triregno non fosse che l'insieme " di cartuccie e di picciole memorie, che secondo che andava leggendo alcuni autori notava, ed ancorché aves- sero relazione fra loro, e portassero seco un groppo di diversi errori, non furono da lui abbracciatj, ma unicamente per notare gli altrui sentimenti „ è scusa che non regge per chi, come noi, ha veduto nel Triregno, benché incompiuto, un'opera orga- nicamente ben costituita, a difesa del suo principio prediletto. Che dire poi vedendo che egli condanna come scandalosa la memoria storica Sul concubinato presso i Bo- mani e abiura le proposizioni " scandalose, temerarie, false, contumeliose, erronee e prossime all' eresia „ che possono trovarsi nella memoria giuridica De Conciliis ac Dicasteriis Urbis Vindobonae? E si noti che non parla dell'opera originale italiana, ma della traduzione latina, di cui può dichiararsi irresponsabile. Insomma, come no- tano tutti, non vi ha neppure un'opinione che chiaramente sia ritrattata. ili Autobiografia di ritiro Giannone. Note e documenti, pag. 531. (2) Pio Occella, Opera citata, pag. 52. 19 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 199 Forse l'Inquisitore e il padre Prever se ne accorsero; ma si appagarono, e l'a- biura scritta e firmata da Pietro Giannone fu pubblicata come il trionfo lungamente atteso, e citata sempre quale testimonianza irrefragabile ogni qual volta la sincerità della conversione fu posta in dubbio. Così si accentuò la controversia fra i nemici ed i sostenitori del Giannone ; il documento, quantunque confutato non nella sua verità storica, ma nel suo valore, servi ad oppugnare le ragioni di chi argomentava avere il Giannone piegato solo per forma. Ma havvi una prova, anch'essa irrefragabile, anch'essa appoggiata su do- cumenti di quel tempo, che avvalora quanto si disse, prova, che per quanto a me consta, non fu portata mai. Ed è la continuità del pensiero del Giannone, che dopo aver salito negli anni di libertà una linea ascendente, acquistando sempre nuovo vi- gore dagli studi fatti, s'allarga ora a dimostrare diffusamente quanto negli studi e nelle precedenti meditazioni ha appreso; il che appare da tutto ciò che egli scrisse durante la prigionia, ma particolarmente, e lo vedremo, dall'opera inedita che ci siamo proposti di esaminare. IV. Ottenuta la ritrattazione, il compito del padre Prever era finito, raggiunto lo scopo per cui si era condotto il prigioniero a Torino: e d'altra parte le vicende della guerra consigliavano d'allontanarlo dalla Capitale ; il povero Giannone fu dunque fatto partire pel Castello di Ceva. Ricominciò allora la dolorosa segregazione dagli uomini, ma una tal vita dovette pesargli ben più che a Miolans, dopo il balenare della spe- ranza della libertà, dopo l'umiliazione dell'abiura, pesante ricordo che aumentava la tri- stezza dell'animo suo. E neppure le notizie della famiglia giungevano; il padre Prever aveva scordato le sue promesse; sì che il Giannone, dopo tre settimane di soggiorno a Ceva, gli scriveva la prima lettera: u Molto Rev. P. Signor mio, " Ormai è scorsa la terza settimana da che giunsi in questo Castello, e non ricevo alcuna desideratissima sua lettera, la quale finora con impazienza ho aspettato, sen- tendo le promesse quali partii per avere opportunità di rispondergli, e con ciò dargli ragguaglio di me e del mio stato. Ho finalmente pregato questo R. Comandante che mi permettesse di scrivere al signor Marchese d'Ormea e nella lettera per S. E. ac- cludeva questa pregandola che la facesse pervenire in sue mani, siccome benigna- mente si è compiaciuto: onde ho dovuto essere io per il primo a rompere il ghiaccio a darle con questa avviso del mio arrivo qui dove, sebbene i primi giorni non avessi incontrata quella salubrità che io speravo, nulla di meno andando ora assuefacendomi al novello clima vado acquistando ora maggiori forze e spero rifarmi dalle prece- denti angoscie che ho sofferto nelle penose carceri di Porta del Po, dove io, se più vi fossi dimorato, avrei sicuramente perduto la vita „. E continua dando notizie sue, e dei suoi sentimenti di convertito, per pregarlo più giù, un po' avvocatescamente, di ciò che tanto gli sta a cuore: " Siccome con- fesso Iddio avermi fatto per suo mezzo un nuovo uomo per ciò che riguarda il mio 200 MARIA BEGEY 20 maggior bene ch'è la salute della mia anima; così credendo essere anche suo divin volere mentre siamo in vita di procurare il sollievo degli afflitti e di raccomandarci la carità verso il prossimo e molto più di quei che sono a noi più stretti e congiunti, così io sono a pregarlo con tutto lo spirito di stradare per Napoli quelle lettere che io confidai alla vostra carità sapendo il sollievo che da quelle medesime può recarsi alla afflitta mia casa ed alle persone che sa che ne han bisogno per toglierle da quella costernazione nella quale saranno non avendo da me riscontro alcuno. Quanto ciò ridondi anche in mio sollievo, ben può immaginarselo e molto più se avrà la bontà le risposte che drizzeranno a Torino a V. R. mandarmele qui per mio ristoro anche bisognando dar quelle provvidenze che io, povero prigioniero, comunque possa dare „. La lettera continua su questo tono: e al fondo, dopo una preghiera perchè gli vengano resi i suoi libri, onde ingannare un poco la noia e il tedio che l'assalgono e confortarsi, finisce con alcune parole che appoggiano saldamente una delle ragioni con cui noi abbiamo spiegata l'abiura del Giannone ; dopo aver pregato il padre Prever che gli ottenesse dal Marchese d'Ormea il permesso di passeggiare pel Castello, dice: " Sapendo che io non sono in stato di fuggitivo, essendomi pienamente abbandonato nelle pietose braccia di S. Maestà, dalla cui clemenza spero la mia liberazione, mi faccia perciò esperimentare gli effetti della sua cordialità ed efficacia e non mi ab- bandoni , (1). Ma questa, la prima di un fascio di lettere e di suppliche che si trova nell'Archivio nostro, e di cui una parte fu pubblicata dal Pierantoni e dall'Occella, dovea restare come quasi tutte le altre senza risposta. Il povero Giannone non ebbe le notizie della famiglia che più tardi, dalle lettere del fratello, del figlio, e dell'amico Canonico Mela. Il P. Prever non si occupò del prigioniero, e per due anni non giunse a ricordarsene se non, egli dice, " nelle sue orazioni „. Il che mi conferma nell'idea che la Curia si fosse accontentata di una ritratta- zione pur che sia, ma avesse assai bene veduto l'inganno. Com'è possibile difatti che i fini critici a cui non sfuggì neppure una parola della Storia Civile e delle opere seguenti, non s'accorgessero che le forinole dell'abiura non avevano alcun senso? L'ordine di Roma era di avere questa abiura; l'Aferio e il P. Prever la presero quale la poterono ottenere, riserbandosi ad ottenere di più in una migliore occasione. Narra il Giannone in una lettera scritta al D'Ormea, il G luglio 1738, che il giorno innanzi della partenza per Ceva il P. Prever gli comunicò che i Cardinali del S. Uffizio di Roma avevano scritto all'Aferio perchè la ritrattazione " distesa con molta fretta „ fosse rifatta dal penitente a prova maggiore della sua lealtà. Al che acconsentì il Giannone, a patto però che prima passasse per le mani di S. M. e pregò il Prever stesso d'informarne il D'Ormea. L'esito di queste trattative noi non sappiamo, che non ce ne danno notizia altri documenti; ma il P. Prever comprese certo che era inutile insistere; e d'altronde egli, che tante volte aveva discorso a lungo col Giannone, non aveva certo potuto illudersi sullo stato dell'animo suo; prova ne sia che per convertirlo fece appello, non tanto alle convinzioni di lui, quanto ai (1) Mss. del Giannone. Questa lettera trovasi in appendice all'Autobiografia, pag. 333. 21 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 20* suoi sentimenti. E io non sono neppure lontana dal credere che, non ostante la sua affermazione che l'abiura doveva giovargli solo moralmente, il P. Prever non avesse tolto al prigioniero l'illusione di una futura libertà. Ma ottenuto l'intento, egli non ci pensò più : alle tante lettere che il Giannone gli scrisse nei suoi anni di Ceva, rispose due volte sole! E nel triste racconto della prigionia del Giannone, la figura del P. Prever che spese tanto amore per i più vol- gari delinquenti e fu sì duro coll'infelice storico nostro, lascia un ricordo doloroso, e suggerisce riflessioni molto amare. Comunque sia, ai primi freddi il Giannone si ammalò. Dice l'Autobiografia: " In novembre caddi infermo e durò la mia grave infermità per tutto il febbraio del 1739. " 1739. Fui con carità assistito dal Sig. Cav. De Magistris. " Liberato che fui dalla malattia cominciai a stendere dai miei cartoni i Discorsi di Tito Livio nel principio di marzo e gli terminai ai dì 15 di maggio e furono mandati a Torino con lettera al Signor Marchese d'Ormea, pregandolo di presentarli al Re, a cui erano dedicati, li 8 giugno „. Il Cav. De Magistris fu, come già il Leblanc, pietoso verso l'infelice. Le condi- zioni materiali del Giannone non erano così penose come a Torino, salvo il clima che non gli si confaceva, e per la natura sua di meridionale, e per l'avanzata età. Ma le condizioni morali ! Oh l'agonia della solitudine che aumentava mano mano che gli anni passavano e s'affievoliva la speranza di tornare in libertà! Le lettere e le suppliche del Giannone ci rendono tutta la tortura dell'anima sua. Vi era in lui una vitalità possente che lo riconduceva a sperare giorni migliori non ostante che l'espe- rienza dovesse apprendergli quanto ciò fosse vano. Ad ogni occasione egli scrive, supplica, parla del suo pentimento, della sua vecchiaia, del suo dolore, offre i suoi servigi: inutilmente! La visione del paese lontano, della casa dove ha vissuto <*li anni migliori della sua vita, pensando e lavorando sereno, allietato dall'amore e dalla natura ridente, ritorna con insistenza. Egli chiede sempre che lo si restituisca alla famiglia sua, alla villa delle Due Porte. Ma gli anni passano uguali; l'alternativa della speranza e dell'abbattimento comincia ad affievolire la sua fibra. L'angoscia lo afferra più desolatamente, la noia, il tedio diventano sempre maggiori. Egli cerca di vincerli lavorando continuamente. Dapprima lo sorregge la speranza che il suo ingegno lo libererà e scrive un libro dedicato al Re, e protesta il suo ravvedimento dedi- candone un altro al P. Prever ; svanito il sogno, scrive ancora, e compie l'opera sua facendo lavori d'erudizione, notando pensieri suoi, osservazioni. Così occupa le lunghe ore della sua prigionia. Quanto egli lavorasse ce lo dimostra il fatto che in tre mesi fu compiuto il libro dedicato al Duca di Savoia, il figlio giovinetto di Carlo Emanuele III. Il vo- luminoso manoscritto dei Discorsi storici e politici sopra gli Annali di Tito Livio (pubblicati solo cento e venti anni dopo da Pasquale Stanislao Mancini, cui le mol- teplici occupazioni di una vita operosissima, e la morte prematura, vietarono il com- mento e lo studio della vita di Pietro Giannone), costituiscono l'opera più importante compiuta durante la prigionia di Pietro Giannone. Egli era senza libri: ma lo soc- corse il materiale vastissimo accumulato nei suoi studi di Napoli e di Vienna. Certo lo animò anche la speranza di far rivivere in opere permesse dalla Chiesa il pensiero Seme II. Tom. LUI. 9R 202 maria beci:y 22 suo, l'opera sua dalla Chiesa distrutta; perchè egli non osava davvero sperare che il Triregno sarebbe uscito incolume dalle mani della Curia, e pubblicato integralmente un secolo e mezzo dopo la sua morte! Pensati e scritti " fra le tenebre e angustie di una misera prigione, fra le soli- tudini di alpestri monti, fra quegli incomodi e disagi che ciascuno può promettersi dalla vecchiaia e dalla tristezza dell'animo ,,, i Discorsi sono offerti al Re Carlo Ema- nuele III " per la riconoscenza d'avergli impetrato il perdono della Chiesa, e per rimediare se nei suoi libri precedenti avesse errato o dato occasione di errare; sì che alcuni i quali prima avessero per avventura seguite le vestigia di un Pietro negante, seguitino ora le pedate dello stesso Pietro penitente „ (1). Ma sono scritti però pel giovane Vittorio Amedeo, perchè egli apprenda come da piccoli principii sorgano gl'imperi, e si facciano grandi e potenti. Meglio di ogni altro storico Tito Livio si conviene all'educazione di un giovane principe di Casa Savoia, che deve seguire le orme degli illustri suoi avi ; meditando le antiche storie egli si accorgerà in breve: " di molte verità le quali dal giovanile animo sgombere- ranno i tanti comunali (sic) pregiudizi ed i molti errori ed inganni nei quali la più parte degli uomini vive, sicché, resosi animoso e forte con maggior franchezza ed ardi- mento opererà cose grandi e sublimi e si disporrà ad imprese nobili e magnanime „ (2). Ma sopratutto, vedendo quanto: " i savi e prudenti romani, ancorché fossero persuasi della vanità della gentile religione, con tutto ciò procurassero di mantenerla salda ed incontaminata presso i popoli soggetti, e ne prendessero sempre la difesa, capirà quale cura, a più forte ragione, egli debba avere della religione cristiana „ . " Si convincerà infine a quanti pregiudizi ed inganni stessero sottoposte le menti umane, a quanti fascini, a quanti comuni errori dai quali liberato il Rea! animo di V. A. R. potrà con maggior franchezza e coraggio accingersi ad opere grandi e magnanime non meno conformi all'aspettazione che tutti dalla nobil anima e dal- l'alto e sublime ingegno dell' A. V. R. si promettono degne di una progenie cotanto rinomata ed illustre „ (3). Oh come già sin d'ora scorgiamo la sottile insinuazione che celano queste pa- role! Umilmente il Giannone aveva assicurato a Carlo Emanuele III di dimostrare le verità cristiane e la stabilità della Chiesa di Roma sopra tutte le altre del mondo cattolico. Umilmente aveva chiesto che l'opera sua fosse messa nelle mani di un revisore prima di venir data al Principe reale. E il revisore lesse, attraverso le righe. il senso recondito dell'opera, e la condannò a cominciare da questa stessa prefazione. Pietro Giannone seguì passo passo la storia di Roma. Ma il fine suo fu assai meno d'indagare le vicende antiche che di svegliare nell'anima del futuro re la cono- scenza degli errori e dei fascini che avevano soggiogato le menti umane e diminuita l'autorità imperiale: il libro lo dimostra chiaramente. Non è storia la sua, è ancora la difesa dei suoi principii prediletti. I tredici discorsi che costituiscono la prima parte dicono come fu scritta la Storia da Tito Livio; parlano della favolosa origine di Roma, e poi, ampiamente, (1) Discorsi sugli Annali ili Tito Livio. Dedica a Carlo Emanuele III. (2) Discorsi sugli Annali di Tito Livio. Prefazione al Real Principe Vittorio Amedeo di Savoia. (3) Ivi. 23 PER UN'OPKEA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 203 del sorgere della religione romana e del suo alterarsi attraverso i tempi. Loda il Giannone la franchezza di Tito Livio nel censurare la religione dei suoi tempi, come la larghezza di pensiero di Augusto che lo permise. Tutta questa parte ha dunque un carattere particolare: e la conclusione che l'autore stesso ne ritrae è questa: I romani, pur avendo una religione ristretta nei suoi fini alla felicità terrena e senza il concetto della vita oltremondana, furono grandi, sì che le loro azioni oggi ancora ci servono d'esempio. I cristiani che hanno una religione più perfetta non sono dunque maggiormente responsabili se malvagi? Ebbene, i maggiori scellerati sono appunto, al tempo del Giannone, quelli " che più ci credono „, e nascondono sotto un'ipocrita umiltà ogni sorta di vizi. Ah come tutti questi pensieri dovrebbero farci arrossire! " Se daddovero (egli finisce) e seriamente gli uomini a ciò riguardassero, forse il clero amerebbe ritornare alla antica disciplina ecclesiastica, i monaci ai loro primi austeri istituti, e i secolari stessi, se non popolare i boschi e le solitudini di romiti, di anacoreti, porgere esempio di abnegazione e di civile onestà conformi alla civiltà dei tempi e alla sublimità delle cristiane credenze „ (1). La seconda parte segue la storia delle conquiste romane, notando le leggi ed il modo di governare le provincie soggette e il crescere della potenza della Repubblica. È la storia, egli dice, dei romani guerrieri coraggiosi e forti, dei romani sapienti e giusti, legislatori prudenti. Ma come già nella prima parte, ben presto le considera- zioni politiche-religiose si fanno innanzi. Dopo aver parlato a lungo del censimento della Giudea, del formarsi della religione cristiana e del suo diffondersi in Roma a causa principalmente, egli opina, delle persecuzioni giudaiche, passa a mostrare come il Cristianesimo s'allarghi per tutto l'orbe. L'ultimo Discorso, il XVIII, serve di conclusione a questa parte, ha per titolo: " Come Roma quantunque per la decadenza dell'Impero avesse perduto il pregio, con più felici auspici ne acquistasse un altro maggiore nell'essere divenuta capo di tutto il mondo cattolico „ . Ma qui pure egli trova modo di abbattere la potenza temporale ! " Il capo che trovossi nello scavare del Monte Tarpeio per aprire le fondamenta al tempio di Giove, non al mondano imperio ma allo spirituale avrebbe dovuto riferirsi, pregio tanto maggiore quanto sono più degne l'anima del corpo, le cose spirituali delle terrene „. Il libro si chiude con una pagina vibrante d'amore per l'Italia, calda pagina di entusiasmo, in cui esorta gli Italiani, pur conservando illesa l'autorità spirituale del cattolicismo, a riacquistare l'antica disciplina, " e preposti a loro guida i Principi in nazionali intraprese „ si mostrino non degeneri dei loro antenati; sì che gli stranieri apprendano e confessino : In questa bella Italia esser la sede Del valor vero e della vera fede. Un secolo doveva passare prima che il grido del povero prigioniero trovasse eco nel cuore degli Italiani! E il censore intanto, leggendo minutamente i Discorsi notava ogni parola che potesse essere sospetta. Forse fu l'abate Pallazzi di Selve che esaminò questa opera; lo fa credere il (1) Discorsi sugli Annali di Tito Livio, pag. 247. 204 MAIÌIA BEGEY 24 fatto che egli è l'autore pure delle osservazioni fatte al V Tomo della Storia CiviU . e che a lui furono consegnati per esaminarli anche tutti gli altri manoscritti del Giannone riavuti da Ginevra. .Sono osservazioni critiche fatte con mente fredda ed attentissima ; il vero motivo per cui il Giannone aveva scelto Tito Livio per ammaestrare Vittorio Amedeo ap- pare tosto all'occhio suo; cosi lo accusa di lodare troppo la franchezza di Livio nelle sue censure politiche e religiose e la tolleranza di Augusto, segno certo che egli vuole criticare la censura della Chiesa dei suoi tempi e propugnare la libertà di stampa, tanto dannosa alla religione. Nota poi qualche eccessiva libertà di frase, ritrova il pensiero (già condannato nella Storia. Civile) che le profezie e i libri sacri non siano divini. Anche la conclusione della prima parte è biasimata : " Forse, dice il Censore, non fu fatta che per aver agio di criticare i monaci e il clero ,.. Forse! Meno importanti le osservazioni fatte alla seconda parte. Ciò che al Censore più spiace qui è la frequenza dei paralleli fra la religione pagana e la religione cristiana; già precedentemente egli aveva notato che queste comparazioni " suonano male negli scritti di un uomo sospetto „. L'abate Pallazzi di Selve non poteva certamente ne comprendere ne approvare che studiasse nelle manifestazioni religiose diverse, lo spirito umano, e contrad- disse vivacemente il Giannone in un punto in cui egli chiamò: più divino il cristia- nesimo delle altre religioni; che nota, censurando, anche la giudaica ha le stesse origini divine, e la pagana è poggiata tutta su un falso fondamento. Del resto, non sono queste che osservazioni parziali : il critico ha veduto più in là e noi dobbiamo dargli ragione nel fatto d'aver trovato quanta parte degli orribili manoscritti a lui affidati prima d'essere mandati a Roma, riviveva nella nuova opera di Pietro Giannone: " Sembra che possa congetturarsi che l'autore ritenga per altro le idee che aveva espresso nei suoi manoscritti: Del Regno terreno e celeste „ (1). Dal che egli concludeva " che una tal'opera non era adatta alla lettura di alcuno, ma principalmente degli animi teneri ed imbecilli „. L'opera andò dunque a coprirsi di polvere negli archivi. E intanto Pietro Gian- none, sempre sperando, scriveva e lavorava assiduamente nella sua prigione. Le ultime note dell' Autobiografia dicono a questo punto: " 1739. A 4 di Novembre di nuovo mi infermai dell'istessa malattia, non così forte come l'anno scorso, e mi durò due mesi con tre altri mesi di convalescenza. • 1740. Quest'anno per gli eccessivi freddi e per la morte di Papa Clemente XII seguita a' 6 Febbraio fu memorabile siccome per l'elezione del nuovo Papa Lambertini seguita li 19 Agosto. Ma assai più memorabile per la morte dell'Imperatore da me saputa la Domenica 30 Ottobre, seguita in Vienna li 20 dello stesso mese. Pure ai (1) Queste osservazioni furono pubblicate dal Mancini, in appendice al volume: Discorsi sugli Annuii di Tito Livio. 