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TA YA = = RZ iI ATE MR($E x DATERRZZA NAZ MEMI ENEA A VA ENEA N VSS ENT REN Lay NS \ As INLZIE, AV enti Vga Voi LPRFTEARPZ= er EA EA Ara NPZZAL GIGI SS îm DICH na SV A ces) SII - do) dC L2 TÀ — Viren FDNÒ MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO TH DE hi E VAI YORK Acaneny sar dati CES iù Yam U 4 è Ca de 1 Of SC MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO SERIE SECONDA Tomo LIX TORINO VINCENZO BONA Tipografo di S. M. e del RR. Principi. 1909 » : sa LA sf me fe SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI INDICE —_"— -—- CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Nuove notizie storiche sulla vita e sulle opere di Macedonio Melloni; Memoria del Socio IctLto GUARESCHI . * È + V-Fag: Il gruppo del Gran Sasso d’Italia; Studio Heslogico di pestato Suoo (con 1 carta geologica) È . 3 : ; CO: , È x Ricerche intorno ad alcune specie del genere “ Elaphomyces Nees , (“ E. varie- gatus, E. granulatus ,, e affini); Memoria della Dott.* Erisra FONTANA (con 2 Tavole) . i È ; ? i i : . È Sopra alcune varietà di rette ed in particolure su vari tipi di complessi cubici; Memoria di UmBerTO PERAZZO . ; È Ki Sopra alcune Rudiste del Cretaceo superiore del das glio da Preslpi cenali: Memoria del Socio CARLO FaBRIZIO PARONA (con 1 Tavola) - È Marcelin Berthelot; Commemorazione del Socio IctLio GUARESCHI . 7 È Misure magnetiche nei dintorni di Torino; Memoria II del Dott. D. BopDAERT , Sulle alterazioni del fegato di origine splenica e sulle alterazioni della milza di origine epatica; Memoria del Socio Pro Foà (con 2 Tavole) : È Intorno aîì derivati scheletrici estracranici del secondo arco branchiale nell'uomo; Ricerche morfologiche del Dott. AneeLo CesARE Bruni (con 1 Tavola) , Risultati sperimentali su cavi di acciaio e di canapa; Memoria del Socio CamiLLo Guini (con 1 Tavola) . È : î Determinazione della latitudine della Specola geodetica dala R. Wi asioo di Torino; Memoria del Dott. CrsARE ArMoNnETTI . ; : ì 5 Nuovo contributo allo studio della propagazione dei movimenti sismici; Memoria del Prof. G. B. Rizzo (con 1 Tavola) . . È : ] x Una tomba preistorica a Sant Angelo di Muxaro nella provincia di Girgenti ; Memoria del Socio AneeLo Mosso (con 1 Tavola) . . : a Risoluzione del problema generale numerativo per gli spazi plurisecanti di una curva algebrica; Memoria di GrovANNI Z. GIAMBELLI . 3 i, - 61 89 109 139 157 195 259 279 343 357 375 421 433 MACEDONIO MELLONI da un acquerello esistente presso la ficlia -Sig"* Ria). NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI" MEMORIA DEL SOCIO Po GUOARERSCETE Le notizie che pubblico ora riguardano il più grande fisico che abbia avuto l’Italia, dopo Volta. Premetto subito che con questa pubblicazione non intendo affatto MaceponIo MELLONI (da un ritratto esistente nell’Istituto Tecnico di Parma). di scrivere una biografia di Melloni, ma solamente di contribuire, con alcune nuove notizie e documenti inediti, ad una futura e completa biografia del sommo fisico, che sarà scritta, speriamo, da chi ha di me molto maggiore competenza. In questi tempi, in cui tanto si stu- diano le radiazioni e specialmente quelle invisibili, è doveroso vivifi- care la memoria delle scoperte di Melloni; perchè Egli, più di tutti, nella prima metà del secolo XIX° fece ricerche profonde sulle radia- zioni invisibili. Le ricerche del Mel- loni hanno dato origine, diretta- mente o indirettamente, a serie infinite di altre ricerche simili sulle radiazioni, e così s'andò di più in più svolgendo questa parte della scienza, che è fondamentale. Melloni era socio della hostra Accademia dal 1846, ma non ho trovato nei Volumi degli Atti e delle Memorie nessun cenno biogra- fico del nostro Socio. Da lungo tempo nacque nella mia mente l’idea di scrivere intorno a Melloni. Ma, si potrà osservare: come, voi chimico, vi assumete l’incarico di scrivere intorno (1) Per naturale mia timidezza o per ripugnanza a far lavori affrettati, non volevo pubblicare ora queste ricerche, che completate volevo forse riserbare a tempo più opportuno, ma avendone fatto Serie II. Tom. LIX. a: 2 I. GUARESCHI la storia della fisica ? Indipendentemente dal fatto che la chimica e la fisica sono due scienze intimamente collegate, l’ardire mio ha due altre attenuanti: ricordi di famiglia, e la fortuna di conoscere alcuni manoscritti che credo non privi di im- portanza. Mi ispirarono queste ricerche, primamente, come dissi, alcuni ricordi giovanili di famiglia; conobbi Vittorio Melloni, il signor Victor, come dicevasi famigliarmente allora, fratello di Macedonio; uomo bonario, colto e buon patriota; ero amico del figlio di questi, Antioco, giovane intelligente, vivacissimo e che morì prima de’ venti anni. Ricordo le lunghe passeggiate che mio Padre col Victor Melloni faceva nei dintorni di Parma, e come non di rado si intrattenessero a conversare sul grande Fisico, allora da pochi anni morto di colèra. S'andava spesso nella bella villa di Vittorio Melloni, a Valera, poche centinaia di metri distante dall'attuale barriera Massimo d’Azeglio (già S.ta Croce), allora luogo stupendo di campagna, ove Macedonio aveva trascorso felicemente la fanciullezza e la prima gioventù; ed alla bella residenza campestre egli accenna con mirabile sentimento della Natura nella introduzione della sua Termocrosi. A pag. VII di questa sua classica opera, scrive: “ Le spectacle de la nature fut pour moi, comme pour tant d’autres, la source des plus vives émotions de l’enfance. J'aimais les prairies, les foréts, les plaines, les montagnes; j'admirais la richesse de la végétation dont elles sont parées, et la multitude d’étres animés qui les habi- tent. Mais rien ne frappait autant mon imagination que le lien si intime qui réunit les phé- nomènes de la vie à l’astre brillant du jour. “ Né et élevé à Parme, j’allais pendant la belle saison passer mes jours de congé dans une gracieuse et fraîche campagne, habitée par une partie de ma famille, è une petite distance de la ville; et pour ne pas perdre un seul instant de ces bienheureuses journées, j’etais déjà rendu sur les lieux la veille au soir. Je me couchais de fort bonne heure, et me levais avec l’aube. Alors je me glissais doucement hors de la maison paternelle, et, muni d’un livre, je courais à l’air libre, le coenr bondissant de joie. Puis, je suivais un sentier qui serpentait d’abord dans l’intérieur d’une belle prairie, qui còtoyait ensuite un bassin et, le ruisseau chargé d’y porter, en murmurant, le tribut de ses eaux limpides. i “Je montais enfin sur un petit tertre que couronnait un superbe groupe d’ormeanx sécu- _ laires. Arrivé au sommet, je me plagais du còté de l’Orient, le dos appuyé contre le trone un brevissimo cenno nel Congresso della Società italiana pel progresso delle scienze, sezione di chi- mica, tenutosi in Parma nel passato settembre, credo opportuno di non tardare più oltre a far conoscere ora quanto avevo già raccolto da lungo tempo. Avevo già quasi pronta questa Memoria per la stampa quando il sig. Cav. V. Armando, nostro bibliotecario dell’Accademia, gentilmente mi avvertì che erasi pubblicato recentemente a Parma un lavoro su Melloni dal titolo: © L’opera scientifica di Macedonio Melloni; schede pubblicate da Ser. Lorricr-MagLIone, IZ Comune di Parma ai Congressisti. Battei, Parma, 1907, 34 pp., in 16° ,. Sperando di trovarvi qualche cosa di nuovo, l’acquistai; grande però fu la mia meraviglia quando subito m’accorsi che non solo questo opuscolo non contiene nulla di nuovo, ma che è incompleto ed anche molto errato in quel poco di vecchio. In questo opuscolo sì ricordano dei brevi cenni biografici di ben poco valore fatti per dizionari o per giornali politiei, da chi non aveva nessuna competenza, mentre non si ricordano gli scritti importanti su Melloni di Jamin, di Napoli, di A. de la Rive, ecc. Nell'’opuscoletto sovra ricordato vi è l'elenco degli apparecchi del Melloni esistenti nell'Istituto di Fisica della R. Università di Parma; non so se, almeno questo, sia esatto. Io avevo già raccolto da molti anni, in ischede, quasi tutta la bibliografia dei lavori del Mel- loni; non volevo pubblicarla, anche per non allungar troppo questa Memoria, ma visto quanto sia incompleta e sbagliata questa parte dell’opuscolo citato, mi decido a pubblicare anche questo ca- pitolo. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 3 gigantesque de l’un des ormeaux, et je commengais ma lecture à la lueur du erépuscule. L’a- gréable fraîcheur des champs, qui succédait à la chaleur étouffante de ma chambrette et le pro- fond silence qui régnait tout autour de moi imprimaient une nouvelle vigueur à mon esprit, et concentraient mes idées sur le sujet traité dans le livre dont j’'étais porteur: je lisais avec la plus grande attention. “ Mais, à mesure que le ciel se colorait des belles teintes de l’aurore, les distractions commengaient, et ne cessaient d’augmenter avec le gazouillement des oiseaux, réunis en bandes joyeuses sur les branches des vieux ormes, avec le bourdonnement des abeilles sortant en foule des ruches voisines, avec l’aboiement des chiens du berger, les cris aigus des paons, le hennissement des chevaux, le mugissement des boeufs et la voix des hommes qui les condui- saient au pàturage ou au travail des champs. Enfin le soleil paraissait tout radieux sur l’ho- rizon, le livre était abandonné... Et mon esprit se laissait complètement absorber par cet admi- rable éveil de la nature! “ L’action de la lumière sur les étres animés était évidente: mais comment s’exergait-elle ? “ Et, d’abord, qu’est-ce que la lumière et comment parvient-elle sur la terre? “ J'ignorais alors et les lois de la gravitation et l’immensité de l’espace qui nous sépare du soleil. “ Des discours assez vagues m’avaient è peine laissé entrevoir la puissante attraction de cet astre pour le globe terrestre; cependant je comprenais parfaitement la grande différence entre une cause dont l’action est incessante et un agent arrivant avec le soleil et disparaissant avec lui. L’idée du rayonnement lumineux était d’ailleurs familière è mon esprit, et l’observation journalière m’avait appris que la lumière, arrétée par les corps opaques, marche en ligne droite dans l’air, sans fléchir ni se laisser détourner de son chemin par l’agitation de ce fluide ,. Quando ero a Firenze nel 1870-71, provavo un senso di conforto, direi di orgoglio, nell’udire illustri fisici, chimici ed anche fisiologi stranieri discorrere colla più alta am- mirazione di questo nostro Grande; quando, richiesto, io dicevo che ero parmigiano, essi mi ricordavano subito con premura che a Parma era nato Melloni. Pochi avevano scritto intorno a questo fisico; anche molti anni dopo, ricercando notizie sulla vita e sulle opere di Melloni, ben poco trovai oltre ciò che era stato scritto nel 1854 e nel 1856. Leggendo nel 1872 le bellissime lezioni del Verdet sulla teoria meccanica del calore, fatte alla Società Chimica di Parigi nel 1862, fui colpito dagli elogi che egli tributava al Melloni per una memoria pubblicata da questi nel 1842 ; memoria che non avevo visto accennata in nessun Trattato di Fisica. Quando poi venni a Torino, tornai sull’idea di scrivere intorno’ al Melloni, con- fortato dal pensiero, che a stabilire il grande concetto dell'unità delle forze fisiche, aveva preso parte non ultima questo grande italiano. Qualcuno ha detto che Melloni è dimenticato. Come, Melloni dimenticato ? Erano dimenticati in Italia Avogadro, Malaguti, Chiozza ed altri, che io ho poi fatto conoscere quanto ho potuto, ma Melloni no certo. Melloni ha un bellissimo monu- mento in Santa Croce a Firenze, postovi dalla famiglia; a Parma, nella Chiesa del Quartiere vi è una lapide (1), nell'Università vi sono due busti del Melloni, una strada (1) Nella Chiesa del Quartiere trovasi una lapide coll’iscrizione seguente, che non è proprio molto bella : MACEDONIO MELLONI AL CITTADINO INSIGNE NE' FASTI DELLE FISICHE SCIENZE PARMA PEL VOTO DELLA RAPPRESENTANZA MUNICIPALE FECE SCOLPIRE XVII LUGLIO MDCCCLXIX. 4 I. GUARESCHI e l’Istituto Tecnico di Parma portano il suo nome, di Lui parlano con somma lode molti celebri fisici ne’ loro trattati, di Lui si discorre nelle storie della Fisica. Scris- sero intorno alla vita e alle opere del Melloni: Augusto de la Rive (1), Nobile (2), J. Jamin (3) e Napoli (4). I grandi dizionari di Larousse, Poggendorff, la Now». Biogr. Univ., ecc., riassumono più o meno bene, anzi talora incompletamente o ine- sattamente, la vita e le opere di Melloni (5). Le ricerche del Melloni sono state non solamente confermate, ma ampiamente estese e sviluppate, da altri valenti fisici e basterebbe ricordare: Fizeau, Desains, Knoblauch; Jamin, Franz, ecc. e' specialmente Tyndali. Il Magnus (Ber. d. deut. Chem. Gesellz, 1868, I, pp. 129 e 6, A. CXXXIV, p. 302, e in A. W. Hormann, Gustav. Magnus in Ber. d. deut. Chem. Gesell., 1870, IMI, p. 993) ha dimostrato che la silvina o cloruro potassico si comporta relativamente al calorico raggiante, esattamente come il salgemma. Ricorderò inoltre, ad esempio, che il Kayser nel suo recente (1900-1905) grande Hand. d. Spectroscopie, vol. I e III, fa vedere tutta l’importanza delle ricerche di Melloni nello studio della spettroscopia e degli spettri di assorbimento: “ Il Melloni, egli scrive, ha fatto in 20 anni, dal 1831 al 1853, un gran numero di ricerche della più alta importanza che interessano specialmente le irradiazioni dei corpi ,. To ho fatto riprodurre nel 1904 per mezzo della fotografia il bel monumento che la moglie del Melloni, signora Augusta Bignell Philipson, fece porre a proprie spese in (1) Notice sur Macédone Melloni in “ Biblioth. Univ. de Genève ,, ottobre 1854, t. XXVII, p. 221. (2) NosiLe A., Biografia di Macedonio Melloni compilata dal collega Antonio Nobile, letta il 15 dic. 1854 alla R. Accademia delle Scienze di Napoli; e pubblicata nel “ Rendiconto , della stessa Accademia, nuova Serie, anno III, pp. 107-182. In questa prolissa biografia sì trovano delle notizie sulla vita privata e pubblica del Melloni. Il biografo fa rilevare l’importanza delle idee di Melloni sull’identità delle radiazioni chimiche, luminose e calorifiche. ù » (3) Jamrn J., La Physique depuis les recherches d’ Herschel. - Melloni et ses travaux sur la chaleur rayonnante (“ Revue des Deux Mondes , 1854, 15 dic., t. VIII, pp. 1108-1141). È un'analisi ben fatta . dei lavori del Melloni. Il Jamin si era pure occupato del calorico raggiante. Il Jamin mette il Melloni-fra i più grandi genî. © Il n'a découvert aucun agent nouveau, mais il a contribué pour une large part è analyser la nature de la chaleur. Il n'a point déduit de ses études quelqu’une de ces applications qui font d'un savant un bienfaiteur de l Umanité, mais la science lui doit un de ces rares progrès philosophiques qui la transforment. “ L’histoire de la vie scientifique de Melloni résume en quelque sorte le mouvement des sciences physiques au xix° siècle dans une de leurs directions le plus fécondes, c’est-à-dire dans la voie de ces études sur les propriétés comparées de la chaleur et de la lumière dont Herschel et Ampère signalèrent les premiers l'importance. Raconter les travaux du savant italien, c'est retracer une des plus remarquables évolutions de la physique moderne ,. Questo scritto del Jamin è ben poco conosciuto. (4) Napori F., Macedonio Melloni. Sua vita e sue scoperte (* Rivista Contemporanea ,, Torino, 1856, vol. VIII, anno 4°, pp. 245-270). È anche questo un lavoro interessante. È errata la data della nascita 28 luglio 1801, data dal Napoli. Il Napoli non fa cenno della Memoria del 1842. (5) Fra coloro che hanno scritto in Italia sul Melloni ricorderò anche: Capoccr E., che nel 1854 scrisse un Cenno biografico; Carraneo A., del R. Liceo Parini a Milano, ha letto nel marzo 1869 un Discorso su M. Melloni; Cervi V., M. Melloni considerato come cittadino, Parma, Grazioli, 1872 (lavoro di poco pregio); il Prof. Zisr L. nel 1877 lesse alla R. Università di Parma la prolusione inti- tolata: Degli studi di Macedonio Melloni, Parma, Ferrari, 1877, in 8°; Rin. Ferrini, Macedonio Melloni, nella Riv. di Fisica, Mat. e Scienze Naturali, Pavia 1900, I, pp. 461-471; il Cossavella, che ricorderò più avanti; e qualche altro lavoro di minor valore. Non ho potuto ancora vedere alcune di queste pubblicazioni. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 5) Santa Croce a Firenze. Il compianto prof. Augusto Piccini volle curare con amichevole premura l’esecuzione di questo lavoro, fatto con grande abilità dall’Asinari di Firenze. La riproduzione fotografica, benchè il monumento sia posto in luogo poco illuminato, riuscì benissimo, come si scorge dalla figura unita alla presente Memoria. Il busto che sta in alto del monumento è più somigliante che non quelli che sono nella Uni- versità di Parma (1). È però vero, purtroppo, che nella sua città natale non ha un degno monumento; ma Egli ha un grande monumento, eterno, nella sua opera scientifica. Debbo alla gentilezza ed alle vive premure dell’illustre amico mio prof. Ales- sandro Cugini, se son venuto a conoscere alcuni manoscritti del Melloni; egli, dietro precedente mia preghiera, con lettera 26 maggio 1902, mi avvertiva di essere riu- scito a conoscere la signora Paradis Larozzo Carabba di Lavello, unica figlia della Linda Melloni. Ecco infatti quanto l’egregia signora scriveva al professor Cugini l11 maggio 1902 a proposito di notizie che io cercavo su Malaguti-Melloni. Si noti che i due amici, Malaguti e Melloni, erano stati esuli a Parigi dal 1831. “ Genova, 11 Maggio 1902. 8g “ Preg.0 Signore, “ La sua lettera del 31 marzo p. p. diretta alla mia povera madre, Linda Carabba Di La- vello Melloni, mi è pervenuta solo pochi giorni or sono e, dolente dell’involontario ritardo, mi fò premura di risponderle io, invece della mia povera Mamma, rapitami da fiera malattia nel Luglio del 1900. i “ Ho ripassato tutta la corrispondenza del Nonno, Macedonio Melloni, per accertarmi se esi- stevano ancora lettere del celebre chimico bolognese Malaguti, a cui si interessa il di Lei amico e distinto Professore Guareschi, ma non mi fu dato rinvenirne alcuna. Vi sono bensì molte lettere di Arago — Volpicelli — Humboldt — Peltier — Prevost — San Marzano — Flessing — Faraday — ecc.: ma nessuna del Malaguti. “ Dispiacente di averle fatto attendere così a lungo una risposta e di non poterla servire, ho l'onore di salutarla distintamente. “ Di Lei dey®* “ ENRICA PARADIS ,. Ringrazio pure vivamente l’egregio amico mio prof. Gerolamo Cuneo per l’in- teresse, preso a queste mie ricerche, procurandomi anche le fotografie di alcune delle lettere che ora pubblico. Non dirò a lungo della vita di Melloni; mi limiterò alle notizie o inedite o meno conosciute, fra le quali quelle avute direttamente dalla signora Enrica Paradis, che ringrazio vivamente. Il cenno biografico seguente è stato scritto da un membro della famiglia Melloni. “ Macedonio Melloni nacque in Parma agli 11 di Aprile 1798 (esiste una fede di batte- simo che dice di esser nato Macedonio Melloni nel Luglio del 1801. Questa fede fatta in se- (1) Il bel ritratto del Melloni è riprodotto da un acquerello posseduto dalla figlia Sig"* Rita. Debbo al Prof. Gerolamo Cuneo le relative fotografie; il Melloni aveva circa 40 anni. 6 I. GUARESCHI casione del matrimonio probabilmente è erronea). Suo Padre fu Antonio Melloni ricco e cono- sciutissimo commerciante, la Madre Rosalia Jabalot figlia di un medico francese, donna assai colta e virtuosissima. Macedonio ebbe tre fratelli, Enrico, maggiore, Vittorio e Antioco. Sin dai primi anni, mentre otteneva le prime lezioni nelle lettere assieme al fratello maggiore, si applicava con amore allo studio delle scienze naturali, cercando già d’indagare i misteri della natura e mostrando d’interessarsi specialmente alla fisica. “ Col crescere degli anni si dedicò ai suoi studii prediletti, cioè fisica e storia naturale. Studiò anche musica e pittura. Fu suo professore di flauto Cavallero. Nella pittura progredì anche in modo sorprendente ottenendo dall'Accademia Parmense diversi premi nel 1818 — e nel 1819 — fu allievo del prof. Balzari. € Negli studi filosofici il Melloni ebbe a prof.ri il Lombardini, il Casa e lo Sgagnoni, il primo per la' matematica, il secondo per la logica, il terzo per la fisica. Gli studi superiori furono da lui compiuti a Parigi. “ Fu nel 1819, dopo di aver ottenuto il maggior premio dalla Parmense Ace. di B. A. che il Padre lo condusse a Parigi nell’intendimento di occuparlo nell’arte dell’incisione nella celebre scuola del Bervich. Appena Melloni sì trovò nella capitale della Francia dichiarò al Padre suo ch'egli intendeva dedicarsi allo studio delle scienze fisico-matematiche che aveva sempre coltivato con passione. Il Padre non si oppose e fu anzi assai largo di mezzi onde per- mettere al figlio di giovarsi di tutti i vantaggi che Parigi poteva offrire per la riuscita. “N Melloni rimase a Parigi cinque anni. Fece ritorno a Parma nel 1824 e fu nell’Ot- tobre di detto anno nominato Prof. sostituto onorario alla cattedra di fisica teorico-pratica al- l’Università di quella città, e tre anni dopo, per la morte del Prof. Sgagnoni, Prof'* effettivo di fisica e direttore del gabinetto fisico nell’agosto 1827. Egli sostenne la cattedra fino al 1829-30. “ Nell’occasione dell’apertura dell’anno scolastico 1830-31, egli nella prolusione si mostrò troppo animato nell’encomiare gli studenti parigini che presero parte alla rivoluzione del 1830 e per ciò perdette la cattedra il 16 Novembre 1830. Ritornò allora a Parigi, per passare indi professore di fisica nella città di Déle, dove però fece corta dimora, giacchè essendo scoppiata la rivoluzione nell’Italia centrale nel febbraio 1831 fu invitato a ritornare in patria per far parte del Governo provvisorio, che tenne le redini del Piese per circa un mese. L'intervento del- l’Austria negli affari di Parma fece di nuovo partire Melloni, che ritornò per la terza volta a Parigi. “ Antonio. Melloni morì V'11 Maggio 1842 — ed in quell’epoca Macedonio ritornò a Parma. “ Si sposò con Augusta Bignell-Philipson, inglese, figlia »di Riccardo ed Emma, nell’anno 1843, ed ebbe 4 figli: Emma, la maggiore, morta a 4 anni, Rita, Linda ed un maschio, An- tonio, morto di pochi mesi , (1). Vive ancora una figlia del Melloni, la Sig" Rita. ‘ (1) La fotografia che orna la pag. 1 mi fu gentilmente procurata dal Prof. Cugini che l’ebbe a mezzo dell’egr. fotografo Sig. Rastellini di Parma; il ritratto originale trovasi in una sala dell’I- stituto Tecnico di Parma, e probabilmente apparteneva al Prof. Camillo Ròndani allievo ed amico del Melloni. Il fatto che il Melloni prima che le scienze avesse studiato le belle arti, è confermato da una notizia rinvenuta nell'Archivio di Stato di Parma e trasmessami dal Prof. Cugini. “ Macedonio Melloni era già ben avviato nello studio dell’arti del disegno sotto la buona di- rezione del prof. Antonio Pasini, e già aveva conseguito un premio per due disegni, che furono anche esposti nell’anno 1818, quando un caso lo svogliò dal proseguire. L’anno 1819 egli aspirava a premio maggiore; ma non l’ebbe forse per le solite rivalità tra professori-maestri, che ridondano poi a danno degli scolari. I professori Giuseppe Carra e Giuseppe Martini non gli vollero accon- sentire quell’onore, del quale lo reputava degno il Pasini, suo maestro. Indignato della cosa, si portò alla casa del Carra e fece una scenata, che fu poi seguita da altra all'Accademia di Belle Arti il 4 agosto; dopo di che diede un addio all’arte e si diede alla scienza. Restano però ancora nella R. Pinacoteca alcuni saggi a chiaro-scuro del Melloni, che stanno a provare la sua non co- mune attitudine alle arti belle. “ L'unico quadro a chiaro-scuro del-Melloni, esistente nella R. Pinacoteca di Parma, rappre- senta Antiloco che annunzia ad Achille la morte di Patroclo. Questo quadro porta il numero 923 Ji GUARESCHI 2 Macedonio Melloni Memorie della Sh EAlcecad. delle Scienze di Torino ” Serie Il, Vol. LIX, Monumento a Merroxi in Santa Croce a Firenze, NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 7 Resta così corretta la data della nascita: il Melloni nacque l’11 aprile 1798 e non il 28 luglio 1801. Ciò risulta anche dalla fede di nascita e di battesimo che si conserva nell'Archivio del Battistero di Parma; questo documento dice: Macedonius, Ioachim, Leo, Balthasar filius D. Antonii et D. Rosaliae Iabalot conjug. Paroeciae S. Petri natus et baptus die 11 aprilis 1798. Patrinus D. Ioachim Melloni. Molti sono caduti nell’errore di credere che il Melloni fosse nato nel 1801, ed invero nel 1901 si volle da alcuni professori di fisica celebrare il centenario della nascita, fra i quali il prof. G. Cossavella che scrisse un opuscolo: Per il centenario della nascita di Macedonio Melloni, in Parma, 28 luglio — Parma, Adorni, 1901. — Il primo a cadere in quest’errore fu A. de la Rive nella sua notizia su Melloni (loc. cit.), scritta poco dopo la morte di questi. L’Hoefer poi (Nouv. Biogr. Univ.) che utilizzò per la sua breve biografia di Melloni la nota storica del de la Rive, copiò lo stesso errore e così fecero altri. Ma già il Poggendorff nel suo Handw. biogr.-litter. dà la data esatta 11 aprile 1798. Melloni morì di colèra il 12 agosto 1854; e non nel 1855 o 1853 o anche 1856, come erroneamente scrivono alcuni. Morì a Portici presso Napoli, in una villa detta Moretta, ove aveva preso domicilio dopo che lasciò l'Osservatorio vesuviano nel 1849. Ho detto lasciò; avrei dovuto dire. che dovette lasciare, perchè fu destituito, certo per le sue idee liberali, da Ferdinando Borbone; il quale così oscurò, non la più ‘bella come scrive il Cossavella, ma forse l’unica bella azione del suo regno, che fu quella di chiamare il Melloni dall’esilio e dargli una cattedra. i La signora Paradis possiede un volume, L’Imitazione di Cristo, che il Melloni regalò a sua moglie quando questa, essendo inglese e protestante, si fece cattolica. Nella prima pagina vi sono queste righe scritte da Melloni: “ Souvenir du 4 février 1843 (la data del matrimonio). “ Souvenir du 24 mars 1844, Baptéme de mon premier-né Emilia - Rosalia - Federica - Ma- cedonia - Augusta ,. Riguardo la carriera scientifica del Melloni ricorderò alcune date ed alcune cifre non prive d'importanza. Con decreto di Maria Luigia, Duchessa di Parma, essendo ministro Dalla Rosa, il Melloni fu nominato il 24 ottobre 1824 professore sostituto onorario della Cattedra di Fisica teorico-pratica nella Università di Parma. Fu poi promosso professore tito- lare della Cattedra di Fisica sperimentale, il 4 settembre 1827, in luogo del defunto prof. Sgagnoni, e coll'’annuo assegno di L. 950, e direttore del Gabinetto fisico con l'assegno di L. 250. Teniamo in mente queste cifre. Melloni e Nobili. — Si è detto da qualcuno che Melloni ha utilizzato l’ap- parecchio di Nobili nelle sue esperienze quasi senza ricordare a chi lo doveva. Ma più propriamente bisognava dire che egli ha perfezionato assai la pila termo-elettrica di Nobili, e che poi l’ha applicata al suo apparecchio per studiare il calorico rag- della nostra galleria ed altri due numeri 1798 e 1854 corrispondenti alla nascita ed alla merte dell’autore. La cornice è decorata da uno scudetto, non però dorato: ciò che significa che quel quadro non fu dichiarato degno del primo premio, ma del secondo, e perciò Melloni non potè an- dare a Roma... 8 I. GUARESCHI giante. Nobili stesso ha riconosciuto utilissimi i perfezionamenti introdotti da Melloni nella sua pila termo-elettrica, ed anzi, i due amici intrapresero insieme una serie di ricerche. Il Nobili diede l’annunzio del suo termo-moltiplicatore 0 termoscopio-elettrico in una nota datata: Reggio, 2 dicembre 1829; ed in una successiva nota: Reggio, 24 aprile 1830, col titolo: Sopra alcuni perfezionamenti eseguiti al termo-moltiplicatore, inviata alla Bibl. Univ., t. 44, p. 230, annunziava i perfezionamenti introdottivi dal suo amico Melloni colle parole seguenti: “ Il signor Macedonio Melloni, professore di fisica all’Università di Parma, essendosi prov- veduto d’uno* dei miei termomoltiplicatori, lo sottopose a diverse prove, e s’accorse ben presto che questo istrumento, superiore a tutti gli altri del medesimo genere allorchè sì tratta di scoprire, nel contatto, le più piccole differenze di temperatura fra i corpi, non agiva più con altrettanta delicatezza per l'irraggiamento. Nell’idea di renderlo più attivo, sotto quest’ultimo rapporto, egli ha costruito una nuova pila di sedici elementi molto sottili, totalmente scoperti, anneriti e sostenuti, verso le saldature superiori, da un disco di legno traforato e coperto di mastice. La scatola poi che contiene gli elementi è metallica, a doppio fondo, e guernita di più, dal lato superiore, d’uno specchio conico di metallo. Il tutto in fine è portato da un piede combinato in modo da poter girare l'apparecchio in tutte le direzioni. “ Questa costruzione, alla quale si riconosce l’abile fisico, adempie perfettamente il suo SCOpo, ecc. ». Il Nobili continua ad elogiare il nuovo apparecchio e a dimostrarne i vantaggi e poi termina la nota colle parole seguenti (1): “ La grande delicatezza di questi nuovi termoscopi ci ha determinati, il Sig. Melloni ed io, ad intraprendere una serie d’esperienze che pubblicheremo quanto prima. Aspetteremo allora ad entrare nei dettagli relativi alla loro costruzione ed al modo di servirsene ,. E davvero nel 1831 questi due sommi fisici pubblicarono la loro classica me- moria: Recherches sur plusieurs phénomènes calorifiques entreprises au moyen du thermo- multiplicateur (A. Ch. (2), 48). Nobili e Melloni lavorarono di pieno accordo. “ Essi intrapresero, scrive il Prof. Francesco Bordè, di conserto una serie di importantis- . simi cimenti con quella lealtà, che suol partorire lo schietto amore delle scienze in que’ rari uomini, i quali consci delle proprie forze, per più presto avvantaggiarle non isdegnano dividere una gloria che sentono di bastar soli a conseguire intera , (2). Il Melloni stesso nell’Introduzione alla sua Termocrosi (pag. XII), dice con calde parole quali fossero le sue relazioni amichevoli e scientifiche col Nobili. Quando ebbe notizia dal Nobili della scoperta di un nuovo apparecchio per riconoscere delle pic- cole differenze di temperatura, “ Ce fut pour moi un trait de lumière , esclama. “ Encouragé par les éloges d’un tel homme et muni de moyens parfaitement adaptés au but que jusqu’alors j'avais en vain taché d’atteindre, je repris avec une nouvelle ardeur mes études sur la chaleur rayonnante ,. (1) Memorie ed istrumenti del Prof. Leopoldo Nobili, Firenze, 1834, vol. I, pp. 160-162. (2) Borpé F., Elogio storico di Leopoldo Nobili. Modena, 1847, p. 20. — V. anche: Antinori V., Elogio storico di L. Nobili. Firenze, 1836. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 9 L'idea di applicare la pila termoelettrica allo studio del calorico raggiante o meglio di rendere sensibile il termomoltiplicatore per applicarlo alle ricerche sul calorico raggiante, spetta al Melloni; lo stesso Nobili lo afferma. Non si può dunque scrivere come fa il Desains che “ ce fut en 1830 que L. Nobili (de Reggio) fit connaître l’appareil thermomultiplicateur, qui, par sa sensibilité et l’extréme promp- titude de ses indications, devait rendre de si grands services è la science de la chaleur rayonnante ,, (1). Ho voluto pubblicare queste noterelle per ricordare le ottime relazioni scien- tifiche ed amichevoli fra i due fisici emiliani. Nulla dirò delle ostilità che il Melloni incontrò a Parigi da alcuni dei vecchi fisici (Despretz, Péclet). Il Melloni stesso ne discorre a lungo nella Introduzione della sua Termocrosi. l Di bell'esempio alla gioventù sono le sue parole seguenti riguardo le difficoltà da lui incontrate, e vinte: “ En tragant cette esquisse historique j'ai voulu montrer d’abord qu’un jeune homme porté par un penchant décidé vers l’étude de la nature est presque sùr de parvenir à quelque donnée nouvelle, si après avoir bien médité sur les principes connus, il sait diriger avec persévérance ses efforts sur le sujet de recherche qui a le plus frappé son imagination. Je me suis ensuite proposé de faire voir que le manque de moyens, l’exil, les contrariétés, les obstacles de toute ‘ espèce ne peuvent pas détourner de son but une volonté ferme et résolue. Enfin j'ai tàché d’indiquer la meilleure route à suivre pour rendre utile è la science un nouveau résultat que l’on vient d’obtenir , (Therm., Intr., p. XXI). Non poche delle ricerche di Leopoldo Nobili interessano anche la chimica, come ad esempio quelle sull’elettrochimica, sull'azione chimica del magnetismo, la scoperta della metallocromia, ecc. Ho raccolto del materiale storico anche su questo grande fisico reggiano, sul quale forse dovrò discorrere in altra occasione. Anche del Nobili manca la raccolta completa delle Opere; esiste, è vero, una raccolta delle sue Memorie ed istrumenti, ecc., 2 vol., 1834, ma non comprende il Nuovo trattato d’ottica, Milano 1820 ed i lavori pubblicati dopo il 1834, quali le Questioni sul magnetismo ; nuovi trattati sopra il calorico, l'elettricità ed ilmagnetismo, ecc. Giustamente il Magrini (Mem. R. Ist. Lomb. 1860 e N. Cim. 1860, t. XI, p. 351), a proposito di esperienze sue e di Nobili non ricordate dai fisici stranieri, scriveva: “ È questa una novella prova del bisogno che hanno gli italiani di farsi storici di se medesimi, poco avendo a sperare dalla cura degli stranieri ,. In generale vi è più tendenza a ricordare e lodare, talora anche eccessivamente e ingiustamente, i lavori dei viventi che non de’ morti. Pare quasi innata nell'uomo la tendenza a diminuire l’importanza dei lavori dei predecessori per aumentare l’im- portanza delle proprie ricerche. Berzelius e Melloni. — Berzelius nei suoi Jahresberichte iiber die Fortschritte der Chemie, ecc. dal 1831 al 1840 riassunse sempre e con grandi elogi le ricerche del Melloni. Egli stimava molto il nostro fisico. In una lettera a Wohler datata: (1) Rapport sur les progrès de la théorie de la chaleur, 1868, p. 85. Serie II. Tom. LIX. B 10 I. GUARESCHI Paris 29 aug. 1835, il grande chimico svedese racconta all'amico il suo incontro a Parigi col Melloni che allora presentava all'Accademia di Francia i suoi più impor- tanti lavori, e scrive (Briefwechsel 2. J. Berzelius u. F. Wohler, 1901, I, p. 626): “ Melloni hat mir seine hòchst merkwiirdigen und héchst einfachen Versuche iiber strah- lende Wiirme und die wunderbar grosse Sensibilitit seiner Apparate gezeigt. Er kennt eine Methode, alle Wiirmestrahlen des Spectrums in das griine Licht zu verlegen, bekommt also rot und rotgelb ganz ohne Wiirme und beabsichtigt ihre chemischen Wirkungen zu unter- suchen, um ausfindig zu machen, ob diese von Wiirmestrahlen in dem roten Ende oder vom Lichte selbst abhiingen. Melloni ist ein sehr bescheidener Mann. Vor einigen Tagen ist er Korrespondent der Akademie geworden ,. Liebig e Melloni. — Anche il Liebig, amicissimo di Humboldt, era in ottime relazioni col Melloni ed apprezzava altamente i meriti del fisico italiano. Quando nel 1837 il Mohr voleva pubblicare una memoria sulla natura del calore (Ansichten liber die Natur der Wiirme) ne fu sconsigliato dal Liebig colla lettera seguente in data 25 gennaio 1837 (in KanLBAUM, Monographien u. d. Gesch. d. Chemie, VITI, 1904, p. 22): “ La consiglio di non stampare la sua memoria sulla natura del calore: ciò Le reche- rebbe danno agli occhi di tutti i fisici, il che certo non era il suo scopo. Per quanto ingegnose, le sue osservazioni non si possono in nulla accordare colle scoperte di Melloni; forza senza materia non è concepibile, e in generale i fisici hanno già le stesse idee da Lei esposte, solo varianti nel modo di esporle. Tuttavia riguarderò la cosa con maggiore attenzione. Ella non si abbia a male per queste mie osservazioni ; del resto, può comunicare lo scritto a Poggendorff, che Le dirà certo la stessa cosa ,. i Però sull'importanza delle idee di Mohr intorno la natura del calore si vegga un opuscolo “di Ch. JezLer, Die Entwickelung unserer Naturanschauung in XIX Jahr- hundert und Friedrich Mohr, Leipzig 1902. Melloni esiliato. — Suo ritorno in patria. — Melloni, anima ardente di. scienziato e di poeta della natura, era di sentimenti liberali. Il sentimento dell’ita- lianità era grandissimo nel Melloni anche in quei tempi in:cui non pochi scienziati, ed anche corporazioni scientifiche, blandivano ia dominazione straniera. Non appena incominciarono i moti rivoluzionari in Francia nel 1830, egli dimostrò grande simpatia per le nuove idee, fu esiliato e con grande difficoltà potè rientrare in Italia. Io ho rac- colto non poche notizie che riguardano questo periodo della sua vita, e le pratiche fatte da illustri scienziati stranieri per far in modo che il Melloni, non solo potesse rientrare in patria, ma anche insegnarvi la fisica. Nella prelezione al suo corso di fisica, il 15 novembre 1830, a Parma, il Melloni, che già aveva studiato a Parigi nella Scuola Politecnica, pronunciò parole piene di amor patrio, raccontò come gli studenti di Parigi avessero valorosamente combattuto sulle barricate nelle famose giornate di luglio (cioè 27, 28 e 29 luglio 1830); giornate che, come si sa, ebbero per effetto la cacciata per sempre dalla Francia del ramo primo- genito dei Borboni (come poi colla rivoluzione di febbraio del 1848 fu cacciato per? sempre il ramo degli Orléans). Ed in ultimo disse: “ infiammatevi, o giovani, a NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 11 quell’amore di patria, a quello sprezzo della vita, a quel glorioso esempio , (1). Applausi vivissimi coprirono le parole pronunciate dal Melloni, e centinaia di stu- denti lo accompagnarono sino alla sua dimora; ma il giorno dopo, cioè con decreto 16 novembre 1830, egli fu destituito ed esiliato. Il Gallenga scrive: “ l’intero gio- vanile uditorio balzò in piedi: gli applausi troncarono l’arringa, l'oratore fu piut- tosto portato che accompagnato a casa da ben trecento giovani; e la sera fin oltre a mezzanotte furono tripudi e serenate, ecc. ,. Il Gallenga afferma che il Melloni fu prima sospeso, poi obbligato a dimettersi e che mandata la richiesta dimissione “ ne ricevette in contraccambio, dietro sua domanda, un passaporto, montò in vettura il giorno stesso, lieto di mettere il fiume Enza tra sè e i suoi amici e nemici, prima che peggio gli arrivasse ,. Il Cantù (Della Indipendenza Italiana, vol. II, p. 267), scrive: “ A Parma, il giornale L’Elvetico, il gabinetto di lettura del Pastori, le lezioni dell’illustre fisico Macedonio Melloni, le frasi di Pietro Giordani, ivi ridottosi dopo respinto dalla Toscana, aveano disposto gli animi a sommovimenti, ecc. ,. Come si scorge anche da quanto scrive la signora Paradis, il Melloni tornò a Parma durante i moti rivoluzionari nei primi giorni del 1831, anzi allora egli fu subito nominato membro del Governo provvisorio; il Melloni non aveva che 33 anni (2). Ma soffocati questi moti nel sangue, egli con altri liberali, fra i quali Iacopo ‘Sanvitale e Cialdini, riuscì a fuggire e si stabilì di nuovo a Parigi, ove trovò i suoi compagni d’esilio delle Romagne: Malaguti, Zanolini, Mamiani, ecc. (3). Stretta amicizia con Arago, fu, per influenza di questo grande fisico, nominato professore di fisica a Dòle, piccola città di provincia. Qui il Melloni stette poco tempo; a lui era necessario un ambiente scientifico che certamente non era a Dole. Andò prima a Ginevra ove si occupò del calore raggiante, poi tornò a Parigi ove visse come uomo privato e studioso. Ma non attese all'insegnamento privato come erro- neamente da qualcuno fu scritto. Dal 1832 al 1836 fece a Parigi le sue principali ricerche sul calore. Ho già detto che il Melloni a Parma aveva lo stipendio di appena 950 lire, cioè inferiore di molto al salario di un qualunque inserviente della casa ducale di Maria Luigia! Più generoso fu il Governo francese, il quale con sussidio, » (1) Si vegga: Garrenca, La nostra prima carovana (“ Rivista contemporanea ,, 1857, vol. IX); Hm. Casa, I moti rivoluzionari accaduti in Parma nel 1831 (Parma, Ferrari, 1895); Eugenia Monra- naRI, Parma ed i moti del 1831 (“ Arch. Stor. Ital. ,, (5), t. XXXV, p. 16). Debbo alcune di queste notizie al caro amico Prof. Alberto Rèòndani, che ringrazio. (2) Il Governo provvisorio liberale parmense nel 1831 era composto di Filippo Linati, presidente, e Jac. Sanvitale, Melloni, A. Casa, Castagnola, Melegari e Ortalli. M. Melloni ed Erm. Ortalli erano nomi cari alla studentesca; erano i rappresentanti del partito rivoluzionario. Il Melloni, l’ Ortalli ed il Mussi, i più compromessi, riuscirono a fuggire prima dell’arrivo delle truppe austriache nei primi di marzo 1831. ll Coppi ne’ suoi Annali d’Italia, vol. VIII, ricorda come il Melloni facesse parte del Governo provvisorio. In quel breve tempo Melloni volse tutte le sue forze a progetti di riforma e di miglioramenti della pubblica istruzione; egli aveva fra i suoi allievi notato e tenuto in particolare affezione Ca- millo Ròndani, che riuscì poi un naturalista di valore. Melloni assegnò al Ròndani una cattedra di Storia Naturale, ma deliberò che fosse inviato dal Governo a Parigi per un certo tempo a turvi studi di perfezionamento. La caduta del Governo provvisorio troneò ogni progetto (Vedi Mic®eLe Lessona, Naturalisti italiani. Camillo Ròndani. Roma, 1884, pp. 91 e 95). (3) Si vegga il mio: Faustino Malaguti e le sue opere. Torino, 1902, pag. 6. 12 I. GUARESCHI certo non notevole, volle incoraggiare i lavori del nostro fisico. Fra le carte da me esaminate, ho trovato una lettera in data 24 febbraio 1835 della 3* Divisione del Ministero Istruzione Pubblica di Francia, colla quale si annunzia “ di aver accordato al prof. Melloni la somma di franchi 1200 a titolo di incoraggiamento scientifico ed in considerazione del lavoro che ha pubblicato sulla luce e sul calore ,. Si noti che in gen- naio 1835 la Società Reale di Londra aveva conferito al Melloni la medaglia Rumford. Ma il Melloni desiderava rientrare in patria; a Parma però non poteva più sperare di riottenere la cattedra perchè era già occupata. Con decreto 6 nov. 1831, era stato nominato professore di fisica Giov. Batt. Cassiani-Ingoni, che occupò la cattedra sirio al 1862, senza aver mai fatto nessuna ricerca scientifica. Pur non potendo aver la cattedra, il Melloni desiderava il rimpatrio. L’Arago e l’Humboldt misero in attività tutta la loro influenza scientifica e politica per raggiungere lo scopo desiderato dal loro amico. Finalmente nel 1837 per concessione speciale del Principe di Metternich il Melloni potè ritornare a Parma; il ministro austriaco si valse del suo potere presso Maria Luigia ed i suoi consiglieri. E l’Arago, che allora era segretario perpetuo dell’Accademia delle Scienze di Parigi, diede la lieta notizia ai suoi colleghi colle parole seguenti (C. R., 1837, t. IV, p. 85): " Arago annonce que M." Melloni réfugié italien et correspondant de la section de Lgs sique, _t d’obtenir la permission de rentrer dans sa patrie. “ Il me paraît indispensable, ajoute-t-il, que des remercîments soient adressés, dans cette enceinte méme, an personnage dont l’intervention bienveillante a obtenu cet heureux résultat: quelques mots d’explication justifieront amplement ce-veu. “ Les Commissaires chargés de vous rendre compte des travaux de M." Melloni, avaient eu maintes fois è regretter qu’une position plus heureuse de cet ingénieux physicien, ne lui permît pas de donner à ses expériences tous les développements dont elles paraissaient suscep- tibles. Il me sembla, ajoute M." Arago, qu'il fallait è tout prix essayer de porter remède à un mal si réel et”si fàcheux. J'en écrivis à M.” le prince de Metternich: ma lettre était une ana- lyse abrégée des belles découvertes de M." Melloni; j'avais essayé de faire ressortir ce qu’elles présentent de paradoxal, d’inspéré; ce qu’elles promettent de nouvelles lumières è la n, ce que l’Italie, enfin, peut attendre d’un physicien qui a débuté d’une manière si ao “ Ce langage, Messieurs, a été entendu. “ M." de Metternich me fait l’honneur de m’annoncer qu’il a mis ma lettre sous les pad de S. M. I. la grande-duchesse de Parme, et que M." Melloni est libre, désormais, de rentrer dans sa ville natale. “ Javais pensé, dit M." Arago en terminant sa “communication, que je remplissais un des devoirs du secrétaire perpétuel de l’Académie, en essayant d’arracher M." Melloni, notre corres- pondant, à une position pénible; j'accomplis maintenant un devoir non moins sacré quand J'adresse ici des remercîments publies è M." le prince de Metternich , Alessandro Humboldt, il grande naturalista, che coll’Arago, di cui era amicis- simo, tanto si era interessato per il rimpatrio del Melloni, appena saputo dell’esito felice delle pratiche fatte, scrisse a questi la-bellissima lettera seguente, dalla quale si scorge quante difficoltà si dovettero superare, e come a Parma vi fosse chi ad ogni costo voleva impedire il ritorno del Melloni, e quanto grande fosse il desiderio di Humboldt che il Melloni potesse andare a Napoli. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 13 “ Monsieur, “La lettre que Vous avez bien voulu m’adresser en date du 29 Novembre et qui renferme toute la dolente storia, ne m’est parvenue que bien tard. Comment trouver des paroles, Mon- sieur, pour Vous remercier dignement de la confianee dont vous m’honorez ? Je vous avoue qu’après avoir fait tant de démarches auprès du Prince M., je regrettois un peu de n’avoir aucun mot d’affection de Vous lorsque le Prince écrivit è M." Arago. Ce n’est que par les journaux que j’appris la fausta nouvelle d’un succès qui me combloit de joye. Sans tarder un instant, j'adressai nos remerciments au Prince, qui me répondoit de la manière la plus obli- geante. Je savois combien d’admiration il conserve pour M." Arago malgré le dissentiment politique, qui devroit aussi l’avoir éloigné de moi. Il a eté de bonne foi, il a été trompé lui méme, comme tout le prouve aujourd’hui. Votre silence, qui me pénoit un peu, s’explique très naturellement. “Vous vouliez m’éerire de Parme méme où je Vous croyois arrivé depuis longtems et où le Prince M. Vous croyoit quand je l’ai vu cette année è Teplitz. C'est par Vos grands tra- vaux que j'ai reconnu è la fin mon erreur. Vous répandez autour de Vous cette vive lumière qui fait toujours découvrir où Vous étes. Votre bonne et confiante lettre m’a tout appris: soyez persuadé, Monsieur, que je Vous suis tout aussi dévoué que je l’etois quand j'ai eu le bonheur de vous approcher è Paris. Ce qui suit doit Vous le prouver. Je congois que Mon- sieur Arago a hésité d’écrire au Roi de Naples et au Pr. Metternich au moment des élections qui (à ma plus grande joye) ont eu une si heureuse issue pour lui. Ses lettres auroient sans doute produit plus d’effet que les miennes, mais j'ai fait amplement ce que Vous avez voulu. J'ai éerit d’abord è Vienne au Pr. Mett., au Duc de Raguse, qui voit journellement le Prince et qui est “le Physicien, de son salon, à M.” Littrow, qui aime è rendre service, parce qu'il cherche l’occasion d’embellir les relations sociales par le charme de l’intrigue. J'ai ex- posé le véritable état des choses, j'ai fait voir au Pr. M. combien il étoit de sa dignité de ter- miner une affaire à laquelle le public avoit pris un vif intérét, j'ai insisté sur ce qu’il falloit ne plus penser è Parme, j'ai dit qu’il y avoit quelque espoir pour Naples à cause de l’achat des appareils par M." Capocci, que j’'étois sur le point d’écrire moi-mème au Roi de Naples, è son Ministre des Relations extérieures, le Prince Cassaro, et au Ministre de l’Intérieur, le Che- valier de Sant'Angelo ; j'ai prié et fait prier le Prince de Vous faire recommander à Naples par l’Ambassadeur d’Autriche pour obtenir une place “ digne du premier Physicien du Con- tinent ,. “Le Duc de Raguse m’a répondu de Vienne en date du 30 Nov.: “ Vous imaginez bien que je n'ai pas perdu un seul instant pour parler au Prince M. de M." Melloni; il m’a paru fort blessé du refus de passeport qu'on lui a fait è Parme et mettra de l’importance è ce que les promesses qu’il a faites regoivent de l’exécution. Il n’est pas possible, d’après cela, de sup- poser que rien retarde aujourd’hui la solution favorable relative è ce savant illustre, qui Vous est si cher. Mon concours dans cette affaire a paru superflu : il suffisoit d’exposér les faits ,. — Quelques jours plus tard est arrivée la réponse de M." Littrow; elle étoit entièrement dans le méme sens. Toutes les circonstances semblent prouver que le Pr. M. a été grossièrement trompé. Une nouvelle dépèche a été de suite expédiée pour M." de Bombelle à Parme, renfermant les plaintes amères du Prince. M." Littrow a vu la dépéche, elle étoit telle qu'il la désiroit. | Je l’avais prié de Vous faire recommander è Naples par la maison de l’Archidue Charles. Il ne répond pas à ce sujet, mais il dit avoir écrit en meme tems è notre commun ami, M." Arago, à Paris. | Je n’ai pas eu de réponse du Prince M., ce qui ne me surprend aucunement, puis qu'il voudra attendre une réponse de Parme. Voilà donc, sans que je l’aye voulu (je disois dans toutes mes trois lettres è Vienne, il ne faut plus penser è Parme), l’affaire de nouveau e- gagée dans Votre pays. | Il me paroît curieux que ni le Duc de Raguse, ni M." Littrow ne me répondent mot sur les démarches que je leur dis faites àè Naples. Malgré cette contrariété, J'ai | cru devoir | suivre la marche que Vous m’aviez prescrite et que M." Arago vouloit suivre. 14 I. GUARESCHI J'ai éerit de belles lettres au Roi de Naples, au Prince de Cassaro et au Chevalier de San- t'Angelo. “ J'ai exposé comment, après la mort de Volta, une nouvelle ère pourroit commencer pour l’Italie si le Gouvernement vous fixoit è Naples. J'ai fait valoir l’Institut et l’Académie de Berlin, votre ferme désir de vous occuper exclusivement de sciences, j'ai cité adroitement les démarches du Pr. Metternich sans dire que d’abord elles n’avoient pas réussi. J'ai envoyé les trois lettres à notre Ministre de Prusse, le B." de Muster, homme éclairé, en le priant de faire parvenir la lettre au Roi de Naples par une voye sùre et de l’appuyer par tous les moyens. Je n’ai pas voulu inclure cette lettre dans celles que j'ai adressées aux deux Ministres, je n’ai voulu la donner ici à l’envoyé de Naples. Ces personnages auroient pu la détourner. J'ai fait tout ce que mon affection pour M." Melloni m’a inspiré, | j'ai écrit comme si j’avois confiance dans le démarches dont je Vous rend compte, mon respectable ami, mais je ne me dissimule pas que nous trois, Vous, M." Arago et moi, nous avons un péché irrémissible, et que si nous réussissons ce n'est que l’effet de ce hazard qui gouverne souvent les grandes et les petites af- faires de ce monde. | Je suis tout préparé è n’avoir pas de réponse du Roi de Naples, quoique j’aie l’honneur de lui étre connu personnellement; je ne regretterai jamais d’avoir agi confor- mément è un sentiment de devoir moral. Ayant compromis intentionnellement le Pr. Mett. dans mes trois lettres à Naples, on prendra des informations è Vienne lors°méme que le Pr. n’eùt pas fait ce que je lui demandois (de faire éerire à l’Ambassadeur d’Autriche è Naples). Il ré- pondra alors d’une manière favorable, car le Gouvernement autrichien aimera autant Vous voir au fond de la botte qu'àè Parme. Toutefois, les démarches que le Pr. M. a faites de nouveau dans ce dernier endroit seront utiles aussi, si elles amènent votre radiation définitive. J'oserois, dans tous les cas, Vous conseiller méme d’aller préalablement è Parme sì cela est possible, et ne vous répugne pas trop. Une fois arrivé en Italie, dans votre patrie, auprès d’une mère res- pectable, qui a été séparée de Vous de longues années, il sera plus facile de trouver ailleurs où vivre plus tranquillement. Voilà, mon cher Monsieur, ce que j'ai pu faire. J'espère que Vous ne douterez pas de ma bonne volonté. Il ne me reste pas le tems de Vous parler de Votre beau Mémoire. Excusez le style diffus de cette lettre. Je desire que Vous et Monsieur Arago approuvent ce que j'ai fait. Mes lettres pour Naples n’ont pu partir que cette semaine. Il a fallu attendre une occasion de M. de Werther, car, je le répète, je ne me serois pas fié à d'autres. Veuillez agréez, je Vous supplie, l'hommage renouvellé de ma haute et affectueuse considération. “ A. v. HUMBOLDT à Berlin, ce 13 Décembre 1837 ,. Questa lettera di Humboldt è importante anche per la storia d’Italia in quei tristissimi tempi. Come si vedrà in altra lettera, il grande naturalista tedesco, non solamente si interessava della sorte di Melloni, ma anche di altri italiani: di Leopardi, di Ranieri. i Il Melloni però non aveva una posizione ufficiale nell’insegnamento. Nel 1838 l’Arago serisse-al Re di Napoli affinchè fosse data al Melloni la cattedra. di fisica di quella Università. Il fiero e moderato repubblicano non sdegnò di scrivere diret- tamente al sovrano delle Due Sicilie, per affetto all'amico. In data 9 febbraio 1838 il Segretario Ferpetuo dell’Accademia scriveva: “ Sire, “Se V. M. ha conservato qualche ricordo delle parole benevoli ch’Ella volle indirizzarmi sulla soglia della porta dell’Osservaterio di Parigi, Ella non si meraviglierà della preghiera che io Le faccio ora. In ogni caso sarò scusato dal motivo che me l’ha dettata. Ho saputo che NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI TS sarà indirizzata a V. M. una domanda per pregarla di accogliere nel suo Reame il Sig. Melloni di Parma. Il felice successo di questa domanda dipenderà io immagino dall’opinione che V. M. si formerà di questo giovane fisico. Io, Segretario Perpetuo dell’Accademia, ho registrato le scoperte del Sig. Melloni, mano a mano ch’egli le faceva, ed io sono persuaso di compiere un dovere dicendo a V. M. che esse sono molto apprezzate in Francia, in Inghilterra, in Germania, “ Certo di non essere smentito da nessuno, io formalmente dichiaro che il Sig. Melloni è uno degli sperimentatori che hanno di più meritato della scienza in questi ultimi anni, e che i risultati ai quali egli è giunto sul calorico, tanto rimarchevoli per la loro novità, for- mano già una branca della fisica affatto nuova e ricca di importanti applicazioni. Per dirlo in una parola, il Melloni mi sembra chiamato a prender parte nella plejade scientifica di cui sì giustamente si onora il Reame delle Due Sicilie, ed in mezzo alla quale appaiono raggianti di gloria gli Archimedi, i Porta, i Maurolico, i Borelli, i Piazzi. “ Sire, io ho compiuto la mia missione, non mi resta più che a pregarvi di voler aggradire l'omaggio del profondo rispetto col quale io sono “di V. M. “um. ed abb. servo “ ARAGO, “ Membre de l’Institut ,. Nel 1839, finalmente il Melloni fu dal re delle Due Sicilie nominato Direttore del Conservatorio d’arti e mestieri e del Gabinetto di Meteorologia, con L. 5000. “J'ai pensé, ajoute M. Arago, que cette nouvelle serait regue avec une grande satis- faction par toutes les personnes qui s’intéressent aux progrès des sciences, (C. R. 1839, t. VIII, p. 413). Vennero i moti del 1848, ed il nostro antico liberale, che era sempre sorve- gliato dalla polizia borbonica, fu nel 1849 destituito, benchè non avesse preso parte attiva a quei rivolgimenti. “ Ma le vicende politiche del 1848, scrive il Napoli, che agitarono le più nobili intelli- genze del Regno, e la reazione che ne seguì, vennero a turbare nuovamente la vita tranquilla del Melloni; sebbene egli non prendesse parte a quei moti, e mai non si occupasse di politica durante il suo soggiorno in Napoli. Sul finire del 1849, Melloni fu desti&zito non per altra cagione che per le antiche sue idee liberali, nelle quali era rimasto costante, © per essere uno dei più illustri italiani, ed il suo nome venerato da per tutto nella penisola ,. L'Osservatorio Meteorologico vesuviano, istituito allora, unico nel suo genere in tutto il mondo, cominciò ad edificarsi nel 1841 e fu terminato nel 1847. £ Esso doveva essere diretto da Melloni, ma gli eventi politici del 1848 fruttarono la de- stituzione del professore e l'abbandono dell’Osservatorio , (Breve notizia della R. Uni- versità di Napoli per l’ Esposizione Universale di Vienna 1873, 1873, p. 31). Così il nostro fisico perdette per la seconda volta la cattedra, e si ritirò a vita privatissima in una villa, Moretta di Portici, presso Napoli. A dir vero, il Melloni non stimava troppo i suoi colleghi di Napoli, di quel tempo, e molto meno il governo borbonico. Nel Carlo Matteucci e l’Italia del suo tempo, Torino, 1874, di Nicomede Bianchi, trovasi (pag. 81-82) una lettera che il Melloni sino dal 1841 scriveva al Matteucci, raccomandandogli la nomina del Piria nell’Univer- sità di Pisa. Il Melloni era amico e protettore del Piria, col quale aveva fatto alcune ricerche sui fumaroli, ecc. Pubblico questa interessante lettera, benchè non inedita: 16 I. GUARESCHI . “ Napoli, addì 8 Dicembre 1841. “ Sento che il Granduca parte questa mattina, e me lo dicono alle 10 antimeridiane, per cui mi resta appena il tempo di scrivere due linee, onde informarvi di quanto ho potuto far qui per il noto affare. “ Vidi il Granduca ed il segretario cavaliere Felici. Parlai con calore del Piria; lo pre- sentai quindi in persona al segretario, e questi lo introdusse presso Sua Altezza, che lo ac- colse benissimo. Ma non si ottenne nulla di positivo, com’era facile d’altronde di prevedere, essendo naturalissimo che il Granduca non prendesse nessuna risoluzione decisiva senza avere prima consultata la Direzione di codesta Università. “ Mi raccomando adunque che come avete principiato proseguiate a impegnarvi onde la conclusione=sia felice. Parlate al Giorgini in nome vostro, ed anche da parte mia, se lo credete opportuno. Sono sicuro dell’ottimo acquisto che farà l’Università di Pisa, e certissimo poi che voi troverete in lui un amico vero, ed un collega utile alle vostre ricerche. Gli ho detto le condizioni della cattedra, ch’egli accetterebbe con vera gioia, onde sfuggire alle inimicizie ed ai bassi raggiri di cui gli sono prodighi i suoi ignorantissimi colleghi napoletani. “ Il Granduca è contentissimo di voi, e per l’onore che fate alla sua Università e perchè non pensate ad altro che alla scienza. Queste sono le sue proprie espressioni, donde concludo che sotto un governo così ben servito da agenti particolari bisogna' che le vostre bricconate succedano con un’accortezza, la quale, trattandosi di politica, onora il vostro ingegno. Ho co- minciato a leggere il vostro Trattato di elettricità, e sono rimasto oltremodo soddisfatto del- dell’ordine delle materie ; bravo davvero! Ecco finalmente un autore che segue una via libera in gran parte, e quasi del tutto indipendente dai suoi predecessori, i quali a detta d’Arago si seguono l’un l’altro comme les moutons de Panurge. “ Guarderò di combinare qualche cosa per l'articolo che mi chiedete, ma datemi un po’ di tempo, perchè ora sono occupatissimo pei fari del Regno e per altri lavori, che debbo ese- guire bon gré, mal gré, nella posizione in cui mi trovo presentemente, sotto questo maledetto gOVEerno s. Nicomede Bianchi (loc. cit., p. 82) fa seguire questa lettera dalle parole seguenti : “ Macedonio Melloni era un altro illustre figlio d’Italia, che la bufera delle civili tempeste aveva sbattuto fuori della terra materna per la sconsolata via dell’esilio. Da prima si era tro- vato costretto ad accettare una modesta cattedra in una piccola città francese. Egli era andato a Ginevra; e amorevolmente accolto da de la Rive e da Prévost, aveva messo in ordine i suoi studi sul calorico raggiante, e dopo sei mesi si era recato a Parigi per comunicarli all'Istituto. La Commissione incaricata di esaminarli avevali giudicati neanco degni di un rapporto. Con quella salda fiducia che è sempre segno e guarentigia di forza, Melloni aveva affrontato impa- vido, per mezzo della stampa, il giudizio dei dotti europei, che eragli tornato così propizio da esser chiamato, a breve andar di tempo, il Newton del calorico ,. L'animo del Melloni non poteva certamente accordarsi con quello di coloro che nel 1843 (cioè, poco prima che il re borbonico facesse fucilare, a tradimento, i fra- telli Bandiera) non ebbero ripugnanza a scrivere in una dedica che Re Ferdinando II era un benefattore dell'umanità (1). (1) Vedi il vol. V delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Napoli, 1843; nella prefazione o meglio nella dedica al re borbonico sì dice: AGI e già è surto il quinto volume che in pari modo devoti e riconoscenti i socì di questa Reale Accademia osano rassegnare ai piedi del Vostro Real Trono, nella lusinga che la Vostra Se- vrana Clemenza si degnerà accettarlo benignamente, come i precedenti. Alla quale grazia Sovrana NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 17 A questo proposito giustamente il de la Rive scriveva nel 1854: “ La vie de Melloni, sans présenter d’événements bien marquants, a été cependant une vie agitée, comme l’a été pendant ces vingt-cinq dernières années, celle de tous les hommes qui croient qu'è còté de la science il y a un pays, qu’à coté des intéréts scientifiques il y a des intéréts moraux et d’un ordre encore plus élevé, qu’è còté de l’ intelligence l'homme possède un coeur , (Notice sur Macédoine Melloni, loc. cit., p. 224-241). E l’Hofer scrive : “ Il était du nombre de ces savants d’ élite qui pensent qu’à coté des intéréts de la science il y a de la place pour les intéréts de la patrie, qu’'un homme de coeur ne doit point négliger , (Nowv. Biog. Gén.). Quando nel 1846 fu nominato socio della nostra Accademia, ebbe il titolo di socio straniero, perchè allora chi era fuori del Piemonte era considerato come stra- niero ; il Melloni nella lettera di ringraziamento che inviò al presidente della nostra Accademia, Alessandro Saluzzo di Monesiglio, in data 18 gennaio 1847, sottolineava due volte la parola: straniero, e scriveva: (Q) 7190 He) zo aclostba fi = ce) on di 4 eee ASA la DI CLI dai Li. 14 AA ___- -trevra: - AA 5) a St COTE de PA ETA TERI ORE vanni (0A MICIZ de PA ME CAIRO TS accenni de; etneo Wi VA CA RITO GL ea ell SPIA de NALA do. Uagzionia, di gu BOZZA ros nni essi cercheranno di corrispondere con raddoppiare i loro sforzi, onde far progredire in queste beate regioni le scienze, dalle quali dipende il vero incivilimento de’ popoli, ch'è tanto a cuore di V. M. come il dimostrano le tante giudiziose instituzioni ed operazioni da V. R. M. stabilite ed introdotte in questo reame, le quali fregeranno presso i più tardi nepoti il Vostro Reale Diadema di un serto nobilissimo qual conviene a que’ Sovrani che sono distinti con lo insigne titolo di benefattori del- l’umanità. “Di V. S. R. M. “ Napoli, li 20 marzo 1843 ,. Era quel Governo che pochi anni dopo il Gladstone chiamava: la negazione di Dio. Serie II. Tom. LIX. c 18 : I. GUARESCHI x . Il Melloni era un uomo di carattere integro in tutto, egli è purissima gloria scientifica italiana, che certamente non ha costato all'Italia, al bilancio dell’Istruzione Pubblica d'allora, la centesima parte di altre glorie posteriori un po’ meno pure! È la più splendida gloria scientifica di Parma, alla cui memoria tutti debbono inchinarsi. Trasloco delle ceneri. — Anche riguardo al trasloco delle ceneri non si può dire che Melloni sia un dimenticato. L'idea del trasferimento delle ceneri di Melloni nel Pantheon italiano, in S.ta Croce, vicino a quelle di Galileo, di Nobili e di Amici, venne già quando dalla famiglia fu posto, in quel tempio glorioso, il bel monumento di cui ho fatto cenno più sopra. Il prof. G. Cossavella del Liceo Pellico di Cu- neo (1) fece, credo pel primo, a nome della vedova Melloni, la formale proposta di traslocare le ceneri del Melloni da Portici in S.ta Croce a Firenze; egli fece quanto allora era possibile per riuscire nel nobile intento, ma non riuscì. Vi si. opponeva l’art. 68 del Regolamento sanitario allora vigente, che vietava assolutamente il tras- porto ‘dei cadaveri di morti per malattia contagiosa, ed il Melloni, come è noto, era morto di colèra da 15 anni. Il prof. Cossavella per dar forza alla sua proposta si rivolse nel 1869 anche ad Antonio Cima, già Insegnante di fisica ed allora Provveditore agli Studi della provincia di Parma. Il Cima rispose al signor Cossavella colla lettera seguente, in data 1° giugno 1869. “ Se non risposi finora alla sua gentilissima lettera, colla quale mi sollecitava ad interes- sarmi perchè venisse chiesto al Ministero il trasporto delle ceneri del Melloni a S.ta Croce di Firenze, non creda già che io non abbia fatto conto della sua proposta, che anzi trovai sotto ogni lato commendevole, e che accolsi con gioia, perchè le dirò che sono ammiratore entu- siasta di quel fisico, per me, eguale al Volta, benchè le sue scoperte non abbiano ancora con- dotto a conseguenze e ad applicazioni così importanti come quelle a cui condussero le inven- zioni del fisico di Como. Credetti per altro che la sua proposta invece di partire dal corpo insegnante sarebbe stata più imponente ove fosse stata-fatta*dal Consiglio scolastico, dal Con- siglio Provinciale e dal Municipio. Il Consiglio scolastieo accettò la proposta con entusiasmo e deliberò di mettersi d’accordo col Municipio e col Consiglio Provinciale, ma poco dopo sorse una difficoltà che credo insuperabile, ed è che l’art. 68 del Regolamento per la sanità pub- blica vieta assolutamente il trasporto dei cadaveri di morti per malattia contagiosa. Ed Ella sa che il povero Melloni morì di colèra..... Per altro a qualche cosa condurrà la di Lei proposta. k « Il Consiglio scolastico deliberò che ove non fosse possibile il trasporto delle ceneri del Melloni, il Municipio e la Provincia procurassero di erigere al medesimo un monumento qui in Parma, dove non ve ne è alcuno; ed il Municipio, avendo ciò saputo, senza attendere che venisse invitato dal Consiglio scolastico, deliberò l’erezione di quel monumento..... ». Il 2 agosto dello stesso anno il signor Balestra, ff. di sindaco di Parma, scriveva al Cossavella la lettera seguente: a: questo Consiglio Comunale in adunanza del 24 luglio u. s. deliberava : “ Che a nome della Giunta Municipale sia collocato nella Chiesa del Quartiere un busto in marmo con analoga epigrafe, rappresentante l’illustre Macedonio Melloni; che a cura della (1) Macedonio Melloni. Discorso letto dal Prof. Cossaverna nella solennità commemorativa degli illustri scrittori e pensatori italiani. Cuneo, 1869. Non ho potuto vedere questo opuscolo. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 19 Giunta medesima sia collocata una lapide commemorativa nella casa in cui nacque esso illustre scienziato ; “ Che la relativa spesa venga sostenuta a carico esclusivo del Municipio. “ Il Consiglio Comunale ha dovuto restringersi a votare un modesto ricordo in quella stessa chiesa in cui sono onorati in effigie altri uomini insigni parmensi, in considerazione delle strettezze finanziarie in cui versa questo Comune, ed appunto perchè si tratta di cosa anzi che no tenue, ha voluto che il Comune ne sostenesse le spese esclusivamente..... ,. Pure nel 1869, il conte Luigi Cibrario, l'Accademia delle Scienze di Torino, presieduta allora dal conte Federico Sclopis, il prof. Ascanio Sobrero, il Ministro Broglio, ecc. si interessarono alla proposta del trasloco delle ceneri in S.ta Croce. Il Mamiani, allora vice-presidente del Consiglio superiore dell’Istruzione Pubblica, e che era stato esiliato nel 1831 insieme al Melloni, fece valere, a quanto pare, contro la proposta, la meschina ragione della spesa. Il Cibrario, con lettera 16 maggio 1869, scriveva al Cossavella : “ Prima di tutto mi congratulo del suo discorso intorno al gran fisico M. Melloni, che io ho avuto la sorte di conoscere... Poi dichiaro che trasferire le ceneri di quell’illustre italiano in S.ta Croce non sarebbe che un atto di giustizia. Onde Ella può ben credere che io non man- cherò per quanto sarà in me d’appoggiare ogni proposta che venga fatta dalle Accademie delle Scienze alle quali appartengo, e come credo che ci vorrà una legge, mi impegno di sostenerla ‘in Senato... ,. . Come si vede, sino dal 1869 l’idea di trasportare le ceneri del nostro fisico in Santa Croce vicino a quelle de’ colleghi Nobili e Amici, si era fatta strada. La R. Accademia delle Scienze di Torino prese pure parte a queste pratiche per onorare il Melloni, già suo Socio. Nella seduta privata 9 maggio 1869, l’Ac- cademia, presieduta da Federico Sclopis, accolse la proposta del prof. Cossavella, appoggiata caldamente dal prof. di fisica Govi, e propose al Ministro che le ossa del Melloni fossero traslocate in S.ta Croce. Il Melloni fu sepolto nel Cimitero di S. Giovanni a Teduccio presso Napoli; non credo però che si conosca con esattezza e con sicurezza il posto ove fu sotterrato in que’ momenti di confusione e terrore, quali dovevano essere in occasione di una grande» epidemia di colèra. Secondo l'opuscolo di Cossavella (1870), oltre alla fa- miglia, prodigarono affettuose cure al Melloni insin che visse il colonnello Vergare e le famiglie Leoni e Fosconi. Il Plana era grande ammiratore del Melloni; poco tempo dopo la morte dell’amico suo, mandò alla vedova in nome della R. Accademia di Torino, di cui era presidente, una certa somma di danaro che doveva servire come primo fondo per un monumento da elevarsi in onore del sommo fisico di Parma. “ Per la tristizia dei tempi il disegno del grande geometra non fu allora colorito e quella somma depositata presso un banchiere di Napoli, è tuttora là per rammentare agli italiani un loro debito ,. Così scriveva il Cossavella nel 1870 nell’opuscolo: Macedonio Melloni ed il Pan- theon italiano, Cuneo, 1870, pag. 3. Non ho ancora potuto accertarmi quanto vi sia di preciso in queste affermazioni. 20 I. GUARESCHI Istrumenti ed apparecchi del Melloni. — Il materiale scientifico che ha servito a Melloni cioè i suoi apparecchi si trovano: in parte, nel Gabinetto di Fisica dell’Università di Parma e sono i primi, ed in parte nel Laboratorio di Fisica del- l’Università di Napoli, cioè quelli che furono usati dal sommo fisico nelle sue più ce- lebri esperienze. Nella Breve notizia della R. Università di Napoli per l'esposizione universale di Vienna del 1873 a pag. 76 è accennato come gli istrumenti che il Melloni adoprò per le sue scoperte, non esclusa la lente alla Fresnel, con la quale determinò il calorico lunare, siano stati acquistati, dal Direttore del Laboratorio, dalla vedova Melloni. Nella sala ove si conservano i cimeli di Melloni vi è pure un busto. i In omaggio alla verità sarà bene avvertire che secondo le notizie che io ho avuto dai discendenti del Melloni, la biblioteca e diversi istrumenti di proprietà del Melloni furono regalati dalla vedova all'Istituto di Fisica della Università; non sa- rebbero quindi stati acquistati, come è detto nel citato opuscolo. Causa il colèra che infieriva a Napoli in quel momento (agosto 1854), quasi tutti i manoscritti di Meiloni, e forse la seconda parte della. Termocrosi, furono distrutti. Gli strumenti che il Melloni usò nelle sue esperienze a Ginevra ed a Pa- rigi erano stati costruiti da abili artisti-costruttori francesi; quelli che adoprò . quando era a Napoli furono in gran parte costruiti dal meccanico Bandieri, che il Melloni condusse da Parma per affidargli la costruzione e riparazione delle macchine. Il chiarissimo prof. Giuseppe Albini, che fu professore di fisiologia a Napoli dal 1861 al 1904 e dal quale ho avuto gentilmente alcune di queste notizie, si servì per le sue ricerche elettrofisiologiche, di alcuni strumenti già appartenenti al Melloni (“ Rendic. R. Accad. di Napoli ,, 1868, pag. 100). Si vegga la lettera di Peltier ‘a pag. 37. Il suo primo apparecchio completo, detto poi banco di Melloni, fu costruito a Parigi dal Gourjon. IU Memoria del 1842. Il Melloni pubblicò nel 1842 una importante memoria, che è ancora poco cono- sciuta come quando il Verdet la ricordava nel 1862. Questa importante Memoria intorno alla eguale natura delle varie radiazioni vi- brate dal sole e dalle sorgenti luminose o calorifiche terrestri fu presentata alla Regia Accademia delle Scienze di Napoli il 1° febbraio 1842, col titolo preciso: Memoria sopra una colorazione particolare che manifestano i corpi rispetto alle radiazioni chi- miche; sulle attinenze di questa nuova colorazione colla termocrosi e colla colorazione propriamente detta ; sull'unità del principio donde derivano queste tre proprietà della natura ponderabile; e sull’eguaglianza di costituzione dei raggi di qualunque maniera, vibrati dal sole e dalle sorgenti luminose o calorifere (“ Rend. Acc. di Napoli ,, 1842, I, p. 11). Non fu pubblicata nelle memorie della detta Accademia se non alcuni anni dopo, perchè i volumi delle memorie uscivano in ritardo. Come pure collo stesso titolo fu pubblicata nelle Mem. della Soc. Italiana nel volume XXIII, pagg. 97-155, che com- NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 21 prende le memorie presentate dall'aprile 1841 al 1844, per cui il volume non uscì che nel 1844. Il Melloni la fece stampare a parte più completa e con aggiunte, in formato più piccolo, in un opuscolo di 48 pag. in-8°, Napoli, Tipografia Plautina. Però nel medesimo anno fu pubblicata dal de la Rive nella Bibl. Univ, de Genève, juillet 1842, nouv. série, VII année, pag. 121-175, quasi identica come l'edizione italiana pubblicata a parte. Dico quasi, perchè veramente l’edizione fran- cese nella Bi52. Univ. è più completa, vi sono varie note dell'autore in più. Il titolo preciso della Memoria quale si trova nella Bibl. Univ. de Genève è il seguente: MEÉMOIRE, Sur une coloration particulière que présentent les corps relativement aux rayons chimiques; Sur les rapports de cette nouvelle coloration avec la thermochròse et la coloration pro- prement dite; Sur l’unité du principe d’où dérivent ces trois propriétés de la matière pondérable, et Sur l’identité des rayons de toutes sortes vibrés par le soleil et par les sources lumineuses ou calorifiques; par M." MELLONI, Lu è l’Académie royale des Sciences de Naples, dans la séance du 2 février 1842. (Traduit de l’italien par M." Michel de Ribas; revu et augm. par l’auteur). Un riassunto di questa memoria, colle principali conclusioni, fu pubblicato dal- l’Arago nei Comptes Rendus, 1842, t. XV, pag. 454-460, col titolo: Sur l'identité des diverses radiations lumineuses, calorifiques et chimiques. Trovai ricordata la prima volta questa memoria dal Verdet nelle sue due lezioni “«“ Esposé de la théorie mécanique de la chaleur ,, fatte alla Società chimica di Parigi il 7 ed il 21 febbraio 1862, pag. 15. Queste due lezioni sono ristampate nel vol. VII delle Quvres di Verdet (1870). Il Verdet scrive: “ Cette identité fondamentale de la chaleur rayonnante et de la lumière, a été formulée et démontrée, il y a vingt ans, par Melloni, dans son mémoire trop peu connu sur l’identité des rayons de toutes sortes. Toutefois, Melloni reconnaissait qu’'un pas important était encore à faire pour arriver è une démonstration complete. On ne savait pas alors établir par l’expé- rience l’interférence des rayons calorifiques; personne n’avait pu réussir, en ajoutant de la chaleur è de la chaleur, è obtenir du froid, comme en ajoutant de la lumière à de la lumière on peut, dans des circonstances convenables, obtenir de l’obscurité. Cinq années plus tard dans un mémoire présenté è l’Académie des Sciences, MM. Fizeau et Foucault faisaient connaître des expériences qui rendaient les interférences de la chaleur aussi évidentes, etc. ,. La memoria del 1842 non è ricordata nella estesa bibliografia che il Violle fece seguire alla Théorie mécan. de la.chaleur di Verdet (Euvres di Verdet, VIII, p. 281). Il Verdet tratta delle analogie tra la luce ed il calorico raggiante nel tomo HI delle sue uvres, cioè nel tomo II del suo Cours de Physique de l Ecole Polytechnique, p. 447. In tutto questo capitolo: Rayonnement, espone le ricerche di Melloni. A p. 449 in nota, a proposito del calore lunare, scrive : “ Melloni a pu, au moyen d’une lentille è échelons et d’un appareil therma-électrique sen- sible, constater la faculté calorifique des rayons lunaires. L’expérience est très-délicate; il faut 22 I. GUARESCHI attendre que la pile et la lentille soient exactement en équilibre de teméprature avec l’atmos- phère, et, seulement alors, retirer l’écran qui protégeait la lentille contre les rayons de la lune: la déviation de l’aiguille galvanométrique indique une action calorifique très-faible ,. Il de la Rive nel 1854, nel riassumere l’opera scientifica di Melloni così scriveva: “ Nous en avons assez dit pour faire comprendre la nature du génie de Melloni et le ca- ractère de son talent. Esprit vif et pénétrant, doué d’une faculté d’analyse peu commune, il poursuivit pendant sa trop courte carrière scientifique, avec une persévérance infatigable, une idée qu'il avait congue dans sa riche imagination, et dont il parvint à faire une doctrine scien- tifique: l’identité de la chaleur rayonnante et de la lumière dans leur essence méme, leur diffé- rence dans leurs proprigtés spécifiques. Il sut, avec une netteté et une précision remarquables, remonter au principe commun de ces deux puissants agents de la nature, et leur manière d’étre à chacun ,. Per la storia della teoria meccanica del calore, o megiio della conservazione dell’energia, questa memoria del Melloni è di capitale importanza (1). Questa memoria, o quelle del 1833-34 almeno, avrebbero ben meritato di essere incluse nella raccolta: Ostwald’s Klassiker der exakten Wissenschaften. Già in varie occasioni io ho fatto osservare che sarebbe decoroso e utile per l'Italia, per la Scienza, la pubblicazione delle opere o meglio delle memorie del Melloni, che sono sparse nei vari giornali del tempo o negli Atti delle Accademie. Accennai a questa mancanza nel mio lavoro: Amedeo Avogadro e la teoria molecolare, Torino, 1901, pag. 3, ed anche nella Nuova Enciclop. di Chimica, vol. IX, pag. 4 in nota, a proposito delle opere di Volta. Allora, nel 1901, dopo aver ricordati i bellissimi esempi di altri paesi, io di- cevo: “ ma ci mancano le collezioni complete delle opere di Volta, di Spallanzani, di Melloni e di altri grandi italiani ,: tra questi ultimi comprendevo anche il Nobili. Quelle mie parole furono integralmente riprodotte dal Kahlbaum-Mercken nella traduzione tedesca del mio Avogadro (Kahlbaum, Monographien aus der Gesch. d. Chem., VII, 1903, pag. 128). Ed è con vivo piacere che ho saputo essersi di recente nominata una commissione incaricata della pubblicazione delle opere complete di Volta (2). | Nell’altro mio lavoro: Faustino Malaguti e le sue opere, Torino, 1902, pag. 39, discorrendo della Fotochimica ho accennato all'importanza della memoria del Melloni pubblicata nel 1842. Il Melloni è dunque tutt’altro che dimenticato, .0 se lo è, ciò deve intendersi nel senso che, mancando la raccolta completa dei suoi lavori, alcuni di questi, anche importantissimi, sono poco conosciuti. Il Jamin stesso nel suo bel lavoro su Melloni (Revue des Deux Mondes, 1854) non ricorda la memoria del 1842, ma però discorre dell'identità della luce e ‘del calore dimostrata da Melloni. La memoria del Melloni fu pubblicata @unque nei primi del 1842, cioè nell’anno stesso in cui J. Robert Mayer pubblicava la sua celebre memoria sulla conservazione (1) Si vegga Sorer, Sur l’é&quivalence du travail mécanique et de la chaleur, “ Revue de recherches expérimentales ,, nell'introduzione (“ Arch. d. science. phys. ete. ,, vol. 1854, t. XXVI, p. 33). (2) Questi sono i veri monumenti che si debbono innalzare ai grandi uomini invece di opere in marmo più o meno antiartistiche. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 23 dell'energia negli Annalen der Chemie und Pharmacie, di Liebig (1). Ho detto che la memoria del Melloni è poco conosciuta e davvero non l'ho trovata ricordata in nes- suno dei grandi Trattati di fisica che ho consultato, in nessuna delle storie della fisica che io conosco. Anche il Desains nel suo: Rapport sur les progrès de la théorie de la chaleur, Paris, 1868, in-4°, pubblicazione che fa parte del Recueil des rapports sur l’état des lettres et les progrès des sciences en France, discorre a lungo, ma super- ficialmente, e con grandi elogi, dei lavori del Melloni, ma non ricorda affatto la memoria del 1842. Eppure è in questa memoria che il nostro fisico, facendo, come si direbbe, una grande sintesi delle sue ricerche precedenti, dimostra l'identità delle tre forme di radiazioni, cioè l'identità delle vibrazioni luminose, calorifiche e chimiche. Il Chwolson nel suo eccellente ed ampio Traité de Physique, 1906, non ricorda affatto questo lavoro del Melloni, e a pag. 6 dice che Ampère nel 1835 (A. Ch. (2), 58, pag. 432) ha emesso l’idea che non esistesse nessuna differenza essenziale fra i raggi luminosi ed i raggi calorifici. Ciò è vero, perchè il Melloni allora credeva che vi fossero alcune differenze fra le due qualità di radiazioni (2). Ma lo stesso Chwolson scrive : “ Aucune des trois espèces de rayons ne se distingue des autres par des différences essen- tielles, ecc. ,. A pagina 4 dice: “ La distinction essentielle entre les diverses formes de V’éEnergie rayonnante consiste seulement dans la difference des longueurs d’onde ,. E a pagina 29: “ La chaleur, la lumière et Vénergie chimique sont trois propriétés inséparables d’une méme radiation ,. Precisamente ed esattamente come aveva scritto il Melloni nel 1842, come si vedrà a pag. 26-27. Lo dice il titolo stesso della sua memoria. “ Le belle scoperte del Melloni, scrive il Secchi (3), sul calorico radiùnte, che sempre più mostravano l’analogia sua colla luce, malgrado che pel pregiudizio allora regriante egli stesso da principio cercasse farne due esseri distinti, finivano col persuadere che Ze radiazioni erano un vero movimento ,. Lo stesso Padre Secchi conosceva anche la memoria del 1842, perchè nel suo famoso libro l’ Unità delle forze fisiche (4) ne cita alcuni brani e le conclusioni generali. (1) Il Poggendorff non volle accettare ne’ suoi Annalen der Physik la memoria del Mayer; Liebig invece, col suo sguardo d’aquila, non si lasciò sfuggire l'occasione di onorare i suoi Annalen colla prima memoria del grande e modesto fisico e medico di Bonn. (2) Bisogna essere giusti e riconoscere che veramente l’idea prima dell’identità del movi- mento vibratorio della luce e del calore è di Ampère (1835); il Melloni nel medesimo anno 1835 (A. Ch. (2) 8, 60 p. 421) sosteneva invece que Za lumière et le calorique rayonnant sont des effets direc- tement produits par deux causes différentes. E cita il lavoro di Ampère. Dopo però le sue scoperte sulla polarizzazione del calore, ecc., ammise anch'egli la teoria del movimento vibratorio e giu»se poi nel 1842 alla classica sua memoria. (3) L’unità delle forze fisiche, saggio di Filosofia Naturale. Roma, 1864. (4) Loc. cit., pp. 128-132. 24 I. GUARESCHI “ Come i corpi sonori, egli scrive (loc. cit., pag. 147-148), per mezzo dell’aria destano vi- brazioni nei corpi accordati all’unissono, benchè posti a distanza, operando per mezzo dell’aria stessa, così un corpo caldo per mezzo dell'etere desta calore in un altro lontano, e così accade la comunicazione per semplice radiazione. Dietro questi principî è vano cercar luce senza ca- lore, come già il Melloni concluse alla fine della sua troppo breve carriera scientifica ,. “ Ma è sopratutto il nostro Melloni, scriveva nel 1864 il Matteucci (1), che ha stabilita l’identità delle irradiazioni che si trovano in un raggio di luce solare, il quale è capace non solo di agire sulla retina per rendere visibili i corpi, non solo di riscaldarli, ma genera anche le decomposizioni e le combinazioni chimiche e sveglia in certi corpi, che oggi sono molto più numerosi di quello che prima si credeva, un movimento vibratorio durevole che li rende fosforescenti, ecc. ,. Poi il Matteucci prosegue: “ Melloni, che ha fatto una scoperta sul calore molto più difficile di quella che Newton fece sulla luce, dimostrando che vi erano dei raggi calorifici di diversa refrangibilità, cioè dei raggi calorifici di diverso colore, di cui ci ha date le leggi dell’assorbimento e della diffusione, ha così dimostrata questa proposizione fonda- mentale, che la luce e il calore non sono che moti vibratori dell’etere e delle par- ticelle ponderabili ,. Di questa classica memoria io mi limiterò a dare i titoli dei vari capitoli. Cnapitre I. — Premières notions sur l’analyse de la radiation solaire, et plus spécialement de lhétérogéntité des rayons chimiques. Cnarirre IL. — Coloration chimique de quelques corps blanes et de certàins milieux limpides » et incolores. In questi due Capitoli ricorda spesso le ricerche di J. Herschel e di Malaguti. Cnarirre III. — Constitution du spectre solaire selon le système des ondulations et le principe de l’identité. In questo capitolo, tutto importante, è notevole il brano seguente: “ L’hypothèse la plus simple que l’on puisse imaginer è l’égard des trois agents réunîs dans le rayon solaire est celle qui les suppose constitués exactement de la méme manière:. dans cette supposition la lumière, la chaleur et la radiation chimique proviennent d’un méme genre d’ondulation, et ne diffèrent entre elles que par la série des éléments capables de produire l’une ou l’autre action ,. E a pag. 134 dice: “ Ainsi d’apròs les idtes que nous nous sommes formées sur la nature du rayonnement so- laire, la lumibre, loin de constituer la propriété fondamentale de ce rayonnement, ne serait quune simple manifestation secondaire et, pour ainsi dire accidentelle d’un certain nombre de ses ra- diations Élémentaires. Quelque étrange que paraisse cette proposition, nous sommes persuadés que tout vrai philosophe finira par l’adopter après avoir réfléchi sur les arguments divers que nous avons réunis dans cet éerit , Omapitre IV. — Amalogie entre les Elements contenus dans le rayon solaire et les éléments des radiations vibrées par les sources terrestres. (1) C. Martevcci, Cinque lezioni sulla teoria dinamica del calore, Torino 1864, p. 81. DN Ut NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI Conclude questo capitolo col dire (pag. 142): “ Il résulte de l’ensemble des faits examinés jusqu’ici, que la constitution et les propriétés générales des mouvements vibratoires excités dans l’éther par un rayon quelconque sont toujours les mémes, mais que les longueurs et les quantités relatives des ondulations élémentaires, con- tenues dans le flux rayonnant, varient extremement, selon la température de la source ,. Cnaritre V. — Des troîs blancheurs ov colorations des corps. Ricorda anche qui le esperienze di Herschel e di Malaguti. Crapirre VI. — Caractère de la diffusion considérée dans la couleur des corps, dans les sub- stances photogéniques et dans l’organe de la vue; chaleur acquise par la matière pondérable en vertu des rayonnements. Cause de la divergence dans les positions des maxima de lumière, de chaleur et d’action chimique révélés par le spectre solaire. Questo Capitolo importantissimo non si può riassumere. Cnarimre VII. — Propagation et absorption des radiations dans les milieux propres à les trans- mettre immédiatement. Cuaritre VIII. — Unité du principe qui produit les trois espèces de rayons et des trois colorations des corps. E questo un bellissimo capitolo, che si può quasi riguardare come il riassunto, la conclusione della memoria. “ De l’ensemble des considérations précédentes, il résulte évidemment que les trois colo- rations indiquées au commencement du Mémoire, au lieu d’introduire, comme on pouvait le sup- poser d’abord, une complication inutile et superflue dans l’interprétation des phénomènes relatifs aux radiations du soleil et autres sources de chaleur et de lumière, servent, au contraire, à expliquer par des images très-simple, tirées d’un ordre de faits que nous avons sans cesse sous les yeux, toutes les propriétés nouvellement découvertes dans les corps par rapport aux rayons chimiques et calorifiques, en les faisant dépendre ainsi de la méme cause d’où proviennent les phénomènes optiques: conclusion qui s’accorde parfaitement avec l’uniformité des lois géné- rales de propagation, de réflexion, d’interférence et de polarisation, que l’on a constatées dans toute sorte de rayons. “ L’identité de la lumière, de la chaleur et du rayonnement chimique, ou plus exactement l’égalité sparfaite dans la constitution des diverses ondulations éthérées qui forment les radiations élémentaires de ces trois agents, peut donc étre considérée désormais comme une vérité acquise à la science. “ Il est digne de remarque que les phénomènes de la transmission et de la diffusion de la chaleur et des radiations chimiques, qui, au premier abord, semblaient établir une ligne de démarcation. bien tranchée entre ces deux agents et la lumière, viennent se placer maintenant au premier rang des preuves les plus favorables è l’unité du principe des trois actions ,. Poi prosegue: “La lumière, la chaleur et les réactions chimiques sont trois manifestations des ondu- lations éthérées qui constituent le rayonnement solaire. Les ondulations obscures, douées de l'action chimique ou calorifique, sont parfaitement semblables aux ondulations lumineuses ; elles en diffèrent seulement par la longueur. Or, ce caractère distincetif appartient è l’espèce et non pas au genre; et il existe précisément autant de diversité entre un rayon obscur chimique ou calorifique et un rayon de lumière, qu'il y en a entre deux rayons lumineux de couleurs différentes. Serie II. Tom. LIX. D 26 I. GUARESCHI “ N est vrai que les radiations lumineuses se distinguent de toutes les autres par leur action sur la faculté visive; mais cette propriété dérive d’une véritable qualité accidentelle, et n’a aucune importance par rapport au rayonnement considéré en lui-méme. “ Pour en étre convaincu, il suffit d’observer que la propriété d’éclairer et d’illuminer, dans cette série d’ondulations qui produit les phénomènes optiques, disparaîtrait complètement avec la destruction de l’organe de la vue chez tous les étres animés, sans que pour cela il s’en- suivît la moindre altération entre les relations mutuelles des rayons élémentaires, ou entre les rapports de ces rayons avec le reste de la nature. Alors les éléments lumineux ne pour- raient plus se distinguer entre eux, ni des éléments chimiques ou calorifiques placés au delà des deux extrémités du spectre, que par des différences de diffusion, de transmission, de ré- fraction et d’absorption, différences qui constituent, comme nous le dirons tantòt, les véritables caractères analytiques des radiations élémentaires ,. E più avanti: “ La chaleur développée chez les corps frappés par les radiations consiste dans la quantité de mouvement communiquée aux masses pondérables par les pulsations de l’éther; la lumière, dans les oscillations moléculaires de la rétine et des objets extérieurs synchroniques avec une certaine série d’ondulations éthérées ; et l’action chimique, dans la séparation des atomes causée par la violence extrème avec laquelle ont lieu quelquefois ces mémes vibrations synchroniques des corps ,. \ E in una nota a pag. 172: “ Nous prions le lecteur d’avoir bien présent à l’esprit que le principe de l’identité de la lumière et de la chaleur, avancé par nos prédécesseurs, n’était alors qu’une hypothèse gratuite, ou, pour mieux dire, une question tout è fait prématurée. Et réellement comment pouvait-on comparer è un rayon de lumière le calorique rayonnant vibré par l’eau bouillante, ou par toute autre source de basse température, lorsqu’on croyait que cette espèce de chaleur ne se transmettait pas immédiatement au travers des corps solides, et ne se dispersait pas en rayonnant tont autour de chaque point des surfaces dépolies, àè la manière des radiations lumi- neuses? Aussi le principe de l’identité était si mal compris par nos devanciers, qu’ils compa- raient les rayons obscurs les plus réfrangibles du spectre solaire (les rayons chimiques) è la chaleur rayonnante terrestre qui commence à devenir visible par l’élévation de la température, et qu'ils déduisaient de ce parallèle la cause de la couleur bleue ou violette qui se fait re- marquer è la première apparition de certaines flammes! , (V. Rror, Traité de Physique, IV, pag. 617). Mi pare che Magnus, estimatore ed in parte continuatore dell’opera scientifica di Melloni, non sia forse esattamente nel vero, quando nella sua memoria: Sulla diversità del calorico irradiato da superfici ruvide e levigate (Pogg. Ann. 1865, t. CXXV, p. 476 e “ N. Cim., trad. di E. Villari, 1865-66, t. XXI-II, p. 263), scrive: “ È noto che il Melloni al principio delle sue ricerche conchiuse che la luce non era identica al calore, per avere egli pel primo osservato che entrambi attraversano in un diver- sissimo rapporto una medesima. sostanza. Più tardi egli ha abbandonato questa idea. Tuttavia io non credo che il Melloni abbia ritenuto per identici questi due agenti, imperciocchè egli parla solo del lien le plus puissant qui réunisse: ensemble ces deux grands agents de la nature ,. E cita: Thermochroòse, p. 333. Ma se il Magnus avesse rammentata la memoria del 1842 non avrebbe avuto questo dubbio. Già a pag. 350 del Sommario della Termocrosi il Melloni si esprime chiaramente come segue: NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 27 “ Les découvertes de la diathermasie des corps complètement opaques et de la thermochròse des substances parfaitement diaphanes et incolores, au lieu d’apporter à la science des ca- ractères distinctifs entre la chaleur rayonnante et la lumière, comme on l’avait cru au premier abord, ont mis en évidence les qualités opposées, savoir: que le rayonnement lumineux et le rayonnement calorifique possèdent la méme constitution hétérogène, dérivent d’un agent unique, et forment une seule série de radiations, dont une partie opère sur l’organe de la vue, et l’autre ne se dévoile è nos sens que par les phénomènes qui accompagnent l’échauffement des corps ,. Quest'ultima pagina della Thermochròse era sfuggita forse al Magnus? Questo ed altri fatti fanno sempre più rimpiangere che il Melloni non abbia potuto pubblicare la seconda parte della sua grande opera, che avrebbe senza dubbio compreso lo sviluppo della sua memoria del 1842. Il Kayser, che tiene in tanta considerazione il Melloni nel suo Hand. d. Spec- troscopie, 1900, vol. I, p. 653, scrive: “ Da una gran serie di sue ricerche trasse prima il Melloni la conclusione che le radia- zioni calorifica e luminosa siano del tutto diverse, ma le sue ultime ricerche mostrarono a lui stesso l’erroneità di quest'ammissione e così divenne uno strenuo difensore del concetto che luce e calorico raggiante siano identici e che essi differiscano solamente per la lunghezza d'onda ovvero pel colore, come diceva Melloni ,. Lo stesso Kayser però a pag. 30 del medesimo volume, ove ricorda le principali memorie del Melloni e la Termocrosi, tace della memoria del 1842. Il Tyndall nel suo celebre libro: La chaleur considérée comme un mode de mou- vement, 1864, dà una parte importantissima ai lavori di Melloni; a pag. 401 ricorda e loda le esperienze sul calore lunare, le uniche esatte che si avevano allora; anche nella sua grande memoria: On the Absorption and Radiation of Heat by Gaseous Matter (“ Phil. Mag. ,, 1862 (5), t. XXIV) e in tutte le sue altre memorie sul calore dal 1859 al 1865 ricorda continuamente i lavori di Melloni. Non ricorda però la memoria del 1842. Le ricerche di Melloni, seguite da quelle di de la Provostaye e Desains, hanno condotto alle scoperte di Kirchhoff e Bunsen sull’invertimento delle linee dello spettro e quindi all’analisi spettrale. II. “ Termocrosi ,, aggiunte inedite. Già nel 1846 il Melloni pensava di fare, non una compilazione delle sue me- morie, ma una esposizione metodica e completa delle proprietà del calore raggiante, insieme alla descrizione di molte esperienze che egli non aveva pubblicate. L’in- tenzione di pubblicare quest'opera è già manifesta nelle lettere di Humboldt. Ma la pubblicazione non potè essere fatta che nel 1850. Che il Melloni avesse già pensato ed in parte attuato il suo pensiero di scrivere la Termocrosi prima del 1846, risulta chiaro dalla lettera del Dirichlet, che riprodurrò più avanti, il quale si interessava per trovare in Germania un editore che pubblicasse in francese l’opera del Melloni. Nel 1846 (C. R. XXII, pag. 144) Arago lesse alla Accademia di Parigi una lettera del Melloni, in cui espone delle considerazioni in favore dell'identità della 28 I. GUARESCHI luce e del calore. Questo punto importante della fisica, scrive Arago, occuperà un gran posto nel Traité sur la chaleur rayonnante, in due volumi, che il Melloni pub- blicherà. Il Melloni stesso nella prima parte scrive in un N. B.: Les deux parties, ou sott le deux volumes, dont se composera ce traité de la thermochròse, ecc. e prosegue dando le ragioni per cui ha creduto pubblicare la sua opera in lingua francese. Ma sappiamo che della Termocrosi pubblicò solamente la prima parte. Qualche fisico era in dubbio se Melloni avesse pubblicato anche la seconda parte. Si può affermare con sicurezza di no. ‘ Riguardo le cause che impedirono al Melloni di scrivere la seconda parte della Termocrosi, che, io credo, doveva contenere una parte teorica, specialmente, molto importante, il Jamin (loc. cit.) scrive: “ De nouveaux orages politiques troublèrent ses dernières années, comme ils avaient agité sa jeunesse : il fut une seconde fois privé de sa chaire, vécut plus retiré, et ne s’occupait plus que de compléter la publication de son ouvrage, dont la première partie seulement avait paru; mais cette tache ne fut point achevée, il fut emporté à Naples par l’épidémie dont nous sortons à peine ,. La Thermochròse, pubblicata a Napoli nel 1850 (e non a Parigi come scrivono alcuni) fece una grande impressione nella mente dei fisici. Augusto de la Rive (£ Arch. des Sciences phys. et nat. ,, 1850, t. XIV) nel render conto, con un larghis- simo riassunto e grandi elogi, di questa nuova pubblicazione del Melloni dice (pa- gina 178): “ Il était réservé au jeune savant de Parme d’attacher son nome è l’une des plus impor- tantes découvertes de la physique moderne, en faisant cet examen qui n’avait pas été fait avant lui. Cette découverte, analogue à celle de la décomposition de la lumière, est que la chaleur rayonnante n’est point homogène, comme on l’avait cru, qu’au contraire elle se com- pose de rayons aussi différents entre eux que le sont des rayons différemment colorés dont se compose la lumière, en sorte qu’on peut dire que M. Melloni (on a dea compris que c'est le nom du physicien italien) a été le Newton de la chaleur ,. È stato dunque Aug. de la Rive il primo a denominare Melloni il Nesoton del calore (1). Io ho avuto il vivissimo piacere di esaminare una copia della Termocrosi che era stata postillata dal Melloni stesso. Egli forse pensava di farne una seconda edizione. Alle pag. 278, 314 e 332 vi sono tre additions scritte di proprio pugno e che io credo bene di qui riprodurre. Addition è la page 278 signe |} (in fondo alla pagina, al capo linea: Ces diverses consi- dérations, ecc.). «“ En posant une comparaison analogue entre l'action des dites espèces de verres rouges sur les radiations rouges et l’action des substances diaphanes incolores sur toute sorte de rayons lumineux, on voit que le fait de la transmission totale des radiations lumineuses par (1) Del resto questo è un modo di dire non raro; si chiamò Volta, già alla fine del secolo XVIII, e prima ancora che scoprisse la pila, il Newton dell'elettricità (LaLanpe, Voyage en Italie, 2° éd., 1786, II, p. 31); Ampère si disse il Newton dell’elettro-dinamica. nr, «ra —e e e NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 29 les milieux sans couleur apparente loin de former une exception aux lois de la coloration vi- sible est au contraire une confirmation des dites lois. “ En effet, comme les divers éléments rouges traversent les verres rouges sans perdre de leur intensité, ainsi les éléments visibles de toutes couleurs traversent les milienx incolores en apparence, mais réellement colorés, sans y souffrir aucune perte sensible. “On comprend d’ailleurs que cette transmission totale n’empéche pas l’absorption plus ou moins complète des diverses espèces de rayons invisibles, comme le passage total des radiations rouges par les verres de méme couleur n’empéche pas l’absorption plus ou moins complete des autres espèces de rayons lumineux ,,. Addition è la page 314 signe Hi (al capolinea: Mais revenons ...). “ Une comparaison entre les quantites de lumière transmises par une série de milieux co- lorés en présence des divers flux lumineux que rayonne successivement le fil de platine de M. Draper et les résultats contenus dans les trois dernières colonnes du tableau I, fera encore mieux comprendre la cause des accroissements de variété et d’intensité des transmissions calo- rifiques à mesure que la température de la source augmente. “ Supposons, en effet, que l’on regarde le fil de platine, donnant des spectres de plus en plus vifs et étendus, avec trois verres de couleur: un rouge, un jaune et un bleu. Le premier degré d’incandescence du fil ne contenant que du rouge sombre ne sera visible qu'è travers le verre rouge: le jaune s’y développant è une température supérieure, la vision du fil è travers le verre jaune n’aura lieu que plus tard: viendra enfin le tour de la lumière bleue, qui pa- raissant è un degré de chaleur encore plus élevé que le jaune ne sera visible à travers le verre bleu qu'à la dernière période de l’incandescence. D’autre part le rouge devenant de plus en plus intense è mesure que la température de la source s’élève, le verre rouge transmettra plus dans le second cas que dans le premier, et plus dans le troisième cas que dans le second: il en sera de méme pour la lumière jaune, qui produira, rèlativement au verre de méme cou- leur, une transmission plus abondante è la dernière phase d’incandescence qu’à la seconde. “ Or, voilà précisément ce qui arrive pour le cristal de roche, le verre et l’alun exposés aux rayonnements du cuivre à 100°, du cuivre à 400° et du platine à l’état d’incandescence ,. Melloni con questa nota si riferisce alle esperienze di Draper nel 1847; espe- rienze che furono poi riprese da H. Weber nel 1887. IIVI Hit “ On a formé des combinaisons colorées de certains milieux qui, étant soumis aux radia- tions des sources lumineuses, arrétent la chaleur rayonnante, tout en transmettant une quantité notable Ue lumière. Ce fait s’explique parfaitement, dans notre théorie, par l’absorption de 1°6- norme quantité de chaleur qui forme le rayonnement obscur, et des rayons lumineux doués de la plus haute température: en effet la radiation transmise est complètement interceptée par les corps diathermiques opaques et donne un spectre privé de rouge, d’orangé et de la plus grande partie du jaune. “Or, comme la chaleur des rayons émergentes est immensément inférieure à la chaleur des rayons incidents, elle ne peut opérer que sur des thermoscopes excessivement délicats: et le rayonnement qui sort de ces combinaisons, ne donnant aucune action sensible aux appareils thermoscopiques ordinaires, présente toutes les apparences d’une lumière privée de chaleur ,. Addition è la page 332 signe (al capolinea: Quant au manque Ae .....). 30 I. GUARESCHI Ty. Alcune lettere inedite. Credo non privo di interesse pubblicare alcune lettere inedite di fisici eminenti a Melloni; pur troppo l’epistolario del Melloni è ben poco conosciuto. Humboldt e Melloni. Arago, Humboldt e Melloni erano legati da reciproca ed affettuosa amicizia. Le scoperte del Melloni fecero grande impressione sull’animo di Humboldt, il quale ne discorre spesse volte nel suo losmos, con vero entusiasmo. Nel Cosmos, vol. IV, pagina 171, trattando del magnetismo delle roccie, mette in prima linea le ricerche del Melloni del 1853. A pag. 491 dello stesso volume ricorda gli esperimenti del Melloni fatti insieme al Piria sui fumaroli, ecc. Nel Cosmos (ed. Gide), vol. III, pag. 523, così discorre della scoperta del Melloni riguardo al calore emanato dalla luna: “ La lune émet de la chaleur; c'est là une découverte qui, comme tant d’autres, dues à mon illustre ami Melloni, doit étre rangée parmi les plus importantes et les plus extraordi- naires de ce siècle. Après bien des essais infructuenx, depuis de La Hire jusqu’è ceux de l’in- genieux Forbes, Melloni a trouvé moyen, avec une lentille è échelons de trois pieds de dia- mètre, destinée è l’Institut météorologique du Vésuve, d’observer de la fagon la plus nette les élévations de température subordonnées aux différentes phases de la Lune. Mossotti et Belli, pro- fesseurs aux Universités de Pise et de Pavie, furent témoins de ces expériences, dont les ré- sultats varièrent d’après l’àge et la hauteur de la Lune ,. L'Humboldt, come abbiam visto, ha fatto quanto ha potuto per aiutare il Mel- loni nel suo intento di ritornare in patria. Questo sommo naturalista ha dimostrato simpatia per un altro nostro grande fisico, pel Matteucci. Quando questi era in prin- cipio della sua carriera scientifica, ricevette incoraggiamento dall’Humboldt ed il Matteucci per testificargli la sua riconoscenza, dedicò a lui le sue Lezioni di Elet- trofisiologia pubblicate nel 1857, come il Melloni aveva dedicato all’ Humboldt la Termocrosi. Non credo prive di importanza le due seguenti lettere di Humboldt a Melloni. Ik “ Mon illustre Confrère, très cher et ancien ami, “ C'est un sentiment bien douloureux que d’avoir causé des sentimens pénibles è un de ces hommes supérieurs dont on n’admire pas seulement le génie et les immortels travaux, mais auxquels on a voué aussi une sincère affection de coeur. “Je suis conpable, infiniment coupable envers Vous, mon excellent ami, je le sens d’autant plus qu’ mon age préadamique (né en 1769) il est foncièrement ridicule de parler de la lé- gèreté de son caractère, de l’inextricable complication de petites occupations officielles, poli- tiques, littéraires, de cour,... dans laquelle on s’est jeté dans la proximité journalière d'un roi spirituel, bienveillant et mobile. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 31 x “ Je n'ai aucune excuse è Vous donner. Je ne puis que compter sur la noblesse de Vos sentiments ; je n’ai qu’è implorer le pardon d’un ancien ami, qui se souvient avec bonté qu'il n’y a pas une personne en Europe qui puisse se vanter d’avoir épousé ses intéréts, qui étoient ceux de la gloire de notre siècle, avec plus de chaleur et plus de constance que moi. Il m'est arrivé (certes je ne le dis pas pour me disculper) ce qui m’arrive avec mes amis les plus chers. Pour vouloir bien les servir, pour leur écrire comme ils sont en plein droit de le de- mander, j'hésite, je remets, puis je me désole, je me trouble, je voudrois eréer des mensonges pour obtenir plus facilement un pardon. C'est la triste histoire de ma vie, et cela n’est pas glorieux è l’age de 76 ans! “ La moyenne des lettres qui me sont adressées annuellement, depuis que je suis dans la plus grande proximité du Roi, est, d’après des registres très exacts, de 3000 à 3200. “ J'ai la folie de ne jamais dicter des lettres, et comme la Cour change toujours de ré- sidence, les délais que j'ai le tort de me permettre dans une vie si agitée, dans l’excitation que me cause le désir de ne pas rester au-dessous de l’attente du public dans mes nouvelles publications, m’embrouillent davantage. D’abord après avoir regu Votre intéressante et aimable lettre du 8 Février !! je me suis consulté avec quelques-uns de mes amis de Berlin pour Vous trouver un traducteur digne de Vous, j'ai écrit è Leipzig et dans le midi de l’Allemagne, mais, comme depuis 30 ans je n’ai jamais publié en allemand avant le Cosmos, je suis extrèmement maladroit pour arranger une affaire de librairie. Une édition frangaise, imprimée en Alle- magne, est, selon moi, un livre mort, et des traductions qui doivent paroître en méme tems que les originaux, offrent tant de difficultés d’exécution dans la simultanéité, que pour le Cosmos. qui déjà est traduit 7-8 fois, j'ai renoncé entièrement è intervenir. Mon coupable si- lence, mon excellent Confrère, a donc tenu dans la partie moins, atroce ou moins coupable, à l’impossibilité de pouvoir Vous donner dans ma position une réponse catégorique. Je vois avec surprise que dans la lettre du 22 Juillet, que Vous m’avez fait l’honneur de m’adresser par le savant M. ..... et que j'ai regue hier, Vous Vous plaignez également du silence de notre commun ami M.” Dirichlet. Je puis Vous assurer que la dernière fois que j’ai eu occasion de le voir, il y a (ie erois) deux ou trois mois, il étoit tout occupé de votre affaire, et il es- péroit pouvoir Vous satisfaire entièrement. Je Vous promets de lui écrire ce matin méme, j'ai d’autant plus de motifs pour le faire, que M." Dirichlet, en venant me consulter, m’avait promis de Vous parler de moi et de mes actes de contrition. Il devoit (c’est ce que je lui demandois surtout) me faciliter la voye d’obtenir un généreux pardon de M." Melloni. L’ouvrage que Vous publierez sur des régions inconnues avant vos grandes et admirables découvertes, fixera, Vous pouvez y compter, l’attention de l’Europe entière. Premier Physicién de notre siècle, Vous avez aussi un grand avantage sur d’autres Physiciens; particulièrement sur:;Faraday. Vous savez exposer vos découvertes et vos idées théoriques avec une grande clarté, avec précision et élégange, Vous pouvez aussi rectifier bien des choses que le verbeux Biot a embrouillées dans son rapport sur Vos premiers grands travaux. Pourquoi Vous dire que je serois fier de par- tager avec Arago, auquel je suis lié pour la vie, la gloire d’un témoignage public de Votre an- cienne amitié? Est-il possible qu’un seul instant Vous ayez pu craindre que je vous étois moins dévoué qu’autrefois, que je pourrois avoir è me plaindre de Vous? Toutes les personnes qui viennent de Naples ne m’ont parlé que de la bienveillance avec laquelle, en toute occasion, Vous avez daigné Vous souvenir de moi, de l’estime générale dont Vous jouissez dans un pays illustré par Vos travaux. Un habitant de ce “ Collège historique ,, le Chancelier d’un Ordre qui s’honore de Vous compter parmi ses Membres et qui est plutòt une Académie qu’un Ordre, ne peut jamais avoir à se plaindre de Vous, mon excellent ami; malgré mon age antediluvien, Vous m’accorderez encore un peu plus de calorique que cette température lunaire que Vous avez eu la malice de découvrir. Ce que prouve le plus la noble chaleur de Votre ame, Monsieur, c’est l’ardeur avec laquelle Vous m’avez parlé de cet homme sublime qui a consolé Leopardi dans ses derniers jours et qui a de si grandes vues sur l’histoire des Peuples. Qui ne se sentiroit pas heureux d’étre utile èà Antonio Ranieri, à cette haute intelligence, digne d’une Nation avec laquelle aucune autre ne peut se mesurer dans cette longue série de sièeles marqués-par des grandes conceptions dans la sphère de toutes les sciences, de toutes Sa I. GUARESCHI les formes de la littérature, de toutes les créations dans les arts. Je vais porter demain dans la matinée ma lettre adressée au Grand Duc, en lui parlant de Votre grand Historien et du devoir de sauver ce que la Nature produit si rarement dans un siècle. “ Ma vénération pour le Prince n’a pas diminuée, mais je pouvois avoir quelques motifs de croire qu'une lettre de moi seroit regue assez froidement. Ce que Vous voulez bien me dire de l’intérét bienveillant que S. A. S. a marqué pour mon imprudente entreprise du Cosmos, me donne quelque espérance, J'avois cru que ce que j’avois à demander pour M.' Ranieri seroit mieux accueilli si en méme tems je pouvois envoyer le second volume du Cosmos, d’un intérét bien plus littéraire que le premier, offrant le reflet du monde extérieur sur l’intérieur de l'homme, la vivacité du sentiment de la Nature manifesté par des peuples de différentes races avant et après le Christianisme, dans la poèsie descriptive, la peinture du paysage, l’agrou- pement des formes végétales par la culture. Mais il n’y a encore que */, du second volume du Cosmos d’imprimé. Je vais done écrire dès demain et annoncer en méme tems l’envoi, qui peut tarder deux mois encore. Je termine, mon cher et excellent ami! Faites plus que je ne mérite. Daignez me dire que Vous me pardonnez, que Vous avez généreusement oublié mes méfaits. “Avez-Vous quelque idée particulière sur l’aria cattiva, sur ces plaines couvertes de petits gazons, sous marécages (environs de Rome, Estremadura), où il est dangereux de remuer la terre, où cependant de longues cultures rendent la salubrité, à ce que l’on croit? Il n'y a pas de marais à dessécher dans ces plaines, les arides graminées qui couvrent le sol inculte n’of- frent certainement pas grande matière à putréfaction végétale. Doit-on admettre dans les ter- rains arides des gaz d’hydrogène sulfuré sortant de l’intérieur de la terre, comme dans les mares d’acqua-solfa? Mais comment les cultures peuvent-elles empécher ces émanations ? Je comprends les marais Pontins, des couches de miasmes qui ne se trouvent qu’à de certaines hauteurs, mais je ne congois rien, absolument rien à ce qui se fait dans les terrains que les vents, venant des pays marécageux, insalubres, touchent tout aussi bien après les défrichements et l’établissement des colons qu’auparavant. “ Depuis que les expériences de Boussingault et de Dumas nous ont prouvé que les seules variations d’élémens aériformes que l’on peut évaluer sont de traites dix-millièòmes, les ana- lyses directes ne nous éclairent que négativement, du moins aussi longtems que de nouvelles méthodes n’ont pas été décounvertes. Je ne compte donc que sur cet autre instrument combi- natoire, sur ces raisonnements fondés sur l’analogie qui s’offrent aux hommes supérieurs comme M.: Melloni. Ferivez-moi, je ne dis pas ce que Vous savez, mais ce que Vous conjecturez. Un gros chien meurt d’une quantité d’hydrogène sulfuré que nous ne trouvons pas dans l’analyse de l’air dans lequel nous avons noyé l’hydrogène sulfuré. Jai méme des doutes sur votre solfatare. De quoi croyez-Vous se compose l'ensemble d’un mètre cube qui soit de la solfatare ? Et les environs, ne sont pas tous insalubres ? Et ces gaz qui sortent d’un cratère enflamme, sont bien moins insalubres que les émanations des cratères éteints ?_- “Je suis, avec la plus constante admiration, sl _“ Votre très affectueux ami “A. v. HumBOLDT. à Sans-Souci, ce 15 Aoùt 1846. “ Que je vous plains de la difficulté que Vous donnera le déchiffrement de mon écriture microscopique, oblique! (1). Hélas! C'est le bras malade que j'ai rapporté couvert de taches jaunes du bivouae de l’Orénoque, couchant sur des feuilles putrescentes. J'ai encore l’espoir que la nouvelle de la mort de mon excellent ami Bonpland est prématurée. (1) Questa osservazione si riferisce al fatto che la lunga lettera dell'Humboldt è seritta con carattere minutissimo e in linee tutte oblique. = "———e TE SI er eo n NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 33 II «“ À Monsieur Melloni. « J'ai tardé trop longtemps, mon cher ami et illustre Confrère, à Vous remercier. Votre lettre si bienveillante et si instructive m’a charmé. Le météore que Vous décrivez est bien re- marquable: ce sont des étrangers qui nous visitent. Je n’incline pas, comme M." Petit et un peu M." Herschel, pour les satellites de la Terre. Depuis 4-5 jours seulement j'ai regu et dis- tribué è nos amis Votre admirable ouvrage sur ce que si spirituellement Vous appelez la co- loration calorifique. J'ai été vivement touché de votre dédicace et de l’élévation de sentiments dont elle est empruntée. “ C'est une des gloires de la vie que d’avoir tàché dans des circonstances difficiles è étre utile à un homme qui a illustré son siècle. Jaime aussi de voir perpétuer par un accolement de noms l’amitié intime qui me lie à M." Arago, dont l’état de santé m’allarme beaucoup. Je n’ai pas eu dans la vie un ami qui me soit plus cher. Je suis dans l’admiration de Votre Ther- mochròse. Quelle lucidité dans la rédaction, quel charme de style, dans l’introduction, dans la peinture des premières impressions que la Nature a faites sur Votre jeune ame. Je ne Vous parle pas, mon excellent ami, de Vos chagrins et des calomnies qui en sont la cause. Vous savez combien M." de Brocqhauser Vous rend justice. Il continuera è Vous étre utile. In- certain sur le sort de cette lettre, je me borne è Vous renouveler l’hommage de mon admi- ration, de ma vive reconnoissance, de mon dévouement affectueux. Mes tendres respects à l’ai- mable et spirituelle Madame Melloni. Ma santé se conserve par le travail. “ A. v. HumBOLDT. “à Potsdam, ce 28 Avril 1850. “ Mon Maître, “ Croyez-Vous beaucoup à des rayons de chaleur qui, sans étre combinés avec l’air ou la yapeur, arrivent au sommet du Chimborazo, ou n’admettez-Vous que l’air chaud qui monte? “ Le froid des montagnes me donne encore bien des incertitudes. “ A. v. HumBoLDpT ,. Arago e Melloni. Arago è stato il fisico che ha avuto più intima amicizia coì Melloni; questi appena giunto a Parigi strinse, come emigrato, relazione coll’Arago allora deputato di sinistra e di idee molto liberali, anzi repubblicane. Il Melloni conosceva l’Arago già quando studiava a Parigi nella Scuola Politecnica. Per capire l’importanza del- l'amicizia di Arago per Melloni, bisogna riflettere alle ostilità che incontrò la prima memoria del Melloni presso alcuni dei più influenti fisici francesi, fra i quali il Des- pretz professore alla Sorbonne (V. pag. 7). Il Melloni fa cenno di queste ostilità a pag. xvi della Prefazione alla sua Termocrosi. Melloni in ogni occasione si è dimostrato grato all’Arago. La sua Termocrosi è dedicata ad Arago e ad Humboldt. “ Mon cher et illustre ami, “ Paris, le 28 juin 1846. “ Je serai heureux et fier de voir mon nom en téte de votre bel ouvrage. Croyez.à mon éternelle reconnaissance. “ Je quitte Paris: dans quelques heures pour le Département des Pyrénées Orientales où, dit-on, mon élection est compromise. Mon neveu, M." Laugier, mettra, en Post scriptum, la réponse à votre première question. Serie II. Tom. LIX. E 34 I. GUARESCHI “Je ne connais rien de plus précis que les déterminations expérimentales de Bouguer et de Wollaston. Leslie s'est occupé du problème; mais son résultat ne me semble mériter aucune attention. Vous trouverez des considérations théoriques sur les intensités comparatives de deux astres, dans l’Optigue de Smith et dans la Photométrie de Lambert. “Du moins, j'ai un vague souvenir d’avoir lu dans ces deux ouvrages plusieurs calculs relatifs è la question qui vous occupe. Le temps me manque pour me livrer aux vérifications nécessaires. “ Adieu, mon cher et illustre ami. Croyez, en toute circonstance, à l’attachement sincère de “F. ARrAGO ,. Pierre Prevost e Melloni. Le prime sue ricerche sull’igrometria nel 1829, furono inviate dal Melloni in forma epistolare a Pierre Prevost di Ginevra, al quale il giovane fisico chiedeva consigli. Prevost ed Aug. de la Rive si interessarono alle ricerche del Melloni e furono poco dopo pubblicate nella Bibliothèque Universelle. Poco dopo il Melloni cor- rispondeva col Prevost relativamente al calorico raggiante, intorno al quale argo- mento il Prevost stesso molto tempo prima si era occupato. Il Melloni, quando lasciò Dole nel 1831, prima di recarsi a Parigi volle andare a Ginevra, e là trovò la lieta ed amichevole accoglienza di due distintissimi fisici, il vecchio Pierre Prevost ed Augusto De la Rive. A Ginevra potè terminare una lunga sua memoria, che egli stesso andò a presentare all'Accademia delle Scienze di Parigi. Pierre Prevost, nato nel 1751 a Ginevra ed ivi morto nel 1839, fu prima pro- fessore di filosofia a Berlino poi di fisica sperimentale a Ginevra. Poteva giudicare con molta competenza i lavori del Melloni, perchè egli stesso aveva fatto delle belle ricerche sul calore e su altre branche della fisica. Della corrispondenza del Melloni con Prevost è rimasto ben poco. Pubblico vo- lentieri la seguente lettera del Prevost a Melloni, mon solamente per l'interesse scientifico che ha, ma più perchè dimostra la benevolenza di questo vecchio scien- ziato verso un giovane che entra con idee nuove nel medesimo campo di ricerche. “ Monsieur i “ Genève, 25 février 1882. “ En abdiquant, il y a six ans, en faveur de M.' A. de la Rive, la correspondance que vous aviez eu la bonté de m’offrir, je n’ai pas renoncé au droit de vous lire et au plaisir de vous entretenir occasionnellement de vos découvertes. “ Celles qui sont le sujet du mémoire inséré dans les Annales de ch. et de phys. d’oct. 1831, sous votre nom joint à celui de M." Nobili, offrent plus d’un genre d’intérét. Votre ingénieux thermoscope multiplicateur est, à lui seul, une nouvelle source d’observations et l’emploi que vous en avez fait honore et promet de nouvelles vues. Mais, au lieu de vous rappeler (fort inu- tilement) les avantages que la science peut attendre de vos travaux, je me bornerai è vous présenter une remarque sur celles de vos expériences, qui ont, à mon avis, le plus d’intérét, puisqu’elles conduisent à une loi remarquable. Vous voyez que c’est de l’absorption et de son rapport à la conductibilité que je veux parler. “ Plus cette loi a d’importance, plus sans doute il convient de la discuter. “Il y a quelques années que (sans faire d’expériences) je cherchai, dans celles d’autruì, des rapports entre les propriétés en attributs de la chaleur et en particulier de la chaleur rayon- nante. Il me paroissoit que ceux qui-tiennent à la réflexion avoient été un peu négligés: mais que la radiabilité avoit été plus soignée. iii i NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 35 “ Ces deux attributs des surfaces sont en quelque rapport inverse. Or, en compilant quelques tables (bornées è la vérité), la conductibilité et la radiabilité m’ont paru en quelque rapport inverse l’une de l’autre; d’où on pouvoit conclure que la faculté de réfléchir et celle de con- duire la chaleur sont en quelque rapport direct. J’étois confirmé dans cette conclusion par l’exemple des métaux, de l’argent en particulier, et par d’autres considérations. “ Partant de là, j'ai été conduit, en considérant de près vos appareils, è expliquer la loi que vous avez obtenue par un effet de réflexion; qui (si j'ai bien connu le phénomène) rendroit la loi applicable au cas, mais laisseroit è désirer de nouvelles preuves de sa généralité. “ En effet, les lames (par ex.) métalliques, que vous appliquiez avec de la colle sur le disque de fer blane, se trouvoient offrir, dans leur intérieur, deux surfaces réfléchissantes parallèles, séparant, de part et d’autre, ce milieu de celui du dehors. Maintenant (pour étre court) sup- posons deux lames en expérience, l’une ne réfléchissant point, l’autre réfléchissant tout. La pre- mière laissera sortir le calorique de la lame par ses deux surfaces (sans parler des latérales), la seconde ne laissera rien passer. Celle-ci paroîtra donc avoir tout absorbé. Quelque instans suffisent pour quelques milliers (ou millions) de répercutions d’une surface è l’autre. Je suis porté è croire, que versé, comme vous l’ètes, dans l’art des expériences, vous mettrez la loi à l’abri d’objections. “Vos appareils délicats vous ont appris que l’eau (liquide ou solide) ne transmet rien îm- médiatement. J'avois va (avec des appareils sans doute insuffisants) la glace transmettre le ca- lorique, pourvu que la fusion fùt prévenue. Mais l’eau liquide me parut ne rien transmettre immédiatement è moins que la boule du thermoscope ne fùt noircie (Journ. de phys., octobre 1811, $ 13 et 44). “ J'ai regretté vos expériences sur l’émission, malgré le motif que vous alléguez pour les ‘ supprimer. Si j’osois, je vous demanderois un mot là-dessus. Avez-vous fait des comparaisons entre la réflexion et l’émission, sous le rapport de l’inclinaison et sous d’autres ? Si vous avez des résultats d’observation qui s’y rapportent, j'en recevrois la communication comme une faveur. “J'aurois peut-étre quelque chose è ajouter, mais je trouve que j’en ai déjà trop dit. Vous excuserez le babil d’un vieillard et vous y reconnaîtrez le prix qu’il met è vos recherches scientifiques. “ Agréez, Monsieur, l’expression de ma haute estime et de mon dévouement. “ P. PREvOST. “ P. S. — Veuillez présenter è M." Nobili mes très-sincères salutations, s’il m’a conservé un souvenir ,. Peltier e Melloni. Peltier, in origine orologiaio, fu un distinto fisico, conosciuto specialmente per le sue ricerche sull’elettricità atmosferica. Il Melloni che nel 1838 era già da alcuni anni in relazione amichevole col Peltier, lasciò a questi prima di partire per Napoli alcuni oggetti ed apparecchi. Il Peltier scrive al Melloni la lettera seguente, che dimostra l'animo buono di questo modesto ma distinto fisico e come il Melloni a Parigi avesse saputo cattivarsi l'affetto e la stima dei migliori. “ Monsieur et cher ami, “Ce 17 de mars 1888. “ Je regois avec reconnaissance les divers objets que vous m’avez envoyés et je les regois avec d’autant plus de plaisir que je les régarde comme un témoignage de votre amitié, et je les étiqueterai comme venant de vous. Il y a cependant plusieurs objets que vous pouviez emporter et dont vous auriez tiré parti dans votre nouvelle position. J'aurais bien voulu savoir sì dans ce que j'ai il y aurait quelque chose qui pùt vous convenir et que vous eussiez pu 36 I. GUARESCHI emporter; je vous l’aurais offert de bon coeur. Dans tous les cas, chose remise n’est pas perdue et je vous prouverai par mon empressement è vous étre utile, que je suis digne de votre amitié. “ Adieu, mon cher ami; revoyez votre belle contrée, votre beau ciel, répandez la science que vous possédez, c'est le moyen le plus sùr d’arriver è des résultats utiles pour l’humanité. Nous corresponderons et nous saurons nous entendre. “ Votre affectionné ami “ PELTIER. “ Toute la famille vous souhaite un bon voyage, une bonne santé et la direction des sciences à Naples ,. A Melloni e Faraday. Melloni era in ottime relazioni col Faraday; il grande fisico inglese aveva più di tutti i suoi colleghi contribuito a far conferire la medaglia Rumford al Melloni per le sue ricerche sul calore, nel 1835. Tra le carte del Melloni ho trovato una lunghissima lettera del Faraday, del 31 luglio 1854, scritta con carattere molto fitto; alcune parole sono quasi illeggibili. Questa lettera inedita, giunse a quanto pare dopo la morte del Melloni, o forse nei giorni della sua malattia. È certamente l’ultima lettera che il Faraday scrisse al Melloni: My dear MELLONI, Royal Institutions, London, 31 july 1854. I have three letters of yours unanswered the two last of the dates of the 1° and the 12' instant. I have been unable to answer them before, because the beginning of the month I was in the country, and I returned from it only to place myself under the surgeon’s hands: and since then have been unable to write or work: Iam now getting better but am still in his care. When I received your last letter, I had no need to repeat your experiments; for they were all perfectly familiar to me, as far as I could judge by your description, and are necessary consequences of the theory of static induction, which*I published in the Philosophical Trans- actions 17 years ago. Still I should have sent your letter to me to the Royal Society as you requested, if it had been open: but its sittings were closed on the 15 june, a month before your letter was written, so that I was unable to fulfil your desires in that respect. Your difficulties present no difficulties to me, neither do I remember clearly the error or illusion into which we have all fallen and which you say is continued in all the books. The fact is I have interpreted induction according to. my own views in the last 18 years and have not carefully analyzed the words of recent treatises, but I do not remember that the statement of Pouillet or De La Rive contradict îny notions..As my views though given at length in the Philosoph. Trans. in the years 1837 and 1838 in the series XI, XII, XIII and XIV of my Experimental Researches, have not been published either in French or Italian, they probably have never come under your notice: I endeavoured to send English copies of them at the time, through the Royal Society, but very likely they never reached you: so I am about to give you a brief summary of them, referring to the members of the paragraphs in the Exp. Re- searches, that you may, if you desire it, look at‘the original matter. But first let me remind you, that I do not as yet know the nature of your Electrometer and therefore may have misunderstood your statement altogether; though as regards the simple results with (fig. 1), shaded or not. I do not think that likely, for they are precisely the same as my own old ones. I profess to know nothing of the existence of either one or two electric fluids, or of the nature of the electric power, exerted either in a P, or an N direction (1298 note 1667), but NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 37 I do not think that our ignorance of the essential nature of the electric force offers any dif- ficulties in the consideration of the nature of induction, conduction, etc., provided we do not travel beyond facts and the Zaws which govern them. In induction, it is only the surface of the conductor which is finally affected, and not its internal parts: and that whether the conductor be insulated or connected with the earth (1220, 1221, 1295, 1301). If it be uninsulated, only that part of its surface is finally affected, on which lines of induction force, proceeding from the exited or inductric body A, abut and terminate: if it be insulated, then the parts of the surface, from which an exact equivalents of new lines of force originate and proceed outwards from the compound system (fig. 2) towards neighbouring conductors, are affected also: the first surface is B, the second surface C and the neighbouring parts, and between them there is a part or zone, of various from ac- cording to cireumstances, in the neutral or normal conductor. The induction is limited by the induction surfaces (1231, 1297, 1361, 1372, 1483, etc). The one which is primarily charged I have distinguished as the induetrie, the other at the inductors. The lines of induction force, used merely as representations of the disposition of the electric force, are described (1231, 1304, 1441, 1450): they commence at one and terminate as the other, of the inducting surfaces. If the inductrie body A be an exited insulator, as a rod of shell lac, they then commence at the exited particles. Induction is not sustained #4r0ug% the body of the thinnest conductor. Theoretically, it occurs at the first instant: but conductors discharges its state within, and it is the surfaces only of the conductor which remains finally affected. An uninsulated gold leaf in a frame or PSR = BIO OE (Ol, ro») Fig. 1. Fig. 2. Fig. 8. ring, may have its opposite sides raised by induction to the highest opposite or like states, without the slightest interference of one side with the other. The lines of induction force across the dielectric or insulating medium may be curved (1215, 1219, 1221, 1224, 1230, 1374, 1449, 1614. See also figures 7, 8, 9, 10, 11, 12). In experiments in open spaces they are almost universally curved. i Induction lines have a lateral relation (1224, 1295, 1449) quite analogous to that of the lines of current force, when the piles of a voltaic battery are dipped apart from each other into a large mass of water or dilute solutions; and which have been so well illustrated by Nobili in his metallochromie results. When a charged sphere A (fig. 3) is in the center of a much larger sphere of conducting matter, the lines of force proceed as radii from A to every part of the outer sphere: the sum of force on the surface of A and the sum of contrary force on the inner surface of the sur- rounding sphere, are exactly equal to each other. When an insulated conductor B, €, is introduced, then a certain amount of the lines of force from A terminate on B, produces an opposite state there, but an equal amount of force or of lines, originate about C' and terminate on D; or.in other words the lines of force which would have been passed across the space B ©, if the conductor B C were away, have, through the conduction of the particles of B C, been replaced by the equivalents of contrary forces at the respective surfaces of B and C; at the same time, as the resistance or tension set up in induction (1368, 1370, etc.), is removed as regards the space B C, by the conduction; so, more electricity must induce from A towards B than in other directions, as towards £; and more inductions action is induced on D than elsewhere as at £. But though D differs thus 38 I. GUARESCHI from the other parts of the inner surface of the surrounding chamber, and equal to the amount of force existed in 47 directions by A. I need not refer particularly to irregular and mixed cases, as the walls of a room (1434) or more complicated results (1337, 1566, 1679, etc.) : the principles are the same and the amount of action always definite. If another conductor, either insulated or connected with the earth, be approached to the former conductor, then lines of induction force are transferred to it from the former induction bodies (1225, 1449). Thus, if / be such a body, then electric force or lines, which before pro- ceeded towards B or towards /H, are transferred to /Y; and if Y be insulated, with the same development of contrary force as before. If Y be uninsulated and large, the part behind it, at H, may even receive no charge, but be in the natural state: and thé sum of power upon the inner surface of the envellope #7, D, £ will be less than the sum of contrary power on A, by so much as is disposed of on the surface of an uninsulated /. I know no distinetion between free and dissimulated electricity (1684). Both are cases of induction and change by induction. If the electricity between A and £ is not dissimulated, neither is that between A and 8, or between A and 7. It might as well be said that the lightning which falls upon and kills a man is free to him, but is dissimulated to one who is a few miles distant: the difference is merely one of circumstance not of principle. Whether the induetric body induces upon me or upon another person, makes no difference in the action If the sum of power be 20, as much as 15 may be towards me and only 5 to him: but the land of action is alike in both cases and the sum of the power remains the same. All charge is induction: all induction is charge (1177, 1178, 130, 1682). A short but im- perfect summary is contained in the paragraphs from 1667 to 1684. You will find also in d x cao cali Fig. 4. Fig. 5. Fig. 6. the Philosophical Magazine, 1843, vol. XXII, p. 200, in vol. II of the 8' Edition of my Expe- rimental Reseatches, p. 279, some demonstrative experiments on statie induction. I have been accustomed for years past, to shew very many forms vf experiments founded on these prin- ciples; I will describe one which seems to embrace many of the results you describe to me, A conductor A is sustained in a charged state by connexion with a (fig. 4) Leyden-jar: an insulated brass plate is brought near it, and then the surfaces examined by a Coulombs proof - plane or carrier (which I hold to be unexceptionable when properly employed) and the sur- face of b seems to be contrary to A (fig. 5), whilst the surface of c is like that of a. The two plates close together and connected (fig. 6), replace the one. ‘plate « the surfaces è and c found like the former surfaces. Then the plates are opened about an inch being still connected by a brass rod on (fig. 7) which they hang, ò and c are foundsas before; but within at d there is no electri- city of either kind on either surface. All the time there is electricity like that of A to be found at the edges of the plates, provided irregular lateral inductions be prevented. Then the plates are more opened out, still the electricity at (fig. 8) 5 and c is the same, but that at the edges of the near, plate 3, begins to lose its A character and eithèr be neutral or assume that of 5. Being more opened out, the electricity of creeps round the edge of the plate (fig. 9), approaching nearer to the middle at the plate è is smaller, or the sign of A larger, or its power more intense; and the electricity of c also becomes more extended over the surface a round the edges of that plate, according to its size and position in relation to surrounding bodies. If an uninsulated conduetor be brought towards any part of the compound system of plates a rod, as at 1, 2, 8, 4, it immediately renders these places electric like A, either causing or exalting their state, whilst it acquires through the induction, a state the contrary of A or like that of bd. If exited shell lac be NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 39 brought near 1, 2, 3, 4 it immediately exerts its inducetion action upon the plates @, in ad- dition to the action of A. All these and a thousand others are the simplest possible results of the theory. You speak of screening the “ pendules accouple , from the action of A whilst you examine them by an exited electric (rod ?). But in that case the pendules give no indication of the state of the part to which they are attached. They do not receive their final state by conduction from the part they are fixed to, but only by induction as a part of the conducting mass B C: if they are expand to the inductive force of A they will acquire the opposite state; if they are perfectly screened they will be neutral, or if they are so near or so expand to sorrounding conductors as to be in a position to carry on the forces, they will assume the e state, which is the same as the state of A. I have often shewn my audience this condition of the pendolous balls, by placing the cylinder and its balls well insulated, in different positions as respects the induetric ball A: sl, Car c lo sg ef? i | Ca Fig. 7. Fig. 8. Fig. 9. thus (fig. 10), when in this position, B and its balls will be in the reverse state to A, and c and its ball in the same state as A: but then (fig. 11) held it by an insulating handle thus and through B still acquires a state contrary to A, yet the balls attached to it by conducting matters shew the other state, or that of A and e. Again, if the ball A and cylinder B C (fig. 12) retain their position, it is very easy to have the balls hanging to B, in the state of B, or by approaching an uninsulated ball or screen, either at 1 or 2 or 3, to make them assume the contrary state on that of C, or by adjustment of distance to be perfectly indifferent. Trusting to the truth of the principle I have described I am accustomed to use wire gauze instead of a continuous metal plate, for screens and other apparatus, which I want my audience to see through: and I have plates like those described above constructed of such wire @& 3 Î 2 Î \ Fig. 10. Fig. 11. Fig. 12. gauze. Through the openings are three or four times the diameter of the wire, yet no electri- city of induction can pass through them, and a plate of such wire gauze is as impervious to conduction as a plate of metal. I make a cylinder of such wire gauze part of the conductor of the machine, but the most delicate tests inside gave no indication of Electricity there. On the lecture table, I threw a net of common twine over my gold leaf electrometers connecting it well with the ground, and they are rendered perfectly safe from charge of the machine, which by induction would destroy them at once if not so guarded. All of which, illustrates the powerful effect of screens in static inductive action. I have published no account of these things because they are simple consequences of my theory: bat De La Rive who happened to see them once in the lecture room here, gave a brief account of them in the Geneva Journal. And now, my dear friend, I will relieve you from a tiresome lecture. You speak of the 40 A I. GUARESCHI over universal in books, and therefore I may say, that Daniel! in his Introduction to Chemical Philosophy adopts my views and therefore as I suppose is not in error. That Harris I believe agrees with me; that as far as I am aware De La Rive does not put forth any error of the kind you refer to in his recent work on Electricity — or Pouillet — except that he speaks of dissimulated electricity but by that means electricity of induction But I will not tease you more. Ever My dear Friend Your affectionate Servant M. FARADAY. A M MacepornE MELLONI Clark aveva dimostrato, prima ancora di Fizeau e Gonnelle, che la corrente elettrica si propaga con velocità eguale qualunque ne sia l’intensità. Fu il Melloni che suggerì al Clark queste esperienze; egli osservando come i suoni, qualunque sia la lorò altezza, hanno eguale velocità nei medesimi mezzi, dubitò dovesse egualmente avvenire per l'elettricità, qualunque fosse la tensione della pila (ricordato in Fel. Garelli, Delle dottrine elettriche nel secolo AVIII, Mondovì, 1866, pag. 74). Il Faraday informò Melloni che il Clark aveva compiuto le esperienze progettate, colla lettera seguente: “ Mon cher MELLONI, “ Institution Royale, 2 juin 1814. SO M. Latimer Clark a fait l’expérience que vous avez demandée et écrit un compte- rendu des résultats; je vous envoie le tout ci-joint. Il est très-difficile d’avoir les lignes com- plètement libres, pendant un certain intervalle de temps, en sorte que l’on a dù attendre les occasions favorables et opérer le mieux possible à plusieurs reprises, sans que j’aie pu assister aux expériences. “ Mais je erois que vous serez satisfait, et vous pouvez ayoir pleine confiance dans l’exacti- tude de ses observations. , “ Votre affectionné “ FARADAY ;. Una certa asprezza di Faraday che si osserva nella precedente lunga lettera, si spiega se si pon mente a quanto scrive il Napoli a proposito di alcune esperienze del Melloni contrarie alle idee di Faraday. Il Napoli nella sua Vita del Melloni (1856) scrive: “ Alcune esperienze di Faraday intorno alla diminuzione di velocità che avviene in una corrente elettrica che traversa i telegrafi sottomarini o sotterranei al paragone di quella che traversa i telegrafi elettrici aerei, e dalle quali il celebre fisico inglese deduceva una conferma della sua teoria intorno alla conducibilità, furono occasione di alcune belle osservazioni in contrario del Melloni. Egli venne indicando alcune esperienze, che furono eseguit® in Inghil- terra dall'ingegnere Latimer Clark e confermarono le sue previsioni, contrarie alle idee del Faraday ,. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 41 Melloni e Lejeune Dirichlet. Il Lejeune Dirichlet, celebre matematico, nacque in Dùren:nel 1805 e morì a la Gottingen nel 1859; era amicissimo di Melloni. Il Dirichlet venne in Italia varie volte anche per causa di malattia. Melloni desiderava pubblicare in Germania la sua Termocrosi, ma non era facile trovare un editore. Il Dirichlet si interessò molto per questo desiderio di Melloni, come risulta dalla seguente lettera datata: Berlino, 16 agosto 1846, in cui si parla della traduzione tedesca di un’opera di Melloni (senza dubbio la Termocrosi); la traduzione sarebbe stata fatta sotto la sorveglianza di Magnus, Dove e Riess. Questa lettera dimostra quanto grande fosse la stima e l'affetto di questi suoi amici tedeschi, che erano fra i migliori scienziati del tempo. Monsieur et illustre confrère, Berlin, ce 16 aoùt ’46. Voyant par un billet que M." de Humboldt vient de m’écrire de Potsdam, combien je dois vous paraître coupable, j'ai hate de me justifier et de vous prouver que je n’ai pas payé d’une ingratitude si noire l’excellent accueil que vous nous avez fait è Naples et dont nous ‘ conserverons toujours le souvenir au nombre de nos plus doux souvenirs. Voici en deux mots de quelle manière les choses se sont passées. Votre lettre è peine arrivée, je me suis empressé de demander un instant d’entretien è M." de H., que sa vie si agitée rend très difficile è trouver, surtout lorsque le roi n’est pas dans la capitale. M." de H., m’ayant donné rendez-vous quelques jours plus tard et ayant pris connaissance de votre lettre, me dit que des deux lettres à lui adressées une seule lui était parvenue et ajouta qu'il vous répondrait le jour méme ou le len- demain au plus tard, s’excusant d’ailleurs de son long silence sur les occupations sans nombre dont il est accablé et qui ne lui [laissent] presque pas un moment dont il puisse librement disposer. Ne prévoyant pas, après cette assurance si positive de M." de H., que la réponse qu'il se proposait de vous faire pùt éprouver un nouveau retard, j'ai cru — et c'est là le seul tort dont je me sent coupable — avant de vous répondre moi-méme, pouvoir attendre que je pusse vous communiquer quelque chose de positif sur l’autre commission que vos m’avez donnée et qui était relative è la vente de votre ouvrage. Par des circonstances indépendantes de ma volonté, j'ai été pendant * a semaines hors d’état de faire les démarches nécessaires è cet égard, les libraires auquels je voulais m’a- dresser étant tous absents et se trouvant à Leipzig, où les libraires allemands se réunissent dans le cours de Jété pour régler leurs comptes et pour conférer sur leurs intéréts communs. Je regrette infiniment que le résultat des informations que j'ai pu prendre plus tard auprès de nos principaux libraires, n’ait pas été favorable è votre projet de vendre votre manuscrit en Allemagne. Ce n’est pas que nous manquions de libraires qui tiennent è honneur d’attacher leur nom à la publication d’un ouvrage qui doit faire époque dans la physique et que toutes les personnes qui s’intéressent aux sciences attendent avec impatience. Mais il faut pour cela que l’édition principale et originale, celle en un mot qui se fait sur le texte meme de l’auteur, soit en allemand, et tous ceux que j'ai consulté — et le nombre n’en est pas petit — regardent l’entreprise comme inexécutable pour eux, si cette condition n’a pas lieu. Ils disent que si dans le cas contraire, pour lequel le débit principal aurait nécessairement lieu è l’étranger, ils vou- laient imprimer l’ouvrage ici, rien ne les garantirait des contrefagons qui ne manqueront pas de surgir en France et en Belgique, et que les inconv(én)ients ne seraient guère moindres poèr eux, s’ils voulaient se décider à faire imprimer l’ouvrage à leurs frais en France. Il faudrait s’en rapporter alors du soin de la vente aux libraires frangais, qui, loin de la favoriser, y miettraient toute sorte d’obstacles pour ne pas laisser prendre aux libraires allemands Serie II. Tom. LIX. F 42 I. GUARESCHI x l’habitude de publier des ouvrages frangais d’une grande importance, et il y aurait méme à craindre, l’ouvrage se publiant en méme temps ici en allemand, que les libraires frangais ne trouvassent quelque prétexte de faire considérer l’édition allemande comme l’édition originale et de réimprimer l’ouvrage frangais. Quoique tous les libraires que j'ai été à méme de consulter ici, fussent unanimes sur ce point, je n’ai pas voulu m’en rapporter à eux seuls et je me suis adressé à un amì en qui j'ai toute confiance, M." Muquardt, jeune libraire allemand très-entre- prenant, établi è Bruxelles. Sa réponse ayant pleinement confirmé ce qu'on m’avait dit ici, je suis resté convaineu qu'il n’y (a) pas moyen de vendre ici convenablement votre manuserit frangais et que vous obtiendrez des conditions beaucoup plus favorables en vous adressant è un libraire frangais. Quant è la traduction allemande, à laquelle vous songez et que je regarde comme indispen- sable, je dois vous dire que d’après la jurisprudence récemment établie par nos tribunaux, vous ne conservez aucun droit d’auteur è cet égard dès que votre ouvrage aura été imprimé en France, et que tout contract par lequel vous céderiez l’édition allemande à quelque libraire de ce pays-ci, serait regardé comme non-avenu par le seul fait de la publication de l’édition prin- cipale en pays étranger. Cette jurisprudence barbare, malheureusement trop bien établie, ne me laissait qu’'un seul moyen de vous faire retirer quelque profit de la traduction allemande de votre ouvrage, et ce moyen consistait è faire valoir l’avantage qu’aurait le libraire auquel les feuilles de l’ouvrage frangais seraient communiquées à fur et mesure de leur impression et qui aurait ainsi le moyen de devancer tous ces concurrents. Après plusieurs tentatives inuti- lement faites dans cette voie, la seule qui me fùt ouverte pour servir vos intéréts, j'ai enfin ‘ obtenu un petit succès et je viens de recevoir de la maison Veit et Comp., qui est du nombre des librairies les plus considérées de Berlin, une lettre dont ce qui suit est un extrait: “ Si M.” Melloni veut engager le futur éditeur frangais è nous communiquer les feuilles immédiatement après l’impression et è nous donner ainsi la possibilité de publier la traduction en méme temps que l’original, nous offrons vingt franes pour chaque feuille de 16 pages, gr. 8 (è peu près comme l’ouvrage de Lamé), et nous ne négligerons rien pour assurer è l’ouvrage de M.r Melloni par le choix du traducteur une digne représentation en Allemagne ,. C'est sans doute peu de chose, mais je n’ai pais le moyen d’obtenir davantage avec la pi- raterie littéraire légalement constituée. J'’ajoute que dans le cas où vous jugerez convenable d’accepter la proposition que je viens de vous transmettre, nos meilleurs physiciens, M.r Magnus, Dove, Riess, s’offrent à l’envi pour surveiller la traduction pour qu'elle ne soit pas trop au- dessous de l’original, et j'ajoute encore, quoique cela soit à peine nécessaire, que c’est avec le plus grand plaisir que je continuerai è vous servir d'intermédiaire pour cette affaire, si vouséy donnez suite. Ma femme, qui après des souffrances vraiment inouies et dont les maux qu'elle éprouvait à Naples n’étaient que le prélude, a enfin recouvré la santé, me charge de la rappeler è votre souvenir ainsi qu'à celui de Mad. Melloni, è laquelle je vous prie de vouloir bien présenter mes hommages respectueux. Nous prenons la part la plus vive au bonheur que vous avez eu de voir augmenter votre petite famille et nous espérons que ce bonheur a été sans nuage et n’a pas été acheté par de longues souffrances, comme l’a été la naissance de notre troisième enfant, qui est ainsi une petite fille. Adieu, Monsieur et excellent ami; sì j'ai peu obtenu, croyez du moins que ce n’est pas faute de soins et de bonne volonté. Votre tout dévoné G. LeJEUNE DIRICRLET. n I CR UNNI (E CE en PE a x \ NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 43 V. Bibliografia. A pag. 2, in nota, ho già detto perchè pubblico queste mie note bibliografiche che in origine non erano destinate ad essere pubblicate ora. È questa, forse, la rac- colta meno incompleta dai lavori di Melloni, che si conosca. Vi unisco anche quelle poche noterelle che io avevo fatto a mano a mano che raccoglievo il materiale. Quasi tutte le più importanti pubblicazioni originali del Melloni si trovano nei Comptes Rendus de l’Acad. des Sciences de Paris, negli Annales de Chimie et de Phy- sique, nelle Memorie della Società, Italiana, nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Napoli, nella Bibliothèque Universelle e negli Arch. des Sciences Nat. de Ge> nève, e nell’Institut. 1. Osservazioni intorno all'influenza delle variazioni barometriche sullo stato del cielo. (Giorn. di Chim. di Brugnatelli, VII, 1824, p. 170-174). È la prima pubblicazione del Melloni. Fino al 1829 non pubblicò più nulla e nel 1827 fu nominato professore effettivo. Non si può dunque dire: “ venuto presto in alta reputazione per le sue ricerche scientifiche, fu assunto alla Cattedra di Fisica nell’ Ateneo Parmense ,. L'alta reputazione l’ebbe solamente dopo il 1832-34 quando erano conosciuti i suoi lavori sul calo- rico raggiante. | 2. Mémoire sur VHygrométrie (1829). (A. Ch., 1830 (2), t. 43, p. 39-63. — Schweigger Journ., LX, 1830, p. 75-80). Questa Memoria è datata: Parma, 7 ottobre 1829. 8. Mettoni e Nosini, Recherches sur plusieurs phénomènes calorifiques entreprises au moyen du thermomultiplicateur. (A. Ch., 1831 (2), t. 48, p. 198-218. — Bull. Scien. Math. Férussac, 1831, p. 86-92. — P.A.1833, XXVI, p. 439-454. — Sill. Journ. 1832, XXII, p. 370-873, e 1833, t. XXIII, p. 185-190). È l’unica Memoria che i due fisici pubblicarono insieme. Fu presentata all'Accademia di Parigi ib 5 settembre 1831. Pei rapporti fra Nobili e Melloni vedi pag. 7. Questa memoria, pure in francese, trovasi inserita nelle Memorie ed Istrumenti del No- bili, 1834, vol. I, p. 195-207. | 4. Lettre sur une propriété nouvelle de la chaleur solaire, adresste à M." Arago par Mà* Melloni, réfugié italien. (A. Ch., 1881 (2), t. 48, p. 385-395. — Pogg. Ann., XXIV, 1832, p. 640). Questa lettera porta la data: Déble, 5 marzo 1832; ma deve essere un errore di stampa, giacchè questa lettera è inserita negli Annales del 1881, e gli Amnales si pubblicavano rego- larmente. 5, Exwpériences relatives à la transmission du calorique rayonnant par divers liquides. Fragment d’une lettre de M." Macéd. Melloni à M." P. Prevost. (Bibl. Univ., 1832, T. I, p. 337-340). “ La lettre d’où j’extrais ce fragment est datée de Dòle le 9 avril 1832. Elle contient une notice de belles expériences faites récemment par M." Macéd. Melloni, qu'il a déjà publiges en 44 I. GUARESCHI partie et qu'il ne tardera pas d’exposer plus pleinement. Cette lettre répond è celle que je lui avois adressée à Parme le 25 février, où je soumettois è cet ingénieux physicien une remarque relative à l’un de ses précédents écrits , (Nota di P. Prevost). Poco dopo il Melloni lasciò Dole e andò a Ginevra a continuare le sue ricerche, accolto con premura da de la Rive e da Prevost. 6. Mémoire sur la transmission libre de la chaleur rayonnante par différents corps solides et liquides (Prèsénté à l’Académ. des Scien. le 4 fév. 1833). (A. Ch., 1833 (2), t. 53, p. 5-73; A XVI, 1835, p. 139; P. A. XXXV, 1835, p. 112; Sill. Journ., XXVII (1835), p. 228; Taylor, Scient. Mem., I, 1837, p. 1-39). Si trova ricordata in qualche catalogo la memoria: Transmission libre de la chaleur rayon- nante p. diffèr. corps sol. et liquides. Paris 1834, in 8°. O è un estratto dagli A. Ch. o è una pubblicazione a parte, un opuscolo, che stampò quando l'Accademia non si era ancora decisa a fare un rapporto sui suoi lavori, e pei quali ebbe la medaglia Rumford. Non ho potuto vedere quale delle due ammissioni sia la vera. Vedi N. 12. 7. Note sur la transmission immédiate de la chaleur rayonnante au travers d’un verre noir complètement opaque. (Lue è la Société Philomatique le 20 juillet 1833). (L’Institut, 1833, I, p. 103-104). 8. Account of some recent experiments on Radiant Heat. (Brit. Assoc. Rep., 1833, p. 331-384). 9. Note sur la transmission des rayons calorifiques à travers des verres colorés (adressée a l’Acad, des Sciences le 24 juin 1833). (L’Institut, 1833, I, p. 61-62. — Bibl. Ital., 1833, LXXII, p. 141-148. — Froriep. Notizen, 1833, XXXVII, col. 305-309). 10. Ueber den Durchgang der Wiirmestrahlen durch verschiedene Kérper (trad.). (P. A., 1838, XXVIII, p. 371-378). 11. Exposé des principaua résultats obtenus par M. Melloni sur la transmission immédiate de la chaleur rayonnante par différens corps solides et liquides. (L’Institut, 1833, I, p. 212-216). La direzione dell’Institut vi mise la nota seguente: “ Cet exposé a été rédigé sur les mé- moires présentés à l’Académie des Sciences et à la Soc. Philom., et d’après quelques notes particulières que l’auteur a bien voulu nous fournir. En y joignant les deux articles insérés dans les numéros 8 et 12 de l’/rstitut (6 juillet, et 3 aoùt 1831) nos lecteurs auront une idée complète des travaux publiés jusqu'’è ce jour par M." Melloni sur la transmission calorifique ,. 12. Nouvelles recherches sur la transmission immédiate de la chaleur rayonnante par. différens corps solides et liquides (présenté è l’Acad. d. Scien. le 21 avr. 1834; pour faire suite au Mémoire sur le méme sujet, prés. à l’Acad. le 4 fév. 1883). (A. Ch. 1834 (2), t. 55, p. 337-397. — L’Institut, 1834, II, p. 263-264. — P. A. XXXV, 1835, p. 263-264 e 550-577. — Taylor, Scient. Mem., 1837, I, p. 39-74). Si divide in due capitoli: 1. Des modifications que subissent les transmissions calorifiques par le changement de la source rayonnante. 2. Des propriétés que possèdent des rayons calorifiques immédiatement transmis par les corps. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 45 Questa memoria e una precedente, state inserite negli A. Ch. maggio 1833 e aprile 1834, furono messe in vendita chez Bachelier, quai des Grands-Augustins. Vedi N. 6. Sono riassunte queste due memorie anche in A. 1835, t. XVI, p. 139. Liebig ha pubblicato nei suoi Annalen d. Chemie u. Pharmacie alcuni dei principali lavori del Melloni. Probabil- mente erano riassunti dal Mohr, il quale nel 1837 pubblicò un lavoro sulla natura del calore. (Vedi pag. 10). 13. Appréciation exacte de l’intensité des courants électriques, au moyen du galvanomètre. (Bibl. Univ., 1834, t. 55, p. 9-15). 14. Méthode pour déterminer les rapports d’intensité des courants électriques. (Lue è la Société philomatique le 4 janvier 1834). (L’Institut, 1834, t. II, p. 43-44). 15. Circonstances qui font varier le maximum de température des rayons du spectre. (Lettre adressée è l’Acad. des Scien. sur la chaleur du spectre). (L’Institut, 1834, II, p. 410-411). 16. Description d’un appareil propre à répéter toutes les expériences relatives à la science du calorique rayonnant, contenant l’exposé de quelques faits nouveaua sur les sources calori- fiques et les rayons qui en émanent. (Mémoire lu à l’Acad. des Scien. le 12 janvier 1835). (L’Institut, 1835, III, p. 22-26). — Qui si trova rappresentato il così detto banco di Mel- loni quale egli l’adoperava allora. Fu costruito dal sig. Gourjon. Questo artista costruì lo stesso apparecchio, per uso della Facoltà di Scienze, dell’École Normale, del Collegio di Francia e di altri stabilimenti pubblici. Quest’apparecchio, perfezionato in seguito, costruito specialmente dal Riihmkorff, è rap- presentato nel monumento, come si vede anche nella figura che orna questa nostra memoria. Tyndall è il fisico che dopo Melloni ha fatto il maggior numero di importanti ricerche sul calorico raggiante; anche gli apparecchi che il Tyndall adoperava per la trasmissione del calore attraverso i gas ed i liquidi sono simili a quelli adoperati da Melloni. Le principali memorie di Tyndall sul calore raggiante si trovano nel Phil. Mag. Apparecchi analoghi al Banco di Melloni furono costruiti per altri scopi, come ad esempio il focometro di Silbermann. 17. Sur la réflerion de la chaleur rayonnante. (C. R. 1835, I, p. 300-304. — A. Ch. 1835 (2), t. 60, p. 402-409. — L’Institut, 1835, III, p. 359-356. — Pogg. Ann. 1836, XXXVI, p. 212. — Froriep Notizen 1835, XLIII. col. 134-136. — Taylor, Scient. Mem., 1837, I, p. 383-387). 18. Lettre à Mx Arago sur quelques communications faites par Mx Hudson et M.* Powel, à la dernière réunion de l’ Association britannique pour les progrès des sciences, tenue à Dublin en aoùt 1835, relatives à la transmission de la chaleur è travers des corps diathermiques. (Phil. Mag. 1885; A. Ch. 1885 (2), t. 60, p. 410-417). 19. On the immediate Transmission of Calorifie Rays through Diathermal Bodies. (Phil. Mag. 1835, VII, p. 475-478). (Comunicazione dell’autore a Michele Faraday). L’ar- gomento è lo stesso del lavoro precedente. 46 I. GUARESCHI 20. Observations et expériences relatives à la théorie de l’identité des agents qui produisent la lumière et la chaleur rayonnante. (C. R. 1835, I, p. 503-509. — A. Ch. 1835 (2), t. 60, p. 418-426. — P. A. 1836, XXXVII, p. 486-494. — Taylor, Scient. Mem., 1837, I, p. 388-392). E qui il Melloni ricorda l’ipotesi di Ampère, che considera il calore raggiante come una serie di ondulazioni eccitate nell’etere dalle vibrazioni dei corpi caldi. Sono dunque ingiusti coloro che hanno fatto l'appunto a Melloni di non ricordare le osservazioni precedenti di altri fisici. 21. Rapport fait à Vl Académie des' Sciences sur les expériences de M. Melloni relatives à la chaleur srayonnante. Par M. Biot. Fatto nel 1835 e pubblicato nel 1838 in: Mém. de l’Acad. Roy. des Sciences de l’Institut de France, 1838, t. XVI, p. 433 a 572. L'impressione profonda che fecero i lavori del Melloni decisero l'Accademia di Francia a nominare una commissione composta di Poisson, Arago e Biot; quest’ultimo fu il relatore e scrisse il famoso Rapport, che apportò tanta gioia nell'animo di Melloni. Questo Rapport incomincia colle parole seguenti : “ L’Académie a chargé MM. Poisson, Arago et moi (Biot) d’examiner un mémoire de M." Melloni contenant la description et les usages d'un appareil propre è manifester et à me- surer les phénomènes de transmission de la chaleur rayonnante. Cet appareil étant celui-là méme è l’aide duquel M.® Melloni a fait depuis quelques années un si grand nombre de belles et importantes découvertes, nous avons pensé qu’il convenait de rattacher tous ces résultats par les liens de leur dépendance mutuelle, de manière è en composer un. ensemble général de propriétés physiques; et avec l’agrément de l’inventeur, nous les réunissons tous ici dans notre rapport. La nouveauté des phénomènes que cet ensemble embrasse, et la généralité non moins imprévue des lois physiques qui en dérivent, rendraient etc. etc. ,. È un accurato esame di tutti i lavori del Melloni sino al 1835, confermati e straordina- riamente lodati. Il Biot ed il Melloni ripeterono insieme tutte le esperienze e ne fecero delle nuove. Questa grande relazione di Biot sulle ricerche del Melloni è un vero capolavoro. “ Le public comptait sur un chef-d’oeuvre, scrive il Jamin, et son ‘attente ne fut pas trompée,. Porsson nella sua 7/éorie Mathémat. de la Chaleur, Paris 1835 e Supplemento 1837, ri- corda e riassume una memoria del Melloni e fa in una nota l’osservazione seguente (p. 532): “On avait annoncé, è la page 445, que l’on trouverait, à la fin de l’ouvrage, le rapport de M. Biot sur les travaux de M.r Melloni ; mais l’étendue que M.® Biot a donnée à ce rapport, et qui était commandée par l’importance et la variété des matières, ne permet pas plus de l’insérer ici sous la forme d’une simple note; et d’ailleurs l’Académie vient d’arréter qu'il serait imprimé dans le tome XIV de ses Mémoires, actuellement sous presse ,. A pag.446 il Poisson loda di nuovo l’opera del Melloni. In seguito a questo Rapport l'Accademia decise la RETTE del lavoro di Melloni nel Recueil des Savants Étrangers. In questa raccolta però io non ho trovato il lavoro di Melloni; forse soho le dne prime grandi memorie già pubblicate negli Annales de Chim. et de Phys. 1833-34. Relativamente a questo Rapporto il Desains scrive: “ Indépendamment de l’exposé complet des regherches jusqu’alors exécutées par le savant italien, et de la représentation algébrique des résultats obtenus dans les études sur la trans- mission calorifique, on trouve consignée dans ce Rapport une observation très-importante, faite conjointement par Biot et par Melloni. Cette observation a pour résultat de constater que la transmission normale d’un rayon de chaleur polarisé,.à travers un quartz perpendiculaire è l'axe, détermine la rotation du plan de polarisation de ce rayon, absolument comme cela arrive dans le cas des rayons lumineux ,. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 47 22. Sur la polarisation des rayons calorifiques par rotation progressive, par MM. Biot et Melloni. (C. R. 1836, II, p. 194-199. — L’Institut, 1836, IV, p. 71-72. — P. A. 1886, XXXVIII, p. 202-207). 28. Mémoire sur la polarisation de la chaleur. (A. Ch. 1886 (2), 61, p. 375-410. Questa è la prima memoria in ertenso sulla polarizza- zione del calore. — P. A. 1836, XXXVII, p. 494-500. — Froriep Notizen L, 1886, col. 197-98. — Taylor, Scient. Mem., 1837, p. 325-346). 24. Expériences sur la polarisation de la chaleur rayonnante par les tourmalines. (C..R. II, 1886, p. 95-100. — A. Ch. 1886 (2), t. 61, p. 375-410. — P. A. XXXVII, 1836, p. 218-224). La memoria în extenso pubblicata negli A. Ch. ha semplicemente il titolo: Mémoîre sur la polarisation de la chaleur. 25. Polarisation de la chaleur par réfraction. (C. R. 1836, II, p. 140-145). 26. Polarisation de la chaleur (lettre de M.° MeLLONI correspondant, accompagnant l’envoi d’un mémoire publié dans les A. Ch.) (C. R. 1836, III, p. 133-135. — A. Ch. 1837 (2), t. 65, p. 5-68. È questa la seconda memoria in extenso sulla polarizzazione del ‘calore che fa seguito a quella del N. 24. — P. A. 1836, XXXIX, p, 1-33. — Taylor, Scient. Mem., 1841, II, p. 141-183). Fortgesetzter Bericht iber M. Melloni’'s Arbeiten in Gebiete der Wirmelehre (in A. 1836, t. XX, p. 131-136). 27. Breve notizia intorno alle scoperte sul calorico. (Bibl. Ital. LXXXVI, 1837, p. 190-200 e LXXXIX, 1838, p. 107-123). 28. Polarisation de la chaleur. Mémoire. (C. R. 1837, t. V, p. 530-535. — Bibl. Ital. LXXXVIII, 1847, p. 315-320. — P. A. 43, 1838, p. 18-46 e 257-285). 29. Observation sur la cause qui produit la fonte hative de la neige autour des plantes. (C. R. 1838, VI, p. 801-807. — A. Ch. 1838 (2), t. 68, p. 341-351. — Bibl. Ital. XC, 1838, p. 351-358. — Bibl. Univ. 1838, XV, p. 149. — Edinb. New Phil. Journ. XXV, 1838, - p. 242-249. — P. A. 1888, t. 44, p. 357-360). 30. Réclamation contre la manière inexacte avec la quelle MM. Despreta et Péclet ont rap- porté les expériences de MM. Forbes et Melloni sur la polarisation de la chaleur. (A. Ch., 1838 (2), t. 68, p. 107-111. — Bibl. Univ. 1838, XIV, p. 168-171). 31. De la prétendue influence que les aspérités et le poli des surfaces exercent sur le pouvoir émissif des corps. (C. R. 1838, VII, p. 298-303. — A. Ch. 1839 (2), t. 70, p. 485-444. — Bibl. Italiana, XCI, 1838, p. 89-95. — Bibl. Univ. XVI, 1838, p. 181-188. — Edinb. New Phil. Jourfi. 1839, p. 299-306). 48 ‘ I. GUARESCHI 32. De la loi du décroissement de la chaleur rayonnante à mesure que l'on s'éloigne des sources calorifiques. (Bibl. Univ., XIII, 1838, p. 371-386. — P. A., XLIV, 1838, p. 124-138). Un riassunto di questa memoria e di un’altra che è nel P. A. trovasi in A. 1888, t. XXVIII, p. 137, col titolo: Stra4llende Wirme. 33. Appendice relativa alla pretesa influenza delle scabrosità sulla facoltà assorbente de’ corpi (1838). (Atti Accad. Scien. Napoli, 1843, V, p. 103-108. — P. A. 1838, XLV, 1838, p. 57-63. — Sturgeon, Ann. Electr. 1838-39, III, p. 403-409). 34. Sur la transmission de la chaleur rayonnante (Extrait d’une lettre de M.r Melloni è M." Arago). (C. R. 1839, IX, p. 315-319, con una nota di Arago. — Bibl. Univ. 1839, XXII, p. 384-388. — P. A. 1839, XLVIII, p. 326-331). 35. Considérations et expétriences sur la diathermansie, ou coloration calorifique des corps. (A. Ch. 1839 (2), t. 72, p. 40-67. — Bibl. Ital., XCV, 1839, p. 370-381. — Bibl. Univ. XXXII, 1839, p. 166-178. — Atti Accad. Scienze Napoli, 1843, V, p. 1-26. — Froriep Notizen 1839, X, col. 321-324. —— P. A. 1840, XLIX, p. 577-585). » 36. Sur l’absorption des rayons calorifiques par l’atmosphère terrestre. (C. R. 1840, X, p. 18). N. B. Nell’indice del vol. dei C. R. è messa la nota col titolo “ Influence des différentes heures du jour sur la position du maximum de température dans la partie obscure du spectre solaire ,. Sembrerebbero due cose diverse, il che non è (1). (Pogg. Ann. 1840, XLIX, p. 585-586). 37. Expériences sur la chaleur rayonnante (lettres de M.* Melloni à M." Arago. — Naples, 4 e 14 mars 1840). (C. R. 1840, X, p. 537-550). 38. Recherches sur la chaleur rayonnante (lettre è M.® Arago). (C. R. 1840, X, p. 826-832. — P. A. 1840, LI, p. 73-80). 39. Remarques sur la nouvelle méthode thermografique de M. Herschel, et sur son application au spectre solaire. (C. R. 1840, XI, p. 141-145. — A. Ch. 1840 (2), t. 74, p. 18-25. — Bibl. Ital, 1840, p. 127-182. — P_ A. 1840, LI, p. 81). In questa memoria il Melloni fa una critica ad un lavoro di Herschel riguardante le cosìd- dette Trockenflecke, che attribuisce ad errori di esperienza; queste osservazioni del Melloni furono poi confermate da Rayleigh (1877). (1) Ho osservato anche in altri casi questo fatto: che il titolo delle memorie o note quale è nell’Indice dei C. R. non è sempre eguale a quello del testo. Perciò chi non ha conoscenza di questa inesattezza può cadere in errore; ed invero in alcuni libri si trovano citati gli stessi lavori con titoli alquanto diversi, e sono quindi ritenuti lavori diversi, mentre sono eguali. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 49 40. Quelques notions sur la galvanotypie, ou l’art du passer du dessin à la planche gravée par laction des seules forces électro-chimiques. (C. R. 1841, XII, p. 219-220). N. B. Nell’indice ha il titolo “ Extrait d’une lettre de M." Cirelli à M." Melloni, sur un procédé de gravure au moyen des seules forces électriques ,. 41. Mémoire sur la constance de l’absorption calorifique exercte par le noir de fumée et par les métaux; et sur l’existence d’un pouvoir diffusif qui, par ses variations, change la valeur du pouvoir absorbant chez les autres corps athermanes. (C. R. 1840, XI, p. 659 e 678-682. — A. Ch. 1840 (2), t. 750, p. 337-388. — Bibl. Univ. 1840, XXX, p. 162-194. — P. A. 1841, LII, p. 421-444 e 573-584. — Atti R. Accad. Napoli 1843, V, p. 77-102). Col titolo: Ueber Absorption u. Diffusion d. Wiirmestrahlen, è riassunta in A. 1841, t. XL, p. 148-157. N.B. Incominciò la lettura della memoria nella seduta 26 ott. 1840, col titolo: Sur la diffusion calorifique (C. R. XI, p. 659). A p. 682 vi è una breve nota di Biot. Questa memoria fu letta a l’Acad. des sciences de Paris, le 2 novemb. 1840. Tale è inse- rita nella B:02. Univ.; ha una nota dell'autore contro Péclet, che interpreta inesattamente i risul- tati delle sue esperienze. 42. Relazione intorno al Dagherrotipo. Memoria letta alla R. Accad. delle Scienze di Napoli nella adunanza del 12 nov. 1839 (Mem. R. Accad. di Napoli, T. VI). (Giorn. Arcad. 1840, LXXXII, p. 1-35). Fu poi stampata in un opuscolo a Parma. Rossetti, 1840, in 8°, p. 30, con 2 tav. Quest’opuscolo fu tradotto in francese: Rapport sur le Daquerréotype, par M." Melloni, trad. du Docteur Donné. — Paris, Le Normant. 45. Esperienze sull'azione chimica dello spettro solare, e loro conseguenze relativamente alla Da- gherrotipia. (Giorn. Arcad. 1840, LXXXIII, p. 129-154. — Atti R. Accademia Scienze Napoli, 1843, V, p. 57-76). 44. Sur le pouvoir diffusif des substances diathermanes. (Bibl. Univ. XXX, 1840, p. 194-205). 45. Recherches sur les fumerolles, par MM. Melloni et Piria (lettre de M." Melloni è M. Arago). (C. R. 1840, XI, p. 352-356. — A. Ch. 1840 (2), 74, p. 331-385. — J. pr. Chem. 1841, XXII, p. 52-57. — P. A. (Erging.) 1842, LI, 511-517. — Froriep Notizen, 1840, XVI, col. 33-37). 46. Sur la cause des différences que l’on observe entre les pouvoirs absorbants des lames métalliques polies et rayées, et sur ses applications au perfectionnement des réflecteurs calorifiques. (C. R. XII, 1841, p. 375-380. — A. Ch. 1841 (3), I, p. 361-367. — P. A. 1841, LIII, p. 268-276. — Sturgeon Ann. Electr. 1841, VII, p. 429-433. — Taylor, Scient. Mem., 1843, p. 416-421. — Bibl. Univ. 1841, XXXI, 388-394). 47. Un appareil que Mx Melloni emploie pour ses expériences de thermo-électricité, et mis par M- Arago sous les yeux de Vl Académie. (C. R. 1841, XII, p. 652). È l'apparecchio completo costruito dal Riihmkorf?. Gli apparecchi di Melloni che hanno servito a Tyndall erano pure costruiti dal Riihmkorff. Serie II. Tom. LIX. (ci 50 I. GUARESCHI 48. Sur un moyen nouveau de faire varier, à volonté, la sensibilité des galvanombtres astatiques, et de la rendre aussi parfaite que le comporte la nature des métaue employés dans leur construction. (Arch. Scien. Nat. Gen. 1841, I, p. 656-668. — C. R. XIV, 1842, p. 52-59. — Arch. de l’É- lectr., 1844, I, p. 656-665). 49. Proposition d’une nouvelle nomenclature pour la science des radiations calorifiques. (C. R. 1841, XIII, p. 808-818). Nell’indice dei C. R. invece ha il titolo seguente: Sur la nécessité d’introduire dans quelques parties de la physique une nomenclature nouvelle. Memorie R. Accad. Scien. di Napoli, 1843 (Nuova nomenclatura intorno alla scienza del calore). (Bibl. Univ. 1841, p. XXXV, p. 363-375. — Mem. Soc. Ital. 1844, XXIII, p. 3-15. — Taylor, Scient. Mem., 1843, III, p. 527-536). 50. Memoria sopra una colorazione particolare che manifestano i corpi rispetto alle radiazioni chimiche : sulle attinenze di questa nuova colorazione colla termocrosi e colla colorazione pro- priamente detta : sull'unità del principio d’onde derivano queste tre proprietà della materia ponderabile, e sull’equaglianza di costituzione dei raggi di qualunque maniera, vibrati dal sole e dalle sorgenti luminose o calorifiche (Napoli, Tip. Plautina, 1842). (R. Accad. Scien. di Nap., Rendiconto 1842, I, p. 11. — Bibl. Univ. Arch. 1842, XXXIX, p. 121-175. — Mem. Soc. Ital. 1844, XXIII, p. 97-155). È la celebre Memoria del 1842, di cui sì discorre a pag. 22 e seg. 51. Sur l’identité des diverses radiations lumineuses, calorifiques et chimiques. (C. R. 1842, XV, p. 454-460. — P. A. 1842, LXVII, 300-307). È questa una breve parte della grande memoria del 1842 mandata già stampata all’Ac- cademia. L’Arago disse: “ L’auteur s’y déclare partisan décidé de la théorie des ondulations. Suivant lui, l’hypothèse de l’émission ne saurait plus se soutenir ,. Non è dunque una pubblicazione a parte. 52. Nota sulla colorazione di alcuni umori e membrane dell'occhio ; e sulle conseguenze che ne deri- vano nella percezione de’ colori. (R. Accad. Scien. Nap., Rendiconto 1842, I, p. 103-109). * A. Cima nel 1850 (Ann. di Majocchi, III, p. 158) pubblicò delle ricerche Sul potere degli umori dell’occhio a trasmettere il calorico raggiante ; adoperò l'apparecchio di Melloni. È 03. Observations sur la coloration de la rétine et du cristallin. (C. R. 1842, XIV. p. 823-832 (Nell’indice del volume ha il titolo: Sur le maximum de pouvoir éclairant des rayons jaunes ; dispositions anatomiques qui, dans Veil humain, paraissent tenir à cette propriété de la couleur jaune). — Bibl. Univ. Arch. 1842, XXXVIII, p. 412-424. — P. A. 1842, LVI, p. 574-586. — Froriep Notizen,:1842, XXIII, col. 145-154). J. Janssen (A. Ch. (3) 1860, t. LX) ha impiegato l’apparecchio di Melloni per studiare l'assorbimento del calore raggiante oscuro nei diversi mezzi dell'occhio. b4. Alcuni risultati delle ricerche intraprese sulle proprietà calorifiche delle varie radiazioni che compongono lo spettro solare. (Atti Cong. Scienziati Ital., 1848, p. 464-466). . 00. Sur les courants d’induction provenant de l'action de la terre, par MM. Palmieri et Santi Linari. (Extrait d’une lettre de M." Melloni èà M. Arago). (L’Institat, 1843, 1° section, p. 225-226). — A. Ch. 1843 (3), VIII, p. 503). In seguito a relazione fatta dal Melloni su questo lavoro, Palmieri e Santi-Linari otten- nero dall'Accademia di Napoli L. 870 quale incoraggiamento per proseguire le ricerche. NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 51 56. Saggi d'una analisi calorifica dello spettro solare. (Museo Napoli, 1843, p. 279-306. — Bibl. Univ. Arch. 1844, XLIX, p. 141-168. — R. Accad. Scien. Nap. Rendiconto 1843, II, p. 403-422). 57. Alcune notizie sui fari (Napoli, 1843). Il Melloni, quale membro per la commissione dello stabilimento dei fari alla Fresnel nel regno di Napoli, pubblicò una Notizia popolare (scrive uno dei suoi biografi, il Napoli) che per lucidità e la nitida esposizione della scienza sta al confronto di pubblicazioni analoghe fatte dall’Arago. To non ho potuto vedere questo opuscolo. 58. Considerazioni intorno ad alcune obiezioni del Dott. Ambrogio Fusinieri e dei suoi seguaci contro la teoria di Wells ed altri principì ammessi dai fisici : a proposito di un passo del “ Corso di Meteorologia , del Kaemtz relativo alla formazione della rugiada. (R. Accad. Scien. Nap. Rendiconto 1844, III, p. 18-33. — Museo.,Nap. 1344, p. 123-144. — Nuovi Ann. Scien. Nat. 1844, I, p. 211-232). 59. Nuove esperienze intorno alla pretesa influenza delle scabrosità sulla emissione calorifica ; promosse da una proposizione del Kaemtz relativa al raffreddamento de’ corpi. (R. Accad. Scien. Nap. Rend. 1844, III p. 409-424. — Museo, Nap. 1844, IV, 346-355). 60. Recherches sur les températures des divers rayons lumineux qui composent le spectre solaire. (C. R. 1844, XVIII, p. 39-48. — P. A. 1844, LXII, p. 18-29. — L’Institut, 1844, T.° section, p. 10-11). i 61. Apergu sur l’histoire des courants dlectriques induits par le magnétisme terrestre. (R. Acc. delle Scienze di Napoli, 3 giugno 1845. — A. Ch. 1845 (3), XV, p. 34-46. — Arch. Electr. 1845, V, p. 370-382). In questa nota discorrendo delle esperienze di Faraday sulle correnti indotte dal magne- tismo terrestre dimostra una grande imparzialità di giudizio : “ Il est juste, toutefois, que l’on fasse une exception honorable en faveur de deux ingé- nieux physiciens italiens, Nobili et M." Antinori, qui eurent è peine connaissance de l’induetion électrique que M." Faraday venait de découvrir dans les aimants, et qui parvinrent aux deux expériences relatives au magnétisme terrestre avant d’avoir lu les Mémoires de l’auteur, et les inventèrent ainsi réellement une seconde fois. Mais, ces nouvelles recherches ayant une date postérieure, les physiciens n’ont jamais hésité sur l’origine de la découverte, qui fut toujours attribuée, avec raison, au génie de M." Faraday ,. 62. Discorso per la inaugurazione dell’ Osservatorio Meteorologico Vesuviano. (Atti del Congr. Scien. Ital. Napoli 1845, p. 1096-1099). In questo discorso tratta della sua importantissima scoperta del calore nella luce lunare; scoperta che è in relazione colla questione dell'identità della luce e del calore. È un breve ma bellissimo discorso. In esso discorre anche dei vulcani a doppio recinto. “ Signori, egli esclama, noi abbiamo rapiti i fulmini al cielo; ma quel che è, e quel che segue a poca profondità sotto questa terra che tutti calpestiamo e dove tutti abbiamo e vita e morte, è ancora un gran mistero per noi ,. Il Melloni non prese parte molto attiva agli altri congressi degli scienziati italiani a quello che ebbe luogo a Torino nel 1840 inviò una memoria Sull’assorbimento del calore eser- citato dal nero fumo, ece., che è quella segnata al n. 41. 63. Nuove esperienze sulla formazione della rugiada. (Bibl. di Farm. di Cattaneo, 1845, XXIII, p. 191-194. — Raccolta di Palomba, 1845, E p. 61-64). 52 I. GUARESCHI 64. Sulla potenza emissiva 0 radiante dei corpi. (R. Accad. Scienze Nap., Rendiconto 1845, IV, p. 6-16. — Museo (1), Napoli 1845, V, p. 246-257). 65. Cenni storici ed analitici sulle correnti elettriche indotte dal magnetismo terrestre. (Museo. Napoli 1845, VI, p. 150-163). 66. Osservazioni intorno a certi fenomeni di direzione che si manifestano ne’ vulcani a doppio recinto. (Museo, Napoli 1845, VII, p. 260-271. — Atti Congr. Scien. Ital. 1845, p. 1060-1062. — Bibl. Univ. Arch. 1845, LIX, p. 343-355). 67. Nouvelles recherches sur le rayonnement de la chaleur (Extrait d’une lettre de M." Melloni à M." Arago). (C. R. 1845, XX, p. 575-587. — P. A. LXV, 1845, p. 101-15. — Bibl. Univ. Arch. 1845, LV, p. 347-361). In sunto trovasi nell’Institut 1845, 1"° section, vol. XIII, p. 86-87, col titolo: Expériences relatives aux lois que suivent les irradiations calorifiques en sortant des corps chauffés au-dessous de l’incandescence. Il Melloni era, io credo, il fisico italiano del suo tempo che aveva una più profonda cultura matematica. 68. Remarques relatives à una réclamation de M. Santi-Linari, touchant une question de priorité débattue entre lui et Mx Palmieri (Extrait d'une lettre è M." Arago). (C. R. 1845, XX, p. 1796). Melloni (C. R. 1843, XVI, p. 1442-1444) con lettera ad Arago comunicò una nota di Pal- mieri e Santi-Linari “ sur les courants d’induction provenant de l’action de la Terre ,. Dietro relazione di Melloni l'Accademia di Napoli accordò 200 ducati a Palmieri e Santi-Linari per continuare le loro ricerche, come già è detto nel N. 55. i Il seguito di questa esperienza è in C. R. XVIII, p. 762-764. 69. Analisi delle tre memorie pubblicate ultimamente dal Faraday, intorno alle azioni delle ca- lamite e delle correnti elettriche sulla luce polarizzata € sulla massima parte dei corpi ponderabili. (R. Accad. Scien. Nap. Rendic. 1846, V, p. 199-210. — Cimento 1846, anno IV, p. 316- 325. — Museo, Napoli). 70. Alcune ricerche accompagnate da esperimenti sulla cagione della luce azzurra che illumina la grotta di Capri. (R. Accad. Scien. Nap. Rendic. 1846, V, p. 363-370. — Bibl. Univ. Arch. 1847, V, p. 821-322. — Giorn. Istit. Lombardo, Milano, 1847, I, p: 83-96. —. Mem. Soc. Italiana, 1850, XXIV p. 137-148. — Raccolta Palomba, III, 1847, p. 206-208, 209-213, 241-246). 71. Sur la nature des effets calorifiques produits par la lumière. (C. R. 1845, XXII, p. 644). È un cenno brevissimo d’una lettera di Melloni ad Arago, che questi lesse all'Accademia, e dove il Melloni sostiene l’identità della luce e del calore. Queste poche righe di Arago sì trovano citate come una nota di Melloni col titolo: Considérations sur l’identité de la chaleur et de la lumière. 72. Constitution du spectre. (L’Institut, 1846, 1° Sem., p. 128). Di questa nota non ho trovato traccia nei C. R. cor- rispondenti e dai quali pare che l’/nstitut l'avrebbe presa. Dice: NUOVE NOTIZIE SIORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 59 “ On sait que M." Seebeck a montré qu'en employant des prismes de différentes substances solides ou liquides, on déplagait le maximum de radiation calorifique du spectre. Cette parti- cularité, qui paraissait une objection insurmontable è l’assimilation des rayons calorifiques avec les rayons lumineux, vient d’étre expliquée de la manière la plus satisfaisante par M." Melloni. Ce savant physicien a reconnu que ce déplacement est dù è ce que les spectres tels qu'on les produit ordinairement, sont loin d’etre purs et proviennent de points du soleil fort distants les uns des autres. Quand on prend les précautions convenables pour avoir un spectre bien pur, le maximum de chaleur se trouve toujours dans le méme point des rayons rouges ,. 73. Sur la puissance calorifique de la lumière de la Lune (Lettre è M.* Arago). (C. R. 1846, XXII, p. 541-544. — Froriep Notizen, 1846, XXXVII, col. 193-196. — P. A. 1846, LXVIII, p. 220-224. — Electr. Mag. Walker II, 1846, p. 340-343. — Bibl. Univ. Arch. 1846, I, p. 298). A pag. 32 ho riprodotto le parole di Humboldt colle quali espone la scoperta di Melloni. Piazzi-Smyth ha nel 1847 (Sur l’expéd. astron. au Pic de Ténériffe, Bibl. Arch., vol. 34, p. 89) confermato in modo evidente, con un delicato termomoltiplicatore, le esperienze del Melloni, però senza ricordarle; ma le ricorda il direttore degli Archives. Per la parte storica si vegga il Jahresb. d. physikalis. Gesellschaft z. Berlin, t. II, p. 272 (Humboldt Cosmos, III, Ed. Gide, p. 524 e 708). Solo il termo-moltiplicatore quale fu perfezionato dal Melloni poteva dimostrare l’esistenza del calore lunare. Questo prezioso istrumento ha servito in tutte le più importanti ricerche sulle radiazioni calorifiche, sino a questi ultimi anni in cui furono trovati apparecchi ancora più sensibili. Il Bolometro di Langley può indicare circa un milionesimo di grado e misurare una quantità di calore inferiore a To 00 di grado. L’esperimento fu fatto da Melloni in un locale del proprio appartamento. Descrive questa esperienza anche nella sua Termocrosi, pag. 251. A pag. 252 serive: “ Nous pouvons done con- clure que la science ne reconnaît aujourd’hui aucun rayon ayant la propriété d’éclairer les corps, sans posséder en méme temps la propriété de les échauffer ,. W. Thomson (lord Kelvin) non si dimostrò forse abbastanza giusto quando nella sua con- ferenza: La théorie ondulatoire de la lumière (1884) (in Conférences scient. et Alloc., 1893, pag. 209) trattando del calore lunare ricorda Herschel ed i più recenti lavori di Langley (che confermò ed estese i lavori di Melloni), mentre tace affatto il nome del nostro fisico che primo dimostrò il calore lunare. Solo dopo Melloni si poteva dire con Thomson «he “ un effetto co- mune a tutte le radiazioni è il loro effetto calorifico ,. Il Langley stesso nella sua memoria Le Bolomètre (A. Ch. 1881 (5), t. di, p. 276), dice: “ la thermopile de Nobili, qui, dans les mains de Melloni, a porté si loin notre connaissance de l’énergie radiante ,. Nobile e Capocci proposero di impiegare l’apparecchio termo-moltiplicatore di Melloni per misurare la differenza di calore che vi può essere fra le macchie e le altre parti del disco so- lare (Atti del Congresso degli scienziati itatiani in Napoli 1845, p. 1028). Non so se in seguito sì siano fatte queste esperienze e quale risultato abbiano dato (!). 74. Sur la théorie de la rosée. (C. R. 1847, XXIV, p. 581-537 (lettre è M.? Arago, Naples 17 mars 1847); ivi p. 641-64 (2.m° lettre è M.® Arago, 18 mars). La memoria in extenso fu letta alla R. Accad. delle Scienze di Napoli, che se ne occupò in tre sedute. — A. Ch. 1847 (8), XXI, p. 145-160. — Edinb. New Phil. Journ. 1847, XLIII, p. 128-141. — Froriep Notizen, 1847, III, col. 113-119. — P. A. 1847, LXXI, p. 416-430. — Ueber Thaubildung in A. 1847, T. 64, p. 188). 75. Sur la théorie de la rosée. (C. R. 1847, XXV, p. 499-500. — Edinb. New Phil. Journ., 1852, LIII, p. 364-372. — P. A. 1848, LKXIII, p. 467-469). 54 I. GUARESCHI 76. Sur une expérience relative à la théorie de la rosée. (Bibl. Univ. Arch. 1847, IV, p. 402). 77. Rosée. Remarques théoriques et pratiques en réponse aux objections sur la théorie de Wells. (L’Institut 1847, 1"° section, p. 106 e 339). Questa nota contiene alcune osservazioni teoriche e pratiche in risposta a diverse obiezioni che furono fatte alla teoria della rugiada data da Wells. 78. Memoria sull’abbassamento di temperatura prodotto alla superficie terrestre durante le notti calme e serene; e sui fenomeni che ne risultano nelle basse regioni dell'atmosfera. (Museo. Napoli 1847, p. 25-55, 175-179, 326-342. — R. Accad. Napoli, Rendic. 1847, VI, . — Taylor, Scient. Mem. 1852, V, p. 453-476, 530-552). Veramente questo non è un unico lavoro, ma sono due memorie che negli Annales de chim. et de phys. hanno il titolo: “ Mémoire sur le refroidissement nocturne des corps exposés à l’air libre par un temps calme et serein, et sur les phénomènes qui en résultent près de la surface terrestre , (trad. de l’italien), 1848 (3), t. XXII, p. 129-160. La seconda memoria ha il medesimo titolo e trovasi nello stesso volume a p. 467-496. Il Tyndall nella sua memoria: On the Relation of Radiant Heat to aqueous Vapour (Phil. Mag., 1863 (5), t. XXVI), dice: “ Melloni, in his excellent paper On the Nocturnal Radiation of Bodies (Taylor’'s Scient. Mem., V, p. 551) gives a theory of the serein, or ex- cessively fine rain which sometimes falls in a clear sky a few moments after sunset ,,. Non è esatto quanto afferma l’abate Zantedeschi (1868, in una polemica col prof. Dal Pozzo) che cioè i fisici più eminenti che si occuparono dei fenomeni della rugiada e della brina siano solamente Mussehenbroeck, Dufay, Pictet e Wells; doveva aggiungere Melloni, le cui ricerche sulla teoria di Wells sono tanto apprezzate anche dal Tyndall. Il Zantedeschi non ve- deva di buon occhio nemmeno la Termocrosi del Melloni! 79. Mouvement alternatif du sol dans le golfe de Naples (con Niccolini). (L’Institut 1847, 1"° section, vol. XV, p. 368. — Bibl. Univ. V, 1847). Nota che è anche intitolata: “ Sur les hauteurs présentes et passées de la mer dans les rivières de Naples ,. P Melloni ricorda delle ricerche di Niccolini anche nella sua memoria sulla grotta di Capri (Arch. 1847, V, p. 329). 80. Ricerche sulle irradiazioni de’ corpi roventi, e sui colori elementari dello spettro solare. (Museo, Napoli 1847, p. 17-38. — Bibl. Univ. Arch. 1847, V, p. 238-253. — R. Accad. Scien. Napoli. Rendic. 1847, VI, p. 278-293. — P. A. 1847, LXXV, p. 62-81. — Sill. Journ. 1848, V, p. 1-14). Questa memoria molto importante, col titolo: Researches on the radiation of incandescent bodies and on the clementary colours of the solar spectrum, trovasi anche nel Phil. Mag., 1848 (3), t. XXXII, p. 262-276. In questo lavoro il Melloni non è d’accordo col Brewster, il quale ri- spose con una nota: Observations on the elementary colours of the spectrum in reply to M." Mel- loni (Phil. Mag. 1848 (3), t. XXXII, p. 489). D'accordo col Melloni furono invece Airy (1847), F. Bernard (1852) e l’Helmholtz. La memoria del Melloni fu scritta da lui in seguito ad un bel lavoro di Draper (1847). L’Helmholtz loda le ricerche di Drenee e di Melloni e le conferma (Pogg., Ann. 1852, t. 86, p. 501). : 81. Nuove esperienze dì Faraday. Intorno alla rotazione della luce polarizzata ne’ corpi diafani sottoposti all’azione delle calamite; e considerazioni generali sull’indole di questo fenomeno e sulla forza repellente d’ambi i poli magnetici per l’acqua, il vetro, il bismuto, e la mas- sima parte delle sostanze ponderabili. (Il Cimento, 1847, anno V, p. 260-272. — Museo, Napoli 1848, XIII p. 25-88). i al A cin NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI dd Il Melloni, quando poteva, rivendicava volentieri all’ Italia le scoperte che erano fatte dai nostri studiosi. Ecco quanto seriveva nel Giorn. Il Cimento (loc. cit., p. 266) a proposito di una esperienza fatta prima dal Belli e poi dal Faraday. “ Ebbi campo di consultare ultimamente, per la gentile compiacenza del professore (. B. Amici, una lettera del prof. Belli scritta al Commendatore Antinori verso la metà del mese di marzo 1846 (come ne fan piena fede i bolli delle poste Lombarda e Toscana segnati nella soprascritta) e quindi anteriore di molto all’ultimo lavoro del Faraday. In questa lettera tro- vasi chiaramente descritto il piano di un’esperienza, dove s’intendeva aumentare la presunta rotazione lucida nell’aria sotto l’azione delle spirali elettrodinamiche facendo passare più volte il raggio a traverso lo stesso strato. “I mezzi proposti per effettuare le ripercussioni della luce polarizzata, e la disposizione delle correnti elettriche non mi parvero convenienti allo scopo. Ma il pensiero delle successive riflessioni non sarebbe certo rimasto sterile nella vasta ed acuta mente dell’illustre fisico di Pavia, e lo avrebbe in breve guidato alla elegantissima conseguenza dedotta più tardi dal Fa- raday, se le circostanze gli avessero permesso di por mano all'opera, ed assicurare, a sè e al- l’Italia nostra, questo nuovo titolo di gloria scientifica ,. 82. Sulle condizioni magnetiche della fiamma e dei fluidi elastici ; con un'appendice relativa al- l’effetto della compressione ne’ corpi diafani che producono la rotazione della luce polariz- zata per mezzo delle calamite. (R. Accad. Scienze, Napoli, Rendiconto, 1848, VII, p. 172-184. — Corrisp. Scient. Roma (1), 1848, I, p. 364-363 e 372-373). 83. La Thermochròse ou la coloration calorifique. I'° partie. Naples 1850. Di questo libro del Melloni abbiamo discorso a p. 2% e seg. Questa è l’opera che il Tyndall chiama “ Melloni’s admirable Work, (Remarks on recent Researches on Radiant Heat. Phil. Mag. 1862, t. XXIII, p. 252). Augusto de la Rive ne diede un largo sunto nella Bibl. Univ. Arch. 1850, XIV, p. 177-196 e 257-287. L'autore stesso ne fece un riassunto alla R. Accad. delle Scienze di Napoli, Rend. Adun. gen. e feb. 1850, p. 7-12, col titolo: Sunto del primo volume di un’opera del Socio Melloni, letto dall'autore nella terza tornata accademica, 1850. Date le ragioni per le quali ha creduto di pubblicare l’opera in francese, prosegue : “ E dirò primieramente, che l’esattezza del metodo sperimentale che servì di base alle mie speculazioni, riposa sopra una nuova e precisa dimostrazione di una legge, ammessa sinora in fisica dietro a semplici presunzioni teoriche. Parecchi filosofi di altissimo merito tentarono in- fatti di verificare se l’azione illuminante o riscaldante di un centro d’irraggiamento decresce realmente, come lo faceva supporre la sua analogia colla gran forza che sostiene l'equilibrio dell'Universo, in ragione dei quadrati delle distanze. Ma i loro tentativi ebbero un esito infe- lice, segnatamente pel calore, che, secondo l’opinione del Leslie, seguirebbe la ragione inversa della semplice distanza alla sorgente calorifica. “ Ora, essendomi riuscito di porre fuor di ogni dubbio la legge de’ quadrati, mediante quello stesso strumento impiegato nelle mie valutazioni delle identità calorifiche, ne segue neces- sariamente : 1° che tali misure sono esatte; 2° che lo strato di aria, frapposto tra l’apparecchio termoscopico e l’origine della irradiazione, non assorbe nessuna quantità sensibile di calore ; ed ognun vede l’importanza vitale di queste due conseguenze per la scienza del calore allo stato raggiante ,. (1) Corrispondenza scientifica in Roma per l'avanzamento delle Scienze; è un giornale che si inco- minciò a pubblicare nel 1848 in Roma sotto la direzione di Fabri-Scarpellini. 56 I. GUARESCHI 84. Fatti scoperti ultimamente intorno a certe direzioni speciali che assumono quasi tutte le so- stanze cristallizzate, liberamente sospese sotto l’azione delle forze magnetiche; e considera- zioni teoriche relative a questa nuova classe di fenomeni. (R. Accad. Scien. Nap. Rendiconto 1850, IX, p. 141-160. — Annali di Majocchi, 1850, t. III, p. 246-259 e t. IV, p. 16-25). 85. Observations relatives à la note de MM. Masson et Jamin sur les actions calorifiques et lumi- neuses des radiations prismatiques. (C. R. 1850, XXXI, p. 470-478). 86. Sulle correnti elettro-chimiche misurate e rinvenute dal prof. Paura. Napoli, 1849. Rapporto di Semmola. (Rendie. R. Accad. delle Scienze di Napoli, 1850, p. 68). Il nostro Melloni espone all'Accademia di Napoli alcune considerazioni, dalle quali risulta che la sua opinione sulla memoria del prof. Paura non è perfettamente (si doveva dire: affatto) concorde con quella del relatore. 87. Polarità magnetica delle lave e roccie affini: calamitazione delle lave pel calorico. (Roma. Atti, V, 1851-52, p. 666-685). 88. Osservazioni intorno agli effetti del fulmine sopra una villa de’ dintorni di Napoli. (R. Accad. Scien. Nap. Rendie. 1852, I, p. 40-45). 89. Sopra alcuni importanti fenomeni osservati recentemente nel calor solare. (R. Accad. Scien. Nap. Rendiconto, I, 1852, p. 92-96). 90. Lettera del Sig. Macedonio Melloni al Sig. Principe Odescalchi presidente dell’Accademia de Nuovi Lincei. (Ann. di Seien. Mat. e Fis. di Tortolini 1852, III, p. 341-344). Questa lettera è datata da Moretta di Portici (agro napolitano) 28 giugno 1852 e in essa il Melloni tratta delle esperienze termoscopiche eseguite dal p. Secchi e dal prof. Volpicelli du- rante l’eclisse del sole visibile a Roma il 28 luglio 1851. Termina questa lettera con-un progetto di esperienze da farsi sull’atmosfera in due stazioni a differenti altezze. 91. Seconda lettera del Sig. Prof. Macedonio Melloni al Sig. Principe Odescalchi presidente del- VAccad. de” Nuovi Lincei (estratta dagli Atti della Sezione I del 28 Dic. 1851). (Ann. di Scien. Mat. e Fis. di Tortolini, 1852, III, p. 341). Questa lettera è datata: Moretta di Portiei (agro napolitano), 9 luglio 1852. Discorre del progetto sovraccennato. 92. Expériences sur le rayonnement solaire (lettre è M." Arago). (C. R. 1852, XXXV, p. 165-168. — P. A. 1852, LXXXVI, p. 490-500). 95. Ricerche intorno al magnetismo delle rocce: 4* Sulla polarità magnetica delle lave e rocce affini. 2.» Sopra la calamitazione delle lave in virtà del calore, e gli effetti dovuti alla forza coercitiva di qualunque roccia magnetica. (Mem. R. Accad. Scien. Nap. 1852-54, I, p. 121-164). 94. Sulle correnti elettriche di varia_tensione nello stesso conduttore metallico. (Mem. R. Accad. Scien. Nap. 1852-54, I, p. 319-326). rr a+ NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 57 95. Sull’induzione elettrostatica. (Mem. R. Accad. Scien. Nap. 1852-54, I, p. 327-334). 96. Principali proposizioni relative al magnetismo delle roccie. (Ivi, p. 187-191). 97. Recherches sur les substances diathermanes (lettre è M." Arago). (C. R. 1853, XXXVI, p. 709-713. — Bibl. Univ. Arch. 1853, XXIII, p. 77-82. — P. A. 1853, LXXXIX, p. 84-90). 98. Sulla Memoria intorno al magnetismo delle roccie. (R. Accad. Scien. Nap. Rendic. 1853, II, p. 141-145). 99. Lettre sur l’aimantation des roches vulcaniques (lettre è M." Arago). (C. R. 1853, XXXVII, p. 229). Con questa lettera invia all’Accad. la sua Memoria sulla polarità magnetica delle lave e delle roccie d'origine vulcanica letta all’Accad. di Napoli il 21 genn. 1853. 100. Remarques à l’occasion d’une note de MM. de la Prevostaye et Desains sur la transmission de la chaleur à travers le sel gemme (Extrait d’une lettre à M." Arago). (C. R. 1853, XXXVII, p. 293-295). 101. Recherches sur les substances diathermanes : remarques à l’occasion d’une communication de MM. de la Prevostaye et Desains (Extrait d’une lettre è M." Arago, Naples, 4 sep- tembre 1853). (C. R. 1853, XXXVII, p. 599). 102. Du magnétisme des roches (Extrait d’une lettre è M." Regnault, Portici, 28 nov. 1853). (C. R. 1853, XXXVII, p. 966-968). Una lettera analoga Melloni aveva inviato ad Élie de Beaumont. 103. Osservazioni intorno agli effetti del fulmine. (Corrisp. Scient. Roma, 1853, II, p. 274-276). 104. Osservazioni su le sperienze termoscopiche eseguite dal P. Secchi e Prof. Volpicelli du- rante l’ultimo eclisse del Sole visibile in Roma (28 luglio 1851). (Corrisp. Scient. Roma, 1853, t. II, p. 290-291). 105. Sopra alcuni fenomeni di elettricismo statico e dinamico, recentemente osservati da Faraday ne conduttori de’ telegrafi sotterranei e sottomarini (comunicazione letta dal Socio Melloni il 17 marzo 1854). (R. Aecad. Scien. Nap. Rendiconto 1854, III, p. 30-38. — Ann. Scien. Mat. e Nat. di Torto- lini, 1854, V, p. 133-142. — Corrisp. Scient. Roma, 1855, III, 139-142). Non ho potuto trovare le due lettere di Faraday a Melloni in data 30 genn. e 9 febb. 1854 accennate da lui stesso in questo lavoro. 106. Nouveaux renseignements sur la méthode la plus convenable pour déterminer la transca lescence d’une lame par rapport è diverses radiations calorifiques (Extrait d’une lettre è M. Elie de Beaumont). (C. R. 1854, XXXVIII, p. 429-433). Serie II. Tom. LIX. H 58 Ì. GUARESCHI 107. Parere intorno alla memoria del loro collega E. Capocci presentata all'Accademia il 23 aprile 1844, sotto il titolo: Su di un nuovo fenomeno cromatico nella luce crepuscolare (in- . sieme a De Luca). (R. Accad. Scien. Napoli, Rendic. 1854). 108. Recherches sur l’induction électrostatique (Lettre è M." Regnault). È questa l’ultima comunicazione che il Melloni fece all'Accademia di Parigi. (C. R. 1854, XXXIX, p. 177-188. — Bibl. Univ. Arch. 1854, XXVI, p. 314-328). In questa lettera ricorda le esperienze fatte dal Clark dietro sua proposta. Di questa let- tera del Melloni si è poi, nel 1879, occupato il Volpicelli, il quale la tradusse con note ed os- servazioni nell’opuseolo seguente : “ Lettera di Melloni al Regnault pubblicata ne’ C. R. XXXIX, 1854, p. 177, dichiarata con opportune note da P. Volpicelli. (Roma, Tip. delle Scien. Mat. e Fis., 1879, p. 18, in-8°) ,. 109. De l’induetion électrostatique (Extrait d’une lettre adressée è M.r Aug. de la Rive). (Bibl. Univ. Arch. 1854, t. XXVI, p. 314-828). La lettera è datata da Moretta di Portici, 10 luglio 1854. In una nota il de la Rive loda molto queste ricerche di Melloni, che confermerebbero al- cuni suoi dubbi precedenti sulla distinzione fra i fenomeni dell’elettricità per influenza e quelli dell’elettricità dissimulata. Il Volpicelli già sino dal 1855 (N. Cim. 1855, II, p. 100 e 145) si era occupato dell’in- duzione elettrostatica, indagando la natura di ciò che il Melloni aveva chiamato influenza per- turbatrice. Le esperienze elettrostatiche del Melloni furono argomento di discussione per parte di molti fisici; ma di ciò io non debbo occuparmi. Mi piace però ricordare le ammirevoli parole con le quali l’illustre fisico Belli di Pavia esprime il dispiacere di mostrarsi in opposizione alle idee del Melloni. Si veda con quanta cortesia, con quanta delicatezza scriveva, riguardo ad un collega! “ E qui non posso tacere il mio rincrescimento di mostrarmi in opposizione coll’immortale Melloni che tanto onorò l’Italia e a cui tanto dee la scienza; e di farlo in un tempo in cui egli non può più difendersi da sè, e nel quale non è a me' possibile, valendomi dell’amicizia di che egli mi onorava, fargli privatamente conoscere le difficoltà a cui vanno soggette queste sue nuove dottrine. Non avendo egli altra ragione movente che l’amore del vero, io penso che se ne sarebbe ricreduto ,.(N. Cim., 1858, VII, p. 98). 110. Sull’equaglianza di velocità che le correnti elettriche «di varia tensione assumono nello stesso conduttore metallico. (R. Accad. Scien. Nap. Rendiconto 1854, III, p. 77. — Ann. Scien. Mat. e Fis. di Tor- tolini, 1854, V, p. 319-325. Questa nota, di già stampata, fu trasmessa al Direttore del Gior- nale quattro giorni avanti l’irreparabile perdita dell'autore (N. d. D.). — Corrisp. Scientifica Roma, 1855, III, p. 221-222. — Bibl. Univ. Arch. 1854, XXVII, p. 30-37). Su questa memoria fecero una relazione all'Accademia di Napoli: Palmieri, Nobile e Gus- sone (Rendie. III, p. 70). Fu presentata il 7 luglio. È questo l’ultimo lavoro pubblicato dal Melloni. Nel pubblicare questa memoria nella Bibl. Univ. Arch. il de la Rive ne annunzia con*dolore la morte. Questo lavoro sì riferisce alle esperienze di Clark fatte dietro invito del Melloni ed accen- nate a pag. 42. Il de la Rive nel suo Traîté d’électricité scrive: “ Les expériences de M." Latimer Clark, que nous avons citées plus haut en montrant que la vitesse de propagation du courant est la méme, quelle que soit la tension de la pile, four- nissent une preuve bien forte en faveur de l’analogie que nous admettons entre le mode de NUOVE NOTIZIE STORICHE SULLA VITA E SULLE OPERE DI MACEDONIO MELLONI 59 propagation de l’électricité et celui des sens, qui se propagent avec la méme vitesse dans le méme milieu, lors méme qu'’ils sont plus ou moins aigus et plus ou moins intenses. C'est ce qu’avait remarqué M." Melloni, sur la demande duquel M.* Latimer Clark avait entrepris les expériences importantes dont nous avons fait connaître les résultats. Le savant physicien italien avait également observé que le retard que la vitesse du courant éprouve dans les fils souterrains par l’effet de l’induction latérale, doit étre le méme, et que par conséquent la vitesse absolue doit étre également la méme, quelle que soit la tension de la pile; et cela, parce que la portion de l’électricité qui est déviée du coté de la paroi du fil par l’effet de l’induction (ce qui produit le retard), y étant retenue par une force qui provient de cette électricité meme, elle doit né- cessairement varier proportionnellement è son intensité, et produire par conséquent un retard qui est toujours le méme ,. (A. de la Rive, Traité d’électricité théor. et appl., 1856, II, p. 138-139). “ Un fisico illustre, scrivevano Matteucci e Felici (1), di cui noi italiani particolarmente dobbiamo deplorare la perdita recente, invitava Faraday a ripetere le sue esperienze usando correnti di tensioni molto differenti fra loro. Il signor Latimer Clark, ingegnere della Compagnia dei Telegrafi inglesi, il quale di buon grado secondava il desiderio di Melloni, trovò che le correnti elettriche dovute a pile di tensione diversa si propagavano coll’istessa velocità, ‘o in altre parole, che una quantità data di elettricità a una forte tensione o una quantità più pic- cola a una tensione proporzionatamente più debole, apparivano all’estremità dello stesso filo dopo lo stesso intervallo di tempo, ece. ,. Nel 1855 Faraday e L. Clark pubblicarono insieme una memoria: “ Farther observations on associated cases in electric induction, of current and static effects, (Phil. Mag. (4), IX, p. 161 e Bibl. Arch. XXX, p. 328). Si vegga anche: GonxneLLE, “ Résumé des travaux faits pour déter- miner la vitesse de propagation de l’électricité ,. Ann. #Hégr., nov. e die. 1858. 111. PovrLuet-PAaLMIERI. — Due capitoli degli Elementi di Fisica del Pouillet furono tradotti dal Palmieri ed annotati dal Melloni. 112. Nouvel électroscope (note transmise par M." De Luca). Pubblicato dopo la morte del Melloni, (C. R. 1854, XXXIX, p. 1113-1117. — Ateneo Ital. 1854, III, p. 40-46. — Bibl. Univ. Arch. 1854, XXVII, p. 274-280. — R. Acc. Nap., Rend. 1854, III, p. 82-90. — Il Cimento, Torino, 1855, p. 82-83: rivista di scienze, lettere ed arti, che per alcuni anni si pubblicava a Torino). Fra le carte lasciate dal Melloni il Nobile trovò nel 1854 la descriziore di questo inge- gnoso elettroscopio, detto poi elettroscopio di Melloni. Questo lavoro fu presentato dal Nobile all'Accademia di Napoli col titolo “ Descrizione dell’elettroscopio di invenzione del cav. Melloni, rinvenuta, fra le sue carte ,. Nelle Memorie della R. Acc. di Napoli 1852-54, pag. 335-340, è descritto questo apparecchio col semplice titolo: Elettroscopio del cav. Macedonio Melloni, con una breve relazione, e commemorazione, di Palmieri, Nobile e Flauti. (1) Nuovo Cim., 1855, t. I, p. 281. Nel riassunto di una memoria di Faraday. VS gle 6 4046: lengi nad «Jxa= 0 Erli »fui 9» Più ii sò VT ’ i ss iv ì cd PECORE PPO DEL GRAN SASSO D’ITALIA STUDIO GEOLOGICO DI FEDERICO SACCO (CON UNA CARTA GEOLOGICA) Approvata nell'adunanza del 1° Dicembre 1907. Più di un secolo è trascorso dacchè 0. Delfico pubblicava la prima relazione scientifica sul Gran Sasso d’Italia (1) e per quanto in seguito parziali osservazioni geologiche siansi fatte in varie parti di questa regione montuosa per opera di Cap- pello (5), Tenore (4-7-20), Mozzetti (6), Hoffmann (8), Covelli (9), Pilla (10-11-18-19), Spada Lavini ed Orsini (12-13-17), Amary (14-15), Costa (16), Quartapelle (21-24), St. Robert e Berruti (23), Bonanni (25), De Marchesetti (27), Calberla (28), Pao- lini (29), De Giorgi (30-31), Forsyth Major (32), Canavari (33-35-36-40-41°*-46), Meneghini (38), Baldacci e Canavari (37), Cacciamali (42), Chelussi (45-49-54-61), Marchetti (43), Hassert (53), Sacco (62), Prever (63-65), ecc., tuttavia rimase finora assai incompleta la conoscenza geologica di questo interessante ed importante gruppo montuoso. Parvemi perciò opportuno dedicarvi una parte della campagna geologica del 1906 e di presentare ora riassunti in queste Note, e nella relativa Cartina geo- logica, i principali risultati ottenuti. Il Gruppo del Gran Sasso d’Italia, largamente inteso, si presenta, come un’unità geologica e geografica assai spiccata, irregolarmente subellittico. Infatti verso Nord e verso”Est esso si erge quasi di tratto per forte salto e corrugamento orogenico come una specie di muraglia calcarea eocenica, di mille a duemila metri di altezza, davanti all’ampia regione collinosa marnoso-arenacea miopliocenica del Teramano e del Chie- tino, con direzione dapprima da Ovest ad Est, poi, per rapida inflessione, da Nord a Sud; invece verso Ovest e Sud detto Gruppo è complessivamente limitato da una serie di fratture, dirette all'incirca da N.-0. a S.-E., e dalla conseguente ampia valle aternina. Detto gruppo subellittico collegasi però abbastanza regolarmente colla catena apen- ninica alle sue estremità, cioè sia ad 0.-N.-0. nei colli di Montereale-Borbona, sia spe- cialmente verso S.-E. nelle regioni di S. Demetrio-Capestrano. Siccome la carta geologica unita a questo lavoro più e meglio di qualsiasi descrizione può dare un’idea dello sviluppo delle varie formazioni geologiche e della loro distribuzione nel gruppo in esame, passo senz'altro alla loro sintetica descrizione. Ricordo qui incidentalmente che non trovai traccia dello strato vastissimo di Gneiss, accennato da Tenore e Cappello (5), come scoperto dall’Orsini presso Fano di Corno. [a9) 62 FEDERICO SACCO Infralias. La base stratigrafica delle formazioni costituenti il Gruppo montuoso in esame è rappresentata da calcari dolomitici biancastri, ora più o meno saccaroidi ed abba- stanza compatti, ora invece friabili pseudobrecciosi, qua e là quasi farinosi. Tale terreno viene a giorno per fratture e susseguenti forti spostamenti stratigrafici; e più precisamente per frattura, diretta da Est ad Ovest, sul fianco Sud-Est della piramide del Monte Corno, e per estesa frattura diretta da N.-0. a S.-E. sulla sinistra dell'alta Valle Aternina alle falde dei dirupati Monti di Pizzoli dove detta zona appare per molti chilometri di lunghezza colla sua caratteristica facies di Calcare dolomitico bianco breceioso polverolento, presentando anche uno spessore di 100 a 200 m. L’interpretazione cronologica di questa formazione riesce tuttora alquanto incerta per quasi mancanza di fossili; è bensì vero che il Canavari accenna aver trovato un frammento di Dicerocardium al M. Corno e che in analoghi terreni della vicina regione di Antrodoco furono segnalati dal Segrè resti di Megalodus Giimbelii Stopp, per cui tali fatti, uniti alla natura dolomitica della roccia, potrebbero far inclinare ad attribuire detto terreno al Trias superiore; ma la povertà e cattiva conservazione dei fossili non permettono per ora un giudizio sicuro in proposito e viceversa la graduale transizione di questi terreni al sovrastante Lias fa piuttosto inclinare a ritenerli infraliasici, Giura-Lias. î La serie giuraliasica è specialmente ben rappresentata dal Lias assai potente, racchiudente qua e là resti fossili che furono studiati dapprima dal Costa (16) e poi dal Canavari (35-36-37-41°%); anzi è essenzialmente su tali fossili, studiati partico- larmente dal Canavari, che si può in linea generale accennare ad una divisione di detta serie in vari piani. Giurese. — Calcari grigiastri con scarsi e mal conservati resti fossili. {| superiore: Straterelli calcareo-marnosi a noduli di selce con fossili piritizzati e spe- cialmente con numerose Ammoniti, cioè: Harpoceras bifrons Brug., H. comense V. Buch, H. radians Rein., H. Levesquei d’Orb., H. com- planatum Brug., Hammatoceras insigne Schub., H. ef. fallax Ben., Phyl- loceras cf. doderleinianum Cat., Ph. Capitanei Cat., ecc. medio: . . Calcari selciferi, spesso un po’ dolomitici, suberistallini, grigiastri, talora con tinte rosee, assai fossiliferi specialmente in Ammoniti (Harpoceras cf. radians Rein., PhyUloseras libertum Gemm., Lytoceras, ecc.) ed in Bra- Lias 4 chiopodi (RAynchonella pisoides Zitt, Rh. Mariottii Zitt, RA. Verrii Par., Rh. subdecussata M., Terebratula cerasulum Zitt, T. Taramellii Gemm., Pygope rheumatica Can., Spiriferina obtusa Opp., Sp. alpina Opp., Leptaena fornicata Can., ece.), oltre a Trochus, Pecten agathis Gemm., Crinoidi, ecc. inferiore: Calcari biancastri, più o meno cristallini, spesso alquanto dolomitici, con Rhynchonelle, Lime, Pecte@ agathis Gemm., Macrodon cf. Spallanzanii Gemm., Scurria cf. Dumortieri Gemm., Pseudomelania Raphis Gemm., | P. Falconeri Gemm., Chemnitzia cf. apenninica Gemm., Climacina Mariae Gemm., Arietiti, ecc. Ma in realtà sul sito tale distinzione riesce spesso assai difficile, tanto più che i fossili si incontrano solo qua e là (p. e. nella Conca degli Invalidi salendo al 3 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 63 M. Corno, a Fonte Grossa e Fosso S. Giuliano a Nord di Aquila, ecc.), ed inoltre difficoltà orografiche, oltre quelle prodotte da manti detritici, spesso si oppongono all'esame minuto e quindi alla sicura e regolare delimitazione dei singoli piani ; d’altronde non sembra che tutti i sopracitati fossili abbiano sempre una precisa e limitata posizione stratigrafica; sono particolarmente certe zone marnose schistose, grigio-verdiccie, a Fucoidi, che offrono i fossili più ben conservati e quindi più studia- bili come presso l’accennata Fonte Grossa. Consimili schisti grigio-verdastri, inclinati a N.-N.-0., affiorano largamente nella gola di Paganica dove possonsi comodamente osservare sulla destra del Vallone a circa metà strada tra questo paese e Camarda. Altri straterelli calcarei grigio-verdastri vediamo nel Vallone di Assergi presso Tenca diruta, ecc. La serie liasica è però costituita complessivamente di calcari grigiastri a strati- ficazione generalmente abbastanza visibile; però talora essi formano anche masse compatte in cui la stratificazione quasi scompare all'esame dettagliato solo più mo- strandosi in complesso, come, p. e., appunto nell’elevato gruppo del M. Corno. Spesso le formazioni liasiche assumono un aspetto rupestre, aspro, come appunto negli elevati rilievi indicati giustamente col nome di Corno grande e Corno piccolo. I fossili sono talora abbondantissimi tanto da indicarci locali formazioni organoge- niche, a Corallari, Brachiopodi, Chemmitzidi, ecc., come in parte del grande affiora- mento liasico del Gran Sasso; ma i fossili migliori per studio si incontrano sparsi specialmente in certe zone calcareo-marnose alquanto disaggregabili che furono già in gran parte segnalate dal Chelussi (49-61) ai cui lavori quindi rimando. Tali fos- sili, che si raccolsero nelle zone più visitate come presso Aquila (Fonte Grossa, ecc.) 0 lungo la salita al Gran Sasso, consistono specialmente in Ammonitidi dei gen. Ham- matoceras, Grammoceras, Caeloceras, Dumortieria, Arieticeras, Hildoceras, ecc., insieme con Pettini, Rinconelle, Rinconelline, Terebratule, Crinoidi, ecc. Ricordo p. e. come salendo al Corno grande, specialmente nella regione della Conca degli Invalidi, abbia riscontrato Amaltheus spinatus Brug., Peronoceras bollense Zitt., Chlamys cf. anomioides Gemm. e Di BI., fossili gentilmente determinatimi dal Prof. C. F. Parona, e che sono appunto tipici del Lias medio ed inferiore; mentre alle falde meridionali del M. Cefalone raccolsi un Hammatoceras cf. allobrogense Dum. del Domeriano, presso S. Barbafa di Paganica incontrai nel calcare grigio compatto un Harpoceratide, ecc. I terreni giuraliasici vengono a giorno essenzialmente per fratture ; queste sono dirette prevalentemente da Ovest ad Est circa, con rialzamento più o meno spiccato del labbro settentrionale, quindi detti terreni appaiono cogli strati pendenti a Nord circa e le loro testate rivolte a Sud, almeno in generale. Inoltre le linee di frattura mo- strano di succedersi parallelamente, come vediamo, p. es., andando dal Gran Sasso ad Aquila, nella qual direzione le successive fratture con relativo sprofondamento costituiscono quasi una gradinata discendente dai 2900 m. del M. Corno ai 700 m. dei dintorni di Aquila. Assai notevole è la potenza della serie giuraliasica, per lo più di un 200 o 300 m., ma che può anche oltrepassare i 500 m. come parrebbe verificarsi nel massiccio del Gran Sasso. Mentre generalmente i terreni in esame, formando la parte inferiore delle balze di frattura, sono altimetricamente poco elevati, al M. Corno dove essi si mostrano 64 FEDERICO SACCO 4 liberi dal solito terreno cretaceo, costituiscono la massima vetta apenninica oltre- passando i 2900 m. s. l. m. La serie liasica passa per lo più gradualmente in basso all’Infralias, ma verso l'alto sovente, pur mostrandosi abbastanza concordante col Cretaceo, lascia talora vedere qualche disturbo stratigrafico ed un certo hyatus che può anche diventare fortissimo: ciò ci spiega sia la relativa gracilità od anche la mancanza del Giurasico, sia persino la diretta sovrapposizione dell’Eocene sul Lias, come, p. e., nei monti di Paganica. Le regioni più comode per osservare la serie secondaria quasi completa sono i Valloni che intersecano le falde S.-0. dei Monti di Pizzoli da Arischia sin quasi a S. Pettino, dove vediamo infatti la seguente successione stratigrafico-litologica. Cretacico . . . — Calcari ben stratificati, spesso ondulati, bianco-grigiastri. Infracretacico. — Calcari grigi alquanto rupestri. Giurasico . . . — Calcari grigio-scuri, spesso in grandi banchi, rupestri. Liasico .... — Calcari grigi o grigio-bruni in banchi o strati regolari. Infraliasico. . — Calcari cavernosi, grigi, passanti a calcari dolomitici biancastri, friabili. Cretaceo. La formazione cretacea, assai potente ed estesa, è rappresentata da Calcari bian- castri con leggera tinta giallo-miele, spesso dolomitici nella parte inferiore, a strati- ficazione generalmente abbastanza visibile. Le regioni cretacee si distinguono spesso orograficamente per costituire rilievi allungati, grigi, aridi, denudati, foggiati a dorso di cammello, oppure regioni pure caratteristicamente aride, aspre, tormentate in mille modi dai fenomeni carsici che ne ridussero le superfici ad una specie di gigantesco ed irregolare crivello ad enormi maglie, in modo da ricordare zone crateriche, specialmente quando si guardano dette regioni complessivamente, p. es. nella R. Papa morto, tra Castel del Monte e Campo Imperatore. Si comprende quindi facilmente come tali regioni ad imbuti rappresentino zone eminentemente assorbenti l’acqua di pioggia o di fondita delle nevi, per cui anche nell'interno debbono presentare un’ infinita serie di fenomeni di erosione, dissolu- zione, ecc., mentre viceversa esternamente vi manca quasi sempre l’acqua salvo qualche ristagno temporaneo sul fondo un po’ melmoso delle conche carsiche. I fossili si mostrano qua e là abbondantissimi tanto da costituire veri depositi organogenici dove Corallari, Idrozoari, Rudiste, Camidi, Caprinidi, Nerinee, ecc. for- mano gli elementi più comuni ed appariscenti. Ciò osservasi particolarmente in alcune regioni speciali, così p. es. nei dintorni di Castel del Monte e di Calascio regioni dove, fra i calcari grigio-biancastri o giallo-miele, abbondano in modo straordinario le Ellipsactinie (E. ellipsoidea, E. thyrrenica), già studiate dal Meneghini (38) e dal Canavari (40, 46), ed altri grossi Idrozoari, i Corallari (Stylina, Oyathophora, ecc.), gli Echinidi, le Camidi, i Gasteropodi (con predominanza di Nerineidi, fra cui gigan- teschi Cryptoplocus, ed Acteonellidi) e dove trovai persino alcune Ammonitidi indeter- minabili, ma che mi parvero di tipo cretaceo. Nel rilievo allungato del Monte di Cerro, specialmente salendo da S. Kusanio alla Madonna del Castello, trovasi una gran quantità di fossili, specialmente Camidi; nei dintorni di Collicello (Cagnano 5 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 65 Amiterno), presso Castiglione (ad Ovest di Tornimparte) a contatto dei Calcàri num- mulitici, i calcari cretacei sono pure zeppi di Camidi, Gasteropodi, Corallari, ecc. I Monti di Bagno e d’Ocre, già noti da tempo per la ricchezza in Cerizidi, Glauconie, Nerinee, ecc., le cui tipiche sezioni appaiono facilmente a chi salendo da S. Felice a S. Martino osserva i tagli fiancheggianti lo stradone, e da alcuni autori (47) inter- pretati come fossili giurassici, ora diventarono regioni paleontologicamente famose per le ricerche del Chelussi (49, 59, 61) e gli studi del Parona (48, 52, 67) e dello Schnarrenberg (57) specialmente attorno al Colle Pagliare. Rinvio quindi a tali lavori solo ricordando come recentemente il Parona (68) così abbia sintetizzato la serie eretacea dei Monti di Bagno. Senon.? — Calcari bianchi a Orbitoidi e Calcari cereo-chiari compatti con piccoli Gaste- ropodi e Foraminiferi (Orbitoides, Idalina, Lacazina, ecc.). Calcari chiari con Ippuriti e Biradioliti. Calcari cerei e bianchi a Lumachelle con Nerinee, Glauconia, Acteonelle, Chondro- Turon. donta, Vola, ecc. | Calcari compatti con Ellipsactinie e piccola Requienie, Calcari biancastri o giallastri, stratificati v massicci, assai potenti, a Nerinea forojuliensis, inglobanti per passaggi laterali ed intercalazioni: @) Calcari stra- tificati, con marne intercalate varicolori, brecciose, con detriti di Rudiste, Ga- Cenom. steropodi mal conservati e numerosi Coralli, nonchè una forma di Parkeria; b) Calcari bianchi di scogliera con Orbitoline, Corallari e Molluschi, special- mente Camacee (Imeraliti, Caprotine, Policoniti, Toucasie) e una settantina di forme di Gasteropi. È questa specialmente la così detta Fauna di Colle Pagliare. È ad ogni modo certo che estendendo le pazienti ricerche paleontologiche, state ora concentrate essenzialmente nella regione di Colle Pagliare, ne verrà fuori pel Cretaceo dell'Abruzzo una fauna ricchissima e svariatissima. In formazioni, di età un po’ incerta, dei dintorni del Rifugio del Gran Sasso, abbondano le Amphiastraea, le Aulastraca, le Polyphylloseris, le Diplarea, le Acanthogyra, le Stylina, ecc. Una netta distinzione di piani nella serie cretacea riesce alguanto difficile ; tutt'al più si può dire che il Cretaceo superiore, o Cretaceo p. d., presenta qua e là resti di Rudiste (diventando talora un calcare ippuritico), nonchè zone straordinaria- mente féssilifere come quella famosa di Colle Pagliare; invece il Cretaceo inferiore, o Infracretaceo, talora un po’ dolomitico specialmente verso la base, mostra piuttosto resti di Chamidi, costituendo talvolta un Calcare a Camacee od a Requienie. Quanto alle Ellipsactinie che si credettero dapprima essenzialmente caratteristiche del Giurasico ed ora si riconobbe estendersi pure nell’Infracretaceo apenninico, parmi, specialmente da quanto osservai nei dintorni di Calascio-Castel del Monte-S. Stefano Sessanio ed altrove, che siano molto sviluppate nel Cretaceo p. d. sino alla sua parte superiore. Ho accennato sopra alla ricchezza in fossili della regione di Castel del Monte- Calascio, ecc.; ma in proposito si affaccia una grave questione. Cioè durante il rile- vamento geologico ebbi ad osservare che i banchi calcarei più o meno rupestri (ms che non constatai fossiliferi) dei dintorni di Ofena potevano ricordare il Giuralias 0 forse meglio l’Infracretaceo; invece quelli sovrastanti e tanto fossiliferi dei Colli di Castel del Monte-Calascio, con prolungamento ad Ovest sin oltre S. Stefano, parevano Serie II. Toxm. LIX. I 66 FEDERICO SACCO 6 passare abbastanza gradualmente ai calcari eocenici, per cui mi sembrò logico di attribuirli alla serie cretacea, largamente intesa. Ma la ricea fauna che vi potei raccogliere, che fu gentilmente determinata dal Parona pei Molluschi ed i Crinoidi e dal Prever pei Coralli, mostrò invece una grande affinità col Titonico, specialmente di Stramberg, ecc., ciò che d'altronde già era apparso al Canavari e ad altri come risulta anche dalla coloritura data a questa regione nella Carta geologica d’Italia del 1889. La fauna in questione, essenzialmente dei dintorni di Calascio, è la seguente : Thecosmilia virgulina Et. * Placastraea aprutina Prev. = flabella Blainv. var. com- Ellipsactinia ellipsoidea Steinm. pacta Kob. n tyrrhenica Can. si serrata Prev. Balanocrinus subteres Miinst. Amphiastraca Saccoi Prev. Cidaris carinifera Ag. Acanthogyra Ogilviei Prev. Pecten nebrodensis Gemm. e Di BI. Astrocaenia Bernensis Koby. » anastomoplicus Gemm. e Di BI. Epistreptophyllum commune Milasch. Narica ventricosa Zitt. (2) Montlivaultia obconica Mstr. Nerita Seebachi Zitt. Leptophyllia compressa Prev. Zittelia crassissima Zitt. Cyathophora globosa Og. Itieria austriaca Zitt. È claudiensis Et. Ptygmatis Wasinskiana Zeusch. 4 Gresslyi Kob. Cryptoplocus depressus Voltz. Per quanto peso debbasi dare al responso paleontologico, tuttavia pel motivo sovraccennato, salvo di ammettere un grande /yatus fra Eocene e Giurasico, ciò che all'esame geologico non appare, sembrami più naturale per ora di attribuire questa grande formazione fossilifera al Cretaceo, da cui però potrebbero forse ulteriori fortunate ricerche paleontologiche far distinguere una parte inferiore riferibile al Giurasico. Non sarebbe d'altronde improbabile che il criterio paleontologico dovesse subire qualche modificazione nel giudicare regioni fra loro distanti, come appunto Stramberg e l'Appennino centrale e che questo criterio modificato servisse a schiarire quelle incertezze e quelle apparenti contraddizioni che abbiamo ora indicate e che d'altronde consimili risconfraronsi anche altrove; così, p. es., nell'Isola di Capri, come pure nei Monti di Ocre (47) dove il Levi determinò tutta una serie di fossili giurassici in terreni ritenuti ora invece come cretacei. Tali fatti naturalmente aumentano le diffreoltà dello studio geologico dell’A ppen- nino, aggiungendosi ancora che spesso neppur l’incontro di fossili cretacei ci assicura dell'età cretacea del terreno che li ingloba, come vediamo per esempio presso il Rifugio del Gran Sasso, presso le capanne di Campo Pericoli, ecc., dove troviamo resti di Camidi e di Alectrionidi di tipo cretaceo in terreno forse eocenico; anzi in ‘vaste regioni, come vedremò più avanti, notevoli formazioni che paiono riferibili all’Eocene inferiore sono appunto molto ricche in tali resti cretacei, acerescendo così sempre più le difficoltà della delimitazione dei piani geologici. Nell’andamento tettonico delle formazioni cretacee vediamo che alle pieghe, grandi e numerose, spesso si intercalano parecchie fratture fra cui alcune estese e con forte rigetto o sprofondamento, tanto che, p. es., nella regione montuosa a Sud Est di Aquila, abbiamo una vera e tipica zona od immenso campo di fratture (orografi- camente anche ben riconoscibili dalla forma a gigantesche gradinate), fratture per —r—_— ——_— T IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 67 lo più dirette da N.-O. a S.-E., ma alcune anche un po’ divergenti da tale anda- mento prevalente. La regione montuosa compresa tra Monticchio, Monte d’Ocre-Rocca di Cambio e Campana, è veramente una regione tipica, classica direi, per ripetute fratture e più o meno grandiose gradinate che interessano anche l’Eocene, continuan- dovi poi in quest'ultimo terreno nella prossima regione di Fagnano Alto-Ansidonia. Questo complesso ed imponente sistema di fratture, che non hanno ancora tutte rag- giunto un assetto definitivamente stabile, ci dà ragione della relativa frequenza dei Terremoti nell’Aquilano. Quanto alla causa del grande fratturamento della regione aquilana, come d'altronde degli Abruzzi in generale, essa, credo, debba attribuirsi in gran parte alla relativa rigidità delle masse del Secondario, per cui sotto l’azione delle potenti spinte tangenziali tali masse spesso si frantumarono spostandosi per scorrimenti, piuttosto di piegarsi, come invece si verificò spesso nelle finitime regioni dell'Umbria e del Molise dove sonvi zone marnose o marnoso-argillose, relativamente flessibili, nel Cretaceo e nell’Eocene. La serie cretacea ha uno spessore assai variabile, ma che spesso è di 300 a 400 metri, fors'anche raggiungendo in alcune regioni i 600 e più metri. Altimetri- camente essa oltrepassa anche i 2000 metri s. 1. m. come nei Monti d’Ocre, toccando quasi i 2500 m. nel non molto lontano M. Velino. Quanto ai rapporti della formazione cretacea con quelle sotto e sovrastanti, se vi è talvolta un Ayatus più o meno notevole, sovente invece osservasi un passaggio abbastanza graduale sia al Giurese, tanto che non è sempre facile segnarne la deli- mitazione, sia all’Eocene, col quale ha talora analoga la facies litologica. Anzi neppur l'esame paleontologico può sempre servire per detta distinzione cronologica perchè, come già accennai, non di rado trovansi fossili cretacei anche abbondantemente sparsi, più o meno incompleti, in una zona che pare riferibile all’ Eocene, per un fenomeno di rimaneggiamento abbastanza curioso ed interessante. La regione Le Rocce (0.-N.-0. di S. Stefano Sessanio) è una delle migliori località per osservare il pas- saggio dai tipici calcari ad Ellipsactinie ai Calcari dell’Eocene inferiore molto ricchi in fossili (Operculine, Heterostegine ed anche Nummuliti come sl M. Cappellone) spesso più o meno infranti e rimaneggianti, fra cui sono frequenti i resti di Rudiste, come p. es. nei dintorni di Fonte Chiusola. Però sovente il Cretaceo viene più o meno discordantemente ricoperto dall’ Eocene; uno dei punti in cui meglio si può vedere direttamente questa sovrapposizione si è nel profondo intaglio naturale dell’alta Valle di Formalisca presso la Fonte Nera (N.-0. di Colle Brincioni), sorgente che qui, come in altri casi analoghi, sembra originata da differenze litologico-stratigrafiche tra i Calcari eocenici e quelli cretacei sottostanti. Riguardo allo sviluppo del Cretaceo, oltre a quanto appare dalla carta geologica, debbo accennare che probabilmente un’ampia ed allungata anticlinale di questo ter- reno costituisce il substratum profondo del Campo Imperatore (l. s.), sostenendo la grandiosa muraglia ellittica, eocenica, che forma la catena dei Monti Brancastello- Prena - Camicia - Capo di Serre - Bolza - Archetto e Paganica. Infatti vediamo la for- mazione cretacea scendente dalla tipica regione di Castel del Monte immergersi sotto il grande piano quaternario della Vetica. Inoltre nella parte inferiore del fianco setten- trionale del grande piano in questione, da Vado di Corno al M. Faeto, M. Veticoso, ecc., sviluppansi-calcari biancastri cristallini spesso friabili, ricordanti persino certi calcari 68 FEDERICO SACCO 8 dell’Infralias, e che per l’assieme pensai dapprima doversi riferire al Cretaceo, tanto più che altri aveva già accennato (31) essersi rinvenuto Ippuriti in queste regioni; ma non avendovi potuto riscontrare fossili ben conservati, nè i resti di Ippuriti bastando ad assicurarne l’età (giacchè in queste regioni spesso abbondano frammenti di tali fossili in terreni forse eocenici), così nel dubbio lasciai per ora questa formazione unita alla sovrastante tipica e fossilifera serie eocenica, da cui però non sarebbe im- probabile si debba distinguere attribuendola al Cretaceo (1); ma ad ogni modo rimane abbastanza fondata l’idea di una specie di dolce dorsale cretacea, specialmente accen- tuata a Nord, che sorregga, direi, gran parte del Campo Imperiale, tanto più che i calcari biancastri sovraccennati veggonsi, nei tagli al fondo dei Valloni scendenti a Nord di Campo Imperatore (l. s.), costituire appunto dolci anticlinali, quasi ondula- zioni superiori dell’anticlinale cretacea sottogiacente. I rilievi mediani del M. Paradiso-M. Mutri coi loro banchi fossiliferi (con resti di Sferuliti) doleemente inclinati parte a Nord e parte ad Est, appoggiano il motivo geotettonico sovraindicato, il quale d’altronde si potrebbe quasi considerare come la continuazione della zona anticlinale di Castel del Monte, che è ad inclinazioni per lo più assai dolci, solo mostrando disturbi tettonici un po’ forti, forse anche di frattura, verso Ofena, nel M. della Serra, nel Lombo di Asino, ece., che formano appunto caratteristici rilievi allungati ed orograficamente individualizzati per cause originali tettoniche. PEocene. I terreni eocenici presentano nella regione in esame uno straordinario sviluppo, anche perchè costituiscono quasi il mantello superiore generale del gruppo montuoso del Gran Sasso, formando eziandio parte importantissima delle sue cime principali. L'Eocene inferiore è talora difficilmente separabile dal Cretaceo superiore, avendo i due terreni eostituzione litologica analoga e talora alcuni strati eocenici più o meno breccioidi presentando frammenti, evidentemente rimaneggiati, di Rudiste. Se però ulteriori ricerche facessero propendere ad attribuire al Cretaceo tali zone a resti frammentati di Rudiste e Camacee, ne verrebbe assai più esteso che nell’unita Carta geologica lo sviluppo della formazione cretacea aquilana, così nei monti di Camarda, attorno al Campo Imperatore (1. s.), ecc. (1). È specialmente nell’estesa formazione eocenica che sviluppasi ad Est del Vallone Assergi-Paganica che, nella parte inferiore della serie, osservasi la frequenza di resti di Rudiste nei Calcari fossiliferi dell’Eocene, come pure alle falde meridionali del M. Corno, nei rilievi circuenti il Campo Imperiale, ecc.; così da Assergi al gruppo del Cristo e di qui a S. Stefano di Sessanio si può seguire la seguente serie: superiore: Calcari-teneri, ora farinosi, ora marnoso-schistosi, bianco-giallastri, ta- lora con fossili pseudomiocenici. Eocene < medio: . . Calcari compatti nummulitiferi. Î inferiore? Caleari biancastri, suberistallini, con frequenti resti di fossili per lo più infranti, fra cui frammenti di Rudiste (1). Cretaceo. — Calcari suberistallini biarfcastri o color giallo-miele con Ellipsactinie. (1) Nella Carta geologica distinsi tali zone ed altre analoghe, un po’ incerte, appunto con uno speciale punteggiamento verde su fondo giallo. 9 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 69 In generale però la formazione eocenica si distingue da quella cretacea sia per maggior compattezza, in modo da originare spesso un paesaggio più dirupato ed erto, sia per presentarsi spesso molto ricca in fossili, non solo Nummuliti e Litotammi, ma Corallari, Echinidi, Briozoi, Pettini, Ostriche, Trochidi, ecc., fossili che in certi strati formano un vero impasto di organismi, quantunque in parte allo stato frammentario, ciò che ne rende difficile la determinazione. Sonvi anche banchi speciali, particolar- mente nell’Eocene superiore verso Val Pescara, essenzialmente a piccoli Litotammi che appaiono abbastanza spiccati per la speciale struttura labirintoide che dànno alla roccia. I Calcari eocenici seno di costituzione e tinta assai variabile; per lo più bianco- grigiastri o giallognoli, ma talora rosei, specialmente nella parte medio-inferiore della serie, come incontriamo, p. es., sotto Casaline nel seno eocenico di Forcella ed assai di frequente nel Gruppo del Gran Sasso dove dette zonule rosee sono spesso num- mulitifere e servono quindi di ottima guida lito-paleontologica per facilmente rico- noscere l’ Eocene. Ricordo però in proposito che l'aver osservato sull’ estrema vetta del Gran Sasso qualche zonula calcarea roseo-verdiccia, insieme con qualche altro carattere, mi aveva fatto dubitare dapprima che vi fosse colà una placca eoce- nica sul Lias, idea che poi non mi parve adottabile poichè anche nella serie liasica esistono qua e là zone variegate consimili. Invece tipici calcari schistosi rosati, di passaggio tra Cretaceo ed Eocene, vediamo lungo la strada Nazionale Vomano-Aterno presso il colle al km. 51-52. Terreni analoghi veggonsi affiorare presso Marano (alta Yalle Aterno). Del resto tale tinta rosso-rosea non è assolutamente caratteristica di un dato piano, apparendo sia nel Cretaceo superiore, sia nell’Eocene. Debbo qui ricordare il fatto interessante che mentre nei Calcari bianchi, com- patti, subcristallini, dei dintorni del Rifugio del Gran Sasso d’Italia e di qui verso Est non è raro incontrare Paronaea variolaria Lk., Chapmania cf. gassinensis, Gypsina vescicularis P. I., ecc., a tipo nel complesso nettamente eocenico, invece in calcari di tinta rosata, che raccolsi in vicinanza dei primi, il Prever riscontrò una ricca fauna a Lepidocycline (L. Raulini L. e D., L. Morgani L. e D., L. Tournvueri L. e D., L. sumatrensis Brady, L. marginata Micht) e parecchi Nummuliti (Paronaea Boucheri De la Hi, P. vasca I. e L., P. Bouillei De la H., P. budensis Hantk., P. subbudensis Prev.), assieme con resti di Heterostegina reticulata Rut. e di Eupertia, nonchè Lito- tamni, ece., cioè una fauna creduta oligo-miocenica. Orbene, anche prescindendo dalla facies subcristallina di questi calcari rosati e dal fatto che la loro tinta roseo-rossigna credo accenni all’Eocene un po’ antico, la loro posizione stratigrafica conferma in detta regione tale relativa antichità, per cui parrebbe strano vedervi abbondare le Lepidocycline, alcune anche di tipo ritenuto miocenico, se non fosse che tale fatto parmi soltanto sempre più confermare l’idea che da più anni sostengo, che cioè le Lepidocycline non sono affatto esclusive del Miocene o dell’Oligocene, ma abbondano nell’Eocene dell'Appennino italiano. Del resto consimili calcari rosati a Lepidocycline compaiono in parecchi punt; dell'Appennino aquilano, per esempio presso Genzano (Sassa) la cui fauna, ricca in Paronee, Lepidocycline ed Operculine, fu elencata nella parte superiore della pag. 677 del lavoro del.Prever (65), che però la ritiene posteocenica. 70 FEDERICO SACCO 10 I Calcari dell’Eocene medio-inferiore sono spesso bianco-cristallini, talora un po’ dolomitici ed un po’ breccioso-farinosi; quelli inferiori sono talvolta tipicamente e regolarmente oolitici, racchiudendo allora anche qua e là resti di Grifee, come osservai p. es. nel rilievo collinoso che sorge dal piano conglomeratico di Campo Imperatore a S-E. della Fontana del Macino, come pure qua e là nei colli che chiudono all’Est detto Campo Imperatore. Altrove invece vi vediamo comparire zonule silicee, ed irregolarmente forelli- nate per alterazione, abbastanza caratteristiche dell’Eocene medio-inferiore. Nella parte superiore la serie eocenica diventa più marnosa o marnoso-argillosa, quindi meno compatta, spesso anche bizzarramente pieghettata e contorta, come p. es. verso il Vomano (Vedi figure in: F. Sacco, L’Appennino settentrionale e centrale, 1904). I fossili vi sono frequenti, come: Fucoidi svariate, Zoofici, Alghe calcaree dei gen. Cymopolia ed Aploporella, Foraminiferi diversi fra cui ricordo specialmente, per l’ab- bondanza loro, le Orbitoidi e le piccole Nummuliti (oltre ad Operculina, Anfistegina, Tertularia, Vaginulina, Discorbina, Polystomella, Heterostegina, Globigerina, Biloculina, Truncatalina, Spiriloculina, Anomalina, Bigenerina, ecc.); Antozoi dei gen. Flabellum, Stephanophyllia e Ceratotrochus; Eclinidi, come Conoclypus, Spatangus; Terebratuline, Terebratule; Aturie, molti Gasteropodi (Galeodea, Cyrsotrema, Turbo, Trochus, ecc.), moltissimi Pelecipodi, specialmente Pettini, Lucine, Foladomie, Ostriche, Lime, Limee, Arche, Nucule, Cardite, Cardii, Citeree, Veneri, Arcopagie, ecc.; denti di Squalidi, come Hemipristis, Chrysophris, Oxyrhina, Odontaspis, ecc. È appunto nell’Eocene superiore, a mio parere (ma Langhiano ed Aquitaniano per altri), che nella conca Aquilana, nell'alto bacino di Rocca di Mezzo, in Val di Pescara, ecc., si trova quella speciale forma a Lepidocycline, Pettini, Ostriche, ecc., che, per qualche carattere di miocenicità, viene ora generalmente ritenuta come miocenica, attribuendosi quindi al Miocene la potente formazione che la racchiude. Questione d’indole un po’ generale che non credo opportuno di discutere qui perchè l’ebbi già a trattare recentemente in una nota speciale sopra “ La questione eomio- cenica dell'Appennino, 1906 ,. Ricordo solo come una delle zone che trovai più ricche in Lepidocycline, tanto da formare qua e là veri strati a Lepidocycline accumulate in quantità straordinaria, è il versante occidentale del colle Petroso ad Est di Ca- marda, di fronte al paesello di Filetto; quivi la serie è ad un dipresso la seguente, quale la si può osservare salendo il fianco destro del profondo burrone di Filetto. superiore: Marne calcaree grigie è straterelli arenaceo-calcarei con Pettini, Oper- culine e specialmente Lepidocycline. Eocene 3 DE medio: . . Calcare grigio rupestre. inferiore: Strati calcarei e marnoso-calcarei. Lias. — Calcari grigio-brunìi in grandi banchi. Nei calcari, che appellerò di Filetto, a Lepidocycline (fra cui frequenti sono quelle anche assai grandi), questa Orbitoide, secondo le determinazioni gentilmente comuni- catemi dal Prever e dal Silvestri, è rappresentata da diverse specie, sia del gruppo della L. dilatata, sia di quello della L. marginata, cioè: L. dilatata Micht., L. Schlumber- geri L. e D., L. Raulini L. e D., L. marginata Micht., L. Verbeecki N. e H., L. Tournoueri L. e D., L. angularis N. e H., L. Morgani L. e D., L. sumatrensis Br., L. Chaperi L. e D. "VR cati dA nba rr 11 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 71 assieme a Paronaea Boucheri De la H. colla solita Operculina complanata Defr. ed altri svariati fossili (Litotamni, ecc.) formanti talora un vero impasto organico. | Ad evitare ripetizioni riguardo alle località fossilifere dell’Eocene, rinvio ai lavori (49, 61) del Chelussi e per la denominazione dei fossili alle note del Prever (63, 65), solo ricordando che, oltre alle tipiche formazioni nummulitifere a Orthophragmina, Paronaea, Laharpeja, Bruguierea, Gumbelia, Assilina, Alveolina, ece., da tutti ritenute eoceniche, inglobo pure nell’Eocene superiore, o Bartoriano (1. s.), le formazioni con Molluschi pseudomiocenici, qua e là con Lepidocyelina, Operculina, nonchè Paronaea, Laharpeja, Alveolina, Rupertia, Charpenteria, ecc., che detti autori, nonchè il Nelli ed altri, attribuiscono al Miocene (spesso qualificandole come Langhiano) od all’Oligocene. Ricordo, circa i Calcari eocenici del Gran Sasso, come già Canavari e Baldacci (37) vi avessero segnalata la Nummulites biarritzensis D’Arch.; più tardi la Gentile (54") vi riscontrò la N. laevigata Lk. e la N. Lamarcki D'Arch. et Haim., insieme con resti di Carcharodon auriculatus Blum. segnalati da Pasquale (60%). Negli strati calcarei, alternati con schisti marnosi, che sviluppansi sotto la sorgente del torrente Arno, per quei pochi campioni che ebbi a raccogliere, il Prever determinò la seguente ricca fauna: Paronaea Guettardi D’Arch., P. deserti De la H., | Orthophragmina radians D’Arch., O. stella D’Arch., O. priabonensis Giimb., Heteroste- gina reticulata Riit., Operculina complanata Defr., O. Thouini Tell., Gypsina vescicu- laris P. e J., Lituonella sp. ecc. È notevole la frequenza di impregnazioni bituminose od asfaltiche in diversi piani della serie eocenica; nella regione in esame il caso più interessante è dato dall’estesa zona asfaltifera che sviluppasi alle falde meridionali della catena di M. Prena-M. Siella e che è intaccata dai numerosi valloni che incidono detta catena spargendone i detriti sul piano di Campo Imperatore. Orograficamente i terreni eocenici, quando potenti, compatti e fortemente sol- levati, originano regioni alpestri di difficile percorso, come ad esempio la frastagliata, aspra, dirupata cresta montuosa sviluppantesi ad Ovest e ad Est del Gran Sasso, specialmente il M. Infornace ed il gruppo Prena-Camicia. Allora le regioni eoceniche si distinguono per facies rupestre dalle soggiacenti e circostanti regioni cretacee meno erte, rotondeggianti, come osservasi p. es. tra l’eocenico M. Bolza e la cretacea regione di Papa morto, talora costituendo nel complesso una specie di gradinata orografica nella regione di passaggio tra i due terreni. Ma viceversa quando preval- gono le zone superiori, spesso un po’ marnose, allora il paesaggio eocenico si fa assai più dolce, spesso anzi costituendo morbide colline o insenature frammezzo alle più erte regioni del Secondario, come appunto nell’ampio bacino aquilano ; in tali casi generalmente le regioni eoceniche si delineano per tinta giallastra e rilievo poco ac- centuato, essendo spesso quindi coltivate ed abitate, fra i colli cretacei grigiastri, denudati, brulli, slanciati, disabitati. I Caleari eocenici specialmente quelli un po’ teneri della parte superiore costi- tuiscono (col nome volgare di Pietra gentile) un ottimo elemento costruttivo ed anche ornamentale per la facilità colla quale possono venir lavorati, scalpellinati, ecc. Per la comodità ferroviaria sono specialmente famose a tale riguardo le collinette della regione il Petraro a Sud di Paganica; nei dintorni di Capestrano sonvi pure nume- rese cave in calcari, tanto più che la loro relativa leggerezza ne permette il tras- 72 FEDERICO SACCO 12 porto abbastanza economico anche lontano. Per la facile escavazione sono frequenti in tali terreni le grotte artificiali per ricovero di attrezzi o di animali domestici. Tettonicamente la formazione eocenica presenta i casi più vari; infatti spesso prende parte alle grandi fratture delle sottostanti masse secondarie ed allora presenta, colla testata dei suoi strati, alte pareti scoscese, come appunto nel Gruppo del Gran Sasso. Una delle più tipiche zone di fratture dell’Eocene, con interessamento più o meno spiccato delle soggiacenti masse cretacee, esiste nei Monti di Ocre-Rocca di Cambio e nell'ampia regione di Fagnano alto; in ambi i casi, ma specialmente rego- lare in quest’ultimo, osservasi una vera splendida gradinata orografica (Prata-Ripa- Valle Cupa, ecc.) di quattro o cinque scalini corrispondenti ad altrettante fratture con spostamento; trattasi di veri tipici campi di fratture, che, guardati dall'alto, ricordano, in grande scala, le comuni regioni di franamento con successivi smotta- menti. Una frattura con spostamento, che si può ben osservare direttamente dai dintorni del Rifugio del Gran Sasso, è quella che fece emergere il M. Intermesole, staccandone orograficamente le falde meridionali della lunga dorsale che tende al Pizzo Cefalone. Oppure l’Eocene presentasi più o meno fortemente corrugato od anche solo on- dulato, come in gran parte del Bacino aquilano (l. s.), costituendo allora estese zone collinose. Talora queste rughe originano l'emersione di rilievi eocenici frammezzo all’estesa zona miocenica, come è il caso per il curioso M. Queglia tra Corvara e Pescosansonesco, paese quest’ultimo il cui Borgo alto (presso il Castello) giace sopra un’erosa ma tipica volta anticlinale corrispondente all’estremità meridionale dell’elisse di corrugamento del M. Queglia, come si può nettamente constatare osservando la regione del Borgo da Nord e dall’alto. Numerosi casì di rovesciamento osservansi nella formazione eocenica ; bellissimo quello, p. es., che si può osservare guardando dal M. Bertona verso Sud, giacchè si vede la serie calcarea dei Cimoni di Ferraria e della R. Taffarelli rovesciata a dolce arco, inglobando in tale fenomeno tettonico anche le formazioni mioplioceniche di R. Buffaretta (impigliate) e di Ciliera (pure rovesciate). Fortissimi sollevamenti, anche con rovesciamento per certe zone, osservansi sui fianchi settentrionali della catena di M. Camicia-Prena-Brancastello e del gruppo centrale del Gran Sasso. Bellissimi arricciamenti osservansi assai bene nella zona più depressa della dor- sale che congiunge la Cima Malecoste al M. €orno; questa potente serie eocenica fortemente sollevata, contorta e parzialmente rovesciata vedesi complessivamente molto bene dalla dorsale del Gran Sasso. Viceversa per regioni estesissime sovente la formazione eocenica presenta una stratigrafia assai dolce e regolare solo con qualche ondulazione, come p. es. nella vasta zona montuosa estendentesi dal Val- lone di Camarda all’affioramento cretaceo di Castel del Monte, solamente con disturbi più o meno forti ma piuttosto locali; così p. es., presso il laghetto di Assergi gli strati nummulitiferi (Paronaca venosa F. M., P. Guettardi D’Arch., Operculina libyca Schw., Rupertia sp., ecc.) sono parzialmente drizzati quasi alla verticale in direzione N.0.-S.E. circa. Anche assai variabile è la potenza della serie eocenica che certamente in estese regioni, e fra queste quella del Gruppo del Gran Sasso, è di oltre 600 o 700 m.; ciò è anche in parte dovuto alla straordinaria abbondanza dei resti fossili che rendono spesso tale formazione un vero Calcare organogenico. 4 13 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA (i 9 } In rapporto colla grande potenza e colla tettonica, a frequenti ed accentuatis- sime fratture, sta il fatto che l’Eocene tocca in alcuni punti elevazioni fortissime, spesso superiori ai 2000 m., raggiungendo al Pizzo di Intermesole i 2645 m. s. 1. m. Tale altitudine, e quella ancor più forte della Majella (2795 m.), rappresentano le massime altezze a cui arrivi l’Eocene appenninico; esse sono non molto inferiori alla massima (minore di 3000 m.) che l’Eocene raggiunge nelle Alpi Marittime, ciò che presenta un certo interesse nella valutazione dell’intensità delle forze orogeniche che originarono dette due catene montuose. Miopliocene. Quale immensa fascia, settentrionale ed orientale, alla regione montuosa del Gran Sasso d’Italia si sviluppa la formazione che attribuisco al Miocene superiore, formazione che si insinua pure nella valle Aternina, per quanto vi si trovi ora ridotta in lembi scontinui mascherati inoltre parzialmente da depositi quaternari. Si tratta essenzialmente di strati e banchi arenacei alternati con strati e zonule marnose gri- giastre, il tutto costituente una serie potentissima. Viene essa spinta oltre 1900 m. s. 1. m. direttamente contro il Gruppo del Gran Sasso, oltrepassando i 2450 m. s. 1. m. nel gruppo montuoso situato a Nord, cioè del Pizzo di Sevo-M. Gorzano, dove detta formazione arenacea costituisce non la semplice fascia, come attorno al Gran Sasso, ma la parte essenziale della montagna. i Sovente certi banchi arenacei hanno facies e compattezza tali che fecero gene- ralmente confondere questa formazione col Macigno eocenico e quindi essa fu ed è tutt'ora da molti attribuita all’ Eocene, mentre credo trattisi di terreno assai più recente, cioè del Miocene superiore o Miopliocene come lo provano i suoi fossili per quanto scarsi, le lenti gessose, la gradualissima sua transizione al tipico Pliocene, ecc. Non di rado i banchi arenacei in questione si alterano profondamente riducendosi allo stato sabbioso originale, come vediamo p. es. nella regione inferiore di Tornim- parte. La sua generale attribuzione all’Eocene è in parte dovuta al fatto che sovente questa formazione arenacea s’accompagna, nello sviluppo regionale, colla vera forma- zione eòcenica calcarea, come vediamo in diverse regioni a N. e S. del grande Bacino aquilano, in quello della Rocca di Cambio, ecc. Ma se si esamina il fenomeno un po’ accuratamente si vede che se tale connessione, direi, della formazione arenacea con quella calcarea è assai frequente, non è però affatto generale, ed inoltre che tra i due terreni esiste spesso una discordanza fortissima, ciò che ci prova l’esistenza di un notevolissimo Ahyatus tra di essi. Detta connessione parmi ci indichi soltanto che alla fine dell’epoca miocenica esistevano ancora nell'Appennino centrale parecchie di quelle insenature e di quei bracci di mare che, più ampi, più allungati e più este- samente comunicanti, già esistevano durante l’epoca eocenica. I grandi banchi are- nacei predominano nella parte medio-inferiore della serie miopliocenica, come vediamo specialmente nella regione settentrionale del Gruppo del Gran Sasso, con splendidi esempi comodi ad osservarsi nell’alta Val Vomano; invece le marne vanno poco a poco divenendo più frequenti e più potenti nella parte medio-superiore, dove inoltre anche le arenarie sono spesso meno cementate passando non di rado a zone sabbiose. Serie II. Tow. LIX. 74 FEDERICO SACCO la Quanto alle lenti gessose (il Marmetto dei Teramani) esse sono piuttosto scarse, gracili e limitate, forse in rapporto alla natura prevalentemente sabbiosa della for- mazione in esame; ma esse hanno notevole interesse rappresentando una delle prove, direi, litologiche dell’età miopliocenica della formazione stessa malgrado la sua facies talvolta alquanto antica. Così pure le sorgenti, specialmente sulfuree, non sono rare qua e là in queste formazioni. Un fatto assai interessante presentato dai depositi in esame è l’inglobare essi qua e là, specialmente nella loro parte medio-inferiore, speciali lenti ciottolose o ciot- toloso-brecciose, ad elementi essenzialmente calcarei, spesso improntati, talora in- franti e spostati, per lo più cementati in compatto conglomerato. Anzi tale compat- tezza è sovente cosiffatta che la roccia che ne risulta assume un aspetto assai antico, per cui a primo tratto può dubitarsi che tali zone costituiscano affioramenti, in Klippen od in dorsali infrante, di forti pieghe di Eocene frammezzo al Miopliocene. Ma esaminando con cura la regione si vede talora come dette lenti conglomera- tiche si intercalino talvolta, anche ripetutamente, frammezzo agli strati sabbioso- marnosi miopliocenici, e che inoltre talora, per mancanza o scarsità del cemento calcareo, passino a zone ghiaioso-ciottolose di tipo relativamente giovane. Un bello esempio di ciò l'abbiamo a Sud di Carpineto della Nora nelle colline di Brittoli, dove appunto gli strati e banchi marnoso-arenacei, diretti N.-S. all'incirca, fortissi- mamente sollevati e persino rovesciati, spesso con splendide svariate icniti alla loro superficie (come sotto Brittoli), inglobano diverse lenti di questi conglomerati costi- tuenti colla loro compattezza il M. Ulive, mentre nelle vicinanze essi si disaggregano e passano a semplici zone ghiaioso-ciottolose. Anzi quivi si può comodamente consta- tare che sonvi qua e là ciottoli sparsi fra le marne sabbiose, in pieno Miopliocene, ciottoli che vanno aumentando di numero in certe zone fino a costituire conglome- rati cementatissimi, cioè le solite lenti conglomeratiche sovraccennate. Ecco, p. es., una serie naturale, a stratificazione assai sollevata e talora persino verticale, che si può direttamente osservare nei tagli freschi della nuova strada @ S.-0. di Brittoli, salendo : Straterelli marnosi ed arenacei fortemente ondulati. Potente zona marnoso-grigiastra. Strati conglomeratici, dello spessore complessivo di circa 2 metri, intercalati fra zone sab- bioso-ghiaiose. Zona di marne e di arenarie grossolane. Banco sabbioso-ciottoloso, di circa '/, metro, con elementi selciosi bruni frammisti ai ciot- toli calcarei grigi. Straterelli arenacei alternati con marne grigio-giallastre. Banco di conglomerato compatto dello spessore di circa 60 cm. Zonula marnoso-sabbiosa giallastra. Banco conglomeratico cementatissimo, di circa:*/, metro. Potente zona o grandiosa lente complessa, essenzialmente conglomeratica, costituente per la sua compattezza il rilievo di M. Ulive. Tali zone conglomeratiche evidentemente rappresentano locali depositi deltoido- litoranei in rapporto colle prossime elevate regioni, già allora in parte emerse e quindi in via di abrasione, del Gruppo del Gran Sasso. Le pressioni enormi a cuì esse los 15 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 7f33 andarono soggette sono indicate, sia dalla tettonica spesso assai conturbata, sia dagli elementi ciottolosi spesso rotti ed improntati, sia dai banchi stessi che sono talora bizzarramente lacerati, spaccati e colle varie parti alquanto spostate per gli avve- nuti stiramenti. Per la loro durezza i banchi conglomeratici sono talvolta utilizzati come materiale da costruzione, per pietra molare, ecc., come p. es. in Val Pescara dove detta roccia è conosciuta col nome di Pietra dura o Migliarina. Le regioni mioplioceniche si riconoscono anche di lontano per la loro ricca vegetazione arborea e quindi la loro relativa freschezza, che fa più o meno forte contrasto colle regioni eoceniche nude ed aride; inoltre dette regioni per la loro costituzione marnoso-arenacea, per la forma orografica e per la loro altimetria per lo più poco accentuata, si presentano anche atte a varie colture. Tali fattori agro- logici (collegati essenzialmente colla litologia), uniti ad una certa facilità nelle costru- zioni stradali, alla forma orografica relativamente dolce, alle frequenti sorgive, ecc. ci spiegano come le regioni mioplioceniche siano in generale assai più abitate di quelle eoceniche. Le colline mioplioceniche, quantunque generalmente piuttosto ele- vate e solcate da profondi valloni di erosione, in complesso sono prevalentemente rotondeggianti; salvo quando una serie di strati arenacei fortemente sollevati vi produce creste sublineari, oppure quando le compatte zone conglomeratiche vi ori- ginano rilievi aspri, acuti, elevati, spesso ruiniformi, come ne sono esempi il M. La Rocchetta, il M. Morrone, il M. Bertona, il M. Ulive, ecc. Là dove i banchi arenacei marginali di una zona miopliocenica si appoggiano sulle formazioni calcaree del- l’Eocene, spesso presentano curiose forme di frattura ed un bizzarro paesaggio rui- noso, come p. es. nei dintorni di Pietracamela. La presenza, anzi la frequenza di zone marnoso-argillose frammezzo alla for- mazione in esame vi produce sovente frane anche in piccola scala; orbene siccome le zone più depresse (ampie valli o bassi colli) hanno appunto come causa originale di tale forma orografica l'abbondanza di terreno argilloso, e viceversa sono pure per lo più quelle in cui l’uomo ha maggior convenienza di far passare le strade di co- municazione, ne deriva che ben sovente la viabilità viene gravemente intralciata dai franamenti e talora quindi centinaia di migliaia di lire vengono gettate (spesso pur- troppo indarno) per sostenere strade, ponti, scarpate, ecc. in continuo movimento; inconvenienti gravissimi che potevansi evitare in gran parte, portando invece il trac- ciato stradale su vicine zone prevalentemente arenacee e quindi più resistenti e meno franabili. Ne indico, fra cento, il doloroso esempio presentato dalla strada che da Carpineto della Nora sale a Brittoli. Viceversa le zone argillose forniscono qua e là buon materiale per laterizi e per ceramiche di vario genere; a questo proposito è fa- moso da molti secoli il paesello di Castelli, dove anche le sabbie silicee del Mioplio- cene sono utilizzate per la vernice vetrosa di dette terraglie. Le formazioni arenacee, oltre a costituire ottima base per le costruzioni stradali e per appoggi di testate di ponte (come quello di Rocca Finadamo ad Ovest di Penne, che posa appunto su enormi banchi arenacei drizzati alla verticale), forniscono pure qua e là buoni materiali da costruzione, pavimentazione ed anche ornamenta- zione, per la facile scolpibilità dell’arenaria. I fossili mancano generalmente nella formazione miopliocenica; furono bensì tro- vati rarissimi denti di Squalidi (OxyrMna, Sphaerodus, ecc.) e qualche resto di Mol- 76 FEDERICO SACCO 16 lusco (Ostraea, Mactra, ecc.), ma appena sufficienti per indicarci l’origine marina, di mare basso e littoraneo, della formazione stessa. Solo un po’ frequenti vi sono le lenti lignitiche che già accesero speranze di utilizzazione, ma che sono generalmente troppo gracili e sporadiche per meritare speciali escavazioni. La Tettonica del Miopliocene è delle più svariate. Infatti mentre i suoi strati superiori sono sovente appena inclinati, in modo da immergersi dolcemente sotto al Pliocene, invece nella parte media ed inferiore della serie gli strati presentano incli- nazioni notevolissime, spesso contrarie a quelle che dovrebbero essere le normali, come p. es., tra Bacucco e Roccafinadamo nei dintorni di Catignano-Cugnoli-Torre dei Passeri, ecc., regioni queste ultime dove gli strati marnoso-arenacei del Mioplio- cene pendono prevalentemente di 10° a 30° circa verso l’Ovest, invece che ad Est. verso mare, ciò che forse è in rapporto con una profonda propaggine settentrionale dell’anticlinale eocenica della Majella. I banchi miopliocenici sovente mostrano rapidi sollevamenti, drizzamenti e per- sino ribaltamenti più o meno forti. Bellissimi casi di drizzamenti, talora persino con rovesciamenti, si possono p. es. osservare nella zona arenaceo-conglomeratica che, ad Est del Campo Imperatore, si sviluppa ad un dipresso dai dintorni di Fonte del Tesoro sin oltre la Regione Rigopiano; essi sono specialmente tipici nel rilievo della Rocchetta e nella forra del Tavo presso la Sorgente Vitello d’Oro, dove l’incisione profonda del torrente mise a nudo l’arcato rovesciamento stratigrafico collegato ad una bella sinclinale. Del resto i prossimi rilievi del M. Morrone, di Pietrarossa, del M. Bertona e di Ciliera-Carpineta-Brittoli, presentano fenomeni analoghi. Fortissimi drizzamenti stratigrafici veggonsi nei colli di Montorio-Tossiccia-Ornano, ecc., paesi fondati appunto su banchi arenacei quasi verticali; così pure a Cermignano-Poggio delle Rose, nei prossimi Monte Giove e Colle Scaricalasino, nei colli di Bisenti-Bacucco, a Sud di Castelli nei colli di Rocca Finodamo, ece. Tali fenomeni sono in rapporto parte con locali ondulazioni stratigrafiche, parte coll’addensamento delle formazioni in esame contro i compatti rigidi rilievi calcarei dell’Eocene, per cui nello sforzo orogenico gli strati più giovani dovettero noteval- mente rialzarsi e persino rovesciarsi contro le masse più vecchie irrigidite, come p. es. tra i dintorni di Farindola ed il Pescara. Nelle insenature tra i rilievi cretacei le formazioni mioplioceniche, ora hanno disposizione stratigrafica suborizzontale, come semplici depositi poco disturbati dalla posizione originale, ora invece (e più frequentemente) presentano sollevamenti stra- tigrafici più o meno forti che ci indicano come detti terreni abbiano anche preso parte diretta ai corrugamenti che fecero emergere l'Appennino abruzzese, rimanendo essi così sovente compresi, compressi ‘e sollevati frammezzo alle rughe sinclinali dei terreni cretaceo-eocenici. Data la natura un po’ grossolana e littoranea dei depositi miocenici è facile comprendere come essi possano talora preseritare notevole spessore; infatti mentre nei lembi sparsi di questo terreno esso è spesso ridotto a poche diecine di metri, là dove si sviluppa più ampiamente, come nel Piceno e nel Teramano, esso può anche raggiungere la potenza di un migliaio di metri; ciò possiamo anche constatare diretta- mente e facilmente nei monti della Laga dove vediamo, p. es., che l’affioramento eocenico di Amatrice, spingentesi sino a circa 1400 m. s. 1. m., è coperto da una enorme pila 17 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 77 di strati arenacei, appena inclinati verso Est, che formano il gruppo di M. Gorzano toccante i 2455 m.; nè certamente la serie costituente detto monte rappresenta tutto il Miopliocene, mancandovi la parte superiore di questo piano. Mentre il Miopliocene è sempre più o meno fortemente staccato, per hyatus e discordanze, dai terreni sottogiacenti, invece esso talora mostra passaggi gradua- lissimi, stratigrafici e litologici, al Pliocene inferiore, come in alcune regioni del Teramano, tanto da lasciare incertezza nella loro delimitazione. Ma sovente pure in questa zona di passaggio il Miopliocene presenta disturbi stratigrafici, ondulazioni, sollevamenti più o meno locali, compatti banchi arenacei (quindi spiccati rilievi col- linosi), lenticelle lignitiche, ecc. che lo caratterizzano abbastanza bene. La carta geologica unita al lavoro mostra assai bene come la formazione mio- pliocenica costituisca a N.-E. un’amplissima fascia al gruppo montuoso del Gran Sasso e poi penetri dal Nord nella Conca Aternina od Aquilana che dir si voglia, certo sviluppandovisi molto più di quanto i potenti depositi quaternari lascino ora appa- rire, ed addentrandosi assai nelle depressioni allungate di Tornimparte, di Lucoli, ecc. Debbo anzi ricordare in proposito come nella elevata conca pianeggiante di Rojo si intravvedano qua e là, specialmente presso S. Marciano, strati arenaceo-sabbioso- micacei che paiono riferibili al Miopliocene, il quale quindi forse riempie parte del fondo di detta conca (donde la segnalazione a semplici tratti sulla carta geologica); ma il manto alluviale non permette di assicurarsi del fatto, pel che occorrerebbe una «piccola escavazione. Pliocene. Per l'immenso sviluppo della zona miopliocenica i terreni pliocenici trovansi solo a grande distanza dal gruppo del Gran Sasso e quindi nell’unita carta geologica essi appaiono solo per poca estensione e sono rappresentati soltanto dalla serie inferiore o Piacenziano. Si tratta essenzialmente di depositi grigiastri marnosi, spesso anche un po’ sabbiosi; anzi verso la base della serie pliocenica appare sovente una zona sabbiosa giallastra, che sviluppasi dalle colline di Penne a quelle di Castiglione Raimondo, Montefino, Cellino, ece., indicandoci che l'epoca pliocenica si iniziò quivi com un regime parzialmente littoraneo, ricordante alquanto la successiva fase astiana. Del resto tale facies sabbiosa del Piacenziano inferiore si può anche considerare come un residuo, direi, di quella analoga che caratterizzò il Miopliocene, tant'è che nella zona di passaggio tra i due terreni si rimane talora alquanto incerti nella loro delimitazione; però in generale gli strati sabbiosi del Miopliocene superiore sono grigiastri qua e là lignitiferi, un po’ compatti e più o meno inclinati per modo da costituire colline un po’ elevate, mentre i depositi pliocenici presentano sabbie gial- lastre in strati per lo più poco inclinati, quindi formanti colline meno erte (che nell’insieme presentano un piano o dolce pendio generale verso mare), oltre che spesso contengono i fossili soliti del Pliocene. Notisi poi che qua e là fra le marne del Piacenziano appaiono lenticelle ciot- tolose, come p. es. al Colle Nelli e nella Collina di S. Pietro ad Est di Cellino, le quali ci indicano locali fluitazioni grossolane, quasi cenni primordiali di un Vomano 78 1 FEDERICO SACCO 18 pliocenico, fenomeno che presentasi poi imponente in Val Pescara cogli estesi e potenti depositi deltoidi, arenaceo-ciottolosi, di Rosciano e Turri Valignani. Fra le marne argillose piacenziane delle colline di Cellino osservansi alcuni vulca- nelli fangosi di poca importanza e di origine affatto locale. Le colline plioceniche, oltre di essere meno elevate, hanno complessivamente un aspetto assai più dolce di quelle mioplioceniche ed inoltre sono ancora più frequen- temente solcate da una infinità di burroni che anzi quasi le caratterizzano e che sono in rapporto colla facile erodibilità dei terreni marnoso-argillosi che le costi- tuiscono in massima parte. Tale natura litologica, mentre fornisce buon materiale per svariati laterizi, viceversa è causa di una facile franabilità e quindi spesso di una difficile viabilità nelle regioni collinose plioceniche. I fossili non sono rari, specialmente nelle zone marnose argillose (tipici e soliti fossili piacenziani) od in quelle un po’ sabbiose, ma non meritano cenni speciali. I terreni pliocenici hanno generalmente una leggiera inclinazione verso Est cioè, come: è naturale, verso l'Adriatico; ma talora nella serie inferiore vediamo anche pendenze un po’ accentuate, cioè di 10°, 15° e più, come p. es. negli strati sabbioso- arenacei di Montefino-Castiglione. Lo spessore della formazione pliocenica è certamente assai inferiore a quanto potrebbe supporsi a primo tratto, solo osservando il suo immenso sviluppo superficiale; tuttavia tale spessore deve essere anche di oltre 400 o 500 metri. Quanto all’altimetria, il Pliocene della regione in esame solo in pochi punti tocca i 500 m. sul livello del mare, mentre sappiamo che nel vicino Piceno esso oltre-. passa, ma in via eccezionale, anche i 1000 m. s. l. m. Plistocene. Le formazioni plistoceniche, di varia natura ed aspetto, hanno una notevole importanza ed un grande sviluppo nella regiorie in esame; possiamo raggrupparle secondo la loro origine diluviale o glaciale. Depositi diluviali. — Queste formazioni si presentano sovente. colla forma tipica di depositi ciottolosi, più o meno conglomeratici, come nella regione amiternina a sud di Pizzoli, nei dintorni di Paganica ed, in modo affatto tipico, nel grande altipiano di S. Demetrio nei Vestini, come anche nel Campo Imperiale o Campo Imperatore (1. s.), negli altipiani di Catignano, di Torre dei Passeri, ecc. Imponente è lo sviluppo, per area e potenza, dei banchi conglomeratici più o meno cementati del gran piano di S. Demetrio-Barisciano. Infatti nei dintorni di S. Demetrio la serie plistocenica raggiunge una potenza visibile di oltre 100-150 m.; sopra Bari- sciano vediamo che i conglomerati-breccie, a facies quasi travertinoide per gran sviluppo di calcare cementante, salgono sin oltre i 1000-1300 m. s. l. m., come tra Barisciano e S. Stefano. Una curiosa gran placca conglomeratica isolata, a banchi suborizzontali, trovasi a Castelvecchio Calvisio. Analoghe formazioni vediamo presso S. Pio delle Camere, presso Tussio, sopra Caporciano, a Civitarenga, ece., come pure ad Est di Filetto tra Colle Petroso e la Regione Piede di Ruzza, dove vi è un vero impasto di materiali detritici irregolarmente cementati da calcari più o meno con- crezionati, il tutto di origine locale. 19 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 79 Particolarmente estesi sono i depositi plistocenici che formano il substratum del Campo Imperatore (l..s.) con uno sviluppo di una quindicina di km., apparendo in banchi conglomeratico-breccioidi e talora alquanto travertinoidi in tutte le inci- sioni un po’ forti, ma specialmente bene in Val Cortina, al P.° dell'Ospedale ed attorno alla fontana del Macino; il loro spessore visibile è in alcuni punti di oltre 30 m., ma probabilmente in realtà è assai maggiore. Tutto ciò ci prova un enorme lavoro di distruzione e di parziale ricementazione verificatosi in questa regione durante il periodo plistocenico. I depositi plistocenici hanno talora la forma più o meno irregolare di accumuli pseudo-breccioidi, cioè a massi (anche con 50 cm. ed oltre 1 m. di diametro) variamente accumulati o con appena un inizio di stratificazione, come p. es. nell’altipiano su cui siedono Aquila, Assergi, ecc.; spesso con passaggi ad una costituzione breccioso-traver- tinosa, sino a giungere a depositi travertinoidi come nel Colle di Madonna delle Grazie ad Ovest di Aquila. Sono essenzialmente massi o brecciami calcarei, misti a ciottoli o frammenti silicei (provenienti dalle dure lenti o dagli arnioni selciosi, frequenti nei calcari in posto) e mescolati con sabbie pure calcaree, cementati od incoerenti, con uno spessore complessivo anche di oltre 15-20 e più metri. A questa forma di depositi un po’ irregolari si collegano estese zone di detriti di falda i quali in gran parte sono olocenici, ma in parte debbono pur riferirsi al Plistocene, quantunque questi ultimi siano soventi più o meno mascherati dai primi; quindi si rimane talora incerti nell’indicare per certe zone, sulla carta geologica, la tinta del Plistocene (come ho fatto prevalentemente per la maggiore importanza di questo terreno) o quella del- l’Olocene, che spesso costituisce solo un manto superficiale ancor oggi in via di formazione, come p. es. nei dintorni di Pizzili-Barete, nella conca di Assergi, nel piano di Pietranzoni, ecc. I detriti di falda plistocenici sono talora siffattamente cementati e salgono tanto alto contro i rilievi montuosi che paiono quasi far parte del rilievo stesso e non già esserne una semplice cuticola superficiale. Così p. es. contro il fianco S.-0. degli allungati rilievi del Castello di Barisciano e del vicino M. Costerina tali rivestimenti breccioidi cementatissimi veggonsi sviluppati sin poco sotto la cresta «di detti colli. Tutti questi depositi detritici si presentano, ora incoerenti o poco coerenti, ed uti- lizzansi col nome volgare di renaro come ottimo materiale da inghiaiamento, di faci- lissima escavazione e quindi molto economico, come vediamo largamente usato attorno ad Aquila, città che stendesi precisamente su questi accumuli plistocenici di materiale frammentario irregolare; ora invece tali depositi sono ben cementati ed allora utiliz- zansi anche qua e là come materiale da costruzione leggero e poco costoso; sovente infine i diversi banchi di questi terreni plistocenici presentano diversa consistenza, quelli inferiori talora essendo meno compatti di quelli superiori, ed allora vi si formarono cavernosità, antri che l’uomo ha talora allargati (od anche scavati ex-novo) per suo uso, come vediamo p. es. in alcuni punti della conca di Aquila, presso Assergi, ecc. Sotto ai depositi conglomeratici, e talora anche libere da tale copertura, osservansi qua e là speciali formazioni marnoso-argillose, grigiastre, che da taluno furono giò credute plioceniche ma che forse rappresentano solo tranquilli depositi lacustri del Plistocene inferiore. Ne troviamo esempi nei dintorni di Aquila presso il Convento di S. Giuliano ; presso Civitatomessa sotto i tipici conglomerati; nel vallone di Paga- tei 0) FEDERICO SACCO 20 nica-Camarda, circa 1 km. a valle di questo paese, ‘sotto una irregolare formazione conglomeratico-travertinosa ; nel Campo Imperatore presso il rilievo calcareo mediano quotato 1530, ecc. Detti depositi argillosi sono interessanti per segnalarci una fase tran- quilla lacustre verificatasi in tali regioni, presumibilmente con grande estensione, nella prima metà dell’epoca plistocenica; esse inoltre, per la loro impermeabilità, originano talora preziose sorgenti acquee. Alquanto analoghi sono alcuni depositi sabbiosi o sabbioso-marnosi, biancastri, che vediamo affiorare sotto ai banchi conglomeratici di S. Demetrio e di Ansidonia, presso Castelnuovo tra Termini e Ripa (Fagnano), ecc., formando anche rilievi collinosi speciali; si tratta talora di depositi tripolacei a Diatomee,: fra cui abbondano specialmente le Ciclotelle (Cyclotella actinopleurata CI. e qualche varietà di C. compta Ehr.) ed il Coscinodiscus lacustris Grun., nonchè: Amphora affinis Kiitz., Cymbella Ehrenbergi Kiitz., C. Gastroides Kiitz., Navicula vi- ridis Kiitz., N. oblonga Kitz., N. elliptica Kiitz., Pleurosigma attenuatum W. Sm., Epitemia zebra Kiitz., Fragilaria construens Grun. var., F. mutabilis Grun., Cymato- pleura elliptica W. Sm., Campilodiscus noricus Ehr., ecc., ed anche varie spicule di Potamospongie, come Spongilla lacustris John., ecc., secondo gli studi del Clerici (67). Una bella sezione naturale di questa interessante formazione fluvio-lacustre possiamo p. es. osservare nel vallone di S. Nicandro ad Est di S. Demetrio dove constatiamo la seguente serie : Potente complesso di banchi conglomeratici (ceppo) (10-20 m.). Complesso di marne sabbiose con interstrati od estese lenti ghiaioso-ciottolose. Potente zona di marne lacustri tripolacee, grigio-biancastre (10-20 m.). Sonvi inoltre in certe regioni depositi terroso-argillosi, giallastri, che o costi- tuiscono da soli formazioni plistoceniche oppure ammantano soltanto i sovraccennati depositi ciottolosi, rappresentando l’ultima fase di semplice trasporto e di deposito fangoso del periodo plistocenico; ne troviamo esempi nei dintorni di S. Eusanio forconese, di Villa S. Angelo, ecc. In molte conche, p. es. in quelle di Cagnano Amiterno, comprese tra i rilievi montuosi eocenici o cretacei, osservansi depositi argillosi giallo-rossicci, inglobanti regolarmente detriti calcarei, riferibili complessiva- mente al Plistocene; ma siccome essi hanno generalmente un mantello di natura analoga ma olocenico, nella carta geologica li indicai colla tinta dell’Olocene. In alcuni depositi plistocenici, p. es. nel Teramano, presso Civitella Casanova, a Coppito presso Aquila, nei dintorni di Rocca di Mezzo, ecc., si trovano, fra il materiale sabbioso-argilloso di trasporto acqueo, traccie più o meno importanti di materiali pozzolanici (Leuciti, Felspati, Ossidiane, Pomici, ecc.), tanto che qua e là essi vengono escavati ed utilizzati come pozzolane, quantunque talora si appellino anche volgarmente pozzolane depositi impuri terroso-ocracei essenzialmente di origine esogena; talora trattasi realmente, almeno in parte, di materiali endogeni che in forma di polveri (ceneri) furono sparsi sulla regione abruzzese, specialmente durante le gran- diose esplosioni endogene che caratterizzarono la regione laziale, particolarmente appunto durante l’epuca plistocenica. Anzi, se non si fosse poi verificato un grande lavacro ed una potente abrasione per opera delle acque superficiali durante gran parte dell'Era quaternaria, certamente noi troveremmo oggi materiali pozzolanici ammantare estese regioni abruzzesi. D'altronde il fenomeno, per quanto assai ridotto, 52, | IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 81 si ripete tuttora, giacchè, p. es., percorrendo nel giugno del 1906 i nevati del Gran Sasso vi raccolsi copiose polveri brune che all'esame microscopico si mostra- rono costituite di elementi vulcanici in granuli angolosi (Augite, Biotite, Magnetite, Orneblenda scura, Felspati diversi) provenienti con tutta probabilità, in parte almeno, dalla grandiosa eruzione vesuviana dell’aprile precedente; fatti consimili del resto constatai pure nello stesso anno sui nevati della Majella e del Velino, per cui è a ritenersi il fenomeno come abbastanza generale. Alcuni depositi plistocenici diluviali si trovano ora anche a 100 metri e più sopra il fondo attuale delle prossime correnti acquee, ciò che dimostra la profonda incisione veri- ficatasi durante l’Olocene; vediamo, p. e., l’altipiano di Aquila oltrepassare i 700 m. s. ]. m., mentre il vicino Aterno corre a meno di 600 m.; così pure notiamo che sopra Pa- ganica i depositi plistocenici ciottolosi (rappresentanti essenzialmente dell’antico cono di deiezione del Vallone di Assergi) giacciono sin oltre gli 800 m. s. 1. m., mentre il prossimo bassopiano di Paganica è a solo 650 m.; le analoghe formazioni sopra Camarda sollevansi ben oltre i 900 m. s. 1. m., mentre il vicino fondo della valle sta a circa 770 metri. Depositi glaciali. — Questi, come è naturale, sono limitati al Gruppo montuoso del Gran Sasso, ma si’ presentano con varî aspetti. Nell’alto Vallone di Ruzzo sopra Pretara (Isola del Gran Sasso) vediamo svilupparsi tra i 600 e gli 800 m. s. 1. m. una formazione irregolare di tipo misto, diluvio-glaciale, con grossi blocchi rocciosi subangolari sparsi sul terreno in modo da indicarci l'influenza del fenomeno glaciale connesso con quello di antiche frane; ciò d’altronde è abbastanza spiegabile colla grande elevazione del vicino gruppo montuoso di Brancastello-Prena e coi profondi e lunghi valloni che l’intersecano verso Nord, confluendo poi in basso nell’unica Valle Ruzzo. Evidentemente tali valloni, durante la fase glaciale del periodo plistocenico, furono occupati da nevati e ghiacciai che discesero sin presso Pretara convogliando il detrito roccioso (in gran parte originato da frane plistoceniche) anche in grandi massi, e depositando poi il tutto irregolarmente nel bacino superiore di Val Ruzzo, dove anche oggi le valanghe di neve, coi relativi convogliamenti di grossolani detriti, hanno notevole imponenza nel periodo invernale e primaverile. Analoghi depositi caotici con grandi massi, ma di estensione minore, osservansi specialmente sulla sinistra dell’alta Val Leomogna a Sud di S. Maria a Pagliara, in relazione coi nevati e ghiacciai scendenti, durante l’epoca glaciale, dai valloni che incidono largamente e profondamente il fianco settentrionale del gruppo montuoso Prena-Camicia. Infine, risalendo il Vallone Vittore a monte di Isola del Gran Sasso, ritroviamo, specialmente sul suo fianco sinistro sopra Masseria Gritti tra gli 850 ed i 1000 m. circa, un’altra regione con accumuli caotici irregolari di aspetto morenico od almeno fluvio-glaciale; ciò d’altronde risulta abbastanza naturale, trovandosi detta regione direttamente alle falde del M. Corno che si eleva ad oltre i 2900 m. s. l. m. e pre- senta tuttora zone di nevati perenni. Anzi, nell’orrido, ampio e profondo vallone del- l’alto Vittore, a S.-S.-E. del M. Corno, per la sua forma e posizione ho sempre visto anche d’estate rimanere ampie zone nevose, per cui è facile comprendere che du- rante l'epoca glaciale vi si annidasse un ghiacciaio tale da scendere fin sotto 1 900 m. s. 1. m Serie II. Tom. LIX. K 82 FEDERICO SACCO 292 Del resto durante il rilevamento geologico ho purtroppo dovuto constatare quanto fosse particolarmente nevoso e piovoso tutto il versante settentrionale del gruppo montuoso del Gran Sasso (dall’alta Val Vomano a Farindola), per cui è naturale che per le stesse cause, molto aumentate come al solito nel periodo glaciale, vi si costi- tuissero grandiosi nevati e corrispondenti ghiacciai scendenti anche sotto gli 800, 700 e:forse persino 600 m. s. 1. m. Inoltre bisogna notare che qui, come altrove, anche i semplici accumuli nevosi, allo stato più o meno compresso, senza essere veri ghiac- ciai, quando molto inclinati poterono talora funzionare un po’ come questi nell’accu- mulare verso il basso irregolari depositi franosi a grandi massi rocciosi di tipo morenico ; si potrebbero appellare depositi glacio-nivali, come sono assai frequenti nell’Appen- nino settentrionale ed anche nelle Alpi e come formansi tuttora alle falde di speciali placche o zone nevose, od allo sbocco di certi valloni. Negli ampi valloni e cerchi che esistono nella zona alta del gruppo montuoso del Gran Sasso, tra i 1800 ed i 2000 m. circa, troviamo numerosi accumuli o restî dell’azione glaciale, alcuni già segnalati dall’ Hassert (53) che ne diede varie illustra- zioni; così roccie levigate od a montoni (p. es. nell'alta Val d'Arno tra Grotta dell'Oro e le Capanne di Campo Pericoli) e frequenti cordoni morenici irregolari allo sboceo dei principali valloni, nonchè massi rocciosi sparsi od accumulati, come nella R. Solagne alle falde settentrionali del Pizzo di Camarda, nella grande Conca di Masseria Cappelli tra M. Corvo, M. Intermesole e la Cima delle Malecoste, nell’allungato ed irregolare vallone dell'alto Arno che dalla KR. Campopericoli scende verso Grotta dell'Oro e forse anche sotto la sorgente del Rio Arno, come indicherebbero alcune traccie osservate più in basso. Di analoghi depositi a grandi massi, di tipo franoide-glaciale, e certamente alcuni relativamente giovani, vediamo anche resti più in alto, cioè sopra i 2000, 2100 e più metri, come p. es. negli irregolari alti circhi, in parte carsici, esi- stenti fra il Rifugio del Gran Sasso ed il M. Portella. Ma dove questi fenomeni glaciali di alta montagna si possono meglio osservare è nell'amplissimo Vallone che dalla crestiforme propaggine settentrionale (o meglio N.-E.)} del M. Portella scende ad oriente verso la R. Caselle. Quivi infatti vediamo che, specialmente in corrispondenza dei principali valloni che scendono da detta propaggine verso Est o dall’erto fianco sinistro verso Sud, trovansi diversi archi concentrici di materiale caoticamente accumulato costituito da frammenti e massi rocciosi irre- golari. Quésti archi, ampi quelli inferiori ed esterni, sempre più piccoli quelli superiori ed interni, rappresentano evidentemente il prodotto del materiale detritico che i ghiacciai-nevati, occupanti detti ripidi valloni, lentamente trasportarono in basso, nonchè quello che precipitava in valanga o scorreva su tali ghiacciai-nevati, costi- tuendo ad ognì modo alle loro falde, o periferie terminali, in successivi periodì di ritiro, speciali accumuli caotici, franoido-morenici, arcuati, elevati alcuni 20, 30 e più metri, altri anche soltanto uno o pochi metri, più o meno distanziati dalle attuali falde rocciose dei valloni da cui evidentemente discesero. Nell’interno di tali archi o eordoni od anfiteatrini morenici, invece di una sem- plice depressione, sovente osservasi una specie di imbuto probabilmente dovuto essen- zialmente a quei fenomeni di erosione e dissoluzione che altrove produssero le fosse nei calcari, e, poco lungi, le coppe nei depositi diluviali plistocenici. D'altronde piccole fosse o doline sono frequenti in tutte queste regioni, tanto nei depositi glaciali quanto .I o WI’ vr __——ormr®”' Uu—>—"sitio ea [e zypf@f@p>p>o o im e uitcaz.. 3 00 29 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA in quelli diluviali, e sono forse in parte collegate coi prolungati accumuli nevosi e relative importanti azioni dissolventi delle acque che ne derivano. Quanto all’età di formazione di questi depositi (come di quelli analoghi che si accennarono esistere nella regione alta di Valle Arno e di Valle Venacquaro), essa può in parte essere anche posteriore all’epoca glaciale, poichè ancor oggi vediamo prodursi od almeno delinearsi accumuli consimili alle falde delle zone di nevato più persistenti, rotolando e scorrendo i detriti rocciosi sul dorso dei nevati stessi e precipitando così in basso ad accumularsi talora ad irregolare arco pseudo- morenico. Depositi consimili di tipo intermedio tra frana e morena veggonsi pure alle falde settentrionali del gruppo della Scindarella, specialmente nella regione Fon- tana e nel fondo del Vallone che sbocca sull’alta Regione Caselle. Olocene, Le formazioni oloceniche sono assai estese nella regione in esame, ma per la loro poca importanza relativa basteranno pochi cenni in proposito. Oltre ai soliti depositi alluvionali, sabbioso-ghiaiosi, dei bassopiani, ho segnati sulla carta geologica colla tinta dell’Olocene le più importanti conche sparse nelle regioni montuose eoceniche e cretacee, perchè queste conche sono coperte sul loro piano da materiale argilloso impuro e terroso-ghiaioso portatovi dalle acque scendenti dai circostanti rilievi montani nel periodo olocenico e talvolta anche tuttora. Però il riempimento principale dei fondi di dette conche è costituito di terreno plistocenico, mascherato da un manto più o meno sottile di depositi olocenici, come appare in certi tagli natu- rali ed artificiali; anzi, in alcune conche il deposito terroso-argilloso superficiale è rappresentato da limo terroso giallo-rossiccio molto alterato che potrebbe essere plistocenico, mancandovi o quasi il velo olocenico. Sovente il deposito che copre questi fondi di conca è di tipo lacustre od anche torboso, perchè tali conche furono per lungo tempo occupate da un lago; anzi alcune presentano tuttora un laghetto residuo perenne o formantesi solo in certe epoche dell’anno per lunghe pioggie o per scioglimento delle nevi; ricordiamo, p. es., i laghetti di Filetto, di Assergi, di S. Stefano Sessanio, di Calascio, il lago Racollo, ecc., finchè si passa a temporanee paludi e piani torbosi, come quello di R. Locce a N.-0. di S. Stefano. Fra le Torbiere più notevoli devesi ricordare quella, amplissima e dello spessore di 15 metri circa, di Campotosto ad Est di Montereale, la quale ancora è da utiliz- zarsi. In alcuni depositi argillosi olocenici furono anche riscontrati frammenti ossei di Vertebrati e resti vegetali ma poco determinabili. Uno sviluppo amplissimo hanno i detriti di falda che in certe regioni si inne- stano con conoidi detritiche, come tra Pizzoli e Arischia, e talora passano a depo- siti detritici cementati anche plistocenici, dai quali non è sempre facile distinguerli nettamente. Nell’unita carta geologica spesso questi detriti di falda furono tralasciati per far apparire i più importanti depositi plistocenici o prequaternari soggiacenti; ciò dicasi ad esempio per la conca di Pizzoli e di Aquila, per la gran brecciaia di Assergi, ecc. Detti accumuli detritici quaternari sono per lo più zone di facile assor- 84 FEDERICO SACCO 24 bimento delle acque di pioggia, originando così sorgenti acquee in basso, come ne vediamo esempi nel Campo Imperatore (l. s.). Anche nella regione in esame si possono osservare bei casi di quel fenomeno di terrazzamento che fece dare all’Olocene il nome di Terrazziano. Ne vediamo esempi frequentemente nelle valli che intersecano i depositi di R. Caselle-Piano di Pietranzoni-Campo Imperatore; certo i due terrazzi di R. Caselle sono assai antichi, forse il superiore rimontando ancora per origine alla fine del Plistocene; come pure due terrazze veggonsi sulla sinistra del profondo alveo del torrente scen- dente dal M. Infornace ad Ovest di R. Rionne. Del resto in questo immenso, splendido piano di Campo Imperatore (lato sensu) si potrebbero fare molte altre minute osservazioni circa i terrazzamenti, circa gli alvei antichi abbandonati (come per es. quello diretto N.-S. che scende direttamente dal vallone di Vado di Ferruccio, quello a S.