HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. ‘tro \ \ Ae ma Bi ’ . MIT] zatn . è Ì o è, \>o -- A TRA pc X GS SR E @R Ra \É AGES AI MEMORIE DELLA | DELLE SCIENZE DI TORINO SERIE SECONDA Tomo LXV TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto, 3. 1916 c0 )} PPSISIZITT ARE ST 2 O) V C7 —_- 4A, E «EE = ® AGRA ( ZZZ I RR AIA VOGIOOS GI 09 la RC VITAE lJ CUM AEREO JUN 21 1976 MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO MEMORIE D DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DRRKONO SERIE SECONDA Tomo LX V TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Cario Alberto, 3, SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI INDICE —t——_—. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Goa Giuseppe, Le epatiche della regione del Kenia (Africa orientale) (con una tavola) . oi Dindai di o oo gg i E Reino G. F. Re, e considerazioni sopra l’indigenato di talune specie. Parte I: Sulla Flora dell'Agro torinese . 0 i - SapeGno Mario, Contributo all’istologia I e patologica del OO (con una tavola) . È : GuarescHi Icilio, Ruggero Bacone - n eroi paio e Gul Parte I e Il ; 5 SaLvaporI Tommaso, Notizie Sa intorno alla Clizior aa del Museo di Torino 7 : ù 5 . Gamna Carlo, Ricerche sperimentali cole dione emolitica ed ematopoctica della milza (con 1 tavola) . i ; È ZurrarpI Pietro, Geomorfologia della Collina di To orino (con 2 tavole) MarrIRoLo Oreste, Sopra 12 avvelenamenti per “ Veratrum Album , Linn. avvenuti per scambio con “Gentiana Lutea , Linn. (con 2 tavole) GuarescHI Icilio, Xuggero Bacone - Il metodo sperimentale e Galileo. Parte III (stampata di seguito alla Memoria n. 4) — Luigi Ferdinando Marsigli e la sua opera scientifica - Notizie “ine Br l’oceanografia con appendice su Vannuccio Biringucci (con un ritratto) . Carnera Luigi, Orbdita della cometa 1899.V Camerano Lorenzo, Ricerche intorno ai Camosci. Parte mi G 11 a) Terracciano Achille, La “ Flora Sardoa , di Michele Antonio Plazza da Villafranca redatta con i suoi manoscritti (Parte 1l) Burari-Forrr C., Isomerie vettoriali e moti geometrici Cuneo Gerolamo, Iicerche biochimiche sulla funzione ipa e i. alterazioni della composizione del sangue nell’epilessia . 1-11 Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV.- N. 1. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. LE EPATICHE DELLA REGIONE DEL KENIA (AFRICA ORIENTALE) MEMORIA DEL DOTTOR GIUSEPPE GOLA (con UNA TAVOLA) Approvata nell'adunanza del 26 Aprile 1914. La vegetazione epaticologica della regione del Kenia è pressochè sconosciuta. Se ne conoscono i pochi dati risultanti dalla spedizione Telekii nel 1887, nella quale v. Hohnel raccolse 5 specie, tutte nuove, nella regione di Leikipia. Nei RR. Padri dell'Istituto della Consolata per le Missioni estere di Torino, i quali esercitano la loro azione nel Vicariato del Kikuju, ho trovato dei collaboratori preziosi per lo studio epaticologico della Regione. I MR. Canonici Allamano e Camisassa, e Mons. Perlo, Vicario apostolico del Kikuju, permisero che fossero fatte le raccolte, e i RR. PP. Savio, Vignoli, Saroglia e Rosso, e sopratutto l’infaticabile P. Balbo, si assunsero l’incarico della raccolta, durante il loro sog- giorno e la loro permanenza nelle diverse stazioni del Kikuju, alle falde del M. Kinangop, a sud e a sud-ovest del Kenia, e immediatamente a sud di quella di Leikipia, la sola di cui finora si conoscesse qualche cosa. Si tratta dunque di una regione assolutamente nuova, e perciò di interesse particolare per lo studio. Le collezioni furono fatte con molta cura e corredate con sufficienti indica- zioni di località e di habitat, onde la massima parte del materiale ricevuto potè essere uti- lizzato. Anche la varietà delle località di raccolta favorì una notevole ricchezza delle specie rappresentate nella collezione; così dalle specie proprie della zona tropicale secca, come quelle della parte bassa del Kikuju, si passa a quelle della regione delle eriche, ed anche di zone più elevate, come sul M. Kinangop a m. 4500 (catena dei M. Aberdare), dove si trovarono delle specie particolarmente rimarchevoli perchè uguali o prossime ad altre specie assai più australi o nord europee. Nel presente lavoro si rende conto dei materiali contenuti in due diversi invii; un altro invio, assai più importante, è annunciato, e spero di poterne presto esporre i risultati. A GIUSEPPE GOLA — LE EPATICHE DELLA REGIONE DEL KENIA Esprimo i più vivi ringraziamenti a tutti i RR. Missionarii, ai quali debbo le interes- santi raccolte, che hanno permesso di iniziare lo studio di una regione epaticologicamente sconosciuta. Le collezioni determinate sono conservate presso la Casa di Torino dell’Istituto della Consolata per le Missioni estere. Nella presente nota non mi dilungherò nelle osservazioni critiche sul valore e sulle affinità sistematiche delle specie elencate, nè nelle considerazioni di ordine fitogeografico che l’enumerazione delle specie può suggerire. Ciò sarà argomento delle future pubblicazioni, che spero di poter fare presto su materiale più abbondante. Come dissi, altro e più ricco materiale di studio, raccolto dai RR. Padri della Conso- lata, è già in viaggio, nè dispero di ottenerne altro, sia di quella che di regioni circonvi- cine, onde saranno più fondate e più complete le ricerche d’assieme che riprometto di fare più tardi. Dal punto di vista sistematico, mi limito ad osservare che p. e. nel gen. Plagiochila parecchie specie da me ricordate o descritte ex rovo, pur presentando ben netti caratteri che hanno indotto ad individuarle come entità specifiche distinte, secondo l’attuale indirizzo degli studii briologici, hanno spesso una stretta affinità fra loro o con altre di regioni diverse dell’Africa orientale. Allorchè sarà possibile una revisione monografica dell’intero genere, parecchie specie affini potranno essere più strettamente legate a costituire una stirpe unica. Sotto il punto di vista distributivo si conferma in questa regione quanto è già stato osservato per altri gruppi montuosi dell’Africa centro-orientale, e cioè l'affinità della flora epaticologica della zona montuosa inferiore con quella dei paesi situati più a sud e ad est (Madagascar, Mascarene, ecc.). Nella zona montuosa elevata, salvo qualche scarso elemento del sistema alpino europeo, sono pure i tipi del sud quelli che predominano, sia per affinità sistematiche, sia per portamenti e caratteri biologici; sono infatti i tipi affini a quelli che si osservano nella Nuova Zelanda, nel sud della Catena andina, e che, lungo la Catena andina in America, come in Africa, seguendo le vette montane, raggiungono la regione equatoriale. Marchantiaceae. Dumortiera hirsuta (Sw.) Nees. Località imprecisata del Kikuju, 1909. Marchantia Balboi n. sp. Mediocris, valida, antice glaucovirens vel purpurascens, postice purpurascens. Frons 2,5-3 cm. longa, 6 mm. lata. Costa valida, lata, abrupte in alas validas excurrens. Epidermis tenera. Stomata magna prominula ore interno magno quadrato, 4 cellulis angustis circum- dato. Appendicula squamarum parva hyalina subrotunda, basi valde constricta, margine repando angulato, cellulis majusculis, marginalibus parum minoribus. Pedunculus carpoce- phali validissimus, basi nudus, ceterum longe et apicem versus, paleis filiformibus dense barbatus. Capitula fem. (immatura) symmetrica, magna, valde convexa, 9-lobata, lobis bre- vibus, apice truncatis. Involucra hyalina ovata. Reliqua desunt. Hab. in M. Kenia prope Serereka. Racc. sul terreno a Serereka presso il fiume 22 I 1908. Affine alla M. parviloba St. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 5) Marchantia Keniae n. sp. Maior, viridis, postice fusco-purpurascens. Frons ad 4 cm. longa, 8 mm. lata, robusta; costa valida, lata, inferne distinete convexe producta, sensim in alas attenuatas excurrens. Epidermis tenera, stomata majuscula, numerosa, parum prominentia, poro interno quadrato, 4 cellulis angustis circumdato. Appendicula squamarum parva, rotundata, basi valde con- stricta, integra, cellulis marginalibus centralibus aequimagnis. Pedunculus carpocephali validus 4 em. longus, nudus, apice tantum barbatus. Capitula fem. magna 11-13-lobata, centro magno valde convexo, lobis e basi constricta cuneato ampliatis, apice truncatis con- tiguis, basi sinu rotundato discretis. Involucra hyalina, longe ciliata. Perianthia hyalina, ore parvo plicato. Capsula fusco-brunnea cellulis parietibus incrassatis. Sporae brunneolae vermi- culariter lamellatae, 25 u. Elateres flavescentes bispiri 500 u. Capitula mascula similia, interdum gemmulas in thallo regulariter dichotomo evolutas ferentia. Scyphuli parvi, margine ciliati, ciliis 3 cellulas longis. Hab. ad radices M. Kinangopii prope M. Kenia, in Africa orientale. Località imprecisata del Kikuju, 1909. Marchantia Tusui n. sp. Dioica mediocris, tenuis, antice viridis, postice parum colorata. Frons ad 3 cm. longa, 6 mm. lata; costa humillina lata, sensim in alas tenuissimas excurrens. Epidermis tenera. Stomata magna valde prominea, ore interno magno, quadrato, 4 cellulis angustis circumdato. Appendicula squamarum patva subrotunda, obcordata, basi arcte constricta, margine repando angulato, cellulis majusculis, marginalibus duplo minoribus biseriatis. Pedunculus carpoce- phali validus 15 mm. longus, paleatus, basi apiceque nudus. Cap. fem. desunt. Capitula mascula pedunculo leviter excentrico, magna, disciformia, 9-radiata, umbonata, sero profunde excavata, quasi patellaeformia, radiis usque ad apicem connatis; lamina interradialis leviter excisa. Hab. in M. Kenia secus flumen Massioia. Foresta di Tusu, lungo il fiume Massioia m. 2280 20 VII 1908. Jungermanniaceae anacrogynae. Metzgerioideae. Aneura Keniae n. sp. Dioica, pusilla, flaccida, olivacea, depresso caespitans, epiphyta. Frons ad 9 mm. longa 3 mm. lata, dense ramosa, bi-tripinnata. Truncus 'anguste linearis, haud alatus, in sectione ellipticus, margine acutus, medio 5 cellulas crassus; cellulae corticales multoties minores. Pinnae lineares aequilatae, majores pinnatim divisae, laciniis linearibus tenerrimis, alis 2 cel- lulas latis, margine integro. Rami foeminei parvi, brevissimi, subintegri. Calyptra parva e basi angustissima optime clavata, superne cellulis utriculatis erectis optime papillata. Hab. in regione Kikuju prope M. Kenia. Foresta di Tusu presso il F. Massioi m. 2280 sm. 7,20 VII 1908 sul tallo di un Artho- ceros sp.j sui tronchi d'albero nel Piccolo Karema, 1908. + GIUSEPPE GOLA — LE EPATICHE DELLA REGIONE DEL KENIA Metzgeria Tusui n. sp. Dioica minor et angusta. Frons parce sed longe furcata, ad 3,5 cm. longa, 0,6 mm. lata, marginibus involutis. Costa tenuis, cellulis corticalibus utroque latere biseriatis tecta, ventre longe pilosa, pilis pluriseriatis. Alae valde decurvae, glabrae, marginibus pilis con- fertis geminatis vel ternatis, rectis, divergentibus, armatis. Cellulae alarum valde convexae 37 u, regulaviter exagonae, ad costam 37.u X 79 u, rectangulae, parietibus incrassatis, tri- gonis minutis. Rami masculi longe setosi. Hab. ad radices Montis Kinangopii prope M. Kenia. Presso il Fiume Massioia nella Foresta di Tusu m. 2250 20 VIII 1908. Leptothecaceae. Pallavicinius Camisassai n. sp. Dioica, mediocris, erecta, valida, olivaceo-viridis, gregarie crescens. Frons ad 3 em. longa (stipite ipso 2 em. longo), superne dilatata, repetito furcata, furcis profunde solutis, canaliculatis, crispulis, interdum subcontortis, in plano ambitu subtriangulari, furcis 1,5 mm. latis, remote dentato-ciliatis, alis basalibus in stipite attenuatim decurrentibus. Costa tenuis, postice convexa, medio 6 cellulas crassa, sensim in alas attenuata, alae tenuissimae ad costam l-stratae. Involuera breviter campanulata, crassa, margine breviter et grosse dentata. Perianthia ad 5 mm. longa, longe exerta, primum clavata, deinde cylindrica, ore irregula- riter inciso lobato, lobis irregulariter ciliatis. Calyptra tenuis, basi pistillis sterilibus cincta. Capsula ovali-cylindrica, 3 mm. longa, longe pedunculata, pedunculo 1,5 cm. longo. Sporae 25 u ochraceae, vermiculariter lamellatae. Elateres bispiri, ochracei, 380 pu. Hab. in M. Kinangop prope Kenia. M. Kinangop, alle Sorgenti del F. Seka: m. 4000 s. m.; 20 II 1910. Jungermanniaceae acrogynae. Epigoniantheae. Solenostoma Perloi n. sp. Dioica, major, fusco-olivacea, in sicco subnigra, dense caespitosa. Caulis ad 2,5 cm. longus, erectus, validus, inferne stolonifer, crassus, simplex, rarius (sub flore sterili?) inno- vatus, radicellis purpureis longissimis, in facie postica caulis fasciculatim descendentibus. Folia caulina transverse inserta, semiamplexicaulia, valde concava, squarrose patula, antice vix decurrentia, in plano quadrato-rotundata, inferiora minora et minus conferta. Cellulae apice 20 u, subapicales 25 u, medianae 18 u XX 30 u, basales 18 u XX 55 u, trigonis parvis acutis. Folia floralia geminata, caulinis vix majora, valde amplectentia, medio infero perian- thio valde adpressa, superne patulo-aperta. Perianthia late cylindrica ad 3/4 inserta, vix plicatula, ore crenulato. 4 Hab. ad radices M. Keniae in Africa orientali secus flumen Massioia. Nella Foresta di Tusu lungo il fiume Massioia, su terra, m. 2250 sm. 20 VIIl 1908. Affine al S. atrovirens St. Sphenolobus Savioì n. sp. Dioica, minor, longa, gracilis, fusco-virens, muscis consociata. Caulis ad 2,5 cm. longus, fuscus, fragilis, basi radicans, plus minus ramosus, sub flore innovatus, ramis saepe stolo- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 5 niferis. Folia caulina remotiuscula, transverse inserta, e basi breviter vaginante condupli- catim concava, squarrose patula, ad anticum vergentia, in plano subquadrata, ad !/; inciso- biloba, sinu obtuso, lobis subaequimagnis, triangulatis, acutis, divergentibus. Cellulae apicales 15 u, basales partim aequimagnae, partim 15 Y 25 u, omnes parietibus validis, aequaliter in- crassatis, trigonis obsoletis. Amphigastria caulina nulla. Folia floralia valde concava, erecto- amplectentia, caulinis similia. Amphigastrium florale oblongum, breviter excisum. Perianthia ad !/;, exerta, oblonga, superne 5-plicata. Hab. ad cortices in Monte Kinangop prope M. Kenia. M. Kinangop sulle corteccie delle eriche; id. tra i pulvini di un Campylopus sp. Affine allo Sph. perigonialis (Tayl.) Steph. Lophozia Kinangoptùi n. sp. Dioica, minor, dense caespitosa, rufo-virens. Caulis ad 3 cm. longus, floriferi autem multo breviores (10 mm.), sparsim postice ramosus, crassus, fragilis, radicellis pallidis repens. Folia caulina conferta, erecto-conniventia, 1,1 mm. longa et lata, transverse inserta, valde convexa, canaliculata, haud decurrentia, in plano subrotunda, ad 1/7 lunato-excisa, lobis aequalibus, late triangulatis acutis. Cellulae apicales 27 X 27 u, medio 27 X 37 u, basales 27 X 60 u, trigonis acutis, parietibus regularibus, cuticula levi. Amphigastria caulina magna basi radicellifera, cauli curvatim adpressa, ad !/3 quadrifida, marginibus grosse 1-2 dentatis. Folia floralia caulinis vix maiora, conferta, valde concava, marginibus integerrimis, apice tantum lunatim excisa, vel integra. Amphigastrium fiorale intimum simillimum. Perianthia magna tantum exserta, oblongo-ovata, in flore sterili rostrata, in flore fertili apice tantum plicata, ore truncato breviter laciniato. Hab. in M. Kinangop (Kikuju) Africae orientalis. M. Kinangop alle sorgenti del F. Seka, m.4000 sm., ass. con Cephalozia bicuspidata (L.) Dum. Dalla stessa località proviene un esemplare a individui un po’ più corti, più rigidi, cresciuti probabilmente in stazione più secca e più soleggiata. Plagiochia clavaeflora Steph. var. Keniae n. var. Differt a typo perianthio triplo longiore quam lato (6 mm. 2 mm.). Foresta di Tusu presso il Fiume Massioia m. 2250: 20 II 1910. Plagiochila laxifolia Gott. Su alberi al Colle di Gasongori nella Foresta di Tusu m. 2500: 12 VIII 1908. Plagiochila furcata Steph. Al Colle Gasongori 1908; presso il Fiume Massioia nella Foresta di Tusu m. 2250: 20 VIII 1908. Plagiochila Gasongortì n. sp. Dioica, mediocris, gracilis, fusco-olivacea, caorticola, laxe caespitosa. Caulis ad 5 cm. longus, tenuis, fuscus et rigidus, inferne simplex, superne parce pinnatim ramosus, sub flore sterili furcatus. Folia caulina 2 mm. longa, parum conferta, imbricata, apicibus liberis, oblique patula, angulo 45°, plano-disticha, basi postica ampliata, caulem tegentia, haud in cristam conni- ventia, utrinque decurrentia, margine antico subrecte patulo, postico, e basi rotundato-am- A (0) GIUSEPPE GOLA — LE EPATICHE DELLA REGIONE DEI KENIA pliata, uni-tridentato, apice truncato, sinuato vel uni-tridentato, quam basi 4-plo angustiore. Cellulae apicales et medianae 20 XX 20 u, parietibus tenuibus, trigonis acutis, basales 20 x 40 u, parietibus parum incrassatis, trigonis magnis nodulosis. Folia ramulina minora, caulinis similia. Folia floralia caulinis maiora, intima late obo- vato-trigona, basi integra, apice grosse dentato-spinosa. Perianthia ad medium exserta, obo- vata, plicata, ore truncato grosse dentato-spinoso, spinis inaequalibus. Hab. ad radices Montis Keniae ad jugum Gasongori. Nella Foresta di Tusu sul fiume Massioia presso il Colle Gasongori: m. 2280 sm., 20 VIII 1908. Affine alla PI. furcata. Plagiochila Vignotlii n. sp. Dioica, mediocris, flavovirens, caespitosa, corticola. Caulis ad 4 cm. longus, fuscus, inferne nudus, superne bipinnatim ramosus, pinnis parum divergentibus, plus minus regula- riter pinnulatis. Folia caulina adulta 2,5 mm. longa, conferta, oblique patula, angulo 759, utrinque longe decurrentia, alis latis, postica crispata integra, in facie lacinulis sparsim obsita, in plano trigona, basi amplissima, apice 4-plo angustiore, marginibus strictis, antico nudo, postico integro vel irregulariter dentato, dentibus ad 10, brevibus, acutis, apice trun- cato bidentulo. Folia ramulina angustiora. Cellulae apicales 18 u, basales 18 X 36 u, trigonis magnis acutis. Amphigastria nulla. Folia floralia caulinis similia sed apice rotundato et magis armato. Perianthia immersa, late crispato-campanulata, ore compresso late rotundato, margine sinuato vel subdentato. Androecia in ramulo proprio, bracteis 8 jugis, confertis, medio supero squarrose recurvo, margine integro sinuato. Hab. ad radices Montis Keniae Africae orientalis. Boschi del Piccolo Karema 14 Il 1908; id. 4 1908; Limuru sugli alberi; 5 I 1908; id. 6 1908; Colle di Niere, m. 1800 s. m. nei boschi; 9 IV 1908. Plagiochila Perloi n. sp. Dioica, mediocris olivacea, dense caespitosa, corticola. Caulis ad 6 cm. longus, validus, fuscus, superne debilis, regulariter et breviter pinnatus, pinnulis pro maxima parte floriferis. Folia caulina 2,5-3 mm. longa, imbricata, late trigona, apicibus liberis, oblique patula, angulo 50°, utrinque longe decurrentia, ala postica margine subintegro, crispato, laciniis fili- formibus interdum munito, in plano ovata, tertio infero amplissima, apice triplo angustiore, asymmetrica, margine antico substricto nudo integerrimo, postico e basi rotundata subnuda stricto integro vel paucidentato, apice rotundato, truncato, integro, vel 1-dentato. Cellulae apicales 20 u, basales 22 X 50 u, trigonis magnis acutis. Folia ramulina minora simillima. Amphigastria ad basin fere multifida, laciniis filiformibus irregularibus. Folia floralia cau- linis similia, margine postico denticulato crispato, apice denticulato. Perianthia parum exserta ovato-cylindrica, plicata, ore truncato, dense ciliato. Androecia mediana, ovato-linearia, bracteis 6-10 jugis, confertis, patulis, crispatis, integerrimis, superne foliaceis. Hab. ad radices Montis Keniae Africae orientalis. Limuru sugli alberi 5 I 1908; Piccolo Karema sugli alberi; 14 II 1908. Plagiochila Perloi var. Balboi n. var. Differt a typo foliis margine postico creberrime denticulato-spinoso. Limuru sugli alberi I 1908; Steppe del Massai-Land inglese; 6I 1908; Gaki, sopra gli MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 7 alberi; Sagana m. 1800 s. m. lungo il Fiume Montagu, 14 XII 1909; sugli alberi nella Foresta di Niere, 13 IV 1910. Tanto la Pl. Vignoli che la Pl. Perloi hanno affinità colla PI. Telekiù St. e colla PI. Dschaggana St. Plagiochila Aloysii Sabaudiae Gola. M. Kinangop su terra m. 4500 sm. (P. Savio). Lophocolea difformis Nees. Nel Piccolo Karema 14 II 1908 ass. con Lejeunea sp. Trigonantheae. Cephalozia bicuspidata (L.) Dum. Sulle eriche sul M. Kinangop alle Sorgenti del F. Seka, m. 4000 20 III 1910 ass. con Lophozia Kinangopii Gola. Ptilidioideae. Chandonanthus Perloi n. sp. Sterilis, majuscula superne fulva, inferne brunnescens, corticola, dense caespitosa. Caulis ad 6 cm. longus repens, rigidus, simplex vel parce ramosus, ramis adpressis. Folia caulina 2,5 mm. longa, basin fere quadriloba, lobis canaliculatis inaequalibus, mediis majoribus, postico multo angustiore, omnibus plus minus dense spinosis, spinis irregularibus, inferis validioribus, varieque patulis, supernis regulariter consecutivis, plus minus longis. Cellulae superae et marginales 15 pu, medianae 25 XX 16 u, basales 18 XX 50 u, parietibus validissimis nodulose incrassatis. Amphigastria caulina parva, canaliculato-undulata, cauli adpressa, pro- fundissime biloba, lobis maxime denticulatis, dentibus multoties ciliolatis, haud radicantia. Hab. ad cortices in M. Kinangop in Africa orientali. M. Kinangop sulle corteccie delle eriche m. 4500 sm. 3 I 1909 (Leg. P. Saroglia) ass. con Sphenolobus Savioi Gola. Di questa specie ho osservato un esemplare a cauli ramosi, raccolto nella medesima località. Schisma mascarenicum Mitt. var. Kikujensis n. var. Differt a typo foliis minus hamatis, valde rufescentibus. M. Kinangop su terra m. 4300 sm. 26 VII 1908. Schisma Balboi n. sp. Planta minor, rufobrunnea, laxe caespitosa. Caulis ad 2 cm. longus, parum ramosus, ramis apice stoloniferis. Folia caulina imbricata, conferta, parum decurva, in plano 2,5 mm. longa, symmetrica, ad ?/3 biloba, sinu acuto, lobis lanceolatis divergentibus. Discus basalis subguadratus 1 mm. longus, 0,8 mm. latus, integerrimus, marginibus leviter rotundato- ampliatis. Vitta basalis brevissima, 0,2 mm. longa, subinde furcata, cruribus in medio laci- niarum evanidis. Cellulae foliorum superae 12 u, parietibus crassis nodulosis, in vitta 15 XK 45 4, Ò GIUSEPPE GOLA — LE EPATICHE DELLA REGIONE DEI, KENIA erosse trabeculatae, in alis 15 X 25 u, parietibus grosse nodulosis. Amphigastria foliis aequimagna simillima. Hab. in Africa orientali in M. Kinangop. M. Kinangop su terra m. 4500 sm. 1908. Stephaninioideae. Radula Allamanoì n. sp. Sterilis, mediocris, flavovirens, flaccida, corticola. Caulis ad 4 cm. longus, irregulariter pinnatim ramosus. Folia caulina parum imbricata, subrecte patula, late obovata, 1,6 mm. longa, 1,6 mm. lata, marginibus late arcuatis, apice rotundato obtuso. Cellulae marginales 12 u, leves, medianae 18 u, basales 18 X 24 u, parietibus tenuibus, trigonis subnullis. Lobulus magnus, carina leviter rotundata, apice rotundato, grosse appen- diculato, appendiculo subaequimagno, rotundato et cauli oblique incumbente. Reliqua desunt. Hab. in Africa orientali ad radices M. Kinangopii prope M. Kenia. Foresta di Tusu sul Fiume Massioi m. 2250; 20 VIII 1908. Radula Sarogliae n. sp. Sterilis mediocris olivacea, tenera, laxe caespitosa, corticola. Caulis ad 6 cm. longus, regulariter pinnatus, pinnis longioribus pinnulatis. Folia caulina recte patula, plano-disticha, late ovata, 1,5 mm. longa, 1,0 mm. lata, apice truncato-rotundata, caulem tegentia vel superantia. Cellulae marginales 12 u, superae 18 u, basales 18 X 22 u, omnes trigonis magnis. Lobulus rhomboideus, interdum subreniformis, 0,5 mm. longus, 0,40 mm. latus, carina oblique patula, curvata, levi sinu in folii marginem excurrente, apice oblique truncatus, angulo obtuso, basi oblique insertus, inferne appendiculato-rotundatus, medio supero solutus ampliato- rotundatus, caulem tegens et superans. Hab. ad radices M. Kinangopii prope M. Kenia in Africa orientali. Affine alla È. tamariscina Mitt. Foresta di Tusu presso il Fiume Massioi m. 2250 sm.; 20 VIII 1908. Bellincinioideae. Madotheca Hohneliana Steph. Di questa specie ho osservato anche degli individui fertili; poichè la frase diagnostica è ora incompleta, non essendosi ancora osservati individui con organi femminili, ne com- pleto ora la frase diagnostica data dallo Stephani. Folia floralia caulinis similia, apice crebre denticulata. Amphigastrium florale obovatum, breviter bilobum, lobis obtusis subcrenatis. Perianthia magna campanulata, crebre laciniata, laciniis lanceolatis denticulatis. Capsula obovata, rostrata, rostro longiusculo. Foresta di Tusu lungo il Fiume Massioia 20 VIII 1908; Massioi, sugli alberi m. 2250; 7 XIII 1908; Foresta Tusu al Colle Gasongori m. 2500 sm.; 27 IX 1908. Madotheca capensis Gott. Su eriche al M. Kinangop m. 4800 sm. (P. Savio). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 9 Jubuloideae. Eulejeunea flava (Sw.) Spruce. Sulle corteccie nella Foresta di Tusu al Colle Gasongori m. 2500; frequente: 16 VII 1908, 10 VIII 1908, 12 VIII 1908. Brachiolejeunea Hildebranatii St. var. pluriplicata n. var. Differt a typo caule irregulariter pinnato, basi antica foliorum haud circinnata, margine lobuli 5-6-mammillato, perianthiis 9-10-plicatis. Nella Foresta di Tusu al Colle Gasongori, su alberi 12 VIII 1908. Frullania dentilobula Steph. (Sez. Chonanthelia). Forma con appendice del lobulo poco uncinata. Foresta di Tusu al Colle di Gasongori 1908. Frullania Hohneliana Steph. (Sez. Trachycolea). Foresta di Tusu al Colle Gasongori sugli alberi m. 2280 sm.; 12 VIIl 1908. Nei boschi del Piccolo Karema 14 II 1908. Frullania squarrosa Nees. (Sez. Trachycolea). Massai-Land inglese 6 I 1908. Gaki presso i Masera; 18 II 1908 sugli alberi. Boschi nel Piccolo Karema (corticola e terricola) 14 II 1908; Foresta di Niere (corti- cola) 13 IV 1908; Limuru sugli alberi e su terra VI 1908; Musanga lungo il fiume Sagana 14 XII 1909. In tutte queste località furono raccolti esemplari mostranti un certo polimorfismo in relazione colla stazione terricola o corticola, più o meno secca e soleggiata nella quale furono raccolti. Frullania stricta Ldbg. (Sez. Thyopsiella). Foresta di Tusu lungo il Fiume Massioi m. 2250 sm.; 20 VII 1908; Colle di Nawasha nella Catena del Kinangop sulle eriche; m. 4000 21 VII 1908. L'esemplare di quest’ultima località è formato da individui un po’ più piccoli. Frullania Holstii St. (Sez. Thyopstella). Foresta di Tusu al Colle Gasongori su alberi m. 2280 12 VII 1908. Frullania Kinangopiti n. sp. (Sez. Diastaloba). Dioica, pusilla, fusco-brunnea, tenax, aliis gmuscis consociata. Caulis ad 2 cm. longus, pinnatim ramosus, sub flore innovatus. Folia caulina laxe imbricata, recte patula, concava, apiceque alte decurva, in plano ellyptica, 0,64 mm. X 0,44 mm., apice late rotundata, dorso caulem valde superantia, basi antica rotundata, haud appendiculata. Cellulae superae 16 y, parietibus incrassatis flexuosis, trigonis magnis, basales 16 X 26 u, parietibus nodulosis, tri- gonis magnis. Lobulus cucullatus vel saepius obovatus, obliguus, cauli approximatus, duplo longior quam latus, vertice rotundato, medio infero angustior, ore ipso truncato leviter bilabiato, marginem folii parum excedens. Amphigastria caulina parva, caule duplo latiora, B 10 GIUSEPPE GOLA — LE EPATICHE DELLA REGIONE DEL KENIA obcuneata, vix longiora quam lata, basi caulem amplectentia, superne rotundata, apice ad !/g inciso-biloba, lobis late triangulatis rotundato-obtusis. Perianthia {valde matura), maxima, eylindrica, postice 1-plicata, rostro nullo. Androecia parva capituliformia 4-8 juga. Hab. in Africa orientali in M. Kinangop prope Kenia. M. Kinangop m. 4400 sm. 26 VII 1908 (P. Savio). Anthocerotaceae. Anthoceros Gasongorti n. sp. Dioica, depresso-caespitosa, brunneo-olivacea, in sicco brunnea. Frons crassa 8-10 mm. longa, remote bi-trifurcata; furcae lineares, 1,5-2 mm. latae, irregulariter multoties pinnatim divisae, laciniis tenuissimis, incurvis, rotundatis. Superficies frondis irregulariter rugulosa, cristis carnosis longitudinaliter striata. Antheridia non vidi. Involucra foeminea solitaria 3-3,5 mm. longa, anguste cylindrica, longitudinaliter rugulosa, parietibus tenuissimis. Capsulae 2-3 cem. longae, tenues, valvulis stomatiferis. Sporae 45 u, brunneolae, creberrime papilloso- echinatae, papillis obtusis hyalinis, pseudoelateres brunnei, brevi-articulati, sine spiralibus, parce ramosi. Hab. ad jugum Gasongori in M. Kinangop prope M. Kenia. Al Colle di Gasongori m. 2250 sm. Anthoceros FRossoì n. sp. Monoica, late expansa, in sicco nigrescens. Frons tenuis, haud cavernosa 1 cm. longa, furcata, furcis linearibus 2 mm. latis. Involucra solitaria, subeylindrica, ad faucem tantum latiora, vix duplo longiora quam lata, parietibus tenuibus. Capsula tenuis, 2,5 cm. longa, valvulis stomatiferis; sporae flavescentes 38 u, cuticola laevissima. Pseudo elateres 60-80 u, valde recurvi, simplices, sine fibra spirali. Androecia sparsa. Hab. ad radices M. Keniae prope Soko. Soko su terra 29 I 1908. Oltre alle specie sopra elencate e descritte, ho osservato nella collezione, senza riuscire a determinarle, causa lo stato del materiale: Una specie di Euosmolejeunea del Kinangop; una Brachyolejeunea raccolta presso il Fiume Sagana, una Frullania (sez. Thyopsiella), una Pallavicinioidea proveniente da Serereka, e, più interessante di tutte, un frustolo di un Diplophyllum appartenente al gruppo dei Diplophyllum europei. Sarebbe questa la prima volta che questo genere viene trovato in Africa. Quello del quale faccio cenno fu raccolto sul M. Kinangop a m. 4000 sm. presso le sorgenti del Seka (20 II 1910). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. I. Il SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Pallavicinius Camisassai n. sp. —- Fig. 1, pianta intera 2/3; fig. 2, involucro e perianzio (13/1). Solenostoma Perloiî n. sp. — Fig. 3, porzione di una pianta (18/1); fig. 4, perianzio (13/1); fig. 5, foglia fiorale (13/1); fig. 6, una foglia (13/1). Lophozia Kinangopii n. sp. — Fig. 7, porzione di pianta fertile (13/1); fig. 8, una foglia (11/1); fig. 9, porzione di una pianta vista inferiormente (13/1). Sphenolobus Savioi n. sp. — Fig. 10, una foglia (13/1); fig. 11, porzione di pianta (33/1). Plagiochila Gasongorii n. sp. — Fig. 12, una foglia (13/1); fig. 13, una foglia fiorale (1/81); fig. 14, perianzio (13/1). Plagiochila Vignolii n. sp. — Figg. 15-16, due foglie (13/1); fig. 17, una foglia fiorale (13/1). Plagiochila Perloi n. sp. — Fig. 18, una foglia (13/1); fig. 19, una foglia fiorale (13/1). Plagiochila Perloi var. Balboi n. var. — Fig. 20, una foglia (18/1); fig. 21, una foglia fiorale (13/1). Schisma Balboi n. sp. — Fig. 22, una foglia (13/1). Chandonanthus Perloi n. sp. — Fig. 28, una foglia (13/1). Madotheca Hohneliana Steph. — Fig. 24, perianzio (13/1). Padula Allamanoi n. sp. — Fig. 25, una foglia (20/1); fig. 26, porzione di pianta (13/1). Padula Sarogliae n. sp. — Fig. 27, una foglia (20/1); fig. 28, porzione di pianta (13/1). Frullania Kinangopii n. sp. — Fig. 29, porzione di pianta (88/1); fig. 30, una foglia (33/1); fig. 31, un amfigastrio (33/1); fig. 32, perianzio (13/1). API Ari mont AR nigi SEUI. tnt 111 UL ti re 4004 tt n MIC 4 ila RI ea } \ hi P ARCA 1 : ; i JP P VA LÈ IDIPTRO PIA OR AI ALBIIO RINUNI toa Pot bha E MVIIT, Ù Dina Ù ti LARIO URINA DAN a » ; i È Wa tes di |] È ) Nb panna (Lara MT IEP RRET GET AA EVITATO ORA EEE AO N ; VaTfiri ; uf 5 gala netto: CR Dal Mita da "i al O Di SPA) RA: de A AVO a Liana? sti A dimo abi ile anciepod N SE. dept eni CERI sirondilisatazttziv era dear DT Re ao Ania e ORTI st arte 4 Al tit it ai put hl alt c(ti tia alii anti RT tria dl av #}. ai NT. DEC: Lio netto Bid. 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RE E CONSIDERAZIONI SOPRA L'INDIGENATO DI TALUNE SPECIE MEMORIA DEL DOTTOR ENRICO MUSSA Approvata nell’Adunanza del 26 Aprile 1914. PARTE PRIMA Sulla Flora dell'Agro torinese. SUO Sulla necessità d’una revisione della Flora dell'Agro torinese e sull’indigenato di talune forme vegetali della Flora stessa. I lavori fondamentali sulla flora dell'Agro torinese sono essenzialmente due: la lora taurinensis del Barsis (1806) e la Flora torinese di G. F. Re (1825-1826). Il Balbis, come afferma egli stesso nella prefazione della sua flora, comprese soltanto le forme indigene..... itaque tum colles, tum planities taurinenses peragratus, omnia investigavi, expendi, nullique peperci labori, ut quae huic solo indigenae censeri possent stirpes, eas colli- gerem..... Fece però talune saggie eccezioni a questo suo concetto fondamentale menzionando, ad esempio fra altre, l’aesculus hippocastanum con questa declaratoria: Ex septen- trionali Asia in Europam translata, modo apud nos wveluti indigena ubique colitur, mireque lururiat, ed in nota aggiunge: Hue retuli, ut Botanices studiosi septimae Linnacanae classis aliquod haberent specimen. Quanto all'estensione territoriale della flora torinese il Balbis assunse un criterio pret- tamente empirico, delimitando la sua circoscrizione con un cerchio avente il raggio (dal centro urbano) di m. 15000..... opus suscepi, quo plantarum omnium circa hane urbem (ad myriametrum cum dimidio) nascentium..... exhiberem descriptionem..... Questa circoscrizione sarebbe grossolanamente rappresentata da una linea che passasse per i seguenti punti: Gassino, Chieri, Santena, Orbassano, Rivoli, Mandria, Leynì, Gassino. (o) d ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL’AGRO TORINESE, ECC. Successivamente G. F. Re nel 1825-1826 pubblicava una lora torinese assai più ampia nella parte descrittiva e più ricca di specie seguendo gli stessi criteri del Balbis, allargando però alquanto la circoscrizione territoriale della flora torinese. Vi comprese infatti il monte Musiné: ed a fare questa inclusione fu tratto, più che da altro, da una pura e semplice considerazione d’opportunità, come egli stesso, d'altronde, dichiara nella sua prefazione rivolgendosi ai suoi allievi: “ la tanto rinomata montagna del Musiné posta alla distanza di cinque miglia dalla Venaria.....; percorsi perciò non poche volte..... questo monte : ed ivi mi venne fatto di raccogliere non poche piante preziose e rare che ho creduto bene di annoverare in questa mia opera, sì perchè più compiuta così diventasse, e principalmente perchè, descrivendovi le piante, che in questo terreno s'incontrano, possiate essere eccitati a percorrerlo, ed a farlo così anche un degno oggetto delle vostre ricerche botaniche e dei vostri studi ,. Dopo questi due autori non vennero più pubblicati lavori completi floristici della regione torinese; comparvero solo alcuni brevi, per quanto pregevoli, contributi alla statistica vege- tale locale: ad es. l’EZenco delle fanerogame del Moris, la Florula di Val Salici del BAaRUEEI, la Florula di Soperga del MarTIROLO, ecc. Due botanici, per altro, pubblicarono in questi ultimi anni lavori relativi alla flora non del complesso dell'Agro torinese ma di parti sin- gole, e su questi io credo opportuno fare qualche parola, perchè il futuro compilatore di tutta la flora torinese dovrà tenerne gran conto sia per le importanti considerazioni d’or- dine biologico in essi contemplate, sia per la ricchezza di elementi statistici sistematici sulle entità tassonomiche da includere. Tali lavori sono i seguenti: NeerI, La vegetazione della collina di Torino. — In questo lavoro l’autore anzitutto espone i coefficienti ambientali della vegetazione della collina di Torino, dichiarando quale sia la struttura geologica della regione esaminata sui due suoi versanti — si diffonde sui particolari petrografici afferenti i terreni e sulle condizioni climatiche naturalmente assai variabili; discute quindi sull'azione profondamente modificatrice dell’uomo, facendo sagaci richiami alla letteratura così storica, come geologica della regione; ed a questo riguardo riescono molto interessanti le notizie densamente compendiose che egli dà sulla presenza di Pinus silvestris, di Quercus sessiliflora, di Robinia pseudoacacia nelle stazioni che egli studia. Passa quindi in rassegna le stazioni floristiche e le associazioni vegetali con ampia documentazione biologica. Ed a questo punto parmi opportuno ricordare come il lavoro del Dottor Negri sia il primo che abbia applicato in modo rigoroso e controllabile i moderni concetti delle associazioni alla vegetazione di Torino. Egli distingue le associazioni stabilite sui terreni influenzati in modo continuo dall’uomo (stazioni culturali e ruderali) da quelle sui terreni allo stato naturale. Enumera 21 associazioni e di ciascuna definisce i limiti ed i caratteri illustrati da un’ampia citazione delle forme vegetali costituenti. Di particolare interesse è l'osservazione finale fatta dall’autore, il quale brillantemente dimostra come la collina di Torino abbia funzionato nel periodo glaciale come una morena nei rapporti della flora; in altri termini la collina si trasformò in una stazione di rifugio per le specie respinte dalle valli alpine. Ne sono tuttora testimoni gli ultimi rappresentanti, omai scarsi, di Pinus silvestris e la Pinguicula alpina citata dal Balbis. Però le specie megaterme dovevano prendere progressivamente il sopravvento e l’autore attribuisce tale fatto a due cause: 1° la degradazione meteorica di terreni argillosi freschi ed atti ad una vegetazione microterma, colla correlativa sostituzione del primitivo terreno a tipo igrofilo con un terreno a facies sabbiosa-xerofila, facile ospite di piante megaterme; 2° la maggiore elasticità di adattamento delle megaterme a terreni anche di disparato tipo (piante xerofite psammofile), quale elasticità evidentemente costituisce per sè una condizione favorevole nella funzione elettiva d’ambiente, mentre il diboscamento da una parte e i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 3 risanamenti dall’altra dovettero sempre meglio favorire l’estendersi della vegetazione mega- terma a danno della microterma ombrofila e palustre. L'autore richiama infine l’attenzione sull’azione dell’uomo, il quale colle sue culture introduce di continuo nuove forme mega- terme, che poi, esulando dalle culture stesse e dalle stazioni ruderali, inquinano le associa- zioni naturali modificandone per sempre la facies tanto da renderne difficile la retta inter- pretazione. Come elemento documentario sistematico l’autore presenta infine un ricchissimo elenco delle specie (circa 1300) spontanee od inselvatichite sui colli di Torino. Tale elenco»è pro- spettato in serie sistematica, riferendo ciascuna entità alla rispettiva associazione. NEGRI, Le stazioni di piante microterme nella pianura di Torino. — L'autore, dopo una descrizione topografica e geologica del piano di Torino, passa in rassegna cinque stazioni particolari: brughiera, boschi di alluvione, acquitrini, greti di torrenti e terreni aridi ed incolti, opportunamente caratterizzandole, e quindi in un elenco sistematico prospetta la flora microterma del piano di Torino presentando oltre a 200 forme vegetali col riferimento, per ciascuna di esse, ad una delle cinque stazioni dianzi indicate. Piace ricordare — come cosa che più interessa la questione dell’indigenato nella flora di Torino — che l’autore sagacemente osserva che, se la disseminazione per mezzo dei torrenti alpini è importante, tuttavia poche sono le piante, salvo le riparie, di cui si possa con sicurezza affermare la recente introduzione per via idrocora: “ la grande mutevolezza delle correnti torrentizie, che scendono dai nostri monti, rende indispensabile l’ammettere, per le specie riparie ed in genere per le piante localizzate esclusivamente nelle alluvioni contemporanee, una immigrazione attuale e continua. Molte delle forme più caratteristiche montane così introdotte nella flora del piano vi hanno però una esistenza assolutamente effimera , e l’autore documenta questa asserzione citando quali sono le specie montane sul piano torinese: Silene rupestris, Aquilegia vulgaris atroviolacea, Geum rivale, Astragalus sem- pervirens, Primula elatior, Linaria supina e alpina, ecc. FeRRARI Cav. EngrIco, La vegetazione della Vauda di Leynì. — Questo lavoro di 59 pagine costituisce un documento di grande valore per lo studio della flora d’una parte molto inte- ressante dell'Agro torinese. Esso rivela, in chi lo ha compilato, uno scrupoloso spirito di ricerca, mercè il quale unicamente egli ha potuto, in un’area relativamente ristretta ed occupata in gran parte da culture agrarie, censire ben 792 entità tassonomiche. Il Cav. FeR- RARI — conservatore all’Orto botanico di Torino — è il vero specchio del botanico inve- stigatore delle specie nelle loro stazioni naturali: dopo avere perlustrato palmo per palmo l'Appennino modenese in tempi in cui mancavano le odierne comodità — dopo avere fatto ampie escursioni floristiche nelle Alpi Apuane — ha investigato quasi integralmente le regioni dell’antico Piemonte e progressivamente ha acquistato quel mirabile colpo d’occhio che gli fa distinguere con sicurezza forma da forma anche nei generi critici più difficili, e che gli fa scoprire quasi in ogni escursione forme nuove, o rare, o quanto meno di parti- colare interesse. Non può quindi meravigliare se anche del territorio di Leynì egli non solo potè stendere un censimento, che si può dire completo, della popolazione vegetale, ma anche notare alcune entità di grandissimo interesse, fra cui l’Isoétes Malinvernianum, da lui per la prima volta ivi raccolto fuori della sua stazione classica: nè basta, ma Ophioglossum vulgatum, Osmunda regalis, Festuca pannonica, Vulpia dertonensis, Carex pilulifera, Najas alagnensis, Juncus capitatus, Spergula pentandra, Cicendia filiformis, ecc. da lui scoperte, sono tali specie da costituire una vera collana d’onore a questo esperto ed appassionato investi- gatore della flora piemontese. Interessante agli effetti dell’incolato nella flora torinese è l'osservazione che egli acu- 4 ENRICO MUSSA -— LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. tamente espone in principio del lavoro e che mi piace qui riferire, che, cioè, se sulla Vauda di Leynì ha potuto affermarsi una formazione vegetale a facies xerofila o subxerofila, perchè il suolo di quell’alto rilievo si trova necessariamente alquanto distanziato dagli orizzonti acquiferi sotterranei, tuttavia in certi punti un po’ depressi la natura argillosa del suolo (che il dottor Negri nel suo lavoro sulla collina di Torino ricordò costituire d’ordinario un terreno fresco ospite a piante microterme), consente anche una vegetazione idrofila ricca di elementi floristici montani, testimoni delle immigrazioni di piante montane sul piano durante le grandi glaciazioni alpine. Molto opportunamente il Cav. Ferrari ha premesso alla esposizione sistematica del cen- simento della Vauda varî raggruppamenti in cui le piante enumerate sono distinte in piante silvane (fustaje e sottobosco), piante dei gerdidi, piante palustri ed acquatiche, piante pratensi, piante campestri, piante ruderali. È incontestabile il valore intrinseco di questo lavoro il quale prospettato in questa forma di partita doppia pone il botanico raccoglitore in grado di formarsi un esatto con- cetto sul complesso della vegetazione locale e sulla costituzione morfologica delle varie for- mazioni vegetali, facilitando le ricerche stesse. Il migliore elogio che si possa fare di questo lavoro densissimo, frutto di 24 anni di erborizzazioni, è la grande stima in cui è tenuto il suo autore dai botanici e dagli amatori della nostra flora, e mi sia permesso di esprimere, di qui, a lui un vivo ringraziamento per le preziose indicazioni che mi ha favorito per questo lavoro. Orbene, dopo i citati lavori di G. B. Balbis e di G. F. Re sulla flora dell’Agro tori- nese, le escursioni botaniche hanno rivelato la presenza d’un certo numero di specie, non solo locali, ma anche d’origine esotica, le quali omai debbono entrare nei quadri della popo- lazione botanica di questa regione. È noto come nella flora di qualsiasi regione si possa sempre notare il fatto, in più o meno larga misura, di specie non indigene, ma importate, le quali nel tempo vennero ad inquinare, per così dire, la popolazione primitiva vegetale. Di tali specie non indigene alcune possono fare semplici fugaci comparse, ma altre assumono tutti i caratteri di vere specie indigene, adattandosi in modo mirabile e talora anzi in modo molto energico al nuovo ambiente. Ed è a questa energia, in qualche caso veramente perspicua, che il LreunIs (1) allude quando ricorda che “..... zahlreiche Arten..... ohne und oft gegen den Willen des Lands — und Forstwirths, Géirtners u. s. w. aus oft sehr entfernten Ursprungsgebieten eingefihrt werden und sich in einzelnen Fillen so stark vermehren, dass sie minder kriftig organisirte einheimische Pflanzen von ihren Standorten verdringen ,. Queste specie perfettamente naturalizzate entrano pur esse a formare il paesaggio botanico della regione ed anzi, in taluni casi, vi contribuiscono in modo del tutto peculiare. Così per limitare gli esempi ai più cospicui, basti ricordare l’Erigeron canadensis, che signoreggia nelle pubbliche discariche, che vigorosamente invade il suolo fra le stoppie dopo la mietitura, che a volta a volta assume forma e sembianza di pianta arboricola o muri- cola; introdotta dall'America del Nord sul principio del 1600 presto si diffuse ovunque come una malerba — la comune Robinia pseudoacacia — l'elegante Amorpha fruticosa che, primitivamente sfuggita a qualche giardino, non solo si è affermata in certe stazioni ma vittoriosamente lotta come pianta invadente, riuscendo perfino a sopraffare la comune Ra- binia — la Solidago glabra, caso schiettamente tipico di pianta, che dimostra una forza di (1) LrunIs, Synopsis der Pflanzenkunde, vol. I, pag. 791. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 5 penetrazione straordinaria, tanto da acquistare fama di pianta infestante e che in certi siti col giallo vivo delle sue vistose infiorescenze imprime un carattere particolare al paesaggio botanico del tardo estate, — il Polygonum cuspidatum che, ad esempio nel fosso del Palazzo Madama nella piazza Castello di Torino, assume uno sviluppo addirittura meraviglioso. I predetti autori Balbis e Re nelle loro flore avevano già osservato che certe specie d'origine straniera avevano realmente acquistato il diritto alla cittadinanza, e di fatti essi già avevano registrato, considerandole omai come indigene: Aster Novi Belgi, Aesculus hip- pocastanum, Datura stramonium, Erigeron canadensis, Hemerocallis flava, Oenothera biennis, Phytolacca decandra, ece. Fra le specie d’origine esotica ed omai naturalizzate nell’Agro torinese alcune sono molto diffuse o molto abbondanti come quelle dianzi citate, e come, per aggiungere altri esempi: Fragaria indica, Brussonetia papyrifera, Lonicera japonica, Tecoma radicans, Par- thenocyssus quinquefolia, ecc.; altre invece si incontrano in poche località ed anche in rari esemplari, come ad esempio, Narsdomia fragrans, di cui si conosce una sola stazione sulla collina, ma che si è ivi consolidata e fiorisce regolarmente e precocemente ogni anno già in febbraio. Ma se la flora locale si è arricchita di parecchie specie esotiche, non è a dire che anche le forme indigene non abbiano contribuito ad aumentare il censimento botanico della regione. Ecco qualche esempio: Il Balbis, nella sua Flora Taurinensis (1806), non registra affatto il genere 7uZipa: il che induce il legittimo sospetto che questo genere, almeno prima del 1806, non esisteva nell’èmbito della flora torinese; ad un botanico così diligente certamente non sarebbe sfug- gito alcun rappresentante di questo genere di pianta dai fiori tanto vistosi. Eppure qualche specie di YZipa dopo quell’anno si è rivelata, come è dimostrato da un carteggio del Balbis (da Lione) col Capelli, Direttore dell’Orto Botanico di Torino, e che mi piace di qui riferire, anche a titolo di omaggio alla memoria di quel grande botanico torinese: “ Lyon, 15 Fevrier 1822. “J'ai recu, mon très-cher ami, par la diligence de MM. Bonafous, et l’intéressant “ paquet de graines que tu as eu la complaisance de m’envoyer et le petit nombre de bulbes “que tu as cru devoir y ajoutor. Je te remercie infiniment de cet envoi, quoiqu’incomplet, “ attendu que je t'avais prié dans une de mes lettres de me faire ramasser, si cela étoit possible, et en payant, une centaine d’oignons des T'ulipa oculus-solis, sylvestris et clusiana, « qu'on rencontre en très-grande abondance sur la colline de Turin, etc. ,. © 1° Marzo 1822. “Tu m’'obligeras beaucoup si tu veux bien me pourvoir è son temps, c’est-à-dire “ après leur fleuraison, les bulbes en abondances des Erythronium dens-canis, Leucojum “ vernum, Tulipa sylvestris oculus solis (dans les champs de la vigne Conterno, vallée Pato- “ nera de la colline de Turin, où elle fleurit vers la fin d’avril) et la 7. Celsiana qui se “ trouve non seulement dans la méme vallée, mais dans la vigna Ceaglio et qui fleurit è “ la méme époque ,. € 25 Aprile 1822. Se Jai recu hier les bulbes, que tu as eu la bonté de m’envoyer en abondance. Je “ten remercie avec toute l’effusion de mon coeur. Je vas garnir une belle étendue de ter- “ rain; que de jouissances lorsque je les verrai en fleur! Les plantes me rappeleront et le 6 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL’AGRO TORINESE, ECC. «“ généreux donateur et les lieux interessants que j'ai parcourus dans tems sur la colline “de Turin ,. Ora, se la Tulipa Oculus-solis non può vantare un'origine regionale, la Tulipa sylvestris per contro si deve considerare quale indigena d’Italia, come lo dimostrò il Frorr nel suo interessante studio sui generi T'ulipa e Colchicum (1). Il Dottor Gola poi in una pregevole Memoria sulle piante rare o critiche del Piemonte cita varie specie sconosciute al Balbis ed al Re; eccone alcune: Corynephorus canescens P. B., Trisetum myrianthum ©. S. Mey, Poa serotina Ehrh., Bromus maximus Desf., Wolffia arrhiza Stimm., Gladiolus imbricatus L., Papaver hybridum L., Medicago rigidula Desf., etc. Delle nuove entità tassonomiche — siano esse indigene o d’origine esotica — che vennero ad arricchire la flora torinese, alcune sono diffuse od abbondanti, altre rare. Così del citato Corynephorus canescens si conosce una sola località (Sabbioni di Trofarello). Ma non è l’abbondanza o la scarsità relativa di esemplari ciò che deve influire quale criterio determinante per l'ammissione d'una forma vegetale nei quadri della flora; sibbene il fatto biologico dell’adattamento della pianta all’ambiente. Le flore di qualunque regione registrano certe specie — in realtà rare — le quali vennero trovate o in pochissime (anche una sola) stazioni od addirittura in esemplari scar- sissimi; nè per ciò si pensa menomamente di escluderle dal censimento della popolazione vegetale regionale. Così per la flora della collina torinese la Gentiana acaulis fu trovata unicamente sul colle di Soperga, la Monotropa hypopithys è indicata dal Balbis e dal Re unicamente in val San Martino e la Pinguicula alpina unicamente in un recesso sotto l’Eremo, l’Oplismenus undulatifolius ho notato in due sole località molto ristrette e fra loro molto distanti, il Crypsis alopecuroides (2) si trovò solamente all’ Eremo in uno spazio di pochissimi metri quadrati. Si tratta di specie rare ad area limitatissima, ma certamente da censirsi regolar- mente se anche destinate a sparire in causa specialmente di quell’agente per eccellenza disturbatore, che è l’uomo. È omai invalso l’uso — ed è cosa che risponde perfettamente a criteri scientifici — di segnare bene sia negli exsiccata, sia nelle flore locali, le precise circostanze di tempo e di luogo in cui una specie nuova (sia indigena, sia esotica) viene osservata; sono questi, infatti, elementi necessari per poter tratteggiare la storia botanica delle singole specie ed il loro progressivo irradiamento. Fra le specie avventizie talune fanno realmente semplici comparse affatto effimere e l'osservatore si accorge senza difficoltà di trovarsi in presenza di casi isolati; è utile ed istruttivo tener nota, in una flora locale, anche di questi fatti isolati, di queste apparizioni fugaci, come quelle che possono dimostrare l’estensione e l’energia di certe disseminazioni a distanza. Così io raccolsi sul ghiaieto del Po, all'altezza di Settimo torinese, un esemplare di Linaria alpina in fiore, evidentemente nata da semi recati dalle acque dalle lontane regioni delle Alpi, per lo meno da 80 chilometri! Ma altre specie che, unicamente per ragioni pratiche, si qualificano per avventizie, è utile siano in una flora locale trattate non più come semplici episodi, ma con altri riguardi. Infatti certe specie avventizie possono costituire virtualmente future specie locali. Il Thellung osserva a questo proposito che “ personne ne regarderait aujourd’hui le (1) Frorr, I generi Tulipa e Colchicum, in “ Malpighia ,, 1894. (2) Questa graminacea venne poi trovata dal dott. Noelli anche nelle sabbie del Po al Pilonetto. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 7 Nanthium spinosum, l Erigeron canadensis ou lAmaranthus retroflecus comme des plantes exotiques ou naturalisées, sì nous ne possedions pas des documents historiques prouvant leur origine américaine. Et nous serions mieux renseignés sur l’histoire de l’extension de certaines espèces non primitivement spontanées, mais répandues aujourd’ hui, si les hota- nistes s’étaient intéresses aux plantes adventices dès le temps où elles étaient encore rares dans la contrée , (1). Ecco la grande necessità di notare, appena sia segnalata nella flora locale una qualche specie avventizia, le esatte circostanze di tempo e di luogo della loro stazione per averne elementi di determinazione della loro probabile origine. Che le specie avventizie possano essere virtualmente future specie locali lo dimostra il fatto ricordato dal Thellung stesso che la flora di certe isole della Nuova Zelanda è stata profondamente alterata da piante europee od americane ivi introdotte volontariamente o non dall'uomo. L'origine delle specie avventizie sì può spiegare in più modi. Alcune sono specie sfug- gite dalle coltivazioni agrarie e dei giardini; la più parte di esse presto soccombe, ma alcune riescono a fissarsi ed a naturalizzarsi — per es. Setaria italica, Althaea rosea, Ama- ranthus retroflecrus, Oenothera biennis, Erigeron canadensis, ecc. -- Alcune altre sarebbero state introdotte coi semi di cereali assumendo il carattere di erbe cattive dell’associazione campestre, p. es.: Lolium temulentum, Agrostemma gythago, Papaver rhoeas, Centaurea cyanus, ecc., d'origine probabile orientale. Altre sono importate dalle relazioni commerciali. Il Thellung cita la lavorazione dei cereali e delle lane ed i trasporti marittimi, fluviali, ferroviari, ecc. Finora non sono a mia conoscenza reperti circa specie esotiche nei rifiuti della lavorazione dei mulini, e quanto all’industria laniera nell’Agro torinese giova ricono- scere che essa lavora essenzialmente su materiale già preparato per la filanda o la tessi- tura, epperò si comprende come nei pressi delle manifatture laniere non sia stata ancora osservata, come nei classici luoghi di Montpellier, una flora esotica avventizia dovuta a semi pervenutici colle lane greggie. Anche le Esposizioni tenute al Valentino non permisero che fugaci comparse di scar- sissime specie (ricordate nel lavoro del Dottor Gola) sfuggite ai campionari ivi esposti o altrimenti casualmente trasportate. Vi sono specie avventizie che dimostrano una grande tenacità, una grande attitudinè ad acclimatarsi, eppure non riescono a consolidarsi. Ciò si spiega dal fatto che molto spesso tali specie, per ragioni facili ad intuirsi, si trovano confinate in stazioni urbiche (macerie, ruderati, rottami), in siti cioè soggetti a grandi manomessioni ed in ogni modo quasi sempre per sè stessi di assoluta precarietà. Citerò due soli esempi: il giorno 1° ottobre 1898 io raccolsi l’ Amaranthus spinosus, pianta del littorale mediterraneo, sulla scarpata d’una strada in sistemazione presso il mo- numento della Crimea; questa specie era rappresentata da alcuni esemplari, aveva potuto anche fruttificare, eppure non fu più ritrovata perchè i successivi rimaneggiamenti del suolo disburbarono la vegetazione e disseminazione della specie. Un altro esempio più eloquente ancora è il seguente: nei pressi del Cimitero generale di Torino venne segnalata nel 1899 una piccola associazione di specie diverse d'origine esotica, e più specialmente di Panicum eruciforme, Eleusine indica, El. coracana, El. tocusso, Dactyloctenium aegyptiacum, Menisurus granularis, Anthistina ciliata, Celosia cristata, Cheno- podium ambrosioides. Orbene queste varie specie sono scomparse perchè la loro stazione — discarica — venne tosto disturbata dai notevoli movimenti di terra per la sistemazione (1) TaenLone A., La Flore adventice de Montpellier (in “ Bulletin de la Société Languedocienne de Géo- graphie ,, tom. XXXIII, 1° trim. 1910). 8 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. del nuovo alveo della Dora rettilineata in quel punto; eppure la vigorìa della loro vegeta- zione, autorizzava a presumere che quell’associazione avrebbe resistito; infatti una almeno di quelle specie (Chenopodium ambrosioides) era già riuscita a diffondersi in siti, anche abba- stanza lontani, dove potei raccoglierne esemplari. Quanto alle piante coltivate è omai pure pacifico che nelle flore si debbano comprendere quelle di larga cultura (piante pratensi, piante campestri, piante ornamentali, per giardini, viali, parchi); ne diede un ottimo sagace esempio la Zora italiana di Frori e PaotETTI. Anche queste piante coltivate contribuiscono alla formazione del paesaggio botanico ed in quanto dimostrino realmente attitudine all’acclimatazione sono da censirsi. Così ad esempio: Liriodendron tulipifera, Lagerstroemia indica, Salix babilonica, ecc. che ornano i nostri parchi e che resistono senza difesa, senza l’aiuto dell’arte, ai rigori invernali, sono da comprendersi fra le specie censibili, nella categoria delle coltivate. Ma per contro non sarebbe esatto includere qualunque altra specie coltivata, che non dia elementi di presunzione alla sua naturalizzazione, cioè alla spontaneità di conservazione e di moltiplicazione, sia pure soltanto virtuale; questa attitudine non tutte le piante, di cui si tenta la introduzione, posseggono; taluni tentativi falliscono (1) ed il sagace coltivatore, l’avveduto giardiniere non vi insistono, ben sapendo, come molto incisivamente ripeteva il De Candolle, che certa intemperante manìa di novità prepara le dolci chimere dell’acclima- tazione; concetto, d'altronde, su cui insistette pure, nel campo zoologico, l’illustre natura- lista Michele Lessona (2). Il compilatore d'una nuova lora di Torino si troverebbe adunque di fronte ad una popolazione botanica alquanto aumentata durante i cent'anni scorsi dalla pubblicazione dei lavori del Balbis e del Re. Prima di passare in rapida rassegna le piante da aggiungere alla Ylora di Torino, pare a questo punto opportuno di brevemente adombrare due concetti: I. la necessità della compilazione a nuovo d’una Flora dell’ Agro torinese; II. i limiti da assegnare alla circoscrizione dell'Agro torinese. I. In ordine al primo punto, la necessità d’una nuova flora torinese è giustificata dalle considerazioni seguenti: Le flore del Balbis e del Re, ottimi documenti storici e degni del più alto elogio, non sono però, evidentemente, più in armonia colle esigenze della scienza nè con quelle delle condizioni attuali della regione: A) nei riguardi delle esigenze della scienza si osserva che: 1° esse sono redatte in base al sistema di Linneo, mentre qualunque flora moderna deve prospettare il complesso della vegetazione nei raggruppamenti naturali, seguendo le migliori classificazioni moderne; (1) Credo opportuno ricordare a questo punto i pretesi saggi alla Venaria di acclimatazione di piante esotiche all’agricoltura europea, che sarebbero state fatte da certo Brurey coltivatore di San Domingo, dei quali saggi si occupò la Società di Agricoltura di Torino. Il Bruley in un suo Rapport accennava ad un ipotetico esperimento di Riso coltivato al secco, a cultura di Batata (cultura non nuova, in quanto già prima di lui il Molineri aveva fatto dei tentativi al riguardo), di IHibiscus esculentus, spacciato da lui per una Ketmia brasiliensis, di Malva verticillata, di Isatis tinetoria (che è una pianta indigena, e non esotica come egli la riteneva e che, d'altronde, era già coltivata come pianta tintoria), di Phytolacca decandra (pianta già allora definitivamente naturalizzata e già a quel tempo comunissima nelle campagne, e di cui soltanto più le donne dei contadini usavano tingere il filo in porpora che seccando prendeva poi un pessimo colore violetto). Cfr. Observations sur le Rapport que le citoyen Bruley vient de publier de ses essais de culture à la Vénerie rédigées par une Commission, Turin, an. XII. (2) L’acclimatation, cette douce chimère de la culture. Cfr. De Canp., Géographie botanique raisonnée, tome II, pag. 1088, Paris, 1855. ; MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 9 2° per caduna specie è indicata in generale la sola località, mentre omai è risa- puto quanto e quale valore abbia, per la storia biologica della specie, l'indicazione precisa dell'habitat, cioè di tutte le condizioni generali di ambiente (natura mineralogica e permea- bilità del terreno alle soluzioni libere, orientamento dei versanti, altitudine, ecc.); 3° mancano assolutamente — e ciò è naturale — osservazioni intorno alle conso- ciazioni vegetali, che sono fattori molto importanti per la fissazione del paesaggio botanico d’una regione — maucano indicazioni fenoscopiche. i B) In ordine poi alle condizioni attuali della regione si osserva quanto segue: Tutto il territorio di Torino ha subìto, specialmente in questi ultimi 50 anni, enormi modificazioni (1); il potente sviluppo edilizio ha fatto scomparire intere ampie zone di aperta campagna — ne porgono eloquenti esempi le regioni di Vanchiglia, San Paolo, Madonna di Campagna, Parco, ecc. La cinta daziaria del 1853 che si sviluppava per km. 16 comprendeva amplissimi spazi di perfetta campagna con cascine, campi e prati — per es. alle barriere di Stupinigi e d’Orbassano — spazi che ora sono assorbiti dalla fabbricazione. La cinta attuale (1913) ha invece uno sviluppo di 34 km. e non presenta più quelle estese regioni coltive; d’altra parte poi le ferrovie hanno occupato enormi tratti del piano. Lo stesso fiume Po ha subìto sulle sue rive grandi opere di riattamento, anche in rap- porto col succedersi di tre grandi esposizioni tenute al Valentino, 1884, 1898, 1911, le quali richiesero sistemazioni notevolissime delle sponde. A sponda destra è poi addirittura scomparsa una stazione botanica — il cosidetto Po morto del Valentino (2). Un'isola allu- vionale, nota assai nel secolo scorso e recante il romantico nome d'Isola d’Armida, è ora ridotta ad un misero avanzo di ghiaieto di pochi metri quadrati. La Dora Riparia poi ha ricevuto una mantellatura delle sue sponde per lunghi tratti e nei pressi del Camposanto generale ha subìto un rettilineo il quale ha eliminato un’ampia curva della lunghezza di circa 2 km. Le vie di Torino, anche quelle meno importanti, sono ora molto più frequentate che 50 e più anni or sono, epperò si comprende come la flora del pavimento sia ormai del tutto scomparsa, anche per la grande diligenza dei servizi municipali al riguardo e per la impiallacciatura di notevoli spazi del suolo con legno o con sienite; ormai si può affermare che al più in qualche via delle meno frequentate fa timida comparsa, fra le commessure del ciottolato siliceo, qualche rachitico esemplare di Poa annua o di Polygonum aviculare o di Capsella Bursa pastoris; in altri tempi, e non tanto remoti, era possibile che certi siti di vie scartate, dove la viabilità era nulla, offrissero ospitalità a talune specie anche molto vistose, e che queste trovassero modo di svilupparsi indisturbate fino alla fioritura; così lo scrivente ricorda di avere veduto intorno al 1875 Poa trivialis ergere le alte sue infiorescenze ed il Papavero comune far pompa dei suoi fiori dai vivaci colori in via Plana, ed in piazza Maria Teresa, dove venne collocata la statua a G. Pepe dopo l'abbattimento dei giardini dei Remparts. Non mi consta che sia stata mai redatta la florula del pavimento stradale di Torino; sarebbe interessante farla, ma certo il lavoro, se circoscritto alla sola parte veramente urbana, astrazione fatta dalle piante ruderali, non sarebbe per dare gran copia di forme, (1) Anche nello stesso interno dell’abitato di Torino avvennero importanti variazioni: così nel quartiere di Borgo Nuovo venne demolito il grandioso parco detto “ giardino dei ripari, che era stato costruito nel 1834, ricchissimo di alberate d’olmi, e che si stendeva dall'attuale via Carlo Alberto alla piazza Maria Teresa. (2) Mussa, Una Stazione botanica torinese che sparisce. 