25 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 205 principii di Novembre mi infermai, e durò la mia grave malattia fino ad Aprile del seguente anno „ (1). Null'altro si legge più. Ma sappiamo dal carteggio del Giannone che quasi ogni anno egli si riammalò ai primi freddi. Né egli se ne lagna, ne invoca la morte. La forza del suo spirito vince quella del suo debole organismo; egli non si rammarica delle sofferenze fisiche, non si cruccia che per la noia della solitudine e dell'inazione. Appartengono a questo periodo della sua vita due consultazioni legali che egli diede essendo detenuto a Ceva, l'una intorno al testamento di un avvocato Bombini, l'altra intorno alla natura dei feudi posseduti dal Marchese di Ceva, ma sono poca cosa. In quel castello, dopo i Discorsi sugli Annali di Tito Livio, Pietro Giannone scrisse tre altre grandi opere: l'Apologia dei Teologi scolastici, la Storia della Chiesa sotto il Pontificato dì Papa Gregorio Magno e L'Ape ingegnosa. Diverse nella forma, poiché la prima è critica di libri e di opinioni dei Padri della Chiesa, la seconda è storia ecclesiastica, la terza un insieme di riflessioni filo- sofiche, tutte e tre rivelano, e lo vedremo, le stesse caratteristiche delle opere ante- cedenti già esaminate. Io pongo l' Apologia dei Teologi scolastici prima della Storia della Chiesa --otto il Pontificato dì Gregorio Magno, quantunque non abbia trovato alcun documento che dia la data della sua composizione, e anzi il Mancini pubblicando le opere scritte in carcere dal Giannone la ponesse al terzo posto, e il Pierantoni nelle pagine che ag- giunse alla Vita del Giannone, segua quest'ordine. E ciò per alcune ragioni che mi paiono degne di nota. Noi sappiamo soltanto, è vero, che il Marchese d'Ormea, cal- damente supplicato dal prigioniero, di mandargli qualche libro, gli fece tenere sui primi del 1740 le opere di Lattanzio Firmiano, di Sant' Agostino, e più tardi quelle di Gregorio Magno. L'Apologia non ha data, laddove la Storia della Chiesa sotto il Pon- tificato di Gregorio Magno porta all'ultima sua pagina: " 12 Settembre 1742 „ e l'Ape ingegnosa: " 16 Agosto 1744 „. Ma panni logico il pensare che l'Apologia fosse scritta subito dopo i Discorsi, perchè era naturale che dopo essersi rivolto al Re, il Gian- none provasse a rivolgersi al Padre Prever. E una lettera che il 12 aprile 1739 scrisse il Padre Prever al Giannone allude appunto ad un' opera promessagli , che doveva essere per certo l'Apologia. '• ill° Signore e Padrone Colendissimo, " Molto mi ha consolato la sua lettera, la quale già da tanto tempo desideravo; mi ha consolato si per li sentimenti savi e pii, e da buon catolico che ha conservato nel suo cuore, come mi ha dimostrato in essa ; si ancora per l'opera intrapresa con animo di perfezionarla per estinguere affatto quanto di scandalo habbia arrecato per lo passato alli huomini e per leuar via ogni ombra di timore di tornare a ricadere nelli errori scorsi. Iddio che li ha guarito dalla longa infermità di quattro mesi lo ristabilirà per poter occuparsi saviamente nella sudita „ (2). Inoltre all'Apologia, finita coll'esposizione critica delle opere di Sant'Agostino, fu aggiunto posteriormente un VII libro, che tratta delle epistole di Gregorio Magno. (1) Autobiografia, pag. 257. (2) Lettera del Padre Prever. Manoscritti del Giannone, mazzo III. 206 MARTA BEGEY 26 Tutto induce a credere che quest'aggiunta fosse fatta, dopo che profondamente il pri- gioniero le aveva studiate per la terza opera sua. D'altra parte io credo che V Apologia debba studiarsi a questo punto della vita di Pietro Giannone, per lo svolgersi del suo pensiero. Nei Discorsi sulle Deche di Tito Litio egli aveva riaffermato il concetto della indipendenza del potere civile da quello ecclesiastico; e pur accennando a molte idee filosofiche del Triregno, l'opera sua aveva un carattere essenzialmente politico, e si rannodava strettamente colla Storia Civile; ebbene l'Apologia ci porta invece nel campo filosofico e religioso. L'esame paziente che ne faremo ci rivelerà che in essa rivivono, modificate nella loro forma, le due prime parti del Triregno; laddove la Storia della Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno continua il Triregno, nella parte del Regno Papale di cui il Giannone non aveva potuto abbozzare che l'indice. L'Apologia dei Teologi scolastici si apre con una lunga ossequiosa lettera che serve di dedica al Padre Prever, e di prefazione, poiché svolge il concetto generale di tutta l'opera. " Al molto Reverendo P. Gio. Battista Prever, Sacerdote dell'Oratorio della Congregazione di San Filippo Neri in Torino. "In questa mia solitudine, fra' deserti monti delle Langhe, per alleviarne in parte la noia e il tedio, e perchè vieppiù si avanzasse il mio cammino per quella strada nella quale V. R. mi pose dello studio delle cose sacre e religiose, ben proprio e conveniente alla mia vecchiaia, richiesi alla S. V. di alquanti libri Ma fuor d'ogni mia aspettazione non mi furono resi che quelli di Lattanzio Firmiano e Sant' Agostino „. Segue la lettera narrando che pur tuttavia ne rese vive grazie al P. Prever e che a sollievo dell'afflitto suo cuore e dell'infelice prigionia si diede allo studio di tali opere. Così : " dopo profonde considerazioni maggiormente mi confermai nel con- cetto ch'io teneva dei Padri antichi, e conobbi che in questi felicissimi tempi nei quali i sacri studi si sono cotanto avanzati e quasi posti nell'ultimo punto di perfe- zione dai nostri ultimi scrittori ecclesiastici, i vecchi Padri devono sì bene vene- rarsi ed aversi in somma stima ed altresì adoperarsi per ciò che riguarda l'istoria e la disciplina ecclesiastica dei loro tempi, ma non già proporsi agli studiosi per principal materia, anzi tale occupazione dei loro ingegni intorno alla quale dovessero unicamente aggirarsi, sicché non curando i nuovi scrittori e forse disprezzandoli, do- vesse abbondarsi nei sentimenti dei vecchi, adottando la lor dottrina così per ciò che riguarda il dogma come la morale e la disciplina, facendone rapporto con quel che presentemente tiene ed insegna la nostra comune Madre Cattolica Chiesa Romana. Cadrebbesi ciò facendo in molti gravissimi errori, in manifeste eresie, in portentosi e strani delirj ed in isconci paralogismi. Si piomberebbe in tante contraddizioni, confu- sioni e scompigli da metter sossopra e come in un caos tutta la morale, la dottrina e la presente disciplina della Chiesa. " A questo fine io reputai esser sempre più utile e sicuro rivolgere ed aver nelle mani non già i vecchi, ma i nuovi ed accurati scrittori, i quali con sommo studio e molta critica, non discompagnata da profonda dottrina ed erudizione, non solamente 27 PER UX'oPERA INEDITA DI PIETRO GIANXONE 207 han saputo meglio illustrare i nostri libri sacri, esporli più nettamente senza enimmi, inviluppi e mistiche intelligenze, ma eziandio accomodarli al sistema presente secondo i nuovi lumi e le nuove determinazioni della Chiesa; e nel tempo stesso avvertire anche i lettori dei tanti errori dei Padri antichi, acciò quelli dovessero attentamente usare e con molta cautela leggere, né ciecamente abbandonarsi alla loro autorità, senza prima farne esatto scrutinio e diligente esame. Conoscerà V. E. da questa opera, che a torto sono incolpati i teologi scolastici de' secoli a noi più prossimi di aver conturbata la divina parola, trattandola come una scienza mondana e quasi essi fos- sero stati i primi ad aprirsi un più largo campo e ad aggiungere alla teologia umana ragioni tratte dalla filosofia e dalle altre scienze terrene, e di aver corrotta la mo- rale, e con ciò posto il tutto in disordine e confusione. Al paragone di quel che i primi teologi fin dal primo secolo della nascente Chiesa, e de' seguenti, fecero me- scolando le cose divine colle umane, spariscono gli errori ed i vaniloqui di questi secondi, i quali ne divengono tanto più scusabili, quanto che da' vecchi Padri li appresero, e in questi si trovano le prime origini e le prime cagioni di tanto male. Conoscerà ancora V. R. che quantunque le opere di Sant'Agostino, le quali si è avuto studio di mandarmi, in ciaschedun volume portino in fronte questa sicurtà e malle- veria: " Curavimus removeri ea omnia, quae fidelium mentes haeretica pravitate possent inficere, aut a catholica et orthodoxa fide deviare „, nulla dimanco troppo neghitosi e melensi furono questi espurgatori, i quali invece di darci un Sant'Agostino a lor credere purgato e limpido, il resero guasto ed inutile. Non è questa la via di darci corretti con nuove stampe i Padri antichi, ma quella a' nostri tempi tenuta dai più dotti e prudenti editori, spezialmente da' Benedittini della Congregazione di San Mauro, i quali quelle opere tutte intere, non tronche, non mutilate, ci han date cos'i come furono scritte, e con dotti e savii avvisi hanno avvertito i lettori della presente disciplina e delle nuove determinazioni della Chiesa, affinchè non si inciam- passe negli antichi errori e si sapesse che quel che prima era variamente tra' Padri antichi disputato, oggi da' Concilii della Sede Apostolica trovasi deciso ne può più cadere in controversia, sicché quella credenza dovesse tenersi che dalla Chiesa ora s'insegna e professa, senza invilupparsi fra le antiche dispute, e i discordanti pareri. " Male de me aduni foret . se dovessi oggi conformarmi a quelle antiche cre- denze; io mostrerei così a nulla essermi riuscite le affettuose Sue esortazioni da Dio ispiratele, e per le quali fui ridotto a cercar perdono delle mie follie ed a ritrarmi de' miei passati errori. ■ Tutte le quali cose Ella conoscerà chiaramente da quest'opera, la quale ho vo- luto indirizzare alla sua carità e piacevolezza in dimostrazione delle tante obbliga- zioni che le profésso, e porla unicamente sotto i purgatissimi Suoi occhi e ne' secreti recessi del Suo cuore, pregandola a non confidarla ad alcuno, affinchè non potendo per le sue pietose occupazioni aver tempo di leggere tanti volumi, abbia un saggio della dottrina di quei primi Padri ed avverta i suoi allievi nello spirito di essere cauti ed attenti nella lezione dei medesimi „ . La lettera finisce chiedendo venia se si citeranno anche opinioni di teologi pro- testanti per spiegare e combattere le teorie degli antichi Padri; adducendo che Sant'Agostino stesso citò i Donatisti, Tertulliano, ed altri scrittori ancora, già sospetti di eresia. 208 MARIA BEGEY 28 L'opera si compone di due parti: la prima di esame critico in generale delle dottrine degli antichi Padri della Chiesa; la seconda di esposizione critica speciale dei libri di alcuni Padri. La prima parte comincia con un capitolo che tratta delle origini onde nei primi della Chiesa derivarono tanti disordini ed irrori. Queste sono per lui le discussioni degli antichi teologi, che mescolando la filosofia pagana colla rivelazione cristiana cominciarono a disputare circa l'origine del mondo, la durata e il fine; sopra l'uomo, la natura delle anime umane, sulla loro immortalità, sul loro stato dopo la morte dei corpi e sulla resurrezione dei medesimi ; e in fine sullo stato delle anime separate dai corpi prima della loro resurrezione e del giudizio universale. Un' altra cagione fortissima di confusione e disordini, trova l'Autore nelle predicazioni dei visionari che tanto abbondavano nei primi secoli del Cristianesimo. Nuovi instituti e nuove massime si introdussero così poco a poco dalla Chiesa circa al governo civile ed alla potestà dei principi, " onde segue tanto cangiamento nelle leggi e nei costumi „ (1). Cosi si intromisero i Padri non solo circa i matrimoni, i divorzi, le seconde nozze, ma anche nel reggimento dell'orbe romano, nella milizia e nella professione delle armi, nei giuochi, nelle feste e negli spettacoli ; s'intromisero — audacia anche maggiore — ■ nelle leggi contro l'usura e nella punizione degli eretici. La fine di questa prima parte verte sull'austera morale dei primi Padri, sull'abuso di interpretazione da essi data ai libri sacri ; motivo per cui riempirono le loro scrit- ture ed il mondo di questioni vane e ridicole, tanto sopra il nuovo quanto sopra il Vecchio Testamento, e caddero in tanti errori storici e cronologici, ormai emendati dai moderni savi scrittori. La seconda parte comprende gli ultimi sei libri. Dapprima analizza le opere che Lattanzio Firmiano, professore di eloquenza romana in Nicomedia di Bitinia, " ad esempio dei giureconsulti i quali per bene istruire la gioventù nella giurisprudenza romana aveano composte legali instituzioni, aveano dettate le divine, materia più alta, nobile e necessaria „, avea scritte, dedicandole a Costantino Magno. Una breve notizia su Lattanzio, e un paragone fra Lattanzio e Sant'Agostino precedono l'esposizione dei libri Delle Divine I/istituzioni. L'autore trova in Lattanzio maggior bellezza di forma che in Sant'Agostino, ed anche maggior sobrietà nelle idee; ma in quest'ultimo, in cui vede, è vero, " il fervido cervello africano „, apprezza altamente la profondità dell'acume, la penetrazione, l'ingegno filosofico, la coltura assai più larga e più solida, dovuta agli studi in cui Lattanzio non era invece " cos'i perfettamente inteso „ (2). Delle Divine Instituzioni che esamina minutamente, come dei due libri: De ira Dei e De opificio Dei, di cui dà solo brevi cenni, il Giannone dà ogni dottrina, combat- tendola ed avvalorandola con citazioni di autori a lui più vicini, secondo che essa collima o no colle sue idee. Ugualmente procede nei libri III, IV, V e VI in cui tratta degli scritti di Sant'Agostino. Seguendo passo a passo le Confessioni, il Giannone ne narra la storia, non tralasciando di notare quale abuso dell'interpretazione di tale libro facessero i quietisti, i mistici e i rigoristi. Pure da Sant'Agostino e dalle sue dispute ardenti (1) Apologia dei Teologi Scolastici. (2) Ivi. 29 PEE UN'OPEB V INEDITA DI PIETRO GIANNONE 209 contro i Pelagiani e dai libri Sulla Grazia fa egli derivare le idee dei Gomorristi, Arminiani e Giansenisti. Analizza infine La Città di Dio, i libri didascalici scritti a diverse persone seconde le richieste che gli erano fatte (De mendacio contro men- dacium; De fide et operibus; De cura prò mortibus gerendo); i libri polemici, composti a confutazione degli eretici dei suoi tempi, concludendo col parlare dei libri scritti da Sant'Agostino per esposizione dell'antico e nuovo Testamento. Il settimo libro aggiunto di poi, parla in generale della vita di San Gregorio Magno e delle occasioni che lo spinsero a scrivere le sue epistole, che espone som- mariamente. È una parte che ha poco legame con quanto la precede. L'Apologia ha lo stesso carattere d'erudizione un po' affastellata che hanno dal più al meno tutti i libri di Pietro Giannone. I fatti, le opinioni, le critiche si suc- cedono non armonicamente fusi, ma collegati soltanto dalle idee generali che infor- mano tutta quanta l'opera sua. Il che dà un' impronta caratteristica alla forma dei suoi lavori; forma trasandata, pesante, in certi punti in cui indugia con minuzie d'avvocato su piccole questioni ; ma che si solleva d'un tratto robusta e nobilissima là dove egli esprime ciò che gli arde nell'anima. Chi accusò Pietro Giannone di plagi, come di una vigliaccheria? Molti, ma nessuno di questi, neppure il Manzoni, ne com- prese il pensiero. Luigi Settembrini leva alta la sua difesa, e le parole che egli dice per la Storia Civile, possiamo ripeterle anche per gli altri scritti del Giannone: " La parte essenziale dell'opera, la parte bella, nuova ed importante è il ragionamento sui fatti, non l'esposizione dei fatti „. Raccogliendo il vastissimo materiale dei suoi lavori Pietro Giannone è dominato da un pensiero che lo guida, che lo urge ; che gli fa riunire pagine altrui e scrivere altre di getto ; e ogni suo lavoro s'informa cosi agli ideali a cui aspira, e che egli propugna con tanto ardore. Cosi il Summonte, il Parrino ed altri ancora l'hanno aiutato per la Storia Civile; qualche pedante topo di biblioteca potrebbe anche far la fatica di ricercare fra la polvere dei volumi dimenticati quanto egli abbia tratto da altri pel Triregno, e quanto dei libri letti nei tempi in cui era libero egli ricordasse in carcere, per scri- vere le ultime opere sue. Ma chi leggendo osserva qualche cosa più della materialità delle parole stam- pate, può scorgere che le pagine più belle di tutti i suoi libri, dalla Storia Civile sdì' Ape ingegnosa, sono quelle in cui egli difende la libertà del suo paese e della sua coscienza. Per questo appunto l'opera migliore per la forma letteraria è quella da lui scritta per insegnare al Principe sabaudo il suo nuovo concetto politico ; per questo appunto l'Apologia, in cui ha riunito tanta erudizione di cose ecclesiastiche, riesce una lettura pesante, e solo quando un concetto qualsiasi dei Santi Padri che egli com- batte od appoggia gli fa esprimere l'animo suo, o apertamente o sotto il velo del- l'ironia, egli si ravviva e ci fa meditare. Questo circa il valore letterario, ed ora qualcuno potrebbe esaminare quale sia il valore dell'opera considerata come critica di libri sacri. Quanta parte di vero v'ha nelle osservazioni mosse dal Giannone ai Santi Padri? — L'esame lungo, paziente, minuto, da noi fattone, ci porta ad una conclusione assai semplice. L'Apologia dei Teologi scolastici ha, rispetto alle dottrine insegnate dalla Chiesa ai suoi tempi ed adesso, lo stesso carattere che vedemmo già nel Triregno. Sebik II. Tom. LUI. 27 210 MARIA BEGEY 30 Io, clie detesto le questioni teologiche quanto le detestò Pietro Giannone, credo sarebbero qui perfettamente inutili ; l'importanza dell'Apologia va considerata dal lato psicologico. La prima domanda che ci siamo fatta incominciando il nostro studio si riaffaccia : Quale è il valore di quest'opera nel pensiero di P. Giannone ? VI. Un esame anche sommario dell' Ajyologia ci ha fatto accorti delle profonde so- miglianze che ha col Triregno. Qual parte dell'anima antica di Pietro Giannone rivive in quest'opera scritta dopo la sua conversione? Vediamolo. Il Libro Primo dell' Apologia è il più importante, per le considera- zioni generali che vi si trovano, e noi potremo dividerlo cosi: una parte d'introdu- zione, due capitoli che riassumono il Regno Terreno, il capitolo quarto che si riferisce al Regno Celeste; e infine gli altri capitoli che rifanno in breve, una parte del Regno Papale. In tutto il Triregno il Giannone dimostra un'antipatia dichiarata per le vane discussioni teologiche dei Santi Padri. Egli inchina talora dinnanzi alle cose che non comprende; giunge a dire in un punto: che possiamo noi sapere delle vie di Dio per rivelare agli uomini la sua potenza? Ma non ama le dispute fatte con sottili argomentazioni cavillose. E lo si comprende facilmente, dato il carattere del Giannone e i suoi convincimenti. Una tale antipatia s'accordava in lui con tante ragioni. Il suo metodo, il metodo del Gassendi, che si rannoda così strettamente a quello d'Epicuro, non può appagarsi di voli della fantasia intorno a cose troppo alte o troppo discordi dalla realtà del mondo e della vita, per essere comprese coll'espe- rienza sola. Ciò che v'è di mistico in queste dispute gli ripugna come gli ha ripu- gnato sempre tutto ciò che è trascendentale. Anche religiosamente, non amava le dispute. Nel Regno Celeste, citando le parole di Cristo a Marta, di non occuparsi di cose terrene, nota: " Assai più in acconcio potrebbe dire a costoro (che si perdono disputando) che sono purtroppo solleciti in molte cose vane, e che trascurano quel che è necessario ch'è un solo, cioè l'osser- vanza dei precetti del Decalogo, la dilezione di Dio e del suo prossimo da cui Cristo disse che pendevano tutta la legge e tutti i profeti „ (1). Ma v'è, a spalleggiare questi motivi filosofici e religiosi, una forte ragione poli- tica; il Giannone vedeva nelle dispute fatte dagli antichi Padri della Chiesa uno dei mezzi per cui s'era trasformata la religione, accresciuta la sua potenza politica, e fatta quindi la base del Regno Papale. Uno dei capitoli della parte incompiuta del Regno Papale doveva avere appunto per titolo: " Danni gravissimi cagionati all'Im- • pero dall' avere gli Imperatori permesso ai vescovi di vagar troppo per inutili e vane questioni dogmatiche, contro il consiglio di S. Paolo „ (2). (1) Regno celeste. (2) Segno celeste, pag. 395. 31 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 211 Nelle prime pagine dell'Apologia si scorge nuovamente quest'antipatia per le discussioni teologiche; antipatia che non si manifesta con aperti giudizi come nel Triregno; in questo le dispute erano deliri, qui sono questioni astratte, inutili. Anche il connubio della filosofia pagana colla religione cristiana è riprovato meno acer- bamente nella forma; ma nella sostanza la disapprovazione è la medesima, poiché nuovamente si riparla delle stesse cose e delle stesse persone; nuovamente si citano, ad esempio, Museo e gli Alessandrini, come pure vescovi delle provincie d'Affrica. Da questo inizio si apre il libro coi due capitoli sulle " Dispute intorno alla creazione del mondo, sua durazione e fine „ e " Delle ricerche fatte sopra l'uomo, sopra la natura delle anime umane, sulla loro immortalità, sullo stato loro dopo la morte dei corpi, e sulla resurrezione dei medesimi ,, . Siamo entrati in pieno Triregno; la materia che informava gli eretici volumi è la stessa, subordinata ad un'idea qualunque; di modo che cambia l'apparenza este- riore, ma non lo spirito di essa. Pensò il Giannone che sì saggiamente consigliava il Prever nella dedica a non mostrare ad alcuno questa sua opera — che il Prever non avrebbe riconosciuto gli errori abboniti ; fors'anche questo libro serviva a spie- gare e ad avvalorare un punto dell'abiura: " Per ciò che riguarda gli altri mano- scritti e note che teneva meco, e ritrovati, non sono che cartole e piccole memorie, che secondo che andava leggendo alcuni Autori io notava, e sebbene portassero seco un groppo di diversi errori non furono da me abbracciati, ma unicamente per no- tare gli altrui sentimenti „ (1). Nel Regno Terreno, egli, dopo aver ampiamente dimostrato che presso tutti gli antichi popoli non vi fu il concetto di una felicità oltremondana, ed aver stabilito, appoggiandosi ai libri sacri, che l'anima altro non fosse " che lo spirito di Dio che si svolge e mescola, e di sé tutto il mondo empie e feconda „, sì che per questo spirito " hanno vita, senso, moto ed efficacia tutte le cose sensibili ed animali „ (2), ne è necessario fingere " un anima „ nel concetto che diedero di essa il Cartesio ed il Malebranche, viene a discorrere nella seconda parte dell'origine, durata e fine del mondo. Le sue idee si svolgono così. Cercato dapprima in che discordasse la dottrina di Mosè da quella professata dai filosofi delle altre Nazioni intorno all'ori- gine del mondo e dell'uomo, esamina le opinioni dei fenici, dei greci e degli egizi. Attraverso a differenze secondarie viene così a scoprire in tutti i popoli l'idea mo- saica che uno spirito vitale animasse l'universa carne. Oppugna perciò validamente la filosofia del Cartesio, confutandone l'opinione delle due sostanze, " cogitante „ ed " estensa „. " Non era meglio, domanda, che fingere nuove sostanze ed idee, dire che sebbene alla materia non possiamo attribuire senso, cogitazione alcuna, nulla di manco Iddio sin da che la creò comunicolle una tal virtù ed efficacia che tuttavia ce la conserva, che disposta e meccanicamente ordinata in una tal forma e maniera possa essere capace di senso e di pensiero, come la fece capace di moto? „ (3). L'ultimo capitolo tratta del modo in cui la seria dottrina degli ebrei si conta- minasse dai fantastici ed arditi poeti. E abbozza la trattazione, che farà poi diffusa- mente nel volume seguente delle idee circa la resurrezione dei morti. (1) Abiuratìo de vehementi, ecc. Punto III (Vedi documenti pubblicati coli' Autobiografia, pag. 544). (2) Regno terreno. (3) Ivi. 212 MARIA BEGEY 32 Nel Triregno le dottrine suesposte sono largamente avvalorate dalla discussione di tutte le dottrine avverse a quelle del Giannone; nell'Apologia queste opinioni av- verse sono enumerate l'una dopo dell'altra senza commento. L'Autore si è proposto di pai-lare delle dispute dei Padri Antichi, ma non è dif- ficile a chi conosca un poco il suo pensiero di ritrovarvi l'idea sua, talora espressa semplicemente frammezzo ad una fila d'errori, tal altra con alcune parole che fin- gono di contraddirla, e che servono invece a meglio affermarla, tal altra ancora sostenuta chiaramente coll'appoggio di qualche Padre antico o di qualche moderno teologo. Sfilano l'una dopo l'altra le opinioni che intorno alla creazione del mondo espres- sero i simoniaci, i manichei, saturniani, gnostici, euchiti, seleuciani, ecc., che vollero trarre dalla Sacra Scrittura cognizioni filosofiche e scientifiche, laddove i libri saeri : " non furono scritti se non per quanto si appartiene alla nostra salute, perchè noi conseguir potessimo la vita eterna, immortale e beata La narrazione di Mosè della creazione del mondo non fu fatta che per dare una adeguata idea al suo popolo di un solo Iddio onnipotente, giusto e sapiente, descrivendo la fabbrica del mondo, dell'uomo e degli animali e di quanto è sopra il cielo, e sopra la terra si muove, nutre e cresce, perchè comprendesse il facitore dell'universo essere questo Dio affinchè maggiormente fosse spinto ad amarlo, adorarlo, ubbidirlo debitamente, ed a rendergli sacrifici con quella religione ch'egli prescrisse. Non pretese certamente Mosè di spiegare da filosofo la natura dell'universo e di quanto in sé racchiude, della qual cosa forse quel rude popolo era incapace, ma volle descrivergli grossolanamente e secondo la comune capacità e le comuni idee quanto faceva bisogno al suo fine „ (1). Chi non ritrova l'opinione espressa apertamente nella Storia Civile e nel Tri- regno, ribadita nei Discorsi sulle Deche dì Tito Livio, che cioè i libri sacri non sono d'origine divina? Comunque sia, le idee filosofiche, per così esprimerci, di Mosè, sono enunciate ed interpretate nel modo più conforme alle idee del Triregno. Ne perchè furono male comprese, ne perchè parecchi santi affermarono idee false circa la natura, dovremo noi ad esse attenerci. La natura va studiata per sé stessa, e non fantasticando vanamente. Né, fantasticando, si deve voler dimostrare il modo con cui avverrà la fine del mondo. Ma venendo poi alle opinioni sull'anima nuovamente egli enumera quelle dei Luciferiani, di Tertulliano, Lattanzio, Agostino, di Tommaso Hobbes, degli Ermiani, dei Manichei. Ciascuna di queste opinioni ha qualche commento particolare ; ma prima di citare i Manichei ecco un periodo semplice semplice, che dice: " Sostengono alcuni che Dio infondesse le anime nei corpi umani non già creandole dal nulla ma deri- vandole dal suo spirito. Del qual parere sembra fosse stato