-0. di Campo Imperatore pr. d., ecc.), circa i coni di deiezione antichi e recenti, ecc. Il più bel caso forse di terrazzamento esiste nell’alta Val Leomogna, sopra ‘Castelli, specialmente sul fianco destro della Vallata; quivi infatti osservasi una serie di bei terrazzi, almeno quattro ben distinti, cioè: 1° un residuo di antico altipiano diluviale, terroso-ciottoloso, stendentesi sullo spartiacque di destra (verso gli 800-700 m. circa s.l. m. dal Carraro verso il Serrone) formando un ammanto giallo-rossastro sugli strati grigi, marnoso-sabbiosi, del Miopliocene; 2° il piano dilu- viale di S. Rocco-S. Donato (700-650 m. circa s. 1. m.) forse ancora plistocenico, posante sulle formazioni gessifere mioplioceniche; 3° una terrazza inferiore, già certamente olocenica, stendentesi verso i 600-560 m. circa; 4° un’ultima bassa terrazzetta, talora individualizzata ma spesso confondentesi coll’attuale piano alluviale del Leomogna. Sul fianco sinistro il terrazzamento è meno completo e meno regolare, ed inoltre osservansi depositi a grandi massi sparsi che sono forse collegati parzialmente con l’azione glaciale, connessa al fenomeno di antiche frane. ricordiamo infine che all'epoca quaternaria in genere sono da attribuirsi in gran parte i fenomeni carsici che tormentano più o meno profondamente i terreni calcarei della regione in esame, fenomeni dovuti essenzialmente ad erosione e disse- luzione. A questa categoria appartengono le fosse o canetre, cioè depressioni imbuti- formi di varia grandezza che esistono specialmente nei calcari eocenici, ma anche cretacei, come p. es. la fossa Raganesca ed altre consimili nei dintorni del paese detto appunto Fossa; le diverse Fosse o Canetre da piede o da capo, Fossa di Spedino, ecc. a S.-E. di Rojo; alcune fosse (anche, come presso Civita di Bagno, nelle arenarie mioplioceniche, ma con evidente origine nei sottostanti calcari) delle colline di Bagno, la fossa di Campana-Stiffe, ecc. Parecchie di queste fosse costi- tuiscono temporariamente o stabilmente laghetti, come p. es. il lago di S. Giovanni presso Bagno. Del resto tali fosse sì formarono anche nei depositi diluviali plistocenici, rap- presentati da accumuli di ciottoli o detriti calcarei, che quindi fungono come i banchi calcarei e talora anche meglio, perchè permettono una più facile penetrazione delle acque dissolventi in profondità. Di tali casi vediamo buoni esempi nel lago Vetoio ad Ovest di Aquila, nella fossa-imbuto di Cardamone e nella conca lacustre di Sinizza, in territorio di S. Demetrio nei Vestini, dove le alluvioni ceppoidi plistoceniche hanno sviluppo e potenza notevolissimi. 25 IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 85 A questa categoria di fenomeni si collegano perfettamente quelle erosioni e dissoluzioni che verificansi talora, in cento punti vicini, per estensioni grandissime sopra depositi plistocenici, specialmente diluviali ma anche morenici, originando così curiose regioni ad imbuti, come p. es. la R. le Coppe (nome ben appropriato ed espressivo) nell’altipiano stendentesi a S.-E. del Gran Sasso. Evidentemente trat- tasi di un fenomeno generale collegato coll’azione dissolvente delle acque sia di pioggia sia di fondita delle nevi che lassù imperano per una buona metà dell’anno. Nei Colli calcarei o cretacei, ma specialmente in questi ultimi, i fenomeni carsici (forse in parte anche prequaternari) sono talora tanto spiccati che la regione in com- plesso appare quale un triste ed arido paesaggio a conche ed imbuti svariati, talora con inghiottitoi, ed in dettaglio si mostra tanto irregolarmente frastagliata da rendere difficile o penoso il percorrerla ; tipica a questo riguardo è la regione, essenzialmente cretacea (R. Papa morto, R. Ricotta, ecc.) che si estende da Castel del Monte al Campo Imperatore. Tali corrosioni nei calcari, oltre a semplici imbuti, dànno talora origine ai cosiddetti inghiottitoi, grandi e piccoli, che anzi sono quasi la conseguenza e la continuazione sotterranea di dette depressioni, di cui costituiscono lo searica- tore nascosto, originando la grande aridità di tali regioni calcaree. Moltissime conche, nelle regioni calcaree esaminate, presentano uno o più inghiottito; fra essi ricordo come esempio tipico quelli dell’altipiano di Rocca di Cambio-Terranera, le cui acque assorbite vanno poi a costituire la grandiosa sorgente di Stiffe sul fianco destro del- l’Aterno, prova evidente della relativamente facile circolazione acquea in queste for- mazioni calcaree. Torino, Castello del Valentino. 86 FEDERICO SACCO 26 BIBLIOGRAFIA disposta. in ordine cronologico (1) DeLrrco* 0. Osservazioni su di una piccola parte degli Apennini, 1794. (2) DeLFIco 0. Relazione di una ascensione al Gran Sasso d’Italia fatta nel 1796 (in Inte- ramnia Pretutia. Napoli, 1812. — Ristampa “ Il Gran Sasso d’Italia , in Boll, C. A. I, V, 1870. (3) Broconi G. B. Osservazioni naturali fatte in alcune parti degli Apennini nell’ Abruzzo ulteriore. Biblioteca italiana, Giornale di lettere, vol. XIV. Milano, 1819. (4) Tenore M. Cenno sulla Geografia fisica e botanica del Regno di Napoli. Napoli, 1827. 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(29) Paovini D. Sulla ricerca dei minerali nell’agro di Montorio al Vomano. Teramo, 1876. (30) De Grore1 C. Appunti geologici da Pescara ad Aquila. B. C. G. I, VIII. 1877. (31) In. Appunti geologici sulle miniere di M. Sferruccio nell’ Aquilano. B. C. G. I., IX. 1878. (32) ForsyrH Mayor. Il Gran Sasso d’Italia e due de’ suoi abitatori. Boll. ©. A. I., vol. XIIIL Torino, 1879. (33) Canavari M. Sulla presenza del Trias nell’ Apennino centrale. Atti R. Acc. Lincei, serie 8*, vol. IV, 1879. (34) Jervis G. I Tesori sotterranei d’Italia. Parte II, 1876; III, 1881; IV, 1889. (35) Camavari M. Un’escursione al Gran Sasso, Atti S. T. Sc. Nat. Proc. Verb., II. 1879. (36) In. Fossili del Lias inferiore del Gran Sasso d’Italia, raccolti dal prof. Orsini nel 1840. Atti Soe. Tosc. Sc. Nat., VII. Pisa, 1885. (37) Barpaccr e CanavariI. La regione centrale del Gran Sasso d’Italia. B. C. G. I., XV. 1884. (38) MenecHINI G. Ellipsactinia del Gargano ecc. Aggiunta. Atti. Soc. Tose. Se. Nat., IV. 1884. (38°) Caccramari G. B. Escursioni geologiche in Abruzzo. Boll. C. A. I., Torino, 1885. (40) Canavari M., EMipsactinia di M. Giano, del Gran Sasso, del Gargano e di Gebel-Ersass in Tunisia. Atti Soc. Tosc. Se. Nat., V. 1906. (40%) De GroreI C. I Terremoti aquilani ed il 1° Congresso Geodinamico italiano in Aquila. Lecce, 1887. (41) PartscH I. Die Hauptkette des Zentral-Apennins. Verhandl. d. Gesellsch. d. Erdk. zu Berlin, Ad. XVI. 1889. (41%) CanavarI M. Nuove corrispondenze paleontologiche fra il Lias inferiore di Sicilia e quello dell’ Apennino centrale. Atti Soc. Tose. Sc. Nat., VII, 1891. (42) Cacciamari G. B. Formazione geologica del Territorio di Teramo. Monogr. della Prov. di Teramo, I, 1892. (43) MarcaertI C. Minerali, acque potabili e ininerali. Monografia della Prov. di Teramo, voll, 1892: (44) CruenoLa G. L'uomo nell’età della Pietra in Abruzzo. Monografia della Prov. di Teramo, I,, 1892. (45) Caetussi I. Studio petrografico di alcune arenarie della Provincia di Aquila. Giorn. di Min., Crist. e Petr., IV, 1893. (46) CanavariI M. Idrozoi titoniani della regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle EUlipsactinie. Mem. R. C. G. I, IV. 1893. (47) Levi G. Gasteropodi giurassici dei dintorni di Aquila. B. S. G. I., XV. 1896. (48) Parona C. F. Fauna del Cretaceo di colle Pagliare presso Aquila. B. S. G. I, XVI. 1897. (49) CHeLussi I. Brevi cenni sulla costituzione geologica d’alcune località dell'Appennino aquilano, Firenze, 1897. (50) De SterANI B. e Net O. Fossili miocenici dell'Appennino aquilano. Rend. R. Ace. Lincei, serie V, vol. VIII. 1899. (51) Parona O. F. Osservazioni sulla fauna e sull'età del Calcare di scogliera presso Colle Pa- gliare nell’ Abruzzo aquilano. Atti R. Ace. Se. di Torino. Vol. XXXIV. 1899. (52) NeLLi B. Fossili Miocenici dell'Appennino aquilano. B. S. G. I., XIX. 1900. (53) Hasserrt K. Traccie glaciali nell’ Abruzzo. B. S. Geogr. It., serie 4%, I. 1900. (54) CneLussi I. Alcuni fenomeni carsici e glaciali nell'Appennino aquilano. Soc. It. Se. Nat., XL. 1904. 88 FEDERICO SACCO — IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA 28 (54%) GentILi G. Sv alcune Nummuliti dell’Italia meridionale. Mem. R. Ace. Scienze di Napoli, serie II, vol. XI. 1901. (56) Baratta M., I Terremoti d'Italia. Pag. 775-772. Torino, 1901. (56%) NerLi B. Il Langhiano di Rocca di mezzo. B. S. G. IL, XX. 1901. (57) Scanarrenzeroer C. Uber die Kreideformation der Monte d’Ocre-Kette in den Aquilaner Abruzzen. Berichte d. Naturforsch. Gesellsch. zu Freiburg, XI, 1901. (58) Di Srerano G. Recensione della Memoria dello Schnarrenberger. Riv. it. Paleont., VII. 1901. (59) Cuecussi I. Alcune osservazioni sulla Memoria del dott. Schnarrenberger. Atti Soc. Ital. Sc. Nat., XL. 1902. (60) Appare E. Guida dell’ Abruzzo. Roma, 1903. (60%ìs) Pasquare M. Revisione dei Selaciani fossili dell’Italia meridionale. Mem. R. Acc. Se. di Napoli, serie 2*, vol. XII. 1903. (61) Cuerussi I. Sulla Geologia della Conca aquilana. Atti S. It. Se. Nat., XLII. 1903. (62) Sacco F. L’Appennino settentrionale e centrale, con Carta geologica alla scala di 1 a 500.000. Torino, 1904. (63) Prever L. Osservazioni sopra alcune nuove Orbitoides. Atti R. Ace. Se. di Torino, vo- lume XXXIX. 1904. i (64) Sacco F. Sur la valeur stratigraphique des Lepidocyclina et des Miogypsina. (B. S. G. Fr., série 4°, V. 1905. (65) Prever L. Ricerche sulla fauna di alcuni calcari nummulitici dell’Italia centrale e meri- dionale. B. S. G. I., XXIV. 1905. (66) Sacco F. La questione eo-miocenica dell'Appennino. B. S. G. I, XXV. 1906. (67) CLerici E. Analisi microscopica del Calcare farinoso di S. Demetrio nei Vestini. (Boll. Soc. Geol. Ital, vol. XXVI. 1907). (68) Parona C. F. Risultati di uno studio sul Cretaceo superiore nei Monti di Bagno presso Aquila. Rend. R. Ace. Lincei, vol. XVI, serie 5*, 1907. (69) Sacco F. Gli Abruzzi, con Cartina tettonica e Carta geologica alla scala di 1:500.000 (B. S.. G. IL, XXVI190M: IL GRUPPO DEL GRAN SASSO D'ITALIA Carta geologica alla scala di 1:100.000 Rilevata da FEDERICO SACCO - 1907. Accad Redele Sedi Tovno. Classe di Sc. Fio. Male Nal-@Sere 92 ‘Gomo LIX — Taimpoto ata i 2 "4 (7 )) 4% TATA 4 > SAUNE MESS TE iter i & \ dg CN PEN ay pi i y, \ ‘ BRA. NI At pi = Òì À \ cer SaS i }3 ” I SE n° 2) È 7 N \\ 1 ] S tt Ala o a ps rs ri, SI AN N 2) N ì x y - \ r n ) = 2 | NU s | i, LIO | } , 2 >») lag > 73 Va DIZA TR TSO SITI ci = £ SRY ; IENA (ES x SIE Ò y Dex RPM AI DR Rin MENN) paia A Da R” È A Ja È va Vee) iù \ , \} INAZUUAT MAI ( n ef » > 95 \ NT x CVA x 0 î y Aq fieno pARISI \ tan N ‘ 3. (SS (i È ia SPIEGAZIONE DELLE TINTE CONVENZIONALI MIOPLIOGENE È Lenti gessose IN EOCENE =s ] CRETACICO lm GIURALIASICO INFRALIASICO IDO Ì Lenti conglom. WES ) Otluviaie L ) OLOCENE PLISTOCENE ) G è; PLIOCENE | Crrnoso Gas x Pincenziano) ! S3b/oso ES RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE ELAPHOMYCES NEES (E. variegatus — E. granulatus e affini). MEMORIA DELLA Dott: EFISIA FONTANA CON DUE TAVOLE Approvata nell’ Adunanza del 1° Dicembre 1907 Chi si occupa di Botanica descrittiva, avrà certamente notato come la sistema- zione delle specie più comuni sia quella appunto che presenta le maggiori difficoltà, perchè queste specie, sia per la loro adattabilità all'ambiente, sia per ragioni ancora ignote, vanno soggette a modificazioni più o meno evidenti ed afferrabili coll’osser- vazione che ne alterano sensibilmente i caratteri ritenuti tipici. Questo fatto che si verifica facilmente nelle fanerogame, data la loro grande varietà di caratteri, si osserva invece più difficilmente nelle crittogame, dove la semplicità di struttura lo rende a prima vista meno evidente. In tali difficoltà ed incertezze io ebbi ad incontrarmi nello studio della specie più comune del genere Elaphomyces Nees, vale a dire dell’E. variegatus Vitt. Nella speranza di portare un contributo alla conoscenza di questa specie tanto volgare ed a quella delle specie che le sono affini, riassumerò melle pagine di questa memoria la descrizione dei fatti da me osservati. | La grande quantità di materiali che io ho potuto avere a mia disposizione, com- posta specialmente dalla collezione Mattirolo, ricchissima di materiali di tutta Europa, ed in autoptici di Vittadini, Tulasne, Hesse, Saccardo, Spegazzini, ecc. (Erbario Saccardo ed erbario dell’orto botanico di Torino), fece sì che io potessi estendere i miei studi più di quanto fecero fin qui i vari autori, ed ottenere un risultato che io stimo potrà avere un certo interesse per la scienza. Mi furono di grande aiuto nelle mie ricerche l’esperienza idnologica ed il consiglio del prof. Mattirolo. Coi sensi della mia più viva gratitudine io ringrazio quindi l’illustris- simo Maestro per l’incoraggiamento ed il valido appoggio che egli volle dare ai miei studi e per averlasciato a mia completa.disposizione il ricco materiale della sua collezione. Il gruppo di cui è tipo lE. variegatus Vitt. appartiene a quello degli Elafomiceti cosiddetti “ selerodermei ,; e comprende quelle specie le quali’ presentano, secondo VITTADINI, un peridio “ erasperatus , cioè a superficie ornata da verruche, piramidi ed aculei, più o meno lignei, di colore variabile dal druno-fulvo all'ocraceo. Lo strato esterno del peridio è ifenchimatico, formato cioè da un intreccio di ife impregnate e Serie II. Tom. LIX. L 90 : EFISIA FONTANA 2 cementate da una sostanza gialla. I rilievi esterni sono collegati lateralmente da ife incolore raggianti da essi e concentriche alla gleba. Questo gruppo si suddivide a seconda della tessitura peridiale nei due sottogruppi : 1° dell’E. variegatus ed affini, a peridio interno non omogeneo, comprendente le tre specie: E. variegatus Vitt., E. reticulatus Vitt. ed E. decipiens Vitt. 2° dell’E. granulatus ed affini, a peridio interno omogeneo, che comprende le specie: E. granulatus Fries ed E. asperulus Vitt., alle quali Hesse aggiunse lE. has- siacus Hess. e lE. plicatus Hess. . Trattasi quindi di n. 7 forme di cui io intendo occuparmi nel seguente lavoro. Prima di procedere all'esame delle singole specie credo opportuno far notare che lE. variegatus Vitt., prima confuso con altre specie dagli autori anteriori al Fr1Es, venne da quest’ultimo (anno 1829) distinto dall’E. granulatus Fries, col nome di E. muricatus (E. Fries Syst. Myc. Vol. II); più tardi Vittadini ne fissò i caratteri specifici e lo indicò col nome attuale di £. variegatus (VirrapINI, Mon. Tub., 1831, pag. 68 e Mon. Lycop., 1842, pag. 76). I fratelli Tulasne nel 1841, confrontando molti esemplari di £. variegatus, e notando le notevoli differenze esistenti tra di essi, li distinsero nelle due specie: lE. variegatus Vitt., presentante i caratteri della forma tipica di Vittadini, e VE. hirtus Tul. (TuLasne, Ann. des Science. Natur.); ma più tardi gli stessi autori (1862, Fungi Hyp., pag. 108) riunirono di nuovo le due specie e ne distinsero tre varietà, ritenendo essi : 1° la forma tipica, cioè: lE. variegatus come var. ‘@ coelatus; 2° VE. hirtus Tul. come var. B hirtus; 3° aggiungendo a queste una terza varietà cui diedero il nome di var. y pallens. Contemporaneamente al primo dei lavori dei Tulasne, Corda (1841, Sturms- Deut. FI.) riconoscendo egli pure le differenze esistenti tra i diversi tipi di E. varie- gatus ne aveva fatte le tre varietà : ; 1° E. vulgaris a muricatus = E. hirtus Tul. = E. variegatus B hirtus Tul.; 2° E. vulgaris variegatus = E. variegatus Vitt = E.variegatus a coelatus Tu» 3° E. vulgaris è columellifer, che differiva dai primi per presentare uno o più: bitorzoli o gobbe protendentisi dallo stato interno verso la gleba. SpeGAZZINI, cui dobbiamo vari apprezzati studi sugli ipogei, trattando dell’E. va- riegatus ne distinse 4 varietà : 1° E. variegatus var. typicus; 2°, È s intermedius; gua E » fuscescens; PA I A n ‘Qnceps. SaccarDO (Sylloge fungorum, vol. VIII, 1889) ricorda le varietà coelatus Tul., pallens Tul., hirtus Tul. e fuscescens Speg. Hesse (H4ypog. Deut.) ammette in Germania la sola forma 8 hirtus Tul. Fiscner (Rab. Krypt. FI., 1897) ricorda le tre varietà dei Tulasne. Da quanto ho esposto risulta come i principali autori non furono congordì sul valore sistematico dell’E. variegatus, ed è perciò che per consiglio del professore 0. Mattirolo io pensai di intraprenderne lo studio. 3 RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES , 91 ESAME DELLE SINGOLE SPECIE E. variegatus Witt. (Tav. I A, fig. 1-6. — Tav. II A, fig. 1-3). Bibliografia e sinonimia. E. variegatus. — Virrapini (Mon. T'ub., Milano, 1831; pag. 68, tab. IV, fig. 4). — TuLAsne (Observations sur le genre Elaphomyces. Annales des Scienc. Natur. Botanique, serie 2*, tom. XVI, pag. 23, tab. I, Ne. 4; tab. II, fig. 11; tab. IV, fig. 1). A 3 — nu (Mon. Lycop., Torino, 1842, pag. 76). E, vulgaris { variegatus. — Corna (Sturms Deutschlands Flora, Nirnberg, 1841, fasc. XIX-XX, pag. 27, tab. 9 ex fig.). E. variegatus a coelatus. — TuLasne (Fungi Hypogaei, Paris, 1862, pag. 108). E. variegatus. — Cooke (Handbook, 1871, vol. II, pag. 746). var. fuscescens. — estati (Notas y Apuntes sobre los Ela- ” ”» phomycetes especialmente referentes al E. va- riegatus With: — Pag. 7). 1 s È z — SPEGAZZINI (in SAccARDO, Michaclia 1878, pag. 416). E. variegatus Vitt. var. fuscescens e var. coelatus. — Saccazpo (Sylloge Fungorum, 1889, vol. VIII, pag. 867). E. variegatus Vitt., p. p. — FiscHer (Radenhorst Deut. Krypt. Flora. Vol. V, Leipzig, 1897, pag. 91). 1 o è — HARKNEss (Californian Hyp., 1899, pag. 261). Esemplari studiati. VirtADINI. — Herb. Balsamo. Milano, 1844 autopt. (ex herd. Saccardo et Colleet. Mattirolo). SERSAZANIE — Conegliano (bosco Giustinian) (ex herb. Saccardo), unitamente ad esem- Ri di E. hirtus. E A r. fuscescens. ; b nerd, crypt., serie 22, n° 889. di : n (in terra sabulosa-calcarea). Mycotheca veneta, 1390 (ex herb. Saccardo). VirtADINI 0 (1). — Dal Museo di Brera, Milano (Ex Collect. Vitt. Mattirolo). » — Dal Museo di Pavia. 0. MarTIROLO 0, — Mugello (Toscana), sotto ai castagni, 1898. Fe — Rodero presso Como dal 1880 al 1906, in ogni stagione. n — Brianza. a — Dintorni e collina di Torino, dal 1880 al 1906 in ogni stagione. BurLanpI. — Levone. Priori. — Val di Susa (boschi di Vayes), Novembre 1900. (1) Per indicare il numero degli esemplari premetto il segno 00, quando esso supera il 20. 92 EFISIA FONTANA 4 Il corpo fruttifero di questa specie è rivestito da una crosta (crusta Vitt.) poco sviluppata, facilmente staccabile, formata da terriccio, residui di vegetazione, radi- chette e scarso micelio. La forma è per lo più sferica od ovoidale, alcune volte alquanto depressa. Il diametro negli individui regolari varia tra 1 cm. e !/, e 3 cm. La consistenza è sublegnosa, in alcuni individui quasi coriacea. Il colore giallo ocraceo non di rado tendente al fulvo (1). Il peridio irregolarmente verrucoso o echinato-verrucoso. Le verruche sono a base larga, arrotondate all’apice; se di forma piramidale presentano «spigoli smussati a base pentagonale od esagonale; la grandezza delle verruche non solo varia da individuo ad individuo, ma anche in uno stesso individuo. Lo spessore del peridio, che si modifica durante lo sviluppo del corpo fruttifero, negli individui normali è di 3 a 4 mm. Il peridio sezionato presenta 2 strati poco distinti : 1° Uno strato esterno o corticale (cortex Vitt.) dello spessore medio di pu. 250 ; 2° Uno strato interno (caro Vitt.) ben sviluppato nei funghi giovani, dello spessore medio di 3 mm.; il quale si riduce grandemente negli individui vecchi fino a diventare un sottile strato nero, grumoso, addossato allo strato esterno. Lo strato esterno che appare, in sezione, come una striscia gialla più spessa in corrispondenza degli apici delle verruche, più sottile verso la loro base, è ifenchimatico. L’ifenchima è compatto e le ife sono impregnate e cementate da una sostanza gialla certo non confondibile con la lignina (2). In corrispondenza della base le verruche sono collegate per un breve tratto da ife incolore, a pareti sottili (3), che dalla loro disposizione possiamo chiamare raggianti; esse stanno in stretto rapporto col micelio, che alla sua volta vive in relazione sim- biotica colle radici delle piante ospiti. Spesso si trovano impigliate fra le verruche, ed in rapporto con le ife raggianti, piccole radichette ravvolte dal micelio, come da una specie di guaina. i (1) Noto che in alcuni individui la colorazione diventa più scura con macchie nere, ed anzi in alcuni casi l’imbrunimento è così intenso, che il peridio assume, a prima vista, un aspetto quasi car- bonioso. L'osservazione microscopica degli individui così alterati fa notare la presenza di un micelio bruno che invade dapprima solo la parte esterna del corpo fruttifero, ma che penetra in seguito anche nell’interno del peridio disgregandone l’infenchima; il deperimento del fungo appare in tali casi anche evidente per l’irregolare sviluppo delle spore. Uguali modificazioni si notano negli individui invasi dai Cordiceps ophioglossoides e capitata, parassiti comuni di questa specie e delle affini, e negli esemplari della varietas fuscescens di Spr- gazzisi, la cui esistenza non si deve ammettere, perchè dovuta ad esemplari anormali di E. varie gatus invasi da miceli bruni quali quelli sopra accennati. (2) Secondo Hanz (Uber Verholzungen bei hoheren Pflanzen speziell ueber das Vorkommen von Lignin in Samenschalen. Botan. Centralbl., 1885, Quart. 4. — Uber das Vorkommen von Lignin in Pilzzellenmembranen. Botan. Centralbì., 1886, XXV, Quart. 1, p. 306) questa sostanza sarebbe in- vece lignina; essa è più abbondante nell’E. hirtus Tul., abbondantissima nell’E. granulatus ed E. asperulus dove forma una massa compatta, appena intercalata qua e là da punteggiature e screpolature. (3) Queste ife in tutte le specie di Elaphomyces che ne sono provviste, si colorano intensamente coi reagenti più comuni della pectina, cioè, in porpora con Rosso di Rutenio e in bleu con Bleu di Metilene: esse appaiono raggianti in sezione tangenziale, parallele in sezione radiale. Ò RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES , 93 Le ife parallele mettono in relazione il corpo fruttifero col micelio, facilitando il passaggio delle sostanze nutritizie (1). Lo strato interno, di color roseo grigiastro, quasi avellaneo, tendente al giallo verso l'esterno ed al bruno verso la gleba, è attraversato da un reticolo irregolare bruno rossastro; inumidito imbrunisce facilmente; presenta spesso macchie brune od è interamente bruno rossastro. La sostanza gialla che dà la colorazione non è distribuita nell’interno delle ife, ma nelle membrane delle stesse, e specialmente negli spazi lasciati liberi tra ifa ed ifa. Le striscie brune che formano le reticolature sono piene di aria, specialmente verso l'esterno; l’ifenchima è in esse più lasso e la sostanza colorante bruna vi si trova in maggior copia. La gleba negli individui giovani è bianca e cotonosa; nei maturi si risolve in una massa pulverulenta, nero-rossastra, attraversata da abbondanti fiocchi di ife finissime, bianche, sericee, disposte a guisa di ragnatela (capillitium Vitt.), e dai sepimenti (laminae disseptantes Vitt.), che sono fasci di ife, le quali sì protendono dallo strato interno del peridio verso la gleba; in questa specie essi sono roseo-fuliggi- nosì e copiosi. Negli individui ipermaturi la gleba si stacca perfettamente dal peridio e scom- paiono i sepimenti ed i fiocchi del capillizio (2). : Gli aschi giovani sono incolori, di forma sferoidale od appena piriformi, a parete sottile, contengono prima 8 spore, ma non ne maturano nell’asco che 2, 3, 4, rara- mente un numero maggiore. Gli aschi maturi si deformano leggermente per la pressione esercitata dalle spore sulle loro pareti, ed infine si rompono lasciando in libertà le spore. Le spore appaiono prima nell’asco come piccoli punti rifrangenti, in seguito si vanno individualizzando in esse le due membrane : l'esterna o perinio, che diventa ben presto striata in senso radiale; prima incolora e trasparente, poi bruna, traslucida ed infine nera, opaca, a superficie irta di bastoncini radiali; l’interna o endosporio, più spessa, perfettamente incolora ed omogenea. Il contenuto protoplasmatico delle spore granuloso, ricco in goccioline di grassi è poco sviluppato. Le spore mature presentano un diametro variabile tra i 17 e 24 p., ed un dia- metro medio di 21 u.; trattate con acqua di Javelle si decolorano a poco a poco, mentre si scioglie prima lo strato più esterno del perinio, mettendone in evidenza i rilievi (1) Questa funzione mi pare probabile non solo pel fatto che tali ife si trovano in stretto rap- porto colle radichette delle piante ospiti, ma ancora perchè sono molto sviluppate nelle specie a peridio carbonioso; un po’ meno in quelle a peridio ligneo; meno ancora in quelle che hanno lo strato esterno molle, e mancano affatto in quelle specie in cui lo scambio dei materiali si fa per un punto determinato del corpo fruttifero (E. Personii, E. cyanosporus, E. foetidus). (2) Va notato che in alcuni individui, d’altronde normali, si protendono dal peridio verso la gleba piccoli bitorzoli a guisa di colonnette (var. columellifer di Corda), che negli individui maturi sono di color rosso-bruno. Le sezioni di tali bitorzoli presentano fasci di ife parallele, simili a quelle che si osservano nei sepimenti, dai quali sì protendono ife quasi incolore uguali a quelle che for- mano il peridio, le quali circondano e cementano fra di loro tenacemente le spore. Queste specie di colonnette sono quindi dovute ad una proliferazione delle ife peridiali nella gleba. 94 EFISIA FONTANA 6 sotto forma di piccoli bastoncini radiali; in seguito si sciolgono anche i bastoncini, lasciando a nudo la membrana interna. Le sezioni delle spore mature presentano i due involucri: 1° Il perinio intensamente colorato in bruno nero, dello spessore di circa 3 p., formato da un sottile strato, su cui si allineano i bastoncini radiali, cilindrici, presen- tanti in generale un piccolo rigonfiamento al loro apice, mediante il quale si toccano; 2° L'endosporio inspessito e perfettamente incoloro. E. hirtus Tul. (Tav. TB, fig. 7-Il: — T'avMIiBahe 5-16): Sinonimia e bibliografia. E. hirtus. — TuLasne (Observations sur le genre Elaph. Ann. des Science. Natur., 1841, pag. 19). E. vulgaris a muricatus. — Corna (Sturm. Deut. Fl., 1841, fasc. XIX-XX, pag. 22, tab. 7). E. variegatus B hirtus et Y pallens. — TuLasne (Fungi hypogaei, 1862, pag. 108). E. variegatus. — Menier (Ase. hyp., Bull. Sc. Nat. Quest, Nantes, 1895, pag. 4). — Cooke (Handbook, 1871, vol. II. pag. 749).. 3 2 — HARKnEss (Californian Hyp., 1899, pag. 261). l ; — MartiRroLo (Funghi Ipogei italiani, 1903, pag. 347). Esemplari esaminati. Bizzozzero. — Euganei; sud decipiens Vitt. (in herb. Saccardo). Sprcazzini. — Conegliano; sub E. variegatus ed E. decipiens (in herb. Saccardo). MassaLonco. — In agro Veronense. G. B. PLowrienT. — Rab. Fungi europaci, n° 2212, de Thiimen Mycotheca, n° 5247 I. E. Vize. — Microfungî britannici, n° 147 (in herb. Saccardo). Menier. — Loire inf. (collezione Mattirolo). Hesse. — Provincia di Hessen (collezione Mattirolo). MartIroLo 00. — Rodero, dal 1880 al 1906. . — Firenze, Mugello, 1898. o. — Collina e dintorni di Totino in ogni stagione dal 1880 al 1906. — Drusacco in val Chiusella (Piemonte). — Sparone (Piemonte). Autunno e inverno 1906-907. R — Giaveno (boschi) (Id.). BeLLi. — Colline di Torino. Gora. — M. Fenera (Val Sesia). Su roccie porfiriche. — Varallo Sesia (boschi della Crosa, della Falconera, di Valmaggia), 1901. — Ameno (Orta). Boschi cedui. Settembre, 1906. — Piedimulera (Ossola). — Fomarco (Ossola). Boschi di Faggi. — Montenotte (Savona), 1902. ” » ” » — Avigliana. Boschi scendendo dalla Sagra di S. Michele (Piemonte). —_ mm m__——————————————@—@6@@—É@#—@—1 7 RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES , 95 Corpo fruttifero, come il precedente, di forma sferica od ovoidale, raramente presentante depressioni e bitorzoli. È Crosta, come nel precedente, staccabile ed in massima parte terrosa. Diametro variabile tra 2 e 5 em. | Consistenza dura, legnosa. Colore: negli individui molto giovani, ocraceo; nei maturi fulvo-luteo o luteo- fuliggineo. Il peridio è irto da aculei piramidali aguzzi, alti, svelti, fragili, fitti, a base per lo più triangolare o quadrangolare, più o meno sviluppati nei vari individui ed anche su uno stesso individuo; gli aculei, perchè assai fragili, si presentano spesso tronchi. Lo spessore del peridio varia, come per la specie precedente, secondo lo stato di maturazione; negli individui normali è di 2 o 3 mm. Nel peridio si distinguono nettamente i due strati : 1° L’esterno formato dagli aculei piramidali e da una striscia gialla sottostante più o meno sviluppata. Esso si presenta per lo più nettamente distinto dallo strato interno, mediante una linea a decorso regolare; in alcuni casi però pel condensarsi della sostanza cementante gialla in determinati punti, questa linea segue un anda- mento sinuoso. Questo strato è di color giallo d’oro e, come lo strato interno, è attraversato da un reticolo più chiaro; il suo spessore varia tra '/, mm. e 2 mm. Gli aculei sono collegati lateralmente per un buon tratto da ife parallele, uguali per struttura e funzione a quelle della specie precedente; aderenti ad esse si notano spesso piccole radichette ravvolte dal micelio del fungo. Questo strato è, come per la specie precedente, ifenchimatico e formato da ife impregnate e cementate da una sostanza di color giallo d’oro distribuita in maggior quantità. SALI 2° Lo strato interno è variamente colorato e sviluppato a seconda del grado di evoluzione dei vari individui. Negli individui giovani ha uno spessore medio di 2 mm., un color roseo incarnato leggermente giallo verso l'esterno, e bruno verso la gleba; anche ad occhio nudo lo si vede attraversato da venature chiare quasi bianche. Spezzando il peridio, lo strato interno appare come diviso in tante cellette pen- tagonali, le cui pareti sono formate dalle maglie del reticolo. Negli individui ben maturi lo strato interno imbrunisce verso la gleba, ed in seguito all’invecchiare del fungo, si scompone a poco a poco e finisce per ridursi ad un sottilissimo strato ne- rastro che decorre parallelo a quello esterno. In questo stadio di fvanzata maturità il peridio diventa fragile. L'ifenchima è più compatto verso l’esterno, meno verso la gleba; in corrispon- denza delle reticolature è più lasso e pieno di aria. La colorazione è data, come pel precedente, da una sostanza giallo-rosea interposta tra ifa ed ifa. La gleba, come per lE. variegatus, prima bianca cotonosa, si risolve poi a poco a poco in una massa pulverulenta del colore del caffè torrefatto. Capillizio sericeo; dissepimenti rosei meno abbondanti e più chiari che non nell’ E. variegatus. Aschi come per lE. variegatus. Spore prima. incolore, poi rossastre, brune rossastre, opache, a superficie legger- 96 EFISIA FONTANA 8 mente scabra, di diametro variabile tra 19 e 25 p., medio di 23 y., quindi un po’ maggiori di quelle dell’E. variegatus. In sezione i bastoncini del perinio sono un po’ più corti di quelli dell’E. varie- gatus Vitt. Caratteri differenziali fra le due specie. E. variegatus Vitt. E. hirtus Tul. Dimensione del corpo fruttifero.-!\, a 3 cm. 2a 05 cem. Colore. — Giallo ocraceo. Fulvo-luteo. Consistenza. — Quasi coriacea. Legnosa. Odore. — Intenso anche negli esemplari Debole. secchi. Aspetto. —Verrucoso o verrucoso echinato. Aculeato. Verruche a base larga, o piramidi ad apici smussati. Strato esterno. — Poco sviluppato; 250 p., non ben distinto dall’ interno, ife raggianti colleganti i rilievi, poco sviluppate. Strato interno. — Spesso, grigio-roseo ; imbrunisce facilmente; venature poco evidenti. Gleba. — Con sepimenti abbondanti rosei fuligginiosi. Spore. — 21 p. Aculei alti, svelti, sottili, fragili. Molto sviluppato fino a 2 mm. di spes- sore, nettamente distinto dallo strato interno; ife incolore colleganti per buon tratto gli aculei. Meno spesso; roseo incarnato; venature evidenti, chiare. Sepimenti rari, rosei., 23 *u. Lo studio anatomico e morfologico dei vari esemplari di £. variegatus ed il contronto degli autoptici mi hanno fatto riconoscere fra di essi la presenza delle due specie ora descritte, che si distinguono non solo per le parvenze esterne, ma anche per la struttura e pel luogo di loro stazione; a queste ho lasciato i nomi di E. variegatus Vitt. e di E. hirtus Tul., uniformandomi a quanto già avevano fatto i Tulasne nel 1841. La prima di queste specie, corrispondente pei suoi caratteri a quella tipica descritta dal Vittadini, è identica agli autoptici dello stesso autore, compare quasi esclusivamente negli esemplari raccolti dal prof. O. Mattirolo in Toscana; in notevole quantità negli esemplari raccolti dallo stesso in Lombardia ed in numero minimo negli esemplari del Piemonte. La seconda, che corrisponde alla descrizione fatta da Tulasne dell’E. hirtus ed a quella fatta dal Corda dell’E. vulgaris a muricatus; e che è identica agli autoptici di Tulasne dell’E. variegatus B hirtus ed a quelli di E. variegatus di Hesse e di Menier, ecc., compare quasi esclusivamente negli esemplari di Piemonte, in notevole quantità in quelli di Lombardia ed in numero esiguo negli esemplari di Toscana. dt e el_—eo—xr.._-_r_r_RSMÌSEGE.: 1 T—_—_ 9 RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES , 97 E. reticulatus Vitt. (Tav. I C, fig. 12-15. — Tav. II C, fig. 17). Bibliografia e sinonimia. E. reticulatus. — Vrrrapini (Mon. Lycop., Torino, 1842, pag. 74, tab. III, fig. 10). * " — TuLasne (Fungi Hypogaei, 1862, pag. 107), A x — FiscHER (in Rab. Crypt. FI., Leipzig, 1897, pag. 93). Esemplari osservati. O. MartIroLo. — Vallombrosa (sotto ai faggi). Ottobre, 1899. + a — Dintorni di Torino (1880 al 1906, in ogni stagione). Tra gli esemplari di £. hirtus e di E. variegatus dei dintorni e della collina di Torino e di Vallombrosa ne notai una ventina che corrispondono alla descrizione fatta dal Vittadini dell’E. reticulatus. Tali esemplari non raggiungono mai notevoli dimensioni, variando il loro dia- metro tra 1 e 2 cm. La forma è subsferica, ovoidale, non raramente irregolare. _Il colore, negli individui secchi, è fulvo-oscuro. x La consistenza è subcornea. Il peridio è finamente verrucoso, in alcuni punti quasi liscio. i Negli esemplari secchi esso è perfettamente libero; in quelli conservati in alcool è rivestito da una sottile crosta facilmente staccabile. Le verruche sono piccole, depresse, coniche, arrotondate all’apice. Il peridio, anche negli individui appena maturi, è sottile, e presenta i due strati nettamente distinti : 1° L'esterno sottile di 100 a 200 p., formante le verruche, risulta, come nelle specie precedenti, costituito da un ifenchima i cui elementi sono impregnati e cementati da una sostanza gialla. Le ife raggianti collegano le verruche fino all’apice; 2° Lo strato interno di color bianco-roseo, tendente al bruno verso la gleba, lucente al,taglio, a prima vista appare quasi omogeneo; con un più attento esame si nota in esso un leggero reticolo grigiastro a maglie strette, uguali. La reticolatura appare, anche in questo caso, più evidente, inumidendo la superficie con ‘acqua. L’ifenchima si presenta, in questa specie, più lasso; le ife che lo formano hanno pareti sottili e fortemente trasparenti; la reticolatura è anche qui formata dall’in- treccio più lasso dell’ifenchima contenente maggior quantità di aria. La gleba si riduce, a maturità, in una massa pulverulenta rosso-bruna, attraver- sata da scarsi sepimenti rosei. Capillizio grigio sericeo. Spore sferiche, mai perfettamente opache; a superficie quasi punteggiata; il loro diametro varia tra 14 e 20 u. con un diametro medio di.17 pu. (1). (1) Devo notare che un esemplare classificato come £. reticulatus dal Rev. Abate BresApoLA, non corrisponde ai caratteri dell’. reticulatus tipico, ed è, secondo me, un esemplare di Z. hirtus im- perfettamente sviluppato. Serie II. Tom. LIX. M 98 EFISIA FONTANA 10 Questi caratteri essendo uguali a quelli fissati dal Vittadini per l’E. reticulatus, mi fanno ritenere tali individui come rappresentanti dell’ E. reticulatus Vitt., quantunque io non abbia potuto studiare gli autoptici, non conoscendosene per questa specie (1). Gli autori posteriori al Vittadini, quali i Tulasne e il Fischer, non fecero che copiare la descrizione del micologo milanese. E. decipiens Witt. (Tav. I D, fig. 16-20. — Tav. II D, fig. 18-21). Bibliografia e sinonimia. E. decipiens. — Virrapini (Mon. Tub., 1831, pag. 68). _ (Mon. Lycop., 1842, pag. 75, tab. III, fig. 4). i 5 — Corpa (Sturm. Deut. FI., 1841, fasc. XIX-XX, pag. 33, tab. XI). È : — Turasne (Fungi Hypogaei, 1862, pag. 108). A s — Saccarpo (Sy. Fung., 1889, vol. VIII, pag. 867). È : — FiscHer (in Rhab. Crypt. Fl., V Ab., Leipzig, 1897, pag. 93). È ; — Bizzozzero (Flora Veneta Cryptogamica, 1885, pag. 93). È x — 0. MartIRrOLo (Funghi Ipogei Italiani, Torino, 1903, pag. 348). Esemplari osservati. VirtADINI co. — Dal Museo di Pavia (collezione Mattirolo). ; — Dalla raccolta Vitt. di Brera (collezione Mattirolo). ° — Ex herb. Vitt. Colt. Balsamo (ex hkerb. Saccardo). Saccarpo. — Nell’erbario Saccardo. 0. MartIRoLo 0. — Rodero. 5 s — Dintorni e collina di Torino. G. Gora. — Ossola (boschi di quercia a Cuzzago presso la miniera di rame). Vittadini giustamente diede a questa specie il nome di decipiens, perchè essa, sia per l’aspetto del peridio, sia per le spore, presenta affinità tali con VE. varie gatus Vitt. da indurre facilmente in errore l'osservatore non attento. | Il corpo fruttifero è, come nella specie precedente, sferico o subgloboso; non raramente negli individui secchi è solcato da rughe. Il diametro varia tra 1 e 2 cm. | La consistenza è evidentemente cornea. Posto nell’acqua si rammollisce e rigonfia facilmente. Il colore negli individui conservati in alcool ed in quelli non troppo maturi da poco raccolti è giallo pallido od ocraceo; negli esemplari di antica data e molto maturi, è fulvo-avellaneo o fulvo-fuliggineo ; spesso si osservano punteggiature brune. Il peridio è finamente verrucoso, solo in. alcuni individui quasi liscio. Le verruche sono irregolari, molto depresse, ravvicinate, arrotondate; quasi come immerse in un feltro miceliare biancastro aderente alla crosta, la quale manca per lo più negli esemplari secchi. Negli individui tenuti in alcool la crosta è, (1) 0. MamtIRoLo, Gli autoptici di Vittadini. Estratto dagli “ Atti del Congresso dei Naturalisti italiani,, Milano, 1907. 11 RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES , 99 e come dice Vittadini, terroso-fioccosa, biancastra, formata in massima parte da micelio e radichette, ed aderisce al peridio. i Il peridio presenta i due strati pochissimo distinti, cioè : 1° L’esterno sottilissimo di 100 y., ifenchimatico; in esso la sostanza gialla cementante è molto scarsa ed irregolarmente distribuita ; negli individui a peridio verrucoso questo strato si ispessisce verso l’apice delle verruche; in quelli quasi lisci forma una striscia ondulata interrotta dalle ife raggianti incolore. Dalla superficie di questo strato partono in ogni senso ife incolore, analoghe a quelle colleganti le ver- ruche che stanno in relazione colle ife miceliari e colle radichette delle piante ospiti. Frequentemente si notano radichette aderenti al peridio, più raramente inglo- bate nello strato interno; sia nell’uno come nell’altro caso esse sono normali e rav- volte in una guaina miceliare. 2° Lo strato interno è corneo, lucente, traslucido, marmoreggiato, a macchie bianche e grigio-giallognole verso l'esterno, biancastre e giallo-brune verso la gleba. Alcuni individui hanno ancora macchie chiare verso l'esterno, ma la loro parte interna è intensamente colorata in bruno con qualche macchia ferruginea. Le parti chiare sono più lasse e piene di aria. Tale strato è fortemente rifrangente, non più ifenchimatico; ma pseudoparenchi- matico a cellule piccole pentagonali od allungate. La consistenza cornea è dovuta ad una sostanza gelificata che cementa le ife e ne impregna le membrane; essa è incolora e fortemente rifrangente nelle aree chiare, giallo-bruna in quelle scure. Lo spessore dello strato si riduce colla maturazione; negli individui ipermaturi diventa bruno, grumoso ed addossato allo strato esterno. La gleba giovane è costituita da un ammasso di ife feltrate grigiastre; col ma- turare delle spore si riduce a poco a poco in una massa pulverulenta nera. Capillizio sericeo, lasso ; sepimenti ridotti. Gli aschi giovani sono sferici, trasparenti, a parete sottile; i maturi contengono nell'interno 4 o 5 spore. Le spore, dapprima trasparenti, incolore, si colorano in seguito in bruno. Il perinio prima radialmente striato dà, col distaccarsi delle striature, origine ai bastoncini. Le spore mature sono nere, opache, del diametro medio di 24 u., a superficie scabra; si decolorano lentissimamente in acqua di Javelle, mentre si scioglie prima la parte più esterna del perinio, mettendo a nudo i rilievi periniali in forma di piccoli e sottili bastoncini radiali. E, granulatus Fries. (Tav. I E, fig. 21-23. — Tav. II E, fig. 22-27). Bibliografia e sinonimia. E, granulatus. — Fries (Syst. Myc., 1821, vol. III, pag. 58). a s — VITTADINI (Mon. Tub., 1831, pag. 72). ; à — TuLasne (Annales des Science. Natur., 1841, pag. 18). ” % — VirtaDINI (Mon. Lycop., 1842, pag. 78, tab. III, fig. 7). 100 EFISIA FONTANA Ì ID: E. vulgaris B granulatus. — Corpa (Sturm. Deut. Fl., Niirnberg, 1841, fasci- coli XIX-XX, pag. 25). E. granulatus. — TuLasne (Fungi Hypogaei, 1862, pag. 109, tab. XIX). x È — Saccarpo (Sylloge Fungorum, 1889, vol. VIII, pag. 868). ‘ È — Bizzozzero (Flora Veneta Cryptogamica, 1885, pag. 361). È x — Hesse (Die Hyp. Deut., 1891, pag. 70, tab. XIII, figgla 7, tab. XXV, fig. 55). s x — MENIER (Ascomycetes Hypogés, Nantes, 1895, pag. 5). E. cervinus Schroòter. — Fiscuer (in Rab. Crypt. Fl., 1897, pag. 94). E. granulatus. — O. MartiRoLo (Elenco dei funghi PIENE raccolti nelle foreste di ‘ Vallombrosa anni 1899-1900. Estr. dal Giorn. “ Malpighia ,, anno XIV, vol. XIV, pag. 13. Genova, 1900). Esemplari osservati. Virtapini. — Autoptici di Vittadini (collezione Mattirolo). BresapoLAa. — Val di Sole (Trento). Estate 1883 (collezione Mattirolo). = — Boschi di Campiglio (Trento) ( x Pipino}: Hesse. — Provincia di Hessen ( 3 af Fritz RonnreLDER. — (Allescher e Schnabl, Fungi bavarici). Oberfranken Langheim bei Lichtenfels, Aug. 1895 (ex herd. Saccardo). Mouceor. — (Roumeguère, Fungi selecti Galliae casiccatis in silvis abietinis). Reliquiae Mugeotianae (ex herd. Saccardo). 0. MartIRoLo 0. — Rodero (Como) dal 1880-1906. ; s — Mugello (Firenze). 5 »s — Collina e dintorni di Torino dal 1880 al 1906, in ogni stagione. s — Vallombrosa, 1899-1900, Maggio e Aprile. G. ona —. Fomarco (Ossola), 1905. Il corpo fruttifero di questa specie quando è secco è più o meno rugose: e deformato; mentre in alcool si conserva sferico, ovoidale e depresso, solo raramente rugoso. Gli individui secchi si rigonfiano in acqua e perdono per lo più le rugosità. Nei tipi regolari il diametro varia da 2-a 4 cm. Il peridio è rivestito da una crosta facilmente staccabile, formata da radichette, terriccio e micelio giallo pallido. La consistenza del peridio è quasi legnosa. Il colore, negli individui giovani, è giallo pallido; in quelli maturi, invece, ocraceo, fulvo o con macchie fuligginee. Il peridio è finamente verrucoso, capace di aumentare quasi del doppio del suo spes- sore sotto l’azione dell’acqua. Le verruche sono piccole, regolari, coniché, leggermente appuntite, e come immerse in una specie di feltro ifenchimatico prima incoloro, poi grigiastro ed infine giallo — nerastro. Il peridio sezionato presenta i due strati distinti, cioè : 1° L'esterno spesso circa 300 u., formante le verruche; queste sono a sezione triangolare, più alte che larghe, appuntite o arrotondate all'apice. Gli spazi lasciati 13 "RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES , 101 liberi tra verruca e verruca sono completamente riempiti dalle solite ife raggianti incolore o leggermente giallognole ; in alcuni individui si nota verso la parte supe- riore di queste una striscia fuligginosa prodotta da una sostanza nerastra che riempie il lume delle ife. La sostanza cementante gialla è verso il margine di queste, così abbondante da formare una massa compatta, intercalata solo qua e là da punteg- giature e screpolature. 2° Lo strato interno di color bianco-latteo, sviluppato negli individui giovani, va riducendosi durante la maturazione fino a scomparire quasi totalmente. Al micro- scopio si presenta perfettamente incoloro ifenchimatico; l’ifenchima è più compatto e formato da ife a diametro più piccolo verso l’esterno. Le ife hanno un diametro maggiore di quello che si è osservato nelle specie fin qui ricordate, hanno parete sottile e verso la cavità diventano quasi nastriformi. Non s'incontra mai sostanza gialla interposta tra ifa e ifa. Gli spazi aeriferi sono specialmente verso l'esterno molto ampi. La gleba appare dapprima come una massa feltrata grigio-rossastra, che al com- parire delle spore diventa bruna, e si riduce in seguito in una massa pulverulenta del colore del caffè tostato. Capillizio grigio, sericeo; dissepimenti ridotti, rossastri. Aschi globosi, ovali, a parete sottile, contenenti in generale da 6 a 8 spore. Le spore, anche giovani, hanno il perinio molto spesso, e attraversato da striscie raggianti ben evidenti. Le spore mature sono brune, mai perfettamente opache, a superficie evidente- mente irta di bastoncini. 7 Con acqua di Javelle le spore si decolorano e si scioglie prima lo strato più esterno del perinio, lasciando a nudo i bastoncini radiali che ne ornano la superficie. Il diametro delle spore varia tra 26-30 u.; non si notano però mai le dimen- sioni date dall’ Hesse di 16-18 yu. Nelle sezioni il perinio misura quasi 5 u. e decorre come una striscia bruna su cui si allineano a guisa di palizzata i bastoncini cilindrici, bruni, aiti e sottili. L’endosporio è ben sviluppato, perfettamente incoloro; il contenitto è ricco di goccioline di grasso. Hesse, basandosi specialmente sulla superficie rugosa del peridio (che paragona al cappello della Morchella), sulla maggiore sottigliezza di esso e sulle minori di- mensioni delle spore di u. 21-25, ha voluto distinguere una nuova specie che chiamò E. plicatus Hesse. Negli esemplari, che io ho studiato, ho bensì notata la presenza di individui a peridio rugoso, come pure quella di individui presentanti verruche più adpresse ed appuntite ed altre a verruche più distanziate, larghe ed arrotondate; e di individui a spore tutte un po’ più piccole, 24-26 u.; le dimensioni delle spore però non erano in alcun rapporto coi caratteri del peridio, perciò io non ho potuto accertare, negli esemplari da me visti, la presenza di forme appartenenti all’E. plicatus nel senso attribuitogli dall’ Hesse. Quantunque io non abbia veduto esemplari autoptici di E. plicatus Hesse, pure, dalla descrizione e dalle illustrazioni dell’ Autore, devo ammettere che 1’E. plicatus Hesse poco si discosti dall’E. granulatus, costituendone tutto al più una varietà. 102 EFISIA FONTANA 14 E. asperulus Vitt. (Tav. I F, fig. 24-26. — Tav. Il F, fig. 29-36). Bibliografia e sinonimia. E. asperulus Vitt. — VirraDIiNI (Mon. Tub., 1831, pag. 69, tab. IV, fig. 6). i —_ $ (Mon. Lycop., 1842, pag. 77). E. pi Bg vare ose IS — Corpa p. p. (Sturm. Deut. FI., 1841, fasc. XIX-XX, È tab. VIII, ex fig.). E. asperulus Vitt. — TuLasne (Fungi Hypogaei, 1862, pag. 110, tab. III, fig. 9). : È s — Saccarpo (Syloge Fungorum, 1889, vol. VIII, pag. 869). i x s — MemER (Ase. Hyp., Extrait du Bull. de Sc. Nat. de l’Quest, tom. V, nom. 1°, pag. 5). EF. hassiacus Hesse. — Hesse (Die Hyp. Deut., 1891, vol. I, pag. 73). E. cervinus var. asperulus et hassiacus. — Fiscner (in Rab. Deut. Crypt. Flor., | 1897, pag. 96). asperulus Vitt. — MartIROLO (Elenco dei funghi ipogei raccolti nelle foreste di Vallombrosa. Estr. dal Giorn. “ Malpighia ,, anno XIV, vol. XIV, pag. 13. Genova, 1900). > Esemplari osservati. VirtaDpINI. — Ex herb. Vitt. (Collezione Mattirolo). BresapoLa. — Trento in Val di Sole (Collezione Mattirolo). Hesse. — Provincia di Hessen (E. hassiacus Hesse) (Collezione Mattirolo). Dott. HoLLos L. — Brassò, 1859 (ex herd. Doet. Hollos, Kecskemét, Hungaria, sub E. variegatus). Fritz RonnreLDER. -—- Allescher e Schnabl, Funghi bavarici. Oberfranken in Langheim bei Lichtenfels, Aug. 1895 (ex herb. Saccardo), sub E. gra- nulatus Fries. Moucror. — C. Roumeguère, Fungi selecti Galliae. Reliquiae Mugeotianae. In siluis abietinis, sub E. granulatus Fries (ex herb. Saccardo). Saccarpo. — Erbario Saccardo. MartIROLOo 00. — Colline di Torino in ogni stagione dal 1880 al 1906. n s — Dintorni di Torino. È s — Rodero (Prov. di Como). a — Vallombrosa. G. Gora. — Boschi di castagno a Fomarco (Ossola), 1903. Burcay o». — Valle d’Ayas (a 1700 m. circa). Sotto un abete. Dicembre, 1906. Corpo fruttifero di forma rotondeggiante o depressa, raramente rugosa. Crosta abbondante, facilmente staccabile, in massima parte terrosa. Diametro del corpo frut- tifero negli individui regolari, come pel granwulatus, tra 2-4 cm. Consistenza legnosa o quasi legnosa. Il colore del peridio è, negli individui giovani, ocraceo; nei maturi, fulvo o ten- dente al castagno; il peridio è poco rigonfiabile in acqua e generalmente sottile. La superficie è finmamente verrucosa, a verruche pochissimo elevate, arrotondate, adpresse; alle volte riunite più insieme in modo da formare piccole placche; esse sono com- x 15 RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES, 103 pletamente immerse e spesso anche ricoperte dalle ife raggianti; però in alcuni casi le verruche sono leggermente piramidate con l’apice libero. I due strati del peridio sono ben distinti : 1° L’esterno di quasi !/y mill. di spessore, formato dai rilievi e da una sottile striscia sottostante, di color ferrugineo o luteo. Il cemento giallo è più abbondante ancora che nelle specie precedenti e vi forma grosse placche intensamente colorate, intercalate qua e là da punteggiature e screpolature. Negli esemplari a verruche piatte le ife raggianti, leggermente giallognole, colle- gano e rivestono l’apice delle verruche, in modo da formare verso l’esterno una linea continua; in quelli invece a verruche piramidali o leggermente appuntite, tali ife si spezzano in corrispondenza degli apici, di modo che questi restano liberi. 2° Lo strato interno poco sviluppato negli individui immaturi, mai bianco latteo, ha colore vario: grigio-roseo, grigio-vinoso, grigio-verdastro, azzurrastro, plumbeo, giallo-melleo, ecc..... La colorazione varia anche su uno stesso individuo; alcuni in parte presentano colorazione giallo-mellea intensa, in parte grigio-azzurrastra. Generalmente il peridio è grigio-azzurrastro o verdastro verso l’esterno e inten- samente vinoso verso la gleba. Lo spessore suo si riduce colla maturazione dei corpi fruttiferi; il peridio ‘è ifenchimatico, le ife sono di diametro notevolmente sviluppato con parete molto ispessita e rifrangente. i L’ifenchima è più compatto e formato da ife a diametro un po’ minore verso l’esterno. Tra le ife trovasi aria, e qua e là la sostanza gialla o bruna da cui dipende la maggiore o minore intensità e la varia colorazione. Gli spazi aeriferi sono più ampi verso l’esterno, dove è pure minore l’aderenza fra i due strati, epperò non raramente lo strato esterno si stacca in questo punto lasciando quello interno a nudo. Gleba feltrosa, grigio-vinosa, riducentesi a maturità in una massa pulverulenta, bruna, perfettamente staccabile dal peridio. Capillizio grigio, sericeo, abbondante; sepimenti deboli, vinosi., Aschi sferici od ovali, a parete sottile incolora, contenenti in generale da 6-8 spore. Spore giovani con perinio sottile, prima incoloro, poi bruno, con striscie radiali finissime, ‘appena visibili. Le spore mature sono nere, opache, a superficie quasi liscia, in generale del dia- metro di 29-34 pu. In sezione il perinio presenta uno spessore di u. 2,5; è intensamente colorato in bruno e risulta di una striscia su cui si dispongono piccolissimi bastoncini, strettamente ravvicinati e saldati tra di loro; l’endosporio è molto sviluppato, per- fettamente incoloro, rifrangente, il contenuto ricco in goccioline di grasso. Con acqua di Javelle le spore si decolorano lentissimamente e si mettono in evidenza (in seguito allo sciogliersi dello strato superiore del perinio) i piccolissimi bastoncini, onde la superficie appare come finamente punteggiata. Tra gli esemplari di E. asperulus provenienti da Rodero ne ho trovati alcuni che differivano dalla forma da me descritta come tipica, che perciò io ritengo come rappresentanti di una forma di E. asperulus, che chiamerò “ forma microspora Mihi ,. Differisce questa forma dall’ E. asperulus tipico : 104 EFISIA FONTANA È 16 1° Per il peridio rugoso ; 2° Per la colorazione più chiara; 3° Per la struttura dello strato esterno affine a quella presentata dall’. va- riegatus e dall'E. hirtus ; 4° Per le verruche a sezione triangolare acute all'apice, più alte che larghe; 5° Per lo strato interno intensamente colorato ; 6° Per le spore di diametro minore di u. 25, irregolari, a contorno nè liscio, nè a bastoncini, ma irregolarmente. tubercolato. Come gli esemplari sopra accennati si comportò un autoptico di Vittadini. A questo proposito devo riferire che lE. hassiacus di Hesse non presenta, per quanto ho potuto confrontare con gli autoptici dell’autore, caratteri differenziali tali da indurre a ritenerlo come specie distinta; esso si dovrebbe tutto al più considerare come una forma o varietà di E. asperulus Vitt. Infatti Hesse lo distingue dall’£. asperulus tipico : 1° Per le verruche che ricordano quelle dell’. variegatus ; 2° Per la colorazione del peridio bluastra e rosea nella parte più interna; 3° Per le spore presentanti diametri molto disuguali, per la massima parte però identiche per diametro, superficie e struttura a quelle dell’E. asperulus. Questi caratteri non sono bastevoli per la creazione di una nuova specie, essendo il peridio più o meno verrucoso anche negli individui normali; il colore dello strato interno variando grandemente anche alle volte su uno stesso individuo, secondo il grado di maturazione; e, per quanto riguarda le spore, notandosi sempre in tutte le specie, in maggior o minor numero, spore imperfettamente sviluppate frammiste a spore regolari. Del resto anche fra i materiali di £. asperulus della collezione Mattirolo si notano tipi identici a questi. Tulasne descrive l’E. asperulus come specie distinta dall’. granulatus ; ma ritiene che le due forme si possano facilmente confondere. Corda non accenna all’E.asperulus, ma la figura di £. granulatus da lui disegnata corrisponde perfettamente all’E. asperulus Vitt. Fischer considera 1 £. asperulus, VE. Hassiacus, VE. plicatus, come tante varietà dell'E. cervinus Schròter, cioè dell’ E. granulatus, ciò che assolutamente non è ammessibile. Gli studi fatti mi consigliano a ritenere le due specie come ben distinte; perchè, se pure esse presentano ad un primo esame alcuni punti -di contatto per quanto riguarda il peridio, si differenziano però sempre pel carattere infallibile delle spore. Concludendo io ritengo che nel gruppo in questione si debbano distinguere le 6 specie autonome seguenti, che indico coi loro sinonimi: E. variegatus. Vitt... = E. variegatus a coelatus Tul. = E. vulgaris a variegatus : Corda = E. variegatus Fischer = E. variegatus var. fuscescens Spegazzini. E. hirtus Tul......= E. variegatus B hirtus Tul. = E. variegatus Y pallens Tul. = £. variegatus Hesse e Ménier. E. reticulatus Vitt, E. decipiens Vitt. E. granulatus Fries cum var. plicatus Hesse. E. asperulus Vitt... , , hassiacus Hesse et forma microspora mihi. TC, A...’ Tr '—__—— oo. è 17 RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES, 105 La seguente tavola riassume le osservazioni fatte: Elaphomycetes a peridio esterno ifenchimatico formato da ife cementate e impregnate da una sostanza gialla. Colore variabile dal giallo pallido al fulvo. Peridio exasperato, cioè mai perfettamente liscio, ma finamente verrucoso, verrucoso-echinato-aculeato. Spore di diametro variabile fra 15 e 34 pu. Strato peridiale interno omogeneo. Sostanza cemen- tante gialla riunita in placche. Spore del diametro di 25 a 84 u. Strato interno mai bianco latteo, ma di color vario, grigio-vinoso, azzurrastro, plumbeo, giallo melleo, ecc. Ife a membrana ispessita. Spore quasi liscie del diametro di 29 a 34 u. E. asperulus Vitt. Strato interno bianco latteo. Ife a membrana sottile. Spore a superficie evidentemente irta di bastoncini e del diametro di u. 26-30. E. granulatus Fries. Strato peridiale interno attraversato da reticolature 0 venature. Spore del diametro di 15 a 25 up. Peridio finamente verrucoso o quasi liscio, evidentemente, corneo, marmoreggiato. Strato esterno sottilissimo. Strato interno quasi pseudoparenchimatico. Spore del dia- Mete 0 0 i. + decipiens Vit, Peridio finamente verrucoso ; verruche piccole, coniche, depresse, arrotondate all’apice. Strato esterno sottile, strato interno bianco- roseo con reticolature fini, poco visibili, subcorneo, sottile. Spore di u. 17 . . . E. reticulatus Vitt. Peridio a superficie aculeata; aculei alti, svelti, legnosi, fragili. Strato esterno sviluppato fino a 2 mm. Strato interno di color carneo, venature chiare. Spore di u. 23. . . . E. Rirtus Tul. Peridio verrucoso od echinato-verrucoso; ver- ruche o piramidi poco elevate. Strato e- sterno poco sviluppato. Strato interno grigio-rossastro con venature irregolari scure. Spore di up. 21 . . . . ... .E. vartegatus Vitt. Gli studi da me fatti sopra i corpi fruttiferi di questo gruppo di Elafomiceti possono portare a conclusioni di un certo interesse per la sua sistemazione. Serir II. Tow. LIX. N 106 EFISIA FONTANA 18 La massima importanza per la classificazione delle specie discusse spetta ai caratteri morfologici del peridio; mentre la gleba, pur non mancando di interesse, presenta, per le notevoli variazioni a cui va soggetta durante il suo sviluppo, ca- ratteri poco costanti. Per quanto riguarda il peridio non hanno grande valore i caratteri della consi- stenza e del colore; perchè difficili a determinarsi in esemplari essiccati; e perchè si modificano assai durante la maturazione del corpo fruttifero. Interessanti invece sono i caratteri che riguardano la struttura e l'aspetto dello strato esterno ed interno del peridio. £ Per lo strato esterno hanno importanza, più che sistematica, fisiologica, le ife incolore raggianti che collegano lateralmente i rilievi peridiali, perchè attraverso ad esse devono avvenire gli scambi di sostanze col micelio, scambi che difficilmente si potrebbero fare attraverso alla parte selerotizzata dello strato corticale. Intorno a queste ife, pur anche riconoscendo loro una tale funzione, occorrono ancora studi e ricerche accurate. * Di notevole interesse per la classificazione del gruppo sono la forma dei rilievi peridiali, i quali possono essere, secondo le varie specie: verruche, piramidi od aculei; lo spessore dello strato esterno che si presenta per lo più vario nelle singole specie, e la distribuzione della sostanza cementante gialla nelle ife che formano lo strato esterno. Per lo strato interno è importantissima la presenza di venature e reticolature, non solo perchè esse sono un ottimo carattere per la divisione del gruppo; ma ancora perchè il differenziamento di zone aerifere, forse adibite al trasporto delle sostanze nutritizie (Come pare provato dalla presenza di goccioline di grassi nelle ife che le formano), segna una maggior evoluzione nelle specie che ne sono provviste. Di minor valore è il carattere della varia colorazione e dello spessore dello strato interno. 4 La gleba presenta caratteri poco costanti, quali quelli della colorazione, della maggiore o minore abbondanza del capillizio, e dei sepimenti; si devono però sempre avere presenti nello studio degli esemplari maturi la dimensione delle spore, la strut- tura e lo spessore del loro perinio. Dalle specie lignee si passerebbe alle carboniose mediante il gruppo di Elafo- miceti a peridio poco consistente (E. papillatus, E. atropurpureus, E. mutabilis, E. ci- trinus). Infatti: mentre lE. mutabilis e più ancora lE. citrinus si riannodano perfet- tamente per la struttura dello strato esterno (che è evidentemente pseudoparenchi- matica) alle specie carboniose; lE. papillatus e VE. atropurpureus (legati alle due su ricordate per la consistenza ed il diametro delle spore) presentano d’altra parte affinità tali con le specie. lignee, quali la struttura ed il colore dello strato esterno del peridio, da porre in dubbio se veramente non si debbano piuttosto unire a queste. La specie del gruppo ligneo che più si avvicina a quelle carboniose-pseudopa- renchimatiche è lE. asperulus Vitt. Infatti lE. asperulus, pur avendo strettissima analogia con le specie lignee, presenta già caratteri che l’avvicinano alle carboniose, quali: la struttura dello strato esterno non evidentemente ifenchimatica, ma in alcuni punti già quasi pseudo- 19 RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE DEL GENERE “ ELAPHOMYCES NEES $, 107 parenchimatica, e l'aspetto del perinio delle spore che, come nella maggior parte dei carboniosi, è appena punteggiato. i, Dall’ E. asperulus si passa quasi insensibilmente all’£. granulatus e da questo gradatamente alle specie a peridio interno variegato (£. reticulatus, E. hirtus, I. va- riegatus, E. decipiens), le quali, presentando una maggior complicazione nella struttura del loro peridio, segnano il più alto grado di evoluzione del genere Hlaphomyces Nees. I probabili rapporti di affinità e di derivazione delle singole specie possono essere indicati come segue : E. aculeatus Vitt. e le altre specie a peridio esterno carbonioso | [pseudoparenchimatico. | | E. Citrinus E. mutabilis | | | E. papillatus E. atropurpureus E. asperulus E. granulatus | | E. reticulatus E. decipiens E. variegatus E. hirtus. Confido di non aver fatto cosa superfiua studiando questo gruppo di funghi, i quali presentano un notevole interesse non solo dal punto di vista tassonomico, per le molteplici questioni critiche che vi sono collegate, e per la difficoltà di valuta- zione dei caratteri di sistemazione; ma anche per l’importanza che essi hanno nella biologia vegetale. Quando si pensi che nei terreni silicei di quasi tutta la zona temperata dell’emi- sfero Nord la simbiosi tra piante arboree e ipogei ha luogo nel masgimo numero dei casi con specie del genere Elaphomyces; e quando si consideri ancora che le più fre- quenti specie di tal genere sono appunto quelle che ho studiato testè ; non rimarrà alcun dubbio sull'importanza che la conoscenza di tali funghi ha nello studio del- l'economia forestale di tutta quell’immensa area di vegetazione, che pel suo carattere fondamentale è appunto detta dai fitogeografi regione silvatica. 108 F_ EFISIA FONTANA — RICERCHE INTORNO AD ALCUNE SPECIE, ECC. 20 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TavoLa I. E. variegatus Vitt. — 1-3, corpi fruttiferi in grandezza naturale. — 1 e 2, & superficie verrucosa. — 3, a superficie verrucosa echinata. — 4, corpo fruttifero tagliato secondo un diametro. — 5, verruche piramidate del N° 3 ingrandite. — 6, sezione del peridio ingrandita. E. hirtus Tul. — 7-8, corpi fruttiferi in grandezza naturale. — 9, id. tagliato secondo il diametro maggiore. — 10, aculei del N° 7 ingranditi. — 11, sezione del peridio ingrandita. E. reticulatus Vitt. — 12, corpo fruttifero (grand. nat.). — 13, id. tagliato. — 14, ver- ruche ingr. — 15, sezione del peridio ingr. E. decipiens Vitt. — 16, corpo fruttifero (grand. nat.). — 17-18, corpi fruttiferi tagliati. — 19, ingr. delle verruche. — 20, sezione del peridio ingr. E. granulatus Fries. — 21, corpo fruttifero (grand. nat.). — 22, verruche ingr. — 23, se- E. zione del peridio ingr. . asperulus Vitt. — 24, corpo fruttifero (grand. nat.). — 25, id. tagliato, con la cavità interna vuota dalle spore. — 26, ingr. delle verruche. Tavona II. variegatus Vitt. — 1, verruche invase esternamente da un micelio esterno di ife a parete colorata in bruno (mm) ingr. — 2, id. più ingr. — 3, sezione di una spora. —- 4, perinio della stessa più ingr. . hirtus Tul. — 5, sezione del peridio ingr. -.-(m) faicorriza. — 6, particolare più ingr. (p) ife incolore raggianti colleganti gli aculei. - (a) ife che formano gli aculei. - (è) ife dello strato interno. — 7, sezione tangenziale dello strato esterno. — 8, spore irfgr. — 9, id. trattate con acqua di Javelle. — 10} sezione di una spora. — 11, parte del peridio più ingr. — 12-16, spore giovani ancora racchiuse negli aschi. . reticulatus Vitt. — 17, spore ingr. i . decipiens Vitt. — 18, sezione del peridio ingr. - (n) micorrize inglobate nell’interno del peridio. — 19, spore ingr. — 20, id. con acqua di Javelle. — 21, id. sezione. . granulatus Fries. — 22, sezione del peridio ingr. — 23, spore ingr. — 24, id. con acqua di Javelle. — 25, id. sezione. — 26, parte del peridio più ingr. — 27-28, spore giovani: 28, nell’asco, 27 libera. . asperulus Vitt. — 29, spore ingr. — 80, id. con acqua di Javelle. — 31, id. sezione. — 32, parte del perinio più ingr. — 33, spora giovane libera. — 34, id. chiuse nell’asco. — 35, sezione del.peridio della forma microspora mihi. — 36, spore ingr. della stessa. A :0-00 tn — —— — a ci DSozimo- Ser.ll Vol. LIX Tav. N e Selene II.ff ccac.cell A re Cella SR. Cemoz Ì S) Ricerche sul genere Elaphomyces E.FONTANA- - = ee 279 PA \AEZAl ) ” " a PAZ n di Lai s f a En Si DÀ > ® ΰ Po Peicia Ses spo Mme ge pei ca oo dti me pra | to SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI DI COMPLESSI CUBICI MEMORIA DI UMBERTO PERAZZO Approvata nell’Adunanza del 15 Dicembre 1907 Mi propongo nel presente lavoro di studiare brevemente alcune notevoli classi di complessi, congruenze, rigate corrispondenti a “varietà generate in un -S; me- diante sistemi di rette, piani, S3 incidenti a dati spazi , e, più precisamente: “ corri- spondenti alle varietà (M;, superficie, curve) loro intersezioni con una Mj generica ©, ove si consideri la geometria della retta come equivalente, nel senso noto, alla geo- metria proiettiva su di una Mî non specializzata dell’S;. In un lavoro pubblicato nelle Memorie dell’Acc. delle Scienze di Torino (*) avevo stabilito elementarmente gli ordini di tutte le possibili varietà “luoghi di spazi incidenti a più spazi dati dell’S; , ed esaminato alcune notevoli di esse: Mi oecuperò ora delle corrispondenti varietà di rette, nel senso di cui sopra, supponendo gli spazî direttori dei sistemi da considerarsi in posizione conveniente rispetto alla È: tale cioè, che le varietà di rette in questione risultino definite mediante generazioni degne di qualche interesse. — Di simili applicazioni alla geometria della retta mi occupai già per una particolare forma cubica, appartenente alla classe di varietà di cui sopra (**): com- pleterò anche tale studio, prendendo in esame ($$ 3-7) altre possibili relazioni di posizione della forma colla dD.— Analogamente farò per altre varietà dell’S; ($$ 2,8-14), limitandomi in molti casi però ad indicare il grado, ovvero l'ordine e la classe, del complesso, rigata o congruenza corrispondenti ad una data generazione (***). (*) Sulla incidenza di rette, piani, spazì ordinarì in uno spazio a cinque dimensioni, ecc. (II) l'om. LIV (1904). — In tutto il seguito, nei frequenti richiami a tale lavoro, lo indicherò per bre- vità con M. (*#*) Sopra una forma cubica con 9 rette doppie dello spazio a cinque dimensioni ed i corrispon- denti complessi cubici di rette dello spazio ordinario. Atti della R. Accademia delle Scienze di To- rino, vol. XXXVI (1901): vedasi $$ 4, 5, 6. — Indicherò nel seguito tale nota con N. (***) Per qualcuna delle varietà di rette in esame, nel “ tradurre , le proprietà della corrispon- dente varietà dell’S,, enuncierò talvolta risultati, che potrebbero ottenersi direttamente in modo ovvio, o che sono da ritenersi noti da ricerche precedenti. Ciò per uniformità di metodo o per ren- dere maggiormente intelligibili le proprietà, che a quelle fan seguito nella trattazione. 110 U. PERAZZO : 2 Alle varietà di rette oggetto del presente lavoro si collega lo studio di sistemi di quadriche “ che passano per dati punti e son tangenti a dati piani, o hanno even- tualmente a comune una generatrice, o ammettono date coppie di rette reciproche (in particolare un dato tetraedro autopolare) o son doppiamente apolari rispetto ad una o più quadriche date, ecc. ,. $ 1. — Alcune considerazioni preliminari. Credo utile riunire nel presente $ alcune considerazioni (in parte ovvie) sull’in- terpretazione dell’ “ incidenza di coppie di spazi dell’S; , per le corrispondenti varietà di rette. Farò astrazione {come in tutto il seguito) dalla realtà o meno della “ coppia di rette , o della “ schiera rigata , corrispondente ad una generica (*) retta o piano dell’S;, o della coppia d’assi della “ congruenza lineare , immagine di un generico $; dell’S;. N° 1.— a) Alle “ 005 rette incidenti ad una data generica retta r dell’S; , corri- sponderanno le “005 coppie di rette giacenti in schiere rigate con una data coppia ri; to, — db) alle “005 rette incidenti ad un generico piano a ,, le “006 coppie di rette incidenti a coppie di direttrici di una schiera data (a) , — c) alle “co? rette incidenti ad un generico Sz X , le “00° coppie di rette contenute in complessi lineari con una data congruenza lineare (X) , — d) agli “ 005 piani che tagliano secondo rette un generico piano a , le “0° schiere rigate che hanno con una data due generatrici a comune , — e) agli “ 08 piani che incontrano un generico piano a , le “ 008 schiere giacenti in complessi lineari con una data schiera rigata , — f), 9), A) agli “005, 008, o ° S; incidenti risp. ad un $;, ad un piano o ad una retta , le “x5, 006, co” con- gruenze lineari i cui assi soddisfano risp. a condizioni del tipo a), 8), c). N° 2. Alcuni casi particolari. — a) “Ad una retta incidente ad un $S;Z, tan- gente alla ® secondo una retta , corrisponderà in generale “ una coppia di rette inci- denti ad un medesimo raggio di un fascio dato So (secanti cioè un dato piano 0 secondo due punti allineati con un dato punto S del piano 0) ,. — è) “ ad una retta incidente ad un piano tangente alla F (in un punto), “una coppia di rette incidenti a raggi distinti di due fasci, assegnati con un raggio a comune ,. — c) “ad un piano che incontri (in un punto) un dato piano della ® (dell'uno o dell’altro sistema), “ una delle due schiere d’una quadrica passante per un punto dato, o tangente ad un piano dato ,.— d) “ad un piano che incontri una data retta della ® », “ una schiera avente una generatrice a comune con un dato fascio ,. — e) “ ad un piano che tagli secondo una retta un dato piano della @,, “ una coppia di fasci, con un raggio a comune, di cui uno appartenente ad una data stella, o piano rigato ,. ecc. N° 3. — a) “Ad una retta incidente &d una generica retta s ed al suo $3} po- lare Z rispetto alla ® , corrisponderà “una coppia di rette, armonica rispetto ad una data coppia di rette sghembe s;, s» , (costituente cioè con essa due coppie di generatrici d'una medesima schiera, separantisi armonicamente). — 8) “ Ad una retta. “ (*) Sottintendo (ora e nel seguito) con tale aggettivo: “ in posizione generica rispetto alla ® ,. 3 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 11 incidente ad un piano generico o ed al suo piano pòlare a' rispetto alla ® , corri- sponderà “una coppia di rette incidente contemporaneamente ad una coppia di gene- ratrici e ad una coppia di direttrici di una quadrica: quindi “ una (qualunque) coppia di rette reciproche rispetto ad una data quadrica ,. — c),d) Analogamente “ ad un $, incidente ad un dato S; ed alla sua retta polare , corrisponderà “una congruenza i cui assi separano armonicamente gli assi di una data congruenza lineare ,, e “ad un S; incidente a due piani a, a', reciproci rispetto alla ® , “una congruenza lineare, i cui assi sono reciproci rispetto ad una data quadrica ,. — e) “ Un piano che incida ad una retta s e al suo S3 polare , avrà per immagine “ una delle due schiere di una quadrica che ammetta come rette reciproche due date rette sghembe ,. — f) “ Un piano che si appoggi ad un piano dato a ed al suo reciproco o', conterrà una retta incidente ad a ed a' (la congiungente i punti d’appoggio): ad esso corrisponderà pertanto “ una delle due schiere di una quadrica contenente due rette reciproche rispetto ad una quadrica data ,, in altri termini: di una quadrica “ doppiamente apo- lare rispetto ad una quadrica data , (ciascuna delle schiere delle due quadriche con- tiene due rette reciproche rispetto alla quadrica cui non appartiene). —— g) “Ad un piano incidente (secondo una retta) ad un piano dato a ed appoggiato al suo reci- proco o' rispetto alla ® , corrisponderà “ una schiera autoconiugata rispetto ad una data ,: autoreciproca cioè rispetto alla quadrica contenente quella schiera, ed avente con essa due generatrici a comune. (La relazione fra le due schiere è reciproca e le schiere ad esse incidenti son legate dalle medesime relazioni). N° 4. — Chiamerò “ trispazio autoreciproco del primo tipo rispetto alla ® , il sistema di tre $;, “ ciascuno dei quali abbia come retta polare rispetto alla ® l’in- tersezione dei due rimanenti ,; “ trispazio autoreciproco del secondo tipo , il sistema di tre S3 “ di cui due tangenti lungo rette alla ® ed il terzo congiungente le rette di contatto , (polare quindi dell’interseziohe dei due primi). — Si riconosce agevol- * mente che “ agli 008 piani incidenti agli S3 di un trispazio autoreciproco del primo tipo, corrispondono “le 003 schiere appartenenti alle quadriche che ammettono un dato tetraedro autopolare , ed “ai piani incidenti agli Ss di un trispazio autoreci- proco del secondo tipo , le 003 schiere appartenenti alle quadriche che totcano in due punti dati due piani assegnati ,. $ 2.— Cenno su alcuni problemi del secondo grado e su generazioni di complessi del secondo grado. Indicherò ancora, come nella memoria citata (M.), con (p, 9, 7); e con (p, 9, »)z risp. il sistema delle rette o degli S; incidenti a p rette, q piani, s 83: con (p, 9g, r)s il sistema dei piani che si appoggiano a p rette, 9g piani ed incidono (secondo rette) a r$S3; con (p;9g,5;7), il sistema dei piani che si appoggiano a p rette ed a q piani ed incidono (secondo rette) a 7 S; e ad s piani. Allorchè uno di tali sistemi è costi- tuito da un numero finito di elementi, indicheremo questo numero col medesimo simbolo rappresentante il sistema. N° 5. — Valgono le eguaglianze (202),=(202),= 2; (121);=(121)3=2; (212),=2 (1; 1, 1; 1), = 2 (v' M. n' 4, 31, 38). La considerazione quindi dei sistemi (202),,....., 112 U. PERAZZO 4 supposti gli spazî direttori relativi in posizione generica o particolare rispetto alla ®, conduce a molteplici problemi del secondo grado (eventualmente spezzati in coppie di problemi lineari). Accennerò ad alcuni esempi: (202), = 2: Esistono due coppie di rette separanti armonicamente due date coppie di rette sghembe (n° 3 a)). — (121))= 2: Idem separanti armonicamente una data coppia, e reciproche rispetto ad una quadrica data (n° 3 a) 5)). — (212)-=2: V’ha una sola quadrica passante per un dato punto (o tangente ad un dato piano) e rispetto a cui sieno reciproche due assegnate coppie di rette sghembe (le due schiere della quadrica corrispondendo ai piani del sistema (212), (n' 2 c) e 3 e)) — (151, 1;1)s: Esistono ,due quadriche che ammettono una data coppia di rette reciproche e conten- gono una schiera autoconiugata rispetto ad una data schiera rigata (n° 3 e) g)). Ece. N° 6. — Un cono quadrico di 2° specie nell’S; può venir generato mediante i sistemi (102),, (021), (112)», (0; 1, 1; 1)a, (102)z, (021)3. (vi M.: nota (*) al n° 4): Cor- rispondentemente si ottengono (ed in molti modi, al variare della disposizione degli elementi direttori dei sistemi stessi rispetto alla ®), complessi del 2° ordine, costituiti da congruenze lineari. Ad es.: a) mediante le 008 coppie di rette armoniche rispetto ad un’assegnata coppia di rette sghembe ed incidenti ai raggi di un dato fascio (dal sistema (102),: vi ni 3 a) e 2 @)). —- d) mediante le c08 coppie di rette reciproche rispetto ad una quadrica data ed incidenti ai raggi di un dato fascio (dal sistema (021),: vi ni 3 5) e 2 @)). — c) mediante le oo? schiere aventi una generatrice conte- nuta in un dato fascio, una in una data stella (o piano rigato) e due direttrici ap- partenenti a due fasci assegnati (dal sistema (112),: vi n° 2). — d) mediante le 00? schiere aventi una generatrice contenuta in una data stella (o piano rigato), una direttrice in un dato fascio ed appartenenti a quadriche che ammettono una data coppia di rette reciproche (dal sistema (112). : ni 2, 3 e)). Nei casi c), d) le schiere incidenti alle 00? schiere generanti il complesso costituiscono complessi cubici (imma- gini di M? del tipo (211), (vi M. n° 31)). Ecc. 4 $ 3. — Complessi cubici corrispondenti ad una Mî con nove rette doppie. N° 7. — Le oo? rette di un sistema (013), costituiscono una Mj con 9 rette doppie (*). Essa può considerarsi altresì come luogo dei piani di un sistema (310), o, ciò che fa lo stesso, di un sistema (013);. E viceversa. Contiene sei sistemi di piani del tipo (310), =(013), incidenti a terne di rette doppie per la forma (ed agli Sg che le congiungono due a due). I sei sistemi possono distribuirsi secondo due terne: (4), (B), (0); (Z,), (La), (Ly) tali che: due piani appartenenti a sistemi diversi d’una stessa terna hanno sempre un punto a comune. Si possono ottenere i piani di cia- scuno dei sei sistemi congiungendo le terné di punti omologhi di tre punteggiate, i cui sostegni non appartengano ad un medesimo $,, riferite in un’arbitraria corrispon- denza trilineare. E dualmente. La Mj può ritenersi “ la generica forma del fascio (*) Vedasi la nota citata N. Riassumo nel presente numero alcune proprietà della forma, poichè di uso frequente nel seguito. 5 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 113 determinato da due terne d’iperpiani ,. La forma polare reciproca della Mj rispetto alla ® è del medesimo tipo della Mi stessa; ecc. N° 8. — Un'ulteriore proprietà relativa alla forma in questione può aggiun- gersi a quelle stabilite nella nota citata: “I piani di uno qualsiasi dei sistemi della forma punteggiano collinearmente i piani di ciascuno dei due sistemi della medesima terna e ne son proiettati secondo reti collineari di S,; nella collineazione determi- nata tra due arbitrarìî piani d’uno stesso sistema, considerati come luoghi di punti o sostegni di reti d’iperpiani, sono omologhi i punti d’intersezione colle rette diret- trici del sistema, o risp. gli S, proiettanti gli S3 direttori ,. Invero: sieno a’, 0", a" tre arbitrarî piani di un sistema (A) della forma (di cui A,, 43, Az rappresentino gli S3 direttori) e sia 8 un arbitrario piano d’un sistema (2) della medesima terna. Si riferiseano collinearmente le tre reti di S, di cui son sostegni i piani a’, a””, a'” facendo corrispondere agli S, a' A,, 0' A3, a' A3, a’ 8 della rete (a') ordinatamente gli S, a” A,, 043,0" A3,0" B dellarete (a”)e gli S, a'” A,, a'” 43, a'” 43, a” 8 della rete (0). Gli co? piani comuni a terne di S, omologhi costituiranno una forma del 3° ordine contenente i tre $3 A, A», 4g ed il piano BR: coincidente quindi colla data (poichè ogni piano incidente ad A,, As, Az ed appoggiato a B dovrà appartenere ad essa). Gli 00? piani pertanto, ottenuti mediante la generazione proiettiva, dovranno costituire il sistema della forma cui appartiene 8, quindi ecc. — E dualmente. — Viceversa, discende dalla dimostrazione precedente che “ assegnata fra tre reti di Sì}, a sostegni mutuamente sghembi, una collineazione tale che esistano tre terne di S, omologhi concorrenti in $3, gli co? piani comuni a terne di S, omologhi costituiranno un sistema del tipo (310). E dualmente ,,. N° 9. — Tali proprietà (n' 7 ed 8) si trasportano facilmente ai complessi cubici corrispondenti all'intersezione della ® colla forma in questione, nelle varie ipotesi relative alla posizione degli spazî direttori dei sistemi di piani in essa contenuti, rispetto alla ©. In ogni caso il complesso conterrà sei sistemi di schiere rigate, suscettibili di varie generazioni equivalenti (v. N., $$ 4, 5, 6): si possono essi sempre distribuire in due terne (A), (B), (0); (Li), (Za), (L3), tali che ogni schiera di uno qualsiasi dei sei sistemi giace in un complesso lineare con ogni schiera appartenente ad un altro sistema della stessa terna. — Alla configurazione delle rette doppie e degli $, della forma (distribuiti secondo le terne direttrici dei sei sistemi di piani), corrispon- derà una configurazione y di rette doppie e congruenze lineari, che si raggruppe- ranno secondo gli elementi direttori dei sei sistemi di schiere del complesso. Ecc. N° 10. — Segue in particolare dal n° 8: “ Ognuno dei sei sistemi di schiere rigate del complesso può ottenersi come sistema delle schiere comuni a terne di complessi lineari omologhi di tre reti riferite collinearmente, in guisa che esistano tre terne di complessi lineari omologhi secantisi secondo congruenze lineari ,. Rien- treranno nella classe dei complessi cubici di cui ci occupiamo i complessi luoghi “ delle schiere incidenti a terne di rette omologhe di tre forme di 2° specie (omo- nime o non), riferite collinearmente, in guisa che esistano tre terne di rette, deter- minanti congruenze (in luogo di schiere) di rette ad esse incidenti ,: costituite cioè Serre II. Tom. LIX. (O) 114 U. PERAZZO 6 da rette non tutte distinte (riducentisi a coppie per la coincidenza di due di esse) ovvero da rette appartenenti ad un medesimo fascio (*). Le schiere incidenti a terne di rette omologhe in tali forme collineari, congiungeranno pure terne di rette omo- loghe di tre forme collineari aventi i medesimi sostegni : “ si corrisponderanno cioè in una collineazione (distinta in generale dalla prima) le generatrici di quelle schiere appartenenti alle tre forme di 2% specie ,. Le due collineazioni possono effettiva- mente coincidere (n° 18). $ 4. Nella nota N. oltre al caso generico (n' 20-28) si esaminarono i casi in cui appartenevano alla ® alcune o tutte le rette doppie della forma e i casi a questi corrispondenti per applicazione della polarità rispetto alla ®. Nel presente $ e nei » $$ 5, 6, 7 tratterò altri casi notevoli ed alcune questioni relative alla Mj in esame. N° 11. — Si suppongano le tre rette direttrici di un sistema (310), “ spigoli di un trispazio autoreciproco del 1° tipo rispetto alla ® , (n° 4): si otterrà come sistema corrispondente “ il sistema (A) delle co? schiere che giacciono in complessi lineari con una data schiera TT ed appartengono a quadriche che ammettono un dato tetraedro 7, autopolare ,. Tali schiere e le schiere ad esse incidenti costituiscono “ due complessi cubici f, f" del medesimo tipo ,. Degli altri sistemi di schiere secondo cui possono distribuirsi le generatrici dell'uno o dell’altro complesso, tre costitui- scono quadriche che ammettono ordinatamente le tre coppie di spigoli opposti del tetraedro quali rette reciproche. N° 12. — “ Se la schiera TT appartiene ad una quadrica che passi per tre vertici del tetraedro 7, e tocchi le tre faccie uscenti dal quarto vertice, i due complessi f, f' appartengono entrambi al “ fascio determinato dalle due terne di complessi lineari speciali che hanno per assi risp. gli spigoli del-tetraedro che congiungono quei vertici due a due e gli spigoli comuni a quelle faccie prese due a due (*#*) ,. Viceversa : “ assegnato un arbitrario tetraedro, un generico complesso del fascio determinato dalle due terne di complessi lineari speciali che hanno per assi risp. gli spigoli di una faccia e gli spigoli uscenti dal vertice opposto, risulta del tipo prece- dente ,. “ Con ogni complesso del fascio v'ha nel fascio il suo complesso polare , (costituito dalle schiere incidenti a quelle del complesso) (###). “ Tutti i complessi del (*) Ad es. per tre piani rigati a', a”, a", non uscenti da una medesima retta, basterà che sieno unite le rette a'a”, a a”, a"a'” nelle collineazioni intercedenti risp. fra a', a"; a', a"; a", a'". E dualmente. — Per due piani rigati a', a” ed una stella A” basterà che sia unita la retta a' a”, nella collineazione fra a', a”, e che due raggi della stella A", incidenti a tale retta, formino fascio coi loro omologhi in a' ed a". E dualmente. (**) Assegnato nell’S; un sistema (310), = (01%), proiettando da ciascuno dei tre Sy direttori del sistema i punti che il piano direttore seca sui rimanenti, si ottengono (N. $ 1) i sei iperpiani che, distribuiti in due terne convenienti, determinano il fascio cui appartiene la forma luogo dei piani del sistema: Ora congiungendo ciascuna delle congruenze lineari aventi per assi le coppie di spigoli opposti del tetraedro 7a, alle generatrici della schiera (TT) (o della schiera (TT') ad essa inci. dente), contenute nelle due rimanenti, si ottengono appunto i complessi lineari speciali di cui son assi gli spigoli del tetraedro 7a, quindi ecc. (***) Chiamerò, ora e nel seguito, autopolare ogni fascio per cui sì verifichi tale proprietà. 7 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 115 fascio contengono tre stelle di raggi uscenti da tre vertici del tetraedro, e tre piani rigati, contenuti nelle faccie uscenti dal quarto vertice; i sei fasci uscenti da quei tre vertici e giacenti in quelle faccie sono costituiti da rette doppie per i complessi del fascio ,. N° 13. — Sieno A;,, 43, 43, Ay i vertici del tetraedro 7,,0,,0,, a;, a, le faccie ordinatamente opposte ad essi. Dei 5 sistemi (5), (0); (Li), (ZL) (Ls) di schiere rigate secondo cui si possono ulteriormente disporre le generatrici del complesso (oltre al sistema (4) mediante cui venne definito), uno (5) è costituito da schiere “ congiun- genti , terne di rette omologhe di una corrispondenza trilineare (generica) fra i tre fasci A;0, 4,03, Ag0;, e contemporaneamente “ incidenti , a terne di raggi omologhi di una corrispondenza trilineare fra i tre fasci 4,03, 490,, 43%; un secondo (C) è costituito da schiere “ che si comportano analogamente rispetto alle due terne di fasci A4,0;, A430,, 43% ed 4,0, 4303, 430;. Gli altri tre sistemi (L;), (Lo), (L3) appar- tengono ordinatamente a quadriche “ tangenti ai piani a,, a, nei punti A», A; ai piani a,, az nei punti A4;, A; ed ai piani a,, 03 nei punti 43, A. ,. Ecc. $ 5. N° 14. — Supposte ancora le tre rette direttrici di un sistema (310); spigoli di un trispazio autoreciproco del primo tipo rispetto alla ®, si assuma come piano direttore un piano della ®, appartenente ad es. al sistema (P). Il sistema risulterà allora “ autoreciproco rispetto alla ® ,: ad esso corrisponderà il “ sistema 00? delle schiere contenute nelle quadriche che ammettono un dato tetraedro autopolare 7, e toccano un piano assegnato 8 ,. N° 15. — Le 9 rette doppie d'una Mî luogo dei piani d’un sistema (310). si possono ottenere (N. n° 5) congiungendo i punti di una determinata terna ai punti di una seconda terna, giacente in un piano sghembo col piano della prima, ed i 9 S, della forma determinando l’intersezione di due terne d’,S, (congiungenti ciascuna delle terne precedenti ai punti dell’altra, presi due a due}. Si riconosce agevolmente che nel caso presente, costruita la configurazione delle 9 rette doppie e dei 9 S, della forma, (configurazione individuata dagli elementi direttori del dato sistema (310), : N. $ 1), risultano i sei punti di cui sopra, poli degli S, opposti (congiungenti i gruppi di cinque punti rimanenti). Se ne deduce che “ le 9 rette doppie (direttrici) risultano polari rispetto alla ® degli S; direttori opposti (sghembi con esse) ,. E poichè ognuno dei sei sistemi ha come 3 direttori quelli opposti alle direttrici del sistema stesso: “ Le terne di rette direttrici degli ulteriori cinque sistemi di piani della forma costituiscono, come per il primo, gli spigoli di trispazi autoreciproci del 1° tipo rispetto alla ® ,. Corrispondentemente: “ Le schiere costituenti i rimanenti 5 sistemi 00°, secondo cui possono distribuirsi le generatrici del nostro complesso appartengono a 5 sistemi 00? di quadriche, che ammettono ordinatamente 5 deter- minati tetraedri autopolari ,. Chiameremo questi: tetraedri direttori dei sistemi (5), (0); (L3), (Lo), (Z3), indicandoli ordinatamente con (7), (7): (Ti), (73), (73). N° 16. — Sieno a,, a; @2, 43; 43, az le tre coppie di spigoli opposti del te- traedro 7, direttore del sistema (A): Segue (ancora dalla costruzione della configu- 116 U. PERAZZO $ razione f: vi N. $ 1) che il tetraedro 7}, direttore del sistema (8), cui appartiene il piano rigato 8, ha come spigoli le rette diagonali 0, 6», 23 del quadrilatero sezione del tetraedro 7, col piano 8 e le rette d,', 83, 23’ uscenti ordinatamente dai vertici by bs, 63 03, bi bs del trilatero 8, 6, d3 ed incidenti alle tre coppie di spigoli opposti a, d/; 49, dg; dg, 43, Facilmente si ottengono i tetraedri direttori dei sistemi (L.), (Ls), (L3), poichè debbono avere ognuno una coppia di spigoli opposti a comune col tetraedro 7, e col tetraedro 7, (e precisamente il tetraedro 7, (i= 1, 2, 3) contiene le due coppie di spigoli opposti «a; @;, è; 6;'). Le ulteriori coppie ci, ci'; ca, cs; c4, c3 di spigoli opposti dei tre tetraedri 7, 7», 73 costituiranno il tetraedro 7; direttore del sistema (0). — I piani rigati di cui sono sostegni le faccie dei tetraedri 7}, T., 7. appartengono evidentemente al complesso: la configurazione dei 6 tetraedri potrà quindi ottenersi, mediante costruzioni del tipo precedente, partendo da uno qualsiasi dei tetraedri T,,T,, T, e dal piano d’una faccia d’uno dei rimanenti: i tre tetraedri T,, T,, T. risultano quindi due a due desmici. — Al complesso appartengono eviden- temente anche le stelle uscenti dai vertici dei tetraedri 7, 7», 73: la configurazione dei 6 tetraedri potrà quindi ottenersi partendo da un arbitrario dei tetraedri 7, 7%, 73 e dalla stella uscente da un vertice d’uno dei rimanenti, applicando costruzioni duali delle precedenti: se ne deduce che anche i tre tetraedri 7, 7», 73 risultano desmici due a due. N° 17. — Riassumendo : “ Le 0? quadriche che ammettono un dato tetraedro au- topolare 7, e toccano un piano dato, toccano di conseguenza altri sette piani, che col primo costituiscono due tetraedri 7}, 7. desmici fra loro e col tetraedro 7,. Le 008 rette appartenenti alle quadriche del sistema costituiscono un complesso cubico che ammette 18 rette doppie, distribuibili secondo gli spigoli dei tetraedri 7,, 7}, 7. e altresì secondo gli spigoli di tre nuovi tetraedri 7, 7», 73 desmici due a due. Ap- partengono al complesso le 9 congruenze lineari aventi per assi le coppie di spigoli opposti dei 6 tetraedri, i 12 piani rigati aventi quali sostegni le faccie dei tetraedri T,, T,, T, e le 12 stelle di raggi uscenti dai vertici dei tetraedri 7;, 7, 73. Le rette del complesso possono distribuirsi secondo due altri sistemi di schiere della medesima natura del primo (contenute nelle quadriche che ammettono risp. 7, o 7, come ‘te- traedro autopolare e toccano le faccie dei rimanenti due tetraedri). E possono altresì distribuirsi secondo tre altri sistemi di schiere definibili dualmente (le schiere delle quadriche che ammettono risp. 7;, 7. o 73 quali tetraedri autopolari e passano per i vertici dei due tetraedri rimanenti). — Ogni quadrica appartenente ad uno qualsiasi dei sei sistemi risulta doppiamente apolare rispetto alle 0? quadriche che costi- tuiscono i due sistemi della medesima terna ,. N° 18. — “ Le co? schiere di uno qualsiasi dei sistemi (4), (B), (C) determinano tra le faccie del tetraedro direttore di uno arbitrario dei due rimanenti una colli- neazione, omologhe essendo le generatrici (ed omologhe pure fra loro le direttrici) contenute in quelle faccie (n° 10) ,. Analogamente: “ le schiere costituenti uno qual. siasi dei sistemi (L,), (Ls), (Z3) determineranno una collineazione tra le stelle uscenti dai vertici del tetraedro direttore d’uno, arbitrario, dei due sistemi rimanenti, colli» neazione nella quale si corrisponderanno fra loro le generatrici e fra loro le direttrici appartenenti a quelle stelle ,. — Viceversa: “ riferiti collinearmente tre piani rigati 9 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 117 a', a", a'"'in guisa che: 1) sieno unite le rette a' a”, a'a’”, a'" a” nelle collineazioni intercedenti risp. fra a' ed a”, a' ed a’, a" ed a'’ e ad esse corrispondano ordi- natamente in a'”, a”, a' i lati di una sezione piana (a'”) del triedro a' a a’; 2) sieno omologhe le intersezioni dei piani a', a”, a" con un nuovo piano ft: le 00? schiere incidenti a terne di rette omologhe o congiungenti terne di rette omologhe nella collineazione costituiranno un medesimo complesso del tipo precedente ,. La colliheazione potrà effettivamente individuarsi assegnando le quattro terne di rette omologhe di cui sopra. “ E dualmente ,. N° 19. — La configurazione dei 6 tetraedri 7,, 7°,... 7, e più precisamente delle 9 congruenze lineari aventi per assi le coppie di spigoli opposti dei tetraedri stessi, può determinarsi come intersezione completa di due terne di complessi lineari non speciali, i quali possono ottenersi, alla lor volta, congiungendv le 3 congruenze di cui sono assi le coppie di spigoli opposti di uno dei tetraedri 7), 7),... 73, arbi- trariamente fissato, agli spigoli d'una medesima faccia (oppure: uscenti da uno stesso vertice) di uno dei tetraedri della stessa terna (sottintendendo di congiungere ognuna delle tre congruenze a spigoli che non ne incontrino gli assi). — Viceversa: “ par- tendo da un tetraedro qualsiasi e congiungendo le congruenze aventi quali assi le coppie di spigoli opposti del tetraedro stesso alle rette diagonali di una sua sezione piana, che non incidono risp. a quelle coppie (o dualmente), si otterranno 6 complessi lineari distribuibili in due terne, secantisi secondo una configurazione del tipo pre- cedente ,. “ Sono incidenti (poichè immagini di due piani reciproci rispetto alla ®) le schiere comuni alle due terne -di complessi lineari determinanti la configurazione dei 6 tetraedri 7,, T;,... 73, e questi risultano autopolari rispetto alla quadrica conte- nente le due schiere ,. — “ Il fascio determinato dalle due terne di complessi lineari è autopolare (n° 12): appartiene ad esso, oltre al precedente, un secondo complesso autopolare del medesimo tipo: generabile mediante le quadriche, che ammettono un arbitrario dei tetraedri 7,, 7, 7. quale tetraedro autopolare e passano per i vertici dei due rimanenti, ovvero ammettono quale tetraedro autopolare uno dei tetraedri T,, Ts, T3 e toccano le faccie dei due rimanenti ,. » US Di N° 20. — Si suppongano ora le tre rette direttrici di un sistema (310), = (013), spigoli di un trispazio autoreciproco del 2° tipo (n° 4) rispetto alla ©: Si otterrà corrispondentemente “il complesso cubico costituito dalle cv? schiere che giacciono con una data in complessi lineari e appartengono a quadriche tangenti a due piani dati a,, a» in due punti assegnati .4,, A;,. “Il complesso appartiene al fascio deter- minato da due terne di complessi lineari: ognuna costituita da due complessi lineari speciali, i cui assi appartengono ai fasci 4, 0}, 430, e da un complesso (non neces- sariamente speciale) uscente dalla congruenza di assi A; 4), 0,0 ,. * E viceversa ,. N° 21. — Come caso particolare del precedente si ha “ il complesso generico del fascio determinato da due terne di complessi lineari speciali, i cui assi sieno gli spigoli di un medesimo tetraedro, supposti gli assi dei complessi d’una stessa terna non 118 U. PERAZZO 10 appartenenti ad un medesimo vertice o faccia , (cfr. n° 12). Sieno A, B, 0, D i vertici del tetraedro, a, 8, r, è le faccie opposte ad essi: Se AB, AD, BC; CD, AG, BD sono le due terne d'assi dei complessi determinanti il fascio, dei sei sistemi di schiere rigate d'un arbitrario complesso f del fascio, l’uno (A) è costituito “ da schiere che appartengono a quadriche tangenti in A e B risp. ai piani f ed a; un secondo (L3) (di terna differente) da schiere che appartengono a quadriche tangenti in C e D ai piani è e y,. Gli ultimi 4 sistemi sono d'un medesimo tipo, diverso dal precedente: “ le schiere del sistema (B) congiungono raggi omologhi di una determinata corrispondenza trilineare fra i tre fasci Ay, Cd, Da ed incidono con- temporaneamente a raggi omologhi di una corrispondenza trilineare fra i tre fasci Ad, Ca, Dr; le schiere del sistema (C) si comportano analogamente rispetto alle due terne Bò, 08, Dr; Br, Cò, D8; le schiere del sistema (L;) rispetto alle due terne AvY, Ba, C3; A8, Br, Ca e finalmente le schiere del sistema (Ls) rispetto alle terne A8, Bò, Da; Aò, Ba, DB ,. Il complesso f, polare del precedente, f, risulta del medesimo tipo di questo ed appartenente al fascio determinato da due terne di complessi lineari speciali, di cui son assi ancora due terne di spigoli del tetraedro ABC D (disposte come le precedenti): le terne AB, AC, BD; CD, AD, BC ,. N° 22. — A tutti i complessi dei due fasci appartengono le stelle ed i piani rigati di cui son sostegni i vertici e le faccie del tetraedro A B C D, nonchè la con- gruenza lineare di cui son assi gli spigoli opposti 4B, CD. Sono doppi per tutti i complessi dei due fasci i raggi dei fasci 48, Ba, Cè, Dr; per i soli complessi del 1° fascio i raggi dei fasci Ay, Bò, C8, Da; per i soli complessi del secondo i raggi dei fasci Aò, By, Ca, D8. “ Ogni complesso quindi, dell'uno o dell’altro fascio, con- tiene 4 stelle, 4 piani rigati, una congruenza lineare ad assi sghembi ed 8 fasci di rette doppie ,. 87. N° 23. — a) In alcuni casi precedenti (ni 12, 21) si verificava‘il fatto che il fascio polare del fascio. determinato da due (particolari) terne di complessi lineari speciali era pur determinabile mediante due terne di complessi lineari speciali. — La condizione in generale affinchè ciò avvenga è “ che siano speciali i complessi congiungenti cinque a cinque gli assi dei dati complessi ,. Sarà sufficiente pertanto che questi costituiscano una delle metà d'una doppia sestupla di rette d’una superficie cubica: l’altra sarà costituita dagli assi dei sei complessi che determinano il fascio polare. N° 24. — 5) Nello studio del complesso dei n.' 12-13 ci si son presentati “ si- stemi di schiere congiungenti terne di rette omologhe di una corrispondenza trili- neare assegnata fra tre fasci e contemporaneamente incidenti a terne di rette omo- loghe in una corrispondenza trilineare risult&nte fra tre (nuovi) fasci ,. Per deter- minare il caso più generale in cui un sistema co? di schiere rigate è suscettibile di entrambe le definizioni, basterà evidentemente determinare le condizioni più generali sotto cui “le tre congruenze lineari congiungenti due a due i tre fasci risultano spezzate ognuna in una stellà ed in un piano rigato: Sieno Ax0,, As0%, 430 ì tre fasci. Occorrerà (e basterà) che incidano le coppie di rette AA», 0,0; Ag, %0%g; Il SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 119 AzA43, 0903. Ciò si ottiene nel modo più generale supponendo che i punti A,, 4g, 43 stieno ordinatamente sugli spigoli 0,02, 0903, 30, del triedro a,agag (ovvero ordi- -natamente' sugli spigoli a30,, 0,02, a303): “ Riferiti cioè tre fasci senza sostegni comuni, i cui centri appartengano agli spigoli del triedro costituito dai loro piani, in un’arbitraria corrispondenza trilineare, le 00? schiere che congiungono terne di raggi omologhi, incidono pure a terne di raggi omologhi in una carrispondenza trilineare fra tre fasci, i cui sostegni sono disposti come i precedenti , (si ottengono associando coi medesimi centri di quei fasci le altre faccie del triedro che li con- tengono). Le schiere ad esse incidenti costituiscono un sistema del medesimo tipo. N° 25. — Fissata un’arbitraria stella (S) di raggi in posizione generica rispetto al triedro a;a903, le 00? schiere che hanno una generatrice a comune con essa e coi tre fasci 4,03, 430», 4303 (*), ovvero coi tre fasci 4,0%, 4,03, -430,, costitui- scono due complessi mutuamente polari, che rientrano nel tipo precedente ,. “ La stella uscente dal punto 0= 00,03 appartiene ad entrambi i complessi ,. Si ve- rifica agevolmente: 1°) che “ ognuno dei due complessi contiene un secondo sistema di schiere, definibile come il primo , (ponendo B};= SA,A, 8,= SA943, B== SA 43 tale sistema risulta definito dalle schiere che hanno una generatrice a comune colla stella (0) e coi fasci 4,8,, 498, 4383, o risp. coi fasci 4,83, AB, 4383; in altri termini: “ Le rette appartenenti alle 0? quadriche passanti per i 4 punti A;, A, Az, S e tangenti ai piani a,, 0,, 03, e le rette appartenenti alle 007 quadriche pas- santi per i quattro punti A;, A», 43, O e tangenti ai piani B,, fe, 83, generano i medesimi due complessi cubici, mutuamente polari ,). — 2°) “ Ognuno dei due com- plessi appartiene ad un fascio determinato da due terne di complessi lineari spe- ciali, i cui assi sono risp. una terna di rette mutuamente sghembe ed i lati di un » triangolo inscritto nella terna ,. (E precisamente le tre rette 0,83, 298}, @38,, ed i lati del triangolo A, A, 43 sono le terne d’assi relative all'uno dei due fasci: le tre rette a,8,, 0382, 0383 ed i lati del triangolo A; 43 A; le terne relative all’altro: tali rette costituiscono la completa intersezione dei tetraedri 0A, 4343, SA A943). N° 26. — c) Mi propongo ora (n. 26, 27) di determinare tutti i possibili tipi di fasci “ autopolari , (v. nota (**) al n.° 12): Corrisponderanno essi a fasci di M?, dell’S., pér cui la varietà base (configurazione l di 983, ecc) è autoreciproca rispetto alla ®, Indicati con p, 0, t; p, 0, t le due terne di S,, con R, S, T; RS, Ti punti comuni a tali S, presi 5 a 5 (R=0t pot’... T'= potp'o), le rette doppie della T congiungeranno i punti l, S, 7' (opposti nella configurazione agli S, p, 0, t, risp.) ai punti R',5°,7" (opposti agli S, p'’, 0°, t',). Occorrerà (e basterà) che i punti della terna S, R, T sieno poli degli S, della terna p, 0, t, ovvero degli S, della terna g', 0', t' e che i punti PR’, S', 7' sieno poli degli S, della terna rimanente. Saranno dunque possibili i quattro tipi seguenti: I) “ Ogni vertice dell’esagono gobbo RSTR'S' 7' sia polo dell’S, opposto ad esso fe quindi ogni retta della configurazione sia reciproca dell’S, opposto) ,: si otterrà corrispondentemente il fascio considerato nel $ 5. (*) Le 00° schiere cioè che congiungono quelle terne di raggi che incidono ai raggi della stella (S). Tati terne di raggi si corrispondono in una (particolare) corrispondenza trilineare. 120 U. PERAZZO 12 II) “ Sia: R polo dell’S, p= STR'S'T'; R' polo dell’S, p = S'T'RST S x t= RSR'S'T'; S' 3 o = R'T'RST DT , o=RTR'ST;T ; t = R'S'RST. I due piani pot, p'o't' risultano reciproci rispetto alla ®: gli S, 0, t, p secano il piano p'o't’ ordinatamente secondo due tangenti alla conica intersezione di tale piano colla ® e secondo la congiungente i punti di contatto, gli S, p', 0’, t' secano invece il piano pot secondo i lati di un triangolo autopolare rispetto all'intersezione del piano stesso colla ©. III) “ Sia: R polo dell’S, p=STR'S'T'; R' polo dell’S, p =S'T'RST S E t=RSR'ST'.S' x t = R'S'RST T A o=RTR'ST;T' , o' = R'T'RST. I piani pot; por risultano ancora reciproci rispetto alla ®: gli S$, 0, t, p secano il piano pot ordinatamente secondo due tangenti alla conica intersezione del piano stesso colla ® e secondo la congiungente i punti di contatto; analogamente si com- portano gli S, 0°, t°, p' rispetto alla conica intersezione del piano pot colla ®. IV) “ Sia: A polo dell’S, p =ST'RST; R' polo dell’Sj, p= STR'ST S È o = R'TRST; S' 5 o=RTRST ST 2 t= R'S'RST; T pe; t= RSRST. Ciascuno dei piani pot, pot è autoreciproco. Gli S, p, 0, t, secano il piano p'o't' secondo i lati del triangolo formato dai poli degli S, p', 0°, t° e viceversa. Si ottiene corrispondentemente il fascio di complessi esaminato ai n.i 12, 13. N° 27. — Accennerò brevemente all’interpretazione dei casi II), III): II) Sieno (U), (U’) le due schiere di una medesima quadrica Q (immagini dei due piani pot, p'o't’): Si indichino risp. con 0 e t i complessi lineari speciali aventi per assi due arbitrarie generatrici s, # della schiera (U) e con p il complesso còn- giungente tali generatrici alla schiera (U'). Sieno poseia »', r°s, s'1 ss due coppie di generatrici della (U'), costituenti un gruppo armonico; p' e o' i complessi congiun- genti la schiera (U) colle coppie x, 7°, 81 ss risp. e sia finalmente t' il complesso congiungente le congruenze di assi r", 3, ss. Le due terne di complessi p, 0, 7; p,0',T determinano un fascio autopolare corrispondente alle ipotesi Il). Si riconosce agevolmente che, nel caso presente, le schiere incidenti alle schiere dei sistemi (A), (B), (0), (ZL), (Ls), (43) costituenti un arbitrario complesso del fascio hanno le mede- sime congruenze direttrici ordinatamente dei sistemi (L1), (Lo), (23), (4), (0), (8). Su Sieno ancora (UV), (U') le due schiere d’una quadrica Q. Si indichino con s, #; s, # due coppie di generatrici risp. della (U) e della (VU), con 0, 1; 0, t' i com- var pese speciali che hanno tali rette per assi, e finalmente con p, p' i complessi lineari congiungenti le schiere (U'), (U) risp. alla coppia s, # ed alla s', #': le due terne di complessi p, 0, t; p', 0°, 1° determinano un fascio autopolare corrispondente alle ipotesi III). Le schiere incidenti a quelle dei sistemi (A), (B), (0), (Z1), (La), (La) hanno nel caso presente le medesime congruenze direttrici dei sistemi (4), (0), (B), (L1), (Ls), (La). 13 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 121 $ 8. — Complessi cubici corrispondenti al cono proiettante da un punto una Mi con dieci punti doppi di un S,. N° 28. — Allorchè i tre S3 direttori di un sistema (013), passano per un medesimo punto O, gli 00° piani del sistema conterranno il punto O e verranno secati da un arbitrario S, w, non uscente da 0, secondo “ le 00? rette incidenti a 4 piani (e di conseguenza ad un quinto piano determinato) (*) ,. Costituiranno pertanto un cono cubico, contenente dieci generatrici doppie e 15 $i, congiungenti 4 a 4 le 10 generatrici. Appartengono al cono, oltre al sistema prece- dente, cinque altri sistemi, definibili come il primo: complessivamente dunque 6 si- stemi di piani incidenti secondo rette per O a 6 gruppi di 5 .S3. Da tre piani di uno qualsiasi dei 6 sistemi, i piani di un altro qualunque di essi son proiettati secondo reti collineari di S,, tali che esistono 4 terne di S, omologhi secantisi secondo $;, e viceversa. — Il cono cubico O appartiene a 10 fasci, determinati ognuno da due terne di S, uscenti dal punto O. Gli S, costituenti tali terne sono in numero di 15, concorrenti 9 a 9 nelle 10 rette doppie, 3 a 3 nei 15 3 del cono cubico: ognuno d’essi appartiene a 4 terne diverse. I 20 piani comuni alle terne di S, determinanti i 10 fasci si possono riguardare come le intersezioni di sei S,, uscenti da un medesimo punto (0), presi tre a tre in tutti i modi possibili (**). N° 29. — Corrispondentemente: “ Le co? schiere rigate aventi a comune una coppia di generatrici con quattro congruenze lineari assegnate (a), (8), (1), (d), i cui assi appartengano ad un medesimo complesso lineare w, hanno pure una coppia di generatrici a comune con una quinta congruenza e, i cui assi appartengono al me- desimo complesso. Esse costituiscono un complesso cubico (trasformato in sè da una polarità nulla 9). Appartengono al complesso, nel caso più generale, 20 rette doppie distribuibili in 10 coppie coniugate nella polarità 9, e 15 congruenze lineari, i cui assi appartengono al complesso w; le 15 congruenze lineari congiungono 4 a 4 le 10 coppie di rette doppie ,. “ Oltre al precedente appartengono al complesso cinque sistemi di schiere rigate della stessa natura, ecc. (le proprietà di 6 sistemi possono dedursi dalle note pro- prietà dei sistemi di rette di una Mî con 10 punti doppi, trasportate per proiezione da un punto 0) ,. — “ Il complesso è contenuto in 10 fasci determinati da terne di complessi lineari: questi costituiscono un insieme di 15 complessi, concorrenti 9 a 9 nelle 10 coppie di rette doppie, 3 a 3 nelle 15 congruenze lineari ,. Le 20 schiere rigate comuni alle terne di complessi che determinano i 10 fasci, possono (*) C. Secre. Sulla varietà cubica con dieci punti doppi dello spazio a quattro dimensioni. Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino, vol. XXII. — Alcune considerazioni elementari sull’incidenza di vette e piani nello spazio a quattro dimensioni. Rend. del Circolo Mat. di Palermo, tom. II, (1888), n° 3. — Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni, ecc. Memorie della R. Ace. delle Scienze di Torino, tom. XXX]X (1888). G. CasreLnuovo. Sulle congruenze del 3° ordine dello spazio a quattro dimensioni. Atti del R. Ist. Veneto, tom. VI, ser. VI. (**) Cfr. Castetnuovo. Memoria citata: numeri 22-24. Serie II. Tox. LIX. v 122 U. PERAZZO Iles riguardarsi come intersezioni tre a tre, in tutti i modi possibili di sei complessi lineari, trasformati in sè stessi da una polarità nulla (£) (ma non legati da ulteriori relazioni) (*). 89. N° 30. — Se le quattro congruenze (a), (8), (1), (ò) del n° precedente hanno un raggio 0 a comune (è speciale cioè, e di asse 0, il complesso w), tale raggio o è triplo per il complesso: ognuna delle dieci coppie di rette doppie si compone della o e di un'ulteriore retta, che può incidere ad o (nel qual caso tutto il fascio determi- nato da tale coppia è costituito da rette doppie per il complesso). Ecc. N° 31. — Si possono dedurre dalle considerazioni precedenti notevoli proprietà relative a “ sistemi 002 di quadriche aventi una generatrice o a comune, passanti per dati punti e tangenti a dati piani ,, ove si suppongano le quattro congruenze (a), (8). (7), (è) (con un raggio a comune) spezzate ognuna in una stella di raggi ed in un piano rigato. Sieno A-a, B-8, C-Y, D-ò i sostegni delle stelle e dei piani rigati. Saranno possibili i 5 casì seguenti: 1) I centri A, B, C, D delle quattro stelle sono allineati. T°) I piani a, $, Y, è passano per una stessa retta. Il) I piani Y, è passano per la retta AB. III) I punti A, B, C appartengono ad una stessa retta, per cui passa il piano è. III) I piani a, 8, y passano per una stessa retta, cui appartiene il punto D. Mi limiterò alla considerazione dei casi I), II), (II), i casi IT), III) corrispon- dendo risp. ai casi I), III) per dualità spaziale. Il caso II) è autoduale. (D. N° 32. — Nel caso I) il complesso si spezza nel complesso lineare speciale di asse o e nel complesso tetraedrale costituito dalle 0? generatrici, del medesimo si- stema della 0, contenute nelle o? quadriche che passano per la retta o e toccano quattro piani a, 8, y, d. Quest'ultimo può venir generato altresì mediante le 00? quadriche che passano per la o e per i vertici del tetraedro afròd. Segue la coinci- denza dei due casi duali I), I). (*) Indicando (secondo le notazioni usate dal Prof. Secre nella Memoria citata, n° 24) con 1, Baion 9, 0 le coppie di rette doppie; in guisa che le 15 congruenze sieno individuate dai gruppi (di 8 rette) 1237, 4567, 1568, 2348, 2469, 1359, 3450, 1260, 1478, 2579, 3689, 3670, 2580, 1490, 7890, i 15 complessi lineari di cui sopra congiungeranno i gruppi (di 12 rette): 123579, 123478, 123670, 124690, 125680, 134590, 135689, 145678, 147890, 234580, 234689, 245679, 257890, 345670, 367890. Ed i 10 fasci (1, ..... X) risultano determinati dalle terne: | 123579, 145678, 234689 234689, 345670, 257890 Il | 134590, 145678, 367890 | 123478, 245679, 135689 245679, 234580, 367890 ( 135689, 147890, 345670 ( 245679, 147890, 125680 v 123579, 125680, 367890 ( 123670, 234689, 147890 l 257890, 145678, 124690 ì 123670, 135689, 257890 ? 123478, 124690, 367890 vas 123478, 134590, 257890 VII ( 134590, 234689, 125680 xi 123579, 345670, 124690 ( 123579, 234580, 147890 | 135689, 234580, 124690 ( 123670, 245679, 134590 ( 123478, 345670, 125680 | 123670, 145678, 234580. \ I} \ IV VI #5 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 123 (ID). N° 33. — “Il sistema 00? delle quadriche contenenti una data retta 0, passanti per due punti assegnati C, D e tangenti a due dati piani @, f determina colla 009 delle generatrici, del sistema della 0, in esse contenute, un complesso cubico per cui è tripla la retta o: le co? schiere rigate generanti il complesso hanno a comune con una determinata congruenza lineare e, contenente la o, un’ulteriore generatrice ,. Indicando risp. con 0’, D' i punti aRò, aBr e con a’, $' risp. i piani BCD, A0D, si avrà: “ Le rette doppie del complesso si dispongono secondo le sei rette CD = a'p', C'D'=a8, aa’, BB, CC, DD' ed i raggi dei quattro fasci Ay, Ab, Br, Bd (#),. Delle 15 congruenze lineari del complesso, otto si spezzano nelle stelle e nei piani rigati A-a, B-B, C-r, Did; A-B, B-a', C'-d, D'-1; altre sei hanno per assi le coppie di rette aR-a'8, CD'-C'D, AC-Bd BC-ad, AD-By, BD-orY; la rimanente (e) contiene le 5 rette o, aa’, BB‘, CC, DD'. — Dei 5 ulteriori sistemi di schiere rigate del com- plesso, uno è costituito da schiere contenenti la o ed aventi una generatrice a co- mune coi piani rigati a', B', e colle stelle C, D',. Pertanto: “ Assegnati due piani a, 8, due punti C, D ed una retta o, in posizione generica, il complesso co- stituito dalle generatrici, del medesimo sistema della 0, delle 00? quadriche passanti per la o, per i due punti C, D e tangenti ai piani a, 8 coincide col complesso delle rette, del sistema della o, appartenenti alle 00? quadriche passanti per la 0, per i due punti C'=afò, D'=aBr e tangenti ai due piani a' = BCD, B'= AC0D (ove y="0C, èd=0D; A= 00, B= 08) ,. N° 34. — Dei 15 complessi mediante i quali possono determinarsi i fasci cui appartiene il nostro complesso, dodici sono speciali, ed hanno per assi le rette af’, a'8, CD’, CD, AC=x8, AD=ò8’, BC=va', BD=bda’, av= AD’, ad= AC, By = BD', Bd= BC' (*#*). E dei 10 fasci quattro (1), 2), 3), 4)) risultano determi- nabili mediante terne di complessi lineari speciali, di cui son assi le terne di rette: I) CD', AD, BC' | CD', BD, AC' | ap’, AC, AC' to, ADI ADI CD, AC, BD' ? c'D, BC, AD' l a’, BC, BC 3) 3 (#08, BD, BD' 3) 4) Per i fagci 1), 2) si ha la seguente configurazione d’assi: gli assi di due complessi di una stessa terna giacciono coll’asse di un complesso di terna differente in uno (#) Facendo uso delle notazioni ricordate (vedasi nota (*) al n° 29) si potranno indicare con 1237, 1568, 2469, 3450 ordinatamente le congruenze A-a, B-B, C-y, D-è; e quindi con 1, 4, 7, 8, 9, 0 le coppie di rette costituite dalla o ed ordinatamente dalle rette C'D' = aB, CD = a'p', aa’, BR, CC", DD' e con 2, 8, 5, 6 risp. i fasci AY, Aò, Bò, Br. — Si potranno allora ottenere immediatamente le congruenze direttrici dei varî sistemi di schiere del complesso, i 15 complessi lineari di cui al n° 29 ed i 10 fasci cui appartiene il nostro complesso. (*#*) Di tali rette, le ultime 8 possono distribuirsi secondo gli spigoli di due quadrispigoli (proiet- tanti da A e da Bi quattro punti C, D, C', D') ed altresì secondo i lati di due quadrilateri (se- zioni dei piani Y, è colla quaterna di piani a, 8, a', 8°). I due quadrispigoli hanno a comune le faccie Y, è; i due quadrilateri i vertici A, B. La o è contemporaneamente spigolo diagonale dei due quadrispigoli e retta diagonale dei due quadrilateri. — Le rette aR', a'8, CD', C'D, assi dei primi quattro complessi, sono risp. spigoli diagonAli dei due quadrispigoli (A), (B) e rette diagonali dei quadrilateri (1), (dò). — Le rette comuni alle faccie distinte dei due quadrispigoli coincidono colle rette congiungenti i vertici distinti dei due quadrilateri. 124 U. PERAZZO 16 stesso piano, i rimanenti in un secondo piano e, fra questi, i due d’una stessa terna incidono ai due che appartengono alla terna opposta, giacenti nel primo piano. Per i fasci 3), 4) si ha la configurazione duale. Viceversa: “ Nel fascio determinato da due terne di complessi lineari speciali, i cui assi offrano l’una o l’altra delle due configurazioni, esisterà un complesso appartenente ad un secondo fascio della natura del primo ed a due fasci di tipo duale ,. N° 35. — Le intersezioni delle terne di complessi lineari che determinano i 10 fasci cui appartiene il nostro complesso, possono riguardarsi (n° 29, in fine) come ‘ le intersezioni, tre a tre, in tutti i modi possibili, di certi sei complessi contenenti la 0,. Questi possono determinarsi “ traducendo , il procedimento seguito dal Ca- stelnuovo nella Mem. citata. Mi limiterò ad enunciare il risultato cui si perviene. Si indichino a tal uopo risp. con pu e x le faccie ACC‘, ADD' del quadrispigolo (4) — definito nella nota (**) al n° prec. —, con v.e X le faccie BCC, BDD' del quadri- spigolo (B); con K, M i vertici è88', daa' del quadrilatero (è) e con L, Ni ver- tici y88', raa' del quadrilatero (1). Le due congruenze aventi per assi le coppie di rette aB-\v, a'B-ku (spigoli diagonali dei due quadrispigoli). e le due congruenze aventi per assi le coppie di rette CD'-KM, C'D-NL (diagonali dei due quadrilateri) risultano tali che “ ognuna delle prime due giace in un complesso lineare con cia- scuna delle due seconde (*),. — Si chiamino poi £, S le intersezioni delle diago- nali C'D, CD' colla 0; p, 0 i piani congiungenti la o agli spigoli diagonali a'8, af': i quattro fasci Ap, Bo, Ry, Sb appartengono ad una medesima congruenza lineare speciale, che indicheremo con (C) (#*). — Ciò premesso: “ Dei sei complessi lineari di cui sopra, quattro possono ottenersi congiungendo le due congruenze lineari di assì 68 -Av, a'B-xu alle due congruenze di assi CD'-KM, 0'D-NL, nei quattro modi pos- sibili; e gli ulteriori due complessi congiungendo la congruenza (C) ad una qualsiasi delle rette-XC, KD', NC’, ND o risp. ad una delle rette LC’, LD, MC, MD',. (111). N° 36. — Premetto alla trattazione di questo caso un’osservazione relativa al sistema delle rette incidenti a quattro piani a, 8» y, è di un Sy: Assegnati “ in po- sizione generica , i 4 piani, è noto che le rette del sistema incidono ad un quinto piano €: può tale piano coincidere con uno dei primi quattro? Esso contiene i 4 punti aa’, BB, rr", dòd' (ove a', 8‘, r', è' rappresentano ordinatamente i piani inci- denti secondo rette alle terne Byrd, ayò, afòd, ar). Affinchè esso coincida ad es. col piano è, occorrerà che i tre punti aa' = ad, B3' = Rò, yr' = yò sieno allineati su una retta del piano è (per la quale dovranno passare i piani a', B', 1). — Vice- versa: se tre (a, B, Y) déi quattro piani assegnati (a, 8, y, è) secano il rimanente (è) (*) Invero i 4 assi aR’, Av, CD’, KM incidono alle 3 rette 0, KC, MD';.i 4 assi ap’, Av, CD, NL alle 3 rette o, LD, NC'; i 4 assi a’, xu, CD', KM alle 3 rette o, MC, AD' e finalmente i 4 assi a'8, xu, CD, NL alle 3 rette 0, ND, LC". (**) Infatti le 4 rette CD’, CD, af’, a'B appartengono ad una stessa schiera incidendo alle 3 rette o, CD, C'D': son quindi proiettive le due quaterne SRAB, Ydop e conseguentemente le quaterne ABRS, povyò. see Ugg SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 125 secondo punti allineati, coinciderà con quest’ultimo il quinto piano euùi debbono ap- poggiarsi nel caso generale le rette incidenti ai primi quattro. La Mî delle rette incidenti ad a, B, y, è conterrà in tal caso come retta doppia la retta d cui appar- tengono i tre punti aò, Bò, yd (e per la quale passano i piani è, a', B', 1°). Appar- terranno alla Mj i 4 punti doppi af, ar, Br, dd’ del piano d' e (oltre ai piani c, B, Y, è; a’, B', y, d') i tre piani congiungenti le terne di punti af, yò, dd’; ar, pò, dd’; ad, BY, dd’. La forma risulta del tipo trattato dal Prof. Segre nella Mem. ci- tata (n° 37). — Appartengono ad essa, oltre al sistema delle rette incidenti ad a, B, y, è, tre sistemi di rette della stessa natura ed un sistema di rette incidenti alla retta doppia ed al piano è’. — Si può dimostrare poi agevolmente che la forma è contenuta in tre soli fasci determinati da terne di S., e che tali S} si riducono (da 15) a 9 distinti. N° 37. — Si possono facilmente trasportare le proprietà relative a tale forma al complesso immagine del cono che la proietta da un punto dell’S;. Il complesso relativo al caso (III) in esame, è caso particolare di questo. — “ Il sistema 00? delle quadriche contenenti una data retta o, tangenti a tre piani assegnati a, 8, Y e passanti per un punto dato D (in posizione generica), determina colla 00° delle generatrici, del sistema della 0, in esse contenute un complesso cubico, per cui è tripla la 0 ,. Si indichino con 4, 5, €, è ordinatamente i punti 00, 08, oy ed il piano oD, con A’, B', C, D' i vertici del tetraedro a81Yd opposti ordi- natamente alle faccie a, 8, y, è e con w il piano oD' (*). “ Saranno doppie per il complesso le rette del piano rigato è, le rette a8, ay, fr e la DD'. Delie 11 con- gruenze lineari del complesso (n° 36), 8 si spezzano nelle stelle e nei piani rigati 4-0, B-8, 0-1, D-d; A'-è, B'-d, C-d; D'-w e 3 hanno per assi le coppie di rette sgchembe AD'-A'D, BD'-B'D, CD'-C'D. Le generatrici del complesso possono distribuirsi se- condo tre sistemi 00? di schiere rigate, oltre al sistema mediante il quale venne de- finito il complesso, e secondo 00? fasci di raggi i cui centri appartengono al piano è ed i cui piani passano per D',. Ù N° 38. — I 9 complessi lineari mediante i quali si possono detèrminare i 3 fasci racchiudenti il nostro complesso “ sono tutti speciali ,. Ne sono assi le rette A'B', A'Ù', B'C' (del piano è), A°D, B'D, C'D (del fascio Dè), AD', BD', CD' (del fascio D'w). “I tre fasci risultano determinati dalle terne di complessi lineari speciali aventi per assi le terne di rette: PARO BD | A'0, B'D, AD' t 4°C, CD', BD CURO D 3) (bICl4 DC ABI ADEITD i } 1) 2) Per ciascuno dei tre fasci si ha la seguente configurazione d’assi: “ due assi dell'una terna e due dell’altra sono contenuti in uno stesso piano (ed ivi in posi- zione generica); i due assi rimanenti s’incontrano in un punto fuori del piano ed (*) Si indichino con 1237, 1568, 2469, 3450 ordinatamente le congruenze 4-0, B-B, C-Y, D-òè, e quindi con 1, 2, 6, 0 le coppie di rette costituite dalla 0 ed ordinatamente delle rette af = C'D', ay= B'D', Br= AD, DD' e con 8, 4, 5 risp. i fasci Ad, Cò, Bd: questi ultimi si dovranno ancora indicare risp. con. 7, 9, 8, ecc. (Cfr. la nota (*) al n° 33). 126 U. PERAZZO 18 incontrano ciascuno, un solo degli ulteriori due assi di terna differente ,. Viceversa: “ individuato un fascio di complessi cubici mediante due terne di complessi lineari speciali i cui assi offrano la configurazione precedente, esisterà in esso un complesso appartenente ad altri due fasci del medesimo tipo ,. — “ E dualmente ,. $ 10. — Complessi cubici corrispondenti ad una Mj luogo dei piani di un sistema (0; 1, 8; 0).. N° 39 — “Gli co? piani incidenti ad un piano B ed appoggiati a tre piani a, 1g, 0g, costituiscono (M. ni 39-44) una Mî per cui sono doppi: il piano B e le tre rette r,, >, 73 incidenti ai piani 8, a,, %, 03. Appartengono ad essa i 6 Sy: To0=r} rs, Tg =773; Ila3=7273, 8" Bro, Br3. Oltre al sistema (X) che definisce la forma, appartiene ad essa un sistema (MK) di co? piani incidenti ad r,, rs, r3 (e quindi a TT,g, TT,3; IT,3) ed appoggiati (secondo punti) a tutti i piani del sistema (MY). Altri 3 si- stemi co? di piani: (L,), (Le), (L3) appartengono alla Mî, appoggiati ordinatamente ad r,, rs,73 e secanti risp. i tre S;: TT33, 17,3, TT,» secondo congruenze lineari spe- ciali aventi per assi le rette TTg3 8, TT,38, 1T,98. I piani di uno qualsiasi di questi tre sistemi si appoggiano a tutti i piani dei due sistemi rimanenti ,,. N° 40. — Corrispondentemente: “ Costituiscono un complesso cubico le co? schiere che hanno una coppia di generatrici a comune con una data schiera (8) e giacciono in complessi lineari con tre schiere assegnate (a,), (as), (03) : Esse possono riguardarsi come “ le schiere comuni alle terne di complessi lineari congiungenti le tre schiere (4,), (43), (az) a tutte le possibili coppie di generatrici della (8): le tre reti di complessi di cui son sostegni (&,), (), (03) risultano per tal modo riferite col- linearmente. — La schiera (8) è costituita da rette doppie per il complesso; son doppie altresì le tre coppie di rette incidenti a coppie di direttrici delle quattro schiere (8), (4), (0), (03). Appartengono al complesso le tre congruenze lineari che congiungono queste coppie due a due e le tre congruenze che le congiungono ordi- natamente alla schiera (8). Le generatrici del complesso possono disporsi secondo 4 altri sistemi (K,), (Z1), (Ls), (L3) di schiere rigate ecc. , (Vi n° precedente). N° 41. — Si suppongano i piani 8, a, reciproci rispetto alla ©, ed analoga- mente sieno reciproci i piani 0, 03. Si avrà: “ Le 00? quadriche ‘doppiamente apo- lari rispetto ad una quadrica Q e contenenti schiere autoreciproche rispetto ad una seconda quadrica Q, generano due complessi cubici mutuamente polari f ed f (luoghi delle schiere autoconiugate (n° 39) rispetto all'una od all’altra delle due schiere (8), (8') della quadrica @;) ,. “ Le generatrici delle due schiere (8), (8') sono doppie risp. per il complesso f e pel suo polare f'. Sono doppi per entrambi i complessi gli spi- goli del tetraedro T autopolare rispetto alle due quadriche Q, Q,; e ad entrambi i complessi appartengono le tre congruenze lineari aventi per assi le coppie di spigoli opposti del tetraedro T. Al complesso f [o risp. al complesso f"] appartengono an- cora le congruenze lineari aventi per assi le coppie di direttrici della schiera (8) ‘0 risp. della (8’)] incidenti a tali coppie di spigoli. Le quadriche che contengono le 20 ® schiere dei sistemi (K,), (K,') dei complessi Y, f risp., ammettono il tetraedro T 19 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 127 come autopolare; e le quadriche contenenti le schiere dei sistemi (Li), (Z1); (Lo), (L2°); (43), (L3°) ammettono ordinatamente quali coppie di rette reciproche l’una, l’altra o la terza coppia di spigoli opposti del tetraedro stesso. Ece, N° 42. — Si suppongano ancora 8 ed o, reciproci rispetto alla 4 ed i due piani a», az appartenenti risp. ai due sistemi ($), (P) di piani della ©. Si avrà: “ Le 00? quadriche passanti per un punto dato S, tangenti ad un piano dato n e contenenti schiere autoreciproche rispetto ad una data quadrica %, generano due complessi cubici mutuamente polari f ed f' (luoghi delle schiere antoconiugate ri- spetto all’una od all’altra delle due schiere (8), (8') della quadrica @). Le 0? qua- driche in questione passano per un secondo punto P (polo di t rispetto alla @) e toccano un secondo piano 0 (polare di S' rispetto alla Q). Le generatrici delle schiere (8), (8') sono doppie risp. per il complesso f e pel suo polare /". Son doppie per en- trambi i complessi le rette SP, om e le rette dei due fasci Mu, Nv uscenti dalle intersezioni M, N della retta om colla Q e giacenti nei piani u, v tangenti in essi alla @Q (piani secantisi secondo la SP, reciproca della om). Appartengono ai due complessi la congruenza lineare di assi SP, om e le due congruenze spezzate nelle stelle e nei piani rigati M-u; N-v ,. (Complessivamente si hanno dunque in entrambi i complessi le 4 stelle (S), (P), (M), (N) ed i 4 piani rigati (0), (t), (u), (v)). “ Ap- partengono ancora al complesso f [o risp. al complesso /']: la congruenza lineare avente per assi le due direttrici della (8) [o (8') risp.], incidenti alla coppia -di rette reciproche SP, ot e le due congruenze lineari speciali costituite dai fasci di tan- genti alla (Q) uscenti dai punti delle due direttrici della schiera (8) [o (8') risp.] contenute nei fasci Mu, Nv,. “ Le quadriche contenenti le 00? schiere dei sistemi (K,), (K,°) dei complessi f, f' risp., son tutte tangenti ai piani u, v risp. nei punti M ed N. Ece.,, (vi n° 39). A complessi “ del medesimo tipo , si perverrebbe supponendo entrambi i piani 0, 03 appartenenti ad un medesimo sistema della ® (poichè le quadriche conte- nenti schiere autoreciproche rispetto ad una data e passanti per due punti dati, toccano di conseguenza due piani, e viceversa). N° 43. — Sia ora il piano f$ in posizione generica rispetto alla ® ed i piani 01, 4, %3*appartengano ad un medesimo sistema della ® (p. es. al sistema (8) (#). Si avrà: “ Le co? quadriche passanti per tre punti dati e secanti una quadrica data Q secondo quartiche spezzate in quattro rette, generano due complessi cubici mu- tuamente polari f*ed f' (luoghi delle schiere che hanno risp. coll’una o coll’ altra delle due schiere (8), (8') della Q una coppia di generatrici a comune) ,. (Si costrui- scono assai facilmente schiere dei due complessi: fissata un’arbitraria coppia di ge- neratrici della (8), ad es., si conducano per A;, As, 43 le rette ad essa incidenti: la schiera congiungente tali rette e la schiera ad esse incidente descrivono, al va- riare della coppia considerata, nella 8, risp. il complesso /" ed il complesso f). “ Le generatrici delle schiere (8), (8’) sono doppie risp. per f o per /". Sono doppie per entrambi i complessi le rette a, = 4,43, d,= 4; 43, 03= 4; 49. Le rette uscenti (*) Con ciò i tre piani a;, @,, 03 verranno ad avere due a due un punto a comune, ciò che può sempre supporsi, senza scapito di generalità per la My° considerata. 128 U. PERAZZO 20 dai punti A,, 4», 43 ed appoggiate alle coppie di direttrici della (8) [o della (8') risp.] che incidono risp. ad a,, 4», “3, sono doppie per il complesso f [o per f risp.). — Appartengono al complesso f [o ad f |] le 3 congruenze lineari aventi per assi tali coppie di direttrici della (8) [o della (8’) risp.] e le 3 congruenze lineari aventi per assi ognuna un lato del triangolo A, As 43 e la retta uscente dal vertice opposto ed incidente alle rette doppie di f [od /' risp.| che passano per i vertici apparte- nenti a quel lato. Ecc. , (n° 39). Analogamente si potranno supporre i piani oggettivi a,, cs, az appartenenti al sistema (P), ovvero due di essi ad un sistema della ® ed il terzo al rimanente. Si otterranne risp. il caso duale del precedente e due altri casi fra loro duali, di cui tralascierò per brevità l’esame. N° 44. — Supponendo il piano 8 tangente alla ® ed i piani @,, as, 43 apparte- “ sistemi di quadriche passanti per dati punti e tangenti a dati piani ,. Saranno possibili 4 casi, a seconda che si sup- pongono i tre piani €,, 0, ©3 appartenenti : 1) al sistema (S); 1°) al sistema (P); 2) due al sistema (8) ed uno al sistema (P); 2') due al sistema (P) ed uno al si- stema (S). — Accennerò brevemente ai casi 1), 2), deducendosi da questi i rima- nenti per dualità spaziale. 1) Si avrà (indicando con B,8,, B:8» la coppia di fasci con un raggio a comune (B,Bs = 8:82) corrispondente al piano tangente 8, e con (4), (43), (43) le stelle immagini dei piani 0,, 0%, 03): “ Le 00? quadriche passanti per 5 punti dati A,, 4, As, B,, Bs e tangenti a due piani dati, che passino per la congiungente due di essi, generano colla co è delle rette in esse contenute due complessi cubici f, f mutuamente nenti alla ® si otterranno complessi generati da polari e del medesimo tipo (l’uno costituito da schiere aventi una generatrice nel fascio B,8,, ed una nel fascio B8,, l’altro da schiere aventi una generatrice nel fascio B,8,red una nel fascio B,8,) ,. Si ottengono schiere dei due complessi fis- sando coppie di raggi nei due fasci B,8,, B38,.- ad “es. - conducendo per A;, 4», 4g; le rette incidenti ad ognuna di tali coppie, ecc. (cfr. n° 43). “ I fasci B,8,, B8s son costituiti da rette doppie per il complesso f: analogamente i fasci 3,8», B,8: per il complesso f. Son doppie per entrambi i complessi le rette a, = 4343, dtg= 443,03 = AxA3 e per il complesso f [o risp. per il complesso f ] le rette uscenti dai punti A, As, -Ag ‘ed incidenti alle coppie di raggi dei fasci B,8s, B,8, [o risp. dei fasci B,8,, B,8,] che si appoggiano ordinatamente alle @,, a», a. — Ad en- trambi i complessi appartengono le stelle (4,), (43), (43), (B;), (Be); al complesso f [o risp. al complesso /'] le congruenze lineari aventi per assi le coppie di rette dei fasci B,8s, B,8,, [o risp. dei fasci B,8,, B383] incidenti ai lati del triangolo A} As Ag e le 3 congruenze lineari aventi per assi ognuna un lato del triangolo A,A34; e la retta uscente dal vertice opposto ed incidente alle rette doppie di f |o risp. di Y| che passano per i vertici appartenenti a quel lato. Ece. ,. N° 45. — 2) Indicando con (03) il piano rigato corrispondente al piano az e conservando le altre notazioni del n° precedente si avrà: “ Le o? quadriche pas- santi per quattro punti dati A4;, 4g, Bi, Bs e tangenti a tre piani ag, Bi, Bs di cui - due (8,, 3) uscenti dalla congiungente due dei 4 punti (B,, Bs) generano due com- plessi cubici f, f/ mutuamente polari e del medesimo tipo (l’uno costituito da schiere 21 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 129 aventi una generatrice in ciascuno dei due fasci B, B,, Bs 8», l’altro da schiere aventi una generatrice in ciascuno dei due fasci 5, 8»; 5: 8). (Cfr. per la costruzione il n° 44). I fasci B, B,, B: 8: od i fasci B, Bf», Bf; sono costituiti da rette doppie per il complesso f o risp. per il complesso f. Per entrambi i complessi è doppia la retta A, A». — Sieno ordinatamente d;;, d21, 013, 09» le rette dei fasci B, B,, B. Bi, B, 82, B» 8» che vanno alle intersezioni della retta a = A; A; coi due piani $,, 83 e sieno ordinatamente B,;, B»;, Bis, Bs le intersezioni di tali rette col piano 03: risulta doppia per il complesso f la retta Bs Bs, e per il complesso f' la B,, Bs: (entrambe del piano az). Ciascuno dei complessi f, f contiene ancora due fasci di rette doppie uscenti risp. dai punti B,,, Bs», o dai punti B3, B»; e giacenti nei piani che li congiungono alla retta a = A, As. — Appartengono al complesso f la congruenza di assi a, BB, e le due congruenze spezzate nelle stelle (B;2), (B»;) e nei piani rigati (B,a), (Ba), al complesso f" le congruenze di assi @, B,2Bs; e le due con- gruenze spezzate nelle stelle (B,;), (B3:) e nei piani rigati (Ba), (Bsa). Infine si hanno nel complesso f le tre congruenze lineari di assi 519-091, d19-BaBi1, 01-B1 Bs» e nel complesso f' le tre congruenze di assi 6;1-093, d11-B3B13, 0s9-B1B;. N° 46. — Si supponga ora che il piano 8 appartenga alla ®: Per ogni posi- zione dei piani 0,, @,, @z il complesso immagine risulterà costituito da fasci di raggi “i cui piani escono da un medesimo punto , ovvero “i cui centri appartengono ad uno stesso piano , a seconda che il piano 8 ha per immagine una stella od un piano rigato (*). Le rette di tale stella (o piano rigato) sono doppie per il complesso. E si potranno ottenere gli o? fasci che lo costituiscono, proiettando dalle tre schiere immagini ‘dei piani a;, &,, 03 i fasci contenuti nella stella (o piano rigato), determi- nando poscia i fasci ulteriori intersezioni dei complessi proiettanti. — Accennerò ora brevemente al caso particolare in cui a,, as sieno reciproci rispetto alla ®: Sia (0) la stella di rette doppie immagine del piano B, supposto appartenente al sistema (.$); Q la quadrica contenente le schiere (0,), (0,) immagini dei piani a,, 03; (03) la schiera immagine di az; w il piano polare di O rispetto alla Q (**): Il complesso sarà costi- tuito da oo? fasci, i cui piani passeranno per O ed i cui centri apparterranno ad w. Esistono in (w) ed in (0) risp. un trilatero r, rs 73 ed un trispigolo r', r"y r3 reci- proci rispetto alla Q, tali che le coppie di rette reciproche ri, r'1: ra, 9; 73, 73° incidono a coppie di direttrici della schiera (az); le r1, 79, 73; 71, r8/, v'è sono doppie per il complesso. Il trispigolo s1s,83 proiettante da O il trilatero 71rsr3 ed il trila- tero s1s3 s3' sezione del trispigolo r'r3r"3 col piano w risultano reciproci fra loro rispetto alla Q e le coppie di rette reciproche s1, 81°; sa, $ ; 83, $3 sono assi di congruenze lineari appartenenti al complesso. — Appartengono ancora al complesso tre piani rigati di cui son sostegni le faccie del trispigolo s1s953. Condotti final- mente per O i 4 piani tangenti comuni alla quadrica Q ed alla quadrica contenente (*) Contemporaneamente lo si può considerare come luogo di c0* schiere, che si distribuiscono secondo quattro sistemi (K1), (ZL), (La), (L3), ecc. (n° 39). (**) Appartengono al complesso, e precisamente al sistema (XK), le schiere contenute nelle o‘ quadriche tangenti alla @ lungo il suo contorno apparente rispetto ad O: tali quadriche sono so- stituibili alla Q nelle considerazioni del presente n°. Serie II. Tom. LIX. 130 U. PERAZZO 22 la schiera (43), apparterranno al complesso i piani rigati di cui questi sono sostegni. Essi sono da ascriversi al sistema (XK), quindi le co? quadriche contenenti le schiere del sistema (K,) del complesso risulteranno tangenti a tali piani. — Il complesso polare del precedente risulta dallo stesso tipo (basterà nelle considerazioni prece- denti sostituire alla schiera (03) la schiera ad essa incidente). $ 11. — Cenno su altre varietà di rette immagini di varietà del 3° e 4° ordine dell’$S,. N° 47. — Com'è noto, una Mj razionale normale dell’ $; può considerarsi come “ luogo di rette (generatrici) di un sistema (030), e come luogo dei piani di un sistema (400), = (301), = (103), = (004)». (M. ni 6-11) ,. “ Le rette generatrici pun- teggiano collinearmente due qualsiansi piani della Mj e ne son proiettate secondo reti collineari di Sy; gli co! piani della Mj punteggiano proiettivamente due arbi- trarie generatrici. Esistono co? S3 incidenti a tutti i piani della M}: essi contengono ognuno una schiera di generatrici, secano due arbitrari piani della Mj secondo piani rigati collineari e ne son proiettati secondo reti collineari di S,j: da due qualsiansi di essi gli co! piani della Mj son proiettati secondo fasci proiettivi. Ecc. — Il sistema dei piani della M} è autoduale nell’$;; sono invece di tipi duali fra loro i due sistemi di rette e di S,. N° 48. — Supposta la .M$ in posizione generica rispetto alla ®, le corrisponderà “una congruenza (C) del 3° ordine e della 3? classe, costituita da 00! schiere rigate ,: essa può considerarsi come “luogo delle coppie di rette incidenti a coppie di diret- trici di tre date schiere rigate , o come “ luogo delle coppie di rette comuni a coppie di congruenze lineari omologhe di due reti collineari , o come “ luogo delle schiere che ammettono coppie di direttrici incidenti a quattro date coppie di rette , o come “ luogo delle schiere comuni a terne di complessi lineari omologhi di-tre fasci proiettivi ,. — Una qualsiasi delle 00? coppie di rette di cui sopra inciderà ad una coppia di direttrici d’una schiera qualunque della congruenza (C); e le 00? coppie stesse saranno congiunte a due schiere qualsiansi della (C) da congruenze lineari omologhe in una collineazione ,. — ‘* Esistono 00? congruenze lineari conte- nenti rigate biquadratiche costituite da coppie di rette della congruenza (C). Le coppie d’assî di tali congruenze lineari, costituiscono una nuova congruenza |[8, 8] dello stesso tipo della data. Le schiere della (0) giacciono in complessi lineari colle congruenze lineari di cui sopra; sono congiunte anzi a due arbitrarie di esse da com- plessi lineari omologhi di due fasci proiettivi ,. Si può dimostrare, ricorrendo ad una nota rappresentazione analitica della M?, in questione che, supposta essa in posizione generica rispetto alla ®, sei dei suoi piani generatori risultano tangenti alla ®. Se ne deduce che “la congruenza (€) può sempre (in ($) modi diversi) considerarsi come l’insieme delle coppie di rette che si appoggiano a raggi di 6 fasci assegnati, i quali si presentino distribuiti in tre: coppie, costituite ognuna da due fasci a sostegni distinti, con un raggio a comune (n° 2 8). Le sei coppie di fasci appartengono alla (€) ,. 23 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 131 N° 49. — Se tre generatrici della M} appartengono alla ®, la congruenza (0) potrà ottenersi come “ luogo delle schiere congiungenti terne di raggi omologhi di tre fasci, riferiti proiettivamente ,. E viceversa. — Appartenendo quattro generatrici della M$ alla ®, la congruenza (0) potrà anche considerarsi come “ luogo delle schiere che ammettono quattro generatrici appartenenti risp. a quattro fasci assegnati ,: “ "Tali quaterne di generatrici si corrispondono in una proiettività fra i quattro fasci ,. — In particolare si presenta questo 2° caso allorchè appartengono alla Mj due piani reciproci rispetto alla ®, e quindi alla congruenza (C) le due schiere d'una medesima quadrica Q: “ le 00? coppie di rette della (C) saranno reciproche rispetto alla @ e le co! schiere ammetteranno ognuna quattro generatrici appartenenti ordinatamente a quattro determinati fasci di tangenti alla Q. Ecce. — Se appartenessero alla Mi due coppie di piani reciproci rispetto alla ®, la M}j stessa sarebbe costituita da coppie di piani reciproci rispetto alla ®: ad essa corrisponderebbe una congruenza spezzata in una stella di raggi (0), in un piano rigato (W) ed in una congruenza [2, 2] costituita dagli co! fasci di tangenti ad una quadrica nei punti di una conica (*). — Si ha, relativamente all'ipotesi (più generale della precedente) che appartengano alla ® due piani della M3}, senza ulteriori particolarità di posizione: Le 00? coppie di rette omologhe in un’arbitraria collineazione tra una stella di raggi ed un piano rigato, si possono (in o! modi) riguardare come le coppie di rette incidenti a coppie di generatrici di una medesima schiera ,. N° 50. — Alle forme del 4° ordine luoghi degli S3 di un sistema (401); , ovvero d’un sistema (130); corrispondono complessi del 4° ordine luoghi di congruenze lineari: le rigate costituite dagli assi corrispondono ad M} luoghi delle rette d’un sistema (104), o risp. d'un sistema (031), (M. n' 14, 24). Tralascierò per brevità di enunciarne la definizione (generazione) nel caso generale, limitandomi ai casi par- ticolari seguenti: a) Le quattro rette direttrici @,, a», @3, @4 di un sistema (401); appartengano alla ® e VS; direttore X sia tangente a questa lungo una retta. Si avrà: “ Asse- gnati ad arbitrio 5 fasci A4,0,, A509, 4303, 4404, 0, le co! congruenze lineari (L) che congiungono le co! quaterne costituite dai raggi di quattro di essì A;a;,... A,@ che incidono ai singoli raggi del rimanente (S0), costituiscono un complesso del 4° ordine. Gli assi delle congruenze lineari (L) si distribuiscono secondo i raggi del fascio So e secondo le generatrici di una rigata del 7° grado. Esistono 008 coppie di rette, ognuna delle quali giace in complessi lineari con tutte le congruenze (L) del complesso. — Le coppie d’assi delle congruenze (L) si possono riguardare (in 0 modi) come intersezioni di quaterne di complessi lineari omologhi in una proiettività asse- gnata fra quattro fasci ,. b) La retta direttrice @ di un sistema (130); appartenga alla ©. Si avrà: “ Le col coppie di rette incidenti ai raggi di un fascio ed a coppie di generatrici di tre schiere date, costituiscono una rigata dell'8° grado; esse incidono di conse- guenza a coppie di generatrici di 00! schiere rigate: le o! congruenze di cui sono (*) Le schiere della (C) costituirebbero in tal caso le ce! quadriche che ammettono quella co- nica come contorno apparente da 0. da U. PERAZZO 24 assi formano un complesso del 4° grado. — Se due piani direttori del sistema (130), sono reciproci rispetto alla ®, le 00! coppie di cui sopra sono reciproche rispetto ad una stessa quadrica Q. Supposto contemporaneamente il terzo piano direttore appar- tenente alla ®, esse costituiranno risp. un cono quadrico ed un inviluppo di rette di 2* classe, i cui sostegni sono reciproci rispetto alla Q: al complesso apparterranno quattro stelle e quattro piani rigati. Ecc. $ 12. — Varietà luoghi di ‘ coppie di rette incidenti a raggi di dati fasci,,. Una varietà luogo “ delle coppie di rette che incidono a raggi di più fasci asse- gnati, (o — in altri termini — “ delle coppie di rette che secano dati piani secondo coppie di punti allineati con dati punti, dei piani stessi ,) corrisponde (n° 2 a), 8) ad una’ “ varietà di rette dell’S;, incidenti a dati S3 tangenti alla ® secondo rette, od a piani tangenti alla ® ,. N° 51. — (005),: “ Le rette incidenti a 5 S3: Z,, ...Z; costituiscono una forma del 4° ordine, cui appartengono i 5 S3 e per la quale son doppie: a) le 10 rette X, xo, ...L4 25; 6) le 5 coppie di rette incidenti alle 5 quaterne secate su ognuno dei 5 Sy dai 4 rimanenti; c) le 5 cubiche secate sui 5 S3 delle 5 M} dei piani inci- denti ai rimanenti , (2. n°183). Si può dimostrare poi che “ le rette a) sono corde per le cubiche doppie giacenti negli S3 cui appartengono, e che le cubiche stesse non sono secate dalle rette b) che appartengono ai medesimi $} in cui sono conte- nute, bensì da quelle 3) che appartengono ai rimanenti ,. — Si avrà corrisponden- temente: “ Le 008 coppie di rette che si appoggiano a raggi di 5 fasci dati Si 07, ...8 05 costituiscono un complesso del 4° ordine, cui appartengono le 3*stelle S,, ....$; ed i 5 piani rigati 0,, ...0;. Il complesso ammette (in generale) 70 rette doppie: Sono doppie le 10 rette SS», S1$3, ...5,8; e le 10 rette 0103, 0103, ...040;; ognama delle 5 stelle ed ognuno dei 5 piani rigati contiene poi altre 5 rette doppie (la cui determinazione si riconduce alla risoluzione di due problemi risp. del 2° e del 3° grado) ,. Complessivamente le 70 rette doppie si distribuiscono 9 a 9 nelle 5 stelle e nei 5 piani rigati. Le coppie di rette del sistema che risultano fra loro incidenti, si distribuiscono secondo i 10 fasci uscenti dai punti 010303, 0,030,, ...030405 ® giacenti nei piani che li congiungono ordinatamente alle rette S,S;, 938, ...919, ed i 10 fasci giacenti nei piani 5,583, S1S2S4, ...S35,S5 ed aventi per centri le intersezioni di questi ordina- tamente colle rette 0,0;, 030;, ...0100. Se dei 5 piani 0,, ...0; due passano per la congiungente i centri dei fasci in essi contenuti (ad es. i piani 0}, 03 passano perla $.$3), il complesso si spezza nel com- plesso lineare speciale avente per asse la retta 9,8 = 0103 ed in un complesso cubico corrispondente ad una Mî con 9 rette doppie (N. n° 31). Se ulteriormente i piani 03, 0, contenessero la S,S,, il complesso si spezzerebbe nei due complessi lineari speciali di assi SS, S3S, ed in un complesso del 2° ordine corrispondente ad una forma del tipo (021),. ne 25 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 19 N° 52. — (006), : “ Le co? coppie di rette incidenti a raggi di 6 fasci 80, ...5850y assegnati in modo generico costituiscono una congruenza del 9° ordine e della 9 classe , (M. n° 29). In ciascuna delle stelle (Si), ...(S$;) è contenuto un cono del 4° ordine di rette della congruenza, in ciascuno dei piani 0,, ...0; un inviluppo della 4% classe. — Se i piani 0;,, 0, ad es. contengono la retta S,S,, la congruenza si spezza in una congruenza [3,3] di cui la S,S, è direttrice (e costituita dalle coppie di rette che incidono ulteriormente a raggi dei fasci $393, ...50 (*)) ed in una con- gruenza [6, 6], immagine di una M}; luogo delle rette di un sistema (014), (M. n° 25). — Se contemporaneamente avviene che i piani 03,0, contengano la S3S,, la con- gruenza [9,9] si spezzerà nella congruenza lineare di assi 9,S,, S$3S,, in due con- gruenze [2,2] di cui son direttrici risp. la S,S, e la 835, ed in una congruenza [4, 4] corrispondente ad una Miî del tipo (022), (M. n' 15-23): quest’ultima (luogo delle coppie di rette appoggiate a raggi dei fasci $,0,,...850; senza incidere alle SS, 535.) può considerarsi come la completa intersezione di due complessi quadratici (corri- spondenti a forme del tipo (021),). Se finalmente avviene che le tre coppie di piani 0,, 03; 03, 04; 05, 0; contengano ordinatamente le rette S,S,, 93S,, SS, la congruenza si spezzerà nelle tre congru- enze lineari di assi S,Ss-S3S4: 8950-85; S351-S;%, nella congruenza lineare con- giungente i raggi dei 4 fasci 8303, $,0,, $;0;, So che incidono alla S,S, ed in altre due congruenze analoghe; finalmente in una congruenza [3, 3] corrispondente ad una M} dell’S; (ni 47-49). N° 53. — (007), : “ Le co! coppie di rette incidenti a raggi di 7 fasci 501 ,....8707 assegnati in modo generico, costituiscono (M. n° 29) una rigata del 28° grado e le 00! congruenze aventi per assi tali coppie di rette, un complesso del 14° grado (corrispondente ad una forma del tipo (700);): v’hanno cioè 14 coppie di rette inci- denti a raggi di 8 fasci, assegnati in modo generico. — Se i piani 0,,0, ad es., contengono la $S,S,, la rigata si spezza in una rigata del 10° grado di cui la SS è direttrice ed in una rigata del 18° grado (corrispondente ad una M? del tipo (015); : M. n° 29). — Se contemporaneamente i piani 03, o, contengono la SS; la rigata si spezza in una rigata biquadratica (delle coppie di rette che si appoggiano alle 9,95, SS, ed a'raggi dei fasci 03, 50, S;0,;), in due rigate del 6° grado, aventi ordi- natamente per direttrici le rette S,S,, $3$,, ed in una rigata del 12° grado (corri- spondente ad una M? del tipo (023), (M. n' 25-28): il complesso costituito dalle 00! congruenze lineari aventi per assi le coppie di rette generanti quest’ultima (le coppie di rette cioè, appoggiate ai raggi dei fasci $0,,...9,0,, senza incidere alle S,5,, S38,) risulta del 6° ordine (e corrispondente ad una M$ del tipo (320), : M. n° 25). — Se finalmente le tre coppie di piani 0, , 03; 03, 04; 0;, 0g contengono ordinatamente le rette SS, 939,, SS, la rigata si spezza in una schiera di cui sono direttrici le rette S,Ss, 939,, SS, in tre altre schiere rigate di cui son direttrici ordinatamente le coppie di rette S,S,-935,; S182-85S; 8351-85, in tre rigate biquadratiche di cui son direttrici ordinatamente le tre rette S,S,, SS, S;S ed in una rigata dell’8° grado (*) Per brevità» sottintenderemo sovente nel seguito le specificazioni analoghe. 134 U. PERAZZO i 26 (corrispondente ad una Mi del tipo (031), (M. n° 24): le 0! congruenze lineari di cui son assi le coppie di rette generanti quest’ultima (coppie di rette appoggiate a raggi di 7 fasci dati, senza incidere alle S,Ss, 93.5, $5$;) costituiscono un complesso del 4° ordine, immagine di una Mi del tipo (130); (MM. n° 15). $ 13. — Alcuni sistemi di quadriche passanti per dati punti e tangenti a dati piani: varietà luoghi delle rette in esse contenute. Ad un sistema di piani dell’S;, i quali si appoggino a dati piani dell’uno e dell'altro sistema della ®, ovvero a date rette della ®, od incidano (secondo rette) a dati S, tangenti alla ® secondo rette, corrisponde il sistema delle schiere conte- nute nelle quadriche, che passano per dati punti e toccano dati piani (eventualmente passanti per alcuni di quei punti). Occorrerà tener presente che, per la particolare scelta nella ® di piani direttori d’un sistema, può avvenire che questo risulti di dimensione maggiore, o costituito da piani della ®, o che di esso faccia parte un sistema costituito da piani della ®. Verranno esclusi nel seguito tali casi. N° 54. — (070): Dei piani direttori di un sistema (070),, quattro (a,, ...4) appartengano al sistema ($) ed i tre rimanenti (0;,0;,0,) al sistema (P). Si avrà corrispondentemente: “ La co? delle rette contenute nelle quadriche che passano per 4 punti dati (A;,..4,) e toccano tre piani dati (0;,0;, 0) (in posizione generica) costituisce un complesso autopolare del 21° ordine (M. n° 36). E dualmente. — Sup- posto che uno dei 4 punti A;,..4, appartenga ad uno, arbitrario, dei piani %;, &, &7 (ad es. il punto A, al piano 4;), il complesso si spezzerà in un complesso dell’11° or- dine, costituito da schiere che ammettono una generatrice nel fascio A;a;, e in un complesso del 10° ordine, polare del primo. I due complessi corrispondono risp. ad una Mj' luogo dei piani d’un sistema (150), e ad una M{° del tipo (051), (M. n' 35-34). — Se contemporaneamente il punto A, ad es. appartiene al piano @&, considerata un’'arbitraria quadrica passante per A4;,, 43, 43, A4j e tangente ad 0;,0;,0,, potrà avvenire che i due fasci A4,0;, 4,0; contengano due generatrici di una stessa schiera della quadrica, ovvero due generatrici appartenenti a schiere diverse: il complesso si spezzerà: in due complessi del 6° e 5° grado, corrispondenti risp. ad una M} del tipo (230), e ad una Mî del tipo (131), e mei due complessi — entrambi del 5° grado — polari dei primi (corrispondenti risp. ad una Mî del tipo (032), e ad una Mj del tipo (131), (M. n' 32-33) ). — Se supponiamo finalmente che i tre punti 41, 43, 4g appartengano ordinatamente ai tre piani 0;,0;, 7, il complesso si spezzerà in un complesso cubico immagine di una Mî del tipo (310), (N. n' 30-31), in tre complessi cubici corrispondenti a tre Mî coniche del tipo (211), (M. n° 31) e nei quattro complessi polari dei precedenti: l’uno cubico e eorrispondente ancora ad una Mi del tipo (310)3=(013),; i rimanenti quadratici e corrispondenti a tre Mj del tipo (112),. N° 55. — (080), : Degli 8 piani direttori di un sistema (080), quattro (@,, 43, 43, 04) appartengano al sistema (S) e quattro (a;, 0%, 7,0) al sistema (P). Si avrà: “ Le 27 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 135 co? rette contenute nelle quadriche passanti per 4 punti dati A,,..A, e tangenti a 4 piani dati a;, ..0g, in posizione generica, costituiscono una congruenza del 42° or- dine e della 42? classe ,. — Se il punto A; ad es. appartiene al piano 0; la con- gruenza si spezza in due congruenze [21, 21], l’una costituita da schiere aventi una generatrice nel fascio A;a;, l’altra dalle schiere ad esse incidenti: esse corrispon- dono risp. ad una Mî' del tipo (160), e ad una M3' del tipo (061), (M. n° 36). — Se contemporaneamente il punto A, appartiene al piano 0;, la congruenza si spezza in una congruenza [11,11] (corrispondente ad una M}' del tipo (240), ), in una congruenza [10, 10] (corrispondente ad una .M;° del tipo (141), ) e nelle due congruenze risp. [11, 11] e [10, 10] polari delle due prime (immagini di una M}' del tipo (042), e di una M?° del tipo (141), ) (M. n' 34, 35). — Se inoltre il punto A; appartiene al piano 0,;, la congruenza si spezza in una congruenza [6, 6] immagine di una M} del tipo (320),, in tre congruenze [5, 5] corrispondenti ad M} del tipo (221), e nelle congruenze polari delle precedenti (corrispondenti ordinatamente ad una M$ del tipo (023), e a tre M} del tipo (122),) (M. n' 32, 33). — Supposti finalmente i 4 punti 4,, ..A, appartenenti ordinatamente ai 4 piani @;,..0g, la congruenza si spez- zerà: nella congruenza [3,3] luogo delle schiere che ammettono una generatrice in ciascuno dei fasci 4;0;, Ag0;, 43%, 4103 (n° 49), in 4 congruenze |[3, 8], luoghi delle schiere che ammettono complessivamente nei 4 fasci tre generatrici ed una direttrice (nei 4 modi possibili), nelle 5 congruenze [3, 3] polari delle precedenti; finalmente in 6 congruenze [2, 2] (*) luoghi delle schiere che ammettono complessi- vamente nei 4 fasci due generatrici e due direttrici (nei 6 modi possibili). $ 14. — Ordini e classi di alcune varietà di rette. Sceglierò nel presente $ alcuni fra i molti esempi di sistemi di rette corrispon- denti a varietà “luoghi di spazì incidenti a dati spazî , per particolari scelte degli elementi direttori rispetto alla ®, allo scopo di indicare l'ordine o classe delle varietà di rette che corrispondono a date generazioni. N° 56. — a) “ Nelle co? schiere che ammettono un dato tetraedro autopolare, le coppie di generatrici che incidono a raggi di due fasci assegnati (**) costituiscono un complesso del 4° ordine , (corrispondente ad una Mi luogo delle rette di un sistema (005): cfr. il n° 51 per la determinazione delle rette doppie del complesso). b) “ Le co! coppie di rette reciproche rispetto ad una data quadrica, le quali si appoggiano a raggi di due dati fasci, costituiscono una congruenza [4, 4] , (imma- gine di una Mi del tipo (022), (M. n' 15-23)). c) “ Esistono co! coppie di rette reciproche rispetto ad una data quadrica @ ed appartenenti a quadriche che ammettono un dato tetraedro autopolare 7°: tali coppie di rette costituiscono una rigata del 12° ordine (immagine di una .M? del (*) Spezzate ognuna in una coppia di congruenze lineari. (**) In ogni schiera v'ha una coppia (reale od immaginaria) di generatrici incidenti a raggi di due dati fasci (che si determina agevolmente come coppia comune a due involuzioni). 156 U. PERAZZO , 28 tipo (023); (M. n' 25-28). Le congruenze lineari delle rette ad esse incidenti generano un complesso del 6° ordine (immagine di una Mî del tipo (320); ) e le co! quadriche che contengono tali coppie (che ammettono cioè 7° quale tetraedro autopolare e sono doppiamente apolari rispetto alla Q) generano una congruenza [6, 6], luogo delle schiere in esse contenute , (immagine di una M3 del tipo (320), = (023). ) (M. n° 33). d) “ Assegnati due fetraedri 7, 7" in posizione generica, v’hanno 00? coppie di rette sghembe per ognuna delle quali si può far passare una quadrica avente 7, ed una 7" quale tetraedro autopolare : tali coppie di rette costituiscono una con- gruenza [9, 9] corrispondente ad una 23 del tipo (006), (M. n° 29). e) “ Assegnate 4 coppie 4,0, 43%; B,8,, Bs8 di punti e piani appartenentisi, v'hanno co! coppie di rette, per ognuna delle quali si può far passare una quadrica tangente ad a,, 0, risp. in A;, As ed una quadrica tangente a B,, B» risp. in R,, fa: tali coppie di rette costituiscono una congruenza [9, 9], (corrispondente ad una M5 del tipo (006), ). f) * Le co? quadriche che ammettono una data coppia di rette reciproche, pas- sano per un punto dato (o toccano un piano dato) e son doppiamente apolari rispetto ad una quadrica data, generano un complesso del 5° ordine, luogo delle schiere in esse contenute , (corrispondente ad una Mî del tipo (131), ) (M. n° 32). Imponendo ulteriormente alle quadriche del sistema di “ toccare un piano dato (o risp. di pas- sare per un punto dato), si otterranno 00! schiere costituenti una congruenza [10, 10], immagine di una M3;° del tipo (141), (M. n° 34). Se il punto ed il piano si appar- tengono, la congruenza si spezza in due congruenze [5, 5], mutuamente polari, cor- rispondenti a due M5} risp. del tipo (221), e del tipo (122). g) # Le o! quadriche che passano per un punto dato, sono tangenti ad un dato piano ed ammettono un dato tetraedro autopolare, generano una congruenza [6, 6] luogo"delle schiere in esse contenute , (corrispondente ad una M3} del tipo (320), = (023), ). Essa si spezza in due congruerîze [3, 3] (corrispondenti a due M; (n' 47-49) se il punto ed il piano si appartengono. h) “ Le co! quadriche che ammettono una data coppia di rette reciproche e sono doppiamente apolari rispetto a due quadriche date, costituiscono una congruenza {10, 10], (immagine di una M} del tipo (141)»). i) “ Le 00? quadriche passanti per un punto dato (ovvero tangenti ad un piano dato) e doppiamente apolari rispetto a tre quadriche date, generano un complesso (autopolare) del 21° ordine, luogo delle schiere in esse contenute (corrispondente ad una M? del tipo (070)) (M. n° 36). — Analogamente generano un complesso del 21° ordine (immagine di una Mî' del tipo (070),) le 0? quadriche passanti per due punti dati, tangenti ad un piano dato e doppiamente apolari rispetto a due quadriche date ,. #* E dualmente ,. Se uno dei due punti appartiene al piano dato (o dual- mente) il complesso si spezza in un complesso dell’11° ordine (corrispondente ad una Mì' del tipo (150),) ed in un complesso del 10° ordine (immagine di una Mi° del tipo (051) ). È )) “ Le co! quadriche doppiamente apolari rispetto a 4 quadriche date costi- tuiscono una congruenza [42, 42], luogo delle schiere in esse contenute , (corrispon- dente ad una Mi° del tipo (080)») (M. n° 37). — Analogamente generano una congruenza 29 SOPRA ALCUNE VARIETÀ DI RETTE ED IN PARTICOLARE SU VARI TIPI, ECC. 137 [42, 42] (immagine di una M;‘° del tipo (080),) le co! quadriche passanti per un punto dato, tangenti ad un piano dato e doppiamente apolari rispetto a tre qua- driche date. Appartenendosi il punto ed il piano la congruenza si spezza in due con- gruenze [21, 21] mutuamente polari (immagini di due M5' dei tipi (160), e (061), (M. n° 36)). Ecc. m) “ Esistono 6 quadriche doppiamente apolari rispetto a due date quadriche e contenenti schiere autoreciproche rispetto ad una quadrica data , (poichè(0; 5,1;0),="6. M. n° 45). n) “ Le co! schiere che hanno con una data una coppia di generatrici a comune e giacciono in quadriche doppiamente apolari rispetto a due date, costituiscono una congruenza [6, 6] (corrispondente ad una M} del tipo (0; 4, 1;0);). Ecc. Serie II. Tow. LIX. R "e SIN Tn: Pao Di = \ » Mia $,- DI È ’ A Ù Fu a VORO Dop de dot È Ù. ciba peri Pi ONT vaio. Di, Deck > ma», feti 109 ag i è a LT > Dun - TOI T@AZINI î von! ba nti: : X f Al DT / Ù cd è 4 E) ì - Re ki + ri Î e dba e , > Lia de lerata R Aioo rns è (7 da | - 7 Lt La Ta LAT LI to Ina DI ì à, l) 4 L, e Pi bo? j È ‘ ( sE “ 4 a n: i np Naga 3» i x be] \ i » + i Dgr Ei 5 (1 -. , di È / pi x da eta “ar he A I III rue i dA a K CI ; gets ao: ian Li BITTE PIT O PORSI SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO NELLE PREALPI VENETE MEMORIA DEL SOCIO CARLO FABRIZIO PARONA CON 1 TAVOLA E 12 FIGURE NEL TESTO Approvata nell'adunanza del 26 Gennaio 1908. Lo studio di qualche fauna a rudiste dell'Appennino e l'opportunità, se non la necessità, riconosciuta di procedere a cauti confronti colle faune simili di altre regioni, come via più sicura per giungere a deduzioni paleontologiche e geologiche fondate e per stabilire riferimenti cronologici accettabili, mi lasciavano da tempo vivo desi- derio di occuparmi, con ricerche particolari, delle faune a rudiste delle Prealpi venete orientali, colle quali quelle dell’aquilano, da me studiate, presentano rapporti meno chiari di*quelli rilevati in confronto colle faune della serie siciliana pure a rudiste. E mi fu possibile di soddisfare questo desiderio grazie la cortesia della direzione del Museo Geologico di Padova, che mi concesse in esame l’intiera raccolta delle rudiste di provenienza veneta, ed, in particolare, grazie la condiscendenza del prof. G. Dax Praz, che curò l’invio; per il che esprimo anche qui i più vivi ringraziamenti. Fra le diverse collezioni, che concorrono a formare il materiale comunicatomi, sono particolarmente interessanti: quella detta, dal CAatuLLO, di Monte Pinè, nel Can- siglio; quella dell’orizzonte a caprine, o del Col dei Schiosi, della stessa regione, costituita da esemplari in parte già studiati dal FurTERER e specialmente dal Bornum e da altri esemplari assai numerosi, provenienti da una raccolta privata e tutti inde- terminati; quella infine, assai meno ricca delle precedenti, con rudiste della scaglia È mia intenzione di riferire sui risultati dello studio di queste tre collezioni: ma per ora espongo quelli relativi alla prima. Si tratta delle rudiste, alle quali accennò T. A. CatuLLo in alcune sue memorie e che diedero speciale argomento ad 140 CARLO FABRIZIO PARONA 2 una di esse (1). Dalle pubblicazioni di CaruLLO in poi, nessuno si occupò di questa fauna e delle osservazioni dello stesso CaruLLO, fatta eccezione del FuTTERER, che ebbe in comunicazione qualche esemplare di radiolitidi. Ma a torto fu trascurata, perchè essa aduna un complesso di forme interessanti, in particolar modo di ippuriti ; e la sua revisione ha per risultato di portare un utile contributo alla conoscenza paleontologica del Turoniano e del Senoniano veneto, oltre il vantaggio di rettificare i riferimenti generici e specifici del CATULLO, i quali invero, e per la poca fedeltà delle figure (2) e per la insufficienza delle diagnosi, non sarebbe possibile di valutare senza l'esame diretto degli esemplari e, per la maggior parte di essi, senza opportune pre- parazioni per metterne in evidenza i caratteri indispensabili alla determinazione, secondo le moderne regole diagnostiche. Scrive il CaruLLo, che il giacimento d’origine dei fossili in discorso forma parte delle montagne alpaghesi, e precisamente della giogaia denominata il Pinè, che spal- leggia ad est il canale di S. Croce, entro cui passava anticamente il Piave. Aggiunge che la roccia, di tinta bianco-lattea, è una sorta di puddinga calcare costituita da detriti rotolati di fossili e di fossili più o meno ben conservati, in grossi banchi, che si appoggiano sopra un calcare grigio-compatto. Il nome di Monte Pigné si trova infatti, nella posizione indicata dal CarULLO, sulla cartina topografica che accompagna la sua memoria del 1827, ma scompare dalle carte più recenti da me consultate: così nella carta geologica del FurTERER la giogaia di M. Pinè del CaruLLo prende nome di Monte Prese, alla sua volta sosti- tuito dalla denominazione di M. Mirifret sulla Carta dello Stato Maggiore Italiano (sc. 1 a 50.000, 1894). Ma è da osservare che ai fossili della collezione Catullo, ai quali si accenna nelle memorie di FurteRER e di Bornm, si attribuisce da questi autori la provenienza da Calloniche secondo il primo e più esattamente, come risulta dalla ricordata carta dello Stato Maggiore, da Calloneghe secondo BorHm: senonchè le x se Calloreghe si trovano poco sopra Fadalto, sulla chinata del canale, tra il Lago di S. Croce ed il Lago Morto, opposta a quella della giogaia Piné, secondo l’antica dizione del geologo padovano. Ad ogni modo il giacimento così detto di M. Piné è compreso nel campo vi ricerche e di discussioni di FurtERER (3) e Bornm (4), i quali estesero e fecero note- (1) T. A. Carutro, Saggio di zoologia fossile. Padova, 1827, pag. 171-173 e 239, tav. VI, VII — Memoria geogn.-z001. sopra alcune conchiglie foss. del calcare jurese che si eleva presso il Lago di Santa Croce nel territ. di Belluno. Nuovi saggi della “ I. R. Accad. di-S., L. ed A. di Padova ,, IV, 1838, pag. 1, tav. I e JI. (2) È da notare anche, che nelle due tavole della memoria del 1838 le figure sono simmetriche rispetto agli esemplari che rappresentano, come l'impressione negativa rispetto alla positiva. (3) K. Furrerer, Die oberen Kreidebild. der Umgebung des Lago di Santa Croce in den Venetianer Alpen, “ Palaeontol. Abhandl. hè. v. Dames u. Kayser ,, II, 1, 1892, Jena. — Ueder einige Versteiner. aus der Kreideform. der Karnischen Voralpen, © Ibid. .. II, 6, 1896. (4) G. Boenx, Ein Beitrag zur Kenntn. der Kreide in den Venetianer Alpen, “ Bericht. d. naturf. Gesellsch. zu Freiburg i. Br. ,, VI, 1892 — Beitrdge 2. Kenntn. d. Kreide in den Siidalpen (Die Schiosi- und Calloneghe-Fauna), * Palaeontograph. ,, XLI, 1894 — Ueber Bihippurites, * Zeitschr. d. Deutsch. geol. Gesellsch. ,, 1896 — Beitr. zur Gliederung d. Kreide in den Venet. Alpen, “ Ibid. ,, IL, 1897 — Zur venetianischen Kreide, “ Ibid. ,, 1902. — Ved. anche: P. OppennEIn, Zur venetianischen Kreide, “ Ibid. ,, 1902, pag. 94: P. Lonani, “ Riv. It. di Paleont. ,, VI (1900), IX (1903) e M. Gorrtani, Bibl. geol. region. del Friuli (1737-1905), “ B. S. G. Ital. ,,} XXV, 1906. 5) SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 141 volmente progredire gli studîì iniziati dal PrronA nella regione del Cansiglio. Le loro pubblicazioni sono note e non credo necessario di riassumerle, tanto più che i risul- tati principali e le questioni più importanti d'ordine paleontologico e geologico furono ricordate e critieamente vagliate da H. DovuviLLÉ (1) e da O. MARINELLI (2). Per quanto riguarda la successione delle faune e la cronologia relativa, parmi che lo stato attuale delle nostre cognizioni sia esattamente e chiaramente espresso da queste frasi riassuntive di DouviLLÉ: “ che esisterebbe al di sopra degli strati a caprine cenomaniani un primo livello turoniano a ippuriti e più in alto ancora un livello campaniano e che forse si potrà ancora distinguere un gran numero di livelli: comunque sembra, che i depositi degli strati a rudiste siansi effettuati in modo con- tinuo durante tutto il Cretaceo superiore a partire dal Cenomaniano ,. Ora lo studio della collezione Catullo conferma e dimostra in modo evidente, che al disopra degli strati a caprine segue un complesso di depositi più recenti e che i fossili contenutivi accennano a diversi orizzonti turoniani e senoniani, come risulta infatti da questo elenco. TURONIANO SENONIANO Hippurites (Orbignya) Requieni Math. . . . |\Angumiano inf. e sup. à (Vaccinites) praecorbaricus Touc. | E 3 ì 5 Z praepetrocoriensis Touc. s 3 sy. k » giganteus d’Hombr. Fir. Coniaciano i p Chaperi Douv. . . . Santoniano (?) Ù ° Zurcheri Douv. . . . Coniaciano s sl Gaudryi Mun.-Chalm. .|] Santoniano (?) z x SIRO Vinti ca ApniniBpelimb®ini 1° 1008 Radiolitestradiosus: d’Orb.'--. |... . x i E 5 turricula (Cat.) x contortus (Cat.) . . Sat a. Arai | Biradiolites cornu-pastoris (Desm.) . . . .| È È z È Futtereri n. f. | È fpsicostatus d'Orb..; .. 4 Campaniano Orthoptychus striatus Futt. Questo prospetto suggerisce qualche considerazione. E innanzi tutto da notare, che, fra tutte le forme di ippuriti, il solo V. Gaudryi era già conosciuto peri gia- cimenti del Cansiglio e che, oltre le forme nuove, si annuncia per la prima volta (1) H. Douvwirré, Les faunes è Rudistes du Crétacé supérieur du Nord de l' Italie (recensioni), “ Revue critique de Paléozoologie ,, I, 1897, pag. 159. (2) O. MarineLLI, Descriz. geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli. Pubbl. del R. Ist. di Studi Sup., ecc. in Firenze, sez. sc. fis. e nat., 1902. 142 CARLO FABRIZIO PARONA ; 4 il Biradiolites fissicostatus. Sono dieci le forme note per altre località, che sì prestano a confronti ed a deduzioni cronologiche, e, di esse, cinque sono turoniane e cinque senoniane. Di queste ultime una è campaniana, due dubbiamente santoniane e due coniaciane. Le forme turoniane spettano tutte all’Angumiano superiore ed inferiore, primo e secondo livello ippuritico, e cioè al Turoniano superiore, e ad esse si potrebbe aggiungere il Radiolites angeoides Lmk., già riconosciuto da FurTERER fra i fossili di Calloneghe. Ciò posto, potremmo domandarci da quali strati e da quali fossili è rappresen- tato il Turoniano inferiore nel Cansiglio; se non che a questa domanda non è possi- bile rispondere in modo risolutivo, per il fatto, che non si conosce la provenienza precisa dei fossili della collezione Catullo e che non si possono quindi verificare i rapporti di giacitura della roccia, che li conteneva, cogli strati a caprine e ad orbi- toline. Pare tuttavia assai poco probabile l’esistenza di una lacuna tra questi strati a caprine e quelli del Turoniano superiore, e d'altra parte non risulta, che nella re- gione del Cansiglio siansi trovati dei fossili caratteristici o proprii del Turoniano inferiore. Si può dunque, se non affermare, sospettare con qualche fondamento, che gli strati a caprine e ad orbitoline, anzichè al Cenomaniano superiore, spettino al Turoniano inferiore. Però siamo indotti ad accostarci alle idee del prof. O. MARINELLI, che già affermò, in base ai risultati delle sue ricerche, che l’età dell’orizzonte del Col dei Schiosi, sovrastante ad un orizzonte, ritenuto cenomaniano, di scisti e calcari bituminosi, talora ittiolitici, deve essere certamente turoniana. Ed a questo proposito non è inopportuno di ricordare, che recentemente (1), con- frontando la fauna abruzzese cenomaniana ad Himeraelites e Sellaea con questa friu- lana a Caprina e Schiosia, mentre ammettevo la successione nel tempo della seconda alla prima, io facevo notare, come argomento a favore di questa interpretazione, la circostanza che l’Ostrea aff. Munsoni Hill (= Chondrodonta Joannae Choff.) della fauna del Col deî Schiosi, è frequente nei monti di Bagno nell’aquilano in strati turoniani stratigraficamente sovrapposti ai calcari cenomaniani di scogliera con Himeraelites, ecc. In quanto poi alla presenza delle orbitoline nei calcari a caprine del Cansiglio, essa non è una prova molto convincente dell'età cenomaniana dei calcari stessi, perchè manca finora uno studio definitivo delle orbitoline di questo orizzonte, che stabilisca con sicurezza i loro riferimenti specifici; ma a questo riguardo spero di poter presto dare qualche informazione più precisa. D'altra parte non è da escludere l’esistenza di orbitoline in strati turoniani; ed io stesso ebbi già occasione di segnalarle nei calcari turoniani della Tripolitania (2). Ad ogni modo le orbitoline mancano, od almeno io non sono riuscito a riscontrarle nel così detto calcare di Monte Piné della collezione Catullo; anzi, le ricerche di foraminiferi, anche al microscopio, riuscirono completamente negative. (1) C. F. Parona, Risultati di uno studio sul Cretaceo superiore dei Monti di Bagno presso Aquila, “ Rend. d. R. Accad. dei Lincei ,, XVI, 1907 (2°), pag. 234. (2) C. F. Parona, Fossili turoniani della Tripolitania, “ Rend. Ace. dei Lincei ,, XV, (1), 1906 pag. 161 e seg. i 5) SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 1483 Hippurites (Orbignya) Requieni Math. Hippurites Requieni H. DouviLLé, Révis. des princip. espèc. d’ Hippurites, “ Mém. d. la Soc. Géol. de France ,, Paléontol., III, n. 6 (1893), pag. 58, tav. VIII, fig. 1-2 (escl. 3, 4, 5) (ved. sinon.). ’ Orbignya Requieni A. Toucas, Ét. sur la classificat. et Vévolut. des Hippurites, “ Ibid. > 1908 n. 30, pag. 18, fig. 23-29, tav. I, fig. 1-3. Il piccolo esemplare di valva inferiore è in cattive condizioni di conservazione, essendo pressochè ridotto al modello interno. Tuttavia i caratteri, messi in luce da una sezione trasversa (fig. 1), della posizione, forma e sviluppo della cresta cardinale L e dei due pilastri S, £ non lasciano dubbio sull’esattezza del riferimento. La cresta è robusta, breve, largamente troncata all’estremità ed i due pilastri sono robusti, subeguali, tozzi; e nella loro scarsa prominenza sta l’unica differenza in confronto delle forme tipiche illustrate da Toucas. Anche le fossette dei denti D D' ed il dente N, strettamente abbraccianti la cresta cardinale, si accordano nell’attestare, che si tratta realmente di un rappresentante di questa notevole specie, considerata come forma primitiva delle Orbignya, propria del primo e secondo livello ippuritico (Angumiano), e che nell’Angumiano medio del grés d’Uchaux si associa allo Sphenodiscus Requieni. Non ho visto l'esemplare di valva inferiore di‘ Calloneghe, che il FurTERER (1) determinò come Hipp. aff. bioculatus Lmk; ma, a giudicare dalle figure, è giustificato ‘il sospetto, che anch'esso debba riferirsi alla O. Requieni. In Italia lO. Requieni fa riconosciuta dallo scrivente nella serie turoniana dei monti d’Ocre nell'Appennino aquilano e da DexIncER in Sardegna (2). Hippurites (Vaccinites) praecorbaricus Toucas. Hippurites nanus CatuLLo, Mem. geogn.-zo0olog. sopra alc. conch. foss., ecc., 3838, pag. 15, tav. II, fig. 2. Sphaerulites umbellata Carunto, Ibid., pag. 14, tav. I, fig. 2. Hippurites maximus CarutLo, Catalogo delle specie organiche fossili raccolte nelle Alpi Venete e donate al Gabinetto di St. Nat. dell’Univ. di Padova, 1842, pag. 5, n. 61. Vaccinites praecorbaricus Toucas, Ét. sur la classificat. et V’évolut. des Hippurites, 1903, pag. 84, fig. 128, 129, tav. XI, fig. 1 Riferisco a questa specie la valva inferiore alla quale il CATULLO già attribuì il nome di Hipp. marimus, senza corredo di descrizione e di figure. L'unico carat- tere, che potrebbe lasciare un dubbio sull’esattezza del riferimento, sta nel fatto, che la bella valva è ornata da costellatura non molto fine, ineguale ed alquanto rilevata, per cui le linee di accrescimento hanno marcato decorso a zig-zag; mentre Toucas riferisce, che la sua specie porta coste fine e poco salienti, come tutte le (1) K. Furrere®, Die ob. Kreideb. dA. Umg. d. L. di S. Croce, 1892, pag. 97, tav. VIII, fig. 5a, d, (2) C. F. Parona, Not. cit., 1907, pag. 235. — K. Denineer, Die mesoz. Form. auf Sard., “ N. J. f. m. G. u. P., 23 B-B., 1907, pag. 457. 144 CARLO FABRIZIO PARONA 6 forme di Vaccinites dell’Angumiano. Così che, per l’ornamentazione, questa valva ricorda lo Hipp. subinferus Futt. di Calloneghe (1), al quale d’altra parte non può essere assolutamente attribuita per le spiccate differenze nei caratteri interni. Ora, sono appunto questi caratteri (fig. 2), che non permettono di separare la forma veneta dalla specie istituita da Tovcas. La cresta cardinale L assai lunga e troncata all'estremità, l’apofisi miofora m p subtriangolare e retusa nel lato verso il margine della valva, il primo pilastro S largo e robusto e che alla base tende a restringersi, il secondo pilastro E molto allungato, flessuoso, a collo sottile, a forma quasi di clava, l’ap- parato cardinale D ND' che appare inclinato sull’asse della cresta legamentare, l'ampia fossetta accessoria 0, la cresta ed i due pilastri avvicinati e delimitanti due golfi subeguali, costituiscono un insieme di caratteri quale appunto si rileva nel Vaccin. praecorbaricus. Si aggiunga la corrispondenza delle pieghe, nel nostro esemplare ben pronunciate, che lo strato esterno del guscio porta sulla sua parete (margine) interna, analoghe a quelle, come osserva Tovcas, che presenta il Vacc. Loftusi e che mostrano l'analogia colle pieghe caratteristiche delle Pironaea. In questo stesso strato esterno, sulla sezione, si notano le traccie ben distinte di grandi ed ineguali canali. Fig. 2. A questa stessa forma ascrivo l'esemplare più piccolo di valva inferiore, che CaruLLo distinse e figurò sotto il nome di Hippurites nanus; il quale non può essere conservato, perchè e dalle figure e dalla descrizione non sono posti in evidenza i caratteri specifici, che avrebbero potuto servire di guida per il riconoscimento della specie. Corrisponde molto bene alle figure di Toucas (128, 129), eccezione fatta per il golfo fra i due pilastri (fig. 3), che nella. forma e nell’ampiezza meglio corrisponde a quello della fig. 130 dello stesso A., che rappresenta un Vace. cfr. praecorbaricus. Ascrivo pure al Vaccin. praecorbaricus tre valve superiori, la più grande delle quali fu in qualche modo descritta e figurata da CaruLLo, come Sphaerulites umbellata. (1) K. FurrereR, op. cit., 1892, pag. 95, tav. III, fig. 1, 2. 7 SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 145 La posizione della cresta cardinale e delle aperture, coincidenti coi due pilastri, che sono visibili nella parte della valva priva dello strato esterno del guscio, ben cor- risponde alla situazione degli stessi organi nel Vace. praecorbaricus; ed anche i pori sembrano nettamente reticolati, come nella valva superiore dello stesso Vaccinites, alla quale i nostri esemplari somigliano per l’umbone prominente ed eccentrico e per la costolatura a raggi irregolari. Il Vaccin. praecorbaricus si trova colla Orbignya Requieni nell’Angumiano mediv e superiore delle Corbières; ma Toucas lo dice caratteristico dell’Angumiano supe- riore, ove si associa, oltrechè colla accennata Orbignya, col Vacc. petrocoriensis e col Vacc. Grossouvrei. Hippurites (Vaccinites) praepetrocoriensis Toucas. Vaccinites praepetrocoriensis Touvcas, Et. sur la classif. et Vévolut. des Hippur., 1903, pag. 70, fig. 104-108, tav. VIII, fig. 1, 2. A questa forma, che Toucas considera come il vero tipo dei Vaccinites, attri- buisco cinque esemplari di valva inferiore, di piccola e media statura, che si allon- tanano alquanto dal tipo, soltanto perchè i due pilastri sono più avvicinati alla cresta legamentare, per modo che è minore la loro obliquità rispetto alla cresta stessa (fig. 4). Per gli altri caratteri la corri- spondenza è perfetta: la cresta cardinale L è piuttosto lunga, robusta, allargata alla base, troncata a scalpello all'estremità e quasi un- cinata, talvolta, verso la fossetta accessoria; il primo pilastro S è tozzo ed a base larga, il secondo pilastro £ è assai allungato ed al- quanto variabile per la strozzatura, che pre- senta, in varia misura, manifesta. L’obliquità dell'apparato cardinale DND' rispetto all’asse della cresta determina la forma subcircolare dell’ampia fossetta accessoria 0; la posizione dell’apofisi miofora m p è quella indi- cata per il tipo, ma non mi fu possibile di verificare la forma triangolare a lato rien- trante verso l’esterno. La costolatura del guscio, fine e stipata, intersecata da linea di accrescimento, è pure un carattere degli esemplari in esame, alcuni dei quali, poco allungati, sub- conici ricordano le valve di Calloneghe e di Sossai da FurTERER (1) riferite allo Hipp. gosaviensis Douv.; discostandosene in modo evidente, per la disposizione e forma della cresta legamentare e dei pilastri, quella figurata nella tavola VIII, mentre anche per questo riguardo si avvicina al Vaccin. praepetrocoriensis la figura della sezione a pag. 95 (fig. 24). Più strette sono le somiglianze col Vace. praepetrocoriensis offerte dalla forma, pure di Calloneghe, che lo stesso FurTERER (1) distinse come (1) K. FurrerER, op. cit., 1892, pag. 94, tav. VIII, fig. 3; pag. 97, fig. 25, tav. VIII, fig. 6. Serie II. Tom. LIX. S 146 CARLO FABRIZIO PARONA 8 Hipp. cfr. petrocoriensis Douv.; infatti nella figura della sezione l'estremità della cresta accenna alla troncatura caratteristica. Secondo Toucas questo Vaccinites caratterizza l’Angumiano più basso, e nella assisa inferiore dell’Angumiano superiore è rappresentato da una forma nella quale la cresta cardinale non presenta che una debole traccia di troncatura. Hippurites (Vaccinites) giganteus d'Hombr. Firm. Hippurites rugulosus CatuLLo, Catal. délle sp. org. foss. race. nelle Alpi Ven., ecce., 1842, pag. 5, n. 61. Hippurites giganteus DouviLé, Rév. d. prince. esp. d’Hipp., (1890), pag. 19, tav. III, fig. 4, 5, 6; (1895), pag. 152, tav. XXII, fig. 1 (vedi sin.). Vaccinites giganteus Touvcas, Et. s. la classific. et Vévol. des Hipp. (1903), pag. 93, fig. 148, 149, tav. XIII, fig. 4. Appartiene a questa forma una bella valva inferiore, allungata, subcilindrica, a coste fine arrotondate. La cresta cardinale L è robusta, poco allungata, flessuosa ed arrotondata all’estremità. I due pilastri sono lungamente peduncolati, a sezione subcircolare il primo S, a forma di clava il secondo £ (fig. 5). In complesso è stretta la somiglianza colle figure di Toucas, in con- fronto delle quali si può notare l’estremità meno appuntita della cresta cardinale e la maggior larghezza del golfo compreso fra i due pilastri; per il quale carattere il nostro esemplare meglio corrisponde alla fig. 4 della - tav. XII di DouviLLé. La sezione dell’ap- x parato cardinale DND' non è riuscita ben nitida, così come è incerta la traccia del- l’apotisi miofora m p; tuttavia la posizione rispettiva delle parti e la notevole inclina- zione dell'apparato rispetto all’asse della cresta cardinale non mi pare che possano lasciar dubbio sul riferimento specifico. Notisi a questo riguardo, che già Fur- TERER (1) determinò un esemplare di Calloneghe come Hipp. cfr. giganteus. L'esemplare ora descritto è accompagnato da un cartellino sul quale sta scritto “ Hippurites rugulosus Cat., Piné ,; ma riguardo all’indicazione della provenienza non nascondo il sospetto, che possa essere inesatta, in quanto che il CaruLLo, nel catalogo succitato, nota il suo Hippur. rug&losus (specie ined.) come proveniente da Monfenera, Trevigiano. Secondo Toucas, il Vaccinites giganteus è una forma assai diffusa e tutt’affatto Fig. 5. caratteristica del Coniaciano. (1) K. FurtERER, op. cit., 1892, pag. 99. 9 SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 147 Hippurites (Vaccinites) Chaperi Douv. Hippurites Fortisi CaruLLo, Saggio di Zoologia fossile, 1827. Padova, pag. 171, tav. VI, fig. B, è. Hippurites Chaperi DouviLLà, Révis. d. prince. esp. d’ Hipp. (1897), pag. 214, tav. XXX, fig. 6, 7. Vaccinites Chaperi Toucas, Ét. sur la classific. et l’évol. des Hipp., (1903), pag. 107, fig. 170, 171, tav. XVI, fig. 2. L’esemplare di valva inferiore, che riferisco al Vaccin. Chaperi Douv., è quello stesso col quale il CaruLLo istituì lo Hipp. Fortis. La descrizione sua, al solito, si limita ai caratteri di conformazione generale e della ornamentazione alla superficie esterna e, più precisamente, della superficie dello strato interno del guscio, man- cando completamente lo strato esterno. In tali condizioni non si può imputare al DouviLLé di aver trascurato il nome specifico proposto da CATULLO, nè si potrebbe ora legittimamente sostituire il nome specifico Fortisî a quello di Chaperi, col quale soltanto la forma fu chiaramente e, per quanto era possibile, completamente descritta. Nè a risultato diverso permette di arrivare quanto serisse C. GemmeLLARO (1) intorno ad un’Hippurite ritenuta varietà delle specie di CaruLLO. Questa valva inferiore trova il miglior confronto nella fig. 7 della tav. XXX di DouviLLé, che rappresenta uno dei tipi di Antimtza nel nord della Grecia, per l'andamento irregolare, flessuoso della cresta legamentare L, per il lungo e. stretto peduncolo dei due pilastri, per la sezione subcircolare del corpo del primo pilastro S ed a clava del secondo £, spez- zato e mancante dell’estremità interna (fig. 6). L’esattezza del riferimento specifico trova inoltre la conferma nella situazione del- l'apparato cardinale DND', ri- spetto all'asse della cresta car- dinale, e dell’apofisi miofora, tra la cresta stessa ed il primo pi- lastro, verso l'interno della valva, fuori del gòlfo ch’essi delimitano. Anche il grande spessore dello strato interno del guscio, proprio del Vaccin. Chaperi, si osserva nella nostra valva. Secondo la descrizione data da DouviLLEÉ, il Vaccinites Chapheri ha lo strato esterno del guscio ornato di grosse costole convesse, talvolta suddivise in costole minori. CartuLLo già rimarcò la somiglianza del suo MHippur. Fortisi coll’Orthoceratites, (1) C. Germecraro, Sopra una varietà di © Hippurites Fortisii , Catullo, * Atti dell'Accad. Gioenia di Sc. Nat. di Catania ,, ser. 2°, t. V, 1848, pag. 35. 148 CARLO FABRIZIO PARONA 10 che Fortis (1) figurò e disse proveniente dal Monfenera, nella parte più elevata dell’Asolano, e, per verità, la somiglianza è assai stretta e si direbbe quasi identità. Il Vaccin. Chaperi, assai diffuso nella provincia orientale, appartiene ad un livello verisimilmente santoniano, secondo Toucas; DouviLLé lo cita anche per un giaci- mento non molto lontano, quello cioè di Val Carpano presso Albona (Fiume). Hippurites (Vaccinites) Zurcheri Douv. Hippurites gosaviensis DovvILLÉ, Ré. des prince. esp. d’ Hipp. (1890), pag. 28, fig. 15. Hippurites Zurcheri DouviLré, Ibid. (1892), pag. 34, tav. IV, fig. 1-4. Vaccinites Zurcheri Toucas, Ét. sur la classif. et l’évol. des Hippur. (1903), pag. 105, fig. 166-169, tav: VII. fig. La; Riferisco a questa forma un esemplare di valva inferiore ben conservata, cilin- droide, e che presenta distinti i ca- ratteri specifici esterni ed interni. Il guscio è ornato da coste fine, ot- tuse, stipate; la cresta cardinale L sottile, assai allungata e troncata al- l'estremità (fig. 7), il primo pilastro S piuttosto allungato, ma poco ristretto alla base, come nella fig. 168 di Toucas, il secondo £ più lungo, più stretto ed a forma di clava, perchè peduncolato: l’apofisi miofora m p è situata molto all’indentro, presso l’e- stremità del primo pilastro: l’appa- rato cardinale DND' è disposto, si può dire, sul prolungamento dell'asse della cresta legamentare; la fossetta accessoria O è allungata nello stesso senso e molto ampia; l'esemplare presenta pure la caratteristica linea ondulata di attacco dei due strati del guscio. Il Vaccinites Zurcheri è comune nel Coniaciano. Fig. 7. Hippurites (Vaccinites) GauaAryi Mun.-Chalm. Hippurites Gaudryi DouviuLé, Rév. des prince. esp. d’ Hipp. (1897), pag. 213, tav. XXXI, fig. 5, 6, tav. XXXIV, fig. ‘1; 2. Vaccinites Gaudryi Tovcas, Et. sur la classif. etsl'évol. des Hipp. (1903), pag. 100, fig. 157. DouviLLÉ già riconobbe questa forma in un esemplare raccolto da MunieR- CnaLmas nei dintorni del Lago di Santa Croce, e ciò è un argomento a favore del (1) A. Forris, Mém. pour servir à l’hist. nat. et prince. à Voryctogr. de VItalie et des pays adjac., Paris, 1802, pag. 150, tom. I, tav. VI, fig. C. CIT TRE E LI TT 11 SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 149 riferimento specifico della valva inferiore in esame. È un esemplare di notevole dimensione, subconico, mancante dello strato esterno del guscio, allargato secondo l’asse normale all’apparato cardinale, come si osserva nella sezione, dell'esemplare tipico di Caprena, figurata da Toucas (fig. 157). La cresta cardinale L è lunga, larga, obliquamente troncata all'estremità (fig. 8), il primo pilastro S è breve, largo, senza Fig. 8. strozzatura alla base, il secondo £ è assai sviluppato, con lungo peduncolo e grossa capocchia ed il posto occupato da queste tre pieghe, in rapporto all’intiero margine, è quale si nota nel tipo. Invece l’obliquità dell'apparato cardinale DND' rispetto all'asse della cresta legamentare risulta alquanto minore. Toucas riferisce questa forma ad un livello probabilmente santoniano. ? Hippurites (Vaccinites) f. ind. Hippurites fitoideus CatuLLO, Saggio di Zool. fossile, 1827, pag. 173, tav. VII, fig. A, B, C. Così denominò il CATULLO un frammento di grande valva inferiore subcilindrica: esso è decorticato dallo strato esterno del guscio e non coincide col fianco della valva che porta i caratteri interni necessarì per il riconoscimento delle specie; sol- tanto vi si notano le traccie di una lunga cresta legamentare. Potrebbe darsi, ma non è possibile di verificare, che questo frammento, collo strato interno a robusta costolatura, appartenesse ad un esemplare riferibile allo Hippurites crassicostatus Futt. del giacimento di Cellina presso Barcis, che FurTERER ritenne d’età angumiana (1). (1) K. Forrerer, Uedber einige Versteiner. aus der Kreideform. der Karnischen. Voralpen, © Palaeont. Abhand]. herausgeg. v. Dames u. Kayser ,, Bd. VI, 1896, pag. 6, tav. I, II. 150 CARLO FABRIZIO PARONA } 12 Agria Boehmi n. f. Tav., fig. 1. Valva inferiore allungata, cilindroide-contorta, a sezione subellittica, a superficie liscia, arrotondata nella regione cardinale, appiattita sul fianco anteriore e con traccie di pieghe longitudinali sul fianco posteriore: la fascia o solco del seno anteriore £ è stretta, profonda e delimitata all’avanti da una forte costa acuta: quella poste- riore S è larga più del doppio e concava e del pari delimitata all'indietro da una forte costa acuta: i seni sono separati da un rialzo largo quanto la fascia del seno 3 posteriore, appiattita in basso ed infossata in alto. Il guscio è di medio spessore, ed in sezione trasversa (fig. 9) l'esemplare mostra una piccola e poco sporgente piega legamentare ed un apparato cardinale basso, colle apofisi miofore trasversalmente allungate ed avvicinate alla pa- rete cardinale. L'unico esemplare è spezzato alle due estremità. Valva superiore sconosciuta. Questa distinta forma non è riferibile a specie cono- sciute: la forte sua costolatura nella regione dei seni, le fascie abbastanza profonde e quella posteriore assai più lunga dell’anteriore la collegano al gruppo dell’Agria triangularis (d’Orb.) (1). Radiolites radiosus d'Orb. Sphaerulites duplovalvata CatuLLo, Mem. geogn.-z0o0l. sopra ale. conch. foss., ecc., 1838, pag. 13, tav. I fig. DAT BIO: Radiolites radiosa D'OrBreNnY, Paltont. frane., Terr. crét., IV, 1847, pag. 212, tav. 554, fig. 1, 2, 8 (caet. excl.). n : Sphaerulites radiosus BaxLe, Nouv. observat. sur quelg. esp. de Rudistes, * Bull. S. G. de Fr. ,, XIV, 1857, pag. 693. k Radiolites radiosus De Grossouvre, Le terr. erét. dans le S.-0. du Bass. de Paris, “ Ibid. ;, XVII, 1888-89, pag. 523, tav. XI, fig. 4. Radiolites radiosus DouviuLe, Class. des Radiolites, “ Ibid. ,, II, 1902, pag. 471, 476. Le fig. A, B e d di Catutto si riferiscono a due esemplari diversi, o meglio a due frammenti diversi. Questi ed altri framntenti della stessa collezione per se stessi sono indeterminabili; tutt'al più si potrebbe dire, che appartengono ad una forma del gruppo del Rad. radiosus. Tuttavia è da ritenere presente, questo adiolites, nella fauna di Monte Piné, in considerazione di altri due grandi esemplari incom- pleti, mal conservati, i quali, oltre avere la caratteristica struttura del guscio, che si sfalda in lamine sottili, arcuate, con superfici.finamente zigrinate, a venature dicotome e con grosse pieghe radianti, presentano anche indizi manifesti della cresta lega- mentare e delle due fossette dentarie, come si osserva nella fig. 2 di p’OrBIeNy. (1) A. Toucas, Ét. sur la classif. et l’évol. des Radiolitidés, © Mém. d..l. Soc. Géol. d. Fr., Paléon: tologie ,, tom. XIV, (4), 1907, pag. 17 (Gen. Agria Matheron, 1878). 13 SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 151 Abbiamo dunque un complesso di caratteri, che ci dà qualche affidamento sulla esattezza della determinazione, anche in mancanza di esemplari colle caratteristiche inflessioni verso l’alto delle lamine, corrispondenti ai seni S ed £. Il Radiolites radiosus è indicato dagli autori per il Turoniano superiore (Angu- miano). Radiolites turricula (Cat.). Tav., fig. 2, 3,4, 5, 6 (a, d). Sphaerulites Da Rio (?) CaruLLo, Mem. geogn.-zool. sopra ale. conch. foss., ecc., 1838, pag. 15, tav. IPig ‘4. Hippurites turricula Caruro, Ibid., pag. 16, tav. I, fig. ©. Hippurites dilatatus CatuLLo, Ibid., pag. 17, tav. II, fig. 1. Radiolites Da Rio FurtERER, Die ob. Kreideb. d. Umg. d. Lago di S. Croce, ece., 1892, pag. 99, tav. IX, fig. 1 (fig. 2-9 escl.). CaruLLo (1) istituì lo Sphaer. Da Rio esclusivamente sopra la valva superiore figurata al n. 3 della tav. I: ora questo esemplare risulta di un lembo decorticato di valva adagiato sul fianco del suo modello interno, cupoliforme e provvisto di solco legamentare, e che lascia allo scoperto per circa due terzi l'impressione del suo' ampio margine ondulato e con fine zonature concentriche. Questo fossile è affatto insufficiente per stabilire una determinazione generica e specifica; tutt'al più si può pensare, che si tratti di una forma appartenente al gruppo del Pad. radiosus (d’Orb.) od a quello del Rad. angeiodes Lam. Lo stesso CaruLLo attribuì pure, con dubbio, lo stesso nome agli altri due fossili figurati al n. 4 della medesima tav. I, e cioè un modello interno di valva superiore ed un modello di valva inferiore in parte rivestita dal guscio. Può darsi che il primo, sebbene non identico, non differisca specificamente dalla valva-tipo (secondo CATULLO) dello Sph. Da Rio; ma non vi ha alcun argomento, che permetta di ritenere, che queste due valve superiori abbiano rapporti specifici coll’altro fossile, è cioè che la valva inferiore, fig. 4 (dis), e le valve superiori, fig. 3 e 4, appartengano alla stessa specfe: anzi, quanto rimane del guscio di questa valva inferiore dimostra, che essa corrisponde piuttosto alla forma distinta da CarUuLLO col nome specifico “ turri- culatus ,, al quale per nessuna ragione si può sostituire quello di Da Rio. Ne viene quindi, che lo Sph. Da Rio, come specie insussistente, dev'essere elimi- nata dalla sinonimia: ed è singolare che FurTERER non sia giunto alla stessa con- clusione, e che abbia riunito al Kadiolites Da Rio non solo lo Hippurites dilatatus Cat., ma anche lo Hippur. turricula, che è l’unica, fra queste tre denominazioni specifiche, la quale possa essere conservata, in quanto che l’esemplare tipo presenta, a diffe- renza di quelli sui quali furono fondati lo Sp. Da Rio e lo Hipp. dilatatus, qualche carattere specifico sufficientemente riconoscibile. D'altra parte il Fadiol. Da Rio (Cat.) di FurTERER non potrebbe essere accettato, perchè egli riunì sotto questo nome degli esemplari specificamente e genericamente diversi, ed a questo riguardo è da notare (1) Carutto, op. cit. (1838), pag. 14, tav. I, fig. 3 e (?) pag. 15, tav. I, fig. 4. 152 CARLO FABRIZIO PARONA 14 che già il BoEHx (1) riconobbe nella fig. 8 (a, è) di FurterER la valva superiore del Radiolites macrodon Pir., ed è pure da osservare che l'esemplare della fig. 3, come dimostreremo in seguito, dev'essere riferito al gen. Biradiolites. Tipo del Radiol. turricula (Cat.) è la valva inferiore della fig. 5 di CatULLO, meglio rappresentata dalla fig. 1 di FurTERER: io ne do una figura da fotografia (Tav., fig. 2). La valva superiore è sconosciuta; ma è probabile ch’essa fosse promi- nente e conica, perchè le valve superiori di radiolitidi della collezione Catullo, e sono parecchie, piccole, più o meno decorticate e ridotte a modello interno, con pro- fondo solco legamentare, sono tutte cupoliformi. La valva inferiore è subconica, diritta o leggermente contorta, allungata, più di rado allargata a coppa (dilatatus Cat.), o di forma bassa e tozza; ha sezione subcircolare, arrotondata dal lato anteriore, più o meno appiattita sul lato poste- riore; è ornata da costole più o meno sporgenti, talora ottuse, più spesso angolose ed acute, subeguali, qualcuna suddivisa da un solco longitudinale. Nella regione posteriore tre grosse pieghe, a coste più prominenti e taglienti, comprendono i seni £, S percorsi da costelline longitudinali, il secondo dei quali è più evidente, alquanto più profondo ed appiattito (fig. 10 è). Finissime linee di accrescimento, con andamento a zig-zag, intersecano le coste. Guscio di medio spessore; margine dell'apertura fortemente inclinato verso l'interno, ondulato, a fibre fine, flessuose, dicotomicamente radianti (Tav., fig. 6a). La sezione trasversale di questa valva (fig. 10@) mette in evidenza la grandezza della cavità viscerale, colle inflessioni al margine in corrispondenza dei seni, la robusta piega lega- mentare sporgente in ampia cavità dorsale e le particolarità dell'apparato cardinale situato in prevalenza nella parte destra della valva, rispetto alla piega, col conseguente ampio sviluppo dell’apofisi miofora m p, in confronto della piccola apofisi m a. ‘ Radiolites contortus (Cat.). 3 TAV CARI, 9 Hippurites contortus CatuLLo, Mem. geogn.-zool. sopra ale. conch. foss., ecc., 1838, pag. 16, tav. III, fig. 3. Radiolites contorta FurterER, Die ober. Kreidebild. der Umg. d. Lago di S. Croce, ece., 1892, pag. 103, tav. IX, fig. 10 e 12 (11?). i La figura di CaruLLO è abbastanza fedele, come risulta dal confronto colla foto- grafia dell'esemplare tipo (fig. 8), ed esatta la diagnosi “ testa conica, elongata, subrecta, aut plus minusve contorta; costis carinatis, flexuosis, Jateribus longitu- dinaliter sulcatis ,. L'A. per questa forma, come per il suo Hipp. turricula, dice “ valva superiore tecta ,: effettivamente la valva superiore non si conosce. La valva (1) Bornx, Beitr. e. Kenntn. d. Kreide in den Sidalp., 1384, pag. 142. 15 SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 153 inferiore presenta ben distinte le linee di accrescimento intersecanti a zig-zag le coste longitudinali e, negli esemplari non spezzati nella parte superiore, essa si allarga a coppa verso l’apertura (fig. 7). Riguardo alle fascie dei seni, secondo la figura della sezione data da FuTTERER (fig. 12), sarebbero portate in rialzo; ciò che non risulta per l’esem- plare tipo e per gli altri in esame. Esse stanno invece, ciascuna, in una depressione ai lati di un rilievo prominente formato da un fascio di coste e sono affatto simili a quelle del Radio. turricula, al quale per molti caratteri il ftadiol. contortus è strettamente affine. Infatti non ho rimarcato differenze apprezzabili nei caratteri interni, sia per l'apparato cardinale, sia per la piega legamentare, ia cui presenza distingue questa forma di Radiolites dalla Distefanella lombricalis (d’Orb.) (1), alla quale somiglia assai per la conformazione della conchiglia e per l’ornamentazione. Tale somiglianza fu già avvertita da FuTTERER, ma è puramente superficiale; infatti alle differenze su notate si aggiunge un maggior spessore del guscio nel Radiolites contortus. Radiolites Catulloi n. f. Tav., fig. 10a, 5, 11, 12a, db, c, 13a, d. Radiolites (?) Ponsiana d'Archiae — Furterer, Die ober. Kreidebild. d. Umgeb. d. Lago di i S. Croce, ece., 1892, pag. 104. L’aspetto del lato posteriore e dell'apertura della valva inferiore ricorda effettiva- mente la specie di p’ArcaiAc, ma la costolatura, che orna tutto il resto dei fianchi, dimostra, che non si tratta di un Praeradiolites, qual'è il Praerad. Ponsi (d’Arch.) (2), bensì di un vero Padiolites. La valva superiore è sconosciuta; quella inferiore è irregolarmente conica, di solito alta all'incirca quanto larga, in qualche caso più alta che larga; si allarga rapidamente presso l'apertura negli esemplari adulti, presentando una forte espan- sione al lato anteriore. Questo lato ed i fianchi sono convessi, portane costole ottuse od arrotondate, più prominenti sui fianchi, di rado con ingrossamenti variciformi, ed intersecate, con andamento ondulato, dalle linee di accrescimento. Il lato poste- riore è alquanto appiattito; la fascia anteriore £, ampia, piatta nei primi stadì di sviluppo, va successivamente deprimendosi nel mezzo col formarsi di un solco, ed è attraversata dalle linee e pieghe di accrescimento fortemente inflesse ad angolo verso l’alto; un rialzo a forma di costa quasi carenata separa la fascia anteriore dalla posteriore S, che risulta di quattro coste angolose, due per parte, degradanti in un solco più o meno profondo, nel quale pure le linee di accrescimento si inflettono verso l'apertura della valva. Questa apertura è obliqua dall’avanti all’indietro, a margine poco largo, poco declive verso l’interno, radialmente segnata dai canaletti e presenta poco prominente l'estremità della piega legamentare. (1) C. F. Parona, Le Rudiste e le Chamacee di S. Polo Matese, È Mem. d. R. Accad. di Torino ,, L. 1900 (1901), pag. 206, tav. I, fig. 12, tav. II, fig. 2-5, tav. III, fig. 8. (2) A. Toncas, Classifie. et évolut. des Radiolitid£s, 1907, pag. 30, tav. III Serie II. Tox. LIX. T 1:54 CARLO FABRIZIO PARONA 16 Biradiolites cornu-pastoris (Desm.). Tav., fig. 14a, d. K. FurterER, Die ober. Kreidebild. d. Umgeb. d. Lago di S. Croce, ecc., 1892, pag. 105. C. F. Parona, Le Rudiste e le Chamacee di S. Polo Matese, “ Mem. R. Ace. Se. Torino ,, L, 1901, pag. 202, tav. I, fig. 5-7 (ved. sinon.). P. Crorrat, Rec. d’étud. paléont. sur la Faune crét. du Portugal (“ Tr. géol. da Portugal ,) (1901- 1902), pag. 136 (ved. sinon.). Cnorrar ha precisato i caratteri del Birad. cornu-pastoris, e distinse una nuova forma, col nome di Birad. Arnaudi, che dapprima andava confusa colla specie di Des-Mourins. Tenendo calcolo di questa rettifica di diagnosi, posso ascrivere con sicurezza al Birad. cornu-pastoris una bella valva inferiore, coll’indicazione di pro- venienza dal Monte Piné, che si conserva nel Museo di Torino. Essa presenta la parte inferiore, apicale, fortemente ripiegata ad angolo colla superiore, similmente a quanto si osserva in una figura di p’ORrBIGNY (1); ma nel complesso dei caratteri corrisponde esattamente alla fig. 2 di BayLE (2). Resta quindi confermata la presenza del Birad. cornu-pastoris nel Cretaceo superiore delle vicinanze del Lago di S. Croce, già notata da FurTERER pel giacimento di Calloneghe. Questo Biradiolites è caratteristico dell’Angumiano. Biradiolites Futtereri n. f. Tav., fig. 15. Radiolites Da Rio Cat. sp. — FurrerEr, Die ob. Kreidebild. A. Umg. d. Lago di S. Croce, ece., 1902, pag. 99, tav. IX, fig. 3 (caet. excl.). La valva inferiore della collezione Catullo, disegnata da FurreRER come appar- tenente al Rad. Da Rio, per la sua conformazione a cono irregolare, allungato, un po contorto, e per l’ornamentazione della parte anteriore e dei fianchi a coste numerose ed ottuse, intersecate da linee di accrescimento a zig-zag, potrebbe a tutta prima scambiarsi col Rad. turricula (Cat.) (= Rad. Da Rio in FurtERER): ma i caratteri del lato posteriore tosto rivelano, ch'esso appartiene al gen. Biradiolites. Infatti pre- senta la fascia del suo seno anteriore £ larga, piana, in rilievo, costituita da nove costicine, uniformi, longitudinali; quella del seno posteriore ,$S, del pari ben distinta, piana, ma infossata, stretta, percorsa da due sole costicine longitudinali e separata dal fianco da una costa sporgente ed acuta; la piega interposta ai seni è assai stretta, non molto sporgente, formata da un fascio di tre costicine ed è separata dalla fascia anteriore da ùn solco profondo, netto, a sezione triangolare. La piega interposta alle fascie dei seni, perchè assai stretta, dimostra l’affinità di questa forma col Birad. Arnaudi Choff.(3), dal quale tuttavia differisce perchè (1) D'Orsieny, Pal. fr., T. crét., IV, tav. 573, fig. 1. (2) BayLe, Observat. sur le Radiol. cornu-pastoris des Moul. (sp.), © B. S. G. d. Fr.;, XIII, 1855, pag. 139, tav. IX. 3) P. Cnorrar, Ét. pal. faune crét. Portug., 1901-02, pag. 138, tav. VI e VII. tai LA Al Srl 7 SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO SUPERIORE DEL CANSIGLIO, ECC. 155 la fascia anteriore è sporgente, invece d’essere concava, e perchè non è limitata verso il fianco da una costa sporgente; ed inoltre, e specialmente, per i caratteri della fascia posteriore, ben infossata e delimitata, ma assai stretta. Nessuna traccia di piega legamentare, il guscio è più sottile ed il suo margine, all'apertura della valva, più stretto, meno declive verso l'interno, in confronto di quanto si osserva Rad. turricula. Biradiolites fissicostatus d'Orb. Biradiolites fissicostata v'Oriony, Paltont. frane., Terr. crét., IV, 1847, pag. 232, tav. 575. fissicostatus Bavne, Nouv. observ. sur quelg. esp. de Rudistes, “ B. S. G. d. Fr. ,, XIV, 1857, pag. 677. DouviuLt, Olassifice. des Radiolites, “ Ibid. ,, II, 1902, pag. 474, 477. » n Sono due esemplari di valva inferiore imperfettamente conservati ed in parte compresi nel calcare, dal quale non mi fu possi- bile liberarli per trarne poi buone figure fotografiche. Tuttavia la loro conformazione particolarissima (fig. 11), per le robuste pieghe della regione poste- riore, delimitanti i due solchi, e per l’appiattimento caratteristico dell’ampio fianco anteriore, estenden- tesi lateralmente in due pieghe prominenti, permette di riconoscervi agevolmente e con sicurezza rela- tiva la distinta e singolare forma di D’ORBIGNY. Il Birad. fissicostatus è proprio del Senoniano superiore. Orthoptychus (?) striatus Futt. Orthoptychus striatus FurteRER, Die ober. Kreidebild. d. Umg. d. Lago di S. Croce, 1892, pag. 91, tav. VII, fig. 1. Sphaerucapwina striata Bornm, Beitr. 2. Kenntn. d. Kreide in den Stidalpen, 1894, pag. 126, tav. XI, fig. 1. Dispongo di un unico piccolo esemplare di valva sinistra (superiore), che nei caratteri esterni di conformazione ben corrisponde alle figure dei succitati autori. È incompleto e spezzato al margine palleale e le due sezioni, riprodotte dalle figure, furono condotte molto al di sotto del margine di commessura, fino a raggiungere il fondo della piccola fossetta cardinale n, per modo che non risulta ben evidente la cavità accessoria dipendente dalla fossetta stessa ed il corrispondente setto di separazione dalla cavità viscerale (fig. 12). Le differenze in confronto col genere Plagioptychus, quali risultano da queste sezioni profonde, sono notevoli: tuttavia non ritengo di disporre di materiale di studio sufficiente per pronunciarmi in modo assoluto sull'importanza dei setti, assai rari, trasversali alle lamine radianti, come carattere differenziale, e sul valore del genere istituito dal FurrerER. Ad ogni modo quanto conosco di questa forma mi 156 CARLO FABRIZIO PARONA — SOPRA ALCUNE RUDISTE DEL CRETACEO, ECC. 18 permette di ritenere, ch’essa non può essere ascritta al genere Sphaerucaprina Gemm., il quale se ne distingue per ripetuto ordine di canali marginali e per grandi lacune o canali nello spessore della parte anteriore della valva, così da avvicinarsi, nei carat- teri della valva superiore, al genere Cuprinula, mentre per il gen. Orthoptycus le affinità sono più strette col genere Plagioptychus. Il trovarsi questo esemplare associato ad ippuriti ed a radiolitidi del Turoniano superiore e del Senoniano inferiore, precisa, meglio di quanto si conosceva finora, la giacitura di questa specie nella serie del Cretaceo del Cansiglio. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fio. 1. — Agria Boehmi n. f. i 2, 3, 4, 5,6 (a,b). — Radiolites turricula (Cat.) — (fig. 2, Hippurites turricula Cat.; fig. 6 (a, 0) Hippur. dilatatus Cat.). » 7,8, 9. — Radiolites contortus (Cat.) (fi. 8, Hippurites contortus Cat.). 10 (a, d), 11, 12 (a, b, c), 13 (a, 8). — Radiolites Catulloi n. f. 14 (a, b). — Biradiolites cornu-pastoris (Desm.). 15. — Biradiolites Futtereri n. f. (E seno anteriore, .S seno posteriore). —_ __—_eoc--—foro>o>—T —_——_ e Scienze di Sozino Ser. II, Voli. LIX » Memozi Rudiste del Cansiglio. PARONA. MARCELIN BERTHELOT (1827-1907) MARCELIN BERTHELOT SOCIO STRANIERO COMMEMORAZIONE DEL SOCIO ICILIO GUARESCHI Approvata nell’ Adunanza a Classi Unite dell'’8 marzo 1908. È antica consuetudine che un socio della nostra Accademia debba compiere l’uf- ficio di discorrere sulla vita e sulle opere, o come suol dirsi, fare l’elogio storico, di un socio defunto, sia anche straniero. È consuetudine antica in tutte le Acca- demie, ma il primo esempio, relativamente moderno, fu dato dall'Accademia di Pa- rigi che pochi anni dopo la sua fondazione iniziò questo genere di studio scientifico- letterario : uno degli elogi storici che posso ricordare ad esempio, è quello bellissimo fatto dall’Arago per il nostro Volta. L’incarico mio è irto di non lievi difficoltà, perchè MAaRrceLIN BeRTHELOT è non solamente un grande chimico, ma eminente fisico, storico insigne delle scienze, pa- triota come pochi altri, pensatore profondo a larghe idee liberali, e sotto un certo punto di yista, che si collega colle sue idee filosofiche, anche uomo di Stato; la figura di Berthelot è poliedrica, emerge sotto tutti i riguardi. Possedeva il vero spi- rito enciclopedico, e l’elogio era certamente meritato, come ben disse il suo collega Darboux, e come ben scrisse il Bredig: “ La prodigiosa multilateralità di questo uomo, lo deve far denominare l’ultimo degli Enciclopedisti ,. Era socio della nostra Accademia dal 1896 (1). In mezzo a tanto dolore per le lotte fra le classi sociali, lotte non prive di fondamento, in mezzo all’indifferentismo per i ricordi patriotici, piace pensare che il Berthelot ha sempre portato una parola di elevato conforto ; in ogni suo discorso egli ha sempre avuto presente, come una grande visione, l'innalzamento scientifico, e quindi morale, della patria sua non solo, ma dell'umanità. (1) Debbo il bel ritratto che orna questo elogio storico alla gentilezza del figlio prof. Daniel Berthelot, che ringrazio vivamente. 158 ICILIO GUARESCHI 9 Giustamente egli diceva: ° La science est la véritable école morale, proclamons-le hautement. Elle enseigne à l'homme l'amour et le respect de la vérité, sans laquelle toute espérance est chimérique. La science enseigne è l'homme l’idée du devoir et la nécessité du travail, non comme un chatiment, mais au contraire comme l’emploi le plus élevé de notre activité. C'est surtout à la science qu'est due la notion de la solidarité des hommes envers les autres ,. Pochi uomini, e pochissimi chimici, si possono paragonare al Berthelot, non tanto per l’importanza dei lavori fatti, quanto per la vastità del campo coltivato. La potenzialità della mente di quest'uomo era straordinaria. In massima egli era contrario alla specializzazione della scienza; se il suddi- videre una scienza può essere commodo per l'insegnamento, è certamente dannoso per lo sviluppo intellettuale, limita le facoltà cerebrali. E giustamente Emilio Fischer a nome della Accademia delle Scienze di Berlino indirizzava nel 1901 al Berthelot le parole seguenti : “ Nelle scienze sperimentali i grandi progressi compiuti per la scoperta di fatti nuovi ed il perfezionamento continuo dei metodi di osservazione hanno avuto questa conseguenza spia- cevole, ma inevitabile, di limitare di più in più il cerchio di studi nel quale uno scienziato si sente veramente nel suo campo. È così, che si è fatta nella chimica una profonda specializza- zione, che avrà forse per risultato di separare questa grande scienza in una serie distinta di branche. Il solo dei chimici viventi che sia riuscito a trionfare di questo potere disgregante, siete Voi ,. Berthelot aveva una grande coltura classica, conosceva a fondo le lingue latina e greca; in sua gioventù fece non pochi versi latini e francesi. Le sue cognizioni matematiche, se non erano molto estese e profonde, erano certamente non comuni fra i chimici; conosceva abbastanza la cristallografia per potere da se stesso fare le misure dei cristalli delle sostanze che scopriva. è Pierre-Eugène-Marcelin Berthelot nacque il 25 ottobre 1827 in Parigi e morì il 18 marzo 1907. Suo padre, il D." Jacques -Martin Berthelot, era medico pratieo, modesto, di idee liberali; uomo molto colto, inculcò al figlio il sentimento, l’amore, della scienza. Fu da “ ce modeste praticien, diceva poi il figlio, qua vécu pauvre et digne ..., che il Berthelot ebbe i primi insegnamenti. Fece gli studi classici nel Liceo Enrico IV, ove mostrò subito delle attitudini notevoli a studi vari: scientifici, storici e filosofici. Ottenne il premio d'onore di filosofia nel concorso generale del 1846, a 18 anni. Nel medesimo anno, come rac- conta il Berthelot stesso, conobbe colui che divenne poi suo grande amico, il Renan, il quale, allora; viveva dando, come ripetitore, delle lezioni nel quartiere latino. Per qualche tempo stette in dubbio se doveva seguire gli studi di storia, di archeologia o di filosofia, ma poi si avviò, anche consigliato dal padre, alla carriera delle scienze e specialmente della chimica. i Berthelot studiò prima nel laboratorio di Pelouze, poi nel 1851, compiuti gli studi farmaceutici, fu nominato preparatore di Balard al Collegio di Francia collo stipendio di 500 fr. all'anno ; continuò i suoi studi universitari, senza seguire deter- minati corsi o scuole, sino ad ottenere il grado di dottore in scienze nel 1854 pre- sentando come tesi il suo ora classico lavoro sulla sintesi dei grassi; conservò il 1° 3 MARCELIN BERTHELOT -— COMMEMORAZIONE 159 modesto posto di preparatore sino al dicembre 1859, quando fu nominato professore di chimica organica nella scuola di Farmacia; nel 1860 l'Accademia gli conferì il premio Jecker per l’assieme de’ suoi lavori. Nel 1865, su proposta di Balard, di vari professori del Collegio di Francia e di chimici dell'Istituto, fu chiesta la creazione di una cattedra di chimica organica nel Collegio di Francia, e questa, appena fu istituita dal Duruy, venne conferita al Berthelot, che la tenne sino alla morte cioè per quarantadue anni; nel 1876 rinunziò alla cattedra di chimica organica nella Scuola di Farmacia. Nel 1863 fu nominato membro dell’Accademia di medicina, e solamente nel 1873 membro dell’Accademia delle Scienze, nella sezione di Fisica; nel 1889 fu nominato Segretario Perpetuo in sostituzione di Pasteur dimissionario. Nel 1900 ebbe la nomina di membro del- l’Académie Frangaise in sostituzione di Joseph Bertrand. Nel 1876 ebbe la carica di ispettore generale dell’insegnamento superiore, poi di vice-Presidente del Consiglio Superiore dell'Istruzione Pubblica e di Presidente della Sezione di Scienze fisiche nell’Ecole des Hautes Etudes. Nel 1870 fu nominato Pre- sidente del Comitato Scientifico per la Difesa Nazionale ed insieme a D’Almeida e ad altri tentò di stabilire delle comunicazioni fra Parigi assediata e le provincie. Nel 1876 era presidente del Comité consultif des Poudres et Salpétres e poi nel 1878 Presidente della Commissione per le sostanze esplosive; e dovette quindi occuparsi della fabbricazione dei cannoni; della nitroglicerina, della dinamite e delle polveri da guerra. Fu il Vieille, suo allievo, che scoprì la polvere senza fumo. Nel 1881, in seguito ai servigi resi al paese, ottenne nelle elezioni generali a Parigi 31.000 voti, seniza essere stato, come suol dirsi, portato candidato, e nel 1881 fu nominato senatore inamovibile; nel 1886 Ministro dell'Istruzione Pubblica nel ministero Goblet, e poi Ministro degli Esteri nel ministero Bourgeois. Viaggiò in Italia, Germania, Inghilterra, Svezia, Danimarca, Egitto, Algeria, ecc. Come uomo privato poi il Berthelot era esemplare; la sua casa poteva dirsi di cristallo. Era l'idolo della famiglia, alla quale pensava con orgoglio. La Signora Berthelot, donna molto colta, protestante, figlia di Breguet costruttore-tisico, fu com- pagna affettuosa del sommo uomo per quarantaquattro anni; a 72 anni colpita da malattia grave, morì; e pochi momenti dopo l’illustre chimico avutane la notizia dai figli non potè resistere al colpo e cadde nelle loro braccia. Pas de discours, ebbe la forza di scrivere in quei brevi momenti prima della morte, prima di scomparire in modo così drammatico ed idilliaco ad un tempo. Le ultime parole che pronunziò poche ore prima col Presidente dell’Accademia, professore Chauveau, furono le seguenti : “ Quand on a, comme M? Berthelot et moi, marché cote à cote dans la vie, unis dans une inaltérable communion d’idées et de sentiments, bien dure est la séparation, le déchirement bien cruel! Je peux tout en attendre! ,. Berthelot non era amante dei piaceri materiali della vita; parco nel vitto, era contrario all'uso dell'alcol: il conversare cogli amici era il suo vero compiacimento. (1) Renan et BrrrneLOT, Correspondance (1847-1892), 1 vol. in-8°, 1898. 160 ICILIO GUARESCHI 4 Ed amici ne aveva molti, una vera plejade di alte intelligenze, quali erano Renan, Taine, Edgard Quinet, Michelet, Clamageran, Mariette, Lenormant, Maspero, ecc., per tacere dei principali uomini politici della Francia. Già nel 1849 egli era in intime relazioni coi migliori patrioti. Per un certo tempo fu anche amico del principe Na- poleone Bonaparte. Bellissima la sua corrispondenza con Renan (1). I fratelli Goncourt nel loro Journal ricordano spesso Berthelot, il quale frequen- tava la Società colta parigina; tutti ascoltavano con ‘deferenza il nostro chimico. “ Renan, serive Goncourt, seguiva il suo pensiero con grande attenzione, ed io sono certo che molte idee emesse in seguito dal filosofo nei suoi volumi, erano state rac- colte durante la conversazione col chimico ,. La coltura di Berthelot era enorme ed è certo che egli ha avuto non poca influenza su molti letterati, storici, filosofi, po- litici. del suo tempo. Renan e Taine avevano una profonda ammirazione pel nostro chimico. Anche il Taine ne discorre spesso nelle sue lettere. La conversazione del Berthelot non era mai frivola, la sua frase era sempre corretta; egli ci dava subito l'impressione di un uomo superiore. “ Jamais, scriveva Renan, il n'y eut entre nous, je ne dirai pas une détente morale, mais une simple vulgarité. Nous avons toujours été l'un avec l’autre comme on est avec une femme qu'on respecte ,. Non si può parlare di Berthelot senza ricordare Renan e giustamente il Briand disse : “On y est amené naturellement quand on parle de Berthelot. Tous les deux resteront unis aux yeux de la postérité comme ils le furent dans la vie. Quand les deux jeunes hommes se connurent, c’était aux environs de 1848, à cette époque d’effervescente généreuse où, la France atteignant par le suffrage universel à la liberté politique, de vastes horizons s’ouvraient devant les esprits enthousiastes. Renan et Berthelot nous apparaissent comme les deux prototypes de ces générations ardentes; l’un, esprit religieux qui se dégage de la domination des dogmes, l’autre, esprit scientifique, chercheur laborieux, patient, obstiné è la découverte des vérités expérimentales ,. i Si Berthelot era libero pensatore nel più puro significato della parola e perciò #ol- lerante delle opinioni altrui. Però trattandosi del bene pubblico egli non piegava ai partiti avversi al progresso dell'umanità, nè faceva alleanze o compromessi con idee contrarie alla propria coscienza e coi nemici del proprio paese. Era, come si direbbe, un carattere, degno di ammirazione. e di imitazione. “ La science, egli diceva, n’est cultivée dans toute sa plénitude que par le savant qui conserve la pleine liberté de sa pensée et qui la réclame pour les autres; par le savant qui se souvient toujours que la science est le résultat du travail collectif des hommes et que le devoir de chacun de nous est de travailler sans cesse à diminuer la somme des maux matériels et moraux dans l’humanité ,. Gli uomini di scienza bisogna giudicarti indipendentemente dalle loro idee po- litiche e religiose, ed anche indipendentemente se hanno appartenuto o seguito una scuola, una dottrina, piuttostochè un’altra. Berthelot aveva una scuola propria. Io ricordo ancora quando ero studente e negli inizi della mia carriera, la meraviglia . e la simpatia che provavo per questo Uomo che tanto lavoro produceva ed era al- difuori dei cultori della cosiddetta teoria atomica. La meraviglia cessa quando si "ati 5 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 161 pensa che egli faceva tutto da sè, non seguiva la corrente, anzi andava quasi con- trocorrente. Vie diverse possono condurre a grandi risultati ugualmente. In realtà andava per una via forse più nuova, perchè egli è certamente fra i principali ini- ziatori o fondatori della chimica-fisica. Il senso della tolleranza delle opinioni deve guidare colui che giudica un altro uomo; chi non tiene questa via erra certamente; ed il Berthelot ha dato varie volte bell'esempio di rispetto all'opinione altrui, indizio di idee larghe. Anche nella lettera che egli scrisse nel 1904 in occasione del congresso del li- bero pensiero, dava de’ savi consigli : “ Conservons toujours, leur disait-il, la sérénité bienveillante qui convient è notre amour sincère de la justice et de la vérité. La voix de la science n’est ni une voix de violents, ni une voix de doctrinaires absolus. Quels qu’aient été les crimes de la théocratie, nous ne saurions méconnaître les bienfaits que la culture chrétienne a répandus autrefois sur le monde. Elle a représenté une phase de la civilisation, un stade, aujourd’ hui dépassé, au cours de l’évolution progressive de l’humanité. Il serait contraire è nos principes d’opprimer à notre tour nos anciens oppresseurs, s’ils se bornent è demeurer fidèles è des opinions d’autrefois sans pré- tendre les imposer.... Nous devons toujours maintenir ce principe fondamental, qu'il s’agit de convainere les hommes, en nous appuyant uniquement sur leur adhésion volontaire, sans per- sécuter personne, sans jamais prétendre à l’infaillibilité, sans imposer au nom de la raison le monopole de dogmes immuables ,,, Io ho imparato ad essere tollerante, quasi eccessivamente, da un mio maestro che aveva opinioni molto diverse dalle mie, Francesco SeLMI ; ho ammirato in lui, forse più che la chimica, questo ed altri sentimenti elevati, dei quali anch'io mi onoro; sentimenti che valgono ben più della scoperta di qualche nuovo composto chimico o di qualche teoria più o meno effimera. Tanto più quindi sono disposto ad apprezzare il sentimento di tolleranza e di rispetto alle opinioni altrui, quale era in Berthelot. Tolleranza e rispetto che non si devono confondere coll’ approvazione, nè col tacito consenso incondizionato. Non era di quegli uomini che, come suol dirsi, dànno ora un celpo al cerchio ora un colpo alla botte, metodo molto comodo per fare carriera e per:non avere nemici; egli era tutto di un pezzo; manifestava in modo schietto, talora anche un po rudamente, il suo modo di pensare. Egli era in ciò perfettamente d’accordo con quanto diceva il Taine: “ Le droit et le devoir d’un éerivain est, coùte que coùte, lorsqu’il a bien réfléchi, d’exprimer sa pensée avec toute la précision et toute la force possible, sans songer aux atermoiements et aux compromis ,. Molti potranno essere discordi dal modo di pensare del Berthelot, ma tutti, amici e nemici, hanno riconosciuto in lui l’uomo amante della verità, l’uomo che desidera il progresso dell'umanità guidata dalla scienza e dalla morale : “ La science guide l’humanité , era il suo motto. Quasi sempre quest'uomo non urta direttamente il nemico, ma cerca di persuaderlo e di trascinarlo colla ragione. I suoi studi sulle origini dell’alchimia e della chimica nel medio evo lo con- dussero alla conoscenza di un gran numero di fenomeni, di esperimenti, che si produ- cevano dagli iniziati e dai sacerdoti; interessante sotto questo aspetto è il capitolo : Serre II. Tom. LIX. U . 162 ICILIO GUARESCHI È 6 Les merteilles de l'Egypte et les prestiges des prétres et des savants dans l’antiquité. Riguardo ad una delle più volgari superstizioni religiose o pie credenze, egli scrive: “ Un certain nombre des prestiges d’ailleurs n’avaient pas de caractère frauduleux. “Quant aux autres, rappelons que la fraude méme, en pareille matière, ne paraissait “ pas condamnable à des hommes qu’y voyaient un sujet d’'édification religieuse. « Plus d'un exemple de la perpétuité de semblables pratiques est venu jusqu’à “ notre temps; et nous pouvons citer des faits anciens qui se reproduisent encore “ de nos jours, bien qu’ils aient été expliqués depuis près d’un siècle. Tel est le “ prodige du sang de saint ‘Janvier, que chacun peut voir à Naples et -que tout “ chimiste sait imiter aujourd’hui. Le professeur de Luca, il y a une trentaine “ d’années, en donnait è son cours, à Naples méme, une véritable représentation. “ En tous cas, l’apparition de ce prodige à Naples date au plus du XIV°® siècle, il “ parait dériver d'un vieux miracle paien sur la liquéfaction de l’encens, accompli “ autrefois près de Brindes et dont parle Horace (Satirarum, liber I, sat. V): “ Dum fiamma sine, thura liquescere limine sacro “ Persuadere cupit: credat Judaeus Apella ,. Ben diverso è il modo che spesso si tiene da altri che vorrebbero imporre le loro idee o sradicare errori popolari. Molti meccanismi intimi della vita costituiscono ancora tanti problemi da risol- vere; le forze fisico-chimiche non ci hanno ancora spiegato tutto e molto rimane da fare; ma non si deve accusare leggermente Berthelot d’aver scritta la famosa frase : “ Le monde est aujourd’hui sans mystère ,, perchè, come giustamente disse il presi- dente dell’Accademia delle Scienze di Parigi, il Chauveau, “ N’est là, pour notre grand confrère, qu’une figure de rhétorique, une manière pittoresque de rendre hommage à l’objet de son culte, la Science, la divinité qui habite sa pensée. Cette image était bien permise au savant qui a su dissiper tant de ténèbre! On comprend qu'il ait pu voir l’univers avec les yeux d’un prophète inspiré, à qui les futures et lointaines conquétes de la Science apparaissent déjà radieuses comme des vérités actuellement démontrées ,. Dopo la rivoluzione del 1848 una violenta reazione antirepubblicana e clericale si scatenò sulla Francia. Sotto la direzione di Falloux e di Dupanloup questa rea- zione trascinò l’Università di Parigi e l'insegnamento superiore nelle loro mani. La Legge detta di Falloux fu la loro opera principale. Dopo rovesciata la repubblica nel 1851, scrive Berthelot stesso, e ristabilito il potere personale d'un imperatore, la reazione proseguì la sua intrapresa ufficiale di oppressione del pensiero, per mezzo del Ministro Fortoul aiutato dai suoi aderenti al nuovo regime, quali Dumas e Le- verrier (1). Era il tempo in cui con delle circolari indimenticabili il ministro dichia- rava che bisognava ridurre la filosofia alla logica, e togliere dall’insegnamento delle scienze le idee generali, essendo più adattè a guastare lo spirito che non a dargli una direzione utile. Dal 1849 al 1860 tutta una generazione di giovani fu sotto- posta a questa compressione sistematica nell’insegnamento superiore; questa gioventù (1) Vedi anche il mio Am. Avogadro e la teoria molecolare, 1901, p. 4. 7 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 163 passò sotto i cilindri del laminatoio. Resistettero solamente coloro che erano fatti di un metallo più duro (Berthelot). Nel 1857 Jules Favre, Ém. Ollivier, Ern. Picard, Darimon, Clamageran, Ber- thelot ed altri costituirono un piccolo gruppo repubblicano, che divenne poi l’oppo- sizione legale contro l'impero. Questo gruppo, scrive il Berthelot, “ Accueillit avec sympathie la guerre d’Italie, d’accord avec la fraction avancée de l’opinion frangaise; tandis que cette guerre soulevait l’hostilité des cléricaux. Il se produisit un mouvement d’opinion, qui obligea l’Empire è s’écarter de ces derniers pour chercher de nouveaux points p » I 5 p Ì d’appui. De là, en 1862, la restitution aux pouvoirs parlementaires de quelques-unes de leurs Pp , ) quelq prérogatives ,. Dal 1860 infatti, dopo la guerra d’Italia, cominciò in Francia un certo movi- mento liberale. L'istruzione pubblica sentì subito quell’alito di libertà colla caduta del ministro reazionario Fortoul; quel medesimo Fortoul che, mosso anche dal Dumas, torturò quanto potè il povero Gerhardt. Ecco come fa cenno il Berthelot del suo passaggio dall’esistenza quieta del suo laboratorio alla vita pubblica come scienziato e patriota. “ Pendant la première part de ma carrière, j'ai vécu dans mon laboratoire solitaire, avec quelques élèves, mes amis, animés du méme zéèle pour la recherche scientifique..... _“ Mais, depuis 1870, mes visées se sont élargies, par suite da la nécessité de remplir de nouveaux devoirs è l’égard de la patrie vaincue et abaissée. Depuis ce dernier quart du siècle, J'ai dù sortir de mon laboratoire ; j'ai été sollicité à passer de la théorie personnelle è l’action publique, dans des directions multiples: défense nationale, en raison des problèmes qui tou- chaient è ma compétence spéciale; instruction publique, è laquelle j'ai été mélé toute ma vie; politique générale, qui incombe à tout citoyen dans une république ,. “ Jamais — scriveva egli pure nel 1897 — je n'ai consenti è regarder ma vie comme ayant un but limité: la recherche d’une situation définitive, ou d’une fortune personnelle, aboutissant à un repos et à une jouissance vulgaires, m’ayant toujours apparu comme le plus fastidieux objet de l’existence. La vie humaine n’a pas pour fin la recherche du bonheur!,. Egli amava la gioventù, ed in ogni occasione non cessava di incoraggiarla al bene ; terminò, ad esempio, il suo discorso d'apertura della Scuola di Psicologia, nel 1905, colle bellissime parole seguenti : “ L’enfance vit joyeuse dans l’égoîsme naîf de la sensation; la jeunesse se lance avec enthou- siasme è la mise en ceuvre de ses énergies, qu’elle croit aussi illimitées que ses ambitions. Quant è la vieillesse, ses réves sont finis: elle voit mourir tous ceux qu'elle aime; elle est entourée des ruines de ses affections, et elle ne trouve de consolation que dans un noble sen- timent, celui d’avoir accompli ses devoirs vis-à-vis des autres hommes et de le poursuivre, en souriant avec bonté à l’enfance innocente, en aidant de toutes ses sympathies la jeunesse dans l’effort éternel de l’humanité vers la vérité, vers le bien, vers l’idéal! ,. E in un discorso & Union de la jeunesse républicaine nel 1897, diceva: “ Dans le cours de vos joies, respectez toujours la dignité humaine; ne sacrifiez jamais à votre personnalité celle d’autrui, celle de la femme surtout, qui doit étre protégée contre sa propre faiblesse. Soyons sévères pour nous-mémes, indulgents pour les autres, et n’oublions pas que les seuls souvenirs qui ne laissent point au fond du coeur quelgue amertume, ce ne sont pas ceux de nos jouissances, ni de nos ambitions, trop souvent empoisonnées par le regret, mais les souvenirs des services que nous avons pu rendre aux autres hommes! , 164 ICILIO GUARESCHI 8 Berthelot incominciò lo studio della chimica quando più forte ferveva la lotta fra le nuove teorie di Laurent, Gerhardt, Williamson ed il sistema dualistico ber- zeliano. Il Berthelot che lavorava nel laboratorio di Balard, il quale chimicamente parlando non aveva gran valore e si direbbe un retrogrado, tenne una via di mezzo, sua propria: seguì nel grande complesso le nuove idee progressiste, ma non volle accettare la nuova teoria atomica e s’attenne riguardo agli elementi agli antichi pesi equivalenti di Gmelin. Il che per molti anni distinse la sua scuola da quella del Wurtz, il quale aveva adottato il nuovo sistema di formole, secondo la teoria atomica. Il Berthelot fece pressochè come il Kolbe in Germania. Ho detto che nel grande complesso seguì le nuove idee progressiste, e credo di non errare. Egli teneva in alta considerazione l’opera innovatrice di Gerhardt. Basta, per persuadersene, leggere le prime pagine delle sue Lecons sur les prin- cipes sucrés, fatte nel 1862 alla Società Chimica di Parigi. Fra le altre cose vi di- mostra grande indipendenza di giudizio. Ad esempio, è noto che Dumas pretendeva dei diritti sulla scoperta dell’omologia, o diciamo meglio, pretendeva di aver egli e non Gerhardt generalizzata l’idea dei composti omologhi. Ebbene il Berthelot dopo aver elogiato l’opera di Gerhardt scrive : “ Ce qui appartient surtout en propre è Gerhardt, c'est l’application hardie et sans réserve de la notion des homologues à l'ensemble de la science..... ,, e più avanti: “ L’ouvrage de Gerhardt, en particulier, a inspiré plus d’une découverte féconde; il sert encore de guide..... etc. ,. E, si noti bene, nel 1862 il Dumas era onnipotente, come intimo di Napo- leone III! Ed invero fu poi Duruy, ministro di idee liberali, che nominò Berthelot nel Collegio di Francia. Fu molto meno giusto l’Hofmann verso Gerhardt, nel 1880, nel suo non imparziale elogio storico di Dumas. Si è grandemente esagerato, anzi non si è -detta la verità, da coloro che af- fermarono essere stato il Berthelot causa del ritardo. dell’introduzione delle nuove dottrine chimiche in Francia. Berthelot è stato ‘sempre progressista in tutto; in al- cuni punti ha combattuto anche Pasteur quando questi affermava in modo assolato che le fermentazioni erano esclusivamente dovute a processi fisiologici, mentre il Berthelot sosteneva che erano fenomeni chimici. Ed ora, dopo le ricerche di Buchner e di altri, sappiamo che Berthelot, come in fondo già Liebig, aveva colpito nel segno. È vero che Berthelot non era sempre d’accordo colla scuola di Wurtz, ma la combattè con armi leali: egli aveva idee diverse, sue proprie, ma quando il Wurtz morì, il Berthelot tributò alla sua memoria parole di vivo rimpianto e di alta stima (1): egli stesso dal 1890 adottò il nuovo sistema di formole, benchè non com- pletamente convinto. ‘Un uomo che ha spinto innanzi al massimo grado la sintesi chimica, la ter- mochimica, la fisiologia vegetale, la storia della chimica ece., un uomo liberale nelle idee politiche, religiose e sociali, non può essere accusato di aver impedito lo svi- luppo della chimica nel proprio paese. Le cause per le quali le nuove teorie chimiche penetrarono più difficilmente in (1) Adolphe Wurtz, 14 maggio 1884, in Science et Philosophie, p. 216. 9 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 165 Francia e non furono tanto presto adottate nello insegnamento ufficiale prima del 1884, bisogna rintracciarle molto più indietro, in altra origine. Furono i Bous- singault, i Chevreul, i Peligot, i Balard ecc. e specialmente il Dumas che ostacola- rono in ogni modo le nuove idee ed impedirono che Laurent, Gerhardt, Malaguti, Chancel, Bineau, Favre e Silbermann ecc. avessero un posto nell’insegnamento su- periore a Parigi; basterebbe come caratteristica degli odîì personali, il fatto che Balard, già titolare di due cattedre ed il cui bagaglio scientifico, come diceva il Biot, era molto leggero, fu, per influenza del Dumas, nominato nel 1851 anche profes- sore al Collegio di Francia, invece del Laurent, già illustre per tanti lavori geniali, e che morì poco dopo nella miseria ! Il Berthelot stesso, causa le sue idee politiche, sociali e religiose, non entrò nell’Académie des Sciences che nel 1873, e con 33 voti su 60 votanti! Ma, poco dopo era innalzato alla più alta carica che abbia l'Accademia, cioè a quella di Secrétaire Perpétuel. Egli non era troppo amante, o meglio non era schiavo delle ipotesi, delle teorie, delle classificazioni più o meno naturali o, peggio, artificiali; le classificazioni spesso sono come delle barriere tra i diversi fenomeni naturali, che invece la Natura ha collegati fra loro mediante un numero quasi infinito di gradazioni. E, in una pole- mica col Wiirtz, nel 1877, riguardo le ipotesi, egli diceva : “ Le soin principal des astronomes depuis Newton, comme des physiciens depuis Galilée, a été et est toujors de distinguer les lois, c’est-à-dire les relations déterminées entre des phéno- mènes observables, des hypothèses et représentations que l’on peut faire de ces phénomènes. “ Sans doute, les représentations sont commodes, et méme nécessaires, pour trouver des choses nouvelles; mais elles varient au gré de l’imagination de chacun; gardons-nous d’en faire la base méme de la science et l’objet d’une controverse perpétuelle. “ Hypotheses non fingo, disait Newton; ce qui signifie que la science doit étre formulée par des lois et non par des hypothèses. En effet les lois peuvent étre proposées, discutées, éta- blies d’une manière définitive; elles sont alors le fondement solide d’une science qui se déve- loppe sans cesse, suivant des formules et un langage acceptés de tous ,. Del resto chiameremo noi ora retrogrado l’Ostwald perchè non ammette la teoria atomica quale l'hanno accettata tutti i chimici sino ad ora ed ancora in grande maggioranza l’accettano? Era forse un retrogrado il grande chimico di Marburg, Hermann Kolbe? Per odîì personali fu qualche volta tacciato, ingiustamente, di essersi appro- priato, o meglio di non aver ricordato i lavori degli altri, cioè fu accusato di plagio. Questa accusa l’ hanno avuta altri chimici, fra i quali anche il Gay-Lussac ed il Lavoisier. Ed il Pasteur non fu accusato di plagio ? Pasteur nel 1860 scoprì due prodotti costanti della fermentazione alcoolica : l’acido succinico e la glicerina. Ma l’acido succinico, sino dal 1848, era stato trovato fra i prodotti costanti della fer- mentazione, dallo Schmidt di Dorpat. Fu anche detto che Egli ha errato in alcuni lavori e dati numerici ; sia pure, e che perciò ? Quando si giudicano questi uomini bisogna considerarli nel grande complesso della loro opera. Tutti i più grandi chimici e lavoratori instancabili hanno errato; errare humanum est. Quante formole date da Berzelius, da Wohler, 166 ICILIO GUARESCHI 10 da Liebig ece. non sono state corrette? Chi oserebbe affermare solo per ciò che Liebig, Wéohler e Berzelius non erano grandi esperimentatori? Essi resteranno sempre delle grandi colonne migliari. Berthelot ha pubblicato non meno di 1500 a 1600 memorie e note, e circa 50 volumi in-8° od in-4°. Come non avrebbe potuto errare in alcuni minuti particolari di tante esperienze fatte direttamente da lui o da’ suoi collaboratori ? (1) Bisogna ammirare questi uomini che dedicarono tutta la loro vita alla scienza ed al bene degli altri; il bene che se anche non si può fare di persona lo si fa colla parola, coll’esempio. L'idea grandiosa della solidarietà umana, dell'unione fra i diversi «popoli, l’idea dell’altruismo, spicca: in Berthelot al massimo grado. Egli voleva, ad es., l'industria, non lo sfruttamento dell'industria a benefizio di pochi. Egli non ha mai utilizzato le sue ricerche scientifiche a scopo di lucro. i Lavorarono nel laboratorio di Berthelot: De Luca, Ubaldini, Bardy, Louguinine, Fleurieu, Almeida e Coulier, Jungfleisch, Prunier, Buignet, Péan de Saint-Gilles, Barbier, Riban, Vieille, Delépine, Ogier, Matignon, Sabatier, Moissan,-Lorin, Forcrand, Le Chatelier, Engel, Petit, Recoura, Guntz, André, Joannis, Timoféjeff, Bredig, Croustschoff, Fogh, Werner, Nernst, e molti altri. Chi vuol conoscere l’opera scientifica di Berthelot in tutti i suoi vari rami bi- sogna che segua i progressi della chimica dal 1850 ad ora; egli portò il contributo del suo lavoro in ogni branca, qualche volta questo lavoro sarà discusso, come ad es. il suo terzo principio della termochimica che dicesi principio del lavoro massimo, ma in ogni caso sì scorge la grande penetrazione della sua mente. Le ricerche del nostro chimico sono di quelle che interessano la scienza nel suo grande complesso e che servono ad aprire nuove vie nello studio dei fenomeni naturali. Dai fatti particolari risale sempre per induzione al generale. Chi accusa Berthelot di particolarismo, non conosce certamente i suoi lavori. 1 Ogni scienza fondamentale ha qualche grande campione che col suo sapere non può rimanere entro i limiti della propria scienza, ma sente il prepotente bisogno di espandersi, sente la necessità di varcare i limiti e portar luce anche entro altre scienze. Nessun libro di chimica organica, di fisica, di sintesi chimica, di chimica- fisica, di chimica fisiologica vegetale ed animale, di storia della scienza, di filosofia positiva può coscienziosamente tacere il nome di Berthelot. Riassumere, anche rapidamente, i lavori di certi uomini è sempre vantaggioso ; non fosse altro, insegna ad essere modesti (2). Non si può discorrere dell’opera scientifica di questo chimico senza classificarla in grandi gruppi, come ad esempio nel quadro seguente : (1) Egli non si abbassò mai a rispondere alle critiche astiose ed aggressive fatte ad alcuni dei suoi lavori; critiche, dettate da odî personali e not dal vivo sentimento della verità. (2) Quasi tutti i lavori di Berthelot furono pubblicati, dal 1850 al 1907, nei © Comptes Rendus de l’Académie des Sciences ,, negli “ Annales de Chim. et de Phys. ,, nel “ Journ. de Pharm. et de Chim., e nel “ Bulletin de la Société Chim. de Paris ,; ed in molti volumi separati, che saranno ricordati a mano a mano che se ne presenta l’occasione. Moltissimi dei lavori del Berthelot sono . stati anche tradotti o riassunti nel giornale “ Il Nuovo Cimento , dal 1855 al 1870. et MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 167 E Chimica organica - Grassi - Alcoli polivalenti - Sintesi - Reazioni pirogeniche - Carbon fossile - Metodo generale di riduzione - Origine dei petroli - Meteoriti - Terpeni - Canfora - HCN, ecc. II. Chimica inorganica - Perossidi - Effluvio elettrico - Analisi dei gas. III. Meccanica chimica - Eterificazione - Partage, o ripartizione, fra i solventi. IV. Termochimica - Materie esplosive - Onda esplosiva. V. Allotropia - Isomeria - Elementi - Unità della materia - Rifrazione molecolare. VI. Fermentazioni - Invertina - Liquidi alcolici. VII. Chimica fisiologica vegetale - Nitrati - Assorbimento o fissazione dell’azoto. VII. Chimica fisiologica animale - Calore animale. IX. Apparecchi ed Istrumenti diversi. X. Lavori storici, biografici ed archeologici. XI. Filosofia - Didattica - Morale - Politica. XII. Riforma della lingua francese. Il Berthelot ha fatto un immenso numero di ricerche in tutto il vasto campo della chimica organica ed ha dato un prepotente impulso a quel grande capitolo della scienza che dicesi sintesî chimica. i Il primo lavoro di Berthelot porta la data del 1850: Sur un procédé simple et sans danger d’obtenir la liquéfaction des gaz. Egli trovò che certi gas anche all'enorme pressione di 780 atmosfere non si liquefanno alla temperatura ordinaria. Pubblicò questo lavoro prima di entrare come preparatore al Collegio di Francia. Nel 1851 fece conoscere le sue ricerche: Action de la chaleur rouge sur l’alcool et sur l’acide acétique. Qui sono già i germi dei suoi lavori sulla sintesi. Berthelot, tenendo conto di alcuni fatti isolati, quale quello della formazione della dutirrina ottenuta da Pelouze per l’azione dell'acido butirrico sulla glicerina, pensò di conseguire la sintesi di tutte Ie materie grasse facendo agire in tubi chiusi gli acidi i più vari, sulla glicerina, e nel 1853-54 presentò per la laurea dottorale in scienze la sua celebre: Meémoire sur les combinaisons de la glycérine avec les acides et sur la synthèse des principes immédiats des graîsses des animaux. Memoria, che pro- dusse una grande impressione, e dalla quale risultò il fatto importantissimo che la glicerina funziona come un alcol triatomico, o tribasico, o trivalente. È, se non erro, la prima volta che il titolo di una memoria di chimica organica porta la parola sintesi. Egli ottenne la tristearina, la tripalmitina, la trioleina ecc., identiche con le stesse sostanze costituenti i grassi naturali di origine vegetale ed animale; dimostrò così che i grassi naturali sono eteri neutri della glicerina, ossia trigliceridi. Non solo, ma fece conoscere anche i mono ed i digliceridi ed anche i trigliceridi misti, cioè con radicali acidi diversi, dei quali se ne trovano anche in natura (1). (1) Il Berthelot presentò il sunto del suo lavoro all'Accademia delle Scienze di Parigi il 5 set- tembre 1853 (“ C. R. ,, t. XXXVII, p. 402) e la Memoria completa il 5 aprile 1854 (“ A. Ch., (3) t. XLI, p. 216-319). , 168 0 ICILIO GUARESCHI e; 12 Questa, però, era una sintesi parziale, perchè egli partiva dalla glicerina e dagli acidi organici, che allora non si potevano ottenere per sintesi totale, cioè a partire dagli elementi. Ma era già un gran passo: una numerosa categoria di corpi organici tanto importanti per le piante e gli animali si potevano ottenere sinteticamente nel laboratorio del chimico. Come pure dimostrò che dalla glicerina si potevano ottenere successivamente la mono, bi e tricloridrina, la mono, bi e tribromidrina e numerosi gliceridi misti, organici ed inorganici, come la benzocloridrina, ecc. E termina la sua classica Memoria colle parole seguenti: “ Questi fatti ci mostrano che la glicerina presenta, rispetto all’aleol, «precisamente gli stessi rapporti che esistono fra l'acido fosforico e l’acido nitrico ; infatti, mentre l’acido nitrico produce una sola serie di sali neutri, l’acido fosforico dà origine a tre serie distinte di sali neutri : i fosfati ordinari, i pirofosfati ed i metafosfati. Queste tre serie di sali decomposti con gli acidi energici in pre- senza d’acqua riproducono un solo e medesimo acido fosforico ,. “De méme, tandis que l’alcool ne produit qu'une seule série d’éthers neutres, “la glyeérine donne naissance à trois séries distinctes de combinaisons neutres. Ces “ trois séries, par leur décomposition totale en présence de l'eau, reproduisent un “ seul et méme corps, la glicérine ,. Il confronto coi tre acidi fosforici non era inesatto, perchè allora dai più si con- siderava l’acido pirofosforico come bibasico, ma sarebbe stato più proprio se il con- fronto fosse stato fatto coll’acido fosforico ordinario solamente, che funziona come tribasico. Il Wurtz, nel 1855 (1), basandosi sulle ricerche di Berthelot, precisò meglio, secondo la teoria dei tipi, allora ammessa, il significato di alcol triatomico (parola usata in questo senso la prima volta dal Berthelot). In seguito poi, tenendo conto dei rapporti fra alcol etilico e glicerina stabiliti dal Berthelot, venne alla scoperta degli alcoli biatomici o glicoli; ed invero il Wurtz stesso nella sua celebre Mémoîre sur les glycols ou alcools diatomiques, presentata alla R. Accademia delle Scienze il 3 gennaio 1859 (A. Ch. (3), t. LV, pag. 401), scrive: She il était réservé à M. Berthelot de montrer que le vrai équivalent de la stéarine est la quantité de ce corps qui, en se saponifiant, se dédouble en 3 équivalents d’acide stéarique et en 1 équivalent de glycérine. Par de nombreuses expériences synthétiques, M. Berthelot a prouvé que, pour se saturer complètement, la glycérine se combine è 3 équivalents d’un'acide monobasique, en donnant lieu à l’élimination de 6 équivalents d’eau. “ On sait, d’un autre coté, que les alcools ordinaires, pour s’éthérifier, se combinent à un seul équivalent d’un acide monobasique, en donnant lieu è l’élimination de 2 équivalents d’eau. M’appuyant sur ces faits, il m’a semblé qu'il devait exister entre la glycérine et les aleools ordinaires des alcools particuliers qui, pour s’éthérifier complètement, se combineraient à 2 équi- valents d’un acide monobasique, en donnant lieu è l’élimination de 4 molécules d’eau ,. Berthelot, col de Luca, fece uno studio profondo della glicerina; col jodo e fo- sforo prepararono il propilene jodurato o joduro di allile CHI, da cui poi ottennero numerosi derivati allilici. Le ricerche di Hofmann e Cahours sui composti allilici (1856) (1). “ A; Ch..5-(3); t. XDIII, p. 492. 19 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 169 prendono come punto di partenza quelle del Berthelot. Si può dire che lo studio della serie dei composti a 3 atomi di carbonio comincia colle ricerche di Berthelot. Nelle sue mani il propilene divenne il carburo C"H?" meglio studiato dopo l’etilene. Il pro- pano C*H8 fu da lui scoperto nel 1857 e l’ottenne dal bromuro di propilene col joduro potassico ed acqua. Al Berthelot si deve la scoperta della gliceramina, del- l’epicloridrina, dell’epibromidrina e di numerosi altri derivati glicerici e glicidici, che furono poi sorgente di ricerche importanti dovute al Reboul e ad altri chimici. La grande importanza dei lavori di Berthelot sulla glicerina fu afferrata subito dal Gerhardt, ed attirò l’attenzione anche degli altri chimici, specialmente del Wurtz, sui composti complessi che derivano dal tipo acqua condensata. Dal 1856 al 1864 fece numerosi ed importanti lavori nel campo degli idrati di carbonio o materie zuccherine; scopre nuovi 2uccheri: il melitosio identico col raffi- nosio, il melezitosio nella manna di Briangon, ecc., poi la mamnitana, la dulcitana, ece.; dimostra che la mamnite ed altre materie analoghe si comportano come alcoli esa- tomici od esaossidrilici, studia la quercite, stabilisce la formola esatta della dulcite e riconosce che è isomera colla mannite. A lui si deve il concetto generale di alcoli polivalenti. Generalizzando l’idea di alcole mise in questo gruppo la colesterina, il borneolo ed altri composti simili, allora non classificati, e sui quali egli fece numerose esperienze. ‘ Nelle sue Legons sur les principes sucrés, professées devant la Société chimique de Paris en 1862, in-8°, sono in gran parte riassunte e discusse queste sue numerose ricerche. Egli fu il primo ad osservare la trasformazione della glicerina in sostanza zuccherina (Chim. fondée sur la synthèse, II, p. 649, A. Ch. (3), t. 50, p. 369). Sino dal 1856 osservò che la glicerina, composto in C*, può per fermentazione dare del- l’alcole e dell'acido butirrico, cioè un composto in C4; molti anni dopo fu dimostrato infatti che la glicerina in altre condizioni può dare anche molto alcole butilico C4H!90, Fu pure il primo ad, ammettere che l’eritrite, che si rappresentava con C8H?°08 (ossia C*H!°04), fosse un alcol plurivalente intermediario fra la glicerina e la mannite (Chim. fondée sur la synthèse), ed il De Luynes nel 1863 dimostrò che l’enitrite è vera- mente un alcol tetravalente: C4*H6(0H)f. Poco dopo le esperienze del Williamson sull’eterificazione, egli nel 1854 (J. Ph. et Ch., XXVI) fece vedere che invece degli alcolati alcalini si poteva adoperare, nella sintesi degli eteri, la soluzione alcolica di potassa; col bromuro di etile e potassa alcolica a 100° ottenne l'etere. Nel tempo stesso preparò l'etere dietilico della gli- cerina o dietilina. Nel 1855 il Berthelot inizia le sue ricerche sulla sintesi totale: fa reagire l’os- sido di carbonio colla potassa caustica ed ottiene il formiato di potassio; in seguito, ‘ fa reagire l’ossido di carbonio sull’idrato di bario ed ottiene il formiato di dario. Da questi due sali ha l'acido formico libero, cioè l’acido organico più semplice, che si trova tanto negli organismi vegetali quanto negli animali. La sintesi dell'acido formico dall’ossido di carbonio serve ora anche per la pre- parazione in grande; come serve pure ancora il suo metodo di preparazione dell’acido formico dall’acido ossalico colla glicerina. i Distillando i formiati ottenne dei carburi di idrogeno, quali l’etilene, l’etano, ecc. Serie II. Tom. LIX. v 170 ICILIO GUARESCHI s 14 Ma si poteva obiettare che l’ossido di carbonio era preparato dall’acido ossalico, e che proveniva in fondo da una materia organica. Allora.egli prende il carbonato di bario naturale, la wifherite, l’arroventa insieme a del ferro ed ottiene tutto l’ossido di carbonio necessario alle sue sintesi: 3Ba003 + Fe? = Fe?0* + 3Ba0 + 3C0. Poi prepara i cloruri di carbonio già ottenuti da Kolbe, i cui lavori ricorda, dal solfuro di carbonio, e per'riduzione coll’idrogeno li trasforma in idrocarburi; da CC14 ottiene il metano, da €?C1° l’etano, dal cloruro di Julin la naftalina. Nel 1854 tenendo conto delle vecchie esperienze di Faraday e di Hennel, dimostrò in modo evidente che l’etilene è assorbito dall’acido solforico concentrato dando acido solfovinico e che poi questo, diluito e distillato, dà dell’alcol; essendochè egli aveva ottenuto l’etilene per sintesi totale, cioè dagli elementi, così è evidente che ha con- seguito l’alcol partendo dagli elementi. Riconobbe inoltre che il propilene, pure sintetico, è assorbito rapidamente dall’acido solforico e che il liquido diluito e distil- lato dà dell’aleol propilico, il quale poi fu riconosciuto essere un isomero cioè l'alcol isopropilico, sintetico. Anche questo metodo di trasformazione dei carburi C"H?" in alcoli divenne un metodo generale. Dall’alcol sintetico ottiene l’acido acetico e per distillazione degli acetati una serie di idrocarburi complessi, fra cui il butilene e l’amilene. Per l’azione del calor rosso sull’alcol e sull’acido acetico ottiene benzene, fenolo, naftalina ed altri prodotti. Da ogni nuovo fatto attentamente osservato egli trae qualche conclusione ge- nerale; l'assorbimento dell’ossido di carbonio per mezzo della potassa lo conduce a considerazioni sulle reazioni lente, cioè a studiare l'influenza del tempo nelle reazioni chimiche: “ Gràce è l’intervention du temps, on met. en jeu les affinités latentes ou entravées par l’état physique des corps, par la cohésion, comme on disait naguère. Ces affinités produisent graduellement les phénomènes de combinaison ou de décòom- position les plus variés et souvent les plus analogues aux actions naturelles ,. Pochi anni dopo intraprende le sue classiche ricerche di meccanica chimica sulla ete- rificazione. Oltrechè dall’ossido di carbonio egli ottiene i carburi di idrogeno per un’ altra via. Dal solfuro di carbonio, che si prepara combinando direttamente il carbonio collo zolfo, ottenne il gaz metano: i CS? + 2H?2S + 8Cu = CH4+- 4Cu?S. In altre reazioni analoghe a questa ottiene l’etilene, l’etano, ecc. Facendo reagire l’ossido di carbonio ed il metano ottiene il propilene: CO + 2CH*= H*0 + C*H°, Diede un metodo generale per passare dagli idrocarburi alifatici 0"H?"** agli alcoli C*H?"*!.O0H, cioè per l’azione della potassa sui cloruri alcolici; la sua sintesi ja 15 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 17 dell’alcol metilico, partendo direttamente dal metano sintetico per l’azione del cloro, e successivamente coll’idrato di potassio a 100°: CH4 —> CH®C] —> CH. OH fu effettuata nel 1855; così dimostrò che il metano monoclorurato è identico coll’etere metilcloridrico o cloruro di metile preparato dall’alcol metilico ordinario, il che non era ancora stato fatto (1). Da ciò ne vennero le esperienze di Schorlemmer ed altri, che dimostrarono l’identità dell’etano monoclorurato C*H°C1 col cloruro di etile, ossia l'identità degli idrocarburi C"H"#!. C2H?"#! con C"H""?, Combinando direttamente gli idracidi HR coi carburi non saturi C"H?" ottenne gli eteri alogenici C"H®"*'R. Questa, e le altre accennate, sono tutte reazioni gene- rali, fondamentali in chimica organica. Osserva che i carburi C"H?" omologhi dell’eti- lene si combinano più facilmente cogli idracidi che non l’etilene; questo però scal- dato con acido jodidrico a 100° si trasforma dopo lungo tempo totalmente in joduro di etile, da cui l'alcol etilico (1860). In modo analogo, poco dopo, il Wurtz dall’ami- lene coll’acido jodidrico ottenne un joduro d’amile che gli fornì l’idrato di amilene o dimetiletilearbinolo. Ora, ai giovani chimici sembrano reazioni e sintesi semplicissime, sono come suol dirsi reazioni elementari ; ,ma appunto per questo conferiscono maggiore merito a chi le ha scoperte. Importanza massima hanno quei lavori scientifici che diventano patrimonio dei trattati scolastici i più elementari; non vi è ora nessun trattato di chimica che non ricordi le sintesi dei grassi, dell’aretilene, del denzene, dell'acido formico, degli alcoli metilico ed etilico, dell'acido cianidrico, della canfora dal canfene, del metano, ecc., ecc., perchè sono fondamentali, come in chimica inorganica gli acidi pernitrico, persolforico, percarbonico, le diverse varietà di carbone, ecc. Queste e moltissime altre ricerche di chimica organica egli raccolse e discusse in un libro classico: La chimie organique fondée sur la synthèse, 1860, 2 vol.; opera ora molto rara. È qui che egli trae tutte le conseguenze che si possono dedurre dalle sue esperienze. Termina la conclusione di questo suo bellissimo libro colle parole seguenti: » “ La chimie crée son objet. Cette faculté créatrice, semblable è celle de l’art lui-méme, la distingue essentiellement des sciences naturelles et historiques RAT 1, “ Voilà comment les sciences expérimentales arrivent à' soumettre toutes leurs opinions, toutes leurs hypothèses, à un contròle décisif, en cherchant à les réaliser. Ce qu’elles ont révé, elles le manifestent en acte. Les types congus par le savant, s'il ne s’est point trompé, sont les types mémes des existences. Son objet n’est point idéal, mais réel. Par là, en méme temps que les sciences expérimentales poursuivent leur objet, elles fournissent aux autres sciences des instruments puissants et éprouvés et des ressources souvent inattendues. “ La chimie possède cette faculté créatrice è un degré plus éminent encore que les autres sciences, parce qu'elle pénètre plus profondément et atteint jusqu’aux éléments naturels des (1) Questo elegante e fondamentale lavoro è riassunto in extenso nel “ Nuovo Cimento ,, 1858, pag. 60. “ Questa sintesi, dice il Berthelot stesso, riposa su delle reazioni facili a prevedersi, ma di difficile esecuzione a motivo della natura gassosa delle sostanze sulle quali si opera ,. 172 ICILIO GUARESCHI 16 etres. Non seulement elle erée des phénomènes, mais elle a la puissance de refaire ce qu'elle a détruit; elle a méme la puissance de former une multitude d’etres artificiels, semblables aux étres naturels, et participant de toutes leurs propriétés. ‘ Ces étres artificiels sont les images réalisées des lois abstraites, dont elle poursuit la con- naissance. C'est ainsi que, non contents de remonter par la pensée aux transformations maté- rielles qui se sont produites autrefois et qui se produisent tous les jours dans le monde minéral et dans le monde organique, non contents d’en ressaisir les traces fugitives par l’obser- vation directe des phénomènes et des existences actuelles, nous pouvons prétendre, sans sortir du cercle des expérances légitimes, à concevoir les types généraux de toutes les substances possibles et à les réaliser; nous pouvons, dis-je, prétendre à former de nouveau toutes les matières qui se sont développées depuis l'origine des choses, à les former dans les mémes conditions, en vertu des mémes lois, par les mémes forces que la nature fait concourir à leur formation ,. E per vedere quanto questo suo libro abbia attirato subito l’attenzione anche sotto l'aspetto filosofico, basti leggere le grandi riviste del tempo, quale la Revue des Deux Mondes, Le Journal des Savants, ecc. In alcune lettere al Renan il Berthelot fa cenno delle critiche contro il suo libro. L’8 nov. 1860 (Correspondance) scriveva: “ Les soucis de Paris glissent assez légèrement sur moi, méme l'article de M. Chevreul qui a paru il y a huit jours. C'est la critique la plus étrange que vous puissiez imaginer: procédant ligne par ligne, sans voir le sens de la page, qui est parfois. entièrement conforme à son opinion, sans qu'il s'en apergoive; et puis il compare tout aux définitions qu'il a don- nées autrefois de toutes choses, il y a quarante ans, et il s'en sert comme d’un étalon. Du reste, d’après ce que j'ai vu, on se préoccupe fort peu de ses articles, si ce n'est dans le cercle étroit des jaloux, qu’ont jusqu'ici peu d’échos ,. E poco prima (il 31 ott. 1860) scriveva: € M. Biot prétend que j'aurais mieux fait, dans mon intertt, de donner la suite des expé- riences sans en exposer à part l’idée générale. Car la première est inattaquable, tandis que la seconde entre dans le domaine de la discussion. Ce n’est pas la première fois qu'il me tient ce langage. Mais c’est là une petite politique, profitable peut-etre aux personnes, mais nuisible A la vérité et aux grands progrès de la science ,. Egli poi riassunse le ricerche sintetiche in generale in un più modesto libro : La Synthèse chimique, la cui 7° edizione è del 1897. Pubblicò inoltre: Lecons sur les méthodes générales de synthèse en chimie organique, 1864, in-8°, che furono tradotte in tedesco col titolo: Die chemische Synthèse, Leipzig, 1877. Inoltre di lui abbiamo: Lecons sur la Synthèse organique et la Thermochimie, professées, en 1881-82, e pubblicate nella Rev. scientifique. _.° Nel 1859-1862 scopre l’acetilene. Ho detto scopre; non è esatto. L'acetilene fu scoperto nel 1836 da Em. Davy; ma era così poco conosciuto, ed era così difficile ottenerlo, che si può dire non si conoscesse; Berthelot ha fatto molto di più, ha dato vita a questo corpo, l’ha studiato sotto tutti gli aspetti, per cui può dirsi che la vera storia chimica dell’acetilene devesi a Berthelot. Già nel 1860 ottiene l’acetilene per l’azione del calore sull’etilene, sull’alcol, ecc., e specialmente sull’etere; prepara il composto rameico e da questo con acido clori- x del 7 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 173 drico ottiene l’acetilene puro in grande quantità, che trasforma coll’idrogeno in eti- lene, col bromo in bromuro C?H?Br?, ecc. In questo tempo scopre il fatto importantissimo: che il carbonio e l’idrogeno possono combinarsi direttamente dando una sostanza organica, un idrocarburo. Per mezzo dell'arco voltaico fra due poli di carbone, in un'atmosfera di idrogeno, ottenne l’acetilene : C° + H?= C*H?. Adoperò un apparecchio, semplice, che ora si trova descritto e rappresentato nei principali trattati anche elementari. Dall'’acetilene con idrogeno ottenne successiva- mente l’etilene C°H4 e l’etano C*H5. Schorlemmer scriveva: “ Eine Aufgabe, welche die Chemiker lange beschiiftigte, war die, Kohlenstofî und Wasser- stoff direct zu verbinden. Gelòst wurde sie 1859 von Berthelot, welcher fand, dass, wenn man den elektrischen Flammenbogen zwischen zwei Kohlenpolen in einer Atmosphire von Wasser- stoff erzeugt, sich Acetylen, C'H°, bildet, das sich mit Wasserstoff zu Aethylen C°H*, und Aethan, C*H5, vereinigt ,. “ Von dieser Zeit an machte die synthetische Darstellung organischer Verbindungen raschen Fortschritt..... , (1). Egli poi preparò l’acetilene in tanti altri modi, per combustione incompleta di molte sostanze organiche; metodi che hanno servito a preparare questo gas sino a quando Moissan scoprì il carduro di calcio; dimostrò che l’acetilene si trova nel gas illuminante. La scoperta del Berthelot condusse alla conoscenza di intere serie di idrocar- buri C*"H"-, C*H?®- C*H®-7.C=CH ecc., che hanno proprietà curiosissime. Egli primo notò la proprietà generale a molti idrocarburi non saturi, come appunto l’ace- tilene, di formare dei derivati metallici col rame, argento, sodio, ecc., in generale esplosivi. Appena scoperto l’allilene C*H4, egli riconobbe che ha proprietà analoghe a quelle dell’acetilene, dal quale però si può separare, perchè è presto assorbito dal- l'acido solforico concentrato; anche dall’allilene ottenne dei composti metallici. Scaldando verso 600° l’acetilene lo trasformò integralmente in denzene: 3CH=CH= | i Questa sintesi fatta poco dopo che il Kekulé emise la sua celebre teoria sulla struttura del benzene, servì mirabilmente a confermarla; tanto più che altri chimici poco dopo in modo analogo trasformarono l’allilene o metilacetilene in mesitilene 0 trimetilbenzene simmetrico, e il crotonilene o dimetilacetilene in essametilbenzene. Poi dal benzene col metano ottenne il toluene e, analogamente, gli omologhi di questo. Dal benzene coll’acetilene ottenne la naftalina. é (1) Der Ursprung u. die Entwickelung d. Organischen Chemie, 1889, p. 158-159. 174 ICILIO GUARESCHI 18 Ma per la storia degli omologhi del benzene è importante l’altro fatto scoperto dal Berthelot, che dal benzene e dal metano nascenti, cioè distillando una miscela di benzoato e di acetato di sodio, si ottiene il toluene. CH? Scoprì un bellissimo idrocarburo l’acenaftene Grigi , che ottenne dalla nafta- CH2. lina coll’acetilene. Ed in modo analogo dall’etilnaftalina il cinnamene, e il difenile dal benzene. Nel catrame di carbon fossile trova il fenantrene, l’antracene, il fluorene, ecc., tutti idrocarburi della massima importanza, come capiserie o capostipiti di intere serie di composti. Dall’acetilene ottenne l’aldeide, poi l’alcol, il fenolo, l'acido cianidrico, gli ace- tilenuri metallici, ecc. Egli dimostrò che l’acetilene per ossidazione a mezzo dell’aria, in presenza di idrato potassico, e a temperatura ordinaria, si trasforma in acido acetico: CH CH3 lai CH COOK Fatta, ad esempio, la sintesi dell’acetilene per combinazione diretta del carbonio coll’idrogeno, passò direttamente all’alcol vinico per due vie diverse: C°* 4 H? I CH3 CH2C1 LAZ Robi ae elet CH/ CH3 CH3 — CE2.0H Il | CH\N, CH? CH?. OSO3H CH3 acetilene N | —> | — sca taloai CH? CHST7 , 4 Reazioni schematiche, che trovansi ora in tutti i trattati elementari di chimîtca. Nessuno ha compiuto un maggior numero di lavori sugli idrocarburi, ed una delle conseguenze più importanti di questi lavori fu lo studio metodico dei nume- rosi prodotti che si ottengono dalla distillazione del carbon fossile; tutte le sue nu- merose sintesi servirono a spiegare l’origine dei molteplici prodotti che si trovano nel catrame di carbon fossile. Egli ha fatto vedere come, mediante reazioni pirogeniche contemporanee o successive, si possano formare da pochi idrocarburi originari, quali l’acetilene, il metano, il benzene, tutti gli altri idrocarburi complessi, quali la nafta- lina, l'acenaftene, lo stirolene, l’antracene, il crisene, il cumene, il cimene, ecc. Ebbero questi studi importanza anche in questo ramo di industria, perchè da quel tempo si cominciò a studiare il modo di ottenere gli idrocarburi leggeri dagli olii pesanti, ecc. Non si potrà mai discorrere dei prodotti dal carbon fossile senza ricor- dare il nome di Berthelot. Basta dare uno sguardo ai principali libri di chimica applicata. 0. Jacobsen ed altri chimici confermarono ed estesero queste ricerche del Berthelot. i Il Berthelot (e poco dopo anche Rosensthiel) dimostrò che esiste un solo toluene, perchè tutti i tolueni provenienti da sorgenti diverse sono identici. ! 19 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 175 Tutte le sue ricerche sugli idrocarburi egli raccolse in un’ opera: Les cardures d’hydrogène, 1851-1901. Paris, 1901, in 3 vol. in-8°, chez Gauthier-Villars. Ma si dice, Berthelot nella sintesi ha avuto dei precursori. Sia pure. Chi è, fra coloro che hanno compiuto grandi opere, che non abbia avuto dei precursori? Il nostro Giovanni Schiaparelli non ha scritto una stupenda memoria Swi precursori di Coper- nico? Ciò nulla toglie però ai meriti del sommo astronomo polacco, nè dei suoi grandi successori: Kepler, Galileo e Newton. Nessun chimico sino verso il 1860 diede importanza speciale alle antiche osser- vazioni di Wohler, di Kolbe, di Melsens e fu solo dopo che Berthelot aprì e percorse la grande via della sintesi che se ne riconobbe l’importanza e se ne trassero delle conseguenze. Il grande merito di Berthelot sta nell'avere con metodo sistematico, da composti prettamente inorganici ottenuta tutta una serie di composti organici; egli dimostrò essere possibile di ottenere dei composti organici dagli elementi o da composti mi- nerali; dimostrò che dal carbonio e dall’idrogeno combinati direttamente si ottengono degli idrocarburi e che da questi idrocarburi sintetici si possono ottenere degli alcoli, delle aldeidi, degli acidi, ecc., cioè dei corpi molto più complessi. L’opera del Ber- thelot fu poi estesa e perfezionata da molti altri chimici e sovratutti in modo bril- lante da Emilio Fischer, che fece la sintesi delle sostanze zuccherine ed è lì lì per effettuare quella più complicata degli albuminoidi, cioè delle sostanze fondamentali degli organismi. Il Berthelot intraprese questi studi con uno scopo ben determinato, generale, con larghezza di vedute. Il Berthelot non ha mai preteso di aver inventata la sintesi, come credono alcuni. Egli non dimenticò i suoi predecessori; sapeva benissimo che Wéohler nel 1828 aveva ottenuta l’urea, ma l’aveva ottenuta dal cianato di ammonio, che era consi- derato, ed è veramente, un composto organico; sapeva benissimo che Kolbe nel 1845 aveva ottenuto l’acido tricloroacetico partendo da un cloruro di carbonio e che quest’acido era stato coll’idrogeno nascente ridotto dal Melsens nel 1846 in acido acetico. Questi lavori anteriori ai suoi egli stesso ricorda nel 1° vol. della sua Chimie orgamique fondée sur la synthèse. Alcuni trattati di chimica ricordavano questi fatti isolati, ma i chimici non pronunciavano nemmeno la parola sintesî (1). Regnault nel 1838 aveva veramente ottenuta una materia organica partendo da corpi inorganici; (1) Gmelin definiva la chimica organica la chimica dei composti contenenti più di un atomo di carbonio ed a pag. 33, vol. I, del suo grande Handd. d. Org. Chem. (1848) in un capitolo: Forma- zione dei composti organici da materiali inorganici, ricorda tutti i casi allora conosciuti di composti organici ottenuti da corpi inorganici, quali: l’urea (Wéohler), idrocarburi mal definiti dalla’ ghisa con acido cloridrico, composti che si ottennero dal solfuro di carbonio col cloro e l’acqua (Berzelius, Kolbe), l'acido tricloroacetico dal cloruro C?C1° e trasformazione coll’idrogeno nascente in acido acetico (Melsens), formazione del solfocianato di ammonio dal CS? con ammoniaca, formazione degli acidi rodizonico, croconico, ece., nella preparazione del potassio. Ma questi fatti non condussero a nessuna conclusione generale, non erano legati gli uni agli altri; conseguenze filosofiche non se ne traevano ed il Watt stesso nel suo Dictionary of Chemistry ricorda questi stessi fatti, in gran parte male studiati, ma poi nota che la vera sintesi metodica comincia colla sintesi dell’ acido formico effettuata dal Berthelot nel 1855. 176 ICILIO GUARESCHI 20 trattando l’ossicloruro di carbonio con ammoniaca ottenne un corpo che denominò carbamide, ma non riconobbe che questo corpo era identico all’urea. Le sue ricerche sui carburi non sono estranee alla geologia. Egli il primo nel 1866 emise un'ipotesi sull'origine degli idrocarburi naturali detti petroli; ammise che abbiano origine inorganica, cioè che esistessero nelle grandi profondità terrestri degli acetilenuri o carburi metallici, i quali per l’azione dell’acqua darebbero dell’acetilene e da questo, per l'alta pressione e temperatura, si avrebbero dei carburi di idrogeno condensati. Questa teoria fu poi accettata e sviluppata dal Mendeleeff e specialmente più di recente dal Moissan. Il Berthelot termina la sua nota del 1866 prudentemente colle seguenti parole: “ quella mia ipotesi potrà poi essere sviluppata, ma io prefe- risco rimanere nei limiti delle esperienze senza voler enunciare null’altro che delle possibilità geologiche ,. Recentemente Sabatier e Senderens confermarono con numerose esperienze questa teoria, originariamente del Berthelot. Interessano pure la geologia, la storia della terra, le sue ricerche: Sur les aérolithes ou pierres tombétes du ciel, leur origine et leur comparaison avec les roches ter- restres (“ Science et libre pensée ,, pag. 342). Egli già sino dal 1868 aveva ad esempio osservato che le materie carboniose contenute in certe meteoriti contengono anche dell'idrogeno e dell'ossigeno e che riducendole coll’acido jodidrico si ottengono dei carburi C*H"®+? identici a quelli dei petroli; cioè ottenne dei petroli con un pezzo di materia planetaria. Egli discusse a fondo la questione dell'origine delle meteoriti. Fece numerose ricerche sui terpeni, loro isomeri e polimeri; dimostrò che i prodotti naturali sono miscele di isomeri, i quali a seconda dell'origine sono destrogiri o levogiri e che il calore ha un’azione notevole sul loro potere rotatorio. Egli fece vedere che il carburo C!°H!6 per lenta ossidazione può dare il cimene C!°H!4; fu il primo a classificare i carburi terpenici in terebeni, sesquiterebeni e diterebeni; scoprì i canfeni, l'acido canfolico ed altri derivati; trasformò il canfene destrogiro per ossidazione in canfora; idrogenando la canfora ottenne il borneolo, ecc., ecc. Classico è il suo metodo generale di riduzione coll’acido jodidrico, che egli applica sino dal 1857, e, con ricerche più numerose, dal 1866 al 1869. A seconda della tem- peratura e della concentrazione dell'acido ottiene delle riduzioni più o meno profonde; dall’acetilene C?H? ha il joduro di etilene C?H*I?, dal benzene C6H° l’essano C*H14, dal cianogeno l’etano, dalla etilamina l’etano, ecc., e così via dicendo in centinaia di altri casi. Egli fu il primo a dimostrare che era facile il passaggio dalla serie aromatica alla grassa e viceversa. E, coincidenza curiosa, mentre proprio allora si stabiliva per opera geniale del Kekulé la grande divisione dei composti organici in composti della serie alifatica e della serie aromatica, il Berthelot scopriva non pochi fatti che dimostrano il pas- saggio graduale dall'una all’altra serie. Nè va dimenticato il suo 7raîté de Chimie Organique in due grossi volumi, di cui si fecero quattro edizioni (le due ultime col suo allievo Jungfleisch). Egli senza essere un industriale contribuì non poco allo sviluppo di certe industrie chimiche organiche, quali quella dei corpi grassi, dell’acetilene, dei prodotti del catrame, ecc. Justus von Liebig quattro anni prima di morire, cioè nel 1868, in una seduta 21 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE LZ della R. Accademia delle Scienze di Monaco enumerò con entusiasmo i lavori di chimica organica del Berthelot e poi disse: “ Les travaux précédents ne forment qu’une très faible partie de ses études: è eux seuls ils suffiraient amplement pour justifier son choix comme Membre étranger de notre Académie ,,. DE Nè meno importanti sono i suoi lavori di chimica inorganica. Non vi è quasi elemento, dall’idrogeno al radio, sul quale egli non abbia esperimentato. Studia l'ozono e costruisce un nuovo ozonometro, scopre gli acidi persolforico, percarbonico e per- nitrico ed altri perossidi, fra cui il perossido di etile, esplosivo; la scoperta dell’ani- dride persolforica fu subito seguìta dalle ricerche di Marshall e Caro; fa ricerche che interessano l’acqua ossigenata, l’elio, l’argon ed il radio. Si pensi solamente ai numerosi lavori che ha fatto sull’ossido di carbonio: analizza il composto col cloruro rameoso, indica il nitrato d'argento ammoniacale come reattivo sensibilissimo, trasforma l’ossido di carbonio in formiati, ne studia l’azione del calore, la combinazione coll’emoglobina, il calorico di formazione e di combustione; studia l'equilibrio chimico delle miscele di CO, H?20, CO?, H, ecc. Fece molte ricerche sull’ossicloruro di carbonio ; prevede ed ottiene dei sottossidi di carbonio; studia metodicamente la decomposizione del nitrato di ammonio, dà un metodo pratico per preparare l’azoto gasoso; dimostra che l’os- sisolfuro di carbonio COS per l’azione dell’ammoniaca dà contemporaneamente urea e solfurea, secondochè è attaccato prima lo zolfo o l'ossigeno; analogamente ossidando con acido cromico il propilene, ottenne contemporaneamente acetone ed acido pro- pionico : \ CH*COCH8 CH°CH=CH?2 + 02? — . ( CH*. CH?, COOH L'effluvio elettrico o scarica oscura, ossia la scarica elettrica diffusa e non di scin- tilla e per conseguenza con poco innalzamento di temperatura, dà luogo a delle reazioni chimiche importantissime che furono studiate specialmente dal Berthelot e suoi allievi. A questo scopo servirono a lui degli apparecchi semplicissimi, come in generale erano semplici gli apparecchi che nelle mani di Berthelot davano tanto splendidi risultati. Gli effetti dell’effluvio sono: 1° cambiamenti isomerici, come ad esempio l'ossigeno in ozono, il cianogeno in paracianogeno, l’acetilene in polimeri, ecc.; 2° formazione e decomposizione di composti binari: trasformazione dell'idrogeno e dell’azoto in ammoniaca; azoto ed acqua in nitrito d’ammonio; ossigeno e azoto che danno acido pernitrico; ossigeno e gas solforoso che producono acido persolforico, ecc. Bellissima la sintesi dell’acido cianidrico dall’acetilene coll’azoto (1869), ottenuta colla scintilla: CH N CH N LI ASL AGI O rt CH N N CH come pure la combinazione diretta dell'idrogeno col cianogeno, che dà acido cianidrico. Serie II. Tom. LIX. x 178 ICILIO GUARESCHI 5. L28 Nel medesimo anno 1869 aveva scoperto il fatto importante che il metano per l’azione della scintilla si trasforma in gran parte in acetilene: 2CH* = C*H? | 38° ed altre reazioni simili. Egli il primo misurò le quantità di ammoniaca prodotta per l’azione dell’elet- tricità su miscele di azoto e di idrogeno; una quantità maggiore di ammoniaca si forma per l’azione dell’effluvio elettrico (1876 e 1880). . 3° reazione dell'ossigeno, dell'idrogeno e dell’azoto libero direttamente sulle materie organiche. L'azoto libero è assorbito dal benzene, dalla essenza di trementina, dall’acetilene, dalla maggior parte delle materie organiche. L’ossigeno manifesta in questo caso un potere ossidante che non può attribuirsi all’ozono; ad esempio trasforma il cloruro potassico KCI in clorato KCIO?. Chappuis e Hautefeuille fecero molte ricerche col metodo di Berthelot. Berthelot ha fatto delle osservazioni importanti anche sulla polarizzazione del platino; questo fenomeno non è un puro fenomeno fisico. Egli dimostrò (1882) che il platino privato di gas colla pompa a mercurio, e a 200°, assorbe a temperatura ordinaria l'idrogeno e può formare due idruri diversi, uno dei quali può essere ossidato a freddo. Può anche assorbire l'idrogeno, sviluppando calore. Secondo Berthelot, sotto il nome di nero di platino si sono confusi dei corpi diversi contenenti più o meno dell'ossigeno; la quantità di ossigeno assorbita varia assai secondo lo stato del nero. Fece molte ricerche sui gas; oltre all’aver scoperto nuovi gas, quali il propano ed il propilene, 0 quasi nuovi, come l’acetilene, ecc., egli insegnò a riconoscere ed a separare molti gas. Fece conoscere il composto cristallizzato che l’ossido di car- bonio forma col cloruro rameoso, diede le norme per far agire la scintilla o l’effluvio elettrico sui gas; determinò il calorico specifico di molti gas, indicò nuovi reattivi e le manipolazioni necessarie per l'assorbimento, col bromo. Tutti lavori questi che, insieme a quelli di Bunsen e di altri, sono stati da lui riuniti nell’ultimo suo libro, che ha pubblicato sul finire del 1906 : Traité pratique de l’analyse des gas. Bellîs- simo ed utilissimo libro, scritto a 79 anni! Molte sue ricerche interessano poi anche la chimica analitica. Egli si interessava a tutte le nuove scoperte, a lui nulla sfuggiva: appena il Ramsay ebbe scoperto l’argon ne mandò un campione al Berthelot, che ne studiò alcune proprietà fisiche e chimiche: fece ricerche sull’acido azotidrico di Curtius, sul radio; appena Mond ebbe scoperto il nickelcarbonile, preparò il ferrocarbonile Fe(C0)?, ece. Egli, che tante volte si era occupato dell’ossido di carbonio, intravede subito l'importanza che possono avere i nuovi composti scoperti col nickel e col ferro, e nel 1891 scriveva : € En résumé, l’oxyde de carbone s’unit au fer et au nickel en produisant des composés spéciaux analogues à ceux qu’engendrent l’acétylène et les carbures polyacétyléniques. On peut rapprocher ces corps des acides rodizonique et croconique, qui proviennent de l'action de l’oxyde carbone sur les métaux alcalins. Ces combinaisons permettent d’expliquer certaines réactions observées en métallurgie, telles que la précipitation du carbone de l’oxyde de carbone au contact du fer; la formation de bulles gazeuses au sein du fer ramolli; et les transports de matières observés dans les caisses de cémentation et dans les fours Siemens ,. 25 MARCELIN BERTHELOT —— COMMEMORAZIONE 179 III. La meccanica chimica deve moltissimo al Berthelot. Nel medesimo anno in cui faceva le sue belle ricerche sull’acetilene ed altri idrocarburi intraprendeva con Péan de Saint-Gilles le sue classiche esperienze sull’affinità chimica. Il nostro Malaguti è stato il primo nel 1853 e nel 1857 ad emettere la geniale idea di un equilibrio chimico mobile in cui due reazioni inverse si compensano esatta- mente (1). Berthelot, invece di esperimentare sui sali, esperimentò sugli eteri. Queste numerose ricerche sull’eterificazione per l’azione diretta di un acido su un alcol sono un bell'esempio che l’equilibrio chimico può avere il limite comune di due reazioni inverse l’una dell’altra. Le ricerche sugli eteri ebbero una più estesa generalizzazione e servirono meglio a questo genere di studi (Kecherches sur les affinités. De la formation et de la décom- position des éthers, in “ A. Ch. ,, 1862-1863 (3), t. 65, 66 e 67). Sono poche le reazioni reversibili che siano state studiate relativamente al tempo. Le prime esperienze importanti che si hanno sotto questo riguardo sono appunto quelle di Berthelot e Péan de Saint-Gilles (1862). Se anche la formola generale data da questi autori non è molto esatta e la temperatura in alcune esperienze non era perfettamente costante, nel loro gran complesso sono esperienze classiche, lodatissime da Guldberg e Waage e dai migliori chimici-fisici. L’eterificazione di un alcol con un acido in vasi chiusi raggiunge un limite che è uno stato di vero equilibrio : C*H5.0H +4 CH3.COOH —* C?H5.0C0CH* + H?20 il quale limite corrisponde ad una quantità di etere formato che è indipendente dalla pressione e dalla temperatura. “ Colle vostre memorabili ricerche sulla formazione degli eteri, dissero nel 1901 van’t Hoff e Fischer al Berthelot, avete stabilite le basi della ricerca sistematica delle azioni chimiche reversibili; e i vostri studi sulle materie esplosive hanno una importanza analoga ,. I numierosi lavori di Mentschutkine e di altri chimici sull’eterificazione 0 meglio sulla influenza dei solventi, sulla velocità di reazione, derivano in linea retta da quelli di Berthelot. Anche nel suo Essai de mécanique chimique fondée sur la thermochimie, 1879, 2 vol. in-8°, vi è una grande evoluzione di idee, che hanno poi dato lavoro a’ suoi successori. Fu dei primi ad ammettere che fra solvente e corpi sciolti si formano deter- minati composti e che la soluzione è in fondo una miscela del solvente colla sostanza sciolta combinata col solvente in un rapporto fisso. Egli, in parte con Jungfteisch e con de St.-Martin, studiò le leggi della distri- buzione o ripartizione (partage) di un corpo fra due solventi (1869-1872); lavori ampliati poi dal Nernst. (1) Vedi il mio Faustino Malaguti e le sue Opere. Torino, 1902. 180 ICILIO GUARESCHI E 24 IV. La fermochimica è un altro grande ramo delle scienze fisico-chimiche a cui il Berthelot ha portato il massimo contributo. Non è vero che egli abbia creato la termochimica; egli sapeva benissimo che ricerche importantissime termochimiche erano state fatte da Hess (1840), da Andrews, da Graham, da Marignac, da Favre e Silbermann e da J. Thomsen (1853), ma nelle sue mani, unitamente a Thomsen, la termochimica è diventata un ramo di scienza di primo ordine. Egli ha studiato il calore in relazione alle reazioni chimiche, in modo completo. Ha cominciato questo studio nel 1864 e l’ha proseguito sino a questi ultimi anni. Egli ha ideato apparecchi nuovi, alcuni de’ quali hanno poi ricevuto anche utili applicazioni; a lui si debbono calorimetri, termometri sensibilissimi, ecc. La sua bomba calorimetrica in acciaio e platino è stata modificata da Mahler per servirsene a determinare il potere calorifico dei combustibili. Insieme con Vieille fece interes- santi ricerche sul calorico specifico dei gas, determinò pure il calorico specifico di di molte materie organiche e ne trasse alcune conseguenze importanti (Jamin), deter- minò il calorico di fusione di molti corpi. Per determinare il calorico latente di vaporizzazione, adoprò un suo nuovo apparecchio riconosciuto dai fisici molto comodo ed esatto. i La bomba calorimetrica di Berthelot con rivestimento interno di platino per- mette di esperimentare con sicurezza assoluta ed estrema precisione. Fu adoperata non solamente dal Berthelot e sua scuola, ma anche da Stohmann, Langbein, Lubow. Più recentemente Em. Fischer e Wiede a Berlino in ricerche calorimetriche adopra- vano l'apparecchio di Berthelot con alcune modificazioni di Kroeker. Rispetto alla metodica termochimica 4. Traube nel suo Grundriss der physika- lischen Chemie, Stuttgart, 1904, scrive : “ Um die Ausbildung der thermochemischen Methodik haben sich Favre und Silbermann und in neuerer Zeit besonders der dinische Forscher Julius Thomsen, sowie der grosse fran- zisische Chemiker M. Berthelot Verdient gemacht. Es sind dies die beiden Forscher, denen iiberhaupt die Entwickelung der modernen Thermochimie das meiste verdankt , Nel 1875 egli enunciò i tre principî fondamentali della termochimica: i due primi sono stati accettati senza alcun dubbio; il terzo invece, detto troisiòme principe ou principe du travail maximum, ha dato luogo a discussioni, a cui presero parte uomini del valore di vàn’t Hoff, Gibbs, Horstmann, Helmholtz, Le Chatelier, e non è ammesso come generale; però non è errato come piacque a qualcuno di dichiarare. Riguardo la termochimica van't Hoff ed Em. Fischer indirizzarono al Berthelot in nome del- l'Accademia delle Scienze di Berlino le, parole seguenti : ‘ C'est proprement de gigantesque que nous devons qualifier le travail que vous avez consacré pendant près de 40 années à la thermochimie; car, indépendamment des méthodes accomplies qu'elle vous doit et qui ont atteint, avec l’invention de la bombe calorimétrique, le plus haut point d’exactitude, la majorité des données qui se trouvent réunies dans votre monumentale Thermochimie sont dues à vous ou è vos élèves ,. 