10 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. perchè il suolo viabile, per le sue peculiari condizioni, non può dare facile ospitalità alla vegetazione per due ragioni essenziali : 1° Perchè una notevolissima parte del suolo pubblico è, come si disse, coperta di lastre o conci di pietra (sienite specialmente, e Gneis di Luserna); certi tratti sono siste- mati in legno, altri in asfalto, taluni viali in catrame (per i pedoni); una copertura insomma molto compatta che non permette alla vegetazione di fissarsi facilmente. Il resto è siste- mato a ciottolato (1) (serpentinoso o siliceo), e se quivi la vegetazione sarebbe possibile negli interstizi fra ciottolo e ciottolo, il servizio municipale provvede alla estirpazione delle erbe, e d'altronde è noto quanto a Torino il suolo pubblico sia soggetto a continue rotture del suolo in rapporto colle esigenze dei varii servizi pubblici (gas, acqua potabile, tranvie, ecc.), le quali costituiscono altrettanti impedimenti alla vegetazione. Il pavimento a Mac-Adam inoltre usato in certe piazze e sui corsi non si presta affatto ad accogliere piante sia per l’intenso movimento di rotabili d’ogni sorta, sia perchè l’accu- rata preparazione di questo pavimento costituito da strati di ghiaia vagliata e di pietrisco minuto serpentinoso o siliceo, cilindrati separatamente con rullo a vapore, formano un suolo molto compatto, poco favorevole quindi alla vegetazione; 2° Aggiungasi a tutto ciò l'inquinamento del sottosuolo di gas dovuto alle inevi- tabili perdite delle condutture sotterranee. Certe regioni poi, frequentemente citate dal Balbis e dal Re nelle loro ore, or non sono più riconoscibili, e di qualcuna si è dimenticato persino il nome. Permane ancora il ricordo della Molinetta (così frequentemente citata dal Balbis nella suo Flora) in una via presso lo stearificio fratelli Lanza, ma il sito è regolarmente siste- mato a fabbricazione per uso di abitazione, mentre al principio del secolo scorso allignavano colà liberamente un verde alneto, Veronica verna, Nardus aristata, Phalaris aspera, Aira caryophyllea, Bromus giganteus, Verbascum phoeniceum, Herniaria glabra, Asparagus officinalis, Cerastium manticum, Papaver dubium, Anemone pulsatilla, Ranunculus phylonotis, Lamium maculatum, Lathraca squamaria, Vicia lutea, Hypericum humifusum, Praenanthes hieracifolia, Carpesium cernuum, Carex remota, Carex brizoides, Valantia pedemontana, ecc., tutte ricordate dal citato autore. Così pur la Cittadella, che spesso compare come habitat nella flora balbisiana, ora è ridotta al solo mastio ed a qualche relitto di muro nell’isolato dell’ Arsenale. Nessuno invece ricorda più il sito, pure frequentemente citato dal Balbis, dell’Idrau- lica (2), che era un edificio per esperimenti promosso dall'architetto F. D. Michelotti nel 1763; come nessuno più ricorda la regione S. Bino ed Evasio (sebbene da pochi anni soltanto trasformata) occupata ora dal quartiere dove sorgono la Caserma Dogali e varie costruzioni civili. Del resto, per quel che ha tratto alla parte, di collina e di piano, periferica all'antico abitato, basta consultare la preziosa operetta del Grossi per formarsi un'idea delle (1) In principio del secolo scorso il ciottolato era assai più diffuso in Torino, ed anzi allora era uso di formare, particolarmente dinnanzi alle porte di palazzi, ecc., specie di mosaici costituiti da ciottoli di vario colore e di varia natura tratti dalla Dora e da altri torrenti del territorio per dare maggior vaghezza di aspetto al pavimento stradale; il Mrrin nel suo Voyage en Suisse, en Piémont, ete. (vol. I, pag. 170, Paris, 1816) ricorda appunto scherzosamente tale circostanza con queste parole: “... on y peut faire une étude de litho- logie ,, tanta era la varietà dei ciottoli usati! (2) Questo edificio, detto comunemente “ La Parella , dal podere di tal nome che gli sta a Jato, era de- stinato a pubblici esperimenti per scienze idrauliche: costruito dal 1763 al 1769. Cfr. Dusorn, Race. editti, vol. XVI, pag. 1489. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 11 grandi trasformazioni avvenute nell’Agro torinese, delle denominazioni surrogatesi e del nuovo assetto di varie regioni (1). La collina, fra le varie parti del territorio torinese, è quella che venne in minor misura modificata dall'uomo in questi ultimi 100 anni; anche anteriormente al Balbis ed al Re, almeno nella zona inferiore, essa fu scelta come residenza estiva signorile, ed era già allora disseminata di ville private, nè mancava qualche villa principesca. La fabbricazione nel secolo XIX si è bensì accresciuta nell’oltre Po, ma specialmente all'imbocco delle valli e nelle parti pianeggianti. Nell’alta collina, anche per la deficienza di acqua potabile, verso il confine comunale lo sviluppo edilizio fu sempre molto scarso; e solo ora comincia a risvegliarsi, anche perchè la condotta municipale d’acqua sale fino all'altezza delle parrocchiali di Santa Margherita (403 m.) e San Vito (412 m.). Nel secolo XIX la viabilità della collina notevolmente si migliorò ; alcuni terreni furono dissodati e messi a cultura agraria, ed è forse a qualche dissodamento che si deve l’intro- duzione della Bifora radians non citata dal Balbis e dal Re. Tuttavia anche la flora della collina ha, per effetto della migliorata viabilità, subìto qualche falcidia per mezzo dell’uomo. La migliorata viabilità rese più facile l’accesso alle colline, e certe specie vistose si trovarono più frequentemente soggette a manomissioni. Cito la Gentiana acaulis (2) che, indicata di Soperga, è divenuta ivi una vera rarità ; il Lilium croceum, che circa 30 anni fa io rinvenni facilmente nel versante dietro la Basilica citata e che oggi è molto più scarso, ed il Dictamus albus L. che, citato alla Maddalena, e tra Mongreno e Soperga, ora pare relegato in un’unica località in Val Mongreno. Così pure, mentre il Balbis dichiarava ovvio Pinus silvestris L. sulla collina oltre Soperga, ora, a quanto mi consta dalle visite fatte sul sito, occorre allontanarsi molto da quella località per incontrare questa Conifera (Sciolze), com'è confermato dal Dott. Negri (3). Fin qui la storia del passato; ora uno sguardo preventivo sulla storia del futuro. Con una recente deliberazione il Consiglio Comunale di Torino ha approvato un vastis- simo piano regolatore anche per la regione collinosa del territorio torinese. L'esecuzione di questo piano determinerà inevitabili trasformazioni ambientali e sarà curioso notare anno per anno le eventuali comparse di nuove piante od altri fatti di eco- grafia vegetale. Il piano è veramente grandioso e vale la pena dedicarvi due parole. Questo piano regolatore provvede una viabilità comoda ed estesa per le zone fabbri- cabili della collina, sistemando passeggiate pittoresche sulle falde prospettanti la città. Lo studio ebbe peculiare cura di assecondare, nel tracciamento delle nuove strade, l'andamento naturale del terreno, non solo per evitare opere d’arte e per limitare i muri di sostegno ed i movimenti di terra, ma anche per alterare il meno possibile la linea naturale della col- lina. Il piano stabilisce un tipo normale di strade con libera visuale verso la pianura, for- mando belvederi e dando norme indicative sulle migliorìe da introdursi nella cultura silvana della collina, al fine di conservarla e di migliorarne la bellezza naturale. La fabbricazione si svolgerà sulle falde a giorno delle Valli Sappone, Pattonera, Salici, San Martino, che coi loro pendii moderati si prestano meglio ad una fabbricazione in- tensiva. (1) Guida alle cascine e vigne del territorio di Torino e suoi contorni di Gio. L. Amepzo Grossi, 2 vol., Torino, 1790-91 (stampata da Barbiè a Carmagnola). (2) Cfr. MartIroLo, Flora di Soperga. (3) Cfr. Neeri, La vegetazione della collina di Torino, pagg. 131, 148, 155. 12 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL’AGRO TORINESE, ECC. Le falde orientate a Settentrione delle citate Valli, ed altre zone volte a ponente sono tuttora coperte da una vegetazione boscosa (Ceduo di Castagno e Quercia); quivi nè la fab- bricazione, nè la cultura agraria sono convenienti o possibili: il vincolo forestale, saggia- mente applicato, sarà sufficiente ad assicurare questo manto silvano che tanto contribuisce alla varietà ed alla bellezza del paesaggio e che permetterà la conservazione d’una flora di sottobosco in cui talora si annidano specie molto curiose e rare (Viola mirabilis, Dictamnus albus in Val Mongreno, Cephalanthera pallens, ecc.). In certi siti delle falde a giorno di Val Piana e Val Reaglie sarà meno facile la fab- bricazione, perchè il suolo ha troppo marcata pendenza; quivi il paesaggio dovrà mantenere il suo rivestimento protettivo silvano conservando così la fisionomia naturale con vantaggio della prospettiva del sito. Le nuove strade, contemplate nel piano, si svilupperanno normalmente a mezza costa per offrire un prospetto più pittoresco al passeggiero, epperò dovranno venire sostenute da spalloni in muro, su cui sarà interessante notare i progressi che la flora muricola sarà per fare, il suo stabilirsi, il suo progressivo incremento e le specie che più presto e più facil- mente saranno per attecchirvi, seppure, come sarebbe molto a desiderare, non si procurerà artificialmente la copertura di tali manufatti con una seminagione di piante muricole ru- stiche di qualche valore estetico, come ad esempio: Ampelopsis quinquefolia, Antirrhinum majus, Capparis spinosa, Centranthus ruber, Linaria cymbalaria, Coccoloba uvifera, Arebia quinata. Ora la collina è già smaltata di ville e villini, ma fra pochi anni, coll’attuazione del grandioso progetto, le costruzioni si faranno anche più intensive, ed allora potrà il futuro erborizzatore esclamare, forse con un senso di rimpianto par la flora spontanea cacciata verso lontani confini, quello che già il poeta cantava enfaticamente nel 1711 a proposito della collina di Torino: Musa, suburbanum nondum obliviscere Collem : Dirige in alta gradum: claris ubi culmina Villis Resplendent; ubi Taurino post terga remoto, Extra Urbem invenies Urbem. Te in Rura secutam Credideris Patriam. Sylva, Lare, Cive frequenti Dum strepit omne jugum; socio placuere tumultu Otia: Viva quies, et ab omni parte voluptas Autumnos hilares, mensesque dedere beatos (1). Di fronte adunque a questo enorme trasformarsi della fisionomia generale del territorio urbano torinese, di fronte alle avvenute variazioni anche nel resto dell'Agro torinese, di fronte alle nuove entità tassonomiche, scoperte e discriminate, che vennero ad accrescere la popolazione vegetale locale nel corso del secolo passato, e tenuto conto delle nuove esi- genze della scienza, anche per quel che riguarda una più squisita concezione della parte descrittiva — parmi giustificato il voto che una valorosa iniziativa si desti in favore della compilazione ex novo, e con concetti del tutto moderni, della flora dell'Agro di Torino. E del resto ad avvalorare la formulazione di questo voto mi pare sufficiente ricordare a questo punto l'autorevole parola di Oreste Mattirolo quando, facendo l’elogio di G. F. Re e della sua attività botanica, così si esprimeva: “ L’opera del Re è l’ultimo lavoro di questo (1) Auprsermi, Regiae Villae pottice descriptae, ece., Torino, 1711, pag. 37. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 13 genere che siasi fatto da noi. La flora torinese non ebbe più, dopo il 1825, chi si dedicasse alla sua illustrazione complessiva. Innumerevoli sono le scoperte fatte di poi! La flora di questa regione è oggi ben nota in tutti i campi che la riguardano, ma nessuno dopo il nostro autore ebbe il coraggio di rifare questo lavoro che riescirebbe di utilità pratica grandissima , (1). Se pensiamo alle enormi difficoltà, che dovevano presentare le erborizzazioni, ancora sul principio del secolo scorso, negli stessi dintorni di Torino — quando mancavano non solo i mezzi di trasporto, ma persino le strade, quando la sicurezza personale non era così garantita come attualmente — tosto ci si rivelano î grandi meriti che i botanici classici della flora torinese ed i loro collaboratori hanno acquistato e che a distanza d’un secolo dobbiamo riconoscere e plaudire. Il malandrinaggio, per fatalità dei tempi, non era del tutto sbandito dalle nostre terre. La storia locale ci ricorda persino una specie di organizzazione di brigantaggio in sul prin- cipio del 1800 e che ebbe una speciale manifestazione su quel di Narzole; mentre le nostre campagne presentavano qualche pericolo per la presenza di lupi (2). Ora invece le erborizzazioni sono facilitate da comodità di strade, da rapidità di mezzi di trasporto e da sicurezza assoluta della pubblica viabilità, mentre il lavoro di revisione e di ricompilazione della flora sarebbe notevolmente sussidiato dall'enorme materiale rac- colto durante il secolo scorso e che costituisce un elemento di capitale importanza per degnamente allestire un’opera fondamentale e completa sulla vegetazione dell'Agro torinese. E qui cade acconcio rammentare come il glorioso Orto botanico di Torino sia riuscito ad arricchirsi d’uno speciale Herdarium pedemontanum dovuto alle fatiche del personale del- l'Orto stesso ed essenzialmente del suo odierno Conservatore Cav. Enrico Ferrari — ocu- latissimo e diligentissimo esploratore delle nostre regioni — quale erbario — vero tesoro lodatissimo dai competenti — comprende ben 5000 entità tassonomiche distinte in circa 30.000 fogli di erbario. Recentemente poi — febbraio 1914 — mercè le lunghe e sagaci pratiche fatte dall’illustre Direttore Prof. Oreste Mattirolo, si otteneva la rivendicazione all’Orto di Torino dell’Erbario di G. F. Re, il quale costituisce un documento di primo ordine per lo studio della nostra flora, in quanto esso comprende appunto le piante rac- colte dal Re nell’Agro nostro e che servirono a lui per la compilazione delle sue opere. Raccolga qualche botanico l’appello del Dott. Mattirolo e renderà un grande servizio alla Botanica piemontese. E, poichè sono in tema di voti, mi sia lecito esprimere qualche concetto, a puro titolo di manifestazione di desiderio, riguardo a questa invocata ricompilazione della flora torinese. (1) Cfr. Barraza, MarmiRoLo ed altri, IZ botanico G. F. Re, 1 vol., Torino, 1909. (2) Basti ricordare come il 6 giugno 1817 venisse pubblicato dall’Intendente generale consigliere del Commercio di Torino un “ Manifesto per aumento di premio agl’uccisori di lupi feroci, col quale si noti- ficava che “ penetrata S. M. della sventura occorsa ad alcuni individui rimasti vitime dell’ingorda ferocia dei lupi detti della Svizzera , ricomparsi già in quell’anno, si promoveva lo sterminio di tali animali pro- mettendo cospicui premi ai catturatori: lire 500 per una lupa, lire 400 per un lupo e lire 200 per un lupicino. Quanto al malandrinaggio è curioso citare una ordinanza del Senato di Torino del 29 aprile 1795 colla quale ritenuto che “ molti territori sono purtroppo infestati da squadre di malviventi, i quali turbano con gravi delitti la pubblica tranquillità e tengono gli abitanti in continua apprensione , si dava facoltà di uc- ciderli, assicurando piena immunità, ed assurgendo ad una concezione di diritto criminale che a noi forse oggi parrebbe iperbolica e che in ogni modo dimostra la perfetta disinvoltura con la quale il Governo di allora confessava la sua impotenza al riguardo e delegava ai cittadini la cura di provvedere da se stessi alla propria polizia! 14 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL’AGRO TORINESE, ECC. Anzitutto sarebbe desiderabile che la parte descrittiva assumesse la doppia forma del metodo dicotomico e dell’esposizione scientifica sistematica, perchè lo studioso avrebbe così il doppio vantaggio di vedersi innanzi, non solo il metodo comodo per la determinazione, ma anche il prospetto sistematico della vegetazione torinese nella sua razionale seriazione per ordini, generi e specie. Ricordando poi quanto venne già affermato ripetutamente, sarebbe utile accompagnare le descrizioni delle singole forme vegetali coi seguenti elementi di fatto ed esplicativi, quali vennero lucidamente riepilogati dal Béguinot (1): Nome e posizione della località in cui le singole piante si trovano. — Altitudine. — Orientamento. — Natura petrografica del suolo. — Fatti fisiologici: prefoliazione, fioritura, fruttificazione, agenti fecondatori, disseminazione. — Fatti biologici, cioè: rapporti delle specie con altri organismi, associazioni, parassiti vegetali ed animali. — Fatti fitogeografici: distribuzione, rapporti delle specie locali con altre corrispondenti di altre regioni. In una seconda parte piacerebbe leggere un’ampia trattazione sintetica delle formazioni e delle consociazioni vegetali applicata alla flora di cui si tratta; e di lavori di tal fatta il Dott. G. Negri ci diede modelli di perspicuo valore. (2). Come appendice alla parte descrittiva si desidererebbe anche una sinonimia latina-ver- nacola della specie: ne hanno dato esempi i botanici classici piemontesi, bellissimo fra tutti quello offerto dal Colla che elencò ben 2122 nomi vernacoli di piante coi corrispondenti latini (3). Questa sinonimia è utile non solo come informazione di fatto afferente la specie che si studia o che si cerca, ma anche come elemento per illustrare la storia della specie; appena occorre ricordare che certe località trassero il loro nome dalla preponderanza o dalla coltivazione di talune piante (4), ed è un fatto che “ tesori d’informazioni sto- riche giacciono nascosti nei nomi locali, i quali hanno perdurato e durano a traverso i secoli , (5). Sarebbe inoltre molto interessante dal punto di vista scientifico — molto utile dal punto di vista pratico (per facilitare, ad esempio, la ricerca @ tempo delle specie che si desidera di studiare) — di far posto anche ad una trattazione di fenoscopia nei riguardi della flora locale; la fenoscopia vegetale torinese non ebbe finora notevoli contributi organicamente esposti; tutte le osservazioni fenoscopiche sono rimaste essenzialmente accantonate negli Krbari come elementi di documentazione degli esemplari raccolti. Un saggio intorno ad osservazioni sui fenomeni periodici della vegetazione venne dato in Italia dal Ministero di Agricoltura nel 1887 (6). Il paesaggio botanico di qualunque regione varia a seconda della stagione, perchè fioritura, fogliazione, fruttificazione sono (1) Beeuinor, Questionario geobotanico per i collaboratori della flora italica exsiccata, in “ Bull. Soc. bot. ital. ,, 1905. (2) Cfr. NeorI, La vegetazione della collina di Torino, 1905; La vegetazione delle colline di Crea, 1906. (3) Cfr. Conra, Herb. Pedem., vol. VIII, pagg. 3-92. (4) Ecco pochi esempi: Gorra, da Salice; Pino; Sambuy, da Sambuco; Rollières, da Rovere; Vanchiglia, da Vimini, ecc. Cfr. FLecnia, Nomi locali italiani derivati dai nomi delle piante, in “ Atti Acc. Sc. Torino ,, vol. XV, 1879-80. L’Ormea, da Olmo, alla Tesoriera; Castagnito; Treblea, da Andropogon hischaemon; Fey, da Felci; Frenée, da Frassino; Lasey, da Leccio; Gressoney, da Crescione; Cerreto, da Cerro, ecc. Cfr. Massra, Intorno al sito di Treblea; Toponomastica biellese; Per le origini del nome di Gressoney; Sul nome locale di Settimo Rottaro, ecc. (5) GarLANDA, Filosofia delle parole. (6) Direzione Generale di Agricoltura, Osservazioni fenoscopiche sulle piante, Roma, 1887. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. FE NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 15 appunto in rapporto colle condizioni esterne di ambiente, fra cui importantissima è quella della temperatura : db prod Florescunt tempore certo Arbusta, et certo demittunt tempore florem (1). Manca tuttora per l’Agro torinese un lavoro organico sulla diversa fisionomia che il paesaggio assume in rapporto colla fioritura scalare delle varie specie: dalla scarsa fiori- tura invernale rappresentata essenzialmente dal Noccivolo ed altre Amentacee, da qualche impaziente Veronica muricola ben riparata dal freddo di tramontana, ecc., e successivamente da altre precoci annunziatrici della imminente primavera, alla ricca fioritura primaverile, a quella della consociazione campestre, a quella estiva ed agli ultimi rappresentanti della vegetazione in fiore: Colchicum e Lynostris. Interessante sarebbe per altro che l'indicazione dei fenomeni periodici non si limitasse alla sola fioritura, ma si estendesse anche alla prefogliazione, alla fruttificazione, per dar modo di conoscere le singole specie nei vari loro momenti biologici; come pure non sarebbe inutile qualche accenno alle rifioriture molto tardive, quali ad es. Euphorbia cyparissias e Hieracium murorum da me notati in piena rifioritura sul finire di dicembre. II. In ordine poi al punto dei limiti da assegnarsi all’Agro torinese agli effetti della compilazione d'una nuova lora, ecco quanto si osserva. Come già si è detto in principio, il Balbis aveva limitato la sua flora entro una cir- conferenza avente il raggio di 15 chilom.; il Re mantenne ad un di presso tale circoscri- zione, ma vi aggiunse la montagna del Musinò. Non è certo il caso di restringere ora i limiti già ampliati dal Re, ma anzi pare op- portuno di alquanto estenderli ancora. Per la regione di collina riterrei conveniente comprendere tutta la serie di colli che da Moncalieri corrono fino a Chivasso, ben inteso comprendendo i due versanti torinese e chierese, fino circa al lago di Arignano. Così il botanico potrebbe notare nelle sue escursioni le differenze di flora fra i terreni, essenzialmente marne arenarie e conglomerati, di Moncalieri, Maddalena ed Eremo, colle inserzioni di Loehm a Revigliasco, Pecetto, Chieri, ed i terreni oltre Soperga dove com- paiono i calcari e dove non mancano sorgenti solforose (San Genesio). Nella parte meridionale i confini dell'Agro torinese si possono estendere fino a Poirino, Carignano, Piobesi, il torrente Chisola, Cumiana. Resteranno così compresi: tutto il quater- nario antico dalle radici della collina sino all’alluvione del Po, area che comprende gli inte- ressanti sabbioni di Trofarello (Corynephorus canescens), la stazione microterma di Po morto (Hippuris vulgaris) (2) e l'alluvione padana di ciottoli e sabbie silicee. (1) Cfr. Lucrezio, De rerum natura, lib. V, v. 669-670. Già ab antiguo Greci e Romani avevano notato l’importanza della Consociazione campestre più che altro per l'interesse agricolo che le specie campestri presentano nei riguardi dell’agricoltura: si tratta infatti di piante in generale inutili ed ingombranti, talora decisamente dannose (Lilium temulentum). Essi avevano persino creato parole apposite per indicare le operazioni di pulitura delle biade dalle male erbe: “ Runcare segetes est herbas e segetibus expurgare, quod Graeci &70z/Zew et Boravitevw vocant: runcationem ipsam foravioudv ipso teste Plinio ,. Cfr. Nat. hist., XVIII, 38 e 47. — Per le consociazioni campestri cfr. Je mo- nografie del dott. Negri citate in questo lavoro. (2) Il Po Morto è la stazione classica dell’Hippuris — specie tutt'altro che comune nella flora italiana — e per molti anni fu anche la sola stazione pedemontana conosciuta di tale pianta. Ivi questa specie si ma- nifesta sotto la forma denominata dal Glick di Seichtwasserform, la quale rappresenta l’optimum fra le sta- 16 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Il torrentello Chisola segna un confine molto naturale all’Agro torinese, in quanto separa il Diluvium del Chisone, torrente alpino, dal quaternario recente, su cui si sviluppa il piano di None, Volvera, Orbassano, Piossasco, e dove si estendono i boschi (in parte qua e là ora dissodati) di Stupinigi, che conservano tuttora talune forme interessanti (Osmunda regalis a Parpaglia, Cardamine granulosa lungo la strada dal Castello a Orbassano). Seguono poscia le seguenti regioni : Diluvium antico di Cumiana; Versante orientale delle montagne di Cumiana e Piossasco, le quali, per la loro natura geo- logica, dimostrano grande analogia floristica colle montagne di Musinè: Lanzo; per es. la Daphne cneorum, specie altrove abbastanza rara ed ivi abbastanza comune, e la Pulsatilla vulgaris dominano le altre specie precoci tanto sulle montagne di Cumiana, quanto su quelle del Musinò; Terreni morenici di Villarbasse-Rivoli, rannodando così la flora dell'Agro torinese con quella Segusina ; Alluvione del Sangone ; Pianura di Torino, corrispondente al suo territorio amministrativo ; Giogaia Musinè-Arpone-Colombano, digradante su Lanzo — appartenente alla zona delle pietre verdi del Gastaldi — serpentino-eufotide, magnesite, ecc., con alcune forme cu- riose: Adenophora lliifolia, Iris bohemica, Osmunda regalis (1), Euphorbia Gibelliana, Hypericum Richeri, Pleurospermum austriacum, ecc.; Terreni morenici di Caselette, Pianezza, Druent, notevoli per i due massi erratici F. Sacco e Gastaldi, e per i laghetti morenici di Caselette, Sclopis, Borgarini, ecc. I Diluvium antico lambente il piede del Musinè da Almese, per Caselette, a Val della Torre, San Gillio, Fiano e comprendente sulla destra della Stura la Mandria, cotanto esplorata dai botanici classici, e sulla sinistra gli interessanti terrazzamenti di Lombardore ed il piano di Leynì recentemente illustrato dal Cav. E. Ferrari; Alluvione e quaternario recente della Stura; Giogaia Lanzo-Cuorgnè, zona delle pietre verdi ; Diluvium antico della pianura Canavese: Lanzo, Corio, Volpiano, San Francesco al Campo, Nole; Alluvione del Malone ; Diluvium antico del Piano Canavese tra il Malone e l’Orco; Corso dell’Orco, che separa la suddetta regione canavesana dal Diluvium antico della Dora Baltea, ; Chivasso; Collina fino a Moncalieri, chiudendo così la circoscrizione. zioni: “ Die Seichtwasserformen, die z. T. submerse und z. T. emerse Blaetter traegt, entspricht dem Standorts optimum ,; ivi infatti trovai questa pianta anche in fioritura. Solo posteriormente l’Rippuris vulgaris venne pure trovata al lago ‘artificiale di Arignano costruito nel 1840, le cui acque raggiungono anche la profondità di 4-5 metri; in questo lago notai tale pianta spe- cialmente nella sua forma sommersa e questa raggiungere uno sviluppo rigogliosissimo; osservai infatti rizomi della lunghezza superante i 8 metri e producenti polloni d’oltre i 2 metri, sterili: “ Die Wasserform schliesslich ist eine sterile Form bei der die vegetative Organe eine ausserst ippige Entwicklung angenommen haben ,. Cfr. U. Griicx, Biologische und morphologische Untersuchungen iiber Wasser- und Sumpfgewachse. (1) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 17 82. Saggio di Bibliografia sulla Flora dell'Agro Torinese. Arnioni C., Flora Pedemontana. 3 Vol. in fol. Torino, 1785. “ Almanacco di Torino 1883 ,, a pag. 33 contiene un elenco di piante raccolte da M. De- filippi al Musinè. BaLBIs G. B., Elenco delle piante crescenti nei contorni di Torino. Torino, anno XI. Opuscolo di 82 pag. Le specie vi sono disposte per ordine alfabetico, con indicazione delle loca- lità, ma senza descrizione e con riferimenti numerici alla Flora Pedemontana dell’Allioni. Ip. Flora Taurinensis, sive enumeratio plantarum circa Taurinensem urbem nascentium. 1 Vol. Torino, Giossi, 1806. Enumera 1234 specie descritte. BarurrI, Passeggiate nei dintorni di Torino. Fasc. I, Val Salici; Fasc. II, Val Salici, Santa Margherita, Villa della Regina. Torino, 1853. Questi due fascicoli contengono due brevi elenchi di piante delle citate regioni. BerroLa Vittorio Felice, Appendix ad Floram Taurinensem. Opuscolo. 1820. “ Calendario Georgico ,, anno 1814. Contiene: BaLpis, Alberi esotici coltivabili in Piemonte. CrosertIi e Fontana, Sulla disseminazione di una Crittogama vascolare alpina per mezzo delle correnti d’acqua. Osservazioni di E. Crosetti e P. Fontana, giardinieri del R. Orto Bo- tanico di Torino. In “ Bollettino del Naturalista ,, Siena, 1907. Ip. In., Notizie manoscritte sugli alberi ed arbusti esotici dei giardini del Piemonte. Anno 1907. È un saggio di flora degli alberi ed arbusti esotici, che si coltivano nei nostri paesi in piena terra senza ripari od al più con una semplice impagliatura di difesa al piede. Ringrazio i gentili compilatori che mi permisero di spigolarvi interessanti notizie di fatto. Ip. In., La vegetazione sul Sasso Gastaldi presso Pianezza (Manoscritto in cui sono enumerate circa 100 specie spontanee osservate su quel masso erratico). 1905. DeLponre G. B., Guida allo studio delle piante coltivate nelle aiuole di piena terra nell’Orto Botanico della R. Università di Torino. 1 Vol. Torino, Paravia, 1874. Elenco dei principali alberi ed arboscelli degli Stati di S. M., in “ Calendario generale pei Regi Stati ,, Torino, Pomba, anno 1831, pag. 607. Tratto dagli scritti di Allioni per ciò che si riferisce agli Stati in terra ferma, dal Moris per la Sardegna. Vi sono ag- giunte le piante esotiche più generalmente sparse. Enumeratio seminum R. Horti Botanici Taurinensis. Pubblicazione annuale del Direttore del- l'Orto Botanico. — Cfr. in modo speciale quella del 1821. FerRARI Enrico, La vegetazione del territorio di Leynì nei rapporti colla coltura agraria, in “ Annali R. Accad. Agrie. Torino ,, serie II, tomo LX, 1913. GarsieLierTI Antonio, Catalogo dei funghi crescenti nei contorni di Torino. Torino, 1867. Gora Giuseppe, Piante rare o esotiche per la flora del Piemonte, in “ Memorie Reale Accad. Scienze Torino ,, serie II, tomo LX, Torino, 1909 (1). Ip., Osservazioni sulla “ Campanula Re. di Colla, in Barraja, Mattirolo ed altri: I? Botanico G. F. Re. 1 Vol. Torino, 1909. (1) È questo un lavoro di grande valore sulla critica di circa duecento specie rare od esotiche della flora del Piemonte, frutto di studi diretti su materiali autentici e controllati. Molte delle specie indicate recano pure illustrazioni accuratissime per l’esatta discriminazione sistematica, come, ad es., Campanula Re, Iris bohemica, ecc. Assai interessante è la dimostrazione dell’irradiazione nell’Agro torinese di talune specie della flora ligure. L'autore enumera oltre a cinquanta specie avventizie. 18 ENRICO MUSSA -— LA FLORA DELL'AGRO TORINESE; ECC. Lavy Giovanni, Stationes plantarum Pedemontio indigenarum. Torino, anno IX. MarmiroLo Oreste, Mora Alpina vivente presentata dalla Sezione di Torino del C. A. I. alla Esposizione Italiana del 1884 in Torino. 1 Opuscolo. Torino, Candelletti, 1884. Ip.. Flora del Colle di Soperga, in * Soperga e la sua ferrovia funicolare ,, Guida pubblicata da Casanova. 1 Vol. Torino, 1885. Ip., IMustrazione d’un Erbario del Colle di Soperga, in “ Atti R. Accad. Scienze Torino ,, 1893, vol. XXVIII, pag. 496 (1). Ip.. Sull’endemismo dell’Isoètes Malinvernianum, in “ Annali di Botanica , del Prof. Pirotta. Roma, vol. X, 1912. Ip.. La Flora Segusina dopo gli studi di G. F. Re, in “ Memorie R. Accad. Scienze Torino ,, serie II, tomo LVIII, 1907. Ip. e FerraRrI E., Scrittà Botanici pubblicati nella ricorrenza del centenario della morte di C. Allioni. Genova, Malpighi, 1904. Moris, Elenco delle principali specie di piante Fanerogame crescenti nei dintorni di Torino; forma il capitolo XX della Descrizione di Torino, compilata da D. Bertolotti in occa- sione del Congresso degli Scienziati tenutosi in Torino nel 1840. Mussa Enrico, Note Floristiche delle Prealpi Torinesi (zona delle pietre verdi), 1° contributo Il Musinè, in “ Atti della Società di Scienze Naturali ,, vol. XLVII. 1908. Ip., La Flora di Soperga, in “ Gazzetta del Popolo della Domenica ,, 1906. Ip., Sul valore decorativo della flora spontanea locale, in “ Fascicolo dell'Assemblea 6 gen- ‘naio 1907 della R. Società Orto-Agricola del Piemonte ,. Ip., Spigolature nella Flora di Torino. Le piante rampicanti, in “ Fascicolo dell'Assemblea 6 gennaio 1909 della R. Società Orto-Agricola del Piemonte ,. Ip., Una Stazione botanica torinese che sparisce, in “ Atti Soc. It. Sc. Nat. ,, XLVII, 1909. Neeri Giovanni, La vegetazione della collina di Torino, in “ Memorie R. Aecad. Scienze di Torino ,, serie II, tomo LV, 1905. Ip., La vegetazione della collina di Crea, in “ Memorie R. Accad. Scienze di Torino ,, serie II, tomo LVI, 1906. Ip., Le stazioni di piante microterme della pianura Torinese, in “ Atti Congresso Naturalisti italiani 1906 ,, Milano, 1907. i Ip., Che cosa sia la Potentilla Venariensis Re, in Barraja, Mattirolo ed altri: I Botanico G. F. Re. 1 Vol. Torino, 1909. NoeLLi Alberto, Flora ruderale Torinese, in “ Nuovo Giornale Botanico Italiano , (Nuova serie, vol. XX, n. 4, ottobre 1913). Ip., La vegetazione del terrazzo diluviale di Rondissone (Torino), in “ Nuovo Giornale Bota- nico Italiano , (Nuova serie, vol. XX, n. 4, ottobre 19183). Passeggiate campestri del Cav. F. A. 2 Vol. in 16°. Torino, Marietti, 1827. In questo libro, un po’ pedante quanto a forma e ricco di erudizione, sono citate molte piante eviden- temente riferibili alla flora di Torino. Ne è autore certo F. Avogapro che fu Prefetto di Tribunale a Susa e Riformatore della scuola. Cfr. Ponsero, Guide du Voyageur, che a pag. 10 ha parole lusinghiere per questo libro. Cfr. pure “ Rivista Letteraria dei libri che si stamparono a Torino negli anni 1817-18 ,, che ne dà una recensione a torto poco benevola. Pastore F., Storia di Soperga. Torino, 1809. Contiene in appendice un elenco di piante di quel colle. (1) Per il nome di Soperga cfr. Massra, Per l'etimologia di Soperga, Torino, 1907. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE lI, VOL, LXV, N. 2. 19 Principali specie di piante fanerogame che crescono nei dintorni di Torino, in Casatis, Dizio- nario Geografico degli Stati del Re di Sardegna. Vol. XXI, pag. 114. Re G. F., Flora Torinese. 2 Vol. in 16°. 1825-26. Comprende 1130 fanerogame e 586 crit- togame. Trinc®erI Giulio, Osservazioni sulla flora spontanea ed avventizia dell'Orto Botanico di Torino, in “ Malpighia ,, 1905. VaLBusa e GupertI, Elenco delle piante coltivate all’ “Allionia ,. Torino, 20 maggio 1905. Voenino Pietro, I parassiti delle piante osservati nella provincia di Torino e regioni vicine nel 1908, in “ Annali R. Accad. Agrie. Torino ,, vol. LI, 1909. PARTE SECONDA Elenco delle piante indigene od esotiche, spontanee o coltivate, che si propone d’includere nella compilazione d'una nuova Flora dell’Agro Torinese. NB. In questo Elenco sono comprese le poche esotiche già censite nella Flora del Balbis e del Re. Filices. Osmunda regalis L. var. Plumieriù Tausch. — Indigena, ma rara. -- Givoletto e la Cassa nella valle del torrente Rian du Bat sopra la cascina Manetti lungo i rigagnoletti ; Leynì presso la cascina Fagnola (1), Stupinigi, Varisella. Asplenium fontanum Bernh. — Specie propria delle regioni montane ed alpine. — Avven- tizia, trovata da E. Crosetti e P. Fontana presso il Ponte Umberto I (2). Pteris cretica L. — Esotica. — Avventizia su un muro all’Orto Botanico (3). Isoétaceae. Isoétes malinvernianum Ces. D. Not. — Indigeno. — Trovato nei dintorni di Leynì e di Pianezza. Si riteneva che questa specie fosse d'origine esotica, importata cioè colla coltivazione del riso, che effettivamente venne attuata nell’Agro torinese nei secoli XVI e XVII. Ma il Prof. Mattirolo dimostrò invece, con una ricca documentazione, che l’Isoétes malinvernianum “ colla più grande probabilità deve riguardarsi come un relitto della vegetazione preglaciale , e diede interessanti notizie sull’habitat di questa pianta, sulla sua antisocialità e sulla sua tendenza a sparire di fronte all’incessante ed omai intenso estendersi della coltivazione agraria, che modifica o disturba le condizioni di ambiente necessarie a tale curiosa specie (4). Coniferae. Araucaria imbricata Pav. — America. — Coltivata nei giardini; Arignano, villa del Conte della Trinità. Cedrus Deodara Loud. — Nepal. — Coltivata nei giardini. (1) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (2) Cfr. Sulla disseminazione di una crittogama vascolare, ecc. Osservazioni di E. Croserti e P. Fontana. (3) TrinenierI, Osservazioni, ecc. (4) MartIRoLo, Sull’endemismo dell’Isottes malinvernianum, ecc. 20 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL’AGRO TORINESE, ECC. Cedrus Libani L. — Asia. — Un magnifico esemplare esisteva nell’aiuola di Piazza Maria Teresa: piantato nel 1870 prosperò per molti anni, a cui successe un periodo di alcuni anni di notevole deperimento; nel 1883 l’albero era morto e nel 1884 era soltanto più usato come tutore ad una glicinia, la quale a sua volta fu poi sostituita nel 1894 da una Magnolia. Si ha memoria di altri cedri del Libano nei dintorni di Torino, per es. alla villa Boyl (1) (già del Duca di Chiablese), alla Madonna del Pilone dove esistevano quattro esemplari nella villa Pollone (2). Cryptomeria japonica Don. — Giappone. — Coltivata nei giardini; Orto Botanico; Lingotto, villa Robilant; Moncalieri, villa Revel. Ginko biloba L. — Giappone. — Idem; Aiuola Palazzo Madama ed Orto Botanico (3) in bellissimi esemplari; Giardino di Piazza Carlo Felice; Arignano, villa Conte della Tri- nità; Pianezza, villa Leumann. Juniperus virginiana L. — America settentrionale. — Coltivata. Larix sinensis. — China. — Coltivata nei giardini; Aiuola Palazzo Madama. Pinus maritima Lamk. — Regione mediterranea. — A Santa Margherita, villa Andreis; Moncalieri, villa Revel e Negri (fruttifica). Podocarpus chinensis Swers. — Giappone. — Arignano, villa Conte della Trinità. Sequoja gigantea Lindl. — California. — Orto Botanico; Giardino pubblico Lamarmora; Ari- gnano, bellissimo esemplare alla villa Conte della Trinità. Sequoja sempervirens Endl. — California. — Santa Margherita, villa Genero; Arignano, villa Trinità. Tarxodium distichum Rch. — Virginia. — Coltivata nel giardino pubblico Lamarmora; Orto Botanico; Lingotto, villa Robilant. Thuya occidentalis L. — America settentrionale. — Coltivata. Thuya orientalis L. — Giappone, China. — Idem. Wellingtonia gigantea Lindl. — America settentrionale. — Coltivata nel giardinc pubblico Lamarmora. Gramineae. Anthistiria ciliata L. — Esotica. — Avventizia; trovata una sola volta in un ruderato presso il Camposanto generale di Torino 1899 (4). Arundo Donax L. — Indigena? — Coltivata largamente per formarne canne da sostegno, ecc. Avena planiculmis var. taurinensis Belli. — Indigena? — Colle di Soperga (5). Bambusa arundinacea. — Cina. — Avventizia; da me osservata al Pilonetto nei ruderati della Esposizione 1911. Bromus maximus Desf. -- Specie a diffusione orientale. — Pianezza, Colli di Torino (4). Corinephorus canescens P.B. — Indigena? — Nel Sabbione di Trofarello, unica stazione dove fu trovata fin dal 1855 e dove tuttora si mantiene (4). Dactyloctenium aegyptiacum W. — Asia, Africa. — Avventizia; in un ruderato presso il Camposanto generale di Torino 1891 (4). (1) Cfr. Barurri, Passeggiate nei dintorni di Torino, IV, 1853. (2) Cfr. Barurri, Passegg. dintorni di Torino, IV, 1853, pag. 47. (3) Baruffi la notò nel 1859 coltivata alla Villa Cristina. Cfr. Passegg. dintorni di Torino: La Venaria, 1859, pag. 82. (4) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (5) Cfr. Bei in Malpighia, IV, 366, e Gora, Le avene piemontesi, ecc., in “ Memorie Ace. Sc. Torino ,, 1911, pag. 72 e seg. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 21 Eleusine Coracana Gaertn. — Indie. — Avventizia; ut supra (1). — indica Gaertn. — Indie. — Avventizia; ut supra (1). — Tocusso Fries. — ? — Avventizia; ut supra (1); trovata pure a Borgaro nel cortile della Cascina La Vittoria, presso la stazione, dal cav. E. Ferrari (1904). Eulalia saponica Trin. — Giappone. — Coltivata nei giardini. Gynerium argenteum H.B. — Paraguay. — Coltivato nei giardini. Hordeum maritimum L. — Litorale. — Avventizio; trovato al Valentino dal Cav. E. Fer- rari (1). — vulgare L. — Orig. dell'Asia occid. — Già coltivato fin dai tempi dei Romani (2). Menisurus granularis L. — Esotica. — Avventizia; in un ruderato presso il Camposanto ge- nerale (1). Oryza sativa L. — Questa pianta fu conosciuta nell’Agro torinese fin dal 1600: un ordine della Camera dei Conti 2 ottobre 1608 ne proibiva la coltivazione. Successivamente un biglietto sovrano del 20 aprile 1616 la permetteva, salvo autorizzazione. Da certi ordini della Camera dei Conti 9 aprile 1625 e 26 agosto 1628 risulta che il riso si coltivava a Settimo, Borgaro, Leynì, Orbassano, Parpaglia. Pare che la coltivazione si fosse resa abbastanza comune a quell’epoca e che avesse dato luogo ad osservazioni dal punto di vista della pubblica igiene, poichè un ordine di S. A. R. del 21 marzo 1663 prescriveva che le risaie dovessero trovarsi almeno alla distanza di tre miglia da Torino e due dalle altre città (3). Panicum miliaceum L. — Orig. Indie. — Da secoli coltivato, sub-spontaneo qua e là. — capillare L. — America settentrionale. —" Avventizio. Raccolsi questa rara specie in due località sulla riva destra del Po, cioè presso il Ponte Umberto I e rimpetto la foce del Sangone, nelle sabbie silicee. — Eruciforme P.S. — Avventizio; in un ruderato presso. il Camposanto generale (1). Phalaris canariensis L. — Canarie. — Coltivato e spesso trovasi sub-spontaneo nei pressi degli abitati. Poa serotina Ehrh. — Indigena. — Stupinigi (Cav. Ferrari) (1). Secale cereale L. — Asia occid. — Coltivazione agraria già nota ai tempi dei Romani (4). Setaria italica P. B. — Cina, Giappone. — Da secoli perfettamente acclimatata: ad es. in un ruderato tra il Monte dei Cappuccini e il Corso Vitt. Em. II (5). Sorghum vulgare Pers. — Africa. — Grande coltivazione agraria nei dintorni di Leynì (Saggina da scope) (6). — halepense Pers. — Europa merid. — Naturalizzato, già citato dal Balbis e dal Re. Trisetum myrianthum Mey. — Specie a diffusione orientale. — Trovata a Moncalieri (1). Triticum aestivum L. — Orig. Asia Minore. — Da secoli coltivazione agraria estesissima. — villosum P.B. — Regione Medit. — Avventizio; trovato dal Cav. Ferrari a Stupinigi presso il Castello (4 luglio 1905); Venaria (Mandria). Zea Mays L. — America meridionale — Estesa coltivazione agraria, insieme colla sua var. praecox Pers. (1) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (2) Pumio, Historia naturalis, VI, lib. XVII, 14, antiquissimum in cibis hordewn. (3) Dusoin, Raccolta Editti, ecc., vol. X, pagg. 741, 762, 763. (4) Cfr. Prinio, Naturalis historia, VI, lib. XVIII. Secale taurini sub Alpibus asiam vocant. (5) Cfr. NoeLLi, Flora ruderale torinese. (6) Cfr. Ferrari E., La vegetazione del territorio di Leynì. 22 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL’AGRO TORINESE, ECC. Cyperaceae. Carex alba Scop. — Indigena. — Colla già osservava: “ Rarissime penes nos occurrit ,. Effettivamente questa specie venne trovata in una sola località presso Lucento vicino alla Dora Riparia (1). i Araceae. Arum triphyllum L. — Esotica. — Avventizia; diffusa straordinariamente nelle aiuole e viali dell'Orto Botanico (2). Lemnaceae. Wolffia arrhiza Wimm. — Non pare indigena. — Trovata per la prima volta dai Dr Gola e Negri in uno stagno ai sabbioni di Trofarello nel giugno 1908; il Dott. Gola affaccia il dubbio che, data la piccola estensione di area nella quale fu trovata, questa specie sia pervenuta per via di semi solo recentemente (83). Najadaceae. Najas alagnensis Poll. — Di altre regioni. — Avventizia; Vauda Leynì (Cav. Ferrari) (3). — minor All. — Indigena. — Stagni presso fornace Miglietti, Leynì (4). Potamogeton pectinata L. — Indigena. — Già citata fin dal Balbis “ ad Padum oceurrit , e dal Re “ ovvio al Po Morto ,; venne notata in grande quantità dal Cav. E. Ferrari nel laghetto artificiale al Valentino, In proposito osservo che la comparsa notevole per quantità nel predetto laghetto non può essere dovuta a semi portati per via d’acqua dal Po, perchè il laghetto è alimentato da due canali, uno del Corso Raffaello e l’altro da condotta forzata che alimenta le colonne di carico delle botti di inaffiamento, e tanto l’uno quanto l’altro recano acque derivate dalla Dora e non dal Po. Commelinaceae. Commelina communis L. — Cina, Giappone. — La trovai molto diffusa ed in perfetta fiori- tura nei dintorni di San Giusto Canavese lungo le strade: sfuggita forse da qualche giardino, ad esempio dal giardino ducale d’Agliè dove mi venne riferito essersi colti- vate specie di Commelina. Il Cav. E. Ferrari la trovò pure a Feletto lungo l’Orco presso il ponte rovinato, ab- bondante, ed avventizia sulle rive del Po a valle del Ponte Regina Margherita (3) ed alla Venaria. Il Dott. A. Noelli la notò abbondante a Robassomero lungo la Stura. Liliaceae. Allium cepa L. — Orig. Persia. — Da secoli coltivato (5). — fistulosum All. — Orig. Siberia. — Coltivato. (1) Cfr. Cora, Herb. Pedem., V, 512; MartIRoLo, La flora segusina dopo gli studi di G. F. Re, pag. 253. Cfr. Flora ital. exsiccata, Cent. VI, 560, dove il dott. Gola fa questa interessante osservazione: “ Questa specie trova in Italia la sua maggiore diffusione nelle Alpi orientali mentre è assai rara in quelle del Pie- monte (Monti di Pralugnano: lungo la Dora a Lucento) (E. Ferrari). © La presenza di questa pianta, particolarmente orientale, all’estremità ovest delle Alpi è degna d’inte- resse, perchè trova riscontro in quella dell’HuteRinsia procumbens, var. pauciflora Bert., anch'essa essenzial- mente orientale e pure localizzata nella Val Macra ,. (2) Cfr. TrincnierI, Flora spontanea, Orto botanico. (3) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (4) Cfr. FerrARI, Vegetazione di Leynì. (5) Giovenale lo cita (Lib. V, Sat. XV) alludendo sarcasticamente al sacro rispetto che di questa pianta avevano gli Egizi: “ Porrum et caepe nefas violare et frangere morsu ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 23 Allium sativam L. — Orig. dell'Asia centrale. — Da secoli conosciuto (1) e largamente col- __tivato come pianta ortense. — Porrum G. — Idem. — Coltivato. Asparagus officinalis L. — Indigeno. — Da secoli coltivato; si trova spesso sub-spontaneo qua e là specialmente nei terreni sciolti, come le sabbie silicee alluvionali del Po; col- tivato molto estesamente a Villastellone, Santena. Aspidistra elatior. — Giappone. — Coltivazione comunissima nei giardini e per decorazione d'ambienti. Hemerocallis fava L. — Orig. Europa orientale. — Naturalizzata, coltivata per la bellezza dei suoi fiori; spontanea alla Venaria nei boschi fra la Stura e la strada di Fiano, dove la trovai molto abbondante: trovata pure dal Dott. Noelli presso il R. Parco. Ophiopogon japonicus. — Giappone. — Coltiv. per bordure di giardino. Tulipa Oculus Solis St. Am. var. Praecor Ten. — Orig. Asia occid. — Naturalizzata; ab- bondante al Monte dei Cappuccini, in Val Piana (villa Vignolo Lutati), in Val Salice (villa Soldati). — Clusiana D. C. — Siria. — Coltivata; Val Piana e Val Salice (stesse località) (Dott. Vignolo Lutati in Literis) (2). Amaryllideae. Narcissus biflorus Curt. — Avventizio. — Trovata dal Cav. Ferrari al Colle della Maddalena presso la Cappella il 27 aprile 1890. — pseudonarcissus L. — Avventizio. — Incomparabilis Mill. — Avventizio. — Queste due specie furono trovate in collina, sfuggite da qualche giardino (83). Sternbergia lutea K. G. — Propria di altre regioni italiane, come ad esempio Albano (Roma) e Monte Soratte. Già menzionata da Allioni (#7. Ped., I, 36); indicata dal Balbis (villa Dani sulla collina), dal Prof. Mattirolo (Soperga), dal Dott. Vignolo Lutati (Moncalieri), raccolta dal Malinverni a La Cassa. Iridaceae. Iris sisyrinchium L. — Naturalizzato a Caselle sul sito detto Cantone Pich, ivi da me rac- colto il 18 giugno 1905. — Bohemica Schmidt. — Indigena. — Sui monti di Givoletto e di Cafasse, raccolta dal Cav. E. Ferrari. Il Dott. Gola fece un’ampia ed esauriente discriminazione della com- plicata sinonimia di questa specie (3). Gladiolus imbricatus L. — Ritengo questa specie indigena e che i botanici classici l'abbiano omessa forse scambiandola con altro gladiolus. — Givoletto alla cappella Madorna della Neve; Soperga; Stupinigi (3); dintorni di Leynì (4). (1) Già conosciuto dai Romani. Orazio l’aveva in particolare orrore e lo cita in questi versi che dimo- strano quanto la detestasse: “ Parentis olim si quis impia manu — Senile guttur fregerit — Edit cicutis allium nocentius ;. Epodi, III (2) Intorno all’origine dei tulipani cfr. Fiori, I generi Tulipa e Colchicum e specie che li rappresentano nella flora italiana, in © Malpighia ,, 1894. (3) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (4) Cfr. Ferrari, La vegetazione di Leynì. 24 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Juglandeae. Juglans nigra L. — America bor. — Coltiv. nei giardini; Orto Botanico; Giardino Reale; Orbassano, villa Gay di Quarti; Pianezza, villa Lascaris; Lingotto, villa Robilant; Mon- calieri, villa Mylius (Barolo). Juglans regia L. — Asia centrale. — Da secoli coltivata; notissima già ai Romani (1). Pterocarya caucasica C. A. Mayer. — Giappone. — Coltivata al Valentino in un bellissimo grande esemplare in piena terra; fiorisce regolarmente ed abbondantemente. Salicineae. Populus canadensis. — America settentr. — Coltivata in giardini nel principio del 1800 ed ora in grande per l’industria della carta nei terreni sciolti sabbiosi come sopra Mon- calieri; facilmente fuggitivo sulle alluvioni del Po (al Po Morto, ecc.). Salix Babylonica L. — Asia. — Coltivata in piena terra nei giardini e parchi per la grazia dei suoi rami penduli; al Valentino, al lago di Arignano, a Druent, ecc. — wviminalis L. — Orig. d'Europa centrale ed Asia. — Coltivato e spontaneo, ad es. nei greti della Stura a Torino. Cupuliferae. Ostrya carpinifolia Scop. — Indigena? — Non citata nè dal Balbis, nè dal Re. La trovai una volta sola sul colle di Torino, Val Salici. Quercus Virgiliana Ten. — Indigena? — Trovata dal Cav. E. Ferrari sulla strada di Revi- gliasco presso la Viola. — Tanzini Bub. — Indigena. — Musinè (Colla), Givoletto (Cav. Ferrari) (2). — sessiliflora Sm., B communis D. C., a macrophylla Ber. — San Vito lungo la strada di Revigliasco, a sinistra, nei boschi fra Cascina Grosso e Rio Freddo (Cav. Ferrari, giugno 1910). Plataneae. Platanus orientalis L. — Orig. dell'Oriente. — Coltivata da secoli nei viali e parchi per l’eleganza del suo maestoso.portamento. Urticineae. Cannabis sativa L. — Orig. Asia. — Da secoli coltivata; qua e là subspontanea. Ficus carica L. — Indigena. — Coltivata; talora trovasi fuggitiva presso le abitazioni. Brussonetia papyrifera Vent. — Cina, Giappone. — Non citata nè dal Balbis, nè dal Re; ne fa invece menzione il Colla: “ colitur sub dio, rare occurrit planta foemina sed ex caespitibus, quos abunde emittit, facillime multiplicatur , (8). Questa pianta, già cono- sciuta nel 1830 (4), ma ancor rara verso il 1840, è ora molto diffusa e perfettamente naturalizzata specialmente sulla collina; notevole per il polimorfismo delle sue foglie in rapporto colla loro età. Maclura aurantiaca Nutt. — America. — Coltivata in piena terra in giardini e parchi (per es. al Valentino, rimpetto al monumento Principe Amedeo, dove fruttifica). Colla ne fa menzione colla nota “ sub dio non perit , (8). (1) Tibullo I, E. 8, ricorda l’uso, che del mallo di noce si faceva ai suoi tempi, con questi mordaci versi: ©“... coma tum mutatur, ut annos — Dissimilet, viridi cortice tineta nucis ,. (2) Cfr. “ Calendario generale 1881 ,, pag. 613: Cenni sull’orto e piantonaje di Burdin maggiore in Torino. (3) Cfr. Corca, Herb. pedem., V, 148. (4) Elenco, ecc., in “ Calend. gen. 1881 ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 2. 25 Per la storia di questa pianta di recente introduzione piace ricordare il seguente inciso d'una lettera del Michaux al Bonafous: “ Le piante di M. aurantiaca, che si trovano al dì d'oggi nel giardino delle coltivazioni esotiche sul continente europeo, pro- vengono tutte da cinque polloni inviati da Baltimora nel 1815 dal sig. Vittorio Le Roy al sig. Andrea Michaux: quattro di essi posti nelle piantonaie del sig. Cels ed il 5° nel giardino delle Piante di Parigi , (1). Il Ragazzoni nel 1835 così scriveva: “ Si dice che sia di facile coltivazione, indicata già coltivata da Burdin nel giardino privato ,. Il Ragazzoni la considerava fin d’allora come pianta resistente alle brinate tardive, facilmente moltiplicabile, di vigorosa vege- tazione, adatta ad arricchire l'agricoltura e ad abbellire i giardini (2). Arignano, giar- dino Conte della Trinità. Morus alba L. — Asia centrale. — Coltivata: talora sub-spontanea, per es. lungo il Po. Eleagnaceae. Eleagnus angustifolia L. — Asia boreale. — Coltivata nei giardini: per es. Grugliasco, villa Moriondo. Lauraceae. Laurus nobilis L. — Già menzionato dal Balbis, che non lo ritiene però indigeno dell'Agro del Piemonte: “ In vineis collium taurinensium occurrit, ubi data opera primum exculta fuisse videtur ,. Coltivata nei giardini e parchi (8). Cinnamomum camphora Nees. (= Champhora officinalis Stend.). -—— China. — Coltivata; Valle San Martino, villa Murialdo. Sassafras officinale Nees. — America boreale. — Coltivato; Orto Botanico. Magnotliaceae. Magnolia grandiflora L. — Florida, Canadà. — Coltivata nei giardini (4). — Yulan Desf. — China. — Idem; Stupinigi, giardino reale. Liriodendron tulipifera L. — America settentrionale. — Idem; già conosciuta verso il 1830 (5). Thymeleaceae. Edgeworthia Gardnerii Meiss. — China. — Coltivata nei giardini, per es.: Orto Botanico ; Reaglie, Villa Pettiti; Arignano, giardino Conte Trinità. Polygonaceae. Coccoloba uvifera L. — America tropicale. — Coltivata nei giardini; Arignano, Conte della Trinità: bella rampicante. Polygonum cuspidatum Sieb. — Giappone. — Naturalizzato; fosso Palazzo Madama ed al Pilo- netto, sulle rive sabbiose del Po in forti esemplari. -— orientale L. — Indie. — Coltivato nei giardini, talora avventizio. (1) Cfr. Racazzoni, Rep. Agric. pratica, II, 1835, pag. 404. (2) In., 14., II, 1885, pagg. 345, 401, 405. (3) Cfr. Baxsis; Flora taurinensis, pag. 67. (4) Barurri, Passegg. torin., IV, 1853, citato del Giardino di Villa Boyl; 1859, citato del Giardino di Villa Cristina. (5) Cfr. Elenco, ecc., in È Calend. gen. 1831 ,,. 26 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Chenopodiaceae. Atriplex hortense L. — Orig. Siberia Tartaria. — Raramente coltivata nell’Agro torinese. Beta vulgaris L. — Orig. di altre regioni. — Coltivazione agraria (1). Anche nel Piemonte vennero fatti da tempo assaggi di coltivazione della Barbabietola da zucchero. Il Prefetto del Dipartimento del Po infatti con lettera del 15 aprile 1811 così incoraggiava il Sindaco di Torino a tale riguardo: “ L’intention bien prononcée de S. M. l’Empereur d’affranchir l’industrie francaise du tribut qu'elle paye aux productions des deux Indes, doit éètre secondée par tous ses sujects. Leurs véritables intérets l’exigent et les circonstances le commandent. Sa M. desire que le Département du Po ensemence cette année cent hectares en betteraves blanches pour remplacer par le produit le sucre des colonies. La culture de la B. est généralement connue dans ce pays. Vous savez que loin de faire tort aux autres cul- tures elle prépare la terre àè produire les céréales, et que méme après l’extraction de la pulpe elle fournit encore une nourriture abondante et saine è tous les animaux do- mestiques... ,,. Il Sindaco di Torino il 9 stesso mese rispondeva che voleva ben secondare le mire del Governo, ma che l’ostacolo, che si frapponeva, era di non avere trovato semi mal- grado tutte le fatte ricerche. Intanto era così trascorsa l’epoca propizia alla semina- gione per quell’anno; ma il 9 aprile dell’anno seguente 1912 il Prefetto del Diparti- mento del Po mandava al Sindaco un litro di semi di Barbabietola della razza detta di “ abbondanza ,, accompagnandolo con queste parole: “ Je vous prie de vouloir bien la faire semer sans delai et de vous occuper de préférence de la reproduction de la graine ,. Il Sindaco gentilmente rispondeva a questa sollecitatoria il 13 aprile stesso mese 1812: “ Je serais bien flatté que mes sollicitudes pour la culture des betteraves obtinrent un favorable suceès. Il me serait agréable alors de vous prouver, par le résultat, ma re- connaissance particuliòre è l’envoi, que votre bonté m’a fait, d’un paquet de grains de la méme plante ,. Chenopodium ambrosioides L. — America settentrionale e tropicale, dove è usato dagl’indi- geni per le loro imbalsamazioni (2). — Perfettamente naturalizzato. To non posso più considerare questa specie come una forma meramente avventizia, perchè essa ha dimostrato una grande vigoria di adattamento all'ambiente torinese. Infatti raccolsi questa specie il 2 novembre 1899 al Camposanto generale di Torino in un ruderato; il 3 novembre 1901 la raccolsi presso il quartiere Dogali ai piedi della collina: essa così aveva traversato la Dora ed il Po; nel settembre 1912 nuovamente la trovai sulla riva sinistra della Dora rimpetto al gasometro a monte del ponte Rossini, a monte quindi della primitiva località; il 18 ottobre 1903 la ritrovai sulla sinistra della Dora nel punto dove termina il rettilineo artificiale della Dora stessa, un po’ a valle della primitiva località; il 6 ottobre 1901 l’aveva anche notata sulla destra della Dora presso la fabbrica Debernocchi. Essa si trova sempre nei ruderati e manifesta grande vigoria di vegetazione, tale che se le stazioni da essa scelte non fossero facil- mente disturbate — si tratta essenzialmente di pubbliche discariche — tutto fa presu- mere che in breve si diffonderebbe come talune altre specie esotiche ora comunissime. (1) Bonarous, Della coltivazione della Barbabietola, Torino, 1886; Burnin, Intorno alla coltivazione della Bar- babietota da foraggio, Torino, 1847. Circa una estesa malattia che si diffonde sempre più sulle foglie della B. cfr. NoeLLi, Nuove osservazioni sulla Cercospora beticola Sacc., Torino, 1906, (2) Cfr. Humsorpor er Bomprann, Voyage aux régions équin. du nouv. continent, Paris, 1814, t. I, pp. 191-92. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. FE NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 27 Chenopodium aristatum L. — America settentrionale. — Introdotta nella coltivazione fin dal 1700 per es. a Torino (1). — opuliforme Schrad. — Indigena. — Trovata dal Cav. E. Ferrari nelle siepi presso il Cimitero di San Vito. Kochia trycophylla Hut. — Ruderi al Pilonetto; avventizia. — Scoparia Schrad. — Russia. — Coltivata raramente; trovata sporadica dal Dottor Noelli (2). Spinacia oleracea L. — Originaria del Caucaso. — Coltivazione ortense. Amaranthaceae. Amaranthus albus L. — America. — Spontaneo; fosso del Palazzo Madama ed altrove fre- quente (2). — Hypocondriacus L. — America. — Avventizio. Trovai un esemplare solo di questa specie il 2 settembre 1901 alle radici del colle di Cavoretto all’inizio della strada del Campagnino. — retroflerus L. — America. — Perfettamente naturalizzato e molto abbondante nei ruderati in agosto e settembre. — spinosus L. — America centrale. — Avventizio. Allioni la trovò a Torino nel 1760; a me occorse una volta sola in pochi esemplari in una discarica della strada fra il mo- numento della Crimea e la villa Gilodi il 1° ottobre 1898. Celosia castrensis L. — Indie. — Avventizia; in un ruderato presso il Camposanto generale. Camelliaceae. Camellia japonica L. — Giappone. — Coltivata nei giardini; villa Genero. Phytolaccaceae. Phytolacca decandra L. — America. — Perfettamente naturalizzata nell’Agro torinese; la trovai ad es. nei boschi di Stupinigi, sulla collina, lungo le riva del Po a Gassino, ecc. Mollugineae. Mollugo cerviana Ser. — Russia meridionale. — e — Verticellata L. — America. — Orto Botanico; subspontanee. Tamariscineae. Tamarix gallica. — Littorale. — Coltivata in piena terra in giardini, per es. alla barriera di Piacenza, Alpignano, ecc. Hypericineae. Hypericum calycinum L. — Grecia, Asia occidentale. — Naturalizzato; coltivato in piena terra per coprire aiuole; al Valentino, al mastio della Cittadella. Violaceae. Viola cucullata Ait. — Esotica. — Straordin. comune nel boschetto dell’ Orto Botanico (3). (1) Cfr. Saccarpo, Cronologia della flora italiana, pag. 79. (2) Cfr. NoeLri, Flora ruderale, pag. 10. (3) Cfr. Tamcnieri, Flora spontanea, Orto botanico. 28 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Resedaceae. Reseda odorata L. — Origine incerta. Africa settent.? — Coltivata. Capparidaceae. Oleome viscosa L. — Esotica. — Avventizia; viali Orto Botanico (1). Cruciferae. Bunias orientalis L. — Oriente. — Avventizia; boschetto Orto Botanico (1). Cakile maritima Scop. — Littorale. — Avventizia; trovata una volta sola in un ruderato oltre Po, presso il Monte dei Cappuccini (2). Cheiranthus Cheiri L. — Forse oriundo della Grecia. — Naturalizzato; coltivato comune- mente nei giardini. Coronopus didymus Sm. — Orig. America. — Avventizio; raccolto per tre anni consecutivi al Valentino, ora del tutto scomparso (83). Hesperis matronalis L. — Orig.? — Non citata dal Balbis. Io l’ho trovata abbondante al Monte dei Cappuccini e sopra villa Rey in Val San Martino. Iberis umbellata L. — Avventizia; Pino Torinese (3). Jonospidium acaule Reich. — Portogallo. — Avventizio; trovato per due anni di seguito dal Dott. Santi e cav. Ferrari al Valentino, ora scomparso (8). Lepidium virginicum L. — America settentrionale. — Naturalizzato sulle rive del Po in un ristretto spazio presso i Barbaroux (strada di Moncalieri). Morisia hypogea J. Gay. — Mediterraneo. — Subspontaneo all’Orto Botanico (1). Stisymbrium altissimum L. — 2 — Avventizio; trovato dal Dott. Vignolo Lutati sulle sponde del Po, tra la barriera di Casale e la borgata Madonna del Pilone (3); lo trovai pure a sponda destra del Po, alla barriera di Piacenza. Papaveraceae. Glaucium flavum Crantz. — Riviera. — Avventizio all’Orto Botanico (1). Papaver hibridum L. — Indigeno. — Alla Venaria, trovato dal Dott. Santi (3), Negri e Ferrari. — somniferum L. — Oriente. — Avventizio in un’ aiuola al Valentino presso il corso Vitt. Eman., evidentemente nato da semi casualmente ivi caduti e provenienti dal pa- diglione Cinese-Giapponese dell'Esposizione 1911, che appunto là vicino sorgeva; ora quella pianta è scomparsa affatto perchè venne fatta un’accurata mondatura dell’aiuola; lo raccolsi pure a sponda destra del Po al Rubatto. Ranunculaceae. Ceratocephalus falcatus Pers. — Oulx. — A Lucento sulle sponde della Dora, nato proba- bilmente da semi trasportati dalle acque della Dora e provenienti da piante crescenti ad Oulx dove la raccolsi (4). Delphinium Ajacis L. — Propria di altre regioni italiane più meridionali. — Avventizio ; lo trovai al Pilonetto nei ruderati dell'ex Esposizione 1911. Eranthis hyemalis Salisb. — Indigena. — Non citata dal Balbis, nè dal Re. Collina di Torino (5). Paeonia Moutan Sims. — Cina. — Coltivata nei giardini. (1) Cfr. TrincaIERrI, Osservazioni, eec. (2) Cfr. NorLLI, Flora ruderale, pag. 11. (3) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (4) Cfr. MarmiroLo, La flora segusina dopo gli studi di Re. (5) Cfr. NearI, Vegetazione della collina di Torino. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 29 Berberideae. Akebia quinata Decne. — China. — Coltivata nei giardini; Moncalieri, villa Mylius (ram- picante). Saxifrageae. Ribes rubrum L. — Indigeno. — Coltivato: lo trovai una volta subspontaneo al Monte dei Cappuccini. Rosaceae. Amygdalus communis L. — Orig. Asia. — Coltivato. — persica L. — Persia. — Coltivato. Armeniaca vulgaris Lamk. — Asia. — Coltivato. Cotoneaster buxifolia Wall. — Imalaja. — Coltiv. nei giardini; Moncalieri, villa Mylius (Barolo). Crataegus crenulata Roxb. — Imalaja. — Coltiv. nei giardini; Santa Margherita, villa Ge- nero; Moncalieri, villa Mylius; Arignano, villa Conte della Trinità. Fragaria indica Andr. — Indie. — Coltiv. già all’Orto Botanico di Torino fin dal 1816: trovata spontanea per la prima volta nel 1856 da Malinverni, ora perfettamente natu- ralizzata e molto diffusa (1). Keria japonica D. C. — Giappone. — Avventizio qua e là. Mespilus germanica L. — Indigeno. — Coltivato. Photinia serrulata Lindl. — Giappone. — Coltiv. nei giardini; Orto Botanico; Santa Mar- gherita, villa Genero, dove forma un viale e fiorisce in giugno; Val San Martino, villa Murialdo; Reaglie, villa Petiti; Venaria, villa Medici alla Mandria; Moncalieri, villa Mylius; Arignano, villa Conte della Trinità. Pirus cydonia L. — Orig. Asia occid. — Coltivato. . Prunus laurocerasus L. — Orig. Asia occid. — Coltivato in piena terra nei giardini e nei parchi; Strada di Mongreno; Santa Margherita, villa Genero; Val San Martino; Mon- calieri, villa Revel, Mylius; Lingotto, villa Robilant. — domestica L. — Orig. Asia. — Naturalizzato e coltivato. — cerasus L. — Orig. Mar Nero. — Già conosciuto dai Romani. Coltivato. — Pissardi Carr. — Coltivato; Giardino piazza Carlo Felice; Lingotto, villa Robilant; Arignano, villa Conte della Trinità. — lusitanica L. — Kuropa Australe. — Val San Martino, villa Murialdo; villa Genero; villa Andreis; Moncalieri, villa Mylius; Arignano, villa Conte delia Trinità. — virginiana L. — America Boreale. — Giardino reale in bellissimi esemplari; fioritura in maggio. — avium L. — Orig. Asia occid. — Naturalizzato; coltivato e spontaneo talora, come all’Eremo sul colle di Torino dove lo trovai. Rhodotipus kerrioides Sieb. — Esotico. — Avventizio; boschetto Orto Botanico (2). Rubus ulmifolius Schott. — Indigeno? — Trovato dal sig. Berrino a Soperga il 17 giugno 1890. Spiraea sorbifolia L. — Asia. — Coltivata raramente; Orto Botanico; Orbassano, villa Ma- scarelli. — lanceolata Poir. — China. — Coltivata per siepi. — opulifolia L. — Orig.? — Avventizia; Venaria nei boschi della Mandria (Dott. Santi e Cav. Ferrari nell’ottobre 1913). (1) Cfr. Caxvs, Le fraisier des Indes. L'Autore parla della prima introduzione di questa specie, del suo irradiamento nell’Agro torinese e della sna diffusione in altre regioni d’Italia. Cfr. pure Flora ersiccata Sche- dulae, n. 576. (2) Cfr. Trincameri, Osservazioni, ecc, 30 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Leguminosae. Albizzia Julibrissin Dur. — Africa. — Coltiv. nei giardini; Lingotto, villa Genero; Monca- lieri (Castello), villa Reale. Amorpha fruticosa L. — Carolina. — Perfettamente naturalizzata ; trovasi molto abbondante al Po Morto, al lago d’Arignano, lungo il Po a San Mauro, ecc. La vigoria con cui si propaga ed il suo completo adattamento al clima torinese autorizzano a non considerare più come avventizia questa specie che rivaleggia colla stessa Robinia (1). Apios tuberosa Moench. — America. — Avventizia; nei boschi lungo la Stura a valle della strada di Chivasso (2). Caragana frutescens D. C. — Esotica. — Avventizia; aiuole Orto Botanico (3). Cercis siliquastrum L. — Orig. Asia occid. — Coltivato. Gleditschia triacanthos L. — Orig. America. — Coltivata per siepi e diffusamente naturaliz- zata (per es. Caselette, colli di Torino, ecc.). Medicago sativa L. — Orig. Asia. — Già coltivata dai Romani (4). — rigidula Deer. — Indigena? — Trovata al Valentino (2). Phaseolus vulgaris L. — America. — Coltivazione agraria. Pisum sativum L. — Persia. — Da secoli coltivazione agraria. Pueraria Thumbergiana Sieb. et Zuce. — 2 — Coltivata in piena terra nei giardini, ad es. giardino Dott. Vallino a Leynì: meriterebbe maggior diffusione per la sua resistenza e lussureggiante vegetazione. Robinia pseudoacacia L. — Orig. America settentr. — “ Trasportata in Francia nel 1600, fu propagata per oggetto di giardino; in questi ultimi tempi però avendone i buoni agricoltori tratto risultati utili; venne con vantaggio coltivata ed introdotta quasi ge- neralmente anche in Italia. Quantunque siasi cercato di dire tutto il male possibile della Robinia pseudo-acacia, si è dovuto alfine dirne anche del bene e convenire dei suoi vantaggi. Così questa pianta che alcuni anni addietro era appena conosciuta e col- tivata solo per parchi e giardini è ora divenuta abbondante nelle nostre campagne ove domina quale albero indigeno e ove signoreggia le altre piante che la circondano, come la quercia, l’olmo, il pioppo , (5). — monophylla C. Koch. — ? — Coltivata per viali fin dal 1850. Sophora japonica L. — Cina, Giappone. — Già coltiv. in giardini sul principio del 1800 (6); estesamente coltivata per viali di pubblici passeggi. Vicia faba L. — Indigena. — Coltivata da secoli; non compresa dal Balbis. — Lens Coss. Germ. — Orig. Oriente. — Idem; idem. Myrtaceae. Punica granatum L. — Orig. Africa settentr. — Da secoli coltivato, per es. villa Genero; Orto Botanico; Leynì, Dott. Vallino; Moncalieri, villa Mylius e Castelvecchio (fruttifica). (1) Questa pianta ad Arignano, dove abbonda in riva al lago omonimo, vien detta volgarmente “ smorfia , per il noto fenomeno di riferimento fonetico, con travisamento semantico, d’una parola già esistente nel lessico dialettale ad un oggetto nuovo, il cui nome proprio si avvicina, quanto a suono, alla parola così presa in prestito. (2) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (3) Cfr. Trincnieri, Osservazioni, ecc. (4) Cfr. Virizio, Georg., I, 215, 216. © Vere fabis satio; tum te quoque Medica putres Accipiunt sulci ,. (5) Cfr. Racazzoni, Rep. Agr. pratica, vol. VI, 1833, pag. 81. (6) Cfr. “ Calend. gen. 1831 ,, Cenni sull’Orto Burdin, ecc. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 81 Lythraceae. Lagerstroemia indica L. — Giappone. — Coltiv. in piena terra nei parchi e giardini, per es. Piazza Carlo Felice, Lamarmora (1), Lingotto (villa Robilant), Moncalieri (villa Mylius), Arignano (giardino Conte della Trinità). Onagrariaceae. Oenothera biennis L. — America settentr. — Perfettamente naturalizzata; cresce preferibil- mente nei terreni sciolti delle alluvioni silicee del Po e del Sangone. — rosea Sol. — America. — Avventizia; sfuggita da giardini in collina, strada di Fenestrelle, dove la trovai per due anni consecutivi con tendenza a fissarsi. — muricata L. — 2 — Avventizia; lungo Po a La Loggia (Cav. Ferrari) (2). Umbelliferae. Bifora radians M.B. — Indigena di regioni confinanti coll’Agro torinese. To ritengo che questa specie non esistesse sul principio del secolo scorso; non è am- missibile che botanici così diligenti come il Balbis ed il Re l'abbiano omessa dato anche l’odore penetrantissimo che le è proprio e che rivela anche a distanza la presenza di tale pianta. Fu notata la prima volta, a quanto mi consta, il 14 giugno 1856 a Pecetto, poi nel 1859 a Sciolze, nel 1857 alle Molinette ed Ergastolo. To l'ho di molte località; specialmente Eremo, val Mongreno e sulla riva sinistra del Po all’Abbadia fra le messi. La ritengo irradiata dalla flora chierese sul territorio tori- nese dopo il 1830. Coriandrum sativum L. — Orig. Littorale medit. — Da secoli coltivato (3). Crittmum maritimum L. — Littorale. — Sui muri di sostegno del castello di Cinzano. Foeniculum vulgare Mill. — Indigeno. — Spesso subspontaneo sfuggito a giardini ed orti, come a Soperga, a Cavoretto, ecc. i Heracleum Mantegazianum. — ? — Coltivato al Monte dei Cappuccini ed all’Orto Botanico in piena terra; pianta rustica, robusta e prosperosa. Physospermum aquilegifolium Koch. — Indigena delle Prealpi. — È comune a Soperga: venne pure trovata dal Cav. Ferrari a San Vito. Cornaceae. Aucuba japonica Thumb. — Giappone. — Diffusamente coltivata nei giardini e nei parchi. Rhamnaceae. Paliurus aculeatus Lk. — Italia centr. e merid. — Già coltivato in principio del secolo scorso a Torino; usato scarsamente per siepi, ad es. a Mongreno. — Anni addietro quando in Piazza Statuto esistevano certe aiuole foggiate a violino e che diedero tanti motivi a critiche dal lato estetico, le siepi delle medesime erano appunto costituite da questa specie. i Rhamnus alaternus L. — Regione Mediterranea. — Coltivato in giardini; villa Genero; Val San Martino, villa Murialdo. (1) Già citata dal Barurri al Giardino di Villa Cristina nel 1859, Passegg. dint. Torino, 1859. pag. 82, ed alla Villa Boy] nel 1853, Passegg. dint. Torino, IV, 1858, pag. 32. (2) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (3) Cfr. Elenco, ecc., in“ Calend. gen. 1881 ,, citato, del Monferrato e di Val d’Aosta. DI DO » ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Aquifoliaceae. Ilex aquifolium. — Orig. reg. Pontica. — Non citato dal Balbis nè dal Re. Naturalizzato a Lanzo (1). Balearica Desf. — Isole Baleari. — Coltivato; Orto Botanico. Ampelideae. Parthenocyssus quinquefolia PI. — America boreale. — Perfettamente naturalizzato; usato per rivestire muri e cancellate; molto diffuso nell’Agro Torinese. Celastraceae. Bvonymus japonica L. — Orig. Cina e Giappone. — Coltivato diffusamente nei giardini e nei parchi. Staphyleaceae. Staphylea pinnata L. — Caucaso. — Coltiv. nei giardini dove fiorisce regolarmente; Valle San Martino, villa Murialdo; Moncalieri, villa Mylius. Sapindaceae. Acer Negundo L. — Orig. Virginia. — Naturalizzato; spontaneo in molte località della collina e del piano. Coltivato specialmente nella sua graziosa varietà a foglie variegate. — Platanoides var. purpurea. — Orig.? — Fosso del Palazzo Madama. Aesculus Hyppocastanum L. — Orig. Asia. — Perfettamente naturalizzato. Koelreutheria paniculata Lax. — China. — Coltivata; Orto Botanico; Arignano, giardino Conte della Trinità. Pavia rubra L. — America. — Coltiv. nei giardini e parchi. Anacardiaceae. Pistacia Lentiscus L. — Reg. Mediterranea. — Coltivata; Val San Martino, villa Murialdo; fiorisce regolarmente. Rhus coriaria L. — Indigena. — Indicata dei colli di Torino verso il 1830 (2) e dal Fior: ivi confermata (3). — hirta Sud. — America settentr. — Naturalizzata presso Mongreno, dove l’ho riscon- trata da parecchi anni in belli esemplari fiorenti in estate (4). Balsamineae. Impatiens balsamina. — Indie. — Coltivazione ortense. Geraniaceae. Linum salsoloides Lamk. — Indigeno? — Rarissimo nell’Agro torinese: trovato all’ Eremo di Torino dal Dott. Vignolo Lutati (4). — vusitatissimum L. — Orig. forse dell'Asia Minore. — Da secoli coltivato; avventizio talora, come al Pilonetto, dove la raccolsi. Oxalis corniculata f. purpurea Parl. — Propria d’altre regioni. — Avventizia; Venaria lungo la ferrovia verso Borgaro, raccolta dal Cav. Ferrari (4); San Vito, lungo la strada. ) Cfr. Gora, Piante rare, ecc., a proposito di Yris bohemica. 2) Cfr. Elenco, ecc., in “ Calend. gen. 1881 ,. ) Cfr. Frori, Flora anal. ital., vol. II, 226. ) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE lI, VOL. LXV, N. 9. 99 Tropaeolaceae. Tropaeolum majus L. — Perù. — Coltivato nei giardini. Zygophyllaceae. Tribulus terrester L. — Littorale. -—- Avventizio; trovato a Grugliasco; esiste anche in Val di Susa. Rutaceae. Citrus triptera Desf. — Giappone. — Coltiv. nei giardini; Orto Botanico; Val San Martino, villa Murialdo; Leynì, Dott. Vallino; Orbassano, villa Gay. Simarudbaceae. Ailanthus glandulosa Desf. — Cina. — Naturalizzata perfettamente. Non citata dal Balbis nè dal Re è ora molto diffusa nell’Agro torinese, dove assume anche l’aspetto di pianta di alto fusto. Era già conosciuta nel 1830 ed il Ragazzoni faceva già allora voti che questa pianta venisse coltivata non solo nei pubblici passeggi, ma anche come pianta utile per la sostanza tintoria che contiene, e consigliava già di piantare quest’ albero sulle sponde dei fiumi (1). Malvaceae. Althaea rosea Cav. — Oriente. — Da secoli coltivata nei giardini, talora anche avventizia, come a Leynì. — taurinensis D. C. — Indigena. — Pino (2). Hibiscus syriacus L. — Asia. — Coltivato per siepi di ville come sulla strada di Mongreno, regione San Paolo, ece. — Trionum L. — Esotica. — Coltivata a cielo libero, ad es. a Leynì nel giardino del Dott. Vallino. Malva crispa L. — Orig. Europa settentr., Russia. — Avventizia; trovata una volta sola dal Cav. Ferrari e dal Dott. Vallino alla regione Madonna del Pilone (2). Sida Abutilon L. — 2 — Coltivata; avventizia; già indicata dal Re (“ circa urbem ,), € quindi dal Moris nel 1840 (8). Sterculiaceae. Sterculia platanifolia L. — China. — Coltiv. nei giardini; Orto Botanico: Moncalieri, villa Mylius, dove maturano i semi. Euphorbiaceae. Acalypha virginica L. — Virgina Carolina. — Può ormai dirsi naturalizzata sebbene non sia nè frequente, nò abbondante; fu trovata dal Cav. Ferrari nel 1887 in settembre alla Villa della Regina, ivi ritrovata nel 1909; trovata nel 1907 in settembre pure dal Cav. Ferrari al Valentino presso il castello in faccia allo Skating tra le piante di siepe del vivaio municipale, ivi riscontrata, e da me raccolta in settembre 1913 (2). Subspon- tanea all’Orto Botanico (4). (1) Cfr. Racazzoni, Rep. Agr. pratica, 11, 1835, pag. 165, e Elenco, ecc., in © Calend. gen. 1831 ,. (2) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (3) Cfr. Moris, Elenco di piante, ecc. (4) Cfr. Trincmeri, Osservazioni, ecc, 34 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Euphorbia chamaesyce L. — Orig. Indie. — Naturalizzata nei viali dell'Orto Botanico (1). — Gibelliana Perla. — Indigena. — Sulla montagna serpentinosa del colle di Portia, Val della Torre, dove la raccolsi con frequenza (2). _ maculata L. — America boreale ed Equatore. — Avventizia nei viali del Valentino dove l’osservò il Cav. Ferrari (2). — Preslii Guss. — Indigena. — Non ricordata dal Balbis nè dal Re. Trovata a But- tigliera d'Asti nelle vigne Berrino, 1895; a Venaria, lungo i binari della ferrovia. dal Cav. Ferrari, 1905. . Ricinus communis L. — Orig. Indie. — Già noto ai Romani; coltivato nei giardini per la bellezza del suo portamento. Stillingia sebifera Michx. — Regione Tropicale. — Coltivata; Orto Botanico. Buxaceae. Buxus balearica Lamk. — Isole Baleari. — Coltiv. a Moncalieri, villa Mylius. Ericaceae. Arbutus unedo L. — Regione Mediterranea. — Coltivato, ma raramente; Val San Martino, villa Murialdo; Moncalieri a Castelvecchio; Arignano, villa Conte della Trinità. I si- gnori Crosetti e Fontana, giardinieri dell'Orto Botanico, notarono questa specie in ab- bondante fioritura alla villa Murialdo e ad Arignano in settembre, ed in certe annate favorevoli anche in fruttificazione. Ritengo opportuno citare le seguenti tre specie, non registrate dal Balbis ed invece comprese dal Re nella sua Flora torinese, perchè sono un bell'esempio di piante mon- tane che trovarono un rifugio nella collina di Torino (Soperga). come dimostrò il Dott. Negri (3): Rhododendron ferrugineum L., dietro Soperga. Vaccynium myrtillus L., Soperga verso San Mauro. — vwîtis idaea L., dietro Soperga. Ebenaceae. Diospyros lotus L. — America, Persia, Cina. — Coltivato sui colli torinesi nella prima metà del secolo XIX (4). Oleaceae. Forsytia suspensa Vahl. — China, Giappone. — Coltivato nei giardini. Jasminum officinale L. — Persia. — Coltivato nei giardini e subspontaneo, ad es. a Soperga. — fruticans L. — Levante. — Coltivato e perfettamente naturalizzato. Olea europaea L. — Orig. Asia. — Coltivato già in Italia ai tempi dei Romani. Qualche esemplare tuttora esistente in Val San Martino (5). (1) TrincHIerI, Osservazioni, ecc. (2) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (3) Cfr. Neri, La vegetazione della collina di Torino. Cfr. pure la seguente osservazione del Barurr1I in Passegg. dint. Torino, IX, 1853, pag. 64: “ per tornare alle piante di Soperga... è però un fatto curioso di trovare a sì breve distanza ed a una così piccola elevazione, il vaccynium myrtyllus, il vitis idaea e il rho- dodendron ferrugineum, pianticelle che non vegetano che sulle Alpi, quest'ultima specialmente ,. (4) Cfr. Elenco, ecc., in È Calend. gen. 1831 ,. (5) Cfr. Barorri, Passegg. dint. Torino, VI, 1854, Valle S. Martino: ©“... abbondano (in Val S. Martino) il noce, il fico, il mandorlo, alenni olivi, e i prosperi agrumi attestano la dolcezza e la salubrità del clima ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. È NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 85 Intorno alla presenza dell'olivo nell’Agro torinese sì ricorda quanto segue : Il Prof. Pietro Gribaudi nel suo studio Olive e 2afferano sulle colline di Torino, 0s- serva che, mentre queste due piante non fanno più parte delle culture agrarie della regione, nel Medio Evo esse erano così importanti da richiedere disposizioni penali a garanzia dei coltivatori. Egli cita gli statuti criminali inediti di Chieri, i quali stabili- scono la pena di lire 25 astesi a colui che “ furtive eradicaverit vel exportaverit de possessione aliena semen sofrani (piem. soufran) vel arborem seu plantam amygdalorum, vel olivae... ,, ed in caso di insolvibilità il colpevole “ ponatur ad berlinam sine remis- sione per tres dies continuos .. Cita pure gli Statuta Camparia Cherii (sec. XIV) in cui è stabilito che qualunque persona abbia in qualche modo, previsto dai detti statuti, danneggiato olivi, viti, peri, ecc. “ incurrat poenam bamni solidorum 60 pro qualibet planta, etc. ,. Multa, bando, berlina proteggevano adunque la coltivazione dell’olivo di cui attualmente più non rimane che qualche raro esemplare in qualche villa (per. es. Val San Martino) a testimoniare l’antico indigenato di questa specie nell’Agro torinese. “ Per quale ragione la cultura di tali piante è ora impossibile in quei luoghi? ,. Così domanda il Prof. Gribaudi, ed affaccia l'ipotesi d'un cambiamento di temperatura (1). Osmanthus fragrans Lour. — China. — Coltivato ad es. Val San Martino, villa Murialdo ; Moncalieri, villa Mylius; Arignano, giardino Conte della Trinità. Phyllirea latifolia L. — Reg. Medit. — Coltiv. ad es. Val San Martino, villa Murialdo; Mon- calieri, villa Mylius. Syringa vulgaris L. — Asia. — Coltivato comunemente nei giardini e perfettamente natu- ralizzato ; il Colla la registrava già come “ copiosa in silvis M. Crea atque etiam in collibus taurinensibus , (2). Apocyneae. Apocynum androsoemifolium L. — Esotico. — Avventizio; viali dell’Orto Botanico (3). Nerium Oleander L. — Littorale. — Coltivato in piena terra in Val San Martino dove fio- risce normalmente, e così in altri siti bene esposti. Vinca major L. — Indigena. — Già citata dal Balbis; rara. San Vito (Cav. E. Ferrari). Asclepiadeae. Asclepias Cornuti Dene. — Esotica. — Avventizia; trovata lungo il Po a San Mauro dal Cav. E. Ferrari (4). — phytolaccoides Pursh. — Esotica. — Avventizia; viali dell'Orto Botanico (8). Gentianeae. Chlora serotina Koch. — Indigena. — Al Po Morto (4). Cicendia filiformis Del. — Indigena. — Non citata dal Balbis, nè dal Re, ma evidentemente sfuggita alla loro attenzione. Si trova a Leynì (5). Erythraea pulchella Horn. — Indigena. — Non citata dal Balbis, nò dal Re. Trovasi a Leynì (5). (1) Cfr. “ Bollettino Storico bibliografico Subalpino , diretto da Gasorro, anno VIII, Torino, 1898, pag. 298 e seg. Corta, Herb. Pedem. IV, 123, non ricorda la coltivazione medioevale dell’olivo; lo coltivava nel suo giardino di Rivoli. Un esemplare d’olivo esiste alla Sagra di S. Michele. Cfr. pure MarmIROLO, La flora se- gusina, ecc. (2) Cfr. Corra, Herb. Pedem., IV, 111. (3) Cfr. TrincHierI, Osservazioni, ecc. (4) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (5) Cfr. Ferrari, Vegetazione di Leynì. 36 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. Borragineae. Heliotropium peruvianum L. — Perù. — Coltivazione comune nei giardini. Convolvulaceae. Pharbitis hispida Choisy. — ? — Avventizia; trovata lungo il Po a monte del Pilonetto (1). Solanaceae. Capsicum annuum L. — America. — Coltivazione agraria. Datura stramonium L. — Asia. — Naturalizzata qua e là. Lycium sinense Mill. — Asia orientale. — Avventizio; lungo Po alle Molinette, trovato nel 1884 (2). Nicandra physaloides Gaertn. — Esotica. — Avventizia; viale Orto Botanico (3) ed al Va- lentino (Dott. Noelli). ) Nicotiana rustica L. — Esotica. — Avventizia; trovata dal Cav. Ferrari e Dott. Vallino in un ruderato presso il Camposanto generale di Torino (2). — tabacum L. — America. — Fu coltivato a Banna presso Poirino, ed a Mirafiori nel 1727, in un appezzamento di cento ettare, ma non ne esiste attualmente più traccia (4). Avventizia al Valentino nel sito dove era stabilito un piantonaio di tabacco durante l’Esposizione 1911. Petunia nyctaginiflora Guss. — Argentina. — Coltivazione comune nei giardini. Solanum Balbisianum Dun. — ? — Avventizio in una scarica pubblica presso la Dora (2). — LIycopersiceum L. — America. — Coltivazione agraria. — Melongena L. — Indie. — Idem. — Tuberosum L. — America merid. — Idem. L'introduzione pratica della patata e la sua diffusione come materia alimentaria nel Piemonte è dovuta a Virginio (5). Le patate comparvero per la volta sui mercati di Torino il 26 novembre 1803. Scrophulariaceae. Buddleja Lindlejana Far. — China. — Coltivata nei giardini. Digitalis purpurea L. — Propria d’altre regioni italiane. — Avventizia nel boschetto Orto Botanico (3) e coltivata nei giardini. Linaria alpina L. — Alpi. — Avventizia; da me raccolta in fiore il 5 settembre 1909 nel greto del Po, riva sinistra, a Settimo; nata evidentemente da semi trasportati colle acque dalle regioni alpine (6). — minor L. — Indigena. — Al Pilonetto (1). Paulownia imperialis S. e Z. — Giappone. — Coltivato come albero da parco e giardino; molto diffuso e perfettamente naturalizzato (7). (1) Cfr. NoeLLI, Flora ruderale. (2) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (3) Cfr. TrincHIERI, Osservazioni, ecc. (4) Cfr. Dusom, Raccolta editti, ecc., vol. 22, pag. 5. (5) Virginio Vincenzo, nato 1752, morto 1830. Cfr. TorrIceLLA, Zorino e le sue vie, 1 vol., Torino, 1868. (6) Cfr. Frori, Flora anal. ital., III, 422, che osserva, pure egli, come dalle regioni montane ed alpine questa pianta discenda talora in pianura coi torrenti. (7) Barurri lo cita del Giardino di Villa Cristina, Passegg. dint. Torino, 1859, pag. 82. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 37 Verbascum sinuatum L. — Indigeno? — Trovato una volta sola in stazione ruderale presso la Stazione di smistamento al Lingotto. Non citata dal Balbis, nè dal Re. Bignoniaceae. Bignonia catalpa L. — America settentr. — Coltivata e perfettamente naturalizzata. Pare che si sia tentato di adoperarne i frutti siliquiformi come sigari, perchè si era creduto che il fumo fosse molto analogo a quello del tabacco col vantaggio di non lasciare speciali profumi in bocca; ma pare che l'esperimento non abbia avuto seguito alcuno (1). Tecoma radicans J. — Capo. — Coltivato e perfettamente naturalizzato già ai tempi del Colla (2). Labiatae. Betonica officinalis L. x. serotina. — Indigena. — Venaria (Boschi della Mandria, Cav. Fer- rari e Dott. Santi, ottobre 1913). Lavandula spica L. — Propria della regione montana. — Coltivata come pianta aromatica; si adatta perfettamente in collina, per es. a Cavoretto. Ocymum basilicum L. — Asia, Africa. — Coltivata come erba aromatica negli orti e giardini. Origanum majorana L. — Asia. — Coltivata come erba aromatica, già nota ai tempi dei Romani. Rosmarinus officinalis L. — Indigena. — Coltivazione ortense. Salvia officinalis L. — Indigena. — Non ricordata dal Balbis: coltivazione ortense. — sclarea L. — Indigena. — Coltivata come erba aromatica, talora subspontanea (3). — silvestris L. — Indigena. — Indicata dei dintorni di Torino nella lora analitica del Fiori, ma da ricercarsi (4), perchè, sebbene l’Allioni dichiari in #7. Ped., I, 14: £ secus vineas in saxosis et in apricis sylvis collium taurinensium observavi ,, tuttavia i dili- gentissimi botanici dell'Orto mai non la riscontrarono. — splendens. — ? — Coltivazione nei giardini. Sideritis montana L. — Indigena. — Rara. trovata presso Grugliasco (Cav. E. Ferrari). Verbenaceae. Lippia citriodra H. B. K. — Perù, Chili. — Coltivazione nei giardini (volgarm. Erba limo- naria); in certe esposizioni calde rivolte a mezzodì resiste ai freddi invernali (5). Viter agnus castus L. — Littorale. — Coltivazione nei giardini, ad es. in Val San Martino sul colle di Torino. Lentibulariaceae. Pinguicula alpina L. — Regione Alpina. — “ Elegantissime florentem reperi ad finem aprilis a. 1802 in rupestri cavea secus rivulum excurrentem retro Eremum prope Peceto: Flos albus: calcare reflexo ,. Così Balbis in Flora torinese, pag. 4; ed il Caso commentava questa indicazione di habitat con queste parole: “ Un curioso fatto di geografia botanica (1) Cfr. Ragazzoni, Rep. Agr. pratica, vol. V, 1832, pag. 336. (2) Cfr. Corra, Herb. Pedem., IV, 186. (3) Citata dal Colla: “ in collibus Taurini, propre M. Cappuccini qua parte meridiam spetat ,; ivi più non esistente perchè tutto il sito è trasformato in aree fabbricate e fabbricabili. (4) Fiorr » Paoterti. Flora analitica, ece., vol. III, pag. 51. Cfr. pure Corra, Herb. Pedem., IV, 392. © Sola auctoritate cl. Allionii enumero hanc plantam inter pedemontanas, nec scio Botanicos recentiores illam unquam invenisse locis indicatis nec alibi, immo neque in aliis Italiae regionibus ,. (5) Cfr. Corra, Herb. Pedem., IV, 496. 38 ENRICO MUSSA -— LA FLORA DELL'AGRO 'TORINESE, ECC. è l'esistenza della Pinguicula alpina nella valletta detta Rivauta (m. 500 circa sul mare) tra Pecetto e l’Eremo di Torino; fu ivi rinvenuta dal Balbis e dal Re, e noi l'abbiamo raccolta precisamente nel sito indicato da questi autori ,. Cfr. Flora segusina di G.F. Re, commentata da Beniamino Caso, pag. 278. Il Dott. Negri poi, nella sua notevole Monografia sulla Vegetazione della collina di Torino, osserva che questa specie e l’ Asplenium septentrionale sono le sole specie del- l'associazione rupestre murale che costituiscano la florula microterma dei colli di Torino. Plantagineae. Plantago coronopus L. — Littorale. — Avventizia; la raccolsi nei ruderati dell'Esposizione del 1911 al Pilonetto. Rubiaceae. Bouwardia longifolia H. Bk. — Messico. — Coltivata nei giardini. Centranthus ruber D.C. — Littorale. — Subspontaneo ai limitari dell'Agro torinese (Pine- rolo, Sagra di San Michele). Gardenia florida L. — China. — Coltivata nei giardini. Caprifoliaceae. Abelia chinensis R. Br. — China. — Coltiv. nei giardini, per es. Grugliasco, villa Moriondo; Moncalieri, villa Mylius. i Lonicera etrusca Serr. — Indigena. — Musinè (1). _ japonica Tumb. — Cina, Giappone. — Non citata dal Balbis, nè dal Re. Coltivata dal 1825, ora si trova molto diffusa sulla collina. Sullo stesso piede trovai spesso fiori bianchi e fiori gialli, anzi in uno stesso paio di fiori uno bianco e giallo l’altro. Weigelia rosea Lindl. — Giappone. — Coltivata nei giardini. Cucurbitaceae. Cucumis sativus L. — Asia. — Coltivazione agraria. _ Melo L. — Indie. — Jdem. Cucurbita Pepo L. — Asia. — Coltivata da secoli. Ecballion Elaterium Rich. — Riviera. — Avventizia, Orto Botanico (2). Thladiantha dubia Bunge. — Esotica. — Avventizia, boschetto Orto Botanico (2). Campanulaceae. Adenophora liliifolia Ben. — Indigena? — La Flora del Fiori indica come località di questa specie: Givoletto ‘nell’Agro torinese, il Canton Ticino, Brescia, il Trentino, ece. Questa pianta fu trovata finora soltanto sulle montagne di Givoletto, roccie serpen- tine, e non altrove nell’Agro torinese, anzi in tutto il Piemonte. Io stesso ancora nel 1913 la riscontrai con una certa abbondanza nell’alta valletta della Ceronda, sopra Givoletto, cioè al di sopra di Varisella, nella zona che si stende dalla Cappella di San Rocco (m.527) alla cappella della Madonna della Neve (m. 1211); in alto questa specie sì rende più scarsa; tra i 600 e i 1000 m. invece si trova con una notevole abbondanza frammischiata alle altre erbe che costituiscono un tappeto falciabile; e siccome la fal- ciatura avviene quando la pianta è appena all’inizio della fioritura. così non è tanto facile che la sua presenza venga subito avvertita; epperò si comprende come in quella (1) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (2) Cfr. TrincHieRI, Osservazioni, ecc. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATU SERIE 1I, VOL. LXV, N. 2. 39 zona inferiore falciabile la specie si mantinga con una certa frequenza ed abbondanza. In alto invece, dove il terreno non presenta più un tappeto facilmente falciabile e dove la pianta in discorso si annida tra le fessure delle roccie, essa può giungere più facil- mente a fioritura ed è così allora più facilmente reperibile. Il fatto che questa pianta si trova unicamente in quest’'angolo assai limitato del Piemonte e solo ricompare molto lontano nelle Alpi centrali ed orientali, come sopra venne ricordato, indusse persino alcuno a dubitare sul suo indigenato e ad affacciare un'introduzione artificiale. Così il Dott. E. Rostan scrisse: “ Cette belle et rare espòce se trouve assez abondante sur la petite montagne de Givoletto è l’entrée de la Vallée de Suse, où elle aurait été introduite de semis du jardin botanique de Turin avec l'Euphorbia insularis, V Allium pedemontanum W., le Pleurospermum austriacum Hoff., par le jardinier Molineri, contemporain d’Allioni et son collaborateur , (1). È interessante ricordare ciò che invece ha seritto il Dott. Gola a proposito di questa stazione di Adenophora lilifolia: essa cioè farebbe parte di quel gruppo di specie che, secondo il Gola, dalla regione Pontica si irradiano lungo i due versanti delle Alpi fin verso la Francia: ex aquifolium, Lynosiris vulgaris, Buxus supervirens, Dictamnus fraxinella (2). Compositae. Ambrosia maritima L. — Regione Medit. — Avventizia fra i binari della ferrovia presso l'ospedale Mauriziano (settembre 1910). Artemisia absinthium L. — Proprio delle regioni montane. — Da me trovata qua e là nel- l’Agro torinese, subspontanea, al Lingotto, al R. Parco, sul colle a Cavoretto, ecc. (3). — Camphorata L. — Propria di altre regioni italiane. — Da me trovata al Monte dei Cappuccini. — Dracunculus L. — Siberia. — Coltivata nei giardini, per es. a Cavoretto. — Pontica L. — Caucaso. — Già indicata come coltivata nel 1831 a Chivasso, dove anche ora costituisce oggetto di cultura quale pianta aromatica (4). — Verlotorum (5). — Si dubita sia originaria di Asia. — Fu trovata per la prima volta dal Cav. Ferrari al Monte dei Cappuccini nella parte che guarda il monumento Crimea in stazione ruderale. Io la trovai in forti esemplari al Pilonetto in ruderati dell'Esposizione 1911, al Po Morto verso la Rotta, ed a Millefonti. È pianta rustica che tende ad affermarsi e che omai può dalla categoria delle avven- tizie passare a quella delle naturalizzate definitivamente. Aster brumalis Nees. — America. — A Bertoulla, presso il Ponte (Cav. Ferrari); Stupinigi, lungo il Sangone a sinistra del Ponte (Fontana) (5). — Novi Belgii L. — America settentr. — Specie omai inselvatichita e che io trovai in varie località: Val Sappone, rive del Po al Pilonetto e sotto S. Mauro. Il Colla l’aveva (1) Cfr. “ Bull. Assoc. Protect. des plantes ,, 7 nov. 1889. L’ipotesi del Rostan non è provata, ma il caso non sarebbe neppure nuovo negli annali della Botanica; il Thellung infatti narra che Nissolle sul finire del secolo XVII e Gouan ed Amoreux nel 1760 seminarono largamente piante esotiche nei dintorni di Montpellier e nelle selve delle Cevenne “ esperant enrichir les erborisations de leur patrie ,, ma senza ottenere risultati stabili. (2) Cfr. Gora, Piante rare, ecc., a proposito dell’Iris bohemica. (3) Re, Flora torinese, II, 65, la citava già nel piano fra Torino e Collegno. (4) Cfr. Elenco alberi, ecc., in © Calend. gen. 1831 ,. (5) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. 40 ENRICO MUSSA — LA FLORA DELL'AGRO TORINESE, ECC. già notata lungo la Stura, alla Maddalena, Madonna di Campagna, notando che si com- portava come una vera pianta indigena (1). Crysanthemum heterophyllum D.C. — Indigeno. — Musinè (Cav. E. Ferrari) (2). — latifolium. — ? Coltivato nei giardini di Torino. Myconis L. — Pianta della riviera. — Avventizia al Pilonetto dove la trovai in ru- derati dell'Esposizione 1911 (8). Erigeron annuus Pers. — America settentr. — Frequente nei ruderati (3). — canadensis L. — America settentr. — Perfettamente naturalizzato; invadente; comu- nissimo ovunque. Eupatorium coelestinum. — ? — Avventizio, da me trovato sul ghiajeto del Po, alla sinistra riva, presso Settimo. Galinsoga parviflora Cav. — America. — Naturalizzata; trovai questa specie allo stato spontaneo in diverse località, specialmente ruderali, ed in siti a faczes ammoniacale in vicinanza di abitazioni rurali. Helianthus annuus L. — Perù. — Coltivato; talora avventizio in ruderati (8). — tuberosus L. — America settentr. — Avventizio ; trovato nel fosso di Palazzo Madama e nei dintorni di Leynì. Nardosmia fragrans Vill. — Italia merid. — Perfettamente naturalizzata in Val S. Martino, presso la villa del Paradiso: da molti anni osservo che vi si mantiene tenacemente e fiorisce precocemente (4). Rudbeckia laciniata L. — America settentr. — Naturalizzata; la trovai al Po Morto, a Mon- calieri, a Settimo, a Leynì. Senecio cineraria D. R. C. — Regione medit. — Coltivata nei giardini per bordure, ecc. Solidago serotina Ait. — America settentr. — Perfettamente naturalizzata. Risulta che essa era già coltivata nell’Orto Botanico di Torino nel 1813. Fu raccolta il 29 agosto 1883 a Stupinigi (Defilippi), 15 ottobre 1883 a La Loggia, Belvedere (Cav. Ferrari), 18 set- tembre 1893 a Stupinigi di nuovo (Cav. Ferrari): ora è molto diffusa ed in taluni luoghi addirittura ingombrante (come al Po Morto). La sua irradiazione nell’Agro torinese, specialmente nei terreni sciolti alluvionali, data da circa mezzo secolo. Stenactis annua Nees. — America settentr. — Perfettamente naturalizzata. Diffusa assai nei boschi, già copiosa al principio del 1800. Sylphium perfoliatum Poir. — 2? — Avventizio, trovato dal Cav. Ferrari in un canale presso il Castello di Stupinigi. Tagetes corymbosa S. W. — Messico. — Coltivata nei giardini. Vittadinia triloba Hort. — Florida. — Avventizia; trovata un volta sola subspontanea (5). Nanthium macrocarpum D.C. — America. — Naturalizzato. — spinosum L. — America. — Naturalizzato; trovato qua e là in stazioni ruderali. (1) Cfr. CoLca, Herb. Pedem., Il, 388. (2) Cfr. Gora, Piante rare, ecc. (3) Cfr. NoenLI, Flora ruderale. (4) Fu pure trovata avventizia presso Revigliasco, scendendo dalla Maddalena (dott. Noelli, in literis): il 10 marzo 1883 il Defilippi già l’aveva notata in questa stessa località. Fu pure rinvenuta il 29 marzo 1883 sulla riva destra della Stura tra il Prato di Bertoulla e il ponte della Strada di Milano. (5) Questa specie è comune a Pinerolo sui muri (S. Maurizio). Dott. Noelli în literis. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 4l CONCLUSIONE Passate così in rassegna le piante da menzionare in una ‘nuova compilazione di flora dell'Agro torinese, eccole ripartite in base alla classificazione del Saccardo : Idiotopiche .... 27 Spontanee. . . . i Indigene . . . | Eterotopiche ... 21 | Coltivateg 00 SS 5 Piante . . . | i o 4 ( Naturalizzate . . . 75 Accidentali . . . ‘ Dì Esotiche (1) . | | Avventizie .... 72 Î COUVAleee Ro 120 Totale entità tassonomiche 320 Sono adunque circa 300 specie che dovrebbero arricchire il censimente floristico del- l'’Agro torinese; togliendo da queste le avventizie, da trattarsi con un cenno storico (prov- visoriamente prima di includerle stabilmente nel quadro della vegetazione stabile) sulla loro comparsa, come dianzi ho esposto, resta pur sempre la cospicua quantità d’oltre 200 entità tassonomiche, tra specie indigene od esotiche, coltivate o spontanee, che hanno omai diritto alla cittadinanza torinese. E con tale constatazione termino questo, che io per il primo convengo essere modestis- simo lavoro; ma se è vero che anche “ das kleinste Haar wirft seinen Schatten , (2), la tenuissima ombra gettata da questo umile contributo allo studio della mostra Flora locale mi auguro possa essere presto dileguata dalla luce feconda di un’opera fondamentale com- plessiva sulla vegetazione dell'Agro torinese — nè per fortuna manca chi ne sarebbe ca- pace — degna delle gloriose tradizioni della Botanica subalpina. Mi sia infine permesso di compiere il dovere di esprimere un vivo ringraziamento all’illustre Prof. Mattirolo, che mi suggerì anni sono questa compilazione e che la onorò del suo ambito autorevole patronato. Torino, 29 marzo 1914. (1) Nella cifra delle piante naturalizzate sono comprese le poche specie esotiche già ammesse dal Balbis e dal Re nelle loro flore. (2) GoerHe, Mazimen, vol. 2°, pag. 751. sta perno PRI RO hi Jo di ‘nile Al tane: Ln Se i, Re; / 0A TUA MITA OLIENA CRE DIA ZIA Mero ini vuinluni g 0 DESTRO ASI pria ey ele Sdabig al aos sian cIngsdt] î ; ail Ipfpraitotibiaaa o 54) ig nt SA MAI RO DT NGTo ] RE dibattiti da tan No: ‘dIERURARI VR TO f RTNA | d « AAOINOT tif (0/0 sbigoto14li | PIT donne 0 Galfpriatogdi st Gra aisi la tati aa if ato AE ina f isa di ASMARA: 1 lr i "ati LARA Ri ara petit - ii LA N] I ;X Pg A gittaci alato iaia Ve È sE i 1 i doti lab robtsiantia pri i pari ei candifenv oli ndo dios ade antro supe aaa ur or) posata A be atta gp cai Seng ni aenovnof o sio allibziofuta tia ipraftert@ 9 abfale oobagto fui adrsettlicata atmboloni 16 Miaca Sia 00t asdperi cueppea fra pf dicon ig eden eo o duca «pena gita vinatoritaco, dtaziline alortiam Do, REA) lava, evi Siri” 3 (PT i (‘AGR redopttadofi magica stu, anti otralalal nate" ovina «cla segav, di, fi: MP sbri prot, pron alloy ipirada, Sile oJstizigne qfiatiàà UTI dlroto rt 201008, Mitre sat std’ ila silbtonatt. spa alati, setagigati PRsra Are, «#9 adidonga ca dito doriapit aagdok 164 dt dra ig ah ‘naotaido na? tI Bla pe rfolia m Vapo babi agitati, all, (4a SARAH | divinita IS vi pi i omelia i ID, arogol. all lita “i denari cia i Sigari; i SE DI LIRE ia ui, Mitra AP x e, ent: ER ne riapre LE Marc Dotta LAI L 4; PA Ad PI nf: ? pra Lal a Rua. «I lov sbaoi ale i ALI Ù mitra ppt RAV An, iu di pavese. 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Non è mio intendimento entrare nella disamina della dibattuta questione sulla minuta struttura dello stroma epatico: mi limito quindi a ricordare in termini molto generici come alcuni AA. abbiano descritto tale stroma intralobulare, per tutta una serie di caratteri tintoriali, chimici, morfologici, ecc., diverso dal comune connettivo collageno, come un sistema di fibrille che essenzialmente circonda a rete i capillari sanguigni mandando solo scarsi pro- lungamenti che, attraverso le trabecole, si anastomizzano con quelli del capillare vicino (His, Herine, HexLE, ToLpT, ecc.), altri invece abbiano descritti fitti reticoli fibrillari che essenzialmente circondano le trabecole epatiche prendendo rapporto coni capillari per mezzo di fibre o di travate di fibre che passano sopra ad essi e li circondano (Lrvpr, EBERTA, Bor, Ewan e Kijgane, FrLeiscHL, Miura, ecc.). Fra i primi devo ricordare ancora v. KuPFFER e il suo allievo OppPEL, i quali descrivono due specie di fibre, sottili le une che circondano i capillari e si mettono in rapporto con quelle che rivestono i capillari vicini, fibre quindi “ avvolgenti ,, “ umspinnende , degli AA., più grosse le altre, a direzione raggiata (radiîre Fasern), indipendenti dai capillari, penetranti fra le cellule epatiche, divi- dentisi ad angolo acuto e riannodantisi in arcate: denominazione e descrizione tuttora con- servate. Oggi lo studio di queste particolarità di struttura è stato ripreso per opera quasi esclusiva di anatomi-patologi, dopo che il MarEscH riusciva a metterle in evidenza su ma- teriale umano normale o patologico con un metodo relativamente facile e sicuro, con l’im- pregnazione argentica secondo BreLscnowsgy. Non entro nella descrizione minuta dei reperti che con tale metodo si ottennero nel fegato e in vari altri organi perchè troppo noti e perchè su di essi dovrò tornare in seguito: mi limito solo ad osservare che in tutta la serie di lavori usciti su tale argomento dominano completamente ed esclusivamente le idee I 2 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL’ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO manifestate da v. Kuprrer e da OppeL, che nella presenza del sistema di fibre a graticcio non si vede altro che un tessuto di sostegno capace di vivaci processi proliferativi in deter- minati casi. E ciò, a parer mio, a torto, poichè la questione non è così semplice come di regola si è voluto credere, poichè i rapporti di tutto il sistema o di parte di esso con i capillari da un lato, con l'elemento epiteliale dall’altro non sono affatto definitivamente stabiliti. In secondo luogo ancora un accordo perfetto non esiste fra gli AA. nè per quel che riguarda la morfologia nè, ora, per quel che riguarda la funzione stessa del sistema. Per ciò che concerne il primo punto ricordo solo che mentre la maggioranza degli studiosi considera le fibre a graticcio, in parte almeno, come il risultante dell’unione di fibrille elementari finissime, RòssLe e YosHIpa descrivono delle fibre come offrenti in sezione tras- versa l’aspetto di un tubicino in cui solo la parete si sia impregnata: mentre la maggior parte degli AA. considera ancora le fibre a graticcio come elementi liberi, la RussAgorr le descrive contenute in una membrana sottile di cui rappresenterebbero le venature e inter- preta tutto il complesso sistema, membrana e fibre, come l'analogo della membrana propria degli acini e dei tubuli ghiandolari di altri organi. Riguardo alla funzione delle fibre a graticcio — lasciamo da parte ciò che concerne la loro natura, i rapporti che intercedono fra esse e il collageno comune, se ad esse appartengano elementi cellulari e quali essi siano — resta tuttora indecisa una questione recentemente sollevata dal NeuBER il quale, in base agli speciali reperti avuti nell’ipertrofia cardiaca, espone il dubbio che le fibre a gra- tiecio non rappresentino solo un apparato di sostegno ma che ad esse sia devoluta una particolare importanza nella funzione stessa del muscolo cardiaco. Tra la parete del capillare e l'adiacente trabecola epatica esiste, secondo l’opinione dei più, uno spazio cosidetto perivasale, a torto anche linfatico. Quale rapporto intercede fra esso e il sistema delle fibre a graticcio? Secondo il MAREScH e secondo altri ancora, in quei casi in cui tale spazio è nettamente visibile —- edema tossico — esso è compreso fra trabecola epatica e sistema delle fibre precollagene pericapillari, indicato anche con il nome di “ avventizia del capillare ,: sì tratterebbe quindi di una fessura nel più stretto senso della parola priva di pareti proprie, priva di qualsiasi elemento cellulare. Confesso che l’interpretazione così assoluta dello spazio che si forma fra vaso e cellule epatiche nei casi di edemi tossici mi è sembrata sempre molto soggettiva e che il fatto stesso del reperto suo là dove sono più facili e gravi tanto le alterazioni cadaveriche quanto quelle inerenti ai metodi tecnici, contribuiva a rendermi sempre più proclive a non considerarla come completamente esatta. D'altra parte ancora mi riusciva difficile a concepire l’esistenza di uno spazio perivasale così semplicemente conformato data la sua grande importanza. fun- zionale — perchè esso non rappresenterebbe affatto una semplice lacuna linfatica checchè ne dicano FLeIscaL e Bupee — e dato quanto conosciamo sulla struttura di formazioni simi- liavi in altri organi, ad es. nel cervello. In questo infatti, il sistema perivasale ha una vera struttura anatomica propria: è costituito cioè da una membranella che avvolge a manicotto il vaso sanguigno, membranella che risulta da un complesso di fibrille connettivali sottilis- sime con nuclei o cellule piatte, fusiformi o losangiche, che è rinforzata da tramezzi, da setti decorrenti da essa al vaso sanguigno, e che limita uno spazio di 10-30 w. Intorno ai capillari tale membrana si applica direttamente sulla loro parete e non lascia visibile, in condizioni normali, alcuno spazio vuoto. Il mio dubbio era confortato ancora dai reperti di coloro che in particolar modo ave- vano dimostrata l’esistenza e studiata la costituzione dei cosidetti spazi perivasali dei capillari portali. Mac GiLLavry che per il primo riuscì ad iniettarli, li descrisse come limitati da un lato dalla parete capillare, dall’altro da una rete di fibrille connettive, dalle trabecole epatiche e dalle pareti dei capillari biliari, dandoci così un quadro che ricorda quanto abbiamo visto esistere nel cervello. Tale reperto fu confermato da Irminerr e FREY MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 3 — che disegnano una parete esterna del manicotto perivasale — da KòLLIKER quasi com- pletamente — negò che i capillari biliari ne limitassero le pareti e ammise che a ciò ser- vissero anche le cellule di v. KuPrrer e le “ Gitterfasern , — da KisseLew — che ne descrisse anche un rivestimento endoteliale — da Asp, da Bupekr, da FreiscHL e da altri ancora, mentre ottennero risultati negativi, sempre e solo con il metodo delle iniezioni, Herine ed EserrH. Le osservazioni anatomiche più note e più importanti in proposito sono però quelle di Disse, e di queste riferirò più minutamente. Questo A. con iniezioni praticate nell’avventizia dei grossi tronchi venosi, riuscì ad iniettare un reticolo di spazi intralo- bulari privi di endotelio, con decorso corrispondente a quello dei capillari sanguigni e sboccanti nei linfatici portali: hanno pareti proprie e posseggono anche elementi cellulari piatti o stellati con grosso nucleo fortemente colorabile e tenue protoplasma i cui prolun- gamenti si perdono nella sostanza fondamentale priva di struttura della guaina stessa. Tali elementi cellulari visti pure da Waener, KòLLIKER ed HrerING, potrebbero corrispondere alle cellule descritte da v. KuPerER. Con lo scuotimento si può isolare tale manicotto peri- vasale il quale “ liegt dem Capillarrohr unmittelbar auf: einzelne Fibrillen durchsetzen die Zwischenraime zwischen den Capillaren und miissen also die Leberzellenbalken durchziehen ,. Le pareti sono costituite da una sostanza amorfa in cui giacciono delle fibrille a decorso longitudinale e fra loro anastomizzate a rete: il cilindro così costituito rappresenta una formazione a sè, indipendente dal tubo capillare. Dalla guaina perivasale “ gehen nur Fibrillennetze aus, die sich in die Raiime hinein erstrecken, welche zwischen des Scheiden selbst ausgespart und von Leberzellen selbst eingenommen sind: diese Fibrillen aber sind nicht mehr durch Kittmasse zusammengehalten sondern verlaufen frei ,. Tutto questo com- plesso sistema costituisce lo stroma epatico intralobulare in stretto rapporto di dipendenza dalle guaine vasali. Fin qui il Disse: dopo di lui OppeL distingue fra le fibre avvolgenti quelle più grosse che circondano i capillari e quelle più sottili che giacciono nella guaina perivasale di Disse: Bògm e Dawiporr interpretano le fibre avvolgenti come guaine dei capillari, guaine alla cui costituzione non partecipano affatto le fibre radiari. Risultano da tali reperti due fatti importanti: da un lato l’esistenza di una membranella che avvolge il capillare portale cir- coscrivendo ad esso intorno uno spazio, membranella in cui giacciono incluse delle fibre ; dall’altro la possibilità del distacco da questa -guaina di un sistema di fibrille libere. Ricor- dando ancora come il primo punto collimi con i reperti della RussArorr — senza però che essa abbia creduto poter riconfermare l’esistenza del sistema perivasale di Disse — appa- rirà certo sempre più legittimato il mio dubbio che nell’intero sistema di fibre a graticcio si potesse celare, facendo di esso parte integrante e principale, un altro sistema a funzione ben più importante di quella semplice di sostegno. Un secondo problema si poteva ancora affacciare. Il sistema delle fibre a graticcio, o meglio una parte di esso, assume intimi rapporti da un lato con i capillari sanguigni, dall’altro con gli elementi cellulari. Un altro tessuto pure fibrillare nell'organismo mostra in peculiar modo analoghi rapporti: ia nevroglia; ad essa, mentre gli antichi non attribui- vano che una funzione meccanica di sostegno, oggi si tende apertamente, decisamente ad attribuire un ufficio ben più importante. Gorer per il primo, basandosi appunto sui rapporti intimi che intercedono fra nevroglia e vasi da un lato, e prolungamenti protoplasmatici delle cellule nervose dall’altro, espresse l’opinione che essa avesse funzione nutrizia. GIERKE, Krause, ANDRIEZEN, ecc., ammettono che essa guidi la linfa alle cellule; LAnDowSKy, BABES, HeLp, Wrassek, DA Fano, ecc. ammettono che essa nutra e sostenga gli elementi nervosi e i primi due ritengono che in essa esista un sistema canalicolare proprio; Lewis la con- sidera come un vero tessuto connettivo-linfatico. Un qualcosa di simile non si potrebbe ammet- tere per il sistema delle fibre a graticcio o almeno per una parte di esso? 4 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO Questi nelle loro linee generali i problemi che ho voluto affrontare: vedere cioè se oltre all'ufficio puramente meccanico un altro si potesse attribuire alle fibre a graticcio, o se dal loro complesso fosse possibile individualizzare un sistema speciale, eventualmente di spazi e di guaine perivasali che assumerebbero naturalmente l’importanza di veri canali plasmatici deputati alla nutrizione e direttamente quindi in rapporto con la funzione del- l'elemento cellulare: vedere se fosse possibile penetrare intimamente il meccanismo di alcuni processi morbosi legati a deviazioni o ad alterazioni della nutrizione cellulare, se di esso si potesse essenzialmente rintracciare una base anatomica; vedere infine quali rapporti fra i due sistemi intercedessero. In questa prima nota mi limito a riferire i reperti generici ottenuti dallo studio di 200 fegati, riservandomi in altre pubblicazioni di completare i risul- tati avuti dallo studio di altri organi, risultati che utilizzo oggi solo in quanto mi servono a confermare o rischiarare meglio alcuni punti di difficile interpretazione per ciò solo che concerne il lato morfologico della questione. Dirò subito che dall'esame di sezioni allestite secondo il metodo BreLscHowsty-MAREScH tipico o con le varie modificazioni proposte, nulla potei osservare sia in casi normali .che in svariati processi morbosi, che potesse sicuramente indirizzarmi alla risoluzione del pro- blema propostomi; che in essi nulla potei osservare di essenzialmente diverso da quanto già era stato e ripetutamente da altri notato. Cercai allora di modificare la tecnica tinto- riale e dopo molti tentativi riuscii a trovare un metodo che, se non risponde forse ancora a tutte le esigenze propostemi, mi è stato però sufficiente a mettere in evidenza partico- larità non ancora descritte e che ha il vantaggio di essere assai semplice e di riescita facile e sicura. La tecnica da me usata è la seguente. Sezioni di pezzi fissati in formalina e inclusi in paraffina si pongono a galleggiare non sparaffinate in una vaschetta di vetro contenente la soluzione seguente preparata fresca di volta in volta: Soluz. acq. 1°/ eosina w. g. (Grubler) . . ... cc. 4,5 b 10°/, di nitrato d’argento . . . . . 5 0,3 si 3910 (AG LENA O HERE e CO cGIe Il 5 200/ di WKOHt ce een: MELE 5 2 agita e aggiungi di sol. NH; (2 goccie su 20 cc. di H30) q. b. per sciogliere quasi com- pletamente il precipitato: aggiungi Acqua distillata fino a cc. 20. Il punto più delicato della reazione è l’aggiunta di NH3: un lieve eccesso suo rende il liquido inservibile. Per controllare se la soluzione sia ben riuscita, si può imbibirne un pezzo di carta bibula e su questa lasciar cadere una goccia di formalina al 10%: imme- diatamente si deve formare una macchia nera: se la tonalità ne è gialla o sepia, il soluto non darà buoni risultati per eccesso di NH3. In tale liquido le sezioni stanno 12-16 ore, dalla sera alla mattina: quindi le estraggo con un bastoncino di vetro, le passo rapida- mente in due vetrini contenenti acqua distillata e poi le lascio galleggiare per 10-15 minuti in una soluzione di formolo Schering al 10 %. Lavaggio in acqua comune: passaggio in bagno di cloruro d’oro (2-3 goccie di una soluzione 1°/ in un vetrino da orologio pieno d'acqua) da cui le ritiro appena vedo iniziarsi, controllando al microscopio, una reazione violacea; lavaggio per pochi minuti, passaggio per pochi secondi in iposolfito sodico al 5 °/o e lavaggio in acqua comune fino a che non cedono più color rosso (10-15 minuti in genere). Attacco quindi le sezioni al vetrino, le asciugo alla stufa, le sparaffino e le monto in bal MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL, 1XV, N. 8. ut samo. Le cellule sono colorite in rosso più o meno giallognolo, il connettivo in sepia più o meno chiaro, i nuclei in sepia cupo: in nero resta impregnato — e solo in determinati casi — un particolare sistema pericapillare e in parte intercellulare. Può accadere talvolta per svariate condizioni inerenti anche allo stato di conservazione o di nutrizione del parenchima epatico che non riesca netta la differenziazione fra le parti nere e quelle che tale reazione non dovrebbero dare, che connettivo ed elemento cellulare si colorino in bruno: in tali casi specialmente faccio subire alle sezioni un bagno cloru- rante. Le sezioni già impregnate, sparaffinate e passate in alcool e acqua si trattano per pochi secondi fino ad assunzione di una tinta biancastra con HS CISA te SI Pron]: NaCl RM dI5 EOLO ST, ada Sac 250 Cleese: h5 dest so) Lavaggio in acqua fino al tono rosso: inbrunimento in NE eee voccieg? ERO ele recto 20) lavaggio prolungato, alcools, xilolo, balsamo. Dopo tale trattamento o anche prima di esso sulle sezioni solo comunemente impregnate si può applicare la colorazione di V. Gieson o quella del Mann modificata da ALZEIMER, ottenendosi così, specie con il primo metodo, una nettissima differenziazione del collageno comune che si colora al solito in rosso rubino con la fuxina. ì E poichè sto esponendo la tecnica d'indagine da me seguita, accennerò ancora a un altro metodo da me provato, assai più semplice del primo, ma di esso meno fino, meno elegante e meno rigoroso, che può servir bene solo in semplici ricerche di orientamento. Le sezioni di pezzi fissati in formalina, sparaffinate, si mordenzano per 24 ore in acido cro- mico 0,25 °/,. Lavaggio, colorazione con ematossilina di Mallory cc. 25, HNO,; goccia 1; lavaggio, asciugare in carta bibula, disidratare in acetone p. 2, benzolo p. 1-1,5, rischia- rare in benzolo e montare in balsamo. Sui reperti che così si ottengono dirò in seguito. Vediamo ora anzitutto come si presenta una sezione di fegato trattata con il primo metodo in quei casi che oggi, dopo uno studio di quasi tre anni, basato sull'esame di più di 200 esemplari, credo possano corrispondere allo stato normale, casi che l’esperienza m'insegna essere di assai difficile reperto anche quando l’indagine macroscopica e lo studio istologico condotto con i comuni metodi tecnici nulla ci rivelano di particolare. Per dare un’idea delle difficoltà incontrate nello stabilire questo tipo ideale, dirò che la descrizione sintetica oggi riportata è la risultante di un lavoro paziente di ricostruzione su reperti isolati avuti qua e là nello studio del non indifferente materiale esaminato, che su 200 casi. 2 soli, e in particolar modo 1 — anemia perniciosa — mi offrirono con una certa abbon- danza reperti che valsero a distruggere le mie ultime titubanze sull’interpretazione del sistema che mettevo in evidenza e a farmi ritenere come giustificato da dati di fatto chiari quello che per molto tempo non era stato per me che un sospetto, che una pura possibilità. Nella descrizione che faccio seguire raffronterò i risultati che si ottengono con l’applica- zione del metodo BreLscHowsky e del mio per rendere subito più manifeste le differenze che fra essi esistono anche morfologicamente; lo stesso sistema seguirò a volte descrivendo i reperti da me ottenuti in casi patologici. È) MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO Con l’impregnazione secondo BreLscHowsky, in casi normali, noi troviamo nel tessuto capsulare delle fibre più o meno grosse che seguendo un unico decorso sì uniscono fra loro ad angolo dando origine a fibrille finissime a direzione trasversale: dalla Glissoniana deri- vano pure fibre a direzione raggiata che si risolvono in un fine reticolo pericapillare. La vena centrolobulare è circondata da un anello di fibre più o meno largo, da cui altre ne partono che circondano a rete vasi e trabecole; lo stesso reperto si ha nel tessuto degli spazi porto-biliari. Le fibre più robuste decorrono parallele ai .capillari e si anastomizzano fra loro e con i distretti viciniori per mezzo di altre fibre che passano a rete sopra le cel- lule epatiche: fra il sistema centrolobulare e il periportale si può dimostrare una conti- nuità diretta. Le fibre raggiate, originantisi dalla Glissoniana come dal tessuto centrolobulare e periportale, non assumono un rapporto diretto nè con i vasi nè con le trabecole: fra queste e il sistema di fibre a graticcio, in condizioni normali, non esiste alcuno spazio. Nei miei preparati il reperto è del tutto diverso. Nella capsula, nel tessuto perivenoso centrolobulare e negli spazi portobiliari non si osservano che fibrille connettivali colorantisi in giallo o in sepia; la stessa reazione dànno le fibre grossolane a direzione raggiata che da tali punti si staccano per perdersi in breve senza assumere rapporti nè con le trahecole, nè con i capillari portali; lungo questi, a piccolo ingrandimento, si vede solo una sottile linea nera a decorso rettilineo od ondulato, aderente alla membrana endoteliale e assai spesso anche alla trabecola epatica, attraverso la quale qua e là si notano altre sottili linee nere che di regola, passando non sopra ma tra due cellule epatiche, congiungono le linee nere che disegnano, per così dire, i due capillari attigui. Quella che finora per semplicità di linguaggio ho chiamata “ linea nera ,, a forte in- grandimento, non si presenta sempre tale e di struttura così semplice. È bensì vero che in certi tratti essa appare omogenea e continua o in altri interrotta come se risultasse da una serie di fibrille tangenzialmente tagliate e quindi sporgenti ad angolo acuto di contro alla trabecola o di contro al capillare mentre una tenuissima linea grigio nerastra si può veder non di rado unire i singoli monconi, ma non è dall'altro canto meno vero che assai spesso la vediamo sdoppiata in due lineette sottili a decorso parallelo che si prolungano in tal modo anche per lungo tratto, delimitando uno spazio vuoto la cui grandezza varia da 2-3 u a 7,15, 20 (fig. 6 e 7); fra l'una e l’altra linea sono tesi dei tramezzi a direzione tra- sversale (fig. 6, 7, 8, 9). In alcuni casi la linea che sta di contro alle trabecole — più sottile — è distaccata da esse e quindi più facilmente riconoscibile; più spesso però ad esse permane ancora strettamente aderente, separata dall’elemento cellulare da un finissimo spazio chiaro. L’identica struttura hanno quei rami che passano fra due cellule epatiche mettendosi in rapporto con l'analogo sistema perivasale del capillare vicino; anche questi si possono veder scissi in due lineette parallele riunite fra loro da tramezzi trasversali (fig. 12, 13, 14). Tali strutture laterali derivano unicamente dalla linea nera peritrabecolare che s’infossa fra due cellule contigue, ne segue i lati che si fronteggiano continuandosi con l’omologa formazione che dal lato opposto della trabecola le corrisponde; si direbbe quindi che le strutture peritrabecolari presentantisi nei casi più netti come linee continue qualunque sia la direzione del taglio, avvolgano a mo’ di membrane tratti di trabecole composte di una piccola serie di elementi cellulari, dando origine con il loro giustapporsi a dei brevi canali di cui costituiscono le pareti, pareti fra loro unite da tramezzi a direzione trasver- sale, (fig. 5); la linea che disegna la membrana endoteliale passa semplicemente a ponte al disopra di questo sistema a cui non prende parte alcuna (fig. 7). Ho parlato di membrane: in casi fortunati infatti si può direttamente scorgere tesa sul lume del capillare o sulle linee che disegnano le diramazioni laterali del sistema in esame (fig. 11) una tenue mem- branella grigio nerastra in cui decorrono numerose nervature nere e sottili anastomizzantisi a rete; lo stesso fatto potei una volta osservare anche sopra un piccolo tratto di trabecola. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MA'TEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 7 Se da tali membranelle si dipartono ancora fibrille libere non ho potuto accertare: è mia pura impressione che se anche ciò avviene, si verifichi solo in determinati casi patologici, per quanto anche allora non occorra ricorrere a tale concetto per spiegarci i particolari quadri che vedremo in seguito. A circondare i capillari — fibre avvolgenti — si vedono bensì delle fibrille più o meno delicate e anastomizzantisi fra loro, ma esse dal sistema finora descritto si differenziano di regola nettamente per il loro colorito giallastro. Difficili a stabilirsi sono i rapporti intimi che fra queste e quelle intercedono, poichè le stesse condizioni di taglio che rendono ben manifeste le prime, ostacolano e rendono difficile la dimostrazione delle linee nere. Credo ad ogni modo di essere autorizzato a dire che tutto questo sistema fibrillare a reazione gialla rappresenti semplicemente nervature di sostegno o vere fibrille libere a decorso circolare o spirale pure di sostegno della membrana endoteliale ad essa strettamente applicate e in parte con essa intimamente connesse, e che verosimilmente in minima quan- tità, in ispecial modo nel primo anno di vita, fibrille libere possano anche decorrere fra le due linee nere e all’esterno di esse in varia direzione e sempre con l’identico ufficio di so- stegno. Tale affermazione si basa sopra due ordini di reperti: sulla constatazione diretta di figure che nel senso sovra esposto sì possono, e si devono a parer mio, interpretare, sul reperto cioè di una membrana giallognola nervata su cui si adagia in parte un’altra mem- branella pure nervata di tonalità grigio-nera — reperto invero rarissimo, poichè di solito si rendono manifeste solo le nervature —; in massima parte sul quadro più frequente che in casi patologici si ha tanto lungo il capillare quanto fra due cellule epatiche vicine (fig. 20) di fascetti fibrillari gialli o sepia contornati da ambo i lati da due finissime linee nere. Sulle cellule epatiche poi — parlo sempre dei casi non patologici — noi possiamo pure trovare talvolta un reticolo di fibrille a reazione giallognola ora direttamente in rapporto con fibre raggiate — e ne è chiara allora l'origine —, ora da queste indipendenti. E facile dimostrare che si tratta qui della proiezione sulla trabecola del reticolo giallo perivasale; tale reperto si ha infatti o su tratti di trabecole che sporgono come penisole in un vaso, o in zone trasversali od oblique nel decorso di una travata cellulare e allora le sezioni as- seriate ci dimostrano il rapporto di tali strutture reticolate con un vaso che tali zone at- traversa a un diverso livello. Altre strutture di apparenza fibrillare piuttosto tozze e grosse, gialle, anastomizzantisi a rete a maglie circolari possono riconoscere pure un’altra origine speciale: esse sono cioè i prolungamenti citoplasmatici di elementi stellati, triangolari con protoplasma relativamente scarso e grosso nucleo, prolungamenti che si perdono, dopo un tratto più o meno breve, nella membranella amorfa fra le nervature di questa (fig. 10). Tali elementi cellulari in intimo rapporto con le membrane perivasali, potrebbero corrispondere agli elementi descritti da v. KuPrreR, cellule stellate che già Kimura ha messo velatamente in rapporto genetico con le “ Gitterfasern ,, che ArnoLp affermò appartenere alle guaine perivascolari, che ReInKE ritenne addirittura come endoteli linfatici, a cui ad ogni modo lo stesso v. KuPpFFER negò una natura strettamente connettivale. Che tali elementi siano diret- tamente applicati sulle membrane a reazione nera è dimostrato poi in modo evidente da altri reperti più facilmente e sicuramente interpretabili di quello surriferito. Im certi casi infatti ho potuto con tutta sicurezza osservare questi elementi cellulari applicati direttamente su l’una o l’altra delle due membranelle nere separate fra loro da un largo spazio vuoto in cui il nucleo sporgeva per modo da rendere impossibile ogni confusione sia con cellule mi- grate, sia con nuclei endoteliali (fig. 6, 11, 19, 20). Stabiliti questi dati essenziali, due cose ci restano ancora da accennare e brevemente: 1° il comportamento del sistema descritto nel connettivo centrolobulare e periportale; 2° se qualche fatto positivo più che l’aspetto morfologico non sempre sicuro e nettissimo e che potrebbe essere talora ingannevole, possa suffragare l’interpretazione da me data ai fatti osservati. po) MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO Riguardo al primo punto, per quanto sia difficile seguire il sistema in esame fra le fibre connettivali variamente intrecciantisi intorno alla vena centrale o negli spazi porto- biliari, pure ho potuto accertarmi, con lo studio di sezioni asseriate, che esso, dopo avere contornata la porzione estrema delle trabecole, in parte si mette in rapporto con il sistema che circonda i capillari che in tali regioni decorrono e con il sistema che sta intorno e nell’interno delle pareti venose e più ancora arteriose circondando le singole fibrocellule muscolari come in una rete a maglie a doppio contorno e terminando sotto l’endotelio va- sale, circolarmente: reperto in accordo perfetto con il fatto che Disse dalla parete di grossi rami portali potè iniettare gli spazi pericapillari intralobulari. Un’altra parte si perde nel tessuto connettivo, ove entra in rapporto — stando ad alcuni reperti — con gli spazi o con i capillari linfatici. Per rispondere al secondo problema il mezzo migliore era, a parer mio, poter dimo- strare nel sistema in esame un contenuto. E questo contenuto potei rintracciare in diversi casi. Ottimi reperti ottenni sopratutto in un caso di anemia perniciosa in cui gli spazi pe- rivasali dilatatissimi erano- zeppi di una sostanza amorfa, grumosa (fig. 6 e 7); in casì di stasi potei rintracciarvi globuli rossi o pigmento; granuli di bile in casi d’ittero, massule rotondeggianti colorantisi in rosso nella stessa tonalità degli eritrociti e costituite verosimil- mente da emoglobina raccolta in sferule in un caso d’ittero emolitico. In altri casi d’infarto emorragico o di stasi gravissima potei sorprendere in atto o la semplice diapedesin di un eritrocito o il suo passaggio attraverso la membrana in cui era evidente la produzione di una lacerazione (fig. 8 e 16); infine, in un caso di amiloidosi incipiente, potei riscontrare zolle di sostanza amiloide nettamente contenute fra le due membranelle ispessite e forte- mente divaricate. Volli provare infine se anche con altri metodi più semplici ancora potessi avere reperti analoghi o simili a quelli finora descritti, e ciò ottenni con il secondo metodo indicato, me- todo che ritengo consigliabile per pure ricerche generali d'orientamento. In preparati così allestiti mentre il collageno si colora in viola rossastro, la parete del capillare si tinge in bleu cupo e appare talora nettamente circondata da una seconda linea pure bleu cupo che in condizioni favorevoli di taglio si mostra membraniforme e distaccata dalia trabecola epatica (fig. 2, 3, 4): lo spazio compreso fra le due membrane può essere occupato da so- stanze diverse: tra esse si possono vedere tesi dei tramezzi finissimi; aderenti ad una di esse si vedono nuclei di elementi cellulari fortemente ccloriti. Altre volte la membrana pe- ritrabecolare è strettamente aderente agli elementi cellulari epatici che appaiono così con- tornati, da un lato, da una fine linea bleu; è questa forse la formazione che fu da molti Autori interpretata come membrana cellulare. Astraendo dal reperto caratteristico sovrari- cordato che a parer mio toglie ogni dubbio riguardo all’interpretazione di tale linea, parlano ancora contro il riconoscimento in essa di una membrana cellulare diversi fatti: essa è se- parata dal protoplasma da un finissimo spazio chiaro, manca completamente nei lati degli elementi cellulari che sono a reciproco contatto, manca quando dalla trabecola è distinta la seconda parte della guaina perivasale. I preparati allestiti con questo metodo si pre- stano, come dicevo, a ricerche di orientamento per il fatto che con esso non si mette in evidenza alcun reticolo precollageno di sostegno, reticolo che disturba evidentemente l’analisi del quadro istologico. Riepilogando, da quanto ho finora descritto a me pare risulti un fatto di notevole im- portanza e nuovo: nel complesso delle fibre a graticcio è dimostrabile un particolare sistema in speciale e caratteristico modo in connessione con i vasi. Intorno ai capillari portali esiste cioè uno spazio assai spesso virtuale nel cadavere — come si verifica per i capillari cere- brali — ma che in certi casi può assumere dimensioni notevolissime, delimitato da un lato dalla membrana endoteliale che reagisce in nero con la nostra reazione o, meglio, a cui è MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 9 intimamente connessa un'altra membrana che tale reazione presenta, dall’altro da una seconda membrana peritrabecolare: entrambe risultano di una parte omogenea e di ispessimenti fibrillari; la seconda circonda a guaina tratti di trabecole per modo che si stabiliscono co- municazioni fra due spazi perivascolari (plasmatici) vicini — rami comunicanti laterali — aderendo di regola alle cellule epatiche, ma in modo non così fisso che ogni distacco sia reso impossibile; fra le due membranelle sono tesi dei tramezzi che ne impediscono un so- verchio distacco mentre altre fibrille precollagene servono di rinforzo e di sostegno sia al capillare, sia alle membrane stesse. Le quali posseggono inoltre elementi cellulari senza che sì possa parlare per esse di un vero rivestimento endoteliale. Il plasma sanguigno è così portato direttamente a contatto con l'elemento cellulare e questo con mezzi meccanici, fisici, è sottratto al danno delle oscillazioni troppo forti di pressione, di velocità, ecc., da cui può essere turbato il processo di filtrazione attiva o passiva del plasma stesso. Si tratta in altre parole, con ogni verosimiglianza, non di un semplice sistema di conduzione, ma di un sistema di membrane permeabili che. fino a quando sian tali e perfettamente tali, regolano e rendono uniforme l'assunzione del plasma per parte dell'elemento cellulare funzionante e tendono, formando un sistema di spazi tutti fra loro comunicanti, a far scomparire quelle diversità di composizione chimica che secondo il Risserr esisterebbero nei vari territori sanguigni del fegato. Io son venuto così, per una via affatto nuova, ad ammettere non solo l’esistenza di spazi perivasali intorno ai capillari del fegato, ma a descrivere di essi, con metodi ben diversi, una costituzione analoga completamente a quella messa in evidenza da Disse; unico punto di divergenza fra i due reperti riguarda il particolare di quelli che ho chiamati co- municanti laterali, che Disse ammette costituiti da fibrille isolate solo perchè attraverso ad essi non riuscì a far penetrare il liquido iniettato; già ho esposto quali dati di fatto con- fortino l’interpretazione mia. Dirò ancora che il sistema da me messo in evidenza non è specifico del fegato: esso si riscontra, naturalmente con modalità un po’ diverse, in tutti gli organi. Su tale reperto non mi posso oggi fermare per non dilungarmi di soverchio; ricorderò solo due fatti: 1° che con il mio metodo si mettono in evidenza nel cervello, oltre ad altre particolarità interessanti riguardanti alcune fibre nervose e le stesse cellule in speciali condizioni fisio-patologiche, le note guaine perivasali reagenti pure in nero e ripiene talora di sostanza grumosa o di linfociti (paralisi progressiva); 2° che gli unici capillari, la parete dei quali non dia la reazione nera, sono rappresentati dalle anse dei glomeruli renali in condizioni normali. Ma su tale assenza, che non credo sia da porsi solo a carico del loro carattere embrionale, carattere comune anche, almeno per quel che riguarda la struttura, ai capillari portali, come sulla comparsa della reazione quasi si costituisse una nuova mem- brana ad occupare le regioni di quella endoteliale che furon lese, in particolari condizioni, e specie nei casi di albuminuria, mi riservo di tornare in altra occasione. Stabilita così, a parer mio, e descritta la morfologia del sistema perivasale intralobu- lare, dovrei intraprenderne lo studio minuto in svariate condizioni morbose sia per vedere se e come ad esse reagisce, sia per trovare nella patologia un fondamento maggiore alla ipotesi formulata sulla sua importanza e sulla sua funzione, sia infine. come dicevo, per cercare di meglio penetrare l'essenza intima dei processi morbosi generali o locali che rico- noscono la loro causa in alterazioni o deviazioni di nutrizione o che su questa solo secon- dariamente agiscono. Una tale analisi minuta di 200 casi richiederebbe troppo tempo e troppo spazio, nè sarebbe perfettamente consona al carattere sintetico della presente Me- moria; mi dovrò quindi limitare per oggi ad esporre in linea generale quali modificazioni si possono riscontrare nel sistema in esame e quali di queste a preferenza si trovino in vari processi morbosi. Le alterazioni che finora ho potuto riscontrare si possono distinguere, per sommi capi J 10 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO e schematicamente, in due grandi categorie. In una prima serie di casi compare a ridosso della parete endoteliale, compreso fra due finissime linee nere, un piccolo nastro di sostanza fibrillare gialla. Progredendo la lesione, le linee nere, o una di esse, o entrambe in grado diverso, si rendono sempre meno visibili fino a che scompaiono completamente; la sostanza fibrillare gialla prolifera attivamente, seguìta in tale processo e in diversa maniera dalle fibre raggiate e avvolgenti, secondo due tipi caratteristici: eminentemente perivasale l’uno, eminentemente peritrabecolare l’altro. Il primo tipo porta con sè, con il progressivo aggra- vamento dell’alterazione, l’ispessimento della parete vasale fino all’obliterazione apparente del vaso stesso che può vedersi trasformato in un semplice piccolo nastro o cordone isolato e separato dalle trabecole epatiche. Il secondo tipo porta ora all’accumulo peritrabecolare di nastri fibrillari che comprimono lateralmente la travata cellulare, ora all’irretimento di tratti di trabecole tale da nascondere completamente gli elementi cellulari, ora all’insinuarsi di fascetti fibrillari fra le singole cellule che restano dislocate, separate le une dalle altre da una specie di corona di fibre precollagene. In un'altra serie di casì si notano invece fenomeni d’indole regressiva primitivi del si- stema stesso perivasale e in esso isolati. Ora sono le membrane — con le rispettive ner- vature — che si fanno sottilissime così da rendersi quasi invisibili se disgiunte, ora le stesse membrane assumono una netta reazione gialla uniforme, diffusa o limitata a tratti con o senza una proliferazione di fibrille gialle di regola assai scarsa, ora la reazione nera è con- servata, ma appare irregolare, come granulosa (la pratica personale c’insegna a distinguere le alterazioni di tal genere vere da quelle artificiali dovute a una impregnazione non rie- scita), ora infine esse ci appaiono uniformemente o a tratti o a zone ispessite, con nervature molto evidenti rigide, angolose; le alterazioni più gravi del primo e del secondo gruppo si trovano costantemente là dove più appariscente istologicamente è la lesione dell’ elemento cellulare. I casi ultimi ricordati sono quelli che più mi resero perplesso nell’interpretazione del sistema che mettevo in evidenza, perchè più ricordavano un apparato fibrillare di sem- plice sostegno simile a quello delle fibre a graticcio per il prolungarsi di contro alla tra- becola epatica di tratti fibrillari o di reticoli a maglie circolari ricoprenti parte di una cellula o tratti del lume vasale. Dobbiamo ammettere che in tali casi si dipartano dal sistema pe- rivasale fibrille libere, come vuole il Disse, capaci di proliferare? Non credo sia necessario arrivare a ciò quando teniamo sempre presenti due fatti: 1° che la membranella delimitante lo spazio perivasale contiene delle nervature d’apparenza fibrillare e che queste possono ispessirsi e rendersi molto evidenti come semplici indici di un processo patologico che ha colpito la membrana permeabile, dando così origine alle apparenze notate; 2° che in intimo rapporto con le strutture perivasali stanno elementi cellulari muniti di prolungamenti pro- toplasmatici che si mettono in relazione anche con le nervature surricordate e che questi prolungamenti possono per cause varie ispessirsi e moltiplicarsi. Il decidere a volta a volta quanto eventualmente spetti a uno o all’altro fattore nella produzione delle immagini sur- ricordate è, per me, apprezzamento assai spesso puramente personale. Dai casi ricordati di vero ispessimento delle guaine perivasali, dobbiamo tenerne net- tamente distinti altri che tale reperto possono simulare, specie quando per insufficienza tecnica o cattivo stato di conservazione del materiale o per disturbi gravi di nutrizione, la differenziazione delle varie parti non è netta e tutto il preparato assume una colorazione bruna: alludo ai casi in cui si trovano nastri precollageni racchiusi fra le guaine. Prescin- dendo anche da tali evenienze, io credo necessiti sempre molta cautela nel conchiudere per un ispessimento di queste, perchè varie sono le cause d’errore che possono deviare il nostro giudizio; ricordiamo che la netta visione dello spazio centrale è tutt'altro che sempre facile ad aversi (sappiamo che l’Ag. ha tendenza a precipitare più nelle cavità che sulle pareti), che in tale spazio esistono strutture capaci di dare la reazione nera, che le stesse fibrille precollagene possono assumere una colorazione assai scura. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 8. 11 Ciò premesso, vediamo il comportamento del sistema perivasale in diversi stati morbosi e incominciamo dai casi di tubercolosi generale o locale in istadi e forme diverse. Ne ho raccolti 18 casi, da cui ne devo escludere 6 in cui la diagnosi era di “ cirrosi in tuberco- loso , (N. 15, 24, 52, 68, 178, 199). Restano ancora 12 casi, che divido in 4 sottogruppi. Nel primo comprendo i casi seguenti: 55 Tisi cavernosa polmonare. 58 Cavernule apicali, focolai caseosi peribronchiali disseminati. 121 Tisi cavernosa polmonare e tubercolosi peribronchiale. 128 Sclerosi degli apici: focolai caseosi peribronchiali. Il sistema delle fibre a graticcio nel fegato di tubercolotici presenta di regola vivaci processi di iperplasia o di ipertrofia sia per quel che riguarda le fibre radiali che le fibre avvolgenti; solo assai tardivamente le fibre radiali nastriformi mostrano di frequente al loro centro la colorazione violacea caratteristica della loro maturazione o della loro trasforma- zione in tessuto collageno (D’ALessanpRo). Nel caso 55 si nota invece la scomparsa gra- duale delle strutture a reazione nera, mascherate o sostituite da una proliferazione vivacis- sima di fibrille giallognole, senza che di cirrosi, sensu stricto, si possa già parlare; di pari passo si ha l’atrofia dell'elemento cellulare, che scompare completamente in molte zone, so- stituito da un tessuto reticolato a reazione gialla, in seno al quale, qua e là, si rintraccia qualche fibra che si colora in rosso con la miscela di V. Gieson. Fondamentalmente gli stessi reperti si hanno negli altri casi, in cui però la proliferazione delle fibrille a reazione gialla non assume l’enorme sviluppo più unico che raro ricordato nel caso 55; anche in essi constatiamo la progressiva sparizione della reazione nera e una moderata iperplasia di fibrille gialle che inglobano e irretiscono cellule (58) o tratti di trabecole (121) o dissociano gli elementi singoli penetrando frammezzo ad essi (128). Il secondo sottogruppo comprende i casi : 83 Tubercolosi ulcerosa polmonare. 99 Tubere. ulcerosa polmonare. Caverne bronchiectasiche e parenchimali. 108 Tuberc. ulcerosa polmonare e intestinale. 110 Tuberc. miliare cronica. Caseosi dei gangli peribronchiali. 144 Tuberc. miliare cronica. Caseosi dei gangli peribronchiali e mesenter. In questi casi l’alterazione del sistema perivasale è poco avanzata; là dove l'elemento cellulare è meno leso è visibile ancora la reazione nera delle guaine, mentre dove maggiori sono le alterazioni parenchimali, essa è sostituita da quella gialla. Questa predomina nei casi 83 e 99 accompagnata da una moderata iperplasia di fibrille gialle; meno diffusa è invece negli altri casi. Particolare menzione meritano i casi 110 e 144 in cui si trovarono nel parenchima epatico tubercoli disseminati in grado vario di sviluppo. Di fronte a tale forma di granuloma Je fibre a graticcio si comportano, come è noto, in modo particolare: si conservano nei focolai recenti, si ispessiscono in quelli più antichi che circondano a mo' di capsula; attorniano anche a canestro le cellule giganti e possono da queste essere fago- citate. Nel caso mio invece manca molto precocemente la reazione nera, manca assoluta- mente ogni traccia di fibrille nere che incapsulino il tubercolo o che avvolgano la cellula gigante. Un caso che sembra costituire quasi un anello di congiunzione fra i due sottogruppi ricordati, è rappresentato dal N. 126 (fibrocaseosi dei gangli peribronchiali, cavernule api- cali, focolai di tubercolosi peribronchiali); alla periferia del lobulo le guaine perivasali as- 12 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO sumono la colorazione gialla, al centro invece — fenomeni regressivi e degenerativi cel- lulari accentuatissimi — si nota di più una vivace proliferazione di fibrille gialle con ten- denza all’irretimento e alla separazione dei singoli elementi cellulari. Resta infine l’ultimo sottogruppo comprendente i casi : 59 Tabe meseraica; tubercolosi miliare subacuta e acuta. 115 Tubercolosi miliare subacuta e acuta; fibrocaseosi dei gangli peribronchiali in cui la reazione nera, dove ancora è avvenuta, si presenta irregolare, finemente granulosa e le guaine stesse appaiono rigide, grossolane e a tratti assumono la reazione gialla. La seconda serie di casi studiati riguarda 25 fegati di sifilitici: di questi lascio per ora da parte 7 casì (23, 91, 111, 143, 146, 154, 193) in cui erano evidenti le alterazioni di una cirrosi: dei rimanenti si possono fare 4 sottogruppi. Nel primo comprendo i seguenti : 76 Aortite sifilitica dell’arco. 85 Dilatazione aneurismatica del seno di Valsalva. Reaz. W. positiva. 89 Aortite sifilitica con ectasia dell’arco. 127, 151, 181 Aortiti sifilitiche. L’alterazione predominante in questo primo sottogruppo è rappresentata dalla comparsa di fibrille gialle fra le guaine perivascolari, la scomparsa quasi completa della reazione nera e la proliferazione vivacissima ora prevalentemente perivasale, ora anche peritrabecolare e pericellulare di un fitto reticolo fibrillare giallo. Assai meno avanzate, pure appartenendo allo stesso tipo, sono le lesioni che riscon- triamo nel secondo sottogruppo, nei casi cioè: 34 Aneurisma sifilitico dell’arco aortico. 62 Cicatrici stellate del fegato; aortite sifilitica. 66 e 138 Aortite sifilitica. x Nel caso 66 in cui la lesione è più avanzata, accanto a tratti in cui il sistema in esame è già completamente sostituito o mascherato da un tessuto fibrillare giallo non vivacemente proliferante, altri ne troviamo in cui esso è ancora nettamente delineato mentre già ne oc- cupano lo spazio centrale piccoli nastri di fibrille precollagene. Sinteticamente possiamo dire che predominano in questo sottogruppo o la pura trasformazione della reazione nera in gialla o l’incipiente penetrazione di fibrille gialle fra le due guaine morfologicamente integre con o senza una moderata proliferazione pericellulare di tali fibrille. Un'alterazione invece primitiva del sistema perivasale e in esso isolata, consistente in una reazione nera d’apparenza irregolare, granulosa su linee finissime, rigide, come spezzet- tate, con nervature poco evidenti, sottili, atrofiche, riscontriamo nei casi 18 e 188 di hepar lobatum. Nel caso 117 di sifilide gommosa del fegato, ogni reazione nera è sparita nell’in- terno del tessuto gommoso e dalle trabecole epatiche vicine o lontane, sostituita o masche- rata ovunque dalla reazione gialla di fibrille in vivace proliferazione. Raccolgo infine nell’ultimo sottogruppo 5 casì (36, 43, 53, 112, 158) di sifilide congenita in infanti, in cui all'esame macroscopico del fegato non si rilevava assolutamente nulla di particolare. In tali casi si osserva la sostituzione della reazione gialla alla nera in un caso, la comparsa di fibrille precollagene nelle guaine perivasali in 3, la proliferazione di queste in uno solo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 8. 13 Nel terzo gruppo raduno i fegati di nefritici (15 casi): anche di questi si possono fare 4 sottogruppi. Nel primo comprendo i casi 10, 67, 155, 167, appartenenti tutti a casi di morbo di Bright nel secondo stadio, nello stadio cioè di passaggio alla forma interstiziale. In essi il fatto fondamentale, per ciò che a noi oggi interessa, è rappresentato dalla scom- parsa più o meno completa delle strutture a reazione nera, sostituite o mascherate da fibrille isolate o a nastro a reazione gialla netta. Nei casi del secondo sottogruppo (51, 60, 69, 77, 135, 177, 195: reni grinzi secondari, Bright al 3° stadio) alle alterazioni precedentemente notate si accompagna una proliferazione vivace, vivacissima talora, diffusa o a zone, dello stesso tessuto fibrillare giallo a disposizione prevalentemente pericapillare, qualche volta anche pericellulare. Diverso affatto è il quadro che riscontriamo nei due soli fegati di saturnisti che ho potuto finora esaminare (134, 190): a tutti e due i casi è comune la mancanza quasi assoluta di ogni proliferazione fibrillare, presente solo, intorno ai vasi e in piccoli focolai, là dove l'elemento cellulare ha subìto le maggiori alterazioni; la lesione è qui primitiva ed isolata nelle guaine perivasali. Nel caso 134 parrebbe a prima vista che la reazione nera non fosse tecnicamente riuscita per l'aspetto irregolare e granuloso, spezzettato che essa presenta. Studiando più accuratamente il preparato ci si può convincere che tale aspetto è dovuto a un irregolare ispessimento di una delle due linee, per lo più della peritrabecolare, o alla deposizione di granuli neri — granuli analoghi si trovano nel parenchima cellulare — fra le due membranelle che assumono una tonalità grigiastra tendente al giallo, o alla rigidezza e alla frammentazione delle nervature di sostegno che non decorrono più, come di norma, in curve eleganti e regolari. Nel secondo caso poi accanto a zone in cui si ripetono le alte- razioni descritte, altre se ne trovano, e più frequenti, in cui il sistema in esame è rappre- sentato quasi unicamente da una o da due sottilissime linee giallognole. Resterebbero i casi 98 e 157 di nefropatia acutissima in setticoemici: di essi dirò subito parlando delle setticemie in genere, poichè il fatto recente della lesione renale non ha per nulla modificato ciò che in tali casi non complicati ho potuto osservare. Raduno nel quarto gruppo 6 casi di setticemia ripartibili in due sottogruppi. Nel primo riunisco i casi a decorso relativamente acuto: 90 Empiema, cancrena polmonare. 98 Setticemia da aborto. - 147 Empiema metapneumonico. 157 Idem; nel secondo i casi a decorso cronico: 86 Gonococcemia, otite media cronica. 152 Otite media cronica, setticemia, ascesso cerebrale. In questi ultimi casi si ha una spiccata tendenza sia alla sostituzione della reazione gialla alla nera, sia alla proliferazione, moderata sempre, di fibrille gialle. In quelli si può può dire che l’apparenza del sistema stesso permanga quella che era prima dell'insorgenza del fatto settico ultimo. Del caso 147, setticemia in atreptico, dirò ancora parlando della atrepsia in genere. Nel quinto gruppo raduno 28 casi di fegati da stasi. Quale sia il comportamento delle fibre a graticcio nella congestione venosa del fegato è cosa nota: esse tendono a proliferare e proliferano attivamente in certi casi. Le differenze quantitative che nei vari esemplari si riscontrano, l’HegxHEER mette in rapporto con il grado raggiunto dalla congestione venosa, 14 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO punto di vista unilaterale e, a mio avviso, non perfettamente esatto; in altre parole, in tale genere di ricerche, io credo, si dovrebbero tener presenti non tanto il grado, assai difficile ad apprezzarsi, della intensità della congestione, quanto piuttosto le cause che tali stasi producono e i momenti flogistici o tossici concomitanti. Se è in corso un processo reu- matico o infettivo d'altra natura o forsanco tossico, capace da solo di provocare l’iperplasia del precollageno, è evidente che la reazione di questo sarà certo più ‘attiva, se anche la stasi non è di data molto antica e di grado molto notevole, di quanto si potrà osservare di regola in casi anche cronicissimi di stasi non complicata da altri fatti intercorrenti. Chiudendo la parentesi, per tornare al caso mio, dirò che il quadro da me riscontrato è naturalmente diverso affatto da quello osservato dagli altri Autori. Riunisco in un primo sottogruppo i casi seguenti : 5 Stenosi mitralica, endocardite ricorrente. 27 Pericardite fibroplastica. 48 Endocardite verrucosa, valvole aortiche e mitraliche. 54 Insuff. aortica, stenosi e insuff. mitralica, pregresso reumatismo. 125 Endocardite verrucosa di tutti i sistemi valvolari. 126%" Endocardite verrucosa mitrale, reumatismo poliarticolare. 148 Stenosi e insufficienza mitralica, pregresso reumatismo. 168 Pericardite fibroplastica. 173 Pericardite fibroplastica, pregresso reumatismo. Le caratteristiche di questi casi sono rappresentate al solito dalla triade: scomparsa del sistema perivasale a reazione nera sostituito o mascherato da fibre giallognole a decorso prevalentemente longitudinale; proliferazione vivace di queste; irretimento delle trabecole fino alla loro scomparsa completa. Meno accentuata è invece la lesione nei seguenti casi del secondo sottogruppo: 29 Stenosi e insufficienza mitralica. 30 Stenosi e insufficienza aortica e mitralica. 40 Insufficienza e stenosi mitralica, insufficienza aortica. 47 Insufficienza e stenosi mitralica. 105 Infarto emorragico del fegato. 130 Endocardite verrucosa della mitrale, reumatismo poliarticolare. 170 Endocardite cronica mitrale, stenosi e insufficienza. 180 e 182 Insufficienza e stenosi mitralica in cui si limita alla scomparsa della reazione nera con sostituzione di fibrille o nastri di fibrille gialle peritrabecolari. Tra questi primi sottogruppi esistono naturalmente punti di passaggio. Affatto iniziale per contro, nonostante la stasi grave e la presenza di zone in atrofia cianotica netta, è la lesione che si osserva nei seguenti casi: 16 Miocardite callosa. 20 Insufficienza e stenosi mitralica e aortica. 32 Endomiocardite. 50 Fegato da stasi in arteriosclerotico grave. 79 e 141 Fegato da stasi in arteriosclerotico. Essa si limita alla sostituzione della reazione gialla alla nera e a una scarsissima iper- plasia di fibrille gialle a decorso prevalentemente longitudinale, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE IT, VOD. EX:VR ENTO: 15 Pi Una menzione speciale merita il caso 20 in cui a limitare il capillare non si vede che una spessa linea gialla continua a mo’ di nastro: vasi ingorgati di sangue, sangue stra- vasato fra parete del capillare e trabecola, nessun accenno alla presenza di quelli che ho chiamati rami comunicanti laterali, quasi nessun accenno alla presenza stessa di fibrille di qualsiasi natura che non siano le comuni collagene degli spazi portobiliari o centrolobulari. Ci resta da considerare l’ultimo sottogruppo formato dai casi: 8 Ateroma aortico, callosità del miocardio. 28, 84, 137 Arteriosclerosi grave, fegato da stasi, ai quali aggiungo per controllo i casi 156, 172, 187, appartenenti pure ad arteriosclerotici, ma senza le note caratteristiche di un fegato da stasi. Nonostante la cronicità del processo e la congestione venosa notevolissima con spiccata atrofia cianotica nei primi, le alterazioni del sistema perivasale sono assai poco progredite e perfettamente paragonabili nelle due serie: variano da un ispessimento semplice delle pareti del sistema, reso manifesto non solo dall’ingrossamento delle linee che le rappresentano. ma anche dalla maggiore visibilità della membranella anista e dal volume maggiore delle sue venature, alla sostituzione in esse della reazione gialla alla nera; una proliferazione di fibrille o non esiste affatto o è assai limitata e dovuta precipuamente alle fibre radiali. Nel sesto gruppo raduno 65 casi di cirrosi epatiche, varie per forma, eziologia e grado di sviluppo. È nota l’importanza che in questi ultimi anni ha assunto lo studio delle fibre a graticcio in questa forma morbosa e, per merito della scuola di BarBACCI, nella dimostra- zione dell’azione cirrogena di alcuni tossici come nell’investigazione delle alterazioni dello stroma epatico negli stati precirrotici. Tralascio perciò di riportare le conclusioni che da tali ricerche derivarono, come tralascio per il momento di entrare nella disamina di tutti i particolari che dal mio studio sono scaturiti, perchè intendo su di essi ritornare in una par- ticolare Memoria; mi accontento semplicemente di dire in linea di massima, in linea affatto generale, che il sistema da me studiato non prende parte affatto alla neoformazione di con- nettivo caratteristica della cirrosi epatica, che esso anzi assai precocemente, preceda o no uno stato di semplice ispessimento, è sostituito o mascherato completamente dalle solite fibrille sepia o gialle di precollageno o di collageno in modo da non essere più dimostrabile affatto talora anche in istadi iniziali del processo e in modo particolare allora in quelle zone in cui gli elementi cellulari mostrano incipienti o già progrediti i caratteri della loro metamorfosi regressiva. ì Dopo tali constatazioni veniva logica la ricerca del comportamento del sistema peri- vasale nel fegato di individui alcoolisti inveterati, non dimostranti ancora, nemmeno iniziali, le prime note di un incipiente processo cirrotico. Di questi casi ebbi opportunità di racco- gliere pochi esemplari, 5 soli (38, 116, 174, 175 e 176), appartenenti ad individui morti o per malattie intercorrenti di brevissima durata e determinanti anatomicamente lesioni poco gravi e poco estese, o per causa accidentale. Il reperto fu identico in tutti i casi: scomparsa del sistema perivasale sostituito o mascherato dalla vivace proliferazione di un complesso reti- colo di fibrille gialle che circondano i capillari, seguono e attorniano le trabecole, penetrano fra i singoli elementi cellulari dissociandoli l’uno dall’altro: uno stato quasi precirrotico che macroscopicamente null'altro poteva far sospettare che un moderato aumento di consistenza della ghiandola. Passando a un altro ordine di idee e lasciando da parte per ora i reperti ottenuti in casi di neoplasie. di malattie infettive, di intossicazioni o di avvelenamenti, ecc., ho voluto estendere le mie ricerche ad alcuni stati generali direttamente in rapporto con la nutrizione dell’organismo: riaggruppo qui 6 casi appartenenti a bambini o a giovani di tipo cosiddetto 16 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO linfatico o di tipo cosiddetto timo-linfatico; di essi si possono fare due categorie: la prima comprende i casi 109 (individuo di 17 anni) e 124 (bambino di 1 mese con spina bifida po- steriore); la seconda i casi 65, 82, 94, 186, tutti bambini sui 10-15 mesi morti di enterite o di broncopneumonite. Nella prima serie solo a fortissimo ingrandimento si riesce a mettere in evidenza, in qualche punto, le due membranelle esilissime e fra loro notevolmente dis- giunte, mentre nella maggioranza dei campi microscopici il capillare appare disegnato da un semplice contorno giallognolo staccato dalla trabecola epatica. Nei casi della seconda serie invece si ha l’'interporsi di sostanza fibrillare gialla fra le guaine e la proliferazione vivace di tali fibrille che si addensano intorno ai capillari e in parte intorno alle trabecole irretendoli completamente. Altri due gruppi di ricerche riguardano due stati generali che possono avere fra loro punti di contatto: atrofia da marasmo il primo, atrepsia il secondo. Alla prima serie ap- partengono 6 casi, 3 di vecchioni marasmatici, 8 di cachettici per carcinoma senza meta- stasi neoplastiche nel fegato. In quelli e in due di questi predomina il fatto della scomparsa più o meno notevole, talora completa, d'ogni reazione nera con scarsissima o senza alcuna proliferazione concomitante di fibrille gialle; solo nel terzo caso della seconda serie il si- stema è ancora in gran parte conservato: si trattava di un individuo di 48 anni con cancro dello stomaco poco esteso e morto dopo un atto operativo: fegato un po’ bruno, ma non ridotto. Nella seconda serie, atrepsia, ho raccolto 4 soli casi a cui si potrebbe aggiungere anche il 147 già ricordato in altra parte. È molto difficile in questi casi stabilire quanto vi sia di patologico nel reperto che si riscontra, poichè in quest'epoca della vita il sistema in esame non ha raggiunta ancora la sua fisionomia tipica, come non ha raggiunto ancora il suo assetto definitivo lo stesso parenchima epatico. Occorrerebbe quindi uno studio preparatorio su gran quantità di materiale per poter essere sicuri che una affermazione decisa possa reggersi e corrispondere al vero. È per me certo ad ogni modo che con la sua netta e caratteristica reazione il sistema perivasale manca nel feto anche a termine di gravidanza (il MoLuieR avrebbe descritto l'apparato delle fibre a graticcio già nel fegato di un embrione di 3 cm.), e che solo verso la fine del primo anno o al principio del secondo appare completamente sviluppato (ed è allora più evidente che nell’adulto e più abbondante che in questo mostra tutto l'apparato di sostegno). Tale per oggi la pura impressione mia individuale basata sullo studio di solo una quindicina di casi di cui la parte maggiore non potevo senz'altro consi- derare come controlli completamente attendibili. Pure attribuendo quindi un valore non ancora assoluto e definitivo all'affermazione mia, io credo di poter oggi ammettere come assai verosimile che lo sviluppo del sistema perivasale nei casi in esame per lo meno non corrisponda a quel grado che data l’età dell’individuo affetto da atrepsia avrebbe dovuto aver raggiunto, che esso abbia cioè subìto un arresto nella sua evoluzione. Infatti o manca quasi del tutto o solo compare lungo piccoli tratti di trabecole o assume un colore che non è nero, ma grigio giallastro, possiede scarsi comunicanti laterali ed è privo sempre di quel- l'abbondante e complesso apparato di sostegno che caratterizza i fegati di infanti e che notevolmente sembra ridursi negli anni successivi, presentando così un quadro che meglio ricorda quello che riscontriamo nel feto a termine di gravidanza piuttosto che quello proprio di bambini nelle prime settimane di vita extra-uterina. A proposito di processi morbosi in cui più è alterata la nutrizione generale dell’orga- nismo, ricorderò ancora un caso di mixedema in un bambino di 3 anni: nel fegato non più traccia visibile del sistema perivascolare, ma una proliferazione vivacissima di fibrille gialle, grosse e robuste che irretivano i capillari e le trabecole penetrando fra i singoli elementi cellulari e separandoli in piccoli gruppetti o isolandoli completamente. Lo stesso fatto di scomparsa delle guaine perivasali riscontrasi in un caso di diabete (lipomatosi del pancreas, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 3. 17 isole del Langerhans apparentemente indenni) senza che vi potessi rintracciare l'aumento di precollageno da taluni Autori descritto in tali casi. Lasciando da parte altri processi morbosi (leucemie, anemie perniciose o gravi che in minor grado si accompagnano ad alterazioni del sistema perivasale) ricorderò ancora, come ultimo esempio, l’amiloidosi del fegato. Due fatti sì riscontrano in tali casi, specie negli iniziali: da un lato l’accumularsi della sostanza ami- loide fra le due linee nere, dall’altro, per la prima ed unica volta in modo superiore ad ogni dubbio, l’ispessimento fortissimo dell'una e dell’altra membrana, la loro costituzione irregolare a nodosità separate da tratti finissimi, dentellati, come erosi, la rigidezza e il moltiplicato numero dei tramezzi d’unione e delle fibrille che formano le nervature accom- pagnantisi con segni evidenti di disfacimento granulare: manca, almeno nei casi da me os- servati, la proliferazione delle fibrille gialle. Se a questo particolare, specifico comportarsi delle strutture in esame spetti qualche parte nella speciale reazione e costituzione chimica della sostanza amiloidea, nella comparsa in essa dell’acido condroitin-solforico, è oggi pre- maturo ammettere o negare. Riepilogando quindi la conclusione unica che dall'esame sommario e volutamente unila- terale di tutti questi casi voglio oggi trarre, è la seguente: la patologia ci dimostra in modo inconfutabile che l’esistenza o per lo meno la netta dimostrabilità dell'apparato peri- vasale che noi abbiamo potuto isolare di fra un complesso sistema di fibrille e a cui abbiamo attribuito un'importanza grande nella nutrizione dell'elemento cellulare, sono strettamente legate allo stato di nutrizione dell'organo in ispecie, dell'organismo in genere nel senso che si può osservare la progressiva scomparsa con modalità varie per lo meno della reazione colorante specifica là dove condizioni morbose generali dell’organismo o speciali dell'organo portano ad un alterato ricambio cellulare, a metamorfosi regressive delle cellule stesse. Che io insista ancora sulle differenze di morfologia e di reazione a stimoli patologici esistenti fra il sistema mio e il sistema delle fibre a graticcio è, credo, per lo meno su- perfluo. D'altro canto, che nei tubercolotici, nei sifilitici, nelle stasi — o per lo meno in alcuni di tutti questi casi — nelle cirrosi, ecc., si abbia una spiccata tendenza alla proli- ferazione di fibre precollagene è cosa ormai nota e su di essa sorvolo completamente oggi in questa mia Memoria d’indole puramente generale, come sorvolo su parecchie particolarità interessanti che dallo studio e dalla comparazione dei miei casi emergono. Su due fatti solo desidero richiamare l’attenzione. Il primo riguarda i fegati di nefritici in cui è evidente e non ancora registrata la diversità di comportamento in casi di reni grinzi secondari a un processo cosiddetto parenchimatoso e in casi di reni grinzi da saturnismo, diversità che non si può assolutamente mettere in rapporto solo con il grado di sclerosi a cui il rene è sog- giaciuto. La ragione di tale diverso comportamento è da ricercarsi forse nella genesi stessa dell’affezione renale, affezione che nel rene grinzo genuino attacca primitivamente e preva- lentemente l’apparato vascolare parenchimale e naturalmente le strutture ad esso connesse, e ciò tanto più quando ricordiamo che alterazioni vasali analoghe a quelle che in tali casi si riscontrano nel rene si trovano pure nelle arteriole di svariati organi. Che in fegati arte- riosclerotici il BarBacci abbia dimostrata una ipertrofia e una iperplasia del precollageno, ch'io stesso tal fatto abbia potuto confermare, non si può evidentemente portare come re- perto che contraddica l’ipotesi emessa, poichè in primo luogo è logico ammettere che diverse sono le conseguenze a seconda che il processo arteriosclerotico colpisca prima i grossi tronchi arteriosi e da essi si propaghi ai piccoli intraparenchimali, o questi invece alteri per primi e gravemente, e ciò senza voler ritenere che pur essendo unico o perfettamente paragonabile l’aspetto morfologico nei due casi, diversa possa essere l’eziologia o per lo meno diversi i singoli momenti che alla sua produzione concorrono; in secondo luogo quando ricordiamo che anche in casi di arteriosclerosi diffusa e grave io potei osservare processi quasi solo regressivi nel sistema perivasale. 18 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO La seconda osservazione riguarda l’amiloidosi. E noto il legame che unisce la ialinosi (lasciamo da parte quella di origine epiteliale) all’amiloidosi, tanto che vi fu chi affermò esser questa null'altro che una ialinosi più acido condroitin-solforico. Secondo RéssLe e Yosurpa la ialinosi sarebbe in rapporto genetico con le cellule del sistema delle fibre a graticcio (linfoglandole), sarebbe da queste secreta, rappresenterebbe un sovrappiù di sostanza formativa delle fibre a graticcio. Secondo lo ScHampr nel fegato la deposizione della sostanza amiloidea si fa all’inizio intorno alle fibre a graticcio: “ essa si depone lungo le vie dei succhi plasmatici... nelle arteriole è strettamente intercellulare e vi forma un elegante reticolo nelle cui maglie stanno le fibrocellule muscolari... si tratta di un processo fermen- tativo di coagulazione che sì sviluppa negli spazi plasmatici dei tessuti e nei vasi linfatici... ,. A tutto questo io non ho nulla da aggiungere o da togliere per far sempre più notare l’in- timo nesso che esiste fra il sistema da me descritto e l’infiltrazione amiloidea e per dare di questo nesso una spiegazione logica quando ricordi ancora la fisionomia particolare, ca- ratteristica che in questi casi presenta il sistema perivasale — fisionomia che differisce nella ialinosi dove l’ispessimento iniziale assume precocemente una reazione gialla —, che nel suo interno è dimostrabile sicuramente la prima deposizione della sostanza amiloide, che il reticolo amiloideo perifibrocellulare delle arteriole non è che lo stampo per così dire del sistema da me descritto nell’interno delle pareti vasali. Che intorno ai capillari portali del lobulo epatico esistano degli spazi perivasali è oggi dai più ammesso direi quasi in via puramente induttiva, senza far più parola della loro costituzione o dandone ragguagli che, come abbiam visto, non corrispondono alla realtà delle cose e presentano facile fianco alla critica; sulla loro presenza si basano taluni per spiegare alcune forme di ittero e io oserei quasi dire ehe uno dei più accaniti negatori di essi, il Browrcz, ne disegnò nella fig. 7 della sua Memoria sulla struttura dei capillari biliari inter- cellulari e sui rapporti di essi con i capillari sanguigni, uno degli esemplari migliori, fede- lissimo al vero nei particolari sullo spessore diverso delle due membrane limitanti. L'errore in cui incorse l’A. fu, a mio avviso, nel volere interpretare tale spazio perivasale come un capillare biliare basandosi su reperti avuti in casi eminentemente patologici (ittero, stasi biliare eronica) e nel voler considerare come capillari biliari afflosciati tutte le linee rosse con il V. Gieson decorrenti fra i singoli elementi cellulari, non badando che lo schema così da lui costrutto, non corrispondeva, a mio modo di vedere, a quanto l’indagine istologica condotta con mezzi tecnici più adatti gli rivelava in altri casi. Questa osservazione mi por- terebbe così ad indagare minutamente i rapporti che intercedono fra il sistema da me de- scritto e i capillari biliari intercellulari almeno, lasciando da parte gli intracellulari e il sistema canalicolare pure intracellulare di nutrizione da alcuni Autori ammesso. Un tale studio mi- nuto io non ho potuto compiere per difficoltà tecniche tuttora insolute e su tale argomento non posso oggi che dire quello che a me sembra risultare più verosimile. È verissimo che in casì d’'ittero sì possono trovare tanto nel sistema perivasale che nei suoi rami comuni- canti laterali dei veri granuli di sostanza nera analoghi perfettamente a quelli che si trovano sparsi nel protoplasma cellulare, ma non è meno vero che là dove l'accumulo di hile assume proporzioni maggiori e le note forme di salsicciotto, di fungo, di blocco, ecc., quasi mai potei mettere in evidenza, all’intorno di essi, una qualunque membrana limitante o gialla o nera, anzi talora potei vedere nettamente tale massa di pigmenti biliari spostare nel suo decorso un tratto del comunicante laterale; se anche talvolta tale membranella è visibile — e ciò si verificava per lo più in vicinanza del vaso sanguigno — ciò non significa ancora ‘che sempre contiguo al comunicante laterale o nel suo seno si apra o decorra il cosiddetto capillare biliare intercellulare, come ne deduce il Browrcz, ma semplicemente, per tutta la somma di reperti registrati negli altri casi, che in tali punti si è avuto uno stravaso di bile nel sistema perivascolare, fatto possibilissimo, ammesso da tanti Autori, logicissimo MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 3. 19 nei casi di stasi biliare cronica. Lo stesso ragionamento si può ripetere per le figure osser- vate dal Browrcz — e da me pure viste — in cui il salsieciotto di bile terminava ad una estremità con una linea rossa; in primo luogo l’A. non disegna alcuna linea rossa a con- tornare l'accumulo di bile, in secondo luogo la contiguità non implica la continuità, nè ciò che si osserva in casì di stasi biliare si può senz’altro trasportare ai casi normali. Nei quali il sistema perivasale nelle sue varie parti io credo non assuma di regola rapporti intimi di contatto con i cosiddetti canalicoli biliari intercellulari — tanto superiori numeri- camente ai comunicati laterali — senza con ciò naturalmente escludere che in qualche caso ciò possa avvenire sia quando i due sistemi si incrociano, sia nei brevi tratti in cui il loro decorso può farsi parallelo e contiguo. Ad ogni modo se anche il contatto fra i due apparati avvenisse in più larga misura di quel che non credo oggi dover ammettere, ciò non vor- rebbe ancora significare inevitabilmente uno stato di colemia permanente — sappiamo del resto che normalmente in circolo si trovano traccie di pigmento biliare e che Pick nel 1895 aveva scritto: “ Die Leberzelle giesst nur einen Theil der Galle in die Gallencapillaren wîhrend sie das ibrige in die Lymphspalten treten lisst, —; il sistema perivasale si scarica con ogni verisimiglianza stando alle antiche ricerche di alcuni Autori, stando anche ad alcuni reperti da me ottenuti nel testicolo di topo, nel sistema linfatico, e il liquido in esso contenuto solo tardivamente penetra nel circolo sanguigno quando gran parte del ma- teriale biliare può essere in vario modo eliminato o modificato; bastano del resto ancora particolari condizioni fisiche — non considerando quelle biologiche meno apprezzabili. — quali il decorso contrario delle due correnti (cellulifuga l’una, cellulipeta in parte l’altra), le differenze di pressione fra di esse, le differenze di velocità, ecc., se non ad impedire, certo ad attenuare di molto gli scambi fra le due colonne. In casi di stasi biliare natural- mente tali condizioni mancano non solo, ma si convertono ancora in momenti favorenti la penetrazione della bile nel sistema perivasale e quindi per tal semplice fatto o per la trom- bosi e la rottura dei capillari biliari, il versamento abbondante di materiale nelle guaine e secondariamente, forse in parte direttamente, in circolo. A proposito sempre dei rapporti esistenti fra guaine perivasali, elementi cellulari e ca- nalicoli biliari mi sia lecito ricordare un'ultima osservazione. MinkowsKky, per citarne uno solo, aveva ammesso che la speciale struttura delle cellule epatiche rendeva possibile ad esse di versare parte del loro prodotto nei vasi biliari e parte nei vasi sanguigni o linfatici; ma in che modo questi ultimi scambi si possono effettuare? Vi risposero in modo diverso le ricerche dei FRAsER e di NauwERcK da un lato, quelle di Browicz dall'altro. I due FRASER, iniettando sostanze nei rami dell’epatica sotto forte pressione (fino a 4 pollici di Hg nel fegato di rana) osservarono il passaggio di esse prima attraverso un sistema canalicolare de- corrente fra le cellule epatiche, poi nell’interno di queste, e ammisero che tanto i canali inter- che quelli intracellulari possedessero pareti proprie. I loro risultati furono confermati da NauweRrcK e da ScHArER. Il Browicz invece, pure ammettendo l’esistenza di canalicoli nutrizi in istretto rapporto da un lato con i capillari, dall'altro con l'elemento epatico, ritenne che questi fossero in dipendenza con le cellule parietali del capillare stesso. Il re- perto mio può in certo modo accordare le due ipotesi pur differendo dall'una e dall'altra. To non discuto qui se le figure dei FrasER non contengano in loro nulla di artificiale ine- rente al metodo usato e specie alla tecnica: constato solo che i canalicoli iniettabili inter- cellulari potrebbero corrispondere a quelli che io ho descritti come rami comunicanti laterali e nel cui interno ho potuto scorgere, in condizioni speciali, il passaggio di globuli rossi. Fino a tal punto tali vie hanno pareti proprie dimostrabili; se da esse si dipartano altri canali pure a pareti proprie con decorso intracellulare, non posso nè negare, nè affermare, perchè troppo spesso i limiti dei singoli elementi non sono così distinti da permetterci di decidere sicuramente se una data struttura decorra fra due cellule o dentro lo stesso proto- 20 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO plasma di una di esse. L'ipotesi poi del Browicz trova spiegazione nei miei reperti quando ricordiamo la presenza di cellule con prolungamenti protoplasmatici appartenenti alle guaine perivasali in intimi rapporti talora con le trabecole e ricordiamo ancora di esse le note pro- prietà fagocitarie. E qui mi fermo oggi, poichè credo esaurito per ora il compito mio e credo d’aver dato ai problemi generali che mi ero proposto la risposta, a mio avviso, più vicina al vero; ho dimostrato cioè, io credo, con metodi nuovi l’esistenza nel complesso apparato delle fibre a graticcio di un particolare sistema di guaine perivasali fra loro comunicanti; di esso ho schizzata la patologia; ho infine constatato come esiste un legame strettissimo fra Vintegrità sua morfologicamente dimostrabile e lo stato di nutrizione dell’ elemento cellulare; in una prossima Nota non solo indagherò molti dei particolari oggi trascurati e specialmente i rapporti fra alterazioni dell'apparato perivasale e reazione fibroplastica a fibre precollagene con la quale il fegato risponde il più spesso a processi morbosi generali o locali, ma affron- terò un altro problema generale non meno importante, la genesi cioè dei processi sclerotici e cirrotici del fegato, poichè con il metodo da me indicato si possono ottenere reperti che non mi risultano finora notati e che possono portare sull’istogenesi di tali processi morhosi qualche contributo non del tutto trascurabile. BIESIZIOGIREAGEZEON 1. AnprIEZEN, “ Intern. Monatschr. f. Anat. u. Hist. ,, 1893. 2. ArnoLp, “ Virchow’s Archiv ,, 1893. 3. Asp, “ Bericht d. Kénigl. Siichsischen Gesell. d. Wiss. ,, 1873. 4. Bases, “ Revue neurologique ,, 1900. 5. BarBacci, “ Sperimentale ,, 1910. 6. Box, “ Arch. f. mikr. Anat. ,, 1869 e 1872. 7. Bonm e Dawiporr, Lehrb. d. Histol., 1903. 8. Browrcz, “ Viener Klin. Woch. ,, 1900. — “ Bull. Acad. de Cracovie ,, 1900-1906. 9. Bupee, “ Bericht d. Kénigl. Stichs. Gesell. d. Wiss. ,, Lipsia, 1875. 10. Da Fano, “ Lavori Ist. Pat. Gen. Pavia ,, 1906. 11. D’AressanpRo, “ Morgagni ,, 1913. 12. Disse, “ Arch. f. mikr. Anat.,, 1890. 13. EsertHa, “ Virchow?s Archiv ,, 39, e “ Arch. f. Path. Anat. u. Phys. ,, 1867. 14. Ewarp e Kiinne, “ Verh. d. nat. Med. Heidelberg ,, 1877. 15. FLeiscaL, “ Gesell. d. Wissensch. ,, Lipsia, 1874. 16. Fraser I. W. e E. H., “ The Journ. of Anat. a. Phys. ,, 1895. 17. GrerKE, “ Arch. f. mikr. Anat. ,, 1885 e 1886. 18. Gori, Opera omnia. 19. 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Atrofia bruna del fegato. Metodo all’eosinato d’Ag. ammoniacale. ‘ 6,7. — Guaine perivasali trasversalmente sezionate con evidenti tramezzi di sostegno, dilatatissime e contenenti sostanza amorfa; sulla parete peritrabecolare della guaina (fig. 6), a sinistra, in alto, un elemento cellulare proprio di essa. Metodo come sopra. 8,9. — Particolari per dimostrare la struttura delle guaine perivasali; in 8 diapedesin di un glo- bulo rosso. Metodo come sopra. 10. — Elemento cellulare stellato con prolungamenti protoplasmatici visto in proiezione sopra un tratto di trabecola, in rapporto con le nervature di una delle pareti della guaina, ad essa appartenente: cfr. fig. 6. 11. — Guaina perivasale e comunicante laterale: vi è nettamente visibile la struttura membrani- forme e un nucleo di un elemento cellulare proprio della guaina stessa. Metodo come sopra. 12, 13, 14, 15. — Aspetti varî di comunicanti laterali: in 15 vi è contenuta una sferula emoglo- binica. Metodo come sopra. 22 MARIO SAPEGNO — CONTRIBUTO ALL'ISTOLOGIA NORMALE E PATOLOGICA DEL FEGATO Fig. 16. — Rottura della membrana perivasale con passaggio di un eritrocito. Metodo come sopra. s 17. — Guaina perivasale di un capillare del miocardio: sezione trasversa. » 18. — Guaina perivasale di un capillare del miocardio: sezione longitudinale; in questa e nella precedente, formazioni di spazi con pareti proprie e in derivazione della guaina fra le fibre del miocardio. Metodo come sopra. » 19. — Capillare epatico ispessito: evidente spazio perivasale (a sinistra) con nuclei di elementi cellulari propri e aumento di fibre precollagene intorno ad esso. Metodo come sopra. » 20. — Capillare epatico: guaine perivasali e comunicanti laterali invasi da fibrille precollagene. Cirrosi epatica. Metodo come sopra. Istituto di Anatomia Patologica della R. Università di Torino. Aprile 1914. ————-eerot=ao——=_—__yt———_- D" SAPEGNO: Contrib. istol ecc. Memorie d R. Accad.d. Scienze di Torino Vol. LXV. Serie II. Lit lacchinardi e Ferrari-Favia DI Sapegno dis Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 4. Classe di Scienz e fisiche, matematiche e naturali RUGGERO BACONE IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO MEMORIA DEL SOCIO ICILIO GUARESCHI Approvata nell'adunanza del 15 Novembre 1914. SOMMARIO INTRODUZIONE Cenni sul secolo XIII . La scolastica in Imghilterra — imtosià, Leonardo da Pisa (Fibonacci) — Libri e BECELATA: Giovanni Campano (Campanus) — Astrologi — Bonatti Guglielmo da Saliceto — Ruggero da Parma Lanfranco da Milano, Brunetto Latini, ecc. Alchimia e chimica pratica . Enciclopedie — Ristoro d'Arezzo — Reso della oa Federico II — La cultura nel secolo XIII . Scopo di questo lavoro su Ruggero Bacone o ; : Alcuni giudizii su questo celebre frate francescano : Tito Nandé, D’AI ao Piconsi Parte I. — Ruggero Bacone, sua vita e sua opera scientifica. 1. Vita di Ruggero Bacone. Pierre de Maricourt V. Cousin considera Bacone come francese Brevi cenni sulla vita di Ruggero Bacone Soprannomi nel medio evo. è Medaglioncino di Ruggero con disegno allegorico Eugène Salverte . P È ò 3 Ruggero due volte iiintizionaio _ Toliera del papa Sorci IV Odii contro Ruggero Bacone - Cenni sull’Opus majus ed altre opere di dato 2. Ruggero Bacone, la chimica o l'alchimia e la medicina. La chimica ai tempi di Ruggero — Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova J. B. Dumas — Opus tertium ò Sono attribuite a Ruggero Bacone delle annie non sue Ricerche sul salnitro e la polvere da cannone . Speculum secretorum — Trasmutazione dei metalli Breve breviarium De Dono Dei e composizione dei metalli A Ho 0 0 431 O O OUT a —_ (UU) 47 14 17 17 17 15 18 18 19 20 20 21 22 22 2 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Speculum alchimiae e l'ufficio dell'aria , , Seniores medicinae magistri, e Libellus o Speculum alehioniae Linguaggio chimico di Ruggero (Berthelot) ; Scoperte non fatte del manganese, fosforo e bismuto — Gerding H. Kopp ed opere chimiche di Ruggero — De arte chymica : Libellus o Epistola Rogerii Baconi de retardandis senectutis, ecc. (riguarda Ta ici e Do oa Altri lavori sulla medicina Sue vedute intorno agli elementi 5 Frammento dell'Opus tertium: Liber tertium Hiper agii, Sl da otora sa 1908 . Thesaurus chemicus 3 5 Quale è il reale contributo AA % Ruggero Bacoo alla riesi Geber e sua opera scientifica; Geber e Ruggero Bacone. 3. Dell’ottica (Perspectiva). Sua grande importanza : Propagazione e velocità della luce Ricerche varie sulla luce, sulla visione, ecc. — ‘Bella Li dell Ottica fatta ne] 1900 ca Bridgodi Multiplicatio speciarum . . c : Alhazen — Gli arabi e Ruggero Bacone — Narbey. . Pareri di Wiedemann e di Poggendorff Arcobaleno 4. Matematica — Astronomia — Geografia — Storia Naturale. Matematica e sua importanza secondo Bacone — Pars IV dell’Opus majus Giudizii esagerati sulle sue cognizioni matematiche Sue conoscenze astronomiche — Riforma del calendario — Maree Sue conoscenze in geografia — Parere di Humboldt Cenni su Rubruquis e su Del Piano Carpini Plagi del cardinale D’Ailly ° : Storia Naturale — Botanica (Dei vegetali) — ZOORIO 5. Altre ricerche scientifiche — Meccanica. Epistola de secretis artis et naturae et de nullitate magiae Potere dell’uomo sulla natura i c È 5 ‘ i; : ; Supposte scoperte o invenzioni moderne dhe cubi state previste da Ruggero Bacone Carus accenna alla zoologia ; . . ; o è 2 È Manoscritti tedeschi ed italiani (dei Dico xIV- xv, esaminati da Berthelot e che in A almeno darebbero ragione delle supposte invenzioni di Ruggero Bacone . . Marianus Jacobus da Siena — Manoscritto di Venezia — Mio parere su queste invenzioni . Lenglet Dufresnoy Osservazioni di Em. Charles Dell’attrazione e affinità 6. Ruggero Bacone come filologo. Sue conoscenze delle lingue — Grammatiche Giudizio di Daunou 7. Ruggero Bacone e la teologia. Sua importanza per la storia comparata delle religioni . Parere di Frangois Picavet Parte II. — Ruggero Bacone e l’Esperienza — Come filosofo. 1. Ruggero Bacone contro l’autorità — Libero pensatore. Alberto Magno — Mio parere del 1904 Giudizii di Charles e di Virchow Ozanam — Dante e la filosofia scolastica nel sec. XIII Franck — H. Kopp — Wadding — Powell. 44 44 45 46 47 48 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. Parere di Wulf su Ruggero Bacone come filosofo Parole di Picavet $ È ì Ch. Rémusat confronta R. Baccre con Franco Bacone da Vestianio Perchè Ruggero fu imprigionato ; ) Suo concetto dell'unità della scienza — TRSALO fia le scienze Suo concetto del progredire dell’umanità. — Libero esame Parole di Leroux. . i 3 P 5 Somiglianza fra Ruggero e Francesco Bacone . Ruggero Bacone e gli antichi > Renan e Hauréau — Ruggero prevede le conseguenze del suo ENO Parole di Saisset e di Whewell Ruggero Bacone dimenticato 2. Ruggero Bacone e l’esperienza. Parere di Humboldt . 5 - " : ; L'idea di scienza e di scienze sperimentali in FUGESo Bacone Le scienze della natura sono scienze sperimentali Bacone contro Aristotele Le opere di Aristotele e Tasti OR È Molti confondono l’esperienza col metodo oe tinaziala ; x 6 è 3 È erroneo il considerare Ruggero Bacone come il fondatore o il rinnovatore del migiodo spe- rimentale : Osservazione ed pro nontizinie (c. ona) Milne Edwards — Fontenelle * . È . ò ; 7 o : Se Ruggero avesse avuto maggiori mezzi e libertà avrebbe fatto di più? 3. Le più importanti notizie bibliografiche su Ruggero Bacone. Lavori antichi e lavori moderni pubblicati intorno a Ruggero. Specialmente i lavori di Charles, di Brewer, di Bridges, di Hoefer e H. Kopp, di Duhem e di Picavet : s 3 Commemorazione centenaria della nascita di Ruggero Bacone ed edizione completa delle sue opere (1214-1914). — Opera recente di A. G. Little su Ruggero Bacone b) Pag. 49 n 50 n 50 o si _ USO , 52 053 5 83 DIGA n 94 BR N55 155 55 57 RIOT 57 , 58 TaN58 Lato n 98 E 4 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO INTRODUZIONE. Il secolo XIII può essere riguardato, senza alcun dubbio, come il periodo di un primo rinascimento, perchè in allora le scienze, la filosofia e le arti presero nuovo slancio. Per quanto anche nei secoli precedenti si trovino degli uomini di valore, quali: Gregorio di Tours, Alcuin, Rabanus Maurus, Jean Scot detto Erigeno (Scotus Erigenus), S. Anselmo d'Aosta, Pietro Lombardo, Bernardo di Chartres, Abelardo, Geber ed altri arabi, pure è in questo secolo XIII che fioriscono numerosi scienziati, filosofi, artisti, viaggiatori, geografi, ecc. di grande valore; tutta la cultura assume un nuovo aspetto, un nuovo indirizzo. Ed invero in questo periodo troviamo: Michele e Duns-Scot, Ruggero Bacone, Alberto Magno, Raimondo Lullo, Arnaldo da Viilanova, Pietro d’Abano, Fibonacci, Brunetto Latini, Lanfranco da Milano, S. Bonaventura, S. Tommaso d'Aquino, Ockam, Alessandro d’Halès, Rubruquis (1), Del Piano Carpini (2), Gherardo da Cremona, Marco Polo (3), Bartolomeo da Cremona, Nicola, Giovanni e Andrea Pisano, Arnolfo, Cimabue, Giotto e tanti altri; ma sovra- tutti come aquila vola: DAnTE (4), che chiude il vero medio evo e dà vita a quei secoli XIV e XV, nei quali il progresso umano cammina con grande rapidità. Tutti questi uomini del XII secolo, sovranominati, contribuirono al risveglio del sapere, guale non si era più visto dopo Archimede. Quel secolo fu per l’Italia particolarmente, un periodo di vera civiltà e Dante si asside, sta a cavallo, tra i due secoli XIII e XIV; ma se per la sua principale produ- zione intellettuale lo si riguarda come appartenente al secolo XIV, allora la più grande figura del secolo decimoterzo rimane: RueGeRro BACONE. Lungi da me l’idea di dare un quadro dello stato del sapere nel secolo XIII; sarebbe compito non facile, e da altri, almeno in parte, già fatto. Non è però da dirsi che Bacone fosse un solitario, e primeggi perchè il secolo XIII sia stato un secolo di tenebre; tutt'altro, è un grande e bel periodo di risveglio in tutto: nelle arti, nella filosofia, nelle scienze, nella geografia e anche negli ordini religiosi. La massa del popolo ed il clero certamente erano ignoranti, è vero, ma non tutti allo stesso grado. Il periodo de’ comuni non era privo di cultura, questa era diffusa in molti, almeno in Italia (5); negli altri paesi certamente la gran massa della popolazione era più ignorante che in Italia. Comunque sia, Ruggero Bacone visse in un secolo che può dirsi illuminato, relativamente ai precedenti; e Ruggero era un vero entusiasta della scienza. Il secolo XIII è memorabile nella storia politica d’Inghilterra; quando il re Giovanni fu cacciato di Normandia e volle con immenso sforzo tentare di ricuperare il dominio perduto, (1) V. questa Memoria, pag. 35. (2) V. questa Memoria, pag. 35. (3) Marco Polo è il più grande viaggiatore che sia esistito prima di Cristoforo Colombo. I viaggi di Marco Polo non interessano al massimo grado solamente i geografi, gli etnografi, gli zoologi, ecc., ma hanno grande importanza anche per lo stato naturale dei medicamenti, per la chimica, la mineralogia e la tecno- logia. Nella mia Storia della chimica, VII nel “ Suppl. Ann. ,, 1908, pag. 449-466, io ho riprodotto un inte- ressante scritto: La chimica e Marco Polo del Prof. Ep. O. v. Liepmann. i (4) Dante forse fu il primo vero riformatore religioso, fu il precursore della Riforma, che si effettuò due secoli dopo per opera principalmente di Lutero; anche l’opera sua per lungo tempo era quasi dimenticata, ovvero sì teneva nascosta quanto era possibile. (5) Poco dopo la morte di Dante, Firenze contava circa 90000 abitanti e circa 8 a 10000 fanciulli e fan- ciulle imparavano a leggere, da 1000 a 1200 giovinetti attendevano allo studio dell’aritmetica, da 500 a'600 a quelli del latino e della retorica (G. Voter, Il trecento, Milano). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 5) i suoi sudditi, angariati pel danaro che da loro si voleva riscuotere, si ribellarono; e nel 1215, precisamente il 6 gennaio, obbligarono il re a firmare uno statuto costituzionale, che per la sua grande importanza fu denominato Magna Charta; la Magna Charta restringeva i poteri del re ed è in fondo la base della costituzione inglese. Sotto il regno poi di Edoardo I (1272-1307) le riforme introdotte nello Stato furono così notevoli che questo re fu denomi- nato il Giustiniano inglese. Nel 1250 è stata fondata l’Università di Oxford, e quella di Cambridge nel 1290. La scolastica fiorì in Inghilterra, specialmente nel secolo XIII, più che in qualunque altro paese. I monaci mendicanti (francescani, domenicani, agostiniani e carmelitani) anda- rono in gran numero in Inghilterra verso il 1220 e vi risvegliarono in modo straordinario il sentimento religioso; nella letteratura inglese, specialmente del secolo XIII, domina il sentimento religioso ; le cose sante e le leggende dei santi ispirano i poeti. Il primo grande scolastico inglese fu Jean Scot, detto Erigenus {del secolo IX). La filosofia in questi secoli del medio evo era coltivata quasi esclusivamente dagli ecclesiastici (1), dai frati, ed i più famosi di questi studiarono o insegnarono poi anche sul continente, quale, ad esempio, Gio- vanni di Salisbury che fu vescovo di Chartres, itre Scot, cioè Jean, Duns e Michele, Ockam, Walther Burleigh, Thomas Bradwardine, e tanti altri. Ma alcuni di questi tentarono di scuo- tere il giogo della scolastica, tentarono di aprire nuove vie al pensiero filosofico e scientifico, ed anche religioso, e così vediamo: Duns-Scot combattere contro S. Tommaso; Ruggero Bacone contro tutti gli scolastici; Ockam predicare l'indipendenza del potere civile e tem- porale dalla Chiesa. Pietro d’Abano, celebre medico di Padova, fu condannato ad essere bruciato vivo, ma morì prima che la sentenza fosse eseguita. Le arti in Italia nel secolo XII erano immensamente più progredite che non negli altri paesi. Sono del secolo XIII: il Palazzo della Signoria in Firenze, Santa Maria del Fiore e il Battistero; il Duomo, il Battistero e Santa Maria della Spina di Pisa; il Camposanto di Pisa fu incominciato nel 1278 da Giovanni Pisano; il Palazzo dei Priori di Volterra è del 1208 e così potrei enumerare moltissimi altri monumenti. Le sculture, i quadri, i mosaici ed altre opere d’arte che, ad esempio, decorano il Duomo di Pisa, sono innumerevoli; “ él faudrait l’éternité pour admirer en détuil tant de belles choses ,, scriveva il Micaud nel 1839. De’ distinti cultori delle scienze naturali, della medicina, scrittori di grandi Enciclopedie, de’ principi che incoraggiano le lettere, le scienze e le arti, ecc. troviamo in maggior numero in Francia ed in Italia che non altrove. In questo secolo XIII si fondano numerose Univer- sità fra le più importanti. Quattro professori principali erano la base delle Università d’allora e cioè: un canonista o teologo, un giureconsulto, un medico e un astrologo (talora vero astronomo); poi uno di retorica e un altro per la filosofia. Le lezioni di filosofia consistevano nel commentare Ari- stotele. La filosofia però si confondeva quasi colla teologia. In questo secolo sono già celebri le Università di Bologna, di Padova, di Parigi, di Napoli, di Pisa, di Oxford, di Cambridge. Tiraboschi, nella sua classica Storia della Lett. Ital., cita i registri pubblicati da Sarti, i quali dimostrano che nel XIII secolo l’Università di Bologna era frequentata da studenti francesi, fiamminghi, tedeschi, spagnoli, portoghesi, inglesi e scozzesi. Nell’antico Archiginnasio di Bologna si conservano ancora gli stemmi coi nomi di molti di questi studenti. In questo tempo cominciarono a fiorire le matematiche, che erano ben conosciute da Ruggero Bacone, da Adhelard, da Pietro di Maricourt, ecc. (1) Si potrebbe proprio dire con Heumann che la scolastica era: Philosophiam in servitutem theologiae papae redactam, cioè una falsa teologia messa in servizio di una certa teologia. Più propriamente forse e più largamente si potrebbe dire: era la filosofia che si insegnava nelle scuole nel medio-evo. ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO D “ Roger Bacon, scrive Daunou, dont le génie embrassait tous les genres de connais- “ sances, paraît avoir étudié les livres de Diophante et des autres analystes grecs ,. Le matematiche erano molto meno progredite negli altri paesi che non in Italia; alcuni scrittori francesi, riguardo alle matematiche in Francia nel secolo XIII, affermarono che la géometrie y était totalement négligé (DAUNOU) (1). Il geometra Leonardo da Pisa (Fibonacci), che visse tra i secoli XII e XIII, fu il primo ad introdurre fra i cristiani il sistema aritmetico degli Indi. Viaggiò fra gli arabi d'Africa e a lui si deve il Liber Abaci, che fu scritto in latino nel 1202 e la Pratica della geometria e il trattato dei Numeri quadrati, che scrisse nel 1220-1221 (2); queste opere furono pub- blicate da Boncompagni a Firenze nel 1854. Giovanni Campano, detto Campanus da Novara (3), visse nel XIII secolo e viaggiò fra gli arabi. Fu cappellano del papa Urbano IV e canonico di Parigi. Si conoscono di lui vari trattati: De quadratura circuli, De compositione quadrantis, ecc.; a lui si attribuisce una tra- duzione di Euclide, ma è ora dimostrato che egli non tradusse Euclide, bensì commentò la traduzione fatta da Adelardo. ApeLARDO DI BarH, detto il Goto (Adhelard, Athelardus), monaco e geometra inglese, fiorì al principio del 1200 e viaggiò in Ispagna, Egitto e Arabia. Scrisse di matematica, di fisica e di medicina; tradusse Euclide dall’arabo in latino e compose un’opera sull’astrolabio. Fra i matematici di quel tempo ricordo inoltre Bartolomeo da Parma (1294) col suo Tractatus de Sphaera, Guglielmo de Lunis (1250), Jordanus Nemorarius, Alessandro di Vil- ledieu (1250), ecc. In quel periodo era molto coltivata l'astrologia e in tutta Europa, e specialmente in Italia, vi erano molte cattedre per l'insegnamento dell’astrologia; Ruggero Bacone, benchè conoscitore della vera astronomia, pure coltivò molto anche l’astrologia. Fra i tanti astro- logi del secolo XIII, va specialmente ricordato Gumo BonartTI, che deve essere ricordato anche come un vero astronomo ; egli nacque nel 1230 a Forlì e morì nel 1284 a Bologna. Nelle Università di Padova e di Bologna la cattedra di astrologia era considerata una delle più importanti. Anche gli studi astronomici erano più progrediti in altri paesi che non in Francia: «“ Malheuresement c’étaient encore des Allemands, des Italiens, des Polonais, des Anglais, (1) Craupe Fran. Daunou, Discours sur Vétat des lettres au XIII= siècle, Paris, Ducrocq (senza data, ma poco dopo il 1840). I discorsi del Daunou credo siano del 1810 circa. (2) Le migliori e più sicure notizie su Fibonacci debbonsi al Lisri (Hist. des sciences mathém. en Italie, t. II, p. 20). Il Fibonacci dedicò una delle sue opere a Michele Scott. Doveva essere molto conosciuto in Inghilterra. L'introduzione dell’Abbacus comincia colle parole: Incipit liber Abbaci compositus a Leonardo filio Bonacci Pisano, in anno 1202. Ed il libro sulla geometria così: Incipit Pratica geometria composita a Leonardo Pisano de filiis Bonaccii, anno 1220. Il che significa che il nome di Fibonacci vuol dire figlio di Bonacci. Riguardo al Libri non posso essere del parere del Burckhardt, secondo il quale l’opera Histoire des sciences mathématiques en Italie sarebbe evidentemente troppo superficiale e dogmatica (La civiltà del secolo del rinascimento in Italia, trad. it., vol. II, p. 18). Sarà superficiale (il che io non credo), ma sta di fatto che è la più importante opera sulla storia delle scienze matematiche in Italia scritta prima del 1840. Il Libri fu troppo ingiustamente ed esageratamente accusato e troppo poco apprezzato. Nè pare al Burckhardt importante la contesa sulla priorità delle singole scoperte. Ciò è giusto sino ad un certo punto, se si tratta di scoperte di lieve importanza, ma non per quelle importanti, perchè allora dove va il senso della giustizia? Perchè non si deve dare a Cesare ciò che è di Cesare? Non è lecito, ed è punito, il furto di cose naturali, come a cagion d’esempio, una moneta, e perchè deve essere lecito l’appro- priarsi la produzione intellettuale? Libri scrisse in tempi in cui, come già scrissi più volte, già da molti anni gli stranieri usavano rubacchiare anche il nostro patrimonio intellettuale. (3) Trraposcai, Storia Lett. Ital., IV, p. 160. D) MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 7 “ Albert le Grand, Saint Thomas d'Aquin, Franco de Polonis, Robert Grosse-Téète, Sacro Bosco, “ Roger Bacon, qui s'occupaient le plus en France d’études astronomiques , (1). Fra gli astronomi o astrologi di questo tempo sono anche da ricordarsi Grov. HALIFAX, detto Giovanni di Secro-Bosco, monaco inglese, celebre al suo tempo per le sue cognizioni matematiche e filosofiche ; viveva verso il 1220. Le famosetavole astronomiche Alfonsine (Alphonsi regis auspiciistabulae astronomicae, 1252) furono stampate a Venezia nel 1413; l’autore, Alfonso re di Castiglia, morì nel 1284 (2). Si possono ricordare anche Gurpo Ponarus di Frejus, che viveva nel 1284; Enrico BATEN del 1290; Pietro D'Aano (Petrus Aponensis); autore di un trattato sull’astrolabio, ecc. In questo secolo fiorirono anche de’ distinti cultori della medicina, e Bacone stesso cono- sceva questa scienza. Verso la metà del XIII secolo viveva a Piacenza il celebre GueLIELMO pa Sanicero, al quale si deve un trattato di chirurgia, che scrisse quando era a Bologna nel 1258. Fu pure medico celebre in questo tempo RueGrRo DA PARMA, che fu poi cancel- liere dell’Università di Montpellier; di questo Ruggero il Libri ricorda un manoscritto esi- stente nella Riccardiana di Firenze, dal titolo: De secretis naturae; si conosce anche la sua Pratica della medicina, chiamata Roggerina, la quale da alcuni biografi inglesi fu attribuita a Ruggero Bacone. Im questo secolo due celebri italiani: LAnrRANCO DA Miano e Grovanni PASSAVANTI insegnavano medicina nell'Università di Parigi e fu in Francia che Lanfranco pubblicò la sua Grande chirurgie e vi fondò una celebre scuola. Anzi lo storico francese Portal afferma (3) che fu per cura di Lanfranco che la chirurgia francese uscì dall’ignoranza. Altri medici distinti vissero in quel tempo. Sulla medicina in Italia ai tempi di Dante si vegga un lavoro di Salv. de Renzi (4), come pure un altro lavoro sulla scuola medica di Salerno (5). Alla maggior parte dei medici di quel tempo, specialmente italiani, spetta propriamente il nome di arabisti o discepoli degli arabi. Non si può discorrere di storia delle scienze nel secolo XIII senza ricordare l’alchimia; tutti gli uomini più colti volevano iniziarsi in questa arte. Solamente gli alchimisti esperi- mentavano e tormentavano la natura per riuscire a trasformare i metalli ignobili in metalli nobili o per ottenere la panacea universale. I più eminenti studiosi del tempo erano anche alchimisti e basti ricordare: Ruggero Bacone, Alberto Magno, S. Tommaso, Raimondo Lullo, Arnaldo da Villanova. L'Italia però, relativamente agli altri paesi, aveva pochi alchimisti; molti ne aveva l'Inghilterra. In Italia invece vi era un gran numero di astrologi. In quest'epoca la fisica e la chimica erano studiate quasi esclusivamente per le appli- cazioni all’alchimia. Però Ruggero Bacone fece uno studio profondo dei fenomeni fisici (ottica, ecc.) indipendentemente dall’alchimia, così pure può dirsi della meccanica. In quel tempo cominciavano a svilupparsi alcune branche della chimica pratica; innanzi tutto quella dei colori, e quella per la lavorazione del vetro, che raggiunse grande perfezione in Italia, (1) Daunov, loc. cit., p. 200. Si vegga anche: Maury, La magie et l’astrologie dans Vantiquité et au moyen tige, 1860; Louenon et Bower-Maury, Croyances et légendes du moyen dige, Paris, in-8°, 1896. (2) Di questo re, il cui regno fu piuttosto infelice, si ricorda il detto: se Dio mi avesse consultato nel momento della creazione, gli avrei dato dei buoni consigli (In Derawere, Hist. de Vastron. au moyen dige). (3) Porrar, Hist. de l’anat. e de la chir., Paris, 1770, t. I, p. 189. Ecco quanto scrive il Portal: “ Cette “ partie de la médecine étoit alors négligée en France: ce fut par les soins de Lanfrane et les sollécitations “ de Jean Pètard auprès de S. Louis, qu'elle secoua le joug de l’ignorance qui la tenoit dans l'oppression x: Il Portal discorre anche di Ruggero da Parma, di Guglielmo da Saliceto, ecc. (4) Dante e il suo secolo, Firenze, 1865, p. 533. (5) Storia documentata della Scuola medica di Salerno per Sarv. De Renzi, Napoli, 1857. 8 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO perchè si conoscevano già le famose vetrerie di Murano. La fondita dei metalli e delle leghe era molto progredita e ne sono prova le porte in bronzo del Duomo di Pisa, gettate dal Bonanno nel 1180 ed i bellissimi fiorini d’oro battuti a Firenze nel 1252. “ Una branca della chimica, scrive Libri, che fortunatamente non era tra le mani “ degli alchimisti, è quella che consiste nella preparazione dei colori necessari nelle pitture “e nelle manifatture ,. Verso la fine del secolo XII FeDpERIGO, sovranominato Rucellai e Oricellari, portò dal- l'Oriente a Firenze il metodo di tintura coll’oricello (Zichen Roccella). L'arte tintoria, in Italia specialmente, prende un grande sviluppo. È verso la fine del XII secolo e nei primi anni del XIII che l’arte della tintura riapparve in Italia, grazie alle relazioni commerciali de’ ve- neziani e dei genovesi coll’Oriente. Gli antichi conoscevano il vetro e questa sostanza è ancor oggi la base materiale del- l’esperimentazione chimica e fisica ; gli antichi egiziani e fenici sapevano soffiare il vetro. E gli alchimisti del medio evo conoscevano l’uso del cannello ferruminatorio per chiudere ermeticamente i loro matracci. De’ vasi artistici in vetro di gran valore furono fatti sino verso la fine del secolo XIV in Oriente; ma Venezia, già nel secolo XI e specialmente nel XII e XII secolo, era diven- tata una grande potenza marittima e verso il 1205, presa Costantinopoli dai Latini, i vene- ziani fecero venire a Venezia molti artisti greci, che perfezionarono in modo straordinario la vetreria. Già gli egiziani sapevano che certi minerali metallici arrostiti, o come diciamo oggi ossidati, hanno la proprietà di colorire il vetro in rosso, oppure in azzurro (cobalto), ecc. L'haematimon di Plinio era vetro colorato in rosso con ossido rameoso. E così si capisce il grande progresso che fece nel medio evo l’arte coi vetri colorati. Il sapone pare fosse conosciuto dai romani, i quali però non ne conoscevano le proprietà detersive. Gli antichi per detergere e pulire gli abiti usavano il natron (soda, detto anche impropriamente nitrum). I Galli invece fabbricavano il sapone, usato poi anche dai romani. Le prime grandi fabbriche di sapone furono quelle di Marsiglia e di Savona. Joh. Pekham, francescano inglese, che verso il 1280 insegnava filosofia ad Oxford, a Parigi ed a Roma, pare abbia inventato gli specchi di vetro (1). Tutte le arti tecniche e decorative nel secolo XIII erano in via di grande progresso e Ruggero Bacone viveva precisamente in questo periodo di un vero rinascimento. L’esperi- mentazione diciamo così materiale, ma in questi casi importantissima per le applicazioni, esisteva dunque. In Bacone, oltre a questa conoscenza, vi era la grande coltura matematica, meccanica e fisica, e allora l’esperienza assurge a mezzo di progresso scientifico. Il desiderio di riunire i manoscritti di opere diverse, il caro prezzo dei manoscritti d'allora fecero nascere, verso il secolo XIII, quando, come dice Humboldt, le idee comincia- rono ad allargarsi, il gusto delle opere enciclopediche. Una delle prime di queste fu il De rerum natura, in 20 libri, di THomas pr CAMBRIDGE, professore a Louvain (1230). E così poco dopo Vincenzo de Beauvais scrisse (verso il 1250) la sua famosa opera enciclopedica: Speculum majus. À cui si può aggiungere il Libro della Natura, di Corrado di Meygenberg, prete a Ratisbona. Tra le Enciclopedie del secolo XIII si può ricordare il Tesoro di Brunetto Latini (maestro di Dante, nato a Firenze nel 1220) e in quest'opera, scritta dall’autore in francese, si tratta di astronomia, di geografia, di scienze naturali, ecc. (2). Certo, non regge al confronto (1) Hoerer, Hist. de la Chim., I, p. 496. (2) Su Brunetto Latini si vegga la interessante biografia scritta da Faurret nell’ Hist. littér. de la France, vol. XX, p. 276 a 304. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 9 dei grandi lavori enciclopedici di Vincent de Beauvais, di Alberto Magno, di Scot e di altri, ma si può dire che è la prima enciclopedia italiana. È di questo periodo anche il Trattato: Composizione del Mondo, di Ristoro d'Arezzo, terminato nel 1282; è una raccolta di cogni- zioni astronomiche secondo gli antichi e le traduzioni latine di autori arabi (1). ° La Divina Commedia, scriveva il Gargiolli nel 1865, è la storia, l'enciclopedia vera “ del secolo XIII, e in universale del Medio Evo, esposta in forma poetica e con potenza “ incomparabile di fantasia creatrice e divinatrice , (2). Guglielmo de Lorris scriveva verso il 1235 il famoso Roman de le Rose, terminato poi da Jean pe Meune. Il Roman de le Rose interessa anche la storia dell’alchimia; la prima parte, 4669 versi, fu scritta da Guglielmo de Lorris e la seconda, cioè la più lunga, la con- tinuazione, di versi 18.148 fu scritta da Giovanni de Meung, originario della città di Meun- sur-Loire; morì nel 1315. Il de Meung scrisse anche un Miroîr d’alchimie che fu attribuito a Ruggero Bacone. Appartiene al secolo XIII anche Federico II di Svevia (n. 1194, m. 1250), il quale ha avuto una notevole influenza sui suoi tempi e sui secoli avvenire. Favorì e sviluppò gli Studi od Università di Padova, di Bologna, di Salerno; fondò l’Università di Napoli ed iniziò quella di Vienna. Portò dall'Oriente numerosi manoscritti e fece tradurre in latino le opere di Aristotele e l’A/mogesto di Tolomeo; favorì il commercio, l'industria e l'agricoltura (3). Federico II non solo fondò l’Università di Napoli, ma vi fondò una cattedra di anatomia umana, in un'epoca ove la dissezione dei cadaveri era generalmente considerata una profa- nazione (4). (1) Ristoro d’Arezzo visse verso la seconda metà del secolo XIII e scrisse il trattato: Composizione del Mondo, che è una prosa reputata di importanza grandissima. Questa opera si può riguardare come un ampio trattato di astronomia e di geografia. In questa opera si ricorda spesso Aristotele e molti autori arabi. Il Ristoro pare fosse un attento osservatore dei fenomeni naturali. Discorre degli eclissi senza superstizione» Ne’ suoi viaggi esamina i terreni e le roccie. Dell’opera scientifica del Ristoro discorrono Francesco Foxrani, Narpucci e molti altri; e più recente- mente B. Marrarti (Della parte che ebbero i Toscani all’incremento del sapere geografico, in È Annuario del- l’Istituto Superiore di Firenze ., 1879-80). Come tutti i fisici e scienziati del Medio Evo Risroro ammetteva i quattro elementi di Aristotele; egli però era credulo come quasi tutti i suoi contemporanei. Io penso che si sia di molto esagerata l'importanza dell’opera scientifica del Ristoro. Su l’opera Composizione del mondo si trovano molte notizie in un lavoro di Herserr Doueras Austin, Accredifed citations in Ristoro d’Arezzo’s Composizione del mondo, a Studes of Sources (Studi Medievali di Novarie RenIER, vol. IV, 1912-1913, pp. 335-382). Vi è una ricca bibliografia, ma l’autore però non ricorda il lavoro di Malfatti. Pressochè in questo tempo fra Paorimo MisorirA pubblicò il trattato: De regimine rectoris in dialetto veneziano ed Ecipro Coronsa il suo famoso De regimine principum; un bel codice di quest'opera andò in parte perduto nell'incendio della Biblioteca di Torino nel 1904. (2) Quanta scienza vi è nella Divina Commedia! Storia naturale, astronomia, fisiologia, psicologia, medi- cina, tutto il sapere di quel secolo. Un lavoro assai interessante e ricco di notizie sul nostro massimo poeta, è quello di Nicora ZinGARELLI, Dante, Storia letteraria d'Italia, Milano, Vallardi, 1 vol. in-8° gr. di 750 pagg. (3) “ Misurate la distanza che corre da Carlomagno a Federico II (scrive Barrori nella Stor. della lett. it., 1878, I, p. 257); a quel Federigo che guarda in faccia senza paura il tiranno delle anime; che legge, sorri- dendo di disprezzo, le scomuniche del terribile Gregorio; che alla Bibbia del prete minaccia di contrapporre la Bibbia del Zzico; che vive di amore e di guerra, di poesia e di scienza; che ba il riso sapiente del razio- nalista, e il forte pensiero dell’uomo di Stato; che fa tradurre Tolomeo ed Aristotele, mentre intende a migliorare e a raccogliere le proprie leggi; che protegge i dotti; che fa della sua corte un Parnaso, che proclama la libertà dei culti; che emancipa i servi; che apre delle grandi biblioteche; che fonda l’Univer- sità di Napoli; che protegge la Scuola di Salerno; che insomma personifica in sè tutte le muove idee, che saranno poi la gloria e la forza delle età successive ,. (£) “ Federico Il imperatore e re delle Sicilie, già în guerra co’ papi, ordinò nel 1224 lo studio dell’ana- tomia su’ cadaveri umani: ma la superstizione era così forte allora che i favori imperiali non recarono alcun M 10 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Questo principe fu il riflesso della civiltà italiana di quel tempo; in lui sono congiunte le virtù migliori del cittadino e del monarca moderno; amante degli studi, della scienza, delle lettere, delle arti. A lui furono dedicati non pochi poemi latini, furono nella sua corte non pochi dei migliori ingegni del tempo, quali Michele Scot e Leonardo Fibonacci. Sotto di lui la coltura potrebbe dirsi che divenne nazionale. Già nel secolo di Gerbert la coltura in Italia era abbastanza diffusa. Il Muratori parla della varietà grande di libri che aveva allora l’Italia, ed erano anche in notevole quantità, perchè lo stesso Gerbert scriveva al monaco Rainaldo: “ Tu sai quanti scrittori si ritrovino a ogni passo nelle città e nei campi d’Italia ,; e in un’altra lettera dice aver egli comprato massimamente a Roma e in altre parti d’Italia la biblioteca sua (1). “ Molti libri, scrive “il Giesebrecht, perirono per ingiuria del tempo, molti, fin dal tempo di Gerbert, furono por- “tati via dall'Italia in terre straniere, e più ancora quelli cancellati dai chierici e monaci “ per riscrivervi sopra (palimsesti) ,. Intorno allo stato delle scienze, delle arti, delle lettere, della filosofia, ecc. nel secolo XIII trovansi molte notizie nell'opera: Dante e il suo secolo, Firenze, 1865, pubblicata in occa- sione del sesto centenario della nascita di Dante. Discorrendo del medio evo Pouchet esclama: “ En effet, l’àge qui nous occupe a vu éclore les plus larges idées; c'est è lui que sont dus ces grands moteurs qui désormais imprimeront une si rapide marche aux sciences; la renaissance de l’observation et l’idée mère de l’expérimentation. C'est quand è la voix de Roger Bacon cet àge se révolte contre l’autorité scolastique que pour la première fois l’humanité marche à pas de géant dans le “ sentier du progrès , (2). Per quanto vi sia dell’esagerazione in queste parole, pure un fondo di vero vi è. Del sapere nel secolo XIII si fa cenno anche nella Parte III di questo scritto. È dunque tutta una fioritura di scienze, lettere ed arti in questo glorioso periodo. Il secolo XIII era ben preparato, specialmente in Italia, per darci nel XIV: Dante, Petrarca, Boccaccio ; la grande triade della letteratura mondiale. È il secolo nel quale sorge la let- teratura italiana: “ Voi potete ritenere come cosa certa, serive Adolfo Bartoli (3), che non esiste sin qui nessun autentico documento letterario italiano anteriore al XII secolo ,. Questa variata coltura che andava sviluppandosi in tutti i rami del sapere ci dà ragione del perchè sia stato possibile, alla fine del XIII, il fiorire di una mente colossale quale era: Dante. Vissuto fra i due secoli (n. 1265, m. 1321) Egli ha utilizzato tutto l’immenso sapere degli antichi (per mezzo dell’umanesimo nascente) e degli arabi non solo, ma anche dei grandi uomini italiani, inglesi, tedeschi e francesi del secolo XIII. Qualche cosa di analogo avvenne tre secoli dopo, quando Galileo, sbocciato dal sapere dei secoli XIV a XV, ha potuto nel XVII scoprire le leggi fondamentali della scienza e creare il metodo sperimentale. “Il secolo XIII, afferma il Daunou, fu un grande secolo anche perla Francia, illustrato “sia dalle armi di Filippo Augusto, sia dal genio religioso di Saint Louis, sia per la politica “ di Filippo il Bello ; fu un secolo fecondo in tutto ,. Nella grandiosa opera: Histoire littér. de la France, il secolo XII occupa non meno di otto grossi volumi in-4°. « vantaggio alla scienza. E si dovè aspettare 80 anni per vedere in Bologna (repubblica allora poco d'accordo col papa) risorgere l’anatomia per opera di Mendino, e tre anni dopo (1308) in un’altra gloriosa repubblica, Venezia, il Maggior Consiglio ordinare che si facesse ogni anno la sezione di qualche cadavere umano ,. (De Renzi, La medicina in Italia ai tempi di Dante in Dante e il suo secolo, Firenze, 1865. p. 533). Pochi anni dopo la fondazione dell’Università di Napoli (1224), e precisamente nel 1228, fu fondato uno Studio importante nella nostra Vercelli. (1) Gerserr, Epist., n. 130, 44 citato in G. GresesrecHI, L'istruzione in Italia nei primi secoli del medio evo, Firenze, 1895. (2) Hist. des sc. nat. au moyen dige. Introd. pag. 9. (3) A. Barroni, Storia della Lett. ital., II (1879), p. 389. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 11 Ed ora veniamo dunque a discorrere di RuccrRro BACONE. Si è scritto più volte che: il celebre frate francescano inglese, Ruggero Bacone, fu il creatore, il fondatore od il rinnovatore del metodo sperimentale, fu il più grande uomo del Medio Evo, ecc. Frasi altosonanti, le quali furono pronunciate anche in elogio di altri uomini anteriori e posteriori all’età di Ruggero. Lo stesso parere si è, ad esempio, espresso riguardo a Francesco Bacone da Verulamio, vissuto quattro secoli dopo; così si è detto di Leonardo da Vinci. Ma, e allora che dovremmo dire di Galileo ? Già da lungo tempo io avevo raccolto un non lieve materiale storico intorno a Ruggero Bacone ed il suo tempo, nell’idea di stendere un’ampia biografia di questo uomo insigne, che fu cultore della chimica, o meglio dell’alchimiae del quale anzi si disse, essere il primo chimico del suo tempo. Ora desidero utilizzare una parte almeno di quel mio materiale storico ; tanto più volen- tieri che le storie della chimica e della fisica, per quanto nelle prime pagine non dimenti- chino quasi mai il nome di Ruggero Bacone, ne discorrono assai poco e talora in modo controverso. E credo utile il far ciò anche perchè in Italia si è scritto ben poco o nulla intorno a questo uomo dal sapere poliedrico, una vera enciclopedia del suo tempo. Sento il desiderio che anche nel nostro paese si scriva qualche cosa intorno all’opera scientifica di questo uomo, il quale rappresenta in Europa l'alba, l’aurora dello spirito moderno scientifico- filosofico. Dirò subito che con questo lavoro io non porto nessun contributo nuovo intorno a Rug- gero Bacone; nè di documenti nuovi, nè di manoscritti inediti. A quanto pare, eccetto che nella Vaticana, nulla si trova di inedito di Ruggero Bacone nelle nostre Biblioteche. Ad ogni modo, sia per il materiale che avevo raccolto, sia per certe idee mie che vi ho esposte, sia infine perchè questo è forse l’unico lavoro che si è fatto in Italia intorno a questo famoso alchimista, filosofo e fisico inglese, spero che la mia fatica non riesca total- mente inutile. Questo mio modesto scritto deve riguardarsi come un abbozzo, o meglio come una intro- duzione, ad un lavoro di maggior lena. In Inghilterra ed in Francia specialmente, si è scritto molto intorno a questo scienziato e filosofo tanto meritevole. In quest'anno si compie il settimo centenario della sua nascita ed è quasi doveroso che io in tale solenne ricorrenza pubblichi queste mie noterelle. Già nel tempo della mia fanciullezza udivo talvolta parlare di questo Bacone; ma, come se fosse un vero mago, una specie di demonio, e null’altro. Io chiamo questo mio lavoro un abbozzo perchè nessuno meglio di me può conoscere la debolezza delle mie forze e la deficienza dei mezzi per fare un lavoro completo e solido su questo vasto argomento. Come ho dichiarato, e lo ripeto, questa fatica fu intrapresa da me perchè in Italia manca ancora un bel lavoro su Ruggero Bacone. Il mio studio è un tenta- tivo e non più. Più sopra ho ricordato che anche recentemente si è affermato essere stato Ruggero Bacone il creatore od il fondatore del metodo sperimentale. Tra gli altri, anche il migliore biografo di Ruggero Bacone, Ém. Charles (1) scrive: “Mais ériger en méthode une pratique “ irrégulière, la signaler comme un des moyens de connaître, c'est, è proprement dire, “ l’inventer, et, sous ce rapport, le nom de fondateur de la méthode expérimentale revient # de tout droit è Bacon, plutòt qu'è son grand homonyme , (2). (1) Roger Bacon, sa vie, ses ouvrages, ses doctrines, Paris, 1861. (2) Anche i nostri dotti, non scienziati, affermano senz'altro che Bacone fu il fondatore del metodo spe- rimentale. In una delle opere di coltura generale quale è la Storia Universale di Cesare Canrù, già sino 12 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Si è giunti sino all’esagerazione di metterlo alla pari coi più grandi genî: “ Il est, “esclama Narbey, de la race des Kepler, des. Newton, des Galilée, pour la hardiesse de “ conceptions, et pour ce flair du génie qui lui faisait pressentir des lois mathématiques “ dans les phénomènes de la nature ,. Non vi è chi non veda in queste parole una enorme sproporzione di giudizio. Vedremo in questo lavoro quanto di vero, o di esagerato, vi sia in tali affermazioni; . su quest'uomo, un tempo quasi misterioso, leggendario, si è scritto molto, e in vari sensi, e anche a sproposito, secondo la scuola filosofica di chi lo prese in esame. Io ho la intima persuasione che alcuni di coloro i quali hanno scritto tanto facilmente di Ruggero Bacone, e specialmente in giornali letterari o filosofici, non abbiano letto, e meno ancora meditate le opere principali di questo uomo tanto singolare, e si siano limitati a fare la conoscenza de’ sunti biografici che trovansi nei comuni dizionari biografici, o di scienze filosofiche. Bacone ha conosciuto tutte le scienze del suo tempo, e di lui possono discorrere filosofi e non filosofi, chimici e non chimici, astronomi e non astronomi. Ruggero Bacone ha avuto nel suo secolo o nei due o tre secoli dopo, una reale influenza sul progredire della scienza e della civiltà ? Io penso di no. Come credo non l'abbiano avuta altri grandi ingegni di quel tempo, o se l'hanno avuta fu in senso contrario, di regresso. Bisogna distinguere quei genî che hanno avuto una influenza più o meno notevole sul progressivo sviluppo della scienza, da quelli che hanno avuto poca o quasi nessuna influenza; tra questi ultimi, in ordine di tempo, ricordo fra gli altri: Ruggero Bacone, Leonardo da Vinci, Lomonoscow. Per il loro sapere erano uomini, può dirsi, isolati; non erano compresi dai contemporanei, e le loro opere non erano conosciute e apprezzate. È giustizia il fare osservare essere stati Daunou, P. Leroux e A. Humboldt coloro che meglio degli altri, nella prima metà del secolo XIX, hanno fatto conoscere i grandi meriti di Ruggero Bacone e così dopo di loro gli storici, i filosofi, i geografi e gli scienziati in genere se ne occuparono di proposito. & non dimentichiamo il D" Samuele Jebb, il quale, ad invito di Riccardo Mead, medico della Corte inglese, pubblicò per la prima volta, per quanto incompleta, l’Opus majus nel 1733, cioè l’opera maggiore di Ruggero Bacone, che ha veramente servito a farlo conoscere bene. Indubbiamente Ruggero Bacone, specialmente come scienziato e filosofo, deve essere considerato come l’uomo più notevole del suo secolo; come la mente più ardita e preveg- gente di quel tempo. Non si può dire però che sia stato la più grande figura del medio evo, nè che sia stato il fondatore del metodo sperimentale; se ciò fosse vero, sarebbe merito eccelso. Humboldt (1) considera Bacone come “le plus grand homme du treizième siècle ,. Ed è vero. Ma nel Cosmos (2) poi allarga il giudizio e considera Bacone come la più grande dal 1838, ed anche nell’ultima edizione, 1887, t. V, p. 750 è scritto: “ Ma l’età nostra dee considerarlo pel vero “ fondatore del metodo sperimentale, sulla cui necessità insiste continuamente ,. E a suffragare questa asser- zione si cita il solito brano da altri ricordato: “ Scientia experimentalis a vulgo studentium penitus neglecta; “ duo tamen sunt modi cognoscendi, scilicet per argumentum et experientiam. Sine experientia nihil suffi- “ cienter sciri potest. Arsumentum concludit, sed non certificat neque removet dubitationem, ut quiescat “ amimus in intuitu veritatis, nisi eam inveniat via experientiae ,. (1) Examen crit. de Vhist. de la géogr. du nouv. Cont., 1836, I, p. 58. (2) Cosmos, II, p. 300. “ Roger Bacon, scrive Humboldt, contemporain d’Albert le Grand, peut ètre con- “ sideré comme l’apparition la plus importante du moyen fige, en ce sens que, plus que personne il a direc- “ tement contribué à agrandir les sciences naturelles, à les établir sur la base des mathématiques et à pro- “ voquer les phénomènes par les procédés de l’expérimentation. Ces deux kommes remplissent presque tout “ le XIII® siècle; mais Roger Bacon offre cela de particulier, d’avoir exercé, par la méthode qu'il a appliquée MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 13 apparizione del medio evo. Questo secondo parere dato dall’Humboldt è meno esatto del primo, perchè in una epoca nella quale ha vissuto DANTE non si può più dire che Ruggero Bacone fosse il più grande uomo del medio evo. Come pure non si può in coscienza dire che Ruggero Bacone abbia provoqué les phénomènes par les procédés de l’expérimentation. È vero invece che sia stato il primo e più grande libero pensatore del Medio Evo. Gabriel Naudé (1712) proclamava Bacone: il più eminente dei chimici, degli astronomi e de’ matematici del suo tempo; e sino ad un certo punto il giudizio è corretto ; un po’ esa- gerato. D’Alembert che non poteva conoscere, come scrive Picavet, se non l’Opus majus, collocava Bacone fra i genì superiori che sanno innalzarsi sopra il loro secolo e attingere le loro cognizioni nella loro sagacità e nello studio della natura. Picavet, in un recente articolo: Roger Bacon, La formation intellectuelle dun homme de génie au XITI® sigele (1), scrive: “ Toute sa vie, il a recommandé et pratiqué l’étude des “ sciences déjà cultivées en Occident au XII° siècle et de celles dont le XIII° y faisait l’ap- “ prentissage. Ce fut l’un des rénovateurs de la méthode expérimentale, l’un des hommes “ qui ont cherché è prolonger la vie humaine par des moyens tirés de l’observation et de “ l'expérience, l’un des ancétres de Képler en optique et de nos modernes physiciens pour “ la propagation de la force. Hauréau et Littré, Renan et Bridges en ont méme fait un “ positiviste avant Auguste Comte. C'est, en outre, l'homme le plus érudit de son temps, “ chez qui fleurissent presque toutes les idées de la Renaissance du XV® siècle: il étudie et “ veut qu'on étudie les langues étrangères, le grec, l’hébreu, le chaldéen et l’arabe. C'est “un des fondateurs de la science du langage, de la grammaire et de la philologie com- “ parée, etc. etc. ,. Ora, in mezzo a molto di vero, vi è anche qui della esagerazione. Altri, secondo me, con più evidente esagerazione, chiamano Ruggero Bacone: la plus vaste intelligence que Vl’ Angleterre ait possédée (2). Ma si dovrebbe aggiungere: nel medio evo. Quando un paese come l'Inghilterra ha avuto Shakespeare e Newton non si può dire che Ruggero Bacone sia stata la più grande intelligenza di quel paese. Dividerò questo mio lavoro in tre parti: nella prima darò un cenno della vita e dell’opera scientifica di Ruggero Bacone; nella seconda dirò di Ruggero come filosofo e fautore della esperimentazione e nella terza discorrerò del metodo sperimentale e di Galileo in relazione a Ruggero Bacone e suoi predecessori, o cosidetti precursori. “a l’étude de la nature, une influence plus utile et plus durable que celle mème qu'on a, avec plus ou “ moins de raison, attribuée à ses découvertes. Apòtre de la liberté de penser, il attaqua la foi aveugle è “ l’autorité de l’école, ecc. ,. (1) “ Revue des deux Mondes ,, 1914 (VI), t. 21, p. 643. Da questo lungo articolo recente del Picavet molti hanno tolto quasi tutto il materiale per discorrere di Ruggero Bacone, nei giornali letterari. (2) L. Freurer, De V’alchimie, p. 82. 14 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO PARTE PRIMA Ruggero Bacone, sua vita e sua opera scientifica. 1. — Sulla vita di Ruggero Bacone. Ricorderò ora, in brevi tratti, la vita di Ruggero Bacone (1), la quale purtroppo fu molto agitata. Nacque nel 1214 vicino a Ilchester nella contea di Somerset, da famiglia nobile e ricca; egli stesso discorre della propria famiglia nell’Opus tertium. Un suo fratello, che visse insieme alla madre, prese parte per il re alle guerre contro i signori ed il popolo e fu poi esiliato e spogliato degli averi. Ruggero, destinato, secondo i costumi del tempo, allo stato ecclesiastico, studiò in Oxford e là strinse amicizia con giovani di grande valore quali Richard Fitzacre, Adam Marsh, e specialmente con Robert Greathead (Grossa Testa), che divenne poi vescovo di Lincoln e sino alla morte rimase amico e protettore di Ruggero. Furono suoi maestriin Inghilterra: Edmund Rich, Robert Bacon, Hugues e Richard Fitzacre. Verso il 1234 andò a studiare in Francia ed a Parigi (2) ottenne il titolo di dottore. A Parigi passò gran parte del suo tempo in un solitario laboratorio ove fondeva metalli, studiava i diversi corpi, preparò la polvere, inventò istrumenti; in questo tempo coltivava l’alchimia, le matematiche, l'ottica e la medicina e contemporaneamente studiava l'ebraico, il greco, l’arabo ed il caldeo. Distinto suo maestro in matematica fu Pierre de Maricourt detto il Piccardo (83). Consigliato dal suo amico Grossa Testa, entrò nell’ordine religioso di S. Francesco (4) a Oxford. Per lungo tempo soggiornò a Parigi, ove i francescani, che si chiamavano Cordelieri, avevano un convento fondato da S. Luigi, vicino al luogo ove poi fu fondata la Scuola di Medicina. Si dedicò con ardore allo studio delle lingue; non solamente ne raccomandò poi (1) Roger Bacon è anche conosciuto coi nomi di Rogerius o Rogerus Baconus, Roger Anglicus, R. Baco, R. Bacco, R. Bacho, R. Bachonus, Doctor mirabilis e Doctor admirabilis. (2) Taluni scrittori francesi considerano Bacone anche come francese perchè ha studiato a Parigi, abitò in Francia per molti anni e vi subì anche la prigionia. Il Cousin fu forse il primo a voler considerare Ruggero Bacone anche come francese, e nel 1848 scriveva: ©“... si par sa naissance Roger Bacon appartient àè l’Angleterre, c'est en France et à Paris qu'il acheva ses études, prît le bonnet de docteur, enseigna, fit ses expériences et ses découvertes, et à deux reprises © différentes, fut condamné è une reclusion plus ou moins dure par le général de son ordre, Jéròme d’Ascoli, “ dans ce fameux couvent des franciscains ou des cordeliers qui occupait le terrain de notre école actuelle “de médicine ,. D'un ouvrage inédit de Roger Bacon, récemment trouvé dans la bibliothèque de Douai. © Journ. des Savants ,, 1848, p. 129. (3) Riguardo le relazioni col suo maestro Pierre de Maricourt si vegga un lavoro di Prcaver: Nos vieux maîtres. Pierre de Maricourt, le Picard, et son influence sur Roger Bacon, in “ Revue internationale de l’En- seignement ,, 1907, t. LIV, p. 289 (V. p. 47 di questo lavoro). (4) San Francesco d'Assisi, n. 1182 e m. 1226, fondò nel 1208 l'Ordine dei Minori o dei Fratelli o Frati Minori, che furono poi detti Francescani. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 15 / lo studio, ma egli stesso conosceva molte lingue : l'inglese, la francese, la greca, la latina, l’araba, l’ebraica. Verso il 1250 torna ad Oxford e vi passa alcuni anni tranquillo in mezzo agli studi. Insegnò a Oxford ed a Parigi, faceva delle conferenze e promuoveva delle discussioni sulle principali questioni. Insieme all'insegnamento orale univa quello scritto e fra i suoi scritti didattici si ricordano i Commentari della fisica e metafisica, il Trattato de’ vegetali, il Segreto dei Segreti. Egli primo insegnò l’ottica. Ma in seguito, causa le sue idee filosofiche rivolu- zionarie, la gelosia e l'invidia de’ suoi confratelli, ed il suo zelo per la riforma dell’insegna- mento, ebbe contrari anche i suoi superiori, il principale de’ quali, Jean de Fidanza, che l’ob- bligò, verso il 1255-1256, a lasciare Oxford e a stare confinato o in prigione nel convento de’ Minori a Parigi. I suoi confratelli si immaginavano fosse un mago, uno stregone, ed invece di accettare i suoi consigli ed insegnamenti, lo fecero imprigionare. Fu il vero martire del- l'ignoranza. La prigionia durò dieci anni, ed egli stesso ne ha lasciato una dolorosa descri- zione. A lui erano proibiti i libri, lo si fece digiunare a pane ed acqua, ecc., ecc. Per mezzo de’ suoi amici, Guy de Foulques, arcivescovo, poi cardinale e legato del papa in Inghilterra, si interessò alla sua sorte, ma invece si raddoppiò nel rigore. Bacone sembrava relegato alla prigionia per sempre, quando Guy de Foulques divenne papa Clemente IV. Questo papa ebbe il coraggio e la buona idea di scrivere direttamente al prigioniero una lettera colla quale gli si permetteva di studiare; anzi, gli si ordinava di comporre un’opera che raccogliesse le sue idee e poi inviargliela. Ma l'odio dei confratelli non ebbe limiti; non gli fornirono i libri necessari, e nemmeno la carta per scrivere. In mezzo alle più crudeli diffi- coltà e con un po’ di denaro che ebbe dal fratello e da amici, riuscì a provvedersi il neces- sario e nel 1267 l’Opus majus era pronta e inviata al papa per mezzo di un suo amico (1). Ma essendo il viaggio lungo e nel dubbio che il papa non ricevesse l’Opus majus, la fece seguire da due altre opere notevoli: l’Opus minus e l’Opus tertium. Allora il papa, valendosi della sua autorità, ordinò la liberazione di Ruggero Bacone. Ritornò in Oxford, ma poco tempo dopo morì il suo protettore Clemente IV. Fu, come dissi, per invito del pontefice Clemente IV, con lettera 10 luglio 1266 (2), che Ruggero Bacone riunì in un’opera sola tutto quanto aveva di più importante fatto sino allora. “ Mais, scrive il Cousin, comme les routes qui conduisaient è Rome étaient pleines “ de perils, comme aussi l’écrit destiné à Clément était volumineux et difficile è entendre, “ Roger Bacon prit le parti d’en faire un double un abrégé qui pùt mieux parvenir è son (1) Nella lettera al Papa Clemente IV, nell’Opus tertium, verso il 1266 egli scriveva: © Multum laboravi “ in scientiis et linguis et posui jam quadraginta annos postquam didici primum alphabetum et fui semper “ studiosus et praeter duos annos de istis quadraginta fui semper in studiis... , (Opus tertium, cap. XX). (Io ho lavorato molto intorno alle scienze ed alle lingue, mi vi sono applicato per quarant’anni dacchè ho appreso l’alfabeto; durante questo tempo io ho sempre studiato, eccetto che per due anni). (2) Quella lettera del buon Papa merita di essere conosciuta: “ Noi abbiamo ricevuto con piacere la lettera di Vostra Pietà e abbiamo volentieri tenuto conto delle “ spiegazioni che ci ha dato a viva voce con tanta fedeltà e prudenza il nostro caro figlio il cavaliere Bonecor. € Per meglio conoscere quale sia il vostro pensiero noi vi invitiamo e vi ordiniamo con rescritto apostolico © di inviarci al più presto la vostra opera, malgrado gli ordini contrari di qualunque prelato, e malgrado “ tutte le costituzioni del vostro ordine, che potrebbero opporvisi. Noi altra volta vi abbiamo pregato di comu- € nicare i vostri lavori al nostro caro figlio Raymond de Laon, allorquando noi eravamo meno elevati in di- € gnità. Noi vogliamo averla ben scritta e voi ci farete conoscere con una lettera i mezzi che vi sembrano “ più a proposito d’impiegare per scongiurare i pericoli che voi credete vi minacciano. Fate al più presto “ possibile, ma tenete un profondo segreto. “ Data a Viterbo il X delle Calende, anno HI del nostro Pontificato. Cremente IV ,. 16 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “ adresse et éclaircir les obscurités que pouvait renfermer le premier ouvrage: voilà pourquoi “ celui-ci a été appelé Opus majus et le second Opus minus ,. “ Les ennemis, scrive Daunoa, n’ont manqué à la philosophie en aucun siècle: au XIII, “ avant que Roger Bacon parùt, ils avaient réprouvé la doctrine d’Aristote sans la comprendre, “ condamné les livres d’Amaury de Chartres sans les lire, flétri sa mémoire, brùlés ses disciples. “ Rechercher librement la vérité et la dire avec franchise, était une entreprise téméraire en “ tout lieu, trop périlleuse au fond d'un cloître, surtout chez des Franciscains. Que faisait « parmi eux un homme de génie, impatient d’acquérir des lumières et de les repandre ? Il ne “ tarda point è s'apercevoir de l’ignorance des moines, des abus introduits dans leurs couvents, «“ des désordres qui affligeaient l’Eglise entière. Il congut et proposa des projets de réforme; “ il osa les adresser au souverain pontife. C’en était plus qu'il ne fallait pour l’exposer è “ d'implacables haines au dedans et au dehors des monastères de son ordre , (1). Dopo alcuni anni, vista, secondo i suoi confratelli, l'aggravante della recidiva, fu deciso di sottoporre a processo Ruggero e l’amico suo Giovanni Oliva; il tribunale sarebbe stato composto dall’ordine intero. Il successore di S. Bonaventura, capo dell’ordine, Gerolamo d’Ascoli, mente ristretta e cattiva, convocò il consiglio generale dell'ordine a Parigi per giudicare i due amici reprobi. L’uno e l’altro furono condannati alla prigionia. Bacone rimase in prigione 14 anni, in un convento, non si sa bene se in Inghilterra o in Francia (2). Gerolamo d’Ascoli fu nominato papa col nome di Nicolò IV, ma morì quasi subito nel 1292. Allora Raymond Gemfredi convocò a Parigi il gran capitolo dell’ordine dei francescani per riparare alla severità della condanna del 1278 e tanto l’Oliva quanto Bacone furono liberati. Bacone lavorò ancora, incominciò un’altra grande opera, ma che non terminò. Egli morì il giorno 11 giugno 1294, cioè due anni dopo la liberazione. Nel secolo XVIII vi era ancora in un sobborgo di Oxford, sulla riva del fiume, una torre che si lasciava visitare ai forestieri come luogo che aveva servito per lo studio e le osservazioni di Ruggero Bacone e si chiamava friar Bacon's study. Secondo la tradizione là osservava il cielo e faceva, insieme al suo amico Thomas Bungey, le esperienze di alchimia. Si racconta che non si passava sotto la volta di quella torre se non con timore, perchè, secondo una profezia, questa torre doveva crollare quando un più grand’uomo di Bacone vi passasse sotto (Saisset). Dalle ricerche di V. Cousin e di Ém. Charles, risulta provato che Ruggero Bacone subì la prigionia in due epoche diverse; la prima dal 1257 al 1267, quando era generale de’ francescani San Bonaventura, l’altra, più crudele e più lunga, dal 1278 al 1292, quando era generale Gerolamo d’Ascoli. Wadding, che fu Jo storico dell'ordine di S. Francesco, non parla quasi di queste prigionie (3). (1) Daunou in Hist. littér. de la France, vol. XX, p. 280. (2) In questi quattordici anni si successero quattro papi: Niccolò III, Martino IV, Onorio IV e Niccolò IV. Ruggero Bacone sino al 1292 non scrisse più un rigo. (3) Sembra però che durante la prima prigionia nel convento di S. Romano si lasciassero a lui dispo- nibili le somme che gli erano necessarie per acquistare dei libri rari, dei manoscritti, e anche per le sue esperienze; sì permetteva che in proposito avesse danaro dai parenti, dai suoi amici e anche da altri prelati che lo proteggevano; vi fu però un periodo di tempo in cui anche suo fratello non poteva più mandargli da- naro (Narbey). Altri negano che potesse avere tutti questi vantaggi. Molti punti della vita privata e di pri- gionia di Ruggero sono ancora oscuri e contradditorî. Allora i libri erano assai costosi; si scrivevano tutti o quasi tutti su pergamena. È vero però che la carta di cotone o stracci ossia di cellulosa, portata in Europa dagli Arabi, era già nota in Ispagna nel IX secolo, e nel secolo XIII si conosceva bene in Italia e probabilmente anche in Inghilterra. In Sicilia era molto diffusa e Federico II prescrisse che per gli atti pubblici si usasse sempre la pergamena come più resi- stente. Le fabbriche di carta di Fabriano furono fondate verso la metà del XIII e gli operai o maestri dif- fusero poi questa industria in altre provincie d’Italia. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 17 Dai Riformisti si gettarono al vento le ceneri di Ruggero Bacone verso il 1539; eppure egli può essere considerato, come Dante, quasi un precursore della Riforma. L'Ozanam nel 1847 riguardo a Ruggero Bacone scriveva (1): “ Plus tard, et è l'époque de la Reéforme, ses manuscrits furent brùlés dans l’incendie “ d'un couvent de son ordre, par des hommes qui prétendaient rallumer le flambeau de la “ raison éteint par les moines du moyen àge ,. Ma nel 1860 l'Inghilterra innalzò un monu- mento a Ruggero Bacone. L'odio de’ suoi confratelli e degli altri ordini religiosi lo perseguitò anche dopo la morte. Le sue opere, proibite, furono disperse e anche distrutte; esse furono condannate come con- tenenti delle novità dannose e sospette. Dei frammenti furono trovati qua e là nelle biblio- teche. La storia del come furono rintracciate e messe insieme le sue opere è molto lunga e non sta a me lo scriverla. I. Twine racconta che si vedevano i libri di R. Bacone attaccati con delle catene alle tavolette della biblioteca de’ Cordiglieri di Oxford e che altri furono intieramente rosi dai vermi (2). Oggi però ve ne è una raccolta abbastanza completa. Tanta era la dottrina di quest'uomo che fu sopranominato : Doctor Mirabilis (3). Nell'opera del Manet, Bibliotheca chemica curiosa, Ginevra, 1702, vol. II, p. 901 tro- vasi un elenco dei principali 160 alchimisti, fra i quali molti inglesi, il quale ha il titolo: “ Hortulus Hermeticus Flosculi Philosophorum cupro incisis conformatus et brevissimis versiculis explicatus, quo Chymiatriae pro Philotheca uti, fessique Laboratoriorum ministri recreari possint ,. Questo elenco fu composto da Daniel Stolcios di Stoleenberg medico e poeta boemo. Al nome di ogni alchimista corrisponde un medaglione inciso in rame con disegno allegorico e attorno un motto latino; sotto al medaglione sono due distici latini di nessun valore. Ecco il medaglione di Ruggero Bacone : Nessuno dei grandi filosofi-scolastici, o se si vuole anche na- turalisti, del secolo XIII, quali Alberto Magno, Duns-Scot, Vin- cenzo de Beauvais, conosceva a fondo la meccanica, la fisica e la geometria del tempo come Ruggero Bacone. Esaminò molti mano- scritti e ne fece venire un gran numero a sue spese; potè così rettificare molti errori riguardanti la filosofia. ROGERIVS BA. Ruggero era molto amico di un altro francescano, Thomas Bungey, il quale conosceva bene la matematica, ma anch'esso cornAuglus.Phelof era considerato, anche dai poeti di quel tempo, come un negro- Raga Boom mante, un mago. Eusèbe Salverte (4) colloca Alberto Magno, Anglus Philosophus. (1) Dante et la Philos. catholique au 13° siècle, Louvain, 1847, p. 26. (2) I. Twine, De Rebus Albionie, liv. IIX, p. 130, ap. S. Jebb Praef. ad Opus majus, p. ziij. Le CLerc in Hist. littér. de la France, vol. XX, p. 239; e Hoerer, Hist. de la chim., loc. cit. Questo racconto, dice Le Clerc, non è forse autentico come non l’è quello di un incendio che avrebbe distrutto molti manoscritti, ma dà un'idea della poca cura ch’ebbero i monaci dei manoscritti di Ruggero. Però della dispersione e della distruzione, almeno in parte, dei manoscritti di Bacone ne parla già I. Leland verso la metà del secolo XVI. (3) Questi sopranomi che usavansi nel medioevo di Doctor mirabilis o admirabilis a Ruggero Bacone, di D. illuminatus a Raimondo Lullo, D. subtilis a Jean Duns-Scot, D. angelicus od universalis a S. Tommaso d’Aquino, D. beatus a Egidio Colonna, D. divinus a Ruysbroek, D. doctorum ad Alessandro di Halès, D. evan- gelicus a Pierre d’Ailly, D. omnibus a Pietro Baldi o Ubaldis, D. seraphicus a S. Bonaventura e a S. Francesco d’Assisi, D. venerabilis a Guglielmo Ockam, D. solemnis ad Henri de Gand (Henricus Bonicollius), ecc., ece., io credo siano stati conferiti, almeno molte volte, non dall’ammirazione dei contemporanei, ma piuttosto dalle congreghe o sètte cui appartenevano come alchimisti, rosacroce, ecc. Molti di questi nomi costituiscono il Dictionnaire des noms, surnoms et pseudonymes latins de Vhistoire littéraire du moyen dige 1100-1530 di Frawn&xLIN, Paris, 1871. (4) Des Sciences Occultes ou Essai sur la magie, les prodiges et les miracles, Paris, 1856, 1 vol. in-8°, p. 170. N 18 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Trithème, il cordeliere Barthélemy, Robert Fludd, Roger Bacon ed altri fra le persone più versate nelle scienze occulte. “ Il est certain, scrive, qu'àè cette époque de ténèbres les “ savants se sont souvent transmis le depòt de leurs connaissances par l’intermédiaire de « sociétés secrètes, qui ont subsisté presque jusqu'à nous sous le nom de Rose-Croîz, ou sous “ d’autres noms également énigmatiques ,. Ruggero Bacone in tutta la sua vita fu un infelice. “ Il faut, scrive Hoefer, que ce «“ grand génie, ait été bien malheureux, pour qu'il ait pu, sur son lit de mort, laisser “ échapper cette plainte amère: Je me repens de m'étre donné tant de mal pour détruire « Dignorance! » (1). Si potrebbe dire giustamente col Narbey che Ruggero, per le sue idee nuove, le sue ricerche fisiche e le sue opere in genere, segna una linea di demarcazione tra il primo periodo del Medio Evo ed il secondo. Lo si confrontò con S. Tommaso che era una enciclopedia teologica, ma Ruggero Bacone va più in là, perchè era anche una enciclopedia scientifica nella più grande estensione della parola, ed era un filosofo originale con idee nuove sue. Opus majus. -- L’Opus majus fu pubblicata la prima volta a Londra nel 1733 da Samuel Jebb: Opus majus. Fratris Rogeri Bacon, ordinis minorum, ad COlementem quartum, ponteficem Romanum, ex ms. cod. Dubliniensi cum aliis quibusdam collato, nunc primum edidit S. Jebb, m. d. Londini, 1733, gr. in-folio. K nel 1750 se ne fece una edizione a Venezia (con un Prologus Galeatus del france- scano Della Vigna): Fratris Rogeri Bacon, ordinis minorum, Opus majus ad Clementem IV, pontificem maximum, primum a S. Jebb. m. d. Londini editum 1733, nune vero diligenter recusum. Venetiis, 1750, pet. in-fol. Ma queste edizioni sono incomplete. L’Opus majus completa (per quanto si è trovato sino ad ora) fu pubblicata solamente nel 1900, con commenti, introduzione e l’aggiunta di tutta la Pars septima, da John Henry Bridges (V. Bibliografia). Questa è l’opera più importante di Ruggero Bacone. Comprende le parti seguenti : Pars PRIMA: In qua excluduntur quatuor universales causae totius ignorantiae humanae, habens quatuor distintiones. Pars secunpA : De sapientia perfecta (connessione della filosofia colla teologia). Pars TERTIA : De utilitate grammaticae. Pars quarTA: De potestate mathematicae et mundo (in qua ostenditur potestas mathema- ticae in scientiis et rebus et occupationibus hujus mundi). Pars quINTA : De scientia Perspectiva (ottica). Pars sexTA: De scientia experimentali. Pars seprIMA : Moralis philosophia. Bridges ha fatto una eccellente analisi dei singoli capitoli dell'Opus majus e del Multi- plicatio specierum, ed a questo lavoro rimandiamo coloro che desiderano meglio conoscere questa opera di Bacone. Le parti IV, V e VI, ripetiamo, sono per la scienza le più importanti. L'Opus minus non fu mai pubblicata prima del 1859. Per soddisfare meglio ai desideri del papa, Roger Bacon fece una terza copia della sua opera, destinata a sostituire 1’ Opus majus e l’Opus minus. Questa terza opera è l’Opus tertium, che rappresenta l’ultima parola dell’autore, l’ultima e la migliore espressione del suo pensiero (Cousin). L'Opus tertium rimase inedita e solo si conosceva sino al 1848 quanto ne disse il Jebb nella prefazione dell'Opus majus. (1) Sulla vita di Ruggero Bacone si trovano interessanti notizie in Daunou e V. Le Cuero, art. Roger Bacon della Histoire littéraire de la France, vol. XX, pp. 227-252. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 19 Il Cousin nel 1848 diede un lungo estratto dell'Opus tertium, su un manoscritto trovato a Dowai: D'un ouvrage inédit de Roger Bacon, récemment trouvé dans la bibliothèque de Dvuai, in quattro articoli in Journal des Savants, 1848, pp. 129-138; 222-236; 290-307; 340-354. L'Opus tertium fu scritta tra il 1266 e il 1268, ma fu meditato e preparato il mate- riale fin dal 1246. Il lavorìo per l’Opus majus, l’Opus minus e l’Opus tertium fu fatto nei venti anni che corrono dal 1246 al 1266 circa; dopo che egli aveva acquistato tutte le cognizioni insegnate al suo tempo si fece un piano particolare di studio, scrive Cousin, e sì dedicò preferibilmente allo studio delle lingue, delle matematiche, della prospettiva (ottica), della chimica e della scienza sperimentale, per le quali dichiarava di aver speso più di 2000 lire (sterline). Egli non scrisse opere voluminosissime come S. Tommaso, come Alberto Magno in ispecie; ma si contentò di riassumere tutto il suo sapere in pochi volumi. Le sue opere principali: Opus majus, Opus minus e Opus tertium e le altre meno voluminose formerebbero forse un complesso di poco più che 6 a 8 volumi in-8°. Una edizione completa di tutte le opere di Ruggero Bacone non si conosce. Si stava preparando, ma non so se sia incominciata. In Bacone era grande l’onestà scientifica; quando egli discorre di una scienza “ se fait “ un devoir d’en raconter l’histoire et ce qu'il sait des hommes et des ouvrages. On trouve “ done chez lui, outre les philosophes, les noms d’un grand nombre de grammairiens, de tra- “ ducteurs, de physiciens, d’astronomes, de mathématiciens , (Charles, p. 327). Ruggero Bacone era un uomo onesto, disinteressato; abbiamo già visto ch’egli spese del proprio più di 2000 lire sterline per esperienze o per acquisto di libri e monoscritti ; la sua alchimia aveva unicamente uno scopo scientifico. Allora l'alchimia era in fondo la chimica araba, specialmente di Geber, ma non era ancora l’alchimia del truffatore o del- l’illuso, quale divenne per molti alchimisti nei secoli posteriori e specialmente nel XVI e XVII. Aveva per iscopo la trasformazione dei metalli, od il prolungamento della vita, ma senza l’avidità del danaro come avvenne poi in seguito. Già nei primi secoli dopo la sua morte si attribuivano a Ruggero Bacone più opere di quanto in realtà avesse egli composto; essendochè le copie de’ suoi seritti si dovevano diffondere quando ancora non vi era la stampa, ognuno di coloro che le pubblicavano dava sovente un titolo che credeva più opportuno; così si moltiplicarono le sue opere benchè fossero le stesse, ma con titoli diversi. E anche oggi non è ben accertato quali e quante precisamente siano le opere sue. 2. — Ruggero Bacone, la chimica o l'alchimia e la medicina. Ai tempi di Bacone non esisteva la chimica come scienza, nè come corpo di nozioni a sè; esisteva l'alchimia e una chimica pratica che potrebbe dirsi artistica o delle arti in genere e particolarmente delle arti decorative; erano nozioni di chimica applicata alla me- tallurgia, alle arti, ecc., tramandate o per tradizione o per mezzo di manuali o raccolta di ricette. Anche questa chimica quale trovasi esposta nel MS. di Lucca del secolo VIII, nel- PEraclius, nel Teofilo, ecc., non era forse ben conosciuta da Ruggero Bacone. Bisogna distin- guere l'alchimia da questa chimica pratica o chimica artistica che aveva una importanza grandissima. Contemporanei, o quasi, di Ruggero Bacone furono due alchimisti celebri anche come 20 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO medici: Raimondo Lullo (1) e Arnaldo da Villanova (2); ma indubbiamente nel complesso del sapere positivo e filosofico Ruggero Bacone era di molto superiore a Raimondo Lullo e ad Arnaldo da Villanova. Dumas (3) discorre molto superficialmente ed enfaticamente dell’opera scientifica di Rug- gero Bacone. Egli incomincia colle parole: “ A leur téte se place le magicien des auteurs “ dramatiques, Roger Bacon, cordelier anglais, le premier écrivain chimiste que nous avons eu “en Europe ,. E con queste parole alcuni hanno creduto che Ruggero fosse uno dei fondatori della chimica! Il Dumas, invece di scrivere di queste frasi abbaglianti, avrebbe dovuto sapere che prima di Ruggero Bacone erano esistiti dei cultori della chimica, non solo arabi, ma latini, italiani e tedeschi, i quali scrissero di chimica e di chimica pratica ben meglio che non Ruggero Bacone; avrebbe dovuto conoscere almeno (ora se ne conoscono di più) Isidoro di Siviglia, il Compositiones ad tingenda, ecc. del secolo VIII, la Mappae clavicula, il De coloribus et artibus Romanorum di Eraclius, il Diversarum artium schedula di Teofilo, ecc. Tutti autori del secolo VIII al XII. Il libro di Teofilo è il primo vero trattato di chimica. Si noti che l'opera di Teofilo era già pubblicata in bella edizione nel 1781 e che di Eraclius discorre già Emeric David nel 1812. E nel libro di Marcus Graecus del secolo X, pubblicato nel 1804, non si tratta di chimica e non vi è descritta la preparazione della polvere da cannone? Ad ogni modo anche l’opera chimica di Ruggero non è priva di interesse. Bacone incominciò ad occuparsi delle scienze quando era già in una certa età; egli stesso scriveva che: “ dopo aver lungo tempo lavorato allo studio de’ libri e delle lingue “sentì infine quanta era l'insufficienza del suo sapere e volle, tralasciando Aristotele, pene- “ trare più profondamente nei segreti della natura per farsi un'idea di ogni cosa a mezzo della “ propria esperienza , (Leroux). Il capitolo XIII dell'Opus tertium è consacrato alla chimica o meglio all’alchimia. Bacone proclama la chimica pratica la prima di tutte le scienze specialmente perchè può prolungare la vita umana oltre i limiti ordinari. Relativamente alla longevità egli scrive: “ Nous “ mourons, plus tòt, qu'il n’est nécessaire, faute d’un bon régime, et à cause du tempérament “ vicié que nous transmettent nos parents, aussi la vieillesse vient-elle plus vite, et la mort “devance le terme assigné par Dieu ,. La chimica pratica, egli dice, è il fondamento della medicina. Ed egli aveva ragione. Noi oggi sappiamo come il regime alimentare, tanto nel- l’uomo sano come nell’ammalato, abbia importanza grande. Distingue l’alchimia operativa dall’alchimia speculativa. Col nome di alchimia operativa intende la metallurgia e i processi idi pratica industriale, con quello di alchimia speculativa la trasmutazione dei metalli, la scoperta della pietra filosofale o l’elisir di lunga vita (elixir vitue). Afferma che Alberto (che fu poi detto i Grande) ignorava la chimica, che è il fondamento della filosofia naturale. Elogia nvece molto, come matematico e come chimico, Pierre de Maricourt. Questo accenno alla (1) Raimondo Lullo nacque a Majorca nel 1235. A questo celebre alchimista secondo Hoefer non sì do- vrebbe nessuna scoperta eccetto quella del nitro dolcificato o acido nitrico alcolizzato. Scrisse molti trattati d’alchimia e non sappiamo se proprio tutti gli appartengano. Pare che la sua opera principale ed autentica sia Ars magna et Ars brevis (Hoerer, Hist. de la chim., I, p. 427). HumsoLor nel suo Eramen crit. de Vhist. de la Géogr., vol. I, p. 7, scrive: © Sur les travaux scientifiques “de cet homme extraordinaire, voyez Capmavi, Memorias historicas del comercio de Barcelona ,, Quaest., II, p. 68. (2) Arnaldo da Villanova nacque verso il 1240 a Villanova (non sappiamo precisamente se in Italia o in Ispagna); abitò a Firenze, a Bologna, a Napoli, a Palermo e poi a Genova ove morì nel 1819. Celebre alchimista, al quale erroneamente si attribuisce la scoperta dell'alcol; l’alcol fu scoperto alcuni secoli prima ed era conosciuto col nome di acqua ardente (aqua ardens); Arnaldo da Villanova ha più importanza per la storia della medicina. Le sue opere furono stampate a Venezia nel 1532. (3) Zecons sur la philosophie chimique. Paris, 1837. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL, LXV, N. 4. 21 chimica trovasi nell’introduzione dell'Opus tertivm; Ruggero, a quanto pare, prometteva una teoria (?) completa che poi non fece conoscere. Nell’Opus maius non tratta della chi- mica. Il Cousin anzi, da ciò dedusse che l’Opus tertium, il cui manoscritto trovasi nella Biblioteca di Douai, era incompleto. Ed ora invero il Duhem ci ha fatto conoscere una parte inedita dell'Opus tertium (V. più avanti). Si sono a Lui attribuite in chimica delle scoperte, che probabilmente non ha mai fatto. Ricorda nelle sue opere molti minerali, lo zolfo, le pietre preziose, molti metalli, dei sali, delle materie coloranti inorganiche quali il minio; degli olî, ecc. Si è detto che egli ha trattato della composizione dei corpi animati, vegetali ed animali, i quali risulterebbero dagli stessi composti d'elementi e di numeri. Ma queste sono idee confuse che nulla hanno a che fare colle moderne idee di Boyle e di Lavoisier e che spesso trovansi in libri antichi. Ciò che è composizione dei corpi e dei veri elementi nel medio evo non se ne aveva idea. Egli parla di liquidi semplici e composti, che veramente non hanno senso moderno. Si è fatto dire a Bacone molto più di quanto egli volesse dire; ed io mi attengo al parere di H. Kopp, secondo il quale nè gli arabi dei secoli VIII a XI, nè gli alchimisti occi- dentali dei secoli XIII a XV,i quali hanno semplicemente adottato le idee degli arabi, non hanno formulato in termini precisi delle idee sulla composizione dei corpi (1). Ruggero Bacone descrisse un miscuglio esplosivo che certamente era la polvere nera da guerra. Nel suo libro: Epistola de Secretis operibus, ecc., scritto prima del 1249, descrive la raffinazione del salnitro. Noi possiamo, scrive Ruggero Bacone (2), col salnitro ed altre sostanze comporre artificialmente un fuoco suscettibile di essere lanciato a qualunque di- stanza. Si può anche imitare perfettamente la luce del lampo ed il rumore del tuono. Basta impiegare una piccolissima quantità di questa materia per produrre molta luce accompagnata da un orribile fracasso; questo mezzo permette di distruggere una città od un’armata. Per produrre i fenomeni del lampo e del tuono bisogna prendere del salnitro, dello solfo, e Lurw vopo vir can utriet. Queste parole cabalistiche indicano il carbone. È pressochè la stessa descrizione che fa nell’Opus majus. È vero che anche gli arabi conoscevano la miscela esplodente di nitro, solfo e carbone, e che Hassam AL RamwmaH nel 1290 conosceva la depurazione del salnitro mediante la cenere del legno, ma tutto ciò è posteriore di cinquanta anni allo seritto di Bacone. Ruggero Bacone studiò molto accuratamente le proprietà del salnitro (che si chiamava sal petrae o sal petrosum) e insegnò a purificarlo mediante cristallizzazione dall'acqua. Con questo sale puro preparò la polvere. Notò che il salnitro deflagra sui carboni incandescenti (8). La polvere da cannone era già stata preparata molti anni prima da Marcus Graecus, ma pare che Bacone non conoscesse questo autore. Marcus Graecus viveva nel IX o nel X secolo e il suo libro: Liber ignium ad comburendos hostes era conosciuto nei secoli XIII e XIV, ma fu pubblicato la prima volta integralmente da La Porte du Theil nel 1804 (3). Il colonnello Hrwe (4) nel suo libro: Polveri da schioppo e munizioni (U. W. Hime, Gund- (1) H. Kopp, La chimie d’autrefois et celle d’aujourd’hui, 1867. La descrizione della fabbricazione della polvere e della sua composizione si trova nell’Epistola de secretis operibus et de nullitate magiae (in Mancer, Bibliot. chem. curiosa, 1702, vol. II, p. 624; Caput XI: De eodem tamen alio modo). (2) Sulla combustione del carbone col nitro, nel Breve breviarium de Dono Dei di Ruecero Bacone è detto : “ Talis natura est (sal nitrum) quod si immediate ignitos carbones tangat, statim accensum impetu “ evolat , (V. Roscor e ScHorcemmer, A Treatise on Chemistry, 1913, vol. II, p. 348). (3) V. Guarescni, Vannoccio Biringucci e la chimica tecnica. Torino, 1904, p. 445. (4) In Taoxee, Storia della chimica. Trad. ital. di R. Pitoni. Torino, 1911, p. 55. 22 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO power and ammunition, 1904) ha dato la spiegazione dell’anagramma di Bacone: Luru vopo vir can utriet. Le proporzioni dei tre componenti sarebbero : 7 parti di salnitro, 3 parti di legno giovane di nocciuolo e 5 parti di solfo (1). Ruggero Bacone descrisse i terribili effetti della polvere a base di nitro nell’Opus majus, e a pag. 474 scrive: “ Experimentum hujus “ rei capimus ex ludicro puerili, quod fit in multis mundi partibus: scilicet ut instrumento “ facto ad quantitatem pollicis humani ex violentia illius salis, qui sal petrae vocatur, tam “ horribilis sonus nascitur in ruptura tam modicae rei, scilicet modici purgameni, quod fortis “ tonitrui sentiatur excedere rugitum, et corruscationom maximam sui luminis jubar “ excedit ,. È la descrizione precisa dello scoppio di una cartuccia. E ciò 113 anni prima del leggendario monaco Bertoldo Schwarz. Può essere che anche gli arabi conoscessero già la polvere da guerra, ma è certo che Bacone ne ha fatto conoscere bene la composizione e le proprietà. Per la parte che ha avuto Ruggero Bacone nella scoperta della polvere da cannone sì veggano anche gli studi di Ed. O. v. Lippmann (2) e quelli di Guttmann (3). Lo Speculum secretorum (Le miroir des secrets) è un riassunto di alchimia, nel quale però trovansi alcune idee buone sulla pretesa trasmutazione dei metalli. Ecco come lo traduce l’ Hoefer : i “ Vouloir transformer une espèce en une autre, faire de l’argent avec du plomb, ou de “ l’or avec du cuivre, c'est aussi absurde que de prétendre créer quelque chose avec rien. “ Jamais les vrais alchimistes n’ont eu cette prétention. De quoi s'agit-il au fond ? Il s’agit “ de retirer d’abord, par le moyen de l’art, d’un minerai terreux et brut un corps métal- “ lique brillant, comme le plomb, l’étain, le cuivre, etc. Mais ce n'est là qu'un premier degré “ de perfection, auquel le travail du chimiste ne doit pas s’arréter ; car il faut encore chercher “ quelque moyen d’amener les autres métaux, qui existent toujours altérés au sein de la “ terre, au type le plus parfait, parce que la nature en a achevé le travail. Il faut done “ imiter la nature. Mais ici se présente une grave difficulté: la nature ne compte pas les “ siècles qu'elle emploie è son travail, tandis qu’une heure peut étre le terme de la vie “ d'un homme. Il est donc important de trouver un moyen qui permette de faire en peu “ de temps ce que la nature fait dans un intervalle beaucoup plus long. C'est ce moyen “ que les alchimistes appellent indifféeremment elizir, pierre philosophale, ete. ,. Bacone non nega la trasmutazione dei metalli: “ È impossibile, egli dice, creare degli “ alberi perchè i vegetali si compongono di elementi più eterogenei, ma non è lo stesso dei “ metalli che tutti sono di natura omogenea. Ma la prima condizione per fare dei metalli è “ di ridurli prima nei loro elementi , (in HoEFER, loc. cit., p. 399). Nel Breve breviarium de dono Dei discorre della composizione dei metalli, come gli altri alchimisti del suo tempo, e così scrive (HoErER, I, p. 399): “ Lo solfo, il mercurio e l’arsenico sono i principali spiriti che entrano nella composi- “ zione dei metalli. Lo solfo è il principio attivo, il mercurio il principio passivo; l’arsenico è “ l'intermediario che prepara la loro combinazione ,. Descrive poi la preparazione dell’arse- nico bianco (oggi detto anidride arseniosa): “ L’arsenico bianco si ottiene sublimando l’orpimento con la limatura di ferro. Esso è “ bianco, trasparente come il cristallo ,. È in questa operetta che accenna anche al fatto che il nitro deflagra sui carboni. (1) In Torp, Storia della chimica. Trad. di R. Pitoni. Torino, 1911. (2) Epxunp 0. V. Lippwann, Abhandlungen und Vortrige 2. Geschichte d. Naturwissenschaften. Leipzig, 1906, 1 vol. in-8°. (3) Monumenta Pulveris Pyrii. Londra, 1906. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 23 Nell'opera: Sanioris medicinae magistrì D. Rogeri Baconis angli de arte chymicae scripta, cui accesserunt opuscula alia ejusdem authoris, 1603, in-12°, e ristampata in Thesaurus chemicus, Francoforti, 1620, in-32°, sono riuniti sei piccoli trattati, alcuni dei quali è dubbio siano di Bacone. Vi è il Libro delle sei scienze, che forse è il Compendium philosophiae che è nel- l’Opus tertium; vi è il Breve breviarium fratris Rogeri Baconi de dono Dei, diviso in due parti; un terzo è attribuito a Raymond Gaufredì, che l'avrebbe scritto, dettato da Bacone stesso quando era prigioniero. Vi è il Tractatus trium verborum, il quale contiene qualche osserva- zione interessante riguardo la distillazione secca; Ruggero dice che quando si distilla una sostanza (organica), oltre all’acqua, nel recipiente si trova anche dell’aria. Non dice se que- st'aria era infiammabile. Io non so come il Narbey possa affermare che in un trattato d’alchimia di Ruggero si contengano in embrione delle nozioni di chimica moderna. E fonda questa asserzione su un libro di Bacone: Roger BacHonIs De alchemia &bellus, in “ Theatrum chimicum ,, t. II, Argentorati, 1613, in-12°, ove accenna alla composizione dei metalli: di solfo e mercurio, e che a seconda delle proporzioni, darebbero argento, rame, oro, ecc. Ma a dir vero, nessun chimico moderno ha mai trovato che questa ed altre opere di Ruggero sull’alchimia contenessero delle idee buone corrispondenti alle idee attuali. Su per giù dice le cose che tutti gli altri alchimisti, compreso Alberto il Grande, dicevano. L’idea che i metalli constino di mercurio e solfo, o mercurio, solfo e sale, come si ammise dopo, è antica e risale a Geber, almeno. Idea, che non ha nessun senso moderno. Bisogna arrivare a Boyle per trovare delle idee buone sulla composizione dei corpi. Il Libellus de alchimia è lo stesso che Speculum alchemiae, Norimberg, 1614; fu tradotto in francese da Jacques Girard de Tournus col titolo Miroir d’alchimie, Lion, 1557, in-17° e Paris, 1612 e 1627. L’edizione che ho sotto gli occhi io ora è quella di Lyon, 1557; sono 33 piccole pagine. Questo Miroir d’alchimie è poco importante; la sua origine è sospetta e il Charles dice senz'altro che è un abregé insignifiant. Ed ha ragione. Io ho fatto un attento esame ed un confronto tra il Miroir d’alchimie di Ruggero Bacone, ediz. Lyon, 1557 e Le miroir de Maistre Jean de Mehun ed ho trovato che sono identici, eccetto in questo, che nel Miroîr di Mehun manca un breve capitolo. Ed invero il Charles dice (p. 56) che lo Speculum alchimiae spesso stampato dal' 1541 al 1702 nelle biblioteche e repertori d’al- chimia va anche sotto il falso titolo: Miroir de Maistre Jean de Mehun. Lo Speculum alchimiae ed il De secretis operibus, ece., sono pubblicati dal Manget nella sua Bibliotheca chemica curiosa, 1702, vol. I. Secondo Hoefer nello Speculum alchimiae vi sarebbero alcune osservazioni interessanti, fra le quali questa che: “ l’aria è l'alimento del fuoco ,. Ma ciò era saputo anche dagli antichi. Che l’aria sia l'alimento del fuoco è da lui ripetuto nell’Alchimia major ove dice anche, secondo Hoefer: “ Quando si accende una lampada ad olio e che si metta dentro un vaso, “ si vede che poco dopo si spegne. Perchè ? Perchè manca l’aria ,. Ma la vera natura del- l’aria non è nemmeno sospettata, nè si considerava allora come corpo materiale. Meglio poi lo ripeterà Leonardo. Pare che Bacone, sempre secondo Hoefer, avesse csservato un'altra aria, contraria invece al fuoco come l’acqua. Se fosse l'acido carbonico o l'azoto non sappiamo. Non possiamo se non fare delle supposizioni che in questo caso sono, come suol dirsi, cam- pate in aria, ed inutili. Nella copia dell’opera di Ruggero che ho avuto sotto gli occhi, io non ho trovato quanto afferma l’Hoefer. Come già scrissi, si è fatto dire, spesso, a Bacone ciò che egli veramente non ha mai detto. Per quanto spesso il linguaggio chimico di Ruggero sia alchimistico, egli però conosceva quelle operazioni che poi sono rimaste anche modernamente, in ispecie nella chimica detta docimastica. Nel senso alchimico, scrive Berthelot, le chiavi dell’arte secondo Bacone sunt igitur: congelatio, resolutio, inceratio, proportio; sed alio modo, purificatio, distillatio, 24 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO separatio, calcinatio et firio. Vale a dire “ les clefs de l’art sont la solidification, la réso- “ lution (à l’état liquide ou dissous), le ramollissement, l’emploi des proportions conve- “ nables (dans les matières, ou dans les agents, tels que le feu); ou d’une autre fagon, la “ purification, la distillation (par évaporation ou filtration, d’après l’ancien sens de ce mot: «“ couler goutte è goutte), la séparation, la calcination et la fixation (des métaux fusibles “ou volatils, ramenés à l’état solide et résistant au feu) , (1). Alcuni storici della chimica attribuiscono a Ruggero la scoperta del fosforo, del man- ganese, del bismuto e delle proprietà dell’antimonio. Questo non è; avrà forse conosciuto qualche pietra fosforica, avrà conosciuto il minerale di manganese che si chiamava magnesia nera, poi si disse pirolusite. Ma non di più. Io non ho trovato traccia di queste scoperte negli scritti di Bacone. Charles stesso (loc. cit., p. 287 e 298) scrive: “ Pour trouver une “ mention du phosphore, du bismuth, ou de manganese dans ses ceuvres, il faut une perspi- “ cacité qui n’est pas donné à tout le monde ,. Nessuna traccia vi si trova della scoperta della bussola. Fra gli altri il Gerding (2) ammette che Ruggero conoscesse non solo la polvere da cannone, ma anche il bismuto e che il braunstein 0 minerale di manganese contenesse un metallo sconosciuto ecc. Ma veramente non si capisce bene in quale parte delle opere di Bacone siano queste osservazioni. Il Gerding cita molte opere chimiche di Bacone: Opus majus; Medulla alchemiae; De arte chemiae; Breviarium alchemiae; Documenta alchemiae ; De alchemistorum artibus; De secretis; De rebus metallicis; De potestate artis naturae; Speculum alchemiae o Libellus de alchemiae; poi Epistola de secretis operibus artis et naturae et nullitate magiae; De secretis alchemiae majoris, ecc. Come si scorge, molto probabilmente il Gerding confuse un’opera coll’altra e ne ammette di quelle che forse non sono di Bacone. Dunque le sue conclusioni non hanno valore. H. Kopp (3) nella sua classica Storia della chimica ricorda varie volte Ruggero Bacone e specialmente nel vol. I; esprime il dubbio che Bacone conoscesse il bismuto. Però non attribuisce a Bacone delle scoperte chimiche di grande importanza. H. Kopp tiene conto delle quattro opere seguenti di R. Bacone : Opus majus; Speculum alchemiae ; Epistola de secretis operibus artis et naturae, et nullitate magiae ; Breve breviarium de dono Dei. Della scoperta della polvere discorre nel vol. I, p. 226. Bacone conosceva come dissi vari sali e minerali, e nello Speculum alchimiae scriveva : omnia genera magnesarum (4) marchasitarum, tutiarum, atramentorum seu vitriolorum, aluminum, baurach, salium et aliorum multorum, ecc. In tutto questo nulla di straordinario; tutti questi sali, composti chimici, minerali ed altri erano conosciuti dai chimici arabi e specialmente da Geber (ben studiato da Ruggero) e da quei chimici-artisti pratici quali Eraclius, Teofilo e tanti altri dei secoli XI e XII, e già trovansi nel ms. di Lucca del secolo VIII come dirò nella Parte II di questo lavoro. Un'opera, molto rara ed interessante, di Ruggero Bacone e che riguarda la fisiologia e l'igiene, o meglio la chimica degli alimenti o bromatologica, è la seguente : (1) BerraELOr, Introduction à Vétude de la chimie des anciens et du moyen dge. Paris, 1889, p. 245. (2) Ta. GerpinG, Geschichte d. Chemie. 2% ed., 1869, p. 83. (3) Geschichte d. Chemie, 1843-47, 4 vol. in-8°. (4) H. Koep, loc. cit., vol. I, p. 840. Forse dal nome magresarum, qualcuno ha indotto che Ruggero cono- scesse il manganese. È anche probabile che conoscesse il minerale di manganese, la pirolusite, ma non certo il metallo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 25 Libellus Rogerii Baconi Angli, doctissimi mathematici et medici de retardandis senectutis accidentibus et de sensibus conservandi, Oxoniae, Anno 1590. Il Charles, che con grande dili- genza ha esaminato questo libro, dice di non averlo trovato che in Inghilterra. A. Parigi invece nella Biblioteca Nazionale esiste la traduzione inglese: The cure of old age, and preservation of youth. By the great mathematician and physician Roger Bacon, a franciscan frier, translated, ete., by Richard Brown, London, 1683. Inoltre un manoscritto di Oxford con- tiene questo trattato con una lunga dedica a un papa, che sembra Nicolò III. Il sommario del libro riprodotto dal Charles è il seguente: “ Il y traite: 1° des causes de la vieillesse “ et des moyens d’y résister; 2° des accidents de la vieillesse, des signes des lésions des “ sens, des causes qui peuvent servir ou blesser les sens, l’imagination et la mémoire ; 3° des “ aliments et des boissons quì peuvent restaurer les humeurs chaque jour évaporéges; 4° des “ moyens d’empécher cette évaporation; 5° des aliments qui hàtent les progrès de la vieil- “ lesse; 6° des moyens d’absorber les humeurs qui causent les accidents de la vieillesse ; “ 7° des moyens de réconforter la chaleur naturelle; 8° des moyens de réconforter les facultés “ et les sens et de raméner les forces; 9° des moyens de fortifier le corps et de faciliter “ les mouvements; 10° des moyens de conserver à la peau sa beauté juvenile, sa propreté “ et sa couleur, et d’éviter les rides; 11° de l’utilité de cette lettre, du régime des vieillards, “ de la composition des médecines. L'ouvrage publié renferme seize chapitres ,. Di questo argomento che riguarda gli alimenti o bromatologia, e cura dietetica, Ruggero tratta anche nel De secretis operibus artis, ecc. (in Manerr, vol. I, p. 621) nel cap. VII: De retardatione accidentibus senectutis et de prolungatione vitae humanae; nel quale forse sono contenute le stesse cose accennate da Charles pel Libellus, ecc. Non ho potuto fare il con- fronto. Ruggero accenna pure a questo argomento nell’Opus fertium (v. più sopra). Si cita di Bacone un De arte chymica, Frankofurti, 1620, che io non ho potuto vedere e non so se sia la stessa opera che lo Speculum alchemiae. Sono molti i trattati, gli opuscoli, che erano conosciuti come appartenenti a Ruggero Bacone, ma che in realtà sono di altri autori. Erano a lui attribuiti perchè spesso trovati senza il nome dell’autore. To credo che anche alcune delle opere chimiche accennate dall’Horrer nella sua Histoire de la chimie, vol. II, e attribuite a Ruggero Bacone, in realtà siano di autori posteriori. Riguardo alle vedute intorno agli elementi Bacone accetta le idee di Aristotele: “ Ele- “ menta sunt quatuor, ignis, aqua, aer, terra, modi id est, proprietates sunt quatuor, calor, “ frigidas, siccitas et humiditas et yle (047) est res in qua non est color, nec frigidas, nec “ siccitas, nec humiditas et non est corpus. Et elementa sunt facta de yle; et unumquodque “ elementorum convertitur in naturam alterius elementa et omnis rés in quamlibet, ece. , (De arte chymiae, citato in Kopp, “ Beitrige ,, III, p. 93). Interessante per l’opera scientifica di Ruggero Bacone è la scoperta recentemente fatta da P. Duhem di una parte inedita dell'Opus tertium (1). Eccone il titolo : Liber tertius Alpetragii. In quo tractat de perspectiva : De comparatione scientie ad sapientiam: De motibus corporum celestium secundum Ptolomeum. De opinione Alpetragii contra opinionem Ptolomei et aliorum. De scientia experimentorum naturalium. De scientia morali. De articulis fidei; De alkimia. Questo titolo o sommario è esatto, ma come osserva il Duhem, il libro non è dell’astro- nomo arabo Al Bitragi (Alpetragius) ma bensì certamente di Ruggero Bacone (2). Questo nuovo frammento è affatto diverso da quello pubblicato nel 1859 dal Brewer. (1) Prerre Dunem, Un fragment inédit de VOpus tertium de Roger Bacon, précédé d'une étude sur ce frag- ment. Ad Claras Aquas (Quaracchi), 1901, 1 vol. in-8°, di 200 pag.). (2) P. Durex, C. R., 1908, t. 146, p. 157, e 1909, t. 149, p. 583. DO D ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Riguardano specialmente la chimica gli ultimi capitoli: De expositione enigmatum alkimie; De clavibus alkimie; Hic incipit magnus tractatus et nobilis : De rerum naturalium generatione: per quem tota philosophia naturalis quantum ad potestatem generationis rerum sciri potest cum illis que dicta sunt in alvis de efficiente, et de unitate materie. Sfortunatamente questo manoscritto è incompleto. Si vede che Ruggero ha discusso anche l’antica questione dell’unità della materia. Ma forse sono le stesse idee accennate nel De arte chymiae corrispondenti a quelle degli antichi. Il capitolo De clavibus enigmatum alkimie pare poco diverso da quello accennato dal Berthelot più sopra. “ Claves vero huius (qui ripete) artis vocantur operationes que sunt “ secundum precepta hujus scientiae. Et hec claves sunt: Putrefactio, distillatio, ablutio, “ contrictio, assatio, calcinatio, mortificatio, sublimatio, proportio, inceratio (incineratio), “ resolutio, congelatio, fixio, mundificatio, liquatio, projectio ,. Tutte operazioni alchimistiche già conosciute (1). Ecco alcune righe dell’altro capitolo: De expositione enigmatum alkimie: “ Dicunt igitur philosophi quod sunt corpora, et spiritus, et planete, et lapides, et multa. “ Corpora vero sunt ea que ab igne non fugiunt, nec evaporant in hummum, ut sunt “ metalla, et lapides proprie sumpti, et alia solida. “ Spiritus vero dicuntur que evolant ad igne, et argentum vivum, sulphur, sal ammo- “ niacum, et auri pigmentum, quod est arsenicus. “ Planete sunt metalla, secundum quod AviceNnA primo libro de anima, id est in scientia “ alkimie majori, dicit: “ Nam plumbum dicitur Saturnus; “ Stagnum (ossia stannum), Jupiter ; Ferrum, Mars; “ Aurum, Sol; “ Cuprum, Venus; Vivum argentum, Mercurius; Argentum, Luna ,. In seguito discorre ancora dei metalli, degli elementi secondo Aristotele; nulla di vera- mente nuovo. La parte che ha più interesse, di questo manoscritto dell'Opus terttum, è quella riguardante l’astronomia. In tutti i suoi scritti riguardanti l’alchimia Ruggero Bacone non nomina mai gli acidi minerali (acido marino o spirito di sale, spirito di salnitro, olio di vetriolo) e questo, secondo me, comprova l’opinione di Berthelot, che gli acidi minerali siano stati scoperti non dal vero Geber, ma dal pseudo Geber, dagli alchimisti dei secoli XIV e XV. Nel Thesaurus chemicus sono raccolti vari opuscoli attribuiti a Ruggero, quali: Verdum abbreviatum de viride Leone, Tractatus Trium Verborum (2), Alchimia major. Sulle opere incerte, K “ K (1) Io osservo che un brano analogo a questo trovasi già nel De secretis operibus artis, ecc. Cap. IX (in Mancern, loc. cit., II, p. 622): © Corpus vero calcinatur quando appodiatur, hoc est, ut humor in eo cur- “ rumpatur per salem, et sale ammoniaco, et aceto, quandoque rebus adurentibus, et cum Sulphure et arse- “ nico: quandoque cibantur corpora argento vivo, et sublimatur ab iis donec remaneant putris. Sunt igitur “ claves artis, congelatio, resolutio, inceratio (invece di incineratio), proportio. Sed alio modo purificatio, “ distillatio, separatio, calcinatio et fixio: et tum potes quiescere ,. In questo Caput IX (loc. cit., p. 628) nomina anche la Camphora. (2) In questa opera sono i capitoli: De ponderibus, de modo miscendi, cec. Fu stampata nel 1603 e se ne sta facendo una nuova edizione. Vi sono MSS. nelle Biblioteche di Bologna e di Firenze. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXYV, N. 4. 27 relative all’alchimia, di Ruggero Bacone trovansi molte notizie nell’Hoerer, Histoire de 2a Chimie, ma che bisogna accogliere con benefizio di inventario. BorRrHAAVE ne’ suol: Elemens de chimie 1723, t. I, p. 20 teneva in grande considera- zione Ruggero Bacone e ricorda quasi tutte le opere di lui che trattano della chimica o alchimia. Dice che sì era reso famoso per la sua scienza in alchimia, in chimica, in magìa, in meccanica, in metafisica, in fisica e in matematica. Eppure sembra che anche Boerhaave non conoscesse l’Opus majus, Bisogna qui dire che intorno alle opere (opuscoli, trattati, ecc.) di Ruggero Bacone, che trattano della alchimia e della chimica, vi è ancora molta confusione. Bisognerebbe avere i mezzi per fare dei raffronti, poter vedere tutte queste opere, aleune delle quali rarissime, e poi riunirle in un’opera sola. È un lavoro che a me riesce impossibile di poter fare, e che auguro possa essere compiuto da qualche chimico il quale abbia i mezzi per poter consul- tare le opere ed i manoscritti esistenti specialmente nelle biblioteche di Francia e d’Inghil- terra. Non è improbabile che nel cenno che ho dato dei lavori chimici di Ruggero Bacone io sia caduto in qualche errore. Tutte le storie della chimica ricordano Ruggero Bacone e generalmente lo si con- sidera come alchimista; alcuni anzi lo riguardano come un mago, come uno dei campioni della magia. Di Ruggero Bacone parlano anche le storie della fisica e più ancora quelle della filosofia. Le parole del Dumas, la biografia scritta dal Jourdan in “ Biogr. médic. ,, quella di Suard nella “ Biogr. Univ. , e le notizie trovate nella Histoire de la chimie di Horrer, non bene interpretate, fecero scrivere a Charles che Ruggero Bacone fu uno dei fondatori della chimica: “ La chimie l’honore comme un de ses fondateurs ,. Errore grave, che può tramandarsi ad altri scrittori non competenti. Nessuna scoperta di Ruggero Bacone può nem- meno lontanamente porlo fra i fondatori della chimica. In tutto il resto Charles, pur non essendo chimico, mi pare abbia giudicato bene il Bacone anche sotto questo aspetto. Egli aveva le cognizioni chimiche del suo tempo, ma nessuna grande scoperta a lui si deve in questa parte del sapere, e trovo giusto il parere di Poggendorff quando dice: “ Dans “ les écrits chimiques Roger Bacon se montre disciple de Geber; il n’ajouta rien aux “ connaissances du maître. La seule chose qui soit digne d’attirer l’attention sur eux, c'est € qu'il y est question de la poudre à canon ,. Quale è dunque il reale contributo portato da Ruggero Bacone al progresso della chi- mica? Secondo me, è assai lieve. Ruggero Bacone ha molto più importanza per altre parti del sapere che non per la chimica. Geber e Ruggero Bacone. — Il chimico o alchimista GrBeR è stato, potrebbe dirsi, il primo scrittore metodico di chimica. È indubitato che Ruggero conosceva benissimo le opere di Geber che egli chiama il magister magistrorum. Per la chimica o alchimia Geber fu il maestro di Ruggero Bacone. Geber o Yeber o Djabar Al Konfi (1) era di origine greca, convertito all’islamismo. Visse verso la metà del secolo VIII e faceva vita contemplativa. Egli era uno sperimentatore vero ed a lui si debbono molte osservazioni e molti composti chimici importanti (2). (1) Il suo vero nome secondo alcuni sarebbe: Abu Musa Dschabir ben Hajjan ben Abdallah Al-Sufi AL Tarsufi De-Kufi (Lasswrrz). Il suo luogo di nascita era Tarso, il luogo doye abitava era Kufa, e da ciò 1 suoi soprannomi. (2) Geber scoprì il sublimato corrosivo o bicloruro di mercurio che otteneva sublimando una miscela di mercurio con vetriolo di ferro, allume e sal marino e salnitro. In seguito si preparò anche da altri chimici arabi quali Rhases e Avicenna, ma pressochè nello stesso modo di Geber. Quel metodo corrisponde al mo- derno di sublimare una miscela di solfato mercurico e cloruro di sodio. Geber scoprì l’ossido mercurico od ossido rosso di mercurio col riscaldare a lungo all’aria il mercurio: 28 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO L'idea che i metalli siano formati da solfo e mercurio non è di Ruggero Bacone, ma è molto più antica, non solo l’ammise Geber, ma anche degli alchimisti prima di lui. Per spiegare le loro operazioni gli alchimisti si servirono di due principii: il mercurius ed il sulfur; e ciò perchè nelle loro analisi essi non ottenevano gli elementi (i quattro elementi: aria, terra, acqua e fuoco) ma delle sostanze che si potevano classificare come un principio fluido ed uno più consistente quali sono appunto il mercurio e lo solfo, dalla cui combina- zione in rapporti diversi si sarebbero formati i metalli che sarebbero quindi corpi composti. Vi è già una idea diversa molto da quella di Aristotele dei quattro elementi o qualità della materia; qui si tratta veramente di componenti quantitativi e di sostanze che si possono separare. Però Geber ammise inoltre come terzo principio anche l’arserico. E vediamo infatti che nelle sue opere anche Ruggero Bacone discorre dell’arsenico (Vedi ad esempio nell’ Epi- stola fratris Rogerii Baconis de secretis operibus artis, ecc., in ManGeT “ Biblioth. chem. cu- riose ,, vol. I, p. 617). Geber rappresenta lo stato del più completo sviluppo della chimica presso gli arabi. Egli conosceva e metteva in pratica tutte le principali operazioni: fondere, sciogliere, filtrare, cristallizzare, distillare e sublimare, che poi troviamo anche in Ruggero Bacone. Come chimico, Geber, benchè sia vissuto quattro o cinque secoli prima, è superiore a Ruggero Bacone. Si può dire che la chimica o l'alchimia di quei tempi, da Geber a Bacone, non ha fatto nessun progresso, se si eccettui però quella chimica pratica che va dal MS. di Lucca a Eraclio, a Teofilo, a Cennino Cennini, ecc. la polvere rossa che si otteneva si denominava precipitato per se (mercurius precipitatus per se), metòdo questo che si usaya ancora ai tempi di Lavoisier, il quale, anzi, in questo modo dimostrò che il mercurio bollendo in presenza dell’aria assorbe l'ossigeno e dà l’ossido rosso. Conosceva il solfuro mercurico che otteneva combinando il mercurio collo zolfo. Distinse il vetriolo di ferro dall'allume; l’allume era denominato da lui alumen de rocca. Geber scrisse molto, ma ora si sa che non tutti i libri che nel Medio Evo si conoscevano col suo nome appartengono veramente a lui. In generale vi furouo fatte molte aggiunte dai suoi traduttori e commentatori latini. Questo è il caso ad esempio degli acidi minerali nitrico e solforico e del nitrato d’argento la cui scoperta si attribuisce a Geber, mentre ora si sa che questi composti prima del 1300 non erano conosciuti. Furono dei falsari latini dei secoli XIV e XV e precisamente della seconda metà del secolo XIII, i quali misero in principio delle loro opere il nome rispettato di Geber (BerrueLot). Questi acidi, secondo i testi arabi autentici, non erano conosciuti dagli arabi nè dai loro allievi latini del sec. XIV; furono distinti un poco più tardi, in Occidente, e la loro conoscenza esatta ebbe luogo a poco a poco solo nel secolo XV. Altra prova che Geber non conosceva gli acidi minerali si è che questi acidi non trovansi nominati nè ricordati in nessuno degli scrittori di chimica tecnica dal secolo VIII al XIV, quali sono: Compositiones ad tingenda, Diversarum artium schedula di Teofilo; Mansur, De arte illuminandi del XIV, Cennino Cennini, ecc. (Guareschi). (Si vegga il mio libro: Generalità sugli elementi e loro composti. Torino, 1906, p. 1044). Ed io osservo ora che anche Ruggero Bacone nelle sue opere di alchimia non nomina mai questi acidi; il che conferma quanto osservava il Berthelot, che anche Alberto Magno e Vincenzo de Beauvais, i quali conosce- vano Geber, non conoscevano gli acidi minerali. Geber però otteneva dei risultati analoghi a quelli che si avrebbero cogli acidi nitrico e solforico, perchè usava il salnitro (da cui l’acido nitrico), l’allume e il vetriolo (da cui l’acido solforico). Quindi si capisce che con un miscuglio di allume, vetriolo, salnitro e sal marino aveva gli stessi effetti che coll'acqua regia. Una breve ed interessante biografia di Geber scritta dal Berthelot trovasi nella Grande Encyclopédie. Intorno a Geber e a Ruggero Bacone si può vedere quanto scrive il Lasswirz nella sua Geschichte d. Atomistik 1890, t. I. (1) Cosmos, vol. III, parte I, p. 86. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 29 3. — Dell’ottica (Perspectiva). Ottica (Perspectiva). — Della massima importanza scientifica è l’opera di Bacone che riguarda questa parte della Fisica. Ruggero Bacone tratta dell'ottica specialmente nella Parte quinta dell'Opus majus. Certamente in molte cose dell’ottica Bacone ha preceduto Newton, come l’ha preceduto il nostro Grimaldi di Bologna. Propagazione e velocità della luce. — Secondo Humboldt (1) l’idea che la luce non sì propaga istantaneamente, ma invece impiega un certo tempo, per quanto breve, è di Francesco Bacone da Verulamio e si trova nel suo Novum Organum. Qui Humboldt erra; perchè il primo ad emettere questa idea (forse adottata da Francesco Bacone quattro secoli dopo) è stato invece Ruggero Bacone (1), il quale discorre a lungo della propagazione della luce nell’Opus majus. Perspectiva Pars prima. Dist. IX. Capitulum II De raritate medii e Cap. III Quod species visus et visibilis fiat in tempore (2). Egli chiaramente afferma: LtsE Tutti gli autori, compreso Aristotele e Alhazen, pretendono che la propagazione della luce sia istantanea ; il vero è invece che essa si effettua in un tempo brevissimo, ma misurabile. Lo si prova per l’esperienza che un raggio perpendicolare arriva più presto che un raggio obliquo. La luce si propaga più velocemente del suono; se si vede da lontano un uomo a battere con un bastone o col martello su un corpo sonoro, gli occhi percepi- scono il movimento prima che l'orecchio abbia percepito il suono. Si vede il lampo prima di udire il tuono, benchè in realtà il rumore si produca prima della luce nella nube. Ma non è men vero che la velocità della luce è misurabile ,. È questo un magnifico capitolo di fisica. Discorre della differenza di propagazione tra la luce e il suono, della propagazione degli odori, ecc. Tutta questa parte dell'Opus majus è stupenda. La velocità della luce fu poi determinata la prima volta da Ròmer nel 1675; i tratta- tisti di Fisica nominano bensì Ròmer, Bradley (1757), Fizeau (1849) ed altri che hanno determinato la velocità, ma non ricordano mai colui che ebbe la prima idea (non facile certo da concepirsi, specialmente nel XIII secolo) della propagazione. Non è giusto. E non solo Bacone discorre della propagazione della luce ma in generale della propagazione della forza, del movimento. Altre ricerche della luce. — Discorre della visione della pupilla, della visione binoco- lare, della percezione della luce e dei colori, ecc.; a pag. 72 dice chiaramente che la pro- pagazione della luce ha luogo per movimento e non per particelle ; tratta della scintillazione delle stelle (De scintillatione) e delle difficoltà del problema della densità del mezzo; della riflessione, e dimostra l’eguaglianza dell’angolo d'incidenza, coll’angolo di riflessione, che la riflessione produce gli effetti dello specchio, discorre degli specchi piani e curvi, delle illu- sioni ottiche, della dipendenza del colore dall'angolo d'incidenza; tratta della rifrazione (Distintio secunda tertiae partis, quae est de visu fracto, habet quatuor capitula. Primum est in universali de visione per frazionem (3)). Discorre della teoria psicofisiologica della visione, ed era quasi sul punto di scoprire le proprietà delle lenti. (1) Altri prima di Bacone avevano ammesso la propagazione progressiva della luce, come ad esempio Empedocle; ma non in modo sì evidente e ragionato come Ruggero Bacone. (2) Opus majus, pars Quinta, capitulum II, ed. I. H. Brigdes, 1900, t. II, pp. 67-72. (3) Bacone chiama fractio ciò che noi diciamo refractio. 30 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Alcuni fanno risalire ad Alhazen ed a Ruggero Bacone la scoperta della legge della rifrazione della luce. Tutta l'ottica di Ruggero Bacone è importantissima e certamente deve essere stata, come l’opera del nostro Grimaldi, utile a Newton (1) e potrebbe anche dirsi che sino ai tempi di Kepler quello di Bacone era il miglior libro sull’ottica. L'ottica occupa tutta la Parte quinta dell'Opus majus (da pag. 1 a 166 dell’edizione Bridges, vol. II). Il titolo preciso è: Pars Quinta Hujus persuasionis De scientia Perspectiva; habens tres partes: Prima est de communibus ad caeteras duas; secunda descendit in speciali ad visionem rectam principaliter; tertia ad visionem reflexam et fractam. Prima pars habet duodecim distinctiones. Tutta l’Opus majus è piena di idee nuove in tutte le parti del sapere. E {dobbiamo esser grati al Bridges di avercene dato una edizione bella e completa. In questa edizione del Bridges dopo la pars septima dell'Opus majus, segue il: Tractatus fratris Rogeri Bacon: De multiplicatione specierum (pag. 407 a 552 del vol. II), ove tratta ancora dell'ottica fisio- logica e specialmente dell’ottica geometrica. Si vegga anche a pag. 55 di questo mio lavoro quanto scrive Humboldt sull’ottica di Ruggero. Bacone attribuiva tanta importanza all’ottica che giudicava del poco sapere scientifico di Alberto detto Magno dal fatto che questi non conosceva la perspectiva e per conseguenza non poteva studiare le scienze naturali nè la vera filosofia. Conosceva l’Ottica di C1. Tolomeo ed anzi da Ruggero restano chiariti alcuni punti dell’opera di Tolomeo (2). Ruggero Bacone scrisse l’opera: Multiplicatio specierum, in due parti, che aveva pro- messo di inviare al Papa insieme all’Opus majus. Queste due parti sono i due trattati tradotti da Jean Combach e pubblicati nel 1614 (3) e ristampati dal Bridges. La Perspectiva di Ruggero Bacone era conosciuta nei secoli XV e XVI ed è già citata nella Margarita philosophica. Maurolico, insieme alle opere di Euclide, di Archimede, di Jean Peckam, ricorda (1) Non dimentichiamo che i due Trattati: Specula matematica e Perspectiva (cioè il Trattato sull’ottica che è il più importante) furono pubblicati nel 1614 dal Combachius. Si può ammettere che Newton cono- scesse quest'opera. Pare che Newton ricordi una volta sola il nostro Bacone. (2) V. G. Govi, L’Ottica di Claudio Tolomeo da Eugenio, Torino, 1885. Il Bridges loda assai questo lavoro del nostro Govi e a pag. xvi: della sua edizione dell'Opus majus dice che è del più grande valore per la storia della scienza. 7 (8) © Rogerii Bacconis angli viri eminentissimi Perspectiva in qua quae ab aliis fuse traduntur succinete, nervose et ita pertractantur ut omnium intellectui facile pateant. Nune primum in lucem edita opera et studio ToAnnIs CompacHu, philosophiae professoris in academia Marpurgensis ordinarii, Francoforti 1614, in-4°. — Rogerii Bacconis Angli viri eminentissimi Specula mathematica, in qua de specierum multiplicatione earum- demque in inferioribus virtute agitur ,. Liber omnium scientiarum studiosis apprime utilis, editus opera et studio I. Combachii, Francofurti, 1614, petit in-4°. Il primo di questi trattati non è che la Pars quinta del- l’Opus majus edita da Jebb nel 1733 ed il secondo non è che la Pars quarta della stessa opera. Nella Opus majus di Jebb vi sono in più i capitoli riguardanti l'astrologia, la geografia e la cronologia, che nell'edizione di Jebb vanno dal foglio 108 a 255. Ciò fu provato dal Charles; mentre Cousin credeva che queste opere tradotte dal Combachi appartenessero all’Opus tertium. La Specula mathematica più che una parte dell'ottica è veramente un Trattato di matematica secondo Charles; alla pubblicazione del Combachi è unito un opu- scolo: De speculis comburentibus, ove Ruggero tratta della fabbricazione degli specchi ardenti e del modo di far convergere in un medesimo punto tutti i raggi che cadono su una superficie rifrangente. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXYV, N. 4. 81 l'opera di Ruggero e dice: “ l’utilissima prospettiva di Ruggero Bacchone , (Cosmographia, Venezia, 1513, citata da Charles, pag. 290). Helmholtz, nella sua Optique physiologique, pag. 870, ricorda la Perspectiva di Ruggero a proposito della questione della grandezza apparente della luna. Tanto nell’Ottica come in quest'opera, Ruggero tratta la questione della propagazione delle forze radianti. Ma io non voglio entrare in maggiori particolari, non avendo io lo scopo, in questa pubblicazione, di esporre tutto il sapere scientifico di Ruggero Bacone. Altri con ben mag- giore competenza di me potrà farlo. Io mi accordo perfettamente col giudizio del pro- fessore R. Pitoni (1), secondo il quale “ Roggero Bacone più di ogni altro dotto dei suoi tempi ha diritto di essere chiamato un fisico nel senso moderno della parola ,. Ma anche nei suoi studi sull’Ottica, Ruggero Bacone si valse molto del sapere degli arabi e specialmente di Alhazen, dal quale egli stesso afferma di avere molto appreso ; e con giusto senso critico, il Narbey, riguardo ad Alhazen scrive : “ Si vede a quali notevoli conclusioni l’Alhazen era giunto nel suo Trattato d’Ottica (Opticae Thesaurus), applicando le leggi della geometria ai fenomeni della visione e quali rivelazioni i vetri concavi gli avevano apportato per ingrandire gli oggetti. Dopo aver lun- gamente descritto la composizione dell’occhio, le tre specie di umori, aver figurato il nervo ottico, descrittane la funzione, studia in una serie di capitoli pieni di figure geometriche gli effetti della visione nei suoi tre modi, cioè : la visione diretta, la riflessione e la refrazione: Visio fit trifariam, recte, reflexe et refracte , (2). Ruggero Bacone, non solamente ci ha fatto conoscere molta parte della scienza araba, ma vi ha aggiunto anche molto del proprio: “ Ce qui le met, scrive Narbey, au premier “rang parmi les précurseurs éminents de la science moderne, c'est ‘qu'il appliqua la géo- “ metrie è la physique avec plus d’habilité et de précision que les Arabes, et qu'il continua “ et dirigea fort heureusement la révolution qu'ils avaient commencé à faire dans l’optique; “ c'est qu'il démontra mieux, par des preuves géométriques, la marche des rayons lumineux “ à travers l'eau, le verre, les nuages, l’atmosphère, et en général à travers les milieux plus “ou moins denses. Surtout, c'est qu'il fut amené à composer et à perfectionner des instru- “ ments d’optique pour l’application de ses théories , (3). Studiò gli specchi sferici, sui quali scrive un trattatello (De Speculis) molto curioso nel quale fa conoscere la loro forza bruciando delle materie a distanza (Lenglet Dufresnoy, loc. cit.). Vedi sopra, pag. 80 in nota. Riguardo la storia della scoperta degli occhiali che fu attribuita a Ruggero Bacone ma in realtà spetta a SaLvino DEGLI ARMATI, si vegga: 1) Leopoldo del Migliore, nella Firenze illustrata, 1694; ha trascritto la iscrizione che trovasi nella Chiesa di S. Maria Maggiore: Qui giace Salvino degli Armati di Firenze, inven- tore degli occhiali. Dio gli perdoni le peccata ; 2) PocGenDoREF, Hist. de la Physique. Ed. franc., 1883, pag. 54; 3) HexLer, Geschichte der Physik. Stuttgart, 1882, vol. I, pag. 201 (4). Però il Poggendorff giudica un po’ superficialmente, quando a proposito dell’Ottica (Per- spectiva) e della Specula mathematica, di Bacone, dice: “ Quelques idées se trouvent aussi dans “ la Perspectiva, etc. ,. Ora come abbiam visto vi si trova molto più che qualche idea. Il Poggendorff afferma che il merito di avere per la prima volta indicato con esat- (1) Dott. RinaLno Prroni, Storia della fisica, Torino, 1914, p. 69. (2) Opticae Thesaurus Alhazen Arabis, lib. IV, p. 102, Basilea, 1572, in fol.; Narsey, loc. cit., p. 141. (8) C. Narzey, Le moine Roger Bacon et le mouvement scientifigue an XIII" sidcle, in È Revue de questions historiques ,, 1884, t. 35, p. 118. (4) Sulla scoperta degli occhiali si può vedere una lettera di Redi pubblicata a Firenze nel 1678, in-4°. 32 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO tezza il foco di uno specchio sferico, spetta a Ruggero Bacone. Diede anche delle istruzioni per costruire degli specchi parabolici, benchè a quanto pare egli stesso non ne abbia costruito. Secondo me, il Poggendorff non dà abbastanza valore alle ricerche fisiche di Bacone; non giudica la sua opera scientifica con completa imparzialità. Eilhard Wiedemann ha più volte fatto notare le relazioni che si riscontrano tra i lavori di Ruggero Bacone e quelli degli Arabi (1). Bacone conosceva a fondo le opere dei principali autori arabi e certamente molte delle sue cognizioni deve averle avute dai libri di Geber e da altri scrittori arabi. Arcobaleno. — Nell’Opus majus. Pars sexta, Ruggero tratta a lungo dell’arcobaleno o iride. Osservò che più il sole è alto sull’orizzonte, più basso è l'arcobaleno; che il sole è sempre opposto all’arcobaleno e che una linea retta condotta dal centro del sole al suo nadir passerà pel centro dell'arcobaleno e che l'altezza massima del cerchio è di 42° gradi x ed allora il sole è all’orizzonte sensibile; non vi è arcobaleno quando il sole oltrepassa 42° gradi; afferma che l’arcobaleno per se è nulla, non è che un’apparenza e si produce per riflessione dei raggi di luce attraverso le piccole goccie d’acqua. Critica Aristotele e Seneca. Nella Parte sesta dell'Opus majus: Scientia sperimentalis e specialmente nei capitoli II a VIII tratta a lungo dell’arcobaleno (2). 4. — Matematica — Astronomia — Geografia -- Storia Naturale. Matematica — Astronomia — Geografia — Storia naturale. — Io farò solamente un bre- vissimo cenno dell’opera scientifica di R. Bacone relativamente a queste scienze; altri molto più autorevoli tratteranno questo soggetto. Ruggero Bacone teneva in grande considerazione la matematica e conosceva bene la matematica del suo tempo, contrariamente a quanto è stato affermato da alcuni; dichiarava essere la matematica lo strumento più potente onde penetrare nelle scienze (come già diceva Gerbert, nel secolo X), quella che le altre precede e che ci dispone a comprenderle. Ai suoi tempi non mancavano i cultori delle matematiche, quali: Pierre de Maricourt {suo maestro) di Piccardia (e perciò detto le Picard), Campanus o Campano di Novara, che nel 1200 commentò Euclide ed è autore di un trattato sulla sfera, Ildeberto di Mans, Leo- nardo Fibonacci, Paolo da Prato detto l’ Abbaco, Gilbert di Shirwood, Giovanni di Londra, ecc. Nella Pars quarta dell'Opus majus tratta quasi unicamente della matematica e inco- mincia con il Cap. I: In quo ostenditur potestas mathematicae in scientia, et rebus, et occupa- tionibus huius mundi; nel Cap. Il: in quo probatur per auctoritatem, quod omnis scientia requirit. mathematicam; Cap. III: in quo probatur per rationem quod omnis scientia requirit mathematicam, e così continua in tutta la Parte ove discorre della Mathematicae in Phy- sicis utilitas et in divinis utilitas, poi passa all’astronomia e alla proposta di riforma del Calendario. (1) Inhalt eines Geftisses in verschiedenen Abstinden vom Eramittelpunkte nach Al Khazinî und Roger Bacon, in “ Pogg. Ann. ,, 1890, t. 39, p. 319. Si confronti: Roer Bacon, Opus majus, Distinetio INI, cap. X, ed. 1733, p. 72 con Al Khazinî (sec. XII), ed. Khanikoff, in “ Journ. Amer. Oriental Soe. C. ,; (1857); pag. 38. A. Ruggero eran famigliari le opere di: Thabit ben Corra, Alfarabius;, Alfraganus, Alkindi, Alhazen, Albumazar, Avicenna, Hali e Averroes. (2) V. Edizione Bridges, vol. II, p. 172 a 192. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXY, N. 4. 33 In questa Pars quarta (da pag. 97 a 240 del vol. II, nuova ediz. dell'Opus majus), ove discorre tanto a lungo della matematica e sua importanza nella fisica e nella scienza in genere, si contengono molte idee prettamente moderne. Le parti quinta e sesta della sua Opus majus, sono le parti in cui discorre più di frequente della matematica e dimostra di conoscerla. Nell'Opus majus, invero, ricorda Euclide, Adelardo di Bath, Campanus da Novara, Archimede, Apollonio, Tolomeo e Alhazen (V. Opus majus, ed. Bridges, nell’introduzione, p. Lv, Bacon's Mathematics). Egli era di parere che anche le regole musicali erano da con- siderarsi come una branca della matematica. Bacone era tanto convinto dell’importanza e dell'ufficio della matematica che pensava aver Dio applicato le leggi matematiche dapper- tutto nell’organizzazione del mondo e nel movimento dei cieli, e che per ben conoscere le cose della terra, e quelle celesti, bisognava conoscere le matematiche. Alcuni biografi inglesi e di altri paesi hanno però esagerato la coltura matematica di Ruggero Bacone chiamandolo: le grand mathématicien, e alcuni lo citano fra i più grandi matematici. Si è poi anche esagerato in senso opposto e l’Humboldt, ad esempio, ha fatto notare che a Ruggero Bacone mancavano le cognizioni matematiche (1). La verità sta in mezzo a questi due estremi, perchè è indubitato che Ruggero conosceva bene le matema- tiche del suo tempo, senza perciò aver fatto qualche scoperta importante in questo campo del sapere. Aveva il senso matematico e ne riconosceva tutta l’importanza. Pare che abbia scritto anche dei trattati sulla matematica, ma che siano andati perduti. Quest'uomo fu giudicato male anche dagli storici delle scienze matematiche. Il Mentucla e il Delambre (2) ne discorrono assai brevemente nelle loro storie delle scienze matematiche o dell’astronomia ed il Bailly nella sua storia dell’astronomia lo considera unicamente come un alchimista. Ma il Charles fa giustamente notare che il Mentucla, pur in generale molto coscienzioso, ammira nell’Opus majus “la partie qui concerne l’histoire naturelle ,, mentre in quest'opera non vi è assolutamente nulla di storia naturale! Ecco come si giudicano talora gli uomini e le opere loro! Invece è giudicato molto bene, anche sotto questo aspetto, dal Bridges nella sua Introdu- zione (p. Lv) all’edizione dell'Opus majus, 1900, vol. I. Notevoli sono le sue conoscenze sull’astronomia: egli conosceva e criticò il sistema tolemaico, ammise che la via lattea fosse formata da un infinito numero di piccole stelle; emise idee giuste sulle stelle cadenti, sulla scintillazione e sulla rifrazione astronomica. Applicò le sue cognizioni alla cronologia e propose la riforma del calendario con argomenti che furono poi quelli ammessi da Paolo di Middleburg e da Copernico, i quali fecero deci- dere questa riforma sotto il papato di Gregorio XIII. La prima idea di riforma del calendario giuliano e che fu poi detto calendario grego- riano devesi a Ruggero Bacone; il quale ne discorre nell’Opus tertium come addizione all’Opus majus. I capitoli da LXVII a LXXI comprendono l’esposizione della proposta riforma. “ Un des principaux chefs d’accusation, scrive Hoefer (3), avait été emprunté è un “ passage de l’Opus tertium ad Clementem, livre que Clément IV avait cependant trouvé “ fort innocent. Il y dit qu’en consultant chaque jour les tables astronomiques, par rapport (1) Cosmos, t. II, p. 398. (2) Decamere, Histoire de V’astronomie au moyen dige, Paris, 1819, p. 257. In quest'opera si dice appena che Ruggero scrisse un’ opera sull’astrologia, sui raggi solari, sull'aspetto della luna. Si ricorda il trattato manoscritto della Perspectiva (che invece era già pubblicato dal Combachi) e non si ricorda affatto la pro- posta di riforma del calendario. (3) Histoire de la Chimie, 2° ed., 1866, vol. I, pp. 393-394. 34 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE = IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO x à l’état actuel de choses, on n’aurait qu'à chercher dans le passé des mémes positions des “ corps célestes, pour pouvoir prédire les événements de l’avenir. Il ajoute -qu'il avait ‘ souvent travaillé à dresser ces tables; mais que la sottise de ceux auxquels il avait affaire ‘ ne lui avait pas permis de les achever (non potui consummare propter stultitiam eorum cum “« quibus habui facere) (Opus tertium) ,. Secondo alcuni, Ruggero Bacone non ha emesso idee nuove astronomiche solamente riguardo al calendario, ma inoltre attaccò tutto il sistema tolemaico che a lui sembrava troppo artificiale; Ruggero sarebbe un precursore di Copernico (Saisset). Io non so quanto di vero sia in questa affermazione; ma già tutti i grandi hanno avuto dei precursori. Coper- nico ha avuto de’ precursori nella più alta antichità (1). Nega la distinzione tra movimenti naturali e movimenti violenti; egli non faceva nes- suna distinzione tra il mondo sublunare ed il mondo celeste e dichiarò che tutti erano sog- getti alle stesse leggi e che il vero fine della scienza è di stabilire delle leggi. To credo che nell’astronomia propriamente detta non abbia fatto alcuna scoperta impor- tante; non erano ancora spiegati i movimenti dei pianeti e degli astri, e le loro leggi; ciò spettava a Copernico, a Galileo e sovratutto a Kepler. “ Sunt mirabiliores et difficiliores “ omnibus motibus planetarum ,, scriveva nell’Opus majus. Anche l’idea dell’influenza della luna sulle maree, egli l’ha presa dagli Arabi; già Albumasar scriveva che è lusso e riflusso camminano come la luna nel cielo (flucus et reflunus currunt sicut luna varieatur in partibus coeli) e Bacone tenendo conto di questa osservazione va più in là e diceva chiaramente che la luna attira a sè l'elemento liquido (Radii lunae attrahunt vapores ad aerem). Per la storia dell'astronomia ed il sapere di Ruggero in questa scienza è importante l'opera: Un fragment inédit de l’Opus tertium pubblicato nel 1909 da Dunex (V. di sopra, pag. 25). Assai notevoli sono pure le sue cognizioni nella geografia “ qui devrait, scrive Picavet, mesurer la terre, déterminer la position des villes et des contrées, en prenant un point commun pour l'origine des longitudes, consulter non seulement les auteurs anciens, mais “encore les voyageurs, comme Guillaume de Rubruquis et Jean de Plano Carpini ,. E perciò Hakluyt ha inserito il trattato della natura dei luoghi nella Bibliothèque des voyages. Pierre d’Ailly ha, come afferma Picavet, copiato letteralmente dei brani intieri delle opere di Bacone relative alla geografia. “ (14 Uno dei primi che seppero apprezzare i grandi meriti di Ruggero Bacone, anche relati- vamente alle cognizioni geografiche, è stato A. Humboldt, il quale nel suo classico : Examen critique de l’histoire de la géographie du nouveau continent, 1836, vol. I, pag. 58, scrive: “ Ces mémes apergus sur la possibilité de se rendre directement aux Indes par la voie “ de l’ouest, sur les parties de la terre qui sont habitables, et le rapport entre les surfaces “ des continens et des mers (l’étendue des dernières étant faussement considérée alors “comme plus petite que l’étendue des surfaces continentales) se retrouvent chez Roger “ Bacon, homme prodigieux par la variété de ses connaissances, la liberté de son esprit et “la tendance de ses travaux vers la réforme des études physiques. Poursuivant la route “ que les Arabes avaient frayée pour perfectionner les instruments et les méthodes d’obser- “ vation, il ne fut pas seulement le fondateur de la Science expérimentale (2), il embrassait “simultanément dans sa vaste érudition tout ce qu'il pouvait puiser dans les ceuvres d’Ari- (1) I precursori di Copernico nell'antichità. Ricerche storiche di Giovanni Schiaparelli. Pubblicazioni del R. Osservatorio di Brera, in Milano, 1873. (2) Fratris Rogers Bacon, Ord. Minorum, Opus majus, Londini, 1738, pp. 445-447. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL, LXY, N. 4. 35 stote, récemment devenues plus accessibles par les versions de Michel Scot, et dans les récits des deux voyageurs, ses contemporains, Rubruquis et Plano Carpini. Ce n'est pas diminuer le mérite de Colomb que de rappeler cette continuité d’opinions et de conjectures, que l’on reconnait (en traversant la prétendue universalité des ténèbres du moyen-age) depuis les cosmographes de l’antiquité jusqu'è la fin du quinziòme sidele. Ces ténèbres s'étendaient sans doute sur les masses; mais, dans les couvents et les collèges, quelques individus conservaient les traditions de l’antiquité. Bacon méme, tout en reconnaissant ce qu'il appelle Za puissance de Vérudit et de la connaissance des langues, signale une ardeur d’étude qu'il remarque, surtout depuis quarante ans, dans les bourgs et les monastères, è còté de l’ignorance générale des peuples. Lorsqu'il est question d’une continuité d’idées, d'une liaison d'opinions, il faut bien compter pour quelque chose cette partie du moyen-àge où l'on trouve groupés, autour de Roger Bacon, Albert le Grand, Scot, Vincent de Beauvais, et des voyageurs de mérite de Plano Carpini, d’Ascelin, de Rubruquis et de Marco Polo. A toutes les époques de la vie des peuples, ce qui tient au progrès de la raison, au perfectionnement de l’intelligence, a ses racines dans des siècles antérieures ; et cette division des ages, consacrée par les historiens modernes, tend è séparer ce qui est lié par un enchainement mutuel. Souvent, au milieu d’une inertie apparente, de grandes idées ont germé dans quelques esprits supérieurs ; et, dans le cours d’un développement intellectuel non interrompu, mais limité pour ainsi dire dans un petit espace, de mémo- rables découvertes ont été dues à des impulsions lointaines et presque inapergues ,. L'Opus majus è più ricca in nozioni sull’interno dell'Asia e l’estremità orientale di questo continente, che non l’Imago Mundi di Pierre d’Ailly, pubblicata 140 anni dopo. Rug- gero Bacone ci dà dei preziosi estratti delle relazioni officiali di Giovanni del Piano Carpini e specialmente di Rubruquis (1) che egli generalmente chiama frater Willielmus, quem dominus rex Franciae misit ad Tartaros (Humboldt, loc. cit., pag. 71). “ Si Roger Bacon, scrive Daunou (2), n’a rien ajouté aux connaissances des astronomes “ de son sigele, on voit qu'il les possédait toutes, et qu'il s’efforgait de les employer au ® (1) Ruszueuis 0 Guerrero DE RurseroEcK, frate cordigliere in un convento di S. Giovanni d’Acri, fece nel secolo XIII un grande viaggio nel centro dell’Asia e per incarico di S. Luigi andò a predicarvi il Van- gelo. Fece il viaggio insieme a Bartolomeo da Cremona e ad altri suoi compagni. Visitò il Caucaso, il Volga, il Tibet, la Cina. Ritornato dopo due anni, nel 1255, a S. Giovanni d’Acri scrisse al suo re una lunga rela- zione del viaggio. In questa relazione vi sono due parti: l’una che riguarda l’itinerario d'Oriente e l’altra tratta de’ costumi dei Tartari. È una relazione considerata molto esatta e di gran pregio. Il testo latino fu pubblicato nel 1839 da Michel e Wright e la traduzione francese da de Backer nel 1877. . Molto importanti per la geografia di quel tempo sono pure i viaggi del nostro CarpPINI, conosciuti da Ruggero Bacone. Tanto le relazioni di Rubruquis come quelle del Carpini furono pubblicate nel: Recueil de Voyages et de Mémoires publié par la Société de Géographie, Paris, 1839, t. IV. Tutta questa raccolta è molto importante per il secolo di Ruggero Bacone. Uno dei viaggi di Giov. del Piano Carpini durò più di sei mesi e di questo viaggio fece due relazioni; fa la storia dei Mongoli e loro costumi e dà molte notizie geografiche e topografiche; il Carpini attraversa la Boemia, la Slesia, la Polonia e va a Kiew. Ai quattro grandi fiumi della Russia diede i nomi di Dnieper, Don, Jaik e Volga; visita il Caucaso (Daunou). Si è lungo tempo discusso se il Carpini fosse o no italiano; ora i francesi stessi riconoscono che è vera- mente italiano e lo dimostrò la prima volta Artaue pv Moxsrier nel suo Murtyrologium franciscanum pub- blicato nel 1638, il quale dice chiaramente Italus erat. Ora si sa che nacque vicino a Perugia in una loca- lità detta Piano della Magione (V. Vermienioni, Biogr. degli scrittori perugini, p. 225). Molte notizie sul Carpini si trovano nel volume: Recueil de Voyages, ece., IV, sopra citato. Il Carpini era frate francescano e fu arcivescovo di Antivari. Il suo viaggio principale, pubblicato per la prima volta e commentato nel volume citato, ha il titolo: Johannis de Plano Carpini antivariensis archi- episcopi Historia Mongalorum quos nos Tartaros appellamus. (2) Hist. littér. de la France, t. XX, p. 235. 