Teodoreto... e San Gi- rolamo „ (2). Dalle idee sull'anima e la loro immortalità, alla resurrezione dei morti non v'ha che un passo. Nell'ultima parte del Regno Terreno egli aveva seguito il lento tra- sformarsi delle opinioni degli ebrei sulla natura delle anime cui si diede una vita disgiunta da quella dei corpi e il sorgere della idea della felicità non più terrena (1N Apologia dei Teologi Scolastici. (2) Ivi. 33 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 213 ma oltremondana promessa ai buoni. Il Regno Celeste entra nell' argomento della resurrezione. Essa, afferma l'Autore, fu promessa fisica e reale non già alle nude anime ma ai corpi. Il non credere all'anima, come sostanza disgiunta dal corpo, in nulla oppugna a quest'idea che già più innanzi esponemmo (Vedi Cap. II): alla morte lo spirito umano ritorna alla gran massa dello spirito vitale, e il corpo, composto di atomi, che continuamente si mutano, si dissolve. Nel novissimo die, le anime ri- tolte allo spirito di vita, riprenderanno non il corpo avuto prima, ma uno che avrà forma e figura di quello di un tempo. E fra la morte e questo novissimo die gli uomini rimarranno tuffati in un profondissimo sonno. Ebbene, apriamo V Apologia, e vi ritroveremo espressa questa dottrina ; vi trove- remo pure come nelle parti susseguenti del Regno Celeste, che al modo stesso che gli israeliti avevano mutato l'idea del " Regno Terreno „ in " Regno Celeste „ i cristiani mutarono il tempo dell'avvento di questo regno celeste. Si cominciò gradatamente col credere che queste anime conseguissero il premio o la pena delle loro azioni subito dopo la morte, senza aspettare la resurrezione della carne; il culto dei santi. le preghiere pei morti, le feste in onore dei martiri aiutarono il formarsi di quella credenza. Sin che il Concilio di Firenze sanzionò l'opera compiutasi attraverso ai secoli, stabilendo come canone la visione beatifica dei santi, prima della resurrezione eterna. La fine di questo capitolo, mordace e poco rispettoso nel Regno Celeste, si rad- dolcisce nell'Apologia, ma nell'uno e nell'altra vediamo l'ira del Giannone, che già scorge in questo anticiparsi della vita eterna la base della potenza papale. Del resto, come notiamo nel Triregno man mano che c'inoltriamo verso il Regno Papale un'aperta ribellione, così nell'Apologia i capitoli seguenti sono quelli in cui il Giannone maggiormente biasima costumanze ed idee. Siamo sempre nel campo delle discussioni inutili e vane dei Santi Padri, ma chi non riconosce nell'esposizione di tutti gli errori dei Padri, nella nuova massima dei Teologi " intorno al governo civile, ed alla podestà dei Principi, onde seguì tanto cangiamento nei costumi degli uomini e delle leggi „, tutta la materia che si trova nella prima parte del Regno Papale? Poco a poco i Padri vengono a pretendere di stabilire dei canoni circa cose che non appartengono alla loro giurisdizione. Sono prima delle esagerazioni circa i pre- cetti del Decalogo, poi le questioni sulle bestemmie, spergiuri ; questioni intorno alla morale, alla proprietà, ecc. Essendo questa esplicazione pratica della legge divina ignota ai magistrati romani che erano gentili, la Chiesa si prese la libertà di dettare leggi, di dare penitenze spirituali che poco a poco si cambiarono in veri giudizi forensi e pene temporali. Intanto le oblazioni e le decime, dapprima omaggio spon- taneo, divennero obbligatorie al III secolo, e mentre prima servivano alle cose sacre ed alla elemosina, si tramutarono poi in ricchezza pel pontefice. Gli ultimi capitoli della prima parte dell'Apologia trattano di quistioni varie, di cui pure si tratta qua e là nel Triregno. Si noti che la corrispondenza di testi che già esaminammo, non è soltanto nel pensiero, ma talora nell'espressione di esso; vi sono periodi, pagine intere, quasi identiche nell'Apologia e nel Triregno, poiché non c'è che la correzione di qualche frase vivace, gli stessi esempi servono a dimo- strare che gli stessi principi, le stesse idee si riaffermano tenacemente. Veduta la • >[ | MARIA BEGEY o4 corrispondenza delle idee generali, noi non ricercheremo quella delle piccole questioni, davvero vane ed inutili poiché ci ridurremmo ad un materiale confronto di pagine nelle due opere. Anche risparmieremo questa fatica nell'esame dei sei libri che espon- gono le dottrine di Lattanzio, Agostino e Gregorio. Lattanzio Firmiano e Sant' Agostino sono fra gli Autori più spesso citati nel Triregno, perciò moltissime loro idee che già erano state Hi esposte, si ritrovano, sistematicamente ordinate, nell'Apologia. Furono i due Autori mandatigli in lettura nel Castello di Ceva, ed egli li studiò a fondo. Di Lattanzio già aveva parlato a pag. 114 del Segno Papale, narrando come, fiorito ai tempi di Costantino, proibisse di trattare duramente i servi e ne facilitasse perciò la manomissione; volle anzi che si considerassero come fratelli. Così pure ebbe un'austera, sana morale, e si conformò ai riti della novella Chiesa. Di Sant'Agostino si parla pure nel Regno Papale, a più riprese. Pietro Gian- none, pur biasimandone le ardenti dispute, doveva amare nel vescovo africano l'op- posizione fatta alla supremazia del vescovo di Roma; e la spiegazione — analoga a quella di San Giovanni Crisostomo — che la potestà data a San Pietro da Cristo, non distruggeva quella " egualmente „ data agli altri apostoli. La parte che si riferisce a San Gregorio Magno, e aggiunta poi, è l'eco del libro che egli scriverà più tardi: e l'esamineremo implicitamente vedendo l'opera: Storia d,_ìla Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno. Ma in questa, come in tutte le parti antecedenti, quante proposizioni " eretiche, scandalose, o prossime all'eresia „ avrebbe potuto trovare un attento revisore! Se l'opera fosse stata conosciuta, noi avremmo senza dubbio un elenco di tali proposizioni, somigliante a quello fatto per la Storia Civile e ai Discorsi sugli Annali oli Tito Livio. Però Pietro Giannone, scoraggiato forse dall'esito del primo suo libro dedicato al Re, non mandò l'Apologia al Padre Prever. Nella relazione da questo fatta dopo la morte del Giannone è infatti detto che l'opera promessagli da Ceva, mai non gli pervenne. Riunita alle altre carte dopo la di lui morte, fu sepolta negli Archivi di Stato ; pochi la conobbero; il Mancini ne incominciò la pubblicazione che lasciò incompiuta, il Pierantoni vi accenna appena, come fecero dal più al meno tutti quelli che del Giannone si occuparono; il Ferrari la giudicò il mezzo con cui lo storico-filosofo si burlava di tutti i più venerati fondatori del culto (1), e l'ingenuo archivista che elencava i manoscritti del Giannone, dando di ciascuno un'idea sommaria, disse del- l'Apologia: " fu scritta dopo la sua conversione: laonde sentimenti religiosi „. Né l'uno né l'altro di questi due giudizi, che hanno radici in due opposte pre- venzioni, ha valore, di fronte all'analisi dell'opera del Giannone. L'Autore ha esposto i pensieri suoi come meglio ha potuto: colla sincerità e coll'ironia, talora persino col sarcasmo. Ma l'animo suo era troppo altero, troppo nobile, perchè possiamo attri- buirgli l'idea di aver voluto burlarsi dei suoi persecutori. Egli aveva combattuto e sofferto tutta la sua vita; scrivendo tornava a gridarle le sue idee. La sua anima vibra, nell'Apologia, dello sdegno, del dolore, del desiderio di libertà che vi è in tutte (li Giuseppe Ferra™, La mente di Pietro Giannone. Lezione IX. 35 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 2 1 '■> le opere scritte da lui prima della sua prigionia, che vi è nei Discorsi, che ritrove- remo in quelle ch'egli scriverà di poi. Ed è in questa ininterrotta continuità del pensiero del Giannone, in questa tenacia nei propri principi come nei propri eri-ori, che sta il valore della Apologia dei Teologi Scolastici. Essa non è una produzione isolata, ma si collega intimamente con tutto le manifestazioni del pensiero di Pietro Giannone. Perciò se l'avere il Pierantoni pubblicato il Triregno toglie alla Apologia la sua importanza come opera di erudizione e di storia ecclesiastica, essa rimane documento importantissimo della vita psicologica del suo autore. L'Apologia è la logica prosecuzione dei Discorsi sulle Deche di Tito Livio, e prepara alla Storia della Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno. Per questo valore psicologico dell'opera, io credo sia meglio conservarle il titolo datole dal Giannone dopo tante e tante cancellature di: Apologia dei Teologi Scola- stici, piuttosto che adottare quello che il Mancini si proponeva di porre in fronte del volume : Delle Dottrine morali, teologiche e sociali dei Santi Padri. Che se quest'ultimo meglio vale a caratterizzare il libro quale opera d'erudizione storica, il primo meglio ci dà il pensiero con cui l'Autore ha collegato le antiche sue idee, e ci fa compren- dere come egli intendesse presentarle al Padre Giovanni Battista Prever, convin- cendolo che la sua conversione lo portava a sostenere opinioni e Autori dalla Chiesa approvati. Vediamo ora la relazione che ha l'Apologia colle opere susseguenti. VII. Gli anni 1741 e 42 furono dal Giannone impiegati a comporre la Storia della Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno. Anche quest'opera ha radice nel Triregno, di cui anzi, si può dire che formi una parte integrante. Nell'abbozzare le grandi linee generali della sua opera e parlando del " Regno Papale „, Pietro Giannone aveva scritto: " Dovendo noi dunque particolarmente addi- mostrarne l'origine e le vere cagioni, i progressi e le varie vicende per poter poi più ordinatamente procedere in una materia cotanto intricata ed ampia, è di mestieri, che si distingua l'epoca di questo regno in più periodi „ (1). Il primo periodo egli pone fra il sorgere del Cristianesimo e la conversione di Costantino Magno; il secondo fra la conversione di Costantino ed il Pontificato di Gregorio Magno; il terzo va dalla morte di Giustiniano e dal Pontificato di Gregorio Magno insino al risorgimento dell'Impero d'Occidente „ (2). L'opera è interrotta al secondo periodo; ma dei seguenti rimane l'abbozzo, già diviso, per i primi periodi, in capitoli. (1) Regno papale, pag. 16. (2) Segno papale. 216 MARIA BEGEY 36 Or bene : noi troviamo al terzo periodo il seguente indice : Capitolo I. — Del pontificato di Gregorio Magno, nel quale il nuovo Regno Papale fece notabili progressi non meno in occidente che in oriente: § 1. Nelle provincie suburbiearie del Vescovado di Roma. § 2. Nella Liguria, Venezia, Istria, Norico, Rezia. § 3. Nelle provincie sottoposte al prefetto d'Italia. § i. Nella Pannonia, Dalmazia, Macedonia, Bulgaria. § 5. Nell'Illirio occidentale. § 6. Nella Francia. § 7. Nella Spagna. § 8. Nelle isole Britanniche, Anglia, Scozia, Ibernia. § 9. Nella Germania. Capitolo II. — Papa Gregorio Magno si mantenne nella grazia dell'Imperador Maurizio fin che questi visse. S'intrigò nelle guerre coi Longobardi, nelle paci e negli altri affari politici; ubbidiva alla legge degli Imperadori d'Oriente; e la stessa ve- nerazione, fede ed obbedienza continuò coll'Imperador Foca, successore di Maurizio. Il Capitolo III parla dei successori di Gregorio né c'interessa quindi diretta- mente. Bastano i due primi per farci comprendere ciò che il Giannone avrebbe scritto di questo Pontefice. E poiché in carcere gli si mandano i libri di S. Gregorio Magno egli fa quello stesso lavoro che aveva sperato di compiere serenamente in libertà a Ginevra. L'ha dedicata, quest'opera, " Ai Lettori „. Il Re non aveva risposto alla offerta sua; e del Padre Prever conosceva l'indifferenza e la diffidenza. Egli si rivolge agli uomini liberi che leggeranno ciò che liberamente egli scrive, senza più usare pru- denze di sorta. Il suo linguaggio è ardito come lo spirito che informa l'opera; sa che essa rimarrà sepolta ; ma forse spera che un tempo lontano le sue idee saranno com- prese, e germoglieranno nella coscienza del popolo italiano. Le epistole di Gregorio sono importantissime per la conoscenza della disciplina ecclesiastica (annunzia egli nella prefazione), perchè danno altresì lumi per la cono- scenza della storia civile. Si vedrà per mezzo di esse " con quali mezzi questo grande Pontefice innalzasse il vescovado di Roma a tanta eminenza quanta prima di lui non erasi veduta giammai „. Ed è nella dimostrazione di questo fatto, che ritroviamo l'uomo antico. Nei quattro libri nei quali si divide l'opera egli tratta delle relazioni della Sede Romana colle Chiese d'Oriente e d'Affrica; colle Chiese d'Europa; con quelle d'Italia e delle sue Isole; e conclude parlando della disciplina ecclesiastica lasciataci nella Chiesa dagli ordinamenti di Gregorio Magno, e dimostrando come : " ancor oggi fra le cose desiderate debba riporsi un'esatta, generale e compiuta Istoria ecclesiastica „ (1). Non ci lasciano un ricordo edificante le brighe di Gregorio colla Corte di Costan- tinopoli pel titolo di " episcopus „, né le lotte per la supremazia del vescovo di Roma sui vescovi di tutto l'orbe. Le Chiese d'Affrica, che un tempo avevano fatto un Concilio (a cui aveva partecipato Sant' Agostino stesso) per invitare il vescovo di ino /ntpaìe, pag. 198. 37 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 217 Roma a non intromettersi negli affari degli altri vescovadi, si staccano; e si stac- cano pure le Chiese d'Oriente. Ne Roma si dà per vinta, che per mantenere i suoi diritti, introduce l'uso di nominare i vescovi ■ in partibus infidelium „, vani titoli, dice il Giannone, che somigliano a quelli di re su regni perduti. Nello stesso spirito vengono esaminate le relazioni colle Chiese d' Europa e d'Italia. Dalle Epistole che egli ha ordinate non cronologicamente, ma razionalmente, mostra come s'accrescesse ognor più la potenza di Gregorio. Chi avrebbe mai cre- duto che il dominio di Papa Gregorio si sarebbe tanto allargato, esercitando egli su tante provincie l'autorità imperiale? — domanda il Giannone al lettore: ma è certo della risposta, perchè il modo con £iri avvenne questo fatto, egli lo ha già ampia- mente dimostrato. Del resto noi ritroviamo in quest'opera piccole questioni antiche su cui il Gian- none ritorna, direi, con accanimento. La storia della vera origine e dei veri titoli che esercitavano i re di Sicilia nel Tribunale che essi chiamavano Della Monarchia, da lui studiata quand'era a Vienna, forma ad esempio il soggetto del XVII e XVIII Capitolo del terzo Libro; e cosi di altre. Ma ciò che maggiormente ci interessa si è la conclusione, perchè dimostra come si formò la gerarchia ecclesiastica; e detto poi della necessità che v'ha di una com- piuta Storia ecclesiastica, egli dà precisamente il disegno di quello che avrebbe voluto poter fare col Triregno; un disegno largo che abbracciasse la storia della religione gentile, giudaica, cristiana e maomettana; poiché, come giustamente nota: " chi dice istoria ecclesiastica dice istoria di tutti i collegi ed assemblee di uomini insieme convenuti per causa di religione „ (1). E finisce dicendo : " Né era mancato in me l'animo e l'ardire di intraprendere l'ardua fatica, e ne delineai anche alcune parti per adattarle insieme e comporre un proporzionato sistema; ma le incessanti mie persecuzioni, le tante e varie mie sven- ture hanno interrotto ogni mio bel disegno, e prolungato questo mio si misero stato, sicché oppresso dagli anni e giunto in sì estrema vecchiaia sento scemarmi le forze, la memoria svanire Che se la Reale benignità e clemenza non si compiacerà a disporre altrimenti di me, forte temendo che non abbia a lasciar qui questa misera vita, ho voluto a quel che non ho potuto io eseguire, altri incoraggiare, i quali forse con maggior lena e maggior elevatezza d'ingegno potranno adempierlo e lasciare al mondo un'istoria altrettanto per essi gloriosa ed immortale, mentre io stanco dagli anni, logorato per lunghe fatiche e da tanti angosciosi infortuni oppresso, forza è che soccomba e che qui deponga la mia stanca e rozza penna. 12 Settembre 1742 „ (2). La stanchezza che qui si rivela è la stanchezza che gli impedisce oramai di compiere lavori forti e grandiosi. L'Ape ingegnosa lo prova; non troviamo più in questo lavoro il vigore delle opere antecedenti in cui l'intelletto potente del Giannone collegava i fatti più diversi ad una idea madre, e combatteva con ogni suo libro una battaglia. (1) Storia della Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno, pag. 1. (2) Ivi, pag. 471. Serie II. Tomo LUI. 28 218 MARIA BEGEY 38 La Storia della Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno, che il Mancini di- ceva " opera non di erudizione soltanto, ma di severa critica e di vigorosa pole- mica „ (1), che il Pierantoni e tutti i critici di valore altamente lodarono, è come l'ultimo vivo sprazzo di luce che manda il lume morente. Con forza quasi giovanile, il Giannone ha proclamato alto un'ultima volta il suo pensiero; oramai scriverà per suo svago, per sollievo dell'animo suo travagliato. Anche l'Ape ingegnosa è schietta rivelazione dell'animo suo; e mostra, parmi, nella disgregazione delle varie riflessioni filosofiche che la compongono e nella forma tutta, lo stato psicologico del suo autore. L'ultima parola della Storia della Chiesa e la prima dell'Ape ingegnosa dicono lo stesso pensiero: " L'animo stanco e le scemate forze non potendo più sostenere in questa estrema vecchiezza lunghi travagli d'opere lunghe e laboriose, per non marcire nell'ozio e nella desidia, la quale anche nei vecchi è biasimata da Cicerone, ho riputato nei pochi anni di vita che mi restano rivolgergli a studi meno severi e per la vaghezza giocondi e per la varietà meno noiosi, imitando le ingegnose api le quali nei fioriti campi di qua e di là succhiando dai fiori soavi liquori ne formano i dolci favi „ (2). In quest'ultima opera, che il chiaro ingegno di Vittorio Cian ha recentemente illustrato (3), ritornano antichi pensieri espressi qua e là in libri , in lettere, ma anche qui, non ostante la vecchiaia e la debolezza, Pietro Giannone si mantiene nobile e sereno dinnanzi alla sventura, come al pensiero della morte, che egli dimostra che non si deve ne desiderare né temere. Nobiltà e serenità di cui darà prova negli ultimi dolorosi anni di sua vita. Vili. Le vicende della guerra per la successione Austriaca obbligavano il Giannone ad un nuovo trasferimento. La campagna dei Franco-Spagnuoli si svolgeva appunto verso le Langhe, sì che per allontanarne il prigioniero, il Ministro ordinava che lo si facesse partire da Ceva per Torino; ove fu condotto non più alle carceri della Porta del Po, bensì nella Cittadella che serviva allora come prigione di Stato. Furono questi ultimi anni della vita di Pietro Giannone, che già tanti dolori aveva sopportati, i più penosi. Un feroce aguzzino, il luogotenente Caramelli, aiu- tante del Governatore della Cittadella, Marchese di Cortanze, gli fece patire le più atroci iniquità, fin dalla prima sera del suo arrivo. Rubava sulla cibaria che il Re passava al prigioniero, 1' obbligava a dormire su un letto di munizione, gli faceva soffrire il freddo, la fame, ogni sorta di torture fisiche e morali. Pietro Giannone fu trattato peggio di un volgare delinquente, e la prepotenza del Caramelli si spingeva persino a intimargli di confessarsi nella di lui casa quando faceva comodo alla moglie! Soffrì il prigioniero in silenzio, per due anni, sempre sperando di vincere colla generosità l'animo perverso del Caramelli, ma dal silenzio invece questi prendeva ardire per aggravare vigliaccamente la mano. (1) Prefazione alla Storia della Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno. (2) L'Ape ingegnosa, pag. 1. (3) Vittorio Ciak, L'agonia di un grande italiano stpolto viro, " Nuova Antologia „, 15 febbr. 1903. 39 PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 219 Infine nel maggio del 1746 il Giannone indirizzava al Marchese di Cortanze un memoriale che è uno dei documenti più dolorosi di questa storia infelicissima, nar- rando tutti i patimenti sofferti, e ciò con tale nobiltà d'animo che attraverso ai secoli quelle pagine ci fanno fremere di pietà e di sdegno. Il Marchese di Cortanze accolse il memoriale, e le condizioni del prigioniero si raddolcirono un poco. Potè ottenere ogni giorno due ore di passeggio per la Citta- della, gli fu permesso di andare in chiesa, di indirizzare una supplica alla Maestà del Re. Ma sebbene gli fosse risposto che si sarebbero tenute in considerazione le sue domande, anche questa supplica rimase senza effetto. Ne giustizia, né pietà po- tevano di fronte all'interesse politico per cui la prigionia del Giannone era stata promessa ; e, ciò ch'è peggio, in quei tristi tempi nessun sospetto più grave poteva colpire un uomo che quello d'eresia. Così visse Pietro Giannone gli ultimi suoi anni. La speranza che a Miolans, a Torino, a Ceva aveva avuto di riacquistare la libertà s'andava spegnendo. Le tristi condizioni dell'animo suo e la stanchezza della vita non gli permisero più di occu- parsi; eppure, segno della sua vitalità, egli meditava un'opera nuova di cui disse il disegno al Padre Prever, sulle massime del Vangelo e quelle del mondo. S'egli avesse potuto compierla, una tal opera, io credo che non sarebbe stato come vorrebbe Giuseppe Ferrari " l'ultimo scherzo dell'agonizzante „ (1) fatto al Padre Prever e a quelli che lo tenevano prigione; no. Sarebbe stato il coronamento dell'opera sua; egli avrebbe riaffermato al Padre Prever stesso, che tratto tratto lo visitava, ma che non fece mai nulla per addolcire le sue pene e per impetrargli la clemenza del Re, che la religione di Cristo insegna l'amore, la misericordia e il perdono. Ma una malattia che durò pochi giorni lo coglieva nel febbraio del 1748. Pietro Giannone che aveva aspettato serenamente la morte, dando prova, come attesta il Prever, della tranquillità d'animo dei forti, lasciava la vita il 17 febbraio, in pace con Dio. Dove il suo corpo travagliato riposi il sonno eterno noi non sappiamo. Le vi- cende varie che il Piemonte attraversò impedirono di ricordare il solitario pensatore morto povero e oscuro nelle prigioni della Cittadella di Torino ; ma visse l'idea sua che germogliò nella coscienza del popolo italiano. Un secolo dopo la morte di Pietro Giannone, tutta Italia — dal Piemonte dove aveva finito i suoi giorni, alla sua Napoli, dove aveva incominciato l'opera di riscossa — insorgeva nel nome santo della libertà. E per questo suo sogno di libertà, per tutto ciò che per essa sofferse, oggi a distanza di tanto spazio di tempo, la figura di Pietro Giannone ci appare purificata dagli errori a cui lo portò nel fervore della lotta la sua ardente natura, dai travia- menti e dalle debolezze a cui lo portò la fragilità umana. Noi c'inchiniamo riverenti al suo nome, cui resero sacro l'amore per l'Italia e tanta sventura. (1) Giuseppe Fereari, La mente di Pietro Giannone. Lezione IX. 220 MARIA BEGEY — PER UN'OPERA INEDITA DI PIETRO GIANNONE 40 BIBLIOGRAFIA Manoscritti del Giannone - Mazzi I-II-III-IV-V (Archivio di Stato di Torino). Giannone P., Storia Civile del Regno di Napoli. Napoli, Naso, 1723. Id. Opere inedite, pubblicate per cura di Pasquale Stanislao Mancini: Voi. I. Discorsi sugli annali di Tito Livio. — Voi. II. Storia della Chiesa sotto il Pontificato di Gregorio Magno. Torino, Società Tipografico-Editrice, 1859. Id. Seconda parte delle Opere postume di Pietro Giannone, giureconsulto ed avvocato napoletano, con- tenente alcune sue opere inedite e precedute dalla vita del medesimo autore, per l'abate Lionardo Panzini. In Londra, 1766. Id. // Triregno, con prefazione di Augusto Pierantoni. Roma, Tipografia Elzeviriana, 1895. Id. Il Tribunale della Monarchia in Sicilia. Opera postuma pubblicata da A. Pierantoni. Roma, Loescher, 1892. Id. Risposta alle annotazioni critiche sopra il IX' Libro della Storia Civile. Id. Opere postume, in difesa della sua " Storia Civile „ con la di lui professione di fede. Napoli, All'insegna della verità, 1760. Id. Lo sfratto da Venezia. Auto-narrazione con prefazione di Augusto Pierantoni