25 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 181 Sono tanto numerose e varie le questioni che il nostro Socio si propose di risolvere colla termochimica che non si può se non ammirare questo immenso lavoro; egli applicò la termochimica alla fisiologia, allo studio degli esplosivi, alla determina- zione del potere calorifico dei combustibili, ecc., ecc. Riunì tutti i risultati delle sue numerose memorie, i suoi metodi ed i risultati numerici nell'opera: Thermochimie: lois et données numériques, 2 grossi vol. in-8°, 1897, chez Gauthier-Villars, e in un Traité pratique de Calorimétrie chimique, 2 vol. in-18°, 1893, chez Gauthier-Villars et Masson, che fu tradotto in tedesco: Praktische Anleitung zur Ausf. thermochem. Messungen; ed inoltre: Lecons sur la Thermochimie professées au Collège de France en 1865, publiées dans la Revue des cours scientifiques chez Germ. Baillière. Si pensi che egli fece tutti questi lavori in un modestissimo laboratorio del Collegio di Francia; anche negli ultimi anni, benchè colpito da reumatismo, lavorava d'inverno, come ce lo diceva egli stesso, e come l’abbiam visto noi, in camere non riscaldate, perchè la natura delle sue ricerche non gli permetteva di operare in ambiente artificialmente riscaldato. : Berthelot dovette occuparsi degli esplosivi sia per le sue ricerche sulla termo- chimica sia quale Presidente della Commissione per le materie esplosive, istituita nel 1878. Questa Commissione studiò le principali questioni teoriche e pratiche relative alla conoscenza delle nuove materie esplosive, oltrechè alla polvere ‘nera, secondo un programma metodico. Coi suoi collaboratori, e specialmente col Vieille, il Berthelot ha fondato una branca della chimica scientifico-sperimentale, quale è quella delle materie esplosive, inventando nuovi apparecchi e metodi di ricerca; lavori a cui presero parte anche Mallard, Le Chatelier, Sarrau, Dixon, Nernst ed altri distinti scienziati. Allora non si conoscevano che regole empiriche per regolare le condizioni del tiro e poco si conosceva sulla natura dei gas prodotti dai vari e numerosi esplosivi; egli, insieme a Sarrau e Vieille, dimostrò che si possono calcolare gli effetti pro- dotti dagli esplosivi con molta precisione, relativamente s’intende alle applicazioni. Il Sarrau raccontò spesso che grande fu la meraviglia di un ministro della guerra, appartenente all’artiglieria, quando il Berthelot gli mostrò una formola colla quale si poteva « ‘priori calcolare la velocità impressa ai proiettili da un esplosivo a com- posizione chimica nota. Calcolò quale era nella vecchia polvere nera il migliore rapporto fra i tre com- ponenti per ottenere col minimum il maximum di effetto utile. A lui inoltre si deb- bono delle interessanti ricerche storiche sul nitro, sulla polvere, sul fuoco greco, ecc. Le esperienze sulla pressione sviluppata dalle principali miscele gasose, quelle sulla misura del calore di formazione di molti derivati nitrici o diazoici, quali la nitroglicerina, gli eteri nitrici, il cotone fulminante, l’acido picrico, il cloruro di diazo- benzene, il nitrobenzene, il fulminato di mercurio, il solfuro di azoto, ecc., ed infine quelle sull’onda esplosiva, erano pericolosissime, e giustamente il Nernst, che chiama il Berthelot “ geniale sperimentatore ,, nella sua Theoretische Chemie, 4° ediz., 1903, pag. 665, esclama: “ Es ist begreiflich, dass messende Versuche, angestellt mit den wirksamsten Sprengstoffen, die wir kennen, selbst fiir einen mutigen Experimentator nicht gerade Verlockendes bieten; 182 ICILIO GUARESCHI i 26 man wird nicht ohne Staunen von der Soeben erwihnten Untersuchung des franzòsischen Forschers Kenntnis nehmen ,. In collaborazione con Vieille eseguì una serie di lavori sulla velocità di pro- pagazione dei fenomeni esplosivi, e specialmente su ciò che egli chiamò onda esplosiva, con metodi ed apparecchi nuovi, in maniera che sì potevano prevedere tutte le obie- zioni e misurare anche pochi decimillesimi di secondo. Il Berthelot dava, ed a ragione, molta importanza alla scoperta dell’onda esplosiva, una nuova forma di movimento velocissimo. L’onda esplosiva non esiste coi suoi caratteri semplici e le sue leggi definite che nella detonazione dei gas; queste leggi e questi caratteri non sussistono che in parte nella detonazione dei liquidi e dei solidi (Berthelot). Riguardo la velocità dell'onda esplosiva vi è concordanza perfetta tra i risultati di Berthelot e Vieille e quelli di Dixon pubblicati nel 1891, il quale anch'egli fece questa determinazione esperimentando con miscugli detonanti di H? + 0; H? + N?0; CH*+ 04, ecc. In questi casi la velocità è di circa 2300 metri al secondo (1). Questi enormi lavori sulle materie esplosive furono da lui esposti nei “ C. R. , e negli # A. Ch. , e poi coordinati nell'opera : Sur la force des matières explosives, d’apròs la thermochimie, 3* ediz., 1883, 2 vol. in-8°, chez Gauthier-Villars. E dopo tutto ciò, ecco quanto egli scriveva nella prefazione (pag. XII) a questa bellissima opera: “ Certes je ne me fais pas d’illusion sur les imperfections que ce « Traité pourra présenter è la critique: quelles qu'aient été la durée de mes travaux “ et l’intensité de mes réflexions, le sujet est trop vaste pour que le but proposé “ ait pu étre partout atteint. Il est facile d’y signaler bien des lacunes et des incerti- “ tudes, au point de vue de la pratique comme de la théorie pure. Mais j'ai pensé “ qu'il était avantageux de poser les problèmes, mème sans les résoudre entièrement. “ Les fruits que l’on peut attendre de la conception signalée ici deviendront de plus “en plus parfaits, lorsque la Thermodynamique aura fait de nouveaux progrès et “ lorsque les savants spéciaux auront perfectionné par leurs méditations les premières “ indications contenues dans ce livre ,,. b Il Berthelot nel: suo libro ricorda anche i lavori del nostro generale Cavalli. VE Il Berthelot contribuì non poco allo studio dell’aMlotropia, dell’isomeria e della polimeria ed innanzi tutto bisogna ricordare le isomerie che egli osservò nel grande gruppo dei terpeni (1856-1863). Poi dimostrò che i carburi l" H?" dànno coll’acido sol- forico dei polimeri e scoprì il triamilene ed il distirolene. A lui si debbono studi importanti sugli stati allotropici di numerosi elementi quali: l'ossigeno, lo zolfo, il selenio, il tellurio, il carbonio, il fosforo, l’arsenico, l'antimonio, l'argento, ecc. Degli stati allotropici dello zolfo, di cui scoprì nuove mo- dificazioni allotropiche, si occupò sino dal 1857. (1) Sull'onda esplosiva ha fatto una bella conferenza il Dixon alla Società Chimica di Berlino (1905). 27 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 183 Assai importante è il suo metodo analitico per distinguere le diverse varietà di carbonio, con una miscela di clorato potassico ed acido nitrico : il diamante non è intaccato, le grafiti dànno degli acidi grafitici, i carboni amorfi si ossidano e si sciolgono. Interessante la sua lettura: Sulla costituzione dei corpi semplici in generale e del carbonio in particolare, pubblicata nella Rev. Scient., t. VI, sino dal 1869. Si hanno inoltre le sue: Lecons sur l’isomérie, professées devant la Société chimique de Paris en 1863, 1 vol. in-8°, chez Hachette. Devesi a lui l'introduzione nella scienza del concetto di rifrazione molecolare ; sino dal 1856 in una memoria: Remarques sur quelques propriétés physiques des corps conjugués (“ A. Ch. ,, (3), t. 48), ove discorre dei punti di ebollizione, dei volumi specifici, del calorico di combustione, ecc., tiene conto anche degli indici di rifra- zione, e basando i suoi calcoli sulla formola di Laplace mostrò che nei corpi omologhi, ad ogni aumento di CH? corrisponde, più o meno approssimativamente, un aumento costante nella rifrazione molecolare. Malgrado la non molta esattezza della formola, e lo scarso materiale sperimentale, i risultati sono abbastanza esatti. E ciò, come dice Bredig, prima dei lavori di Landolt, di Brihl, ecc. Wil Della massima importanza sono i lavori del Berthelot sulle fermentazioni. Pur riconoscendo il grande merito delle ricerche di Pasteur egli ritenne, e giustamente, che i fenomeni fermentativi fossero dovuti a reazioni chimiche propriamente dette. Queste sue ricerche risalgono al 1856, prima ancora che se ne occupasse il Pasteur. Osservò che la mannite, la glicerina, la sorbite ed altre sostanze zuccherine sino allora non studiate sotto questo aspetto, potevano subire la fermentazione alcolica o la fermentazione lattica. Era d’avviso che la fermentazione non dipendesse da sviluppo di esseri viventi (“ C. R. ,, t. 43). Nella sua bellissima Memoria del 1857 : Sur la fermentation alcoolique (£ A. Ch. ,, (3), t. 50, p. 326) scriveva: « Quelle ést la nature intime de ce double phénomène et quelle est sa relation avec les actions de contact auxquelles ressemble tant celle de la levure de bière sur le sucre? C° est ce que nous ignorons encore presque complètement: mais, je le répète, on est conduit è penser que l’action des matières azotées et celle de la levure de bière elle-méme dépendent, non de leur structure organisée, mais de leur nature chimique, de méme que l’action de l’émulsine sur l’amygdaline, de la diastase sur l’amidon, du sue pancréatique sur les corps gras neutres; de méme que l’action de la glycérine sur l’acide oxalique, de l’acide sulfurique et des corps électronégatifs sur le sucre de canne (inversion), sur l’alcool (éthérification) et sur l’essence de thérébentine (modification isomérique). L’ action de la diastase, de l’émulsine, du suc pan- créatique, a pu étre éclaircie jusqu'è un certain point, parce que ces substances agissent è l’état de dissolution; la levure ne se préte pas à ce genre de contròle. Mais l’efficacité ana- logue, quoique moins prononcée, que possèdent les matières azotées d’origine animale, méme en l’absence de toute structure organique spéciale et de toute formation d’étres vivants, tend à assimiler la fermentation alcoolique aux diverses fermentations provoquées par l’émulsine, par la diastase et par le suc paneréatique ,. pnt 00 ra ICILIO GUARESCHI - 28 E più avanti, a p. 369, riguardo la fermentazione di numerose sostanze zuc- cherine : “ Les changements qu'ils éprouvent par voie de fermentation offrent une importance toute particulière en raison de la ressemblance qui existe entre ces phénomènes sì différents des affinités ordinaires et les phénomènes vitaux proprement dits. Étudier les fermentations, les diriger è volonté vers l’accomplissement de transformations chimiques définies, c'est mettre en ceuvre des mécanismes analogues è ceux qui président aux métamorphoses de la matière dans les étres vivanis ,. Si sapeva che il saccarosio prima di fermentare doveva sdoppiarsi in glucosio, e si ammetteva che questa reazione fosse dovuta all’acidità del liquido (Pasteur). Berthelot invece, sino dal 1860 in una Memoria, breve, ma succosa e bellissima (1), dimostrò che l'inversione del saccarosio, promossa dal lievito di birra, era indipen- dente dall’acidità o dalla neutralità, che avveniva pure in liquido alcalino e che era dovuta alla presenza di un fermento solubile, diastasico, il quale usciva dalle cellule del succharomyces. Questo nuovo fermento sì disse invertina o sucrasi 0 fermento inver- siro. Questo principio solubile non organizzato, ma che deriva da un essere vivente, ha la proprietà d’invertire rapidamente il saccarosio. Un fermento inversivo fu poi trovato dall'amico suo CI. Bernard nella barbabietola in evoluzione. Con un apparecchio molto semplice si può dimostrare questo fatto fondamentale. L'idea che il fermento organizzato generi il fermento solubile o diastatico che agisce poi sulle sostanze fermentescibili era nuova e fu feconda, perchè poco dopo si riconobbe che il micrococeus ureae secerne un simile fermento solubile che scompone l’urea (Musculus), che i microbi della putrefazione dànno dei fermenti diastasici peptogeni, ecc.; cioè l’idea berthelottiana si generalizzò. Il Biichner poi in questi ultimi anni dimostrò che dentro la cellula rimane un altro fermento, la zimasî, che ha la proprietà di far subire allo zucchero invertito la fermentazione alcolica. » Le sue idee sulle fermentazioni furono confermate non solamente dal Biichner ma anche da esperienze che egli stesso ha fatto sulla formazione di alcol e anidride carbonica nei tessuti vegetali nel loro stato normale, indipendentemente dalla pre- senza di cellule di saccharomyces. Una attiva discussione ebbe luogo per molti anni fra Berthelot e Pasteur, a cui prese parte anche il Cl. Bernard, ed il primo, appoggiato dal Bernard, rimase vincitore. Il Pasteur ripeteva sempre che le fermentazioni erano fenomeni fisiologici e che erano correlative alla vita di microorganismi. Voler circoscrivere la scienza entro limiti ristretti, entro a dogmi, è errore grave, Si era anche detto dal Pasteur che non si potranno mai ottenere dei composti chimici artificiali dotati di potere rotatorio e che il potere rotatorio era caratteristico solamente di sostanze prodotte dalla natura ; ora invece sì conoscono numerosissime sostanze destrogire, sinistrogire ed inattive scindibili, che possiamo senza difficoltà preparare nei nostri laboratori. Il Jungfleisch, allievo del Berthelot, scoprì i primi fatti in ordine a queste nuove idee. (1) Sur la fermentation glucosique du sucre de canne, * O. R. ,, 1860, t. 50 e “ Journ. de Pharm. et de Chim. ,, 1860 (3), t. 38. 29 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 185 Le ricerche sulle fermentazioni condussero il Berthelot anche allo studio delle azioni catalitiche; arrivò a questa conclusione, che: il cambiamento continuo promosso da una quantità infimitamente piccola di certe sostanze su altre sostanze decom- ponibili o fermentescibili è dovuto alla formazione di composti intermedi molto instabili prodotti dal catalizzatore; questi prodotti intermedi si producono continuamente a spese della sostanza fermentescibile, per poi distruggersi e ritornare allo stato di prima. In questo modo agiscono sull’acqua ossigenata gli ossidi di manganese o di argento, dando dei perossidi instabili coll’acqua ossigenata, che si decompongono di con- tinuo. E così in tutti gli altri casi, come, ad esempio, nelle ossidasi. Studiò le fermentazioni anche dal lato pratico della chimica bromatologica. Dal 1858 al 1892 più volte ebbe ad occuparsi del vino, della fermentazione vinosa, dell’eterifi- cazione del vino, del bouquet, dell'influenza che sulla conservazione del vino esercitano l’accesso dell’aria e dell'ossigeno, gli acidi, i gas, ecc. Perfezionò il metodo di dosa- mento dell’alcol; diede (con Fleurieu) un buon metodo di dosamento del cremortartaro nel vino, che è ancora il migliore che abbiamo oggi, e un metodo per dosare l’acido tartarico libero; determinò le proporzioni comparate d’acido tartarico nell’uva e nel vino. La verificazione dell’artomètre de Baumé si deve alle sue ricerche (1873) con Coulier e D’Almeida. Ebbe inoltre occasione di analizzare un vino archeologico, trovato in una tomba gallo-romana di circa 1600 anni fa, contenuto in una ampolla chiusa alla lampada. VII. Le sue ricerche di chimica fisiologica vegetale riguardanti sovratutto l’assorbi- mento dell’azoto, sono state eseguite metodicamente, con una varietà e molteplicità d’esperienze e sì numerosi controlli, che ha del meraviglioso. Già nel 1876 annunziava il fatto importantissimo che per l’azione della scarica oscura od effluvio elettrico l’azoto libero combinasi con molte sostanze organiche, e che ciò avviene anche in natura; il benzene, la cellulosa, la gomma, ecc., potevano assorbire l’azoto libero e puro, dando dei composti azotati che come le sostanze albuminoidi sviluppano ammoniaca colla potassa. Questi fenomeni erano affatto nuovi. L'effluvio elettrico agisce in modo diverso dalla scintilla ; dall’acetilene coll’azoto per mezzo della scintilla si ha dell'acido cianidrico, mentre non se ne forma traccia colla scarica oscura. Egli usava le tensioni elettriche deboli nell’idea di imitare la natura, nella quale le azioni elettriche sono frequentissime. Dal 1883-85 inizia le esperienze che dimostrano l’assorbimento dell’azoto libero dal terreno e dai vegetali, per l’azione di microorganismi. Fondato l’Istituto da lui diretto a Meudon, incominciò nel 1883, insieme al suo abile collaboratore André, una immensa serie di ricerche che lo condussero a ritrovare questa seconda causa di assorbimento di azoto nelle piante. Da quel tempo stabilì che quasi tutte le piante contengono dei nitrati. Stabilita sperimentalmente la grande diffusione dei nitrati nelle piante, Berthelot e André ne ricercano l'origine, e da numerose esperienze furono condotti ad ammettere che si formano entro la pianta; la presenza del nitrato potassico nelle piante è dovuta ad una funzione speciale che dà luogo alla forma- Serie II. Tom. LIX. Y ’ 186 ICILIO GUARESCHI 30 zione dei nitrati in certi tessuti e durante un periodo determinato della vegetazione; si forma in certe cellule per un processo ossidante nello stesso modo come il fer- mento nitrico forma i nitrati nel terreno. Nel 1885 pubblicò una nota nella quale riassume i risultati di numerosissime analisi fatte su terreni sterilizzati ed in condizioni diverse, le quali dimostrano in modo evidente l’assorbimento dell’azoto atmosferico libero. Nel 1886 seguono altre due note sulla fissazione dell’azoto dalla terra vegetale. Il Berthelot fu quasi subito combattuto dallo Schloesing, della scuola di Boussin- gault, il quale, come il suo maestro, sosteneva che l'azoto libero non poteva essere direttamente assorbito. E lo Schloesing, con ironia diceva ancora nel 1888: “ è difficile che il problematico microorganismo della terra possa fissare 1200 kil. di azoto per ogni ettaro; non so perchè gli agronomi acquistino con tanta spesa una sì grande quantità di nitrati ,. Il Berthelot insisteva colle sue esperienze ed ebbe ragione completa sugli avversari. L'idea prima che l’azoto libero dell'atmosfera possa essere assorbito da certe piante e specialmente dalle leguminose, è senza dubbio di G. Ville; ma il Ville, com- battuto dal Boussingault e da altri, e non abbastanza chimico per fare delle espe- rienze decisive, non riuscì a persuadere nessuno, nè ad introdurre nella scienza le sue idee; il Berthelot stesso scrive: l’influenza delle leguminose sulla fissazione dell'azoto, affermata da lungo tempo da G. Ville, che però non era riuscito a con- vincere nessuno, è stata ritrovata, con un significato imprevisto, da me e da Hellriegel e Wilfarth. Berthelot nel 1885, scrive Bredig, è stato il primo ad aprire la via ai bei lavori di Winogradsky, Hellriegel, Beyerinck, ecc. (1). E finalmente, sino dal 1889, trova una terza sorgente di azoto delle piante, ed è la fissazione dell’azoto libero dell’aria in seguito ai processi di lenta ossidazione che si compiono a temperatura ordinaria. L'elettricità a debole tensione, i microorganismi,.e le lenti ossidazioni sono tre cause che producono l’assorbimento dell’azoto libero nelle piante. Berthelot ha dunque il grande merito di avere indirizzato i chimici ed i fisiologi per una nuova via. Si osserva: ha avuto dei precursori; sia pure, ma si può dire, come dissi riguardo alla sintesi organica: nessuno si era posto il problema nel modo, e in tutta la sua larghezza, come ha fatto il Berthelot. i Egli raccolse tutti i suoi lavori di chimica vegetale nell'opera: Chimie végétale et agricole, 1899, 4 vol. in-8°, chez Masson et Gauthier-Villars. Nel primo volume tratta dell’assorbimento dell'azoto e negli altri tre vi sono le sue ricerche sui nitrati nelle piante, sullo stato e dosamento dello solfo, del fosforo e di altri elementi; dell’acido ossalico, ecc. L'agricoltura scientifica, diceva egli nel bel discorso pronunziato nel 1892 quale Presidente della Società Nazionale di Agricoltura di Francia, si sostituisce di più in più all'agricoltura tradizionale, ed essa moltiplica in enorme proporzione la ric- chezza delle nazioni. Le scienze che hanno contribuito alla grande evoluzione del- (1) AsperzaLpen (Lehr. d. physiol. Chem., 1906, p. 213) scrive: “ Berthelot (1885-1887-1888-1889- 1892 e 1893) è stato il primo a far notare la fissazione diretta dell'azoto atmosferico libero da certi terreni ,. - 4 s1 i MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 187 l'agricoltura sono: la chimica, la fisiologia vegetale, la meccanica. “ La vie des “ champs est le type normal de la vie humaine. Là seulement, l'homme se déve- “ loppe en toute plénitude. La vie des champs favorise à la fois la santé matérielle “ des corps et la santé morale de l’esprit ,. VIII. La biologia deve molto al Berthelot, sia per le sue ricerche sintetiche sia per le sue ricerche sulle fermentazioni, sul calore animale, sulla fissazione dell'azoto delle piante, ecc. Non vi è, o Signori, oggi nessun trattato moderno di chimica fisiologica che non ricordi con onore il nome del nostro Socio, specialmente in quel grande capitolo che riguarda il calore animale. Lo studio delle fermentazioni e della termochimica lo condussero ad occuparsi anche di questioni attinenti al calore animale. Egli modificò e corresse le idee dei chimici e dei fisiologi sulle reazioni chimiche che avvengono nell'organismo e sulle origini del calore animale, Lavoisier fu il primo a dimostrare chiaramente l’ufficio dell'ossigeno nella respi- razione; egli ammise che la combustione del carbonio e dell’idrogeno avvenisse entro i polmoni. Il nostro Lagrange poco dopo, giustamente, ammise invece che la com- bustione animale avesse luogo in tutte le parti dell’organismo ove circola il sangue. E anche dopo le classiche esperienze di Dulong e di altri chimici e fisici si tenne per vera la teoria di Lavoisier e di Lagrange; per quasi 70 anni si accettò questo modo di vedere quasi senza discussione; vera è propriamente nelle sue grandi linee, ma Berthelot, terzo fra cotanto senno, portò la questione del calore animale su nuove basi e ne spiegò meglio l’origine. Nel 1864 (Mém. de la Soc. de Biol.) dimostrò che nell'organismo animale hanno luogo degli effetti termici in causa di altre reazioni, quali l’idratazione e lo sdoppiamento. Egli nel 1890 dimostrò con esperienze delicatissime che l’emoglobina, o ma- teria colorante rossa del sangue, nell’atto di combinarsi coll’ossigeno ne’ polmoni, sviluppa del calore; 32 gr. di ossigeno cioè 0? sviluppano 15.2 Cal., il che rappre- senta un ‘considerevole effetto termico, paragonabile a quello che si produce quando si formano gli ossidi di argento e di bario. Questa quantità di calore è pressochè il settimo del calore animale totale. Conseguentemente il calore animale risulta di due parti: una, cioè !/, circa, si produrrebbe ne’ polmoni nel momento che l'ossigeno si fissa sull’emoglobina, e gli altri 6/7 si producono ne’ vari organi per reazioni di ossidazione e di idratazione. È vero che se tanto calore si produce nei polmoni si dovrebbe in questi organi osservare un innalzamento di temperatura superiore a quello delle altre parti dell’or- ganismo ; ma, mentre l’assorbimento dell'ossigeno tende a sviluppare calore, la eli- minazione dell'anidride carbonica e del vapore acqueo tendono al contrario ad abbassarla; per cui quasi sempre vi è compensazione o differenza di circa !/10 di grado. Inoltre egli determinò il calorico di combinazione dell’ossido di carbonio coll’e- moglobina e trovò per 28 gr. cioè CO=+ 18.66 Cal. 188 ICILIO GUARESCHI 32 Le difficoltà di queste esperienze sono assai grandi, diceva lo stesso Berthelot, in causa del piccolo peso dell'ossigeno fissato e delle quantità di calore prodotte, dell’eliminazione dell’anidride carbonica ed infine per la difficoltà di misurare esat- tamente i gas e gli effetti termici in condizioni simultanee. Egli e i suoi allievi hanno poi determinato il calore di combustione di nume- rosissime sostanze organiche che trovansi nell'organismo, quali le diverse materie proteiniche, l’urea, l’acido urico, l’allossana, la taurina, l'acido aspartico, ece.; ed il Riibner ha confermato queste ricerche. Riguardo ai fenomeni di idratazione e di disidratazione che avvengono nell’or- ganismo Bèrthelot e Petit dimostrano che l'ottava o forse la nona parte del calore dovuto alle trasformazioni delle sostanze proteiniche nell'economia animale si deve attribuire alla semplice idratazione o idrolisi, indipendentemente dalla fissazione dell'ossigeno esterno. Anche nei fenomeni di polimerizzazione e di fermentazione si sviluppa del calore. Quando il glucosio fermenta, e dà alcol ed anidride carbonica, sviluppa 29 Cal. per ogni molecola (180), cioè circa '/,; del calore di combustione dello zucchero stesso (1864). Le sue memorie sotto questo riguardo sono coordinate nell'opera: Chimie ani- male: principes chimiques de la production de la chaleur chez les étres vivants, 1892, 2 vol. in-18°, chez Gauthier-Villars. Nessuno ha saputo trarre dalle ricerche termochimiche tante conseguenze ed applicazioni importanti come ha fatto il Berthelot. IX. Come Bunsen, e come pochi altri chimici, il Berthelot ha inventato un numero grandissimo di istrumenti e di apparecchi per ricerche scientifiche che si adoprano nei nostri laboratori. Ad esempio, un ozonometro, un apparecchietto per determinre i punti di ebullizione, apparecchi per sottomettere i gas all’effluvio elettrico, per determinare il calorico specifico, il calorico di vaporizzazione ecc., calorimetri, bomba calorimetrica, termometri calorimetrici sensibilissimi, camere a reazioni; apparecchi destinati a far reagire due gas con formazione di un prodotto gasoso; un termo- metro ad aria con serbatoio in vetro per temperature da 500° a 550° e un altro per temperature sino a 1000° con serbatoio d’argento; un apparecchio per decomporre l'acido formico e che serve anche per studiare l’azione del calore su un vapore ad una determinata temperatura. Ad esempio, l'acido formico si decompone a 267° in CO? e H?. d In moltissime delle sue esperienze egli entrava ne’ più minuti particolari e pro- curava di evitare ogni causa di errore; sono, ad esempio, interessanti le sue osser- vazioni Sulla graduazione dei tubi destinati alle misure gazometriche (“ A. Ch. ,, 1888 (6), XIV). Classico è ora il suo apparecchio per la sintesi dell’acetilene, cioè per effettuare la combinazione diretta del carbonio coll’idrogeno in presenza dell'arco elettrico; uno simile fu poi usato da Bone e Jordan per la sintesi del metano. Non si possono 10, MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 189 dimenticare gli ingegnosi apparecchi per dimostrare la fissazione dell'azoto in un campo elettrico a tensioni costanti, usati nel laboratorio di Meudon ; gli apparecchi per la detonazione dell’acetilene e per la misura delle pressioni delle materie esplo- sive e quelli per lo studio dell'onda esplosiva. X. Anche il grande valore del Berthelot come storico della scienza è fuori di ogni dubbio ; io ho dovuto per mio conto conoscere i suoi colossali lavori sull’alchimia greca, araba, ecc., e sulla chimica dei primi secoli del medio evo. Berthelot aveva l’ inestimabile pregio di conescere non solamente quasi tutte le lingue moderne, ma ancora le lingue classiche, greca e latina, per cui ha. potuto penetrare nel mistero della chimica antichissima e completare lo studio della chimica nel medio evo. I limiti delle classiche opere di Hoefer e di H. Kopp furono straordinariamente ampliati dal Berthelot. Dalle più grandi biblioteche ebbe facilitazioni per la ricerca e lo studio di antichi codici, alcuni dei quali inediti e che egli pubblicò, o di codici che si conoscevano imperfettamente e che egli pubblicò interi, completi e coi relativi commenti. Egli arrivò a risultati molto interessanti che riguardano il famoso alchi- mista Geber (Al-Giàbir); dimostrò che la maggior parte degli scritti latini attribuiti a Geber sono apocrifi e furono composti o aggiunti alle sue opere da commentatori latini dei secoli XIII e XIV ; al vero Geber non spettano tutte le scoperte che gli si attribuiscono ; gli acidi minerali, ad esempio, nitrico e solforico non furono sco- perti da Geber. Il Berthelot diede una edizione completa e corretta, in latino ed in francese, con note e commenti, del famoso libro di Marcus Graecus: Liber ignium ad combu- rendos hostes. Berthelot ha fatto conoscere in modo veramente magistrale questo periodo oscuro, in cui pareva che le scienze fossero scomparse; egli ci ha fatto vedere come di età in età attraverso le civiltà egiziana, indiana, greco-romana ed italiana del medio evo, si sia tramandata la scienza sperimentale. Egli giustamente dava un gran valore alla storia della scienza : “ Toute science “ doit étre placée dans son cadre historique, si l'on veut en comprendre le véritable “ caractère et la portée philosophique ,. L'Italia deve gratitudine a questo chimico, perchè egli si è interessato molto ad alcune delle cose nostre più importanti, antiche. A lui dobbiamo la riproduzione di una antichissima opera italiana, detta Compositiones ad tingenda, ecc., o MS. di Lucca del secolo VIII, che era solamente conosciuta in parte per mezzo del Muratori. Egli l’ha commentata e ne ha fatto rilevare tutta l’importanza per spiegare come si tra- mandava la pratica chimica nel medio evo. Col permesso del nostro Governo egli ha potuto studiare, ed in gran parte pub- blicare, un famoso manoscritto della Biblioteca di S. Marco, importantissimo per la storia dell’alchimia. Sotto il titolo di Notizie di mineralogia, di metallurgia, ecc., egli ha riunito un complesso di dati che riguardano autori antichi: Aristotele, Teofrasto, Dioscoride, 190 ICILIO GUARESCHI S4 Vitruvio, Strabone e gli autori del medio evo arabi e latini, e in particolare Geber, Avi- cenna, Pseudoaristotele, Roggiero Bacone, Vincenzo de Beauvais, Alberto Magno, ecc., che schiariscono molti punti oscuri che si trovano negli scritti degli alchimisti greci, e mostrano sino a qual punto la loro tradizione, pratica e teorica, si è conservata sino ai tempi moderni. Incominciò i suoi lavori storici verso il 1884, quando era in pieno lavoro colle ricerche sulla termochimica, sugli esplosivi, sulla biologia, ecc., con due articoli nella Nouvelle Revue, sull’alchimia, che poi completò nel suo famoso libro Les origines de l’al- chimie (1885). Egli si era proposto di conoscere le origini dell’alchimia ed il'suo nesso coll’arte egiziana. La grande memoria di Lepsius sui metalli egiziani, tradotta nel 1877 nella Bibliothèque des Hautes Etudes, diede il primo impulso alle sue ricerche. Oltre alle sue numerose Memorie sulla storia della scienza negli “ A. Ch. ,, egli raccolse tutte le sue ricerche storiche in numerosi volumi. Le sue opere storiche sono le seguenti : Les origines de alchimie, 1885, in-8°, chez Steinheil. È nun libro di carattere storico e filosofico insieme; fu scritto in seguito all’esame di antichi manoscritti e papiri, ecc. Qui egli chiarisce ed espone per la prima volta le dottrine degli alchimisti, le loro idee teoriche sull’unità della materia. In questi antichi documenti, insieme ad idee di misticismo e di réveries, vi erano non pochi procedimenti positivi, e dei fatti ben accertati. Il Berthelot considera gli alchimisti, specialmente del primo Medio Evo, come i primi precursori delle scienze sperimentali. A questa seguirono le voluminose opere seguenti, pubblicate in gran parte a spese del Ministero dell’ Istruzione Pubblica di Francia: Introduction à létude de la Chimie des anciens et du Moyen-lige. 1 vol. in-4°, 1880. Chez Steinheil. Collections “des alchimistes grecs, texte et traduction, avec la collaboration de M. Ch.-Em. Ruelle. 3 vol. in-4°, 1887-1888. Chez Steinheil. A Histoire des sciences. — La Chimie au Moyen-Gge. 3 vol. in-4°, 1893. Chez Leroux. Tome I. — Essai sur la transmission de la Science antique. Tome II. — L’Alchimie syriaque, texte et traduction, avec la collaboration de M. Rubens Duval. Tome III. — L’Alchimie arabe, texte et traduction, avec la collaboration de M. Houdas. Un bellissimo riassunto fatto dal Berthelot stesso di questo lungo lavoro trovasi in due articoli della Revue des Deux Mondes, 15 settembre e 1° ottobre 1893. La Révolution Chimique. Lavoisier. In-8°, 1890. Chez Alcan. Cinquantenaire scientifique de M. Berthelot. 1902, in-4°. Chez Gauthier-Villars. Nel 1906, poco prima che la morte lo colpisse, pubblicò un grosso volume : Archéologie et Histoire des Sciences, 1 vol. in-4°, che comprende anche le sue ricerche riguardanti le applicazioni della chimica alla archeologia ed alla preistoria. In que- st'opera trovansi il papiro greco chimico di Leyden ed il Septuaginta di Geber, e delle numerose analisi di oggetti antichi egiziani, siriaci, ecc., che riceveva dai suoi amici Maspero, Morgan, ecc.; delle ricerche sul cambiamento di volume degli organi e tessuti per la disseccazione, ecc. È il primo chimico che abbia fatto una serie im: 35 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 191 portante di ricerche di chimica applicata all'archeologia senza però pretendere di essere un archeologo. Il suo scopo era di far vedere l’importanza della composizione e del- l'alterazione chimica di oggetti trovati in luoghi e condizioni diverse, ecc., per dedurne l'origine, l'età, ecc. Egli ha avuto la fortuna di trovare dei colleghi di alta intelli- genza: bibliotecari, egittologi, archeologi, ecc., quali i sopra ricordati, che con pre- mura ed interesse per la scienza fornirono a lui un grande materiale di studio; le antichità orientali ed egiziane specialmente debbono molto alla collaborazione del nostro chimico. Era uno dei direttori, ed attivo collaboratore, del Journal des Savants, nel quale dal 1883 al 1906 scrisse più di quaranta articoli che interessano o la storia o la filo- sofia della scienza o la critica; fece delle recensioni di opere nuove, come, ad esempio, quella sulla alchimia indiana del Ray. L’ultimo lavoro suo, pubblicato nel “ Journal des Savants , riguarda: Adalard de Bath et la Mappae Clavicula; in esso fa un po’ di storia della Muppae Clavicula e discorre di questo monaco inglese Adalard del secolo XII (verso 1130), che era denominato philosophus anglorum. Pare, almeno in parte, l’autore, o chi ha aggiunto al Mappae Clavicula. Le sue recensioni, le sue critiche erano sempre elevate, sempre fatte in modo da dare al lettore un’idea chiara del lavoro altrui, e questo anche in cose riguar- danti le applicazioni all’arte. Scrisse le biografie, o elogi storici, di CI. Bernard, S. Claire Deville, Balard, Regnault, Lavoisier, Pasteur, Wiirtz, Milne-Edwards, Brown-Séquard, Decaisne, Mallard, Daubré, Chevreul, P. Bert, ecc. Numerosi. sono i suoi articoli nella Grande Encyclopédie (1885-1900), di cui era uno dei direttori, nella Nouv. Rev., nella Rev. des Deux Mondes, nella Rev. Scient., nel Temps, ecc. XI. Berthelot fu uno dei pochissimi chimici che dai suoi propri lavori trasse delle conclusioni filosofiche d’indole generale. Sempre ha creduto suo dovere di mettere a disposizione’ del proprio paese il frutto delle sue esperienze e del suo sapere. Egli non rifiutò mai nessun ufficio che fosse in relazione con il bene pubblico, sia che riguardasse l'insegnamento o la difesa nazionale o la politica generale. Egli ebbe così occasioni numerose di manifestare le proprie opinioni su argomenti svariatissimi ; e da ciò nacquero quei quattro suoi bellissimi volumi che trattano della Scienza generale in relazione colla filosofia, colla morale, coll’ educazione, cioè : Science et philosophie (1886, in-8°; 22 ediz., 1895); Science et morale (1897, 1 vol. in-8°); Science et édu- cation (1901, in-18°); Science et libre pensée (1905, in-8°). Ha discusso anche il problema religioso, sia come uomo politico, sia come scien- ziato, e sotto i più diversi aspetti, con quella competenza che poteva avere quella poderosa mente. “ Avec Marcelin Berthelot — scrive Ph. A. Guye, direttore del Journal de Chimie “ Physique de Genève — disparaît une des plus grandes individualités scientifiques de “ notre temps, dans laquelle on retrouve tous les caractères de la véritable supério- 192 ICILIO GUARESCHI 36 “ rité intellectuelle: vaste érudition scientifique, connaissance approfondie des langues “ et de la pensée philosophique, sens remarquable de l’expérimentation, grande indé- “ pendance de jugement, talent reconnu d'écrivain ,. Berthelot era una gran mente sintetica ed analitica ad un tempo, esuberante d’idee. L'ultimo suo lavoro, pubblicato pochi giorni prima che la morte lo colpisse, riguarda: La réforme de la langue francaise (1). Si è detto che Berthelot era ambizioso. Dopo l’enumerazione, molto incompleta, di questa massa di lavoro, ditemi se forse non sarebbe giustificata un po’ d’ambizione. In ogni caso, conveniamone, era una bella ambizione quella di un continuato lavoro intellettuale durato sessant'anni. Io vorrei che ve ne fossero molti di questi ambi- ziosi; vi sarebbe meno vanità, meno ignoranza, meno presunzione di sapere. Il Berthelot si può raffrontare con un altro grande francese, egli pure segre- tario perpetuo dell’Accademia delle Scienze e membro dell’Accademia Francese, che ebbe larga mente ed ideali politici repubblicani, l’Arago. La produzione scientifica del Berthelot è anche superiore a quella dell’Arago. Agli ideali della scienza e della politica associava i grandi ideali della famiglia, e possiamo applicare al chimico quanto l’ Humboldt diceva del fisico francese: “ Ce qui caractérisait cet homme unique, c’était aussi le mélange attrayant de la force et de l’élévation d’un caractère passionné, avec la douceur affectueuse du sentiment ,. L’opera scientifica del Berthelot ebbe il suo coronamento, la sua apoteosi, il giorno 24 novembre 1901, quando si celebrò il cinquantenario della sua prima pub- blicazione, nel grande anfiteatro della Sorbonne, alla presenza del Presidente della Repubblica Francese e di 3800 invitati, fra i quali i rappresentanti di tutti i corpi scientifici del mondo. Credo ancora di non avere esagerato quando io in quella solenne occasione dissi: /n vor è quella intima fusione dello scienziato, del filosofo e dell’uomo di Stato che completa in tutto il suo splendore la mente umana (2). Ed in questo caso per uomo di Stato io non intendevo riferirmi alla sua opera come Ministro degli Affari Esteri, ma bensì all'influenza che ha avuto sul progresso dell’insegnamento, perchè: a Lui, insieme a Renan ed a Maury, si deve se il ministro Duruy fondò nel 1868 l’Ecole pratique des Hautes Etudes à la Sorbonne, dove poi insegnarono o insegnano uomini del valore di Darboux, Puiseux, Le .Chatelier, Marey, Ranvier, Gaudry, ecc.; a Lui la legge sulla riorganizzazione dell’insegnamento primario laico; egli era pre- sidente della Commissione che preparò e fece votare questa legge nell'ottobre 1886; a Lui in gran parte la fondazione della Société d’enseignement supétrieur nel 1878; a Lui in gran parte il merito di aver spinto, senza parzialità, il suo Governo a spendere molte decine di milioni pei nuovi Istituti scientifici di Parigi e delle princi- pali Università francesi. Tutta la sua influenza politica l’ha volta al bene ed alla grandezza della sua Patria; e questo è iledovere dello scienziato. Egli era fra i più strenui fautori della pace e dell’arbitrato internazionale: “ La seconde partie du présent volume (Science et libre pensée) — scriveva egli nel 1905 —: Paix et arbitrage international, renferme les gages que j'ai donnés à cette grande entreprise de (1) © Revue des Deux Mondes ,, 15 fév. 1907, p. 721-761. (2) Cinquantenaire Scientifique de M. Berthelot, 24 nov. 1901, Paris, 1902, in-4°, p. 67. 37 MARCELIN BERTHELOT — COMMEMORAZIONE 193 la pacification universelle: noble effort vers un état futur de l’humanité, état peut-étre encore lointain, mais qui a cessé d’éetre regardé comme chimérique et vers lequel doivent tendre sans relàche tous les esprits généreux parmi les peuples civilisés ,. Si può a lui applicare le parole ch'egli pronunciò nel 1900 dinanzi alla statua di Lavoisier: “ È questo un onore, egli diceva, riserbato altre volte agli uomini di guerra o agli uomini di Stato che hanno insanguinato la terra, assai spesso senza nessun profitto durevole per la nazione devota alla loro fortuna; al punto che il filosofo non può considerare la loro opera che con profonda tristezza. Oggi i popoli più illuminati cominciano a mettere in primo ordine i pensatori, gli scienziati, gli artisti. L’avvenire, senza dubbio, continuerà ad ingrandire la memoria degli uomini che hanno servito la razza umana, come Lavoisier, e getterà nell'ombra quegli esseri di sangue e di intrighi, che l’hanno resa schiava e immersa nel dolore ,. Tanto più volentieri ho ricordato il 24 novembre 1901, perchè oggi, nello stesso anfiteatro della Sorbonne, la Francia tributerà solenni onoranze ad un altro grande, ma ad un italiano, al Carducci. Ed ora io provo un vero compiacimento, direi un vero senso di gratitudine nel rammentare quanto grandi siano state le benemerenze della sorella latina verso molti nostri scienziati. La Francia, in tempi di lutto per l’Italia, ha sempre accolto con molta premura ed entusiasmo, qualunque fosse il Governo che la reggeva, molti nostri uomini politici e scienziati più distinti. Sino dal secolo XVIII possiamo ricordare Felice Fontana che per molti anni stette a Parigi, ove fece esperienze importanti sui gas; Luigi Ber- thollet, già allievo del nostro Collegio delle Provincie e laureatosi nell'Università di Torino nel 1768, andò a Parigi nel 1772 e là percorse la sua brillante carriera ; in questo tempo anche il Lagrange, che era stato chiamato a Berlino da Federico II, passò gli ultimi trent'anni della sua vita a Parigi, ove ebbe i massimi onori, rispet- tato dai diversi Governi che si successero: borbonico, rivoluzionario e napoleonico ; Carlo Botta visse molti anni in Francia. Noi non possiamo dimenticare che Giacinto Provana di Collegno, prima soldato della libertà, poi illustre geologo, studiò e si laureò a Parigi, e che dal 1838 al 1843 fu professore di geologia nell'Università di Bordeaux; Macedonio Melloni, il celebre fisico di Parma, esule per i moti politici del 1831, fu professore a Dole, poi prese stanza a Parigi, e per opera specialmente di Arago, che sotto molti riguardi somigliava al Berthelot, potè ritornare in Italia : ed ora che io ho dovuto rivedere tutta l’opera scientifica e la vita del Melloni, so quanto egli amasse la Francia che l’onorò e lo aveva accolto in tristi momenti ; il grande chimico Faustino Malaguti, fuggito dagli Stati Pontifici nel 1831, trovò lieta accoglienza a Parigi nel laboratorio di Gay-Lussac e di Pelouze, e nel 1842 fu nomi- nato professore di chimica nell'Università di Rennes, ove morì nel 1878. Ricordo anche Pellegrino Rossi, esule dal 1815, che fu dal 1833 al 1840 professore di economia politica nel Collegio di Francia, poi membro dell’Accademia Francese nel 1836, e nominato nel 1839 Pari di Francia; e Carlo Matteucci che studiò pure a Parigi. Così potrei dire di Mamiani, che, esule, soggiornò 15 anni a Parigi, scrivendovi le principali sue opere, e fu nominato membro dell’Accademia Francese; di Gioberti e di tanti altri; ma non voglio tacere di Santorre Santarosa che fu amicissimo di Victor Cousin e-da questi fu soccorso come fratello ; il Cousin ne onorò la memoria Serie II Tom. LIX. Z 194 ICILIO GUARESCHI — MARCELIN BERTHELOT - COMMEMORAZIONE 38 con un ricordo in Grecia, a Sfacteria, nel posto ove Santorre morì, e con: splendide iscrizioni dedicatorie nella sua traduzione di Platone. Il nostro grande Cesare Balbo diceva giustamente che sarebbe assai utile si scrivesse una Storia degli Italiani fuori d'Italia. Non pochi chimici italiani, alcuni dei quali divennero illustri, furono bene accolti e studiarono nei laboratori di Parigi, e per non parlare che dei morti, ricorderò : Tupputi che fece dei bei lavori sul nickel presso Vauquelin nel 1812; Faustino Mala- guti sovralodato; Antonio Kramer di Milano, che studiò nei laboratori di Laugier (1828) e di Laurent (1836) e fu uno dei promotori dell'industria chimica lombarda ; Raffaele Piria dal 1837 al 1840 studiò nel laboratorio di Dumas, ove fece le sue classiche ricerche sulla salicina e scoprì l’acido salicilico; Ascanio Sobrero stette presso il Pelouze e nel 1846 a Torino scopriva la nitroglicerina; poi Luigi Chiozza, il fedele ed intelligente assistente e collaboratore di Gerhardt dal 1851 al 1853, che fece tante belle ricerche in chimica organica; D. De Luca per molti anni, dal 1854 al 1859 circa, studiò nel laboratorio di Marcelin Berthelot, e con questo illustre chimico pubblicò numerosi lavori sui derivati allilici e propilici; G. Ubaldini di Faenza, il quale pure studiò nel laboratorio di Berthelot; poi Arnaudon di Torino nel labo- ratorio di Chevreul, di cui fu assistente dal 1853-58; rapolli in quello di Wurtz nel 1858-59. Arriviamo così all'anno fatidico 1859. Bisogna aver avuto la fortuna di vivere in quei giorni in cui scendevano dalle Alpi i soldati francesi, che coi nostri. correvano fidenti alla morte sui campi di battaglia, per avere un'idea dell’entusiasmo patriotico che allora animava le nostre provincie. La morte del Berthelot fu un vero lutto per tutti i cultori della scienza. Dob- biamo essere grati tanto a coloro che ci hanno fatto il bene materialmente, quanto, e più ancora, a coloro che contribuirono ad aumentare il nostro sapere, od a con- fortarci colla lettura delle loro opere nelle lotte del pensiero. Il bene non consiste solamente nei vantaggi economici; oggi, pur troppo, ed è il difetto principale della nuova Italia, tutto si vuol ridurre a questioni economiche; oggi il grande termo- metro è la ricchezza: tutti vogliono arricchire, sia pure con mezzi disonesti; me il bene morale è molto più elevato e duraturo. Il Berthelot fu messo giustamente insieme in un solo pensiero con Pasteur, ma, disse il presidente della Società Chimica di Francia, “ l'ammirazione che si ha per Berthelot è più disinteressata e più riflessiva; essa non si troverà che presso coloro che hanno una cultura intellettuale elevata, perchè le conseguenze dei suoi lavori sono di ordine più filosofico che non pratico ,. Gli immensi onori che egli ha ricevuto, specialmente la sepoltura nel Pantheon insieme all’amata Consorte, gli furono conferiti dal proprio paese non solamente come scienziato, ma ‘anche come patriota, come un uomo di fede repubblicana inconcussa e che ha indubbiamente contribuito al consolidamento morale e- materiale della propria Nazione. Alla memoria del nostro Socio, a questo Genio, onore della razza nostra, esempio di carattere e di costanza nel lavoro, vada un reverente saluto di ammirazione e di affetto. bi MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO MEMORIA II DEL Dr. D. BODDAERT Approvata nell’Adunanza del 29 Dicembre 1907. COMPONENTE ORIZZONTALE Metodo di misura e determinazione delle costanti strumentali. A compimento della mia prima comunicazione relativa ai valori della Declina- zione e dell’Inclinazione nei dintorni di Torino, presento ora i risultati relativi alla Componente Orizzontale ottenuti nelle medesime stazioni. Il metodo di osservazione fu quello di Gauss modificato dal Lamont. In questo metodo si osserva successivamente la durata di oscillazione del magnete e la devia- zione che produce sopra un altro magnete, tenendo il magnete deviatore nelle posi- zioni Est ed Ovest, in modo che il suo asse di figura rimanga sempre perpendico- lare all’asse di figura del magnete deviato (Lamont). Da queste due esperienze si deduce, tenendo conto delle correzioni di tempe- ratura, torsione, induzione, ecc.: sua 2r°K (1+ 2a) [1 + alt — 7)] [1 ca Z| T*R°senp(1 + 0,0000463A) (1 + 38t)[1+ 724 (14 sen®)] R° ove H= componente orizzontale della forza magnetica terrestre; K= momento di inerzia del sistema mobile (magnete e sua staffa); T=durata di un'oscillazione semplice del magnete; a = coefficiente di dilatazione lineare dell’acciaio = 0,000012: Be > L A dell’ottone = 0,000018; t = temperatura del magnete durante le oscillazioni; vi a, dello stesso durante le deviazioni; a = coefficiente di temperatura del magnete delle oscillazioni; he A » induzione E È E 5 A = effetto di 360° di torsione (espresso in minuti d’arco); R = distanza (in cm.) dei centri dei magneti deviatore e deviato; @ =angolo del quale il magnetino è deviato dal meridiano magnetico; H'= valore approssimato di H; p = coefficiente magnetometrico. 196 D. BODDAERT 2 Nella seguente tabella sono riunite le relazioni differenziali dalle quali si deduce il grado di esattezza richiesta per le diverse quantità che entrano nell'espressione di H. (Vedi Memorie del Crnistoni, “ Ann. Uff. Meteor. Centr. , Vol. V, parte I; e del Parazzo, idid., Vol. XVI e XVIII). In queste relazioni si sono trascurati i termini che non possono influire sul ri, sultato finale. Ritenendo che nelle misure in campagna non si può pretendere a una precisione che oltrepassi 1 unità della 4* cifra decimale, nel sistema C.G.S. ed essendo il mas- simo valore di H da me misurato eguale a 0,22, si vede che l’approssimazione sud- x aH = detta corrisponde a —-- = 0,00045. Va4 Dirimpetto alle relazioni differenziali sono notate le approssimazioni alle quali dovevo giungere con i magneti da me adoperati. gr di ( per NL A 278 dK= * 0,25 (ESRI, ì per N.3. K = 265 dK=+ 0,28 de=— GR per R=30 cm.. dR== 0°,009 a d pert—-t=6° . da= + 0,00015 da e (massima differenza raggiunta: 5o 2) = —2 dH | per-H'=0,22 e @=16° dh = + 0,0030 — H'(1+seng) MH (massimi valori osservati) aH dp= 28°. per R—=30 cm.. dp= + 0,8 —2 dH dh = 0000468 En dA°== ca 19' 2 dH d=T 5% 3 dt ==#d'60 IRA di = TIE SIE Sp di =—EST° £ F __ 2 dH per N. 1, a= 0,00032 dit—-71)= + 30 (ei) per N. 3, a=0,00040 d(t—1)=+2° dr=-T% per T= 45 dT = + 05,0017 De dH per p=13° (minima deviazione os- dp= +0',7 pr Lei servata alla distanza R=30) (astraendo dal termine per p=5°30' ( 3: ASL I do =£0',8 in AH) 2 dp= — CATO di . posto anche cosp= 1 dp = +13° (considerando il solo @ del termine in 4H') : (ele 31 2 dH di per N.1. nali + 0,04 dA. =— frei O nen aa per N.3. 3 al = + 0,08 Meritano di essere esaminati più da vicino i risultati relativi a dR, d7 e dg. 1) L'approssimazione da ottenere in R è di 0," 009, cioè circa 1/10 di millim. 3 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 197 Come dissi nella descrizione dell'apparecchio, le divisioni dell’asta metrica sono al- quanto grossolane: perciò si richiede una grande attenzione nel far coincidere l’in- dice del corsoio con le divisioni dell’asta: per ottenere una maggior esattezza, nelle misure del 1906 ho adoperato a questo scopo una lente d’ingrandimento. 2) L’approssimazione da raggiungere in 7 è di 0%,0017. Per determinare la durata di un’oscillazione, nella campagna del 1905 osservavo due serie di passaggi della divisione di mezzo del magnete oscillante dietro il filo verticale del reticolo, di 7 in 7, in modo che tra il 1° passaggio di una serie ed il 1° dell'altra vi fossero almeno 100 oscillazioni, e facevo la differenza dei tempi dei passaggi corrispondenti delle due serie. Invece nella campagna del 1906 usai sempre il metodo del Palazzo, osservando cioè 200 oscillazioni di seguito di 5 in 5, e fa- cendo la differenza tra la 0* e la 100; tra la 5* e la 1058; ecc. Quindi per avere dA7=0%,0017, l'errore di ognuna delle durate dovrebbe essere di almeno 05,17, sempre nello stesso senso, ciò che è contrario alla legge di pro- babilità degli errori di osservazione; tanto più che l’abitudine delle osservazioni astronomiche col metodo “ dell'occhio e dell’orecchio , mi metteva in grado di co- gliere con una certa sicurezza circa il decimo di secondo. Del resto in tutte le os- servazioni la differenza tra le durate di un'oscillazione in senso pari ed in senso dispari non passò che cinque volte 0%,001; ed una sola volta giunse a 0°,0016. Nel valore di 7 non ho tenuto conto dell'andamento del crorometro che si mantenne per lo più intorno a 7°: mi sono assicurato che anche nei casi più sfavo- revoli la correzione da fare al valore di H non arriverebbe a 2 unità della 5* cifra decimale. Così pure non ho ridotto 7 alla durata di un’oscillazione infinitesima, giacchè l'ampiezza essendo rimasta inferiore a 40' la correzione corrispondente di 7" sarebbe stata minore di 0°,00003. 3) L’approssimazione in @ deve essere rispettivamente, alle distanze 30 e 40 cem: 0/,7 e 0/,3. Si vede quindi che per la distanza 40 cm., siamo al limite della precisione richiesta. Di qui si deduce l'opportunità di raddoppiare le misure di devia- zioni, come feci nella campagna del 1906. Una causa di errore in @, particolare ai magneti da me usati, sta nel modo col quale è diviso il collimatore del magnetino delle deviazioni: vi è possibilità di confondere con la divisione centrale altre due distanti da questa circa 40’, ciò che introdurrebbe nel valore di @ un errore di circa 10. Le cause di errore sopra riportate dipendono tutte dall’osservazione. Altre in- vece dipendono dalla costruzione stessa del magnetometro. Queste furono studiate minutamente dal Crisroni nella sua Memoria sulla misura delle deviazioni col magne- tometro dei seni, ecc. (“ Ann. Uff. Meteor. Centr. ,, Vol. X, parte IV, pagina 285 sg. Cfr. PaLazzo, idid., Vol. XVI, parte I, pag. 38 sg.). Applicando le conclusioni della Memoria al mio caso, ho ottenuto i seguenti risultati. 1) La doppia eccentricità del magnetino rispetto all’asta metrica poteva pro- durre delle influenze e e n massime di e= 0,34 alla distanza 30; e=0’,011 alla distanza 40; n=%®,13 , 3 Urdeme .003% | |, , 40. 198 D. BODDAERT 4 2) L'effetto della torsione del filo di sospensione è affatto trascurabile. 3) L’inclinazione 8 dell'asse del magnete deviatore sull’orizzonte può dipendere dalle forchette del sostegno, dalla non orizzontalità dell’asta metrica, oppure dall’in- clinazione dell'asse magnetico rispetto all’asse di figura. Quest’ultima è di circa 12' per il magnete N. 3; e di 5’ pel N. 1. Ho verificato che le forchette sono foggiate in modo che l’asse di figura del magnete rimane parallelo all'asse dell'asta metrica, e che l’asta metrica è sensibilmente orizzontale quando il teodolite è ben livellato ; d'altra parte il teodolite stesso rimase sempre livellato entro 3-4'; mentre, ponendo anche B= 1°, si avrebbe ancora d@<0',2. i Inoltre l’inclinazione 8 dell’asta metrica ha per effetto di diminuire la distanza È nel rapporto R: R(1— cos 8): quindi 8 sarebbe trascurabile finchè rimanesse infe- riore a 1920". 4) L'effetto di uno spostamento laterale 0 dell'asse magnetico del magnete deviatore rispetto all’asse dell'asta metrica è trascurabile finchè 8 non raggiunga 1°, mentre avevo 06<12' per N. 3; e 0<5' per N. 1. 5) Il difetto di perpendicolarità tra i verticali passanti: per gli assi del ma- gnetino deviato e dell'asta metrica produce in @ un errore inferiore a 0‘,2 finchè non oltrepassi 1°; ora ho verificato che la perpendicolarità dei due piani si mantiene entro pochi minuti primi. i 6) Se i centri dei due magneti si trovassero in due piani orizzontali diffe- renti, ammesso che la distanza di questi due piani ammontasse a 1 mm., l’errore in @ non giungerebbe a 2”; ora per mezzo del traguardo di ottone che si può porre sulle forchette di sostegno al posto del magnete deviatore si è sicuri di disporre i due magneti in modo che i due piani considerati non distino di più di 1 mm. Concludendo si vede che le condizioni di esattezza dello strumento erano tutte ampiamente verificate. Ciò non toglie che si debba cercare di ridurre al minimo le sopradette cause strumentali di errore, potendo parecchie di esse influire nel mede- simo senso. Si vede pure quante debbano essere le cautele per ottenere una buona misura della Componente orizzontale, specialmente nella determinazione dell'angolo di deviazione alla distanza maggiore. 5 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 199 Determinazione delle costanti strumentali. I. Momento di inerzia dei magneti. Per determinare il momento di inerzia K di un magnete (o piuttosto del sistema mobile: magnete e staffa) si osservano le durate di oscillazione del sistema dapprima scarico, poi con un sovrappeso di momento di inerzia C noto. Supponendo che H non varii durante l’esperienza, si ha, dopo facili riduzioni : K=C ; 14+2(B— a) CIARA | 1)" [1-4 0,0000463(A; — A) — (a+ 2a)(t, — i] — 1 K e C sono rispettivamente i momenti di inerzia a 0° del sistema mobile e del so- vrappeso (cilindro nel mio caso); 313 ove T, t, A sono la durata di oscillazione, la temperatura e l’effetto di 360° di torsione, per il sistema mobile scarico; Ti, t1, A; le quantità analoghe per il sistema caricato del cilindro di inerzia; 0) il coefficiente di temperatura del magnete; a e f_ i coefficienti di dilatazione lineare dell’acciaio e della materia del cilindro addizionale (ottone) a = 0,000012 B= 0,000018. Dall’espressione di KX si traggono le seguenti relazioni differenziali: c 1 dK c (eZ ie (DE tan 1/4 i Ubrta lE (a+ 2a) (F Je ge dk. ar, LO gg, d(6,-4)= a SE - î 1 1 ; 5 ($) s5 2 (3 K? 0,0000463 (F) K* Sostituendo alle diverse quantità i loro valori ottenuti nelle esperienze, si trova che per raggiungere in dX le rispettive approssimazioni di 0,25 e 0,23 per i ma- gneti N. 1 e N. 3, si deve ottenere: d= 0,49; dAi,-A)=12; dtt) =1°,7; dl = 0,0012;.dT7,= 0,002 per N. 1; dT =0,0014; dT7,= 0,002 per N. 3. Si vede che il grado di precisione richiesto si può raggiungere facilmente nelle quantità #, t,, 4, A4,; e che basta un po’ di attenzione nella determinazione di Mat, Cerchiamo a quali condizioni si ottiene 4C= 0,49. Essendo per il nostro ma- 200 D. BODDAERT 6 gnetometro i corpi di sopracarico cilindri circolari retti di ottone oscillanti (teorica- mente) intorno ad un asse normale nel punto di mezzo all’asse geometrico si ha: = PH +] dove P è la massa; L la lunghezza; D il diametro. Quindi dee ii Bse Ap dP= dC; abi ni dC. dD= "i DC. Dunque per avere dC = 0,49, debbono essere al più dP= 0€,057; dE'=0"00£5:4D =02.0615: Nelle misure di P, L, D si raggiunge facilmente un’esattezza molto maggiore. Per la determinazione di KX avevo a mia disposizione i tre cilindri di ottone di Torino. Questi cilindri non portano nessun distintivo all'infuori di certe macchie che ho notate con cura. Le dimensioni ed i pesi dei tre cilindri furono misurati a Modena dal D". Teglio. Le medie delle misure, ridotte a 0°, sono le seguenti: Cil. I P=62£,82159: << I—992:93224135 40 0299203 Ri Cil. II 63,994576 10,05259 0,993498 542,86 Cil. INI 63,66276 9,916018 0,9951 525,59 Ne risultano per C i valori portati nella quarta colonna. Non adoperai il cil. II, perchè porta una grande macchia di ossido (o di amal- gama ?). Invece usai anche i due cilindri del prof. Palazzo, contrassegnati Nu ed N Esperienze sul momento di inerzia dei magneti. Feci queste esperienze: a Montaldo Torinese, il 19, 20, 22 e 23 novembre 1905; nella Biblioteca dell’Osservatorio di Moncafieri, nelle notti 6-7 e 8-9 dicembre 1905. I valori ottenuti in queste due serie valgono per tutte le misure fatte fino al 4 agosto 1906. Avendo poi smontato i magneti per lo studio del coefficiente di in- duzione, feci a Montaldo, sul solo magnete N. 1 che mi servì in seguito, altre due serie di determinazioni, il 14 agosto ed il 18 settembre 1906, ed i nuovi valori valgono per le misure fatte dal 10 agosto al 18 settembre. 7 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 201 Ho cercato sempre di togliere l’eccentricità del cilindro di sovracarico rispetto alla verticale passante per il filo di sospensione, col mezzo suggerito dal Palazzo, (“ Ann. Uff. Centr. ,, Vol. XVI, p. 50), procurando che il medesimo punto del col- limatore coincidesse sempre col filo orizzontale del reticolo del cannocchiale. Nelle tabelle qui appresso sono riportati i risultati delle misure. Anche in questi risultati si può notare il fatto rilevato dal Palazzo (p. 55), di una differenza siste- matica nei valori di X ottenuti coll’uno o coll’altro cilindro, differenza da imputarsi probabilmente alla non omogeneità della materia dei cilindri: il cilindro II dà valori De di X più elevati. Momento di inerzia del Magnete N. 3. Magnete Ti, | dh | Ai | A t i t | K Montaldo, 1905, Novembre 19. sen E '; i 4,08080 66,2 9,0 come Il. .| 7702136 | 117,0 9,2 | ‘264,70 eowreil. II 3% || 7,11857 112;2 | 9,3 | 265,05 salle ia. 4,08055 8,8 convell. I. |-V11I7I4 110,5 8,8 265,05 concili, I. .| 7,02082 106,0 | 953 264,70 Eli CSR, SRI 4,08015 76-59 CON FO Montaldo, 1905, Novembre 22. SOlO4 te LL . |, 4,04190 ISO 14,4 | con cil.. TI... UU. | 6,96058 95,9 | 14,1 264,26 eonccil.-Il--. | 7,05425 94,5 193 .| 264,62 00 LIE a MR CHIA 4,04085 Bor comvell I... | 7,03667 94,5 9,6 | 266,02 con.cil..L..#........6,94617 95;9 8,5 ___| 264,86 20105 SR RT 4,03575 Sl 8,0 Moncalieri, 1905, Dicembre 6-7. molesta. ; . | 4,21470 18,5 TL;3% | eoncoll. Ni <> | 7,36517. | 34,0 )GIES7, | 265,16 con cil. Niy. .| 7,40750 lc3739 12,3 | 265,04 lo Di. 421658! | 18,0 112,9 con cil. Niv. . 7,40990 94,9 12,6 | 264,91 con cil. Nar. .| 7,36766 34,5 | 12,4 265,07 2201100 PO IE 4,21655 ie Ai 12,5 Media dei 12 valori: K = 264,98 + 0,08 Serie II. Tom. LIX. ae 202 D. BODDAERT 8 Momento d'inerzia del Magnete N. | Magnete T, | D | A | A | Ù | t | K Montaldo, 1905, Novembre 20. solo ‘4,42105 | | 76,5 8,5% con cil. 7,49255 127,2 | 9,0 277,27 con cil. II 7,59449 126,6 | 9,0 277,62 solo E 4,42398 76,5 9,0 con cil. II 7,59347 128,0 | 9,2 277,79 con cil. I 7,49549 | 126,7 9,5 277,27 Montaldo, 1905, Novembre 23. solo : 4,38145 63,0 14,9 con cil. I 7,42467 105,6 16,2 277,47 con cil. II 7,52500 103,6 14,5 277,64 solo ; 4,38105 13,9 con cil. II 7,92217 103,4 12,6 277,86 con cil. I 7,49549 101,8 10,8 Piede i 7 (0 solo 4,37985 60,0 10,3 Moncalieri, 1905, Dicembre 8-9. solo Cai 4,51883 23,6 10,0 con cil. Ny . 7,07125 39,5 10,5 277,93 con cil. Nyy 7,81442 40,8 10,6 277,83 solo 27 4,51795 21,7 10,6 con cil. Niv. 7,81610 39,4 il 10,7 277,63 con cil. Ny . 7,17108 38,3 L0,7 277,95 solo 4,51895 20,0 10,6 » Media dei 12 valori: XK = 277,66 + 0,053 Montaldo, 1906, Agosto 14. solo | 4,51220 | 19,9 24,2 con cil. I 7,66768 34,4 25,0 277,82 con cil. II 7,77167 33,3 25,3 278,27 solo 4,52600 1959: % 25,9 Montaldo 1906, Settembre 18. solo : 4,51220 | 21,7 | 19,9 con cil. I 7,64725 36,2 20,2 277,73 con cil. II 7,14975 35,6 20,4 278,31 solo 4,51280 19,5 20,3 Media dei 4 valori: K = 278,03 + 0,10 Li 9 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 20€ II. Esame dell’asta metrica. Questo esame fu fatto a Modena dal D.r Teglio. Ecco i risultati delle misure ridotte a 0°: Mis. dir. 44°44° mm. 880,09637 Tratto = 10%44%.. , 340,00547 Î ii Va MR 1008518 Sitter a 44 sinistra 44%44° —, 880,09065 Dee Diff. > 0,00572 ‘Mis. dir. 39°%39° mm. 780,1259 , 1039 , 290,0123 | 4 99/39. . i en Modi 39 Di ea 39.39, 780,1285 \ sic Diff. , 0,0026 Mis. dir. 34°34° mm. 680,1296 s 0 10%34 =, 240,0220 fa 9434, ci DEI E ig TC dA Ro | 94°-34° , 680,1369 MORO Diff. pr 00064 | Mis. dir. 30°30° mm. 600,1398 s 1030 , 200,0353 i 30°-30. "0 140%30* 7 4001099 | Media 30 A nio Î 30230°* , 600,1452 \ 0 9 Diff. eo 0054 | Mis. dir. 26°-26° mm. 520,1188 all ora 1599955 Î et ORSRG I Sig 1052600, 360/1250 } Media o Î 26%-26° =, 5201205 muri Diff. 7 0,0017 Ho avuto queste misure soltanto nell'ottobre 1905, quando aveve già eseguito tutte le esperienze di deviazioni del 1905 alle distanze 30 e 40 cem. Dovetti dunque determinare la lunghezza del tratto 40° — 40% Adoperai a questo scopo il piccolo comparatorè della Scuola del Valentino. Non disponendo di un metro campione, misurai in giri della vite micrometrica del comparatore le distanze 44-40, 40-39; dalla media di 32 misure risultò : distanza 39° — 40° mm. 10,00906 39° — 405 9,94043 lunghezza 40°— 40° mm. 800,0767 +0,0039 III. Coefficiente di temperatura dei magneti. I coefficienti di temperatura dei magneti vennero determinati all'Ufficio Meteo- rologico Centrale, nelle notti 2-3 maggio 1903 per N. 3; e 9-10 maggio per N. 1. Il metodo usato fu quello dei seni. Il magnete in istudio era immerso in un bagno del quale si faceva variare la temperatura (Cfr. Caistoni, Sulla misura del Coeff. di Temper. dei magneti, “ Mem. della R. Accad. di Modena ,, vol. IX). 204 Chiamando w;, D. BODDAERT in istudio alle temperature t,, #, si ha la relazione: Non occorre rendere questa formola calcolabile coi logaritmi ; = sen Wi sen W adoperare i logaritmi di somma e sottrazione. Il coefficiente così definito non è costante, sione della forma: /(t) = a +- ft. Il coefficiente medio tra due temperature #, e #, sarà dato da Si potranno così calcolare delle tabelle dei valori che prende il coefficiente ayti = UELEÌ ti uu ti medio intorno alle temperature 5°, 10°, ecc. Ecco i risultati delle misure e dei calcoli. Le temperature sono le medie cor- rette delle letture fatte su due termometri. Magnete N. 1 Magnete N. 3 1903, 9-10 Maggio 1903, 2-3 Maggio VI VI ID Do dI I DD fn a (30) ba Do n VI Das IS) - I Da i - (55) DD N - SO, ID z a Sì > 00 > Ct a So © ° © oto uwi o I N rg del t w 0,06 38. 41,5 20,81 38.19,0 40,72 37.56,0 20,31 * 38.19,0 0,00 38.39,8 20,36 38.19,9 39,83 37.56,9 20,61 38.18,1 0,04 38.40,5 In base a questi dati si ottengono per « i seguenti valori: Magnete N. 1 Intervallo 0°-20° (da 0,13 a 20,51) 0°-40° | | Intervallo )| (da 0,13 a 39,38) | Intervallo 20°-40° (da 20,51 a 39,38) Intervallo 0°-20° ‘(da 0,03 a 20,52) | | 0,000292 0,000293 0,000295 0,000395 423 | 351 273 373 370 | 348 327 356 0,0008310 0,000308 0,000307 0,000397 ! mati ate bat pat 0,000348 0,000325 0,000301 0,000380 Magnete N. 3 Intervallo 0°-40° (da 0,03 a 40,28) 0,000409 393 394 0,000400 0,000399 10 ws, le deviazioni prodotte sul magnetino sospeso dal magnete è molto più spiccio ma varia con la temperatura; è quindi logico cercare di rappresentare il coefficiente medio tra 0° e #°, con una espres- Intervallo 20°-40° (da 20,52 a 40,28) 0,000426 416 436 407 0,000421 I e e e-|à|t|/_|tTTtlliI|EELM7 eaOTTTTT _1111_1_ TIT” I Ze éEeèeèe=e] e 11 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 205 Considerando che le 1° e le 3° letture di ogni serie corrispondono a temperature in aumento, e le 2° e le 4° a temperature in diminuzione, si vede che anche qui non vi è nessuna differenza sistematica tra gli uni e gli altri valori ottenuti (Cfr. PA- LAzzo, loc. cit., pag. 43, nota; CHistonI, Mem. cit., pag. 22). Dai risultati sopra riferiti si deduce il coefficiente medio tra 0° e #°: per N. 3: f(t) = 0,00035818 + 0,0000010779 #; per N. 1: f(t) = 0,00037434 — 0,0000012454 £. È degno di nota il fatto che per il magnete N. 1 il termine in f è negativo. Con queste espressioni di f(t) si possono calcolare, per mezzo della formola sopra citata, i valori del coefficiente medio fra le temperature #, e #>, distanti 10°, e si ottengono le seguenti tabelle: Magnete N. 1 | Magnete N. 3 | = = Coefficiente medio | Valevole | Coefficiente medio Valevole fra per temperatura | fra per temperatura intorno a || __ intorno a 0° e 10° | 0,000362 5° | 0°e 10° | 0,000369 o 5 e 15 349 10 | Divers; | 380 | 10 10 e 20 337 15 ERIGERE 991 15 15 e 25 325 20 Lage Za 401 20 20 e 30 312 25 20 e 30 | 412 25 25 e 35 300 30 dhe 95 423 30 380 e 40 | 0,000288 35 30 e 40 | 0,0004834 95 IV. Coefficiente di induzione dei magneti. La determinazione del coefficiente di induzione fu fatta col metodo del Lamont, osservando le differenze delle deviazioni prodotte dal magnete collocato vertical- mente, a seconda che il suo polo N è rivolto a Zenit o a Nadir. Questo: metodo fu criticato vivamente dal Wild; ma tanto il CHIstoNI (£ Memorie R. Accad. di Modena ,, S.II, vol. IX; S.II, vol. III) che il Parazzo (“ Rend. R. Ac- cademia dei Lincei ,, 1886, vol. I, due Note) hanno dimostrato che il metodo del Lamont somministra il valore del coefficiente di induzione con una approssimazione più che sufficiente per il nostro scopo, se è usato con le debite cautele, specialmente per ciò che riguarda la perfetta verticalità del magnete deviatore, l’invariabilità della sua distanza al magnetino deviato, e l’eliminazione dell’eftetto della dissimmetrica distribuzione del magnetismo nelle sbarre (1). Mi sembra che a queste condizioni risponda pienamente il sostegno acquistato dal Gabinetto di Fisica della R. Università di Torino, ed eseguito dal Fascianelli (1) A conferma di queste asserzioni, vedasi: “ Jahrbuch der Meteorol., Erdmagn. und Seismol. Beobacht., di Pola, anno 1902, pag. XXXI. Per due magneti studiati si ha, col metodo del Lamont: 0,00957 e 0,00998 ; vol metodo di Weber: 0,00954 e 0,00992. 206 D. BODDAERT 12 sotto la direzione del prof. Palazzo. Pregio principale di questo sostegno è che tutte le rettifiche si possono verificare per mezzo dell'orizzonte artificiale, quindi con grande esattezza. Il Lamont ammetteva due coefficienti di induzione %, ed %,, corrispondenti ai casi ove la forza inducente tende a indebolire oppure ad aumentare il momento ma- gnetico dell'ago, e che starebbero tra loro nel rapporto 4:3. Però le ricerche del Kohlrausch, del Sack e del Wild hanno dimostrato che, se questa differenza esiste, essa non può avere nessuna influenza finchè si tratta di forze magnetiche dell’ordine di grandezza del campo terrestre. D'altronde, anche ammessa la relazione del Lamont, si vede facilmente che l’errore introdotto nell'espressione di %X, sostituendo 4(1+ sen) a (f£, + As seng), sarebbe uguale a !/7 A(1 — sen®); e fatto anche senp = 0, questo errore sarebbe uguale a %/,; cioè, nel nostro caso, dh= 0,0008 per il magnete N. 3, e dh=0,0016 per N. 1; mentre basta ottenere. dh = 0,0030. Per calcolare % serve la formola del Lamont sotto la forma data dal Palazzo a pag. 488 (Nota I, sop. cit.): 1 ’ tg g P_P) h= Vie= , Htg tg 3 (P+) ove le @ e 9’, come pure le letture a dalle quali si deducono @ e ', hanno il me- desimo significato che nella nota citata. Questa formola dà luogo alle seguenti relazioni differenziali: H sen 2I dH=—# dH; dI=—-9° dh; d(P —_ P) = i dh; d(® a - p') POT dt CA Per ottenere l’approssimazione dh = 0,0030, basterebbe avere: dH= 0,105 per il magnete N. 3; dH= 0,053 per N. 1; CN RZZIA ba È LI N. 3; al—"0 Sa [ef hi dg —@)= 1,7 h s N. 3; d@—-@)=1',5 NC d@+4+@)= 12° x , N. 3; d@+9'’)=6° zeNis ld Si vede che gli errori in H, I e (@ + ©’) non sono temibili, e che basta un po’ di attenzione nelle letture per raggiungere il grado di esattezza richiesta in (@—@). Per la determinazione di % avevo a mia disposizione due serie di misure: quelle fatte a Roma dal prof. Palazzo nel maggio 1903, e quelle fatte da me a Montaldo nei mesi di agosto e settembre 1906. Noterò che nell’ultima serie di Montaldo, in- vece di girare il magnete intorno al suo asse di figura di 180°, l'ho girato quattro volte di 90°; per cui ritengo quest’ultima serie più soddisfacente delle altre. 13 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 207 Coefficiente di induzione del Magnete N. 3. i Roma, 1903, Maggio 17 | Montaldo, 1906, Agosto 7 || Montaldo, 1906, Sett. 10 Da 0.30 Da 1.12 Da 3.37 Da 4.21 Da 2.28 Da 3.30 a 1.7 am. n 1.45 am. || a 4.20 pm. | a 4.58 pm. || a 3.22 pom. | a 4.32 pm. ! la) ’ I | a; 60.26.25 60.29.00 | 111.43.10 | 111.46.40 | 42.13.40 42.18.50 d, 19.15.05 19.16.25 86.18.40 86.17.30 | 16.58.40 17.02.10 0, 19.02.40 19.04.15 86.14.00 86.13.30 || 16.55.50 17.00.20 CA 60.27.50 60.29.00 | 111.40.10 | 111.44.10 | 42.09.40 42.15.40 a; 19.02.05 19.03.15 86.17.40 86.15.30 | 16.57.20 16.59.00 cy 60.21.25 60.20.35 | 111.48.50 | 111.48.50 | 42.16.50 42.14.40 cd 60.21.00 60.22.35 || 111.51.40 | 111.51.30 || 42.20.10 42.19.40 ag 19.12.50 19.14.00 86.21.10 86.19.30 | 17.00.30 17.03.00 >@—-9)| 2.40” 3/07" 145" 1.39” 1.40” 1,45" + da ei DO 620.35’ 620.38" ?: S0R . | 0,239 0,20225 0,20283 h 0,0056334 |0,0065846 | 0,0057775 |0,0054354 | 0,0055177 |0,0057840 Media : (scartando il 2° valore di Roma) }R = 0,0056896 si Coefficiente di induzione del Magnete N. |. Roma, 1903, Maggio 14 Montaldo, 1906, Agosto 7 || Montaldo, 1906, Sett. 19 I | | Da 0.51 | Da 1.53 | Da 9.28 | Da 10.20 | Da 9.36 Da 10.50 i a 1.53 am. | a 2.29 am. | a 10.17 am. | a 11.04 am. |a 1041 am. | a 11.52 am. % | ! | n di 58.19.20 | 58.08.05 | 110.29.30 110.30.00 | 41.00.40 40.56.10 DE , 21.14.20 21.25.15 88.00.20 | 87.53.30 | 18.26.40 18.22.50 03 | 21.01.55 21.07.20 || 87.50.35-| 87.45.30 || 18.18.20 18.13.40 4 58.18.05 58.07.15 110.26.10 | 110.22.00 || 40.55.00 40.53.10 az 21.18.20 | 21.08.20 87.51.00 | 87.49.30 || 18.19.50 18.17.20 (CS 58.10.45 58.18.20 110.29.55 | 110.26.20 40.56.30 40.50.00 07 58.12.55 | 58.26.20 110.34.20 | 110.30.00 41.02.40 40.59.00 Az 21:30.15 | 21.19.35 87.58.50 | 87.57.50 || 18.24.40 18.20.20 + (0-9) 3.28” | 4'.45" mir | 37.00" | 3.07” hO +0 + gp!) 18°.29".32" |18°.29".56” |11°.17".24" |11°.17°.15” ||11°.18".15” |11°.18".01” Wi. |b5eso | 62°,35" | 620.38’ di. . | 0,239 il 0,20225 I 0,20283 | | Il | h 0,008245 0,011293 | 0,011565 0,011214 | 0,011574 0,011207 Media : (scartando il 1° valore di Roma) 4 = 0,011371 208 D. BODDAERT 14 DI V. Coefficiente magnetometrico. x poso i LA en] H Nell'esperienza delle deviazioni, il rapporto + è espresso da H _ 2(1-at)(1—AH'sen@) p MI R3(1-+ 38t)sen® + R?(1-+-2Bt) TA Si dimostra che il termine di correzione di 4° grado in È è trascurabile, nel magnetometro dei seni, quando le lunghezze dei due magneti sono nel rapporto 1:0,47. I magneti di Torino verificano sensibilmente questa condizione. p si chiama coeffi- ciente magnetometrico. Scrivendo: 21—at)(1—AH'senp,) ca ip Ai ci R;î(1 + 3BT,) sen, x e supponendo H invariato da una misura all'altra, si ha: Ga - i RA +267,) La AA ala Aa I Pi PE Ai - RA1+2%8m) _ di RA1-+280,) — RAI+280) — RAI+28%) 4 Nella sua Memoria Sul calcolo del coefficiente magnetometrico (* Atti R. Aceca- demia di Torino ,, XXIV, 310 sg.), il Chistoni stabilisce a quale grado di esattezza si deve giungere nelle varie quantità che figurano nell’espressione di p. In base a questa discussione egli propone una formola molto più semplice. Il Palazzo (loc. cit., pagg. 58, 60) mosse contro questa formola alcune critiche alle quali il Chistoni ri- spose in una nuova Nota (Atti R. Acc. Torino, XXXV). Per parte mia, a fine di controllare meglio alcune mie osservazioni, caleolai i*valori di p colla formola esatta. Il calcolo era certamente più laborioso; però si semplificava alquanto con l’uso dei logaritmi di somma e sottrazione, e delle tabelle dei logaritmi di (1 + 281), [14 (a + 38) (1a — ty) Avendo fatto i calcoli con la formola esatta, ho voluto anche dedurre da questa aan kx 4 CR i " A le relazioni differenziali relative alla quantità che vi figurano. Scrivendo ai sotto 2 la forma: [1 + (@+ 38) (1,— ni)] [1 AH'(seng; — senpy)] E Sm® R,} sen” e chiamando, per abbreviare, [H] il termine in #RH', per ottenere p con l’approssi- mazione di 0,8, nelle condizioni più sfavorevoli, dovevano essere: d + — 0,00032; d[HA)=0,00035; d(t1$—t)= 08; Ar dR,=0°",0034 (per Ri=30); dR, = 0°%,0043 (per R, = 40); dog =8" (per pg» = 59,45') dp = 0,000367 tgp | dp, = 18” (per p,= 15°. 15 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 209 Non vi è da far quistione sul termine in H?#', giacchè il suo massimo valore è stato 0,00031. Invece si richiede una grande precisione nelle altre quantità. — d(r, — t,)= 0,8 vuol dire che non si deve sbagliare in t di più di 0°,4 nelle singole osservazioni. La lettura del termometro si fa con maggiore esattezza, ma non è altrettanto sicuro che il magnete abbia entro questo limite la temperatura segnata dal termometro. Quanto all’approssimazione 0°,0034 da raggiungere in R,, si determina, è vero, il valore di R con maggior precisione, ma è ben difficile, nel mettere a posto il cor- soio, di non sbagliare che di 3/00 di millimetro. La precisione da raggiungere in @ alla distanza maggiore è quasi tripla di quella richiesta per il calcolo di H, e non si può ottenere certamente con un circolo che dà i 20”; tanto più che le variazioni della Declinazione possono passare di molto questo limite durante le esperienze. Non è quindi da stupirsi, come concludono il Chistoni ed il Palazzo (1. c.), se i singoli valori di p si allontanino dalla media di anche 3 unità. (Nelle mie misure la divergenza massima fu 2,08). A causa della grande precisione richiesta, mi sembra che il calcolo del coeffi- ciente magnetometrico fornisca il miglior controllo della bontà delle osservazioni. LS Valori di p Estate 1905: Magnete N. 1 Inverno 1905-6 (Montaldo) 23,74 Masnete. N..1. oui28:532 Moncalieri R. C 0 a rl Magnete N. 3. . 26,84 22,88 i. 24,10 Moncalieri Langa . 23,29 Giaveno. 0.0 2647 | Estate 1906: Magnete N. 8 pane 24:04 Cher: a. .,024,82 25,84 Lucento . 25,87 Castelnuovo . . . 24,04 NE o 26,38 BRE 8g o CE catorant (1 28,96 23,81 | Montaldo . . . 22,96 | Lanzo. . : . . 27,26 Soperga . . . . 22,28 Moncalieri Langa . x Casalborgone . . 23,64 = È E \ 26,36 Chivasso, 410... 29.44 Moncalieri Vallere 95-62 Nebbimo, iL 0 Ii Ho RA:20 Moncalieri R. C. . 27:39 Roio e 267 ( 25,49 Media — 23,68 Media = 26,60 Serie II. Tom. LIX. B! 210 D. BODDAERT 16 Valori di p Estate 1906: Magnete N. 1 Estate 1906: Magnete N. 1 | | 23,73 | orso 23,18 Ciriè II . e 9971 | Casalborgone . 23,59 È lle 23,52 Gassino . N” 2338 | Poirino . : 2474 Montaldo: 1.10; 22:55 | Rivoli. i ni 0 22,36 cli 24,18 Chieri 30. 2134 Avigliana 2495 23,28 Ù Soperga . “nf 29.61 Pianezza > iti} - i n Pino. . <>. Ta. 1028ph Mavi j 2000 Riva 24,22 7 ° "| 23,99 Carignano ; ssa 25,89 ’ Castelnuovo : i 95. 6 4 4 Pinerolo . i 3 dA Settimo: >. teo 21.64 Chivasso. ‘ sO None . _. È Here . Media = 23,59 VI. Formola ridotta per il calcolo di H. Ho adoperato la formola data dal Palazzo (1. c., p. 62), formola che si deduce dall'altra moltiplicando alto e basso per (1 + 3Bt). Mot: K L ta | (1—0,00008) 111 +39)029 —— R*1 + 0,0000463A) [1 + 24'(1 + sen@)] T*seng@ : In ogni serie di esperienze possiamo rendere costanti i fattori (1 — 0,00003t); (1 + 00004634); [1 +4" (14 seng)]; assumendo per #, A, H, @, le medie di tutti i valori osservati nella serie. Infatti, sommando gli errori massimi che possono ri- sultare da questo modo di procedere, si arriva a un errore complessivo di appena 4 unità della 5* cifra decimale. 17 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 211 Il calcolo di H si può quindi eseguire per mezzo delle seguenti formole ridotte: Estate 1905. — Magnete N. 1. (R,= 30) logH= 9,6582724 + 5 log[1 + (a + 38) € — t,)] — log7 — zlog Sen®,; (Rs = 40) log = 9,4685808 + 3 log[1 + (a + 48) © — t,)] — log — log seng»; Estate 1906. — Magnete N. 3. (ER, = 30) log = 9,6491344 + (R, = 39) logH= 9,4757480 + CRCR È (R, = 30) logH = 9,6582647 + (R,= 39) logH= 9,4851891 + i | Estate 1906. — Magnete N. | (fino al 4 agosto). Estate 1906. — Magnete N. I (dopo il 10 agosto). (R, = 30) logH= 9,6585539 + (Es = 39) logH = 9,4854783 + è) S_cw 6 9.0 e Do D. BODDAERT Risultati delle misure. 18 Riferirò successivamente, per ciascuna stazione, i risultati delle esperienze di Oscillazioni e di Dev iazioni. Nei quadri delle Deviazioni, le notazioni “ Magnete a E. ,, “ Magnete a W. , indicano la posizione sull’asta metrica del magnete deviatore rispetto al magnetino deviato; “ N. a E.,, “ N. a W. , indicano la posizione del polo Nord del magnete deviatore. 1905, Luglio 11 Moncalieri R. Castello — Oscillazioni. 1905, Luglio 14 Luglio 14 (notte) Da 4.16 a 4.31 pm. 134 oscillazioni In senso In senso pari dispari 9.53,8 9,53,9 9.54,1 9.53,8 9.59,7 9.53,8 9.53,4 9.52,9 9.536 | 9.532 9.533 | 9.58,8 9.59,5 AT Durata di un’oscillazione 4,43006 4,42974 Da 9.7 a 9.21 am. 118 oscillazioni Da 10.50 a 11.4 pm. 112 oscillazioni ‘Luglio 15 (notte) Da 1.14 a 1,27 am. 108 oscillazioni - Durata di un’oscillazione 4,43693 4,43741 4,42738 4,4269 Durata di un’oscillazione | Im senso In senso In senso In senso In senso | In senso | pari dispari pari dispari | pari dispari 8.43,8 8.43,6 8.16,3 8:16, 10. 068 | 7.58,9 8.43,7 8.43,5 8.15,8 8.:15:8- (| 2B8520| 70686 8.43,3 8.43,7 8.15,8 8.15,7 7.58,4 | Mds 8.43,6 8.43,7 8.15,6 oloni 7.58,2 7.58,9 8.43,2 8.43,7 8.169,97 | 68215,8 7.58;8-| ‘758,9 8.43,8 8.43,6 8.15,8 8.16,0 C-98)9 7.58,0 843,5 | (84350 | 8.158 | 815,6 | 7.585,91) 7.588 ‘| Durata di un’oscillazione 4,43055 4,42831 Med. = 4*;42990 | Med. = 46,43717 Med. — 4°,4271 Med. = 45,42943 IS | i = 2954 n bi 299,9 i.='215,8 A=- 3540 NZIGAE ADE (Ia Deviazioni. i Magnete a E. Magnete a W. | | Durata R 7 | ® T i Na |Naw |naw. | nat. 1905, Luglio 11, pm. Da 5.27 | Div.30 | 48.18.15 | 20.40.30 |®21.10.40 | 47.34.25 | 13.30.23 | 31,4 a 6.10 | ‘, 40 | 40.12.10] 28:48:20 | 28564105 103900600 5.95.45 30,9 1905, Luglio 14, am. Da 9.48 | Div:30 | 47.03.40 | 19.21.00 | 19.50.40 | 46.12.50 | 13.31.08 | . 28,5 a 10.27 » 40 | 38.50.45 | 27.26.20 | 27.36.00 | 38.34.40 5.35.46 | 29,0 1905, Luglio 14 (notte) Da 11.30 | Div.30 | 46.34.00 | 18.52.00 | 19.19.50 | 45.46.00 | 13.32.03 | 23,7 a 12.07 40 | 38.21.00 | 26.57.00 | 27.05.00 | 38.06.20 | 5.36.20 23,8 1905, Luglio 15 (notte) Da 0.21 | Div. 30 | 46.34.00 | 18.52.20 | 19.19.45 | 45.46.20 | 13.32.06 22,7 a 0.45 » 40 | 38.22.20 | 26.26.20 | 27.06.40 | 38.07.00 5.36.35 22,3 19 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 213 Combinando per ciascun giorno il valore di 7° con i valori di g si ha: 1905 Luglio 11 pm. H:=:0;21266;...0,21263 ” atibid&sam. Hi==:21231 021287 A » 14 (notte) H=0,21267; 0,21265 x » 15 (notte) H=0,21251; 0,21244 Media dei valori di giorno H = 0,21249 4 "RPG 7 i 1 H= 0,21257 Media generale: H = 0,21253 Moncalieri Vallere — Oscillazioni. 1905, Luglio 18, pm. Da 2.32 a 2.47 — 134 oscillazioni In senso pari In senso dispari 9.50,7 9.50,9 9.50,9 9.50,6 9.50,7 9.51,0 9.50,9 9.50,8 9.519 9.50,9 9.50,8 9.50,8 9.51,2 9.51,1 Durata di un’oscillazione 4,4099 4,4095 Med. = 4°,4097 diS2550 ANE=MR55 Deviazioni — (1905, Luglio 18, pm.) Magnete a E. Magnete a W. Durata R ® T Noa E. NawW. NEW ear: Ba 1.17 | Div.80 |291.37.30 | 263.59.20 | 264.44.00 | 290.41.40 | 13.23.58 27,8 a 1.49 » 40 |283.26.20|272.03.40 | 272.16.10 | 283.08.40| 5.33.48 27,4 Da 1.58 » 20 |291.35.20 | 263.57.40 | 264.36.00 | 290.42.00 | 13.25.55 PATO, a 2.20 » 40 |283.26.20 | 272.03.20 | 272.15.00 | 283.09.40| 5.34.18 27,4 Combinando col valore di 7° i valori di © si ha: Durata R ET T (o) H 1.17-2.47 30 + 0,8 4°,4097 | 13.23.58 | 0,21444 1.59-2.47 + 1,4 13:25.55. | 0214921 1.17-2.47 40 + 1,2 4 ,4097 5.93.48 | 0,21426 1.59-2.47 + 0,9 | ° 5.34.18 | 0,21408 Media: H—= 0,21425 214 D. BODDAERT 20 Moncalieri Langa. 1905, Luglio 21. Oscillazioni. Da 11.8 a 11.23 am. — 110 oscillazioni In senso parì In senso dispari 7.09,8 8.00,1 8.00,1 7.59,9 8.00,0 8.00,1 8.00,1 8.00,1 8.00,3 8.00,2 8.00,1 8.00,2 8.00,4 8.00,3 Durata di un’oscillazione 45,36468 45,36480 Med. = 45,36474 —291 A=143 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R | (co) È N.a E. Noa We N.aW. N. a E. Da 11.45| Div. 30 | 128.44.50 | 101.56.00 | 102.24°00 | 127.54.40 | 13.04.53 28,1 a 12.13 » 40 |120.44.50|109.43.40 | 109.52.30 | 120.32.10 Yz 28,3 Da 16.53 » 80 |128.39.00 | 101.53.10|102.22.40 | 127.51,20| 13.03.38 28,8 Male » 40120,44.50/109.42.50 | 109.51.40 | 120.29.10 5.24.59 28,7 Combinando col valore di 7 i valori di @ si ha: Durata R AI R © H 11.8-12.13 80 | +1,0 4,36474 | 13.04.53 0,21921 11.8-17.14 | dd 0,3 | 13.03.98 0,21936 11.8-12.13 40 A 0,8 4,36474 b2b.lo 0,21926 11.8-17.14 L- 0,4 5.24.53 0,21936 Media: H—=0,219830 21 Giaveno. Oscillazioni. Da 10.8 a 10.26 am. 146 oscillazioni In senso pari 10.36,2 10.36,0 10.36,0 10.36,0 10.36,1 10.36,1 10.36,3 In senso dispari 10.86,1 10.36,1 10.36,2 10.36,1 10.36,1 10.36,3 10.36,3 Durata di un’oscillazione 45,35685 45,35738” Med. = 45,35709 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 1905, Luglio 24. Da 11.40 a 11.55 am. 120 oscillazioni In senso pari 842,9 8.42,9 8.42,6 8.43,] 8.43,0 8.48,2 8.43,1 45,35809 8.43,2 8.42,9 8.42,9 8.42,9 8.43,0 8.43,1 8.42,9 Durata di un’oscillazione 45,35821 Med. = 45,35815 RESINA 10/5 349 Deviazioni. ” Magnete a E. Magnete a W. Durata R Î P N.a E. N.aW. NawW. | N.a E Da 10.40| Div. 30 | 72.00.20 | 45.20.50 | 45.53.10 | #1:10:00. | 12.59.05 a 11.10|#, 40 | 64.04.50 | 53.07.20 | 53.10.40 | 63.51.40 5.23.08 Combinando i due valori di 7 coi valori di @ si ha: Durata R ET "Di (to) H 10.08-11.10 30 + 4,0 4,35709 | 12.59.05 | 0,22059 10.40-11.55 + 6,2 4,35815 | 12.59.05 62 10.08-11.10 40 + 3,4 4,35709 5.23.08 50 10.10-11.55 + 5,6 4,35815 5.23.08 | 0,22053 Media: H= 0,22056 In senso dispari 216 D. BODDAERT 22 Alba. 1905, Settembre 12. Oscillazioni. Da 10.22 a 10.38 am. 124 oscillazioni In senso pari In senso dispari 9.0,5 9.0,7 9.0,3 9.04 9.0,4 9.0,6 9.0,6 9.0,6 9.0,5 N AUATI 9.0,6 9.0,6 9.0,7 Gall Durata di un’oscillazione 45,35898 45,36025 Med. = 4,35962 t= 28,0 A= 1555; Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R | (co) T N.a EF. N.a W. N.aW. | N.aEkE. | Da 11.02| Div. 30 |204.53.20|178.08.00 | 178.37.00 | 204.07.00| 13.03.50 | 27,3 a 11.40 » 980 |196.58.10 | 185.57.10 | 186.05.40 | 196.43.55| 5.24.49 | 26,6 | Si ottiene per H i due valori: 0,21968; 0,21972. Media:. H= 021970. Chieri. 1905, Settembre 18. Oscillazioni. Da 10.11 a 10.27 am. Da 11.33 a 11.49.am. 120 oscillazioni 118 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 8.47,5 8.47.3 8.38,6 8.38,1 847,4 8.47,3 8.38,1 8.38,4 8.47,5 8.47,2 8.38,3 8.38,4 8.47,3 847,4 8.38,5 8.98,4 8.47,2 8.47,5 8.38,4 8.38,6 847,4 8.47,4 8.38,5 8.38,4 8.47,6 8.47,4 8.38,4 8.38,4 Durata di un’oscillazione Durata di un'’oscillazione 45,39512 45,399464 45,39322 45,39309 Med. = 45,39488 Med. = 45,39316 ba: 29,1 A i—= 26,8 23 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 9217 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R | 7 Î p T N. a E. | NaW. | NawW. N.aE. IS _ Ì Da 10.50| Div. 30 1304. 43.00 | 277.28.00 | 278.03.40 | 303.51.30 | 13.15.43 | 22 a 11.16 MEO) 1296. 39.20 | | 285.29. 10) 285.37.10 | 296.24. 20, 5.29.20 | 2% Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: Durata R TTI Si | ® H i 4,39488 13.15.43 | 0,21633 10.11-11.16| 30 | +10 | 10.50-11.49 + 3,6 | 4,39316 51 10.11-11.16 | 40 | — 0,8 | 4,39488| 5.29.20 | 38 10.50-11.49 + 1,8 | 4,39316 0,21657 Media: H=0,21645 Castelnuovo d’Asti. 1905, Settembre 21. Oscillazioni. Da 9.54 a 10.10 am. Da 11.145 a IL30 am "i 122 oscillazioni 124 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 8.55,9 8.55,2 9.4,2 9.4,3 8.55,1 8.55,4 9.4,0 9.4,1 8.55,2 8.55,3 9.4,1 9.4,3 8.55,3 8.50,4 9.4,0 94,3 8.55,5 8.55,4 9.4,3 9.4,0 8.55,2 8.55,3 9.4,2 9.4,5 8.55,2 8.55,4 9.4,0 94,4 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,38759 45,38847 45,38802 45,38928 Med. = 45,38803 Med. = 45,38865 s = 20,7 A 4425 i = 22,6 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. | Durata R fa ® | T | [NaEc| NawW. | Naw. | Nar. Î Da 10.38| Div. 30 | 69.01.35 | 41.42.35 | 42171 a 11.02) , 40 60.55.45 | 49.42.50 | 49.52.1 e toto LI c! 0 | 68.13.00 | 13.18.43 21, 5 60.42.40 5.30.50 22 D. BODDAERT Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: | | Durata | R t—-T n Co) H ea | rca ca) 9.54-11.02 30 — 1,0 | 4,38803 | 13.18.43 0,21618 10.38-11.30 | + 0,9 4,38865 0,21622 9.54-11.02 40) — 1,5 4,38803 5.30.50 0,21620 10.38-11.30 + 0,4 4,38865 0,21625 Media: H= 021621 Montaldo Torinese I. Oscillazioni. 1905, Settembre 22 1905, Settembre 22 1905, Ottobre 6 Da 10.48 a 11.3 am. Da 15.4 a 15.20 pm. Da 10.37 a 10.53 am. 124 oscillazioni 124 oscillazioni 124 oscillazioni In senso In senso In senso . In senso In senso In senso pari dispari pari dispari pari dispari 9.4,7 9.5,0 9.4,7 9.4,9 9.4,0 9.4,2 94,7 9.4,8 9.4,8 9.4,6 9.4,1 94,9 9.4,7 9.4,8 9.4,7 9.4,7 9.4,2 94,2 94,7 9.4,9 9.4,9 9.4,5 9.4,1 94,4 9.4,6 9.5,0 9.4,8 9.4,8 9.4,1 9.4,9 9.4,9 9.4,7 94,9 9.5,2 9.4,0 9.4,3 9.4,7 9.4,8 9.5,0 94,8 * 9.4,2 94,4 Durata di un ‘oscillaz. 45,98790 45,38952 Med. = 45,38871 Durata di un’oscillaz. 45,99378 45,39343 Med. = 45,39360 Durata di un’oscillaz. 45,39286 45,39401 Med. = 45,39343 t= 24,4; A=1450; pioli b=493 AZIONI Deviazioni. | | Magnete a E. Magnete a W. .Durata | R TL AA o) T [NS NaW. NawW. NANI 22 Sett. e | | | Da 11.28) Div. 80 | 51.24.00 | 24.06.404 24.41.30. |. 50.40.40 | 13.19.08 | 24,4 a 11.59], 40 | 43.15.20 | 32.02.00 | 32.14.00 | 43.03.20 5.51.10 24,5 6 Ott. | | | | Da 11.16| Div. 30 | 46.49.30 | 19.27.30 | 19.57.20 | 45.53.00 | 13.19.25| 194 a A47 n 40 | 38.37.40 | 21:23:00. (| 127433100! || (38123930 5.31.18C0098 25 Durata 22 Settembre | 10.48-11.59 | 11.28-15.200 1] ‘10.48-11.59 11.28-15.20 6 Ottobre 10.37-11.47 I | _- In senso pari MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 30 40 tt Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: dA ® H Medie | | | — 4,39343 | 13.19.08 | 0,21590 4,39360 0,21600 4,39343 | 5.31.10 | 0,21588_( 0,21594 4,39360 | 0,21598, 4,38871 | 13.19.25 | 0,21609 | è 5.818 | 021606 $ 021608 Fiva presso Chieri. Da 9.50 a 10.7 am. 136 oscillazioni Oscillazioni. In senso dispari 1905, Ottobre 3. Da 11.5 a 11.21 am. 124 oscillazioni In senso pari In senso dispari 9.55,2 9.55,1 9.2,8 9.3,0 9.55,1 9.55,1 9.2,8 9.2,8 9.55,2 9.55,3 9.2,9 9.2,4 9.55,2 9.55, 9.2,6 9.2,9 dSbi 9.55,2 9.2,8 9.2,9 9.55,0 9.55,2 9.2,8 9.2,9 9.55,0 9.55,2 9.2,6 93,1 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,37584 45,37636 45,37707 45,37789 Med. = 45,37610 Med. = 45,37748 CAD: DIA Adda: i=18,0 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. | Durata R i | ® T NaE | NaW. | NaW.| NaE. | | ga = | n Da 10.28| Div. 30 | 62.30.20 | 35.11.00 | 35.45.30 | 61.34.40 | 13.17.08 d:3 a 10.55 » 40 | 54.21.30 | 43.09.30 | 43.18.10 | 54.07.20 | ‘5.3018 15,5 | 220 D. BODDAERT 26 Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: Durata R t—-tT i o) H 9.50-10.55 30 — 1,1 4,37610 | 13.17.08 | 0,21698 10.28-11.21 + 3,3 4,37746 0,21709 9.50-10.55 40 — 1,3 4,37610 5.30.18 | 0,21697 10.28-11.21 + 3,1 4,37748 0,21709 Media: H = 0,21703 Soperga I. 1905, Ottobre 4. Oscillazioni. Da 12.24 a 12.41 pm. 134 oscillazioni In senso pari In senso dispari 9.45,7 9.45,8 9.45,8 9.45,8 9.45,8 9.45,8 9.45,9 9.45,9 9.46,0 9.45,9 4.45,8 9.45,7 9.45,8 9.45,8 Durata di un’oscillazione 45,37185 48,37175 Med. = 45,37180 pe—15,05 A—org Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R CAMPA: rai (o) T N. a E. | NawW. NawW. N. a E. mi : es sù e Ss Da 11.48| Div. 30 |201.19.20 | 174.07.35 #€174.38.50 | 200.27.00 | 13.14.59 14,2 a 12.20 » 40 |193.15.20 | 182.04.00 | 182.12.40 | 193.00.20| 5.29.45 14,1 Si ottiene per H i due valori: 0,21756; 0,21746. Media: H=0,21751 27 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO DO DO Casalborgone. 1905, Ottobre 7. Oscillazioni. Da 11.24 a 11.40 am. 124 oscillazioni In senso pari In senso dispari 9.2;2 9.2,1 9.1,8 9.2,2 9.2,0 9.1,9 19 9.2,0 9.2,2 2,1 33) DI O, 9.2,0 9.2,1 Durata di un’oscillazione 45,37109 45,37131 Media = 45,37120 eIV4: A-d4°7 Deviazioni. - Magnete a E. Magnete a W. Durata R ® | - | N.aE. | NawW. NaW. N. a E. | Da 12.07| Div. 30 1 206.04.00 | 178.51.20 179.20.40 | 205.12.20 | 13.16.05 | 17,9 a 12.40), 40 |197.58.40 186.47.20 186.56.00 197.43.50| 5.29.48 | 18,7 Si ottiene per H: 0,21739; 0,21738 Media: H=0,21739. Chivasso. 1905, Ottobre 12. Oscillazioni. Da 11.6 a 11.22 am. 124 oscillazioni In senso pari In senso dispari 9.2,9 9.2,9 9.2,9 9.2,8 9.2,8 9.2,8 9.2,8 9.3,0 9.3,0 9.2,9 9.2,9 9.3,0 9.2,8 9.2,9 Durata di un’oscillazione 45,37799 45,37823 Med.= 45,37811 AMIR 143 222 D. BODDAERT ì 28 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R N. a E. Nea | OT N | i | | Da 11.47| Div. 30 | 244.44.20 | 217.22.00 | 217.52.20 | 243.50.40 | 13.20.10 14,9 a 12.08| , 40 |237.35.00 | 226.19.00 | 226.28.20 | 237.18.40 Disles5 14,9 | | Si ottiene per H: 0,21649; 0,21648 Media: H=0,21648. Settimo Torinese. 1905, Ottobre 13. . Oscillazioni. Da 11.24 a 11.40 am. 124 oscillazioni In senso pari In senso dispari 9.1,8 9-17 Er 91,0 91,5 9.1,6 Loi 67, 91,7 | 9.1,7 9.1,9 | 9.2,0 9.2,0 9108 : ‘9.2,0 Durata di un’oscillazione 45,36889 45,36937 Med. = 45,36913 i=16,5x AZIO Deviazioni. | Magnete a E. | Magnete a W. Durata | R | È ia iN. a E | NawW. NawW. N.a E. È ° | | Da 11.56| Div. 30 |286.00.20 | 258.48.00 258.51.00 \285.04.40 | 13.21.30 | 16,7 a 12.25 » 40 |277.54.30 | 266.42.20 | 266.42.20 | 277.38.00 | 5.31.58 16,3 | | | | Si ottiene per H: 0,21679; 0,21684 Media: H= 0,21682. . 29 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO Pino Torinese. 1905, Ottobre 14. Uscillazioni. Da 10.48 a 11.4 am. 122 oscillazioni In senso pari In senso dispari 8.55,6 8.55,7 8.55,7 8.55,7 8.50,7 8.55,6 8.55,6 8.55,7 8.55,6 8.55,6 8.55,6 8.55,9 8.55,7 8.55,7 p Durata di un’oscillazione 48,39051 45,39098 Med. = 45,39075 E=101; AiWbEy Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R N. a E. NaW. NawW. | N. a E. DO DO I 297.07.00 | 297.12.40 | 323.18.00 304.43.20 | 304.52.20 | 315.37.00 Da 11.20| Div.-30 | 324.1 1.40 a 11.55 » 40 |316.00.20 Si ottiene per HH: 0,21625; 0,21625 È; Media : Avvertenze sulla serie del 1906. H=="0,21625. Nelle osservazioni del 1906 introdussi alcune modificazioni suggeritemi dal prof. Palazzo. 1°) Ho osservato sempre la durata di 100 oscillazioni, di 5 in le Deviazioni ho sostituito alla divisione 40 la divisione 39, della quale il valore fu determinato direttamente. 3°) Ho notato la temperatura del magnete deviatore prima di ciascuna delle letture di deviazioni; quindi i valori di t segnati nell'ultima co- lonna sono le medie di quattro letture. 4°) Fuorchè in tre stazioni, ho fatto sempre due osservazioni delle deviazioni (inquadrate da due osservazioni delle oscillazioni), nell'ordine seguente: Divisione 30, Magnete a E., Magnete a W.; Div. 39: W., E.; -\2°) Per 224 D. BODDAERT 30 Div. 39: E., W.; Div. 80: W., E.; in modo che due letture omonime sono equidi- stanti rispetto all'ora media delle osservazioni. Nelle stazioni di Lucento, Ciriè I, Lanzo (1906), e nelle tre stazioni di Mon- calieri, usai il magnete N. 3; in tutte le seguenti mi servì il Magnete N. 1, perchè le divisioni incise sul collimatore di quest’ultimo sono più nitide, e perchè ha una ec- centricità minore. Del resto i risultati ottenuti con i due magneti sono equivalenti, come si può verificare sulle osservazioni fatte a Montaldo nel gennaio. Montaldo Torinese III. —1906, Gennaio 5. Oscillazioni. — Magnete N. 3. Da 13.40 a 13.53 Da 16.6 a 16.19 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 6.43,6 6.43,4 6.43,7 6.43,6 6.43,5 6.43,5 6.43,6 6.43,6 6.43,6 6.43,7 6.43,7 6.43,6 6.43,7 6.43,7 6.43,7 6.43,7 6.43,7 6.43,6 6.43,8 6.43,7 6.43,8 6.43,8 643,7 6.43,7 6.43,8 6.43,8 6.43,6 6.43,6 6.43,7 6.43,7 6.43,6 6.43,5 6.43,7 6.43,7 ( 6.43,5 6.43,4 6.43,6 6.43,8 6.43,5 6.43,5 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,0367 45,0367 45,0364 45,0359 Med. = 45,0367 Med.—45,03615 bi. =4,9 A 1635 MS Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R |# | | lo) T N. a E. NawW. | NawW. N. a E. Da 14.20| Div. 30 |180.32.40 | 149.23.00 | 149.56.00 | 179.17.30.| 15.07.48 4,6 a 15.00 » 939 | 171.38.55 | 157.51.50 | 158.04.10 | 171.17.35| 6.45.08 5,6 | Da 15.10), 39 |171.40.10|157.52.40|158.04.40|171.15.20| 6.44.32 2,4 a 15.50) , 30 |180.29.00|149.13.00|149.54.00 | 179.15.40| 15.09.25 1,2 Sl MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R_| tr | Di ® H 13.40-15.00 | 30 + 0,3 | 4,0367 | 15.07.48 0,21629 13.40-15.50 + 3,6 | 4,0367 | 15.09.25 25 14.20-16.19 | — 2,8 | 4 ,03615 | 15.07.48 | 17 15.10-16.19 | + 0,6 | 403615 | 15.09.25 | 14 | 13.40-15.00 | 39 — 0,7 | 4,0367 6.45.08 | 13 13.40-15.50 + 2,5 | 4,0367 | 6.44.32 43 14.20-16.19 | — 3,8 | 4,03615 | 6.45.08 | 02 15.10-16.19 — 0,6 | 4,03615 | 6.44.32 | 0,21632 si Media: H=0,21622 Montaldo Torinese. 1906, Gennaio 6. Oscillazioni. — Magnete N. 1. Da 10.14 a 10.28 Da 11.57 a 12.12 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 7.17,5 7.17,5 747,4 BE 7.17,6 7.17,6 RS 7.17,5 7.17,6 748,6 TATA 7.17,5 7.17,6 TL7,0 TATA 7.47,4 04,6 AI 7.17,5 (AVA: diD4;7 Wb7,6 7-17;5 7.17,6 (DTA 7.17,6 TLLA 7.17,6 7.17,6 d-17,6 717,5 #217,5 1.17,5 717,5 LL 45 7.18,5 7.17,6 (17,5 7.17,5 7.17,6 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,3760 45,3758 4,3746 49,3750 Med.=48,3759 Med.—=45,3748 fr ie='60 3% a Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata | R o) Nab. N.aW. N.aW. N.a E. Da 11.00] Div. 30 |178.14.10 | 150.32.20 151.15.35 | 177.14.00) 13.25.04 a 11.25 » 939 |170.29.20 | 158.11.00 | 158.25.50 | 170.09.00 | 6.00.23 Da 11.25 . 39 |170.29.20 |158.11.00 |158.25.30|170.08.00| 6.00.12 | a 11.47] , 30 |178.13.45|150.30.40|151.14.35|177.12.45| 13.25.19 | Serie II. Tom. LIX. D 226 D. BODDAERT Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R t—-T T 10.14-11.25 | 30 | +0,8 | 4,3759 10.14-11.47 | N13 | 409769 11.00-12.12 | + 0,9. | 43748 11.25-12.12 | sta | 4,3748 10.14-11.25°|-89 | ti wo wo © W 00 0 0 1 - In senso dispari 6.46,7 6.46,8 PAD LECCE JIZQNIOD oso Durata di un’oscillazione 45,0681 45,0690 Med. = 45,06855 ti= 28,0; = 599: PRA bh 100 oscillazioni In senso pari PIPPI DD pri SEN 9 S| SLEISSA Mu au HWWHW Durata di un’oscillazione ca e . > PR PP PPS NINNI 4ZA DOH HH NN 45,0709 45,0712 Med. = 45,07105 t= 31,4 $ Ibnaiit | In senso dispari 230 D. BODDAERT 36 Deviazioni. ‘ | Magnete a E. Magnete a W. Durata R P T N.aE | Naw. NawW. N. a EF. —_- po i na Da 10.05| Div. 30 | 44.55.25 | 13.46.50 | 14.33.30 | 43.36.50 | 15.03.14 26,9 a 10.40 , 39 36.06.45 | 22.21.30 | 22.36.20 | 35.41.35 6.42.35 27,2 Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: Durata R tt qr ® H | | | 7 | 9.30-10.40 | 30 | + 1,1 4,06855 | 15.03.14 | 0,21506 10.05-11.11 | 455 | 4007105 10 9.30-10.40 39 + 0,8 4,06855 6.42.35 08 10.05-11.11 | | +4,2 | 4,07105 0,21512 | | Media: H=0,21509 Lanzo Torinese. 1907, Maggio 14. Oscillazioni. — Magnete N. 1. Da 15:8ta 15195 Da 16.23 a 16.38 100 oscillazioni In senso pari 7.30,6 7.30,7 7.30,7 7.30,7 .30,6 .30,5 30,7 30,8 .30,7 .30,7 SISSA sini In senso dispari 7.30,5 Durata di un’oscillazione 4°,5067 45,5058 Med. = 45, 50625 = 24,8; Az 10/2; 100 oscillazioni In senso pari 7.30,5 7.30,6 7.30,6 7.30,5 7.30,5 7.90,4 7.30,4 7.30,6 7.30,4 7.30,4 Durata di un’oscillazione 7.30,6 7.30,7 7.30,6 7.80,3 7.30,5 7.30,4 7.30,5 7.30,5 7.304 7.30,5 4,5049 45,5050 Med. = 4,50495 =" 29,0 In senso dispari 37 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 231 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R = N. a E. N.awW. NawW. N. a E. Da 15.40) Div. 30 | 192.49.50 | 164.06.05 | 164.46.05 | 192.03.20| 14.00.15 | 22, a 16.00 n 939 | 184.49.50|172.04.20 | 172.17.55 | 184.34 45 | 6.15.35 22,8 | Da 16.00 » 939 | 184.49.50|172.04.40 | 172.17.20 | 184.35.00| 6.15.42 | 21,3 a 16.20 » 90 |192.50.50 | 164.07.30 | 164.46.30 | 192.04.20| 14.00.17 | 21,6 Ì Si ottengono per H i valori: 0,20562; 0,20564; 0,20564; 0,20564. Media: H=0,20564 Differenza con il valore del 1906: 0,00945. Moncalieri Langa. 1905, Agosto 1°. Oscillazioni. — Magnete N. 3. Da. 13.2 a 13.15 Da 14.24 a 14.38 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 6.42,4 642,4 6.42,8 6.42,8 642,4 6.42,4 6.42,4 6.42,4 6.42,6 6.42,5 6.42,6 6.42,5 6.42,6 6.42,7 6.42,6 6.42,7 6.42,6 6.42,8 6.42,6 6.42,8 6.42,8 6.42,7 6.42,8 6.42,7 6.42,8 6.42,7 6.42,8 6.42,7 6.42,5 6.42,6 6.42,5 6.42,6 6.42,5 6.42,5 6.42,5 642,5 6.42,6 6.42,7 6.42,6 642,7 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,0258 45,0260 45,0277 45,0271 Med. = 45,0259 Med. = 4,0274 = 2913; A=133; t= 30,2 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R | Co) Ù N. a E. NawW. Ni wsaW. N. a E. Da 13.33| Div. 80 |101.12.05| 71.87.00 | 71.81.45 |100.47.50| 14.42.48 | 29,2 a 13.54| , 389| 925420] 79.43.50 | 794630 | 92.46.30] 6.33.28 | 296 Da 13.55| , 39| 92.54.20) 794415 | 794150 | 92.46.20| 6.33.24 | 301 a 14.11) , 30|101.12.20) 71.36.20 | 71.33.30 |100.45.20| 1441.58 | 29,5 232 D. BODDAERT 38 Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata | R | t—-T | Sh 0) H 13.02-13.54 30 0,0 4,0259 | 14.42.48 | 0,21972 13.02-14.11 — 0,3 4,0259 | 14.41.58 79 13.33-14.38 + 1,04| 4,0274 | 14.42.48 69 13.55-14.38 + 0,7 4,0274 | 14.41.58 VALI 13.02-13.54 | 89 | —0,4 | 4,0259 | 6.33.28 79 13.02-14.11 | — 0,9 I 4,0259 6.33.24 a 78 13.33-14.38 + 0,6 | 40274 | 6.33.28 76 13.55-14.38 | + 0,1 | 4,0274 6.33.24 | 0,21972 Media: H= 0,21976 Moncalieri Vallere. 1905, Agosto 2. Oscillazioni. — Magnete N. 3. Da 9.16 a 9.29 Da 10.43 a 10.56 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 6.48,7 6.48,9 6.48,8 6.48,8 6.48,7 6.48,7 6.48,8 6.48,8 6.48,6 6.48,8 6.49,0 6.48,9 6.48,8 6.48,7 6.48,9 6.49,0 6.48,5 6.48,7 6.49,1 6.48,7 6.48,8 6.48,6 6.48,8 6.48,7 6.48,7 6.48,8 6.48,7 6.48,8 6.48,7 6.48,7 6.48,8 6.49,0 6.48,7 6.48,6 6.48,9 6.49,1 6.48,8 6.48,7 6.49,1 6.49,1 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,0870 48,0872 45,0889 45,0889 Med. = 45,0871 Med. = 4,0889 i: =>044L:; A t = 96,3 Deviazioni. | | Magnete a E. Magnete a W. Durata | R a È ; P | | N. a E. Ni ia IRINA V N. a E. —- |a P Bi dARI —. Da 9.50 | Div. 30 |330.00.45 | 299.34.10 | 299.32.15 | 329.31.00 | 15.06.20 32,4 a 10.10), 39 |321.29.15|307.57.05|307.56.25 | 321.20.00 | 6.43.56 33,4 Da d0.Ll ib 2.399 |321.29.20 | 307.56.30 | 307.55.35|321.18.10| 6.43.51 34,6 a 10.26 » 30 |330.01.20 | 299.35.10 | 299.35.10 | 329.31.40 | 15.05.40 34,0 n —remmrr———r—rr_— _—@m@"eelmie”ennn;n—zm“n)*UH.iaiijlioùào : 1 39 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 233 Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: Durata R t—-T n to) H 9.16-10.10 | 30 + 1,7 4,0871 | 15.06.20 | 0,21375 9.16-10.26 + 0,1 | 4,0871 | 15.05.40 | 75 9.50-10.56 + 3,9 | 4,0889 | 15.06.20 77 10.11-10.56 + 2,3 4,0889 | 15.05.40 ARL 9.16-10.10 | 39 + 0,7 4,0871 6.43.56 74 9.16-10.26 + 0,5 4,0871 6.43.51 70 9.50-10.56 + 2,9 4,0889 6.43.56 76 10.11-10.56 + 1,7 4,0889 6.43.51 | 0,21372 Media: H— 0,2183875 Moncalieri R. Castello. 1906, Agosto 3. Oscillazioni. — Magnete N. 3. Da 8.52 a 9.5 Da 10.11 a 10.24 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 6.49,8 6.49,9 6.50,5 6.50,5 6.50,3 6.50,2 6.50,4 6.50,5 6.50,1 6.50,1 6.50,6 6.50,8 6.50,3 6.50,3 6.50,7 6.50,6 6.50,8 6.50,4 6.50,6 6.50,6 6.50,4 6.50,2 6.50,6 6.50,7 6.50,8 6.50,4 6.50,7 6.50,7 6.50,4 6.50,3 6.50,6 6.50,7 6.50,3 6.50,5 6.50,6 6.50,7 - 6.50,4 6.50,3 6.50,7 6.50,6 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,1031 45,1026 45,1060 45,1064 Med. = 45,10285 Med. = 45,1062 i—=30,5; A=16; REZIELNO Deviazioni. Magnete a E. | Magnete a W. | Durata R an, A NE (o) T Neat Na Wa li Noa WE N. a E. Da 9.23| Div. 30 | 77.39.20 | 46.14.45 | 46.48.40 | 76.30.50 | 15.15.41 28,9 a 943 » 39 | 68.48.30 | 54.55.10 | 55.07.10 | 68.26.10 | 6.48.05 30,9 Da 9.45 » 39 | 68.47.45 | 54.55.00 | 55.08.10 | 68.26.50 | 6.47.51 32,4 a 10.00 n» 30 | 77.35.10 | 46.17.00 | 46.51.50 | 76.30.30 | 15.14.13 33,0 Serie II. Tom. LIX. 15° fi: ÒLi 234 D. BODDAERT 40 Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: Î Î | Durata R | AR | vr (n) H 8.52- 9.43 | 30 | +1,6 | 4,10285 | 15.15.41 | 0,21186 8.52-10.00 | — 2,5 | 4,10285 | 15.14.13 82 9.23-10.24 + 5,74 4,1062 15.15.41 90 9.45-10.24

30-b i=9 6 t= 34,1 41 Durata Da 10.13 a 10.40 | Da 10.41! a 11.07 . 30 39 | 39 30 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Na. | Naw. | 312.12.20 | 285.22.00 (304.44.20 | 292.46.50 \304.44.20 | | 1292, 46.55 292.54.20 | \292.54.20 304,34. 30 | N.a E. 285.44.40 | 311.42.40 dl 304.35.05 | | | 13.12.05 5.04.34 5.54.24 | \312.10. 50 | 285.22. 00 | 285.44. 00|311. 12.25. 13.11.49 | Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R iis Dl P | H 9.38-10.40 | 30 | +0,8 | 4,3890 | 13.12.05 | 0,21709 9.38-11.07 | i +0,3 | 4,3890 | 13.11.49 | 12 10.13-11.28 | +44 | 4,39195 | 13.12.05 | 07 10.41-11.28 | +3,9 | 4,39195 | 13.11.49 | 09 9.38-10.40 | 89 | 41,0 | 4,3890 | 5.5434| 06 9.38-11.07 +.0,7 | 4,3890 | 5.5424| 10 10.13-11.28 | | 44,6 | 4,39195 | 5.54.34 | 04 10.41-11.28 | +4,8 | 4,39195 | 5.5424| 0,21709 Il dd; si bea i Pa ri l Media: H — 0,21708 Montaldo Torinese. 1906, Agosto 11. Oscillazioni. Da 8.44 a 8.58 100 oscillazioni Da 10.21 a 10.35 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 7.19,3 7.19,4 71193 719,5 7.19,5 7.194 7.19,5 7.19,5 719,4 7.19,5 7.19,5 7.195 7.19,4 7.19,5 7.19,6 7.19,7 7.19,5 7.19,6 7.19,6 7.19,8 7.19,5 7.19,5 7.19,6 7.19,7 7.19,6 7.19,6 7/0) CON 7.19,8 7.19,6 7.19,5 71907 7.198 7.19,5 7.19,5 7.19,7 7.19,8 7.19,5 7.19,4 7.19,7 7.19,9 Durata di un’oscillazione 45,3948 45,9949 Med. = 45,39485 le=22,65 Durata di un’oscillazione 45,8959 43,3970 Med. = 45,39645 AT bia 9 236 D. BODDAERT 42 Deviazioni. | DEI R saga a E. ta a LE 9 È | Na | Na MW. Noa tWi | Naldi I Da 9.21 | Div.30 | 43.28.40 | 16.2645 | 16.46.45 | 43.00.50 | 13.19.00 22,5 a 9.43 |, 39 | 35.57.30 | 23.54.50 | 24.01.30 | 35.48.55 Bosi 22,0 Da 9.45 | 2 (99/4) (35:57.35 ) 23.54.95 | 24.01.05 | 35.48.50 | 5.57.41 22,0 a 10.02 30 | 43.27.00 | 16.25.55 16.45.30 | 43.00.00 | 13.18.54 | 22,3 Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: Durata R t—-T dh P H 844- 9.438 | 800 2a | 4,39485 | 13.19.00 | 0,21585 8.44-10.02 0,3 | 4,39485 | 13.18.54 87 9.21-10.35 + 3,4 4,39645 | 13.19.00 90 9.45-10.35 +3,6 | 4,39645 | 13.18.54 92 8.44- 9.43 | 189 | +0,6 | 4,89485| 5.57.81 86 8.44-10.02 + 0,6 | 4,39485 5OI.41 81 9.21-10.35 + 3,9 | 4,39645 5.57.31 | 92 9.45-10.35 + 3,9 | 4,39645 | 5.57.41 | 0,21586 | Media: H—=0,21587 Chieri. 1906, Agosto 13. Oscillazioni. Da 9.15 a 9.30 100 oscillazioni In senso pari 7.19,7 7.19,7 7.19,7 7.19,8 719,7 7.19,8 7.19,7 7.19,8 7.19,8 7.19,8 45,3975 In senso dispari 7.19,6 7.19,8 7.19,8 7.19,8 7.19,7 7.19,7 7.19,7 7.19,9 7.19,8 719,9 Durata di un’oscillazione 45,3977 Med. = 4*,3976 EI Da 10.38 a 10.52 100 oscillazioni In senso p 7.20,0 7.20,0 7.20,0 7.20,1 7.20,2 7.20,1 7.20,2 7.20,2 7.20,2 7.20,2 Durata di un’oscillazione ari In senso dispari 7.20,0 7.20,0 7.20,1 7.20,1 720,1 7.20,1 7.20,1 7.20,1 7.20,2 7.20,3 454012 45,4011 Med. = 45,40115 A798 CEZIR +» 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari 100 oscillazioni 7.21,9 7.22,1 7.22,5 7.22,6 7.22,1 7.222 7.22,5 7.22,6 7.22,2 7.22,1 7.22,5 7.22, 7.22,1 7.22,1 7.224 7.22,6 7.221 7.22,2 7.22,7 7.22,7 7.22,1 7.22,2 7.22,6 7.22,8 7.22,1 7.222 7.22,7 7.22,6 7.22,0 7.22,0 7.22,6 7.22,7 7.22,0 7.22,0 7.22,6 7.22,6 7.22,1 7.22,2 7.22,7 7.22,7 a Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45/4207 454213 Med. = 45,4210 t=21,7; 45,4258 45,4263 Med. = 45,42605 AD ti=91:0 43 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 237 Deviazioni. Magnete a E. | Magnete a W. | Durata R PC ATA ARENA P T N. a EF. NaW. NaW. N. a E. Da 9.43| Div. 30 | 209.57.10 | 183.01.10 | 183.22.30 | 209.24.30 | 13.14.30 | 31, a 10.01 » 99 | 202.26.35 | 190.26.00 | 190.33.50 | 202.16.20| 5.55.46 | 31,2 Da 10.02 Mi-90 | 202.26.35 | 190.25.35 | 190.33.25 | 202.16.00| 5.55.54 | 30,2 a 10.18 » 80 |209.55.15|183.00.50 | 183.22.10 209.23.50 | 13.14.01 | 30,7 Combinando ciascun valore di 7' con ciascun valore di @ si ha: Durata R G==G dhe ® H 9.15-10.01 30 —= 0,2 4,3976 | 13.14.30 | 0,21630 9.15-10.18 + 0,2 4,3976 | 13.14.01 33 9.43-10.52 + 1,6 4,40115 | 13.14.30 20 10.02-10.52 + 2,0 4,40115 | 13.14.01 28 9.15-10.01 39 — 0,3 4,3976 5.55.46 22 9.15-10.18 + 0,7 | 4 ,3976 5.55.54 22 9.43-10.52 + 1,5 | 4 ,40115 5.55.46 11 10.02-10.52 + 2,5 4,40115 | 5.55.54 | 0,21611 Media: H=0,21622 Soperga II. 1906, Agosto 16. Oscillazioni. Da 9.4 a 9.18 Da 10.28 a 10.42 In senso dispari 238 D. BODDAERT 44 Deviazioni. | | Magnete a E. | Magnete a W. Durata R n | | Î ® t N.aE | NLaW. | NaW. | Na. | Da 9.30| Div. 30 | 95.52.10 | 68.31.50 | 68.49.30 | 95.25.10 | 13.29.00 22,5 a 9.51) , 39 | 88.14.30 | 76.04.30 | 76.10.30 88.07.15 6.01.41 24,5 Da 9.52| 39 | 88.14.30 | 76.04.50 | 76.10.20 | 88.05.20 | 6.01.10 | 27,3 a 10.18 TEIL 95.48.20 | 68.32.20 | 68.50.10 | 95.21.40 | 13.26.52 27,7 Combinando ciascun valore di 7" con ciascun valore di @ si ha: Durata R t—-T | (E ® H 9.04- 9.51 30 — 0,8 | 4,4210 | 13.29.00 | 0,21337 9.04-10.18 — 6,0. | 4,42910° | 13.26.52 44 9.30-10.42 + 8,5 | 4,42605 | 13.29.00 48 9.52-10.42 3 3/3." 442605 | 13.26.52 56 9.04- 9.51 39 — 280 A-4210 6.01.41 35 9.04-10.18 i — 560 4,4210 6.01.10 39 9.30-10.42 | + 6,5 | 4,42605 | 6.01.41 45 9.52-10.42 | + 3,7 | 4,42605 | 6.01.10 | ‘0,218356 | | Media: H=0,21845 Pino Torinese II. 1906, Agosto 17. Oscillazioni. Da 10.04 a 10.18 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari 7.19,6 7.19,6 719,5 7.19,7 7.194 7.19,6 7.19,6 7.19,6 7.19,6 7.19,6 7.19,5 7.19,6 7.195 7.19,5 7.19,5 7.19,6 7.19,5 7.19,6 7.19,6 7.19,6 Durata di un'’oscillazione 45,3953 45,3960 Med. = 4*,39565 i==3614 A In senso pari Da 11.06 a 11.20 100 oscillazioni 7.20,0 7.19, 7.20,3 7.20, 7.20,1 7.20, 7.20,1 7.20, 7.20,2 7.20, 7.20,4 7.20, 7.20,3 720, 7.20,4 7.20, 720,5 7.20, 720,4 7.20, Durata di un’oscillazione 45,4027 45,4026 Med. = 45,40265 20 6 = na, Ut Uta Via De IMNo In senso dispari 45 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 239 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. | | Durata R | I ; | nina 1 | (co) T | Nea bel Na We NaW. | NaE. | — — | le, | — = — Da 10.30] Div. 30 | 201.01.15 | 174.04.50 | 174.23.10 | 200.33.30 | 13.16.41 | 29,0 a 10.48| , 39 |193.30.00 | 181.30.10 | 181.36.30 | 193.22.10| 5.56.23 29,7 | | | | | Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R t—-T | T' | (to) H 10.04-10.48 | 30 — 3,9 | 4,39565 | 13.16.41 | 0,21610 10.30-11.20 + 3,6 | 4,40265 | 05 10.04-10.48 | 39 — 4,6 4,39565 | 5.56.23 | 10 10.30-11.20 | + 2,9 | 4,40265 | 0,21605 | Media: H=0,21608 Riva presso Chieri. 1906, Agosto 18. Oscillazioni. In senso pari Da 9.30 a 9.44 100 oscillazioni In senso dispari DaSttoltfa 165 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari 1,18,9 7.18,8 1.190 7,18,8 7.18,8 7.18,8 148,9 7.18,9 7.18:6 7.18,7 118,9 7.18,9 7.18,6 7.18,6 7.18,9 7.18,8 7.18,6 7.18,7 7.18,8 V1979 7.18,6 7.18,7 7.18,7 7.18,9 7.18,7 718,0 7.18,9 7.18,8 T-48,7 Vi.L6,7 7.18,8 7.18,9 ta; 1,18,7 (L9;9 MRAS59 7.18,7 7.18,7 7.19,0 7.19,0 Durata di un’oscillazione 45,3869 45,3871 Med. = 45,3870 Durata di un’oscillazione 45,3888 45,3888 Med. = 45,3888 fe=+:39448 240 D. BODDAERT Deviazioni. | Magnete a E. | Magnete a W. | Durata R Nea at | = | ® N.a E. | NawW. | NawW. N. a E. Rec | Da 10.12| Div. 30 |177.44.50 | 150.51.10 | 151-15:00 (177/1300) 218312555 a 10.32 » 99 | 170.14.40 | 158.16.25 | 158.24.50 | 170.05.10 | 5.04.99 Da 10.34 | 39 |170.14.40 | 158.16.10 | 158.24,20 | 170.04.10| 5.54.36 30 |177.43.10 | 150.50.00 | 151.13.50 | 177.10.50| 13.12.32 a 10.49 | Ì Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: | | Durata | R_ | t--q DT ® | H 9.30-10.32 30 — 0,1 4,3870 | 13.12.55 | 0,21719 9.30-10.49 | — 0,1 4,3870 1351232 24 10.12-11.15 | i + 8,6 4,3888 |-13.12.55 23 10.34-11.15 | i + 3,6 4,3888 | 13.12.32 28 9.30-10.32 [ASI ea 0,6 4,3870 5.54.39 Dali 9.30-10.49 I | — 0,5 4,3870 5.54.95 24 10.12-11.15 | | + 3,1 4,3888 5.54.39 27 10.34-11.15 + 3,2 4,3888 5.54.35 | 0.21729 Media: H = 0,21724 Settimo Torinese. 1906, Agosto 21. Oscillazioni. Da 10.56 a 11.10 100 oscillazioni Da 9.52 a 10.10 150 oscillazioni 10.57,8 10.57,9 7.18,8 7.18,9 10.57,9 10.57,9 7.18,9 7.19,0 10.58,0 10.58,0 7.18,8 7.18,9 10.58,0 10.58,0 7.19,0 7.18,9 10.58,0 10.57,8 7.19,0 7.19,0 10.57,8 10.57,9 7.19,0 TL9T1 10.57,8 10.57,8 7.19,1 7.19;2 10.57,9 10.57,9 7.19,2 7.19,1 10.58,0 10.58,1 VAS: 7.19,3 10.57,9 10.58,0 7.192 7.19,1 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 4838606 45,38620 45,9901 45,3905 Med. = 45,38613 Med. = 45,3903 b'==#28:6; AZIO: t= 83,9 Milia «ome 47 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 241 Deviazioni. | Magnete a E. | Magnete a W. cn | Durata R | | | P | T e NAV NE | | Da 10.24| Div. 30 |114.47.10| 87.49.20 | 88.17.30 114.10.25 | 15:62.41 29,3 a 10.41], 39 |107.15.10| 95.15.40 | 95.25.00 | 107.04.30| 5.54.45 30,0 | Combinando ciascun valore di 7° con ciascun valore di @ si ha: Durata R t—-T I ® H | | | 9.52-10.41 | 30 — 0,7 4,38613 | 13.12.41 | 0,21724 10.24-11.10 | + 4,6 4,3903 13.12.41 23 9.52-10.41 39 CS 4,3861383 dD.04.45 | 20 10.24-11.10 + 3,9 4,3903 5.54.45 | 0,21719 Media: H—=0,21721 Castelnuovo d’Asti. 1906, Agosto 23. Oscillazioni. Da 9.0 a 9.14. Da 10.36 a 10.50 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 7,19,0 7.19,1 7.19,6 7.19,8 7.19,1 STILI 1497 7.19,9 7.19,0 7.19,0 7.19,8 7.19,9 7.18,9 7.19,0 7.19,8 7.19,8 7.19,0 7.19,0 LAN 7.19,8 7.19,0 7.19,0 7.19,6 7.19,6 7.18,9 7.19,0 7.19,6 7.19,8 7.19,0 7.19,1 7.19,6 7.19,8 7.19,0 7.19,0 7.19,6 7.19,9 7.19,0 7.19,1 7.19,6 CAO Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,9899 45,3904 45,3966 45,3980 Med.—45,39015 Med.=45,3973 t=21,2:; A=:95,5; E=53£0 Serie II. Tom. LIX. Fr! 242 D. BODDAERT 48 Deviazioni. | Magnete a E. Magnete a W. | | Durata | R | NaE | NawW. | NaW. | NaE. > de è | r9 | | 5 | 12.18.00 | 38.11.10.) 13.15.11 29,2 19.27.10 | 31.05.30 | 5.55.25 29,5 Da 9.30) Div. 30 | 38.53.30 | 11.4 29.54], a -89,|/31,18,40 |,19.1 U' O: DD UU © O Da 9.55] , 539|31.18.40 | 19.15.20 | 19.26.25 | 31.04.20 | 5.55.19.| 30,9 17] , 380|388.51.00 | 11.44.80 | 12.17.20 | 38.09.10 | 13.14.85 | 30,2 Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R eso 7 lo) | H 4 -228/[ es, prati) | I | | 9.00- 9.54 | 30 | —2,0 | 4,39015 | 13.15.11 | 0,21665 9.00-10.17 | — 3,0 | 4,39015 | 13.14.35 | 69 9.30-10.50 + 4,8 | 4,3973 | 13.15.11 | 55 9.55-10.50 | +3,8 | 4,3973 | 13.14.35 | 60 9.00- 9.54 | 39 | — 2,3 | 4,39015 | 5.55.25 71 9.00-10.17 | | —8,7 | 4,89015| 5.55.19 49 9.30-10.50 + 4,5 | 4,38973 5.55.25 | 66 9.55-10.50 | — 3,1 | 4,3973 5.55.19 | 0,21664 4 Media: H= 0,21662 Casalborgone. 1906, Agosto 23. Oscillazioni. Da 18.0 a 18.14 Da «19.25 a 19.39 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 7.18,8 7.18,9 NB: 7.18,4 7.18,8 7.18,9 7.189 7.18,2 7.18,9 7.18,9 7.18,1 (18.1 7.18,8 7.18,9 7.18,1 7.18,0 7.18,9 7.18,8 TOUS:2 (:18/2°* 7.18,9 7.18,9 7.18,3 7.18,2 7.18,9 7.18,8 7.18,2 7.18,2 7.18,9 7.18,9 7.18,3 7.18,4 7.18,9 7.19,0 7.18,2 708 7.18,9 7.19,0 7.184 7.18,3 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 453887 48,3890 45,3824 45,3823 Med. = 45,38885 Med. — 48,38235 t= 34,1; A=9',5; rasta 49 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 243 Deviazioni. O Magnete a E. Magnete a W. | Durata k Z } fa vi P T N. a E. NaW. NAS RN. | Da 18.32| Div. 30 | 128.20.10 | 101.22.10 | 101.53.45 | 127.40.40 | 13.11.14 28,9 RRB:SSN 15, 39 120.49.30 | 108.48.40 | 108.59.50 | 120.36,20| 5.54.20 27,9 Da 18.56 | »s 99 | 120.49.30 | 108.48.30 | 108.58.50 | 120.36.00| 5.54.32 | 25,6 a 19.18) , 30 |128.20.50]|101.19.50 | 101.51.30 | 127.40.50 | 13.12.35 24,6 Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: | | Durata 7-00 RE» 4 Î TO H 18.00-18.55 | 30 + 5,2 4,38885 | 13.11.14 | 0,21752 18.00-19.18 | + 9,5 4,38885 | 13.12.95 49 18.32-19.39 — 3,4 4598235 | IS114Z 51 18.56-19.39 + 0,9 4,38235 | 13.12.35 50 18.00-18.55 | 39 -L 6,8 | 4,38885 | 5.54.20 49 18.00-19.18 + 8,5 4,38885 | 5.54.32 50 18.32-19.39 —1,8 | 4,38235 | 5.54.20 49 18.56-19.39 | — 0,1 | 4,38235 5.54.32 0,21750 Media: H= 0,21750 Chivasso. 1906, Agosto 24. Oscillazioni. Da 12.51.a 13.05 Da 142 -a 14,36 « 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 7.19,6 7.19,7 7.19,8 7.19,7 7.19,6 7.19,6 7.19,8 7.19,7 195 TIOT dBA TENO9TO 7.19,5 7.19,6 7.49,7 7.19,6 7.19,6 7.19,6 Cia CA 749,5 7.19,6 7.19,6 T19:7 7.19,6 7.19,6 TA 7.19,6 7.19,6 7.19,6 7.19,7 7.19,6 7.19,6 7.19,5 7.19,6 7.19,6 7.19,6 7.19,4 749,5 719,5 7.19,6 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,9955 45,3963 45,3967 45,3961 Med. = 45,3957 Med. = 45,3964 t=:35,5; Ag=:9',6; b==35,0 244 D. BODDAERT Durata | R Da 13.24| Div. 30 arisAgi-. "039 Da 13.50 39 a 14.10 | 30 po Deviazioni. Magnete a E. | Magnete a W. | | | | P TE N. a E. Nin Na Wo CNS. 321.41.40 | 294.46.25 | 295.12.40 | 321.07.00| 13.12.24 | 32,3 314.11.45 |302.18.00 | 302.21.40 | 314.00.40| 5.54.26 | 33,1 314.11.50 | 302.13.20 | 302.22.00 | 314.00.20|. 5.54.12 | 32,8 321.42.20 | 294.46.00 | 295.13.00 | 321.06.20 | 13.12.25"| 32,6 Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Ì Durata R a —-T th (o) | H - n “i =: bo 12.51-13.48 30 + 3,2 4,3957 13.12.24 | 0,21695 12.51-14.10 + 2,9 43957 ...| 4383.1225 93 13.24-14.36 + 2,7 4,3964 13.12.24 89 13.50-14.36 + 2,4 | 4,3964 13.12.25 88 12.51-18,48. | 89 | 42,4 || 43957 5.54.26 | 0,21696 12.51-14.10. | + 2,7 4,3957 5.54.12 | 0,21704 18.24-14.36 + 1,9 4,3964 5.54.26 | 0,21691 13.50-14.36 | + 2,2 4,3964 5.54.12 | 0,21699 Media H—=0,21694 Poirino. 1906, Settembre 1°. Oscillazioni. Da 9.10 a 9.24 Da 10.47 a 11.01 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari 7.16,5 7.16,5 7.16,4 7.16,6 7.16,6 7.16,6 7.16,7 7.16,7 7.16,6 7.16,7 7.16,6 7.16,7 7.16,6 7.16,7 7.16,7 7.16,7 7.16,6 7.16,7 7.16,7 7.16,7 - - Durata di un’oscillazione 45,3660 45,3666 Med. = 45,3663 FESEMIO) 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari Tala 7.17,2 7.172 717,2 7.17,0 lol 7.172 TTD 7.172 Tdi 7.17,0 Telo bi 7.172 ran rgese 7.17,0 7.17,1 7.17,2 CEN Pei - - Durata di un’oscillazione 45,3711 45,3715 Med.=4,3713 Ar=9481 v=19251 51 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO Deviazioni, Magnete a E. | Magnete a W. Durata R | | | N. a È. NawW. NaW. | NaE. | Da 9.38| Div. 30 | 144.03.30 117.14.20 | 117.45.40 | 143.23.35 13.06. a 10.04 » 39 |136.33.40|124.38.00 | 124.49.10 | 136.21.40 | 5.52 Da 10.05| , 39 |136.33.40|124.38.20|124.48.40 \136.20.20| 5.51.45 | 28,8 a 10.26 0 144.00.30 | 117.13.20 117.43.35 | 148.21.50| 13:06.21-* 2 Combinando ciascun valore di 7" con ciascun valore di @ si ha: Durata RR et | TI o) | H 9.10-10.04 30 — 0,9 | 4,3663 | 13.06.46 | 0,21902 9.10-10.26 — 1,9 | 4,3663 | 13.06.21 | 0,21904 9.38-11.01 + 4,2 | 43713 | 13.06.46 | 0,21897 10.05-11.01 +3,2 | 4,3713 | 13.06.21 | 0,21899 9.10-10.04 39 — 1,5 | 4,3663 5.52.02 | 0,21901 9.10-10.26 —1,8:.| 4,3663 5.51.45 | 0,21909 9.38-11.01 + 3,9 | 4,3713 5.52.02 | 0,21896 10.05-11.01 + 3,3 | 4,3713 5.51.45 | 0,21904 Media: H=0,21901 Rivoli. 1906, Settembre 3. Oscillazioni. Da 9.25 a 9.39 Da 10.44 a 10.58 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 18,9 7.19,0 4.19,9 RI 7.18,9 7.18,9 7.19,0 C19% 7.18,8 7.18,8 41979 421950 7.18,8 7.18,8 dg h319 7.18,8 7.18,7 7.18,7 7.18,8 7.18,8 7.18,7 7.18,8 7.148,8 7.18,9 7.18,7 7.18,6 7.18,8 (#0 4-A) 7.18,7 1837 118,9 d-13;9 14851 7.18,8 7.18,8 7.18,9 7.18,6 1,4857 7.18,8 7.19,0 Durata di un’oscillazione Durata di un'oscillazione 45,8875 45,3878 45,3886 45,3893 Med. = 48,38765 Med. = 45,38895 t1=28;1; Az95;7; t= 32,0 246 D. BODDAERT 52 si Deviazioni. Magnete a E. | Magnete a W. Durata k -— e prev Î lt) T Na. | NaW. | N. Wi N. a E. Da 9.50 | Div. 30 62.15.00 | 35.12.40 | 35.43.50. | 61.54.10 | 13.13.10 27,9 aid0.1Ll en bi 44:50 | 42.40.45 | 42.51.10 54.29.15 5.54.42 28,7 | Da 10.14], 39 | 54.41.50 | 42.40.40 | 42.50.50 | 54.28.10 5.54.38 29,0 a 10.28 | 30 | 62.11.50 | 35.11.50 | 35.43.50 | 61.32.00 | 13.12.02 28,9 Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R t_-T pi ® H 9.25-10.11'| 80 | 40,2 | 4,38765 | 13.13.10 | (0,21713 9.25-10.28 — 0,8 | 4,38765 | 13.12.02 | 25 9.50-10.58 +4,1 | 4,88895 | 13.13.10 | 29 10.14-10.58 | + 9,1 | 4,38895 | 13.12.02 | 33 9.25-10.11 | 39 | —0,6 | 488765 | 5.5442| 17 9.25-10.28 | — 0,9 ! 4,88765 | 5.54.38! 17 9.50-10.58 + 3,8 | 4,38895 | 5.54.42 | 25 10.14-10.58 +3,0 | 4,88895 | 5.54.38 | 0,21726 Media: H= 0,21722 Avigliana. 1906, Settembre 4. Oscillazioni. Da 10.51 a 11.05 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari Da 9.35 a 9.49 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari 7.132 7.13,1 7.13,8 7.13,9 nai 7.188 7.14,0 7.14,1 7.13,2 sa 7.14,0 7.14,2 Tis,1 7.13,2 7.14,] 7.14,0 7.13,8 7.13,3 7.14,0 7.14,1 7.13,2 7.132 7.14,0 7.14,0 7.13,2 PISA 7.14,0 7.14,0 7.133 7.13,2 7.14,0 7.14,0 7.13,1 7.13,2 7.13,9 FI41 7.132 7.13,1 7.14,1 7.14,1 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 45,3319 45,3318 45,3399 = 45,3405 Med. = 45,33185 Med. = 45,3402 t= 29,2; Av =8' 395,4 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 53 247 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata R ® T N. a E. N.a W. NawW. N. a E. Da 10.08 | Div. 30 |172.25.20 | 146.01.10 | 146.34.50 | 171.41.10| 12.52.38 | 31,8 a 10.21 » 99 |165.01.10 | 153.17.40 | 153.28.50 | 164.48.10| 5.45.42 32,5 Da 10.23 s 39 | 165.01.30|153.17.50|153.28.50|164.46.50| 5.45.25 2,7 a 10.38 y 90 |172.20.50 | 146.00.30 | 146.33.10 | 171.37.50| 12.51.15 zl Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R desi YA | (o) H : Lalli SARRI Lei AE a 9.35-10.21 | 30 | —2,6 | 4,83185 | 12.52.38 | 0,22267 9.35-10.38 — 3,9 4331858 Sio, 81 10.03-11.05 + 83,7 4,3402 | 12.52.38 49 10.23-11.05 + 2,4 4,3402 | eso 64. 9.35-10.21 | 39 — 3,3 4,33185 | 5.45.42 69 9.35-10.38 | —-3,5 4,33185 D4O.20 Par 10.03-11.05 + 3,0 4,3402 5.45.42 51 10.23-11.05 + 2,8 4,3402 5.45.25 0,22260 Media: H= 0,22265 Pianezza. 1906, Settembre 5. Oscillazioni. Da 9.35 a 9.49 Da 10.45 a 10.59 100 oscillazioni In senso pari 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso dispari 17,0 TEO 7.18,0 7.18,0 7.17,6 7.17,8 7.18,1 7.18,0 7.17,8 4.17,8 7.18,0 7.18,0 RR deb, 7.18,0 Ca E4:9 DATI 7.17,6 7.18,0 7.17,8 717,7 7.17,8 7.17,8 TAT8 CEI 7.17,6 7.17,8 7.17,8 Veb'0,4 VR 7.17,9 T1449 (RIVA (RAI DATI 7.11,9 7.17,6 (SITI, 7.17,8 7.17,8 - Durata di un’oscillazione 453893 453789 Med. = 48,3791 t= 35,9 Durata di un’oscillazione 45,3768 45,3770 Med. = 45,3769 be=33,9; AN=968: 248 D. BODDAERT 54 rà Deviazioni. Magnete a E. Magnete a. W. Durata R “Che ET la | o) T NaE | NaW. | NaW. | Na. -- | = —— = ue i | | Da 10.02) Div. 30 | 299.21.40 | 272.31.00 | 273.04.20 | 298.40.00 | 13.06.35 81,4 a 10.16 » 989 |291.52.00|279.55.40 | 280.07.20 | 291.39.00| 5.52.00 31,7 Da 10.19 » 39 |291.52.00|279.55.10 | 280.07.00 | 291.38.10| 5.52.00 32,9 a 10.32), 830 |299.20.20|272.31.20 | 273.04.20 | 298.37.20| 13.05.30 | 353,9 Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: In senso pari Durata R vtr IL (to) ‘Eri 9.35-10.16 | 30 | +15 | 4,3769 | 13.06.35 | 0,21861 | 9.35-10.32 | — 0,4 | 4,8769 | 13.05.30 68 | 10.02-10.59 | 44,5 | 4,3791 | 13.06.85 61 | 10.19-10.59 | 26° | 4790 3.0580 69 9.35-10.16 | 39 | +1,2 | 4,3769 5.52.00 60 9.35-10.32 | | 0,0 | 4,3769 5.52.00 | 55 10.02-10.59 | + 4,2 | 4,8791 5.52.00 | 60 10.19-10.59 +30 | 43791 5.52.00 | 0,21856 Ù Media H= 0,21861 Caselle. 1906, Settembre 7. SIIGIAAAZASZANINN . . . . . . . . . . Da 9.45 ‘a 9.59 100 oscillazioni 17,6 TI lnig 717,8 UR, Va, dm” 7.17,6 17,6 77 17,5 7.17,6 17,6 7.17,6 17,6 7.47,8 17,7 7.17,6 17,6 7.176 Durata di un’oscillazione 48,3764 48,3766 Med. = 45,3765 AE In senso dispari Oscillazioni. Da siste #1827 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari 7.18,3 7.18,4 7.18,2 7.18,8 7.18,2 718.3 7.18,8 7.18,3 7.182 7.18,2 7.18, 7.18,1 7.18,0 7.18,1 7.182 718,1 7.18,1 7.18,1 7.18,1 7.18,2 , - Durata di un’oscillazione 43,8817 45,3821 Med. = 45,3819 A=9'b; i. =.94,0 bo M)SURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 249 Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. | Durata R | sE (o) T N.a E. |.NaW. N. a. W. N. a E. Da 10.15| Div. 30 |309.06.40 | 282.15.55 | 282.44.55 |308.28.00| 13.08.28 | 29,5 a 10.36 s 99 |301.37.20|289.41.00 | 289.51.10|301.25.25| 5.52.39 30,3 Da 10.38 » 99 |301.37.15| 289.41.20 | 289.50.00 | 301.24.20| 5.52.34 | 31,3 a 10.55 »s 80 |309.04.20 | 282.15.50 | 282.44.20 | 308.25.40 | 13.07.28 | 32,1 Combinando ciascun valore di 7" con ciascun valore di @ si ha: Durata R ET D (o) | IE 9.45-10.36 | 30 — 1,6 4,3765 | 13.08.28 | 0,21825 9.45-10.55 — 4,2 4,3765 | 13.07.28 | 29 10.15-11.27 + 4,5 4,3819 | 13.08.28 | 21 10.38-11.27 + 1,9 4,3819 | 13.07.28 | 25 9.45-10.36 O I. 4,3765 5.94.99. 28 9.45-10.55 | 34 4,3765 D.D2.94 | 2A 10.15-11.27 | +.3,7 4,3819 | 5.52.39 | 24 10.38-11.27 | + 2,7 4,3819 5.52.94 | 0,21823 Media: H=0,21825 Carignano. 1906, Settembre 10. Oscillazioni. Da 9.47 a 10.1 100 oscillazioni Da 11.6 a 11.20 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 7.16,2 7.16,3 7.16,2 7.16,2 7.16,2 7.162 7.16,8 7.16,2 7.16,1 716,2 7.16,0 716,0 7.16,0 7.16,1 7.16,0 7.16,1 7.16,1 7.16,1 7.161 7.16,2 7.16,1 7.16,0 7.16,2 7.16,2 7.16,1 7461 7.16,1 7.16,1 7.16,1 716,0 7.16,0 7.16,1 7.16,0 7.16,1 7.16,1 7.16,0 7.16,1 7.16,1 7.16,1 7.16,2 Durata di un’oscillazione 45,3611 45,3613 Med. = 45,3612 i=930] Durata di un’oscillazione 45,3610 48,3612 Med. = 45,3611 s=9110: Ae=:9557; Serie II. Tom. LIX. at 250 D. BODDAERT 56 Deviazioni. 2 | Magnete a E. Magnete a W. Durata R | ® T Va E. | NawW. N.aW. N. a E. Da 10.17) Div. 30 | 44.07.20 | 17.26.40 | 17.51. 30 | 43.17.40 | 13.01.43 30,6 a 10.37 e) | 36.38.10 | 24.46.10 | 24.54.30 | | 36.21.30 5.49.45 30,9 Da 10.39 3,99. [30.938.202] 2445:95 | 24.54.10 | 36.20.50 5.49.51 À Aki a 10.54.1 ROREGI | 44.05.40 | 17.23.50 | 17.50. 40 | 43.16.00 | 13.01.48 28,2 i I | Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: | | Durata R ie | 0) H via NPA | | 9.47-10.37 30 + 0,4 4,3611 | 13.01.43 | 0,22003 9.47-10.54 + 2,8 4,3611 | 13.01.48 11 10.17-11.20 + 2,5 | 4,3612 | 13.01.43 10 10.39-11.20 | + 4,9 | 4,3612 | 13.01.48 18 9.47-10.37 | 139 | +0,1 | 49611 | 54945 05 9.47-10.54 | —0,1 | 4,3611 | 5.49.51) 01 10.17-11.20 + 2,2 4,3612 5.49.45 12 10.39-11.20 + 2,0 4,3612 5.49.51 | 0,22009 Media : H=0,22010 Pinerolo. 1906, Settembre 13. Oscillazioni. Da 8.50: a 9.04 Da 10.38 a 10.52 In senso pari 100 oscillazioni 7.16,0 7.16,0 7id6.1 7.16,1 7.16,1 7.16,2 7.16,2 716,1 7.16,0 7.16,0 7.15,9 TA 7.15,9 115,9 7.16,0 7.16,0 Telo 7.16,2 7.16,1 7.16,1 Durata di un’oscillazione 45,3604 45,3604 Med. = 45,3604 E =#9500 In senso dispari A—= 8/8; In senso pari 100 oscillazioni 7.16,8 7.16,9 7.16,8 7.16.8 7.16,8 7.17,0 TELAI MAO 7.17,0 Ta 7.17,0 7.16,9 7.16,8 7.17,0 7.16,8 7.16,8 7.16,8 7.17,0 7.16,9 TICO Durata di un'oscillazione 45,3688 45,3696 Med. = 45,3692 E="E790 In senso dispari Durata MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO ol Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. R = o) T N.a E NawW. NawW. N. a E. Da 9.30| Div. 30 | 11.39.10 | 344.47.20 | 345.11.00| 10.49.50 | 13.07.40 22,6 R/j09 159 n 39 | 4.06.30 |352.09.50|352.17.55| 3.50.40 | 5.52.21 PLAN Da 9.55 | xp -39 4.06.30 |352.09.30 | 352.17.50( 3.50.30 | 5.52.25 23,9 a 10.13 | n 190 | 11.38.00 |344.45.30 345.10.50 | 10.49.50 | 13.07.53 Aa | Combinando ciascun valore di 7" con ciascun valore di @ si ha: | Durata R | t—T yH o) H Ra pi = a CE SI 8.50- 9.33 30 — 4,0 | 4,3604 | 13.07.40 | 0,21906 8.50-10.13 — 45 | 43604 | 18.07.58 | 021901 9.30-10.52 + 4,4 | 4,3692 | 13.07.40 | 0,21896 9.55-10.52 | +3,9 | 4,3692 | 13.07.53 | 0,21891 | 8.50- 9.33 39 2SRE.( | 4,3604 5.52.21 |c0,219L1 8.50-10.13 — 5,3 4,3604 5.52.25 | 0,21903 9.30-10.52 + 4,3 | 4,3692 5.52.21 | 0,21900 9.55-10.52 | + 3,1 | 4,3692 5.52.25 | 0,21893 Media: H= 0,21900 None. 1906, Settembre 14. Oscillazioni. Da 9.6 a 9.20 Da 10.41 a 10755 100 oscillazioni 100 oscillazioni In senso pari In senso dispari In senso pari In senso dispari 714,4 7.14,3 C44,7 AT 1.142 AdS Pesa tr; 7.14,8 RO 7.14,4 TA 7.14,8 714,5 7.14,6 7.14,7 7.14,7 Ad44 5 7.14,6 714,7 7.14,7 RAT AAT 7.14,8 VEST 744,5 7.14,6 7.14,9 7.14,9 7.14,5 7.14,6 7.14,8 7.14,8 7.14,4 (44,5 7.14,9 7.15,0 7.14,5 7.14,5 7.14,9 7.14,9 Durata di un’oscillazione Durata di un’oscillazione 49,3445 = 45,8451 4°,3478 = 45,8480 Med. = 45,3448 Med. = 45,3479 b=48:8: A=953: i 2508 , Do Ut DI D. BODDAERT i 58 7) dere Deviazioni. Magnete a E. Magnete a W. Durata k ® T | N. a E. NEW N.aW. N.a B Da 9.36| Div. 30 | 20.48.15 |354.03.40|354.31.20| 19.55.40 | 13.02.1 a 9.56 3 RON CTRNVO 1.24.20 1.33.20) 13.00.20 | 5.49.5 Da 9.58 | n» 99 | 13.17.20 1.24.15 1.33.10 | 12.59.30 | 5.49.51 21,6 a 10.15| , 830 | 20.45.40 |354.02.30 354.30.40| 19.53.40 | 13.01.33 | 21,3 Combinando ciascun valore di 7 con ciascun valore di @ si ha: Durata R EL Th | lo) H 9.06- 9.56 | 30 — 1,8 | 4,9448 | 13.02.14 | 0,22069 9.06-10.15 — 2,5 | 4,3448 | 13.01.33. | 76 9.36-10.55 + 4,6 | 4,3479 | 13.02.14 79 9.58-10.55 -+ 3,9 | 4,9479 | 13.01.33 86 9.06- 9.56 39 — 1,9 | 4,39448 | 5.49.59! 72 9.06-10.15 | —2,8 | 4,9448 | 5.49.51 | 73 9.36-10.55 + 4,5 | 4,3479 | 5.49.59 82 9.58-10.55 +3,6 | 4,3479 | 5.49.51 | 0,22083 Media: H=0,22077 Riepilogo. Nella Tabella seguente ho disposto le stazioni per ordine di Latitudine crescente, riportando per ciascuna i valori di H osservati, ed i medesimi ridotti all’epoca 1906,0, mediante le letture orarie del Magnetografo di Pola (come già feci per la Declinazione e l’Inclinazione). Ho assunto per valore di H a Pola, per 1906,0, la media 1905-1906: H=0,22226. Questo procedimento mi sembra ancora legittimo, benchè le linee- di eguale variazione secolare della Componente orizzontale, invece di seguire i paralleli (come per D ed /), seguano sensibilmente la direzione dei me- ridiani. Infatti, nel suo studio che citai nella mia prima Memoria, il sig Moureaux fa vedere che da Brest a Belfort (AY=11%20') la differenza nella variazione seco- lare di H è di 0,00004 (“ Ann. du Bur. Météor. Central , 1898-I). Quindi nel mio caso (per AY= 6°9’, e per + 9 mesi) tale differenza sarebbe al massimo di 0,00002. Ur (0) 59 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO Zi COMPONENTE ORIZZONTALE nelle stazioni disposte per ordine di Latitudine crescente. H osservata STAZIONI FAbItu dies cesso Ari dottata 1906;0 1905 | 1906 [6] r Alba . 44.41,0 0,21970 SIT 0,22000 Pinerolo 44.53,1 MITA 0,21900 0,21909 Carignano . 44.53,3 0,22010 0,22020 Poirino . 44.56,2 0,21901 0,21916 None. e. 44.56,6 Di. 0,22077 0,22095 Moncalieri Langa 44.58,1 0,2193830 | 0,21976 0,21949 Riva presso Chieri . 44.58,8 0,21703 | . 0,21724 0,21738 Moncalieri R. Castello 45.00,3 0,21253 0,21183 0,21184 (*) Moncalieri Vallere . . 45.00,4 0,21425 0,21375 0,21402 Cere, ic, £ | 45.01,1 0,21645 0,21622 0,21656 Castelnuovo d’Asti . 45.02.31 ot6zi |" "021662 0,21670 Pino I 45.02,2 0,21625 A ALE Pîno Il. 45.024 ana IZ IGOR N TRIO Giaveno 45.02,6 0,22056 | SITA | 0,22074 Avigliana . 45.03,5 IATA, 0,22265 | 0,22311 Rivoli 45.04,0 (RA EN I ZI Montaldo 45.04,0 e CR EOZIGLO Soperga II. 45.04,6 i o 0,21345 0,21368 Soperga I . 45.04,7 Oizb7ato e otpotl pi: 60021769 Lucento . 45.05,6 a 215 0,21549 Pianezza 45.06,2 021260 0,21899 Casalborgone . 45.07,8 CRIS AN SII Gassino . 45.08,2 SPREA RE 020804 072740 Settimo . 45.08,2 0,21682 27210 0710 Chivasso 45.11,0 021648, a, 0.21694 |. =0 21670 Caselle . 45.11,1 N n 05213825, a 2021859 Ciriè II . 45.12,8 0,21722 | © 0081752 Ciriè I. att 045.185 0,21180 | 0,22206 danze ita | 45162 Anti 0,21509 | 0,21526 ina I i s ISO 0,20564 | PRES: | (#) Tenendo conto del solo valore del 1906. Anomalie. < Prima di segnalare le principali anomalie trovate, credo opportuno riferire al- cuni brevi cenni sulla costituzione geologica delle regioni percorse. Questi cenni mi furono gentilmente comunicati dal D." Prever, Assistente nel Gabinetto Geologico di Torino. A Alba vi sono delle marne. Lungo le sponde del Po, nelle stazioni di Carignano, Moncalieri-Langa e Val- lere, Gassino e Chivasso vi è l’alluviale recente; a Settimo l’alluviale antico. I ciottoli 254 D. BODDAERT è 60 - serpentinosi sono più rari a monte di Torino, più abbondanti a valle, per i con- tributi della Dora Riparia e della Stura. A Moncalieri R. Castello, conglomerati con molti campioni serpentinosi. A Casalborgone uno strato sottile di diluviale copre le marne e le sabbie. A Chieri e Castelnuovo d'Asti, strati potenti di sabbie. A Montaldo calcare e marne (impropriamente chiamate tufo). A_Pino, marne con molti conglomerati. A_Soperga I, prevalenza di marne con alcuni conglomerati. A Soperga II, conglomerati serpen- tinosi. Riva è nel diluviale antico: Poirino sul limite fra il diluviale antico e l’al- luviale.. Pinerolo è nel diluviale antico: None nel diluviale recente. Giaveno è sul limite del diluviale antico e del morenico antico: Avigliana nel morenico recente. Nelle vicinanze di Giaveno e Avigliana sono tre massi serpentinosi importanti: quelli di Valgioje e di Moncuni, e l’altro che si estende da Trana a Piossasco. Rivoli è nel morenico antico, vicino al loess; Lucento nel diluviale recente, così pure Cuselle e Ciriè; mentre Pianezza è nel morenico recente. In queste ultime lo- calità vi è grande abbondanza di serpentina. Finalmente Lanzo è nel diluviale antico: l’altura ove sorge il Collegio è rieca di serpentina (V. MamrIRoLOo, nell'opera Le Valli di Lanzo). Confrontando con questa breve descrizione le Tabelle e le carte annesse alla presente Memoria ed alla prima, si vede che la regione di maggiore anomalia coin- cide precisamente con la regione ove abbonda la serpentina. Quindi le mie misure verrebbero a confermare l’ipotesi già emessa dal Gastaldi, e ripresa da altri, che cioè l'anomalia torinese sia dovuta all’azione degli ossidi di ferro contenuti nelle masse di serpentina, di eufotide, di anfibolite e di diorite; molti campioni di serpentina contengono magnetite; alcuni presentano anche polarità. La quistione è ben riassunta nella Nota del P. Denza, Sull’Inclinazione a To- rino e neî dintorni (£ Atti R. Accad. di Torino ,, XXIV, 23 giugno 1889). Ai lavori ivi citati si possono aggiungere le due Note del Cnisroni (“ Atti R. Accad. dei Lincei, gennaio 1887 (1); Ann. Uff. Meteor. Centr. VIII); la Nota di Oppone e SeLLa (“ Atti Lincei ,, gennaio - 1891); e lo studio dell’Ing. S. FRANCHI (* Boll. del Comitato Geologico Ital. ,, 1890). In questo studio il Franchi mostra come si può spiegare l’anomalia della. Declinazione considerando la posizione del punto di osservazione relativamente alle masse serpentinose circostanti. Un esempio analogo e molto caratteristico, lo abbiamo nelle stazioni di Avi- gliana, Giaveno e None. A Avigliana il masso serpentino più importante (Valgioje) è situato a NW., e tende quindi a deviare verso W. il polo N. del magnete, mentre il masso di Moncuni a SE. tende a deviare il polo S. verso E.: ne risulta la De- clinazione di 11°55'. Invece a Giaveno, molto vicino, abbiamo D= 10°19’, perchè il masso di Valgioje situato a N. tende a riportare verso N. l’ago magnetico, e di più ‘1) Il Chistoni così conelude questa Nota: “ .....Ogni induzione teoretica sull'andamento delle linee magnetiche nel Piemonte non può condurre che a risultati fallaci ,. PV” rogo er =: Pe PTT n nn e enne — — iii iii nnt pr vg er calli tei ind ni PT i tai di, b 61 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 255 Moncuni situato a NE. influisce nel medesimo senso. A None, sotto l'influenza del grande masso Trana-Piossasco che probabilmente si estende sotterra in questa dire- zione, abbiamo D= 1298. Nelle stazioni vicine alla Dora Riparia abbiamo valori molto irregolari: basta confrontare i risultati delle stazioni vicine di Rivoli (D=12°26'; I= 61°18'; H=0,21744), Pianezza (D=12°58'; I= 61°01'; H= 0,21900), e Lucento (D—=11°59'; I= 61°19'; H=0,21550). La stessa irregolarità si verifica lungo la Stura (Lanzo, Ciriè e Caselle). Ho rile- vato l'anomalia di Lanzo a proposito delle misure di Declinazione. Irregolarissimo poi è Ciriè, ove, senza alcuna causa perturbatrice apparente, alla distanza di appena 2 Chil. si hanno delle differenze di 1°3/ in D; 55'in /1;0,0045 in H. Le differenze di Soperga (1°9' in D; 13’ in I; 0,0040 in H) si spiegano più facilmente quando si pensi che il Bric del Duca è ricchissimo in conglomerati ser- pentinosi. l'anomalia di Moncalieri fu già messa in luce dalle pubblicazioni del Denza e del Chistoni (1. c.). Nella sua Nota il P. Denza conclude che l’Inclinazione è mag- giore in collina che in pianura, e cresce coll’altezza del punto di osservazione. Dalla Tabella dei valori di /(Mem. 1), si vede che se tale conclusione è esatta per Mon- calieri essa non si può generalizzare. Più inaspettata, benchè di minore entità, è l'anomalia di Chieri: infatti nella valle a N. di Chieri vi è uno strato molto potente di sabbia e pare che vi siano pochissimi conglomerati. Si noti pure che nei due anni 1905-1906 io osservai in due luoghi distanti circa 200 metri e che ottenni risultati concordanti: che quindi la causa perturbatrice non è localizzata in un punto solo nel quale mi sarei imbat- tuto per caso. ; Prima di lasciare quest’argomento gettiamo uno sguardo sulle carte delle linee magnetiche della parte orientale: rileviamo due fatti che mi sembrano interessanti: 1°) per tutti e tre gli elementi le linee hanno la loro infiessione nella medesima re- gione, tra Chieri e Villanova d’Asti, e la loro curvatura opposta a quelle del Po. 2°) Tutte le linee sembrano convergere nella regione compresa tra Carignano e Mon- calieri. In complesso l’anomalia massima sembra delimitata da una linea che passa tra il Po ed il torrente Chisola, traversa il Po sotto Moncalieri, percorre le vette della collina torinese e traversa di nuovo il Po dopo il confluente della Stura: a destra, andamento abbastanza regolare; a sinistra, grandi irregolarità. Non ho cercato di tracciare le linee magnetiche della parte occidentale, perchè darebbero una rete molto intricata edi poca attendibilità. 256 D. BODDAERT 62 Variazioni. Lo studio delle variazioni si riduce a ben poco, giacchè non abbiamo, per tutti e tre gli elementi, che le osservazioni del Chistoni a Lucento, Moncalieri e Lanzo. Delle osservazioni del P. Denza non sono calcolate che quelle di Inclinazione. Inoltre per le ragioni già dette si deve « priorî escludere Lanzo. Rimangono dunque le sole stazioni di Lucento e Moncalieri-R. Castello. A Lucento abbiamo: Chistoni 1886,7 D=13°38,1; Ii=0134355 H=0,21417 Boddaert 1906,0 11.59; 61.19,0 0,21549 Differ. per 198,3 — 99,0 — 154,0 + 0,00132 Variaz. secolare — 5,1 — 0‘,8 + 0,00007 I valori ottenuti sono evidentemente troppo bassi per / ed H; non ce ne dob- biamo meravigliare, perchè le osservazioni non furono eseguite nel medesimo punto. Dobbiamo quindi scartare anche Lucento. A Moncalieri abbiamo: Chistoni 1886,6 D=12.40,4; die=A62 AE H= 0,20755 Boddaert 1906,0 11.14,3 62.00,4 0,21184 Differ. per 192,4 — 86,1 — 40',7 + 0,00429 Variaz. secolare 4/4 — 2,1 + 0,00022 Per l’Inclinazione abbiamo inoltre le osservazioni del P. Denza a Montaldo, Rivoli, Soperga e Moncalieri. Quelle di Soperga non sono servibili, perchè eseguiti in punti diversi di una località molto irregolare. b A Montaldo abbiamo: Denza B. 1906,0 Differ. Variaz. 1871,4 I=62.17,6 61.07,6 — 70,0 — 2,02 1872,6 62.08,4 è — 60,8 — 1,82 1877,4 62.02,8 2 — 50,2 — 1,95 1880,5 © 61.59,4 L LORO 3 - Variazione secolare media = — 1’,95. A “Rivoli abbiamo: 1871,4 62.20,4 61.18,2 — 62,2 — 1,80 1877,4 6231,7 î — 03,0 — 1,87 1880,5 62.05,8 % — 47,6 — 1,86 Variazione secolare media = — 1‘,84. 63 MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 257 A Moncalieri abbiamo la serie che si estende dal 1871 al 1884. Denza B. 1906,0 Differ. Variaz. iiS7L3 TI (62951 £ I= 62.00,4 — 51,0 — 1,47 1872,9 50,7 Ò — 50,3 1,52 1875,0 53,8 E -— 53,4 — 1,72 1876,0 52,9 b — 51,9 — 1,78 1877,0 49,9 è — 49,5 — 1,71 1878,0 50,3 ; — 49,9 — 1,78 1879,0 45,9 4 — 44,9 — 1,67 1880,0 43,5 4 SOMA 0 LL 166 1881,0 43,3 È — 42,9 — 1,72 1882,0 41,6 È = 41;2 — 1,72 1883,0 43,3 È —' 42,9 — 1,86 1884,0 62.45,2 62.00,4 — 44,8 — 2,03 Variazione secolare media = — 1,72. Dalle osservazioni di Moncalieri si deduce che la variazione secolare di / oscilla intorno a — 1’,7, con una leggiera tendenza a rialzarsi in valore assoluto, contra- riamente a ciò che affermava, con molte riserve del resto, il P. Denza nella sua Nota (La variazione dovrebbe essere nulla verso il 1910). In complesso la variazione secolare di / sarebbe nelle nostre regioni leggermente superiore a — 1‘,5, valore adottato dall'Ufficio Meteorologico Centrale. Quanto agli altri elementi, disponiamo di dati troppo scarsi per poter ritenere i risultati come definitivi. Notiamo pure che per giungere a una conclusione sicura, oltre a disporre di una serie più lunga, non si dovrebbe ragionare che su risultati corretti delle variazioni diurne, ciò che si può fare soltanto in un osservatorio ma- gnetico provvisto di strumenti registratori. Per questa ragione non ho creduto opportuno di rappresentare il valore degli elementi in funzione del tempo, per mezzo di una formola parabolica. Conclusione. x Premetto che questo mio lavoro non è completo, benchè contenga un buon nu- mero di stazioni, superiore a quanto si sia fatto sinora nei dintorni di Torino. Man- cano infatti le stazioni di Cumiana, Orbassano, Vinovo e Volpiano, che non ho potuto eseguire. Volevo pure osservare in alcune altre Stazioni ove osservò il Chi- stoni, come, p. es., Bra, Cuneo, Torre Pellice, a fine di riallacciare meglio le mie osservazioni con la rete generale. Inoltre nel decorso dei calcoli si sono man mano rilevati i punti più degni di attenzione, quelli cioè nei quali l'andamento più irregolare degli elementi esigerebbe una esplorazione minuta: Lanzo, Ciriè, Avigliana, ed in genere tutta la parte occi- dentale della regione torinese. Per questo studio speciale, a fine di non assorbire troppo tempo e denaro, occorrerebbero strumenti ben più leggieri di quelli da me adoperati; i più indicati sarebbero il Teodolite-Bussola del Brunner ed il suo piccolo Serre II. Tom. LIX. i n! 258 D. BODDAERT —— MISURE MAGNETICHE NEI DINTORNI DI TORINO 64 Inclinometro; oppure il piccolo Magnetometro da viaggio del prof. Palazzo. Credo che con questi strumenti si potrebbero fare almeno due stazioni al giorno. I risul- tati si ridurrebbero ad un'epoca comune per mezzo delle indicazioni di uno strumento registratore. Un'altra zona degna di studio più minuto sarebbe la Collina torinese: per es.; Moncalvo, La Maddalena, Pino, ed i punti culminanti oltre Soperga. Così pure Ja regione tra Chieri e Castelnuovo d’Asti. Infine bisognerebbe fare alcune stazioni sulle due sponde del Po, tra Trofarello e La Loggia, ove convergono le curve dei tre elementi. Se il tempo me lo permette, ho intenzione di eseguire alcuni @egli studi qui accennati. Malgrado queste lacune credo che il mio lavoro non sia inutile, perchè mi ha permesso di risolvere il problema della anomalia torinese almeno nelle sue linee generali, e che per la parte orientale le ricerche ulteriori modificheranno di ben poco i risultati ottenuti. Di più il mio lavoro ha messo in luce su quali punti si deve rivolgere maggiormente l’attenzione. i Riassumendo, ecco le principali conclusioni di queste misure: 1) Le anomalie sì possono quasi sicuramente attribuire all’azione delle rocce ricche in ossidi di ferro. 2) Nella parte occidentale ed in collina l’anomalia è fortissima ed irrego- larissima. 3) Nella parte orientale l'andamento delle linee magnetiche è più regolare, ed i valori si scostano poco dal valore normale. 4) Nella medesima regione sono degne di nota l’inflessione delle linee ma- gnetiche e la loro convergenza verso il Po, all'altezza di La Loggia. A\ termine di questo lavoro mi faccio un dovere di rinnovare i miei ringrazia- menti a tutte le persone che mi hanno aiutato ed incoraggiato; in modo speciale al Prof. Naccari, ai Prof. Palazzo e Chistoni, ed alla Direzione del R. Collegio di Moncalieri che fornì i mezzi pecuniari occorrenti alle mie escursioni. Errata-Corrige alla Memoria I. Da accurati confronti con l’Inclinometro di Roma rimesso a nuovo e verificato a Kew, risulta che l’Inclinometro di Torino dà valori dell’ Inclinazione costantemente troppo elevati di 10',5. Quindi tutti i valori di / riportati nella Memoria I, sono da diminuire di tale quantità. Nella presente Memoria fu tenuto conto della correzione. «= > DDAERT D. Misure magnetiche nei dintorni di Torino. dr dira . i Did ee idlocene di Vorimo RG! ARSI fio. mat.enat.- Serie 2° Como LI COMPONENTE ORIZZONTALE. 1906,0 Chivasso, Avigliana ebGiaverao Scala 1: 500.000 STU. ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA E SULLE ALTERAZIONI DELLA MILZA DI ORIGINE EPATICA RICERCHE SPERIMENTALI DEL SOCIO Prof. PIO FOÀ Approvata nell’Adunanza del 24 Maggio 1908. Da qualche anno i patologi hanno svolto in vario modo il problema dei rapporti esistenti fra la milza e il fegato nella produzione di lesioni, quali sogliono verificarsi in quest’ultimo organo, e alle ricerche ha servito certo di stimolo anche la cono- scenza di quella forma morbosa che è nota colla denominazione di malattia di Banti. Sino dal 1900 nel corso delle mie ricerche sulle alterazioni che si producono mediante gli estratti freschi delle capsule surrenali (1) ho più volte osservato che la milza rispondeva con particolari lesioni alle iniezioni parenchimatose di detti estratti nel fegato, e non altrettanto di frequente avevo riscontrato in quella circo- stanza che lesioni del fegato si producessero per via splenica, sebbene avessi pure ottenuto qualche risultato positivo. Le lesioni che si riscontravano nella milza dopo iniezioni di estratti nel fegato erano, o cumuli grandi di leucociti e dei loro derivati entro le “ cellule di arresto , della polpa splenica, o la presenza di numerosissime cellule globulifere fresche dovute all’azione necrosante che l'estratto fresco di capsule surrenali esercita sui globuli rossi, oppure erano dei trombi recentissimi in alcuni rami della vena splenica, probabilmente provocati dalla penetrazione in essi, che sono privi di valvole, per moto refluo, della materia iniettata a forza nel paren- chima epatico e penetrata in un ramo della v. porta, piuttosto che per aspirazione di quella nel cuore destro e sua propagazione al ventricolo sinistro e all’aorta dopo di avere attraversato il circolo polmonare. Di questi miei risultati del 1900 ho par- lato anche nella discussione che si è tenuta al Congresso dei Patologi Italiani in Roma nel 1905 sulla malattia di Banti (2), citando in pari tempo le ricerche fatte (1) Foà, Contribuzione anatomica e sperimentale allo studio della fisiopatologia delle capsule surre- nali. È Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1900. (2) “ Lo Sperimentale ,, 1905. Atti del Congresso della Società italiana di Patologia tenuto in Roma, 1905. : 260 PIO FOÀ 2 nel 1901 da Mallory (1), il quale aveva ottenuto la produzione di focolai necrotici del fegato per embolie di cellule spleniche. In parte egli ottenne un simile reperto faradizzando la milza di cavia oppure praticando il massaggio su di essa; pure con- cluse che la cavia non era animale molto opportuno per simili esperimenti, perchè già spontaneamente può presentare delle necrosi nel fegato. È dello stesso anno 1901 il lavoro sperimentale di Chauffard et Castaigne (2) sulle lesioni del fegato di origine splenica, sia iniettando carmino nella milza per vederne la localizzazione epatica, sia introducendo nella milza di cavie dei bacilli del tifo o boli, sia iniettando ‘del materiale tubercolare col quale essi ottennero la produzione di noduli tubercolari nel fegato. Le loro esperienze erano riuscite negative iniettando una coltura di bacilli tu- bercolari presi dall'uomo, onde preferirono iniettare una poltiglia di organi tuberco- lari presi da una cavia. La diversità dei risultati, ossia il rimanere locale nella milza della tubercolosi, o il diffondersi di essa al fegato nonchè il suo propagarsi anche ad altri organi, poteva dipendere secondo gli autori dal grado di virulenza del materiale impiegato. È del 1900 un lavoro di Borrisowa (3), secondo il quale nei capillari del fegato in un caso di morbo di Banti si riscontravano cellule che dall’autore furono inter- pretate come elementi della polpa splenica. Questo fu posto in dubbio da Bovaird (4), il quale ritenne di potere scorgere in quelli, degli elementi di origine locale. Sul principio dello scorso anno io diedi incarico al D." Baggio di controllare le ricerche fatte da Chauffard et Castaigne sui rapporti esistenti fra fegato e milza mediante iniezione di sospensioni di carmino fatte rispettivamente nella milza o nel fegato, ed egli riassunse le sue osservazioni sul “ Policlinico , di Roma, 1907, N. 12. Dalle sue esperienze concluse che il trasporto di una sostanza inerte dalla milza al fegato si compie in misura molto ristretta, così come avrebbero trovato Chauffard et Castaigne, i quali dopo 24-48 ore dalla iniezione videro il fegato intatto, e solo dopo 5 giorni ebbero in esso traccie di carmino. Una parte però della sostanza estranea che si ritrova nel fegato vi deve essere penetrata a breve distanza dalla iniezione in grazia della soppressa integrità della parte vasale. Concorderebbero con queste ricerche anche quelle di Pugliese e Luzzati (5), i quali attribuiscono alla milza la funzione importante d’accumulare e di condurre al fegato per la vena porta il materiale necessario alle cellule epatiche per la formazione dei pigmenti biliari. Pro- seguendo le sue ricerche, il D" Baggio iniettò carmino nel fegato e vide che già dopo 24 ore apparivano traccie della sostanza nella milza e nel polmone, e dopo 4 giorni vide ancora più aumentata la quantità di carmino nella milza, onde con- cluse che più facilmente passasse la sostanza dal fegato alla milza che non inver- (1) Martory, Necroses of the livre, “ Journ. of the medic. researches ,, 1901, vol. VI, p. 1. (2) Cnaurrarp et Casrarone, Lésions erpérimentales de foie d'origine splénique, © Arch. de Méd. expérimentale ,, 1901. (3) BorrisowA, Beitrdge sur Kenntniss d. Bantische Krankheit, “ Wirchow"s Archiv ,, 172, $ 108-58. (4) Bovamp, Primary Splenomegalie ete., © Stud. of the Dep. of Publ. of the College of Physicians; Columbia ,, 1899-900. (5) Puoriese e Luzzati, Contribution à la Physiologie de la rate, * Arch. Ital. de Biologie ,, XXX. 3 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 261 samente, come parve anche a me risultare dalle prime ricerche succitate fatte col- l'iniezione nella milza o nel fegato di estratti freschi di capsule surrenali; ma su queste le mie ultime ricerche hanno modificato un poco le mie prime conclusioni, come dirò più innanzi. Se si eccettua il lavoro di Chauffard et Castaigne, si può dire che dall’insieme delle ricerche risultano fatti non molto numerosi e talvolta ipotetici, o poco conclu- denti; così Rodet e Zeidmann (1) sostennero che iniettare, ad esempio, una coltura di bacillo di tifo o il Coli nella milza, è come introdurlo direttamente nel circolo generale, e che la milza non è terreno favorevole ai detti bacilli. Essi ottennero un’intossicazione generale, e congestioni, edemi, enterite, iperemie del fegato con macchie pallide, e milza talvolta tumefatta. Gli stessi risultati coi 2 predetti bacilli ebbero anche Chauffard et Castaigne, a differenza di ciò che essi avevano ottenuto colla tubercolosi, e hanno concluso che ciò dipendeva dalla grande virulenza delle loro colture. La discussione che in questi ultimi anni in grazia del lavoro di Banti si è venuta svolgendo in vario senso in Italia e fuori circa le malattie del fegato apparente- mente consecutive a quelle della milza, hanno mantenuto alto l’interesse sull’argo- mento anche dopo i succitati lavori sperimentali, onde da vario tempo ho continuato io pure alcune ricerche, le quali avrebbero potuto servire a lumeggiare i rapporti possibili tra milza e fegato nella produzione di alcuni processi morbosi, anche se quelli sperimentalmente provocati non fossero esattamente corrispondenti ai processi che si manifestano spontaneamente nell’uomo. Cominciai a ripetere le esperienze già da altri tentate colla introduzione nella milza del coniglio o delle cavie o del cane di bacilli di tifo in coltura pura nel brodo, e più volte sono riuscito ad ottenere la produzione nel fegato di focolai circoscritti, quali si trovano molto spesso nel fegato dei tifosi umani. Si tratta in realtà di pic- coli nodi nello spessore degli acini, o alla loro periferia, costituiti da ammassi di tessuto necrotico invasi da leucociti più o meno bene conservati (Tav. I, Fig. 1). Questi nodi non hanno nulla a che fare coi così detti linfomi da tifo, la cui pato- genesi non ebbi occasione di studiare, ma sibbene corrispondono a quei focolai minimi ‘di epatite necrotica acuta che si trovano in molte malattie da infezione, come il Chourchmann ha rilevato, e che almeno in taluni casi possono derivare da trasporto di elemento micotico o di elementi embolici del fegato provenienti da vasi e dalla polpa splenica. È possibile che altre piccole circoscritte localizzazioni di processi morbosi nel fegato derivino dalla milza, ed è ragionevole ammettere che anche nella leucemia linfatica, sopratutto quando notevole è l’accumulo di linfociti nella polpa e nei vasi della milza, una parte di essi si trasporti nei vasi portali intraepatici contribuendo alla produzione dei noduli linfatici che in simili casi si trovano numerosi nel pa- renchima epatico. L'ipotesi che i nodi leucemici del fegato sieno dovuti ad esagerata produzione “ in situ , di tessuto linfatico, sotto l’azione dello stesso virus che agisce in altri organi, è probabilmente vera solo in parte; certo alla produzione linfatica del (1) Rover et Zermmans, Injections intraspléniques de bacilles d'Ébert et Cole, “ Soc. de Biologie ,, l" décembre 1900, pag. 1007. 262 PIO FOÀ 4 fegato nella leucemia contribuisce anche l’elemento metastatico, e questo può per- venire sia dal circolo generale, sia direttamente dalla grande fonte di produzione linfatica nella milza per trasporto diretto dai vasi di quest’organo. Un'altra serie d’esperimenti fu fatta iniettando nella milza di conigli e di cani degli estratti freschi di capsule surrenali, e sacrificando gli animali operati, a diversa distanza di tempo. La fig. 2, tav. I è tolta da un preparato di fegato di cane al quale 8 giorni prima era stato iniettato nello spessore della milza in due parti diverse un centimetro cubo di estratto fresco di capsule surrenali di vitello. La' materia iniettata aveva prodotto una splenite necrotica, ed era in parte passata ai vasi portali del fegato e per essi fino all’interno dell’acino, onde si vedevano talora intatti gli spazi porto-biliari e la periferia dei lobuli, e invece a vario grado di necrosi, sino alla completa distruzione delle cellule epatiche, era il restante del lobulo che intorno alla vena centrale presentava un cumulo di linfociti. Nel lume della vena e lungo i vasi intralobulari eranvi numerose cellule pigmentifere a fini granuli gialli emosiderinici dovuti a necrosi di globuli rossi determinata come di consueto dall’estratto di capsule, ossia dai nucleo-proteidi abbondanti nella medesima. Già in principio ho menzionato le esperienze fatte colla introduzione dell’estratto nel fegato, con conseguente accumulo di cellule pigmentifere, di leucociti e di detriti da essi derivati, nella polpa splenica; quando la sostanza non arrivava direttamente e abbondantemente in alcuni vasi della milza, nel qual caso produceva una trombosi acutissima, e tutto ciò mentre rimanevano intatti i polmoni e le ghiandole linfatiche periepatiche. È però da avvertire che non sempre riescono gli esperimenti fatti col- l'introduzione diretta della sostanza nel fegato, onde qui si tenne conto solo dei casì ad esito positivo; che forse sono quelli nei quali l’iniezione penetra casualmente nel lume di un vaso abbastanza cospicuo. Non privi d’interesse furono pure gli esperi- menti fatti colla iniezione degli estratti di capsule direttamente nel dotto coledoco, ed altri simili per la stessa via, fatti con iniezioni di colture pure di bacilli tubercolari di tipo bovino. Si ottennero dei focolai necrotico-infiammatorî circoscritti e irregolar- mente distribuiti nel fegato, e l'accumulo di cellule globulifere e pigmentifere fresche, o di leucociti distrutti, nella polpa splenica, quando si era iniettato l’estratto di capsule surrenali, e dei noduli tubercolari nel fegato, e di altri distribuiti in larga estensione nella milza, quando si era iniettata la coltura tubercolare. In parecchi esperimenti del genere, io mi sono persuaso che parte della materia iniettata nel coledoco passa alla milza, senza essermi potuto bene spiegare se il passaggio avvenga per via linfatica o per via sanguigna. Il coledoco veniva iniettato in vicinanza al suo sbocco nel duodeno con puntura obliqua diretta in alto verso la cistifellea, e poi non si faceva alcun maneggio, e neppure si eseguiva l’allacciatura del coledoco stesso, e l'animale molte volte sopraviveva a lungo; però seguiva talora che l'iniezione era preferibilmente entrata nei linfatici della parete, oppure che qualche goccia era rigur- gitata nell’addome, onde insieme colle lesioni del fegato (Tav. II, Fig. 8) e della milza si trovava una recentissima eruzione di noduli trasparenti nella volta del dia- framma e sull’omento, il che rendeva meno certo che il reperto della milza fosse d'origine biliare. Tuttavia in altri casi il reperto era veramente limitato al fegato e alla milza e questo richiamava alla mente un lavoro di Gilbert et P. Lereboullet sopra le sple- . 5 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 263 nomegalie metaitteriche (1), nel quale i predetti autori descrivono casi di persistente ingrossamento della milza che raggiunge il peso fino di 600 gr. originato da una angicolite, fosse questa acuta o cronica, e fosse essa accompagnata oppure non dalla itterizia. I predetti autori rilevano che certi casi di splenomegalie apparentemente primitive potrebbero, invece, essere derivati da affezioni pregresse e in seguito scom- parse delle vie biliari. Egli è vero che in merito alla patogenesi i detti autori non ammettono che la splenomegalia sia dovuta ad infezione propagata dalle vie biliari alla milza, che anzi hanno trovato sempre sterile anche quando il fegato era infetto, ma sibbene attribuiscono il tumore splenico ad una congestione derivata alla milza da una iper- tensione della porta. Nei nostri esperimenti si sarebbe trattato invece di trasporto di sostanza dalle vie biliari e rispettivamente dal fegato nella milza, come ne fanno fede le alterazioni caratteristiche in essa riscontrate. Riuscirono interessanti altri esperimenti fatti inietfando nello spessore del fegato di cavie, di conigli e di cani una coltura tubercolare. Era questa derivata da un caso di cirrosi volgare del fegato in un uomo, il quale negli ultimi giorni di malattia presentò alta febbre. All’autopsia si è trovato, oltre al solito reperto della cirrosi volgare colle sue complicazioni e colle sue conseguenze ordinarie, una eruzione recentissima di granuli submiliari tutt'ora trasparenti sulla volta del diaframma e sul peritoneo parietale e viscerale. Era una freschissima tubercolosi, come ci ha dimostrato l'esame diretto e l'innesto nella cavia, e da questa il D" Parodi assistente nel mio Istituto ricavò una coltura coi caratteri fisici e biologici del bacillo a tipo bovino secondo i dati di Késsel (2). La virulenza di questa coltura era grande sul prin- cipio ed è con questa che ottenni risultati nel coniglio quali più tardi non ho potuto più ottenere perchè la coltura si era attenuata coi successivi passaggi in siero gli- cerinato. La coltura in discorso era attivissima anche per la cavia e per il cane, e, cosa singolare, anche quando per successivi numerosi passaggi nel corso di vari mesi da uno all’altro tubo di siero glicerinato la coltura non fu più capace di dare una tubercolosi generale al coniglio, essa si conservò, invece, sempre attiva per il cane, come sarà più particolarmente detto più innanzi. Iniettando la predetta coltura nel fegato di conigli e di cavie, io ne ritrassi non solo una tubercolosi nodulare del fegato, ma ne ebbi pure una notevole sple- nomegalia dovuta alla presenza di numerosissimi nodi tubercolari nella milza, mentre il resto del corpo era normale. Solo qualche volta si scorgeva una tubercolosi del ganglio retrosternale, oppure anche un’eruzione di piccoli granuli nel polmone, ma spesso la infezione era localizzata al fegato e alla milza. Singolarmente interessante in questa serie d’esperimenti è riuscito il reperto ottenuto coll’iniezione della predetta coltura di b. tubercolare nel parenchima epatico di una cagna, la quale sembrava avere partorito da non molto tempo. Uccisa espres- samente la cagna dopo un mese si è trovata una rilevante splenomegalia. La milza attraversava tutto l'addome; era lunga, larga e densa di polpa; pesava 150 grammi, (1) Gicserr e LereBouLLET, Les Splénomégalies méta-ictériques, © Bulletin de la Société médicale des Hòpitaux de Paris ,, N. 21, 11 Juin 1903. (2) Tuberculose-Arbeiten aus dem K. Gesundheitsamte. 3 Heft. Berlin, 1905. — KoLLe und WaSssERMANN, Die Tuberculose des Menschen und des Tiere, von A. Weser, Erster Erginzungsband, 1907, s. 107. 264 PIO FOÀ 6 il che vuol dire per un cane di 9 Kilogrammi, come era quello in discorso, circa il triplo del normale, che oscilla fra 40-60 grammi. (Ho trovato dei minimi di 25 gr. di milza in cani di 7 Kg. e dei massimi di 120 gr. in cani di 15-18 Kg.). Il fegato era ingrossato e glabro; grosso e tubercoloso era anche il ganglio retrosternale, ma nessun’altra localizzazione tubercolare eravi in tutto il resto del corpo. La milza aveva si può dire solo traccie dell’antica polpa e i follicoli malpi- ghiani erano iperplastici; tutto il resto era un denso accumulo di tubercoli a tipo epitelioide come quelli che si trovavano nel fegato. Il polmone era normale, onde il materiale iniettato nel fegato o aveva traver- sato il circolo polmonare senza arrestarvisi, oppure era direttamente passato alla milza. Il caso in discorso prova la possibile derivazione di lesioni spleniche gravi dalla parte del fegato, e la possibile esistenza di casi di splenomegalie di origine epatica, in cui entrambi gli organi, la milza e il fegato, si trovano simultaneamente affetti. Dopo questi esperimenti eseguiti saltuariamente in vari animali per varie vie e in tempi diversi, mi diedi ad eseguirne molti altri, consistenti semplicemente nelle iniezioni parenchimatose nella milza del cane di bacilli tubercolari provenienti sempre dai trapianti della coltura di cui ho detto più sopra, e che come ho rilevato si con- servò attiva per il cane, salvo alcune variazioni individuali, anche dopo 12 mesi di trapianti in siero glicerinato non mai rinfrescati da nuovi bacilli ricavati da uno dei tanti passaggi attraverso il cane, sebbene avesse perduta la facoltà di infettare il coniglio. Mi sono sempre valso della dose di 2 anse ordinarie di coltura emul- sionata in 5 c. e. di soluzione fisiologica di cloruro sodico, e l’operazione veniva sempre fatta rapidamente nella milza estratta da una ferita sul fianco sinistro e poi ricollocata senza difficoltà nell’addome. Il grande numero di esperienze fatte, mi consente di raccogliere diversi casi tipici di alterazioni, i quali serviranno a formulare alcune conclusioni. Queste poi ho potuto confrontare con altre, tratte da esperienze singole fatte pure sui cani, ma adoperando altri ceppi di colture. Sono naturali cause di variazioni la differente recettività individuale nei cani di varie razze, la non costante identica quantità di bacilli contenuti eventualmente nella sospensione che si inietta e le possibili differenze di grado di virulenza da coltura a coltura nel processo del tempo; ma; ripeto, nelle serie numerose di espe- rienze sì ricavano ripetutamente dei casi tipici. Ucciso il cane operato, dopo solo 36 ore dalla infezione per via splenica, si ‘iscontra nel fegato l’esordire di una localizzazione tubercolare intorno ai capillari intralobulari. Le cellule perivasali aumentano di volume (vedi Tav. I, Fig. 3) e si accostano tra loro a formare o un elemento sinciziale con molti nuclei, 0, come il più spesso accade, dei cumuli di cellule a carattere epitelioide intorno ai vasi. Non vidi mai figure cariocinetiche nei detti elementi, ma solo figure di strozzamento del nucleo, che fanno pensare ad una moltiplicazione per scissione diretta. Nei primi giorni dell'operazione si osservano dei piccoli accumuli di cellule epitelioidi costituenti dei nodi tubercolari senza ulteriori differenziazioni (vedi Tav. I, Fig. 4), e tutt'al più accompagnati da qualche raro linfocito negli spazi interposti alla serie di cellule 7 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECO. 265 epatiche, oppure alla periferia del tessuto perivascolare negli spazi porto-biliari. Col proseguire del tempo, e per esempio, dopo 8-10 giorni sì trovano numerosi nodi più grandi di quelli dei primi giorni, e dovuti ad un maggior cumulo di elementi epi- telioidi (vedi Tav. I, Fig. 5), sempre senza alcun’altra differenziazione, sia nello spessore dei lobuli, sia nel tessuto interlobulare intorno alle diramazioni della vena porta e intorno ai canalicoli biliari. Più tardi, per esempio, dopo 15-20 giorni, i detti nodi si accostano e si fondono e costituiscono già delle aree estese di tuber- colosi inter e intracinose (Tav. II, Fig. 6), finchè, proseguendo il processo, grande parte del fegato è composta del nuovo tessuto tubercolare epitelioide, mentre il parenchima epatico è ridotto a poche serie di cellule o a pochi avanzi di lobuli che fanno cornice all'enorme invasione del tessuto morboso (Tav. II, Fig. 7). Il cane a questo punto muore spontaneamente e il reperto più consueto è quello di una tubercolosi conglomerata della milza, e di un rilevante ingrossamento del fegato che da 2-300 grammi di peso in media, sale fino a 900 gr. e in un caso eccezionale sino a 1200 gr., mentre il cane pesava 13 Kilogrammi. Il fegato si pre- senta glabro, friabile, di un colore itterico dal giallo paglierino al verdastro. Di solito sono normali i gangli mesenterici, solo congesti i gangli intorno al fegato, e di raro ingrossato il ganglio retrosternale; spesso la lesione, anche nei cani che muoiono spontaneamente, è limitata al gruppo epato-lienale. Il tipo ora descritto può variare, come varia il grado di resistenza dell'animale; a parità di dose iniettata vi sono cani che muoiono spontaneamente in un mese, e altri che resistono fino a 60 e più giorni. A volte soccombe prima il cane iniettato con minor dose di un altro operato colla stessa coltura subito dopo e a dose più grande. Queste sono variazioni che ogni sperimentatore sa di dover trovare ogni volta che s’accinge a ricerche biolo- giche in genere, e con materiale infettivo in particolare. Cani iniettati con tuber- colosi bovina nella milza nel mese di luglio erano ancora vivi in ottobre per quanto fossero diminuiti di peso di 5-7 Kilogrammi, e sagrificati che furono dopo 85- 90 giorni dalla operazione, presentarono il fegato ingrossato e glabro leggermente itterico con diffusa infiltrazione di tessuto tubercolare fatta di cellule epitelioidi e di molti linfociti. La prova biologica sulla cavia, fatta in questi casi con frammenti di fegato riuscì quasi sempre positiva, ma il risultato fu parziale e lento, poichè dopo 2 mesi si è trovato solo qualche nodo nel ganglio linfatico vicino all'innesto e qualche nodulo nella milza e nulla al polmone. Lasciate che ebbi le colture fatte su altri ceppi di b. tubercolari, e limitatomi al tipo che più addietro ho accennato, il risultato ottenuto dalle molteplici succes- sive esperienze fu quasi costante, e solo si ebbero variazioni nel numero e nella grossezza dei nodi che si venivano riscontrando nel fegato in quegli animali, i quali o morivano spontaneamente per accidenti vari sopraggiunti a caso, o venivano uccisi a scopo di studio, a differenti distanze di tempo dalla operazione. I risultati ottenuti sì prestano a varie considerazioni istologiche, poichè i noduli erano sempre costituti da cellule o tondeggianti o leggermente appiattite a protoplasma fornito di fini granuli con nucleo vescicolare eccentrico, di carattere insomma epitelioide, ma senza dare origine mai ad alcuna differenziazione. Non si rinvennero mai nei noduli cellule giganti; e non si-ebbe mai la formazione di sostanza fibrillare nè nello spessore dei Serie II. Tom. LIX. 1 266 PIO FOÀ 8 noduli, nè intorno ad essi, onde non si ebbe mai nessuna retrazione fibrosa del fegato anche in animali che avevano l’epatite da oltre tre mesi. L'aspetto esteriore del fegato poteva far ricordare la cirrosi ipertrofica, ma di questa non aveva in realtà altro che il volume e l’itterizia per quanto lieve sempre esistente; mancavano invece il tessuto fibrillare e la neoformazione di canalicoli biliari. Non appariva quale una cirrosi a tipo cosiddetto monolobulare, ma quale una infiammazione estesa che invadeva il tessuto inter- e intralobulare distruggendo per necrosi le cellule epatiche, così che negli alti gradi solo isole di queste ultime si vedevano ancora superstiti in mezzo al grande’ accumulo di cellule epitelioidi. I vecchi eanalicoli biliari interlobulari venivano compressi d’onde la stasi biliare, che tuttavia poteva essere leggera stante la grande distruzione di cellule epatiche che aveva luogo. Di raro nelle cellule epatiche superstiti si riscontrava qualche elemento a 2 nuclei, nè mai si videro lobuli atipici da rigenerazione da parenchima. Il moltiplicarsi delle cellule epiteliodi doveva avvenire per scissione diretta, e si vedevano dei nuclei strozzati, benchè di raro seguiti da scissione del protoplasma stesso, nè mai si riscon- trarono figure cariocinetiche. In un solo caso di grave tubercolosi epatica in un cane morto in due mesi spontaneamente, dopo l’iniezione di bacilli nella milza trovai dei focolai centrali di necrosi e di colliquazione nel tessuto tubercolare epitelioide; in tutti gli altri casi non appariva nessuna traccia di degenerazione, nè grassa nè caseosa. La milza presentava dei noduli sparsi o dei nodi conglomerati di tubercolosi a tipo puramente epitelioide come quelli del fegato, e la polpa abbondantissima pre- sentava gli elementi splenici ricchissimi di protoplasma vivamente basofilo (Pironina), mentre poco variati si presentavano i follicoli malpighiani, i quali alla loro periferia erano circondati da linfociti grandi vivamente basofili. Nei casi di iniezione parenchimatosa del fegato i noduli tubercolari erano pure del solito tipo epitelioide e fusi tra loro a gruppi irregolari, e la milza in quei casi in cui era diventata splenomegalica si presentava come costituita solo da resti di polpa frapposti ad un’enorme quantità di noduli epitelioidi contigui fra loro, così da formare una specie di splenite diffusa tubercolare. Anche in questi casi la lesiene era limitata al fegato e alla milza senza partecipazione di nessun altro organo. Fin qui gli esperimenti erano stati fatti col mezzo di iniezioni di colture nello spessore della polpa splenica, le quali potevano rompere il parenchima e penetrare a forza negli spazi venosi e quindi per mezzo di quelli nella v. splenica e nella v. porta, onde volli ricercare se una lesione della milza di natura affatto locale e circoscritta avrebbe potuto poi diffondersi lentamente al fegato. A tal fine ho eseguiti dei pic- coli trapianti sotto la capsula della milza di materia tubercolare tratta da fram- menti di ghiandole caseose. Ne ebbi una tubercolosi locale assai circoscritta della milza e benchè molto rari, dopo circa tre mesi trovai qualche nodulo anche nel fegato, onde potevo arguire che ciò che si trovava nel fegato in casì descritti più sopra, poteva bensì essere in gran parte la materia stessa iniettata e pervenuta direttamente ai vasi del fegato per la via splenica, ma in più piccola parte almeno, poteva derivare anche da successive immissioni di bacilli tubexcolari provenienti dai nodi della milza. Secondo il D' Baggio (1. c.) la polpa splenica avrebbe un'azione di ritegno degli elementi corpuscolari, e non li cederebbe al circolo e quindi al fegato che molto parzialmente e lentamente, analogamente a quanto hanno osservato 9 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 267 Chauffard et Castaigne, che il carmino iniettato nella milza arrivava al fegato solo dopo 5 giorni. Da ciò si dovrebbe trarre la conseguenza che da una tubercolosi spontanea primitiva locale della milza, i bacilli potrebbero arrivare al fegato tardi- vamente e non in grande copia, come risulterebbe dalle suddette esperienze cogli innesti sottocapsulari di materia tubercolare nella milza. Si conoscono però casì di tubercolosi primitiva della milza nell'uomo con produzione di noduli tubercolari anche nel fegato. Quanto ai bacilli essi nelle prime 48 ore, quando appena accennano a farsi dei noduli nel fegato, si trovano molto irregolarmente distribuiti, a volte nel protoplasma di qualche elemento, a volte come blocchetti liberi nel lume dei capillari. Più tardi si trovano isolatamente nel protoplasma di alcune cellule epitelioidi, finalmente, dopo due o tre mesi non riesce o solo penosamente la dimostrazione di qualche bacillo nel fegato, sebbene, come fu detto più sopra, il tessuto tubercolare sia tutt'ora infettante per le cavie, per quanto limitatamente. Partendo dal desiderio di verificare se la materia tubercolare iniettata nella milza passasse direttamente al fegato per la via dei vasi sanguigni, ho eseguito alcuni esperimenti colla legatura preventiva del tronco della vena splenica e -di qualche cospicuo ramo venoso del legamento gastro-splenico; indi ho iniettato la so- spensione di bacilli tubercolari nello spessore della milza così inturgidita di sangue che a stento si riusciva a riporla nel cavo addominale attraverso la ferita. L’inie- zione dava luogo a uno stillicidio di sangue dopo ritirata la cannula che non era molto facile a frenare: tuttavia ne è risultata una imponente tubercolosi della milza e del fegato. La milza presentava diversi grossi nodi di tubercoli conglomerati ; la polpa intorno ad essi era abbondantissima dopo 40-45 giorni dalla iniezione, e fornita di elementi grossi a protoplasma abbondante e vivamente basofili, e talora mielociti e normoblasti, come già altre volte avevo veduto in seguito a legatura della v. splenica senza iniezioni successive di nessuna sostanza; il fegato conteneva grosse aree tubercolari, di cui sarà detto più innanzi. L'esperienza della legatura della v. splenica prima della iniezione fu da me eseguita varie volte collo stesso risultato; una volta sola, sia per la particolare recettività dell'animale, sia che fosse troppo grande la, quantità di bacilli iniettati, ne risultò una così colossale e rapidamente distruttiva tubercolosi nel fegato, che l’animale non potè resistere e morì sponta- neamente dopo un mese, profondamente dimagrato. In altro cane del peso di kg. 14 ho eseguito lassolita iniezione di tubercolosi nella milza e successivamente, trascorsa un’ora, ho fatto la legatura della vena splenica. Dopo 50 giorni l’animale non aveva perduto che 1500 grammi di peso, ed era vivace e di buon appetito. Fu sagrificato, e si trovò una tubercolosi miliare del peritoneo, una tubercolosi conglomerata della milza e un enorme fegato del peso di grammi 1200. Quando fu praticata la legatura della vena splenica dopo l'iniezione della coltura tubercolare, l’inturgidamento della milza fu così grande che si durò fatica a riporla nel ventre attraverso la ferita, onde potrebbe sospettarsi che colla compressione esercitata sulla polpa splenica si abbia spinto la materia iniettata attraverso i linfatici addominali, ‘ donde l'eruzione di noduli miliari sul peritoneo, che abitualmente non sì produceva negli altri esperimenti. 268 PIO FOÀ 10 Però in altri casi non si ebbero simili conseguenze e altre considerazioni fareb- bero ritenere che la infezione tubercolare del peritoneo fosse provenuta in seguito come propagazione dalla milza stessa. Da questa serie di ‘esperienze trassi un ri- sultato molto interessante sotto diversi punti di vista. Innanzi a tutto, esistono cer- tamente oltre al ramo principale e ad alcuni rami secondari della vena splenica altri nessi vascolari tra la milza e il fegato nel cane, i quali ci fanno comprendere come la materia iniettata nella milza dopo la legatura delle sue vene principali abbia potuto, ciò non ostante, passare al fegato lungo i vasi portali interlobulari. Inoltre fu costante il fatto del formarsi talvolta, sopratutto all’ilo della milza, dei grossi nodi conglomerati di tubercolo, come se in quei posti si fossero accumulati a grandi gruppi i bacilli inoculati. Il reperto nel fegato ha dimostrato la straordi- naria estensione di bacilli in tutti i casi; anzi in quello in cui la legatura della vena splenica fu fatta un’ora dopo l'iniezione nella milza della coltura tubercolare, il fegato raggiunse il suo massimo volume e la tubercolosi in esso ha preso la maggiore estensione. Ma ciò che ha caratterizzato sopra ogni altra cosa il reperto in discorso, si fu la struttura della massa o dei noduli tubercolari, che era ben diversa da quella che si osservava nei casi ordinari suddescritti. Infatti, i tubercoli non erano dei sem- plici ammassi di cellule epitelioidi, sibbene queste erano invase da un discreto numero di linfatici e da un forte numero di cellule connettive o fibroblastiche, le quali anche circondavano il tubercolo alla periferia, e un tale reperto era non solo nel fegato ma anche nella milza. In questi casi, pertanto, la struttura dei tubercoli veniva modificata nel senso di renderli compenetrati e circondati di elementi fibroblastici e quindi pre- parati alla loro trasformazione in tubercoli fibrosi. In taluni casi si trovava dopo 40-45 giorni dalla legatura un tubercolo conglo- merato nella milza che al centro era jalino e presentava detrito di vari elementi cellulari, e alla periferia era circondato da un tessuto ricchissimo di fibroblasti. Solo presso la massa ialina si trovavano ancora delle cellule in cui erano cumulati dei resti di bacilli poco ben conservati, d'aspetto piuttosto granuloso. Finalmente, poichè il reperto della tubercolosi epatica in seguito ad iniezione di coltura tubercolare nella milza era costante, e la struttura dei tubercoli era in- variata, io volli profittare di una simile circostanza che mi offriva un testo di con- fronto sicuro, e volli vedere di caso in caso come avrebbe potuto diportarsi la tu- bercolosi nel fegato, dopo la splenectomia operata a vario periodo di tempo dalla iniezione della coltura nella milza. L'operazione era fatta al dorso, o dalla stessa ferita originale, o da altra pa- rallela alla prima, e si ottenne varie volte di evitare complicanze penose così da tenere in vita l’animale per tutto il tempo che si desiderava. Alcuni cani furono eperati di splenectomia seduta stante un'ora dopo l'iniezione nella milza dei bacilli tubercolari; altri cani furono operati di splenectomia dopo 24-48 ore, o dopo 5-10-15-20 giorni dalla iniezione. Gli animali furono poi sacrifi- cati a varia distanza di tempo da un minimo di 15 giorni fino ad un massimo di 80 giorni, ma nella serie qualcuno soccombette spontaneamente o per emorragia se- condaria, o per altri accidenti dopo 8 e dopo 20 giorni, onde sì sono potuti constatare gli effetti dell'operazione sopra un gran numero di animali e a diversa distanza di tempo. 11 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 269 Vi furono cani splenectomizzati, i quali sopravissero alla infezione molto più a lungo di altri che morirono spontaneamente in minor tempo con dose minore di materia iniettata. Vi furono cani operati di splenectomia che divennero grassi e vissero vivaci e sani aumentando il peso del corpo, e la splenectomia era stata fatta 14 giorni dopo l’iniezione nella milza di coltura tubercolare, o anche solo dopo 24 ore dalla iniezione. Il risultato costante ricavato da tali esperimenti fu quello di una notevole mo- dificazione della struttura del nodo tubercolare. Non più un puro aggregato di cellule epitelioidi, e neppure il tubercolo con fibroblasti del caso precedente, sibbene il tu- bercolo linfoide per una compenetrazione grande di linfociti fra le cellule epitelioidi che in parte si atrofizzavano, ed erano come nascoste nella massa linfocitaria, così che in taluni casi il nodulo isolato poteva somigliare a un corpuscolo di Malpighi, se fosse stato intorno a un vaso sanguigno. L'importanza del reperto è tale nei singoli casi da spingermi alla descrizione di qualcuno di essi. Cane grosso, pelo lungo marrone, pesa 18 kg. Iniezione abbondante di tuber- colosi nella milza. La coltura pura era derivata dal solito ceppo descritto più addietro; la quan- tità come al solito era di 2 anse in 5 cc. di soluzione fisiologica. Dopo 1 ora, estir- pazione della milza che pesava 120 gr. Dopo 1 mese si sacrifica l’animale e si trova che il fegato pesava 800 grammi, era liscio uniformemente di color rosso bruno. Nessuna traccia di tubercolosi nei gangli mesenterici, o nei gangli periepatici, o nei peribronchiali, o nel polmone. Al microscopio si trovano tanti piccoli nodi isolati, in parte costituiti da poche cellule epitelioidi; in gran parte, invece, di cellule linfoidi che avevano penetrato il nodo tubercolare. I nodi erano nello spessore degli acini, ma anche nel tessuto interlobulare in- torno ai vasi portali eravi una ricca infiltrazione linfoide, e qualche accumulo di cellule epitelioidi. Era assai difficile trovare nei noduli dei bacilli; però l’inoculazione di pezzi di fegato sotto la cute di cavie ha dato un risultato positivo, ma molto localizzato € tardivo. x In questo caso i noduli evidentemente devono essersi sviluppati dai bacilli iniet- tati nella milza e passati direttamente. al fegato. L’estirpazione della milza ha im- pedito che altri bacilli passassero successivamente al fegato estendendo il processo, ma ha altresì ostacolato l’acerescimento e la fusione dei noduli preesistenti, i quali rimasero piccoli e isolati. Intanto si aumentava l’infiltrazione parvicellulare intorno ai vasi, e piccole cellule linfocitoidi hanno altresì invaso i noduli. Questi hanno per- tanto modificato la loro struttura, e a quanto si può arguire dal non avere il cane perduto affatto del peso del corpo, e dalla sua vivacità e dal suo buon appetito, e dall’essere l'infezione nelle cavie sorta tardivamente così che dopo 11/2 mese eravi solo il ganglio regionale infiltrato e qualche raro noduletto nella milza, i noduli del fegato si trovavano assai probabilmente in via di regressione. Cane nero del peso di 10 kg. Il 14 novembre 1907 venne operato dell’iniezione nella milza della solita coltura di bacilli tubercolari. Dopo 22 giorni essendo il cane diminuito di 2 kg. di peso, ma apparentemente vivace, fu operata l’estirpazione 270 PIO FOÀ 12 della milza. Questa pesava 60 gr. ed era gromita di nodi grossi conglomerati di tubercolosi. Reperto inatteso e raro fu la presenza di molti normoblasti e megaca- riociti nella polpa splenica, e diversi normoblasti si trovavano anche nel sangue, in cui parimenti si vedevano numerosi eritrociti con granuli cianofili colorabili col Cresy]- brillante. Questo era un reperto individuale del cane operato giovane di 2 anni e che in altri casi non si è ripetuto. Dopo 62 giorni dalla infezione e dopo 40 giorni dalla splenectomia, il cane fu sagrificato e pesava 7 kg. Il fegato era grosso e liscio di tinta giallognola, pesava 420 gr. e sì presentava gremito di piccole macchie giallognole confluenti particolar- mente nel lobo sinistro del fegato e sulla parte convessa del medesimo. Al miero- scopio si trovarono grossi nodi confluenti e abbondante infiltrazione perivascolare negli spazi intercostali, il che è dovuto ai 20 giorni d’infezione che ha subìto prima della splenectomia, ma i nodi e le zone d’infiltrazione erano a loro volta sensibil- mente modificati da questa ultima operazione, poichè insieme con molte cellule epi- telioidi tuttora persistenti sopratutto verso il centro dei nodi, eranvi moltissimi lin- fociti frammisti anche a molte plasmacellule, le quali erano anche abbondanti nel tessuto interlobulare. Il cane fu ucciso troppo presto, e forse lasciato a sè sarebbe sopravvissuto; un altro cane, invece, dello stesso peso e iniettato nella milza colla stessa coltura, ma in dose minore del suddetto cane nero, morì spontaneamente dopo 40 giorni dalla iniezione. Questo non aveva subìto la spleneetomia come il precedente ed era s0g- giaciuto all’infezione con estesa tubercolosi interlobulare. Cane volpino 5 kg. Iniezione nella milza della solita quantità di coltura di bacilli tubercolari dello stesso ceppo dei precedenti. Dopo 14 giorni fu estirpata la milzà, la quale era voluminosa con grossi nodi di tubercoli conglomerati. L’estirpa- zione della- milza in questo easo, come nei casì precedenti, fu fatta dal dorso con ferita parallela alla prima, che nel caso presente si trovò completamente cicatrizzata. Il giorno 13 gennaio, cioè dopo 76 giorni dall’infezione e dopo 52 dalla splenectomia, il cane era vivace, di buon appetito, aveva bene cicatrizzato anche la 2* feritafsed era aumentato di peso di 1 kg., onde lo si sarebbe detto completamente sano. Fu sagrificato, e fu trovato un fegato di 300 grammi, liscio, di colore rosso-seuro, ap- parentemente normale. Il ganglio retrosternale era un po' grosso e duro; qualche nodulino sulla volta del diaframma, e null’altro nel resto del corpo. Al microscopio il fegato presentava alcuni noduli isolati .con poca tendenza alla fusione, tranne in qualche taglio in cui sì riscontrava qualche nodo più grosso evidentemente risultato dalla fusione di 2 noduli; riccamente infiltrato era il tessuto interlobulare intorno ai vasi. Nei nodi suddetti persistevano alcune cellule epitelioidi quasi sepolte in un cumulo di numerosi linfociti con qualche plasmacellula. Queste predominavano sopra- tutto negli spazi interlobulari intorno ai vasi. Le cellule epatiche erano grosse e & protoplasma chiaro reticolato, non contenevano che poco glicogeno e punto grasso: la struttura dell’acino era un po’ modificata. Anche in questo caso si sarebbe potuto parlare di guarigione clinica del pro- cesso, e istologicamente si ebbe il mutato aspetto dei noduli divenuti spiccatamente | linfoidi. Di 2 cavie inoculate con frammenti di fegato del cane predetto, una uccisa dopo 1 mese presentò ancora qualche tubercolo, l’altra nulla. Potrei continuare la - 13 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 271 descrizione di molti altri casi, fra cui di quelli troncati innanzi tempo a 10-15-20 giorni per qualche accidente sopraggiunto e tutti erano contraddistinti da una più o meno avanzata trasformazione della struttura del tubercolo da epitelioide che era in altro tipo prevalentemente linfoide. Vi furono rari casi in cui il cane non risentì alcun buon effetto dalla splenectomia anche operata dopo soli 5 giorni dalla iniezione e sia per la soverchia quantità o virulenza dei bacilli, sia per la soverchia sensi- bilità dell'animale, questi soccombette dopo un mese profondamente dimagrato; ma i casi di cani sopravvissuti e apparentemente guariti sono oramai numerosi. Ancora attualmente è vivo un cane operato di splenectomia 24 ore dopo l’iniezione della solita quantità e qualità di coltura nella milza, da 80 giorni, e apparisce sanissimo con leggero aumento del peso del corpo; esso sarà sagrificato più tardi. Parimenti è di questi ultimi giorni un esperimento finora unico, ma che sarà continuato, intorno all’azione della tubercolina (vecchio tipo Koch) sopra la tubercolosi del fegato e della milza, quale si manifesta con caratteri tipici e costanti nel cane, mediante la nostra coltura. Un cane del peso di kg. 9 ebbe nella milza la solita quantità della solita coltura e fu lasciato a sè vari giorni finchè guarì la ferita cutanea, e la sua tem- peratura oscillava fra 39,3 e 39,7. Dopo 8 giorni dalla infezione si fece una prima iniezione sottocutanea di tubercolina (1 decimilligrammo) e si ebbe una reazione di circa 1 grado il giorno dopo. Dopo altri 10 giorni si rifece l’iniezione di 1 decimilli- grammo di tubercolina e non sì ebbe reazione. Dopo altri 7 giorni si rifece una terza iniezione di 2 decimilligrammi, parimenti non seguita da reazione alcuna, e dopo altri 15 giorni pesato l’animale si trovò che era aumentato di kg. 1,400, ed era infatti vivacissimo. Allora fu sacrificato e si trovò una milza di 60 grammi polposa con nodetti tubercolari, e un fegato chiazzato giallognolo, liscio, di 500 grammi di peso. Il reperto microscopico ha rilevato una infiltrazione linfocitaria abbondante dei noduli tubercolari, e una incipiente trasformazione fibrosa degli stessi nella milza e nel fegato. L'esperimento unico non basta, ma tende a dimostrare che la trasfor- mazione fibrosa e linfocitaria del tubercolo accenna effettivamente alla sua guarigione sotto l'influenza della tubercolina. Ulteriori esperienze e di maggior durata sono necessarie a risolvere più radicalmente il problema, ma il saggio unico presentato è incoraggiante per sè, ed è utile, in quanto rafforza l’interpretazione data più sopra ai risultati ottenuti colla splenectomia, e più ancora colla legatura della vena splenica. Considerazioni. Se noi ci fermiamo un poco a considerare i risultati ottenuti da tutte le espe- rienze che abbiamo descritto, potremmo trarne alcune conclusioni riassuntive. Innanzi a tutto, risulta evidente anche dalle nostre esperienze che un metodo facile e sicuro per fare arrivare al fegato un materiale infettivo o necrotizzante (estratti di capsule surrenali) è quello di farne una iniezione parenchimatosa nella milza. Localmente questo organo risente naturalmente dell’iniezione fatta e dalla le- sione che ne deriva si propaga al fegato nuovo materiale irritante, o rispettivamente infettante quando si tratti di microorganismi, cosicchè l’alterazione in esso si estende 272 i PIO FOÀ ; 14 e si fa più grave; però gran parte della lesione del fegato proviene dal materiale che ad esso è pervenuto fin dal principio per il trasporto diretto nei vasi portali al mo- mento dell'operazione. Si ottengono negli animali dei focolai necrotici e infiammatorì nel fegato, identici a quelli che si trovano spontaneamente nell’uomo, iniettando nel parenchima della milza alcuni microorganismi, come ad esempio, quelli del tifo. È pos- sibile che data nell'uomo una grande iperplasia di elementi nella milza, come ad esempio nella leucemia linfatica, una parte delle lesioni che si riscontrano simulta- neamente nel fegato derivino dal trasporto in esso di elementi proveniente dalla milza stessa. i: La milza reagisce anche alle iniezioni di materiale infettivo o irritante nel dotto coledoco, e talora la reazione splenica uguaglia, o anche supera quella del fegato. Sono noti in patologia i tumori splenici che accompagnano o seguono le angioeoliti, onde è lecito arguire che sono possibili delle splenomegalie derivate da primitiva lesione dei vasi biliari, che in seguito è scomparsa così da dare illusione che il pro- cesso nella milza sia idiopatico, o primitivo, quando questo sia persistente anche dopo dopo le suddette alterazioni delle vie biliari. Vi sono indubbiamente delle splenomegalie d'origine epatica; poichè è possibile di ottenere un tumor splenico caratteristico iniettando una determinata sostanza nel parenchima del fegato, p. es. degli estratti freschi surrenali o i rispettivi nucleo- proteidi ottenuti con precipitazione coll’acido acetico e ridisciolti in mestruo fisiolo- logico, oppure iniettando nel fegato una coltura di bacilli tubercolari. Il reperto che si ha nei due casi supposti nella milza, è corrispondente all’azione che sogliono eser- citare le sostanze iniettate, e quindi o coagulazioni e necrosi nel caso di iniezioni di estratti di capsule surrenali, o una quantità di minutissimi noduli tubercolari nel- l'altro dei due casi supposti. Il reperto talvolta è notevole per il rilevantissimo in- grossamento della milza, ma può tuttavia mancare, e ciò forse avviene quando la materia spinta nel fegato non penetri casualmente in qualche ramo della v. porta interlobare, di dove sarebbe forse possibile il trasporto delle sostanze ‘alla milza per moto refluo, consentito dalla mancanza di valvole sia nella vena splenica principale, sia nelle vene accessorie che fanno comunicare il circolo venoso della milza col cir- colo portale. È interessante il reperto ottenuto colla iniezione nella milza di colture tuber- colari. Le prime esperienze erano state fatte con bacilli di due diverse origini ; cioè con una coltura di b. tubercolare bovino favoritaci dall'Istituto siero-terapico mila- nese, e con una coltura che il D' Parodi ha fatto direttamente dall’ uomo, nel mio Istituto, e che sul principio esercitava un’azione infettante generale sul coniglio secondo il tipo del b. bovino, ma che più tardi perdette la facoltà di infettare il coniglio, mentre serbò la costante sua azione sul cane anche per semplice trapianto da tubo a tubo in siero di vitello glicerinato, da oltre un anno. Le colture di tipo. bovino suaccennate erano bensì capaci di dare infezione al cane, e si ebbero vari saggi di tubercolosi interlobulare nel fegato, abbastanza estesa, ma verso la quale i cani si mostrarono resistenti, così da essere vivi e apparente- mente in discreto stato ancora dopo tre mesi. I tubercoli erano di tipo misto epitelioide | e linfoide: e dopo 90 giorni il fegato benchè solo localmente con molta lentezza era ancora capace di infettare la cavia. 15 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 273 Abbandonata la coltura del b. bovino, adoperammo costantemente il suddetto bacillo coltivato nel nostro Istituto e ricavato da cadavere umano, facendone di quando in quando dei trapianti diretti da tubo a tubo in siero glicerinato. L'azione del bacillo rimase costante, e parecchi cani soccombettero spontaneamente in uno o due mesi con estesa tubercolosi interstiziale nel fegato a tipo epitelioide, derivata dalla fusione di singoli nodi che si erano formati nei primi giorni dopo l’iniezione parenchimatosa nella milza e che in seguito aumentarono di volume e si confusero in una massa unica. Non mai vidi prodursi delle cellule giganti, non mai il più pic- colo accenno alla formazione di una sostanza fibrillare, e quindi di una retrazione del tessuto ; i vasi biliari erano compressi o indifferenti. La legatura della vena splenica e di alcuni altri rami maggiori decorrenti nella plica gastro-splenica, eseguita poco prima dell’ iniezione di coltura tubercolare nel parenchima della milza resa così assai turgida per congestione, oppure la legatura dei predetti vasi venosi fatta un'ora dopo l’iniezione della coltura nella milza, ha dato un risultato non previsto. Grossi nodi di tubercolosi conglomerata nella milza; este- sissima tubercolosi nel fegato che aumentava notevolmente di volume e di peso, con leggiera itterizia e a superficie glabra. Modificato profondamente il tipo di struttura del tessuto tubercolare, in cui l'elemento epitelioide cedeva man mano la prevalenza ad una compenetrazione di elementi linfatici e fibroblastici, questi ultimi sopratutto assai numerosi in taluni casi, sia nello spessore sia alla periferia dei noduli. Parimenti inatteso il risultato ottenuto colla splenectomia, la quale pure conduce a modificare il tipo dei noduli tubercolari, di cui sembra altresì arrestare l’accresci- mento e la fusione. I noduli vengono compenetrati interamente da linfociti, e le cellule epitelioidi a stento si riconoscono tra essi, molte di quelle cadendo in atrofia. I cani possono dirsi clinicamente guariti e aumentano di peso, pure serbando anche alla distanza di 75 giorni qualche nodulo tuttora infettante per la cavia. Ricca l’in- filtrazione parvicellare o linfocitoide nel tessuto perivascolare, che più tardi si arric- chisce di numerose plasmacellule. I risultati di queste due ultime serie di esperimenti accennano evidentemente ad un'azione modificatrice del processo tubercolare, esercitata dalla splenectomia o dalla legatura delle vene spleniche, così da lasciar ritenere possibile una guarigione definitiva del processo. È difficile l’interpretazione di un simile risultato, e a taluno potrà anche venire alla mente l’azione protettrice che è stata ed è tuttavia attribuita al parenchima epatico verso i bacilli tubercolari. Infatti, già lo Schlenker nel 1893 (“ Virchow Archiv, B. 134) affermava che la cirrosi del fegato in vecchi soggetti tisici rappresentasse un processo tubercolare già decorso, e Sabourin (“ Arch. d. physiologie normale et pathol. , 1883) ammetteva che i tubercoli nel fegato potessero regredire trasformandosi in tubercoli fibrosi, e Zehnden ritiene che i tubercoli nel fegato pos- sono guarire anche senza dare alcun segno di sè. Essi appariscono nel fegato altret- tanto presto quanto negli altri organi; tuttavia essi rappresentano solo dei piccoli nodi e non modificati nella loro struttura, onde egli ammette che l'eruzione si compia e che i noduli di nuovo scompajano (Vedi “ Centralblatt f. Allgem. Path. u. Path. Anat. ,, vol. VIII, 1897, S. 468). Egli appoggia anche la sua opinione sul fatto osservato da Baumgarten (Experiîm. u. Path. Anat. untersuchunge iiber die Tubercolose, “ Zeitsch.f. Kli. Med.,, Bd. IX a X), che i noduli tubercolari del fegato contengono molto meno bacilli Serie II. Tox. LIX. Ii 274 PIO FOÀ 16 dei noduli formatisi contemporaneamente in altri organi. Inoltre Maffucci e Sirleo (* Centralb. f. Allg. Path. u. Path. Anat. , Bd. VI, 1895, S. 342) hanno cercato di dimo- strare che i bacilli tubercolari arrivati al fegato in non grande quantità vi venivano distrutti da fagociti, e che animali inoculati con sostanza epatica e bacilli, morivano più tardi di marasma ma non di tubercolosi. Di recente alcune pubblicazioni della scuola di Weichselbaum a Vienna hanno cercato di dimostrare la facoltà che hanno certi organi, come le ghiandole linfatiche, le ovaia e il fegato, di rendere avirulenti i bacilli tubercolari (Vedi BarreL, Zur Tuberkulosefrage, “ Viener Klin. Wochensch. ,,- 1906, N. 16, e Neumann e Wrreensren, Das Verhalten der Tuberkelbazillen in dem verschiedenen Organen u. s. w., “ Wiener Klinische Wochenschrift ,, 1906, N. 28, S. 858), che hanno confermato i risultati di Bartel. Ma a proposito di tutti questi lavori, senza volerne giudicare particolarmente le conclusioni, noi possiamo osservare che, sia per le proprietà biologiche delle nostre col- ture, sia per la quantità di bacilli iniettati nella milza, che era piuttosto abbondante, sia per la recettività dimostrata da molti dei nostri cani inoculati, è risultato dalle nostre esperienze in modo non dubbio, che le nostre colture arrivate al fegato erano realmente capaci di determinarvi una tubercolosi progressiva fino a distruggere gran parte del parenchima epatico e a uccidere spontaneamente l’animale, onde se, mediante certi procedimenti sperimentali quali la splenectomia a diverse epoche dalla infezione o la legatura delle grosse vene della milza, si ebbe costantemente una modificazione sul tipo di struttura del tubercolo, e anche un decorso clinico mite o risolutivo, cre- diamo che esso debba essere realmente attribuito ai processi sperimentali suddetti, e non all’azione bactericida che avrebbe esercitato sui bacilli della tubercolosi il fegato degli animali operati. Vi furono casi di guarigione in animali molto robusti,e si potrebbe sospettare che in quelli la splenectomia abbia già trovato un terreno naturalmente favorevole alla guarigione anche spontanea; vi furono casì di marasma e di morte per tubercolosi estesa del fegato ad onta della splenectomia, ma in molti altri casi il reperto era ottenuto costante in animali comuni è recettivi, e quindi aveva il signi- ficato che gli abbiamo attribuito. In tutti i casi di trasformazione del tubercolo«si è visto che esso veniva compenetrato da cellule linfoidi, e che anzi colla splenectomia si otteneva la trasformazione linfoide del tubercolo così intensa che era difficile vedere tra i suoi elementi le cellule epitelioidi di cui constavano costantemente ed esclusivamente i noduli tubercolari degli animali non splenectomizzati. La trasfor- mazione linfoide del tubercolo andava di pari passo colla esagerata produzione lin- focitaria intorno alle pareti dei vasi interlobari (Tav. II, fig. 9). Quale è il signifi- cato che potrebbe avere la suddetta prevalenza di elementi linfocitari nel tubercolo ? Io potrei qui ricordare le ricerche di molti autori e segnatamente quelle di Manfredi e Viola (1), di Bezangon et Labès (2), e da ultimo quelle di Bartel e Neumann (3), sull'azione protettrice che eserciterebbe il tessuto linfatico, e precisamente le ghian- (1) Manerepi è Viora, Influenza dei gangli linfatici sull’immunità, “È Annali d'Igiene ,, vol. VIII, fase. 4, 1891. (2) Bezancon et Lantis, Étude sur Ze mode de réaction et le ròle des ganglions Iymphatiques, © Arch. de méd. exp. ,, 1898. ì (3) Barrer et Neumann, Lymphocyte und Tuberkelbacillus, “ Centralb. f. Bact. ,, Bd. XI, Heft 4, 1906. 17 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 275 dole linfatiche e la sostanza splenica sulle infezioni in genere e sulla infezione tubercolare in ispecie, per chiedermi se mai il tramutarsi del tubercolo da epitelioide in linfoide non significasse un processo di attenuazione o di avviata guarigione del processo. La migrazione linfocitaria nello spessore del nodulo tubercolare, l’atrofizzarsi delle cellule epitelioidi, l’impiccolire del nucleo stesso e fors’anche il suo scomparire senza lasciare alcuna traccia di sè, non potrebbe significare un’azione antitubercolare esercitata dai linfociti, analoga a quella che vari autori avrebbero ottenuto con espe- rienze în vitro? Io non credo che i miei risultati, per quanto in apparenza sieno favorevoli all'ipotesi suddetta, valgano da soli a dare alla detta teoria un fondamento di sicurezza; potrebbero anche nei casi da me descritti avere agito altre cause de- terminanti l’indebolimento del processo tubercolare di cui l'invasione linfocitaria avrebbe potuto essere un fatto secondario, o solo un indice. Certo è importante la coincidenza dei due fatti; cioè del diventare linfocitario del tubercolo, e dell'arresto del suo sviluppo colla sopravivenza dell'animale clinicamente guarito, il che coincide coll’esagerata infiltrazione linfocitaria perivascolare del fegato quasi a compenso della mancata produzione linfocitaria della milza. E anche non facile a interpretare è il risultato ottenuto colla legatura della vena splenica, sebbene gli animali operati sieno stati sacrificati troppo presto per poter affermare con certezza che essi fossero capaci di guarire perfettamente. In ciascuno dei casi da noi suddescritti il risultato definitivo si fu la tendenza manifesta a diventare fibroso del tubercolo in tutti gli organi. Anche nei rari casi in cui la tubercolosi non si è limitata alla milza e al fegato, ma si diffuse in parte al peritoneo e al polmone, si ebbe sempre a verificare lo stesso fatto, cioè quello della compenetrazione abbondante dei noduli da parte di linfociti e sopratutto di cellule fibroblastiche. Se si ammettesse che la tubercolosi nel fegato, nel peritoneo e nel polmone si è propagata successivamente in questi organi pro- venendo dalla milza in cui i bacilli iniettati hanno proliferato e prodotto dei nodi grossi di tubercolosi conglomerata, si potrebbe conchiudere che la congestione pas- siva ha così modificato la virulenza dei bacilli iniettati, da dare origine a deboli tubercoli con tendenza manifesta a divenire fibrosi. Se, invece, si dovesse supporre che i tubercoli del fegato, del peritoneo e dei polmoni fossero derivati dai bacilli trasportati in questi organi sino dal momento dell’iniezione, invece di esservi stati propagati successivamente dalla milza, si dovrebbe imaginare un’azione attenuatrice del processo dovuta a qualche ipotetica sostanza preparata nella milza stessa posta nelle condizioni in cui la mise la legatura della vena splenica, e ciò sarebbe un’ipotesi mistica, in quanto non vi ha nessun fatto noto che l’appoggi. L’azione benefica della ‘congestione passiva tanto ricercata al giorno d’oggi dopo le ricerche di Bier, potrebbe forse essere di preferenza invocata, benchè non senza qualche difficoltà a spiegare i risultati più volte indicati. In sostanza, due procedimenti sperimentali, ossia 2 atti operativi sulla milza hanno valso a mutare le condizioni circolatorie e nutritizie degli organi, e partico- larmente del fegato così da renderlo meno adatto allo sviluppo in esso progressiva- mente crescente del processo tubercolare. Ciò richiama alla memoria anche i risul- tati sperimentali di Henri Claude (1) sulla produzione di cirrosi sperimentali di (1) Henrr CLaupe, Sur la cyrrhose tuberculeuse expérimentale, © Bulletin de la Société médicale des Hòpitaux de Paris ,, N. 21, 1903. 276 PIO FOÀ 18 origine tubercolare nella cavia, secondo i quali gli animali resi resistenti mediante trattamento con certe sostanze come la lecitina reagivano con una manifestazione di tubercolosi fibrosa, o di un processo diffuso sclerotizzante, alla introduzione di bacilli tubercolari virulentissimi che uccidevano gli animali di controllo con estese produ- zioni caseose. Le condizioni umorali dell’ organismo sensibilmente variate erano la causa del diverso manifestarsi e del diverso andamento della tubercolosi negli ani- mali operati. È verosimile che a cause analoghe si debbano i nostri risultati, i quali sarebbero in dipendenza delle mutate condizioni umorali dell'organismo non dovute all’azione di sostanze medicamentose, ma alla soppressione della milza, oppure alle condizioni circolatorie della stessa profondamente mutate colla legatura dei suoi grossi vasi venosi. Rileviamo da ultimo un primo e fino ad ora unico risultato ottenuto coll’uso della tubercolina sui nostri cani il cui reperto anatomico spontaneo dopo l'infezione ci è divenuto tanto famigliare da poterne facilmente rilevare ogni variazione. Il processo tubercolare nel fegato e nella milza venne sensibilmente modi- ficato sotto l’uso di poche iniezioni a dosi crescenti di tubercolina, e precisamente i noduli hanno preso quello stesso aspetto linfoide e fibroblastico, che riscontrammo in seguito alla legat. della v. splenica. Ciò ne conforta nell’interpretazione che abbiamo dato : cioè che un simile cangiamento nella struttura del tubercolo significhi real- mente un avviamento alla guarigione, o per accresciuta resistenza dell'organismo, o per diminuita virulenza del virus. Le esperienze saranno certamente continuate, attesa l’importanza teoretica dell'argomento. La splenectomia tanto più sembra gio- vare quanto più presto viene operata dopo la infezione. Se in questi casi si esamina anzhe il fegato nei suoi caratteri esterni, potrebbe concludersi che desso non sia affatto alterato. Invece, esso contiene già molti noduli tubercolari che più tardi si fonderanno e ingrosseranno notevolmente l’organo rendendolo leggermente itterico. Anche nella patologia umana quando si opera la splenectomia, e si giudica este- riormente il fegato come normale, si può cadere in inganno, perchè già nel fegato può esservi più o meno avanzata una lesione che poi s’arresta colla splenectomia per un processo di trasformazione istologica del prodotto flogistico probabilmente analogo a quello più sopra descritto. Pi °° A RE IV. PE LEA 19 SULLE ALTERAZIONI DEL FEGATO DI ORIGINE SPLENICA, ECC. 277 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. I. Fig. 1. — Nodi neerotici e leucocitari nel fegato di coniglio dopo 10 giorni dalla iniezione di b. del tifo nella milza. Fig. 2. — Fegato di cane otto giorni dopo iniezione di estratto fresco di capsula surrenale di vitello nella milza. Fig. 3. — Fegato di cane, immersione omogenea 2 mm., oculare compensatore 8, 36 ore dopo iniezione di coltura di bacilli della tubercolosi nella milza a, bd. Fig. 4. — Fegato di cane, piecolo ingrandimento, nodulo di cellule epitelioidi dopo 48 giorni dall’iniezione di b. tubercolari nella milza. Fig. 5. — Fegato di cane. Tre nodi grossi di cellule epitelioidi 8 giorni dopo l’iniezione di bacilli tubercolari nella milza. Pays id, Fig. 6. — Fegato di cane, nodi isolati a, © e fusione di due nodi c, come nel capo precedente, dopo 10 giorni dall’iniezione di b. tubercolari nella milza. Fig. 7. — Fegato di cane morto spontaneamente un mese dopo l’iniezione di bacilli tubercolari nella milza. Fig. 8. — Tubercoli con cellule giganti nel fegato di coniglio dopo 15 giorni dalla iniezione di bacilli della tubercolosi nel dotto coledoco. Tav LIL. Fig. 9. — Fegato di cane un mese dopo la splenectomia operata 5 giorni dopo l’iniezione di bacilli tubercolari nella milza: @) ricca infiltrazione parvicellulare perivascolare ; 8, 6) nodi compenetrati di cellule linfoidi. Fig. 10. — "Fegato di cane operato di splenectomia 20 giorni dopo l’iniezione di bacilli tuber- colari nella milza. I nodi sono grossi e fusi tra loro, ma invasi da leucociti e circon- dati anche da fibroblasti. Fig. 11. — Fegato di cane operato da 45 giorni di iniezione di bacilli tubercolari nella milza, previa legatura della vena splenica e di qualche altro cospicuo ramo venoso. Trasfor- mazione del tubercolo a tipo prevalentemente fibroblastico. Memorie d.R.Accad.d. Scienze di Torino Ser. Il.Vol.39 i s re 09: (ADS SO M99/<0D) 2° 8)L ipuazzilim cene IV ; Ad A O, PP Alterazioni del fegato 1ak 74 (7 > {e (C} CS 9 i © ‘GS © n") Ss © x > pe 5 ECHI / LO, È La P x (® > CZ] e To o ® C Sl er ©) as 504 P_Altberazioni del fegato Tardi (O) x i \ D RAI® È e INTORNO - DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI DEL SECONDO ARCO BRANCHIALE NELL’UOMO RICERCHE MORFOLOGICHE DEL Dott. ANGELO CESARE BRUNI SETTORE PRESSO L'ISTITUTO ANATOMICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI TORINO Approvata nell'adunanza del 24 Maggio 1908. I. — Introduzione. Notizie storiche. Lo studio del complesso di formazioni ossee, cartilaginee e fibrose, che, costi- tuendo la catena joidea (cornuiale di GauPP [16-17-18]), servono di apparecchio sospensore all’osso joide e lo uniscono alla base del cranio, ha sempre destato l’in- teresse degli anatomici sia per le importanti questioni anatomo-comparative che ad esso si collegano, sia per la frequenza con cui si verificano deviazioni dal tipo che viene ritenuto come normale. È noto che nei primi mesi dello sviluppo lo scheletro del secondo arco bran- chiale, o arco joideo, è rappresentato dalla cartilagine di RercHERT, molto simile a quella di MeckeL, che forma lo scheletro del primo arco branchiale o arco mandi- bolare. Non volendo tenere conto della porzione della cartilagine di ReIcHERT che prende parte alla formazione di organi dell'orecchio medio, la rimanente porzione, quella che il ReicHERT (53) stesso chiama suspersorium dell'osso joide, è costituita di un cordone cartilagineo continuo (KéLLIKER (88], NoorDpEN [44], HAGEN [23]), che giunge, al difuori del cranio, fino alla linea mediana del collo, ove però non si unisce col cordone del lato opposto, ma invece pare si fonda con la parte laterale del corpo del joide. i “ Questo stato cartilagineo del suspensorium — dice il RercHERT — è lo stesso in molti Mammiferi. Ma al tempo dell’ossificazione si manifestano delle variazioni secondo l’individualità propria dei singoli animali ,. Noi possiamo aggiungere subito che queste variazioni consistono essenzialmente nel numero vario di segmenti ossei che prendono parte alla costituzione della catena joidea, e nella posizione e lun- ghezza diversa dei tratti legamentosi che vengono a sostituire la cartilagine pri- mitiva fra i punti ossificati o fra quelli che eventualmeate permangono allo stato cartilagineo. 280 ANGELO CESARE BRUNI [ 2 L'apparecchio branchiale in genere e quindi anche l'apparecchio joideo, rag- giunge il massimo di complessità nei Pesci, però GrorrrRoy pe SArnrT-HrLarre [14] sostiene l’identità di esso in tutta la serie dei Vertebrati, e dimostra che le diffe- renze numeriche dei segmenti ossei tra i Pesci (9 segmenti), gli Uccelli (8 segmenti) e i Mammiferi (7 segmenti), non interessano l’apparato sospensore, ma si riferiscono esclusivamente al corpo dell'osso joide. Credo di poter riassumere le vedute di questo Autore intorno alla struttura del- l'apparecchio joideo nel seguente schema : Base del cranio. -» Stilojale Stilojale S Cheratojale Cheratojale = \A< . 5 s)8/8 Apojale A pojale e SS Glossojale Basijale Glossojale ss a NE pae ER MB Tale classificazione avrebbe anche il vantaggio di offrire una nomenclatura co- moda e uguale per tutti i Vertebrati. Infatti riportandola alla anatomia umana avremo : Stilojale = Apofisi stiloide Cheratojale = Legamento stilo-joideo Apojale = Piccolo corno dell'osso joide Basijale Glossojale Corpo dell'osso joide Grande corno dell’osso joide. I Ma il Nicoras [43] in un suo accuratissimo studio fa osservare che la catena joidea in molti Pesci, specialmente nei Teleostei, ove raggiunge il massimo sviluppo, comprende un segmento di più, il più prossimale, che chiama interjale. Nei Teleostei adunque a partire dal basijale si incontrerebbero questi segmenti: apojale, chera- tojale, epijale e interjale. Ora, dice l'Autore, quale delle due ultime formazioni, epijale ed interjale, corrisponde allo stilojale dei Mammiferi? A suo avviso si deve ritenere come omologo dello stilojale l’epijale, perchè questo segmento è costante in tutti i Vertebrati, mentre non lo è l’interjale. Seguendo adunque il NicoLas potrei così modificare lo schema precedente: Base del cranio. Interjale Interjale Epijale Epijale Cheratojale Cheratojale Ipojale Ipojale Basijale 00 i E) INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 2 che riportato all’ Uomo dà: Interjale = quella cartilagine che unisce l’apofisi stiloide alla base del cranio (artrojale di NIcoLas). Epijale = stilojale degli altri Autori, apofisi stiloide della anatomia umana. Cheratojale = Legamento stilojoideo. Ipojale = apojale = piccolo corno dell’osso joide. Il segmento superiore (interjale, artrojale) corrisponde secondo il NicoLas stesso al prolungamento joideo di THomas [69] e di Sappey [59]: è quasi sempre ben ap- prezzabile, tanto nei cranî freschi quanto nei cranî macerati, come una parte distinta della apofisi stiloide intesa nel senso comune, per esserne il più delle volte divisa da un tratto fibroso o cartilagineo se l’ossificazione non è molto avanzata, od ancora da una traccia di sutura nei casi in cui l’ossificazione è più avanzata. Nei lavori più recenti, questo segmento, per i rapporti particolari che, sia nell’adulto, sia durante lo sviluppo, assume con la pars tympanica del temporale, ha ricevuto il nome di timpanojale (FLower, THomas, Spre [66], GAuPP, BALESTRA e CHériè-LicniÈRE [2], CHERIÈ-LIGNIÈRE). Altre classificazioni dei varî segmenti sono adottate da altri Autori. Così il FLoweR [14], come pure l’Owen [46], il Quarn [50] chiamano epijale il cheratojale e cheratojale l’ipojale o apojale degli altri AA. Però al fine di non generare delle confusioni non mi atterrò a tale nomenclatura neppure dovendo riferire delle preziose osservazioni del FLoweRr. E per la stessa ragione non faccio che accennare alla no- menclatura adottata dal Grrson [22]: È Anajale = Timpanojale pane Metajale = Stilojale aila 3 Parajale = Epijale (Cheratojale degli altri AÀ.). PO) Catajale = Cheratojale (Apo- o ipojale degli altri AA.). Ad ogni modo nella indicazione dei varì segmenti della catena joidea si po- tranno ritenere come sinonimi i seguenti termini : 1° interjale — artrojale — prolungamento joideo — timpanojale — anajale di GrLson. 2° epijale — stilojale — metajale di Girson (apofisi stiloide dell’Anatomia umana). 3° cheratojale — epijale di FLower — parajale di GrLson (legamento stilojoideo dell’Anatomia umana). 4° apojale — ipojale — cheratojale di FLoweR — catajale di Grrson (piccolo corno dell’osso joide dell’Anatomia umana). Della divisione che fanno Porrier e MrunIER [49] della apofisi stiloide in sti- lojale (metà superiore) ed epijale (metà inferiore), il NicoLas dice che non è il caso di tenere conto, e in realtà non si trova spiegazione sufficiente di questo fatto nella figura che-è riportata anche nel trattato del Porrier [48] (fig. 458, pag. 507, Sert II. Tom. LIX. x! 282 ANGELO CESARE BRUNI 4 del vol. I), trattandosi quivi di una anomalia che potrebbe forse prestarsi ad una spiegazione diversa. Abbiamo così dato lo schema di costituzione generale dell’apparecchio sospen- sore dell'osso joide in tutti i Vertebrati, quale è quasi universalmente ammesso. Quando i quattro segmenti sono rappresentati da altrettanti pezzi ossei articolati fra di loro, si è convenuto di chiamare la catena joidea completa. Negli altri casi, in cui solo alcuni segmenti sono rappresentati da pezzi ossei, si avrebbe la catena incompleta. È Si riscontra la catena completa non soltanto in molti Pesci ma anche in molti Mammiferi. In altri Mammiferi invece solo alcuni segmenti sono sviluppati, i rima- nenti sono in tutto od in parte sostituiti da cartilagini o da ]egamenti. Riassumo a questo proposito in una tavola i dati del FLowEeR al riguardo, non tenendo conto del timpanojale (che del resto nei Mammiferi è il segmento più fisso) per la sua posizione nello spessore dell’osso temporale. N. dei segmenti Stilojale Cheratojale Apojale estracranici ossificati Catena tipo (Canis) . ossificato ossificato ossificato 3 (catena compl.) Homo . eo fi legamentoso 4 2 (catena incompl.) Primates. . . . . |legamentoso|id. osseo nel La- gotrix humboldtii id., non in tutte 0-1-2 , Carnivora Zi STTECITE ossificato ossificato ossificato 3 (catena compl.) Insectivora . . . . a s y 3 È Chyroptera . ‘ 5 : a 3 7 Rodentia. . . . . |legamentoso a s 2 (catena incompl.) Vivai 3 Pero ossificato è È 3 (catena compl.) Artiodactyla ” ” ” ” Hyracoidea . . . . ossificato manca o 2 (catena incompl.) Proboscidea. . . . E, legamentoso 3 si Cetacea:» SALI s cart. od oss. | cart. od oss. | 1-8 (cat. ine.o eémpl.) Sirensa: 1; TAMMARO: =, legamentoso | legamentoso | 1 (catena ineompl.) Edentata Fipitù è ossificato ossificato 3 (catena compl.) Marsupialia . . . ‘legamentoso| legamentoso | id. incompletam. | 1 (catena incompl.) Monotremata . . . i ossificato ossificato 2 z Nell’Uomo, come è noto, la catena joidea è molto ridotta, e inoltre un segmento in essa sarebbe sostituito da un legamento, il cheratojale, riproducendo una disposizione che invero si ha anche in altri Mammiferi. Questa almeno è l'opinione generalmente accolta dai moderni trattatisti; però alcuni AA. riconoscono ‘ come normale la presenza nell’ Uomo, di tutti i segmenti, pur notandovi la grande riduzione. Senza fermarci sull’opinione dei più antichi os- servatori (VesaLIo [72], EusracHIO [13]), secondo i quali viene considerata come ano- mala la mancanza di tre o quattro ossicina, che partendo dal margine superiore dell'osso joide formerebbero una catena, basta ricordare che il SAPPEY [59] ritiene come normale un nucleo posto nella parte superiore del legamento stilojoideo, che solo assai tardi si fonde con l’apofisi stiloide. 5) INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 283 Qualora fosse sufficientemente dimostrata l’esattezza di questa osservazione la catena joidea dell'Uomo andrebbe considerata come in via di riduzione nei suoi sin- goli elementi, ma completa ed affatto paragonabile a quella della maggior parte degli altri Mammiferi e dei Pesci. D'altro lato sono abbastanza impressionanti le alte percentuali di catene joidee in cui appaiono più nuclei ossei di quanti siano ritenuti come normali, date recentemente da BaLesTRA e Cnériù-LieniÈRE [2] e Cuirrò- LieniÈRE [7]. Per poter attribuire il loro giusto valore alle condizioni normali ed anomale, che si riscontrano nel cornujale dell’ Uomo, osservano GauPP e V. SPrE (66), sono necessarie nuove ricerche riguardanti le ossificazioni più craniali di esso, specialmente rispetto al tempo della loro comparsa; ed infatti, ben poco si sa sull’ ingranaggio dei due processi di ossificazione e segmentazione della cartilagine di RercmerT. La maggior parte dei lavori, che la letteratura possiede sulla catena joidea dell'Uomo, si limitano a descrizioni di casì di catene joidee complete (caso di SERRES riportato dal SArnt-HrLarrE, casi di DeBIERRE [10], di GruBER [22°], di RerTERER [54], di Porrier e MrunIER [49], di Meunier [41], di Turner [71], di Romrri [56], di SesrLau e Grgert [64], ecc.), che, se hanno notevole interesse in quanto riprodu- cono disposizioni più o meno paragonabili a quelle normali di animali inferiori, non portano però luce sufficiente nello studio della catena joidea umana normale. Non insisterò a lungo sulle notizie storiche dell'argomento, essendo questa parte accuratamente trattata nei lavori di NrcoLas prima e di BALESTRA e CHÉRIÈ-LIGNIÉRE recentemente. Per ciò che si riferisce all'Uomo, il punto naturalmente più contro- verso è quello che riguarda le eventuali ossificazioni del cheratojale. Vi sono due correnti di opinioni a questo riguardo. Di fronte agli AA. che ammettono trattarsi di una semplice ossificazione del legamento stilojoideo, che avverrebbe specialmente per effetto dell’età, vi sono quelli che, in base all'osservazione del PerER [47] che nè l’età nè il sesso non hanno alcuna influenza, ammettono si tratti di ossificazione di residui della cartilagine di ReIcHERT o quanto meno, quand’anche si tratti di ossi- ficazione del legamento, riconoscono in esso un particolare potere osteogenetico, con- servato forse “ per leggi d’atavismo , (NicoLas). Non sarà forse inopportuno riferire qualche cosa di quanto è detto nella lette- ratura intorno a queste ossificazioni. RercHerr [53] nota come nell’ Uomo la maggior parte della cartilagine, che nei primi tempi dello sviluppo costituiva lo scheletro del secondo arco branchiale, si trasformi poi in una massa connettiva, che diventa il legamento stilojoideo, ma non si ferma a considerare in quale epoca ciò avvenga. Nota come “il pezzo che fa parte del canale di FaLLOPPIO si ossifica e forma verso il basso il processo sti- loideo, verso l'alto l’eminenza papillare della cassa del timpano... Una molto piccola parte dell’estremità inferiore resta cartilaginea o si ossifica, e forma il piccolo corno dell’osso joide ,. L'A. attribuisce a questa segmentazione la massima importanza, con- siderando come secondario il fatto della ossificazione. Gli AA. che dopo di lui scrissero intorno alla catena joidea si occuparono anche meno delle questioni della segmentazione, delle trasformazioni e delle ossifi- cazioni della cartilagine di REICHERT. RamBauDn e RenauLT [51] non si scostano da quanto avevano già pensato 284 ANGELO CESARE BRUNI 6 G. pe Sarnt-HrLarre e OLLIVIER [45] sulle ossificazioni nel legamento stilojoideo, ed ammettono che si tratti di una ossificazione del legamento dovuta all’età, senza però fare la riserva che fa il Samr-HicArre che si tratti di “ un ligament durci ayant la consistence mais non l’organisation des os ,, solo allorquando si trovi un segmento osseo in più fra stilojale e cheratojale. E non pare che sia di opinione diversa l’HyrtL [29]. GruBER [22%] pure annettendo grande importanza all’età, ritiene che nel lega- mento “ possano comparire dei punti cartilaginei, che ossificandosi diano luogo a uno o due pezzi ossei ,. BaraLbpI [4] non parla di ossificazioni nel legamento: dice che nell’ Uomo, dei 9 punti di ossificazione dell'apparecchio joideo, alcuni si fondono fin dal loro primo apparire, sì che alcuno li credette solo 5. Ad età inoltrata, aggiunge, scomparendo il prolungamento joideo del temporale, le piccole corna vanno ad attaccarsi all’apofisi stiloide del temporale. Krause (36] parla anche di ossificazione del legamento stilojoideo come coeffi- cente di allungamento della apofisi stiloide; nota però che “ queste varietà si devono spiegare come ossificazioni dello scheletro del secondo arco (branchiale) ,. Sappey [59] è il primo che riferisca in proposito qualche dato un po’ preciso. Secondo questo A. il cheratojale è un ossicino costante lungo 14-18 millimetri, che si ossifica prima che l’apofisi stiloide si sia saldata col temporale per ossifi- cazione del tratto fibrocartilagineo, che l’unisce al prolungamento joideo, il che av- viene solo verso i 40 anni. Verso i 60 anni il cheratojale si unisce allo stilojale per ossificazione del legamento che prima era interposto. Così, dice il SAPPEY, l’apofisi stiloide diventa nodosa, lunga 4-5 cm., con due ingrossamenti, di cui uno corrisponde all'unione del prolungamento o processo joideo (timpanojale) con lo stilojale, l’altro all’unione dello stilojale col cheratojale. A qualche cosa di simile accenna pure il DeBIERRE [10], che riconosce nell’apo- fisi stiloide dell'Uomo due punti di ossificazione di cui uno sarebbe lo stilojale e l’altro il cheratojale. Il legamento stilojoideo non corrisponderebbe, secondo questo À., al cheratojale, ma soltanto al legamento “ che congiungeva primitivamente l’apojale ed il cheratojale ,. Però di fronte ai casi di esistenza di tratti ossei nel legamento stilojoideo, di cui alcuni potè osservare personalmente, si vede costretto ad un'altra interpretazione. “ In questi casi , dice “ si trovano facilmente i 4 segmenti atavici in forma di ossicini sovrapposti e colleganti il joide al cranio, i quali sono, dal basso all’alto : l’apojale, il cheratojale, l’epijale, lo stilojale ,; l’apofisi stiloide in questi casi non sarebbe più la risultante dell’unione dello stilojale col cheratojale, ma bensì dello stilojale coll’epijale. RerreRER [55] coll'esame microscopico di un caso di ossificazione completa da lui osservato, trovando la stessa struttura delle ossa lunghe nei.varì pezzi ossei della catena e una vera articolazione tra un pezzo e l’altro, ritiene, che “ les arti- culations se seraient établies d’après une loi analogue à la formation des cavitées articulaires pendant la période embrionnaire ,, cioè per l’incontro di pezzi cartilaginei primitivi invasi più tardi dalla ossificazione. NicoLas [43] dà un'importanza grandissima a questa osservazione del RETTERER, ed esclude che dopo di essa si possa parlare di ossificazione accidentale del lega- 7 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. ‘ 285 mento stilojoideo. Nota come la regressione della cartilagine di RercHERT sia molto variabile (potendo mancare il legamento stilojoideo od essere invece molto robusto). Nei casi in cui la regressione è meno avanzata, il tessuto connettivo che residua “ pourra è un moment donné et sous des influences inconnues recouvrer le pouvoir “ osteogène ». Pare che sia della stessa opinione lo ScHuLTZE [63], allorquando dice che il le- gamento stilojoideo, di regola fibroso, può restare cartilagineo ed anche ossificarsi rispecchiando così le condizioni originarie. Nè dimostra di pensare diversamente KoLLmann [34], laddove dichiara esplicitamente che le variazioni della apofisi stiloide dipendono dalla estensione per cui si ossifica la cartilagine di RercHERT. Così pure accetta l'opinione del Nicoras il Le DouBLe [38], ammettendo che il legamento sti- lojoideo conservi allo stato latente il potere osteogenetico e lo ricuperi ad un dato momento per influenze ancora ignote. V. Spree [66] riferisce i dati del SAPPEY, aggiungendo che il tratto posto fra il cheratojale e l’apojale resta cartilagineo o diventa legamentoso. Nota inoltre un fatto di considerevole importanza, che cioè già al terzo mese i feti dimostrano quattro rigonfiamenti della cartilagine di RercHERT, che sono, secondo l’A., i punti in cui più tardi appariranno lé ossificazioni. GauPP [16-17-18], lamentando la deficienza di ricerche in proposito, si limita a dire che i punti di ossificazione della cartilagine di ReICHERT non possono essere più di 4. Giungiamo così al recente lavoro di BazestRA e CHÉRIÈ-LienièRE [2]. Questi AÀA., basandosi essenzialmente sulle disposizioni più o meno anomale riscontrate in adulti (poichè non risulta che abbiano avuto reperti positivi nelle osservazioni su individui giovani), ammettono per lo stilojale due punti di ossificazione, cosa già affermata anche da altri AA., quali il DEBIERRE e più recentemente il CaiARUGI [8]: per il cheratojale tre punti di ossificazione, uno superiore, uno medio, uno inferiore, che pos- sono svilupparsi anche separatamente: un punto per l’apojale, che, come il tim- panojale, è uno dei segmenti della catena più costanti e meno variabili. Cmérid-LienièRe |7] poi dà anche la spiegazione del fatto in riguardo ai punti di ossificazione del cheratojale, in questi termini: “ Possono noduli cartila- ginei, provenienti da segmenti della cartilagine unica (che si è frammentata, per trasformarsi in tessuto fibroso), persistere e ossificarsi e dar luogo in tal guisa a nuclei ossei posti nella spessezza del legamento stilojoideo ,. Però non risulta che l'A. abbia direttamente osservato questo fatto: pare piuttosto trattarsi di una ipotesi. Dwrent [12°] in base a casi personali e a quelli consegnati nella letteratura viene nell'opinione, chiaramente espressa, che le ossificazioni nel legamento stilojoideo dipendano da persistenza e susseguente ossificazione della seconda cartilagine bran- chiale. Più complete sono le nostre cognizioni anatomo-comparative; basti ricordare la serie dei classici lavori del GauPP, sui quali riferirò volta a volta che se ne presen- terà l'occasione, per chiarire i fatti che si presentano nell’ Uomo. 286 ANGELO CESARE BRUNI 8 Come si vede, da quanto venni fin qui esponendo, la scarsità delle nostre co- gnizioni riguardo alla genesi dei segmenti ossei normali e anomali della catena joidea dell'Uomo dipende essenzialmente dalla mancanza quasi completa di ricerche condotte su individui molto giovani e dirette a stabilire anzitutto il’ modo con cui avviene la riduzione della cartilagine di ReICHERT, e poi l'epoca e la maniera con cui l’ossificazione si inizia nei vari segmenti. I risultati di una serie di ricerche condotte con tali intendimenti formano l’og- getto di questo lavoro. Prima di riferirne però, e non per consuetudine, ma spinto dal sentimento pro- fondo della più viva riconoscenza, sento il dovere di porgere una parola di ringra- ziamento al Prof. Romeo FusarI, rivolgendomi non solo a chi mi suggerì queste ricerche e mi guidò in esse, ma anche al Maestro affettuoso, che con tanta cura ha iniziati e sostenuti i miei primi passi sulla via di questi studì prediletti. II. — Tecnica e materiale di osservazione. Nelle mie ricerche ho cercato di seguire le modificazioni della cartilagine di RercnerT attraverso le età, a cominciare dal principio del terzo mese della vita fetale fino al 28° anno, parendomi inutile estendere lo studio a soggetti più avanzati negli anni, dopo il lavoro di BaLestRA e Cmrrè-LienièRE ricco di osservazioni in ‘proposito. Per ciò che riguarda i feti ho accuratamente dissecate ed asportate 39 catene joidee, procedendo poi alla sezione in serie nel senso longitudinale e alla ricostru- zione grafica, secondo i metodi comuni. In pochi casi mi sono servito dei metodi di LunpvaLi per la dimostrazione dello scheletro embrionale, dei quali dirò fra poco. Il materiale appartiene quasi tutto a quello. conservato di già a scopo di studio nel- l’Istituto Anatomico di Torino; in alcuni casi però potei disporre di materiale fresco. In quanto ai bambini ed agli adulti (*) ho pure dissecato ed asportato l’appa- recchio joideo di 82 individui; in 20 di essi però ho potuto utilizzare quello di un solo lato, per cui le catene joidee esaminate sono complessivamente in numero di 144. L’asportazione fu fatta, separando lo stilojale dal timpanojale, il che nei giovani non presenta mai difficoltà, essendovi sempre un tratto fibroso o fibrocartilagineo dividente i due segmenti. Nei bambini in c@ì tale separazione non era ancora apparsa ho sezionato il cornujale a livello della estremità inferiore del processo vaginale. (*) I risultati delle mie prime osservazioni sui bambini e sugli adulti fino al 28° anno, furono da me presentati per tesi di laurea (Torino, Luglio 1907) e comunicati pure al 1° Congresso della Società Italiana pel progresso delle Scienze (Parma, Settembre 1907). 9 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 287 Del timpanojale quindi non terrò conto, e questo perchè, sia che lo si ritenga come indipendente dal cranio (BaLEstRA e Cmériè-LicnIÈRE), sia invece che lo si ritenga parte integrante dell’osso petroso (GAuUPP), la sua posizione è più intracranica che estracranica (per quanto una certa indipendenza dalla rocca quale vogliono BaLEstrA e Cnériè-LicnièRE si possa veramente constatare), ed in secondo luogo perchè, come già più sopra accennai, il timpanojale è forse tra i varî segmenti della catena il più fisso, non presentando variazioni notevoli. In pochissimi casi mi sono fermato all'esame diretto del pezzo asportato; nella grande maggioranza ho voluto tentare di rendere più esatta e minuta l’osservazione ricorrendo a metodi speciali per la dimostrazione macroscopica dei tessuti cartilagineo ed osseo attraverso le parti molli. Contemporaneamente non ho voluto trascurare l'esame microscopico, che senza dubbio è quello che può fornire i dati più precisi e concludenti. Tra i metodi di dimostrazione macroscopica dei tessuti osseo e cartilagineo ho scelto alcuni di quelli proposti per la dimostrazione dello scheletro embrionale, ed i risultati ottenuti sono invero molto soddisfacenti. Di essi il più noto è quello di O. ScHuLtzE (62), di cui ricordo per sommi capi la tecnica molto semplice: 1° Fissazione in alcool, bicromato potassico, formalina od altre soluzioni non decalcificanti. 2° Immersione dei pezzi in soluzione di idrato potassico (in candelette) al 3°/,, cam- biando sovente il liquido e sorvegliando i preparati. Quando essi cominciano a farsi alquanto pellucidi sì che si intravedono i nuclei ossei contenuti, si passano: 3° In glicerina pura (lo ScnuLTZE consiglia una miscela di glicerina p. 25 e acqua di- stillata p. 75). Questo metodo presenta per lo scopo prefissomi alcuni inconvenienti, perchè se rende bene evidenti i nuclei ossei dà però una differenziazione minima ed in taluni casi nulla dei tratti cartilaginei che si confondono con le parti molli. Migliori risultati si ottengono dai due metodi recentissimi del LuxpvaLx (40), che riporto più in disteso perchè non ancora convenientemente noti. Uno di essi serve, secondo l’A., per la dimostrazione contemporanea dei tratti cartilaginei e dei nuclei ossei dello scheletro em- brionale. Si pratica nel seguente modo: 1° Fissazione in alcool e formalina. Per quanto mi consta è meglio servirsi della for- malina, poichè successivamente la colorazione della sostanza ossea risulterà molto più evidente. 2° Mantenere i pezzi per 48 ore in una miscela di soluzione satura di alizarina in alcool a 95° (p. 1) e di alcoola 70° (p. 9). 8° Portare i pezzi in alcoola 95° e tenerveli fino a che le parti molli siano completa- mente decolorate. 4° Tenerli per 1-3 giorni immersi in una miscela fatta di 10 parti di alcool a 70° e 1 parte di una soluzione madre di verde di metile così costituita: verde di metile gr. 1, alcool a 50° gr. 200, acido acetico 2-3 goccie. Stufa a 40°. 5° Decolorare in alcooli a 70° e 95°, che si cambiano spesso ed alternativamente tenendo sempre i preparati in stufa a 40°. In un giorno la decolorazione deve avvenire. 6° Disidratazione in alcool assoluto. 7° Immersione in aleool assoluto e benzolo per parecchie ‘ore, e poi benzolo puro per 8-4 ore in stufa a 40°, cambiando ogni quarto d’ora il benzolo. 8° Conservazione dei preparati in una miscela di benzolo (p. 4) e solfuro di carbonio (p. 1), che li rende trasparentissimi. Si evita l’odore sgradevole del solfuro di carbonio aggiun- DO 88 ANGELO CESARE BRUNI 10 gendo al benzolo tanto quanto basta di essenza di menta piperita per non dare precipitato, il che sì ottiene mettendo menta nel benzolo fino ad avere un lieve precipitato bianco,_ed aggiungendo benzolo a goccie fino a farlo scomparire (di regola occorre il 15 °/, di menta). I nuclei ossei prendono una colorazione rossa più bruna se la fissazione era stata fatta in alcool e più viva se era stata fatta in formalina. Le cartilagini dovrebbero colorarsi in verde. Veramente per quanto mi consta dalle ripetute esperienze prendono solo una leggera sfuma- tura di questo colore, tuttavia si riconoscono facilmente per una certa trasparenza particolare, quasi vitrea. Preparati elegantissimi e nello stesso tempo molto dimostrativi tanto per l’osso quanto per la cartilagine si ottengono col metodo indicato dallo stesso LunpvaLL per la sola colora- zione delle cartilagini. Eccone la tecnica molto più semplice e comoda: 1° Fissazione in alcool e in formalina (con quest’ultima io ebbi risultati ottimi). 2° Permanenza dei pezzi in alcool a 95° per almeno 48 ore. 3° Poi per un paio di giorni nella seguente soluzione: verde di metile gr. 1, alcool a 70° gr. 1000, acido acetico puro cm.? 5. 4° Decolorazione in alcool a 95° (la decolorazione avviene molto rapidamente senza met- tere i preparati in istufa). 5° In seguito si procede alla disidratazione ed alla sostituzione del benzolo nel modo indicato sopra. I pezzi si conservano nella stessa miscela di benzolo e solfuro di carbonio. Il tessuto osseo spicca con estrema evidenza sulla colorazione verde esattamente localiz- zata alla cartilagine, perchè a seconda che sì tratta di osso compatto o di osso spugnoso, esso conserva il colorito bianco o rosso bruno, che permette di scorgere anche i nuclei più piccoli. Unico inconveniente, almeno per quanto mi risulta dalla esperienza personale, si è che la colorazione verde non si conserva a lungo. Per l’esame microscopico ho seguito i metodi comuni. Nella trattazione dell'argomento dirò dapprima delle osservazioni sui feti, poi di quelle sui bambini fino al 3° anno, in seguito di quelle sui bambini e sui giovani dal 3° al 28° anno. Ciascuna di queste divisioni corrisponde a uno speciale ciclo di modificazioni nell’apparecchio sospensore del joide. Abbiamo infatti nel primo periodo (vita fetale) la segmentazione della cartilagine di ReIrcHERT, nel secondo (fino al 3° anno) la formazione dell’abbozzo della catena joidea adulta; nel terzo la comparsa dei primi nuclei ossei e lo svolgersi del processo di ossificazione. Aggiungerò poche note sulle catene joidee degli adulti, terminando con alcune considerazioni generali e conclusioni. HI. — Segmentazione della cartilagine di REICHERT. (Dal terzo mese della vita fetale alla nascita). L'attenzione degli embriologi che studiarono la cartilagine di RrrcmerT fu quasi esclusivamente attratta dalla porzione laterale, che ha un importante destino nella formazione dell'orecchio medio, cosicchè fu trascurato, o appena accennato incidentalmente ciò che riguarda la porzione mediale, da cui deriva la catena joidea. Epperò se tutti gli AA. concordano nel ritenere che in un certo periodo dello sviluppo la catena joidea sia rappresentata da un’asticina cartilaginea unica e continua dalla base del cranio al corpo del joide, ben poco di preciso si sa sulla è di 11 INTORNO Al DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 289 successiva segmentazione di questo tronco cartilagineo. L'opinione generale che il legamento stilojoideo sia l’omologo di un segmento cartilagineo che in altri Mam- miferi e nei Pesci permane per poi ossificarsi (cheratojale) farebbe suppor re l’esistenza temporanea di questo segmento anche nell’ Uomo, e ciò è anche esplicitamente detto da alcuni AA., ad esempio CrHériù-Lienière di cui ho riferito le testuali parole nella esposizione storica. Però è troppo scarso il numero delle osservazioni dirette per poterci attenere senz'altro a questi dati: è per questo che ho voluto aggiungere alle mie prime ricerche riguardanti solo la catena joidea dei bambini e degli adulti giovani, quelle di cui tratterò brevemente in questo capitolo, con la speranza di trovarvi la spiegazione dei fatti già da me constatati. Dato lo scopo che mi ero prefisso, ho iniziate le mie ricerche embriologiche da quell’età in cui è generalmente ammesso che si inizii la segmentazione della carti- lagine, cioè dal principio del 3° mese. Non mi fermerò a dare una descrizione minuta di ogni osservazione, per evitare ripetizioni inutili: darò solo le notizie più impor- tanti, raggruppando le osservazioni secondo l’età dei soggetti esaminati. Intanto, per ciò che riguarda la struttura della cartilagine di RercHERT premetterò che nei nostri preparati essa ha già raggiunto o superato lo stadio della giovane cartilagine, cioè il 3° secondo la classificazione di Drevruss (12). Poichè è noto come questo A. studiando la porzione laterale della cartilagine di RercHERT abbia distinto nello sviluppo di essa 4 periodi istologici, e cioè: 1° quello del blastema; 2° quello del condroblastema o precartilagine; 3° quello della giovane cartilagine; 4° quello della cartilagine matura. Nei nostri preparati adunque la cartilagine si trova costi- tuita da cellule cartilaginee irregolarmente tondeggianti, con nuclei pure irregolari, assai addensate e divise da una quantità più o meno scarsa di sostanza intercellulare (colorata leggermente in roseo dal borocarminio). Intorno alla cartilagine sta uno strato più o meno spesso e denso di pericondrio. In pochi degli esemplari più giovani si colse in atto il passaggio dallo stadio di precartilagine a quello di cartilagine giovane: in essi si assiste alla trasformazione di cellule precartilaginee (nel senso di Dreyruss e di Broman [6]) in cellule connettive del pericondrio. Ecco in breve i risultati delle mie osservazioni : Terzo mese (16 osservazioni). — Ho trovata la parte estracranica della cartilagine di ReICHERT (suspensorivm) ancora continua in 2 soli casi. Si tratta in questi di una asticina cartilaginea, a decorso rettilineo, o sinuoso con dolci curvature, di forma regolarmente cilindrica, con un leggero rigonfiamento a clava all’estremità distale. L’asticina termina in corrispondenza dell’angolo laterale superiore del corpo del joide, restandone separato per uno strato di tessuto connettivo. Negli altri 14 casi era già iniziato e più o meno progredito il processo di segmen- tazione. In tutti si notava la divisione della cartilagine in due segmenti, di cui il prossimale notevolmente lungo rettilineo o arcuato, o piegato due volte, a forma di lettera S, cilindrico; il distale assai più breve, a forma di ovoide più o meno allungato. Tuttavia in 4 casi quest’ultimo segmento presentava nettamente la forma di un bastoncino. I due segmenti erano notevolmente allontanati l’uno dall’altro e nella massima parte dei casi si poteva osservare un fascio connettivo, specie di legamento, che.li riuniva, continuandosi senza limite netto col tessuto cartilagineo. Serie II. Tom. LIX. ni 290 ANGELO CESARE BRUNI 19; Quarto mese (10 osservazioni). — In 1 caso solo ho ancora potuto riscontrare la continuità della cartilagine, che si presentava simile a quella dei feti di 3 mesi. In 5 casi ho osservato la divisione in 2 segmenti; in essi 3 volte il segmento distale breve aveva la forma ovale, caratteristica del piccolo corno del joide normale adulto; in altri 2 aveva la forma di un bastoncino. In 4 casi finalmente ho potuto osservare la divisione della cartilagine in 3 segmenti: in 2 di essi i 3 segmenti si presen- tavano divisi l’uno dall’altro da un tratto di notevole lunghezza, tratto occupato da fasei connettivi continuanti la direzione della cartilagine; negli altri 2 invece (oss. X e XXII) si riscontrava una disposizione particolare. I 3 segmenti erano . l'uno dall'altro separati per uno spazio assai breve: inoltre il modo di separazione fra il segmento medio e l’inferiore era diverso da quello fra il segmento medio e il superiore. In questo punto di divisione prossimale si notava anzitutto un brusco cambiamento nella direzione dei due segmenti, che venivano a formare un angolo di circa 100° gradi : l'aspetto angolare era reso anche più evidente dal fatto che le estremità contrapposte dei segmenti erano tagliate a becco di clarino, a spese della porzione rivolta verso la concavità dell'angolo. In questi preparati ed in altri affatto simili tolti da soggetti del mese successivo si poteva notare come i fasci connettivi continuanti il pericondrio seguissero la direzione dei tratti cartilaginei piegandosi in modo da costituire il vertice dell'angolo più o meno smusso. Nel punto di divisione distale i due segmenti, posti nel medesimo asse, si affrontavano diretta- mente con superfici convesse, ed erano separati da una specie di disco di altra composizione istologica, limitato esternamente dai fasci più interni del pericondrio, coi quali il disco si continuava. I fasci più esterni del pericondrio invece prosegui- vano nel loro decorso passando dall’uno all’altro dei segmenti cartilaginei. Si aveva nel complesso una figura paragonabile a quelle che rappresentano i primi stadii di sviluppo delle articolazioni dello scheletro, in cui i fasci esterni del pericondrio costituiscono una specie di capsula articolare; in uno dei preparati (osserv. X) era anche evidente al centro del disco una vera cavità. Riservandomi di descrivere più innanzi la struttura istologica di questa speciale formazione, noterò subito come èssa corrisponde perfettamente a quella che il Fucns (15) ha descritto nel Coniglio nel punto in cui si stabilisce l’abbozzo del legamento stilojoideo, e anche ad altre che il Bromann nell’ Uomo stesso ha riscontrato fra varie parti delle cartilagini da cui derivano gli ossicini dell’udito: ho anzi tolta dalla nomenclatura usata da questi AA. (Zwischenscheibe) la denominazione di disco, della quale mi servo per brevità. Osserverò ancora che la forma di separazione ora descritta è simile a quella che in tuttii preparati ho riscontrato fra il corpo e il grande corno del joide, mentre l’apojale si unisce sempre al corpo mediante fasci connettivi longitudinalmente diretti. «i Quinto mese (6 osservazioni). — In 4 casi riscontrai la divisione della cartilagine in 2 segmenti, con segmento distale breve, ovale in uno, lungo quasi quanto il prossi- male in un altro. In 2 casi infine si aveva la divisione in 3 segmenti con disposizione perfettamente identica a quella descritta sopra delle oss. X e XXII del quarto mese. Sesto mese (2 osservazioni). — Nelle sole 2 osservazioni che posseggo ho verificata la divisione in 2 segmenti : in uno dei casi si aveva il segmento distale a bastoncino di discreta lunghezza. 13 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 291 Settimo mese (1 sola osservazione). — Divisione in 2 segmenti, di cui il distale breve, ovale. Ottavo mese (2 osservazioni bilaterali col metodo di Lunpvarr). — In un caso si aveva d’ambo i lati la divisione in 2 segmenti, di cui il distale era rappresentato da un bastoncino con estremità joidea rigonfiata leggermente a clava. Nell’ altro caso a destra 3 segmenti di cui il distale breve, ovale, separato dal medio assai più lungo ed a bastoncino, per un breve spazio. A sinistra 4 segmenti: brevi erano gli intervalli nei punti di separazione superiore ed inferiore, più lungo in quello di mezzo. Queste particolarità si poterono osservare benissimo con l’aiuto del micro- scopio semplice, appoggiando il recipiente di vetro contenente il preparato nel suo liquido conservatore su un fondo nero, poichè in questo modo spiccano molto netti i contorni delle parti cartilaginee, che oltre il colore azzurro hanno assunto una trasparenza vitrea. Non ho potuto disporre. di feti del nono mese. Si potrebbero tuttavia conside- rare qui gli esemplari di individui morti nei primi giorni di vita libera. Riassumendo, delle 39 cartilagini di RercHERT considerate 3 erano continue, e si presentarono in feti del terzo mese e del principio del quarto, il che ci induce a confermare quanto già fu detto da varî AA., che la cartilagine di ReIcHERT può ancora essere rappresentata da un’asticina continua al 3° mese. Non credo tuttavia fuori di luogo ricordare come da alcune descrizioni certamente molto accurate di condrocranî primordiali, risulti che non sempre si è trovata la cartilagine continua; così ad esempio in quello di un embrione di 17 mm. descritto da Levi (39). Il Levi parla di un legamento granuloso senza specificare se i granuli siano cartilaginei : a me non occorse mai di trovarne nei feti di età più avanzata che ho presi in esame, però vi accennano, sebbene in modo un po’ vago, alcuni AA., fra cui BALESTRA e CmérIb- Licnibre e Caériè-Lionière, che li interpretano senz’altro come l’espressione della graduale scomparsa del cheratojale nell’ Uomo. In un caso solo mi è occorso di tro- vare in una catena divisa in due segmenti non ancora allontanati l’uno dall’altro e separati dalla formazione a disco, il segmento prossimale presestante una serie di rigonfiamenti e restringimenti alternati quasi ad assumere un aspetto granuloso. La cartilagine era però assolutamente continua (oss. XXIII, principio 4° mese). Nel caso speciale del Levi è molto probabile che si tratti piuttosto della formazione che non della segmentazione della cartilagine. Specialmente poi non credo sia da dimenticarsi l'ipotesi del Fucas [15] a pro- posito della segmentazione della cartilagine del Coniglio; questo A. pensa che nel punto destinato a trasformarsi in tessuto connettivo, non sempre la formazione della cartilagine raggiunga lo stadio di giovane cartilagine, ma spesso si arresti allo stadio precartilagineo, di modo che il processo di regressione che in questo punto deve avvenire è più semplice ed anche più rapido: il che è quanto dire che non in tutti i casi si avrebbe in un determinato periodo la cartilagine di RercHERT continua, ma la divisione in segmenti sarebbe già stabilita quando sopravviene lo stato cartilagineo. Questa ipotesi acquista valore se noi confrontiamo il caso di cartilagine continua de! quarto mese coi casi di divisione già molto avanzata del principio del terzo mese. Anzi non credo del tutto improbabile che la divisione si possa talvolta delineare nel passaggio dal 1° stadio di blastema al 2° di condroblastema. 292 ANGELO CESARE BRUNI 14 Altra cosa da notarsi si è che neppure nei casi in cui la cartilagine di RercHERT era continua, non mi occorse mai di trovare la fusione con la copula o corpo del joide, essendo sempre interposto uno strato di tessuto connettivo: il che indica che se pure la continuità esiste a una certa epoca dello sviluppo (e fu constatata dal KaLLius [32] in un embrione di 39 giorni, nello stadio del blastema), questa scom- pare presto, e prima che si inizii la segmentazione della cartilagine. Nella massima parte dei casi già al terzo mese si trova iniziato il processo di segmentazione. s In ben 28 casi la segmentazione si presentava in 2 soli segmenti, di cui il distale 18- volte era breve, ovale, preludendo alla solita forma del piccolo corno del joide normale adulto; 10 volte invece aveva la forma di un bastoncino più o meno lungo, talvolta lungo quasi quanto il segmento prossimale. Ho trovato i 2 segmenti riuniti da fasci connettivi longitudinali in tutti i casi tranne che in uno (Oss. XXIII), in cui la separazione era stabilita per mezzo del disco.. In 7 casi ho riscontrata la divisione in 3 segmenti. Noterò, pur senza voler attribuire una eccessiva importanza a questo fatto, data la relativa scarsità delle osservazioni, che, mentre su 16 osservazioni non ne ho riscontrato alcun caso in feti del terzo mese, ove pure era già notevolmente avanzato l’allontanamento dei due segmenti, ne ho invece visti 4 casi su 10 osservazioni in feti del quarto mese e 2 su 6 osservazioni in feti del quinto mese. Il che mi induce a supporre che la formazione di un terzo ed eventualmente di un quarto segmento sia un fatto secon- dario, almeno per l’epoca della sua comparsa, poichè apparirebbe solo -dopo che si è stabilita la divisione in 2 segmenti. Quanto al modo di separazione dei segmenti noterò come in 3 casi io abbia semplicemente osservata l’interposizione di fasci fibrosi longitudinali, veri legamenti di varia lunghezza; in 4 casi invece potei cogliere in atto la segmentazione |[Fig. 3]. In questi l’unione fra il segmento medio e il distale.si faceva con l’interposizione del disco [Fig. 9]. Credo questa disposizione del massimo interesse come quella che segna senza dubbio l’iniziarsi del processo di segmentazione, almeno per quei casi in cui la cartilagine di RercHERT, raggiunge, rimanendo continua, lo stadio di giovane cartilagine, o almeno di precartilagine, e costituisce il primo abbozzo del legamento stilojoideo. In una sezione longitudinale di cartilagine di RercHERT, nel punto in cui essa presenta questa disposizione, si può vedere come le cellule cartilaginee, lungo una linea curva a convessità guardante verso il disco, si presentino più addensate, e come la maggior parte dei nuclei abbia assunta una forma allungata, e segua la dire- zione della linea curva stessa. Viene così segnato un limite abbastanza appariscente fra la cartilagine e il disco, sebbene non esista alcuna distinzione netta. Procedendo verso la ‘parte mediana del disco le cellule tornano a farsi più rare, conservandosi però la forma irregolare dei nuclei, di cui aleuni sono tondeggianti, la massima parte ovali o fusiformi. Al centro la rarefazione è tale, che in alcuni casi si ha una vera cavità, nella quale sono visibili solo scarsissime cellule, che però hanno acquistati tutti i caratteri delle giovani cellule connettive. Ecco come il Fucns descrive l'a- nalogo processo nel Coniglio. “ Nella estremità ventrale della cartilagine di ReIcHERT, ancora nello stadio di giovane cartilagine, si trasforma istologicamente una parte delle cellule, che diventano connettive, e costituiscono l’abbozzo del legamento sti- n 3 _Y IA n #; (i i 3 PI. 15 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 2983 lojoideo. Da questo processo regressivo delle cellule è rispettato solo un piccolo pezzo, quello in diretto contatto con la copula: è il piccolo corno del joide ,. Nell’Uomo si avrebbe dunque un processo identico per ciò che riguarda la separa- zione fra il segmento più distale della catena joidea e quello che gli sta immedia- tamente vicino. Così almeno certamente per una parte dei casi. Un fatto troppe volte ripetuto per essere solo occasionale, e degno ad ogni modo di attenzione si è che, in ogni caso di divisione in 3 segmenti, in cui esi- steva il disco fra il segmento distale e il medio, tra il segmento medio e il pros- simale ho riscontrata quell’altra forma di segmentazione in cui i due segmenti vengono a formare un angolo, il cui vertice è completato da tessuto connettivo. L’avere potuto osservare in alcuni casi delle cellule cartilaginee più o meno modi- ficate in mezzo alle connettive, indica che si tratta anche qui di una trasformazione regressiva delle cellule cartilaginee stesse. Certamente in questi casi di divisione in 3 segmenti si è indotti a vedere l’analogia dei segmenti stessi con quelli della catena tipica: però la differenza nel modo di segmentazione ci fa attribuire un valore un po’ diverso ai varî segmenti. Noi vedremo ancora in seguito come, nella vita estrauterina, stabilitosi l’abozzo della apofisi stiloide, molto spesso si abbia una interruzione della cartilagine di ReIcHERT, occupante la porzione assiale dell’abbozzo stesso, in corrispondenza ad una ripiegatura angolare: per cui non si può fare a meno di vedere un rapporto fra il brusco mutamento di direzione e la segmentazione in questo punto. Ora, siccome la ripiegatura è un fatto frequente, ma non costante, dipendente forse dalla trazione esercitata: dai muscoli o dal legamento stilomandi- bolare, io non esito a ritenere come occasionale e secondaria la divisione che qui si forma, mentre attribuisco il valore principale di segmentazione fondamentale tipica all'altra forma in cui si trova il disco. La mia opinione è specialmente appoggiata da due altri fatti: 1° che in tutti gli altri casi da me riscontrati di divisione in 3 segmenti, già separati da un tratto fibroso notevolmente lungo, si può tuttavia dimostrare la diversa direzione del segmento prossimale e del medio. per cui i loro prolungamenti si incontrerebbero ad angolo più o meno stretto, ma sempre bene evidente; 2° che nell’ unico caso occorsomi di divisione in 2 segmenti, che non fossero angora allontanati l’uno dall’altro (Oss. XXIII, feto 4° mese) si notava la formazione del disco. Nei casi in cui si hanno 2 soli segmenti le asticine cartilaginee prossimali sono diritte, o anche incurvate, ma quasi mai bruscamente ripiegate ad angolo. Ricorderò ancora come nella forma di segmentazione secondaria descritta, che oserei chiamare da causa meccanica, siano prime a trasformarsi in connettivo quelle cellule cartilaginee che guardano verso la concavità dell’angolo, quelle che nel formarsi della ripiegatura stessa vengono ad essere compresse; è per questo che le estremità cartilaginee che si affrontano sono tagliate di sbieco a becco di clarino. Di grande interesse io credo l’unico caso occorsomi di divisione in 4 segmenti estracranici, da una parte perchè corrisponde ad una disposizione che si può incon- trare (se pure raramente pei casi certi) nell’adulto, sia anche e specialmente perchè nel preparato che la presentava (Oss. XXV, feto della fine dell’ 8° mese, parte sinistra) era ancora evidente la dipendenza del segmento medio inferiore da un pri- mitivo segmento distale unico, e del segmento medio superiore da un primitivo seg- mento prossimale unico. 294 ANGELO CESARE BRUNI 16 Risulta dalle cose fin qui esposte che il tipo fondamentale di divisione della cartilagine di RereHert nell’ Uomo è in 2 soli segmenti. Questa constatazione ci riporta alla esatta esposizione del KòLLIKER (33): “ .....le cartilagini di RercHERT anche nei Mammiferi si suddividono in pezzi articolari, e dànno luogo da ciascun lato a 2 segmenti brevi e ad un tratto principale che resta attaccato al cranio. Al sopravvenire della ossificazione i 3 pezzi articolari suddetti diventano il piccolo corno del joide, il cui segmento più lungo, quello diretto verso il cranio, è unito alla rocca petrosa per una cartilagine o un legamento. Nell’ Uomo i primitivi rapporti (riguardanti la cartilagine continua) sono gli stessi, ma nessun frammento della cartilagine di RercneRT si separa sotto forma di un pezzo articolare distinto. L’ulte- riore destino è differente in quanto il segmento medio di ogni cartilagine si tras- forma nel legamento stilojoideo, mentre il frammento craniano è l’apofisi stiloide e il frammento joideo è il piccolo corno ,. Soltanto la parola segmento usata per indi- care la parte di cartilagine che si trasforma in legamento mi pare possa generare qualche confusione. I Risulta inoltre che nei casi non rari di divisione in 3 segmenti e in quelli più rari in 4 si tratta con molta probabilità di secondaria suddivisione dei 2 segmenti principali e primi a costituirsi. Dei 2 segmenti principali essendo di solito assai più lungo il prossimale, è naturale che per lo più questo solo si suddivida secondariamente. Vedremo in seguito come esista un parallelismo perfetto fra i fatti ora esposti e quelli che si osservano nella vita libera, in base ai quali già precedentemente (l. c.) avevo formulato queste opinioni, che ora credo di poter confermare. Alcune considerazioni sono ancora necessarie prima di chiudere questo capitolo. Noi abbiamo visto come la segmentazione della cartilagine di RercHERT cominci ad un'età variabile in uno spazio di tempo assai lungo (da prima del terzo mese a oltre la metà del quarto); aggiungerò che mentre mi occorse qualche volta di vedere al principio del terzo mese i segmenti già divisi da. un tratto connettivo relativa- mente lungo, altre volte al quinto e perfino all'ottavo mese i segmenti cartilaginei erano ancora vicinissimi l’uno all’altro. Compiutosi il fatto fondamentale della divi- sione in segmenti, qual'è il fattore per cui questi segmenti vengono poi a trovarsi notevolmente allontanati l’uno dall’altro? Le percentuali che indicano nei feti i vari tipi di catena joidea, corrispondono quasi esattamente a quelle che indicano gli stessi tipi nelle varie età della vita libera; ciò mi pare che contrasti con l’opinione va- gheggiata da qualche A., che un segmento sia destinato a scomparire, perchè il segmento cartilagineo distinto, che occupa la posizione del cheratojale di altri Ver- tebrati, o non si forma, 0, se si forma, permane per tutta la vita. Io inclino ad am- mettere, pur senza poterlo dimostrare in modo assoluto, che, accanto alla successiva trasformazione in tessuto connettivo del tessuto cartilagineo — dimostrata dalla diretta continuazione della cartilagine col connettivo, senza che esista un limite netto di demarcazione — un fattore non trascurabile dell’allungamento dei tratti fibrosi sia una sproporzione tra lo sviluppo ulteriore della cartilagine dopo la segmentazione e l’allontanamento che va sempre più accentuandosi del corpo del joide dalla base del cranio: per cui il minore allungamento della cartilagine è necessariamente com- pensato del maggiore allungamento dei legamenti. Sta intanto come dato di fatto che le cellule connettive e le prime fibrille che si formano nel disco hanno dire- —" d ea al 17 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 295 zione trasversale, mentre nel legamento stilojoideo, appena differenziato, hanno dire- zione longitudinale. In ogni modo mi pare assolutamente da escludersi che il legamento stilojoideo si possa considerare come omologo del cheratojale. Per qualsivoglia processo il lega- mento si allunghi, così che noi lo possiamo ritrovare nella posizione precisa in cui si trova il cheratojale della catena joidea tipica, e per un’estensione tale da farci cre- dere che esso abbia sostituito tutto il cheratojale stesso, tuttavia esso parte da un abbozzo che è omologo delle zone in cui si inizia la segmentazione della cartilagine di RercHert negli altri Vertebrati, il che è provato dal confronto coi dati precisi esposti dal FucHs per ciò che riguarda la segmentazione della cartilagine nel Coniglio. Che se anche il legamento si sviluppa per regressione in tessuto connettivo di una parte della cartilagine di RercHERT, noi non possiamo dire che questa parte che si trasforma corrisponda a un segmento distinto, come quelli destinati a permanere, poichè nessuna traccia di divisione e nessuna anche piccola differenza istologica ci indicano fino a che punto in progresso di sviluppo il processo di regressione possa giungere. Soltanto se si potesse dimostrare con sicurezza la trasformazione di cartilagine in connettivo contemporanea in due o più punti differenti, la formazione cioè dei granuli cui accenna Caériù-LienIÈRE, si potrebbe quanto meno discutere l’omologia del legamento col cheratojale: ma l’esistenza di questi granuli non risulta dalla mia serie sistematica di ricerche, e quel poco che nella letteratura ne è detto non ci prova in modo abbastanza preciso la reale esistenza di questi granuli. Mentre osserviamo la precocità dello stabilirsi dei tipi fondamentali della catena Joidea, in base alla divisione della cartilagine in 2, 3, 4 segmenti {escluso il timpa- nojale), vediamo al contrario comparire molto tardivamente intorno al segmento superiore (o ai 2 segmenti superiori nella maggior parte dei casi in cui si hanno più di 2 segmenti) quello spesso involucro fibroso, che vedremo nel neonato conti- nuare il periostio della base del cranio e dare all’abbozzo dell’apofisi stiloide lo stesso aspetto esterno dell’apofisi stiloide adulta, e che merita considerazione per la parte importante che assume nel processo di ossificazione. IV. — Formazione dell’abbozzo della catena joidea definitiva. (Dalla nascita al 3° anno di età). Subito dopo la nascita la catena joidea consta, a cominciare dall’alto, di un primo tratto abbastanza voluminoso, pieghevole, ma di notevole consistenza, attac- cato direttamente alla base del cranio e che ricorda la forma generale di una apofisi stiloide di adulto. Ad esso segue un tratto fibroso, che scende ad attaccarsi al mar- gine superiore ed alla parte superiore della faccia anteriore del corpo del joide, là dove esso si unisce alle grandi corna: questo segmento fibroso è il legamento sti- loideo. Nella parte inferiore di esso si riconosce un rigonfiamento duro, di forma ovalare col diametro massimo di 1-3 mm.,; esso è l’apojale o piccolo corno del joide. 296 ANGELO CESARE BRUNI 18 Esaminando più attentamente l’abbozzo di apofisi stiloide del neonato si vede che esso ha forma regolarmente conica con l’apice rivolto in basso, il quale si con- tinua col legamento stilojoideo. La consistenza è quella di un tessuto fibroso molto denso. Tagliatolo a livello della base del cranio, col cui periostio esso è in conti- nuazione, si può vedere già ad un esame diretto una separazione molto netta fra due sostanze: una periferica, fibrosa, che costituisce uno spesso manicotto intorno ad un’altra interna, cartilaginea, ridotta ad un'esile asticina occupante una posizione assiale e che va assottigliandosi man mano che si allontana dalla base del cranio, cessando di solito alquanto prima dell’apice del manicotto fibroso. Il limite fra l’apice dell’apofisi ed il legamento di solito è poco apprezzabile alla vista, però lo si delimita bene con la palpazione per la consistenza diversa. Inci- dendo il manicotto tal volta si può con molta facilità enucleare tutta l’asticina car- tilaginea, molto delicata e sottile, continua e terminante in punta. Questa enuclea- zione è talora così facile che senza fare incisioni basta schiacciare l’apofisi verso l'apice per vedere spinta fuori la cartilagine dalla superficie del taglio. Altre volte invece è enucleabile soltanto fin verso l’apice: qui aderisce fortemente come se fosse incorporata nella sostanza fibrosa. L'esame microscopico dell’abbozzo dell’apofisi stiloide del neonato dimostra nella parte assiale l’esistenza di una cartilagine jalina, con capsule molto numerose e piccole, contenenti per lo più una sola cellula per ciascuna: questa cartilagine è per- fettamente identica per costituzione a quella di ReIcHERT, come la si può osservare in un feto di 6 mesi. Intorno alla cartilagine si ha un robusto involucro fibroso (pericondrio), di spes- sore molto maggiore di quello della cartilagine e costituito di fibre connettive lon- gitudinali molto stipate. In alto questo pericondrio è soltanto molto lassamente unito alla cartilagine: in basso il rapporto è molto stretto. Oltre l’apice dell’apofisi stiloide le fibre connettive, prima strettamente addossate, si dispongono in fasci lassamente riuniti fra di loro, e si continuano così nel legamento. Dal pericondrio si distaccano le fibre tendinee dei muscoli stiloidei. ‘ Della stessa natura di quella ora descritta è la cartilagine che costituisce il piccolo corno dell'osso joide: ha forma ovalare, ed il suo diametro minore o trasverso è alquanto maggiore di quello corrispondente dell’asticina cartilaginea contenuta nel- l’apofisi stiloide. Il pericondrio non vi è così sviluppato. Questa che ho descritto, se non è una disposizione costante, corrisponde però più delle altre a quella che viene descritta come normale nell’adulto, ed inoltre si ripete sempre con caratteri identici, il che non accade, come vedremo fra poco, delle altre modalità, le quali, piuttosto che veri tipi diversi, rappresentano vari stadi di passaggio fra l’una e l’altra. Possiamo quindi considerarla come normale. Sono molti tuttavia, come ho detto, i casi in cui la catena joidea del bambino non si presenta nel modo testè descritto. La deviazione più semplice consiste in un note- vole allungamento dell’abbozzo dell’apofisi stiloide, cioè del tratto più prossimale e più consistente. Ne risulta una grande brevità del legamento, che può essere ridotto rispetto alla lunghezza dell’abbozzo dell’apofisi alle proporzioni di 1:2 o di 1:3, o anche meno. Generalmente si osserva in questi casi una maggiore sottigliezza del peri- condrio, che tuttavia si distingue sempre dal tessuto fibroso del legamento per essere L= 19 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 297 costituito da fasci più stipati. Anche qui notiamo nella porzione assiale un'asta car- tilaginea; che però ha di notevole, rispetto a quella che abbiamo considerato come normale, il fatto di giungere fino all'apice dell’apofisi. Il tratto cartilagineo può essere rappresentato da un pezzo unico, continuo, lungo quanto l’apofisi ed un poco più voluminoso di quello dell’apofisi normale, oppure, e ciò avviene assai frequentemente, può essere interrotto verso la metà, co- sicchè si hanno dentro l’abbozzo dell’apofisi due segmenti, uno superiore, l’altro infe- riore. Raramente questi abbozzi così lunghi (cm. 2-2,5 in un apparecchio sospensore di cm. 3-3,5) hanno decorso rettilineo. Spesso in corrispondenza dell’ inserzione del muscolo stiloglosso essi formano un angolo che si direbbe provocato dalla trazione del muscolo. È appunto in corrispondenza di questo angolo molto ottuso che in molti casi è interrotta la cartilagine assiale. Però la parte fibrosa si presenta esattamente identica a quella dei casi in cui la porzione cartilaginea è integra. Altre volte invece in corrispondenza dell’angolo o subito al disotto di esso, cioè distalmente all’inserzione del muscolo stiloglosso, tutto l’abbozzo dell’apofisi è inter- rotto e diviso in due porzioni da un breve tratto meno consistente, invero molto simile al legamento stilojoideo. In questi casi, non solo i 2 segmenti cartilaginei assiali sono separati, ma anche il loro involucro fibroso. Siamo dunque qui di fronte all’abbozzo cartilagineo di una catena joidea completa: abbiamo infatti 3 segmenti di cartilagine separati da tratti legamentosi e rivestiti da un robusto pericondrio: ve- dremo in seguito se essi possano corrispondere allo stilojale, al cheratojale ed all’a- pojale, poichè se a tutta prima pare facile la classificazione dei 2 segmenti estremi, per quello di mezzo (cheratojale) essa viene resa difficile, potendosi avere ancora altre modalità nella disposizione della catena joidea. Alludo ai casi veramente rari, ma tuttavia non trascurabili, in cui ad un abbozzo di apofisi stiloide o normale, o anche completamente diviso in 2 segmenti, faccia seguito un legamento stilojoideo, che contiene ancora delle inclusioni cartilaginee oltre l’apojale. Queste inclusioni si trovano in forma di un’asticina talora così breve da costituire piuttosto un granulo situato specialmente nella parte media od infe- riore del legamento e si presentano con gli stessi caratteri degli altri tratti carti- laginei che abbiamo descritto. Anche il piccolo corno può presentare delle variazioni. Così, ad esempio, nelle sezioni microscopiche dell’apparecchio sospensore del joide di una bambina di 6 mesi di età, in cui appunto ho notata la divisione in 2 segmenti dell’abbozzo dell’apofisi stiloide, il piccolo corno non è rappresentato da un granulo cartilagineo ovalare, come avviene nella grandissima maggioranza dei casi, ma bensì da un’asticina lunga 6 mm. che all’estremità distale si rigonfia assumendo la forma solita dell’apojale, all'estremità prossimale si perde nel tessuto fibroso del legamento. Una simile eve- nienza, che, pur non essendo molto frequente, già abbiamo trovata nei feti e ci accadrà ancora di trovare in età più avanzata, può servire di spiegazione all’esistenza di inclusioni cartilaginee nella parte inferiore del legamento. Se noi confrontiamo i dati di questa descrizione generale, con quelli ricavati dall'esame delle catene joidee fetali, ritroviamo le identiche eventualità nella dispo- sizione e nel numero dei segmenti cartilaginei. Solo si è aggiunto, a modificare l'aspetto esterno, l'involucro fibroso di questi segmenti. Restano pertanto gli stessi Serre II. Tom. LIX. m' 298 ANGELO CESARE BRUNI 20 tipi, rispetto alla segmentazione della cartilagine di RercHERT, di catene a 2 (nor- mali), a 3, a 4 segmenti. E questi sono veramente i tipi fondamentali, perchè basati sul numero dei segmenti cartilaginei, come già ReIcHERT aveva insegnato e GaAuPP ebbe occasione recentemente di ricordare. Ma delle divisioni si possono fare anche tenendo conto dell'involucro fibroso: possiamo perciò riassumere le cose esposte sopra nel seguente schema: ; Disposizione normale. — Abbozzo della apofisi stiloide breve, contenente nel suo asse un residuo della cartilagine di RercHERT pure breve, anzi tanto breve da non giungere fino all'apice dell’abbozzo stesso. Legamento stilojoideo lungo due o tre volte più dell’abbozzo dell’apofisi stiloide, senza alcuna inclusione cartilaginea. Piccolo corno di forma ovalare. 1% Varietà. Abbozzo dell’apofisi stiloide molto più lungo del normale (rapporto di 1,5:1; 2:1) contenente un'asta cartilaginea unica, lunga quanto l’apofisi stessa. Legamento e piccolo corno come nella disposizione precedente. 22 Varietà. Abbozzo dell’apofisi stiloide più lungo del normale, contenente un'asta cartilaginea non continua, ma divisa in due segmenti, uno superiore, uno inferiore. Legamento e piccolo corno come nelle disposizioni precedenti. 3° Varietà. Abbozzo dell’apofisi stiloide più lungo del normale e tutto diviso da un brevissimo tratto legamentoso in due segmenti di cui ciascuno contiene un’a- sticina cartilaginea propria. Legamento e piccolo corno come sopra. 4% Varietà. Inclusioni cartilaginee nella parte inferiore o media del legamento stilojoideo. Abbozzo dell’apofisi stiloide e piccolo corno come in qualunque delle altre disposizioni. 5% Varietà. Piccolo corno a bastoncino. Abbozzo dell’apofisi stiloide e legamento stilojoideo come in una delle disposizioni precedenti. Ciò premesso, darò una sommaria descrizione delle singole osservazioni, riassu- mendole in una tavola, ad imitazione di quelle date da BALESTRA e CHéRrIÈ-LIGNIÈRE, anche per agevolare il confronto fra i dati miei e quelli dei citati AA. 299 du INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 21 Q[BULIO N ‘PI zz wu ‘Fun | 9 ‘ww ‘qBun] “sodns ogued [os | ‘]duos ‘z8.10]09 E[[eu epgisse ‘pagg - [I "WU ‘pr [[BApunr] 9 e S BJOLIBA I "PI 164%: T Ip epro[igs ‘ode [op | ozzoqqu [jop 901d8 {e oug enur ‘Tduros ‘Z8.10[09 0zz0qqg,] uoo ‘dde1) ; “uu ‘p] | -U09 afeisse ‘Se|1qagg - gI "Www "PI I[BApunT] Ta Q RI "PI 09 DES) co AD mE w. 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(Unica, non giunge fino al- |2\Avvolgono la l'apice | cartilag. verso | | le estremità 76 \anni]3| D Id. 19 OI completa dell’apofisi Petra 91 | : I Id. 22 Id. | 77 \anni °] D Es. microscopico, 4 one (Vedasi la descrizione a proposito del tipo di 21 col.allume carm.| mento | ossificazione connettivale) (IS sezioni in serie, longitudinali dae SO e e _- 47 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 325 r-—r_ ———— — — — =" Legamento stilojoideo Lo Piccolo corno Classificaz. Le; : è La Punti Tipo di secondo SS Tipo . S |ES-3 di ossifica- i tipi = | diossificazione di 385 | ossificazione | zione di catena Vai z | Gas Gia Lia Tipo di joidea O ce agiiohe Forma | ossificazione mm. Ue 9g 10 11 12 13 aa 15 vv RE 70 | Pericondrale | 15 — .| — — ovale _ 1*Varietà Id. 19 | — || — Id. — Id. 71 Endocondrale| 22 — || — _ Id. | Endocondr.|3? Varietà Id. 19 — || — _ Id. Id. Id. 72 1 pericondrale| 29 — || — — a clava Id. Normale 1 endocondral. 73 Pericondrale | 37 — || — — ovale |Endocondr.|2? Varietà Id. 39 — | — _ Id. Id. Id. 74 |2 endocondral.| 40,7| — || — — Id. Pericondr. | Normale i |1 pericondrale (pare incro- stato d'osso) 40 A Id. Pericondr. Id. 75 Endocondrale| 23 — || — -- Id. Endocondr.|1Varietà Pericondrale | 29 — || — —_ Id. Id. Normale 76 40 — Sa = Id. Id. Id. 39 ini lil A MLT —_ Id. Id. Id. e Li |_ be LI È 326 ANGELO CESARE BRUNI 48 Abbozzo dell’apofisi stiloide (cò) <= [oi | $ = 8 E | Punti di ossificazione = |Età|c|D Metodo 2 | POR ; = : | èp Cartilagine assiale 9! a | S © | | 53 E Posizione mm. >, | L-3| ru 5 | 6 RI, 7B. 78 anni >. D \Es.microscopico,| 23 ‘Tutto l’abbozzo dell’apofisi | 2 Unoperciascun 21 i |col.allumecarm. | è diviso in due segmenti segmento cart. ‘e vesuvina, sez. i | Superiore non i serie longitudi- | tuttosostituito | nali ‘S | Id. 23 Id. i 2 | Id. — = - ESE TA n — —llrrre se 79 |anni] QD*| Lundvall 23,3 Unica, non raggiungel’apice | 1 Sostituisce la 22 | coloraz. sempl. | | | parte inferiore | della cartila- | gine | S* Id. 24,5 | Id. (1 Id. 80 |anni] Q|D*| Id. 33,3 Unica, continua fino all'apice | 2 Sostituiscono 2 24 i \lunghitrattidi | | | cartilagine at Id. 19,5 Tutta l’apofisi, tranne che nel quinto supe- riore, è trasformata in osso 81 |anni]g| D Lundvall 22 Tutta l’apofisi è trasformata in un osso tozzo, RECARE coloraz. doppia rugoso | S* Id. 54 |Unica,continuafino all’apice, | 2 |Lasciano libero spessa E solo il tratto 9 medianointor- $ rispon. all’an- $|golo del mu- Li \ scolo ioglosso | E ovecisono nel £ | pericond. punti | | > di ossificazione ‘2. accessorii a | 82 |anni|2| D Id. 22 Tuttal’apofisi è divisaindue | |L' ossificazione | 28 | segmenti, riuniti da una | |diciascun seg- (A specie di formazione arti- | | mento è com- | ; colare non funzionante | |pleta e il tipo | |neèindeterm., | forse endocon. , | i \datala pseudo i |articolazione | Ì Ì | S Id. 14,3 Tutta l’apofisi è trasformata in un osso di forma conica, tozzo, rugoso. | | | | | | | 49 © INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 327 | T____oooe—o _ —_——L}b m—_—r——————— Legamento stilojoideo È Piccolo corno Classificaz. Le; 3 SEE Punti Tipo di secondo LS det Tipo - S | Ba | di anne ì tipi © | diossificazione &-1rf 20 5 |ossificazione| zione di catena > S 805 È —__—_—_ È Tipo di jJoidea ni DE Ni l'Pasizione Forma ossificazione mm. > 9 10 11 12 13 14 15 16 17 78 Endocondrale| 38 — || — — ovale Indetermin.|3® Varietà Id. 40 A — Id. Id. Id. 79 Id. 37 — || — — Id. Endocondr.| Normale Id. 5331 — || — - Id. Id. Id. 80 Id. 20 — |—-| — — Id. Id. 1à Varietà 39,7| — || — — Id. Indetermin.| Normale 81 98 — || — — Id. | Endocondr. Id. | Endocondrale| 4 — || —- = Id. Id. 12 Varietà e pericondrale È d 4 82 34 ale — | bastoncino Indetermin.| 3? e 52 (mm.11) Varietà | 40 — j|-| — | — | bhbastoncino Ta. Normale e apri | | (mm.12) 5 Varietà | | 328 ANGELO CESARE BRUNI 50 Dal prospetto delle osservazioni premesso possiamo ricavare, riassumendoli in una tavola, i seguenti dati statistici, per ciò che riguarda il tipo di disposizione della catena joidea, negli individui da 3 anni e mezzo fino a poco dopo i 25 anni. | | Soggetti esaminati bilateralmente (38) | Soggetti esaminati Tipo di | Numero complessivo | Disposizione | Disposizione disuguale sala sola disposizione delle osservazioni |, uguale ai dai due lati | (Y. Classificazione 81 d'ambo i lati 9 casi (21,61 °/o) | a destra | a sinistra a pag. 20) , 29 casì A (78,44 °/o) \ a destra a sinistra | 2 casi 3 casì ef AT | Uibona pi Normale |42 casi (51,85 °/)| 15 casi | 4 casi 8 casì 2 casì | 3 casi | de apbaas USE | | 13 Varietà |21 , (25,97%) CRA GAI SI I STU Za pi D AMPAA (E RO Di) Sto, | = | SPE - — 3a 9, (DOTE di 00 1 caso — - a 4a È din AEREO) — LR, 1caso | — | — | | bastia) I (LIL 910 RS — | 1caso Confrontandoli con quelli esposti nella tavola corrispondente per le osservazioni sugli individui più giovani, vediamo una sufficiente corrispondenza di cifre. Aggiungerò, a proposito della 4% e 5* varietà, che la 4* si è trovata una volta associata con la 1% e una volta con la 3? (avendosi così in questo caso una catena joidea a 4 segmenti cartilaginei), la 5* si è trovata associata alla disposizione nor- male 4 volte, alla 2* varietà 3 volte, alla 3° varietà 2 volte. Sono da aggiungersi ancora alcuni dati sulla ossificazione. Il primo fatto che ci colpisce, scorrendo il prospetto delle osservazioni eseguite, si è di trovare soltanto al 9° anno di età la comparsa dell’ossificazione nel piccolo corno del joide, e di più in modo tale che questo fatto si può ritenere come casuale, perchè solo dal 16° anno in avanti troviamo questa ossificazione sufficientemente fre- quente da poterla ritenere come regolare. Durante e dopo il 4° anno invece, pare si possa ritenere eccezionale la mancanza di centri di ossificazione nei segmenti supe- riori della catena. Possiamo perciò considerare come regola generale: che l’ossificazione nell’apofisi stiloide comincia verso il 4° anno di età con una sufficiente costanza, mentre l’ossi- ficazione del piccolo corno del joide si inizia soltanto tra il 9° e il 16° anno, e per di più neppure questo periodo così lungo di tempo può essere considerato come data esclusiva. Per ciò che riguarda i punti di ossificazione possiamo ricavare dei dati soltanto dalle osservazioni in cui l’ossificazione non era troppo avanzata. Per comodità ho segnato queste osservazioni con un asterisco (*). Esse sono in numero di 55. Di esse 26 si riferiscono a catene joidee con disposizione normale. Nell’apofisi stiloide di esse trovai un solo punto di ossificazione in 16 casi; riguardo al tipo di sli 51 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECO. 329 ossificazione esso era 11 volte pericondrale, 5 volte endocondrale. Nella maggior parte dei casi di ossificazione pericondrale il nucleo osseo aveva già invaso per uno spessore considerevole la parte apicale dell’abbozzo dell’apofisi stiloide. - In 8 casi i punti di ossificazione erano 2, due volte ambedue pericondrali, tre volte ambedue endocondrali, tre volte endocondrale il superiore, pericondrale l’in- feriore. In 2 casi finalmente trovai 3 punti di ossificazione, di cui i 2 superiori endo- condrali, l’inferiore pericondrale. Le catene joidee in via di ossificazione, presentanti la disposizione da noi in- dicata come 1° varietà, occorsemi, sono in numero di 20. In esse trovai 6 volte un solo punto di ossificazione, tre volte pericondrale e tre volte endocondrale. Ho trovati 2 punti in 13 casi, 5 volte erano ambedue pericondrali, tre volte endocondrali, due volte pericondrale l’inferiore, endocondrale il superiore, e tre volte pericondrale il superiore, endocondrale l’inferiore. In un solo caso finalmente ho trovati 3 punti di cui pericondrale il superiore, di tipo indeterminabile gli altri. Della 2% varietà vidi solo 5 casi. In 3 di essi si aveva un solo punto pericon- drale nel segmento inferiore; negli altri, 2 punti nel solo segmento superiore. Per la 3? varzetà i casi occorsimi sono solo 3: in uno si aveva un solo centro endocondrale nel segmento inferiore; in due un centro endocondrale in ciascun segmento. I casi della 4° varietà sono troppo scarsi per ricavare dei dati, tanto più che in essi l’ossificazione del segmento incluso nel legamento stilojoideo era troppo avanzata. Il piccolo corno del joide, abbia esso la consueta forma ovalare, od assuma la forma di un bastoncino, rimanendo più lungo del consueto (5% varietà), non pare mai ossificarsi per più di un punto. I dapi sopra esposti sono così disparati, e sono d’altra parte ricavati da mate- riale relativamente così scarso che quasi impossibile mi pare dedurre delle leggi definitive. Credo però si possa ritenere come regola: 1°) Che le apofisi stiloidi di tipo normale abbiano di solito un solo punto di ossificazione, però abbastanza frequentemente ne abbiano 2, e, qualche volta, anche 3; 2°) Che le apofisi stiloidi più lunghe del normale, risultanti da una incom- pleta riduzione della cartilagine di RercHERrT (1° varietà), abbiano di solito 2 punti di ossificazione, potendo tuttavia esse pure ossificarsi per un punto solo o per 3; 3°) Che nei casi in cui in um’apofisi stiloide normale si hanno 3 punti di ossi- ficazione, difficilmente tutti 3 si siano formati secondo lo stesso tipo. Uno almeno di solito è pericondrale. Ora è da ricordarsi come un punto di ossificazione pericon- drale possa, almeno in certi casi, avere un valore diverso da quello di un punto di ossificazione endocondrale, essendo alcune volte manifesta la sua formazione per effetto di stimoli meccanici, come si è già ricordato a proposito della osservazione 81 (Vedasi a questo proposito il prospetto delle osservazioni a pag. 48 e il testo a pag. 36). Seris II. Tom. LIX. o 330 ANGELO CESARE BRUNI 52 VI. — Apparecchio sospensore dell'osso joide in cranî macerati di adulti. Gli ultimi lavori di BaLestrA e CHÉRrIÈ-LionièRE e di CHéRIÈ-LienièRE, hanno così ampiamente trattato lo studio della catena joidea nell’adulto che non ho creduto per ora di dover stabilire delle particolari ricerche in proposito. Mi sono limitato a passare in rapida rassegna le collezioni di cranî apparte- nenti all’Istituto anatomico di Torino. Da questo esame naturalmente non si può ricavare alcun dato statistico perchè le apofisi stiloidi sempre assai delicate escono difficilmente dalla macerazione nella loro integrità e spesse volte ne rimangono ap- pena delle traccie. Ciò non ostante mi accadde di trovarne con relativa frequenza di quelle la cui risultanza dall'unione di due segmenti uno superiore e uno inferiore è abbastanza evidente. Così su 206 cranì della Collea. Normali ne ho trovati 10 casi, su 400 cranî della Collez. Varietà 19 casì, su 384 cranî della Collez. Criminali 16 casi, su 120 cranî della Collea. Militari 2 casi, su 53 cranì della Collez. Microcefali e Cretini 2 casi. Ma assai più interessanti sono i seguenti casi di apofisi stiloidi costituite di 3 segmenti. 1° Collezione Varietà, n° 90 (9 adulta d’età ignota). Apofisi stiloide sinistra. Il punto di unione col timpanojale è segnato da un solco specialmente evidente nelle faccie anteriore e mediale. Lunghezza totale mm. 56. Ne è evidente la risultanza dalla fusione di 3 segmenti. I punti di unione sono segnati da rigonfiamenti dell’osso. Il segmento superiore lungo 12 mm. è irregolarmente cilindrico e rugoso, come pure il segmento medio lungo mm. 22; più liscio e regolare è il segmento inferiore, lungo esso pure mm. 22. Apofisi stiloide destra. Non è evidente l’unione col timpanojale. Lunghezza totale mm. 27,5, di cui 10,5 appartengono ad un segmento superiore, 17 a un segmento inferiore; il punto di fusione è anche qui segnato da un rigonfiamento. 2° Collezione Varietà, n° 361 (è anni 71). Apofisi stiloide destra. Lunghezza totale mm. 60 misurata dalla base del cranio, non vedendosi il punto di unione col timpanojale. Appare tosto evidentissima la divisione in due segmenti fra di loro articolati, di cui l’infe- riore a forma di cono molto allungato, regolare, misura mm. 39; il superiore, meno regolare di forma, mm. 21; per l’esistenza poi di un rigonfiamento non molto cospicuo dell'osso, ma tuttavia evidente, il segmento superiore sembra risultare a sua volta dalla fusione dì un tratto superiore (mm. 11) ed uno inferiore (mm. 10). Apofisi stiloide sinistra. Lunghezza mm. 57,8. Simile alla precedente, mostra l’unione arti- colare di 2 segmenti lunghi mm. 24,8 il superiore, 33 l’inferiore. Non risulta però che il supe- riore rappresenti la fusione di due pezzi. 3° Collezione di Cranì Normali, n° 55 (è anni 43). Apofisi stiloide destra. Ben evidente l’unione col timpanojale, lunghezza mm. 40 (notando però che manca una parte dell’estre- mità inferiore). Due rigonfiamenti oltre quello che indica l’unione col timpanojale attestano che questa apofisi risulta dalla saldatura di tre segmenti, di cui il superiore è lungo mm, 15, il medio 21, l’inferiore rotto mm. 4. 58 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 831 Apofisi stiloide sinistra. Ben evidente l'unione col timpanojale. Lunghezza mm. 54. È segnata da un rigonfiamento abbracciato da un solco anulare, l'unione di un segmento supe- riore (mm. 32) ed uno inferiore (mm. 22). Non è evidente la risultanza del superiore dalla fusione di due altri. 40 Collezione di Cranì di Criminali, n° 87 (2 anni 47, condannata per eccitamento alla corruzione). Nell’apofisi stiloide sinistra sebbene abbastanza breve (mm. 32), troviamo però evi- denti le traccie di saldatura di 3 segmenti: superiore mm. 3, medio mm. 17, inferiore mm. 12: Si noti che è evidente l’unione col timpanojale. Apofisi stiloidi risultanti dall’unione di 3 segmenti ho pure riscontrato nel cranio Colle- zione Varietà, n° 100 (3 adulto) e nei Cran? di militari Piemontesi, n° 17 (ò anni 22) e Veneti, n° 1 (età ignota). 