e documenti inediti. Roma, Loescher, 1892. Id. Autobiografia. I suoi tempi, la sua prigionia, di Augusto Pierantoni. Roma, Perino, 1890. Ferrari Giuseppe, La mente di Pietro Giannone. Milano, 1868. Manzoni, Storia della colonna infame. Nuova Antologia, 16 febbraio 1903. Prof. Gian Vittorio, L'agonia di un grande italiano sepolto rivo. Occella Pio, Pietro Giannone negli ultimi anni di sua vita (1736-1748). Torino, Bocca, 1878. Rivista Contemporanea, maggio 1869, Giannone e Vico (La mente di Pietro Giannone - Lezioni di Giuseppe Ferrari), per Raffaele Mariano. Settembrini Luigi, Lezioni sulla letteratura italiana. Napoli, Morano, 1886. Soria Francesco Antonio, Memorie storico-critiche degli storici napoletani. Napoli, 1781 Zalla Angelo, Studii storici. Firenze, 1890. VITA DI CARLANTONIO DAL POZZO Arcivescovo di Pisa FONDATORE DEL COLLEGIO PUTEANO MEMORIA DI DOMENICO VALLA Appr. nell'Adunanza del 3 Maggio 1903. PREFAZIONE Nel dicembre del prossimo anno ricorrerà il 3° centenario della fondazione del Collegio Puteano, sorto in Pisa per opera dell'Arcivescovo CaiTAntonio dal Pozzo. La vita di questo insigne Prelato fu scritta, verso la fine del sec. XVIII, da quel Carlo Tenivelli che fu maestro del Botta (1). Ma pel rinnovato sistema negli studi storici, e dopo tanta esumazione di documenti, il lavoro del Tenivelli viene ad essere alquanto insufficiente. Le fonti, a cui egli attinse sono tre: la storia del Galluzzi, e le due orazioni funebri di A. Corsi e di F. Bocchi. In queste ultime abbonda la retorica, talora a detrimento della verità. Vi si dice, per esempio, che il Dal Pozzo non si raccomandò a nessuno per ottenere PArcivescovado di Pisa, e che anzi lo accettò a malincuore, quando finalmente il Papa glie lo conferì. Risulta invece da una lettera, sinora inedita (v. pag. 5), che lui pel primo domandò quella cattedra arcivescovile, appena seppe che era rimasta vacante. Il Galluzzi in quelle poche pagine, dove parla del Nostro, racconta, al solito, i fatti senza confermarli coll'autorità dei documenti. Io pertanto mi proposi di risalire immediatamente alle fonti, al materiale d'archivio sopratutto, e di ricavarne una biografia tutta nuova, in cui i fatti, vagliati e discussi, siano altresì corredati dei rispettivi documenti. (1) Il Botta ne raccontò {Storia d'Italia 1789-1814, Lib. XI) la miseranda morte con afietto di discepolo riverente. _»-J2 DOMENICO VALLA Cenni biografici. Cari' Antonio dal Pozzo (1) nacque l'ultimo giorno di novembre dell'a. 1547 a Biella, che era allora una piccola città con quattro miglia di circuito soltanto (2). Era ancora in tenera età quando perdette la madre, Amedea Scaglia, perchè il padre suo, Francesco, Conte di Ponderano e dei Marchesi di Romagnano, gli morì nel '64, allorché già aveva sposato in seconde nozze Caterina Vassallo di Favria. Giovanis- simo, si recò a Mondovì, dove era stata trasferita l'Università Piemontese (3), e qui si applicò allo studio della legge ed ebbe per Professori i celebri giureconsulti Gia- como Menochio e Aimone Cravetta, i cui scritti sono spesso citati nell' opera sul Principe che comporrà più tardi. Da Mondovì passò a Pavia, dove sappiamo che te- neva una condotta esemplarissima (4). Fu anche a Pisa, Padova, Bologna. In questa ultima città si addottorò nel '66 a' dì 1° ottobre, in età di 19 anni. Il Corsi (5), e, sulle sue orme, il Tenivelli asseriscono che il Montarenzi si stimò fortunatissimo di conferire le insegne dottorali a un giovane così distinto per nobiltà di natali e per copia di erudizione. Il neo-dottore, ritornato a Torino, pare che si mettesse al servizio del Card. Bobba in qualità di segretario, e che in quello stesso anno lo accompagnasse a Roma (6). Probabilmente fu allora per la prima volta presentato al Card. Ferdinando De' Me- dici; ma nell'eterna città vi si trattenne per poco; ritornò ben presto a Torino, dove attese ad esercitare l'avvocatura. Intanto per mezzo del Bobba e del Card. Fer- dinando facevasi raccomandare al Gran Duca Cosimo I e al figlio Francesco che a nome del padre reggeva lo Stato (7). Giulio Del Caccia, il quale andava e veniva da Torino per sentire i responsi di Perin Bello sulla quistione sorta tra Lucchesi e Ferraresi (8), è incaricato anche di prendere le debite informazioni sul conto del nostro Carl'Antonio: e infatti osserva e riferisce; alla corte Medicea parla di lui con lode e ne mette in rilievo la speciale perizia nel discutere le cause. Il Gran Duca allora lo chiama a Firenze ; ed egli subito si dispone a partire con una lettera rilasciatagli da Perin Bello, Consigliere di Stato e Presidente del Senato (1) Così egli firmavàsi prima che fosse Arcivescovo. In seguito sottoscrivevasi Carolus Antonius Puteus Archiepiscopi^ Pisanus. (2) E. Alberi, Relazioni degli Ambasciatori Veneti. Firenze, 1839-63, voi. 2° (2a serie), pag. 248. (3) C. Bonardi, Lo studio generale a Mondovì, ed. Torino, 1885. (4) Barelli, Memorie dell'origine, fondazione ecc. dei Chierici Regolari di S. Paolo. Bologna, 1707, voi. 2°, pag. 76. (5) Corsi, Orazione in lode dell'Ili.""' e R.m° Mons." Carl'Antonio Dal Pozzo Arcir. di Pisa. Firenze, Giunti, 1808. (6) Tenivelli, Biografìe Piemontesi (ed. 1785). Decade 2a, pag. 243 e 285. (7) Arch. Mediceo, filza 5105, lettera del Gr. Duca al Cardinale, 10 dicembre 1571, f> 3737, lettera del Card. Bobba. Roma, 2 giugno 1572, f» 3738, Roma, 11 luglio 1572. (8) F. Rondolino, op. cit. in " Misceli, di st. it. „ edita per cura della R. D. di st. patria di Torino, T. XII (2a serie). — Adriani G. B., Istorie, ed. 1587, voi. 2°, lib. 19, pag. 1368. a VITA DI CAKLANTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PUTEANO 223 di Piemonte, e indirizzata a Bartolomeo Concini 1° Segretario di Corte. In questa lettera si scrive: " ...non ho voluto, perle buone qualità sue, mancare di far fede a V. S. ch'io per le attioni sue, manifeste non solo a me, ma a tutto questo paese, lo reputo di tale sufficienza et valore, che ardirò dire che de l'età sua trovarla pochi pari in tutta Italia „ (1). Il Dal Pozzo fu nominato Giudice o Auditore di Ruota (2), ossia Giudice di Tribunale, come ora si direbbe ; il qual ufficio non conferivasi se non ai forestieri. A' dì 2 settembre del 1572 è già ricordato come Giudice di 1° Appello del Quartiere di S. Maria Novella e S. Giovanni (3). Ma per breve tempo tenne que- st'ufficio: nel luglio del '74 (4), non soltanto nel '75, come asserisce il Tenivelli, è rivestito della carica di Auditor Fiscale. D'ora in avanti deve attendere alla difesa di tutte le cause, dove il Fisco ha interesse; deve procurare che tutti i magistrati della città osservino le loro leggi; deve andar fuori per il dominio a ricercare se i popoli si dolgono dei Rettori (5); deve visitare le carceri una volta al mese, e più o meno secondo il beneplacito del Gran Duca; deve farsi mandare dai Rettori una nota di tutti i carcerati che hanno da pagare le condanne o altri debiti allo Stato ; deve soprintendere a tutti i Depo- sitari, Camarlinghi, Provveditori dei Magistrati e dei Rettori e vigilare per la riscos- sione dei erediti del Fisco (6). Il Galluzzi osserva che il nostro Dal Pozzo può dirsi il primo che facesse emer- gere fuori dei limiti del Fisco la sua autorità (7) ; in altre parole , fu qualcosa di più che Avvocato Fiscale. Cominciava in certo qual modo a far da Consigliere del Gran Duca in cose giurisdizionali. Trascriveremo qui per disteso una breve lettera che conferma quanto noi diciamo: Serenissimo Patron mio, Ho visto, con quella diligenza et secretezza qual per ordine di V. A. mi fu comandatto, li processi agitatti in Siena fra Gio. Batta de' Sancti et li fratelli Pontani ; et tutto considerato, referisco a V. A. che per mio parere la causa è degna di revisione : non mi estenderò in far narrativa del fatto et delle ragioni quali mi moveno per non infastidir V. A., al che però sarò pronto sempre che V. A. resti servita accennarlo. Et intanto con '1 cuore a V. A. faccio humil- mente riverenza. Di casa alli 20 di febraro 1580. Di V. Altezza Humil.mo Servitor Carl 'Antonio dal Pozzo (8). Antonino Tessauro, 1° Presidente del Senato, e padre di quell'Alessandro che fu poeta didascalico e amicissimo del Nostro (9), essendo stato invitato a venire in To- scana per discutere una lite di confini, tiene di tutto informato il Fiscale, perchè a (1) Carte Strozziane, filza 22, e. 161. (2) Id., filza 39, e. 95. (3) Arch. della Ruota, filza 3099, e. 11. (4) Archivio della Camera Fiscale, filza 1635, e. 1. (5) " Rettori del Dominio „ erano i giudici del contado, i giudici della città erano detti Magistrati. 1,6) Cantini, Legislazione Toscana, voi. 5°, pag. 75-92. (7) Galluzzi, Storia del Granducato di Toscana (ediz. 1841), voi. 4°, pag. 9. (8) Arch. Med., filza 744, e. 180. (9) Vedi un mio articoletto in " Arch. stor. it. „, serie V, tomo XXIII, disp. 2a, pag. 336. 224 DOMENICO VALLA 4 sua volta trasmetta le notizie al Gran Duca (1). Dalla congiura de' Pucci (1575) le confische fatte sui beni dei congiurati portarono all' erario il guadagno di 30.000 scudi. Segno che il N. faceva ben bene il suo dovere. Ed ora ci si presenta un fatto curioso: Nel '78 il N. facevasi ordinar prete: tutti i biografi credettero sinora che quando, più tardi, fu fatto Arciv. di Pisa, fosse ancora laico; ma nuovi documenti, che ora per la prima volta vedono la luce, dicono chiaramente che nel 1582 il N. eragià Protonotario Apostolico e in sacris da quattro anni (2). Intanto osserviamo il fatto singolarissimo di un Avvocato Fiscale che d'ora in avanti è anche prete. Agli ultimi di maggio di questo stesso anno (1578), Mons. Pacino, Vescovo di Chiusi, trovavasi in pericolo di vita. Il nostro neo-sacerdote pregava ben tosto il Ministro Serguidi e il Gran Duca, perchè lo raccomandassero al Papa nel caso che vacasse quel Vescovado (3). 0 che il Pacino non morisse, o che le preghiere del N. non fossero esaudite, certo è che lui, il Dal Pozzo, Vescovo di Chiusi non fu. A' dì 7 aprile dell'anno seguente esprimeva al Gran Duca il desiderio di essere nominato Coadiutore dell'Arciv. di Siena: ma neppure ciò potè ottenere (4). Nel luglio trova- vasi a Bologna, non si sa se per ragion d'ufficio o se per mero caso ; gli capitò nelle mani un importantissimo deposito giuridico, dove si diceva che Don Antonio non era figlio di Bianca Cappello, come lo stesso Gran Duca credeva, ma bensì figlio di una donna del popolo chiamata Lucia (5). Il Dal Pozzo si affrettò a trascrivere una copia di simile documento e a mandarla al cardinal Ferdinando, che cercava sempre di tenere informato degli intrighi di corte: e ciò faceva per debito di gratitudine verso colui che gli aveva procurato il posto di Auditor di Ruota. Nel 1582 morirono a breve intervallo l'uno dall'altro due fratelli del N. In questa luttuosa circostanza egli dovette recarsi a Torino per assestare cose di famiglia (6). Si recò anche dal Duca di Savoia e gli lasciò capire che il Gran Duca Francesco si sarebbe ritenuto fortunato di dargli in sposa una delle sue figliuole (7). Fu di ritorno a Firenze il 19 maggio. Carlo Emanuele avevagli anche consegnato una lettera da rimettere al Gran Duca (8). La ferita prodottagli dalla recente disgrazia accadutagli in famiglia doveva essere rimarginata da un caso lieto. A' dì 8 giugno rendevasi vacante l'Arcivescovado di Pisa per la morte di Mons. Matteo Rinuccini. Subito il N. dà di piglio alla penna, e scrive: (1) Arch. Med., f» 674, e. 297; f 696, e. 13; f 701, e. 146; f 703, e. 207-206; f 306, e. 241. (2) " Il signor Cari' Antonio ha qualità si bonorate et si proporzionate a quel carico che io non so dove S. Santità potesse collocarlo meglio. L' età sua è di 35 anni. Già quattro anni si fece prete, poiché così ordinò S. Santità... „. Lettera di Pier UsimbarJi al Card. Ferdinando scritta da Firenze li 9 giugno 1582. Arch. Med , filza 5109, e. 94 e 103. (3) Arch. Med., filza 711, e. 58. (4) Ibid., filza 722, e. 244. (5) " Rassegna Nazionale „, fase. 1° marzo 1899. (6) Arch. Med., Blza 754, e. 545. (7. [Lia., filzi 755, e. 108-140. (b) Ibid., filza 755, e. 436: " Arrivai due giorni suono, et poiché spero che V. A. deva esser di felice et presto ritorno, non havendo a riferirli cosa che non possa aspettar tempo, mi tratterrò sin al riturno di V. A. Et intanto li mando l'alligata del Signor Duca di Savoia ecc. Di Fiorenza alli 21 maggio 1582. 5 VITA DI CARLANTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PUTEANO 225 Serenissimo Signor Patron mio, Sentendo in questo punto la morte dell' Arciv.° di Pisa, non ho volsuto mancare di ricor- rere all' A. V. suplicandola a favorirmi della nominatone particulare con S. Santità, come si è degnata in altre occasioni, assicurandola che in qualsivoglia fortuna che la mi porrà, habia da servirla fedelmente, et ricognoscere ogni mio bene da Lei, alla qual facio humilmente riverenza: alli 10 di giugno 1582. Di V. A. Burnii.""' et ^delissimo Servito)- Carl'Antonio dal Pozzo (li. Sbaglia pertanto il Bocchi a scrivere: * Carolus Antonius Puteus nemini, ut sacram dignitatem assequeretur, supplicava „ (2). Erra similmente il Corsi ad affer- mare che il Dal Pozzo " fece grandissima resistenza di non voler pigliare a portare sopra le sue forze di cosi gran carico „ (3). Invano si arrabattano i due panegiristi a difendere il postulante dall'accusa da cui si difende da per se dinanzi al tribunale della storia vera, che giudica l'uomo con speciale riguardo all'ambiente in cui visse. È bensì certo che un pastore di anime, compenetrato dello spirito evangelico, invece di domandare una cattedra Vescovile, la rifiuta se gli viene offerta; ma dobbiamo considerare che quelli erano tempi in cui piscabantur Episcopatus (4), e che allora sarebbe stato insulsamente modesto un gentiluomo che, occupando una delle prime cariche civili, non avesse anche espresso il desiderio di essere insignito di qualche dignità ecclesiastica. Ma il Dal Pozzo, per sua disgrazia, aveva ben sette competitori Alcuni Fiorentini, arguti e maligni nello stesso tempo, andavano dicendo clie, fra tanti concorrenti, il Papa, per non far torto a nessuno, avrebbe finito con dare quel- l'Arcivescovado al sagrista di Fivizzano (5). Gregorio XIII in realtà propendeva per Giovanni Alberti, fiorentino, Vescovo di Cortona e Ambasciatore residente alla Corte Cesarea (6). Senonchè costui era incolpato di aver venduto una prebenda per 700 sacchi di grano; e ciò bastava perchè su di lui non cadesse la nomina. Il N. poi, per sua disgrazia, non era troppo accetto al Pontefice, e non si sa per qual ragione; ma alla Curia Romana aveva un forte appoggio nel Card. Ferdinando, con cui già sin d'allora era carne et ongia (7), per esprimermi con una frase sua propria e comu- nissima anche oggi nel dialetto piemontese. Questo suo amico e protettore, la mattina del 7 agosto, mentre cavalcava per Roma insieme col Papa, gli si accostò tanto da toccargli l'argentea barba per doman- dargli che risoluzione aveva preso circa l'Arcivescovado di Pisa. Il vecchio lesse, per dir cosi, nella mente del Cardinale, indovinò il suo pensiero, e gli disse che avrebbe dato più volentieri quella Chiesa all'Alberti, ma che, a causa della simonia, non po- tendo risolversi in lui, si contentava della persona del signor Cari' Antonio (8). (1) Arch. Med., filza 755, e. 616. (2) Op. cit., pag. 9. (3) Op. cit, pag. 20. (4) Vedi l'opera giuridica del Dal Pozzo, voi. 4°, e. 356 (mss. alla Laurenziana). (5) Arch. Med., filza 5117, lettera del card. Ferdinando, 29 giugno 1582 e filza 5109, e. 125. (6) Ibid., filza 5109, e. 103 e filza 3747, lettera del card, di Como l'ultimo di giugno 1582. (7) Ibid., filza 757, e. 259. (8) Ibid., filza 5117, Roma, 7 agosto 1582. Sekie II. Tom. LUI. 29 DOMENICO VALLA b Strappato così il consenso Pontificio, il Card. Ferdinando scrive al nostro Fiscale, notificandogli il fatto (1), e contemporaneamente scrive al Nunzio di Firenze incari- candolo di dargli " l'esamine che si richiede per il sacro Conc. Tridentino „ (2). Ubbidì il Nunzio; e, terminato l'esperimento, ne mandava a Roma il relativo processo per la revisione del Pontefice ; il quale tutto approvava, e a' dì 7 settembre " preconizzava , il Dal Pozzo Arcivescovo di Pisa (3). Il nuovo eletto non aveva diritto ai frutti della Chiesa, se entro tre mesi dal giorno della preconizzazione non rice- veva la consacrazione (4). Il Nostro veniva consacrato verso la fine di novembre o ai primi di dicembre (5). Sin dal 30 settembre lo stesso Gran Duca aveva esortato Mons. Calefato ad accettare l'ufficio di Vicario che il neo-Arcivescovo voleva confe- rirgli (6); e a' dì 23 ottobre incaricavalo di pigliar possesso della Chiesa (7). Il Nostro, fatto così Arcivescovo, passò alla corte Medicea; ivi si tratteneva per tutto il tempo che non era tenuto alla residenza in Pisa, servendo il Gran Duca in qualità di Consigliera Segreto. Ciò rilevasi dalle sue lettere scritte da Firenze negli anni 1582-87, ossia dal principio della sua carriera Episcopale sino alla morte del Gran Duca Francesco. Suo compito era di dare consigli, pareri, opinioni, specialmente in cose giudiziarie (8); ma in realtà entrava un pochino nell'amministrazione gene- rale, tanto che qualcuno tentò di riferire al Papa che l'Arcivescovo di Pisa faceva il ministro, e che il Gran Duca mandava la iurisditione spirituale sottosopra. A questo proposito sarà bene riportare una lettera scritta dall'Arcivescovo stesso e diretta al Serguidi, 1° Segretario di Stato: ...Huora saprà che il diavolo ha trovato modo di tentarmi, se io sapevo far dar quattro pugnalatte al Nicolo Calefatti, alias monsignore. Pure Dio mi aiuta, et non mi abandona della gratta sua, et così in Sua Divina Maestà ho rimesso tutto, et in S. A. che è più tocca di me, et so che difenderà il suo et mio honore, anzi quello di Dio. Et adesso è tempo che V. S. aiuti et favorisca l'inocentia mia, che mai da Juda in qua fu inteso il maggior assassinamento. Ho processato qua un frate.... Questa bestia del Calefatto è andato a persuader il frate (ch'aveva promesso di farlo) ch'andasse a Eoma et proponesse di voce che il Gran Duca mandava la iurisditione spirituale sottosopra et usurpava, et che io facevo '1 ministro. Et à ordinato un memoriale di sua mano, che se ne facesse due copie, una per il Papa, et l'altra per la Con- gregatione, ma senza nome, per metter alle mani il Papa con S. A. et nocer a me, et indriz- zando il frate al card. Santa Severina. Dio che vole aiutar l' inocenza mia , et che costui sia castigato, ha fatto che tutto è capitato in mia mano. Et il frate m'ha dato ogni cosa , et ho tutto in scritto di mano propria sua. Est crìmen laesae maiestatis et per conto di S. A. et anco (1) Arch. Med., filza 5117, lettera del Card. Ferdinando al Dal Pozzo, Roma, 7 agosto 1582. (2) Ibid., filza 5117, lettera del Card, al Nunzio. (3) Ibid. (4) Pallavicino, Istoria del Conc. di Trento. Roma, 1657, voi. 2", pag. 816. (5) Le sue lettere sino al 22 novembre sono firmate VArciv." eletto iti Pisa. Dal 3 dicembre in poi sono firmate VArciv." di Pisa senz'altro. (6) Arch. dell'Arcivescovado di Pisa, Acta Extraordinaria, filza 15, e. 1. (7) Bibl. Riccardiana, mas. 2205, e. 1. (8) Arch. Med., filza 1188, 3» ultima carta. Parere autografo. Altri pareri v. in Arch. Med., filza 763, e. 644; f» 779, e. 82; f* 769, e. 508; f* 1189, lettera 2a dell'inserto: L'Arciv. manda al Serguidi la risposta da farsi per la causa dell'Avogadro; filza 1193, lettera 2a dell'inserto. 7 VITA DI CAELANTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PUTEAXO UliT contro, proprium, Episcopum. Però costui è laico et non ha ordini (1) né benefitio , et l'offitio non lo fa nulla (2). Et così è cognitione delti otto (3). Et spero che S. A. lo deva metter in un fondo di torre a vita, che il maggior contento non può fare a suo padre. Se fosse non laico, lo castigarei io. Mando Lorenzo a posta, et mando tutte le cose iustificatissime: lui portare in qua l'ordine al Bargello che. lo conduca costì come V. S. li ordinarà. Et S. A. si contenti liaver patienza di sentir legger tutto questo: è il demonio et lo cognosco. Non lo facio per vendetta, ma perchè anco Dio si risente per esser tocco nello honore, et V. S. sa quanto premano queste materie. Finisco et me li raccomando. Di Pisa alli 18 di maggio 1583. Solito Servitor L'Arcivescovo di Pisa (4). (Poscritto). Bisogna star segretto sino che il colpo è fatto. Dire che l'Arcivescovo facesse il ministro, sarebbe forse un'esagerazione, ma che egli avesse molta ingerenza in cose di capitale importanza, non è da mettersi in dubbio. " Nel trattato di Francia S. A. mi comandò che se l'accordo di Madama era excluso, io andassi udendo et avisando „ (5). Così lui stesso scriveva al Serguidi. Il Gran Duca gli comandò di distendere la riforma dello offitio de' Fossi (6), di pubbli- care una dichiarazione, dove sono annoverati gli obblighi de' mallevadori (7). La let- tera scritta a Madama (ossia alla Regina di .Spagna) non è se non una copia di quella scritta dall'Arcivescovo (8). Il Gran Duca lo incarica di comprare case in Pisa del valore di 450 scudi (9). Nel novembre dell'82, nell'occasione che si recò a Roma per essere consacrato Arcivescovo, a nome del suo Patrone dovette supplicare il Papa a concedere un'Ab- bazia al Card. Ferdinando (10). Nell'aprile dell'84 fa parte della comitiva che accom- pagna la figlia del Gran Duca, che va sposa al figlio del Marchese di Mantova (11). Circa la compra del Ducato di Popoli dà al Gran Duca alcuni avvertimenti, facen- dogli conoscere per qual motivo bisognava aprire ben bene gli occhi (12). Nel maggio dell'85 è mandato a Roma per presentare, a nome della famiglia Medicea, le con- gratulazioni a Sisto V della sua assunzione al Pontificato (13). In ogni circostanza il Dal Pozzo procedeva sempre colla massima rettitudine (14): questa, anzi, era tale che se si fosse regolato così verso Dio, si sarebbe assicurato un luogo fra i S,udi, come soleva esprimersi lui stesso (15). (1) Siccome fu Vicario dall'ottobre 1582 all'aprile 1583, bisogna supporre che per tale ufficio non si richiedessero gli ordini sacri. (2) non lo fa nulla = non gli conferisce alcun carattere sacro. (3) Il tribunale degli Otto di Guardia e Balia. (4) Ardi. Mediceo, filza 1189, lettera 8" dell'inserto. Per " inserto „ intendiamo sempre l'insieme di alcune carte riunite e ordinate dentro un sol foglio, su cui sta scritto: " L'Arcivescovo di l'imi ... (5) Arch. Med., lettera 11» dell'inserto in filza 1193. (6) Ibid., filza 760, e. 305. (7) Areh. Agostini, filza 444-92, lettera 355. Serravezza, 4 ottobre 1606. (8) Arch. Med., filza 763, e. 644. (9) Ibid., filza 1189, lettera 2» dell'inserto. (10) Ibid., filza 757, e 246, 252 e segg. e filza 1187, lettera 7a dell'inserto. (11) Ibid., filza 1189, lettera 9» dell'inserto. Di Mantova, l'ultimo di aprile 1584. Ibid., lettera 4". (12) Ibid., filza 764, e. 491. (13) Ibid., filza 1193, lettera 3» dell'inserto. Pisa, 7 maggio 1585. (14) Lo stesso Gran Duca scriveva: " L'arciv." è stimato di tale intelligenza et bontà che non sia per permettere che ricevano torto „, 17 luglio 1583. C. Strozz., filza 142, e. 4. (15) Areh. Med, filza 769, e. 488-90. 228 DOMENICO VALLA 8 Xon minore era la sua deferenza verso il Patrone: quando si assentava da Pisa per recarsi a Roma, a Torino o altrove, domandava prima licenza (1). Nell'ammini- strazione dei monasteri, Dell'assegnare prebende e cappellanie, spesso non faceva altro che eseguire la volontà del Gran Duca (2). Permetteva che fosse demolita la Chiesa di S. Donato, perchè il Gran Duca si servisse del sito et della materia per erigervi una fabbrica (3). Pregava Dio per il buon accasamento della Principessa (4) e per il felice parto della signora Bianca (5). Insomma si mostrava in tutto e per tutto fidele servitor del Gran Duca e della sua famiglia. Nel 1587 Francesco moriva: succedevagli il fratello Ferdinando. Esamineremo in un capitolo a parte gli ulteriori rapporti del- l'Arcivescovo con lui. e l'opera prestatagli come Consigliere segreto. Qui vediamo brevemente in qual modo egli resse la sua Diocesi: Anzitutto si mostrò assai rigido verso il clero secolare e regolare, dove serpeggiava la corruzione. Non erano pochi i preti e i frati concubinari (6) o dediti all'ubbriachezza e ai ba- gordi (7). L'Arcivescovo li faceva talvolta catturare dal Bargello (8). Per punire i trasgressori di qualunque specie aveva a sua disposizione le seguenti pene: la tor- tura (9), i tratti di corda (10), i colpi di frusta (11), la pena vergognosa dell'asino e della scopa (12), gravi multe (13), e anche la galera (14). Condannava alla più stretta clausura quelle monache che si mostravano capricciosette e ostinate (15). (1) Arch. Med., filza 1193, lettera 3a dell'inserto " L'Arcivescovo di Pisa „. (2) Ibid., filza 1189, lettera 4" dell'inserto. Arch. Agost., filza citata, lettera 107. (3) Arch. Med., filza 1189, lettera 3a dell'inserto. 