5° Aggiungo ancora la descrizione di un caso di apofisi stiloide con 2 segmenti, raccolto dal dottor A. Bovero, in cui però lo sviluppo è veramente eccezionale. Si tratta dell’apofisi stiloide destra di un vecchio di età sconosciuta; dalla articolazione mobile col timpanojale essa misura mm. 86; nella sua parte superiore un rigonfiamento indica chiaramente l’unione quivi avvenuta di 2 segmenti, di cui il superiore misura mm. 23, l’infe- riore mm. 63; quest’ultimo termina con una superficie articolare per il piccolo corno del joide. È questo uno dei più tipici esemplari delle catene joidee così dette complete, sia pel nu- mero dei segmenti, sia per la lunghezza di essi e pel loro modo di articolarsi. I casi di cui ho fatto parola dal lato descrittivo non presentano alcunchè di nuovo, poichè tutti si possono avvicinare e paragonare con quelli analoghi descritti dai vari AA. Ho però creduto opportuno di riferirne per poter stabilire un paral- lelo fra le disposizioni in essi trovate e quelle che abbiamo considerate in periodi di sviluppo Tagno avanzati. Chiunque abbia avuto occasione di dissecare un certo numero di apparecchi joidei anche ad altri scopi, avrà senza dubbio notato come negli individui vecchi sia molto facile incontrare un notevole allungamento nell’apofisi stiloide, quello che il Sappevy attribuiva alla fusione avvenuta in età avanzata fra stilojale e cheratojale. Questo però non vuole dire che sia diminuita la percentuale delia disposizione normale; soltanto per essere sopraggiunta una completa ossificazione si fanno più apprezzabili le variazioni e si giudica meglio, che non negli individui giovani e spe- cialmente hei bambini, della frequenza relativamente scarsa di essa. Quanto poi all'essenza delle variazioni, io dinanzi ad un’apofisi stiloide notevol- mente più lunga del consueto e senza traccia di primitiva divisione in segmenti, cosa che occorre con notevole frequenza all'osservazione, non posso fare a meno di pensare a quella disposizione che ho descritto come 1? varietà nei bambini; e quando invece appare la fusione di 2 segmenti anche in un’apofisi relativamente breve, trovo più logico ricorrere col pensiero alla 2° e 3% varzetà dei bambini (quella cioè in cui l’abbozzo dell’apofisi conteneva 2 tratti cartilaginei distinti), che non il pensare a traccie di unione di 2 punti di ossificazione distinti in una stessa cartilagine, tanto più che, stando alle mie osservazioni personali, da una parte la presenza di 2 punti di ossi- ficazione per l’apofisi stiloide normale non sarebbe un fatto costante e d’altra parte non è affatto provato che, nel processo di ossificazione, il punto di incontro di due centri debba lasciare una traccia evidente ad ossificazione completa. L’avere poi osservato nei primi stadi di sviluppo, ed anche in seguito, che, sia 332 ANGELO CESARE BRUNI 54 colla disposizione normale, sia con le variazioni dell’abbozzo dell’apofisi stiloide, si può combinare la presenza di inclusioni cartilaginee nel legamento stilojoideo, mi pare dato sufficiente per spiegare la possibilità già descritta da alcuni AA., fra cui il MeunieR ed il Romrri (56), ed evidente in alcuni dei disegni riportati nel lavoro di BaLestrA e Cuériù-LienIÈRE, di catene joidee costituite da 4 segmenti estracranici (escluso quindi il timpanojale), quali quelle che ho poco sopra descritte. Nè a me personalmente, nè dalla letteratura risulta che si conoscano casì certi di catene joidee costituite da più di 4 segmenti estracranici; dico di casi certi, perchè soltanto una sutura o un rigonfiamento traccia di preesistente articolazione possono interpretarsi come indice di fusione di 2 segmenti, e non si possono considerare come tali tutte le minime rilevatezze o restringimenti, tanto più che il modo stesso con cui avviene il processo di ossificazione può essere causa di ineguaglianze, di creste, di rilievi, di solchi talora accentuatissimi. Ma ciò che maggiormente colpisce nella catena joidea dei vecchi è la grande tendenza che i segmenti hanno a saldarsi tra di loro. Col crescere degli anni, essi, secondo il loro sviluppo ed il loro modo di ossificarsi, restano uniti da legamenti più o meno lunghi, oppure vengono ad articolarsi tra di loro. Pare che questa ultima condizione sia abbastanza frequente, perchè molte volte si riconoscono i segni di una vera articolazione negli ingrossamenti ossei che separano i vari segmenti (Ba- Lestra e CHériè-LienIièRE). Sulla spiegazione che il ReTTERER ne ha dato, confermata recentemente da Dwrent [12"5], credo non vi sia nulla a ridire. Non è forse fuori di luogo ammettere una tendenza ad ossificarsi nei brevi tratti legamentosi che restano interposti fra i segmenti, proprietà del resto comune ad altri legamenti del corpo, per spiegarne le saldature, come vuole il DwieHnT. Nei casi poi in cui siano ossificati due nuclei cartilaginei che nell’età infantile facevano parte del- l’abbozzo dell’apofisi stiloide, è anche più logica tale supposizione, considerando che i primi nuclei ossei si formano sovente nel tessuto.fibroso dell’apofisi stessa, che, avendo valore di pericondrio, ha un certo potere osteogenetico. Però non si deve dare a questo fatto un valore capitale, attribuendogli la .for- mazione di nuovi segmenti, perchè lo studio dell’evoluzione della catena joidea nelle varie età ci dimostra abbastanza chiaramente come la formazione dei segmenti ossei sia strettamente legata alla presenza dei segmenti cartilaginei, di modo che potrà forse subire notevoli variazioni lo sviluppo ‘proprio di ciascun segmento, ma non ne varierà mai il numero col progredire degli anni. VII. — Considerazioni e conclusioni. Abbiamo potuto vedere come la prima segmentazione della cartilagine di ReIrcHERT, iniziatasi nella maggior parte dei casi prima del principio del terzo mese di vita fetale, si possa ritenere come compiuta verso la fine del quinto mese; infatti già nei feti che hanno superata la prima metà di questo mese possiamo trovare la catena joidea formata ora di 2, ora di 3, ora di 4 segmenti estracranici, precisamente come abbiamo constatato nei vari periodi della vita libera. 50 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 399 Alla nascita inoltre, intorno ai segmenti cartilaginei, l’involuero fibroso che li riveste, ha assunto uno sviluppo ed una forma tale da dare alla catena joidea infantile, nel suo insieme, gli stessi aspetti delle catene joidee adulte. .Dobbiamo perciò ritenere che alla nascita l'apparecchio sospensore dell’osso joide sia già costituito nelle sue linee fondamentali, sulle quali non faranno che plasmarsi le modificazioni future, senza che nuove parti essenziali vengano ad aggiungersi, od alcune delle esistenti vengano a regredire ulteriormente. Due corollarii da questo enunciato si potrebbero ricavare a priori: 1° che in qualunque modo avvenga il processo di ossificazione, esso è strettamente legato alla presenza di segmenti della cartilagine di RercHERT; 2° che non è affatto necessario pensare ad un potere osteogenetico acquisito per effetto dell’età, o conservato per legge atavica nel legamento stilojoideo per spiegare gli eventuali aumenti del numero, ritenuto normale, di tratti ossei costituenti la catena joidea. Però questi corollarii hanno anche la loro dimostrazione diretta: abbiamo infatti potuto vedere come si manifestino dei punti di ossificazione solo là dove esiste cartilagine, persino in quei casi in cui la cartilagine è riassorbita quasi completamente prima che l’ossificazione si svolga nel luogo da essa prima occupato. Si debbono ritenere come normali quei casi in cui la cartilagine di REICHERT è divisa in due soli segmenti, e questi sono molto ridotti ed allontanati l’uno dall’altro, in modo da essere l'uno riunito alla base del cranio, l’altro al corpo dell’osso joide. Sono da considerarsi come anomali quei casi in cui i due segmenti non sono ridotti, oppure sorto a loro volta divisi secondariamente in altri segmenti. Questo si deduce non solo dai reciproci rapporti di frequenza delle varie disposizioni, ma anche dall’osservazione diretta di alcuni fatti importanti e cioè: 1° che non ho trovato casi di divisione in tre segmenti nei feti del terzo mese, sebbene ne abbia esami- nato una quantità maggiore che non per gli altri mesi; 2° che nei casi in cui ho potuto osservare l’inizio della segmentazione, quando essa avviene nello stato cartila- gineo dello scheletro del secondo arco branchiale, essa si fa secondo un processo spe- ciale (formazione del disco) perfettamente identico a quello che si verifica nelle divisioni di valore indubbiamente primario della cartilagine di RercHeRm di altri animali o in altre regioni (orecchio medio); 3° che le suddivisioni secondarie del segmento superiore (molto più facili ad osservarsi per la loro relativa frequenza) mostrano di avere una causa meccanica (stiramento da parte di muscoli o legamenti) e non si fanno mediante la formazione tipica del disco. Tutte le variazioni della catena joidea si possono ridurre al seguente schema: a) incompleta riduzione dei due segmenti principali, che sono gli anelli tipici della catena joidea umana (1° Varzetà della classificazione da noi proposta [vedi pag. 20] se è incompletamente ridotto il superiore, 5* Varietà se è incompletamente ridotto l’inferiore); 8) secondaria segmentazione dei due segmenti principali incompletamente ridotti (2° e 3° Varietà se la segmentazione secondaria avvenne nel segmento prin- cipale superiore, £ Varietà se nell’ inferiore). L’involucro fibroso, che riveste i tratti cartilaginei, talora così esili da sfuggire ad un esame non condotto con metodi adeguati, modifica di poco lo schema fonda- mentale ora esposto in base al numero dei segmenti cartilaginei: esso aiuta nei casi dubbi a distinguere la 7° Varietà della disposizione normale, poichè in quest’ul- 334 ANGELO CESARE BRUNI 56 tima c'è sempre una sproporzione tra la lunghezza del segmento cartilagineo con- tenuto, e quella dell'involucro fibroso contenente, essendo la cartilagine assai più ridotta; mentre tutte le volte in cui la riduzione non è completa l’involuero si plasma più esattamente sul segmento cartilagineo. Inoltre esclusivamente in base al modo di comportarsi dell'involucro fibroso ho distinte le varietà 2° e 3°: infatti per ciò che riguarda la cartilagine in ambedue si tratta di una secondaria suddivisione del segmento superiore, ma la prima di esse pare un grado meno avanzato dell’altra, avendosi in essa fra i due segmenti cartilaginei secondarii l'involucro nelle stesse condizioni in cui si troverebbe se la suddivisione non fosse avvenuta: mentre nella 3a Varietà anche l'involucro si è per così dire ridotto, assottigliandosi in forma di legamento, ed allora il segmento secondario inferiore prende l’aspetto di un tratto incluso nella parte superiore del legamento stilojoideo. Occorrono più frequentemente le varietà riguardanti il segmento superiore, meno frequenti sono quelle analoghe (incompleta riduzione, divisione secondaria) che riguardano il segmento inferiore. Risulta intanto che nell’Uomo possiamo distinguere delle catene a 2, a 3, a 4 segmenti cartilaginei estracranici : io non ho mai trovato un caso in cui esistesse un numero maggiore di questi segmenti: nè l’esistenza di simili casi mi pare si possa ritenere provata, almeno in modo certo, in base alla letteratura da me esami- nata. Ecco intanto in riguardo di questa prima grande divisione i principali dati statistici ricavati dall'esame di 158 catene joidee, di individui di varia età dal 5° mese di vita fetale al 28° anno. Catene Catene Catene a 2 segmenti | a 3 segmenti | a 4 segmenti estracranici estracranici estracranici Feti dal 5° mese a termine... ... . 9 casì 3 casì 1 caso Bambini dal 1° giorno al 3° anno . . 43» 2 e Bambini e giovani dal 3° al 28° anno . 62M li ra iO Lig Tora: RUauoazi Ads! Gia db 114 casì 42 casì 2 casi | (72,21%) | (26,50%) | (1,29%) | Riguardo alla classificazione stabilita, considerando anche l'involucro fibroso dei segmenti cartilaginei (pag. 20), su 144 catene joidee di individui di età variabile da 1 giorno a 28 anni, abbiamo trovato nel segmento superiore (apofisi stiloide) il tipo normale 76 volte (52,90 °/, dei casi), la 1% Varietà 33 volte (22,50 °/0), la 22 Varietà 23 volte (16,66 °/), la 38 Varietà 12 vélte (7,98 °/o). Nel segmento inferiore la 4% Varietà 5 volte (3,60 °/,), la 5* Varietà 9 volte (6,25 °), associate ora all'una ora all'altra delle Varietà del segmento superiore e più spesso con la disposizione nor- male di esso. Avendo poi esaminate le catene d’ambo i lati in 64 soggetti, abbiamo trovato disposizioni uguali d’ambo i lati 49 volte (77,67 ° dei casi), disposizioni diverse 15 volte (22,33 0/0). 97 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 335 I dati che ho potuto raccogliere riguardo all’ossificazione mi paiono abbastanza interessanti tanto nel rapporto speciale e diretto con la catena joidea, quanto per ciò che si riferisce al processo d’ossificazione in generale. ‘Per ciò che riguarda specialmente la catena joidea le varietà nel suo modo di ossificarsi sono atte a dimostrare il rapporto filogenetico della catena umana con quella dei Vertebrati più bassi assai più di quanto non lo sia la eventuale divisione della cartilagine di RercHERT in tre segmenti: e permettono d’altra parte di stabilire un parallelo fra il comportamento dello scheletro del secondo arco branchiale e quello dello scheletro del primo. Per ciò che riguarda l’ossificazione in generale troviamo qui rappresentate delle forme di sostituzione della cartilagine, che con molta probabilità sono gradi di pas- saggio tra le maniere più semplici e la forma endocondrale tipica delle ossa lunghe dei Vertebrati superiori. Ricorderò come abbiamo distinte due categorie fondamentali riguardo al modo di ossificazione, una delle quali più rara ci riporta alle ossificazioni membranose, poichè si svolge unicamente in seno a tessuto connettivo per la regressione della cartilagine al momento dell’ossificazione ; l’altra, più frequente ci presenta varie modalità della sostituzione dello scheletro cartilagineo primitivo. Abbiamo distinti in questa categoria due tipi. Uno, da considerarsi come più semplice, anche perchè nella filogenesi compare prima, ha due stadii distinti: 1° la formazione d’osso nel pericondrio, mentre la cartilagine è indifferente ; 2° la regolare e graduale invasione e sostituzione della cartilagine dalle parti periferiche verso le centrali o da una faccia verso la faccia opposta. L’altro, che segna un grado più avanzato rispetto al 2° stadio del primo, ha già alcuni dei caratteri fondamentali della ossificazione endo- condrale tipica, perchè esordisce con la penetrazione di elementi osteogeni peri- condrali nelle parti centrali della cartilagine, differisce però per la mancanza di alcuni fenomeni secondarii, ma caratteristici dell’ossificazione endocondrale tipica, e special- mente per la formazione dell’osso condroide di ScHarreR, formazione sulla quale non ho, almeno per ora, dati sufficienti per pronunciare un qualsivoglia giudizio. Abbiamo visto come l’epoca in cui s’inizia l’ossificazione sia un po’ più precoce di quella fino ad ora ritenuta normale; infatti si può ritenere che cominci nell’apofisi stiloide verso il 4° anno con una-certa regolarità, mentre comincia assai più tardi nel segmento inferiore della catena (9°-16° anno) e con una regolarità assai minore. Abbiamo visto ancora come nei segmenti superiori possano trovarsi quasi con uguale frequenza i tipi endocondrale e pericondrale, mentre nel segmento inferiore, special- mente quando esso è normale di forma, il tipo endocondrale prevale di gran lunga sull’altro. Accennammo pure alla probabile ragione filogenetica di questo fatto. Il numero dei punti di ossificazione è così vario, che ben difficile riesce il rica- vare qualche dato che si possa considerare come regola. Nell’apofisi stiloide anche quando presenta la disposizione normale si possono trovare fino a tre punti di ossifi- cazione, come già avevano osservato RamsauD e RexnAULT (51); prevalgono però i casi in cui si ha un punto solo, mentre nelle apofisi stiloidi contenenti il segmento superiore della cartilagine di RercHERT non completamente ridotto si hanno più fre- quentemente due punti. Nei casi in cui i segmenti sono più di due, di regola si ha solo un unico centro per ciascuno; ma non raramente in una apofisi stiloide che contenga 336 ANGELO CESARE BRUNI 58 due segmenti cartilaginei si possono già avere due centri molto sviluppati in uno, mentre non ne esiste ancora alcuno nell’altro. Una questione molto importante è quella della omologia dei vari segmenti del cornujale umano con quelli tipici del cornujale dei Pesci, tanto più che tutti gli anato- mici, che descrissero casi di catene joidee a tre segmenti estracranici nell’Uomo, ammi- sero senz'altro questo fatto, accogliendo o precorrendo l’idea appoggiata dall’ Owen (46). Perfino nelle catene joidee normali si volle vedere questa omologia, ora stabilendola in base ai punti di ossificazione, ora considerando il legamento stilojoideo come rap- presentante e omologo del cheratojale scomparso. Eppure, per ciò che riguarda l'’omologia in base ai punti di ossificazione, già il ReIcHERT aveva messo in guardia dai possibili errori, dicendo: “ l’ossificazione è piuttosto qualche cosa di accessorio, e non assolutamente da paragonare all'importanza del tipo secondo cui lo stato car- tilagineo forma le sue divisioni ,. Per abbandonare l’idea dell’omologia basterebbe ricordare quanto dice il GAuPP: “ La segmentazione nei Mammiferi ha un carattere così diverso da quella che si ha nei Pesci, che noi dovremmo allontanare l’idea di uno stretto rapporto fra le due apparenze, anche se non si frapponessero ancora le disposizioni degli Anfibî e dei Rettili (ove una simile segmentazione del cornujale non esiste affatto) ,. GEGENBAUR (20) è della stessa opinione, anzi pare accenni ad una segmentazione principale in due segmenti: “ la segmentazione della cartilagine di RercHERT, egli ci insegna, non è un qualche cosa di regolare, perchè, seguìta nella serie dei Vertebrati, pare piuttosto che essa nei Mammiferi si sia iniziata dapprima dal cheratojale (il cheratojale di questo A. corrisponde all’apojale degli altri) ,. Il GeGENBAUR si basa specialmente sulle variazioni del tipo di catena joidea che sì osservano non solo fra una classe e l’altra di Mammiferi, ma anche fra rappresentanti diversi di una medesima classe: basta uno sguardo alla tavola da noi esposta in base ai dati del FLowEeR in pro- posito per convincersene. Io penso che l'opinione del GEGENBAUR, che, fra tutti i segmenti, il piccolo corno del joide sia il più paragonabile all’apojale, possa essere appoggiata da tre fatti: 1° che esso è il segmento meno variabile, anche considerato nei diversi gruppi di vertebrati; 2° che esso si separa dal segmento superiore, nel processo di segmen- tazione della cartilagine, mediante un processo speciale caratteristico, che non appare determinato da cause estranee; 3° che l’ossificazione di questo segmento si fa quasi costantemente secondo il tipo che, rispetto agli altri rappresentati nella catena joidea devesi, per quanto a me risulta, considerare come più evoluto. Anche nei casi adunque in cui la catena joidea umana è tale da presentarci tre segmenti cartilaginei estracranici, l’omologia di essi con quelli in apparenza cor- rispondenti dei Pesci non si può stabilire, perchè il segmento intermedio non è un prodotto formatosi per una legge fissa e secondo il processo caratteristico per cui si formano i due segmenti principali del cornujale umano, ma è una secondaria, inco- stante suddivisione di uno dei segmenti principali che ha le sue origini da cause estrin- seche, come l’eccitamento prodotto dalle trazioni di muscoli o di legamenti. Diffi- cilissimo poi riuscirebbe il dimostrare l’omologia col cheratojale dei due segmenti intermedii, nei casi di catene a 4 segmenti estracranici. Tale omologia dovrebbe già essere respinta « priori per la considerazione che nei Pesci allo stato cartilagineo il 59 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC._ 337 cheratojale è sempre unico, se non avessimo potuto ancora constatare come essi dipendano l’uno dal segmento principale superiore, l’altro dal segmento principale inferiore della catena tipica dell’ Uomo, essendo così fra di loro analoghi ma non omologhi e non considerabili affatto come prodotti della divisione secondaria di un primitivo segmento unico. Sull’ipotesi che il legamento stilojoideo rappresenti il cheratojale c'è poco da aggiungere a quanto ho già detto: due constatazioni di fatto stanno contro di essa : 1° che il legamento ha un proprio abbozzo che corrisponde al punto in cui s’inizia la divisione della cartilagine; 2° che, per quanto si sa, non si può ritenere che esso provenga dalla graduale scomparsa di un segmento cartilagineo preformato. La stessa figura del MricHarLIs, che, quale è riportata da BaLesTRA e CHérrù-LIGNIÈRE, tenderebbe a dimostrare questo fatto, rappresentando un cornujale a quattro segmenti estracranici, non è convincente, poichè in essa un segmento unico avrebbe valore di timpanojale, stilojale e primo punto del cheratojale fusi. A questo complesso segmento ne seguirebbero altri tre distinti rappresentanti il punto medio e il punto inferiore separati del cheratojale e l’apojale. Posso ora riassumere le principali risultanze delle mie ricerche nelle seguenti proposizioni : 1° Tutti i segmenti ossei della catena. joidea dell'adulto hanno per base altret- tanti segmenti cartilaginei contenuti nell’abbozzo della catena stessa, e stabilitisi per segmentazione della cartilagine di ReIcHERT, nella vita: fetale. 2° La segmentazione in alcuni casi avviene probabilmente prima che lo scheletro del 2° arco branchiale abbia raggiunto lo stato precartilagineo ; in altri casi avviene nello stato precartilagineo o cartilagineo secondo un processo speciale di regressione connettiva (formazione del disco). 3° Il numero di questi segmenti cartilaginei è primitivamente soltanto di due, essi nelle condizioni normali sono anche piuttosto brevi. 4° Nei casi in cui il numero di questi segmenti cartilaginei è superiore a 2 si tratta di una segmentazione secondaria di uno o di ambedue i segmenti, che costi- tuiscono la catena normale, incompletamente ridotti. 5° Si può ritenere che la riduzione della cartilagine di RercHERT cessi al più tardi al momento della nascita: i segmenti che si trovano a quest’epoca persiste- ranno per tutta la vita. A quest’epoca perciò l’abbozzo della catena joidea è completo, anche per lo sviluppo preso dall’involucro fibroso che circonda i segmenti cartilaginei. 6° Fra le varie disposizioni di catene joidee si succedono per frequenza: 1° quella normale (2 segmenti soli, molto ridotti); 2° quella in cui la riduzione è incompleta verso la parte prossimale; 3° quella in cui la parte prossimale incompletamente ridotta si è secondariamente suddivisa; 4° quella in cui è incompleta la riduzione verso la parte distale; 5° quella in cui si ha la secondaria segmentazione della parte distale. 7° L'ossificazione, secondo qualunque tipo si faccia, è strettamente legata alla presenza di segmenti cartilaginei: mancano dati per supporre che nell’ Uomo da un segmento cartilagineo possano formarsi due o più segmenti ossei. L'ossificazione s’inizia notevolmente presto, verso il 4° anno, e procede molto lentamente, più lentamente nelle catene anomale che nelle normali: cominciano ad Serie II. Tom. LIX. r! 338 ANGELO CESARE BRUNI 60 ossificarsi prima i segmenti superiori (4° anno): più tardi il segmento distale (9°-16° anno e anche oltre). Ne] processo d’ossificazione si devono distinguere tre tipi, due dei quali rappresentano modalità diverse dello sviluppo delle ossa di sostituzione (tipo pericondrale e tipo endocondrale); uno, più raro, porta alla costituzione di osso mem- branoso, per la sostituzione di tessuto connettivo al cartilagineo subito prima della comparsa del tessuto osseo, cosicchè si può stabilire un parallelo quasi perfetto tra il modo di ossificarsi dello scheletro cartilagineo del secondo arco branchiale e quello delle piccole porzioni cartilaginee del primo arco su cui sì stabilisce dell'osso di sosti- tuzione. Fra i tipi di ossificazione indicati nel segmento distale prevale sugli altri quello endocondrale : negli altri segmenti l’endocondrale e il pericondrale compaiono indifferentemente, e spesso riuniti assieme. Il tipo connettivale è raro. Quanto al numero dei punti di ossificazione, esso è molto variabile: si può avere un solo punto per ogni segmento cartilagineo, alcune volte due e persino tre, specialmente nel segmento prossimale. 8° Mancano assolutamente dei fatti che possano appoggiare la supposizione dell’esistenza di ossificazioni, originatesi nella compagine del legamento stilojoideo. 9° Non si possono stabilire omologie di tutti i segmenti delle catene joidee umane con quelli presentati dai Pesci: il legamento stilojoideo non è omologo del cheratojale. 10° Le anomalie della catena joidea sono in generale dovute ad un arresto di sviluppo. Dall’'Istituto Anatomico di Torino, diretto dal Prof. Roxro Fusari. Maggio 1908. e e. IL I A O x 61 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 399 LETTERATURA CONSULTATA (1) ALBRECHT, Sur la valeur morphologique de la trompe d’Eustache, ecc. Communication è la Soc. d’Anat. path. de Bruxelles. 11 mai 1884. 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(43) Niconas, Considérations sur l’appareil hyoidien de V Homme et ses anomalies. “ Revue bio- logique du Nord de la France ,, année I, n° 9, 1889. (44) NoorpEN, Beitrag zur Anatomie der knorpeligen Schiidelbasis menschlicher Embryamen. “ Arch. fùr Anat. und Entwick.,, Jahrg. 1887. (45) OLLIvIER, Hyoide nel Dictionnaire, 1837. (46) Owen, Principes d’ostéologie comparée (Traduz. francese). Paris, 1855. (47) Peter, Beitriige tiber normalen und pathologischen Anatomie des Zungenbeins. Diss. Inaug. Basel, 1885. (48) Porrier, Traité d’anatomie humaine. Vol-I (pag. 504). Paris, 1892. (49) Porrier et MruNIER, Ossification de lappareil hyoidien. “ Bullet. de la Soc. Anat. de Paris ,, année 1887. (50) Quarn, ScHaerrer e Tang, Elements of Anatomy. Vol. II (pag. 43, 61, 163), 1892. (51) Rampaup et RenAULT,, Origine et développement des os. Paris, 1864. (52) Rauser, Lehrbuch. der Anatomie des Menschen. Bd. I (pag. 290), 1902. (53) Rercnert, Ueber die Visceralbogen der Wirbelthiere, ecc. “ Arch. fiir Anat. und Phis. ,. Jahrg. 1837. (54) RetTERER, Sur un cas d’appareil hyoidien ossifit. “ Comptes-rendus de la Soc. de Biologie ,, 1886 (pag. 71). (55) In., Sur la constitution intime et les connections des divers segments de l’appareil hyoidien ossifié chez Vl Homme. “ Ibid. ,, 1886 (pag. 105). 63 INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI ESTRACRANICI, ECC. 841 (56) Romiti, Di alcune varietà ossee. “ Giornale internazionale delle Scienze mediche ,, N. S., anno II, 1880. (57) In., Trattato di anatomia dell'Uomo (pag. 288). (58) Romiti e Lacni, Catalogo ragionato del Museo anatomico della R. Università di Siena. Siena, 1883. (59) Sapper, Trattato di anatomia descrittiva (Versione Prof. RarrazLe). Napoli, 1878. (60) Scuarrer, Die Verknòcherung des Unterkiefer und die Metaplasiefrage. “ Arch. fiv mikro- skopische Anatomie ,. Bd. XXXII, 1888. (61) ScaLrIPp, Die Entwickelung der Kopfknochen bei dem Lachs und Forelle. “ Anatomische Hefte ,, Bd. XXIII, H. 2, 1904. (62) SonuLtze, Ueber Darstellung und Conservierung durchsichtigen Embryonen zum Studium der Skelettbildung. “ Verhand. des Anat. Gesellschaft ,, XI Versamml. in Gent., 1897. (63) In., Grundriss des Entwick. des Menschen (pag. 221). Leipzig, 1897. (64) Sesizav et GiseRrT, Appareil hyoidien chez V Homme. “ Bull. et Mémoires de la Soc. Anat. de Paris ,, année 75°, S. 6, T. 2, 1900. (65) SommerIne, Sulla struttura del corpo umano (Vers. Dott. Duca), T. I, (pag. 134). Crema, 1818. (66) Sere (von), Kopf in “ BarpELEBEN°s Handbuch der Anatomie. — Skelettlehre ,. Abth. 2 (pag. 300). (67) TencHINI, Contribuzione allo studio del foro pterigo-spinoso (Civinini). “ Arch. per VAn- trop. e l’Etnologia ,, vol. XXVII, fase. 19, 1897. (68) Testut, Trattato di anatomia umana (Versione Dott." SeerINno e VARAGLIA), vol. I (p. 190). Torino, 1894. (69) Troxmas, Éléments d’ostéologie (pag. 216). Paris, 1865. (70) TournzAUX, Précis d’embryologie humaine (pag. 167). Paris, 1898. (71) Turner, Hyoid apparatus in Man, ecc. “ Journal of Anat. and Physiol. ,, vol. XXXVI, N. S., XVI, 1902. (72) VesaLius, De humani corporis fabrica. Lib. I (pag. 71). Basilea, 1555. (73) ViaLLETON, Hyoîde (0s) nel Dictionnaire encyclopédique des Sciences médicales. S. IV, T. XV (pag. 11). (74) WirepersHEIM, The structure of Man (pag. 65). London, 1895. 342 ANGELO CESARE BRUNI — INTORNO AI DERIVATI SCHELETRICI, ECO. 64 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Figg. 1-4. Semi-schematiche. — Rappresentano diverse varietà di cornujali di feti del 3°-4° mese. Ricostruzioni di sezioni seriali. Ob. ZEIss a*, oc. 2. Fig. 1. Parte estracranica della cartilagine di RercHERT rappresentata da un seg- ‘ mento unico. Fig. 2. Parte estracranica della cartilagine di RercHERT divisa in due segmenti. Fig. 3. Parte estracranica della cartilagine di RercHERT divisa in tre segmenti. Fig. 4. Mostra il modo di formazione dei tre segmenti. Si vede in a la formazione del disco, in 5 l’iniziarsi della segmentazione in corrispondenza di una ripiegatura angolare. Figg. 5-8. Semi-schematiche. — Rappresentano diverse varietà di disposizioni dell’abbozzo della catena ioidea in individui giovani, ed il modo di presentarsi macroscopicamente dei centri di ossificazione. E segnato in nero il tessuto cartilagineo, in bianco il tessuto osseo, in grigio il tessuto fibroso. Sono tratte da preparati eseguiti secondo il metodo di LunpvaLi per la dimostrazione dello scheletro cartilagineo. Fig. 5. Rappresenta la parte estracranica di una catena ioidea a disposizione nor- male. Intorno al sottile tratto cartilagineo contenuto nell’abbozzo dell’apofisi stiloide si nota un centro di ossificazione pericondrale. Fig. 6. Presenta pure un esempio molto chiaro di ossificazione pericondrale: due placche ossee incrostano l’asticina cartilaginea occupante l’asse dell’abbozzo dell’apo- fisi stiloide. Fig. 7. Catena joidea contenente tre segmenti cartilaginei. Nel segmento prossimale si vedono due piccoli centri di ossificazione, uno endocondrale in a, uno pericondrale in d. Fig. 8. Catena joidea contenente quattro segmenti cartilaginei estracranici. Appartiene a un feto dell’8° mese. Fig. 9. Rappresenta il processo di formazione del disco nella segmentazione della cartilagine di REICHERT. Feto del 4° mese. Ob. KoRrITsKA 5, oc. 4.‘ . 10. Rappresenta il processo di ossificazione pericondrale che si svolge su un lato di un'a- sticina cartilaginea dell’abbozzo dell’apofisi stiloide. In a si vede il pericondrio col suo strato germinativo (g), in 5 le lamine di osso neoformato con le primitive cavità midol- lari (0), in d lo strato della cartilagine calcificata; in e la cartilagine intatta. Ob. KorITsKA 2, oc. 4. Fig. 11. Rappresenta il processo di sostituzione connettiva della cartilagine di ReIcHERT, e di ossificazione secondo il tipo connettivale. Vediamo in a i punti in cui la sostituzione connettiva è completa; in d il tessuto osseo con le sue ampie cavità midollari, che ha invaso il nuovo tessuto fibroso sostituente la cartilagine. Ob. KoRITsKA 2, oc. 4. Fig. 12. Rappresenta l’iniziarsi del processo di ossificazione endocondrale, che esordisce nelle parti centrali di un piecolo corno del joide. Appare quivi la primitiva cavità midollare con gli elementi provenienti dal pericondio. All’intorno la zona scura corrisponde & quella che nei preparati colorati al picrocarminio mostra la sostanza fondamentale colo- rita in rosso carico (cartilagine osteoide di Scnarrer). Esternamente la cartilagine intatta. Ob. KorItsKA 5, oc. 3. ta iù do ST | » |20,4|0,98|165| 28,50/142 8| NI Zia de i e, 3” |a|n| »|24 |1,12/220) 33,90/154 52 » 3» fuori attacchi Cavi d’acciaio per manovre fisse. 6 5 1° 1/,16/1/42|13 |1,35|60) 8,22/1374,8|Rott. di 4 trefoli presso un attacco * È Leali | 2 2 30|174 23,50/135/5;2) , in un attacco 8 x 3° 4/9 »|»| » |27,73,04/805| 38,15/125/5,2| _ un trefolo fuori attacchi _ AIA 43) ,|,{114|37 [2,43529| 74,201405,6| _ sali LINEARI Cavi d’acciaio flessibili per manovre correnti. 10 , 1’ |6|7|72) 9 |(0,58|19| 3,24/171)3 [Rottura di 3 trefoli fuori attacchi 11 po 14/s|x|»| »|12 |0,82|88| 5,88/155|5,4 È 3 È 12 È IRE RI STI CRI MR 0,98] 54 | 10,08/186) 4 s 3 i da a 191, wlan 3)20,2/1,40/111| 17,90/161/5,6 o 3 2 17 7 3”1/5|,|»| » |28,4|1,90/204| 31,85|156/7,4| |, 3 ; 15 È 4” |-|»| » |83 |2,20/274| 39,40/144|7,4 ; 3 È 16 s 5 |s|n|144|42 2,30/598 92,40|155| 5 |Esperienza su di un trefolo 17 A 6° |,|,|180|51 [2,47/862/132,60/154| 6 A n " iii, 8" |,|,|180|63,63,00/1273/188,401485,2) =, {., |, NB. Nelle formazioni a 42, a 114 ed a 222 fili, il filo centrale di ogni trefolo è di ferro ricotto. Nei cavi da 180 fili ogni trefolo ha un’anima di canapa e due rivestimenti di fili d’acciaio, uno 144 » I saggi che si ruppero negli n di 12 e l’altro di 18 fili. uno di 9 e l’altro di 15. » ”» n attacchi erano stati presi, per risparmio di tempo e di spesa, con cunei; se la rottura fosse avvenuta fuori, si sarebbe avuto probabilmente un lieve aumento nella resistenza e nell’alluangamento. 352 CAMILLO GUIDI 10 Tabella Ra. Re coPOSIZioNE| DIAMETRO | :È (Carico di rottura si 2 NS | iglti R RE = SE | | ! ® | EN | mi S 3 da $ | PROVENIENZA | es |s8|2| = | E = 2 s_ | E IE A Osservazioni = 5a |\£|51*|s|s|d| £ |s]|E8 Ra =) <.2 “i in n° | n° n° | mm. | mm. |mm?| tt | kg. 5 | Ì "I Ì | ia > Cavi di acciaio flessibili. | | | Il i | 1 Da | 2" |{6|7]|72]|17 (1,04|61|. 9,30/152|6 o di 1 trefolo fuori attacchi | | | 2 È (2 1/slnl»| » |20,2/1,40/111|/15,00/135/6,2) , a 4 L 3 A Si e SA va 1925 1,68/160) 22,60|141/6,2) , 1 .,edaltri fili , | | Î 4 | È CAME RO | 37 |2,50|354| 53,90|152|7,2) , 3, fuori attacchi 5 PA | 5° 1/s CRA 144 44,5 2,50 707 110,40 156|7,2 Esperienza su di un trefolo | | 6 >» |6”4/a |, |18052,5/2,50|884|136,20|154 6,8 È : a | | | | | Cavi d’acciaio flessibili nichelati. UR EA 1’ |6|1]|222) 8 |0,36| 22 4,00 182 8 (Rottura di 4 trefoli fuori attacchi A completa in un attacco i gia 2058/1581 8,22|14278,6 Sie 2% |,\s||16 |0,75|98| 15,90/162/3,3! 1 tref. ed altri fili fuoti att. 0,98|166|:27,70|167/2,6) . a... |. 360 36 11,321493 80,00 162) 2 \S'inizia la rottura, si arresta l’esper. Dì SA Air (S] * hd Di = Esperienza su di un trefolo |, |1|360|44,5|1,60,724 legno | | I NB. Nel cavo Z da 4''/, ogni trefolo è composto di un’anima di juta e quattro rivestimenti di fili d’acciaio, il 1° di 6, il 2° di 12, il 3° di 18 ed il 4° di 24 fili. Il rapporto fra il diametro del cavo e quello del filo è 27. La formazione del cavo Z da 5” '/s è uguale alla precedente, salvo che l’anima del trefolo anzi che di juta è di ferro ricotto. Riguardo alla rottura del 2° cavo Z si ripetà quanto è stato detto nella tabella precedente. kl RISULTATI SPERIMENTALI SU CAVI DI ACCIAIO E DI CANAPA 353 Tabella 8334 COMPOSIZIONE| DIAMETRO È | PROVENIENZA 53 B'Relic = “RIREI nE cm. | no | no|_n° : 108 1 W 12 (617 756 2 ” 9 » n ” SUR 6,85|5|6|75 4 5 6,9 |10 1|100 SE‘, 6,85 |5|1]135 e della fune | 3 3 Ei 3 (05) (0 0) 29 20 {1,25 29 [1,50 20 (1,15 275| 43,90 92 | 13,40 177| 22,00 140| 18,90 E ; = |Carico di rottura 25 Ss Cisi v n n. —, 40 E E Sa ® 2 E E cià Ss Ri E |802 3 E s |55 D a Za mm? t kg. (0 486) 70,60 1145|7,2 1605 146/2,4 12419 1355,6 Osservazioni S'inizia la rottura. Ogni trefolo è composto di un’anima di canapa di mm. 1,8 con due ri- vestimenti di trefolini a 7 fili di mm. 0,6 il filo: il primo rivesti- mento è di 6 trefolini, il secondo di 12; compie il trefolo un rivesti- mento esterno di 18 fili di mm.1,8. 3X0,6=1,8= diametro trefolino. ee s trefolo senza } rivestimento esterno. 9+2X1,8=12,6=diam. tref. compl. Sbcli2i6=31:8—Meeicayo; Rottura di 2 trefoli fuori teste. Formazione del cavo eguale alla precedente. Rottura di 3 trefoli in un attacco. Cavo da rimorchio a trefoli piatti. Rottura di 2 trefoli fuori teste. Cavo antigiratorio a trefoli piatti. L’anima di canapa è rivestita prima da 4 trefoli piatti e poi da altri 6. Rottura di un trefolo fuori teste. Cavo per verricelli a trefoli piatti. Ogni trefolo presenta un’anima di ferro piatto con due rivestimenti, il primo di 11 fili ed il secondo di 16. NB. Per il terzo saggio l’allungamento di rottura e forse di qualche poco anche la resistenza sono inferiori, in causa dell’avvenuta rottura, a quanto può offrire il cavo. Serie II. Tom. LIX. ,- (<») .A | È 2 QUALITÀ Uci SR Z Di 1 1) Cavo bianco di uso comune | 2 | ; : n 3 ” ”» ” 4 » ”» b)] 5 ” ” ” 6 | Cavo catramato di uso comune 7 » ” » 8 » ” » 9| Cavo bianco a ralinga . 10 , catramato , 11| Cavo bianco fanfarino . Cavo catramato 2° tiglio . 13 3 14 gherlino ” » COMPOSIZIONE, DIAMETRO lignoli n. 2 3 9 trefoli n. 3 63 4 63 117 339 DÒ 132 93 63 108 213 69 LI | 225 | so. LI Ta -É Sezione| Peso Calo) RC i del per del cavo (8 cavo |M. coTT. ‘totale (unita Kg:/n |A À cavo |lignolo mm. d mm? Kg. t. 5 6 Lj 8 9 ll | dl 13 100 | 0,125) 1,32 13, iI | di 1,85 | 18 15 0,178 18 0,235/ 2,66 38 | 19 1,150)10,00 60 | 30 2,84 18,00) 8, (8 19| 9,5 0,328 2,50 | 11 36,5) 18,2 1,151|11,00| 14 36 | 18 | 763 |1,102|5,64 14,3) 7,1| 120 |0,162|2,24 | 108" 34 |17,0) 681 |0,911|10,60| 18 50 | 25 | 1473 | 2,135/22,70 25 |12,5) 491 |0,566|3,00 34 | 17 | 681 (0,951) 6,40 25 |1104|2,042/13,00|1 f Modulo j |del cavo Tana 14 5200 5840 5490 © do 09 IMNQD090 SW cità | 4890 ISS Sue 4250 5970 5510 4590 5600 4900 3400 2830 ueoTti=ouioso slo No oo e Sui 0 gs = ii Sa wow del cavo Kgm/cm5 15 0,52 0,57 0,60 0,45 0,38 0,50 0,40 0,47 0,68 MODO DI ROTTURA del cavo 16 1 lignolo fuori attacchi 1 lignolo ed altri trefoli fuori attacchi 1 lignolo fuori attacchi quasi completa , 1 lignolo presso un attacco fuori attacchi » quasi compl. presso un attacco 1 lignolo fuori attacchi 2 lignoli , è |. mmie] —*.*'T—__ ——_—_————_———_—_—_____ dei lignoli 17 quasi completa fuori attacchi ”» ” ” » ” ” 2 trefoli fuori attacchi 12 32 i, 1 lignolo » » ® #. Li Jom «i i canapa d i acciaio e . su cavi d i sperim GUIDI C. Risultat 3 S È è US S Fai S 3 QUOISUI) PD NZUNSISIY v77vInI PP :Jf20) 8 S "bg È SI Di s6ARERERRE i 4 2,2 2% 2,6 2,8 18 16 14 10 2 50 Kg imm è S° $ a $ DL cu di 180 QUOILSUI} 1 V4UI}SISI Y 2,8 2,2 2 Sy 1,8 16 10 È 3 3 È v7770nd 2) 014929 LEJ90,) 100 60 Ì Ss s Ss SS = = Dj S $ è du01840] 29 da iN 506 P Zzuppri d Muowunbi,z x 3,0 mm 28 1,8 16 10 S più 3,0 mm 26 28 2% 1,8 10 12 10 ,8 DI 60 50 17 0 10 % 40 9, [SÌ n 506 2 MWUDZZIIPPDI è quonnba,] 16 % 14 > È 7° ” TO) CU e Qa Doms LIX Cal D) ‘ Rara si2 c c (SI Dil nIo) " LU ZESTHAA (o| US = sta rd ed | È S ca Q n ° S ZI \ “ | DO * \ 5 O = O SÌ n TU EE ) Ss Si (Si Ò } È (SIE) 5 7 S / > n /8 a o. CI a DR DÌ (e) 18 (7) 20 16 SEREEeRanEeaen) sogni Seco JH4bk Dani i i Pebprosesensras some vereno Nancreser saga sé 3/ mm Kg.77 ordinate Gli allungazenti sono dieci volte delle Scala 310 mm. SU U vero, e misurati 3,27nm.. 3,0 24 2,2 Fig. 10 ddt tt PIprrrr cosi 3,2mm. 2,2 24 26 28 3,0 2 =; 18 t7 mm Kg. VAA delle ordinate Scala Gli allungauzenti sono dieci volte U vero,e misurati su 310 mm. Do) vToen-.,.== JJ © —recee_rmro-@wp— — n n ne DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA DELLA R. UNIVERSITÀ DI TORINO MEMORIA DEL Dr. CESARE AIMONETTI Approvata nell'adunanza del 14 Giugno 1908. La specola geodetica della R. Università di Torino fu costruita nell’anno 1906, per cura del Ch.®° Prof. N. Jadanza, Direttore del Gabinetto di Geodesia, per servire alle esercitazioni pratiche degli allievi del corso di Geodesia, nonchè per eventuali ricerche scientifiche. Essa consiste in un terrazzino edificato sulla parte più alta dell’edifizio, sovra- stante al Gabinetto : al centro di esso si eleva un solido pilastrino circolare, che poggia sul muro maestro, ed è completamente isolato dal pavimento del terrazzino stesso. Sulla faccia superiore, coperta da una lastra di marmo, è impiombato un pezzo cilindrico di bronzo avente disegnata una serie di circoli concentrici, il cui centro comune rappresenta il centro o punto trigonometrico, al quale si dovranno riferire tutte le misure. Invitato dall’Ill.®° Sig. Prof. Jadanza a determinarne astro- nomicamente la latitudine, rendo conto in questa memoria delle operazioni eseguite e dei risultati ottenuti. Nella prima parte di essa è contenuta la descrizione e lo studio dell’istrumento adoperato; nella seconda è indicato il metodo seguito nel- l’eseguire tale determinazione e sono registrati i risultati ottenuti nelle osservazioni. Sento frattanto il dovere di ringraziare vivamente il Ch.®° Prof. Jadanza, che, oltre ad essermi stato di aiuto col suo consiglio, mise a mia disposizione tutto quanto mi potesse occorrere nell’esecuzione del mio lavoro. I Descrizione e studio dell’istrumento. L’istrumento adoperato fu un teodolite reiteratore a cannocchiale diritto, eccen- trico, costruito nel 1896 da Repsold di Amburgo (V. Tavola). I due circoli, quello orizzontale del diametro di 26 cm., e quello verticale del diametro di cm. 24, sono graduati nel senso contrario al movimento delle sfere dell'orologio, sono divisi di 4' 358 CESARE AIMONETTI 2 in 4', e si leggono ciascuno con una coppia di microscopi micrometrici, diametral- mente opposti, i quali dànno direttamente i 2°. Perciò nel campo di ciascun microscopio sporge dal basso un pettine munito di cinque denti (V. Tavola), comprendenti quattro intagli che corrispondono a due divisioni del lembo; sicchè ognuno di essi equivale a 2°. I due fili paralleli, mobili per mezzo della vite micrometrica, percorrono, ad ogni giro di essa, l'intervallo com- preso tra due denti consecutivi; e siccome la rotella graduata della vite microme- trica è divisa in 60 parti, ciascuna di queste corrisponde a 2". Il metodo di lettura è molto semplice: fissato uno dei denti del pettine, per esempio, il dente di mezzo, come indice dell’istrumento, si farà sul circolo graduato la lettura dei gradi e delle quaterne di primi che corrispondono alla divisione che precede l'indice; indi, portati i fili del micrometro a comprendere detta divisione, si leggeranno due primi se oltre tale divisione sporge un dente del pettine, indi sulla rotella i doppi secondi. Praticamente conviene leggere i denti del pettine come equivalenti ad 1’ ed ogni divisione della rotella ad 1”. Im tal caso la somma delle due letture così fatte ai due microscopi opposti, ne dà direttamente la media. Il cannocchiale è fissato ad un’estremità dell'asse di rotazione, ed è equilibrato da un contrappeso fissato all’altra estremità. Ha l'obbiettivo dell'apertura di mm. 60 e di lunghezza focale cm. 48. È munito di tre oculari diritti, e di un oculare spez- zato, a cui si possono adattare i tre oculari diritti. A diversi oculari corrispondono i seguenti ingrandimenti, determinati con un dinametro di Simms, ed ottenuti facendo il rapporto fra il diametro utile dell’obbiettivo e quello dell’anello oculare, quando il cannocchiale è in condizione telescopica : Oculare diritto 1° Ingrandimento 36 circa ” ” 2° ” 90, ” ” 3° no 12» » Spezzato 1° 2 4 ‘ ” 2° ” Gi 3 ” » 3° ” 88, Durante le osservazioni si adoperò sempre l’oculare spezzato n° 2, corrispon- dente all’ingrandimento 61, essendosi notato che coll’oculare 3 venivano anche in- granditi molto i fili del reticolo e quindi pareva meno sicura la collimazione. Il reticolo è formato da 9 fili verticali fissi, di cui tre centrali vicini e sei la- terali distribuiti simmetricamente tre per parte, e distanti di circa 3' 15" l’uno dal- l’altro; da un filo verticale mobile con vite micrometrica, la quale ha il tamburo graduato diviso in 100 parti, di cui ognuna corrisponde a circa 0,9; di una coppia di fili orizzontali paralleli, distanti fra di loro di 29',4. Il reticolo può girare at- torno al suo asse di 90°, in modo da poter disporre orizzontalmente i fili verticali. Il campo del cannocchiale nelle osservazioni notturne può essere illuminato da una lampadina ad olio situata all’altra estremità dell'asse, a sufficiente distanza perchè il calore emesso non produca delle ineguali dilatazioni nelle differenti parti del- l’istrumento. 3 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA, ECC. 359 L’istrumento è fornito di due livelle a serbatoio, protette contro le brusche va- riazioni di temperatura da un manicotto di vetro: una mobile, che può rimanere appoggiata sui perni dell'asse di rotazione durante le osservazioni; l’altra fissa, pa- rallela al circolo verticale, detta livella zenitale, o di spia. Sono entrambe graduate collo zero ad un estremo; la graduazione comprende 60 divisioni, che corrispondono alla lunghezza complessiva di mm. 108; sicchè ogni divisione è lunga mm. 1,8. Il valore angolare di 1? fu determinato per ciascuna livella mediante differenti serie di osservazioni fatte coll’esaminatore Bamberg del Gabinetto di Geodesia (1), e si tro- varono i seguenti risultati : Livella mobile: 13 serie: 1° = 1,088 + 0,010 ; x DICO A i Sep BIL lt A È medio ee — 156 +05 011 Livella zenitale : 1? serie: 1? = 1,107 + 0,012 n n PAIR I 0017 A i ta it TUTA eni 018 5 ; <> Dl pr te i CO Mb 3 > medio: it 129 100 015 Per leggere i circoli graduati nelle osservazioni notturne si adattarono di fianco ai microscopi, per mezzo di leggerissime morsette, delle lampadine elettriche azio- nate da un accumulatore. Siccome la graduazione del circolo verticale procede nel senso contrario a quello del movimento degli indici dell'orologio, ed il sistema dei microscopi è fisso, mentre il circolo è girevole col cannocchiale; se si indicano con D ed S le letture fatte col- limando all’oggetto col teodolite nelle posizioni destra e sinistra; con p, 9g; p', 9’ le letture rispettivamente fatte agli estremi della bolla della livella zenitale, m la let- tura corrispondente al punto medio della graduazione della livella (30), 4” il valore angolare di una sua parte, Z lo zenit strumentale (posizione dello zenît), e 2 la di- stanza zenitale, le letture corrette della inclinazione della livella saranno : D'=DY4(PTL_ mp" S=S+ (Pre — n) ie e quindi: toe D' T , Sa DI si go E IBI TA 2 î 2 Dovendosi adoperare tale istrumento alla misura di distanze zenitali, renderò in questa memoria conto delle osservazioni fatte per studiare le parti di esso che hanno speciale importanza per tale misura, cioè: la livella zenitale, i microscopi annessi al circolo verticale, e il circolo verticale. (1) Cfr. C. ArwonertI, Un esaminatore di livello, “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino 4, vol. XXXVII. 360 CESARE AIMONETTI 4 Esame della livella zenitale. Per eseguire questo esame, collocai la livella sui due sostegni appositi sul banco dell’esaminatore delle livelle Bamberg: indi, dopo aver disposto allo zero la vite micrometrica dell’esaminatore, portava un estremo della bolla allo zero della propria graduazione, poscia facevo girare la vite micrometrica dell’esaminatore di 5 in 5 parti, leggendo ad ogni volta la posizione degli estremi della bolla a e è quando essa era ridotta al riposo, procedendo così per tutta la graduazione della livella. Da queste letture si dedussero gli spostamenti del centro della bolla corrispondenti a 5” della vite dell’'esaminatore, e tenendo conto del valore angolare di una parte di esso, e degli errori periodici della vite, si ricavarono i valori angolari di 1” della livella. Nella seguente tabella sono riepilogati i risultati.ottenuti in una prima serie di osservazioni : Temperatura 12°,4. Lunghezza della bolla 26? circa. , Letture | na A (Letture della bolla ua Spotagaro _Valore prata corrette na nn | TN go srS natore | lin parti|in secondi a | b della bolla di 1 0 0,6 0,0 | 26,9 13,45 47,9 | 4”,9666 4,65 1'’,0681 5) 0,9 4,6 31,6 18,10 4,8 | 4 ,8653 3,85 1 ,2637 10 10,3 | 8,5 35,4 21,95 4,0 |4 ,7639 | | 5,10 0 ,9341 Lit pd ADIO | lì 13,6. 4055) 027,05 | 4,0 | 1431639 3,60 1 ,3233 20 19,7 a ret 44,1 | 30,65 4,04 37689 | 5,10 0 ,9341 25 24,4 (122,3 49,2 | 35,75 4,8 | 4 ,8658 | 4,20 1 ,1584 30 | 292 | 26,5 | 53,4 | 39,95 | 5,0 | 5 _,0680 5,00 1 ,0136 950 WIS42 31,5 58,4 44,95 Quantunque si fosse tenuto conto in questa serie dell’errore periodico della vite dell’esaminatore, si è cercato di utilizzare nell'esame della livella un giro completo della vite di esso, riportando alla fine di ogni serie l’estremo della bolla allo 0, per mezzo della vite del basamento dell’esaminatore, che trovasi al disotto della vite micrometrica, e ricominciando l'esame della livella procedendo come nella serie precedente. Si fecero così quattro serie di determinazioni girando la vite in un senso, ed altre quattro serie girando la vite in senso contrario. Si ottennero 56 valori di una parte della livella, dei quali si ottenne come valore medio: 1’ =-P107=20,018; 5 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA, ECC. 361 Volendo esaminare se il valore angolare variasse da un punto all’altro della graduazione, si raggrupparono i valori ottenuti in corrispondenza delle diverse regioni della livella: i risultati ottenuti, dei quali ciascuno è la media dei valori ottenuti nelle otto serie, sono registrati nelle seguente tabella : Scostamenti Lettura media dalla media del centro della bolla Valore angolare medie 16,40 1,0791 + 0”,0282 20,71 1.,1521 0. |} —0 ,0448 25,11 1 ,0784 + 0 ,0289 29,85 1 ,0671 + 0 ,0402 34,00 1 ,1094 — 0 ,0021 38,91 1 ,1302 — 0 ,0229 43,40 Ne o n078 Media 1',1073 Gli scostamenti dalla media sono di molto inferiori agli errori di osservazione; inoltre dal modo col quale variano si può ritenere che essi siano da considerarsi come dovuti ad errori puramente accidentali; per cui si può ritenere il valore ango- lare di una parte della livella come costante, ed uguale al valore medio : 1",107 + 0”,012. Altre determinazioni si fecero in seguito, sia operando a temperature differenti, sia dando alla bolla lunghezze un po’ minori: in tutte si riscontrano risultati ana- loghi, cioè che il valore angolare si mantiene sensibilmente costante per tutte le posizioni della bolla; onde si è creduto superfluo il cercare di esprimerne il valore di 1° in funzione della lettura degli estremi di essa, e si è assunto come valore di 1 parte la media dei risultati ottenuti in ciascuna serie. Tali medie sono registrate nel seguefite specchietto : Determinazione | Temperatura e Tea Fani gblaze 1a ZO DOETA| kr 104 00142 9a IC 26 Tes6o==/0020:17 Bia 15° 20 Te TEi9 #0 1013 48 39 22 De 103:£:0;:3019 Essendo tali valori abbastanza concordanti, se ne prese la media, e si assunse quindi come valore definitivo per la livella zenitale : IP= 197123 + 0,013. Seris II. Tom. LIX. ui 362 CESARE AIMONETTI 6 Studio dei microscopi per la lettura del circolo verticale. Per distinguere l’uno dall'altro i due microscopi, indico con A quello situato verso l'osservatore nella posizione destra dell’istrumento, e con B quello che trovasi verso l'oggetto. Dapprima determinai l’error medio di una lettura per ciascuno dei due micro- scopi : il che ottenni portando per 20 volte consecutive i due fili del micrometro a comprendere la medesima divisione del circolo graduato, e leggendo ad ogni volta il tamburo del micrometro : fatta la media delle 20 letture, e calcolati gli scosta- menti ò delle singole letture dalla media, dedussi l’error medio m di ogni lettura colla nota formola : mes y SI I risultati ottenuti furono : Microscopio A: 1* determinazione m = 0°,26 Za be m = 0°,27 Bi 1 z m= 0P,24 ga 2) m = 09,22 onde si può ritenere come error medio di una lettura fatta ad uno qualunque dei due microscopi: m,= 09,25. Cercai quindi se le viti micrometriche dei due microscopi fossero affette da errori periodici o progressivi. Il metodo generalmente seguito in simili ricerche, consiste nel misurare un medesimo intervallo mediante il micrometro, in punti uni- formemente distribuiti sulla rotella, e nei differenti passi della vite. Dall'esame degli scostamenti delle singole misure della media, si può dedurre se esistono o no i due errori suaccennati; e considerando tali scostamenti come errori, ricavarne qualche formola che possa esprimere la correzione da farsi ad egni lettura. Come intervallo costante da misurare, adottai la distanza tra i due fili del re- ticolo di ciascun microscopio, e stabili di determinarlo portando i due fili a colli mare successivamente ad una medesima divisione del cerchio, e facendo la diffe- renza fra le due letture fatte sulla rotella. A tale scopo trovai più sicuro di portare i due fili a collimare successivamente ad una piccola macchia sulla graduazione, in forma di un piccolissimo circoletto nero, essendo le divisioni del cerchio un poco grosse per poter essere collimate con sicurezza con un filo solo. Nella seguente ta- vola sono riportati i risultati delle misure di detto intervallo, fatte 15 volte in 15 differenti parti del tamburo uniformemente distribuite, cioè spostando ad ogni misura la rotella graduata di 4 parti. Ognuno dei valori registrati per ciascun intervallo è la media di quattro misure, e queste si estesero ai 4 giri della vite micrometrica corrispondenti allo spostamento dei fili dal primo all'ultimo dente del pettine situato nel campo di ciascun microscopio. Accanto ai singoli valori sono registrati anche i relativi scostamenti dalla media. 7 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA, ECC. Microscopio A. 363 Giro 1° Intervallo 262,58 26,70 26,57 26,65 26 ,38 26 ,60 26,55 26 ,58 26 ,48 26,70 26,92 26,55 26,67 26,98 27,05 Medie 26 ,66 28?,02 | 27,95 | 27,55 27,90 27,65 27 ,50 27,55 27 ,52 28 ,03 27 83 28 ,00 27,62 27,40 27 ,67 27,93 Medie 27 ,74 ò + 0,08 —0:,04 + 0,09 + 0,01 + 0,28 + 0,06 + 0,11 + 0,08 + 0,18 — 0,04 — 0,26 Agi S2L001 — 0,82 — 0,39 Giro 2° Giro 3° Giro 4° —_ ———- P _ —_——P—m | == — Intervallo ò Intervallo ò Intervallo | ò 262,72 + 02,07 267,87 — 07,10 262,85 |-+ 07,02 27 ,13 — 0,34 26 ,60 + 0,17 27,05 |— 0,18 26 ,85 — 0,06 26,70 + 0,07 26 ,97 — 0,10 26 ,65 + 0,14 26,89 — 0,06 27,28 — 0,41 26 ,93 — 0,14 IOrO — 0,38 26,73 |+ 0,14 26 ,52 + 0,27 26 ,90 — 0,13 27,03 |—0,1 26 ,85 — 0,06 26 ,40 -— 0,37 26,67 |+ 0,20 26 ,68 + 0,11 26,75 -| 0,02 26,60 |4- 0,27 26 ,55 + 0,24 26,60 + 0,17 27,18 |— 0,31 27,10 — 0,31 26 ,85 — 0,08 26 ,93 — 0,06 26,95 — 0,16 26 ,85 — 0,08 26,70 + 0,17 26,77 + 0,02] 26,75 + 0,02 26,70 |-+ 0,17 26 ,85 — 0,06 26 ,88 — 0,11 26,75 + 0,12 26 ,89 — 0,06] 26,65 + 0,12 26 ,88 — 0,01 26 ,50 + 0,29 26,75 + 0,02 26 ,82 + 0,05 26,79: 26,77 26 ,87 Microscopio B. 282,00 | — 0,31 272,62 - 02,07 272,65 + 02,06 27,15 — 0,06 27,62 + 0,07 27,67 |4-0,04 27,87 | — 0,18 27,75 — 0,06 27,390 |+0,41 27,52 + 0,17 27,78 — 0,09 27 95 — 0,24 27,92 — 0,23 27,65 | -— 0,04 27,40 | + 0,31 27,40 + 0,29 27,77 | — 0,08 27,98 — 0,27 27,45 + 0 ,24 27,30 -+ 0,39 27,98 | + 0,18 27,80 — 0,11 20,58 + 0,11 RISO + 0,36 27,38 + 0,31 27,68 -— 0,01 27,85 — 0,14 LATO — 0,26 21,93 — 0,24 27,82. | 0,11 ari 10000320 28.000) 2 0311 27,95. ‘40,36 27,65 | 4+-0,04 27 ,40 + 0,29 27 ,98 | — 0,27 27,650 | + 0,04 27,05 — 0,06 27392 VED: 27,05 — 0,06 27 ,98 | + 0,11 27,98 — 0,27 27,85 — 0,16 27,92 | — 0,23 ZINSO — 0,14 27,69 dagli Esaminando i valori di è ottenuti tanto per il microscopio A, quanto per il microscopio B, si vede che essi hanno complessivamente il carattere di errori acci- dentali, quindi si può dire che entrambi i microscopi non presentano errori perio- dici: confrontando poi le medie ottenute per ciascuno dei 4 giri della vite microme- trica, si vede che non esiste nemmeno errore progressivo, essendo i quattro valori medi sensibilmente eguali. 364 CESARE AIMONETTI 8 L’error medio m; di ciascun valore dell’ intervallo, dedotto dalle osservazioni precedenti mediante la formola n= + JI [5] 4/ DI 3 a 59 risulta: per il microscopio A: m; = 0°,18 È B: mi = 09,21. Osservando che ogni valore dell’intervallo proviene dalla media di 4 valori, di cui ciascuno è la differenza di due letture, si ha indicando con m,, l’error medio della vite micrometrica, ed m, l’error medio di una lettura, 2 mì = mì, + ” mì e sostituendo ad m, il valor 0°,25, si avrà: per il microscopio A: mn= 0”,05 a B: my=07,12. Errori di graduazione e valori del passo delle viti micrometriche dei microscopi. Queste determinazioni furono eseguite misurando per mezzo della vite micro- metrica l'intervallo compreso fra due divisioni consecutive della graduazione in dif- ferenti parti del circolo graduato, uniformemente distribuite in tutto il cerchio. Perciò collimai col filo micrometrico tre divisioni consecutive della graduazione, cioè quella corrispondente ai gradi 0°, 5°, 10°, 15°, ecc., quella precedente e quella seguente, ottenendo così i valori dei due intervalli adiacenti a dette divisioni. Nella tavola seguente sono contenuti i valori di detti intervalli, ed i relativi scostamenti dalla media, espressi in parti della rotella del microscopio. Ogni valore dell’inter- vallo è la media di tre misure. L’esame dei valori di dè registrati nelle tavole alle pagg. 9 e 10, dimostra come non sia il caso di determinare qualche formola che esprima la correzione da farsi alle misure, in conseguenza di errori di graduaziene, essendo essi press’a poco dell'ordine di grandezza degli errori di lettura. Gli errori medi di ciascuno dei valori ottenuti per gli intervalli 1 e 2, calcolati colla formola MESE V eli 9 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA, ECC. in cui n= 72, risultarono: Microscopio A Microscopio B i media media Microscopio A. intervallo 1: m= +0,23 DIA ” di m= + 0,26 m= + 0,24 intervallo 1: m=+0,29 E, 2: m=+ 0,25 mie=/0:27: 360 Lembo Intervallo 1 1182 + 12,76 1,90 1,93 1,74 1,64 1,76 2,60 2,07 1,90 2,20 2,30 Dogl* 2,20 1:79 ia 177 2,20 2,23 .2,17 1,70 2,13 2,10 1,90 2,00 1,97 2,00 1,90 1,80 1,43 1,73 2,23 1,70 1,90 2,10 2,23 2,00 | Intervallo 1,83 2,07 1,77 2,37 ò Lembo) Intervallo 5 Intervallo 2 180° 185° 190° 195° 200° 205° 210° 215° 220° 229° 230° 235° 240° | 245° 250° 200° 260° 265° 270° 275° 280° 285° 290° 295° 300° 305° 310° 315° 320° 329° 330° | 335° 340° 345° 300° 355° Medie 118 + 118° + 2206 | — 0,09 | 22,20 1,90 | +-0,07 | 2,04 219 i — 016: 1::2)00 2,30 | —0,33 | 2,80 1,96 | +0,01| 2,07 1,97 0 2,07 2,10: | — 0,13 | 2,00 1gge -E 0,04 1' 84 2,00. | — 0,03 | 1,86 ban. CI GIA 2017 2,04 | — 0,07 | 1,83 1,97 0 2,06 Sospeso “fsa QUORE CO GI7: LD ,80 l'iope L06072) 2:30 2,00.| — 0,03. |. 223 Tao E 17 | 2290 1,97 dic | (mi +4 mà) ove my è l’error medio di una lettura, che, come si è visto, è di + 0?,25, ed n, l’error medio del microscopio. Microscopio B. Tambd INGRO ò fr ò Lembo) Intervallo 5 Intervallo ò | 1182 + | |118P+ 118 + io 0° | 17,43 | 40,56 | 17,94 | 4-0,06 | 180°| 22,03 | —0,04 | 22,27 | — 0,27 5°| 1,90 |.-+-0,09;| 208%! 003 | 1859/2084) 0047 |-C1,570/02033 10° 1,70 | +0,29 | 1,94 | +-0,06 | 190°| 2,04 | —0,05 | 1,63 | +-0,37 158 | .13 960.02 08 - 0,24 | 195°| 1,17 | + 0,82 | 2,26. |/— 0,26 20° | 2,30 | —0,31| 1,90 | +0,10|200°| 1,74 | +-0,25| 2,23. | — 0,28 25° | 1,90 | +0,09| 1,96 | 40,04|205°| 2,00 | —0,01| 1,70 | + 0,30 30° | 1,40 | +0,59 | 1,83 | 40,17 |210°| 2,07 | —0,08| 1,87 | 4-0,13 35° | 2,30 | —0,31 | 1,93 | + 0,07 | 215°| 1,73 | +0,26 | 2,57 | — 0,57 40° | 2,24 | — 0,25 | 1,96 + 0,04 | 220° | 2,50 | —0,51| 1,84 | + 0,16 45% |--2,07].1— 08%. E2000 0 295° | 12.088] 0004)|109w8) 05 50°| 2,10 | —0,11| 1,938 | -:-0,07 | 230°| 2,26 | —0,27 | 2,20 | —0,20 550) | «21000520; 1101 a 000 235°| 1,86 | + 0,13 | 1,84 | + 0,16 60°: |. 2.,30-.|/—0;31:|:2,,29 | 01287 |2409| Pe 22000210 2000 Gi 65° | 2,06 |/— 0,07% 2,10 | /—.0;10 | 245%] 23470) — 0483) (13869) Eine 70°) 2,183 | — 0,14 | 2,20 |:— 020. | 2502|- 1524. | 4 0,75| 2,06 | —0;06 75°) 2,16 | — 0,17 | 2,50 | — 0,50 [ 255°| 2,10 | —O,11| 1,80 | 4-0;20 80° | 2,23 | — 0,24 | 1,67 | +0,33 | 260°| 1,87 | 40,12 | 1,93 | +@07 85°| 2,40 | —0,41| 1,80 | +0,20|265°| 1,74 | +0,25 | 2,36 | — 0,96 90° | 2,10 | —0,11| 1,57 | 40,43 | 270°| 2,33 | — 0,34 | 1,90 | + 0,10 95° | 1,60 | -4+-0;39 |- (2,173| — 0;17°| 275%) 1,66 |4-10;33 | /E14800) 2-10720 100° |..2 14 |l'— 0/15 |-2,00 0 280°| 1,90 | + 0,09 | 1,80 | + 0;20 105° | 1,40 | +0,59| 2,10 | — 0,10 [ 285°| 1,98 | 40,06] 2,40 |'— 0,40 110°| 1,87 | +0,12| 1,90 | + 0,10 | 290°| 1,77 | +-0,22| 1,90 | 4-0,10 115° | 2,17 | — 0,18 | 2,03 |.-— 0;088| 295%|-\1,94€|/4-.05050|- 1,8844017 120° | 2,07 | —0,08| 2,00 0 300° | 1,90 | +-0,09 | 1,96 | + 0:04 125°| 2,40 | — 0,41 | 1,77 | + 0,23 | 305°| 2,13 | —0,14| 2,14 |: 0,14 130° | 1,77-| +0,22| 1,87 | +-0,13|310°| 1,70 | +0,29| 2,40 | — 0,40 135° | 2,00-| —0,01 | 1,90 | +0,10 [ 315°| 2,30 | —0,81| 1,97 | + 0,03 140° | 2,00 | —0,01°| 1,37 | +0;63|320°| 2,00.| —0,01| 1,63 | 40,37 145°| 2,13 | —0,14| 1,93 | + 0,07 [325°| 1,50 | +-0,49| 2,13 | — 0,13 150° | 2,80 | — 0,81 | 1,96 | + 0,04 ['380°| 2:08 | —0,04| 2,20 | — 020 155°| 2,00 | —0,01| 2,17 | — 0,17 | 335°| 1,73 | +0,26| 2,60) —0,60. > 160° | 2,24 | — 0,25 | 1,80 | + 0,20 {340°} 2,08 | —0,0&| 1,97°| 4-003 165° | 1,37 | +-0,62 | 2,63 | —0,63 | 345°| 2,24 | —0,25| 1,73 | 4 0,27 170°! 2,10 | — 0,11! 2,10 | —0,10|350°: 1,90 | {0,09 | 2,37: —0;37 1759} 2,48%] (07240 LE4O | —+ 0,60 {355°| 2,14 | —0,15 | 2,183.| — 0,13 | | | P Isl RR | Medie 1,986 12,995 LI DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA, ECC. 367 Da essa si è ottenuto : Microscopio A: mm, = + 0P,12 Bim = =0514. » La soddisfacente concordanza degli errori medi ottenuti sia per le due serie di intervalli misurati, sia per i due microscopi, provano la bontà delle osservazioni, ed autorizzano ad assumere come error medio della graduazione la media dei due valori ottenuti, ossia di ritenere Dil =+00720. Dalle osservazioni precedenti si può dedurre il valore di una parte della rotella delle viti micrometriche dei microscopi: infatti per il microscopio A si ricava che la media dei due valori ottenuti per un intervallo della graduazione, espressa in parti della vite micrometrica, è 120?,00; ed essendo un intervallo eguale a 4’, ossia 240”, si ha per valore di 1° della rotella del microscopio A: 1° = 2,000. Analogamente si ricava per valore di 1° della rotella del microscopio B: 1° = 2,000. Ricerca dell’ eccentricità di rotazione e di reiterazione, Sebbene, come è noto, l'influenza di tali errori si elimini prendendo la media delle letture fatte dai due microscopi diametralmente opposti, ho creduto opportuno di procedere a tale ricerca, per avere un'idea dell’accuratezza di costruzione del- l’istrumento. L’eccentricità di rotazione, ossia la distanza tra l’asse di rotazione del cannoc- chiale ed il centro del circolo graduato, si determina nel modo seguente {1): si fa ruo- tare il cannocchiale successivamente di una parte aliquota dell’intiera cireònferenza, SCO - È ee , p. es. di “n indi si fanno, per ogni posizione data al cannocchiale, le due letture ai due microscopi opposti, e se ne fa la differenza. Dette n; tali differenze, e l’ec- centricità di rotazione, r il raggio del circolo graduato, a; la lettura fatta al primo dei due microscopi, E l’angolo costante che la congiungente i due centri fa collo zero del circolo graduato, è l’errore dovuto al non essere i due microscopi diametralmente opposti, si ha: pe IZni k esenE __Enicosa;.senl” r gt! k ecosE __ EZnisena;. senl” r k dalle quali si ricavano le incognite è, e, £. . (1) V. N. Japanza, Elementi di Geodesia, 1902;. pagg. 246, 247. 368 CESARE AIMONETTI 12 Nel caso attuale ho fatto ruotare il cannocchiale di 10° in 10°, onde %X = 36, ottenendo i seguenti risultati : a n a » a (i a n 0° — 7,8 90°] — 137,5 180° | — 122,3 270° —10%;1 10° 224057 100° —-13,9 190° War 11,5 280° — 10,4 20° | — 1077 gi sta PO, ge hi a 2900] —10,0 - 30° Sr 120°| — 11,5 210° — 12,0 300° — 9,7 40° — 11,4 130°| — 10,9 220°) —11,5 310° = 9,9 50° — 11,7 140°] = 230° | —11,6 320° —10.,,0 60° — 11,9 150°| —12,6 240°] —11,0 330° — 8,01 70°} —12,5. | 1600] — 1106 2609) 00060 0 80° — 13, 1700| —11,8 260°] —10,1 350° | = — 8,0 Applicando le formole precedenti, si ha: d= — 11,0= — 22,0 e = — 0",000.0016. Analogamente si è proceduto per determinare l’eccentricità di reiterazione, ossia la distanza tra il centro del circolo graduato e l’asse attorno al quale ruota il cir- colo nelle reiterazioni successive. Perciò si è spostato il cerchio graduato di 10° in 10°, mantenendo fisso il cannocchiale, e procedendo nel resto, come nella ricerca precedente. I risultati sono contenuti nella seguente tavola : a n (01 n (04 n A n 0° — 119,8 90° 162,2 | 180° — 157,2 270° — 147,6 10° — 13,2 100° —-17, 190°| — 13,8 280° — 14,2 20° — 12,8 110° — 17,1 200° — 13,7 290° — 14,8 30° — 10,5 120° — 17,7 210° — 14,8 300° — 14,6 40° — 11,5 130° — 18,5 220° — 14,2 310° — 14,4 50° — 12,1 140°| — 18,0 230° — 15,2 320° — 13,8 60° — 13,7 150° — 19,0 240° — 14,4 330° — 12,5 70° — 14,5 160° — 17,5 250° — 15,3 340° — 12,5 80° — 15,9 170° — 14,4 260° — 14,1 350°] —11,8 | da cui risulta : è eccentricità di reiterazione e! = 0”,000.0026. Dai risultati ottenuti nello studio dell’istrumento si può dunque dedurre che esso è, in ogni sua parte, di costruzione accuratissima: e se a questo si aggiunge che esso è perfettamente equilibrato, e che, a cagione della sua larga base, è dotato di una grande stabilità, si può avere l’aftidamento che con esso si potranno eseguire buonissime osservazioni. vee. iL nd are rr ttt 13 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA, ECC. 369 I: Metodo di osservazione. Il metodo prescelto per le osservazioni è quello della misura delle distanze ze- nitali delle stelle alla loro culminazione. Questo metodo fu applicato con risultati soddisfacentissimi dal Ch.®° Prof. Rejna, nelle sue determinazioni astronomiche di latitudine eseguite lungo il meridiano di Roma (1). Esso consiste nel formare alcuni gruppi di un egual numero di stelle culmi- nanti, in ciascun gruppo, per metà al nord, e per metà al sud dello zenit. Esse devono essere scelte in modo che tra le culminazioni di due stelle consecutive passi un intervallo di tempo non minore di circa 4”, affine di potere colla necessaria at- tenzione eseguire la lettura, sia dei microscopi e della livella, sia del barometro e termometro, indi eseguire il puntamento della stella successiva; nè devono culmi- nare ad intervalli troppo grandi, per non avere condizioni atmosferiche molto diffe- renti tra una stella e l’altra. Le distanze zenitali vengono misurate alternativamente col cerchio ad est e col cerchio ad ovest, per eliminare l’errore proveniente da una eventuale incertezza nella conoscenza dello zenit strumentale. Seguendo pertanto le indicazioni suggerite dagli altri osservatori, formai quattrs gruppi di dieci stelle caduno. Esse furono scelte dal Berliner astronomisches Jahrbuch, possibilmente fra quelle di cui sono date le posizioni apparenti: si è dovuto però ricorrere a quattro stelle di _gui tali posizioni non erano date: queste furono calco- late per l’istante della culminazione nella sera di osservazione servendosi delle costanti date dalle stesse effemeridi. Le loro distanze zenitali si è cercato fossero minori di 30°, per diminuire l’ incertezza della rifrazione atmosferica : fa eccezione la stella Z Aquilae, la cui distanza zenitale è di 31°19' circa. Inoltre per eliminare per quanto fosse possibile I influenza della flessione del cannocchiale, e quella della rifrazione, si è cercato di formare i gruppi di stelle in modo che la somma algebrica delle loro distanze zenitali, per ciascun gruppo, fosse molto piccola. Questa condizione si è potuta verificare abbastanza bene, come appare dal seguente specchietto: 1° Gruppo: xZ= — 3° 11’ ARTO 2890: JEMEDA. Dogg CI aa Aobiai Somma — 1° 15’ Le osservazioni furono eseguite nel seguente modo: determinata mediante una osservazione preliminare la lettura meridiana, ossia la lettura da farsi sul circolo (1) Cfr. V. Rena, Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite lungo il meri diano di Roma (Pubblicazioni della R. Commissione Geodetica Italiana, 1903). Serre II. Tom. LIX. vi 370 CESARE AIMONETTI 14 azimutale quando l’asse ottico del cannocchiale era in meridiano (1), si fissava l’'istru- mento in esso, mediante la lettura corrispondente fatta sul circolo orizzontale; indi si fissava il cannocchiale in altezza, alla distanza zenitale approssimata della stella da osservare. Quando questa compariva nel campo del cannocchiale, si portava, per mezzo della vite di elevazione, uno dei due fili orizzontali (avendo cura che nelle varie osservazioni fosse sempre il medesimo) a bisecare la stella al suo passaggio al filo di mezzo. Indi si facevano le letture ai due microscopi opposti, ripetendo per ciascuno due volte la lettura del micrometro: una portando i due fili a comprendere la divisione che precedeva, e l’altra portandoli a comprendere quella che seguiva l'indice del microscopio, allo scopo di avere maggior precisione nelle letture, ed anche per eliminare, se fosse apparso necessario, l'errore proveniente dal run del microscopio. Letta quindi la livella zenitale, si girava l’alidata di 180°, e si colli- mava alla stella successiva. Per ogni serie di osservazioni si leggeva il barometro ed il termometro al principio, alla fine e verso la metà di esso: il barometro usato fu un barometro aneroide Naudet, graduato in decimi di millimetri; esso venne con- frontato tutte le sere con un barometro Fortin; la temperatura veniva letta a due termometri graduati in !/; di grado, e disposti l’uno verso il sud e l’altro verso il nord: per evitare l’effetto dell’irradiamento, il loro bulbo era circondato da un largo tubo metallico, in modo che l’aria potesse liberamente circolare attorno ad esso. Entrambi i termometri furono controllati in precedenza con un termometro, dél quale si erano verificate le posizioni dei due punti 0° e 100°. Nel calcolo della rifrazione si applicò la formola : logr=log.atge +-logR + logr ricavando i valori di logatge, log R, logy dalle tavole dell’Albrecht (2). Per ciascun gruppo di stelle si ritenne il valore della pressione barometrica costante, ed uguale alla media delle tre osservazioni fatte in principio, èàlla metà, ed alla fine di ciascun gruppo: per la temperatura invece, la quale presentava variazioni più sensibili che non la pressione, si ritenne che variasse proporzionalmente al tempo, e quindi si calcolò il suo valore per ciascuna stella in corrispondenza all’ istante di osser- vazione. Era mia intenzione di osservare in ciascuna notte tutti i quattro gruppi di stelle, spostando ad ogni notte il circolo di 45°, in modo che le posizioni dello zenit corrispondessero rispettivamente in ciascuna notte ai valori 0°, 45°, 90°, 135°; sicchè le osservazioni avrebbero dovuto durare quattro notti. A causa delle condizioni me- teorologiche non sempre favorevoli, dette osservazioni durarono dal 26 luglio al 4 di agosto, nè poterono sempre, come sarebbe stato desiderabile, osservarsi tutte le stelle di ciascun gruppo, perchè a causa di improvvisi annebbiamenti, che avveni- vano anche nelle sere più favorevoli, l'osservazione di qualche stella andò perduta. (1) Questa determinazione fu eseguita collimando alla stella polare col teodolite nelle posizioni destra e sinistra, e leggendo ad ogni volta il circolo graduato. Noto l'istante della collimazione alla polare, se ne dedussero gli azimut, e quindi i valori della lettura meridiana; dei quali si prese la media. (2) Cfr. ALerecat, Formeln und Hiulfstafeln filr geographische Ortsbestimmungen. Lipsia, 1894. proc un È sone 15 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE DELLA SPECOLA GEODETICA, ECC. S71 , Trattandosi di oggetti di distanza zenitale variabile, in principio di ogni sera si determinava lo zenit strumentale Z collimando ad un oggetto terrestre; perciò si dedussero le distanze zenitali di ogni stella colle formole : pa Mi 2' an Sb 7 essendo D', S' le letture fatte sul cerchio verticale nelle posizioni destra e sinistra, corrette dalle letture fatte sulla livella zenitale. Per ogni stella si dedusse il valore della latitudine mediante la formola | stelle sud g=dtz: | s nord Siccome lo zenit strumentale poteva variare leggermente durante le osservazioni, i valori definitivi della latitudine si dedussero prendendo la media di due osserva- zioni: una col cerchio ad est e l’altra col cerchio ad ovest. Nella seguente tavola sono registrati i risultati ottenuti per i differenti gruppi di stelle e per le varie posizioni del cerchio. 16 CESARE AIMONETTI 08° 89 06° 89 63° 79 + ,80 064 19° 39 co° 9 08° 89 ee 9 864,89 | 90° 39 08°,,69 + ,80 02% 60° 69° ce' 19 L0° 69 6° FS 8L' 59 FI 99 96° 69 c8' 5S es 19 qui 9 #0 19 II° 69 : 61° 29 : 08° 8 L8' 39 i c6° OL 69° 89 16° 39 ; Fe LS 67° 99 80° 69 > 89° OL ; g8' 69 1°,,69 o 8,99 + ,60 087 RE d | 0d 4 Ue) | 006 =? onice co 59 89° 69 vo 09 09° 6 e I li pertag ‘044045 ‘TI J PL 09 90 Ie e 66° 29 06° 29 cu‘ 89 1 03° 59 \ 18° 89 de 99 16° 62 GG 89 ; 78° 09 095,19 164,69 | + ,80 0SF ‘04404 ‘] LA d °d + “d oGh= 60 79 ce' 09 99° 39 89° 89 N O N (0) S CI N H S (0) N O N H IS HU LL' 59 S' 0 ) | 93 19.|- N O #8° 6 S U 0° 09 S H 08° S9 | UN O Ce 89 S O cO° 59 S H 29 09) N H 98° 9) S (0) ta to | N 0 194,99 | N H + ,80 087 ò | È oe LESINA * * ’SIUOOBI(] 3 *** ‘1340 SI RO, 1uSf9 9 ada Qalta 1849 g " * ‘SIUOOBI(] 1 * * *SIUOOBI(] Q “** eepnby 2 port LAT: *sIU09BI(] 0 i ETTOISENOET PRA) ** ‘SIUOOBI(] 9 "°° 6656 19 * © * sImoJoHq 0 * * * SIUOOBI(] 3 * * *sIoaof nl SIUOIBI(] M * *SIUOORI(] @ ATILLE 373 ld ld G Efo) a Ob G S “apo + tas po Q | ‘ sa Ò 26 ‘ sint ale o teu Cent 79 9 : ; 96° 99 , 15‘ 89 S (0 Isedod A < LI IA Peo eo i Colgo tana 06° 89 ERA nigi È 9 09 | \ 84‘ 19 63° 59 88 69) 0° Isedoq 1 à TO: 90 SZ TOT R800 } 18° 69 d; 62° 86 N CO 00 MB $ ale re Î ce 19 i 06 69 CSI | ©) 86° 19 97 19 8I° 89 68 9) N |" * *I94deg 2 | Latina cv 89 1 65° 09 È Gr 89 ; 79° 19 S H | ogpowoapuy o ci | 98 19 88° 79 99° 19 À 00° 19 eat as 63° 29 8I° 59 06° 68 28° 09| N CO reudog 1 < 19° 59 10° 89 1 Te° 09 VI L90 S8 O | ‘1s69og U - | 82 59 LI 89 c9° 09 DE o S6° #9 | 13° 79) 28° 09 78° 29 91° 59) N Ci OBJIOOUT / = ee 79 |* Î Irzio (se 60579 | _, 58° 9) N | # | o6pioostg Z FL' 69 a EG RR) zati: STORIPS CR B sc 89 | 68° 29 039) 8. | 0 |-*- iseoga È < 6 ‘O0daNUO) “AI Sol A = 67° 09 3 66° 69 19° 89 : 68° 89 S O |" Is850d 9I 2 ; Sp 19 gL' 89 08‘ 39 EE S 96° 89 18° ©9 00° 79 32 69) N D IUSA 211 € TEST lo&gî = £ eg 9, 1 00 (0A NI ci O È i coi 89 i 99° 69 80° 39 | ta: È OL 59 e8° 99 ge 99 09° S9| N (0) rtoqdop g S 61° 89 c0' 99 02° 09 | 39) N O |°*" *tegdeg » S a | "3d 1uSA) 19 S H ‘ogjnoodmny 2g N O |" ‘10ydeg U S O | ‘tugdpgq » N CI + < - *10qdog 9 | 374 CESARE AIMONETTI — DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE, ECC. 18 Le medie dei valori precedentemente ottenuti, per ciascun gruppo di stelle, e per ciascuna delle posizioni del cerchio zenitale, sono raccolte nel seguente spec- chietto : | ® | — > . = © z| Posizione del cerchio CE-S = 3 n > SATA... S-.È!Yz&gJSAJSJiI>}))És>MNM\KBz="=“ I! __ SSI]\]EEEE5VYr-==< Medie i Li | si © do) Ì 2 | <£ 0° 45° | 90° 135° | 90° | | | I \45°04/02”,8945°04‘08”,53/45004’02”,8345°04’02”,90/45°04/02”,95|45°04/03”,01| 48 Il 02 71 02 25 02,26, 02 ,48| ..02,76 02 ,48) 50 IN 03 ,50 02 ,33. 03 ,11| 02 ,89 02 ,13 02 ,79) 50 * - IV 02 ,17 02 ,94 01 ,92 02,58 n 02 ,43| 38 02 ,82 02,74 02 ,56 02 ,70. 02 ,61 02 ,69| 186 Come si vede dallo specchio precedente, i diversi valori ottenuti per le diffe- renti posizioni del cerchio sono fra di loro concordanti, come già era da prevedersi, dato il risultato dell'esame del circolo graduato. Onde prendendo senz’altro la media ponderata dei diversi valori ottenuti per ciascun gruppo, assumendo come pesi i numeri di stelle osservate per ciascun gruppo, si ottiene come valore della lati- tudine della Specola Geodetica della R. Università di Torino (asse del pilastrino centrale) : g= 45° 04' 02”,69 + 0”,18 Epoca 1907,6. Torino, maggio 1908. * Media di quattro valori. ** Media di tre valori. ded STRO AT N N Rogi er } pr_s »_% de . . « geodetica della R. Università —OTemozie della R, Accad, delle Scienze di Forino. Ser. ll. Vol. LIX, Off. Fototecnica Ing. G. Molfese - Torino, NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI MEMORIA DEL Prof. G. B. RIZZO CON UNA TAVOLA Approvata nell'adunanza del 24 Maggio 1908. LL Introduzione. Fino a pochi anni addietro lo studio dei movimenti del suolo veniva considerato come un ramo della geologia o della geografia fisica, inquantochè codesti movimenti possono produrre delle variazioni nell'aspetto e nella configurazione del suolo. Inoltre la geologia studia ‘le relazioni fra le condizioni geologiche di una regione e la fre- quenza e l’intensità dei terremoti, ai quali la medesima è soggetta; e poi questa scienza si occupa dei fenomeni sismici che avvengono attualmente alla superficie terrestre, perchè vi trova una guida a interpretare esattamente la storia del passato della terra. Ma, accanto a questa sismologia geologica o geografica è sorta recentemente la sismologia fisica, che è ben distinta dalla prima per il suo scopo e per i suoi metodi di ricerca. Quando avviene un terremoto in una regione qualsiasi, per l’elasticità dei materiali, che costituiscono la crosta terrestre, intorno al centro di scuotimento 0 intorno alle aree, dove questo scuotimento è massimo, si propagano dei movimenti, i quali, sebbene diventino così tenui, col crescere della distanza, da non essere per- cettibili, senza l’aiuto di strumenti sensibilissimi, possono tuttavia arrivare fino a distanze grandissime dall'origine e talora possono anche estendersi a tutta quanta la superficie terrestre. Per lo studio di questi movimenti si sono costruiti degli appa- recchi, i quali, pur essendo facilmente maneggevoli, registrano con sicurezza una dA 100 di millimetro. a inclinazione del suolo di di minuto secondo, o uno spostamento orizzontale di 1000 G. B. RIZZO 2 (vi) | Sì 1 calcoli di queste inclinazioni e di questi spostamenti si fanno coi rigorosi criteri, che si applicano nelle misure delle più importanti grandezze fisiche, e i metodi astro- nomici permettono di stabilire esattamente gli istanti, in cui giungono in una data stazione le differenti fasi di un movimento sismico, per determinarne la velocità. E siccome le velocità di propagazione dei movimenti oscillatori sono intima- mente legate con le proprietà fisiche del mezzo, attraverso al quale si propagano, così lo studio delle velocità di propagazione dei movimenti sismici permette di deter- minare le condizioni dei materiali costituenti la terta, anche nelle profondità inae- cessibili all'uomo. Come lo spettroscopio aveva rivelato la composizione chimica e le condizioni fisiche del sole e delle altre stelle, così, secondo la bella immagine dell’Oldham, l’analisi dei movimenti oscillatori prodotti da una scossa'di terremoto e trasmessi attraverso alle profondità del suolo, ci guida alla conoscenza della densità e delle costanti elastiche del mezzo, che serve alla propagazione del movimento. Ma a questo punto ci si presenta una questione fondamentale: quali sono codesti materiali, per cui l’analisi dei diagrammi sismici ci fa conoscere la densità e le costanti elastiche ? O, in altre parole, quale cammino seguono le vibrazioni prodotte da una scossa di terremoto, nel propagarsi fino ad un punto qualunque della superficie terrestre ? Si ammette generalmente che le ondulazioni costituenti la fase principale di una registrazione sismica si propagano dall’epicentro del movimento fino ad un punto qualunque, lungo la superficie della terra e seguendo l’arco di circolo massimo che passa per l’origine e per la stazione considerata. Per le vibrazioni che costituiscono i primi e i secondi tremiti preliminari si ammette invece più comunemente l'ipotesi che questi moti si propaghino direttamente dal centro di scuotimento fino ad una stazione qualunque, attraversando la terra nel suo interno. Facendo poi qualche ipotesi intorno alla legge con cui varia la densità della terra coll’aumentare della profondità sotto il suolo e supponendo che le vibrazioni sismiche si propaghino attraverso alla terra con leggi analoghe a quelle, con cui si propagano nell’etere le vibrazioni luminose, riesce facile stabilire le equazioni dei raggi sismici attraverso alla crosta solida della terra e attraverso al magma centrale. Questa applicazione dell'analisi matematica al fenomeno della propagazione dei movimenti sismici è veramente elevatissima; e, una volta ammessi i principî, da cui sono dedotte le equazioni differenziali del movimento, le deduzioni sono fatte con tutto il rigore desiderabile. Ma, come ebbi già occasione di mostrare in due note che furono accolte negli Atti di questa Accademia (1), io penso che questi siano solamente degli eleganti esercizi di analisi, i quali non hanno alcun fondamento nella realtà: e che il fenomeno della propagazione di codesti movimenti avvenga in modo diverso da quello che è definito nelle equazioni differenziali, sulle quali è costruito tutto l’edifizio della teoria matematica della propagazione dei raggi sismici nell’in- terno del globo. E ho dimostrato come sia più conforme ai risultati dell’osservazione l’ammettere che le deformazioni elastiche dovute ad un terremoto si propaghino soltanto nello strato superficiale della crosta terrestre, senza raggiungere una grande pro- (1) Sulla propagazione dei terremoti, vol. XLII, pag. 1109 e 1120, 1907. 8) NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 377 fondità. Secondo me le vibrazioni che producono i primi e i secondi tremiti preli- minari di una registrazione sismica precedono le ondulazioni costituenti la fase prin- cipale, non già perchè si propaghino dal centro di scuotimento fino al luogo d’osser- vazione, lungo un più breve percorso, attraversando la terra nel suo interno; ma perchè, essendo rispettivamente delle vibrazioni longitudinali e delle vibrazioni equi- voluminali (Lamb), si propagano con delle velocità più grandi di quella che spetta alle onde della fase principale, le quali sono probabilmente delle onde superficiali di Rayleigh. Emilio Wiechert, il geniale direttore dell'Istituto geofisico di Gottinga, accoppia ad una grande abilità sperimentale, con cui è riuscito a costruire un sismografo di singolare perfezione, una profonda conoscenza dell'analisi: ed è uno dei più valorosi «cultori della sismologia fisica. Egli ha stabilito le equazioni che esprimono gli ele- menti del moto reale del suolo, in funzione delle costanti dei sismografi e delle oscillazioni registrate (1), ed in un lavoro più recente (2) si è applicato alla deter- minazione della densità e delle costanti elastiche della terra nel suo interno; ma anch'egli ha ammesso che le vibrazioni che producono i primi e i secondi tremiti preliminari delle registrazioni sismiche si propaghino veramente nell'interno della terra. Il Wiechert ha insistito sopra questo concetto non solo nella pubblicazione accademica ora citata, ma anche in altre occasioni, come, ad esempio, nella magnifica conferenza che egli ha tenuto nello scorso mese di settembre, a Dresda, dinanzi alla Riunione annuale dei naturalisti e medici tedeschi (3) e che fu anche pubblicata nel 1° numero della “ Physikalische Zeitschrift , di quest'anno. In sostanza, la prova che, mentre le onde della fase principale sì propagano alla superficie terrestre, i movimenti che producono i primi e i secondi tremiti preli- minari delle registrazioni sismiche attraversano la terra nel suo interno, sarebbe questa. Per i tremiti preliminari i tempi impiegati nel giungere alle stazioni lontane dall’epicentro non sono semplicemente proporzionali alle distanze misurate sulla superficie, invece per le onde della fase principale i tempi impiegati sono propor- zionali a queste distanze dall’epicentro. Considerando l’importanza della questione e l’autorità del Wiechert, chiedo venia di riportare qui le sue parole: “ Beachtet “ man.... dass die Zeiten, în denen die Wellen (der Vorliufer) entfernte Stationen “ erreichen, nicht einfach proportional sind mit der auf der Erdoberfliche gemessenen “ Entfernung vom Herd, so folgt, dass sowohl die ersten, als auch die zweiten Vor- “ liufer sich durch die Tiefen des Erdkòrpers ausbreiten..... Ganz anders steht es “um die Hauptwellen. Hier ist die Ausbreitungsgeschwindigkeit, lings der Erdober- “ flliche selbst gemessen, in allen Entfernungen vom Herd dieselbe,.... so miissen “ wir folgern, dass die Hauptwellen wie die Meereswogen lings der Oberfliche laufen ,. (1) E. Wrecmerr, Theorie der automatischen Seismographen, “ Abhandl. d. Kénigl. Gesell. d. Wiss. z. Gottingen ,, Math.-Phys. K1., II Bd., N. 1, 1903. (2) E. Wreckert u. K. Zéeprirz, Ueder Erabebenwellen, “ Nachr. v. d. Kònigl. Gesell. d. Wiss. z. Gottingen ,,, Math.-Phys. KI., 1907, Heft 4. (3) E. Wieczert, Die Erdbebenforschung, ihre Hilfsmittel und ihre Resultate fiir die Geophysik, “ Verhandl. d. Gesell. deutsch. Naturforscher u. Aerzte ,, 79. Versamm. z. Dresden, 15-21 Sept. 1907, S. 212; Leipzig, 1908. n Serie II. Tox. LIX. xi 978 G. B. RIZZO 4 Il Wiechert aggiunge poi un altro argomento dedotto dal rapporto fra le ampiezze degli spostamenti orizzontali e di quelli verticali nelle diverse fasi delle registrazioni; ma, come ho anche dimostrato nelle note citate or ora, le misure delle componenti verticali dei movimenti sismici sono finora troppo scarse e troppo incerte, per poterne dedurre con sicurezza una conseguenza qualsiasi: e perciò l'argomento fondamentale, per sostenere che i tremiti preliminari si propagano attraverso alla terra, rimane quello che si deduce dalla considerazione dei tempi impiegati per giungere alle stazioni lontane dall’epicentro. Se veramente le ondulazioni della fase principale si propagassero con una velocità costante lungo la superficie terrestre, mentre le vibrazioni che dànno luogo ai primi e ai secondi tremiti preliminari si propagano con delle velocità medie, le quali, stimate lungo le superficie, vanno crescendo colla distanza dall’epicentro, sarebbe questo un forte argomento, per sostenere l’ipotesi che le vibrazioni, alle quali sono dovuti i primi e i secondi tremiti preliminari, arrivano in punti d'osservazione via via più distanti dall’epicentro, percorrendo delle traiettorie, che attraversano ognora più profondamente il globo terrestre. Ma se tutte e tre le forme di movimento si pro- pagano in modo analogo, cioè con velocità medie superficiali che, a partire da una certa distanza dall’epicentro, dove le velocità presentano un valore minimo, vanno crescendo col crescere della distanza, fino ad un valore limite, come risulta dal mio studio sulla velocità di propagazione delle onde sismiche del terremoto del giorno 8 settembre 1905 (1), allora, facendo astrazione da altre considerazioni, non vi è ragione di ammettere che codeste forme di movimento si propaghino per vie diverse. La questione è molto importante per la fisica terrestre, e affinchè riesca più facile formarsene un concetto adeguato, accennerò qui brevemente agli altri lavori più notevoli pubblicati di recente sopra questo argomento. Nel 1900 il geologo inglese R. D. Oldham (2) determinò la velocità di propaga- zione dei movimenti prodotti da sette grandi terremoti, »quali avevano avuto il loro epi- centro nel Giappone (22 marzo, 1894), nell’Argentina (27 ottobre, 1894), nel Giappone (15 giugno, 1895 e 31 agosto, 1896), nell’Assam (12 giugno, 1897), nel Giappene (5 agosto, 1897) e nel Turkestan (17 settembre, 1897). E giunse a questo risultato, che i primi e i secondi tremiti preliminari sì propagano con velocità medie super- ficiali crescenti, mentre la velocità dei movimenti principali rimane costante. Bisogna però avvertire fin d’ora che il primo dei terremoti considerati fu solamente registrato fra le distanze di 689,7 e 859,4, ossia fra 7640 e 9500 km. dall’epicentro ; il secondo terremoto fra 102°,2 e 120°,9, ossia fra 11360 e 13440 km.; il terzo fra 859,1 e 909,9, ossia fra 9460 e 10110 km.; il quarto fra 72°,7 e 889,2, ossia fra 8080 e 9810 km.; il quinto fra 63°,9 e 709,9, ossia fra 7100 e 7880 km.; il sesto fra 74°,2 e 90°,9, ossia fra 8250 e 10110 km.; e l’ultimo fra 27°,5 e 489,9, ossia fra 3060 e 5440 km. Questa osservazione ci sarà utile per interpretare esattamente i risultati dell’Oldham. ; Il Milne confermò questi risultati, discutendo i sismogrammi ottenuti in 40 sta- (1) Memorie di questa R. Accademia, serie II, t. LVII, pag. 309, 1906. (2) R. D. OLpRAM, On the propagation of Earthquake Motion to great Distances, “ Phil. Trans. R. Soc. London ,, A., vol. 194, p. 135, 1900. 5 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 379 zioni munite del suo pendolo orizzontale a registrazione fotografica e distribuite su tutta la superficie terrestre (1); e più recentemente lo stesso Oldham, discutendo le osservazioni dei movimenti prodotti dal terremoto di Guatemala, vi trovò un’altra conferma dei risultati, ai quali era giunto nel 1900 (2). I risultati ottenuti dall’Oldham in questo studio sul terremoto del Guatemala sono raccolti nella seguente tabella, che dà, per le diverse distanze dall’epicentro, i valori delle medie velocità superficiali corrispondenti alla 1* e alla 2* fase (primi e secondi tremiti preliminari) e al massimo della fase principale. Distanza dall’epicentro 1° Fase‘ 2% Fase | Fase principale: massimo Gradi Km. Osservaz. Velocità | Osservaz. | Velperta | Osservaz. | Velocità Km./sec. | Km./sec. | Km./sec. | I 29.3 3258 2 6.54 Dili a eA3020 61 dm 17 78.0 8672 7 10.71 5 [(Ien5s99, | 6 | 2.72 90.8 | 10095 20 11.38 14 6.71 | MORE 3.41 102.4 | 11385 5) 12:32 2 1:45 2 3.92 112.2 | 12474 4 12.75 2 Tio! 7 3.08 145.6 16188 | 5 12:43 | 2 6.54 | 3 9.13 160.4 17833 | di 13.69 1 6.58 | 1 5.41 Di qui appare veramente che le medie velocità superficiali dei primi e dei secondi tremiti preliminali crescono con la distanza dall’epicentro. Tuttavia nelle conclusioni, che l'Autore deduce dal suo studio, egli stesso osserva in primo luogo che non vi erano state osservazioni tra l'epicentro e la distanza di 28°, e poi che fra 30° e 90° la curva, la quale rappresenta la relazione fra lo spazio e il tempo della 1? fase, è quasi una linea retta corrispondente ad una velocità di circa 18 km./sec. Per ciò che riguarda la fase principale l’Autore aggiunge che poco vi è da dire, poichè la velocità apparente di propagazione è in complesso uniforme, essendo facil- mente spiegabili le divergenze osservate (3). Ma noi dobbiamo alla nostra volta osser- vare che queste deduzioni si riferiscono, non già alle onde costituenti il principio della fase principale del movimento, ma alle massime ampiezze della registrazione. Ora è ben noto, in primo luogo, che la durata di una registrazione cresce col crescere della distanza dall’epicentro e anche l’istante del massimo è sempre più in ritardo rispetto al principio della fase principale; inoltre l’istante della massima ampiezza della registrazione dipende molto strettamente dalle costanti del sismografo adope- rato: perciò, se si calcola la velocità di propagazione delle onde principali, consi- derando solamente le onde di maggior ampiezza, si può facilmente venir tratti in (1) J. Micwe, Fifth Report on Sismol. Investig., ‘ Brit. Ass. f. the Adv. of Science ,, Bradford Meeting, pag. 66, 1900; SeventA Report, “ Id..,, Belfast Meeting, pag. 7, 1902. (2) R. D. Orpnam, The rate of Transmission of the Guatemala Earthquake, April 19, 1902, © Proc. Roy. Soc. London ,, A, vol. LXXVI, pag. 102, 1905. (3) “ Of the third phase little need be said; the apparent rate of propagation is on the whole uniform, the irregularities being sufficiently.àccounted for , (1. c.). 380 G. B. RIZZO 6 errore. Questo spiega le singolari anomalie, che si trovano nei risultati dell’Oldham, per cui, ad esempio, la velocità, per i due primi gruppi di stazioni, invece di cre- scere, scende da 3.17 a 2.72 km. al secondo. — In conclusione: queste osservazioni dell’Oldham non ci dicono nulla di preciso intorno alla velocità di propagazione delle onde che costituiscono il principio della fase principale; anzi, se la velocità con cui si propagano le oscillazioni di maggiore ampiezza rimanesse costante, si dovrebbe dire che le onde costituenti il principio della fase principale si propagano con velocità crescenti, col crescere della distanza dall’epicentro. i In un'altro lavoro ancora più recente (1906) il signor Oldham si è di nuovo occupato delle variazioni della velocità media superficiale dei primi e dei secondi tremiti preliminari, per dedurne alcune conseguenze intorno alla costituzione interna della terra (1). Per questo studio l’ Oldham ha approfittato delle osservazioni raccolte in occasione di 14 grandi terremoti, sette dei quali sono quelli stessi, che avevano servito all’Autore per il suo studio del 1900 e gli altri sono i seguenti: terremoto del Giappone (22 aprile, 1898), Giappone (9 agosto, 1901), Filippine (14 dicembre, 1901), Guatemala (19 aprile, 1902), Kashgar (22 agosto, 1902); e altri due, dei quali non era stato possibile determinare l’ora, se non per via indiretta, cioè i terremoti del- l’Alaska (4 e 10 settembre, 1899) e di Ceram (29 settembre 1899). I risultati sono riassunti nella seguente tabella : | Distanza dall’epicentro | 1* Fase 2° Fase | Velocità medie: Km./sec. | Velocità medie: Km./sec. | | Gradi Km. Lungo l’arco Lungo la corda] Lungo l’arco|Lungo la corda 30 3333 9.26 9.15 5.05 4.99 60 6667 ©. 10.10 9.65 5.85 9.08 90 10000 DELE 10.00 | 6.66 6.00 120 13333 12.35 10.21.01 1h7:06 6.34 150 16667 13.23 9.76 6.17 4.50 180 | 20000 15.15 9.65 6.67 4,24 E l’Autore conchiude che per la 1% e per la 2° fase vi è un continuo aumento della velocità apparente, il qual fatto porta ad ammettere, egli dice, che le oscillazioni corrispondenti non possono essere onde superficiali, nè onde le quali si propaghino a piccola profondità sotto la superficie terrestre; ma debbono invece propagarsi attraverso allo spessore della terra. E il fatto che le medie velocità stimate lungo la corda diminuiscono a partire dalla distanza. angolare di 120°, per cui la profondità della corda tocca la metà del raggio terrestre, viene da lui interpretato come una prova che nell’interno della terra vi è un nucleo, avente un diametro presso a poco uguale alla metà del diametro terrestre, nel quale nucleo va diminuendo la velocità di (1) R. D. OLpnam, The constitution of the Interior of the Earth, as revealed by Earthquakes, “ The Quart. Journ. of the Geol. Soc. London ,, vol. 62, pag. 456, 1906. 7 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 381 propagazione delle ondulazioni costituenti la 1° e la 2* fase preliminare: questa dimi- nuzione sarebbe più cospicua per le ondulazioni della seconda fase. Per quanto riguarda le ondulazioni della fase principale, l'Autore non crede di doversene più occupare; infatti, considerando come provato che codeste ondulazioni hanno una media velocità superficiale costante e si propagano lungo la superficie, egli giudica che dalle medesime non è possibile apprendere nulla intorno alla costi- tuzione interiore della terra, che forma l’oggetto della Memoria. Ma, come abbiamo veduto, la dimostrazione data dall’Autore nella Memoria del 1900, per provare che le ondulazioni della fase principale si propagano lungo la superficie con velocità costanti, si fonda sopra osservazioni raccolte a grandi distanze dall’epicentro e a quelle grandi distanze, come risulta anche dalla Memoria mia del 1906, la velocità può rimanere sensibilmente costante, pur avendo provato delle considerevoli variazioni a distanze minori. Nè, come abbiamo veduto or ora, riesce più convincente la dimostrazione dedotta dalle osservazioni del terremoto del Guatemala; quindi dai lavori dell’Oldham non è punto dimostrato che le ondulazioni della fase principale si propaghino con velocità costante. Anzi fra le stesse osservazioni delle quali egli si è valso, ve ne sono alcune che dimostrano il contrario: così le osservazioni che si riferiscono al terremoto di Ceram, le quali erano state raccolte ed illustrate dal Rudolph, dimostrano che anche le velocità medie superficiali, colle quali si propagano le ondulazioni della fase principale, crescono col crescere delle distanze dall’epicentro, appunto come avviene per la velocità di propagazione dei primi e dei secondi tremiti preliminari (1). Qui bisogna ricordare le ricerche di Imamura (2), il quale studiò molti terremoti, avvenuti un po’ per tutto il mondo, nei tre anni e mezzo dal 1° luglio 1899 al 31 di- cembre 1902. Calcolando gli intervalli di tempo trascorsi dall’istante della scossa fino all'istante, in cui le differenti fasi del movimento venivano registrate a Tokyo, egli ne dedusse i valori medì per le velocità di propagazione fino a quella distanza. Indi- cando rispettivamente con V,, Va, V3, V; le medie velocità superficiali per i primi e i secondi tremiti preliminari, per il principio della fase principale e il principio di quel gruppo di oscillazioni della fase principale, a cui appartiene ordinariamente la massima ampiezza del movimento, si ha, secondo Imamura : Eee SIC Pa = 45 di yen E IR E queste velocità sembrano costanti, col variare della lunghezza dell’arco compreso fra l'origine del movimento e la stazione di Tokyo, dove avvennero le registrazioni. Ma è evidente che le cause d’errore sono molteplici: prima di tutto la diffi- (1) E. Ruporpa, Veber das Erdbeben von Ceram am 30 September 1899, * Gerland’s Beitriige zur Geophysik ,, Bd. VI, Heft. 1, S. 238, 1903. (2) A. Imamura, On Milne Horizontal Pendulum Seismograms obtained at Hongo, Tokyo, Publ. of the Earthqg. Invest. Comm. in For. Lang., No. 16, 1904, 382 G. B. RIZZO 8 coltà di conoscere con esattezza il tempo e anche il luogo della scossa, quando il terremoto era avvenuto in regioni poco conosciute, o anche in mare, lontano da Osservatori; e poi anche la difficoltà di distinguere le diverse fasi del movimento nelle registrazioni ottenute col sismografo del Milne, che è poco adatto per queste determinazioni. Così si spiega come, per due terremoti avvenuti nel Guatemala, l’uno il 19 aprile 1902 (che fu uno dei terremoti studiati dall’Oldham) e l’altro il 23 set- tembre dello stesso anno, Imamura abbia potuto ottenere rispettivamente : VA = 15.8 atti AS) Kai 008 di I valori ottenuti per V,, in tutta la serie delle osservazioni, variano da 6.0 a 7.5. 49/sse. o hai a E Mage e ù sata s A aa 305» senza che si possa scorgere alcuna dipendenza fra queste velocità e la distanza della stazione d’osservazione dall’epicentro. Limitando invece lo studio ai movimenti prodotti da pochi terremoti ben deter- minati, rispetto all'istante della scossa e alla posizione dell’epicentro, e seguendone la registrazione in parecchi Osservatori, a distanze via via più grandi dall’origine, la qual cosa Imamura fece soltanto per i primi tremiti preliminari, allora riuscì evi- dente un progressivo aumento della velocità, come si scorge dalla seguente tabella: Distanze angolari | 20° | 40° | 60° | 80° 120° | 140° V, stimata secondo: 1 l'arco a partire dall’epicentro . ..| 9.8 | 10.3 (410.9 | 11.6 12.2 12.3 | 12.6 l'arco a partire dalla distanza IR | ud AS] 43874 a la corda a partire dall’epicentro . . | 9.7 | 10.1 | 10.4 | 10.7 | 10.7 GR 9.7 Da queste osservazioni l'Autore non credette di poter conchiudere che le onde costituenti i primi tremiti preliminari si propaghino attraverso al globo terrestre, e ammise invece che tutte e tre le forme caratteristiche delle oscillazioni, colle quali sì trasmettono i movimenti sismici, avendo delle velocità che, nel complesso, seguono approssimativamente le medesime leggi, si propaghino alla superficie della terra, o a piccola profondità sotto la medesima, parallelamente alla superficie. Ma, anche dopo i lavori di Imamura, è rimasto senza soluzione il problema che ricerca se, a rigore, i movimenti, che costituiscono la fase principale di una registrazione sismica, si propaghino con delle velocità crescenti con la distanza dall’epicentro, almeno fino ad un certo limite, come avviene per le vibrazioni che costituiscono le fasi preli- minari della registrazione, o se invece si propaghino con delle velocità costanti. Or sono due anni veniva pubblicato nelle Memorie di questa Reale Accademia il mio Studio sulla velocità di propagazione delle onde sismiche nel terremoto della Calabria del giorno 8 settembre 1905. E in questo lavoro io dimostravo che tutte ai cn E e ea n e r #f rid 9 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 383 e tre le forme caratteristiche delle oscillazioni dovute ai movimenti sismici si tras- mettono con leggi analoghe e che le medie velocità di propagazione, stimate secondo la superficie, sono in principio molto grandi, poi diminuiscono fino ad una certa distanza dall’epicentro (la quale distanza dipende probabilmente dalla grandezza della profondità, dove ha origine il movimento) e quindi crescono regolarmente fino ad un certo limite, al di là del quale rimangono costanti. È evidente che se si considerano soltanto i tempi impiegati dal movimento sismico per giungere a distanze molto grandi dall’epicentro i valori corrispondenti delle velocità saranno presso a poco uguali e le variazioni saranno tanto meno sensibili quanto minori sono i valori assoluti delle velocità medesime. Quindi si comprende come in alcuni casi si trovino per le tre forme di oscillazione delle velocità sensibil- mente costanti, col variare della distanza dall’epicentro (Imamura); ed in altri casi si siano soltanto osservate delle variazioni nelle velocità dei primi e dei secondi tremiti preliminari, dove realmente queste variazioni sono più cospicue (Milne, Oldham). Per ciò che riguarda il cambiamento del senso, in cui varia la velocità, che dapprima diminuisce e poi, dopo aver toccato un valore minimo, va crescendo rego- larmente, il qual cambiamento è dimostrato dal fiesso della curva che rappresenta la relazione fra la distanza e il tempo, i giudizi sono ancora discordi (1), perchè le osservazioni raccolte finora sulla propagazione dei movimenti sismici a distanze progres- sivamente crescenti intorno all’epicentro sono ancora troppo scarse ed incomplete (2). (1) Cfr. C. Monressus pe BarLore, La Science séismologique, Paris, A. Colin, 1907. (2) Il Dr. Zòppritz, nella seconda parte del lavoro già citato, che fu fatto in collaborazione col prof. Wiechert, non vorrebbe ammettere che nella curva, la quale rappresenta la relazione fra lo spazio e il tempo, vi sia un flesso, al quale corrisponde un valore minimo della velocità. E siccome gli elevati valori della media velocità superficiale di propagazione, per il terremoto della Calabria del 1905, sono dati dalle stazioni di Messina, Catania, Ischia e Rocca di Papa, egli pensa che questi valori debbano venir diminuiti, portando alquanto più indietro l'ora della scossa, che io avevo posto a 1°43m11°° (t. m. cir, Gr.). Il mio ragionamento, in sostanza, era questo: il movimento sismico giunse a Messina (Km. 84) a 175° e a Catania (Km. 174) a 30°, perciò la media velocità di propagazione fra 84 e 174 Km. fu di circa 6.9 Km. al secondo. Se la velocità fra l’epicentro-3 la distanza di 84 Km. fosse stata la stessa, come tra 84 e 174 Km,, la scossa sarebbe avvenuta a Imi i — pre Ma questo è il limite inferiore del tempo, in cui dovette avvenire la scossa, perchè certamente la media velocità superficiale dall’epicentro alla distanza di 84 Km. dovette essere più grande: e, data la profondità probabile dell’ipocentro e la configurazione dell’area epicentrale, l'istante della scossa poteva anche essere stato di poco inferiore a 175°, perciò questo stesso valore poteva considerarsi come un limite superiore dell'istante cercato. Prendendo la media aritmetica, ottenevo come istante probabile della scossa: 1°%43"11*. E così ottenevo per il tempo impiegato dal movimento sismico nel giungere a Messina . . . (84 Km.): T,=65°, onde V,=14.0 Calia te (740 er 195 L= 92 Ta Cha ia (CS) 860 A i=6 Rocca diwpPapal (4340 a TESEE Il Dr. Zòppritz ammette invece come valore più probabile dell'istante della scossa quello che io considero come un limite inferiore, cioè 1.43”5*, e quindi trova per Messina 0 o. te= 125 Va=70 Catania ... | q1,=20;, Wi=7.0 Ischia i. - t,=42, Vi=6.5 Rocca di Papa. Ti—='o99 Ma =#9 Con questi valori la diminuzione della velocità verso un valore limite è molto meno evidente; ma io non credo che l'istante della scossa possa fissarsi a 1°43"5*, e, tutto considerato, sono d'av- viso che si avvicini di più al yero quello che io ho proposto, cioè 1%43"11*. 384 G. B. RIZZO 10 In queste condizioni è molto importante, per la soluzione dei più importanti problemi della sismologia fisica, lo studio della propagazione dei movimenti prodotti da un terremoto, del quale si conosca esattamente il luogo e l'ora della scossa; sopratutto quando codesti movimenti si possono seguire passo passo, per così dire, dall'epicentro fino a grandi distanze, attraverso ad una ben ordinata serie di Osser- vatori sismici. Tale ci si presentava il terremoto della Calabria del 23 ottobre 1907. . DE Propagazione dei movimenti dovuti al terremoto della Calabria, 23 ottobre 1907. Epicentro della scossa. — La sera del 23 ottobre 1907, pochi secondi dopo le ore 20 e 28 min. (t. m. civ. Gr.) un violento terremoto, preceduto da una scossa più debole, scuoteva tutto il massiccio dell'Aspromonte e l'estrema punta della Calabria, producendo i maggiori danni in quelle regioni, dove i terreni sedimentari, sciolti ed incoerenti, si appoggiano, in uno strato leggero, sulle rocce antiche e compatte. Furono più danneggiati i paesi che si trovano sul versante Ionico della punta della Calabria da Melito-Porto Salvo fino a Gerace; e i comuni di Africo, Bianco, Brancaleone, Fer- ruzzano, Sant'Ilario del Ionio furono quelli maggiormente colpiti: Ferruzzano venne quasi interamente distrutto e vi furono 158 morti e 50 feriti (1). Giudicando dalla forma e dalla posizione delle aree così dette isosismiche ed anche dalla frequenza e dall’intensità delle scosse susseguenti, le quali, come è noto, sì manifestano di preferenza nell’area epicentrale, si può stabilire che l'epicentro del terremoto si trovò sul versante Ionico dell'Aspromonte, ma lungi da Ferruzzano, nel punto che ha per coordinate : î SOROZ N l6p- 054 Gr ® À (1) Secondo le notizie cortesemente favoritemi dalla Prefettura di Reggio Calabria, vi furono delle vittime del terremoto nei Comuni indicati nella seguente tabella: COMUNE | MortI ali | | Africo st ME EL Bianco, frazione Zoparto . | 2 | Id. altre frazioni. . .| | BOVO I | Casalnuovo d’Africo ... .| 2 | Ferruzzano ito a Wi | LI5S Maropati Portigliola . San Luca . Mep È: | Sant'Agata di Bianco. . . | Sant'Eufemia d'Aspromonte | Î Sant'Ilario del Ionio . Seminara . (50) S. Fertiando ‘0° Sta Firenze (Quarto C.) . . (12) Sarajevo. RMZEUEOAAR) Firenze (Xim.)...|. e e(18) Shide: 06. (pare eta) Bino N RIMA DION I n e RITI Hriburgo «i; Br Legio Sofia. ca e GOULINSA .. "0 ie MI Strasburgo ©. “0° 1275438) Granata 00 2 AMOS) Taschkcenk' °° eroi Giriz.: 1 0/ OSTIA SASA) Temesvér n ea) Heidelberga. . . . . (36) Tiflig® 0A, CIR DI Hohenheim . . . . . (32) Trieste»). I] + 002008.) Ischia (ui 102 SZ MTA 0) Uppsala: 4 ie aaa) Jengi aytin Ea Urbino ae AI are Tie de altere Vallebta tile Kremsmiinster . . . . (28) NEDEZIO into © LL e EIA Lipsia Dr e 0) Viensa:; lt, 00: e e Lubiana da: reti 92) ZASRDIIA: tI e Per seguire lo stesso procedimento che si usa dall’Ufficio Internazionale per le ricerche sismiche a Strasburgo, ho calcolato la distanza angolare delle stazioni con la formola: sin? 5 = sin? 3 (P — po) + cospceosg sin? 3 (A--)), dove a è-la distanza angolare cercata, go e \ la latitudine e la longitudine del- l'epicentro, p e X i valori delle stesse coordinate per la stazione che si considera. Ed ho calcolato la lunghezza dell'arco di circolo massimo corrispondente alla distanza angolare a, prendendo come valore del raggio terrestre il raggio di una sfera, la quale abbia lo stesso volume della terra: allora la lunghezza @ dell'arco è data dalla formola : d 1153, 18 oe e la lunghezza d' della corda è data dallà formola : d' = 1274059 X sin "- ; Nel trascrivere i risultati delle registrazioni sismiche ottenute nei diversi Osser- vatori, ho adottato le stesse notazioni e gli stessi simboli, di cui mi sono già ser- 13 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 387 vito nella Memoria sul terremoto del 1905 e che sono quelli detti comunemente di Gottinga. di (undae primae ), primi tremiti preliminari; S (» secundae), secondi , a ; L (|, “dongae ), principio della fase principale; M (, maximae),, massima ampiezza; C (, coda ), principio della fase susseguente; F ( », finis. ), fine della registrazione; TT è il periodo completo dell’oscillazione ed A l'ampiezza dell’escursione contata dalla linea mediana; i (impetus) denota un impulso ben distinto e preciso; e (emersio) il sopravvenire d’un movimento che si avverte a poco a poco; v, 7, indicano rispettivamente che il movimento fu giudicato d’origine vicina, lontana o lontanissima. Riguardo al carattere della scossa o della registrazione, l'intensità della scossa è segnata nella scala del Mercalli, e le indicazioni /,, ‘>, {3 significano rispettiva- mente che la registrazione è stata debole, mediocre o cospicua. A proposito della fase principale bisogna osservare fin d’ora che i sismologi non sono d'accordo intorno al punto dove questa incominci. Alcuni considerano come principio della fase L il principio di certe onde di periodo molto lungo, ma di pic- cola ampiezza, che seguono immediatamente le onde rapide della seconda fase preliminare (initial phase di Omori), altri fanno incominciare la fase principale con alcune onde molto più ampie e con periodo tuttora lento (slow period phase), altri infine pongono il principio della fase principale nel punto, dove incominciano delle onde alquanto più rapide (quick period phase), le quali comprendono ordinariamente le ondulazioni di ampiezza massima. Inoltre, siccome la maggior parte degli apparecchi sismografici attualmente in uso (eccettuati i pendoli di Wiechert e aicuni esemplari dei pendoli di Omori) non hanno uno smorzamento conveniente, riesce anche difficile stabilire l'istante nel quale incominciano questi diversi gruppi di oscillazioni, essen- dovi per lo più nella registrazione uno spostamento di fase. Perciò vi è ordinaria- mente qualche incertezza intorno al principio della fase L: io credo che si debba prendere come principio della medesima fase l’istante in cui sopraggiungono le onde ampie e relativamente lente che costituiscono il secondo gruppo di Omori, perchè la considerevole ampiezza delle oscillazioni di questo gruppo, in cui si hanno talora le escursioni massime, corrisponde bene all’idea di fase principale; ma è utile consi- derare separatamente, ove sia possibile, questi tre gruppi di oscillazioni che indi- cheremo con L’, L", L'". Con t,, ta, ©, 1, 1’ indichiamo rispettivamente i tempi impiegati nella pro- pagazione delle onde P, S, L', L", L'". Ecco ora i quadri che riassumono i risultati delle registrazioni : 388 G. B. RIZZO 14 1. — Messina. Istituto di Fisica terrestre della R. Università (G. B. Rizzo). p=38°12’ No a. 1500300! a=0527! d= 50 Km. dl. —50%Km: Microsismografo “ Vicentini, a tre componenti; (Toi. = 240=11) 188) 1000) EA Carattere | Fase Ora Te (dl AA Osservazioni LARDO: î 20.28 215 Per la violenza dell'urto le pennine scriventi uscirono fuori della striscia. T,= 02 2. 2. — Catania. R. Osservatorio Astronomico ed Etneo (Prof. A. Riccò Dir., Ing. S. ArcIpracono Ass.). o = 37°30' N; \=15°5 E. oe 0576 = Doe 0a A. Microsismografo “ Vicentini , a tre componenti; T,= 2,4, b= 70:10 B. Grande Sismometrografo “ Agamennone ,; 7) = 105, I= 12,5: 1. Carattere Fase Ora 14) A Osservazioni IV O | 920. 9gm 9243 A cagione della maggior sensibilità | RI 928 29 del Microsismografo “ Vicentini , | 9 ses | ok per ì movimenti d’origine vicina, (Mp)xe #° pl 3°-6 co È e anche a cagione della maggiore (Mp)xw| 21 30 3-6 43.5 nitidezza delle sue registrazioni, 1 49 consideriamo come istante del prin- cipio 20. 28" 245. 8. — Palermo. R. Osservatorio Astronomico (Prof. F. ANGELITTI). Pi=80° 7 Ni = 139210: a=2°9' d= 239 Km. d' = 239 Km. Carattere | Fase Ora D A Osservazioni II iL | 20°28m57° Nell’istante indicato (che, per le spe- $ ciali circostanze in cui fu determi- nato, deve ritenersi esatto entro un secondo) il Dr. Gori, mentre osser- vava al circolo meridiano, avvertì, sebbene in modo leggerissimo, la scossa del terremoto. La scossa fu anche avvertita dall'inserviente, che trovavasi mella stessa sala meri- | diana. Questo istante corrisponde probabilmente al principio del . 2° gruppo d'oscillazioni della fase i principale del movimento. mi — PLEBE 15 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 389 4. — Valletta, Malta. Osservatorio Meteorologico dell’Università (C. LrAcH). i 95054" Ni A 14931E, ai=:2° 29’ d= 276 Km. d'=276 Km. Pendolo orizzontale del Milne; 7° = 205, 1®® corrisponde a 0''.38. Carattere Fase Ora da A Osservazioni E P 20. 28m, 65 Il sig. Leach, nel comunicarmi i ri- E 99 4 sultati della registrazione, poneva M 9929 155 | gmmg4 L=20* 29".5; ma un attento esame ’ CINigi della copia della registrazione me- 38,0 desima mi fa ritenere come più F 59 probabile L=20° 29%.4, e sarebbe questo il principio del 3° gruppo di oscillazioni della fase principale. ti=093 =], 5. — Caggiano, Salerno. Osservatorio Meteorologico-Geodinamico (P. ATTARD). p=40°34' N; \=15°830' E. ui==2°33" d= 284 Km. d'= 284 Km. Sismometrografo “ Agamennone ,; 70 = 65, IL,= 12.5. Carattere Fase Ora 1a) A Osservazioni Ia iP 20. 28m 515 Lo stato dell'orologio non è ben co- BozLxr 29 36 i a può raggiun- - cere + s in 29,7 | gere + dU. (M)ve 51,1 65.6 |14mm 5 (M)yw 29,9 6.6 9.1 (Ma) xw 31,4 6.8 Cc 84 F 48 ca. Ti = 0 328 + 205 te 408 Siccome dall'insieme delle osservazioni fatte a distanze poco differenti risulta come ora probabile di P 20" 28% 405, la correzione probabile dell'orologio è —115 e quindi si ha: ui 2029= 255. e = 68 ed è probabilmente il valore di 1". 390 G. B. RIZZO 16 6. — Ischia, Napoli. R. Osservatorio Geodinamico (Prof. G. GRrABLOVITZ). 1 pe 40%44' 5 N; A 18° 550. n= 53410 d= 354 Km. d'—= 354 Km. Due coppie di Vasche sismiche “ Grablovitz , e di Pendoli orizzontali al Porto d'Ischia e alla Gran Sentinella. | Carattere | Fase Ora ‘E A Osservazioni — i 6 | -_—— — = I, | P 2). 28m 58s | C'e C" segnano iî principio della fase N | 929 32 susseguente nelle vasche sismiche | I 90 7 e nei, pendoli orizzontali; così F" - | serio | 7 ed F" segnano la fine delle regi- Mi 30 30 2004 strazioni nei due gruppi di stru- (Ol SONA menti. | 61L 36 20 In occasione di questo terremoto non | P' | 40 30 funzionava il cronografo, perciò gli 321 25 DI istanti sono dedotti dalle velocità | F 45 dei motori e vi è un’incertezza +20* | | nei valori assoluti del tempo, senza | | che ne vengano affetti gli intervalli tra una fase e l’altra. | E probabile che l’ istante indicato per S segni invece il principio del | | | primo gruppo di L, essendo inco- minciato a 20° 30” 7s il 3° gruppo. tj, = 0% 398 t = 1188 Ti — 488 Dalle osservazioni fatte a distanze poco differenti si deduce come ora probabile di P 20° 28% 475; perciò la correzione probabile è —115 e si avrebbe perciò inare Liei MOI 7. — Rocca di Papa, Roma. R. Osservatorio Geodinamico (Prof. G. AGAMENNONE). p=41°467 N N=12°45/08: o =4°:32'5 d=505 Kn d' = 505 Km. A. Nuovo Microsismometrografo “ Agamennone ,; Kg. 1500, 7,=25.6, Iy=" 160. B. Microsismometro “ Agamennone ,; Kg. 500, 7 = 45.2, So = 60. C. Sismometrografo “ Agamennone , a doppia velocità; Kg. 200, To=4.6, D=14. D. Pendolo orizzontale N-S; 7o=275.2, b=1. E. Pendolo orizzontale E-W; 7 = 265.6, J=1. | | Carattere Fase | Ora Shi A Osservazioni | | I P, | 20° 29m 05 | | Sulle striscie dei sismografi A e B vi P 9292 | erano le traccie di alcune pertur- P. 29 99 | bazioni locali, quando incominciò (Pole | sò la registrazione del movimento Pp 29 18 | i sismico. Consideriamo la registra- ho SEE | .i 29 47 zione sul sismografo A che è il più E 29 45 sensibile: vi fu un principio incerto, | | i come ebbe la cortesia di scrivermi | | | il Prof. Agamennone, a 20028255 | e un principio sicuro a 20%29"19". | Facendo la media e dando un peso | i doppio all'istante del principio si- | | curo, si ha: P=20"29%.0. | | Assumiamo per S l'istante 20"29"45%, | in cui venne a scattare la grande velocità nel sismografo €. Tee O Ta == 205 17 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 391 8. — Sarajevo, Bosnia. Osservatorio Meteorologico (M. RiBsarIcA; 0. HarIscH, Agg.). = 43° 52" N; \=18°26' E. ao=6* 6° d= 678 Km. d' = 678 Km. Microsismografo “ Vicentini, con due componenti; 7 = 25.2, L= 120:1. Carattere Fase Ora phi A Osservazioni I Pu 20° 28m 535.4 | Vi furono diversi massimi, e nella P, 98 54 fase finale si osserva una serie di S& 99 54 DEOSponI sinusoidali col pe- riodo di 6°. SE 29 59.5 Gli istanti di P e di S devono essere Ly 30 58 affetti da qualche errore. Le 30 42 L= 20" 30" 50° segna probabilmente M. 91 49 Zum g| il principio del 1° gruppo delle VM. 31 97 12.8 È oscillazioni della fase principale. ME ‘ C ? F 40 (ri= 035? Ta=10300) A a 9. — Carloforte, Is. S. Pietro, Cagliari. Stazione astronomica internazionale (Dr. L. VoLtA). 998 N a =8°19 E. USI d= 686 Km. a. 685 Km. Microsismografo “ Vicentini , con due componenti; 7= 28.3, Jo= 501. Carattere Fase Ora TP A Osservazioni L e P 20° 29,53 L’istante del principio non è ben der 30,8 chiaro, essendovi sulla striscia le LES 30,9 tracce di movimenti locali. Mxe 31,2 LT NW 32,2 33,5 F 40 ca 392 G. B. RIZZO 18 10.-—#Urbino: Osservatorio Meteorologico-Geodinamico (Prof. T. ALPI). @="43° 435 Ng \ 1203068 a=b°17° 004/699 d' = 698 Km. Sismometrografo “ Agamennone , a doppia velocità; To=550, L=12. Carattere Fase | Ora Sh A Osservazioni L P | 20.98m 498 Si assume come principio della fase P | | l'istante in cuì scattò la “ grande velocità ,. Del resto la registra- zione fu debolissima, presentando un semplice ingrossamento della traccia intorno a 20% 80-20. 32", (t, = 0” 30). La determinazione del tempo è incerta. 11. — Siena. Osservatorio Meteorologico della R. Università (Prof. S. LUSssanA). = 43020" N; A=11°20' E. a= 6° 24° d= 712 Km. di. — 718 Kmi Microsismografo “ Vicentini, con due componenti; 7n=2%4, L= 120:1. Carattere Fase | Ora (et berto Osservazioni 6 L P i 20. 28m 558 | | M SG 70m na 40 (t, = 0% 369). La determinazione del tempo è incerta. 19 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 393 12. — Firenze (Quarto-Castello). Osservatorio Geodinamico (R. STIATTESI). p=43°49" N; \= 11° 41’ E. a 69:40’ = 741 Km. d' = 740 Km. Pendoli orizzontali del modello massimo “ Stiattesi ,; Kg. 500, (7o)xy=" 215.4, (CS ACCRVE Ae Carattere Fase Ora IL A Osservazioni L Pr 20° 29m 595 Gli istanti di Py e Pe sono scritti (DS 30 00 sopra una copia del diagramma S 91 02 che mi è stata favorita dallo Stiat- E È a tesi, gli altri elementi della regi- Lx 32 29 strazione furono dedotti dalla stessa Mx SOMMO 85.0 | 7mm.7 copia della registrazione. Ma vi M; IDO 10.0 5.0 deve essere un piccolo errore nello O; 37 stato del cronometro. F 50 ca. (ri == 12403) i (1.109): 13. — Firenze. Osservatorio Ximeniano (P. G. ALranI d. S. P.). DAI Ne ALI 15. ai 69,48" d= 756 Km. di==MobKm. A. Pendoli orizzontali “ Stiattesi ,; Kg. 500, To = 205, L= 50:1. B. Microsismografo “ Vicentini , con pantografo. Carattere Fase Ora n A Osservazioni I (Pix 20° 28m 415 | L'ora Sue sulla RRRoTonie E-W dei P 928 51 pendoli orizzontali “ Stiattesi , è ( BI s 929 E | stata dedotta da una copia del dia- BJor. gramma sismico che mi è stata fa- B)vert Da 9 | vorita dall’Alfani: gli altri ele- Ly) 30,8 menti sono pubblicati nel “ Bollet- (Mi) 392 46 Qmm ()| 195.5 tino sismologico dell’Osservatorio Mi): ae ne (Mp)or. 33, 6 6.0 | 11.6 Ei | 21 26 | Ì I (t1=02298 1=20,5) Vi fu probabilmente l'errore di 1" nell’indicazione del tempo. Seris II. Tom. LIX. 2 394 G. B. RIZZO 20 14. — Pola, Austria-Ungheria. I. R. Istituto Idrografico della Marina, sez. Geofisica (Cap. W. KessLITZ). = 44052" N; V—19%/500E ci d= 782 Km. d'= 781 Km. Microsismografo “ Vicentini , con tre componenti; (To)ori.=25.24, (To)vert.=05.92, (Io)oriz.= 107 : 1, (Zo)vernt.=139:1. | Carattere Fase | Ora DI A Osservazioni I, I. Py | 202292545 | Siccome la seconda fase è general- bora Co 3, e mente più cospicua sulla compo- | S. 31 8 nente trasversale alla direzione di NE 56 propagazione del movimento, assu- ca Dr ui | miamo per S l’ora di E 94 d | Se = 208 312 85 My 33 8 RO î ] M; sl 8 FA | E 38 6 15. Sofia, Bulgaria. Istituto Meteorologico Centrale della Bulgaria (Prof. Sp. WaArzOF). PAZ NILO = 74! d= 804 Km. d'= 803 Km. Pendolo orizzontale pesante, modello di Strasburgo; 70 = 215,9, L=" 10:1. Componente N-S. | | Carattere | Fase | Ora Iki A Osservazioni ran | | | | L7# 3/5 e | 20% 31% 405 | | La registrazione fu molto debole. es ‘189. (01 | 1-28.5 | Da 20"32"43% a 20%35"35* vi fu un dre 92 43 | 9 gruppo di 17 ondulazioni di am- VAfaE SE ; piezza progressivamente crescente. | M i 13 |0224 sulla componente E-W non vi fu re- | (6 35 35 8 _ gistrazione visibile. F 45 | E probabile che l'istante dato per P | sia quello di S, e che S sia vera- | mente L”, essendo L l' istante | (RT T, = QMA78 O nl =gmdd8 1° 4IGS 21 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 395 16. — Fiume, Ungheria. I. R. Accademia di Marina. q==45921% N; L14026" E. a= 7°24' d= 823 Km. d' = 822 Km. Microsismografo “ Vicentini , con due componenti. Carattere Fase Ora TE A Osservazioni LE Py 202 99m 995 I dati che qui si riportano sono de- Pi 30 52 | dotti dal “ Bulletin hebdomadaire 5 39 02 des Observatoires sismiques de la N Hongrie et de la Croatie ,. Le 82 17 Se si osserva che vi è una grande Mx ? 35.0 | 2Mm) | differenza fra Pye Pe, che nel dia- 4 95 12 gramma non era visibile altro inizio C. 96 47 di S, e che in generale all’inizio E della fase S si ha un aumento nelle F ? ampiezze delle oscillazioni in dire- zione trasversale, cioè, nel caso nostro, nella direzione E-W, si vede che probabilmente a 20%30" 52° vi è il principio della fase S. Inoltre è probabile che qualche per- turbazione accidentale abbia ma- scherato il principio di P. (ri 1055) Ta =— 20995 ARIEL 17. — Belgrado, Serbia. R. Osservatorio Astron. e Meteor. (Prof. M. NEDELKOVITCH). i @ == 44%48' N; XA 20°9 KE. ai="° 20” d=S20 Km. d'=="826 Rm, Microsismografo “ Vicentini-Konkoly , a tre componenti; (Z)y=63:1, (I)e=96:1, è (Lo)vert. i 20 ì 10 Carattere Fase Ora T A Osservazioni iù a5S 20.292 405 Le indicazioni qui riportate sono de- Pi 29 41 dotte dalle “ Vochentliche Erdbe- L 90 47 benberichte , dell'Ufficio Centrale N di Vienna: ma se si osserva che Lr 31 01 alla distanza di Belgrado difficil- My 92 34 jam 9 mente vi può essere un così grande Ms 92 05 1.0 ritardo del massimo rispetto al F 49 i principio della fase L e che non i era visibile altro principio della fase S, si è condotti ad ammettere come cosa probabile che a 30" 45* e a 31"015 siano incominciate le registrazioni della fase S, restando | incerto il principio di L. ti=19215 1,=20355 396 G. B. RIZZO 22 18. — Zagabria, Croazia. Osservatorio Meteorologico (Dr. A. MoHoRovicH). p=45°%49 N; X=150.59/. = 7047! d= 865 Km. d' = 864 Km. Microsismografo “ Vicentini-Konkoly ,. | Carattere | Fase Ora ‘ IZ A Osservazioni La P 20° 302 135 | Questi elementi furono calcolati dal Sk 91 58 | Prof. Mohorovich, ma è probabile S. 91 55 che gl’istanti considerati come Sy at esa | e Sr fossero invece il principio di L 33 02 | quelle onde più lunghe, colle quali Mx 33 96 622,2 taluno fa incominciare la fase prin- M; 33 21 14.8 cipale, e che a 20%33" 02* fosse il CAM 95 46 principio del 3° gruppo delle ondu- F | ri 1 lazioni della fase principale. ti, =10 548 Ti — QS7e vi de do 19. — Trieste. I. R. Osservatorio Marittimo (Prof. E. MAZELLE). p=45°39N: = 13° 46/05. a'='7%4B° d= 867 Km. d' = 866 Km. A. Pendoli orizzontali di Ehlert a registrazione fotografica; (T)xw=9 (To)sw= 73, (Te = 63 B. Microsismografo “ Vicentini, con tre componenti; IZ, == 100 : 1. | Carattere Fase Ora LT A | Osservazioni | | |- a SLI | ————=@"111 | | I VER 202302 408 | Siccome i pendoli di Ehlert sono | P. 20% 8 | meno atti a registrare, le rapide n È y q si oscillazioni della fase Pe in questa (Sp)x | 30 37 | - : B/N pei registrazione non si scorge il pas- | (Spe | 30 38 | saggio alla fase S e, d'altra parte, SPORE 32, 47 l'istante dato per Pa coincide nei a | 99 26 | i limiti degli errori d'osservazione, a, | “a o» con quello di Sp, è ragionevole (Mar | 39 51 33012,0 ammettere che l'istante dato per Pa (Mn) | PUBL DI | NIGRO, sia invece Sa. Quindi si può consi- I (Che | 35 26 | derare come risultato delle registra- | 21 51 zioni dell’Osservatorio di Trieste il Pi 40 | seguente sistema di valori: fi | | P_=20° 30% 08 | IZ 52 26 | Tuttavia nella determinazione di $S i vi ha qualche errore di interpreta- | | zione del diagramma | | == (to, = 2199) 7 iQ, 23 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 397 20. — Venezia. Osservatorio Meteor. e Geodinamico del Seminario Patriarcale (Dr. E. H. 0°-CARROLL). = 45%26" Ni XA = 12920”. IE d= 878 Km. d'= 877 Km. Microsismografo “ Vicentini , con tre componenti (T)oriz. = 28.4, (Io)oriz. = 96 : 1. Carattere Fase Ora 14 AD kl Osservazioni IP Px 20° 29m 495 15.5 | 0mm2| È probabile che nell'istante stimato Sx 30 6 2,5 10.0 | come principio della fase Sw vi sia È 32 51 3.0 | 17.0 stato soltanto un cambiamento nella N : : direzione delle oscillazioni della My 35 31 24 22.0 fase Py e che il principio di Sx Oy 388 381 8.5 2.0 sia avvenuto più tardi, in un istante F 42 | non determinato. Ti 308 (aa 1° 470) e ae 21. — Padova. Istituto di Fisica della R. Università. Osservatorio Geodinamico (Prof. G. VICENTINI). = 45°24' N; \= 11052”. ei S34 d= 891 Km. d'= 890 Km. A. Mîcrosismografo “ Vicentini, con due componenti, smorzato: To= 68.7. B. Microsismografo “ Vicentini , con tre componenti; (7o)oriz.==2°.3, (To)vet.=1.2. Carattere Fase Ora ESME A Osservazioni | L (Pi 20° 302 115 Nel “ Cenno Settimanale , pubblicato P, Spia dall’ Istituto sono dati rispettiva- (La) 33 17 | | mente come principî della 2° fase A/3 | in Aein B 20°338"17° e 20833"148; (L8)s 33 14 | ma nel “ Bollettino mensile , si (Mi) | 35 12 : 5,87 |142m0(| legge che in questi istanti vi è un My 35 ca. | | >28 rinforzo di oscillazioni pendolari, F 87 | perciò questi istanti segnano pro- LOCA, babilmente il principio del terzo | gruppo delle ondulazioni della fase principale nei due strumenti. = 1049 pe 41565: 398 G. B. RIZZO 24 22. — Lubiana, Carnia, Austria. Osservatorio Sismico (Prof. A. BELAR). © =460:30N: A ==140.B1° a=:8°6 d= 901 Km. d'= 900 Km. A. Pendoli orizzontali di Ehlert a registr. fotogr.; (To)y=125, (To)xe=75, (To)xw=68. B. Microsismografo “ Vicentini, con tre componenti. Carattere | Fase Ora i Tr A Osservazioni PORRO RR PER | Li (P.): 202302 565 A cagione della maggior sensibilità PAL 30 44 del microsismografo “ Vicentini (Po) £ | IOTRQBTAIO | SV AGGRSIRI > P;)x 30 49 | | per le oscillazioni rapide, si può (Pi)xw E ammettere che il principio delle P; 30 03 | | registrazioni sullo strumento 8, | (La)s 32 08 | nen il principio della prima fase Ya 31 40 preliminare ed inoltre è probabile at 392 08 i che Lxy=20*32"08° segni il prin- B)x cipio delle ondulazioni del 1°gruppo (Ln 51 41 | | della fase principale. Quindi con- (My 94 15 | 5722. 6 sideriamo per Lubiana: (Me)b | 89 24 DZ ‘da 20% 30" 035 Fo | | L'=20 32 08 Fr | Tj== 1 448 TT =80499, 23. — Temesvar, Ungheria. Osservatorio Meteorologico-Geodinamico (Prof. Ed. v. Berfoz). = 45° 45/5 N: A=21°16' E. a=8°98! d= 960 Km. d'= 959 Km. Microsismografo “ Vicentini, a due componenti. | | Carattere | Fase Ora Abi 40 ‘| Osservazioni | Il Li, Pyw 20° 302 485 | Nel “ Bull. hebdomadaire des Obser- Se 931 99 | vatoires sismiques de la Hongrie S | 91 58 | i et de la Croatie ,, l'ora 20.31"395 NWI | | è segnata come principio della re- NE | 32 59 | gistrazione sulla componente NE Mwe | 934 19 45 jam 7 | ; i ag sì prende come principio Misa | € °) | 29 | dellasecondafase preliminare sulla 0 po | cr » 4 2,3 stessa componente l’ora: 20%82%595; ANE, | si v ma è probabile che le prime regi- Cw | .. 37 40 | strazioni visibili sulla componente F 49 1 i NE vi segnino il principio della i seconda fase preliminare e che il | secondo istante sia il principio del secondo gruppo di oscillazioni della fase principale. | Inoltre è probabile che il principio della registrazione sia stato ma- | scherato da qualche perturbazione | locale. (tr, = 22/299) Ta — 92 29 t'— 40408, 25 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 399 24. — Moncalieri, Torino. Osservatorio del Real Collegio Carlo Alberto (Prof. G. PENTA). p=45%00 N X\=7°42 E. a= 9° 22 d=1041 Km. d'=1040 Km. Pendoli orizzontali “ Stiattesi ,; 260 Kg., To = 85 L= 25::1. Carattere Fase Ora TT: A Osservazioni | e | È 20% 30m 228 Questi risultati mi furono gentilmente Sa 91 22 45.0 | 027 comunicati per lettera dal sig. Di- Sc 91 36 9.6 1.0 rettore dell'’Osservatorio e differi- E ae) : scono alquanto da quelli pubbli- Lx 32 33 cati nel Bollettino meteorologico- Le 32 42 geodinamico So eratorio di 9 | Moncalieri per il mese di Ottobre. Di i È 3 | er L'ora di Le= 20322425 è probabil- E ; ; s mente il principio del 1° gruppo Ch a. È d’oscillazioni della fase principale. E F 53 Ti == Ta = 398 T =40285, 25. — Budapest, Ungheria. Osservatorio Sismico (Prof. R. v. KòvesLicetHy, Dr. Pécsi ALBERT, Ass.). AG IZION: = 19%45, a'= 9° 42 = 1078 Km. d' = 1077 Km; Pendolo astatico di Wiechert; 1000 Kg. Carattere Fase Ora | SA A Osservazioni I Px 20° 30m 375 I Nel “ Bull. hebdomadaire des Obser- om 32 30 | vatoires sismiques de la Hongrie et Ss 92 46 de la Croatie , l'istante 20° 32% 465 E CHE | | è dato come Pr; ma evidentemente Ly 33 57 | | questo istante appartiene alla se Le 33 53 conda fase e con tutta probabilità Mx 94: 17 | 750 | 5mm4 ne segna il principio sulla compo- M 34 10 16.0 | 5.9 nente E-W. Tuttavia, siccome la | È CE I i registrazione della componente N 05 42 41 | è più completa, riteniamo per S F usi | l’ora 20h32"30% ed L"= 20533557°. Tg = 2 185 To =42 115 Eula=5388; 400 G. B. RIZZO 26 26. — Graz, Austria. Istituto Fisico della I. R. Università (Prof. L. PrAunDLER Dir.; R. BENNDORF). q=47°46" N; \— 15°27' E. a = 9°45' d= 1084 Km. d' =1083 Km. Pendolo astatico di Wiechert, 1000 Kg.; To=115, w=5:1, ee=6:1, (Z)x=140:1, (Ie = 150 1. Carattere Fase | Ora ill EDI A Osservazioni I, r P_ | 20°30w285 | | S 32 12 | 2 3 peo Lol 3900 a F 21 10 | nad: t,=20 98 Ti==59: To = 27. — O°-Gyalla, Ungheria. R. Osservatorio Meteorologico-Geodinamico (N. Th. v. KonKoLy jr.). @ .=47°52° Ns A =18242k a.=.99.57 d= 1106 Km. d'— 4004. Pendoli orizzontali di Bosch; (T)y=285, (To)e= 215, Aiiet01 Code=10 Carattere | Fase Ora CALI A n Osservazioni res È RI Ls oa 20° 30m 365 | Mx 92 02 | EI My 32 04 i) Ck d4 30 | Fx 43401 | 28. — Kremsmiinster, Austria. Osservatorio della Fondazione dei Benedettini (Prof. Tramemo ScHAwARZ). p— 48413 Ne 140.85. dial 0r7) = 1125%Km; d'=1123 Km. Pendoli orizzontali a registrazione fotografica di Ehlert; (To)yx=(7o)xe=(T7o)e=5*. | Carattere Fase | Ora 15 AOC Osservazioni ngi a | Jo, cp 20"3]m 328 | | Trattandosi di strumenti a registra- vi 94 19 | zione fotografica e con periodì di alt | oscillazione piuttosto lunghi, è pro- My 39 43 400 | babile che non sia riuscita ben Mp 36 8 27 | chiara la registrazione delle prime My 36 25 41 | vibrazioni. F 52 (11 = 82135) 1”= 6008, 2 27 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 401 29. — Vienna, Austria. I. R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (Prof. J. M. PERNTER, Dr. V. ConRAD). DIE EICERONIA 1029. pi Ponto: d= 1136 Km. d' —='1134 Koi. Pendolo astatico di Wiechert; (To)y=118.5, (To)e= 118.9, ey=3.9:1, e@e=5.7:1, (me =20bh (e = 179:1. Carattere Fase Ora T | A Osservazioni if Pi 20° 30m 345 | Assumiamo per L il valor medio P, 30 39 fra LN a DE e questo è probabil- È te il valore L'. S 32 82 LTS Ly 34 15 E DIM My 54 9 ue 80u Me SAID nol 125 F 21 20 Ti 2tor Taio Ri 9950, 30. — Monaco, Baviera. R. Osservatorio Magnetico e Stazione Sismica (Prof. Dr. J. B. MESsERSCHMTT). == 4899 JA 36.5. u=.109 37 d= 1180 Km. d'= 1178 Km. Pendolo astatico di Wiechert; T,= 125, L= 200 :1. Carattere Fase Ora Ri A Osservazioni Test Px 20° 302 405 25 2-3u | Assumiamo per L il valor medio Pa 30 44 9 163 fra LN ed Lr e questo è probabil- S 32 25 Toti ZI e ie SE 32 23 3-5 8-15 Lx 89 40 ) 10-300 Lr 54 14 3-12 |10-150 My 36 30 9 340 Mg 35 50 DR! 190 | Cy 39 6 10.40 Ck 41 2-8 5-30 F 21 ca. EMAIL = 55 T° = 5m 985 Serie II. Tom. LIX. TE 402 G. B. RIZZO 28 81. — Friburgo i. Br., Germania. Stazione della Commissione Sismica di Karlsruhe (Prof. Dr. M. Ham). @=48°00' N; A=7°52' E. apr. d= 1292 Km. d'=1290 Km. Pendoli orizzontali a registrazione fotografica di Rebeur-Paschwitz, Hecker ; Ty ==905; do = 981: Carattere Fase Ora Sh A Osservazioni Iter ;--L | 20. 340473 Dalle copie dei diagrammi, che mi e; 37.0 gum ha favorito il Prof. Haid, non ho | F | 91 25 | potuto dedurre con sicurezza altri | | gi N elementi. "— gm 985, * 32. — Hohenheim, Germania. Gabinetto di Fisica della R. Scuola Super. di Agricoltura (Prof. C. MacK). @=48°43'.N; X/= 9°13' E. = AT d=1310 Km. d'=1308 Km. A. Gravimetro trifilare di A. Schmidt; 7,= 15.5, LLl= 400:1. B. Pendoli orizzontali di Bosch: (7))xy=105, (To)e= 68, (Z)y=60:1, (De=36:1. Carattere | Fase | Ora 14) A Osservazioni Is, r Fa 20° 312 005 La semi-ampiezza dell’ oscillazione (Po) 31 00 massima del suolo durante la fase SO è 33 10 principale fu calcolata così: DA o (Sp)e 33 16 | inte Li AO A I (Ms)e= 100, (Lp)x 34 00 | | Gli istanti (Lp)n = 20° 34% 00% ed (La) GIS i | (La)e= 20% 35% 11* corrispondono M 96 48 108 | 1um 9 | probabilmente al 1° e al 3° gruppo Ta 97 ( 1 0.2 a delle oscillazioni della fase princi- ETA L dh di due i pale, secondo Omori. Mp)e SY | VU. | F 21 ca. | | t,— 2418 Ts — 4 548 t—- 50 4]5 TU — 69528. Pe 29 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 403 38. — Strasburgo, Germania. Imperiale Stazione Centrale per le Ricerche sismiche (Prof. G. GerLAND Dir., Dr. C. MAINKA Ass.). pi=488395 N; XV 7° 46. a 129 d= 1351 Km. d' = 1348 Km. Risultati complessivi dedotti da tutti i sismografi della Stazione, secondo i cal- coli del Dr. Mainka. Carattere Fase | Ora Dall A Osservazioni Bir P 20° 312 005 Vi fu una lacuna nella iscrizione dei be 39 37 minuti al principio della registra- S 39 6 | zione e perciò l’ora di P, essendo E ui | dedotta dal movimento delle stri- Ly 35 5 scie, è soltanto approssimata nei Ls 34 3 minuti. My 37 5 Gli istanti M; 37 5 115-125) 60p | Le=20%3403% e Ly= 208505» A Fx 21 23 12 70 u corrispondono probabilmente al 1° ed al 3° gruppo delle oscillazioni | della fase principale. (ri= 3) T, = 5" 185 t—= 620 de 2 34. — Durlach, Germania. Stazione della Commigsione Sismica di Karlsruhe (Prof. Dr. M. Harp). = 49° 00 N; \=:8°29° E. 2496 d= 1364 Km. 1° —Toobmn: Pendoli orizzontali a registrazione fotografica di Rebeur-Paschwitz, Hecker; by 908 1,= 93 1. Carattere Fase Ora E A Osservazioni bar Pr 202 302 485 Questi elementi furono dedotti dalle S 3931 copie delle registrazioni che gentil- H 941 | mente mi inviò il Prof. Haid. È pro- N na babile che gli istanti Ly=20°%34"% 15 Le 35,0 | e Le=20%35"0* corrispondano al 1° Mx 36,9 | 258 | 2Qmm5 e al 2° gruppo delle oscillazioni M 36,7 13.0 ; della fase principale. F PA RO Ti _ Qu 298 To = 4m 8 14 _ 5.8 CM rai 07: 404 G. B. RIZZO 30 35. — Cracovia, Austria. I. R. Osservatorio Astronomico (Prof. M. Rupzxi). = 5004" N; X= 19° 58' E a, = Bit di=1573 Km. ‘= 1870 ki Pendoli orizzontali di Bosch-Omori; (T))xe = 31°, (To)xw = 265, (D)ve=10:1, (D)xw= 9.6: 1. Carattere Fase Ora q A Osservazioni l,,r Li 20% 34,75 Il Prof. Rudzki, nella lettera con cui Mis 36.9 Qmm 6g | ha avuto la cortesia di comuni- NA Îì LI 74] . Soa carmi questi risultati, considera Cnr | 37,4 il principio della registrazione F 45 9° 20%34%,7 come principio della fase P; | ma, se si osserva che, per la di- stanza di Cracovia, sarebbe troppo piccolo l'intervallo fra Ped M e che pure nel massimo l’ampiezza dell’oscillazione fu soltanto 09,6, si vede nell’ora indicata che inco- mincia la fase L (probabilmente L') e che le fasi preliminari non erano state registrate in modo visibile. Tt—= 604. 36. — Heidelberga, Germania. Osservatorio Astrofisico di Kònigstuhl (Prof. Max Wotr). p =490 94" N N =B043 0: a = 12°92 d= 1393 Km. d'=.139k Km, Pendolo astatico di. Wiechert; 1560 Kg., (To)x = 85.1, (Toe = 75.9, Dx = 273:1, (De = 228 :1 ene=80 1 ZERO Carattere | Fase | Ora iP A--«| Osservazioni sa | n. Ì cri A u Ù er x TRST Py | 20.31 68 Consideriamo come valore di L il È > 9 7 | valor medio di Lx ed Le, e questo Di; | et 9 è probabilmente il principio del DE 33 23 | 8° gruppo di oscillazioni della fase Ly | 36 20 | principale. Le | 59 42 M'x | 56 34 fe ra] | M"x | 97 25 9 7.8 My 88 29 10 5.2 CE 44 28 | F 21 0 31 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 405 37. — Jena, Germania. Stazione Sismica dell’Osservatorio Astronomico (Prof. 0. Knopr, Dr. W. PecHAU Ass.). DICO RENI =). o=i13°28 —= 1497 Km: d'=1494 Km. Pendolo astatico di Wiechert; eZ) (Te=125 (e =160:1) We = 17011 e=4.5:1. Pendolo verticale di Straubel. Carattere Fase Ora IR A Osservazioni VIE. eP 20% 312 185 | 25 ca. Coll’apparecchio verticale e P a 14. eL 94 36 I due istanti di L nel pendolo di Cles Wiechert e nel pendolo verticale (eL) 35 24 7 @Li) vert. DANTE corrispondono probabilmente al 1° M 95 8 16 Ay=13 e al 2° sruppo di oscillazioni della Ar=42 fase principale. SRI 10 39 59 10 F 21 2 T,j = 29 553 t—= 62175 t'—=7253, 38. — Lipsia, Germania. Stazione Sismica dell'Istituto Geologico (Prof. H. CrepNER, D' F. ErzoLp). al 20N5 == 12235. E a='13%38 ==;1506..Km. di 1508.Km. Pendolo astatico di Wiechert; Tg = soin =22b:1, Ue = 2401 = 1, ie= 241 Carattere Fase Ora (R | A Osservazioni or Px 20° 31m 185 Pg oli (26 S deo L Sail M 36 10 dts ARS 37 20 | 11 (Azio Ax _ 13 e SI dia, F 21 9-6 Ta = 20609 To =9 92° La I 406 G. B. RIZZO 32 39. — Gottinga, Germania. Istituto Geofisico della R. Università (Prof. E. WiecHERT, Dr. L. GrIGER Ass.) ee p1°99" Na A,= 9%0804 a=14911" d—=1577 Km, d'=1573 Km. Pendoli astatici di Wiechert; 17000 Kg. e 1200 Kg. Carattere | Fase | Ora ma | A Osservazioni l,r | P |20*81m81s S d4 24 eL 36 M 36 50 16 Te 50 F Ql 15 T, ni Im 128 To = 6m 55 nat —_ 72,7. 40. — Potsdam, Germania. R. Istituto Geodetico (Prof. H. HeLmert, Dr. 0. HEcKER). pi=52928" Na MN=41394; a= 14° 30" d= 1612 Kn. ‘d' = 1608 Km. A. Pendoli orizzontali leggeri di Hecker a registrazione fotografica; Ti,,=«circa 15°; /g==A4S0% B. Pendolo astatico di Wiechert; Tp== GIrca W/5, MiB Carattere Fase Ora Pi CA Osservazioni sa | | ls, GEA 20.312, 48 | | | Considerando che l'ingrandimento dei 9 9s |*%y-7ul pendoli di Hecker è molto più si: | "i 3 op-7h grande e che il periodo proprio PISARSIII oa dell’oscillazione è quasi lo stesso e(Li)e | 35,6 nei due strumenti, si vede che i e(La)x 36 valori più probabili degli elementi Po Pl 36 | della registrazione ottenuta a Pots- (Ma): | 38 CIT dam sono i aa (Ma)x | 8g 55 P.== 20*81mn4 ni 21 25 | S = 20 844 | L'= 20 86. tire:S:1 Tac tas. % “e” steli SE NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 407 41. — Nikolajeff, Russia. Osservatorio Astronomico della Marina (P. BrovTZINE). mi 46°%58 N; X= 31° 58.5 E. a'== 14° 4l' d= 1632 Km. Pendolo di Rebeur-Paschwitz (nel piano E-W). d' =1628 Km. Osservazioni Carattere Fase Ora L,r S 20° 34m 55 fc M 36 33 | C ba F Al 25 42. — Cairo, Egitto. | t,= 6236 (2). Nelle osservazioni gentilmente comu- nicatemi dal sig. Brovtzine l'ora 201349 55° è data come P; ma se sì tiene conto del breve intervallo che separa quell’istante da M, e della scarsa sensibilità del Pendolo di Rebeur-Paschwitz per registrare le rapide oscillazioni P e della orien- tazione dello strumento, si vede che nell’ istante considerato incomin- ciavaprobabilmente laregistrazione della fase S, o forse il 1° sruppo di oscillazione della fase principale. Osservatorio Meteorologico di Helwan (B. F. E. KreLINxG Sup."'). uw=39°520 NI Vv = 919205 a'="15° 2° > Lote en d = 1667 Km. Pendolo orizzontale del Milne (mod. 1904); 7° = 14°. A Osservazioni Carattere Fase Ora T I S 20° 34m L 37 M 47 F ? Th= m'/ (2) | Nelle note comunicatemi dal Pro- fessor Milne, l’ora 20%37" è indi- cata come principio del movimento; ma è molto probabile che quello sia stato il principio della fase L e che il principio del movimento non sia stato registrato in modo visibile. Secondo una comunica- zione del sig. Keeling, l’ora del principio della registrazione sopra un sismografo oscillante nel piano Nord-Sud è 20°34", e questo è pro- babilmente il principio della fase S. i ALIA 408 G. B. RIZZO d4 43. — Granata, Spagna. Osservatorio di Cartuja dei PP. d. C. d. G. (E. M* S. Navarro S. J.). o =18741 Ni = 8%, We a=15044" d= 1749 Km. d' = 1744 Km. A. Pendolo orizzontale “ Stiattesi ,; 200 Kg., N-S, To= 213 L= 23:1. B. Pendolo orizzontale “ Omori ,; 106 Kg., NW-SE, 70= 18353, S= 30:1, cera = Vip. Carattere | Fase Ora To CA Osservazioni | | . . . . li, r | DI 20.310 258 65 | 7u | Le indicazioni del pendolo di Omori | B 31 25 5 6 sono più sicure, essendo lo stru- gÙ 394 20 13 39 mento protetto dall’azione delle cor- DA Cada | renti d’aria ed essendo noto il suo Ss S4 4l 8 | 17 | smorzamento. Li 37 26 | Ms 42 0 20 10 Ch 52 Ò 16 F | 21 22 Ty =92.68 ta = 9223 T =9078 44. — Amburgo, Germania. Stazione Centrale per le Ricerche sismiche (Prof. Dr. R. ScHùTT). ® =(53%94 N; \y= 10040 a=:169 5. d= 1788 Km. d' =1782 Km. Pendolo astatico del Wiechert, 1000 Kg., 70 = 125, Z°y= 180, e=5:1. Carattere | Fase | Ora (T A Osservazioni _ | A De. ra by ali 20% 310 585 Sx 3020 L28583 um SE 35 06 6.8 2 Lx 37 49 10 Le 37 12 |13.2-16.8 | Mx 39 04. | 8 11.5» | Ms 41 0 7.4 9 Cx 48 | 8.5 CE 47 | 9.5 F 21.020 ca. Tie" 390 Tor= DDA tua SD NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DFI MOVIMENTI SISMICI 409 45. — Shide, Is. di Wight, Inghilterra. Osservatorio Sismico (Prof. J. MiLne, F. R. S.). mes 500 4INNE V=1917 W. ale=17°:39° —= 1962 Km. d'= 1955 Km. Pendoli orizzontali del Milne. Carattere Fase Ora DI A Osservazioni I,r Sy 20.362 Il sig. Prof. Milne nota che la regi- SE 34 strazione, a cagione dei movimenti DI 37.5 dell’aria, era poco chiara. Eviden- : temente non era stata abbastanza M 40 visibile la registrazione di P, ed è F 54 Qum 5 probabile che il principio della re- gistrazione corrisponda approssi- mativamente alla seconda fase pre- liminare. E TA T =: 46. — San Fernando, Cadice, Spagna. Istituto e Osservatorio di Marina (Cap. T. pe AZzcARATE). = 36928" Ne X=.6°12 W. a=17°46 di= 1975 Km. di—=:1967 Km, Pendolo orizzontale del Milne. Carattere Fase Ora Te A i Osservazioni I,r S 20. 852.7 I movimenti furono piccoli. Nel “ Re Li 372 gistro , pubblicato dall’Osservatorio F 51.7 di S. Fernando l’ora 20*35".7 è data ° come principio della registrazione; ma evidentemente, a cagione delle particolari costanti strumentali, | non fu registrata la fase P. To == {pn T' — gm 9. eu 47. — Bidston, Liverpool-Birkenhead, Inghilterra. Osservatorio di Liverpool (W. E. PLumwmER). = b9°24 N; N94 W. a 2014 d= 2250 Km. d' = 2238 Km. Pendolo orizzontale del Milne. | Carattere Fase Ora TE A Osservazioni Ir L 203724 Nelle note gentilmente comunicatemi M 43 i dal sig. Milne si dà come imizio del M 57 movimento sismico l'ora 20374 si ma, per le ragioni già dette, è pro- babile che quello sia stato il prin- cipio della fase ZL e che le fasi P | ed S non siano state registrate. = 921, Serie II. Tom. LIX. R° 410 G. B. RIZZO 36 48. — Juriew (Dorpat), Russia. Osservatorio Astronomico dell’Università (Prof. Dr. G. LeviTzKY). p= 52°29' N; \==26043004: a=21°29" d=2389 Km. d'=2374 Km. Pendoli orizzontali a registrazione fotografica di Zòllner-Repsold. A: nel piano E-W, 70 = 305.98; B: nel piano N-S, Ty = 29.14. | | Carattere | Fase Ora MP gti ge Osservazioni Deli, | | Ir Je 20° 32m 545 | | Questi dati mi vennero gentilmente | S | 96 52 i comunicati dal Prof. Levitzky; ma, a | 399 45 | se si eccettuano le fasi P, M, F, \ s non è ben certo che vi sia una Mi 43 3 Men 0 precisa corrispondenza fra le nostre Ms 40 6 4.5 notazioni e quelle della Commis- Ci 48 18 sione Centrale Russa, seguìta dal isa j9 ‘0 | Levitzky: sembra però che l'accordo P 51 Ss sia sufficiente. | | | t,=42358 t,=8%985 1=11m268, 49. — Upsala,, Svezia. Osservatorio Meteorologico della R. Università (Prof. Dr. F. AKERBLOM). p.= 590,515 N; N=17°8705: a=21%54 d= 2429 Km. d'—= 2414 Km. Pendolo astatico del Wiechert, 1000 Kg., To=98.5 ca., ‘h=230:1 ca., e=4:1 ca. Carattere | Fase Ora | Si A | Osservazioni | { | der eP | 20° 32m 525 25 0u.4-0u.6 | Nell’istante MF l'escursione sulla com- eSx | 36.7 12 1.2 ponente N-S era 2 pu. iS | 36 57 8 2,5 Li 39,7 22 My 43,5 To 9 M; 41,3 10 8 C 8-12 FP |2145 | | | | ti=4" 33° Ta =.82 888 t—dilr& SU NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 411 50. — Edimburgo, Scozia. Osservatorio Reale (F. W. Dyson, M. A., F. R. S.). = 55°555 N. X==3° 11°, W. a—= 22° 3' d= 2452 Km. d' = 2436 Km. Pendolo orizzontale del Milne, E-W, 70 = 158 ca., 1"® corrisp. a 07.55. Carattere Fase Ora m A Osservazioni I,r L 20° 41m Intorno a 20.40" si incomincia a scor- | M 44 Qu 4 gere nel diagramma una debolis- °F 49 ) sima perturbazione. ssa Pila 51. — Tiflis, Caucaso, Russia. Osservatorio Fisico (S. HLAsEK Dir., P. STELLING). g=41°43’ N; A\=44°48' E. a'32201 45 d=2472 Km. d' = 2456 Km. Pendoli orizzontali di Ehlert: 1: W30°S, 2:N, 3:E30°S, 7==10° ca., A=65:1. | Carattere Fase Ora FP A Osservazioni dA P 202 32m 595 Questi elementi sono dedotti da una Si 37 02 copia della registrazione gentil- Ss 37 02 mente favoritami dall’Osservatorio Ss 36 55 di Tiflis e ne deduciamo: n 99 38 IPR2029 20528 1 Se 37.0 DI 41 07 pane M, 49,1 N] My 49,1 10 4.0 Mi; 45,1 3.0 F D) ti P1935 Ta = ST i Va 52. — Taschkent, Siberia, Russia. Osservatorio Astronomico-fisico (M. Ossiporr Dir., J. GULTJAEW). DE 200N: N69" 18": a= 40° 27' d= 4497 Km. d' = 4404 Km. Pendolo orizzontale a registrazione fotografica di Zòllner-Repsold. Carattere Fase Ora RR A Osservazioni 1, L (20° 562,3) Questi dati mi furono gentilmente M 59.6 gum 93 trasmessi dall’Osserv. di Taschkent; F 9 È i ma se si osserva come è breve, re- lativamente alla distanza, l’inter- vallo fra il principio della registra- zione e l'istante del massimo, si vede che nell’ora indicata per Lit cominciava probabilmente la regi- strazione del secondo, o forse del terzo gruppo delle oscillazioni co- stituenti la fase principale, mentre il vero principio non fu registrato. (1° = 28.0). 412 G. B. RIZZO i 38 II. Riassunto dei risultati. Nello specchio che segue ‘sono riassunti i risultati delle registrazioni riportate di sopra; e per ogni stazione è indicato, oltre alla distanza dall’epicentro, il tempo impiegato dalle diverse fasi del movimento, per giungere alla stazione che si con- sidera; ed è anche calcolato il valore corrispondente della media velocità di pro- pagazione lungo l'arco di circolo massimo che parte dall’epicentro. Le notazioni T,, Tg, T', 1", " hanno gli stessi significati, coi quali furono adoperate nelle tabelle precedenti; V,, Vs indicano le velocità medie dei primi e dei secondi tremiti preli- minari, V', V'", V' sono le velocità medie di tre gruppi di oscillazioni che costi- tuiscono la fase principale di una registrazione. Gli elementi racchiusi in parentesi sono quelli che, tenendo conto della distanza, si scostano troppo dai valori medi e bisogna ammettere che siano affetti da qualche errore. Inoltre ho indicato con un asterisco le stazioni munîte di sismografi convenientemente smorzati, ai risultati delle quali deve darsi un maggior peso. In questo punto debbo aggiungere un'osservazione: l'esclusione di alcuni risultati non deve essere interpretata come una mancanza di riguardo, verso i Direttori degli Osservatori, che me li hanno comunicati. Infatti nella maggior parte dei casi l'errore è stato prodotto dalla diversa sensibilità degli strumenti impiegati, per i diversi gruppi di oscillazioni, e non poteva essere posto in evidenza se non avendo sott'occhio il sistema delle osservazioni raccolte in tutti quanti gli Osservatori. In altre stazioni l'errore dei tempi segnati per le diverse fasi delle registrazioni, dipende dallo stato dei cronometri adoperati. E questo, val meglio confessarlo apertamente, è accaduto in molti dei nostri Osservatori: noi amiamo sentirci ripetere che l’Italia è la culla della sismologia; ma non facciamo abbastanza, per conservare il posto onorevole, che l’Italia ebbe in questi studi. Molti Osservatori geodinamici italiani, dipendano essi dallo Stato o da private Istituzioni, non hanno una dotazione e un personale ade- guato al lavoro che da essi si richiede: in alcuni mancano affatto i mezzi per la determinazione del tempo e il Direttore deve contentarsi di correggere le indicazioni del suo cronografo, prendendo l’ora dall’ufficio telegrafico più vicino. Io ho creduto mio dovere di dire queste cose, nella speranza che gli Uomini egregi i quali presiedono alla Pubblica Istruzione e all'Agricoltura, vogliano far in modo che anche in Italia si istituiscano alcuni Osservatori geofisici, con assegni e dotazioni adeguate, in quei luoghi che presentano le condizioni più favorevoli per questi studi, e aggregandoli agli Istituti di Istruzione Superiore, dove trovano la loro sede più opportuna, affinchè nella patria di Galileo e di Torricelli non sia più oltre trascurato questo ramo importantissimo delle Scienze fisiche. Chiedo venia della digressione e ritorno allo specchio, che riassume i risultati delle registrazioni riportate nei quadri precedenti. 39 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 413 LIST MS S ne Intervalli di tempo Velocità EM-/sec, Stazione SG ue Î = A Ti ea i ME T T Vi Va VANI i Imi sec. min. ba] sec.|min. sec. | | Messina. . . .| 50{0 2| 25.0 | Balanisi: vico 107.0, 5: | ' | 214 Palermo . . .| 239 | 038, I | 6.8 Walletta ‘. 0. .| 276/0.3. | | RIESI: | 4.2 Caggiano . . .| 284 | PIET] | 4.3 | Jaehia: 0% | 854 (1 2] BEE | [Bz 3.7 Rocca di Papa .| 505|0.7 |126| 12.0 | 5.9 Sarajevo . . .| 678/(035) (135) 231 (19.4)| (7.1)| 4.5 Carloforte . . .| 686112 2.6 | 9.5 | ndo | | Urbino . . . .| 699]|(030) (23.3) Siena. . . .| 712/(036) (19.8) | | Firenze, Quarto C.| 741|(140) 243 (410) | (7.4) 4.5 |(3.0) | | Firenze, Oss. Xim.| 756 (0 22), | (2.5) |(34.4) |(5.1) Pola! i i 0. (I 782/135 | 249 |4 4] 82] 4.6] | | 3.0 Beda Lo ul 804 |247| 344/426 4.8 3.6 | 3.0 Fiume . . . .| 828/[(1 3)[233| 350 | (13.0)) 5.4 3.6 Belgrado . . .| 827|121|2835| 10.2 | 5.8 | Zagabria . . .| 865|154 1387 \1443| 7.7 (4A 3.0 Trieste. . . .| 867|149 (219) E FIS 8.0 | (6.2)| 13.5. Venezia. . . .| 878|130 ((147)| 432 | 9.8 (8.2) | 3.2 Padova. . . .| 891|149| | | 456 | 8.2 | Ma E Robiana:. 1 901[144 | 1349] | 8.7 | | 3.9 Temesvar . . .| 960[(229) 329 \440| (6.4) 4.6 | 3.4 | Moncalieri. . .|1041|2 3|339|423| 8.5 4.8|40 Budapest . . .|1078|218 411] | [538 7.8] 43| | | 3.2 Ba: (SP10S4[2 9353 Corti 84| 47) sto O’”-Gyalla . . .|1106|217| | | 8.1 | | Kremsmiinster _.| 1125 {(3 13) | 6 0| (5.8) | | 3.1 Vienna * . .°.|{1136{215 |413 539 | 8.4 | 4.5 | |34 | Monaco Ba.*. .|1180{221 4 5 \538 | 84| 4.8! 13.5 Friburgo i. Br. .|1292 | ' |628 | | | 13.3 | Hohenheim . .|1310|241 454 |541| 652 | 81] 4538 | 3.2 Strasburgo * . .|1351|(3 )|518|6 0) 72|(7.5)| 433.75] | 3.2 Durlach.». . .|1364|229|48 |5.8 |6.7 92| 47|39 |34] Cracovia. . .|1373 ! | 6.4 | 3.6 | Heidelberga *. .|1393|247 5 4° 7142| 8.8] 4.6] | | 3.0 Jena:* . . .=..|1497|255| \617|7 5) 8.6 | (4.0 | 835 | Rappr #.-,......:115061259.|532 | 712 | 8.4 | 4.5. | | 3.5 | Gottinga *.. .11577]312|6 5] Pose 8.2| 43] | 37 | Potsdam *. . .|1612/3 1/6 1 CL deli 8.7| 440 [9a Nikolajeff . . .{1632 (6 36) | (4.1)| fiiro.;-... .. .|4671 (5.7) | 8.7 (4.9) | 82 Granata * . . .|1749|3 61/622 19 7] 94| 4.6, | 3.2 Amburgo *. . .|1788|j339 645) Î |91lf 82] 44] | 3.25 Slide ©. . .11962 (6.7) | 92 | | (4.9) 3.6 | San Fernando .|1975 174 8.9 | i 4.45] ISS Bidston. . . .|2250 Ga] | \4.1 | Juriow . . . .[12389]435|833]| ;11 26 > 44 0 3.6 | MPpeala * < . .12429/433 |838 114 | 8.9 | 4.7 | 3.6 | Edimburgo. . .|2452 | | 112.7 | 3.2 Muiis, <'-. .e.12472|433 | 8.7 (12.4.] 9.1| 4.7 | 3.8 Taschkent . . .|4497 ! | (28.0) | | (3.0) 414 G. B. RIZZO 40 Esaminiamo ora queste medie velocità di propagazione delle diverse fasì dei movimenti sismici, quali risultano dalla tabella precedente. Facendo astrazione da poche divergenze accidentali, che dipendono per lo più dalla diversa sensibilità degli strumenti adoperati, dalla difficoltà di distinguere esattamente le diverse fasi delle registrazioni ed anche da veri e proprii spostamenti di fase, dei quali è difficile tener conto, si vede chiaramente che codeste velocità in vicinanza dell’epicentro sono molto grandi e poi diminuiscono fino ad una certa distanza, oltre la quale incominciano di nuovo a crescere; e questo avviene per tutti i movimenti che costituiscono le diverse fasi di una registrazione. Per approfondire lo studio di questo argomento, il quale, come abbiamo veduto nell’introduzione, è fondamentale per la sismologia fisica, e per eliminare più facil- mente le divergenze accidentali, riesce utile ricorrere ad una costruzione grafica. Coi valori del tempo t,, t3, ecc., che i movimenti delle diverse fasi impiegano per giungere alle diverse distanze dall’epicentro, ho costruito la tavola qui annessa, nella quale ho tracciato le curve che, per ogni fase, rappresentano la relazione fra la distanza ed il tempo, cioè le curve che abbiamo già chiamato odografe di Schmidt del movimento sismico. Poichè i valori ottenuti coi sismografi smorzati hanno un maggior peso, ho segnato i punti corrispondenti con dei segni particolari, che sono indicati nella stessa tavola. La curva OP corrisponde all’inizio della prima fase preliminare, e non mi sembra che si possa costruire diversamente da quella che è nella tavola, tanto sono copiose le osservazioni e i risultati concordanti fra loro (1); ed anche la curva OS, la quale si riferisce alla seconda fase preliminare, si costruisce agevolmente. Vi è qualche incertezza intorno alle curve OL’, OL", OL", le quali si riferiscono al principio di quelle oscillazioni che, secondo Omori, come abbiamo detto, costituiscono i tre gruppi della fase principale, cioè il principio della “ initial phase ,, della “ slow period phase , e della “ quick period phase ,. L'incertezza nasce appunto, oltre che dagli inevitabili errori strumentali, dagli spostamenti di fase e dalla difficoltà di distinguere ene l’una dall'altra le diverse fasi delle registrazioni, specialmente con sismografi che non abbiano uno smorzamento determinato. Tuttavia ciascuna delle tre curve OL', OL", OL", come io le ho tracciate, si avvicina abbastanza ai punti determinati colle osserva- zioni, perchè si possa ragionevolmente ammettere che le divergenze degli altri punti sono dovute a cause accidentali. Perciò queste curve rappresentano, con la neces- saria approssimazione, la relazione fra la distanza e il tempo per i tre gruppi di oscil- lazioni LL LARIO È particolarmente importante il risultato ottenuto con l'osservazione fatta nel- l'Osservatorio di Palermo, la quale, per le speciali condizioni in cui è stata fatta, ha un peso molto grande. Questa osservazione non lascia più aleun dubbio che anche le ondulazioni della fase principale (almefio quelle relativamente lente e di grande ampiezza, che abbiamo chiamato L') presentano quell’alterna variazione della velo- cità, per cui essa, in vicinanza dell’epicentro, è molto grande, poi decresce fino ad (1) È degno di nota il valore sensibilmente più grande della velocità, colla quale i primi tremiti preliminari giunsero a Granata ed è probabile che questa maggiore velocità di propagazione dipenda dalla profondità e dalle condizioni delle rocce che costituiscono il fondo del Mare Mediterraneo. lalla c'e 41 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 415 un valore minimo e quindi ricomincia a crescere; come è dimostrato dal flesso della curva che rappresenta la relazione fra la distanza e il tempo. L’esame di queste curve dimostra che “ le oscillazioni costituenti le diverse fasi di una registrazione sismica si propagano tutte con leggi analoghe ; i diversi gruppi di oscillazioni, in vicinanza dell’epicentro, possiedono delle medie velocità superficiali apparenti che sono molto grandi; queste velocità vanno diminuendo sino ad una certa distanza, dove raggiungono valori minimi e al di là di questo punto crescono di nuovo col crescere della distanza ,. Coll’aiuto delle odografe di Schmidt, determiniamo i valori probabili delle medie velocità superficiali apparenti, valutate fra l’epicentro e le varie distanze successi- vamente crescenti di 100 in 100 km. Questi risultati si trovano esposti nello specchio seguente. IT GA Intervalli di tempo Velocità media ito laeo. Km. Rolla AIRES T) Ta T T ci ea a I J 100 005 | 008] 009) 010) 013] 20.0/12.5 |11.1 (10.0 | 7.7 200 0120 021.0 24-/ 029 040% 16.7) 9.5.) 83. 6.9) 5.0 300 022) 040) 045 | 053 | L11|13.6| 7.5 6.7 | 5.7) 42 400 odg gin 00 anos] do24 I 1461 11.84 (6/60 57! 4.8 | 3.8 500 047 124,139) 157] 223] 10.6) 5.9| 5.0 | 4.2] 3.5 600 101| 149| 209) 281 | 301 9.8| 5.4 | 4.6 | 4.0 | 3.3 700 116 |, 216) 242 | 306 | 339 BIZ Cerda 455% 383,2 800 l33%0 248 8.150) S41 (417 SADE AA 01 Sl 900 DATI 10 48. 15 452 8.4| 4.7 | 4.0 | 3.5 | 3.1 1000 200 | 336 | 418 | 447) 524 (SES A SIN VE i E 5 N 1100 213 | 402 | 446 | 517 | 555 8.3| 4.5 | 3.8 | 3.0 | 8.1 1200 225 | 428 | 514| 546 625 Bidal ASI (8.800 053.1 1300 29 459 | 540) 6.15.) 654 So RAC | 31 1400 249 | 517) 604| 643| 723 83 A 293.5) 32 1500 301 | 540 | 627 | 710) 752 8.3| 44| 39 | 3.5 3.2 1600 ata, n:002 ih 6490 437 | 821 8.9) 44 | 3.9 43.5 | 3.2 1700 323 | 624| 710) 804) 850 Sil di AT 25. 32 1800, 334 | 645 | 731 881-919 84| 44 4.0] 3.5 3.2 1900 344 704| 752 | 858 | .958 8.5.| 45 40% 3.5 | 3.2 2000 354 | 723 | 813 | 925 |1025 Sia db 40-3.5 | 32 2100 0341 |L834) 9.52 10:54 8.6| 45 | 41| 3.0 | 3.2 2200 413! 759 | 855 1019 [1123 DI RGUI 40000 3.6 | 3:2 2300 422, 816) 916 1046 1152 SIBA RRN3,6| 3.2 2400 430.| 833 | 937 (1113 [1221 8.9] 4.7 | 4.2] 3.6 | 3.2 2500 438.| 850 | 958 [1140 | 13 00 | 9.0| 4.7 | 4.2) 3.6 | 3.2 | | Ù Qui debbo fare un'osservazione: nella Memoria più volte citata Sulla velocità di propagazione delle onde sismiche nel terremoto della Calabria del giorno 8 settembre 1905, a cagione dell’estrema violenza di quel terremoto, per cui molte pennine scriventi erano state lanciate via, non mi era stato possibile distinguere l’una dall’altra le diverse fasi delle registrazioni fino ad una distanza compresa fra 200 e 300 km. dall’epi- centro; e perciò ero stato indotto in errore, credendo che fino a quella distanza i 416 G. B. RIZZO 42 diversi gruppi di oscillazioni del movimento sismico restassero sovrapposti l’uno all’altro. Ma le osservazioni raccolte intorno al terremoto di cui ora ci occupiamo dimostrano che le diverse fasi sono già perfettamente separate a distanze molto minori ed è probabile che la separazione incominci a delinearsi, appena si oltrepassa l’area epicentrale. Considerando le velocità di propagazione delle diverse fasi del movimento sismico, non già come valori medi in tutto l'intervallo compreso fra l’epicentro e una distanza qualunque, ma come le velocità con cui si propagano i movimenti, nei sue- cessivi intervalli, nei quali essi possono immaginarsi scomposti, le quali velocità, per approssimazione, possono chiamarsi velocità vere negli intervalli considerati, si otten- gono i risultati esposti nello specchio seguente. Velocità Km./sec Intervalli S j s | 0— 100 Km 20.0 12.5 | DIG 10.0 Tal 100— 200 , 14.3 UA 6.7 0.9 3.7 200— 300 , 10.0 0.5 4.8 4.2 3.2 300— 400, 8.3 5.0 4.0 3.2 2.9 400— 500 , (8% 4.2 S.A 3.0 2.0 500— 600 , AL 4.0 3.3 2.9 2.6 600— 700 , 6.7 3.7 3.0 2.9 2.6 700— 800 , 9.9 o, i Rd 2.9 2.6 800— 900 , 1,1 8-0. 0480 2.9 2.9 900—1000 , Dod 99, RSS 3.1 3.1 1000-1100 , 8.3 3.9 3.6 3.3 3.2 1100—1200 , 8.3 3.9 3 6 dA 3.3 1200—1300 , 8.3 | 4.0 3.9 3.4 4 1300-1400 , 8.3 4.2 4.2 3.6 SA 1400-1500 , di 4.4 4.4 3.7 SA 1500-1600 ,, DI 4.6 4.6 3.7 3.4 1600-1700 , 9.1 | 14.6 4.8 3.7 dA 1700-1800 , 91 4.8 4.8 3.7 34 1800—1900 , 10.0 0,9 Ul 104.5) MPS 34 1900-2000 , 10.0 5.3 | 4.8 3.7 DÀ 2000—2100 ,, 10.0 5.6: | 4.8 3.7 3.4 2100-2200 , del 6, 4 ARS 3.7 dA 2200—2300 LE 5.9 | 4.8 3.7 dA 2300—2400 12.5 9.9 4.8 3.7 34 2400—2500 12.5 5.9 4.8 3.7 3.4 I valori W,, W., W', W", W" esprimono le velocità di propagazione nei successivi intervalli di 100 km. in cui puè immaginarsi scomposto il percorso per i primi e per i secondi tremiti preliminari e per i tre gruppi di oscillazioni, che si sogliono distinguere nella fase principale di un movimento sismico. Osserviamo che questi valori delle velocità, specialmente in certi intervalli, sembrano variare in modo saltuario; ma evidentemente ciò dipende solo dalla approssi- mazione un po’ grossolana, colla quale sono calcolati i tempi richiesti nella propa- RIZZO 6.B- Propagazione dei movimenti sismici. ///// —-_-- cit --. —|—y- i 1 ni i — L e r dA ti" 1_ I sie Pale | Poe i : i 4 i i | | | c UR Vv E Rigate | aio Rega oe O CI a | rappresentanti la palazione Fra la distanza e EM po (odbgrafe di Schmidt) | (0 nella. rropigszbre del terremoto del Calabria, 28 ae 07 1907, AREE | 9 | 1 : i È i - - - spell ndr de [01 CAN AR Fenn prima fase preliminare ; % risultati ott uti con par, smorzuti | 0 S Do) o o Seconda » 6. È + kid la » » » OL è 0e00 6 L'grupodella fuse principale i i î I OL" Lte=eotrere=it=2 salsa mi + (RAR 1) ”» "n » OL -+-otee pinta dj gm + dc di + t i a | } Ì | ! 72 : | | | RSI ii Sei 2 SS | È | ' ! È | | I ò ! I | I I I | ! I S | em i | ani LA] (EMME + = i a ® | I SI î t il î i R Ì 7 È | I è | I I 5° INI - i all lea, li RI | . BS | | % N | " N (e) um = + | | | I 7 | Ta si | (0) o 9 | ® | (x) (o) l . t pa t | xx Ì (x) ' I ° (0) x / + pe mm | | | L_be_| | L ©) | | %) i (x) fo | | | (x) - NI 0 100 200 ‘700 100 500 600 700 . 200 900 1000 PA di {(@ 33 ipa De i 5 3 2 $ E 955 Sa 0 335 Gi & hi , OUMO , cienze di ' Meli | "i SHIL RI oBinquipa - IN Le) e|jesd() 9 N Men È .S lai S 8 & si NI s= uoxspia S S_1S = i x DI $ SS S DI | | | «iii agonia iii | 2a + siae dilata | L@. | P | i \ | TE AA IERI PI TE 2 CI Fe PO RETI N O 7 > I E DETTE ae TR Pm) 3 IT PE i+ «2 | i RS | È ) lilla > OPpuEulaHJ 'S aPIUS odINQUY E}RUBsO) CaiLio) Hole [nino è WEps}od S i eBURNOD La de 43 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 417 gazione dei movimenti, la quale approssimazione si arresta al minuto secondo; e, come è facile vedere, non si può ottenere di più da una costruzione grafica, come . è quella delle curve odografe di Schmidt, che rappresentano la relazione fra la distanza e il tempo : nè i tentativi fatti per esprimere analiticamente questa rela- zione hanno raggiunto finora un risultato più preciso. Del resto, ciò che maggiormente importa nel caso nostro è la conoscenza della legge generale, con cui variano le velocità di propagazione dei movimenti sismici, al crescere della distanza dall’epicentro; e non è per ora il caso di insistere soverchia- mente sopra i valori numerici di queste velocità, perchè codesti valori possono essere differenti, secondo l’intensità della scossa e secondo la natura e le condizioni dei materiali, attraverso ai quali si propagano i movimenti. Questa legge, come risulta dallo studio della propagazione del terremoto della Calabria, del 23 ottobre 1907, si può enunciare così. “ I movimenti che costituiscono le diverse fasi di una registra- zione sismica si propagano con delle velocità, le quali, al crescere della distanza dall’epicentro, presentano tutte delle variazioni analoghe. Le velocità di propagazione sono grandi in vicinanza dell’epicentro e vanno rapidamente diminuendo verso dei valori minimi, che vengono raggiunti a quella distanza per cui si ha un flesso nelle curve rappresentanti la relazione fra la distanza e il tempo, e da questo punto inco- minciano di nuovo a crescere regolarmente ,. Nel caso nostro le velocità minime vengono raggiunte alla distanza di circa 750 km. dall’epicentro ed hanno a un dipresso i seguenti valori : i = ode gie 8.7 5 Wid=40 " iibe==929 5 WIE T2:6 cab) Gli accrescimenti delle velocità superficiali, che incominciano dal punto, dove le medesime hanno raggiunto i loro valori minimi, non sono indefiniti, ma tendono probabilmente verso dei limiti, raggiunti i quali rimangono costanti. Nella propa- gazione dei movimenti dovuti al terremoto della Calabria del 23 ottobre 1807, per le oscillazioni della fase principale le velocità limiti furono raggiunte a distanze comprese entro il raggio delle osservazioni e perciò le ultime porzioni delle curve odografe sono linee rette, che corrispondono rispettivamente alle velocità : W' = 48, W"=33, W"=34. Per i tremiti preliminari, come si può arguire dall'andamento delle curve, queste velocità limiti verrebbero raggiunte a distanze più grandi; ma non vi è, in sostanza, una legge diversa per le diverse fasi della registrazione. (1) Non è fuori proposito confrontare questi valori con quelli ottenuti dallo studio del terremoto della Calabria dell'8 settembre 1905; allora si ebbe W,= 6.2, Wa=2.9, W=2.4 FM/see, Serie II. Tox. LIX. c° (0) 418 G. B. RIZZO 44 Considerando, le medie velocità superficiali di propagazione nell'intervallo com- preso fra l'epicentro e una distanza qualunque, riesce evidente che per distanze suc- cessivamente crescenti, a partire dall’epicentro tutte le fasi di una registrazione sì propagano con delle velocità, le quali presentano delle variazioni analoghe ; ma se si esaminano soltanto i risultati ottenuti in stazioni lontane, si ottengono delle velocità medie superficiali le quali, per i diversi gruppi di oscillazioni che sì sogliono com- prendere nella fase principale, rimangono sensibilmente costanti, col crescere della distanza, mentre per i primi ed anche per i secondi tremiti preliminari si ottengono ancora delle velocità crescenti. Ciò ha indotto in errore quei sismologi, i quali, avendo soltanto considerato le velocità delle diverse fasi dei movimenti sismici a grandi. distanze dall’epicentro, hanno creduto che in tutto il percorso le oscillazioni della fase principale si propa- ghino con velocità costante, lungo ‘la superficie terrestre, e che i primi e i secondi tremiti preliminari si propaghino invece con delle velocità crescenti al crescere della distanza dall’epicentro (Oldham, Milne, ecc.). Conclusione. Da ciò che abbiamo detto finora risulta dimostrato che le “ diverse forme di oscillazioni del suolo, le quali dànno origine alle diverse fasi di una registrazione sismica, si propagano con delle velocità, le quali, stimate lungo l’arco di circolo massimo della sfera terrestre, che, partendo dall’epicentro, giunge fino ad una distanza qualunque, al crescere della distanza presentano delle variazioni che seguono le medesime leggi ,. Perciò cade il principale argomento, col quale si sosteneva l’ipotesi che i primi e i secondi tremiti preliminari di un movimento sismico si propaghino fino ad un punto qualunque della superficie terrestre, attraversando la terra nel suo interno, mentre le oscillazioni della fase principale si propagano alla superficie. Ed è ragio- nevole ammettere che “ le diverse forme di movimento si propagano alla superficie terrestre, oppure parallelamente alla superficie, ma a piccola profondità sotto la medesima ,, come ho dimostrato nelle due note “ Sulla propagazione dei terremoti ,. Per ottenere una maggiore evidenza riporto qui un valido argomento, che serve a dimostrare il mio assunto con un’applicazione numerica. Nella propagazione dei movimenti prodotti dal terremoto della Calabria, di cui ci siamo occupati nella pre- sente Memoria, i primi tremiti preliminari giunsero a Gottinga (cito questa stazione a titolo di onore, perchè è quella del Wiechert, e perchè si trova ad una distanza opportuna per il mio ragionamento) a 20%31"315, i secondi tremiti preliminari a 20%34m24s e le oscillazioni della fase principale. che, secondo me, appartengono al 2° gruppo di Omori, a 20%36% circa. Ora la distanza di Gottinga dall’epicentro, valutata lungo l’arco di circolo massimo, è 1577 Km. e, pure ammettendo che la profondità dell’ipocentro fosse di 50 Km., la quale profondità risulta troppo grande, se si tiene conto della ristrettezza dell’area epicentrale, la distanza in linea retta DI 45 NUOVO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PROPAGAZIONE DEI MOVIMENTI SISMICI 419 fra l’ipocentro e Gottinga sarebbe di 1566 Km. Come si può ammettere che l’inter- vallo di 4 minuti e mezzo fra i primi tremiti preliminari e le oscillazioni della fasé principale del movimento registrato a Gottinga sia dovuto alla differenza di percorso, che al massimo poteva essere di dieci o dodici Km.? Lo studio delle velocità di propagazione dei movimenti sismici non ci fa cono- scere le condizioni del nostro pianeta nell'interno, ma soltanto a piccola profondità sotto la superficie, dove tuttavia i materiali costituenti la corazza esterna della terra, ‘specialmente a cagione della compressione, in cui si trovano, e per i fenomeni dovuti all’elasticità susseguente e all’isteresi elastica, secondo le recenti determinazioni spe- rimentali di Nagaoka e di Kusakabe (1), hanno veramente dei moduli di elasticità abbastanza grandi, perchè si possano spiegare le considerevoli velocità, con cui si propagano le vibrazioni longitudinali e le vibrazioni trasversali, che costituiscono le fasi preliminari dei movimenti sismici. (1) “ Publ. of the Earthq. Inv. Comm. in For. Lang., Tokyo ,, N. 4, 1900; 14, 1903; 17, 1904; 22 B, 1906. UNA TOMBA PREISTORICA SANT'ANGELO DI MUXARO NELLA PROVINCIA DI GIRGENTI MEMORIA DEL SOCIO ANGELO MOSSO Approvata nell'adunanza del 26 Aprile 1908. CAPITOLO PRIMO Descrizione della tomba. Sul versante meridionale della Sicilia, circa trenta chilometri dalla foce del fiume Platani, in linea retta verso il centro dell’isola, fra Girgenti e Sciacca, trovasi Sant'Angelo di Muxaro. Un piccolo comune, dove, nel principio di marzo del 1907, due operai, nel fare una trincea per incanalare i tubi per la conduttura dell’acqua potabile, scoprirono una tomba. Essi erano parenti di certo Francesco Cusomano che in quel tempo stava al mio servizio per gli scavi di Caldare, e subito mi avvertirono. Mandai sul luogo il sig. Stavros Gialerachis, sopraintendente agli scavi della Missione archeologica italiana in Creta, che aveva preso parte alla mia esplorazione archeo- logica in Sicilia, e così venni in possesso di questa tomba. Per andare a Sant Angelo di Muxaro non vi sono strade, ed anche coi muli, nel mese di marzo, era difficile arrivarvi, tanto sono frequenti le frane che ingombrano i sentieri. Trovai che nel fare una trincea nel monte, larga m. 1.10 e profonda 2 m., erasi aperta una tomba, della quale presi la fotografia che per brevità devo trala- sciare. Questa tomba sta su di un pendìo ripidissimo, sopra il quale, alla distanza di circa quattrocento metri, sono le case di Sant'Angelo di Muxaro: in fondo alla valle scorre il fiume Platani. Di fronte sorge un monte più alto sul quale si trovarono altre tombe e ruine di una città della quale non si conosce il nome. Il taglio aperto dagli operai in un fianco della tomba era largo m. 1.20 ed alto poco più di mezzo metro. A sinistra di questo taglio, nel fare la fossa pel canale dell’acqua potabile, si aprì il cunicolo che serviva per entrare nella tomba. Esso è | di forma triangolare ed ha circa un metro di altezza ed un metro di base. Col taglio della trincea venne esportata la parte più superficiale di questo cunicolo. 422 ANGELO MOSSO 92 Non sappiamo come fosse il terreno quando fu costruita la tomba: essendo di calcare solfifero di color bianco, con impasto di fossili, simile a quello della necro- poli di Caldare (1), certo, uno spessore notevole della roccia fu esportato dalle intemperie; ora il vertice del cunicolo è distante solo mezzo metro dalla superficie del terreno, e questo corridoio scende verso la tomba, il fondo della quale dista tre metri dalla superficie del terreno. Il sepolero è fatto sul tipo delle tombe sicule più antiche, che venivano aperte sui fianchi ripidi delle montagne, dentro a pareti quasi verticali, dove era difficile l’accesso. A mezzo metro dall’apertura fatta colla trincea, si trova dentro al cunicolo, ancora in posto, una lastra di calcare, messa verticalmente, che chiude la tomba. Questa pietra di forma triangolare, non poggia in un chiusino lavorato dentro alla roccia, come l’incastro che trovasi in molte tombe della Sicilia, ma semplicemente contro alcune pietre che vi stanno dietro; è tagliata irregolarmente sui bordi ed è spessa 5 o 6 centim. Levate queste pietre, il cunicolo si trova tappato con terra di trasporto, penetrata colle correnti dell’acqua piovana; come pure la tomba era piena di questa terra rossastra, simile a quella soprastante alla roccia. Il cunicolo è lungo un metro e mezzo, e sbocca sul fondo della tomba. La volta termina a forno; è larga m. 1.60 nella direzione dell’entrata, e circa 2 m. nel senso trasversale. Un metro è mancante, così che può ammettersi fosse una tomba che aveva il diametro maggiore trasversale all’entrata di metri 3, e di m. 1.60 l’altro. L'altezza massima della tomba era di 1 metro, e fu scavata nella roccia di calcare solfifero. Avendo trovato in posto la pietra che la chiudeva, possiamo essere certi che la tomba non fu violata. Sebbene quando io giunsi fosse vuota per metà, mi furono però consegnati tutti i vasi che avevano tolto, e proseguendo lo scavo negli strati profondi, trovammo in posto altri vasi cogli scheletri. Potei assicurarmi che molti vasi erano rotti da tempo antichissimo, perchè la frattura era coperta da uno strato calcareo, come quello che si forma nelle stalattiti per infiltrazione dell’acqua. In questa tomba si trovarono quarantaquattro vasi interi, o poco rotti, insieme a molti fram- menti. Tutti questi vasi li ho portati al Museo di Palermo, regalandone sette ‘al Museo preistorico di Roma. Le ossa erano rimescolate e sconvolte. Alcuni cranî avevano la faccia conficcata nella terra, come se guardassero il fondo del sepolero. Tale posizione basterebbe da sola per dimostrare che gli scheletri furono sconvolti, o che le ossa vennero gettate alla rinfusa nella tomba. Credo che fossero non meno di trenta scheletri, nella pic- cola cavità di questo ossario, ma non mi fu possibile un calcolo esatto; e neppure ho potuto contare il numero dei femori, essendo le ossa tutte sminuzzate, perchè troppo friabili. I cranî non avevano vicino le vertebre del collo, nè le scapole, nè le clavicole, colle ossa delle braccia. Accanto ai femori e anche dentro un bacino, trovai cranî infranti. E possibile che trattisi di una seconda sepoltura degli scheletri, come dai tempi minoici fu in uso, fino verso il mille avanti Cristo, nel bacino del Mediterraneo e anche nell'alto Egitto nell’età neolitica (2). (1) A. Mosso, Monumenti antichi, XVIII, 1908, pag. 582. (2) Perrie e QurseLL, Nagada and Ballas, London, 1896, pag. 32. i fi Coni 3 UNA TOMBA PREISTORICA A SANT'ANGELO DI MUXARO 423 Per adesso pubblico solo i vasi. Descriverò in altra memoria i cranì, parte dei quali trovansi nel Museo di Palermo, ed altri che erano troppo fragili dovetti con- tentarmi di misurarli sommariamente in posto, dove si sono disfatti cercando di estrarli. Sono grato al Dr. Emanuele Salinas, per l’aiuto che volle darmi fotogra- fando i cranî e molti vasi qui riprodotti. CAPITOLO SECONDO Vasetti di steatite e terra cotta, boccali ed anfore. I vasetti di steatite che trovaronsi negli strati profondi sono certo esotici, perchè tale pietra non si trova in Sicilia ed abbonda in Creta, donde probabilmente furono importati. Il vasetto N. 1, di forma elegante, alto 55 millimetri, ha un solo manico. La fotografia dei vasi N. 1 e 2 è circa la metà del vero. Una linea gira intorno al collo, e da essa si staccano fasci di linee verticali. Sono sei gruppi, dei quali alcuni contengono 5 linee, altri 9 o 10, ed erano piene di una sostanza bianca. Il vasetto N. 2, pure di steatite, è alquanto corroso, e nel lato destro della figura si vede che è meno rotondo. Cinque fasci di linee verticali sono interrotti nel mezzo da tre linee orizzontali. Anche questo vaso ha un solo manico. Simili a questi, fatti in ceramica, ve ne sono altri otto, dei quali ne presento solo due (figg. 3 e 4). Il vasetto della fig. 3 è alto 75 mm., più svelto e meno panciuto, ha la mede- sima decorazione del primo. Gli altri, come il N. 4, furono decorati per mezzo di semplici linee che formano come dei triangoli sopra la fascia che scorre sul ventre. Questa fotografia è alquanto più grossa delle precedenti, perchè l’imagine invece della metà è ridotta solo di un terzo. Le linee graffite, in alcuni, sembrano piene di una sostanza bianca. .I motivi del disegno sono prettamente neolitici, perchè consistono in semplici linee rette o spez- zate. A mezzo il ventre fu fatta la divisione con una linea incisa, oppure con due o con tre. In uno, sul ventre, vi è una fascia con dentro il solito motivo delle linee spezzate in forma di triangoli: lo stesso motivo si ripete nel segmento superiore: in altri sonovi semplici fasci di linee, e si alternano gli spicchi graffiti accanto ai lisci. Gli otto vasetti di terra cotta formano una scala crescente che da 7 centim. va a 10,5 centim., tutti con un sol manico. La Tholos di Haghia Triada, scoperta dalla Missione archeologica italiana, che fino ad ora è la tomba più antica che conosciamo in Creta, contiene già vasi che hanno questa forma (1). Halbherr ne descrisse un altro simile della necropoli di Embrasos, pure di steatite. Ad Hissarlik, Schliemann ne trovò in ceramica nelle rovine della seconda città (2), che avevano la stessa forma. Alcuni, come quelli pubblicati (1) F. HarsneRR, “ Memorie Istituto Lombardo ,, XXI, 1905, Tav. VII. (2) Herrrica ScaLiemanN's, Sammlung bescrieben von Huserr Scampr. Berlin, 1902, N. 2453. 424 ANGELO MOSSO 4 da Schliemann, hanno la decorazione a costole, messe verticalmente (1), altri hanno pure le linee incise verticalmente come i nostri. Forme simili di vasi in terra cotta trovaronsi sporadiche in varie parti della Sicilia; ne ricordo uno dell’Orsi (2) per la necropoli di Valsavoja. Due altri trovaronsi pure dall’Orsi a Caltagirone (3); altri ancora a Pantalica e Cassibile (4). $.1. — Piccole anfore. Le piccole anfore di questa tomba hanno pure una forma molto antica, identica ai vasi che Schliemann trovò nella seconda città di Troja. Le anse fatte come orecchi di lupo, il collo e la decorazione sono identiche, come si vede nella fig. 5. Le anse di forma triangolare, che si volgono in alto, hanno un foro verticale per la sospen- sione. La terra è pure nera. La decorazione fatta con linee spezzate, come nei vasi precedenti. Ne descrivo uno, il N. 5, che è alto 13 centim. Diametro dell’imboccatura 76 mm. L’argilla è ben cotta, rossa alle due superfici e nera internamente fra i due strati. Nelle anse un foro le attraversa, del diametro di 3 mm., così che poteva sospendersi con una cordicella. È fatta al tornio e decorata a mano, con linee alquanto irrego- lari e non bene simmetriche. La decorazione consiste in quattro serie di linee ad angolo, due delle quali stanno sopra i manici e due altre da ciascun lato dell’omero. Una fascia si stacca dalla base dei manici e scorre in giro, limitata in alto e in basso da due linee parallele, e dentro scorrono linee spezzate a zig-zag. Il vaso ha una forma elegante, con collo alto e svasato. Un’anforetta simile, con belle decorazioni a spina di pesce in direzione verticale, esiste nel Museo di Girgenti. Il vaso N. 6 è più piccolo ed ha il collo rotto. La figura è metà grandezza. Qui si vede bene la sostanza bianca, della quale furono ripiene le incisioni graffite. Anche qui abbiamo una fascia che divide la decorazione in due campi, fu ripiena con linee parallele messe in serie con direzione opposta. I fasci delle linee verticali non si corrispondono nè pel numero, nè per la posizione. Un altro vaso simile è alto 15 centim., ed è intatto come quello della fig. 5. Anche questo ha una divisione orizzontale di tre linee incise che attraversano il ventre, passando sotto le anse, fatte come orecchie di lupo, attraversate da un foro verti- cale di 8 mm. I gruppi di linee che scendono dalla fascia centrale verso il fondo non corrispondono ai superiori, nè per la posizione, nè pel numero delle linee, che sono 6, 6, 8, 4, 3 linee disposte irregolarmente. Sopra sono sei raggiere o spicchi, invece di cinque, di 6 ad 8 linee. Il grande vaso fig. 7, simile ai precedenti, lo estrassi dalla tomba già rotto; esso stava, come gli altri vasi, nella parteperiferica della tomba. Malgrado la sua (1) ScraLiemanN, Troje, pag. 482, N. 420. (2) © Bullett. paletn. ital. ,, XXVIII, 1902, Tav. II (3) Scavi; R. Accademia dei Lincei, vol. I, pag. 93. (4) © Bullettino paletn. ital. ,, 1905, XXXI, 1905, pag. 49, fig. 116. 5 UNA TOMBA PREISTORICA A SANT'ANGELO DI MUXARO 425 grandezza‘, alto oltre 40 centim.), le pareti sono sottili e di solo 3 mill., così che mi costò molta fatica per estrarlo, e lo fotografai appena estratto per timore che portandolo a casa andasse in frantumi. La fig. 7 rappresenta il vaso pieno di gesso, come trovasi nel Museo di Palermo. In questo vaso è bene evidente l’ingubbiatura che forma un sottile strato giallo-avana sulla terra nera. Il diametro interno del vaso in corrispondenza dei manici è m. 0,20; altezza fino alla spalla, dove è rotto presso il collo, m. 0,30. Intorno al collo vi sono cinque fascie separate da due linee. Sono sei i vasi di questa forma fra grandi e piccoli: tre di terra rossa e tre neri, solo uno di essi fatto con argilla rossa non ha decorazione. Allo stesso genere di ceramica appartiene la grande pisside (fig. 8), alta 25 centim., che tolsi intatta fra le ossa ammucchiate, ed essa pure era stata deposta alla peri- feria della tomba. È alta 25 centim., fatta con impasto di argilla fina rossa: manca il bordo interno dell’apertura, che ha il diametro di 0,135. La terra nei luoghi rotti è nera internamente con piccoli granuli bianchi. Per la cottura lo strato interno ed esterno sono rossi, con grandi macchie brune, dovute all’azione ineguale del calore. Lo spessore delle pareti è di 8 mm. Sulla base, leggermente incavata di sotto, larga 15 centim., vi sono tre linee orizzontali, poi viene il piede, che è di forma conica e liscio. Quindi sei fasci di linee si volgono in alto verso la fascia che cinge la pisside nella parte più espansa. Come al solito non c’è simmetria nei fasci delle linee, com- posti di 6, 7, 8, 7, 9 linee. Una grande fascia di linee a spina di pesce è compresa sopra e sotto fra due linee orizzontali. Il graffito che trovasi in alto sull'orlo è un motivo comune nella ceramica minoica primitiva di Creta (1), sono triangoli che hanno dentro una serie di linee parallele. Non sono triangoli come quelli che si conoscono col nome di denti di lupo: questi triangoli isosceli invece di avere la base sulla fascia stanno coricati su di essa con un lato lungo e le linee scendono obliquamente e parallele sulla fascia. Volendo raffrontare la decorazione di questi vasi coi disegni già noti, dobbiamo risalire all’epoca neolitica ed a quella minoica primitiva. Immediatamente dopo era ancora in uso questa decorazione a spina di pesce che Harriet Boyd trovava a Gournia (2) sotto le roccie. Anche l’Hogarth trovò in Creta, a Zakro (3), vasi deco- rati come”questo, nella punta estrema, sul lato orientale dell’isola, in scavi che appar- tengono alle età minoiche più antiche. Questi disegni di linee spezzate messe in direzione opposta come una spina di pesce, i triangoli isosceli coricati sulle fascie dei vasi e pieni di linee parallele alla base, i denti di lupo, le fascie orizzontali e quelle verticali che dividono la superficie del vaso, appaiono nell’età neolitica in Creta ed in Egitto (4) e non servono come indice cronologico, perchè furono in voga in tutte le età. Lo stesso motivo della fig. 7 trovasi a Troja nella seconda città (5) in (1) Hogarta and Wetcn, Primitiv painted Pottery in Crete, “ Journal of Hellenic Studies ,, XXI, 1901, pag. 78, fig. 30. (2) Harrier Boyp, University of Pennsylvania, “ Transactions of the Depart. of Archaeology ,, vol. I, 1905, p. 180. (3) D. G. HogartE, Excavation at Zakro, “ The annual ot the British School at Athens ,, VII, 1900-1901. (4) Frinpers Pergie and QuiseLr, Nagada and Ballas. (5) ScuLIEMANN, Troje, p. 442. Serie Il. Tom. LIX. D° 426 ANGELO MOSSO 6 un vaso che ha le anse del medesimo tipo. Tale decorazione durò fino all’età del torno e la troviamo nelle urne cinerarie di Grottaferrata (1). Il raccogliere queste notizie credo non sia inutile, specialmente per gli archeologi tedeschi, i quali nello studio della ceramica trascurano la civiltà mediterranea e non tengono conto del grande ritardo col quale la decorazione e la tecnica della ceramica superavano le Alpi per diffondersi nell’Austria, nella Germania e nella Svizzera. $ 2. — Boccali. Brocchetti (oivoxòn) simili alla fig. 9, se ne trovarono dodici, i quali dall’ al- tezza di 32 centim. scendono fino a 10 centim. Questi più piccoli, cominciando da uno alto 20 centim. ed uno di 18, non sono più decorati, ma lisci, come nella fig. 10. La terra è rossa, fine, ben cotta, ricoperta di una sottile crosta biancastra prodotta dal deposito calcareo dell’acqua penetrata per infiltrazione nella tomba. I vasi sono levigati a mano, ed in alcuni si vedono i colpi del brunitoio. La bocca è trilobata. Alcuni di questi boccali lisci di terra più rossa li descriverò nel capitolo MI. Altri vasi, della stessa terra e colla medesima decorazione, hanno due manici in forma di piccole anfore, come la fig. 11. Tutti questi boccali ed anfore sono fatti al tornio. Il becco nell’apertura trilobata in alcuni è più stretto, più largo in altri e più sollevato che non sia l'inserzione del manico. La forma di questi boccali è anti- chissima, e la bocca trilobata si vede già nell'epoca minoica primitiva in Creta; ciò nullameno è noto che nel secondo periodo siculo i boccali trovati a Thapsos, Cozzo Pantano, ecc. hanno l’imboccatura circolare, mentre quelli del terzo periodo siculo hanno la bocca trilobata come trovaronsi dall’Orsi a Finocchito e Lentini. Alcuni hanno traccie evidenti di ingubbiatura.. Uno, scrostato e senza manico, mostra la terra nera che sta internamente fra i due strati della superficie, che sono rossi. Di broeche o boccali simili alla fig. 9 ve ne sono quattro, che sono decorati allo stesso modo, però con disegni diversi, profondamente incisi. La superficie è ben liscia, e nella cottura, per l’azione ineguale del fuoco, vi rimasero delle macchie rosse sul fondo nero. In alcuni l’argilla, dove fu più forte il calore, prese un color giallo. Nel vaso della fig. 9 vi è una fascia sul ventre, e lo spazio chiuso fra due linee superiori e due inferiori venne decorato con punteggiature fatte colla stecca, che rassomigliano ad una spina di pesce. Fasci di sei linee verticali si dirigono dalla fascia verso il fondo del vaso. Nella parte superiore verso il collo, quattro larghe fascie, nella posizione di una V rovesciata, sono pure piene di puntini. Anche que- st'ultimo motivo appare nella decorazione dell’età neolitica di Creta. Il boccale è alto m. 0,165, ha la bocca trilobata, col diametro maggiore di centim. 7,5. Il piccolo boccale N. 10 è alto 8 cerftim. L’anforetta fig. 11 è alta 19 cm.; il disegno è un poco più piccolo della metà. Imboccatura tonda, col diametro di 8 centimetri; fu decorata a cerchietti impressi con uno stampo. Anche qui abbiamo una fascia che cinge il ventre, e sopra di essa (1) Notizie scavi: R. Accad. Lincei, settembre 1900, pag. 407. % UNA TOMBA PREISTORICA A SANT'ANGELO DI MUXARO 427 poggiano serie di linee in numero di 7 od 8 che formano come triangoli sovrapposti. Nell’angolo libero superiore si stamparono 4 cerchi concentrici e col medesimo stampo si fecero altri cerchietti nella fascia centrale che quasi si toccano colla periferia. L’Orsi pubblicò un’anforetta simile (1) di creta grigio-scura, decorata sulle spalle di denti di lupo a stecco e sul ventre di una fascia di circoli concentrici ad impressione. Uno dei vasi più interessanti è il N. 12, alto m. 0,170. Bocca trilobata, col dia- metro di 55 mm. Più della forma è importante la decorazione di questi boccali ed x anfore. Il disegno è in stile arcaico e rassomiglia ai vasi che trovansi nei dolmens. Una classe dei prodotti tittili neolitici della Valle del Po è costituita dai così detti bicchieri a campana che hanno una decorazione simile al boccale N. 12. Il Colini (2) ricorda che due esemplari si rinvennero nelle tombe di Cà di Marco e ne dà le figure, un terzo proviene dalle tombe di Santa Cristina (3) tanto per citare qualche esempio. Sul boccale N. 13 la decorazione è pure di tipo arcaico. Nel terreno neolitico di Phaestos trovai la medesima decorazione a puntini (4). Sulla spalla del boccale N. 13 poggiano serie di linee disposte a triangolo, nel- l'interno della fascia segnata sul ventre, con tre linee orizzontali per lato, la deco- razione è a campi quadrati o rettangolari, pieni di punti messi in serie regolari. Il boccale 14 fu decorato con maggior varietà di motivi; presso il collo vi è una fascia con linee orizzontali, che contiene una serie di punti. Poi un’altra fascia con linee spezzate che la riempiono. Succede uno scompartimento orizzontale liscio, sotto il quale fra due paia di linee vennero incise coll’unghia, od una cannuccia, due serie sovrapposte di impressioni a mezza luna. Anche questo è un motivo di deco- razione neolitica. Nella parte sottostante verso il fondo vi è un altro anello fatto con due linee. La ceramica ora presa in esame per la decorazione e il color nero dell’argilla ha una rassomiglianza così profonda coi vasi dell’età neolitica trovati nei dolmens e nei fondi di capanna, che dobbiamo analizzarla meglio. Quanto ai cerchietti concen- trici, fatti con uno stampo, li troviamo già nella tecnica dell'età neolitica sui vasi di Matrensa, che descrisse l’Orsi, solo che le impronte vennero fatte con uno stampo, dove quattro linee quadrate concentriche fanno una figura simile ai «cerchietti del vaso 11. La decorazione di tre o più cerchi concentrici trovasi nella ceramica di Creta descritta da MARIANI, Antichità Cretesi (5). Dell’età minoica ricorderò ancora i vasi con cerchietti sulla spalla, che si tro- varono a Phylakopi nell’isola di Milos (6) e quelli trovati in Grecia dallo Tsountas (7). A Troja nella prima città, Schliemann rinvenne frammenti di terra cotta lucente (1) Orsi, Frammenti siculi agrigentini, © Bull. paletn. ital. ,, XXVII, 1901, pag. 259. (2) Corini, Rapporti fra VItalia ed altri paesi europei durante Vetà neolitica, “ Atti Società romana di antropologia ,, 1904. (3) “ Bull. di paletn. ,, anno XXV, pag. 30, tav. III (4) Ceramica neolitica di Phaestos e dell’epoca minoica primitiva. Monumenti antichi, © Accad. dei Lincei ,, Vol. XIX. (5) Monumenti antichi, VI, Tav. XII. (6) Excavations at Phylakopi in Melos, Tav. Vi. (7) Tsountas, ’Egnuepic, 1829, Tav. IV, fig. 24. 428 ANGELO MOSSO 8 con cerchietti concentrici simili a quelli del vaso (fiig. 11) e ramoscelli, pure fatti collo stampo (1). Una decorazione simile venne in luce nei vasi più antichi di Cipro (2). E tali cerchietti si trovarono sulla ceramica sicula neolitica di Stentinello e di epoche meno remote (3). Siamo dunque dinanzi ad un motivo che appare nell’epoca neolitica e che attraverso le varie epoche si diffonde nel bacino del Mediterraneo, attraversa le Alpi e giunge nelle palafitte (4). Si potrebbe credere, vedendo il vaso 12, che l'abbiano decorato per mezzo di una corda messa in giro al vaso ancora molle, la quale fu compressa in modo che. lasciasse un'impronta. Io sono convinto che tale impressione venne fatta a mano per mezzo di una punta triangolare, ma di questo parlerò nel capitolo seguente. CAPITOLO TERZO Coppe e lampade. In questa tomba vi erano undici coppe, come le figg. 15, 16, 17, che apparten- gono a tre tipi diversi. La coppa della fig. 15 l’ho disseppellita presso l’entrata: è di terra rossa, alta 22 centim. Fu fatta al tornio, ma di lavoro trascurato, così che vedonsi le impronte delle dita nell’argilla molle che girava sulla ruota. È una forma tozza col piede quasi conico e tre righe incise profondamente sul bordo che si alza verticalmente. Un'altra, di forma più slanciata, con piede cilindrico sulla base conica (fig. 16), ha l’orlo superiore svasato. Come questa ve ne sono due; una alta 20 cen- timetri e 15 l’altra. La cavità delle coppe varia da 28 a 30 mm. di profondità. Tro- viamo quattro piedi cilindrici e coppe infrante con le rotture incrostate di calcare, ciò che prova siansi rotte nei seppellimenti primitivi. Nella coppa 17 il bordo è rove- sciato verso l’esterno, ed in basso si vede bene l’ingubbiatura. Negli strati profondi trovai una coppa fatta a mano, fig. 18, di forma un poco più conica, alta 10 centim., ed un coperchio pure fatto a mano, col diametro di 13 centint, profondità interna 4 centimetri. Entrambi questi pezzi sono di fattura molto rozza. Questo coperchio, di forma semisferica, ha nella parte centrale superiore un manico fatto da un cordone tondo piegato a semicerchio. Dalle necropoli costiere l’Orsi ebbe tali coppe alte 35 a 12 centim. Si era cre- duto fino ad ora che questi vasi fossero destinati a contenere le vivande che si offri- vano ai morti (5). Siccome ne scavai una piena di nero fumo, che ora trovasi nel Museo di Palermo, la quale certo ha servito per lampada, perchè ha l’orlo bruciato dal lucignolo, devo supporre che tutte fossero lampade. Non è necessario per questo che tutte portino le traccie della combustione dell’olio, o di materie grasse. Trattan- dosi di un rito funebre potevano anche metterle nuove senza olio, oppure dell’uso (1) Troje, pag. 290. (2) O. Ricater, Cyprus Museum, Tav. X, N. 1114. (3) Orsi, Frammenti siculi agrigentini, © Bull. paletn. ital. ,, XVI, 1890...; XXVII, 1905, pag. 259. (4) M. Hoernes, Urgeschichte der bildenden Kunst, pag. 267. (5) Orsi, Pantalica, Monumenti antichi, Vol. IX, pag. 141, Tav. XIV. 9 UNA TOMBA PREISTORICA A SANT'ANGELO DI MUXARO 429 di una sola volta non rimase traccia. Alcune descritte dall’Orsi hanno il piede più alto di queste, ed il piattello è unito al piede con un manico semicircolare. Questa forma più svelta dà loro la forma elevata che hanno le lampade minoiche di Creta. Vasi simili alla fig. 15 di S. Angelo di Muxaro vennero in luce a Cnossos (1) e nell’isola di Milos (2), questi, che trovaronsi a Phylakopi, hanno la base più larga, cilindrica e vuota internamente. Altre coppe simili, trovate in Grecia, furono descritte dallo Tsountas con boccali simili per la decorazione a quelli dell’epoca minoica pri- mitiva. Tali coppe sono decorate internamente con linee spezzate che girano intorno al bordo (3). Per la storia della civiltà mediterranea è importante vedere come questa forma di coppe che appare a Cnossos nel primo periodo dell’epoca minoica media si diffonda nell’Egeo e nell'Asia Minore. Il vaso che Schliemann (4) credette un incensiere da lui trovato nelle rovine della prima città di Troja, appartiene a questo gruppo delle lampade secondo il mio parere. Certo queste di S. Angelo di Muxaro sono meno antiche; ma dall’Egeo, attraversando la Sicilia e l’Italia, questa forma di ceramica si diffuse verso il nord, e la troviamo in Boemia, nell’ Ungheria e nei paesi dei Balcani (5). Un'altra lampada trovai in questa tomba, fig. 19, ed era probabilmente una iam- pada di uso comune, non per rito funebre. Essa stava nel piano della roccia: ha la forma di un salvadanaio, che sono vasi di terra cotta con una fessura dentro il quale i ragazzi mettono i risparmi per serbarli. Invece della fessura vi sono tre buchi. Su di essi era attaccato il bocchino pel lucignolo, che probabilmente per tali aperture penetrava nel recipiente pieno d'olio. Questo bocchino si era staccato e lo fotografai accanto alla lampada; la quale è fatta con due pezzi che si congiungono nel ventre colla superficie semiglobosa. La decorazione è dello stesso tipo arcaico di triangoli minoici predetti, con linee parallele ad un lato. Dal bordo del bocchino appare l’uso continuato che bruciò la terra. A Troja non si trovarono lampade, eccetto quella che ho ricordato poco sopra: dobbiamo però considerare tale mancanza come un fatto accidentale, perehè esistono in Creta in epoche contemporanee e si adoperavano già nell'età paleolitica nelle caverne della Dordogna (6). L’aver trovato in questa tomba a Sant'Angelo di Muxaro due lampade”di forma diversa, dimostra che pel rito funebre erano in uso le lampade di forma arcaica, simili a quelle di Creta, col piede più o meno alto: mentre per l’uso comune adoperavansi lampade di una forma più pratica e facile a trasportarsi, come la fig. 19. I boccali che ora presento credo siano i meno antichi, non solo perchè stavano negli strati più superficiali vicini all'entrata, ma anche perchè sono decorati in modo (1) A. Evans, The Palace of Knossos, “ Annual of the British School at Athens ,, N. XI, 1904-1905, pag. 17. —(@) Excavation at Phylakopi in Melos. London, 1904, Tav. XXXIII. (3) Tsountas, ’Egnuepic, 1899, Tav. IX. (4) ScaLieManN, Troje, pag. 279, N. 60. (5) Secer, “ Archiv fiir Anthropologie ,, V, 1906, pag. 126, Tav. IX, fig. 3. (6) Riviere, La Zampe en grès de la Mouthe, © Bull. Société d'Anthrop. de Paris ,, 1899, p. 554. 430 ANGELO MOSSO 10 più semplice. Di essi ne trovai una mezza dozzina. Sono boccali con un solo manico, alti 28 a 30 centim., di terra rossa, colla bocca trilobata, come vedesi nelle figg. 20 e 21. Eccetto una fascia sulla spalla, sono lisci ed in alcuni si vede l’ingubbiatura. La ceramica rossa liscia doveva essere talmente di moda che, oltre l’ingubbiatura di argilla fine, si diede sopra un'altra mano di color rosso mattone. In tutti questi boc- cali. come nelle figg. 20 e 21, sopra l’inserzione del manico, girano 4 o 5 linee pro- fondamente incise, che sembrano fatte coll’impressione di una funicella. In alcuni vasi, come nella fig. 20, venne già fatto nella creta ancora molle, un piccolo bordo sporgente, sopra il quale si stende la decorazione incisa. Jl numero delle linee dentate, che rassomigliano all’impressione di una corda, varia nei diversi boccali da 3 a 5. Intorno alla tecnica di questa decorazione mi limito ad accennare lo stato della questione senza pretendere di risolvere il problema. La prima idea che viene, esaminando tale decorazione (come dissi prima), è che sia fatta per mezzo di una corda compressa sull’argilla molle. In Germania, in seguito alle ricerche di Klopfleisch e di Gotze (1) si distingue una Schnurkeramik che appar- tiene all’epoca neolitica. Ho però dovuto rinunciare a tale idea vedendo in uno di questi boccali come termina tale decorazione sotto il manico. Fig. 22. La figura 22 rappresenta un pezzo di tale decorazione in grandezza naturale sotto il manico. Le linee orizzontali sono tagliate da due linee verticali profonda- mente incise. Anche supponendo che potesse trattenersi la cordicella col dito, qui manca ogni traccia di tale operazione nella creta. Il figulo, che volle imitare un nastro, fece sopra e sotto una linea per delimitare il campo del nastro, e dentro incise quattro linee dentate che formano la decorazione della fascia. Si deve pure escludere che abbiano adoperato una corda, quando la decorazione di queste linee seghettate è lunga appena due centimetri. Certo può immaginarsi uno stampo fatto per mezzo di cinque corde, come vedesi nella fig. 23, ma la cosa è troppo complessa per dar fede ad una simile ipotesi. Ho contato il numero dei denti in questi campi rettangolari della fig. 23 e non si corrispondono, il che prova che non era uno stampo. (1) Hoernes, Urgeschichte der bildenden Kunst, p. 260. ni] UNA TOMBA PREISTORICA A SANT'ANGELO DI MUXARO 431 Qualche volta le linee non sono diritte, ma oblique e non parallele come vedesi nella fig. 24. Ho voluto riprodurre in grandezza naturale la fotografia del ventre di uno di questi vasi: ed ora esamineremo meglio questo disegno. La cosa, come dissi prima, ha una certa importanza, perchò trattasi di una decorazione caratteristica dei bicchieri a campana, la quale appare nell’età neolitica. L’Orsi la prese già in esame (1) ed ammise fosse fatta per mezzo di una rotella girante. Anche Massi- miliano Mayer trovò nella ceramica neolitica del Pulo una decorazione simile, che suppose fatta con una rotella girante (2). La tecnica della rotella girante, per fare simili impressioni, venne pure ammessa dal Seger (3), il quale studiò la ceramica della Slesia nell’età neolitica. Non ho dati sufficienti per approfondire tale discussione. Per conto mio trovo più semplice ammettere, che tali impressioni fossero fatte semplicemente con una punta triangolare, che premevasi leggermente sull’argilla, in modo che le impressioni successive rappresentavano una linea dentata. Nella ceramica neolitica di Cnossos, il Mackenzie (4) trovò non pochi frammenti colla decorazione di linee seghettate fatte con una punta analoghe a queste. Mi conferma in tale concetto il fatto, che nella ceramica neolitica trovata dal prof. Stasi nella grotta della Zinzulusa presso Castro, vidi una decorazione simile con linee sinuose, che certamente era fatta a mano, ‘senza corda. Qualunque sia la tecnica adoperata, è utile affermare che tale deco- razione appare in Italia nell'epoca neolitica. Anche i vasi che scavai a Molfetta nel terreno neolitico del Pulo, non lasciano alcun dubbio, e cade così l’ipotesi dei paletno- logi, i quali credono che i vasi decorati a questo modo, che trovansi nei dolmens, siano un genere di ceramica di carattere e provenienza nordica. Il medico del Comune di Sant'Angelo di Muxaro, dopo aver assistito allo scavo, mi assicurò che nei suoi poderi nel fare una vigna, si trovarono parecchi boccali di terra rossa come questi ultimi. Un altro proprietario di Sant'Angelo di Muxaro, mi raccontava che egli svuotò una tomba simile, e che vendette i vasi identici a questi, ad un antiquario di Palermo. Questo ci spiega perchè a Palermo e nel Museo di Siracusa, si trovino vasi simili provenienti da Sant'Angelo di Muxaro, e come il prof. Orsi pubblicasse una breve nota sui medesimi. Età probabile della tomba di Sant Angelo di Muraro. La ceramica di questa tomba è importante per la tecnica e lo studio della deco- razione, perchè quantunque il disegno abbia un carattere neolitico, gran parte dei vasi trovati appartengono al terzo periodo siculo (secondo la classificazione dell’Orsi); cioè all’epoca che precedeva la colonizzazione ellenica della Sicilia. In questa tomba non trovai armi di nessuna qualità, nè oggetti metallici. Interrogai il Sindaco, il (1) “ Bullett. ,, XVI, 1890; XVIII, 1892, pag. 33. (2) Massimizrano Mayer, Le stazioni preistoriche di Molfetta, Bari, 1904, pag. 56. (3) “ Archiv fur Anthrop.,, 1906, pag. 128. (4) Duncan Mackenzie, The pottery of Knossos, Tav. IX,“ The Journal of Ellenic Studies ,» Vol. XXIII, 1903. 432 ANGELO MOSSO — UNA TOMBA PREISTORICA A SANT'ANGELO DI MUXARO 12 farmacista ed alcuni proprietari, e tutti affermarono che in tali tombe non si trova- rono mai oggetti nè di rame, nè di bronzo. Onde per la cronologia dobbiamo affidarci esclusivamente ai raffronti della ceramica. È probabile che in questa tomba si ripeta quanto fu già trovato dall’ Halbherr nella tholos di Haghia Triada, che per lunghis- sima serie di generazioni si seppellirono i cadaveri nello stesso luogo. Le mie ricerche per stabilire quando furono fatte le prime sepolture in questa tomba, riuscirono infruttuose. I vasi di steatite forse furono portati da navigatori dell’ Egeo che penetrarono lungo il fiume Platani, o sono dovuti alle relazioni colla costa, degli abitanti primi- tivi del paese di Sant'Angelo di Muxaro. La ceramica di questa tomba accenna ad un periodo abbastanza progredito della civiltà sicula, a quello che l’Orsi chiamò terzo periodo: la presenza dell’&ok6cs e la prevalenza del boccale sono appunto carat- teristiche di esso. Alcuni vasi però sono di epoca anteriore al terzo periodo; come il gruppo delle piccole ollette ad anse acuminate, figg. 5 e 6, alcune delle quali sono di terra nera (così detto bucchero). Anche le coppe col piede sono probabilmente anteriori al terzo periodo. Qui troviamo le traccie della civiltà sicula, come era prima del mille a. C.: il non esservi ancora la cremazione, è un altro argomento per tener alta la data delle ultime sepolture fatte in questa tomba. I boccali del tipo fig. 20 e 21, sono tanto semplici, che non si può credere fossero ceramica che veniva importata. Non posso affermarlo con sicurezza, ma eccettuati i vasetti di steatite, credo che tutta questa ceramica sia fatta in Sicilia. Ce lo suggerisce la meravigliosa ceramica neolitica di Matrensa e Stentinello, della quale fino ad ora è rimasta ignota la provenienza e che dobbiamo credere fosse indigena. Ad ogni modo ritengo che la scoperta della tomba di Sant'Angelo di Muxaro, fu utile per farci conoscere lo stato di civiltà evoluta dei Siculi, prima che arrivassero le colonie greche, e si può stabilire con certezza, che anche nell’interno dell’isola la coltura e l'industria ceramica avevano raggiunto un grado notevole di elevatezza. Dopo gli studii fatti nel terreno neolitico di Phaestos (1) e di Cnossos, si può affermare che nell’isola di Creta in età molto ante- riore al neolitico dell'Europa centrale, eransi già inventate tutte le forme decorative che troviamo nella ceramica dei dolmens, e che non può accettarsi quanto si è pub- blicato sulla pretesa origine settentrionale della Bandkeramik. Un fatto singolare, il quale attesta l'influenza della moda, è che la ceramica di Sant'Angelo di Muxaro non sia decorata a colori, e che la gente nel tempo che fu in uso questa tomba, preferisse l’argilla rossa o nera, semplice e liscia, con deco- razione di linee incise nello stile arcaico, ripiene qualche volta di sostanza bianca. Già nel secondo periodo dell’Orsi, si era rinunciato alla decorazione cromatica e si preferivano le terraglie naturali. Tali inversioni e ricorsi nell'arte preistorica, ren- dono incerte e difficili le ricerche archeologiche. (1) A. Mosso, Ceramica neolitica di Phaestos e dell'epoca minoica primitiva. Monumenti antichi. “ R. Accademia Lincei ,, vol. XIX. ——— =—---i— 1. È utile però osservare che le seguenti considerazioni di questo $ sul metodo della degenerazione lineare valgono sia nel caso r < d, come in quello = d, ed inoltre non dipendono dalla disuguaglianza sZî— 1; occorreranno invece altre restrizioni, le quali saranno esplicitamente enun- ciate. Nei $ seguenti si applicheranno poi questi teoremi IX, X, perchè bisognerà tener conto delle dette disuguaglianze tra » e d e tra s e è. Il metodo della degenerazione lineare consiste nel sostituire ad una curva gene- rica di ordine n e genere p una curva costituita in parte o totalmente da rette, in modo che siano anzitutto soddisfatte le seguenti due condizioni: 1° Ja curva degenerata deve avere lo stesso ordine » e lo stesso genere p, 2* nessuna delle rette costituenti la curva degenerata deve essere nè una trisecante, nè una quadrisecante, ecc. della curva. Quindi per p=2 il metodo di degenerazione lineare non può dar luogo al metodo dello spezzamento totale, che consiste nel sostituire ad una curva generica di ordine n e genere p un sistema connesso di n rette in posizione generica con p-+-n—1 inter- sezioni semplici, perchè vale: Teorema XI. — “ Quando è p=2 è impossibile costruire un sistema connesso di n rette con pin — 1 intersezioni semplici, senza che almeno tre di queste intersezioni cadano sopra una stessa retta del sistema, ossia senza che la curva costituita dal sistema delle n rette ammetta almeno come trisecante una di quelle n rette ,. Estendendo nel modo più semplice il concetto seguito dal CasrELNuOvo (cfr. la citata Nota “ Un’applicazione della geometria enumerativa alle curve algebriche ,) e tenendo conto del concetto di condizione secondo lo ScHuBERT non si giunge al (4) Per ottenere il limite inferiore di x» occorre applicare la formola (1), che si trova a pag. 25 della Nota del CasreLxuovo, Ricerche di geometria sulle curve algebriche, “ Atti della R. Ace. delle scienze di Torino 3, 24, 1889. Seris II. Tom. LIX. n° 458 GIOVANNI ZENO GIAMRELLI 26 metodo dello spezzamento totale, ma ai seguenti due tipi di degenerazione lineare, che si chiameranno: metodo della degenerazione lineare di 1% specie, metodo della degenerazione lineare di 2° specie. Si chiami G,,, dove è kr ed inoltre "23 se è k=3, un poligono gobbo aperto costituito dalle % rette d;, da, ..., dx situate in posizione generica, tali che a partire dalla seconda inclusa ognuna si appoggia alla precedente, in modo che assumano i massimi valori possibili, non superiori ad r, le dimensioni degli spazì congiungenti individuati da tutte le possibili coppie, terne, ecc. delle d;, ds, ...,0x. In particolare risulta che i punti d’intersezione delle rette d;, ds, ...,0, prese due a due sono sola- mente i X—-1 vertici d, ds, 0283, ..., 0-14 del poligono aperto Go Supposto r2min(-{-1, s-|-2) ‘21 ed inoltre che esistano curve di ordine n —/ e genere p, essendo = min (i,.s + 2), si definisce metodo della degenerazione lineare di 1° specie rispetto alla condizione (n, p, 7; s;%) la sostituzione della curva F}” rela- tiva alla condizione (n, pr; s; î) con un’altra costituita da una F}_*" e da un poligono gobbo aperto G,, situati in posizione generica, in modo che 1° »' risulti uguale ad r, se esistono curve f7"; altrimenti risulti uguale alla dimensione dello spazio a cui appartiene una curva normale generica irriducibile di ordine n—! e di genere p. 90 il solo lato d; del poligono G,, sia una unisecante della M}7!”. 3° la [7 non deve appoggiarsi a nessuno degli spazî congiungenti di dimen- sione non superiore ad v — 2 individuati dalle possibili coppie, terne, ecc. delle Le ARI 1 Ag Supposto sempre 2 min(i + 1, 8-2) #21 ed inoltre che esistano curve di ordine n — e genere p, essendo 7 = min(i,s+4 2), sì definisce metodo della degene- razione lineare di 2° specie rispetto alla condizione (n, p, r;s;) la sostituzione della curva M»" relativa alla condizione (w, p, 7;5;?) con un'altra costituita da una Fi_f®*”" e da un poligono gobbo aperto G,_,, situati in posizione generica, in modo che 1° »' risulti uguale ad r, se esistono curve Fp_î'*”; altrimenti risulti ugtale alla dimensione dello spazio a_ cui appartiene una curva normale generica irriducibile di ordine n— 221+1 e di genere p, 9° solamente i lati d,, da_1 del poligono Gs_,, siano unisecanti della SERVE 3° la [i-î'*" non deve appoggiarsi a nessuno degli spazî congiungenti di dimensione non superiore ad r — 2 individuati dalle possibili coppie, terne, ecc. delle ds, dg, ..., daro. I risultati della Memoria del Normer, Ueder die reductiblen algebraischen Curven, “ Acta Mathematica ,, 8, 1886 e delle Lezioni del KLem, Vorlesungen Riemann'sche Flichen, pag. 114, sebbene non dimostrino, giustificano però almeno l'applicabilità dei due esposti metodi di degenerazione lineare per costruire la funzione lineare di condizioni caratteristiche equivalente alla (n, p, "; 5; è). Per brevità si chiamino Fab G,, la curva degenere ottenuta dalla F}" applicando il metodo di dege- nerazione lineare di 1% specie rispetto alla condizione (n, p,r3811); Fa 8iHLL Gy, la curva degenere ottenuta dalla ;” applicando il metodo di degenerazione lineare di 2* specie rispetto alla condizione (w, p, #;$:1). ai RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 459 Essendo ? = min(î,s + 1), £= 1, 2,..., è’, si rappresenti col simbolo (n, p,r;3;1;k] la condizione imposta ad uno spazio [s] di secare è volte la curva MT” G.,, in modo da appoggiarsi in un punto a ciascuna delle rette d,, bd, ..., 6, ed inoltre, quando risulti X < î, non appoggiarsi alla retta d,., e di più secare i — % volte la curva ottenuta dalla M7*'4 G,,, togliendo le rette di, da, ..., desi. Col simbolo [ri;pyx;83%; 0] si rappresenti la condizione imposta ad uno spazio [s] di secare i volte la curva ottenuta dalla f}-*"+ G,,, togliendo la retta bi. Essendo ‘= min(i,s +1), #20, #20, 4 +#'=0,1,..,d-1, si rappresenti col simbolo lr press; kl] la condizione imposta ad uno spazio [s] di secare i volte la curva Fi_î"""+ Gu, in modo da appoggiarsi in un punto a ciascuna delle rette d,_x, dirsi +3 dia dis Bis 3 +++s di4x ©d inoltre, quando risulti X+-%'< î—1, non appoggiarsi alle rette di_y_1, bisx+1 © di più secare #:—%X—4%'—1 volte la curva ottenuta dalla Fi_î#!"+ Gis, togliendo: le rette. Biaior; dim «ns diro dis Digg is das dana è Col simbolo (n, p,ris;i;l, —1, — 1| sì rappresenti la condizione imposta ad uno spazio |s] di secare ? volte la curva di genere p— 1 ottenuta dalla Mii" Gu_,,, togliendo la retta d,. Quindi, applicando il metodo di degenerazione lineare di 1? specie rispetto alla condizione (»,p,#;s;%), segue che questa si decompone nelle seguenti "4-1 condizioni pt, rst], dove è sempre d'=min(i, s + 1). Applicando invece il metodo di degenerazione lineare di 2* specie, la condizione (+1) 2 (n, p,r;s;d) si decompone nelle seguenti 1 + condizioni [n p,ris;i;l, —1,—1]; ln, p,r;.8;%;5,0, 0], [n pi ùe's;t; lg 0, kL [n, p, (RARI de 0], [,p,1:954;1,:0,.2], [n p,e;s;i;5 1 1] la, pr; .8;.6;2, 2, 0] [#,p,#;8;0;50, 0-1], [n,p,r;s:6b1,0—- 2], ..., [n p;r;s;i;tli' 1,0], dove è sempre@i'= min(i, s + 1). p 460 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 28 Per trasformare questi risultati occorre definire le condizioni caratteristiche del tipo m(s), delle quali sarà fatto largo uso anche nei $ seguenti; cioè si chiami m.(s) (£=1,2,...,8-4- 1) la condizione imposta ad uno spazio [s] dello spazio fon- damentale [d] di tagliare in un [K — 1] un dato spazio |k], ed inoltre si ponga mo(s) =1, m(s)=0, quando risulti k>s +1. Quindi da quanto si è sopra esposto si concludono le formole ricorrenti fondamentali: (n, p,r;s3)=(n—1,p,r:si)+ (0-2, p,r'issi-1)m(s)+ +... += ip,r5 bat, (n, p,r:;39)=(_=1p 1,r';ss)+(nT_3,p—_1l,r;s;si—-1)m(8) + + 2.(n-4,p_l, r'issi—2)mo(8)+..+@=1).(a_e-1,p 1,r%;s;1)m:()+i.r; (8) dove in ciascun simbolo del tipo (#', p’, r': s;j) »' è uguale ad r, se esistono curve [St altrimenti è uguale alla dimensione dello spazio, a cui appartiene la curva normale generica irriducibile di ordine n' e di genere p' Queste due formole ricorrenti sono fondamentali per costruire la somma di con- dizioni caratteristiche equivalenti alla condizione (n, p, *;s; i). È facile vedere che non sono indipendenti tra loro. Infatti, ammessa vera la prima per p = p', applicando la seconda per p=p'+ 1, si può dimostrare la prima per p=p'+ 1. Associando poi tra di loro queste due formole se ne può ottenere una più sim- metrica della seconda. Infatti, osservando che per la prima vale: (n -1,p—1,r';s;i)=(n—-2p=1;155; )+(n—3,p—lr;ssi—1)m(8) 4 Ln—4,p—_1,r5s;î—2)m()+...+t;d, dalla 2* segue: (n, p,r;s;) =(n_-2;p_—b risi) +2.(e—3p—1,r;s;é-1L)m(9)+ L._._[+i.nT_-i-1,p-1l, rs; 1)m(9)+ (741). r;(8). Siccome le formole ricorrenti ora trovate non dipendono da s e non dipendono essenzialmente nemmeno da r, per brevità si potrà d’ora in poi fare la convenzione di scrivere anche (n',p';) in luogo di (n', p', r'; s:j) sottintendendovi r' ed s, colla ipotesi che r' è uguale ad r, se esistono curve generiche irriducibili di ordine n', di genere p', appartenenti allo spazio [rJ altrimenti »' è uguale alla dimensione dello spazio a cui appartiene la curva normale generica irriducibile di ordine n° e di genere p'. Volendo poi estendere il campo delle formole ricorrenti ora trovate, sì potranno togliere le disuguaglianze tra l'ordine »' e il genere p' della curva generica irridu- cibile. che si riferisce al simbolo (w', p';.j), introducendo il concetto di curve virtuali di ordine e di genere qualunque; cioè per convenzione le formole ricorrenti trovate valgono qualunque siano gli interi (positivi, negativi, zero incluso) n’, p', ammettendo che i simboli del tipo (»’, p':), quando non esistono curve generiche irriducibili di ordine »', di. genere p', appartenenti allo spazio [r"] (essendo r'" un intero positivo non superiore ad » e maggiore di 2), si riferiscano a curve virtuali generiche di ordine n’ e genere p'. a È 29 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 461 Riassumendo si conclude: Trorema XII. — “ Quando sia sZi e r fame) = (fo fu +; PS, ossia per brevità: (9) n ET tenendo implicitamente però presenti le restrizioni (7) , Siccome per «= 1, il teorema XV diventa il teorema XIV per u=d—s— 1, è lecito dimostrare la relazione simbolica (9), supponendola vera, quando in luogo di « si pensino 1, 2, ..,. u—1. Interpretando simbolicamente l’identità Tr(S)Oge:(S: d)i = 034;(85 4) rs); sempre in virtù delle restrizioni (7) segue la relazione simbolica: (10) P°SMP= pes (o=1,2,...,u—1). (È facile osservare che in generale non vale la relazione simbolica spa PS). Dalla formola (I) di 3 si ottiene: (11) Tr(8) = Tu(8) Cas1(8; 9) — 04(8; A) 2(8) 022(8; d) + + [01-:(8; d)|?m,_:(5) Ci-s-s(8; d) rag isla + (— eo; 1) ES CL d), (u= 2, 3, ... s+ 1, essendo però d2s+w; altrimenti bisogna petre lo zero in luogo dei simboli 0,(s; @), il cui indice v è negativo). Per le ipotesi fatte sopra e per il teorema XIV, quando siano soddisfatte le (7), si deduce #alla (11) la relazione simbolica: i PV Pest Pv prisl), PVO 4 (1 perpo), 3,5 ossia per la (10): n (9 = (4) P*(S SD VO SD, SCE VASI LE SD, V 4) CI 2 1}tR), Tenendo ora conto di una nota relazione sulle funzioni simmetriche caratteri- stiche (cfr. p. es. la (4) della mia citata Nota, Alcune proprietà delle funzioni simme- triche caratteristiche, nel caso particolare 1 = s), segue subito: m(sj = PS = cv.d. Per mezzo di questi teoremi XIV, XV si potrebbe costruire una nuova risoluzione simbolica del problema degli spazî secanti. Serie IT. Tom. LIX. n° 466 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI S4 Invertendo il teorema XV segue: Trorema XVI. — “ Le condizioni caratteristiche, le quali moltiplicate per (8) (u=1, 2, ... s+ 1) diano luogo alla condizione caratteristica (fo fo + f) sono rispettivamente solo quelle ottenute eseguendo il prodotto simbolico ; ) (Ò) (fo, fu pielieta fa) Sus È "- Dallo stesso teorema XV si trae pure subito: Trorema XVII. — “ Essendo Vo, Vir «n Vi interi positivi non nulli, non necessaria» mente differenti tra loro, la cui somma i non è maggiore di s+ 1, il prodotto TToo($) Ttoy(8) Rusie Tty,(8) dà luogo ad una somma di condizioni caratteristiche del tipo (fo. fu SITI) [Ss dT_-s+ti, ds apiuni URCRE DIC) d), quando risulti i quando risulti i= s +- 1, soddisfacenti in entrambi i casi alle restrizioni (a) VER ER Per brevità d'ora in poi in entrambi i due detti casi ij; invece il simbolo operativo * è definito dalla (n', p';jJI=(n' —1, p'; j) Risulterà definito il prodotto di (#’, p'; j) per una funzione razionale intera di simboli 0, *, quando, dette @;, 9, due funzioni razionali intere qualunque di 0, * (avente anche come coefficienti funzioni delle ;(s), tts(s), ..., r,4:(s)), si pensi alla relazione simbolica (n', DE N) (P, + Po) =” (1, p'; ή t (n', D'; Î)®sa 468 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 36 e che inoltre il prodotto (n', p'; j) PP: è uguale al prodotto di (n', p'; j)p, per ®s. Evidentemente segue : (n', p'; j)v1P. = (#', p':j)P19P2 (proprietà commutativa). In virtù di questi simboli operativi 8, 3, applicando più volte le (1), (11), (11') si ottengono le relazioni simboliche: (13) ” (n, pi i)= (n, p; ij) + m(s).0+...+ (5). 0] (14) (2, p; )=(n—-u p—; i*[1+2.qm(5).0+...4+ (+ 1).m;(5).0'] (15) (n, pi )=(n—-u p—u; [14 m(5).>.0+...+i.m(5).+.0']" Da queste relazioni seguono subito: (16) (i, PI0) DO = (n— p, 0; 1) .9?**[1+ 2m(s).0+...+@+ 1).7;(s).6'P [14-m;(5).0+...+r;(9) 01], (17) (n, pi è) = =(n—p, 0; i).**.[1+ m(8).30+...+?.q;(8).*.0P[1+m;(9).0+...+ m(s) . 0']*. Occorre definire la parte di peso i di una funzione razionale intera delle ,(s), tto(s), ..., T;(s). Supposta scritta tale funzione sotto forma di una somma di termini del tipo Cuunn[1(9]9 [9]... mi] dove Cu. u; indica un coefficiente numerico (positivo o negativo), si dirà parte di peso i di tale funzione la somma di quelli tra i-detti termini, per cui gli interì (posi- tivi, zero incluso) %;, ws, ..., vw; soddisfano alla restrizione ud Quo +... 4 dui = È. Siccome geometricamente si trae subito: (18) (1,0 ap at) 8); in virtù delle (16), (17) si conclude: Trorema XIX. — “ Quando è sZi e r0, n22p+i=— 1, r2min(i + 1, s +2), Za condizione (n, p, r; s; i) è uguale alla parte di peso i della funzione [1+2.m1()+3. mo) +... +G+1). mp1 +++. + lg], oppure della funzione 206) +2. rto(s) +... +i. r(8)]"[1+m(8) + mo(8) +... + (unt, 37 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 469 Scrivendo i risultati sotto forma esplicita il teorema XIX diventa: Trorema XX. — “ Quando è sZi e r0, n22p-+i—-1, r2mini-| 1, s+ 2), la condizione (n, p, r; s; i) è uguale a Ser i pin—-2p—i+1)! Ren, (III) va lî41) vl..villp—vt...—villuto)!...(utv)ila—2p—itl—u..—vu+v +... +vi)! ? [m(8)]!. .. [m,(9)]*, dove la sommatoria è estesa a tutti è valori interi positivi e nulli delle 1, ..., U;, Vi, ».., Vi, per cui EU, ..., vLU, ut Que t... +iu=i, vt... +0vSp ut... buco... vEn—-2p—i+ 1; oppure la (n, p, r; s; i) è uguale a 7 SR plin—p—i—v—..—v+1) UO i RIM" «vi lu vl... (ui vi (n-p_—i+1—u—...— wi! [m(8)] ... [m:(9)]!, dove la sommatoria è estesa a tutti è valori interi positivi e nulli delle uu, ..., Ui, Vi, ...4 Vi per cui VU, ...3 v£U, Ut Quo t+... +iu=i, vt... +osp ut... +uSn_-p—_i+1,. La formola (III) nel caso particolare p = 0 diventa (—_i+1)! è > (II), »i ul... ui (n sr 1-u—..— uil! [m(9)] Tai [m:(8)] $ dove la sommatoria è estesa a.tutti i valori interi positivi e nulli delle w,, ..., per cui ut Quod... +iu=i, ut... +uSsn_ci+1; quando p = 1 si ha invece: (n-i-ll u U; (I); of »2 us... uil n= > ut... — vil! [m1(8)]" ... [mi], dove la sommatoria è estesa a tutti i valori interi positivi e nulli delle u,, ..., %; per cui ul + Quo k-... +iu=iî, unt... +uSn—_d. Se in questi due casi particolari della formola (III) si suppone inoltre r=d, ($+1)(r-s=ir—s—-1), sì ottengono due formole fondamentali della citata Memoria, Ricerche sugli spazi plurisecanti ecc., del TANTURRI. La (13) per u=1 dà poi luogo alla relazione simbolica (19) =3[1+m;(s)0 +... +4 m(5) . 0], 470 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 38 per mezzo della quale si possono modificare le formole (III), (III). Per brevità non i si enuncieranno queste nuove formole ; si osserverà solo come la (14) in virtù della (19) diventi (20) (n, p;i=(n p_u;t). (1 82[m;(8).0 +... + m(8) .0'P + $2[1,(8) 02 +... (i — 1). t;(s) 0) Come particolare applicazione della (III) e della (20) associata alla (13) si può ritrovare subito una formola del CasreLNUOvo, che dà il numero (w, p, 2($+1); s; s+2). Perciò si considerino i prodotti del tipo Tu(8) Tn, (8) nio Ttu;(5) n) dove gli interi positivi v1, 2, ..., 4. non necessariamente diversi tra loro soddisfano alla restrizione ul duo... +u=s+2. Supposto d = 2(s + 1), di questi prodotti solo [m(s)]°}" dà luogo alla condizione caratteristica (0, 1, ..., s); anzi si ha: [m.(9]"**= (0, 1, ..., 9). Quindi, se è n22s-+-p+3, p=0 la (n, p, 2(6+- 1); s;s+2) è la parte intera di peso s+ 2 della funzione t Il v DI (tati Il ° quando si applica la (III'), oppure della funzione i) e’? I DI ALTO) E SLO] snai CE quando si applica la (20) associata alla (13); ossia (n, p, 2($+1);s;s+2)= «—min(p,5+-2) u=min(p, a) 9 1 — N/p i — i 5a REI ut ) A = (2)( e—u=-2 Jin (1) u)\s-Q2u+2 (0), u—0 » u=0 (cfr. la formola (1) della citata Nota, Una applicazione della geometria enumerativa ece. del CastELNUOVO e l’osservazione a pag. 55 della citata Memoria, Ricerche sugli spazî plurisecanti ece. del TANTURRI). [a] +2 (!) Con È na | si rappresenti la parte intera del quoziente = 39 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 471 7. — Metodo simbolico per la trasformazione della condizione (n, p, r; s; i) in una somma di condizioni caratteristiche. Occorre ora riprendere le considerazioni svolte nel $ precedente sulle condizioni caratteristiche del campo m per trovare la formola atta a trasformare la condizione (n, p, 7; 8; è) in una somma di condizioni caratteristiche. Conviene anzitutto modificare la notazione dello ScHuBERT rispetto alle condi- zioni del campo , tenendo conto simbolicamente della legge di dualità. In questo $ e nei due seguenti si ammetteranno sempre soddisfatte le disugua- glianze (21) 0sTt-1S8, 0S5kSd—-s-1, 0OScoi, allora al prodotto simbolico (een iti Pi) o da»: da) si deve attribuire il valore zero. Per mezzo di queste definizioni e del teorema XXI le formole (I), (II) si mutano rispettivamente nelle seguenti : (IV) (esleso ose, ip = A PELO e Li LÀ, (V) (CRCR) 1 Pers; i) = = (00 01 n i 2, pl; s, 31142 piorespio LE RIIO]. (In virtù di quanto si è detto nel $ precedente le V O, vò , ecc. rappresen- tano le funzioni aleph di Wronski di ordine 1, 2, ecc. delle db, di, ..., di). Estendendo il significato del simbolo + introdotto nel $ precedente, il simbolo + sarà invece d’ora in poi definito dalla relazione simbolica (co, Cis + «03 Cs N, P; S, i)= (co Cig ce, Cs n— 1, p; Sì i). Quindi la (IV) si può scrivere simbolicamente: AR 1-31 ++ PM +... +78, lasciando sottinteso che si riferisce al simbolo (co, ci, ...3 (x; #, Pi 8, È). Occorre ora risolvere l’equazione simbolica (IV') rispetto alla 5. 478 GIOVANNI ZENO GIAMRELLI 46 Ricordando il significato delle funzioni simmetriche fondamentali si SEL (cfr. il $ precedente), segue subito: [1 SÙ+ SG. + D+ VR Pat... + 70]= -“1+5 189) 0a 704 EI] u=l eg (— iN [SO SI”) stay +u—l,k vid) Ùin SPIRI tr (= 1) SÒ Vl. Tenendo ora conto di una nota relazione sulle funzioni simmetriche caratteri- stiche (cfr. p. es. la (4) della mia citata Nota, Alcune proprietà delle funzioni sim- metriche caratteristiche, nel caso particolare /= s) si trae l'identità: (28) so sO 794. + =-0 (a=1 204095 inoltre, la funzione simmetrica omogenea delle dv, di, ..., è ide Fa SO vid) + GINO 37 ( 19? ig) Viù) CE i essendo di grado maggiore di 7, è uguale a zero il prodotto simbolico (c0, Lal: 3%, Ps s, 8) [OS i enni SEE 1, V Vi + SCoL - ( Di SÒ) p 9] (u="1,3; gb Perciò si conclude l’identità simbolicax i>lusti te > VO LIDL e la soluzione simbolica della (IV') è (VD $ = Sa SÒ a onde: (VII) [PAR CAPRERA 51, ON ENTO E = (c0,01,--.,0;n+ 1,p;3,)[1 — sì) _ SOLE + 10° SO a] : Dall’identità (28) si trae: SÒ 250 79 + 380, 79E...+(- D+ ri = [-).SÙ— u—2)8Da PRE (OA + DSo PO +( Me PA] (OS DE, 47 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 479 da cui 9) 1+E DIS — 2801 a VI 38 7 A+ VM 14 E Il-MSYM-ISA Vv -9)SD 2a 7 — PULA san yer7d)]. Siccome è zero il prodotto simbolico {Ca C1,1+ . 10075 2; Pi Si ©0701 1 da); essendo @(d, d;, ..., è,) una funzione omogenea delle è, di, ..., è; di grado maggiore di i, l'identità effettiva (29) si muta nell’identità simbolica (0) [1—st+ SÒ —...+ (14180212) [14270 +37 +... + +) = tas) PESO VIA RL. +7. Questa identità simbolica (30) per la (IV') e la (VI) diventa: 9LI+2V0R + VR +.. + G+DVR]T=1-SR+ 280 — + (DES 1a, onde, siccome la (V) si può scrivere così (enti nt pi So) SF 3? (co, C130--, Chi ped 39; î) bce sun 375) at mas, +.(@+1)V Sk si conclude: (VII) (nea pri (co; 1-10; p_1; 8, es as Lasi]. Le formole (VII), (VIII) sono suscettibili d’una ulteriore trasformazione. Infatti per l'identità effettiva ti SR e ipa (1 ld9(1-d) . —d) la (VII) diventa: (IX) (Eos Ci = (0,013... in + 1,p;5,)(1-d) (1 di)... (1-d); inoltre per l’altra identità effettiva LS AEON =(1-è»)(1—d)...(1_dy) — + i è, uns 480 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 48 la (VII) diventa: (X) (CIN DI L 1 1 1 = (60,01, 5, p_1;s,î)(1—do)(1—d)...(1—-d%) ie TR N +... + a —k| od anche introducendo le derivate parziali rispetto ai simboli do, di; ..., da: (X') (0; 013 GAI AO D) D) + (0,01, «5, p—1;8;1) EIN —_ > +... + dx +X|(1-dg)(1-d;)...(1—d)= 0. Queste formole (IX), (X) sono le più semplici possibili per trasformare la con- dizione (n, p, #; s; è) in una somma algebrica di condizioni caratteristiche. Inoltre dalle stesse (IX), (X) si possono ricavare le formole fondamentali (I), (II); anzi la (1) si può ottenere direttamente colla sola applicazione della (IX) senza far quindi alcun uso della formola (X) o di quelle ad essa equivalenti. Per applicare le formole (IX), (X) conviene fare altre nuove considerazioni sim- boliche. Detta w(co, c1, ..., €) una funzione qualunque dei numeri interi (positivi, negativi, zero incluso) co, 1, ..., x, è per definizione W(69, Ci; ; e =Wre e tisulterà definito il prodotto simbolico di w(co, 1, -.., 0) per una funzione razionale intera delle do, di, ..., dx, quando, dette @,, p> due funzioni razionali intere qualunque delle d;, è, ..., è;, si pensi alla relazione simbolica W.{c7, 613», 01 Pali Wp DE -3 Ca) Pa + W(00, 01,» .3 Cx) Po e che il prodotto w(c0, c1, ..., €) P19s è uguale al prodotto di y(c0, c1, ..., C+) P1 Per Pe. Evidentemente segue: W(co, C1,-- Ca) PP =W(00, 013 -- + 4) PaP1 (proprietà commutativa), ed inoltre, se 9, è una funzione razionale di grado zero delle do, di, ...: dk cioè è un numero, il prodotto w(co, c1, ...: 1) P1 non è altro allora che il prodotto del numero ®;, per la funzione w(co, C1,.», Cc). Prima di applicare queste definizioni al determinante di Schubert bisogna am- pliare il concetto di coefficiente binomiale. Essendo « un intero positivo, negativo, zero incluso, ed essendo è un intero positivo non nullo, si porrà ala—-1)...(a—-b+1) 7 IL'2-S00 ‘| in inoltre Up RENI s 49 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 481 Il simbolo @, soddisfa sempre alla relazione (31) a=(a— 1) + (a — 1) qualunque sia l’intero (positivo, negativo, zero incluso) «, prendendo però è intero positivo (zero incluso); è necessario poi ammettere vera questa relazione (31) anche pera i,. 2, onde segue a,= 0, se è è intero negativo. (Evidentemente la relazione a, = @,_; non si estende a queste nuove definizioni e vale solo quando « e è sono interi positivi). È importante ricordare che d’ora in poi la notazione a, sarà sempre usata nel senso ora esposto, lasciando alla notazione ( 7) l'antico significato di coefficiente bino- È Rea al . . MOTO È a È . miale; cioè des dove a, d sono interi positivi, zero incluso, per cui A ci . . . a risulti «=, essendo per convenzione 0!= 1, ed inoltre al simbolo ( °) sì attribuisce il valore zero, quando è negativo, oppure maggiore di 4. Essendo C03 €13 «+ x, interi positivi, negativi, zero incluso, Yo» Y1, +» 9% interi positivi, zero incluso, e tenendo conto delle precedenti definizioni sul simbolo @,, col simbolo Dy(c0, C13 003 Ck Mi JoJo. In) si designi il determinante di ordine & +1 di Schubert (o+mt+ godo (TMT gola - |. (a+ m+ Yo)e, (o+m4t gio (tmtgia - | | (a+ m+ gie, (co + m + Irco (cc+ m 5 Ino: DIF (cx “ta m He Io, Per eseguire il prodotto simbolico Dx (60, 01, ...3 €13 #5 90, 913 +»; 91) P, dove @ in- dica una funzione razionale intera dei simboli do, è, ..., dx, basta evidentemente considerare il determinante Dx(c0, 01, .-., 6k;#; 90, I13---, Y) come una funzione W(c0, 1, -.-, c4) delle co; c1; -.,,0x e tener conto di quanto si è detto sopra. Occorre ora definire il prodotto simbolico del determinante Dy(co, ci, ...; cx; 8; 90,91: +91) di Schubert per i simboli Ap, A1, ...,A£ e per le funzioni razionali intere di questi simboli. Per definizione è Daegiey-slCxi My d6r:I13 9a) A = eo i tI Jr Tea + 55 91) fa=0rda a). Risulterà definito il prodotto simbolico del determinante Dy(c0, 01, ..,%;#; Yor Y1, «+, 91) per» una funzione razionale intera delle Ay, A, ...,4x, quando dette Serie II. Tom. LIX. = “le ANI 482 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 50 ®,, ®» due funzioni razionali intere qualunque delle A, A, ..., Ax, si pensi alla È relazione simbolica Dx(c0, 01, --+30%3 91590911: - 3 99)(P4+ da) = = Da(c0, C1, +3 Chi M; Yor Y1, ++-3 9%) Pa +-De(c03 013 1 0430; Y09 I11 +, 94) Pa e che il prodotto Dico) C1r- + < Ck; Gor 913° «+394) Pi Ps è uguale al prodotto di Dr(co, c13 +3 0%i Yo 913 +3 94) 1 per Ps; quindi evidente: mente, come in casi analoghi precedenti, si ha la proprietà commutativa ecc. Infine rispetto al determinante di Schubert Du(to€13 +13 Cx3 63/409 Ii 9) è utile osservare che è certamente nullo, quando tutte le co, c,,..., cx non siano interi positivi zero incluso tra loro differenti. Premesse queste definizioni sì può dimostrare: Trorema XXIII. — “ Il determinante di Schubert Dx(co, C1, ..., Ca; M; Lo, 1, +» La) soddisfa alle relazioni simboliche {XI) Dx(c0; 01; o.-9Chs Mi Io, I11 e 009 gr)(1—do)(1—d).. .(1— dx) === = Da (0,013... 015 M_1; 90,913 -- +3 99); 1 1 (XII) Da(60,01 «003 Chi IM Jos J13 9 gn) (1—do)(1-d;)...(1—da) 12% + Tha + «it rl = = Dx(c0,013-+-3C%39; 905913 -- + 9r)(Art- A+... + Ax) ”* Essendo ora j un intero qualunque positivo (zero incluso) non maggiore di £, si designi col simbolo Dr.j(c0, C13 0 + +9 Chi Mi Gas Y13 è +3 gx) si designi il determinante Dy(co, c1, ..., Ck; #5 905913 +» 91), quando in luogo degli elementi della (uv + 1)S®® (x = 0, 1, ...,7) colonna si pongano rispettivamente quelli della (v + 1)SÎm® colonna del determinante Dr(co, 01, ..., 06; M_1; 903 913 +3 91); OSSIA Dx,j(c0) C1) PACIOTTI Chs 7; UE 13 a .3 Gr) non è altro che il determinante (com_14govo + - è (c;-+m—1+-90ke, (c;+1+M+-90)0s1 «a (catm+90)c, (cot+m—14-91)c << è (co+m_14+g1)c, (Gua +m+91)6;11 ea (entmt-92)o, | (cot+m_1+49n)eo «è (Cj+m_14+9n)e; (Ci+rtMHt9Ae (co+m+t9r)o, | il quale diventa un determinante di Schubert solo, se è j= £. 6l RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 488 Segue subito: (32) Di(c0, C1 ses9 ChsMi Joy Y1 DUI gu) (1—do) as Drolco, C13 0003 €k3 m_—l ; Io; I1; OLI) In), (33) Dr,j(Coy 013 Ck5M; Yo Iv +91) (1—d;-1) = Da,j+1(00, 01, +3 Ck; Yor J13 ++ 9") (j== 0, 1,...,k-1); quindi si conclude la (XI) c. v. d. Per dimostrare la (XII) conviene introdurre anche il simbolo Bi(u, V3 Coy C13 een Ch3M; Lor I13 «03 gn) (essendogi—0L,.., esp 0;1,..., £) per designare il complemento algebrico dell’elemento (c, + m + 9), nel determi- nante Di (co; Cr: +-3 043 M; Joy 91, «03 Gu). Inoltre è utile indicare con (3) LARA Degni CES 91) de) (essendo j= 0, 1,...,4) il determinante Dr(co, ci, ..., Ca; M—-1; Yo 91 ++-91:), quando in luogo degli elementi della (j+1)*®® colonna si pongano rispettivamente quelli della (j-+1)S®® colonna del determinante Dx(co, Ci) ...3 €45 Mj Yor I15 +, 94); Ossia 6) e > Dî (co, Cir 00.3 Ch3Mj Io Y13% 3 gn) non è altro che il determinante (com -14+-go)eo» (Cj-1+-m_1 +90)e;_1 (c;-4-m +90; (c;4irm—14-900,,; + (cot+m_1 +90)e, Îx1l (co+m_—14+g1)00 (c;-1-m-1+91)6, (c+m+-91), (c;41+m—1 +96, E (ca+m_-14-91)e, (copm_1+gn)eg e (c;-14+-m-14-9r)e_r (Ci+MH+-gh)e; (C-+1+M14-9w a + (tm_1+-gre, Dalle (32), (33) segue: Dx(c0, Cz ce0g Ck MM o, 13 ses 9 Gr) i) at (1_-èx) ==> Ar = Dyp-1(0, C13.- - -,°6k39; Jo 913° -0 91); e, poichè ESE Sa E Dalai esi do = Di (Conc) nti di I sì trae facilmente: —d - d) ... (1- ga) AA 8 _ PaCo <<, Cai; Io, 91, è Sc tambr: 0) = Di (C05C13--.3 23M; Yor915 +-+: 9%) (essendo j= 0,1,...,%). 484 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 52 Tenendo poi conto dell'identità effettiva u=k p> DI (0, Cao ‘e «,s Ck3M3 Yo, 13 - . -19) = u=0 u=k o=k — zx 2 (ut m + 9) Bi (u, Vi Cor C13° + +3 Ck; md Yor I11 «> 91) = u= v=| o=k = D,(co, Cig, Ch1M_ ik UE I1 0009 Ir Got sb Yi+13 Got, st Det) gu) e della relazione simbolica o=k z Dx(c0, CI) TI) Oxs Gay 91: *. -3 Yo-13 +1, Iv413 Iv+2) NIC SI = Da; 010 «° -s CkiM;I0,I1; «° -3 Ir) (Ao + At... + Ar, si conclude subito la (XII) c. v. d. Dalla (XII) segue subito: (XIII) Di(C0,:013ca 0x5 A ATER î È n: 1 1 1 u Uk! — do) (1—-d) ..-.(1— dy) es ga = +... + I — bg = = Di6 61) <.<, 3 Mp0) essendo « un numero intero positivo. Conviene ora introdurre il simbolo di trasformazione Ap(co, 01; ..., C+3 ) rispetto alle funzioni razionali intere dei simboli Ap, 4, ..., Ax. Operando col simbolo Ap(co, €14, ».., €: 2) sul monomio (34) C(90', I, ‘03 N) A Ad. . SAL, dove 90, 91, .... 9 sono interi positivi zero incluso ed inoltre C(90, 91”, ».., %) è un coefficiente numerico positivo o negativo, si ottiene il prodotto del coefficiente (90, 91°, ..., 9) per il determinante di Schubert n È Ù LA LIS ' Ù , Di(co, Ci <<.) Cai M— Go — Gi Gi I, I Gu) Operare col simbolo Ap(co, €1, ..., (x; #} sopra una somma di monomii del tipo (34) significa fare la somma dei risultati che si ottengono operando col simbolo Ap(c0;€1,»-+:0x372) su ciascuno dei monomii addendi. Quindi è completamente definito il risultato che si ottiene operando col simbolo Apf(co, €14, ...: x 22) sopra una funzione razionale intera dei simboli Ap, 4}, ..., Ai; inoltre si osserverà, sebbene sia una ovvia conseguenza, che può essere zero il risultato ottenuto operando col simbolo Ap(co, c1, -.., x; 2) sopra una funzione razionale intera dei simboli Ay, Ai, ..., Ax non identicamente nulla. Da queste definizioni segue che, indicando ora con g(4; 4}, ..., Ax) una funzione razionale intera omogenea dei simboli Ap, Ai, ..., Ax, per eseguire il prodotto sim- bolico Dilco, CL) «.., Csi M—-goegini + Gi Gov 91 er GIP, Ar a) ) 53 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 485 basta operare col simbolo di trasformazione Ap(co, €13 ..., €; #) sopra la funzione omogenea Io n9 I AVAI ... Ax9(A, A, ..., Ax). In particolare ponendo Yo 0, 9g= 1, Ne, t.9 n=, PA, Ai, 0.010,9 A)=(A40+ Art... + Ax)” dove è » un intero positivo, si trae la formola: (XIV) Micocci 01. gd... + Ag = I i AR giura da È; Re cpr) QAOEOS | mn re na Dalegr ix sit MV Ugg Us i da), uo! ul... ur! AES RR RED | an ul dove la sommatoria è estesa a tutti i valori interi delle wo, 1, ..., % per cui risulti ; N (7 PI O0Suos-+ 1. Riassumendo si conclude: Trorewa XXV. — “ Essendo sZi, rs+1, il numero degli spazì [s] secanti i volte una data curva generica di ordine n e di genere p appartenente ad un S, è uguale a TRATTI NR Uo U; tte Uk Ù I XIX N21 p! u 3, Ra 1) ul ul... un! k wo Tala ui: ° _ (—p—s-k-1+w!n—p—s-k_14+w)!..(n_p_s_k=71tw): È (i-s-D(i= gl. (+k—st1!n—p—i—k+w)!(n-p—i—-ktw)..(n_p—i-kt+w)! > dove k=r —s— 1 e la sommatoria è estesa «a tutti è valori interi delle u, uo, U, ..., Ux per cui risulta 0s +1, che ammette una serie lineare generica di ordine n e di dimensione r sopra una curva di genere p ». 59 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 491 Per mezzo delle formole sulle potenze fattoriali (cfr. il $ 1) la XVIII si potrebbe ulteriormente semplificare. Tale ricerca però richiede lunghi calcoli algebrici ed inoltre si dovrebbe tener conto della teoria delle funzioni simmetriche caratteristiche (cfr. la mia citata Nota, Alcune proprietà delle funzioni simmetriche caratteristiche). Quindi per brevità si considererà solo il caso p=1. ln questa ipotesi p= 1 la (XVIII) diventa: (otn_—i—-k-1)o (o+u—iCk--1)o (otn—i—-ho (otn_i—-4a 0. (co tn_-i-k— 1, ata (obn—i—-%) (o+n—i—1) (co+4n—-i—-1), Mele 1), perchè ricordando la notazione delle potenze fattoriali (cfr. $ 1) si ha l’identità: 1 (otn—tî— k)! (co4+n—i—)tH1 1 (o4n—i—- 4h (o+n—-i- DA! (+n—-i-pi! (o+n_—iT— kh)! 1 (a+n—-iT— 4)! (o+n_i-M)t | (co + n — i — bytH1 IRE CEE 1 Ca li Ck e. Aa Fi e EL 1, A ci ed inoltre vale: n=cotea+...+a+(+1@o—i-6Mh+ ET! kh_o), essendo 492 GIOVANNI ZENO GIAMRELLI 60 Dalla formola (XV) e dalla (XX) segue poi la relazione simbolica: (XXI) (Corti nti si (co, Ci, «.., ca; n_-1, 0; s, è), che si può dimostrare direttamente a priori. g. 46) della citata Memoria, Ricerche sugli spazî plurisecanti ecc. del TANTURRI. Rispetto al caso particolare "'=p-+r+i—s—1, la (XIX) per p=2 dà (i—s), come ha intuito il TANTURRI (cfr. il primo periodo di pag. 22 della citata Memoria Ricerche sugli spazîì plurisecanti ecc.). Dalla (XIX) per p=3 invece risulta: onde si vede che la (XIX) per n=p+r-+4i—s—1 non dipende solo da p e dalla differenza î —s, ma anche dal carattere %. L'introduzione del carattere £ è importan- utile x tissima non solo in questo caso particolare, ma in qualsiasi caso; perciò è aggiungere alcune osservazioni in proposito. Nei Lavori finora pubblicati non si considerava affatto tale carattere %, e quindi era naturale come non si potesse giungere alla formole generali (XVIII), (XIX) ecc. Se non si fosse introdotto il carattere % sarebbe stato necessario dividere in due teoremi il teorema XXVI. i Il carattere £# poi mostra, come risulta da tutta la presente Memoria, che alle questioni numerative per gli spazì plurisecanti di una curva algebrica non si adatta la notazione (40, 41, -.., 4) dello ScHuseRrT relativa alle condizioni caratteristiche imposte a spazî di dimensione s; occorre invece introdurre la notazione (co, ci, ..., Ck; 8, î). Nelle notazioni (60) Cia Ri) è il minimo, perchè rende più semplice la scrittura delle formole; infatti nel particolarizzare la (XVIII) per ottenere la (XIX) si è preso per % il minimo valore possibile. Nelle considerazioni precedenti si è lasciato indeterminato il valore di % per rendere più brevi ed eleganti le dimostrazioni di alcuni teoremi, evitando l’introduzione di disu- guaglianze, ecc. Dalla teoria simbolica del $ 7 e dalla (XV) si può ottenere invece della (XVIII) una espressione simbolica, che si presenta di facile applicazione a casi speciali. Infatti per p=0 dalla (VIII) e dalla (XV) segue la relazione simbolica: il carattere % può assumere più valori; di questi il più importante (co, Ci: - <<, Gay Ps Si = = Dx(c0, 01)... x; n—î—k; 0, 1,..,5) [1-SY+ 250) — ce + (DAS onde interpretandola si conclude: 61 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC, 493 TroremA XXIX. — “ La formola (XVIII) è identicamente uguale all’ espressione simbolica (XXI) Delco cn n ci m—i—k;0, 1, 6) 1-SG+280)—..+(- 1459. .]?, dove nello sviluppo [1 a SÒ di 280) sai aa Gai 148), x} sî devono togliere i termini del tipo Cugu. Didi... dk (dove Cryur.u, è un coefficiente numerico), per cui risulta un + ut... +u>i,. In particolare per X= 1 la (XXII) diventa: Di(co, co n—-i—1; 0, 1)(1 — dod; perciò, essendo Di(co, ci n—-i—-1; 0, 199590 = Dico — u, co — u; n—-i—-1; 0,1) u==001,.-.), si conclude: “ La formola (XVII) per k= 1, co < ci è identicamente uguale a u=min(p,Co) i \ (38) De ic Dei) | (ot+n_i—-1—wco-u (aatn_mi—1— u)c;-u | e 4 u (coni — uc (o t+n_—i— wWeou uz Posto in particolare co = s +1, cc=s+ 2, per i] caso di curve non virtuali la (38) diventa : u=min(p,s+1) (2). u=0 u=min(p,s4+1) AIA gr | pntirgiini, È u=0 (u_-s_—-2—u)s+iu (n—s—1T— vs+2-u (n—-s_—1l—us+1-u (ns — us+2-% ossia si ottiene la formola (2) della citata Nota, Una applicazione della geometria enumerativa' eec. del CASTELNUOVO. Invece nell’altro caso particolare co = s, cc=s+-2, é=2s+1, per il caso di curve non virtuali la (38) diventa: u=min(p,$) >, fia (2 N | s-2— uu (n—s — us+2—u | tRO» = fortarania -u (—s+1T—%s+2-u | u=min(p,s) î ) y l i DI: ala n—-s_—-u n_-s-2—u\(n-s-1—w lr Dei sì ii s— )( sw Y ossia si ottiene la formola (6) del capitolo II (pag. 53) della citata Memoria, Ricerche sugli spazî plurisecanti ecc. del TANTURRI. (4) Il simbolo (?) non è altro che i, n ul(p =)! 494 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 62 Tenendo sempre conto delle convenzioni fatte nel $ 7 sul simbolo 4, si può ora trovare una formola, sostituibile alle (XVII), (XVIII) quando p è negativo, la quale vale pure quando p è positivo, in entrambi i casi poi supponendo n» sia positivo, sia negativo. Ricordando che è nullo il prodotto simbolico (cor Cit Ch} fr Di SD) essendo @(d,, è, ..., è) una funzione omogenea delle èo, è;, ..., èx di grado maggiore di i dalla (X) segue: (co, C13 003 Ck Pi; Ss )= 1_-d9+ L pd, tl 1—di41 = (0,01, cn, p—1;8,%)(1-—do)(1—-d)...(1—da) | = so +tasatia = (60/01; #0 ARS are (1—- d)...(1—- da). .[1+ do + di +... 4 da 1 di + di +... +0 +... +d + di +... + di). Per eseguire la potenza ad esponente negativo [1+d0+d1 +. + de + d$ 4-94... +04. + di + di +. +28) (essendo p un intero negativo), occorre applicare lo sviluppo in serie di potenze di più variabili (ossia la serie poli- nomiale) limitato ai termini del tipo òfeda... dx per cui risulti uo4-ut...-+uxSi; inoltre evidentemente non bisogna tener alcun conto della convergenza. Quindi si conclude: Trorema XXX. — “ Quando p è negativo, alle formole (XVII), (XVIII) si deve sostituire la è - N @p(p—1l)... (p_ o — Ur — «. — Udi — «i — Uky — Uko — ... — Ukit+1 (XXIII) » Dt VE dI ‘02 (1) ki ko Lit ) 4 pe Uci! vos... gi! ....... Uxi! Uro! ... Uki! + D(co — dor — QUoa — <.- — dois +». Ck — Uan —QUra —-..— lag mn — p_i—k;0,.. k) dove la sommatoria è estesa a tutti è valori interi positivi, zero incluso, delle Voi Ud UE » Uk1, Uko, «+, Uki per cui risulta Uor + Qtos +. doi È... Lux + Qu +... + ivi Si. Inoltre la (XXIII) è identicamente uguale alle (XVII), (XVIII), quando p è positivo oppure zero; l'ordine n poi può essere tanto positivo quanto negativo ,. Questa formola (XXIII), che vale per qualsiasi curva algebrica generica non virtuale oppure virtuale, sebbene non, sia scritta sotto forma elegante e semplice come le (XVII), (XVIII) ecc., pure (tenendo anche conto delle considerazioni del, $ seguente) si deve considerare come la soluzione più generale del problema di trasformare la condizione (», p, 7; s; î) in una somma algebrica di condizioni carat- teristiche. 63 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 495 10. — IT metodo funzionale di Cayley e le formole ricorrenti fon- damentatli. Il metodo funzionale di Cayley per risolvere i problemi di geometria numera- tiva è stato perfezionato dal SeverI, avendo dato nella citata Memoria, Sopra alcune singolarità ecc. la soluzione algebrica di una estesa classe di equazioni funzionali. Per trasformare la condizione (#,p,7;s;%) in una somma di condizioni caratteristiche si potrebbe applicare il metodo funzionale di Cayley, tenendo conto della formola del Severi e delle formole che servono ad eseguire il prodotto di più condizioni caratteristiche. Siccome la ripetuta applicazione delle formole che servono ad eseguire il prodotto di più condizioni caratteristiche, conduce a risultati molto complicati anche per piccoli valori di î, è impossibile dal punto di vista pratico seguire questo procedimento. Quindi anche per il metodo funzionale si presenta assolutamente neces- saria una teoria simbolica, la quale si può estendere a problemi analoghi a quello della presente Memoria. Per render più breve questa teoria occorre dimostrare una notevole identità: Trorema XXXI. — “ Essendo m, m',i interi positivi tali che risulti m=Zi— 1, m'Zi—1e indicando con ug, U1, ..., u; interi positivi, zero incluso, soddisfacenti alle relazioni ut Qust... diu=i ut ut... +u=mtm —i+3, vale l'identità : =i mt2 (XXIV) (m+m'—i+-3)! Sem Py La (m—-t+1)! n (nio l Musa volvo... vil (uo—v)! (vi vi)... (vi! i=0 (ut) m+2 dove significa che la sommatoria è estesa a tutti i valori interi positivi, cero incluso, 0) cr) delle vo, Vi, ...,Vi soddisfacenti alle restrizioni Vo Uo, VEUL, ..,0Z5U, + Qt... +dv= 8, vt vt... +oa=m_-t+2,. Per dimostrare questa identità si potrebbe applicare un procedimento numera- ‘tivo geometrico; ma non è logico far dipendere da concetti geometrici la dimostra- zione di una identità algebrica; quindi, volendo fare una dimostrazione algebrica diretta, conviene per brevità ed eleganza usare un artifizioso metodo simbolico. Sia #1,#,...,%, una serie di y numeri interi positivi, zero escluso, tra loro differenti e disposti in ordine crescente. Essendo «,, ws, ...,; interi positivi, zero incluso, soddisfacenti alla sola restrizione ut Quo +... + iu=i, si rappresenti con N(n;,%2,...,7,;%1,%2,.+,%;) il numero, eventualmente anche 496 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 64 nullo, degli ipergruppi (!) costituiti da è numeri appartenenti alla serie n1,w3,..., e soddisfacenti alla condizione che di questi è numeri vi sono u, numeri non consecutivi, us coppie di numeri consecutivi, u; gruppi di è numeri consecutivi. Per brevità è utile porre i à UM u, L:(1n,) 13,9) = INR aa dove la sommatoria è estesa a tutti i valori interi, zero incluso, delle u,, us, ..., %; per cui risulta uk Quot+...+iu=i, e dove x;, €, ...,; sono ? variabili indipendenti. Per convenzione è poi L,(n,,ws,...,%,;0)= 1. Inoltre si scriverà semplicemente L(m; i) in luogo di L,(1,2,...,#;î), onde L(m;0)= 1, anche per m=0. Supposto m = i, da queste definizioni risulta l’identità: 1 L(U;) Ln-ua(U + 2,u+3,...,m;i— u), 0 e Il Lina) = La] u onde, essendo E£(0;0)=1L Elga (= 2, LnuU+1,u+2,...,m;i—-u)=L(m—-u;i—u) (u=153fsrfed si ottiene per mi la formola (39) L(m;ij =L(m-1;)) + a, L(m-2;i-1)+...+e_L(mT—i;1)+a;. e, Applicando ripetutamente la (39), per m “i si conclude: (40) L(m; i) = Di è pa (ode el'ao... xi, .vl(m—-itt_u—u— .. —u)! dove la sommatoria è estesa a tutti i valori interi positivi e nulli delle u,, %9, ..., %i, per cui ut Quo +... +iu=i, ut... +usm_i+1. Si ponga ora L(m,m'; i) = Lm+m (1,2,...,m mt 2,m+3,....m+m'+1;1). Dalla definizione si trae l’identità : (41) L(m,m'; i) = x» L(m;uL(m;i—-%), u=0 (') Qui ipergruppo significa gruppo di gruppi. 65 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 497 la quale, associata alla (39), dà per mi la formola ricorrente: (42) L(m,m';i)=L(m--1,m';i) +e L(m-2,m';i-1)+...+x;_L(m_i,m';1)+ x. ‘Tenendo conto di questa formola (42) e della proprietà che nella funzione L(m,m';î) si possono scambiare tra loro m,m', ossia che L(m,m'; i) = L(m',m;d), si può subito scrivere: L(m,m';i) = L(m,m—-1;i) + x;L(m',m-2;i-1)+...+x_L(m,m—i; 1) +2. Ammesse vere le formole L(-1,m;i)=L(i,m_-1;1)=..=L(m—1,t;0)=L(m,d;î), dove è 1<% <:, dalla relazione precedente segue: L(m,m'; )= L(m'+1,m—-1;)=L(m—-1,m'41;è), purchè risultino mZi, m'2i Pa 1; ossia vale la formola: (43) L(m,m'; i) = L(mt+1,m—-1;è), essendo m2i, m'Zi— 1. Applicando ripetutamente questa formola (43) si conclude: (44) L(i-1, m;)=L(i,m-1;i)=...=L(m-1,i;)=L(mi-1;)), dove è md. È facile osservare che questa formola (44) è completamente dimostrata, essendo lecito averla ammessa vera, quando si pensi 1, 2, ...,.é — 1, perchè la (44) è evi- dente per îi= 1. Quindi in virtù di queste uguaglianze si potrà indicare brevemente con L'(m+i—1;i) la funzione, che è identicamente uguale alle funzioni L(i—1,m;è), L(i, m—1;1), ecc. considerate nella (44). Supposto mi — 1, m'Zi— 1, dalla definizione si trae subito l'identità: L(m+m'+1;3)= Lm+mw(1,2,...,mm+2,m+3,...,m+m'+1;j) + u=i v=u—l "L z x L(m_—-u+v+2,m_—-u+0+3,...,m+v+1;%). «Lmim-u-1(1,2,...,m_—-u+v m+v+3, mt+0v+4,....m+m'+1;i-w) onde, essendo L.(m—u+v+2, n—u+v+43,...,m+0v+1;u) =, (ei a = ta 1) Lm4m'(1,2,...,mm+2,m+3,...,m+m'+1;i)=L'(m+m';i), Lmsm-u-1(1,2,....m_—u+v,m+0+3,m+v+4,...m+m'+1;i-u)=L'(m+m'—u—1;i—) @_12i.,t-a=0} Lala) segue per mZi— 1, m'Zi—1 la formola: L(m4+-m'+1;)=L'(m+m';i) +2 L'(m+m'—2;i-1)+...+(i-1)e,L'(m+m'—i;1)+iz; Serie II. Tox. LIX. . Mm 498 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 66 Tenendo conto della (42) questa formola diventa: (45) L(m+m'+2;i) = L'(m+m'; i) +2; L'(m+m'-1;i-1)+.. . Dix L'(m+m_—-i+11)+(+1)x;, dove è m7i—-1, m'Zi—-1. Associando a questa formola la (42), si trae: u=i v=i-v L(m-+m'+3;i = 2 L(m; v) L(m sese) +2 z ba a lt 1)a,L(m_-u;)L(m';i-u—-v)= = x» [L(m; 1) +5 (u+1)o,L(m_—u;t—-u].L(m';i-1), t=0 u=l dove è mZi — 1, m'Zi— 1, onde, essendo in virtù della (40) L(m;1t) +LY (u+1)o,L(m_u;t_—u=—- sno L(m+1;1); 1 u= si conclude che per m=i— 1, m'2î—1 vale la formola (46) L(m+m'42;i))= (m+2) £ » —W L(m-41;t)L(m';ji—-t). Eseguendo l'operazione 1 Qurtuot... +; ul ugli. uu! derma date... dr sopra entrambi i membri della (46) ed applicando la (40), si ottiene la (XXIV) c. v. d. Essendo il metodo funzionale di Cayley indipendente dal metodo di degenera- zione lineare, conviene indicare con }n,p,x:s;é{ la condizione (#, p, 7; $; è), quando si applica il metodo funzionale di Cayley invece del metodo di degenerazione lineare. Il metodo funzionale di Cayley, come è noto, consiste nel sostituire ad ‘una curva generica di ordine m +m' e di genere p+-p'—1 appartenente ad S, (essendo però m, m',p, p' interi convenienti) l'insieme di due curve generiche appartenenti ad S, situate in posizione generica (e quindi aventi nessun punto in comune) l’una di ordine m e genere p, l’altra di ordine m' e genere p'. Perciò segue che la con- dizione }m, p,r;s;î{ soddisfa all’equazione funzionale E ; re (XXV) }n+a',p+p'—1,r;issi{=}n,p,r;ssit+}n,p,r;ssi—-1}w',p,r;s:1{+ +...+}n,p,r;s;1}}n',p',r;s:t-1{+4}#',p',r;s;t{. Siccome questa equazione funzionale non dipende da 7 e da s, si potrà (in modo analogo a quanto si è fatto nel $ 5 pi al simbolo (n, p,r;s;%)) scrivere sem- plicemente }w, p; it in luogo di }w,p,r;s; il. Quindi l'equazione funzionale (XXV) diventa: (XXV') int+n',pt+tp'—1;it=}n,piit+}n,pii-1{}n'h,p1{+ -+)a,pili}w,pii1}+}w,pi{; 67 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 499 la quale equazione funzionale si ammetterà vera qualunque siano gli interi positivi, negativi, zero incluso, w, n’, p, p, introducendo (come si è fatto nel $ 5 per le for- mole fondamentali (1), (II)) il concetto di curve virtuali di ordine e genere qualunque. Trorema XXXII. — “ La condizione (n, p; i) definita dalle formole ricorrenti (1), (II) e dalla relazione (i, 0; i) = ;(8) soddisfa all’equazione funzionale (XXVI) (a-+n',p+p—1;0)=(n,p;9)+ (n, pii-1)(#,p';1) + +... +@,p;1),p;ii-1)+(#,p:;d), dove n, n', p', p' sono interi positivi negativi zero incluso ,. È utile anzitutto porre per convenzione (n, p;0) = 1; e si comincierà a dimo- strare che il secondo membro della (XXVI) non varia, quando p=-p"=0, finchè risulta costante la somma n + #'; siccome questa proprietà è evidente per î="1, è lecito nella dimostrazione fare l'ipotesi che risulti vera quando si pensi 1,2,..., :—1 invece di 4. Dalla (1) segue l’identità : u=i u=i v=u PI (n-+1, 0; ) (n, 0; i-u) = DI I t,(s)(n--v, 0; u—0)(n', 0; iu) = v=i u=i = Mr(s)m_—e, 0; u—e)(21,0;iv) O, v=0 u=v onde per la relazione u=i u=i x @M—0, 0; u—v)(2", 0; i-u) = X (n, 0; i-v)(n"— 2,0; vu—0) u=v (la quale per v=0 è una identità e per v > 0. è una conseguenza dell’ipotesi fatta sopra) sì trae: u=i u=i v=u z (n+1, 0; w)(n',0; i) = X m(s)(2, 0; i-wM)(n'—0, 0; v—?), u= n a =0 v=0 ossia per la (1): (47) x (n+1,0; (2,0; i-u) = x» (n, 0; «)(2'+1, 0; i—v). u=0 u=0 Applicàndo ripetutamente la (46) risulta dimostrato che il secondo membro della (XXVI) non varia, quando p=p'=0, finchè risulta costante la somma n+ n. Per mezzo di questa proprietà si può ora dimostrare che vale la (XXVI) per p=1, p=0. Se è nZi+ 1, n'Zi— 1, risulta subito dimostrata la (XXVI) per p= 1, p'=0, perchè, supposto m >i—1, m'Zi— 1, si hanno le relazioni: i=i (m + m'4 2,0; Q=Y Ti mt 1,0; 9(m/, 0; i — dè), t=0 quando si applicano la (II), e la (XXIV), 2 ; (m +2, lj= Mt (m +1,0;) e quando si applicano la (III), e la (IIT);, oppure la (XXI). (4) Si ricordi che per convenzione Ty(s)= 1. 500 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 68 Conviene ora dimostrare la formola (48) x» (n+1,1;u)(n,0;i- = x (2,1; u)(n'+1,0;i—-). u=0 u=0 Dalla (Il) segue l’identità : Si ° (n+1, 1;u)(n',0; SETE x v (0+1)m,(5)( (n-v_-1,0;u—-0)(n',0;i—) u=0 u=0 v=0 onde, siccome per la (47) è u=1 5) (n-v—1,0;u—v)(n,0;i-u= XY (n—v—2,0;u—o)(n'+1,0;i—-%) u=v si trae: » (n+1,1;u)(n',0;i-v) @ Z0+un, (s)(n—o—-2,0;u—0)(n'+1,0;i—w), ossia la (48) qualora si tenga conto della (Il). Applicando ripetutamente la (48) si conclude che la (XXVI) per p= 1, p'=0 è dimostrata non solo se è n2i+- 1, n'2 i — 1, ma anche se x, n' sono interi (positivi, negativi, zero incluso) qualunque soddisfacenti alla sola disuguaglianza n +n'2 2i. Volendo ora dimostrare la (XXVI) per p= 1, p'==0 quando , »' sono interi affatto arbitrarii (positivi, negativi, zero incluso), è lecito ammettere che essa per p= 1, p'=0 è vera, quando si pensi 1, 2, ..,é — 1 invece di è (perchè la (XXVI) è evidente per p= 1, p'=0, é=" 1). Perciò, tenendo conto di questa ipotesi e delle relazioni (conseguenze immediate della (I)) (n+n'—1,0; ) = (n+4+-#', 0; è) — » t,(s)(nt+n'—e—1,0;î—-2), v=l : (n-1,1;u=(n,1;u)— » t,(s)(nt—-v—1,1j;u—%) v=1l (Elise); si conclude l’identità : (49) (n+n'—1,0; i) = (n+n', 0; 4) + » (n-1,1;)(n', 0; i-v — (n,1;u)(n,0;i—v). u=0 u=0 Applicando ripetutamente questa identità (49) e ricordando che si è già dimo- strata la (XXVI) per p= 1, p'= 0, quando gli interi n, »' soddisfacevano alla disu- guaglianza n + n'= 2i, si conclude che la (XXVI) per p=1, p'=0, vale in qua- lunque caso. Senza far uso di alcun concetto geometrico si trova subito che la (XXVI) per i=1 è evidente qualunque siano p, p'; quindi néila dimostrazione della (XXVI) per î>1 è lecito ammettere che essa è vera quando si pensi 1,2, ...,é— 1 invece di è. Tenendo conto di questa ipotesi, per mezzo della (II) si conclude l’identità: (50) (n+n', p+p_ li —(Mn+a—-2,p+p'—2;) = x (n, pi u)(n', piiu— XL (n-2,p—_1l;u(n',p'ii-u). u ne 69 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 501 Siccome si è dimostrata sopra la (XXVI) per p= 1, p'=1, in virtù della ripe- tuta applicazione della (50) si conclude che la (XXVI) è dimostrata in qualunque caso. È utile qui e nel seguito porre per convenzione {n,p;0{= 1. Trorema XXXII. — “ Essendo No, D1, ...,. 0 Q+1 interi qualunque (positivi, negativi, zero incluso), si ponga per brevità (51) UE AMORI RI EA AE CRU ATI REI LOAD dove la sommatoria è estesa a tutti è valori interi positivi (zero incluso) delle uo, U, ..., Uy la cui somma è uguale a i. » Ammessa vera l'equazione funzionale (XXV') per p>0, p'=0, risulta come conse- quenza che ito, Ripi non muta al variare delle no, Di, ..., ny, finchè risulta costante la somma no dna +... +9 è- Questo teorema XXXIII risulterà completamente dimostrato, se si dimostra l'identità (52) Re a Ot ai, Re O 1, dove 20, Ri, ... N, Nos My, ....7 sono interi qualunque (positivi, negativi, zero incluso) soddisfacenti alla sola restrizione no Pnnt... += + nn +... + n. Conviene anzitutto dimostrare la (52) nel caso particolare g9= 1, ossia l’identità (53) Ino, na; 0; if=}no', na; 0; il. Tenendo solo conto dell’ equazione funzionale (XXV) per p= 1, p=0, si dimostra subito l’identità (53), quando è é=1; quindi nella dimostrazione della (53) per î> i è lecito ammettere vera la (53), quando si pensi 1, 2, ..., a —1 invece di 4. Essendo 0, #3, #0, #1", m interi (positivi, negativi, zero incluso) qualunque, tali che risulti no + #1 = 0 + #', dall’equazione funzionale (XXV') per p= 1, p'"=0 segue l’identità Z}m+m, 1; i-uf}m, 0; u= = +m, 1; i —-u}}no, 0; e quindi: u=i u=i Z|, ni; 0; u{m, 1; i-u|=}m, n',; 0; u}}ml;i-u} u=' u= In virtù dell'ipotesi fatta sopra che la (53) risulti vera, quando si pensi 1, 2,...,;-1 invece di ? si deduce: pro, na; O; uf=}no', n; 0; uf (o=1.droosre= 1); onde si trae ‘subito la (53) c.v. d. 502 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 70 Per dimostrare la (52), quando è g> 1, è ora lecito ammettere vera la (52), quando si pensi qg-—1 invece di 9. In virtù di questa ipotesi valgono le identità: , , , " tao, Ni; «+03 Nagai 0; ui =}M09 Mic Mega Nagai 0; «} (u=:15.2, «ai avendo posto " Seti ; ' Ù I x n ento a eee quindi si trae facilmente: i n PAIS ' DE PALA ° AI (54) Ino, Mir ++ +3 Ng-w Ni 05 di = Mo, Mag +00 Magag Ng Maj ORE Siccome per l'ipotesi fatta sopra valgono pure le identità : fan'ota, Mg O Wi OI i ea si deduce: , , 1) ri n SR Ù ,’ , go più Cata {No è Ni 3 «009 Mage, N 9-1 Ny 0; i} = {M0, Ni 3 +03 Mg; UTERO Ma 3 0; %, onde per la (54) si conclude subito la (53) c. v. d. Trorema XXXIV. — “ Ammessa vera l'equazione funzionale (XXV) per p'=0, risulta come conseguenza che essa è vera qualunque sia p' (intero postîtivo, 0 negativo) ,. Per dimostrare questo teorema XXXIV è lecito*fare l’ ipotesi che l'equazione funzionale (XXV') risulti vera per î qualunque quando si pensi p' — 1 in luogo di p', se p' è positivo ed invece quando si pensi p' +1 in luogo di p', se p' è negativo. Si chiami #'" un intero qualunque (positivo, negativo, zero incluso). Se è p'> 0, per l’ipotesi fatta vale la relazione: u=1 int+n',p+p—1;i=L{nT—-n",p+1; i—-u}in'+ n", p —1; uì, =0 e siccome è vzu in'+n',p —-1; =I}w, p'iotin', 0; u—ovi, sostituendo segue: v=1 u=at in+n, p+p —1;i{=Y(Z}n—n", p+1l;i-uf}n",0u—0)}#,p' DÌ, v=l) u=v OSSIA : 71 | RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 503 Se è p'<0, per l'ipotesi fatta vale la relazione: int+n,pt+p— 1; i=Z}n+", p_—1; ujja'—n", p'i4l;i-u! e siccome è intba',p—_1; u=L}n, Pi Rn", 0; u— ol, v=0 sostituendo segue: int, p+p — 1; ii de fa n', p+lii-ut}n",0u—vj)}n, p; è, v=0 u=v ossia: lada', p+p — 1; =Lln, pi vi}n',pp;i-v} c.v.d. v=0 Trorema XXXV. — “ La condizione |n, p;it definita dall’equazione ‘funzionale (XXV') e dalle relazioni li, 0;if="m), }i +1, 0; i{= E m(gm(0), soddisfa alle formole ricorrenti fondamentali (XXVII ju, p;ii=)n-1,p;i{ +)n—2,p;i-1{ (94... +}et—i, p; 1tt(9+n,(8), (EXVIII) }n, pi it=}n—-2, p—1if+2}an—-3,p—1l;i-1{m(9+... + Fio id, pr 1919 +@+ 1). Si chiami per brevità (XXVII), la formola ricorrente (XXVII), quando si faccia p=0. Conviene anzitutto osservare che, essendo pi, @; 1{=m;(s), 12, 0; 1{=21(s), dall’equazione funzionale (XXV') per é= 1, si ottiene subito la (XXVII), per i=1; inoltre dalle relazioni li 0; il=m@, li+1,0; }=Em0)7.,0) ru segue subito la (XXVII), per n= i+ 1. Quindi per dimostrare la (XXVII per i> 1, n>i+1 è lecito ammettere che la (XXVII), risulti vera sia quando si pensi 1, 2, ..., i—1 invece di i, sia quando si pensi n — 1 invece di n. Per l’ipotesi fatta seguono le relazioni: ln, 0; u}=Eln—1—,0; u—2]m,(9) v=0 STO ie jan 1, 0; ind 0; u—ofm,(s) v=0 UR 504 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 72 onde sostituendo nell’identità (conseguenza immediata dell'equazione funzionale (XXV')) Vin, 0; ut}i, O; i —-w — wiacdi 0; uffi +1, 0; i—-u}, u=0 u=0 sì ricava: u=i—-l v=u e . in, 0; i+ xL}n-v0—-1,0; u—ovi}i, 0; i—-u{m(s) = u=0 v=0 u=i v=U S —Y Ljn—-o—2, 0; u—of}i{-1, 0; i-u|m(s); u=0 v=0 siccome poi dall’equazione funzionale (XXV') si deduce: u=i u=i Lin—-v_-2, 0; u— vi}i +1, 0; iu=2jn_-o_-1,0; u—vi}i, 0; i-uf, u=»v u=bv si conclude: u=i—l v=u s 4 in, 0; i + X aaa 1, 0;u—oi}i, 0; i—- uns) = u=0 v= u=t v=U i PRI, —o— 1 0;u—oj}i, 0; i—-u{m(s), u=0 v= ossia la (XXVII) c. v. d. Per dimostrare poi la (XXVII), per i>1, nSi è lecito ammettere che la (XXVII) risulti vera sia quando si pensi 1, 2, ..., i—-1 invece di i, sia quando si pensi n + 1 invece di n. Per l'ipotesi fatta seguono le relazioni: v=u in, 0; u}.=XE|jn-1—0, 0; u— v{,(5) v=0 (use 2 pone in+1, 0; u=X}n—-0, 0 u—o{m(8) v=0) (ad 2; onde, sostituendo nell’identità (conseguenza immediata dell'equazione funzionale (XXV')) u=i Zia, 0; u}}i + 1,0;i-u=Z}nt], 0; u}ti, 0; di —u), i uz sì trae: e in, 0; TE Min—o1, 0; u— v}f}i +1, 0; i-u{m(s)= 0 va u=t b=u =—YL Lin—0, 0; u—ol}i, 0; i — uim(s); u=0 v=0 siccome poi dall’equazione funzionale (XXV') si deduce: u=1 u=t Lin—-v 0; u—v}}i, 0; i-ui=Z}n- 01,0; u—vi}i +1, 0; i—-u, u u=D si ottiene la (XXVII) c. v. d. 79, RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 505 Si chiami per brevità (XXVIII), la formola ricorrente (XXVIII), quando si faccia p=" 1. . Conviene osservare subito che dall’equazione funzionale (XXV) per 2= 1 si trae la. (XXVIII), per î= 1, quindi nella dimostrazione della (XXVIII), per i> 1 è lecito ammettere che la (XXVIII), risulti vera, quando si pensi 1, 2, .., i —1 invece di i. Avendo già dimostrata la (XXVII), si conclude }x, 0; i{ = (, 0; è); perciò le formole, che sono immediata conseguenza della (I), quando sia p="0, come p. es. la (II), si mutano in formole relative al simbolo }#, 0; î{; quindi, tenendo conto anche della (XXIV), si trae: i=i - (55) )n4w', 0; {= È e in—-1, 0; ti}n,0;i- ti, dove è nZi+ 1, n'Zi—- 1. Per l'ipotesi fatta che la (XXVIII); risulti vera quando si pensi 1, 2, ..., t—1 invece di è si deduce: intimi ;) ERE NIRO 87 onde al simbolo }m, 1; t{ (£="1, 2, ..., è — 1), considerato come simbolo (#, 1; t), si possono applicare le formole, che sono immediata conseguenza della (II) per p==1, come p. es. la (III);. Quindi tenendo conto anche della (III), si trae facilmente: sj im; bi im_—1, 0; t} (@=1,2,..5—1) Ea dI e la formola (55) diventa: t=i— 1 leo" in 10; +Y ta, E RO 1=0 n—_î In virtù dell'equazione funzionale = inn, 0; id =Z})a, 1; t{jn, 0; i—-t{ 1=0 si ottiene: }n, 1; ii=-—{n_1, 0; i}, ossia, tenendo conto anche della (XXVII), segue la (XXVIII), quando è ni-+1 c. v.d. Nella dimostrazione della (XXVIII), per n=? è ora lecito ammettere che essa risulti vera sia quando si pensi n + 1 invece di n, sia quando si pensi 1, 2, ..., i—1 invece di î, pur essendo » qualunque (perchè, come si è osservato sopra, la (XXVIII), per è =1 è conseguenza immediata della equazione funzionale (XXV) per î= 1). Dall’equazione funzionale (XXV) segue l’identità: i=i (0 L}n, 1;t}n' +1, 0; :—t{=YM}n+1, 1; #{}2,0; it, t=0 t=0 Serie II. Tom. LIX. n° 506 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 74 dove n' è un intero qualunque (positivo, negativo, zero incluso); quindi, siccome per l’ipotesi fatta sopra si ha: 3n, 1, {=E(0+ i)ja—o—2, 0; tét—-v{m(s) v=0 (=, 9.9 sostituendo si ottiene: ica pr 20+1) io 200; Sele Lia i=s = —YL(0+1)}n —v—-1 0; #— 0}, 0 i—-t{m(s). ferni= Inoltre poichè in virtù dell’equazione funzionale (XXV') è t= B)}n—o—-2,0; t_-v}n'+ 1,0; la Dr i=1i ;i-t= Lin —v—-1,0;t— e|}2,0 i=v sostituendo si trae: t=1 v=t in, 1; d+XE+1)}n_-o-2, 0; t_-v}}n' +1, 0; i— tm(s)= —_ 3 D+) —r — 2,0; #— 0}}2' +1, 0; d— tim.(9) t=0 v=0 ossia riducendo: SIC + 1)}n —o—-2, 0; d—-o{m(s) c.v.d. Nella dimostrazione della (XXVIII) per p>1 è ora lecito ammettere che essa risulti vera sia quando si pensi p — 1 invece di p, i—1 invece di i, pur essendo p qualunque, sia quando si pensi 1, 2, perchè la (XXVIII) per î=1 è conseguenza immediata dell’equazione funzionale (XXV') «0.0.3 per î="1. Per l’ipotesi fatta valgono le identità: int+n', p—_l; =Z0+ Dn tn 0-2, pP_ 2;i_-v}m(s), ;n, P; u=L(0+D)n- 0-3, p_l;u—vim(s) v=0 - (us, Zeta ia dove n, n' sono interi qualunque (positivi, negativi, zero incluso). Sostituendo nella equazione funzionale ìin+n', p_1; if= 2) n, p; ut}n', 0} i —u 79 RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE NUMERATIVO, ECC. 507 si ottiene: D+ Dintn —0—-2, p—Zi-olm@=]a p; i+ =i-l v=u +5 pila o_2,p_—lu—o]}lz0;i—}t(g), ossia in virtù dell'equazione funzionale int+n —o0_-2 p_2; TR a] Pale ei p_l;u—o0}}n', 0; i-u} si trae: ZL0+1)jn—0—2, pol; u—o0{}n, 0 i—-u[t()= u=0 v=0 u=i—l v=u — (n, p; i+ £ 2(0+1)fn—-o—2,p—1l;u—o]{w, 0 i—-ujm.(9), u=0 0 0=0 cioè riducendo: {n, p; ij=Z0+1)ln—0—2, p—1l;i—o]m() c.v.d. Nella dimostrazione della (XXVIII) per p<1 si ammetterà che essa risulti vera, quando si pensi p-+ 1 invece di p. L’equazione funzionale i, Di {=Zln_#, p+1;w}n, 0; i-u, in virtù dell'ipotesi fatta diventa: la; pr il = En, —o—-2, p;u—ovfn, 0 i-urn(s), e, siccome per l'equazione funzionale (XXV) è ino-2 pi; i-o]=Ejn—-n—v—3, p; u—ou}jn', 0; i_-u}, si trae: jr, Di i=>Eln—-0—2, p_l;i—-ofm(s) c.v.d. o=0 Riassumendo si conclude che il teorema XXXV è completamente dimostrato, perche non occorre dimostrare la (XXVII) per p== 0, essendo una immediata conse- guenza della (XXVII), e della (XXVIII) per p qualunque. In virtù di questi teoremi XXXII, XXXIV, XXXV si conclude: (n,p; î)=), p;ù, ossia: TroremA XXXVI. — “ Rispetto al problema generale numerativo per gli spazi plu- . risecanti una curva algebrica si ottengono risultati identici applicando al problema degli spazì secanti sia il metodo di degenerazione lineare sia quello funzionale di Cayley. 508 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI — RISOLUZIONE DEL PROBLEMA GENERALE, ECC. 76 Le curve virtuali generiche introdotte nel metodo di degenerazione lineare si possono pensare pure come le curve virtuali generiche introdotte nel metodo funzionale di Cayley ,. In virtù del teorema XXXIII le curve virtuali generiche di genere negativo pos- sono esistere effettivamente, perchè p.es. (ricordando il significato del simbolo 7” introdotto nel $ 5) supposto niZi; t+ min(£,.4) (udita se nello spazio S, le curve razionali Fo”, Fg", ..., [g2*: sono situate in posizione generica (e quindi prese a due a due non hanno nessun punto in comune) la curva costituita dalle g-4-1 curve Fo”, Fgv”", ..., (927: si deve considerare come una curva virtuale generica di ordine n0 + #1+ ... + #, e di genere negativo p = —g. Quindi è stato utile dare nel $ 9 la formola (XXIII), che vale anche per p negativo. Rispetto agli altri metodi funzionali si deve osservare che p. es. il metodo di Picquet (cfr. la Nota già citata) non è applicabile in generale al problema di questa Memoria, occorrendo aggiungere delle ipotesi restrittive. Infatti il metodo dello spezza- mento totale, che si può considerare come un caso particolare del metodo funzionale di Picquet, non è applicabile per curve di genere maggiore di uno. Inoltre rispetto al metodo dello spezzamento totale si può subito dimostrare che per le curve razionali ed ellittiche dà luogo a risultati identici al metodo di degenerazione lineare. SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE INDICE CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Note petrarchesche desunte dall’ Archivio Vaticano; Memoria del Socio CARLO Leonardo da Vinci come precursore della Snia (Dalle carte inedite di Windsor); Memoria del Prof. AnpreA SoLmi (con 2 Tavole) . P Ricerche sulla potenza marittima degli Spartani e sulla 004 dei navarchi; Memoria di Luicr PARETI . 5 È La diplomazia fiorentina e il soggiorno di aria Lusia in ia negli anni 1351-1352; Memoria del Socio CARLO CrpoLLaA . s È L’ Amministrazione generale del Piemonte e Carlo Botta (1799); Méinoria del Socio GIOVANNI SFORZA i È Carteggio dell’Amministrazione generale del Bnionta a con Caria Botta e Gio. Giulio Robert, suoi agenti presso il Governo francese a Parigi; Memoria del Socio GIOVANNI SFORZA È \ î è apt. : 3 K CIPOLLA 2 } È 7 3 . Pag. 215 287 P ti "= NOTE PETRARCHENCHE DESUNTE DALL'ARCHIVIO VATICANO MEMORIA DEL SOCIO CARLO CIPOLLA Approvata nell'adunanza del 22 Novembre 1908. Un piccolo manipolo di documenti Vaticani o ignoti o imperfettamente noti pre- sento agli studiosi di Francesco Petrarca, come seguite ad altre notiziuncole archivi- stiche che ho pubblicate alcuni anni addietro. Questa volta partisco il materiale raccolto in più gruppi. Nel primo colloco un nuovo dato intorno a Gerardo, fratello di Francesco, e alle sue occupazioni nel 1343, quando stava per entrare in convento. V’aggiungo un cenno sulla società fiorentina vivente alla corte di Avignone quando vi soggiornava messer Frarrcesco; e i docu- menti s’incaricano di farci incontrare con nomi, per l’uno o per l’altro riguardo degni di uscir dall’oblìo. Vi c'imbattiamo anche con un fiorentino, ma un fiorentino ch’era uscito di patria, inviato a Clemente VI dal duca d’Atene, dopo la sua rovina. Ognun sa che intorno a quel tempo si recava in Avignone la solenne e famosa amba- sciata dei Romani ai tempi di Cola; i nomi degli ambasciatori, annunciatici da un documento, escludono che M. Francesco sia da annoverare fra essi. Pareami meritevole di essere ripresa in considerazione la supplica che Francesco Petrarca presentò nel 1347 a Clemente VI e che è notevole, non solo per il suo contenuté, ma ancora per la forma, che in non poche frasi elegantemente umanistiche, rivela la mano dotta ed artistica di chi la compose. Un'altra questione trova finalmente la sua soluzione : la data in cui il cantore di Laura ottenne l’arcidiaconato di Parma. Questi documenti, che spero non riusciranno tutti sgraditi, non solo a chi studia il Petrarca, ma anche a chi prende interesse alla storia di Roma e di Firenze ai suoi tempi, provengono dai registri del pontificato di Clemente VI, gli uni da quella medesima serie dei così detti Registri Avignonesi, che mi avevano fornito i documenti editi per l’addietro, gli altri dalla serie delle Supplicationes, serie in generale poco studiata, eppure meritevolissima di considerazione. Infatti c'inganneremmo se credes- simo che essa serbi soltanto notizie di grazie e favori di puro e semplice interesse privato, mentre invece fornisce indicazioni d'ogni fatta e d'ogni maniera. Mi è lieto officio quello di ringraziare gli illustri preposti all’Archivio e alla Biblioteca della Vaticana, mons. P. Wenzel e p. Fr. Ehrle, per le cortesie usatemi, Serie II. Tom. LIX. 1 2 CARLO CIPOLLA in questa come in tante altre occasioni. AI ch.®° sig. dott. E. Ranuzzi dell'Archivio ricordato debbo indicazioni, che mi furono assai utili. Per altre notizie sono debitore alla cortesia di mons. M. Mattasso, scrittore della Biblioteca Vaticana, il quale, stu- diosissimo del Petrarca, mi fu largo di consigli eruditi. I L'ingresso in convento di Gerardo Petrarca. Alcuni anni fa ho pubblicato (1) la lettera di Clemente VI del 22 maggio 1342 che assegnava a Francesco Petrarca un canonicato a Pisa, insieme con quella del 7 ottobre 1342 per mezzo della quale lo stesso pontefice dava ordine al vescovo di Teano e a due abati di immettere il Petrarca nel possesso del priorato di S. Nicolò di Migliarino. Prima di me aveva dimostrato che il Petrarca ottenne il priorato di Migliarino, Pagano Paganini, di chiara memoria, il che dapprima avendo per errore passato sotto silenzio, corressi la dimenticanza poco appresso, pubblicando un’altra bolla di Clemente VI, pure in favore del Petrarca (2). In questi ultimi tempi nuove notizie intorno a questo beneficio concesso al Petrarca trovò e pose in luce Arnaldo Della Torre (8). Alla corte Avignonese i fiorentini erano numerosi in quel momento. Ma quello fra essi che più interessava al cuore di Francesco Petrarca era suo fratello Gerardo, prossimo appunto allora a entrare nel chiostro. Di Gerardo, anima profondamente religiosa e pia, fratello amoroso del Poeta e in non piccola parte, per quanto si può ritenere, autore della nuova disposizione d’animo in cui il cantore di Laura entrava appunto in quel tempo, scrisse una bellissima biografia Enrico Cochin (4). Questi crede — e se in ciò abbia ragione o torto lo vedremo più innanzi — che Francesco Petrarca facesse ritorno in Avignone nell'aprile 1342, qual membro della solenne e famosa ambasciata dei Romani a Clemente VI. Gerardo, a suo dire, probabilmente durante il tempo dal fratello passato in Italia, si fermò a Valchiusa (5), dove Fran- cesco erasi trattenuto dall'agosto 1337 al febbraio 1341 (6). Secondo il Cochin (7), è probabile che sino dal 1341 Gerardo pensasse a ritirarsi in convento, ma che poi ritardasse l'esecuzione del suo disegno, attendendo il ritorno del fratello. Ed è pure probabile (8) che Petrarca fosse presente al momento in cui Gerardo lasciò lui ed il mondo per entrare nella Certosa di Montrieux. Molti anni appresso il Poeta ram- (1) Francesco Petrarca canonico di Pisa nel 1342,“ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, 1906, XLI, 175. (2) Sui motivi del ritorno di Francesco Petrarcatin Italia nel 1347,“ Giorn. Stor. d. lett. ital. , 1906, XLVII, 263. (3) Documenti su un benefizio toscano del Petrarca, “ Arch. stor. ital. », 1908, XLII, 119. (4) Le frère de Pétrarque, Paris, 1903. (5) Ivi, p. 55. (6) Ivi, p. 45. (7) Ivi, p. 56. (8) Ivi, p. 57. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL'ARCHIVIO VATICANO 5) menterà quel momento con parole così vive ed efficaci, i consigli che il fratello gli aveva lasciato, da farci pensare che le parole di Gerardo siano state pronunciate nel momento supremo del distacco. Francesco nei primi anni del ritiro del fratello non ebbe con lui relazione, ma si recò poi a visitarlo a Montrieux nella primavera del 1347 (1). Il Cochin studia in una speciale appendice (2) la data dell’ingresso di Gerardo in mona- stero, ed esamina singolarmente le lettere di Francesco, le quali accennano a questo. In Famil., XVI, 9, del 28 aprile 1353, si dice che Gerardo da un decennio era in convento: parrebbe adunque che il suo ingresso colà si dovesse collocare al 1343. In Fam., XVII, ep. 1, del 7 novembre, e secondo ogni probabilità dell’anno mede- simo 1353, Francesco precisa ancor meglio il tempo fino allora passato a Montrieux “ vix dum plene decennio ,. Anche il Cochin riconosce che queste lettere depongono per l’anno 1343, ma poi esaminando Fam., X, ep. 3 e Sen., XV, ep. 5, ancorchè confessi che di queste due lettere la data è incerta, pur finisce per convincersi che sia meglio far risalire al 1342 la monacazione di Gerardo. Adesso mi balza fuori un documento, che, nel mentre assicura un nuovo dato biografico su Gerardo parlando di un suo officio finora affatto sconosciuto, termina anche la questione della data e la segna al 1343. Il documento si trova fra le Supplicationes indirizzate a Clemente VI. Questa serie di documenti è di grande importanza: i più svariati argomenti passano sot- t'occhio al lettore che scorre i ventidue volumi in cui stanno distribuite le suppliche del tempo di quel pontefice: non sì tratta soltanto di questioni private, ma abba- stanza di sovente si trovano qui indicati e svolti più o meno numerosi, fatti d'ogni parte della Cristianità. Il benedettino U. Berlière (3) si occupò delle suppliche di Clemente VI, per rispetto al Belgio. Nella introduzione egli discorre con molta dot- trina del modo con cui le suppliche si compilavano e in generale di tutte le forma- lità giuridiche che le accompagnavano. Pur troppo, non abbiamo le suppliche dei papi anteriori a Clemente VI; ma la serie che da quest’ultimo papa si inizia, giunge fino a Pio VII ed abbraccia nient'altro che 7011 volumi. La pubblicazione del Berlière mi riuscì utile per diverse maniere, e fin dal caso presente me ne avvan- taggiai per spiegare la sigla R, che segue alla formula di concessione, Il Berlière (4) avvertì che la lettera maiuscola, varia per i diversi papi, ma costante per ciascuno di essi, Ja quale chiude per tale maniera le suppliche, corrisponde all’ iniziale del cognome che il papa portava prima della sua elevazione. Clemente VII, che chia- mavasi Roger, adoperava quindi una R. Nel volume ora segnato 2 leggiamo una supplica di Gerardo Petracco. Essa sembra un vero e proprio motu proprio pontificio, e ne ha in sul principio la for- mula. Ma a ciò non è da badar troppo, poichè in realtà non è che una supplica alla quale il papa fa seguire una delle consuete formule di concessione. Ciò si rinnova altre volte nelle Supplicationes e non è quindi il caso d’insistervi davvantaggio (5). (1) Ivi, p. 66. (2) Ivi, p. 197-200. (3) Suppliques de Clement V1, Rome, 1906. (4) Op. cit., p. xx. (5) Veggasi più innanzi al paragrafo V il motu proprio con cui il 29 ottobre 1346 Clemente VI concesse a Fr. Petrarca un canonicato in Parma. 4 CARLO CIPOLLA Si affermava la forma di motu proprio pontificio quando si desiderava di trattare con un riguardo speciale la persona che si volea beneficare. Da questo documento pertanto intendiamo che Gerardo Petracco addì 13 marzo 1843 ottenne di essere accettato scrittore nella Penitenzieria. Egli nell’istanza prende l'appellativo di chierico fiorentino, il che esclude affatto che fosse monaco. Anzi non pare probabile che neppure meditasse in quel momento d’ entrare in convento, se domandava un officio in Curia. Risulta quindi provato che il suo ingresso a Montrieux è posteriore (e probabilmente di varii mesi) al 13 marzo 1343; anzi c'è ogni motivo per- credere che in detto giorno non pensasse ancora a vestir l'abito monastico, perchè le due aspirazioni sono fra loro evidentemente contrarie. La sua risoluzione fu quindi o subitanea o quasi, nè pare che possa risalire al 1341. Riferisco adunque il documento (1), al quale precede un’altra simile concessione in favore di un’altra persona. Di fronte a quest'altro documento si legge: “ de officio “ scriptorie penitentiarie ,. Accanto al nostro leggiamo “ de eodem officio ,, ossia dell’officio di penitenzieria. Si osservi che, come il fratello, Gerardo denominavasi Petracco e non Petrarca. (Villeneuve-lez-Avignon, 13 marzo 13483). De eodem officio. Motu proprio providemus Gerardo Petracho, clerico fiorentino, de officio scriptorum peni- tentierie nostro, mandantes eum in loco Cintii de Bonacciano de Roma, olim dicte penitentierie scriptoris, recipìi et admicti. Et si forsan in dicto loco reperiatur alius subrogatus, ipsum Gerardum facimus ex nune dicte penitentierie nostre scriptorem, ipsumque ad illud (2) et eius exercitiuam ac eius onera et emolumenta, sicut unumquemlibet ex alijs dicte penitentiarie scriptoribus actu illud exercentibus, ex nune etiam recipi volumus et admicti, quocumque dic- torum scriptorum, etiam auctoritate apostolica, statuto, vel confirmato numero, etiam sì fiat ultra dietum numerum et nundum ad illud deventum existat aliquatenus non obstantibus (8). Fiat si vacat. R. Et transeat sine alia dictione. R. Dat. apud Villamnovam Avenionensis dioceseos . III . id. martij, anno primo. Chi legge questa istanza vede subito ch’essa è scritta nello stile usuale in questa specie di documenti. Le formule giuridiche non mancano anche nella supplica di Francesco Petrarca, del 9 settembre 1347 (4); ma quivi le aride e fredde formule di cancelleria si frammischiano alle frasi in bel latino, che tradiscono la mano del grande poeta e umanista che le dettò. Nel caso attuale, nulla di tutto questo. Si può esser certi che Francesco ben poca parte prese alla redazione della supplica presen- tata al papa in nome di Gerardo. Si direbbe che in quel momento i due fratelli non fossero insieme: tuttavia non bisogna affrettarsi a fare una così grave conclusione, poichè troveremo le suppliche di Francesco Petrarca per ottenere il canonicato e l'arcidiaconato di Parma (1346, 18348), che riulla hanno di umanistico. (1) Suppl. N. 2, fol. 94 v. (2) Intendasi: officium. (3) Ms. obst. (4) Suppl. N. 14, fol. 69 v-70 r. bL i NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 5) Francesco Petrarca nella primavera del 1343 girava su e giù fra Avignone © Valchiusa, secondo G. Volpi (1), il quale rimanda, pare, dalla primavera del 1342 a . quella del 1343 il ritorno di Francesco ad Avignone. Scrive: “ tra la città e il ritiro “ di Valchiusa alternò la sua dimora, fino a che, morto Roberto re di Napoli, il pon- “ tefice non lo mandò a difendere i diritti della Chiesa... ,. A. Gaspary (2) scrive: «“...nella primavera del 1342 si rimise in viaggio per la Francia, ma alla fine “ del 1343 papa Clemente VI l’inviò a Napoli per guardare, dopo la morte allora “ avvenuta di re Roberto, i diritti della sovranità della Santa Sede sopra la corona “ di Napoli ,. Vedremo che se si rimanda addietro fino alla primavera del 1342 la venuta di Francesco Petrarca ad Avignone per farlo uno dei membri della famosa legazione romana, la supposizione manca in realtà di quel fondamento, che in apparenza par- rebbe avere. Sicchè la questione è complessa. Questo solo si può dire che la sup- plica di Gerardo non è affatto provato sia stata scritta dal fratello. Discuterò in appresso un dubbio: pensò per qualche momento Petrarca a fer- marsi a Montrieux, per godere della conversazione del fratello, pur senza farvisi monaco ? II. La colta società fiorentina alla corte Avignonese. Attorno a Gerardo e a Francesco Petrarca, e in diretto contatto colla corte Avi- gnonese, nel 1342 e negli anni immediatamente ‘successivi, vivevano molti fiorentini, e fra essi alcuni si devono considerare certamente come personaggi di rilievo. Scor- rendo le Supplicationes, mi sono incontrato con parecchi di costoro, ed è facile conget- turare che molti altri ce ne fossero, poichè il ricordo di quelli che sono menzionati, è lì posto affatto casualmente. Per primo mi venne incontro un pittore, nella supplica seguente: Supplicat S. V. fidelis servus vester Dominicus Cenni de Florentia, clericus et pictor sacri palatij vestri, una cum ven. magistro suo magistro Matheo de Viterbio dicti palatij vestri pictore, quatenus sibi specialem gratiam facientes de perpetuo beneficiatu ecclesie Lateranensis, solito clericis secularibus assignari, qui cum ipsum beneficiatum obtinent, beneficiati perpetui vulgariter nuncupantur, vacantem apud Sedem Apostolicam per mortem domini Luci de Castro Columpne, Panestrinensis dioceseos, olim diete ecclesie beneficiati et Apostolice Sedis scriptoris, qui in Romana Curia diem clausit extremum, cum omnibus iuribus et pertinentiis suis provideri dignamini generose, et cum omnibus non obstantibus et clausulis opportunis et executoribus. Fiat. R. Et quod transeat sine alia lectione. Fiat. R. Datum Avenione, idus (sic) novembris, anno secundo (3). La data è dunque: 13 novembre 1343. (1) Il Trecento, nella collezione Vallardi, p. 28. (2) Storia della lett. ital., vol. I, trad. da N. Zingarelli, p. 354. (3) Suppl. N. 3, fol. 75 r. È 6 CARLO CIPOLLA Di qui si deduce che Luca da Castel Colonna soggiornò e morì in Avignone, pur godendo di un beneficio lateranense; € questo beneficio dopo la morte di lui, desiderò ed ottenne un altro chierico secolare, cioè non costituito in alcun ordine, ch’era pit-, tore addetto al sacro palazzo Avignonese, Domenico Cenni, fiorentino, che si dichiara scolaro di maestro Matteo da Viterbo. Quest'ultimo è ben noto fra i pittori che lavorarono nello splendido palazzo papale di Avignone. I tesori artistici d'Avignone furono fatti recentemente oggetto a molti studi (1). Fin dal 1885 E. Miintz (2) classificò i pittori del palazzo in medo da attribuire al tempo di Benedetto XII Simone di Martino e a quello di Clemente VI Matteo ‘di Giovannetto da Viterbo, per il quale ultimo cita anzi una serie di docu- menti, il primo dei quali è del 25 agosto 1343: è dunque anteriore alla nostra supplica. Nessun pittore fiorentino cita il Miintz (3) al di fuori di due soli, fattigli cono- scere da un documento del 28 aprile 1344, in cui si legge: “ Francisco et Nicolao «“ de Florentia... ,. Il Mintz (4) ed altri ricorrono, per quanto si attiene alle raccolte manoscritte Vaticane, ai libri Introitus et Exitus Camerae Apostolicae, i quali, per quanto ricchi, pare che non abbiano serbato memoria del nostro pittore. L. Duchanel (5), ricordando questi atti Camerali e accennando agli studi intorno ai medesimi fatti dal Faucon e dal Mintz, aggiunge altre notizie desunte dagli Archivi di Valchiusa, per illustrare meglio l'origine e le vicende dello storico palazzo. Più tardi il p. Ehrle (6), narrando eruditissimamente la: storia della biblioteca Avignonese, inserì nella sua esposizione un articolo “ De historia palatii Romanorum Pontificum Avenionensis ,. Siccome quando l’Ehrle scriveva, le suppliche non erano ancora disposte all’uso degli studiosi, così egli dovette accontentarsi di studiare nuovamente e colla maggiore diligenza i libri Camerali, e ne fece uno spoglio ricco di dati sicuri. L’Ehrle si intrat- tenne sopra tutto intorno alla costruzione del palazzo e quindi parla degli edifici eretti dai varii pontefici, da Benedetto XII in poi. Giunto (7) ai tempi di Clemente VI, trova anch'egli Matteo di Giovannetto da Viterbo, ricordato in molti documenti : 92 settembre 1343, 25 agosto 1344, ecc. Un atto del 14 aprile 1344 (8) gli presenta il nome del “ magister N. de Florentia ,, che sarà probabilmente da identificarsi con quel Nicolaus che vedemmo ricordato in un atto dello stesso mese ed anno presso il Mintz. Un altro pittore viterbese rammenta l’Ehrle (9) sotto il 6 settembre 1344, ed è “ Petrus de Viterbio ,. (1) Colla sua consueta gentilezza, l'illustre p. Francesco Ehrle, prefetto della Vaticana, mi prestò gli stampati ch’egli possiede intorno al palazzo pontificio Avignonese, affinchè potessi servirmene qui, Alcuni di essi sono opuscoli, quasi a dire introvabili. Rendo alla sua cortesia i dovuti ringraziamenti. (2) Les peintres d’Avignon pendant le règne de Clement VI. Tours, 1885, p. 6. (3) Ivi, p. 16. (4) L’histoire des arts dans la ville d’Avignon. Paris, 1888, p. 2. (5) Les origines du palais des Papes. Tours, 1882. (6) Historia Bibliothecae Romanorum Pontificum, vol. I. Romae, 1890, p. 587. (7) Ivi, p. 627. (8) Ivi, p. 628. (9) Ivi, p. 629. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 7 Recentemente F. Digonnet (1) tornò a parlare di Matteo Giovannetti (o: di Giovannetto) da Viterbo, dicendo ch’ egli già lavorava nel palazzo pontificio addi 12 ottobre 1344. Come si vede, le date che i diversi critici desumono dai documenti sono, sia pur leggermente, ondeggianti: la nostra supplica viene opportuna per raffermarle, tanto più che in essa Matteo viene indicato non come un semplice pit- tore qualsiasi, che quasi potesse essere agli inizi dei suoi lavori, ma come un maestro già illustre e come capo-scuola. Il Miintz (2) nella sua bella monografia intorno a Simone Martini “ le grand “ émule siennois de Giotto ,, morto nel luglio 1344, gli dà per successore Matteo Giovannetti. Ma dal nostro documento apprendiamo che Matteo già nel novembre 1343 aveva allevato almeno un pittore, e che ormai godeva fama sicura: ciò fa supporre che da molto tempo esercitasse con grande lode la sua arte, che anzi da parecchio tempo prima egli lavorasse ad Avignone. E tutto ciò risulta convalidato da un altro documento. Intorno a Matteo trovai infatti un nuovo documento, cioè la supplica con cui egli chiede un priorato in una chiesa secolare in Viterbo. Egli si dà l'appellativo di chie- rico, ma non mi credo per questo obbligato a credere ch'egli fosse entrato nello stato ecclesiastico. È vero che si parla di un beneficiato curato, ma neanche in ciò abbiamo una sufficiente prova. Faccio seguire il testo della supplica (3), nella quale la concessione pontificia reca la data di Villeneuve-lez-Avignon, 25 luglio 1343: Supplicat S. V. fidelis vester Matheus pictor in domibus vestris, clericus Viterbiensis, qua- tenus sibi specialem gratiam facientes de prioratu curato secularis et collegiate ecclesie Sancti Donati iuxta Lucam et Lucane dioceseos de iure vacante et de iure ad collationem vestram spectante, cuius fructus, redditus et proventus secundum taxacionem decime quo ad personam prioris, triginta florenorum auri vel circa, valorem annuum non excedunt, cum omnibus perti- nentijs suis et iuribus eidem prioratu spectantibus, curatum prioratum Sancti Martini de Viterbio, cuius prior existit, qui viginti flor. auri vel circa secundum verum valorem esse dignoscitur, cum dicti prioratus Saneti Donati possessionem fuerit pacificam consecutus, libere resignare, cum plenitudine iuris canonici auctoritate apostolica dignemini providere, cum omnibus non obstantibus clausulis et executoribus. Fiat. R. Item supplicat S. V. quatenus de gratia ampliori de prioratu Sancti Martini de Viterbio, quem paratus est ut supra dicitur resignare, specialem gratiam facientes, dignemini provideri (4) Vanicelo Falla can. de Monteflascone, clerico Balneorigensis dioceseos, nullum adhue beneficium ecelesiasticum assecuto, cum omnibus non obstantibus clausulis oportunis et executoribus. Fiat R. Dat. apud Villamnovam Avinionensis dioceseos . viti . kal. augusti, anno secundo. Il Venturi parlò in varie occasioni e lungamente di Simone di Martino (5). Ma non trovai presso di lui (6) ricordo nè di Matteo da Viterbo nè del fiorentino Domenico (1) Le palais des Papes d’ Avignon. Avignon, 1907, p. 146. (2) Le peintures de Simone Martini à Avignon. Paris, 1885, p. 10-18. (3) Suppl. N. 5, fol. 121 ». (4) Il ms. ha soltanto: provide. (5) Storia dell’arte, V, 589 sgg. Ultimamente nel suo garbato e grazioso volume: La basilica di vAssisi. Roma, 1908, p. 128 sgg. (6) Storia dell’arte, tomo V. 8 CARLO CIPOLLA di Cenni. Solo (1) registrò il nome di Cenni di Francesco di ser Cenni di Firenze, imitatore di Agnolo Gaddi, che dipinse in Volterra al principio del sec. XV, ma costui non può naturalmente aver diretta relazione col nostro. Accanto ad un artista, veggo un uomo di lettere: Giovanni di Guiduccio Ricco- manni da Firenze. Addì 24 novembre 1343 il papa segnava la concessione chiesta colla supplica (2) seguente: Supplicat S. V. devotus servitor vester Johannes Guidatij Richomanni de Florentia nuntius et ambaxiator Universitatis Scolarium Studij Bononiensis olim Rector diete UniWwersitatis nec non nepos devoti filij vestri domini Tornacensis Cardinali, quatenus specialem sibi gratiam facientes de canonicatibus et prebendis ecclesiarum Paduane et Parmensis vacantibus apud Apostolicam Sedem per obitum eiusdem Cardinalis avunculis sui eidem Johanni de benignitate Apostolica dignemini providere cum omnibus iuribus et pertinentijs eorundem, non obstante quod canonicatum et prebendam ecclesie Bononiensis, cuius fructus, redditus et proventus xx florenorum auri (in absentia) (3) valorem annuum non ascendunt, noscitur obtinere, cum omnibus non obstantibus et clausulis oportunis et executoribus; vel sibi dignemini de altero eorumdem, vel si de ipsis canonicatibus et prebendis vel altero eorundem aliter est provisum, dignemini dieto Johanni de canonicatibus dictarum ecclesiarum, cum reservatione prebendarum, in dictis ecclesiis ad presens vacantibus, vel cum vacaverint, conferendarum, sibi auctoritate apostolica providere, cum acceptatione, inhibitione, decreto et clausula anteferri, non obstante, ut supra, et alijs non obstantibus, ut supra. Fiat de altera quam elegerit. R. Et quod transeat sine alia lectione. Fiat. R. Dat. Avinione . vit) . kal. decembris, anno secundo. Andrea Ghini Malpighi, vescovo di Tournai, era stato fatto cardinale da Cle- mente VI quasi subito dopo la sua elevazione al papato. Ne parla la Vita III Cle- mentis VI (4) in questi termini: “ Andreas de Florentia episcopus Tornacensis iuris “ utriusque doctor in tituli sanctae Susannae ,. Eletto cardinale il 20 (o il 12) set- tembre 1342, morì addì 2 giugno 1343 (5). Colla sua elevazione, abbandonò il vesco- vato di Tournai, dove ebbe a successore Giovanni de Pres (6). Costui era il prelato di cui Riccomanni diceasi nepote. h Giovanni di Guidaccio Riecomanni non è ricordato dal Sarti, storico dell’ Uni- versità Bolognese, che peraltro si occupò solo dei professori (7). Fra i rectores della facoltà giuridica, i nomi dei quali si leggono in principio dello statuto dei Giuristi del 1317, trovo “ Fredericus de Bardis de Florentia prior sanctae Mariae supra “ Portam Florentinam , (8). (1) Ivi, V, 827-8. (2) Suppl. N. 3, fol. 75 r. (3) Chiudo fra parentesi queste due parole, che di prima mano furono aggiunte interlinearmente. (4) Ap. Muramori, Rer. Italic. Script., III, 2, 572. (5) EuseL, Hierarchia, I, 17, 516-7. (6) Euser, I, 516-7. (7) Il Sarti, De claris archigymnasii Bononiensis professoribus, Bononiae, 1769, p. 415 (2* ediz., Bologna, 1888-96, I. 497), rammenta solo “ Johannes de Montemurlo , vissuto fra il secolo XIII e il XIV. Montemurlo è un castello in Val d'Arno, territorio fiorentino. Naturalmente costui non ha da far nulla col nostro. (8) C. MaracoLa, Statuti della Università e dei Collegi dello Studio Bolognese. Bologna, 1888, p. 5-6. J° e hi NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 9 Il cardinale Andrea Malpighi si era condotto seco varii di sua famiglia. Una sua supplica a Clemente VI (1), esaudita addì 29 luglio 1342, contiene una serie di nomi di persone in diversa maniera addette al cardinale, in favore delle quali egli chie- deva privilegi. Vi ci incontriamo con Giacomo dei Lanfredini, studente in diritto civile: con Andrea Lapi, baccelliere in giure, e attualmente leggente in Orléans: con Ugo Lapi cancelliere della Chiesa di Tournai. Costoro evidentemente sono fio- rentini. Di una concessione data in questa medesima occasione a Bindo de’ Pigli parlerò più tardi, quando costui ci si comparirà innanzi quale ambasciatore del duca d’Atene presso il pontefice. Dopo la sua morte altri fiorentini officiali del cardinale si affol- lano attorno alla corte pontificia per ottenere quei privilegi che, vivo il cardinale, non aveano potuto raggiungere. Un nipote del card. Tornacense, di nome pure Andrea Malpighi, era baccelliere e leggeva ad Orléans, come vediamo dalla sua supplica, approvata da Clemente VI (2), addì 25 luglio 1343 “ Dat. apud Villamnovam Avinionensis dioceseos. vr. kl. augusti “ anno secondo ,. Comincia: “ Significat S. V. devotissimus filius vester Andreas de “ Maupilis de Florentia dyaconus baccalarius in legibus, actu legens Aurelinianis (sîc), “ nepos recolende memorie domini d. Andreae tituli Sancte Susanne presbiteri car- “ dinalis ,. Chiese ed ottenne il priorato lucchese dei santi Giovanni e Reparata. — Il medesimo Andrea Malpighi, assumendo gli stessi titoli, chiese il priorato suddetto ed altro pure lucchese denominato di S. Donato e l’ebbe sotto la data 22 agosto 1343 (3). Poco appresso, il papa (Villeneuve-lez-Avignon, 29 agosto 1343) esaudiva la supplica fattagli da Ugo Malpighi (“ Hugo de Maupilis ,), prete cancelliere della chiesa di Tournai, che, nel dimandare alcuni. benefici, rammentava anche come il proprio fratello Bardetto “ de Maupilis , avesse ottenuto dal vescovo di Tournai “ officium taxationum curie Tornacensis , (4). In favore dello stesso un’altra supplica approvò il papa da Avignone, 20 aprile 1349 (5). Del resto Ugo de Maupilis era a dir ben assuefatto alle suppliche, e una ne aveva fatta assai prima in prò di varii suoi amici, cui il papa acconsentì da Villeneuve-lez-Avignon addì 21 luglio 1343 (6). Vi ricorda qualche persona di studio: “ ... in personam dilecti nepotis sui Nicolai Jeniani “ clerici florentini, Aurelianensis studentis ,. — “... dilecti nepotis sui Jacobi de “ Lanfredinis de Florentia clerici Aurelianensis in iure civili studentis Da Altro nipote del card. Andrea Malpighi era “ Jacobus de Maupilis de Florencia “ illustris principis domini regis Francie serviens armorum , che pure chiese un bene- ficio, e lo ottenne, 21 luglio 1343 (7). Sotto la stessa data il papa accontentò anche altre persone che aveano servito il suddetto cardinale, morto allora da poco più che un mese. (1) Edita dal BerLièrE, Suppl., pp. 23-5, n. 116-27. (2) Suppl. N. 5. BerLibRE, Suppliques de Clément VI, p. 101, n. 450. (3) Suppl. N. 5, fol. 106 ». (4) Suppl. N. 5, fol. 1860. — BeruèrE, p. 114, n. 505-08. (5) Suppl. N. 17, fol. 258 ». Anche ora egli si denomina “ cancellarius Tornacensis ,. — BeRLIÈRE, p. 418, n. 1554-56. (6) Suppl. N. 5, fol. 104v. — BerLIÈRE, Suppliques, p. 94 sgg., n. 427 e sgg. (7) Suppl. N. 5, f. 104 ». — BertIÈRE, p. 94, n. 425-6. Serie II. Tom. LIX. 2 10 CARLO CIPOLLA Noto (1) la supplica fatta da “ Robertus natus Guidoctij de Cavalcantibus de Florentia militis familiaris et domicellus dicti domini cardinalis ac cognatus devoti « Jaqueti de Maupilis, domicelli vestri, devoti dieti domini cardinalis, qui longo tem- “ pore eidem cardinali fideliter deservivit, ac pro eo dono (sîc) et magnas pecuniarum “summas expedit (expendidit?) , il quale domandava un beneficio “ in personam «“ Johannis fratris sui, unius ex novem filijs dicti sui patris, qui studendo expectavit “ bene per. xv. annos vel circa in Senonensi et Florentina ecclesijs prebendam ,. Il medesimo Roberto Cavalcanti fece altre domande simili, di cui noto questa a “ Symoni « alteri fratri suo, baccalario în legibus, qui in ipsis studet et studuit in Montepussulano et Aureliano ,. Queste suppliche furono tutte esaudite dal papa il 21 luglio 1342. — Così i fiorentini stavano studiando od insegnando a Montpellier e ad Orléans, e conti- nuavano ad esercitare offici ecclesiastici e civili a Tournai. Di un altro famigliare del card. di Tournai mi riesce opportuno tener parola, poichè anche costui ottenne un beneficio, cioè l'ospedale di S. Giovanni nella diocesi di Fiesole (2). “ Supplicat S. V. humilis servus vester Johannes Benini de Florentia “ laycus familiaris bo. me. domini... cardinalis Tornacensis, cui per decem annos et ‘ amplius in diversis mundi partibus missus per eum, servivit fideliter, nulla exinde “ remuneratione recepta, et qui tempore traditionis rotuli familiarium ipsius, pro «“ dicto domino cardinali erat in Francia et in dicto rotulo non fuit positus ... ». Il papa concesse quanto gli fu chiesto sotto la data di Avignone, 5 dicembre del 1343. Sotto la data di Avignone, 27 dicembre 1343 (“ vy. kl. ian., anno secundo ,) (3), trovo una serie di concessioni fatte a fiorentini, sicchè è probabile che si trattasse di suppliche non mandate di lontano alla Curia pontificia, ma trasmesse direttamente. Potrebbe anche supporsi che uno solo fosse venuto in Avignone recando pure seco le domande degli amici, ma appare più ovvio il pensare che costoro costituissero insieme un gruppo venuto ad Avignone. Tali suppliche si riferiscono a “ Thome Corsini legum « doctori, magistro Miniato de Sancto Miniato phisico, Jacobo Bengi et Philippo « Angiolerij civibus Florentinis ,. Fra le concessioni fatte, evvi anche quella, non molto rara di certo, ma neanche troppo comune, di creare notai. Era un diritto al quale attribuivasi grande importanza, e che non potea venir esercitato che da per- ® sone assai elevate. Colla Curia indubitatamente trovavasi legato “ Lapus Ruspi de Florentia habitator « Avinionensis ,, il quale era coniugato “ cum unica et virgine , (cioè non aveva contratto le seconde nozze, e la moglie sua, ancora vivente, non l'aveva sposata vedova): a lui i cardinali ed altri privati “ suas scutiferorum vestes generose consue- « verant concedere et concedunt , ed egli domandava di potere, pur usando di tal veste, godere dei benefici clericali. La supplica è esaudita in data del 13 gennaio 1343 (4). Pare che fosse archiatro pontificio quel fiorentino che chiese ed ottenne, 23 luglio 1343 (“ anno secundo , del pontificato) in favore di un suo amico della diocesi di Rouen. Egli rivolgendosi al papa chiamava sè stesso: “ devota et humilis creatura vestra (1) Suppl., loc. cit. — BerLière, Suppliques, p. 94, n. 480. (2) Suppl. N. 2, sez. II, f. 80 ». — Berumère, Suppliques, p. 138, n. 606. (3) Suppl. N. 2, sez. II, fol. 99 ». (4) Suppl. N. 2, sez. II, fol. 122 ». 6 NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 11 “ familiaris et phisicus vester Johannes de Florentia , (1). È probabilissimo che si trovasse a Firenze quel mercante fiorentino che chiese un beneficio in favore di un certo Anselmo Bianco della diocesi di Fiesole, che il papa concesse da Villeneuve-lez- Avignon, 20 Agosto 1343. Quel mercante era “ Jacobus de Albertis mercator Floren- “ tine dioceseos , (2). Anche fra gli scrittori di Curia lavorava qualche fiorentino. Il papa, da Avignone, 11 ottobre 1348 (3), concesse quanto chiedeva a “ magistro Thome presbitero Flo- “ rentino scriptori vestro (così anche nella supplica diretta al papa) de parochiali “ ecclesia Sancti Stephani Valentinensis, provintie Tarraconensis “. Sembra probabile che tale beneficio sia stato accordato a chi lungo tempo ormai avesse servito, sicchè maestro Tommaso, secondo par verisimile, si trovava ad Avignone molto prima del 1348. Se tale supposizione per costui non è certa, ciò invece si può affermare rispetto a Lamberto da Sanminiato, che era addetto alla cancelleria pontificia, e al quale il papa sotto la data di Avignone, 20 novembre 1348, fece una concessione, che doveva essere il premio di lunghi e fedeli servizi. Val la pena di pubblicare per intero il documento (4). Supplicat S. V. devotus vester Lambertus de Saneto Miniato seriptor et cancellerie vestre antiqus (sic) abreviator, qui eidem cancellerie longo tempore fideliter servivit, quatenus sibi de plebanatu collegiate et curate plebis Sanete Marie de Piscia Lucane dioceseos, de qua oriundus existit, ad quam plebem plebani consueverunt per electionem assumi, per obitum condam Fran- cisci ultimi ipsius plebis plebani, qui in partibus illis decessit, vacante et ad dispositionem vestram per generalem reservationem et ‘prorogationes in partibus illis factas spectante. — Fiat. R. Et quod transeat sine alia lectione. Fiat R. Datum Avinione . x1) . kl. decembris, anno septimo. Un letterato fiorentino erasi trovato per l’addietro alla Sorbona, chè egli stesso ce lo dice con due suppliche, delle quali soggiungo qui gli estratti. “ Supplicat S. V. humilis creatura vestra Nicholaus Federici de Florentia magister “ in artibus et dudum prior in domo vestra de Sorbona, nuncius Universitatis Pari- “ siensis — ,. Chiede un beneficio pisano, che gli viene accordato, sotto la data di Avignone 17 gennaio 1349 (5). Qualche mese prima aveva fatto per altrui mezzo domandare un canonicato in Soissons, che gli fu dato. “ Item simili modo digne- “ mini providere Nicolao Federici de Florentia magistro in artibus et dudum priori “in domo Sorbone Parisiensi de canonicatu et prebenda Sessonensi — ,. La con- cessione porta la data di Avignone 18 aprile 1348 (6). Di qui apparisce che Nicolò di Federico da Firenze, maestro di arti, si recò ad Avignone quale nunzio della Università di Parigi dopo dell’aprile 1348 e prima della fine dell’anno medesimo. (1) Suppl. N. 2, sez. II, fol. 123 e. (2) Suppl. N. 5, fol. 159 è, (3) Suppl. N.15, fol. 232v. — Tengo nota di uno scrittore che veniva da Pistoia. Nel vol. 17 delle Supplicationes, fol. 111 v, si legge: “ Supplicat S. V. humilis servus et abreviator vester Johannes “ Pauli de Pistoia quatenus sibi in personam filij sui Guilielmi clerici Pistoriensis specialem gratiam “ facientes. — Dat. Avinione. xri). kl. ianuarii, anno octavo ,. Cioè 20 dicembre 1349. (4) Suppl. N. 16, fol. 31 ». (5) Suppl. N. 16, fol. 94 ». (6) Suppl. N. 17, fol. 247 ». 12 CARLO CIPOLLA Era cosa ordinaria, e subito troveremo di ciò alcune traccie veramente solenni, che gli ambasciatori recandosi presso il papa, gli facessero domande per sè e per gli amici. A dì nostri i monarchi concedono onorificenze: resta sempre che una missione diplomatica bene riuscita autorizza l'ambasciatore a chiedere o almeno a ricevere qualche ricordo dell’opera sua. Ed è appunto per questo motivo che le suppliche ci forniscono preziose ed importanti notizie sulle ambascerie, che si recavano presso la Corte pontificia. Altre grazie ai Fiorentini il papa fece in quel torno di tempo (1), e ne serbano memoria i volumi delle Supplicationes, ma non era il caso ch'io ne tenessi conto, giacchè da esse non poteva ricavarsi indizio alcuno a ritenere che i supplicanti si trovassero ad Avignone e tanto meno alla corte papale. I loro nomi non servivano adunque a dare alcuna luce sulla società fiorentina in mezzo alla quale Francesco e Gerardo Petrarca potevano ricevere un invito a ricordare la città, che per essi era pur sempre la loro patria, Firenze. Trascrivo la supplica (2) di maestro Bindo figlio di Pietro da Firenze, che chie- deva un beneficio, la cui approvazione pontificia è del 30 agosto 1343. La sua impor- tanza consiste in questo soltanto che egli dice d’essersi recato alla corte di Avignone quale legato del duca d’Atene. Supplicat S. V. magister Bindus Petri de Florentia qui pro servitijs... ducis Athenarum, cum ambasciatoribus ipsius ducis ad Curiam Romanam accessit et usque in presens moram traxit in Curia pro secretis tractatibus et literis conscribendis, quatenus specialem sibi gratiam facientes de plebanatu plebis Sancti Martini de castro Sancti Petri Bononiensis dioceseos per obitum bo. me. domini A. tituli Sancta Susanae presbiteri Cardinalis — cuius fructus redditus et proventus . xxxv . floren. auri secundum locationem per procuratores dicti quondam domini Cardinalis factam valorem annuum non excedunt, eidem Bindo cum iuribus et pertinentijs suis dignemini providere — non obstante quod idem Bindus canonicatum et prebendam ecclesie Sancti Laurentij florent. et quosdam redditus et decimas Aversan. dioceseos, quorum fructus redditus et proventus decem flor. auri secundum éaxationem decime annuum non excedunt, noscitur obtinere. Fiat. R. Item quod transeat sine alia lectione. Fiat. R. Dat. apud Villamnovam Avinionensis dioceseos . Ir. kl. septembris, anno secondo. Questo personaggio non era ignoto alla corte pontificia. Nelle suppliche trovasi di lui non infrequente notizia, perchè egli pure fu al servizio del cardinal di Tournai, (1) Nel N. 11, fol. 41v delle Suppl., ne trovo una curiosissima, che comincia: “ Supplicat S. V. ‘ minimus servorum vestrorum Philippus filius Luce de Abbatibus de Florencia scolaris Avinion., ‘ scolasticis disciplinis intendens, de soluto et soluta genitus, quod iste tune ultra septennium “ et infra decennium constitutus — , ; ignorando il difetto di nascita ebbe la prima tonsura dal vescovo di Avignone, che parimenti nulla ne sapea: più tardi fu privilegiato da Benedetto XII; fatto conscio del fatto dopo che già aveva ottenuto un canonicato a Cividale del Friuli (“ Civitatis Austrie ,), diocesi di Aquileia, ed altri benefici ancora, chiede la sanatoria e l’ottiene. La data della conces- sione è Villeneuve-lez-Avignon, 15 giugno 1346. Tutto questo insieme di fatti presenta un interesse giuridico, e costituisce una testimonianza per la storia dei costumi. (2) Suppl. N. 5, fol. 193 v. Non mi consta che il Berrrèére abbia pubblicato questo documento quantunque in esso ricorra menzione del Card. di Tournai. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 13 che lo volle beneficato dal papa nella concessione del 29 luglio 1342 (1). Chiama- vasi Bindo de Pillis. Altri benefici egli ottenne nel 1349 (2) e nel 1350 (3). Merita considerazione la circostanza in cui il messo del duca di Atene si pre- senta al papa. È noto che Gualtiero di Brienne rinunciò alla signoria di Firenze il 1° agosto 1343, e che il seguente giorno 6, uscì da quel palazzo, in cui era stato assediato dal popolo. È noto egualmente com’ egli, dopo aver abbandonato Firenze, si agitasse lungamente, sperando nelle corti di Avignone e di Napoli, allo scopo di trovare chi lo aiutasse al ritorno. Il documento ora riferito ci parla adunque di un tentativo che forse fu il primo ch’egli fece presso Clemente VI (4). La supplica dunque che i registri vaticani mi offersero, presenta una notevole importanza e reca un buon complemento a quanto ci dicono i documenti già conosciuti dagli eruditi, conservati nell'Archivio di Firenze. Ill. La solenne ambasceria dei Romani a Clemente VI. Contemporanea all'ambasciata del duca d’Atene, è quella, grande, solenne, famosa nella storia, che i Romani inviarono a Clemente VI, subito dopo della sua elezione. Vi ho posta attenzione poc'anzi, quando accennavo alla questione se Francesco Petrarca ne facesse parte o meno. Fino ad ora intorno a questa ambasciata avevamo appena scarse notizie. Nella Vita III Clementis VI (5) si legge che il popolo romano inviò 18 cittadini, 6 dei maggiori, 6 dei medi, 6 dei bassi. Costoro dovevano recarsi presso il papa chie- dendo che assumesse, secondo il costume voleva, l’officio senatoriale, che visitasse Roma, che concedesse il Giubileo per l’anno 1350. Il biografo nomina alcuni di tali ambasciatori: Stefano Colonna senatore di Roma, Francesco de Vico, Lello di Pietro di Stefano de Chosecis syndicum dictae Urbis et magistrum vestariorum dicti Papae. Nella Cronaca Romana, in volgare, si parla pure di questa ambasciata, ma per dirne ancor meno. Si dice cioè (6) che i Romani mandarono a Clemente VI dodici amba- sciatori seè laici e sei chierici, con a capo Stefano Colonna, e col mandato d’invitarlo a recarsi a Roma e di concedere il Giubileo per il 1350. Che di questa ambasciata facesse parte il Petrarca si mostrarono sicuri, fra i vecchi eruditi, il De Sade (7) e il Rinaldi (8). Il primo di questi dice risolutamente: “ Pétrarque qui avoit aquis la qualité de citoyen Romain par les lettres-patentes “ de son courounement, étoit un des ces dix-huit envoyés de Rome au pape (1) BerLièrE, Suppliques, p. 24, n. 120. (2) Op. cit., p. 424, n. 1575. .(3) Ivi, p.515, n. 1979. (4) Parvens, Histoire de Florence, I Serie. Parigi, 1883, IV, 311 sgg. (5) Muratori, Rer. Italic. Script., III, 2, 573 B. (6) Hist. Rom. fragm., ap. Murar., Antig. Italicae, III, 343. (7) Mémoires, II, 34. (8) Ann. Eccl., 1342, $ 20-1. 14 CARLO CIPOLLA “ Clément VI ,. Ai dì nostri vedemmo alcuni eruditi scivolarci sopra garbata- mente, siccome era necessario fare per la mancanza dei documenti. Gregorovius (1), il Korting (2), A. Gaspary (3) ne tacciono. Il Reumont (4) sembra negarlo, dicendoci a proposito del Petrarca soltanto questo che egli favorì la causa dei Romani, se non quale oratore della loro ambasceria, almeno come poeta; il che significa quale per- sona privata. Si poteva credere che la cosa fosse ormai passata in giudicato, e supporre che Petrarca trovandosi in Avignone, durante il soggiorno costà fatto dai messi dei Romani. avesse assunto volentieri l’officio di patrocinare le loro domande. Ma il Rodo- canachi (5) parlò dell'ambasciata in altra maniera. Ammette egli pure che fosse com- posta di.18 persone, 6 nobili, 6 gentiluomini, 6 popolani. Nomina, quale capo, Stefano Colonna, poi Francesco di Vico, Giacomo Savelli [donde egli abbia ricavato questo nome, di cui tace la biografia antica di Clemente VI, lo ignoro], Lello di Pietro di Tosetti [e qui la correzione è buona, colla sostituzione delle # in luogo delle c] (6); e quindi prosegue asserendo che dell'’ambascieria faceva parte anche il Petrarca, il quale, su domanda del card. Colonna, da Parma recossi ad Avignone. Soggiunge che più tardi partì anche Cola, avendosi fatto mandare colà dai Romani. Più esplicito ancora è Henri Cochin (7), come ho poc'anzi avvertito. Nella mia nota accademica sul canonicato pisano del Petrarca (8) mi son guardato dall’affermare che il Petrarca fosse uno dei membri dell'ambasciata. Più tardi ritornando sull'argomento (9), mi sono mostrato assai incerto sulla venuta del Petrarca in Avignone, in quella occasione, e nell’anno 1342: anzi, e qui sorpassai il limite della prudenza, dissi che difficilmente il poeta di Laura allora s’incontrò in Avignone (10) col futuro tribuno (11). Di certo. Cola era in Avignone al principio del 1343 se di colà scrisse nei giorni incirca 29-31 del gennaio di quell’anno la famosa lettera al popolo romano (12). In quella lettera egli pomposamente si appella “ legatus ad dominum nostrum Romanum “ Pontificem ,: sicchè a tutta prima, si potrebbe anche sospettare ch’egli fosse uno dei 18 ambasciatori su ricordati (13). È Ora nè Cola nè il Petrarca fecero parte officiale della famosa ambasciata. Natu- ralmente ciò non impedisce che, come Cola, anche il Petrarca siasi adoperato presso il papa per favorire i Romani, e può essere che le concessioni fattegli dal papa rispetto (1) Geschichte d. Stadt Rom, 1878, VIUZZE (2) Frane. Petrarca. Lipsia, 1878, p. 20. (3) Storia della lett. ital., trad. N. Zingarelli, I, 354. (4) Geschichte d. Stadt Rom, II, 848. (5) Cola di Rienzo. Paris, 1888, p. 38. (6) Anche Gregorovius, loc. cit., aveva lasciata passare l’errata lezione: “ de Cosechis ,. ) Le frère de Pétrarque. Paris, 1903, p. 55. i (8) “ Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino ,, 1906, XLI, 176. (9) Sui motivi, ecc., in * Giorn. Stor. lett. ital. ,, 1906, XLVII, 265. (10) Per errore materiale è stampato: © Roma ,. (11) Sul colloquio fra Cola e il Petrarca, cfrAFriepini, in Studi storici, XI, e BrizzoLari, ivi, IVI: (12) Presso A. GasrieLti, Epist. di Cola di Rienzo. Roma, 1890, p. 3-5. (13) In tutti, a dir così, i documenti di Cola, c'è il fantastico sfoggio dei titoli. Lo vediamo anche in un documento, del 1347, edito testè da L. ScurapareLLI, Un nuovo documento di Cola da Rienzo (Nozze Fedele De Fabritiis, “ Scritti di storia, di filologia e d’arte ,, Napoli (Roma), 1908, p. 135 sgg. Una lettera, 1347, di Cola al marchese di Randazzo, vicario generale di Messina, fu pubblicata da G. Tomasserti, Una lettera inedita di Cola di R., © Arch. Soc. romana n, 1908, XXXI, 93 sgg. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 15 ‘ai benefici sul territorio Pisano, abbiano relazione a questa circostanza, se non come di effetto ‘a causa, almeno come largizione che trova nei fatti che la precedono la sua parziale spiegazione (1). + Al Theiner (2) non sono sfuggiti i privilegi dal papa concessi a Cola. Il primo è del 13 aprile 1344 e si riferisce quindi meno indirettamente alla missione di Cola. Il secondo, del 17 giugno 1345, è soltanto la conferma del primo. Il Gregorovius (3), sopra una copia avuta da un suo amico, pubblica anche il testo della supplica di Cola al papa, da questo esaudita ad Avignone il 13 aprile 1344 suddetto (4): il futuro tribuno si appella enfaticamente così: “ Nicolaus Laurentii ex consulibus Urbis ac “ plebis vestre Romane zelator et exosus nonnullis Romanis nobilibus propter deffen- “ sionem Reipublice quam in Romana Curia et Romanis Consiliis singulariter fecit “ et sub protectione S. prefate facere ampliori corde depromit — ,. Egli chiedeva e otteneva l’officio di notaio (5). Non so comprendere poi come il Gregorovius non abbia avuto notizia di una serie di suppliche fatte assieme da tutti i 18 ambasciatori, oltre che da un altro che, pur comparendo insieme ai predetti, pur non porta siffatto titolo. Il documento è importante per questo che finalmente da esso possiamo conoscere i nomi di tutti quegli ambasciatori, e dimostrare per ragione di esclusione che Petrarca non era uno di essi. È del 7 luglio 1343, Non riferisco per intero il lunghissimo documento, ma non mi restringo neanche a ricavare unicamente i nomi che sopratutto c’ interessano. Tengo conto anche dei loro congiunti, per i quali imploravano la benignità del pontefice. Gli altri nomi li trascuro, chè il registrarli sarebbe troppo lontano dal mio scopo. Ecco la supplica (6), osservando che nell’esordio di essa gli ambasciatori dicono di essere sul punto di partire e avvertendo che la bolla del Giubileo per l’anno 1350 era già stata da un pezzo concessa, portando essa la data del 27 gennaio 1343 (7). Clementissime Pater misericordiarum et domine, infrascripte sunt supplicationes devotorum et fidelium vestrorum ambassiatorum peculiaris vestri Populi Romani, quarum multitudinem non placeat abhorrere, quia personarum supplicantium numerus pluralitateta supplicationum excusat; dignemini ergo clementer recipere, clementer inspicere et clementissime illas omnes et singulas exaudire, et michilominus eas celerius expedire, quia si amplius aut longius hic morentur, ‘èeosdem non solum sumptuositas, sed negotiorum et rerum distractio subsequetur. Supplicat S. V. devotissimus filius vester Stephanus de Columpna ambassiator et nuntius peculiarum filiorum vestrorum Populi alme Urbis ad sacratissimos pedes vestrae sacratissime Sanctitatis, una cum infrascriptis alijs humiliter destinatus, quatenus sibi in personam caris- simi sui ac sue domus zelatoris et intimi Jacobi nati quondam Nicolai Scandrilie de Tosectis, de dicta Urbe in sacerdotio constituti — (1) Cfr. De Sane, Mémotres, II, 35. (2) Cod. dipl. dominii temporalis sanetae Sedis, II, 141-42, documenti 139 e 140. (3)AOpescit., VI, 222, (4) Suppl. a. II, pars 2, n. 4, fol. 291 ». Cito dal ms., non dalla stampa. (5) Reumonr, II, 884 crede che Cola siasi fermato ad Avignone fino a che ricevette tali privilegi, (6) Suppl. a. II, pars 3 (o piuttosto I, come si legge da antica mano sulla prima pagina), n. 5, fol. 83» e sggo. (7) Gregorovivs, op. cit., VI, 219. 16 CARLO CIPOLLA Stefano Colonna è ben famoso. Il LirTA, Colonna, tav. V, lo ricorda come figlio di Giovanni e fratello di Agapito : addì 8 aprile 1341 intervenne alla coronazione del Petrarca, e recitò l’orazione in onore del poeta. È uno dei grandi da Clemente VI sollecitati contro Cola; cfr. Gregorovius, VI, 286. Fu colpito nel combattimento alla porta S. Lorenzo, 20 novembre 1347, quando parve che i grandi di Roma fossero defi- nitivamente atterrati, dando occasione al Tribuno di celebrare il suo trionfo sul Cam- pidoglio. i Supplicat S. V. devotissimus vester Franciscus de Ursinis ambassiator et nuntius Populi supradicti, ad pedes vestre clementie deputatus, quatenus — Francesco Orsini fu senatore di Roma nel 1352 ed era figlio di Giordano e nipote di Rinaldo Orsini, cfr. Lirra, Orsini, tav. VII. Nel 1345 Francesco ed Andrea Orsini comperarono la terra di Fogliano, nella pianura viterbese, cfr. C. CALISSE, I prefetti di Vico, “ Arch. soc. romana storia patria , X, 70. Da quest'opera (ivî, pag. 68) apprendiamo che alla morte di Matteo di Vico (1337) nella prefettura era successo suo figlio Giovanni. I Di Vico erano parenti degli Orsini. Figlio pure di Matteo era quel Lodovico, di cui resta una supplica (Clemens VI, suppl., a. IV, pars 1 (= 2) n. 8, fol. 39 c): “ Supplicant S. V. devotissimi viri Ludovicus natus “ nobilis viri d. Manfredi de Vico de Prefettis Urbis et Johanna nata domini Andree “ de filiis Ursi, qui cum ad conservandam et fovendam unitatem et amicitiam inter “ parentes, consanguineos et amicos utriusque partis tractatum — , ma essendo legati dal quarto grado di consanguineità chiedono la dispensa per contrarre matri- monio. Il papa esaudì la loro domanda, sotto la data di Villeneuve-lez-Avignon, 30 set- tembre 1345. È anch'egli uno dei grandi da Clemente VI confortati a resistere a Cola; cfr. GrE- corovius, VI, 286. i Supplicat S. V. devotissimus vester Bertoldus de filijs; Ursi, miles, Senator Urbis, tempore ambassiate diete Sanctitati transmisse, quatenus sibi specialem gratiam facientes, ut confessor suus ydoneus, quem duxerit eligendum — Di Bertoldo Orsini narra il LirrA (Orsini, tav. IX) che nel 1329 fu vicario di re Roberto in Roma, lo dice senatore di Roma nel 1345. Preso nella disfatta alla porta di S. Lorenzo, 20 novembre 1347, fu liberato dopo la fuga del Tribuno. Nel 1348 fu Capitano del Popolo insieme con Luca Savelli. Come si è detto, la Vita III Clem. VI, dà a Stefano Colonna il titolo di sena- tore. Nel presente documento tale titolo negato a Stefano Colonna è concesso a Bertoldo Orsini, almeno per rispetto al momento in cui lasciò Roma; questa riserba ci è imposta dalla forma che ha il nostro testo, laonde ci sentiremmo quasi indotti a credere che qualche mutamento si fosse verificato nell’amministrazione di Roma. © Anche costui fu da Clemente VI confortato a lottare contro Cola; cfr. GREGO- rovius, VI, 286. Supplicat S. V. devotissimus filius vester Petrus quondam Agapiti de Columpna, prepo- situs Massiliensis, ambassiator et nuntius prout supra equaliter — Pietro di Agapito Colonna fu ucciso, 1347, nella battaglia alla porta di S. Lorenzo. Cfr. Lirra. Colonna, tav. IN. Domenico Jacovacci (Repertorio di famiglia, ms. alla NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 7 Vaticana del sec. XVII, tom. II, lettera C, sotto la famiglia Colonna, pp. 1363-4, e VII lettera U, sotto la famiglia de Ursinis) allega un doc. del 1331, in cui egli figura come senatore insieme con Matteo di Napoleone Orsini. Anche costui fu da Clemente VI confortato ad opporsi a Cola; cfr. GrEGo- rovius, VI, 286. Dat. Apud Villamnovam Avenionensis dioceseos, nonis iulij, anno secondo (1), Supplicat S. V. devotissimus filius vester Raynaldus de Ursinis, miles, ambassiator et nuntius Populi Romani, quatenus — Il Lira (Orsini, tav. VII) lo registra come figlio di Orso; senatore di Roma nel 1345, fu anch'egli tra i carcerati dal Tribuno. Jacovacci (VII, lettera U, sotto de Ursinis, p. 603) allega un atto del 10 settembre 1347 in cui s'incontra “ d. Ber- “ toldus de filiis Ursi comes palatinus ,: Rinaldo Orsini mnotarivs papale, designato anche quale canonico di Lincoln, ecc. ricorre frequente nelle suppliche, cfr. BERLIÈRE, Suppliques, n. 424, 503-4, 1106, 1153, 1226, 1421. Clemente VI lo eccitò a resistere a Cola, GrEGoROvIUS, VI, 286. Supplicat S. V. devotus servus vester Jacobus filius quondam Ricardi de Anibaldis de Urbe, miles, ambassiator et nuntius populi Romani, qualiter Anibaldo germano suo specialem gratiam facientes — È tra coloro cui Clemente VI si rivolse per la lotta contro Cola; cfr. GrEGOo- Rovius, VI, 286. Jacovacci (I, lettera A, p. 631) sotto la famiglia de Annibalis registra un docu- mento dell'Archivio dell'Ospedale Lateranense, che contiene un'enfiteusi fatta in favore di detto Ospedale “ per d. Jacobum Richardi de Annibalis ,. A Paolo Annibali diresse Francesco Petrarca un carme, che fu tradotto in versi italiani da Domenico Rossetti (Poesie minoriî del Petrarca, Milano 1831, II, 330). In esso il poeta accenna a quanto si andava dicendo sull’origine della famiglia Annibali o Annibaldi, come proveniente da Annibale. Del senatore di Roma Nicolò Annibaldi parla una supplica del messo di Cola di Rienzo a Avignone, 27 settembre 1347, siccome vedremo. Degli Annibaldi parlasi a proposito dell’istanza fatta nel 1347 da Francesco Petrarca “a Clemente VI. Con Giacomo Annibaldi si chiude la serie dei sei ambasciatori spettanti alle famiglie più illustri. Viene ora la serie dei sei gentiluomini. Supplicat S. V. devotissimus filius vester Johannes de filijs Boni, ambassiator et nuntius prout supra, quatenus — Il Jacovacci (I, lettera B, p. 479) parla della famiglia Boni, ma nei documenti da lui riferiti nessun individuo si riferisce all’età del nostro documento. Supplicat S. V. devota creatura vestra Johannes Capotie de Cappocis, de dicta Urbe, ambassiator et nuntius prout supra, quatenus — Item supplicat dictus Johannes, quatenus sibi in personam carissimi fratris germani sui Petri Capocii (2), de Urbe, clerici — (1) Con questa frase termina la faccia 83 x. (2) Ms. Capoe. Serie II. Tom. LIX. 3 18 CARLO CIPOLLA Anche costui fu da Clemente VI sollecitato ad opporsi a Cola; cfr. GrEGOROvIUS, LASA i Ripa | pro Domenico Jacovacci (II, lettera C, p. 337) riferisce una iscrizione sepolcrale esi- stente nella chiesa di S. Eusebio, in. cui si commemora : ; Johannes Pauli Capoc- “ ciae, morto il 10 febbraio 1331. Non può dunque identificarsi col nostro. Un altro Giovanni Capocci comparisce come vivo ad una data posteriore a quella del nostro documento nella NECA che Clemente VI esaudì sotto la data di Avi- gnone, 12 novembre 1344. “ Supplicat S. V. Johannes de Columpna Sancti Angeli « diaconus cardinalis quatenus sibi in personam Petri nati Johannis Capocie, nepotis “ sui, de benignitate solita specialem gratiam facientes, canonicatum et prebendam «“ saneti Donaciani Brigen., Tornacensis dioceseos, vacantes — , (Suppl., a. III, pars 2, n. 7, p. 48 verso) (1). À Supplicat S. V. devotissimus et humilis orator vester frater Jacobus, preceptor Hospitalis vestri Saneti Spiritus in Saxia de Urbe, licet indignus, ac ambassiator et muntius, prout supra, quod quum dictum Hospitale et eius membra in universis mundi partibus possiderint et pos- sideant multa bona mobilia et immobilia, empticia seu relicta ad pias causas per nonnullos Christifideles Hospitali predicto, super quibus a nomnullis personis ecelesiasticis et secularibus inquietantur, defraudantur ac etiam molestantur continue, nec non per eosdem et per nonnullos fratres etiam eiusdem Ordinis, qui quidem dissipando, vendendo et impignando bona Domorum in quibus sunt ad ipsorum regimen deputati, ad alias partes, tamquam rebelles et inobedientes transferant — Il celebre Ospedale di S. Spirito è situato in Transtevere non lungi dal Vati- cano, in riva al Tevere. Reumont, Gesch. d. Stadt Rom, II, 847, pare abbia avuto qualche sentore di lui allorchè indicò quale ambasciatore di Roma, dopo Stefano Colonna, anche “ Francesco di Vico commendator di S. Spirito ,. Supplicat S. V. devotissimus filius, orator et creatura vestra Johannes, episcopus Balneo- regensis ambassiator devotorum, prout supra, quatenus =. Vescovo di Bagnorea, era Giovani O. M.; cfr. EuseL, Hier., I, 129. Supplicat S. V. devotissimus filius vester Stephanus Rubeus, ambassiator et nuntius Popali Romani, loco Pauli de Comite, prout supra, quatenus Francisco filio suo elerico specialem gratiam facientes — Item supplicat quatenus Johanni filio suo clerico — Il Jacovacci (V, lettera R, p. 347) accenna alla famiglia de Rubeis, mentre riferisce, in sunto, un documento del 29 luglio 1330, in cui compare “ Andreotius de Rubeis ,, e, pure in sunto, altro documento del 13 luglio 1349 con. “..... Cecchus. “ filius Mecchi Joannis Rubei ,. AI Jacovacci (II, lettera C, pp. 1481 segg.) è pure nota la famiglia de Comite, ma del nostro Paolo egli non fa ricordo. Al t. II, sotto la famiglia Colonna, de p. 1363, menziona un “ mandatum procuratignis factum per magnificum d. Stephanum_ “ Columna, patrem Margarite uxoris Joannis de Comite i del giorno 8 dicembre 1329. Del resto il nostro Paol6 era persona ben nota. Una bolla, di Clemente VI (THEINER, (1) Berunère, Suppliques, pp. 184-5, n. 758-9. ro ? È N i NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL'ARCHIVIO VATICANO 19 Cod: dipl., II, n° 130) è inditizzata “ Matteo de filiis Ursis et Paulo de Comite mili- «“ tibus, Senatus officium pro nobis in Urbe gerentibus ,. Supplicat S. V. devotissimus servus vester Angelus dictus Lellus quondam Petri Stephani de Tosectis de Urbe predicta, ambassiator et nuntius prout supra, quatenus — Questo nome è uno di quelli ricordati dalla Vita III Clementis VI, ancorchè vi si trovi in forma storpiata, ma già il. Rodacomacchi lo aveva corretto. Jacovacci, Répert., VI, lettera 7, p. 311, registra una serie di documenti riflettenti la famiglia « dò Tosettis ;. Ma son tutti di epoca relativamente tarda, principiando la serie con una iscrizione sepolcrale del 1368, esistente nella chiesa di S. Marcello: “ Hic “ tequiescit Joannos filius nobilis viri Joannis de Tosectis... , che viene riferita pure da V. ForceLLa, Iscriz. dî Roma, II, 301. Supplicat S. V. devotissimus et fidelissimus vester Donatus Nicolai de Yl]perinis de Urbe predieta, ambassiator et nuntius prout supra, quatenus sibi in personam dilecti filii sui Bartho- lomei clerici — (1) Di qui a poco troveremo un altro della famiglia Ilperini. Supplicat S. V. devotissimus et humilis servitor vester Johannes quondam domini Bartho- lomei de Papaguris, militis de dicta Urbe, ambassiator et nuntius prout supra, quatenus eidem in personam Jacobi filij sui facientes gratiam specialem, eidem Jacobo scolari in iure civili — Item eidem specialem gratiam facientes in personam Angeli nati sui clerici. Ben' nota è la famiglia Papazzurri, quantunque D. Jacovacci non dedichi ad essa uno speciale articolo. Nel vol. II, lettera C, p. 1866, sotto alla famiglia Colonna, ricorda “ frater Joannes de Papazuris , frate di S. Paolo. Supplicat S. V. devotissimus filius vester Johannes Matthei de Yl]perinis de dicta Urbe ambassiator et nuntius, ut supra, quatenus specialem gratiam facientes, ibi in personam Mathei nati sui — D. Jacovacci, VII, lettera U, sotto la famiglia de Ursinis, p. 606, cita un atto "del 3 gennaio 1376, in cui apparisce come attore “ Joannes Matthaei de Ilperinis ,. Costui sarà un figlio di Matteo, figlio del nostro Giovanni. Supplicat S. devotissimus servitor vester Raynaldus de Sancta Patera utriusque iuris pro- fessor, ambassiator et nuntius, prout supra, quatenus -— Supplicat S. V. devotissimus vir Lellus SAL nepos bo. me. domini Cardinalis de Buccamacijs, quatenus — | Costui non era ambasciatore, poichè tale titolo egli non si dà; oltre a ciò se lo volessimo ritener tale la serie sarebbe di 19 e non di 18. persone, il che esorbite- rebbe, contraddicendo alla testimonianza esplicita della Vita III Clem. VI. La famiglia “ de Tartaris , è nota a D. Jacovacci, Rep., t. VI, lettera 7, p. 45: quivi egli inizia le serie dei documenti, che si riferiscono a questa famiglia con uno del 18 ottobre 1365, in cui compare “ Paulus de Tartaris syndicus Urbis , (2). Il card. Giovanni Boccamazza morì nel 1309, EuBeL, Hier. I, 10. (1) Finisce la pagina 85 r. (2) Finisce il fol. 85 r. 20 CARLO CIPOLLA Supplicat S. V. devotissimus et humilis servitor vester Thomas Johannis Gregorij de dicta Urbe, ambassiator et nuntius, prout supra, quatenus sibi in personam Homodei filij sui clerici studentis — i Item supplicat idem Thomas, quatenus Paulo filio suo clerico — La famiglia de Gregoriis è menzionata da D. Jacovacci, III, lettera G, p. 345 segg., ma nulla c'è che faccia al caso nostro. Supplicat S. V. devotissimus vester Jacobus Francisci de Thedelgarijs de Urbe, ambassiator et nuntius, prout supra, quatenus sibi in personam Johannis Francisci de Thedelgarijs de dieta’ Urbe germani sui — i Item sùpplicat idem Jacobus quatenus Petro Francisci germano suo, de Thedelgarijs de dieta Urbe — Dat. apud Villamnovam Avinionensis dioceseos, nonis iulij, anno secundo. La data del 7 luglio 1343 ci fa intendere che l’ambasceria Romana si fermò lungamente ad Avignone, e che ne ripartì verso la metà di luglio 1343. Evidente- mente deducesi dalle parole con cui il documento comincia che le presenti domande furono fatte proprio al momento in cui l’ambasceria stava per lasciare Avignone, e quindi se la concessione è del 7 luglio, porremo la partenza verso la metà del mese. Siccome le grazie concesse a Cola di Rienzo portano la data dell'aprile 1344, così non si può asserire alcuna relazione fra la partenza del Tribuno da Avignone e l’occa- sione in cui è a credere che di qui gli oratori si allontanassero. C'era in ogni modo fra quello e questi mal animo, pur ammettendo vero quanto Clemente VI scriveva nella sua epistola, 11 agosto 1343, in favore di Cola (1). Egli negava che Cola in sua presenza, avesse sparlato “ in vestrorum ex eiusdem Romani Populi ambassiatorum «“ dudum missorum... preiudicium ac vituperium , “ que dictus coram nobis et fra- “ tribus predictis proposuit, non in cuiuspiam detractionem, sed pro bono et pacifico ‘ statu Urbis predicte in melius reformando , (2). Per l'età di Cola di Rienzo tengo conto qui: anche di un’altra supplica (3) del marzo 1345. LI Supplicat S. V. R. episcopus Teatinus, vicarius eiusdem Sanctitatis in Urbe, quatenus — Dat. apud Villamnovam Avinionensis dioceseos . v . non. marcij, anno tercio. Il Vescovo di Rieti chiamavasi allora Raimondo (4). (1) Cfr. RopocanacHÙi, p. 45. (2) Tarrner, Cod. dipl., II, n° 130. (3) Suppl. Clem. VI, a. III, pars I, n. 6, fol. 74. (4) Euser, Hierarchia, I, 437. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCIHVIO VATICANO 21 IV La supplica da Francesco Petrarca presentata a Clemente VI nel 1347. Parlai altra volta dei motivi per i quali Francesco Petrarca partì da Avignone il 20 novembre 1347 (1) e pubblicai la bolla con cui Clemente VI scrivendo a Mastino della Scala accreditava presso di lui il Petrarca perchè preparasse la resistenza contro la spedizione di Lodovico re di Ungheria (2). Un documento, non del tutto ignoto, ma non molto curato, mi offre l'occasione di rifarmi su questo momento della vita del Poeta. Comincio intanto dall’avvertire le traccie della relazione amichevole che ancora un anno prima univa la Corte Pontificia col re d'Ungheria. Infatti Giovanni vescovo di Wesprim (3) appena un anno prima si trovava in Avignone, quale ambasciatore del suo re. Ne abbiamo traccia in una supplica che il papa esaudì sotto la data di di Avignone, 1° settembre 1346 (4). Più tardi Clemente VI è tmnuovamente in buona amicizia con quel re. Infatti da Avignone 14 marzo 1349 egli concesse alcuni favori spirituali a Lodovico re, e ad Elisabetta regina di Ungheria (5). Mentre a Roma la fortuna di Cola vacillava e le sorti pendevano incerte fra il Tribuno e i nobili romani, il centro dei negoziati stava in Avignone accanto alla corte papale. Addì 21 agosto 1347 il papa annunciò a Bertrando de Deaulx, cardinale legato, che da Roma erano giunti a lui ambasciatori per chiedere che confermasse a Cola il titolo di capo dei Romani attribuitogli dal popolo. Lo fece, ma Cola assunse quello di Tribuno, prese l’ordine militare e si preparò a ricevere la corona tribunizia. Il papa scontento di questo, incaricò il legato di impedirlo. Le relazioni fra Cola e la corte avignonese non furono interrotte, quantunque in Provenza gli animi fossero accesi contro di Cola. Un corriere di Cola venne dagli sdegnati Provenzali assalito al passo della Duranza. Gli animi si accesero, e addì 21 settembre il papa, in senso sfavorevole è Cola, scrisse a Pietro da Pisa governatore del Patrimonio (6). Trovai un documento di questo tempo, che parla di un’ambasceria mandata da Cola ad Avignone, correndo il settembre del 1349. Esso è quindi, a distanza di brevissimi giorni, contemporaneo alla supplica del Petrarca, cui feci allusione. Mi pare sconosciuto anche al Gregorovius, quantunque a questo non sia rimasta ignota la (1) Swi motivi del ritorno di Francesco Petrarca in Italia nel 1347, “ Giorn. Stor. lett. ital. ,, 1906, XLVII, 253 sgg. (2) La bolla è del 13 novembre 1347, loc. cit., p. 256. (3) Su di lui cfr. EusrL, Hier., I, 555. (4) Suppl. a. 11, fol..172r: “ Supplicat S. V. devota vestra creatura Johannes electus Vespri- “ miensis nuperime ambaxiator domini Ludovici regis Hungarie illustris ,. Chiedeva alcune grazie in favore del monastero di “ Alpersbach in Nigrasilva ,. (5) Suppl. a. VII, pars 3, n. 17, fol. 205 r. (6) RopocanacHÙI,. op. cit., pp. 186-91; GreGorovius, VI, 285. 22 CARLO CIPOLLA collezione delle Suppliche. È una supplica fatta dall’ambasciatore al papa, e da questo esaudita in Avignone, 27 settembre 1347 (1). Supplicat S. V. servus vester humilis Johannes de Judicibus, in primitivis didascalus, amba- sciator per dominum Nicholaum Rectorem Urbis ad pedes S. transmissus, quattenus sibi in personam suam specialem gratiam facientes de officio doctoratus in primitivis scienciis in Urbe vacantis ad presens per lapsum temporis annue provisionis facte per Jordanum de filijs Ursi et Nicholaum de Anibaldis, condam per S. V. senatores deputati in Urbe, de doctore in ipsis primitivis seienciis, eidem Johanni de vestra solita benignitate dignamini ad S. V. beneplacitum cum honoribus, oneribus, emolumentis, salariis consuetis et cum alijs clausulis et non obstan» tibus oportunis et executoribus. Fiat. R. Et quod transeat sine alia lectione.' Fiat. R. Dat. Avinione . vJ . kl. oetobris, anno sexto. Che cosa questo maestro di scuola abbia chiesto e che cosa abbia ottenuto in Avignone non risulta. Certo è che in nessun modo la buona armonia tra il papa e Cola venne ristabilita. Cola perseguitò alcuni baroni, fra i quali Lello Tosetti, che fu chiamato al suo tribunale. Ma il papa lo sconsigliò di presentarsi, 5 ottobre: anzi scrisse lettera molto energica al cardinal legato. Notevoli sono le lettere che il papa indirizzò ai principali del patriziato sollecitandoli ad opporsi ai conati di Cola, nè potea bastare a cangiare l’indirizzo degli avvenimenti una lettera di som- missione e di obbedienza che il Tribuno indirizzò al pontefice, 11 ottobre 1347 (2). Nella supplica del messo di Cola, quale fu testè riferita, il nome di Tribuno è soppresso, e in sua vece figura quello di “ Rector Urbis ,, il che è significativo, mentre il papa non aveva voluto riconoscere quei titoli che Cola aveva assunto al momento in cui avveniva il decisivo distacco dalle sue stesse tendenze precedenti. Le simpatie di Francesco Petrarca per il Tribuno non lo allontanarono dalla Corte ponteficia. Proprio a questi momenti, che si direbbero poco favorevoli perchè un ammiratore di Cola chiedesse ed ottenesse dal papa grazie, favori, incarichi di fiducia, troviamo due singolarissimi documenti, còme sono la supplica, di cui ora parleremo e la missione diplomatica alla corte Scaligera. La supplica fu esaudita dal papa sotto la data di Avignone, 9 settembre 1347. Venne stampata integralmente e parzialmente, in due opere, dal benedettino V. Ber- lière (3) nel 1906. Pare che fra noi non siasi fatta molta attenzione a queste due pubblicazioni, e quindi non sarà inutile dare qui di nuovo questo curioso ed importante documento, che spero di poter riprodurre in lezione meglio corretta, che non quella fattane per la prima volta dall’illustre belga. Comincio intanto dall’osservare come, a differenza della supplica di Gerardo del 1343, questa sia scritta da un valente latinista. Non manca, ed era inevitabile, delle formule cancelleresche; ma appena che l’argomento cessa di richiedere la fredda dicitura propria degli uomini di Curia, lo stile si eleva e diventa elegante ed efficace. Mi pare evidente, la supplica uscì dalla penna del Petrarca. Se la raffrontiamo colle (1) Suppl. a. VI, n 14, fol. 117 ». (2) RopocanacnÙt, p. 196; Gredorovivs, VI, -285-6. (3) Integralmente nell’opuscolo: Un ami de' Pétrarque: Lowis Sanctus de Beeringen! Rome-Paris, 1906, pp. 40-2. — Parzialmente in Suppliques de Clément VI; Rome-Paris; 1906, ppi 832:3, n. 1255, dove si dànno unicamente le prime linée e il passo riguardante Lodovico Sanctus! NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL'ARCHIVIO VATICANO 283 altre suppliche, pedestri, umili, cancelleresche, questa se ne distacca in modo, pieno e deciso. Venga adunque il piccolo scrittarello di messer Francesco (1). | Supplicat (2) S. V. devotus et humilis servus vester Franciscus Petracchus de Florentia, quatenus sibi in altero beneficiorum suorum non mutato ac prioris (3) loci ipsius obtenta licentia ad quem ordinem, precipue propter germanum suum in co professum vehementer afficitur (4) residendo, beneficiorum suorum omnium, que nune habet vel habebit in posterum, fructus, honores, redditus ac proventus, cotidianis distribucionibus dumtaxat exceptis, perinde percipiat ac si in eis et quolibet eorundem residentiam faceret personalem, concedere dignemini de spe- ciali et Apostolice gratie ubertate, non obstante quod alicui beneficiorum ipsorum cura incumberet animarum, seu quibuscunque apostolicis vel aliorum constitucionibus vel ecclesiarum statutis et consuetudinibus in contrarium editis et edendis, iuramento, confirmacione ete., cum alijs (5) non obstantibus, clausulis et executoribus oportunis. Fiat ad biennium. R. Item (6) quod similem sibi per omnia gratiam facientes in personam Ludovici Sanctus (7), clerici Leodiensis diocesis, precarissimi socij et confamiliaris sui in domo domini Cardinalis (8) et qui semper sibi extitit loco fratris et secum usque ad mortem inseparabiliter esse cupit, sed id neutri eorum potest contingere sine huiusmodi gratia et vestre clementie largitate. Fiat ut supra. R. Item (9) supplicat quatenus in personam dulcissimi sibi Bariani, nati nobilis viri Aggonis de Corrigia domini ac benefactoris sui, specialem sibi gratiam facientes, cum eodem Bariano super deffectu natalium quem patitur, de soluto genitus et soluta, cum alioquin sit optimus et bonarum artium studiosissimus adolescens, quod eodem deffectu et qualibet alia constitutione Apostolica in contrarium edita, necnon et quibusvis statutis et consuetudinibus quarumeunque ecclesiarum cathedralium et etiam aliarum contrarijs, etiam si expresse caveatur in illis quod: illegittimi (10) canonicatus et prebendas et dignitates vel alia beneficia ecclesiastica, se alias (11) ad invicem compaciencia, etiam si unum eorum dignitas vel personatus vel officium existat, etsi etiam in ecclesijs cathedralibus fuerint et ad dignitatem ipsam per electionem consueverit qui[s] assumi, possit, si alias canonice conferantur, libere recipere et licite. retinere, ac ea (1) Suppl. a. VI, pars 2, n. 14, fol. 69 v-70 r. (2) Di solito trascuro le annotazioni marginali, che avevano solamente valore nella cancelleria ma in un documento che viene dal Petrarca tengo nota anche di queste. Accanto adunque al presente primo commay sta: “ ex. de fructibus ,, dove mi fermò l’abbreviazione “ ef ,, che l’ottimo e genti lissimo sig, E. Napuzzi mi spiegò dover significare probabilmente: “ extrafordinarià concessio] , - (3) ui ms. ha: “ prior , colla ultima “r, abbreviata così, che regolarmente potrebbesi interpre- tare per “ priorum ,. Ma credo che il Berlière s'apponesse al vero leggendo “ prioris ,, poichè in realtà non di più priori, ma di uno solo si potea parlare in questo luogo. (4) Scrivo in.corsivo il tratto che nell’originale fu cancellato. Facilmente puossi. vedere che il senso corre egualmente, tanto se le parole si mantengono, come,se si. levano; ma nel primo caso, naturalmente il pensiero del Petrarca si presenta diverso alquanto da quello che ha nel secondo caso. (5) al. (6) Sul margine: “ ex similiter ,, cioè, “ extrafordinaria]) similiter ,. (7) © Sanet” ,. Il Berlière che nell’opuscolo legge qui “ Sanctus ;,, nelle Supp2Z. ha. 4 Sanctis ,, ma forse si tratta soltanto di una svista tipografica. (8) S'intenda del card. Giovanni Colonna, di cui il predetto Sante era cappellano (cfr. BerLIÈRE, Suppl. n. 759, p. 185, cr Dov. 1344). (9) Sul margine: da (10) C'è qualche diet Il testo non si può con certezza costituire per mezzo della bolla, per la legittimazione di Giovanni, 28 agosto 1347, che riferirò più innanzi. (11) al. 24 CARLO CIPOLLA et ipsorum quodlibet permutare et alias (1) obtenta dimittere ac loco dimissorum alia recipere et licite retinere, quotiens sibi placuerit et videbitur expedire, auctoritate Apostolica digne- mini misericorditer dispensare, eumque auctoritate predieta perinde ad beneficia huiusmodi obtinenda plenarie habilitare, ac si esset de legitimo toro natus; nichilominus de ampliore gratia concedentes, quod in gratis pro eo seu per eum de cetero impetrandis de dicto deffectu ullam teneatur facere mentionem. Fiat R. Hem (2) quod in personam carissimi sanguine sibi coniuneti Johannis Petracchi clerici florentini, similem deffectum natalium patientes similem sibi per omnia gratiam faciatis. Fiat. R. Item (3) supplicat quatenus in personam Philippi clerici Veronensis nati Benvegne' de Verona, amici sui dilecti, specialem gratiam facientes unum duo tria beneficia ecclesiastica, sine cura, culus seu quorum fructus, redditus et proventus triginta florenorum auri, secundum taxa- tionem decime, valorem annuum non excedant, spectans seu spectantia, comuniter vel divisim, ad collationem, provisionem, presentationem, seu quamvis aliam disposicionem quorumeumque in civitate et diocesi Veronensi, sì quod vel si qua in ecelesia, civitate vel dioecesi vacat vel vacant ad presens, vel cum simul aut successive vacaverit seu vacaverint, conferendum seu conferenda eidem Philippo dignamini misericorditer reservare, cum acceptatione inhibitione, decreto et clausula anteferri et cum ommibus non obstantibus et clausulis et executoribus opor- tunis, examen eius in partibus ut relevetur a periculis viarum atque a laboribus et expensis de ampliori misericordia, vel vicario . .. episcopi Veronensis vel alteri, prout S. V. placuerit, committentes. Fiat. R. Et quod transeat sine alia lectione. Fiat. R. Dat. Avinione . v . idus septembris, anno sexto: Ho parlato di copia della supplica ch’era stata fatta dal Petrarca. Infatti alle trascrizioni nei registri precedeva la cedula originale; una siffatta, ancora in origi- nale, si trova inserta fra il f. 79 e il f. 80r del vol. 10 delle Supplicationes di Cle- mente VI, ed è di mano della seconda metà del sec. XIV, fra le suppliche del 1347. Così abbiamo una chiara ed aperta spiegazione degli usi correnti, per questo riguardo, nella cancelleria pontificia: vediamo come le suppliche si facevano, si presentavano, finivano trascritte nei volumi. t; Nel primo comma, dove il Petrarca domanda per sè medesimo che gli sia,assi- curata la percezione dei beneficî, si incontra la frase “ in altero beneficiorum ,, dove alter è usato nel senso dell’italiano altro. Poco più, poco meno, la stessa parola ha l’eguale significato quando viene ripetuta nelle ultime parole della supplica. Nella supplica di Giovanni di Guidaccio Riccomanni, 24 nov. 1343 (4), si legge “ in altero “ eorumdem ,. Il Petrarca adunque chiedeva di poter risieder in altro dei benefici a lui spettanti. E notevole che Petrarca in questa supplica non si dà nome di chierico, come avviene così di spesso. Non dirò che lo facesse per pudore, intendendo in questa occasione di chiedere la legittimazione del figlio Giovanni, giacchè anche altrove lo sopprime. La formula usata in questa supplica, la si trova anche in altra del 23 agosto 1348, che ricorderò discorrendo della dignità che egli rivestiva in Parma. (1) al. (2) Anche qui al margine sta apposta l'abbreviazione: © eX ,. (3) Sul margine c’è l'iniziale “ V ,, trattandosi di cose riguardanti Verona. (4) Suppl. N. 3, fol. 75 r. La ho riferita nel paragrafo II. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 25 Piuttosto parmi che sia da congetturarsi, che a quel titolo il Petrarca non dava troppo peso. Evidentemente egli non aveva ricevuto alcun ordine sacro. Non è raro il caso di trovare menzionati i “ clerici non uxurati, nec in sacris ordinibus consti- “ tuti , (1), ovvero “ clericus non coniugatus nec in sacris ordinibus constitutus , (2). Men di frequente, ma pur si trova in mezzo a tanti che chiedevano benefici, anche « qualche clericus coniugatus , (3). Di Lodovico Sante pubblicò il Berrière (4) la supplica del 9 febbr. 1347, dalla quale appare che nessuna difficoltà egli aveva per trovare il beneficio di una chiesa senza cura d’anime, e che solo in quest’ultimo caso si presentava il dubbio della legittimità: eppure egli non era entrato e non intendeva di entrar negli ordini. Proseguiamo innanzi nell'esame del nostro documento. Le prime parole della supplica del Petrarca ci lasciano incerti. Che cosa hanno a che fare col resto le parole cancellate? e com'è che in esse messer Francesco parla di suo fratello, del monastero, locus, in cui questo si era chiuso, del priore del medesimo, e dell’amor suo per quel /ocus al quale suo fratello apparteneva ? Balza subito all'occhio che le parole cancellate non sono escluse dal contesto, sol che vogliasi ammettere che il senso del passo è questo: Francesco Petrarca chiede di poter godere di tutti i benefici ecclesiastici, resiedendo in un solo di essi, col permesso del priore del convento al quale era stretto da vivo affetto, perchè vi aveva fatto pro- fessione il fratello. Aveva dunque egli un beneficio a Montrieux? E col beneplacito del priore monastico, voleva messer Francesco fermarsi colà, per stare vicino a Gerardo? Ricordiamoci che nella primavera del 1347 Francesco visitò per la prima volta il fratello chiuso nel monastero di Montrieux (5). Viene quindi facile il dubbio che, attratto dall'’amor del fratello, dalla sacra pace del sito, volesse egli stabilirsi colà o nei dintorni, e intendesse di condurre seco il suo Socrate, cioè Lodovico Sante. Uniti essi avrebbero passata serenamente la vita. Ma se il Petrarca provò il desi- derio di cercare, insieme con Socrate, la pace colà, abbandonò presto il suo pensiero, e accettando la difficile missione dal papa affidatagli, prese la via dell’Italia. Il viaggio intrapreso da messer Francesco e la ritrosia di Socrate resero impossibile ai due fratelli d'amore la vita in comune da essi pur tanto desiderata, Messer Francesco non ebbe nè la compagnia di Gerardo, nè quella di Socrate, e ciò, in fin dei conti, corrispondeva alla vita agitata, irrequieta del poeta, al quale l'ideale di una melan- conia e dolce solitudine potea sorridere bensì qualche momento, senza che peraltro riuscisse a staccarsi dal mondo. Il secondo comma della supplica riguarda Lodovico Sante, che si appella chie- rico di Liegi, e pel quale messer Francesco chiede la stessa grazia che a sè stesso, poichè senza di ciò anche a Socrate sarebbe stato impossibile vivere insieme col Petrarca. Non passo sotto silenzio la bellezza letteraria del passo che riguarda (1) Suppl. N. 5, fol. 3 r. (2) Ivi, N. 4, fol. 234». (3) Ivi; N. 5, fol. 99 ». (4) Un ami de Pétrarque, p. 38. A p. 42 è detto che nel 1350 studiava teologia, il che ancora non significa che in quest'anno avesse diggià ricevuti gli ordini. (5) Cocnin, Le frère de Pétrarque, p. 66, 69. Serie II. Tom. LIX. 4 26 CARLO CIPOLLA Socrate, che sempre fu a m. Francesco in luogo di fratello e che desiderava di volersi unire secolui inseparabilmente fino alla morte. Bello assai è anche il terzo comma, in cui comparisce Bariano figlio di Azzo da Correggio, giovane per il quale dimostra m. Francesco pari affetto e pari stima. Anche qui la mano del Petrarca è facile a riconoscersi, giacchè un cancelliere o uno scriba giammai avrebbe scritto una frase di così elegante latino e tanto calda d'affetto siccome questa: “ optimus et bonarum artium studiosissimus adolescens ,. Bariano non è ignoto, giacchè G. Biadego (1) ne lesse da tempo il nome in una lettera di Rinaldo Cavalchini da Villafranca, e ne sospettò la parentela con Azzo da Correggio. Mons. Marco Valtasso (2) abbastanza a lungo più tardi fermò su di lui e su Giovanni pure figlio di Azzone, dimostrando, fra l’ altro, che Bariano e Giovanni erano gemelli. L’attesta Moggi dei Moggi, che ai detti fratelli dedicò due carmi. Il Litta tace dell’uno e dell’altro fratello. Ma dalle parole del Moggi non ri- sulta ciò che apparisce dal presente documento petrarchesco, cioè che i due gemelli erano illegittimi. Di Bariano infatti vien detto esplicitamente che era “ de soluto “ genitus et soluta ,. Azzone da Correggio è persona notissima (3), e non è chi non sappia quanto calda amicizia lo legasse al Petrarca. Nel successivo comma messer Francesco domanda la legittimazione del figlio Giovanni Petracchus, che si trovava nelle stesse condizioni del precedente, e che quindi era “ de soluto genitus et soluta ,. Se fosse stato figlio di un uomo già en- trato in sacris, secondo la consuetudine giuridica, questa condizione aggravante avrebbe dovuto comparire nella concessione di legittimazione, perciò si conferma che Francesco non avea ricevuti gli ordini. E così dovea esser senza dubbio, poichè a crederlo tutti gli indizi concorrendone: certo la circostanza che ho rilevata da sola non proverebbe, poichè al postutto si poteva fare facilmente una eccezione trattandosi dell’illustre suo padre. La legittimazione di Giovanni fu pubblicata dal De Sade (4), ma sarà opportuno riprodurla qui direttamente dal Registro Avignonese (5), che la contiene. Anzi tutto avverto ch’essa vi si trova fra gli atti dell’anno settimo, mentre per altro una postilla marginale di prima mano segnala tale circostanza con: “ attende de anno vj'° ,. La bolla è dunque la seguente: Dilecto filio Johanni Petracchi scolari florentino salutem ete. Illegittime genitos, quos vite decorat honestas, nature vicium minime decolorat, quia decus virtutis geniture maculam abstergit in filijs et pudicitia morum pudor originis aboletur. Cum itaque, sicut testimonio fidedignorum percepimus, tu defectum natalium, quem pateris, de soluto genitus et soluta, suppleas gratia meritorum, redimens favore virtutum quod in te ortus odiosus ademit, Nos tuis supplicationibus inclinati, teeum ut defectu predicto, necnon generalis Concilij et quibuslibet alijs Constitutio- nibus Apostolicis ac statutis et consuetudinibus quorumeumque cathedralium et aliarum eccle- (1) Un maestro di grammatica amico del Petrarca, “ Atti Istit. Veneto ,, VIII serie, t. LIX, p. 272. (2) Del Petrarca e di alcuni suoi amici. Roma, 1904, p. 82-90. (3) Cfr. Lirra, Da Correggio, tav. II; L. Bier, Di Azzo da Correggio, © Atti Deputaz. Modena e Parma ,, 1865, III, 207 sgg. (4) Mémoires, III, pièces justif., pp. 49-50, n. 18. (5) Reg. Avign., Clem. VI, a. VII, pars I, tom. XLV, n. 99, fol. 200 r. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL'ARCHIVIO VATICANO 27 siarum, etiam si expresse caveatur in illis quod illegittimi geniti canonicatus et prebendas ac dignitates vel alia beneficia ecclesiastica in eis obtinere non possint, contrarijs, iuramento, con- suetudine Apostolica vel quacumque firmitate alia roboratis nequaquam obstantibus, ad omnes ordines promoveri, et quotumque beneficia ecclesiastica alias (1) ad invicem compaciencia, etiam si unum eorum dignitas vel personatus seu officium (2) et in ecclesijs cathedralibus fuerint, et etiam alias (1) pure ac simpliciter emittere et loco dimissorum alia recipere quotiens tibi videbitur expedire, dummodo tibi alia (1) canonice conferantur, auctoritate Apostolica de speciali gratia tenore presentium dispensamus, teque proinde auctoritate predicta ad beneficia huiusmodi obtinenda plenarie habilitamus ac sì esses de legitimo thoro natus, tibi nichilominus conce- dentes, quod in gracijs pro te seu per te de cetero impetrandis nullam de defectu et dispensa- tione predictis tenearis facere mentionem. Nulli ergo etc. nostre dispensationis, habilitationis et concessionis infringere etc. Dat. Avinione . v . kl. septembris, anno sexto. Giovanni fu più tardi nominato canonico di Verona, e nell'occasione ch'egli ri- tornava in quella città, dove aveva fatto i suoi primi studi, il padre lo raccomandò a Rinaldo da Villafranca, con lettera datata da Valchiusa, 9 giugno 1352 (3). L'ultimo comma della supplica ci dà la domanda di un beneficio in favore del chierico Filippo, figlio di Benvegna da Verona. Chi siano costoro lo ignoro; il Pe- trarca qui c’insegna che erano suoi amici, e per ora almeno devo accontentarmi di ciò, Francesco Petrarca, se anche formò il disegno di sostare presso Montrieux, in vicinanza del fratello, fu tosto dagli avvenimenti sospinto per altra via, e, come dissi testè, Clemente VI, con lettera del 13 novembre 1347, lo accreditò suo ambasciatore presso Mastino della Scala. Un'osservazione generale sull'insieme della supplica. Messer Francesco chiede molto per sè, ma domanda anche grazie per gli amici. Ad esser cortese in siffatto modo con quelli con cui aveva amichevole dimestichezza, egli era uso. Cito la let- tera del 24 maggio 1352 (4), che è sufficientemente istruttiva per tale riguardo. VA Francesco Petrarca canonico e arcidiacono di Parma. Il De Sade (5) citò la bolla del 29 ottobre 1346, colla quale Clemente VI as- segnò al Petrarca l’arcidiaconato di Parma. La pubblico qui per disteso, desumendola da quel medesimo Registro Avignonese, al quale si riferisce pure, colla sua citazione, l'antico erudito francese. In essa si parla delta. vacanza di questo canonicato per la morte di Pietro Marini e si dichiara irrita e nulla qualsiasi provvisione fosse avve- nuta rispetto alla successione. Anzi, nell’altra bolla, con questa connessa, a pari (1) al. s (2) Si leggerà forse: © existat ,. Veggasi nella supplica del Petrarca il paragrafo che riguarda Bariano. (3) Fam., XIII, ep. 2. (4) Fam., XII, ep. 13. (5) Mémoires, II, 298-9. 28 CARLO CIPOLLA data, che riguarda l'immissione in possesso, il papa incarica coloro ai quali affida tale officio, di rimuovere chiunque fosse stato indebitamente installato in quella. di- gnità. Infatti Clemente VI accampa la riserva dalla Santa Sede già imposta antece- dentemente, colla quale la disposizione di detto canonicato era diventata, per questo caso, di spettanza del pontefice. È debito rilevare nella bolla diretta al Pisana la formula con cui affermasi che il papa concedeva di moto proprio quel canonicato e non sopra istanza del beneficato. È un complimento onorifico verso il beneficato. $ Noto ancora che qui è adeguata la formula antefer ri, che di sovente viene ac- cennata in documenti papali. Ecco il testo delle due bolle (1), fra loro connesse, la seconda delle quali dò appena per estratto : Dilecto filio Francisco Petraccho, canonico Parmensi, salutem. Litterarum sciencia ac morum honestas et alia tua probitatis merita, super quibus apud nos fidedignorum testimonio commen- daris, exposcunt ut tibi reddamur ad gratiam liberales. Dudum siquidem intendentes de bene- ficijs ecclesiasticis, que quondam Petrus Marini, canonicus prebendatus ecclesie Parmensis, tunetemporis obtinebat, cum ea quovis modo vacarent, per Apostolice Sedis providenciam ordi- . nari, beneficia ipsa dum adhuc idem Petrus ageret in humanis, videlicet xvij (2) kl. iunij, pontificatus nostri anno tertio, collationi et dispositioni nostre ea vice dumtaxat specialiter reservanda, decernendo extune irritum et inane, si secus super hijs a quoquam, quavis aucto- ritate, scienter vel ignoranter, contingerit attemptari. Cum itaque prefati canonicatus et prebenda - per obitum dicti Petri, qui nuper extra Romanam Curiam diem clausit extremum, vacare noscantur ad presens, nullusque preter Nos hac vice de illis disponere possit, reservatione ac decreto obsi- stentibus antedictis, Nos volentes tibi, premissorum meritorum tuorum intuitu, gratiam facere specialem, predictos canonicatum et prebendam sic vacantes, cum plenitudine iuris canonici-ac omnibus iuribus et pertinentijs suis, motu proprio, non ad tuam vel alterius pro te Nobis super hoc oblate peticionis instanciam, sed de mera nostra liberalitate, Apostolica tibi auctoritate con- ferimus et de illis etiam providemus, decernentes, prout est, irritum et inane si secus super hijs per quoscunque, quavis auctoritate, scienter vel ignoranter, attemptatum forsan est hactenus vel contingerit in posterum attemptari, non obstantibus quibuscumque statutis et consuetudinibus ipsius ecclesie contrarijs, inramento, confirmatione Apostolica vel alia quacumque firmitate robo- ratis, aut si aliqui Apostolica vel alia quavis auctoritate in eadem ecclesia in canonicos (3) sint recepti, vel ut recipiantur insistant, seu si super provisionibus tibi faciendis de canonicatibus et prebendis in dieta ecclesia speciales vel de beneficijs ecclesiasticis in illis partibus generales dicte Sedis vel Legatorum eius litteras impetrarint, etiam si per eas ad inhibitionem, reserva- tionem et decretum vel alias quomodolibet sit processum, quibus omnibus te in assecutione dictorum canonicatus et prebende volumus anteferri, sed nullum per hoc eis quo ad assecutionem canonicatuum, prebendarum et beneficiorum aliorum preiudicium generari, seu si venerabili fratri nostro Episcopo et dilectis filijs Capitulo Parmen. vel quibusvis alijs communiter vel divisim a dicta sit Sede indultum quod ad receptationem vel provisionem alicuius minime teneantur et ad id compelli non possint, quodque de canonicatibus et prebendis ipsius ecclesie ac alijs beneficijs ecclesiasticis ad eorum collationem, provisionem seu quamvis aliam disposicionem, communiter Il numero forse è ritoccato, ma pur sempre di prima mano. (1) Reg. Avign., Clemens VI, vol. XXXI, n. 86, fol. 196 0-197 r. 2) 3) Ms. canicos. ( ( NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO 29 vel separatim, spectantibus, nulli valeat provideri per litteras Apostolicas non facientes plenam et expressam ac de verbo ad verbum de indulto huiusmodi mencionem et quelibet alia dicte Sedis indulgencia generalis vel specialis cuiuscunque tenoris existat per quam presentibus non expressam vel totaliter non insertam effectus huiusmodi nostre gratie impediri valeat quomo- dolibet vel differri et de qua cuiusque toto tenore habenda sit in nostris litteris mencio specialis ; aut si presens non fueris ad prestandum de observandis statutis et consuetudinibus ipsius ecclesie solitum iuramento, dummodo in absentia tua per procuratorem ydoneum et cum ad ecclesiam ipsam accesseris corporaliter illud prestes. Nulli ergo etc. nostre collationis provisionis et constitucionis infringere ete. Datum Avinione . Ir) . kl. novembris, anno quinto. In e. m. venerabili fratri... Archiepiscopo Ravennatensi et dilectis filijs... Sancti Benedicti de Padolirone ac Sancte Marie de Valleserena Mantuane et Parmensis dioceseum monasteriorum abbatibus, salutem etc. Litterarum sciencia etc. usque ad illud: prestat. Quocirca mandamus quatenus vos, vel duo aut unus vestrum, per vos vel alium seu alios eundem Franciscum vel procuratorem suum eius nomine in corporalem possessionem cononicatus et prebende ac iurium et pertinentiarum predictorum inducatis auctoritate Nostra ac defendatis inductum,amoto ab eis quolibet detentore, facientes ipsum Franciscum vel dictum procuratorem pro eo in eadem ecclesia ad dictam prebendam in canonicum recipi et in fratrem, stallo sibi in choro et loco in capitulo ipsius ecclesie cum plenitudine- iuris canonici assignatis, sibique de ipsorum — Dat. ut supra. Si faccia attenzione alla formula “ anteferri ,, che concede il diritto di prefe- renza contro ogni altro concorrente. Le formule devonsi intendere con una certa discrezione. Chi legge soltanto la bolla deve credere che il papa affatto spontaneamente siasi ancora una volta ricor- dato del Poeta. In realtà la supplica non ci fu, ma c'è una formula di motu proprio in parte approvata e in parte non approvata dal papa, che ha l’aspetto di una vera supplica, la quale includesse appunto la preghiera che alla concessione si desse la forma di un atto spontaneo del papa. Quindi nella postilla si accenna senz'altro alla supplica. Anzi osservisi che il papa espressamente concede che l’ assegnazione del canonicato sia fatta quale fosse un motu proprio. Nel wol. n. 12 delle Supplicationes di Clemente VI (1) si legge appunto la con- cessione seguente, colla data di Avignone, 29 ottobre 1346. È la stessa data della bolla testè riferita. Motu proprio providemus Francisco Petracho elerico florentino de canonicata et prebenda et archidiaconatu Parmensis ecelesie per obitum Petri Marini extra Romanam Curiam dece- dentis apud Sedem Apostolicam per reservationem vacantibus vel alio quovis modo si nom sit in eis alterius quesitum (2) cum omnibus non obstantibus, clausulis et executoribus oportunis. Fiat de canonicatu et prebenda. R. Motu proprio. R. Et transeat sine alia lectione. Fiat. R. Dat. Avinione . iiij . kl. novembris, anno quinto. (1) Fol. 71. (2) Parole cancellate. Al margine fu di prima mano apposta la postilla: £ Cancellatus et cor- “ rectus fuit in petitione per Dominum nostrum et hic per me Johannem de Pistorio ,. 30 CARLO CIPOLLA La supplica del 1343 era in elegante latino, pur non mancando delle formule cancelleresche. Questa ha l’aspetto delle altre suppliche, con uno stile scolorito e corrispondente all’uso. Sicchè è verisimile che sia stata preparata negli offici pon- tifici, e che alla sua redazione il grande Umanista non abbia avuto parte. Ma il Petrarca non fu soltanto canonico, ma anche arcidiacono a Parma. L’Affò (1) crede che sia stato eletto a tale officio nel 1350 e pubblica (2) un docu- mento del 1351, in cui il Petrarca comparisce come rivestito di tale dignità, 0A dito A. Ronchini (3) si attiene a questa medesima data (4). Il seguente documento decide la questione. Nel 1346 aveva egli desiderato di esser canònico insieme ed arcidiacono, ma allora il Papa gli concesse solamente la prima di queste due dignità. Ritornò a chiedere nel 1348, e addì 23 agosto di que- st'anno il papa finalmente accondiscese a questo suo desiderio. Il posto era stato occupato fino allora da Dino di Urbino, che al postutto l'avrebbe dovuto lasciare per essere stato eletto vescovo di Montefeltro, ma che la morte invece sorprese. Questa supplica, che riferisco per intero (5), decide adunque finalmente una vecchia questione, e assieme ferma un’altra data nella vita del Petrarca. Si avverta che fra la nomina del Petrarca a canonico e la elevazione ad arcidiacono c’è di mezzo il ritorno del Poeta in Italia e la delicata missione affidatagli dal pontefice (6). Faccio seguire il testo, avvertendo che sul margine fu scritta la lettera P, ini- ziale di Parma. Supplicat S. V. devota creatura vestra Franciscus Petracchus de Florentia quod eadem Vestra Sanctitas de archidiaconatu ecclesie Parmensis, qui tune vacare sperabatur in brevi per consecracionis mùnùs suscipiendum per dominum Dynum de Urbino Sedis Apostolice cappellanum ac vestri sacri palatij auditorem electum Feretran. vel per eiusdem consecrationis temporis lapsum seu per eiusdem domini Dyni resignationem aut cessionem aut alio quovis modo eidem Francisco ad bo. me. domini Johannis de Columpna quondam Sancti Angeli diaconi cardinalis instanciam generose providit prout in supplicatione annexa*presenti cedula continetur. Verum quia idem dominus Dynus antequam munus prefatum susciperet extra Romanam Curiam viam est universe carnis ingressus et archidiaconatus predictus per obitum ipsius domini Dyni Sèédis Apostolice capellani, apud eadem Sedem vacare noscitur in presenti, supplicat idem Franciscus quatenus eidem motu proprio eundem archidiaconatum sic vacantem, cum omnibus iuribus et pertinentijs suis, conferre dignemini, cum anteferri et aliis clausulis et non obstantibus opor- tunis et executoribus, ut in forma. Fiat motu proprio. R. Et placeat quod transeat sine alia lectione. Fiat. R. Datum Avinione . x . kl. septembris, anno septimo. Il possesso delle dignità nella chiesa di Parma non restò incontrastato in mano a messer Francesco, il quale ebbe, qualche anno dopo, bisogno che il papa interve- (1) Mem. scritt. e lett. parmigiani, II, p. xxxvux. (2) Ivi, p. xxxIx-XLI. (3) La dimora del Petr. in Parma, © Atti e Mem. Deput. stor. Parm. ,, 1874, VII, 356. (4) Nulla di preciso aveva potuto dire il Pezzana, Storia di Parma, Parma, 1837, tomo I, p. 34, nota 1, ecc. A pag. 33 si attiene alla data del 1350. (5) Suppl. vol. n. 15, fol. 205 ». (6) Cfr. F. Novari, Petrarca e i Visconti, nel vol. Petrarca e la Lombardia. Milano 1904, p. 13. NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL’ARCHIVIO VATICANO SÙ nisse per la difesa dei suoi diritti. Narra il Ronchini (1) che il Petrarca, mentre era in Avignone, venne messo in mala vista presso Ugolino Rossi, vescovo di Parma, al quale egli rivolse una lettera per discolparsi dalle fattegli accuse. Il Petrarca non era uomo che tacesse volentieri dove si trattava dei suoi diritti (2). Nel gennaio 1352 Clemente VI cadde malato, e poco appresso messer Francesco gli indirizzò una epistola per metterlo sull’avviso affinchè diffidasse dei medici (3). Restò il poeta ancora parecchio tempo ad Avignone, ed è curiosissima la lettera del 9 agosto di quel medesimo anno, diretta al Priore dei Santi Apostoli, nella quale narra come pochi giorni prima il papa lo avesse chiamato a sè per nominarlo suo segretario. Ma egli riuscì a scampare da questo pericolo (4), giacchè egli considerava tale officio siccome un pericolo e una disavventura. Venne a Valchiusa e poi tornò ad Avignone. Finalmente, sotto il giorno 8 novembre, mentre trovavasi “ ad fontem « Sorgiae ,, preannunciò al card. Guido, vescovo di Porto, la sua prossima partenza verso l’Italia (5). Molto deve averlo attristato poco appresso la notizia della morte del suo benevole protettore, Clemente VI, che spirò addì 3 dicembre 1352. L’Affò (6), nar- rando i dissapori fra il Petrarca e il vescovo di Parma, dice che quegli sì decise a scri- vere a quest’ultimo in sua giustificazione dopo la elezione del nuovo papa Innocenzo VI, della cui benevolenza non era così sicuro come lo era stato dell'amicizia di Cle- mente VI. Questo giudizio viene modificato dalla epistola che, sotto la data di Avi- gnone, 15 settembre 1352, Clemente VI indirizzò al Petrarca, in risposta ad una sua supplica, colla quale egli ne aveva invocata la protezione. Nella bolla si accenna bensì alla supplica, ma il sunto non se ne dà. E nelle Supplicationes indarno cercai traccia della petizione di messer Francesco. Il papa adunque, per troncare ogni con- troversia, volle esimere il Petrarca, rispetto all’arcidiacono, tanto dalla giurisdizione episcopale, quanto dalla metropolitica. Sotto la stessa data egli scrive anche al vescovo di Verona, a un abbate di Parma e all’arcidiacono di Genova, incaricandoli di difendere efficacemente i diritti del Petrarca. Riporto per intero questo interessante documento (7), il quale contiene verso la fine gravi allusioni alle ragioni che aveano indotto il papa a prendere una delibe- razione di tanta gravità. Segue, secondo il solito, il documento per l’esecuzione del- l’atto principale. Dilecto filio Francisco Petracho archidiacono ecclesie Parmensis salutem ete. —Literaram sciencia tuorumque grandium excellentia meritorum, super quibus apud nos fidedignorum testi- moniis commendaris, exposcunt, ut ea tibi favore benivolo concedamus, per que tibi possit plena tranquillitas provenire. Hoc est quod nos tuis supplicationibus inclinati et ex certis causis Nobis expositis, quas haberi volumus presentibus pro expressis et singulariter nominatis, personam tuam nec non archidiaconatum ecclesie Parmensis, quem obtines, cum omnibus ecelesiis et (1) Op. cit., pp. 360-61. (2) M. Varrasso, I Codici Petrarcheschi "della Biblioteca Vaticana. Roma, 1908, p. 207 sgg. (3) Fam., V, ep. 19. - (4) Fam., XIII, ep. 5. — Cfr. KòrtIne, Frane. Petr. Lipsia, 1878, p. 283. (5) Fam., XIV, ep. 7. — Cfr. KortIne, p. 265. (6) Mem. scritt. e letter. ecc., p. xL. (7) Reg. Avign., anno XI, pars 5, vol. LXV, p. 120, fol. 575 r. 32 CARLO CIPOLLA — NOTE PETRARCHESCHE DESUNTE DALL'ARCHIVIO VATICANO beneficiis eidem archidiaconatui subiectis, ac ad collationem provisionem presentationem seu quamvis aliam dispositionem archidiaconatus Parmensis, qui est pro tempore, ac aliis bonis et rebus ad te et ipsum archidiaconatum spectantibus quamdiu vixeris seu archidiaconatum predictum obtinueris, ab omni iurisdicione dominio ac ordinaria potestate episcopi Parmensis, qui est et erit pro tempore, ac metropolitani ipsius, auctoritate Apostolica, ex certa scientia prorsus eximimus de gratia speciali teque et archidiaconatum eundem exemptos immunes ac liberos esse decernimus, ita quod episcopus et metropolitanus predicti seu quicunque alius ratione delicti sen contractus aut rei de qua agitur, ubicumque conmittatur delietum, iniatur contractus aut res ipsa con- sistat, nullam possint in te iurisdicionem seu potestatem aut dominium exercere, felicis recor- dationis Innocentii pape . IIII . predecessoris nostri aut qualibet alia constitutione contraria non obstante, decernentes omnes et singulas excomunicationum suspensionum aut interdicti sen- tentias, quas contra huiusmodi exceptionis nostre tenorem in te promulgari contigerit irritas et inanes. Per hoc autem exemptioni de dieto archidiaconatu per sedem nostram hactenus facte nolumus nec intendimus in aliquo derogare. Nulli ergo etc. nostre exemptionis voluntatis consti- tucionis et intentionis infrangere ete. Datum Avinione . xvir . kl. octobris, anno undecimo. In eo mo. venerabili fratri episcopo Veronensi et dilectis filijs abbati monasterii Sancti Johannis Parmensis ac archidiacono Januensi salutem etc. Literarum sciencia etc. usque dero- gare. Quocirea mandamus quatenus vos vel duo aut unus vestrum per vos vel alium seu alios prefato Francisco eficacis defensionis presidio assistentes, non permitatis eundem super archi- diaconatu ecclesiis beneficiis bannis et rebus predictis per eosdem ordinarium (1) et metropolitanum et quoslibet alios contra huiusmodi exemptionis nostre tenorem aliquatenus impeti vel etiam molestari, non obstante si ordinario et metropolitano predictis vel quibusvis alijs comuniter vel divisim a predieta sit Sede indultum quod interdici, suspendi vel excomunicari non possint per literas Apostolicas non facientes plenam et expressam ac de verbo ad verbum de indulto huiusmodi mentionem, contradicentes auctoritate nostra. L’Affò (2) cita vagamente i documenti vaticani che parlano dell’arcidiaconato parmense: “ che fosse stato (il Petrarca) insiememente arcidiacono lo provano docu- menti incontrastati dell'Archivio Vaticano e di quello del nostro Capitolo di Parma ,. Non si può facilmente verificare una così indeterminata citazione, ma non escludo la possibilità ch’egli abbia avuto notizia dei documenti che ora ho riferito. (1) Ms. ordinarios. (2) Mem. scritt. ece., II, p. xxxvin. PR LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA (DALLE CARTE INEDITE DI WINDSOR) MEMORIA DEL Prof. EDMONDO SOLMI CON DUE TAVOLE Approvata nell'adunanza del 15 Dicembre 1908. I Mentre gli studi sui manoscritti di Leonardo da Vinci fioriscono ormai presso tutte le nazioni civili, e il numero degli studiosi va crescendo di giorno in giorno (1), (1) Cito fra gli italiani Gustavo Uzielli, Luca Beltrami, Corrado Ricci, Arturo Farinelli, Ales- sandro Luzio, Giovanni Piumati, Gustavo Frizzoni, Emilio Motta, Ettore Verga, Francesco Novati, Mario Baratta, Gerolamo Calvi, Guido Carocci, Giulio Carotti, Mario Cermenati, Giuseppe Colombo, Giovan Battista De Toni, Antonio Favaro, Giuseppe Fumagalii, Romualdo Pantini, Achille Ratti, Nino Smiraglia Scognamiglio e innumerevoli altri; fra i francesi Gabriele Séailles, Carlo Ravaisson- Mollien, Pietro Duhem, Paolo Arbelet, Gustavo Clausse, Leone Dorez, Paolo Errera, Pietro Gauthiez, Marcello Reymond, ecc., ecc.; fra i tedeschi Guglielmo Bode, Paolo Miller Walde, Giorgio Bormann, Maurizio Cantor, Chamberlain Stewart Houston, Cornelio von Fabriezy, Teodoro von Frimmel, Enrico Geymiiller, Maria Herzfeld, Otto Hoerth, Matteo Holl, Angelo Roth, Hans Klaiber, Gustavo Klein, B. Krembs, Alessandro Lederer, ungherese, Giulio Rodemberg, Giuseppe Sauer, Waldemar von Seidlitz, Ernesto Steinmann, Carlo Steinweg, Giuseppe Strygowzki, Otto Witt, Enrico Wolfflin, ecc., ecc.; fra gli inglesi e americani Brinton Selwyn, F. Cook Herbert, Teodoro Andrea Cook, G. F. Hill, G. P. Richter, Mae Curdy Edward, Sidney Colvin, Giorgio Williamson, ece., ecc.; fra i russi Mosè Cricunetz, N. de Massaloff, Achim Leo Wolynski, ece., ecc.; fra i norvegesi e svedesi G. Ernestròm, Halfdan Hopstock, ecc. Cito a memoria, senza consultare le bibliografie, perchè allora potrei aggiungere Ambrogio Annoni, Th. Beck-Darmstadt, Giorgio Gronau, Edit Hewett, Hind Lewis, Lodovico Justi, Francesco Saverio Kraus, Lodovico Melzi d’Eril, Riccardo Muther, Diego Sant'Ambrogio, Giovanni Antoniewiez Boloz, Napoleone Bertoglio-Pisani, E. Bouvy, Enrico Brockhaus, Ermanno Grimm, O. Hasenclever, E. Hòhne, Max Jacobj, Emilio Jacobsen, H. Mereu, Pi y Margall, Lauro Pozzi, Salomone Reinach, Enrico Ridolfi, Franz Rieffell, J. Rousseau, Roberto von Schneider, Carlo Steinweg, Jana Topassa, Kuno Walter, E. Gagliardi, Guglielmo Elsàsser, Gioacchino Olmedilla y Puig, Guglielmi Rulf, I. Hiibener, L. Kunowski, Bernardo Wagner, Giacomo Wolf, Salomone Morpurgo, Guido Maz- zoni, F. Bottazzi, C. Droysen, Giuseppe Vidossich, Douglas W. Freshfield, Lodovico Pastor, ecc., ecc., per citar solo alcuni di quelli che hanno scritto monografie negli ultimi anni. Serie II. Tom. LIX. Ul d4 EDMONDO SOLMI 2 parmi opportuno il richiamare l’attenzione sulle più notevoli pagine degli scritti, che restano ancora inediti, perchè la mia voce serva di rampogna e di stimolo alla pub- blicazione integrale e compiuta delle opere del Grande (1). i Se per cinque secoli Leonardo è rimasto pressochè ignorato, questa non è cosa fortuita. I secoli che vanno dal XV al XIX non ‘erano in grado di comprendere il Maestro, cui meglio che ad Eraclito si addiceva il titolo di okotervés. Oggi non è infatti il Vinci, che viene incontro al secolo ventesimo, ma è il secolo ventesimo che va incontro al Vinci. Quell’ Uedermensch, che il Nietzsche domandava all’avvenire, era già sorto nel passato (ma egli non lo poteva sapere): ciò che il filosofo tedeseo credeva di avere dinanzi a sè, egli lo teneva di dietro alle spalle. Leonardo, il grande an- cora sconosciuto, rappresenta l’ideale del futuro: rotte le barriere fra l’arte, la scienza e la filosofia, fra la teoria e la pratica, egli più di chiunque altro, più di Platone, di Aristotele e di Kant, rappresenta la sinTESI SUPREMA, a cui l'umano pensiero tende infaticabilmente. Il Vasari paragonando il Vinci ad “ un’ incarnazione della Divi- “ nità sulla terra , intravvide quasi, in un lampo, la verità. La figura del Vinci è ancora per tre quarti nell'ombra (migliaia di pagine restano da decifrarsi). Lascio quindi concludere a chi ha fretta di concludere. E visto che i più degli studiosi di Leonardo son tutti filosofi, come il Séailles in Francia, il Chamberlain Houston Stewart in Germania e il Colvin in Inghilterra —, e dietro loro vengono gli scienziati in falange e poi gli artisti, io lascio a quelli che han tempo da perdere il discutere se Leonardo sia stato filosofo o no, se sia stato scienziato o no, se sia stato artista o no. L’opera nostra è di ricostruzione: noi restituiamo all’ Italia e al mondo il monumento più alto di verità e di bellezza, che sia stato costruito da un uomo solo. E non abbiamo fretta di concludere, perchè nulla arresterà il nostro cammino. Ma quando un giorno potremo dall’alto dell’opera nostra, modesta, ma perseverante, contemplare ciò che abbiamo compiuto, quante meschine figure saranno rientrate nell'ombra, donde un falso sapere le avea fatte iniquamente sortire, e quella figura giganteggerà sovrana su tutte le altre, accanto a quella dell’Alighieri, padre di nostra gente. Noi che siamo nella notte attendiamo.lo spuntare del giorno, e quelli che sono nel giorno attendono il calare della notte. Tutto appare e svanisce, tutto si mostra e scompare, ma niente si perde, e la civiltà del- l’uomo non è che un'immensa piramide spirituale costrutta con le opere di tutto ciò che ha vissuto sotto la forma di essere morale, come le nostre montagne calcaree sono formate dagli avanzi di miriadi di migliardi di esseri anonimi, che hanno vis- suto sotto la forma di animali microscopici. Tutto quanto è o è qui o è là, o è vicino o è lontano, o è oggi o è domani, o è presto o è tardi. Tutto si trasforma, niente si annichila: Uno solo è eterno, e non si può mutare, ma permane sempre unico e medesimo. Non si può negare che molti degli studiosi di Leonardo non esagerino il valore teoretico e storico dei suoi manoscritti. Conwe gli antichi Egiziani attribuivano tutti (1) Cfr. Sormr, Il trattato di Leonardo da Vinci sul linguaggio “ De voce , nell'* Archivio storico lombardo , del 1906 e Per gli studi anatomici di Leonardo da Vinci in “ Miscellanea di Studi Cri- tici, pubblicati in onore di Guido Mazzoni ,, Firenze, 1907, I, p. 343 e segg., che contengono molte pagine inedite vinciane. 3 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 35 i trovati delle loro arti e delle loro scienze ad Ermete Trismegisto, così i moderni Europei tutto riferiscono al Vinci. E si è arrivati a tale punto di esagerazione che alcuni, svisando il carattere eminentemente personale dei codici vinciani, han voluto far passare Leonardo come autore di grammatiche latine ed italiane, e di dizionari latini ed italiani, nel secolo degli Umanisti e dei Retori. Costoro non avendo buone ragioni per appoggiare le loro scoperte, vanno imaginando, contro ogni buona regola critica, pretese grammatiche, non mai esistite, di Lorenzo de’ Medici e del Vinci (1). Uno dei problemi, che hanno più agitata la mente di Leonardo, fu quello relativo alla “ compositione delli corpi animati , (2), cioè allo studio delle trasformazioni, che subisce l'embrione, durante la vita endo-uterina, trasformazioni, per le quali l'essere umano differisce profondamente da quello, che si mostrerà nel momento della nascita. E il Vinci penetrò così addentro nello studio di questo problema, che potè escla- mare, quasi con un grido di meraviglia: “ Io scopro alli omini l'origine prima o forse “ seconda della loro seconda cagione del loro essere , (3). Parole mirabili, benchè ardue a comprendersi, perchè in esse è contenuto tutto un pensiero metafisico, dove Dio è riguardato come la causa prima, la Natura come la causa seconda degli esseri, dei quali, investigandosi il processo di svolgimento, si cerca “ l’origine prima o forse “ seconda , della loro formazione. Qual vantaggio poteva il Vinci ritrarre dalle opere dei predecessori? Quasi nes- suno. Ippocrate aveva toccato fuggevolmente la questione dello sviluppo dell'embrione nel IV libro, cap. 1-32 del TTepì vovowv, e Leonardo leggendo quelle pagine aveva vergato nel suo libro di appunti, non senza una sottile ironia: “ Dicie Ippocrate, “ che la origine della nostra semenza deriva dal cielabro e dal polmone a’ testiculi (1) Ponendo termine ai miei Nuovi studi sulla filosofia naturale di Leonardo da Vinci invitavo i miei critici passati ed i presenti a valutare equamente le parole e gli scritti. Ricordo ciò a pro- posito di quel che serive Luigi Morandi nel suo libretto su Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci e la prima grammatica italiana, Città di Castello, 1908. Mi preme qui osservare: 1° non è in alcun modo esatto che nel Leonardo nella nota a pag. 121 io mi riferisca alla raccolta di scritti leonardeschi e alla biografia del Richter; 2° non è esatto che io affermi che le 200 parole latine, con la loro traduzione italiana, del Manoscritto I siano tratte dal Vocabulista ecclesiastico, ma dico semplice- mente che traccie di questo Vocabulista restano principalmente nel Manoscritto I f. 50 r. e v. e nei fogli segueriti, da cui si potrebbe mettere insieme una lista di parole “ tratte dal vocabulista ,, come il Morandi stesso (benchè non interpreti fedelmente le mie parole, che forse potevano essere più esplicite) non può negare; 3° non è esatto che le mie citazioni siano qualche volta, come dice il critico, fatte per vana pompa di erudizione, poichè gli esempi che egli cita (note 8 e 5, pag. 184 delle Yonti) si riferiscono l’uno al Reumont, Lorenzo de Medici, da me non visto, l’altro al Solmi, Leonardo, da me non letto, e porterebbero a far ritenere che l’autore non conosce un proprio libro!! Con ciò il Solmi non nega che nel suo libro fra migliaia e migliaia di numeri di pagine di libri a stampa e di fogli di manoscritti non possano essere incorse delle sviste. Vi sono degli errori di numeri persino nelle tavole dei logaritmi! Le due fallaci asserzioni del prof. Edmondo Solmi, rilevate dal Morandi, si riducono così a tre interpretazioni del signor Luigi Morandi. Quanto poi alla suppo- sizione, che Leonardo abbia pensato di fare una grammatica italiana ed una latina, un vocabolario italiano ed uno latino, avrò occasione di dimostrare altrove che essa, a parer mio, contraddice allo spirito e alla lettera dei manoscritti del Vinci, i quali, per una quarta parte, sono costituiti da appunti, che hanno carattere essenzialmente autobiografico, ed acquistano senso, soltanto, se vengono interpretati da questo punto di vista. Spiegherò anche a chi Leonardo si riferisca con le parole: “ grammatica di Lorenzo de’ Medici ,. (2) Leowarpo, Manoscritti di Windsor An. B, f. 8r. (3) Leonarpo, Manoscritti di Windsor, I, f. 7 v. 36 EDMONDO SOLMI 4 “ dei nostri gienitori, dove si fa l’ultima decozione, e tutti li altri membri porgono “ per sudazione la loro sustanzia a esso seme. Perchè non si dimostra alcuna via, “ che a essa semenzia pervenire possino? , (1). Nel Libro porretico (Lirtré, t. IX, p. 12-93) Ippocrate esamina la fecondabilità, e' dice che dipende sopra tutto da una costituzione sana in generale e da una conformazione conveniente della matrice (2). Si occupa anche dell’ulcerazione della matrice, e trova che, quando essa è guarita, rimane in conseguenza una superficie cicatrizzata dura e liscia, che è di ostacolo alla concezione (3). Nella 5% sezione degli Aforismi si trovano nei numeri 29-62 alcune proposizioni sulle malattie delle donne, le irregolarità dei mestrui, l'aborto, i segni della gravidanza, della vita dei fanciulli nelle donne incinte, ecc. (4). Il libro non autentico Del parto a sette mesi, che Galeno e Lemos riguardano come di Tppo- crate, e che Foes chiama “ liber antiquissimus ,, si aggira tutto intorno a questa proposizione : un feto nato nel settimo mese può continuare a vivere, almeno più facilmente che un feto nato nell’ottavo mese. Il numero sacro sette occupa qui, come nel libro delle Carri (t. VII, p. 586-615), un posto importante (5). La parte che fa seguito al libro precedente, consacrata alla Nascita nell’ottavo mese, insiste sull’ opi- nione, che i fanciulli ottomenstrui non possono continuare a vivere (6). Il libro II tepì rovfig (Littré, VII, 470-485), che egualmente è riguardato per non autentico, e che da alcuno è attribuito a Polibio (Ackermann), è uno scritto di fisiologia pura, che riguarda la produzione del seme, le vie che esso segue, la sterilità, i segni che indicano che è avvenuta la fecondazione, la determinazione del sesso basata sulla facoltà di riproduzione, preponderante presso il padre o presso la madre, ecc. (7). Il trattato Della natura del fanciullo è egualmente non autentico. Galeno lo attribuisce talora ad Ippocrate, talora a Polibio. Le idee sulla formazione dell’uovo e sull’acere- scimento del feto, col paragone di ciò che avviene per i pulcini, sono di strordinario interesse, e ritornano in Aristotile (De generatione animalium, II, 2) (8). I due libri (1) LeonarDo, Manoscritti del South Kensington Museum, III, f. 16v. Per i rapporti delle opere del Vinci con quelle di Ippocrate vedi il mio libro su Le fonti dei manoscritti di Leonardo da Vinci. Torino, 1908, p. 191. (2) J. F. Hecxer, Gesch. der Heilkunde. Berlino, 1822, s. III, $ 24. (3) G. E. Mersox, Hinpocratis magni Opxog sive Jusjurandum. Lugd. Bat., 1643, p. 182. (4) Non bisogna dimenticare, che gli antichi credevano, che la conformazione della matrice della donna fosse simile a quella degli animali. Cfr. Sresorp, Essai d’une histoire de l’obstétricie (trad. de l’Allemand par F. J. Herreort). Paris, 1891, I, p. 66. (5) CarpanI, In librum Hippocratis de septimestri partu commentarius in Opera omnia. Lugd. Batav., 1663, t. IX. Sull’ importanza del numero sette, cfr. GeLnio, Noctes atticae, lib. III, c. 10. (6) Confronta il libro delle Carni (ed. Littré), VIII, p. 613. Aristotile parla invece assai diver- samente nella Hist. animal., lib. VII, c. 4, come Plinio, Hist. natur., VII, c. 5 e Aulo Gellio, Noctes att., ] RE tai (7) Il Sresorp osserva, Essai, I, p. 71, che non si può negare in questo autore un principio di sode conoscenze anatomiche. (8) Il consiglio, che dà l’autore di far covare venti uova di galline, e di esaminarne uno ogni giorno, mostra che nei tempi antichi sì era già in via di comprendere l’importanza degli studi com- parativi per la embriologia. A quest'ordine di idee appartiene anche il rinvio al regno vegetale. Vi sono insegnate delle teorie singolari: un maschio avrebbe la sua forma trenta giorni dopo la concezione, una femmina quarantadue giorni dopo! Non vi è dubbio che questa asserzione si basava sull'analogia, che hanno gli organi genitali mascolini e femminili, nel principio della loro forma- zione, SresoLp, Essai, I, p. 72. si 5) LEONARDO DA %INCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 37 Delle malattie delle donne (Littré, t. VIII, p. 10-407), quello Delle donne sterili (ivi, VIII, 408-463), Della natura della donna (ivi, VII, 312-431), Delle cose concernenti le vergini (VIII, 406-463), Della superfetazione (VIII, 476-509), Del taglio del feto (VIII, 512-519), mostrano i progressi successivamente fatti in questo argomento dalla medi- cina ippocratica. Il difetto fondamentale di tutti questi scritti è la insufficienza delle conoscenze anatomiche (1). Notevoli sono le idee sulla generazione espresse da Aristotile nella sua Historia animalium e nei suoi libri De generatione animalium e nel De partibus animalium, che non furono più sorpassate nell'antichità e nel Medio Evo (2). Il quadro più antico delle conoscenze dei Romani intorno a questo soggetto è contenuto in un capitolo del classico libro De Medicina di Aulo Cornelio Celso (50 av. C. — 14 dopo C.) (3). Accanto a lui debbono essere posti C. Plinio il vecchio (Historiae (1) Nel libro delle donne sterili si dà, come segno del sesso del fanciullo, il color del viso della madre, Cfr. Honr, Die Geburishùlfliche Exploration. Halle, 1834, II, Th., p. 46. Ciò che i tempi moderni ci hanno insegnato sui disordini mentali causati nelle giovinette da uno sviluppo corporeo incom- pleto, è toccato, con mano maestra, nel libro delle cose che riguardano le vergini, Cfr. Rrreen, Die Geburtshiilfe des Hippocrates. Weimar, 1829, in “ Gem. deutsch. Zeitsehrift fir Geb. ,, IV vol., p. 439. (2) Nel primo e secondo capitolo del 3° libro si trova la descrizione (Hist. anim., III, 1-2) della situazione degli organi genitali. Fra le ossa del bacino non è nominato che l'acetabolum (L. III, c. 7). Esattissime sono le idee di Aristotile sulla mestruazione delle femmine (lib. VII, c. 2). La sterilità è una conseguenza dell’amenorrea, benchè egli ammetta che vi sono delle eccezioni: sa che lo sco- lamento mestruale durante la gravidanza ha un'influenza dannosa sulla formazione del feto. Notevo- lissime sono in questo capitolo le osservazioni sui segni della pubertà nei due sessi. Nel 3° capitolo che segue, Aristotile passa in rassegna gli indizîì della gravidanza. Lo Stagirita combatte l’idea che i maschi si sviluppino nella parte destra dell'utero, le femmine nella parte sinistra, ma egli ammette ancora che le femmine si sviluppano più tardi che i maschi. La donna incinta soffre meno, se porta un maschio. Prima del settimo mese il feto non è vitale. I fanciulli nati nell’ottavo mese sono vitali in Egitto e forse anche in Grecia. Non ostante questa affermazione, Aristotile inclina all’antica idea d’Ippocrate sulla non vitalità del feto ad 8 mesi. Egli cita l'esempio d’una donna adultera, che mise al mondo due fanciulli, l’uno dei quali rassomigliava al marito e l’altro all'amante. Il liquido semi- nale immesso nella matrice è circondato di un inviluppo vascolare. Nella cavità in cui sì trova l'uovo, i due inviluppi membranosi sono assai ben descritti (lib. VII, 10). Gli elementi deila nutrizione pas- sano per l’ombellico. Relativamente alla circolazione del sangue, egli dice che due vasi sanguigni penetrano nel corpo dell'embrione, a traverso quelle che si chiamano le porte del fegato, e si diri- gono versozla vena cava (magna vena), che due altri vasi si dirigono verso l’aorta, nel punto dove il vaso si divide in due. Ben descritta è la posizione del feto. Il fanciullo non grida prima di essere uscito compiutamente dalle parti della madre. Nel 10° libro della Hist. an., che lo Scaligero riguardava come la continuazione del settimo, ma la cui autenticità è assai problematica, si trovano notevoli particolari sulla sterilità, la mestruazione e la fecondabilità. Per le idee di Platone intorno a questi soggetti, vedi il Teeteto e il Timeo, c. XLIV: “ E nelle femmine la matrice, così detta, e vulva, “ essendo..., anche essa, animal bramoso di avere figliuoli, quando gran pezzo in là dalla stagione “ si rimane infruttifera, lo sopporta molestamente, e si corruccia; ed errando per tutto il corpo, e “ le vie dello spirito affogando, e non lasciando respirare, getta in crudelissime angoscie, facendo “ ogni spezie di morbi ,. (3) Una lex regia, attribuita a Numa Pompilio, ordinava di aprire il cadavere delle donne incinte e fu accolta nel Digesto (XI, 8, 2). © Negat lex regia mulierem, quae praegnans mortua sit, humari, “ antequam partus ei excidatur: qui contra fecerit, spem animantis cum gravida peremisse videtur ,. Plinio (Hist. nat., VII, 7) parla di questa operazione, e spiega perchè essa è stata chiamata operazione cesarea. “ Auspicatius enecta parente gignuntur: sicut Scipio Africanus prior natus, primusque Cae- “ sarum a caeso matris utero dictus: qua de causa et Caesones appellati. Simili modo natus est € Manlius, qui Carthaginem cum exercitu intravit ,. La provenienza del nome Caesar ad utero caeso, che Plinio dà per sicura, e si trova anche in Festo e in tutti i posteriori, non può essere che una 38 EDMONDO SOLMI 6 naturalis libri XXXVII), Rufo d’Efeso (mepì Aécewg Kai èvouaciag TÙvV TOÙ &vapwrrou uopiwv), Sorano (De vulva et pudendo muliebri e gli altri scritti editi dal Dietz) e Moschione (De mulierum passionibus) (1). Nella seconda metà del II secolo della nostra éra ha vissuto e scritto Claudio Galeno, il medico più celebre dell'antichità greca. Di lui — per il nostro soggetto — merita un particolare ricordo il libro della dissezione dell’utero (mepì untpas avatonfic), quello della semenza (mepì omépuatog) e della formazione del feto (mepì kuovpévwy diamAdoews), ecc. (2). Due secoli dopo sono da segnalarsi gli scritti di un uomo, che non ha fatto che utilizzare le opere dei suoi predecessori, di Galeno sopratutto, riu- nendo il meglio, per formare un tutto omogeneo. È questi Oribasio di Pergamo, medico privato di Giuliano l’Apostata, autore del Medicina! . collector . ad Imperator . leggenda arbitraria, se riferita a Giulio Cesare, la cui madre viveva ancora mentre questi capitanava la guerra nelle Gallie! Il cristianesimo mantenne la Zex regia sopratutto per ragion del battesimo, ed il Rituale Romano scrive in fatti nel paragrafo De bapt. parv.: “ Si mater praegnans mortua fuerit, “ foetus, quamprimum, caute extrahatur: ac si vivus fuerit, baptizetur ,. Dall’opera di Aulo Cornelio Celso appare manifesto, che gli antichi consideravano assai meno la vita del fanciullo, che quella della madre. Questo medico descrive assai bene i vari modi di embriotomia usati dai medici romani. Assai imperfetta è invece presso di lui la conoscenza del bacino (L. VIII, c. 1). (1) Plinio ci dà notizie importanti più di carattere storico che scientifico. Rufo ci indica esat- tamente Te trombe del Falloppio (L. I, c. 29); descrive le membrane, che circondano il feto (L. I, c. 37): la più interna, l’amnios (così chiamata da Empedocle), racchiude un liquido, che Rufo dice derivare dal sudor del feto; la seconda membrana, più esterna, che è da lui chiamata secunda, è descritta come tunica brevis et venosa, racchiude un liquido torbido. Da questa emerge il cordone con due vene (presso gli animali) e due arterie; vi si trova ancora un quinto canale (urinaculum), che parte dal fondo della vescica. Sorano conosce assai bene la differenza tra la matrice della donna e quella degli animali, e corregge molti errori dei suoi predecessori, sopratutto relativamente all’Aymen e alla nympha (* nympha autem appellatur, quia collo vescicae subsultet ,) (V. Tav. I). Moschione, in fine, assimiglia la matrice a una “ cucurbita medica ,, descrive lasovaia come un “ porus exeretorius unde “ mulieres semen emittunt ,. Le membrane del feto sono descritte da Moschione ; il corion, che com- prende la placenta, trae il suo nome dalla sua cpr ola) (eòpuxwpia) “ quod ex multis est compositum, “ at velut chorus pluribus canentibus , (2) I “ vasa seminaria , (trombe di Falloppio) come i “ testes muliebres , (ovaie) sono descritte da Galeno secondo Erofilo, e queste ultime son paragonate ai testicoli del maschio, coi quali si con- frontano, partendosi dall'idea che siano identici, soltanto meno ben formati presso la femmina e capovolti al di dentro, così che la matrice rappresenta lo scroto, le ovaie i testicoli, le altre parti genitali esterne il prepuzio. Bellissima è la descrizione delle due tuniche dell'utero, l’esterna ner- vosa, l’interna più vascolare. Sembra sorprendente a Galeno, che nè Aristotile, nè Erofilo abbiano descritto la comunicazione dei vasi seminali coni la cavità uterina; ommissione che egli scusa presso Diocle, Prassagora e altri, ma non presso Erofilo, “ qui ad dissectionis exquisitam cognitionem per- © venit, ac majori ex parte non in brutis, ut plerique solent, sed in hominibus ipsis periculum “ fecit ,. Segue una descrizione esattissima della caduca, chiamata da Galeno “ chorion utero adhae- “ rens ,, una descrizione esattissima dell’amnios, dell’allantoide, composto dai quattro vasi ombeli- cali, dell'uraco ece. Ritiene che lo sperma maschile si mescoli con quello femminile. La matrice s'abbassa, del sangue s’espande dai suoi vasi, donde nasce una membrana, il chorion, che è la “ firma domus , del feto. Il cervello (principium nervorum) si forma da principio, poi il cuore e il fegato. Da questi tre organi si forma il midollo spinale, l’aorta e la vena cava, e poscia il rachide, il cranio e la cassa pettorale. Dovunque, Galeno paragona l'accrescimento del feto a quello delle piante. Combatte l'opinione, che i testicoli del maschio non servano affatto “ ad seminis genera- “ tionem ,. Egli riguarda come semenza la mucosità abbondante, che si sprigiona dalle parti genitali eccitate della donna. Cito qui, e altrove, delle versioni latine del Rinascimento, perchè forse notè a Leonardo. f; LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 39 Julianum Caesar. Aug. Lib. XVII (1). Nemesio, Teodoro Prisciano, l’autore dell’eicarwrò àvatopixi, Tertulliano, Aezio d’Amida, Filumeno e Paolo d’ Egina, segnano un con- siderevole regresso nelle conoscenze delle funzioni della generazione dell’uomo (2), che prendono un nuovo slancio solo presso gli Arabi con Jahiah Ebn Serapion (Serapion senior sive Janus Damascenus), con Mohamed Ebn Zachariah Abu Bekr Arrasi, conosciuto sotto il nome di Rhazes, con Ali Ben Abbas, con Avicenna, Abul- casis, Abimeron Avenzoar, Averroè e Garibai ben Said, per citare solamente coloro che hanno rivolta una speciale attenzione ai fatti embriologici e ginecologici (3). Costantino l’Africano ha preso un posto importante nel trasporto della medicina araba in Europa nel XI secolo, dove le conoscenze ostetriche eran andate diventando scarse ed imperfette, come appare dall'opera di Trotula Curandarum aegritudinum muliebrium ante, in et post partum — e dal deplorevole libro, attribuito ad Alberto Magno, Secreta mulierum (4). (1) Hroker, Oribasius in “ Liter. Annal. der Gesamt. Heilkunde ,. Berlino, 1825, I, pp. 1 e sgg. Il nono libro sopratutto che ha per titolo “ Quae ad thoracem visceraque usque ad pudenda per- “ tinent, deque mulierum morbis ,, contiene alcuni capitoli interessanti. De uteri affectionibus (capo 43); De uteri inflammatione (50); De vulvae abscessibus (51). (2) Si è attribuito il libro di Nemesio (mepì pioews àvOpwrov) a Gregorio Nisseno. Quello di Prisciano porta per titolo: Rerum medicarum libri quatuor e nel terzo libro tratta De passionibus mulierum et curis carumdem ad Victoriam. Il sesto capitolo de abortu comincia con queste parole : Abortivum dare nulli fas est. Tertulliano ci ha lasciato un quadro terribile della pratica della embrio- tomia, descrivendo gli strumenti usati, che chiama “ tortile temperamentum ,, “ annulus cultratus ,, “ hebete unco ,, ecc. Si faceva dagli antichi poco caso della vita del feto nel seno della madre. Plutarco nel De placit. philos. s'era fatta questa domanda: £ Se nell’utero vi sia un animale , (V. 15), Platone lo reputa un animale, perchè si muove nell’utero e respira. Gli Stoici una parte del ventre ecc. Su Aezio veggasi Hecker, Aetius in “ Eneyel. Worterbuch der med. Wissenschaften. Berlino, 1828, v. I, p. 511. Su Filumeno e Paolo d’Egina, vedi Sresorp, Op. cît., I, pp. 217-232. (3) Amorrux, Essai historique et littéraire sur la médecine des Arabes, Montpellier, 1805, oltre alle note opere del Freind, Ackermann, Sprengel e Haeser. (4) Merita di esser nominata la scuola di Salerno, sulla quale cfr. Mazza, Urbis Salernitanae historia et antiquitas. Napoli, 1681; JacemanN, Geschichte der freien Kiinste und W'issenschaften in Italien. Leipzig, 1779, p. 167; Acxermann, Studii medici salernitani historia. Slendal., 1790. Sulla deca- denza di questa scuola, vedi Perrarca, Itinerar. Syriacum in “ Oper. ,, Basil., 1581, p. 561. “ Fuisse ‘* hic medicine fontem fama est, sed nihil est, quod non senio exarescat ,. Su Costantino l’Africano. Trotula e Alberto Magno, cfr. SresoLo, Op. cît., I, pp. 294 e sgg. Le dottrine contenute nel libro di Trotula sono assolutamente puerili. Si impara dal cap. 12 “ De formatione seminis concepti ,, che nel 5° mese il feto comincia ad assomigliarsi al padre o alla madre. Nel cap. 14 si dà il seguente consiglio: la donna lascierà cadere nell’acqua tre goccie di sangue o di latte dal seno destro; se le goccie cadranno al fondo, nascerà un maschio, e viceversa. Il cap. 15 “ De regimine praegnantium , è copiato da Costantino. Il 16° cap. è consacrato al “ Regimen parturientis ,, e comincia con queste ingenue parole: “ Tempore partus imminenti, paret se mulier, ut mox est, obstetrix similiter ,. Vi si consigliano: “ remedia quaedam physicalia, quorum virtus est obscura, quae ab obstetricibus * facta proferuntur ,, fra i quali di tenere una calamita nella mano destra, di bere dei liquidi con- tenenti della raschiatura di avorio, di portare delle collane di corallo e quel “ album, quod inve- “ nitur in stercore accipitris ! ,, una pietra trovata nel ventre o nel nido d’una rondine, dell’orina, ece. Nel trattato attribuito ad Alberto Magno bisogna leggere i capitoli 1-3. De generatione embryonis, De foetus formatione e De influentia planetarum, in cui son contenute le più assurde e superstiziose dottrine. Nel capitolo 9° De exitu foetus ex utero si trova scritto: “ Accidit quandoque etiam in partu _ “ mulieris, quod rumpitur vulva usque ad anum, ita quod illa duo foramina unum fiunt ,. “ Hoc “ autem didici a quibusdam mulieribus, quod quando foetus praetendit caput in exitu, tum bene “ valet negotium, quia tune alia membra faciliter sequuntur, et fit partus levis ,. L'autore racconta 40) EDMONDO SOLMI 8 Il Siebold, autore del Saggio d’una storia dell’ostetricia, giunto al secolo XII, scrive: “ Si può concludere che i medici e i chirurghi di questa età, non si cura- “ vano affatto di una parte di scienza, che era abbandonata esclusivamente fra le “ mani di donne così ignoranti, che gli uomini arrossivano a contribuirvi, non avendo “alcuna speranza di fama o di onore , (I, p. 306). È invano che si scorrono le opere di Rolando da Parma, di Bruno di Lungoborgo, di Teodoro, di Guglielmo di Saliceto, di Lanfranco, ecc. Maestro Rolando ha trattato in due capitoli De difficul- tate partus e De secundina, ma in modo assolutamente insignificante e incompleto. Negli scritti di questo tempo, dove si parla de’ doveri e de’ diritti de chirurgi, non. si fa parola dell’ostetricia. Solo Arnaldo di Villanova nel suo de ornatu mulierum parla de difficultate partus, senza alcun intento scientifico, ed entrando solo in particolari insignificanti, per esempio, sui mezzi “ ad rugas ventris post partum, ad mamillas “ restringendas ,, ecc. (Opera omnia, Basil., 1585, p. 1616), o ricorrendo alle super- stizioni astrologiche, dove egli dice, ad esempio: “ scorpio respicit genitalia membra, “ sicut vulvam et matricem , (Ivi, p. 2053). Durante il XIV secolo le conoscenze della medicina rimasero presso a poco quelle che erano state nel secolo precedente: eguale ripetizione di ciò che avevano detto i maestri greci e arabi sopra tutto; eguale mescolanza di inezie astrologiche, di cure miracolose o ciarlatanesche; solo le parole di Francesco Petrarca contro i medici fanno presentire un risveglio (1). E questo risveglio avviene per opera dell’anatomico Mondino de’ Luzzi, al quale ultimo il Vinci indirizza questa apostrofe di scherno: “ Tu Mondino credi, che li “ vasi spermatici, over testiculi, non gittano vera semenza, ma sol gittano un certo “ omore scilivale, il quale la natura ha ordinato a dilectatione del coito della femina. «“ Alla qual cosa, se così fussi, non bisognava che li nascimenti delli vasi spermatici “ nascessino nel medesimo modo ne le femine, che ne’ maschi , (2). Nel 1515 o poco dopo, cioè quando ormai era vecchio, giunse a Leonardo notizia del Tractatus aureus de formatione corporis in utero matris di Egidio Romano, la cui preoccupazione dominante era quella di stabilire in qual momento l’anima s’infonde nel corpo, @ quali siano i suoi rapporti congetturali con la Divinità! (3). Mondino de’ Luzzi aveva nel 1315, in gennaio e in marzo, fatto per il primo la sezione di due cadaveri femminili, ma non gravidi, come poi fece Leonardo. Egli parla dei “ testes muliebres ,, chiama la vagina “ collum matricis, cujus extremitas “est vulva ,. Ma, di contro, descrive esattamente l’ “ os uteri , che paragona a un “os catuli nuper nati , o a un “ os tincae ,, nome che poi è rimasto. Nella matrice anche che “ doctae mulieres et lenae in hac arte, provocano l'aborto, e indica i mezzi di cui esse fanno uso. (e. 4) De generatione animalium imperfectorum; (c. 6) De monstro in natura; (ec. 7) De signis conceptionis; (c. 8) De signis an vir vel.femina sit in utero; (c. 9) De signis conceptionis virginis; (c. 10) De signis castitatis (in cui si dà grande importanza all’urina); (c. 11) De defectu matricis; (ec. 12) De impedimentis conceptionis; (e. 13) De spermatis natura. (1) Petrarca, Opera, ed. cit., p. 913: “ O Italia vel sopita ingenia, vel extineta!,, e p. 1087 dove sono i libri invectivarum contra medicum quemdam. (2) Leonarpo, Manoscritti di Windsor, III, f. 10r. Per i rapporti delle opere di Galeno e di Mondino de’ Luzzi con Leonardo vedi Sormr, Le fonti, p. 178, 214 e seg. (3) Lgowarpo, Codice Atlantico, f. 171 v. Le fonti, p. 139 e seg. 9 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 41 ammette sette loggie, nelle quali lo sperma si coagula col sangue mestruale, e si fissa agli orifizi delle vene. Bernardo di Gordon, professore a Montpellier (1305), compose un Lilium medi- cinae, in cui la VII parte è dedicata alle “ passionibus membrorum generationis in “ utroque sexu ,. I capitoli 15, 16 e 17 si occupano “ De regimine praegnantium, de difficultate partus, de retentione secundinae ,, dove sono notevoli le parole, che ci mostrano che, a que’ tempi, l’aborto procurato era tutt'altro che raro: “ Caveat tamen sibi qui- “ cumque sub poena aeternali, quod non doceat potionem mortiferam nec aborsum “ facientem ,. Degna di attenzione è la fine del cap. 15, in cui è detto, che dopo la morte della madre, il feto può continuare a vivere ancora durante qualche tempo; da ciò il consiglio, che segue immediatamente, di vegliare affinchè l’orificio uterino resti aperto per favorire l’uscita al nascituro, secondo principî fisiologici misteriosi, e quello che dà, con ragione, di aprire immediatamente il ventre della madre per estrarne il feto, a fine di battezzarlo, aggiungendo queste parole: “ tali artificio, ut “ dicitur, fuit primus Caesar extractus, et inde ex illo habuit nomen , (1). Giovanni Gaddesden, Guglielmo Varignana e Nicola Bertrucci aggiungono poco © ad Ippocrate, Galeno, Rhazes e Avicenna. Eccellente è il consiglio che dà il'Bertrucci alla partoriente di evitare i movimenti inutili (revolutiones de latere super latus), e notevole la fede, che egli ha, nell'opinione popolare sui segni del fanciullo morto: “ sentit (mulier) quasi casum lapidis de loco ad locum , (2). 5 Le dottrine di Guido di Chauliac, di Pietro della Cerlata e di Francesco di Pie- monte sono presso a poco quelle dei precedenti, con l’aggiunta in quest’ultimo di pratiche superstizioze pei parti, come, ad esempio, una calamita cosparsa di cenere di osso di cavallo o d’asino, tenuta nella mano sinistra; il salmo: “ miserere mei “ Domine , sino al versetto “ Domine labia mea aperies , è scritto dalla partoriente con una penna e dell’inchiostro su una carta, e poi lavato con acqua, che è da essa bevuta! (3). Il secolo di Leonardo si apre col Philonium pharmaceuticum et. chirurgicum di Valesco di Taranto (1418), col De aegritudinibus matricis di Giovanni Plateario, con l’Expositio super aureum Avicennae capitulum de generatione embryonis di Giacomo da » (1) In tal modo si racconta che sia nato Burcardo, conte di Linegow, abate di San Gallo, chia- mato quindi © ingenitus ,, e Gebardo, conte di Bregenz, più tardi (980) vescovo di Costanza. Cfr. Ray- nAUD, De ortu infantium contra naturam per sectionem caesarum tractatio, Lugd., 1637. Bernardo di Gordon divide i parti in “ naturales, innaturales et difficiles ,. Difficile è il parto “quando non “ potest exire, laborat male et angustiatur, moratur in illo labore et anxietate longo tempore ,. Se ne dà come causa il “ meatus strictus , e la debolezza del feto, “ qui non potest se juvare ,- © Eligatur, consiglia l’autore, obstetrix habens manum gracilem et digitos longos, dilatet orificium © matricis suaviter cum ungulis, et intromittatur pessarium ,. (2) BereruccI, Compendium sive collectorium artis medicae, tam praticae quam speculativae, Col. 1537, tratt. 9, sez. 3 e 5. De facilitantibus partum et educentibus secundinam. (3) Cmaurrac, Cyrurgia, Venezia, 1499, le cui dottrine son ripetute da Pierro DE LA CERLATA, Cyrurgia. Venezia, 1499-1513. Cfr. Lib. V, Tract. XIX c. VII. De extratione foetus a matrice in muliere mortua et non mortua, dove dice: Ego aliquando feci incisionem a pomo granato usque ad os pectinis cum cautela, ne intestina et puer tangantur, et per istum modum extraxi puerum. ...Ego saepe in hoc casu perforavi caput, et digitum posui in capitem et ipsum extraxi. Francesco DI Pre- Monte, Supplementam in secundum librum compendii secretorum. Venezia, 1602. Serie II. Tom. LIX. 6 42 EDMONDO SOLMI 10 Forlì, coi Consilia di Ugo Benzi da Siena e di Antonio di Cermisone, opere in cui non è contenuto nulla di notevole (1). 1 Un altro medico italiano, Mattia Ferrari da Gradi, fu considerato dal Portal come lo scopritore dei follicoli di De Graaf, perchè nell’introduzione della sua Practica parla di due uovi, che rappresenta come dei corpi glandulosi (ovaria), che son posti a lato della matrice, ma tal descrizione è oscurissima. Antonio Guarnerio di Pavia ha trattato delle malattie più a lungo dei suoi predecessori, Bartolomeo Montagnana dell'aborto, Giovanni Michele Savonarola “ de membris generationis in foemellis , (2). Bisogna anche citare qui uno scritto interessante, risultato di una ‘pratica di trentatrò' anni, di cui è autore Antonio Benivieni, medico a Firenze; ed ha per titolo De abditis morborum causis, che fu pubblicato dopo la morte dell'autore (1502) da suo fratello Girolamo Benivieni (3). Alessandro Benedetti, Giovanni di Kethan, Magnus Hundt, Gabriele Zerbi, principalmente quest’ ultimo nella tavola Amatomia matricis praegnantis et sermo de anatomia et generatione embryonis, sono i più imme- diati precursori di Leonardo, benchè ritengano che “ convenientius est horum inqui- “ sitionem fieri potius in simiis et porcis et aliis bestiis feminae similibus , che direttamente sul corpo umano! (4). Eucario Résslin scrisse in tedesco il Rosegarten per le donne incinte e le levatrici (1513), e posteriormente trattarono gli stessi argo- menti Lodovico Bonaccioli, Berengario da Carpi e Nicola Massa (5). (1) Valesco di Taranto afferma che “ mulier in virginitate perseverans usque ad annum 25, si “ deinde, vel paulo ante concipiat, difficulter primogenitos suos pariet ,. Cfr. Asrrve, Mémoire pour serv. à l’hist. de la Faculté de Montpellier. Paris, 1767, p. 268 e sgg. Su Giovanni Plateario, HAESER, Lehrb. der Gesch. d. Mediz. Jena, 1875, p. 661 e sgg. Su Giacomo da Forlì, Ugo Benzi e Antonio di Cermisone, SieBorp, Op. cit., I, p. 323. (2) Come esempio della superstizione [di questi tempi, si legga nella Practica del Guarnerius, Venezia, 1508, il 36 capitolo: “ His proximis diebus cujusdam zelotipi quendam fratrem minorem “ de uxore suspicio erat sic ut ipsa ad beati Francisci ecclesiàm ire auderet nequaquam. Praegnans “ facta ab ea panniculo fetum involutum ut plerumque accidit peperit: mulier vero quaedam puerum “ natum tristi zelotipo nunciatum it, et nato parvulo gaudium sperans augere: bene fortunatus, inQquit, “ erit cum minorum more ad lucem indutus devenerit: mulieres plurimae, ut sic scias, ab ea vestitum “ infantem nasci ad bonim omne putant. Infelix zelotipus ille sic ab ea vestitum infantem cum “ nudivit: statim a minore fratre genitum pensavit: patientia tamen omni extineta puerum rapiens “ de eo terram protinus allidere volebat, nisi ab astantibus prohibitum fuisset. Is tristis, rabiem in “ innocentem evomere non valens, puerperam miseram invadit, et tantum eam pugnis et calcibus “ mulctavit, ut vocatus ad vitam pene reducere eam potuerim ,. B. Montagnana, De aegritudinibus membrorum generationis in mulieribus in Opera Francof., 1604, p. 822. Il SavonaroLA, Practica, Venet., 1497, parla nella rubr. 32-42 della generazione. (3) Mazzuccnenti, Gli scrittori d’Italia, Brescia, 1760, vol. II, parte II, p. 856. (4) Il Bewepermi, De re medica opus insigne. Basilea, 1549, corregge l'errore di Ippocrate della mortalità del feto ad otto mesi (lib. XXV, c. 23), richiama l’attenzione sulla mobilità del coecige (e. 24), rileva la differenza tra il sacrum dell'uomo e della donna (v. De partid. corp. humani, lib. V, c. 23) e aggiunge: Qui os pectinis divisum senserit in partu, non constat. Ciò che il Kerman, Fasciculus medicinae. Venetiis, 1491, dice a proposito degli efgani genitali della donna è una compilazione tratta dalle opere di Aristotile, degli Arabi e di Alberto Magno; Jac. PeyLiGr, Compendiosa capitis physica declaratio, Lipsia, 1516, si fonda su Costantino l’Africano; Magxus Hunpr, Anthropologium de hominis dignitate, natura, ete., Lipsia, 1501, pubblica come i precedenti delle incisioni in legno estremamente mediocri. De Zersi, Liber anathomiae corporis humani, Venetiis, 1502, non parla già più di due vene ombelicali, come i predecessori, ma di una. (5) Dal Résslin è presa la figura data nella tav. I. Sul Bonaccioli vedi Trraposcm, Storia della lett. it., Modena, 1778, VII, parte 2%, p. 29; su Berengario da Carpi, Porrar, Hist. de l'anat. et de la ; Ma LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 43 Tuttavia, per trovar toccati i punti medesimi che furono considerati da Leo- nardo, bisogna passar sopra a Vesalio, a Carlo Stefano, a Realdo Colombo, a Gabriele Falloppio, a Bartolomeo Eustachio, e giungere sino a Giulio Cesare Aranzio e Gero- lamo Fabrizio di Acquapendente. L'uno, nato a Bologna nel 1530, fu il primo che abbia data una descrizione del feto umano, delle sue connessioni con la matrice e del suo modo di nutrizione nell’utero, paragonabile a quella di Leonardo. Egli ha descritto le membrane, che contengono il feto e la placenta (iecor uteri), rettificando molti errori degli antichi. Fece, come il Vinci, le sue ricerche su cadaveri di donne morte in istato di gestazione, benchè suoni male all'orecchio il consiglio che dà a sè stesso nei casi di distocia per strettezza pelvica: “ honestam fugam capere, et “ ab opere me subtrahere satius esse censeo, quam adeo gravia subire discrimina , (1). Più precisa e più compiuta è l’opera che su questo soggetto ha scritto Fabrizio d'Acquapendente. Le sue numerose ricerche anatomiche, che non furono pubblicate che assai tardi, portano l'impronta della maturità e di una grande perfezione, e il suo De formato foetu (1600) e l’ Opus posthumum de formatione ovi et pulli (1621) hanno il merito d’illuminare i misteriosi soggetti per via di ricerche comparate. Ottima è la descrizione che fa della posizione del fanciullo nella matrice, dove sta- bilisce la distinzione tra la posizione (situs) e l’attitudine (habitus) (2). Sulle traccie dell’Aranzio e dell’Acquapendente si misero Harvey (Exercitationes de generatione animalium, 1651), Malpighi (De formatione pulli in ovo 1672; De ovo incubato, 1681), Descartes (Tractatus de homine et de formatione foetus, 1677), Haller (Mem. sur la formation du poulet, 1758) e Wolff (Theoria generationis, 1759), coi quali propriamente comincia l’embriologia moderna, che percorre, come è noto, tre periodi: un periodo morfologico, un periodo istologico, un periodo filogenetico (3). Ben poco il Vinci poteva apprendere a’ suoi tempi dalla tradizione greco-latina, e tanto meno dalla tradizione araba, quale gli appariva attraverso alle opere di Avicenna, il quale vuole “ che l’anima partorisca l’anima, il corpo il corpo, e ogni membro per rata! , (4). ; chirurgie, Paris, 1770, I, p. 271; su Nicola Massa, Porrar, Op. cit., I, p. 350 e LautHn, Hist. de l’anat., Strasb., 1835, I, p. 351. (1) Aranzio, De humano foetu, Venezia, 1587, aggiunge però subito: “ ne juniores in hujusmodi “ gravi negotio, quocumque suadente quidquam aliquando, temere, inconsulto et negligenter fa- “ ciant ,. (2) Le sue descrizioni sono illustrate da buone figure, che rappresentano anche la matrice nello stato gravido e la placenta (da lui chiamata “ carnea substantia ,). (3) Un buon riassunto storico della embriologia moderna è da vedersi in TovrneAuX, Précis d'embryologie humaine. Parigi, 1898, pp. 8 e sgg. (4) LeonarDo, Manoscritti di Windsor, I, f. Tv. Le fonti, p. 78 e segg. Per i rapporti delle opere anatomiche del Vinci con gli scritti dei contemporanei e degli immediati successori, quali Kethan (1491), Peyligk (1499), Magnus Hundt (1501), Realdo Colombo e Vesalio, veggasi Ror®, Vesal, Estienne, Tizian, Leonardo da Vinci, in “ Archiv fiir Anatomie und Physiologie ,, Leipzig, 1905, pp. 79 e segg.; 1906, pp. 77 e segg. e la classica opera del medesimo, Andrea Vesalius Bruxellensis, Berlin, 1892, pp. 50 e segg. (5) 44 EDMONDO SOLMI 12 II. Leonardo si rivolse da prima, secondo il solito, allo studio della natura animale e vegetale. Qui, egli pensava, avrebbe strappato alla natura il segreto della origine delle sue forme. “ Vedi, scrisse il Vinci quattro secoli prima del Pander e del Purkinje, “come si notrichano li uccelli nelle loro ova , (1). Ma il problema presentava — e presenta ancora!— tali difficoltà e tali tenebre, che il Vinci si rivolse alla ‘esperienza altrui: a quella di uomini di scienza come ‘ Mare Antonio della Torre, e a quella di umili massaie come alla moglie di Biagin Crivelli. In mezzo agli studi embriologici vi è infatti la nota: “ libro dell’Acque a “ messer Marcantonio , (2) e l’altra: “ Dimanda la moglie di Biagin Crivelli come “ il cappone allieva, e cova l’ova della gallina, essendo lui imbriacato , (3). Come può sorgere nel maschio l'istinto materno, in tutte le sue forme e con intensità così vivace come nella femmina? Il quesito era interessante, e l'artista raccoglie gli elementi per risolverlo. “ Li sua polcini si danno in guardia a un capone, pelato sotto il corpo, “e poi orticato colla ortica, e messo sotto la ciesta, e allora li pulcini li van sotto, “ e si sente grattare tale infocatione, e ne piglia piacere, onde poi li mena, e com- “ batte per loro, saltando ancora contro al nibbio con feroce difesa , (4). Dunque il cappone non solo cova le ova, ma si prende cura de’ pulcini quando son nati, e li difende con feroce difesa! Leonardo da queste sue prime ricerche trae subito un assioma: “ Il caldo dà “ vita a tutte le cose, come si vede il caldo della gallina, che lentamente dà vita e ‘ nascimento alli pollicini, e'1 sole, quando ritorna, fa fiorire e animare tutti li frutti , (5). E da questo assioma non potevano trarsi ingegnose conseguenze pratiche? Il Vinci ricorda nel suo libro una incubatrice artificiale con la nota rivelatoria: “ Fansi “ nascere i pulcini colli fornelli del foco , (6). E penetrando più addentro nelle riposte ragioni della varietà dei sessi: “ L’uova, “ scrive l’Artista, che hanno del tondo fanno maschio, e le lunghe fan femmifia ,, formulando un’ipotesi, che non ha nè maggior, nè minor valore di quelle dei mo- derni (7). Oltre agli studi sulle uova degli uccelli, è notevole il fatto che Leonardo proce- dette ad indagare la generazione nei mammiferi, principalmente domestici: “ Fatti “ dare — scrive egli accennando alla placenta fetale e a quei lobuli o cotiledoni, che “ne formano la massa — fatti dare una secondina delli vitelli, quando nascano e (1) Leonarpo, Manoscritti di Windsor, I, f. 3r. Panper, Diss. inaug. hist. metamorph. q. ovum incubat. Wiirzburg, 1817. Beitr. zur Entwickelungsgeschichte des Hiihnchens im Eie. Wiirzburg, 1817. (2) LeonarDo, Manoscritti di Windsor, I, f. 2r Cfr. Le fonti, p. 273 e seg. (3) Lrownarpo, Windsor, I, f. 1r. Tutto ciò che si può sapere su questa donna vedilo nel mio libro Le fonti, p. 125 e segg. (4) Leonarnpo, Windsor, I, f. 1r. (5) Leoxarpo, Windsor Anat., E., f. 2 v. (6) LeonarDo, Windsor, I, f. 1r. (7) Leonarpo, Windsor, I f. 1r. TS LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 45 “ nota la figura de’ cotiledoni, se riservano li cotiledoni maschi o femmine , (1). «“ Matrice di vacca — nota altrove disegnando gli organi genitali interni e il loro “ aspetto nella gravidanza e nel parto — Li testicoli son appiccati non a questa “ venata, ma alla vesta di questa, che non dimostra vene, e questi qui con quella « sua detta vesta compongano la vera matrice. Nota qual parte di spugnola'è quella “ che co’ sui denti penetra nell’altra parte. Modo come le rosette overo spugnole “ della matrice si riuniscano, quando loro si risserran dopo il parto , (2). “ Matrice “ di vacca , (8). “ Vedi il cane morto, i sua lombi e diaflamma e moto di coste , (4). Senza rilevare, per il momento, il valore teoretico di questi appunti, dove è mirabilmente distinta nella placenta una parte fetale da una parte materna, noterò che Leonardo, dai suoi studi embriologici sugli uccelli e sui mammiferi, passò a quelli sulla generazione delle piante. È noto che un busto in marmo, che rappresenta Beatrice d’Este, nel Museo del Louvre, già erroneamente creduto di Desiderio da Settignano, morto prima che Beatrice nascesse, fu riguardato, non meno erroneamente, come opera perfetta del Maestro. Sul davanti dell’abito della donna è disegnata un’alle- goria: due mani, che tengono un tessuto attraverso cui sfugge, per ricadere sul calice del fiore, una polvere fecondante. Quell’ornamento, apparentemente insignificante, con- tiene la constatazione di una fra le più grandi scoperte delle scienze naturali, poichè chi ha tracciato questo simbolo doveva conoscere, che i fiori hanno sesso, e aver intravveduto le leggi della loro riproduzione. I manoscritti vengono ora, come ha dimostrato il Ravaisson, a confermare questa ipotesi, non per l’autore del busto, che oggi si ritiene Gian Cristoforo Romano, ma per l’autore della scoperta, che fu vera- mente Leonardo (5). Un’unica legge regola la fecondazione degli animali e delle piante. “ Tutte le semenze — leggo oggi nei manoscritti inediti — hanno l’ombel- “ lico, il quale si rompe, quando essa semenza è matura. E similmente hanno la “ matrice e secondina, come mostrano l’erbiglie e tutte le semenze, che nascano in “ guaina; ma quelle che nascano in nocciole, come nocciole, pistacchi e simili, hanno “ l’ombellico lungo, il quale si mostra nella loro infanzia , (6). (1) Leonarpo, Windsor, I, f. 2r. Marquer, Commentatio de foetus animalium vertebratorum forma- tione ac evolutione, in Ann. Acad. Leod. 1822-1823. Baer, De ovo animalium et hominis genesi, 1827, Ueber Entwickelungsgeschichte der Thiere. K6nigsberg, 1828. KòLLigeRr, Entwickelungsgeschichte der Menschen und der hòheren Thiere. Leipzig, 1861. (2) LeonarDo, Windsor Anat., D, f. 18r. Come si vedrà più oltre, per testicoli il Vinci intende le ovaie, per cotiledoni o spugnole o rosette i lobuli placentari. (3) LeonarDo, Windsor Anat., D, f. 18v. Questa nota si trova accanto ad un disegno. (4) Leonarno, Windsor, IV, f. 7r. (5) Leggasi l'interessante monografia del Courazon e Ravarsson, Conjectures à propos d’un buste en marbre de Béatrix d'Este au Musée du Louvre, in “ Gazette des Beaux Arts ,, Paris, 1877. Oggi il busto si ritiene opera di Gian Cristoforo Romano. Vedi Venturi, in “ Archivio storico dell'Arte ,, I, 51-52 e anche in Storia dell’arte italiana, vol. VI, Milano, 1908, p. 1130. (6) Leonarpo, Windsor, I, f. 3 r., per le osservazioni e le conoscenze botaniche del Vinci, veggasi nella Collezione Rouveyre il volume Croquis et Dessins de Botanique, f. 1 a 17. Come ha dimostrato l’Uzielli, Leonardo riconobhe varie leggi della fillotassi: seguendo Plinio illustrò la formula i ; prevenendo il Brown (Garden of Cyrus. Treatise of quincuna. Londra, 1658), il Malpighi (Anatome Plantarum. Londra, 1675), il Grew (The Anatomy of Plants. Londra, 1682), il Sauvage (Mémoire sur une nouvelle méthode de connoître les plantes par les feuilles. Montpellier, 1743), il Bonnet (Recherches 46 EDMONDO SOLMI 14 Ed ora Leonardo si trova dinanzi al cadavere aperto di una donna incinta. Un foglio di Windsor ci mostra quasi al vivo la mirabile sezione anatomica, fatta cin- quant’anni prima che il grande Andrea Vesalio nella sua Epistola ad Joachinum Roe- landi, confessasse di aver avute sì rare occasioni di sezionare uteri gravidi, da non saper ben dire quali differenze fossero tra essi e l'utero di una cagna (1). Il foglio è accompagnato da questa nota misteriosa: delemistice colle dita del morto figliolo , madre (2) Per ‘una fortunata combinazione, il Vinci ci ha lasciato memoria che l'embrione, che si presentò ai suoi occhi in quel giorno, “ era men d’un mezzo braccio, e avea “ vicino i 4 mesi, (3). Prima di procedere oltre nel nostro studio rammenterò qui che, appena la macchia embrionale si rende manifesta nell’ovulo, vi si distinguono due lamine; poi essa macchia, prima rotonda, si fa ovale, oscura alla periferia e presenta nel centro una porzione chiara, che si eleva come uno scudo, — è l'embrione; nella parte mediana si disegna un’incurvatura o doccia, che corrisponde all’asse della piastra trasparente, — è la linea primitiva scavata nella pagina esteriore del blastoderma. Ai lati, i due margini laterali della doccia si portano in dentro, e si espandono l'uno di contro all’altro, mentre alle due estremità si incurvano, si fondono e si rigonfiano. Ne risulta sur l’usage des feuilles dans les plantes. Gottinga e Leida, 1754), descrisse la disposizione 3 LeonARDO, Manoscritto G, fol. 27 v., 29r., 82 v. Cfr. f. 33r. Oltre allo scoprire le principali leggi della fillo- tassi, Leonardo ha cercato quali fossero i vantaggi, che le piante ritraggono dal modo geometrico, secondo il quale sono ordinate le foglie (Manoscritto G, f. 16 v., 27 v.) prevenendo C. Schimper, A. Braun, lo Steinheil, il Martius, i fratelli Bravais, il Pierce, l’Agassiz, il Naumann, l’Hofmeister, lo Schwendener e il nostro Delpino (Teoria generale della fillotassi, Genova, 1883; Ancora sulla fillo- tassi, Genova, 1892). Il Vinci allude inoltre al geotropismo negativo (Trattato della pittura, ed. Manzi, p. 402). Altro fatto rilevato da Leonardo è la costanza dell'angolo di divergenza dei rami. Mano- scritto M, f. 78 v. e 79r. L’Uzielli ha illustrato altre due osservazioni leonardesche, la struttura a strati concentrici de’ tronchi (atta a lasciar calcolare l’età degli alberi) e la eccentricità dei fusti (Hasercanpr, Physiologische Pflanzenanatomie, Lipsia, 1896, p. 513 e segg.). Hanno importanza le osser- vazioni di Leonardo sulla funzione della zona generatrice nei fusti (Codice Atlantico, f. 76r.), sul- l’azione dei veleni iniettati nelle piante (Codice Atlantico, f. 12 r.). I Vinci, nei suoi codici, fornisce notizie anche intorno all’assorbimento acqueo da parte degli organi epigei delle piante (DanpENO, An Investigation into the Effects of Water and Aqueous Solutions of the common inorganie Substances on Foliage Leaves. Toronto, 1902). Conobbe la sélubilità nell'alcool di certi pigmenti vegetali (Mano- scritto B, f. 3v.), si servì dell’impressione naturale a disegnare foglie e fiori. Tra i fogli inediti, son disegnati mirabilmente alberi di faggi, di noce, olmi, erbe di padule, ramoscelli di more, ginestre, fragole, è tentata una classificazione de’ giunchi. Windsor, VI, f. 11. © Questo è il fiore della terza “ sorte overo spezie de’ giunchi; e la sua altezza è circa uno braccio, e la sua grossezza è uno terzo “ di dito. Ma la detta grossezza è triangulare con equali ancholi, e il colore del giunco e de fiori è ‘ simile al giunco di sopra ,. “ Questo è il fiore della quarta sorte del giunco, ed è quel che tiene il principato della loro altezza, la quale eccede la Tunghezza di 3 in 4 braccia e la grossezza d’un dito nel suo nascimento, ed è di pulita e semplice retondità, di bello colore verde, e li suoi fiori participano di colore leonino, e questo tale giunco nascie ne’ paduli, e li piccoli fiori che pendano * fori della sua semenza sono gialli ": (1) A. Vesanit, Opera omnia. Lugduni Batavorum, 1725, II, p. 664. (2) LeonArRDOo, Windsor An., B, f. 7v. (3) Leonarpo, Windsor, I, f. 1v. ID LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 47 quella forma, dirò così, di carena di bastimento, che assume ben presto il corpo dell'embrione. Gli arti si mostrano verso la fine del primo mese sotto la forma di tubercoli, che paiono vegetazioni del tronco, e verso la fine del secondo mese si vede apparire la pelle come uno strato sottile, formato di cellule epidermiche. Nei mesi successivi si distinguono di mano in mano le varie dipendenze del tegumento esterno, come papille, ghiandole, peli ed unghie. Verso il principio del quarto mese nell’uovo, e nelle parti che lo contengono, si distingue nettamente la caduca materna, la caduca riflessa od epicorion, la cavità uterina, riempiuta di un liquido albuminoso filante, il corion, in rapporto colla caduca riflessa, le cui villosità vascolari sono atrofizzate, la superficie interna del corion, liscia, polita, separata dall’amnios per mezzo di uno spazio, riempiuto dalle false acque dell'’amnios o liquido interblastodermico, il sacco amniotico, la placenta fetale, formata dallo sviluppo considerevole delle villosità vasco- lari del corion allantoideo (1). Tale spettacolo si presentò agli occhi di Leonardo, e probabilmente gli si ripre- sentò anche più tardi, quando ebbe di nuovo occasione di sezionare uteri di donne incinte. “ Ancora che lo ingiegnio umano faccia inventioni varie, rispondendo con “ varì strumenti a un medesimo fine — esclama entusiasmato il Maestro —, mai esso “ troverà inventione più bella, nè più facile, nè più brieve della natura, perchè nelle sue invenzioni nulla mancha, e nulla è superfluo. E non va con contrappesi, quando essa fa li membri atti al moto nelli corpi delli animali, ma vi mette dentro l’anima d’esso corpo componitore, cioè l’anima della madre, che prima compone nella ma- trice la figura dell'’omo, e al tempo debito desta l’anima, che di quel debbe essere abitatore, la qual prima resta addormentata e in tutela dell'anima della madre, la qual nutrisce e vivifica per la vena unbelicale con tutti li sua membri spirituali, “e così seguita insin che a tale unbelico li è giunto colla secondina e li cotilidoni, “ per la quale il figlio lo riuniscie colla madre, e questi son causa che una volontà, “ un comune desiderio, una paura, che abbia la madre, o altro dolor mentale, ha “ potenza più nel figliuolo che nella madre, perchè spesse son le volte, che il figliol “ ne perde la vita. Questo discorso non va qui, ma si richiede nelia composition “ delli corpi animati. E’l1 resto della definitione dell'anima lascio a le mente de’ frati, “ padri dei popoli, li quali per ispiritatazione san tutti li secreti. Lascia star le let- “ tere incoronate, perchè son somma verità! , (2). Negli indici, che Leonardo andava facendo di varì argomenti anatomici, che si proponeva di sviluppare, non son poche le questioni, che riguardano l’embriologia: “ figura, scrive egli, donde deriva..... la lussuria, causa della lussuria e altre neces- “ sità del corpo; causa dell’orinare e così di tutte l’azioni naturali del corpo; dove K K K (1) Braunis et Boucmarp, Nouveaux éléments d’anatomie descriptive et d’embryologie. Paris, 1873, p. 994 e segg. Cfr. De Trerre, Manuel d’'embryologie humaine et comparée. Paris, 1886. Sappey, Traité d'anatomie descriptive. Paris, 1879, t. IV. Caprar, Traité d'anatomie générale. Paris, 1879. Poucarr et Tourneux, Précis d’histologie humaine et d’histogénie. Paris, 1878. ScHENK, Lehrbuch der vergleichenden Embryologie. Wien, 1874. BaLrour, A Treatise on Comparative Embriologie. London, 1880-1881, vol. 2. HarckeL, Anthropogenie. Entwickelungsgeschichte des Menschen. PORRE: 1874. Foster BaLFour, Elements of Embryology.: London, 1874, Parte I. (2) Leonarpo, Windsor An., B, f. 8r. Prima che da me, sio passo fu trascritto, ma inesat- tamente, dal Richter. 48 EDMONDO SOLMI 16 “ si ferma l’onbellico; virtù gienerativa; de nervi, che aprano e serrano li vasi, over “ porte de’ ventriculi spermatici; de’ nervi o voi dire muscoli, che serran la porta « della viscica; perchè l’omo è diviso dal cervello diastilis e inforcatura, labri, naso, “ verga e anulo e polmone, e non stomaco e viscica, ecc. , (1). È notevole il fatto che Leonardo da Vinci, accanto a quella che potrebbe chia- marsi anatomia descrittivo-topografica, si proponeva di sviluppare l’anatomia deserit- tivo-genetica, la quale rilevasse tutte le trasformazioni, che il corpo del maschio e il corpo della femmina subiscono dal momento della concezione fino a quello della morte. “ Dell’ordine del libro. — Questa opera si debbe principiare alla conciezione del- € l’omo, «e descrivere il modo della matrice, e come il putto l’abita, e in che grado lui risegga in quella, e il modo dello vivificarsi e cibarsi, e ’l suo accrescimento, e “ « che intervallo fia da uno grado d’accrescimento a uno altro, e che cosa lo spinga “ fori del corpo della madre, e per che cagione qualche volta lui venga fori del ventre di sua madre inanti al debito tempo ,. % “ Poi discriverai quali membra siano quelle che crescano, poi che il putto è nato, “ più che l'altre, e dai le misure d’un putto d'un anno ,. “ Poi descrivi l’omo cresciuto e la femina e sue misure e nature di comples- sione, colore e filosomie. Di poi descrivi com’elli è composto di vene, nervi, muscoli e ossa. Questo farai nell’ultimo libro. Di poi figura, in quattro storie, quattro uni- versali casi delli omini, cioè letitia con vari atti di ridere, e figura la cagion de riso. Pianto in vari modi colla sua cagione, contenzione con vari movimenti d’uc- cisione, fughe, paure, ferocità, ardimenti, suicidî, e tutte cose appartenenti a simil casi. Di poi figura una fatica con tirare, spingiere, portare, fermare, sostenere e simili cose. Attitudine. Di poi descrivi de attitudine e movimento. Effetti. Di poi prospettiva per l’offizio dell'occhio e dell’auldito, di poi di musica e descrivi delli altri sensi. Sensi. Di poi discrivi la natura de’ 5 sensi , (2). Non si può negare che in questo grandioso disegno la embriologia non si trovi al suo posto esatto. Essa è considerata come il momento primigenio e fondamentale nello sviluppo del corpo umano, e come tale costituisce il preambolo necessario della anatomia descrittivo-genetica. Leonardo assume a fondamento del suo metodo anatomico il principio universale della trasformazione, cominciando dal feto per giungere all’adulto ed al vecchio. Quanto poi alla pratica anatomica dimostrativa, egli ritiene che il migliore procedi- mento sia quello fondato sulle tre dimensioni dello spazio, che rende necessaria una triplice descrizione di ogni organo particolare del corpo umano, secondo la sua lun- ghezza, larghezza e profondità. “ Ordine del libro. Questa mia figurazione del corpo “ umano ti sarà dimostra non altrementi che se tu avessi l’omo naturale innanzi, e (1) Leonarpo, Windsor An., B, f. 21r. “ Come@neciessità è conpagnia di natura — Figura donde “ viene la sperma, donde l’orina, donde il latte ,; Windsor An., C, f. 1v.; Windsor An., D, f. 2 r.; Windsor An., B, f. 2r. “ senso del tatto — senso de "1 moto ecc. ,; f. 5r; f. 7r. (2) Leonarpo, Windsor An., D, f. 2v. Questo passo fu anche edito dal Piumati. Concezione; vita endouterina; parto e aborto; crescimento del bambino; differenza fra l’uomo e la donna, loro proporzione, complessione, colore, fisonomia; composizione del corpo umano; fatti casuali universali degli uomini; varia espressione della fatica; attitudine; movimento; prospettiva; musica; sensi, ecc. sono i vari punti di questo vasto piano. 52 CT EI UE n ROLO I - AI Tp 7 E — | i, : drei dada de 17 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 49 “ la ragion si è che se tu voi bene conoscere le parte dell'omo natomizzato, tu lo “ volti, o lui o l’occhio tuo, per diverso aspetto, quello considerando di sotto e di “ sopra e dalli lati, voltandolo, e cercando l’origine di ciascun membro, e in tal modo la notomia naturale t'ha soddisfatto alla tua notizia. Ma tu hai a intender che tal “ notitia non ti lascia saddisfatto, conciossiachè la grandissima confusione, che resulta «“ dalla mistione di panniculi, misti con vene, arterie, nervi, corde, muscoli, ossi, “ sangue, il quale tignie di sè ogni parte d’un medesimo colore, e le vene che di tal sangue si votano non sono cognosciute per la lor diminuizione, e le integrità delli n panniculi, — nel ciercare le parte, che dentro a lor s’includano, si vengano a rom- pere — e la lor trasparenzia, tinta di sangue, non ti lascia conosciere le parte coperte da loro per la similitudine del lor colore insanguinato, e non poi avere la notizia “ dell’un, che tu non confonda, e destrugga l’altro ,. “ Adunque è necessario fare più natomie, delle quali 3 te ne bisogna per avere piena notizia delle vene e arterie, destruggendo con somma diligentia tutto il rima- nente, e altre 3 per avere la notizia delli panniculi, e 3 per le corde e muscoli e legamenti, e 3 per li ossi e cartilagini, e 3 per l’anatomia delle ossa, le quali s'hanno a segare, e dimostrare quale è buso e quale no, quale è midolloso, e quale è spugnoso, e quale è grosso dal fori al dentro, e quale è sottile, e alcuno ha in alcuna parte gran sottigliezza, e in alcuna è grosso e in alcuna buso o pieno di osso, o midolloso o spugnoso. E così tutte queste cose saranno alcuna volta trovate ‘n un medesimo osso, e alcuno osso fia che non ha nessuna, e 3 te ne bisogna fare per la donna, nella quale è gran misterio mediante la matrice e “ suo feto ,. ta “ Adunque, per il mio disegnio, ti fia noto ogni parte e ogni tutto, mediante la dimostrazione di 3 diversi aspetti di ciascuna parte, perchè quando tu arai veduto alcun membro dalla parte dinanzi con qualche nervo, corda o vena, che nasce dalla opposita parte, e’ ti fia dimostro il medesimo membro volto per lato o dirieto, non altrementi, che se tu avessi in mano il medesimo membro, e andassi voltando di parte in parte, insino a tanto che tu avessi piena notizia di quello «he tu desideri sapere. E così similemente ti fia posto innanti in 3 o 4 dimostrazioni ‘di ciascun mezzo per diversi aspetti, in modo che tu resterai con vera e piena notizia di quello, che tu voi sapere della figura dell’omo ,. “ Adunque qui con 15 figure intere ti sarà mostro la cosmografia del minor mondo col medesimo ordine, che innanzi a me fu fatto da Tolomeo nella sua Cos- mografia, e così dividerò poi quelle membra, come lui divise il tutto in provincie, e poi dirò l’uffizio delle parti per ciascun verso, mettendoti dinanzi alli occhi la notizia di tutta la figura e valitudine dell’omo, in quanto a moto locale, mediante le sue parti ,. “ H così piacesse al nostro altore, che io potessi dimostrare la natura delli omini e loro costumi, nel modo che io descrivo la sua figura ,. “ E ricordoti che la notomia delli nervi, non ti darà la situazione di loro rami- “ ficazione, nè in quali muscoli essi si ramifichino, mediante li corpi disfatti in acqua “ corrente o in acqua di calcina, perchè ancora che ti remanga la origine de lor “ nascimenti, sanza tale acqua, come coll’acqua, le ramificazione loro, pel corso del- “ l’acqua, si vengano a unire, non altrementi che si facci il lino o canapa pettinata Serie II. Tom. LIX. 7 » » “ 50 EDMONDO SOLMI 18 “ per filare tutta in un fascio, in modo che impossibile è a ritrovare in quali muscoli “ e con quale o con quante ramificazione li nervi s'infondino ne’ predetti muscoli , (1). In questo frammento (dove si accenna alla donna, “ nella quale è gran misterio «“ mediante la matrice e suo feto ,) son mirabilmente date le regole della anatomia grafica, e tratteggiati i metodi fondamentali della dissezione, che consiste nell’isolare con istrumenti taglienti le diverse parti del corpo, e della macerazione nell'acqua semplice o nell'acqua inacidita mediante la calcina. Leonardo ricorda in frammenti di grande interesse storico gli strumenti, di cui egli si serviva nelle dissezioni, quali scalpelli, forbici, “ sega da osso di sottil dentatura, martelli, tanaglie, uncini,, occhiali col cartone, acciajuolo, forchetta, ecc., ecc. (2). Per ovviare all’inconveniente del- l’aggrovigliarsi de’ nervi, rimasti per lungo o per breve tempo nell'acqua semplice o calcinata, che “ si vengano a unire non altrimenti che si facci il lino o canapa pet- “ tinata per filare ,, il Vinci ricorse a quell’accomodatissimo metodo, di cui si servi- rono anche gli anatomici posteriori, e che prese il nome di insufflazione. Gli illustri anatomisti Holl e Roth delle Università di Graz e di Lipsia hanno illustrata la tecnica di Leonardo nelle indagini biologiche: sezione intera dal vertice ai piedi, distacco delle singole parti fino all'osso, evitando bene le emorragie; esame delle ossa in tutte le loro faccie, nelle loro articolazioni e nel loro interno con tagli trasversali e longitudinali; studio dei muscoli, fatto sempre partendo dallo scheletro, e conservando i rapporti col sostituire fili di refe ai muscoli tolti; macerazione delle parti molli per l'isolamento dei nervi; confronto di più cadaveri umani, e di questi con quelli degli animali. Mediante questo metodo il Vinci ha dato allo scheletro la sua reale forma e al bacino la sua posizione esatta, quale la conosciamo oggi, per riguardo ai muscoli. Notevole la valutazione delle aponeurosi, dei muscoli addominali e pettorali, di quelli facciali, dove rintraccia persino il muscolo del dolore, che oggi non si sa ben identi- ficare. Interessantissime sono le note sulla muscolatura del piede e della lingua, e sulla struttura dei lacerti e del tessuto connettivo. A proposito del sistema circolatorio Leonardo si occupa genialmente della circolazione, e della diversità del sangue@arte- rioso e venoso. Un aneurisma lo conduce alla constatazione importantissima della dilata- bilità delle vene, come un esempio di denutrizione gli fa intuire la riduzione di tutti gli elementi muscolari. Relativamente ai nervi il Vinci distingue opportunamente le zone innervate dai nervi cranici, e dai nervi spinali; e nota come in questi ultimi la sostanza midollare si estenda, per mezzo delle guaine, sino alle loro estreme terminazioni (3). (1) Leowxarno, Windsor, III, f. 2r. Sul metodo anatomico di Leonardo puoi vedere LanzizLorTI BuoxsantI, /l pensiero anatomico di Leonardo da Vinci in rapporto all'arte, Milano, 1877, p. 38 e sgg., dove sono dottamente illustrati i precetti del Trattato della pittura; Lancer, Lionardo da Vinci, der erste Darsteller der richtigen Lage des menschlichen Beckens, Wien, 1867, dove si rileva il fatto che Leonardo per il primo ha dato al bacino umano la sua reale inclinazione, precorrendo il Nagel e il Weber; HoLx, Ueder die bildliche Darstellung de Lage des menschlichen Beckens, Graz, 1894, dove si mostra che Leonardo fu il solo nel XV secolo, che si occupò profondamente dell'anatomia; Lo sresso, Die Anatomie des Leonardo da Vinci, in “ Archiv fiir Anatomie und Physiologie ,. Leipzig, 1905, p. 177 e sgg.; Lo sresso, Zin Biologe aus der Wende des XV Jahrhunderts. Leonardo da Vinci. Graz, 1905; Rorn, Vesal, Estienne, Tizian, Leonardo da Vinci, “ Archiv fiir Anat. und Physiol. ,, 1905-1906, pp. 79 segg.; 77 segg.; Lo stesso, Die Anatomie des Leonardo da Vinci, nel medesimo “ Archiv ,, 1907, p. 81 e segg. (2) Lronarpo, Windsor An., IV, f. 167 r. (3) Cfr. HoLr, Die Anatomie des Leonardo da Vinci, in “ Archiv , cit., p. 177, 262. MENO TR pn _ iS Levin pra latte ai = 19 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 51 III. ‘Nell'uomo l'apparato della generazione comprende essenzialmente gli organi pre- paratori e conduttori dello sperma, le vescicole seminali ed i canali giaculatori e l'organo d’accoppiamento, destinato a portare lo sperma nelle vie percorse dall’ovulo. La serie dei disegni leonardeschi, relativi a questi tre ordini di elementi, è stata edita nel 1901 dal Rouveyre in un volume intitolato Notes et dessins sur la Géenération et le Mécanisme des Fonctions intimes, ed io rimando il lettore a questo libro, contentan- domi qui di osservare che il Vinci aveva ben compreso come fra gli apparati, rivolti alla conservazione dell’individuo, e l'apparato rivolto alla conservazione della specie esiste una essenziale differenza. Gli organi costituenti i primi stanno fra loro in una stretta dipendenza, laddove gli organi costituenti l’ultimo, nella grande maggioranza degli animali e nell'uomo, sono ripartiti in due serie distinte e su due diversi indi- vidui, a costituire il precipuo elemento organico della distinzione sessuale fra l’uomo e la donna. Leonardo reputa tuttavia il funzionamento di queste due serie di organi “ un grande misterio ,, che egli si propone di investigare. Le ghiandole seminali o testicoli (òpx1g diduuocg), gli involucri superficiali e pro- fondi, che le rivestono, coi loro apparati di sospensione e sepimentazione, sono rap- presentati da Leonardo con la ben nota maestria nei fogli 7 recto, 8 recto, 12 recto, 13 verso e 15 recto nel I° vol. della Collezione Rouveyre. Non minore è l’interesse che il Vinci dimostra nello studio delle vescicole semi- nali e dei canali giaculatori, che conservano ed eliminano il liquido fecondante. Le prime, in numero di due, una destra ed una sinistra, trovansi situate tra la vescica ed il retto, immediatamente al di fuori della parte terminale dei canali deferenti. “ Fa vedere dalla parte di dietro — serive Leonardo accanto a varî disegni — la “ vescica co’ vasi spermatici, acciò che si veda il sito d’essi vasi, e dà la misura, “ quanto tali vasi sien remoti dallo ano , (1). È noto che i condotti giaculatori si estendono dal collo delle vescicole seminali alla mucosa uretrale, e l’artista li rappresenta mirabilmente, situati nello spessore della parte posteriore della prostata, in direzione obliqua dall’indietro all’innanzi e dall'alto in basso. Divisi sulle prime da un intervallo di qualche millimetro, si vedono avvicinarsi e addossarsi, per divenire paralleli fin presso il loro sbocco. “ De’ nervi “ — annota Leonardo — e muscoli, che mandano fori la sperme della verga con “ tanta veemenzia di muscoli, che serrano l’anulo. Del muscolo detto verme, che sta “ nell’un de’ ventriculi del cervello, il quale s’allunga e raccorta per aprire e serrare “ il transito della imprensiva over senso comune alla memoria. Tutti li detti ser- “rami sono aperti dalla cosa, che esce del loco, da lor serrato, come l’anulo dalle “ superfluità del cibo, e poi si riserra per causa de’ muscoli, e il simile fanno le porte “ de’ ventriculi spermatici, li quali sono aperti dall’inpeto della premuta sperme, e (1) Leownarpo, Windsor, I, f. 1v. Cfr. f. 5r. “ Nota bene li vasi spermatici dalla origine al fine “ cioè dall'arteria e vena insino alla bocca della verga, e quanto essi son presso all’anulo, e di’ tutti “ lor modi e circustanzie. Non mancare! E per quanti coiti la munizione della sperma è bastante ,. 52 EDMONDO SOLMI 20 “ poi riserrati dalli sua muscoli. Ancora il simile fa l’orina alla porta della sua vi- “ scica, cioè che la potenzia dell’orina, premuta, apre essa porta, e li musculi sua par- “.ticulari son quelli, che la riserrano. Il simile fia trovato nella bocca della verga e «“ della vulva e della matrice e di tutte li [vani], che ricevano la’ cosa necessaria, e “ scarcano la superfrua ,. “ Molte son le porte de’ meati, che nella morte restano aperte, che prima sta- “ vano chiuse, cioè anulo, vulva, labbra e antiporte del core. Ma quella, che si serra «“ per la morte, è la bocca della matrice , (1). Gli studì di Leonardo intorno all’organo, destinato a portare lo sperma nella via percorsa dall’ovulo, sono, come i precedenti, accuratissimi. “ Descrivi, annota l'artista, “ Ja natura del membro genitale, e quali muscoli o nervi son quelli che lo movino al «“ rialzamento suo a scosse , (2). Una serie di disegni nel foglio 7 verso della Col- lezione Rouveyre, ci presentano tale organo sezionato trasversalmente e longitudi- nalmente, e ci mostrano come il Vinci distinguesse acutamente col disegno l’uretra e i corpi cavernosi, i muscoli, i vasi e i nervi, lo strato cutaneo, il muscolare, il celluloso e l'elastico. Profondamente situato alia sua origine nello spessore del perineo, quest’organo si dirige sulle prime in alto ed innanzi, ma, giunto davanti alla sinfisi del pube, diviene libero, e s’inflette per portarsi verticalmente in basso. “ È posto il nasci- “ mento della verga, — osserva giustamente Leonardo, — sopra dell'osso del pet- “ tine, acciò che possa resistere alle forze sue attive nel coito, il che se tale osso “ non fussi, essa verga nel trovare resistenzia ritornerebbe indirieto, e enterrebbe ‘ più nel corpo dell’oprante che nell’oprato , (3). Di grande interesse sono i disegni e gli appunti del Vinci relativamente al corso delle vene e delle arterie, che vanno a terminare negli organi generatori. “ Sono le “ ramificazioni delle vene di due sorte, cioè semplici e composte: semplice è quella, ‘ che si va ramificando inverso lo infinito; composta è quando delle due ramificazione “se ne genera una sola vena, che me’ si vede. N m è due rami di due vene, le “ quali si giungano in m, e compongono la vena mp, che va alla verga , (4). #La “ prima ramificazione delle vene maggiori sotto alla nuca è dove la spina sì con- “ giugne; la 2° sono li rami, che si dividano per nutrire la spina...; la terza è nelli “ mestri delle femine per natura, la quarta nella vescica (4* più oltre un dito e ‘ mezzo va alli testiculi...) 4° nasce lontano: di questi un dito e un terzo... fori del * BIAG >, (Di Leonardo sa bene come lo stato di erezione derivi dal maggior afflusso del sangue, e rammenta a tale proposito gli esperimenti fatti su cadaveri massimamente di appiccati “ de’ quali, scrive egli, ho visto notomia , (6), quasi confermando ciò che (1) Leonarpo, Windsor An., B, f. 5r. (2) Leonarpo, Windsor, XIV, f. 12 v. (3) Leonarpo, Windsor, I, f. 13 v. . (4) LeonarDpo, Windsor An., E, f. br. (5) Leowarpo, Windsor, I, f. 1v. Per sifac Leonardo intende il peritoneo. (6) Leonarpo, Windsor An., C, f. 2v. “ Del menbro virile che quando è duro è grosso e lungo, “ denso e grave, e quando è tenero sottile, corto, molle, cioè tenero e fievole — Questo è da giu- 21 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA D3 ha scritto il Lomazzo: “ Dicono ancora, ch’Egli si dilettava molto di andar a vedere “i gesti de’ condannati, quando erano condotti al supplicio, per notar quelli inarca- “ menti di ciglia e quei moti d’occhi e della vita , (1). Che il Vinci si inoltrasse poi nello studio dell’uretra virile, notevole per la sua doppia funzione e per la struttura complicatissima, si induce da molti disegni, dove è rappresentata la vescica con gli ureteri, il canale dell’uretra, la prostata, ecc. “ Vedi “ — scrive egli — qual è prima nel canale della orina, o le bocche de’ vasi sperma- “ tici o la bocca del vaso della orina, ma io credo che sia prima quella della orina “ per potere nettare e lavare poi la sperme, che invischia esso canal dell’orina , (2). L’apparecchio della generazione nel sesso femmineo, si presenta, giusta un disegno complessivo di Leonardo, sotto l’aspetto di un lungo condotto, semplice e voluminoso alia sua estremità inferiore, e bifido alla sua estremità opposta. La vulva, la vagina e la matrice, continuandosi fra loro, formano un canale, nella parte superiore del quale si trovano le ovaie e le trombe uterine, organi che il Vinci non sembra abbia tenuti distinti, e che chiama indifferentemente col nome di testicoli (i testes muliedres dell'antica anatomia). Disegni accuratissimi del vestibolo della vagina, mostrano che l’artista aveva notizia del pettignone e delle grandi labbra, delle piccole labbra, del meato urinario e dell’orifizio vaginale. Egli osserva subito la semplicità e la grandezza di quest’or- gano, “ perchè la natura —la quale non si po’ biasimare — ha così provveduto per “ causa del partorire della donna, maggiore esso membro genitale, molto maggiore dicare, che qui non s’aggiugne carne, nè vento, ma sangue arteriale, il quale ho veduti di morti, che han tal menbro diritto, perchè molti così muoiano e massime li appiccati, de’ quali ho visto “ notomia, avere gran densità e durezza, e questi essere tutti pieni di gran quantità di sangue, il “ quale avea fatto la carne rossissima di dentro, e li altri hanno di dentro come di fora... E se “ l’aversario dice tale quantità di carne essere cresciuta da vento, che fa grandezza e durezza come ‘ + è alle palle, che si giuoca, questo vento non dà peso, nè densità, ma fare’ carne lieve e rara, e ancora si vede la verga diritta aver la testa rosa, ch'è segno d’avvenimento di sangue, e quando “ non è diritta ha la fronte biancheggiante ,. © L’omo more spesse volte col metibro genitale, il “ quale è diritto, massime quelli che si soffocano, come apiccati e ‘simili ,. Lronarno, Windsor, I, f. 1r. Chiedo venia al lettore, se debbo confinare qui in nota alcuni passi del Vinci soverchiamente veritieri, pew le nostre orecchie, non per quelle degli uomini del XV secolo, non ancora esperti nelle odierne ipocrisie e sotterfugi. Leonarpo, Windsor An., C, f. 11r. “ Della verga. Questa confe- “ risce collo intelletto umano, e alcuna volta ha intelletto per sè, e ancora che la volontà dell’omo “ lo voglia provocare, esso sta ostinato, e fa a suo modo, alcuna volta movendosi da sè, sanza licenzia “ o pensieri dell’omo, così dormiente come desto, fa quello desidera, e spesso l’omo dorme, e lui “ veglia, e molte volte l’omo veglia, e lui dorme, molte volte l’omo lo vole esercitare, e lui non vole, molte volte lui vole, e l’omo gliel vieta. Adunque e’ pare, che questo animale abbia spesso “ anima e intelletto separato dall’omo, e pare che a torto l’omo si vergogni di nominarlo, non che di mostrarlo, anzi senpre lo copre e lo nasconde, il qual si doverebbe ornare e mostrare con solennità, come ministro. Nullo strumento inferiore nel corpo umano non si po’ fermare volonta- riamente se non è il polmone. Vedi, "1 core fa per sè il suo offizio, e da sè lo stomaco e l’altre intestine, a quello congiunte, e ’1 simile fegato, fele, ecc....,. Leonardo distingue adunque tutti gli organi del nostro corpo in volontari, semivolontari e involontari. Altre ricerche sono indicate in Windsor, I, f. 7 v.:.° come i coglioni sono causa d’ardimento; quali animali nascino di qualunque “ parte di menbra dell’omo semplice e miste ,. (1) Sorwi, Ricordi della vita e delle opere di Leonardo da Vinci raccolti dagli scritti di Gio. Paolo Lomazzo. Milano, 1907, p. 30. (2) Leonaxpo, Windsor, I, f. 13 v. 54 EDMONDO SOLMI 22 “ che altro animale di qualunche spezie, a proportione del suo busto , (1). Altri disegni e osservazioni riguardano il costrittore della vagina.“ Le grinze over grappe « della vulva ci hanno insegnato il sito del portinaio di tale bocca, il quale fia sempre “ trovato, dove il concorso della lunghezza di tali grinze si dirizza. Ma questa regola « non fu osservata in tutte esse grinze, ma solo in quelle che son larghe da una “ parte e strette dall'altra, cioè piramidali , (2). “ Misura quanto il pettine della donna vi è minore che ’1 pettine dell’omo, cioè “ per causa dello spazio, ch'è dalla parte inferiore del pettine alla punta della coda ,. “ Causa del partorire , (8). Leonardo aveva osservato, come risulta da’ suoi disegni, che le parti vaginali presentano uno spessore, che non è eguale in tutti i punti della loro lunghezza e del loro contorno, ma la sua attenzione si era rivolta sopratutto alla matrice ed alle ovaie, che chiama testicoli. Acutamente aveva scorto il legame strettissimo, che passa fra questi organi: “ Nota come li testiculi penetrano nella matricie la loro vertù , (4). La matrice è posta nella parte centrale dell’escavazione pelvica fra la vescica ed il retto, al di sopra della vagina, colla quale si continua, al disotto delle cir- convoluzioni dell’intestino tenue, che fiuttuano sulla sua periferia, e la circondano in parte. Sei legamenti, osserva Leonardo, la fissano in questa posizione: due laterali, i legamenti larghi, che l’attaccano alle pareti dell’escavazione del bacino; due ante- riori, i legamenti rotondi, che l’attaccano al pube, e due posteriori, gli utero-sacrali, che l’attaccano al sacro. Alcuni disegni vinciani mostrano come appare l’utero veduto esternamente (‘ matrice che si vede di fori ,), altri disegni rappresentano al vivo la tonaca esterna o sierosa, la tonaca mediana o muscolare, la tonaca interna o mucosa. Anzi a questo (1) LeonarDo, Windsor, I, f. 1r. “ La donna comunemente ha un desiderio retto contrario a quel dell’omo, e quest'è che la donna ama la grandezza del menbro genitale nell’omo di magnia quantità che sia possibile, e l’omo desidera il contrario nel menbro genitale della donna. Il che nè l’un, nè l’altro ha mai il suo intento, perchè la natura, la quale non si po’ biasimare ha così provveduto, per causa del partorire della donna, magiore esso menbro genitale, molto magiore che altro animale di qualunche spezie, a proportione del suo busto, il quale comunemente dalla fon- tanella della gola alla nuca ha un braccio di lunghezza per retta linia, e la spezie bovina ha tre volte suo busto più lungo che essa donna, che multiplicando obbliquamente l’un corpo per l’altro © ne areste a dire 7 vie [ ]; e 3 via 9 è 27 adunque il corpo della vacca è 27 volte maggiore che quel della donna. Ma tale multiplicazione non ha qui loco, perchè la vacca avrebbe 7 volte mag- giore tal menbro, invece sperienzia nelle morte mostra essere un quarto di braccio nella sua maggior lunghezza, sì [nella] donna, come nella spezie bo[vina] o cavallina, massimamen[nei poJ]sti della nostra Europa. Ad[unque] si po’ per la regola del 3 dire: se [un] braccio di busto della (ARL È ) cd : cHRe donna mi dà 1 del {suo] menbro, che mi daran 27 [braccia] della vacca? Dirò [ ] in istante se-7 cioè uno [intero] dà un quarto di menbro alla do[nna], che mi darà 12 quarti alla [vae]ca: darammi tre quarti di [ ] tale animale avrebbe vera [ ] braccia di menbro a proportione de [ ] “ donna china ,. (2) Lronarno, Windsor, I, f. 13 r. (3) LeonarDo, Windsor, I, f. T br. (4) Leoxarpo, Windsor, T, f. 2 ù. ’ 23 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 55 proposito Leonardo avverte: “ fa che la matrice abbia tante dimostrazioni, quanti “ sono li panniculi di che essa è composta , “ matrice che si vede di dentro , (1). Più importanti sono le osservazioni da Leonardo fatte sulle ovaie o testicoli, organi posti nell’ala posteriore dei legamenti larghi, sui lati della parte più elevata dell'utero, indietro dei legamenti rotondi, che li separano dalla vescica, davanti al retto, da cui si trovano ordinariamente separati per mezzo delle circonvoluzioni più declivi dell’ileo. “ Li vasi spermatici del maschio e -della femmina sono in contatto “ colla parte dirieto della vescica, ma più congiunti son quelli dell’omo , (2). Alcuni disegni accuratissimi mostrano che l’artista aveva rilevata la presenza di quelli che furono poi chiamati grossi e piccoli follicoli di Graaf, dei quali tuttavia egli non sospettò forse neppure il valore e tanto meno la funzione precisa. Ad ogni modo si ‘può ritenere sulla base di questi disegni, che gli acini dell’ovaia, rappresentati da follicoli chiusi, sparsi in mezzo al perenchina cellulo-vascolare, detto stroma dal Baér, e conosciuti dal Falloppio, dal Vesal, dal Van Horne, furono scoperti da Leonardo nel XV secolo, e descritti accuratamente dal Graàf solo nel 1672 (8). Un disegno dello spaccato di due corpi congiunti, che è contenuto nel foglio 7 verso delle Notes et dessins sur la génération et le mécanisme des fonetions intimes, e che fu edito nel 1830 in Luneburgo con la nota Tabula anatomica, mostra il concetto sintetico, che Leonardo si era formato intorno al fenomeno della generazione. “ La fem- “ mina ha li sua due vasi spermatici cioè testiculi, e lo sua sperme è predetto sangue, “ come quella dell’omo, ma l’una e l’altra toccando li testiculi piglia virtù generativa, “ ma non l’una senza dell’altra , (4). Dove manca evidentemente qualunque sentore dell’esistenza dell’ovulo e della sua caduta nelle trombe uterine. Il Vinci giudica, che nel fenomeno della generazione l’elemento maschile e l’ele- mento femminile siano non solo entrambi necessari, ma che abbiano un valore equi- (1) Leonarno, Windsor, I, f. 13 v., f. 2r., f. 13 v. L'Jackscnara nel suo studio Die Begrindung der modernen Anatomie durch Leonardo da Vinci, und die Wiederauffindung zweier Sehriften desselben, nei “ Medizinische Blitter, di Vienna del 1902, p. 770 e segg., fondandosi sul fatto che, mentre i contemporanei di Leonardo designano la natura secondo l'anatomia di Galeno, quantunque corretta presso il Kethan e nel Commentario del Mondino di Berengario da Carpi, il solo da Vinci offre un’esatta deScrizione, e che tale descrizione ritorna nel Fabrica del Vesalio (1543), tenta di provare che il De humani corporis fabrica libri septem di Andrea Vesal e l’Anatomia del cavallo di Carlo Ruini son da ritenersi opere di Leonardo. Per la discussione sollevatasi a questo proposito vedi Ken, Geburtshilfliche und gyndikologisch-anatomische Abbildungen des 15 und 16 Jahrhunderts. Leo- nardo da Vinci, Vesal, Roesslin. Sonderabaruek aus den Verhandlungen d. XI deutsch. Gyndkologen Kongresse, pp. 418-420; Horr, Leonardo da Vinci und Vesal, in “ Archiv fiir Anatomie und Phy- siologie ,, Leipzig, 1905, p. 111-140; Rora, Vesal, Estienne, Tizian, Leonardo da Vinci, ivi, 1905 e 1906, pp. 79 sgg., 77 segg. (2) Leownarpo, Windsor, I, f. 13 v. “ Matrice è l’altra della... ma si serva in due ventriculi a ? che sono appiccadi entro alla vescica ,. (3) Vedi il disegno delle ovaie o testicoli colle loro vescicole ovariche in LeonarDo, Windsor An., D, f. 18r. (4) Questo è il commento allo spaccato de’ due corpi congiunti, un abbozzo del quale vedesi anche nei fogli precedenti. Cfr. Tabula anatomica Leonardi da Vinci summi quondam pictoris e biblio- theca augustissimi Magnae Britanniae Hannoveraeque regis deprompta Venerem obversam e legibus naturae hominibus solam convenire ostendens. Luneburgii, 1830. LeonarDo, Windsor, I, f. 13 v. Quindi errarono gli editori del 1830 interpretando a loro modo il disegno, senza tener calcolo dello scritto, che lo accompagna. 56 EDMONDO SOLMI 24 valente. “ Li neri non son causati dal sole in Etiopia, perchè «se il nero ingravida “ Ja nera in Scizia, essa partorisce nero, e se ’l nero ingravida la bianca essa parto- “ risce bigio, e questo mostra che la semenza della madre ha potenzia nell’enbrione “ equale alla semenza del padre , (1). IN. Uno dei problemi accuratamente studiati da Leonardo è quello dei rapporti del- l'embrione, che darà origine al nuovo essere, con gli organi che lo contengono, i quali subiscono, durante la gestazione, cambiamenti anatomici considerevoli, ma normali. Servendosi della terminologia di Mondino, ma correggendone gli errori: “ Il «“ putto — scrive il Vinci — drento alla matrice ha tre panniculi, che lo circundano, “« de’ quali el primo si domanda amnius, el secundo alantoydea, e "1 terzo secundina, “a la quale secundina la matricie si coniunge mediante li cotiledoni, e tutti si “ coniungeno in lo umbellico, il quale è composto di vene , (2). Ammesso, giusta la testimonianza di Leonardo, che qui si parli di un feto di quattro mesi, son accen- nati. in modo assai esatto, il sacco amniotico, il corion e la caduca materna. Tut- tavia dallo studio comparato dei disegni, che adornano le opere del Kethan (1491), del Peyligk (1499), di Magnus Hundt (1501), di Berengario da Carpi e di altri, si scorge che il Vinci si distacca dall’anatomia di Galeno, e comincia l'esame diretto ed esatto dell'embrione. i Dallo studio del cadavere della donna incinta, l’artista si propone di spiegare «“ come la secondina è congiuncta colla matrice, e come si spicca da questa , (3). Egli sa bene, che la placenta è l’organo d’unione fra la madre ed il feto, e nello stesso tempo l'organo di nutrizione di quest’ultimo: egli quindi rivolge il suo studio prin- cipalmente alla analisi dei così detti cotiledoni*e del cordone ombellicale, toccando con mano maestra della circolazione del feto. P Si sa che quando la vescicola allantoide raggiunge la parete dell'uovo, essa si distende in modo da fornirgli un involucro novello e compiuto, la faccia esterna del quale si copre di villosità. Si sa pure che verso il terzo mese tutte le villosità del corion si sono già atrofizzate, salvo in un punto, che corrisponde alla porzione rigonfia dell’allantoide. Ebbene, in quest’ultimo punto, le villosità coriali, in cambio di atrofizzarsi, aumentano, emettono branthe e rami, in modo che ciascuna di esse forma un piccolo sistema, un cespo particolare bene isolato dei suoi vicini. Tali vil- losità sono molto vascolari; ciascuna di esse riceve una branca dalle arterie ombel- licali, ed emette una vena corrispondente. Ma nel modo stesso che la villosità coriale primitiva si ramifica, e forma un gran numero di prolungamenti di secondo, di terzo, di quarto ordine, i vasi si ramificano nel c@spo coriale, e si suddividono, sicchè cia- scuna delle sue branche riceve un’ansa vascolare artero-venosa di grande tenuità. € (1) Leoxarpo, Windsor, DO IN mm IE s2e: (2) Leonarpo, Windsor, I, f. 2 v. IRE SP (3) Leoxarno, Windsor, 25 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 57 Ogni cespo costituisce ciò che dicesi un cotiledone o, giusta la terminologia leonar- diana, una spugnola o rosetta carnosa (lobulo placentare). Al termine della gravidanza la struttura della placenta è più complessa, più difficile a spiegarsi, ma rimane essenzialmente la stessa. I cotiledoni o le spugnole sono formati da un tessuto bigio-rosso, molle, elastico, composto di una immensa quantità di filamenti, più o meno intricati, agglutinati da una sostanza amorfa, e rappresentanti le antiche villosità coriali e le loro branche (1). Leonardo si propone di dimostrare “ come li tre panniculi della matrice si col- “ legano insieme mediante li cotiledoni , (2); e in una serie di disegni rappresenta mirabilmente tanto i cotiledoni della placenta nella parte fetale, quanto quelli nella parte materna, il che lo porta alla distinzione dei due aspetti placentari, dove è rac- chiuso il germe di una delle più grandi scoperte, che ricordi la storia della embriologia. Il Vinci distingue subito una parte fetale da una parte materna della placenta, o, secondo la sua terminologia, la “ madre de’ cotiledoni cioè cotilidonio femina , dal “ cotilidonio maschio ,. È noto infatti come la placenta materna si mostra sotto la forma di un tessuto particolare di apparenza albuminosa, attraversato da una massa di filamenti incrocicchiati. Ricchissimo di vasi, tale tessuto presenta ineguaglianze, emi- nenze e depressioni, destinate ad innestarsi sulle circonvoluzioni della faccia esterna della placenta fetale (3). Mirabilmente l’artista osserva che vi è una specie di compenetrazione reciproca, compenetrazione, che si può distruggere senza lacerazioni colla macerazione, e che era necessaria per fissare. la placenta, e mettere le ramificazioni dei vasi ombilicali in rapporti intimi coi rami vascolari uterini. Questi ultimi, che assumono uno sviluppo considerevole in corrispondenza della placenta materna, vi si ramificano come i vasi allantoidei nella placenta fetale. Essi formano cotiledoni o spugnole distinte le une dalle altre, munite da arterie e da vene, che si innestano sui cotiledoni o spugnole fetali. Questo intreccio mirabile, opera sublime della natura, suggerisce a Leonardo un paragone felice. Non si assomiglia esso all’innestarsi di un bottone ne! suo occhiello, al congiungersi dei peli finti di quelle spazzole, che in Milano si chiamavano brustie, a quelli di un’altra, dell’aderire di quell’erba, che in Firenze chiamasi lappola, alle gambe del”passeggiero, onde è quasi impossibile il poternela cavare? “ Ombilico — “ grida il Vinci improvvisamente nel Codice Atlantico accanto al disegno di un bot- “ tone, di due spazzole, di due lappole — è il legamento del figliol colla guaina, “ che lo veste, il qual ramifica e si lega colla matrice, come bottone con occhiello, “o come brustia con brustia, o lappola con lappola , (4). . Quante ricerche sul modo di connessione di questi elementi, intorno ai quali furono per lungo tempo discordi anche gli anatomici moderni! “ Nota se le globbo- “ sità de’ cotilidoni sono inverso il centro della matrice o pel contrario , (5). “I (1) Tiuravx, Traité d'anatomie topographique avec applications à la chirurgie. Paris, 1879, p. 852 e segg. (2) Lroxarno, Windsor, I, f. 2 r. (3) LrownarDo, Windsor, I, f. 1v., f. 2r.; Windsor An., D, f. 9v., con gli innumerevoli disegni che mostrano lo studio particolare fatto dal Vinci su questi organi. (4) Leonarpo, Codice Atlantico, f. 385 r. (5) Leonarpo, Windsor, I, f. 3 r. Serie II. Tom. LIX. 00 58 EDMONDO SOLMI 26 * cotilidoni hanno maschio e femmina, ora noterai se ’1 maschio o la femina resta “ appiccato alla matrice della donna o no , (1). “ Le spugnole, che legano la matrice “ della donna con la seconda del figliolo, si dividan pel mezzo della sua grossezza; “ e la metà resta colla seconda, che veste il figliolo, e qui si de’ notare se la metà, “ che resta, non ha in sè li denti o le guaine d’essi denti come @ guaina e ’1 n “ dentata , (2). Al Vinci, ammiratore fervente della Natura, questo sistema di aderenza, così semplice e così meraviglioso, suscita dubbio misto a stupore. “Il cotilidonio a è femina “ e riman colla matricie, e ’1, cotilidonio n ha li maschi, ch’entran nelle concavità “ della cotilidonia, e questa rimane appiccata alla matrice. Altra congiunzione “non c'è! , (3). Cotiledoni, spugnole. Leonardo trova anche una terza espressione per quell’or- gano, e lo chiama “ rosette carnose ,. “ Queste quattro vene a è c d son due d’ar- “ terie e due di sangue; e son quelle, che portano il mestruo alla matrice, e s’inclu- « dano in fra ’1 primo panniculo della matrice, e questo ch'è il secondo, — e li “ testiculi sono appiccati al primo —. Questa di sotto contiene la terza e la quarta “ spoglia dell'animale incluso nella matrice, le quali spoglie sono unite cioè si toc- “cano, e quella qui di sopra s’unisce con questa mediante queste rosette carnose, “ che si frammettano, e s’appiccano insieme, come farebbono le lappole in fra loro, “ e, nel nascere, il figliolo ne porta con seco queste due spoglie colla metà della “ grossezza di queste rose, e l’altra metà resta nella matrice della madre, la qual “ poi nel ristringersi si ricongiungano insieme, e si appiccano colli loro lati l’un col- “ l’altro in modo che mai parti è che fussin divise. E la spoglia che tocca lo animal, “ che nasce, non ha in sè alcuna d’esse rose carnose , (4). E non pago di aver illustrato così chiaramente la disposizione di questi elementi anatomici, Leonardo aggiunge un nuovo evidentissimo paragone. “ Sì come si tessan “ Ji diti della mano l’un nelli spazi dell’altro, sendo diritti per fronte, così si tessan “ Ji fili della carne di tali spugnole, a uso di Tappole, l'una metà coll’altra , (5). Secondo il Vinci, fra tali organi esiste un semplice addossamento, ed egli cerca di tratteggiarne la storia. “ Come le spugnole, che congiungano insieme li panniculi “ di mezzo alli due stremi, si vanno ispiccando l’una metà dall’altra, e una metà se ne va col figliol quando nasce vestito, cioè quella ch'è di sotto, e l’altra metà, che “ resta di sopra, rimane colla matrice. Le quali per essere semilate a sei et sei nel ristrigniersi la matrice, tutte esse spugnole carnose vengano a toccarsi co’ loro lati, e in fine a congiugnersi con lati esagonali, e in fine si uniscano, e fansi d’un sol “ pezzo, di maniera tale che poi di nuovo si dividano, e spargano nella succedente “ impregnazione , (6). Non esito a dichiarare che tali pagine intorno ai lobuli placentari mostrano la stra- » (1) Leonarpo, Windsor, I, f. 2 r. (2) Lronarpo, Windsor An., D, f. 9v. (3) LeonARDO, ivi. (4) Leoxarpo, Windsor An., B, f. 18r. (5) LeonaRDpO, ivi. (6) LeoxnaRDO, ivi. 27 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 59 ordinaria penetrazione dell'ingegno di Leonardo, e costituiscono al Maestro sufficente titolo per proclamarlo precursore della ginecologia (1). Dai passi inediti, precedentemente riferiti, si scorge come Leonardo sa che in corrispondenza dell’ombelico vi sono quattro vasi sanguigni, due arterie e, come afferma, due vene; egli sa inoltre che, una delle vene atrofizzandosi, assai presto, non rimangono che tre vasi, propaggini del sistema vascolare generale dell'embrione. “ Le cordon ombilical, scrivono H. Beaunis e A. Bouchard, paraît dès la fin “ du premier mois. Il a au milieu de la grossesse 0,12 à 0,20 de longueur et “02,08 à 0,10 d’épaisseur, et peut atteindre è la fin de la grossesse 0,5 à 02,6 “ et méme plus, sur une épaisseur de 0%,11 à 0,13. Il s’insère habituellement au “ centre du placenta et, par exception, à sa circonférence (placenta en raquette). Il est tordu en spirale sur lui-méme et, dans la plupart des cas, cette torsion se fait de gauche è droite, en allant de l’embryon vers la placenta. “ Au débout, le cordon contient le pédicule de la vésicule ombilicale avec les « quatre vaisseaux omphalo-mésentériques, et le pédicule de l’allantoîde avec les “ quatre vaisseaux ombilicaux. Plus tard le pédicule de la vésicule ombilicale et les “ vaisseaux omphalo-mésentériques s’atrophient, une des veines ombilicales disparaît ainsi que le pédicule de l’allantoîde, et il ne reste plus vers le milieu de la gros- “ sesse que la veine ombilicale, autour de laquelle s’enroulent les deux artères du. “ méme nom. Ces vaisseaux sont enveloppés dans une masse de tissu gélatineux, gélatine de Wharton, qui n'est autre chose, que du tissu connectif embryonnaire. K Le tout est contenu dans une gaine fournie par l’amnios, gaine qui se continue à 0%,01 environ de l’ombilic, avec la peau de la région ventrale de l’embryon , (2). Di questo organo Leonardo dà tale definizione: “ L’ombellico è la porta, donde il nostro corpo si compuose mediante la vena umbelicale , (3); “p x v vena unbel- licale: si compone la vita e ’1 corpo di qualunche animale di quattro piedi, che non nasca di uova, come rane, testudine, liguri, lucerte e simili , (4). In una serie di disegni rappresenta in tutte le sue fasi l'ombelico nei suoi rapporti con la matrice fino all’ “ ombellico di vecchio ,. E formulando un principio generale: “ tanto “è sempre lunga la vena unbellicale, scrive il Vinci, quant'è la lunghezza del putto , ; “ la lunghezza dell’ombellico è equale alla lunghezza del putto in ogni grado della “ sua età, ma non quel di altri animali , (5). Proponendosi delle ricerche da fare su questi argomenti, scrive ancora Leonardo : (S K (1) I primi studi accurati su questi organi furono del Lowxcet (Traité de physiologie, 1854-57), del VerneuIL (Embryologie, p. S3 e segg.), del CaLori (Tavole anatomiche, 1850-53). (2) Braunres et BoucHnarD, Nouveaua éléments d’anatomie descriptive et d’embryologie, p. 1008 e segg. (3) LeonarDo, Windsor An., C, f. 4r. (4) LronaRDO, ivi. (5) LronarDo, Windsor, 1, f. 1v.; Windsor An., C, f. 4r.; Windsor An., D, f. 15r.: “ lonbelico- matrice ,; Windsor, I, f. 1r. Cfr. Honn, Lehrbuch der Geburtshiilfe. Leipzig, 1862. Hecxer, Uedber das Gewicht des Foetus etc. in “ Monatschrift f. Geburtskunde ,, 1866. Ecxer, Zur Entwickelunysgeschichte der Furchen und Windungen der Grosshirn-Hemisphiren im Foetus des Menschen in “© Arch. f. Anthro- pologie ,, 1868. ArnovLsevic, Das Alter die Gròsse und Gewichtstimmungen der Fotalorgane beim menschlichen Foetus. Minchen, 1880. Toupr, Ueder die Altersbestimmung menschlicher Embryonen in “ Prager medicinische Wochenschrift ,, 1879. 60 EDMONDO SOLMI 98 « questa figura va nell’enblione, e non la fare altrove — e nota bene la vena unbe- € licale, dov’ell’ha termine nella matrice , (1). i È da notarsi che ciò che in tali questioni attrasse l’attenzione dell’artista fu il meccanismo della circolazione fetale. “ Descrivi qual ramo della vena maggiore è « quel con che la madre nutrisce il putto per la vena unbellicale , (2). “ Vedi “ è nota come le vene magiore della madre nascino nella matrice, e poi nella seconda “ e poi all’ombellico , (3). “ Nota se le vene unbellicali son quattro così ne’ maschi, “come nelle femmine ,, (4). À Si sa che il primo vestigio dei vasi compare intorno all’area trasparente sotto forma di-un cerchio quasi completo, chiamato seno circolare. Questo seno porta ester- namente numerose branche, che serpeggiano fra le due lamine del blastoderma, ed intimamente due branche voluminose (vene omfalo-mesenteriche), che vanno a metter foce nel cuore. Il cuore, la cui esistenza precoce era nota fin dagli antichi tempi (punctum sa- liens), nasce, in corrispondenza della fovea cardiaca, dapprima sotto forma di cilindro oblungo, pieno di cellule. Ben tosto presenta una cavità, poi si allunga in modo da assumere la forma di una S italica. Queste metamorfosi si possono a stento seguire per la somma rapidità con cui si compiono. “ Tutto il corpo — scrive meraviglio- “ samente Leonardo — ha origine dal core, in quanto alla prima creazione, e ’1 sangue “e le vene e nervi, fanno il simile, ancora che essi nervi si vegghino manifestamente “ tutti nascere dalla nuca e remoti dal core, e la nuca essere della medesima sustanzia “ del cervello onde essa deriva , (5). “ n dq è arteria; m pr è vena; rdcd è nervo; “f o p son vene unbelicali miste con arteria, le quali concorrono all’ombellico, e si “ congiungano alla matrice della madre per la vena r S , (6). Leonardo ha compreso che nell’embrione ciascuna estremità del cuore si abbocca con due vasi. I due superiori son detti archi aortici od arterie vertebrali superiori; essi ricurvansi come l’aorta, seguono dall’alto al basso tutta la superficie anteriore del rachide, e producono, strada facendo, due grosse branche, dette arterie omfalo- mesenteriche, che vanno a gittarsi nelle pareti della vescicola ombelicale. I vasi infe- riori sono le vene omfalo-mesenteriche, che il Vinci chiama vene miseraice, che comu- nicano col seno circolare. “ Dunque, scrive Leonardo, le vene miseraice son quelle “ che dan, per le sue ramificazioni, quel che prima quelle han per esse ramificazioni, “e le arterie ricevan per [le] ramificazioni quel che [pri]ma solevano versare ADS “ Portano il nutrimento al core, aggiunge l’artista, il quale in tal tempo non “ batte, e così tal nutrimento entra per contrario, essendo il putto nella matrice, a (1) Leonarpo, Windsor, I, f. 1v. (2) Leonarpo, Windsor, I, f. 2 v. (3) Leoxnarpo, Windsor, I, f. 2r. (4) Leonarpo, Windsor An., ©, f. 4r. (5) Leonarpo, Windsor An., C, f. 15 v. Cfr. Sappey, Anatomia descrittiva, vol. I, pag. 50. (6) Leonarpo, Windsor An., C, f. 4r. (7) Leonarpo, Windsor, I, f. 1 v. ce 29 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 61 « quello [che fa], quando il putto alita fori della matrice. E le femine dicano il putto “ sentiasi alcuna volta dentro alla matrice , (1). In quest’ultimo passo è da notarsi che Leonardo, limitato allo studio del cada- vere, ignora che il cuore del feto (putto) incomincia a presentare contrazioni ritmiche assai presto. Le cellule, di cui è riempito al par dei vasi, al momento della loro formazione, prendono l'aspetto dei globuli del sangue, ed i movimenti di dilatazione e di restringimento del sacco cardiaco imprimono loro da principio moti alternativi di va e vieni. In tal modo la circolazione si stabilisce. . Quando poi alla prima circolazione si sostituisce la seconda, le due vene ombe- licali sulle prime, poi la sola che persiste, giungono al fegato, comunicando per un canale venoso detto oggi dotto di Aranzio, colla vena-porta e colla vena-cava, la quale frattanto si è sviluppata. Siffatto canale venoso, assai cospicuo, che dura fino alla nascita, apre una larga comunicazione fra la vena-porta, la vena-cava e la vena- ombelicale, e fornisce sangue al fegato. A tale circolazione si riferisce il frammento leonardesco “ fa il putto..., il quale esce dal sangue, che entra per l’ombellico, e entra “ nel fegato, e di lì esce, per la porta del fegato, ed entra nelle vene miseraice, e “si congiugne , (2). Mediante le ricerche fatte posteriormente al Vinci, si riconobbe che il sangue, giunto al cuore per mezzo della vena cava ascendente, penetra nell’orecchietta destra: la disposizione della valvola d’Eustacchio e del foro di Botallo fa che questo fluido, invece di insinuarsi nel ventricolo destro, passi quasi integralmente nell’orecchietta sinistra, e di là nel ventricolo corrispondente e nell’aorta; la piccola porzione, che penetra nel ventricolo destro, ritorna in parte anch’essa nell’aorta, grazie alla pre- senza del canale arterioso. Le arterie polmonari infatti son così poco sviluppate, fino alla nascita, da non ammettere che una piccola quantità di sangue. Accolto nell’aorta, il sangue si divide fra le parti superiori e le inferiori; quello che prende quest’ultima via si insinua quasi in totalità nelle arterie ombelicali, e giunge alla placenta, ove subisce una specie di ematosi; riviene poscia per la vena ombilicale nel fegato, si mescola al sangue delle vene cava inferiore e mesenterica, indi ricade nell’orec- chietta destra. È Questo decorso della circolazione fetale, e queste trasformazioni morfologiche, sono accennate da Leonardo in una serie di passi, l’importanza dei quali non può sfuggire agli studiosi di anatomia. Trattando della costituzione del cordone ombelicale e del decorso della vena e delle arterie ombelicali, scrive il Vinci: “ Questi quattro nervi non hanno in sè “ parte alcuna di sangue, ma quando entrano nell’ombelico essi si convertano ’n una “vena grossa, la quale poi s’astende alla porta del fegato, e si va ramificando per “la sua parte inferiore, nella qual parte si termina ogni infima sua ramificazione, e “ più alto non s’astende ,. “ Delle sopra dette quattro vene unbelicale delle 2 di fori si compone il sifac, “ panniculo contingente il zirdo, e poi si ripiegano in giù, e terminano nella prima (1) Leonarpo, Windsor, I, f. 1 v. (2) Lronarno, Windsor, I, f. 1v. Per il Vinci putto vuol dir feto. 62 EDMONDO SOLMI 30 ramificazione della vena e arteria maggiore, che diace sopra la spina de la schiena. La ramificazione esteriore della vena unbelicale s’include in fra ‘1 primo e ’l se- condo panniculo, col quale spesse volte nasce il figliolo , (1). “ Questa vena unbelicale è origine di tutte le vene dell'animale che s’ingravida, perchè ciascuna di queste vene è integralmente separata, e divisa dalle vene della “ donna gravida con vene e arterie insieme appaiate, e rarissime volte si trova “ l'una sanza l’altra in compagnia, e quasi sempre è trovata l’arteria sopra la vena “ perchè il sangue dell’arteria è il transito delli spiriti vitali, e '1 sangue delle vene “ è quello che nutrisce l’animale. E di queste tal ramificazioni, figurate, quelle che “ son levate in alto son ordinate al nutrimento del terzo panniculo sottile della « matrice, e le vene più basse, poste per obbliquo, son quelle che notriscano l’ultimo “ pannicolo ch'è contingente all’animale, che di quel sì veste, e l’uno e l’altro di « questi spesso escie insieme colla creatura fori della matrice della madre, e questo “ accade quando l’animale non la po’ rompere, che allora escie vestito, ed è facile “ cosa, perchè essi due pannicoli, sottilissimi, com'è detto di sopra, non sono in nes- “ suna parte congiunti colla matrice detta, la quale ancora lei è composta di due « panniculi, li quali sono assai grossi e carnosi e nervosi , (2). Notisi che Leonardo con la parola sifac intende quello che oggi chiamiamo pe- ritoneo, e con la parola zirbo ciò che diciamo intestino cieco. Meravigliosa la distin- zione di sangue arterioso e di sangue venoso, che precorre, quasi per ombra, le scoperte dell’Harvey. Notisi infine che nelle ultime linee il Vinci accenna, nei due “ pannicoli sottilissimi ,, alla caduca parietale e alla caduca riflessa, la prima delle quali al settimo mese non è più che una pagina membranacea, senza struttura deter- minata, che presenta appena 1 millimetro di spessore; e la seconda al terzo mese cessa di crescere, e comincia a distendersi, e ad assottigliarsi per diventare diafana, resistente, sottile e priva di vasi. Notevoli sono le osservazioni che Leonardo fa intorno alle trasformazioni, che subiscono nel feto parallelamente il cuore, il fegato e la milza. Il cuore, prima si- tuato nello spessore del cappuccio cefalico, sembra discendere nella gabbia toraoica. Il fegato si svolge nei lati dell’intestino, fin dal primo mese, e prende immediata- mente uno sviluppo considerevole. La milza sembra un'appendice della grande tube- rosità dello stomaco, e manca di canal escretore. “ Il centro del fegato, osserva il “ Vinci, nelli putti della matrice, quando son piccoli sta sotto il centro del core e sopra “ l’ombellico, e quando |crescon] il fegato si tira dal lato destro , (8). “ Quando la vena unbelicale è nella operazione, alla quale essa fu creata, essa ottiene il prin- cipale sito dell’omo, ov’è il mezzo del busto, sì per altezza come per latitudine. Ma quando tal vena fu poi privata del suo ofizio, essa si tirò in disparte insieme col fegato, da quella creato, e poi notrito. E fu cacciata essa parte superiore della vena unbelicale della mutazione del mezzo del fegato, il quale per lo accrescimento “ della milza, creata nel lato istanco, esso fegato fu sospinto nel lato destro, e por- “ a k “ *» (1) Lronanpo, Windsor An., D, f. 9 v., termina il “ cotelidonio a ;. (2) Leoxnarpo, ivi. (3) Leonarpo, Windsor, I, f. 2 v. S1 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 63 “ tane con seco la parte superiore della vena unbellicale, che con lei era congiunta. «“ E la milza, che prima era vischiosa acquosità piegabile e fressibile, dando loco a « qualunche cosa la spigneva del suo sito, comincia poi a ristrignersi e condensarsi “ [e a dis]porsi della sua necessaria figura. E bisogna che ella entri in nel loco, “ che occupava esso fegato quando..... ,. “ Manca over diminuisce il fegato nella “ parte stanca, quando è cresciuto, perchè in essa parte creò la milza e lo stomaco, “ e non nella sinistra e ancor per fare loco al core. [Si] ritira nella parte destra, si “ prieme e condensa la parte destra d’esso fegato, uniendosi con quella, e così tale “ fegato manca li 1a della parte stanca, e si ritira col suo mezzo nella parte destra, “ condensandosi in quella , (1). V. Queste osservazioni intorno allo sviluppo e ai mutamenti del corpo umano accreb- bero in Leonardo il desiderio di penetrare più addentro nell'esame della “ forma- “ zione delli corpi animati ,. Fu forse allora che egli potè estendere il suo studio ai cadaveri di altre donne incinte, e descrivere il feto con maggior precisione, e so- pratutto disegnarlo in una serie di figure, che mostrano il futuro essere nei varî momenti della sua evoluzione (V. Tav. I e ID. Ciò che preoccupa il Vinci in questi studi e in questi disegni è la posizione dell'embrione nella matrice. “ La guancia si commette in sul termine del dorso della “ mano alla sua spalla ,. “ Il muscolo « sostiene il braccio piegato ,. “ Vaucoidea “ passa in fra le mani e le ginocchia del putto, quando sta aggruppito, e passa fra “ [le] braccia e la parte silvestra della coscia insino a’ fianchi , (2). In un elenco di argomenti embriologici: “ Nota, scrive Leonardo, che ha a fare i “ coglioni col coito e sperme; e come il putto alita; e come per l’ombellico si notrisce; e perchè un'anima governa due corpi, come si vede: la madre desiderare “ un cibo, e ’l putto rimanerne segniato. E perchè il putto, d’otto mesi, non vive , (3). Leonardo sa quanto precoce sia lo sviluppo del sistema nervoso. “ La natura, “ serive egli, ci compone prima la casa dello intelletto, e poi quella delli spiriti vitali , (4). I polmoni appariscono un po’ più tardi del fegato: dapprima com- paiono sotto férma di un bottone sodo, che poi, al di sotto della trachea, si divide in due masse laterali, nell'interno delle quali si apre una cavità a fondo cieco, che comunica col canal tracheale. Il Vinci sa che la respirazione del feto presenta caratteri ben diversi dalla respirazione dell’essere, dopo ch'è nato, ma egli non viene a risolvere il problema, il quale tuttavia è lucidamente posto. “ Il figliolo non ispira “ in corpo alla sua madre, perchè sta nell'acqua, e chi alita nell'acqua immediate “ anniega , (5). “ Se il figliolo può piagnere, e fare alcuna sorte di vocie dentro al “ corpo della sua madre o no. Rispondesi di no, perchè lui non alita, nè ha alcun (1) Leoxnarpo, ivi. . (2) Leonarno, Windsor, I, f. 3r.; f. 1v.; f. 3r. (3) Leoxarno, Windsor, I, f. 7 v. (4) Lronarno, Ashburnhain, I, f. 7 r. (5) Leonarpo, Windsor, I, f. 1r. 64 EDMONDO SOLMI 32 “ modo di respirare, e dove non è spirazione non è voce , (1). Di vero, fino alla nascita, le arterie polmonari sono pochissimo sviluppate, tuttavia Leonardo erronea- mente nega — allo stesso modo che egli esclude i movimenti cardiaci nel feto — qualunque respirazione embrionale. Più importanti sono le osservazioni vinciane, che riguardano le funzioni di nutri- zione del feto. Il Vinci, a tal proposito, ci avverte di avere col coltello anatomico sezionato un embrione di circa quattro mesi. “ [Vuo]tammo el chilo dello stomaco di « questo putto, il quale non era variato da quello dell’omo, e il putto era men d’un «“ mezzo braccio, e avea vicino i quattro mesi, e giudicai tal chilo essere fatto del “ sangue ,mestruo, il quale pigliava dal fegato, datoli dalla vena unbellicale , (2). Si sa che il tubo intestinale proviene direttamente dalla porzione intra-fetale della vescicola ombelicale. L’intestino si presenta da principio sotto forma di una doccia, poi di un canale cilindrico, parallelo all’asse dell'embrione, e formante un’ansa, la cui convessità, eminente nel centro dell'uovo, comunica con la cavità della vesci- cola ombelicale, per mezzo del condotto vitello-intestinale. Il canale termina a fondo cieco nelle due estremità. ll fondo cieco superiore si approfonda nel rigonfiamento cefalico; dilatandosi ulteriormente esso darà origine allo stomaco, e finirà per inne- starsi coll’esofago, il quale si forma in modo indipendente. È questo fondo cieco su- periore che il Wolff disse fovea cardiaca. Il fondo cieco inferiore si approfonda nel rigonfiamento caudale; anch'esso, dilatandosi più tardi, costituirà il grosso intestino, e si abboccherà, dal canto suo, colla depressione anale della pagina sierosa del bla- stoderma; in tal modo si stabilisce la continuità fra tutte le porzioni del tubo dige- rente. Il fondo cieco inferiore, fovea inferior, dà origine all’allantoide. A poco a poco il condotto vitello intestinale si restringe, poi si oblitera, la- sciando l'intestino perfettamente chiuso. L’Oken riterrà, che l’appendice ileo-cecale sia il vestigio del peduncolo della vescicola ombelicale, ma erroneamente. Il tubo intestinale sulle prime è rettilineo; dal momento ch’esso forma una prima ansa scorgesi una sottile ripiegatura, estesa dalla concavità di quest’ansa alla regione del rachide — è il mesenterio. L’accrescimento considerevole in lunghezza e in larghezza dell’intestino forma in breve le anse numerose del tenue intestino, la grande ansa colica ed il rigonfiamento stomacale. Del feto di quattro mesi Leonardo scrive: “ ho trovato... che ha 20 braccia di “ budella, cioè delle braccia d’esso putto , (3). E continua: “ Siccome una mente governa due corpi, cioè li desideri e le paure “e li dolori della madre son comuni aîli dolori e cioè doglie corporali e desideri « del figliolo, stante in corpo alla madre, similmente il nutrimento del cibo serve al «“ putto, ed è notrito da quella medesima causa delli altri membri, della madre e li “ spiriti che si pigliano dell’aria, animano la spezie umana e de li altri viventi , (4). E penetrando più addentro nelle funzioni della vita endo-uterina, Leonardo cerca di spiegare i fenomeni di eliminazione dal seorpo del feto degli elementi non assimi- (1) Leonarpo, ivi. (2) Leonarpo, Windsor, I, f. 1v. (3) Leonarpo, Windsor, I, f. 2 v. “ delle budella ,. (4) Leonarpo, ivi. PE ATC dit a * 33 LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 65 labili. “ La feccia, che si truova nelle intestine delli putti, che stanno nella matrice, “ nasce dal sangue mestruo della madre, il quale vien dalle seconde ramificazioni e “ della vena maggiore della donna gravida, e passa per l’ombellico del putto, e pe- “ netra per la vena unbellicale, la qual ramifica nel fegato del putto, e per la vena, “ che vien dal portinaro dello stomaco, va penetrando allo stomaco, e fa la digestione “ del sangue materno, convertendosi in chilo, e poi seguita il corso delle feccie per “ le intestine, nel medesimo modo che lui fa, quando è fora del ventre di sua madre, “ ma non con quella spessitudine di tempo, perchè le vene miseraice tirano a sè “ gran parte della sustanzia di tale succo per comporre la quantità d’un putto, il “ quale cresce molto più alla giornata, stante nel corpo di sua madre, che non fa “ quando è fori del corpo. E questo c’ insegna: perchè nel primo anno ch’elli sta “ fori del corpo di sua madre, over ne’ primi nove mesi, non raddpppia la gran- “ dezza delli nove mesi, che esso istette nel corpo di sua madre, e così ne’ diciotto “ mesi non ha raddoppiata la grandezza de’ primi nove mesi, che e’ stette fori del “ corpo della madre, e così in ogni nove mesi va diminuendo la quantità di tale “ accrescimento, in fin che ha finita la somma sua altezza, e in quel caso il f[egato] “ adopra suo uffizio nell'essere congiunto alla vena, ch'è madre protettiva , (1). Benchè molte inesattezze siano contenute in questo passo, pur tuttavia l’aver dibattuto simili problemi non è piccolo merito del Vinci. Ciò che è notevole, è che Leonardo ha rilevato in modo sufficentemente chiaro la struttura e le funzioni di quella parte endofetale del canale allantoideo, che va dalla vescica all'ombelico, e che ha ricevuto il nome di uraco. “ Del pisciare del putto. “ Una gran parte della età del putto è ’1 suo pisciare e per il ombellico; e questo “ nasce, perchè il calcagnio del destro piede nascie infra lo anulo e ’1 membro virile, “ e serra il transito al tutto della orina, a la quale è stato provveduto dalla natura “ col fare un canal nel fondo della viscica, per il quale s’orina, va alla viscica e dalla “ viscica all’ombillico e dall’ombellico alla bocca della matricie ,. Ed accanto ad un disegno il Vinci scrive ancora: “ « d fia il canale del cibo e ’1 transito della orina, “e questi due moti contrari m|uova|no ’n un medesimo tempo , (2}. Sintetizzando le condizioni della vita dell'embrione, e passando con mano maestra dalla anatomia alla fisiologia: “ A questo putto — serive Leonardo del feto — non “ batte il'core e non alita, perchè al continuo sta nell'acqua, e se alitassi aneghe- “rebbe, e lo alitare non è necessario, perchè lui è vivificato e nutrito dalla vita e cibo della madre, il qual cibo notrica non altrementi tal creatura ch’elli si facci x l’altri menbri de la madre, cioè mani, piè e altri menbri, e una medesima anima “ governa questi due corpi, e li desiderì e le paure e i dolori son comuni sì a essa creatura come a tutti li altri membri animali, e di qui nasce che le cose desi- “ derate dalla madre spesso son trovate [stampate] in quelle menbra del figliolo, le “ quali tien a sè medesima la madre nel tempo del desiderio. E una subita paura “amazza la madre e ’1 figliolo. Adunche una medesima anima governa due corpi, e “una medesima notriscie , (3). (1) Leonarpo, Windsor, I, f. 1v. (2) Leonarpo, Windsor, I, f. 1r., scoperta anche questa memorabile. Cfr. f. 1v. (3) LeonaRDO, Windsor, I, f. 2 r. Serie II. Tom. LIX. 9 66 EDMONDO SOLMI d4 Si è veduto che Leonardo s’era proposto, fra gli altri problemi da risolvere, anche quello che riguardava la “ causa del partorire ,. “ Voltasi il figliolo col capo “ di sotto — scrive egli a tal proposito, richiamandosi ai suoi bei studî sui lobuli “ placentari — nello spiccar de’ cotilidoni ,. “ Il figliolo sta in nella matricie circundato da l’acqua, perchè le cose grave pesan men nell’acqua che nell'aria e tanto meno quanto l’acqua è più vischiosa e “ grassa. E poi tale acqua converte il peso di sè col peso della creatura per di sotto al fondo e lati della matrice , (1). La nota leonardesca: “ la lunghezza del putto, quando nascie, è comunemente un bratcio, e comunemente crescie tre braccia, nella mediocre grandezza della “ spezie umana (2) , ci fa passare dalla embriologia all’anatomia delle età diverse dell’uomo, e ci fa affrettare verso la conclusione di questo nostro studio, forse già troppo soverchiamente diffuso. L’insigne anatomico Angelo Roth ha tratteggiato nella sua opera su Andrea Vesalio con mano maestra le origini della anatomia in Italia. Egli ha dimostrato come nel secolo XV, eccetto rare eccezioni, predominava nelle scuole l’anatomia galenica, che era stata fatta non sul corpo dell’uomo, ma su quello della scimmia (83). Leonardo da Vinci si innalza di gran lunga sopra tutti i suoi contemporanei, compresi Marcantonio della Torre e Michelangelo, e sui suoi immediati successori, compresi Realdo Colombo, Falloppio, Raffaello, Tiziano, Dirrer e gli altri, nella descrizione della struttura e delle funzioni del corpo umano. Questo hanno dimostrato il Lanzillotti-Buonsanti, il Langer, l’Holl, l’Jackschath e lo stesso Roth in diverse accuratissime monografie (4). In questo lavoro mi sono proposto di dimostrare che Leonardo nel XV secolo aveva concepito il piano di un’intera opera sulla embriologia o, come egli scrive, sulla “ compositione delli corpi animati ,, e ne aveva sviluppate coi disegni e con gli scritti magistralmente una gran parte. La sua opera doveva cominciare da prin- cipî e da osservazioni di embriologia generale, desunte dallo studio degli animali bruti e delle piante, paragonate con lo sviluppo del feto umano; per poi passare, sulla base della anatomia sperimentale e grafica, all’indagine dell'apparato genera- tore maschile e femminile, all’analisi delle trasformazioni, che subiscono gli organi della donna durante la gestazione, e delle metamorfosi del feto, tanto nel rispetto anatomico che in quello fisiologico, durante la vita endouterina. “ ta “K E notevole il fatto che in questi studî anatomici Leonardo si mostra egual- mente acuto nella analisi, che abile nella sintesi. La sua mente, abituata a vedere i rapporti reconditi fra gli oggetti e le idee disparate ed opposte, penetra nelle cir- (1) Leonarpo, Windsor, I, f. 13 v. (2) Leonarpo, Windsor, I, f. 1r. (3) Rora, Andrea Vesalius Bruxellensis. Berlino, 1892. (4) Tali monografie furono già da me scitate nel corso di questo studio. Si può aggiungere Hopsrock, Leonardo da Vinci som Anatom, in “ Meddelelse fra Universitetes Anatomiske Institut ,, VI, Kristiania, 1906, p. 52, il quale osserva che i disegni dei vasi del collo, del braccio e del petto sono di tale eleganza da sembrar fatti su preparati moderni. [ol 95 i LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 67 costanze embriologiche più fuggevoli, e si innalza alle ragioni più riposte ed elevate (1). Secondo la sua idea, l’embriologia è il vestibolo della anatomia, da essa bisogna muovere il passo per la descrizione dell’uomo nelle sue diverse età e nei suoi diversi organi, per arrivare in fine alla psicologia e alla fisionomia, scienze che Leonardo pone, ed è mirabile, in intima relazione fra di loro. Straordinarie sono le induzioni del Vinci sul terreno schiettamente embriologico. Le sue note e i suoi disegni sul processo di gestazione dei vivipari e degli ovipari, sulla fecondazione delle piante, il metodo da lui tenuto nelle dissezioni cadaveriche di donne gravide e di embrioni meritavano attenta considerazione. La sua deseri- zione degli organi generatori del maschio e della femmina, paragonata con la descri- zione che ne davano Mondino de’ Luzzi, Giovanni Kethan, Alessandro Benedetti, il Peyligk, Magnus Hundt, Berengario da Carpi e gli altri precursori del Vesalio, dimo- strano quali progressi stava facendo l’anatomia sotto le mani di un artista (2). Per il primo, nel mondo moderno, Leonardo fa uno studio esatto dei rapporti dell'embrione con gli organi che lo contengono, i quali subiscono importanti modi- ficazioni, e per il primo studia le metamorfosi del feto in una serie di disegni e di note, che cercano di stabilire la struttura e le funzioni dei lobuli placentari, del cordone ombelicale, della circolazione fetale — dove si distingue il sangue arterioso dal venoso — del cuore, del fegato, della milza, giungendo infine a determinare la posizione del feto, le sue funzioni nervose, respiratorie, nutritive, assimilatrici e dis- similatrici, ecc. Leonardo tocca una quantità di argomenti embriologici, trascurati da tutti i predecessori, senza alcuna eccezione; scopre i follicoli così detti di Graaf 7 (1) La mente di Leonardo da Vinci ha per l’appunto questo precipuo carattere di scorgere le relazioni fra gli oggetti disparati ed opposti, scendere dalla sintesi all’analisi, dalla teoria alla pratica. In lui troviamo inoltre la smentita più solenne alla affermazione precipitata dello Schopenhauer, che il genio artistico non ha attitudini alla matematica, il che indica che lo Schopenhauer non ha ben compreso come tutti i prodotti dell'ingegno abbiano un’unica radice. Confronta a questo proposito CnamsertAIin Housron Srewart, Emanuel Kant. Die Persònlichkeit als Einfihrung in 'das Werlk, Miinchen, 1905, dove la mentalità di Leonardo da Vinci è tratteggiata con inano maestra, e posta a confronto con quella così simile per non dire. identica del Kant. Un mirabile esempio del modo di procedere di Leonardo parmi sia quello che risulta dal brillante studio del Coox, Spirales în nature and art. A study of spiral formations based on the manuscripts of Leonardo da Vinci, with special reference to the architecture of the open staircaise at Blois, in Touraine, now for the first times shown to be from his designs. With a preface by Professor F. Ray Lankester, London, 1903, dove si dimostra che il Vinci ha osservato e riprodotto le spirali, che si riscontrano in natura, come nella voluta vespertilio e in alcune conchiglie fossili, e da tali osservazioni è passato a due concepimenti diversi: da una parte all’analisi delle leggi matematiche delle spirali principalmente sinistrorse e dall’altra all'idea della mirabile scala aperta di Francesco I nel Castello di Blois (Cfr. Cook, The Chateaux of France, I, Blois. London, 1907). Archimede dall’osservazione della natura, maestra di ogni trovato, avrebbe scoperto le leggi della spirale; Michelangelo, partendo dalla stessa scaturi- gine, avrebbe concepito forse la scala aperta. Chi fuorchè Leonardo riuniva al genio di un Archi- mede quello di Michelangelo? Più vasto di entrambi perchè più universale, tanto nella scienza che nell’arte. (2) De Kernan, Fasciculus medicinae. Venetiis, 1491; PeyLiGk J., Compendiosa capitis physica decla- ratio, principalium humani corporis membrorum figuras liquido ostendens. Lipsia, 1499; Magnus Hunp:, Anthropologium. Lipsiae, 1501; BerenGARIO, Isagoge Anatomices. Bononiae, 1522. Il posto d'onore nella storia dell'anatomia figurata spetta, dopo il Vinci, a Canani e Vesalio, a Bartolomeo Eustachio e Girolamo Fabrizio d’Acquapendente. i 68 EDMONDO SOLMI 56 e la struttura dell’uraco, per giungere poi a note di carattere psicologico intorno ai rapporti dell'anima materna con quella dell'embrione, che si svolge nel suo seno. Le figure che accompagnano questi studi sono delle più belle, e potrebbero anch’oggi servire (V. Tav. I e II), benchè, come è naturale, si debba riscontrare una gran quantità di lacune negli studî vinciani sul feto umano. Il Vinci infatti non conosce esattamente quali siano la struttura e le funzioni del prodotto generatore maschile e femminile, dello sperma cioè e dell’ovulo, e ignora interamente le evoluzioni interessantissime che l'embrione subisce nelle prime settimane dopo il concepimento, raggirandosi le sue ricerche principalmente sul confronto di un feto di circa quattro mesi con Findividuo compiuto. Ma nulla di tutto ciò potevamo attenderci da uno scrittore del XV secolo, e quel che Leonardo ha fatto, anche in questo riguardo, è sufficiente perchè in lui si debba vedere il geniale precursore della embriologia. Se gli scienziati si fossero subito messi sulle orme del Maestro, la scienza embriologica avrebbe avuto senza dubbio uno sviluppo più precoce e più rapido. Solo nel XVII secolo il Wolff (1733-1794) mostrò per il primo, che la cicatri- cula dell'uovo di gallina non presenta alcuna traccia di embrione, avanti il feno- meno della incubazione, e riconobbe che i diversi sistemi non appariscono che succes- sivamente, per prendere a poco a poco la loro forma definitiva. Egli intravvide anche (1769) le pagine del blastoderma, che Pander rilevò nel 1817 nel germe del- l'uovo di gallina (1). Il Pander (1794-1865) seguì esattamente i cambiamenti subìti dalla cicatricula nei primi tempi della incubazione ; egli distinse le pagine mucosa, sierosa e vasco- lare del blastoderma, e schizzò, sebbene sommariamente, il destino di ciascuna di esse (2). Nel 1827, E. von Bauer scoprì nell’ovaia il vero uovo dei mammiferi e della donna, ricorda il Tourneux, e paragonò lo sviluppo della gallina a quello degli altri vertebrati. Egli mostrò come la pagina intermedia (foglio vascolare del Pander) si scinde in due parti distinte, muscolare e vascolare, di cui la prima si attacca alla pagina sierosa per formare la lamina animale, e di cui la seconda si unisc® alla pagina mucosa per eostituire la lamina vegetale. E. von Baer (1795-1876), secondo l’espressione di v. Koelliker, fu il vero fondatore della embriologia comparata (3). Poco dopo la scoperta dell’ovulo dei mammiferi, Coste (1834) e Wharton Jones (1835) ritrovarono in quest’'ovulo la vescicula germinativa, che Purkinje aveva già (1) WoLrr, Theoria generationis. Halae, 1783. De formatione intestinorum, trad. ted. da J. F. Mecket. Halle, 1812. Appartennero alla scuola del Wolff l'’Hunter, il Simmering, l’Oken, il Kieser e il Meckel. (2) Il DéLrinGER, che appartenne alla scuola dello ScHeLLING, è il precursore del Panprr. Ofr. Mal- pighi, Iconum ad historiam ovi incubati spectanti@m censurae specimen. Werceburgi, 1813. Beitrdge zur Entwickelungsgesch. des menschlichen Gehirns. Franefort, 1814. Del Pander deve esser ricordata la Diss. inaug. sistens historiam metamorphoseos quam ovum incubatum prioribus quinque diebus subit. Wiirzburg, 1817, Entwickelungsgeschichte des Hiihnchens im Eie. Wiirzburg, 1817. Cfr. Marquer, Com- mentatio de foetus animalium vertebratorum formatione ac evolutione in “ Ann. Acad. Leod. ,, 1822-28. (3) La sua opera fondamentale è l’Entwickelungsgesch. der Thiere. Koenisberg, 1828. In seguito agli studi del Purkinse, Symbolae ad ovi avium historiam, Vratislaviae, 1825, aveva pubblicato il De ovi mammalium et hominis genesi, Lipsiae, 1827. 7. LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 69 segnalata nell’ uovo degli uccelli (1825); in fine R. Wagner descrisse la macula germinativa. Fra gli autori, che nello stesso tempo cercarono di dilucidare i primi stadî di sviluppo dei mammiferi, convien citare: Seiler (1779-1843), J. Miiller (1801-1858); Prévost (1790-1850), Dumas (1800-1883), Reichert (1811-1883), Brechet (1784-1845) Velpeau (1795-1867), Rathke (1793-1860), Valentin (1810-1883), Bischoff (1807-1873) R. Wagner (1805-1864), Coste (1807-1873). Prévost e Dumas scoprirono la segmen- tazione dell’ovulo della rana (1824) e Rusconi quella dell’uovo dei pesci, segmenta- zione che dà nascita alle sfere vitelline (1): Con Schwann (1810-1882) cominciò un nuovo periodo. Le ricerche di questo autore sulla struttura elementare dei tessuti animali (1839) ebbero in fatti un’eco profonda nello sviluppo della embriologia. Si studiò allora la composizione dei fogli blastodermici del Pander e di v. Baer, si vide che questi fogli erano costituiti da cellule, e si tentò di riattaccare queste cellule all’ovulo, ed a seguire i loro suc- cessivi svolgimenti. Reichert per il primo (1840), poi Bischoff (1842), mostrarono come le sfere di segmentazione producono, separandosi, le cellule embrionali, riser- bate a formare gli elementi costitutivi dei diversi organi. Kéllicher (1844) andò più ‘ oltre, e formulò questo principio, che “ contro l’ipotesi dello Schwann, non vi è nello “ sviluppo embrionale alcuna formazione libera di cellule; che, al contrario, tutte le “ parti elementari del futuro embrione sono dei discendenti immediati della prima “ sfera di segmentazione e per conseguenza dell’uovo , (2). La dottrina della evoluzione cellulare si stabilì poi, mercè sopratutto le ricerche di Remak (dal 1850 al 1858), e non tardò ad avere un campo più vasto di dominio, quando il Virchow se ne fece il propagatore negli studî di anatomia patologica col grido : omnis cellula e cellula (3). Da questo tempo, la scienza dello sviluppo del feto non cessò di progredire, e l’embriologia, così umana come comparata, si perfe- zionò rapidamente, per i lavori sopratutto del Lereboullet, Robin, Kupffer, Gotte, ‘ His, Balfour, Bambeke, Kowalewsky, Hensen, Beneden, Julien, Rauber, Lieberkiihn, Waldeyer, Selenka, Toldt, Schenk, Mihalkovies, Fol, Bonnet, Born, Minot, Keibel, Swaen, Pouchet, Giard, Retterer, Prenant, Laguesse, Henneguy, Vialleton, ecc. Nei nostri giorni l’embriologia non si limitò a studiare lo sviluppo individuale di un essere (ontogenesi), ma ricercò quello della specie (filogenesi). Benchè gravi obbiezioni siano state formulate contro la teorica della evoluzione, ed in particolare (1) Rercnermo, Entwickelungsleben im Wirbelthierreich. Berlin, 1840; Brscnorr, Entwickelungeschichte des Kanincheneis. Brunswick, 1842; Raruke, Abh. ur Bildungs und Entwickelungsgesch. des Menschen und der Thiere. Leipzig, 1832. Lehrbuch der vergleich. Embryologie. Leipzig, 1861; Serner, Die Ge- birmutter und das Ei des Menschen in den ersten Schwangerschaftsmonaten. Dresden, 1832; MiiLLeR, Handbuch der Entwickelungsgesch. des Menschen. Berlin, 1885; Coste, Recherches sur la génération des mammifères. Paris, 1834; Cours d'embryologie comparée. Paris, 1837; Hist. générale et partieul. du développement des animaux. Paris, 1847-1859. (2) KòLLiker, Entwickelung der Cephalopoden. Zirich, 1844; Entwickel. des Menschen und der hò- heren Tieren. Leipzig, 1861; Grundriss der Entwickel. Leipzig, 1880. (3) Remar, Unters. iiber die Entw. der Wirbelthiere. Berlin, 1850-1855; Cfr, His, Untersuchungen liber die erste Anlage des Wirbelthierleibs, Leipzig, 1868; Unsere Kòrperform u. der. physiologische Problem ihrer Entstehung. Leipzig, 1875; Loncer, Traité de physiologie, Paris, 1860. 70 EDMONDO SOLMI — LEONARDO DA VINCI COME PRECURSORE DELLA EMBRIOLOGIA 38 contro gli argomenti che questa teoria prende a prestito dalla embriologia, è incon- testabile che l’evoluzionismo ha dato alla biologia un impulso potente, e ha ispirato delle ricerche embriologiche di primo ordine. Appartengono a questo periodo, che sta per chiudersi, i nomi di Haeckel, Ray- Lankester, Gegenbaur, Huxley, Herkvig e Duwal. Come conclusione di questo studio mi permetto di rimandare il lettore all'esame dei disegni embriologici di Leonardo (v. Tav. I e II), dove, meglio che dalle parole, si seorgerà la grande altezza dal Vinci toccata in questa parte supremamente ardua' della Biologia, raccomandando di non dimenticare queste memorabili parole del Nostro: “ E tu'che di’ esser meglio il vedere fare l'anatomia, che vedere tali disegni, diresti “ bene, se fusse possibile veder tutte queste cose, che in tal disegni si dimostrano, in “ una sola figura, nella quale con tutto il tuo ingenio non vedrai, e non arai la notizia, “ se non d’alquante poche vene, de le quali io per averne vera e piena notizia ho “ disfatti più di dieci corpi umani, destruggendo altri membri, consumando con minu- “ tissime particule, tutta la carne, che intorno a esse vene si trovava, sanza insan- “ euinarle se non d’insensibile insanguinamento delle vene capillarie, e un sol corpo “ non bastava a tanto tempo, che bisognava procedere di mano in mano in tanti “ corpi, che si finisse la intera cognizione, la qual ripricai due volte per vedere le «“ diferenzie ,. “0 scrittore con quali lettere scriverai tu con tal perfectione la intera figura- zione, qual fa qui il disegno? Il quale tu, per non avere notizia, scrivi confuso, e lasci poca cognizione delle vere figure delle cose, la quale tu ingannandoti ti afai credere poter soddisfare appena all’ulditore, avendo a parlare di figurazione di qualunche cosa corporea, circundata da superficie. Ti ricordo che tu non t'im- “ pacci colle parole, se non di parlare con orbi, e se pur tu voi dimostrar con parole alli orecchi e non all’occhi de li uomini, parla di sustanzie o di nature e non t'im- pacciare di cose pertinenti all’occhi, perchè, a farli passare per li orecchi, sarai superato di gran lunga dalle parole del pictore SA GUY 1) Leonarpo, Windsor An., B, f..7 v.; Windsor, IV, f. 1v. Il Vinci si proponeva di fare tre tavole “ della femina per dimostrare matrice e vene mestruali, che vanno alle poppe ,. Windsor An., D, f. 2 v. In un disegno, edito dal Rouveyre; il Vinci rappresenta con grande maestria lo spac- cato della cavità bacinale d'un corpo femminile, e mostra tutti gli organi nella loro reciproca posi- zione, senza che l’uno copra l’altro. Il WerwpLer, Geschichte der gyndkologisch-anatomischen Abbildung, Dresden, 1907, p. 98, considera su questo disegno e su altri due, che rappresentano in modo per- fetto gli organi generativi della donna e la posizione del feto nell’utero, che Leonardo sì deve considerare il creatore del disegno anatomico. Sulla fine del quattrocento infatti non vi erano a tal riguardo che i disegni schematici di Moschione. Con questo e con gli altri miei lavori su Leo- nardo mi son proposto di dimostrare, che l'ingegno italiano nel secolo XV era ancor creatore nella filosofia e nelle scienze. A bella posta mi son astenuto dal confrontare le teorie del Vinci con quelle del Cardano e del Telesio intorno alla generazione (sulle quali vedi FrorentIno, Bernardino Telesio, Firenze, 1872, I, p. 272 e segg.), perchè queste ultime, paragonate con quelle dell’artista-filosofo, sembrano il balbettìo di fanciulli incoscienti. LIX, Serie Il Vol. vimo Î n: T ciemzse ci VO e N N O. delle ceco, fla BR, È fa ce “ » emozie (e MN Tav. | inci, Leonardo da V LMI - yr. r. DI i AE Serie Il Vol. LIX, ze di Fovins A Memozie della R, Accad, delle Sc 1 1en nn a) * lm RA e Tr ,: È (VU) RICERCHAH SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI E SULLA CRONOLOGIA DEI NAVARCHI MEMORIA DI LUIGI PARETI Approvata nell’adunanza’ del 22 Novembre 1908. sr La marineria Spartana dalle origini alle guerre Persiane. È noto che la glottologia, la storia e l’archeologia concorrono a dimostrare che i Greci conobbero l’arte del navigare fin da un'epoca assai remota (1). Certo questa conoscenza è presupposta dalla colonizzazione delle isole dell'Egeo, e delle coste dell'Asia Minore, ed i poemi Omerici dimostrano che al tempo della loro composi- zione era già molto avanzata, poichè essi ci parlano di numerose navi con cinquanta remi, ed anche di una con cento banchi per rematori (2). Col crescere della vita politica e commerciale negli Stati della Grecia, l’arte del navigare, che in origine pare avesse per iscopo piuttosto la pirateria e la colonizzazione che non il commercio (benchè anche pei tempi antichi non manchino sicure traccie di commercio), venne a maggiore ‘perfezionamento e sviluppo, specialmente nel periodo del governo dei (1) Sulla navigazione nella Grecia antica si veda specialmente: GrasHor, Das Schiff bei Homer und Hesiod, Diisseldorf, 1834; Bucnzorz, Die homerische Realien, II, 1, pag. 239 sgg.; Breusine, Nau- tisches zu Homeros, “ N. Jabrb. f. Phil. ,, 181 (1885), pag. 81 sgg.; 133 (1886), pag. 81 sgg.; 135 (1887), pag. 1 sgg.; e Die Nautik der. Alten, Bremen, 1886; Hartmann, Nautische Ausdricke, “ N. Jahrb. £. Phil. ,, 131, pag. 465; Assmann, “ Ath. Mitt. n; 1, 305, e articolo Seewesen in: BaumerstER, Denk- méler; CartAauLT, De quelques représentations de navires, ete., “ Monuments Greces 339 13-15; K. L. Hermann, Lehrb. der gr. Ant., II, 2, Freiburg, 1889; Droysen, Gr. Kriegsw., pag. 271 sgg. e 282 sgg. e la bibliografia ivi citata; Serre, Marines de guerre, II, pag. 83 sgg.; I. von MiicLer, Die griech. Privatalt?, in MiLrer, Handbuch ete., IV, 1,2 (1898), p- 257; Bauer, Die Griech. Kriegsalt.®, in Mirrer, Handbuch ete., IV, 1, 2, pag. 288, e la bibliografia citata; Hersre, Das homerische Epos?, pag. 18 sgg., 118 sgg.; C. Torr, Ancient Ships, Cambridge, 1904; BeLoca, Gr. Gesch., I, pag. 204 sgg.; Busorr, Gr. Gesch., I°, pag. 447 sgg., colla bibliografia citata; Scnormanw-Lipstus, I (1897), pag. 72; MessepaGLIA, JI venti, l’orientazione geografica e la navigazione in Omero, “È Mem. dell’Accademia dei Lincei ,, 1901, etc. (2) Y, 247. Me LUIGI PARETI . 2 tiranni (1). Come le altre popolazioni greche, così anche le doriche praticarono presto la navigazione, come dimostra l’antichità delle loro colonie (2) e nell’oriente e nel- l'occidente, benchè in entrambe le direzioni i Dori sian probabilmente stati preceduti da altri Greci. Tucidide (3) dove enumera le più potenti marinerie Greche anteriori alle guerre Persiane ci dice sorta per la prima quella di Corinto, e ben si intende come per cause ovvie così potesse avvenire. Altri più o men poderosi rappresentanti della marineria Dorica erano Corcira, Epidauro, Sicione, Argo e Megara. Mentre tutti questi staterelli si trovavano dalla loro stessa posizione geografica favoriti nella for- mazione e svolgimento della loro potenza marittima, lo Stato che per eecellenza si ricorda quando si parli di popolazioni Doriche, non si trovava a questo riguardo in condizioni favorevoli. In origine piccolo distretto della valle dell’Eurota, a non breve distanza dalle coste del golfo Laconico, in lotta continua per l’esistenza coi vicini staterelli (4) che le parti più recenti dell’epica Omerica ci lasciano ancor travedere in condizioni di indipendenza (5). Sparta anche quando giunse a toccare nella conquista le spiaggie tra il Tenaro ed il Malea, si trovò aperta la via della conquista più che al di là del mare, nel Peloponneso stesso. Sparta nel suo lento ma continuo aumento terri- toriale dovuto alla unificazione degli staterelli vicini, venne un tempo a trovarsi in contatto con altri Stati, specialmente colla Messenia, che stavano evolvendosi ed ampliandosi in un modo simile al suo, ed incominciò allora quel lungo, quasi inin- terrotto periodo di lotte coi Messeni, gli Arcadi, gli Argivi, gli Elei, che a mezzo il secolo sesto a. O. l'avevan resa signora di un terzo del Peloponneso, e sotto l’aspetto di alleanza le avevan data la supremazia su di più che un altro terzo. Come lo Stato Tessalico per il Settentrione, così la lega Spartana era la maggior potenza per il Sud della penisola Ellenica (6). Ma la signoria di Sparta su tutta la parte meri- (1) Tucip,, I, 13. (2) Non tengo conto della discussa ed anche per me assolutamente dubbia identificazione gogli Achei degli Aqaiwascha, che nella XX dinastia attaccarono per mare l’Egitto; mentre, ove tale iden- tificazione reggesse, e si ammettesse d’altra parte l’identità di Dori ed Achei omerici, della spedi- zione degli Aqaiwascha si dovrebbe tener conto anche probabilmente per la storia marittima dei popoli costieri della Laconia. Vedi: De Rouee, Mémoires sur les attaques dirigées contre l'Egypte par les peuples de la Méditerranée, “ Rev. Archéol. ,, 1867, pag. 167 sgg.; Cnanas, Etudes sur l’antiquité historique d'après les sources éqyptiennes, Paris, 1873; pag. 187-198; RawLixson, History of ancient Egypt, II (1881), pag. 330 sgg.; WiepemanN, Aelteste Beziehungen 2wischen Aegypten und Griechenland, Leipzig, 1883; e Gesch. Aegypt., I (1884), pag. 474 sgg.; Meyer, Gesch. des Alt., I, $ 260; e Storia del- l'antico Egitto, trad. ital., Milano, 1897, II, pag. 443; Beocn, Gr. Gesch., I, pag. 5 sgg.; Busotr, Gr. Gesch., 1°, pag. 124-126, ete. (3) 1,018: (4) Non posso qui fermarmi ad esporre le mie opinioni sulla unificazione della Laconia e sulla sua cronologia: nei casi dubbi parlerò quindi di Laconi, e non di Spartani. Sulla unificazione della Laconia, come su di molti altri quesiti, che pur essendo di importanza capitîle per la storia di Sparta, sono quasi secondari per il presente nostro studio, e quindi possono ora esser appena toc- cati di sfuggita, mi riprometto di trattare prossimamente in altri saggi: capitoli, come questo, di analisi preparatoria per una Storia di Sparta cui sto attendendo da tempo. (5) B 581-590. , (6) Su tutte queste questioni si veda l'importante opera del Busorr, Die Lakedaimonier und ihre Bundesgenossen, Leipzig, 1878. Poco utile riesce ormai la vecchia opera del Manso, Sparta, Leipzig, 1800 e sgg. 3 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 73 dionale del Peloponneso era il dominio di poche migliaia di uomini su di una popo- lazione assai più numerosa, basato sull’egemonia del più forte, e così se Sparta volle conservarsi in pari tempo e l’esistenza ed il possesso del territorio assoggettato, dovette organizzarsi come una vera nazione militarizzata, lasciare ogni ideale di vita comoda e varia, e trasformarsi in un perpetuo accampamento trincerato. Parve agli Spartani che questo fosse l’unico mezzo per poter dominare sugli iloti e sui perieci, e per mantenere la supremazia sul Peloponneso: ne derivarono la formazione di un poderoso esercito di opliti, in cui si esplicò quasi tutta la vita degli Spartiati, ed il loro allontanamento dall’agricultura, dall’industria e dal commercio, che si lascia- rono di preferenza alla attività dei soggetti. Quindi è che Sparta organizzata in tal modo fu sempre uno Stato di terraferma: suo campo naturale di conquista e di dominio il Peloponneso, sua forza precipua l’esercito degli opliti, sua risorsa finan- ziaria principale l’agricultura esercitata per mezzo della popolazione soggetta. Non poche erano le circostanze che si opponevano al sorgere di una valida marineria laconica, le une naturali, le altre dovute alle condizioni specifiche della costituzione spartana: la posizione stessa di Sparta lontana dal mare; la scarsità di porti e di cantieri sulle coste della Laconia (1); la coscienza che la salvezza del dominio spartano, sorto per conquista terrestre, consistesse nell'esercito di terra; l’opporsi ad ogni innovazione di quello spirito conservatore così caratteristico del popolo spartano e ch'era evidentemente sorto dalla consapevolezza delle condizioni precarie del suo dominio; l’insufficienza di popolazione spartiata per formar anche la flotta, unita d’altra parte al rifuggire dalle concessioni di cittadinanza, onde si doveva formare la flotta con elementi soggetti, sempre pericolosi per le possibili defezioni e ribel- lioni; l'impossibilità finanziaria per Sparta, che non disponeva di tributi (2), di co- struire e conservare numerose navi, e di mantenere forti contingenti mercenari, sicchè anche più tardi quel che la flotta spartana riuscì a compiere fu merito specialmente dell’oro persiano; il poter infine disporre per la difesa della lega delle floride mari- nerie degli alleati, specialmente della Corinzia, mentre per la difesa del territorio soggetto occorreva e bastava un forte esercito di terra. Adunque condizioni naturali, politiche ed economiche concorrevano a far sì che Sparta non si desse molta cura di una propria marineria laconica (3): onde nei tempi della sua maggior potenza navale, (1) Vedi Senor., E, IV, 8, 7. Altri porti della Laconia, oltre il Giteo di cui in seguito, erano: Messa (Pavus., III, 25,9: Méoca mois kai Muy), Achilleo e Psamato (Paus., III, 25, 4; [Scmnace], 46); Ciparissia (Stras., VIII, 363); “Ovouv yvd@og (Srras., ibid.); Minoa (Torem., III, 14, 32); Av Auòc Zwrfpos (Paus., III, 23, 10; Tor., idid.); Epidauro (Ster. Brz.; Torex., idid.); Zarace (Pavs., III, 24); Cifanta (Tovex., ibid.); Prasia ([Scil.], 46; Torem., idid.). (2) È ovvio e caratteristico il confronto del modo con cui procedettero gli Spartani, gli Ateniesi ed i Romani nel loro imperio. In origine i tre comuni corrispondenti a quei tre stati procedettero in pari modo, distruggendo di fatto o di diritto le città assoggettate; condizione che per molti motivi non poteva evidentemente permettere la formazione di un vasto imperio. Allora si ricorse ad un primo espediente: quello di lasciar sussistere gli altri comuni come stati più o meno indi pendenti: a questa condizione precaria, poichè i comuni cercavano di redimersi dalla metropoli e dalla dolorosa inferiorità in cui erano tenuti, si acquetò Sparta. In Atene si procedette ancora, e si ringagliardì l’unione mediante il complicato sistema dei tributi, e del concentramento della giu» risdizione nella metropoli; i Romani seppero trovare la soluzione che gli stati Greci invano avevano tentata, colla concessione di cittadinanza. (3) Cfr. Tuco; I, 120; Senor., EWen., VII, 1, 8. Serie II. Tox. LIX. 10 74 LUIGI PARETI 4 la flotta spartana fu formata per la massima parte dai contingenti degli alleati. Ma per altro non si deve negare l’esistenza di una vita marittima, per quanto esigua, nella Laconia. Tucidide nel luogo citato (1), mentre enumera le marinerie dei Corinzi, degli Ionî, dei Focesi, dei Samî, dei Corciresi, dei tiranni Siciliani, e poi ancora degli Ateniesi e degli Egineti, non accenna a quella degli Spartani. Ma non bisogna forse esagerare l’interpretazione del passo di Tucidide (2), deducendone che Sparta prima delle guerre Persiane non solo non aveva un’armata fornita del suo equipaggio e dei suoi capi, ma non aveva neppure un piccolo numero di navi a sua disposizione (8), perchè, a parte il fatto che Sparta poteva probabilmente valersi delle armate degli alleati, parecchie delle quali sono enumerate da Tucidide stesso, dallo storico non si può positivamente derivare nulla contro l’esistenza di una qualche piccola flotta Laco- nica: Tucidide infatti, oltre che tien conto essenzialmente delle flotte di triremi, e delle marinerie piuttosto numerose, mentre Sparta anche nei tempi posteriori non ebbe mai che poche navi proprie, dice: Airivfita1 yàp xaì ’A@nvaîo1, xaì oîtIvEG Nor Bpayxéa èkékTnvTo kai todtwy TÀ modà mevtncovtépous. È evidente che questo passo non esclude l’esistenza di una piccola flotta laconica: e non mancano d'altra parte del tutto accenni sparsi qua e là nelle fonti (4) che ci possano dare, per quanto inadeguata e frammentaria, una qualche idea della vita marittima Laco- nica prima delle guerre persiane (5). E innanzi tutto possiamo trovare qualche notizia nella tradizione sulla fonda- zione delle colonie (6). Lasciando la mitica fondazione da parte di Oreste di colonie laconiche nell’Eolide (7), o a Tenedo (8), o a Lesbo (9), come pure quella di Pen- (1) I, 13-14. (2) Già nell'antichità si giunse ad affermare l’esistenza di una legge spartana che proibiva di navigare: Pseun. PLum., Inst. Lac., 42: &meipnto dè’ aùtoîg vavtaig eivar kai vavpayeîv. Già L. WesER, Quaest. Laconic. capita duo, Gittingen, 1887, pag. 2, vide che non si tratta che di un autosche- diasma della fonte dello Pssupo PLurarco, e aggiungiamo che non si tratta che di una ersten erronea tratta da insufficiente conoscenza degli avvenimenti. (8) Cfr. ad es.: A. Sorari, Ricerche Spartane, Livorno, 1907, p. 4 (Indicherò sempre i saggi del SoLari su Sparta secondo questa riedizione). (4) Anche nel già citato passo dell'Iliade, B 581 sgg. sì rispecchia forse l’esistenza di una qualche vita marittima nelle città costiere della Laconia, ed è ae notare come vi sì facciano fornire navi anche le città interne, come Sparta, Amicle, Fari. (5) È interessante notare, rispetto alla vita marittima della Laconia, il culto dei Dioscuri, sulle cui attribuzioni marittime vedi specialmente: Inno Omerico XXXII (Dioscuri), v.7 sgg. Vedi: K. JasLE, Die Dioskuren als Retter zur See bei Griechen und Rimern, Diss., Tiilbingen, 1908. Per la Laconia: Prur., Lisandro, 12. 18; PoLemone in Schol. a Eur., Orest., 1637; Paus., III, 24, 5; 26, 2-3. Cfr.: Wine, Lakonische Kulte, Leipzig, 1893, pag. 304-325; Ber®ne, Dioskuren, in Paurr-Wissowa, Real-Ene., V, 1096-7. Per Sparta vedi: Ton e Wace, Cat. of the Sparta Museum, n. 7,8, 9, 10, 11, ipso 15 a, 27, 201, 202, 203, 254, 291, 319, 356, 447,.490, 511, 544, 575, 581, 588, 613, 665, 674. (6) Sulle colonie spartane in genere si veda oltre la vecchissima opera del CragIus, Libri tres de republ. Laced., Heidelberg, 1593, pag. 124 sgg.; M@LLER, Die Dorier®, Breslau, 1844, I, pag. 123-426; Janner, Les institutions sociales et le droit civil à Sparte, Paris, 1880, pag. 115 sgg.; Manso, o. c., passim; oltre naturalmente le storie greche del Grore, Currivs, Horx, BeLoca, Busorr, e la Gesch. des Alt. del Meyer, passim. (7) Strasone, XII, 582 b-c; IX, 402; XIII, 621. (8) Pinparo, Nemee, XI, 34. (9) Ercas., fr. 114= 7. H. Gr., I, 60 (vedi Tzerze, a [Licorrone], v. 1374; Schol. Prup. Nem., XI, 43, e F. H. Gr., IV, 632 sgg.). 5 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 75 tilo nell’Eolide e di Gras a Lesbo (1), noi vediamo che Erodoto (2) e Tucidide (3) dicono Melo colonia dei Lacedemoni. Lo scoliasta di Demostene (4) dice che Cirene fu colonia dei Lacedemoni, probabilmente perchè tale riteneva Tera che l’aveva dedotta (5), e l'origine laconica di Tera (6) pare comprovata dall’esistenza di efori in Tera stessa (7) ed a Cirene (8). Quanto a Taranto, fondata probabilmente in sul finire dell'VIII secolo, una delle conferme più evidenti della sua origine Laconica, consiste in ciò che anche ad Eraclea, colonia tarentina, dedotta circa il 433 a. C., compaiono degli efori (9). Lasciando in disparte altre meno sicure notizie di colonizzazioni Laconiche (10), come pure una richiesta di alleanza da parte dei Locresi Epizefiri a Sparta nel corso del VII sec. (11), che potrebbe sottintendere la possibilità da parte di Sparta di inviare aiuti per mare, passato il periodo in cui Sparta con maggior tenacia attese alla conquista del Peloponneso, a mezzo il secolo VI a. C. vediamo aprirsi una nuova via per lo sviluppo della vita marittima di Sparta. Fu allora appunto, poco dopo la metà del secolo VI, che Sparta si rese alleate delle forti potenze marittime. Corinto, dominata da Periandro, ancora non aveva aderito alla lega Peloponnesiaca, ma quando Psammetico, suo nipote, successogli nella tirannide, cadeva trucidato non senza che vi avessero probabilmente parte gli Spartani, Corinto entrò nella lega Peloponnesiaca, all'incirca il 540 a. C. (12). (1) Pavs., III, 2, 1 (cfr.: II, 18, 6); Busotr, Gr. Gesch., I°, 273. (2) VIII, 48. (3) V, 84. Quanto alla cronologia di questa colonizzazione, Tucinine, V, 112 fa dire nel 416 da Euvedpor dei Melii, che i Melii abitavano la loro patria da 700 anni. Veniamo così al 1116, ossia non lungi dall'epoca che fissavasi dagli antichi per la immigrazione Dorica: BusoLr, o. c., 1°, 261. 352. Si cfr.: Conone, Narr., 36; de mul. virt., 246. (4) XX, 469, 16. (5) Nel 630 circa a. C. Vedi: BrLoca, Gr. Gesch., I, 198n.; Busorr, Gr. Gesch., I°, pagg. 479 sgg. (specialmente pag. 482, n. 3). Euses., 07., 37, 2; Trorrasto, St. delle piante, VI, 3,3; Eroporo, IV, 159. (6) Pavs., III, 1,7; 15,6; VII, 2,2; Eron., IV, 147-150; Srras., VIII, 347b; Pinparo, Pit., IV, 257; Aprort. Roprio, IV, 1760-4. Di Cnido, Eroporo, I, 174, dice: ... Aakedauoviwyv dota Kvidior. Invece Strasone, XIV, 653, parla della colonizzazione di Cnido insieme con quella di Rodi e.di Cos, dicen- done Argoliei i coloni (efr. Diop., V, 53). Il BecareL in: Corrirz, Gr. Dial.-Inschr., II, pag. 221, seguito dal, Busorr, Gr. Gesch., I°, 361, n. 1, adducendo Eronoro, I, 82, credono probabile che si tratti di coloni di quelle coste del Peloponneso che, prima Argoliche, divennero più tardi Laconiche. (7) C. I. Gr., 2448= Caurr*, 148; Srupniczza, Kyrene, Leipzig, 1890, pag. 53 sgg.; BusoLr, Gr. Gesch., I°, 353. Sugli Egidi a Tera: Pinparo, Pit., V, 72. (8) Eract., De reb. publ. (Cyren.), IV, 5= F. H. Gr., Il, pag. 212. Su di queste notizie in genere vedi Nrccorini, I re e gli efori a Sparta, © Riv. st. ant. ,, 1901, pag. 532 sgg. (9) £ Gr. Sic. et I. (= I. G., XIV), 645. Sulla fondazione di Eraclea : Diop., XII, 36, 4. Quanto mai discussa è la provenienza dei colonizzatori di Taranto, e la eronologia della fondazione. Non posso qui fermarmi ad esaminare le tradizioni discordanti che Strasone, VI, 279 attinge da Antioco e da Eforo. Dirò soltanto che i tentativi che si fecero per dimostrare che i fondatori di Taranto non sono Laconi non mi paiono troppo riusciti. Quanto alla cronologia, se anche non si può fissare con sicu- rezza l'anno come fecero i cronografi antichi, pare si debba ritener fondata in sul finire del sec. VII. Ma di ciò altrove. (10) Ad es. Crotone: vedi Pars, St. della Sicilia, I, pag. 195. (11) Drop., VIII, 32; Giusr., XX, 2, 11; Pass, o. e., p. 204. (12) Sulla questione cronologica vedi: De SancrIs, "At@is, Roma, 1898, pag. 283 sgg. La data di Periandro si deve abbassare dalla tradizionale, per porla in relazione con quanto ci dice Eropoto sulla sua mediazione tra Pisistrato e Mitilene. 76 LUIGI PARETI 6 Forse prima ancora di Corinto, benchè ne manchino le prove sicure, era entrata nella lega l'isola di Egina, padrona di una marineria assai forte. In seguito altre potenze di mare come Epidauro, Sicione, Megara, si unirono a Sparta (1). Lo Stato Spartano, riunita intorno a sè la potente lega peloponnesiaca, non solo veniva a tro- varsi a contatto con valenti popolazioni marinare, ma diventandone come il centro, doveva incominciare ad occuparsi meno di sfuggita di cose navali. Di mano in mano che la direzione delle forze della lega veniva concentrandosi nelle mani degli Spar- tiati, questi stessi dovevano per la forza delle cose venir gradatamente ad occuparsi della organizzazione e della direzione delle forze navali degli alleati, per. valersene come difesa della lega. Si può adunque pensare ad un doppio moto evolutivo: alla formazione cioè dall'una parte di una flotta spartana ad imitazione di quella degli altri alleati, organizzando le disperse forze navali delle coste Laconiche e della Mes- senia (2); alla tendenza dall’altra ad assumere, come per le spedizioni di terra, così pure per quelle di mare, la direzione dei contingenti alleati. Ma mentre negli eserciti di terra gli Spartani erano forti di un poderoso numero di opliti, e di una gloriosa tradizione di vittorie, nella flotta invece non potevano reggere il confronto coi propri alleati nè per potenza, nè per tradizione. La potenza marittima spartana fu da quando incominciò a fiorire fino a quando declinò fondata soprattutto sui contingenti degli alleati, il che non toglie che fin dai primi tempi della lega Peloponnesiaca gli Spar- tani tendessero ad ottenere la direzione della potenza marittima della lega ed a fornire anche un loro proprio contingente. E così gli Spartani si volsero al mare per le nuove esigenze in cui si trovarono dopo la formazione della lega Peloponnesiaca, quasi negli stessi tempi in cui, per opera di Pisistrato e dei suoi successori, sorgeva ben più valido e complesso l'ordinamento marittimo Ateniese. Dell’interesse nuovo che Sparta venne allora mostrando per le cose di mare qualche notizia dispersa e frammentaria ci è conservata dalle nostre fonti. E così quando Creso stava per intraprendere contro Ciro quella guerra (3) che finì colla caduta del regno di Lidia, chiese anche l’aiuto“di Sparta (4), il che può presupporre la disponibilità da parte dello Stato Spartano delle navi necessarie per il passaggio in Asia. Erodoto stesso dice (5) che la spedizione navale fu apparecchiata, ma che non fu fatta perchè giunse prima la notizia della caduta di Creso. E quando poi più tardi i messaggeri degli Ioni e degli Eoli vennero a chieder aiuti a Sparta (6), fu loro (1) Su tutto ciò vedi Busorr, Die Lak. und ihre Bundesg., passim. (2) Sulla vita marittima in Messenia vedi ad es.: Paus., IV, 23, 1. Ci vien detto che gli Spartani trattavan meglio i Messeni della costa che gli altri, forse perchè più utili: Paus., IV, 24,4. 35, 1. WeseR, 0. c., p. 38 sgg. Porti nella Messenia erano Kurdpiogog ([Scil.], 45); Pilo (Tucro., IV, 3.8.9 ete.; Srras., VIII, 359; Paus., IV, 36, 6); Mo@wwn (Paus., IV, 35, 1); ®owxodg (Paus., IV, 34, 12); Av ’Axaubv [Corone] (Paus., IV, 34, 6). (3) Sulla questione cronologica vedi: Biiprscrr, Krdsus' Sturz, * Sitzangsber. der phil. hist. KI. der Wiener Ak.,, 1878, Bd. 92, p. 197 sgg.; Bauer, Pie Kyrossage und Verwandtes, “ Ber. der Wiener Akad. ,, 1882, pag. 480 sgg.; e “ Jahrb. f. kl. Phil. , Supplbd., X, pag. 335 sgg.; Scuusenr, Gesch. der ae von Lydien, 1884, pag. 109; BeLoca, Gr. Gesch., I, 296, n. 1; Busonr, Gr. Gesch., IN°, p. 391, n. 2; 458, n. 1; 501, n. 2; e Die Laked., ete., 268. (4) Erop., I, 69-77. (5) Eron., I, 88. (6) Eron., I, 152; BusoLr, Die Laked., pag. 272. w m RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 77 rifiutato, ma furon inviati degli esploratori con una nave a cinquanta remi. Notizie alquanto più diffuse abbiamo per la spedizione di Samo del 524 circa a. C., che Erodoto dice esser stata la prima degli Spartani in Asia (1). Policrate, quando Cam- bise si preparò per passare in Egitto, ruppe anch'egli l'amicizia colla corte Egiziana, e fornì al re di Persia quaranta navi in cui fece imbarcare i cittadini sospetti di Samo, sperando di liberarsene. Costoro, invece di andar in Egitto (se delle varie tra- dizioni che Erodoto ci riferisce seguiamo quella che pare più attendibile), tornarono a Samo contro il tiranno, ma ne furono vinti; onde si rivolsero a Sparta ed a Corinto per aiuti. Sparta, contraria per regola ai tiranni, e mossa inoltre da speciali motivi di lagno contro Policrate, accettò, e così pure Corinto. Erodoto (2) dice: guvereMdpovto dè TOÙ OoTpatevuatog TOÙ èmri Zduov Wore revéodar kai Kopiv@io: mpo- Buuws (3). Inoltre descrivendoci la spedizione che ebbe esito sfortunato parla solo di Lacedemoni che sarebbero andati a Samo otéiw perdAMw. Da tutto ciò può parer che derivi che in questa spedizione toccò a Sparta anche la direzione degli alleati Corinzi, che mandarono il loro contingente unito col Laconico. Erodoto aggiunge: TOÙTNV MPWTNV OTPATYV Èg tiv “Aginv Aakedapdvior Awpiéeg éTomgavto, e ciò perchè la precedente in favore di Creso, come vedemmo, non aveva avuto luogo. Un capo di tal spedizione bisogna pur supporre che vi sia stato, ma non ne sappiamo nulla. Ove si voglia ammettere la nostra ipotesi sulla navarchia spartana, che si tratti cioè, come verrem precisando in seguito, di una istituzione non sorta a un tratto, ma lentamente svoltasi da più modeste e remote origini, con successive sovrappo- sizioni e limitazioni, in quell’anonimo che guidò la squadra di Samo potremo forse vedere un predecessore dei navarchi dei tempi seguenti, e così verremo a fissare uno dei pochi stadi dell’evoluzione della navarchia, che la tradizione monca ci per- metta di osservare prima delle guerre contro il Medo. Continuando nella nostra ricerca ci incontriamo nelle spedizioni per mare, d’indole privata, di Dorieo (4). Ci vien raccontato che il re Anassandrida non avendo figli da una prima moglie, fu obbligato dagli efori a sceglierne una seconda da cui nacque Cleomene. Ma poco dopo dalla prima moglie ebbe l’un dopo l’altro Dorieo, Leonida e Cleombroto. Alla morte di Anassandrida, Dorieo, primo figlio della prima moglie, sperava di succedere al trono, ma fu invece nominato Cleomene, perchè nato prima di lui, sebbene dalla seconda moglie. Adirato, presi con sè alcuni Spartiati, lasciò Sparta ed imbarcatosi si diresse verso la Libia, dove fondò una colonia, che però tre anni dopo veniva distrutta da Libi e Cartaginesi. Tornato in Laconia, e risalito poi un’altra volta sulle navi, andò in Sicilia, dove ripetendo il fallito tentativo di Pentatlo cercò di fondare una colonia sul monte Erice, ma assalito da Elimi e Car- taginesi fu sconfitto ed ucciso, mentre i compagni riusciti a salvarsi occuparono Minoa (5). — Circa l’epoca stessa probabilmente che Dorieo si dirigeva verso l’Italia, (DIILER5.. (2) III, 48. (3) Cfr. PLur., mepì ‘Hpoò. xax., 22; Busorr, Die Laked., pag. 278 sgg. (4) Fonte principale su di lui è Eroporo, V, 41-47, da cui deriva Paus., III, 3, 9-10. Qualche . notizia si può anche trarre da Droporo, IV, 23, probabilmente derivato da Timeo. (5) Discussa è la cronologia; i punti di partenza per il computo sono: che Cleonimo era già re nel 519 [quando i Plateesi (Erop., VI, 108: Tucin., III, 55) si rivolsero a lui per alleanza, prima di 78 LUIGI PARETI 8 ci viene narrata un’altra piccola spedizione per mare degli Spartani. Gli Alemeonidi Ateniesi capitanati da Clistene per rovesciare i Pisistratidi ricorsero a Sparta. Non fu facile convincere a ciò gli Spartani, poichè non v’era motivo di intervento, avendo i Pisistratidi conservata con cura la neutralità melle cose Peloponnesiache. Alla fine i continui incitamenti dell'oracolo Delfico, dei Megaresi e degli Egineti gelosi della potenza marittima Ateniese, di Corinto stessa dominata allora dagli oligarchi, con- vinsero gli Spartani a porgere aiuto agli Alemeonidi, per stabilire anche in Atene, come già in Corinto ed in Megara, l’oligarchia. Nel 511 o 510 gli Spartani mandarono al Falero un piccolo esercito condotto da Anchimolo (1). Ma la città non si sollevò contro Ippia, ed i Lacedemoni sbarcati in parte furono uccisi, in parte fugati dalla cavalleria Tessala fino alle navi; Anchi- molo stesso morì. Erodoto conclude tale narrazione dicendo: ò puèv dî) mpùòTog oTONOg éx Aaxedaiuovog oitw ammMaze. Sparta trovatasi impegnata mandò allora lo stesso re Cleomene otpammyòv T‘g OTpaTIfg..... OÙKÉTI Kata Odiaoggav oTeINavTEg dNla kart” fjmerpov (2). — Se noi esaminiamo le imprese di Cleomene vediamo che più volte si valse della flotta della lega: due volte contro Egina, prima (3) per impadronirsi di coloro che avevano dato terra ed acqua agli araldi di Dario (cosa dubbia però perchè continuarono a far parte della lega); poi (4), dopo di essersi liberato del- l’altro re Demarato, per prendere ostaggi che furono condotti ad Atene; ed una volta nella guerra contro Argo (5) condusse per mare l’esercito da Tirea a Nauplia con navi delle alleate Sicione ed Egina, il che fruttò a queste due città le persecuzioni di Argo (6). — Durante quest’ultima guerra tra Sparta ed Argo, giungeva circa il 499 dall'Asia Minore Aristagora per chieder aiuti a Sparta e ad Atene: anche qui, se Sparta avesse accettato, si sarebbe trattato di una spedizione per mare, ma Sparta non accettò, secondo quel che dice Erodoto (7), per la lunghezza dell'impresa da iniziare; secondo quel che pare più verisimile, per il fatto ch'era impigliata nella guerra con Argo. Un quesito assai importante da studiare è como mai il potere marittimo spar- tano abbia potuto ingrandirsi in modo che toccasse a Sparta anche la direzione della guerra marittima contro il Medo. Pare assai probabile che ciò per un lato sia stret- tamente connesso colla decadenza della marineria Ateniese dopo la caduta dei Pisi- concluderla con Atene, 93 anni prima della distruZione del 427 (Tuc., III, 68, 5). Cfr. Currivs, I°, p. 384. 678; Berocr, I, 340; Meyer, II, 780; De Sancris, "At@ic, 295] sicchè Anassandrida morì prima di tale epoea; i tre anni della colonia in Libi&; gli aiuti ch'egli avrebbe dato a Crotone contro Sibari circa il 510. Si suole collocare le peregrinazioni di Dorieo tra il 515 e il 510 circa a. C. N Niese invece in PauLy-Wissowa, R.-Enc., ad verb., e nell'articolo: Herodot-Studien, Hermes, 1907, pag. 419 sg.: Nacktraglisches zur Geschichte des Dorieus, pag. 450 sgg., crede leggendario il motivo della partenza da Sparta, e il racconto degli aiuti a Crotone, e pone la spedizione di Dorieo in Sicilia circa il 500 a. C. (1) Erop., V, 63; Arrsr., "AQ. mro)., 19, 5; Schol. ad Arisror., Lisistr., 1158. Busorr, Die Laked., pag. 300 sgg. (2) V, 64. (3) Erop., VI, 49. (4) Erop., VI, 73. (5) Eron., VI, 76. (6) Eron., VI, 92. (7) V, 49 sgg. Busotz, Die Laked., 324 Sgg. 9 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 79 stratidi. Gli Alemeonidi ‘anche per non favorire i proletari tra cui si traevano i rematori, trascurarono l’armata navale, mentre invece promossero lo sviluppo del- l’esercito di terra (1). Non è qui il luogo di parlare del danno che derivò dal non aver potuto Atene aiutare validamente la Ionia contro i Persiani. Effetto per reazione della politica anti-marittima degli Alemeonidi fu il sorgere nel 497 circa di un forte partito avversario condotto da Ipparco e da Milziade, e col 493 specialmente da Temistocle: questo nuovo partito tornava alla politica marinaresca dei tiranni. T'emi- stocle si occupò della sostituzione del Falero, insufficiente ed esposto a tutti i venti, con il Pireo. Ma la formazione di una valida marineria richiedeva grandi sacrifizi pecuniari, il partito di Temistocle dovette superare gran numero di difficoltà, e solo nel decennio successivo conseguiva il suo scopo. Si veda ad esempio quanto possa aver contribuito alla caduta di Milziade a Paro la triste condizione della mari- neria Ateniese. Un altro colpo poi ricevette lo sviluppo della flotta Ateniese dalla guerra con Egina, cominciata, a quanto pare, all’incirca col 488, dopo la morte di Cleomene, benchè Erodoto ne parli prima di Maratona. Fu allora che incominciò la vera reazione contro gli Alemeonidi, ma Aristide resistette contro le tendenze mari- naresche di Temistocle fino al 483/2 in cui passò il decreto secondo cui si dovevan costruire cento triremi: poco dopo (482) Aristide fu ostracizzato. Fu questo che determinò la vittoria di Salamina, poichè l’armata fu costrutta prima della venuta di Serse. Ma intanto il decadimento della marineria Ateniese, durato quasi un ven- tennio, spiega in parte come durante le guerre persiane la direzione della flotta greca potesse toccare ai capi della lega marittima spartana, ossia ai navarchi, su cui si rifletteva anche la potenza che la lega peloponnesiaca aveva in terraferma. Ero- doto (2) ci parla della richiesta da parte dei Greci di aiuti a Gelone. Questi avrebbe risposto di fornirne a patto di aver il comando di terra o di mare. L’ambasciatore degli Ateniesi rispondendo a questa seconda proposta avrebbe detto (3): oùò’ fv è NAdkwyv tif) Tor dpyerv aùtfig (= vautikfjg) Nueîg étmoounv: Muerépn ydp on aùtn Ye un aùutòv Boviouévwy Aakedauoviwv* TOoÙTOIOI uèv wWwyv iréecdai BovNouévoiroi où. divtiTEIVOMEv, dA)w TE Taprnoouev oùUdevi vavapyéerv. Assai dubbio è il valore storico di siffatte cose, tanto più che probabilmente è errato il motivo stesso per cui Gelone avrebbe negato aiuto (4), ma la frase che riferimmo pur non essendo che un’indu- zione pare ritragga abbastanza bene le condizioni di Sparta ed Atene in quel momento. (1) Si arrivò al punto, nella guerra contro Egina, di dover prendere in prestito venti navi dai Corinzi: Erop., VI, 89; Tucm., I, 41. (2) VII, 157 sgg. (3) VII, 161. (4) Probabilmente non si trattava d'altro che di ciò, che non vi aveva interesse, e che anzi poteva riuscirgli pericoloso se Jerone si fosse sollevato, o i Cartaginesi avessero riprese le ostilità. Che la battaglia di Imera cada ancora nell’anno 481/80, si può forse dedurre oltre che da molti altri dati (v. Busorr, II’, 791 n.) anche dalle notizie che abbiamo sulla cronologia di BaccarLine: infatti. le date che abbiamo per lui non paiono altro che quelle degli avvenimenti storici più importanti avvenuti durante la sua vita: come EuseBro, dicendo che BaccHiLIipE fkuoZev nell’O1. 78.2 (= 467/6) e éyvwpiZeto nell’Ol. 87.2 (= 431/0), si riferisce alla morte di Jerone e al principio della guerra Peloponnesiaca; così il Chronicon Paschale dicendo che Bacchilide ikuaZev nell’Ol. 74 (484/3-481/0) sì riferisce probabilmente alla battaglia di Imera, la quale nella fonte originaria della notizia poteva forse ancora venir considerata dell’Ol. 74, ossia anteriore alla seconda metà del 480. 80 LUIGI PARETI i 10 Erodoto ritorna ancora (1) su tale argomento, e ci informa che prima di ricorrere a Gelone si era parlato di dar il generalato agli Ateniesi, ma che i collegati si opposero, e che Atene per la salvezza della Grecia si acquetò al comando degli Spartani. Si può adunque in conclusione credere che il comando toccò agli Spartani specialmente per effetto della precedente decadenza della marineria Ateniese di fronte alla Peloponnesiaca di cui gli Spartani erano a capo, e su cui si rifletteva il pre- stigio della potenza terrestre della lega stessa; e per la rivalità delle potenze marit- time alleate contro la risorgente marineria Ateniese (2). I LE, Origine della navarchia spartana. Quanto dicemmo sulla marineria spartana prima delle guerre Persiane ci può adunque lasciar credere che la potenza marittima spartana sia sorta per lenta evoluzione specialmente per due fattori: dall'una parte le navi delle città costiere soggette direttamente a Sparta, che vennero man mano organizzandosi sì da fornire un contingente, naturalmente col suo capo, per la flotta della lega; dall'altra la potenza marittima di parecchi degli Stati formanti la lega peloponnesiaca, che doveva spingere la metropoli della lega stessa a stringere insieme a difesa comune le loro flotte, ed a fornire quindi come per l’esercito di terra il comandante. Così sorse, secondo noi, la magistratura (3) dei navarchi: cioè probabilmente di quei tali capi della flotta specificamente spartana, che ove si riunissero i contingenti degli alleati avevano il comando di tutta la potenza marittima della lega peloponnesiaca. Si ritiene (1) Vedi i primi paragrafi del libro VII (2) Eron., VIII, 2; Prur., Temist., 7; BusoLr, Die Laked., pag. 395. Molta luce verrebbe in4nutto ciò ove si ammettesse che Atene dopo la cacciata dei Pisistratidi sia entrata nella lega Pelopon- nesiaca, sul qual quesito non crediamo opportuno per or fermarci. (3) Si vedano per la navarchia spartana le seguenti opere: Manso, Sparta, Lipsia, 1800 sgg., II, 336. 381. 382: Gasaret, De magistr. Laced., Berlino, 1845, pag. 85 sgg.; Weser, De Gytheo et Laced. rebus navalibus, Heidelberg, 1833; Wesrermann, Navupyoc, in Paury, R.-Enc., V (1848), p. 424; Grore, History of Greece, passim; Curtius, Griech. Gesch.*, Berlin, Il (1888), p. 879, n. 201; III (1889), p. 120, e passim; Dum, Entstehung und Entwicklung des Spartanischen Ephorat, Innsbruck, 1878, pag. 153 sgg.; Ho, Gr. Gesch., passim; BeLoca, Die Nauarchie in Sparta, “ Rh. Mus. ,, 34, pag. 117 sgg.; e Zur Chrono- logie der letzten Jahre des peloponn. Krieges, “ Philol. ,, 43, pag. 201 sgg.; Gr. Gesch., I. II, passim; Juperca, Kleinasiatische Studien, 1892, pag. 107-112; BusoLr, Griech. Gesch., passim, e specialmente: III, 2, 1429 sg.; e Staats- und Rechtsalt? in Mirrer, Handbuch, IV, 1, 1, pag. 112; Meyer, Gesch. des Alt., IV, $ 705n. $ 725 ni e passim; Grusert, Handbuch der griech. Staatsalt®, Lipsia, 1893, I, pag. 51. 66; Frerscnanperi, Die Spartanische Verfassung bei Xenophon, Leipzig, 1888, pag. 57 sgg.; Boerner, De rebus a Graecis inde ab anno 410 usq®te ad annum 403 gestis quaest. histor., Gòttingen, 1894: Scuoemann-Lapsros, Griech. Alt., Berlin, 1897, I, p. 258, 294; Sorari, La navarchia a Sparta ; Osservazioni sulla potenza marittima degli Spartani; Ancora sulla navarchia a Sparta in Ricerche Spartane, Livorno, 1907, pag. 1 sgg., 231 sgg., 297 sgg.; A. Martin, Navarchus in DanemBERG-SAGLIO, Dict. des ant. grecq. et rom.; Niccorini, I re e gli efori a Sparta, “ Riv. st. ant. ,, 1902, pag. 281 sgg.; Browxsown, The succession of Spartan Nauarchs in Hellenica I, “ Trans. of the Am. Phil. Ass. ,, XXXIV (1903), pag. 33-40; Lonse, Quaestiones chronologicae ad Xenophontis Hellenica pertinentes, Lipsia, 1905. r ll RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI SI invece da molti (1) che la navarchia sia sorta con Euribiade, fu anzi sostenuto (2) che, poichè Tucidide non dà il nome di navarco a Pausania, non si può neppur parlare veramente di navarchi con Euribiade, ma solo col 430 a. C., ossia con Cnemo. Quanto al credere che la navarchia sia sorta di colpo col 480, si può forse obiettare che vedemmo dianzi traccie di anteriori spedizioni navali guidate dagli Spartani: che dal giorno che si ebbe un contingente di navi spartane unito agli alleati, con un capo spartano, si ha di fatto, se non di nome, la navarchia. Quel ch'è certo è che Erodoto ci parla di navarchi durante le guerre Persiane: il caso di Pausania in Tucidide, se pure non è casuale, potrebbe dipendere da ciò che Tucidide considerava la navarchia dei tempi delle guerre Persiane non in tutto corrispondente a quella della guerra del Peloponneso, ma più probabilmente dipende dal fatto, che accerteremo meglio in seguito, che Tucidide non considerava come navarco un re. Il nome stesso di navarco è assai generico, e può bene esser sorto assai presto (3). Il fatto che le nostre fonti, assai brevi d'altronde ed imprecise sulle prime imprese marittime spartane, non ci fanno parola di navarchi prima di Euribiade, proverebbe, se pur prova qualcosa, più a favore di chi sostenesse che colle guerre Persiane sorse quel nome, per quella carica preesistente, di quanto a favore di chi credesse che solo allora sorse la carica e la flotta stessa. Un'altra opinione dominante è che in origine la navarchia fosse connessa coi re e le famiglie regie. Base di ciò è il fatto che Erodoto, parlando di Euribiade (4), lo dice dvp Zraptmmng, où uevtor yéveég fe TOÙ Baor\niou éwv, e che dopo di lui fu navarco Leotichide, e poi Pausania, cugino e tutore del re Plistarco. Ma intanto è da notare che se la navarchia fosse sorta solo nel 480, e fosse spettata ai re, sarebbe assai strano che proprio nel primo anno si facesse una eccezione alla regola, eleg- gendo Euribiade che non solo non era re, ma che non era neppure delle famiglie reali, di cui pure non mancavano, come vedremo, parecchi. Inoltre al passo di Ero- doto bisogna avvicinarne un altro dello stesso storico (5) in cui ci dice che nello stesso anno fu eletto alla difesa del passo di Tempe Eveneto di Careno, scelto tra i polemarchi, yéveog pévtor éùy où ToÒ Baci)niov. Cerchiamo di delineare in parte in via d’induzione, in parte deducendo dalle poche notizie tramandateci, la probabile via seguìta dalla navarchia nel suo sviluppo. Quando adunque Sparta, riunendo i con- tingenti navali degli alleati, diede ad essi un capo, questo capo fu probabilmente quello stesso che guidava il contingente spartano. Quindi è che un primo stadio nella storia dei navarchi sarebbe quello in cui essi avevano il solo comando della piccola flotta laconica: un secondo quello in cui ottennero il comando dell'intera flotta alleata, ove si radunasse. Questa doppia attribuzione, crediamo, restò sempre ai navarchi. Si trattava adunque di una istituzione nuova sorta sin dalle origini (1) Il SorarI, ad es., 0. c., pag. 3, dice che della navarchia possiamo sapere con certezza le ori- gini, e poco dopo a pag. 4, che prima del 480 la marina spartana non era costituita ed ordinata come nel tempo posteriore, senza comandanti fissi e senza armata permanente. (2) Niccormni, o. c., pagg. 284. 286, n. 6. (3) Esicrnro, è TÒW ve@v dipxwv. — Secondo Esicazo, collo stesso significato si dice anche oToXdpyns. (4) VIII, 42. (5) VII, 173. Serie II. Tom. LIX. 11 82 LUIGI PARETI È 12 indipendentemente dalle attribuzioni regie; lungo tempo era vissuta la diarchia spar- tana senza occuparsi di cose marittime: la nuova magistratura sorta per supplire ad un nuovo bisogno che prima non esisteva, non cadeva tra le prerogative regie : anzi doveva. come molte altre magistrature sorte in condizioni analoghe, tendere ad avere una vita a sè, indipendentemente dalle cariche e magistrature preesistenti (1). Il che non significa punto che i re fossero esclusi dalle spedizioni di mare: si dovette probabilmente avere dapprima un periodo in cui i re potevano avere anche il comando di mare (il che non implica che fossero navarchi) (2), ma poi coll’aumento di importanza della carica, si dovevano naturalmente delineare due tendenze opposte’: dall’una parte i re avranno cercato, specialmente nei casi di maggior importanza, di rinnire in sè il vecchio comando di terra, che loro spettava, col nuovo di mare; dal- l’altra parte il partito anti-regio avrà cercato di rendere quanto più era possibile indipendente dalla diarchia la nuova carica. Della lotta tra le due tendenze ci resta ancora qualche documento. Le lotte tra Demarato e Cleomene diedero origine (3), ad una legge, secondo cui non potevano andare in spedizione contemporaneamente due re; questa legge doveva anche aver tra le sue conseguenze una limitazione al comando di mare da parte dei re ove la flotta e l’esercito non sì proponessero lo stesso scopo. Così quando si ha Leonida per terra, si deve avere Euribiade per mare; quando Leotichide comanda la flotta (4), l’esercito di terra è diretto da Pausania; quando quest’ultimo ottiene il comando, non si combatte contemporaneamente per terra. Altre leggi dovevano limitare ancora l’eleggibilità a navarco; una di esse par esistesse già prima delle guerre persiane, quella della annualità : un’altra ci è ricor- data all'anno 405 (5), quella che impedisce la rielezione a navarco, ma a quanto pare nulla vieta che esistesse già prima delle guerre persiane, e così si spiegherebbe bene come Diodoro relativamente al 405 la dica matpiov Èé80g (6); meno bene ove si ammetta che sia sorta nel periodo tra il 477 e il 430 a. C. (7). Contro gli espe- dienti che concorrevano ad impedire ai re di tenere il comando per mare, una via di salvezza per essi era di cercare di far cadere, come pei comandanti straordinari di terra, così pure pei navarchi, l'elezione su qualche membro della famiglia regia. Il 480 segna forse una vittoria del partito contrario, coll’elezione per terra di Evenéeto, (1) Per questo non accetto la dimostrazione tentata dal Sorart, ‘0. c., pag. 6, che in origine la navarchia era di spettanza regia: anche se si ammette che verso il tempo delle guerre Persiane il potere militare non era ancor stato usurpato dagli efori ai re, non ne deriva nulla; poichè ciò ha attinenza non col potere marittimo, ma col terrestre. (2) Cfr. l'esame precedente sui primi cenni ad una marineria laconica: nella spedizione di Samo contro Policrate, pare che il comando toccasse ad un privato, e tale fu pure Anchimolo. — D'altra parte vediamo il re Cleomene valersi di navi. Sicchè troviamo a capo della flotta, sì dei privati, e sì dei re: d'altronde è bene notare che nel caso di Cleomene più che di spedizioni marittime, si tratta del trasporto dell'esercito di terra in paese nemico o straniero. (3) Erop., V, 75; VI, 64. (4) Eroporo, VIII, 131, dice Leotichide otpatnièé kai vavapyxoc. Il BoeRNER, 0. c., p. 9n. crede che la stessa legge che impediva di aver due volte la navarchia, identificabile secondo lui col mepì toùg vavépyovc véuw di cui dice ArrsroreLe, Polit., II, 6, 22, impedisse anche ai re di essere navarchi. Nulla prova che ciò sia vero, ma che i re non sian mai stati navarchi vedremo meglio in seguito. (5) Senor., £2., II, 1, 7; Prur., Lisandro, 7; Droporo, XIII, 100. (6) Droporo, XIII, 100, 8. (7) Nicconini, 0. c., pag. 285, n. 6. 13 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 83 per mare di Euribiade, entrambi non delle famiglie regie (1). Secondo quel che ci lascia intendere Erodoto, Euribiade par nominato dal popolo in opposizione alla tendenza regia. Nell'anno seguente giunge ad ottenere il comando lo stesso re Leotichide, e poi ancora Pausania della famiglia reale : si tratta adunque di sopravvento del par- tito regio. E ben si spiega come in quegli anni i re cercassero di aver nelle mani il potere ‘marittimo. Il re normalmente, oltre che meno diritto, doveva anche aver minor desiderio di comandare la flotta piuttosto che l’esercito per il fatto che come capo della flotta non veniva ad essere duce di un contingente moMmikxég di Spartiati, ma solo di soggetti e mercenari. Ma si capisce come durante le guerre Persiane avessero il comando della flotta un re, ed un reggente: si otteneva in tal modo un maggior prestigio di fronte agli alleati; ed inoltre bisogna notare che in quegli anni il comando di mare aveva una speciale importanza, poichè si trattava non solo del contingente laconico, non solo della flotta della lega Peloponnesiaca, ma di quella di tutta la Grecia; se a tutto ciò si aggiunga che Euribiade, a quanto appare dalle nostre fonti, non pare che tenesse molto alto l'onore della flotta spartana, si intende come il partito monarchico prendesse il sopravvento, affermandosi prima col comando di Leotichide, poi con quello di Pausania. L’opposto invece succedette dopo Pausania per le male prove da lui fatte, e per il sorgere potente in tutta la Grecia di quel forte moto democratico che tenne dietro alle guerre Persiane. II. Composizione della flotta spartana nei suoi tempi classici. Per il V, e parte del IV secolo avanti C., abbiamo notizie abbastanza estese sulla flotta spartana, che ci permettono di esaminarne in parte la composizione. Prima di incominciare l’analisi cronologica della lista dei navarchi, ci proponiamo di gettare uno sguardo sulle caratteristiche più spiccate che contraddistinguone le varie cariche marittime, e di fissare i problemi cui tenteremo di rispondere colle suecessive ana- lisi. Incominciamo dai navarchi. Fu ritenuto, come notammo già in parte (2), che in origine l navarchia spettasse ai re, i quali nella loro assenza avrebbero designato nella loro casa il navarco; e che nel periodo 480-430 gli efori strappassero ai re non solo il comando navale, ma anche l’elezione dei navarchi. Esclusa, come vedemmo, la premessa che in origine la navarchia spettasse ai re, resta assai dubbio che ad essi potesse appartenere l’elezione dei navarchi. Il passo di Erodoto che si cita come riprova (3) mi pare indichi appunto l’opposto: nel 480 non mancavano membri della famiglia regia che potessero venir eletti navarchi; vi erano almeno: Cleombroto, fratello di Leonida, un suo nipote Eurianatte, figlio di Dorieo, e Pausania, figlio di Cleombroto; se invece vediamo che viene eletto Kuribiade, pare evidente che la nomina (1) Non bisogna però dimenticare che non potendo andar in guerra che un solo dei re, ed essen- dovi già Leonida, si doveva per forza ricorrere ad altri cittadini. (2) Vedi ad es.: SoLari, o. c., pag. 7 sgg.; Juperca, 0. c., p. 112. (3) Erop., VHI, 42. S4 LUIGI PARETI \ 14 non spettava al re Leonida. Ed è pur dubbio che la nomina passasse prima del 430 direttamente agli efori. Ciò vien dedotto da vari passi: uno di Tucidide (1) e due di Senofonte, che non parlano punto della elezione, ma della dipendenza durante la loro carica dei navarchi dagli efori (2). Altrove le nostre fonti ci dicono dell'elezione dei navarchi da parte dei Lacedemoni (3), ed il sostenere che al termine generico MAaxedaubvior si deve sostituire quello specifico degli efori pare ‘arbitrario. E così nulla si può trarre a favore di tale tesi dal passo in cui Senofonte (4) ci parla della nomina di Libi a navarco pel 404/3, e di Lisandro ad armosta. Onde mi accordo coll’opinione espressa dal Beloch (5) che l'elezione del navarco spettasse al popolo per il carattere di regolare magistratura. Questa ipotesi, che non par contraddetta da nessuna delle nostri fonti per tutto il periodo in cui durò la navarchia, si accorda anche assai bene coi luoghi in cui si parla della nomina dei navarchi da parte dei Lacedemoni, e riesce anche più chiara ove si ammetta la nostra teoria sulla origine affatto indipendente dai re, della navarchia (6). A navarco poteva venir eletto qualunque cittadino (6uorog) spartiata (7). Fin dalle origini della marineria spartana vedemmo che il comando era aperto ai sem- plici cittadini. Col propagarsi ed accrescersi del movimento democratico, si andò sempre diminuendo la possibilità per i re di diriger la flotta (8). Durante le guerre Persiane, pei motivi che adducemmo, i re riescono ancora a dirigere le spedizioni marittime, ma poi la bilancia piega a favor della tendenza opposta: il comando regio divien sempre più limitato per non dir escluso, ed il solo Agesilao giunge ad aver tra le mani il comando di mare. Già notammo l’esistenza di leggi regolanti la eleggibilità dei navarchi: le nostre fonti (9), parlandoci dell’ elezione di Araco a navarco, e di Lisandro ad epistoleus, affermano l’esistenza di una legge che impediva di esser navarco due volte: Ciò nel 405. A quanto pare, quella legge fino a quell'anno era stata rispettata, e vedremo, che assai probabilmente lo fu anche dopo di allora. Diodoro aggiunge che si trattava di un matpiov È60g, il che viene ad accordarle, fino (1) Tucmp., VIII, 6 e 1]. (2) Senor., E4., II, 1, 1; 2, 12. (3) Senor., Z2., II, 1, 8; IV, 8, 20; Droporo, XIV, 97, 3. Cfr. SoLari, o. c., pag. 26 sg. (4) Senor., Z27., II, 4, 28. (5) © Rhein. Mus. ,, 48, pag. 129. Questa opinione fu accolta anche da parecchi altri, vedi ad es. NiccoLinI, 0. c., pag. 286. (6) In un certo modo però, anche in questo caso, non si esclude del tutto l’ingerenza degli efori nella loro nomina, perchè eran già essi in que© tempi che convocavano e presiedevano l'apella. Dato questo non è più necessario ammettere col Niccorini, “ Riv. st. ant. ,, 1901, pag. 543, n. 5; 1902, pag. 284, n. 1, che Euribiade fosse eletto dagli efori: anche in questo caso basta ammettere l'elezione da parte dell’améXMa dominata dalla volontà degli efori. (7) Abbiamo notizie su motaci navarchi, ma son dubbie. V. oltre. (8) Il Sorari, o. e., pag. 7, nota a ragione che furono sempre preferite persone del popolo ed anche secondo lui motaci. Cfr. CanrareLLI, “ Riv. fil. ,, XVIII, 465-84. Su alcuni degli esempi però addotti dal SoLari si posson sollevare dei dubbi. — Che il cambiar spesso navarchi, e l'elezione da parte del popolo dovessero portare al comando spesso uomini affatto inesperti del mare è a priori evidente. Ciò pone Ssnoronre in bocca ai fautori di Lisandro dopo la nomina di Callicratida (EU., 1, 6, 4) Vedi le buone osservazioni del Dux, o. c., p. 153 sgg.; SoLart, o. c., pag. 13 sgg. — Quel che par certo è che il comando della flotta intera si affidava a Spartiati: Eron., V, 63; VIII, 2 e 42; Diop., XI, 59, 1; Tuc., I, 94. 95; IV, 11; Prur., Alcib., 27, ete. 9) Senor., EU., II, 1, 7; PLur.,, Lisandro, 7; Droporo, XIII, 100. 15 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 85 a prova contraria, un certo carattere di arcaicità. Secondo alcuni (1), essa sarebbe sorta lungo tempo prima della guerra del Peloponneso; altri afferma (2) che dev’esser sorta tra le guerre Persiane e quella del Peloponneso, poichè tanto questo carattere, quanto quello dell’annualità, sono poco confacenti all’epoca in cui furono navarchi i re. Ma poichè entrambe queste motivazioni ci paiono dubbie, nori essendo provato nè l'esistenza di un periodo di navarchia regia, nè che la navarchia, almeno all’epoca delle guerre Persiane, non fosse già annua, crediamo che si possa ritener come pro- babile quel che già esponemmo, ossia che tale legge sia in parte uno degli artifizi per rendere più limitata l’eleggibilità dei re a navarco, anche da parte dei famigliari regi, e che possa ad un dipresso corrispondere ai tempi delle lotte tra Cleomene e Demarato. Un'altra limitazione al potere dei navarchi fu Ja durata prestabilita del loro comando. Assai fu discusso su questo argomento (3). Da un luogo di Tucidide (4), due di Seno- fonte (5), ed uno di Diodoro (6), infine da uno del nuovo storico di Ossirinco (7), com- pare evidente che i navarchi venivano eletti per un periodo fisso di tempo. Da chi non considera la navarchia come una magistratura ordinaria (8) fu sostenuto che ciò non prova nulla a favore dell’annualità dei navarchi; che la navarchia fu spesso annuale di fatto solo per ciò, che le imprese si facevano per stagioni; che alcuni restarono in carica di più, altri meno di un anno. Altri invece, ai quali mi associo (9), accolsero la opinione del Beloch che la navarchia sia stata una magistratura regolare annua. Se il criterio direttivo del tempo assegnato ai navarchi fossero state le imprese stesse da compiere, e le campagne di guerra, sarebbero inesplicabili tutti i casi in cui vi fu passaggio da un navarco all’altro a metà campagna, ed a metà impresa. Se i navarchi fosser stati eletti solo nell'occasione delle spedizioni, male si intenderebbero quei luoghi delle nostri fonti (10) da cui risulta evidente l’esistenza dei navarchi anche prima di iniziare le spedizioni; e così pure non s’intenderebbe come si inviassero dei cuuRovro: ai navarchi che parevano incapaci, invece di sostituirli, il che parrebbe naturale ove la carica non fosse stata annua: inoltre, ove si ammettesse che qual- siasi duce di spedizione marittima fosse un navarco, sarebbe inesplicabile, anzi in contrasto con moltissimi dati l’esistenza della legge che impediva di dig vavapyeîv (11). (1) Berec®, “ Rh. Mus. ,, 34, pag. 118. (2) Dux, o. c., pag. 153; Niccorini, o. c., pag. 285, n. 6. (3) Vedi specialmente BeLoca, Die Nauarchie cit.; Juperca, 0. c., 1. c.; SorarI, o. c., pag. 7; BoERNER, 0. c., pag. 8. (4) IT, 80: Oi dé Aakedarudvior merodévteg Kvfiuov uèv vavapyov TI Svta..... (5) EU., I, 5, 1:I Lacedemoni, Kpatnowtmidg tig vavapxiag mapeAnAvguiag Avoavdpov èEéreuyav vavapxov. E., I, 6, 1: ... O Aakedaubvior tb Auodvdpw mape\nAvaétog ridn Tod Ypévou éreuyav èrì Tàg vadg KaXMikpartidav. Cfr. anche: I, 6, 4. (6) XIII, 76, 2: ... oi dè Erapriata:, TO Auodvdpw dieimAv@étog Hòn Tod T‘g vavapyiag xpévou, KaMixpat{dny èri TH)v diadoymv dmréorenav. (7) Oxyrh. Papyri, V, n. 842, col. XV, lin. 32 sgg.: mapeMnpétog ròn Xerpikpdtoug tàg vadg TÀC TÙv Aakedaruoviwy kai Ttòv cuuudywv, dg dpikero vavapyog diddoxog TW TT6AM:LdI. (8) Vedi Jupeica e SoLari, 2. c. (9) Curnivs, BusoLr, Meyer, Niccorini, Lonse, etc. (10) Tucmn., III, 26; VIII, 6. Vedi BorrnER, 0. c., pag. 8. (11) Senor., E4., II, 1, 7; Drop., XIII, 100, 8; Prur., Lis. 7. Il Juperca, 0. c., pag. 108, ponendosi in contrasto colla tradizione, sostenne che tale legge sorse ai tempi di Lisandro per spezzarne il potere, ma poichè tale teoria non regge (cfr. Droporo, XIII, 100, 8) si avrebbero numerose infrazioni di tale legge e prima e dapo di allora. S0 LUIGI PARETI 16 Se poi d'altra parte la magistratura non fosse stata nè annua, nè regolare, poichè vedemm® che esiston dei passi da cui risulta che la nomina veniva fatta per un prestabilito periodo di tempo, bisognerebbe ammettere che si pretendesse strana- mente, quando si affidava al navarco la direzione, di prevedere gli avvenimenti (1). Ainmessa l’annualità dei navarchi, un punto su cui si deve discutere di propo- sito è quello della data d'entrata in carica. E innanzi tutto credo si debba ammet- tere col Beloch (2) che alcuni di essi non andavano alla flotta nel tempo stesso in cui entrarono in carica. È evidente che ciò poteva accadere per molteplici motivi: e quindi ritengo errata l'opinione di chi fa coincidere l’inizio d’azione colla entrata in carica: non bisogna dimenticare che il silenzio delle nostre fonti significa assai poco: come per gli altri duci, così pure per i navarchi, esse non ci forniscono notizie, se non in quanto, e quando, operarono. Ciò posto, pare che tra gli studiosi che ammet- tono l'annualità della navarchia ci sia disaccordo, a seconda che si accostano alla prima teoria del Beloch (8), che sostiene esser i navarchi entrati in carica all'incirca coll'equinozio d'autunno; o alla seconda teoria del Beloch stesso (4), secondo cui si tratterebbe invece del solstizio di estate. L’una e l’altra teoria prendon come punto di partenza, oltre all’esame della cronologia dei singoli navarchi, che l’entrata in carica dei navarchi coincida con quella degli altri magistrati spartani, ossia coll'inizio dell’anno civile laconico : cosa che pare assai probabile. Ne viene che secondo che si pone l’inizio degli anni dei navarchi nell’estate o nell'autunno, si fa iniziare l’anno civilo circa col solstizio d'estate o coll’equinozio d'autunno. Forse la verità sta nel mezzo tra le due teorie. Nell’analisi cronologica che ci occuperà tra breve, vedremo che per alcuni navarchi è evidente ed indiscutibile che entrarono in carica circa l'agosto, e per molti altri non vi è nulla che contrasti. D'altra parte non si può negare che alcuni restarono in azione fino a più tardi di tale epoca. Ciò posto, esa- miniamo le fonti da cui si può trarre qualche notizia sul principio dell’anno laconico. Tucidide (5), al principio della cattiva stagione del:421, dice: ToÙ dè EmIyirvouevou xemùvog (éTUXOv Tàp épopor éTepo1 xa oùk èp” tv ai omtovdaì èrévovto dpyovteg Tiòdn xai tivec aUtDv Kai évavtior omovdaîg).... Terminus post quem è l’elatebolione (mazo/ aprile) 421 in cui fu.fatta la pace (6); terminus ante quem, l’èmiyvouévou yxeiuùvog ossia circa la fine di settembre od il principio di ottobre secondo Tucidide. Si tratta di un lasso di tempo assai vasto, ma se si osserva che difficilmente gli efori avreb- bero agito solo tre o quattro mesi dopo entrati in carica (7), e se si tien conto di quell'jbn che non par posto a caso, pare che si possa escludere la coincidenza del- l'inizio dell’anno col sostizio di estate: d'altra parte, sebbene più probabile, non è (1) Vedi: Martin, Navarchus, in Darempero-SagLio, Dict., VII, p. 19 sgg. (2) “ Rh. Mus. ,, 34, pag. 118; BoernEr, 0. c., pag: 8. Tuom., IMI, 26; VIII, 6. Tanto Alcida quanto Melancrida erano già navarchi prima di irffziare la loro azione di mare. Ne vedremo altri casì nel successivo esame cronologico. (3) “ Rh. Mus. ,, 34, pag. 119. Vedi anche Uncer, “ Philol. ,, XL, 91; Biscaore, De fastîs Grae- corum antiquioribus, ‘è Leipziger Stud. ,, VII (1884), p. 366. (4) “ Philol. ,, 43, pag: 272. (5) V, 86. (6) Tucinp.; V, 19. (7) BoErNER, 0. c., p. 16, n. 10. - 17 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 87 neppur provata quella coll’equinozio c. di autunno. Polibio (1) ci parla in un periodo di due secoli posteriore a questo della entrata in carica degli efori dopo delle feste olim- piche (2) ed alquanto prima dell’entrata in carica del nuovo stratego della lega achea (3). Senofonte, o più probabilmente il suo interpolatore, posto il ritorno di Lisandro circa l'epoca dell’eclisse del 3 settembre 404 (4), dice (5) che avvenne ’Evdiou..... épopev- ovtos, e l’anno di Endio è il 404/3. Se poi si osserva che non è punto necessario far coincidere l’anno colla neomenia dopo o il solstizio d'estate, o l’equinozio di autunno, mentre probabilmente coincide con l’anno dei navarchi, parrebbe evidente, che l’inizio dell’anno laconico cadesse, almeno dal principio della guerra del Peloponneso, una o due neomenie prima dell’equinozio d’autunno (6). Quanto poi agli anni in cui vediamo che i navarchi restano in carica oltre quest'epoca, si presentano due soluzioni entrambe plau- sibili, e prese ad una ad una, e prese insieme; l’una che si tratti di un prolungamento dovuto ad uno scopo utilitario, di una pro-navarchia straordinaria, in cui restava al comando il navarco già scaduto, mentre il navarco vero stava in patria (7); l’altra che si tratti di quegli anni in cui cadeva il mese intercalare, onde il navarco dispo- neva di tredici invece che di dodici mesi lunari. Si verrebbe così a stabilire forse anche una base per la ricerca del ciclo (se un ciclo fisso esistette) del calendario laconico (8). Di tutti questi problemi, che ora lasciamo in sospeso, sui navarchi spar- tani, torneremo a trattar di proposito nella successiva analisi, dopo la quale ritor- neremo ancor brevemente su questi quesiti: se cioè la navarchia fu una carica ordi- naria; se si ebbe una successione regolare di navarchi; se fu una carica annuale, e (1) Porisro, IV, 34, 3. Dopo si parla della morte di Cleomene IV, 35, 9, che precede l’entrata in carica dello stratego Acheo. (2) Porisro, IV, 14, 9. (3) Porizio, IV, 37, 1. (4) EU., II, 3, 4. Dinar cid, al. (6) Non mi addentro qui nella questione del ciclo spartano, ma mi permetto di supporre qualche caso per esempio. Supponiamo adunque di aver l’anno 432/1 iniziantesi alla terza neomenia dopo il solstizio di estate, ossia circa il 13 sett. 432, e che il 432/1 e il 431/0 fossero egmuno di dodici mesì lunari: in tal caso il 431/0 incomincerebbe circa il 2 sett. 431, ed il 430/29 al 22 agosto c. 430. Se poi nel #30/29 cadesse il mese intercalare l’anno 429/8 incomincerebbe circa il 10 settembre 429. Così si verrebbe ad avere un oscillamento dal principio dell’anno: nell'anno 482, 481, 429, si avrebbe l'inizio all'ultima neomenia prima dell’equinozio autunnale, nell'anno 480 alla penultima. — Suppo- niamo un caso analogo: sia l’inizio del 405/4 all'ultima neomenia prima dell’equinozio d’autunno, ossia al 16 settembre 405 c.; se dopo si hanno due anni di 12 mesi, ed un terzo di 13, si avrà il 404/3 iniziantesi circa al 4 settembre 404, il 403/2 al 24 agosto c. 403; il 402/1 al 12 sett. c. 402. Anche in questo caso il 403/2 comincerebbe alla penultima neomenia prima dell’equinozio autun- nale, mentre gli altri all'ultimo. Non mancano analogie: il calendario Tessalico incomincia col terzo mese Attico, e Delfico (V.: De Sawcris, © Mon. Ant. ,, VII, col. 71 sgg.); il primo mese del calen- dario Alense par corrispondere al 2° Delfico (Biscnorr, 0. c., pag. 330), e così il Locrese (Ibid., p. 358), come per esempio ad Amfissa (ibid., p. 361). (7) Assai improbabile mi pare la tesi del BoeRNER, 0. c., p. 18 sgg., seguito dal Loxse, o. c., p. 48, il quale vorrebbe invece porre l’entrata regolare all’equinozio di autunno, e considerare i casi in cui i navarchi compaiono-già prima di tale epoca come anticipazioni straordinarie. Ma se è facile tro- vare spiegazione e analogie per un ritardo straordinario, non è punto facile per un’anticipazione. (8) Su tutta questa questione, sulla quale qui e nel corso del lavoro mi limito ad accenni, rimando ad un saggio a parte sul Calendario Spartano di prossima pubblicazione. 