6. Sainati, op. cit.. ed. 1898, pag. 154. (4) Arch. Med., filza 760, e. 242. (5) Ibid., filza 1195, lettera 7" dell'inserto. Pisa, 15 novembre 1586. (6) Arch. Agost., filza 444-92, lettera 183: Firenze, 13 ottobre 1590. Lettera 203: Firenze, 25 aprile 1582. Lettera 134: Roma, 26 agosto 1585. Prete Giobbe pensa a mantenere in casa la concubina, ma non a soccorrere i parenti bisognosi. Un frate era stato mandato a Pisa per fare libri di canto ; e per poter convivere con due vezzose ragazze, andava dicendo che erano sue cugine. Un altro frate, avendo sposato una giovinetta, per non essere punito voleva far credere che non aveva ancora ricevuto i sacri ordini. (7) Ibid., lettera 300 scritta da Firenze, 26 luglio 1599. ' Quanto al prete Ventura V. S. li faccia un precetto con rogito che per l'avenire s'astenga dalle sudette ebrietà, bagoi-di,.. con Preti, et con seculari sotto pena della privatione de' Benefizi ipso iure et facto. Quanto a quel Chierico di Nicosia, V. S. lo condanni, per la delatione dell'arme, admenatione et insorentie fatte, alla Galera a bene- placito ; et se bene è contumace, se si saprà dove egli sia, si procurerà che la pena non resti illu- soria ». È una lettera indirizzata dall' Arciv. al suo Vicario, che era anche Presidente del Tribunale Ecclesiastico Diocesano. (8) Ibid., lettera 294: " Quel Don Costanzo non è in habito di Prete, et io ne ho benissimo notitia, ma in habito di frate bianco ; V. S. dia ordine al Bargello che vadi a Livorno a farne cat- tura con manco strepito che sia possibile „. Firenze, 3 novembre 1598. Lettera 203: " Li mando... un'altra lettera del sig. Card, di Fiorenza per conto delle monache convertite fuggite da Perugia; delle quali potrà avvertire il Bargello. Li mando un'altra lettera di quel che desidera saper dame il sig. Card. Cusano per conto de' frati di S. Francesco : V. S. procuri di darmi tutta quella distinta relatione che potrà, et particolarmente di quel frate, che altro volte io ho scacciato, quale ha la con- cubina et figliuoli „. Firenze, 25 aprile 1592. (9) Ibid., lettera 325. Firenze, 21 settembre 1602. (10) Ibid., filza 445-93, lettera scritta da Roma, 20 febbraio 1602. (11) Ibid., filza 444-92, lettera 134. Roma, 26 agosto 1585. (12) Ibid., lettera citata 325. (13) Ibid., lettere 112, 325, 346. (14) Ibid., lettere citate 134, 325. (15) Ibid., lettere 119, 146, 175, 207, 266, 304. 9 VITA DI CABLANTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PCTEAXO 229 Uniformandosi ai decreti del Conc. Trid. fondò in Pisa un piccolo Seminario, ponendovi per maestri preti lodati per lettere , per costumi et per devotione (1). Il piccolo edifizio fu terminato soltanto nel 1627 dall' Arciv. Giuliano De' Medici (2); l'iscrizione, diesi legge al sommo della porta, mostra l'inconsideratezza di colui che ve l'appose; ivi si ricorda il religiosissimo Giuliano e non si fa il minimo accenno al nostro Dal Pozzo che fu veramente il fondatore del piccolo Seminario, e tanto si adoprò per la prosperità del medesimo (3). Promuoveva con molta facilità al sacerdozio; esultava di gioia, quando molti seminaristi presentavansi per essere ordinati: " Vi sarà da far per tutti in linea Domini „ andava esclamando, tutto con- tento. Si mostrava duro e inflessibile coi candidati ignoranti, e soleva dire: a Ecclesia non . gei asinis ferratis sed viris litteratis „ (4). Fece ristaurare il palazzo Arcivescovile, spendendovi una gran quantità di danari, come dice nel suo testamento; al principio del sec. XIX il Da-Morrona nell'ornato delle finestre vi leggeva ancora le parole Carolus Antonina Puteus Àrdi. (5). Nel 1595, la notte del 24-25 ottobre, l'antichis- simo Duomo di Pisa veniva miseramente distrutto da un incendio: le centinaia di colonnine eleganti, le bellissime porte di bronzo, decorate di fini scolture che stavano a rappresentare gli inizi dell'arte, furono inesorabilmente consunte, come se fossero state di cera (6). Di cosi mirabil machina non restarono che le pareti, due cupole e alcune preziose reliquie. Grande, immenso fu il dolore dell'Arcivescovo per sì grave disgrazia, siccome ci attesta una sua lettera scritta da Firenze a Giuseppe Bocca, Vicario Generale (7). Ma il suo animo profondamente addolorato doveva trovare un conforto nella religiosità del Gran Duca. Questi donò subito, per la ricostruzione, 12.000 scudi, pubblicò un bando per il rincaro del sale (8), nominò una commissione di quattro Deputati, i quali dovevano procurare che ogni cosa si facesse con discorso e giudizio (9). Ed intanto dava gli ordini opportuni, che venivano trasmessi ai Deputati per mezzo dell'Arcivescovo. Questi poi impartiva altri ordini per volere proprio. Ordinava che Gian Bologna, il celebre scultore, mettesse subito mano agli angioli, perchè essendo vecchio poteva mancare da un momento all'altro (10). Voleva che il Portigiani non si assumesse altri impegni fino a che non avesse finito di lavorare attorno alle porte (11); sollecitava i Deputati, perchè i lavori fossero terminati quanto prima (12); li avvertiva del tempo opportuno per porgere suppliche al Gran Duca (13). E questa fu collaborazione morale, diciamo così; ma fu largo anche di soccorsi materiali e positivi. Donò 500 scudi (14) (1) Arch. Agost., lettera 254. Dall' Ambrogiana, 30 novembre 1596. (2) Sainati, op. cit, pag. 9. (3) Arch. Agost., filza 444-92, lettere 127, 129, 130, 166, 191. (4) V. l'opera sul Principe, voi. 2°, cod. 47, e. 36 tergo. (5) Da Morkona, op. cit., voi. 3", pag. 338. (6) Settimanni, Diario, voi. 5", pag. 423-24. — Navarbette, Memorie Pisane, voi. 2°. (7) Arch. Agost, filza 444-92, lettera 244. Fiorenza, 25 ottobre 1595. (8) Cantini, op. cit., voi. XIV, pag. 130. (9) " Arch. stor. it. , (1844), tomo VI, parte 1% pag. 118. (10) Arch. Agost., filza 444-92, lettere 330 e 340. (11) Arch. dell'Opera. Filza cit., lettera 500. Firenze, 14 luglio 1601. (12) Ibid., lettera 116. Siena, 16 giugno 1596; lettera 134. Firenze, 3 agosto 1596. (13) Ibid., lettera 101. Firenze, 18 maggio 1596. (14) Archivio dell'Opera (Arch. di Stato - Pisa), Registro 1256, e. 1. 230 DOMENICO VALLA 10 pagati in tre rato dal suo amministratore, cioè dal canonico Sabini. Donò ricchissime paramenta di broccato d'oro, le quali furono riposte nella sagrestia che ora chiamasi dei canonici, dove si conservano tuttora (1). La relativa iscrizione (2), posta sulla guar- daroba che le racchiude, dice che non si possono adoperare se non dall'Arcivescovo celebrante. Lo stupendo Crocifisso di bronzo che si vede ancora sull" Aitar Maggiore e i due bellissimi candelieri sorretti da due angioli parimenti di bronzo, che ora sono alle due estremità della grande balaustra del Presbiterio (mentre prima sta- vano accanto all'altare), sono doni fatti dall' Arciv. Dal Pozzo. Sia il crocifisso che i due angioli sono opera di Gian Bologna. Il crocifisso poggiava prima sur un piedi- stallo in forma di Monte-Calvario, sul quale, dalla parte verso il. Coro, l'Arcivescovo aveva fatto porre un'iscrizione, dettata da lui stesso (3). Non solamente il Duomo, ma anche la Chiesa detta dei Cavalieri, quella di San Francesco, e molte altre furono ristaurate mentre vivevano il Gran Duca e l' Arciv. Dal Pozzo. Quegli nelle cose di Chiesa mostravasi molto benigno verso il suo Consigliere: accresceva le entrate di alcune Parrocchie meno ricche delle altre (4), concedeva grazie a piene mani; buono come egli era (5), annuiva quasi sempre alle suppliche che i preti Pisani gli porge- vano, dietro suggerimento dell'Arcivescovo. Questi, per mezzo del Vicario, esortava il Capitolo (6), i Rettori delle chiese (7), degli ospedali (8), dei monasteri (9) a chieder favori, li avvertiva del tempo oppor- tuno, e intanto li assicurava della sua protezione, dicendo: " et io vedrò quello si possa fare „ (10). Cosi, per es., scriveva al Vicario: " Dica al Curato di S. Jacopo che io l'aiuterò, acciò che ottenga da S. A. la grafia , (11). Un'altra volta: " V. S. dica (al Pancucci) che facia una suplica a S. A. et mi si mandi, che io non mancarò di aiutarlo „ (12). (1) Donò anche 60 legni di abete che gli erano stati offerti dai monaci del Sacro Eremo di Camaldoli. — Qui possiamo ancora ricordare che il nostro Arcivescovo fece porre sul famoso cam- panile, che è conosciuto col nome di torre pendente, una campana nuova, la quale ancora adesso è chiamata il Pozzetto. Così mi disse il Sainati, dotto canonico Pisano, autore del Diario scerò tante volte citato. (2) Tenivelli, op. cit., pag. 290. (3) " Bisogna anche pensare a far un pie' di stallo in forma di monte Calvario al Crocefisso sopra l'Aitar Grande et una inscritiione di marmo al rovescio dell'Aitar, dove si facci memoria del Crocefisso che io dono, et manderò Ir parole che s'hanno » scriver „. Firenze, 17 agosto 1602. Ardi. del- l'Opera. Filza di lettere sulla ristaurazione del Duomo. L'iscrizione, di cui qui si parla, è riportata dal Martini Theatrum Basilicae Pisanae, pag. 36, e dal Mattei, op. cit., pag. 212. (4) Arch. Agoat., lettera 285. Dall'Ambrogiana, 13 luglio 1598. (5) Al principio del suo governo fece coniare una medaglia, dove si vedeva uno sciame d'api col re in mezzo, che, siccome osservano i naturalisti, mancava dell'aculeo. Con ciò il nuovo Gran Duca voleva significare che l'imperio saria senza rigore. G. E. Saltini, Storia del G. D. Ferdinando. Firenze, 1880, pag. 30. (6) Arch. Agost., lettera 216. Maggia, 12 dicembre 1592. (7) Ibid., lettere 170, 181-183. (8) Ibid., 259. Firenze, 29 maggio 1597. Manda al Vicario un modulo di una deliberazione da farsi in favore dell'Ospedale " Del Grasso „ di Pisa. (9) Ibid., 223, 227, 313, 314. (10) Ibid., lettera 148. Firenze, 8 novembre 1587; lettera 317. Firenze, 14 luglio 1601. (11) Ibid., 170. Livorno, 27 marzo 1589. (12) Ibid., 181. Firenze, Il agosto 1590. 11 VITA DI CARLANTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PUTEANO 231 In conclusione l'affetto e la riverenza del Gran Duca verso l'Arcivescovo ridon- davano anche a vantaggio della Diocesi Pisana. Bisognerebbe ora accennare ad altre opere lodevolissime compiute dal Nostro, come sarebbe la fondazione del Collegio, della Commenda Putea, della Cappella Puteana: ma di tutte queste cose parleremo altrove in modo particolare. Qui basterà osservare come nella Cappella Puteana, la quale trovasi nel Camposanto Urbano, il nostro Arcivescovo nell'a. 1600 si fece preparare il suo sepolcro. Indi sopravvisse ancora sette anni. In questo scorcio di vita soleva, durante l'estate, recarsi in vil- leggiatura a Serravezza, paesetto poco distante da Massa-Carrara, rinchiuso in angusta valle, tra alte colline terminanti in vette aguzze e dentellate. Aveva a sua disposi- zione la villa Medicea: Quivi tra i laghetti e i mirteti, al rumorio dei giuochi d'acqua zampillante egli sfogliava i suoi cari libri di diritto. In questa beata solitudine egli ebbe, diciamo cosi, la fortuna di morire. Era il 13 luglio del 1607. Il nostro Prelato giaceva in letto da sette giorni assalito da grave malattia, e non voleva esser per- suaso del suo male. Volendo esser medico da pei- sé, diceva di non aver febbre, o tutto al più diceva di non aver altro che un poco di catarro nella testa. Il canonico Sabini, che lo assisteva, avrebbe voluto scrivere al Gran Duca, al medico Fonseca e ad altri; ma l'Arcivescovo avevagli minacciato un aggravio penale per dissuadernelo. Ciò non di meno il buon Canonico che sfavagli sempre al fianco, e che nutriva vera- mente affezione per lui, a sua insaputa aveva scritto a Marcello Accolti, uno dei segretari del Gran Duca, e al Fonseca. Quando poi vide che le cose peggioravano sempre più, non esitò a chiamare immediatamente vari medici anche contro il divieto dell'ammalato. Ve ne accorsero tre (1); ma furono la causa della sua morte: Poiché non si peritarono di estrargli ben 50 Jionce di sangue per la vena del braccio destro. Naturalmente con una tal diminuzione di sangue sarebbe stato oppresso anche un uomo robustissimo nel pieno vigor delle sue forze, non che un povero vecchio di sessant'anni: il quale subito dopo l'operazione cadde in estrema sonnolentia: non parlava più, non moveva più, non dava più nessun segno di vita: Erano le 24 hore sonate. Il Sabini lo credeva già morto, e non lo era ancora. Ma quando il Gran Duca rice- veva la triste notizia della grave malattia, il povero Arcivescovo già da alcune ore aveva esalato l'ultimo respiro (2). " E morto un huomo di vita innocente et di gran- dissima integrità et valore, et a noi ha fatto in tutti i conti sempre grandissimo aiuto et servitio con la sua singolare prudenza et dottrina, et ce ne dispiace infini- tamente „ (3). Così esprimevasi Ferdinando, scrivendo ad un suo Ambasciatore. Fu fatta l'autossia del cadavere, e se " li trovò cuor crudo e vizo, milza gran- dissima e piena e guasta, borsa di fiele grande e piena di humore detto bile, fegato nella punta assai puntato, e lo stomaco ripieno d'un poco humor bilioso, ecc. „. In- somma si constatarono tutti gli effetti che poterono produrre l'itterizia malcurata e non per tempo, e l'enorme quantità di sangue sottratta dall'indiscreto cerusico. Il cadavere fu trasportato a Pisa per essere seppellito nel sepolcro, da sette anni pre- Ci) Il medico locale, quello di Pietrasanta, e un terzo, di cui non si dice donde venisse. (2) " Morse (= morì) venerdì notte alle 7 hore „ ossia alla mattina del sabato, 14 luglio. Non so come mai l'Ughelli abbia potuto scrivere che la morte avvenne il giorno 18. (3) Ardi. Med., filza 3502, lettera 14 luglio 1607, indirizzata a Giov. Niccolini Ambasciatore a Roma, 232 DOMENICO VALLA 12 parato; i precordi però, ciò che non fu mai osservato da nessuno, furono racchiusi in un'urna a parte e tumulati nella Chiesa Parrocchiale di Serravezza, precisamente nella Cappelletta della Concezione accanto all'altare in eornu Evangelii. Così almeno dice la tradizione, ma bisogna ben guardarsi dal credere che la pietra quadrangolare, che ivi si trova, ricordi questo fatto: ne lo stemma, ne l'iscrizione, che ivi si vedono, riguardano l'Arcivescovo Dal Pozzo. II. Carattere e coltura dell'Arcivescovo. Un certo Tommaso del Rosso, quando seppe della malattia del Nostro, faceva voti per la sua guarigione a ciò che la verità si mantenesse (1). Per comprendere il significato di queste parole, bisognerà osservare che il Dal Pozzo, anche dopo che fu fatto Arcivescovo, discuteva non di rado liti fra privati (2). In ogni caso si proponeva di difendere sempre la verità e nient' altro che la verità. " Ne preghi di amici, né raccomandazioni di parenti, ne favori di potentissimi Signori, ne offerte d'argento e d'oro ebbero già mai potere di farlo torcere dal dritto sentiero della giustizia „ (3). Niccolò del Troncia lo supplicava a raccomandarlo in una quistione consistente in puncto iuris; ma lui gli faceva sapere che sembravagli soverchia, per non dire inutile, la raccomandazione (4). II nostro Arcivescovo era dunque giusto, equanime, imparziale: viceversa poi era sottile, minuzioso, inesorabile indagatore della colpa. Assaliva il reo con tante domande, con una requisitoria cosi stringente da intimorirlo, confonderlo, annientarlo. Ecco un saggio di queste sue ter- ribili investigazioni. È il brano di una lettera indirizzata al suo Vicario: " V. S. chiami quel Puntorno (5) et li faci un constituto et li dia il giuramento come principale in facto suo et come in facto alieno, rimostrandoli le pene et preiuditii delli testimoni falsi tanto in dire il falso quanto in occultare il vero: et lo interroghi quanti anni ha riscosso queste entrate, et per chi, che conto n'ha tenuto, et che ne dia copia sopra che gli ha riscosso: et che campioni liaveva, et che sorte di scritture haveva del Hospitale et quali et quante, et a chi l'ha date, et se l'ha havute sotto inven- tario, et se erano altre che quelle che a V. S. sono state consegnate et che tenore et qualità et similia „ (6). Merita di essere esaminato il suo testamento (7), che comprende ben ottantasei pagine scritte in carattere fitto e minuto. È addirittura un ginepraio, un miscuglio (1) Ardi. Med., filza 942, e. 182 tergo. (2) " La lite del Lucchese vedrò d'espedirla „. Arch. Agost, lettera 112. Vedi anche Arci. Med., filza 759, e. 508. (3) Corsi, op. cit., pag. 25-26. (4) Arch. Agost., lettera 123. Firenze, 10 dicembre 1583. (5) Era Camarlingo dell'Ospedale detto del Grasso. Sembra che avesse pochi scrupoli di coscienza, e si arricchisse a danno dell'Ospedale. (6) Arch. Agost., lettera 266. Firenze, 5 luglio 1597. (7) Archivio Generale dei Contratti Testamenti, filza 593, 15, n° 22. 13 VITA DI CARLAXTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PTJTEANO di bolle e di brevi Pontifici, rescritti Granducali, citazioni di strumenti e di altri testamenti fatti prima: clausole, prescrizioni capricciose, accompagnate da un formu- lario tutto giuridico, arido, prolisso : notizie dettagliatissime di tutti i suoi beni, alcuni dei quali sono da lasciarsi agli uni, altri ad altri, con oneri e privilegi per questi e non per quelli. Il testatore ha l'occhio a tutto, sia alle piccole che alle grandi cose. Pensa a tutte le conseguenze possibili, a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di causa e via dicendo. Fa delle ipotesi studiate, lambiccate, arzigogolate con una logica sottilissima , involuta come i ricami della sua cotta arcivescovile. Siffatto modo di scrivere e di pensare era frutto dei suoi studi giuridici. Il Nostro adunque era un valente giureconsulto: lo vedremo anche meglio quando daremo uno sguardo all'opera sua principale. Ma non era un buon letterato. La menzione della frase virgiliana tu nihil invita dicas faciasve Minerva (1), e l'uso di questo verso del Petrarca l'idolo mio scolj>;l Antonio Dal Pozzo fu figlio illegittimo di quel Cassiano che fu 1° Presidente del Senato, e zio dell'Arcivescovo. Codesto Antonio venne anche a Firenze, vi ottenne cariche ed onori, fu audi- tore delle Bande, e mori nel 1619 (15 marzo). Fu sepolto in S. Croce, presso la prima colonna a sinistra di chi entra per la Porta Maggiore. 16) Arch. di Stato di Pisa, libro segnato O, Leggi degli Ufficiali del comune di Firenze, e. 255, 256, 257, 258. Lo strumento fu fatto nel palazzo Granducale " secus arnum in cappella S. Niccolae „. 244 DOMENICO VALLA 24 nipote dell'Arciv0 fondatore, qualora siano al servizio del Gran Duca e abbiano com- piuto 25 anni, possono pretendere dal Commendatore la pensione di 1000 scudi (di 10 giulii per scudo) (art. 11). Estinguendosi tutte le linee chiamate a succedere in detta Commenda, questa passerà al Gran Duca di Toscana, Gran Maestro della Reli- gione di S. Stefano (art. 13). Estinguendosi la discendenza mascolina del Gran Duca, il fondo della Commenda si trasferirà dalla Religione di S. Stefano ai 12 Governatori della Pia Casa di Misericordia, con l'obbligo di impiegarne i frutti nella redenzione degli schiavi dalle mani degl'infedeli, nel dotare le fanciulle povere Pisane (ciascuna dote però non deve oltrepassare i 100 scudi), nel soccorrere gli orfani, nel pagare medicine e alimenti ai carcerati che siano poveri (art. 14). La Commenda fu fondata nel- l'Ordine dei Cavalieri di S. Stefano, e ogni Commendatore, per conseguenza, doveva vestire l'abito di Cavaliere Stefaniano. Per mezzo di ricerche fatte appunto nell'Ar- chivio di S. Stefano, possiamo dare i nomi dei vari commendatori sino a tutto il secolo XVII: 1599, 8 giugno. Cassiano Dal Pozzo, figlio di Antonio cugino dell'Arcivescovo fondatore. 1657, 21 febbraio. Cari' Antonio Dal Pozzo, fratello del precedente. 1661, 3 ottobre. Ferdinando Dal Pozzo, figlio „ 1672, 29 marzo. Gabriello Dal Pozzo, fratello „ 1697, 25 luglio. Cosimo Dal Pozzo, figlio V. Il Collegio Puteano(*). Sembra che nel sec. XVI cominciasse a manifestarsi la tendenza a fondar col- legi. Due ne sorgevano, quasi contemporaneamente, nella sola Pavia : uno per opera di Pio V Ghislieri, l'altro per opera di S. Carlo Borromeo, che ne erigeva altri a Milano, in Ascona e altrove (1). Due altri erano fondati in Pisa stessa ; uno, nel 1568, dal Card. Giov. Ricci (2); l'altro, nel 1595, dal Gran Duca Ferdinando (3). Il Card. Bo- nifacio Ferrerò, biellese come il Nostro, aveva eretto in Bologna nel 1545 un collegio pel mantenimento di dodici scuolari piemontesi (4). Non dobbiamo pertanto meravi- gliarci, se l'Arcivescovo Dal Pozzo, o per non comparir da meno degli altri, o per seguire l'andazzo dei tempi, e certamente per amor della sua patria, si decise di fondare anche lui un collegio ; tanto più che il Gran Duca lo avrebbe a ciò esor- tato (5); opperò, questa volta almeno, avrebbe dato consiglio al Consigliere. Ma ancora un altro fatto merita di essere considerato : Per il fermo intendimento dei Duchi di (*) L'aggettivo " Puteano „ deriva, ognun lo vede, dal cognome latinizzato del fondatore. (1) A. Sala, Vita di S. Carlo, voi. I, pag. 54, 140, 265. (2) Grassi, op. cit., voi. 3°, pag. 62. (3) Grassi, ibid., pag. 12. (4) Tenivelli, op. cit., voi. 5°, pag. 84. (5) Inghikami, Storia della Toscana, ed. 1841, voi. 10, pag. 350. 25 VITA DI CARLANTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PDTEANO 245 Savoia di voler riacquistare il Marchesato di Saluzzo, il Piemonte fu devastato da continue guerre, e lo Studio di Torino trovavasi, per conseguenza, in condizioni de- plorevolissime (1). I professori furono ridotti a dover insegnare senza stipendio; per modo che quando davano le dimissioni o venivano a morire, non si trovava chi vo- lesse sostituirli. Questa è la ragione precipua, per cui il Nostro deliberò di fondare a Pisa un Collegio per gli studenti del suo paese, che, pur essendo dotati di una certa intelligenza, per mancanza di mezzi, non potevano recarsi a Pavia, Padova, Bologna, per frequentarvi il corso Universitario. Citiamo qui, ordinandoli cronologicamente, tutti i documenti che possono darci notizie precise e minute sull'origine del Collegio. 1603, 11 gennaio. Strumento, rogato Nicolò Troncia, dove (art. 10) si dice che l'Arcivescovo aveva già prima depositato danari pel mantenimento di due studenti poveri nel collegio eretto dal Gran Duca Ferdinando. Vi si dice che qualora egli stesso volesse in seguito mantenere più di due scuolari, dovessero avere tutti e sempre medici e medicine gratis. Bolla del Papa Clemente Vili in data 26 aprile 1604 e Breve dello stesso Papa in data 10 settembre 1604. È concessa. all'Arcivescovo la facoltà di fondare e dotare il Collegio, senza che gli sia ritolta l'altra facoltà, anteriormente concessagli, di far testamento. Vi si dice che il Collegio dovrà essere pio ma laicale, e che il diritto di Patronato e quello di nominare gli scuolari e il Prefetto, dopo la morte del fonda- tore, spetterà ai suoi eredi per sempre. 30 ottobre 1604. Strumento per l'affitto perpetuo della casa del Collegio, situata nella Piazza dei Cavalieri e sotto la Prioria di S. Sisto. La Religione di S. Stefano si obbliga per sempre alle spese di l'istauro. 8 dicembre 1604. Atto solenne di fondazione e dotazione alla presenza di cinque Padri Barnabiti nel convento di S. Frediano. Il fondo o patrimonio fu costituito da tanti Luoghi di Monte che davano l'annua rendita di scudi 698. 2. 14. 