88 LUIGI PARETI 18 quale fu l'epoca dell'entrata in carica; se si ebbe una pluralità di navarchi nello stesso anno (1); ed infine se si presentano dei casi di rielezione (2). Il navarco una volta entrato in carica poteva non andar subito in spedizione, ove questa non fosse necessaria, o si fosse prolungato in via straordinaria il comando al predecessore, o si dovesse costruire o riordinare la flotta. In altri casi il navarco sarà restato in patria anche tutto il suo anno, quando, per un qualche motivo, non si credeva bene, come nel caso di Melancrida (3) di affidargli la direzione della flotta; e secondo noi così pure dev’ essere avvenuto per gli anonimi navarchi che le nostre fonti non ci menzionano, unicamente per il fatto che non diressero la flotta Spartana in avvenimenti ricordati. Poichè sembra assai probabile, che vi siano stati dei navarchi alla direzione della marineria Spartana anche durante gli anni di pace. Il navarco era nello stesso tempo il condottiero della flotta della lega Peloponnesiaca, e del contingente strettamente Spartano: durante i periodi di pace, ossia durante il tempo in cui non venivano chiamati i contingenti degli alleati, pur rimanendogli il comando virtuale della flotta Peloponnesiaca, veniva in realtà ad avere soltanto quello del contingente Laconico. Ora, che in Laconia anche durante gli anni in cui le nostre fonti non ci parlano di navarchi vi fossero navi, non solo par probabile, ma come vedremo trova conferma in notizie sparse nelle fonti. Quindi è che cre- diamo si debba distinguere nel comando dei navarchi Spartani, quello continuo sulla flotta esclusivamente Laconica, dall’altro più lato ma saltuario sulla flotta della lega intera, di cui il contingente Spartano veniva ad esser come il nucleo. Ne deriva che si può ammettere l’esistenza continuata dei navarchi in quanto che fu continuato il loro comando sul contingente laconico, mentre ci spieghiamo che in quegli anni le nostre fonti ne tacciano, poichè si tratta di anni di pace in cui non si ebbero imprese di mare degne di ricordo; in altre parole ci spieghiamo come saltuarie siano le notizie sull'esistenza dei navarchi, in quanto che solo saltuariamente ebbero ad agire come capi della flotta Peloponnesiaca, di cui eran i capi di diritto sempre, ma di fatto solo quando si radunasse. In quegli anni\di pace adunque il navarco si sarà dato cura della flotta esclusivamente laconica, della costruzione (4), conservazione e (1) Il Beroca, “ Rh. Mus. ,, 34, pag. 118, sostenne per primo, ed a ragione come vedremo, che non vi fu mai più di un navarco per anno; ma questa opinione, che noi accogliamo, trovò degli avversari, tra cui cito il Juperca ed il Sorarr. Si vedano le buone prove a: favore della nostra tesi del Lonse, o. c., pag. 40. (2) Anche qui chi per primo sostenne la #esi, che cercheremo di dimostrare migliore, fu il BeLoca, ma non tutti si accordarono su tale punto con lui. (3) Per un terremoto: Tucip., VIII, 6, 5. (4) Come è ben noto, il porto di cui sempre si valsero gli Spartani per la loro flotta fu il Giteo, sul quale vedi: Weser, De Gytheo et Laced. rebus navalibus, Heidelberg, 1833; Curtivs, Peloponnesos, II, pag. 272 sgg., 323, in cui .sono enumerate le opere meno recenti che trattano delle rovine del Giteo; Sam Wine, Lakonische Kulte, pag. 398-399 per i richiami; Parvippson, Pelop., 216; ParsouRAKOS, TTpayuateia mepì 100 dpyaiou Fudeiov, Atene, 1902; * Bull. Corr. Hell. ,, XV, 654; © Ath. Mitt. ,, I, 151; "°Eq. Apx.,, 1891, p. 55. 185; B. Nuese, Neue Beitrige zur Geschichte und Landeskunde Lakedùmons, “ Nachrichten von der Kén. Ges. d. Wiss. zu Gòttingen ,, Phil.-Hist. Klasse, 1906, Heft 2, pag. 115; per gli scavi recenti, “ Berl. Phil.Woch. ,, 1904, 924-30; Foucarr, “ Journal des Savants ,, 1906, p. 579. E. S. Forsrer, in “ Annual ,, XIII, p. 220-229; 236-237 con la bibliografia. — Tucinipe, I, 108, 5, dice che gli Ateniesi incendiarono TÒ vewptov tùv Aakxedbaruoviwv, ma non fa il nome del Giteo; Droporo, XI, 84, al punto corrispondente parla senz'altro del Giteo, e pare che la sua fonte non abbia punto © 19 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 89 riattamento delle navi, e del reclutamento ed esercitazione delle ciurme. Durante gli anni di guerra, come agli alleati, così a sè stessi prestabilivano gli Spartani il con- tingente di navi da fornire (1), ed il navarco si trovava al comando effettivo di tutta la flotta alleata. i Si sostiene in genere che il navarco dipendesse dagli efori, e a quanto pare non a torto; le fonti donde si trae che erano gli efori che attendevano alla formazione delle squadre navali non sono esplicite (2), ma a questa conclusione si viene facil- mente per analogia colla formazione degli eserciti terrestri (3). Assai volte però si potrà supporre una relazione tra l’azione dei navarchi e le adunanze dell’ àméMa. Quel ch'è certo però, è che quando il navarco veniva inviato sul campo d’azione, gli venivan date, in quanto era possibile, istruzioni dagli efori sulle imprese da compiere; ma gli si lasciava piena libertà di agire, riservandosi di inviargli nuovi ordini (4); soltafto quando la sua condotta paresse inetta o pericolosa, o «il navarco fosse accusato di qualche mancanza (5), gli venivano inviati da Sparta dei cUuRouvror in numero vario. Così ad Alcida venne inviato il solo Brasida (6), a Cnemo se ne inviarono tre: Timocrate, Brasida e Licofrone (7), ad Astioco infine undici cittadini Spartiati con un rinforzo di 27 navi (8). Questi cvufovNor potevan aver degli incarichi più o meno gravi; talvolta puramente di consigliare il navarco senza aver forza errato nell’interpretazione di Tucmpe (si cfr. Pavs., I, 27, 5). Senoronte, Z22., I, 4, 11, ci parla di Alci- biade, il quale va al Giteo èmì kataoxomi)v THW TpPMPwY, dg èmuv@dveTo Aakedaruovioug aùtoai Tapa- axeudZew Tpidkovta; e altrove ci descrive la presa del Giteo in cui tà veWwpia toîg Aakedaroviorg fiv da parte dei Tebani (VI, 5, 32). Pausania ci parla a più riprese di quel porto: I, 27, 5; III, 21, 4-22, 3. 24, 6 e specialmente 21, 8-9; VIII, 50, 8; SrrABonE, VIII, p. 363, dice: ... FÙBeLov, TÒ TÙg Zmapmng èri- vetov Èv diaxogiorg kai TettTapdkovta oTtadiorg idpupévov: Exel d dg quor TÒò vavotaBuov òpuxtòv; [Scix.], 46 dice: Fòerov èv © vewpiov kai Teîxog; Tiro Livio, che ne parla due volte: XXXIV, 29 sgg. e XXXV, 27, lo dice (34, 29) “ oppidum omnium maritimarum rerum Lacedaemoniis recep- taculum ,. Sul nome poi del Giteo vedi le molte notizie raccolte dal WesER, p. 1, n.3. — Il Sorarr, o. c., pag. 247, dice che Sparta non aveva cantieri propri e che sì faceva costruire da altri Stati le sue navi, ma entrambe le affermazioni sono dubbie. Gli autori non dicono esplicitamente vautnyiov il Giteo; ma dicendolo èriverov (Dron., XI, 84, 6) o vewpiov (Tucin., I, 108, 5; Paus., I, 27, 5; Senor., ZU., VI, 5, 82), non lo escludono punto; Senoronte poi nel luogo, sopra citato : I, 4, 11, pare che supponga l'opposto. Quanto alla seconda opinione non è sufficientemente dimostrata dagli esempi addotti dal Sorari: infatti Senoronte parla bensì, £7., I, 1, 25. 3, 17. II, 1, 10, di costruzione di navi ad#Antandro, ma si tratta degli anni in cui si combatteva nelle acque dell'Asia Minore, da cui dovevano procurarsi i navarchi i denari necessari per costruirle: sarebbe stato uno spreco di tempo specialmente il mandar a costruirle in patria. Quanto poi a Tucm., VIII, 8, egli parla soltanto di denari che Agide riscuote qua e là per la costruzione della flotta, ma non della costru- zione stessa delle navi per gli Spartani in altri Stati. Anzi mi pare che Tucipine (VIII, 6, 5) dicendo che mapeogeudZovto èv tf Aaxwvixfj 10 navi affermi l'opposto; come pure Sewnoronte, E2., I, 4, 11, a proposito di Alcibiade al Giteo. (1) Tucip., VIII, 3. (2) Tucm.; VIU,; 6, 5; 11,3; 39} 2. (3) Vedi anche: Tucip., II, 85; VIII, 12; Senor., ZUen., I, 6, 5; V, 1,1. 2, 11. (4) Cfr. Senor., EMen., III, 1, 1: oi d Epopor ... Zauiw TW TÉTE vavdpxw èrméoterav ùmnpetetv Kupw, el tr déorto ..;. III, 2, 12: oi Èpopor Èreuyav mpòg AepkuXidav, kai ÈkéAevov aùtòv diafaiven GÙv Tù otpatevpati èrì Kapiav kai Ddpaca TÒèv vavapxov aÙv Taîc vavol tapatieîv. (5) Tucio., VIII, 38, 4. (6) Tucm., III, 69. 79. (7) Tucm., II, 85, 1. (8) Tuc, VIII, 39. Tucipipe, mentre tace il nome degli altri dieci, parla di Aixag, che forse sarà stato il capo. Serie II. Tom. LIX. 12 90 LUIGI PARETI 20 coercitiva sulla sua volontà: così Alcida non ascolta i consigli di Brasida (1), costui icoynigou oùk Svrog; talvolta invece posson avere poteri assoluti, perfino di sospen- dere il navarco, come nel caso di Astioco (2). In casi eccezionali, ove fosse stato accu- sato, poteva esser chiamato a Sparta per scolparsi, ma in genere lo si lasciava al comando, inviandogli ove occorresse dei cUuBOvAO01, ed al ritorno, scaduto il suo tempo, o terminata l'impresa, si doveva scolpar dalle accuse. Un artifizio a cui pare che si ricorresse abbastanza di frequente era di allontanare il navarco dal campo di azione, senza però destituirlo, lasciandogli la carica di nome; mentre in realtà si affidava il comando ad un duce straordinario (8). Relativamente alla flotta il navarco aveva cura del suo mantenimento e delle paghe (4). Oltre alle imprese di mare che dirigeva regolarmente, il navarco po- teva in caso di bisogno combattere in terra (5), lasciar il comando all’émotodevg (6), mandare in imprese secondarie dei distaccamenti designandone il capo (7), e quando Sparta fu nel maggior fiore della sua potenza marittima vediamo che il navarco può stabilir degli armosti (8). Il navarco può ancora concludere alleanze, tregue, trattati di pace (9); deve difendere e conservare gli alleati, e in caso di bisogno punire le defezioni (10). Può trarre denari dai possessi Spartani in cui viene a trovarsi e valer- sene per la flotta, tra i cui componenti divide il bottino di guerra (11). La sua azione è indipendente da quella dei re (12), benchè talvolta procedan d'accordo. Scaduti d’uf- (1) Tucm., III, 79,3. (2) Per Cnemo i tre ovufovior erano mandati keXebovtes dAlnv vavuayiav BEXTIOV Tapaoxeud- Zegar secondo Tucin., II, 85, 1. (3) Vedi il caso di Calcideo di fronte a Melancrida, e assai probabilmente anche quelli di Pisandro di fronte a Chiricrate, e di Teleuzia rispetto ad Ecdico; ed ancora il caso analogo che poteva succedere relativamente ad Antistene ed Astioco. Talora invece di un duce straordinario si tratta dell'èmotoredc come per Lisandro di fronte ad Araco. Vedi su tutto ciò appresso. (4) Vedi ad es. in Senoronre le notizie relative alla nayarchia di Lisandro e a quella di Cal- licratida. ” (5) Senor., ZUen., I, 1, 18, ece. 6) Vedi ad esempio Antalcida, che lascia Nicoloco mentr'egli va in Asia. Senor., EU., V;l, 6. ) Ad es., Senor., EUen., I, 6, 26. ) Sewor,, V, 1,5 e 6 ad es. Anche l’èmotolevg con pieni poteri può eleggerne: Senor., ZU, II, 2,2. (9) Però al governo centrale spetta di ratificare: Senor., EWen., II, 2, 17 sgg. (10) Vedi Tuciine e SENOFONTE, passim. (11) Vedi ad es. le imprese di Callicratida. Non parlando di proposito in questo saggio delle finanze della marineria spartana, mi limito a citar qui alcuni dati delle fonti. Notammo come gli alleati spartani non fossero Urotereîg popov (Arrsr., Polit., II, 6, 23), e come ciò fosse d’'inceppo alla marineria (Tucin., I, 80). A parte le proposte che perciò furono fatte, per trar prestiti da Olimpia e Delfo (Tucm., I, 121, 143), le fonti di danaro per la marina furono essenzialmente; 1) le contri- buzioni forzate dei singoli alleati, o per imposizione o per richiesta (Tvuom., I, 141; Senor, I, 6, 12; II, 1, 5; Diop., XIV, 10. XIII, 66. XIV, 12) — 2)i bottini di guerra (Tucm., VIII, 3, 28. 86. 44; Sewor., INI, 1, 27. 4, 12) — 8) gli aiuti della Persia, che si ottennero dopo le famose trattative (Tuc., I, 82. II, 7. II 67; Arisror., Acar., 847; Erop., VII, 187; Drop., XII, 41; Tuorp., IV, 50), da Tissaferne (Tucr., VIII, 5. 6. 8. 29. 36. 37. 58; Sewor., I, 5, 5; Isocrate, 16, 20), da Farnabazo (Tucm., VII, 78-79), da Ciro (Tucro., II, 65; Senor., EU., I, 4, 2,3; 5,3. 4. 9; 6, 74-18; IL 1,11;38, 8; Puur., Lis., 4 e seg.) Si fecero pure dei tentativi per averne dall'Egitto (Dron., XIV, 79; Grusr., WI2). Vedi WeBER, o. c., pag. 91-96. (12) Vedi per l'indipendenza reciproca più che il caso di Leonida ed Euribiade, Eron., VII, 204; VIII, 2, quello di Pausania e Libi; Sexor., £U., II, 4, 28 sgg. Lo stesso d'altronde succede ‘anche tra gli altri duci di terra ed i navarchi: Sexor., III, 2, 14: Dercilida, e Farace. ( ( ( 8 9 21 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 91 ficio dovevano consegnare al successore la flotta, e tornare a Sparta per rendere i conti (1). Tali nelle linee generali le principali caratteristiche di quella magistratura, che nel suo maggior fiore fu veramente oyedòv érépa BaoiXeia, com'ebbe a scrivere Aristotele (2). Accanto al navarco le nostre fonti ci parlano dell’émotoNeig ed una volta (3) dell’ émotoMagpbpos, che sono evidentemente la stessa cosa (4). Quanto al significato etimologico della parola, se si bada alla seconda forma, si può credere che anche il nome di èmotoieig si connetta con émotoM, ma si potrebbe anche considerarlo come direttamente derivato da èmortéX\w, spiegando il nome di émotoMegopos come dovuto a posteriore falsa etimologia, in parte giustificata dalla missione stessa dell’ématoNevg che poteva esser incaricato di missioni delicate. Polluce (5) dà questa etimologia: ò émì ToÒ oT6Nou diddoyog TOù vavdpyou, e bisogna riconoscere che abbastanza bene si attaglia alle attribuzioni degli èriotoNeîg. Chi volesse far un'ipotesi ardita potrebbe supporre che l’émortoNevg sia sorto per sostituire nel comando della flotta laconica il navarco, quando questi aveva il comando di tutta la flotta degli alleati; ma la meno improbabile spiegazione del suo nome e della sua importanza è forse ch'egli in ori- gine fosse quel tal legato che andava dagli alleati, a nome del governo Spartano, o del navarco, ad imporre la misura dei contingenti di mare. Comunque sia di ciò, l’èmotoXeig con ogni probabilità era eletto dalla stessa assemblea popolare, e contemporaneamente al navarco di cui veniva ad essere come . il luogotenente (6). Si discusse se l’ émotoNeig fosse annuo, se uno solo per anno, e se rieleggibile. Le soluzioni a questi tre quesiti, come vedremo meglio nella succes- siva analisi cronologica, non ci sembrano poter essere ‘altre da quelle già additate dal Beloch (7); che la carica dell’émiotoNeig è annua, che pare esclusa la collegia- lità, e che finora non si hanno esempi sicuri di reduplicazione (8). Pare evidente che l’émoroNeig cooperasse col navarco da cui dipendeva, il che spiega come se ne abbiano poche notizie, poichè si parlò naturalmente soltanto del navarco (9). Dal poco che ci resta si può dedurre che il navarco poteva distaccarlo, (1) Tuer., VIII, 85; Senor., EWen., I, 1, 82; Prurarco, Lis., 20. i (2) Polit., II, 6,22 = B, 9, 1271 a: TD dé Tepì roùds vaudpyous véuw xaì Étepoi tive èmretiun- Kaoiv, dpoùc èmimudvteS® GTAOEWwWG Yàp Yiverar aitiog* Emi yàp Toîs Baormedarw, eiiar otpatnyoîg, didioc 7) vavapyia Gyeddv étÉpa Baoweia xadéotnke. (3) Senor., EW., VI, 2, 25. (4) Benchè possa restare il dubbio, poichè Ipermene è l'ultimo degli èmotoXeîs di cui abbiamo notizia, che il nome di èmoroMa@dpog, sia sorto dopo Nicoloco (388/7) Emotodevg di Antalcida, e che quindi non sia mai stato usato promiscuamente con quello di Èmotorevs. (5) I, 96. ‘ (6) Cfr. Senor., E2., II, 1,7; Prurarco, Lis., 7; e forse anche Dronoro, XIV, 97, 3 a proposito di Filodico. (7) Die Nauarchie, cit.; SoLArI, 0. c., pag. 29 sgg.; Niccorini, 0. c., pag. 286 sgg.; Kress, Epistoleus, in DaremBERG-SAGLIO, Dictionn., III, 711, ecc. (8) Non si può dedurre nulla a favore della reduplicazione, come vorrebbe il Kr5s, 0. c., l. c.; da Senor., EUen., II, 1,7, poichè Lisandro non fu punto due volte EmotoNebg; come pure da Senor., Ellen., IV, 8, 11, in cui la frase kaì TT6M\1ig ad ÈmotoXebg, non significa che Pollide fosse tale per la seconda volta, ma va unita alla frase precedente: ... èteì dè oùtog (= il navarco Podanemo) Èv mpooRoXf TIvi fevouevn drégave, xai TTéMig ad (= a sua volta), Emotoreve dv, TPwBEIg dm dev... Sì l'un luogo che l'altro si possono solo addurre per provare che si poteva essere Èmuotodete dopo di esser stati navarchi. (9) Vedi le buone osservazioni del SoLart, 0. e., pag. 29. 92 LUIGI PARETI 29 affidandogli un’ impresa da compiere, talora perfino dandogli la carica di armosta (1). Quando il navarco per qualsiasi motivo si assentava dalla flotta, l’ émotoXebg pren- deva, ove fosse stato presente, la direzione in sua vece; se poi il navarco moriva, il comando restava all’émortoNeig fino al termine di quell’anno di navarchia (2). In tal caso egli adempiva le funzioni di navarco, e ne aveva regolarmente tutte le attri- buzioni e gli incarichi. Si intende come nell’elezione a navarco si potesse dar la preferenza a chi fosse già stato émotolebs, come per Nicoloco; in altri casi, per eludere la legge che impediva d’esser rieletti navarchi, si dava la carica di émotoleyg a chi aveva già avuta quella di navarco. Così Lisandro fu navarco nel 408/7, ed eémotoreig nel 405/4, e Pollide, navarco nel 396/5, ricompare come èmotoredg di Podanemo nel 393/2. Pur essendo il navarco a capo della flotta Spartana non poteva aver cura che di un solo campo d’azione, o al più di due distaccando l’ émortoNeds con parte delle navi. Evidentemente ciò non poteva bastare, onde il governo Spartano ed il navarco stesso dovettero spesso affidare delle spedizioni di indole assai varia ad ufficiali stra- ordinari, da loro rispettivamente eletti. E così troviamo spesso a capo di una squadra di navi, e coll’incarico di qualche spedizione, degli armosti (3). In origine pare che si denominassero così quegli ufficiali che venivano posti dagli Spartani al governo delle città assoggettate della Laconia, a capo di una guarnigione (4). Col crescere dell’imperio Spartano si imposero anche fuori della Laconia (5) e la loro nomina potè dipendere sì dal governo centrale (6), come dai re (7), e dai navarchi (8). Il loro (1) Vedi per Gorgopa, èmiotoXeùs di Terace, armosta ad Egina: Senor., EUen., V, 1, 5. Lo stesso forse accadde per Nicoloco, ai tempi di Antalcida; ved. in seg. (2) Vedi per Ippocrate èémotorebs di Mindaro Senor., EWen., I, 1, 23; per Pollide èmotoXedg di Podanemo Senor., EUen., IV, 8, 11; per Ipermene émotorebs di Mnasippo Senor., EUen., VI, 2, 25. Lo stesso caso sarebbe avvenuto, ove Clearco fosse stato émotoXebg di Callicratida : Droporo, XIII, 98, 1. Vedi oltre. (3) Vedi sugli armosti: Manso, Sparta, I, 1, 107; I, 1,155; I; 370. 376; GaBrIEL, De megistr. Laced., pag. 90 sgg.; FLeIiscnanperI, Die Spart. Verfassung cit., pag. 65 sgg.; NiccoLinI, 0. c., pag. 291 sgg. (4) Schol. Pinp., 0l., VI, 154. Cfr. Scnoemann-Lipsrus, Griech.° Alt., I (1897), pag. 211 sggu254; Busotrr, 1°, pag. 528 sgg. A Citera si ha un Ku@npodiknc. Sulle sue attribuzioni si veda Tucm., IV, 53: Kuanpodikng dpxù Èk Ts Emapmns diéfarvev aùtoce Katà éTOc, ÉTAITOV TE Ppoupdv diéteumov aieì kai toX\mnv émuérerav étoroovto. Nel IV secolo troviamo a Citera un armosta: Mévavòdpog ... dpuootnp. Cfr. R. Weir ‘Ath. Mitt.’, V, 1880, pag. 281. — Credo sia nel vero il Niccorisi, 0. c., pag. 292, soste- nendo che la carica di armosta era annuale, benchè riconfermabile: Senor., EUen., III, 2, 6. (5) Demosr., 18, 96: Aakedapoviwyv Yyîjg kal BaXaTtng àpx6vtwy kai tà KkUkAw TRS ATTIKMG Kate- x6vtwy dppuootaîg kai ppouvpaîc, Edforav, Tavaypav kai Bowriav dmagav, Mérap’, Affivav, Kéwwy, tàg dMag vigouc. Dron., XIV, 3, 7: oi dlouwAoovteg TÀ Korvà Tg moriewc, &puòZovteg pev TO AbYW, tipavvor dè Toîs mpdyuaow. Arpocrazione: ‘Apuootai. oi ùmò Aakedaruoviwy eis tàs Umnkbovg mole dipxovtes Ektmeumbuevor, ws "Epatoogévng év Toîs mepì ayadwv kai xaxùyv qnoi è Anpoo0évng òrép Ktn- cipùovtoc. Esrcnio: è meumouevos èmueintig eis ÙmAKoov TOMLv. Less. Begger., V, pagg. 206 e 211 ùpuootai* oi ppovpapyor TOv Aakedaoviwv mapà tò &puòZerv Tàg molerc Toîc Aakedaruoviog — dppuo- oto: mapà Aakedaruoviorg ékareîto 6 ékmteumouevog Emueinmis eic dmmkoov méMiv, Ppovpapyog; Less. Bexxer., VI: dpuootai: of ùmtò TOv Aakedaruoviwv.ele Tàg Ummnkbovg mole dipxovtes kai ppovpapyor éxreumouevor tapà TÒò apubZerv kai ka@ioTtav Tg dm aùt®v puiattouévag modes. Vedi ancora Summa, Aa verb. Cfr. WeseER, Quaest. lacon., pag. 35 sgg. (6) Ad es.: Sewor., E2., II, 3, 14, a proposito dell’invio di Callibio ad Atene; al che però con- corse Lisandro; II, 4, 28 a proposito di Lisandro. Molti altri casi ricorrono nelle EWen. di SenorontE. (7) Tuom., VIII, 5, 2; Senor., EWen., V, 4, 15. 41. (8) Sewor., V, I, 5. 6. Anche gli émotoXeîg quando avevan in sè il potere potevan eleggere ar- mosti; Lisandro elegge Stenelao armosta a Bisanzio e a Calcedone: Sexor., ZU, II, 2, 2. 29 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 95 carattere originario si conserva, essi sono ancora preposti al comando ed alla difesa delle città soggette (1), talora alla conquista stessa di qualche città o regione (2). L’armosta poteva disporre di milizie di terra (3), e quando aveva il comando, o l’in- carico d’impadronirsi di qualche città marittima (ed è questo il caso interessante per noi) egli disponeva di navi più o meno numerose (4), come avremo occasione di notare più ‘volte in seguito. Ma oltre alla difesa delle città soggette ed alleate, spesso erano necessarie altre spedizioni secondarie, ed allora sia il Governo (5), sia i navarchi (6) affidavano le navi ad altri comandanti straordinari, ‘la cui carica non pare fosse contraddistinta con un nome specifico: le nostre fonti li designano spesso col nome di àpyovteg, ma dpyovtes erano tutti gli ufficiali e di terra e di mare: non si tratta punto del nome specifico di una magistratura, ma di un nome assolutamente generico, usato proba- bilmente in mancanza di uno specifico (7). Questi comandanti straordinari che potevan anche esser perieci (8), erano inviati con incarichi speciali (9) e deponevano il comando quando avessero condotta a termine l’impresa per cui erano stati eletti, ed allora o tornavano in patria, o cedevano il comando al navarco, alla cui flotta si univano le loro navi (10). Talora, quando per un motivo qualsiasi, il navarco non veniva lasciato al comando, e quando fosser assenti o morti così il navarco come l’emotolNevg, questi duci straordinari venivano ad avere una potenza assai vasta (11). Altra carica della marineria Spartana era quella degli émfàrar. Alcuni sosten- nero (12) ch’essi erano ufficiali di marina di sott’ordine; altri (13) avanzarono l’ipotesi che si trattasse di volontari i quali seguivano la flotta honoris causa, e per impra- tichirsi ; altri (14) ancora li identificarono coi soldati di marina; e quest’ultima opi- nione mi pare la più probabile. Sarà meglio esaminare i più importanti passi delle nostre fonti che li concernono. Talora ci si parla di un solo émRamng: Tucidide (15) ci dà queste notizie sopra uno di essi: ètuxov dÈ èTI év ‘Piòw dvtog ’Aotudyov è (1) Si sarebbe dovuto, evidentemente per insufficienza di Spartiati, ricorrere anche ad armosti iloti: Senor., EWUen., III, 5, 12. Ma forse il passo non va preso alla lettera: sono forse neodamodi o simili. (2) Tibrone: Senor., Een., III, 1, 3-4; [Dercilida]: Senor., III, 1, 8 (Vedi FLEISCHANDERL, 0. c., pag. 68); Euxeno: Sewor., IV, 2,5; [Eudamida]: Sewor., V, 2, 24; Teleuzia: Senor., V, 2,37; Polibiade: Senor., V, 8, 20. (3) Sewnor., E/2., IV, 2, 5 ad es. (4) Vedi ad es. Senor., EWen., IV, 8, 32 sg. (5) Sono gli efori ad esempio che inviano Calcideo: Tucm., VIII, 11. (6) Ad es.: Senor., EUen., I, 6, 26. (7) Bene il Niccounr, o. c., pag. 29, distinse i duci straordinari di mare, da quelli di terra, che pel presente studio non ci interessano. (8) Diniada è detto perieco da Tucin., VIII, 22. (9) Il Sorar, 0. c., pag. 32, nota a ragione che questi duci, a differenza dei navarchi, non avevano magav vavapyiav, Capitale è, per questo rispetto, quel che dice Tucmpe, VIII, 20, a proposito del navarco Astioco. (10) Vedi ad es.: Tuom., VIII, 42. (11) Vedi i già citati casi di Calcideo, di Pisandro (?), di Teleuzia e di Antistene. (12) BeLoca, “ Rh. Mus. ,; 43, pag. 130; Giusert, Handb. d. Griech. Staatsalt., 1°, pag. 66. (13) GasrIeL, De magistr. Laced., pag. 89. (14) SoLari, o. e., pag. 30 sgg.; NiccoLini, 0. c., pag. 288 sgg. (15) VIII, 61, 2. 94 LUIGI PARETI 24 mie Miftov Afovtà te, dvdpa Ermapriamtnv, dg "Avtiogéver émipamng EuveziAoe K. T. X., ed è bene notare che Antistene era un duce straordinario: Tucidide non lo designa che col generico nome di àpyxwv (1). Senofonte racconta (2) come Clearco abbia raccolto le navi aì fioav èv Tt® ‘SEMnomoiviw dMar dim xara\eXempévar ppoupideg ùrnò Taorm- midov Kai àg "Aynoavdpidag eixev érrì Opdxng, émpatng dv Mivdépou .. © qui dunque si tratta dell’èm&tng di un navarco. Il nuovo papiro di Ossirinco (3) ha: kateotpa- tomfe]beuxùg dè TOÙg OTpATITAG ÈKeî01 uereméumero ITo[y]xaXov, òg èmpamg Tò vaudpyyw Xeipixpeter memieuxù[g] èmeuereîto toÙ ‘EMnoméviov mévte TpPujperg Èxwv. Si tratta adunque nei due ultimi casi di un èm&ms posto in relazione con un na- varco, nel. primo con un duce straordinario. Altrove ci si parla di più èmBétm. Da un punto di Senofonte (4) deriva che gli èmBata: non facevan parte della ciurma, da un altro (5) ch'erano Lacedemoni come i trierarchi, mentre i vaòta erano iloti e mercenari, da un terzo (6) ch’essi eran distinti dagli opliti, dai cavalieri e dai peltasti; da un quarto (7) infine sono nominati coi trierarchi e coi piloti. Ciò posto sì volle stabilire un parallelo con la marineria ateniese, in cui hanno nome di ém- Rata i soldati di marina, e ciò non pare arbitrario, in rispetto ai luoghi in cui si parla di più èmBarm. Ma tuttavia resta assai difficile ammettere che tutti i soldati di marina fossero Spartiati o perieci come parrebbe derivare dalle frasi di Senofonte, tanto più che pare assai probabile che sulle navi degli alleati i soldati di marina fos- sero forniti dagli alleati stessi. D'altra parte è facile avvertire come si insista in qualche caso a notare che si tratta di uno Spartiata. Forse la soluzione più probabile è questa: che uno solo per ogni nave laconica fosse Spartiata, e capo degli altri che erano perieci; e che anche sulle navi alleate il comando sarà toccato ad un Lace- demone, in genere perieco; che quando si tratta di eémpatar si intendono in genere i soldati di marina, ma che per eccellenza si tratta di quegli spartiati o perieci che comandano ognuno gli 2marar delle navi; che probabilmente il capo degli émRatar della nave ‘ammiraglia (8), si può considerare come il.capo di tutti quelli della fiotta, e si può dire l’émfdamng per eccellenza, l’èmiB@îng del navarco, come Agesandrida e Pancalo, quando si tratta della flotta comandata dal navarco; l’èemBàtng diLun apywv semplicemente, come Leonte, quando si parli della parte della flotta affidata ad un duce straordinario (9). (1) VIII, 39. (2) Ellen., I, 3, 17. (3) V, 842, col. XXI, lin. 24. (4) Ellen., V, 1, 11. (5) EUen., VII, 1, 12. (6) EUen., I, 2, 7. (7) EUlen., I, 1, 28 e 30. (8) Anche i contingenti alleati potevano avere le loro navi ammiraglie: alla battaglia al Rio cui non prende parte il contingente spartano vi sono navi ammiraglie e capi degli alleati (Tuc., II, 83-85). i 9) Tuor., VIII, 61,2. — Pel fatto poi che gli Spartiati alla flotta eran pochi, si spiega come potessero scegliersi tra gli èmB&tai i duci straordinari. Quanto agli altri soldati di mare dovevan essere specialmente perieei (Tucin., II, 66); anche i neodamodi che spesso troviamo come soldati nei paesi lontani (Tuc., IV,-78. 80. V, 34. 67. VI, 91. VII, 1. 19. 58; Senor., III, 1,4. 4, 2; Drop., XII, 67. XIII, 7. 8, XIV, 36) avranno potuto esser soldati di mare, come pure gli iloti scelti talvolta (Tucm., VII, 19). ni > - 25 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 95 Il comando delle singole navi (1) spettava ai trierarchi, che potevan essere Lacede- moni anche sulle navi alleate (2), e che sono talvolta senza alcun dubbio Spartiati (3). Vi erano poi dei piloti: xuRnpyfita: (4) che potevano esser forniti dagli alleati: così ad esempio alle Arginuse le navi di Callicratida avevano per piloto il megarese Ermone (5). Quanto ai vadta delle navi laconiche erano in genere iloti e più tardi anche merce- nari(6); quel che pare certo è che gli Spartiati alla flotta dovevano essere assai pochi (7). E così pure assai poche dovettero esser quasi sempre le navi laconiche (8): la marineria spartana anche nell’epoca del suo maggior fiore fu ‘sempre formata sopra tutto dalle navi degli alleati (9). Fu tentata anzi la dimostrazione di ciò, che durante gli ultimi anni della guerra del Peloponneso le navi Spartane non oltrepassarono mai il numero di dieci (10). Uno dei maggiori motivi che impedì sempre il fiorire della marineria di. Sparta fu la mancanza di denari, specialmente dopo che il campo d’azione si fu assai allontanato dalla Laconia: e si può dire a ragione che i momenti migliori furono dovuti all’oro raccolto qua e là dagli alleati e dai Persiani (11): sospesi i pagamenti da parte dei satrapi, la flotta Spartana si trovava subito troncata l’esistenza. (1) Assai interessante è il rilievo, or ora pubblicato nell’‘ Annual’ XIII, PI. IV, di una nave da guerra nel tempio di Artemide Ortia, che pare spetti alla 1* metà del 6° secolo. Vedi quanto ne dice il Dawxins, èbid., p. 100 sgg. Questa è certamente una prova che già allora navi da guerra spartane esistevano. (2) Senor., £., VII, 1, 12. Vedi invece Sen., I, 1, 25. 28. Sui trierarchi in genere vedi Tuc., VIII, 45. (3) Tucm., IV, 11, 3, a proposito di Brasida e degli altri trierarchi a Pilo. Cfr. anche Senor., EUlen., I, 1, 28 e 30. VII, 1, 12. (4) Tucip., IV, 11, 4; Sewor., Z//en., I, 1, 28 e 30. (5) Senor., EUen., I, 6, 32. Cfr. anche Tuom., I, 143. IV, 75. (6) Senor., ZWen., VII, 1, 12. Si parla nelle fonti di deotoviovabtas (Mrrone, presso Arex., VI, 271 f: Evsr., XV, 443, p. 1031): il Weser, p. 41, li suppose iloti. Sui mercenari vedi molte notizie nel We8er stesso, pag. 42 sgg. — Col tempo al posto dei contingenti d’uomini che gli alleati dovevano fornire, si permise di dar denaro, con cui si assoldavano mercenari (Senor., III, 4, 15. V, 2, 22. VI, 2. 5. Cfr. specialmente IV, 8. 32). Sui mercenari in relazione colla flotta vedi Tvc., I, 121. 148; Senor., 1, 5, 4. VII, 1, 12; Drop., XIII, 53. (7) Senor., EUen., V, 1, 11 e VII, 1, 12. (8) Erop., VIII, 1; Drop., XI, 12, 4; Erop., VIIJ, 43; Tucm., I, 94; Drop., XI, 44, 2; Tucip., VIII, 2.3. 6. 11; Senor., ZU., I, 6, 34; In., IV, 4,19; In., IV, 8,20; Dron., XIV, 97, 3. Utile è la raccolta del Sorari, 0. c., p. 229 sg. (Osservazioni sulla pretesa potenza marittima degli Spartani), vedi p. 244 sgo. (9) Tucm., II, 7; Drop., XII, 41, 1; Tucm., II, 66; In., II, 80; In., VIII, 2-3, ece. Vedi Sotarr, l. c., il quale (pag. 246) nota pure a ragione come quelli stessi che chiedevan aiuto a Sparta premet- tessero di essere ben forniti di navi. Tucin., VIII, 6. 44; Senor., IV, 8, 22. Fra i contribuenti alla armata Spartana, a parte la cronologia di cui oltre, si notano: la Sicilia (Tucio., II, 7; Diop., XII, 41, 1; Tucm., VIII, 2; In., VIII, 26; Sewor., I, I, 26, 31; In., V, I, 26-28; In., VI, 2, 33; Drop., XV, 47, 7); Corinto (Tucm., II, 9; VIII, 3); Megara (Tuer., II, 9; VIII, 3); Sicione (Tvom., II, 9; VIII, 3); Pellene (Tuc, II, 9; VIII 3); l’Elide (Tuomp., II, 9); Ambracia (ibid.); Leucade (ibid.); l’Arcadia (Tvcm., VII, 3); Trezene, Epidauro, Ermione (ibid.);e nel 413 i Beoti, i Locresi, i Focesi (ibid.). (10) SoLari, 0. c., pag. 295, n. 2. (11) Vedi indietro le notizie citate a pag. 20, n. 11. V. Sorarr, o. c., pag. 247 egg. Vedi pure rac- colte nel WesER, pag. 76 e sgg. e nel Sorant, p. 13 sgg., 250 sgg., le notizie sulla poca capacità dei navarchi, e (p. 261) sull’indisciplinatezza della flotta Spartana, e nel WeBER, p. 45, quella sulla sua lentezza, benchè sì possa discordare assai dalle loro opinioni. 96 LUIGI PARETI È 26 IV. Analisi cronologica della navarchia Spartana. 8 I Prima di determinare in quali anni ebbero rispettivamente il comando Euribiade, Leotichide e Pausania, vediamo di stabilire la cronologia degli avvenimenti in cui essi ebbero parte. E innanzi tutto stabiliamo la cronologia del primo apparire di Euribiade (1). Serse partì da Sardi, dopo di avervi svernato, dua t@ éapi ossia circa col maggio del 480 (2). Egli si trattenne un mese sull’ Ellesponto e dopo tre fu nell’Attica Ka\Middew dpyovtog ’A@nvaioici (3), e così veniamo alla fine d'agosto, o meglio al principiar del settembre di quell’anno. La battaglia delle Termopili avvenne dopo dei giuochi olimpici, e della celebrazione delle feste Carnee a Sparta (4). La battaglia dell’Artemisio, in cui ci appare per la prima volta Euribiade, fu contemporanea a quella delle Termopili (5), ossia fu combattuta al finir dell'agosto. Quanto alla bat- taglia di Salamina in cui è ancora navarco Kuribiade (6), fu, secondo una notizia di Plutarco (7), combattuta il 16 Munichione di quell’anno; secondo un’altra notizia di Plutarco stesso (8), il 20 Boedromione. La prima datazione è evidentemente errata: il 16 Munichione non era l’anniversario della vittoria, ma la festa di Artemide Munichia, cui si attribuiva quell'evento. Che si tratti invece per quella battaglia della fine di settembre, come risulta dalla seconda notizia, è confermato anche da Erodoto (9), perchè poco dopo della battaglia di Salamina, Cleombroto che si proponeva di inse- guire Serse, si arrestò per un eclisse di sole, che avvenne il 2 ottobre 480 (10). Di Euribiade non abbiam cenni nè prima della battaglia dell’Artemisio (11) nè dopo di quella di Salamina. Al principiar del seguente anno (479 a. C.) Erodoto ci dice (12) che le navi greche si concentrarono ad Eginà, essendo OTpatniòg Kai vavapyog Leotichide, A@nvaiwv dè éotpatiiee =dvoimtog è ’Apippovog. Da Egina navigano«su Delo, mentre Mardonio sverna ancora in Tessaglia (13): siamo adunque nel marzo o (1) Eron., VIII, 2. 42; Droporo, XI, 4, 2; 59, 1 (arconte Calliade = 480/79); Prur., Zemist., 11. (2) Erop., VII, 34 (3) Erop., VIII, 51. (4) Eron., VII, 206. Vedi BusoLr, II, 673, n. 9. 5) Ero»., VIII, 15. Sul numero delle navi degli alleati nelle due battaglie vedi le notizie di Eron., VIII, 1. 2. 43-48. 82; Pausanra, II, 29,5; Tucin., I, 74, 1; Escr., Pers., 339; Cresia, Pers., 26. Vedi BeLoca, Die Bevdlkerung der gr.-rim. Welt, p. 508 sgg.; Tarn, ‘J. Hell. St. ’, 1908, p. 202 sgg. (6) Il contingente Spartano è di 16 navi: Erop., VIII, 43; all’Artemisio era di 10. (7) Lisandro, 15. l (8) Camil., 19. Sulla località: BeLoca, ‘ Klio*, 1@08, p. 477 sgg. (9) Eron., IX, 10. (10) Horrmanx, Sonnen und Mondfinsternisse, Triest, 1884, pag. 17; Busotr, II°, 703, n. 3. 11) Quando, poco tempo prima, l’armata navale si era concentrata nel golfo Pagaseo (Eropn., VII, 173) il comando è affidato al polemarco Eveneto. (12) VIII, 181. Cfr. IX, 90; Dion., XI, 84, 2. (13) Erop., VIII, 138. 27 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 97 nell’aprile del 479 a. C. Poi della flotta Erodoto tace fino alla battaglia di Micale (1), ed i suoi precedenti immediati. La battaglia di Micale, contemporanea o quasi con quella di Platea (2), accadde circa il settembre di quell’anno. Dopo di essa Leotichide, prima di ritornare nel Peloponneso si dirige colla flotta verso l’Ellesponto (3), è fermato a Lecto da venti contrari, va ad Abido, e quindi gli par bene di tornare in Grecia, mentre Santippo resta. Ciò probabilmente nell’ottobre avanzato. Erodoto a questo punto non fa cenno all'arrivo di un successore, e pare che attribuisca il ritorno di Leotichide più alla sua volontà che al dovere, come scaduto di carica, infatti dice che a lui édofe amomAéev és tiv ‘EMdda. L'assedio di Sesto, incominciato nell'autunno del 479, finì dopo l'inverno successivo (4) ossia nella primavera del 478, e frattanto, per Tucidide, avveniva la costruzione delle mura di Atene (5): dopo di ciò egli narra l'invio di Pausania con una flotta di venti navi amò ITerotovwhoou (6) Si tratta adunque della primavera del 478. La formazione per opera di Aristide della lega attica è del 478/7 (7), anzi dell'inverno 478/7, o del principio di primavera del 477. Ora Tucidide narra (8): ZuvéBn te aùt® (= Pausania) xaXeîogai te Gua kai toùs Zvuudyoug TWò Èkeivou éx0er Tap’ ’ABnvaioug ueratàzactar TAV TÒòV amò TTeXotov- wioov otpatiwtòv. Se si osserva tale passo di Tucidide, par si possa derivare che l’azione di Aristide fu compiuta specialmente nell’assenza di Pausania: si può adunque porre il richiamo di quest’ultimo al principio dell'inverno 478/7. Ed è importante notare che il tempo del suo comando pare non venisse ancora considerato come trascorso: infatti Tucidide in seguito (9) dice: èkeîvov (= Pausania) pèv oùkéti Èxtéu- mouvoiv dpyovta, Abpkiv dè kai d&Moug Tivàg uet° aùtod OoTpaTtIàiv Èyovtag 0Ù mov, dalla qual frase pare risulti che altrimenti avrebbe dovuto regolarmente tornare al comando. Ciò posto, se si ammette che si tratti di tre navarchi, si possono conciliare tutte queste notizie colla tesi dell’annualità dei navarchi? e quali furono gli anni «di comando di Euribiade, Leotichide, Pausania? e quale l’epoca della loro entrata in carica? Innanzi tutto vediamo se si accordano colla tesi dell'entrata in carica circa l’equinozio di autunno; secondo cui avremmo per Euribiade il 481/0, per Leotichide il 480/79, per Pausania il 479/8 (10). Ora noi vediamo che Leotichide quando nel tardo autunno, o principio inverno del 479 torna nel Peloponneso, par che lo faccia più per volontà sua, che perchè scaduto di carica, e così pure nell'inverno 478/7 pare che Pausania avrebbe dovuto ancora avere il suo comando (1) IX, 90 sgg. (2) Erop., IX, 90. 101; Drop., XII, 34, 1. Anche se si esagerò la coincidenza, non posson essere che a breve distanza di tempo. (3) Eron., IX, 114. (4) Tucin., I, 89. (5) Ibid. Vedi BrLoca, I, 458. (6) I, 94. Secondo Droporo, XI, 44, 2 le navi Peloponnesiache sarebbero state 50: non si tratta forse che di scambio di K in N. Quanto alle 20 navi bisogna notare che saran state non solo degli Spartani, ma anche degli alleati. Vedi Sorart, 0. c., pag. 245. (7) ArisrotELE, ‘A0. mo.., 23, 5. Vedi BusotLr, III, 1, pag. 64, n. 4. 69, n. 1. (8) I, 95, 4. (9) I, 95, 6. (10) Secondo il BeLocg, © Rh. Mus. ,, XXXIV, 120 sgg. Serie II. Tom. LIX. 13 98 LUIGI PARETI v_ 28 Ed impossibile è poi accordare le notizie delle fonti ove, ponendo l'epeca dell’en- trata in carica ancora circa l’equinozio di autunno, si volessero considerare come anni di quei tre comandanti rispettivamente il 480/79, il 479/8, ed il 478/7. Ten- tiamo ora se le notizie che raccogliemmo si possono spiegare, ove sì ponga l’entrata in carica dei navarchi all'incirca nell'agosto, come, secondo noi, nel periodo poste- riore all’inizio della guerra del Peloponneso. In tal caso non si può ammettere facilmente che si tratti rispettivamente degli anni 481/0, 480/79, 479/8, perchè se si può spiegare il ritardo nel ritorno di Euribiade, non si spiegano nè quello di Leotichide, nè quello di Pausania. Ma d'altra parte non sì posson neppure conciliare le nostre fonti, spostando tutto di un anno: infatti se per Euribiade non vi sareb- bero difficoltà a porlo dall'agosto 480 in poi, ve ne sono per Leotichide che ci compare già nella primavera del 479, mentre dovrebbe esser entrato in carica solo a metà estate di tale anno; e ove si riuscisse ad escludere anche questo ostacolo (1), resta ancor sempre difficile dimostrare che Pausania sia andato al comando della fiotta solo nell'estate del 478 (2). Se poi si pone l’entrata in carica circa al solstizio di estate restano ancora delle difficoltà : il caso che si tratti degli anni 481/0, 480/79 e 479/8 si trova subito escluso (8), e l’altro del 480/79, 479/8, 478/7 urta ancora colle notizie sull’inizio dell’azione sì di Leotichide che di Pausania. Non resta, sempre ove si ammetta che si tratta realmente di tre navarchi, che una soluzione, e questa si concilierebbe con tutte le notizie su quei coman- danti, ed è di supporre che in quegli anni l’entrata in carica dei navarchi cadesse all'incirca all’equinozio di primavera (4): si verrebbe così a fissare per Euribiade l’anno 480/79, per Leotichide il 479/8, e per Pausania il 478/7. Ciò si accorde- rebbe bene anche colla narrazione di Diodoro che pone l’azione di Euribiade sotto l’arcontato di Calliade (5) (= 480/79), quella di Leotichide sotto Santippo (6) (= 479/8) e riusciremmo a spiegarci come abbia potuto porre l’opera di Pausania sotto l’arcon- tato di Adimanto (7) ossia nel 477/6. Ma di tutto questo problema la soluzione vera è: (1) Potrebbe Eroporo aver posto erroneamente a capo della flotta già in primavera quei gene- rali che agirono a Micale, per una sua induzione. Ma Santippo può esser stato stratego nel #81/0, come nel 480/79. (2) Non gli resterebbe tempo per compiere le sue imprese, e disgustare gli alleati. (3) Bisognerebbe non solo ammettere delle lunghe pro-navarchie, ma ancora difficilmente si spiegherebbero le frasi di Eroporo relative al ritorno di Leotichide, e al richiamo e processo di Pausania. (4) Che potessero succedere degli scambi nell'epoca dell'entrata in carica dei magistrati s'in- tende facilmente. Una bella analogia si pottebbè citare ad es. fra gli strateghi della lega Achea, che prima entravano in carica nel maggio c. (Pouis., IV, 37, 1-2; V, 1, 1), poi nell'autunno (Porisro, IV, 7, 6. Cfr. BeLoca, Gr. Gesch., III, n, pag. 181 sgg.). E si potrebbe credere che la prima data per l’en- trata in carica dei navarchi fosse sorta di per sè dal fatto che con quell'epoca incominciavano le campagne : ma dopo che con le guerre Persiane la navarchia crebbe d'importanza, sarebbe cresciuto anche il suo carattere di magistratura, sì che si sarebbe trasportato il suo principio all’inizio dell'anno laconico (il che è più probabile che non l’ammettere un cambiamento dell'inizio dell’anno i laconico stesso : cosa che però non sarebbe impossibile). | (5) Drop., XI, 4, 2. 69,1. (6) XI, 34, 2. (7) Droporo aveva spostato a torto di un anno attico la costruzione delle mura di Atene. Egli aveva compiuto il 479/8 (XI, 37, 6) col termine della descrizione di Eroporo e l'assedio di Sesto, ossia, come pàr probabile, colla fine di un capitolo di Eroro. A ciò si prestava anche la frase di 29 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 99 probabilmente quella seguìta attualmente dal Beloch. Che i re potessero avere tal- volta il comando della flotta, non significa ch’essi l'avessero come navarchi piuttosto che come re. Anzi pare assai probabile che si debba escludere che un re potesse venir eletto navarco. Se così è per Leotichide, e Pausania, reggente, si tratta pro- babilmente non di navarchia, ma di comando della flotta, come re o reggente: sarebbe quindi un comando straordinario, come vedremo più tardi per Agesilao e Pisandro. Se così è, non vi sono più difficoltà cronologiche, perchè essendo straordinario il comando di Leotichide e Pausania non coincidettero probabilmente cogli anni di navarchia. Ora, poichè non v'è difficoltà ad ammettere così per Euribiade come per Dorci, che sarebbero veri navarchi, che sian entrati in carica circa l’estate come i navarchi dei tempi posteriori, si può ammettere che già allora l’anno spartano inco- minciasse in quell’epoca. Verremmo così ad avere per l’anno 480/79 la navarchia di ‘ Euribiade; ci mancherebbe il nome del successore del 479/78 perchè nel 479 ebbe il comando il re Leotichide, e nel 478 il reggente Pausania. A Pausania succedette nel comando, probabilmente come navarco, Dorci (1); che fu mandato al posto di Pausania secondo Tucidide, nella primavera del 477. In tal caso Dorci sarebbe stato navarco per il 478/7; ed in Tucidide si potrebbe anche vedere forse un accenno assai conciso ai navarchi successivi là ove dice (2) .....éxméu- movgiv ....Adpriv dè xa d MNouvg TiIvàg pet’ aùtoÙ oTpATIÙV ÈXovTaS où mTodliv. Dorci a quanto può parere tornò presto in patria, il che, ove si ritenga che sia stato navarco per l’anno 478/7, si intenderebbe facilmente, essendo andato alla flotta quasi in fine del suo anno. Dopo quei tempi le nostre fonti non ci forniscono notizie di altri navarchi fino al secondo anno della guerra del Peloponneso (430/29), il che non significa punto che in tutto quel periodo non ve ne siano stati (3). In quegli anni ci mancano notizie sui navarchi, perchè, rimasti a capo della sola flotta laconica, senza l’unione degli alleati, non operarono, e non potevano operare nulla di importante. Tucidide (4) dice Eroporo, IK, 120: kai xatà TÒò ètos TodTO oùdev èti mAéov ToUTWY èrévero. In un altro capitolo Eroro doveva parlare delle cose di Atene, dopo Platea e Micale, a cominciare dalla costruzione delle mura; qui pose Dronoro l’inizio dell’anno 478/7, sicchè la costruzione delle mura viene spostata dopo il luglio 478. Poi trovando probabilmente la menzione della strategia di Temistocle (cfr: XI, 41) pose a quest'altro punto il passaggio dal 478/7 al 477/6, in modo che la costruzione delle mura del Pireo viene spostata dal 478 al 477/6. Eroro, dopo di aver parlato di Atene, avrà parlato di Sparta e della ripresa della guerra, e quindi anche di Pausania (Cfr. XI, 44); e Droporo ch’era giunto colla narrazione al 477/6 per le cose di Atene, continuò sotto quell’anno per quelle di Sparta, che in realtà eran cominciate nell’anno attico 479/8. (1) Tucin., I, 95, 6. 128, 3; Dion., XI, 46, 5. (2) I, 95, 6. È facile vedere come colla teoria ora esposta si spieghino molte notizie delle nostre fonti: si intenderebbe infatti e come Tucinine non chiami navarco Pausania, e come Eroporo, meno preciso nei termini, dica tuttavia di Leotichide ch'era stratego e navarco. Così pure, se già allora l’anno spartano incominciava nell'estate, ed Euribiade fu il navarco del 480/79, si intende come Euribiade non ci compaia prima della battaglia dell’Artemisio; come dipenda dalla volontà di Leotichide il suo ritorno, avendo infatti un comando straordinario non subordinato ai limiti di tempo della navarchia, e così pure per Pausania. (8) Vedi SoLart, o. c., p. 7. 34. (4) I, 95. 100 LUIGI PARETI 30 che gli Spartani non spedirono più alcuno nell’ Ellesponto dopo Dorci e gli altri innominati uet' aùtoò; ma non se ne può dedurre che non abbiano più avuto ‘una flotta col suo navarco. I nomi dei successori ci mancano, perchè dopo il sorgere della lega Ateniese gli. Spartani non potevan operar nulla: d’altra parte a ragione fu notato (1) come non conosciamo quasi altro nome di Spartano in quel periodo, oltre quelli dei re. Ed anche dall'esame delle nostre fonti si può vedere che non mancano del tutto gli accenni all'esistenza di una marineria laconica durante la pentecontetia: quelli poi relativi all’intera flotta peloponnesiaca riunita, meno sicuri nei primi tempi, sono certi per gli ultimi anni precedenti la navarchia di Cnemo. Un primo accenno, ma poco sicuro, si può trovare in Diodoro (2), il quale sotto l’anno arcontale 475/4 dice che gli Spartani male tollerando di aver perduto il dominio del mare volevano muover guerra agli Ateniesi per riaverlo, ma tale con- siglio non ebbe effetto. Questo racconto (3) parrebbe provare che gli Spartani pure avendo perduta l'egemonia marittima su tutta la Grecia, potevano disporre di una flotta: quella della lega Peloponnesiaca. Ma tale prova non è salda, poichè è dubbio se la descrizione di Eforo in Diodoro non sia che un racconto retorico sviluppato da alcune frasi di Tucidide (4). — Tucidide (5), Diodoro (6) e Giustino (7) ci parlano delle battaglie di Cecrifalea ed Egina tra gli Ateniesi e la flotta Peloponnesiaca (Diodoro pone questi fatti al 459/58). Ma l’imprecisione delle nostre fonti non ci lascia però affermare con sicurezza la presenza del contingente Spartano. Che però in quegli anni Sparta disponesse di navi proprie pare risulti: nel 455 gli Ateniesi condotti da Tolmide, girando intorno al Peloponneso incendiarono il Giteo, porto degli Spartani, con le navi (8). Più tardi negli ultimi anni prima della guerra del Peloponneso si accenna alla flotta Peloponnesiaca, e anche alla sua disponibilità a favore di Sparta. Così nel discorso che Tucidide pone in bocca ai Corinzi per spingere gli Spartani contro Atene (9) essi dicono che Corcira vavtikòv dv périotov mapéoyxe toîg Te\ormovynotioig, ossia alla lega Peloporinesiaca. In quell’altro discorso che Tucidide fa pronunciare ad Archidamo, quando subito dopo l’assalto a Potidea (settembre 432) nell'assemblea Spartana si tratta di deliberare la guerra ad Atene, il vecchio re chiede ai presenti come devono lottare con Atene, e tra l’altro dice (10): de kai tivi motevcavtag dmapackevovg éreryofivar; mOTEPOV. Taîg vauciv; di {o00vg ÈOPEV .... Anche qui non è negata l’esistenza della flotta Spartana, ma solo si dice, quel che d'altronde si poteva facilmente indurre, ossia che la flotta di cui Sparta disponeva non era molto potente (11). —Un ultimo cenno troviamo in Tucidide (12) (1) BeLoca, * Rh. Mus. ,, XXXIV, pag. 121. (2) XI, 50. (3) Specialmente XI, 50, 8. (4) Tucm., I, 95, 7. 97. Vedi Busotr, III, 1, 16.n. 1. (5) I, 105. (6) XI, 78. (7) III, 6. Vedi Busotr, III, 1, 307, n. 4. (8) Tucm., I, 108; Drop., XI, 84, 6. (9) I, 68, 4. (10) I, 80, 4. (11) Cfr. anche Tuom., I, 81. 121. 142 sgg.; Dion., XII, 40, 5. "dt (79 PRI ALe dato nre Sl RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 101 dove dice che gli Spartani dopo l'assalto di Platea (9 marzo 431 (1)) chiesero navi agli alleati: kaì Aakedaruoviorg uèv mpòg Taîg aUTtod Urapyovoag éz ’Itariag kai Zike- Mag Toîg Tdkeivwyv ÉNouévorg vijeg EmetdxONoav moîegdar Kata uéredog tòvV mOMEWV..... (2). E questi alleati navali sono enumerati poco dopo dallo stesso Tucidide (3): Kopiv@io1, Meyapfig, Zixuwyioi, TTeXAnvfjs, “HAeîo1, “Aumpaxiùtar, Aeuxddioi (4). $ II A partire dal 430 possiamo nuovamente ricostruire in parte per qualche anno la lista dei navarchi. Tucidide parlando di quell’anno dice che Archidamo invase l’Attica Bépoug eddùg dpyopévou (5) e che l'invasione durò 40 giorni (6). Dopo di questo, e probabilmente al tempo stesso della spedizione di Agnone (7), gli Ateniesi fecero trattative di pace con Sparta (8); e fallito il tentativo se la presero con Pericle ancora stratego (9), il quale pronunciò un discorso in sua difesa. Siamo dunque ancora nella seconda metà dell’anno attico 431/30. Dopo l’uscita di Pericle dal comando, Tucidide ci parla della sua condanna (10), e poi continua dicendo che i Lacedemoni Toò aùtoù Bépovg mandarono la flotta col navarco Cnemo su Zacinto (11) con cento navi. Dopo di questi fatti, e prima di parlare di quelli avvenuti èmyrrvopévouv yeudvoc (12), ossia all’incirca prima dell’equinozio di autunno, ci narra ancora come avvenute Toò Bépoug teMeutwvtog le vicende degli ambasciatori Peloponnesiaci al re di Persia (13), e la spedizione degli Ambracioti contro Argo Anfilochico (14): così si può stabilire con sicurezza che l'invio di Cnemo a Zacinto spetta all'incirca alla metà agosto del 430: che anzi egli entrò assai probabilmente in carica col novilunio circa del 20 agosto. L'anno successivo, 429 a. C., Tucidide dopo di averci parlato della sconfitta Ateniese a Spartolo dkudZovtog tod Gitov, ossia, trattandosi della Tracia, circa la metà di giugno, soggiunge che où tmoMé@ Yotepov tovtwv gli Ambracioti convinsero (1) Accetto questa data invece di quella del 7 aprile. Le dimostrazioni della tesi opposta, anche quella del Busorr, Gr. Gesch., III, 2, pag. 908 sgg., non mi paiono irrefutabili. Così pure non credo, col Busorr; come dimostrato che nella Grecia antica le biade maturassero alla metà di giugno, invece che nel maggio. Ma di ciò altrove. (2) Secondo l’edizione Classen-Steup. Cfr. Dron., XII, 41, 1. (3) II, 9, 3. (4) Il passo di Tucmme, II, 7 è dubbio: si soleva supplire che ove tutte dessero il loro contin- gente, si avrebbe avuto 200 navi. Droporo, XII, 41, 1, dice che fecero apprestare 200 navi sicule e italiche. (5) II, 47,2. (6) II, 57, 2. (7) II, 58. (8) II, 59, 1. (9) II, 59, 3. Non accetto, riservandomi di darne a suo tempo la dimostrazione, la tesi del Kerr, “ Hermes ,, 1894 (XXIX), sulla data d’entrata in carica degli strateghi. (10) II, 65, 3. (11) II, 66. Sugli alleati spartani al principio della guerra del Peloponneso vedi Tuc., II, 7. 9; Diop., XII, 41. V. indietro. (12) II, 69, 1. (13) II, 67. (14) II, 68. 102 LUIGI PARETI 29 i Lacedemoni ad allestire una flotta, ed a spedire mille opliti in Acarnania (1). Gli Spartani, appena avuta questa richiesta mandano tosto Cnemo con trenta navi a condurre gli opliti (2), mentre impongono agli alleati di fornire i contingenti: siamo probabilmente dopo la metà di giugno. La spedizione fallita in Acarnania (3) inco- minciata senza neppure attendere l’arrivo della flotta alleata (4), non può esser durata a lungo, e può cadere circa il principio di luglio. Negli stessi giorni della sconfitta di Strato (5) i contingenti dei Corinzi e degli altri alleati, in numero di 47 navi (6) venivano sconfitti da Formione al Rio. Sconfitti procedon subito fino a Cillene (7) dove vengon raggiunti da Cnemo, che viene quindi a disporre di 57 navi (8). Siamo probabilmente nella seconda metà del luglio 429: gli Spartani allora avuta notizia delle sconfitte toccate mandano come oupRovNor a Cnemo Timocrate, Brasida e Licofrone. Se l’anno di navarchia di Cnemo fosse stato di dodici mesi lunari, doveva assai probabilmente terminare circa colla neomenia dell’11 di agosto: e quindi non si intende facilmente come gli si mandassero dei ovuRovdor proprio negli ultimi giorni di carica. Anche meno si spiegherebbe poi questo, se si ponesse l’arrivo a Cillene più tardi di quello che ponemmo, ossia nel corso dell'agosto, poichè sarebbe stato assai più naturale in tal caso l'invio del nuovo navarco. Quindi è che probabilmente l’anno 430/29 aveva il mese intercalare, e Cnemo non scadeva di carica a quanto pare che colla neomenia circa del 10 settembre. Se così è, si spiega anche meglio il ritardato ritorno di questo navarco. k La scelta di Brasida come consigliere pareva felice, ma i Peloponnesiaci toccarono una nuova sconfitta. Se si tien conto che dovette giungere a Sparta la notizia della prima sconfitta; che si elessero ed inviarono i ovuBovNoi; che entrambe le parti avevano interesse a tardare, poichè Formione attendeva aiuti che non giungevano (9), ed anche gli Spartani dovevan attendere quelli che sì organizzavano nel Pelopon- neso (10); che poco dopo gli Spartani passarono da Cillene a Panormo, e gli Ateniesi da Naupatto al Rio, e che poi si fronteggiarono sel o sette giorni (11) prima del combattimento, si potrà porre quest’ultimo in sul finire di agosto, o nei primi giorni di settembre. Dopo la sconfitta Cnemo che doveva accompagnare gli alleati andò al Criseo ed a Corinto (12), mentre giungevano finalmente i tanto attesi aiuti a For- mione où moMM® Hotepov Tg avaxwpihoews tùv vebv dei Peloponnesiaci; e quest’aiuto giunse probabilmente verso la metà di settembre: Tucidide infatti aggiunge: kaì tò 0épog èrelevta. L'anno ‘di Cnemo era finito, ma prima di sciogliere la flotta dpyopévou toò yeuùvoc, egli ed i suoi consiglieri tentano un colpo di mano sul Pireo, che (1) .II, 80. (2) II, 80, 2. (3) II, 80-82. (4) II, 80, 8. (5) II, 83, 1. (6) Tucip., II, 83; Drop., XII, 48, 1. (7) Tucip., II, 84, 5. (8) II, 86. Secondo altra variante le navi erano 77. (9) Tucip., II, 85, 4 sg. (10) II, 86, 1. (11) II, 86, 5. (12) II, 92, 6. 33 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 108 fallisce (1). Questa spedizione che non può esser stata che brevissima cade negli ultimi giorni di settembre, o nei primi di ottobre; e dopo si scioglie la fiotta (2). Dunque Cnemo restò al comando qualche tempo più di un anno. Questo prolunga- mento, come altri casi che troveremo in seguito, non si devono punto addurre come prove della non annualità della navarchia: si tratta semplicemente, come già notammo, di un prolungamento straordinario per opportunità, di una pro-navarchia del navarco già scaduto, mentre il successore già eletto, e già navarco di diritto, va al comando effettivo della flotta in ritardo. Per Cnemo, ove si ammetta che il 430/29 era per Sparta probabilmente anno intercalare, si ha una pro-navarchia al più di un mese. Le nostre fonti non ci ricordano il navarco dell’anno 429/28, ma ci forniscono gli elementi per la cronologia del suo successore. Durante le feste olimpiche, ossia nell’agosto 428 (3) giungono degli ambasciatori dei Mitilenei ad Olimpia a far richiesta di aiuti. Gli Spartani accondiscendono, e si trovano all’Istmo per trasportare le navi nel golfo Saronico, mentre gli alleati èv kapmod Zurkoudf) foav, ossia trattandosi di uva e fichi, probabilmente circa l’inizio di settembre (4). Ma gli Spartani devon tosto abbandonare l'impresa perchè gli Ateniesi accorrono ad impedire il passaggio (5). Tucidide aggiunge: dotepov dè vautikòdv mapeoxevaZov d tI mÉUYyovorv èg TidV Aéopov xaì xatà moreis émrreMov Teogapdkovta (6) vev TARB0g kai vavapyov mpocétazayv "AXkidav, dg éuerNev Eémmievocecdai. Da questo passo non pare si debba ricavare che proprio solo allora Alcida sia stato eletto navarco, ma che allora gli fu affidata l'impresa, che d’altronde venne effettuata solamente nella primavera seguente. Nulla si oppone a credere che Alcida fosse già in carica da prima, forse, come pare probabile dalla neomenia del 30 circa d’agosto 428 (7). — Col principio della buona stagione del 427, probabilmente coll’aprile (8) Alcida si dirige finalmente verso Mitilene. Dopo, circa il maggio si ha l'invasione nell’Attica (9). La caduta di Mitilene si può porre nella prima metà circa di giugno, mentre Alcida è a Delo (10); sette giorni dopo è ad Embato (11) e cerca già di tornar al più presto nel Peloponneso (12). Da Embato passa a Mionneso.(13) e poi ad Efeso (14), donde fugge verso il Peloponneso (15) inse- (1) II, 93-94. (2) II, 102, 1. Assai poco convincente sarebbe sostenere che in quei tempi Cnemo, invece di esser navarco già scaduto, ma ancor in carica, fosse un semplice duce straordinario. È vero che Tucinine non lo dice espressamente navarco in quei tempi, ma si tratta evidentemente di amor di brevità; d'altronde riuscirebbe inesplicabile la presenza di Brasida. Vedi anche BoeRrnER, o. c., pag. 19, n. 15. (3) Tucm., III, 8. (4) III, 15, 2. V.: Busorr, III, 2, pag. 692, n. 2. (5) III, 16, 2. (6) Drop., XII, 55, 6, parla di 45 navi. Forse il ME sorse dal puév che precede. (7) Ove l’anno spartano 429/28 sia stato di 12 lunazioni, come par probabile. (8) Tucin., III, 26, 1. (9) III, 26. (10) III, 29. (11) II, 29. (12) III, 31. (13) HI, 32. (14) Ibid. (15) III, 33. 104 LUIGI PARETI ST 4 guito da Pachete. Presso Creta è colto da una tempesta (1), dopo la quale a Cillene si unisce con Brasida inviatogli come oUuRovAog per l'impresa di Corcira (2). Ciò probabilmente verso la fine di luglio, o meglio in principio di agosto del 427. L’im- presa di Corcira può esser avvenuta dopo la metà di agosto (3); con ciò si accorda la narrazione successiva di Tucidide che prima del sopravvenire dell’inverno ci discorre ancora dei rivolgimenti di Corcira, e dell’invio di Lachete in Sicilia (4). Alcida dunque può esser tornato a Sparta in fine d'agosto del 427, e ciò bene si accorda col porre la data dell'uscita di carica, sia alla neomenia del 19 agosto c.; sia a quella del 18 settembre 427 c., ove nell’anno 428/7 cadesse nuovamente il mese intercalare, il che pare molto. più probabile. Per l’anno 427/26 ci manca nuovamente il nome del navarco. Nell'aprile circa del 425 una squadra Peloponnesiaca di sessanta navi è passata a Corcira (5), ma viene richiamata contro Demostene che si è impadronito di Pilo (6): il navarco di tale flotta, ridotta a 43 navi (7), è Trasimedida, il quale tenta di bloccare gli Ate- niesi (8). Egli è adunque il navarco dell’anno 426/25. Le navi Peloponnesiache, com'è noto, consegnate agli Ateniesi durante la tregua (9) durata venti giorni (10), non furono più restituite (11). Ma questo fatto, unito con l’altro che per un decennio non conosciamo altri nomi di navarchi, se basta a provare la decadenza in quei tempi della marineria spartana, e che non fu allora riunita la flotta peloponnesiaca, non basta neppur qui a provare l’inesistenza della flotta laconica e dei rispettivi navarchi (12). Anche per questi anni non ci manca qualche accenno all’esistenza di navi laconiche: così ad esempio troviamo che nell'inverno 419/18 Agesippida che viene chiamato col termine generico dpywv, conduce per mare trecento soldati ad Epidauro (13). E il fatto che i Siracusani chiedono aiuti a Corinto ed a Sparta, può presupporre che anche quest’ultima disponesse di navi (o proprie, o alleate) per (1) III, 69. (2) Le navi allora sono 53 (Tuow., III, 76), perchè si sono aggiunte 13 triremi di Leucade ed Ambracia (Tucin., INI, 69). : (3) All'arrivo da Atene di Eurimedonte Alcida si ritira. Tucm., III, 80. 81. (4) III, 81-86. (5) Tucmn., IV, 2-3. (6) Tucoin., IV, 8. (7) Tvom., IV, 11. Droboro, XII, 61, 2 dice 45: si tratta probabilmente di uno scambio tra ME e MF. (8) Tucin., IV, 11. Accetto la correz. del Coser di OpaovunMbdas in Opaguundidac. Cfr. Drop., XII 612 A (9) IV, 16. (10) IV, 39, 1. (11) IV, 24. (12) Come vorrebbero il Sovari, 0. c., pag. 35 ed il Brownson, o. c., pag. 36. Certo è però che la disfatta di Pilo come pure la spedizione di Nicia del 424, in cui pare che come Citera, Elo, Asine, abbia anche devastato il Giteo (Tucm., IV, 53), contribuirono a fiaccare in quegli anni la marineria spartana; alla cui inazione contribuirono“pure la tregua annua (tra le cui condizioni v'era che gli alleati non si valessero di navi lunghe, ma solo di quelle che si spingon con remi e che portan carico fino a 500 talenti: Tucm., IV, 118) e poi la pace del 421. Ed è pur certo che agli occhi degli Ateniesi la marineria Spartana allora pareva disprezzabile (Tuom., VI, 17), come pure che gli Spartani stessi avevan dovuto recedere alquanto dalle loro idee marittime (Tuom., IV, 55), (13) Tuom., V, 56, 1. ’ 85 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 105 É I inviarli (1) (inverno 415/14). Ed infatti il duce straordinario (2) Gilippo va a Siracusa con due navi (3) insieme col corinzio Pitene pur esso con due navi di Corinto, la quale città sta intanto preparandone delle altre per inviarle appena pronte (4). Nella primavera poi del 413 gli Spartani si valgono di navi da trasporto, sotto il comando di Eccrito (5), per i seicento opliti che mandano in aiuto ai Siracusani (6). $ IL Dopo la lacuna più che decennale tra il 426/25 ed il 413/12 nella lista dei navarchi, il primo cui venga nuovamente dato tale nome è Melancrida (7). Si intende bene come l’intera flotta Peloponnesiaca, e la Laconica in modo specifico, in quegli anni in cui avevano agito assai poco, fossero deperite e diminuite. Dopo che fu giunta a Sparta la notizia della rovina Ateniese in Sicilia, verso il principio dell’inverno Tucidideo, ossia gli ultimi giorni di settembre, o i primi di ottobre del 413 (8), dice Tucidide (9) che gli Spartani si diedero a raccogliere denaro, ed imposero agli alleati la costruzione di cento navi: essi stessi si proposero di fornirne venticinque (10). Dal passo di Tucidide non si può dedurre l’assoluta mancanza di navi per la Laconia, più che per gli altri alleati; si trattava e per gli Spartani e per gli altri alleati non già di costrurre la flotta ex novo, ma di fornire ogni stato un contingente: Sparta per conto suo avrà dovuto mobilizzare le navi disponibili, e costrurne delle nuove, in caso che non potesse, come pare, disporne di venticinque. Frattanto gli Spartani incominciarono a promuovere le defezioni degli alleati degli Ateniesi, e dopo di aver stabilito, in seguito a lunghe discussioni, di soccorrere la Ionia e Chio coll’aiuto di Tissaferne, piuttosto che incominciare dall’Ellesponto coll’aiuto di Far- nabazo (11), decretarono di inviare quaranta navi. Prima però che fossero pronte, vollero mandarne in precedenza dieci col navarco Melancrida (12); ma avvenuto un terremoto dvti toù MeXarxpidou Xalkidéa meurov, kai avtì tÒV déka vewv mévte Tape- (1) Tucip., VI, 73. (2) Gilippo è detto motace da Erano, V. H., XII, 43: KaX\ixpartidag vè uèv Kai FòAImITOS Kai Aboavdpog év Aakedaiuovi uddakeg ékaloOvto. Ma per tutti e tre è dubbio. (3) Tucin., VI, 104; Drop., XIII, 7. (4) Tucm., VI, 93. 104. (5) Tucipine non lo chiama che dpyxwv. (6) Tucin., VII, 19. (7) Sul modo di combattere per mare della flotta peloponnesiaca dopo la ripresa della guerra navale vedi raccolte parecchie notizie già in WeBER, o. c., pag. 68 sgg., dove (pag. 51 sgg.) sono pure raccolte molte notizie sul modo usato nei tempi precedenti. (8) Tucin., VIII, 1 sgg. (9) Tucm., VIII, 2 sgg. La resa di Nicia (Tuc., VII, 84 sgg.), se teniam conto dei fatti che Tucr- pIDE frappone tra l’eclissi del 27 agosto 413 (VII, 50) ed essa, viene a cadere ad un dipresso al 15 o 16 di settembre: il che è confermato dal fatto che Tucime ne fa giungere la notizia ad Atene poco dopo l’equinozio d'autunno. Vedi Busorr, III, 2, pag. 1382 n. (10) Vedi in Tucm., VIII, 3 come vengono tassati i vari alleati. (11) Tucip., VIII, 6. (12) Il Sorazi, 0. c., pag. 245, osserva che solo probabilmente queste 10 sono le navi spartane; delle altre 15 non si parla. Serie II. Tom. LIX. È 14 106 LUIGI PARETI i 36 oxevaZovto èy ti) Aaxwvixtj, e subito dopo Tucidide parla (1) del sopravvenire dell’estate ; siamo adunque all'incirca all’equinozio di primavera del 412. Dal passo citato di Tucidide non deriva per nulla che Melancrida solo da allora fosse navarco (2) come neppure ch'egli sia stato destituito. Nulla si oppone a che Melancrida fosse già navarco prima di allora, e precisamente dall'estate 413 (3). Così pure non pare affatto probabile che Calcideo sia stato navarco al posto di Melanerida, non solo; ma non credo neppur probabile la ‘supposizione ch'egli sia stato suo èmotoevg: Tucidide non gli dà mai altro appellativo che il generico di dpyxwv (4), e lo pone sempre a fianco di altri capitani, Alcamene e Clearco (5), i quali come lui non ricevono nome più specifico di quello di dpyovteg; fino all'arrivo di Astioco noi vediamo agire tanti condottieri indipendenti l’uno dall’altro e con incarichi specifichi: se ne può concludere che tanto Calcideo quanto gli altri furono dei comandanti straordinari. Ciò trova una conferma in Tucidide (6), secondo cui pare che Calcideo agisse ancora quando era già giunto Astioco, il che parrebbe irregolare per un èém- otolevc; d'altronde che Calcideo fosse un duce straordinario può anche intendersi più facilmente ove si consideri che dopo il terremoto gli Spartani per evitare il malaugurio cambiano del tutto la spedizione sì nel numero delle navi, sì nel duce: par più probabile che in un caso simile si valessero di un capitano straordinario creato allora, che non di un émotorevg, il quale non era poi altro che un rappre- sentante di quel navarco che si voleva escludere. Dall'esame delle fonti adunque si deve ricavare che Melancrida fu il navarco dell’anno 413/12, benchè rimanesse in patria inattivo, mentre nell’Egeo operavano vari duci straordinari per il corso del 412 fino all'arrivo di Astioco (7). Se così è, viene anche ad acquistare un significato per- spicuo un punto in cui Tucidide (8) parlando di Astioco dice: rep èriyvero ijòn maoe fl vavapyia, ossia: Astioco raccolse nelle sue mani tutto il potere navale, dianzi suddiviso tra i vari capi straordinari con poteri speciali e parziali. Per la. cronologia dell’entrata in carica di Astioco, oltre il fatto che Tucidide parla di tale avvenimento a metà circa dell’esposizione dei fatti che accaddero tra gli equinozi di primavera (9) e di autunno (10), si deve notare che avvenne dopo le feste istmiche non solo (11), ma dopo l’inizio dell’arcontato di Callia (12), poichè Tuci- dide ci parla prima (13) del ricorso degli Ateniesi ai mille talenti di riserva, e questo fatto viene da Filocoro (14) assegnato all’anno dell’arconte Callia. Se si osser- (1) VII, 6, 5. (2) Il BoerxER, 0. c., pag. 9, nota a ragione come da quel passo compaia piuttosto l'opposto. (3) Colla neomenia del 14 agosto c., o forse meglio con quella del 13 settembre c. (4) Vedi i passi raccolti in BoERNER, 0. c., pag. 14, n. 7. (5) Tucm., VIII, 8. (6) VIII, 23. 24. (7) Tucm., VIII, 20. (8) Ibidem. (9) Tucip., VIII, 7. (10) Tucrn., VIII, 29. (11) Tuom., VIII, 8. (12) Circa il 5 luglio. Cfr. Meyer, Gesch. d. Alt, IV, $ 688, n. 1. (18) VIII, 15. (14) F. H. Gr., I, p. 402, fr. 116= Scol. Arisror., Lîs., 178. 37 ‘WRICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 107 vano ancora gli eventi della flotta spartana dopo le feste Istmiche (1); e si tien conto che Tucidide parla del settembre avanzato (0époug teXeut®vTOg) (2) dopo che ha già parlato del passaggio di Astioco da Cencrea a Chio (3) poi a Lesho (4) poi a Chio (5) ad Eritre (6) e di nuovo a Chio (7), ma che d'altra parte dalla lettura di Tucidide risulta che tutto ciò non richiese che assai poco tempo (8), probabil- mente non si erra se si pone l’entrata in carica di Astioco, verso il finir di agosto, o subito all’inizio di settembre (9). Nell'inverno successivo furon inviate da Sparta (10) verso l’Ellesponto, ventisette navi sotto la direzione dello Spartiata Antistene: insieme con questa spedizione furono mandati undici ouuRovxoi, Spartiati pur essi, i quali dovevano consigliare Astioco, anzi potevano, se loro paresse, sospenderlo dando il comando ad Antistene (11). Io non credo che qui Tucidide abbia inteso di dire che in caso sarebbe stato navarco Antistene (si tratterebbe sempre di un navarco straor- dinario, anche se vi fosse stata una elezione preliminare): Antistene da quando parte dalla Laconia esercita il potere di un capitano straordinario, e non è chiamato che col generico nome di dpywv (12). Pare probabile, che ove Astioco fosse stato sospeso (di destituzione non siamo autorizzati a parlare), Antistene avrebbe avuto il comando in via affatto straordinaria come duce straordinario: tutto ciò si può porre in con- fronto di quanto accadde rispetto a Melancrida e Calcideo, a Chiricrate e Pisandro, ad Ecdico e Teleuzia. Ed ora vediamo quando sia uscito di carica Astioco cedendo il posto a Min- daro (13). Aristotele (14) ci fornisce la data dello scioglimento della vecchia bule Ate- niese, e quella dell'entrata in carica della nuova bule dei 400. Si può ritenere che di esse la prima del 14 Targelione sia la data dell’entrata in carica non legale, ma effettiva dei Quattrocento. Se poi teniam conto che Aristotele (15) fa durar quattro mesi l’oligarchia, veniamo all'incirca per la caduta dell’oligarchia al 20 settembre (1) Tucio., VIII, 10. — Dopo le feste Istmiche la flotta si riunisce, poi viene bloccata dagli Ateniesi al Pireo Epidaurico (Tuc., VIII, 10 sg.), e rompe il blocco solo poco prima dell’arrivo di Astioco (Tuc., VIII, 20). (2) VIII, 25. (3) VIII, 23. (4) Ibid. — Vedivi la spedizione contro Antissa e Metimna affidata all’ùpxwv Eteonico. (5) Ibid. (6) VIII, 24. (7) Ibid. (8) Vedi le notizie cronologiche che ci fornisce Tucin., VIII, 23-24. (9) Colla neomenia del 2 settembre c., meno probabilmente con quella del 3 agosto c. 412. (10) Tucin., VIII, 39. (11) Questo provvedimento, a quanto pare, fu preso in seguito all’accusa di Pedarito di mancato soccorso (Tucin., VIII, 38, 4). (12) Tucip., VIII, 39. (13) Il Sorari, o. c., pag. 24 gli dà per èmotoleîs Ippocrate (Tucm., VIII, 99. 107, 2; Sexor., EUen., I, 1, 23) e Filippo (Tuc., VIII, 99). Ippocrate fu bensì, come dice SenorontE, émotorevg (cfr. Nic- COLINI, 0. c., pag. 286, n. 6); ma Filippo al principio dell'autunno 412 è assai probabilmente armosta a Mileto (Tucip., VIII, 28, 5); nell'estate seguente del 411, dopo l’arrivo di Mindaro è inviato cen ‘ due triremi a ricever le navi da Tissaferne, ma invano (Tucin., VIII, 87. 99): pare evidente che allora egli era un duce straordinario. (14) ’A@. mro)., XXXII. (15) AnisroreLe, AQ. moi, XXXIII, 1. % 108 LUIGI PARETI 38 del 411. Ciò si accorda colla narrazione di Tucidide (1) che parla della caduta ancora nell'estate. Ora Tucidide parla della successione di Mindaro ad Astioco (2) abba- stanza dopo il sorgere, e parecchio prima della caduta della oligarchia; sì che si deve considerarla avvenuta nel corso dell’agosto, e forse non sì erra facendola coin- cidere all'incirca colla neomenia del 22 agosto 411 (3). Mindaro morì alla battaglia di Cizico: la datazione di tale battaglia è di gran- dissima importanza per lo studio della cronologia di tutti gli avvenimenti successivi fino alla battaglia delle Arginuse (4). Secondo Filocoro (5) essa cade nell’arcontato di Teopompo (411/10), dunque nella prima metà del 410. Si può precisar meglio: Mindaro secondo Diodoro (6) fdn Tod yeimòvog Myrovtog si diede a riunire d’ogni parte la flotta; anche gli Ateniesi si affrettarono a riunire le loro navi: fecero venire dalla Tracia Trasibulo e Teramene, e da Lesbo Alcibiade, mapakaNoîvteg uerà tToò otéiov TÙàV Tayxiotnv fikeiv (7). Non vi è ragione per porre la battaglia di Cizico oltre il marzo 410: entrambe le parti avevano ogni interesse ad affrettare la battaglia decisiva; gli Ateniesi prima che lor venisse a mancare del tutto il denaro (8), gli Spartani per approfittare dell'assenza della flotta Ateniese, allora ferma a Cardia (9). Il porre la battaglia di Cizico nel maggio perchè vi prende parte Teramene (10), non pare probabile, perchè nulla prova ch'egli non abbia potuto porsi in mare già prima del finire del 411. È vero che lo troviamo a Calcide, Paro, Pidna, prima che a Cizico, ma a Calcide abbandona l'impresa trovandola troppo difficile (11), e nulla dice che ad accorgersi di questo abbia dovuto durare molto tempo; da Diodoro l'impresa delle isole (12) pare sia stata di poco conto, una scorreria più che altro; e questi fatti possono esser ancor accaduti nel 411; quanto a Pidna Diodoro (13) ci dice, che yxpoviZovong Tg mohopkiag Teramene dmémievoev eis Opdxnv mpòg OpacuBov)ov, dal che compare che in quest’ultima impresa, che può porsi nell'inverno 411/10, non per- dette molto tempo, anzi che non ne volle perdere: di Pidna si impadronì poi Archelao da solo. , Prima di proseguire ci si presenta uno dei più spinosi problemi della cronologia Greca; a seconda delle nostre conclusioni su di questo punto vengono spostati “di un anno quasi tutti gli avvenimenti dalla battaglia di Cizico a quella delle Arginuse. (DIUVILLTONI (2) VIII, 85. (3) Meno probabile è che coincida colla neomenia seguente del 21 settembre 411 all'incirca. (4) Vedi Busorr, III, 2, pag. 1527; LoxsE, 0. c., pag. d Sgg. ‘ (5) Framm. 117. — Cfr. Bauer, Forsch. 2u Arist. ro). ’A0., pag. 267; BoERNER, 0. c., pag. 26, n. 2. (6) XIII, 49, 2. (7) Diop., XIII, 49, 3. (8) Senor., Ellen., I, 1, 14: (9) Gli Spartani avevano inviato nel 411 Egesandrida con 40 navi (Tuc, VIII, 91); ch’erano in parte èx Tapavtoc kai èx Aoxpdy ’ITaXwrideg kai Zrxe\ixai. Ad Abido le navi Peloponnesiache sono 86. A Cizico le navi sono 60 secondo Senoronte (Ellen., I, 1, 11), 80 secondo Dronoro, XIII, 50, 2. (10) BeLocga, Gr. Gesch., II, 75, n. 1. (11) Droporo, XIII, 47, 6. Sulla cronologia della battaglia di Cizico, vedi la trattazione del LonsE, 0. c., p. 9 Sg8. (12) XIII, 47, 7-8. (13) XIII, 49, 1. su 39 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 109 In complesso dico subito che preferisco al sistema del Dodwell (1), del Miiller (2) e del Beloch (3), quello sostenuto dal Haacke (4), il Clinton, il Grote, il Breitenbach (5), l’Unger (6), il Boerner (7), il Meyer (8), il Busolt (9). Uno dei punti capitali da stabi- lire è la cronologia della spedizione di Trasillo, che secondo il Beloch (10) sarebbe avve- nuta nella prima metà del 409. Notiamo innanzi tutto come la narrazione di Seno- fonte sia, a parer nostro, disposta in questo modo: prima parla dei fatti avvenuti nell’Ellesponto che preparano e seguono la battaglia di Cizico, in seguito (11) passa a trattare di quelli dell’altro campo di azione, ossia dell’Attica, assai probabilmente tornando indietro e rifacendosi sin dal principio di quella stessa campagna; poi colla spedizione di Trasillo ci riconduce in Asia, e prosegue il racconto assai probabil- mente fino al termine del 410. La campagna successiva del 409 viene trattata secondo noi posteriormente (12). Se così è, una parte dei fatti enumerati dopo di averci tras- portati nell’Attica non sono punto posteriori, ma contemporanei a quelli avvenuti nell’Ellesponto, che sono stati esposti prima: e così la mossa di Agide dev'essere all'incirca contemporanea alla battaglia di Cizico, e può cadere nel marzo del 410, se non prima (13). Secondo il Beloch invece la battaglia di Cizico sarebbe avvenuta nel maggio 410, ma anche concedendo che avvenisse nell’aprile la fa precedere alle trattative di pace fallite tra Atene e Sparta, le quali a lor volta sarebbero anteriori alla spedizione di Agide. Secondo noi invece par probabile che la battaglia di Cizico sia avvenuta parecchio tempo prima; e crediamo che nulla provi che la spedizione di Agide non solo sia avvenuta dopo le trattative di pace, ma dopo la battaglia di Cizico. Ne deriva la possibilità che Trasillo, partito da Atene, dopo che Agide fu respinto, e dopo che gli furono fornite delle navi, si trovasse nella Tonia, nella seconda metà di maggio 410, dkuaZovtog To cITOv. Se è vero che la spedizione cade nel marzo circa del 410, si poteva disporre di oltre due mesi per fornirlo di navi, che d'altronde Senofonte non dice siano state costrutte allora. Secondo il Beloch invece la spedizione di Trasillo accadde nella primavera del 409, ma ciò pare impro- babile anche ove si consideri che da circa diciotto mesi Trasillo avrebbe dovuto esser andato ad Atene a chieder delle navi (14), e che da circa un anno avrebbe ottenuto (1) DopWELL, Annales Thucydidei et Xenophontei, Oxford, 1702. (2) E. MueLer, Dissert. chron. de Xenoph. hist. graec., part. I, 1856. (3) BeLoca, “ Philol. ,, 1884, pag. 261 sgg. e Gr. Gesch., II, 79. (4) Haackr, Dissertatio chron. de postremis belli Pelop. annis, 1822. (5) Brerrensaca, “ Jahrb. f. Phil. ,, 1872, I, pag. 72 sgg. (6) Unser, Die hist. Glosseme in Xen. Hell., © Miinchener Sitzb. ,, 1882, I, pag. 237 sgg. (7) BoERNER, 0. c., pag. 22 sgg. (8) Merer, Gesch. d. Alt., IV, 617 sgg. (9) Busorr, “ Hermes ,, XXXIII, 1898, p. 661 sgg. e Gr. Gesch., III, 2, pag. 1529 sgg. — Sulla questione vedi anche: Lenscnau, Die Zeitfolge der Ereignisse von Ende Sommer 411 bis zur Argi- nusenschlacht, “ Philol. ,, suppl. VIII, p. 315; FrieprIca, Zu Xenophons Hellenica und Agesilaos, “ Jahrb. f. kl. Phil. ,, 158, p. 290; Bicusenscnitz, Xenophons Griech. Gesch., * Philol. ,, XIV, p. 511; Lonse, o. c., pag. 3 sgg. (10) “ Philol. ,, 43, pag. 276 sg. (11) I, 1, 33 sgg. (12) I, 3, 1 sge. (13) Sewnor., EUen., I, 1, 33. (14) In, I, 1,8 110 LUIGI PARETI 40 il permesso di costruirle. Oltre a questo il 410 verrebbe a vuotarsi singolar- mente di avvenimenti. E neppure le altre prove addotte dal Beloch a favor della sua cronologia mi paiono perentorie. Egli sostiene che la spedizione di Trasillo non può esser avvenuta che nel 409, perchè nel 411/10 egli non era vero stratego Ateniese, ma solo eletto dalla flotta di Samo. Ma si può obbiettare che Trasibulo ed Alcibiade non erano in condizioni più normali pur essendo alla direzione della guerra. Altro argomento per porre la spedizione di Trasillo nel 409, sarebbe che giunto ad Efeso egli si trovò già contro venti di quelle navi (1), che Farnabazo aveva concesso ai Siracusani di costrurre col legname dell’Ida (2). Ma Trasillo giunse ad Efesò 17 giorni dopo che era giunto in Lidia, dove come vedemmo era pervenuto àxudaZovtog ToÙ Citov (3). L'incontro adunque di Trasillo colle nuove navi Siracusane sarebbe della metà circa di giugno del 410: tra la battaglia di Cizico e l’arrivo ad Efeso vediamo adunque che trascorsero tre mesi, tempo che pare sufficiente per la costruzione di venti navi, specialmente data la fretta che dovevano aver i Siracusani nel costruirle (4). Notevole appoggio della tesi contraria alla nostra è pure un passo di Dionisio (5), che pone la partenza di Trasillo da Atene sotto l’arcontato di Glau- cippo (410/9). Ma anche se non si ammette che si tratti di una semplice induzione della sua fonte, assai probabile è che si sia posta tutta la spedizione di Trasillo sotto quell’arconte sotto cui agì (6). Combattuta così per sommi capi (7) la teoria che pone nel 409 la spedizione di Trasillo, la quale porterebbe non solo a spostare di un anno la guerra tra Sicelioti e Cartaginesi, dal 409 al 408, contrariamente alla data che le assegnano Diodoro e l’interpolatore di Senofonte (8), ma anche quasi tutti gli avvenimenti della Grecia tra le battaglie di Cizico e delle Arginuse; e accettata invece per tale spedizione la teoria che la pone nella prima metà del 410, veniamo implicitamente a considerare come avvenuto nell’estate del 408, invece che del 407, il ritorno di Alcibiade ad Atene. Ed ora torniamo ai navarchi. Mindaro morì, &ome dicemmo, nel marzo circa del 410 alla battaglia di Cizico. Il comando dei pochi resti della fiotta spartana venne nelle mani dell’emotoNeig di Mindaro, Ippocrate (9), verosimilmente fino all’ar- rivo del navarco successore, ossia probabilmente fino ai primi giorni di settembre del 410 (neomenia del 10 settembre c.). La ricostruzione della flotta spartana dovette procedere abbastanza a rilento: dell’aiuto di Farnabazo pare approfittassero, se non esclusivamente, certo in modo maggiore Ermocrate ed i Siracusani. La navarchia fino alla nomina di Lisandro ebbe un momento di decadenza, sicchè par quasi scu- (3) I., (4) Cfr. Prinro, St. Nat., XVI, 74, 192. Assmann, in Baumersrer, Denkmdler, III, 1600; Lonse, o. c., pag. 12. Non mancan però dei dubbi sulla notizia di Plinio. (5) De Lysia, 21. Vedi: MùLLER, 0. c., p. 42. a (6) Cfr. Meyer, IV, $ 714 n.; BREITENBACH, o. c., pag. 80; UnGER, 0. c., pag. 252. (7) Vedi anche Boenxer, 0. c., pag. 25 sgg., e specialmente Lonse, 0. c., p. 13 sgg. per altri ele» menti positivi. (8) EUen., I, 1, 87. (9) Sewxor., EMen., I, 1, 23. Vr ———-—e= o Segn 41 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 111 » sabile l’errore in cui incorse la fonte di Diodoro, o Diodoro stesso, facendo succedere a Mindaro Lisandro: i predecessori di quest’ultimo, Pasippida e Cratesippida, non fecero assai probabilmente che ben poco. Di Pasippida parla Senofonte a proposito della ribellione di Taso (1). Egli non lo dice esplicitamente navarco, ma in tal punto non dice navarco neppur Cratesippida, che compare tale da altro luogo di Senofonte stesso (2). Dalla narrazione di Senofonte (3) risulta che Pasippida andò in esilio, ma non è detto nè che fu destituito nè che andò in esilio subito dopo i fatti di Taso. Nel racconto di Senofonte credo si debba distinguere tra la cronologia della ribellione di Taso e quella dell'esilio di Pasippida che ne vien dato per conseguenza: era ben naturale però che Senofonte, narrati i fatti di Taso e le accuse che se ne facevano a Pasippida, dicesse anche delle conseguenze che ne derivarono. Pasippida fu secondo noi navarco per il 410/9, riteniamo pure che l’esilio gli sia stato inflitto alla resa dei conti. Recentemente il Brownson (4) tentò di dimostrare che egli fu navarco nel 409/8, ma le prove di ciò ch’egli addusse non mi paiono convincenti. In primo luogo il Brownson cerca di dimostrare che ‘tra la battaglia di Cizico e l'invio di Pasippida deve esser trascorso molto tempo: ma pur ammettendo con lui che l’annunzio della sconfitta sia giunto tardi a Sparta (5), e che le trattative di . pace siano andate in lungo, non se ne può trarre che la costruzione delle navi sia stata protratta per tanto tempo. Si verrebbe a porre l’invio di Pasippida almeno diciotto mesi dopo la battaglia di Cizico, e si dovrebbe ammettere che in tutto questo tempo fosse stato a capo della flotta l’émotoMevs Ippocrate, un anno almeno più di quanto avrebbe dovuto. Secondo il Brownson l'esilio e la navarchia di Pasippida sono bensì connessi come vuol Senofonte (6) coi fatti di Taso, ma poichè a Taso abbiamo rivoluzioni sino al 408 o 407 (7), ne deriverebbe che quella alla quale è connesso Pasippida può cadere in tutto il periodo tra il 410 ed il 407. Ma dalla lettura di Senofonte, se regge quanto dianzi dicemmo sulla disposizione del racconto, si deve ricavare che i fatti di Taso avvennero nello stesso anno della battaglia di Cizico, ossia nell'autunno o nell'inverno del 410. Senofonte (8) ci parla a proposito dell'inverno 409/8 di un’'ambasceria degli Ateniesi a Susa. Cogli ambasciatori Ate- niesi noi troviamo Ermocrate già esiliato e Pasippida. Il Brownson ne deduce che se Pasippida nell'inverno 409/8 era ambasciatore Spartano, ciò significa che non era ancor esiliato, ossia ch’era ancor navarco, e che il suo anno non può essere che il 409/8. Ma a parte il fatto che dal racconto di Senofonte è evidente che Pasippida andò a Susa, dopo ch'era già entrato in carica Cratesippida, io credo che dal passo di Senofonte addotto dal Brownson non si possa trarre che la conseguenza opposta: il testo in tal punto dice Pasippida ambasciatore con altri degli Spartani, ma è (1) Senor.; Ellen., I, 1, 32. Vedi Busotr, III, 2, pag. 1332 n; 1555, n. 2. (2) Senor., EWen., I, 5, 1; Droporo, XIII, 65, 8. (9), 1,082. (4) O. c., pag. 35 sgg. (5) Senor., EMlen., I, 1, 23. (6) Senor., EZlen., I, 1, 32. (7) 10,1 4,9. (8) In., I, 3, 13. 4, 1 sgg. 142 LUIGI PARETI Ù 42 evidente che il vocabolo mpéopers non è che una interpolazione errata: Ermocrate e Pasippida si uniscono ai nemici Ateniesi, non certo a favore dei proprii governi, ma perchè esuli. Se quindi nell'inverno 409/8 Pasippida era già esule, la sua navarchia non potò essere che del 410/9. Che poi, perchè i fatti di Taso avvennero d'accordo con Tissaferne, si debba porre la condanna di Pasippida dopo l’arrivo di Ciro e dopo la caduta di Tissaferne non vi è motivo sufficiente. Che Pasippida potesse esser accusato anche prima del 408, ossia prima dell'arrivo di Ciro, basta a provarlo quel che poco prima di parlar di Pasippida ci narra Senofonte stesso (1), le accuse cioè dinanzi agli Spartani contro Tissaferne di Ermocrate, prima del suo ritorno: inoltre è evidente che allora gli Spartani si appoggiavano a Farnabazo. Un ultimo argomento trae il Brownson da un altro luogo di Senofonte (2). Dopo l'ambasceria di Pasippida in Asia (inverno 409/8), troviamo che l’armosta di Bisanzio Clearco raccoglie le navi kata\e\eupevar ppovpideg mò TTaoimmidov nell’Ellesponto. Ne deriverebbe che Pasippida le avrebbe lasciate colà mentre si recava in Asia. Ma ciò non regge dopo quanto notammo sull’ambasceria di Pasippida, onde si deve interpretare in tal modo: Pasippida prima di uscir di carica, ossia nell'estate 409 (probabilmente scadde colla neomenia del 30 agosto (3)) lasciò quelle navi nelle mani dei diversi armosti dell’Ellesponto: ciò non è punto impossibile, perchè tra l'epoca in cui Pasippida le avrebbe lasciate e l’epoca in cui Clearco le avrebbe raccolte, sarebbero trascorsi non due anni, come dice il Brownson, ma pochi mesi: dal tardo estate 409 all’inverno successivo. Concludendo non possiamo ammettere nè che Ippo- crate abbia avuto per due anni la carica di émotoNedg, nè che l’anno 410/9 sia mancato il navarco, nè che Pasippida sia del 409/8; ma crediamo ch'egli sia stato navarco nell’anno precedente. Se così è, Cratesippida che gli successe (4) non può essere stato navarco che nell’anno 409/8. Per averne la certezza vediamo di stabilire la cronologia dell’en- trata in carica del suo successore (5) Lisandro (6). Questi giunse in Asia a sosti- tuire Cratesippida mpotepov ToUTwv où toMW xp6vwy: rispetto al ritorno in Asia di Alcibiade. Ora Alcibiade era giunto in Atene alle feste Plinterie (25 Targelione —= 16 giugno circa 408 (7)) ed era ripartito da Atene dopo la celebrazione dei Misteri (8). Se col Busolt poniamo ciò al 7/8 ottobre, vediamo che partì da Atene all'incirca verso la fine di ottobre. Lisandro deve dunque esser partito per la flotta non molto prima di tale epoca: si tratta probabilmente del settembre 408, come si (1) In., 7 10391 (2) Ias ro. (3) Meno probabilmente con quella del 29 settembre c. (4) Senor., ZZlen., I, 1, 32; Droporo, XIII, 65, 3. Le navi spartane allora secondo Drop. erano 25. (5) Senor., EMUen., I, 5, 1. (6) Lisandro secondo Frrarco (ap. Areneo, VI, 102p. 271) sarebbe stato motace. Cfr. anche Erano, V. H., XII, 43. La cosa non è impossibile, ma certo non è sicura, data la poca autorità di Filarco. ll BoerxneR, 0. c., pag. 73, ne trova una riprova in Isocr., Paneg., 111: Mpoovto dé TOv EiAwrwy évi dovAevew, ma pare assai difficile ammettere che qui si alluda a Lisandro. (7) Sexor., EUen., I, 4, 12; Prun., Alcid., 84; Drop., XIII, 68; Nepr., Alcid., 6; Giusr., V, 4. — Vedi Busorr, III, 2, pag. 1569, n. 3. (8) Senor., I, 4, 20; Prur., Alcid., 34. 43 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 113 può dimostrare, e fu dimostrato anche per altra via (1). Poichè, a quanto pare, nel- l’anno precedente era caduto il mese intercalare (2), l’anno 408/7 incominciava assai probabilmente colla neomenia del 18 settembre circa: a tale epoca può Lisandro essere entrato in carica. Fino a quando durò la navarchia di Lisandro? Secondo il Beloch, Callicratida gli sarebbe successo nell'estate del 406, secondo altri nella primavera del 406. Ve- diamo la questione. Nella seconda metà del 408, nell'autunno, Lisandro andò a Rodi (3), poi a Coo, a Mileto e ad Efeso (4), dove attese Ciro; il restante di quell’anno è oecu- pato dall’azione diplomatica dell'accordo con Ciro. Pare che l’inverno 408/7 cada là dove Senofonte (5) dice: xaì è uèv AUcavdpos, rei aùt® TÒ vaurikòv OuverétaKTO, avelkigag Tg Èv Ti) 'Epéow oùcag vabg Eéveviiovta fAovyiav frev. Se anche in ciò non si può vedere col Meyer l’accenno ad una tregua di novanta giorni (6), si parla pure di una sosta, “che corrisponderebbe per noi all'inverno. D'accordo con ciò è il fatto che parlando dell’azione di Alcibiade dopo la metà circa d'ottobre del 408, ossia dopo la sua partenza da Atene, Senofonte (7) dice che andò ad Andro, che ricu- però agli Ateniesi, xeì pueivag aùtoò ONifag Muépag Èmàeucev eig Zduov, kdkeîdey Opuwuevog èro\éuei, e poi tace di lui fino al ricordato luogo (8) ove parla della fouvyia di Lisandro. Pare evidente che Senofonte ha condotto prima (9) la narrazione delle cose Ateniesi e di Alcibiade fino all’inverno 408/7, poi (10) riprende le cose Spartane e le conduce fino allo stesso punto (11). La battaglia di Nozio, qualunque spiegazione si debba dare dell’allontanamento di Alcibiade, o per destituzione col Busolt, corri- spondente ad apocheirotoria col Beloch, o, come mi par più probabile, per mancata rielezione, cade nella primavera del 407 (12): Alcibiade abbandona allora la flotta, ed al (1) Vedi Busonr, III, 2, 1565, n. 1 e 1569, n. 2. Cfr. Usener, “ Jahrb. f. K1. Phil. ,, 103 (1871), pag. 316. — Il BoernEr, o. c., pag. 17, vuol trarre da Senor., I, 5, 1, la conseguenza ch’era stato eletto nell'autunno; ma in tal modo restringe troppo il significato assai elastico della frase. Quanto alla dimostrazione del Lonse, pag. 31 sgg., che Lisandro ed Alcibiade si siano mossi solo nella pri- mavera 407, non mi pare accettabile; perchè lasciando il fatto che nulla prova non esser Ciro a Sardi dopo l'autunno 408, nulla prova che la battaglia di Nozio sia dell'autunno 407, e che quindi in Senor., I, 5, 10 non si possa alludere all'inverno 408/7. Così pure da Sexor., I, 4, 21 non mi pare che si possa ricavare che le navi siano state preparate solo dopo i Misteri; potevan esser pronte da parecchio, dall’elezione di Alcibiade o poco dopo, e quanto alle navi degli Spartani, che (Sexor., I, 4, 11) erano in costruzione nella tarda primavera del 408 prima che Alcibiade giungesse ad Atene, potevan benissimo esser finite già nel corso dell’estate408. Per questo non credo punto si debba trattare nè per Lisandro nè per Alcibiade di navigazione invernale, e pongo la loro partenza nell'autunno 408. (Quanto al tpitw unvi di Sewor., I, 4, 21 ritengo probabile la correzione Tetdptw unvi: dovuta a confusione degli elementi simili, sì cfr. ad es.: Porrs., I, 88. 7, e Droporo, XXV, 6). (2) Altrimenti incominciava colla precedente neomenia ‘del 19 agosto c. (3) Senor., Ellen., I, 5, 1. Secondo Droporo, XIII, 70, 1 con più navi che potè, e là ne aggiunse. (4) Egli allora aveva 90 navi secondo Sexnoroxte, I, 5, 10; 70 secondo Dioporo, XIII, 70, 2. Si tratta probabilmente di un facile scambio tra O ed O. (5) Senor., EZlen., I, 5, 10 sgg. (6) O. c., IV, 8722 n. (7) Sewor., EMlen., I, 4, 20 sgg. (8): 1,5; 10. (9) I, 4, 8-23. (10) I, 5, 1-10. (11) Cfr. pure il passaggio in Drop., XIII, 70 e XIII, 71. — Vedi Busotr, III, 2, pag. 1573, n. 3. (12) Non accolgo la dimostrazione del Lorse, pag. 18 sgg., che sia dell'autunno 407; perchè è il Serie II. Tom. LIX. 15 144 LUIGI PARETI 44 suo posto va Conone, evidentemente in via straordinaria, prima della regolare entrata in carica degli strateghi, e riduce il numero delle navi alle sole veramente atte al mare. si Quanto a Lisandro non ci vengono con sicurezza ricordati fatti dopo la presa di Nozio, tranne quelli di Delfinio e di Teo (1). A questo punto degli avvenimenti sì Ateniesi che Spartani il testo di Senofonte aggiunge: TO d' èmovti ÈTeI, © i Te 0EMMvN èZéAurev gomépas kai è marandg T‘g "A@nvag veg Èv ’ABNvars èvermpno@n, TTitia uèv è@opevov- toc, dpyovtog dè KaXMou "A@fvnow, oi Aakedanuovior TOD Auodvòpw TapeAnAvaétog iòn TOÙ ypévou kaì TtÒ moNéuw TETTAP’V Kai elkogiv éTtOv, Emeuyav èrì Tag vati KaMi- xparidov (2). Quale è adunque la cronologia dell’arrivo di Callicratida? A questo punto la cronologia proposta dal Beloch viene quasi a combaciare con quella degli altri: egli infatti crede che Callicratida sia entrato in carica circa il giugno del 406/5; mentre gli altri, identificando l’eclisse di luna menzionato dal testo di Senofonte con quello del 15 aprile 406, pongono l’arrivo di Callicratida nell’inizio di primavera di quell’anno. Ma colla tesi del Beloch, se si ammette anche con lui che la battaglia delle Arginuse sia accaduta nel settembre, si viene a restringere i fatti di Callicratida in assai minor tempo, di quanto paiano averne abbracciato, ove si legga spregiudicatamente la descrizione che ne fa Senofonte; se poi si pone, come pare più probabile, la battaglia delle Arginuse prima di quel che egli abbia fatto, non si riesce a trovar posto per gli avvenimenti. Ma nemmeno ponendo cogli altri la battaglia delle Arginuse circa il luglio 406, e l’arrivo di Callicratida nell’aprile, si riesce a stabilire una cronologia soddisfacente. Poichè infatti, oltre al dover ammettere per Lisandro una pro-navarchia di circa 8 mesi, il che pare non abbia confronti, bisognerebbe considerare come quasi del tutto sconosciute sì l’opera degli Ateniesi, che quella degli Spartani per circa un anno, ossia dalla primavera 407 in cui si deve porre la battaglia di Nozio, alla pri- mavera del 406, in cui si suppone avvenuto l’arrivo di Callicratida. Per gli Ateniesi si tenta di riempire tutto questo tempo colla riattazione delle navi (3), ma che Conone, mandato in cambio di quell’Alcibiade che pareva non aver fatto il suo dovere, impiegasse tanto tempo, in null’altro, secondo quel che ci dice Senofonte, che nel ridurre il numero delle navi Ateniesi, scartando le inservibili, e riattando passo di Lrsra, XIX, 52 è tanto vago e impreciso ché nulla di certo se ne può derivare, e perchè la notizia di CaLristrato in Scol. ad Arist., Ran, 1459 (Dind.), secondo cui l’esilio sarebbe avvenuto sotto l’arcontato di Antigene (407/6), non prova che sia avvenuto oltre l’estate 407, non solo, ma è dubbio se non sia un autoschediasma, tratto da ciò che si considerò esiliato alla fine del suo anno di strategia: quanto alle altre testimonianze si attagliano evidentemente meglio alla nostra crono- logia: Lis., XIV, 88; XXI, 7; PLur., Lis., 5; Senor., I, 4, 21; 5, 11. 16. 20; 6, 16. 85. (1) Vedi Busotrr, III, 2, pag. 1582. BoERNER, 0. c., pag. 33, n. 2. Senor., I, 5, 15. (2) Sewor., EU., I, 6, 1. Il Sorart, 0. c., pag. 24, gli dà per èmoroXeîs Clearco (Dron., XIII, 98, 1) ed Eteonico (Sexor., Ellen., II, 1, 1). Il Niccorini, 0. c.. pag. 286, n. 6, accetta la cosa per Eteonico, e non per Clearco. Ma Eteonico, come vedremo in seguito, pare un duce straordinario; quanto a Cleareo credo contrariamente al NrccoLini che possa esser stato egli l'èmotoXevs. Il véssato passo di Drop., XIII, 98, in cui si fa dire a Callicratida: vOv avaderviw vavapyov, dv Èfw TI TA0w, TÒvV dia- dezbuevov KAéapxov, credo che ove si tolga il colorito retorico, e la solita imprecisione Diodorea, non sia che una conferma della nostra ipotesi: infatti, ove fosse morto il navarco, il comando della flotta restava all'émotorevgs fino al termine dell'anno. (3) Sexor., I, 5, 20. 45 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 115 le migliori, par molto inverosimile. Che poi Lisandro occupasse per parte sua tutto questo tempo preparando le eterie, senza occuparsi di altro, non è meno improbabile : tanto più che nulla prova che solo colla primavera, o l’estate del 407 egli pensasse a far questo: anzi, tutto lascia supporre ch’egli vi attendesse fin dall'epoca del suo arrivo in Asia. Se da questa parte, poi, viene estremamente allargata la cronologia dei pochissimi avvenimenti, si sono ristretti quelli di Callicratida in tre o quattro mesi, o in meno ancora, mentre pare evidente che abbian occupato un assai più lungo lasso di tempo. Ma su qual dato di fatto si basa questa cronologia dell’aprile circa 406, per l’arrivo di Callicratida alla flotta? Vedemmo come il testo di Senofonte dopo d’averci par- lato (1) al principio del 407 della battaglia di Nozio, della presa di Delfinio e Teo, deil’allontanamento di Alcibiade e del successivo arrivo di Conone a Samo ove attende a riattare la flotta, ci presenti subito dopo quel passo (2), che abbiam riferito, ove parla dall'arrivo di Callicratida. In questo punto, siccome fu dimostrato, esiste una interpolazione, da cui si suole escludere le prime parole t® d'émovii ÈTEL come risa- lenti a Senofonte. Secondo me ciò è arbitrario: in origine non doveva esservi che il passaggio da un navarco all’altro, e l’interpolatore fu appunto da questo tratto ad inserirvi il passaggio dell’anno, e le altre notizie seguenti. Ne vedremo un caso analogo tra breve (3). Se così è, nulla prova si tratti del 406, e non del 407 (4). Ma per sostenere che si tratti dell'aprile circa del 406, si adduce la notizia del- ‘ l’eclisse. Il Busolt, identificando tale eclisse di luna con quello avvenuto il 15 aprile 406, nota che tale notizia non può risalire all’interpolatore, perchè secondo costui sarebbe caduto sotto l’arcontato di Antigene (407/6) e non sotto quello di Callia (406/85), e che quindi deve risalire a Senofonte (5). Si potrebbe obbiettare, che si può trattare di doppia interpolazione, ma anche più facile è ammettere un errore dell’interpolatore. lo eredo adunque che nulla vieti di ammettere che Callicratida sia andato a sostituire come navarco lo scaduto Lisandro nell’estate del 407 (6); e che il testo originale di Senofonte in quel luogo suonasse senz'altro ad un dipresso così: oi (dè) Aakedarubvioi TO Auodvdpw rmape\inAuaétog ijòn Toù xpovou èTteuyav érì Tag vadg KaMikpartiday. Che Senofonte potesse incominciare il periodo in tal modo, dimostra il confronto con un altro passo (7): Oî dè Aaxedaruovior mpOTEPOv TOÙUTWw où toMW yxpovw Kpatnommida Tg vavapyiag tapeinAuQuiag Aucavdpov éZzereuyav vavapyov. Ed ancora, che al tempo in cui Eforo si valse di Senofonte, il contesto fosse quale io lo ritengo, può forse dimostrare il confronto col corrispondente luogo di Diodoro (8): Oî dè Zrapnata, td (NS. spe: (2)I 64.1. (3) Sewor., II, 1, 10. Contro Loxse, o. c., pag. 7 sgg. Sulle interpolazioni nel testo di SexoFoNTE, mi riservo di trattare di proposito altrove. (4) Contrariamente la pensa il Browxsox, o. c., pag. 84, che pone quindi Lisandro nel 407/6 e Callicratida nel 406/5. (5) Vedi anche Lonse, o. c., pag. 8. (6) Anche se si volesse ad ogni costo credere Senofonteo il t® è’ émovti Ter, non ne verrebbe ancora che Senoronte volesse parlare del 406/5 più che del 407/6, poichè gli avvenimenti enume- rati prima spettan tutti alla prima metà del 407. (7) Senor., I, 5, 1; BrLocg, “ Philol. ,, 48, 271. (8) XIII, 76, 2. 116 LUIGI PARETI 46 Auodvdpw dielnAvAétog HÒòn tOÒ TS vavapyiag xpovou, KaXNikpatidnv èrì tiv diadoynv anéoternav (1). Quanto all’obbiezione che fa il Beloch (2), a che Callicratida fosse navarco dall'estate 407; cioè che non avrebbe avuto i mezzi di mantenere la flotta nell'in- verno, poichè Lisandro aveva restituiti gli avanzi a Ciro, e questi non porse aiuti fino alla resa di Mitilene (3), non è sicura, come vedremo esaminando i punti capi- tali del racconto senofonteo. Giunto Callicratida circa il settembre del 407, o anche qualche tempo dopo, se fu concesso qualche ritardo a Lisandro, a prendere la dire- zione della flotta (4), unì alle navi di Lisandro, cinquanta di Chio, Rodi, ed altri collegati (5): naturalmente avrà dovuto richiederle, e gli alleati prepararle e spe- dirle, e probabilmente in questo tempo avrà mantenuta la flotta con danari datigli alla partenza e dedotti forse dai contributi ‘in denaro forniti dagli alleati, in cambio di uomini. Intanto, probabilmente nel tardo autunno e nell’ inverno, dobbiamo porre la sua andata a Sardi (6), per chieder denari a Ciro, che lo conduce per le lunghe, ond’egli ritorna a Mileto, e. manda a chieder denari a Sparta. Poi Senofonte ci narra (7) le sue richieste di denaro ai Milesi, che gli mostrano il modo di for- nirsene, e glie ne forniscono. Nel discorso ai Milesi è data quella notizia secondo cui Lisandro avrebbe restituito a Ciro il resto dei denari; ma a parte il fatto che si tratta di un discorso, e che se anche la notizia risalisse a Callicratida potrebbe parer dubbia, è difficile sostenere che fino allora egli di denari non ne avesse punti, e che non ne abbia avuto fino a che glie ne fornì Ciro; poichè, e qui si parla espli- citamente di aiuti avuti dai Milesi, e di denaro raccolto a Chio, ed in seguito si vede che i soldati posson ritrarre bottino nella presa di città. Poichè, pur lasciando la presa dubbia di Delfinio e di Teio secondo Diodoro (8), lo vediamo (9) muovere su Metimna ben difesa anche da un presidio Ateniese, e dice Senofonte che mpooRaXwy aipeî TÙ)V mOdiv Kkarà xpdtog (10). Diodoro aggiunge che gli assalti fallirono in prin- cipio ma che per òMiyov la città fu presa, e Senofonte aggiunge che i soldati tà xpn- uara mavta dipracav. Poi Callicratida muove ‘verso Mitilene (11), mentre Conone sopraggiunge a difender Metimna. P Con questi fatti siamo probabilmente nella primavera del 406. Senofonte ci parla ancora dell’inseguimento di Conone fino all'imbocco del porto di Mitilene (3), e della (1) Droporo subito dopo d'aver parlato a proposito del 408/7 dell'arrivo di Conone alla flotta di Samo, che è senza dubbio del principio estate@ 407, continua subito col passaggio del navarco, il che favorisce la nostra tesi che Callicratida sia stato del 407/6: al tempo dell’arconte Antigene, come vuol Droporo. (2) © Philol. ,, 43, pag. 286. (3) Senor., Ellen., I, 6, 9. (4) I, 6,1. (5) I,6,8 (6) I, 6, 6. (7) I, 6, 8. (8) Drop., XIII, 76, 3 se. (9) Senor., EZen., I, 6, 12 sgg.; Drop., XIII, 76, 6. (10) Senor., I, 6, 13. (11) Drop., XIII, 76, 6. 77, 1. (12) Sexor., I, 6, 16 sgg. lele dii 47 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI I, LI vittoria degli Spartani che bloccano gli Ateniesi nel porto. È dopo di ciò (1) che xpriuatd te mapà Kipov aùr® (=a Callicratida) f\0ev, secondo noi nella primavera avanzata, circa il principio del maggio. L'assedio continua, si preparano due navi, dopo cinque giorni rompono il blocco, e portano l'avviso ad Atene. Intanto Diome- donte corre in aiuto, ma è vinto da Callicratida (2). Forse nella seconda metà di maggio giunge la notizia ad Atene (3): in trenta giorni si preparano le navi di soccorso, le quali vanno a Samo, dove si uniscono a dieci navi Samie ed a trenta di alleati: siamo probabilmente nella prima metà di luglio. In seguito Callicratida (4) giunge al promontorio Malea, e gli Ateniesi alle Arginuse, e il giorno dopo si com- batte. Da questo semplice sommario dell’azione di Callicratida mi pare risulti che i fatti suoi sono sufficienti a riempire il lasso di tempo che loro accordiamo (5). Callicratida morì alla battaglia delle Arginuse. La cronologia di questa bat- taglia è assai discussa: lo Herbst (6), il Curtius (7), l’Holm (8), il Beloch (9) la pon- gono nell'autunno del 406; il Boerner (10°), in principio dell'arcontato di Callia (406/5), il Meyer (11) in principio d'agosto, ed il Busolt (12) all'incirca alla stessa data, ossia alla fine di luglio ed in principio di agosto. Terminus post quem è l’inizio dell’ar- contato di Callia, in cui essa avvenne secondo una notizia di Aristotele (13) e Ateneo (14). Il terminus ante quem è dato da Senofonte il quale parla dei fatti di Eteonico, dopo le Arginuse, a Mitilene ed a Chio, e quando li riprende (15), dice che si è ancora durante il 0épog (del 406). Parallela a ciò è la notizia che durante il processo degli strateghi Ateniesi caddero le Apaturie (16), che sappiamo si celebravano nel quarto mese attico, ossia nel Pyanopsione: siamo adunque proba- bilmente nella prima metà di ottobre. Dalla lettura di Senofonte e Diodoro pare (1) I, 6, 18. (2) I.6,.22: (3) I, 6, 24. (4) Lascia Eteonico dpxwv a Mitilene con 50 navi, e resta con 120. Senor., I, 6, 26. 36 sgg.; II, 1, 1 sgg.; Droporo, XIII, 97, 3. 100, 5; PoLreno, I, 43. (5) Delle 120 navi che restavano a Callicratida, 10 sole eran Spartane (Sen., EUen., I, 6, 34). — Vedi Sonar, o. c., pag. 200 sgg. (6) Herssr, Die Schlacht bei den Arginusen, pag. 85 sgg. (7) Gr. Gesch®, II, pag. 350. (8) Horxw, Gr. Gesch., II, pag. 573. (9) BeLoca, “ Philol. ,, 43, 285 sgg. (10) O. c., pag. 30 sgg. (11) IV, $ 727. (12) IMI, rr, 1591 n. (18) ‘AQ. to.., 34, 1. (14) V, 218 «. A ragione, specialmente dopo la pubblicazione dell'’A@. moà., fu rigettata dal BogrneR, pag. 31 sgg., un’altra notizia (Scol. Aristor., Rane, 33) secondo cui sarebbe accaduta ancora sotto Antigene (407/6): ti ydp fù oùk èvavudyouv* mpògs Toùg xpovoug, ÉéTL TÙ mporépw re èri “Avtuévoug STE Tepì ’Aprivoucav èvikwv vavuaxig oi ’A@nvaîo.. Il BorrNnER sostiene che tale scolio sorse da quello al v. 694 delle Rane stesse: kal TTAatardg + ...ToÙg CUvvavuaXnoavtes doviove ‘EMa- viKog puo èreuBepw@fivai, kai érrpapévtag ws TTiatareîg cuuTOlITEVTAOBA1 aùtoîc, dietuuv tà èri "Avturevous Tod mpò KaXMiov. A ragione il BoerNER sostiene che questo passo non prova che la bat- taglia sia avvenuta sotto Antigene, ma bensì che si diede la cittadinanza agli schiavi all'atto del- l'imbarco: lo scoliasta adunque confuse tra l'epoca della promessa e quella della manomissione. (15) Senor., E/en., I, 6, 35 sgg.; II, 1, 1 sgg. (16) I, 7, 8. 118 LUIGI PARETI 48 ca LI evidente che tra la battaglia e la fine del processo trascorse un tempo abbastanza lungo: si confronti ad esempio il fatto che gli Ateniesi erano favorevoli alla asso- lutoria se le Apaturie non avessero inacerbito il dolore, il che si capisce più facil- mente se tale doloroso avvenimento non era più tanto recente. Tenendo conto di tutto ciò, non si va probabilmente lontano dal vero ponendo la battaglia delle Arginuse circa il finir del luglio o il principiar dell'agosto 406 (1), non molto prima del tempo in cui Callicratida sarebbe scaduto di carica (2). Un punto assai importante per stabilire la cronologia della battaglia delle Argi- nuse, e che trattiamo ora da sè, è se la vinsero gli strateghi del 407/6, o quelli del 406/5 (3). Io non credo che sia nel vero chi sostiene si tratti del primo caso. Per il 407/6 la lista degli strateghi Ateniesi ci è data da Senofonte (4): Conone, Diomedonte, Leone, Pericle, Erasinide, Aristocrate, Archestrato, Protomaco, Trasillo, Aristogene; all’epoca delle Arginuse si vede da Senofonte stesso (5) ch’erano strateghi: Diome- donte, Lisia, Pericle, Erasinide, Aristocrate, Protomaco e Conone che non prese parte alla battaglia. Abbiamo dunque otto dei dieci strateghi dell’altra lista, troviamo Lisia al posto del morto Archestrato (6), e ci manca il nome del decimo, cui nel- l'altra lista corrisponde quello di Leone. Tutto ciò non è sufficiente per dichiarare che si tratti dello stesso anno, potendosi benissimo, specialmente nelle condizioni di allora, essersi rieletti otto degli strateghi precedenti. Ma se si tratta degli stra- teghi del 407/6, essi, come ben vide il Boerner, non sarebbero stati sospesi, per far loro il processo, ma sarebbero stati processati, scaduto il termine della loro stra- tegia. Ma ciò è in contrasto con Senofonte (7) il quale dice: Oî è’ èv otkw TobTovg uèv toùg otpamnyoùg Emavgav mv Kovwwyog ....., e con Diodoro (8): ..... dibtep è dfijuoc mpoégnkev aùtoîg xpiow, xa Kévwva pèv RINO ... Toùg è’ dA\oug èynpicato tùv taxiotnv fikev (9). Evidentemente gli otto strateghi furono sospesi per essere processati : quindi difficilmente si tratta degli strateghi del 40/6. Senofonte (10) dice: mpò< dè tovtw (Conone) eiNovto “Adeiuavtov Koi tpitov PiiokXéa, Tv dè vau- uayxnodviwy OTpatni®v TTpwrépaxog uèv Koi *ApiotoTÉvne oùk darmfitov eis ’AQNvag, gli altri sei invece tornarono, ece. Ora pare evidente che la nomina di Adimanto e Filocle successe solo allora, e prima del processo. Come mai? Il Boerner (11) crede trattarsi degli strateghi del 406/5 che vanno in carica, ed afferma che se gli otto (1) Le datazioni posteriori che si sostennero per la battaglia: delle Arginuse, derivano dal fatto che ponendo l’arrivo di Callicratida nel 406, si è forzati a trasportare quanto più si può la data della battaglia per trovar posto per gli avvenimenti. Vedi BoernER, pag. 32 sgg. (2) Probabilmente l'anno nuovo incominciava colla neomenia del 27 agosto c., forse anche colla successiva del 26 settembre c. 406. (3) Vedi Giusert, Beitr. zur innern Gesch. Athens, pag. 370 sgg.; BoerneR, 0. c., pag. 35 sgg.; Meyer, Gesch. d. Alt., IV, $ 727 n.; Busonr, III, 2, pag. 1592, n. 1. (4) Senor., EUen., I, 5, 16; Diop., XIII, 74, 1. Vedi Busotr, l. c. (5) Senor., EUen., I, 7, 1 sge. (6) Archestrato era morto a Mitilene (Lista, XXI, 8). (7): Doe (8) xul, 101, 5. (9) Il BoerNER, 0. c., pag. 35, trova solo contrasto in Droporo, ch'egli dice posponibile a SENOFONTE, ma anche Seworonre evidentemente si oppone alla sua teoria che si tratti degli strateghi del 407 /6. LO) A (11) BorrneR, 0. c., pag. 36. “4 nti sù x ai ea sea rta MA CR Ve Mi Vel Doe 4 49 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 119 strateghi delle Arginuse fossero del 406/5 non si intenderebbe perchè li si sostituisse prima del processo (1). Ma se si trattasse della entrata in carica degli strateghi del 406/5, perchè sarebbero nominati soltanto due oltre Conone? tutti gli altri sa- rebbero stati rieletti? ossia si avrebbe almeno Conone, e sette degli otto altri rie- letti? Ma allora si ricade nel caso che il Boerner vorrebbe evitare (2), cioè che quasi tutta la lista fosse rieletta per due anni di seguito. A me pare che la soluzione debba essere un’altra: otto degli strateghi del 407/6 furono rieletti pel 406/5, e nel loro nuovo anno sette di essi, insieme col nuovo eletto Lisia (3), si trovarono alle Arginuse. Sospesi, sei si presentarono ad Atene per il processo (4), ma due si con- dannarono da sè fuggendo: Protomaco ed Aristogene, sicchè vennero senz'altro sup- pliti con Adimanto e Filocle. Secondo noi si possono stabilire per il 406/5 le seguenti liste di strateghi: 1° Prima della battaglia delle Arginuse: 1° Conone, 2° Diomedonte, 3° Pericle, 4° Erasinide, 5° Aristocrate, 6° Protomaco, 7° Trasillo, 8° Aristogene, già strateghi, nell’anno 407/6, 9° Lisia al posto del morto Archestrato, 10° un ignoto. 2° Dopo della battaglia delle Arginuse: 1° Conone, 2° Diomedonte, 3° Pericle, 4° Erasinide, 5° Aristocrate, 6° Trasillo, 7° Lisia, 8° un ignoto, 9° e 10° Adimanto e Filocle al posto di Protomaco e Trasillo. 3° Dopo la condanna: 1° Conone, 2° Adimanto, 3° Filocle, 4°-10° sette ignoti di cui uno già stratego da prima, e gli altri 6 eletti al posto dei condannati Dio- medonte, Pericle, Erasinide, Aristocrate, Trasillo e Lisia. Ciò posto, non credo si possa accogliere la cronologia del Boerner che pone la battaglia delle Arginuse nei primi di luglio 406, mentre ne esce convalidata quella stabilita innanzi per altra via, della fine di luglio, principio d’agosto di quell’anno. Dopo la battaglia delle Arginuse, Senofonte (5) racconta gli avvenimenti di Eteonico, cui dà il titolo generico di dpywv (6), a Mitilene ed a Chio finche durò il Bépog (del 406) ed èreì dè yeuwv èrévero (7), le sofferenze dei soldati durante Vin- verno (406/405), come tentarono d’impadronirsi di Chio, e come i Chii insieme con altri collegati e con Ciro richiedessero uertà taîta a Sparta il ritorno di Lisandro ; ed a questo punto aggiunge: Oî dè Aaxedarubvio1 Edogav Tèv Avcavdpov we EmotoÀéo, vavapyxov dè “Apakov, perchè v'era una legge che impediva di dig... vavapyeîv: tàg uévtor vadg mapédocav t® Auodvdpw (8). Segue una lunga parte interpolata, sul venti- cinquesimo anno di guerra, e sui fatti Persiani, poi il testo (9) continua: TW è’ émévii (1) Cfr. ArisroteLE, AQ. moi, 61, 2. (2) O. c., pag. 37. (3) Lisia fu probabilmente stratego solo coll’anno 406/5. (4) Quanto al processo di peculato contro Erasinide, può riferirsi anche a fatti della strategia precedente, compiuti nell’anno 407/6. Così viene a mancare anche questo argomento addotto dal BorRNER, 0. c., pag. 37, per dimostrare che la battaglia delle Arginuse cade nell’anno arcontale 407/6. (5) Senor., EWUen., I, 6, 35 sgg. (6) Non credo che Eteonico sia stato èmororevs di Callicratida come propone il NiccoLini, 0. c., pag. 286, n. 6: se regge la cronologia che abbiamo stabilito per Callicratida, il suo èmotorebs avrà dovuto uscir di carica circa il tempo della battaglia delle Arginuse. Senofonte (I, 6, 26) lo dice nul- l’altro che dpywv, e forse non fu che un duce straordinario. Vedi anche oltre. (7) Sewor., ZWen., II, 1, 1. (8) II, 1, 7; Drop., XIII, 100, 8; PLur., Lis., 7. (9), E 10! 120 LUIGI PARETI 50 étei, èmì "Apyuta uèv épopevovtog, dpyovtog d' èv ’A@fvarg "ANeEiou, Avoavdpog àpix6- uevoc ele “Epecov uereméuyato ’Etebvikov èk Xiou oÙv Taîg vavoì, kai tag &Mag madas cuvAporcev x. t. ). Da ciò pare evidente, che Lisandro fu richiesto nella pri- mavera circa del 405 (1), e che solo dopo di allora furono eletti Araco e Lisandro. Si suole, ritenendo Senofontea la frase: t® d° èmévri Ète1, credere che verso la prima- vera del 406 Lisandro siasi mosso verso Efeso. Ma poichè, come vedremo, Lisandro depose il suo potere marittimo solo in principio di settembre del 404, ne deriverebbe che Lisandro sarebbe entrato .in carica in un’epoca affatto irregolare ; che bisognerebbe ammettere che tra l'estate del 406 ‘e la primavera 405 non vi sia stato navarco, oppure che, essendovi, glie se ne potesse sostituire senz'altro un altro; e che mentre le nostre fonti non ci parlano che di un sol anno in cui Lisandro fu èmotoNedc, dovremmo considerarlo tale per due anni consecutivi: 406/5 e 405/4, o supporre una navarchia ancora più irregolare dalla primavera del 405 al settembre del 404. Ora tutte queste difficoltà sorgono per questo motivo, che considerando come Senofonteo il t® d'emévmii Tel si vuol far andare Lisandro ad Efeso coll’inizio della campagna del 405. Ma pare evidente che tale frase non è di Senofonte: avvenne qui quel che dianzi notammo per l'arrivo di Callicratida (2): Senofonte non parlava che dell’entrata in carica del nuovo navarco, e l’interpolatore fu tratto da ciò ad inserire il nuovo eforo, il nuovo arconte, ed il passaggio dell’anno. Se così è, si può concludere che nella primavera forse avanzata del 405, prima dell’epoca in cui si doveva eleggere il navarco pel successivo anno 405/4, gli alleati richiesero la nomina di Lisandro, il quale a suo tempo fu nominato émoroieig del navarco Araco (3) e dovette entrar in carica nell'estate, forse nel settembre (4), del 405. Della nostra cronologia dell’anno di Araco si ha una valida conferma epigrafica, l'iscrizione della base alla statua di Araco nel monumento dei navarchi a Delfi (5): Tàg Emaprag] moXvavd[p]og év[méor tdîgjò’ éreyeiog tàv ’Apdkov xpnaîd” torepavwo[e Néwg taî dè dperd]i mputog mpotépw|v t° émji todde vavdp[yxou xpéoowv fArleuévwv ‘EMadog eùp[uyx]6pov (6). Quanto all'anno 406/5 si ebbe probabilmente un navarco di cui, se forse non si tratta di Eteonico (7), ci sfugge il nome; *eerto quell’anno il navarco poteva far (1) Il BoernER, 0. c., pag. 34 sgg., partendo dal presupposto che i navarchi entrassero in carica solo nell'autunno, pone l'elezione di Lisandro nell'autunno 406; ma riesce assai difficile accogliere la sua interpretazione del uetà dè tadTa di Senoronte, II, 1, 6 come se fosse Tmepi ToÙTOoUg Toùc xpévouc. Vedi Lonse, 0. c... p. 23. (2) Senor., EMen., I, 6, 1. Vedi indietro p. 45. (3) Il Sorari invece lo fa entrare in carica stella primavera. 4) Colla neomenia del 16 agosto, o con quella del 15 settembre. (5) Vedi Pomrow, Studien zu Delphi, © Ath. Mitt. ,, 1906, p. 505. (6) 1 Kress, da Drop., XIII, 100 deduce che Araco prese pur egli parte alla guerra, benchè senza comandare effettivamente; ma par poco probabile. (7) Eteonico, che durante la navarchia di Callicratida fu, come vedemmo, probabilmente un duce straordinario, durante l'anno seguente 406/5 resta ancora alla flotta: se si osserva la frase con cui Senoronte parla della consegna delle navi a Lisandro, può nascer il dubbio, che egli fosse Q bl. dle ed ca Ud Ì, i ine (5) Sewor., II, 4, 5 sgg., secondo il quale dopo torna a File; Dion., XIV, 33, 1. ® (6) Sewor., Il, 4,8: èk dé TobTov, ossia dopo la fuga di Acarne. Ma forse SenoFoNTE, nota a questo punto cronologicamente i risultati di fatti incominciati anche prima, come lascia supporre il rac- conto di Droporo. (7) Il giorno dopo: Sexor., II, 4, 9. (8) èx dè tobtov, secondo Senor., II, 4, 10, cinque giorni dopo la vittoria di Acarne. Cfr. Drop., XIV, 33, 2 sgg.: eù@86c dopo Acarne. "A@. mo)., 38, 1. (9) Subito dopo si dice che sono trascorsi-8 mesi dall’elezione dei trenta (Senor., II, 4, 21), ossia dalla fine di giugno del 404. Veniamo così alla fine di febbraio o principio di marzo del 403. (10) Dopo la battaglia, segue la consegna dei morti, poi le parlamentazioni, poi il giorno dopo la destituzione dei trenta (Sevnor., II, 4, 23 sgg.; Dron., XIV, 83, 5). (11) Dopo l’elezione dei dieci Senoronte parla del ritiro dei trenta ad Eleusi (II, 4, 24), delle lotte dei democratici (II, 4, 25 sgg.) e infine dell’invio di questa ambascieria da parte TW pèv tpidkovta te ’Eleuoîvoc, Tòv d' èv TO Kkata\byw èE diotewsg (Cfr. "AO. moà., 88, 1). (12) Sewor., II, 4, 28-29; Dron., XIV, 33, 5. —° L' entrata degli oligarchici in città spetta al 12 Boedromione (Prur., De glor. Ath., 7) dell'anno arcontale di Fuclide (’A0. mro., 39, 1) ossia al 4 ottobre 403. Vedi Meygr, V, $ 758; quindi l’arrivo di Pausania si può porre circa l'agosto, e quello di Lisandro circa il maggio o il giugno 403. (13) XIV, 10. (14) 11 Meyer spiegò l'errore in modo assai razionale. Vedi Gesch. d. Alt., V, $ 755 n. Cfr. $ 759 n. Contemporaneamente si deve porre l'uccisione di Alcibiade, che Lisandro, d'accordo con Sparta, 57 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 127 chiama navarco Lisandro, ma erroneamente, come compare dal luogo in cui Seno- fonte (1) narra delle richieste d’aiuto Spartano, nella primavera 403, contro i demo- cratici che con Trasibulo erano accampati al Pireo: Lisandro pensando di poter espugnare facilmente il Pireo, assediandolo insieme per terra e per mare ouvétpazey éxatov Te T—NavTta aùroîg daverscomvai, xa aùròv uèv karà yfv dpuootiv, Aifuv dè Tòv ddeA@ÒvV vavapyodvra ékteuponvar (2). Si dovrà ammettere che Libi fu eletto soltanto allora? e che nel corso dell’anno 404/83 si siano seguiti due navarchi? La soluzione evidente è che Diodoro abbia errato dando a Lisandro il titolo di navarco (3) e che Libi sia stato navarco fino dal settembre 404 (4). Lisandro però era navarco di fatto, se non di nome: come nell’anno 405/4, per dargli il comando della flotta si era ricorso allo stratagemma di eleggerlo èmotoreis di un navarco solo di nome; nel 404/3 si ricorse all’altro di porre al comando navale una persona ligia ed accon- discendente a lui, scegliendo suo fratello Libi: dando in pari tempo a Lisandro stesso delle cariche straordinarie, come quella di armosta, che per il loro carattere elastico potevan dargli il comando così di eserciti terrestri, come pure di una flotta. Su Libi ci mancano ulteriori notizie: invece troviamo che Lisandro, ritiratosi da Atene dopo l’arrivo di Pausania, e probabilmente circa il tempo in cui il fratello scadeva d’uf- ficio (probabilmente col novilunio del 24 agosto c.), compare nell’ Ellesponto fino al suo richiamo a Sparta (fine del 403/inizio del 402) dopo le accuse di Farnabazo (5). Quel che è certo è che nulla prova che Libi allora fosse ancora navarco, poichè l'aver Lisandro delle navi a sua disposizione non prova altro se non che egli fu inviato nell’Ellesponto come duce straordinario, con o senza il nome specifico di armosta. Per il 403/2 le fonti non ci dicono esplicitamente chi sia stato il ,navarco. Fu proposta l'ipotesi che il navarco di quell’anno si debba identificare con Pantoida, che secondo Diodoro (6), appunto sotto l’anno 403/2° avrebbe avuto il comando di una spedizione diretta contro il tirannico armosta spartano di Bisanzio Clearco, e l’ipo- tesì può parer verisimile, poichè se non vi sono prove sicure in suo favore, potendo bene Pantoida essere un duce straordinario, è d’altra parte di assai scarso valore l’obbiezione che Diodoro lo dice stratego, e non navarco, poichè Diodoro è poco pre- ciso anche in molti altri casì (7). E il fatto poi che Pantoida ci appare nella pri- ottiene da Farnabazo (Dron., XIV, 11; Prur., Alcid., 37 sgg.; Arenro, XII, 535 c; XIII, 574 e; NEPOTE, Alcib., 9 sgg.; Grusr., V, 8; Potieno, I, 40, 8; vedi Meyer, V, $ 750 n.). Di una permanenza di Lisandro ad Atene durante l'inverno 404/3 discute il BoERNER, 0. c., pag. 60 sg., traendola da PLum., Lis., 15 e Paus., IX, 32, 8, e dalla frase 6 uetà Auodvdpov xatdAoyog (Isocr., XVIII, 16; XXI, 2; Lista, XXV, 16); ma non mi pare convincente. (1) Senor., II, 4, 28. (2) Le navi peloponnesiache secondo Droporo sono 40. (3) Lo Jupeica fa invece elegger Lisandro navarco nell'autunno 404. Cfr. BoERNER, 0. c., pag. 11, n. 3. Anche il Kre5s, Epistoleus, in DaremBERG-SAG@LIO, III, 741, crede Lisandro navarco per il 404/3. (4) È in errore il Sorant, 0. c., pag. 24 dicendo Lisandro èmotoNevs di Libi. Cfr. Nicconuni, 0. c., 286, n. 6. (5) Sulla falsa collocazione cronologica dei fatti in Droporo (XIV, 32) e in PLurarco (Lis., 19 Sgg.) vedi le ottime osservazioni del Meyer, V, $ 759 n. (6) XIV, 12, 4. (7) Sull’imprecisione dei termiai in Droporo, si deve notare com’egli non dica navarchi mentre certamente lo furono: Euribiade (XI, 4, 2. 59, 1), Alcida (XII, 55, 6), Trasimelida (XII, 61, 3), Min- daro (XIII, 70, 1), Libi (XIV, 33, 5), Mnasippo (XV, 47, 1); mentre d'altra. parte dice navarchi Lisandro (XIII, 104, 3. XIV, 10, 1) e Leptine (XIV, 72, 1) che non lo furono. 128 LUIGI PARETI 58 mavera del 402, non basta. a provare, ove sia stato navarco, che solo allora egli sia entrato in carica (1). Diodoro (2) narra che Ciro, preparandosi a muovere contro il fratello, prima di partire da Sardi (3) chiese aiuto agli Spartani, i quali oltre ad inviargli dei fanti mapaypfiua èZéreuyav mpeopeutàg mpòg Ttòv Éautov vavapyov Zauov òvouaZépevov, &mwg 8, tr dv xeleun è Kopos mpétt). Samo (come lo dice Diodoro) parte con ven- ticinque navi per Efeso, si unisce coll’armata di Ciro, e dvyx6noav oi otéNo1 TÒv miodv ws èrì Kiikiag moroduevoi. Aggiunge poi in seguito Diodoro (4) che quando Ciro giunse ad Isso, sbarcarono dalle navi Spartane 800 fanti. Passate le porte di Siria, Ciro rimanda la flotta ad Efeso non avendone più bisogno (5). Esaminiamo i passi corrispondenti sì nelle E/Zerniche, che nell’Anabdasi di Senofonte. Nella prima opera Senofonte (6) ci narra dell'aiuto chiesto da Ciro agli Spartani, e come costoro scrivessero a Samio, tWò TéTE vavopxw di aiutarlo. Questi unisce l’armata a quella di Ciro, va verso la Cilicia, ed impedisce a Siennesi, re dei Cilici, di opporsi al pas- saggio di Ciro. Nell’Anabasi poi ci descrive (7) come Siennesi di Cilicia fosse trat- tenuto dall’ostacolar Ciro da ciò: Sti TPIMperg fikove mepimAeovoag ar’ ’Iwviag eig Kii- kiav Tauòv éxovta tàg Aaxedaruoviwv kai aùtod Kupov; e più oltre (8) dice che durante la fermata ad Isso: Kupw mapfficav ai Èk TTeXlotovyMoouv viîeg TpiGKOvTA Kai mevte Kai è adtaîg vavapyog TTuday6pag Aaxedarubviog* freîto d'avtaîg Tauòg Aiyumtiog ÈE °Epéoou, éxwv vadg éTépag Kupou meévte kai elkociv. Le navi da cui scendono gli opliti Spartani, aiutano Ciro nel passaggio delle porte di Siria (9): da Miriandro Ciro si interna verso l'Eufrate, ed allora le navi saranno tornate. Vediamo di stabi- lire la cronologia di questi fatti. Laerzio Diogene (10) e Diodoro (11) pongono la spe- dizione di Ciro sotto l’arcontato di Xenaineto. Ma i Greci nel ritorno da Cunassa giunsero in Armenia secondo l’Anabasi (12) nel cuor dell'inverno; la battaglia di Cu- nassa, che computando i dati forniti da Senofonte fu combattuta 95 giorni prima va posta nel settembre o nell'ottobre del 401; il viaggio da Sardi a Cunassa durò 181 giorni; quindi Ciro partì da Sardi circa il marzo o*l’aprile del 401: Samio adunque era già navarco a quell'epoca (13). L'aiuto contro Siennesi, che vien narrato all’85° giorno dalla partenza è della fine di maggio o del principio di giugno, l’arrivo ad Isso (114°-116° giorno) è di circa un mese posteriore, e la partenza di Ciro da Mi- riandro (126° giorno) deve all’incirca esser avvenuta verso la metà di luglio del 401. Il navarco adunque di cui si tratta è del 402/401: egli ripartito dalla Siria (1) Sorari, 0. c., pag. 37 (2) XIV, 19, 4. (3) Ibidem, 6. 4) XIV, 21. (5) XIV, 21, 5. (6) EUen., III, 1, 1 (7) Anab., I, 2, 21. (8) I, 4, 2. 0)Iic4,005. (10) IT.-55; (11) XIV, 19. (12) Anab., IV, 5, 12. (18) Sorart, o. c., pag. 87. 59 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 129 circa la fine di luglio, doveva circa un mese dopo uscir di carica (1). Vi fu chi sostenne che in quell’anno non si ebbe che un solo navarco; che Samio, Samo, e Pitagora non sono che una stessa persona, ma altri sostenne la dualità e perfino la trinità di essi (2). Ma non si tratta, senza alcun dubbio, che di una persona sola (3). La spiegazione migliore del doppio nome Samio (quanto alla variante Samo di Dio- doro non è che un errore dovuto probabilmente all’analogia di Tamo) e Pitagora che finora sia stata proposta mi pare sia quella ch'ebbe a comunicarmi il De Sanctis, il quale crede che l’uno sia il vero nome, l’altro un soprannome. Egli crede che il navarco del 402/1 si chiamasse Samio, e che Pitagora fosse un soprannome scher- zevole sorto dal nome stesso. Si può forse creder anche l'opposto: ma la cosa non può decidersi, poichè il nome Pitagora fu nome diffuso anche a Sparta (4), e così pure quello di Samio (5). I diecimila, nel ritorno da Cunassa giunsero a Coziora 211 giorni dopo la bat- taglia, ossia in aprile circa del 400 (6). Cinquantacinque giorni prima, nella prima metà di febbraio erano giunti a Trapezunte, e vi si erano fermati 45 giorni. Fu durante questa permanenza a Trapezunte (7), che Chirisofo partì (8) per andar a chieder delle navi ad Anassibio, navarco spartano; si tratta adunque del navarco dell’anno 401/400. Noi troviamo Anassibio nell'Ellesponto fin nell’autunno del 400: per stabi- lire con esattezza l'epoca in cui lasciò il comando, da una parte rimonteremo, dal- l’altra scenderemo da due punti saldi. A Coziora i Greci si fermano 45 giorni (siamo adunque circa la fine di maggio); da Coziora a Calpe, utilizzando i pochi dati fornitici da Senofonte, si può credere si impiegasse una quindicina di giorni fino alla metà circa di giugno; a Calpe pare che la fermata sia stata abbastanza lunga; forse non si esagera facendola durare fino alla metà di agosto. Poi per la Bitinia i diecimila procedono fino a Crisopoli dove si fermano (settembre); poi passano a Bisanzio (9), dove succede la lotta con Anassibio, ed infine si volgono verso la Tracia: siamo probabilmente alla fine di settembre del 400. Sappiamo d’altra parte che i diecimila furono al servizio di Seute per quasi due (1) Alla neomenia del 1° settembre c., probabilmente. (2) Cf. ad es. JupEICcH, 0. c., pag. 37, sulla dualità. Si volle vedere un termine di differenziazione nel numero differente di navi attribuito da Droporo a SeNoroNTE, ma è abbastanza facile uno scambio tra KE e AE. (3) Vedi le buone obbiezioni del BorrnER, 0. c., pag. 12, allo JupeIca : in nessun luogo vengono ricordate due flotte distinte, che sarebbero anche state superflue, dato il piccolo numero di soldati da trasportare, ed entrambi i navarchi avrebbero dovuto compiere la stessa impresa, ossia giovare Ciro nel passaggio della Cilicia. (4) Cfr. Livio, XXXIV, 25. 29. 30. 40: il genero di Nabide. Cfr. Eron., V, 126 (un milesio); Paus., VI, 4, 4 (un reggino); Aren., XIV, 637c (uno zacinzio); Paus., IX, 35, 7 (uno di Paro), oltre al filosofo. Vedi anche su monete di Cuma: Mroxxer, suppl. VI, 8, 51 etc. (5) Erop., III, 55. Quanto al nostro, però, si potrebbe trattare di qualche soprannome sorto per qualche fatto avvenuto durante la presa di Samo del 404. — Meno probabile mi pare la recente spiegazione data del doppio nome dal Loxnse, o. c., pag. 39. (6) La notizia che dà il testo dell’Anad., V, 5, 4, di 8 mesi è errata, ed interpolata. (7) Anab., V, 1, 4. (8) Anab., V, 1, 5. (9) Anab., VII, 1,7sgg.. Serie II. Tox. LIX. 17 130 i LUIGI PARETI *. 60 mesi (1): pochi giorni dopo ch’essi vi sono entrati si vede che si è nell’inverno (2), anzi già quando vi entrano l'inverno impedisce di navigare (3). Dopo i due mesi di servizio sono invitati a passar nella schiera di Tibrone che si è posto in mare verso l'Asia; si può credere che questi due mesi vadan all’incirca dalla fine del dicembre 400, al principio di marzo 399. Ora noi vediamo che tra la partenza di Anassibio da Bisanzio (4) e l’entrata dei Greci al servizio di Seute si devon porre: le trattative fallite di Anassibio con Farnabazo, il rinvio di Senofonte all'esercito, la mossa per passare in Asia, e i preparativi per attraversare l’Ellesponto, infine la mossa verso Seute, e le trattative con lui: si può adunque credere che la partenza di Anassibio da Bisanzio ed il ‘sopraggiungere di Polo, posteriori all’arrivo dei dieci- mila a Bisanzio sia all’incirca della fine di ottobre del 400 a. C. Polo adunque entrò in carica per l’anno 400/399, ed Anassibio gli lasciò il comando circa un mese dopo scaduto di carica (5); si può forse credere che il ritardo concesso ad Anassibio fosse dovuto al fatto che Polo attendeva in patria ai preparativi per la prossima spedizione di Tibrone, della primavera del 399. A questo punto ci mancano i nomi di uno o due navarchi, a seconda dell’anno che si assegna a Farace, e tale lacuna significa al solito non che siano mancati dei navarchi, ma che non ci furono ricordati perchè non operarono nulla di importante. La cronologia di Farace è assai complessa; vediamone con diligenza gli accenni nelle nostre fonti. “Aua t® fp: del 398 Dercilida secondo il testo di Senofonte andò a Lampsaco (6) circa il marzo e l’aprile, poi si recò nel Chersoneso (7) e vi costruì un muro di difesa: GmetéNeoe TÒ Teîyog dpzGuevog dmò Npivod yp6vov mpò ònwpas (8); possiam così venire all’agosto/settembre per il ritorno in Asia, dove pose l'assedio ad Atarneo di cui si erano impadroniti i fuorusciti di Chio, e la prese in otto mesi (9), e dopo, probabilmente in fine di maggio o nel giugno del 397, passò ad Efeso. Senofonte continua dicendo che uéxpi TtoùTov TOÙ Ypovou Tissaferne e Dercilida erano stati in pace, ma che un'ambasciata delle città greche a Sparta fa sì che gli efori scrivano a Dercilida di entrare nella Caria, e comandino ®dpaka tòv vavapyov oùv taîg vavoì tapatieîv. Farnabazo katà TOoÙTOv TÒv Ypòvov si trova con Tissaferne e vanmò in Caria, dove decidono di rinforzare le città; ma Dercilida, inteso che ripassavano il Meandro (10), abboccatosi con Farace, passa anch’egli quel fiume. Sta per avvenire una battaglia: i due eserciti sono in vista, ma Tissaferne non vuole la pugna, onde s'intavolano trattative e si fa tregua per dar avviso a Sparta ed a Susa delle con- (1) Anab., VII, 6, 1. (2) VII, 4, 3. (8) VII, 8, 13. (4) VII, 2, 5. (5) Probabilmente l'anno di Anassibio scadeva colla neomenia del 20 settembre c. 400, (6) Sewor., Z22., III, 2, 6. (7) Ib., ILI291 (8) Ibid., III, 2, 11. 9) Ibid. (10) Sex., III, 2, 14. , 61 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 131 clusioni. Poi Senofonte passa a trattare delle cose della Grecia (1). Cerchiamo di stabilire la probabile cronologia di questi fatti. L'assedio di Atarneo finisce circa l’aprile 397, l'invio delle ambascerie delle città greche a Sparta, e le decisioni spar- tane, contemporanee a quelle di Tissaferne con Farnabazo, cadono anch’esse proba- bilmente nella primavera di quell’anno, e così pure l'invio di Farace. Ciò è confer- mato da Senofonte (2) quando dice che i soldati di Priene ecc. e delle isole per timore gettarono le armi èv TÒ dciTw..... kai fùp fiv Badùg 6 oîtog èv TO Madyvdpou tediw, e questo è uno degli argomenti più forti che spinge ad assegnare col Beloch a Farace l’anno 398/7. Si può, è vero, cercare di escludere dal testo di Senofonte quella frase, o ricorrere ad espedienti per spiegare l'errore di Senofonte, e in tal caso la spiegazione meno improbabile sarebbe che si tratti del grano già privo di spiche, della stoppia cioè che, ove non si tagliasse, si poteva trovare nei campi fino all'autunno inoltrato (3), ma a questi espedienti è pericoloso ricorrere. Per ora pro- seguiamo nell’esame dei fatti. FI Ti Senofonte (4) riprendendo le cose di Asia, col tardo estate od autunno 397, narra che Erode giunse a Sparta a dar l’avviso dei preparativi marittimi Persiani in Fenicia, onde gli Spartani diedero ad Agesilao la direzione della guerra in Asia. Poi Senofonte (5) ci parla della richiesta di aiuti agli alleati da parte di Agesilao, del suo arrivo in Aulide, poi a Geresto, ed infine ad Efeso. Appena giunto fa tregua con Tissaferne (6), ma questi eù@vg la rompe chiedendo rinforzi al re. Giunti gli aiuti (1) III, 2,21— II 3, 11. (2) Senor., Z., III, 2, 17. (3) Varrone, de re rust., I, 33: £ quinto intervallo inter caniculam et aequinoctium autumnale oportet stramenta desecari ,. Secondo Corumerra, XI, II, 54 questo taglio avveniva circa il finir di luglio, ma Varrone in altro passo (I, 53) dice: “ Messi facta spicilegium venire oportet, aut domi legere stipulam auf, si sunt spicae rarae, et operae carae, conpasci ,. Così possiamo trovare la stoppia anche parecchio tempo dopo la mietitura. Talora si ardeva poi la stoppia per ingrasso (Virc., Georg., I, 84 sg.; Prinro, St. Nat., XVIII, 30), e questo uso pare fosse diffuso in Oriente: Isara, __V, 24; A8pra, I, 18. Nel Piceno, al dir di Varrone, I, cap. 50, tagliavano il grano? con uno stru- mento speciale il quale..... “ conprendit fascem spicarum, desecat et stramenta stantia in segete relinquit, #t postea subsecentur... ,. Presso Roma si tagliava lo stelo a metà. Anche Corumettza, II, 21, parla di taglio dello stelo a metà, e anche delle sole spighe; e Prinro, St. Nat., XVIII, 72, 30, par- lando delle messi in Gallia, descrive un modo di tagliare le sole spighe, come pure a metà stelo (cfr. Parzapio, VII, 2, il quale descrive la macchina che taglia le spighe, “ abruptis ac relictis paleis ,, ed aggiunge: “ Hoc campestribus locis vel aequalibus utile est, et iis quibus necessaria palea non habetur ,). V.: Dicxson, L'agricoltura degli antichi, trad. ital. in V. Pareto, Bibl. di st. econ., II, 1, pag. 195 sgg., 411 sgg., 431 sgg. D'altronde non sarebbe impossibile un errore di memoria da parte di Senoronte sul particolare del grano. 3 (4) EUlen., III, 4. Non posso accordarmi col Cosranzi, Il frammento di prosa storica testò trovato ad Oxyrhynchos, “ Studi stor. per l’ant. class. ,, I (1908), pag. 272n., contro il MeyER, Gesch. d. Alt, V, pag. 209. Secondo il Cosranzi, dal uetà dè Tadta di Senor., Elen., III, 4, 1, non si può ricavare che la guerra di Rodi si iniziò solo col 396, poichè questo uerà dè TadTA si riferisce solo ai fatti di Cinadone. Ma il racconto di Senofonte procede a questo modo: prima narra le cose d’Asia, proba- bilmente fino all’autunno del 397, poi passa con III, 2, 21 fino a III, 3, 11 a quelle di Grecia, e con III, 4, 1 ritorna ai fatti d’Asia, naturalmente dal punto in cui ha interrotto, ossia dall'autunno 397 quindi è che il uerà dè TadTa, non solo si riferisce ai fatti di Cinadone, ma agli avvenimenti d'Asia narrati prima. (5) EUen., III, 4, 3. (6) III, 4, 5: 132 LUIGI PARETI 62 a Tissaferne (1), dichiara guerra ad Agesilao, onde costui reclama aiuti agli alleati e muove nella Frigia, conquistando le città con assalto subitaneo, ma presso Dascilio tocca una sconfitta, sicchè torna indietro col proposito di fornirsi di cavalleria. Poi continua Senofonte: ‘Ex dè TolTov EmeIdDÒ Tap Umégarve k.T.À., ossia con questi fatti siamo giunti fino al principio del 395. Ora se, come vedemmo, nella prima parte del suo racconto ci ha probabilmente condotti fino al termine del 397, a questo punto all'incirca riprende la narrazione: la flotta fenicia doveva prepararsi quindi nel tardo estate ed autunno del 397, durante questo tempo ne sarà giunta la notizia a Sparta, e’ nella primavera 396 Agesilao si sarà recato in Asia; dopo si deve porre la tregua in principio dell’ estate. Gli aiuti a Tissaferne saran giunti probabilmente nel tardo estate: nei mesi seguenti dunque avvenne la spedizione in Frigia, e in principio del- l'inverno il ritorno di Agesilao, per fornirsi di cavalleria. — Questa successione cro- nologica è confermata da Diodoro (2), il quale dice aver Agesilao trascorso tò m\eîotov toù Gépovg (396) nelle imprese della Frigia, ed esser tornato ad Efeso ùmò tÒò @@ivé- mwpov (3). Poi continua (4): toùtwv dè mpartopévwyv, ossia nel tempo stesso delle imprese di Agesilao (primavera-inverno 396) gli Spartani mandarono un’ambascieria a Nefereo re di Egitto mepì cvupayiag, il quale invece spedì loro 100 triremi e del grano. Allora Farace con 120 navi va a Sasandro ed assedia Cauno, ma deve lasciar il blocco e recarsi a Rodi. Metà dè tadTta (5) Conone va nel Chersoneso, e poi avendo i Rodî cacciati i Lacedemoni, accolgono Conone che si impadronisce del grano inviato dal re di Egitto. Il racconto di Diodoro, assai breve ed evidentemente sun- teggiato, va, a mio parere, dalla primavera all'inverno 396. Nulla ci autorizza a porre l'assedio di Conone in Cauno da parte di Farace anteriormente all'inverno 397/6 o forse anche alla primavera del 396 come può parer più probabile. Il Costanzi recen- temente (6) cercò di dimostrare che l’assedio di Cauno va posto nel 397, ma non mi par convincente. Isocrate (7) dice che la guerra di Rodi durò tre anni, e altrove (8) circa un triennio: évtòg Tpiùv értùv; il che bene si accorda colla nostra cronologia, poichè nel primo caso s'intende di tre campagne di guerra, ossia il 396, il 395 e il 394; e nel secondo caso si comprende l’approssimazione in quanto che, se la guerfa fu di tre campagne, fu però di qualche mese più breve di tre anni (9). A ciò non si oppone il fatto che secondo Isocrate (10) l’esercito Persiano non ricevette stipendio per quindici mesi (11), poichè l’ammutinamento avvenne dopo l’arrivo di Chiricrate, ossia nell’autunno ‘circa del 395 (12): computando i quin- (1) II, 4, 11. (2) XIV, 79. (3) XIV, 79, 3. — Sotto l’anno 396/5. (4) XIV, 79, 4. (5) XIV, 79, 6. _ 6) O. e., 1. c. Tutto ciò vale anche contro il Loxnsr, 0. c., p. 25 sgg. (7) Paneg. (IV), 142. (8) Evagor. (IX), 64. (9) Vedi invece Cosranzi, 0. c., pag. 272n. (10) Paneg. (IV), 142. (11) Secondo il Papiro V, 842 d’Ossir., col. XVI, 2 per molti mesi. (12) Papir. d'Oss. cit., col. XV, 32. , 63 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 133 dici mesi possiamo venire all'aprile 396. Quel che dice poi il Costanzi (1), che la morosità difficilmente incominciò appena organizzata la flotta, potrà essere vero; ma se porta a stabilire che la flotta si costituì nell'autunno 397 o nell'inverno 397/6, non basta credo a porre i fatti di Cauno nel 397. E si deve poi anche tener conto di un frammento di Filocoro (2), secondo cui Conone sarebbe partito da Cipro sotto l’arcontato di Suniade: non possiam quindi porre l’assedio in Cauno, e il ritiro di Farace a Rodi, che al più presto nell’ inverno 397/6. Concludendo, credo che si debbano datare gli avvenimenti di Farace in Asia così: nell’estate 397 aiuta Dercilida; nella primavera 396 assedia Conone a Cauno e poi si ritira a Rodi. Dopo non ci vien fatto nessun accenno alla sua presenza alla flotta in Asia. Il papiro di Ossirinco citato (3), nella prima colonna, ci parla dei moti antilaconici specialmente ad Atene, e ci racconta l'impresa di Demeneto che raggiunge Conone con una trireme (4). Questi fatti, secondo me, si devono porre nella tarda primavera e in principio d’estate del 396: pel Costanzi invece si tratterebbe del tardo estate o dell'autunno di quell’anno, poichè egli crede che secondo quel testo | si presupponga la venuta di Timocrate in Grecia, che fu senza dubbio posteriore alla spedizione di Agesilao del 396, come anteriore alla spedizione di Demeneto: ma non, credo che si possa ricavare questa conseguenza da quel racconto, che anzi non ritengo dimostrato che l’arrivo di Timocrate sia anteriore al 395 (5). Quindi è, che si deve porre l’arrivo di Demeneto dopo i fatti di Cauno della primavera 396, e prima dell'arrivo di Pollide, che non par posteriore al principio di settembre del 396 (6). Ma resta un punto degno di discussione: lo storico di Ossirinco, parlando di Farace (1) O. c., pag. 273. (2) Presso Dipimo, Commento a Demost., col. VII, lin. 35 sgg. Vedine l'ottimo commento del Foucart, Htude sur Didymos, Paris, 1907 (Estratto dai “ Mémoires de l’Ac. des inseript. et belles lettres ,, XXXVIII, I, pag. 138(= 162) e sgg.). (3) Col. I, lin. 1 sgg. (4) Prima Demeneto viene arrestato ad Egina dall’armosta MiAwv (col. I., 22), che si deve iden- tificare con quel XeiXwv o XiAwv che Escumne, 2, 78, dice erroneamente vavapxov. (5) Mi accordo col De Saneris, L’Attide di Androzione etec., “ Atti dell’Accad. delle Scienze di Torino ,, 1908, pag. 27 dell’estr., che il papiro parli dell'arrivo di Timocrate solo in via di digres- sione. Secondo me si deve stabilire questa interpretazione: lo storico di Ossir., dopo di averci parlato della spedizione di Demeneto che può cadere all'incirca tra il maggio e l'agosto’ del 396, apre una parentesi per notare come prima di allora vi fossero delle inimicizie, ed in tal occasione ricorda l’ambasceria che dice caduta nelle mani di Farace, prima dunque della spedizione di Deme- neto, ossia probabilmente nell’estate del 397. Poi torna a parlare dei tempi di Demeneto, espo- nendo le intenzioni di Epicrate e Cefalo nella prima metà del 896, assai prima quindi che in sul finire del 395 giungesse Timocrate. Non è punto necessario voler trovare una grave discrepanza tra lo storico di Ossirinco e Senoronte. Questi dice senz'altro che Timocrate fu inviato da Titrauste. ch'era già stato inviato a toglier di mezzo Tissaferne (che Titrauste sia stato satrapo non è punto dimostrato). Che Titrauste agisse d'accordo con Farnabazo si intende facilmente, e quindi nulla importa che Ponieno, I, 48 faccia inviare Timocrate da Farnabazo. Il Cosranzi suppone che lo storico di Ossirinco parlasse di ciò nelle parti perdute, ma non è provato che ne parlasse a proposito del 396, e non piuttosto dopo l’arrivo di Titrauste nell'Asia Minore. (6) Non mi paiono valide le obbiezioni del Cosranzi, 0. e., pag. 268 sg. al De Sancris, che alla col. III, 9 del papiro storico di Ossirinco si parli dell’inizio dell’anno attico: sì tratta a quanto pare di un periodo di tempo posteriore ai fatti di Cauno (maggio c.) e anteriore all’arrivo di Pollide (agosto/sett. c.). 134 -LUIGI PARETI 64 relativamente ai tempi di Demeneto, ossia circa il maggio-agosto del 396, lo dice È mporepov vavapxos e questo ancora pare in disaccordo colla teoria che considera Farace navarco per il 397/6. : Prima di discutere su questo quesito vediamo un’altra serie di notizie su Farace. Diodoro parlandoci all'anno 396/5 dell'assedio di Siracusa da parte dei Cartaginesi ci dice (1): TToXvzevog dè è Atovuciou xndeotùàg ÈK Te ITerorovw]oov kai tg ’ItaMiag maperevion vadgs paxpàg àvywyv TPIÙKOVTA mapà TOv Guuudywyv, kai vavapyov Papa kidav (2) Aaxedauòviov (3). Più oltre (4) lo fa parlare a favore di Dionisio contro di Teodoro. ed anche in quel’punto lo dice navarco: ... Papaxidov (5) dè Tod Aakedar- uoviou: vavapxoÙvTOG TÙV CUVUUGXWY [kaì] mapeX@évtog èrì tò Bfiua x. t. A. Infine fa ancor cenno di lui quando Dionisio attacca l’esercito cartaginese: Dionisio òrdon- Kovra uèv vads mAnpwoas daparida xai Aertivn Toîg vavapyorg èrmeétazev du’ Muépa Tòv èrimovv taîc moleuiaig vavoì momoacdai (6). Siamo in questo punto durante i calori dell'estate, ossia circa il luglio o l'agosto del 396 (7). Anche Polieno (8) parla di bapaxidac, mentre un frammento di Teopompo (9) dice: ètpipnoe dè kaù Dapaf è Nakedarubviog, ws Oebtoumtog èv TI TESCApaKogTi) iotopeî * ka Taîq Ndovaîg obTWw‘ àgeNrdc èyonoato kai xudnv, WoTe moXd ua@iiwv dià TùYV aitiav Tabtnv aùtòv ÙrmoNay- Baveodar Zike\uwWrny, î) dià ThV marpida Emaptiamnv. Un primo punto da assodare è che, come ora generalmente si ammette, Farace e Faracida sono una stessa persona. La differenza del nome risale alla fonte di Diodoro e Polieno, ossia a Timeo, e quindi probabilmente a Filisto. Il passo di Teopompo dà una prova evidente che il capitano che andò in Sicilia, è lo stesso che trovammo presso Dercilida e all’as- sedio di Cauno (10). È bensì vero che a Sparta si avevano nomi come Stenelo e Ste- nelaide, Ecfanto e Ecfantide, ma se troviamo persone diverse che portano questi nomi, resta ancora da dimostrare che il nome stesso in sè non fosse lo stesso. Tro- viamo in molte parti della Grecia queste varietà dello stesso nome, anche applicate alla stessa persona (11). Quanto alla cronologia della presenza di Farace in Sicilia, (1) XIV, 63. (2) Alcuni codici leggono Papkidav. | (3) Il Sorarr, 0. c., pag. 246, n. 1, suppone che Faracida conducesse con sè due navi spartane, come due ne aveva condotte Gilippo: Trem., VI,-104; Drop., XII, 7. (4) XIV, 70. (5) Anche qui un codice legge Papxidov. (6) XIV, 72, 1. (7) XIV, 70, 4 sgg. (8) II, 11. (9) Framm. 218 (7. H. Gr., p. 314). Una notizia epigrafica su Farace è a Delfi: Howotte, © BIO. Hi 1891, p. 139; 1896, p. 511. (10) Poco probabile è l’interpretazione del SoLarr, 0. c., pag. 11, n. 1, del frammento di Tropoxpo. Così pure pare insufficiente la sua dimostrazion&, tratta da quel frammento che Farace non appar. teneva ai kaXoi karagoi: ib., pag. 7. (11) Larga messe di casi si può raccogliere ad es. nella lista degli arconti Ateniesi. Calliade (Eron., VIII, 51; Dron., Ant., IX, p. 1789; Dron., XI, 1; Sincetto, pag. 250D; Marx. Par., 51; Laerzio Droa., II, 45, 9) e Callia (Avor., Vit. Eurip. Lazrt., II, 7) — Santippo (Dron., XI, 27; Marx. Par., 52) e Santippida (Prur., Aristid., 5) — Frasicle (Dron., Ant., X, pag. 1981; Prur., Mor., pag. 835c) e Frasiclide (Dron., XI, 77) — Mnesiteo (Scol., Arist., Acarn., 10) e Mnesitide (Dion., XI, 81) — Buele (Arrst., Meteorol., I, 6; Fozio e Surpa, Zauiwv 6 dfuwc; Scol. Arrsr., Vesp., 240) ed Euclide (Diop., Ù 65 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 135 l’unica fonte esplicita è Diodoro, il quale potrà bene aver errato, ma prima di ricorrere | a ciò si deve esaminare se non si possono conciliare i dati delle nostre fonti. Sap- A piamo che vi furono in Sicilia due campagne, e che nella seconda Dionisio ebbe gli aiuti di Farace. Diodoro dice che Farace era navarco, ma non c’è da fondarsi sulla sua testimonianza; per la cronologia però, se scartiamo il 397 in cui Farace coope- rava con Dercilida, non possiamo porre l’invio in Sicilia che nel 396, come vuole Diodoro. Dopo l'assedio di Cauno noi vediamo che, nella tarda primavera probabil- mente, Farace si ritira a Rodi, e non compare più in Asia: crediamo che appunto allora, nel maggio o giugno del 396, egli si sia diretto verso la Sicilia (1). Concludendo par difficile escludere che Farace sia stato navarco del 398/7, come conferma ancora lo storico di Ossirinco dicendolo è mpétepov vavapxog. D'altra parte lo vediamo agire in Asia nella primavera 396, e in Sicilia nell’estate di quell’anno. Io eredo che ciò non possa spiegarsi solo credendo Farace navarco per due anni di seguito, perchè possiamo pensare o ch'egli ottenesse una pro-navarchia assai lunga dovuta a qualche causa speciale, o ch'egli nel 397/6 fosse ad esempio èmotoNevs, o più probabilmente che scaduto col tardo estate 397 come navarco, nel 396 egli non agisse che come duce straordinario. Lo storico di Ossirinco ci informa dei nomi dei due successori di Farace: Pol- lide e Chiricrate. Dopo di averci data notizia del principio dell’anno attico 396/5 (2), poco dopo aggiunge (3): ... [émì dÈ Tèg vadg T&v Aak]edaruoviwv kai tùv [cvupaywy Gpixveîtar TTOX1ic] vavapgog éx Aake|daiuovog... Che si tratti di Pollide è reso sicuro dal fatto che l’anno successivo, nell’estate 395, vien detto (4): Kévwy dé, rapein- potog fòn Xerpixpdtoug tàg vadg Tàg TOv Aakedaruoviwyv kai tOòv cvuudywv, dg a@ikero vavapyog diddoyog Tù TT6Midi. Dunque Pollide entrò in carica probabilmente nel | corso dell'agosto o settembre del 396 (5). Quanto alla successione di Chiricrate, essendo posta dopo la guerra in Beozia, che fu del 395 (6) e prima della campagna di Agesilao della fine estate/autunno di XII, 53; Scol. Arisr., Caval., 237) — Eubulo (Lisra, XIX, 29) e Eubulide (Drop., XIV, 85; Aeisr., Pol., II, 4, 1267 a). Vedi anche il caso del padre di Bacchilide. Cfr. TAccowe, Bacchilide, Torino, 1907, pag. XI. Gli esempi addotti dal Cosranzi, o. e., pag. 266 n., di doppio nome, hanno men stretta relazione. | Un caso invece analogo, è quello di Damone (Prur., Per., 4) e Damonide (Prur., Per., 9; Anism., °A@. tro.., 27, 4). Su di ciò vedi J. Carcorino, Damon a-t-il été ostracisé, È Revue des études grecques ,, XVIII, 1905, pag. 415 sgg.; dal quale (pag. 424) deduco questi altri esempi: Archestrato (Prur., « Alcib., 16) e Archestratide (Lista, XIV, 3); Fidippo (Nepore, Mi/2., 4) e Fidippide (Erop., VI, 105); Nicomaco (Lisra, XXX, passim) e Nicomachide (Lista, XXX, 11). Il VALEroN poi in Quaestiones graecae, “ Mnemos. ,, XVI (1888), pag. 105, n. 2, cita ancora: Archedemo (Pavs., IV, 24, 5) e Archedemide (Drop., XI, 70); Euricrate (Paus., III, 3, 5) e Euricratide (Erop., VII, 204); Mnesarco (Vita di Euri- _ pide) e Mnesarchide (Eus., pr. ev., 5, 38); Mnesarco (Erop., IV, 95) e Mnesarchide (Firostr., è. Ap., 8,7, pag. 156); Filocare (Lista, XII, 72), e Filocaride (Tuc., IV, 119; V, 19. 44); Sfodria (Senor., Z7/., _V, 4, 15) e Sfodriade (Drop., XV, 29, 5). — Tra i navarchi poi: Trasimede (Drop. XII, 61) e Tra- | simedida (Tuc., 1V, 11). (1) Cfr. Droporo, XIV, 70, 4. (2) Vedi De Sanctis, o. c., pag. 13 dell’estratto, e quel che dicemmo dianzi sulle obbiezioni del .Cosranzi, o. c., pag. 268 n. (3) Col. III, lin. 20 sgg. (4) Col. XV, lin. 32 sgg. (5) Colla neomenia del 6 agosto c., o con quella del 5 settembre c. più probabilmente. (6) Col. XI, lin. 34. 136 LUIGI PARETI (9 66 quell’anno (1), pare sia accaduta nell'estate, forse nell’agosto (2) del 395, come bene videro gli editori del papiro (3). Dunque Chiricrate fu navarco nel 395/4. Ma v'è una serie di notizie che complicano la questione. Senofonte, il quale non parla. mai di Chiricrate, dice che un’ ambasceria annuncia ad Agesilao che «gli viene concesso di dpyev kai toò vautikod Bmw fIrvWwoKoI Koi KataotiOaCdaI vadapyov Svtiva aÙTòg Bov\orro (4). Agesilao allora impone agli alleati di fornir triremi, e ne riceve 120; TTeidavdpog dè tòv Tg yuvanòg &deAPòv vavapyxov Katéotnoe, etc. Questo viene nar- rato parlando dei fatti dell'estate 395; delle imprese dell’autunno parla solo in se- guito (5); ma poichè di Pisandro tace fino all’estate successivo, quando narra della notizia avuta da Agesilao ai confini della Beozia, della rotta e morte di Pisandro alla battaglia di Cnido (6), è dubbio se Senofonte non abbia riassunto in breve le notizie sulla flotta, dopo l’'ambasceria ad Agesilao, per non doverne più parlar in seguito, e che quindi la nomina di Pisandro non sia punto anteriore alle imprese dell’au- tunno 395. — Quanto alle altre fonti, Diodoro parla di Pisandro (7) è tè Aaxedaruo- viwv vavapyog solo alla battaglia di Cnido (8), dicendo che vi perdette 50 delle sue 85 triremi e la vita; e Plutarco (9) ricalca le notizie di Senofonte, sul permesso avuto di eleggere il navarco, sulla cattiva scelta di Pisandro, e poi narra le imprese del- l'inverno 395/4 (10). Quanto poi a Pausania (11), dice: Aakedauowior dè dfacdévTEG TÒ è< tà mpoyuata toù "Aynoi\dou mpògupov didéagiv dpyovta eivar kai TH vedwv aùTò * è dè taîc uèv TpPujpeow èméomnoev Areuova TTeicavdpov — toò TTerodvdpou dè éTtUryave Guvodv ddeloi) — TD TOMÉ dÈ aùTtdg katà YÎv mpoceîxev Éppwpuévwg (12). La no- tizia della battaglia di Cnido (13), avvenuta secondo Lisia (14) ér' Eùfovdou dpxovtos (= 394/3), giunse ad Agesilao il giorno in cui avvenne un eclisse di sole, che si iden- tifica con quello del 14 agosto 394 (15): quindi si deve porre circa il 10 di agosto di quell’anno. Si deve escludere la possibilità che Pisandro fosse stato eletto navarco per il 394/3, perchè era stato nominato da Agesilao, il quale aveva lasciata l’Asia parecchi mesi prima dell'agosto 394, e perchè a quanto pare l’anno di navarchia 394/3 - » (1) Vedi Sewor., EUen., IV, J, 1. In essa prende parte Chiricrate stesso secondo il papiro, col. XXI, lin. 26. (2) Circa la neomenia del 25 agosto, o meno probabilmente quella del 24 settembre. (3) Pag. 210. (4) Senor., Ellen., III, 4, 27-29. (5) IV, 1, 1. (6) IV, 8, 10. Cfr, IV,.8,.1 (7) XIV, 83, > sgg. (8) Veramente i codici leggono TTepiapxoc. (9) Agesil., 10. (10) Ove regga quel che dissi dianzi sull'interpretazione di SenoroNntE, per PLurarco, o per la sua fonte, basterebbe supporre che abbiano invece creduto che fosse stato eletto Pisandro prima delle imprese d'autunno e inverno 395. LI YoLII9; 6, (12) È notevole che Pausania non dà l'appellativo di navarco a Pisandro, come neppure ad Agesilao. Vedi ancora Povieno, 2, 1, 3; Grusr., VI, 3. 13) In essa le navi spartane pare fossero 120 secondo SeNoFONTE, Ellen., III, 4, 28; 85 secondo Dionoro, XIV, 83, 5. Vedi Meyer, V, $ 859n., $ 845n. (14) XIX, 29. (15) Senor., Ellen., IV, 3, 10. 67 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 97 all’epoca della battaglia di Cnido non era ancor iniziato (1). Veniamo dunque a tro- vare nel 395/4 Chiricrate e Pisandro. Ma probabilmente si deve dare ben altra spie- gazione, che quella che vi sia stata collegialità. Il papiro di Ossirinco nell’autunno 395 ci parla di Chiricrate e non ancora di Pisandro; quanto a Senofonte notammo che la notizia della facoltà data da Sparta ad Agesilao gli pervenne nell’estate 395, ma la costruzione della flotta avrà richiesto tempo, onde solo circa nell’inverno 395/4, o nella primavera del 394 sarà stata pronta: quindi è che probabilmente solo colla primavera del 394 Pisandro fu eletto, e diresse la flotta, in sostituzione di Agesilao recatosi in Grecia. Se poi si osserva che Pausania non dice navarco nè Agesilao, nè Pisandro, può credersi che Chiricrate sia stato il solo navarco regolare (2) per il 395/4, e che Agesilao abbia avuto un comando affatto straordinario (3), come pure Pisandro (4). ‘ La cronologia degli anni seguenti è assai dubbia; unico canone, oltre la distri- buzione logica dei fatti, è la serie dei navarchi. Vediamo come se ne deve ricostruire la lista per gli anni 394-387. Senofonte (5), lasciata la descrizione della guerra nella penisola greca, torna a quella nell'Egeo, ed incomincia narrando la cacciata degli armosti spartani dopo la battaglia di Cnido, ossia dopo la prima metà di agosto del 394, ed il ritirarsi di costoro ad Abido dov'era armosta Dercilida, il quale passò con essi a Sesto (6). Allora Farnabazo e Conone apparecchiano durante tutto l’in- verno 394/3 una flotta (7), ed Gua ... t® éapi (del 393) muovon su Melo, e poi su Fere che devastano e poi taxù su Citera che prendono. Indi Farnabazo si reca all’istmo di . Corinto, donde rinaviga verso l'Asia (8), mentre Conone va col suo permesso a rifare le mura lunghe e quelle del Pireo (9). Siamo dunque circa il principio dell’estate del 393 (10). Intanto i Corinzi, coi danari lasciati da Farnabazo, pongono insieme una flotta con cui signoreggiano il golfo ed il porto del Lecheo. Ma anche gli Spartani armano una flotta, con Podanemo per navarco (11). Siamo dunque probabilmente nell’ agosto o settembre del 393. Senofonte continua: éteì dè oùtog Èv mpooBori (1) Poteva infatti iniziarsi circa colla neomenia del 14 agosto, o più probabilmente con quella del 13 settembre del 394. (2) Chè Chirierate fosse èmotoXeuc di Agesilao (e quindi secondo noi anche di Pisandro) com- batte a ragione il Cosranzi stesso che lo propone. (3) Il carattere straordinario di tutta la spedizione di Agesilao è già notato in SenorontE, Eler., V, 3, 8-9. Siamo nella stessa condizione che per Leotichide e Pausania: il re poteva avere in via straordinaria il comando della flotta, il che non implica che fosse navarco. (4) Non ne deriva punto che Chiricrate sia stato sospeso: egli restò ancora navarco di nome e di diritto, benchè di fatto il comando spettasse a Pisandro, duce straordinario. È lo stesso caso di Calcideo e Melancrida, e probabilmente di Teleuzia ed Ecdico. Similmente poteva accadere tra Antistene ed Astioco. (5) EUen., IV, 8, 1. (6) Ibidem, 5. (7) Senor., EMlen., IV, 8, 6. 7. (8) IV, 8, 8. (9) IV, 8,9. i 4 (10) Cfr. Droporo, che pone la costruzione delle mura sotto l’anno 394/3, e così pure C.1.A., II, 830-32: sotto l’arcontato di Eubulide. Vedi Srern, Gesch. der Spartanischen und Thebanischen Hegemonie, Dorpat, 1884, pag. 4, n. 1; Meyer, V, $ 861n. (11) Senor., E, IV, 8, 10. Serie II. Tom. LIX. 18 138 LUIGI PARETI ; 68 tivi vevouéwn drégave, kai TTOMig (1) aù, emotoreog UWv, Tpwoeig amfjXbev, ‘Hpimmtidag tavtac dvarauBdver tàg vadg. TTpbarvog uévtor Kopiv@Qiog tds Tap ’Afradivou maparaBwy vadg èzé\ime tÒ ‘Piov» Aakedaubvioi è’ aùtò mapéraBov. uerà dè TtoÙTO TeNeutiag ènì tàc ‘Hpimmidov vadg MA@€, Kaì oùtog aù Toò KÉAmov mAMiv èxpate.. Evidentemente in questo passo Senofonte restringe molto i fatti, dando in poche parole notizia di quanto avvenne durante la guerra sul golfo, dopo la morte di Podanemo. Quando Teleuzia sia andato alla flotta è difficile dire; ma su di lui un punto mi pare che si possa stabilire con sufficiente sicurezza, che cioè egli non fu navarco: le fonti in- fatti non lo dicono mai tale, e se, come appare da Senofonte (2), ancora durante il corso della navarchia di Ecdico (391/90) era alla flotta, bisognerebbe ammettere che vi fosse stato ben più di un anno, o che durante il 391/90 vi fossero stati due na- varchi. Forse si deve dare una diversa spiegazione dei fatti: durante la battaglia coi Corinzi Podanemo morì, e l’émiotorevg Pollide per le ferite non potè prenderne in cambio il comando effettivo. Quindi esso restò fra le mani di un altro ufficiale (3), forse il capo degli epibati, Erippida (4). Da Sparta poi si inviò Teleuzia, sotto aspetto di duce straordinario (5). Ciò forse ancora nell’autunno 393, o nella successiva prima- vera del 392, secondo quel che par più probabile. Senofonte continua dicendo (6) che i Lacedemoni saputo della costrazione delle mura di Atene mandano Antalcida da Tiribazo : tenendo conto di un frammento di Filocoro (7) possiamo porre in prin- cipio dell’anno attico 392/1 l’ambasceria di Antalcida (8), nell'estate stesso l'andata di Tiribazo al re (9), circa l'inverno 392/1 l’invio di Struta (10). Le lotte tra Struta e Tibrone (11) potranno andare fino alla metà circa del 391: fu allora che amba- sciatori di Rodi vennero a Sparta a chiedere aiuto contro gli Ateniesi: gli Spartani armarono 8 navi(12) e vavapxov “Ekdixov étéotnoav (13). Siamo assai probabilmente nel (1) Con probabilità lo stesso ch'era stato navarco nel 396/5. (2) IV, 8, 23. Importante per la cronologia di Teleuzia è quella della presa del Lecheo che, secondo il Lonse, pag. 52 sgg., si dovrebbe porre nella primavera 391. FiLocoro, presso Drpimo, col. VII, 1. 17, pone sotto l’arconte Filocle (392/1) le trattative di pace tra Atene e Sparta. NÉ l'orazione in cui Axpocipe, 3, 18 raccomanda la pace è menzionata la rotta al Lecheo, che quindi si deve porre o nel 393 o nel 392. Ma se si osserva che i Corinzi dopo ricevuti gli aiuti di Farna- bazo, riorganizzano la flotta, e che poi sorgono discordie che devon aver durato abbastanza, par probabile porre i fatti del Lecheo nel 372: ciò ben si accorda con un passo di AristIDE, in cui pare che si pongano questi fatti nell’anno successivo a quello dell’arconte Eubulide, ossia nel 393/2. Cfr. Lonse, p. 50. Se così è, si viene a limitare la probabile cronologia alla prima metà del 392. (3) Il Kress, Epistoleus, in Daremgera-SAGLIO, Dict., III, pag. 741, lo crede un trierarco. Che Erippida fosse designato per successore di Podanemo, come vuole il NrccoLini, o. c., pag. 286, n. 6, non è provato, Certo non fu un èmotorebs di Podanemo come erede il Sorari, 0. c., pag. 24. (4) Su Erippida in genere vedi Sewor., £2., III, 4, 6. 20; IV, 1, 11; 2, 8; 3, 15. (5) Egli è in possesso di dodici navi da questo momento (Senor., IV, 4, 19) a quando è chia. mato in Asia (IV, 8, 23). (6) SIVIRBiniz: 7) Divo, col. VII, 1. 17: sotto l’arconte Filocle"(892/1) — Vedi Foucarr, o. c., pag. 143 (= 167). 8) Senor., E22., IV, 8, 12-16. 9) Ibidem. (10) IV18£ 17; (11) IV, 8, 17-19, (12) Secondo Drop., XIV, 97, 3, erano invece 7. 13) Senor., Ellen., IV, 8, 20. Cfr. Meyer, V, $ 869 e n., BeLoca, III, 205. gr > dA bee LE Ùa ia..4 UVA Pe °° gio — "a 69 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 139 tardo estate del 391: Ecdico fu quindi il navarco del 391/390 (1). [Per l’anno prece- dente 392/1, escluso Teleuzia, ci manca il nome del navarco]. Eedico va a Cnido con 27 navi ), ma non osando muoversi su di Rodi, vi si ferma (3). Oî è’ aù Aakedar- ubvior éteì #o0ovto aùdtòv éNdtTwW Eyovta duvauw © Wote toÙg piNoug Wpeleîv, èké- Neucay Tòv Te\eutiav OÙv Taîg dudeka vauoìv aîg eîxev Èv TO sepì ’Ayatav kai Aéyaiov xOMmw Tepitàeîv mpòg TÒv “Ekdikov, kdkeîvov puèv dmorméuyar, aùtòv dè TÒV Te Bovo- uévwy giiwv eivar Emuereîoda1 kaì toùg morleuioug 6 TI divarto Kkaxòv roreîv (4). Neppur qui Senofonte dice navarco Teleuzia, e neppur in questo caso credo sia da conside- rarlo tale. L'invio di Teleuzia ha tutto il carattere di un incarico straordinario, e pare evidente che avvenne ancora durante l’anno di navarchia di Ecdico (5). Questi viene rinviato nel Peloponneso, ma ciò non indica nè che non fosse più navarco, nè che sia stato destituito: egli continua ad aver di nome il comando, che di fatto è nelle mani di Teleuzia, il quale è eletto in via straordinaria, anzi continua la carica che già da molto aveva, solo scambiando il campo di azione. Di Teleuzia Senofonte ci parla ancora poco prima dell'arrivo del navarco Ierace (6). Terace fu senza dubbio navarco nel 389/88 (7). Egli andò a Rodi e lasciò ad Egina come armosta il suo émotoNeig Gorgopa (8). Dopo di lui fu eletto navarco Antalcida (9), che fu navarco nel 388/87. Recatosi ad Egina e prese seco le navi di Gorgopa (il quale era scaduto di carica come èémotoNeds, ma non come armosta (10)), si recò ad Efeso, donde rimandò ad Egina con 12 navi Gorgopa, evidentemente di nuovo come armosta, ed affidò le altre all’émotoreis Nicoloco (11). Egli intanto si recò in Asia per concludere la pace (12) e ne ritornò circa l’autunno del 387 (13). Ma intanto la sua navarchia era scaduta (14), e quindi fu inviato come navarco, proba- bilmente nel corso dell’agosto 387, Teleuzia (15). È questa, secondo noi, la prima ed (1) Il Sorari, o. c., pag. 24, crede siano stati èmotoXeîg così Difrida (Senor., EUen., IV, 8, 21; Diop., XIV, 97, 3) come Filodoco (Drop., XIV, 97,3). Ma se vi è qualche probabilità per il secondo, si deve senz'altro escludere Difrida. Vedi NiccoLini, 0. c., pag. 296, n. 6. Difrida ha un incarico spe- ciale, e si vale delle navi di Ecdico solo per passare in Asia: Senor., IV, 8, 21 cit. — Filodoco non è ricordato che da Droporo. (2) Senor., EUen., IV, 8, 24; Drop., XIV, 97, 4. (3) Senor., IV, 8, 21-22. (4) IV, 8, 23. (5) Resta quindi dubbio se si deve porre col BeLoc©Ù, II, 205, e col JuprICA, 0. e., pag. 90 n., nel- l'estate 390, o non piuttosto prima, circa la primavera di quell’anno. (6) Sewor., V, 1, 2. Pare evidente che Teleuzia fu alla flotta dal momento in cui sostituì Erip- pida (Senor., IV, 8, 11) fino all’arrivo di Ierace (Senor., V, 1, 3), ossia dal corso del 393/2 alla metà estate almeno del 389, cioè per circa tre anni, il che si intende solo ove lo si consideri come duce straordinario, ed in certi momenti come armosta. (7) Sewor., V, 1, 3; Meyer, V, $ 872 n. Su quel che si può trarre da Arisror., Plut., v. 174 vedi Logse, 0. c., p. 57. (8) Senor., V, 1, 5. (9) Senor., EMlen., V, 1, 6. (10) Non mi accordo col Krers, Epistoleus cit., pag. 711, ch'egli avesse ancor parte delle sue funzioni di èmotorevc. (ID)Ivetis 6. (12) Meyer, V, $ 877-78 e n. ‘(18) Ibidem. (14) Colla neomenia del 27 agosto c., o meno probabilmente del 26 settembre c. 387. (15) Senor.,«V, 1, 13. 140 LUIGI PARETI 70 unica volta ch'egli ebbe tale carica, e solo in questo caso Senofonte lo dice navarco (1). Non basta a negare che Teleuzia sia stato navarco per il 387/6 addurre il fatto che si parla ancora di Nicoloco, che sarebbe già scaduto (2), dopo il ritorno di Antal- . cida : poichè ciò sì deve -porre nell'autunno 387, senza dubbio egli era scaduto come èmotoleic, ma ben può essere ch'egli rimanesse ancora alla flotta perchè armosta di Abido, come il predecessore Gorgopa lo era stato di Egina (3); e forse anche vi rimaneva perchè vi era costretto, essendo assediato (4). E così pure nulla impone di credere (anzi la cronologia stessa lo impedisce) che le imprese di Antalcida dopo il suo ritorno dall'Asia (5) siano state compiute col titolo regolare di navarco (6). Ritor- nato dall'Asia Antalcida coll’aiuto di venti navi Siracusane e Italiote (7) e della Ionia (8), aveva riunita una flotta di 80 navi. Inoltre si doveva tenere probabil- mente come negli anni precedenti un distaccamento al Lecheo, dove si avevan anche delle truppe di terra (9). Dopo la conclusione della pace (prim. 386) sì licenziarono così tà meZikà come Îrà vavtikà otpatevuata (10), sicchè i navarchi furono ridotti al comando del contingente laconico. Dopo, per una decina di'anni ci mancano i nomi dei navarchi, ma al solito rite- niamo che ciò non basti a provarne l’inesistenza. Nelle fonti troviamo in quegli anni che spesso si parla di armosti (11), e non è dubbio che quelli delle isole e delle città marittime disponevano di navi (12). Ma ci manca quasi ogni notizia sulla vita marit- tima degli Spartani in quei tempi (13). Un vago cenno vi è forse in Isoerate (14) che ci parla di liti tra Atene e Sparta per le Cicladi, ma non ne sappiam null'altro: quel che è certo è che le Cicladi rimasero a Sparta fino al 376. Ed è forse anche da ricordare l'alleanza di Sparta con Glos (15), che poteva forse portare ad una guerra colla Persia; se non che tutto fu troncato dalla sua morte (16). (1) Il Beloch invece considera errata la notizia di Senofonte. Altri poi deduce da SenorontE: oi Aakedaruòvior Tereutiav aù éKméumtovow Emi TaUTAG TÙG vadcevavapxov, che era già stato navarco altra volta. Ma cò si riferisce a TeAeutiav, non a ...vavapyov. Cfr. Lonse, 0. c., pag. 54. 2) Senor., V, 1,25. $ 9 V. 1, bt ? 4) V, 1, 25. (5) V, 1, 25 sgg. (6) Così vorrebbe il BoERNER, 0. c., pag. 13, che crede aver Senofonte errato dicendo navarco Teleuzia. Vedi anche Loxse, 0. c., pag. 56 sgg. (7) Senor., V, 1, 26. 28. (8) Ibidem, 28. (9) Ibidem, 29. (10) Ibidem, 35. (11) Isocr., Paneg., 117; Senor., Aak. mro)., XIV, 2,4; EUen., VI, 3, 18. 4,2; Drop., XIV, 84. Vedi Meyer, V, $889n. (12) Vedi ad es. nel 377 le imprese di Alceta, armosta di Oreo (Senor., EU., V, 4, 56). (13) Per analogia si può far qualche induzione anche sull’eventuale formazione della flotta da Senor., EWlen., V, 2, 20 sgg. (881 a. C.) e da Drop., XV, 81 (378 c.). (14) Paneg., 136. (15) Dion., XV, 9, 4. (16) Drop., XV, 18, 1. { ( 5. Î ( ’ 71 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 141 8 V. Il primo navarco che ci compaia, dopo la lacuna decennale, è Pollide (1). Seno-. fonte (2) dice che i Lacedemoni éreì tap ùméparve (del 376) si mossero con Cleom- broto contro i Tebani, ma la spedizione fallì presso il Citerone. Gli alleati allora si radunano a Sparta (3) e vi decidono quel che si deve fare: tadta dè Noyioduevor éEmkovta utv tpimpers étAnpwoav, TT6XMig d' adtòv vavapyog èrévero (4). Le navi anda- rono a stazionare presso Egina, Ceo, Andro, sì che impedivano il passaggio delle navi col grano per gli Ateniesi, onde questi mossero condotti da Cabria contro Pollide, e lo vinsero (5). — Secondo Diodoro (6), Pollide vuole assalire il carico di fru- mento, ma gli Ateniesi lo scortano fino al Pireo. Metà dè tadTta (7) Cabria va ad asse- diare Nasso, ma Pollide dua ... TOoUTOIS mpattopévors accorre a difenderla, e allora succede una battaglia tra Nasso e Paro tra le 65 navi di Pollide (8) e le 83 di Cabria; gli Ateniesi vi perdettero 18 triremi, gli Spartani 32 (9). La data della battaglia di Nasso ci è fornita da Plutarco (10) e Polieno (11): essa avvenne il 16 Boe- dromione, ossia circa il 9 ottobre 376 (12). Se si consideri poi che prima dell’invio di Pollide vi fu la spedizione in Beozia, la missione a Sparta, i preparativi della flotta, pare probabile che le imprese di Pollide siano incominciate quasi un mese prima della battaglia di Nasso, nella fine d'agosto o nel corso del settembre del 376 (13). Onde può sorgere il dubbio se si debba porre la navarchia di Pollide nel 377/6, come vuole il Beloch, o non piuttosto nel 376/5. I testi che adducemmo paiono favo- rire questa seconda tesì: Pollide incomincia ad agire nell’estate avanzata 376, e nell'ottobre è ancora alla flotta. Si può, è vero, supporre che si tratti del solito prolungamento in carica, ma non s'intende perchè non si mandasse il nuovo navarco, poichè il prolungamento in carica ha per base e motivo la continuazione di un’im- presa già iniziata, mentre qui è evidente che si tratta dell'inizio di un'impresa. Inoltre la frase stessa di Senofonte (14): éZnkovta uèv Tpimpers étAnpwoay, TT6MIg d aùTt®v vavapyog éyévero, pare significhi piuttosto che Pollide venne al comasdo solo allora. (1) Cfr.#Escx., c. Ctes., 222; Tzerze, Chil., X, 359, e 362. È lo stesso Pollide che fu navarco venti anni prima nel 396/5? che fu ÈmotoXevs nel 393/2? ambasciatore a Dionisio nel 387? e che imprigionò Platone (Larrt. Dios., 3, 19. 20)? Forse si deve pensare a due persone diverse dello stesso nome. O morì forse il primo, dopo le ferite ricevute come èmotoXedc? (Sex. IV, 8, 10). (2) V, 4, 59. (3) V, 4, 60. (4) Ibidem, 61. (5) Ibidem. (6) XV, 34, 3. (7) Ibidem, 4. (8) Vedemmo come seconde Senofonte sian solo 60. (9) 24 distrutte ed 8 prese. Demosrene, XX, 77, parla di 51 vuote: forse scambio di KA con NA. Altre notizie in Porieno, III, 11, 2; Escuine, Contro Ctesif., 222. Vedi anche SreRN, 0. c., pag. 83, n. 2. (10) Foe., 6: Camillo, 19. CAI 1142, (12) Vedi Meyer, V, $ 934 n. (13) Colla neomenia del 25 agosto c., o quella del 24 settembre c.. (14YX Vx 4, 61. — 142 LUIGI PARETI 72 Ma vediamo se questa datazione si può accordare con quella del navarco successivo, se cioè Nicoloco fu navarco per il 376/5 come sostenne il Beloch, o nel 375/4, come sarebbe richiesto dalla cronologia di Pollide. Senofonte (1) dopo di aver raccontato le imprese di Pollide, che vengon fino all'ottobre del 376, dice che i Tebani per difendersi dall’attacco che stavan preparando i Lacedemoni contro di loro, spinsero gli Ateniesi a mandare mepì TTe\orévvnooy otpatevua : siamo probabilmente nell'inverno del 376/5. Gli Ateniesi in seguito (2) mandano Timoteo con 60 navi (3); e questi (4), girato intorno al Peloponneso, va. a Corcira e la prende eb8ùg... od uévtor rvdpatodicato oùdè dvdpag épuràadevoev oùdè véuouc meréotnoev * te Uv TàG mepì ékeîva moNerg macag evpeveotépag éoyev. Se teniam conto del tempo necessario per la preparazione della flottae del tempo impiegato a girare intorno al Peloponneso, e di ciò, che prima di prender Corcira Timoteo aveva già tratto alla parte Ateniese le città di Cefallenia e dell’Acarnania, come ci informa Diodoro (5), ed aveva stretto lega con Alceta re dei Molossi, par probabile si debba porre l'impresa di Corcira nel luglio o nell'agosto 375. E ciò si accorda assai bene col fatto che i trattati con Corcira (6) sono datati dalla 2* pritania dell’anno 375/4, ossia sono circa dell’agosto/settembre del 375 (7). Dopo dei fatti di Corcira, Senofonte (8) continua: avremimpwoay dè kai oî Aakedarudvior vautikév, kai Nix6Aoxov (9) vavapyov, udia Opaoùv dvòdpa éZéreuyav (10). Nulla dunque si oppone a porre l’invio di Nicoloco nell'agosto o settembre del 375, ossia al momento della sua entrata in carica (11), e quindi a considerare l’anno 375/4 come il suo di navarchia. La battaglia presso Alizia tra Nicoloco e Timoteo non dovette tardare: Nicoloco non attese neppure l’arrivo del contingente ambracioto di 6 triremi (12) e con 55 navi attaccò Timoteo presso Leucade, come ci indica Diodoro (13). Questa battaglia deve esser stata com- battuta circa il tardo settembre del 375. Polieno dice che quando avvenne fiv éoptù Zxipa (= autunno). Lo Schifer (14) ha creduto si tratti di una confusione colla festa delle Sciroforie, sicchè si tratterebbe invece del 27 giugno (12 Sciroforione), ma non v'è nessuna necessità di cambiare il testo di Polieno. Che poi si tratti dell’autunno pare indichi anche il fatto che assai probabilmente Senofonte termina il V libro al finir dell'anno 375: i nuovi preparativi di Timoteo indicati nell'ultimo paragrafo (15) credo si debbano porre nell'inverno 375/4. (1) V, 4, 62 sg. (2) Ibidem, 63. (3) Secondo Isocrate, XV, 109, con 50 navi. (4) Senor., EUen., V,4, 64. (5)-XV, 36,5. (6) CZ 4.,-II, 49; IV; 2,049! (7) Vedi BrLocan, II, 242, n. 2; Stern, pag. 88, n. 2; Merer, V, $ 985n. (8) V, 4, 65. (9) Probabilmente lo stesso che fu èmotoXevg di Antaleida. (10) Vedi Stern, 0. c., pag. 86, n. 1. (11) Colla neomenia del 14 agosto e., o meglio con quella del 13 settembre c. (12) Senor., V, 4, 65. (13) XV, 86. 57. Vedi anche Nepore, Timot., II; Porieno, III, 10, 6. 12. 13. 16. 17; Frontino, II, 5, 47; Isocrate, XV, 109 sg. — Cfr. Srerv, o. c., pag. 86, n. 1. 14) Demost., I, pag. 48; seguìto dal Currrvs, Gr. Gesch.®, III, 276. 760. (15) V, 4, 66. 73 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 143 Dopo di Nicoloco, il primo che le nostre fonti (1) ci dicano esplicitamente esser stato navarco è Mnasippo (2), il cui anno di navarchia, non è dubbio, come vedremo tosto, fu il 373/2. Dalla lettura di Senofonte (3) si potrebbe a primo aspetto derivare che l’entrata in carica di Mnasippo cada nello stesso anno, e poco dopo della pace dell’estate 374 (4). Ma è evidente che Senofonte ha ristretto assai il racconto: dobbiamo in tal punto ricorrere alla descrizione di Diodoro. Questi (5) ci descrive i moti che avvennero nelle varie città dopo la conclusione della pace: a Zacinto, gli aristocratici si rivolgon per aiuti a Sparta, contro i democratici soste- nuti da Timoteo; gli Spartani mandati ambasciatori ad Atene accusano Timoteo, ma vedendo che gli Ateniesi propendevano per i democratici OUveOT)OAVTO vavTIKÉv, Kai TANpwoayvTeEg TPIuMpers eikogi Kai mévte ézémeuyav Toîg Zakuvdiorg Cuupayiav, dovTEG TÙùV Myeuoviav ’Apiotoxpàter. Siamo probabilmente nell'autunno 374 colle lotte di Zacinto, e nella primavera 373 coll’invio di Aristocrate (6). Diodoro continua (7) dicendo che dua dè TOUTOIG mpattouévors anche gli aristocratici Corciresi insorsero chiedendo aiuti agli Spartani che eùdùg oùv éreuyav eis tiv Kopkupav Tpimperg etkooi kai déo, tiv fireuoviav ’Aikida mapadévtec. È evidente che la spedizione di Alcida non può essere avvenuta che a breve distanza da quella di Aristocrate (8), proba- bilmente nella stessa primavera del 373. Ciò posto, e considerato il carattere spe- cifico di queste due spedizioni, non credo si debba veder in essi due navarchi. Il Beloch, che assegnava a Pollide il 377/6, a Nicoloco il 376/5 ed a Mnasippo il 373/2, veniva ad aver vuoti il 375/4 e il 374/38, onde suppose che Aristocrate fosse il navarco del primo anno, ed Alcida quello del secondo. Ma il silenzio delle fonti su di ciò par comprovato dalla cronologia: tra Nicoloco e Mnasippo non c’è che il solo anno 374/3; poi è difficile ammettere che la spedizione di Aristocrate cada ancora nell’anno 375/4 di navarchia. Le determinazioni’ assai vaghe di Diodoro rispetto alla carica sì di Aristocrate che di Alcida, che sono le stesse ch’egli usa anche per duci di terra (9) come Sfodria, e per armosti (10) come Febida, non ci aiutano nella solu- (1) Senor., EWen., VI, 2, 4; Diop., XV, 47, 1. (2) Droporo, colla sua solita imprecisione, lo dice solo stratego. (3) VI, 2, 1 sgg. (4) Sera) 0. c., pag. 93 sgg.; BrLoca, Gr. Gesch., II, 243 sog. (5) XV, 45. Recentemente il Lose, o. c., p. 26 sg., ha tentato di dimostrare che si deve prefe- rire la versione di Senoronre: ma la dimostrazione non mi par riuscita. (6) Secondo lo Srerx, 0. c., pag. 108, nel tardo autunno 374. Fin qui mi pare che tra SenorontE e Drioporo non vi sian divergenze, e credo si possa stabilire questa successione di fatti: Pace [est. 374] (Sew., Drop.) - Ambasceria a Timoteo (Sex.) il quale nel ritorno (Sen.) aiuta la rivoluz. di Zacinto (Sex., Drop.), una di quelle sorte dopo la pace (Drop.) [aut.] - Gli Zacinti chiedon aiuto a Sparta (Dron., Sen.) e si lamentan ad Atene (Drop.): Sparta manda Aristocrate (Dron.) ed Atene Ctesicle (Dron.) [prim. 373]. Mentre avvengon questi fatti relativamente a Zacinto anche a Corcira avvengon lotte (Dron.): si chiede aiuto a Sparta (Drop.), che manda Alcida (Drop.) [prim. 373]; allora la parte contraria ricorre ad Atene (Drop.) che inviato eome vedemmo Ctesicle a Zacinto prepara anche una spedizione su Corcira (primav. avanz. 373]. (7) XV, 46. (8) Sono d'accordo col Sotari, o. c., pag. 12, nella quasi contemporaneità delle spedizioni, non certo nel dedurne che si ebbero due navarchi nello stesso anno. (9) XV, 29, 5. (10) XV, 20, 8. 144 LUIGI PARETI — 74 zione del problema; forse nè l’uno nè l’altro furono navarchi, ma due duci straor- dinari e probabilmente armosti; ma si può anche supporre che uno di essi, e prefe- ribilmente il primo, Aristocrate, sia stato il navarco del 374/3, e che Alcida fosse un duce straordinario (1). Quanto a Mnasippo, già dicemmo, com’egli senza dubbio sia stato navarco nel 373/2. Vediamo di stabilirne la cronologia. Quando Alcida fu giunto a Corcira, secondo quel che ci narra Diodoro (2), i Corciresi, eluso uno stratagemma con cui egli tentò di impadronirsi dell’isola, mandarono per aiuto ad Atene (probabilmente nella tarda primavera 373). Gli Ateniesi stabilirono di porger aiuto sì ai Corciresi che agli Zacinzi; onde mandarono Ctesicle a Zacinto per porsi a capo dei democratici, e prepararono una spedizione in aiuto di Corcira. “Aua dè TOUTOIS mpattouévors avven- gono in Beozia quei fatti che portarono alla distruzione di Platea, i quali si devon senza dubbio considerare dell’estate 373 (3). Poi continua: Aakedapuévior dè OTPATNYÒV xataotioaytes Mvaommov èzarméoternav èrì tiv Képkupav éxovta TPiMmpers uèv éznkovta Kai Tevte, OTpatiwTag dè yiioug kai mevtakocioug (Senofonte (4) dà la cifra tonda di 60 navi e le dice fornite, oltre che da Sparta, da Corinto, Leucade, Ambracia, l'Elide, Zacinto, l’Acaia, Epidauro, Trezene, Ermione e dagli Aliei con navarco Mnasippo). Pare assai probabile che Mnasippo andasse a Corcira all’epoca della sua entrata in carica, ossia nell’agosto, o nel settembre del 373 (5). Le sue imprese, che secondo Diodoro (6) e Senofonte (7) pare cadano ancora nel 373, sono sufficienti per riempire i mesi successivi fino all'inverno 373/2. Intanto ad Atene circa il nov./dic. 373 avveniva il processo di Timoteo (8), perchè non si decideva a soccorrere Corcira (9). Al posto di Timoteo fu inviato, probabilmente nella primavera del 372, a Corcira (1) Se poi si volesse considerare invece come navarco Alcida, il che pare anche più impro- babile, non se ne potrebbe certo dedurre col Sorari, 0. c., pag. 13, n. 2, che Alcida fu due volte navarco, nel 428/7 e nel 374/3, perchè pare impossibile che la stessa persona potesse avere tale carica a 54 anni di distanza. In qualsiasi modo, l’Alcida del 373 si deve distinguere dal navarco del 428/7. (2) XV, 46, 3. ‘ (3) Vedi ad es.: Merer, V, $ 937n. (4) VI, 2, 3. (5) Non mi accordo quindi collo Srers, 0. e., pag. 104, che pone ciò nella primavera 373, ma bensì col BeLoca, Gr. Gesch., II, 245. (6) XV, 47, 1 (7) VI, 2, 5-8. (8) Demosr., XLIX, 9, 13, e specialmente 22: (9) Sewor., VI, 2, 11 sgg.; Dron., XV, 47, 2 sgg. Dall'esame di Senoronre e Dioporo credo sì debba ricostruire questa successione di fatti: Dopo l’invio da parte di Sparta di Aristocrate a Zacinto, e di Alceta a Corcira [prim. 373], e dopo che gli Ateniesi ebbero mandato Ctesicle a Zacinto, mentre preparavano anche una spedizione su Corcira (Dron.), quella di Timoteo [estate] (Dron.-SenorontE pone i preparativi di Timoteo dopo la partenza di Mnasippo, ma par evidentemente preferibile la versione di Droporo. Non così il Lohse), gli Spartani inviano Mnasippo a Corcira (Sex., Drop.). I Corciresi richiedon soccorso agli Ateniesi (Senor.) [tardo est. 373], i quali al posto di Timoteo che già avrebbe dovuto andare (Drop.) mandano Stesicle [aut. 373] (Senor.-Droporo dice Ctesicle: il Lonse crede che si tratti di una spedizione reduplicata: credo invece che Ctesicle inviato prima a Zacinto (Dron.) e Stesicle inviato ora a Corcira sian persone distinte (Sen.); benchè Droporo abbia chiamato per errore Ctesicle anche il secondo). Intanto Timoteo continua i preparativi, ma poi gli Ateniesi lo sostituiscono con Ificrate (Senor., Dron.), il quale muove finalmente su Corcira (Sexor.., Drop. Quest'ultimo aggiunge, evidentemente con errore, che mosse insieme con Timoteo) [prim. 372]. 75 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 145 Ificrate (1). Quando Ificrate fu giunto repì tàs Zgariag (2) seppe della morte di Mna- sippo, avvenuta durante una sortita dei Corciresi. Siamo probabilmente nella tarda primavera del 372. Restava alla flotta l’émortoMapgpos Ipermene (3), che fuggì da Corcira, riparando a Leucade, prima dell'arrivo di Ificrate (4). Dopo ci vengono a mancare le notizie sui navarchi Spartani; il che forse non significa, almeno per qualche tempo, ch’essi non esistessero più (5). Ma Sparta come potenza marittima aveva finito il suo tempo (6), sicchè i successivi navarchi, ove siano esistiti, non operarono più nulla di importante: Sparta, mancati molti degli alleati, venne a trovarsi quasi sola, e potè quindi in seguito disporre di una flotta meschina. È $ VI Ed ora prima di procedere a raccogliere gli altri pochi dati dispersi sulla suc- cessiva potenza marittima degli Spartani, possiamo in breve concludere sui risultati cui ci ha portato la nostra analisi precedente, rispetto ai punti principali che caratte- rizzano la navarchia Spartana. La navarchia sorta probabilmente per lenta evoluzione ed affermatasi col fiorire della lega peloponnesiaca, fu da quando ebbe stabile assetto una magistratura regolare, annua, e probabilmente ininterrotta. La data d’entrata in carica almeno dall'inizio della guerra del Peloponneso in poi cade nell’estate, e probabilmente coincide colla penultima, o coll’ultima neomenia prima dell’equinozio d'autunno, a seconda che l’anno precedente è di 12 o di 13 mesi. I non molti casi in cui i navarchi restano in carica per qualche tempo, dopo l’epoca in cui avrebbero dovuto scadere, si devono spiegare come prolungamenti straordinari, come pro-navarchie dovute a scopi pratici. Non vi è nessun esempio sicuro di pluralità di navarchi nello stesso anno: il caso di Pisandro e Chiricrate dell’anno 395/4, si deve assai probabilmente spiegare in modo affatto diverso, considerando soltanto il secondo come navarco regolare. Non pare che vi siano state reduplicazioni nella stessa persona: i casi ritenuti dubbi di Lisandro, di Farace, di Teleuzia e di Alcida sembrano da scartare; resta il solo caso possibile di x ‘ Pollide per il 396/5 e il 376/5, ma non è escluso, anzi può parer probabile, si tratti di due persone diverse. A conclusioni analoghe si viene per gli émotoleîc. (1) Senoronte, VI, 2, 13 sgg., parla solo di Ificrate. Dron., XV, 47, 7, dice invece che fu inviato anche Timoteo restituito al comando. Ma ciò poco si accorda con Demosrene, XLIX, 25-28 secondo cuì nel Targelione ossia nel maggio/giugno 372 Timoteo va all'esercito Persiano. (2) Sewor., VI, 2, 81. (3)EVI, 2025: (4) Senor., EZen., VI, 2, 25-26. (5) Vedi oltre. (6) Essa torna nel convegno di Sparta del 372 ad affermarsi potenza di terra, lasciando ad Atene il vanto di potenza marittima: Senor., Ellen., VI, 8, 14. 18 sg.; Diop., XV, 88, 4; SoLari, 0. c., pag. 249 sgg. Serie Il. Tom. LIX. 19 146 LUIGI PARETI 76 Va La marineria Spartana dal 372 al 146 a. C. Dopo di Mnasippo, come già sì disse, ci mancano notizie sulla navarchia Spartana, ma che allora essa abbia cessato di esistere non è sicuro, benchè non ci siano elementi perentori per dimostrarne l’esistenza. È caratteristico il fatto che Aristotele nella Politica (1) sembra parli della navarchia come di cosa esistente: cosa assai incerta, ma che d'altra parte non si può negare, perchè fino all’epoca della composizione della Politica, intorno al 336/35, i cenni che ci restano sulla marineria Spartana non escludono l’esistenza di navarchi. Comunque sia di ciò, quel che si può dimo- strare più facilmente è l’esistenza di una qualche vita marittima degli Spartani anche dopo il 372 a. C. Raccoglieremo in breve gli accenni relativi, sparsi nelle fonti, per il periodo dal 372 alla presa di Corinto nel 146 a. C. Colla pace dell’estate del 371 (2) la potenza marittima Spartana subì un tracollo. Senofonte (3) dice che: èynpioavto kai oi Aakedaiuovior déxeodar Tv eiprivnv, ep’ © ToÙg te Gpuootàg Èk TÙv mOMEw éEdyew, TA TE OTpPatbiTEda diaNveLv kai tà vauTIKà Kat tà melZikd, tdg Te mONeI9 aùutovbuoug éàv. — Pure qualche trireme rimaneva a Sparta, come appare da un altro passo di Senofonte (4), ma un altro colpo le venne poco dopo da parte degli alleati Tebani, nel 369. Lo stesso storico (5) narra: ékeî@ev uévtoi amapav TÒ OTpatevia Emopevero TùV é@° “ENog kai Fugerov® kai tàg uèv der xiotovc TÙy moNewy èveriumpacav, Fudeiw dé, Èvda TA veWwpia Toîg Aakedanpovior Tv, kai mpocépaMov tpeîc fuépac. — Una riprova. delle condizioni non prospere della marina Spartana in quei tempi abbiamo leggendo i discorsi che Senofonte, in prin- cipio del libro VII, pone in bocca agli Ateniesi ed agli ambasciatori Spartani venuti ad Atene per concludere l’ alleanza tra Spartani ed Ateniesi; dai quali discorsi però risulta pure la possibilità per Sparta di armare una flotta, secondo il solito modo: (1) Quanto ad un passo di Senoronte, EU/en.,..II, 1, 7 (cfr. Dron., XIII, 100, 8; Prur., Lis., 7) la cosa è anche più dubbia, poichè: où Yàp vouog adtoîc dic TÒèv aùtèv vavapyeîv, può aver per sottin- teso tanto un imperfetto quanto un presente. Ma inoltre si noti che tal passo non serve al caso nostro per un motivo anche più grave: ossia perchè crediamo, contrariamente a quanto sostenne il Meyer, che la prima parte delle EWeniche sia stata scritta tra la pace di Antalcida e la battaglia di Leuttra. Al più ove vi si voglia veder sottinteso un presente, ciò si accorderebbe con quanto tentammo di dimostrare, che non vi fu rielezione a navarco neppure dopo la navarchia di Araco. (2) Senor., EWen., VI, 3; Drop., XV, 50; Dronis@®D’Ar., de Lys., 12; PLur., Agesil., 28 (14 Sciro- forione=16 luglio). Cfr. MeyER, 0. c., V, $ 940. (3) VI, 3, 18. 4) Senor., EMUlen., VI, 4, 18. (5) Sexor., EUen., VI, 5, 82. Portexo, II, 9 dice che Isida Lacone liberò dopo Leuttra il Giteo dal presidio Tebano. Il WesER, p. 23, adducendo Prur., Ages., 84, il quale fa un racconto analogo a proposito della 2* spedizione di Epaminonda contro Sparta, e in cui si tace del Giteo, crede che il Giteo non sia stato preso: ma da Senoronte e Porieno par risulti l'opposto. i ’ ; x : b I ST e FOTOS Cer © Ce. e Co vo —- - pe COTE 77 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 147 gli epibati ed i trierarchi sarebbero Spartiati, gli altri iloti e mercenari; non vi si parla di navarchi, forse soltanto perchè il generalato sarebbe toccato agli Ateniesi (1). In seguito abbiamo una serie di notizie su spedizioni navali guidate da re Spartani e si può forse supporre si tratti di casi analoghi ai già citati di Leotichida, di Pausania, Agesilao, ma si tratta in genere più che altro di trasporti d’esercito terrestre, e talora anche di spedizioni d’indole privata. Così nel 361 ci si presenta l'andata di Agesilao in Egitto (2): egli dispone di 1000 opliti (3), e di 30 Spartiati come ovuBovAor (4), ma mentre ha il comando dei mercenari, la direzione della flotta alleata non spetta a lui, ma a Cabria (5): si tratta adunque più che altro di trasporto per mare dell’esercito terrestre. — Un'altra spedizione di tal genere (una prima per porgere aiuto ad Artaserse Oco non ebbe luogo, perchè gli Spartani come gli Ateniesi rifiutarono (6), conservando la loro neutralità) viene ricordata: quella di Archidamo prima a Creta e poi per aiutar Taranto in Italia (343 a. C.), dove morì a Manduria nel 338 (7). A tal proposito Diodoro dice (8) che alla richiesta d’aiuto da parte di Taranto oi ... EITAPTIATOAI did TMV CUYYéÉverav mpoguuws téyovteg Gvupayfcar taxéws duvauw neporZov ITEZIENV TE Ka vauTIKV Kaì tadtng OTpATtnYÒv Amedertav ’Apxidauov tòv Raonéa, il quale, aiutati i Licti a Creta, passò in Italia. — Nel 333/2 il re Spartano Agide, figlio di Archidamo èrì pag tpuipovs, va da Farnabazo ed Autofradate yxpriuata te aitiowv és TÒv mONeuOV Kai duvauiv vaurikmv Te Kai meZiki]v Gonv mieiotnv dEL”OWY Cuuréuyoai oi ég tiv ITeromévynoov (9). Ma avuti da Autofradate trenta talenti d’argento e dieci triremi, rinunciò alle sue intenzioni sul Peloponneso, restando con Autofradate, e dando le navi al fratello Agesilao, che operò su Creta (10), dove, secondo Diodoro (11), Tòv mONewv TàS mieioug xeipwoduevoc fvarkace tà TTepoùy aipeîodar. Sparta adunque in quel tempo non poteva disporre di navi proprie che in numero assai piccolo; ma Agesilao riuscì ad ottener buoni successi a Creta (12). — Nel 314/3 secondo Diodoro (1) Senor., VII, 1, 12. (2) Sewor., Ages., II, 29 sg.; Prur., Ages., 36 sgg. 40; Dron., XV, 92-93. Cfr. Meyer, Forsch., II, 509; Gesch. d. Alt., V, $ 972. (3) Drop., XV, 92; Areneo, XIV, 1, pag. 616d. Vedi BrLoc4, II, 295 sgg.; JupeIc#, 0. c., p. 166 sog. (4) PLur., Agesil., 36. (5) PLur., Agesil., 37; Drop., XV, 92, 8. (6) Drop., XVI, 44, 1 sgg.; 46, 4; Isocr., Panat., 159; Trop., fr. 135 (7. H. Gr., I, p. 301). (7) Diop., XVI, 62-63. 88; Trop., fr. 259-261; PLur., Agide, 3; Camillo, 19; Prinio, St. nat., III, 98; Paus., III, 10, 5; VI, 4, 9; Srraz., VI, 3, 4. Ofr. Pais, St. di Roma, I, 2, pag. 490; BeLoca, II, 598; De SanctIS, Sf. dei Rom., II, 292. (8) Drop., XVI, 62, 4. (9) Arriano, II, 13, 4 sgg. (10) Arrrano, II, 13, 6. (11) Drop., XVII, 48; Curzio Ruro, IV, 1, 40. Cfr. Grore, XII, 70. 204 sg.; Niese, Gesch. der Gr. und Mak. St., I, 103. 105. 107; BeLoc4, II, 633 sgg.; 637. 649 sgg. (12) Da Creta gli Spartani traevano dei mercenari: così Cleomene (PLur., CZeom., VI) e Licurgo. A loro volta si dovevano avere dei Laconici che facevano tale mestiere: così quel Tibrone che tro- viamo implicato nella storia di Cirene circa il 323 (vedi Boucné-LecLerco, Histoire des Lagides, 1, p. 16 sg.), e probabilmente tra i mercenari Greci di Annibale (Pocis., XI, 19, 4), e tra quelli Pelo- ponnesiaci in Egitto, nell'ultimo ventennio del sec. III a. C. (Poris., V, 36, 4), vi saran stati dei Laconi. — Così pure è Spartano Santippo che nell’inverno 256/255 va in Africa a porgere aiuto ai Cartaginesi contro i Romani (Potie., I, 32. Cfr. BeLoca, III, 1, 679; 1, 234). Al Tenaro pare vi fosse un vero mercato di mercenari (Dron., XVIII, 21, sotto l’anno 323/2). Per i mercenari Cretesi di Nabide vedi oltre. 148 LUIGI PARETI 78 avvenne una spedizione marittima, che possiam dire privata: quella di Acrotato in favore dei fuorusciti Siracusani contro Agatocle (1). Questo principe spartano, secondo Diodoro (2), tùvV ... amodnuiav Tomoduevog dveu Tg TÙV ÈéPopwyv yvwung avnx®n vauoìv èMirarc, ic diaipwv èm “Akporavtos. Ma a Taranto Èrese ynpicaogar vavoìv eikooi Bondeîv (3). Una decina d’anni dopo ai Tarentini, rivoltisi per aiuti a Sparta contro gli alleati Romani-Lucani, fu inviato il principe Cleonimo, secondogenito di Cleomene (4), il quale navigò dal Tenaro a Taranto con 5000 soldati (303), e più tardi verso Corcira (302), che prese (5),, e poi di nuovo verso l’Italia (301) (6), ma perdute venti delle sue navi in una tempesta (7), riparò a Corcira (8). — Altre notizie abbiamo relative al re Areo I; un'iscrizione (9) ci dice che parte dei Cretesi erano suoi alleati, e sappiam (10) che quando Pirro nel 273 mosse su Sparta, Areo era a Creta Foptuvios mo\euovuévois Bon@ày, ed un'iscrizione di Diktynnaeon (11) ci informa della presenza di Cleonimo figlio di Cleomene II, in un trattato fra le città cretesi di Polyrhenion e Phalasarna (12). Poi abbiam notizia di due viaggi più che altro: Plutarco ci dice (13) che Leonida, che fu re di Sparta, si era aggirato per molto tempo tra i Satrapi e presso Seleuco (Nicatore: quindi prima del 280); e Polibio (14) ci narra come Cleomene dopo la sconfitta di Sellasia, riparasse di notte al Giteo, dove delle navi erano pronte da parecchio tempo mpòs tò cuufaîvov, e con esse si recasse ad Alessandria. Nel 218 (1) Drop., XIX, 70-71. Cfr. De Samos, Agatocle, £ Riv. Fil. Class. ,, XXIII, pag. 5 dell’estratto ; Nirse, 0. c., I, 437 sg. Secondo il BeLoc#, III, rr, pag. 202 sg. (cfr. III, 1, 191) si devon porre i fatti di Acrotato nel 315 e 314. (2) Drop., XIX, 70, 6. (8) Dron., XIX, 70, 8. i (4) Drop., XX, 104; Livio, X, 2. Vedi: De Sanctis, St. dei Rom., II, 344 sgg.; Niese, I, 479; II, 7, sgg.; BeLoc®Ò, III, 1, 209-210. (5) Drop., XX, 104, 4. (6) In., XX, 105, 1. (7) In., XX, 105, 3. (8) Quanto alla cronologia delle imprese di Cleonimo si deve osservare in primo luogo che Droporo attinge ad uno storico greco (si vedano i nomi esatti, l'appellativo di barbari agli indi- geni, etc.) e che Livio per via annalistica risale anch'egli ad una fonte greca simile a quella di Dioporo. Ma gli annalisti avevano attinto alla fonte greca solo l’ultima parte delle imprese di Cleonimo, poichè poteva interessare anche Roma: infatti, non venendo specificato chi avesse vinto Cleonimo, si potevano facilmente inventare trionfi'romani. Dronoro poi, data alla greca, e raggruppa come in molti altri casi gli avvenimenti in un solo anno: quello di inizio, sicchè possiamo porre l’arrivo di Cleonimo in Italia nel 303 [= 304 per gli annalisti, computando l’anno 801 dittatoriale], la pace e la spedizione di Corcira nel 302 [= 303 per gli annalisti]. La cronologia dei fatti seguenti è data da Livio, che valendosi dei consoli è sicura: egli pone il ritorno e la sconfitta nell’anno 302 secondo gli annalisti, che corrisponde al 301. — Cleonimo si valse di navi anche probabilmente nel 292 c. per passare in Beozia, essendo Corinto e Megara in potere di Demetrio, ma è cosa poco sicura, e poi sarà stato con navi alleate. BeLoca, III, 1, 231, n.1; Nrese, I, 366. (9) Drrrens., Sy7.3, 214= C. I. A., II, 382. (10) Prur., Pirro, 27. Vedi Niesr, II, 230. (11) De Sanoris, “ Monum. ant. dei Lincei ,, 1905 (XI), col. 494 sgg. (218 sgg. dell’estr.); CarpinaLI, Creta è le grandi potenze ellenistiche, © Riv. stor. ant. ,, IX, pag. 70 sgg., ai quali rimando. (12) Vedi anche la presenza a Sparta contro Pirro di un cittadino di Aptera: Prumr., Pirro, 30. Cfr. © Bull. de Corr. Hell. ,, 24 (1900), p. 224 sgg.; De Sancmis, 7. e., per il commento a tutto ciò. (18) PLur., Agide, 3. (14) Poviz., II, 69, 11. 79 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI 149 Filippo di Macedonia invase la Laconia. Polibio (1) ci dice ch'egli é@@erpe tiv Xwpayv maoav TùV Émriì tò Kpntikòv Tmélayog tetpauuevnv Éws Tarvapou ueraBaXduevog dò’ aùdtIg èmoreîto Tiv Topeiav mapà tòv vavotagduov TOv Aakedaruoviwv è kaleîtar uèv FUA1ovy, éxer d doqalfj Mmipéva, tfg dè moNewg améyxer Tepì diaxbora kai Tpidkovta otddia. Non ci vengon però fornite notizie su navi. Nuovo rifiorire ebbe la marineria Spartana sotto Nabide. Un primo cenno si trova in Polibio (2), secondo il quale egli ékorvwver..... toîg Kpnoì tv Kkatà Qdiattav Mmoteròv, i quali Cretesi allora erano noti pirati (3). Di Cretesi egli si vale come mercenari: nel 197 ne dà 600 ai Romani (4), nel 195 ne assume 3000; ma da Creta egli trae soldati anche per leva regolare, così nel 195 ne arruola 2000 (5); il qual fatto è confermato da Livio, il quale, parlando delle trattative di pace (6) del 195, dice che era vietato a Nabide “in Creta insula ne quam urbem haberet, quas habuisset “ redderet Romanis, ne quam societatem cum ullo Cretensium... institueret, etc... ,, cose tutte che lascian supporre ch’egli disponesse di navi. Ma abbiamo delle notizie più esplicite. E così Livio (7) ci parla abbastanza diffusamente dell'assedio per terra e per mare da parte di L. Quinzio del Giteo... “ oppidum omnium maritimarum rerum «“ Lacedaemoniis receptaculum... ,, che allora era “ valida urbs, et multitudine civium “ incolarumque, et omni bellico apparatu instructa ,. Il Giteo cadde allora in potere dei Romani (195 a. C.) (8). Che Nabide disponesse di navi provano anche le lagnanze che gli venivan mosse di pirateggiare presso al Malea, come fa dir Livio da T.Quinzio (9), e ciò è comprovato dal fatto che nelle ricordate condizioni di pace del 195 gli si « imponeva anche: “ naves, quas civitatibus maritimis ademisset, redderet neve ipse “ navem ullam praeter duos lembos, qui non plus quam sedecim remis agerentur, “ haberet , (10), e Livio ci dice a questo proposito (11) che... “ maxime... omnium ea “ res offendebat (Nabide), quod et naves et maritimae civitates ademptae erant. Fuerat “ autem ei magno fructui mare, omnem oram a Maleo praedatoriis navibus infestam “ habenti; iuventutem praeterea civitatum earum ad supplementum longe optimi “ generis militum habebat ,. In seguito lo stesso storico (12) dice che Damocrito, ambasciatore degli Etoli a Sparta, dimostra a Nabide, che “ ademptis maritimis (1) Ponrs., V, 19, 5. (2) Pogis., XIII, 8, 2. Cfr. I G., IV, 497 e 756. — L’Howotte, “ B. C. H. ,, 1896, p. 502 sgg.: Le roi Nabis, tratta di due decreti delfici di prossenia a Nabide ed a due Cnossii, che secondo lui sarebbero contemporanei, circa del 197, e che darebbero una riprova delle relazioni in quei tempi fra Sparta e Creta (v. specialm. pag. 121). Interessante è, a questo rispetto, un’epigrafe (CauER, 181; MricÒÙeL, 21, Gr. dial. Inschr., 3749). Vedi: CarpinaLI, Creta nel tramonto dell’ellenismo, “ Riv. Fil. ,, 1907, pag. 9, n. 4, che l’attribuisce agli anni 204-197 a. C. Sulla marina di Nabide vedi già WEBER, o. c., pag. 25 sgg. (3) Drop., XXVII, 4. Vedi Perir-DurAILLIs, De Laced. Reipublicae supremis temporibus, Paris, 1894, pag. 50 sgg. (4) Livio, XXXII, 40. (5) In., XXXIV, 27. Vedi CarpINALI, 0. c., pag. 12. (6) In., XXXIV, 35, 9. (7) Ip., XXXIV, 29 sg. (8) Livio, XXXIV, 30. (9) In., XXXIV, 32. (10) In., XXXIV, 35. (11) In., XXXIV, 36. (12) In., XXXV, 12. 150 LUIGI PARETI % 80 “ civitatibus , la sua tirannide era snervata: “ inde militem, inde naves, navalesque * socios habuisse; inclusum suis prope muris Achaeos videre dominantis in Pelo- “ ponneso, numquam habiturum reciperandi sua occasionem, si eam, quae tum esset, “ praetermisisset ,. Nabide cercò di ricuperare le città marittime (1), facendovi sorgere delle fazioni, e cercando di accaparrarsi o sopprimere i principali cittadini, e pose assedio al Giteo, benchè vi si opponessero con un presidio gli Achei, per incarico dei Romani (193 a. C.). Mentre i Romani decidevano di inviare colla flotta Atilio (2), Nabide continuava l’assedio in modo che gli Achei decisero di mandarvi delle navi (3); ma anche Nabide “ ... comparaverat... modicam classem... tres tectas «“ naves et lembos pristisque, tradita vetere classe ex foedere Romanis ,. EÉ Livio ci descrive le esercitazioni che faceva fare a queste navi, e la sconfitta navale che con esse diede a Filopemene, dopo la qual cosa s’ impadronì del Giteo (4). — Morto Nabide ed entrato A. Atilio nel Giteo (5), la marineria Spartana si può dire spenta: gli Spartani nel 189 tentarono ancora di procurarsi un adito al mare, occupando improvvisamente la città di Las, ma furono respinti (6). Le città costiere non eran più unite a Sparta, che tornò ad essere regione del tutto terrestre. Quanto alle città costiere si discusse assai sul loro ordinamento (7). Livio (8) dice che mentre Nabide nel 193 cercava di attirarsi le città marittime toltegli nel 195: # Achaeis omnium maritimorum Laconum tuendorum a T. Quinetio cura mandata est ,. Delle iscrizioni (9) ed una moneta (10) a quanto pare anteriori all’epoca imperiale fanno cenno ad un koivòy tèv Aaxedauoviwv. Strabone (11) dice: cuvefn dé kaì toùg "EXeu- BepoXakwyvag Xapeîv tiva TAELV ToNITETRG, Érrerdm ‘Pwuaioig TPoCEBEVTO TPUÙTOI OÌ mEpiomor Tupavvovuévng Tg Emaping, oi te dMor kaì oi Ef\wteg. Pausania (12) dice che dopo il 146 i Romani ... cuvédpià Te Kkatà ÈBvog tà ÉKdoTwYy, “Ayarbv kaù TÒ Ev Poxedow f Borwtoîg î) étépwdi mov tig ‘EMadog, kareXéXuto duoiwg mavta; e altrove (13) dice a proposito degli Eleuterolaconi: oùg Baomedg Aùfovorog douvreiag dopfike Aakeda: - (1) In., XXXV, 13. (2)! Ip. XXKXV 022: $ (3) Livio, XXXV, 25; Grusrino, 31,3; Prur., F#lop.; Paus., VIII, 50, 7. (4) Livio, XXXV, 27, 13; Perrr-DuraA1nL1s, 0. c., p. 67. (5) Lav., XXXV, 37; Prur., Félop., 15. (6) Lrvro, XXXVIII, 30-31. Interessanti sono le epigrafi relative a prossenie in quei tempi (c. il 188 a. C. e sgg.). Ton e Wace, Cat. of the Spartà Mus., 217 A e B (degli Acarnesi a tre Spartani, e degli Spartani ad un Ambraciota); TruLyarn, in “ Annual of the Brit. School of Athens ,, XII, p. 441 sgg. (degli Spartani a Carneade di Cirene). Gfr. C. L G., 1331 (in onore di un Romano), 1332, 1333. (7) Vedi: Currrus, Peloponnesos, II, 214. 280 sg., 287. 332; WeBER, De Gytheo, pag. 32; HeRrTzZBERG, I, 147 sgg.; Grceern, Handb. 1°, 30-31; ScHoexann-Lrps1vs, Gr. Alt, I, 302; Perur-Durarc1is, 0. c., p. 93 sgg.; Branpis, Eleutherolakones in Paury-Wissowa, Real-Enc., V, 2353; Corin, La Grèce et Rome, pag. 648; Costanzi, La catastrofe di Nabide, © Riv. st. ant. ,, 1908, pag. 56. (8) Livio, XXXV, 13, 2. (9) C. I. Gr., 1335; Foucart, 228 a. b., 255 d.; Foucart presso Le Bas, pag. 111. (10) Si tratta di una moneta di Ciparissia: Pro&ksca Osren, “ Revue de Numismatique ,, 1860, pag. 271.272; Caveponi, “ Bull. dell'Ist. Arch. ,, 1861, p. 111-112. (11) Srrasone, VIII, 366. (12) Pausania, VII, 16,9. Questa notizia è assai dubbia, contrariamente a quanto crede il Corin, o. c., pag. 647 sg. Si veda infatti la 21% delle iscrizioni pubbl. da Ernsr Nacamanson, in “ Ath. Mitt. ,, XXXII, 1907, pag. 1 sg., e il CArprnari in “ Ausonia ,, II, 1 (Varietà, col. 58). (13) -Pavus., III, 21, 6. 81 RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI Jo uoviwv Tv èv Emdpmn kammx6oug òvtas (1). Degli Eleuterolaconi fanno cenno delle epigrafi, a quanto pare di epoca imperiale (2). Ora in primo luogo par sicuro che queste leghe non sorsero subito dopo il 195. A ragione nota il Petit-Dutaillis (3) che quando il Giteo e Las furono assediati, non si fa cenno ad aiuti porti da tutte le altre città marittime della Laconia. Molto più/probabile è che quelle città entrassero nella lega Achea, benchè Livio non parli esplicitamente di alleanza cogli Achei (4). D'altra parte in un'iscrizione del 100 c. a. C. (5) si parla di uno stratego, il che pare provi l’esistenza in quei tempi di una lega laconica (6). Se poi si osserva che, se anche è falso che vi sia stata dissoluzione delle leghe dopo il 146 e successiva formazione di altre (7) per tutta la Grecia, si deve pure am- mettere che in quei tempi i Romani abbiano dato un assetto nuovo a molte di esse; si può credere che allora sia sorto il xoòv t@®v Aakedaruoviwv, dalla unione delle città liberatesi, forse anche in vari tempi dal 195 in poi, da Sparta, le quali prima del 146 avranno probabilmente fatto vita comune colla lega Achea. Così sarebbe durato fino all’epoca di Augusto, e naturalmente, quale delle città si sarà unita dopo le altre alla lega, quale se ne sarà staccata o sarà scomparsa, quale sarà stata forse presa da Sparta, mentre Roma, occupata dalle guerre civili, non poteva attendervi (8). Augusto poi, avrebbe riordinata tale lega, forse riunendo le città prese, e dando il nome di Eleuterolaconi. Così si spiega la differenza tra le iscrizioni repubblicane che parlano di xorvòv tOv Aaxedaruoviwv, e le imperiali che parlano di Eleuterolaconi (9). Quel che è certo è che separatesi da Sparta le città della costa era natural- mente spenta l’esistenza di una marineria Spartana: noi non sappiamo se dopo il tentativo fallito su Las e prima del 146 Sparta abbia ancor avuto qualche sbocco sul mare, ma pare improbabile: comunque sia di ciò, ci manca ogni notizia che provi per quegli anni che gli Spartani si potevan valere di navi proprie (10). (1)Cfr. Pavs., III, 26; 8. (2) © Ath. Mitt. ,, I, pag. 156. C. Z. Gr., 1389. Le Bas, 243 c., 244(“’Eqnu. apx. .; 1892, 194, n. 6), 255; “ Annual of the Brit. School at Athens ,, XII, pag. 464. Vedi GrcseRn, 1°, pag. 30-31. (3) O. c., pag. 95. . : (4) In questo non mi accordo col Cosranzi, 0. c., pag. 56, n. 1, contro il BraxpIs, 0. c. Im quei tempi è difffcile ammettere la città a sè. O si crede che fin d’allora formassero lega tra di loro, il che è improbabile, o si deve vedere in Livio una mancanza di esattezza, e considerarle unite agli Achei. (5) Foucart, N. 228 a. b., 1. 34. (6) Coin, 0. c., pag. 650. Poco convincente è in questo punto il Pertt-Dvram.LIS, il quale vuol dedurre da questa epigrafe che i Gerontrei eran liberi da Sparta, ma non in lega cogli altri Laconi. (7) Paus., VII, 16, 10. Cfr. Corn, o. c., pag. 648 sg. (8) Come suppose il WeBER, De Gytheo, pag. 32. (9) Il Cosranzi crede invece che subito dopo il 195 ricevessero il nome di Eleuterolaconi, e for- massero koivév dopo il 146; non cercando poi di trarre conseguenze dal passo di Pausania. Ma non è necessario. . (10) Abbiamo parecchie notizie di ambascerie spartane, ma non sono, come è evidente, nè suf- ficienti, nè probanti. Livio, XXXVIII, 32; Porrsio, XXIII, 1, 1sgg.; 11, 7-12; Livio, XXXIX, 35 sg.; Paus., VII, 9, 2-4. —- Vedi anche Porzio, XXV, 8 e Paus., VII, 12, 3 sgg- hi Ù UA IC TT a Att LI + MR TI) - 4 fe v VPI 4 Ù f af APPENDICE «0 LISTE DEI VARI MAGISTRATI MARITTIMI SPARTANI De. dai tempi delle guerre Persiane a quelli della battaglia di Leuttra. 154 Anno 480-479 479-478 478-477 431-450 430-429 429-428 428-427 427-426 426-425 425-424 424-423 423-422 422-421 421-420 420-419 419-418 415-414 414-413 413-412 412-411 411-410 410-409 409-408 LUIGI PARETI n Navarco Eùpufidòng (Erop., VIII, 2. 42; Drop., XI, 4, 2.59, 1; PLur., Temist., 11), v. p. 26 s. [A6pxic] (Tuc.,I, 95; Dop., XI, 46,5), v. p. 29. Kyfuos (Tuc., II, 66. 80; Drop., XII, 47, 4. 49. 2), v. pag. 31. AXkidag (Tuc., III, 16; Drop., XII, 55, 6). v. pag. 33. Opacuvundidas (Tue., IV, 11; Drop., XII, 61, 1), v. pag. 34. MeAarkpidas (Tuc., VIII, 6), v. pag. 35. "Aotvoxog (Tuc., VIII, 20; PLer., Ale., 25), v. pag. 86. - Mivdapos (Tuc., VIII, 85; Sen., E2., 1,1, 4; Drop., XIII, 38, 4; PLur., Alc., 27.28), Vv. p. 37. [TTaantidas] (Senor., E2., I, 182), v. p. 41. Kpatnommidag (Sen., E, I, 1, 32. 5,1; Drop., XIII, 65, 3), v. pag. 42. ‘Immoxpatns (Sen., EU, I, 1, 23; Tuc., VIII, 99. 107, 2), v. p. 37, 84 PEmoTto\ebs Aéwy (Tuc. v. pag. di ’Aynoavòdpii I, 3, 1708 1.35). ier.? (Tuc.,| Bpagidac (Tuc., III, 69). . ed altri oti (Tuc., RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI Duci straordinarii ---——6T!* _*-@h>)>1—_—__—_ —— — ——————————— _ oÙufovior ARMOSTI Î 5 [Bpdo1dac]? (Tuc., II, 25). Tiuoxpdtns, Bpaoidag, Au- x6pov (Tuc., II, 85, 1). [TavtaNoc] ad Egina (Tuc., IV, 57, 3). [KXeapidag] ad Anfipoli SCR [TTaorteXidas] a Torone ) V, 3). [Zevdpns] a Eracl. Trach. (Tuc.,V,51,2). [Hynowrridas] a Eracl. Trach. (Tuc., V, 52). 11 ovyfovior (Tuo., VIII,|([TTeddprros]} ? a Mileto e poi a Chio ‘ 39), v. pag. 37, tra essi (Tuc., VIII, 28. 32. 38. 55. 61). Aixas (Tuc., VIII, 39, 2.|)[biXmmog] a Mileto (Tuc., VIII, 28). 43, 3. 52. 84. 87). [Aéwyv]? a Mileto (Tuc., VIII, 61). ’Eteòvixos a Taso (Sen., £7., I, 1,32). {KAéapxoc] a Bis. e Calc. (Sen., Z., I, 1, 35). Na8wras ad Eracl.Tr.(Sen., £2/.,I,2,18). ‘Immoxpàatns a Calced. (Sen., £27.,1, 3,5). KXéapxos a Bisanzio e Calced. (Sen., ALTRI NON SPECIFICATI Fu\rmog (Tuc., VI, 93,2; VII, 1sg.) “Ekkpitog (Tuc., VII, 19, 83). XaXkidebs (Tuc., VIII, 6, 5 sg. 24). PAXxapuéwng (Tuc., VIII, 5.8. 10. 11). MéXav8o0g (Tuoc., VIII, 5). \KAéapxog (Tuc., VIII, 8. Cfr. 39.80). Aewddac (Tuc., VIII, 22). ’Eteévixos (Tuc., VIII, 23, 4). Onpiuéwne(Tuc., VIII,26.29.31.36.38). ‘Immoxpàmns (Tuc., VIII, 35). "Avtiodéwns (Tuc., VIII, 39, 61). KXéapxoc(Tuc., VIII,39.80.Cfr.ib.8). P®iitmos (Tuc., VIII, 87. 99). ‘Hynoavdpidas (Tuc., VIII, 91.94.95). 'Aynoavdpidac(Sen., Z72., Se ’EmxAfs (Tuc., VIII, 107). EuU., I, 3, 15 sgg.). 156 LUIGI PARETI È; 86 Anno Navarco ’Emoto\ebg Epib 408-407 Avoavdpos (Sen., EU, I, 5, 1; Drop., XIII, 70, 1; Prur., Lis., 3), v. pag. 42. ; I 407-406 KaXxixpatidag (Sen., £7., I, 6, 1; Dron., XII, | [KXgapxog ?] (Drop., XIII, 98, 1), 76, 2; PLùr., Lis., 5), v. pag. 43. v. pag. 44, n. 2. 406-405» ['Ete6vixos?] (Sen., £2., II, 1, 1 sgg.), v. p. 50. 405-404 *Apakoc (Sen., E%., II, 1, 7; Diop., XIII,| Avcavdpog (Sen., EU., II, 1, 7; 100, 8; Prur., Lis., 7), v. pag. 50. PLur., Lis., 7), v. pag. 50. 404-403 AiBug (Sen., E2., II, 4, 28; Drop., XIV, 33, 5), | v. pag. 57. 403-402 [TTav@oidac] (Dron., XIV, 12, 4), v. pag. 57. 402-401 (Ttugayspas (Sen., Anab., I, 4, 2). {= Eduiog (Sen., £U.,III, 1,1; Drop., XIV, 19, 4), v. pag. 58. 401-400 ’AvaziBiog (Sen., Anab., V,1, 4. VI, 1, 16. VII, 1,2; Diron., XIV, 30, 4), v. p..59. | 400-399 TTwXoc (Sen., Anab., VII, 2, 5), v. pag. 60. Ù 399-398 = v. pag. 60. 398.397 ®dpat (Sen., £2., III, 2,12; Oxwr. Pap., V, | 842, I, 81), v. pag. 60. | 397-396 | I i 396-395 TT6\N1g (Oxyr. Pap., V, 842, col. III, lin. 20 sg., % col. XV, lin. 35), v. pag. 65. ” 395-394 Xepixpdtng (Oxyr. Pap., V, 842, col. XV, i TTaykaXoc (0» | lin. 32 sgg.), v. pag. 65. 842, col. XXI Tteicavdpoc straord. (Sen., Z7., III, 4, 29; : Diop., XIV, 83,5; PLur., Ages., 10), v. p.66. ‘ 394-393 = v. pag. 67. I 393-392 TTodaveuos (Sen., EW., IV, 8, 10), v. pag. 67.| TT6X\1< (Sen., EU., IV, 8, 11), v. pag. 67. 392-391 — v. pag. 69. 391-390 "Exdixog (Sen., 22, IV, 8, 20; Dron., XIV,|[®éd0xoc] (Dron., XIV, 97, 3), 97,-3), v. pag. 68. v. pag. 69. 390-389 = v. pag. 69. 87 fr chi, piloti, ecc. RICERCHE SULLA POTENZA MARITTIMA DEGLI SPARTANI oUufovior 157 Duci straordinarii —_T-_T__————— : : . 5 o 2 : : > % ; : ? 5 $ Il a Sl $ II a 205, SIV. UL. ko e ii ae “PA AMO : : . i : : : È , È « : : A 3 si $ VI SRf5 V. La marineria Spartana dal 372 al 146 a.C. . . ; ; . x é ; : Sa Appenpice: Liste dei vari magistrati Spartani dai tempi delle guerre persiane a quelli della battaglia di Leuttra . : : i : } ì ; A , L , , Pa 88 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA IN AVIGNONE NEGLI ANNI 1351-1352 MEMORIA DEL SOCIO i CARLO CIPOLLA Approvata nell'adunanza del 3 Gennaio 1909. I. (#) Era cosa ordinaria che gli ambasciatori (1) recandosi, a nome della propria Signoria, presso un’ altra Corte chiedessero per sè qualche beneficio, quando, finito il proprio officio, stavano per ripartirne. E tanto questa abitudine era radicata, che se si voleva proibirla o regolarla, questo dovevasi fare espressamente. Che ciò fosse, ce ne fornisce una prova l’istruzione che i Signori di Firenze diedero agli oratori mandati, addì (*) Anzitutto vivi ringraziamenti a chi mi porse aiuti e consigli. La maggior parte dei documenti qui usufruiti, gli attinsi all'Archivio di Stato di Firenze; pochi, all'Archivio Vaticano. Molti ringra- ‘ziamenti debbo alle direzioni di ambedue questi Archivi per avere largamente facilitato le mie ricerche. A Firenze il direttore dell'Archivio, dott. D. Marzi, mi fu largo d'ogni cortesia. A Roma la gentilezza del dott. Emilio Ranuzzi fu da me anche in questa occasione usufruita. A Firenze il dott. Francesco Baldasseroni, che si occupò di questo periodo storico, mi fu largo di indicazioni e suggerimenti: a lui pure vadano i miei ringraziamenti. (1) Gli ambasciatori, al tempo di cui qui mi occupo, non sono naturalmente residenti, ma vengono mandati per occuparsi di quegli affari che sono esplicitamente contemplati dalla istruzione che viene loro consegnata al momento della loro elezione. È notissima cosa che l’istituzione degli ambasciatori residenti è il prodotto della complicata e raffinata diplomazia italiana del sec. XV, e che essa comincia a fiorire appunto verso la metà di quel secolo. Questo fu messo in sodo fino dalla metà del sec. XIX da A. v. Reumont. Sopra di questo argomento ritornò recentemente Enrico Finke (Acta ‘Aragonensia, Berlino-Lipsia, 1908, p. cxxm sgg.), illustrando una forma di ambascieria che sta di mezzo fra quella straordinaria e quella residente. Trattasi dei procuratores della Corte di Aragona, e non di questa soltanto, dei quali la prima traccia incontriamo sul cadere del sec. XIII e sul prin- cipio del XIV. Il Finke si occupa specialmente dei procuratori della corona di Aragona, a partire dai giorni di Bonifacio VIII, chè di procuratori anteriori non può somministrare esempî. Da questo momento in poi il procuratore aragonese presso la corte pontificia diventa un officiale ordinario, ed acquista una importanza speciale come mezzo di raccogliere e trasmettere le informazioni. Seri II: Tom. LIX. 21 162 CARLO CIPOLLA 94 15 maggio 1352, oltralpi, a Carlo IV re dei Romani. L'istruzione è infatti terminata da un elenco di proibizioni, deveta, la prima delle quali si riferisce appunto alla dimanda di grazie e favori (1). Cotale abitudine riesce talvolta molto propizia per noi, quando sì tratta di do- mande fatte alla Corte pontificia, poichè, in conseguenza di essa, le Suppliche diven- tano doviziose di documenti storici, sulle ambascierie giunte presso il papa, sulle date delle medesime, sui nomi di coloro che le componevano. La serie delle Suppliche comincia nell'Archivio Vaticano col cominciare del pontificato di Clemente VI, cioè coll'anno 1342. | Ì Delle Suppliche spettanti a questo pontificato, mi sono giovato nella Memoria Note Petrarchesche dall’ Archiviv.Vaticano, che fu presentata all'Accademia delle Scienze di Torino nella seduta del 22 novembre 1908. Adesso ritorno in qualche modo sul- l'argomento, non per ricavare dalla fonte predetta altre notizie documentarie sul Petrarca, ma per mettere in vista la circostanza che l’operosità del Petrarca alla Corte Pontificia non si esplicò quando forse avremmo qualche motivo apparente di credere il contrario. Sotto la data del 25 maggio 1352, nelle Suppliche (2), leggiamo quanto segue: Supplicat Sanctitati Vestre devotus vester Petrus Bini ambaxiator Comunis Florentie qua- liter sibi specialem gratiam facientes, duodecim personis in Cancelleria nostra nominandis remissionem omnium peccatorum suorum in mortis articulo (3) concedere dignaremur, ut in forma. Fiat R. Et quod transeat sine alia lectione. Fiat R. Datum apud Villamnovam Avenion. dioc. .vr1j.° kl. iunij, anno undecimo. Supplicant Sanctitati Vostre humiles vestri oratores ambassiatores Comunis et Populi civi- tatis Florentie (4) quatinus sibi gratiam specialem facientes in personam dilecti sui Henrici nati Diemari de Hurelbach militis Augustensis dioc. — Item supplicant quatinus dilecto sibi Ulrico [nato] (5) predicti Diemari militis — Item supplicant quatinus dilecto sibi Walterio de Leos clerico Leodiensis dioc. gratiam similem facientes (6) — Fiat etc. R. Et [transeat] (5) sine alia lectione. Fiat. R. Datum apud Villamnovam Avinion. dioc., .virj. kl. iunij, anno undecimo. Sotto il 23 maggio si legge: Supplicat S. V. humilis et devotus servitor vester Ugolinus Pelloli de Perusio, legum doctor, ambaxiator communis Perusini pro parte dileeti sui Pauli Symeonis iudicis de Perusio, (1) Cfr. F. Barpasseroni, La guerra tra Firenze e Giovanni Visconti, in “ Studi storici , (Pisa, XII, 92-4). (2) Vol. 22, fol. 9 v, 12 r, 14 v, 15 r, 150. — Cfr. anche al f.6v a proposito dell’ambasciatore milanese © Johannes de Silva ,. (3) Sono frequenti le bolle e i privilegi con cui in questo tempo il papa concedeva a persone particolari la remissione e l'assoluzione di tutti i peecati, cioè autorizzava il confessore a dare tale assoluzione. Bisogna intendere della indulgenza plenaria, cioè “ a culpa et a pena ,. Più di una volta se ne ha nelle Suppliche l'aperta spiegazione, cfr. I, f. 220 è. (4) Angelo Acciainoli vescovo di Firenze e Andrea dei Bardi. Di questi ambasciatori parleremo in appresso. (5) Questa parola manca nel ms., ma parmi richiesta dal senso. (6) Questo comma che si riferisce alla storia del Belgio, fu pubblicato dal p. U. BerLièrE, Suppliques, Roma, 1906, p. 622, n. 2396. 35 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, ECC. 163 quatenus ei specialem gratiam faciamus ut possit semel in articulo mortis quem voluerit pres- ‘biterum eligere in confessorem, qui eum auctoritate apostolica absolvat a culpa et a pena de solita benignitate dignemini concedere, ut in forma. Item Michaeli (lacuna, colla postilla in margine sie est in originali) Cancelario comunis Perusini et domine Pera eius uxori similem gratiam dignemini concedere. Item Pettino Nelloli et Thomassine eius uxori et filio dieti Ugolini et Philippe sorori dieti Pellini similem gratiam dignemini facere. Item Ensigne et Johanni iudici Pelloli fratribus dieti Ugolini et uxoribus eorum similem gratiam dignemini concedere. Item Laurentio Thesii et Pero Benedieti — omissis Fiat pro omnibus supra positis. R. Item quod transeat sine alia lect[i]one. Fiat. R. Datum apud Villamnovam Avinionensis dioc. x kl. iunii, anno undecimo. Sotto la data del 24 maggio leggiamo: Supplicat Sanctitati Vestre devotus vester Franciscus Accaresij ambasiator Comunis Sen. cum tempore Jubilei proxime preteriti devoti oratores vestri Prior, Rector et Confratres Socie- tatis Discipline Sanete Marie de Scala Senensis — Datum apud Villamnovam Avinion. dioc. .1x. kl. iunij, anno undecimo. E di nuovo sotto la data del 25 maggio: Supplicat Sanctitati Vestre humilis et devotus servitor vester Cione de Malavoltis de Sena ambaxator Comunis Senarum — Dat. apud Villamnovam Avin. dioc. .vitj. kl. iunij, anno undecimo, Lo stesso ambasciatore senese sotto la medesima data ottenne pure un altro favore. Tutte queste concessioni sono dei giorni 23, 24 e 25 maggio 1352. Possiamo cre- dere adunque che pochi dì appresso gli oratori toscani e perugini si allontanassero da Villeneuve-lez-Avignon, dove necessariamente crederemo che il papa in quel momento si trovasse. Il chiedere e il concedere siffatte grazie era un reciproco saluto di addio in forma amichevole. Questi scarsi dati bastano adunque a fissare la data del termine della missione e a far supporre che questa avesse avuto un fine non sgradito nè all'una parte nè all'altra. In Quel momento Petrarca si trovava in Avignone. Sul cadere del giugno 1351 (1) egli aveva ripassate le Alpi, fermandosi a Valchiusa e negli altri-duoghi a lui tanto diletti in quella regione. Al principio di agosto dell’anno stesso i cardinali, che più lo stimavano ed amavano, fecero un cortese tentativo per fermarlo alla Corte Ponti- ficia quale dettatore. Ormai l’età umanistica cominciava e le grandi corti sentivano il bisogno di uno scrittore famoso e valente. Sotto di questo aspetto, nessun altro poteva meglio del Petrarca corrispondere alla necessità ed alla gloria della Corte papale. Ma il Petrarca non volle vincoli e rifiutò senza esitazione, anzi coll’animo con cui si sfugge da un pericolo (2). Invece ottenne dal papa in favore di suo figlio Giovanni un canoni- cato a Verona; la concessione è datata pure da Villeneuve-lez-Avignon, 20 marzo 1352. (1) G. KérrIne, Petrarca’s Leben und Werke, Lipsia, 1878, pp. 279-85. (2) Fam., XIII, ep. 5 (ed. FracassetTI). 164 CARLO CIPOLLA b 36 Il Petrarca a Firenze non era più considerato come cittadino: egli da quella città, che pur considerava come sua patria, viveva sempre lontano. Sua patria era ormai diventata l’Italia, e poco lo potevano toccare i casi della città da cui era uscita la sua famiglia, quantunque egli propriamente non l’avesse dimenticata. Pochi mesi dopo lasciò la Corte pontificia, e verso la metà di novembre ripassò ancora le Alpi, per rimettere piede in Italia. L’ambasciata che sul cadere di maggio lasciava Avignone e Villeneuve, lasciando la Corte dove avea trattato gli interessi della città di Firenze e dei suoi alleati, non era una missione come tante altre, cioè di importanza lieve, o ‘suggerita da momentanei affarucci diplomatici. Tutt'altro. Si trattava della salvezza di Firenze minacciata dall’arcivescovo Giovanni Visconti, il quale tutte le sue forze aveva impe- gnato, prima per assicurare il suo dominio su Bologna, quindi per spezzare la resi- stenza di Firenze: domata questa città, gli sarebbe riuscito agevole la conquista del rimanente della Toscana. È ovvio che noi ci chiediamo che cosa il Petrarca abbia fatto in quei momenti difficilissimi, nei riguardi della politica generale. Per via diretta o indiretta, delle cose di Firenze si interessarono Clemente VI, Carlo IV re dei Romani e Lodovico di Bran- deburgo. Nella guerra di Toscana combattè anche un amico di messer Francesco, cioè Luchino del Verme. Si trattava quindi di un dibattito gravissimo, le cui conseguenze potevano mutare radicalmente la vita di Firenze, e dare anzi alla storia della nazione inattesi indirizzi. Petrarca era lungi da Firenze, ma non viveva lontano dal teatro su cui quei decisivi avvenimenti si svolgevano, poichè il suo soggiorno in Avignone lo collocavano invece in un luogo ben opportuno per osservarli e per cooperare al loro andamento. Ma egli era fatto ormai straniero quasi alla sua patria, di cui tut- tavia serbava in cuore devoto ricordo (1). Diversamente avvenne a Giovanni Boccacci. Egli era, per dir così, a portata di mano dei Signori, e questi se ne giovarono per una missione spinosissima, cioè l’am- basciata a Lodovico di Brandeburgo: fu questavuna di quelle missioni alla quale una città guelfa, non ancora in rotta col papa, poteva decidersi solo sotto l'impressione di un imminente e minaccioso pericolo. Il Boccacci era attivo cittadino fiorentino, e non soltanto di nome, ed era uso servire il suo Comune. Addì 17 gennaio 1351 (1350 st. fior.) ci si fa incontro appunto nel Consiglio del Podestà e del Comune, il suo nome: “ providus vir Johannes Boc- “ chaccij unus ex camerarijs Camere Comunis Florentie , (2). La posizione del Boccacci era quindi diversa da quella del Petrarca, e in modo affatto differente i due perso- naggi si comportarono. (1) Scrive A. Darra Torre, Un nuovo documento su un benefizio toscano del Petrarca, in “ Arch. stor. ital. ,, 1908, serie V, vol. XLII, p. 119-20: “ Che ci fosse un tempo nel quale il Petrarca desi- derasse di tornare in ‘Toscana e prendervi fissa ditnora, risulta da troppi indizî, perchè sia lecito dubitarne..... il paese toscano su cui il Petrarca appuntava per allora (1342) i suoi desiderî fu Pisa ,. (2) Provvigioni,-XXXVIII, fol. 175 r. ® 37 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, ECC. 165 Le concessioni pontificie parlano, come vedemmo, in primo luogo di Pietro Bini, e quindi di altri ambasciatori fiorentini, dei quali il nome viene taciuto. Attorno al nome del Bini e agli altri ambasciatori, che sul cadere del maggio 1352 lasciavano Avignone per far ritorno in patria, si svolge un intricato viluppo di negoziati diplomatici e di fatti guerreschi, la cui origine risale molto più addietro e si riferisce al tentativo pericolosissimo per Firenze fatto da Giovanni Visconti, di metter piede saldamente in Toscana. Firenze si vide a breve distanza dalla rovina, e se salvò finalmente sè stessa, non potè impedire che una parte della Toscana rimanesse aperta ai suoi nemici, dacchè Bologna restò in mano ai Visconti. Non è intenzione mia di trattare largamente di questi avvenimenti, sui quali varie serie di registri dell'Archivio di Stato di Firenze gettano molta luce, e già servirono pure ad altri per questo scopo. Concentrerò le mie considerazioni prima di tutto a quella parte che concerne, sia pure indirettamente, il Petrarca, a quella parte cioè che si svolse sopra tutto in Avignone, o che colle trattative di Avignone si connette strettamente. Poscia mi soffermerò sulle trattative della Signoria fioren- tina coi Signori di Allemagna e sopra tutto con Carlo IV, giacchè anche questo aspetto della questione interessa il nostro argomento. Quello invece di cui assai meno parlerò sarà della lega toscana, la quale ebbe importanza preponderantemente locale; ma la ricorderò, acciocchè la sua esistenza ed il suo sviluppo procedano coordinata- mente a tutto il rimanente processo dei fatti. Le dirette relazioni di Firenze colla Corte di Milano, dove Petrarca godeva tanta simpatia, ci sarebbero di molta importanza, se fossero più frequenti e sopra- tutto meno indecise. L’ambasciata sostenuta da Pietro Bini è una delle più importanti, in un ben grave momento per la repubblica fiorentina, la quale era minacciata dall’ambizione di Giovanni Visconti arcivescovo e signor di Milano. Intorno agli avvenimenti del 1351 e del 1352 e ai negoziati diplomatici, ai quali essi diedero occasione, dotta- mente scrissero A. Sorbelli (1) e F. Baldasseroni (2), coll’uso dei documenti bolognesi e fiorentini. Questi due eruditi non si limitarono a trattare soltanto del Bini e della parte da lui sostenuta, ma estesero le loro indagini a tutto quell'imbrogliato viluppo politico-militare. Ricorrendo di nuovo ai documenti fiorentini, mi limiterò a consi- derare l’opera svolta dal Bini ad Avignone, alla quale l’azione del Petrarca rimase totalmente estranea. Il Petrarca era là alla corte papale, amico di Clemente VI, venerato, rispettato, eppure di nulla egli fu richiesto dai magistrati della sua patria, in nulla, per quanto possiamo ritenere, egli si affaccendò per favorire la politica fiorentina. È un atteggiamento negativo il suo, ma non per questo cessa dall'essere importante per lo storico. E tanto più questo apparisce siccome notevole, se lo para- goniamo alla condotta tenuta dal Boccaccio. (1) La Signoria di Giovanni Visconti a Bologna e le sue relazioni con la Toscana, Bologna, 1901. (2) La guerra tra Firenze e Giovanni Visconti, in © Studi storici , [Pisa], t. XI e XII. 166 CARLO CIPOLLA i, 38 Se un passo fece il Petrarca (1), fu per invitare Carlo IV in Italia, mentre Firenze pendeva incerta fra il desiderarne e l’osteggiarne la discesa. I documenti fiorentini usufruiti da A. Sorbelli, da F. Baldasseroni e da me si trovano anzitutto in un Registro X (1349-51) della Signoria, Carteggio, Missive, Reg. I, Cancellaria, t. X, conservato nell'Archivio di Stato di Firenze. Le Consulti e Pratiche sono molto lacunose per il periodo che si attiene a questi avvenimenti. Siccome ogni fatto politico si trasforma in fatto finanziario, così molto forse potremmo attendercî dai Registri di Camera, se ci fossero pervenuti completi. Le Provvigioni nel conservare le deliberazioni del Consiglio del Podestà e del Comune e di quello del Capitano e del ‘Popolo, sono spesso così laconiche, che non esauriscono tutta la nostra curiosità. I ‘Capitoli non ci dicono gran cosa. Sicchè non senza buon fondamento può affermarsi, che le nostre cognizioni rimangono alquanto lacunose e che la ricostruzione dei negoziati diplomatici svoltisi tra la fine del 1350 e la pri- mavera del 1352 non è sempre nè facile, nè sicura. II. Parliamo anzitutto dei negoziati Avignonesi, dacchè il ricordo di essi ci ha aperto la strada. Mi giovo prima di tutto del citato Reg. X della Signoria, Carteggio, Missive. Sino dagli ultimi mesi del 1350 le relazioni di Firenze con Clemente VI si erano fatte assai frequenti. È del 10 settembre, indiz. INI (2), la “ Breve informazione et “ nota la quale per parte del Comune et del Popolo di Firenze et de’ Priori d’Arti “ et Gonfalonieri di Giustizia riferirete ai nostri cittadini infrascripti al beatissimo “ nostro padre messer lo Pappa et al Collegio de’ Cardinali; quando vi paia al detto Collegio fate relatione, invocato prima il consiglio et l’aiuto degli infrascripti tre “ cardinali padri et protectori et signori del detto Comune di Firenze , (3). In quésta istruzione si parla dei pericoli che direttamente provenivano da Bo- logna, indirettamente da Milano. Giacomo e Giovanni figli di Taddeo Pepoli, morto il padre, avevano venduto Bologna a Giovanni Visconti arcivescovo di Milano: l’atto fu stipulato a Milano addì 16 ottobre 1349, e il 25 del mese stesso i Viscontei pre- sero possesso della città (4). ®» (1) Famil., XII, ep. 1. (2) E quindi del 1350. L'ultima lettera coll'indizione III è de 24 settembre, e si legge al f. 46 1 sulla medesima pagina e colla medesima data, trovasi anche la prima lettera, contraddistinta coll’ind. IV. (3) Fol. 457 e (4) A. SorseLLI, op. cit., pp. 27-30 e p. 35. Qui non si parla di regali fatti ai cardinali per ricompensare i servigi resi. Ma in occasione consimile, alcuni anni innanzi, anche a questo mezzo si determinò di ricorrere. Lo vediamo nella lettera “ Ser Jacobo ser Gherardi ambaxiatori Floren- “ tino in Romana Curia ,, colla data “ Dat. in Firagige dì . xv. d'octobre, x). ind. , (1848). Ivi si legge: © ...Et per che noi veggiamo ch’el termine dato s’apressa e che degna cosa è di fare alcuna ‘ provisione a coloro che si faticano per lo nostro Comune, avemo fatto uno cambio colla Compagnia ‘ degli Alberti d'octocento fiorini d’oro, i quali vogliamo che per voi e per Jacopo de gli Alberti, * ritenute le spese che ne seriverete d'aver fatte per aver l’entrata a nostro Signore e per le scri- * ture che facte avete fare per la bisogna del nostro Comune, distribuire si debbiano intra quelli * cardinali che più utili e più necessarij fieno alle bisogne nostre, usando in ciò quella discretione 39 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, ECC. 167 In appresso le pratiche col papa divennero vive assai. Di cose politiche i Signori gli scrivevano nell’ottobre (manca il giorno dell’ind. IV |1350]) (1). Gli affari testè accennati formavano pure oggetto alla lettera del 9 novembre, ind. IV (1350) (2), con cui i Signori esortano il papa a rivolgersi a Mastino della Scala, al signore di Padova, al marchese di Ferrara, trattandosi di un affare così grave per la Chiesa. I Fiorentini in questo momento si dimostrarono pieni d’apprensione pel timore della venuta di Carlo IV (3). Il 16 novembre, ind. IV (1350), la Signoria scrisse nuovamente al papa (4). annunciandogli che per affari riguardanti la Chiesa Romana “ et pro quibusdam “ respicientibus statum Sancte Matris Ecclesie suorumque Ytalie devotorum , man- davano a lui “ dilectum nostrum concivem Octonem magistri Andree de Sapitis , informato della propria intenzione. I Signori pregavano il Papa di volere al medesimo “ credere cum exauditionis munere tamquam nobis ,. Contemporaneamente i Signori scrivevano anche ai Cardinali Reverentissimi patres nostrique benefactores (5), e natu- ralmente a quelli ch’essi guardavano siccome loro protettori. Le linee generali della diplomazia Fiorentina in questo momento ci sono, nel loro complesso, tracciate da un altro documento, che si riferisce allo stesso amba- sciatore, che abbiamo or ora menzionato, e completa gli atti precedenti. Abbiamo infatti l'istruzione al Sapiti, nella quale si gettano le linee dell’al- leanza toscana, alla quale attendevano adesso i Fiorentini, siccome al migliore mezzo per sottrarsi da tanti pericoli, che si faceano ogni giorno più urgenti. Trascrivo i primi periodi di tale istruzione (6), che bastano a farcene intendere l'insieme. Essa ha la data del giorno 16 nov. (1350), quella medesima della lettera al papa. “ Memoria a te Octo di dire a nostro signore messer lo papa in questa forma. “ Prima, dolersi seco per parte del Comune di Firenge della soperchia iniuria “ facta a Santa Chiesa de facti di Bologna, reducendo a sua memoria quanto questo « porta rischio e pericolo di Sancta Chiesa et suoi devoti di Sancta Chiesa. “ Secondo, dica come il Comune di Firenge, veduta la novità di Bologna, di “ che vedete chessi convengha... ,. Le stesse cose si scrivono a “ Jacopo degli Alberti rappresentante “ in Corte di Roma, (cioè in Avignone) della compagnia degli Alberti (Sigugrie, Missive, VIII, 100 v-111 »). Nel “ Giorn. stor. arch. tosc. ,, VI, p. 282, n. 382, C. Paoli, di venerata memoria, pubblicò del primo di questi due documenti un semplice sunto, tacque del secondo, che non gli interessava. Vedremo in appresso ($ XII) che î Fiorentini sceglievano a protettore il card. Nicolò Capocci, dispo- nendo dei denari da dargli. Di ciò si parla nella istruzione dei Signori agli oratori presso la Corte papale, 17 dic. 1351. (1) Fol. 48 ». (2) Signoria, Carteggio, Missive, t. X, fol. 52 r: “ Dignemini istos Perusinos et Senenses, d. Mastinum, “ d. Padue, et marchionem Ferrarie ceterosque Sanctitatis Vestre devotos de Lombardia et Tuscia “ confortari ,. G. CanestRINI, Sommari e documenti avanti e dopo il tribunato di Cola di Rienzo, * Arch. stor. ital. ,, ser. VII, App., p. 378, n. 86. (3) Barpasseroni, “ Studi storici ,, XI, 366. (4) Missive, X, fol. 54 r. (5) Missive, X, fol. 54r. È una formola di indirizzo, che si intenderà nel senso che i Signori si rivolgono a quelli fra i membri del Sacro Collegio, sulla cui amicizia meglio potevano contare. (6) Missive, X, fol. 54 r-v. 168 CARLO CIPOLLA x 40 « presente deliberò di convenirsi co’ Comuni di Toscana, cioè Siena e Perugia (1), “ per trovare de’ modi e de rimedij salutevoli a lo Stato e conservatione di Santa “ Chiesa, de lo Stato loro et di Parte — , Sotto la data del 26 novembre, 4 ind. (= 1350), i Signori scrivevano ai “ car- «“ dinalibus Ebredunensi (2) et Boloniensi , (3), preannunciando loro la missione del vescovo di Ferrara (4): “ ...Et quamquam nulla occupatio a tam salubri facinore vos «“ debeat facere deviare, nichilominus per ven. patrem d. episcopum Ferrariensem “ ad reverentie vestre notitiam predicta reducetur, cui in predictis et alijs depen- «“ dentibus ab eisdem vestra dignatur Paternitas dare fidem..... , (5). Clemente VI, 28 nov. (1350) (6), si dimostrò favorevole ai consigli e alle esor- tazioni mossegli dai Fiorentini, pregando questi a conferire col vescovo di Ferrara e con Niccolò della Serra, ch'egli inviava in Toscana (7). Colla Corte di Avignone Firenze desiderava mantenersi in continuo contatto (8). . (1) Nei Registri di Camera abbiamo frequenti le notizie delle ambascerie mandate in diversi luoghi dai Signori; vi si annotavano per scopo finanziario. Sotto il 14 maggio 1350 (fasc. 67, fol. 625 ») si parla di ambasciatori inviati “ ad civitatem Senarum ,. Di ambasciate a Perugia si fa cenno sotto il 80 giugno (ivi, fol. 631 », 632 7) e sotto i giorni 23 e 28 sett. e 6 ottobre (fol. 51 e 52 7). Di altra ambasceria “ ad civitates Senarum et Perusii , si parla sotto il giorno 8 nov. (Fase. 73, fol. 57 e). (2) Pastor (de Serraescuderia), prima vescovo di Embrun, poi cardinale: fu promosso alla porpora da Clemente VI, e morì nel 1356; efr. Euser, Hierarchia, I, 18. (3) “£ Guido de Bolonia , (Boulogne), fatto cardinale nel 1342 da Clemente VI, morì nel 1348; Euser, Hier., I, 17. (4) Filippo d’Antella; cfr. Euser, Hier., I, 257. (5) I Fiorentini avevano in Avignone anche corrispondenti e amici laici. Ce lo prova un curioso documento, che qui riassumo. Il 28 giugno 1351 (Prowvvig., XXXVIII, f. 245 v) furono fatti “ cives populares , di Firenze, esaudendone la relativa domanda, “ Baldus Jacobi de Forolivio , che per 40 anni e più era stato in Curia Romana quale “ domini pape abreviator ,, essendo contempora- neamente “ per multos annos procurator — Populi et Comunis Florentie ,, al pari che i suoi figli “ dominus Jéhannes abreviator domini pape, Vivianus et Filippus, qui in Romana Curia sunt * nutriti et adhuc hodie cum dicto patre suo in eadem»Curia *commorantur ,. (6) SorseLLI, App., doc. 6. (7) Chi fosse Niccolò della Serra, ce lo dice una lettera della Signoria indirizzata al Paga e scritta da Bonaventura Monachi (Carteggio della Signoria, Missive, vol. IX, fol. 24 0). È del 17 nov. 1348. “ Pape. Sanctissime pater et domine — Igitur cum habeamus ad Comunis nostri regimen virum “ egregium dominum Niccolam della Serra de Eugubio, militem circumspectum, etate maturum et “in pluribus nostris et aliis regiminibus sufficienter et ydonee comprobatum, quem cupimus ad “ Sancete Romane Ecclesie officia regiminum !) deputari, presertim in partibus ytalicis suppositis “ dominio Apostolice Sanctitatis, ut per eius prudentiam subditi exaltentur, suum debitum conse- “ quentes et Petri successor glorie augumentum.suscipiat et honoris — ,, lo raccomandano al papa perchè lo promuova “ ad aliquod regimen partium Romane Ecelesie et Sanctitatis Apostolice in “ regione ytalica subditoram — Scriptum Florentie, die “xvi novembris, secunde inditionis ,. (8) Nel fasc. 73 dei Registri di Camera, nov.-dic. 1350 al fol. 62, si legge: die xx1} mensis decembris Ughiccioni Boninsegne honorabilibus civibus popularibus florentinis Luche Chelis ambaxatoribus pro comuni Florentie eleetis Andree Bongre ad eundum ad Summum Pontificem — qui- Jacopo Connis et | libet eorum cum duobus equis — Datum Martino Jacopi i die xx mensis decembris — 1) offa Regim. 41 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 169 ‘ Pare che anche verso Milano le disposizioni di Firenze non fossero risolutamente contrarie, poichè rimaneva forse qualche speranza di accordo (1). Sulla cronologia c'è sempre motivo a dubitare e incombe quindi il dovere di procedere con prudenza. Intanto Firenze negoziava coi circonvicini, promuovendo le assemblee di Arezzo e di Siena, le quali per altro si sciolsero, senza che nulla si combinasse. Al Baldas- seroni rimando per questi fatti e così pure per le non diminuite apprensioni di Firenze, preoccupata della possibile discesa di Carlo IV. Così trascorse l’inverno. Quasi al principiare della primavera, nel marzo del 1351, Clemente VI si rivolse ancora ai Fiorentini. Colla lettera del 20 marzo (2) li invitò a mandare oratori ad Avignone (3); poco appresso, 27 marzo (4), egli annunciava alla Signoria che a lui erano giunti gli ambasciatori di Carlo IV, il quale desiderava di calare in Italia per ricevervi la corona imperiale. Il papa si diceva perplesso sul da fare; se infatti si opponeva a ciò, correvasi il pericolo che Carlo IV prendesse le parti del Signor di Milano. Pregava Firenze che mandasse a lui ambasciatori, con buone istruzioni. Da queste lettere apparisce che il papa desiderava mantenersi in buone rela- zioni con Firenze; prendevane anzi egli stesso l’iniziativa, sopra tutto, com'è a credersi, per timore dei rivolgimenti ai quali avrebbe potuto dar luogo la discesa di Carlo IV. Clemente VI non si occupò troppo dei possessi ecclesiastici in Italia, ma la loro sorte non poteva restare del tutto esclusa dal suo orizzonte politico. IV Ho accennato poco fa alla traccia dell'ambasciata destinata a Milano e com- posta di Giovanni di Paolo e di Piero Alderotti. I Registri di Camera ne fanno cenno sotto il 18 giugno 1350, ma non risulta se o meno questi ambasciatori siansi recati a Milano. Certo questo non ha alcuna relazione con una lettera inviata parecchi mesi appresso a Bernabò Visconti, la quale dovea essere portata, come pare, da altri due ambasciatori. (1) Nel fase. 67 dei Registri di Camera, al fol. 628 v si legge sotto il 18 giugno (1350): Johanni olim Pauli et civibus popularibus florentinis ambaxiatoribus pro comuni Florentie Piero Alderotti electis ad eundum pro dicto Comune ad civitatem Mediolani et ad alias partes cum ambaxata eis pro dicto Comuni imposita, quilibet eorum cum tribus equis et salario trium librarum flor. parv. pro quolibet eorum — E nel fase. 75 sotto il 21 febbraio 1351, al f. 124 è, si parla di Ser Mino di Ser Gafo mandato ambasciatore “ ad partes Mediolani ,. Un’ambasciata di Gandolfo de’ Gherardini “ ad partes Bononie et Romandiole , viene registrata sotto il 25 ottobre 1850 (Fasc. 69, fol. 54 dis r e v). Nei Registri le ambascerie hanno la loro data, ma non possiamo sapere se questa corrisponda al giorno della loro partenza. Di tali indicazioni eronologiche faccio quindi uso parco e cauto. (2) Dal Reg. Vatic. 144, f. 267; la pubblicò il Barpasseroni, “ Studii stor. ,, XI, 396, doc. 2. (3) Nei Registri di Camera non trovai indizio da cui si possa ritenere che i Signori abbiano ottemperato a questo consiglio. (4) Guasti-Berti, Capitoli del Comune di Firenze, II, 494; BaLpASSERONI, Op. cit., p. 398, doc. 3, dal Reg. Vat. cit., f. 369. Serie II. Tom. LIX. 22 170 Ù CARLO CIPOLLA r 42 Da questi fatti ad ogni modo risulta che Firenze non aveva troncato ogni rela- zione coi Visconti: il 5 febbr., 4 ind. (1351), avea chiesto a Bernabò Visconti che concedesse libertà ad un fiorentino, ingiustamente catturato, strada facendo, “in par- tibus Lunigiane , (1). Pochi giorni appresso un’ altra lettera i Signori scrivevano a Bernabò, 11 feb- braio (2), in risposta ad una sua riguardante certe lagnanze mosse da alcuni mer- canti di Como soggiornanti a Firenze. L’ultime citate lettere di Clemente VI non erano ancora uscite dalla Cancelleria Avignonese, quando i Fiorentini si rivolsero direttamente al papa con lettera del 24 febbr., 4 ind. (1351), presentandogli “ virum prudentem ser Dietificium ser Michaelis « dileetum concivem nostrum ,, ch'era informato delle loro intenzioni: voglia il papa prestargli fede in quanto dal medesimo gli sarà detto. Serissero anche ad un cardinale (3); congratulandosi secolui per la sua promo- zione e raccomandandogli “ Dietifici ,. Pure ad un altro cardinale parlarono del “ Dietifici,. Le due lettere sono del 24 febbraio, come la lettera al papa (4). Cominciavano per Firenze i brutti giorni, colla spedizione dell’Oleggio in Toscana, la quale diede tanto da fare ai Signori e lasciò di sè una ricordanza perenne. Gli antichi cronisti e gli storici moderni (5) se ne occuparono con quella preferenza che la gravità dell'argomento richiedeva. Giovanni da Oleggio, che in questo momento teneva ormai Bologna per conto di Giovanni Visconti, minacciava molto dappresso Firenze, avendo anche stretto legame d'amicizia con alcuni signori del contado, e specialmente cogli Ubaldini (6). (1) Missive, X, fol. 64. Nel fase. 75 dei Registri di Camera, fol. 121 r, 4 febbr. 1351 (1350 st. fior.), si parla di Lorenzo Bartoli del popolo di S. Nicolò e di Niccolaio Tasi del popolo di S. Felicita, cit- tadini popolari, destinati ambasciatori “ ad partes Mediolani ,. (2) Missive, X, fol. 65 r. (3) Una postilla modernissima lo identifica con Rinaldo Orsini. Questi fu promosso cardinale da Clemente VI, 17 dicembre 1350; cfr. Euser, Hierarchia, "I, 18. (4) Missive, X, fol. 68 r. (5) Scierone Ammrato, Storia fiorent., Firenze, 1647, I, 525 sgg. (libro X). (6) Gli Ubaldini erano vecchi nemici dei Fiorentini, e di tale nimicizia, delle offese ch’essì reca- vano a Firenze, e dei provvedimenti da prendersi contro di essi si parlò in una radunanza nume- rosa di popolo, 18 aprile 1349. “ Im Christi nomine amen. Anno Domini meccxLvin), ind. secunda, “ die xvri aprilis, in magna hominum congregatione facta in palatio Populi Florentini. Propo- situm fuit per officium dominorum Priorum Artium et Vexilliferi Justitie Populi et Comunis Florentie, quid sit agendum ad propulsandum iniurias, violentias et robarias factas et que con- tinuo fiunt et fieri attentantur per illos de domo Ubaldinorum et eorum familiares, homines et sequaces contra et adversus Comune et Homines de Civitate, Comitatu et Districtu Florentie, et debite cohercendum — ,. Seguono i consigli dati dai presenti, che propongono di agire colle armi. Il documento è lungo e si legge nel vol. I (1349-1358) delle Consulte e Pratiche, fol. 1-2 r. Questo volume sarebbe per noi importantissimo, se le più gravi sue lacune non si dovessero appunto lamentare per il periodo storico che più a noi ora interessa. Pur troppo poche pagine con- tiene sul periodo che più particolarmente c' interessa, Vengono anzitutto alcuni fascicoli, lacunosi, con notizie dal 18 aprile 1349 al 22 giugno 1350. Quindi abbiamo ‘un foglio, senz’anno, ma colla sem- plice didascalia “ die ‘ij’ iulij ,: vi si parla di Pistoia, e ciò si riferisce al 1351. Vengono poi alcuni fogli con atti dal 30 luglio al 2 agosto 1851, e sono i più notevoli per noi, chiarendoci le incer- tezze di Firenze all’inizio quasi delle lunghe trattative con Avignone e col re dei Romani. Ma proprio al momento in cui avremmo maggior bisogno di questa guida preziosa, essa ci abbandona, ed una grande lacuna ci toglie il mezzo di completare quei dati, che le altre serie di atti non ei è 43 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 171 Firenze avea sempre a temere di questi agguerriti vicini (1), che le tradizioni e gli interessi mantenevano nemici al ricco e potente Comune. Gravissima sarebbe stata la situazione di Firenze, se Pisa avesse accolta la domanda di lega fattale dal Visconti (2). — Nei mesi successivi i Fiorentini seppero che l'arcivescovo maneggiava negoziati di pace e di accordo col papa. Scrivendo ai suoi inviati a Siena, 12 luglio 1351 (3), manifesta il dubbio che il papa e i figli di Mastino della Scala venissero a patti col Visconti; essi stessi non si dimostravano per conto loro disdegnosi di venire a patti. Messi sull’avviso, i Fiorentini si rivolsero a Clemente VI. Infatti trovai traccia di un'’ambasciata al papa fino dal 18 giugno (1351) (4). Non so se questa notizia possa mettersi assieme colla lettera, datata da un mese dopo incirca, e indirizzata diret- tamente al pontefice. Ma prima di dare notizie precise su queste trattative, dobbiamo tener conto di un indizio di altre pratiche. Prima che il giugno spirasse si parlava nelle magistrature fiorentine (5) di strin- dànno in modo così completo da soddisfare ad ogni desiderio nostro. Si riprende il seguito delle consulte col 2 luglio 1353. Marchionne di Coppo Stefani (Storia fiorentina, ed. p. Ildefonso, in “ Deliz. degli eruditi toscani ,, XIII (VII di questa Cronaca)) parla (libro VIII, rubriche 639, 641, pp. 145, 148) dei soprusi degli Ubaldini e della guerra mossa loro da Firenze (18350), e finalmente (lib. VIII, rubr. 645, pp. 153-4) tien conto dell'aiuto dato ai Viscontei dagli Ubaldini stessi nel 1351. (1) Gli Ubaldini, a mezzo il secolo XIII, quando grandeggiò il card. Ottaviano di questa famiglia, non appartenevano ancora al partito ghibellino, ma favoreggiavano ancora la politica pon- tificia, secondo che spiega il Davidsohn, Geschichte von Florenz, Berlino, 1908, II, 1, 327, osservando come più tardi essi si decisero per il ghibellinismo. Peraltro nel tratteggiare la vita del card. Otta- viano non tralascia di mettere in vista la condotta talvolta incerta anche del card. Ubaldino, affe- - zionato al papa per ragioni personali, legato al ghibellinismo da vincoli famigliari. Gli Ubaldini costituivano una potente famiglia feudale, i cui dominii si estendevano ai confini del territorio fiorentino e del bolognese, nel Mugello. Ciò spiega come negli Ubaldini i Viscontei e i loro parti- giani abbiano trovato amici sicuri quanto utili. (2) Infatti, se erediamo a R. Roncroni, Delle istorie pisane, “ Arch. stor. ital. ,, I serie, VI, 1, 812-7, Giovanni Visconti tentò di avere contro Firenze l’aiuto di Fisa; ma gli fu negato, per l'opposizione fatta dalla famiglia Gambacorti; e Pisa rimase neutrale. (3) Missive, X, fol. 87 v, ed. dal SorseLLIi, App., doc. 8. Ne trascrivo qui solo poche parole: “ Et “ però ci pare che abbiate a sollecitare il Comune di Siena ch’è per bene et per stato di loro et “ nostro Comuni, si dispongano a l’acordo et di ciò non si fa iniuria a persona, perchè a ciascuno “ è licito prendere suo vantaggio, specialmente non essendo rimaso il fermare ù lega tractata per “ loro, nè per noi ,. Si accenna qui alla lega col Malatesta. (4) Nel Registro di Camera, fasc. 72 (maggio-giugno 1351 al fol. 654 7), si legge: die xvi] mensis iunij Ser Buono Lippi honorabilibus civibus popularibus florentinis ambaxiato- Bono Gherardini ribus electis ad eundum pro Comuni Florentia ad Curiam Andree Bongie Romanam et partes Vinionis per la durata di 55 giorni, Johanni Pauli a cominciare da quello che lascieranno Firenze — (5) Nel fasc. 79, fol. 653» dei Registri di Camera, si legge sotto il 30 giugno 1351. die ultimo mensis iunij Aghinolfo condam d. Gualterotti Philippo condam d. Petri Jacobo Tussi de Sanbucho popolari honorabilibus civibus florentinis: ambaxatoribus pro Comuni Florentie electis per dominos Priores et Vexilliferum ad eundum pro dicto Comuni ad partes Alamanie, per 63 giorni, da contarsi da quello in cui lascieranno Firenze — de Bardis magnatibus, et 172 CARLO CIPOLLA 44 gere relazioni colla Germania, forse con Carlo IV, ma un accenno espresso al re dei Romani si ha solo più tardi (cfr. $ V). Ora come ora non si farà nulla, ma i tempi muteranno, poichè le relazioni col Re dei Romani dovevano essere un risultato, a dir così, degli avvenimenti, che lentamente svolgevansi. Ritorniamo alle relazioni di Firenze col Papa. A questo i Signori si rivolsero con lettera del 24 luglio, 4 ind. (1351) (1). La lettera è così importante, che par conveniente riprodurla qui, previa un'avvertenza, di carattere cancelleresco. Di questo documento, oltre alla copia definitiva, esiste pure un abbozzo sopra un foglio volante, legato tra il fol. 93 e il fol. 93 dis. Quest'ultimo testo è pieno di correzioni, e anche nella sua ultima redazione non corrisponde interamente al testo definitivo. Ne traggo le varianti un po concludenti, ma non tengo conto delle parole scritte di primo getto e poi cancellate. Domino pape (2). Sanetissime Pape et domine. Licet devotionis nostre erga Sanctam Matrem Ecelesiam vestramque S. multipliciter manifeste expedire non debeat fidem facere per litteras aut verbo, quia crebris operibus, dum fuit expediens pro honoribus Ecclesie conservandis, ostendere devotionem suam nostra Comunitas minime titubavit (3), nichilominus tamen, etsi eiusdem per nuncios vestros reverendum patrem dominum Ferrariensem episcopum, ac militem egregium dominum Niccolam de la Serra, qui ad pedes Sanctitatis Vestre nuper se contulit, cre- damus Sanetitatem eandem esse veraciter informatam, Sanctitati affate (4) huiusmodi seripto devote referimus, quod circa lige tractate negocia (5), nomine Ecelesie ac vestro cum pluribus Dominis ac Comunibus ac nostro devotissimis Ecelesie et Apostolicam Sanctitati a solite devotionis debito nullatenus secedentes dispositi fuimus ipsam ligam facere, alijs entibus dispositis circa eam, dum tamen liga ipsa sufficienti armigeroram numero muniretur, qui suffecissent ad conservandos honores Ecclesie ac etiam augendos, necnon ad conservationem Guelforam nostreque Comuni- tatis et aliorum devotorum fidelium Ecclesie de Tuscia (6), quod, alijs discrepantibus, deduci ad effectam non valuit concupitum, unde ex predictis nos in fide (7) conspicuos ac solita devo- tione Sancte Matris Ecclesie Vestreque Sanctitatis fervidos gelatores dignemini (8) suscipere excusatos, quia singulis placitis Ecclesie iugiter recolimus, quantum posse affuit annuisse. Ceterum (9) patula insinuatione narratur, quod tractàtus concordie viget inter Sanctitatem Vestram et Dominationem (10) Mediolani, concedente Domino, efficaciam habiturus, que si a veri- tate non deviant, quamquam opus non credamus existere, Beatitudini Vestre cordium affectione flexo poplite suplicamus, quatenus Comune nostrum ceterosque Guelphos devotos Ecelesie ac Apostolici principatus de Tuscia, qui Sanctam Matrem Ecclesiam, non paventes discrimina, ut veram dominam amplectantur, dignemini suscipere commendatos, ut eiusdem concordie vestro stipati invamine, si eam fieri acciderit, beneficium consequi mereamur (11), alijs devotis Ecclesie de Tuscia non exlusis. Seriptum Florentie, die .xxI11j®. iulij. +11. ind. (1) Sign. Missive, X, fol. 88 v. Di questa lettera un cenno assai breve fa il PerrENs, Histoire de Florence, IV, 407, rimandando anche ad Ammirato il Giovane, X, 525. La pubblicò BarpasseronI, “ Studi ,, XI, 400:1, doc. 5. (2) Nella redazione sul foglio volante manca tale indirizzo. (3) Ecclesie hostendere nullatenens nostra Comunitas titubavit (4) Sanctitati Vestre 5) negotia tractate 6) guelforum... ac ectiam fidelium devotorum de Tuscia (7) non valuit ad effeetum, unde nos in fide (8) ac solitos devotos erga Sanctam Matrem Ecclesiam vestram dignemini (9) Preterea (10) dominatorem (11) Il testo sul foglio volante si ferma a questa parola. e e cor "rr oro —_., ©—P—; n e b-. e ci nn dini È ini - 45 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 173 Dal tenore della lettera apparisce che al papa delle cose fiorentine avevano parlato dapprima il vescovo di Ferrara, quindi Nicolò dalla Serra (1), per riguardo al maneggio diplomatico destinato a liberare la città dal pericolo Visconteo. Il nuovo indirizzo, su cui Firenze intende di collocarsi, visto il mutare delle circostanze, viene manifestato al papa per lettera, e non per mezzo di un ambasciatore. La lettera non parla infatti di persona, che dovesse per bocca spiegare al papa ampiamente quello che la lettera esponeva in succinto. L’Ammirato (2) interpreta i documenti nel senso che a Firenze si recarono, inviati dal papa, Filippo dell’Antella, cittadino fiorentino, eletto vescovo di Ferrara, e Niccolò della Serra, per trattare colla Signoria della lega contro il Visconti. Pur troppo questo punto mi sembra ancora alquanto oscuro; nel coniplesso la cosa dev’es- sere andata più o meno così, ma i particolari mi sfuggono. VE, La Signoria era preoccupatissima, e ne aveva motivo. Al postutto Clemente VI era ad Avignone, e di poche forze volea e potea disporre in Italia. Invece le ostilità da parte dell’Oleggio erano vere e reali. Rotta la tregua, il capitano visconteo avanzava. I Signori pensarono adunque di indirizzargli una lettera (3), sotto il 26 luglio (1351), nella quale essi si lagnavano perchè egli non osservasse la tregua stabilita nel giugno precedente, a nome di Giovanni Visconti. A quest’ultimo pure pensò la Signoria di rivolgersi direttamente, con una let- tera di pari data, e contenente le medesime cose (4). Era cosa buona ricorrere a maneggi diplomatici che almeno potevano far guadagnare un po’ di tempo. Non sappiamo se queste due lettere siano giunte al loro destino; se cioè la loro spedizione sia stata sospesa, come sospeso fu l’invio dell'ambasciata, già deliberata. Con animo ardito Firenze pensò anche ad inviare due ambasciatori all’Oleggio e al Visconti, cioè Tommaso Corsini (5) e Marco del Rosso degli Strozzi (6). Le istru- zioni destinate ai medesimi sono a noi pervenute (7) e_cominciano così: (1) Dal doc. del 30 luglio che riferiremo in appresso, dovremmo invece conchiudere che prima si fosse recato presso il papa Nicolò della Serra e poi il vescovo di Ferrara (efr. al $ V). (2) Istgria fior., I, 519. (3) Signoria, Carteggio, Missive, X, fol. 880. (4) Signoria, Carteggio, Missive, X, fol. 88 ». (5) Tommaso Corsini, dottore in leggi, leggeva nello studio fiorentino in diritto civile, e quindi veniva dispensato dal servire nell’amministrazione del Comune, 1350, die. 23 (Provvigioni, XXXVIII, fol. 158v; cfr. GrerarDI, Statuti d. Università, p. 124). La gravità delle circostanze induceva i Signori a far subito una eccezione alla licenza accordata. (6) Nel fasc. 81 dei Registri di Camera, luglio-agosto 1351, fol. 274 », sotto il 29 luglio 1351, si legge: domino Tomaso de Corsinis legum dottori Marcho Rossi de Strocgis Jacobo Vannis Johanni Pucci Johanni Niecholai Corsini Andree Samperi Niccholaio ser Bonis et Jacobo Pucci (7) Missive, X, fol. 89r. Queste istruzioni furono pubblicate dal SorseLLI, doc. 37. Non c'è motivo perchè io qui le riproduca, tanto più ch’esse non ebbero esecuzione, siccome di qui a poco diremo. civibus popularibus florentinis ambaxato- ribus — ad eundum — ad civitatem Medio- lani — cum tribus equis — 174 CARLO CIPOLLA 46 Al nome di Dio amen. Questo è ’leffecto della ambasciata imposta per li Signori Priori d'Arti et Gonfaloniere di Justitia del Popolo et del Comune di Firenge a messer Tommaso Corsini et Marco del Rosso degli Strogi ambasciadori chiamati per lo detto Comune per andare a Bologna et a Melano. Imprima che per gli detti ambasciadori si sponga a messer Gio- vanni da Olegio — Apresso che per li detti ambasciadori si vada a Melano et per loro sì sponga — All’istruzione è accompagnata una lettera commendatizia presso l'arcivescovo di Milano, colla data così incompleta: “ Data Florentie, die iulij, 111° indictionis ,(1). Si lasciò in bianco la cifra del giorno, che poteva variare a seconda delle circostanze. La posizione di Firenze era questa: Giovanni Visconti trattava col papa, per rispetto a Bologna, il cui possesso difettamente interessava alla S. S., ma che per via indiretta costituiva un affare di ben rilevante entità anche per Firenze. Contro Firenze anzi si erano già aperte le ostilità. Il frangente era gravissimo, e la Signoria scrisse al papa nuovamente; e a lui inviò anche un ambasciatore, affinchè Clemente VI potesse essere d'ogni cosa informato tanto per iscrittura, quanto verbalmente. La lettera del 24 luglio non ha quindi relazione alcuna con quest'altra del 30 luglio. Due negoziati che vanno vicini cronologicamente fra loro, ma affatto distinti. I documenti del 30 luglio sono stati solo in parte pubblicati dal Baldasseroni (2). Non sarà peraltro inutile darli qui nella loro interezza (3). Domino pape in Petrum Bini ambaxatorem pro Comuni Florentie. Sanctissime Pater, Ne conditiones varie harum partium in quibus honor Sacrosancete Romane Ecelesie et status omnium devotorum singulariter agitantur, Apostolice lateant Sancti- tati, cognoscentes vota nostra circa huiusmodi exprimi posse diffuxius vive vocis oraculo quam scriptura, virum providum Pierum Bini ambaxatorem et civem nostrum latorem presentium de nostra intentione super predietis et aliis plenarie informatum, ad pedes Beatitudinis Aposto- lice cum presentibus destinamus, Sanctitati Vestre devotissime supplicantes quatenus predicti ambaxatoris nostri relatibus pro exaltatione prelibate Ecclesie et defensione omnium predicte Ecclesie devotorum et presertim de partibus Tuscie, dare dignamini cum exaudicione graciosa credentie plenam fidem. Scriptuîim Florentie, die xxx iulij .1r1j. indict. i Reverendissime pater, Ut varie harum partium condictiones in quibus honor Romane Ecclesie ac status singulorum ipsius Ecclesie devotorum versari potissime dinoscuntur in Pater- nitatis vestre notitiam deducantur, credentes vota nostra circa predicta posse exprimi clarius per vive vocis oraculum quam scripturam, virum providum Pierum Bini ambaxatorem et civem nostrum dilectum de nostra intencione super predictis et alijs plenissime informatum ad Summi Pontificis et Vestram presentiam destinamus, devotis affectibus supplicantes, quatenus ipsius ambaxatoris nostri relatibus dare placeat plenam fidem, cum exauditione gratiosa, pro conser- vatione honorum predicte Ecclesie et suorum omnium devotorum; cui domino nostro comuni- tatem Florentinam, uti in devotione precipuam commendatis. Data ut supra. (1) Cioè: 1351. (2) Studi stor., XI, 401-2, la lettera Quamvis in parte, che è la più notevole. 3) Missive, fol. 89v. — In una lettera da Avignone, di alcuni anni più tardi (1360), riassunta nella Cronaca dell’Anonimo fiorentino (Croniche del sec. XIII e XIV, Fir. 1876, pp. 294-5), che riguarda il ricevimento avuto in Corte papale dagli ambasciatori viscontei, si accenna alle ‘cerimonie e ai complimenti in uso in cotali occasioni. La cito qui a titolo di curiosità e come interpretazione e integrazione delle fredde testimonianze dei documenti diplomatici. 47 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 175 Domine Pape. Sanctissime pater et domine. Quamvis in parte per dominum Niccolam de la Serra militem Eugubinum et subsequenter seriosius per dominum Ferrariensem episcopum, vestre Beatitudinis oratores, necnon litteras, quas pridie recolimus transmisisse, Sanctitatem Vestram teneamus veraciter informatam, nichilominus tamen quantum fuit in nobis circa lige tractatum, Comune nostrum et nos numquam de voluntatibus Romane Ecclesie et Sanctitatis Apostolice deviavimus, set semper obtulimus preparatos ad ligam tenere tractatam per oratores predictos, ubi alij devoti Ecclesie esse circa ipsam preparati et liga huiusmodi opportunis viribus muniretur, sicut honoribus Ecelesie Sancte, tutele ac defensioni fidelium eiusdem Ecclesie de Tuscia expedire cognoscitur. Et ut premissa et alia vota nostra in Sanctitatis Vestre notitiam clarius deducantur, tam per vive vocis oraculum quam scripturam, intentionis nostre plenarie informatum nostrum ad presentiam beatissime Sedis illico transmictimus oratorem. Insuper, Pater clementissime, devenit vulgari fama in devotionis nostre notitiam, quod summa Sanctitatis Vestre prudentia cum emulis de Mediolano certum tenet tractatum concordie, cuius considera- tione tractatus affectuosis animis supplicamus, quatenus, more patris amantis, pro nobis alijsque harum partium Romane Ecelesie filijs et devotis consiliuam assummentes, nos aliosque devo- tionis filios in tractatu predicto habere intime dignemini conmendatos, sicut honori Romane Ecclesie et conservationi status devotorum omnium viderit providentie Apostolice maturitas convenire, strictius supplicantes ut varie condictiones horum partium, sicut cupimus, in notitiam Apostolici culminis clarius deducantur; quatinus ante perfectionem tractatus huiusmodi, solempnes ambaxatores nostros et fratrum nostrorum Perusinorum et Senensium, quos ad hec requisivimus per nostrum oratorem, quem transmisimus hac de causa ad e[os]dem, de quorum non sumus adventu adhuc cercitudinaliter informati, dignemini expectare; quibus advenientibus, sic clare conditiones et voluntates devotorum Tuscorum eiusdem Ecelesie et Apostolici principatus San- etitatis Vestre auribus referentur, quod exinde in agendis Sanctissima Vestra Sublimitas in exaltationem Romane Ecclesie et conservationem fidelium ipsius capiet, Deo dante, consilium salutare. Scriptum Florentie, die .xxx. iulij, quarte indictionis. Mi pare utile dar comunicazione anche della registrazione fatta, nelle fedi di pagamento, della missione del Bini. Ci giova sopratutto per fermare la cronologia, giacchè vi si parla delle disposizioni prese dai Signori il 29 luglio, rispetto al paga- mento da farsi al Bini, il cui diario d’ambasciatore cominciava a scorrere il 30 luglio e dovea durare per 60 giorni (1). La prima osservazione che si presenta considerando l’insieme di questi docu- . menti, e specialmente l’istruzione, è che il Bini godeva in Firenze di molta reputa- (1) Registri di Camera, fasc. 81, fol. 274» (luglio-agosto 1351): die trigesimo mensis iulij Piero Bini et i honorabilibus civibus popularibus florentinis ambaxiatoribus electis ad Tohanni A... di ) eundum pro Comuni Florentie ad civitatem Avinionis cum ambaxiata eisdem pro dieto Comuni imposita, uterque eorum cum tribus equis et salario librarum trium flor. parvor. pro quolibet eorum per diem quemlibet pro eorum salario et paga sexaginta dierum hodie intrandarum, prout eorum iuramento dixerunt, vigore electionis facte per dominos Priores et Vexilliferum necnon provisionem et stantiamentum factum per eosdem dominos Priores et Vexilli- ferum et xx bonorum viroram die xxvim® presentis mensis iulij. Scriptum per suprascriptum ser Ghibertum not. et apodixa dominorum Priorum et Vexil- liferi, in summa libr. trecentas sexaginta flor. parv. 176 CARLU CIPOLLA 48 zione. Solo ad un personaggio di tal fatta, potevasi affidare un officio così rilevante e così delicato (1). Dalle nuove disposizioni dei Fiorentini non era mutato in essi il desiderio. di entrare nel trattato che il papa avrebbe per avventura conchiuso coll’arcivescovo di Milano. ma ciò non ostante i Signori insistevano nel maneggiare affinchè la lega coi Senesi e coi Perugini potesse avere efficacia sulle risoluzioni che stava per pren- dere il papa. Desideravano cioè che questi indugiasse a prendere una decisione defi- nitiva fino a che fossero giunti ad Avignone gli oratori di Perugia e di Siena. Nelle parole usate dalla Signoria è facile vedere il dolore e la stizza ch’essa provava in causa della lentezza dei suoi ‘alleati; ciò chiaramente dimostra che la compattezza della legà toscana stava piuttosto nel desiderio dei Fiorentini che non nella realtà dei fatti: e ciò costituisce una circostanza gravissima, che una luce viva getta sull’in- sieme degli avvenimenti. I Fiorentini, in altra parola, doveano esercitare influenza sopra la Curia Avignonese, tenere in rispetto Milano, e trarsi dietro spinte vel sponte i colle- gati toscani. La cancelleria fiorentina dovea lavorare molto e molto avvedutamente. La missione del Bini aveva quindi importanza decisiva. Una nuova lettera scrisse anzi la Signoria sotto il 31 luglio (2), indirizzata “ domino “ Philippo episcopo Ferrariensi ,. Comincia così: “ Cum ambaxiatorem nostrum de “ nostra intentione — ad presentiam vestram Pisas illico transmittere intendamus— ,. Se ben comprendo, qui si vuol parlare di Pietro Bini, che dovea forse incontrarsi a Pisa col vescovo di Ferrara. Non so se sia da credere che il vescovo Ferrarese tor- nasse allora da Avignone: certo egli era disposto a tornarvi, se i bisogni di Firenze l'avessero richiesto. VI, Così Firenze era tutta intesa a negoziare col papa. Ricordiamo che pur dopo tutto quello che era avvenuto, ogni relazione della Signoria colla Corte Milanese non era tronca. Eppure, come accennammo (cfr. $$ IV-V), proprio in questi momenti qualcuno pensò ancora a riattivare i negoziati. Si capisce benissimo che questi pensieri potessero accarezzarsi da chi comprendeva come poco si potesse sperare da Avignone e meno ancora da Carlo IV, poichè fin da questo tempo si era cominciato ad accarezzare il pen- siero di far lega col lontano Re dei Romani. Ho parlato ($ V) della missione di Tommaso Corsini e di Marco del Rosso degli Strozzi destinati tanto all’Oleggio che a Milano, secondo un documento del 29 luglio. Riferisco di qui a poco una consulta tenuta nei primi giorni di agosto. Nel giorno 2 vi si parlò anche del Corsini e dello Strozzi, e della loro missione, ma in modo che non mi pare molto chiaro. Vedremo di qui a poco ($ VII, al principio) come una lettera del 4 agosto esplicitamente dice che gli oratori (1) Che ciò sia, lo dimostrano gli offici da lui sostenuti. Al tempo posteriore al suo ritorno da Avignone spetta il seguente cenno, Provvigioni, vol. XL (e. 1352-58), 1 numerazione, fol. 12. Sotto il 29 ottobre 1352 trovo registrata una proposta cui fece: “ nobilis vir Pierus Bini unus ex officio ‘ dominorum Priorum et Vexilliferi Justitiae Populi et Communis Florentie et propositus tune offitii “ supradicti ,. 2) Missive, X, fol. 90 r. 49 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 177 destinati a Milano, non ebbero più l’ordine di recarvisi. Sotto il 28 luglio trovo parola di una ambasceria destinata a Milano (1), dove naturalmente essa non si recò mai, siccome risulta dall'insieme dei fatti. Ma è bene tener conto anche di questo progetto. Appena qualche giorno dopo, cioè all’aprirsi dell'agosto, si discorreva seriamente a Firenze in alcune consulte, che, per buona fortuna, sono state a noi tramandate, del vescovo di Ferrara (Filippo d’Antella), quale intermediario nelle trattative d’alleanza col papa. Si disputava se fosse il caso di avviare pratiche col re dei Romani; si ragionava sulla opportunità o meno di trattare di pace direttamente coll’arcivescovo Giovanni; animatamente si esaminavano i partiti da scegliere riguardo alla progettata lega Toscana. Due radunanze si tennero appunto nei due primi giorni di agosto (1851) in Firenze, per determinare il da farsi. In questa consulta prevalse il concetto di affret- tare la lega col papa, da trattarsi sia per mezzo del vescovo di Ferrara, sia anche inviando ad Avignone due ambasciatori speciali. Con minore entusiasmo si ragionava intorno alle relazioni da avviarsi col re dei Romani. Il partito di trattare direttamente coll’arcivescovo di Milano non incontrava buona accoglienza: si riconosceva invece la opportunità di rafforzare ed estendere le colleganze colle città di Toscana. Si annet- teva poi importanza alla difesa dei castelli, e in particolar maniera si pensava a Pistoia, dove c'era bisogno di mandare soldati a piedi e a cavallo. Appariva urgente la necessità di difendere Firenze (2). (1) Nei Registri di Camera, fase. 81 (luglio-agosto 1351), al fol. 274 e, sotto il 28 luglio 1351, si legge: * ser Taddeo Lapi not. et | civibus honoraBilibus popularibus flor. ambaxiatoribus Iohanni ser Folchi | — ad eundum — ad civitatem Mediolani — (2) Sarà conveniente riferire, in quanto a noi interessa, i resoconti delle consulte del 1° e del 2 agosto, quali si leggono in Consulti e Pratiche, vol. I (1349-58), fol. 24 r-26v: 1351 die prima augusti. Loysius Lippi Ildebrandini pro Collegio Gonfalonierorum — Omissis, Et quod rescribetur episcopo Ferrariensi, quod veniat Florentiam et cum eo tractetur de modo lige fiende, et deinde super ea fienda habeatur consilium civium flor. Et quod quantum ad factum imperatoris, quod antequam ulterius procedatur, habeatur super hoc consilium civium, magnatum et popularium ex melioribus civitatis, et secundum ipsorum con- silium procedatur. i Iohannes Banchi Puccij pro officio xy. Omissis. Quantum ad factum lige concordavit cum predicto. Quantum ad factum imperatoris, quod habeatur consilium prudentum civium Florentie et magnatum et popularium et quatenus eis videatur procedendi, quod hec conferantur cum oratoribus Perusinorum et Senensium. Omissis. Bernardus de Ardinghis pro Collegio xvny. Quod pro facto lige mietatur aliquis civis ad episcopum ad firmandum ligam cum eo. Omissis. o (Continua la nota 2). Serie II. Tom. LIX. 23 178 CARLO CIPOLLA | 50 . Questi discorsi, insieme colle notizie di altri fatti intorno ad argomenti che meno si riferiscono al nostro scopo, ci pervennero nel resoconto di quelle radunanze, ossia die 1)° augusti. In presentia dominorum et collegiorum et multorum arrotorum et officialium de Balia, factis propositis quid agendum. De liga fienda vel non cum Ecelesia. De mietendo oratores ad archiepiscopum vel non. Dominus Bernardus de Altovitis, premissis precibus ad officium prioratus quod circa tuendam libertatem laborent et intendant solicite, fortiter et constanter, consuluit quod ad ligam intendatur et quod non solum scribatur episcopo Ferrariensi circa hoc, verum etiam mictantur duo sapientes oratores ad Summum Pontificem pro predictis, cum quam ‘minoribus sumptibus fieri potest; et quod ad ligam procuretur adiungere Perusinos et Senenses et alios qui haberi possunt. Quantum ad secundum, quod si videtur dominis aliquid circa concordiam tractandam, detur opera caute et secrete cum domino Malatesta, quod circa ista se interponat penes archiepiscopum antedictum. Octo Sapiti ‘'). Quantum ad primum consuluit concordando cum domino Bindo, et quod celeriter quantum potest mictatur ad Curiam et procuretur quod ad hec concurrant Comunia Perusi) et Senarum. Marcus de Strocgis, quantum ad primum, premissis quibusdam verbis suasivis ad defensionem libertatis et custodiam terrarum et quod Pistorium mictetur gens equester et aliqua non multa pedestris, consuluit non commendando ligam. Dominus Bertus de Frescobaldis, quantum ad primum, premissis quampluribus verbis suasivis ad tuendam libertatem, concordavit cam domino Bindo. Super 1)® idem. Filippus Recchi del Cappone, quantum ad primum et secundum, permixtim consuluit quod de utroque tractetur et ambasciatores ad utrumque mictantur; et nichilominus interim Comune forti- ficetur ad posse omni potentia possibili et gentibus armatorum. Nastasius de Bucellis, quantum ad primum concordavit cum domino Bindo et quod Pierus Bini societur alio ydoneo oratore; et quod duo oratores mietantur (sic) Perusium et Eugubium pro tractando concordiam inter eos et quod vadant cum pleno mandato ad conducendum milites quod possunt. Super .1)* quod oratores non vadant. Guilielmus Lupicini pro collegio Gonfaloneriorum Sotietatis Populi consuluit quantum ad primum, quod ad ligam in nomine Domini procedatur cum domino Papa et cum quibusdam alijs. Quantum ad secundum quod oratores non mictantur Mediolanum. Et insuper quod omnibus vijs, modis et solecitudinibus et expensis circa tuendam libertatem, possibiliter intendatur. Niecolus Cionis Ridolfi pro Collegio xi) consuluit idem quod supra et quod omni solicitudine et studio intendatur ad pecuniam habendam. Et quod sollicitetur quod episcopus Ferrariensis retrocedat Florentiam, et intendatur ad ligam quameitius fieri potest et habeatur ad eam Comunia alia que haberi possunt. Et quod oratores Mediolanum non mictantur. Ughiccio de Riccijs pro officialibus Balie consuluit quod Comune fortificetur quantum potest pro tuenda libertate Populi et Comunis Florentie, et quod *) ad ligam cum domino Papa et cum Comuni Perusij et Senarum et quocumque alio Comune et singulari domino volente venire ad dictam ligam. Quantum ad secundum, quod oratores archiepisecopo non mietantur et quod per dominum Tomasinum et Marcum respondeatur pro domino Jehanni, in. verbis altis et competentibus tanto Comuni. Dominus Bindo de Altovitis pro Arrotis quantum ad primum concordavit cum predicto. Quantum ad secundum, idem. Ottone di maestro Andrea de Sapitis fa dai Signori eletto ambasciatore al papa, il 16 no- 350, siccome addietro indicai ($ III). parola * intendatur, o qualche altra simile. M ici inni dei è sed sù ali 51 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 179 consulte, e rispecchiano nel modo migliore la condizione del momento e la disposi- zione degli animi. In tali radunanze si preparavano le azioni pubbliche. Vedremo tosto che l’amba- sciata destinata a Milano fu revocata ($ VII, principio), che si allestì la difesa del territorio, che si attese con premura all'alleanza con Siena e con Perugia. Verso la metà di settembre in Firenze si pensava a preparare l’ambascieria generale dei collegati toscani alla Corte pontificia ($ VII), e se ne accennava (16 settembre 1351) agli oratori inviati presso il Comune di Siena (efr. $ VIII). Da quanto esponemmo poco fa emerge la grande importanza che per Firenze presentava l’ambascieria cumulativa delle città toscane; e perciò si rinnovavano i discorsi intorno a questo con relativa frequenza. È assai da lamentare che gli atti delle consulte ci siano giunti, per il nostro periodo, così lacunosi. Lo spirito che informava la popolazione fiorentina, per tale deficienza ci sfugge in gran parte. Le deliberazioni dei Consigli, quali abbiamo nei registri delle Provvigioni, e le lettere stesse della Signoria, non parlano un linguaggio così caldo e così eloquente come i verbali delle consulte, che ci tramandano la fedele imagine delle animate discussioni. Le deficienze indicate sono deplorevoli, poichè i cittadini che parlano nella consulta potrebbero chiarirci anche intorno alle questioni cronologiche, così intricate e così male dilucidate pur dai documenti officiali. VII. Ma gli atti delle deliberazioni e i dispacci diplomatici hanno un pregio che alle consulte mancano, giacchè essi segnano le! linee della condotta politica di Firenze, non nelle incertezze della preparazione, ma nelle conclusioni finali. Ritorniamo dunque agli atti officiali, pur riconoscendo ch’essi non ci dànno tutte quelle notizie di cui avremmo bisogno. Pur troppo con tutto ciò non è facile talvolta lo stabilire che così realmente siasi fatto o che cosa si sia soltanto proposto. Alla lettera ora citata del 31 luglio al vescovo di Ferrara fanno seguito alcune comunicazioni trasmesse al vescovo di Ferrara, sotto la data del 4 agosto (1351) (1). lo (1) Missive, X, fol. 90». È utile darne il testo: domino episcopo Ferrariensi. Imprima che se il vescovo vuole formare la lega liberamente sanga alcuna condicione, che voi la formiate, et capitoli vi manderemo di presente, et che fatta la lega, a vostro podere rimeniate qua il vescovo che noi abbiamo mandato a Perugia, per dare compimento cogli altri due Comuni, dicendo al vescovo che noi abbiamo mandato a Perugia et a Siena nuova ambasciata, per ch’ellino la formino con noi insieme et per fermo abbia ch'ellino la faranno per mandare ch’ellino ci ànno fatte (sic) dopo questa novità. In caso che il vescovo non volesse formare la lega, liberamente di presente riscriverete et ciò che vuole fare, et noi vi riscriveremo quello che avrete affare. Item dite a Piero Bini che l’andata dei nostri ambasciadori a Melano è rivocata, et che a suo podere induca il papa a la conciliatione di messer Malatesta 4) et che egli verrà anche nella lega Non c’è data, ma voltato il foglio, si legge (f. 90 v) senza intestazione o didascalia la commis» 1) Malatesta dei Malatesta. 180 CARLO CIPOLLA i 52 La seconda di tali comunicazioni c’insegna che gli ambasciatori ch’erano stati desti- nati a Milano erano stati esonerati dal loro officio. Risulta adunque che al principio di agosto il Bini era tuttora a Pisa, in con- tatto col vescovo di Ferrara. Appena qualche giorno era passato, che una nuova lettera venne dalla Signoria indirizzata al papa, 11 agosto, IIl ind. (1351) (1). Riandando altre lettere mandate al papa (2), i Signori parlano dei Milanesi, i quali negli ultimi giorni “ diebus pro- “ xime preteritis , avevano invaso dapprima il territorio di Pistoia e poscia quello di Prato, giungendo finalmente a cinque miglia da Firenze. I Signori. si affermano decisi alla resistenza, e notificano che il 15 del corrente gli ambasciatori Senesi e Perugini devono incontrarsi con quei di Firenze “ad tractandum de liga invicem «cum Romana Ecelesia inhienda, pro eiusdem exaltatione Ecclesie et suorum defen- “ sione fidelium, et ne eiusdem fideles et devoti Ecclesie immaniter persequantur, « que liga, Deo duce, feliciter ad finem laudabilem pro Statu Ecelesie et suorum «“ devotorum fidelium deducetur ,. Per tale cagione essi si rivolgono al papa “ sup- “ plicantes quatenus summum vestrum pecuniale subsidium dignemini liberaliter “ ainngere et prospere destinare, ut agenda per devotos Ytalicos sic potenter ac “ magnifice adsummantur, quod Ytalicorum devotorum populus a persecutoribus libe- “ retur et persecutorum eiusdem Ecclesie ineffrenata voracitas conteratur ,. Non è impossibile che le trattative presupposte da questa lettera siano state in Avignone maneggiate dal Bini, per le mani del quale forse passò anche la lettera dai Signori indirizzata al papa, addì 20 agosto, IV indizione (1351) (3). In essa sì lagna- vano amaramente del vescovo di Arezzo, il quale dopo che la sua sede aveva in altro tempo favorito Lodovico il Bavaro, adesso porgeva aiuto ai Milanesi, che erano anch’essi nemici della Chiesa: così i Fiorentini mettevano in mala vista il vescovo Aretino di fronte al pontefice, non solo per i fatti che lo interessavano direttamente, ma per tutti quelli che avevano relazione anche indiretta colla politica attuale. Nempe noscat sanctissima Vestra Sublimitas per*presentes, quod dominus Buosus Aretinus episcopus (4), quem felicis recordationis dominus Johannes papa xx1j"5, quando Aretinum epi- sione per il Comune di Pisa, il che fa supporre che si tratti, poco prima o dopo, di una medesima istru- zione da eseguirsi a Pisa. Di ciò che riguarda quest’ultima città traggo l’indirizzo e qualche brano. “ Al Comune di Pisa. L’effecto de gli infrascritti Capitoli ispongano gli ambasciadori. “Im prima — “ Item che siano pregati strectamente di conservare la pace intra loro et noi, et che i nostri nimici non siano da ’lloro favoreggiati nè di victuaglia, nè d'altra cosa. “Item che in segreto Jacopo parli a quelle persone che 'lli parrà per inducere il Comune dI Pisa ad essere una cosa con noi a la difesa loro et nostra et de gli altri nostri Toscani. ‘“ Dat. Florentie, die quarto augusti, ‘mi. indictionis ,. Pare che qui sì tratti non di istruzioni date direttamente al vescovo (Filippo dell’Antella), ma a lui trasmesse per mezzo di persone che recaronsi a Pisa. E in questo senso vorrei intendere l'in- dirizzo dom. episc. Ferr., cioè istruzioni inviate in sérvizio del vescovo di Ferrara. (1) Sign.. Carteggio, X, fol. 91 x. Fu pubblicata dal BaLpasseroni, in “ Studi ,, XI, 403, n. 7. 