8 (=lire 4106.45). Comunemente si crede che il Collegio sia stato fondato nell'a. 1605. Da questo do- cumento risulta invece che la fondazione deve riportarsi all'anno antecedente. 18 dicembre 1604. Strumento dei Governatori della Pia Casa di Misericordia: Essi promettono perpetua ed inviolabile osservanza delle costituzioni del Collegio. 30 dicembre 1604. Strumento dei Lettori in Diritto. 1° gennaio 1605. Entrano in collegio i primi quattro alunni. 11 gennaio 1605. Atto d'obbligo et sicurtà del Camarlingo del Collegio. 12 gennaio 1605. Strumento con cui i Governatori della Pia Casa rilasciano Camarlingo la patente di poter riscuotere i frutti dei Luoghi di Monte. 22 gennaio 1605. Entra in collegio il 5° alunno. 23 gennaio 1605. Strumento dei Lettori in Filosofia e Medicina. 24 gennaio 1605. Strumento dei Lettori in Teologia. I vari Lettori dello Studio Pisano dichiarano esenti da ogni tassa scolastica i Collegiali Puteanisti, e si obbligano a conferir loro gratuitamente il Dottorato. (1) Alberi, op. cit, tomo 5° (2a serie), pag. 172 e 274. 246 DOMENICO VALLA 26 18 febbraio 1605. Carlo Emanuele, Duca di Savoia, gradendo la fondatione et dotaHone del Collegio, concede ai giovani, cui spetta occuparne i posti, di poter libe- ramente recarsi a Pisa, " et ivi dottorarsi senza che perciò venghino ad incorrer in pena alcuna „. 5 aprile 1605. Il Gran Duca di Toscana riconosce ed approva la fondazione del Collegio. 28 aprile 1605. Entra in Collegio il 6° alunno. 23 dicembre 1605. I Priori di Pisa fanno fede della rettitudine del notaio Andrea Felloni che rogò tutti i succitati strumenti. 22 giugno 1606. Strumento, in cui si fanno aggiunte e variazioni relative alla patria dei Puteanisti e all' Oratorio del Collegio. 17 novembre 1606. Entra in Collegio il 7° ed ultimo alunno. 1° dicembre 1606. Nomina del Prefetto. Bisognerebbe ora accennare all'ingerenza avuta sul Collegio dal Gran Duca di Toscana e dall'Arcivescovo di Pisa: bisognerebbe dire qualcosa della patria e della qualità degli alunni, delle formalità da osservarsi nella loro elezione, dei loro obblighi, della loro provvisione mensile. Non sarebbe inutile sapere chi era incaricato della contabilità, quale era lo stipendio del Camarlingo e del Cancelliere. Ma chi avesse vaghezza di conoscere tutte queste cosucce, può ricorrere alle costituzioni (1) del 1822 o allo Statuto organico del 1866. Avvertiamo soltanto che i Gran Duchi furono di- chiarati Protettori del Collegio, che l'Arcivescovo di Pisa ebbe ed ha gran parte nel- l'ordinamento disciplinare, vigila sulla condotta dei collegiali specialmente per quanto riguarda l'adempimento dei doveri religiosi. Aggiungiamo inoltre che l'amministra- zione del Collegio ancora presentemente, come in antico, è annessa all'Istituto della Pia Casa di Misericordia, colla differenza che il Camarlingo e il Cancelliere sono so- stituiti da un Segretario. Le nostro ricerche sono rivolte ad una quistione che ha un' importanza speciale. Nel Collegio ora vi è un Rettore, ma nelle antiche costituzioni non vi è punto no- minato: ricercheremo quando, come e perchè vi fu posto questo ufficio, ed esporremo sommariamente le vicende, a cui andò soggetto, raggruppando intorno a questo argo- mento principale altri fatti di secondaria importanza. Nel sec. XVI un Rettore di Collegio, come lo concepiamo noi, non era possibile. Vigevano ancora le costumanze medievali: il superiore di una comunità qualsiasi veniva scelto dalla comunità stessa. Nelle antiche Università il rector scholarium do- veva essere uno degli studenti (2). Nel Collegio fondato dal Gran Duca Ferdinando nel 1595, siccome dicemmo, il Rettore doveva essere uno degli scuulari e dipendeva dal Provveditore dello Studio ossia dal Rettore dell'Università. Per le vie di Pisa doveva essere accompagnato da un servo: indossava una toga di panno nero con un cappuccio di velluto paonazzo: nella sua camera, d'inverno, vi poteva fare accendere (1) Le " constitutiones „ furono dettate dallo stesso Arcivescovo fondatore. Se ne fecero varie ediz.: la la nel 1606 in 80 esemplari (Tip. di Giov. Fontana): la spesa di stampa fu di soli scudi 8 (V. Libro del cancelliere, e. 8 tergo). La 2a ediz. fu fatta nel 1822 (Tip. Arciv.0 di Raineri Prosperi). La 3' ediz. fu curata nel 1886 (Tip. Pieraccmi Salvioni). All'antico titolo di constitutiones vi è sosti- tuito quest'altro: Statuì') organico e Regolamento interno. (2) Salvioli, op. cit., pag. 106. 27 VITA DI CARLASTOHIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGIO PTJTEANO 247 il fuoco e gli altri studenti potevano andarvi a scaldarsi. Siffatto Rettore era nulla più che uno studente, e durava in carica soltanto un anno. Cosi press' a poco sta- vano le cose anche nel Collegio Puteano, colla differenza che lo scolare-capo si chiamò non già Rettore, ina Prefetto e durava in carica per sei anni consecutivi, ossia per tutto il corso Universitario. Finché visse il Dal Pozzo, tutto procedeva col massimo ordine e colla massima regolarità: morto lui, le cose cambiarono. I Collegiali mal sopportavano il giogo di un loro compagno; sempre cercavano di dargli noia. Il primo che dovette addossarsi il gravosissimo ufficio fu il Sac. Pietro Caligaris da Mongrande, il quale era entrato in collegio a' dì 28 aprile 1605. Fu ben tosto accusato di aver avuto relazione con una certa Caterina da Lucca; ma si trattava di una calunnia vera e propria, a quanto sembra, perche si portò la questione dinanzi al Tribunale Ecclesiastico e il Caligaris fu assolto { 1 |. A' di 20 febbraio 1609 fu nominato Prefetto un altro studente, Giovanni Stefano Lessona, il quale era entrato in collegio a' dì 17 novembre 1606. Chi veniva eletto, per amore o per forza, doveva accettare, perchè così prescriveva il cap. 12° delle Costituzioni. E facile comprendere che, stando cosi le cose, vera disciplina non vi poteva essere. Infatti vediamo che i Patroni si lamentavano continuamente col- l'Arcivescovo Pisano e con lo stesso Gran Duca, e li supplicavano a prestar loro aiuto per mettere fine all'indisciplinatezza dei collegiali (2). Per far cessare ogni disordine sarebbe bastato togliere via il Prefetto e sosti- tuirvi una persona più autorevole, superiore per scienza e per costumi a giovani così ostinati ; ma per quanto si sentisse forte questo bisogno, pur tuttavia dovette trascor- rere più di un secolo, prima che si venisse alla modificazione di un capitolo delle Costituzioni. Solamente nel 1718 il Principe Don Alfonso Enrico Dal Pozzo Della Cisterna, Patrono del Collegio, messo da parte lo scrupolo di violare il regolamentò del Collegio, decide di mandare ad effetto una riforma riconosciuta tanto neces- saria; e ne affida l'incarico al Conte Ludovico Gioachino Garagni, suo Procuratore Generale. Questi abolisce (1719, aprile) l'ufficio di Prefetto, e nomina per un decennio Rettore del Collegio il Sac. Giov. Batt. Bedotti, uno degli alunni e laureando in Legge (3). L'anno dopo (1720) il Patrono, soddisfatto dell'opera sua, lo nomina Ret- tore a vita. Ma alla morte del Bedotti, avvenuta nel marzo del 1752, l'Arcivescovo Francesco Guidi, d'accordo coi Dodici Governatori della Pia Casa, si rifiuta di no- minare un altro Rettore, ed elegge per modum provisionìs , siccome prescrivevano le Costituzioni, l'abate Rondi a Prefetto del Collegio. Questi dura in carica cinque anni, trascorsi i quali, un altro Gio. Batt. Bedotti, nipote di quello stesso che era già stato Rettore, è riconosciuto definitivamente Prefetto. Così stanno le cose sino al novembre del 1781. In quest'anno il Principe Don Alfonso Giuseppe Felice tenta di far accettare nel Collegio, come Rettore, il Sac. Biancelli, che era già stato alunno e Prefetto ed aveva ottenuto la laurea recen- temente. Ma l'Arcivescovo Franceschi si oppone, al Principe fa osservare 1° che il Rettore era già stato abolito nel 1752; 2° che l'emolumento del Rettore " ridondava (1) Arch. dell'Arcivescovato, Ada crìminalia, filza 16. (2) Ardi. Med., filza 2961. (3) Si addottorò nel giugno di questo stesso anno (1719). 248 DOMENICO VALLA 28 in pregiudizio degli altri alunni, occupando egli il posto di uno dei voluti dal Fon- datore „. In virtù del cap. 16° delle Costituzioni i Gran Duchi " devono proteggere il Collegio e soprintendere e prestare il braccio sempre che occorra „. L'Arcivescovo perciò consiglia il Principe a ricorrere al Gran Duca: ma pel momento il Biancelli, poiché ha conseguito la sua laurea, deve uscire di collegio. Si pose termine al dissidio con prendere una via di mezzo: l'Arcivescovo voleva il Prefetto, il Principe voleva il Rettore. E bene si fini con scegliere un Prefetto- Rettore, ossia uno che in certo modo era nello stesso tempo e Prefetto e Rettore: si nominò un buon sacerdote piemontese, coll'obbligo di prendere una laurea qualsiasi, unicamente perchè così volevano le costituzioni. La scelta cadde sul sacerdote Pietro Vinea (1). Con tale ordinamento arriviamo sino al 1795, senza incontrare irregolarità alcuna. Negli anni 1795-1802 gli alunni del Collegio da sette vengono ridotti a due, a mo- tivo degli scompigli cagionati dall'invasione dei Francesi. Nel febbraio 1802 gli ultimi due Collegiali, addottorati, se ne ritornano in patria. Il Collegio rimane chiuso sino al gennaio 1805, cioè per tutto il tempo che non fu possibile riscuotere i frutti dei Luoghi di Monte: indi è riaperto per un anno circa; dal dicembre 1805 al 1° novembre 1808 resta nuovamente chiuso. Tale giorno era fissato per la riapertura da uno speciale arrèté del Comte de Menou, Governatore Generale della Toscana (2) ; però gli alunni rientrarono in Collegio soltanto a' dì 21 gennaio 1809. In questo torno di tempo si fanno alcuni cambiamenti relativi all'amministrazione: 1° ai Luoghi di Monte sono sostituiti censi e livelli. 2° È aumen- tata la retta mensile di ciascun alunno, a motivo del rincaro dei viveri. 3° E au- mentato il salario del Camarlingo (da scudi 14 a 18) e del Cancelliere (da scudi 6 a 8). 4° Si paga anticipatamente la provvisione a ciascun alunno: prima gli si pa- gava a mese scaduto. 5° Si fa l'acquisto di alcuni mobili che devono rimanere sta- bilmente nel Collegio: prima gli alunni, appena giunti a Pisa, con la tenue retta mensile dovevano provvedersi di letto e degli altri mobili necessari prendendoli a nolo. 6° Si nomina un nuovo Impiegato come Computista, con l'annuo stipendio di lire 20. 7° In virtù dei nuovi Regolamenti dell'Imperiale Accademia Pisana, i Putea- nisti devono d'ora in avanti pagare tutte quante le tasse accademiche come qualunque altro studente: i loro diritti all'esenzione non furono riconosciuti rispettabili per il solo motivo della loro antichità (Lettera di Anton Brignole-Sale all'Arcivescovo in data 14 settembre 1816); però si stabilisce che codeste tasse siano pagate con danari presi dalla Cassa del Collegio. 8° Sino al 1810 le spese di manutenzione e di ristauro della casa del Collegio spettavano alla Religione di S. Stefano, siccome risulta dall'istru- mento fatto a' dì 30 ottobre 1604 e rogato Andrea Felloni e Sebastiano Niccoli (V. sopra pag. 25). Dal 1810 in poi questo onere passa al Demanio, che della Reli- gione di S. Stefano aveva incamerato i beni. In tutto questo tempo compare nuovamente il Prefetto voluto dalle antiche costi- tuzioni. Nell'agosto del 1817 l'Arcivescovo Ranieri Alliata vorrebbe eleggere a Pre- Ci) Vedi la lettera dell'Arcivescovo al Principe in data 24 dicembre 1783. (2) Nell'aerea, che porta la data del 10 ottobre, si dice: " Le college sera ouvert au premier novembre procliain „. 29 VITA DI CARLANTONIO DAL POZZO FONDATORE DEL COLLEGI! PUTEAKO fetto del Collegio un ecclesiastico della Diocesi di Pisa, riducendo il numero degli alunni. Questa proposta è respinta dal Principe Don Giuseppe Alfonso, il quale vuole invece nominare un Prefetto che sia piemontese, ma che non sia nativo di quelle città o paesi nominati nelle Costituzioni. A' dì 31 marzo 1819 egli muore, e, naturalmente, non può mandare ad effetto questo suo disegno. Fu il figlio Don Emanuele quegli che, uniformandosi alla volontà dell'Arcivescovo, nomina Rettore un Prete Toscano, concedendogli tutte le facoltà e preminenze già attribuite al Prefetto (lettera del Principe all'Arcivescovo in data 24 novembre 1819). Prima però aveva pòrto supplica al Governo Toscano per otte- nere l'assenso a derogare, su questo punto, alle Costituzioni. L'assenso infatti era venuto ed era stato comunicato sia al Principe che all'Arcivescovo dal Corsini. Se- gretario di Stato, per mezzo di Pietro Paoli, Sopraintendente agli Studi, in data 14 novembre 1819. Fu designato ad occupare tale carica il Canonico Claudio Sa- muelli, che fu dunque il primo Prete Toscano che sia stato Rettore del Collegio. Ma per un anro intiero noi potè esarcitare l'ufficio conferitogli per la fiera e ostinata opposizione degli alunni, i quali comprendevano troppo bene che la nuova nomina importava la soppressione di un posto. A nulla valsero le rimostranze, perchè nel novembre dell'anno successivo il Samuelli entrò in collegio: e quattro alunni, che avrebbero avuto diritto a rimanervi ancora per un biennio, se ne andarono via di loro spontanea volontà, domandando 200 lire d'indennità per ciascuno. Nel maggio del 1821 il Principe Don Carlo Emanuele fu. per motivi politici, esicfliato (1): e tutti i suoi beni furono confiscati (Vedansi le lettere scritte in data 19 maggio e 22 settembre 1821 da Vittorio Gastaldi, suo ex- Procuratore Generale, all'Arcivescovo ; e vedasi inoltre la lettera del cav. Collez in data Torino 22 ott. 1851). In tali luttuose circostanze il Patronato del Collegio e il diritto di nominare gli alunni passano al Re di Sardegna, che in questa parte è rappresentato dal Cav. Montiglio sino al 1822 (agosto), indi dal Conte Giuseppe Petitti. In questo tempo s'interessa del buon andamento del Collegio anche il Conte Carlo Luigi di Castell'Alfero, Inviato Straordinario presso le Corti di Toscana e di Lucca. Nel 1827 (marzo) il Samuelli dà le dimissioni; qualche anno dopo, e precisa- mente nel 1832, troviamo che occupa l'ufficio di Rettore il Canonico Angelo Gabrielli. Nel 1832 Don Emanuele rientra nei suoi diritti civili, e riacquista tutti i suoi beni; risiede ancora a Parigi, e la marchesa Luigia di Breme, sua sorella, è costituita sua Procuratrice Generale. Mentre essa è assente da Torino, Amedeo Peyron è incaricato degli affari della famiglia Dal Pozzo in Toscana. Si fa trasmet- tere i bilanci del Collegio, e li recapita al Principe, che abita in Bue Poitiers, 8, Parigi. Dal 1833 (novembre) al 1840 (marzo) è Rettore del Collegio il Canonico Ranieri Serafino Menichelli. Alla sua morte, avvenuta nel marzo del 1840, risorge nuova- (1) Fu esigliato per aver preso parte alla rivoluzione del '21. Ognuno sa che molti altri illustri italiani furono in questo tempo esigliati. Basti ricordare quel magnanimo eroe che si chiama San- tone di Santa Rosa. 11 nostro Don Emanuele s' incontrò con lui in Svizzera. Curiosità e > icerche l-DO BOBBA 38 Questa illusione ha per effetto di dare l'apparenza dell'unità al multiplo, l'apparenza di agire a ciò che solo registra. Sotto l'impero di questa illusione questo me cosciente, che assorbe in se solo l'individualità di tutti i combattenti che si riflettono in lui, assume la responsabilità degli atti ordinati dal più forte. Il me non giunge mai, cioè il me dell'autore, che dopo gli atti commessi, ma egli rimane sempre là per riven- dicarne la paternità. Tutta la serie dei sentimenti morali ha per origine una sosti- tuzione di persone. Si vedono uscire, mascherati dall'inganno della personalità formata dalla macchina per istituire il fenomeno preparato dalla distinzione di soggetto e oggetto, dall'inganno in cui incappa la vanità della coscienza sempre pronta ad attri- buirsi a se sola ciò che ha luogo sotto i suoi sguardi. Almeno qui l'autore confessa che la coscienza ci attribuisce personalmente gli atti che avvengono in noi; è vero che ciò chiama un inganno, ma rimane a vedere se l'ingannato sia lui o il genere umano che nella sua generalità riconosce una legge che comanda agli uomini di far certe cose e loro vieta di farne certe altre, ciò che sarebbe il colmo dell'assurdità se non ritenesse l'uomo fornito di libero arbitrio. L'autore continua. Libera, la persona umana, è responsabile; responsabile potrà essere ricompensata o punita; sarà giusto che sia ricompensata o punita: proverà rimorsi o soddisfazioni secondo che gli atti compiuti saranno in disaccordo o in accordo, non cogli atti voluti dalle entità impulsive, che approva e favorisce l'entità che apprezza, come cerca di far credere l'autore, ma colla legge morale. L'autore aggiunge: l'entità che apprezza il più delle volte sarà la convenzione di bene o di male stabilita dall'interesse sociale. No, la legge morale non si limita al solo inte- resse sociale, a cui provvedono più o meno le leggi positive: la legge morale, la legge del dovere è universale, abbraccia la società e l'individuo e ciò che è bene o male morale per l'individuo lo è assolutamente pure per la società. " C'est ainsi „, conchiude l'autore, " quo l'illusion de la liberto fait germer dans les esprits pris au " traquenard de la conscience toute la mythologie monstrueuse de la morale „.Non sappiamo da quale traquenard sia stato preso l'autore scrivendo il suo libro, ma sic- come secondo lui vi ha sostituzione di persone, il traquenard in parola potrebbe benis- simo essere una sostituzione di persona, e quindi saremo indotti a credere che il libro che egli presenta come da lui scritto abbia per autore tutt'altro individuo, pro- babilmente lo spirito che sempre nega (pagg. 178-179). All'ombra degli idoli di verità e libertà, continua l'autore o il suo sostituito, si esaltano le idee del bene e del male, e tra esse la concezione ironica della giustizia, che applicando ad ineguali misure eguali consacra con solennità, sanziona e moltiplica l'ineguaglianza e l'ingiustizia, cioè a quelli che hanno tutte le attitudini per vivere ed a quelli che hanno tutte le atti- tudini per morire, come abbiamo veduto. Se abbiamo ben compreso; secondo l'autore, vi dovrebbero essere due giustizie, cioè una per quelli che hanno le attitudini per vivere ed un' altra per quelli che hanno tutte le attitudini per morire, per non moltiplicare l'ineguaglianza e l'ingiustizia, che sono le condizioni della vita fenomenale; ma egli dimentica di aver a pag. 143 scritto che gli uomini, come tutti i corpi naturali , fanno sempre ciò che debbono fare, sebbene essi non lo credano. E ciò proviene da che alle vere cause che gli fanno agire, necessariamente sostituiscono altri principii di atti " dont ils se mantiennent " dupes „. Quindi se gli uomini tutti fanno quel che fanno perchè non possono fare 39 ESAME STORICO CRITICO DELL'OPERA " DA KANT A NIETZSCHE ., 291 altrimenti, costretti da necessità inesorabile, debbe sopprimersi ogni idea di giustizia o di ingiustizia applicata ai loro atti. Schopenhauer era rigorosamente logico scrivendo : " nel regno dell'uomo come " nel regno animale, ciò che regna è la forza e non il diritto ; questo non è che la " misura della potenza „. E Max Stiener: " che importa a me il diritto? non ne ho " bisogno ; ciò che posso conquistare colla forza io lo posseggo e ne godo, e rinuncio " a ciò di cui non posso impadronirmi „. Ciò, tradotto nel linguaggio dell'autore, si- gnifica : voi che avete tutte le attitudini di vivere , è giusto che opprimiate quelli che hanno tutte le attitudini di morire, e non datevi pensiero di un loro supposto diritto, poiché il diritto è la forza, e se in un dato momento non potete opprimerli, aspettate l'occasione propizia. Ma l'autore ci prepara nuove sorprese che meritano di essere esaminate. XI. Che vi sia Dio o non vi sia, secondo l'autore è cosa che costituisce un interesse mediocre per l'umanità. Già se il De Gaultier si limitasse a dire che per lui l'esi- stenza o la non esistenza di Dio abbia un interesse mediocre, come non sarebbe il primo e probabilmente nemmeno l'ultimo a dire ciò, non avremmo nulla a rispondere ; ma chi potrà tollerare che egli si arroghi il diritto di parlare in nome della uma- nità? Egli continua: ma che le idee di verità, di finalità, creatrici della idea di Dio, direttrici dello sforzo, siano vane, che la libertà per cui l'uomo si crede capace di giungere al suo destino non sia che una illusione, un errore di prospettiva, ecco ciò che è un grave disastro (pag. 174). Ora -come provvedere un riparo a tale disastro ? La scienza della conoscenza dimostrando l'impossibilità pell'uomo di dirigere la sua attività gli svela l'illusione della sua libertà. In fatto l'uomo o agisce in forza di un determinismo universale ed egli non è libero, o in forza di una spontaneità, che svi- luppandosi gli impone i suoi modi di essere e gli atti la cui necessità gli sfugge inesorabilmente, ma da cui dipende assolutamente, ed anche in questo caso non è libero. Quindi la scienza della conoscenza conchiude rigorosamente al vuoto assoluto del concetto di libertà morale. Una simile teoria comporta essa la possibilità di una morale ? Certamente, dice l'autoi'e, se per morale s'intende un insieme di modi di essere, che determinati mediante una concezione particolare della esistenza, accompagnano logicamente tale concezione. In questo senso la morale sarà un intellettualismo puro e semplice. Per spiriti coscienti della impossibilità di concepire il mondo in verità o di esercitare qualsiasi influenza sul suo svolgimento, il significato dell'universo non è che uno spettacolo di cui gli intellettualisti sono spettatori e che considerano dal- l'unico punto di veduta della sua visibilità. Essi quindi ai asterranno dal portare giudizio sia in bene, sia in male, sopra cose e atti che non possono essere altrimenti di quello che sono ; non si domanderanno mai che debbano fare e ciò che debbe fare la società. Tutto al più potranno distrarsi dalla contemplazione pura e semplice; ma come ciò sarebbe possibile se poco prima l'autore attorniava che tutte le cose come tutti gli atti sono quel che sono e non possono essere altrimenti: gli spettatori pò- 292 AIDO BOBBA 40 trebberò distrarsi quasi fosse in loro balìa di fare altrimenti di quello che fanno ? Che logica è questa? Secondo l'autore, adunque, gli intellettualisti supponendo che siano stati spetta- tori delle mostruose atrocità di Nerone e della abnegazione e carità di un Vincenzo de Paoli, dovranno astenersi dal dire che quegli era un mostro di ferocia e questi un prodigio di carità, perchè e questo e quello non potevano fare altrimenti di ciò che fecero. Intanto gli intellettualisti distraendosi dalla contemplazione pura e sem- plice, continua l'autore, potranno cercare con curiosità ciò che una società di uomini posti in tali condizioni sarà costretta di fare. L'autore continua a beffarsi del suo lettore, giacché cercare ciò che potrà essere una società, posto l'assoluto determinismo, è il colmo dell'assurdo, poiché la ricerca presupporrebbe la possibilità che gli spet- tatori potessero in qualche modo modificare l'andamento dello spettacolo, e questo alla sua volta potesse modificarsi, il che sarebbe in piena contraddizione col deter- minismo assoluto professato dall'autore. Se poi si ammette, continua l'autore, che le cose si lascino vedere sotto il punto di veduta della loro bellezza, cessando di considerarle dal punto di veduta della loro utilità, del loro valore morale, perchè le due cose : l'utilità e il valore morale, sono identici, il solo sentimento accessibile agli intellettualisti, che determinerà ancora in essi il soggetto necessario ad ogni spettacolo, sarà un sentimento estetico. Anzitutto si può domandare che cosa l'autore intenda per bellezza, utilità o valore morale nel determinismo assoluto. Se in questo sistema non si può parlare di bene e di male, così non si può parlare né di bello, né di brutto, né di utile, né di disutile o dan- noso; giacché tali concetti nel determinismo assoluto implicano contraddizione. Quindi il sentimento, come tutti gli atti degli intellettualisti sono quello che sono, e chia- mare uno di questi atti sentimento estetico è burlarsi di chi legge. L'autore è tanto persuaso della assurdità di questa morale estetica, da aggiun- gere che essa non potrebbe prevalere, né essere l'appannaggio se non di piccolo nu- mero, per la ragione che se si generalizzasse gli attori verrebbero a mancare e ces- serebbe lo spettacolo, ciò che sarebbe contrario al voto che si presta alla vita. Ma fortunatamente questo appetito di pura conoscenza non si manifesta che in alcuni uomini e solo nell'ultimo stadio della loro evoluzione fenomenale, e in razze, in fa- miglie, in individui prossimi ad estinguersi. Al contrario, gli individui destinati vivendo a perpetuarsi per prolungare lo spettacolo, per quelli che sono presso ad estinguersi, cioè gli intellettualisti, sono incapaci di ammettere le conclusioni della scienza della conoscenza, cioè le conclusioni dell'autore, e noi confessiamo modestamente di essere nel bel numero degli incapaci. La confessione dell'autore che la sua morale estetica conviene solo a quelle razze, famiglie, a quegli individui che sono presso ad estinguersi, ma non alla generalità degli uomini, è veramente preziosa; imperocché l'assurdo può ben essere l'appan- naggio di qualche mente squilibrata, ma non sarà mai l'appannaggio del genere umano (pag. 174 a 177). 41 ESAMB STORICO CRITICO DELL'OPERA " DA KAXT A NIETZSCHE „ XII. Appoggiato alla morale estetica conveniente solo agli spiriti dominati dall'ap- petito della conoscenza pura, spiriti che sono presso ad estinguersi, l'autore intra- prende l'esame delle dottrine morali venute dopo la Critica della Ragion intra, ben inteso che questo esame è fatto da quegli spiriti che nella vita adempiono l'ufficio del genio della conoscenza e che sono presso ad estinguersi. Tra questi sistemi, gli uni, come il kantismo e il criticismo francese, senza contare i superstiti dell'antico spiritualismo, indicano un ritorno puro e semplice alla petizione di principio della Metafisica e Teologia. Gli altri, come il Positivismo in Francia e in Inghilterra, si sforzano di trarre un principio di obbligazione dai soli dati sperimentali, sebbene pei positivisti il vocabolo obbligazione abbia un senso meno rigoroso di quello che gli si attribuisce nei sistemi metafisici. Il genio della conoscenza, qui rappresentato dal De Gaultier, ha per ufficio di criticarli tutti in quanto si danno per veri, perchè sono tutti egualmente falsi. Tra i sistemi morali regressivi tiene il primo posto quello esposto da Kant nella Critica della Ragion pratica e nei Fondamenti della Metafisica dei Costumi, nei Principii Me- tafisici della Morale. A Kant, dice l'autore, bisogna opporre Kant stesso e bisogna immolare il Kant della seconda critica al Kant della prima, e lo si deve immolare senza riguardi in ragione della considerevole influenza esercitata sopra una numerosa classe di spiriti, cioè di quelli che vogliono vivere, pel falso razionalismo da lui restaurato, poiché nulla vi ha di più pernicioso di esso. Imperocché il kantismo in morale è una religione e una religione in piena crisi di fermentazione. Esso attrae a sé tutti quelli che continua ad angosciare l'inquietudine religiosa, ed è perciò che Kant, solo tra i grandi uomini che novera l'epoca moderna, trovò grazia al tribunale spirituale del Tolstoi. L'autore loda Maurizio Barrès, il quale in un suo libro col titolo Les Déracinés ha indicato la morale kanziana come un pericolo nazionale. Imperocché questa è un pericolo per lo spirito, per lo stato generale d'intellettualismo fatto dalla Critica della Ragion pura, fatta per fondarlo teoricamente e che ha raggiunto spontaneamente in Francia, in virtù di un dono di chiarezza proprio della razza, la sua espressione pratica più perfetta. Questo intellettualismo è anzitutto uno stato di disinteresse della credenza, escludente ogni dottrina assoluta indicante una ripugnanza delicata verso tutto che si richiama ad un principio, ad una presunzione di verità universale. Ora un fatto simile suppone una razza pervenuta alla maturità dello spirito; e questo è il caso della razza francese che, avendo compiuto, sotto la forma cattolica, la sua crisi di pubertà religiosa verso i primi secoli della nostra èra, si mostrò in seguito refrat- taria nella sua maggioranza ad appassionarsi di nuovo per interessi di tal fatta, e non prova più il sentimento religioso che come un' attitudine di utilità trasmessa dagli antenati. Il Cattolicismo in Francia, sotto il suo aspetto autoritario, non esercita più sulle coscienze che un' azione ristretta alle pratiche usuali, all'utilità sociale, all'attitudine sentimentale e tradizionale propria alla razza. Quanto alla parte più numerosa della 294 -LDO BOBBA 42 nazione, del tutto liberata dalla credenza, non ritrae dalla decorazione religiosa in mezzo alla quale si è svolta se non una etichetta e principii di condotta immediati, da cui ciascuno è inclinato alle modalità più compatibili cogli interessi comuni. Questo è uno dei tratti che gettano sullo spirito francese la luce più viva e ne indica meglio la qualità, cioè il fatto di una religione che passò il tempo della sua fer- mentazione. Per la rarità di questo privilegio, la razza francese è attualmente meglio preparata a veder sorgere le modalità più intellettuali della vita, cioè gli stati sociali in cui l'istinto della vita mostra rispetto alla conoscenza la tolleranza più larga e sombra quasi conciliarsi con essa, esigendo per conservarsi un numero minore di menzogne (pag. 179 a 181). Lasciamo ai pensatori di Francia a giudicare se veramente la parte più nume- rosa di essa si sia del tutto prosciolta dalla credenza e dalla decorazione religiosa e ritenga etichetta e principii di condotta immediati, pei quali ciascuno è inclinato alle modalità più compatibili cogli interessi comuni ; il che in altri termini signifi- cherebbe che la maggioranza della nazione francese maschererebbe la sua incredulità col manto della ipocrisia; solo osserviamo che prima l'autore affermava cha l'appe- tito della conoscenza, cioè l'intellettualismo, che qui attribuisce alla maggioranza della nazione francese " ne se manifeste chez quelques étres que vers les derniers " stades de leur évolution phénoménale, chez des races, ou des familles, chez des " individus proches de leur extinction ., (pag. 177); quindi l'elogio che egli fa dello stato intellettuale di quella maggioranza dovrebbe considerarsi come il canto pre- ventivo funebre di una razza che è " aux derniers stades de son évolution phéno- " menale „, quindi " proche à son extinction „: e se questi sono i desiderii o i pro- nostici dell'autore, non saranno certo i nostri, e possiamo affermare con sicurezz; quelli della generosa e nobile nazione francese. Se la maggioranza della Francia è nelle condizioni mentali descritte dall'autore, comprendiamo che egli ritenga l'introduzione della morale di Kant in Francia un grave pericolo, poiché, secondo lui, il kantismo si confonde col Cristianesimo, seb' ■ differiscano in quanto questo si appoggia alla rivelazione, quello sopra principii ra- zionali, od almeno vi pretende; ma il vero è che l'imperativo categorico si confonde perfettamente colla credenza ad una rivelazione naturale che è il dogma del prote- stantesimo più libero. Del resto è ciò che hanno benissimo compreso i partigiani della morale di Kant in Francia ed è così che il Renouvier concluse testé, per assi- curare il trionfo delle sue idee, alla necessità di protestantizzare la Francia, e un tale trionfo, aggiunge l'autore, segnerebbe presso di noi la decadenza della razza autoctona a benefizio di una razza straniera, e quel che è peggio, sempre secondo l'autore, farebbe perdere alla razza francese i vantaggi intellettuali descritti di sopra, e sotto questo aspetto non solo un pericolo nazionale, ma in generale un pericolo per lo spirito (cioè dello spirito dell'autore), giacché impedirebbe o ritarderebbe il regno degli intellettualisti, la cui riuscita esige condizioni particolari e lunghi secoli di preparazione. Quindi perchè non sia ritardato il trionfo della morale estetica del- l'autore, egli vuol considerare senza indulgenza i dogmi kanziani della Ragion pratica. In fatto Kant fonda la realtà delle sue idee metafisiche e teologiche sopra un'at- tività mentale che denomina ragion pratica, la quale a priori significa alla volontà umana un imperativo: tu devi. Da questo fatto Kant deduce tutte le idee metafisiche -[-) RITICO DELL'OPERA " DA KANT A NIETZSCHE „ 295 ripudiate dalla Ragion pura. Imperocché un comando suppone in chi lo riceve la libertà di obbedire o non obbedire. L'esistenza della libertà postulata dalla legge morale è così assicurata. La libertà, scrive Kant, nei Fondamenti della Metafisica dei costumi, debbe essere supposta come proprietà inerente alla volontà di ogni essere ragionevole. Ma la volontà dell'uomo, avvertita dall'imperativo della esistenza della legge mo- rale, è d'altra parte sollecitata da motivi sensibili, il cui impero non le permettono di adempiere intieramente e immediatamente gli ordini trasmessi dalla legge, di per- venire al bene supremo. La santità, cioè la perfetta conformità alla legge morale, non può essere raggiunta dall'uomo immerso nel mondo sensibile, che in un pro- gresso all'infinito, il quale suppone l'esistenza e la personalità dello stesso essere ragionevole prolungata pure all'infinito, cioè l'immortalità dell'anima. L'esistenza poi di Dio è postulata dal fatto che una causa fornita d'intelligenza e di volontà può essa sola associare nell'idea del bene supremo la felicità e la mo- ralità. Kant per togliere ogni idea di Eudemonismo alla sua morale esige che l'uomo compia la legge morale per se stessa indipendentemente da ogni desiderio di felicita. Ma il bene supremo non sarebbe tale se non implicasse in un ideale di virtù, un ideale di felicità; imperocché il fatto di un essere meritevole della felicità, se non la conseguisse presenterebbe lo spettacolo di un difetto d'armonia incompatibile col- l'idea stessa del bene supremo. Quindi è che la sintesi della moralità e della felicità, pur non essendo in rapporto di causa ad effetto, esige l'intervento di un essere per- fetto, di Dio. Kant, giunto a questo punto dello svolgimento del suo pensiero, riat- tacca al Cristianesimo l'insieme delle idee metafisiche, e ricostituisce un sistema mo- rale e teologico pari a quello che esisteva prima della Critica della Ragion pura. Per l'autore della morale estetica, cioè della morale di quelli che stanno per estinguersi, la morale di Kant " est le défi le plus méprisant qui ait jamais été porte " par l'instinct vital (era tempo che tornasse a comparire questo taumaturgo, lasciato " un po' in disparte dall'autore) à l'instinct de la connaissance : contraindre un esprit " philosophique tei que celui de Kant à un si complet aveuglement, c'est du fait de " l'instinct vital la marque de toute puissance la plus evidente et la plus dédaigneuse " pour l'esprit. On voit là une sorte de chàtiment deshonorant infligé par le très-haut " dispensatemi de l'illusion et de la vie au héros de la connaissance qui jusqu-là 0 avait divulgué par dessus tous les autres le moyen de l'illusion et de la vie. Kant " se voit ici produit en exemple comme quelque Nabucodònosor, non de la puis- " sance, mais de l'esprit, métamorphosé en l'antithèse la plus complète de l'esprit et " expiant par l'humilité de son nouveau langage une lucidité dangereuse „ (pag. 188). Dopo questo cappello galeato l'autore afferma che tutto il sistema teologico di Kant riposa su questo unico fatto, l'esistenza di una legge morale unversale di un imperativo categorico: egli considera l'esistenza di questa legge come un fatto dato dalla ragion pratica a priori, un fatto a cui bisogna credere senza esame. L'autore avrebbe dovuto notare che Cicerone molti secoli prima di Kant aveva non solo affer- mato, ma anche dimostrato l'esistenza universale della legge morale che impone di fare certe cose e vieta di farne certe altre: " Lex est ratio summa insita in natura. " quae jubet ea, quae facienda sunt prohibetque contraria. Eadem ratio qua e est in " hominis mente confirmata eonfecta, lex est , (De Legibus, 1°, C. VI, 18). " Est 296 LD0 bobba 44 " enim haec non scripta sed nata lex : quam non didicimus, accepimus, legimus, veruni " ex natura ipsa arripuimus, hausimus, expressimus. ad quam non docti, sed facti; " non instituti, sed imbuti sumus „ {Pro Milone, cap. IV, 10). Adunque Cicerone in- segna esplicitamente, come Kant, che l'imperativo categorico è nella mente umana a priori. Vediamo se prova puro che è universale : " Est quidem vera lex recta ratio " naturae congruens, diffusa in omnes, constans, sempiterna, quae vocet ad officium " jubendo, vetando a f rande deterreat huic legi nec abrogari fas est, neque dero- * gari ex hac aliquid licet, neque tota abrogari potest; ne vero aut per Senatum " aut per populum solvi hac lege possumus nec erit alia lex Romae, alia Athenis, " alia nunc, alia posthac, sed et omnes gentes, et omni tempore una lex sempi- " terna et im'mortalis continebit, unusque erit communis quasi magister et imperator " omnium Deus legis hujus inventor, disceptator, lator cui qui non parebit ipse se " fugiet, et naturae humanae aspernabitur „ (Cicerone presso Lattanzio, Divinis Institutionibus, Iib. VI, capo 8. Conf. De Bepub.). Secondo l'autore, la legge morale sarebbe una forma la quale non sarebbe rive- lata come reale da niuna esperienza ed alla cui oggettività Kant esigerebbe che si credesse. Ma se avvi fatto più accertato dalla esperienza è appunto l'esistenza di leggi più o meno imperfette che impongono certi offici, vietano certi altri, presso tutti i popoli, dai più colti ai più barbari. Avvi egli un legislatore che non abbia posto per fondamento della sua legislazione la distinzione del bene e del male? " Hanc " video sapientissimorum fuisse sententiam, legem neque hominum ingeniis excogi- " tatam nec scituin aliquod populorum, sed aeternum quiddam quod universum mundum " regeret imperandi prohibendique sapientia „ (Cicerone, De Legibus). L'autore con- tinua: " l'artifice consiste donc à comprendre la croyance sous une des catégories " de la raison, à prononcer le mot foi comme s'il devait s'épeler raison pratique „ (pag. 189). No, non abbiamo bisogno di ricorrere ad alcun artifizio e tanto meno computare il vocabolo fede per ragione pratica; ci basta di appellarci al fatto spe- rimentale della esistenza di leggi presso tutti i popoli, per dimostrare che la legge morale ha un valore obiettivo. Non insisteremo nell'esame delle altre obbiezioni che l'autore muove contro la Ragion pratica di Kant e lasciamo volentieri tale compito ai seguaci di lui. Abbiamo già veduto come l'autore incolpi il Renouvier di proporre una teoria morale, che se attecchisse in Francia, sarebbe una disgrazia nazionale; ma qui dob- biamo aggiungere che, secondo l'autore, il Renouvier ha formulato un sistema che non ammette neppure la discussione e che da se si pone pei suoi richiami alla cre- denza fuori della scienza della conoscenza, ben inteso della scienza la quale proclama che " les notions de Science et de Vérité s'excluent „, imperocché " la Science ne se " propose jamais la Vérité pour objet „ (pag. 117). Esso, il Renouvier, a proposito della Morale di Kant, coll'accento di Poliuto confessante il vero Dio, cosa così ingrata all'orecchio filosofico, nota l'autore, dice: e ciò che vi ha di straordinario è che il dogma metafisico si ricostituisce persino nella Crìtica della Ragion pura, opera di de- molizione, e chela grande novità, il Criticismo affermatore, fa sì che in morale prenant le pas sur la doctrine, la vraie critique appartieni à d'awtres ouvrages. Ed in nota: " le conclusioni del Secrétan non sono in tutto differenti dalle nostre, perchè egli " ammette almeno la preminenza della morale, e questo è il punto essenziale „. 45 ESAME STORICO CRITICO DELL'OPERA " DA KANT A NIETZSCHE „ 297 Ma vi ha di peggio: il Renouvier concludendo la sua teoria intorno ai futuri contingenti, cita queste parole di Aristotele: l'avvenire è realmente incerto in qualche caso. Certamente non vi sarebbe più libertà, tutto sarebbe necessario, le delibera- zioni degli uomini sarebbero vane, ciò che non è tollerabile. L'autore, il cui orecchio non può sopportare che si pronunci il nome di Dio, pretende, senza addurre una sola ragione, che Aristotele filosofava cosi ab irato da circa ventitre secoli. Ho detto male : senza addurre una ragione; la ragione è l'intolleranza tipica dell'autore contro chi formula una morale imperativa, cioè una morale che implichi obbligatorietà, invece di adottare la morale estetica di quelli che stanno per morire (pagg, 205-206). Con lievi differenze il Pillon, continua l'autore, conviene col Renouvier nel rite- nere la supremazia della morale, nell 'accettare integralmente la Critica della Ragion pratica, come si raggruppano al Renouvier ed al seguito del Tissot, il Lachelier, il Dauriac, il Boutroux. pei quali la legge morale è rimasta vestigio teologico " le clo- " cher choisi, en vertu de quelque pacte secrète de l'instinct (ecco il deus ex machina), " comme but de toute course à travers les idées „. Sotto questa ultima categoria si schierano al seguito di Cousin, Jouffroi, e del gruppo eclettico, Ravisson, Secrétan, Janet, Frank, Caro, Giulio Simon, ed anche Vacherot, sebbene pretenda di proscio- gliere la morale dalla dipendenza della religione e dalla metafisica ed appoggiarla sulla sola psicologia. Evidentemente i sistemi di tutti questi pensatori suppongono una legge morale primitiva e la libertà, quindi " ils relèvent par là des critiques précédentes et témoi- " gnent de cette régression philosophique dont Kant a donne l'exemple après la Critique de la Raison pure (pag. 209 a 211). Secondo la teoria dell'autore questi pen- satori appartengono alla categoria di quelli che vogliono vivere, quindi sono regres- sivi; invece egli, che ha inventato la morale estetica, appartiene a quella delle razze, degli individui che sono giunti allo stato d'intellettualismo proprio di quelli che sono presso ad estinguersi, epperciò sono i progressisti. XIII. Condannati i filosofi regressisti francesi, l'autore passa ai filosofi che in Alle- magna specularono sulle traccie di Kant, i quali però, come Hegel, Fichte e Schelling, incarnarono il fenomeno nel noumeno. L'uno e l'altro si mescolano, si intrecciano, mentre dal soggetto confuso coll'oggetto emerge l'assoluto. Con Hegel il fenomeno non è più l'apparenza soggettiva determinata da Kant; esso è fornito di una esistenza immediata necessariamente generata dallo sviluppo logico dell'idea. Fichte e Schelling usano rispetto alle leggi critiche della stessa libertà e questi diversi sistemi non sono che disegni prestati all'assoluto. Ma questi sistemi escludono dai loro elementi il concetto di libertà, concetto che fu in ogni tempo il cemento delle ipotesi metafisiche, non perchè tale concetto non sia rappresentato, ma perchè vi figura senza utilità e in realtà non fa parte del sistema. In un sistema poi come quello di Hegel, in cui si assegna al mondo uno sviluppo spontaneo, meccanico, si cercherebbe invano un posto per la libertà, sebbene Hegel l'abbia introdotta perchè essa si trova in tutti gli antichi edifizi teologici e lo spirito degli uomini vi si tiene attaccato ed anche perchè implica la responsabilità e che il sentimento moderno come l'antico esigo Serie II. Tomo LUI. 298 ROMUALDO BOBBA 46 cosifatta condizione per legittimare la morale. Ne può negarsi che Hegel non abbia prodotto colla sua forma dialettica un procedimento propriissimo a sistematizzare nel senso che una volta messo in gioco dall'intelligenza, opera da sé senza che l'autore abbia bisogno di un nuovo sforzo originale del pensiero, sulla materia che gli fu confidata. Cioè parallelismo del razionale e del reale, confusione dell'essere e del pensiero nella idea che a volta a volta svolge i suoi modi per riassorbirli, movimento dialettico della idea — tesi — antitesi — sintesi — per cui questo ingenera essa stessa le sue forme successive, opponendosi, dividendosi per conciliarsi e unirsi in una unità superiore, ecco secondo l'autore ìes rouages de eette dialectique. Sotto la direzione di Hegel, secondo l'autore questo macchinismo ideologico pro- dusse ne' suoi sviluppameli applicabili alla pratica il sistema politico di governo assoluto, che fu l'ideale prussiano verso il 1828, epoca in cui Hegel distribuiva con autorità sovrana il suo insegnamento a Berlino. L'Hegelianismo demoralizzato con Carlo Marx e in modo generale con tutti i costruttori di futuri sistemi generò nume- rose teorie sociali in cui fa mostra il più basso ottimismo ; imperocché, in grazia della sintesi, se la vita lascia scoprire antagonismi, l'autore se ne gode e l'umanità non ha che a rallegrarsi con lui dei conflitti da cui è travagliata, perchè l'antago- nismo, mostrandoci che l' idea si svolge, che la vita guadagna in complessità, ci annunzia soluzioni prossime e un ordinamento più perfetto. Se non che col Kantismo della Ragion pratica, col criticismo di Renouvier, coi sistemi metafisici di Hegel, Fichte, Schelling, colle diverse scuole spiritualistiche o teologiche già prima indicate è esaurita la nomenclatura dei sistemi che dopo la Critica della Ragion pura conti- nuarono a speculare fuori dei limiti e contro le leggi dello spirito; quindi l'autore, che è il solo che le conosce e le osserva e soprattutto che dichiara le nozioni di scienza e di verità escludersi, e che essa la scienza non si propone mai per oggetto la verità (pag. 127) condanna e fulmina tutte queste dottrine (pag. 212 a 218). Ma non dobbiamo dimenticare che in questo frattempo è nata la filosofia posi- tiva; che Augusto Comte ha introdotta una nuova classificazione delle scienze, che ha definito e limitato l'ufficio della scienza critica destinata a distruggere l'impero della teologia e delle idee metafisiche, ma impotente a creare nuove forinole di vita; che ha richiamato fortemente l'attenzione dei Francesi sul pericolo da cui è minac- ciato lo spirito positivo del ristabilimento, contro le soluzioni della ragione e per un interesse morale e politico, l'autorità delle antiche credenze. Non ostante tutti questi meriti l'autore gli rimprovera il carattere religioso di cui rivestì le idee scientifiche, la pretensione di risolvere con un nuovo dogmatismo fondato sulla presunzione di finalità, il problema morale. Però il positivismo in Francia, Inghilterra, Germania è la consacrazione pratica immediata e logica delle deduzioni della Critica della Ragion pura. Ora la scienza filosofica non comprendo più che due sezioni, l'una la critica della conoscenza; se non che questa, essendo già stata fatta una volta per sempre, non presenta più materia a filosofare, cioè all'infuori della scienza del fenomeno, quindi le due sezioni si riducono ad una sola, cioè alla scienza del fenomeno. Quindi le questioni di causa prima d'origine, di anima, di libertà sono categorie relegate nel mondo dell'inconoscibile o del puro impossibile, ed ogni sforzo applicato a tali questioni è oramai, sentenzia l'autore, condannato. 