2) Queste lettere non ci pervennero. Signoria, Carteggio, Missive, X, fol. 92 ». Fu citata dal BapasseronI, “ Studi stor. ,, XI, 383, n. 3. (4) Bosus (Ubertini), cfr. Euser, Mier., I, 104. — Scie. Ammraro, Istoria fior. Fir. 1647, I, 329, parla dei molteplici sforzi fatti in Corte papale dai Fiorentini per ottenere che Buoso vescovo d'Arezzo fosse privato del suo vescovado. RT, n ne _o | _« i ì 53 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 181 scopum tum sequacem Bavari rebellis Ecclesie episcopatu Aretino sua iusta privavit sententia, elegit in Aretinum episcopum, tamquam filius perdictionis et benefitiorum immemor eidem per Romanos pontifices indultorum, Mediolanensibus Romane Ecelesie hostibus et rebellibus adhesit notorie, eisdem assistens auxilio consilijs ac favoribus opportunis et cohceptum pravitatis sue virus non valens amplius occultare, illut evomit in perpetuam sui infariam, salutem anime sue non curans et iram Dei correctionemque Sedis Apostolice non formidans, nuper cum alijs predictorum Mediolanensium inimicorum Ecclesie suis auxiliatricibùs viribus innitantes, cum eorumdem gentibus comitatum nostrum Aretinum contiguum hostiliter invaserunt, districtuales nostros devotos Ecclesie et troni Apostolici predis incendijs et alijs letalibus oppressionibus immaniter persequentes. Di conseguenza i Signori pregavano il papa a voler privare quel vescovo del suo episcopato, questo concedendo “ alicui benemerito Comunitati nostre accepto, a « quo nobis ceterisque devotis Ecclesie salutari exemplo et operibus, assistentia in “ opportunis casibus ad augmentum bonorum Ecclesie prebeatur ,. Chiedono che ancora con altre sentenze il papa colpisca il vescovo ribelle. I Fiorentini, mentre scrivevano queste lettere, erano in preda a straordinaria apprensione. Non è del mio scopo l’aggiungere particolari di carattere militare, ma col solo scopo di delineare un po’ più dappresso la situazione politica, traendone spiegazione per interpretare le pratiche diplomatiche, sarà bene dirne una sola parola. VIII. I Fiorentini capivano che, in mezzo a così urgenti necessità, bisognava pensare a mantenere uniti e in pace i cittadini, mentre era pur necessario provvedersi di un buon capitano d’armb Se ne discorreva pubblicamente in una radunanza di persone ‘appositamente richieste di consiglio da chi reggeva la città (1). Addì 17 e 18 agosto 1351 i Priori ed il Gonfaloniere, i Consigli del Podestà e del Comune, del Capitano e del Popolo, si preoccupavano di conservare la pace dei cittadini e dei distrettuali di Firenze, considerando che da essa “ potest res publica Comunis Civitatis eiusdem, “ Deo propicio, conservari ,, e pensando “ quantum ex ymminentibus novitatibus “ circa conservationem ipsam expediat intendere diligenter , (2). Si presentiva adunque ormai, con chiarezza, che i tempi si facevano grossi e che i pericoli incalzavano. Nel tempo stesso i Priori e il Gonfaloniere elessero il nobile milite. Lamberto de Collegalli in capitano generale di guerra del Comune di Firenze fuori delle mura della città (3). (1) Nel citato vol. I (1347-58) delle Consulte e Pratiche (fol. 22 r e v) abbiamo larga notizia di tale assemblea: “ die .xxx. iulij 1351, in consilio multorum requisitorum ,. Si parlò di molti affari. Domenico de Certaldo prese fra gli altri la parola. Egli “ consuluit quod cives reducantur ad unionem “ et sint uniti. Nicolaus Bartoli Buoni consuluit commendando bonam voluntatem et solicitudinem “ Dominorum circa unionem civium. Quod eligatur bonus et probus Capitanus atque fidus et guelfus “ et habeatur copia gentium armatorum ad posse — ,. Altri ancora presero la parola, e fra questi “ Sander Biliotti dixit prudenter multa, et inter cetera commemoravit talliam cum Perusinis et © Senensibus ,. (2) Provvig., XXXIX, fol. 1x, lr. (3) Ivi, fol. 20, 12 rv, 182 CARLO CIPOLLA 54 Si ritoccavano contemporaneamente e limitavano gli Ordini di Giustizia contro i Magnati, collo scopo, dicevasi, di “ cives Florentinos in unionis et caritatis vin- « culo conservare , (1). Era costumanza tradizionale in Firenze di procurare la pace interna addolcendo la durezza degli Ordinamenti di Giustizia. Lo si vide in pratica fino dalla fuga di Giano della Bella nel 1295. I Magnati, che aveano secondato il popolo contro Giano, chiedeano, a cosa fatta, che gli Ordinamenti si modificassero, e il popolo teneva assai a mantenerli in vigore. La pace si ottenne venendo ad una transazione e ad una mitigazione piuttosto apparente che reale degli Ordinamenti (2). Così erasi trovato un nuovo mezzo per rinsaldare la pace interna o almeno per dar le viste di farlo. Addì 4 settembre, IV ind. (1351) i Signori nuovamente scrissero al papa (83), per informarlo dei movimenti di guerra dei Milanesi. I nemici erano venuti contro il castello di Scarperia (4), a dodici miglia dalla città, e in quell’esercito c'erano “ castella lignaminum et alij apparatus opportuni, pro expugnando ipsum nostrum “ castrum, intendentes illud sue supponere ditioni ,. Chiedevano d’esser soccorsi, sic- come quelli che per Ja loro costante fedeltà alla Chiesa, venivano assaliti “ a pre- «“ dietis Ecclesie rebellibus, aliorum Ghibellinorum de Italia stipatis presidio ,. Domandano i Signori che il papa faccia “ processus et sententias graves in predictos “ hostes Ecelesie et fauctores eorum , ; affinchè ai devoti della Chiesa cresca l’animo a resistere (5). Indubitatamente il Bini era allora in Avignone. Questi affari erano adunque da lui trattati. Le trattative coi Senesi e coi Perugini procedevano innanzi, a norma del pro- gramma che i Fiorentini avevano già esposto al papa, siccome si è detto. Ancorchè sia mancante d'indirizzo, è certamente diretta agli ambasciatori fiorentini soggior- nanti a Siena una lettera del 16 sett., ind. V (1351), non isfuggita al Canestrini, e di cui si occupò opportunamente il Baldasseroni, per metterne in vista il valore ch’essa ha per chiarire le relazioni tra Firenze e Carlo IV. Dicono i Signori che “ pochi dì sono passati , avevano ricevuta una lettera per la quale “ ci avistate sopra “ facti dello ’mperadore (6), che a cotesti ambasciadori et Comune di Siena non pa- (1) Ivi, fol. 7r. (2) Cfr. R. Davinsonn, Geschichte von Florenz, Berlino, 1908, II, 2, 536 sgg. (3) Missive della Signoria, X, fol. 95 rv. Ed. dal CanksrRrINI, p. 384, doc. n. 42. (4) Intorno all'assedio del castello di Scarperia, ai provvedimenti di difesa, ai fatti d'arme, all'esito finale, diffusamente discorre Scie. Ammraro, Ist. fior., ed. cit., I, 581 sgg. Egli dice poi che l'Oleggio lasciò il campo sotto Scarperia la notte del sabbato 16 ottobre 1351. Siccome il sabbato era il 15, così queste parole dovrebbero intendersi come se significassero la notte fra il sabbato (15) e la domenica (16). (5) Sullo stesso argomento i Signori scrivono altre tre lettere, di cui due sono destinate a un cardinale non nominato, e l’ultima omnibus cardinalibus (fol. 95 .v-96r). Secondo ogni apparenza, cotali lettere ad un cardinale non nominato si possono supporre indirizzate ai vari cardinali pro- tectores di Firenze. Nella prima e nella terza delle tre lettere or ora citate ciò viene affermato espressamente: “ ... viro prudenti Piero Bini civi et oratori nostro Avinione degenti ,, “... Piero * Bini dileeto nostro ambaxatori et civi, Avinione degenti ,. 6) Le pratiche coll'imperatore si accennarono nelle consulte del 1° e del 2 agosto 1351, delle quali mi sono poc'anzi occupato ($ VI), per concluderne che assai per tempo si pensò al re dei Romani: Loisio Ildebrando trovava che è un affare tanto grave da render necessaria una consulta di pru- 00 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 183 “reva che in caso che ’1 papa toccasse agli ambasciadori c’andranno allui sopra il “ facto predicto, si rispondesse che non avessono commissione, et aspectassono in “ Corte (1) la deliberatione di questi Comuni, a che adomandavate nostra risposta “ più chiara ,. La risposta di Firenze suggeriva, che, considerando i procedimenti del tiranno di Milano, gli ambasciatori dichiarassero al papa, ch’essi lo pregavano di “ volere mostrare la sua forza contra si facto tyranno et offensore di Santa Chiesa “ et suoi devoti et che voglia fare lega, taglia e compagnia co’ predecti Comuni, sì “ che ’1 nome di Sancta Chiesa et suoi devoti non siano ispersi ,. La questione del ricorso all'imperatore veniva accortamente messa innanzi in via subordinata. “ Et “ come da più signori, re et imperadore questi Comuni sono stati chiesti per resi- “ stentia del detto tyrampno ,, essi si rivolgono prima alla Chiesa ed al papa, “ sicome è stata usanga per l’adietro de detti Comuni ,. Qui si poteano presentare più casi. O il papa acconsentisse alla lega toscana, e pare che questo sia il più utile rimedio che si potesse avere. Nel caso contrario “ dicano i detti ambasciadori “ che, poichè la Chiesa, la qual è (2) principale (3) offesa dal tyrampno predetto si “ ritrahe da fare le predette cose et dare non vuole il suo aiuto a suoi devoti, seguirà “ di necessità ch’ e’ (4) predetti Comuni invochino per conservatione di loro libertà, “ l’aiuto et favore de lo ’mperadore e di qualunque altro principe o signore, a ciò “ che si resista alla rabbia di sì fatto tyrampno ,,. Ma un altro caso ancora si potea presentire, che cioè il papa proponesse di fare passare “ lo ’mperadoro et domandasse della intentione di questi Comuni, parci “che possano rispondere che si vuole fare la ’mpresa a resistentia di sì fatto “ tyrampno et sua offesa, che siano contenti di questo et dell’altre cose oppor- “ tune, che a Sua Santità piaceranno, per resistencia et destructione del predecto “ tyrampno ,. {{ I Fiorentini, dando questi suggerimenti, non li voleano imporre, ma solamente gli additavano “in quanto paia a cotesti altri ambasciadori et savi ,. Verso la fine della lettera raccomandavano che gli ambasciatori degli alleati recandosi presso il papa “ portino sufficiente mandato a fare lega et compagnia et “ taglia colla Sancta Chiesa , (5). Segue una lettera, di pari data, ad un Cardinale (che, secondo il solito, non è nominate), in cui si parla degli oratori di Perugia, di Siena e di Firenze, che stanno per recarsi a Corte (6), ma qui non si fa accenno alcuno alle faccende dell’impera- tore. Naturalmente le lettere indirizzate innominatamente ad un cardinale si possono supporre dirette ad uno dei due cardinali protectores della Signoria. denti cittadini. Da ciò deduciamo che fino a quel momento nessun passo era stato ancora fatto; ma col tempo le cose si maturarono. (1) Cioè d’Avignone. (2) Ms. quale. (3) Cioè: la principalmente offesa. (4) Ms. che. (5) Missive, X, fol. 96v. — Il documento è pubblicato, con qualche leggerissimo rammoderna mento ortografico, dal CanesrrINI, Arch. stor. ital., I serie, app. VII, 386-7, doc. n. 43. (6) Missive, X, fol. 96 v. Questa lettera non fu riprodotta dal CanestRINI. 184 CARLO CIPOLLA 56 La lettera agli ambasciatori mandati a Siena, dimostra l’impazienza dei Fiorentini che si vedeano sciupare fra mano i migliori progetti maneggiati in Avignone, per la lentezza, o piuttosto l’esitanza voluta dagli alleati. Così stando le cose, in Italia e fuori d’Italia si facea manifesto che in fin dei conti la lega toscana era debole. IX. I risultati ai quali ci guidano i documenti possono essere con vantaggio para- gonati fin d'ora a quelli che risultano dalle fonti narrative. Le disposizioni della Signoria, quali emergono dall’importantissimo documento ora qui riassunto, trovano piena corrispondenza con quanto narra Donato Velluti (1). Il Velluti era persona autorevole e nei Consigli della repubblica noi vediamo regi- strati i pareri ch'egli diede in difficili contingenze. Sul Velluti può vedersi pure l’Ammirato, I, 520. Dopo avere ricomposti i fatti di luglio ed agosto 1351, il Velluti dice di sè stesso che, con altri colleghi, era stato mandato a Siena, per trattare di lega coi Senesi, coi Perugini e cogli Aretini. Soggiunge: “ veggendo noi ambascidori non essere suffi- “ cienti i Comuni di Toscana a tanto uccello senza l'appoggio d’altrui, si ragionò si “ mandasse al papa e’ trattasse collo imperatore (2) e’ venisse in Italia, di che rap- “ portato il detto ragionamento a Firenze, quanto che nella prima faccia fosse dub- “ bioso e gravoso, pure nondimeno veggendo l’appoggio di Puglia essere debole, si “ prese di mandare al papa..... ,. Narra com’ egli sfuggisse ad esserne incaricato, e continua: “ Andovvi messer frat’Angelo vescovo di Firenze e messer Andrea di Gual- “ tieri di Bardi... ,. Trovavasi a Firenze Raimondo Lupo (3), capitano di guerra, “ molto servidore dell’imperadore , (4), il quale “ fece sentire all’imperadore de’ ragio- “namenti si faceano ,. Carlo IV mandò a Firenze un suo ambasciatore, di guisa che “ dopo ‘molti ragionamenti ,, con costui fecesi l’accordo da parte di Firenze, di Perugia, di Siena. Similmente, ma aggiungendo alcuni particolari ed altri tacendone, narra dell’ac- cordo con Carlo IV, il cronista Matteo Villani (5). Questi non parla per fermo di quelle particolarità, che nell’esposizione del Velluti s’accordano colla citata lettera del 16 settembre (1351), ma interessanti notizie partecipa sull’ultima fase delle trat- tative, che andarono assai per le lunghe e sì condussero colla maggiore segretezza: l'ambasciatore tedesco stette a S. Lorenzo rinchiuso, a ciascuno celato, per tutto l'inverno. (1) Cronica di. Firenze. Fir. 1731, pp. 93-4. (2) Ho pur testè richiamato le riferite, $ VI, consulte del 1° e del 2 agosto, in cui sì trova accen- nata la possibilità di avviare negoziati col re dei Romani, nel mentre se ne riconosceva la gravità. Anzi 1 Registri della Camera, sotto il 30 giugno 1351, ci parlarono di progetti di trattative in Germania. ;) Sotto il 27 sett. (1851) si ricorda che a “ ser Uhirlac de Muc de banderia domini Ramondini “ Lupi capitanei guerre Comunis Florentie , fu concessa la menda per un cavallo rimasto ferito “ in “ quodam avisamento , addì 27 marzo p. p., e poi morto “ apud castrum de Verrine (Camarlenghi della Camera del Comune, Uscita di Condotta [1352, sett.-ott.], fase. 94, quaderno 3, foglio ultimo 7). Una mano affatto moderna, sulla copertina, rilevò il nome del Lupi. —- Cfr. più sotto $ XV. i) Cfr. $ XV. 5) Cronica, II, capo 69 ec. 76. 57 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 185 Non risulta affatto che la proposta dei Fiorentini sia stata bene accetta a Siena, e meno ancora possiamo provare che l’ambasceria dei collegati toscani trattasse poscia col papa intorno alla venuta di Carlo IV. I documenti, per questi tempi, non sono abbondanti di notizie, nè circa i negoziati per la lega fra Clemente VI e gli alleati toscani, nè riguardo alle pratiche d'accordo col re dei Romani. Tutto questo intrigo di discussioni, di pratiche, di giuochi diplomatici è per noi di speciale importanza, poichè serve per via indiretta, e sia pure negativamente, a spiegare l’attitudine seguìta dal Petrarca, che in questo momento si trovava certa- mente in Avignone. Il più celebre cittadino di Firenze si trovava nella corte ponti- ficia, mentre così gravi avvenimenti maturavano. S’egli appena se ne diede pensiero, ciò è molto significativo. Ai documenti poc'anzi ($ VIII) citati, segue una lettera senza indirizzo (1). Peraltro con molta probabilità venne dal moderno postillatore creduto che fosse indirizzata al Comune di Siena. Si riferisce alle provvisioni da prendere circa le cose da farsi “ in «“ partibus Lombardie ,. Porta la data del 29 maggio, V ind., ma è evidente trattarsi di una svista nell’indicazione del mese, giacchè vi si presuppone una condizione politica identica a quella che la concatenazione dei nostri documenti ci lascia supporre (2). Viene poscia una lettera (3) diretta ai Senesi, colla data del 30 sett., V ind. (1351). Essa è molto notevole, e ne darò quindi qualche estratto: “ Ut sentiatis omnia que “ sentimus, copia litterarum de Avinione e de Esculo receptarum mictitur presen- “ tibus interclusa, ex quarum (4) concipimus quod oratorum vestrorum, Perusinorum “ et nostrorum missio ad Curiam est necessario opportuna; quod imitantes, nostros “ elegimus, videlicet dominum Andream de Bardis militem et dominum Thomam de “ Corsinis legum doctorem. Placeat igitur vestros eligere et ipsos ad iter disponere, “ quia periculum est fn mora ,-— Nel seguito della lettera si parla, in continua- zione a quanto si espone nella lettera precedente del 29, di Rossi de’ Ricci e degli altri da mandarsi a trattare di lega coi signori di Lombardia. Si faccia la conveniente osservazione al proverbio: periculum est în mora, poichè in esso si comprende la vera preoccupazione di Firenze. Intorno ad argomenti simili si aggira la lettera del 12 ottobre {5) (1351), pure diretta ai Senesi, nella quale non manca un cenno su ciò che si andava dicendo “ super agventu imperatoris in Lombardiam ,. Verso la fine vi. si parla della lega testè conchiusa in Siena, e di quella che si maneggiava colla Corte pontificia. Ne trascrivo un passo, dove, accennando ad alcuni desideri espressi dai Perugini, si dice: « quod autem dicunt de premictendo sindicum cum sufficienti mandato ad ligam cum “ Romana Ecclesia inheundum, placet nobis et utile reputamus, et quod subsequenter “ cum sollecitudine oratores dirigantur ad Curiam, de quo vos etiam fraternis pre- (1) Signoria, Missive, X, fol. 97 ». (2) Se fosse del maggio, ind. V, sarebbe da attribuirsi al 1852: così invece la fisseremo al set- tembre 1351. (3) Signoria, Missive, X, fol. 97 v. — I Registri di Camera, che ci hanno molto giovato e che importanti documenti ci somministreranno anche in seguito, presentano pur troppo una larga lacuna per i mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre 1351. (4) Sottintendasi “ tenore ,. (5) Signoria, Missive, X, fol. 98 v. Ed. BarpasseronI, “ Studi stor. ,, XI, 404-7. Serie II. Tom. LIX. 24 186 CARLU CIPOLLA 58 “ cibus rogitamus; et perinde fortius animamur nostros presentialiter destinare. De “ missione autem sufficientis mandati in Lombardiam scribunt Perusini ipsi — “ Videbitis insuper per litteras de Curia destinatas, quod de dilatione missionis “ ambaxatorum (1), papa et domini cardinales mirantur, ex quo videtur nobis quod “ sine ulteriori dilactione mietantur. Et quia de premictendo sindicum seu sindicatum “ fecerunt Perusini in eorum litteris mentionem, providimus constituere Petrum Bini, “ et sindicatum illico transmittemus, rogantes quod vos similiter faciatis; et est “ advertendum quod non fiat sindicatus solum ad faciendum ligam cum Romana “ Ecclesia pro tempore quo durare debet liga Senis quidem celebrata, set etiam “ ampliori, quia sperandum est quod papa se retraheret ab eadem. Dominum epi- “ secopum Florentinum posuimus loco domini Tomme de Corsinis, parati ambaxa- “ tores {2) in Curiam festine dirigere ,. Il giorno appresso, 13 ottobre, i Signori riscriveano ai Senesi, preannunciando la partenza del vescovo di Firenze e di Andrea de’ Bardi, e confermando di voler costi- tuire sindaco il Bini “ ad inheundum ligam cum Romana Ecclesia , (8). Le conseguenze dolorose che si prevedevano provenire dal ritardo dei collegati, sono considerate a giusta ragione dai Signori di Firenze. A Siena l’accordo fra i Comuni toscani, Firenze, Siena e Perugia, era stato con- cluso il 26 settembre, secondo il Baldasseroni, al quale (4) dobbiamo la citazione di una lettera da Clemente VI scritta il 7 ottobre (1351) ai Fiorentini per rallegrarsi della loro concordia con Pisa. L'amicizia dei Gambacorti fu alla Signoria Fiorentina veramente preziosa (5), poichè per essa Firenze potè rimanere sicura riguardo all’atteggiamento di quella ancor potente città. Era tuttavia necessario, anzi addirittura urgente il condurre innanzi le pratiche ad Avignone: l’ambascieria Fiorentina nulla di buono poteva ottenere in Corte papale, anche quando si fosse recata colà, mentre non l’avessero accompagnata le amba- scierie delle città alleate. La citata lettera del .12 ottobre dice chiaro ed aperto che il papa ed i cardinali si meravigliavano del ritardo degli ambasciatori. È evidente che Clemente VI doveva ormai cominciare a diffidare dell’aiuto dei Toscani in una impresa così difficile come sarebbe stata la ripresa di Bologna. La debolezza della lega Toscana si facea sempre più chiara ed aperta, quanto più a lungo gli indugi si prolungavano. (1) ambax. (2) ambax. (3) Missive, X, fol. 99 r. (4) “ Studi storici ,, XI, 389 nota 2 (estr.). (5) Cfr. Ammrraro, Storia fioren., I, 529. 69 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 187 X. .I Fiorentini pensarono, almeno per quanto particolarmente li riguardava, a rompere ogni esitazione. Nella lettera del 15 ottobre i Signori scrissero a Piero Bini (1) una lettera, che comincia così: “ I nostri ambasciadori, cioè messer lo vescovo di Firenge et messer “ Andrea de Bardi, sono per venire a nostro Signore, partiranno di qua di questa “ edima che viene (2). “ Jeri mandamo messer Tomaso Corsini a Siena et a Perugia ad inducere i “ Sanesi et i Perugini, che mandino i loro ambasciadori et sindicato a fare lega e “ compagnia con nostro Signore messer lo Papa et la Chiesa et speramo che dopo “ i nostri sollicitamente verranno et che manderanno il sindicato. Mandianti con questa la Riformazione del Comune per cui balia si creò l’officio di .xvnj. et la electione loro et il sindicato in te a fare lega e compagnia, insieme col comune di Siena e di Perugia, con nostro Signore et co la Chiesa di Roma, sicome potrai vedere per lo tenore de le dette carte, le quali ricevute, il notificherai a nostro “ Signore, et similmente de la mandata di nostri ambasciadori, et come abbiamo “ mandato a Siena et a Perugia il detto messere Tomaso, che solleciti la mandata “ de loro ambasciadori ,. Seguono numerose notizie sui fatti di guerra, che trascuro siccome estranee al mio scopo. Nuovamente la Signora scrisse al Bini, addì 23 ottobre (3), annunciando final- mente imminente la partenza dei due ambasciatori: “ Messer lo vescovo di Firenze (4) “ et messer Andrea de Barbi partino di qua lunedì proximo (5) per venire costà e “ subsequentemente verranno gli ambasciadori Perugini et Sanesi ,. A questi suoi ambasciatori diede la Signoria due istruzioni, ambedue datate dal 25 ottobre. La prima (6) si riferisce ad affari privati. Nella seconda (7), molto estesa, invece troviamo una lunga esposizione degli affari politici, allora dibattuti, e spe- cialmente delle cose di Bologna. Doveano gli ambasciatori esporre al. papa come l'arcivescovo di Milano avea cercato l’aiuto dei signori di Lombardia, di Romagna, della Marca e della Tuscia, nonchè del vescovo di Arezzo: imploravasi adunque il soccorso del papa in favore degli /talici e specialmente dei collegati toscani: e quindi espressamente doveasi chiedere al papa la conclusione della lega. “ “ “ “ (1) Signoria, Carteggio, Missive, X, fol. 99 v. A. SorseLLI, La Signoria di Giov. Visconti a Bologna, doc. 9, pp. 3841-42. (2) Il 15 era giorno di sabbato: la settimana seguente, dalla domenica al sabbato, si estendeva dal 16 al 21 ottobre. Vedremo che alla partenza fu frapposto un nuovo indugio, tuttochè assai breve. (3) Sign., Missive, X, fol. 99 v. — SorseLLI, Op. cit., doc. 10, pp. 342-3. (4) Angelo Acciaiuoli. (5) Il 23 ottobre 1351 cadde in domenica, sicchè il lunedì prossimo era il giorno appresso, cioè il 24. (6) Sign., Miss., X, fol. 990-103 r. (7) Ivi, fol. 100 #-101 r. Questo documento fu pubblicato dal BaLpasseronI, “ Studi stor.,, XII, 85-9. Cfr. pp. 41-4. 188 CARLO CIPOLLA li 60 Mi par notevole questo passo in odio non solo a Giovanni, ma a tutta la famiglia Viscontea: “ Secundo exponant eidem Summo Pontifici et sacro dominorum Cardinalium “ Collegio, qualiter d. Maffeus Vicecomes genitor eius, qui se archiepiscopum Medio- “ Jani in Dei et Ecclesie ignominiam nominare se facit, et eius descendentes ex “ patereno nati, a patris non deviantes tramitibus, fuere rebelles et notorij emuli “ Rceclesie Dei Sancte, post que ipsa Ecclesia gremium pietatis sue non denegans — ,. Possiamo veramente pensare che Francesco Petrarca, se ebbe notizia di tali parole, non dovette certamente averne provata alcuna compiacenza, ma piuttosto uno sdegro profondo, giacchè egli della dinastia. Viscontea aveva pur testè goduto le cortesie e la larghezza. Dallistruzione citata risulta che gli ambasciatori di Siena e di Perugia non si erano ancora mossi. Infatti gli ambasciatori fiorentini doveano fermarsi “ in terra “ que dicitur Novas , (Villeneuve-lez-Avignon) e quivi per alcuni giorni (“ diebus “ aliquibus ,) attendere i loro compagni. Le ultime parole dell'istruzione si riferiscono alla necessità di avere il favore di alcuni cardinali, e vengono quindi designati il card. Ostiense e Rinaldo (Orsini) quali “ protectores , del Comune. Nel $ III ebbi occasione di parlare di questa forma di protezione, che il Comune di Firenze si procurava. Non c'è qui dunque neppure un accenno a Carlo IV, e con ragione lo rileva il Baldasseroni (1). Ne traggo la conseguenza che il Petrarca nulla finora avea saputo, secondo ogni probabilità, intorno alle relazioni fra il re dei Romani e Firenze: o almeno che se anche fin d'ora egli consigliò la discesa dell’imperatore, lo fece per conto suo, e senza l’intenzione di secondare i desideri dei suoi concittadini. Una lettera del 6 novembre (1351) (2) al Bini ci parla dell’assedio di Scar- peria (3), posto dall’Oleggio, e della vittoriosa resistenza che questi vi trovò, finchè il 18 ottobre se ne dovette allontanare. In quella lettera si annuncia pure che gli ambasciatori di Firenze, cioè il vescovo Acciaiuoli e Andrea dei Bardi, erano partiti alla volta di Avignone, addì 26 ottobre; ma gli oratori di Siena e di Perugia non sì erano ancora mOossiì. Piero Bini. Tucte le lectere le quali fino a qui ai mandate, abbiamo ricevute et cre- diamo avere risposto a tucte, et come per altra t’abbiamo significato, con danno et con ver- gogna et sconciamente si levò l’oste da la Scarperia di .xvuj. d’octobre (4) et, benedetto Idio, ninna cosa ci à acquistato nè tiene in nostra forga, bene che d’arsura et di ruba abbia facto (1) © Studi stor. ,, XII, 44. (2) Sign., Miss., X, fol. 103 v. — SorsELLI, op. cit., doc. 11, pp. 342-43. (3) Sull’assedio Scarperia, cfr. MarcHionne DI Coppo STEFANI, loc. cit., libro VIII, rubr. 648 sgg., pp. 157 sgg. (4) Dell'’impresa di Toscana si interessarono alquanto anche i Cronisti lombardi. Pietro Azario (apud Murar., XVI, 328) discorre del fatto di Scarperia, ma non in modo esatto. — Su tutta questa campagna intrapresa dall’Oleggio, col favore dei sigmworotti ghibellini, sull’assedio di Scarperia, sugli sforzi fatti dall'arcivescovo, deciso a tutto tentare contro Firenze, è a vedere ciò che espone il SorseLLI, op. cit., p. 115. Egli dice (p. 131) che l’Oleggio lasciò l'assedio suddetto nella notte del 17 ottobre, giungendo il 19 a Bologna. — Sui fatti di Scarperia è a vedersi anche la Cronica Sanese di AneLo pr Tura (ap. Murar., XV, 126-7), dov'è notevole il cenno molto eloquente sulle diffidenze fra Senesi e Fiorentini. La lega toscana si sgretolava ancor prima che fosse bene stabilita. — Un cenno sull'impresa di Scarperia presso i Graziani, Cron. Per., “ Arch. stor. ital. ,, 1° serie, XVI, 1, 156. 61 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 189 nel Mugello danno; a .xxvj. dì d’octobre si partirono di qua messer lo vescovo di Firenge et messer Andrea de Bardi ambasciadori, i quali, alla speranga di Dio, tosto saranno costà, infor- mati a pieno di nostra intentione. Gli ambasciadori Sanesi et Perugini solicitiamo quanto più si può et speriamo la loro mossa sia in breve tempo. Noi dalla parte nostra non lasciamo a fare nulla perchè tosto vengano. A messer Dombruno scriviamo una lectera racomandan- dogli la nostra iustitia et ricordandogli l’opere del Melanese. Ometto le notizie sul vescovo di Arezzo, sul signor di Cortona e su varie vicende di guerra, e mi fermo soltanto sul fatto che i Fiorentini faceano assegnamento sui loro protettori ed amici nella Corte papale. - A nostri signori cardinali et amici raccomanda il nostro Comune e fa ciò che puoi che i nostri ambasciadori siano aspectati prima che accordo si fermi, mostrando loro quanto questo accordo è vergogna e abbamento (1) di Santa Chiesa et de’ suoi devoti. D’accordo, qua non si tracta nè tractossi mai co-llui. Data ut supra. Ma gli alleati di Firenze non avevano fretta, del che ai Signori spiaceva mol- tissimo, siccome dimostra il Baldasseroni (2). Fermiamo adunque la data del 26 ottobre come quella della partenza dell’am- basciata solenne dei Fiorentini, col vescovo Acciaiuoli, alla volta di Avignone (3). Pare che la vittoria riportata colla difesa del castello di Scarperia incoraggiasse i Fio- rentini, poichè con essa potevano onorevolmente presentarsi al pontefice. Quella data può forse spiegare la crescente fermezza d’animo dei Fiorentini, come la gelosia dei Senesi ci conferma i motivi della loro lentezza. Era quindi naturale, che gli alleati continuassero nella immobilità, la quale si prolungava tanto da far comprendere la diffidenza loro verso Firenze. Notevole è il documento seguente. Agli ambasciatori presso il papa nuovamente scrisse la Signoria addì 26 no- vembre (1351) (4). Da quella lettera trascrivo queste poche parole, che illustrano l’attività degli ambasciatori stessi alla Corte Avignonese: Gli ambasciadori Sanesi et Perugini non sono anchora mossi per venire costà, benchè continuamente solicitiamo la loro venuta; non di meno voi sete presso a le sose et vedete le condicioni, per che remettiamo in voi il procedere a presentarvi al papa, a ciò che al vostro podere s’impedisca la reconciliatione dell’arcivescovo, il quale continuamente fa cose dispectevoli et detractive a l’onore di Sancta Chiesa, et de suoi seguaci et devoti Guelfi di Toschana, dove seguirete quello che imposto vi fu, et quando gli ambasciadori sieno mossi per venire, di pre- sente il vi significheremo. Data Florentie, die xxvj novembris, v° ind. (1) Forse: abbassamento, abbattimento. (2) “ Studi ,, XII, 46. (3) Vedremo in appresso, $ XVI, come pure accettando la data del 26 ottobre, dobbiamo fare avvertimenti e restrizioni. (4) Signoria, Carteggio, Missive, vol. X, fol. 105 ». SorBELLI, op. cit., doc. 13, pp. 346. — Lo stesso, doe. 12, pp. 344-6, pubblicò l'istruzione 9 nov. 1351 a Tommaso Corsini e Sandro Bigliotti inviati a trattare coi Perugini e coi Senesi. 190 CARLO CIPOLLA sà 62 XI. I Fiorentini facevano ogni sforzo per mantenere la lega coi Toscani, poichè di lì dipendeva l’esistenza o meno di un forte nucleo di forze, che resistesse a un pro- babile tentativo di rivincita da parte di Giovanni da Oleggio e dell’arcivescovo di Milano. Quanto maggiori, a così dire, erano le difficoltà sulla loro via, tanto maggior zelo mettevano per vincerle, poichè ben comprendevano quanta fosse l’importanza che all'alleanza toscana doveasi annettere. La vecchia lega con Siena, con Arezzo e con Perugia sì rinnovò verso la fine dell'anno (1). Le cose della Toscana non distoglie- vano i Signori dagli altri fatti diplomatici. Che anzi neppure gli affari di minor conto potevansi trascurare. La vittoria di Scarperia entusiasmò i Fiorentini. Eransi appena allontanati di lì i nemici, che nel Consiglio del Capitano e del Popolo, addì 20 ottobre (1351) (2), si esentarono per dieci anni dai dazi, estimi e gabelle tutti i Fiorentini che, durante l'assedio, si erano trovati nel contrastato castello. Eguali concessioni fecersi allora in favore del Comune e della Universitas del castello medesimo. E così pure si deli- berò intorno alle remunerazioni per gli stipendiari che ebbero parte nell'assedio (3). Ma tutti questi vantaggi potevano facilmente venir compromessi, quando i nego- ziati diplomatici non conducessero a nessun risultato buono. Le difficoltà da supe- rarsi erano gravi. Vedremo che in questo momento si erano aperte serie pratiche di accordo con Carlo IV, ma in forma secreta. Tuttavia la preoccupazione principale dei Fiorentini stava sempre nelle trattative di Avignone. I Signori temevano infatti che il papa si accordasse coll’arcivescovo, con trattato separato. Clemente VI non era legato da patto alcuno con Firenze, con Siena e con Perugia, anzi gli ambasciatori di queste due ultime città non pensavano ancora a prender la via di Avignone. Con una nuova lettera, del 17 dicembre, i Signori rispondono ad altra che gli ora- tori fiorentini avevano scritto il 2 dicembre, nella quale non si accennava ad un pos- sibile accordo fra il papa e l'arcivescovo. Ma a Firenze di quelle faccende comune- (1) Nei Capitoli, vol. XXVII, 3 numerazione, fol. 27-30, 31-34, si leggono gli istromenti di lega stretta tra Tommaso Corsini sindaco per Firenze, Ugolino Pelloni e Baglione del fu Massuccio sindaci di Perugia, Lando di Rinaldo de Gocariis e Niccolò di Guido Gisistrini sindaci di Arezzo, e i Nove di Siena, fatta in Siena addì 14 dicembre 1351 a esaltazione della Chiesa Romana e di papa Cle- mente VI, nonchè -delle città sunnominate, ed a sterminio dei loro nemici. (2) Provrigioni, XXXIX, fol. 35 r-r. — Nuove concessioni a quei di Scarperia fece il Consiglio del Capitano e del Popolo addì 9 novembre 1351 (ivi, fol. 45 v). Nei due Consigli del Capitano e del Popolo e del Podestà e del Comune, nuove concessioni si fecero a quelli di Scarperia addì 13 febbr. 1352 (Provvig., XXXIX, seconda numerazione, fol.4r e v, 12r e ©), e ancora più tardi (fol. 42 v, 43»). 3) Di conestabili e stipendiari che combatterono a Scarperia leggesi un elenco al fol. 45 r e è, in Provv., XXXIX, 2 numeraz. Fra essi parecchi sono toscani, ma altri sono oltramontani. Di nuovo, sotto il 30 marzo 1352 (ivi, fol. 30 r, 32 v), deliberossi di risarcire alcuni connestabili ai quali, durante l'assedio, erano morti i cavalli: qui dunque abbiamo altri nomi di venturieri, specie oltremontani. 63 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 191 mente discorrevasi, sicchè i Signori rispondendo al Bini, gli parlarono di ciò cui egli aveva taciuto. È inutile rilevare che per quel momento non si può neppur sospettare la presenza in Avignone degli ambasciatori dei collegati toscani. Adesso i Signori chiedevano questo soltanto che il papa, quando facesse l’accordo col Visconti, scri- | vesse nel patto, che a questo potessero accedere i Toscani. Usavasi infatti dai potentati medioevali lasciare campo agli aderenti di entrarvi. Ma dalle espressioni susseguenti, si capisce che i Signori avevano timore che questa linea di condotta potesse, non senza qualche motivo, dispiacere ai colleghi loro, sicchè raccomandavano ai loro rap- presentanti di procedere con grande segretezza. Da questa lettera del 17 dicembre, ind. V (1351), trascrivo alcuni brani (1): Episcopo Florentino (2), domino Andree de Bardis militi et sotijs ambaxriatoribus in Romana Curia constitutis. La lectera vostra data costà dì 1). di dicembre intendemo et piaqueci il modo tenuto per voi, sperando che poi a le cose commesse avrete saviamente operato secondo la vostra com- missione, secondo la quale per lo inangi procedete. Al torre messer Nicola Capocci (3) per nostro protectore, ci piace; li danari, secondo la vostra chiesta, provederemo, che avrete sanga indugio. Qua sì dice per molti che nostro Signore sia per fare l’acordo co l’arcivescovo, di che ci meravigliamo che a noi ciò significato non avete et quando così fosse, et a ciò non poteste riparare, v’avisiamo che saviamente operiate, chon uno o due de nostri confidenti cardinali che dicano al Santo Padre che gli piacia di non lasciare exclusi i suoi figliuoli devoti di Toscana, cioè che possano venire infra quello tempo abile ch’el papa dichiarirà a l’acordo, facciendosi mentione de Pisani, come de gli altri, acciò che venendo i devoti Toscani a la concordia si ricida la via a l'arcivescovo di travagliarsi de’ facti de Toscani. Questo che de sopra vi si scrive, operate si ragioni per lo modo detto di sopra, quando voi non poteste fare che noi rimanessemo in lega col papa contro a l’arcivescovo et per che porta assai fate sia segreto, sì che non paia questo proceda dal Comune nostro, acciò che nostri collegati non potessono avere materia di prenderne sdegno. L’arcivescovo seguendo l’usata rabbia è fatte accomiatare e cacciare di tutta sua forga, Fiorentini, Perugini, Sanesi, Aretini, Pistolesi, et ogni altro loro seguace, benchè noi di qua non avemo fatta novità alchuna a suoi, nè faremo; ditene costà quello che vi pare. omissis. Data Florentie, die .xvij. decembris; v. indict. Il 23 dicembre 1351 i Signori di Firenze scrissero ai Senesi intorno all'indirizzo da essi preferito nelle trattative col papa, per ottenere cioè che questo includesse i Toscani negli eventuali patti col Visconti (4). La lega generale toscana era il sogno dei Fiorentini, i quali di là avrebbero potuto trarre motivi a bene sperare, in mezzo alle crescenti difficoltà. (1) Missive, X, fol. 107 vw. — SorsettI, op. cit., doc. 14, p. 347. (2) Angelo Acciaiuoli, cfr. EuseL, Hier., I, 260. (3) Il card. Nicolò Capocci era stato elevato alla sacra porpora nella elezione del 17 dic. 1350, cfr. Euset, I, 18. Egli riceveva adunque denari da Firenze. (4) Presso BaLpasseronI, “ Studi ,, XII, 89-90. 192 CARLO CIPOLLA 64 XII. Mentre i Fiorentini vedevano a poco a poco svanire le speranze in una favo- revole risoluzione dei negoziati di Avignone, dove le proposte Viscontee potevano di momento in momento avere la prevalenza, essi si appigliavano anche ad altri partiti. I Signori, non solo con grande segretezza preparavano le trattative con Carlo IV. ma negoziavano ancora con Lodovico duca di. Brandeburgo, ‘cioè col figlio di quel Bavaro, la cui politica contraria alla Chiesa essi .condannavano nelle loro relazioni con Clemente VI (1). Al Brandeburghese inviarono quale ambasciatore Gio- vanni Boccacci, con due lettere, una indirizzata al Brandeburghese stesso e l’altra a Corrado duca di Teck, che del Brandeburghese era segretario e amico fedele (2). Questi due documenti furono pubblicati da Attilio Hortis (3), e portano ambedue la data del 12 dicembre (1351). Se tutto l’inverno stette celatissimo in $S. Lorenzo il messo del Lussemburghese, all’aprirsi della primavera giunse a Firenze Dropoldo di Katzenstein, consigliere e oratore del duca di Brandeburgo. A costui i Signori die- dero risposta verbale, e, nell’atto di rinviarlo in Germania, indirizzarono al Bran- deburghese una lettera sotto la data del 27 marzo, V indizione (1352) (4). I Fiorentini non accettarono le sue proposte perchè erano eccessive (5). Il Brandeburghese non rimase soddisfatto della ripulsa e tentò di riprendere le pratiche, facendo dal Katzenstein scrivere nuovamente ai Fiorentini. La lettera di risposta data dai Signori fiorentini ci è pervenuta ed è del 2 maggio (1352) (6), segue cioè cronologicamente, quasi. senza indugio, la conclusione dell’accordo tra Firenze e l'inviato di Carlo IV. I Signori oppongono al Katzenstein un nuovo e reciso rifiuto (7); e così ebbero fine le trattative aperte sulla fine del 1351, per mezzo dell’ambascieria del Boccacci. XIII. Il trattato dei Fiorentini coll’inviato di Carlo IV fu, come già si disse, maneg- giato lentamente e alla fine fu concluso il 18 e il 14 e approvato il 30 aprile 1352 (8). (1) Lo si vede nella lettera del 20 agosto 1351, che citammo poco addietro, $ VII. (2) Signoria, Carteggio, Missive, fol. 106 ©, 107 r. (3) Giovunni Boccacci ambasciatore in Avignone e Pileo da Prata proposto da’ Fiorentini a patriarca in Aquileia, Trieste, 1875, pp. 45-6, doc. 2 e 3. (4) Missive, X, fol. 122 ».. 5) Lettera ai Senesi, 21 marzo (1352), presso BarpasseronI, “ Studi storici ,, XII, 90-1. 6) Carteggio della Signoria, Missive, t. X, fol. 128 r. (7) © non videmus quod possimus facere que in-eisdem vestris literis denotastis, et proinde “ Comune nostrum et nos velitis eidem illustri principi excusare ,. (8) Nel Consiglio del Capitano e del Popolo il 13 aprile 1352 si deliberò la elezione di un sindaco per concludere il tractatum habitum, fatto testè dai Fiorentini, Senesi e Perugini “ cum vene- ‘ rabili viro domino Henrico proposito Sderasien, vicecancellario et in hac parte legato et amba- ° xiatore serenissimi principis et domini domini Karoli div. provid. Romanorum regis et semper augusti ' super adventu ipsius d. regis ad partes Lombardie, ad conculcandum et deprimendum superbiam YI Sg 65 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, ECC. 193 Queste circostanze stavano in parte già scritte nelle Cronache di Donato Vel- luti e di Matteo Villani, ma il Perrens (1) e il Baldasseroni (2) le dimostrarono e le determinarono meglio. Su quei patti, dice M. Villani (3): “ grande ammirazione ne fu per tutta Italia... Patti e convenzioni erano assai strani ,. Sulle date ora indicate rispetto al trattato di Firenze con Carlo IV, ritornerò fra breve ($ XV). Con questi negoziati, ai quali partecipavano gli alleati toscani, Firenze si tro- vava coinvolta in una vera matassa di trattative. Col papa Firenze continuava a negoziare, ma confessava di farlo in modo che, se fosse trapelato, rimanevano in qualche maniera compromesse le sue relazioni con Siena e con Perugia. Veggasi la lettera del 17 dic. (1351) al vescovo Acciaiuoli e agli altri ambasciatori, che riferii per la maggior parte al $ XI. Intanto Firenze ad altri negoziati ancora dava mano. Non si accontentava dei negoziati con Carlo IV, che necessariamente dovevano essere molto sospetti in Corte papale: avviava trattative perfino con Lodovico di Brandeburgo, il figlio dello sco- municato Lodovico il Bavaro, dopo di avere poco prima denunciato il vescovo di Arezzo appunto quale amico di lui; ma non volendo fare il vantaggio altrui meglio che il proprio, se ne ritrae a tempo opportuno. Ecco il guazzabuglio di negoziati, al quale Firenze incerta del futuro si abbandonava. ù MEV. Francesco Petrarca fra il giugno del 1351 e il giugno del 1352 (4) si trovava in Avignone e nei dintorni. Forse nel 1351 (5) il Petrarca aveva già scritto una prima volta a Carlo IV per “ et potentiam tiranni Mediolanensis — , e a difesa della libertà di Toscana. Osservo che qui non sì parla affatto di Santa Chiesa e dei Guelfi a questa devoti, il che può servire & caratterizzare la natura e lo scopo di questa convenzione (Provvig., XXXIX, 35 v-36 v). La questione ritornò nel Con- siglio del Podestà e del Comune il 14 aprile (ivi, fol. 37 v), ed ebbe egualmente esito favorevole. Quando abbiamo il testo delle Provvigioni, ben poco rilievo hanno i Libri Fabarum. Noto tut- tavia che nel vol. XXXI, fol. 62 7, si accenna brevemente alla seduta del 13 aprile 1352, ricordando la “ provisionem disponentem de sindico constituendo ad concordandum cum ambasciatore Regis “ Romanorum. cxLj nigre. xvi} a. — Sul vicecancelliere di Carlo IV, cfr. $ XV. (1) Histoire de Florence, IV, 418. (2) “ Studi ,, XII, 56-7. (3) Cron., lib. III, c. 6. Cfr. Perrens, IV, 419. (4) FracassermTI, note all’ediz. ital. delle Famigliari del Petrarca, III, 105. (5) Il FracassertI riferisce la prima lettera a Carlo IV, al febbraio del 1350, cioè a due anni avanti a quello in cui gli si rivolse colla seconda lettera. Nell’itinerario dal Petrarca premesso alla ediz. latina delle epistole de redus familiaribus (tomo I, prolegom., p. cxLIn), attribuisce similmente la prima lettera al 1350. Questa prima lettera, concepita in forma vaga e poetica, è la I del libro X. Ora Kiepsune, Kaiser Karl IV u. sein Anteil am geistlichen Leben, p. 300 (citato da H. Orto, in “* Quellen u. Forsch. aus Italien. Arch. u. Biblioth. hsg. v. Kgl. Preuss. histor. Institut in Rom ,, 1908, IX, 101, nota 4), pensa che sia stata scritta a Padova nel febbraio 1351, cioè mentre il Petrarca si apprestava a tornare in Avignone. ; Da questa prima lettera, ch'è una esortazione a Carlo IV perchè discenda in Italia, tolgo qualche Serie II. Tom. LIX. 25 194 CARLO CIPOLLA 66 esortarlo a restaurare il nome imperiale in Italia (1). Una seconda volta gli scrisse (2) sul medesimo argomento, ma meglio determinando il suo pensiero. Senza dubbio il poeta rimane sempre nel campo delle frasi vaghe; tuttavia l’accenno che nella seconda lettera, verso la fine, si fa al consenso dei Toscani per la sua discesa, dà motivo non trascurabile alla congettura del Fracassetti, che nella edizione italiana segna la data così: “ Avignone, 1352 ,. Se non piace Avignone, si metta: le fonti del Sorga. Si sa naturalmente che la cronologia delle epistole del Petrarca è molto incerta, sicchè è prudente attendere che gli studi di coloro che di tale argomento si occu- pano in modo speciale siano condotti a termine. Non c’è tuttavia motivo di gettarsi in uno scetticismo eccessivo, come mancassimo di dati probabili. Nella citata sua lettera, il Petrarca ricorda a Carlo IV di avergli scritto altra volta, ed ora ritorna a sollecitarlo a calare in Italia, per amore d’Italia e di Roma, e per preparare la spedizione di Terra Santa. Gli fa osservare che nella Toscana, dove il suo avo e gli altri augusti avevano trovato opposizione, ora egli non aveva che amici. Il Baldasseroni con ragione nota che il Petrarca esagerava quando descriveva i Toscani favorevoli a Carlo IV, in modo deciso, mentre invece in fondo essi erano molto dubbiosi. Esagerava qui e in tutto il resto. Sembrami che la lettera sia probabilmente posteriore alla pubblicazione (cfr.$ XV) del trattato dell’aprile (1352). Ad ogni modo il Petrarca non ebbe alcuna azione per combinare quell’accordo, come nessuna parte ebbe nelle trattative di Avignone. XV. Le condizioni economiche e militari di Firenze eran gravi. Firenze non tralasciava di continuare attivamente i negoziati diplomatici, ma non trascurava di armarsi (3). Riprendiamo l'esposizione interrotta delle ‘trattative con Carlo IV, le quali pro- cedevano innanzi senza interruzione, mentre i negoziati colla Corte Aragonese lan- guivano. Ho accennato di sopra ($ XIII) alle date del 14 e del 30 aprile: esse ci tornano innanzi in altri documenti officiali, sotto quella luce che ci è indispensabile per inten- dere il rapporto ch’esse hanno cogli altri avvenimenti. Appena che le trattative col re dei Romani furono condotte a buon punto, i Fiorentini ne avvisarono i loro amici, o alcuni tra essi. frase: “ Te fnim, ut libet, sibi Germani vindicent, nos te italicum arbitramur... Noli amplius bene- “ meritam Italiam tui desiderio fatigari ,. La seconda lettera (XIL ep. I), che citeremo tosto, si chiude richiamando la prima: © Pluraque “ olim scripsi... ,. (1) Fam., libr. X, ep. I. (2) Fam., libr. XII, ep. I. (3) Nel Consiglio del Capitano e del Popolo radunato il 10 febbraio 1352 (1351 st. fior.) sì trattò di prendere denari a mutuo “ pro stipendiariis conducendis ,, argomento che ritornò il 13 del mese stesso nel Consiglio del Podestà e del Comune (Provvig., XXXIX, 2 numeraz., fol. 1 r, 10 », 12 7). Anche in appresso si continuò a prendere provvedimenti per la guerra (9 marzo, ivi, f. 180). In città si pativa di carestia (ivi, f. 21v: 9 marzo; fol. 28r: 30 marzo). 67 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 195 Abbiamo infatti (1) questa lettera priva di indirizzo; certo non possiamo dire se fosse o no una circolare a varie persone o a diversi Comuni, ma ne ha proprio l'aspetto. Ha la data del 24 aprile 1352. Amici carissimi, Ut singulos nostros gestus vestra amicitia sentiat, eos presentim qui libertatem comunem et statum prosperum notanter inspiciunt et resistentiam emulorum de Medio- lano, qui subiugare nationes ytalicas tractatibus, offensionibus et guerrarum strepitibus preiu- dicialiter moliuntur, eidem amicitie intimare providemus infrascripta. Sane cunctis que possunt libertatem et statum nostrum et amicorum Guelforum conservare mentaliter trutinatis et quo- modo Vipeream nationem removere a tam proposito nefario valeremus, demum una cum nostris fratribus Perusinis et Senensibus, in quibus Guelfe partis sarcina requiescit, longo colloquio habito super hijs, que conferant statui eorum et nostro et omnium amicorum et destructionem eiusdem Viperee nationis, consulte visum fuit ut ad resistendum eisdem tyrampnis Mediolani, invocetur illustris Romanorum rex, cuius nostraque potentia prosternantur et ipsa Comunia nostrumque et amici ceteri conserventur illesi. Et quia eiusdem regis ‘nuntius in civitate nostra a diu fuit et est, cum eo tractavimus, una cum fratribus Perusinis et Senensibus, ut prefertur, tam de modis offensionis predicte, quam tutele nostre et omnium amicorum, non minus de conservatione vestre (2) et honorum ac iurisdietionum vestrarum recordeo (3) et eorum que respiciant statum vestrum mentione prehabita, quam propriorum commodorum nostrorum. Et si predicta citius ad vestre nobilitatis notitiam per nostras litteras non venere, non debet propterea admirari, quia, considerato rei pondere et quam caute sit circa huiusmodi (4) proce- dendum, pro meliori usque nunc distulimus hec disserere. Set teneatis a certo quod quiequid egimus, vestros honorem, commoda, statum quietum respicit, sicut nostra. Data Florentie, die .xI1Ij. aprilis. v ind. Non so se i destinatati si debbano cercare fra i collegati di Firenze. Forse essi saranno quei medesimi Signori di Romagna e di Lombardia, della cui amicizia i Fiorentini andavano in cerca, per innalzare un argine fra sè stessi e Milano; tut- tavia neanche la prima interpretazione mi sembra da escludersi, tanto più che la frase amici carissimi la consiglia piuttosto che respingerla. Questa lettera conferma varie circostanze che sono già a nostra conoscenza, e questa specialmente, che le trattative coll’inviato del re Boemo si trascinarono innanzi per lungo tempo, e che sopra di esse si mantenne scrupoloso silenzio. Petrarca adunque intese il negoziato, quando tutto era ormai stipulato. Peraltro ogni punto non era allora bene deciso, e di ciò porge testimonianza la lettera (5) della Signoria ai Senesi, 26 aprile (1352), con cui si dà un parere intorno ad un patto che gli ambasciatori di Siena intendevano inserire nelle convenzioni col re dei Romani; e dalla lettera traspare non poca apprensione per le complicazioni che di lì potevano sorgere. La conclusione definitiva è del 30 aprile (6), e i Signori si affrettarono a farne partecipazione a Carlo IV, con una notevolissima lettera (7), in cui si parla anche (1) Sign., Missive, X, fol. 124 v. — Edita dal SorseLLI, p. 382, n. 42. (2) Forse si correggerà: vestra. (3) Forse: remedio. (4) sic. ) (5) Missive, X, fol. 126. (6) Confondonsi le date nella Cron. Perug. del Graziani, “ Arch. stor. ital. ,, I serie, XVI, 1, 159. (7) Miss., X, fol. 128r. 196 CARLO CIPOLLA | 68 di Raimondino Lupo, capitano di guerra, cui — come vedemmo — devesi attribuire una parte notevole nelle pratiche che diedero sin dal principio una forte spinta alle trattative (1). La lettera è del giorno seguente, 1° maggio. Serenissimo ac invictissimo domino domino Karolo Romanorum ac Boemie regi semper augusto. Post accessum ven. viri domini Henrici (2) Serenitatis Vestre legati, fidei et prudentie meritis cireumspecti, maturo secum tractatu habito super felici regie Maiestatis adventu ad partes Italie et imperiali receptione diademate et ob edomandam superbiam extuantium tyrannorum, qui iura Romane Ecelesie et Saerì Imperij usurpare et sue tyrampnidis gravi iugo subdere satagunt, divinum iudicium et sacrosanete Ecclesie et Romani principis invictriceem potentiam superbo et’'temerario ausu contempnentes, heri, civium nostrorum unanimi interveniente consensu, cum eo et domino Ramondino fideli et secretario regio nostroque ad guerram capitanio generali tractatum firmavimus, certa pacta et capitula continentem, qui tractatus eo nobis est gratior, quo de munificentie regie gratia confidentes, non solum in ipso contenta privilegia servari spe- ramus, verum indubie credimus quod dieta regalis excellentia devotionis nostre conspicuam fidem erga regiam maiestatem de solio sue sublimitatis aspiciens, maiores uberius gratias et benefitia largietur. Hec multipliciter devotioni nostre accepta, cum mentis iubilo regijs sen- sibus devotis affectibus intimamus, sperantes et pro certo tenentes dictam concordiam et tra- ctatum per Serenitatem regiam approbari, nosque et ceteros devotos regie Maiestatis sub alarum umbra vestrarum contra tyrampni viperei venenosam ingluviem protegi, quia ymmo universam Italiam et totum, si faverit Deus, orbem, sub imperii vestri temporibus in libertatis et pacis amena duleedine, devictis et deiectis tyrampnis, feliciter et prospere conservare. Scriptum Florentie, die primo maij, quinte indictionis. La finale, piuttosto poetica che diplomatica, dimostra che lo spirito umanistico involgeva ormai tutti e tutto, e serve così di un qualche addentellato anche coll’e- pistola petrarchesca, che è idealismo poetico, piuttosto che politica realtà. Pochi giorni dopo i Fiorentini annunciavano, con lettere separate, ai Perugini (3) e ai Senesi.(4) di aver già eletto i propri ambasciatori che stavano per recarsi, insieme col sindaco, che doveva prestare il giuramento »di fedeltà, presso re Carlo, e stimo- lavanli ad affrettarsi a fare altrettanto. p Temendo che il Visconti tendesse insidie agli ambasciatori destinati al re dei Romani, intorno a ciò'i Signori scrissero a Bernardino da Polenta signor di Ravenna e a Francesco Ordelaffi signor di Forlì, in data 13 maggio (5), pregandoli di difen- dere i predetti, quando attraversassero il loro territorio. Gli ambasciatori fiorentini presso il re dei Romani furono Pino di Giovanni Rossi, Gherardo Bordoni, Tommaso Corsini, Filippo Magalotti, Uguccione Ricci. Essi ebbero una commendatizia per il re predetto, in data del 17 maggio (6), e altra lettera del 15 maggio indirizzata ai Signori, per il cui territorio doveano passare. E cioè: (1) Cfr. $ IX. (2) Enrico proposto “ Sderasien. ,; cfr. $ XIII. (3) Missive, X, fol. 128 v. (4) Missive, X, fol. 129 r. (5) Missive, X, fol. 180 ». (6) Questa commendatizia (Missive, X, fol. 131 ») non ha alcun cenno di dispiacere per i nego- ziati di Avignone, ma solamente contiene i soliti rimproveri contro i Visconti: “ emulorum, qui " iura Romane Ecclesie sacrique Imperii sue subiugare viragini non verentur... ,. A ENITTnRPTI e 69 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 197 Giovanni e Guglielmo Manfredi di Faenza, Malatesta e Galeotto Malatesta da Rimini, Bernardino da Polenta di Ravenna, Aldobrandino marchese d’Este, Giacomo e Fran- cesco da Carrara di Padova, Cangrande della Scala di Verona. Fu il 6 maggio 1352 che i Fiorentini si occuparono della elezione degli oratori destinati presso Carlo IV (1). L'istruzione, del 15 maggio, fu pubblicata dal Baldas- seroni (2); contiene l’ordine per cui, passando per la Romagna e per la Lombardia, quegli oratori dovevano cercare il favore e l'amicizia dei Signori di quelle regioni. La ratifica data da Carlo IV ai patti con Firenze è del 30 giugno (3). Ma non precorriamo gli eventi, giacchè sopra di questi fatti dovremo rifarci in appresso. Accenno appena all'ambasciata mandata in occasione della coronazione di Lodo- vico (di Taranto). Nella lettera al re di Sicilia e nella istruzione agli ambasciatori si parla del papa, che favorì la concordia di detto re coll’Ungheria, senza alcuna frase che-alluda, sia pur di lontano, a condizioni di cose che a noi interessino. La parola aspra è riservata soltanto al Visconti: “ Item narrino i detti ambasciadori “ che per la guerra Ja quale l'arcivescovo di Milano colli suoi fauetori et seguaci “ di Toscana et di Lombardia indebitatamente è mossa guerra a Firenze et suoi col- “ legati, et per le novitadi guerreschi — , (4). XVI. Giunti a questo punto, rivolgiamo lo sguardo ad Avignone e alle trattative che colà erano state continuate ancorchè i documenti ufficiali di Firenze le abbandonino troppo nell’ombra. Non siamo informati intorno al tempo in cui giunsero colà gli inviati di Perugia e di Siena: e neppure per gli ambasciatori di Firenze abbiamo notizie sufficienti. Pur troppo le nostre informazioni sulle trattative avignonesi sono molto scarse per il tempo più importante. Una lettera dei Signori al papa del 12 febbraio, VI ind., non si riferisce ad affari di natura politica (5). E di affari privati discorrono anche due (1) Nel Consiglio del Capitano e del Popolo del 5 maggio (1352) si parla della partenza, non ancora effettuatasi, degli ambasciatori presso il re dei Romani; se ne tocca in modo da far intendere già compilata l’istruzione, almeno in quanto si accenna alie proibizioni, “ deveta ,, loro fatte, con cui, siccome diremo nella nota seguente, l'istruzione si chiude. Si parla del modo di eleggere gli amba- sciatori, che devono essere otto, fra quali due, e anzi più di due, spettanti alla classe dei magnati. Altre deliberazioni del Consiglio del Capitano e del Popolo corrispondono a quelle prese nel giorno stesso dal Consiglio del Podestà e del Comune (Provvigioni, XXXIX, fol. 51 x). — Cfr. anche Barpas- seroNI, in “ Studi storici ,, XII, 59. (2) “© Studi ,, XII, 92-4, doc. 13 (dalle Missive, X, 118 bis r e 0). Bisogna far riflessione alla' cir- costanza che il foglietto su cui tale istruzione fu scritta, non appartenne originariamente al volume, ma in esso fu inserto. Ancora noto che tanto la data del testo dell’istruzione, quanto i nomi degli ambasciatori vennero aggiunti dopo, in uno spazio lasciato vacuo: forse l'aggiunta è di prima mano, ad ogni modo si tratta di una inserzione. Ciò serve a chiarire come la minuta degli atti diploma- tici in genere e questa in ispecie si compilarono. L’istruzione chiudesi colle indicate proibizioni, “ deveta ,, cui fu d’altra mano apposta al fine la data del 15 maggio. (3) Cfr. BarpasseronI, “ Studi storici ,, XII, 66. (4) Missive, X, fol. 129 r-130 r. (5) Signoria, Carteggio, Missive, X, fol. 113 r. 198 CARLO CIPOLLA tr 70 lettere ad un cardinale, del 16 aprile, ind. V (1352) (1). Pare che Andrea de’ Bardi e i suoi soci siano partiti solo più o meno intorno a questo momento, o piuttosto prima, in febbraio, secondo un documento che si riferisce in nota (2), osservando peraltro che vi si tace dell’Acciaiuoli vescovo di Firenze. Come accordasi questo con quanto vedemmo più addietro ($ X) sulla partenza del vescovo Acciaiuoli non solo, ma anche del Bardi, il 26 ottobre 1351? Parrebbe che in realtà, e non ostante i propositi fatti, non fosse partito se non il vescovo, seguito dal Bardi e dai suoi col- leghi solo quattro mesi più tardi (26 ottobre 1351, 22 febbraio 1352). Pur troppo i documenti parlano poco e poco chiaramente. Bisogna ricorrere a Matteo Villani, serittore contemporaneo e autorevole; ma certamente è inferiore la sua testimonianza a quella dei documenti, rispetto ad affari politici e a trattative diplomatiche, che si svolgevano intricate e segrete. Dove tac- ciono i documenti, ci soccorre il Villani. Il Villani prima di tutto ci parla (3) in generale dei Concistori (cardinalizi) in cui gli oratori dei Comuni di Toscana ripetevano le loro accuse contro il Visconti, e si lagna che il papa favoreggiasse “ troppo il tiranno ,, che largheggiava di ingegno, di arti, di doni; e dice anzi che per questo il papa “ per alcun cardinale ne fu costan- “ temente ripreso ,. Qui forse c'è un’allusione a qualche discorso tenuto dai Cardinali protectores di Firenze, i quali ne avranno parlato cogli ambasciatori di Firenze stessa. Procedendo innanzi il Villani pone in relazione le trattative aperte con Carlo IV coi negoziati di Avignone. Fra i due fatti esistevano evidentemente legami più forti che non siano quelli della semplice contemporaneità. Ma la relazione che fra essi istituisce il Villani non pare in tutto e per tutto corrispondente al vero. Matteo Villani (4) afferma che “ mentre ’1 Comune di Firenze, di Perugia e di “ Siena havieno gli ambasciatori a Corte di papa avanti all'arcivescovo di Milano, “ vedendosi che la Chiesa per le preghiere del Re di Francia e d'altri baroni, per “la grande quantità di moneta, che il tiranno spendea in Corte, era per essere “ riconciliato e fatto assai maggiore, che non era.in prima; diffidandosi di non potere “ per loro medesimi resistere alla sua potenza; ordinarono molto segretamente di “ volere far movere dalla Magna messer Carlo re de’ Romani eletto imperadore, e “ però mandarono e feeiono venire d’Alamagna a Firenze segretamente il suo cancel- (1) Ivi, X, fol. 125». (2) Questo documento mi è offerto dai Registri di Camera, fasc. 86, fol. 393 v ed è del 18 apr. 1352. Forse l’Acciaiuoli era partito prima e vi si era unito col Bini. Queste date offrono probabilmente la spiegazione del silenzio, che circonda le trattative con Avignone in questo momento. die xvnj aprilis. civibus florentinis ambaxiatoribus electis per Comuni Florentie ad Branche Carini et eundum pro dieto Comuni ad do- Johanni Jaconis / minum Papam — dictus D. Andreas cum quatuor equis et quilibet aliorum cum tribus equis, pro eorum salario triginta dierum intr. die xx mensis februarij proxime preteriti — domino Andree militi de Bardis Bartholomeo domini Amdree ii Le Î honorabilibus popularibut Partirono adunque in febbraio? (3) Lib. II, c. 66 (ed. Murar., XIV, 151-2). (4) Lib. II, ce. 68 (ed. Murar., XIV, 152). 71 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 199 “ liere con grande mandato; il quale fu collocato e stette tutto il verno racchiuso ‘ in San Lorenzo..... ,. Abbiamo veduto (1) che le disposizioni dei Fiorentini e degli alleati verso Carlo IV sono alquanto anteriori al momento, in cui le ambascierie dei tre Comuni si tro- varono insieme ad Avignone, sicchè la cronologia dei fatti, non solo, ma anche la loro reciproca motivazione non può perfettamente accordarsi colla narrazione del cronista (2). Con questo non voglio significare che mancassero allora in Avignone i rappresentanti di Firenze, ma tengo conto sopratutto della lentezza degli alleati (Cfr. $ X, XI). ; Più innanzi, Matteo Viliani (3) ritorna sull’argomento, esponendo l’ambascieria mandata da Firenze alla Corte di Avignone sotto questo punto di vista, che i Fio- rentini vedendosi quasi senz’ altri alleati che i Perugini, giacchè persino i Senesi erano freddi, mandarono al papa i loro oratori per “ inducere il papa e i cardinali , contro il Visconti. Questi allora, per parare il colpo, inviò a Corte un’ ambasciata, composta di uomini esperti e di molta antorità, nonchè provvista di duecento mila fiorini d’oro, per indurre i prelati della Corte in favor suo “ con pieno mandato a “ operare e fare con doni e co ’lloro industria e con promesse, senza havere riguardo “ alla pecunia ,, per ottenere la riconciliazione colla Chiesa e il mantenimento del possesso di Bologna. Sui doni fatti ai prelati avignonesi avevano fiducia, come vedemmo (4), anche i Fiorentini, i quali parlavano del dovere che avevano di ricompensare coloro che si affaccendassero in favore di Firenze. Matteo Villani, com’ è naturale ad intendersi, passò facilmente sopra ciò che i Fiorentini intendevano fare o facevano, e mise in vista ciò che si asseriva rispetto a Giovanni Visconti. Le cronache non toscane sono estremamente laconiche. Fra quelle dalle quali qualche sprazzo di luce si può avere, va annoverata la Cronaca di Parma di Gio- vanni Cornazzano (5), ma in essa l’accordo di Avignone e i fatti di Toscana com- paiono separatamente, senza reciproche relazioni. L'accordo dei Visconti col papa è attribuito all’aprile, il che non è errore, se l’as- soluzione solenne ebbe luogo il 5 maggio. Con bolla del 18 aprile 1332 Clemente VI annunciò all'arcivescovo Giovanni, a Bernabò e a Galeazzo Visconti di ‘averli riam- messi alla pace, nonostante che avessero gravemente offeso la Chiesa. Con altra bolla del 28 aprile il papa concesse ai Visconti il vicariato di Bologna. Finalmente con bolla del 1° maggio Giovanni Visconti fu assolto dalla scomunica (6). A causa del- (1) Cfr. $ IX. (2) Vuole l’Ammrraro (I, 542) che i Fiorentini abbiano pubblicato la lega con Carlo IV, sotto l'impressione dello sdegno che li colpì, quando seppero dell’accordo fra la Corte papale e i Visconti. Lo svolgersi naturale degli avvenimenti, quale ci appare testè, non lascia credere tutto questo facilmente. (3) Cron., III, c. 2 (Murarori, XIV, 161-2). (4) Cfr. $$ ITT, IX, XI. (5) Ap. Murar., XII, 747. (6) SoregLtI, doc. 16 (pp. 349-50), 17-8 (p. 350), 19 (pp. 351-6). — La data del 18 aprile per il il primo di questi documenti desta un po’ di sorpresa; infatti si sarebbe quasi tentati a credere che tutto fosse mantenuto segreto fino agli ultimi d’aprile almeno, poichè gli altri documenti che si rife- 200 CARLO CIPOLLA - È, 72 l'accordo si adduce dal Cornazzano il fatto che il papa comprese come non avrebbe potuto ricuperare Bologna, per cui la concesse all'arcivescovo, il quale dovette riconoscere d'averla dalla Chiesa Romana, e promise di pagare a questa un censo. Le imprese viscontee in Toscana sono coordinate all'invito fatto all'arcivescovo dai Ghibellini di detta regione, secondo quel cronista. È chiaro che la lega fra Firenze e Perugia, cui accedeva Siena di mala voglia, secondo che afferma il Villani (1), non avrebbe potuto condurre alla ricuperazione di Bologna. Le parole altotonanti usate talvolta dai Fiorentini non cambiavano la con- dizione delle cose. È altrettanto evidente che la lentezza degli alleati di Firenze, tante volte da questa città lamentata, pareva fatta apposta per incoraggiare il Visconti, dando a divedere che la lega toscana era fiacca. Firenze riconobbe impli- citamente questa debolezza rivolgendosi a Carlo IV. Clemente VI non poteva non ignorare che poco compatta era l'alleanza toscana, e che sopra di questa ben scarsa fiducia egli poteva nutrire. Questi sono i contorni delle trattative, per istudiare le quali i documenti a nostra disposizione sono pur troppo scarsi, e ad ogni modo molto meno abbondanti di quanto potremmo desiderare. Il Villani considerava i fatti sotto il punto di vista esclusivamente fiorentino, e per di più rifletteva l'ansia penosa del momento, la responsabilità degli ambasciatori, l'incertezza dei Fiorentini, il malcontento dei collegati. Si può facilmente supporre che l'accordo del papa col Visconti riuscisse spiacevole ai Fiorentini, i quali perde- vano la speranza di trovare in Avignone un alleato, e questo dispiacere doveva riflet- tersi nelle loro testimonianze narrative. Dopo quanto abbiamo indicato, il Villani si affretta al momento risolutivo delle trattative di Avignone, col dirci (2) che “ volendo il papa mostrare agli ambasciadori “ de’ tre Comuni di Toscana singulare affezione , li chiamò “ da capo in Concistoro, “e loro propose tre maniere diverse per finire l'affare: o la pace coll’arcivescovo; o la lega colla Chiesa contro all'arcivescovo; o la venuta dell’imperatore in Italia. “ Gli ambasciadori ristretti insieme, che conoscevano e sentivano ove la causa dell'arcivescovo era ridotta, non si vollero rimutare da quello, che altra voîta n’haveano detto al papa, che quello che a lui paresse il migliore erano contenti “ che facesse loro, mantenendo in sul fatto la piena confidenza, che havevano a “ Santa Chiesa e al Sommo Pastore ,. “ » “ Queste parole sono degne di studio; poichè non ci è dato, per ora almeno, di con- trollarle, noi ci possiamo chiedere come tale condotta degli ambasciatori toscani si possa conciliare coi documenti officiali, che abbiamo a nostra disposizione. Ci viene riscono alla esecuzione delle cose stabilite, si raggruppano nel periodo dal 28 aprile al 4 maggio (SorseLLI, pp. 350 sgg., n. 18, 20, 21, 22). La data di una bolla non significa la sua pubblicazione. Al postutto, se anche ad Avignone si mantenne per qualche giorno il silenzio, gli ambasciatori viscontei devono avere mandato con molta sollecitudine numerose notizie a Milano, se l'Oleggio facea pubblicare il risultato delle trattative sin dal 9 maggio a Bologna (SorseLLI, p. 385, doc. 45). (1) AnseLo pi Tura, Cronica Sanese (apud Murar., XV, 126-7), parlando dei fatti di Scarperia, finisce per lagnarsi dei “ malvagi fiorentini , (col. 127 D), ch'egli descrive come invidiosi dei Senesi. Ciò è molto significativo. (2) Lib. III, ce. 3 (ed. cit., col. 162-3). do LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 201 il dubbio che le informazioni di Matteo Villani piuttosto che alla verità puramente oggettiva corrispondano a quella trasformazione che una notizia, pur vera nel fondo, riceve passando attraverso al prisma costituito da chi, avendo troppo viva parte ad un affare, vi assunse responsabilità, che non vorrebbe o potrebbe avere contratte. Ciò è tanto naturale, che avviene quasi inconsciamente. E ancora potremmo chiederci come mai il papa potesse garantire senz'altro la pace tra il Visconti e i Toscani, e ciò proprio nel momento in cui questi ultimi negoziavano con Carlo IV. Si osservi infatti che dopo il 14 aprile, secondo la let- tera circolare che testè riferii ($ XV), dovea essere ormai più o meno divulgata la notizia delle trattative di Firenze col messo del re dei Romani. D'altra parte non sembra anteriore alla fine di aprile la profferta del papa, se badiamo alla concatenazione dei fatti quali Matteo Villani ce li descrive. Ma anche rinunciando a quest’ultima con- siderazione, e supponendo pure che in Avignone, quando il papa convocò in sua pre- senza gli oratori toscani, nulla si sapesse delle trattative col re dei Romani, che si erano maneggiate in Firenze, rimane pur sempre che la narrazione fatta dal cronista si capisce a fatica. Ben s'intende peraltro come fosse facilmente diffusa dagli amba- sciatori la spiegazione dataci dal cronista, e che così essi facessero mentre vedevano che tutto era ormai deciso in favore del “ tiranno ,. Il Villani (1) parla subito dopo, e come di un fatto seguìto senza intervallo di tempo, dell’assoluzione concessa all'arcivescovo addi 5 maggio 1352, mediante la quale questo conservò Bologna. Quindi (2) si torna di nuovo alle relazioni cogli ambasciatori toscani. “ Il papa “ havendo grande appetito! di servire tosto l'arcivescovo, vedendo che ’1 trattare “ della pace promessa a’ Comuni di Toscana, havea a sostenere la causa del tiranno, “ si fece promettere triegua per uno anno, in ‘quanto il Comune di Firenze e gli “ altri Comuni la volessono; acciocchè infra il termine più ordinatamente si trattasse “ della pace. Gli ambasciatori che avieno assai dinanzi avvisati i loro Comuni come “la cosa procedeva, acciocchè provedessono al loro stato, si partirono mal contenti “ di Corte e tornaronsi in Toscana ,. x AVI, Tutta questa esposizione vuol essere sottoposta ad esame, per vedere se sia da accogliere nella sua integrità, o se si debba richiamarne in dubbio qualche particolare. A Bologna il 9 maggio (1352) si pubblicava, in base ad una lettera del Visconti, che “ de mandato domini Summi Pontificis indicte sunt treuguae , fra l'arcivescovo stesso e i suoi seguaci da una parte; Firenze, Siena e Perugia dall’altra (3). Il carteggio officiale della Signoria per lunghi mesi è quasi affatto muto, rispetto alle trattative di Avignone. Appena una indiretta notizia vi leggiamo nella seguente (1) Lib. III, c. 4 (ed. cit., 163-4). (2) Lib. III, c. 5 (ed. cit., 164). (3) SorsELLI, op. cit., doc. 45, p. 385. Serie II. Tom. LIX. 26 202 : CARLO CIPOLLA | 74 lettera indirizzata a Giovanni da Oleggio, che teneva Bologna in nome dell’arcive- scovo di Milano (1). domino Johanni de Aulegio. Litteras vestras datas Bononie .xj. mensis huius, per quas seribitis per Sanctissimum Patrem et Dominum, dominum nostrum papam fuisse indictas treuguas uno anno venturo pro- xime valituras, inter archiepiscopum Mediolani et eius complices et sequaces ex vestra parte ac Comunia Perusin. et Senen., et nostri et dietorum Comunium adherentes ex altera, asserentes eas fecisse, inxtà mandatum eiusdem archiepiscopi Bononie, proclamari, vidimus et intelleximus diligenter. Quibus, actento quod non habemus notitiam ab eodem summo pontifice nec orato- ribus nostris in Romana Curia constitutis de hijs que ipse vestre (2) littere continebant, non videmus quod cum honestate nostra possimus presentialiter respondere. Data Florentie, die .x1I1j. maij, .v. indietionis. Si può pensare che i Fiorentini, dichiarando all’ Oleggio di non aver ricevuto nè dal papa, nè dai propri ambasciatori residenti in Avignone alcuna comunicazione rispetto alla tregua, mettessero avanti un pretesto, tanto da esimersi da una risposta. do è anche possibile ch’essi realmente parlino con sincerità; e che fra le due ipo- i, quest'ultima sia preferibile, sembrami risultare dai documenti dei giorni succes- sivi, nei quali si parla dell'annuncio della tregua proposta dal papa, che i Signori ebbero dai propri ambasciatori. Prima di incontrare un cenno ai negoziati di Avignone bisogna venire al 22 e al 25 maggio. Se il dispaccio degli ambasciatori proveniente da Avignone fosse giunto vari giorni prima della lettera dell’Oleggio, di un affare così grave i Fiorentini sì sarebbero occupati assai prima nei documenti officiali com- pilati nella loro cancelleria, il che non avvenne. , Questi risultati congetturali possono venir meglio precisati dalle notizie di fatto, su cui ora mi fermerò. Noi conosciamo le date delle lettere scritte dagli oratori dei collegati in Corte dì Roma, ma non ci è noto il giorno in cui giunsero a Firenze. Siccome il viaggio era per mare (3), così secondo lo stato di questo potevano arrivare o più presto o più tardi. Ma se, come ora vedremo, la più vecchia era del 28 aprile, non è difficile supporre che non fosse giunta ancora a Firenze il 14 maggio, data della risposta all’Oleggio (4). La lettera che riassume quelle degli oratori è la seguente del 22 maggio (5). Senensibus et Perusinis. Ex litteris nobis de Curia a vestris, Perusin. nostrisque oratoribus destinatis, datis sub die .xxvItj. mensis aprilis elapsi prozime et deinde per literas ambaxatorum nostrorum datas sub (1) Sign., Missive, X, fol. 130». (2) Ms. nre. La emendazione è necessaria e sicura. x (3) Cfr. Verroni, Cronaca, p. 93, dove dice ch'egli sfuggì dall’accettare l'ambasciata di Avignone, non volendo far viaggio per mare. (4) Poco addietro, $ XI, ci occupammo di una ]6ttera della Signoria in data 17 dicembre 1351, inviata ai suoi oratori alla Corte pontificia, in risposta ad altra dei medesimi del 2 di quel mese. La distanza fra la missiva e la responsiva è adunque di 15 giorni. Nessuna meraviglia se in altra occasione una lettera da Avignone possa avere impiegato 16 o 17 giorni. La lettera che riferiremo adesso è del 22 maggio e risponde a quelle degli oratori in Avignone del giorno 6 maggio e dei giorni precedenti. (5) Sign., Missive, X, fol. 131 ». 75 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 208 die .v. et .vj°. maij, satis diffuse concepimus que per Summum Pontificem sunt circa recon- liationem et receptionem archiepiscopi Mediolani ad gremium Ecclesie pie matris et restitu- tionem suam ad beneficia ecclesiastica, quibus ipse et sui consortes privati existere dicebantur ac treuguas indictas per Apostolicam Sanctitatem inter ipsum archiepisecopum et Comunia Senen., Perus. et nostrum solempniter ordinatas. Que omnia per litteras quas vobis die domi- nico proxime preterito (1) misimus, credimus ad vestram notitiam esse deducta ex vestrorum scriptionibus oratorum. Ad que non posse dari responsionem meditatione debita repensantes, nisi quid sit agendum de comuni vestri Perusin. et nostri Comunium concordia, deliberatione debita sancietur, providimus utile, quinimmo fore necessarium, ut Sen. oratores, Perus. et nostri e vestigio cum vestris sapientibus collaturi et provisuri (2) quid dictis Comunibus pro statu eorum expediat et sit dictis oratoribus de Curia ad intimata per ipsos, respondendum. Et ideo fraternitatem vestram actente rogamus, quatenus sapientes pro Comuni vestro.... assùm- mere ut, advenientibus oratoribus Perusinis et nostris de agendis quibuslibet, habito colloquio partium, utile (3) et solempnis deliberatio consequantur (4). Et ecce per alias Comunì Perus. dirigimus scripta nostra, eos ad missionem ambaxiatorum suorum dicta causa excitantes. Quibus, si libet, etiam quod utile cernitis rescribatis et nobis. È Data Florentie, die .xxIj. maij, Wagnd. Segue tosto (5) quest’ altra lettera, che alla precedente serve di complemento: Perusinis. Oratores vestros velitis eligere et evestigio Senas dirigere, cum nostris et sapientibus Senen. collaturi et provisuri quid dictis comunibus pro eorum tutela, statu ac securitate expe- diat et sit dictis oratoribus de Curia ad intimata per ipsos, respondendum, ambaxatorum vestrorum, ut predicitur, accessns diem nobis per vestras litteras intimantes; ex hora debita nostros eo floren. (6) dirigamus. Data ut supra. Di qui apparisce come i Fiorentini non siansi dati la pena di scrivere ai colle- gati, sopra un affare di così alto rilievo, se non il 20, cioè la domenica innanzi al 22 maggio (1352) (7). Aspettavano le necessarie notizie. Questa lettera prova ancora che circa gli oratori mandati in Curia per poco anche non si credevano sulla via del ritorno (8); almeno si riteneva che l’atto ponti- ficio aveva carattere deliberativo. Non si adoperano infatti espressioni di sorta alcuna che lasciano sospettare che si potesse ritornare sulla cosa stabilita in Avignone. Ancora è da notarsi che mentre in questa lettera dimostrano i Fiorentini molta incertezza sulle deliberazioni da prendersi, siccome dinanzi ad un fatto inatteso, non vi si legge nè in modo esplicito, nè in modo implicito nessun lamento sul fatto stesso; anzi non sì solleva neppure alcuna difficoltà giuridica sulla sua leggittimità. Queste due lettere, a Siena ed a Perugia, furono mandate al loro destino veri- (1) I 20 maggio. (2) S'aggiunga “ sint ,. (3) Forse da correggersi in: © utilis ,. (4) Si corregga: “ consequatur ,. (5) Sign., Miss., X, fol. 131 ». (6) Pare che questa parola sia da espungersi. (7) Il 22 maggio scadeva in martedì nel 1352. (8) Veggasi l'istruzione che pubblico al $ XVIII, che parla degli ambasciatori “ che sono in Corte di Roma ,. 204 CARLO CIPOLLA - ia 76 similmente per mezzo di Felice Ammannati che venne dai Signori inviato ai due pre- detti Comuni. L'istruzione data ad Ammannati, scritta il giorno 25 maggio, è ricca di notizie per noi assai importanti. Può ben servire a compiere la descrizione dello stato delle cose in quel tnofanto la seguente lettera agli Aretini (1). Aretinis. Amici Karissimi. A fidedignis sensimus quod Bononie fit gentium ab equo et pede non modicus apparatus, descensurus in proximo ad preiudicia Guelforum presertim colligatoram de Tuscia, et ut aliqui sentire videntur territorium vestrum proposuerunt acce- dere, habentes de civitate vestra tractatum, quod sì veritatem continet, datur occasio vigilandi, ut evanescat intentio emulorum; precamur itaque cireumspectam prudentiam vestram, ipsam cordialiter *deprecantes, quatenus adeo circa civitatis vestre custodiam et terrarum suarum as- sidue vigilatis, quod penitentie non sit locus pro qua adhibenda solertius offerimus que pos- sumus disposita et parata. Datum Florentie, die * xxv° mai), ‘ v* indictionis. XVIII. L'istruzione agli ambasciatori, per trattare con Perugia e con Siena, mette’ la questione sotto un nuovo punto di vista (2). Al nome di Dio amen. Memoria et informazione la quale si fa per parte de Priori d’Arti et Gonfalonieri di Justitia del Popolo et Comune di Firenge a te Felice Amannati amba- sciadore del detto Comune di quello che ai a ragionare ne Comuni di Perugia et di Siena, sopra la risposta la quale fare si dee per li detti Comuni a la lectera mandata per li amba- sciadori de tre Comuni, i quali sono in Corte di Roma (3), la quale contiene in effecto la triegua pronuntiata per lo Sancto Padre tra detti Comuni et loro seguaci dall’una parte et l’Arcive- scovo di Melano et suoi consorti et seguaci dall’altra parte, sopra le quali lectere a detti Priori et Gonfaloniéri, avuto deliberato consiglio, pare che sia da, rispondere in questo effecto, di comune concordia de detti Comuni, in quanto piaccia; cioè: a Che poi che è di piacere et volontà del Santo Padre che triegua sia tra i detti Comuni et loro seguaci et il detto arcivescovo et suoi consorti et seguaci per lo tempo d’uno anno, il Comune di Firenge è contento di non partirsi dal detto volere del sopradetto Sancto Padre, sì veramente che con ciò sia cosa che noi mossi et indocti per lettere del Sancto Padre man- date a tre Comuni, et per relatione facta a Diotifeci (4) da sua parte a detti tre Comuni, et appresso per la lunghega del tractato tenuto in Corte sopra i fatti del decto arcivescovo, et per riparare a le novitadi che s’apparecchiavano-di fare et continuamente si facevano in sul distrecto di Firenge et suoi collegati, i detti tre Comuni prendessono et fermassono concordia ad honore et istato di Santa Chiesa et de la Sua Santità co l’ambasciadore del re de’ Romani, contra la detta concordia non s'intende venire, nè in uno acto mancare, ma quella con effecto (1) Missive, X, fol. 131 ». (2) Sign. Miss., X, fol. 132r. — Un brano di questo documento diede il SorseLLI, op. cit., p. 387, n. 46. (3) È la solita frase per indicare la corte pontificia, dovunque essa si trovasse. 4) © Diotifici, era in Avignone, per servizio di Firenze, almeno sino dal febbraio 1351, siccome dissi nel $ IV. Cfr. $ XXI. 77 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 205 observare, seguire et mantertere al sopradetto re de’ Romani, la quale concordia et ogni nostra promessa al detto re facta pienamente observando, siamo contenti de la detta triegua, in quanto il detto arcivescovo et suoi consorti sieno contenti. Et quantunque le novitadi facte et cercate di fare a noi et a nostri collegati per lo detto arcivescovo sieno sute molte et tucte da racontare, pare che di necessità et utile da racontare le infrascripte cose facte et actentate poi che la detta triegua fu pronuntiata. Però che dopo la pronuntiazione fatta della triegua a posta dall’arcivescovo Tanuccio de gli Ubaldini (1), col- l’insegne del detto arcivescovo et sua gente d’arme tolse et occupò Orbiveto (2), terra posta nel Patrimonio, et essa tiene occupata in vergogna di Santa Chiesa. Dopo una serie abbastanza lunga di fatti consimili, uno dei quali riguarda un pericolo corso, nella via da Forlì a Ravenna, dagli ambasciatori mandati al re dei Romani, l’istruzione finisce con quell’accenno importante che adesso riferirò, avver- tendo che sopra di un altro fatto di guerra l’attenzione nostra si fermerà di qui a poco ($ XIX). “ Et se avenisse caso che per gli Perugini et Sanesi si dicesse che gli amba- “ seiadori saranno partiti di Corte, in questo caso deliberino a cui sia da scrivere, “ per che ciò venga a noticia del Sancto Padre, et di quello che per ciascuno de detti “ Comuni si prenderà di scrivere, si faccia nota, sì che concorra lo loro serivere col “ nostro. Dat. Florentie, die xxv maij, quinte indictionis ,. I Fiorentini bramavano la tregua, poichè la guerra gli stremava (3). Qui non (1) Noto che è scritto: “ de Gliubaldini ,. Così scrivevasi in quella età: “de Lascala , per: Della Scala ,, giacchè trattasi di una regola ortografica. (2) Nella bolla del 21 luglio 1352 il papa si lagnava per la occupazione di Orvieto da parte del Visconti; fu pubblicata dal SorseLLI, op. cit., doe. 26, p. 361. (3) Della spedizione toscana rinnovata dal Visconti nel 1352 parla il SorseLLI (op. cit., p. 140-1), il quale osserva come questa volta essa fosse condotta non più dall’Oleggio, ma da Luchino dal Verme, il famoso condottiero, amico del Petrarca, che assistette in Venezia al suo ritorno glorioso dalla spedizione Cretese, e che a lui aveva indirizzata la sua famosa epistola sui doveri del capitano (Cfr. KòrtIne, Petrarca’s Leben und Werke, Lipsia, 1878, p. 368 sgg.). Sotto la data del 18 sett. 1353 (Provvigioni, XL, 54) abbiamo una notizia indiretta sulla guerra attuale e sulle sué conseguenze politiche e finanziarie. Marchionne di Coppo Stefani (Istorie, ed. cit. del p. Ildefonso, in Delizie, XIII, 155 sgg.; lil. VIII, rubr. 646 sgg.) fece menzione dei provvedimenti da Firenze presi per armarsi nella guerra contro i Visconti; tralasciò (ivi, rubr. 658-9, pp. 174-5) di far cenno della carestia che aggravò allora le angustie della città. Ma ciò ch'egli dice, particolarmente per riguardo agli assoldamenti militari, è poca cosa in confronto di quello che si potrebbe raccogliere dai documenti, chi volesse occuparsi con cura di questo interessante argomento. Dò intanto il documento or ora citato: “ Item quod cum propter guerram et alia diversa occursa a M°CCC° quinquagesimo a kalendis “ mensis augusti dicti anni citra, multa Comunia et Populi Comitatus et Distrietus Florentie obmi- “ serunt solvere impositam sive extimum soldorum decem florentinorum parvorum pro libra qualibet “ eorum extimi et solidorum quindecim florentinorum parvorum, impositam eisdem factam pro “ quingue peditibus pro centenario eorum extimi — ,. Non ci mancano i mezzi per conoscere le forze di cui disponevano i Fiorentini in queste guerre, e per comprendere la gravità delle spese che, per tale motivo, essi dovevano sostenere. Nel vol. XL (1° numerazione, fol. 11) trovo un curioso documento intitolato: “ Considerantes domini Priores et “ Vexillifer predicti, quod presentes camerarij Camere Comunis Florentie, mandatis dominorum “ Priorum et Vexilliferi predictorum et Offitialium Conduete Comunis Florentie obsequentes et quadam “ quasi necessitate cogente pro utilitate dicti Comunis Florentie mutuaverunt infraseriptis existen- R 206 CARLO CIPOLLA È 78 c'è altra preoccupazione (1) che quella di dover rimanere fedeli all'alleanza col re dei Romani, la quale era diretta, in ultima analisi, contro il Visconti. Non si esprime affatto il rammarico che la pace non sia stata promulgata in Avignone in maniera da includervi Firenze e i suoi collegati, poichè tale eventualità rimaneva di per sè stessa esclusa dallo svolgimento avuto dagli avvenimenti, e dalla lega contratta per tutt'altro scopo col re dei Romani. XIX. Incidentalmente trovo peraltro un indizio di qualche negoziato di accordo, in Avignone, prima della lega di Firenze col re dei Romani. L’accenno cui alludo, collegasi con un fatto militare, riferito da una lettera del 21 aprile, redatta in Cortona dal Capitano d’armi del Visconti. A questo incidente militare si riferisce uno dei capi d’accusa registrati nella citata ($ VII) istru- zione del 25 maggio, e cioè: i Et che il suo vicario il quale è in Cortona, essendo l’oste del comune di Firenge a Ver- “ tibus ad stipendia Comunis Florentie seu servientibus ad provisionem Comuni predicti infraseriptas “ pecunie quantitates de ipsorum stipendijs, provisionibus sive paghis, videlicet Bernardo de Meglie “ libras centumquinquaginta; Suader et Ermanno, libras centum; Roggerio Crucis libras “ trecentosquinquaginta; — ,. L'elenco è lungo, con 123 nomi, ma ci sono parecchie ripetizioni, per i nuovi prestiti. Trovo infatti verso la fine dell'elenco due poste, che sembrano la ripetizione delle due prime testè riferite: “Bernardo de Meglie libras centum; Ermanno de Manutem et Suader libras centum; ,. Nè questo è il solo caso. De’ nomi molti sono tedeschi, ma numerosi sono anche di italiani, sia di Toscana, sia di altre regioni. Più innanzi si lodavano gli stipendiari che nel soccorso di Barga [terra del Lucchese] “ fideliter et strenue se habuerunt ,, accennando che quindi “ ipsis stipendiarijs veniebat magna quantitas € pecunia exsolvenda, tom pro mendis equoram, tum pro gaggiis eis promissis ultra debitum con- “ ducte de eis facte, tum etiam pro officio marischalcie et portatura honorabilis banderie communis “ predicti — ,. Così leggesi nella provvigione del 15 nov. 1852 (fol. 197 0) nella quale si contiene anche leletco dei Conestabili: “ Nomina vero dietorum Conistabilium seu proborum virorum sunt “ ista, videlicet — ,. L'elenco contiene 45 nomi, forse tutti oltremontani. Comincia: * Ermanno Der- © sule Arrighus de Raunspergh, ece. ,. I documenti precedenti sono rafforzati anche da-quanto si legge nel Liber Fabarum, XXXII, fol. 5-6», sotto il 19 novembre 1352. Vi si parla dei condottieri e stipendiari, quasi senza eccezione oltremontani, ai quali si accordò la straordinaria ricompensa loro promessa, combattessero essi a piede o a cavallo, perchè “ interfuerunt fulcimento seu successuîi terre Barghe, districtus Florentie, “ sen in cavalcata novissima pro Comuni predicto ad dictam terram Barghe ,. Questi cenni sparsi e mingherlini non bastano certo a ricostituire, neppure per un istante di tempo, la storia complessa e bella degli oltremontani ai soldi di Firenze. I Registri ne sono pieni; e in ispecie dai Registri di Camera notizie senza numero si potrebbero raccogliere, giacchè per ogni bimestre sono elencati i nomi degli stipendiari, colle somme loro date, în separati fascicoli. G. Cawesrrini, Documenti per servire alla storia dla milizia italiana, “ Arch. stor. ital. ,, I Serie, XVI, 45, pubblica un documento del 1347, ma per l’epoca cui si riferisce il nostro argomento nulla ci presenta. (1) Se crediamo all'Ammraro (Istor. fior., I, 542) che ripete il racconto di M. Villani riguardo alle conclusioni di Avignone, i Fiorentini pubblicarono i patti con Carlo IV, sdegnati per l'accordo conchiuso fra il papa e l’areivescovo di Milano. Ma non vedo come eid si possa accordare coi dati cronologici dati dai documenti, e coll'impressione complessiva che questi producono. 79 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, ECC. 207 tine (1), terra sua rebellata per alcuno cittadino di Firenge, in preiudicio del detto Comune, scrisse al Capitano dell’oste che si partisse dal detto assedio col detto oste, dicendo che Vertine era sottoposto a l’arcivescovo di Melano. Se si prendessero tutte queste indicazioni alla lettera, dovremmo credere che la tregua di un anno fosse stata non solo stipulata dal papa prima del 21 aprile, ma anzi tanti giorni avanti a questo, quanti sarebbero stati necessari perchè la notizia pervenisse a Milano e da Milano a Bologna e a Cortona. Ma interpretando in questa maniera i documenti che abbiamo fra mano, correremmo rischio d'ingannarci d’assai. Si accusano i Viscontei di aver rotto la tregua stabilita in Avignone e imposta dal papa, non proprio perchè si tratti di un’infrazione a patti accettati, ma in gene- rale perchè ciò ch'era avvenuto dimostra le loro cattive intenzioni e il desiderio ch’essi avevano di recare ai Fiorentini ogni male possibile. Ecco la lettera cui accenno. Di mano diversa da quella solita ad incontrarsi in questo Registro leggesi questa lettera (2), che fu evidentemente sequestrata al nemico. “ Copia unius littere directe per dominum Raynaldum de Assandris capitaneum “in partibus Tuscie pro domino magnifico domino Mediolani ete. ,. Epigramma: “ Preexsidentibus in exercitu Florentie iuxta castrum de Vertine ,. Cum Lapus de Biassoli et fratres dederunt se et sua et quicquid acquisiverant contra hostes protectioni et dominio domini Mediolani, et castrum Vertine sub ipsa protectione teneant et vos ibi hostilicter exstis (sic), non obstante quod a dicto domino iam receperint in mandatis quod infra (3) unum mensem incipiendo in Pascha Resurrectionis Domini (4) per ipsos non fiat aliqua novitas, nec per alios subiectos domini Mediolani, et vos Vertine exstis in exercitu, non obstante treugua predicta, significamus vobis, visis presentibus, quod a dicto castro placeat discedere, alias secundum mandatum domini Capitanei Bononiensis providebimus de remedio opportuno. Dat. apud Cortonam, die xx} aprilis. Raynaldus de Assandris Capitaneus in partibus Tuscie pro magnifico domino Mediolani. Il solito cancelliere la fece seguire (5) da una nota o pro-memoria, in cui Lapo Biassoli e i suoi fratelli vengono accusati di avere tentato di impedire il negoziato di pace che in Sarzana si ventilò fra gli oratori di Firenze, di Perugia, di Siena, di Arezzo d& una parte, e quelli dell'arcivescovo di Milano dall'altra. Il fatto ivi è attri- buito al 1852 st. fior. (= 1353) “....de anno Domini millesimo cocli], indictione sexta, «“ de mensibus februarij et martij,. Per ora basta accennare a questo importante e noto episodio diplomatico; di qui a poco dovremo ritornare sulle trattative di Sarzana (6). (1) Terra situata nel Chianti, in Val d’Arbia; cfr. Reperti, Dizionario della Toscana, V, 103. (2) Sign., Missive, X, fol. 132 è. Eye (4) Nel 1352 la Pasqua seadde nel giorno 8 aprile. (5) Missive, X, fol. 132 è. (6) Cfr. $ XXI. - 208 CARLO CIPOLLA © 80 Riprendiamo ora la nostra via. Gli ambasciatori di Firenze presso la Corte Avignonese lasciarono la residenza pontificia negli ultimi giorni di maggio. Le concessioni fatte dal papa agli amba- sciatori toscani sono del 23, del 24 e del 25 maggio 1352 ($ I), siccome abbiamo appreso dai documenti Vaticani. Con bolla del 16 maggio Clemente VI (1) accompagnò alle rispettive città gli ambasciatori di Firenze Pietro Bini, il vescovo Acciaiuoli, Andrea dei Bardi, e gli ambasciatori di Siena e di Perugia: in questa bolla era pur detto ch’essi erano in grado di riferire ogni cosa a chi di dovere. Siccome le grazie dovevano essere anteriori alla partenza, così possiamo ritenere che questa sia avve- nuta non prima del 25 maggio; nel tempo stesso dobbiamo credere che la partenza siasi effettuata subito dopo la concessione della grazia, cioè, secondo ogni probabilità, ancora sullo scorcio di maggio. Ma c'è una difficoltà, la quale ci offre l'occasione di parlare nuovamente del Petrarca. In una lettera datata “ad fontem Sorgiae, x kl. iunii, il Petrarca (2) confidenzialmente scrive al Priore dei Santi Apostoli lagnandosi che il vescovo di Firenze non fosse venuto a pranzare da lui, siccome gli aveva promesso. Nella chiusa peraltro soggiunge che il vescovo finalmente arrivò. Siamo obbligati quindi a credere che egli si trovasse fuori di Avignone il 23 maggio. Dobbiamo quindi far anticipare la partenza degli ambasciatori di un paio di giorni? Può negarsi, poichè altro è la visita al Petrarca ed altro è l'abbandono definitivo della Corte papale. Non voglio peraltro omettere d’avvertire che nelle con- cessioni agli ambasciatori fiorentini, che sono tutte del 25 maggio, nominalmente viene menzionato solamente il Bini. Forse quindi non è del tutto indispensabile il ritenere che l’Acciaiuoli sia rimasto a Corte fino a quel giorno D'altra parte sembra invece che ciò sia realmente da ammettersi, poichè col plurale usato nella seconda concessione pontificia, “ ambassiatores ,, non potevasi convenientemente accennare se non ‘al vescovo Acciaiuoli ed al Bardi. La bolla ora citata del 16 maggio parla di questi due e del Bini e non di altri. Si potrebbero accordare le indicazioni contradittorie pensando che il 23 maggio il vescovo abbia fatto una visita al Petrarca ritornando poi nuova- mente a Corte, ma sembra che la spiegazione sia stiracchiata: non possiamo scio- gliere con certezza questi dubbi, che d’altra: parte hanno scarsa importanza, quando l'insieme dei fatti sia assicurato. Appena arrivato a Firenze, verso il 10 o il 15 giugno, il Bini fu subito impie- gato in un officio importante, e che si collega direttamente colla sua missione in Avignone. Ciò costituisce un fatto molto notevole, poichè dimostra che la sua con- dotta durante le trattative fra Clemente VI e l’arcivescovo Giovanni, se spiacque ad alcuni dei cittadini, poco addentro nella cognizione della vera condizione delle cose, fu invece approvata da coloro che in Firenze aveano il governo. (1) Guasti-Berri, Capitoli del Comune di Firenze, II, 495; BaLvassERONI, in “ Studi storici ,, XII, 91. (2) Familiar. XII, ep. 12 (ed. latina del FracassertI, II, 195-6). 81 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 209 Abbiamo l’istruzione in data 21 giugno (1352) ai due ambasciatori mandati a Perugia ed a Siena; uno dei due era appunto Piero Bini (1). Ne trascrivo qualche brano : ‘ Informazione agli ambasciadori che vanno a Perugia et a Siena, cioè messer Guelfo da Montisci et Pietro Bini ambasciadori. Imprima premesse le debite salute in ciascuno de detti Comuni Apresso narrerete come per nostro ambasciadore significamo loro che lo piacessi farci chiari di loro intentione quello che fosse da prendere della triegua la quale fu comandata per nostro Signore messer lo papa, et che a noi parea da prenderla, in quanto non preiudi- ‘casse a facti dello imperadore, et come per loro ci fu risposto che al presente parea loro da soprassedere in fino a la tornata de loro et nostri ambasciadori che erano a Vignone, et però con ciò sia cosa che i loro et i nostri ambasciadori siano tornati, piaccia loro di specificarne la loro intentione. } Se domandano della nostra fintentione], sopra le dette rispondano che noi, considerate a ogni parte che dire si potrebbono, pare sia il meglio a prenderla, et che questa non ci pare c’ostea (2) a niuna cosa facta, ma che più tosto, prendendola, ne potrebbe seguire utile, asse- gnando intorno di ciò quelle ragioni che per voi saviamente dire si sapranno. Omissis. Data Floren. die .xxj. iunij, quinte indictionis. I Fiorentini accettavano adunque la tregua e dai documenti rimane affatto estranea ogni lagnanza per la pace mancata. Si capisce che a Firenze non si era poi troppo sicuri circa le speranze fondate sul re dei Romani, checchè circa l’alleanza con questo nei documenti si fosse proclamato, siccome si è detto. Poco appresso i Signori mandarono a Perugia, Simone Peruzzi, “ Perugi ,, con istruzione del 26 giugno (3). Al primo comma leggiamo un incarico che comprende inevitabilmente anche la controversa faccenda della tregua: “ m prima sarai con messer Guelfo (4) et collui insieme seguirete la commis- “ sione che è da noi ,. Nè basta ancora. I Signori di Firenze colla loro insistenza dimostrano aperte le loro intenzioni e le loro speranze. Nella istruzione (5) a messer Arnaldo Altoviti e a Giovanni Lanfredini, amba- sciatori a Perugia, come già osservò il Baldasseroni, si accenna ancora alla tregua. Ai Fiorentini spiace che i Perugini esitino nell’accettarla, nella forma da essi proposta. Infatti al terzo comma si dice: “ Anche sopra il fatto perchè andò messer Guelfo, “ de la triegua, direte ch'è bene che la loro risposta intorno a ciò fosse di volerne “ quello che noi, noi sentimo che nel vero de la detta triegua eglino n'era male “ contenti, et ancora per istrette bisogne il vescovo conviene che di presente vada “ ne’ regno, il che avea a scrivere et a seguitare il detto ragionamento de la triegua (1) Missive, X, fol. 135 » e v. Un sunto di questo documento fu pubblicato dal SorBELLI, op. cit., pp. 887-8, doc. 47. (2) Cioè: che osteggi, che si opponga. (3) Missive, X, fol. 135 0-136 r. (4) Montisci. Cfr. l'istruzione del 21 giugno (1352), testè data. (5) Signoria, Carteggio, Missive, XI, 1 v. Serie II. Tox. LIX. 27 210 CARLO CIPOLLA 4 82 -_ “ et non essendo non si potea seguitare et per le sopradette ragioni non è scritto “ ma soprasiesi al presente ,. Porta la data del 7 luglio, VI ind. (1352) (1). Sotto la stessa data viene poi l'istruzione (2) agli ambasciatori a Siena, Paolo Covoni e Luigi di Lippo Aldobrandini, e in essa si contiene, tal quale, lo stesso capitolo. | Pare adunque che si volesse discutere della faccenda presente il vescovo, cioè Angelo Acciaiuoli, vescovo di Firenze, il quale avrebbe potuto esporre e difendere il pensiero dei Signori. . Qualche giorno dopo i Signori rivolgevansi ancora a “ Luysio Lippi et Paulo “ Covoni ambaxiatoribus Senis , e parlavano loro ancora una volta della tregua, ordi- nando loro di trattarne coi Senesi, insistendo per bel modo affinchè si accettasse quanto il papa offriva. La lettera è del 10 luglio, V ind. (1352) (3), e mi sembra ‘conveniente il riferirne quanto segue, per la luce che se ne sprigiona ad illuminare la nostra intricata questione. AI facto della triegua, ogni cosa considerata, ci pare che -dove i Perugini et Sanesi ne siano d'accordo, si debbia prendere, et che di volontà di tre Comuni si debba rispondere al papa, che di ciò siamo contenti della forma delle lettere, come a ’lloro et a Perugini ne pare si scriva, et a noi piaccia di notificalloci, a ciò che quello medesimo per noi sì faccia di comune volontà. Et se del modo come la detta triegua debba procedere volessono ragionare, ci pare v'atendiate, et a noi qua raportiate quanto da ’lloro n’avete. Novella niuna c’è poi che di qua vi partiste. Data Floren. die .x. iulij, .v. indict. (4). XXI. Il trattato col rappresentante del re dei Romani era stato da lungo tempo se- gnato, ma i negoziati pur continuavano oltr'Alpi. Parlammo dell'ambasciata mandata dai Signori di Firenze a Carlo IV, colla credenziale del 17 maggio (5). Abbiamo un accenno anche alla ratifica fatta da Carlo IV addì 30 giugno (6). * Le relazioni buone e cordiali con Pisa non erano state interrotte dai Fiorentini. Sotto il 20 giugno 1352 trovo registrato il ricordo di un’ ambascieria mandata a Pisa e composta di Diotifeci di ser Michele milite e di Rossolino Guitij (7). Quei di Pisa erano preoccupati non solo.-della potenza del Visconti, ma anche delle conseguenze che seco avrebbe potuto trascinare la discesa di Carlo IV e si ten- tava ogni buon mezzo per impedirla. Addi 6 agosto (1352) (S) i Signori scrissero ad Arnaldo Altoviti e a Loisio Gianfigliazzi, informandoli di una profferta fatta al Pia (1) La cifra VI dell’indizibne è un errore di penna, e ciò apparisce dagli atti che precedono e che seguono. 3 (2) Miss., X, fol. 2. (3) Ivi, fol. 2r ». (4) Missive, X, fol. 2 ». (5) Missive, X, fol. 1831. — Fu pubblicata dal SorseLti, doc. 43, p. 384. (6) BaLpasseroni, “ Studi,, XII, 66. (7) Registri di Camera, fascicolo 88, fol. 402». — Sul Diotifeci cfr. i $$ V, XVIII. (8) Missive, XI, fol. 4v. — Il documento fu pubblicato dal SorseLLi, doc. 51, pp. 392-3. 83 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 211 Comune da Lotto Gambacorta (1), il quale avea riferito che egli ed i suoi erano desiderosi di vedere in pace i Comuni Toscani (2), e che dubitavano come questa potesse venir compromessa dalla “ venuta de lo imperadore, considerato che è Signore “ istrano (8) et che il suo avolo et precessore fu passionato di qua per li Comuni Guelfi, “et per tanto et altre cose si vede per loro, rischio in farlo discendere. Et conchiuse “ che, quando ci piacesse, s’interporrebbono di tractare accordo tra noi colligati et “ l'arcivescovo ,. I Fiorentini risposero che i collegati pure erano “ vaghi et desi- “ derosi di pace ,; prendevano tempo, dicendo che tali profferte non erano fatte di guisa da poter essere partecipate ai collegati. Tuttavia in realtà ai collegati le par- teciparono colla lettera, di cui questo è l'estratto (4). Poco dopo giunsero di oltr'Alpi le modificazioni che il re dei Romani aveva introdotto nel trattato, e Firenze dava opera perchè si venisse alla stipulazione defi- nitiva fra i rappresentanti dei Comuni collegati e quelli del re, e ciò si facesse in Venezia od in Padova (5). Ma non per questo chiudevano i Signori gli orecchi agli insistenti consigli che venivano loro dati da Lotto Gambacorti (sic). Perciò si avviarono alcuni negoziati segreti a Sarzana, dove convennero tosto due religiosi da parte di Firenze e due altri da parte del Visconti (6). Qui il processo di queste trattative (7) riesce ormai del tutto estraneo al fatto (1) Ste. A (2) Già imparammo anche dall’Ammraro, Storia fiar., I, 529, che i Gambacorti furono, in questo periodo, bene disposti verso Firenze. La politica di Firenze si svolse in tutto questo periodo paral- lelamente a quella di Pisa, e questo ne costituisce una spiccata caratteristica. (3) Cioè: straniero, non italiano. i (4) Per il bimestre luglio-agosto 1352 manchiamo del fascicolo sul pagamento degli stipendi, nei Registri di Camera. Nel fase. 95 (94 in azzurro), fol. 519 7, sotto il 29 novembre 1352, sì accenna a Stefanino Ducci del Forese, ambasciatore a Pisa : il medesimo, coll’identico officio, viene registrato anche sotto il 29 dicembre (ivi, fol. 522 7). s (5) Lettera a Luigi Gianfigliazzi e a Bernardo Ardinghelli, 25 agosto, nel vol, XI del Carteggio, fol. 5 0-6 ». (6) Istruzione a Guglielmo Lupicini ambasciatore a Siena e a Perugia, 25 novembre (1352) (Missive, fol. 7v, ed. dal SorseLLI, op. cit., pp. 393-4, doc. 52): riguarda i preliminari di Sarzana. Ben prima d'ora a quell’ambascieria i Signori aveano pensato; infatti nei Registri di Camera (fase. 93 [92 in matita azzurra], fol. 632 #) sotto il 22 settembre (1352) leggo ricordato il Lupicini quale ambasciatore a Perugia, e di nuovo (ivi, fol. 634 v) lo rileggo, collo stesso officio, sotto il 23 ottobre. Ad altri invece venne affidata la missione di ambasciatore a Siena: sotto il 22 sett. (ivi, fol. 632, a Luigi Gianfidiazzi; sotto lo stesso giorno (fol. 632 v) a Bernardo Ardinghelli; sotto il 27 sett. (ivi, f. 633 7) a Maggio di ser Pepi; sotto il 27 ottobre (ivi, fol. 635 ») a Filippo Cionetti Bastari e a Bernardino Tomasini; sotto il 30 nov. (fasc. 95 [94 in azzurro], fol. 519 #) a Gherardo Bordoni milite e a Nicolò di Ghino Tornaquinei. (7) Sulle trattative di Sarzana cfr. PerrENs, Hist. de Florence, IV, 420-1, e specialmente Bat- DASSERONI, “ Studi ,, XII, 77. Esse furono disturbate fra il febbr. e marzo 1353 (1352 St. fior.) da Lapo Biassoli e dai suoi fratelli, al che allude una nota in Missive, X, f. 123. La pace fu con- chiusa, dice il BarpasseronI (loc. cit., 79), addì 31 marzo. La “ ratificatio , data dai Fiorentini alla convenzione è del 16 aprile 1353 e leggesi in Provvigioni, vol. XL (1352-58), fol. 917. — Non tra- lascio di ricordare per l’illustrazione dell'insieme dei fatti anche l'importante monografia del Bat- DASSERONI, Relazioni tra Firenze, la Chiesa e Carlo IV, 1353-55, in “ Arch. stor. ital. ,, 1906, 5* serie, XXXVII, 3: egli prende le mosse dalla morte di Clemente VI e nelle prime pagine raccoglie notizie ed osservazioni che di riflesso possono illuminare alquanto anche i fatti antecedenti. 212 CARLO CIPOLLA - *- 84 particolare al quale ci siamo trovati dinanzi; e quindi perdo di vista volontariamente i negoziati definitivi di Sarzana (1). Clemente VI morì il 2 dicembre 1352, mentre il Petrarca trovavasi ormai lon- tano da Avignone. Gli interessi dei nemici e degli amici a questo momento si sono ormai cambiati, e le condizioni politiche e militari si sono profondamente mutate (2). XXII, La nostra esposizione è terminata. Abbiamo veduto come si svolgèssero le trat- tative diplomatiche della Signoria Fiorentina colla Corte Avignonese, con Carlo IV, con Lodovico di Brandeburgo. In tutto questo intreccio di fatti e di negoziati, incon- trammo bensì il nome di Giovanni Boccacci, ma quello del Petrarca non ci si pre- sentò giammai. i i Le ambascerie fiorentine si trovavano in Avignone, mentre colà si trovava il Petrarca. Messer Francesco era accettissimo a Corte, in ottime relazioni d'amicizia coi cardinali, che lo desideravano segretario pontificio, legato da salda e vecchia ami- cizia collo stesso Clemente VI. Eppure non risulta affatto nè ch’egli siasi mosso in favore di Firenze, sebbene spesso si denominasse “ clericus florentinus ,. nè che la Signoria della sua patria si giovasse di lui, o almeno a lui pensasse. La mancanza di notizie è un argomento ex-silentio, cioè un argomento che d’ordinario non prova assolutamente. Ma pure è un fatto assai grave, anzi in questo caso esso forse basta a far prova, giacchè se il Petrarca aveva pensato a Firenze o questa a quello, i docu- menti cancellereschi e letterari avrebbero dovuto esser diversi. Messer Francesco si trovava pure in cordiali relazioni con Carlo IV, di cui Firenze cercava allora l’amicizia per conquidere il tiranno milanese; ma neanche in queste trattative egli ebbe parte. Se, come pare, è di questo momento, cioè del 1352, la lettera ($ XIV) che indirizzò a Carlo IV per consigliargli la calata in Italia, essa fu scritta al di fuori dell'èùmbito delle trattative, che tentammo di parzialmente descri- vere. Non riproduce le vere condizioni degli animi in Toscana verso l’imperatore, e men che mai s'incontra collo scopo che Firenze si era proposto quando legossi .cél re dei Romani. Il nemico di Firenze era l'arcivescovo Giovanni Visconti. Messer Francesco era graditissimo alla Corte di Milano, che per vari anni l’aveva avuto ospite festeggiato. Ma se Firenze desiderava prima la tregua e quindi la pace col tiranno di Lombardia, non per questo essa rivolse il suo pensiero al Petrarca. Nella sua bella dissertazione sulle relazioni del Petrarca .coi Visconti (3) Francesco Novati ci spiegò quanta fosse . la famigliarità del cantore di Laura coi potentissimi Signori Lombardi. Ma queste cir- costanze non furono da lui fatte servire in vantaggio della causa fiorentina. (1) Cfr. $ XIX. (2) L'istromento della lega conchiuso fra Firenze, Perugia e Siena ad Arezzo, il 25 febbraio 1354, si legge in Capitoli, XXVII, 3 numerazione, f. 35 sgg. Il documento principia: “ Exultent magnifica “ et potentia Comunia Florentie, Perusij et Senarum ceterique alij ipsorum comfratres et amici © statum guelfum et liberum persequentes — ,. Dante si compiaceva di frasi giuridiche; orbene, leggendo queste parole, non si può a meno di pensare al famoso verso Godi Firenze, etc. (Inf., XXVI, 1). (3) Inserita nel volume Petrarca e 7a Lombardia. Milano. 1904. 85 LA DIPLOMAZIA FIORENTINA E IL SOGGIORNO DI FRANCESCO PETRARCA, Ecc. 213 Il Petrarca facilmente era sospetto a Firenze. La sua amicizia coi Visconti lo dovea rendere sgradito in patria. Al postutto, dalla patria viveva lontano, e i Signori fiorentini preferivano i loro cives o i Cardinali protectores; essi non sapeano che cosa sperare dal loro concittadino, che ad altro rivolgeva l’occhio e l'animo. Petrarca era fiorentino, e ci teneva ad esserlo, ma a Firenze non metteva mai piedi. Egli era in patria, a dir così, dimenticato e non veniva guari riguardato siccome “ civis florentinus ,, quantunque volentieri egli assumesse il titolo di “ clericus fio- “ rentinus ,. Le vicissitudini della vita lo avevano reso straniero alla patria, crean- dogli, di fronte a questa, una posizione singolare. Da parte sua il Petrarca preferiva l’idealismo poetico di una lettera, che è un inno all'Italia e all'impero, alle difficili noie di una intricata matassa diplomatica, dove era richiesta la pratica degli affari piuttosto che la concezione artistica. Affari privati lo conducevano spesso alla Corte papale; essi non aveano relazione alcuna coi negoziati politici. Il Petrarca fu talvolta, nella sua vita, anche diplomatico, ma in altro modo e con diversi intenti. L’anno che va dalla state del 1351 all'autunno del 1352 (1) trovò il Petrarca in Avignone, dove si disputava d’uno dei più gravi affari, interessanti la politica fio- rentina. Ma il Petrarca, per quanto possiamo supporre in base alle fonti che stanno attualmente a nostra disposizione, non ebbe occasione, o forse anche non ebbe desi- derio di occuparsene. Il silenzio assoluto così delle fonti letterarie come di quelle diplomatiche c’in- duce a ritenere, finchè nuovi dati non vengano a cambiare lo stato delle nostre cogni- zioni, che, in questi duri frangenti attraversati da Firenze, la mente di messer Francesco rimanesse estranea agli affari della sua città nativa. Tuttavia non manca un cenno sull'incontro del Petrarca con uno degli amba- sciatori fiorentini, cioè con Angelo Acciaiuoli vescovo di Firenze, ch'egli invitò a pranzo, presso alle sorgenti del Sorga. Il Petrarca stesso, come vedemmo (2), ne serbò notizia in una epistola (3). Ma è un incontro di carattere puramente privato, senza mescolanza cogli affari politici del tempo. Come alla lettera del Petrarca a Carlo IV, così pure anche a questo particolare domestico, può servire di commento il considerare la gravità del momento storico, che allora si agtraversava in Italia ed oltralpe. Nel tempo stesso l'atteggiamento tenuto dal Petrarca c’insegna che, in conseguenza degli avvenimenti che gravi incalzavano, l’iniziatore dell’ Umanismo trasformava l’amore della città nativa in un sentimento diverso, meno ardente, se si vuole, ma nel tempo stesso più largo e comprensivo. Si può anche dire che il Petrarca non è più il cittadino di Firenze, ma il cittadino d’Italia. Ben si riconosca peraltro che questi sentimenti non sono speciali alla per- sona del Petrarca, nè ebbero inizio soltanto nell'epoca sua: e si ammetta anche che a spiegare l'atteggiamento del Petrarca, non ad una sola, ma a molte e com- plesse ragioni è conveniente far ricorso. (1) Per l'itinerario del Petrarca, cfr. ciò che ne dice il Fracassetti nei Prolegomena all'edizione latina delle Epistolae de rebus familiaribus del Petrarca, vol. I, p. cxt. (2) Cfr. $ XX. (3) Fam. XII, ep. 12. (O) j Ù . è L è para . de . i A PPT Leb; cs 19 La > ‘n DOP, Tad wii Di: LL 4 don . î (VIE PI pad TELIT ATTI VM 1° "” “SA po Pat TIA. san sid f SO oo n 7 alteb.iali sent 213 RADEON SUIT fi datto 1, it pila RURLI ani e" attafi ‘Te? a pe tt soi Delete :à0n ‘adonli lita state bale» 4% ip n a * VAS MR, L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CARLO BOTTA [1799] MEMORIA del socio GIOVANNI SFORZA Approvata nell'adunanza del 28 Marzo 1909. Riunito che fu il Piemonte alla Francia, il Direttorio, “ considerando quanto “ importi il regolarne l’amministrazione provvisoria, affinchè gli abitanti di esso “ possano al più presto godere i frutti della libertà, da essi dovuta alle armate vit- “ toriose della Repubblica ,, il 5 marzo del 1799 vi mandò Commissario politico e civile Giuseppe Maturino Musset. Era originario della Bretagna, fu parroco di Fal- leron nella Vandea, sedè nell'Assemblea legislativa, nella Convenzione nazionale e nel Collegio degli Anziani; dirigeva allora l’amministrazione del lotto. “ Uomo buono , è chiamato dal Botta (1). Non ne dette, peraltro, la prova quando votò senza appello nè ritardo la morte del re Luigi, quando servì senza ribrezzo la tirannia del Ter- rore. Una, delle pochissime volte che nelle assemblee fece udir la sua voce, fu per inveire contro “ la scélératesse des rois , (2). Arrivato a Torino, volle più cavalli da sella e da tiro, carrozze e finimenti eleganti, suppellettili di lusso. Era avido di danaro, e conveniva dargliene a ogni richiesta, senza che mai ne rendesse conto, e darglielo in oro e in argento, fattosi raro in Piemonte in tanto dilagare e infestare della invilita moneta di carta. Sfoggiò in servitorame, in cuochi, in pranzi, in lusso, in pompe. Gli piaceva godersi la vita; e l’opera sua si ridusse tutta lì. A seconda degli ordini ricevuti dal Direttorio (3), spartì il Piemonte in quattro (1) Borra C., Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Parigi, Didot, 1824; III, 23. (2) Nacque nel 1754. Nel 1800 fu prefetto della Creuse, dal 1802 al 1807 sedè nel Corpò legis- lativo, poi divenne maire del Comune di Magny-en-Vexin. Cacciato in esilio, come regicida, dai Borboni restaurati, finì la sua vita nel Belgio il 1828. (3) Esercitava “ tutta l'autorità politica e civile ,; però ‘ sotto la direzione del Ministro della Giustizia ,. Oltre- spartire “ provvisoriamente , il Piemonte in dipartimenti, doveva distribuirlo 216 GIOVANNI SFORZA 2 dipartimenti, che da’ quattro maggiori fiumi si chiamarono dell’Eridano, della Sesia, della Stura e del Tanaro. Di quello. dell’Eridano fu capoluogo Torino, e compren- deva le provincie d’ Aosta, di Susa, di Pinerolo e Torino. Ciascun dipartimento ebbe una Amministrazione centrale, con un Commissario. Quella dell’Eridano venne composta di Giambattista Bertolotti, del conte Pietro Avogadro di Valdengo e Formigliana (1), di Carlo Botta, di Pietro Geymet e del barone Francesco Favrat, che ne fu poi presidente. Per segretario generale scelse l'avv. Angelo Pico. Trovan- dosi a Parigi il conte Carlo Bossi, che presso di essa doveva esercitare “le fun- zioni di Commissario ,, ebbe provvisoriamente l’incarico di supplirlo il medico Carlo Giulio (2). L'Amministrazione dell’Eridano era divisa in cinque uffizi, il quarto de’ quali fu presieduto dal Botta, che aveva “ l'ispezione e la cura di migliorare il regime “«“ degli ospedali e degli stabilimenti di carità; la vigilanza sull'istruzione pubblica; “ Ja cura di provvedere all'impiego dei fondi destinati all’incoraggiamento dell’agri- «“ coltura e dell'industria, e alla conservazione delle proprietà pubbliche , (3). Ognuno dei cinque uffizi stava aperto “ dalle ore 9 al mezzogiorno e dalle 3 alle 5 della “ sera ,. Dalle 9 alle 11 del mattino “ ciascun membro dell’Amministrazione si occu- “ pava, nel proprio dicastero, degli affari concernenti le incombenze attribuitegli , ; tutti poi si radunavano “ in comitato e sessione permanente dalle 11 al mezzogiorno “ e dalle 3 alle 5 della sera ,; nè davano udienza “ fuorchè a deputazioni d’autorità “ costituite, o ad esse stesse, e per affari urgenti , (4). L’onorario per ciascuno degli amministratori fu del “ valore di trecento quintali di frumento ,; e quello per il Commissario “ d’un terzo di più , (5). Il Botta, che aveva fatto parte del Governo Provvisorio, prima che il Musset lo sciogliesse s'era procurato un impiego, nominandosi da per sè bibliotecario aggiunto dell’Università nazionale; nè fu il solo di que’ governanti che provvedesse ai propri “ in circondari di tribunali correzionali ed in cantoni ,. Aveva pure l’incarico d’impiantare le “ Amministrazioni centrali e municipali, i tribunali civili, criminali, correzionali e di pace, le “ agenzie per i beni nazionali, selve, miniere, fucine, ecc. ,; e nominare i membri tutti di queste autorità; non che l’obbligo di conservare “ provvisoriamente le imposizioni esistenti, sinchè, a seconda della di lui esperienza ed osservazioni, non venga. altrimenti ordinato dal Direttorio ,. Faceva “ qualunque decreto e regolamento necessario ad assicurare l'esecuzione delle leggi, il buon ordine e la tranquillità generale e gl’interessi della Repubblica ,, potendo “ richiedere a questo effetto la forza armata ,. Riceveva “ gli stessi onori militari che il Comandante generale delle truppe francesi in Piemonte ,, il quale era allora il generale di divisione Emanuele Grouchy, che doveva poi avere così brutta parte nella disfatta di Waterloo. Cfr. Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti emanati dai Governi Francese e Provvisorio e dalla Municipalità di Torino, tom. II, pp. 60-62. (1) Essendo poi l’Avogadro passato a far parte dell'Amministrazione dipartimentale della Sesia, il Musset, con decreto del 29 germinale (18 aprile), gli dette per successore l'avv. Martinel della Valle d'Aosta. (2) Decreto del commissario Musset, del 13 germinale anno 7° (2 aprile 1799). (3) Piano d’organizzazione dell'Amministrazione centrale del Dipartimento dell’Eridano e della distribuzione del lavoro, stato approvato dal cittadino Musset, Commissario politico e civile, con suo decreto delli 24 germile anno 7° della Repubblica Francese (13 aprile 1799). (4) Progetto d'organizzazione per i Bureaux o Dicasteri dell'Amministrazione centrale, tenuta di registri, distribuzioni d'incombenze e tenuta delle sessioni. (5) Decreto del 13 germinale, già citato. PARI 03 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE' DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 217 interessi e a’ propri bisogni (1). “ Sono diventato membro dell’ Amministrazione “ centrale dell’Eridano ,, scriveva in que’ giorni, e non senza compiacenza, alla sua “ virtuosa amica , Teresa Paroletti; soggiungendole scherzosamente: “ Sono diven- “ tato un povero amministratore, con due emine di frumento al giorno, e non devo “ più far altro fuori di ricevere e distribuire, a termine delle leggi, il denaro pub- “ blico dell’Eridano , (2). Ottenuta la nuova carica, non pensò più all’altra di biblio- tecario aggiunto; ma s’era appena messo a sedere su quella seggiola, che fu sbalzato via dalle vittorie degli Austro-russi. Udiamone il racconto dalla sua stessa bocca, tanto più che l’affidò a un libro rispecchiante il suo pensare d'allora; e che poi si pentì d’avere scritto e desiderava restasse in dimenticanza pietosa (3). * La “ nouvelle organisation , (son sue parole) “ promettoit déjà les plus heureux résultats, et toutes les nouvelles autorités commengoient è prendre cette marche assurée, qui est propre aux hommes accoutumés aux affaires. Le Piémont commengoit è respirer de ses trop longs malheurs, et le Comm?ssaire politique et civil alloit bientòt recueillir le fruit de ses travaux et de sa sollecitude pour le pays qu’ il administroit: les désastres de l’armée d’Italie vinrent dissiper dans peu de jours “ toutes ces belles espérances. L’armée s’étoit retirée derrière le Tessin, et tout le territoire de la République Cisalpine étoit envahi. Le général Moreau, qui avoit succedé a Schérer dans le commandemet en chef de l’armée (4), après avoir reconnu que la ligne du Tessin, ne pouvoit étre gardée à cause de sa trop grande étendue, forme le projet de passer le Pò àè Turin, pour aller prendre position entre Tor- tonne et Alexandrie. Le Commissaire politique et civil étoit parti de Turin le 13 floréal (5); le général Moreau créa une Administration générale du Piémont, « tI » (1) Cfr. il processo verbale della “ Sessione del Governo Provvisorio delli 9 germile anno 7°, (29 marzo 1799), dove si legge: “ Cavalli domanda, che nel caso che cessino le sue funzioni di “membro del Governo, si abbia per nominato aggiunto alla Commissione delle scienze ed arti: “ Botta domanda, in tal caso, di aversi per nominato Bibliotecario aggiunto dell’ Università nazio- “ nale; Brayda chiede di esser Commissario presso la Direzione centrale di Susa. Queste domande sono accordate ,. Nel processo verbale della “ Sessione delli 14 germile , (3 aprile} vi sta scritto: Favrat propone che sarebbe conveniente di far comprendere nel quadro dell’armata. piemontese il cittadino Cerise, nel caso della cessazione delle sue funzioni di membro di questo Governo, e di “ seriverne al generale Grouchy. Approvato ,. (2) Borrà C., Lettere inedite, Faenza, Conti, 1875, p. 137. (3) Précis historique | de la Maison de Savoie | et du Piémont, | adressé au général Jourdan, | con- seiller d’état, administrateur. général; | par le C Cnartes Borra, | ci-devant membre du conseil de VAdministration | générale de la 27° division militaire | A Paris, | de l’imprimerie de Marchant, rue du Pont de Lodi, | An XI-1802; pp. 102-104. (4) Lo Scherer, che era ministro della guerra, fu nominato generale in capo delle armate d'Italia e di Napoli il 21 febbraio 1799. Il Macdonald conservò il comando dell’armata di Napoli, sotto gli ordini però dello Scherer; del quale furono accettate le dimissioni il 21 d’aprile, e il giorno stesso ebbe per successore il Moreau, che anche lui non seppe mai riuscir vittorioso. Nricomepe Biancni, Storia della Monarchia Piemontese dal 1773 al 1861, III, 106, riporta le istru- zioni che il Direttorio, smascherando “la sua subdola politica verso l’Italia ,, mandò allo Scherer. Non si accorge, peraltro, che sono apocrife; cosa, del resto, confessata dallo stesso Diario Torinese, n° XXIV, che se ne fece divulgatore “ dietro l'esempio de’ più accreditati giornalisti, d'allora, e dal quale indubbiamente il Bianchi le tolse. (5) L’11 fiorile (30 aprile 1799) il Musset aveva pubblicato un proclama, dove diceva: “ La vostra % (3 “ libertà, o Piemontesi, non corre alcun rischio... La sorte delle battaglie ha potuto favorire per “ qualche istante i nostri nemici, ma questo passeggiero favore non è dovuto che alla superiorità Serie II. Tom. LIX. ” 928 218 GIOVANNI SFORZA i 4 “ composée de quatre membres, pris chacun parmi ceux des administrations centrales “ des quatre départemens. Ces membres étoient les citoyens, Geymet, pour le dépar- “ tement de l’Eridan; Pelisseri, pour le département de la Sture; Rossignoli, pour “ celui du Tanaro. Le général Moreau avoit choisi Coni, comme ville forte, pour “ siége de ce nouveau gouvernement. L’Administration genérale a demandé d’aller “ s'établir è Pignerol, attendu qu'ayant sur ses derrières les vallées des Vaudois, “ habitées par des hommes, entièrement dévoués à la cause des Frangais, sa retraite, “en cas de malheurs, étoit assurge; cette idée a eu son exécution. L’Administration « générale publia une proclàmation datée de Pignerol, le 16 floréal, par laquelle elle “ invitoit tous les républicains è venir se réunir dans cette ville , (1). Il Moreau, sconfitto a Cassano sull'Adda, si ritraeva a lenti passi in Piemonte. Inviato il Victor, con una parte dell'esercito, ad Alessandria; con l’altra, capitanata * del loro numero : or poi numerosi battaglioni republicani già valicano le Alpi, e fieri s'avanzano “ per farneli pentire ,. Eran menzogne, del conio di quelle che spacciò nell'altro proclama suo del 6 fiorile (25 aprile), dove, a sentirlo lui, il malcontento de’ piemontesi altro non era che il frutto de’ “ vili stipendiati dell'Austria e dell'Inghilterra! , (1) Mette conto traseriverla, tanto rispecchia gli umori di quegli uomini e del tempo. LipERTÀ. EGUAGLIANZA. L’Amministrazione generale del Piemonte. Ai Piemontesi. I barbari del Nord sono stati spinti dalla rabbia dei loro tiranni a desolare le fertili terre della bella Italia. Già hanno messo il piede sulla Cisalpina e minacciano le nostre frontiere. Piemontesi, popolo guerriero e coraggioso, soffrirete voi che questi popoli, privi di ogni senso d’umanità, ven- gano a saccheggiare le vostre case, distruggere le vostre ricche messi, insultare le vostre spose, trucidare i vostri figli? Soffrirete voi che l’onor vostro sia macchiato da coloro che non conobbero mai l'onore? Soffrirete che la libertà vi sia tolta in quel momento stesso in cui eravate già vicini a goderne i dolci frutti? Sapete voi quali siano le mire di questi stranieri, che sono venuti dal fondo dei paesi gelati ad infestarci? Voglion essi incatenar di nuovo il popolo e ristabilire la nobiltà: o bisogna scacciarli, o bisogna di nuovo pagar le decime, andare ai forni ed ai mulini forzati, pagare i gravosi canoni, di cui se sapeste l'origine vi farebbe indignare e arrossire. Biso- gnerà di muovo essere avviliti, malmenati, bastonati dai superbi feudatari; le vostre mogli non avranno più difesa contro la lubricità dei potenti, ed vostri valorosi soldati saranno di nuovo soggetti al bastone dei duri uffiziali. Bisognerà di nuovo andar in malora per sostenere le lunghis- sime liti, ed i semplici villani saranno ingannati, come per lo passato, dai rapaci curiali; il povero non troverà giustizia contro il rieco, e non potendo spendere, non sarà ascoltato ; insomma, se vin- cono i Tedeschi ed i Russi, ritornerà di nuovo tutto l’antico governo, sotto il quale siete stati cotanto infelici. Mentre la magnanima Nazion Francese combatte con tanto valore contro questi crudeli nemici, staranno forse i Piemontesi oziosi ad osservare ? Combatte la virtù contro il vizio, la Libertà contro la schiavitù, l’Umanità contro la barbarie, e i Piemontesi saranno tranquilli spettatori in cotesta scandalosa contesa? Si tratta della felicità di tutto il genere umano, e noi non entreremo a parte della battaglia ? All’armi adunque, o Piemontesi. I Francesi vi tendono la mano; unitevi con essi, Il Generale comandante in Piemonte ha invitato i reggimenti provinciali a formarsi; i bravi soldati che li com- ponevano non sono certamente sordi alle di lui voci; si uniscono e già corrono alla vittoria ed all'onore in compagnia dei magnanimi Francesi. E già le legioni di Roma, di Napoli, di Toscana e Bologna stan per piombare alle spalle dei barbari, desolatori d’Italia. E voi, o repubblicani, cui mille pericoli di morte, i replicati esilî, la povertà ed ogni sventura non hanno mai potuto scoraggire, alzatevi ed accorrete. Venite con sollecitudine ad arruolarvi nel corpo che si' sta organizzando dal cittadino Rossigaoli, di concerto col capo di brigata Trombetta e sotto gli ordini del generale Zimmermann in Pinerolo. Pinerolo debb’essere il quartier generale dei repubblicani; ivi sta il campo della Libertà Piemontese, e da Pinerolo rinascerà un giorno la Libertà di tutta l'Italia. Sarete abbondantemente provvisti d'armi e di munizioni da guerra e da bocca. Siate ora quali siete sempre stati, e la causa della Libertà avrà vinto. Pinerolo, dal palazzo municipale, il 16 fiorile anno 7° repubblicano (5 maggio 1799), RossianoLI. Pico, Segretario capo. 5) L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 219 dal Grenier e recante il grosso del bagaglio, marciò su Torino, dove giunse il 2 di maggio. Mise a guardia della cittadella, con un presidio di 3400 uomini, il corso Pasquale Antonio Fiorella, generale della Cisalpina; affidò la difesa di Pinerolo allo Zimmermann; ordinò si approvvigionasse il forte di Fenestrelle; si riattassero le strade che da Torino menano in Francia, per Pinerolo, Perosa e Fenestrelle, e per Exilles e Cesana, onde, in caso di rovescio, spedirvi le grosse salmerie; formò parecchie colonne mobili, per dar la caccia alle bande degli insorgenti, già padrone del forte di Ceva, le quali si andavano ingrossando, scorrazzanti e minacciose. Poi tornò ad Alessandria, per mettersi a cavaliere del Tanaro e del Po e fronteggiare il Melas e il Suwarow. Ma, prima di lasciare Torino, rimasto senza governo per la fuga codarda del Musset (1), il 3 di maggio istituiva l’ Amministrazione generale del Pie- monte (2). Lo stesso giorno l’Amministrazione dipartimentale dell’Eridano venne auto- rizzata “ a portarsi a Pinerolo presso l’Amministrazigne generale ,, dove “ li membri “ che la compongono potranno compiere presso di essa le funzioni di capi degli “ uffizi di finanze e di giustizia, che non furono accettate dai cittadini Prina e Ber- “ tolotti, ed il cittadino Pico potrà esercitarvi le funzioni di segretario capo , (3). L’Amministrazione generale del Piemonte, piantate che ebbe le tende a Pinerolo, ordinò all’Amministratore generale delle finanze, rimasto a Torino, di nominare sul- l'atto un Viceamministratore generale e mandarlo a risiedere presso di lei; sog- giungendogli: “ Ci farete intanto passare, scortate da conveniente distaccamento e “ sotto l'ispezione di detto Viceamministratore, le seguenti somme, che ci sono per ora «“ della massima necessità: lire 40.000 in biglietti e lire 6.000 in moneta, quali deg- “ giono provvisoriamente servire per far fronte alle spese che qui si richiedono, tanto per compiere l’approvvisionamento di Fenestrelle, quanto per provvedere al sostentamento delle truppe qui acquartierate e che giornalmente si raccolgono, in « “ (1) Restò in carica dal 2 aprile al 2 di maggio; un mese preciso. Gli bastò per ammassare una quantità grande di danaro, tanta fu l’avidità rapace con cui seppe spiegare le unghie. Nel- l’atto della fuga, fece un gran girovagare in carrozza per le strade della città, one non si avve- dessero che pigliava il volo. Gli premeva di mettere in salvo il bottino. Cfr., in fine, l’Appendice n° I (2) Il generale Emanuele Grouchy, comandante del Piemonte, che il Moreau aveya scelto a capo del suo stata maggiore, lo stesso giorno così ne dava avviso all’ Amministrazione dipartimentale dell’Eridano: “ Le général en chef me charge de vous annoncer, citoyens, que son intention est “ qu'il soit formée une Administration centrale pour le Piémont; elle prescrira sous son autorité “ tout ce qui sera necessaire dans la partie administrative et judiciaire; elle sera formée de quatre “ membres pris parmi ceux des Administrations departementales du Piémont. La résidence de cette “ Administration centrale est fixée à Pignerol. L’un de ces membres remplira les fonetions de “ Commissaire exécutif près d’elle et sera choisi au scrutin parmi ces quatre. Les membres de “ l'’Administration centrale seront choisis au scrutin dans chacune des Administrations departe- “ mentales; ils se rendront de suite è Pignerol, où est provisoirement fixée sa résidence, jusqu’à ce “ que les circonstances mettent dans le cas de la rappeler è Turin. L’Administration departementale “ de l’Eridan est chargée de diriger sur le champ sur Pignerol les chefs et bureaux employés près “ du Commissaire civil Musset, ainsi que tous les papiers qui interessent le Gouvernement du “ Piémont. Les quatre Administrations departementales correspondront avec l’Administration centrale “ è Pignerol et auront avec elle les mèmes rapports qu’elles avaient avec le Commissaire civil. Toutes “ les determinations d'une haute importance seront soumises è la sanction du général en chef, ou “ de celui qu'il chargera de le representer en Piémont ,. (3) Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti emanati dai Governi Francese e Provvisorio; tom. II, pp. 190-191. Cfr. anche le pp. 179-180. 220 GIOVANNI SFORZA 6 i “ seguito a disposizione del Generale in capo; come altresì per tutte quelle altre « che l’Amministrazione dee fare nella sua qualità , (1). Gli ordinava inoltre: “ Que- « st'Amministrazione vi previene che nissuna altra autorità superiore, che quella del * Generale in capo dell’armata d’Italia, 0 quella a cui egli avesse attribuito tale diritto, “ può dare disposizioni influenti sull'esercizio delle vostre funzioni ,. Finiva con dirgli: “ Intanto l’Amministrazione v'invita a voler sospendere il pagamento di tutti “ Ji mandati spediti dal cittadino Musset, Commissario politico e civile, fuorchè fos- “ sero vistati dal medesimo Generale in capo , (2). Fu un utile provvedimento, avendo egli, soprattutto negli ultimi tempi, fatto d’ogni erba fascio. Curiosissima è questa lettera, che il giorno stesso (5 maggio) l’Amministrazione generale indirizzava al fuggiasco Direttorio cisalpino: I popoli liberi formano un popolo solo: comuni sono fra di loro ì sentimenti, comuni gl’in- teressi, e comuni debbono essere i mezzi per sostenere la propria libertà. Questa verità, stata riconosciuta in ogni tempo, è altrettanto più evidente in questi, in quanto che tutti i tiranni della terra hanno contratto alleanza per distruggerla. Saremo noi forse meno sagaci e meno pronti di essi ? L’Amministrazione generale del Piemonte, cui è stata affidata la special cura di difendere la libertà del Piemonte, col decreto del Generale in capo delli 14 corrente, per- suasa di questa verità, ed appoggiata sul patriotismo di coloro che hanno avuto in mano l’ese- cuzione delle leggi della Repubblica Cisalpina, crede che i medesimi saranno per concorrere con ogni possibil mezzo alla conquista della libertà dell’Italia ed al discacciamento de’ barbari da questa bella contrada. i Il Piemonte ha degli uomini robusti ed agguerriti, e questi offre alla comune patria; ma la rapacità degli antichi tiranni e l’intiero scialacquamento ch’essi hanno fatto delle sostanze pubbliche, lo mettono nell’impossibilità di procurar loro il necessario sostentamento di guerra. A voi tocca, o cittadini del Direttorio esecutivo della Repubblica Cisalpina, di sovvenire a’ suoi bisogni. Siate certi che accordando voi una somma di 80 o 100.000 lire, saranno ben tosto in queste e nelle vicine provincie diecimila uomini pronti all’armi e disposti a vincere od a morire per la libertà. A ciò v'invita l’Amministrazione generale del Piemonte, e tanto da voi richiede l'amor della vostra patria e la vicina speranza di riconquistarla, fondata sul valor francese, sulle forze repubblicane, che si vanno aumentando attorno Torino ed Alessandria, e sul pazzo disegno del nemico d’essersi sconsigliatamente inoltrato tra molteplici fortezze, in nostro potere, per sì lungo tratto di paese. (1) Gli tornò a scrivere il 18 (7 maggio): “ È indispensabile che vi affrettiate colla maggior celerità possibile a mandarci il Viceamministrattore coi fondi richiesti, perchè possiamo adope- rarci utilmente pel salvamento della patria. Se noi avessimo già avuto in nostro potere i detti fondi, avressimo già fatto delle operazioni molto più vantaggiose e saressimo forse in caso di marciare alla volta della capitale, per secondare le armate francesi. Vi raccomandiamo perciò la massima diligenza ,. Il Viceamministratore, che fu il Taraglio, giunse il giorno dopo a Pinerolo, ma con sole 32.000 lire. Si ricava da una lettera del 19 fiorile (8 maggio), dove pure si legge: i “ Le spese urgentissime ed indispensabili che l’Amministrazione deve fare in queste difficili circo- “ stanze, tanto per l’approvvigionamento della cittadella di Torino, quanto per la sussistenza del- “ l'armata, non lasciano fondi a sua disposizione onde pagare gli onorari dovuti per lo scorso mese ‘ agli impiegati nei bureau di Musset ,. Per ordine del Moreau, l’Amministrazione dipartimentale dell'Eridano aveva fatto © partire per Pinerolo li capi e gli impiegati presso il commissario civile * Musset, come pure tutte le carte che interessano il Governo del Piemonte ,. (2) Archivio del Ministero degli affari esteri a Parigi. Lettera al cittadino Negro, amministra» tore generale delle finanze, del 16 fiorile, anno 7° (5 maggio 1799). . 7 ‘| L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 221 Qualora voi crediate di fare questa offerta alla libertà, potrete nominare voi stessa i vostri commissari, i quali da voi riceveranno questo sussidio e lo distribuiranno secondo il bisogno che dall’Amministrazione verrà indicato. L’Amministrazione crede che basta d’avervi accennato un simil pensiero, perchè v’affrettiate di metterlo in esecuzione colla maggior celerità possibile. Furon parole al vento. Il Direttorio Cisalpino, senza tetto, nè patria, nè danaro, pensava ai casi proprî, e ne aveva d’avanzo (1). Coglie nel varo il Botta, affermando nella Storia dal 1789 al 1814, scritta quando il disinganno gli aveva fatto aprir gli occhi: “ Le cose erano disperate, pure que- “ st'uomini, ingannati dalle solite fantasime, con grandissima acerbità sdegnati minac- “ ciavano ancora i nemici ed incitavano i popoli ad armarsi in sostegno della Repub- “ blica , (2). Peraltro l’energia, l’attività, la sollecitudine, la costanza, l’ardimento che spiegarono in que’ giorni, in mezzo a tanto avvicendarsi di lotte, di pericoli, di disastri, desta l'ammirazione e la meraviglia. Sempre il 16 fiorile (5 maggio) scrivono al general Fiorella, comandante della città di Torino: “ Nous croyons très- “ important de placer un détachement de 50 hommes de cavalerie è None, petit “ village è 7 milles de Turin; les habitans deice village, fanatisés par leurs prétres, “ font craindre que la communication entre Turin et Pignerol ne puisse étre bientòt “ interceptée ,. Scrivono alle Amministrazioni dei dipartimenti del Tanaro e della Stura: “ Ci siamo organizzati e lavoriamo non senza successo al bene della patria. “ Gli abitanti di questo Comune sono amantissimi del sistema repubblicano, nè si “ lasciano sgomentare dalli pericoli di cui è minacciato il Piemonte ,. Scrivono a Vin- cenzo Serra, commissario ordinatore in capo delle truppe piemontesi: “ Qui tutto è “ sull’armi per difesa della patria contro le orde del Nord, che la minacciano; non ci ‘“ mancano che delle casse di tamburo. L’Amministrazione v’invita a mandarle sul “ campo cinquanta tamburi ,. Il giorno dopo, “ informata che nelle Comuni di Sca- “ lenghe e Piscina, delle persone male intenzionate, con falsi allarmi, con discorsi “ sediziosi, con incitamenti contro i repubblicani, cercano d’intorbidare l’autorità “ pubblica e far sollevare il popolo ,, ordina al capo squadrone Laigi Soman d’ar- restare “i principali autori di simili disordini , e condurli nelle carceri di Pinerolo. Fiera è la lettera che indirizza il 17 fiorile (6 maggio) alla Municipalità di Vil- lafranca: “ Dei disordini molto gravi sono stati commessi nel Comune che voi rap- “ presentate. L'albero della libertà è stato atterrato; i repubblicani insultati; la (1) Il 1° di maggio il Botta scriveva da Torino a Pietro Avogadro, a Valdengo: “ Caro il mio “ Pietro, vieni a Torino, vi troverai il Direttorio Cisalpino, i due dispersi Consigli e molte altre “ bellissime cose. Tra le prime, un ordine del cittadino Musset a tutti i forestieri, non domiciliati “in Torino, di partire tra 48 ore, eccettuati però i membri delle autorità costituite Cisalpine. Che “ vuol dire guai alla plebe ,. Cfr. Borra C., Lettere inedite, Faenza, Conti, 1875, p. 142. Il Direttorio Cisalpino, composto del Luosi, del Sopransi, del Marescalchi e del Franchi, arrivò a Torino il 50 d’aprile, insieme coll’ambasciatore francese Rivaud, fuggito con loro e istigatore della loro fuga. Vincenzo Lancetti, uno dei profughi cisalpini, dà curiosi ragguagli del suo breve soggiorno a Torino nel proprio Diario. Cfr. Manacorpa G., I rifugiati italiani in Francia negli anni 1799-1800 sulle scorta del Diario di Vincenzo Lancetti e di documenti inediti degli Archivi d’Italia e di Francia; nelle “ Memorie della-R. Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II, tom. LVII, pp. 187-138. (2) Borra C., Storia d’Italia dal 1789 al 1814; III, 251. - 222 GIOVANNI SFORZA 8 n guardia nazionale disorganizzata. L’Amministrazione generale del Piemonte ed il “ Generale ne sono stati indegnati. Possibile che esistano in codesto Comune uomini “ tanto vili. da desiderare la schiavitù, e di così poco animo, da temere un nemico; “ che corre alla sua perdita? Un uffiziale municipale ci annunzia che avete dato segni « di ritorno alla buona causa, che l’albero è stato rialzato, che tutto è rientrato “ nell'ordine. Queste nuove di voi ci cagionano un vero piacere; ma bisogna che due «“ deputati, mandati dalla Municipalità, si trasportino qua, per disapprovare formal- «“ mente, dalla parte del popolo di Villafranca, tutti gli eccessi che vi sono stati com- “ messi ,. Nel chiedere alla Municipalità di Torino, “ fra il più uo termine, dieci * rubbi di piombo ed alcune matrici, per formare delle palle da schioppo ,, gli Ammi- nistratori soggiungono: “ Lavoriamo ad elettrizzar questi popoli ,. Ordinano al comandante della piazza di Pinerolo di consegnare a Gioacchino Pavia, deputato della Municipalità di Barge, “ un barril de poudre et 5 quintaux de balles de plomb, « qui doivent servir è la dite Commune, pour se mettre en état de réprimer les “ insurrections contrerévolutionnaires, tant dans son intérieur, que dans les pays «“ d'alentour ,. Saputo che a Ivrea “ è stato commesso l’orribile eccesso di attentare “ alla libertà personale de’ migliori repubblicani, quali sono Orangiano, Camillo “ Moretta, Giani ed alcuni altri; opera di alcuni scellerati, che insolentiscono per « qualche fugace successo delle armi barbare in Italia ,; ingiunge alla Municipalità. «“ di far tosto rimettere in libertà gli anzidetti virtuosi cittadini ,, altrimenti “ punirà “ con terribile esempio coloro che osassero metter mano alla loro vita ,. Chiede al general Fiorella “ une cinquantaine de cavaliers au moins et s'il est possible une “ couple de pièces de campagne ,; e gli annunzia: “ nous nous occupons à faire une « proclamation portant que dans tous les pays où l’on abattra les arbres de la “ liberté, ce sera aux curés et prétres àè en répondre sur leur téte. Vive la Repu- “ blique ,. Il 18 fiorile (7 maggio) dava questi ragguagli al generale in capo Moreau: Nous avons trouvé les habitans de cette Commune, et sortout ceux des vallées, animés du meilleur esprit. Aussi notre premier soin a été celui de les organiser en corps armés, et nows espérons avoir sous peu de jours 2 ou 3 mille hommes préts, è répandre leur sang pour la défense de la patrie. Le général Zimmermann leur fera distribuer des armes et des munitions. Nombre de patriotes concourent ici de tous les pays environnans et augmentent notre force, en méme temps qu'ils soutiennent l’esprit public et nous donnent des renseignemens utiles sur différentes Communes. Une garde nationale nombreuse veille jours è nuit pour maintenir la tranquillità publique, qui, jusg'à présent, n’a pas été troublée. Si nous avions quelques pièces de campagne et un corps de cavalerie, nous pourrions répondre de la sureté du pays, et nous vous en faisons la demande, citoyen Général. Nous n’avons pas oublié-d’activer l’approvisionnement du fort de Fenestrelles. Nous avons fait une réquisition de tous les objets nécessaires dans quelques Communes des environs, et nous en espérons le meilleur suecès. Nous espérons que cet approvisionnement s’achèvera sous peu de jours. Quelques troubles se sont manifestes dans quelques Communes de la plaine, c’est-à-dire à Villefranche, è Noles et à Piscine. Une force armée de cent hommes, qu’on y a envoyés la nuit passée, a rétabli l’ordre dans les deux dernières. Celle de Villefranche, où l’arbre de la liberté avait ét6 abattu, est. rentrée d’elle-meme dans le devoir; la tranquillité a été rétablie sl ei 0 -. 9 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 223 et l’arbre relevé. La Municipalité a envoyé devant nous deux de ses membres pour nous l’an- noncer. En général, l’esprit des habitans de la plaine n’est pas aussi bon que celui des habitans des montagnes. Tous ces mouvemens contrerévolutionnaires et cette dégradation de l’esprit public ne sont que l’effet des faux bruits que des alarmistes répandent è dessein sur les progrès de l’ennemi et sur les intentions du Gouvernement frangais. L’Administration se propose de publier une loi contre ces ennemis du bien commun et de eréer un tribunal exprès pour punir sévèrement tous les délits attentatoires è la liberté publique. Nous espérons par là d’étouffer le foyer de la contrerévolution. Elle se propose ici de nous présenter aussi sous peu un plan d’admini- stration dont le peuple pourra étre satisfait. Notre collègue nommé par l’Administration du département de la Stura est le citoyen Pellisseri et il est arrivé ici ce matin (1). Il nous a annoncé qu'è son départ tout était tran- quille è Mondovì, mais qu'il a appris è son passage è Coni par le général Séras que des troubles s'y étaient manifestés, que l’arbre de la liberté avait été abattu et les membres du département incarcérés. Nous avons éerit là-dessus nos vues au citoyen Séras (2). Veuillez bien remarquer, citoyen Général, que la Commune de Mondovì est on ne peut pas plus intéressante dans les circonstances actuelles, parce qu’étant située entre Coni et Ceva, si elle-était insurgée, la com- munication serait interceptée entre ces deux forts; conséquemment, il est de la dernière impor- tance d’y envoyer une force armée pour la réduire et la contenir dans le devoir. Nous désirons que vous puissiez agréer ces idées. Soyez persuadé, citoyen Général, que nous mettrons toujours tout le zèle, dont nous sommes capables, pour soutenir la cause com- mune et pour seconder de tous nos moyens les efforts et le courage des frangais (8). Col mezzo del Grouchy, rispose: Le Genéral en chef a regu, citoyens, la lettre que vous lui adressée le 17 de ce mois; il voit avec plaisir que vous étes continuellement occupés à soutenir l’esprit public, et que vous remplirez vos fonetions avec tout le zéle qui caracterise les veritables amis de la liberté. Vos observations sur l’importance de la place de Mondovì sont justes; soyez persuadés qu’on ne negligera rien pour y maintenir l’ordre et la tranquillité. Continuez, citoyens, à éclairer le peuple sur ses vrais intéréts et è employer tous les moyens que vous croirez les plus propres à déjouer les trames ordies par les ennemis de la chose publique. » (1) Il Moreau, nel creare l’ Amministrazione generale del Piemonte, ordinò che ciascuno dei quattro membri di essa si scegliesse “a scrutinio segreto dalla rispettiva Amministrazione de “ dipartimento tra i membri componenti la medesima ,. I due primi eletti furono il Geymet del- l’Amministrazione dell’Eridano e il Rossignoli di quella della Sesia, che subito andarono a Pinerolo. L’elezioni delle Amministrazioni del Tanaro e della Stura ebbero luogo più tardi. (2) Gli avevano scritto: © L’Administration est en activité. Son voeu est qu’aussitot qu'il vous “ sera possible vous fassiez une expédition secrète et nocturne contre la Commune rebelle de Mon- “ dovì, pour vous assurer et amener dans cette forteresse les nobles et prètres principaux du pays “ et parmi les autres, la famille Mondini, Vice-Préfet et Cordero de Montezemo. Si vous avez besoin “ d'un homme è qui vous confier et tirer les renseignemens nécessaire, n’en cherchez pas d’autre “ que l’avocat J. B. Quaglia de la Bastia, demeurant è Mondovì, et frère du notaire de ce nom, que “ vous avez à Coni. Nous vous avons partecipé notre veu; c'est è vous maintenant à determine “ suivant votre position et vos rapports militaires ,. (3) Questa, come le altre lettere tutte dell’Amministrazione generale del Piemonte, precedenti e che seguono, son tratte dall'Archivio del Ministero degli affari esteri di Parigi. 224 GIOVANNI SFORZA i i 10 Il 19 fiorile (S maggio) così dava conto alla Municipalità di Torino della san- guinaria spedizione contro Piscina, una delle tante terre che le si era ribellata: i Vi annunziamo con soddisfazione che le cose sono qui nel miglior modo possibile. Alcuni villaggi nei quali alcuni fanatici, guidati dai preti e da qualche ex nobile, avevano osato spie- gare la bandiera controrivoluzionaria, furono richiamati al loro dovere e sono attualmente tran- quilli. Nel villaggio poi di Piscina, distante solo tre miglia da questo Comune, e dove gli abitanti, invitati dal loro paroco, avevano formato il reo disegno di atterrare l’albero della libertà, le si spedì un distaccamento, in parte de’ soldati del corpo patriottico, qui esistente, ed in parte di repubblicani, tanto cisalpini, che piemontesi, qui rifugiati. Al comparire del mede- simo, li furono fatti apparenti amichevoli accoglienze, ma appena penetrato nel fabbricato si fece loro dalle case e finestre degli abitanti una scarica di fucilate, dalle quali restò ucciso il bravo Badini, chirurgo di professione, abbastanza noto per aver militato sotto gli stendardi patriottici della colonna di Pallanza, ed in quest’ultima. epoca capitano nel corpo organizzato dal cittadino Trombetta (1) e che era alla testa del distaccamento. La forza di gran lunga superiore de’ pae- sani, che meditavano le più accanite ostilità, obbligarono detto distaccamento a ripiegarsi, come fece ed in buon ordine, sulla Comune di Scalenghe, avendo lasciato soli tre morti e cinque o sei feriti. Giunta la nuova al comandante di questa piazza, capo di brigata Niboyet, partì egli stesso, accompagnato dal cittadino Rossignoli, membro di quest’Amministrazione generale, con altro distaccamento di patrioti e di repubblicani rifugiati, alla volta di Piscina, e furono quindi raggiunti da un corpo di ducento Valdesi, presi dal numero di 1500 e più scesi dalle loro val- late (2), spiegando il più energico coraggio e la vera intrepidezza repubblicana, unitamente ad un contegno ed ordine meraviglioso. Egli è fra loro, cittadini municipalisti, che il sacro nome di patria e di libertà si pronunciano con accenti pieni di semplice e nel tempo stesso generoso entusiasmo. Sulle loro fronti vi sta scritto: o la libertà, o la morte. Se tutti gli abitanti del Piemonte somigliassero a questa brava gente, la causa della libertà avrebbe vinto fra noi e l’Italia tutta ci sarebbe, col tempo, riconoscente della sua vera indipendenza. Giunti a Piscina, trovarono il paese pressochè d’uomini spopolato; il solo paroco fu visto fra gli altri, ma riu- scigli, con astuziosi inganni, di sottrarsi all’arresto, che già era per lui decretato (3). La di lui casa fu messa ‘al saccheggio ed abbruciata, unitamente a varie altre di conosciuti nemici della Repubblica, e che avevano preso parte alle ostilità antipatriotiche. Fu ritrovato in una casa ferito un disertore dei dragoni, al quale fondatamente si attribuiva l’organizzazione dell’insore gimento e che aveva diretto le ostilità de’ terrazzani. Da Consiglio militare, istantaneamente lei (1) Carlo Trombetta si era fatto capo della seconde mezza brigata leggiera patriottica piemontese d’infanteria, da lui organizzata. Questa seconda mezza-brigata godeva così poco credito, che il Trom- betta, il 14 fiorile (® maggio), fu obbligato a piglia»ne le difese con un proclama a stampa, dove prometteva che avrebbe fatto “ osservare la disciplina militare , e tutelate le “ proprietà personali ,. (2) Il 18 fiorile (7 maggio) l'Amministrazione generale seriveva alla Municipalità di Pinerolo: Deggiono arrivare questa sera in questa Comune altri 500 Valdesi. Siete però invitati a procurare che sieno preparati li quartieri per li medesimi in modo che gli trovino apparecchiati al loro arrivo. Siccome poi stanno per partire 200 uomini per una spedizione da eseguirsi questa notte, “ terrete pronta e sul campo l’acquavita necessaria a distribuirsi al detto distaccamento nelle solite “ forme e proporzioni ,. c (3) L’Amministrazione generale scrisse poi all'Arcivescovo di Torino: “ Il paroco di Piscina è gravemente indiziato di essere la principale causa dei disordini testè commessi in quel Comune. Mentre se ne prendono informazioni, egli è urgente che si mandi in quel Comune un cittadino che ne faccia le veti affinchè il servizio del culto non rimanga interrotto. Perciò 1’ Amministra- zione v'invita a mandarvi immediatamente un cittadino probo, di buona fama ed amante del Governo repubblicano ,. ° (53 ("4 _ pe 11 L'’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 225 nominato, fu condannato ad essere, come fu, fucilato sulla piazza di detto Comune di Piscina, Fu di questa mattina di ritorno in questa Comune la colonna esterminatrice di chi aveva osato ed osasse in avvenire insorgere contro li difensori della Repubblica, e condusse seco sei o sette paesani, fatti prigionieri, che saranno fra breve giudicati. ‘ Fra le case messe a saccheggio si conta sgraziatamente quella di un patriota, che per isfuggire le persecuzioni degli insorgenti, l'aveva abbandonata; ma l’Amministrazione sta pren- dendo le misure necessarie per procurare la debita indennizzazione a carico della Municipalità di Piscina, alla cui negligenza e poca attività si deggiono anche in gran parte attribuire li disordini successivi. Eccovi, cittadini municipalisti, il ragguaglio parziale delle nostre operazioni: tali sono le disposizioni degli amici della libertà e della indipendenza; tali sono li trattamenti che sì riser- vano a coloro, che guidati dal fanatismo e dalla superstizione, osassero insorgere contro il Governo repubblicano, o contro li bravi militari francesi, che generosamente espongono le loro vite, per difendere la nostra»libertà (1). Dell’opera del comandante Niboyet e del Rossignoli sulle prime l’Amministra- zione generale non fu soddisfatta. Ne fa fede questo biglietto, indirizzato appunto al Rossignoli, al cominciare dell'impresa: Siamo oltremodo sorpresi di non avere ancora alcuna notizia dell'incendio dell’infame Comune di Piscina, e che, dopo gli orrori commessi sui corpi ancora palpitanti degli infelici difensori della Repubblica, all'aspetto dell’abbandono delle case della suddetta Comune, per i maschi, lo che prova all’evidenza la loro perfidia, vi divertiate ancora a prendere delle infor- mazioni legali ed a fare delle discussioni giuridiche. Aspettate forse che si uniscano ad altri ribelli per venirvi a circondare ? V'invitiamo pertanto a rappresentare la comune indignazione per questa lentezza al citta- dino Comandante, che si trova con voi; mentre se le cose continuano su questo piede, siccome l’Amministrazione non può più rispondere del popolo, farà le sue formali proteste e si ritirerà da Pinerolo. 4 (1) Al generale Moreau seriveva il 22 fiorile (11 maggio): “ D’après quelques troubles, qui ont “ 6té excités dans diverses Communes par des prètres et des ex-nobles, plusieurs de;ces Communes “ farent ramenées è l’ordre ou par les seules menaces, ou par les voies de la conciliation. Le seul ‘ petit village de Pissina a osé se montrer d’une manière plus audacieuse. Les habitans de ce pays, “ fanatisé par leur curé, ont sonné le tocsin aussitòt qu'ils ont vu un détachement de la 2° demi- “ brigade d’infanterie légère Piémontaise, qui passait de còté-là pour venir de Scalenghe à Pignerol. “ Plus de 300 paysans armés ont assailli ce détachement, qui fit une défense vigoureuse; mais “ cependant, surchargé par le grand nombre des paysans, il se replia sur Scalenghe, en perdant “ un capitaine et un sergent et en laissant 2 ou 3 hommes blessés. On venait d’apprendre cette 4 nouvelle, lorsque le premier bataillon des Vaudois, fort de 6 è 700 hommes, descendait des vallées. “Le commandant de cette place, citoyen Niboyet, prit è l'instant 50 ou 60 Vaudois, rassemble © 150 entre patriotes et soldats de la susdite demi-brigade, et marcha à leur tète, avec le citoyen “ Rossignoli, membre de cette Administration, contre le foyer des brigands. A l’aube du jour, on entra dans Piscine, on fit 7 ou 8 prisonniers, on recouvra les blessés du jour d'auparavant, et on € mit le feu è la maison du curé; on fusilla un déserteur des troupes Piémontaises, qui se trouvait à la téte des paysans, et le pays rentra dans l’ordre. Nous espérons que ce trait de vengeance nationale suffira pour contenir les malveillans des autres Communes qui méditeraient des insur- rections; en tout cas, nous sommes è mème de faire marcher des colonnes mobiles contre touî pays qui s'insurgerait. Le susdit citoyen Rossignoli et Soman, chef d'escadron du 3° régiment de cavallerie Piémontaise, ont donné, dans cette circonstance, des preuves de leur sineère attachement à la cause de la liberté ,. : Serie II. Tom. LIX. 3 29 226 GIOVANNI SFORZA o 12 Il Moreau, dal suo quartier generale di Alessandria, uscì in queste minaccie: “ M'accingo a procedere nella maniera più rigorosa contro le città e villaggi che “ non deporranno le armi sul momento. Già delle colonne numerose di truppa hanno “ ordine di mettere a ferro e fuoco tutti i paesi in cui il popolo in armi ha assas- “ sinato o spogliato un francese ,. Tornò a ripetere: “ Cessate di organizzare gli «“ omicidi e le devastazioni, o porterò da per tutto il ferro e il fuoco; non vi resterà “ pietra sopra pietra nelle vostre Comuni, ed il Piemonte fra poco non presenterà “ più che un vasto deserto , (1). In quali tremende condizioni si trovasse il dipar- timento del Tanaro, dove aveva messo le sue tende col proprio esercito questo libe- ratore e vindice de’ popoli oppressi, lo mostra la seguente lettera dell’Amministra- zione generale al Commissario ordinatore in capo delle truppe piemontesi: Saprete anche voi che tre giorni sono in Alessandria mancava assolutamente il grano per la truppa, e che stava anche per mancare per la popolazione; con Îa di più che nella provincia poco o nulla ve n’era rimasto, oltre alla necessaria provvigione de’ particolari, che ne hanno. Siffatta sgraziatissima mancanza, fa temere ogni funesta conseguenza; per lo che v’invitiamo a prenderla nella più seria considerazione, onde porre in opera tutti i mezzi possibili, che sono a vostra disposizione, per prevenire le dette conseguenze, col far passare a Casale, e, se non vi fosse pericolo dei nemici, anche a Valenza, la maggior quantità possibile di grano. Per lo stesso oggetto potrebbe forse giovare che vi si porga notizia che in Alessandria si manca non solamente di biada, ma anche di meliga, stante le continue requisizioni che di questa sì sono fatte pe’ cavalli, e che si manca intieramente di fieno e persino di paglia. Pensò di rivolgersi al Direttorio della Repubblica Ligure, per avere soccorso, “ nella confidenza, che la buona vicinanza e la medesimanza d’interessi , fossero uno stimolo potente ad ottenerlo. Vi mandò ambasciatore Giuseppe Cavalli con questa lettera: Cittadini, vi sono note le critiche circostanze del Piemonte, e quelle più dolorose del Dipar- timento del Tanaro vi saranno esposte dal cittadino Cavalli, da noi incaricatone. Nelle avversità sì conoscono gli amici e le anime generose. Tali vi consideriamo e tali speriamo di sperimen- tarvi con que’ soccorsi che vi saranno dimandati, o in genere, o in danaro, a titolo di prestito, fino alla concorrente di lire 400 mila; per rimborso delle quali impegniamo solennemente la fede e i beni della nazione tutta. La nostra crisi, ben sapete, non essere che momentanea, e comprenderete in tutta l'estensione la stretta relazione che può avere colla Nazione Li- gure (2). L'abituale attività ed avvedutezza deleCavalli nel perorare la causa dell’anga- riato e disgraziato Piemonte, a nulla valse, e tornò da Genova a mani vuote. Per fortuna, l’Amministrazione generale, quasi presaga del rifiuto, fin dal 22 fiorile (11 maggio) aveva emanato il seguente decreto: (1) accolta delle leggi, provvidenze e manifesti; 11, 215-217. Cfr. anche le pp. 194-195. (2) Serisse al Fiorella: “ Nous vous invitons, citoyen général, è mettre è la disposition du * citoyen Cavalli, que nous députons è Gènes afin d’obtenir de cette République des secours, soit “ en argent, soit en denrées, une escorte suffisant è cheval, s'il est possible, pour qu'il ne soit pas ‘ retardé dans des opérations qui ont pour but la subsistance de vos frères d'armes qui se trouvent “ dans les environs d’Alexandrie: c'est vous en dire assez Ca 13 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 227 È indispensabile che l’armata francese sia alimentata. Finora vi ha supplito il Dipartimento del Tanaro, ed in specie Ja Comune di Alessandria. Ora a quello ed a questa mancano i mezzi, e, quel che è più, mancano i generi e perfino le granaglie. Trattasi di causa pubblica, trattasi d'urgenza, che non ammette la menoma dilazione. Perciò, con le presenti, autorizziamo l’Am- ministrazione del Tanaro a fare le requisizioni di granaglie e di altre vettovaglie anche nel Dipartimento della Sesia e ne’ luoghi dove ve ne esiste, con prevalersi delle Municipalità; le quali non dubitiamo, che mosse dal proprio interesse e dagli oggetti della causa pubblica, non solamente aderiranno agl’inviti, ma faranno ogni sforzo per secondarli (1). Nel trasmetterlo all’Amministrazione del Dipartimento del Tanaro, le scriveva: “ Di danaro la cassa nazionale è esausta, e di più si è chiusa, d’ordine del generale “ Fiorella, onde tutto il fondo sia impiegato nelle provviste d’assedio della cittadella “ di Torino..... Il maggior bisogno sappiamo essere di granaglie. Coll’unito ordine “*v'autorizziamo a farne la requisizione anche nella Lumellina..... Se è vera la sup- “ posizione che nel Vogherano esista grano in abbondanza, non avete bisogno di “ suggerimenti per prevalervene ,. Si rivolgeva poi al Negro, amministratore delle finanze nazionali, con queste toccanti parole: Vi sono note le angustie e quasi diressimo disperazione della città d'Alessandria e de’ con- torni. Il loro carico non è niente meno che il mantenimento d’un’intiera armata. Le rappre- sentanze di quell’Amministrazione dipartimentale e quelle fatte a voce per di lei commissione dal cittadino Cavalli commuovono. Quest'Amministrazione ha preso delle misure per assisterla, ma ancorchè fossero efficaci, sarebbero però insufficienti, perchè il carico è enorme. Non omet- tasi pertanto verun mezzo per loro dare assistenza, quantunque sia tenue. Esistono tuttora mobili nel palazzo già reale; conviene vendergli all’incanto, e non si dubita che ne saprete trarre il maggior partito. Il danaro da essi ritratto sarà conservato a parte e fatto passare di mano in mano per intiero alla cassa di Alessandria, a fine di supplire alle spese pel mantenimento dell’armata. L'oggetto non può essere più urgente, più imperioso, più indispensabile. In mezzo a tante traversie l’Amministrazione generale non si lascia pigliare dallo sgomento. Invita la Municipalità di Bricherasio a darsi “ tutte le premure possi- “ bili per completare una compagnia di milizie , e mandarla a Pinerolo; ordina alla Municipalità di Saluzzo, dove “i repubblicani sono stati insultati, le insegne della “ libertà da qualche prezzolato satellite de’ tiranni lacerate, di vegliare col massimo “ interesse affinchè la pubblica tranquillità non venga disturbata, ed a scoprire gli autori dei nefandi disegni ,; alla Municipalità di Vigone, che si dimette impaurita, scrive: “ nous vous invitons è demeurer attachés è vos fonetions, vous rappellant “ que le vrai républicain ne se laisse ni abattre ni effrayer par les divers évene- “ mens inséparables des temps de revolution , (2). K Ecco che “ une troupe de brigands , prende a percorrere i Comuni di Busca, Costigliole e Caraglio, commettendo “ des horreurs et des crimes ,, e minacciando Saluzzo. Il comandante di questa città si rivolge all’Amministrazione generale per (1) R. Archivio di Stato in Torino. Registro dei decreti dell’Amministrazione generale del Pie- monte durante la sua residenza a Pinerolo. (2) Le lettere alle Municipalità di Bricherasio e di Saluzzo son del 19 fiorile (8 maggio); quella alla Municipalità di Vigone è del 21 (10 maggio). 228 GIOVANNI SFORZA 14 —_- essere soccorso. Il 21 fiorile (10 maggio) gli risponde: “ Nous ferons partir d'’ici “ Ja 4° colonne mobile pour comprimer ces scélérats et faire tomber la vengeange «“ nationale sur ces coquins; mais nous vous invitons è en informer le comman- “ dant de Coni, afin que le moviment se fasse d’accord, et ce sera alors que notre “ colonne passera par Revello et Barge, où elle est sure de se grossir prodigieu- “ sement pour tomber sur Saluces ,. Raccomanda, nello stesso tempo, alle Munici- palità di Barge e Revello di tener pronti ed inviare a Saluzzo “ les vrais amis de la liberté ,, che si trovavano a loro disposizione, “è fin que cette. horde de bri- “ gands soit dispersée avec la rapidité de la foudre ,. Il 22 fiorile (11 maggio) scrive alla Municipalità di Vauda di Front: “ Un rovescio momentaneo dell’armata d’Italia “ sparse un inopportuno smarrimento nel Piemonte. I fanatici, gli aristocratici col- “ sero questo tempo per ispiegare il carattere loro. Hanno manifestato qual sia il “ vilissimo lor desiderio. Questa loro passeggera consolazione era necessaria alla « patria. Per essa conobbe i veri repubblicani e per essa segnò i vili satelliti del «“ dispotismo, per punirli severamente. Fra questi vi è stato il parroco vostro, cit- “ tadino Giuseppe Volta, che, oltre alla vita scandalosa che ha menata finora, assistè « all’atterramento dell'albero di cotesto Comune, spaccia che i buoni repubblicani non “ trovano più scampo, che l’armata austriaca ha chiuso per ogni dove il Piemonte ; « nè contento di spargere egli questo scellerato rumore, si serve dell’infame mini- “ stero di una disonorante fantesca, e per lui la feccia viziosa del popolo imbal- «“ danzisce e comincia a minacciare le sostanze de’ buoni possidenti. Cotesto indegno “« del Vangelo si è dichiarato nemico della patria. Operate, a tenor delle leggi, “ contro di lui; procedete colla spada della giustizia ,. Prega “ instamment , il generale Fiorella “ è vouloir faire déporter , sei cittadini sospetti, perquisendone prima le case (1); e di fare arrestare “ sur le champ , l'ex conte di Canal e Cer- cenasco, Picone Malabaila, impadronendosi .delle sue carte. II & L’Amministrazione generale era smaniosa di rassodare “ tutti li poteri, dando “ loro una nuova attività ed un più rapido movimento :,; ma si trovava con le mani legate e nel maggiore degl'imbarazzi, per la “ totale mancanza di fondi, per “ far fronte alle urgenti spese del pubblico servizio ,. “ Les 32 mille livres en “ papier-monnaie, que vous avez bien voulu nous faire passer , (scriveva al generale Fiorella, spadroneggiante a Torino) “ ont été en grande partie absorbées par les “ dépenses faites....... La distribution journalière, tant aux troupes frangaises et “ Piémontaises stationnées ici en depòt, qu'aux Vaudois et patriotes, excède de “ beaucoup toute fourniture, qui pourrait se faire par réquisition, tant de la Muni- “ cipalité de Pignerol, que des environs. D°ailleurs, nous n’avons pas cru à propos, “ jusqu' è présent, de toucher à cette ressource pour ne point indisposer les peu- (1) Erano: “ Cordero, recteur de la Confrérie de la Trinité, ex Marquis Fauson de Montaldo, “ex Marquis de Spin, ex Marquis S. Severin, Basso adjudant de place, Pagan intendant ,. 15 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 229 “ ples, en leur donnant pas le moindre motif de se plaindre de notre conduite; ce « que nous nous réservons de faire sur les Communes insurgées, lorsque nous ferons marcher la colonne mobile, è activer aussitòt que l'on aura regu de Turin l’artil- lerie, les fusils et munitions, que le général Suquini a promis de nous faire fournir, “ lors de son passage par cette Commune. Én attendant, nous espérons, citoyen «“ général, que vous voudrez bien vous occuper de pourvoir è nos besoins pressans, «“ d’autant plus que l’Administration s'est engagé è faire passer les subsistances «“ nécessaires pour les vallées dont les habitans se sont montrés si prompts è mar- « cher au secours de la commune patrie dont le salut était menacé ,. Ripeteva al Negro, amministratore generale delle finanze nazionali, lo stesso giorno: “ Non “ abbiamo sin qui voluto fare nissuna requisizione in questa Comune, nè nelle circon- “ vicine, appunto per non indisporre gli abitanti, e per non darli il ben che menomo » x «“ motivo di lagnarsi ,. Il giorno dopo gli scriveva di nuovo: * Senza porre in pra- “ tica mezzi atti ad indisporre gli animi, già pazzamente esaltati, sembra che anche “ nel dipartimento dell’Eridano potrebbe ordinarsi il pronto pagamento del 15 e “ del 20 per cento delle somme pagate nell’anno scorso per gli imposti, esclusi i par- “ ticolari li quali hanno pagato meno di lire 50; qual pagamento fosse per antici- «“ pata e facesse parte degli imposti dell’anno corrente; ma tale espediente sarebbe . “ di effetto tardivo; per il che, se ne aveste qualche altro a suggerire, si sentirebbe “ volentieri. Si disse: nel dipartimento dell'Eridano, perchè per ora non si potrebbe “ forse porre in pratica ne’ dipartimenti della Stura e della Sesia, per le circostanze «“ a voi note; e per quello del Tanaro sapete che il detto espediente si è già pra- “ ticato per supplire alle spese dell’approvisionamento di Alessandria e di Tortona, le quali, giusta le disposizioni a voi note del Musset, dovessero farsi da quel dipartimento col compensarne l'importo sugli imposti di quest'anno ,. Finì coll’obbligare la Municipalità di Pinerolo, “ sotto la responsabilità de’ rispet- “ tivi membri, a somministrare le sussistenze militari, come si pratica dalle altre “% Comuni situate in luogo di tappe, di passaggio e residenza di truppe, tanto fran- “ cesi, che piemontesi ,; essendo “ dovere della Comune di Pinerolo, come di tutte “le altre, il prestare alla nazione tutte quelle risorse e mezzi che sono in suo « potere onde sollevarla , (1). E finì anche col forzare i proprietari tutti del Pie- monte a.pagare, “ nel termine di due giorni, il due per cento del loro capitale (2), “ a titolo di taglia anticipata ,; con facoltà di “ scontare le rispettive somme o in «“ danaro, o in generi al prezzo corrente ,, cioè “in grano, legumi, meliga, riso, “ vino e bestie bovine , ne’ tre magazzini generali di Torino, Cuneo e Pinerolo ; (©) ©) ) b) minacciando l'immediato arresto e la “ esecuzione militare , ai renitenti (3). A nesto decreto. che è del 2 pratile (21 maggio), ne tenne dietro un altro del 9 , DO , (28 maggio), col quale dichiarava, che “ guidata da un conveniente riguardo alle rimo- “ stranze della Municipalità di Torino, e dalla costante intenzione di conciliare la (1) Lettera alla Municipalità di Pinerolo, del 24 fiorile (13 maggio 1799). (2) Nello stabilire il capitale tenne per base lo “ Stato dei cittadini quotati col decreto del Governo “ Provvisorio delli 18 ventoso anno 7° (8 marzo 1799) per l’acquisto de’ beni nazionali, in propor- “ zione a un dipresso del quattro per cento dei loro patrimoni ,. (3) Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti; II, 227-228. 230 GIOVANNI SFORZA 16 “ comodità de’ cittadini e la facilità dell'esecuzione delle sue provvidenze 3} accor- dava a’ proprietari che dentro cinque giorni avessero pagato “ la metà del contin- “ gente loro fissato, o sia l'uno per cento del loro capitale ,, la dilazione d’ un mese allo sborso dell’altra metà; potendo “ eziandio andarne esenti, secondo le cir- “ costanze , (1). La riscossione, come del resto era da prevedersi, non riuscì facile e sollevò un'infinità di lamenti. Lo prova questa lettera del 4 pratile (23 maggio) all'Amministratore delle finanze nazionali: “ La protesta che dite farsi da quasi “ tutti i quotati, di non essere in situazione di pagare la quota fra giorni due, fu «“ dall’Amministrazione prevista, ed appunto per eliderla decretò l'articolo 6° », che dice: “ I renitenti saranno immediatamente. arrestati e soggiaceranno all'esecuzione “ militare’ ,. “ Voi, dal canto vostro ,, (soggiungeva) “ non mancherete di prestarvi “ all'esecuzione del medesimo. Riguardo a que’ quotati il di cui patrimonio consiste “ in monti, cedole, censi o crediti, devono essi pagare; e se la loro quota non può “ scontarsi sulle taglie, essa si ridurrà in imprestito forzato, da pagarsi in rate alle “ stesse epoche in cui si sconterà agli altri la loro quota colle taglie. Cittadino, voi “ conoscete quanto noi i bisogni della nazione e le uniche risorse che ci restano, e “ perciò speriamo che non lascierete incagliare il pubblico servizio da ulteriori sot- “ terfugi....... Ci compromettiamo dal zelo vostro di vedere una pronta esecuzione “ del nostro decreto, per quanto da voi dipende; unico mezzo di salvare la patria , Ad accrescere tante e così gravi angustie si aggiunse la penuria del sale, e bisognò che il Governo ci provvedesse, accordandone, in via provvisoria, “ libera a “ chiunque la introduzione e traffico per conto proprio , (2). Il generale Fiorella, persuaso che il disbrigo degli affari avrebbe ottenuto a Torino maggiore unità e speditezza, indusse l’Amministrazione generale a farvi ritorno. Il 28 fiorile (17 maggio) scriveva essa allo Zimmermann: “ D’après l’invi- “ tation du général Fiorella, l’Amministration partira d’ici demain matin pour se “ rendre è Turin, et nous vous invitons en conséquence à vouloir donner vos ordres “ pour qu'elle soit escortée par un détachement de*cavalerie ,. Partì infatti; ma la presa risoluzione non incontrò il consenso del Generale in capo, perchè i ia menti dell’armata potevano da un momento all’altro lasciare scoperta Torino e cadere la città in balìa del nemico. Dovette dunque, “ con grave rincrescimento, abbandonare “ il concepito disegno , e tornare “ indilatamente , a Pinerolo, obbedendo all'invito “ di chi ha in mano li mezzi della comune salvezza , (3). A propria giustificazione scriveva al Moreau il 30 fiorile (19 maggio): “ Aussitòt après avoir connu vos inten- - ‘ tions, citoyen général, par la lettre que mous a écrite le général Grouchy, en date “ d'hier, nous nous sommes mis en route pour Pignerol où nous arrivons en ce “ moment. Nous avions cru, en nous transférant è Turin, seconder vos vues et “ donner un noùvel élan au patriottisme de la capitale; mais puisque maintenant, ‘ d'après les circonstances du moment, notre retour ici vous a paru nécessaire, nous “ nous sommes fait un devoir de ne pas perdre un istant pour l'effectuer , (1) R. Archivio di Stato in Torino. Registro de’ decreti dell'Amministrazione generale del Pie- monte. (2) Decreto del 6 pratile (25 maggio). (3) Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti; II, 224-225. bio - 17 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 231 Gli avvenimenti incalzano. Branda de’ Lucioni, già uffiziale al servizio dell'Austria, intitolatosi commissario dell’imperatore e del re, messo di Dio soprattutto, passa “come un uragano di fango e di sangue nel Vercellese e nel Canavese , e sosta a Chivasso, dove sceglie per luogotenente il conte Oddone Arnaud di S. Salvatore, e di là ordina alle Municipalità de’ dintorni d’insorgere, di mandargli uomini, armi, munizioni. “ Gli stavano a fianco, in qualità di segretari, due cappuccini, con croce- “ fissi e pistole in mano e ‘alla cintola; frati e preti, armati di tromboni e di “ aspersori, gli facevano strascico e corteo; spaventevole e schifoso spettacolo. Il “ contadiname brandiva forche, tridenti, bastoni acuminati e sciabole arrugginite; arre- “ stava, straziava e anche uccideva chi credeva nemico di Dio e del re , (1). Per testimonianza del Botta, Branda de’ Lucioni, “ exergant les: devoirs de la religion le “matin, plein de vin le soir, ose menacer le général Fiorella lui-mème , (2). L'Amministrazione generale autorizzò l’Aymone di Chivasso, “ republicain zélé cet courageux ,, di formare e organizzare un corpo di patrioti e marciare contro il ter- ribile avventuriero (3). Nel partecipargli il decreto, gli scrisse: “ Dans le cours de “ votre mission, vons étes autorisé à inviter une partie des gardes nationaux des “ differentes Communes, et préférablement de celles qui se sont conservées fidèles “à la cause de la liberté, de se réunir è vous. Les patriotes, qui seront sous vos “ ordres, fesant temporainement le service de la troupe réglée, jouiront des mémes “ avantages de legement, vivres, bois et lumières. Tout ce qui sera fourni par les « Municipalités aux dits patriotes sous vos ordres, leur sera promptement rem- “ boursé sur vos récépissés par l’Administration générale du Piémont ,. Due giorni prima (13 maggio) aveva scritto al Generale in capo: “ Mille “ Vaudois sont partis hier de cette Commune, sur l’ invitation du général Fiorella, “ pour comprimer les brigands de Carmagnola, qui ont osé faire feu sur un général “ frangais et de desarmer son escorte, quoique nombreuse de 200 hommes , (4). Il (1) Carurti D., Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero Francese; II, 47. (2) Borra C., Précis historique de la Maison de Savoie et du Piémont, p. 105. (3) Decreto del 26 fiorile (15 maggio). (4) Fin dal 22 fiorile (11 maggio) si era affrettata a scrivere alla Municipalità di Carmagnola : “ L’Amministrazione generale del Piemonte ha inteso con orrore i delitti commessi contro un con- “ voglio francese e contro i bravi Astigiani, che volavano a Pinerolo a difesa della patria. Dunque “ così poco si rispettano costì i diritti dell'umanità, dell’ ospitalità, dell'amore della Patria? Chi ‘ sono i vili che siffattamente insolentiscono all'avvicinarsi di pochi schiavi salariati da Re barbari “ del Nord, cui già sovrasta l'inevitabile vendetta repubblicana? Si dimentica fra di noi il sangue “ sparso da tanti illustri martiri della Libertà Piemontese e le fatiche onorate di quelli che soprav- “ vissero? Quali sono gli snaturati che amano la schiavitù e vogliono per forza essere infelici ? © L'Amministrazione è informata che la Municipalità di Carmagnola ha voluto proteggere i mede- “ simi patrioti, cui un branco d’infami fanatici perseguitava, ed ha applaudito al .suo zelo. Essa “ v’invita, cittadini înunicipalisti, a continuare nella stessa strada e a mostrare anche maggior zelo “ e fervor patriotico. Il nostro coraggio, la nostra imperturbabilità, l’ardenza nostra debbono essere “ eguali alla rabbia degli aristocratici ed alla grandezza de’ pericoli. L’ Amministrazione intenderà “ con piacere che tale sia il carattere della Municipalità di Carmagnola. Ma vi chiede conto, cit- ‘ tadini municipalisti, dei nostri fratelli Astigiani, dell’armi e dello stendardo loro presi dalle bande “ ribelli, e le renderete conto immediatamente delle disposizioni da voi date per ricuperarli. Se “ qualcheduno fra di essi perì, sarà vendicato. Le proprietà e le vite degli assassini loro ne saranno “ responsabili. Se non saranno immediatamente messi in libertà e loro restituito ciò che fu tolto, “ la vendetta nazionale perseguiterà i perfidi ed i colpevoli ,. 232 GIOVANNI SFORZA 18 Fiorella, con un proclama a stampa, rivolgeva queste parole agli abitanti de’ Comuni del Piemonte: “ Le crime le plus atroce et le plus inoui a été commis, le sang des * francais a coulé par le fer homicide des habitans ribelles de Carmagnola....... Lies « troupes républicaines conjointement aux braves patriotes piémontais étoient chargés « de punir l’audace de cette masse de brigands. Carmagnola n’existera presque plus ,. Co Valdesi era andato anche il Rossignoli, al quale i suoi colleghi dell’Ammini- strazione generale mandarono poi questi ordini: Dalle notizie ed informazioni sposteci, risulta che gli ex-nobili e più facoltosi del Comune di Carmagnola non furono giammai sottoposti ad alcuna imposizione straordinaria, ancorchè in essi concorressero tutte le circostanze meritorie di tali disposizioni per parte del Governo ; che però risultandoci che li soli borghi di detta Comune abbiano osato prendere le armi contro li repubblicani francesi ed italiani e fatto delle azioni che meritano il saccheggio e l’ incendio, mentre gli abitanti della città fossero stati più riservati nel dimostrarsi antirepubblicanamente, quest’Amministrazione v'invita ad abbandonare alla vendetta nazionale quello o quelli de’ borghi che saranno colpevoli, e risparmiare l’eccidio di quella città per li seguenti motivi, dettati dalle circostanze e dall’umanità: 1° Per lasciare agli abitanti di detto borgo un qualche ricovero e per non forzarli a mettersi sulle strade all’assassinio e ladroneccio ; À 92° Per trarre dagli abitanti della città ‘non saccheggiati una risorsa, che può essere del più gran vantaggio e sollievo de’ bisogni in cui ci troviamo per far fronte alle spese nazionali. : Capitandovi però questa lettera in tempo e trovando voi gli abitanti di Carmagnola in dovere, potrete imporli una imposizione straordinaria di lire 150 mila, da ripartirsi dalla Municipalità stessa sugli ex-nobili, preti, corpi religiosi, aristocratici conosciuti e persone più facoltose. Tale imposizione sarà pagabile per lire 100 mila in moneta corrente di Piemonte, oppure in effetti d’oro e d’argento equivalenti, e per il ricevimento di tali somme potrete deputare il cittadino avvocato Taraglio, che si trova nel numero de’ patrioti formanti parte della vostra colonna e chè sapete trovarsi presso l’ Amministrazione in qualità d’impiegato nelle finanze nazio- nali; e le restanti lire 50 mila, pagabili con generi di sussistenza, del cui ricevimento e tras- porto in queste Comuni, che saranno dall’ Amministrazione indicate, ne incaricherete e rendefete risponsale la Municipalità di Carmagnola (1); di cui intanto potrete destituire e rimpiazzare quei membri che credete avversi alla causa della libertà, e ciò in seguito alle informazioni che potrete prendere sulla loro condotta, massime dal comandante di codesta piazza. L'Amministrazione, di cui voi fate parte, v'&utorizza a prendere tutte quelle misure che crederete più convenienti per l’esecuzione delle disposizioni da essa prese, e che vi communica con questo, e spera tutto il miglior successo dal vostro zelo patriotico (2). (1) Il Fraissinet volle che la Municipalità “ sborsasse subito 50.000 lire in moneta, e che “ pagasse entro breve termine altre 110.000 lire in moneta od in natura, per l’armata mobile dei “ volontari di Pinerolo ,. Cfr. Menoccnro R., Memorie storiche della città di Carmagnola, Torino, Roux, 1890, p. 169. Racconta il Maranda che il Fraissinet aveva promesso “ de la répartir en pro- * portion, mais il a trouvé beaucoup plus commode de la garder toute pour lui, car personne, ni “ francais, ni piémontais, ni vaudois n’en a eu la plus petite partie ,. Cfr. Maranpa, Tableau du Piémont sous le régime des rois, avec un précis sur les Vaudois et une notice sur les Barbets, À Turin, de l’imprimerie Guaita, l'an XI, p. 155. (2) È del 24 fiorile (13 maggio). Il giorno dopo tornò a scrivergli: “ Arrivano in questo punto * alcuni patrioti e fra gli altri il medico Porta, li quali portano le nuove più desolanti di Cherasco, 19 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 233 Della facile impresa di domare la ribelle Carmagnola ebbe l’incarico il gene- rale Fraissinet, che accampatosi sulla sponda destra del Po al ponte di Carignano, inviò agli abitanti un parlamentario, con questa lettera: Sono sotto le vostre mura con una colonna di sei mila uomini, avvezzi alla vittoria. Ascol- tando i sensi d’umanità, che nutro in cuore, vinvito a rendervi ed affidarvi alla lealtà francese. Molto siete colpevoli, ma non sono chiusi alla clemenza i cuori nostri. Deponete le armi, conse- | gnate in mio potere gli uomini perfidi che v’hanno traviati; voi salverete numerose vittime, che sarebbero immolate... Non aspettate che la mia artiglieria riduca in cenere i vostri borghi e le case vostre; mi costa il combattere contro padri di famiglia. Ascoltate un uomo d’onore, che vi parla. Rinasca la pace nelle vostre abitazioni; noi non facciam guerra che contro ai ladri ed i briganti; questi desolatori dell'umanità deggion perire. I bravi piemontesi conoscon troppo l’onore, perchè io sia deluso della mia aspettazione. Rendo risponsabili le Municipalità ed i preti dei villaggi dove si suonerà campana a mar- tello; saranno questi luoghi sul campo abbruciati, e gli autori di tante calamità saranno rispon- sabili del sangue che faremo versare. Ascoltate la voce della ragione, e se io posso essere assai felice per condurvi ad essa, sarà questo il più bel giorno della mia vita. In un poscritto “aggiungeva: “ Attendo immantinenti la vostra risposta ed i “ francesi che voi avete fatto prigioni (1) ,. Il parlamentario venne arrestato dagli insorti, che risposero : 1° Dovrà il corpo francese deporre le armi a chi sarà deputato dal popolo per rite- nersele. 2° Dovranno consegnare cinque officiali in ostaggio acciò il popolo non sia più inquietato. 8° Non passerà più alcun corpo francese colle armi in Carmagnola. 4° Se alle volte vi fossero prigionieri stati fatti ieri l’altro, si dovranno immediatamente consegnare; e lo stesso si farà da noi. Al general Fiorella ‘così il Fraissinet diè conto di quello che avvenne (2): “ Mi “ disponevo ad attaccarli, allorquando i ribelli, in numero di diecimila, mi hanno “ vigorosamente attaccato al ponte di Carignano. L’affare è stato vivo, il combatti- “ mento sanguinoso, e per lo spazio di quattro miglia di Piemonte noi abbiamo “ combattuto piedi a piedi; ma le brave truppe ch’ io comando hanno fatto trionfare “i soldati della libertà. Più di quattrocento ribelli sono stati uccisi in quest’affare; “ noi dobbiàmo compiangere la perdita di trenta dei nostri bravi compagni (3). Il “ dove gl’insorgenti di Bene, Nazzole e contorni sono piombati sovra la guarnigione francese, di “ 60 uomini circa e la guardia nazionale, la tagliarono a pezzi, incendiarono quel castello in cui si “ era rifugiata e commisero i più atroci orrori. Siccome li suddetti aggiungono che l’orda infame “ s'incammina verso Bra e così vi è pericolo che possano venire ad unirsi ai ribelli di Carmagnola, “ vi mandiamo perciò il presente espresso, perchè possiate prendere quelle misure che sono del caso ,. (1) Don Gaetano Filipponi, canonico della Collegiata, che era l’'istigatore e il capo de’ sollevati, “ salito sopra un carro , lesse “ ad alta voce , la lettera del Fraissinet, e fu lui che dettò Ja fiera risposta. Cfr. MenoccnIo R., Memorie storiche della città di Carmagnola, Torino, Roux, 1890, pp. 166-171. (2) Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti; II, 198-202. (3) Il Maranda, che. era alla testa de’ valdesi e descrive in ogni suo più minuto particolare la zuffa, afferma invece: “ Les frangais ont perdu 5 à 6 hommes dans cette affaire; les piémontais un “ officier de Riva, et les Vaudois ont eu 17 blessés et 35 morts, y compris 3 officiers ,. Cfr. MARANDA, Tableau du Piémont sous le régime des rois, avec un précis sur les Vaudois et les Barbets, À Turin, l'an XI, p. 184. Seris II. Tom. LIX. 30 234 GIOVANNI SFORZA 20 - x « sobborgo della Madonna è stato ridotto in ceneri, e la città si è resa a discrezione; “ essa è pressochè deserta (1) ,. Questa sanguinosa tragedia avveniva il 24 fiorile (13 maggio): due giorni dopo l'Amministrazione generale scriveva al Rossignoli: Ansiosa l’Amministrazione di riavervi nel suo seno, massime per la moltiplicità ed urgenza degli affari che la occupano e nella spedizione dei quali vorrebbe circondarsi dei vostri lumi e mezzi, non ha potuto a meno di prendere in considerazione l’offerta fattale dal cittadino capo di brigata Trombetta di venirvi a rilevare dalle fatiche di una spedizione altrettanto disastrosa, quanto gloriosa. Il giorno dopo (16 maggio) scriveva alla Municipalità di Pinerolo: “ Siete invi- “ tati a far preparare sul campo 1400 razioni di pane, vino, riso, sale e acquavita, « unitamente a 500 razioni di carne, per la truppa che è qui di ritorno dalla spe- * dizione di Carmagnola. La medesima dee arrivare a mezzogiorno ,. Ai Valdesi fu dato anche un “ pranzo patriottico dall’Amministrazione generale nel giorno 28 fio- “ rile, per celebrare la vittoria riportata sugli insorgenti ,. Il danaro per pagare agl’impiegati lo stipendio non si trovava, e lo aspetta- vano indarno (2); ma il “ cittadino Paliotti, mastro di posta ed obergista , a Pine- rolo, che apprestò quel pranzo, venne saldato d’ogni suo avere il giorno dopo (8). La popolazione di Carmagnola implorò pietà. S'udì rispondere : i All’esecrando delitto della controrivoluzione operatasi nel vostro Comune dovete attri- buire le circostanze calamitose che ora v'affliggono. Quest’'Amministrazione non può secondare gli impulsi de’ sentimenti benefici che l’animano al sollievo de’ traviati e de’ sciagurati abitanti di codesto vostro Comune, mentre l’esecuzione della vendetta nazionale sta in mano delle Auto- rità francesi militari, alle quali potete indirizzarvi per ottenere quanto ci chiedete con vostra lettera de’ 28 scorso fiorile (17 maggio). Vi consigliamo, per quel che ci riguarda, le impostevi contribuzioni di farle pesare sulli principali autori de’ mali che vi circondano. (Sa Non erano uomini da sentire “ gli impulsi dei sentimenti benefici ,. Sta lì a provarlo la legge da loro emanata fin dal 23 fiorile (12 maggio) contro gli “ anti “ repubblicani, che spietatamente infestano il seno della patria (4) ,. Uno degli stessi amici loro più sviscerati e più fidi è costretto a confessare: “ L’Administration (1) Nello stesso rapporto al Fiorella si legge: “Io debbo particolarmente parlarvi della maniera “ distinta con cui si è regolato il cittadino Pambletti, capo di battaglione aggiunto al nostro Stato “ maggiore. Io vi raccomando quest’officiale; egli è pieno di meriti ,. Gaetano, figlio di Gio. Antonio Paroletti e di Luisa Maria Brochi, qui ricordato, nacque a Torino il 30 decembre del 1769. Nella sua giovinezza fu chierico, poi, deposto il collare e datosi alla milizia, divenne aiutante di campo del Grouchy. Prese parte alle guerre napoleoniche e salì al grado di generale. Morì a Parigi nel gennaio del 1826. (2) Lettera al Bessi, commissario presso l’ ex, Direzione centrale di Pinerolo, del 28 fiorile (17 maggio). to (3) Ordine al cittadino Gariglietti, tesoriere provinciale, del 29 fiorile (18 maggio). (4) Toccano di questa legge in una lettera al Moreau del 24 fiorile (13 maggio). “ Vous recevrez “ ei-joint , (gli scrivevano) “ un exemplaire d’un arrèté pris par l’Administration è l’objet de com- “ primer les contrerévolutionnaires. Ce n'est que l’urgence extrème des circonstances actuelles qui “a engagé l’Administration è publier un pareil arrété sans en reporter au préalable votre appro- “ bation. Nons avons cru, d'ailleurs, qu'il était tout-à-fait conforme è vos intentions x. 21 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 236 “ générale publie, le 23 floreal, une loi terrible contro les insurgés et les auteurs «“ des mouvemens insurrectionnels, et crée une commission ambulante de haute “ police pour les juger , (1). Stabiliva: . 1° Chiunque sarà convinto di aver ordito macchinazioni contro il Governo repubblicano o contro la sicurezza e la vita de’ francesi, o de’ repubblicani di qualunque nazione, o ad oggetto di ristabilire la monarchia, sarà punito di morte. 20 Chiunque griderà Viva il Re, o Viva qualunque altra potenza in guerra contro la Repubblica Francese, sarà punito di morte. 8° Chiunque sarà convinto di aver suonato o instigato altrui a suonare campane a martello, per attruppare il popolo contro il Governo repubblicano, o contro i repubblicani, sarà punito di morte. 4° Chi distribuirà armi, viveri o denaro all’oggetto di distruggere il Governo repubbli- ‘cano, o di promuovere insurrezioni contro le truppe francesi, o altra qualunque forza armata, per la difesa della Repubblica, sarà punito di morte. 5° Chiunque sarà convinto di aver portato le armi contro le truppe repubblicane sarà medesimamente punito di morte. i 6° Sono dichiarati nemici della patria quegli ecclesiastici i quali saranno convinti di essere stati promotori di attruppamenti sediziosi contro il Governo repubblicano, o contro i repubblicani, e come tali saranno puniti di morte. 7° I parrochi di quei Comuni nei quali si saranno manifestate insurrezioni contro il Governo repubblicano, o contro i repubblicani, saranno immediatamente arrestati, e qualora siano convinti di avervi avuto parte, saranno, puniti di morte, 8° Tutti quei Comuni nell’abitato dei quali rimarranno uccisi od arrestati o spogliati soldati francesi o piemontesi accorrenti alla difesa della Repubblica, od in viaggio pei loro rispettivi corpi, o patrioti di qualunque nazione, saranno assoggettati al quadruplo delle imposi- zioni ordinarie, qualora non isvelino gli autori di tal delitto e non ne somministrino le neces- sarie prove. 9° Tutti quei Comuni nei quali o soldati francesi o piemontesi o patrioti di qualunque nazione rimarranno uccisi popolarmente e con tumulto, saranno immediatamente incendiati ed atterrati fino alle fondamenta. Vennero conservati i tribunali di alta polizia, stabiliti con la legge del 7 nevoso (27 decembre 1798), anzi fu ad essi “ raccomandata la massima attività e fervore “ nell'esercizio delle loro funzioni , (2). Nel tempo stesso però ebbe vita una com- missione di alta polizia, per giudicare “ dei delitti di contro rivoluzione ,, da risie- dere presso l’Amministrazione generale ed ovunque giudicherà la medesima di desti- narla; composta di tre giudici, di due commissari e di un accusator pubblico (3); la (1) Borra C., Précis historique de la Maison de Savoie et du Piémont; p. 106. (2) Il Governo Provvisorio con questa legge stabilì un tribunale di alta polizia a Torino, Ivrea, Mondovì, Asti, Novara, Alessandria e Casale, per giudicare i “ rei di lesa nazione ,, tra’ quali met- teva in primo luogo “ coloro che con perfide insinuazioni, tanto in parole, quanto in iscritti e con € una vile ipocrisia compiangendo il nuovo ordine sociale, predicendo funesti avvenimenti, mante- “ nessero viva la speranza del prossimo ristabilimento dell’espellita famiglia dei tiranni, che poc'anzi “ ci opprimeva, e cercassero con falsi allarmi ed oscuri raggiri di rendere odioso il Governo repub- “ blicano ,. Cfr. Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti emanati dal Governo Francese e Provvi- sorio e dalla Municipalità di Torino, vol. I, pp. 68-72. (8) Ne fu presidente Ignazio Belmondo, causidico; giudici, il Ronfant di Bagnolo, uomo di legge, e David Mondon, ministro evangelico; commissari, il segretario della Municipalità di Bricherasio Giorgio Maria Cattaneo e il notaio Carlo Tonelli; accusator pubblico, Ignazio Paris. L'Amministra- 236 GIOVANNI SFORZA 22 quale doveva procedere “ ne’ modi più pronti ,. Nelle sentenze di morte era, per- altro, necessaria “ l’unanimità dei tre voti; riguardo alle altre pene bastava la plu- ralità di due , (1). Ritenendo poi che lo scoppiare continuo d’insurrezioni fosse opera principalmente delle “ perfide insinuazioni e maneggi de’ preti ed ex-nobili, mas- “ sime emigrati ,, con un’altra legge (2), emanata il 2 pratile (21 maggio), ordinò che questi ultimi, lasciate le campagne, dove si erano ricoverati, tornassero imme- diatamente alle proprie città, sotto pena dell’arresto e del sequestro della metà dei loro redditi. Dentro ventiquattro ore dovevano poi uscire dal territorio repubblicano tutti gli emigrati francesi venuti in Piemonte dal 1789 in poi; e tutti i savoiardi e nizzardi che vi avevano preso stanza dopo il settembre del 1792 (3). Spaventevole è il quadro che fa del Piemonte l’Amministrazione generale in una sua lettera alla Municipalità di Briangon, scritta il 1° pratile (20 maggio). Ecco . quello che dice: zione nel partecipare a quest’ultimo la nomina gli scriveva: “ La Patria, la salvezza della quale “ dipende dalla scelta de’ migliori cittadini per destinarli alla vigilanza sulla sua sicurezza, nella * vostra destinazione affida la sua tranquillità al vostro zelo. Le son noti i vostri talenti per ripo- “ sare sulla vostra capacità, e non ignora l’ardore di cui siete per lei acceso, per non dubitare della vostra sollecitudine ed esattezza nell'esercizio de’ vostri doveri. I lumi della filosofia, che professate, “ guidino le vostre operazioni, e la pubblica sicurezza, allontanando ogni privato riguardo, ne sia l’unico scopo. E mentre la vostra energica operosa saviezza porrà sotto la spada della giustizia “ gl’ipocriti, i scellerati nemici della libertà, fate che le persone dabbene, gli onesti cittadini, vivendo “ tranquilli nel seno delle loro famiglie, si glorino del nuovo Governo ,. Intorno al Belmondo e al Cattaneo, entrambi di Bricherasio, dà interessanti notizie il prof. L. C. BorLea nel suo libro: La rivoluzione in una terra del Piemonte (1797-1799), Torino, Clausen, 1905; in-8°. Merita di essere trascritta questa lettera dell'’Amministrazione generale al Fiorella: “ Tandis “ que les généraux frangais, les autorités constituies, tous les amis de la liberté s’efforcent, par tous “les moyens qui sont en leur pouvoir, de ranimer l’esprit public, et de porter le peuple Piémontais aux armes contre les brigands qui désolent ses fertiles contrées, il est étonnant que des journalistes imbécilles ou impudens osent le rappeler à l’inaction et au rang honteux de spectateur tranquille dans la lutte scandaleuse de la liberté contre la tytannie. Nous vous prions, citoyen général, de “ jeter les yeux sur l'article S. Damiano du n° 4 de journal intitulé: Diario Torinese, que nous vous renvoyons. Ce folliculaire se permet d’inviter le peuple Piémontais è rester tranquille et à ne se livrer è aucun parti, comme s’il y avait è balancer entre la liberté et la tyrannie, les lumières et l’ignorance, l’humanité et la barbarie! Les habitans de Carmagnole révoltée et les braves troupes, les généreux patriotes, qui les ont vaincus, sont donc également coupables è ses yeux! Tandis que le sang frangais coule de tous còtés, sera-t-il permis aux Piémontais de se retirer tranquillement, comme il le dit, au sein de leurs familles, et de vaquer uniquement aux affaires domestiques? Nous vous prions, citoyen général, de vouloir bien prendre les mesures nécessaires pour réprimer l’abus qu'il fait de son métier ee journaliste ; abus qui est aussi scandaleux que nuisible à l’esprit public ,. È del 28 fiorile (17 maggio). Il Diario Torinese si era preso a ripub- blicare il 12 di maggio per cura di Vincenzo Bianco, direttore della Stamperia di scienze ed arti, “ sotto la guida di penne esatte egualmente che intelligenti ,. (1) Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti; II, 202-205. (2) In una lettera scritta dall'Amministrazione generale il 9 pratile (28 maggio) si legge: “ Le soir du 6 nous regumes deux deputés de la Municipalit&8 de Turin, les citoyens Riccati et Tron, qui vinrent conférer et concerter avec nous sur les mesures d’execution de deux arrètés que nous avons pris le 2 et 4 du courant relativement aux nobles et aux émigrés, et portant le payement d'avance des impositions ordinaires à la charge des quotés par la loi du 18 ventose. Le matin du 7 è midy nous sortimes des congres tres satisfaits des dispositions de part et d'autre et a midy... les deputés repartirent ,. Nel lasciar Pinerolo certo non immaginavano di trovar Torino in mano degli Austro-russi ! (3) Raccolta di leggi, provvidenze e manifesti; TI, 236-238. R (A u (n “ 23 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 237 L’état actuel des choses n’est pas rassurant; nous avons eu une affaire malheureuse è S. Giuliano, entre Alexandrie et Tortone, et l’armée s’est repliée d’abord sur Asti et ensuite sur Carmagnola, où doit étre le quartier général aujourd’hui. Elle est extrèmement affaiblie, soit par les pertes qu'elle a faites, soit par les garnisons nombreuses qu'elles a laissées dans les différentes places fortes. L’armée ennemie est, pour le nombre, infiniment supérieure è la notre. A l’exception de la Province de Pignerol et de Suse et de quelques autres vallées, tout le Piémont est au pouvoir de l’ennemi,, ou en proie aux insurrections (1). Des paysans armés viennent nous insulter jusqu'aux portes de Turin. Cette ville, quoique très-bien fortifiée, n’est pas en état de défense, faute d’hommes et de subsistances. Cependant la citadelle est suffisamment garnie et approvisionnée. Le fort de Ceva a été pris par les paysans révoltés. La ville de Mondovì est aussi insurgée et les habitants ont fait la garnison prisonnière de guerre. Le général Delarnay, qui avait été envoyé contre eux, a été tué. Partout les patriotes ont été incarcérés et ont essuyé des traitemens affreux. Quelques-uns mème ont peri sous le fer des assassins. Les prétes et les moines sont è la tete des ribelles, et la croix d’une main, le sabre de l’autre, prechent par tout la mort aux frangais et aux patriotes. La Commune de Carmagnole, qui s’étant revoltée avait forcé 80 frangais è metre bas les armes, a été ensuite livrée en partie aux flammes par les républicains. L’anarchie est complète et on n’a pas les moyens de la réprimer. Tous ces évènemens sinistres ne sont que l’effet du fanatisme qu'on n’a pas assez réprimé, et des véxations inouies, des dilapidations sans exemple que les vampires de l’armée et grand nombre d’agens du Gouvernement Frangais ont exercées sur les peuples de l’Italie, qui les ont indisposé contre nous, et ont privé en mème temps l’armée des moyens de poursuivre la guerre. Les peuples sont reduits è la misère; le soldat manque de tout, tandis que tous ceux qui tiennent aux administrations, soit civiles, soit militaires, regorgent d’argent qu’ils ont emporté les premiers, en donnant l’exemple de la làcheté la plus scandaleuse. Au milieu de la corruption universelle, parmi ce débordement encroyable d’immoralité, il n'y a que le soldat qui malgré toutes les privations, auxquelles il est en proie tous les jours, ait conservé de la vertu et du courage (2). Voilà, citoyens administrateurs, le véritable état des choses. Si on n’envoye pas de l’interieur les plus promptes et les plus puissans secours (3), on ne peut pas prévoir jusqu’où les évènemens militaires pourront s’étendre. (1) Il 26 fiorile (15 maggio) l’ Amministrazione generale scriveva al geserale Séras: “ Des “ insurrections se sont manifestées dans la vallée de Grana et notamment à Villefalet. Il est instant “ de réprimer les brigands. Vous pouvez, pour cet objet, disposer de 500 gardes nationaux de la “ Commane de Revel, Barge et Bagnol; ils sont animés du meilleur esprit ,. Il 1° pratile (20 maggio) annunziava al generale Zimmermann: “ La nuit dernière on a tenté d’abattre l’arbre de la liberté “à Airasca; la garde nationale a fait feu sur ces scélérats, tous étrangers, et en a tué un. La Mu- “ nicipalité s'est bien montrée aussi et tout paraît actuellement assez calme ,. Fu “il cittadino “ Francesco Franco, luogotenente della guardia nazionale ,, che fece fuoco e ammazzò , uno de’ male intenzionati, per nome Michele Ferrero ,. Il Governo gli attestò © solennemente la soddisfa- “ zione ,, con l'augurio: “ Possa l'esempio di questo zelante e coraggioso cittadino servir di sprone “ ai buoni e di terrore ai cattivi, che a grave danno ed imminente pericolo della patria si sono “ troppo moltiplicati ed hanno commesso in varii luoghi i più abbominevoli delitti ,. (2) Tra' soldati francesi e i soldati italiani però non c’era buon sangue. Al Simon, comandante di Fenestrelle, fu scritto il 26 fiorile (15 maggio): “ L’Administration est informée qu'il existe une “ rivalité marquée entre les patriotes du corps du citoyen Trombetta, de garnison au fort de Fene- “ strelles et les artilleurs frangais. Cette rivalité a déjà donné lieu è des rixes particulières et ne “ peut ètre que fort nuisible au service ,. (3) Di soccorsi, che stavano per venire dalla Francia, i generali francesi avevano ogni giorno piena la bocca. Il Fiorella in un proclama agli abitanti di Torino, del 19 fiorile (8 maggio), ebbe la sfrontatezza di pubblicare: “ Due millioni di uomini sono pronti a mettersi in marcia; seicento “ mille già si avanzano per sostenere la causa comune! , 238 GIOVANNI SFORZA. 24 Ml 3 pratile (22 maggio) indirizzava “ ai bravi abitanti delle Alpi , questo proclama: Il comune pericolo comanda le più efficaci misure di comune salvezza. Si è appunto nelle circostanze più difficili che si conoscono e distinguono gli uomini di carattere, gli uomini di onore, gli amatori della patria. Si tratta di sostenere la causa della libertà del Piemonte e forse di tutta l’Italia, con far argine per un istante all’orda dei barbari che minacciano di tutto inghiottire, per dare il tempo necessario ai validi soccorsi, che ci sono promessi e che già arri- x vano in gran copia dalla Francia. Bravi montagnardi, noi non vogliamo ingannarvi: il linguaggio che andiamo a tenere con voi non lo terressimo certamente con quelle Comuni, le quali, poste nell’interno del paese od in pianura, potrebbero facilmente essere circondate ed oppresse da una forza maggiore. L’Am- ministrazione generale si rivolge a voi, che la natura ha fayorito di inespugnabili baloardi e che avete le spalle coperte da posizioni nella massima parte inaccessibili. Difendiamo da fratelli il nostro suolo: disputiamo a palmo a palmo il terreno ai nemici, e la loro rabbia verrà a rompersi contro questi scogli come l’onda del mare. Le Alpi sono fatte per dominar la pianura: concentriamo nei tortuosi seni di queste lo spirito di Libertà e di Repubblica; esso ne diverrà più energico, più sodo e più tenace; esso formerà degli uomini indomabili, che allargando a tempo opportuno il freno al loro coraggio, scenderanno, a guisa di un rovinoso torrente, che rompe gli argini, ad abbattere gli usurpatori ed a portare agli oppressi fratelli soccorso, libertà e pace (1). Quasi tutto il Piemonte, levato in armi, grondava sangue. Il Moreau, “ vedendo « piena troppo grossa e che non era più tempo di aspettar tempo ,, pensò alla salute de’ suoi. “ Passando per Asti, Cherasco e Fossano, e lasciate ben guardate Ales- “ sandria e Tortona, andava a porsi alle stanze di Cuneo , (2). Avviate poi le grosse salmerie in Francia per la strada di Fenestrelle, gettati tremila uomini nella città di Cuneo, di cui commetteva la difesa al Musnier; risalita la valle della Corsaglia fino a Garessio, decise di ridursi nella Liguria. E vi si ridusse infatti con le artiglierie ed i bagagli, per il colle di S. Bernardo, facendo. aprire da’ suoi soldati una nuova strada attraverso i gioghi asprissimi dell'Appennino che sta sopra Albenga e Loano; luoghi giudicati fino allora impraticabili a un esercito. 4 Il Grouchy, che per ordine suo tentava di ripigliare il forte di Ceva, assalito dal Vukassowich, dovette lasciare “in balìa degli Austriaci ventiquattro cannoni, “ due mortai e un obice ,; e, # ferito, salvò la vita a stento, con ventiquattro usseri, “ unico avanzo della sua cavalleria , (3). Gli Austro-russi, giunti alle porte di Torino il 25 di maggio, intimaron la resa. Rispose il Fiorella si difenderebbe a oltranza. D'intesa con la Municipalità e con la guardia nazionale, il giorno appresso entra- rono pacificamente, in mezzo all’esultazione degli abitanti. (1) Raccolta delle leggi, pr obbidenz ze e manifesti; II, 235-236. Il 4 pratile (23 maggio) nel man- darlo al Fiorella gli scriveva: “ Ci-joint nous vous fesons passer plusieurs copies-d'une proclamation ou adresse que nous venons de faire aux braves habitans des Alpes. Nous espérons qu'elle pro- * duira de bons effets sur l’esprit de ces bons citoyens. Si vous trouvez bons et si vous croyez qu'on “ puisse les faire répandre dans les autres Provinces, surtout dans celle du Canavesan, vous pourriez “ charger l’Administrateur des finances nationales de les faire réimprimer dans la quantité que vous “ eroirez nécessaire , (2) Borra C., Storia d'Italia dal 1789 al 1814; III, 249. (3) Diario Torinese, n° V, lunedì 3 giugno 1799, p. 39. LI \ L 6 ti e vo 9 ’ iii rane 25 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 239 La notizia dell'ingresso del Suwarow a Torino giunse a Pinerolo lo stesso giorno 26 maggio. L'Amministrazione generale così ne dava l’annunzio “ aux citoyens Botta et Robert , a Parigi, il 9 pratile (28 maggio), da Fenestrelle : i A deux heures l’allarme commenga se manifester par l’arrivé de quelque fugitif. Nos gens, postés en differentes endroits, vinrent nous en apporter la nouvelle. Le corps de cavallerie que le Général en chef à son depart de Carmagnola avoit laissé sur la gauche du Po, et qui devoit voltiger entre le Po et Rivoli pour protéger les convois, s'étoit retiré la veille è Pignerol. Un détachement de ce corps avoit été porté è Riva. La matin du 7 il puissa ses reconnaissances si en avant, qu'il eut de la peine à reucouvrer dans Turin. A 5 heures l’ennemi se fit voire en deca de Riva è une lieue de Pignerol. L'on bat la général: le peu de 'cavalerie, les Vaudois, les patriotes se rassemblent et marchent è l’ennemi. En atendant, nous sommes pressés par le général Zimmermann et le commandant la place de sortir de Pignerol sur le champ, vù qu’ils ne comptoient pas beaucoup sur leur forces. Nous ramagons tous nos papiers et effets et prenons le chemin de la Pérouse, ou nous couchames la nuit et restames jusqu’è 11 heures du matin, lorsque nous fummes instruits que l’ennemi repoussé le soir du 7 (26 maggio) s'étant renforcé marchoit sur Pignerol en ordre de bataille, forgoit le post de Mont Oliveto, et la garnison se battoit en retraite pour sanver le restes des equipages. A peine etions nous arrivés à Fenestrelles, que le commandant du fort regu du commandant de Susa un dépèche portant la notice que l’ennemi grossissoit è Avigliana et menagoit de venir l’attaquer; que dans l’état de faiblesse ou il se trouvoit, il nous conseilloit de bien garder le col de Fenestrelles, du Roux et autres passages aboutissant è la vallée d’Oulx, du coté de Sesane, par ou l’ennemis auroit pu nous couper toutes communication avec. Briangon. Nous avons donné les ordres en consequence, de concert avec le commandant du fort. Les citoyens Geymet et Rossignol sont partis è l’instant pour se porter avec les patriotes et Vaudois en avant reconnaitre le pays, rentrer è Pignerol, tenir l’ennemi en respect et en arrière autant qu'il sera possible. Cependant 3/m hommes, qui l’ont ceroit la téte d’une colonne plus forte, sont arrivé à Suse, ce qui fera peut-éètre changer les dispositions des commandants. L’Amministrazione generale, la mattina dell’8 pratile (27 maggio), prima di lasciar. Perosa, nella valle del Chisone, tra Pinerolo e Fenestrelle, scriveva alle Municipalità di Perosa e di Pinasca: “ Il est urgent de garnir d’un nombre de “ troupes suffisantes le poste dénommé le col de Bez et Prelaba, aux. hauteurs du “ grand Dublon, pour défendre le passage de Giaveno dans cette vallée. Votre patrio- “ tisme nous persuade assez que vous ne manquerez pas d’envoyer à ces postes au “ moins cent hommes bien déterminés, et de les faire relever par semblable déta- “ chement tous les trois jours....... L’Administration, en vous invitant à cet expé- “ dient, compte sur votre zèle pour la garde de vos propriétés et de vos familles. “ Citoyens, donnez un coup d’oeil è la proclamation de l’Amministration générale “qux braves habitans des Alpes, et vous verrez le cas que la Patrie fait de votre valeur et de votre attachement è la grande cause de l’humanité ,. Appena arri- vata a Fenestrelle, fece sapere al Moreau: “ ces forts sont en bon état. Le “ citoyen Mousset, chef de brigade d’artillerie légère, qui le commande, s’en trouve “ content ,. Informò nel tempo stesso il collega Rossignoli: x 240 GIOVANNI SFORZA 26 Nous vous envoyons tous les chevaux de train que nous avons trouvés ici; vous pouvez vous en servir soit pour ateler aux canons, soit pour ateler aux chariots que vous avez et que vous pouvez ensuite charger de tout ce que vous avez disponible pour le faire filer sur Fenes- . trelles. Lorsque vous quitterez Pignerol, n’oubliez pas de faire une réquisition de bétes è corne pour avoir de la viande dont nous manquons ici. Nous venons d’apprendre officiellement que l'ennemi se renforce è Avigliana, menace de marcher sur Suze et d’envelopper ensuite Fenestrelles. Nous ne le craignons pas; mais il est de notre devoir de vous en prévenir pour vous inviter à faire filer sur Fenestrelles tous les vivres que vous pourrez. En un mot,. nous sommes dans le cas de repousser l’ennemi et de faire une défense des plus vigoureuses; mais il nous faut des vivres. Prenez en conséquence toutes les mesures les plus vigoureuses que vous jugerez à propos pour nous envoyer des vivres. Faites toute sorte de réquisition et approvisionnez à point, et nous vous repondons de tout évènement. Quittez les positions des Portes et du Mulunaggio, nous vous le répéton, et venez prendre les positions en avant de Mean et les portes qui sont en face de Mean, au dessus de Poroz, au de là du Chison. Nous vous enverrons des guides à Mean. j Ordinò inoltre al Mousset di scrivere al comandante di Briangon “ afin qu’ il “ envoye au moins une brigade de troupes d'élite, avec des munitions de bouche et “«“ de guerre, pour garder les alentours de nos forts et qu’ il assure ainsi la com- “ munication du Piémont avec la France ,. E invitò la Municipalità di Fenestrelle “ è corrispondre avec l’Administration générale sur tout ce qui [peut concerner la “ cause publique et commune et è concerter avec elle les mesures de sureté «“ générale ,. Il Rossignoli, che era andato a Fenestrelle, tornò via il 9 pratile (28 maggio), e il Pellisseri, rimasto alla testa del Governo, si affrettò, con questo biglietto, a darne avviso al Geymet: “ Parte da qui il collega Rossignoli colla colonna che deve « portarsi in Pinerolo. Voi vi concerterete col medesimo per le opportune misure « onde rinforzare la detta colonna e medesimamente per farne agire un’altra dalla « parte di S. Secondo e Bricherasio. Sopratutto vi ‘raccomandiamo l’invio di oppor- “ tuni emissari onde spiare attentamente i movimenti del nemico ,. Lo stesso giorno , gli mandò poi questi nuovi ragguagli: Le commandant Mousset vient de nous annoncer l’arrivée de 3 demi-brigades, qui seront dirigées de suite sur Pignerol. La téte de cette colonne sera ici demain. Ainsi, faites vos efforts et soutenez-vous tant que vous pourrez. Si vous ne jugez pas à propos d’aller è Pignerol, alors il faut barricader le chemin et soutenir vos postes jusqu’à l’arrivée des renforts. Nous sommes surpris des nouvelles qui nous. sont arrivées de la Tour: nous espérions cependant que vous feriez le possible pour encourager les habitants et les ramener à leur devoir. Ils ont regu de préférence des subsistances, des armes, des munitions, et tout cela sera-t-il en pure perte ? Ils n’ont qu’un pont è couper, et ensuite à placer les deux pièces pour empecher tout avancement è une armée, set pourquoi ne veulent-ils pas le faire? Nous espérons qu’ils ne voudront pas donner un mauvais exemple, tandis que ceux de St-Germain et de la ville de St-Martin s'empressent de disputer le terrein è l’ennemi. Nous aimons plutot è croire que ces nouvelles affligeantes partent d’un certain esprit de rivalité, qu'il serait bon d’entratenir lorsqu’il aurait pour but commun de chasser l’ennemi. In una lettera del Pellisseri al Rossignoli e al Geymet, del 10 pratile (29 maggio), si legge: “ L'urgence d'envoyer un détachement pour garder le passage du col de “ 27 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 241 Fenestrelles, nous oblige de chercher pourtout des vivres pour ne pas entamer “la dotation du fort. Il est inutile de faire des réquisition aux Communes de Pra- “ gelat, qui en manquent elles-mèmes, de sorte qu'il n'y a d’autres ressources que “ dans les denrées qui existent chez les citoyens ex-feudataires de la Pérouse et du “ Villard, pour remplacer celles qui l’on tirera du fort pour le détachement du col de Fénestres. Ainsi, vous étes invités, de la part aussi du commandant Mousset et du commissaire Archini, è faire transporter ici, des maisons indiquees, toutes les “ denrées qui s'y trouveront ,. Il Pico, a nome dell’Ammistrazione, scrive al Rossignoli: “ Si è ricevuta la vostra con cui ci. notificate la partenza del vostro collega per la Torre, il che abbiamo sentito con piacere, sperando che non sarà infruttuoso il suo viaggio. Qui sono giunti 300 francesi, che formano la testa della colonna, di cui vi abbiamo parlato ieri. Siccome abbiamo sentito il cannone vostro questa mattina alle ore 4, e che siamo privi di nuove, sebben sia mezzogiorno, perciò crediamo che vi siate avanzati a Pinerolo; in questo caso, vi raccomandiamo di farci pervenire delle sus- “ sistenze con qualunque mezzo che crederete opportuno ,. Il 12 pratile (31 maggio) l’Amministrazione credette a proposito “ de faire une “ tournée dans la vallée de S. Martin, pour encourager les braves Vaudois ,. Nel- ‘l’avvisarne il comandante Mousset, finiva la lettera con queste parole: “ Nous vous “ prions de vouloir bien nous tenir au courant de vos besoins; vous pourrez écrire “au Perero ,. E appunto da Perrero, il giorno appresso, il Pellisseri faceva noto al Radini, commissario di guerra: “ Quanto alle nostre determinazioni sono e saranno sempre così, cioè di restare ove la causa pubblica richiede la nostra presenza..... “ Se la pioggia ce lo avesse permesso, saressimo ritornati costì al primo buon “ momento. Qualcheduno di noi partirà sicuramente per la Perosa ,. Il 14 pratile (2 aprile) dava questi ragguagli al Mousset: “ Nous recumes hier une lettre du Com- “ missaire administratif de la province de Suze, datée de Salbertrand le 12, par la- “ quelle il nous marque la surprise qu’a causée la retraite des francais de toute la vallée de la Doire, d’autant plus que les habitans de Salbertrand, Oulx, Cesanne et autres Communes environnantes montraient de la disposition è s'unir pour la défense de leur foyers ,. Al Niboyet, comandante alla Perosa, scriveva: “ Toutes les fois que Rossignoli se suffira pas en bas, quelqu'’un de nous descendra ; on serait déjà descendu ce matin, si le chemin l’eùt permis. En attendant, nous vous répétons de ne point attaquer jusqu'àè ce que vous ayez recu tous les renforts qui vous ont été promis par le commandant de Fenestrelles; car on ne doit pas s'amuser è une petite guerre, qui coùte des hommes, et n’apporte aucun avan- “ tage réel ,. K “ “ K “ “ K ‘ La fede de’ Valdesi, sulla quale faceva assegnamento così largo (1), dava più (1) Era tale e tanta l’indisciplina de’ Valdesi e commettevano così numerosi eccessi, che l’Ammi- nistrazione generale,.per mettervi un freno, il 14 pratile (2 giugno) fu costretta a nominare un Uomitato militare, composto di Gio. Alberto Rossignoli, Gio. Rodolfo Pejraud e Giuseppe Gondin, con il Deusset per commissario, che giudicasse de’ seguenti delitti: “ vol, pillage, desertion de toute * éspece, insubordination aux loix militaires, dilapidation de munitions soit de guerre que de bouche Lo R. Archivio di Stato in Torino. Registro di decreti dell’Amministrazione generale. Serie II. Tom. LIX. 81 242 GIOVANNI SFORZA 28 di un accenno di balenare, avendo il Suwarow indirizzato agli abitanti appunto di Luserna e San Martino un proclama, dove diceva: Qual partito tenete voi ? Paesani sedotti, voi proteggete i francesi, che sono i perturba- tori e nemici della pubblica tranquillità, mentre, sotto i vostri tetti, soltanto la tranquillità può stabilire la vostra fortuna. I francesi si dichiararono i nemici del Dio crocifisso, e l’antico. attaccamento dei vostri padri per i dogmi cristiani è sempre stato la sorgente della vostra fortuna e vi ha procurato la protezione dell'Inghilterra. I francesi sono in questo momento i nemici di questa potenza, e questa potenza, vostra benefattrice, non è ella nel momento nostra alleata ? : "3 Sostenuti dalle nostre forze, ed animati dalle nostre vittorie, non meno che dall’assistenza che il Dio de’ eristiani si degna di accordare ai suoi guerrieri, noi siamo giunti sino alle falde dei vostri monti e siamo prontissimi ad entrarvi, se voi continuate a persistere nei vostri errori. ì Abitanti delle valli di Luserna e San Martino, il tempo del ravvedimento non è ancora trascorso; affrettate di unirvi ai nostri stendardi; essi sono benedetti dal cielo e vittoriosi sulla terra. Sono a vostra disposizione i frutti della pianura, se voi diventate nostri amici; e la potente protezione dell’Inghilterra vi sarà conservata; tanto più che la vostra propria coscienza non vi lascierà mai luogo a rimproverarvi di essere stati i satelliti dei vostri tiranni e dei vostri seduttori, e unendoyi a noi voi diverrete i difensori della vera libertà e della vostra tran- quillità (1). Fin dall'11 pratile (30 maggio) l’Amministrazione generale, Considerant les dangers qui minacent la liberté du Piémont jusqu'au sein des Alpes et la qualité des mesures qu'il faut apporter au salut de la Patrie; Considerant les bonnes dispositions des citoyens habitants la vallée du Pellice et la néces- sité urgente de la présence dans la mème vallée d’un patriote pur et capable d’inspirer au peuple tout la confiance et ranimer les esprits a la defense de la grande cause de l’humanité; Considerant que ces qualités se reunissent dans le,.citoyen Pierre Geymet, président actuel de cette Administration générale; Pd , lo invitò a trasferirsi “ sans delai dans la vallée du Pellice, pour y prendre “ toutes mesures et y régler toute opération tendente au salut comun ,; investen- dolo “ de toutes les facultés nécessaires a ce bùt et des mèmes pouvoirs apparte- “ nents à l’Administration générale en corps ,-(2). (1) Il Diario Torinese [n° VI, 5 giugno 1799, pp. 46-48] accompagnava con le seguenti parole la pubblicazione del proclama: * Gli abitanti delle valli di Lucerna e di S. Martino avendo sempre “ dato in addietro leali contrassegni di fedeltà e di attaccamento all’augusta Casa di Savoia, loro ‘ sovrana, ed alla costante di Iei alleata, l'Inghilterra, improvvisamente si sono manifestati in favore “ dei comuni nostri nemici. Devesi ciò in gran parte Ma moltiplicità dei fuggitivi sedicenti patrioti * lombardi, che qual limaccioso torrente scaricatisi dall’ aerea Cisalpina, prima sulle provincie di “ Novara e Vercelli, trascorrendo quindi sul bel Piemonte, e raccolta l’altra feceia loro analoga dei patrioti piemontesi, sboccarono verso Pinerolo e le adiacenti valli, ove, impazienti di trasfondere il loro veleno nel cuore de' suddetti abitanti, erano pur troppo riusciti in gran parte nel loro disegno ,. Si augurava che “ il linguaggio di dolcezza e di verità , del Suwarow facesse “ rientrare “ ne' suoi doveri quei sedotti e traviati abitanti ,: 2) R. Archivio di Stato in Torino. Registro de' deereti dell’Amministrazione generale. CI 29 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 243 Le istruzioni date al Geymet furon queste: La risposta del Generale in capo potrà essere la bussola delle nostre determinazioni. Se ci manda il chiesto soccorso, non occorre altro; se non ce lo manda, è verosimile che si faccia qualche cenno dal quale voi possiate arguire s’egli sia in disposizione di fare qualche movi- mento, per il quale si possa sperare che Pinerolo sia per essere presto sgombro dai nemici. Nel caso ch’egli vi risponda asciutto che non può mandarvi il chiesto soccorso, sarà indizio che non pensa per ora di minorare l’armata, onde non vi sarà che far fuoco colla propria legna. L’Amministrazione ama certamente i vantaggi delle valli, e sarebbe afflittissima qualora venis- sero esse a soffrirne; ma non può a meno di riflettere, che essendo in Pinerolo solo 900 uomini, come voi additate, non' attaccheranno alcuna delle valli con tutta la forza, per non esser presi alle spalle e per non isguarnire,interamente Pinerolo. Difatti, voi sapete che l’attacco ieri l’altro da loro dato verso S. Germano, non lo diedero se non che con 200 uomini. Ora, adunque, voi potrete giudicare se cotesta valle sia in forza e nella disposizione di resistere a 400 o 500 uomini. Se si riguardano i tempi scorsi, sembra che non ve ne sia a dubitare. Tuttavia, qualora si giu- dichi di devenire ad una convenzione per le valli, non si dubita che si avrà presente: 1° Di non compromettersi in verun modo coi francesi, mentre avendo essi il comando della truppa, ed essendovi truppe nella valle del Perosa, ed essendovene anche (come si sup- pone) nella valle del Pelice, voi ben vedete la delicatezza che ne nasce nella convenzione. 2° Qualunque sia la capitolazione, essa spalanca la porta all’assedio di Fenestrelle; oggetto anche questo ben delicato e per la sostanza e pei rapporti coi francesi. 3° Nella convenzione non può esservi nè direttamente nè indirettamente compresa l’Am- ministrazione, la qual sortirebbe in quel caso dalle valli e da tutto il Piemonte per rientrarvi da un’altra parte, giacchè nè deve sciogliersi, nè deve avere una mortificazione di essere com- presa in una capitolazione, o prendere il passaporto de’ nemici. 4° L’Amministrazione è pure persuasa che voi, come nella qualità di membro della mede- sima, non prenderete parte veruna nella convenzione; che anzi ella protesta solennemente contro tutto ciò che sareste per fare in suo nome a questo riguardo. E qualora poi voi foste nella necessità, oppure nella prossima disposizione di divenirvi, ne darete avviso, per nostro rego- lamento. Il giorno stesso, 2 di giugno, che l’Amministrazione generale dava queste istru- zioni al Geymet, scriveva al Rossignoli: ba Veniamo d’essere avvisati che il villaggio della Perosa possa essere minacciato da vicino e che già siansi occupate dal nemico alcune alture, per le quali può essere intercetta la strada di Fenestrelle. L’Amministrazione vi suggerisce di far accendere dei fuochi sulle alture che sovrastano Pomaret e che gli stanno in faccia sopra Macetto. Questo strattagemma può far cre- dere al nemico una forte discesa dei nostri dalle valli. L’Amministrazione si persuade che il posto di San Germano sarà a quest'ora avvertito, e siccome si sa che il nemico ha preso altra strada che quella del Malanaggio per venire alla Perosa, cosa che renderebbe il detto posto di San Germano inutile, perciò essa crede che avrete dato gli ordini opportuni affinchè un tal posto sì ritiri al caso sopra il forte S. Luigi; e che in caso di cattivo evento, voi tutti vi ritirerete in quèsta valle, occupando i passi stretti. È pure noto all’Amministrazione che il generale tedesco possa aver intimata la resa fra due ore alla Perosa, ed ai Valdesi di deporre le armi. Noi speriamo che tali bravate non avranno alcun effetto; ed in ogni caso, per guadagnar tempo, potreste sempre domandare di consultare il Governo. D4A GIOVANNI SFORZA rent at Sani: 30 Al comandante Niboyet, smanioso di pigliare l’offensiva, replicava: “ Nous * devons vous répéter les avis du Comandant de Fenestrelles de n’opposer à l’ennemi * qu'une défensive vigoureuse jusqu'à ce qu'on ait des forces pour attaquer, et ne * point perdre des hommes dans des affaires qui ne décident rien; et en cas que “ ne soyez pas en situation de repousser l’ennemi, de retirer les troupes au delà « du Cluson, è l’embouchure de cette vallée de S. Martin. Savoir, concentrer vos “ forces et votre artillerie entre S. Germain et Pomareto, pour en defendre l’entrée, “ et détruisant, au besoin, le pont sous la Pérouse , (1). Così. poi rispondeva il 16 pratile (4 giugno) a una lettera del Geymet: Ò Les nouvelles que vous nous y donnez auraient été bien plus satisfaisantes si Ra Bianchi, chef de bataillon, qui tut hier de passage dans cette Commune, ne nous eùt rapporté qu’ après s'étre battu deux heures le matin du meme jour, les postes avaient été forcés par une force imposante, et qu'il croyait les Austro-russes maîtres de toute la vallée et méme de Villard. Voilà pourquoi votre lettre, sans date et que nous supposons gerite de Bobio d’avant hier, ne nous a pas rassurés tout-à-fait sur votre sort et celui de vos frères d’armes..... Nous avons regu dans la nuit des nouvelles de la Pérouse; les choses vont très-bien de ce coté-là; hier on s'est battu depuis le matin jusqu’au soir. L’ennemi a été repoussé sur tout le champ et on lui compte beaucoup de blessés, tandis que nous n’avons eu que deux blessés, un cisalpin et un vaudois, Il est arrivé hier l’adjutant général Flavigny (2) à la Pérouse avec 200 hommes du renfort; il en annonee 600 antres dans peu de jours. Nous apprîmes, de Fenestrelles, que. le passage de cette Commune è Briangon est toujours libre, et que méme il doit y avoir un poste frangais à Cesana pour le garder. Le citoyen Rossignoli nous donne lecture d’une lettre venant d’Abriès et annongant qu’on envoyait de ce còté les 300 hommes dont 200 armés qui auraient descendu jusqu'’au Pra. On nous écrit de Fenestrelles que de Grenoble è Briangon tous les grands chemins sont remplis de réquisitionnaires qui rejoignent l’armée, mais qu’on ne peut les faire passer, faute d’armes que l’infame Seherer, à son passage à Briangon, a vendu, ainsi que les canons, pour fer brisé. Trois compagnies de canonniers travaillent jour et nuit, pour; raccomoder le peu d’armes que l'on peut avoir, et en attendant qu'il en arrive de Lyon où l’on doit en faire passer. < (1) È del 15 pratile (3 ‘giugno). (2) Ha legato, per sua vergogna, il proprio nome a una pagina di sangue. Domata la ribellione d'Asti, ebbe incarico di ricercare e punire i colpevoli. Ordinò all’ avv. Marcantonio Doglio di fare il processo, e presto. “ Era il 14 di maggio. Nel giorno stesso Doglio esaminò alla rinfusa i dete- “ nuti; quarantasei gli parvero aver partecipato ai tumulti, gli altri no. La mattina appresso Fla- vigny, parendogli soverchie le ventiquattro org” spese nella esamina, e accanito dai giacobini astigiani, ne sentenziò ei stesso ottantasei alla fucilazione, e ne assolse nove. Alle cinque e mezzo i condannati ebbero ingiunzione di partire per Alessandria, dicendo loro che sarebbero giudicati cola, ed ebbero due razioni di pane pel viaggio. Giunti in piazza d’atmi, furono circondati dalle truppe ivi schierate, poi fatti muovere verso il muro al fondo. Quando furono là presso, Flavigny, avvinazzato, come n’era uso, gridò che si raccomandassero a Dio. Levarono urli di disperazione, aleunì chiesero misericordia, volgendosi ai soldati, altri gettaronsi a terra. Partì una scarica di moschetteria, poi colpi sparsi. I più prossimi cadd&to su quelli che stavano indietro, e non erano tocchi o feriti. Flavigny fe' cenno, la cavalleria spinse i cavalli sopra le vittime, e colle sciabole le tagliò a pezzi. Un sanguinoso mucchio di ottantasei cadaveri, pesti dai cavalli, minuzzati dai fendenti, deturpò l'antica piazza d'armi, su cui sorge ora la statua di Vittorio Alfieri. Nella città vive ancora la scellerata memoria. La tradizione aggiunge che cogli ottantasei trucidati stavano “ - “ " alcuni lor parenti iti a salutarli, e che con essi furono miseramente spenti ,. Cfr. Canurti D., Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero Francese; TI, 46. 31 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIFMONTE E CARLO BOTTA (1799) 245 Nous attendons avec la plus grande impatience de vos nouvelles, ainsi que des affaires concernant la vallée de Luserne. Vous nous manderez en méme temps sì, dans le cas où vous fussiez retirés par le col de la Croix, l’ennemi, en passant par le col Jullien, peut venir nous intereepter le chemin pour passer de Prale è Briez. En ce cas, nous espérons qu’avant de quitter le pays, vous nous en donnerez avis; afin que nous puissions nous mettre en sureté. La missione del Geymet non poteva avere un esito più disgraziato: “ Apprenant , (scriveva l’Amministrazione generale al Moreau 1’8 di giugno) “ que les Vaudois du “ cote de la vallée de Luserne, séduits par quelques trembleurs, se disposaient è “ capituler avec les Austro-russes, nous y envoyàmes notre président, avec tous les “ pouvoirs qu'il était en nous de lui conférer..... La présence et ses exhortations “ parurent ranimer les Vaudois; mais le lendemain de son arrivée une attaque “ imprévue et sans doute combinée et provoquée par quelque traitre, mit les habi- “tants dans la dure necessité de capituler, et notre président dans celle de passer “les montagnes pour échapper aux recherches de l’ennemi. Les autres membres de “ l’Administration s’étant rendus, de leur còté, dans la vallée de S. Martin, pour “ y operer méme encouragement, ont eu méme sort; et après des peines inouies, “ l’Administration se trouve réunie dans ce lieu ,. Il luogo era Aiguilles. Le “ pene inaudite , son così descritte da Domenico Capriata, Commissario del Potere esecutivo presso l’Amministrazione generale: Occupata Susa dal nemico, si dubitò, ed a ragione, che esso, coll’impadronirsi delle mon- tagne, interrompesse la comunicazione tra Fenestrelles e Brianzone. Dicevasi che tentavano di impadronirsene, ed anzi che avessero in parte già così eseguito ed erano in situazione di ese- guirlo a pieno, e perciò l’Amministrazione arrischiava di doversi ritirare nel forte e diventare uccello di gabbia. Si determinò pertanto di passare a Perrero nella valle di San Martino; il cittadino Geymet passò nella valle del Pellice, per ineoraggiare i suoi Valdesi; il cittadino Ros- signoli, organizzatore dei patrioti, si recò a San Germano, e difendeva anche la Perosa, ove si era mandato da Fenestrelles qualche centinaio di francesi e cento cinquanta patrioti del corpo Trombetta, colla giunta poi di altri cinquanta o sessanta. I villani di Giavegno e di altri luoghi assediavano ed attaccavano i nostri, ed avevano occupate le alture della Perosa; ma non riescì loro mai di scacciarne i nostri. Intanto cresceva la forza nemica in Pinerolo; # dicesi che un corpo di quindici mila avesse il quartier generale ad Orbassano. Poco numero si presentò a Luserna, ove non vi fu resistenza; andò alla Torre, ove non si è combattuto; si combattè a San Giovani, ma la Valle fu costretta a capitolare (1). Il generale che vi comandava, Zim- (1) Il colonnello Dunischiof, comandante della cavalleria russa, indirizzò a’ Valdesi questo pro- clama: “ Je vous intime de la part de LL. MM. II. Autriche et Russe de devoir è l’instant quitter “ les armes que vous avez embrassées contre l’armée Austro-russe, qui vous environne en grand “ nombre, prète è vous subjuguer. Si dans deux heures après la publication de la présente procla- “ mation se trouve encore quelque personne armée, tout le pays sera mis à feu et sang sans “ epargner la moindre chose ni moins les femmes ni les enfans. Souvenez-vous de vos familles; * conservez-les; rentrez dans le devoir et dans la soumission è votre legitime Roi. Je vous promets “au nom le plus sacre de LL. MM. II. et comme catholique, que toutes les familles, femmes, enfans “ et proprietés seront religeusement conservées et defendues, autrement les armées imperiales com- “ binées, qui ont mise en deroute la nombreuse armée frangaise dans toute l’Italie et presque dans “ tout le Piémont, ont prét le moyen de soumetre le petit nombre des Vandois qui se rendront ribelles ,. Nella copia di questo proclama, che l’Amministrazione generale mandò al Botta e al Robert a Payigi il*30 pratile (18 giugno), manca la data. Deve però essere de’ primi di giugno. Il 4 di quel “ - 246 GIOVANNI SFORZA " 32 mermann, si è condotto quanto si può dir male, lasciando sospetti per lui disonorevoli (1). Nel giorno 17 corrente (5 giugno), il nemico, con buona forza di cavalleria e fanteria, attaccò San Germano, e penetrò fino alla Perosa. Il comandante francese Niboyet (quello che era coman- dante in Pinerolo), buon patriotta, non ha diretto la difesa come potevasi fare. Il nostro Ros- mese il principe Bagration, generale maggiore e comandante in capo l'avanguardia delle truppe russe, scriveva all’Appia, deputato de’ Valdesi: “ Les sentimens qui vous animent pour le bien “ général et pour vos compatriots, doivent vous meriter l’estime des honnettes-tens: la mienne “ vous est acquisé; continuez à inviter vos compatriots à perseverer dans les sentimens qu’ils viennent * de manifester, que les ministres du Seigneur en prèchant la paix et la concorde soient convaincus “ que c'est s'annoblir en engageant leur ouailles è ne pas s'égarer du chemin que le nouvel ordre € de choses leur ouvre; soyez persuadé, monsieur, que j'ai eprouvé un des plus grands plaisirs en apprenant par vous, qui ètes l'organe de la manière de penser des habitans de vos vallées, leur ‘ facons de penser actuelle; j'en rendrai un témoignage honorable au maréchal ‘Souwarof et au € Gouvernement Piémontais; je me flatte que vous justifierez la bonne opinion que je donnerai de * vous. Qu'un rideau soit tiré sur le passé; penetré de l’idée du bonheur qui vous attend, on ne “ doit plus penser qu’à la felicité avenir... La mème douceur avec laquelle je traite les faillies, * me porte à étre inflexible envers les obstinés. C'est ensuite de ces principes, que J'ai fait proclamer € des ordres très severes aux habitans de S* Second, qui cométtroient encore quelques ravages. Les “ effets que ceux-ci ont volé vont ètre restitués è ceux de Praruotin et autres. Je vous envite ainsi “ que les autres deputés des vallées de vous rendre dans la journée mème à mon quartier général “ pour concerter avec vous les moyens de consolider votre bonheur ,. Il Maranpa così racconta quelle vicende: È Dénisof était è Pignérol avec six-mille hommes, il * attendoit le général Bragation avec une semblable force, qui devoit frapper sur les valées Vau- € doises un dernier coup en brùlant le pays. On avoit représenté au prince Bragation les Vaudois “comme un peuple sans meurs, sans foi, ni loi. Du fond de la Russie ce prince est venu apprendre € aux Piémontais qu'il les connoissoit mieux qu'eux, il désira avant que rien entreprendre de voir € de leur part des deputés; en conséquence se présentèrent l’avocat Jean-Baptiste Plochu, Jean ‘ Daniel Peyrot et Paul Appia. Après avoir parlé des affaires du tems, il ne leur demande autre “ chose que leur parole d’honneur que les Vaudois restés dans le pays ne feroient aucune prise € d’armes contre les armées combinées; cela convenu, il leur donna le comte Zuccato pour les accom- “ pagner auprès de Suvarow, qui les accueillit très-bien et les envoya à son tour auprès du Conseil “ Suprème. Thaon, chef de ce Conseil, s’emporta en inveetives tontre les députés: il alloit continuer “ son langage de sang et de carnage, lorsque le comte Zuccato, qui les avoit accompagnés, l’arrèta “ en lui disant: ils sont sous la protection du Maréchal, nous ne savons que faire de vos haiates “ piémontaises. Ce peu de mots calmèrent sa fogue. C'est donc au prince Bragation, russe, et au “ comte de Zuccato, qu'on’ dit du Yrioul, mais au service de Russie, qu’est due la conservation des “ habitations vaudoises; au reste ces deux officiers russes ont laissé dans plus d’un genre une grande “ réputation d'humanité en Piémont: on ne parle de leur conduite qu'avec une estime particulière ,. Cfr. Maranpa, Tableau du Piémont sous le régime des avois, avec un précis sur les Vaudois et une notice sur les Barbets, À Turin, l’an XI, pp. 198-200. (1) Fu colonnello delle guardie svizzere di Luigi XVI, poi generale nell'esercito del Re di Sar- degna. Dal Moreau ebbe l’incarico di difendere, alla testa di molti suoi connazionali e de’ coraggiosi Valdesi delle valli di Luserna e San Martino, comandati dal Maranda, la città di Pinerolo e le vici- nanze; e lo fece, secondo il Pinelli, “ con molta sagacia, non evacuandola che quando ogni ulterior “ difesa sarebbe tornata vana, poichè i bagagli dei Francesi ‘già erano in salvo in Francia ed i nemici avean già gettato forti partiti di truppe leggiere in tutta la valle del Chiusone, minac- ciando la stessa Fenestrelle ,. Invece, “ secondo Maranda, lo Zimmermann avrebbe tradito e si sarebbe lasciato volontariamente sorprendere in }etto a Pinerolo, ed a lui, Maranda, andrebbe dovuta la salvezza della colonia valdese, la quale, dopo ciò, ritirossi verso il Monginevro, ognor combattendo contro i cosacchi ,. Cfr. PiweuLi F. A., Storia militare del Piemonte; II, 149-150. L'Am- ministrazione generale in una sua lettera al Miiller del 20 pratile (8 giugno) affermava essersi il nemico fatto padrone delle valli di Luserna e di San Martino “ par le manque de précautions (pour “ ne rien dire de plus) de la part du général Zimmermann, qui commandait les dites vallées ,. Il Capriata si fa eco del giudizio de' colleghi. x r - x « 33 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 247 signoli è sempre stato in campagna ed ai pericoli; ha dovuto anch'egli ritirarsi. I nostri hanno perduto un centinaio d’uomini, ed il nemico forse di più. Pervenuta la dolorosa notizia a Per- rero, distante due ore dalla Perosa, e giunto Rossignoli, si pensò subito a ritirarsi su nella valle. La strada è diabolica. I muli ed i cavalli vi possono camminare, ma non senza rischio e di giorno. Non se ne aveva con sella; mancavano gli uomini, perchè erano di guardia. Par- timmo a piedi verso le ore undici della notte: tenebre ben folte, il rumore della fiumana, la malvagità della strada, resa peggiore dalle pioggie dei giorni antecedenti, il rischéo di pre- cipitar dalle roccie, o di cader nel fiume, rendevano il cammino triste e sospiroso. Siamo giunti sul far del giorno a Prales, indi al Ghigo, ove poco ci siamo intrattenuti, anche per precau- zione; abbiamo passato il colle, o piuttosto il monte di Mian, e siamo giunti a Cou du Col. Sono abitazioni per l'estate onde ricoverare i pastori. Per buona sorte v'era una stalla con vacche. Si prese ristoro; procurato, o sia inviato dal Ghigo. Non eravamo pochi. Oltre l' Am- ministrazione, con Druetti (1) e Taraglio e qualcuno di compagnia, vi era Trombetta con la moglie e colla figlia, colle cittadine Berra, Bernardi e col residuo de’ patriotti, li quali non avevano potuto prendere la strada di Fenestrelles. Tra tutti componevano forse il centinaio. . Giungono verso sera due sgraziati avvisi che gli insorgenti volevano penetrare colà in quella stessa sera, o nella notte (2). V’era l'apparenza che ciò potesse esser vero. Si prende la (1) Bernardino Druetti era nativo di Barbania nel Canavesano e visse dal 1776 al 1855. Fu Com- missario per la Provincia di Torino e seguì l’Amministrazione generale a Pinerolo. Napoleone lo nominò poi Console generale di Francia in Egitto, dove raccolse insigni monumenti, che ora abbel- liscono il Museo d’antichità di Torino. (2) Di questa minaccia dà minuto ragguaglio il Maranda, uno anch'esso de’ faggenti. © L’Admi- “ nistration , (scrive) “ abandonna le Perrier, et nous nous trouvames tous ensemble è Prali avec ‘ quelques fugitifs italiens et piémontais. Mais comme nous pouvions étre coupés par le col Julian, “ si l'ennemi eùt été bien au fait de ces montagnes, ou qu'il edit osé s'y risquer, nous partimes pour “ bout-de-col. Là 40 ou 50 chevaux qui nous restoient ne trouverent d’autre nourriture, que ce qu'ils € pouvoient se procurer sur un sol que la neige venoit d’abandonner. Là encore se trouvoient plusieurs “ femmes fugitives, entr’autres celle de Polfranceschiî, parisienne, jeune aimable, qui alaitoit un enfant “de six àè huit mois; nous allions manquer de vivres et de munitions de guerre, et au milieu de “ ces tristes réflexions et des regards douloureux que nous jettions sur l’Italie, qui étoit toute entière “ devant nous, nous vimes arriver un montagnard tout mouillé de sueur, que me cherchoit pour “ m’avertir qu'il y avoit une prime de dix-mille livres pour quiconque me feroit prendre vif ou “ mort, autant pour chaque membre de l’Administration, et cent-mille livres si toute la colonne ‘ étoit capturée, invitant les habitans de ces montagnes è s’armer pour nous couper le passage. “— Tu es Vaudois? — Qui, commandant. — D’où viens-tu? — De Salza. — Et vous aviez déja à “ Salza cet avis? — Le commandant Autrichien l'a envoyé par des personnes de la Pérouse, et l'on “ m'a dépéché au mème instant pour vous en faire part. — Je te remercie et ceux qui t'ont envoyé; “ adieu, mon camarade, dans peu nous nous reverrons. — Cet homme se retira, la douleur peinte “ sur la physionomie. J'ai cité cette anecdote, pour apprendre aux tyrans de la terre qui veulent “ vainere par la trahison, que leur argent est de nulle valeur chez les Vaudois. Cette nouvelle mit “ cependant l’épouvante parmi ceux qui ne connoissoient pas le peuple chez lequel nous étions; et “ par la réflexions que l’ennemi feroit ses derniers efforts pour nous arréter, on s'enchemina machi- “ nalement vers le col vieux d’Abries, une des plus hautes montagnes des Alpes; il étoit dit de ne “ pas se quitter, et tout suivit, sans penser que de là è trois heures il seroit nuit, et qu'en partant “le matin è jour, la neige auroit peut-ètre porté jusqu'è huit ou neuf heures, ce qui auroit été “ suffisant pour passer cette horrible col. Les chevaux et gros équipages avoient été abandonnés: “ fort ou foibles, femmes ou vieux il falloit que chacun se servit de ses propres forces; on alloit “ toujours sur une neige, qui cédoit sous nos pas, et dans cet état nous arrivames au bout de sept “ heures de marche è minuit sur le col. Rien n'était comparable à la lassitude et à l’épuisement “ dans lequel nous nous trouvions. On se consoloit cependant en pensant que nous étions au bout “ de nos travaux, et il ne faisoit que de commencer, car au lieu d’ètre sur le col, c'étoit un plateau “ de son voisinage;.auquel nous n’apergevions d'anttre issue qu’un couloir sur un roc de deux à trois 248 GIOVANNI SFORZA i 934 risoluzione di partire; risoluzione quanto ardita dir si può. V'era la salita di sei ore di cam- mino per la neve, e v'era tormenta. Si vuol partire e si parte verso notte. Io solo, col mio domestico, non voglio morir di gelo, e me ne sto colle vacche. Gli altri partono. Ascendono per quattro buone ore: la Provvidenza fa cessare la tormenta per tre ore; riprende quando tutti sono sulla cima del monte; se riprende dieci minuti prima, non so se se ne salva uno solo. Si deve discendere: vi sono gradini ben alti, formati con neve, e convien saltare. Vari sono sfiniti, e si aggrappano per non gelare, coricati sulla neve, riposandosi. Gli altri si avviano e camminano col deretano. Si vanno strascinando: giungono alfine ove non v'è più neve, ma incontrano acqua, che bagna un gran prato; si scivola ad ogni passo; sono innumerabili le cadute; si rompe la porta di uh abituro solingo, si accendono più fuochi. Sono wivi tutti, quasi per miracolo. Il deretano di tutti è mal concio. Io sono partito il giorno successivo per tempo, e la indovinai. Grazie a Dio non ho sofferto. Tutti ci siamo trattenuti al Roux. Ieri siamo venuti qui [Aiguilles]; oggi piove dirottamente. Vogliamo rientrare in Piemonte al più presto. Pare che il general Miller, che è Brianzone, abbia intenzione di penetrarvi per le valli. Rossignoli e Pico partiranno domani per parlargli e sentire come la pensa (1). Partirono infatti così raccomandati dall’Amministrazione generale: Ayant appris, dans le moment, que vous pouvez vous trouver à Briangon, cette nouvelle et l’espoir qu'elle a fait naître en nous de pouvoir bientòt rentrer en Piémont de ce coté-ci, a suspendu la résolution où nous etions de nous rendre au quartier général de l’armée d’Italie par la voie de Nice (2); et nous députons aupres de vous le citoyen Rossignoli, un de nos toises de longueur, et l'on n’osoit pas s'éloigner de l’endroit où nous étions pour chercher le * passage, crainte des précipices. Les femmes et les moins robustes se décidèrent d'attendre le jour sur ce plateau: une tourmente vint augmenter encore les horreurs de cette position. Elle décida quelqu’un è tenter le passage du couloir, en se glissant sur la surface du roe aux dépends de son derriére, il arriva sur un tas de neige, en criant qu'il n'y avoit pas de mal, et qu'on pourroit aller en avant. On le suivit, mais è mesure qu'on vouloit avancer sur cette neige, elle enfongoit à ne pouvoir cheminer, il fallut done continuer è se glisser comme on avoit fait, l'espace d’une heure de route, par une pente assez rapide: cette méthode tyès expéditive nous tira d’affaire. L'on a remarqué que les Alpes, en général, sont beaucoup moins rapides du còté de la France, et pré- sentent plus de difficultés au pendant de l'Italie. Nous arrivames enfin è pouvoir marcher, n’ayant plus de neige qu'è demi-jambe, nous crumes mème voir à quelque distance un chemin large et battu sans neige, nous nous acheminames bien vîte vers cet endroit, où nous avons risqué de trouver notre tombeau. C'étoit un éboulement de terre prolonge et très-profond, dans lequel nous allions nous précipiter sans la prudence de celui qui étoit è la tète, qui cria halte. Il battit un briquet et alluma un morceau de bougie qu'il avoit pris sur l’autel de Guigou, croyant que nous passerions la nuit è bout-de-col. Le risque que nous venions de courir et de voir, nous décida è ne plus quitter la neige... Enfin nous découvrimes une bergerie, dans laquelle il y avoit quelque fagots de bois de mélèze, nous allumames plusieurs feux pour nous sécher. Les grands de la terre, qui habitent les palais des Rois, n’ont jamais trouvé un appartement plus délicieùx, que l’étoit pour nous cette bergerie, si le souvenir et l’inquiétude sur le sort de ceux que nous avions laissé en arrière, n'étoient venus troubler nos jouissances. Le jour ne tarda pas à paroître; notre premier soin fut de gagner le plus-tòt possible la Montéîte, hameau de sept à huit feux, où les paysans se rendent è l'approche de'l’'été. Nous les engageames de partir sur le moment è la recherche des traineurs avee les secours qu'ils pourroient leur porter, et dans le jour nous eumes la satisfation de les voir tous arriver, jusqu'è l’enfant de Polfranceschi, qu'un simple manteau avoit couvert “ pendant la nuit dans le bras de sa mère assise sur la neige ,. Cfr. Maranpa, Tableau du Piémont, pp. 193-198. (1) Fu scritta da Aiguilles il 20 pratile (8 giùgno) e venne pubblicata dal Brancai, Storia della Monarchia Piemontese, III, 224.226. L'ho riprodotta dall’autografo. 2) Infatti aveva scritto al Moreau: “ Nous nous disposions, citoyen général, à nous rendre * auprès de vous par la voie de Nice, lorsque nous avons appris que le général Miller venait d'ar- 35 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 249 membres, et le citoyen Pico, notre secretaire général, afin que vous veuillez bien nous éclairer de vos lumières pour pouvoir en ’conséquence déterminer notre résolution et diriger nos démarches. En méme temps nous vous apprenons que le Général en chef ayant chargé le dit citoyen Rossignoli de rassembler tous les patriotes piémontais qui s'évadaient des provinces du Piémont, è mesure qu’elles étaient occupées par l’ennemi, et les organiser en corps pour mieux se défendre des brigands soudoyés, ce corps fut effectivement organisé, et est à celui, comme aux braves Vaudois, que les amis de la liberté doivent d’avoir vu leur demeure se prolonger pour quelque temps en Piémont. Les débris de corps se trouvent aussi en France, et le citoyen Rossignoli vous donnera tous les renseignemens propres à déterminer vos intentions è leur égard. Nous sollicitons, par son organe, votre humanité en faveur de ces malheureuses victimes de la tyrannie. 7 La Francia, in que’ giorni, non pensava nemmeno per sogno a riconquistare l’Italia; nè il Moreau si curava di avere al suo quartier generale la fuggiasca Ammi- nistrazione giacobina del Piemonte; la quale, da Aiguilles, il 26 pratile (14 giugno), passò a Briangon, dove le si “ faceva sperare un pronto ritorno in patria , (1). II. Dell’Amministrazione dipartimentale dell’Eridano non si recarono a Pinerolo che il Botta e il Bossi. Vi andò più tardi anche il Favrat, chiamato dall’Amministra- zione generale del Piemonte (2); la quale il 21 fiorile (10 maggio) emanò questo decreto : Sulle rappresentanze de’ cittadini Favrat e Botta, di non potere esercire le loro funzioni nell’ Amministrazione del dipartimento dell’Eridano, per non essere in sufficiente numero di deli- berare; considerando la ristrettezza de’ luoghi cui ora è ridotto il dipartimento e le circostanze “ river àè Briangon. Cette nouvelle et l’espoir que sa présence dans ce lieu a fait naître en nous “ que l’on puisse prendre des dispositions pour rentrer au plutòt en Piémont de ce còté-ci, et de “ pouvoir par conséquent nous-mèmes reprendre le poste que vous nous avez assigné, d’autant plus “ qu’en rentrant de ce còté avec les troupes frangaises, nous pourrions, par nos moyens admini- “ stratifs, par les connaissances locales, et par l’influence que nous nous sommes conservée sur “ l’'esprit des Vaudois aider de beaucoup les opérations et favoriser les progrès, nous a fait suspendre “ notre voyage jusqu'è ce que nous ayons connu son sentiment que nous lui demandons sur le “ fondament de nos espérances. Nous nous empressons, citoyen général, de vous faire part de tous “ ces détails, ainsi que de la ferme résolution où est chaque membre de cette Administration de “ continuer à sacrifier ses biens, son repos, sa vie méme, s'il le faut pour remplir fidèlement les “ devoirs de la charge, dont nous vous avez revétus. L’Administration se flatte d’obtenir votre “ approbation dans tout ce que son zèle pour le bien de la chose publique l’engage à faire. Au “ reste, si malgré les observations ci-dessus, vous jugez plus convenable que nous nous rapprochions “de vous sans délui, en manifestant notre intention, vous déterminerez la marche de nos opérations ,. (1) Lettera di Angelo Pico, segretario dell’Amministrazione generale, del 26 pratile (14 giugno). (2) Gli scrisse il 19 fiorile: “ Vu les bonnes nouvelles que nous recevons journellement et le peu “ d’apparence qu'il y a que les ennemis puissent venir troubler notre séjour ici, l’Administration “ vous invite, citoyen, è rentrer parmi vos collegues, étant disposée è nommer les membres qui “ manqueront pour compléter le corps administratif dont vous faites partie... Venez done joindre “ vos travaux à ceux de vos collègues, et vous occuper avec eux à faire le bien de notre commune © patrie. Nous vous attendons le plutòt possible et nous espérons pouvoir dans peu vous donner “ l'accolade fraternelle ,. Serre II. Tox. LIX. 32 250 GIOVANNI SFORZA È 36 per le quali è rallentato e in certo modo paralizzato l'esercizio delle funzioni dell’Amministrazione dipartimentale, e considerando che le urgenze sempre incalzanti e nuove, confondono talvolta, per necessità, le funzioni dell’Amministrazione generale con quelle dell’Amministrazione del dipar- timento, e che l’attuale critica situazione non comporterebbe di destinare soggetti per aggiunti onde compire il numero degli Amministratori dipartimentali; secondando perciò le suddette rappresentanze, alle quali sono conformi quelle del Commissario presso la stessa Amministra- zione dipartimentale cittadino Bossi, l’Amministrazione generale consoliderà in sè medesima interinalmente le funzioni dell’Amministrazione dipartimentale, e che i cittadini Favrat, Botta e Bossi possono ritirarsi ove loro aggrada; colla prevenzione, uniforme alla toro offerta, di rendersi immediatamente al primo .avviso nel luogo che loro sarà indicato, allorquando le cir- costanze ne consiglieranno l’unione; nella quale desiderata occasione ne darà uguale avviso al cittadino Martinelli (1). Il 2 pratile (21 maggio) l’Amministrazione generale invitava la Municipalità di Fenestrelle a “ somministrare ai cittadini Carlo Botta e Gian Giulio Robert, che “ vanno in Francia per affari di pubblico servizio, l’alloggio e quelle bestie da soma “ che saranno necessarie pel trasporto loro e de’ loro bagagli fino a Brianzope ,. AI Tesio poi dava quest'ordine: “ Con tutta prudenza, giunto in Brianzone, distac- «“ cherete una delle casse de’ lingotti e ne rimetterete oncie cento in peso di Pie- «“ monte alli cittadini Botta e Robert, portatori di questa nostra; ritirandone, per “* searico, l’opportuna ricevuta , (2). i In che consistesse la missione del Botta e del Robert (3), si rileva da quanto, lo stesso giorno, l’Amministrazione generale scriveva al Moreau: (1) R. Archivio di Stato in Torino. Registro dei decreti dell'Amministrazione generale del Pie- monte nella sua residenza nella Comune di Pinerolo. (2) Il Tesio rimise ai due inviati “ 25 luigi in argento vergato, per le spese del viaggio ,. . lettera dél Robert, del Botta e del Capriata alla SAIL di Governo del Piemonte, del ; peschi. anno 9° (26 settembre 1800). > (3) Figlio di Giuseppe Maria, Robert e di Anna Agnese Bianco, nacque a Barge il 30 giugno del 1766, si laureò in legge, ma senza esercitare l'avvocatura. Ebbe amore alle lettere, alla filosofa, al viaggiare. Appartenne all'Accademia degli Unanimi, che, da Lagnasco in quel di Saluzzo, dove sorse col nome di Teocriteà nel 1789, fu trapiantata a Torino nel 1791, e vi lesse un sonetto “ in morte della sposa, e un’ode saffica, d'intonazione fantoniana. Fu pure socio dell’Accademia degli Immobili d'Alessandria e di quella di scienze ed arti di Asti. Caduta la monarchia, il Joubert lo nominò membro della Municipalità di Torino (12 decembre 1798); l'Adunanza patriottica l’ebbe tra’ suoi promotori; il Governo Provvisorio lo mandò agente diplomatico presso la Repubblica iii Leopoldo Cicognara, ministro plenipotenziario di essa a Torino, nel darne l'annunzio, lo dice : “ uomo “ di pure intenzioni, amico della libertà da molto tempo ,. Il giudizio è in ogni parte vero. Torna a lode grande del Robert e prova la rettitudine sua il non essersi in nessun modo immischiato nella congiura del 1794; impresa non bella de’ giacobini piemontesi. Riunito il Piemonte alla Francia, tornò a vita privata. Dopo la vittoria di Marengo fu primo uffiziale della segreteria degli affari esteri (25 luglio 1800); soppressa la carica di ministro degli affari esteri, n’ebbe la reggenza (11 ot- tobre 1800), che tenne per pochi giornî, essendo stato chiamato a far parte della Commissione di Governo (26 ottobre); poi andò di nuovo a Milano"a rappresentare il Piemonte presso la Repub- blica Cisalpina ed il generale in capo dell’armata d’Italia (16 gennaio 1801). Riunito per la seconda volta il Piemonte alla Francia, venne fatto prefetto del Tanaro (28 aprile 1802). Fu legato d'ami- cizia con molti de’ migliori ingegni del suo tempo, tra gli altri con Ugo Foscolo e Vincenzo Cuoco. Morì a Pisa, dove era andato a rinfrancare la malferma salute, il 28 gennaio 1803. Cfr. Roserti G., Lettere inedite di Carlo Botta, Ugo Foscolo e Vincenzo Cuoco; nel “ Giornale storico della letteratura italiana ,, XXIII (1894), 416-427. 37 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 251 Les citoyens Charles Botta et Jean Jules Robert se sont offerts volontairement de faire è leurs frais le voyage de Paris, pour y rendre compte de l’état désésperant de notre Patrie et y présenter aux Autorités le tableau des maux incalculables qui affligent actuellement le Piémont, et que vos efforts généreux et la bravoure héroîque de votre armé n’ont pu prévenir. Nous aurions cru manquer aux sentimens que nous devons à notre pays, sì nous n’avions pas approuvé un aussi généreux dévoument. Ils sont done partis, citoyen général; notre devoir est de vous faire part de cette circonstance. Votre amour pour le bien et vos efforts constants pour repousser l’ennemi qui nous menace et faire triompherla cause de la liberté en Piémont, nous sont un sùr garant que vous verrez avec autant de plaisir que nous, qu'au milieu de nos malheurs il est des citoyens dignes de ce nom, qui ne désespèrent pas du salut de la patrie. PÀ Non mancò poi di manifestare con calda parola la propria riconoscenza ai due inviati: ina Nous ne pouvons, à notre gré, vous exprimer le plaisir que nous trouvons à voir des enfans de la Patrie préts è faire de nouveaux sacrifices pour elle, dans un temps où les meil- leurs patriotes mème, abattus par le malheur, se bornent à d’inutiles soupirs sur les calamités qui l’accablent. Allez, dignes et vertueux citoyens, hommes généreux et inébranlables, qui avez la force de ne pas désespérer du salut de votre patrie; allez faire le récit douloureux de ce que vous avez vu, des maux qui affligent le Piémont et l’Italie, qui menacent la France méme. Vous en connaissez les sources et tout l’étendue; ce n’est plus le temps de rien déguiser; il faut sonder la plaie dans toute sa profondeur; il faut dire la vérité et la vérité tout entière; se serait: nous trahir nous-mèmes et trahir la France que de jeter le voile le plus léger sur les causes qui entraînent tant de desgraces, et vous étes incapables de cette faiblesse. Per Val Perosa e Fenestrelle, indi per i colli di Sestrières e del Monginevro, gli inviati giunsero a Briangon, e di là passarono a Grenoble. Prima di rimettersi in viaggio, l’8 pratile (27 maggio) mandarono all’Amministrazione generale il seguente dispaccio; il primo che uscisse dalla loro penna: Giunti felicemente in Grenoble li 7 pratile (26 maggio), ne partiremo grsest’oggi col cor- riere di Lione, per portarsi a Parigi il più celermente che ci sia possibile. Teri fummo dal General Miiller (1), comandante in questa città; ci accolse egli come fratelli, e tutti i militari che colà si trovarono ci fecero sentire a gara il loro rammarico per le disgrazie d’Italia, decla- mando ad alta voce contro i disordini, i quali, come a noi tutti è noto, ne furono l’immediata cagione. Lo spirito pubblico in questa città si mantiene sempre colla solita energia repubbli- cana, ed i patrioti di qualunque paese sono accolti e festeggiati indistintamente. Pendente il nostro cammino, incontrammo forse 500 requisiti, che marciavano allegramente all’armata. In questa notte poi gionse qua un corriere all’approvisionatore generale, con ordine di tener in pronto 22 mille razioni di pane per la truppa, che doveva passare incontinenti. Già saprete l’arrivo in Tolone della flotta di Brete, forte di 25 bastimenti di linea e molte fregate, con truppa di sbarco. Questa non solo ci guarentisce da ogni discesa del nemico sul (1) Il prof. Giuserpe Roserti [Un anno della vita di Carlo Botta; nella “ Nuova Antologia , serie IV, vol. XCI, pag. 738] legge invece: “ Mallet ,, il cospiratore del 1812 che morì fucilato. Nell’autografo però è scritto Miller nel modo più chiaro; il generale, del resto, nel quale lAmmi- nistrazione aveva riposte le sue speranze e che più volte ricorda nelle sue lettere. 252 GIOVANNI SFORZA l 38 littorale, ma ancora può dare rinforzi considerabili ovunque saranno d’uopo. Nel passaggio fece essa togliere il blocco di Cadice. P. S. Potete diriggere provvisoriamente le vostre lettere a noi sotto coperta, Au citoyen Bruni, rue Vivienne, n° 8 (1). “ Les affaires vont touyours le mème train, savoir l’ennemi fait chaque jour “ quelque pas en avant et vous quelque pas en arrière ,; scriveva loro l’Ammini- strazione, da Fenestrelle, il 9 pratile (28. maggio). Nè mancava di avvisarli che il Musset, il 28 fiorile (9 aprile), aveva inviato, da Chambéry, un dispaccio “ à l’adresse * de l’Administration du département de l’Eridan et du citoyen Giulio commissaire “* près d’elle (il oublia que c’est le citoyen Bossì). Par cette dépeche, le citoyen “ Musset, oubliant encore sa lettre du 13, dans laquelle il annonga formellement que * ses fonctions venoient de cesser, retrace les anecdotes de sa fuite, donne des ordres, “ demande des renseignements et des rapport officiels très exacts sur l’état civil “ et militaire du Piémont. Nous se gardons bien de lui repondre et nous espérons “ que vous parviendrez è faire connaitre ce que demandent les vrais intérets des “ peuples et de la cause commune ,. Il Capriata il 20 pratile (8 giugno) li avvisa, da Aiguilles: “ George-Antoine Ricard père, negociant à Lyon, è nominato rappresen- “ tante al Consiglio dei 500. Il cittadino Maranda gli è amico e lo prega a secondarvi. «“ Confida che lo farà di tutta sua possa, perchè è un patriotto e galantuomo. Rica- “ pitategli l’acclusa dello stesso Maranda..... Il cittadino Geymet conosce il suddetto “ cittadino Ricard. Salutate questo a nome di quello, e ditegli che Geymet non «“ dubita che si ricorderà della promessa fattagli più volte in Torino di operare “ quanto potrà pel Piemonte ,. In quella stessa lettera, ma sotto la data “ Brian- zone, 26 pratile , (14 giugno), il Pico aggiungeva: Appena qui giunti sentiamo che il nemico possa evacuare il Piemonte. Si congettura che possa ciò provenire dai movimenti di Massena (2), o dalla congiunzione di Macdonald a Moreau, che si dice fatta. I nostri riprendono le valli che sovrastano ‘a Susa, e sarebbero padroni anche della città, se un mal fondato timore del generale Ledoyen non gli avesse impediti. Ora si dice che gli Austro-russi vogliano tentare un assalto alla cittadella di Torino. Noi, che conosciamo quant'è forte, lo desideriamo, mentre siamo ben sicuri che essi perderebbero almeno 12 mila uomini inutilmente. La guardia nazionale di quella città ha soperchiato i francesi, e si dà per sicuro che Fiorella abbia dalla cittadella fatto un fuoco terribile contro la città, che portò la rovina di moltissime fabbriche, massime in contrada S'* Teresa (3). Ora sono più accertati i (1) Il Bruni, violinista valente, era nativo di Cuneo. (2) Il Massena, che il 2 di marzo era stato nominato comandante dell’armata francese in Elvezia, sotto gli ordini del Jourdan, il 12 aprile ebbe il comando in capo delle armate dei Danubio e del- l’Elvezia. (3) Il Fiorella, per vendicarsi de’ torinesi, che avevano aperto agli Austro-russi la Porta di Po, cominciò a tempestare nella sera medesima e nella fotte, con palle e bombe, la misera città; dan- neggiando “ parecchie case, colla morte di alcuni cittadini, cagionando sommo spavento per il “ maggior male che si poteva temere ,. Cfr. Diario Torinese, n° I, giovedì 30 maggio, p. 6. Il Suwarow, richiamandolo ai costumi civili, gli scrisse: “ Vi avverto che se proseguite il bombardamento, io * schiererò tutti i francesi prigionieri di fronte allo spianato della cittadella, e vi resteranno finchè * andrete traendo sopra innocenti cittadini. A voi il giudicare quale sentimento porteranno sulla " vostra condotta i popoli, cui la Francia promette protezione e fratellanza ,. Cfr. CarurtI D., Storia 39 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 253 sospetti contro Zimmermann. Veramente da uno che comandava i Svizzeri nel 10 agosto alle Tuilleries non si doveva aspettar che tradimento. Le crudeltà che si commettono dagli Austro- russi in Piemonte fanno fremere d’orrore. Il povero avvocato Jacques fu sorpreso a Barge, fu legato pel collo alla coda d’un cavallo e così trascinato (1). Fra i vari combattimenti, seguiti nella valle di S. Martino, noi contiamo 26 bravi patriotti perduti, tra’ quali il cittadino Tre- ville, che guidava la colonna. Gli avanzi di questa sono entrati in Francia, ove sì spera avranno almeno la sussistenza. La nostra situazione è eritica, e può divenire desolante, se una mano suprema non ci presta SOCCOrsO. La lettera, di cui parla Capriata, del cittadino Maranda al Ricard, non essendo stata fatta quando noi siamo partiti, Maranda ci promise di scriverli per la posta. Siamo anziosi di sapere se avete ricevuta una nostra, scrittavi da Fenestrelles, e di avere delle vostre nuove. Per maggior sicurezza, mettiamo questa all’indirizzo dell’ottimo Dessaix (2), a cui direte mille cose per parte nostra, e mia particolarmente. Il principe di Salm era alla testa dei ribelli di Mondovì. Il Conte S' Gilli conduce quei di Vercelli. Il Vescovo d’Ivrea i suoi diocesani, unitamente al generale Capra. Insomma ora è certo che i nobili han disorganizzato la truppa di linea, e che la fanno servire coi ribelli. Arrivati a Parigi il 31 di maggio, il 16 pratile (4 giugno) il Botta e il Robert incominciarono a dar conto all’ Amministrazione generale di quanto andavano operando. - Con nostra gran meraviglia mai non ci pervenne alcuna novella di voi, nè della patria nostra, onde siamo pressochè all'oscuro di quanto si passi colà; e quantunque alcune lettere di Chiamberi vogliano rammaricarci, attestandoci sinistri avvenimenti, non gli vogliamo noi per ora prestar fede. della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero francese; 1, 59. Il 27 di maggio “ ebbe ter- “ mine tanta ruina, perchè i generali alleati promesso avendo di non attaccare la cittadella dalla “ parte della città, che era la più debole, il generale francese acconsentì a non tirare sopra di essa ,. Cfr. PineLri F. A., Storia militare del Piemonte, Il, 157. (1) Anche il Botta in una sua lettera al Cavalli, scritta da Grenoble il 29 vendemmiatle (21 ottobre), fa ricordo di questo caso crudele. “ Robert è qui col nostro Giacca, che la umanità Russa trasse pel “ collo a cgda di cavallo da Barge fino a Revello. Gli uomini, le donne ed i fanciulli di Revello “ hanno riscattato la di lui vita per denaro, orecchini, viveri e preghiere ,. (2) Giuseppe Dessaix di Thonon, nella Savoia, si laureò in medicina a Torino il 1785: andato a Parigi, a’ primi albori della rivoluzione fu guardia nazionale e attore nella presa della Bastiglia; tornato in patria, si dette a infiammare gli animi già caldi della gioventù, descrivendo con vivi colori le imprese delle quali era stato testimone e parte. Un de’ suoi amici intuonò, di sera, il Cu ira, e fu arrestato. I compagni, condotti dal Dessaix, lo cavarono di prigione, e sbandarono per il contado, chiamando indarno la popolazione alle armi. Riparatisi a Versoix, nella Svizzera, ebbero invito a costituirsi nelle mani del governatore della Savoia, con speranza di grazia. Risposero, tornerebbero a Thonon appena caduta la tirannia aborrita; portare scolpiti nel cuore i diritti dell’uomo; la Francia presto li ricondurrebbe alle loro case, vittoriosi e liberi. Questo seguiva nel giugno del 1791. Il mese appresso sbarcarono a Hermance, a tamburo battente e in armi, ma senza trovare fortuna. Messa stanza a Parigi, di là scrissero e stamparono parecchi libelli, tra’ quali più di tutti fece chiasso Le tocsin de la Savoje; formarono un club, che sì disse degli Allobrogi, nocciolo della Legione Franco- Allobroga, assoldata e ordinata dall'Assemblea legislativa nel 1792, della quale fu capitano, indi colon- nello il Dessaix, anima e capo di quel pugno di rivoluzionari savoiardi. Condannato a morte in contumacia, venne impiccato in effigie. Nel 1799 era rappresentante del popolo nel Consiglio dei Cinquecento. 254 GIOVANNI SFORZA i 40 Dopo quattro giorni siamo gionti in Pariggi felicemente. Subito dopo il nostro arrivo fummo condotti da un amico al cittadino Delcher, segretaro degli affari esteri per la parte d’Italia. Ci presentò esso il giorno dopo al cittadino Talleyrand, che ci accolse con massima cortesia, ci invitò a pranzo, e dopo poi assicurocci, con ripetute asserzioni e proteste, che la Francia guardava con massimo interesse gli affari del Piemonte, che nulla di più gli stava a cuore, e quantunque da alcuni accidenti particolari potesse apparir meno vera tal cosa, ci invi- tava a non aver riguardo alle minute circostanze, ma bensì alla somma delle cose, la quale ci avrebbe infallantemente dimostrato coll’avvenire quanto la Francia aveva ed avrebbe ancor fatto per la nostra libertà. Ci soggionse poi, trovandosi ancora ivi presente il cittadino Musset, che essendo egli sopracarico d’affari, ci invitava a dirigerei ad esso per le note che gli avres- simo potuto communicare, che quindi il cittadino Musset ne avrebbe fatta la relazione od a lui stesso od immediatamente al Direttorio, e che medesimamente per quel canale ci avrebbe fatto passare quanto d’interessante avrebbe avuto a communicarei. Fummo perciò, tale essendo il nostro dovere, dal cittadino Musset. Ci chiese egli una nota sullo stato del Piemonte all’epoca della nostra partenza, e quindi un’altra sui soccorsi neces- sarii all’armata e sui mezzi di inviargli più prontamente, sulle risorse in vettovaglie, vuomini ed armi, che la Francia avrebbe potuto ricavare dal Piemonte. Le abbiamo fatte e consegnate, ci riserbiamo per il prossimo corriere d’inviarvene copia (1). Ieri ci venne detto da un Rappresentante che 30 mille vuomini di buone truppe marciano verso l’Italia. Quantunque preparati a sopportare tutti gli avvenimenti della sorte avversa, ci lusinghiamo però che le cose possano ristabilirsi ancora, almeno in una parte d’Italia, perchè gli interessi della Francia sono troppo con quella collegati. Giova sperare; e v'è un filosofo che dice: Le tems présent est gros de Vavenir. È gionto ierisera Sieyès; fra due giorni va ad agitarsi la gran quistione sulla libertà della stampa. Il ritorno a galla del Musset, il suo farsi avanti e soprattutto il suo intromet- tersi nelle cose del Piemonte, auspice e volente il ministro Talleyrand, dette nel naso e urtò i nervi all’Amministrazione generale. Il presidente di essa infatti con- fessò schietto ai due inviati: “ Noi intendiamo il sistema e ne prevediamo le con- “ seguenze nel caso di ristabilimento delle cose; val’a dire, che tanto la musica, « quanto il mastro di cappella saranno gli stessi. Le suonate sono per il passato “ state piacevoli? La varietà è una qualità essenziale anche in musica ,. Al Botta poi capitò una singolare avventura, che poteva avere per lui conseguenze funeste e legargli le braccia. “ Senti questa ,; così ne fece il racconto al Pico. “ La Senna, “ come sai, forma un'isoletta accanto al ponte nuovo, dove sta di casa l’Ammini- “ stratore centrale del Cantone di Parigi. Quivi sono stato chiamato il primo del “ corrente (2); ed un cittadino per nome Moutard, capo del dureau de surveillance, “ mi intimò un ordine del Ministro di polizia Duval (3), di dover partire da Parigi, “e di dover star lontano da questo Comune venti leghe, ed altrettante dalla fron- “ tiera delle Alpi. Quest’'ordine era comune a me ed al Cavalli. Io ho risposto che (1) Cfr., in fine, le appendici Me terno III (2) Il 1" del corrente messidoro, ossia il 19 giugno. (3) Il Duval, commissario presso l’Amministrazione centrale del dipartimento della Senna inte- riore, era stato nominato ministro della Polizia generale della Repubblica 1’8 brumaio dell’anno 7° (29 ottobre 1798). 41 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 255 “ non aveva niente che fare col Ministro di Polizia e che doveva dar conto della “ mia condotta a quello delle Relazioni estere, e che intendeva rimanermene..... Io “ ho scritto una lettera risentita al Ministro degli esteri per lagnarmene; e mi rispose “ molto aridamente , (1). L’asciutta risposta del Talleyrand più non si trova; la let- tera “ risentita , è questa: Paris, 3 méssidor an 7. (21 giugno). Il est de mon devoir, citoyen Ministre, de vous prévenir qu’avant hier, à ma très-grande surprise, l’Administration du Canton de Paris m’a signifié l’ordre du Ministre de la police Duval, de partir de Paris et de me tenir éloigné de 20 lieues de cette Comune et de la frontière des Alpes. Comme ma constante habitude a toujours été de ne jamais m’écarter de mes principes, et que je croirais infiniment au dessous de moi et indigne du caractère dont je suis revétu, que de tenir une conduite, qui pùt donner le plus petit ombrage au Gouvernement, je dois vous déclarer, que je ne me crois pas en devoir d’optempérer à un ordre semblable aussi long temps, que vous ne m’auriez pas signifié que ma mission ici n’est plus agréable au Gouver- nement Frangais. Je ne sais par quelle vile intrigue, le Ministre de la police Duval a pu étre trompé sur mon compte; mais vous pouvez étre persuadé que je sens vivement au fond de mon coeur ce désagrément, qui insulte è ma probité et aux malheurs de la Nation, que j'ai l’honneur de représenter. Le Ministre de la police donnant un ordre dont il me laisse ignorer les motifs, et qui seront préjudiciables è ma réputation, qu'il ne doit étre au pouvoir d’aucune puissance de m’òter, a sans doute méconnu les sentiments de douceur et d’hospitalité qui distinguent si particulierment la Natione Frangaise. “ Ho gravi motivi per credere , (così nella sua lettera al Pico), “ che quell’or- * dine sia stato l’effetto d’insinuazioni di certi nostri paesani vili e perfidi, i quali “ hanno rappresentato a quel Ministro, ed anche a quello degli esteri, che io sia “ contrario alla così detta riunione del Piemorite alla Francia, e conseguentemente, “ come dicono essi, nemico dei Francesi; come se appartenesse a coloro che hanno “ sempre servito due padroni, e che fra i patriotti non sono conosciuti se non per “ la loro ambizione ,, il diritto di “ calunniare l’amico della libertà, che s'ha voluto “ fare appiccare per la gola, per sostenere la causa francese fin dal principio, che “ provò per questo ogni sorta di peripezia, che ha sempre goduto della confidenza “ dei generali francesi coi quali ebbe che fare, e che ha costantemente battuto la “ medesima strada in tutto il corso della Rivoluzione, malgrado le sventure, i cam- “ biamenti politici ed i raggiri dei birbanti ,. Il ritratto che il Botta fa di sè non pecca d'esagerazione; è vero in ogni sua parte. A fronte alta ben poteva dire, che “ fin dal principio , si era consacrato con tutta la gagliardia delle forze a “ sostenere la causa francese .. Partecipò infatti alla congiura ordita nel 1794 per rovesciare la monarchia, e corse rischio di venire ‘impiccato: dovette la propria salvezza alla tenace costanza, con la quale, durante la prigionia e il processo, negò sempre e negò tutto. Gli fu benigna la sorte, non essendo riuscito a chi lo inquisiva di mettere in sodo che due volte era andato a Genova a trescare col ministro francese Tilly, per avere aiuto e denaro all'impresa, dando informazioni sull’esercito e promettendo i disegni delle fortificazioni del pic- (1) Borra C., Lettere inedite, Faenza, Conti, 1875, pp. 143-145. 256 GIOVANNI SFORZA 7 42 colo S. Bernardo, puntualmente spediti col mezzo d’un Laurenti nizzardo (1). Libe- rato dal carcere, ma non assolto; temendo potesse rivivere l'accusa, esulò, e venne fatto medico degli eserciti di Francia; poi, caduta la monarchia, contro la quale aveva congiurato indarno, sedè nel Governo Provvisorio e fu uno de’ propugnatori più caldi dell'unione del Piemonte alla Francia. Per favorirla, andò commissario nelle provincie d'Ivrea e d'Aosta e in quella parte della provincia di Torino che resta al di là della Stura, a raccogliervi i voti (2). Della congiura tocca nella Storia con brevità studiata; quasi sembra schivo d’entrare in una materia che gli scotta. Apertamente confessa, che l’unione alla Francia scemò credito al Governo, “ perchè * il popolo non amava lo imperio dei forestieri , (3). Oratore a Parigi d'un’Amministrazione, istituita da un generale francese per mantener vivo appunto il concetto di questa unione, va invece gridando: “ Unità “ di Repubblica, convenzione italica, libertà agl’italiani di adottare quella costituzione “ repubblicana che sarà di loro maggior grado e convenienza ,. Il Piemonte ormai, di sua volontà e per voto solenne, era diventato una provincia della Francia; al ministro della polizia e a quello delle relazioni estere questi discorsi di un suddito francese non potevano nè dovevano piacere. È anzi da considerare la mitezza del Duval, che si contentò di volerlo distante venti leghe da Parigi e venti dalle Alpi. Del resto, il Botta e il Robert, non avevano l’incarico di farsi caldeggiatori e pro- pugnatori di un nuovo assetto politico da darsi all’Italia; “ furono inviati a Parigi “ perchè con vivi colori rappresentassero al Governo francese i pericoli dell'esercito “ d’Italia, la sgraziata condizione della loro patria ed indicassero nel medesimo tempo mezzi opportuni , ve K “i mezzi più opportuni per ovviare a tanta rovina ,. Di n'era uno solo, mandare con la maggiore prontezza numerosi e gagliardi rinforzi al Moreau, dandogli così la possibilità e il modo di cacciar via gli Austro-russi dal Piemonte. Il partito de’ patrioti in Francia, inviso al Direttorio e odiante il Direttorio, il ‘quale nelle elezioni dell’anno 6° aveva fatto ogni suo potere per escluderlo dal corpo legislativo e l’aveva conseguito, nelle elezioni dell’anno 7° riuscì invece vittorioso, entrandovi in numero considerevole. Ne’ due Consigli, quello degli Anziani e quello de’ Cinquecento, trovò un alleato nel partito costituzionale, e subito cominciò a ber- sagliare il Direttorio, accusandolo d'avere male amministrata e mal difesa la Francia, violata la libertà delle opinioni, oppressa la libertà della stampa e delle società popolari. Designato dalla sorte, il Rewbell era uscito dal Direttorio, succedendogli il Sieyès; col quale restarono a farne parte il Barras e il Merlin, il Treilhard e il Larévellibre. Di questi quattro ultimi, solo gradito a’ patrioti il Barras, tuttochè il più indegno: degli altri volevasi la caduta. Per bocca del Briot, dell'Arena, d'una folla d'altri dicevano: “ Il fallait donner une commotion à la France, et lui rendre “ l'’énergie de 1793, que-le Directoire avait entièrement étouffée, en faisant peser “ sur elle un joug acclabant. Tout patriotisme allait s'éteindre si on n’ouvrait pas (1) Carurmti D., Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero Francese; I, 274-286. (2) Borra C., Scritti minori, Biella, Amosso, 1860, p. 69 e segg. (3) Borra C., Storia d'Italia dal 1789 al 1814; III, 210. 43 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 257 “ les clubs, et si on ne rendait pas la parole aux feuilles patriotiques. Vainement, “ ajoutaient-ils, on accuse les patriotes, vainement on feint de redouter un débor- “ dement de leur part. Qu'’ont-ils fait ces patriotes tant accusés ? Depuis trois ans “ ils sont égorgés, proscrits, sans patrie, dans la république qu’ ils ont contribué “ puissament è fonder et qu’ ils ont défendue. Quels crimes avez-vous è leur repro- “ cher? ont-ils réagis contre les réacteurs? Non. Ils sont exagérés, turbulents; soit. € Mais sont-ce là des crimes? Ils parlent, il crient méme, si l'on veut; mais ils “ n’assassinent pas, et tous les jours sont assassinés , (1). Riuscirono a sbalzare il Trehilard di seggio, forzarono il Merlin e il Larévellière a dimettersi. Il Tre- hilard fu rimpiazzato dal Gohier; l'influenza del Sieyès portò sugli scanni del Diret- torio il suo amico Roger-Ducos, un vecchio girondino; quella de’ patrioti, il gene- rale Moulins, caldo repubblicano. Il Talleyrand, sgradito anch'esso a’ patrioti, dovette cedere il portafogli degli affari esteri al Reinhard; il Bourguignon, antico magistrato, succedette al Duval, con gioia immensa del Botta, che scrive: “ Il ministro Duval “ fu sballato, e me ne sto ora tranquillamente , a Parigi. E a Parigi si fece capo, insieme col Robert (2), “ di quegli Italiani che davano bell'esempio di amor patrio, “ patrocinandovi l'indipendenza, la libertà, l’unità d’Italia, a cospetto della Francia “ non liberatrice , (3). Il 30 di giugno scriveva agli amici Rigoletti e Bellocco, esuli a Grenoble: “ Dopo i cambiamenti accaduti, e quelli che accadranno ancora “ nelle persone degli amministratori, l’ardore repubblicano, che era quasi estinto in « Francia, rinasce e promette più felice avvenire. Chi governa adesso è più amico “ della libertà italiana di que’ che sono stati espulsi. Potremo di nuovo, se un desi- “ derio da emigrato non mi inganna, rivedere i nostri campi e dimostrare quanta “ distanza passa tra la nostra virtù e la malvagità di coloro, che con tant’odio ci “ perseguitano in Italia; e quanto noi siano degni di un miglior destino ,. A un altro de’ suoi amici, Bernardino Druetti, che si era rifugiato a Briangon, scriveva il 1° di luglio: “ Giova sperare che dopo i cambiamenti successi, le cose s’incam- “ mineranno per una migliore strada, se coloro, ai quali fu commessa la cura di “ riparare tanti mali, si mostreranno degni del loro gran destino, e giustificheranno “ le speranze che in essi hanno riposto gli amici della libertà. Credi, che i coscritti “ partono da ogni parte ed è ferma intenzione del Direttorio che siano provvisti “ del bisegnevole. La penuria, che mi narri, nella quale si trovavano, sarebbe stata » eterna, se eterno fosse stato il regno di Merlin; ma cesserà, credo, per la buona “ volontà di chi governa. Tutte le truppe dell'interno si muovono verso i confini. Quelle che erano di stazione a Parigi, sono anch'esse partite, e la guardia nazio- “ nale eseguisce quasi tutte le fazioni militari. Se di nuovo ritorniamo in Italia, (1) Turers A., Histoire de la Révolution Francaise, Paris, Lecointe, 1834, X, 329-330. (2) È da notarsi che il Robert non venne condannato allo sfratto da Parigi, che colpì soltanto il Botta e con lui il Cavalli, giacobino de’ più ardenti, il quale nel Governo Provvisorio del Pie- monte, di cui fece parte, propose di disperdere al vento le ceneri de’ Reali di Savoia e trasformare il tempio di Superga in Pantheon de’ martiri della libertà piemontese. Il Robert, che a Milano aveva fatto le sue prime armi nella diplomazia, sapeva tacere a tempo e a tempo dissimulare il proprio pensiero. (3) Box-Compaani ©., Notizia storica su Carlo Botta; negli “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,; II, 396. Serre II. Tox. LIX. 33 258 GIOVANNI SFORZA ) A 44 “«“ essendone i barbari scacciati, si seguirà certamente dai Francesi una norma di “ procedere molto diversa da quella che harmo già seguito. Del di lei destino vari “ sono i pareri dei patrioti Francesi: i più caldi vogliono una Repubblica una: ed * indivisa; altri, due Repubbliche, delle quali una comprendente tutta la Lombardia, “ la Liguria e una gran parte della Toscana, l’altra la Romagna e lo Stato di Napoli; “ gli ultimi finalmente una Repubblica una ed indivisibile, unendo però la Liguria “ ed il Piemonte alla Francia. Quello che ti posso assicurare è, che nel felice avve- “ nimento della liberazione dell’Italia, che non deve essere lontano, se sono vitto- “ riose le armi di Moreau e «di Macdonald, andranno a monte i proconsoli, i re sotto “nome infinto, e i vessatori d'ogni specie. Si crede sempre più che il virtuoso Jou- “ bert sia destinato a comandare l’esercito d’Italia, e ciò, spero, sarà, quando Moreau «e Macdonald avranno fatta una qualche segnalata impresa. Lo vediamo sovente « questo Joubert, il quale pare tanto più si interessi a noi, quanto più siamo infe- “ Jici (1). Ci invitò ieri a pranzo seco lui. Figurati, mio caro Bernardino, che gran “ sinedrio è stato quello. Quell’altro dei sette savi della Grecia non è da parago- « narsi. Intervennero i generali Jourdan, Augerau, Marbot, Bernadotte ed i rappre- «“ sentanti Garat, Luciano Buonaparte ed il di lui fratello Giuseppe, Saliceti ed il « mio Dessaix. Non si può abbastanza lodare la loro affabilità, la buona volontà ed “ j desideri loro, umani e benevoli verso di noi. Non è egli vero ? La stima loro non “ compensa a mille doppi l’ingiurioso sospetto dello scaduto ministro della polizia “ Duval, che mi intimò l'ordine di partire immediatamente da Parigi e di star lon- “tano a venti leghe dalla frontiera delle Alpi? Non compensa essa le ridicole calunnie dei diplomatici e dei vili servi di chi governa, che han detto a taluno che io era terrorista, anarchista, e, quel che è più maligno, nemico dei Francesi ? Ma non ci restiamo a costoro, che per verità le loro maldicenze sono onorevoli a « noi. Di nuovo questo buon Joubert ci vuole a pranzo seco lui quintidì, cioè Robert, «“ Cavalli, me e gli altri esuli nostri paesani. Era costume dei giornalisti prezzo- “ lati, prima del 30 pratile (2), di calunniare:gli italiani, perchè si voleva levare “ l’infamia dai ladri per versarla sui rubati; ma adesso si cambia registro, come «“ già avrete veduto. Farò anch'io qualche articolo, che s’ inserirà. Credi, che Robert “ ed io non risparmiàamo fatica alcuna per far conoscere i torti altrui, la nostre “ sventure ed i rimedi che bisognerebbe opporvi. L’hanno capita, e stanno con noi. “ Potressimo fare di più, se avessimo più danaro; ma dovere andare a piedi per “ questo gran Parigi è uno stancarsi, la sera da non poter più moversi. Eppure quei calessi che chiamano, come sai, figeres, non son fatti per noi, perchè costano due x tai x x (1) N 10 messidoro (28 giugno) il Botta e il Robert gli avevano scritto: “* Comme nous sommes persuadés, citoyen général, que vous prenez le plus grand intérét à tous les patriotes italiens qui “ se sont particulièrement distingués par leurs talent et leurs attachement sincère aux principes de la révolution, nous vous recomandons le citoyen“Villafaletti, qui désirerait de rentrer au service “ militaire. C'est un jeune homme ‘rempli de merite et d’aetivité et connaissait bien par expérience “ l'art de la guerre. Il justifiera sans doute la confiance que vous pourrez placer en lui. Il a été “ persecuté et mème incarceré en Piémont sous le régime du Roi à cause de son patriotisme marqué, “ et il merite è tous les egards l'honneur de défendre à cote des Frangais la cause de la liberté ,. (2) Il 80 pratile (18 giugno) era stato da' patrioti rovesciato in parte il Direttorio. Cfr. Tamers A. Histoire de la Révolution Francaise; X, 322 e segg. je 45 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 259 lire ogni ora. Non sono cose da emigrati, e per ciò ho i calti ai piedi, che mi fan “camminare a mal agio. Su queste pietre dure vo dicendo: Durate et vosmet rebus “ servate secundis. Sarebbe omai tempo. Ma chi lo sa? Se non potremo vantarci di “ ricchezza, di fortuna, di potenza, potremo di costanza, di coraggio, di virtù e di sventura: le quali cose tutte ci procureranno sempre il favore di pochi ed il “ disprezzo di molti , (1). Il Botta ignorava allora, come tutti, del resto, a Parigi, i nuovi rovesci toccati alle armi di Francia in Italia. Fosse indugio del Moreau, o fretta del Macdonald, quest’ultimo, trovatosi solo contro il Suwarow, era stato sconfitto in tre giornate (17-19 giugno) alla Trebbia (2); la cittadella di Torino aveva finito con l’arrendersi agli Austro-russi (20 giugn6); ugual sorte stava per toccare alle fortezze di Ales- sandria (22 luglio) e di Mantova (30 luglio). L’Amministrazione generale del Piemonte, “ vedendo omai inutile il suo soggiorno , a Briangon, fin dal 28 giugno era partita per Gap e di là si era ridotta a Grenoble. La nomina del Bernadotte a ministro della guerra, avvenuta il 2 di luglio, riaccese le speranze. “ Non può a meno di confor- “ tare tutti i veri repubblicani; non v’'ha più dubbio che le armate saranno orga- “ nizzate e provviste di tutto con celerità ,, scriveva il Botta. E le speranze si fecero anche maggiori, quando di lì a poco, al Moreau, il quale insieme col Mac- donald si era rifugiato sull'Appennino, venne tolto il comando, che passò in mano al Joubert, caro a tutti per i suoi trionfi nel Tirolo, per la sua giovinezza, per il suo “ caractère héroîque , (3); quando a Championnet, il conquistatore di Napoli, destituito e processato dal vecchio Direttorio, fu ridata la libertà e con la libertà, per decreto del 17 messidoro (5 luglio), il comando della nuova armata delle Alpi, forte di quindicimila uomini. “ Questa mattina , (scrivevano il Botta e il Robert, il 9 di quello stesso mese, all’ Amministrazione generale) “ abbiamo visto Cham- « pionnet, il quale, avendoci accolto cortesemente, ne significò la sua intenzione di “ favorire i patrioti ed i veri amici della libertà; soggiunse poi che sarebbe partito “ fra cinque o sei giorni per Chiamberi, donde scenderebbe in Piemonte ,. Presero a scrivere una memoria “ sulla necessità di stabilire una repubblica in “ Italia , e la stamparono. “ Ci siamo messi su di questo proposito con parecchi » (1) Borra C., Lettere inedite, Faenza, Conti, 1875, pp. 146-150. (2) Notevole è il giudizio che sulla vittoria della Trebbia dette uno de’ più famosi generali d'allora, l'arciduca Carlo: “ Il me paraît qu'en Italie c’est è qui fera les plus grandes sottises. “ L’ennemi au lieu de rassembler toutes ses forces, d’abandonner la basse Italie, dont une victoire “le rend d’abord le maître, laisse Naples, Rome, Capue, Gaéte, Ancone, et Dieu sait quoi encore, “ occupé. Au lieu de n’attaquer Souwarow, qu’après que Moreau et Macdonald se sont tout-à-fait “ réunis, Macdonald marche è Plaisance et Moreau sur Tortone. De notre còté, Souwarow, dont l’armée est, à ce qu'il m'a écrit, 180.000 Feuer Gewehre ausritekenden Standes, n'a que 34.000 hommes “ è cette bataille decisive, qui par consequent, au lieu d’ètre achevée dans un jour, dure quatre et * n’est gagnée qu'è force de perdre du monde. Bellegarde, pressé par Moreau, au lieu de marcher vers Souwarow, de couvrir par-là son dos, et se réunir à lui, se retire vers les montagnes et expose par-là Souwarow à étre pris è dos. Quel bonheur que Bonaparte est en Egypte! ,. (3) Tuners A., Histoire de la Révolution Frangaise, X, 347. Napoleone ne fece questo ritratto: “ A regu de la nature les qualités qui distinguent les guerriers. Grenadier par le courage, il est “ général par le sang-froid et les talents militaires. Ils s'est trouvé souvent dans ces circostances “ où les talents d’un homme influent sur le succès ,. Cfr. Correspondance de Napoléon I" ; III, 447-448. 