47 ESAME STORICO CRITICO DELL'OPERA " DA KANT A NIETZSCHE ., 299 I sistemi positivisti propriamente detti tuttavia non seppero sempre preservarsi dalle avventure metafisiche, e queste penetrarono nella parte più vitale della specu- lazione, cioè nella morale. La quale secondo Nietzsche non deve essere che un capi- tolo della storia naturale. Ma parlandosi dell'uomo la maniera di studiarlo è più complessa. Imperocché mentre le altre specie di animali sembrano ormai almeno per la maggior parte fissate, la specie umana, dice l'autore, sembra ancora pe' suoi organi più elevati, cervello e centri nervosi, in via di evoluzione, per esempio, diciamo noi, la nuova specie dei superuomini. Ora mentre per questo fatto l'osservazione è resa più difficile aumenta la tentazione di cercare quale sarà la direzione di questo movi- mento progressivo, di determinare come si compierà; di qui a decidere ciò che gli uomini debbono fare e a ristabilire l'idea del dovere, vi ha una connessione logica a cui non resisterono le varie gradazioni dei positivisti. Essi vennero quindi a sosti- tuire all'antica concezione d'un tipo morale propriamente detto sottoposto ad un imperativo, la concezione di un tipo normale in armonia col senso della evoluzione. Ma questa induzione implica non solo che il principio di finalità ha una virtù ogget- tiva e si applica ad un universo in se ma ancora che il fine di esso è determinato e conosciuto. La conoscenza di questo fine implica la nozione d'un Dio universale e positivo, la selezione naturale alla sua volta assicura in un modo fatale il compi- mento di esso fine, di guisa che la selezione perciò ha un carattere imperativo. D'altra parte l'uomo avendo presa coscienza del fine dell'universo nell'umanità e della via che conduce a tale scopo ha il dovere di assecondare la selezione naturale con un intervento volontario o parallelo. La parte poi della umanità che apporta tale con- corso pel fatto che si mostra in armonia colla tendenza dell'universo deve però se non altro dirsi buona e virtuosa. Ecco le conclusioni a cui giungono la maggior parte dei sistemi positivisti secondo l'autore ; ma il male si è che col concetto di finalità si richiama l'idea di un bene sommo, e la selezione artificiale fa l'ufficio di dovere. In altri termini, la filosofìa positivista assegnando a tutta l'umanità e alla vita una finalità ultima e determinata dogmatizza come la filosofia antica, usa del vecchio procedimento teo- logico, consistente a trasformare in idea del vero per agire sulla immaginazione atti- tudini di utilità particolari, di petizioni di temperamento individuale o etnico, rista- bilendo cosi la nozione di un bene supremo e di una morale universale e crea una menzogna. Essa consiste nel porre l'esistenza di una legge naturale, che dopo aver determinato l'individuo alla realizzazione del suo bene proprio lo costringe in seguito a realizzare il bene comune, di guisa che nel corso della evoluzione l'egoismo si muta fatalmente in altruismo e l'armonia finale di tutte le felicità diviene lo scopo della evoluzione. Quindi Augusto Comte non solo dice : ama il tuo prossimo come te stesso, ma aggiunge: ama l'umanità più che te stesso; e il Littré non solo aderisce a questa formola ma pronostica pure la necessità del regno finale della eguaglianza e della giustizia, e lo stesso spirito pure tanto scientifico dello Spencer sottoscrive a questi principii. Ora, dice l'autore, se è permesso di esprimersi con mansuetudine rispetto alle antiche idee metafisiche e forme religiose perchè esse sono ben morte (certo è da un pezzo che sentiamo ripetere ciò), sebbene non siano che verbo praetereaque nihil e che bisogna lasciare ai filosofi politicanti, speculanti sopra la lunga buaggine popolare ;-',n(l LDO BOBBA 4S l'incarico facile e lucrativo di attaccare quelle rovine inoffensive (oh poveri filosofi che non credendo ancora ben morte quelle forme religiose, cercate di distruggerle, vedete come vi. tratta un vostro confratello, voi siete filosofi lucrativi!), non si po- trebbe senza pusillanimità mantenere la stessa attitudine verso una idolatria nuova, cioè la religione del progresso realizzante l'eguaglianza, la giustizia, la felicità uni- versale, errore scientifico dei filosofi, che serve di testo nelle sue realizzazioni pra- tiche alle più vili adulazioni prodigate al numero pel timore o l'astuzia di una aristocrazia formata dal caso, inferiore alla sua fortuna. Una religione simile rappre- senta l'ideale più umiliante che possa essere offerto all'umanità e a una sana demo- crazia riche d'avenir et grosse d'une élite (pag. 218 a 227); e rispetto a questo ultimo punto crediamo che l'autore abbia ragione. Senza entrare in altri particolari della critica speciale che l'autore fa del Littré e dello Spencer, sappiamo che egli loro attribuisce non meno che agli spiritualisti la menzogna di porre l'esistenza di una legge naturale, che dopo aver determinato l'in- dividuo a realizzare il suo bene proprio lo costringe in seguito con necessità a rea- lizzare il bene comune, delitto capitale, secondo l'autore, poiché ponendo per fine della vita la realizzazione d'una armonia di felicità, il regno della fraternità e giu- stizia universale, essi poveri illusi, che non si sono ancora innalzati alla morale estetica, non fanno altro se non che obbedire al loro atavismo cristiano (pag. 227). Ora, dice l'autore, importa di far vedere per quale artificio l'antico malinteso abbia avuto nascimento e in qual modo si sia formato il qui prò quo della morale (pag. 233). Nessuno avendo fin qui data una vera spiegazione del qui prò quo della morale, l'autore per sua bontà ci vuol fornire i lumi necessarii a tale spiegazione, ed ecco come. La morale sociale è la forinola di un temperamento che -fu prevalente: il principio di questa morale ed il suo titolo legittimo deve cercarsi in individui, i quali generalmente, in un'epoca preistorica, realizzarono spontaneamente le attitudini più proprie per assicurare all'organismo che si cerca e si inventa (già ad un orga- nismo che sta cercandosi e inventandosi) la potenza maggiore. Mediante l'adatta- mento di un mezzo ad un fine secondo la linea più corta, proveniente da una legge dell'incosciente o dal caso, essi individui riuscirono a realizzare un tipo etnico, a creare ad una razza il suo destino. La codificazione della morale e la sua promul- gazione non caratterizzano adunque il periodo della forza e della più alta sanità di un gruppo d'uomini, poiché gli uomini di questo periodo perfetto non abbisognavano ne di metodo, ne di morale, come quelli che compievano naturalmente le gesta che loro meglio convenivano, che loro procuravano la potenza maggiore. L'autore qui finge di dimenticare che nel suo sistema tutti gli atti dell'uomo sono fatalmente necessitati, quindi parlare di gesta che meglio convenivano a quegli individui per procurarsi la maggior potenza è supporre che essi fossero liberi nella scelta, il che è assurdo nel suo sistema. E l'equivoco continua: poiché gli uomini del periodo seguente cominciano ad imitare le loro maniere di essere perchè queste loro procu- rano la potenza, perchè sono le più proprie per coordinare le loro attività, e riunirle in un fascio. A quest'epoca appare il legislatore: è utile notare che altrove il legislatore ci era dall'autore presentato come una produzione istantanea del famigerato istinto vitale, nemico irreconciliabile dell'istinto di conoscenza, mentre qui è tutt'altra cosa 49 ESAME STOKICO CRITICO DELL'OPERA " DA KAKI A NIEU'ZSI 301 In fatto, secondo l'autore: " C'est à cotte epoque qu'apparait le législateur ou sacer- " dote, c'est ici et à la suite de son intervention qu'il faut situer cette substitution " de conséquence à principe qui aveugle par la suite les hommes et marque la genèse " historique de toute morale „. Perocché il legislatore, che è un prodotto dell'istinto vitale nemico della conoscenza, raccoglie nei modelli che ha ancora presenti allo spirito ciò che in essi era attitudine di utilità, cioè era mezzo per la potenza. Egli il nemico della conoscenza, non dà queste attitudini di utilità semplicemente per quel che sono, ma per accrescere la loro forza e consacrarne il prestigio, perchè ritengano, la razza sul pendìo della decadenza, quando questa avrà perduto i suoi istinti (ad esempio quando i lupi sul pendìo della decadenza perdendo i loro istinti stanno per diventare agnelli), egli il legislatore ne fa dei comandamenti, loro assegna un'origine divina e li impone alla credulità mediante timori e promesse, castighi e ricompense immediate e future. Così queste regole che non traggono il loro valore se non perchè stereotipate sulle modalità di una attività, come le classificazioni di bene e di male, non rappresentano altro se non gli scopi particolari ricercati o evitati da quella attività, cioè da una attività che realizza le attitudini più proprie ad assicurare all'organismo che si cerca e si inventa la maggior potenza, queste regole e il loro apprezzamento dalle attività susseguenti a cui vengono proposte, sono collocate in una regione anteriore ad ogni attività, in una regione sopra terrestre, che viene inventata dal legislatore nemico della conoscenza, regione che a volta a volta era la divinità o la ragione. Ed ecco come il bene ed il male ritirato dall'incatenamento fenomenale sono convertiti in quegli idoli razionali che hanno preso il posto delle antiche idee teologiche. Le sorti delle morali sono dunque legate alla fortuna delle attività che loro servirono di modello, e tra queste le più forti che riuscirono a vivere, a durare, a imporre le loro modalità divennero in seguito il bene, epperciò esso è una forma antica della forza; essa sola decide del bene. Laonde il concetto del bene è interiore a quello di forza, la quale come anteriore trasmette al bene l'eredità della sua nobiltà, il titolo che seppe acquistare. Tali sono le conclusioni che pronuncia dogmaticamente l'autore; bisogna accettarle, quando, come fece egli, si seppe innalzare gli sguardi sopra la nebbia metafisica, sebbene esse siano contrarie alla sentimentalità razionalistica attualmente in onore (pag. 239 a 241). Adunque gli uomini del periodo preistorico non avendo bisogno di morale né di metodo compivano naturalmente le gesta che loro procuravano la maggior potenza. Invece gli uomini del periodo seguente cominciano ad imitare quelle gesta perchè loro procurano la maggior potenza, perchè più proprii a coordinare le loro attività in un fascio. A questo punto appare il legislatore o il sacerdote il quale sostituisce la conseguenza al principio. Sostituzione che in seguito accieca gli uomini e indica la genesi storica di ogni morale, cioè converte le attitudini che erano mezzi per con- seguire la potenza in comandamenti, a cui assegna un'origine divina e li impone alla credulità degli altri uomini col timore e le promesse, coi castighi e le ricompense, e così il bene ed il male prosciolti dall'incatenamento fenomenale si convertono in idoli razionali che prendono il posto degli antichi idoli teologici. Ma altrove l'autore pensava altrimenti scrivendo: all'origine di ogni popolo che si fonda appare un grand'uomo ed è in lui che l'istinto della razza prende migliore coscienza rispetto ai suoi bisogni e necessità vitali : esso in nome dell'istinto vitale 102 ROMUALDO BOBBA 50 e di felicità forinola un'igiene fisica e morale, codifica le misure proprie a regolare le attitudini, a determinare gli atti in vista di assicurare la forza, la durata, la potenza del gruppo. Per assicurare poi l'osservanza di tali precetti loro dà il carat- tere di leggi esteriori, sanzionandole con un sistema di pene e ricompense immediate, inoltre istituisce finzioni ricche di promesse e minacce per agire mediante immagini sullo spirito dell'uomo, ed è cosi che l'istinto vitale nella pienezza della sua forza, ma prevedendo il suo indebolimento, investisce la menzogna conservatrice di autorità sovrana (pag. 21). Né basta: questo taumaturgo istinto vitale nemico irreconciliabile della conoscenza ordina colle morali l'insieme delle maniere di essere che gli sono favorevoli, e per fortificare l'impero delle morali inventa paradisi, fonda teogonie, religioni, una filosofia elementare implicante una concezione più o meno netta della persona umana, della sua destinazione, del mondo e del suo principio (Ibid., 22). Ora è lecito domandare quale delle due origini della morale o delle morali dob- biamo secondo l'autore ritenere, essendo contraddittorie, poiché nel primo caso l'au- tore ci avverte che il legislatore o sacerdote colla impudenza di un sofista, sostituisce la conseguenza al principio, la quale in seguito acceca gli uomini e segna la genesi storica di ogni morale (pag. 240), mentre nel secondo il legislatore o sacerdote in nome dell'istinto vitale forinola un'igiene fisica e morale... Ordina colle morali l'in- sieme delle maniere di essere che gli sono favorevoli e per fortificare l'impero delle morali inventa paradisi e tante altre belle cose ex poni suo senza sostituire conse- guenze di sorta al principio. Oltre la flagrante contraddizione vi ha ancora qualche cosa di più straordinario. Nelle due supposizioni si dice che il legislatore o il sacer- dote impone comandamenti che debbono essere osservati dalla razza o dal gruppo di uomini a cui sono diretti ; un comando suppone necessariamente che sia in potere del comandato di eseguirlo, e se il legislatore li accompagna con promesse di premi e ricompense per chi li osserva, e con minacce di pene e castighi per chi non li adempie, suppone necessariamente che sia in potere dell'uomo di eseguirli o non ese- guirli a suo grado, cioè che l'uomo sia veramente libero da ogni necessità estrinseca ed intrinseca, altrimenti ogni comando come ogni proibizione sarebbe assurda. Ora ecco ciò che insegna non dubitativamente ma dogmaticamente l'autore al riguardo: " Les hoinmes comme tous les autres corps naturels font toujours ce qu'il " doivent faire. Mais ils ne le croient pas. Aux causes véritables qui les font agir avec " necessitò ils substituent d'autres principes dont ils se montreut dupes. C'est de la " sorte qu'ils se disent libres „ (pag. 144). Adunque se tutti gli atti dell'uomo sono necessarii, fatalmente determinati, come può l'autore parlare di attitudini che pro- curano la maggior potenza e di attitudini che non la procurano, di attitudini che i legislatori trasformano in comandi o proibizioni, e di tante altre cose che nel fata- lismo assoluto quale è professato da lui non hanno senso. In tale dottrina parlare di bene e di male, di moralità o di immoralità è beffarsi del lettore, giacché se l'uomo fa ciò che fa perchè è quello che è, cioè opera necessariamente, non si può né comandargli né vietargli cosa alcuna, e pretendere che l' istinto vitale mediante un legislatore comandi o proibisca alcunché è una assurdità la più assurda. 51 ESAME STORICO CBITICO DELL'OPERA " DA KANT A NIETZSCHE _ XIV. L'autore, come se ciò che disse rispetto all'origine della morale fosse oro di cop- pella, continua: non possiamo tuttavia passare sotto silenzio il contributo portato da Carlyle alla nuova soluzione del problema e il suo ufficio di precursore. Egli, il Carlyle, va a cercare il fatto morale là ove è rinchiuso, come il minerale nella rocca della montagna, e questo è un fatto considerevole all'uscita dalla metafisica. Egli, alla questione chi ha creato la morale? risponde: l'istinto dell'uomo. Ecco la grande sco- perta, ecco trovato il minerale nella rocca della montagna e sopratutto senza fare escavazioni. In fatto con due parole egli, il Carlyle, secondo l'autore, ristabilisce il vero rapporto intervertito dalla teologia, dissipa il qui prò quo: poiché ha nettamente coscienza che il fatto morale consiste in un principio di coordinazione distribuente secondo una gerarchia gli elementi della attività in modo da fare ad un uomo o ad un gruppo d'uomini il loro destino. Ecco cosa a cui io non ho mai pensato, cioè che il Carlyle abbia fatto il mio destino, e dubitiamo fortemente che altri creda ciò eccetto l'autore. Il quale picchiando nella rocca scopre che il principio direttore non è più il Carlyle che lo trova, ma appare all' infuori dell'intervento dell'uomo, ed è un primo movimento dell'incosciente, esce dalla natura dell'incognito. Laonde, secondo l'autore, dell'incosciente dell'inconoscibile noi sappiamo appunto perchè inconoscibile molte cose, ad esempio che egli ha una natura, in secondo luogo che da questa natura erompe un primo movimento, in terzo luogo sappiamo che prima che l'inconoscibile producesse il primo movimento doveva essere necessaria- mente immobile. Ciascun vede quindi che quando l'autore parla dell'inconoscibile, si deve intendere che esso è inconoscibile per noi che non ci siamo elevati allo stato d'intellettualismo a cui sono giunti quelli che sono presso ad estinguersi, ma per questi l'inconoscibile è conosciutismo. Questo principio direttore erompente come primo movimento dall'inconoscibile secondo l'autore si converte in un istinto, esercita una coercizione sopra di se e cosi manifesta il primo atto della sua autorità, impone il silenzio a chi, l'autore non lo dice, probabilmente a sé stesso, e ciò che è più notevole impone il silenzio prima di proferire comandi, cioè, siccome imporre il silenzio è comandare così egli l'istinto comanda ossia non comanda. Ed è perciò che all'origine della morale individuale, come della morale sociale, si trova un fatto di dominazione, ossia nei due casi vi ha il trionfo di una forza che impone i suoi modi di essere vuoi ad un gruppo di centri nervosi vuoi ad un gruppo d'uomini. Adunque primamente dall'inconoscibile erompe un primo movimento il quale è un principio direttore, che si converte in un istinto il quale comandando cioè non comandando esercita una coercizione sopra di sé eser- citando il suo primo atto di autorità, e poi questo istinto diventa un fatto di domi- nazione che si trova all'origine di ogni morale, in fine il fatto di dominazione si converte in una forza che impone i suoi modi di essere ad un gruppo di centri ner- vosi o ad un gruppo d'uomini. L'autore dice che questa concezione dell'origine della morale scoppia in Carlyle da molti luoghi: così egli ammira " chez les anciens Norses " cette sauvage course et bataille de mer durant tant de géne'rations „; perchè era 304 ROMUALDO BOBBA 52 d'uopo di accertare quale fosse la più forte specie di uomini che doveva comandare e a chi? Io dico, è Carlyle che parla, talvolta che tutto procede per sfida di guerra in questo mondo, che la forza ben compresa è la misura di ogni merito. Date al tempo una cosa, se essa prospera è una buona cosa (Gli Eroi). Tuttavia a lato di questa attitudine puramente intellettuale Carlyle, secondo l'autore, non seppe sottrarsi intieramente all'influenza dell'ambiente, e perciò non nasse tutte le conseguenze contenute nel suo principio. Laonde Edmondo Barthelmy (Thomas Carlyle, pag. 197) scrive che il tratto caratteristico della concezione di Carlyle • — sentimento della identità della Forza col Diritto, del Valore morale colla Intel- ligenza. — Ma il De Gaultier trova che identità non è abbastanza. Imperocché alla teologia metafisica, che formola con Kant il primato della morale, bisogna opporre senza ambagi la forza, attesoché avvi apparente identità tra la forza e il bene finche 4t1.Ha rimane stazionaria, non più quando essa si svolge. Quindi l'identità ammessa da Carlyle tra l'idea di bene e di forza, invece di proclamare l'anteriorità e la supre- mazia della forza, è una prima concessione all'antica morale. Inoltre l'idea del dovere sembra implicata nella massima da cui erompe una presunzione di finalità: l'uomo primieramente si mette in relazione colla natura e le sue potenze, le ammira e le adora; in seguito discerne che ogni potenza è morale, che per lui il gran punto è la distinzione del bene e del male, del tu devi e del tu non devi. Tutto che è retto è implicato nel fatto di cooperare colla reale tendenza del mondo, e per questo fatto tu riuscirai (la tendenza del mondo riuscirà), tu sei buono e nel retto cammino (Gli Eroi, p. 49). Secondo l'autore la difficoltà sta nel decidere in quali limiti devono essere trasportate le parole adoperate da Carlyle per essere ridotte ad esprimere il suo vero pensiero, per sapere se egli fu o non fu ingannato dal miraggio della sua coscienza: ben inteso si tratta della distinzione per Carlyle del bene e del male, del tu devi e del tu non devi. Ma l'autore nota che alcuni apprezzamenti emessi da Carlyle negli Eroi e nel Sartoreswrtus dimostrano che egli mira ad un mondo di fatalità pura in cui la morale non ha accesso: sarebbe più saggio, pronuncia Teu- felsdroeckh, sottomettersi all'inevitabile, all'inesorabile, e riguardare anzi questo come il migliore (Sartoressartus, pag. 277). Quindi se si tiene conto di questa concezione di un fato inesorabile, sembra che debbansi interpretare come immagini e apparenze le parole dovere, bene, male, le quali all'infuori di una teologia sono inconciliabili col fatalismo: è verosimile, aggiunge l'autore, che Carlyle riponesse la libertà là dove la fatalità della sua natura lo dominava colla più inflessibile violenza, in quel potere di sforzarsi, sviluppato in lui con intensità, potere dato come tutto il resto, di cui non era responsabile, ina del quale potè dimenticare l'ufficio puramente rap- presentativo, di guisa che l'illusione della libertà colle sue conseguenze morali che ne derivano per lui rimase attaccata a quel potere. L'autore conchiude che pur ren- dendo la giustizia che è dovuta a Carlyle, cioè che fu un precursore del Nietzsche, non seppe tuttavia dedurre dalla sua concezione tutte le conseguenze, poiché invece di proclamare l'identità dell'idea del Bene e della Forza, doveva invece affermare assolutamente l'anteriorità e la supremazia della Forza. Così anche il Carlyle non ha saputo elevarsi allo stato d'intellettualismo voluto dalla morale estetica dell'autore. 53 ESAME STORICO CRITICO DELL'OPERA " DA KANT A NIETZSCHE „ 505 XV. Nello scrivere questa recensione ci siamo più volte chiesto se veramente meri- tava la pena di consacrare al libro del De Gaultier un così lungo e faticoso studio, e ci parve di poter rispondere che il far conoscere le teorie di un autore il quale ci si presenta come il paraninfo della filosofia di Nietzsche, la filosofia dei superuo- mini, e che, come abbiamo veduto, si dimostra così versato nella storia della filosofia, specialmente anteriore alla Critica della Ragion pura, potesse ottenere il suffragio dei cultori di quella. Noi per principio ammettiamo la più grande libertà nel filosofare ; ma crediamo che la critica delle opinioni di coloro che dissentono dalle nostre teorie debba essere condotta con quella urbanità che non si scompagna mai da chi cerca spassionata- mente il vero. Ora leggendo il De Gaultier e tenendo conto della acerbità con cui giudica le opinioni filosofiche e i filosofanti che non condividono le sue teorie ci siamo troppo spesso trovati nel caso difficile " d'éviter l'apparence de quelque gros- " sièreté en acceptant la tàche trop aise'e de montrer l'incohe'rence d'un tei système " de chimères (cioè di quello dell'autore), et le bon sens paraìt ici défaut de tact „ (pag. 39), parole che esprimono pienamente l'impressione che riceve chi legge seria- mente il suo libro. In fatto che cosa si può pensare di uno scrittore che dopo aver condannato tutti i sistemi che pongono a base della morale il dovere si propone seriamente una morale che è un intellettualismo puro e semplice, consistente in uno spettacolo di cui gli intellettualisti sono gli spettatori, che si astengono dal portare giudizi di bene o di male delle cose e degli atti che non possono essere altrimenti di quel che sono, che non si domandano mai ciò che devono fare e ciò che la società deve fare... Che questa morale estetica veramente non potrebbe prevalere, non essere che l'appannaggio di un piccolo numero, perchè se si generalizzasse verrebbero a man- care gli attori e lo spettacolo cesserebbe. Se non che sappiamo che l'autore ha pre- mura di aggiungere che un tale appetito di conoscenza pura non si manifesta in alcuni esseri se non " vers les derniers stades de leur évolution phénoménale, chez des 8 races, et des familles, chez des individus proches de leur extinction , (pag. 176-177). Il che ci assicura che la morale estetica degli intellettualisti, tra cui certo primeggia l'autore, non sarà mai la morale degli uomini assennati. Serie II. Tom. LUI. 39 V° Si stampi: Enrico D'Ovidio, Presidente. Lorenzo Camerano Segretario della Gasse di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Rodolfo Renier Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. fK^gì^g;^^ 1 te m I 1 P s s ^ & li i tu i) # ■♦.< 4^ | M I I IP <&" §#fi»B2@ 3 2044 093 260 305 Date Due ^.'r'r «*";■! Si^. ^V~ tó*< < *£& ~** **£, . v- - \ * \ .:';, ^ V ' a#