9 260 GIOVANNI SFORZA 46 ii * dei Cisalpini , (così in una lettera all'Amministrazione generale, il 16 di luglio); «“ ma volesse il cielo che non si parlasse più di Cisalpini, Toscani, Romani, Pie- “ montesi, ec. ec., ma il nome italico fosse l’unico e il solo nostro nome......, Volesse * pur il cielo che il vicino secolo vedesse nascere una Repubblica Italiana accanto « alla Francese, e con la medesima di stretti vincoli congiunta, onde potessero “ comandare a loro volontà la pace, o la guerra, e la felicità del genere umano ,. Interessante è la risposta del Pico: “ Qui non si tralascia di lavorare a due braccia “ nel vostro senso e già regna una perfetta unione tra gli italiani...... Ieri (22 luglio) “è da qui partito il cittadino. Paribelli, già membro del Governo Provvisorio di “ Napoli. Egli viene da Genova; ci portò un indirizzo al Corpo legislativo per «“ domandare la repubblica italiana una e indivisibile. Rossignoli, io e vari piemon- “ tesi abbiamo aggiunto le nostre sottoscrizioni alle tante di altri italiani colà sot- “ toscritti ,. L'Indirizzo dei Patrioti Italiani ai Direttori e Legislatori Francesi, com- pilato da Cesare Paribelli, venne anche tradotto in lingua francese; e sulla copia in francese si legge: “ L’auteur l’a redigée è Génes, et l'a faite signer de la plus parte “ des patriotes Italiens, qui s'y trouvaient, et l'a presentée personnalement è Paris ,. Ma, come nota Benedetto Croce, “ per isfortuna nè in questa, nè nella copia in ita- “ liano, sono trascritte le firme , (1). Le ha invece la “ memoria , del Botta e del Robert (2). Ammontano a ventotto tra tutte; vi figurano nove piemontesi (3), dodici cisalpini, quattro veneziani e un romano. Scese in campo con la penna anche Giovanni Fantoni, il famoso Labindo {4). Il Briot, rappresentante del Doubs, che fu poi inten- dente degli Abruzzi sotto il re Giuseppe e consigliere di stato sotto il re Gioacchino, offriva in omaggio al Consiglio de’ Cinquecento, nella seduta del 14 termidoro (1° agosto), “ trois écrits des patriotes italiens , (5), invocando un “ acte de grandeur , (1) Cesare Paribelli, nato a Sondrio nella Valtellina il 17 marzo 1763, entrò al servizio del Re di Napoli e fa “ uno dei più attivi e notevoli dei repubblicani del ’99 ,. All’entrare de’ Francesi sedè nel Governo Provvisorio; il 9 aprile si dimise, sotta, pretesto di recarsi nella Cisalpina, sua patria, in realtà per recarsi a Parigi con una missione segreta, affidatagli appunto dal Governo Provvisorio; giacchè a Napoli dopo il richiamo del generale Championnet e la venuta del generdle Macdonald, le cose avevano cambiato aspetto, e urgevano solleciti provvedimenti, soprattutto per infrenare il Faypoult e la sua orda divoratrice. Fermatosi a Genova, dove dopo l’entrata degli Austro-russi a Milano si erano ricoverati una quantità di patrioti fuggiaschi, fu là che nel giugno scrisse l’Indirizzo dei patrioti italiani ai Direttori e legislatori francesi, che, firmato dalla maggior parte di loro, recò a Grenoble, per portarlo poi a Parigi e*farne personalmente la consegna. Cfr. Croce B., Relazioni dei patrioti napoletani col Direttorio e col Consolato e l’idea dell'unità italiana (1799-1811), Napoli, presso Luigi Pierro, 1902, pp. 46-73. (2) E intitolata: Adresse au Peuple Francais et à ses représentants, par une Société de patriotes italiens réfugiés. Il Borra ne dette un sunto nella sua Storia, III, 267-271. La ristampò il DroxisortI nella Vita di Carlo Botta, Torino, Favale, 1867, pp. 509-512. (3) Sono: “ Charles Botta, membre de l’Administration centrale l’Eridan — Cavalli, ex-membre “ du Gouvernement provisoire du Piémont — Jean Raf. Bariè, de Turin, officier Cisalpin — Antoine “ Bariè, officier piémontais — Jean Jules Roberti, piémontais — Joseph Marie Travaglio — Carlo “ Bocca, libraire — P. Ricchini, Président dép. du Tartaro — Giovanni Garelli ,. Il Robert, di famiglia francese d'origine, essendo oriunda di Saint-Paul nella valle di Barcelonette, nel sottoscriversi, in uno slancio di patriottismo, italianizzò il proprio cognome. (4) Il Botta gli scriveva il 9 fruttidoro (26 agosto): “ Ho piacere che le mie idee sull’ unità “ della Repubblica italiana siansi incontrate colle tue, che ho letto essere in quella tua scrittura ,. (5) Nel processo verbale della seduta del Consiglio de' Cinquecento de' 14 termidoro (1° agosto). si legge: “ Un membre [Briot] fait hommage au Conseil de trois écgits dignes de fixer l’attention sa 47 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 261 della “ plus haute importance ,, al quale riteneva veder congiunti “ la splendeur, “ Jes victoires, le salut peut-étre , della Francia; e questo “ acte de grandeur , era “la proclamation solennelle et prompte de la République Italienne ,. “ Les “ Romains , (soggiungeva) “ vendirent le champ sur lequel campoit Annibal; la “ France a proclamé la République quand l’ennemi inondoit les plans de la Champagne; “ c'est par ce que Souwarow est è Milan, à Turin, qu'il est digne du Peuple francais “ de déclarer qu'il veut la liberté et l’indépendance de l’Italie, et que Ja paix et l’amitié “ de la grande nation s’obtiendront désormais à ce prix , (1). Il Consiglio ne affidò l'esame a una commissione, e poi non se ne parlò più (2). I patrioti, per quanto alzas- sero la voce e si sbracciassero, non godevano credito e ben ristretta era la loro influenza. Nel Direttorio contavano due soli partigiani, il Gohier e il Moulins; tra’ ministri non avevano amico che il Bernadotte; nel Consiglio de’ Cinquecento non disponevano che di dugento voti; per l'ascendente grande che esercitavano, però, di peso, tra questi, il vecchio e fiero giacobino Augerau e lo scontento generale Jourdan. Il Consiglio degli Anziani era in mano al Sieyès, anima del Direttorio; e al Sieyès dava ombra e molestia questo pugno impaziente e ciarliero di rivoluzionari, violenti ne’ clubs, dove primeggiavano l'ex ministro Bouchotte, il Drouet, Felice Lepelletier e l'Arena, tutti discepoli e complici del Baboeuf; sfrenati ne’ giornali, soprattutto in quello che s’intitolava Journal des hommes libres, riboccante in ogni suo numero di declamazioni e d’accuse; gente, insomma, con la testa piena de’ ricordi del 1793, di cui sospirava il ritorno. Il Botta confessò poi nella Storia, che al Direttorio “ non _“ gli andava a grado l’unità della nazione italiana, come emula, ed essendogli molesta “ la sua potenza ,. De’ patrioti lasciò scritto: “ I rappresentanti anche i più vivi e IÙ “ des représentans du peuple: l’un est intitulé: Apercu sur les causes qui ont dégradé l’esprit public “ en Italie, et sur les moyens de le relever; l’autre a pourtitre: Le Cri de l'Italie; et le troisième est “ Adresse au Peuple francais d: è ses représentants, par une société de patriotes italiens réfugiés ,. Cfr. Corps Législatif. Procès verbal des séances du Conseil des Cing-Cents, vol. 47, p. 316. (1) Corps législatif. Conseil des Cinq-cents. Discours prononcé par Briot (du Doubs). En pré- sentant au Conseil trois éerits des patriotes italiens réfugiés. Paris, Imprimerie Natìonale, Thermidor, an VII. Ne riporta i brani che offrono interesse maggiore il dott. Giuseppe ManacorDA, 1 rifugiati italiani in Francia negli anni 1799-1800, sulla scorta del Diario di Vincenzo Lancetti e di documenti inediti degli Archivi d' Italia e di Francia; nelle ° Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, serie II, tom. LVII, pp. 214-215. (2) Le proposte del Briot, approvate dal Consiglio de’ Cinquecento, furono due: “ L’opinant “ demande qu'il soit fait un message au Directoire exécutif pour lui demander compte, 1. du résultat “ des dénonciations faites contre l’ex-général Scherer et des poursuites qui doivent ètre faites contre “ lui; 2. des poursuites qui doivent ètre faites contre l’ex-ambassadeur Trouvé, pour avoir violé la “ constitution de la Cisalpine et le traité d’alliance fait avec cette puissance; 3. des recherches et poursuites qui doivent avoir lieu à l’égard des citoyens Rivaud, Faypoult, Rapinat, Amelot et autres agens, dénoncés et accusés d’oppression et de dilapidations, et des généraux Schavembourg et Grouchy. Le Conseil adopte cette proposition. — Le mème membre demande qu’il soit formé une commission spéciale, chargée d'examiner les écrits dont il s’agit, et toutes autres semblables adresses, sur la situation de l’Italie et les événemens qui ont eu lieu: cette commission examinera spécialement si les écrits déposés sur le bureau doivent ètre simplement renvoyés au Directoire exécutif, ou s'ils doivent devenir l’objet de l’attention particuliètre du Corps législatif. Elle sera également chargée de présenter au Conseil un rapport sur la manière de poursuivre et punir à l’avenir les crimes des agens diplomatiques ou civils envers les puissances alliges. Le Conseil adopte cette proposition: et nomme, sur la désignation du bureau, les représentans du peuple " Briot, Arena, Eschasseriaux jeune, Garrau et Porte, pour composer la commission dont il s'agit ,. (53 “ 262 GIOVANNI SFORZA i 48 ‘ che si mostravano più propensi agl’Italiani, aborrivano egualmente dall'unità “ d'Italia, non avendo inclinazione alla sua grandezza; ma di queste cose si servi- “ vano nei discorsi ed orazioni loro per isbattere la riputazione e la potenza del “ Direttorio ed aspreggiare il popolo contro di lui , (1). Del resto, che alla Francia tornasse sgradita l’unità d’Italia e la sua grandezza, già se n'erano accorti fin dal- l'anno innanzi due nostri diplomatici, il Massuccone e il Visconti; ministro il primo della Repubblica Ligure a Torino, l’altro della Repubblica Cisalpina a Parigi. Il Mas- succone scriveva al proprio Governo, il 14 febbraio del ‘98, che il Direttorio voleva “ spargere bensì in Italia le massime del repubblicanismo ,, ma “ senza però lasciarvi “ formare una repubblica sola e potente, capace col tempo di gareggiare nelle armi “ è nel commercio colla Repubblica francese , (2). Il Visconti, il 22 di marzo, ripeteva: “ si teme l’esistenza di una sola repubblica in Italia , (3). Il ministro Talleyrand confessa (1) Borra C., Storia d’Italia dal 1789 al 1814; III, 271. (2) In questa lettera, che si conserva nel R. Archivio di Stato in Genova, il Massuccone dà avviso essere arrivati a Torino tre corrieri da Parigi, il primo dell’ambasciatore piemontese, Pro- spero Balbo, al ministro degli affari pet il secondo all’ambasciatore di Spagna, il terzo a quello di Francia; cosa che produsse curiosità. “ I visionari fabbricatori di notizie , (son sue parole), “ spar- “ sero che era questione di una diversa essenziale divisione dell’Italia, molto vantaggiosa al Re di Sardegna; concepita, poco più, poco meno, nei seguenti termini. Li francesi, tirando una linea da - Susa sino ad Ancona, occuperebbero tutta quella porzione del Piemonte e della Toscana che resta a mezzogiorno e levante di.detta linea; rimanendone la parte verso il nord, con tutti gli altri Stati componenti ora la Repubblica Cisalpina, compreso il Parmigiano, il Modenese, il Ferrarese, il Bolognese e la Romagna, alla Corte di Torino, meno il Bresciano ed il Bergamasco, che dovreb- bero essere occupati dalla Casa d'Austria. Otterrebbe il Granduca di Toscana in compenso del suo Stato la Baviera, e l'Infante duca di Parma avrebbe invece per suo appannaggio le isole di Corsica e di Sardegna. Simili immaginarie divisioni sono l’effetto del delirio di alcuni di questi aristo- cratici piemontesi, che sperano sempre.... di vedere ingrandito lo Stato del loro Despota, ed anni- chilite le circonvicine Repubbliche. In sostanza: però non si ha alcun verosimile riscontro di sì fatte assurde mutazioni. È bensì vero che nulla traspira nel pubblico dell'oggetto di detti espressi; ma oltre che il Ministero Piemontese si mostra, anzichè» allegro e contento, piuttosto triste e con- turbato, ciò che indicherebbe tutt'altro che favorevoli notizie per esso; pare si possa con qualche probabilità congetturare, che abbia dato luogo al loro invio, la determinazione presa dal Diret® torio esecutivo francese di disfarsi del Governo Papalino, e crearvi sulle odierne sue provincie una nuova Repubblica democratica, per spargere bensìin Italia le massime del repubblicanismo, senza però lasciarvi formare una Repubblica sola e potente, capace col tempo di gareggiare nelle armi e nel commercio colla Repubblica francese. Il generale Massena dicesi debba comandare invece di Berthier, che passerà a Milano, la spedizione di Roma; e ieri sono di qui transitati li Commissarii delle arti Monge, Danou e Floran, accompagnati dal segretario Saint Martin, per andare naturalmente a completarvi lo spoglio de’ pezzi più preziosi in scultura e pittura appar- “ tenenti all’agonizzante Governo Pontificio ,. (3) La lettera del Visconti, scritta da “ Paris le 2 germinal an 6 de la Liberté ,, che si con- serva essa pure nel R. Archivio di Genova, è indirizzata al Porro, ministro della Repubblica Cisal- pina presso la Repubblica Ligure. Merita d’esser trascritta: ‘ Cittadino Ministro, Molto tardi mi è © pervenuto il vostro dispaccio .degli 8 ventoso, ed a questa sola ragione voi dovete attribuire la “ tardanza della mia risposta. Alcune cose che in quel dispaccio voi m’indicate, al presente sono cambiate ed è perciò inutile il favellarne. Mi restrifigerò pertanto a serivervi su di ciò che veggo attualmente. Le speranze che vi ho annunziate con i miei dispacci del 7 piovoso e 12 ventoso continuano ancora, e nulla è accaduto che contribuisca ad indebolirle. Non entrerò già in minuti dettagli sulle operazioni che dal Governo francese si fanno contemporaneamente nell'interno della Repubblica, in Italia, fra li Svizzeri, a Rastadt ed altrove. Tutto questo vi deve essere noto; ed è perciò inutile che io qui ve lo ripeta. Mi restringerò a farvi riflettere che tante e sì varie operazioni provano l’esistenza di un grande progetto, i di cui risultati saranno favorevoli non solo “ (1 (9 (0 “ w « “ 49 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 263 con rude schiettezza ne’ suoi Mémoîres: “ Il ne voulait que des petites républiques faibles “ pour pouvoir occuper militairement leur territoire, sous prétexte de les défendre, “mais en realité afin de les dominer et de nourrir ses troupes à leur dépens , (1). Il generoso proposito di fare una, libera, forte, indipendente l’Italia fallì sul nascere, e nel 1799 non poteva «che fallire; fu però il testamento politico che “ la chiaro- “ veggente esperienza del morente secolo XVII affidava alla virtù ed alla fortuna “ del secolo XIX , (2). Due cose stavano grandemente a cuore all’Amministrazione generale del Pie- monte e non si stancava di raccomandarle a’ suoi oratori: trovar modo di far mi- gliore la sorte de’ fratelli in patria, perseguitati e carcerati; ottenere dalla Francia un sussidio a’ profughi, morenti di fame. : Del Piemonte, dove il Suwarow aveva stabilito, “ au nom du roi, un gouver- n alla libertà dell’Italia, ma alla diffusione ancora .dei principî repubblicani in più lontani paesi. Il mal umore della Francia verso le Corti di Napoli e Torino cresce di giorno in giorno, e già si parla senza mistero di render libera tutta l’Italia. Una parte delle truppe destinate per l’ar- mata d'Inghilterra ha ricevuto ordini pressanti di trasferirsi senza ritardo a Tolone, donde sortirà ben presto una poderosa flotta. Lo scopo di questa inaspettata misura è ancora ignoto, ma fra le molte e varie induzioni, che se ne traggono, non è certamente la meno probabile quella che considera questa spedizione contro Napoli e la Sicilia. Sembra deciso che tutti i governi monar- chici dell’Italia debbano essere distrutti. Si teme però l’esistenza di una sola Repubblica in Italia e pare che dividerla in due Repubbliche sia il progetto attualmente abbracciato dal Governo francese. “ In mezzo a tante e sì varie combinazioni politiche la mia situazione è sommamente imba- razzante; tanto più che il Governo francese, ammaestrato dalla passata esperienza, nasconde al presente col più profondo silenzio l'oggetto delle sue direzioni. Nonostante io non perdo coraggio e tutti impiego i mezzi che sono in mio potere per trarre profitto dalle circostanze e promuovere i vantaggi della nostra nazione. Due oggetti principalmente occupano le mie cure : Il primo di evitare, per quanto è possibile, in Italia i disordini che potrebbero provenire dalla continuazione del sistema fin ora stabilito nelle militari amministrazioni francesi, sostituendovi un piano che riunisca i vantaggi della Cisalpina e la convenienza ancora del nostro Governo : Il secondo, d’in- teressare la Repubblica francese a profittare degli attuali cambiamenti nella Svizzera, per togliere alla Casa d'Austria quell’influenza che le viene assicurata dal possesso neî Grigioni di molte Signorie. Finora i miei tentativi progrediscono felicemente, e mì lusingo che V’esîto possa essere conforme alle mie brame. “ Ieri,.le assemblee primarie hanno avuto principio e tutto fin'ora presagisce ottimi risultati. Nell'anno scorso i presidenti ed i segretari erano tutti realisti. All'incontro in quest'anno sono ottimi patriotti, lontani egualmente dalla tiepidezza e dalla esagerazione. Nell'anno scorso i realisti imprudentemente si manifestavano, e dirigevano le assemblee. All'incontro in quest'anno ì patriotti dominano intieramente, ed in qualche assemblea alcuni realisti conosciuti sono stati espulsi ignominiosamente. Riflettendo che sempre in passato le elezioni dipartimentali sono state conformi a quelle di Parigi, vi è grande motivo di sperare che generalmente le attuali elezioni saranno buone in tutta la Francia. ‘ Aggradite, cittadino Ministro, le assicurazioni della mia stima e del mio attaccamento e quelle ancora del cittadino Ranzone. “ Salute e fratellanza ,. (1) Tarvevranp, Mémoires; I, 265. — In un dispaccio segreto, de’ 15 settembre 1797, seriveva : Le Piémont réuni aux états libres ajoute è leur force, et dans cette hypothèse il s'élève en Italie une puissance tellement formidable, qu'elle nous en impose à nous méme qui l’avons créée; fière “ de sa force, elle veut s’affranchir de notre influence. L’Autriche aura peut-ètre le bon esprit “ d’offrir son alliance à cette république d’Italie, sous prétexte de la protéger contre notre ambition ,.. Cfr. Le ministère de Talleyrand sous le Directoire, p. 143. (2) FrancnemTI A., Storia d'Italia dal 1789 al 1799 (seconda edizione), p. 566. R ti R Gi bai ta n “ 264 GIOVANNI SFORZA i 50 “ nement sous le nom de Conseil supréme, composé des amis le plus chauds de la * royauté ,, il Botta fa questa fosca pittura: “ La première opération du Conseil “a été d’abolir toutes les lois émanées pendant le régime précédent. Il a eu le bon “ esprit de reporter les pièces de 6 sols è 8 sols. Il a créé dans la suite vingt “ nouveaux millions de papier-monnaie. On sévit tout de suite contre les amis des “ Francais. On a arrété tous les membres du Gouvernement provisoire, qui étoient “ restés en Piémont, et qu'on a pu trouver, ceux de la Municipalité de Turin, et “ tous ceux qui avoient occupé quelque place. On a méme fait le procès è quelques- “ uns d’entr'eux, pour fait de.leur opinions politiques et les tribunaux ont eu la “ coupable, faiblesse de les condamner à des peines corporelles; tandis que, méme “è leurs yeux, l’ordre du roi d’obéir au gouvernement qui s’'était établi par le “ général frangais, et sa renonciation è tout pouvoir, devoient les mettre à l’abri de “ toute poursuite légale. Il est mème probable que les membres du Gouvernement. “ provisoire et des principales autorités auroient péri sur l’échafaud, si le commis- “ saire Musset et le général Grouchy n’avoient eu la precaution, avant de partir, “ de faire arréter une trentaine des partisans les plus marquans du roi, qui “ont été sur-le-champs traduits è Grenoble, et ensuite è Dijon, pour y servir “ d’ otages. Les principaux étoient les marquis du Bourg, de Prié, de la Chiésa, “ de Sostegne, le baron de la Turbie, le prince de la Cisterne, etc. Sans cette ‘ «“ précaution, on auroit probablement eu en Piémont les scenes horribles de Naples. “ Cependant les prisons étoient encombrées de victimes. Les hommes les plus « instruits, les plus irréprochables, étoient jetés dans le cachots et traités comme «“ des criminels. Des prétres, des curés respectables, qui avoient vieilli dans le “ sentier de toutes les vertus, étoient du nombre, par ce qu’ ils avoient cru que “ Ja liberté pouvoit ce concilier avec la croyance et les devoirs de la religion la “ plus pure. Les délations le plus absurdes suffisoient pour priver de la liberté un honnéte père «de famille. Combien de vengeances particulières n’ont-elles pas été exercées en supposant des noms qu'on avoitproscrits? L’Université a été fer- mée et l’instruction de la jeunesse confiée aux prétres les plus devoués. Ce malhen- reux pays était retombé dans la barbarie des siècles de l’anarchie féodale. On se proposoit de le replonger d’autant plus dans l’ignorance et l’avilissement, qu'il s'étoit élanceé avec plus d’ardeur ver les lumières et la liberté. L’avenir le plus sinistre se préparoit pour le Piémont. Plus de cinq cents victimes auroient péris dans les cachots, plus de deux mille dans l’exil, si le génie de Bonaparte n’avoit pas reconduit les braves de la France vers le plaines fertiles de la malheureuse “ Italie , (1). Le tinte sono annerite fuor di maniera; però il fondo del quadro è vero. Una reazione furibonda prese a padroneggiare il Piemonte; chiunque era in voce di gia- cobino veniva chiuso in prigione. Ti star giacobina, gridavano russi e tedeschi nel mettergli le mani addosso (2); Dagli al giacodino, ripeteva la plebe inferocita. Ma non ci fu sangue: non se ne versò una stilla. Che il non essercene stato si debba a (1) Borra C., Précis historique de la Maison de Savoie et du Piémont, pp. 108-111. (2) Maranpa, Tableau du Piémont, p. 179. 51 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 265 timore di rappresaglie sugli ostaggi menati in Francia, è un sogno del Botta. Gli uomini del vecchio regime, tornati al potere, sdegnavano ogni novità, fosse buona o cattiva, odiavano quanto sapeva di francese; eran però anime miti. Ne’ giacobini vedevano un pericolo per la società a cagione delle massime che professavano e bandivano: toglierli dall’occasione di nuocere; questo e non altro volevano. A difesa de’ patrioti perseguitati alzarono animosamente la voce il Botta e il Robert, scri- vendo al ministro delle relazioni estere il 13 messidoro (1° luglio): Des renseignemens sùr nous annoncent que les Austro-Russes et les nobles du Piémont exercent les plus grandes cruautés sur les patriotes qui leur tombent dans les mains. Il sont enchainés, trainés sur les places publiques la corde au cou, fouetés iusque à la mort, incarcerés et mal- traités de la maniére la plus revoltante. Il existe en France des Otages pris en Piémont parmi les premières familles ex nobles. On s’en est saisi precisement pour mettre en sureté la vie des patriotes dans le cas de l’occupation du Piémont par l’ennemi. Tandisque les malheureux patriotes de ce pays sont exposés à des traitemens affreux, les òtages piémontais à Dijon jouissent tranquillement de leur liberté et de tous les agremens qu’on trouvé chez un peuple bon et sensible. Les soussignés pénétrés de doleur sur la situation affreuse de leurs compatriotes et de la nécessité de l’adoucir autant qu'il èst possible, vous prient, citoyen Ministre, de vouloir bien vous interesser auprès du Gouvernement afin que les òtages piémontais soient étroitement gardés et qu'il fasse signifier au comandant Austro-Russe en Piémont que ceux-ci sont responsables dans leurs personnes de tous les traitemens qu’on fera essayer aux patriotes en Piemont. Il ministro assicurò i due inviati avrebbe fatto “ dichiarare dai generali fran- cesi in Italia a Suvarow, che gli ostaggi piemontesi verrebbero trattati in Francia nella stessa guisa che lo sarebbero stati i patrioti in Piemonte ,, e che intanto “ 4 “erano quelli strettamente guardati a vista ,. Non rimasti per nulla soddisfatti di tal dichiarazione, fecero “ nuove e premurose istanze, perchè non solo guardati “a vista, ma imprigionati fossero i suddetti ostaggi, così venendo ora trattati i “ patrioti dai nobili di Piemonte ,. Non mancarono di tenerne parola al Joubert, il quale “ assicurò che ci avrebbe infallantemente provvisto ,. Infatti, “ in conseguenza , di così calde rappresentanze, “ gli ostaggi piemontesi in Digione ferono messi in casa “ di arresto , (1); senza però ottenere da questo crudele provvedimento che venisse mitigata per nulla la sorte infelice de’ tanti giacobini che popolavano le carceri del Piemorite. Il Direttorio Cisalpino, composto del Sopransi, del Luosi, del Marescalchi e del Franchi, fuggito da Milano, insieme con l'ambasciatore Rivaud, fin dal 27 d'aprile, all'avvicinarsi degli Austro-russi vittoriosi, si era rifugiato a Chambéry ; e per quanto il Governo Francese fosse desideroso che si trasferisse a Grenoble, non si volle muo- vere, e vi rimase. A Grenoble invece andò a stabilirsi il Corpo legislativo, esule anch'esso, e un numero ben grande d’altri fuggitivi. “ Ces patriotes réfugiés doivent “trouver des amis et des frères partout ou il y a des républicains ,, scriveva, il 4 pratile (23 maggio), il Rivaud, ambasciatore francese presso il Direttorio Cisalpino, al Commissario del Potere esecutivo presso l’Amministrazione centrale dell’Isère, (1) Lettere del Botta e del Robert all’Amministrazione generale, del 19 messidoro (7 luglio) e del 7 termidoro (25 luglio). ; Serre II. Tom. LIX. 84 266 GIOVANNI SFORZA dar: 52 chiedendo gli segnalasse i membri del Corpo legislativo e delle altre autorità cisal- pine bisognosi di soccorso, per poterlo sollecitare dal Governo di Francia (1). Chiese anche i nomi de’ rifugiati cisalpini più bisognosi, che si trovavano a Chambéry; e non tardò a venire un primo soccorso di cinquanta mila lire (2); al quale poi ne tenne dietro un altro di dugento mila, accordato dal Corpo legislativo francese con la legge del 28 pratile (16 giugno), caldeggiata dal ministro Talleyrand, alla sua volta ispirato e sollecitato dall’ambasciatore Rivaud (3). Appena ne corse 2 Briancon la notizia, il Pico si affrettò a scrivere al Botta e al Robert: “ In seguito d’un messaggio del Direttorio esecutivo il Gran Consiglio « ha accordato 200 mila lire al Direttorio Cisalpino, al Corpo legislativo, agli impie- “ gati e patrioti cisalpini. E i Piemontesi, che non hanno un Direttorio ricco di “ cinque in sei millioni, come quello della Cisalpina (4), ma bensì un’Amministrazione « senerale, la quale, dopo d'aver consumato i pochi fondi nazionali per l’approvisio- .s namento di Fenestrelles, è costretta vivere col denaro particolare degli Ammini- “ stratori, il quale però presto mancherà e saremo così ridotti all’elemosina; e i “ Piemontesi che stan campati in faccia al nemico, quando i Cisalpini se la passeg- «“ giano per le, belle città di Francia, i Piemontesi sono affatto dimenticati. Pare «“ all’Amministrazione che voi potreste procurare ai vostri fratelli un pari soccorso, “ giacchè ne sono più degni e più bisognosi ,. Questa lettera, che è dell’8 messidoro (26 giugno), s'inerociò con una lettera de’ due oratori, scritta il giorno appresso, dove si legge: “ Già molti giorni sono abbiamo dato una memoria, per la quale doman- “ diamo un sussidio al Governo a benefizio de’ patrioti piemontesi rifugiati in Francia, . siccome fu già concesso ai Cisalpini. Oggi ne presenteremo anche un’altra e ne “ speriamo un buon esito. Sappiamo che esso Governo è già disposto a sovvenire “ brevi manu quelli fra i piemontesi esuli che si trovano a Parigi. In quest’ultima parleremo specialmente dell’Amministrazione generale ,. Tornano a scrivere il 14 messidoro (2 luglio): “ Aspettiamo a giorni la risposta favorevole riguardo ai “ sussidi. Si divideranno in tre classi i petenti. 1°*:Quelli, che potranno e vorranno servire militarmente, saranno incorporati nella milizia francese; 2° Riguardo a quelli, . . DI . . . . . . . x .® che esercitavano qualche mestiere, si incaricheranno le rispettive Municipalità di (19 « » (1) Roserti G., Per la storia dell'emigrazione cisalpina in Francia durante il periodo austro-russo 1799-1800); nella “ Rivista storica del Risorgimento italiano ,, vol. III, p. 586. (2) Mamacorna G., I rifugiati italiani in Francia, pp. 89 e 118. (3) Cfr. Bulletin des lois de la République Frangdîse, 2° semestre de l'an VII, n° 3024. € Consi- dérant , (dice questa legge) “ qu'il est instant de venir au secours des membres des autorités constituées de la République Cisalpine, alliée de la République Frangaise, et des citoyens de cette République, que l’envahissement de son territoire a forcés de venir chercher un refuge sur le sol de la République Francaise... le Conseil prend la résolution suivante: Art. 1°. Il sera mis à dispo- sition du ministre des relations extérieures une somme de deux cent mile franes pour venir au secours des membres du Corp législatif, du Directoire,exécutif, des fonctionnaires publics et des patriotes-de la République Cisalpine qui se sont réfugiés en France ,, ece. (4) Invece i Direttori della Cisalpina si trovavano nelle più grandi strettezze. * Li gridavano ladri infami del pubblico denare portato seco fuggendo, mentre non avrebbero avuto di che vivere senza gli scarsi sussidi che a fatica loro procurava da Parigi il Serbelloni, il quale non tralasciava di continuamente piangere le loro miserie coi Direttori e coi ministri. Erano a Chambéry bersagliati di domande d'ogni parte, e dagli stessi loro agenti; e per raccogliere una piccola somma urgente, dovettero vendere a Ginevra poche argenterie ,. Cfr. Cusani F., Storia di Milano; V, 312. e — 53 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 267 “ soccorrergli e procurargli lavoro; 3° A quelli poi che erano in impiego, o benevi- “ venti, verrà fatto un imprestito, restituibile a miglior fortuna ,. Per quanto però sollecitassero i tanto sospirati soccorsi, e quasi ogni giorno andassero al ministero degli affari esteri “ per essere informati di quanto occorreva e per fare nuove istanze ,, il negoziato non progrediva d'un passo. La ragione dell’ indugio gliela spiegò il Paganel, uno de’ rappresentanti. “ Ci disse che il Governo s’interessava moltissimo “ pegli patrioti stranieri venuti in Francia a cercar asilo; ma che esso Governo desi- “ derava che essi se ne stessero tranquilli e non s'immischiassero in nissuna maniera “ negli affari interni della Francia; e ci consigliò a far sentire ai nostri compatriotti “un simile desiderio. Noi abbiamo risposto che non credevamo che fra noi piemon- “ tesi vi esistesse alcun uomo di brighe, che potesse in un minimo che dar ombra “al Governo, e che nissuno più di noi menava un genere di vita ritirata e tran- quilla , (1). La risposta non poteva essere più ingenua e meno abile. Appunto tra i piemontesi, il Botta e il Robert, per giunta oratori dell’Amministrazione generale a Parigi, con l’impacciarsi tanto di politica e tanto parlarne, col prender tanto sul serio le parole patria e libertà, col volere che il Piemonte più non fosse francese, ma parte integrante d’un’ Italia forte, unita, indipendente, eran quelli che più davano ombra al Direttorio e di cui più diffidava; di qui gli indugi a concedere un sussidio, che pur era disposto a dare e che riconosceva giusto il dare. Per nulla scoraggiati — bisogna render loro questa giustizia — il 3 termidoro (21 luglio) presentarono al ministro degli affari esteri un nuovo e più caldo e pres- sante memoriale. Diceva: x Les soussignés deputés è Paris par l’Administration générale du Piémont, nommée par le général en chef de l’armée d’Italie Moreau, ont l’honneur de vous raprésenter, citoyen Ministre, qu’ils regoivent presque tous les jours des nouveaux details sur la situation malheureuse de leurs compatriotes réfugiés sur le territoire de la République. Ils se eroient en devoir de renou- veller auprès de vous les plus pressantes sollicitations pour obtenir du Gouvernement Frangais quelque secours en leur faveur. L’Administration générale du Piémont, ayant épuisés tous ses fonds pour l’approvisionement du fort de Fenestrelles, est arrivée en France sans aucune res- source. Les infortunés piémontais refugiés dans ce moment dans differents Separtements ne sont que les restes de ceux qui ont repandu leur sang en combattant dans les vallées de Pignerol contre l’ennemi comun. Plus de cents ont peri dans les combats; un grand nombre ont été faits prisonniers, ou massacrés dans le moment méme ou ils rendaient leurs armes. Les réfugiés n’ont echappé a la mort, ou a l’esclavage qu’apres bien des dangers et de peines enfinies. Il vous prient en conseguence de vouloir bien solliciter auprès du gouvernement les plus prompts secours envers leurs compatriottes réfugiés, que leurs malheurs et les efforts généreux qu’ils ont faite pour soutenir dans leur pais la cause des Frangais, qui est celle de la liberté, rendent «si intéressants. Furon parole al vento anche questa volta. “ Nulla ci sta più a cuore , (scri- | vevano i disgraziati diplomatici il 1° d’agosto) “ che i tante volte dimandati e non “ concessi soccorsi pe’ nostri infelici compatriotti. Questa mattina abbiamo visitato “ Francesco di Nantes e parlatogli di quest’affare; ci disse averne egli parlato coi (1) Lettera del Botta e del Robert all'Amministrazione generale, del 27 messidoro (15 luglio). 268 GIOVANNI SFORZA 54 “ Direttori Moulins e Gohier, i quali gli promisero che avrebbero dato ordine al “ Ministro degli affari esteri di fargliene un pronto rapporto. Avendone noi fatto sentire “ che il ritardo proveniva unicamente da ciò, che nell’uffizio delle relazioni estere non si - “ erano ancora occupati di quest'affare, ci rispose che ne avrebbe oggidì gravemente « parlato con esso Ministro, e che nel caso in cui questi indugiasse ancora, avrebbe « provocato i soccorsi alla tribuna. Ci siamo quindi recati da Luciano Buonaparte, “ e dettogli l'occorrente, ci esortò a presentare di nuovo al Ministro degli esteri «una memoria, in termini gravi espressa, rappresentandogli che finora avevamo “ intrapresa la strada legale, perchè tale era il nostro dovere; ma che nel conti- “ nuato indugio, ricevendo ogni giorno nuove notizie dello stato infelice de’ nostri “ virtuosi compatriotti, che il loro amore per la libertà e la crudeltà dei barbari “ aveva condotto in Francia, avremmo pubblicamente indiritta una memoria ai Con- “ sigli. Noi aspettiamo la risposta di Francesco di Nantes, per divenire in seguito, “ se fia d’uopo, a questo passo ,. Erano “ in procinto di dare una petizione al Corpo “ legislativo, per ottenere finalmente per questo canale i sussidii ,, quando seppero che il Talleyrand stava preparando il messaggio. Il 7 d’agosto poterono scrivere all’Amministrazione : “ Vi annunziamo con giubilo che ieri il Direttorio esecutivo “ ha inviato il messaggio al Consiglio dei Cinquecento, richiedendolo di concedere “ ai rifugiati piemontesi un sussidio di centomila franchi. Fu quindi nominata una “ commissione per esaminare le carte e la proposizione, e farne il rapporto, che “ avrà luogo dopo dimani. Il cittadino Dessaix è membro della commissione e pro- “ babilmente ne sarà il relatore (1). Fra molti altri noi abbiamo per quest'affare “ un obbligo particolare ad esso cittadino Dessaix ed al cittadino Francesco di “ Nantes ,. Poi soggiungevano: “ Dimani il cittadino Dessaix farà il rapporto al “ Consiglio per i nostri soccorsi; si decreterà l'urgenza e passerà subito a quello delli Anziani ,. Il messaggio del Direttorio del 16 termidoro (3 agosto), “ portant demande d’un “ fonds de 100.000 franes pour étre distribué, è' titré* de secours, à des Italiens “ réfugiés en France, et particulièrement è des Piémontais ,, venne discusso dal Con-_ siglio dei Cinquecento il 27 e dal Consiglio degli Anziani il 28 del mese stesso (14 e 15). Si trovarono concordi nel riconoscere “ qu'il est instant de venir au secours des autorités “ constituges du Piémont et des citoyens du méme pays et d'Italie que l’envahis- “ sement de ce territoire a forcés de venir chercher un asile sur le sol de la Répu- “ blique Frangaise ,; e misero a disposizione del ministro degli affari esteri la somma di centomila franchi, richiesta dal Direttorio per questo effetto; somma da prelevarsi sul fondo generale delle spese impreviste dell’anno settimo (2). Per distribuirla venne poi nominata una commissione, composta di tre francesi e di otto italiani, e presie- duta dall’Abrial, il futuro ministro della giustizia (3). Il Cavalli ne fece parte, ma (1) Lo fu infatti. “ Il nostro caro ed antico amico Dessaix ne è il relatore. Abbiamo buon augurio ,. Così il Botta al Castagneri, a Chambéry, il 24 messidoro (11 agosto). Cfr. Borra C., Lettere inedite, Faenza, Conti, 1875, p. 157. (2) Cfr. Bulletin des lois de la République Frangaise; 2° semestre de l'an VII, n° 3214. (3) Oltre l'Abrial, la componevano lo Jacob e il Cailhasson, francesi; il Cavalli e il Paroletti, piemontesi; il Paribelli, il Ciaia, l’Angioi, il Prence, il Galluzzi e il Maffei, italiani di altre regioni. desta. DÒ L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 269 con poco suo onore. “ Il seroit probablement très-embarassé , (notava il Maranda) “ si on lui demandoit compte de son administration; car de tous les Vaudois, qui “ étoient dans les nieges à faire le service pour défendre la frontiere de la Répu- “ blique, pas un d’eux n'a regu un centime, malgré le total dénuement dans lequel ils “ étoient , (1). Appunto al Cavalli fu scritto, da Grenoble, il 21 d’ottobre, da Carlo Botta: “ I Piemontesi qui gridano come aquile, per cotesti soccorsi ritardati, ed è la “fame ed il freddo che gli fan gridare così, ed i soccorsi già dati ai Cisalpini, de’ “ quali son anche in via trenta mila franchi; che vuol dire, due volte i Cisalpini hanno “ avuto sussidio, e nissuna i Piemontesi. Non so qual anatema abbiano addosso. “ Abbiano ad andare nelle carceri del S. Andrea per aver vitto? Di’ a tutto il mondo “ che i patrioti Piemontesi son venuti a morir di fame in Francia per aver abbrac- “ ciata la causa francese in Piemonte ,. Rispose: essere “ inutili i di lui uffizi a “ Parigi per impetrare qualche goccioletta di ristoro ,. Si rivolsero allora a Bona- parte, reduce dall'Egitto, “ dicendogli che han fame, freddo e squallore di miseria , ; si rivolsero a Frangois (de Neufchàteau) interessandolo “ pour qu’ils puissent recevoir “ quelques secours en exécution de la loi, qui les leur accorde ,. La lettera finiva: “ Vous rendrez service è des malheureux, et vous prouverez que tous les amis de “la liberté sont des frères, quel qu'il soit le pays qui les a vu naitre ,. Per buona sorte un oratore disse al rostro della società patriotica di Grenoble, “ che gli Ita- “ liani rifugiativi sono repubblicani, e morivano di fame. Nacque quindi un tumulto “ di pietà nel popolo, che per buona sorte era tutto plebe, e persino un pianto nelle donne. Nacque una certa somma di denaro, che venne distribuita; e si accordò a “ questi esuli illustri e sventurati l'ospitalità nelle case, e si concessero ai più le sussistenze militari ,, per generosità del generale Pelagru, impietosito a tanta ta ta e sì crudele sventura (2). Il Botta, che dal ministro Bernadotte era stato nominato medico dell’armata delle Alpi, chiese all'’Amministrazione volesse dispensarlo dall'ufficio di suo oratore a Parigi, e nel chiederlo così apriva il proprio pensiero al Geymet: “ Je désire “ vivement de me retirer, et de reprendre mon ancien service è l’armée. Je ne crois “ pas d’étre de quelque utilité ici. La plus grande anarchie regne parmi les patriotes “ piémontais: qui agit d’un còté et qui d’un autre; il en résulte qu'il n°y a point “ d’'ensemble, ce qui nuit essentiellement aux opérations. Ils n’ont point de confiance “ réciproque et ils s’entredéchirent pour des nuances d’opinions, ou è cause de faits, “ ou supposés, ou vus seulement du mauvais còté. D’ailleurs la diplomatie de nos “ jours n’est pas faite pour moi. Je te prie donc de m’appuyer auprès de l’Admi- “ nistration, pour qu'elle me dispense de la commission , (3). Il Robert, alla propria volta, “ facendo altri disegni pe’ suoi particolari interessi ,, chiese anch'esso licenza, e venne accordata a tutti e due, dando loro per successore il Cavalli; il quale, “ fra le altre cose, ebbe la sorte d’impedire che gli ostaggi piemontesi venissero “ rimessi in libertà di ritornare in Piemonte, siccome questo timore già ne recava “in quel tempo il broglio che da alcuni si faceva in loro favore, e sicuri avvisi che (1) Maranpa, Tableau du Piémont, p. 221. 3 (2) Borra C., Lettere inedite, Faenza, Conti, 1875, pp. 178-179, 182-184 e 186-187. (3) È del 20 termidoro (7 agosto). Cfr. Borra C., Lettere inedite, pp. 155-156. 270 GIOVANNI SFORZA ‘ 56 “ da gente amica se ne ricevevano , (1). Scrisse anche una “ memoria al Direttore “ Sieyès , sulle sorti del Piemonte, che al Botta parve “ degna , del Cavalli e “«“ dell'oggetto ,, e si augurava trovasse fortuna. “ Che bella cosa sarebbe , (son sue parole) “ se il Governo di Francia volesse ritornare alle idee grandi e liberali ! “ Intanto andiamo via via sperando per avere almeno una tavola da appoggiarvi su “ il petto affannato nel naufragio , (2). De’ due eserciti, che dovevano cacciar via gli Austro-russi dall’Italia, quello comandato da Joubert venne sconfitto a Novi il 15 d'agosto, e lo stesso generalis- simo vi trovò la morte. Ne raccolse i vinti avanzi il Moreau, cercando uno scampo sui monti della Liguria. Al colpo inaspettato non si perse d'animo il Corpo legislativo francese. -L'11 fruttidoro (28 agosto) decretava: “ L’armée d’Italie ne cesse de bien “ mériter de la patrie. Le brave Joubert, mort glorieusement sur le champ de bataille “en commandant l’armée, a bien mérité de la patrie. La présente résolution sera “ lue à la téte des armées et elle sera imprimée , (3). Gli occhi e le speranze di tutti eran rivolte all'esercito di Championnet. Il 26 d’agosto cominciò ad avanzare. De’ suoi generali, il Compans scacciò gli Austriaci dalle valli della Maira e della Stura; il Duchesme liberò Fenestrelle dall’assedio; il Molard, sboccando dalla vallata d’Oulx, si spinse contro Susa, e dopo un combattimento accanito, in cui la città fu presa e perduta più volte, il 28 agosto ne divenne padrone; il Mallet il 6 settembre pigliò Aosta d'assalto. Intanto il Compans, dalla vallata della Stura, si avanzò su Cuneo; e il Duchesme, colla colonna Lesuire, s’insignorì di Pinerolo (4). Il Botta, tornato al suo “ antico e povero mestiero , di medico militare, scriveva al Cavalli: “ Il “ saccheggio di Savigliano e le taglie enormi messe sulle terre del Piemonte, dove “le truppe francesi han messo piede ultimamente, ci promettono poco buoni avve- “ nimenti. Senti questa. Il generale Lesuire, trasognando forse, domandò che gli “ venisse pagata dalla città di Pinerolo la somma di lire 600 mila, e ciò issofatto; essa fu quindi ridotta a 50 mila; la quale contribuzione fu imposta egualmente sui patrioti e sugli aristocrati, senza distinzione ;.e non toccarono nemmeno un picciolo i poveri soldati, che sono pure scalzi, laceri, malandati. Se io avessi da mettere un nuovo motto sulle bandiere francesi, invece di quell’altro tanto vantàto, metterei il seguente: sic vos non vobis mellificatis apes » (5). L'Amministrazione generale, ristretta nei soli Geymet e Capriata, s'avviò alla volta del sospirato Piemonte (6); non era che l’ombra di sè stessa. Al generalissimo tal » » » LAI (1) Istanza del Botta, del Robert e del Cavaîli alla Commissione di Governo del Piemonte, del 4 vendemmiaio anno 9° (26 settembre 1800). (2) Borra C., Lettere inedite, p. 183. Cfr. anche la lettera al Capriata del 10 annebbiatore (1° novembre), p.- 181. (3) Cfr. Bulletin des lois de la République Frangaise; 2° semestre de l'an VII, n° 3232. (4) Trucco A. F., Gallia contra omnes. L’anno 1799, appunti storici e militari sugli avvenimenti d’Italia, Milano, Libreria editrice nazionale, 1904, p.r393. 5) Borra C., Lettere inedite, pp. 174-175. i (6) Il Botta scriveva al Cavalli, il 10 d'ottobre: “ L’Amministrazione del Piemonte parte domani * pel Piemonte ,; scriveva all'Aymar, il 16: “ Geymet est parti, il y a trois jours, pour le Piémont, “ du moin pour Coni ,; ad Alessandro Castagneri, il 27: “ Geymet è partito con Capriata pel Pie- “ monte ,. Il Pico andò a Nizza, forse per ricevere istruzioni da Championnet. Cfr. Borra, Lettere inedite, pp. 175, 177, 181 e 185. i (NS) I (en 57 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) Championnet, per altro, dopo que’ primi trionfi, non toccarono che sconfitte. Tra morti, feriti e prigionieri perdette la terza parte della sua gente, vale a dire otto mila soldati. Si ritirò a Nizza, col cordoglio d’esser vinto; e da Nizza, il 5 novembre, chiese al Direttorio che gli togliesse il comando, serivendo in margine al foglio: “ Je vous prie de. me faire remplacer par le général Bonaparte , (1). Divinava Marengo ! ) APPENDICI Ng Relazione degli avvenimenti principali che occorsero nei Piemonte e sopra tutto in Torino ira li 28 di aprile e li 28 di maggio 1799 (2). vi Dopo il famoso combattimento avvenuto sull'Adda a Cassano, ove tutta l’armata francese fu messa in pienissima rotta, entrarono i Tedeschi vittoriosi e trionfanti alli 28 di aprile nella città di Milano, in mezzo agli evviva d’un popolo, che già da tre anni inceppato sotto pretesto di libertà, ansiosamente attendeva la loro comparizione. Quantunque vi fosse chi di un’ tale avvenimento già in Torino sordamente ne mormorasse, si ebbe tuttavia l’abilità di tenerlo alquanto dubbioso, sinchè necessariamente dovette rendersi chiaro al ritirarsi che fecero in questa capitale alli 30 di aprile il Direttorio di Milano, il cittadino Marivault (3), ambasciatore della gran nazione presso la Repubblica Cisalpina, il cittadino Eymar, commissario presso la Toscana, incaricato di fare un fascio di tutti i preziosi monumenti di quella splendida ed antica nazione, e moltissimi altri, che forse in odio della schiavitù, preferendo una vita tapina alla perdita della libertà, oppure, con maggior verisimiglianza, morsicati internamente da qualche puntura di patriottismo, stimarono meglio d’abbandonare il suolo loro nativo, che di obbligarsi a rendere il conto delle loro azioni, secondo i democratici principii, al popolo dovuto. Nel mextre che fuori della porta Palazzo altro non sì presentava all’occhio, che una con- tinua catena di cariaggi e carrozze, che l’emigrazione era notoria, ed altro non compariva fuorchè un compassionevole ritaglio di un’armata distrutta, ora incontrandosi un corpo di pochi fanti, chi senza cappello, chi senza scarpe e tutti egualmente laceri e disarmati, ora cavalieri senza cavalli e cavalli senza cavalieri, nessuno dei quali sapeva nè dove si trovàsse il suo corpo, nè il quartier generale, mentre tutti questi soldati fuggiaschi, gli ufficiali medesimi ed i com- (1) Gacnor É., Le siège de Génes (1800) — La guerre dans l’Apennin — Journal du blocus — Les opérations de Suchet, Paris, Plon, 1908, p. 8. (2) Di questa Relazione, della quale è ignoto l’autore, non resta che un frammento, di mano del barone Vernazza, nel R. Archivio di Stato di Torino. Vi è unito il seguente biglietto: “ Nuytz prega il car.®° s'" Barone Vernazza a voler rimettere al latore l'originale manoscritto “ tal quale si trova della storia Torinese del passato anno, avendo delle forti premure dal pro- “ prietario, cui ho promesso senz’altro di portarlo d’oggi. Ven.[erdì] 20 di giugno 1800 ,. (3) Non Marivault, ma Rivaud. 272 GIOVANNI SFORZA { 58 messari ingenuamente confessavano la loro disfatta, tuttavia il Commissario civile Musset, uni- tamente al generale di divisione Grouchy si sforzavano a tutta possa e colle bugie le più mani- feste ed impudenti di persuadere che la causa della libertà del Piemonte non era ancora disperata, che i repubblicani erano invincibili, che la repubblica era eterna e non soffriva divisione. In conseguenza, il Commissario suddetto notificò al pubblico, con una eloquenza tutta melliflua ed inzuecherata, che per tal ragione appunto si rese sospetta a tutti coloro che hanno un po’ di sale in zucca ed alquanto possedono l’arte di penetrare queste finezze repubblicane, che prometteva, a nome del Direttorio Francese, che i diritti dell’uomo sarebbonsi nel Piemonte esattamente conservati, che deponessero i Piemontesi qualunque allarme, e vivessero tranquilli i cittadini nelle loro case ed i contadini nelle capanne, perchè a stuolo discendevano i bravi repubblicani dall’Alpi, per conservare il prezioso dono della libertà, che la gran nazione aveva loro generosamente regalata (1). Ma queste ragioni facevano appunto che non dessero i Pie- montesi nella ragna e vieppiù crescessero le all’arme; non già perchè si avvicinasse il nemico della gran nazione, che punto non si temeva, ma perchè sapevano per esperienza che il confi- dare i dritti dell’uomo ai commissari ed ai generali francesi era il medesimo che consegnare l'agnello in bocca al lupo, e che se la libertà aveva loro costato cotanto, onde si vedevano ridotti ad un’estrema povertà da un esercito di 15 mila repubblicani, al calare di quegli im- mensi stuoli, che s’annunziavano nella notificazione, ben prevedevano che avrebbero dovuto disertare il Piemonte. Nel medesimo tempo venne fuori parimenti il generale Grouchy con una copia di lettera, segnata dal capo dello stato maggiore Dessoles, delli 28 aprile, in cui, scherzando col solito equivoco di termini, si sforzava di farci credere che l’armata aveva con una gloriosa bravura combattuto sull'Adda, su tutti i punti in cui era stata attaccata, che aveva uccisi e feriti molti (1) Ecco questo “ proclama ,, che porta la data degli 11 fiorile dell’anno 7° [30 aprile 1799]: © Piemontesi. L'energia degli uomini liberi non si manifesta mai con tanta grandezza come nelle occasioni difficili. Dispiegano essi allora in tutta la maggior estensione le loro forze e la sublimità del loro coraggio. La vostra libertà, o Piemontesi, non corre alcun rischio: unita a quella de’ Repubblicani Francesi essa è indistruttibile ed eterna, siccome lo sono i suoi princip), e tutti gli sforzi del dispotismo non potranno giammai afinientarla. Gli uomini liberi, distinti per la grandezza del loro carattere e la forza del loro coraggio, non si lasciano nè stordire nè abbattere da qualche momentaneo svantaggio. La sorte delle battaglie ha potuto favorir& per qualche istante i nostri nemici, ma questo passeggiero favore non è dovuto che alla superiorità del loro numero: or poi numerosi battaglioni repubblicani già valicano le Alpi e fieri s'avanzano per farneli pentire. Piemontesi, conservate quell’attitudine che conviene agli uomini liberi e corag- giosi. Tutte le misure son prese per garentire la sicurezza del vostro territorio. Tranquillo se ne stia l'agricoltore, nè intralasci i suoi consueti lavori. Gli intrepidi amici della libertà sapranno far rispettare la tranquilla di lui abitazione. Le Autorità costituite veglino al mantenimento del- l'ordine pubblico con quella calma che rende.il coraggio imponente e terribile e che conviene ai magistrati d'un popolo libero. Siate adunque tranquilli, o Piemontesi; la vostra sorte è unita a quella di una nazione forte e generosa: rammentate che quando sembrava essere la sua libertà in qualche pericolo, trecentomila de’ suoi figli si sono levati e riuniti in armi, e la vittoria non fu a lungo dubbiosa. Quei pericoli erano allora ad essa propri e particolari, ed ha vinto, ed ora li vostri e quelli di tutti i suoi alleati ne aumenteranno immancabilmente li mezzi ed il coraggio, e vedrete per la Libertà rinati nvovi prodigi: ma siate calmi e tranquilli, ed altro non temete se non se l’abbandonarvi alle pericolose suggestfoni dei malevoli ed allarmisti; questi sì, questi sono gli uomini che più avete a temere. Lasciate la cura di provvedere alla vostra sicurezza a’ magistrati saggi e coraggiosi, e ad un generale, la cui attività ed i cui talenti hanno così bene servito la pubblica causa. Persuadetevi pure, o Piemontesi, la di cui prosperità è stata sin ora l'oggetto costante delle mie cure e sollecitudini, che dal canto mio non ho risparmiato alcuno di . que’ mezzi che la prudenza e la tranquillità vostra esigono, per allontanare da voi que' pericoli che il timore esagera e che il valore repubblicano saprà ben tosto respingere. Viva la Libertà ,. 59 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 273 nemici e fatti mille prigioni; e se facendo prodigi di valore aveva ceduto, si doveva questo imputare al numero decisamente superiore del nemico; ma che intanto si ritirava nel più grand’ordine al di dietro del Ticino per il ponte di Pavia e quello di Buffalora. Ma come questa musica, colla quale dopo la vittoria cantava vittoria, dal fatto di Verona era già dive- nuta ordinaria, quindi il popolo, confrontando queste bravate con la fuga confusissima dei bravi repubblicani, che ovunque in piccoli ritagli arrivavano a folla, stralunati e senza sapere dove andassero, coll’arrivo di trentatre generali in Torino e fra gli altri del medesimo generale in capo Moreau (1), aveva aperti gli occhi e non lasciava di riporre queste dicerie fra i soliti sogni Rodomonteschi dei nostri paladini; ben rammentandosi che pochi giorni prima, mentre essi francamente confessavano le loro disfatte, tuttavia il generale Séras aveva, con non poca spesa degli abitanti di Fossano, fatta in quella città celebrare la vittoria dai repubblicani riportata sotto Verona e l’abbruciamento di questa antica e doviziosa contrada. Mentre duravano tutti questi trafugamenti, e la strada della porta Palazzo conteneva una processione continuata per molte miglia di fuggiaschi, i nostri patriotti, che si credevano i numi tutelari della libertà e si vedeano tra il rotto e lo stracciato, attesa la mala loro condotta e ben per tempo cominciarono a subodorare l’arrosto che loro si stava preparando, riputando che la guerra coi Tedeschi fosse così spedita come riusciva una disputa arrabbiata nel circolo patriot- tico, e che le divise con cui dal rimanente del popolo si distinguevano, cioè in capelli tagliati, l’abito alla giacobina ed il bonetto, dovevano essere altrettanti spauracchi onde atterrire al solo aspetto il nemico, come una baionetta repubblicana, secondo le iperboliche loro espressioni, bastava per fare vilmente deporre le armi a tutto un esercito di schiavi del dispotismo, pro- gettarono una coserizione, sotto l’augusto e maestoso nome di battaglione sacro, il quale sarebbe stato un invincibile baluardo al nemico, seppur è vero ciò che essi predicavano che i repub- blicani possono bensì essere superati, ma giammai vinti. Presentarono quindi (il primo di maggio) una calda petizione al generale Grouchy, perchè (1) Il Moreau dal “ quartier generale di Torino , il 16 fiorile (5 maggio) emanava questo de- creto: “ Rinnovando tutti gli ordini già dati, il Generale in capo comanda ai generali comandanti “ le divisioni dell’armata di far fucilare, alla testa delle colonne e nei villaggi li più adattati, “ qualunque contadino rinvenuto armato di stiletto, o di fucile, che farà fuoco sulle truppe francesi, “e qualunque individuo armato, che sarà arrestato in un attruppamento, che non faccia parte della “ guardia nazionale approvata dalle Autorità costituite, e senza la coccarda francese. Qualunque ‘casa dalla quale si sarà fatto fuoco sui Francesi, sarà consegnata alle fiamme ,. . Il 24 fiorile (13 maggio) indirizzò “ al Popolo Piemontese ,, dal “ quartier generale d'Alessandria , il proclama seguente : “ Le Potenze coalizzate contro la libertà dei Popoli v’inondano di proclamazioni in cui vi ecci- “ tano all’insurrezione per ristabilire con loro la Religione Cattolica. “ L’agguato è troppo grossolano per lasciarvi prendere. Potete voi credere che la difesa della ‘ Religione Cattolica sia lo scopo di cinque Potenze, quattro fra le quali ne sono mortali nemiche? “ Potete voi credere che i Turchi, i Mori, gli Algerini ed altri Barbareschi, questi nemici irrecon- “ ciliabili del nome: Cristiano, si siano armati per difenderne la Religione ? Essi, che sinora hanno “ punito colla più dura schiavitù il solo titolo di Cattolico ? Potete voi fors’anche credere che i “ Russi e gl’Inglesi, che professano una religione differente dalla vostra, voglian far rinascere le “ antiche Crociate ? “ Popoli del Piemonte, aprite gli occhi. Questa guerra è quella dei Re contro i Popoli. Si vuol “ farvi combattere contro voi stessi: giammai i Francesi attentarono alla libertà del vostro culto. “ Se la verità non vi colpisce, vi muova almeno il vostro proprio interesse. “ Vi si è fatto credere che l’armata francese abbandonava l’Italia. Vi è pur facile di vedere “ che esiste tuttora intiera, ed io vi dichiaro che m’accingo a procedere nella maniera la più rigo- “ rosa contro le città e villaggi che non deporranno le armi sul momento. Egli è ancor tempo. Già “ delle colonne numerose di truppa hanno ordine di mettere a ferro e fuoco tutti i paesi in cui “ il popolo in armi ha assassinato o spogliato un francese ,. Serie II. Tom. LIX. 35 274 GIOVANNI SFORZA 3 , 60 - la munisse della sua autorità, e pubblicarono un affisso con cui invitarono tutti i veri ama- tori della libertà a concorrere alla coscrizione, che tener si doveva nel Liceo nazionale, ove la libertà aveva di preferenza fissata la sua sede. Questa petizione fu approvata dal generale e dalla Municipalità: la quale, oltre d’aver pubblicato un premuroso invito al medesimo fine tendente (1), deputò ancora uno de’ suoi membri ed un segretario per ricevere le coscrizioni dei volontari; ed intanto avendo richiesto il battaglione avere una banda militare ed un’insegna propria, si portarono i capi dei coseritti al consiglio di amministrazione della guardia nazionale, composto allora dall’avvocato Marchetti dottor di collegio, avvocato Settime, dal signor Vit- torio Berta e dall'avvocato David Revelli; e non ostante le ripugnanze dell’avvocato Settime e di Vittorio Berta, i quali prevedevano al chiaro le funeste conseguenze di questo battaglione, qualora si fosse a suo piacimento armato, ciò non ostante fu di mestieri appagarlo riguardo alla musica ed insegna militare, e mentre si veniva studiando i versi onde attraversargli i pro- getti, si dispose l’armamento, tanto più che per difetto di munizione sarebbe stato necessario di disarmare la guardia nazionale. Intanto si fece un’aggiunta alla Municipalità de’ cittadini Pron, negoziante da panni all’in- grosso, già molto cognito per gl’interessi che aveva col medico Boyer, giustiziato l’anno 1797 per delitto di opinione, alla cui campagna, situata fuori della porta Susina e saccheggiata all’arrivo dei Tedeschi in Torino, questo medico unitamente al proprietario e gli altri aderenti solevano frequentemente radunarsi, per tenere, sotto pretesto di partite di campagna, i loro congressi repubblicani; il cittadino Farò, figlio di un ottimo padre negoziante in ferro e capo deì battaglionisti, il quale nel giorno antecedente alla sua creazione erasi presentato in un col cittadino Bertolotti, capo di battaglione della guardia nazionale, al consiglio di amministrazione, per l’effetto surriferito; e l’ex-barone Vigne, già decurione. | Come la diffidenza repubblicana stava sempre all’erta sulle persone ricche e di qualche estrazione, come altresì su tutti i preti e frati che potevano avere qualche influenza sugli avvenimenti e sullo spirito popolare, quindi si prese il partito di farne arrestare una lunga serie. Molti arresti e deportazioni erano già seguite sin dal principio della rivoluzione (2). Ma è (1) Questo “ premuroso invito , porta la data del 12 fiorile (1° maggio) e dice: “ Non è e non “ sarà giammai estinto negli animi dei Piemontesi il sacro amor della patria. L'entusiasmo della “ Libertà, che non conosce alcun ostacolo, gl'infiamma, e sanno essi emulare li gloriosi esempi dei “ valorosi repubblicani, opponendo alle mercenarie falangi, squadre invincibili di energici difensori “ della Libertà. Ombre dei nostri amici e compagni, martiri della Libertà, esultate; l’ardore che vi “ha animati, infiamma li nostri cnori, e le bandiere repubblicane acquistano nuovi seguaci. Appena “ venne dal generale Grouchy approvato, con sua lettera del giorno corrente, il progetto di coscri- “ zione volontaria, la sala del Liceo nazionale, in cui fu aperta, rimbombò di evviva, e la Munici- “ palità ha goduto il dolce piacere di secondare questi generosi sensi di patriotismo. Applaude “ essa ed invita li cittadini, che non conoscono altra gloria che l’amor della Patria, ad accorrervi; “ la coscrizione è volontaria e miun coscritto sarà costretto a seguitare le bandiere. L’onta sola di * aver simulati sentimenti gloriosi seguirà coloro che si ritireranno. Nell’annunziarvi, cittadini, ‘ tale notizia, la Municipalità vi avvisa, che per gli animi liberi è aperta una nuova carriera * d'onore ,. { (2) Il generale Emanuele Grouchy, comandante del Piemonte, 1'8 nevoso dell’anno 7° (28 de- cembre 1798), scriveva al Governo Provvisorio Piefaontese: “ Je vous adresse, citoyens, la liste des “ Piémontais qui, en exécution des ordres du Général en chef de l’armée d'Italie [Joubert], que je * leur ai notifiés le 5 de ce mois, doivent se rendre en France, Commune de Grenoble, pour y * rester sous la surveillance de la Municipalité. Cet éloignement momentané que le Général Joubert “a cru utile de prescrire dans les premiers instants de la révoletion piémontaise, ne les privera * point de la jouissance ou disposition de leurs propriétés. Ils devront seulement pour cet effet * vons a.lresser un certificat de l'Administration municipale de Grenoble constatant leur soumission ‘sti inti IA 61 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 275 questi non bastavano a soddisfare i prodi nostri e filantropi patriotti. Onde, sia per timore, volendo avere molti ostaggi, come si può facilmente desumere dall'aver gettati gli occhi sulla maggior parte dei possessori dei migliori patrimoni, anche non sospetti d’intrighi, per potere col mezzo de’ medesimi rendere all’occasione meno deteriore la loro sorte, sia per provvidenza, come essi dicevano, per sostenere la causa, quanto da essi vantata, altrettanto dal popolo abor- rita, sopponendosi d’avere scoperte corrispondenze cogli Austriaci, Inglesi, ece., d’ordine di Musset e d’accordo all’Amministrazione dipartimentale, che, prima di fuggire, ne lasciò una lunga nota al generale Fiorella, furono arrestati e deportati a Grenoble in vari giorni i seguenti soggetti: Il cavalier di Robbione, exgovernatore dell’Accademia, Ml cavalier Radicati, primo uffiziale della segreteria di guerra, Mr. Bertonazzo, impiegato al magazzeno del grano, persona molto cognita per la sua lingua molto tagliente, ma veridica e per conseguenza contro i repubblicani criminosi, Conte Garretti di Ferrere, senatore, Teologo Tarditi, confessore del Re e principale consultore, Marchese Solaro della Chiusa, gentiluomo di camera di Sua Maestà, Conte Radicati di Brosolo figlio, primo scudiere, Abate Radicati, exgesuita, Cavaliere Tornone, capitano dei dragoni del Re, Marchese Alfieri di Sostegno, padre e figlio, Conte Polonghera della Trinità, Cavaliere Benedetto di None, capitano nelle guardie del Corpo, Conte Solaro di Villanova, exgovernatore di Susa, Conte di Hauteville, già ministro nella segreteria degli affari esteri, Marchese della Cisterna, scudiere della Regina, Marchese di Breme, Conte Cordero di Pamparato, Conte Rebuffto di San Michele, maggiore nel reggimento di Tortona, Cavaliere Prales, governatore di Fenestrelle, Fratelli cavalieri Santa Rosa, uno dei quali già maggiore della piazza di Torino, Marchese Solaro del Borgo, già assolto pienamente dal tribunale di alta pulizia dalle accuse contro di esso intentate, aux ordres du Général en chef ,. La lista de’ proscritti è del seguente tenore: “ Priocca ex mi- nistre et son frère (L'ex Ministre est détenu à la Citadelle, jusqu'è nouvel ordre). — S.° André ex gouverneur de Turin et ses deux fils. — De Revel ex comte. — Alciati ex colonel. — Castel- lengo ex vicaire. — S.' Marsan ex ministre de la guerre. — Ceva ex marquis commandant d'Asti. — Millesimo colonel ex comte. — Adami ex président. — Pollon ex chevalier. — Fra Policarpe Osasco. — Casanuova ex colonel Montferrat. — Delera ex secretaire de cabinet. — Frinco ex marquis. — Morosso dit Jarba. — Caluso ex marquis. — Tesco ex comte, dit Bejo. — Depozzo curé de Piazzo. — Cacciapiati ex marquis Emmanuel. — Tornielli ex marquis. — Dalbrione ex comte. — Solaro ex gouverneur d’Alexandrie. — Pallavicini ex regent du Conseil provincial. — Dalbrion ex major de place. — Gifflengue ex comte, détenu a Milan ensuite elargi. — Derossi ex gouverneur, actuellement è Milan. — Lamante Delecq off." de cavalerie. — La marquise Spi- nola. — Pelicano, ministre du Pape ,. Il 22 piovoso (10 febbraio) il Grouchy tornò a scrivere al Governo Provvisorio: “ Je vous pré- viens, citoyens, qu’en vertu des ordres du Général en chef l’ex ministre Priocca, la citoyene S.* Marsan et le citoyen Pola, curé de Costigliole, son partis ce matin pour Grenoble. Cette me- sure, déjà pratiquée pour d'autres piémontais, ne les privera ni de la propriété ni de l’usage de “ leurs biens; ainsi il doivent toujours ètre respectés comme ceux des autres citoyens ,. “ bo NI (eri GIOVANNI SFORZA 62 Cavaliere Tana d’Entracque, già comandante della piazza di Torino, Marchese Turinetti di Priero, Conte Pomaretti, di Pinerolo, Conte di Massel, D. Maineri, arcidiacono di Pinerolo, e vari altri nelle provincie, Il padre Zuavonis, exprovinciale di San Francesco di Paola, uomo molto cognito e amico della gran nobiltà, Il signor Bianchi, della Missione, settaagenario, cui, oltre a qualche parola antirepubbli- cana, non si poteva perdonare che, consultato, avesse obbligati certuni a palesare i progetti di rivoluzione da loro conosciuti già dal 1796. : Questi due soggetti, per altro, furono, per motivi di salute e di povertà, consegnati alle porte e dispensati fortunatamente dal viaggio di Grenoble. Si tentò pure l'arresto dei seguenti personaggi, i quali ebbero la fortunata sorte di svi- gnarsela: Avvocato Parsis, primo segretario degl’interni, Forneris, bidello maggiore dell’Università, Senatore Durando, cognitissimo per la sua vigilanza nei processi contro i sedicenti patriotti, Senatore conte Langosco, Mr. Bonino d’Ivrea, Cavaliere Osasco Policarpo, della religione di Malta. La maggior parte di questi personaggi eransi sagrificati dal momento della rivoluzione in doni patriottici ed altri simili sborsi in favore della repubblica, e non avevano data la menoma occasione di sospetto, avendo sopportati colla più sofferente pazienza i più gravi insulti. Fra questi arrestati poi, è più di ogni altro notabile quello del Principe di Carignano (1), (1) Figlio di Vittorio Amedeo di Savoia (nato il 31 ottobre 1743; morto il 20 settembre 1780) e di Giuseppina Teresa di Lorena Armagnac (nata il 26 agosto 1753; morta il 9 febbraio 1797), Carlo Emanuele (il padre del re Carlo Alberto) nacque a Torino il 24 ottobre del 1770. Fu messo in educazione nel collegio militare di Sorèze in Francia e tornò con la testa piena di quegli ideali che là stavano per trionfare. La vita di corte, e d'una cotte rigida come quella di Savoia, ammortì, senza però cancellare, le massime di cui s'era inebriato. Nel 1788 ebbe il collare dell'Annunziata e poi il grado di colonnello nel reggimento di marina; nel '91, all’appressarsi della guerra contro i Francesi, fece parte del corpo di riserva. © Nel 1792 gli fu conferito il comando di un corpo di “ milizie nelle valli di Stura, ove il generale austriaco conte di Strasoldo aveva il comando della “ guerra. Nel 1794 fu eletto luogotenente generale, e fu adoperato nelle fazioni degli Appennini liguri, “ quando i Francesi erano comandati da Bonaparte. Era uomo di molta intrepidezza, e si racconta che “ alcuni uffiziali, che seco erano in un fatto d’armi, avendolo esortato, nel momento in cui il nemico * gli era molto addosso, a coprirsi col mantello, per non essere riconosciuto, nol volle fare ed ebbe a “ gran torto l'esortazione ,. Cfr. Lira P., Duchi di Savoia, tav. XXIII. Il 24 ottobre del 1798 prese in moglie Maria Cristina Albertina, che il principe Carlo di Sassonia, duca di Curlandia, aveva avuto da Franceschina de Corvine Krasinski, bellissima gentildonna polacca, da lui sposata mor- ganaticamente. Quando il re Carlo Emanuele IV, il 9 decembre del 1798, venne forzato da' Francesi a abdicare, il Principe di Carignano, invece di seguire in esilio il capo della sua Casa, vittima della violenza straniera, restò a Torino, semplice cittadino Carignano. Gli convenne iscriversi nella guardia nazionale e montare la sentinella col suo schioppo in ispalla; “ ai doni patriottici concorse ° con trecento settantatrè capi di vasellame d’argento e con quattro oggetti d’oro, fra i quali fecero * più splendida, che decente comparsa, due collari dell'Annunziata ,. Cfr. Perrero D., I genitori di Carlo Alberto; in Il Filotecnico, rivista mensile di scienze, lettere ed arti, pubblicata dalla Società Filotecnica di Torino, ann. I, pp. 56-63, 102-109 e 151-163. “ La moglie del Principe, col figlio in * braccio , (son parole del Litta), “ rassegnandosi alla condizione de’ tempi, visitava il marito a' * corpi di guardia, cosicchè poi si disse, che in quella guisa la obbligarono a ballare intorno al- “ l'albero della Libertà ,. 63 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 277 il quale si era pensato di assicurare con un articolo espresso nell’atto di rinunzia (1), ed oltre ai preziosissimi regali che aveva fatti in doni patriottici, i quali erano stati, come quelli degli altri, sepolti nel voraginoso pozzo di San Patrizio delle scarselle dei patriotti amministratori, era ancora stato tassato di camere, mobili, letti ed altre simili cose, per soddisfare alla parsi- monia e moderazione repubblicana, che tutto pretendeva da chi era ricco, grande e virtuoso, per satollare le ingorde loro voglie ed i patriottici capricci. Questo Principe partì d’ordine del generale Moreau, il quale mentre passò a Torino nella precipitosa sua ritirata, voleva farci cre- dere che tale misura tendeva alla di lui sicurezza, tanto più che recandosi a Parigi, ove teneva ancora vari interessi da liquidare, poteva più vantaggiosamente ivi dar sesto alle sue bisogna; onde fu obbligato, con questo finto tratto di cortesia, a ringraziarlo e partire colla Principessa ed un tenero bambino ancor lattante, ed avendo chiesta qualche dilazione per procacciarsi il danaro che gli era necessario, gli furono dal generale, con generosità inudita, somministrati settecento luigi d’oro, cioè ducento in effettivo e cinquecento in cambiali, onde dovette tosto partire con due carrozze, in cui si contenevano undici persone (2). Non devo tralasciare di notare che per poco che fatta si fosse correre la voce, sì la guardia nazionale, che la popolazione, i quali vedevano di mal occhio simile partenza, l’avrebbero senza dubbio impedita; ma alcune persone prudenti, le quali presagivano qualche trista conseguenza da questo contrasto, dissipa- rono simile progetto. Quello che più infieriva il popolo era il vedere che tutte queste persone furono obbligate senza richiamo ad obbedire a sì fatte misure repubblicane, senza nemmeno poter godere di que’ dritti più sagri che in niuna nazione, quanto si voglia barbara, si possono negare ad un cittadino, e che volavano in ogni momento per le bocche dei nostri patriotti, cioè di sapere i loro delitti. Ma come andar cercando la sicurezza promessa dalle leggi ad ogni cittadino e richiamarsi ai diritti sociali di non dichiarare in stato d’arresto le persone di qualunque classe, senza un provato motivo ? Queste sono misure timide e disapprovate da quella irresistibile energia che si chiama franchezza repubblicana. I nostri patriotti, amministratori incorruttibili ed infallibili nelle loro deliberazioni, dicono essere superiori a tutte queste considerazioni, parti della pusillanime e circospetta tirannia. Intanto il Commissario Musset, volendo che il popolo si persuadesse a qualunque costo dell’eternità della repubblica, fece ricomparir di nuovo la già pubblicata notificazione. E mentre il generale Grouchy stendendo un terribile quadro delle desolazioni che avrebbero portate nel Piemonte i barbari del Nord, i quali ovunque passavano traevano seco lorè la desolazione e la morte, invitava i reggimenti provinciali a mettersi sull’armi e che rimasero immobili; mentre (1) Nell’atto d’abdicazione del re Carlo Emanuele IV, che il principe Carlo Emanuele sottoscrisse, con la dichiarazione: “ consentito e decretato ,, l'articolo 8 è del seguente tenore: © Nel caso in cui “ il Principe di Carignano restasse in Piemonte, goderebbe in esso de’ suoi beni, case ed altre © proprietà; potrà sempre uscirne, colle riserve dell’articolo 5 per gli abitanti del Piemonte ,. Queste erano le riserve: “ Non si cambierà nulla a tutto ciò che ha rapporto al culto cattolico ed “ alla sicurezza degli individui e delle proprietà. I Piemontesi che vorranno trasportare altrove il “loro domicilio avranno la facoltà di uscire coi loro effetti mobili, dovutamente constatati, e di “ vendere e liquidare i loro beni e crediti, per esportarne il valore. I Piemontesi assenti potranno “ liberamente ritornare in Piemonte e godere dei diritti medesimi dei quali godranno i loro con- “ cittadini. I Piemontesi non potranno, sotto di alcun pretesto, essere accusati o richiesti per di- “ scorsi, scritti, o fatti politici anteriori al presente atto ,. Co? Francesi, per quanto a parole si atteggiassero a liberatori, le ragioni, i patti e le promesse avevano ben poco valore. (2) Nicomepe BrAncni [Storia della Monarchia Piemontese; III, 190] racconta il fatto in ben altr maniera, senza però citare la fonte da cui ha attinto la notizia. “ Al principe di Carignano... non “ fu neanco lasciato il tempo necessario per procurarsi danaro, onde dovette lasciarsi dare una “ strozzatura dagli Ebrei per ducento cinquanta luigi d’oro ,. 278 GIOVANNI SFORZA To. 64 il governatore comandava che fra il termine di quarantott’ore dovessero tutti i non domiciliati partirsi da Torino, eccettuando solo le autorità cisalpine, il medesimo Commissario diede il più bell'esempio che si dovesse aspettare da chi colla più viva eloquenza animava i Piemontesi a star saldi nel mantenere il loro stato politico. Sfrattò egli di soppiatto alli 2 di maggio, in sul mattino, facendo vari giri e rigiri per non essere scoperto, e condur in salvo i suoi preziosi tesori, che la sua parsimonia, la sua buona fede e la sua virtù repubblicana gli avevano frut- tati, lasciando un biglietto in cui notificava che dovendo cessare le sue funzioni all'arrivo de generale in capo in Torino, esso con dispiacere doveva partirsi dal seno d’una nazione che avevasi cotanto meritati i favori e la protezione della gran repubblica. E veramente più di due milioni, acquistati senza sudore nel breve corso di un mese, dovevano esserci di un caro pegno riguardo allo spirito patriotico del Piemonte ed alla facilità con cui un Commissario, che aveva speso un mezzo milione per ottenere la sua carica, poteva di leggieri impinguarsi a fare otti- mamente i suoi affari in un sì pingue e trattabile terreno, e con usura rimborsarsi. In seguito all'arrivo del generale in capo, emanò un ordine che obbligava le autorità costi- tuite, sì Cisalpine, che Piemontesi, a ripiegarsi su Pinerolo. Ma prima di proseguire il filo degli affari in quei momenti succeduti, non sarà fuor di proposito se getteremo un lieve sguardo sull’Amministrazione generale del Piemonte, di cui molto si dovrà per l'avvenire discorrere, e sarà d’uopo avere presente agli occhi tutta l’esten- sione della sua autorità. Non volendo il Commissario Musset continuare la sua carica nel Piemonte, per non esporsi a ritornarsene quale ne era venuto, e dall’altra parte desiderando che pullulassero i preziosi germi della libertà che in esso eransi seminati, prevedeva di leggieri che dopo la sua partenza tutto sarebbe perduto, qualora non avesse trasportata in qualche savia e coraggiosa persona l'eredità del suo potere (seppure si può, a’ termini delle leggi, delegare l’autorità personalmente confidata) combinò segretamente col generale Moreau e con Grouchy di formare un’Ammini- strazione generale su tutto il Piemonte, acciò meno sensibile gli riuscisse la perdita che veniva a fare di questo sì disinteressato Commissario, e perchè vi fosse un centro d’autorità nel paese. Intanto, come questa deliberazione erasi presa in segreto, non conoseevano ancora i Piemontesi altre autorità che le Municipalità e le Amministrazioni centrali in que’ capi di dipartimento ove i Tedeschi e le insurrezioni non avevano ancora estinto il«governo repubblicano. Onde fu ben nuova ed improvvisa la prima comparsa che fece questo parto, erede dell’autorità del Com- missario, alcuni giorni dopo la traslazione del quartier generale da ‘Torino in Alessandria. I primi monumenti di questo figlio postumo consistevano, come i susseguenti, nel domandar con incessante premura dei contanti, per la qual cosa si dirigeva alla Municipalità di Torino, au- mentata in allora di molti soggetti. Era questa la sola frale autorità costituite di questa città che fosse rimasta alla sua sede, ad eccezione di alcuni membri, che” per buona sorte, unita- mente al commissario Hus, erano sfrattati. Dovevano le chieste somme inviarsi a Pinerolo, ove fissata era la sede dell’Amministra- zione e dove al dir della medesima rinascere doveva la libertà del Piemonte e dell’Italia. Ma siccome la maggiore e più sana parte della Municipalità ignorava tutta l’esistenza di questa Amministrazione, nè sapeva con qual diritto essa fossesi eretta in padrona di tutto il Piemonte, rifiutò d’obbedire, ad eccezione di alcuni membri, i quali erano a parte del mistero. Quindi si prese il partito di scrivere al cittadino Rossignoli, sedicente amministratore generale e presidente, di presentare le loro credenziali, senza le quali nè la@Municipalità nè il pubblico l'avrebbe rico- nosciuta. Fu allora immediatamente spedita copia di lettera del generale Grouchy nella quale, d'ordine di Moreau, si notificava non al pubblico (il quale nella moderna democrazia era sempre contato per niente), ma all’Amministrazione dipartimentale dell’Eridano, che per la partenza del Commissario si stabiliva un’Amministrazione generale pel Piemonte, la quale avrebbe potuto fa 65 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLÒ BOTTA (1799) 279 spiegare tutta l’autorità amministrativa e giudiziaria che stata fosse necessaria per provvedere ai vantaggi del medesimo; riserbandosi ‘però il generale, 0 chiunque lo avrebbe rappresentato, di confermare col suo sigillo tutte le provvidenze che fossero per essere di qualché rilievo. A tenore di questa lettera, doveva l’Amministrazione essere composta d’un membro preso a voti da ciascheduna delle quattro Amministrazioni dipartimentali. Si prevedeva, per altro, che la cosa sarebbe, giusta tale determinazione, difficilmente riuscita, a motivo che il diparti- mento della Sesia si trovava, al momento della sua creazione, dai Tedeschi occupato, e quello della Stura in piena insurrezione. Tuttavia il cittadino Rossignoli, fuggitivo da Vercelli, sua patria, ove era stato tagliato di 25 mila lire a favore di chi lo avesse consegnato nelle mant de’ suoi compatriotti, si tenne, per eletto e si dichiarò tosto in primo amministratore, forse perchè più degli altri informato degli affari per la sua corrispondenza coi generali e commis- sari. Pel dipartimento dell’Eridano s’elesse Geymet, già amministratore dipartimentale e membro del Governo Provvisorio. Per quello del Tanaro si designò Capriata, membro ancor esso del suddetto Governo. E quello della Stura rimase vacante. Presso questa Amministrazione doveva ancora risiedere l’Amministrazione dipartimentale dell’ Eridano, composta dei cittadini: Favrat, che da lì a pochi giorni pensò d’appiattarsi nelle montagne della Savoia, dando un addio a tutti gli impieghi del Piemonte; Avogadro di Formigliana, che all’arrivo dei Tedeschi in Torino fu arrestato e tradotto nelle carceri senatorie; Botta, medico, che ebbe la sorte di fuggirsene, unitamente a Geymet ministro delle valli, e da amministratore dipartimentale stato ammini- stratore generale; ed al medico Giulio, commissario provinciale, e Bossi commissario effettivo dell’Amministrazione dipartimentale. Dopo questa degressione, assolutamente necessaria per l’intelligenza di quello che siamo per riferire in appresso, riprendiamo il filo dell’interrotta narrazione. Il battaglione, quantunque non avesse ancora potuto ottenere le armi, a cagione delle tumultuose circostanze e della scarsezza delle medesime nel deposito municipale, spiegò tuttavia alli due di maggio tutta la sua intrepidezza. Intraprese una solenne processione, passeggiando lo stendardo tricolorato per le più frequentate contrade, e principalmente sui bastioni della Porta Nuova, in mezzo alla folla del popolo, che tutto, come nei giorni festivi si costuma, era a passeggio. La processione si rendeva maestosa colla presenza di due municipalisti, fregiati della loro divisa, cioò Ormea e Castelborgo, ambi segnalati repubblicani, cui tenevano dietro il proteo Buniva ed una numerosa comitiva di molti altri repubblicani del medesimo walibro. Lo sten- dardo fu portato ai piedi dell’albero del Liceo nazionale, ove si tennero due discorsi; uno dal medico Buniva, oratore facondo in ogni genere di partito. In questo, colla più maschia ed impudente ‘adulazione, fece una greca tirata sull’invitto valore dell’armi repubblicane e sull’in- destruttibile nazion Francese, di cui faceva parte essenziale il Piemonte, dichiarando che essendo già di sua matura invincibili i Francesi, qualora ad essi si fossero unite le irresistibili falangi patriottiche del Piemonte, avrebbero formato un sì terribile baluardo, che osando gli schiavi del Nord di cimentarsi con esso, infrante senza dubbio ed annientate sl sarebbero le loro forze. Gl’invitti repubblicani erano già da quel momento in tutti punti, sì nell’Italia, che al Reno, aspramente battuti ed obbligati ad abbandonare tutta l’Italia ed una gran parte del Piemonte, unitamente ad una buona porzione dei territori della Svizzera, de’ Vallesi e dei Grigioni. A. questi suecesse un secondo oratore, il quale, con sentimenti degni di un cannibale educato fra le tigri, gridava, con ruggiti da leone, che mentre ancora si respirava l’aria della libertà (meglio detto avrebbe della sfrenata licenza) prendessero i patriotti le armi in mano e spietatamente scannassero la malvagia genia dei preti e frati, i quali erano lo scoglio d’ogni repubblica. Dopo sì strepitosi movimenti, che si rassomigliavano ai gemiti della montagna partoriente, 280 GIOVANNI SFORZA a 66 chi l'avrebbe creduto che tutti questi bravi paladini, quai timide lepri pensassero a sfrattare di soppiatto, vilmente abbandonando quella libertà, alla quale avevano giurato di consagrare insino all'ultima goccia il proprio sangue ? Svanirono all’indomani tutti i gran patriotti ed i caporioni del battaglione sagro, Ormea, Castelborgo, Buniva, Marsaglia, Fantini, ecc. che erano per lo passato il terrore ed il flagello dell’aristocrazia, e che al pari del severo: Catone, il quale chiudeva ogni suo discorso col delenda Carthago, ripetevano essi costantemente: libertà, demo- crazia, eguaglianza, o morte. Moveva certamente a riso il vedere un Fantini ed un Marsaglia, che pochi giorni avanti spacciavano l’onnipotente e l’arcifanfano, con una valigia in ispalla andarsi a piedi tapinando verso Pinerolo, contraffare i Bianti a rovescio, e raccomandare alla Municipalità di abbruciare i registri di un battaglione, che poco prima doveva essere un sicuro ed eterno sostegno della libertà Piemontese. Vediamo la ragione di questo sorprendentissimo fenomeno. In seguito a tutti gli sforzi dei battaglionisti, presagivano le guardie nazionali, unitamente al consiglio di amministrazione, una fiera tempesta che nella sera dei due di maggio non poco avrebbe potuto intorbidare la pubblica tranquillità, quindi studiarono il mezzo onde contrap- porre un atto di vero patriottismo a tutte le misure di questi maleintenzionati legionari. Ma come sapevano che erano questi spalleggiati da qualche generale e da parecchi membri della Municipalità, per giungere al loro scopo, finsero di tenere indubitati riscontri che eransi in Torino introdotte molte persone male intenzionate ed una banda di assassini, i quali, oltre al saccheggio della città, covavano di menare nel corso della notte mano bassa su tutti i muni- cipalisti, onde cercarono col mezzo di questi pretesti spaventevoli, i quali era in quel momento impossibile il verificare, di riscuotere la Municipalità ad approvare le provvidenze che essi meditavano di contrapporre agli sforzi dei battaglionisti. Ottennero realmente il loro intento, onde diffidò il consiglio d’amministrazione, con un manifesto energico, intorno alle sei della sera, tutti i cittadini del pericolo che loro sovrastava di venir saccheggiati da una banda di ladri che eransi introdotti nella città e da una ciurma di spiriti turbolenti, e facendo battere il tamburo per tutta la città, ad insaputa dello stesso comandante della piazza, che fieramente se ne risentì, invitò tutta la guardia nazionale ad armarsi, come meglio poteva, e prendere ciascheduna compagnia la difesa del proprio cantone. Quello che aumentava il male e dava maggior corpo all’allarme era..... NHL État du Piémont depuis le passage du Tesin par les Austro-Russes jusque à l’époque du 3 prairial. Ce n’est que du moment que l’armée frangaise a abandonée la ligne du Tesin pour se concentrer entre Tortone et Alexandrie que le Piémont a été en proie aux secousses révolutio- naires. Les ennemis de la liberté de toute espèce, les prétres surtout et les nobles ont renou- vellées leurs perfides esperances; les bruits les plus faux, les plus épouvantables alarmes ont été répandues dans les campagnes. Les prétres ont crié que le tems étoit venu de rétablir la religion dans toute sa pureté; les autres, tirant parti de la retraite inattendue des frangais, ont insinué que l’intention du gouvernement frangais étoit de livrer entièrement l’Italie au pouvoir de l’Empereur, et qu'on n’avoit donné que trois jours è l’armée frangaise pour évacuer le Piémont et se retirer au dela des Alpes, que la convention méme en étoit signée entre Sta- kelberg, qui suivoit toujours le quartier général autrichien et le général Moreau. Partout où les insurrections ont eu lieu, elles ont été constamment précédées par ces bruits insidieux, auxquels le peuple ignare avoit enfin ajouté une foi entière. Cette croyance étoit devenue universelle. Dans 67 L'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 281 ces perilleuses circonstances le département de la Sesia a été presque tout entièrement envahi par l’ennemi. On doit rendre justice au patriotisme et aux bonnes intentions des habitans de ce département, car aucune insurrection n’y a eclaté méme è l’approche de l’ennemi, qui s'avangait sans obstacle; les arbres de la liberté n’y ont été abattus qu’è l’arrivée et par ordre des comandans Autrichiens. Les gardes nationales de Vigevano et des pays environnans se sont portées volontairement au Tesin lorsque l’armée y étoit encore, pour combattre de concert avec l’armée frangaise l’ennemi commun. On peut asseurer que la province de Novare, et en général tous les pays limitrophes, auroit imité cet exemple si on les avoit appellés et organisés è tems. L’ennemi, connoissant bien, qu'il ne pouvoit compter sur l’appui des peuples, qu’en les trompant, a envoyé de Verceil ‘un imposteur, nommé Branda Lucioni, ci-devant officier dans les troupes autrichiennes, et qui ayant été pris à la revolte de Pavie, dont il étoit un des chefs, avoit trouvé grace auprès de la générosité frangaise. Cet homme préchant partout le fanatisme, et vantant beaucoup les forces et les victoires des Autrichiens, accompagné de prétres et de moines, a reussi à rassembler une troupe de paisans è Cigliano. Il s'est porté de suite sur Chivasso, dont il s'est emparé sur le champ et il y a établi son quartier général. De là il a envoyé des ordres aux différentes Municipalités de lui envoyer hommes, vivres et argent. Quelques Communes situées entre la Doire Balthée et la Sture ont obéi, les arbres de la liberté ont été abattus. Malgré ce mauvais exemple et la terreur repandue par les excès contrerevo- lutionaires des fanatiques, la plus part des vallées du Canavese sont restées tranquilles; et dans plusieurs Communes la contrerevolution n’a pas été operée, qu'à la suite des menaces et des incursions des hordes insurgées; méme quelques-unes d’entre elles tel que celle de S. Maurice, de Caselle, de Cirié, de Leynì ont repondus de ne pas reconnoitre les ordres de Branda-Lucioni, qui n’a été chargé d’aucune mission, et qu’elles n’auroient cedé qu’à la force. Mais le foyer principal de cette insurrection a été dans la ville d’Ivrée, dont l’évéque (1), qui avoit été dans le tems appellé comme suspect è Turin par ordre du Comité de Sureté générale du Gouver- nement Provisoire, et s’étant échappé, dans cette circonstance s'est mis à la téte des paysans. C'est la où les plus vertueux, les meilleurs des patriotes ont été incarcerés, outragés, maltraités de toute manière, au pied de l’arbre de la liberté et menacés è chaque instant dans leur vie. La proximité a communiqué cette insurrection aux environs de Bielle, où les Autrichiens ont poussés quelques détachemens. Si ces événemens sont affligens pour les amis de la liberté, il est pourtant consolant de penser qu’ils n’ont été que l’ouvrage de quelques fanatiques, et de quelques brigands échappés aux galères et au glaive de la loi, dont les crimes étoient connus méme avant la révolution. Des paysans égarés se sont joints è eux, mais la grande majorité des honnétes citoyens se sont tenus tranquilles. Comme les moyens de subsistance manquent è tous ces insurgés, ils commencent d’eux mémes è se disperser, et Branda-Lucioni, qui avoit au commencement è ses ordres un corps de six mille paysans, n’en avoit plus dernièrement que trois cents; et s'il eut été possible envoyer de ce còté-là un détachement de 500 hommes avec un peu de cavalerie, tout seroit rentré dans l’ordre. Le département du Tanaro s’est toujours tenu tranquille, et malgré la détresse extréme de subsistances où il étoit réduit, il a fait les plus grands sacrifices pour aprovisioner prompte- ment le fort de Tortone et la citadelle d’Alexandrie, qui grace è l’activité étonnante de l’admi- nistration de ce département ont été suffisamment approvisionés pour six mois. (1) Giuseppe Ottavio Pochetini di Seravalle, nato a Racconigi il 29 aprile 1735, consacrato vescovo d'Ivrea il 21 settembre 1769. Serie II. Tom. LIX. 36 282 GIOVANNI SFORZA *- 68 Une Administration générale du Piémont a été formé par un arrété du Geénéral en chef, daté du 14 floréal; elle s'est de suite transportée à Pignerol pour s’occuper de l’organisation des patriotes qui y accouroient en grand nombre de toute part, et particuliòrement des braves Vaudois habitans les vallées de Lucerne et de St. Martin. Ces fiers montagnards ont quitté de suite leurs tranquilles demeures à la voix de la patrie et sont descendus dans la plaine, où ils ont constamment données les preuves les plus signalges du courage et de toutes les vertus republicaines. Dans cet intervalle une insurrection se manifeste à un petit village appellé Piscina, à une liene de Pignerol; on y tue deux patriotes d’un petit corps qu'on y avoit envoyé; les patriotes au nombre de 300 y marchent, sous les ordres du citoyen Niboyet comandant la place de Pignerol. Le village est pris, la maison du curé, qui avoit été l’instigateur du desordre, brulée, un individu fusillé. Le curé est mis hors de la loi; presque dans le méme instant la révolte éclate dans la ville de Carmagnole. Le général Fiorella y envoit un corps de troupes frangaises sous les ordres du général Frassinet. Les patriotes s’y rendent au méme instant de Pignerol au nombre de 2 mille, ils y déployent le plus grand courage, et leur sang coule à còté de celui des frangais. Carmagnole est pris et subit la punition qu'il mérite. Sept moines qui fesoient feu des fenétres sur la troupe ont été massacrés, ou brulés dans leur couvent. Il est à regretter que le général Frassinet dans le rapport qu'il a fait de cet affaire n’aie pas rendus an Vaudois et à tous le patriotes qui s’y sont trouvés la justice qu’ils ont mérité. — Ces deux exemples de sévérité, et la bonne contenance des patriotes assemblés à Pignerol a tenu jusque à cette époque en devoir le pays situé entre la rive droite de la Doire Ripaire et la gauche de la Stura depuis Turin jusque aux Alpes, et aucune insurrection ne s’étoit montré dans toute cette étendue. RE An Le village de Narzole, situé dans la province d’Albe, est habité en grande partie par des hommes sans aveu et connus de tous les tems par leur méchanceté et leur crimes, donne le signal de la révolte. Quelques villages y prennent part et les rebelles s’emparent de Cherasco, où quelques officiers de la garde nationale ont péri les armes è la main en défendant leur patrie. Dans ce méme tems l’insurrection éclate è Mondovi et s’étend par les vallées du Tanaro et d’Oneille jusque aux bords de la mer. Ces pays ont été réduits par l’armée de Moreau, snivant les nouvelles posterieures que nous avons regues, de sorte qu’il n’y a plus rien à craindre de ce còté-là; le quartier général étant à Coni. On ne peut assez louer les bonnes dispositions des habitans des montagnes depuis Pignerol jusque è Saluces. L’Administration générale recevoit tous les jours des députations de différentes Communes de cet arrondissement, qui venoient lui offrir le service des gardes nationaux de leur pays. Barge et Bagnolo, communes très interessantes par leur situation et par leur population, Revello et toute la vallée du Po, se sont particulièrement distinguées par leur patriotisme marqué et par leur courage républicain. i i Il y a sans doute en Piémont, comme dans toutautre pays, un parti opposé è la révolution, mais il s’en faut bien que ce parti soit le plus fort. Car il a attendu le dernier moment et l’appui assuré des ennemis pour se montrer dans quelques parties du pays. Mais lorsque l’ennemi étoit encore loin, lorsque toute l’armée frangaise étoit sur les bords de l’Adige et qu'il n’y avoit pas dans tout le Piémont 4 milles hommes de troupes frangaises, la volonté des patriotes et la bonne disposition du peuple piémontais ont suffi pour le contenir et pour assurer la tranquillité publique, malgré les pertes que ce méme peuple a faites après la révolution, rela- tivement an désastre des finances, et au défaut de. tous les moyens de subsistance et de com- merce où il s'est trouvé. Le peuple en Piémont est sans doute digne de la liberté, il a toute la fermeté nécessaire pour endurer les maux de la guerre, et le courage des troupes piémon- taises les a rendues dans les dernières affaires les dignes émules des frangaises. Grande partie de l’armée piémontaise a péri en defendant la cause de la liberté sous les murs de Otronne et de Villafranca. Un peuple parmi lequel tous les hommes qui ont cultivé avec quelque suecès I I 69 L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 283 les sciences, qui sont en grand nombre, ont été les premiers corifées de la révolution, et se sont exposés, comme en France, è mille dangers mème avant l’expulsion des Tyrans; un peuple parmi lequel les ecclesiastiques les plus remarquables par leur connoissances et leurs mours sont zélés partisans de la révolution; un peuple enfin qui a appellé tant de fois par les plus généreux efforts la liberté, est sans doute fait pour des meilleures destinées. Turin s’est toujours maintenu tranquille grace aux soins infatigables que la garde nationale s’est constamment donnés. Il a été cependant un spectacle bien terrible, et bien propre è favoriser les projets des ennemis de la République, celui de la retraite accélérée de l’armée, qui a passé dans ses murs. Le bruit, la confusion, l’encombrement, que ces événemens y ont occa- sionés, joint aux nouvelles certaines des progrès d’un ennemi cruel, inéxorable et aux allarmes qu'on repandoit è chaque instant, etoient extrémement propres pour inspirer la terreur et donner lieu è l’exécution de quelque projet sinistre, de la part des ennemis de le révolution, s’ils avoient été en grand nombre; malgré toutes ces considérations, la tranquillité n’a jamais été troublée un seul instant dans cette grande commune. Au milieu de ces événemens deésastreux les autorités civiles et surtout 1} Administration générale du Piémont, les Administrations centrales des départemens non envahis et la Munici- palité de Turin s’occupoient sans relàche et avec calme du moyen d’approvisionner les places fortes, de procurer à l’armée les fonds et les subsistances, qui étoient devenues extrèmement difficiles, et d’organiser les patriotes et les gardes nationales. La .citadelle de Turin, qui peut avoir en ce moment une garnison de 4 mille hommes environ, est approvisionné pour cinq ou six mois. On peut dire la méme chose de Coni, Le fort de Fenestrelle manquoit encore de provi- sions de bouche; mais l’Administration générale s’occupoit incessemment è Pignerol de les faire entrer, comme aussi de procurer, pour un cas de besoin, les subsistances nécessaires aux ha- bitans des vallées voisines, qui sont disposées à faire la résistance la plus opiniàtre. Par tous les faits ci-dessus énoncés il en résulte que à l’époque du 3 toutes les insur- rections étoient apaisées, hormis celles des pays occupés par l’ennemi et celle de Mondovi, qu'il a été etouffée. Et il n'y a pas à douter, que les renforts venans de France et la prochaine joinetion de l’armée de Naples vont mettre bientòt l’armée frangaise en état de reprendre l’of- fensive. On verra alors ce méme peuple Piémontais, désabusé par les extorsions et vexations inouies des Austro-russes et animé par les patriotes, si on s’occupera de les protéger et de les armer, se lever en masse et combattre è coté des frangais pour la liberté de son pays. Paris, le 17 prairial an VII (5 giugno 1799). Borta. RoBERT. N III. Sur les secours qu'il est nécessaire d’envoyer à l’armée pour rétablir les affaires en Piémont et des ressources qu'on pourroit en tirer ensuite. De l’exposé sur la situation du Piémont, que nous soussignés avons eu l’honneur de vous présenter dans un mémoire en date du 17 prairial, il en resulte que presque la moitié du Pié- mont, c’est-à-dire les ci-devant “provinces de Vercelli et d’Alexandrie et tous les pays qu’on appelle de nouvelle conquéte, ce qui forme presque en totalité les deux départemens du Tanaro et de la Sesia, se sont maintenus tranquilles, et que dans l’autre moitié, on peut calculer, que le nombre de ceux qui se sont insurgés, est presque égal è celui des amis de la patrie, qui ont marché, ou qui se sont montrés préts à marcher contre les rebelles. Il nous reste main- 284 GIOVANNI SFORZA 70 tenant è examiner quels peuvent étre les moyens les plus prompts et les plus surs de mettre l'armée de Moreau en état de reprendre l’offensive en Piémont. Et dans le cas qu’on y par- vienne, quelles soyent les ressources qu'on peut tirer de ce pays-la pour rétablir les affaires dans le reste de l’Italie. Le nombre des troupes qui sont nécessaires est relatif au tems qu’on les enverra et subordonné aux moyens de subsistance et d’armement, qu’on peut trouver en Piémont. Si dix mille hommes de renfort auroient suffi, pendant que l’armée occupoit la forte position de Bassignana au confluent du Po et du Tanaro; depuis que cette armée s’est repliée sur Coni, il en faut bien 20 mille de bonnes troupes pour étre en état d’agir avec quelque vigueur et pour donner la main à l’armée de Naples, qui doit s’avancer du eòté de Génes. Si on tarde encore et que les ennemis réussissent dans leur dessein, è couper ou battre cette armée il seroit nécessaire d’envoyer un bien plus grand nombre de troupes pour rétablir les affaires en Italie. Car pendant cet intervalle l’ennemi réussit à faire tomber en son pouvoir les places les moins fortes et grossit ainsi son armée, s’affermissant de plus en plus dans sa po- sition par les moyens surs de retraite, qu'il se seroit ainsi ménagés. Relativement aux subsistances, il ne faut pas se dissimuler, qu’è l’époque où l’armée s’est retirée du coté de Coni, le pays manquoit déjà de bled, soit par l’approvisionnement des places fortes, soit par ce que les insurrections partielles, et surtout celle du Mondovi en ont occasioné un très grand dégat. Mais on peut y suffire temporairement avec du mays dont la récolte a été très abondante l'année dernière. D’ailleurs la moisson n’est éloignée que d’une vingtaine de jours. De là aussi en résulteroit la nécessité d’envoyer les plus prompts secours en hommes, pour que l’armée reprenant l’offensive, soit en état de se tirer au plus-tòt d’un pays déjà épuisé, pendant qu'on feroit passer, en méme tems ou par le moyen de la flotte, ou par les gorges des montagnes du département des Basses Alpes les vivres nécessaires pour la troupe qui arriveroit de renfort. Quant aux armes de 180 mille fusils, qui se trouvoient dans l’Arsénal de Turin à l’époque de la révolution du Piémont, è peine 28 à 30 mille se trouvent-ils encore, qu’on a retiré dans la Citadelle, qui ont besoin la plus part de quelque réparation. Ainsi les corps qui seront envoyés de l’intérieur è l’armée doivent dans le moment étre pourvus de toutes armes. Après avoir reconquis le Piémont en désarmant tous ceux qui n’ont pas donné des preuves d’atta- chement è la Republique, on pourroit se procurer une grande quantité de fusils de munition, que les paysans ont acheté des soldats frangais, cu qu'on a repandu è l’occasion des insurrections dans les campagnes. ‘ Les dernières nouvelles de Chambéry nous ont annoncé que quelques corps d’Austro-Russes s'étoient porté dans la Vallée de Suse. Cela étant, comme il est très-probable, ce seroit im- possible aux troupes, qui descendroient en petites bandes du Moncénis pour aller rejoindre l’armée, de traverser sans obstacle la plaine de Rivoli jusque è Coni, pendant l’espace de 15 lieues exposées à des surprises de la part de l’ennemi. Ainsi il faut que tous ces corps se portent directement è Coni, ou par la vallée de Tenda, ou remontant par la vallée de la Du- rance, sur Barcelonette, ou Chateau-Dauphin; car il y a de la une route, qui è travers les montagnes, va aboutir è Demont. Assurément, il n'y a aucune troupe qui puisse se rallier en face de l’ennemi, ainsi les habitans du Piémont et les patriotes dispersés préts à répandre leur sang pour la cause sacrée de la liberté, ne pourront étre organisés que lorsque l’armée frangaise reprenant l’offensive, les mettra en état de se former sur ses derrières. C’estalors que l’on pourra tirer un grand parti des habitans des alpes dites Cotiennes, des patriotes Canavésans et de presque tout le dépar- tement de la Sesia. Il faudroit alors appeller sous les armes les régiments ci-devant provinciaux, ce qui formeroit un noyeau de mille hommes deja exercés an maniment des armes. Cinq è six milles volontaires s'y réuniroient pour le moins, auxquels on pourroit ajouter sans difficulté une levée de dix milles individus pris indistinetement dans toyt le Piémont. Mais il faudroit qc IRZA Gi — Carteggio dell’amministr. gen. del Piemonte - OlTemozie dell'a R. Accad. delle Scienze di Sozino. Serie Il Vol. LIX 4 Giovanni Giulio ROBERT. Off. Fototecnica Ing. G. Molfese Torino du! L’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE E CARLO BOTTA (1799) 285 nécessairement les organiser de fagon è leur donner de l’enthousiasme et de l’essort républicain. Toutes ces forces incorporées, avec les restes de l’armée piémontaise formeroient un corps d’environ 30 mille hommes. Mais si l’on diffère l’envoi des secours, si on laisse l’ennemi prendre racine dans le Piémont, il fera lui méme ce que nous pourrions faire, il appellera aux armes, par le moyen de quelque prince de Savoye, qu'on fera venir à l’armée, les régimens provinciaux, il reclutera en Piémont et nous aurions le malheureux sort de devoir combattre contre nos propres frères, pour délivrer notre patrie du joug des Tyrans. Il paroit, par les réflexions ci dessus énoncées, évidemment prouvé, qu’on ne sauroit mettre trop de célérité dans les secours envoyés à l’armée d’Italie: que deux ou trois décades peuvent décider du sort de ce pays là,, et peut étre, de celui de l'Europe. L’ambition de la Maison d’Autriche et ses projets sinistres sont assez connus. On ne peut calculer combien de secours, de ressources et de moyens, la violence et les extorsions des Tyrans peuvent encore tirer d’un pays si fertile et si peuplé tel que l’Italie et surtout le Piémont, malgré qu’ils aient été si long tems le théatre de la guerre. ì Paris, le 19 prairial an VII (7 giugno 1799). Botta. RoBERT. CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL: PIEMONTE CARLO BOTTA E GIO. GIULIO ROBERT SUOI AGENTI A PARIGI EDITO E ILLUSTRATO dal socio GIOVANNI SFORZA Approvato nell'adunanza del 16 Maggio 1909. Node LIBERTÀ EGUAGLIANZA Brianzone, 29 pratile 7° repubblicano (17 giugno 1799). Pico, segretario capo dell’Amministrazione generale del Piemonte, ai cittadini Botta e Robert (1). Incaricato dall’Amministrazione, vi scrivo la presente per accusarvi la ricevuta della vostra, scritta da Grenoble li 8 del corrente (27 maggio), che ci pervenne. soltanto ieri. L’'Amministrazione vi scrisse da Fenestrelles una lunga lettera ed altra da Brianzone; e questa seconda la inchiuse in una del cittadino R. Dessaix. In amendue sì contenevano le nuove più recenti. In oggi si sa che il nemico si rinforza di molto in Piemonte, ove si dice che devono mensualmente giungere 10 mila Russi, oltre a quei che manda l'Imperatore, (1) Il Botta e il Robert tennero copia dei dispacci da loro indirizzati all’Amministrazione gene- rale del Piemonte. Son due fascicoli, che si conservano nel R. Archivio di Stato di Torino [ Ammi- nistrazione generale del Piemonte, mazzo n° 2]. Il primo, intitolato: Corrispondenza mista dalli 8 pratile [27 maggio] sino alli 14 messidoro [2 luglio] anno VII [1799], è di 26 pagine; il secondo, senza titolo, si compone di 16 pagine, e dal 16 messidoro [4 luglio] arriva al 24 termidoro [11 agosto] inelusivo. Alcuni di questi dispacci sono di mano del Robert; altri di mano del Botta. Le lettere originali dell’Amministrazione generale del Piemonte al Botta e al Robert ascendono a ventitre; sì trovano nello stesso mazzo; incominciano dal 9 pratile [28 maggio] e terminano il 6 termidoro [24 luglio] dell'anno VII° [1799]. 73 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 287 e quelli che acquistano in Piemonte per amore, o per forza. Il nemico vuole tentare l'assedio della cittadella di Torino e lavora con attività. Ha di già aperto la trincea a Druent e sforza quanto può i paesani del Piemonte per lavorare alle paralelle. Si contano impiegati a tal uso già 8 mila paesani, e si vuole che la prima paralella sia già eretta. Essa si estende dalla Dora sino in faccia a Porta nuova, ma in distanza di due miglia dalla cittadella. I bravi Valdesi, sempre costanti alla causa della libertà, piuttosto di lavorare, si rifugiano in Francia, e tutti i giorni arrivano a torme di 15 e 20. Amici, non conviene lusingarsi; se i rinforzi non arrivano presto, se non si agisce con energia, Torino sarà costretto di cadere, ed il nemico, che pare sin ora non si curi, può fafe dei colpi fatali alla Francia, tosto che avrà l’impor- tante piazza di Torino (1). Ricordatevi che Federico II fu battuto allorchè disprezzò il nemico. Credo che non sarebbe male di far sentire, se pure avete il campo, le angustie di quest’Amministrazione, che avendo tutto sacrificato pella Patria, si trova ora in dolorose circostanze. Il bravo Boccalosi, che vi saluta, ha scritto una lunga lettera al Direttore Larévellière, ed in essa gli fa una genuina descrizione degli affari di Piemonte. Se già voi vi siete presentati, potreste, a conferma della mede- sima, dirle il resto. Vi prevengo però che il medesimo gli serisse che ignorava dove fosse l’Amministrazione, e veramente, nel tempo in cui scrisse, non lo sapeva. Potete diriggere le vostre lettere a Brianzone, mentre o qui ci troveranno, o pure avremo persona che ce le.farà tenere ov8 saremo, nel caso che le operazioni militari non ci permettano qui un più lungo soggiorno. Salute ed amicizia. Pico. P.S. Il Conte S.t Andrè, famoso emigrato nizzardo, è di nuovo Governatore di Torino (2). Si è fatto un Governo Provvisorio in Torino col nome di Giunta. Vi è (1) Sotto la data del 15 giugno il Diario Torinese scriveva: “ L'altro ieri dopo il mezzogiorno “i francesi di questa cittadella, in numero di cinquanta e più uomini, con alewmi dragoni a cavallo © hanno fatta una piccola sortita ad oggetto di sorprendere una batteria austriaca, ma l'affare ter- “ minò con alcuni feriti da ambe le parti e con alcuni prigionieri fatti sopra i francesi. Questa “ mattina furono raddoppiati i lavori alle trincee intorno la cittadella, con l'ingiunzione a tutti i “ paesani; che s’incontravano per la città e fuori d’essa, di prestar la loro opera. Le batterie sono “ ora in rispettabilissimo stato; duecento e più pezzi d'artiglieria, tra cannoni e mortai, sono de- stinati a battere la cittadella ,. Torna a scrivere il 17 di giugno: “ A riuscire più felicemente e sollecitamente nell’impresa contro questa cittadella, oltre gli immensi preparativi che ne annun- “ ziano imminente l’assedio, come vicina la resa, si è anche pensato ad invitare, come sono stati invitati, quelli che nel mestiere della caccia passano per i più abili ed esperti. Questi, ben prov- “ veduti di schioppi a canne rigate, debbono segnalare la loro destrezza nel nuovo genere di “ caccia. Ogni testa del nemico che verrà colpita sui baluardi, farà loro riportare l'acquisto di un “ premio segnalato. Si sono presentati in buon numero ,. E il 18: “ Questa mattina alle ore 4 in “ punto è incominciato l’assedio formale ed il bombardamento di questa cittadella. Un’ora e mezzo “ dopo una bomba ha appiccato il fuoco ad uno dei quartieri della cittadella, che non durò che “ pochi minuti. Un’altra bomba ha fatto scoppiare un barile di polvere, che deve aver cagionato “un danno grandissimo. Ma questo non è che l'esordio delle operazioni, le quali ne presagiscono “ inevitabile e forse imminente la resa ,. Cfr. Diario Torinese, n° XVI, pp. 123-124; n° XVII. pp. 139-140; n° XIX, p. 143. (2) Carlo Francesco Thaon, conte di Revel e di S. Andrea, nacque a Nizza il 28 febbraio 1725; nella sua gioventù, combattè nelle guerre per la successione austriaca (1742-1748); fu comandante Lai n 28 (09) GIOVANNI SFORZA La-* 04 Serra, il Commissario (1), e vi devono essere i Durando (2), i Cerutti e gli altri can- nibali reali (3). Si continua ad incarcerare od a trucidare in Piemonte tutti coloro che della contea di Nizza (1781), vicerè di Sardegna (1787), governatore di Tortona (1790), luogotenente generale del Duca d'Aosta, poi successore nel comando al generale Courten nella guerra contro la Francia (1792-1794) e governatore di Torino (1797). Mandato come ostaggio a Grenoble, passando da Susa venne liberato da’ paesani (13 maggio 1799); raggiunse il Suwarow a Castelnuovo Scrivia e con lui rientrò a Torino (26 maggio), dove. riprese la vecchia carica di governatore e divenne poi capo del Consiglio supremo di reggenza. Fin dal 1795 il re Vittorio Amedeo III îgli aveva con- ferito il titolo di marchese; dal re Carlo Emanuele IV ebbe il collare dell'Annunziata nel 1800. Morì a Cagliari il 14 decembre del 1807. Cfr. Notice biographique du marquis Charles Thaon de Revel et de Saint André et de ses fils Joseph et Ignace; in Mémoires sur la guerre des Alpes et les événemens en Piémont pendant la Révolution Frangaise tirés des papiers du comte Ignace Thaon de Revel de S' André et de Pralungo, Turin, Bocca frères, 1871, pp. XI-XXXI. (1) Il conte Vincenzo Serra era stato commissario ordinatore delle truppe piemontesi durante la dominazione francese. (2) Emanuele Durando di Druent nel 1756 si laureò in legge e l’11 novembre del 1786 venne nominato senatore del Piemonte. * Fu il primo che levò la bandiera della persecuzione contro i * repubblicani nel 1793, celebre per tante crudeltà esercitate contro di essi ,. Cfr. DronIsotTI C., Storia della magistratura piemontese, II, 351. (3) Il Suwarow- con * manifesto , del 26 maggio, richiamava “le cose all'antico sistema colle seguenti interinali misure: 1° Tutte le distinzioni, titoli, ordini, collegi e divise sono ristabilite sul piede in cui erano sotto il regno di S. M. il Re di Sardegna; 2° Il sistema di governo, così civile e politico, come economico, viene richiamato quale trovavasi in pratica alla data degli 3 dicembre 1798, così le°RR. Segreterie di Stato e di Guerra, la Grande Cancelleria, il Senato, la R. Camera, il Consiglio delle R. Finanze, le due Giunte sulle liti delle Congregazioni di Carità e dell'Amministrazione de’ Pubblici, la Congregazione primaria di Carità, il Magistrato alla Sa- nità, la R. Delegazione sopra l’Annona, il Consolato, il Consiglio del Commercio, da comporsi però con metà di negozianti, l’Uditorato generale di Guerra, il Vicariato di Torino, la Direzione generale delle R. Poste, tutti i Dipartimenti economici del Controllo, delle Finanze, del Soldo, d'Artiglieria e Fabbriche, delle R. Gabelle, le Intendenze ed i Tribunali inferiori per l’ammini- strazione della giustizia sono ristabiliti come trovavansi all’anzidetta data; 3° I soggetti affetti alle cariche sopra enunziate potranno riprendere interinalmente il loro posto ed occuparsi a rior- dinare gli affari spettanti a ciascun Dipartimento; 4° Un Consiglio interinale e supremo è stabi- lito e composto dal Governatore di questa città, dai capi delle tre segreterie, dalli Primo Presi- dente del R. Senato e Primo Presidente della R. Camera, dagli Avvocato e Procuratore generaliy dall'Intendente generale delle Finanze e dal Contadore generale e dal Reggente di Controllo ge- nerale. Sarà in facoltà del Consiglio il prendere qualche aggiunto, quando lo stimerà opportuno; 5° In mancanza dei capi di ciaseun Dipartimento potrà il Consiglio far chiamare i primi Uffiziali per avere il rapporto degli affari ad essi confidati; 6° Il Consiglio suddetto è incaricato di sce- gliere fra i soggetti di ciascun uffizio quelli cui convenga di conservare in attività di servizio, diminuendone il numero, qualora tutti non siano necessari, e rimpiazzando i mancanti, qualora non sì possa fare diversamente; 7° Le risoluzioni di detto Consiglio si prenderanno a pluralità di voti; il voto di ciascun membro sarà in iscritto; e se ne terrà registro a parte. Dovrà avere un segretario per la conservazione di esse; 8° Il Consiglio dee esaminare quali leggi convenga di conservare fra quelle emanate dopo la citata data degli 8 dicembre, e ne pubblicherà la nota; 9° L'Amministrazione Civica di questa città è sistemata sulle precedenti sue leggi e sarà com- “ posta de' soggetti. stessi che occupavano il posto di Decurioni alla data già sopra citata degli ‘ 8 dicembre 1798 , Del Consiglio Supremo era presidente il marchese Carlo Francesco Thaon di Revel e S. Andrea, governatore di Torino; che aveva per colleghi il conte Carlo Giuseppe Cerruti, reggente il ministero ‘l'interno; l'avv. Francesco Giuseppe Mussa, reggente il ministero della guerra; il conte Villa, reg- gente il ministero degli affari esteri; Francesco Brea di Rivera, contadore generale; Pietro Francesco Borgese, reggente le finanze; il cav. Giuseppe Massimo, reggente il controllo generale; il conte Vincenzo Serra, reggente l'ufficio del soldo; il conte Felice Pateri, presidente di classe del Senato; ed il marchese Della Valle, primo presidente della Camera de’ conti. 75 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 289 hanno dimostrato affezione al Governo Democratico (1). I bravi nostri patrioti, che rimasero dopo i vari combattimenti sostenuti in Piemonte e che oggi trovansi in Francia, ottengono a stento un mezzo pane al giorno. P.S. Riceviamo in questo punto da questa Municipalità la vostra di Parigi delli 18 corrente (2). Bramiamo che i 30 mila uomini, che ci annunziate, per- vengano presto al loro destino, giacchè wrget presentia Turni. Noi vi ripetiamo che urget. Godiamo assai delle accoglienze che avete ricevuto. Utinam res bene cedat. Avressimo curiosità di sapere cos'è divenuto il Direttorio Cisalpino. É N. 2. Brianzone, 30 pratile anno 7° (18 giugno 1799). Cittadini amici, Ieri il nostro Pico vi ha accusato la ricevuta delle vostre lettere, una datata da Grenoble e l’altra di costì dei 18 corrente. Vi abbiamo scritto da Fenestrelles li 9 (28 maggio) e quindi di qui, onde nel giorno suddetto dei 18 non potevate ancora avere ricevuta la prima, e siamo perciò tranquilli sull’arrivo di essa, e molto più sul ricapito della seconda, perchè inviatavi sotto piego, diretto al cittadino Dessaix. Entrambe le suddette vostre lettere non ci chiamano in buona sostanza a risposta, se non per manifestarvi zil nostro gradimento alle vostre attenzioni. Vedremo però con piacere la copia che ci annunziate della memoria chiestavi e data al cittadino Musset. Da quanto voi ci scrivete a di lui riguardo e da quanto vi abbiamo additato d’averci egli scritto direttamente da Chambéry, ben v’imaginate che noi intendiamo il sistema e che ne prevediamo le conseguenze nel caso di ristabilimento delle cose; val a dire che tanto la musica, quanto il mastro di capella saranno gli stessi. Le suonate sono per il passato state piacevoli? La varietà è una qualità essenziale anche in musica. Pico vi ha comunicate ieri le poche nuove correnti. Questa mattina sono qui giunti altri coscritti. Ieri a sera abbiamo inteso che è ragguardevale la diserzione de’ soldati e coscritti; prendono strade fra montagne inospite. Dal cittadino Ricchini avrete inteso la pessima apparenza del raccolto del frumento nelle provincie di Ales- sandria e di Asti. Noi non ne abbiamo inteso più una parola dopo il di lui passaggio a Pinerolo. Dopo quanto vi fu scritto ieri non ci sovviene altro ad aggiungere. Con- fidiamo di ricevere soventi di vostre lettere, qui dirette. Ci tratteniamo qui sul riflesso che al primo vantaggio che si rapporti dall’armata francese, il nemico dovrà subito richiamare da Susa e da Pinerolo le poche truppe che vi sono sparse, per il che la nostra entrata in Piemonte sarebbe prontissima e facile, e tale non sarebbe da qua- lunque altro luogo ove noi fossimo. Non occorre che ve ne additiamo i nostri desideri. Saluto repubblicano. P. GEYMET. (1) Già lo notò il Carutti, e i documenti stanno lì a provarlo, “i supplizi non funestarono il “ Piemonte. Numerosi, per altro, gli arresti ,. Cfr. Carotti D., Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero Francese, II, 57. (2) Nel copialettere ha la data: “ Parigi, li 16 pratile anno VII ,; ma siccome è detta del 18, tanto in questa lettera del Pico, quanto in quella seguente del Geymet, si vede che fu messa in pulito e spedita il 18, con quest’ultima data. Serie II. Tom. LIX. 37 290 GIOVANNI SFORZA i 76 Nus, LrBERTÀ EGUAGLIANZA Brianzone, 30 pratile 7° della Repubblica Francese e 1° della Libertà Piemontese (18 giugno 1799). Pico agli amici Botta e Robert. Quanto vi ho scritto ieri, e che vi scrive oggi Capriata, è commune all’Ammini- strazione. Vi acchiudiamo tutti -i proclami sin qui avuti e pubblicati dai barbari del Nord. Osserverete non potersi dubitare del ristabilimento del Governo Piemontese. Ma se il re vuole rivenire in Piemonte contro la fede del trattato, stato dalla Francia eseguito religiosamente, contro la sua medesima abdicazione; siccome si dichiara in aperta guerra con i Francesi, perciò l'isola di Sardegna potrebbe ben cessare dal servir più oltre di canile a questa tigre reale. I coseritti vengono in abbondanza, ma ri- partono nella stessa proporzione e seco loro partono alquanti soldati di linea, perchè non vestiti, nè pagati, e perchè non han che a stento le sussistenze. Perchè non si mandan abiti e scarpe alle frontiere ? Perchè non si manda denaro ? Giacchè Musset vi dimanda quali sono i mezzi più pronti ed efficaci per far marciare la truppa, io ve li ho additati. A questo proposito si spera che vi sarete pure ad altri rivolti onde viemeglio informare chi spetta delle nostre calamità. Le risorse in vettovaglie, che Musset vi domandò, vi dico che sono assai poche, giacchè la mancanza di esse pare possa rendersi commune a tutta Italia, non ostante che sii imminente la messe. In fatti, esausta e priva d’ogni risorsa trovandosi essa al primo apparir dei barbari del Settentrione, costretta ad approvvigionar le fortezze mancanti di tutto, sperava di risorger alla raccolta, ma il serpeggiante fanatismo, che toglie le braccia alle cam- pagne, le evoluzioni de’ barbari che le devastano per ogni dove, i riechi granai di Sicilia e Sardegna chiusi, sì vede minacciata da vicino di una carestia. Se però con celerità fosse il nemico cacciato di là de’ monti’ Cozi e ripassasse il Tagliamento potrebbero in allora le fertili campagne dell'ex Veneto supplire al bisogno, qualorà sì credesse inopportuno il cacciare da Sicilia e Sardegna i tiranni che vi imperano. A ciò eseguire, io sono di sentimento che sii di tutta necessità d’ingrossare quanto più si può l’armata di Moreau, il quale, facendo l’istessa marcia di Bonaparte, sgombre- rebbe il Piemonte senza, per così dire, metterci il piede, e renderebbe poscia a noi facile il mantener quelle truppe che si crederebbero necessarie per comprimer i ribelli; le quali, a parer mio, non dovrebbero ascendere a più di 16 mila uomini; otto de' quali potrebbero entrare per il Moncenisio e portarsi in Susa, e sei dalla parte d'Aosta, e due per le valli di Lucerna; e questi due, uniti ai bravi Valdesi, potrebbero portarsi sopra Pinerolo, in maniera che quei di Susa, allungando il loro destro fianco e questi il sinistro, potrebbero facilmente unirsi nelle pianure d’Orbassano ; nel mentre che quei della Valle d'Aosta potrebbero portarsi per la strada d'Ivrea a sedare i tumulti del Canavese ; e quindi, appoggiati dalla grande armata di Moreau, secondare le di lei operazioni, la guarnigione di Cuneo estendendosi dalla parte di Mondovì. Eccovi chiusi d'ogni parte i ribelli di Piemonte, e massime quei della città di Torino, che per le sue inaudite barbarie e pe’ tradimenti non merita assolutamente TU CARTEGGIO DELL’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 291 più di essere capitale. I 30 mila uomini di buona truppa, che ci additate, possono bastare a Moreau, e quanto qui trovasi, unito a quanto vi è in Grenoble e Chiamberì, può bastare al resto. Eccovi i miei sentimenti. Del resto, non è già per istrur Minerva, che ve li faccio presenti, ma solo per quella tendenza d’animo che ho al ben commune, e per spiegarvi quelle cognizioni che cinque anni di esperienza mi hanno fatto apprendere. Ma ricordatevi che urget presentia Turni. Salutate il com- mune amico Dessaix. Vostro aff.®° amico Pico. N. 4. Au citojgen Maurice Pelisseri, membre de l’Amministration générale du Piémont, au quartier général de l’armée d' Italie. Paris, le 30 prairial an VII (18 giugno 1799). Nous avons regu la lettre de l’Administration générale datée du 9 courant (28 maggio) de Fenestrelle. Le citoyen Botta a également regu il y a deux jours la votre datée du 19 (7 giugno) de Briangon. Comme d’après ce que vous lui mar- ques nous ne pouvons pas scavoir où *'Administration se trouve dans ce moment, nous écrivons directement è vous en vous priant de lui communiquer le contenu de la présente si vous sgavez où elle est et si vous avez le moyen de correspondre avec elle. Les détails que vous nous avez transmis sur la situation de notre pays et sur les dangers qui ont courus vos collegues sont vraiment affligeants. Nous desirons vivement qu’ils ayent pu se sauver ainsi que tous les autres patriotes qui s’étoient refugiés dans les montagnes. Nous vous prions de nous trasmettre tout ce qui peut étre è votre connoissance rélativement à ces évenemens et à ceux qui pourroient avoir lieu dans la suite. Des grands évenemens se passent dans cette commune depuis teux jours, qui ne peuvent pas manquer d’avoir la plus grande influence sur le sort politique de la France et de l’Italie et peut étre sur celui de l'Europe entière. Avant hier au soir les deux 'Uonseils se sont declarés en permanence jusque è ce que le Directoire eùt fait réponse au message qu’ils avoyent envoyé, par lequel ils lui demandoient des renseignements sur l’état intérieur et extérieur de la Republique. A dix heures ils ont déclarée inconstitutionelle et nulle la nomination è la place de membre du Directoire executif du citoyen Treilhard, è cause qu’une année ne s’etoit pas écoulée depuis la cessation de ses fonctions en qualité de membre du corps legislatif et la nomination au Directoire. En consequence il a cessé ses fonctions sur le champ et il a été remplacé par le citoyen Gohier ci-devant ministre de la justice (1). On dit (1) La nomina del Treilhard a Direttore fu dichiarata nulla il 29 pratile (17 giugno). Lo stesso giorno ebbe per successore il Gohier, “ citoyen probe et dévoué à la république, mais peu capable, “ étranger à la connaissance des hommes et des affaires ,. Cfr. Taiers, Histoire de la Révolution Frangaise, X, 335-336. 292 GIOVANNI SFORZA 78 ei aussi que deux autres membres du Directoire, les citoyens La Réveillère et Merlin donneront leur demission. On parle beaucoup pour les remplacer des citoyens Lacombe S.t Michel et Charles La Croix (1). Les Conseils ont decreté presque è l’unanimité la liberté de la presse. L’opi- nion ‘pubblique se prononce de plus en plus fortement contre les dilapidateurs de la fortune publique. Les patriotes, qui sont en grand nombre et se mettent toujours plus en evidence, s’interessent vivement au sort des malheureux Italiens, et il y a à esperer plus que jamais pour la liberté de l’Italie. Nous ne manquerons pas de vous tenir au courant de ce qui se passe en ce moment vraiment interessant. On assure que le général Joubert, qui est ici, est destiné pour le comandement de l’armée d’Italie. Il y a plusieurs jours que 30 mille hommes ont regu l’ordre de se porter de l’interieur immediatement aux frontières. Une !/, brigade est déja partie de Paris. Toutes les troupes mème qui s’elevent à plus de 100 mille hommes et qui se trouvent dans ce moment dans l’interieur, à l’exception de ce qui est strictement nécessaire au service, partiront pour la méme destination. Nous vous sohuaitons de la santé et du bonheur. Salut. BotTA. RoBERT. N;-5 LIBERTÀ EGUAGLIANZA Brianzone, li 4 messidoro 7° della Repubblica Francese e 1° della Libertà Piemontese (22 giugno 1799). Pico a Botta e Robert. In aggiunta a una lunghissima che riceverete da Capriata ed a quanto vi scrive l’Amministrazione a suggerimento di Capriata, vi comunico i dettagli qui pervenuti ieri dall'Italia. Il castello di Milano si è reso dopo 25 giorni, sebbene fosse provvisto per otto mesi, come attesta l’ istesso guarda magazzino. Il comandante si scusò sulla man- canza di munizioni da guerra, ma gli altri s'accordano a negarla, e dicono anche questa supposta, che si sarebbe dovuto aspettare che il nemico lo minacciasse. Ma il fatto è che il nemico non ci pensava nemmeno, e siccome appena entrati i Te- deschi nel castello furono vendute le provviste di bocca per un milione di lire, perciò si assicura che una porzione sii stata riservata a coloro che la cedette. Notate che contro ogni regola il Commissario francese Le Play si fu quello che parlamentò sempre coi Tedeschi e che finalmente conchiuse la capitolazione (2). Persone fedeli, giunte da Milano e da Torino, assicurano che Macdonald abbia fatto qualche movimento importante sul Parmigiano e sul Modonese, e che già abbia (1) Il 1° messidoro (19 giugno) il Merlin e il Laréveillère infatti si dimisero e vennero sosti- tuiti dal Roger-Ducos e dal Moulin. (2) L'assedio del castello di Milano incominciò nella notte dal 21 al 22 maggio; la resa ebbe luogo la mattina del 24. La guarnigione uscì con gli onori militari, depose le armi e promise di non combattere per un anno contro l’imperatore ed i suoi alleati. Ascendeva a 2500 uomini ed era com- posta di francesi, di cisalpini e di piemontesi. 19 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 293 avuto qualche scaramuccia a noi vantaggiosa. In fatti nella sera delli 25 pratile (13 giugno) Suwarow abbandonò in fretta Torino, il quale fu nella successiva notte evacuato di tutti i cariaggi ed attrezzi pesanti de’ Tedeschi, che furono mandati verso Chivasso. Si dice che Suwarow sii andato a Milano onde raccor l’armata ed opporla a Macdonald. Se ciò è, come pare, eccoci al punto di grandi evenimenti, i quali però avrebbero potuto essere per noi di sicuro e prospero evento se fossero giunti i promessi, annunziati e non mai giunti soccorsi. La cittadella di Torino è tut- tavolta stretta da 10 mila Tedeschi, i quali fanno lavorare 8 mila paesani alla trincea (1). Fecero una requisizione agli abitanti della città di 6 mila materazzi, e n’ ebbero subito 12 mila, per alzare i loro parapetti (2). Hanno già terminata una (1) Il Diario Torinese racconta sotto la data del 19 giugno: “ Il feld maresciallo Suwarow, “ partendo alla volta di Piacenza, scrive in questi precisi termini al generale Keim, comandante “ l'armata Austro-russa in Torino: — Mio caro generale, io parto per Piacenza a battervi Macdonald: sollecitate l'impresa di codesta cittadella, perchè io non abbia a cantare il mio Te Deum prima del vostro. — Ieri (18) prima del mezzogiorno si sospese il'fuoco da ambe le parti a questa cit- tadella, e ciò per dar luogo ad una qualche trattativa, mentre in essa cittadella entrò un parla- mentario. Solo si vuole che essendosi da questo intimata la resa della piazza, il comandante di essa abbia replicato con una decisa negativa. Quindi circa le ore 3 s'incominciò nuovamente ad agire da ambe le parti coll’artiglieria; gli assedianti proseguirono con ardore l'impresa e riusci- rono, per mezzo di un fuoco vivissimo e con una somma diligenza nel dirigire le bombe, ad appic- care il fuoco in varie parti di essa cittadella con gravissimo danno degli assediati, che sospesero il loro cannone in tutto il corso della notte. Ciò promosse felicemente i lavori della terza paral- lela, ove dovrebbe essere già collocata una copiosa artiglieria del più grosso calibro, per agevo- lare sempre più l'impresa e sollecitare il compimento. Si rileva da un artigliere piemontese, scampato questa mattina sul far del giorno da questa nostra cittadella, che 82 tra soldati ed arti- glieri della guarnigione francese sono rimasti vittima del fuoco ben diretto dagli Austriaci, e specialmente dalle bombe, oltre un numero di feriti assai maggiore. Quest’oggi, alle ore 2 incirca oltre il mezzogiorno, dopo ore 23 di quasi continuo fuoco degli Austriaci sopra la cittadella, si è ad un tratto sentito lungamente battere il tamburo dagli assediati, volendo questi con ciò annun- ziare che erano pronti a venire a parlamento. Gli assedianti non fecero verun conto di siffatto invito, che anzi proseguirono più vigorosamente il fuoco delle loro batterie. Finalmente dopo lo spazio di più di 20 minuti di continuo appello del tamburo e dopo che gli assediati, spinti dal- l’impazienza di provvedere a sè stessi, essendosi presentati in buon numero sopra i baloardi della cittadella a far sventolare dei fazzoletti bianchi e gettare altamente in aria i capelli, si sospese dagli Austriaci il fuoco; ed essendosi inoltrati verso la piazza due uffiziali di cavalleria alemanna, uscì loro incontro un parlamentario della guarnigione assediata, il quale essendosi ritirato dalla città, verso le ore quattro non molto allegro, lascia luogo a credere che l’affare non sia stato favorevole pei francesi, e si riprese indi di lì a poco con maggior calore a far fuoco contro la cittadella ,. Cfr. Diario Torinese, n° XX, mercoledì 19 giugno 1799, pp. 155-157 e 160. (2) Il conte Cesare Leone Radicati, vicario e soprintendente generale di Politica e Polizia, il 10 giugno, “ d’ordine di S. E. il sig. Tenente Maresciallo Barone di Keim, comandante dell’armata “in Torino ,, ordinò a “ tutti li capi di famiglia di far portare immantinenti, e prima delle ore “ cinque, quel maggior numero di materassi di lana, o almeno uno, in piazza S. Carlo, dove si ri- “ metteranno agli aiutanti del Corpo Reale de’ Volontari, a tal fine ivi destinati ,. Appena pubbli- cato l’editto, “ le strade e le piazze si sono vedute ingombrate dalla gente, che sulle proprie spalle “ facevano a gara nel recarli alla disposizione del Governo, non già con quella mesta fisonomia “ che suole accompagnare simili offerte, ma con quell’ilarità che mostra la smania di togliersi fino “i propri comodi, quando si ha la dolce lusinga che ciò serva a liberare la patria ed i suoi abi- “ tanti una volta per sempre e colla massima celerità dal nemico che tiene quella ancora in sug- “ gezione e questi in una qualche agitazione. Agli occhi stessi dei generali liberatori ha fatta im- “ pressione l’affluenza dei concorrenti, la sollecitudine e la buona volontà ,. Cfr. Diario Torinese, n° XII, 11 giugno 1799, pp. 92-93. R E ta R tal ” » 294 GIOVANNI SFORZA SE 80 mezzaluna nelle vicinanze di S. Salvario fupri di Porta nuova, e da questa comin- ciano a bersagliare gli assediati. Il tradimento dell’infame Guardia nazionale di Torino è certo. Fu ella che si scagliò contro i Francesi che stavano alla custodia delle porte e che le diede in mano ai Tedeschi (1). Lo stesso generale Fiorella, che riposava sulla fede della Guardia nazionale e che stava nel Caffè di Mosso, poco mancò fosse scannato, e presa la cittadella per un colpo di mano. Barattà e Paroletti furono condotti prigionieri a Milano. Furono saccheggiate da 30 a 40 case di patrioti assenti. Sponzotti, Bau- disson, Colla e gli altri del Governo Provvisorio sono in prigione, e tutti i giorni ne arrestano degli altri. Si vuole che alcuni possano esser condotti in Siberia. Sa- rebbe necessario che si custodissero in Francia i nostri ostaggi e si facessero valere all’occasione. Il bombardamento della. cittadella cagionò alla città la rovina di 12 o 15 case e il danneggiamento di altrettante. Poco mancò che la guglia della Torre non pre- cipitasse (2). I eoscritti vengono, ma scalzi, non abbigliati, e qui non han che a stento il pane. Per Dio! che non si vogliano ancor adottare le misure severe contro gli infami fornitori, che mangian il publico denaro ed assassinano i difensori della Patria? Si sa che Sieyès è contrario a queste sanguisughe del popolo, sappiamo non esser troppo bene col fu re Gianmaria (3). Avvicinatelo e ne trarrete profitto. L’ex Direttore cisal- . pino Moscati (4), dopo d’aver sofferto mille strapazzi dalla canaglia milanese, fu rinchiuso nel forte di Pizzighettone con Brunetti (5). Qui abbiamo da circa 5 mila coscritti, ma veniamo di sapere al momento che i generali e le truppe protestano di ritirarsi e lasciare libero il passo di Francia al nemico, qualora sì continui nel sistema di farli mancare di tutto. Amici, questi sono mali che possono avere delle funeste conseguenze ; fateli perciò presenti al Governo, affinchè gli appresti l’opportuno rimedio. Addio. Vostro aff.®° amico . À «itPrvo; (1) Gli Austro-russi il 25 di maggio furono innanzi alla città e occuparono il monte de’ Cap puccini; la sera intimarono la resa, ma il Fiorella non volle saperne. © Durante la notte il Con- “ siglio di amministrazione della Guardia Nazionale, intesosi con alcuni del Municipio, tenne per “ suoi fidati trattato col generalissimo e col comandante austriaco Wukassowik, e appuntarono che “i confederati farebbero una finta contro la porta del Po, e trarrebbero dal monte dei Cappuccini; “in quella un grosso nodo di cavalli verrebbe alla porta, che sarebbe loro aperta. Così fecesi ,. Cfr. Carurti D., Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero Francese, II, 53. (2) Il 31 maggio venne notificato al pubblico “ he mentre la città ha dato gli ordini oppor- * tuni per riparare con tutta sollecitudine ai danni che la pubblica Torre ha sofferto dal fuocò * dell'artiglieria francese, ha stabilito che li soliti segni per l’ingresso del Senato, per la ritirata, * per le scuole e per li Consigli si daranno dal campanile della chiesa de’ Santi Martiri ,. (3) È un'allusione al Musset. Si chiamava Giuseppe Maturino; ma siccome si firmava sempre J. M. Musset, credevano che il suo nome fosse Gio. Maria. (4) Pietro Moscati di Milano (1736-1824), chirurgo esostetrico di molto grido, fu membro e poi presidente del Direttorio Cisalpino. Al ritorno degli Austriaci venne arrestato nella sua villa di Gorla, processato e deportato al Cattaro. i (5) Vincenzo Brunetti di Bologna (1761-1839) fu deputato ai due Congressi cispadani di Modena e Reggio, sedè nel Consiglio de’ giuniori della Repubblica Cisalpina, che lo volle anche nel Di- rettorio e lo fece ministro di polizia. Durante la reazione austro-russa visse privatamente in patria senza patire molestie. 81 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 295 P.S. I Tedeschi, oltre ai 10 mila sotto Torino, hanno un simil campo nelle vici- nanze di Cuneo. Da circa 800 sono in Pinerolo, altrettanti in Susa ed un campo di circa 4 mila in Orbassano. Qualche truppa in Asti, ed il grosso dell’armata, che si fa ascendere a 60 mila, sta nei contorni di Pavia, estendendosi verso Lodi. I più lunghi dettagli sono scritti da Capriata a Cavalli. Di 150 uomini del corpo Trombetta, che esistevano ancora al Mont Ginevre, questa notte disertarono al nemico 50, e ciò perchè sono a piedi nudi e senza sussistenza, giacchè se ai Francesi se gli dà uti sei, i Piemontesi ne hanno uti due. d N. 6. Briangon, le 4 messidor an 7° (22 giugno 1799). L’Administration Générale du Piémont aua citoyens Botta et Robert. Vous aurez sans doute receu è l’heure qu'il est deux de nos lettres, l’une datée de Fénestrelle, et l’autre d’Aiguilles. Nous vous avons écrit encore il y a trois jours de cette ville en vous annongant la réception de votre dernière, qui nous est par- venue au moment que la nòtre allait partir. Le principal objet de la présente est de vous faire part des propos, que nous entendons sur l’Italie et le Piémont de nos reflexions la dessus et de ce que nous croyons convenable que vous fassiez è ce sujet. 1° Les officiers généraux, et généralement tous les frangais, se répandent en plaintes sur les massacres de leur troupes en Piémont, et en ménaces pour les venger lorsqu'ils rentreront. 2° Nous croyons, que les plaintes sont exagérées, et que les ménaces dange- reuses, leur effectuation funeste. Ces plaintes sont exagérées, car nous sommes con- vaincus qu'il n’a pas péri 300 soldats dans le Piémont, quoique l’on y ait pillés bien d’équipages. Nous sommes également persuadés que les généraux en amplifiant ainsi les assassinats cherchent è couvrir les pertes que leur ignorance, ou mauvaise conduite a occasioné à l’armée d’Italie, ou de justifier en entrant le dessein de piller ces infortunées contrées deja épuisées par les rapines précédantes, pi les exactions actuelles. Ces menaces sont dangereuses, car elles ne peuvent, en jettant l’effroi dans l’ame des habitans do l’Italie, que produire en eux la resolution désesperée de s’opposer de tout leur pouvoir et par tous les moyens à la rentrée des gens qui s’annoncent comme voulant porter le sac et le feu dans leur patrie. récevaient de nouveau . . . . NERI 0 gens: dont is Cours alare ne soupireraient qu'àè prendre mort ia destructeurs de leur familles et de leur pos- sessions, leur préparerait une perte universelle et inevitable. 3° Par une conséquence naturelle de tout ce que nous venons de vous dire, nous croyons devoir vous inciter è mettre ........ en encore à fin d’obtenir des (1) Su questa lettera si rovesciò un calamaio d’inchiostro, che in parte ha eorrosa. in parte cancellata la scrittura. i 296 GIOVANNI SFORZA ‘. 82 authoritéz supérieures qu'elles donnent des ordres précis et formels pour prévenir des actes de vengeance, qui d’un còté ne nous paruissent pas fondées sur la justice, et qui de l’autre còté peuvent trainer è leur suites des maux et des calamités incal- culables: si au reste nos réflexions et vos réprésentations sont sans effet, nous aurons toujours la satisfaction intime d'avoir fait ce qui dépendait de nous en disant les choses telles qu’elles sont pour sauver à la fois notre patrie et l’honneur des armes de nos amis. En vous invitant è prévenir l’ordre de l’incendie et du massacre en Piémont, l’Administration comme vous le comprenez fort bien n'a pas l’intention de mettre à l’abri des chàtiments exemplaires qu’ils ont justement mérité les chef et les pro- moteurs des desordres contrerévolutionnaires, qui ont eu lieu dans malheureux pays. Pesez, citoyens, toutes ces observations, et agissez avec cette prudence et patriot- tisme qui vous caracterisent. Nous ne devons pas omettre de vous faire part des notions, que nous a donné le C." Begliati, qui de retour de sa mission en Prusse, est venu jusqu’ici pour nous rendre compte de ses dernières opérations; il est persuadé, que le plan du noveau Directeur Sieyès, qu'il a beaucoup vù à Berlin, est d’'unir le Piémont avec la Ligure à la France, et de faire des établissemens de toute espèce en Afrique, qui auraient pour centre de correspondance le golfe de la Spezia. Il est aisé de juger quel avan- tage immense serait l’exécution d’un tel plan, qui d’un còté rendrait moins néces-. saires les établissemens aux Indes et en Amérique, faciliterait ainsi un accomode- ment avec l’Angleterre . .c. 0. 0. e le dépòt de tout ce qu'on tirerait DIRE E vous ferez è l’occasion usage de ces notices selon que vous le jugerez convénable. Salut et fraternité. P. GevrmeT, Président. Pico, Sécrétaire en chef. P. S. D’apres ce que nous a dit Beliati, Sieyès ne doit point du tout étre l'ami de Musset ; nous pensons que vous ferez en sorte de vous aboucher avec le prémier. Nast À l'Administration générale du Piémont, à Briangon. [Paris], ce 4 méssidor an VII (22 giugno 1799). Nous avons regu votre lettre en date du 9 [prairial] de Fenestrelles et nous avons toujours répondu regulièrment adressant nos lettres è la Municipalité de Briancon. Hier nous apprimes l’heureuse nouvelle que Rossignoli avoit écrit è sa femme à Briangon de se rendre en Piémont et d’en avertir tous les membres des autoritées constitués, l’ennemi ayant abandoné entièrement notre pays. Nous désirons ardem- ment que cette nouvelle se confirme. En attendant, nous avons fait présent ici com- bien il étoit nécessair de saisir l’instant propice et de pousser des secours par tous 83 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 297 les défiles des Alpes tandis que le pays étant ouvert on le pouvoit. Il y a tout lieu à esperer que le général Joubert se portera lui-méme en Italie avec nombre consi- dérable de renforts. Nous avons été quelque fois lui rendre visite. A. cette occasion il nous le laissa entrevoire et il nous assura qu'il travailloit assiduement pour le bien de notre patrie. Vous n’ignorez pas sans doute à cette heure les changemens qui ont eu lieu dans le Directoire. Les citoyens Gohier, Roger-Ducos et Molin, qui remplacent Merlin, Laréveillère et Treilhard, jouissent de l’estime publique, soit è l’égard du patriotisme, soit è l’égard de la probité. Vous voyez par là qu'on a pris le mal è sa racine. Le ministres de l’intérieur, de la police et des finances vont aussi étre remplacés et il y a tout lieu à esperer que l’on obtiendra encore des succes aussi brillants qu'on a obtenu dans les plus beaux jours de la révolution. Des grandes mesures vont étre prises, des levées d’hommes, des impositions sur le riches, la punition des coupables, une nouvelle organisation des approvisionemens des armées, tout enfin va étre mis en ceuvre pour relever l’esprit publique. Les patriotes triomphent..... on dit méme, qu’enfin on s'est desabusé des petits moyens par expérience et qu’il faut créer une puissant allié en Italie è la France. Alors on pourroit bien s’écrier: Necesse est ut veniant scandala. Li De notre coté nous essayons par tous les moyens possibles de l’introduire auprès des patriotes et des hommes de bien, pour étre à porté de dire la verité et de la dire avec fruit..... on nous donne des espérances et il y a tout lieu à croire qu’elles ne seront pas frustrées. Salut républicain. BotTTA. RoBERT. NE#84 LIBERTÀ EGUAGLIANZA ; ” Brianzone, 5 messidoro 7° della Repubblica Francese e 1° della Libertà Piemontese (23 giugno 1799). Pico ai carissimi Botta e Robert. Dal qui accluso manifesto osserverete: 1° non esservi più dubbio sul trasloca- mento del quartier generale de’ nemici; 2° esservi già turbolenze e malcontento in Piemonté contro gli Austro-Russi. Il suddetto quartier generale, secondo gli accertati riscontri, è in Pavia, e sappiamo che il bravo Macdonald ha battuto i Tedeschi, prima a Fort’ Urbano, quindi alla Marsaglia nelle vicinanze di Modena, e finalmente a Sant’ Ilario, che trovasi vicino a Reggio. Si vuole che abbia in queste occasioni fatto settemila prigionieri. Fatto certo si è che al blocco della cittadella di Torino non vi è di più di 3 mila uomini, e che tutto corre ad opporsi all’armata di Macdonald. Se i sette mila coscritti, che qui abbiamo, fossero calzati e pagati, o che fosse arri- vata la tanto aspettata truppa di linea, questo sarebbe stato il momento di discen- dere e di inquietare assai il nemico. Ora il destino d’Italia dipende dalla vittoria o perdita di Macdonald, la cui armata si vuole già in presenza del nemico verso Piacenza. Voi comprendete- qual può essere la nostra anzietà. Utique res bene cedat. Ma ripeto ancora a che tardano i rinforzi? Noi, che ci troviamo sul luogo, ne vediamo la ne- cessità assoluta, come ancor quella di vestirli e pagarli. Quindi, siccome è certo che Serie II. Tox. LIX. 38 298 GIOVANNI SFORZA da 84 il nemico attende anche i suoi rinforzi, e che è sicuro che la Russia ne spedisce 10 mila al mese in Italia, perciò par certo che questa dovrà ancor essere a lungo il teatro della guerra; motivo potente questo per cui ì Francesi, entrando in Pie- monte, devono assolutamente punire i capi della controrivoluzione, per non averli più in ogni evento contro; e per cui non devono più abbandonarsi alle molteplici requi- sizioni, come fecero per lo passato, massime in un paese smunto per ogni dove e da tutti. Dovrebbero anzi imitare, se non in tutto, almeno in parte, i Tedeschi, i quali fanno venir dall'Ungheria e buoi e farine. Una cosa importante assai è l'articolo del sale, che mancava del tutto in Piemonte già fin quando noi eravamo in Pinerolo. È vero che i Tedeschi, al loro arrivo in Piemonte, conoscendo tale mancanza, avranno opportunamente scritto a Venezia; ma siccome, se fossero obbligati da Macdonald ad abbandonar il Piemonte, questo sale non avrebbe avuto tempo di pervenirvi, e che noi non saressimo più in caso di farlo venire da quelle parti, che sarebbero in poter del nemico, perciò vi farete premura di comunicar al Governo quest’importante affare, affinchò in caso di nuova occupazione del Piemonte ne faccia versare per la strada di Nizza. Questo medesimo sale potrebbe far un fondo non indifferente alla Francia per provvedere ai bisogni dell’armata, cioè potrebbero cambiar il loro sale con grano e bestiame, e vi fo riflettere che siccome quel genere è a vilissimo prezzo all'isola di Hieres, perciò potrebbesi dai Francesi far trasportare sino a Cuneo e quivi con- trattarlo siccome sarà di maggior reciproca utilità. Se vedete Cavalli, o Richini, o Castelli, dite loro che vadino alla Posta, che vi troveranno lettere per loro. Salute ed amicizia. x Pico. ; IN 09% LIBERTÀ EGUAGLIANZA Brianzone, 8. mietitore ‘7° della Repubblica Francese e 1° della Libertà Piemontese (26 giugno 1799). Pico agli amici Botta e Robert. Quest’ è la quinta lettera che vi si scrive da qui senza aver ricevuto altra risposta, salvo la vostra dei 18 pratile. In seguito d’un messaggio del Direttorio esecutivo, il Gran Consiglio ha accordato 200 mila lire al Direttorio Cisalpino, al Corpo legislativo, agli impiegati e patrioti Cisalpini. E i Piemontesi, che non hanno un Direttorio ricco di cinque in sei millioni, come quello della Cisalpina, ma bensì un’ Amministrazione generale, la quale, dopo d’aver consumato i pochi fondi nazionali per l’'approvigionamento di Fenestrelles, è costretta a vivere col denaro particolare degli amministratori, il quale però presto mancherà, e saremo così ridotti all’ele- mosina; e i Piemontesi, che stan campati in faccia al nemico, quando i Cisalpini se la passeggiano per le belle città di Francia; i Piemontesi sono affatto dimenticati. Pare all’Amministrazione che voi potreste procurare ai vostri fratelli un pari soc- corso, giacchè ne sono più degni e più bisognosi. Non mancate dunque di fare gli opportuni passi. Ieri giunse qui la nuova della resa della cittadella di Torino dopo 85 CARTEGGIO DELL AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 299 avere per cinque giorni sofferto un furioso attacco (1). Si dice pure che Fiorella. possa essere stato assassinato (2). Se questa, che non è per anco officiale, si avvera, ecco le cose nostre a mal partito. Ma perchè non si mandano truppe di linea? Ma perchè non si vestono, non si pagano, non si nutriscono i coscritti? Abbiamo la nuova officiale della vittoria compita riportata da Macdonald sotto Modena, in cui (1) Si era infatti arresa. “ Alle ore 5 in punto ricominciò ieri sera (19 giugno) il fuoco contro la cittadella, che durò sino alle 7 e mezza. Pochissimi cannoni ha sparato questa contro gli Au- striaci, mentre assai vivo fu dalla parte degli assedianti. Un nuovo parlamentario uscì allora per combinare una capitolazione, mîa nulla si è convenuto tra i rispettivi comandanti. Infatti alle ore 10 e tre quarti si riprese contro i baloardi della cittadella il più energico fuoco colla mo- schetteria, che si attribuisce ai cacciatori nostri. Circa la mezzanotte poi si ripristinò col più gran vigore un fuoco terribile dagli Austriaci sopra la piazza, la quale in tutta la notte non rispose che assai leggermente, forse perchè si era nuovamente appiccato il fuoco in due parti dell’interno della stessa cittadella. Verso le ore 8 della mattina si è sospeso di bel nuovo il fuoco degli assedianti per dare luogo ad altro parlamento, di cui non si è potuto sapere il risultato. Cixca le ore 2 del dopo pranzo uscì dalla cittadella altro parlamentario, che fu accompagnato in casa di S. E. il Comandante Generale austriaco Barone di Keim; alle ore 4 se ne aggiunse un secondo, che col primo non si ritirò dall’abitazione del prelodato sig. Generale prima delle ore 7 e mezza, portando in cittadella seco loro la capitolazione della resa di essa per la sottoseri- zione del generale Fiorella, accompagnato dal sig. Conte di Nugent, uffiziale di cavalleria au- striaca, che sì recò in detta piazza all'oggetto di assistere alla sottoscrizione medesima, quale seguì dopo le ore 10 di questa sera, ed alle 11 si fece subito avanzare un corpo di truppa au- striaca verso la porta che dalla città introduce alla cittadella ed altro corpo di Russi verso la così detta di soccorso. Entrarono in seguito i commissari austriaci per la visita e ricognizione della piazza e restarono deposte le odiose tricolorate bandiere ,. Cfr. Diario Torinese, n° XXI, giovedì 20 giugno 1799, pp. 167-168. L’ingresso delle truppe Austro-russe nella cittadella ebbe luogo la mattina del 21 giugno verso le ore 6. Vi trovarono 374 cannoni, 143 mortai, 40 obici, 30,000 fucili e munizioni da guerra proporzionate a così smisurato numero di bocche da fuoco. I patti furono questi: “ La guarnigione francese potrà tornarsene in Francia per la strada che le sarà assegnata, “ sotto la condizione di non più servire contro l’armata alleata; ma gli officiali francesi di distin- “ zione saran condotti prigionieri; i così detti Giacobini piemontesi poi restano alla discrezione del “ Comandante Generale Austriaco ,. Così il Diario Torinese (n° XXII, p. 178), che aggiunge: “ Le “ vittime innocenti del furor patriottico, che in qualità di prigionieri o ostaggi furon tradotti nel- “ l'arresto di essa cittadella, ne sono questa mattina istessa (21 giugno) gloriosamente esciti e ritor- “ nati al seno delle loro distinte famiglie ,. La mattina del 22 di buon’ora la guarnigione francese uscì cogli onori militari dalla porta di soccorso, depose le armi e si mise in cammino alla volta di Susa, sotto numerosa scorta. (2) JI Fiorella “ fu biasimato per la breve resistenza; e certamente, gli alleati non avendo “ assalito dalla parte della città, che era la più debole, pare che sarebbe stata possibile una più “ lunga difesa. Si volle trovar scusa alla resa nella cattiva qualità della polvere da guerra, che si “ disse ad arte alterata e mista con sabbia, e nella poco buona disposizione della guarnigione a “ difendersi ,, Cfr. Pineuni F. A., Storia militare del Piemonte, II, 160. Il Thaon di Revel e Sant'Andrea, governatore di Torino, “ volendo in qualche maniera contracambiare le gentilezze che aveva rice- “ vute in Milano dal generale Fiorella, in tempo che era sotto la custodia dei Francesi , il 22 giugno gli dette “ un lauto pranzo, con intervento non solo del suddetto generale e stato maggiore fran- “ cese, ma ancora del generale Keim e di molti officiali e dame, che furono serviti con somma “ proprietà, buon gusto e magnificenza ,. Nella notte poi del 23, “ sotto la scorta militare austriaca ,, s'incamminò “ verso il suo destino in Alemagna come prigioniero di guerra ,, seguito poi dallo stato maggiore col rimanente dell’uffizialità. Cfr. Diario Torinese, n° XXIV, p. 189; n° XXV, p. 197. Fran- cesco Apostoli lo trovò a Petervaradino “ prigioniere di stato e di guerra ,. Nel ricordarlo esclama: “ Povero generale! Non è bastato per suo cattivo destino d’essere due volte prigioniero de’ Te- “ deschi; ha dovuto sempre esserne trattato come un delinquente ,. Cfr. Arosrori F., Le Lettere simmiensi, riprodotte e illustrate da Aressanpro D'Ancona, Roma-Milano, Società editrice Dante Ali- ghieri, 1906, p. 207. “ 300 GIOVANNI SFORZA . 86 esso ricevette tre leggiere ferite, il generale Forez morto, unitamente a 200 circa soldati; ma il frutto di tale vittoria fu 2000 prigionieri, 1500 morti e feriti, 40 uffi- ciali di vario grado prigionieri, 15 pezzi di cannone, 5 stendardi e la sconfitta totale di quell'armata Tedesca, al cui inseguimento si trovano i Francesi. Suwarow era partito da Torino sino dal 10 giugno, ma se la cittadella è caduta, a cosa servirà questo? Procurate adunque che i vostri fratelli, martiri della libertà e che combat- tono in oggi ancora, abbiano qualche sussidio, e così pure chi si adopera in ogni modo per la Patria. Se avremo nuove della cittadella ve le spediremo. Addio. Vostro amico Pico. NUO: Au citoyen Charles Botta, à Paris. Briangon, le 8 méssidor an 7 (26 giugno 1799). Je me procure, mon cher et estimable Botta, la douceur de m’entretenir un moment avec toi, principalement pour te dire qu’ayant fait conoissance ici avec un juge du tribunal criminel de Gap, et la conversation étant tombée sur vous, ce citoyen m’a obligeament et cordialement offert d’écrire è un membre des 500 avec. lequel il est fort lié, pour vous recomander è lui, ce que j'ai accepté avec empres- sement et reconnoissance. Vous pouvés done, chers amis, vous présenter au citoyen Leblane, deputé des Hautes Alpes, au nom de son ami Grand, ex-conventionnel et actuellement juge ut supra. Je souhaite que cette connoissance contribue à votre agrément et sur tout au salut et au bien de notre chère et malheureuse patrie. Vous serez plus au fait è Paris des nouvelles que nous ici; du moins seront- elles plus certaines, car sans doute les couriers extraordinaires les portent de source en droiture aux Autorités. Celles que l’on nous donne comme sures depuis quelques jours sont 4 victoires consécutives de Macdonald et son entrée à Milan à la suite de la dernière ou il auroit fait 7000 prisoniers. Ce qu'il y a de sur c’est que Sowarow, a quité Turin, que tous les gros équipages ont évacué, que le quartier général était à Asti il y a quelques jours, et que le Baron ou Comte Thaon de S. André soi-disant Gouverneur de Turin a la bonté de nous apprendre dans un manifeste, qui est un modèle de bétise (1), qu'il existe de la mésintelligence entre les troupes des deux Empereurs, tout en voulant détruire cette idée dans la nation. Actuellement la prise de la citadelle de Turin est mise en probléme, et nous nous espérons qu'il se resoudra bientot è notre satisfaction. Addio, Botta amato. Mes amitiés à ton collegue. Recevez l’un et l’autre le salut republicain. de votre vrai ami i P. Gevymer, Président. (1) È del 10 giugno. Diceva: “ Siccome la malignità de’ malintenzionati non ha confini, spar- * gendosi un supposto malcontentamento de’ generali Austriaci e Russi, il sig. conte di Concina si ‘ è fatto premura di prevenirci ,, che per tagliare la strada agli architettati maliziosi pensieri di costoro, punirà con pena a lui arbitraria “ chiunque ardirà di spargere false notizie, o in qualunque " altro modo tenterà di intorbidare la pubblica tranquillità ,. Pedale 87 CARTEGGIO DELL’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 801 Remettés, je vous prie, les 2 incluses. Il vous sera aisé de trouver les per- sonnes auxquelles elles sont adressées et auxquelles je vous recommande ainsi que notre patrie. Nip, All’ Amministrazione generale del Piemonte, a Brianzone. ' [Parigi], li 9 messidoro anno VII [27 giugno 1799]. Ieri abbiamo ricevute le vostre lettere date da Brianzone addì 29 e 30 scorso. Ci siamo ‘tosto affrettati di communicare le notizie importanti che vi si contengono a varii rappresentanti, al Direttorio ed al generale Joubert. Speriamo che siano per dissipare gli errori in cui qui molti erano intorno la situazione degli affari in Pie- monte, che credevano già sgombro, o prossimo ad esserlo dal nemico. Già molti gi&rni sono abbiamo dato una memoria, per la quale domandiamo un sussidio al Governo a benefizio de’ patrioti piemontesi rifugiati in Francia, siccome fu già concesso ai Cisalpini. Oggi ne presenteremo anche un’altra e ne speriamo un buon esito. Sappiamo che esso Governo è già disposto a sovvenire brevi manu quelli fra i piemontesi esuli che si trovano a Pariggi. In quest’ultima parleremo special- mente dell’Amministrazione generale, che al tempo della prima non sapevamo ancora dov’ella fosse. Avrete certamente già inteso dai rumori e dai fogli pubblici, come anche dalla nostra delli 4 corrente, i cambiamenti occorsi nelle persone de’ Direttori e di varii ministri, mercè la prudenza ed il coraggio del corpo legislativo (1). Questi impor- tanti avvenimenti influiranno senza dubbio sul destino di tutta la Francia e special- mente della nostra Italia. I patriotti, che sono ora i più forti, vogliono che non solamente essa sia libera, ma che sia unita tutta in una sola Repubblica; e si prendono dal Governo le più efficaci e pronte risoluzioni per discacciarne i Bar- bari, che l’infestano. Vi possiamo assicurare che molti dei rappresentanti, che vediamo, come Frangois de Nantes, Briot, Dessaix, Decombrousse, etc. etc. sono ami- cissimi della nostra libertà. Ci giova sperare un più felice avvenire. Non sarebbe inopportuna cosa se andaste già via spargendo fra tutti i patriotti l’idea dell’unità della Repubblica Italiana. Abbiamo fatto a quest’oggetto una lunga memoria, che probabilmente si stamperà, e ve la faremo pervenire. Abbiamo differito finora a seri- vervi, perchè non sapevamo ove vi foste ridotti, e perchè il vostro collega Pelliseri ci scrisse che eravate dispersi. Godiamo veramente che siate pervenuti in salvo. Vi preghiamo di scriverci soventi, ragguagliandoci diligentemente di quanto occorre. n Salute, etc. Botta. RoBERT. (1) Il 5 messidoro (23 giugno) al Duval era succeduto il Bourguignon come ministro della po- lizia; il 14 messidoro (2 luglio) il Bernadotte ebbe il portafogli della guerra; il 2 termidoro (20 luglio) il Talleyrand si dimise e in luogo suo fu ministro degli affari esteri il Reinhard. 302 GIOVANNI SFORZA - 88 N. 12. LIBERTÀ EGUAGLIANZA Brianzone, 9 mietitore 7° Repubblicano e 1° della Libertà Piemontese (27 giugno 1799). Pico agli amici Botta e Robert. Incaricato dall’Amministrazione, vi faccio tener questa per altra strada, sul dubbio che non vi sieno pervenute le moltissime antecedenti scrittevi da qui, giacchè alle medesime mai abbiamo avuto alcuna risposta, lo che ci affligge assaissimo, ‘in vista massime che nei cambiamenti costì seguiti sentiamo parlar molto dei Cisalpini, accordarli soccorsi, e nulla si parla degli affari nostri; eppure siamo bisognosi di tutto, nè so come faremo andar avanti. Di grazia, dunque, due parole per nostra consolazione. Si conferma sempre più la resa della cittadella di Torino. Voi vedete, nuova. disgrazia per noi. E pure già da lungo vi si scriveva di affrettar i soccorsi acciò questo male non accadesse. Salute ed amicizia. N.-13; LIBERTÀ EGUAGLIANZA Brianzone, 10 mietitore 7° Repubblicano (28 giugno 1799). Pico agli amici Botta e Robert. L’Amministrazione non vedendo alcuna vostra risposta alle tante lettere che io vi ho scritto per ordine suo, e vedendo inutile il suo soggiorno qui, dopo la presa della cittadella di Torino, che pur troppo si è avverata, partì questa mattina per Gap, dove pure io mi trasporterò dimani. i I dettagli che accompagnano la resa di quel baloardo d’Italia, che costò tanto sangue ai patrioti Piemontesi perchè i Francesi l'avessero, i dettagli, dico, sono così infami pel comandante di quella fortezza, che le persone assennate, e che lo cono- scono, non ci credono assolutamente. Io sono di questo numero, ma tuttavia ve li scrivo. Compite adunque dal nemico le linee, di cui vi ho parlato nelle antecedenti, cominciò a batterla, ma non passarono tre giorni che essa fu resa. Il comandante e lo stato maggiore si dice che passi in Alemagna, ma si aggiunge che i patrioti Piemontesi furono da esso dati in mano al nemico, che li fece condurre nelle car- ceri del Senato; i malati e feriti francesi passarono per Susa ed il restante dei soldati francesi passò per Cuneo. Come voi vedete, sarebbe troppo insultante a Fiorella il prestarvi fede; ma pure si dice, si sostiene e si assicura da ogni parte. Certa cosa poi si è che il nemico ha investito da ieri Fenestrelle con forze im- ponenti e che quel forte fra due giorni al più sarà privo di comunicazione colla Francia. Questo forte può tenere un mese e mezzo buona misura, salvo accidente, e se sì perdesse si verrebbero a perdere 80 pezzi di campagna e loro provigioni, stati flepositati da Moreau, oltre a 120 di dotazione. Non si vorrebbe che facessero la fine sù - i le 89 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 803 dei 1200 che erano in cittadella (1). Qui continua lo stesso stato di deficenza di tutto per i coscritti, che in numero di 6 in 7 mila stanno qui cantonati, non meno che per gli opportuni approvigionamenti di questi forti. Ieri un Provveditore commesso della compagnia Boudin, dopo d'aver intascato una buona dose di denaro, se n’ è fuggito. Fu cercato, ma invano. Addio. Vostro aff.®° amico Pico. Sempre mille cose per parte mia a Dessaix ed agli amici. ; N. 14. All’ Amministrazione generale del Piemonte. Parigi, li 12 messidoro anno VII [30 giugno 1799]. Dopo la vostra Wlli 30 scorso non abbiamo ricevuta salcuna lettera di voi; qui però siamo circondati da consolanti notizie. Ci si dice Tortona ed Alessandria liberate dal blocco da Moreau, che comanda più di 20 mille uomini; dall'altra parte si van- tano i progressi di Macdonald, e ci si annunzia l'evacuazione del Piemonte già eseguita, o prossima ad eseguirsi. Desideriamo che si verifichino tali avvenimenti, e vi fac- ciamo nove istanze perchè vogliate informarci appuntino di quanto segue. Ieri fummo presentati da Francesco di Nantes al nuovo Direttore Gohier. Ci accolse egli cortesemente, e benchè per la moltiplicità degli affari da cui era oppresso, non ci sia venuto fatto di entrare con esso in minute particolarità, abbiamo però rilevato dai suoi discorsi, che il Direttorio si occupa seriamente di riorganizzare le ammini- strazioni delle armate; e che i coscritti verranno d’ora in poi armati e vestiti di tutto punto nei rispettivi dipartimenti; che nella scelta dei nuovi impiegati, che devono rimpiazzare i satelliti del passato triumvirato, si avrà riguardo non solo ai valenti, ma principalmente alla moralità degli individui. Alcuni rappresentanti, a cui abbiamo communicata la nostra memoria sulla neces- sità di stabilire una Repubblica in Italia, ci assicurarono che erano rimasti convinti dalle ragioni in quella addotte, e che avrebbero lavorato dal loro canto per l’effettua- zione di un così illustre progetto, che intanto ci consigliavano a communicarlo anche ai Direttori ed a chi aveva particolarmente mano in pasta. Saremo fra pochi giorni presentati per quest’affare al Direttore Sieyès dallo stesso Francesco di Nantes. Ab- biamo combinato con quest’ultimo di presentargliene un ristretto. Oggi siamo invitati a pranzo dal generale Joubert, dove avremo per commensali Luciano Bonaparte, Dessaix ed altri di simil tempra. Non tralasceremo le occasioni di parlare liberi sensi in semplici parole. Anche un ministro, che sin ora resistè agli urti rivoluzionarii, comincia ad essere vivamente attaccato dall'opinione pubblica, e molti credono che possa venir meno la ‘(1) Il Botta e il Robert, il 21 messidoro (9 luglio), si affrettarono a inviar copia del brano di questa lettera riguardante Fenestrelle ai generali Joubert e Championnet, col seguente biglietto : “ Ayant recu par une lettre de l’Administration générale du Piémont des détails sur le fort de “ Fenestrelles, qui peuvent interesser les opérations militaires, nous nous empressons, citoyen général, € de vous les transmettre. Salut républicain ,. 304 GIOVANNI SFORZA 5 Ph 90 sua stabilità. Le petizioni al Corpo Legislativo dei dipartimenti, che grida vendetta contro i dilapidatori, si moltiplicano e verranno forse esaudite. Varie cose vanno vociferandosi sulle intenzioni della Prussia; sin ora sono senza gran fondamento, quantunque non prive affatto di probabilità. È sperabile però che le giornate delli 29 e 30 scorso, la nuova energia che prende lo spirito repubblicano ed i successi che otterranno fra poco le armate in Italia faranno ritrare molti che già si disponevano ad attaccarci, credendoci perduti. Non cessiamo di fare vive istanze. perchè vengano accordati pronti soccorsi ai piemontesi rifugiati. Salute, etc. BorTA. RoBERT. N. 15. All Amministrazione generale del Piemonte. Parigi, li 14 messidoro anno VII [2 luglio 1799]. Abbiamo ricevute le due vostre in data delli 4 e l’altra delli 5 corrente, col- l’indegna proclamazione annessavi. Vi ringraziamo infinitamente della vostra dili- genza ed assiduità nell’informarci a tempo, come fate, delle più minute particolarità. Fummo, come già vi abbiamo scritto, l’altro ieri a pranzo dal generale Joubert. Non potevamo essere in miglior compagnia, poichè v’intervennero i generali Berna- dotte, Augerau, Suci (1), Jourdan ed i rappresentanti Salicetti, i Buonaparte, Dessaix, Garrat, Marbot, etc. Noi riguardiamo un tale invito come un segno particolare di attaccamento e stima che Joubert volle dare alla nostra patria. Prima del pranzo ci siamo fatto premura di communicare le due vostre in data delli 4 al Generale'; le lesse egli con piacere, e gionto all'articolo in cui ci parlate delle informazioni datevi da Billiati, disseci nulla essere più vero di tal cosa. Dopo pranzo poi, tra i discorsi famigliari, escì egli nuovamente su tal proposito, ed apertamente ci significò tale essere anche il suo avviso, se non di tutto, almeno in parte; procurando però l'unione di tutto il rimanente; si trattò la quistione accademicamente, ciascuno disse liberamente il suo parere; molti dei rappresentanti non parvero però troppo inclinati a tal cosa. Quantunque in questa circostanza siamci noi fatto lecito di dire il nostro sentimento per maniera di discorso famigliare, tuttavia noi non abbiamo ancor par- lato, nè parleremo officialmente di tal cosa, perchè sin là non si estende la nostra missione. Già fummo testimonii oculari ed ora scorgiamo dalle vostre lettere quanto grandi e moltiplici fossero gli abusi introdottisi sotto il governo de’ Triumviri. Come negletti i soccorsi, malgrado le vive istanze de’ generali; come abbandonati i difensori della patria alla miseria, etc. etc. Giova sperare che i salutari cambia- menti seguiti nel governo, ci condurranno ad_un miglior ordine di cose, come potete anche scorgere dalle precedenti nostre. Tutta la truppa che era in Parigi, o parte (1) Luigi Gabriele Suchet, non Suci (il futuro maresciallo di Francia e duca d’Albufera), che il Ioubert fece nominare generale di divisione e scelse a capo del suo Stato maggiore. 91 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 305 od è partita, in guisa che gl’individui della guardia nazionale devono fare il servizio ogni 10 giorni. I coscritti di tutte le classi sono chiamati all’armi e la Francia si metterà nuovamente in un'attitudine da fare tremare i nemici della libertà. Ma ci vorrà qualche tempo, tanto erano disorganizzati gli affari! Abbiamo fondamento di credere che Joubert calerà ben presto in Italia con formidabili soccorsi. Non vogliamo però celarvi che per ora il tutto dipende dai fatti di Macdonald, che se venisse battuto, l’armata si ritirerebbe infallibilmente all’Alpi, tale essendo il progetto. Malgrado le buone nuove dateci nella vostra delli 5 corrente, riguardo la cit- tadella di Torino, due lettere, l’ una di Grenoble di Championnet, l’ altra di Cham- berì, ci assicurano la cittadella arresa li 3 e la guernigione già passata in Francia. Noi non sappiamo a cosa attenersi. Massena in Svizzera dicesi nuovamente ritirato per mancanza di viyeri. Quel che è certo si è che ha ricevuto e che riceverà rinforzi. L'orizzonte prussiamo pare oscurarsi alquanto: si dee però credere che si riescirà a dissipare il temporale che ci minaccia. L’altro ieri il ministro Talleyrand fece un rapporto al Direttorio sullo stato politico di Europa, che fu communicato ai Consigli. Sieyès disse a questo proposito che niun altro avrebbe potuto far meglio e che si doveano tener preziosi i talenti di un tal ministro. Aspettiamo a giorni la risposta favorevole riguardo ai sussidii. Si divideranno in tre classi i petenti. 1° Quelli che potranno e vorranno servire militarmente saranno incorporati nella milizia francese; 2° Riguardo a quelli che esercitavano qualche mestiere, si incaricheranno le rispettive Municipalità di soccorrergli e pro- eurargli del lavoro; 3° A quelli poi che erano in impiego, o beneviventi, verrà fatto un imprestito restituibile a miglior fortuna. Abbiamo dato una memoria riguardante i nostri deportati, di cui vi inchiudiamo copia, e ne daremo un’altra per rapporto al sale, nel senso in cui ci scrivete. Salute, etc. BortA. RoBERT. INTRO? All Amministrazione generale del Piemonte, a Brianzone. Parigi, li 16 messidoro anno VII [4 luglio 1799]. Quantunque non abbiamo più ricevuta alcuna vostra dopo quella in data delli 5 corrente, tuttavia fummo pur troppo accertati dalle lettere dell’Amministrazione del Dipartimento del Montblanc ai suoi rappresentanti che è sicura la reddizione della cittadella di Torino, seguita li tre corrente. Aspettiamo con ansietà di sapere le cir- costanze di un così funesto ed inaspettato evento, perchè non possiamo persuaderci che il generale Fiorella abbia tradito il suo dovere. Pranzammo ieri nuovamente col generale Joubert in compagnia di Cavalli. Ab- biamo instato sulla necessità urgentissima di mandare soccorsi in Italia; speriamo che il Generale partirà ben presto per il suo destino. Serie II. Tom. LIX. 39 306 GIOVANNI SFORZA - 92 Il rapporto del Ministro degli affari degli esteri, di cui vi parlammo nella nostra delli 14, non fu molto bene accolto dal Consiglio degli Anziani. Pare probabile che possa verificarsi quanto vi scrissimo nella nostra in data delli 12 corrente; allora sa- ressimo anche liberati dal intermezzo Gian Maria. Si spera che Massena riprenderà ben presto l'offensiva. La riunione della flotta Gallispana è nuova offiziale. Salute, etc. BorTA. “RoBERT. N bi. LIBERTÀ EGUAGLIANZA Grenoble, 17 mietitore anno 7° della Repubblica Francese e 1° della Libertà Piemontese (5 luglio 1799). L’Amministrazione generale del Piemonte ai cittadini Botta e Robert. Il cittadino Pico, nostro segretario capo, vi ha scritto almeno dieci lettere da un mese circa a questa parte e due ne scrisse l’Amministrazione. A tutte queste lettere mai ebbimo la menoma risposta, e pure sappiamo che voi esistete in Pariggi, giacchè qui abbiamo trovato dei particolari cui voi le avete scritto. Converrà dunque . dire che non avete ricevute le nostre, o che siansi smarrite le vostre. Noi vi ripe- tiamo la presente, la quale conterrà un breve epilogo d’importante di quanto vi si scriveva nelle precedenti. L’Amministrazione, forzata dal nemico, partì di Pinerolo li 8 pratile e sì portò in Fenestrelle, per compire nella miglior maniera possibile gli approvvigionamenti di quei forti; al che riuscì, avendoli approvvigionati per 1000 uomini per due mesi circa, secondo le intenzioni del generale Moreau. In Pinerolo si lasciarono da circa 300 sacchi di fromento, che non potemmo trasportare per mancanza di mezzi. Discesa quindi l’Amministrazione da Fenestrelle, si portò nelle valli de’ Valdesi onde incoraggiare quegli abitanti a fare una valida difesa. Ci riuscì per qualche tempoy ma essendosi rinforzato di troppo il nemico, e non essendosi prese dal generale Zim- mermann le opportune misure di difesa, convenne lasciare il campo, e valicate le alte e dirupate montagne, che separano il Piemonte dalla Francia, ci siamo ritirati in Brianzone, dove ci si faceva sperare un pronto ritorno in patria; ma dopo qualche soggiorno, avendo sentito la presa della cittadella di Torino, che da prima non si credeva e che poscia fu avverata, vedendo lontano il nostro ingresso in Piemonte, ci risolvemmo di venir a Grenoble, ove ci siamo da due giorni. Noi ignoriamo per- fettamente il nostro destino, nè sappiamo cosa saremo per fare; profitteremo però del primo momento per entrare in Piemonte. Ad ogni caso, vi preghiamo caldamente a volerci scrivere e indirizzare le lettere sotto coperta di quest’ Amministrazione cen- trale del Dipartimento, che essa ce le rimettetà, se siamo qui, o ce le farà tenere dove saremo. Sopra tutto vi raccomandiamo le seguenti cose, già nelle precedenti raccomandatevi. La prima, di procurare un sussidio ai Piemontesi eguale a quello che il Governo Francese accordò ai Cisalpini, sebbene il numero de’ Piemontesi sia maggiore; e di 93 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 307 fare perciò la precisa domanda a nome dell’Amministrazione, la quale, ignorando la maniera con cui si ottenne dai Cisalpini, vi lascia in libertà di domandare a titolo di sussidio, o di imprestito, come meglio stimerete. La seconda, di procurare che i generali che comanderanno in Piemonte non lo ingombrino di troppo di patrio sangue. I Piemontesi possono avere dei torti, ma un mal consigliato ed esteso eccidio non potrebbe che apportare funeste conseguenze. Si puniscano i capi, ma si perdoni ai sedotti e si risparmi quanto più si può un paese esaurito oramai intieramente dalle varie luttuose vicende che da ott’anni a questa parte si son succedute. Eccovi il voto dell’Amministrazione. La terza. Ora che pare stagion propizia, procurate di indagare, per quanto le circostanze politiche lo permetteranno, quale potrà essere il destino di nostra Patria. Promovetelo, comunque egli Sa per essere, mentre senza di esso sarà il Piemonte sempre soggetto all’urto delle opinioni ed a tutte quelle conseguenze fatali che ne derivano. Molti Piemontesi sono partiti e partono per Pariggi, fra’ quali il medico Giraud, che va per parlare col cittadino Musset, sulla di cui amicizia conta moltissimo, Buniva, Bossi, ec.; e quest’ultimo va pure per parlare col cittadino Musset. Voi cer- tamente saprete da essi i minuti dettagli di quanto qui è succeduto dopo la vostra partenza. Bottone passò qui incognito, e da quanto abbiamo rilevato sembra anche esso incaminato costì. i Sì confusi e moltiplici sono i dettagli della resa della cittadella di Torino, che noi non osiamo farvene una descrizione onde possiate appoggiarvi. Quel che sappiamo , sicuro è la resa di essa, ridotta però ad un mucchio di sassi. Seicento e più sono i nostri compatriotti che sappiamo essere stati arrestati in Piemonte; oltre al barbaro trattamento cui ci dicono essere i medesimi. soggetti, si dice pure che possano essere condotti in Siberia. L’Amministrazione vi incarica di far presente quest’atto di gotica barbarie al Governo, onde ritenga gli ostaggi all'oggetto di poter col loro mezzo alleviare questi infelici. Qui siamo trattati da quest’Amministrazione dipartimentale colla maggior fra- tellanza, e veramente qui cominciamo ad accorgerci che siamo in serra libera (1). Avressimo poi veramente piacere di sapere se costì voi fato uso del tonto reso dal Governo Provvisorio e quali sono i passi che avrete fatto per discoprire i dilapidatori delle sostanze nazionali del Piemonte. (1) Infatti, come nota il prof. G. Roberti, © la Municipalità ed i cittadini di Grenoble furono, “ giova dirlo, come quelli delle altre città francesi, piuttosto larghi coi fuorusciti nostri. Nel Clair- “ voyant, journal républicain, politique et philosophique de Grenoble, nel Journal de Grenoble ou Ami “ de la vérité et des meurs, negli atti della Municipalità si trova spesso menzione degl’infelici pa- “ triotti italiani. Il 29 maggio 1799 (10 pratile anno VII), ad esempio, celebrandosi nella sala “ decadaria la festa della riconoscenza, erano, dice il Clairvoyant, oggetto di attendrissement gli “ uomini liberi d'Italia, che un pranzo fraterno accoglieva in campagna assieme ai patriotti del- “ l'Isère. Questi facevano a gara per alléger les amertitmes et les calamités dont leurs frères d’Italie “ sont les victimes, e con molti brindisi gl’'Italiani attestavano la propria gratitudine. Inneggiava il “ Fantoni, poùte lyrique distingué, al bel giorno in cui i repubblicani d'Italia si confedererebbe=o “ coi Francesi. Cavedoni, ex-rappresentante cisalpino, proponeva un plauso all’eroe che per il ‘ primo, sventolando lo stendardo della libertà, fosse entrato trionfalmente a Pietroburgo ,. Cfr. Un anno della vita di Carlo Botta; nella Nuova Antologia, serie IV, vol. XCI, pp. 734-735. 308 GIOVANNI SFORZA Par 94 In questo momento riceviamo una vostra in data de’ 5 germile, ma che però dal contenuto è delli 5 messidor. I cambiamenti arrivati nel Governo, che ci indicate, ci erano già noti, e vera- mente essi hanno ravvivato le nostre speranze. Se Joubert è ancora in Pariggi, con- tinuate a vederlo e ringraziatelo in nome nostro dell’interesse che prende per il Pie- monte, e pregatelo a continuare i suoi buoni uffizi. Procurate di far sentire al Governo una gran verità che può sola influire al buon esito delle armi francesi in Piemonte ed è la sicurezza del futuro nostro destino politico. Pulsate ed inculcate. ) Salute e fratellanza. P. GeymET, Presidente. Pico, Segretario capo. N. 18. LIBERTÀ EGUAGLIANZA Grenoble, 19 mietitore 7° della Repubblica Francese e 1° della Libertà Piemontese (7 luglio 1799). Pico, segretario capo dell’ Amministrazione del Piemonte, ai cari amici Botta e Robert. Ieri l’Amministrazione vi ha fatto parte delle sue lagnanze per il vostro silenzio . a di lei riguardo, mentre il cittadino Botta ha scritto a vari amici qui in Gre- noble (1), e mentre essa ha procurato con una non mai interrotta corrispondenza di mettervi al giorno di quanto succedeva in Piemonte e che era a di lei cognizione. (1) Il 12 messidoro (30 giugno) aveva scritto agli amici Rigoletti e Belloeco, a Grenoble : “ Ho “ piacere che siate ridotti in salvo. Della bontà del mio amico Villard verso di voi godo somma- “ mente: mi rineresce che non possiamo rendergli una gratitudine pari al benefizio; dico coll’opera, “ perchè siamo fuorusciti e poveri, perciocchè col cuore gliela rendiamo tutta quanta ella può esser “ grande e bella. Noi abbiamo molte belle speranze del ritorno nella patria. Dopo i cambiamenti ‘ accaduti, e quelli che accadranno ancora nelle persone degli amministratori, l’ardore repubblicano,, “ che era quasi estinto in Francia, rinasce e promette più felice avvenire. Chi governa adesso è “ più amico della libertà italiana di que’ che sono stati espulsi. Potremo di nuovo, se un desiderio “ da emigrato non m’inganna, rivedere i nostri. campi, e dimostrare quanta distanza passa tra la “ nostra virtù e la malvagità di coloro che con tant’odio ci perseguitano in dtalia; e quanto noi siamo degni di un miglior destino. Fate di stare allegramente ,. Il Bellocco, nativo di S. Giorgio Canavese, era allora chirurgo in capo della legione piemontese. Dopo che il 22 fruttidoro (8 set- tembre) venne in Francia istituita una legione straniera, col nome d’Italica, il Bellocco chiese di esserne il chirurgo maggiore, e il Botta il 16 annebbiatore dell’anno 8° (7 novembre 1799) lo rae- comandava al Dessaix, perchè gli facesse ottenere quel posto, scrivendogli: “ Il est rempli de talents “ et de zèle, et excellent républicain. Il a été long temps enfermé en Piémont pour cause de patrio- “ tisme; et long temps avant il m'a rendus des services éclatants dans la circonstance de ma “ détention en Piémont ,. Il Rigoletti, anch'esso di S. Giorgio Canavese, divenne poi cognato del Botta, avendo sposato Giannina Viervil di Chambéry, sorella d’Antonietta moglie di lui. A Grenoble si trovava anche Filippo Rodini, al quale scrisse: “ Che, la nazione piemontese sia degna, quanto “ qualunque altra, della libertà, e meriti d’essere amata da molti, tutto il mondo lo sa, e lo sanno “ pure, credilo, tutti i veri patriotti francesi. Il sangue che abbiamo sparso dai primi tempi della ‘ Rivoluzione fino agli ultimi, ed il coraggio che abbiamo mostrato in ogni occasione più perico- “ losa ne fanno sufficiente fede. Non bisogna rimanersi a qualche ciancia di qualche vano millan- * tatore, che bisogna più compatire, che notare. Il mondo intero e la posterità ci renderanno “ giustizia ,. Cfr. Borra, Lettere inedite, Faenza, Conti, 1875, pp. 146, 154 e 188. R 95 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 309 To so che avanti i 29 pratile avrete fors'anco voi sofferto delle peripezie, ma in oggi che il triumvirato oligarchico è caduto, che i veri patrioti trionfano, questo vostro silenzio non mi pare degno di voi e dell'amor che portate al bene della cosa. Di più, gli stessi nostri compatrioti, i quali sanno la vostra missione, accusano l’Am- ministrazione quasi che non avesse pensiero per il ben publico. Di più, i rifugiati Piemontesi si trovano in estrema miseria; e l’ Amministrazione, che (come voi ben sapete, non ebbe mai fondi, salvo di 30 mila lire in biglietti, coi quali dovette far fronte alle spese, pendente il suo soggiorno in Piemonte) si ritrova anch'essa al sommo angustiata, tanto per la sua giornaliera sussistenza, che nel non poter soc- correre gli infelici suoi compatriotti. A questo riguardo vi si scrissero più lettere, e particolarmente ieri, onde non dubito che a quest'ora avrete fatto le opportune di- mande per il nostro sollievo. Sarà egli vero che avremo ancora una gran Repubblica in Italia? Vorrassi final- mente badare alla cosa e si lascieranno nel meritato obblio gli oscuri intriganti ed egoisti? Ho letto la tantafera del noto A. H. (1). Quanto farebbe meglio costui ad insegnar la danza! Non vorrei però che altri intriganti, di maggior talento, imbro- gliassero le carte. Avvertite che il re Gianmaria scriveva a Bossi, in data dei 25 pratile, di accelerare il viaggio per costì, mentre credeva molto necessaria la sua presenza. Ora che il Governo vuole vedere i conti degli agenti d’Italia, perchè non producete il conto del Governo Provvisorio ? Cavalli lo ha seco. Aspetto con ansietà qualche vostro riscontro. Nuove d’Italia non ne abbiamo, ma una sorda voce vuole che Macdonald abbia avuto qualche rovescio. Fenestrelle non è che legger- mente bloccato e vi è ancora corrispondenza con Brianzone. Addio. ‘ Vostro aff®° amico Pico. N49 Al Amministrazione generale del Piemonte, Brianzone. Parigi, li 19 messidoro anno VII (7 luglio 1799). Abbiamo ieri ricevuta la vostra in data delli 16 messidoro. Quantunque paia negligenza la nostra il non avervi più scritto dopo li 18 prereale sino ai 4 messi- doro, dovete però osservare che in quel frattempo, essendo affatto privi dei vostri riscontri, non sapevamo dove indirizzarvi le lettere. E solo abbiamo scritto a Pelis- seri al quartier generale, dove aveva indicato essere diretti i suoi passi. Speriamo che d’allora in poi avrete ricevute regolarmente le nostre missive. Ieri fummo accertati, per mezzo di una lettera del cittadino Delcher, capo della corrispondenza italiana agli affari esteri, che in conseguenza delle due nostre me- morie presentate al Ministro, l'una riguardante gli ostaggi, e l’altra i sussidii, il Direttorio si era determinato, quanto ai sussidii, stante la scarsezza del denaro, di (1) Augusto Hus era nato a Torino l’11 luglio 1769 di padre e madre francesi, maestri di ballo; anch'egli fu ballerino, e finì la vita a Napoli, coreografo del teatro S. Carlo. Giacobino dei più focosi, fece e scrisse cose da forsennato. 310 GIOVANNI SFORZA $ 96 farci partecipare alle 200 mille lire fissate per i Cisalpini; e quanto agli ostaggi, di far dichiarare dai generali francesi in Italia a Souvarow, che gli ostaggi piemon- tesi verrebbero trattati in Francia nella stessa guisa che lo sarebbero stati i pa- triotti in Piemonte; assicurandoci intanto che erano quelli guardati strettamente a vista. Non avendoci tal dichiarazione, come ben vi potete credere, soddisfatti, fecimo nuove premurose istanze, perchè non solo guardati a vista, ma imprigionati fossero i suddetti ostaggi, così venendo ora trattati i patriotti dai nobili del Piemonte. Sta- mane però essendo da Joubert, gliene fecimo parola, e ne assicurò egli che ci avrebbe infallantemente provvisto. Dobbiamo parteciparvi, pet vostro conforto, averci egli parlato della sua vicina andata in Italia, addomandandoci se non eravamo in intenzione di presto seguirlo. Ci soggiunse che Championnet, il quale avrebbe comandato l’ala sinistra, dovea il primo penetrare in Piemonte ; diedeci il suo indirizzo e consultocci ad andarlo a visitare. Non abbiamo ancora potuto trovarlo in casa. Voi stessi potete argomentare quale armata dovrà calare in Italia, e quali suc- cessi ne dobbiamo sperare, avendo essa per capi due generali di tanta abilità e pa- triotismo. Viva la Repubblica! Il Piemonte sarà ancora ritornato alla libertà da quella mano che sciolse già una volta le sue catene. L'elezione di Bernadotte al ministero della guerra non può a meno di confor- tare tutti i veri repubblicani; non v'ha più dubbio che le armate saranno organiz- zate e provviste di tutto con celerità. A È sempre imminente l’accusazione di Scherer, e la caduta di un ministro. Multi multa dicunt. Nulla di nuovo dell’armata di Svizzera. Moreau, dalle lettere di ieri, ha battuto l’inimico. Di Macdonald non si sa novella. Buonaparte dicesi già avanzato nella Natolia. Salute, etc. BotTA. RoBERTI. N. 20,» - Paris, le 20 messidor an 7 (8 luglio 1799). £ J. M. Musset aux patriotes piémontais, dans ce moment à Paris, chez les citoyens Botta et Robert. Je m’empresse, citoyens, de vous annoncer que les démarches que j'ai faites auprès du Ministère des relations exterieures, d’après les conferences que nous avons eues ensemble, ont eu un pleine succès ainsi que vous le verrez pas la copie ci jointe de la lettre du Ministre des relations, que je regois è l’instant. Je vous invite à la communiquer à tous ceux de vos concitoyens qui peuvent prendre intérét. Salut et fraternité. J. M. Musser. Copie en date du 19 messidor de l’an 7 dea République Frangaise (7 luglio 1799). Le Ministre des relations exterieures au citoyen Musset. Dès que votre lettre du 14 de ce mois m’est pervenue, citoyen, j'ai éerit au DS Ministre de la Police générale pour l’'inviter è faire resserer les otages piémontais. 97 CARTEGGIO DELL’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 311 Jai en mème tems engagé le Ministre de la guerre è faire connaître aux généraux ennemis qu'on avait les moyens de venger sur leurs amis les maux qu’ils feroient aux amis de la République. Voila, citoyen, pour ce qui concerne les repressailles. Sur l'article des secours, je crois qu'il y aura necessité absolue de recourir au Corps legislatif pour un fond special. Je presenterai mon rapport au Directoire executif primidi; faites en, je vous prie, part aux patriotes piémontais qui sont à Paris. Salut et fraternité. Signé : Cna. Mau. TALLEYRAND. NI2T All Amministrazione generale del Piemonte, Brianzone. Parigi, li 21 messidoro anno VII (9 luglio 1799). Abbiamo ricevute le due vostre in data l’una delli 9, l’altra delli 10 corrente. Non si dilunghiamo sulle ragioni che hanno cagionato il ritardo delle nostre lettere, avendovele già fatte presenti nella precedente nostra. Questa mattina abbiamo visto Championnet, il quale avendoci accolto cortese- mente, ne significò le sue intenzioni di favorire i patrioti ed i veri amici della libertà; soggiunse poi che sarebbe partito fra cinque o sei giorni per Chiamberì, donde scen- derebbe in Piemonte con un'armata. Non mancheremo però quest'oggi di ritornare da esso, come pure da Joubert, per communicare ad ambidue le notizie inviateci su Fenestrelle. Da due giorni si sono aperte le Società popolari, un nuovo entusiasmo si mani- festa fra i patriotti di questa commune, che fa presagire ottimi futuri eventi. Malgrado le nostre continue istanze per i soccorsi, non sono ancora accordati, ed a questa remora molto contribuiscono le variazioni che si pretendono prossime nel ministero. Salute, ete. BorTA. 4 RoBERT. N12 LIBERTÀ EGUAGLIANZA Grenoble, 22 mietitore 7° Repubblicano e 1° della Libertà Piemontese (10 luglio 1799). Pico ai cittadini Botta e Robert. Sempre privi, tanto io, che l’Amministrazione, di vostre lettere, non ci stan- chiamo però di tenervi al corrente delle cose che si succedono in queste parti e nel Piemonte. Più di 600 infelici compatriotti gemono nelle carceri del Piemonte ed alcuni di essi sono già incamminati alla volta della Siberia. I deportati nobili dalla Francia 9312 GIOVANNI SFORZA 98 ripassano in Piemonte e abbiam scoperto che il Principe di Carignano (1) doveva far lo stesso, e che già erasi portato in Aiguebelle. Ne abbiamo dato avviso ai gene- (1) Mentre gli altri ostaggi piemontesi vennero relegati a Digione, al Principe di Carignano fu assegnato per residenza Chaillot presso Parigi, “dove , (al dire del Perrero) © godeva una li- ‘“ bertà relativa. Sgraziatamente quella libertà gli tornò più che altro dannosa, avendone strana- * mente abusato con una condotta morale e politica al tutto disdicevole alla sua persona e famiglia, * del pari che alla sua stessa salute, che già molto vacillante per l’addietro, cominciò d'allora a “ precipitare di giorno in giorno. L’infelice successo delle sue tenerezze democratiche non lo ave- “ vano nè disingannato, nè scoraggiato, anzi, sia che il soggiorno in quel focolare divampante del ‘ republicanismo l'avesse vieppiù infpeolato, sia che sì studiasse, esagerando il suo zelo repubbli- * cano, di far vedere l'ingiustizia dei sospetti concepiti a riguardo di lui e del suo modo di pen- sare, fatto"sta che si mostrava di nuovo, e più che mai spasimante delle novità del giorno e dei più rinomati loro fautori e rappresentanti, specialmente patrioti piemontesi emigrati, accoglien- “ doli con premura in casa sua in conviti ed in convegni, ne’ quali le proposizioni più strane veni- “ vano dibattute e risolte in modo più strano ancora sotto l'impressione di ardenti declamazioni ed invettive, che ben sovente davano alla casa del Principe tutta l'aria d'un club dei più clamo- € rosi... Al re Carlo Emanuele, a cui le informazioni di siffatti andamenti pervenivano da varie “ parti, sapeva malissimo che un principe del sangue, sì prossimo al trono, desse al mondo uno “ spettacolo sotto ogni rispetto scandaloso. Onde stimò di por subito mano a quelle misure che gli “ parvero acconce per farlo al più presto cessare. Cominciò anzitutto con un provvedmmento alla © oni adozione aveva lungamente resistito, e fu quello di far mettere, per mezzo della Camera dei “ Conti, sotto la mano regia tutto il patrimonio del Principe, da amministrarsi da una giunta spe- “ ciale, alla quale venne proposto il presidente conte Pullini. Nel tempo stesso, per mezzo di per- “ sone confidenti del Principe, gli fece intendere che il tutto verrebbe di nuovo rimesso a dispo- € sizione di lui, qualora, procuratagli la licenza del Governo Francese, si risolvesse, abbandonata € Ja Francia, di ritirarsi colla famiglia in quella città della Sassonia, che l’Elettore, sulla istanza ‘ che gliene sarebbe fatta, fosse per assegnargli. Questo trattato, malgrado le. molte e serie diffi- “ coltà che presentava, sortì l'esito desiderato; al quale conferì non poco la Principessa, che, per “ quanto dividesse molte delle idee politiche del marito, serbava però molto maggior moderazione; “ d'altra parte poi non si dissimulava punto che la salute del Principe, colpa soprattutto di quella “ vita agitata, andava ognor più scapitando, e che essa stessa (allora appunto incinta della Princi- “ pessa Maria Elisabetta) aveva più che mai bisogno di trovarsi in un ambiente più calmo e tran- “ quillo. Le cose pertanto si avviavaro a buon fine. Il conte di Valesa, il 9 del 1800, scriveva al “ cav. Tonso: Le Prince de Carignan, par lentremise de la Prusse, va obtenir de sortir de la France “ ct de se retirer en Saze, où VElecteur le recerra pourvu qu'il habite une ville de province. I prepa- tivi della partenza erano ormai a buon termine, il giorno di essa stava per fissarsi, e la villa di provincia, dove il Principe doveva risiedere, era già stata assegnata ed accettata; ed il conte di ‘hialamberto, ministro principale del Re, scriveva il 18 febbraio al Duca d’Aosta, non senza una certa soddisfazione: Le comte de Valaise nous mande, que le Prince de Carignan est parti de Paris [la partenza, invece, non aveva ancora avuto luogo] et s’'arretra à Leipsik, apparement pour attendre les ordres du Roi [era questa la ‘città assegnatagli dall'Elettore]. L’Electeur de Saze lui a permis de se ritirer dans ses états, mais ne lui permettra plus d’aller à Dresde, aiant désapprouvé sa con- duite. Le Roi ecrira à ce sujet à l'Electeur samedi prochain, le remerciant de l’asile qu'il a bien voulu accorder à ce Prince et des ménagements adoptés pour marquer que Von ne sauroit approuver sa conduite. En méme temps le Roi lui fera sentir qu'il n'aimeroit pas que le Prince eut l’education de “ son fils ainé, et laissera le choix à VElecteur ou de le faire eduquer lui méme, ou de permettre qu'on rappelle en Piémont ce petit prince, pour etre confié aux soins des personnes que le Roi choisira pour son education. Ma ecco che in quella appunto un fatal colpo sovverte tutti i disegni fatti, del quale la Principessa subito informava il Re direttamente colla lettera seguente del 20 febbraio : L'espoir que mon mari avoit de se rendre sous peu en Saxe, lui a fait differer jusquà ce moment le devoir, qu'il se proposoit de remplir à son arrivée dans ma patrie, d’écrire à Votre Majesté. Peu de jours avant celui auquel était firé nòtre départ de Paris, il eut le malheur d'éprouver une attaque de paralisie, qui le prive de l'usage du bras et de la jambe gauche. Ne prévoyant pas actuellement l'Hpoque à laquelle il sera en état de accomplir le dessein qu'il avoit formé, il me charge d'étre son * interpròte auprès de V.M. pour lui annoncer le nouveau malheur qui l'accable, et lui renouveller les r e (a R e DO 99 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 313 rali che comandano alla frontiera e speriamo che gli anderà fallito il suo progetto. Più lettere vi avevamo scritto a questo riguardo all'oggetto che aveste fatto pre- sente al Governo Francese i mali trattamenti dei nostri compatrioti e lo portaste a dichiarare la rappresaglia sui deportati; ma nemmeno a ciò ebbimo risposta. _ Più di 1000 infelici compatrioti e fra essi gli istessi Amministratori gemono nella miseria. Si era pur scritto a voi più volte per ottener qualche sussidio, ma nemmeno una risposta. Possibile che vi siate dimenticati d’ esser Piemontesi. Non lo voglio credere; conosco abbastanza il vostro cuore e la vostra energia, ma per carità scrivete qualche cosa. Perchè non tuonate contro i dilapidatori che mangiarono le sostanze del Popolo Piemontese? Perchè non mostrate il conto reso dal Governo Provvisorio? I Cisalpini fanno ogni possibile per la lega d’Italia in una repubblica, e noi dobbiamo sapere da tutt’altri che da voi cos’ essi fanno a Pariggi. Perchè non secondare i passi di coloro che potranno portare maggior felicità al Piemonte? Perchè non stampar memorie, parlare, ecc. ? Botta tu hai pianto nel perder il nome d’italiano, ed ora cosa fai? Salute ed amicizia. Pico. N. 23. All Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, 24 messidoro anno 7° (12 luglio 1799). Abbiamo ricevuto ieri la vostra dei 17 corrente, ch’è la nona di quelle che ab- biamo da voi ricevuto. Noi non abbiamo mancato di rispondere a ciascheduna con altrettante nostre, sempre dirette a Brianzone, e questa è l'ottava che vi scriviamo, oltre ad un’altra scritta a Pelisseri al Quartier generale, in data dei 30 pratile. Le nostre a voi dirette sono in data dei 5, 9, 12, 14, 16, 19, 21 messidoro. Speriamo che le avrete tutte ricevute a quest'ora. “ assurances de son respecteux attachement. È notevole la cura posta anzitutto nello scusare il Prin- “ cipe dell’avere omesso di scrivere al Re la sua partenza da Parigi. Il Principe più non si'riebbe di quel colpo, che sei mesi dopo, cioè il 16 agosto 1800, lo trasse alla tomba nell’età di soli anni trenta circa ,. Cfr. Perrero D., I genitori del re Carlo Alberto; in Il Filotecnico , rivista mensile di scienze, lettere ed arti, pubblicata dalla Società Filotecnica di Torino, ann. I, fasc. IV, 15 marzo 1886, pp. 155-157. Il proposito del re Carlo Emanuele IV di fare educare egli stesso il figlio primogenito del Principe di Carignano non sortì l’effetto desiderato. Vittorio Emanuele I, il 15 maggio del 1804, scriveva al Duca del Genevese, suo fratello : “ Vous savez que le roi Charles a fait le possible pour “ avoir dans les mains le petit Prince de Carignan, et qu'il n’a pas pu ,. Fece anch’egli ogni sforzo, ma del pari senza frutto, per indurre “ la Princesse jacobine de Carignan , a consegnargli il figliuolo, “ qui seroit sans contredit mieux élevé chez nous que chez elle ,. Anche il Duca del Genevese (il futuro re Carlo Felice), come sì ricava da una lettera sua a Vittorio Emanuele I, del 23 giugno di quell’anno, si augurava che “le petit Prince de Carignan , potesse avere “ une meilleure édu- “ cation de ce que malheureusement il a ,; non senza soggiungere che il padre di lui fu “ un grand “animal, e sua madre “ une très mauvaise téte ,. Cfr. Perrero D., Gli ultimi Reali di Savoia «del ramo primogenito ed il Principe Carlo Alberto di Carignano, studio storico, con documenti ‘inediti, Torino, Casanova, 1889, pp. 24-25. Serie II. Tom. LIX. 40 4 “ Sl4 GIOVANNI SFORZA 100 . = Non cessiamo di fare le più premurose istanze perchè vengano accordati i chiesti soccorsi ai nostri compatriotti rifugiati in Francia. Sono tre giorni che abbiamo par- lato al cittadino Delcher, pregandolo di sollecitare l’esito di quest’affare presso il ministro, ed egli ci disse, dovere esso ministro in quell’istesso giorno farne il rap- porto al Direttorio, proponendogli un messaggio ai Consigli. Questo messaggio non è ancora stato fatto, ma speriamo voglia esserlo trappoco. Abbiamo poi parlato su di ciò a vari rappresentanti, i quali tutti ci dissero ch'è troppo giusto, e che, fatto il messaggio, non incontrerà la cosa nei Consigli nè difficoltà, nè ritardo. Pare ab- biano l’idea di fare distribuire questi soccorsi dalle Amministrazioni centrali dei Dipartimenti dove sono rifugiati gli esuli piemontesi. î I vari generali, tra i quali il Joubert ed il Championnet, ed i rappresentanti, i quali sono stati da noi parlati della situazione della nostra sgraziata patria e del modo con cui vi si dovrebbe procedere dalle truppe repubblicane nel nuovo loro in- gresso in essa, non ci hanno mai indicato l'intenzione loro, nè del Governo, di mettere a fuoco e sangue il Piemonte; e potete credere che nissuna vendetta sarà presa, se non se contro di quelli, i quali saranno presi colle armi in mano, o contro tamente nei loro animi, ed è cosa sicegme impolitica e pericolosa, così anche con- i capi delle insurrezioni. L’idea di n e trarre ad eccidio non entra cer- traria alle intenzioni di chi governa. Vi abbiamo già notificato per le mostre antecedenti che l’ opinion pubblica, come anche quella di molti rappresentanti, si è di formare dell’Italia una sola, o al più due Repubbliche; del Piemonte si dubita, o almeno una parte di esso, se sia per appartenere alla Repubblica Francese, od alla Italiana. Comunque sia, noi non ces- siamo mai di dimostrare che qualunque abbia ad essere il destino del Piemonte, egli è necessario, per prevenire i mali, di cui siamo stati finora vittima, ch’esso destino sia determmato prontamente, e venga così tolta quell’incertezza fatale, che finora tenne con tanto danno sospesa la nazion Piemontese. Non vi possiamo abbastanza esprimere l'entusiasmo che si manifesta nella Società popolare di questo Comune. Vi è sempre una folla’ innumerevole di popolo, tra il quale moltissimi operai, e vi si pronunciano bellissimi discorsi sul destino della, patria, e massimamente contro i delapidatori delle sostanze pubbliche. Codesti vagheg- gini, detti volgarmente muscadini, ne hanno gran paura di questa Società e cercano screditarla chiamandola Società di Giacobini. Ieri sera gridavano essi, in numero di mille e più, attorno alla Società, la quale siede nell’antico locale dell'Assemblea nazionale, a bas les Jacobins, e vollero far tumulto. Ma furono parate e nulla più, e la Società ha continuato, tranquillamente e con maggior calore la sua seduta. Abbiamo rimesso al Ministro una memoria in proposito del sale, a norma di quanto ci scrisse il vostro segretario generale. Abbiamo ieri mattina incontrato casualmente il cittadino Bossi. Il cittadino Luigi Paroletti (1) è qui da parecchi giorni. Egli partì da Torino il dì primo corrente (1) Luigi Paroletti nacque il 4 novembre del 1765 a Torino, dove morì il 27 ottobre del 1828. Prese in moglie Camilla figlia di Michele de Blasco, zio di Giulia Beccaria madre d’'Alessandro Manzoni. 101 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 315 (19 giugno) e venne in abito da prete, con breviario in mano, per la valle di Lanzo nel Monte Bianco. Egli narra che poche sono le case danneggiate dal bombarda- mento ordinato dal Fiorella, ma che niun discorso può descrivere adequatamente l’orrore di quella giornata. Il romore delle artiglierie, gli scoppi delle bombe e delle granate, l'incendio delle case, che non si aveva modo alcuno di estinguere, per avere il Fiorella fatto trasportare tutte le pompe nella cittadella, le bande dei paesani, che, colli stili in mano e coronati di alloro, andavano saccheggiando la città, fecero uno spettacolo così terribile, da spaventare anche i più coraggiosi. Fu, per quanto ci afferma, l’abbate Caluso che ha ottenuto dal Suvarow, che si mettesse fine al sac- cheggio. Venticinque mila nemici erano venuti, all'insaputa del Fiorella, sopra la città. Glielo annunciano ed ei pretende che la città si difenda con quindici o venti francesi che stavano di guardia alle porte, e senza artiglieria sulle mura. Intanto le artiglierie nemiche poste sul Monte cominciano a fulminare ed una bomba mette fuoco ad una delle case situate dirimpetto la Porta di Po. Quell’ incendio fu il se- gnale della sollevazione, e si aprono le porte al nemico. Si grida dappertutto morte ai Giacobini, ed i paesani armati e gli usseri nemici mettono a sacco la misera città. I nobili, i loro famigli, i preti ed i falsi patrioti applaudono. Il padre Evasio Leone compone un sonetto in lode del Suvarow, chiamandolo eroe del secolo e libe- ratore del Piemonte. Il Suvarow gradisce il sonetto e manda in prigione il frate (1) a motivo degli altri sonettini tanti ch’esso frate ha composto prima, per la libertà. Speriamo che avrete ricevuto la nostra, colla quale vi ragguagliavamo dei passi da noi fatti perchò venissero assicurati gli ostaggi piemontesi in Francia 6 si si- gnificasse al comandante delle armate nemiche in Piemonte ch’ essi sono risponsa- bili nelle loro persone dei trattamenti fatti ai patriotti in Piemonte. Championnet parte quest'oggi per costà. Procurate di vederlo. Joubert deve partire alla volta di Nizza per raunare le truppe di quei dipartimenti e calare quindi in Italia. Noi speriamo grandemente che questi due grand’uomini siano per liberare dai barbari la nostra patria. Abbiamo comunicato a molti l'estratto del conto del Governo Provvisorio ed il dettaglio di tutte le somministranze fatte dal Piemonte ai vari eserciti francesi. Queste cose saranno esposte vivamente nella Società popolare e correranno fors’anche sui giornali. Ci giova credere che i ladri non rimarranno impuniti. Salute, ecc. BorTA. RoBERT. (1) Evasio Leone di Casale Monferrato (1763-1821), dell'Ordine de’ Carmelitani e in grido in tutta quanta l’Italia per la traduzione del Cantico de’ cantici, si segnalò durante la rivoluzione per il suo ardore giacobino, che voleva poi far dimenticare inneggiando con un sonetto il Suwarow vittorioso. Non fu messo in prigione, ma esiliato da Torino e relegato per sei mesi nel convento di Asti. Cfr. Srorza Gio., L'indennità ai Giacobini piemontesi perseguitati e danneggiati (1800-1802); nella Biblioteca di Storia italiana recente, II, 371-373. 316 GIOVANNI SFORZA i 102 N. 24. LIBERTÀ i EGUAGLIANZA Grenoble, li 26 mietitore anno 7° repubblicano (14 luglio 1799). L’ Amministrazione generale del Piemonte alli cittadini Botta e Robert. Penetrata l’Amministrazione del più vivo dolore nel vedersi costantemente priva di risposte alle tante lettere che vi scrisse, spera che il cittadino Taraglio, uomo di conosciuto patriotismo e probità, il quale vi rimetterà la presente, la farà escire una volta da quell’oscurità in cui si trova nella circostanza che vede, or qui, or là, delle vostre lettere, mentre essa è posta nella più perfetta dimenticanza. Siecome il detto cittadino fu a Torino dopo la resa della cittadella, perciò vi darà tutti quei dettagli che potete desiderare, e siccome ha veduto qui l’infelice situazione dei vostri confratelli, perciò ve ne farà pure il lagrimevole racconto. Cittadini, lo stato dei rifugiati Piemontesi è addolorante: privi d'ogni mezzo di sussistenza, dopo d’aver sostenuto con tanto zelo e col loro sangue la libertà in Piemonte e dopo d’aver di- sputato al nemico il terreno piemontese palmo a palmo, si trovano in Francia man- canti di tutto. L'Amministrazione, che non solo non è capace di venir a loro soccorso, ma che ne abbisogna per essa; i Cisalpini, guidati da Fantoni (1), che tentano ogni mezzo per deprimerci, e questi sono appoggiati a Pariggi, mentre da noi non si sa cosa facciate costì; eccovi il nostro luttuoso quadro. Con questo mezzo vi sì ripetono le tre seguenti commissioni: 1° Di ottenere un sussidio ai Piemontesi consimile a quello della Cisalpina; 2° Di procurare l’ameglioramento della sorte di quei nostri patrioti che ge- mono nelle carceri di Torino, col minacciar il nemico di rappresaglia sopra gli ostaggi che sono in Francia; 3° Procurar di sapere qual possa essere la nostra esistenza politica e dir- cene qualche cosa. i (1) Giovanni Fantoni di Fivizzano [1755-1807], celebre tra’ poeti del secolo XVIII col nome arcadico di Labindo. Convinto e fervente apostolo delle idee novatrici, prese a propugnarle e pro- pagarle con coraggiosa fidanza. Nel 1796, da Reggio, appena ebbe rizzato l’albero della libertà, passò a Modena, divenuta anch'essa repubblicana; corse a Bologna, a Milano, a Genova, a Venezia; fu l'ideatore dell'impresa di Montechiarugolo, in cui per la prima velta un pugno d’italiani si cimentò in campo aperto contro gli austriaci. Accortosi che i francesi, sotto l'apparenza di fratelli venuti a portarci la libertà, altro non erano che nuovi e insaziabili conquistatori e depredatori, tuonò come folgore contro di loro, che lo imprigionarono a Modena e due volte tornarono a imprigionarlo a Milano. Quando si volle fare del Piemonte un dipartimento francese ed i giacobini piemontesi si prestarono docili e compiacenti alla tresca, dando mano col più cieco e incosciente fanatismo all'opera scellerata, volò a Torino, e con la gagliardia del volere, la sagacità del consiglio, la cal- dezza della parola, la temerità del coraggio fece, ma indarno, quanto a uomo è dato di fare perchè quella parte nobilissima d’Italia restasse terra italiana. Da’ giacobini piemontesi fu ripagato con l'odio più feroce, e da’ francesi venne messo in prigione; poi relegato a Grenoble, dove con molta fortezza patì la miseria; indomito sempre, fedele sempre all’ideale suo d’un’Italia grande, libera, indipendente, padrona di sè e de’ propri destini. Cfr. Srorza G., Contributo alla vita di Giovanni Fantoni (Labindo), Genova, tipografia della Gioventù, 1906; in-8° di pp. 378. — La commemorazione del 1° centenario della morte di Giovanni Fantoni. Fivizzano, 29 settembre 1907, Pistoia, tipo—lito Sinibuldiana, 1908; in-8° di pp. 68. i cd 108 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 317 Qui compiegata troverete una lettera del cittadino Gariazzo in risposta alle dimande che voi avete fatte al Commissario di Gap. Il cittadino Taraglio è incaricato di qualche commissione presso il Direttorio esecutivo; siamo persuasi che non mancherete di prestarle nell'esecuzione di essa tutta la vostra assistenza. P.S. Finalmente si è ricevuta una vostra, diretta al cittadino Geymet, il quale essendo a Ginevra, dove ha condotto la sua famiglia, perciò si è aperta. Le nuove in essa ci paiono consolanti, e avressimo bisogno di vederle avverate, mentre siamo assolutamente ridotti ad un miserabile stato. L’Amministrazione è pure della stessa vostra opinione di non voler partecipare dei sussidi concessi ai Cisalpini, mentre fra le molte ragioni di rifiutarli, vi entrerebbe anche una delicatezza per nostra parte, di dover chiedere i soccorsi a chi ci odia cordialmente. Credete che l’impolitico e fanatico Fantoni, seco giunti i Dell’U e qualche pie- montese, giovinastro peraltro e da tenersi in niun conto, tentano ogni strada per avvilire la nazion Piemontese, nel mentre appunto in cui essi domandano per ogni verso la riunione del Piemonte alla loro repubblica. Si possono dare bestie simili? Preme assai che mettiate sott'occhio la trista situazione dei Piemontesi e che ci diciate qualche cosa per nostro governo. A tal fine vi acchiudo lettera per Anto- nelle, che ho conosciuto a Pariggi. Salutatelo, come altresì Drovet, il generale Fion e Puget de Barbantone. Sopra tutto Vattar, Villetard et Felix Lepelletier. Ora sì che sorrido, ora che si possono nominare questi nomi palam et aperte. Oltre ai menzionati nella nota del cittadino Gariazzo e rifugiati in Gap, ve ne esistono pressochè in pari numero in ciascheduno dei seguenti paesi: Chiamberì, Nizza, riviera di Genova, Guillestres, Aubriez ed altri paesi della Francia, oltre il corpo Trombetta. Siccome siamo sicuri che questa lettera vi perverrà, perciò speriamo di averne quanto prima l’opportuna risposta. Salute repubblicana. RossienoLI, Vice Presidente. Pico, Segretario capo. N. 25. i All Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, 27 messidoro anno 7° [15 luglio 1799]. Abbiamo ricevuto ieri una lettera del vostro Segretario generale, data da Gre- noble addì 19 corrente. Speriamo che a quest'ora avrete ricevuto tutte le nostre let- tere, delle quali vi abbiamo fatto l’enumerazione nell’ultima nostra dei 24, indirittavi costì, con soprascritta a cotesta Amministrazion centrale dell’Isera. Il vostro Segre- tario generale si lagna con noi del nostro silenzio; se le poste vi avranno recato le nostre lettere, speriamo che sarete persuasi non mancare in noi quella diligenza che al nostro uffizio è richiesta. Noi non cessiamo, e non abbiamo mai cessato di sollecitare i soccorsi pe’ nostri infelici compatriotti. Da molto tempo la memoria fu presentata al ministro, il quale stava per riferirla al Direttorio. D’allora in poi quasi ogni giorno andavamo alle relazioni estere per essere informati di quanto occorreva, 318 GIOVANNI SFORZA 104 e per fare muove instanze. Gli affari premurosi e molteplici sì d’esso ministro, che del Direttorio sono quelli che hanno finora ritardato l’esito di quest’ affare. Questa mattina abbiamo parlato coi cittadini Delcher e Paganel, i quali ci promisero di rammemorare quest'oggi l'oggetto al ministro. Non abbiamo mancato nè di zelo, nè di diligenza per fare in modo di ottenere un pronto e favorevole esito. Ci dispiace grandemente che voi crediate, e credano i nostri compatriotti, che noi non abbiamo corrisposto alla vostra aspettazione, e desideriamo che altri possa riuscire meglio di noi. Il cittadino Paganel ci disse che il Governo s’interessava moltissimo pegli pa- triotti stranieri venuti in Francia a cercar asilo; ma che esso Governo desiderava che i medesimi se ne stessero tranquilli e non s'immischiassero in nissuna maniera negli affari interni della Francia; e ci consigliò a far sentire ai nostri compatrictti un simile desiderio. Noi abbiamo risposto che non credevamo che fra noi piemontesi vi esistesse alcun uomo di brighe, che potesse in un minimo che dar ombra al Go- verno, e che nissuno più di noi menava un genere di vita ritirata e tranquilla. Il cittadino Cavalli ha presentato il conto del Governo Provvisorio al Direttorio, e noi lo abbiamo fatto noto a parecchi rappresentanti. Ieri abbiamo veduto il cittadino Mansoro, già incaricato d’affari del Re di Sar- degna e poi del Governo Provvisorio presso la Corte di Spagna. Egli ha presso di sè gli archivi della legazione; e noi gli abbiamo consigliato di scrivervene, perchè gli notifichiate le vostre intenzioni a tal riguardo. Il generale Joubert è partito ieri sera per recarsi a Nizza e quindi a Genova. Questa mattina il cittadino Frangois de Nantes ha detto al cittadino Botta che fra cinque settimane esso avrebbe bevuto il cioccolatte a Torino. Salute, etc. 9 Botta. RoBERT. x N. 26. ; 4 Al cittadino Pico, segretario generale dell’Amministrazione generale È del Piemonte, a Grenoble. Parigi, 28 messidoro [16 luglio 1799]. Abbiamo ieri sera ricevuto l’ultima tua, data da Grenoble li 22 messidoro, in cui, anche a nome dell’Amministrazione, fai lagnanze sulla nostra pretesa negligenza. Quantunque già nelle altre precedenti abbiamo messo in chiaro le ragioni di un tale ritardo, tuttavia per maggior nostra difesa le ripeteremo ancora più chiaramente. Se dopo la vostra dei 9 pratile da Fenestrelle non aveste lasciato una lacuna nella vostra corrispondenza sino ai 26, che ci avete scritto per mezzo di Dessaix, noi avressimo certamente continuata la nostra, che abbiamo sospesa per non sapere dove diriggervi le lettere, le quali certamente,non potevamo indirizzare a caso. Se aveste continuato la vostra residenza in Brianzone, dove ci avete indicato di scrivervi, avreste regolarmente ricevuto le nostre lettere, le quali cominciarono in data dei 5 messidoro, cioè un giorno dopo aver ricevute le vostre dei 26, 29, 30 pratile, e si continuarono successivamente ogni due o tre giorni sino a quest'ora. 105 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 319 Pare a noi, che combinando queste circostanze dobbiate, rimaner convinti non avere noi in guisa alcuna trasandato il nostro dovere. Intanto alle volte non abbiate ancora ricevuto le passate nostre, ve ne acchiudiamo copia, per darvi una prova più evidente di quanto abbiamo asserito. Il conto del Governo Provvisorio è ormai noto a tutti i più famosi rappresen- tanti ed al Direttorio stesso. Avete certamente sentito come si tuona nei Consigli contro i dilapidatori, e avreste potuto credere che ci entra qualche cosa del nostro; perchè non abbiamo mai mancato di descrivere a tutti coloro, che abbiamo visitato, le orribili rapine da vari agenti esercitate sopra del misero Piemonte. Continuamente andiamo gridando: unità di Repubblica, convenzione italica, libertà agl’Italiani di adottare quella costituzione repubblicana che sarà di loro maggior grado e conve- nienza. Vi possiamo assicurare che vari rappresentanti sono stati tratti al nostro parere dall’evidenza dei nostri ragionamenti. In questo momento si stampa una nostra memoria su tale oggetto, che vi faremo pervenire. Ci siamo intesi su di questo pro- posito con parecchi de’ Cisalpini, e credete che non cediamo di zelo a nissuno. Ma volesse il cielo che non si parlasse più di Cisalpini, Toscani, Romani, Piemontesi, ecc. ma il nome italiano fosse l’unico ed il solo nostro nome. Il Carlo Botta non si dimentica certamente di esser nato Italiano e tanto se ne ricordò che il Duval l’ha voluto cacciare. Volesse pur il cielo che il vicino secolo vedesse nascere una-Repub- blica Italiana a canto alla Francese e con la medesima di stretti vincoli congiunta, onde potessero comandare a loro volontà la pace, o la guerra, e la felicità del ge- nere umano! Botta ti ha scritto addi 9 corrente a Brianzone. Sentendo dalle tue lettere che i deportati piemontesi ritornano in Piemonte, quantunque abbiamo già insistito sulla necessità di serrargli strettamente, tuttavia fummo sorpresi da timore che non si fosse avuto riguardo alle nostre rappresen- tanze. A tale oggetto perciò Robert si portò subito dal cittadino Delcher per far nuova istanza. Ma restò egli convinto essere falsi i vostri rapporti, dal venirgli pre- sentata una lettera del Ministro della pulizia in risposta al Ministro degli affari esteri in cui lo riscontra aver mandato l'ordine a Digione di guardare strettamente i deportati piemontesi; ed un’ altra del Ministro della guerra da cui coristava essersi scritto ai generali dell’armata d’Italia di far sentire al Suvarow che i deportati piemontesi sarebbero trattati in Francia come i patriotti in Piemonte. Quanto al cittadino Carignano nulla di più falso, perchè egli dimora tranquillamente a Parigi. Il cittadino Delcher in quest'occasione ha assicurato ancora che quest’oggi il Ministro avrebbe fatto nuove premurosissime istanze al Governo perchè vengano accordati pronti sussidj ai piemontesi. Si assicura che Buonaparte, dopo superate tutte le difficoltà, abbia preso S. Gio- anni d’Acri e che marci nella Natolia. Non è fuor di ragione lo sperare anche una possente diversione da quella parte. Ieri, secondo alcuni giornali, furono messi in istato d'accusa gli ex Direttori del Comitato segreto dei Consigli. Salute, etc. . BorTA. RoBERT. 320 GIOVANNI SFORZA i 106 INIST LIBERTÀ EGUAGLIANZA Grenoble, li 3 thermidor 7"° an de la République Francaise et le prémier de la Liberté Piémontaise (21 luglio 1799). L’Amministrazione generale del Piemonte alli cittadini Botta e Robert. Incominciamo al fine a ricevere regolarmente le vostre lettere, mentre anche ieri ci è pervenuta quella de’ 24 mietitore. Si sono perdute le altre delle quali non vi abbiamo accusata la ricevuta. Rinnoviamo le instanze a qualche amico a Brianzone onde rintracciarle in quell’ufficio, di posta. Potete immaginarvi il contento de’ patriotti, ai quali abbiamo partecipate le speranze da voi rinnovellateci d'un soccorso, e potete egualmente immaginarvi l’ar- denza de’ loro desideri di vederle effettuate e realizzate, attese le decise positive miserie nelle quali giacciono. Tutti perciò confidiamo che non rallenterete i passi e le attenzioni al proposito, mentre il bisogno è al grado che si avvicina alla di- sperazione. L'oggetto appunto il più interessante è quello da voi opportunamente manife- stato di decidersi lo stato politico del Piemonte nel primo entrare dell’armata in Italia. Si procurerà anche qui di farne un cenno al generale Championnet, giunto ieri l’altro a sera, per la contingenza che la proposta gli facesse impressione e si muovesse pur egli a farne un cenno nel dispaccio. Lo vedremo questa sera, postochè fin ora è sempre stato occupato. Si procurerà altresì di parlargli del perdono che meritano i piemontesi sedotti, ma non già i pri- mari promotori delle insurrezioni; e della di lui risposta, come delle altre di lui pro- posizioni, vi renderemo consapevoli, onde all'uopo servire vi possano di notizia per i passi costì anche impensatamente occorrenti. Nell'occasione che parlavamo a quest’ Amministrazione del Dipartimento dello stato del Piemonte ne ha essa richiesta una memoria per iscritto. Le si è data e combinerà senza dubbio col dettaglio che accennate d’esservi (ben opportunamente) da voi dato delle somministranze fatte dal Piemonte, perchè le verità non discordano, mai. Ve ne manderemo copia per l'oggetto summentovato, e venne il concio di darla. al segretario del generale Championnet affinchè gliela comunichi. Pensiamo che l’Am- ministrazione suddetta la invierà ai rappresentanti di questo Dipartimento, li quali forse la renderanno pubblica e non sarà trovata discorde (se ben moderata) da quanto abbiamo letto nella gazzetta di costì L’Ami des hommes libres essersi esposto in un scritto (esistente presso l’editore) d'un Amministratore del Piemonte. L'articolo di tal gazzetta vi sarà noto, onde non occorre additarvi che non vi si risparmiano i cittadini Grouchy et Musset. Anche in questo tempio decadario (sulla piazza della Costituzione e nella già chiesa di S. Andrea) si manifesta un vero spirito repubblicano. Quest’oggi v'interverrà per radunanza straordinaria il generale Champ#onnet, che vi sarà ricevuto in modo distinto. Il Circolo si apre nella decade e nel quintidì, ed ogni mattina vi si leggono le nuove. i Speriamo giunto costì in buona salute il cittadino Taraglio, da cui avrete intesi certi dettagli delle notizie del Piemonte ed in specie di Torino. Da qualche individuo, 107 CARTEGGIO DELL’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 321 giunto da tre giorni, si riferisce che i villani cominciano ad ammazzare i Russi, e che da dieci in dodici giorni si batte la cittadella d'Alessandria con grande quantità d’artiglieria (1). Non vediamo mezzi onde possa essere soccorsa, giacchè tutta la [S forza nemica si è radunata da quelle parti, epperciò ben vedete quale sia l’esito che se ne debba temere. A Nella ultima decade ci siamo radunati tutti gli Italiani ad un pranzo onde fra- ternizzare e dissipare qualche ombra di emulazione o dissapore, che sembrava inal- zarsi. Vi fu la maggiore armonia ed una discreta allegria. Dagli Italiani di diverse provincie si sono estese alcune memorie, tutte tendenti a dimostrare i vantaggi dello stabilimento di una sola repubblica in Italia; ma stante il famoso voto emesso dal Piemonte, voi ben comprendete che dobbiamo essere in imbarazzo a risolvere per l'adesione. La memoria da voi presentata sul sale, nulla ci lascia a desiderare, fuorchè se ne eseguisca il contenuto (2). Salute e fratellanza. RossienoLI, per il Presidente. Pico, Segretario capo. N. 28. All’Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, li 4 termidoro anno vir (22 luglio 1799). Privi da lunga pezza di vostre novelle vi riscontriamo di quanto occorre. Ieri il ministro Talleyrand chiese ed ottenne la sua dimissione; sarà rimpiazzato dal (1) Il generale di brigata Gardanne, che comandava la fortezza di Alessandria, si arrese il 21 di luglio. “ Ottenne patti molto onorevoli , (scrive il Botta): “ uscisse il presidio con tutti i ‘ segni d’onore, che danno i vincitori ai vinti, si conducesse negli stati ereditari, vi stesse fino agli “ scambi, avesse Gardanne facoltà di tornarsene in Francia sotto fede di non militare contro i confe- “ derati sino allo scambio ,. Cfr. Storia d’ Italia dal 1789 al 1814; III, 330. La guarnigione uscì infatti “ con tutti gli onori di guerra, per la porta d'Asti, col tamburo battente, colle bandiere “ spiegate, colla miccia accesa e con due cannoni ,, e depose “le armi sulla spianata, costituendosi “ prigioniera di guerra, per esser condotta negli Stati di S. M. l'Imperatore e Re ,. Il Gardanne però, “non meno che l’aiutante generale Louis, cogli aiutanti di campo ed aggiunti e tutto lo stato “ maggiore , subì “ la sorte della guarnigione ,. Così sta scritto ne’ patti della resa. (2) È indirizzato al ministro degli affari esteri e porta la data del 21 messidoro (9 luglio). Nous nous empressons, citoyen Ministre, de vous prévenir d’un inconvénient grave, qui pourrait avoir lieu en Piémont dans la nouvelle occupation du pays par les troupes républicaines. Cet inconvénient est le defaut du sel, qui se faisait déja sentir dans le tems mème que nous etions encore en Piémont. Quoiqu’il paraisse très probable que les Autrichiens en ayent voulu tirer de Venise, il serait pourtant possible qu'il ne fàt pas encore arrivé au moment que l’armée les obli- gerait de quitter le pays. Dans ce cas, on eprouverait un besoin pressant d’un article aussi essentiel, qu'on pourrait réparer avec toute la celérité nécessaire. En conséquence le soussignes seraient d’avis que le Gouvernement frangais donnàt des ordres pour qu'on fit parvenir des dépar- tements méridionaux du sel en Piémont; ce que procurerait le double avantage de pourvoir aux besoins de l’armée à cet égard et a celui des habitants dans les mèmes terres, qu’on procurerait des grandes ressources à l’armée. Car on pourrait echanger le sel contre du bled des bestiaux et autres denrées indispensables. Il parait aux soussignés qu'on pourrait le tirer de l’isle d'Hisres ou il est à très-bon marche et le faire transporter àè Oneille, ou mème a Coni ou l’on pourrait “ le négocier très avantageusement ,. * Serie II. Tom. LIX. 41 322 GIOVANNI SFORZA — 108 cittadino Reinhart, già ministro in Toscana. Non solo alla mancanza di numerario, ma anche a questi cambiamenti dovete attribuire il ritardo dei soccorsi, tante volte dimandati e promessi. Ancora ieri abbiamo dato una nuova memoria, di cui vi ac- cudiamo copia. Il cittadino Bourgignon, pur ora creato Ministro della Pulizia, passerà segre- taro del Direttorio in luogo di Lagarde, che dicono abbia chieste le sue dimissioni e verrà rimpiazzato nel suo ministero da Real. Robert Lindet sarà Ministro delle finanze in luogo di Ramel. L'altro ieri giunse in Parigi il generale Victor; ripartirà, dicono, subito. Dalla da lui narrata sitazione delle cose d’Italia e dalle nuove che ci pervengono dai nostri amici dei rinforzi che arrivano all’armata delle Alpi, noi speriamo un pronto cam- biamento di cose ed il nostro presto ritorno in patria. Salute, etc. Botta. RoBERT. P. S. Sentiamo dai fogli pubblici che Taraglio siasi recato in Torino, e che ora debba venire a Parigi. Vi acchiudiamo copia di uno scritto stampato da noi sull'Italia. N. 29. LIBERTÀ EGUAGLIANZA Grenoble, li 5 termile 7° della Repubblica Francese (23 luglio 1799). Pico ai carissimi amici Botta e Robert. Ho ricevuto la vostra delli 28 mietitore, l’ho fatta ostensiva all’ Amministra- zione, che sì ritrova qui unita, a riserva di Pelisseri, il quale è disertato già fin dal Piemonte, senza che se ne sappia alcuna nuova, e l'ho pure mostrata ai nostri amici, e tutti l'hanno letta con piacere e sommo giubilo. Le. lettere, di cui ce ne avete spedito copia, non si sono ricevute, e veramente crediamo che sieno state ritenute dalla Municipalità di Brianzone, la quale potrebbe sicuramente figurare sotto il regno di Suvarow. In quella città non ho potuto distinguere altri patrioti che il Commissario presso il Tribunale Correzionale, il cittadino Berard, cognominato l’Aveugle. Non ho poi ricevuto la lettera dei 9, scrittami dal caro Botta, e sento con il massimo dei piaceri che il mio Cossolino non si dimentichi diessere italiano, Il Genio della Libertà ricompenserà le tue fatiche e le tue persecuzioni. Sì, caro: i buoni lo sperano, e te lo auguran di cuore per la felicità del genere umano, e non ommettono il caro Robert, vulgo la Pericoldona: Ma torniamo a noi. Qui non si tralascia di lavorare a due braccia nel vostro senso, e già regna una perfetta unione tra gli italiani. Sarebbe però desi- derabile che l’arcipatriotissimo Fantoni non fosse, qui. Ieri è da qui partito il cit- tadino Paribelli, già membro del Governo Provvisorio di Napoli. Egli viene da Ge- nova. Ci portò un indirizzo al Corpo legislativo per domandare la Repubblica italiana una e indivisibile. Rossignoli, io e vari piemontesi abbiamo aggiunto le nostre sottoscrizioni alle tante di altri italiani colà sottoscritti. Quindi il Paribelli partì 109 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 323 per Pariggi ieri sera, con Julien de la Drome, e questi furono scortati da varie let- tere di Bassal e Championnet. Procurate di parlar con Paribelli e con Julien. Io sarei di sentimento che nello scritto che mi avete annunziato stamparsi da voi, aveste ragionato sul voto emesso dai Piemontesi, cioè che questi furono vio- lentati dalle concussioni di Amelot, che domandava il Piemonte paese di conquista; che il Bossi lo strappò dal Governo Provvisorio sotto una specie di meto riverenziale, parendo che il Bossi parlasse colla bocca di Talleyrand, dei Révellière, ecc.; che non fu discussa la questione, com’era dovere in un oggetto di tanta entità; che finalmente non ebbimo altra alternativa fuori quella di dire: mi unisco alla Francia, oppure: no, non mi unisco; cosa che poteva far presa nell'animo dei deboli, come fece, avendo paura di essere considerati nemici dei Francesi, qualora avessero detto no, ecc. Dimani l’Amministrazione risponderavvi e vi farà tenere una copia dello scritto che abbiamo fatto e che è in tutto appoggiato ai documenti originali. Esso è stato spedito al Direttorio da quest’Amministrazione del Dipartimento dell'Isère; il detto scritto è stato sottoscritto da tutti i patrioti piemontesi esistenti in Grenoble, onde lo stipendiato Hus non potrà lagnarsi che le nostre denunzie non siano signate (1). Quel povero uomo potrebbe ben tacere, mentre il suo linguaggio non mi par più di moda, felicemente per noi. Quanto vi abbiamo scritto riguardo al Principe di Cari- gnano ci risultava dalla deposizione di Taraglio, che vedrete in Pariggi e potrebbe perciò meglio informarvi. Onde, non dimenticate i nostri patriotti imprigionati, e sopra tutto i sussidi. Gli Amministratori ed io non sappiamo oramai più come vivere: pensate degli altri. Voi direte che avevamo fondi. Questo è falso, e quel poco che avevamo fu consonto nel soccorrere chi fra noi sarebbe morto di fame. Le ultime nuove portano che da Alessandria in su in tutto il Piemonte non vi sono più di 6 mila Tedeschi; ma la cittadella d’Alessandria è battuta e forse a quest'ora vi è da temere sul suo conto. Abbiamo veduto Championnet e ci fece spe- rare un pronto ritorno in patria. Scriviamo quest'oggi a Joubert, per sapere cosa dobbiamo fare. Voi non potreste illuminarci ? oppure illuminarmi ? Continuate a scri- vere pel canale dell’Amministrazione di Grenoble, che le lettere ci pervengono si- cure. Addio. f Mille complimenti al caro Dessaix, Antonelle, Vatar, Villetard e compagni. + Vostro aff®° amico Pico. N. 30. LIBERTÉ EGALITE Grenoble, le 6 thermidor 7° an de la République Frangaise (24 luglio 1799). L’Administration générale du Piémont aux citoyens Botta et Robert. Nous avons regù, citoyens, la lettre que vous nous avez écrite en date du 27 messidor et notre secrétaire général nous a communiqué celle que vous lui avez (1) Disgraziatamente di questo “ scritto , non n'è rimasta copia tra le carte dell’Amministra- zione generale. 324 GIOVANNI SFORZA î 110 adressée et dans laquelle vous avez fait entrer copie de nombre d'autres. Tout en deplorant la negligence, ou les mauvais intentions de la Commune à laquelle étoit adressée la pluspart de ces lettres qui ne nous sont pas parvenues, nous ne pouvons qu'applaudir è votre éxactitude et à votre zèle. Toutes les nouvelles que vous nous donnez, surtout celles qui regardent Joubert, Championnet et l’Italie rélevent nos ésperances, soutiennent notre courage presqu’abbattu par l’espèce d’abandon où nous nous trouvons. Il est difficile que vous vous fassiez une juste idée de notre position actuelle dans un pays étranger, sans ressources, sans connaissances, sans credit, ayant quitté notre patrie, comme vous le savez, sans avoir eu le tems de prendre les précautions nécessaires pour notre subsistance dans l'étranger; tout notre espoir étoit fondé sur la bienfaisance du Gouvernement Frangais dont nous sommes l'ouvrage; mais il paroit que cette ressource, sur laquelle nous comptions non seulement pour nous mèmes, mais encore pour tous les infortunés attachés à l’ Administration, est encore bien douteuse, du moins elle est tellement retardée, qu'elle nous laisse en souffrance. Nous ne pouvons tirer que des souffrances vagues et peu consolantes de tout: ce que vous nous mandez à ce sujet. C'est pourquoi l’Administration vous charge de rennouveller les plus vives instances auprés du Gouvernement pour qu'il mette è sa disposition à titres de prét la modique somme de 8 à 10 m. francs. Elle vous invite aussi à ne pas oublier nos compagnons d’infortune, qui ne font pas partie de l’Administration ét pour lesquels 15 à 20 m. francs ne seroient pas une trop fort somme. Vous comprenez par le tableau ci-dessus combien il est urgent pour nous de toucher les secours que nous demandons, et nous croirions faire injure à votre patriotisme et à la sensibilité qui vous caracterise si nous insistions davan- tage sur cet objet; seulement nous vous invitons è voir les personnes, qui par leur influence auprès des autorités peuvent hàter l’expedition de ce subside; le citoyen Ginguené entr’autres, est, dit-on, lié avec un des Directeurs, le citoyen Gohier ; il a toujour demontré un vif interét pour la Nation Piémontaise en général et temoigné une affection particulière pour notre Président. Etant sur le lieu, vous étes plus è méme que nous de juger du credit des individus; nous laissons è votre prudence de faire l’usage qu'elle croira convenable de ce que dessus. P Nous n’avons aucune nouvelle interessante à vous communiquer, si non que la citadelle d’Alexandrie continue toujours è étre vivement battue, et qu'on debite ici que le chanoine Masi è été degradé par l’'Evéque de Ferrara et écartelé par les Autrichiens. Une nouvelle qui est plus sùre et dont malheuresement nous ne pou- vons douter c'est qu@après la bataille de Plaisance les Austro-russes ont celebré une fete è Milan et on n'a pas crù pouvoir lè couronner d’une manière plus digne d'eux, qu'en faisant pendre à cette occasion trentedeux patriotes, de tants qu’ils ont entassé dans les prisons de Milan, parmi lesquels on assure qui s’est trouvé l'ex répresentant Reina, que vous connoissiez. Nouveaux motifs pour inviter les Autorités avec des nouvelles-instances à s'assurer des òtages, qui devroient, ce semble, garantir nos malheureux qui gemissent dans les prisons du Piémont, de telles horreurs. Avant-hier nous fàmes saluer le général Championnet; comme il étoit occupé à son courrier, il ne nous donna que quelques instans, dans lesquels cependant il nous dit qu'il ésperoit dans peu nous réconduire en Piémont. Notre Président regoit dans ce moment une lettre de la Suisse, dans laquelle on lui mande qu’il passe conti- 111 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 325 nuellement des considerables renforts. Continuez è travailler pour la chose publique avec la méme activité que vous y avez mis jusqu’ici; travaillons ainsi chacun dans notre poste è bien mériter de la Patrie. Votre position è cette égard a l’avantage sur la notre, et une de nos peines, qui n’est pas la plus petite, est le peu de bien que nous pouvons operer. Tenez nous toujours au courant de tout ce qui peut se passer d’interessant pour nous. Nous écrivons dans la journée au général Joubert, aussi pour savoir ce que nous devons faire. Salut républicain. P. Gevymer, Président. Prco, Secrétaire en chef. NESS LIBERTÀ EGUAGLIANZA. Grenoble, 6 termile 7° della Repubblica Francese (24 luglio 1799). L’Amministrazione generale del Piemonte alli cittadini Botta e Robert. Teri giunse qui un uomo di conosciuto patriottismo e probità, proveniente da Milano da otto giorni, ed assicurò che non è seguita alcuna carnificina di patrioti e che anzi Moscati, il quale si diceva appiccato con Reina, erasi evaso, onde ritrat- tiamo quanto vi abbiamo scritto ieri. Riferisce il medesimo che la guarnigione di Mantova deve essersi provveduta abbondantemente colle varie sortite che fece (1); che il numero dei patrioti in Milano è grande e già comincia a dar segni di vita con essersi perfino tentato di piantar l'albero della Libertà; che dalla cittadella d’A- lessandria si sono fatte cinque sortite per distrurre le opere degli assedianti, il che riuscì. In Milano si vendono gli effetti degli emigrati. Ieri è pure giunto il cittadino Soldano, ginevrino, già impiegato da Musset relativamente ai beni di Malta (uomo, peraltro, di non troppa ingenuità riguardo alla maniera con cui è giunto qui) e rife- risce le sortite suddette d'Alessandria, con aggiungere che una colonna di 10 mila Austro-russi ha voluto forzare il posto di Gavi e che respinti nvn ne ritornarono che 3 in 4 mila al più, inseguiti sino alla Bolmida, d’onde la truppa di Moreau si è poi allontanata. Dice che gli imperiali avendo dovuto levare un corpo di 2 mila dalla parte di Aosta, i Francesi si sono avanzati sino vicino a Bard, e i Tedeschi si sono ritirati sino di quà d'Ivrea. Che l’ex marchese Colli fa l’ avanguardia di (1) Non tardò invece ad arrendersi. Il barone de Melas, generale in capo dell’esercito austriaco, così ne dava avviso al conte Nicolò de Concina, commissario civile a Torino, dal quartiere generale del Bosco il 30 luglio: “ Conseguentemente a un dispaccio che vengo di ricevere dal generale di “ cavalleria barone di Kray, la guarnigione di Mantova si è resa. La capitolazione si segnò il giorno 29 “ del corrente. La guarnigione sortirà il giorno 30 per la cittadella, deporrà le armi e ritornerà in “ Francia fino al suo cambio in tre giorni. Il comandante della fortezza , [generale Latour-Foissac] “ con tutto il suo stato maggiore e tutti gli altri uffiziali saranno inviati per tre mesi in differenti “ provincie della Germania e condotti in seguito, sulla parola d'onore, in Francia, dove aspetteranno “il loro cambio ,. Tl De Concina comunicò questo dispaccio “ al Pubblico , [di Torino], “ ben ceri “ che si metterà a parte dell’esultanza di tutti i buoni abitanti dell’Italia, e con ciò sempre più “ si toglieranno dall’intrigo li pochi fautori della scelleratezza e dell’iniquità ,. 326 GIOVANNI SFORZA È 112 Moreau con un buon numero di paesani. Che l'artiglieria, che batte la cittadella di Alessandria, consiste fortunatamente in mortai da bomba. Che nel Piemonte vi è un gran malcontento contro i nuovi ospiti, i quali sono in numero di 2 mila a Susa, 3 mila a Torino, 300 a Pinerolo, ed il restante, che forma il compimento di 35 mila al più, nelle vicinanze di Alessandria. Seras, il nostro bravo Seras, che comanda sempre in Cuneo, è padrone della pianura sottoposta e si estende sino a Savigliano. Il medesimo ha rimandato a Moreau tre !/, brigate perchè a lui inutili; e soggiunge finalmente che 6 mila Francesi avevano intimato la resa a Ceva, pensando egli che sarà già a quest'ora caduta nelle loro mani. Desideriamo, come potete immaginarvi, che tutte queste nuove si avverino. Questa mattina tutti i patrioti Italiani dovevano tenere adunanza ad invitazione dei Francesi, ma essa si è trasportata a quest'oggi, onde vi renderemo intesi all’opportunità della medesima. Il numero dei patrioti ar- restati in Piemonte è di 1500 sicuramente, Salute repubblicana. P. Gevmer, Presidente. Pico, Segretario capo. N. 32. All’Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, li 7 termidoro anno vi (25 luglio 1799). Gionse ieri il già annunciato ne’ fogli cittadino Taraglio e ci recò la vostra in data delli 26 messidoro. Speriamo che ora avrete ricevute le ultime nostre. La commissione per il Direttorio, di cui il suddetto era incaricato, non ha d’uopo del nostro appoggio, perchè ci disse egli averla già eseguita in Lione. Come ben sapete, in conseguenza delle nostre rappresentanze, gli ostaggi pie- montesi in Digione furono messi in casa di arresto. Ancor ieri ho parlato al cittadino Delcher pei sussidii, e mi assicurò nuova- mente che ben presto il Direttorio avrebbe mandato il messaggio; che la cagione essenziale del ritardo era l'assoluta mancanza dei fondi. Dimani vi condurrò lo stesso Taraglio, perchè lo possa informare verbalmente della penosa situazione dei rifugiati piemontesi, Noi non manchiamo di fare tutto il possibile per ottenere i tanto spe- rati sussidi, ma desidereremmo ardentemente che altri potesse riuscirvi meglio di noi. Ora che il generale LA è in ct potreste ricorrere da lui per ot- tenere un valido appoggi Salute, etc. BorTA. RoBERT. N. 33. All Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, 10 termidoro anno 7° (28 luglio 1799). Abbiamo ieri ricevuta la vostra in data degli 3 corrente. Siamo consolati che vi sia alfin pervenuta la nostra dei 24 messidoro, e questo ci fa sperare che rice- verete anche le susseguenti regolarmente, le quali sono date dei 27 all’Amministra- 1183 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIRMONTE CON CARLO BOTTA 327 zione, 28 al Segretario generale. In questa è acclusa copia di tutte le nostre ante- cedenti e degli 4 e 7 termidoro. Questa è la sesta che v’indirizziamo a Grenoble. Se avessimo cifra vi potremmo più liberamente indicare la giusta cagione del ritardo dei sussidii. Vi notifichiamo però che vedendo, malgrado le nostre indefesse instanze, non farsi il messaggio, abbiamo fatto altri passi e prese altre misure. Già prima di ieri Botta ne parlò caldamente al suo amico Dessaix e a Fran- cesco di Nantes. Dessaix scrisse e raccomandò l’affare verbalmente al Direttore Mulin e ne ottenne favorevole promessa. Robert questa mattina presentò il Taraglio a Francesco di Nantes e Decomberousse, perchè potesse descriver loro le miserie estreme in cui gemono i patriotti piemontesi. Il primo fecegli risposta che il Diret- tore Gohier aveagli promesso di ordinare al Ministro degli affari esteri di fare la relazione di questo affare al Direttorio, ma che ne avrebbe parlato inoltre a tutti gli altri Direttori e che non avrebbe lasciato quell'oggetto di vista finchè ne avesse ottenuto un favorevole risultato. Decomberousse promise anche per sua parte di raccomandare l’affare al Direttore Roger Ducos. Speriamo che tanto voi, che i nostri compatriotti saranno pienamente convinti il non aver mai noi perdonato a fatica o dili- genza alcuna per ottenere i meritati sussidi ai nostri fratelli, e che non tralascie- remo di spingere questo affare con tutti i nostri mezzi finchè ne otteniamo un favo- revole scioglimento, il quale abbiamo fondata ragione di credere che non sarà molto lontano. Ieri la Società patriottica, dalla sala della Convenzione, dov’era prima, si è trasportata nella vue du Bac, perchè essendo nel circondario delle Tuilerie non poteva cadere sotto la sorveglianza del Potere esecutivo. Noi stiamo tuttora in ansietà grande di sentire i primi movimenti dell’armata delle Alpi. Vi preghiamo di farci motto su di ciò e della sua probabile forza e successi. Salute, etc. BotTTA. RoBERT. N. 34. Alt Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, 12 termidoro anno 7° (30 luglio 1799). Abbiamo ricevuto le vostre due dei 6 corrente ed un’altra dei 5 del vostro Segretario generale. Abbiamo letto con piacere delle poche forze che ha il nemico in Piemonte, del malcontento che vi ha cagionato e dei prosperi successi degli asse- diati di Alessandria contro gli assedianti. Vogliamo sperare che questi eventi siano forieri di altri ancor più felici e tanto più quantochè sappiamo che l’armata di Moreau. è stata ingrossata considerabilmente. Questa mattina il cittadino Robert è stato per visitare i cittadini Francesco di Nantes e Ginguené e pregargli di nuovo d’interporre i loro buoni uffizi presso il Governo acciò conceda ai rifugiati piemontesi i chiesti soccorsi, ma non gli ha tro- vati in casa. Torneremo da questi e da altri, e sempre picchieremo finchè ci venga aperto. GIOVANNI SFORZA ; 114 DI DO DO Pare improbabile che il Governo Francese si voglia subito spiegare sul destino del Piemonte, dipendendo esso anche dagli avvenimenti della guerra. Sappiamo però che ciò che vi abbiamo scritto nella nostra dei 14 scorso relativamente a quanto vi fu detto dal Billiati è vero. Intanto questo importante affare dipende intiera- mente da Joubert, il quale partì con carta bianca, ed a lui dovreste indirizzarvi. Il ministro della guerra ha nominato il cittadino Botta medico dell’armata del- l’Alpi. Siccome, ottenuti che avremo i solleciti soccorsi dal Governo a favore dei nostri infelici compatriotti rifugiati, il che speriamo frappoco, pressochè nulla ci rimane a fare in Parigi, e la nostra dimora vi diventa quasi inutile; e che da un altro egli desidererebbe di trovarsi costì, per poter meglio adoperarsi a sollievo di qualcheduno fra i medesimi nostri paesani, che più strettamente gli appartengono; e che finalmente il cittadino Robert desidererebbe di trovarsi vicino alla frontiera per poter dar sesto agli affari della propria famiglia, così vi preghiamo, cittadini amministratori, di volerci dispensare dalla commissione di cui ci avete incaricati presso il Governo Francese, acciò possiamo recarci al nuovo nostro destino. Salute, etc. Botta. RoBERT. N. 35. All Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, 12 termidoro anno 7° (30 luglio 1799). Il Ministro della Guerra mi ha nominato medico dell’armata delle Alpi. Siccome, ottenuti che avremo i sollecitati soccorsi dal Governo a favore dei nostri infelici compatrioti rifugiati, il che speriamo fra poco, pressochè nulla ci rimane a fare a Parigi, e la nostra dimora vi diventa quasi inutile; e da un altro canto desidererei di trovarmi costì, per poter meglio adoperarmi a sollievo di qualcheduno fra i me- desimi nostri paesani, che più strettamente mi appartengono, vi prego, o cittadini Amministratori, di voler dispensarmi dalla commissione di cui mi avete incaricato presso il Governo Francese, acciò io possa recarmi al nuovo mio destino. Botta (1). N. 36. All’Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, addì 14 termidoro anno 7° [1° agosto 1799). Nulla ci sta più a cuore che i tante volte domandati e finora non concessi soc- corsi pe' nostri infelici compatriotti. Questa mattina abbiamo visitato Francesco di Nantes e parlatogli di quest’affare; ci disse averne esso parlato coi Direttori Mou- lins e Gohier, i quali gli promisero che avrebbono dato ordine al Ministro degli affari esteri di fargliene un pronto rapporto. Avendogli noi fatto sentire che il (1) Fu stampata da PaoLo Pavesro, Lettere inedite di Carlo Botta, Faenza, Conti, 1875, pp. 154-155. % #1 be 115° CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 329 ritardo proveniva unicamente da ciò, che nell’ uffizio delle relazioni estere non s'erano ancora occupati di quest’affare, ci rispose che ne avrebbe oggidì parlato gra- vemente con esso Ministro; e che nel caso in cui questi indugiasse ancora, avrebbe provocato i soccorsi alla tribuna. Ci siamo quindi recati da Luciano Buonaparte, e dettogli l'occorrente, ci esortò a presentare di nuovo al Ministro degli esteri una memoria in termini gravi espressa, rappresentandogli che finora avevamo intrapreso la strada legale, perchè tale era il nostro dovere; ma che nel continuato indugio, ri- cevendo ogni giorno nuove notizie dello stato infelice de’ nostri virtuosi compatriotti, che il loro amore per la libertà e la crudeltà dei barbari aveva condotto in Francia. avremmo pubblicamente indiritta una memoria ai Consigli. Noi aspettiamo la risposta di Francesco di Nantes, per devenire in seguito, se fia duopo, a questo passo. Essendosi quindi rivolto il discorso con esso Luciano Buonaparte sugli affari d'Italia, noi gli abbiamo detto ch’era di assoluta necessità, che nel prossimo ingresso dei Francesi, si dichiarasse in nome del Governo Francese quali siano le di lui intenzioni sullo stato politico della medesima, e qual fine esso Governo si proponga. Ci rispose che ciò sarebbe stato fatto e dal Direttorio e dai Consigli. Avendogli finalmente dimostrato la nostra apprensione sulle nuove che si vanno spargendo nelle gazzette sulla sconfitta dell’armata francese capitanata da suo fra- tello in Asia sotto le mura di S. Gioanni d’Acri, rispose essere verissimo che S. Gioanni d’Acri e Damasco erano in poter suo, e che s’ incamminava vincitore verso Aleppo. Questa mattina ci venne parlato da un piemontese, onest’uomo e patriotta, di una trattativa che offrono d’intavolare con noi alcuni per fare un cambio degli ostaggi piemontesi, che sono in Francia, con i nostri compatriotti imprigionati in Piemonte. Noi abbiamo risposto che avremmo sentito con piacere le proposizioni che intendono di fare a nostro riguardo; ma che certamente nulla si sarebbe potuto conchiudere s’essi non ci davano una sicura garanzia che dopo il rilascio degli sta- tichi e dei prigionieri, dalle rispettive parti, non si sarebbe proceduto in odio de’ patriotti in Piemonte a nuove carcerazioni. Egli ci rispose che per questa garanzia sarebbe forse intervenuta qualche potenza neutrale, ed abbiamo «ualche motivo di credere che essa potenza possa essere la Spagna. Vi preghiamo di’ significarci le vostre intenzioni in tal proposito. Non fa d’uopo di dirvi che quest’affare esigge la secretezza. BoTTA RoBERT. N49. All’Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, li 18 termidoro anno VII |5 agosto 1799]. Secondo già vi scrissimo nella precedente nostra, in data delli 14 corrente, era- vamo in procinto di dare una petizione al Corpo legislativo per ottenere finalmente per questo canale i sussidii. Ma il cittadino Cavalli avendoci detto che aveva sentito dal Talleyrand .che oggi o dimani si sarebbe fatto il messaggio, abbiamo ancora sospeso questo passo; pronti a farlo fra due o tre giorni, se le nostre speranze saranno ancora una volta deluse. Serie II: Tow. LIX. 42 3380 GIOVANNI SFORZA % 116 Noi desidereremmo avere nuove giuste e precise dello stato dell’armata dell’Alpi; stiamo però in isperanza di sentire ad ogni momento l'invasione del Piemonte seguita con successo. Molto ci farebbe temere se l’inazione delle armate si prolungasse ancora in tempo di tanta importanza per i successi, e potremmo sospettare allora di qualche trattativa di pace, la quale non potrebbe essere in tal caso a meno che funesta per la libertà d'Italia. Pare confermarsi che Buonaparte, ben lungi dall'essere stato battuto, faccia pro- - gressi nell'Asia. Salute, ec. } BorTA. RoBERT. N. 38. All’Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, addì 20 termidoro anno 7 |7 agosto 1799]. Vi annunziamo con giubbilo che ieri il Direttorio esecutivo ha inviato il messaggio al Consiglio dei cinquecento, richiedendolo di concedere ai rifugiati piemontesi un sus- sidio di centomilla franchi. Fu quindi creata una commissione per esaminare le carte e la proposizione, e farne il rapporto, che avrà luogo dopo dimani. Il cittadino Dessaix è membro della commissione, e probabilmente ne sarà il relatore. Fra molti altri, noi abbiamo per quest’affare un obbligo particolare ad esso cittadino Dessaix ed al cittadino Francesco di Nantes. Ci fu riferito esservi qui l’ ex Marchesa del Borgo, e che voglia far brighe per ottenere la libertà degli ostaggi piemontesi, i quali, come sapete, sono adesso strettamente rinchiusi in carcere (1). Vedremo di tener pratica, perchè nulla possa suc- cedere in danno de’ nostri infelici compatriotti imprigionati in Piemonte. Si trova pure in Parigi un certo Soldano, venuto recentemente dal Piemonte. Pare anche che costui si adoperi in pro’ di quelli. Abbiamo sentito the vogliano fare la proposizione che siano rimessi in libertà i nostri compatriotti a condizione che gli ostaggi siano rimessi pure in libertà ed abbiano la facoltà di rimanersene all'aria libera in qualche città della Francia. Vi preghiamo di nuovo di farci note le vostre intenzioni su tal proposito. P.S. Vi rinnoviamo le nostre instanze per la chiestavi dispensa nella nostra dei 12 termidoro. Borra. RoBERT. (1) Il Botta scriveva al Cavalli il 20 annebbiatore (11 novembre 1799), da Grenoble: “ Ho da dirti che i patriotti in Piemonte sono incarcerati e soffrono ogni modo di pessimi strapazzi ? No; perciocchè già lo sai. Ma ciò, che forse non sai, si è ch& gli nostri statichi di Digione sono stati sprigionati, e se la godono bellamente per le contrade e le case di essa città. Manco male, la leve andar così la cosa, perciocchè i nostri patriotti sono altrettanti pitocchi, ch’altro non hanno fuorchè la virtù e la mediocrità della fortuna, quandochè gli statichi son tutti gente nobile e piena di bel danaro. Laonde devono incontrar favore presso tutti, e persino presso i repubblicani del secol nostro, ch'è un bel secolo in verità cs 117 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 331 N. 39. A Pietro Geymet, a Grenoble. Paris, 20 thermidor an 7 [7 agosto 1799]. Tu verras, mon cher ami, par notre lettre, que les secours pour nos patriotes sont préts è étre accordés. Nous avons été hier, Robert et moi, aux Rélations exte- rieures et on nous a fait voir les rapports que le ministre avait fait è ce sujet au Directoire, dont l'un été daté du 21 du mois passé et l’autre du 16 du courant. Le Directoire a fait hier le message au Conseil des Cinquecents, qui est arrivé au moment ou ils étaient préts à lever la séance. On a crée sur le champ une commission, dont l’ami Dessaix est membre. Cet affaire ne souffrira ni difficulté, ni retard. Les nouvelles que tu me donnes du mécontentement qui regne en Piémont contre les Russes, nous sont confirmées par des lettres de Chambéry. Il ya à espérer que nous serons bientòt débarassés de ces hòtes incommodes. Malheuresement la citadelle d’Alexandrie est tombée au pouvoir de l’ennemi, ce qui met èà la disposition de l’armée active de Suwarow dix ou douze mille hommes de plus, et fait craindre pour Génes. Je crois que sous peu de jours les armées frangaises attaqueront sur tous les points. Nous comptons beaucoup sur les talents des chefs et sur le valeur du soldat francais, qui ne s’est jamais démentie, méme au milieu des plus grands désastres. Je désire vivement de me retirer et reprendre mon ancien service è l’armée. Je ne crois pas d’étre de quelque utilité ici. La plus grande anarchie regne parmi les patriotes piémontais: qui agit d’un còté, et qui d’un autre; il en résulte qu'il n'y a point d'ensemble, ce qui nuit essentiellement aux opérations. Ils n’ont point de confiance réciproque, et ils s'entredéchirent pour des nuances d’opinions, ou a cause de faits, cu supposés, ou vus seulement du mauvais còté. D'ailleurs la diplomatie de nos jours n'est pas faites pour moi. Je te prie donc de m’'appuyer auprès de l’Administration, pour qu'elle me dispense de-la commission. Je t’ai écrit il y a quelque jour. J'ai regu la lettre de Pico avec beaucoup de plaisir. Embrassez-le de ma part. Dis è Paulfranceschi (1) que je l’embrasse de tout mon coeur, que je lui ai répondù à Embrun. Dis mille choses agréables de ma part è nos compatriotes, et aimes-moi. BorTA (2). (1) Pietro Polfranceschi di Verona, che prima servì nell’artiglieria della Repubblica Veneta, poi entrò negli eserciti francesi. Rifugiatosi in Francia durante l'invasione Austro-russa, ritornò in Italia nel 1800, e fu ministro della guerra della Repubblica Italiana, consigliere di stato e ispettore generale della gendarmeria del Regno Italico. Da Napoleone ebbe il titolo di conte e la croce della Corona di ferro. (2) Edita dal Pavesro, op. cit., pp. 155-156. 332 GIOVANNI SFORZA TES N. 40. All’Amministrazione generale del Piemonte, a Grenoble. Parigi, li 24 termidoro anno VII [11 agosto 1799]. Parte dimani per costà il cittadino Taraglio per restituirsi all’ armata, dove otterrà un impiego col mezzo di una raccomandazione al generale Championnet del Ministro della guerra. Non si può abbastanza lodare il suo zelo e le pene infinite che si è preso pendente il suo soggiorno in questa Commune. Egli potrà farvi la relazione a bocca di quanto si è operato. Noi non abbiamo più ricevuta risposta da voi dopo quella delli 6 corrente, quan- tunque vi abbiamo scritto in data delli A; 77:10,/12, 141810208 Dimani il cittadino Dessaix farà il rapporto al Consiglio per i nostri soccorsi; si decreterà l'urgenza e passerà subito a quello degli Anziani. Siamo accertati che la ex Marchesa del Borgo non farà (1) nulla che sia contrario agli interessi dei nostri poveri compatriotti imprigionati in Piemonte. Sentiamo che l'armata dell’Alpi sia in movimento (2), che Colli si sia avanzato verso Torino. Il ciel voglia che si confermino tali fauste nuove. Tutti i giorni si conferma da lettere, venute da diverse parti, che Bonaparte abbia preso S. Gio. d'Acri e che faccia grandi progressi. Da molti si pretende indurre che i tiranni coalizzati non siano più molto d’accordo tra loro. Noi vi preghiamo nuo- vamente di un pronto riscontro per la chiestavi dispensa. Salute, etc. Botta. RoBERT. (1) Qui, nel testo, c'è una parola assolutamente indecifrabile. La interpetro non farà, come vuole il senso. 1 4 (2) Il 4 fruttidoro (21 agosto) il Bernadotte, ministro della guerra, faceva un appello agl’ ita- liani rifugiati, perchè dato di piglio alle arme corressero in aiuto de’ francesi a liberare la loro terra natale. “ Les Italiens réfugiés è Grenoble , gli rispondevano il 12 di quel mese (29 agosto). Dopo aver pianto a calde lacrime la morte di Joubert, “ l’Aristide frangais, le vrai républicain, * l'ami de l’Italie, le guerrier è toute épreuve ,, soggiungevano: “ Nous marcherons è còté de nos * braves libérateurs précédés de cette devise: L’Italie, ou la mort. L’Italie cu la mort! mais livrera-t-on “ définitivement l’Italie à son entière indipendance, ou bien servira-t-elle une autre fois, l’astucieuse diplomatie, ou l’avidité de nouveaux Verrès et l’ambition de nouveaux Flaminins? ..... Que dans l'organisation des légions italiques disparaisse è jamais, toute idée de démarcation entre les divers états de l'Italie. Les tyrans pour nous asservir, avalent commencé par nous diviser. Que notre gouvernement présente è ces légions des drapeaux portant l’inscription, terrible aux esclaves et * cherie par les hommes libres, de l’indépendance italienne ,. Finivano: “ La patrie, la gloire, l'honneur du nom italien, les gémissement de nos frères pérsecutés, les assassinats exercés sur bien d'autres, votre républicaine invitation, le bruit des batailles, tout ce qui nous environne, tout nous appelle aux armes et au travaux civils. Nous serons un faisceau d’instruction et de force et bientòt la République frangaise pourra se vanter d’avoirstrouvé dans le peuple italien, son plus sineère, plus naturel et plus puissant allié ,. Sessantrè degl’italiani rifugiati a Grenoble si sotto- scrissero. De' piemontesi, Giuseppe e Bernardino Druetti, Domenico Capriata, Giuseppe Aymone, Pietro Geymet, Raimondo Roux ed altri. Cfr. ManacorDa, I rifugiati italiani in Francia, pp. 217-219. « « “ è) 119 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 333 N. 41. Ad Angelo Pico, a Grenoble. Parigi, 29 termidoro anno 7 [16 agosto 1799]. Me la vo scantonando di taglio al mio povero mestiere d’ufficiale di sanità, contento della mia oscurità, e fortunato se l’alto turbine politico non verrà a rag- girarmi ed opprimermi in quella bassa valle. Hai pur ragione quando mi narri di volertene rimanere a bada, se non si dichiara solennemente, e prima di mettere il piede sulla soglia, l'indipendenza italiana. Io sono pure fermo in questo proposito. Sarà dichiarata? Non lo so. Pace, pace, pace si va gridando; e questo suono così gradito all'umanità, è terribile e fatale in questo momento per gli Italiani. O Joubert, o Joubert, quanto è grande la tua scena! Tutti gli Italiani ti aiutano colla mente e col cuore, e ti aiuterebbero con la mano, se pure si volesse. Ma certa politica riguardosa e timida ci sta contro. Ahi! povera Italia, che fosti per tanti secoli taglieggiata e manomessa dai barbari, che non s’infingevano, e lo fosti ai dì nostri sotto nome di libertà! In cui dobbiamo noi più fidare ? Una vittoria segnalata di Joubert potrebbe essere come l’iride dopo il nero temporale. Voglia il cielo che la riconquista dell’ Italia per le armi francesi ci faccia sentire che siamo liberati dalla schiavitù; e non siamo in caso di dire di nuovo come quell’asino, che non voleva affrettarsi, perchè sapeva di dovere portar sempre due basti. Ti prego del ricapito dell’acchiusa (1), se anche già fosse presso Joubert. Vedrò di portarti i saggi che (1) Era la seguente lettera al Polfranceschi, scritta il giorno stesso: Vedo una tomba in mezzo di una gran selva, e un'alta donna, che piange sopra, e un' genio, che di lì fugge sdegnoso. La tomba è quella della libertà italiana, la donna che piange è la nostra Italia, e quel genio è il genio dell'antica Roma. Caro il mio Polfranceschi, abbiamo più da sperare che risorga? LA politica, la diplomazia, non quella di Roma antica, ove si leggevano i dispacci a tutto il popolo radunato; ma quella dei nostri tempi, che è una politica di uomini fiacchi e riguardosi, ci sta incontro. Gli ex-Direttori accusati, saranno probabilmente rimandati senz'accusî; Mantova è caduta; ed i soldati francesi, sempre coraggiosi, stanno uno contro sei. L’indifferenza e l’apatia regnano in Francia. Non fa bisogno essere la sinistra cornacchia per predire funesti avvenimenti. Un solo pensiero mi consola, ed è che sovente dal sommo male comincia a nascere il bene, essendo, come sai, vicini tra di loro gli estremi. Pico mi scrive che devi recarti presso Joubert. Tutti gli amici della libertà italiana sono contentissimi di questa tua gita. Il virtuoso Joubert, che non farà col mio Polfranceschi? E te lo dico senza burla e senza adulazione, che sono cose troppo brutte, per essere vicine a noi. Digli a questo Joubert, che noi altri siamo patriotti; e che il sangue nostro è per la libertà francese ed italiana, cioè per la libertà; ma che nella ulterior querela, nella nuova conquista dell’Italia per l’armi francesi, noi staremo oziosi a mirare, se prima non sappiamo quale scopo si proponga relativamente alla nostra patria il Governo francese, e che questo scopo sia buono, liberale e grande; che il servire d’istrumento, e sto per dire di veicolo, all’ambizione ed alla rapina altrui, e farci odiare dai nostri compatriotti, che vogliamo beneficare, e che ci imputano i torti altrui, non è certamente cosa degna di noi, nè che possa essere da noi voluta. Joubert è uomo degno d'intendere questa gran verità. Frappoco vado a ritirarmi fra gli ospedali militari, non già per sottrarmi alla vista degli infelici, che, come vedi, è tutto il contrario: ma sibbene per procurarmi meglio l'occasione e lo snìanioso piacere di bestemmiare contro la per- versità dei dilapidatori delle sostanze pubbliche. Partirò frappoco alla volta di Grenoble. Saluta “ il nostro Bernardino Druetti. Ho ricevuto quel tuo smascheramento di Rivaud. È buono, e farà “ buon effetto. Vivi meno infelice, e bellamente mi ama ,. 334 GIOVANNI SFORZA © , 120 mi domandi. Non aspetto altro che la commissione, per partire. Oh! Dio, non assa- lirmi in sì tenera parte... al nome amato..... barbaro Pico. Ho una voglia arrabbiata di far versi, quando penso alla C.*** Siano maledetti tutti i Teutoni del mondo, che sono venuti dall’orsa gelata a perseguitare la siciliana C.*** Quando penso a cotesti Goti ed alle nostre donne, mi viene propriamente da disperarmi. Che sbalestramenti sono mai questi ? Addio. Saluta tutti i nostri, e vivi meno infelice. BortA (1). N. 42. Ad Angelo Pico, a Grenoble. Parigi, addì 4 fruttidoro anno 7 [21 agosto 1799]. Se le male nuove non vengono mai sole, non vengono esse mai false. Mantova pur troppo è in potere del nemico, e i miti Repubblicani d’oggidì non san punire i vili traditori, che l’una dopo l’altra involano delle speranze alla patria. Latour- Foissac, lodato da Kray e denunziato lungamente dagli amici della libertà, troverà probabilmente impunità (2); perchè a questi strani tempi, che sono, come dicono, i tempi della rigenerazione del genere umano, chi è ricco non può essere colpevole. È vero che ai tempi di Alessandro le cose correvano pur anche in cotal modo, e sai la risposta fattagli dal pirata, che voleva far appiccare; ma apparteneva a noi ve- ramente, nati nel secolo della luce filosofica, di toccare gli ultimi confini, il non plus ultra in simile materia. Dio ce la mandi buona: che quell’altro aveva pur ragione, che sosteneva essere il male e il bene una pura ipotesi, o convenzione d’uomini ipo- criti, e che si poteva egualmente stabilire essere il male bene, e bene il male. E pare veramente che ai nostri dì, tanto vantati, si voglia adottare una simile mas- sima; perchè chi fa bene ha pena, e chi fa male ha premio. Timone, Timone, guarda (1) Questa lettera, insieme con quella che segue, venne messa alla luce dal prof. Pavesto, © Op. cit., pp. 159-163. (2) Trovò invece giustizia e tra gli altri gliela rese lo stesso Botta scrivendo: “ Aveva Buona- parte due anni innanzi conquistato questa fortezza [Mantova] piuttosto col consumarla per carestia di viveri, che con lo sforzarla per oppugnazione. La domò Kray piuttosto per forza, che per assedio; perciocchè s'arresero i repubblicani alle armi imperiali, quando ancora avevano nelle conserve loro di che cibarsi ancora per lungo tempo; ma le mura sfasciate ed il cinto della piazza rotto gli costrinsero in breve tempo a quella risoluzione...... Fu accusato Latour-Foissac di poco animo e di debole difesa da alcuni; da altri di esser aristocrata, di non amare la Repubblica, di aver tenuta continuamente informata con lettere la Contessa d’Artesia di ogni cosa. Altri finalmente dissero anche parole peggiori, affermando che si fosse lasciato corrompere per un milione e otto- centomila franchi, dati, o promessi da Kray. Chi conosce lo stato a cui era ridotta porta Pradella crederà facilmente che il generale dell'Austria non aveva bisogno di dar denaro per entrare nella piazza, e che il generale di Francia non aveva bisogno di accettarlo per lasciarlo entrare. Accu- sollo il Direttorio, accusollo Buonaparte, messosi al luégo del Direttorio; ma il mondo sincero e giusto, nè mosso dalla superbia, che si compiace dell’avvilimento altrui, ha giudicato che Latour- * Foissac abbia compito nella difesa di Mantova, senza sospetto di macula alcuna, tutti gli uffizj * che si appartenevano a buono e leale capitano, e che l'arrendersi in quel punto fu per lui neces- * sità, non viltà, nè cupidigia di denaro ,. Cfr. Borra C., Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Parigi, Didot, 1824, vol. III, pp. 831-338. = u - R 121 CARTEGGIO DELL’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 335 i bei sassi (1). Vorrei essere un Salvator Rosa (2), per gridare inutilmente e farmi gridare la croce addosso. Che cosa abbia da succedere non lo so. Mi consola ciò che mi narri di Lahoz (3). Voglio farlo sentire a chi lo vorrà sentire. Questa sera ho veduto l’amico Dessaix. È un po’ cagionevole, ma spero, sarà presto risanato. Ti saluta. T’ho da parlare dei ligi dei Commissari politici e civili? Ti farei arrabbiare senza frutto, perchè son essii più potenti, i più ascoltati, i meglio accolti. Ars longa, vita brevis, ete. così dite il mio Ippocrate, che voglio abbracciare per lo avanti, per lasciare affatto regnare gli onnipotenti ed eterni Grozi. Dammi qui quel polso. Addio. BorTA. N..43. LIBERTÀ EGUAGLIANZA Al cittadino Carlo Botta, a Parigi. Grenoble, li 4 vendemmiaio anno VIII repubblicano e 1 della Libertà Piemontese (26 settembre 1799). La relazione verbalmente da voi fatta e dal vostro compagno cittadino Robert ci dà motivo di ringraziarvi delle attenzioni usate per la sgraziata nostra patria. Non avendo essa però dissipati i sospetti che dal carteggio abbiamo dovuto formarci sulla condotta di alcuni individui Piemontesi esigliati in Parigi, perciò desideriamo che voi, nell’assenza del cittadino Robert, giò partito per il Piemonte, esprimiate in una memoria (4) i fatti positivi e gli argomenti d’induzione, o verosomiglianze, ed i sospetti per i quali si deve, o si può credere, che gli individui (da nominarsi spe- cificatamente) abbiano operato in contraddizione delle vostre operazioni concernenti il Piemonte, oppure abbiano appoggiate le mire di Musset per riprendere il procon- solato. Potendo quest’oggetto interessare essenzialmente la nostra patria, non dubi- tiamo che avrete la compiacenza di secondare il suddetto nostro giusto desiderio. Salute e fratellanza (5). P. GevmeT, Presidente Roux. (1) Timone, misantropo ateniese, dal quale Luciano intitolò uno de’ suoi Dialoghi. (2) Una delle satire di Salvatore Rosa ha per soggetto la Guerra ed è una specie di dialogo tra il poeta e Timone, evocato a imprecare contro i vizi del secolo. (3) Cfr. Rinreri I., 12 generale Lahoz, il primo propugnatore dell’indipendenza italiana {anno 1799); in La Civiltà Cattolica, anno 55 (1904), vol. II, p. 63. (4) Di questa © memoria , non vi è traccia tra le carte dell'’Amministrazione generale. Rac- conta il Botta che il Governo Provvisorio mandò a Parigi per portare i suffragi dell’ unione del Piemonte alla Francia “ Bossi, Botton di Castellamonte e Sartoris, uomini di celebrato valore e di “ gran fama in Piemonte; ma vissuti discordi in Parigi, produssero discordia nella patria loro ,. Cfr. Storia d’Italia dal 1789 al 1814, III, 209-210. (5) Questa lettera non si trova tra le carte dell’Amministrazione generale. Fu stampata .dal DioxwisorTI, Carlo Botta a Corfù, Torino, Favale, 1875, pp. 99. 336 GIOVANNI SFORZA > i 122 N. 44. All’Amministrazione generale del Piemonte. Grenoble, 10 annebbiatore anno 8 [1 novembre 1799]. Riceverete qui compiegata una memoria trasmessami dal cittadino Cavalli, con invito a farvela pervenire (1). Esso Cavalli mi serive che Bonaparte ha promesso a Dandolo che i Veneziani saranno liberi e contenti, e che andrà coi rifugiati alla lor patria. Vi saranno note le nuove della Batavia. Gli Inglesi hanno capitolato, e se ne vanno, abbandonando le terre libere, che hanno voluto conquistare (2). Vi acchiudo pure un discorso da me pronunciato alla Società politica di questo Comune, in nome degli Italiani rifugiativi. Il generale Pelagru ha concesso le sussistenze militari a cotesti esuli sventurati. Di Parigi nissun sussidio scorre finora. BortTA. N. 45. Ad Angelo Pico. Grenoble, 26 annebbiatore anno vii [17 novembre 1799]. È basso il tuo labbro inferiore ? è basso. Oh! Dio: cattive nuove, e mi ricorda quando ti vidi seduto sopra del seggiolone in casa Soman la mattina seguente al giorno della nostra bella scorreria da Pinerolo a Torino (3), e mi dicesti con quel labbro basso: taglia su i tuoi mazzi e partiamo. Se nascerà qualche bell'’umore che voglia scrivere la nostra vita, o piuttosto il nostro martirologio, sarà una curiosa storia in verità... Oh! abbiamo a fare una bella figura noi due su per quelle scene: me la godo con gusto. Se non abbiamo guadagnato denaro, almeno abbiamo una certa celebrità, che fa veder la gente, la quale paga trenta soldi alla porta, come quella d’Arlecchino e Pulcinella... Z Se torneremo, faremo feste, e di quelle che sogliono fare le persone benefiche ed innocenti. Se non torneremo, sarà un argomento di più in favore del diavolo, € che governa il mondo. Il cittadino Lachese, se non m’inganno, l’ho conosciuto a (1) Il giorno stesso il Botta scriveva al Cavalli: È Ho letto e riletto la tua memoria al Diret- tore Sieyès e mi è parsa degna di te e dell'oggetto. Voglia il cielo che abbia fortuna. Che bella “cosa sarebbe che il Governo di Francia volesse ritornare alle idee grandi e liberali! Intanto “ andiamo pure via via sperando per aver almeno una tavola da appoggiarvi su il petto affannato “ nel naufragio ,. Scriveva pure al Capriata: “ Leggi la memoria del Cavalli, presentata al citta- “ dino Sieyès. Ella è ottima, e voglia il cielo che sia fortunata. Potremo noi dire una volta d’es- “ sere italiani? Bonaparte è in Francia. Egli ha la propria gloria da conservare ed il trattato di * Campoformio da espiare. Voglio dire che possiamo sperare ,. (2) Il Brune con la vittoria di Kastrikum forzò gli Apglo-russi ad abbandonare l'Olanda, da loro invasa. (3) L'Amministrazione generale del Piemonte, per invito del generale FioreHa, da Pinerolo trasferì la sua residenza a Torino; saputolo il generale in capo Moreau, la fece immediatamente tornare a Pinerolo. A questo episodio allude il Botta, venuto anche lui con l'Amministrazione gene- rale a Torino, e con essa ritornato a Pinerolo. 128 CARTEGGIO DELL'’AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 337 Milano in casa dell'amico Bonafous (1). Mi parve un nostro amico; dico di noi me- schini Italiani. Ma altro che covelle! Il 18 annebbiatore cangia tutto (2); che cosa nascerà, non so dire. La speranza non abbandono, perchè quest’è l’ultima ad abbandonarci. Forse si vuol eseguire il trattato di Campoformio; e se ciò è, bisognerebbe vedere che il Piemonte andasse unito alla Cisalpina e Liguria insieme. Credo non lontana la pace. Ho abbracciato Polfranceschi da tua parte, e ti saluta caramente. Ti prego di salu- tare in vece mia tutti i nostri; e fra tutti il cittadino Alessandri, del quale tanta buona fama mi venne agli orecchi (3). Saluta pure i medici Guillaume, Lefort ed il chirurgo Delpiche. Addio, addio; vivi felice. BotTA (4). N. 46. . A Gian Giulio Robert, a Parigi. Grenoble, 3 agghiacciatore anno vm [24 novembre 1799]. Del 18 annebbiatore non ti posso dir altro, fuorchè, che dal modo col quale fu sopportato e sopportasi il di lui terrore, giudico ch’era necessario, e chi l’ha fatto nascere, aveva pur ragione. Quando mi parli di semirepubblica, dico che hai ragione, perchè altro modo fuori di questo non conviene a chi non grida viva il Re, se non per vergogna del tanto menato strepito. Intanto saluto la pace ed il sole, che incomincia a comparire tra le nuvole tem- . pestose. Avremo certamente più tranquillità, più cortesia, più ricchezza di patrizi, più scienza, più affabili e disinvolte maniere, carrozze, trine e Frine in quantità (5). Pace, pace, pace io vo gridando intanto, e che me la possa scantonare nel mio secreto spigolo, per trovarvi quella tranquillità che si cerca e non si trova da tanti anni. x Ma prima andremo veder gl’Inglesi, non è vero ? Giro sul piede destro di gioia, quando penso che s’avvicina il tempo in cui non s'ammazzerà più ganta buona gente, (1) Ignazio Bonafous d'Alba, uno de’ più operosi e faccendieri giacobini del Piemonte, che nel 1795 era stato condannato a morte ed impiccato in effigie. (2) Il 18 annebbiatore, ossia brumaio (6 novembre 1799), il Bonaparte, reduce dall’ Egitto, di- sciolto il Direttorio, si fece nominar Console. (3) Marco Alessandri di Bergamo, che sedè nel Direttorio della Repubblica Cisalpina, fa depu- tato a’ Comizi di Lione, consigliere di Stato e senatore del Regno d’Italia. (4) Edita, insieme con l’altra al Robert, che segue, da Carro DioxnisorTI, Carlo Botta a Corfù, Torino, Favale, 1875, pp. 97-98 e 121-122. (5) Questa lettera e questa frase rimase talmente scolpita nella memoria del Botta, da ricor- darla il 27 maggio del 1826 scrivendo al conte Tommaso Littardi: “Io poi questa opinione di “ Buonaparte non l’ho già di fresco: chi mi era amico sa come pensassi di lui ai tempi suoi più “ prosperi; e trovandomi a Grenoble, al momento in cui vi arrivò la nuova del 18 brumaio, scrissi “ ad un amico mio piemontese, che allora era in Parigi, una lettera, da cui si vedeva chiaramente “ che io non mi ingannavo punto sulla natura di Buonaparte; vi era fra le altre questa espre» “ sione: avremo trine e Frine assai. E trine ebbimo e Frini in quantità; e chi lo loda, tal sia di “ lui ,. Cfr. Lettere di CarLo BortA al conte Tommaso Littardi, Genova, tipografia del R. Istituto de’ Sordo-muti, 1873, p. 84. Serie II. Tom. LIX. 43 338 GIOVANNI SFORZA *. 124 ed io potrò col mio Gian Giulio veder la patria di Newton e di Sterne, dopo aver veduto quella di Voltaire e di Rousseau. Visiteremo quei santuari e poi andremo a sputar sornacchi accanto al fuoco. Saluta a bella posta tutti i nostri, e vivi felice. Di nuovo nulla dalla parte d’Italia. Addio, Addio. Borra (1). N. 46. Alla Commissione di Governo del Piemonte. C[ittadini] della C[ommissione] del Governo, [Torino], 4 vend. anno 9 (26 settembre 1800). Gli cittadini sottoscritti hanno l’onore di rappresentarvi, che nell’epoca infelice, in cui minacciando da vicino i barbari del Nord la nostra patria l’ Amministrazione generale del Piemonte fu costretta a ritirarsi a Pinerolo, due fra i medesimi, cioè gli cittadini Gian Giulio Robert e Carlo Botta furono dalla prefata Amministrazione inviati a Parigi, perchè con vivi colori rappresentassero al Governo Francese i pericoli estremi dell'esercito d’Italia, la sgraziata condizione della loro patria, ed indicassero nel medesimo tempo i mezzi più opportuni per ovviare a tanta rovina; e mancando allora la medesima Amministrazione di fondi, si offersero essi cittadini Robert e Botta di adempire a proprie spese l'importante commissione, sulla fiducia loro data di esserne rimborsati, quando un più felice destino avesse arriso alla loro patria. Avute dunque le loro credenziali, che sono date addì due pratile anno 7 (21 maggio] da Pinerolo, e che troverete qui annesse, partirono alla volta della Francia. Ricevettero, d'ordine dell’Amministrazione generale, dal cittadino Tesio in Brianzone 25 luigi in argento vergato, per le spese del viaggio. Giunti a Parigi si adoperarono presso il Governo Francese con tutto lo zelo, di cui son capaci, a pro’ della patria. Nè furono vani i loro sforzi; perciocchè ottennero il sussidio di 100 m. franchi in favore principalmente de’ piemontesi rifugiati in Francia, e che gli ostaggi piemontesi fossero più gelosamente guardati, perchè con minor rigore venissero in Piemonte trattati gli sventurati repubblicani. Nè cessarono mai, o presentando me- morie al Governo, o coi particolari di credito adoperandosi di promuovere gl’inte- ressi della patria. Finalmente essendo stato il cittadino Botta nominato dal ministro della guerra Bernadotte medico dell’armata delle Alpi, e facendo pure il cittadino % (1) Da Chambéry, il 5 messidoro dell’anno 8° (24 giugno 1800), gli tornò a scrivere: © Vera- mente mi lagno assai del tuo lungo silenzio, e non so a qual causa attribuirlo. Ti ho scritto prima di partire da Grenoble, e poi da Ginevra, e non ho più avuto un cenno di te. Te lo dico, perchè sappi che questo tuo contegno non mi piace, e che riceverò sempre le tue lettere in quel grado che si ricevono quelle dei. più cari e migliori amici. Le nuove di guerra le sai; esse sono ottime. Le politiche le sai, credo pure; se siano buone non lo so. Io sto in molta apprensione. Le mie proprie sono buonissime. Sto bene e sono ammogliato. La mia sposa è la cittadina Viervil di Chambéry. Io sono assai contento e tu godi meco della mia felicità. Fra pochi giorni partirò per Torino, e di là non so dove sarò mandato. Sono stato riconfermato dal ministro come medico dell'armata. Serivimi a Torino per la posta militare. Molti dei nostri si sono già rimpatriati. “ Oggi partiranno Ferrero e Rulfi. Giraud è ancora qui. Saluta tutti gli comuni amici e voglimi “ del bene assai 125 CARTEGGIO DELL'AMMINISTRAZIONE GENERALE DEL PIEMONTE CON CARLO BOTTA 339 Robert altri disegni pe’ suoi particolari interessi, chiesero essi all’Amministrazione generale di essere dispensati dalle loro commissioni. Gradì questa la loro domanda, e gli dispensò con lettera data da Grenoble addì 19 termidoro anno 7 (6 agosto), che vi presentiamo, la quale essi ricevettero a Parigi negli ultimi giorni del mede- ‘simo mese. Con lettera della medesima data, che qui pure troverete annessa, nominò l’Amministrazione il cittadino Cavalli, perchè riempisse, in luogo dei cittadini Robert e Botta, le medesime funzioni presso il Governo Francese. Il cittadino Cavalli si occupò col massimo zelo della sua commissione, ed ebbe, fra le altre cose, la sorte d’impedire, che gli ostaggi piemontesi venissero rimessi in libertà di ritornare in Piemonte, siccome questo timore già ne recava in quel tempo il broglio che da alcuni si faceva in loro favore, e sicuri avvisi che da gente amica se ne ricevevano. Non rimise mai il medesimo cittadino Cavalli del suo zelo e sollecitudine a pro’ della patria, e continuò nelle sue incombenze a Parigi sinchè venne dal primo Console chiamato a seguire l’esercito che doveva liberare l’Italia. Cittadini della Commis- sione di governo, chiedonvi gli tre cittadini sottoscritti, che a norma dell’uso invalso a’ tempi del Governo Provvisorio di corrispondere ai cittadini inviati all’estero per pubbliche missioni (1) l'indennità di cinquecento lire al mese, ed a termine del vostro decreto ..... (2) trovandosi essi in questo momento in attività di pubblico servizio, ordiniate al Ministero delle finanze di corrispondere a ciaschedun di loro la somma di cinquecento lire a titolo dell'indennità loro dovuta per l’ultimo mese della loro missione presso il Governo Francese. Salute e considerazione (83). RoBERT. BotTA. CAVALLI. (1) Segue non cancellato: “ di risponder loro ,. (2) Lacuna dell'originale. (3) È tratta dalla minuta, di mano del Botta, che si conserva nell'Archivio domestico del prof. Giuseppe Roberti. Cfr. Lettere inedite di Carlo Botta, Ugo Foscolo e Vincenzo Cuoco; nel Gior- nale storico della letteratura italiana, vol. XXIII (1894), pp. 424-425. V° Si stampi: Enrico D’Ovipio, Presidente. LorENZO CAMERANO Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. GAETANO DE SANCTIS Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. vV= SZIZINZI. (Dì Ma SE A Le CL è? - > ecs dì — 9% NR ev = EEE RZ LR FISICI no TE LL, 206053