36 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “ profit des deux sciences qu’elles doivent éclairer, la géographie et la cronologie. Ses “ apergus cosmographiques sur l’interieur de l’Asie, depuis la mer Noire jusqu’'au grand “ Océan boréal, sur l’extrémité orientale devait se trouver comprise entre cette extrémité “ et l’Océan Atlantique, ont été recueillis dans la collection d’Hakluyt (1) comme pouvant “ servir è l’instrution des géographes et des voyageurs ,. Humboldt ha dimostrato che il cardinale Pierre d’Ailly, autore dell’/mago Mundi, ha trascritto nella sua opera un intero brano riguardante la geografia, tolto completamente dall’Opus majus di Ruggero; mentre il d’Ailly nomina tanti autori classici e cosmografi arabi, mai ricorda il nome di Ruggero Bacone (2). Quel brano era stato tradotto per proprio uso da Cristoforo Colombo dall’opera del cardinale d’Ailly senza sapere che fosse di Ruggero. Come prova del plagio evidente, Humboldt trascrive il medesimo brano quale tro- vasi nell’Opus majus, pag. 183, nell’Imago Mundi, cap. 8, fol. 13, 5, e tradotto da questo in ispagnolo da Colombo nella lettera ai Monarchi spagnuoli, datata 1498, da Haiti. Ma giustamente Humboldt fa notare che: “ Quant è l’ouvrage de Roger Bacon, de cent quarante ans plus “ancien que les traités cosmographiques de Pierre d’Ailly, l’amiral ne l’a vraisemblablement “ pas connu ,. Humboldt dimostra come il d’Ailly benchè scrivesse cento quaranta anni dopo Rug- gero Bacone, mai cita ilavori di Marco Polo, consegnati dal 1320 in un manoscritto latino di Francesco Pipino di Bologna. Ricorda poi altri brani copiati dal d’Ailly dalle opere di Bacone. Pierre d’Ailly nel concilio di Costanza propose la riforma del calendario, fece, come suol dirsi, sua la proposta di Ruggero Bacone, del quale conosceva le opere; ma non lo nomina ! I plagi erano in uso prima e dopo il povero Ruggero Bacone! Scienze naturali — Botanica — Zoologia. — Anche le scienze naturali furono soggetto di studio a Ruggero Bacone. Nel manoscritto di Amiens, fatto conoscere dal Cousin, Bacone tratta De vegetalibus ; egli leggeva questo suo Trattato dei vegetali nelle scuole; pare avesse nozioni giuste sui sessi delle piante, ammetteva un’anima nelle piante, esaminava se hanno una sensibilità, specialmente tattile ; ammetteva nelle piante un movimento di inspi- razione e di respirazione, le credeva capaci di un'alternativa di sonno e di veglia ed altre osservazioni e considerazioni che qui non posso ricordare. Egli riguardava in fisiologia il cervello come l'origine dei nervi; nei mostri non scorgeva che gli effetti delle leggi naturali. Anche sotto questo aspetto, come naturalista, Ruggero, checchè ne dica il Pouchet, è superiore di molto ad Alberto Magno. Un cenno che riguarda la Zoologia, veggasi a pag. 37 di questo lavoro. 5. — Altre ricerche scientifiche — Meccanica. Molte ricerche scientifiche di Ruggero Bacone si trovano in una sua importante ope- retta o piccolo Trattato: Epistola fratris Roger Baconis De secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae opera, Joh. Dee. Londinensis et pluribus exemplaribus castigata. Ham- burg, 1618, in-12° (80 pag.). È l'edizione migliore. Questo lavoro trovasi ristampato in Manget, Biblioth., Chem. curiosa, t. I (1702), p. 606. L'edizione di Oxford è del 1594. Due edizioni (1) Hakluvt's Voyages, t. TIT. (2) © Il est vrai, serive Humboldt, que le cardinal d'Ailly dit è la fin de l’Imago Mundi: scriptura ex © pluribus auctoribus recollecta anno MCCCCX; mais, au milieu de tant de noms d’auteurs classiques et de “ cosmographes arabes, il ne cite jamais le nom célèbre de Roger Bacon , (Exramen critique, ecc., vol. I, pp. 64-65). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 97 furono fatte ad Hamburg nel 1508 e nel 1618. Fu tradotta in inglese nel 1597 a Londra, in-4° sotto il nome di R. Bachin, poi ancora a Londra nel 1659 col titolo : Frier Bacon his discovery of the miracle of art, nature and magick, faithfully translated out of D. Dee's owen Copy by T. M. and never before in english. Vi è una edizione di Basilea, 1593, in-8°. Questa opera fu pubblicata la prima volta a Parigi nel 1542 col titolo: De mirabili potestate artis et naturae, ubi de philosophorum la- pide, ete., publié par Oronce Finée, è Paris, en 1542 e così fu ristampata nel vol. V del Theatrum Chemicum. Questa edizione fu tradotta in francese da Girard de Tourus col titolo : L'Admirable pouvoir puissance de l'art et de nature ou est tracté de la pièrre philosophale, Lyon, 1559 (79 paginette). L’edizione di Parigi del 1542 e la traduzione in francese sono assai difettose e incomplete. La più completa è quella sopra accennata di Hamburg, della quale ho dato in principio il titolo esatto. La prima edizione dunque sarebbe quella di Hamburg del 1508, che io non ho veduto. L’opera è divisa in undici capitoli; nell'edizione del Manget, ogni capitolo ha delle annotazioni firmate I. D. e P. S. Questa opera è molto importante sia per la critica scientifica sia perchè in essa Rog- gero combatte la magia e accenna a progetti di invenzioni che ricordano quelle moderne. Comincia dal negare e criticare tutti i mezzi sopranaturali, preghiere, invocazioni, sacrifizi, come inutili e peccaminosi; tutte cose, com'’egli dice, estranee alla filosofia, tutta follia ed impotenza. Egli insiste sulla onnipotenza dell’uomo sulla natura per via della scienza e dello in- telletto. Egli intravede il continuo progresso delle scienze; il che prima di lui non fu intra- veduto. E discorrendo delle nozioni matematiche conosciute al suo tempo ed ignorate ai tempi d’Aristotele scrive: “ A più forte ragione Aristotele ed i suoi contemporanei dovet- “ tero ignorare un cumulo di verità fisiche, di proprietà della natura: ed oggi stesso i sapienti “ ignorano molte cose, che i comuni scolari sapranno un giorno: Multa etiam modo ignorant “ sapientes, quae vulgus studentium sciet in temporibus futuris ,. Per dare una idea del senso critico di Ruggero Bacone si può ricordare il brano seguente dell’opera sovraricordata, Hamburg, 1518, p. 30: “ ... Et ideo homo potest facere virtutem et speciem extra se quum sit nobilior aliis “ rebus corporibus, et precipue propter dignitatem anime rationalis et nihilominus exeunt “ spiritus et calores ab eo sicut ab aliis animalibus. Et nos videmus quod aliqua animalia “ immutant et alterant res sibi objectas, sicut basiliscus interficit solo visu et lupus reddit “ raucum si prius videat hominem, et hycena intra umbram suam canem non permittit latrare, « sicut Solinus de mirabilibus mundi narrat et alii auctores... et equa impregnantur in ali- “ quibus regnis per odorem equorum ut Solinus narrat ,. Il Carus che riporta questo brano nella sua Histoire de la zoologie ritiene Ruggero Bacone essere il più gran nome dell’epoca (XIII). Nel Cap. IV, De Instrumentis artificiosis mirabilibus (1), fa vedere la grande potenza della natura e la inettitudine invece della magia e parrebbe quasi che egli avesse predetto o scoperto già vari dei progressi che solo recentemente ha fatto la meccanica moderna. Egli, ad esempio, scrive: “ Accennerò alcune meraviglie della natura o dell’arte, perchè si “ vegga come sorpassino di lunga mano le magiche invenzioni. Si può per la navigazione “ costruire macchine tali che grossi vascelli, diretti da un sol uomo, scorrano fiumi e mare “ più velocemente che se fossero pieni di remiganti (Nam instrumenta mnavigandi possunt « fieri hominibus remigantibus, ut naves marimae fluviales et maritimae, ferantur, unico homine (1) In Maxcer: Bibliotheca chemica curiosa. Genevae, 1702, vol. II, p. 619. 38 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “ regente, majori velocitate quam si essent plenae hominibus navigantibus); dei carri che senza “ cavalli corrano di incommensurabile velocità (Currus etiam possent fieri ut sine animali “ moveantur cum impetu inaestimabili ut existimantur currus falcati fecisse quibus antiquitus « pugnabatur) . Ora questo si riferisce all'uso possibile del vapore come forza motrice, come pensano alcuni? Io non credo che con quelle parole volesse indicare la moderna macchina a vapore; sono esagerazioni. Prosegue coll’indicare che si può costruire un apparecchio a mezzo del quale un uomo seduto facendo con una leva muovere certe ali artificiali, viaggi come un uccello nell’aria (possunt etiam fieri instrumenta volanti, ut homo sedens in medio instrumenti, revolvens aliquod ingenium per quod alae artificialiter compositae aerem verberent, ad modum avis volantis). Anche qui io non posso essere d’accordo con coloro che, esagerando, vogliono vedere in questa frase la scoperta dei moderni aeroplani. L'idea che l’uomo per mezzo di ali potesse volare risale alla più remota antichità. È un concetto generico che si riferisce al camminare sulla terra, sull'acqua e nell'aria: tre dei più antichi elementi, insieme al fuoco. Egli, inoltre, accenna anche ad uno strumento lungo tre dita e largo altrettanto che basterebbe a solle- vare enormi pesi, e a superare a talento le maggiori altezze. Per mezzo di un altro, una sola mano trarrebbe a sè considerevoli pesi, malgrado la resistenza di mille braccia (fieri etiam potest instrumentum parvum in quantitate ad elevandum et deprimendum pondera quasi infinita, quo mihil utilius est in casu. Nam per instrumentum altitudinis trium digitorum lati- tudinis eorum, et minoris quantitatis posset homo seipsum et socios ab omni periculo carceris eripere, et elevare, et descendere. Potest etiam de facili fieri instrumentum quo unus homo traheret ad se mille homines per violentiam ipsis invisis, et sic de rebus aliis attraendis); poi immagina anche delle macchine per condurre senza pericolo un palombaro in fondo al mare (Possunt fieri etiam instrumenta ambulandi in mari et in fluviis ad fundum, sine periculo corporali). “ Siffatte cose, egli dice, furono vedute, sia fra gli antichi, sia ai nostri giorni, eccetto il volare, immaginato da un savio a me ben conosciuto (Haec fucta sunt antiquitus et nostris temporibus, et certum est, praeter instrumentum volandi, quod non vidi, nec hominem qui vidisset cognovi; sed sapientem qui hoc artificium excogitavit explicite cognosco); e può inventarsi quan- tità d'altri ingegni e d’artifizii; come ponti che traversino i fiumi più larghi, senza pile nè appoggi intermedii (pontes ultra flumina sine columna vel aliquo substentaculo) ,. Di queste invenzioni meccaniche Bacone ha parlato molto brevemente e senza nessun disegno nella sua opera De secretis operibus, ecc., e ciò perchè egli in generale non scriveva lunghi trattati e forse non dava a queste invenzioni l’importanza delle sue asserzioni filo- sofiche e fisiche. Bacone non era prolisso come S. Tommaso, Alberto Magno ed altri grandi scolastici di quel tempo, che scrissero opere voluminosissime. Che egli abbia fatto delle esperienze relativamente alle progettate invenzioni non risulta dagli seritti che di lui si conoscono. Egli dunque non ha inventato nè gli aeroplani, nè la mac- china a vapore. Vere invenzioni forse non ha fatto. Però non è escluso il grande merito anche per quelle idee, le quali almeno dimostrano la grande sua fiducia nel progresso della scienza e specialmente della meccanica. Che queste idee non fossero prive di fondamento lo dimostra, a mio parere, un fatto non tenuto in considerazione dai più recenti biografi di Bacone. Il Berthelot (1) esaminò attentamente dei manoscritti dei secoli XIV e XV, conservati nella Biblioteca Reale di Monaco e vi trovò la descrizione con disegni di molte macchine ed apparecchi, i più importanti dei quali corrispondono a quelli accennati da RuegERo BacoNE nel suo De secretis operibus, ecc. Questi manoscritti sono di poco più che un secolo dopo (1) M. BerraeLor, “ Ann. Chim. Phys. ,, 1891 (6), t. 24, p. 449; “ Revue des Deux Mondes,, ag. 1891, pp. 786-822. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 39 Bacone, e secondo me proverebbero che le sopraricordate invenzioni di Ruggero avevano un reale fondamento; non avrà forse egli stesso costruito quegli apparecchi, ma certo li avrà progettati. I manoscritti esaminati da Berthelot erano tre. Il MS. 197 di Monaco è di un anonimo; è ricco di disegni e descrizioni di macchine per innalzare grandi pesi, cioè apparecchi elevatori (es.: cannone sollevato con una capra, un elevatore a doppio effetto, dei sostegni per passare larghi fossi, molino meccanico per la polvere, armature varie per scafandro, il disegno di un palombaro in azione, carri da guerra, cavalli portafuoco, carri da guerra blindati, un carro con due cannoni in senso op- posto, una nave corazzata con cannoni), Assai interessante è l'apparecchio per i palombari, che è qui descritto con disegni, quale può dirsi si è poi inventato in tempi moderni, Probabilmente si conosceva già da Bacone o egli stesso l’ha inventato. Pure assai interessante è la descrizione ed il disegno di un battello a quattro ruote che hanno la forma ricordante l’elica. Questo battello ricorda precisamente quello ideato e ac- cennato da Ruggero Bacone. La traduzione dal tedesco antico quale è data nella memoria di Berthelot è la seguente: “ Ceci est un bateau qui va sur des eaux tranquilles, avec 4 roues è aubes desservies “ par 4 hommes, 2 derrière et 2 devant. Ce navire peut porter 20 (hommes d’)armes, plus “ les quatre hommes qui mettent le bateau en mouvement, les roues plongent dans l’eau “ et chaque roue a une manivelle que l’on tourne dans l’intérieur du bateau), de manière “ que l’on puisse naviguer à volonté sur l’eau. Le vaisseau doit étre couvert, pour que l’on “ ne puisse voir les hommes. Sur le devant, il aura un éperon de bataille et de chaque còté “ une pointe secondaire et un canon. Cela s'appelle un vaisseau de combat et les gens de “ la Catalogne s’'en servent pour étre les maitres des autres vaisseaux ,. Il MS. 197, italiano, è di Marianus Iacobus da Siena, detto Taccola; questo meccanico o ingegnere era molto noto al suo tempo; questo inventore fu denominato dai suoi contem- poranei l’Archimede di Siena. Contiene i disegni relativi alla costruzione e alle arti mecca- niche e militari; non è, scrive Berthelot, un’opera di erudizione quale è il Trattato contem- poraneo di Rosertus VartuRIUs: De re militari (Verona, 1472), ma sono tutti disegni originali. Nella Biblioteca di S. Marco esiste un manoscritto De machinis, pure esaminato dal Berthelot. Il MS. di Jacobus da Siena contiene i disegni e la descrizione di varie bombarde, cannoni in carro coperto, macchine per elevare grandi pesi, grande soffieria mossa da una ruota dentata, modelli per camini, macchine a ruota per innalzare l’acqua, ponti volanti, nave con bombarda che lancia tubi incendiari. Interessante è la composizione della polvere per bombarde e per cannoni: Recipe: Salnitri, one. XVI Solforis, one. 4 Carbonis salci, once. 3. Il MS. di Venezia contiene disegni per pontoni per attraversare i fiumi, macchine per sollevare i cannoni, piccoli carri blindati per guerra, delle gru mobili per sollevare grandi pesi, soffietti per aspirare l’acqua, sifoni per far passare l’acqua anche sopra montagne, carri- blindati con cannoni o bombarde, barche a due ruote mosse da un sol uomo (come diceva Bacone), in modo che cammina bene anche contro la corrente de’ fiumi, ponte di barche, ecc. Assai interessante è il trasporto di artiglierie attraverso i fiumi mediante corde sospese e tirate da buoi, cioè mediante fili aerei come si fa ora. Berthelot ha esaminato anche un MS. della Biblioteca Nazionale di Parigi acquistato da Luigi XIV e che ha il titolo: Tractatus Pauli Sanctini Ducensis de Re militari et machinis bellicis, ece., scritto verso il 1450 e nel quale sono la più parte delle figure del manoscritto di Venezia e di quello di Monaco. 40 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Ho insistito intorno a questi manoscritti perchè sono di poco più che un secolo dopo Ruggero Bacone e possono attestare la grande probabilità che anche egli abbia o visto o costruito apparecchi analoghi. Non dobbiamo esagerare in senso contrario come ha fatto Charles ed altri di non dare valore alle invenzioni sopra accennate. Io ho voluto discorrere dei manoscritti della Biblioteca Reale di Monaco, esaminati e in parte riprodotti dal Berthelot perchè attestano che molte delle invenzioni accennate da Ruggero Bacone, erano o fatte di nuovo, o messe in pratica poco più di un secolo dopo e fra tutte faccio notare le grandi gru per sollevare i pesi, i carri blindati, l'apparecchio per palombaro, le barche mosse da ruote a palette. È indubitato che Ruggero doveva conoscere bene la meccanica del suo tempo e anche di più. Certo a nessun scienziato moderno verrà in mente di dire che Bacone abbia inventato la macchina a vapore, ma bensì dei congegni per aumentare la velocità. To esprimo il dubbio che si siano smarriti, o purtroppo perduti, dei manoscritti di Rug- gero, relativi a queste invenzioni. Si deve osservare che molte delle invenzioni descritte in questi manoscritti sono già accennate brevemente da Ruggero Bacone, di alcune anche dice di aver visto gli apparecchi. Nella nuova e completa edizione di tutte le sue opere edite e inedite è sperabile si trovi qualche cosa di nuovo relativo a queste invenzioni meccaniche. Nel Caput III dell’Epistola De Secretis (De Virtute sermonis et Redarguitione Magiae) combatte la magia. Interessanti sono pure i capitoli V (De Experimentiis perspectivis arti- ficialibus) e VI (De Experimentis mirabilibus). Nel VII (De Retardatione accidentium Senectutis et de Prolongatione Vitae humanae) tratta dei modi, anche igienici, di prolungare la vita. Il Lenglet Dufresnoy nella sua Histoîre de la philos. hermétique, Paris, 1742, I, pag. 113, scrive a proposito delle scienze meccaniche coltivate da Bacone, dopo i suoi lavori di astronomia : “ La pénétration et l’activité de Bacon ne lui permirent pas d’en rester à ces sciences, il se tourna du coté des Méchaniques, qu'il apprit è fond. Et à l’imitation d’Archytas, qui avoit fait un Pigeon de bois, qui pouvoit voler, il inventa, dit-on, des machines pour voler en l’air, aussi bien qu’un Charriot è ressort, qui alloit aussi vite, que s’il eùt été trainé par des chevaux. Il sgut l’art de mettre des statues en mouvementes et de tirer des sons articulés d’un téte d’airan. Il fit plus, puisque par le moyen de la Chimie, il inventa le sécret de la poudre. Il décrit lui-méme les matières dont elle est composée, et les effets extraordinaires qu'elle produit, qui sont la lumière et son bruit extraordinaire. Tant de découvertes dans un seul homme, seroient eneroyables, si ses propres écrits, soit manuscrits, soit imprimés, n’en faisoient foi; elles lui firent méme donner le titre de Docteur admirable ,. Queste invenzioni che per lo storico delle scienze e dell’opera scientifica di Bacone hanno minore importanza, sono gli argomenti principali dei quali molti si valgono per dif- fondere la celebrità di Ruggero, e fanno credere che fossero delle profezie. Si racconta “ anche la storiella che Ruggero offrì al re Enrico II alcune di queste sue invenzioni quali mezzi per espugnare una fortezza francese. E purtroppo a queste cose ancor oggi molti prestan fede. Così si ricorda la tragedia o dramma di Greene : Famous History of friar Bacon, ove il nostro scienziato-filosofo è considerato come un mago. (13 (13 “ “ “ “ Thomas Browne nel suo libro: Inquiries into vulgar and common Errors (1% ediz., 1646 e ediz. Londra, 1836 con note di Wilkin), ha demolito questa ed altre leggende, come quella della famosa testa di bronzo che parlava ; e che dicevasi fosse stata costruita da Bacone insieme ad un suo amico. i Charles fa notare come con questi progetti di invenzioni secondo alcuni Ruggero avrebbe : MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 41 “ Entrevu les forces de la vapeur et des gags, les locomotives et les ballons, et il faut y “ ajouter l’application de la vapeur à la marine ,. E poi prosegue: “ faut-il ajouter à tout cela « qu'il a connu le magnetisme, deviné Vattraction, décrit la boussole et méme, suivant un éminent “ historien, deviné l’Amérique!,. Tutte esagerazioni, come riconosce lo stesso Charles: «“ Reculer dans le passé l’avénement des idées ou des faits qui ont fondé la civilisation mo- “ derne, est un paradox sans excuse; depouiller la Renaissance ou méme les siècles suivants “au profit du moyen àge, ce serait de l’ingratitude, si ce n’était de la follie ,.-— Ed ha ragione. Nell’art. Roger Bacon scritto pel Dictionnaire des sciences philosophiques, di Franck (1885), il Charles dà un giudizio complessivo di Bacone che mi pare buono, benchè forse un poco superficiale ed in gran parte corrisponda al vero: “ Roger Bacon a done découvert quelques-unes des erreurs dont on ne s'est débarrassé “ que longtemps après lui; il a méme deviné quelques vérités qui auraient pu abréger pour n l'’humanité la longue et dure épreuve du moyen age. Peut-étre n’a-t-il été que l’écho “ d'un petit groupe d'hommes demeurés inconnus, et il n’est pas probable qu'il ait été le seul à “ avertir une société qui se fourvoyait. En tous cas, il a devancé son temps, comme il est “ possible, par des vues générales qu'un génie inventif peut tirer de son propre fonds et “ soustraire è l’empire de préjugés régnants; mais il ne lui a pas donné de s’élever beaucoup “ au-dessus de lui par ses connaissances. Les découvertes merveilleuses qu’on lui préte, “ outre qu'’elles sont une erreur historique, seraient la négation de la loi du progrès, qui “ ne comporte pas ces soudaines anticipations. Bacon n’a inventé ni les lunettes, ni le téle- “ scope, nî la cloque è plongeur, ni les aérostates, ni les locomotives, ni la boussole, pas “ méme la poudre è canon; il a pourtant proposé quelques idées nouvelles dans les sciences, “ et il serait juste de les lui restituer. Mais ces prétendus inventions, ou bien appartiennent “à d'autres, ou bien ne sont que les prévisions d'une imagination puissante qui congoit les progrès futurs de l’étude de la nature, en décrit d’avance les éffets, et, parmi beaucoup d’illusions, rencontre parfois les résultats où la science n’arrivera qu’après de longs efforts. Les erreurs étranges où il se complait, ses rapprochements puérils, ses croyances super- “ stitieuses, sa credulité et sa foi au merveilleux et aux sciences occultes, témoignent, aussi “ vivement que ses critiques, contre un siècle où le génie ne pouvait se défendre de pareilles n n R aberrations ,. Io ho detto che questo giudizio corrisponde solo in parte al vero, perchè realmente Bacone ha combattuto le superstizioni, la magia, tutto ciò che era scienza occulta. Senonchè, come già osservò l’Humboldt, non seppe svestirsene affatto egli stesso. Charles non dà che poca importanza alle ricerche sull’ottica, che sono invece importan- tissime. Bridges lo giudica con più competenza. Sulle pretese scoperte del telescopio, del microscopio, della bussola, ecc., attribuite a Ruggero Bacone, si consulti la più volte citata opera di Charles, il quale dà il giusto valore a tutte queste esagerazioni degli interpreti moderni, che nel medio evo vogliono scorgere tutte le più importanti scoperte moderne (loc. cit., pag. 303, ecc.). All’accusa di magia egli rispose colla lettera, sopra ricordata e qui riassunta: De nul- litate magiae. E riguardo alle esperienze di fisica che da’ suoi contemporanei erano riguar- date come opera diabolica, rispondeva: “ Perchè queste cose sono al disopra della vostra “ intelligenza, voi le chiamate opere del demonio. I teologi ed i canonici, causa la loro “ ignoranza, le abborriscono come se fossero opere di magia e le considerano come indegne “ di un cristiano , (Opus majus, ed. 1733, pag. 249; in Hoefer, Histoire de la Chimie, I, pag. 394). Dell’attrazione e affinità. — Il Leroux dà grande importanza anche a quella parte degli scritti di Bacone ove discorre della calamita e dell'attrazione. È degno d'osservazione ciò Q 49 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO che Ruggero, scrive Leroux, dice dell’attrazione. Non potrebbe negarsi che non fosse viva- mente preoccupato de’ fenomeni d’affinità, e in generale di quell’attrazione che in questi ultimi tempi fu riguardata come chiave del sistema del mondo. “ Se lasciamo da canto i “ fatti direttamente utili alla società, quant’altre cose stupende si presentano per offrire all'intelletto nostro uno spettacolo ineffabile, e che possono servire a scoprirci la causa di tutti que’ fenomeni misteriosi, che il volgo non saprebbe intendere; voglio dire le attrazioni d'ogni genere che somigliano a quella causata dalla calamita? ,. E qui enu- mera le diverse attrazioni; che molti fenomeni naturali riduconsi all’attrazione del ferro per la calamita; che d'altra parte non il solo ferro è così attratto, ma l’oro, l’argento, tutti i metalli; che v'è attrazione degli acidi per le basi; che le piante attraggonsi a vicenda; e che le parti degli animali tagliate si ricongiungono per vera attrazione; osservazioni per verità, nè precise, nè nette; ma lo spirito di Bacone è talmente invaso da questo miste- rioso fenomeno dell’attrazione che dopo averlo osservato e vedatane la generalità, esclama che nulla più gli sembra incredibile nelle opere della natura, o da quelle che l’uomo può colla natura operare (Leroux). Ecco il testo originale di Ruggero : “ De alio vero genere sunt multa miranda, quae, licet in mundo sensibilem utilitatem non habeant, habent tamen spectaculum ineffabile sapientae, et possunt applicari ad pro- bationem omnium occultorum, quibus vulgus inexpertum contradicit ; et sunt similia attrac- tioni ferri per magnetem. Nam quis crederet hujusmodi attractioni, nisi videret ? Et multa miracula naturae sunt in hac ferri attractione, quae non sciuntur a vulgo, sicut expe- rientia docet sollicitum. Sed plura sunt haec et majora. Nam similiter per lapidem fit auri attractio, et argenti, et omnium metallorum. Item lapis currit ad acetum, et plantae adinvicem, et partes animalium, divisae localiter, naturaliter concurrunt. Et postea quam “ hujusmodi perspexi, nihil mihi difficile est ad credendum, quando bene considero, nec in “ divinis, sicut nec in humanis ,. Non dice veramente colle parole del Leroux, acidi e basi, chè allora questa distinzione non si conosceva, ma dice: lapis currit ad acetum, cioè le pietre {i calcari, ecc.) si sciolgono nell’aceto. n “ “ “ K Certo non dobbiamo in queste parole scorgervi le affinità chimiche nè l’attrazione uni- versale; però un'idea profonda vi è. In altro luogo dice: “ Multa motu coelestium deferuntur “ut cometae et mare in fluxu, et alia in toto vel in partibus suis ,. 6. — Ruggero Bacone come filologo. Anche di questa parte del sapere di Bacone io farò un cenno brevissimo. Ruggero Bacone, che non era di famiglia povera, ha potuto procurarsi tutte le opere de’ maestri che l’hanno preceduto. Conosceva molto bene le lingue greca, latina, ebraica, araba, ecc. ed ha potuto così leggere le opere di Origene, Eusebio, Archimede, Ipparco, Euclide, Ippocrate, Galeno, Dioscoride, Gerardo da Cremona, Seneca, Avicenna, Averroès, ecc., nei testi originali. Egli considerava la lingua araba come una di quelle che i latini non dovrebbero ignorare. Raccomanda pure lo studio del caldeo. Nel suo Compendium del 1272, scrive espressamente: “ Pour avoir la sagesse pure, il “ faut la puiser à sa source hébraique, grecque, arabe. Ceux qui ne la regardent pas dans “ les langues où elle a été primitivement constituée, n’ont jamais pu en contempler la “ dignité dans sa forme, dans sa figure, et dans sa beauté , (Prcaver, loc. cit.). Il capitolo X dell'Opus tertium non è che un riassunto della Pars tertia De Uti- litate Grammaticae, Linguarum cognitio dell'Opus majus. Qui egli afferma che ai filosofi di allora occorreva conoscere tre lingue: l’ebraica, la greca e l’araba. Dice male dei MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 43 traduttori latini e giustamente fa osservare che per essere buon traduttore occorre cono- scere tre cose: “ Za connaissance de la matière dont traîite l’ouvrage à traduire, la connais- sance de la langue dans laquelle est écrit cet ouvrage, et celle de la langue dans laquelle on entreprend de la faire passer ,. Avviso questo anche per i traduttori moderni. La parte terza occupa le pagine da 66 a 97 del Vol. I della bellissima edizione del- l’Opus majus pubblicata nel 1900 dal Bridges. Ecco quanto già scriveva il Daunou riguardo gli studi grammaticali e linguistici di Bacone (1): “ Nous avons vu Roger Bacon rechercher, dans la troisième partie de son Opus “ majus, les rapports du langage avec la pensée, et méme l’influence que les langues, selon leurs différents caractères, peuvent exercer sur les opinions des peuples. Il n’est pas étonnant que ce grand homme se soit élevé à des idées de grammaire universelle; car il avait cultivé les deux genres d’études qui abovtissent è celui-là. D’une part, il s’était livré à de profondes meéditations philosophiques, remontant aux sources de toutes les notions humaines, simples ou complexes, fixes ou variables, vraies ou erronées; de l’autre, il savait plusieurs langues anciennes, avait lu un très-grand nombre de livres arabes, hébreux, grecs, latins, et acquis ainsi la faculté de comparer les vocabulaires, les syntaxes, les formes variées et les divers mouvements du discours. Nul n’aurait été plus propre que lui è donner une forte impulsion et une direction heureuse aux études srammaticales; aucun des grammairiens de profession, ses contemporains, n’avait assurément des conceptions si hautes ni si étendues. Il est vrai qu’en Italie l’école de Bologne fournirait une longue liste de professeurs de grammaire, entre lesquels Tiraboschi veut qu’on distingue Buon Com- pagno jusqu’en 1221, et dans le reste du siècle, Buono de Lucques, Gérard d’Amandola, “ Bertolluccio, Bena, Bonaccio de Bergame et Galeotto ou Guidotto. Ils avaient pour émules “ Arsegnino è Padoue, Gualtero è Naples, l'evéeque de Ferrare, Uguccione, auteur d’un “ dictionnaire longtemps fameux et le Génois Balbi, autre lexicographe, encore plus rénommé. “ Mais il faut avouer que tout cet enseignement et tous ces travaux n’avaient pour “ objet que la langue latine, et ne tendaient point du tout è la rétablir dans son antique “ pureté. En France, c’était aussi à l’étude du latin qu'on donnait le nom de grammaire ,,. Lo studio delle lingue condusse Bacone alla filologia comparata; confronta le gram- matiche ed i dizionari del latino, greco, arabo ed ebraico. A lui venne l’idea di una gram- matica generale o universale, perchè a suo parere la grammatica è sostanzialmente eguale in tutte le lingue e le differenze sono accidentali. Bacone tornato la prima volta da Parigi a Oxford si applicò allo studio delle lingue e della filosofia e fece dei grandi pro- gressi; scrisse tre grammatiche: una latina, una greca e la terza ebraica (Lenglet Du- fresnoy) (2). Ma in questi argomenti io non posso, nè debbo, nè voglio entrare. Ne discorrano coloro che ne hanno competenza. Non posso a meno però di ricordare l'interessante capitolo IV Bacon’s Philology dell’Introduzione all’Opus majus, scritta dal Bridges. Con esempi oppor- tunamente scelti fa vedere come Bacone comparava le parole, le frasi, nelle varie lingue. & 4 « « “ (1) Daunoo, Discours sur Vétat des lettres au XIII* siècle. Paris, Ducrocg, p. 255. (2) Histoire de la philos. hermet., 1742, t. I, p. 111. Alcune di queste grammatiche furono pubblicate in questi ultimi anni. Si vegga più avanti il capitolo: Le più importanti notizie bibliografiche nella Parte II. 44 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO 7. — Ruggero Bacone e la teologia. Lo studio delle opere di Bacone ha importanza grande per la storia della teologia. Lo studio delle lingue lo condusse alla storia comparata delle religioni; egli dava la supe- riorità al cristianesimo. Picavet ha fatto uno studio speciale di Ruggero Bacone sotto questo aspetto: egli nel 1913 scriveva: “ Jai pensé qu'il importait de faire connaître à vos lecteurs “la Commémoration de Roger Bacon et les conséquences qu'elle peut avoir pour ceux qui “ s'intéressent à l’histoire des religions comme pour ceux qui s'occupent de ce que furent “ dans le passé, de ce que peuvent étre, dans le présent, l’exégèse et la théologie chrétienne ,. Ruggero Bacone ha si può dire creato la storia comparata delle religioni; egli esamina non solamente il giudaismo, il cristianesimo e il maomettanesimo, ma anche le religioni dei pagani, degli idolatri e dei Tartari. Il Bridges ne discorre nella sua edizione dell’Opus majus (1900), vol. I, pp. 254 e 262 e vol. II, pp. 380-296, 247, 365-404, 360 e 373. La parte religiosa di Bacone occuperà il primo volume delle sue opere complete che si pubbli- cheranno in occasione del centenario; questo volume comprenderà il trattato e il commen- tario, inediti, di Ruggero sul Secret des Secrets dello Pseudo Aristotele. Ma su questo argomento che esce affatto dalla natura de’ miei studi, non voglio più a lungo intrattenermi. Ricorderò solamente un brano della lettera che il Picavet nel 1913 indi- rizzava al Direttore della Revue de l’Iistoire des religions (1). “ Vous vous rappelez encore l’étonnement qui se produisit parmi bon nombre des assi- “ stants du Congrès de Bale quand on y lut en 1904 le Mémoire qu’imprima la Revue de “ Histoire des Religions sur Deux directions de la théologie et de l'exegèse catholiques au «“ XIII" sidele: St. Thomas d’ Aquin et Roger Bacon. Si l'Église s’était engagée dans la voie “ indiquée par Roger Bacon, disait-on, deux résultats considérables auraient été acquis: les “ théologiens seraient partis des textes et auraient acquis la connaissance des langues dans “ lesquelles sont écrits l’Ancien et le Nouveau Testament; ils auraient étudié les sciences “ dont le développement a fait la grandeur de la civilisation moderne, et leurs doctrines “ religieuses, fondées sur une exégèse et une critique de plus en plus minutieuses, sur des “ connaissances scientifiques de plus en plus exactes, n’auraient laissé de place ni pour une “ Renaissance parfois hostile au christianisme, ni pour une Réforme qui se séparàt complè- “tement du catholicisme ,. PARTE SECONDA Ruggero Bacone e l’Esperienza — Come Filosofo. Nella prima parte di questo lavoro io ho esposto le ricerche scientifiche o per meglio dire ho fatto un cenno delle ricerche scientifiche di Ruggero Bacone, e specialmente di quelle relative alla chimica ed alla fisica nel senso largo della parola. (1) Vol. 68, p. 400. ì 4 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 45 Ora considererò quest'uomo singolare sotto un altro punto di vista; farò un breve cenno del filosofo il quale secondo alcuni avrebbe contribuito alla fondazione del metodo sperimentale quale precursore di Galileo e secondo altri sarebbe anzi il vero fondatore del metodo spe- rimentale. 1. — Ruggero Bacone contro l'autorità — Libero pensatore. Ruggero Bacone ebbe a combattere contro l'ignoranza del suo tempo e specialmente del clero e degli ordini monastici; ebbe a combattere contro S. Tommaso d'Aquino e più ancora contro la scolastica di Aristotele. Nel 1264 Bacone a proposito di Aristotele scriveva: “ Si haberem potestatem supra libros Aristotelis, ego facerem omnes cremari, quia non “ est nisi temporis amissio studere in illis, et causa erroris, et multiplicatio ignorantiae ,. Ma quale Aristotele? Contro l’Avistotele che era stato fatto conoscere nel Medio Evo. Non il vero, non quello che conosciamo oggi, ma un Aristotele contraffatto, ridotto quasi ad uso del cattolicesimo; Bacone combattè contro la Bibbia stessa, ma anche questa quale era allora, contraffatta e mutilata. Egli anzi vorrebbe il vero Aristotele e la vera Bibbia e perciò raccomanda lo studio delle lingue greca, araba, ebraica, caldaica, per conoscere i testi originali antichi. Egli combattè contro la pura autorità cioè contro il sistema di giurare în verba magistri. Egii fu l’anima (insieme ad altri frati francescani) della opposizione alla filosofia di S. Tommaso. Bacone per le sue idee riformatrici, per la lotta contro l’autorita- rismo e quindi contro la Chiesa di quel tempo (più che per le accuse di magia) fu perse- guitato e per più di dieci anni, benchè protetto da papa Clemente IV, fu relegato in pri- gione: poi morto questo papa, che l’aveva liberato, fu di nuovo imprigionato per quattordici anni. Uscì dalla prigione a 78 anni e morì a 80. Per il complesso delle sue cognizioni scientifiche, filosofiche, filologiche, ecc., Ruggero è indubbiamente superiore ad Alberto di Bollstidt detto Alberto Magno, a S. Bonaventura, a S. Tommaso, i quali invece primeggiano per la teologia. Nulla dirò de’ due ultimi, ma di Alberto Magno, quale alchimista e che per l'apparenza delle ricerche scientifiche più si avvicina a Bacone, ho dovuto occuparmi in un altro lavoro. A pag. 422 del mio: Vannoccio Biringucci e la Chimica tecnica, Torino, 1904 (1) ho fatto notare come il Pouchet abbia esa- gerato grandemente coll’affermazione che Alberto di Ratisbona sia stato 2 punto di partenza della scuola sperimentale, attorno al quale si aggira tutto il sapere del medio evo. Alberto Magno non ha emesso nessuna idea, nessun concetto nuovo, corrispondente al sapere moderno; non si può eguagliarlo a Ruggero Bacone, dal quale giustamente fu combattuto. Ecco quanto io allora, intorno a questo teologo-alchimista, maestro di S. Tommaso, scrivevo: “ Io penso che si sono esagerati non poco i meriti di Alberto Magno; per la parte chi- “ mica io non conosco quasi nulla di nuovo che egli abbia scoperto. In Italia tutto ciò che “ riguarda la pratica tecnica delle arti era molto conosciuto; dobbiamo poi ricordare che Al- “ berto Magno scrisse più che altro opere di compilazione e che egli studiò prima a Pavia “ dove si occupò di medicina, filosofia e matematica, poi nelle Università di Padova e Bologna. “ Uomini del valore di Fleury, Haller, Sprengel, Thomson, ecc., non mettono Alberto Magno (1) Supplem. Ann. all’Encicl. di Chim., 1904, p. 422. Alberto Magno dai diversi scrittori è anche denomi- nato: Albertus Grotus, Albertus de Colonia, Albertus Ratisbonensis. Nacque dai conti di Bollstaedt, a Laningen sul Danubio nel 1193 cioè 11 anni prima di Ruggero. Fu vescovo di Ratisbona. Morì nel 1280. Apparteneva all’ordine dei Domenicani. Fu maestro di S. Tommaso d'Aquino. 46 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “a quell’altezza che si vorrebbe da altri, i quali vanno sino all’esagerazione di chiamarlo il “ secondo Aristotele! Fra i grandi laudatori di Alberto Magno vi è Cuvier; ma basta leggere gli Eloges historiques di questo grande naturalista per dubitare assai della verità storica della sua Histoire des sciences naturelles ,. “ Al suo giusto valore è giudicato da E. von MEeyER nella sua Geschichte der Chemie, 1895, pag. 28: “ Alberto Magno, già presso i suoi contemporanei e ancora durante il medioevo, “ ebbe fama di grandissima dottrina e di multiforme sapere; i diversi gradi di questa sua “ coltura furono caratterizzati da uno scrittore del sec. XV, Tritheim: Magnus in magia natu- R R R “ rali, major in philosophia, maximus in theologia. Egli fu venerato anche pel suo nobile “ carattere. Fra i suoi numerosi scritti, sono più importanti, per il giudizio che si può dare “ di lui come alchimista, i due: De alchymia e De rebus metallicis et mineralibus ,. “ Esagera grandemente il Pouchet, quando considera Alberto Magno come il punto di partenza della scuola sperimentale, attorno al quale si aggira tutto il sapere del medio evo. “ Quando nello stesso periodo, o prima di lui, vissero uomini come Federico II di Svevia, Ruggero Bacone, Vincenzo di Beauvais ed altri, per tacere di Dante, non si può più dire che Alberto Magno sia il rappresentante del sapere del medioevo. Federico II ha avuto nei secoli posteriori ben altra benefica influenza che non Alberto Magno! “ Alberto Magno ha preso buona parte delle sue cognizioni chimiche dai libri di Geber, » » » » ES che egli ricorda di frequente nelle sue opere. Le opere del grande chimico arabo furono spesso utilizzate dai chimici ed alchimisti del medioevo, senza citarlo. “ L’essere stato frate domenicano e l’aver occupato elevate cariche religiose l’ha messo R in condizione di avere numerosi ammiratori, anche senza che molti di questi abbiano capito nulla dei suoi scritti. “ Badiamo, che io ho detto essersi esagerati i meriti di Alberto Magno non coll’inten- zione di diminuire i reali meriti che egli ha in ispecie relativamente al tempo in cui è » » » vissuto ,. Molto si è scritto sul valore scientifico di Alberto Magno e si è voluto conside- rarlo come un grande precursore del metodo sperimentale. Ciò è erroneo. E giusta- mente Em. Charles (1) osserva: “ Il est affligeant de voir des hommes de génie comme “ Cuvier, des hommes éminents comme de Blainville, M. Pouchet et tant d’autres, “ prendre à tàche d’étre ingrats envers la science moderne, antidater toutes les grandes “ découvertes, et disculper les savants du moyen àge de la plupart des erreurs qu’on leur “ impose trop justement ,. E in nota prosegue: “ On ne saurait en cela, pousser plus loin “le parti pris ou peut-étre l’illusion que l’auteur de l’Histoire des sciences naturelles au moyen “ dge; il attribue aux scolastiques, et surtout è Albert, une science inépuisable, sans s'aper- “ cevoir que le plus souvent les idées qu'il admire en ce docteur remontent bien plus haut, “ et jusqu'à Aristote ,. Tutto questo è esattissimo. Il Virchow sino dal 1865 nel suo bel discorso: Dello sviluppo nazionale delle Scienze Naturali (2) scriveva: “ Nous nous souvenons avec gratitude que tous nos premiers travaux d’histoire natu- “ relle sont dus, è partir d’Albert le Grand (3), à des hommes d’Église ou méme è des “ femmes d’Église, comme nous le prouve l’exemple de Sainte Hildegard. Mais ces travaux “ n’ont rien d’original, rien qui soit sorti de l’esprit méme de ces hommes ou de ces femmes. |“ Nous pouvons sans hésitation aucune affirmer que le grand évéque Albertus est bien (1) Loc. cit., p. 309. (2) “ Rev. des Cours scient. ,, 1865-66, p. 157. (3) “ Albertus Magnus était le premier des noms inscrits sur les murs de la salle des réumions ,. ea" ti MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 47 «“ petit quand nous mesurons sa valeur d’après nos idées scientifiques actuelles: il fut un «“ grand disciple mais un petit maître. «“ Il avait appris beaucoup, beaucoup lu et beaucoup écrit, mais il a infimiment peu vu « par lui-méme, fort peu pensé et jugé par lui-méme. Il avait été élevé dans le système «“ dogmatique qu'Aristote, — je crois que son nom brille sur ce mur derrière mon dos, — « qu’Aristote nous a transmis à travers la suite des siècles, et que l’Église s’était entièrement «“ assimilé ,. Sotto l'aspetto scientifico Alberto Magno era semplicemente un alchimista del se- colo XIII (1). R. Bacone ha idee proprie, originali, superiori di molto alla capacità intellettuale del suo tempo, mentre Alberto Magno non ha quasi nulla di proprio. Qui sta la grande differenza fra questi due uomini. Alberto Magno era un enciclopedico senza originalità. Ruggero Bacone non andava certo d’accordo coi suoi contemporanei anche di maggior grido; egli affermò nettamente che Alexandre de Halès ed Alberto Magno, famosi al suo tempo, erano causa della cattiva direzione degli studi, e da ciò la corruzione dei costumi. Egli invece loda molto e considera come suo maestro Pietro di Maricourt, il quale conosceva bene le matematiche, l’ottica, l'alchimia, ed era sostenitore della scienza sperimentale: cono- sceva anche l’astronomia e aiutò Ruggero nel suo progetto di modificare il calendario (2). Un quadro assai interessante della coltura nel secolo XIII specialmente riguardo alla filosofia scolastica e cattolica ci è dato dall’Ozanax» nel suo bel libro: Dante e la filosofia cattolica nel 13° secolo. Ozanam (3) afferma che Dante benchè mostri di essere stato iniziato nelle scienze sperimentali, pure rimase estraneo ai lavori di Ruggero Bacone. Non so sopra quale fondamento sia basata questa affermazione. Dante aveva più simpatie per S. Tom- maso d'Aquino e S. Bonaventura. L’Ozanam nel Cap. II della sua opera dà un breve riassunto della vita e delle opere di Bacone, ne ricorda anche la prigionia. Pare che l’Ozanam non conoscesse l’ Opus majus. (1) Ha scritto un numero immenso di opere. La raccolta principale è: Tabula tabulorum parvorum natu- ralium Alberti Magni, episcopiî Ratisbon. — de ordine predicatorum — Venet., 1517; e ed. lat. 1651 in 21 vo- lumi. L'edizione di Lyon, Opera omnia del 1651 fu ristampata da Borguet, Paris, 1890. Le opere principali sue che riguardano l’alchimia sono: De Alchimia — De rebus metallicis et mineralibus, libri V — Compositum de compositis (che fu ristampato anche recentemente in libri alchimistici) — De philosophorum lapide. Alberto Magno era di una prolissità enorme; basta pensare a questi 21 volumi in fol. di 700 a 900 pa- gine l’uno e dove in realtà v'è quasi nulla di veramente originale; eccetto la parte forse teologica. Si vegga anche G. v. Harrrine: Albertus Magnus und die Wissenschaft seiner Zeit, in “ Hist. pol. Blatt. ,, vol. 73 (1874). (2) Di Pietro de Maricourt (Petrus de Maharncuria, o Pierre de Méricourt o Méharicourt, o Petrus Pere- grinus) il Libri nella sua Hist. des scien. math. en Italie, vol. II, p.487, pubblicò la lettera inedita sulla magnete: Epistola Petri Peregrini de Maricourt ad Sygerusum de Fontancourt militem, de Magnete. V. pag. 14. (3) A. F. Ozanam, Dante e la filosofia cattolica nel secolo XITI. Trad. dal franc., di P. Molinelli. Milano, 1841, p. 210. Il traduttore nella prefazione scrive: “ Ma l’ardore che allora sorse nell’universale per le speculazioni “ filosofiche, per le scoperte delle scienze e delle arti, che fervea nel fondo de’ chiostri e delle scuole, dovea “ riflettersi nel Genio che era l’eco potente del Medio Evo. Con S. Tommaso d'Aquino e $. Bonaventura Dante “ approfondiva gli ardui problemi della metafisica, della teologia, della morale e della politica; con Alberto “ il Grande e con Ruggero Bacone, il quale ebbe la gloria di annunciare e descrivere distintamente quasi “ profeta i maravigliosi trovati de’ giorni nostri (De secretis operibus artis et naturae, et nullitate magiae, Cap. 1, 8), “ si applicava alle scienze sperimentali, e scrutava gli arcani della natura ,. Però sta il fatto che Dante non ricorda mai, a quanto io sappia, il nome di Ruggero Bacone. Certo che allora, come sempre, il nome di quel grande ribelle alla Chiesa e alla filosofia scolastica, non doveva godere simpatia presso l'ammiratore di S. Tommaso, di S. Bonaventura, di Alberto il Grande. È un punto debole di Dante? Al termine del suo libro (pagg. 377-381) l’Ozanam, fra i documenti, pone anche alcuni frammenti del- l’opera di Bacone: De secretis operibus, ecc. Pare che S. Tommaso, mente vastissima, sia morto di veleno fattogli propinare da Carlo d’Angiò nel 1274. 48 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Del resto egli come filosofo cattolico poneva molto più in alto Alberto Magno, del quale con entusiasmo ed esagerazione dice : “ Apparve finalmente Alberto Magno, novello Atlante il quale portò sopra sè il mondo “ delle scienze, nè punto venne meno sotto quel peso ,. Ozanam, non so con quanta ragione, mette Ruggero Bacone fra i filosofi cattolici insieme a S. Bonaventura, S. Tommaso e Alberto Magno, maestri di Dante. “ E.già accanto ad Alberto Magno sorge Ruggero Bacone, un frate dell’ordine di S. Francesco, che è il più grande rivoluzionario del XIII secolo; che libera l’aristotelismo dalle sue esagerazioni, che lo studia nelle sue fonti originali, che proclama altamente il principio dell'esperienza e dell’osservazione, che profetizza la conquista che l’uomo farà delle forze della natura, e che allo studio della natura consacra tutto sè stesso e richiama gli altri, pronunziando quelle parole che paiono miracolo in quell’età: lasciamo in pace i volumi degli antichi, e studiamo invece il gran libro che sta sempre aperto davanti a noi tutti , (1). “ Il merito eminente di Ruggero Bacone come filosofo, scrive Franck, non consiste in una dottrina nuova, ma in una critica dei metodi e delle dottrine del suo tempo. È un uomo del rinascimento perduto fra gli scolastici; egli ha le passioni, i pregiudizii e anche le illu- sioni degli uomini del XVI secolo; egli vi aggiunge il genio di un riformatore e non gli è mancato che il successo ,. Ma però io credo che a lui si deve anche una dottrina nuova relativamente ai filosofi dei suoi tempi, perchè nessuno come lui ha fatto vedere l’importanza dell’esperienza sotto l'aspetto filosofico di considerare le cose naturali. Ed è perciò superiore a Duns Scot e a S. Tommaso. Egli ha precorsi i suoi tempi intravedendo una società nuova. Ruggero Bacone e Dante aprono il primo periodo del vero rinascimento e della riforma religiosa. Bacone era un vero rivoluzionario, voleva abbattere tutto l’edifizio della scolastica, voleva costruirne uno nuovo su basi affatto diverse, ma trovò degli ostacoli insormontabili ; i suoi nemici erano numerosi e potenti: S. Bonaventura, S. Tommaso e Alberto Magno, per ricordarne solamente i principali. Ruggero voleva ottenere troppo e presto, e non ottenne nulla. Egli ammirava Aristotele e la Bibbia, quali sono nelle fonti originarie; ma anche nei loro testi originali egli osserva che possono aver errato, non sono infallibili: errare humanum est. Sono queste idee più che la magia o l’alchimia che inasprirono l’animo dei suoi con- temporanei francescani, domenicani, ecc. Ed è per ciò che questi con ogni mezzo si adopra- vano per diffondere nell’opinione pubblica l’idea che Ruggero fosse null’altro che un mago, un negromante, un uomo in diretta comunicazione col demonio, col diavolo. “ Tra gli scienziati che ebbero il coraggio di lottare, scrive H. Kopp (2), contro l’auto- rità, bisogna citare in primo rango l’inglese Ruggero Bacone. Egli raccomandava di cono- scere meglio gli autori antichi e di approfondirli, e reclamava il diritto di spingere l’in- vestigazione scientifica più avanti di quanto non si faceva. Ma i suoi sforzi non servirono che ad attirare su di lui le persecuzioni dell'autorità ecclesiastica e a scoraggiare i suoi imitatori ,. “ La soumission à l’autorité (continua il Kopp) impliquait l’immobilité dans le dogme; et cette règle, d’abord admise en matière de foi, s'imposait aussi è la science. Un méme esprit animait l’Eglise établie et l’enseignement; de méme que la première ne souffrait ni R “ ® discussion ni contradiction sur les questions religieuses, de méme celui-ci excluait d’avance toutes les opinions individuelles contraires aux idées regues. Maintenir intacte cette auto- rité qui pesait à la fois sur la conscience et sur l’esprit, telle est la mission que s'était donnée le moyen fge. Toute tentative d’opposition, d’où qu'elle vint et quel que fùt son » (1) A. Bartoti, St. lett. ital., 1878, I, p. 256. (2) L’état des sciences au moyen dige (1869). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 49 “ objet, mettait cette autorité en danger et méritait d’étre réprimége: la servilité, dans “ l’ordre scientifique aussi, a l’intolérance pour effet inévitable. Ce n'était pas contre les “ eroyances religieuse, mais bien contre les doctrines dominantes dans la science que le “ moine franciscain Roger Bacon protestait au XIII° siècle avec cette énergie qui nous le “ fait admirer è nous comme ayant devancé de beaucoup ses contemporains; la protection “ du pape, il pouvait l’invoquer contre ses persécuteurs. Mais il n’en fut pas moins poursuivi “ comme un maître dangereux, et condamné à un long et dur emprisonnement. Et si l’on “ demande pourquoi tant de haine, si l'on s'informe des crimes de cet hommn e, l’historien “ de son ordre (1) nous répond que Bacon cherchait è introduire des innovations suspectes “ dans la science, qu'il employait l’activité prodigieuse de son intelligence à des recherches ‘ plus ingénieuses que louables, que ses opinions et son enseignement respiraient un esprit “ de liberté condamnable, et qu’enfin il était de ceux qui s’efforgaient d’aller au delà des “ vérités admises et incontestées ,. Il Powell (2) giustamente scrive: “ Egli merita pur anche la nostra simpatia come il “ primo forse di una lunga serie di vittime della persecuzione degli ignoranti, e come uno “ di quell’illustre numero di letterati e di scienziati, i quali difesero la causa della libertà “ morale e intellettuale contro il dispotismo della superstizione ,. Come filosofo certamente Ruggero Bacone è uno spirito libero, irrequieto, che con faci- lità critica tutto a’ suoi tempi e specialmente gli alti filosofi della chiesa quali S. Tommaso e Alberto Magno. È perciò giudicato severamente dai filosofi cattolici. M. de Wulf, ad esempio (3), scrive: “ Tout ce qui touche à cet homme est étrange. Son existence est une longue trame de malheurs et d’irrégularités de vie, se répercutant sur sa doctrine. Comme plusieurs autres “ esprits indépendants de son temps, R. Bacon est anglais de naissance. Rebelle doublé d’un fanfaron, il n’alla è Paris que pour critiquer les maîtres qui y enseignaient, traita Albert “le Grand d’'ignare présomptueux, reprocha à S. Thomas de ne pas entendre le grec, et “ railla la lourde Somme d’A. de Halès (quae est plus quam pondus unius equi, quam ipse “ non fecit sed alii). De retour à Oxford, où il avait fait ses premières études, Bacon se “ fit franciscain: décision malheureuse, car son caractère altier n'était pas fait pour se plier “ è une discipline. Banni d’Angleterre par ses supérieurs, il vécut en France dans un exil “ forcé (1257-1267), jusqu'à ce que l’intervention d’un ami puissant, le pape Clément IV, le “ rendit à la liberté. Mais è la mort de son protecteur, ses diatribes contre les. ordres “ mendiants et contre des personnalités en vue lui attirèrent de nouvelles difficultés; il fut “ condamné par ses supérieurs à une séquestration (1278) (4) qui se prolongea 14 ans, et “ il mourut oublié de tous (1292). » R (1) Qui Kopp molto probabilmente volle accennare a Wadding. Il Wadding era nun francescano irlandese nato a Waterford nel 1588 e m. a Roma nel 1657. Fra le altre opere lasciò: Annales ordinis Minorum. Rome, 1628-1651, 8 vol. in-fol. e 1731-45, 19 vol. in-fol. e Scriptores ordinis Minorum, 1650. Al secolo XIII appartiene in parte, come Dante, anche Jean Duns Scot, frate francescano (cordeliere), nato verso il 1275 (altri nel 1266) a Dunse, presso Berwick in Scozia; morì a Colonia nel 1308. Come filo- sofo scolastico era molto abile controversista e oratore, da ciò il nome di Doctor subtilis. Le sue opere furono pubblicate da Wadding in 12 vol. in-fol. Lyon, 1639; nel 1644 ne scrisse anche la vita. (2) Powerr Bavey, An historical view of the progress of the physical and mathematical sciences, ete., in-12°. London, 1834. Trad. italiana di G. Demarcni, Storia del progresso delle scienze fisiche e matematiche dai tempi antichi sino ai presenti. Torino, 1841, p. 133. (3) Histoire de la philosophie médiévale précédée d'un apereu sur la philosophie ancienne, par M. De Wulf Louvain, 1900, p. 330. (4) L’autore chiama qui la prigionia séquestration. 90 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “ L’ouvrage capital de Bacon est l’Opus majus, dédié è Clément IV. C'est un réquisi- “ toire violent contre les philosophes du temps, et un essai de régénération de la philosophie “ sur des bases scientifiques. L’Opus majus fut complété par l’Opus minus et l’Opus tertium. “On peut étudier dans R. Bacon le naturaliste et le philosophe ,. Ruggero Bacone è giudicato con più equanimità da Ozanam. A me pare molto interessante il giudizio seguente, forse un po’ esagerato, di Picavet riguardo a Ruggero Bacone come filosofo (1): “ Roger Bacon a été un des penseurs les plus originaux du monde médiéval. Si l’on “ eùt suivi la direction qu'il indiquait, on aurait étudié les textes sacrés en hébreu et en grec, “les philosophes dans leurs ceuvres grecques, arabes et latines, on se serait rendu maître de la science déjà faite et on aurait travaillé è acquérir les connaissances nouvelles. Ainsi on aurait connu de mieux le monde sensible et on serait arrivait è une représen- tation de plus en plus harmonieuse du monde intelligible: la théologie et l’exégèse, l’his- toire, l’étude des langues et des sciences, la philosophie morale et métaphysique se seraient développées et, dans leur intime union, se seraient prété un mutuel concours. Notre monde moderne eùt-il été différent? En eùt-il été plus mauvais? , Ch. de Rémusat nella sua bella opera su Francesco Bacone da Verulamio (2) ha fatto anche un breve cenno di Ruggero Bacone, raffrontando tra loro i due filosofi e a pag. 379 scrive le parole seguenti che hanno un gran fondo di verità: “ “ ... Contre l’autorité du moyen àge, le cri de l’indépendance avait retenti avant qu'il le répétàt. Remontons jusqu'à ce moine franciscain du treizième siècle qui par la singu- lière coincidence des noms, semble un afeul en méme temps qu'un précurseur de Bacon. L'Opus majus de Roger contient le germe du Novum Organum de Frangois. Ce rappro- chement a frappé les meilleurs juges (8). “ “ Le premier Bacon admirait l’Aristote de l’antiquité, mais comme le second, il méprisait fort l’aristotélisme moderne, et quoique disciple des Arabes, particulièrement d’Avicenne, il n’attendait rien de la méthode scolastique. Il attribuait la langueur de l’esprit humain à quatre causes, l’autorité des exemples, le respect de la coutume, la complaisance pour les opinions du vulgaire, et l’orgueil de la fausse science: telles sont les idoles qu'il voudrait renverser. Une réforme lui paraît donc urgente. Elle doit commencer par une étude plus profonde des langues, sans laquelle l’ignorance se perpétue et les doctrines sont défigurées par de mauvaises traductions. Le second moyen d’arriver au vrai doit étre cherché dans les mathématiques. L’optique ou l’art de voir est le troisième. Mais le principal est l’expérience, cette maîtresse des connaissances spéculatives. Car l’expérience seule prouve ou vérifie les propositions scientifiques, atteint et manifeste des faits qu’aucun raisonnement n’aurait pu révéler, enfin puise dans le passé et le présent la prévision de l’avenir. A ces traits, il est difficile de pas reconnaître la méthode inductive. Roger Bacon x énumère quelques-unes des découvertes qui déjà sont dues è cette méthode, et c'est par (1) “ Journ. des Savants ,, 1912, p. 463. Sulla Filosofia medioevale si trovano numerose notizie e ricerche bibliografiche in un’opera del Prcaver, Esquisse d’une histoire générale et comparée des philosophes médiévales. Paris, Alcan, 1905, 1 vol. in-8° di 370 pagg. 2 (2) Ca. pe Remusar, Bacon, sa vie, son temps, sa philosophie et de son influence jusqu'à nos jours. 2° édit. Paris, 1858. (3) E qui il Rémusat cita gli autori seguenti, utili a conoscersi per l’opera di Ruggero : D. Srewart, Dissert., part. I, ch. I; Works, t. 1; Havram, Europ. Cit., t. I, ch. II, 52; Cousin, “ Journ. des Savants ,, aoùt 1848; Wuaewekt, Philos. of ind. sc., t. II, I, XII, ch. VII A, 3; Jourparn, Recherches, ete., not. B, p. 272, 2° édit., et Cra. Jourparn, Dictionn. des sc. phil., t. I. Cfr. De GerANDO, Histoire comp., part. I, ch. XXVII, t, IV, p. 539; RousseLor, Phil. dans le moyen dge, t. III, ch. XX; HaureAu, Phil. scol., ch. XXIV, t. II, p. 280. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 51 “ là que ses ouvrages sont d’un grand intérét pour l’histoire des sciences; mais il indique “ en bien plus grand nombre les recherches qui restent è faire. Il attend beaucoup du “ temps; il compte sur les progrès du savoir, et il présage le jour ou le travail accumulé “ des génerations revélera ce qui est caché; car plus les hommes sont récents (1), plus “ ils sont éclairés, et les savants de son temps ignorent bien des choses que saura le vul- “ gaire des étudiants dans les temps futurs ,. “ Ces vues sont les mèmes que celles du second Bacon, et peut-étre trouverait-on dans “ le premier, avec moins de largeur et d’éloquence assurément, une sagacité et une précision “ qui l’eussent rendu le plus propre des deux aux travaux réels des sciences ,. Si è asserito che Ruggero fu condannato e imprigionato specialmente per i suoi scritti di alchimia e di magia, perchè queste arti allarmavano e spaventavano gli spiriti deboli e aumentavano la superstizione, e a prova di ciò si ricordano le decisioni prese nei congressi generali dei frati predicatori e come questa paura per l’alchimia e la magia si risvegliasse al momento della condanna di Ruggero. Il capitolo provinciale di Narbona nel 1272 proi- biva ai frati gli scritti sull’alchimia e la magia e ordinava a chi aveva questi libri, che li bruciasse. Questa proibizione si rinnovò nel 1287 nel capitolo di Bordeaux, nel 1289 in quello di Trèves, nel 1323 in quello di Barcellona. Ma invece la vera causa va ricercata nelle sue ardite idee riformative della chiesa e della filosofia. Ruggero viveva in tempi in cui bisognava seguire le regole dettate dall’autorità eccle- siastica. Già nel 1243 il capitolo generale dei Frati Predicatori, tenutosi a Parigi, aveva proibito a tutti i religiosi “ di studiare altre opere di fisica che non fossero quelle di cui si parla nelle Costituzioni dell'Ordine, e di non comporre delle opere che possano essere sospette , (Fratres non studeant in libris physicis nisi secundum quod scriptum est in Constitutionibus, nec etiam seripta curiosa faciant) (2). I Domenicani poi proibivano di studiare gli scritti dei pagani, nel Capitolo di Parigi del 1246. Durante la sua prigionia Ruggero non doveva comu- nicare a nessuno le opere uscite dalla sua penna sotto pena di confisca del libro e di un digiuno a pane e acqua per più giorni. Concetto dell’unità della scienza. — È indubitato che per molte idee il nostro Rug- gero ha precorso di molto il suo tempo; egli era una mente moderna. Nel cervello di Rug- gero Bacone era ben chiaro il pensiero che le diverse scienze si prestano un mutuo appoggio, si intrecciano l’una coll’altra: Omnes scientiae sunt connerae, et mutuis se fovent auxiliis, sicut pa d%es ejusdem totius, quarum quaelibet opus suum peragit non solum pro se sed pro aliis (Opus tertium) (3). E anche oggi noi non parliamo di correlazione fra le scienze, di scienze ausiliarie ecc. ecc.? Già riconosce questo principio col dimostrare l'utilità delle matema- tiche in tutte le scienze, in tutto il sapere umano. E noi lo vediamo nella sua ottica ove discorre dell'occhio, della sensazione visiva e della fisiologia della visione, cioè considera l'occhio dal lato anatomico, fisico, geometrico e fisiologico; nella Perspectiva (Opus majus, Pars quinta) distintio secunda dice: Habens tria capitula. Primum est de origine nervorum qui ad oculum eriguntur, poi più avanti al Cap. II De tunicis oculi compositis ex tribus nervis dictis, nel Cap. IN De humoribus oculi, et tela araneae e così prosegue tutta questa Pars Quinta cioè l’Ottica, così ricca di nozioni anatomiche, fisiologiche, fisiche, ecc. (1) Recensiores, cioè che verranno di poi. (2) Acta capit. gener. Parisiis celebrati anno 1243. Martine, Thesaurus, t. IV, col. 1685; citato dal Narbus. (3) 5 .... per la ricerca della natura, scrive Wixpersanp (Storia della filosofia ed. ital., I, p.438) il tempo non era ancor maturo, per quanto Ruggero Bacone insistesse, sull’esempio arabo, sulle determinazioni quan- titative delle osservazioni e sull’istruzione matematica ,. Però in questo caso la frase sulle determinazioni quantitative delle osservazioni non mi pare esatta; come chimico o fisico o astronomo Ruggero Bacone credo non abbia mai fatto delle determinazioni quantitative 52 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Il progredire dell'umanità. — Libero esame. — E nella Parte I dell'Opus majus che Ruggero discorre a lungo dell’ignoranza umana. In questa parte della magnifica opera tratta delle quattro cause universali dell'ignoranza (the four general causes of human igno- rance) (1), le quali poi si riducono ad una sola: l'autorità. Giustamente Leroux osservava: “ Vedere impugnata l’autorità nel secolo XII parrebbe cosa men vera, eppure così è; tutta “la prima parte dell'Opus majus è una censura solida e luminosa del principio dell’auto- “ rità, è una dimostrazione degli errori che ne derivano; e notate bene, è un frate che la “ dirige a un Papa. Ben egli s'accorge della gravità della sua impresa, egli vuol riformare “la chiesa, vuol appoggiare la teologia su basi scientifiche e al capo della chiesa propone “ le sue idee. Vero è che l’autorità da lui negata è principalmente quella degli antichi, mettendo da banda la Sacra Scrittura e la potenza legittima della chiesa; ma indiretta- “ mente la tesi è di una generalità tale che comprende e abbraccia ogni cosa ,. Però fa vedere anche le verità dette dagli antichi. E così viene a poco a poco al con- cetto del progresso umano. “ Verrà tempo, egli dice, che quel che oggi è nascosto sarà “ rivelato a pieno giorno per effetto del succedersi delle generazioni e per l’industria del- “umanità più a lungo prolungata. Per tante scoperte, per sì immense ricchezze non basta “un periodo solo, non basta un secolo o alcuni. Nell’età futura il popolo saprà una quan- “ tità di cose che noi ora ignoriamo, e verrà tempo che la nostra posterità sarà meravi- “ gliata che noi abbiamo ignorato cose sì chiare ed evidenti ad essa ,. R È merito grandissimo di Ruggero Bacone l’aver pensato che l'umanità progredisce, l'aver fede nel progresso umano. Egli diceva che Aristotele e i suoi contemporanei ignoravano un cumulo di verità fisiche e naturali ed anche oggi i sapienti ignorano tante cose che un giorno saranno famigliari a tutti gli scolari (De secretis operibus, ecc., I, p. 7). I posteri aggiungono sempre nuovo sapere alle opere dei loro predecessori, molte cose correggeranno; non conviene credere a tutto ciò che vediamo e leggiamo; vuolsi esaminare le sentenze dei vecchi per aggiungere dove mancarono, correggere dove fallarono, sempre però con modestia e compatimento. “ Semper posteriores addiderunt ad opera priorum, et multa correxerunt.... “ Quoniam igitur haec ita se habent, non oportet nos adhaerere omnibus quae audimus et “ legimus, sed examinare debemus distinctissime sententias majorum, ut addamus quae eis “ defuerunt et corrigamus quae errata sunt, cum omni tamen modestia et excusatione , (Opus majus). : “ Questa è ben meraviglia, scrive Leroux, nel fitto del medio evo. Or ci si venga a “ dire che Descartes è il padre unico, l'inventore primo del libero esame. Aggiungiamo che, “a nostro avviso, la formula di Ruggero Bacone è ben più filosofica che quella di Descartes “ data del libero esame; giacchè non rifiuta la tradizione, non pretende (cosa affatto anti- “ filosofica) che ciascun uomo debba costruire da sè tutta la sua cognizione umana; non “ spinge l’uomo nell’assoluto, come fa Descartes, e fuor della via di relazione, cioè fuori “ della vita reale; al contrario, accetta la tradizione per perfezionarla, aumentarla, arric- “ chirla, purificarla. Questa formola è talmente bella, talmente conforme all’odierna dottrina “ del progresso, che non avremmo una sola parola a mutarvi; tutto n’è perfetto, sin l’espres- “ sione che la termina, su quella pietà sincera e delicata con cui i moderni debbono correg- “ gere gli errori dei predecessori ,. Ruggero e Francesco Bacone si assomigliano e si accordano nel sentimento e nel desi- derio del progresso umano; concetto che è più ammirevole in Ruggero il quale trovavasi in pieno medioevo, quattro secoli prima di Francesco. “ Aumentare per la potenza intellettuale “ il potere del genere umano sul mondo; in altri termini, rendere l’uomo alla sovranità (1) Nuova ediz. di Bridges, vol. I, pp. 1-32. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 58 “ della natura (Francesco Bacone, Dell’interpretazione della Natura); rimuovere i limiti della “ potenza umana nel compimento di tutto ciò che è possibile (Nuova Atlantide) ,. Queste parole di Francesco non sono identiche a quelle di Ruggero sia nel De secretis operibus artis et naturae, sia nell'Opus majus? “ Ai nostri occhi, scrive la Encyelop. Nouvelle, il desiderio “ di aumentare la potenza umana, questa religione dell'umanità che cresce continuamente “ di forza, e per l'intelligenza e la virtù si sottrae alla debolezza originale, è il tratto carat- “ teristico di Ruggero come di Francesco Bacone ,. Egli aveva grande stima degli antichi ma non li riteneva infallibili, il suo senso critico, il suo scetticismo lo spingeva ad esaminare. “ Senza dubbio, diceva, bisogna rispettare gli “ antichi e mostrarsi riconoscenti verso coloro che ci hanno aperto la via, ma non dobbiamo “ dimenticare che essi furono uomini come noi ed hanno errato più volte; essi hanno pure “ commesso più errori quanto più sono antichi, perchè i più giovani sono in realtà i più “ vecchi; le generazioni moderne devono oltrepassare, riguardo il sapere, quelle d’altri tempi, “ poichè esse ereditano tutti i lavori del passato (1). Aristotele stesso non ha saputo tutto, “ ha fatto tutto ciò che era possibile al suo tempo secundum possibilitatem sui temporis, ma “ non è pervenuto al termine del sapere. Avicenna ha errato, ed Averroès pure. I santi non “ sono infallibili; essi si sono spesso ingannati, spesso hanno fatto ritrattazione; ad esempio, “ S. Agostino, S. Girolamo, Origene. Non parliamo di essi che con rispetto, non dimenti- “ chiamo la riconoscenza che noi dobbiamo ai saggi antichi senza i quali non saremmo nulla, “ domandiamo loro perdono quando noi ci allontaniamo dalle loro idee, ma non esitiamo a “ contraddirli, essi non erano al disopra dell’umanità... , (Em. Charles). E così prosegue il suo libero esame. L'ammettere o il prevedere che un giorno l’uomo riescirebbe a volare cioè a dominar l’aria, che riescirebbe a far correre con grande velocità le navi, i carri, ecc., per quanto siano idee esagerate non sono che la conseguenza di quel suo concetto generale secondo il quale l'umanità deve progredire. & l'idea del progredire del sapere non si trova facilmente negli scrittori anteriori a Ruggero. É un concetto di grande importanza. Tutte queste idee nuove dovevano farlo considerare come un vero ribelle alla chiesa e doveva essere punito. È caratteristica delle scienze positive il progredire sempre. Questa è la massima stabi- lita da Bacone già da sette secoli e sempre vera. “ Avec plus de raison il nous étonne “ aujourd’hui par l’audace de sa critique et la nouveauté de ses apergus , (Hauréau) (2). Secondo Renan il nostro Ruggero fu un positivista a suo modo (3) e secondo Hauréau fu un positivista poco diverso dai positivisti moderni. Egli previde le conseguenze del suo ardimento; ricorda coloro che furono calunniati, maltrattati per aver emesso idee nuove. “ Furono dei santi, scrive, che si sollevarono contro “ S. Gerolamo, riguardo la sua traduzione della Bibbia e lo si chiamò falsario, corruttore e “come S. Agostino lo ingiuriarono. E dopo di lui non è forse la sua traduzione che ha “ prevalso e non è quella di cui si fa uso ora in tutta la cristianità? , (Opus fertium, cap. IX). Il senso critico e l’arditezza di quest'uomo sono straordinari (4). « (1) È questa una idea che si è attribuita ad altri posteriori al nostro dottore, scrive Charles: © antiquitas seculi juventus mundi , dirà Francesco Bacone (De augmentis, ecc.), pensiero preso, dice un critico (Whewell), a Giordano Bruno; e ripetuto da Pascal, Malebranche ed altri. Ma è di Ruggero, se non si vuol risalire sino a Seneca. (2) Histoire de la philos. scolast. Paris, 1880, vol. Il, p. 93. Anche questo capitolo su Bacone è scritto in gran parte prendendo per base il libro di Em. Charles. (3) “ Revue des Deux Mondes ,, 1880, p. 377. (4) Già Ruggero Bacone ammetteva e sosteneva con buoni argomenti la libertà d’opinione, la libertà nel modo di pensare, il vero libero pensiero, senza dogmi. E ciò nel secolo XII era un gran fatto; tanto 54 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Il Saisset considera Ruggero Bacone (1) come il più originale forse dei precursori della filosofia moderna (2): “ De toutes les grandes pensées qui ont suscité la Renaissance et la philosophie ‘ moderne, il n’en est pas une qu'on ne trouve dans ces écrits. Il a combattu la méthode abstraite de la scolastique au moment où tout fléchissait sous son empire. A l’Aristote “ controuvé des docteurs il a opposé l’Aristote véritable, celui des textes authentiques. “ Versé dans le grec, dans l’hébreu, il a pressenti l’immense avenir réservé à l’étude com- “ parative des langues. Mais l’idée féconde, qui chez lui domine tous les autres, c'est l’idée “ d'une philosophie nouvelle fondée sur l’observation de la nature, sur l’analyse e l’expé- “ rience. Or il ne se borne pas, comme après lui Bacon de Verulam, à décrire et àè célébrer avec éloquence les procédés d’expérimentation et d’induction, il donne è la fois le pré- “ cepte et l'exemple ,. Quest'ultima parte del discorso di Saisset è molto esagerata. Whewell (3) discorre brevemente dell'importanza di Ruggero Bacone e fa anch'egli vedere come in esso sia il fondamento dell’opera successiva di Bacone da Verulamio. Causa la lotta tremenda che ebbe a sostenere contro gli ignoranti del suo tempo, le sue opere rimasero poco conosciute, disperse, proibite. Per cui, come disse il Charles, l’influenza di Ruggero Bacone sul suo secolo fu quasi nulla. “ Les idées ensevelies dans ses manuscrits, “ devaient rester près de trois cents ans, jusqu'àè ce qu'un autre Bacon vînt le reprendre “ pour son compte, y ajouter ancore, et, mieux servi par les circonstances, les faire passer “«“ définitivement dans la science. Pas un docteur du XIII°® ou XIV® siècle ne cite Bacon; pas “un ne combat ou n’approuve ses opinions. Une sorte de malédiction pèse sur sa mémoire, “ et s'il est sauvé de l’oubli, c'est par ces erreurs mémes et par les parties de son ceuvre R “qui auraient le plus mérité d’étre oubliées ,. Ma il Charles non ricorda mai Galileo; quasi che fosse stato poi l’altro Bacone che abbia dato vita al metodo sperimentale! Nessuno dei grandi dottori dei secoli XIII e XIV cita il nome di Bacone. Lo si discute, lo si combatte, come fece Alberto Magno, ma non si nomina. Ruggero cominciò a battere in breccia la fisica di Aristotele il quale allora era reputato infallibile; così fece Galileo in modo più potente, più efficace, come una catapulta, ed anche nel secolo di Galileo, come in quello di Ruggero Bacone, tutti gli insegnanti, in gran parte ecclesia- stici, si sollevarono furiosamente contro il novatore. La religione, allora (XIII), come nel se- colo XVII, divenne un’arma terribile per gli oppositori. Galileo subì la prigionia come Ruggero. K può forse recare grande meraviglia se tutte le conoscenze scientifiche di Bacone non furono tenute in considerazione ai suoi tempi, quando si pensi che le grandi idee di Newton sulla gravitazione universale non furono accettate se non 50 anni dopo che furono emesse? Per lungo tempo l'Accademia delle Scienze di Parigi proponeva delle questioni dalle quali si scorgeva che essa non ammetteva la gravitazione universale di Newton! Un confronto o meglio un parallelo completo tra Ruggero Bacone (secolo XIII) e Fran- cesco Bacone da Verulamio (secolo XVII) forse non è ancora stato fatto, ma sarebbe assai utile il farlo, perchè molte delle idee del secondo si trovano già nel primo. più meraviglioso se si pensi che oggi dopo sette secoli del cosidetto progresso si insultano dei professori perchè per le loro opinioni politiche sono più favorevoli ad una nazione belligerante anzichè ad un’altra! È progresso vero questo? (1) Bisognerebbe dire: Ruggero Bacone e Giordano Bruno sono i due più originali precursori della filo- sofia moderna. (2) Précurseurs et disciples de Descartes, 1862, p. 1 e v. (3) History of inductive sciences. MEMORIE - ULASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL, LXV, N. 4. Ut ur 2. — Ruggero Bacone e l’Esperienza. Dopo quanto ho esposto nel precedente capitolo, si scorge che Ruggero Bacone sia un vero precursore del metodo sperimentale galileiano? Io penso di no. Badiamo bene, che anche se ciò fosse, nulla si toglie ai grandi meriti del nostro Galileo; tutti i grandi genî hanno avuto dei precursori, dei primitivi. Bacone, è vero, stabilisce come principio fondamentale l’esperienza: “ Sine experientia nihil sufficienter sciri potest ,. — Ma questa frase costituisce forse il metodo sperimentale? A. Humboldt nel suo celebre: Evamen critique de l’histoire de la géographie du nouveau continent, ete., Paris, 1837, vol. II, p. 295, note B, in un capitolo: De Roger Bacon, de ses expériences et projets d’invention così serive: “ Ce qui caractérise Roger Bacon et lui assigne un rang distingué parmi les fondateurs “ des sciences physiques, c'est le zèle avec lequel il insiste partout sur la nécessité des “ expériences. “ Scientia experimentalis a vulgo studentium penitus ignorata: duo tamen sunt modi cogno- scendi, scilicet per argumentum et experientiam. Sine experientia mihil sufficienter sciri potest. Argumentum concludit, sed non certificat neque removet dubitationem, ut quiescat animus in intuitu veritatis, nisî eam inveniat via experientiae , (Opus majus, pars VI, cap. 1) (1). “ Roger Bacon fait l’application de la méthode expérimentale, qu'il considère comme la racine (la base) des sciences physiques, aux phénomènes optiques, desquels il avait une vaste connaissance. Voyez, sur la structure de l’ceil et la décussation des nerfs optiques, p. 263; sur les causes du phenomène le plus vulgaire de la scintillation des étoiles et l’absence de la scintillation des planètes (omni nocte possumus intueri res, in quibus accidit dubitatio philosophica, unde nihil totiens videmus, cuius causam minus sciamus), pag. 331-335; sur la réflection et la réfraction, pag. 337; sur le grossissement et les instruments (len- tilles) utiles senibus et habentibus oculos debiles, pag. 352; sur la possibilité de construire des lunettes (Nam possumus sic figurare perspicua quod frangentur radii et flectentur quorsumceunque voluerimus et sub quocunque angulo voluerimus, videbimusque rem prope La vel longe; et sic ex incredibili distantia legeremus litteras minutissimas et pulveres ac arenas numeraremus propter magnitudinem anguli sub quo videremus. Sic puer posset apparere gigas, sic etiam faceremus solem et lunam et stellas descendere secundum apparentiam hic inferius, et similiter super capita inimicorum apparere), pag. 357; sur les phenomènes de l’arc-en-ciel, des halos et des zones colorées autour des astres, ou de la lumière d’une chandelle; sur la coloration des nuages, le passage des rayons solaires è travers des cristaux; sur l’ordre des couleurs produites par les surfaces striées (lapides iridis, albi vel nigro fusci, ex Hibernia vel India, superficie rugosi et hexagoni praebent eremplum, quando experimentator lapides teneat in radio solari, cadentem per fenestram, et colores omnes inveniat îiridis et ordinatos, sicut în ea, inveniet in opaco iusta radium. Et ulterius sî idem experimentator convertat se ad locum aliquantulum tenebrosum et ponat lapidem ad angulum fere clausum, videbit colores iridis manifeste ordinatos sicut in iride. Idem accidit “ in figura alia ab hexagona in lapide crystallino, dummodo sint rugosae superficies, ut lapides “ Hibernici, et non omnino politae, nec magis asperae quam illi, et sunt tales in proprietate (‘3 Me (1) Questa citazione di Humboldt è incompleta; bisogna leggere tutta la Pars sesta: De scientia speri- mentali, capitulum I e II della nuova edizione dell’ Opus majus, 1900, vol. II, pp. 167 e 172. Tutta questa parte sesta è importantissima. r 56 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “ superficei, quales natura producit Hibernicos: nam rugarum diversitas facit diversitatem coloris. » Si homo in aestate, quando surgit a somno et habet hoculos nondum bene apertos, subito aspiciat ad foramen per quod intrat radius solis, videbit colores. Et si sedens ultra solem extendat capitium suum ultra oculos, videbit colores, et similiter si claudat oculum, contingîit » idem sub umbra superciliorum et per cilia et supercilià et foramina pannorum (!) inveniet circulos coloratos), pag. 97, 448-455. R “ Cette variété d’observations d’optique, si ingénieuses, n’est due ni à Alhazen, ni à l’optique de Ptolémée, dont Roger Bacon avait cependant connaissance par les versions arabes (pag. 79, 288, 404); elle est due è la fécondité de son esprit et à son habitude d’interroger la nature par la voie expérimentale. Il ne faut pas oublier que l’Opus majus a été terminé l’an 1267, seulement dix-neuf ans après l’ouvrage d’Albert-le- Grand (JourpAIn, Recherches critiques sur les traductions d’ Aristote, 1819, pag. 338) ,. E in altra parte dell'Opus majus Bacone scrive queste altre magnifiche parole, tutte moderne, che diamo tradotte: “ In ogni ricerca, bisogna impiegare il migliore metodo possibile. Ora, questo metodo consiste nello studiare, nell’ordine necessario, le parti della scienza, porre nel primo rango ciò che realmente deve trovarsi al principio, il più facile prima del più difficile, il gene- rale prima del particolare, il semplice avanti al composto: bisogna scegliere per lo studio gli oggetti più utili in ragione della brevità della vita; bisogna infine esporre la scienza con ogni certezza e chiarezza senza alcun dubbio od oscurità. Ora tutto ciò è impossibile senza l’esperienza, perchè è vero che noi abbiamo diversi metodi per conoscere la verità R ES R cioè l'autorità, il ragionamento e l’esperienza: ma, l’autorità non ha valore se non dà le prove, non sapit nisi datur ejus ratio: essa non fa comprendere ma solamente credere, essa si impone allo spirito senza rischiararlo. Quanto al ragionamento non si può distin- guere il sofisma dalla dimostrazione che verificandone la conclusione coll’esperimento e colla pratica come io l’insegnerò nelle scienze sperimentali. Ecco perchè i segreti più importanti della sapienza restano incogniti ai nostri giorni al gran numero degli scien- n » ziati che potrebbero facilmente iniziarsi in ogni parte della scienza prendendo in aiuto un metodo conveniente , (Compendium Phil., cap. I; Tiger C. V., Manuscr. coll. citato da Charles loc. cit., p. 111-112). Per quel tempo tutto questo è meraviglioso. Non so però se possiamo con sicurezza dire con il Charles, che Ruggero Bacone sia stato il primo a pronunciare, comprendendone bene il significato, la parola exrperientia (loc. cit., p. 112). Le scienze della natura sono da lui chiamate scienze sperimentali: “ D'altra parte, egli “ dice, vi sono tre modi di conoscere la verità: l'autorità, che non può produrre che la fede, “e d'altronde deve giustificarsi agli occhi della ragione; il ragionamento, le cui conclusioni più certe lasciano a desiderare, se non si verificano; ed infine l’esperienza, che basta per sè stessa, (Opus majus). E in altra parte tralascia affatto l'autorità e dice: “ l’esperienza ed il ragionamento bastano. Il ragionamento solo può convincere ma non persuade e non esclude sempre il dubbio; benchè Aristotele abbia definito la scienza il sillogismo che fa sapere, vi sono dei casi ove la semplice esperienza fa conoscere meglio la verità che ogni sillogismo; vi sono mille pregiudizi, mille errori radicali che riposano sulla pura dimo- strazione (in nuda demonstratione). Se Aristotele pretende, nel secondo libro della metafisica, “che la conoscenza della ragione e delle cause sorpassi l’esperienza, egli parla di una esperienza inferiore; quella invece di cui è qui questione, si estende sino alla causa e la scopre coll’osservazione. Si può, sulle verità di fatto, far senza la dimostrazione, se si sa servirsi dell'esperienza ,. Tutto questo è magnifico. Nel XIII! Ruggero Bacone ha avuto il grande merito di essere stato uno dei primi a scuotere » “ K » DI » LO Pi, * MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 57 l'autorità di Aristotele per sostituirvi l’autorità dell'esperienza; ma le sue idee non potevano essere comprese dai suoi contemporanei; egli ha preceduto di molto i suoi tempi (1). Giustamente Fonsegrive scrive che: “ Bacone era fatto più per vivere ai nostri tempi “in una facoltà di scienze, che non per vivere nel secolo XIII in un convento di francescani, “e ciò spiega la natura de’ suoi scritti e le sue sventure , (2). Altri scrivono che: “ Roger Bacon fut Ze véritable fondateur de la physique positive et “ expérimentale , (3). Sono giudizi esagerati, emessi talora da chi non ha la coltura conveniente. A mio avviso il suo sperimentare era in gran parte quello dell'alchimista; attribuiva all'esperienza la facoltà di creare degli elixir per prolungare la vita, trasformare i metalli, ecc., e giustamente Humboldt diceva: “ La liberté d’esprit de Roger Bacon ne l’affranchissait pas “ entitrement des rèveries de la chimie des transformations et du goùt pour l’astrologie. Il “ espérait cependant rendre cette dernière moins trompeuse, par le perfectionnement des tables “ astronomiques ». Però spesso si confonde l’esperienza sola, l’atto materiale di esperimento, col metodo sperimentale. (1) Aristotele fu l’uomo dell'antichità che ha avuto più influenza sul progresso umano sino dopo il Medio Evo, sino a Colombo; non solo come massimo filosofo, ma quale naturalista, uomo politico, legislatore delle lettere. Vero maestro di color che sanno. Le opere di Aristotele dopo la sua morte (n. 384 av. C., m. 322) rimasero lungo tempo quasi sconosciute e cominciarono ad essere note ai tempi di Cicerone, quando Silla, dopo presa Atene, le portò a Roma; ed è solamente nei primi secoli dell’èra cristiana che acquistarono diffusione nell’insegnamento e specialmente la Logica si insegnava nelle scuole latine e greche. Beda, Isidoro di Siviglia, Alcuino, ece., ed i padri della Chiesa studiavano e commentavano Aristotele. Ma le altre opere, oltre la Logica, ie sue dottrine fisiche e metafisiche cominciavano pure ad essere conosciute, e la Chiesa cristiana se ne spaventò perchè avevano dato luogo ad eresie. Invece gli Arabi avevano presto adottate tutte le opere d’Aristotele, le tradussero e le commentarono. L’aristotelismo quale esisteva nel secolo di Ruggero Bacone era quello desunto specialmente dalla Logica e quale fu adottato e commentato e difeso dai padri della Chiesa. Nel 1210, cioè pochi anni prima della nascita di Ruggero, tutti i libri di Aristotele furono proibiti e condannati al fuoco, eccetto sempre la Logica. Furono gli Arabi i primi a far conoscere tutta o quasi tutta la immensa opera vera di Aristotele e a diffon- derne la lettura. È per ciò che Ruggero raccomandava lo studio delle lingue greca ed araba e non della latina. Si dovrebbe dire che Ruggero Bacone, ed altri dopo di lui, combatterono l’aristotelismo della Chiesa e non il vero Aristotele, che rimane sempre il più grande di tutti i filosofi. Egli dunque, ripetiamo, non com- batteva l’Aristotele fatto conoscere dagli Arabi, ma bensì quello commentato da S. Tommaso ed altri scrit- tori ecclesiastici. Le opere complete di Aristotele si cominciarono a stampare a Venezia nel 1495-1498 dagli Aldo. Dunque, riassumendo, ciò che per tanti secoli si conobbe col nome di aristotelismo era quella piccola parte di Aristotele, che doveva fare autorità, doveva essere dogma, perchè modificata e accettata dalla Chiesa. Quindi erano ribelli tutti coloro che combattevano l’aristotelismo cattolico; Ruggero Bacone fu uno dei più grandi ribelli, come lo furono poi Ramus, G. Bruno, Basso ed altri. L’aristotelismo contrafatto da S. Tommaso ebbe il suo massimo sviluppo e potere nel secolo XVII, ed il Picavet scrive (Esquisse d’une histoire générale et comparée des philosophes médiévales. Paris, 1905, p. 227): “ Au contraire, après 1600, les Universités et les Jésuites s’accordent è prendre pour maître l’Aristote catholicisé par saint Thomas (ch. II, 9; V, 7). L’autorité séculière, pas plus que le clergé, ne laisse aux “ étudiants la liberté dont avaient joui Albert le Grand et son illustre disciple. En 1600 Giordano Bruno, “ condamné par l’Inquisition, est bràlé a Rome; en 1619 le Parlement de Toulouse fait périr Vanini d'une “ mort horrible. En 1624 le Parlement de Paris décrète la peine de mort contre quiconque avancerait quelque “ chose de contraire è la doctrine d’Aristote. Aussi enseigne-t-on partout que le soleil tourne autour de la “ terre et que les cienx sont incorruptibles; que l’éther se meut en cercle, tandis que les corps périssables se meuvent en ligne droite vers le haut ou vers le bas ,. De Wutr, La philosophie scolastique dans les Pays-Bas, p. 381 e in Diction. phylos. de Franck, art. Galilée, di Ta. H. Martin. - (2) La grande Encyclopédie. (3) P. A. Cap, L’alchimie au XIII° siècle, in Etudes biographiques pour servir à Vhistoire des sciences. Vol. 342. Paris, 1864. Ut (0.0) ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Può dirsi che applica il vero metodo sperimentale colui che scopre delle leggi speri- mentali, che con esperienze metodiche conferma, o sviluppa delle idee preconcette, che lega fatti staccati e ne trae una dottrina. Tutto questo ha fatto Galileo, e nessun altro, credo, prima di lui. Si potrebbe forse risalire ad Archimede. Ora, Bacone ha fatto questo genere di experientia? no. Bacone ha scoperto veramente qualche legge nuova? no. Egli ha avuto il merito di essere un grande ribelle all'autorità del suo tempo; nel senso che egli scorgeva, per progredire nelle scienze, la necessità di seguire un’altra via. Molte volte è assai difficile distinguere l'osservazione dalla esperimentazione; le scienze di osservazione non si separano realmente, come diceva Cl. Bernard, dalle scienze di espe- rimentazione; è solamente il metodo d’investigazione che si modifica. Ogni scienza speri- mentale (chimica, fisica, fisiologia) ha cominciato coll’osservazione. E del resto, le scienze che un tempo erano considerate come di pura osservazione quali la botanica, la zoologia, la geologia e l’astronomia, non sono diventate anch’esse scienze sperimentali? la fisiologia vegetale, una delle branche più belle della biologia, non è scienza sperimentale? LapLACcE diceva (Systhème du monde, chap. II): “ Sur la terre, nous faisons varier les “ phénomènes par des expériences; dans le ciel, nous déterminons avec soin ceux que nous “ offrent les mouvements célestes ,. Ora questo non si potrebbe più scrivere; molti feno- meni celesti si studiano coll’osservazione e coll’esperienza. La spettroscopia applicata all’a- stronomia, o meglio l’astrofisica è, in fondo, una scienza sperimentale. E giustamente il Mirne Epwarps, nel suo corso di Fisiologia ed anatomia comparata (£ Revue des Cours scient.,, 1863-64, pag. 2), dopo aver tenuto discorso del Vesalio, scrive: “ Bientòt après on commence à comprendre la nécessité d’avoir recours à l’expérimen- “tation, c’est-à-dire de placer l’objet que l’on étudie dans des conditions déterminées et “ choisies, de fagon que, suivant le résultat négatif ou positif, on puisse se prononcer sur “la question mise en débat ,. E subito ricorda l’ Accademia del Cimento. Noi non dobbiamo esagerare e far credere che a Ruggero Bacone debbansi tante osser- vazioni nuove, che a lui debbasi il metodo sperimentale. Lasciamo pure incerta la scoperta del telescopio e del microscopio; ma il fatto vero è' che egli, con questi strumenti, se pur li conosceva, non trovò nulla di nuovo. Gli occhiali furono scoperti in Italia, in Toscana, oggi è fuori di ogni dubbio; non da Bacone, come vorrebbe il Brewster. Quando Galileo conobbe il telescopio, subito ne intuì l’importanza e l’utilizzò per scoprire nuovi mondi e aprire una nuova via alla astronomia. Il Fontenelle (1) diceva di Galileo: “ Génie rare, et dont on verra toujours le nom è “la tete de plusieurs des plus importantes découvertes, sur lesquelles est fondée la philo- “ sophie moderne ,,. i E lo stesso FonrENELLE, nella Prefazione all’istoria dell’ Académie des Sciences (2), scriveva: “ En Italie, Galilée, mathématicien du Grand-Duc, observa le premier, au commencement “de ce siècle, les taches sur le soleil. Il découvrit les satellites de Jupiter, les phases de “ Vénus, les petites étoiles qui composent la Voie de lait; et, ce qui est encore plus consi- “ dérable, l’instrument dont il s’étoit servi pour les découvrir ,. Ma, si è detto, quanto di più ci avrebbe dato Ruggero Bacone al suo tempo, se fosse stato più libero, più padrone di sè, più ricco di mezzi di ricerca? To dico anzi che in quelle condizioni avrebbe dato di meno. Egli ci ha dato tutto quello che ci poteva dare appunto perchè era compresso, aveva pochi mezzi ed era in lotta col suo tempo. Ciò che fa grande (1) Hloge de Viviani. Euvres de Fontenelle. Éd. 1790, t. VI, p. 103. (2) Euvres de Fontenelle. Éd. 1790. Paris. Vol. VI, p. 3. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 59 l'uomo di genio è la lotta; se egli fosse stato libero e felice ci dava molto meno. Se Dante non fosse stato esiliato, forse forse non ci dava un poema di sì alto valore. L'uomo di genio ha bisogno di combattere: Colombo ha dovuto superare mille contrarietà; Copernico, pure; Bruno, ha dovuto soccombere; Galileo, ha sopportato la tortura, almeno morale; Lamark, fu disprezzato quando era vivente. E il grande Kepler, lo scopritore delle leggi che reggono l'universo, non ebbe a sopportare le vicende più dolorose, non dovette lottare coll’avversità per tutta la sua vita? Tutti i grandi novatori hanno sofferto l’ostilità dei loro contemporanei. 3. — Le più importanti notizie bibliografiche su Ruggero Bacone. Tralasciando le più vecchie biografie, quali: Woop, Mist. et Antiq. Oxon., p. 186; Bio- graphia Britannica, ed. 1778 in-fol., t. I, p. 146, ed i soliti dizionari biografici (di Chauffepié, di Moreri, di Niceron, di Bayle, ecc.) e i dizionari di filosofia, e le numerose storie della filosofia, a me sembra che gli scrittori più importanti da consultarsi intorno alla vita e prin- cipalmente intorno alle opere di Ruggero Bacone, siano i seguenti, oltre ad altri già citati in questo lavoro: 1° Naupé, Apologie des grands hommes accusés de magie, Amsterdam, 1712. 2° CL. Fr. Daunou, Notices sur Roger Bacon in Histoire littéraire de la France, t. XX, pag. 237 a 239. Il seguito di questo capitolo è di Le Clerc. Il Daunou discorre di Ruggero Bacone anche nel suo bel libro: Discowrs sur Vétat des lettres au XIII* siècle, Paris, Ducrocq. Senza data, ma probabilmente dopo il 1840; però questi discours furono scritti, credo, prima del 1810. A pag. 42 il Daunou scrive: “Les ouvrages de Roger Bacon, autre franciscain, n’ont pas eu de son temps, n’ont “ pas méme encore la célébrité qu'ils méritent par les grandes conceptions qu’ils recèlent. “ Nul écrivain n’aurait, au sein des ténèbres de cet age, jeté de plus vives lumières sur “les sciences physiques et sur divers points des autres connaissances humaines, s’il lui “ avait été permis de propager ses découvertes. Mais, malgré le tribut qu'il payait è l’igno- “rance de son siècle en s'adonnant è l’astrologie et à d’autres doctrines occultes, il devangait “trop ses contemporains pour obtenir leur confiance et leurs hommages. Ses confrères l’ont “ persécuté, emprisonné, ils ont fait plus peut-étre; et nous aurions è nous occuper de la “ destinée de ce philosophe autant que de ses ouvrages, s’il n’appartenait à l’Angleterre, “ où il est ne, beaucoup plus qu’à la France. On dit pourtant qu'il prit è Paris l'habit de “ cordelier, qu'il y fut jugé, condamné et détenu dans les cachots de son monastère ,. È strano che il Prcaver, nel suo Esquisse ecc. intorno al Medio Evo, mentre cita tanti e tanti autori, dimentichi affatto quest'opera del Daunou la quale, secondo me, è una delle prime e delle migliori che ci diano notizie intorno alla cultura del secolo XIII. 3° P. LEROUS, Enecyclopédie Nouvelle. Articolo tradotto da C. Cantù nella sua Storia Universale, 1843, 3* ediz., vol. XI, nei Documenti. È assai interessante. C. Cantù è benemerito di aver fatto conoscere nella sua Storia Universale questo scritto del Leroux. Però a me piace più il Cantù della terza edizione 1843, che non il Cantù della decima ed ultima edizione del 1887, t. V; perchè, nella 3* ediz., riporta fra i documenti testuale l’articolo di Leroux e si sa quindi che è di Leroux, mentre nel 1887 ne discorre a lungo nel testo e riporta staccati dei brani ricordati e discussi dal Leroux, ma il nome del Leroux non apparisce. E questo non è bello! Il lavoro di Leroux è uno dei primi e più importanti scritti su Ruggero Bacone (1). (1) PE. Leroux era uomo di molto ingegno, nato nel 1798 a Parigi; fece prima il tipografo e correttore di bozze, poi con Dubois fondò il giornale “ Globe ,, ma divenuto sansimoniano fondò la “ Revue Encyclo- 60 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO 4° A. v. HumBonpr, Hramen critique de l’histoire de la Géographie du nouveau continent, 1836-37, vol. I, p. 58 e II, p. 295. Assai interessante. 5° Vioror Cousin, Journ. des Savants, 1848 e 1859; e Fragments philosophiques; Philosophie du moyen dge. Paris, 1865. Grande merito di V. Cousin è quello di avere pel primo trovato dei manoscritti inediti di Ruggero Bacone (1848) e di aver eccitato i filosofi di Cambridge e di Oxford alla ricerca di nuove opere inedite; e perciò nel 1859, per cura di Brewer, uscì una bella parte del- l’opera inedita di Bacone: Rogerî Baconis opera hactenus inedita. 6° Ferp. HoerER, Histoire de la chimie, 1% ediz., 1842-44 e 2? ediz., 1866; 2 vol. in-8°. 7° Herm. Kopp, Geschichte d. Chemie, 1843- 1847: 4 vol. in-8°. 8° F. A. Poucaet, Histoire des sciences naturelles au moyen dge, ou Ani le Grand et son Époque considérés comme point de depart de VEcole expérimentale, Paris 1853, p. 326 a 369. In particolare di Alberto il Grande discorre da p. 203 a 320. Il titolo stesso dell’opera del Pouchet è una grande esagerazione. Però su Ruggero Bacone vi sono buone notizie. In complesso questo libro del Pouchet sul medio evo è interessante. 9° Eu CaarLes, Roger Bacon. Sa vie, ses ouvrages, ses doctrines, d’après des textes inédits. Paris, Hachette, 1861; 1 vol. in-8° di 416 pp. Questo assai pregiato lavoro è una monografia critica completa sino al 1860. Ora è molto raro. A mio parere, questo è il libro più importante che fu scritto intorno a Ruggero Bacone. Meriterebbe di essere ristampato, non solo, ma con aggiunte intorno alle cose più importanti su Ruggero fatte conoscere dopo il 1860, specialmente per la parte scientifica. Però è piuttosto prolisso nella parte filosofica. L'autore avrebbe fatto meglio a riprodurre dei brani interi delle opere di Bacone. Émil Charles, uomo molto dotto, professore di lettere, non aveva forse la coltura scientifica sufficiente per esaminare i lavori scientifici di Ruggero Bacone e fare quindi dei paralleli, ad esempio, tra Ruggero e Galileo. Il Saisset ed altri scrittori hanno alla loro volta preso quasi tutto il materiale dal- l’opera di Ém. Charles; il quale invece ha fatto il suo lavoro ricorrendo alle fonti. Il Charles nella magnifica sua biografia ci ha fatto inoltre conoscere (v. pp. 63 a 96) anche tutti i manoscritti di Bacone esistenti nelle varie Biblioteche e molte notizie sull’Opus minus e l’Opus tertium. 10° G. Lewrs, Histoire de la philosophie (in inglese), London, 1871. Io ho sotto gli occhi la 5° ediz. in 2 vol. del 1880, vol. II, pp, 77-87; ma vi è poco di importante riguardo a Bacone, benchè questo libro sia considerato da alcuni articolisti come una fonte per la bio- grafia di Bacone. La parte riguardante Bacone è compilata in base ai libri di Ém. Charles, di Brewer e all’Opus majus, ediz. febb. 1733. 11° Ap. FRANCK, Dictionnaire des sciences philosophiques, Paris, 1885. L'articolo è scritto da Ém. Charles. 12° Éw. SAIssET, Zoger Bacon. Sa vie et son euvre. “ Revue des Deux Mondes ,, 1861, t. 31, pp. 361-391. Lavoro fatto essenzialmente in base a quello di Ém. Charles e a quello del Brewer. Questo lavoro fu poi inserito dal Saisset nella sua opera (che mi pare superficiale): Précurseurs et disciples de Descartes, 1 vol. in-8°, Paris, 1862. 13° On the Opus majus of Roger Bacon, by Jonn KeLLs Ineram, fellow of Trinity College, prof. of English literature in the Univ. Dublin. Dublin, 1858. pédique , con idee molto liberali, e nel 1838 la “ Encyclopédie Nouvelle ,. A lui si debbono molte altre pub- blicazioni filosofiche, sulle religioni, sulla politica sociale, ecc. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL, LXY, N. 4. 61 Su questo volume dell’Ingram scrisse un lungo articolo il Cousin: Sur Opus majus ete., nel “ Journ. des Savants ,, 1859, pp. 717-729. L'Ingram ha avuto la fortuna di poter trovare la Parte Settima dell'Opus majus, sino allora inedita, perchè non pubblicata nella edizione del Jebb del 1733. L'edizione del Jebb era incompleta, come già s’accorse il Cousin nel 1848. Sino a questo tempo si credette che l'edizione del 1733 fosse completa. “ Nous croyons ,, dice Cousin, “ qu'il n'y a pas d'exemple, “ dans l’histoire littéraire, d'une erreur semblable à celle de Jebb; elle est vraiment éton- “nante, mais elle est incontestable ,. — Il lavoro dell’Ingram è importantissimo per la conoscenza della mente di Ruggero. Victor Cousin era entusiasta di Bacone e termina questo bellissimo articolo colle parole seguenti (p. 729): “ La publication de la septième partie, jusqu'è présent ignorée, de l’Opus majus, que “nous promet M" Ingram, et que nous attendons avec impatience, nous montrera bientòt, “è còte du rival d’Albert le Grand, un rival aussi de Saint Thomas, un moraliste qui place “la philosophie morale à la téte de toutes les sciences et qui en embrasse toutes les parties, “la morale individuelle, la morale sociale, la morale religieuse, avec toutes leurs dépen- “ dances et leurs développements ,. La parte settima comprende la filosofia morale e trovasi ora pubblicata nella bella edi- zione dell'Opus majus in tre volumi fatta da John Henry Bridges. 14° I. G. BrEWER, professore di letteratura inglese nel King's College di Londra, pubbli- cava nel 1859: Fr. Rogeri Bacon, Opera quaedam hactenus inedita, C. -576. London, Lengman, Green, Lengman and Roberts, 1819; che contiene l’Opus tertium, l' Opus minus, il Compendium philosophiae e, in appendice, l’Epistola fratris Rogeriù Baconis de secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae e poi l' Apologia in Hieronimum bartarottum nuperum censorem doctrinae Fr. Rogerit Baconis Minoritae. Questo lavoro fa parte della collezione Rerum Britannicarum medii aevi Scriptores, or Cronicles and Memorials of Great-Britain a. Ireland. La pubblicazione degli scritti inediti di Bacone era stata affidata al Brewer. Pare sia stato pubblicato solamente questo volume. Dell’opera del Brewer si è fatta nel 1905 una seconda edizione, da Robert Steele, London, Alex. Moring. 15° P. A. Cap, Etudes biographiques pour servir à l’histoire des sciences, 2 vol. Paris, 1864. Compilazione discreta, ma di poco valore. 16° P. Dunew, Un fragment inédit de l’Opus tertium. Précédé d’une étude sur ce fragment. Ad Claras Aquas (Quaracchi), 1909. (Vedi sopra, pag. 25). 17° Jonn Henry Bripers, Fellow of the College of Physicians, sometime fellow of Ariel College. Zhe Opus maius of Roger Bacon, edited with Introduction and Analytical table. 2 vol. cuxxr-404 p. Oxford, Clarendon Press, 1897 e William and Norgate, London, 1900. L'introduzione scritta dal Bridges è bellissima e ricca di molte notizie. Si noterà che la prefazione a questa opera porta la data 26 marzo 1897 ma la pub- blicazione è del 1900. Il Bridges poi nel 1900 pubblicò un terzo volume: The Opus maius of Roger Bacon, Supplementary volume, xv-187 p., William Norgate, 1900. Questo volume di supplemento contiene: Fratris Rogeri Baconis ordinis minorum, Opus majus: Operis maioris Pars prima: Causae erroris; Pars secunda: Philosophiae cum theologia affinitas; Pars tertia: Huius Persuasionis: De utilitate Grammaticae, linguarum cogmitio (filologia comparata, ecc.). Con 2 pagine fotografate del Manoscritto Vaticano 4086. Questa è l’opera più importante pubblicata su Ruggero Bacone dopo il 1860. 18° Dem. P. S. Gasquer, An unpublished fragment of a work by Roger Bacon. In © English Historical Review ,, vol. XII, 1897; English Scholarship in the thirteenth century, © Dublin Review ,, vol. CXIII, 1898. 62 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Il Gasquet pubblicò un manoscritto di Bacone trovato nella Vaticana. 19° A. Hrrscn, Early English Hebraists: Roger Bacon and his predecessors, “ Jewish Quarterly Review ,, octob. 1899, vol. XII, p. 51. 20° L. Herero, Die griechische Grammatik Roger Bacon, “ Byzantinische Zeitschrift ,, vol. IX. Leipzig, 1800, p. 479-491. 21° Epx. NoLan e S. A. HrrscH, The greek Grammar of Roger Bacon and a fragment of his Hebrew Grammar, edited from the MSS., with Introduction and Notes. Lxxv-212 p., Cambridge, at the University Press, 1902. 22° H. Kopp, Bettrige 2. Gesch. d. Chem., Parte II (“ Ansichten ii. d. Aufgabe d. Chem. u. i. d. Griindbestendtheile d. Kéorper ,). Braunschweig 1875, pag. 85-99. Nulla di vera- mente nuovo, perchè anch'egli si vale delle opere di Charles, di Brewer, conosciute dopo la pubblicazione della sua Storia della Chimica. Qualche cosa su Bacone, ma nulla di nuovo, si trova nel breve cenno che il Kopp ne fa in: Die Alchemie u. dilterer u. neuerer Zeit, 1896. 23° Sui lavori di Bacone si vegga anche l'opinione di MontucLA nella sua Histoîre des mathématiques, vol. I, p. 514; e anche quella di SwirH: A compleat system of Optik. Questi sono lavori un po’ vecchi. 24° Prof. Apamson, Art. Bacon Roger in “ Dictionary of National Biography ,, di Leslie Stephen, London, 1885, vol. II. Im questo articolo vi sono molte notizie bibliografiche, anche di poco valore. 25° Picaver, La science expérimentale au XIII° siècle en Occident. Paris, 1894. Altri lavori del Picavet furono citati nelle pagine precedenti, ed altri sono ricordati nelle pagine seguenti ove si discorre della Commemorazione di Ruggero. 26° L’abbé OC. NarBEY, Le moîne Roger Bacon et le mouvement scientifique au XITT® siècle. «“ Rev. des Questions scientifiques ,, 1884, t. 35, p. 155 a 166. Vi è poco di nuovo, però è una buona compilazione. Fra le opere che egli ha consultato non ricorda quella di Ém. Charles. 27° Daunou e Vreror Le CLeRC, in Histowre littéraire de la France, t. XX, p. 227-252. Questo volume fu pubblicato nel 1842 e riprodotto in fac-simile nel 1896. Prima di Charles le notizie più importanti sui manoscritti e le edizioni di Ruggero Ba- cone si trovano nelle aggiunte che il Le Clerc fece alla biografia di Bacone scritta dal Daunou nell’ “ Hist. littér. de la France ,, t. XX, p. 239-252. Alla fine di questa biogr. vi è un elenco delle principali opere ove si discorre della vita e dell’opera scientifica di Bacone; sono ricordate le varie Enciclop. e i Trattati di filosofia e di alchimia. Ame pare inutile il riprodurre quel lungo elenco; potrà essere consultato da chi desidera compiere un più completo lavoro su Ruggero Bacone. Tra questi libri a nche quello del nostro Anprès, Dell'origine, progresso e stato attuale di ogni letteratura, t. 1, p. 189-198; t. IV, p. 287-289; t. V, p. 14 e 533; t. VI, p. 415, non ha più nessuna importanza. 28° Tra gli autori, già antichi, che il Narbey ha consultato e che io non ho potuto vedere, sono: Pirseus, De Mustribus Angliae scriptoribus ann. Wappine, Seriptores ordinis Minorum, con supplem. di Sbaraglia. Roma, 1806. I quali nel caso mio hanno certamente poca importanza; non avrebbero portato nessun nuovo contributo relativo all'opera scientifica di Ruggero Bacone. 29° Il Wutr nella parte bibliografica della sua Histoire de la philosophie médiévale, 1900, relativamente a Ruggero Bacone ricorda i lavori di Narbey (1894) e di Picavet (1894) e cita molte opere di Berthelot il quale non si è mai occupato in modo speciale di Ruggero Ba- cone o lo accenna incidentalmente nelle sue opere; il Wulf invece tace affatto dei lavori di Jebb, di Cousin, di Charles, di Ingram, di Bridges e di altri che hanno fatto studi speciali su questo filosofo medioevale. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 63 Anche Friep. UeBERWEGS nel suo Grundriss der Geschichte der Philosophie der patri- stischen und scholastischen Zeit, il 4 vol. Berlin, 1905, discorre molto brevemente di Rug- gero Bacone (Vol. II, pag. 335). Commemorazione della nascita di Ruggero Bacone. — La commemorazione pel 7° centenario della nascita di Ruggero Bacone avrebbe dovuto aver luogo nel giugno 1914. Non credo sia stata fatta. Si doveva innalzare una statua nel Museo di Storia naturale di Oxford, e pubblicare un volume relativo ai diversi aspetti della vita di Bacone, scritto da diversi specialisti. Il Presidente del Comitato organizzatore è l'illustre geologo Sir Archi- bald Geikee, segretario tesoriere il tenente colonnello H. W. L. Hime. Nel 1793, quando Bridges pensò a una edizione nuova dell'Opus majus, scriveva: “ È nel sesto centenario (1) d'uno dei primi e dei più grandi pensatori dell’Università di Oxford, “ di cui l’Opus majus, in connessione colla scienza greca e con la scienza moderna, sorpassa “ tutto ciò che è apparso avanti le opere filosofiche e sociali di Augusto Comte ,. To ho voluto che l’Italia in questa grandiosa solennità portasse anch'essa, benchè molto modesto, il suo contributo. « Nel Comitato per le onoranze centenarie a Ruggero Bacone vi è ui. solo rappresentante dell’Italia: il rev. Michael Bihl. Picavet che nella scuola des Hautes Études di Parigi ha dedicato parte del suo inse- gnamento a Ruggero Bacone, e che da più anni ha raccomandato di raccogliere in una edi- zione completa tutte le opere di Ruggero, ha inviato una lunga lettera alla Revue de VWistoire des religions, 1913, riguardante la prospettata commemorazione (2); intorno alla pubblicazione delle opere dà le notizie seguenti: “ On a pris des dispositions pour éditer et imprimer les écrits de Roger Bacon, aussitòt “ que les fonds seront réunis. Un premier volume contiendra le traité et le commentaire “ inédits de Roger Bacon sur le Secret des Secrets du Pseudo-Aristote; un second, des traités “ médicaux parmi lesquels celui qui porte sur les moyens de retarder les accidents de la vieil- “ lesse, édités par M. M. Withington et A. G. Little. Puis viendront d'autres volumes, avec “ la publication complète de l’ Opus terttum dont des fragments ont été imprimés en 1859 “ par Brewer, en 1909 par Duhem, en 1912 par A. G. Little; avec les Quaestiones sur la “ Physique et la Métaphysique d’Aristote, sur le de Plantis; avec les Communia mathema- “ ticae, peut-étre le Computus naturalium; enfin des éditions nouvelles et critiques de 1’ Opus “ majus, du fragmentaire Opus minus, des traités moins importants, De naturis metallorum “ et Tractatus trium verborum. L’examen des manuscrits, dans les diverses contrées, sera fait “ par des hommes compétents. Mais il sera impossible d’accomplir ce programme, si le “ Comité ne réussit pas à obtenir l’aide d’une Société, qui pourrait étre fondée en l’honneur “ de Roger Bacon, à l’oceasion de la Commémoration qui aura lieu pour le 7° centenaire ,. Riguardo la pubblicazione delle opere di Ruggero Bacone dal 1263 ad ora il sig. Pi- cavet (3) ci dà anche le notizie seguenti e assai interessanti: “ Prima del 1263 scrisse le lettere riunite sotto il titolo De mirabili potestate artis et “ naturae, di cui le cinque ultime sono forse apocrife; i Commentari di Fisica e Metafisica “ di Aristotele, sul Traité des Végétaua, sul Traité des Causes, il Commentario del Secret des “ secrets, forse la Somme élémentaire de physique (n. 1751 della Bodléienne), il Liber ultimus (1) Ruggero Bacone morì l’11 giugno del 1294. (2) Revue de Vhistoire des religions, 1913, t. 68, p. 402. V. anche Isis, © Revue consacrée è l’histoire et à l’organisation de la science ,, publiée par G. Sarton, juin 1914, p. 164. La pubblicazione di /sis, di questa importante rivista storica, sarà sospesa per qualche tempo causa l’enorme sventura toccata all’infelice Belgio. Ausguriamo che presto ritorni la calma e il Belgio possa riprendere la sua vita attiva di prima. (3) Les Éditions de Roger Bacon, in “ Journal des Sayants ,, 1905, p. 363 e id. 1912, p. 406. 64 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “ summae magistri (n. 1668), la Summula dialectices (n. 1805, Digby, 204), il de Intellectu et intelligibili, il de Nutrimento, il de Meteoris, il de Somno et Vigilia, Vl Antidotarius, il de Gra- duatione rerum compositarum, il Tractatus de erroribus medicorum, una geometria pratica e n R “ teorica, un’aritmetica, una grammatica greca, una grammatica ebraica, ecc., ecc., tutte le opere relative all'educazione dei giovani, i Trattati De Termino paschali e De Temporibus a Christo, formanti forse un unico e medesimo volume. Nel 1263 egli scrisse il Computus na- turalium; nel 1267-1268, per ordine di Papa Clemente IV, l’ Opus majus, l’ Opus minus e l’ Opus tertium; poi passa ai Communia naturalium e allo Scriptum principale, a cui accenna spesso nelle sue opere; nel 1272, il Compendium philosophiae o liber sex scientiarum; nel 1276 il trattato De retardandis senectutis accidentibus; nel 1292, probabilmente nell’anno della sua morte, il Compendium studi theologiae. n » iS » GS » “ Di Ruggero Bacone si era stampato, prima del XVIII secolo, lo Speculum alchimiae, il De mirabili potestate artis et naturae (qualche volta col titolo più esatto Epistola fratris R. B. de secretis operibus artis et naturae et de nullitate magiae). “ Poi comparivano: Sanioris medicinae magistri D. R. B. Angli de arte chimiae scripta, 1603; E. B..... Perspectiva..... 1614, et Specula mathematica..... 1614. “ La Perspectiva, edita da Combach, forma la 5% parte dell'Opus majus; gli Specula mathematica, pure editi da Combach, sono identici alla 4* parte dell'Opus majus, ma non contengono nè l’astrologia, nè la geografia, nè la cronologia. «“ Infine Samuel Jebb aveva dato l’Opus majus nel 1733 ed i Francescani della Vigna “ l'avevano ristampato a Venezia, nel 1750, con un Prologus galeatus ,. Molte altre notizie sulle opere di Bacone, pubblicate e da pubblicarsi, debbonsi al Picavet, professore di filosofia del medio evo alla Sorbonne e professore di storia delle reli- gioni al Collège de France, il quale può dirsi che dedica gran parte della sua attività a Ruggero Bacone. Si vegga a questo proposito: Pour une future édition des ceuvres de Roger Bacon, due articoli in “ Journal des Savants ;, 1912, p. 405 a 411 e 456-463. I manoscritti delle opere di Bacone furono esaminati, o anche pubblicati, da Jebb, da Cousin e da Ém. Charles prima del 1858; dopo il 1858 furono esaminati, studiati e anche pubblicati da Ingram, da Brewer, da Bridges, da Gasquet, da Hirsch, da Heiberg, da Nolan, da Duhem e da Lorf. E da questi manoscritti che si dovrebbe partire per l’edizione completa delle opere di Ruggero Bacone. Quasi tutti i manoscritti che oggi si conoscono sono poste- ‘riori al secolo XIII, cioè sono copie dei veri manoscritti contemporanei di Bacone. Pare che non si conoscano ancora manoscritti di Bacone proprio scritti da lui o corretti da lui. » » I » n Solamente in questi ultimi momenti, prima di licenziare le bozze, ho potuto vedere la recentissima opera di A. G. LimtLE: Roger Bacon. Essays contributed by various Writers on the commemoration of the seventh centenary of his birth. Oxford, Clarendon Press, 1914. Sfortu- natamente non ho potuto ricevere prima questo libro, causa l’orrenda guerra. Però in questa nuova opera su Ruggero Bacone, importante per le notizie bibliogra- fiche, per l’elenco completo de’ manoscritti conosciuti, ecc., non vi è quasi nulla che possa far modificare i giudizi sino ad ora pronunciati su Ruggero ; il nostro francescano è meglio conosciuto in alcuni particolari della sua vita e delle sue opere. Ad ogni modo credo utile riprodurre i titoli dei diversi capitoli dei quali questa opera recente si compone : I. Introduction. On Roger Bacon’s Life and Works. By A. G. Little, M. A. Lecturer in Paleography in the University of Manchester. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 65 II. Der Einflus des Robert Grosseteste auf die Wissenschaftliche Richtung des Roger Bacon. Von Prof. Ludwig Baus (Universitàts Tibingen). III. Place de Roger Bacon parmi les philosophes du XIII° sidele. Par Frangois Picavet. IV. Roger Bacon and the Latin Vulgate. By His Eminence Francis Aidan Cardinal Gasquet, President ot the International Commission for the Revision of the Vulgate. V. Roger Bacon and Philology. By S. A. Hirsch. VI. The Place of Roger Bacon in the History of Mathematics. By David Eugene Smith, prof. mathem. Columbia University. VII. Roger Bacon und seine Verdienste um die Optik. Von Prof. Eilhard Wiedemann (Erlangen). i VII. Roger Bacons Lehre von der sinnlichen Spezies und vom Sehvorgange. Von Sebastian Vogl (Passau). IX. Roger Bacons Art des wissenschaftlichen Arbeitens, dargestellt nach seines Schrift De Speculis. Von J. Wirschmidt. ; X. Roger Bacon et l’Horreur du Vide. Par Pierre Duhem. XI. Roger Bacon: His Relations to Alchemy and Chemistry. By Battison Muir. XH. Roger Bacon and Gunpowder. By Lieutenant-Colonel H. W. L. Hime. XHI. Roger Bacon and Medicine. By E. Withington. XIV. Roger Bacon in English Literature. By Sir John Edwin Sandys. Appendix. Roger Bacon’s Works, with references to the MSS. and Printed Editions. By A. G. Little. Nell’ Ambrosiana di Milano, nella Vaticana, nella Bibliot. Naz. di Firenze, Conventi sop- pressi, trovansi i MSS. dell’opera De speculis comburentibus. 11 MS. dell’Epistola de secretis operibus, ecc. trovasi a Quaracchi presso Firenze. In questa interessante appendice sono metodicamente enumerate tutte le opere mano- scritte e stampate che veramente sono di Ruggero Bacone, e poi tutte quelle incerte, attri- buite a Ruggero Bacone, ma che molto probabilmente non sono sue. Si è attribuito a Ruggero Bacone un certo merito anche relativamente alla sua cultura medica. Ma io penso che si sia esagerato ; allora quasi tutti i principali alchimisti erano anche medici o almeno si occupavano di medicina. Bacone conosceva bene le opere di Avi- cenna, di Averroès (Ibn-Roschd), di Ippocrate, ecc. A questo riguardo rimando al capitolo : Roger Racon and Medicine di E. Withington in A. G. Little “ Roger Bacon. Essays ,, Oxford, 1914. Fra le opere manoscritte di medicina ricordo: De universali regimine senum et senorium: Antidotarius (di cui vi è un manoscritto nell’Ambrosiana); De graduatione medicinarum compositarum; Tractatus de erroribus medicorum; De crisi morborum ; Canones practici de medicinis compositis componendis. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 5. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA DEL: MUSGO DI TORINO RACCOLTE DA TOMMASO SALVADORI : Vice-Direttore dello stesso Museo. Approvata nell’Adunanza del 15 Novembre 1914. La collezione ornitologica del Museo della Università di Torino è fra le Italiane non la più numerosa, giacchè è superata da quella del Museo Civico di Milano, ma certamente è la più importante (1). Essa conta 13036 esemplari montati ed esposti al pubblico, e quasi 8000 in pelle. La sua importanza deriva dall’essere stata in gran parte adunata mercè invii fatti dai luoghi di origine, o con prodotti di viaggi scientifici ed anche perchè non pochi esemplari ed anche intere collezioni furono studiate e descritte. Vi fu un tempo nel quale i consoli sardi all’estero solevano fare frequenti ed importanti invii dai luoghi di loro residenza, ed in tempi più recenti il Museo si è arricchito con raccolte fatte durante importanti viaggi. | Da quasi 50 anni, occupandomi io della collezione ornitologica del Museo di Torino, ho avuto occasione di far tesoro di notizie generalmente ignorate e che con me sparirebbero. Io mi pro- pongo quindi di tracciare per sommi capi la storia della stessa collezione, segnalando come ebbe origine e come è andata crescendo, anche come eccitamento a tanti Italiani sparsi pel mondo, i quali potrebbero arricchire i Musei della patria con lieve loro dispendio e con van- taggio della scienza, imitando in ciò specialmente gl’inglesi, i quali da tutte le parti del mondo inviano materiali al Museo Britannico, che anche per la storia naturale è divenuto un centro insuperato ed insuperabile di lavori di sistematica. Succeduto al Giorna nella Cattedra di Zoologia della Università di Torino e nella Dire- .zione del Museo il 15 Marzo 1811, il Bonelli dette un grande impulso allo incremento delle collezioni zoologiche, tanto che si può giustamente considerare come il vero fondatore del Museo di Torino. Esiste ancora un Catalogo manoscritto di suo pugno, nel quale sono segnati (1) Anche il Museo Civico di Genova possiede una grande collezione ornitologica, dovuta a numerosi e fortunati viaggi di Giacomo Doria ed Odoardo Beccari in Borneo, di Beccari e di L. M. D'Albertis e di Bruijn nella Papuasia e nelle Molucche, di Lamberto Loria nella Papuasia, di Leonardo Fea nella Birmania, di Beccari e di Modigliani in Sumatra, di Modigliani nell'Isola Nias, nelle Mentawei ed in Engano, e final- mente di L. Fea nelle isole del Capo Verde, del Golfo di Guinea e nella Senegambia. Tutte queste collezioni furono da me studiate ed i lavori ad esse relativi pubblicati negli “ Annali del Museo Civico di Genova ,. D 2 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. 21 alla rinfusa, o meglio secondo che affluivano, i vertebrati. Al n. 1 è segnata una lampreda, il primo uccello è segnato al n. 518 (Colymbus glacialis) (1). Il Bonelli cominciò le sue ricerche ornitologiche, raccogliendo, durante gli anni 1810 e 1811, osservazioni quotidiane, che, come in un Calendario, si trovano registrate negli “ Annales de l’Observatoire de l’Académie de Turin ,, 1810, 1812. Contemporaneamente a quelle osservazioni, o forse anche prima, il Bonelli che aveva avuto, trovata in Piemonte, una Calandra nera di Tartaria ed aveva scoperta la Calandrella, ne fece argomento per una memoria che egli lesse il 13 giugno 1810 alla R. Accademia delle Scienze di Torino col titolo: Observations sur les Alouettes, avec description et figure de la Calandre noire de Tar- tarie, de la Girole et de la Calandrelle, espèces récemment observées en Piemont (“ Mém. Ac. de Turin ,, XXII (1816), p. xxvin). Come è detto nelle Memorie citate, quella Memoria non fu mai pubblicata e nel Museo di Torino non esiste nessuna Calandra nera presa in Piemonte, ma fra le carte del Museo si conservano le figure inedite della Calandra nera e della Calandrella, le quali evidente- mente sono quelle che dovevano servire ad illustrare la Memoria del Bonelli. Io ho fatto notare altrove (“ Riv. Ital. di Orn. ,, I, p. 81) quanto si riferisce alla Calandra nera trovata in Piemonte. Aggiungo qui, che forse fondandosi sull’asserzione del Bonelli, il Vieillot (“ Nouv. Diet. ,, I, p. 374) affermò che l’Alouette de Tartarie capiti talora in Italia, laddove ciò è avvenuto una sola volta. i Nell'anno 1811 il Bonelli pubblicò il Catalogue des Oiseaux du Piémont, estratto dagli Annali sopra citati, pp. 255-278. In questo lavoro il Bonelli menzionòdò e descrisse diverse nuove specie, ma la maggior parte senza denominarle con nomi sistematici. Queste specie sono le seguenti: 1. Alouette de mer grise Bonelli, Cat. pp. 1, 22, nota 2 (1811). Questa specie non è stata identificata, ma è probabile che sia fondata sopra un abito della Pelidna alpina. î 2. Calandrelle. Alauda calandrella Bonelli, Cat. p. 3 (1811). Il Bonelli ha la seguente citazione: Mém. de V Acad. de Turin. Evidentemente egli si riferisce ad un lavoro che egli aveva letto all'Accademia delle Scienze di Torino il 13 giugno 1810, e che ho precedentemente citato. Il nome del Bonelli per la Calan- drella avrebbe la priorità, se fosse accompagnato da descrizione. 3. Oresserelle à manteau gris Bonelli, Cat. pp. 6, 23, nota 3 (1811) (= Tinnunculus nau- manni Fleisch.). 4. Maubeche (petite) Bonelli. Cat. pp. 12, 24, nota 6. Calydris pygmaea Bonelli (nec Lath.) (ibid., p. 24) (1811). Probabilmente identica colla Tringa minuta Leisl., o colla 7. temmincki Leisì. (1811-1815). 5. Moineau d’Italie Bonelli, Cat. pp. 13, 24, nota 7 (1811) (= Passer italiae Vieill., Nou». Dict, XII, p. 199) (1818). Vieillot (1. ce.) dice di essere debitore al Bonelli della conoscenza di questa specie. 6. Pouillot grivelé Bonelli, Cat. p. 16, nota 8; p.24, nota 9 (1811) (= PhyMoscopus trochilus Linn.). 7. Pouillot è gorge blanche Bonelli Cat. p. 16, nota 9; p. 24, nota 8 (1811) (= PhyMoscopus bonellii Vieill.) (1819). (1) Di uccelli preesistenti al Bonelli nel Catalogo ne sono menzionati soltanto tre, preparati negli anni 1804 e 1806 dal celebre anatomico L. Rolando (“ Vecchio Cat. ,, n° 1074, 1076, 1160). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 3 Il Vieillot, dedicando questa specie al Bonelli, avverte che al medesimo se ne doveva la conoscenza. 8. Roitelet è moustaches Bonelli, Cat. pp. 17, 24, nota 10 (1811) (= Regulus ignicapillus Brehm) (1820). Di tutte queste specie non esistono più esemplari tipici nella collezione del Museo; sol- tanto si conservano esemplari del Powillot grivelé (Cat. nn. 2014, 2025, 2026, 2027, 2028) raccolti più tardi, ma segnati nel Catalogo di carattere del Bonelli con quel nome e con quello di Motacilla, o Sylvia favomaculata. Rispetto al PhyZloscopus bonellii (Vieill.) è da notare che, secondo il Vieillot, l'esemplare tipico era stato ucciso in Piemonte nel mese di dicembre 1815, ed inviato, a quanto pare, a M. Baillon di Abbeville, corrispondente del Bonelli. Probabilmente vi è errore nella indi- cazione del mese, giacchè il Luì bianco, uccello migratore, non suole rimanere in Piemonte fino al mese di dicembre. Il Bonelli attese in primo luogo con grande cura a fare una ricca collezione di uccelli degli Stati Sardi ed in ciò egli ebbe numerosi ed egregi collaboratori. Fra questi sono da ricordare il sig. Cantù, che era il preparatore del Museo, il Dott. Ferrero, il sig. Alason, il sig. Fr. Millet, il Dott. Rubinetti ed altri. L’Alason in un lungo periodo di anni donò e cedette numerosi uccelli del Piemonte, tra i quali sono notevoli per la loro rarità i seguenti: Una Sylvia cetti La Marm. (Vecchio Cat. n. 2020) uccisa nei dintorni di Torino addì 30 ottobre 1822; disgraziatamente essa più non esiste nella collezione. Una femmina di Zurdus atrogularis Temm., presa nella valle di Lanzo il 1° gennaio 1826 (V. Cat. n. 3544). Un esemplare del Turdus obscurus Gm. preso in Piemonte nel novembre 1827 alla distanza di due settimane dalla cattura di un altro esemplare della stessa specie, avuto pure dal sig. Alason e del quale ignoro la sorte. Della collezione fa parte un altro esem- plare ucciso presso Leynì il 4 novembre 1828. Questo e l’esemplare donato dal sig. Alason, ora nel Museo di Pisa, sono i tipi del Turdus werner Bonelli Ms., descritto dal Genè “ Mem. R. Ace. Sc. Torino , XXXVII, p. 296, pl. 2 (1837). Ora non v'ha alcun dubbio intorno alla identità del 7urdus werneri col T. obscurus Gm. Nel 1891, addì 27 gennaio, il sig. Silverio Bainotti, preparatore, trovò un giovane maschio di questa rara specie sul mercato di Torino (Cat. 10926) indicato come proveniente dal Napoletano, e che ora si conserva pure nel Museo. Finalmente dallo stesso sig. Alason sopra menzionato il Museo ebbe una Hirundo rufula Temm. (Cat. n. 2325) presa in Torino nella regione Vanchiglia, il 2 maggio 1832. È il solo esemplare che si conosca del Piemonte. Fra i molti uccelli forniti dal Dott. Ferrero al Museo di Torino havvi un bellissimo esemplare giovane del Turdus fuscatus, specie orientale rarissima per l’Italia; esso fu preso nelle vicinanze di Torino nell'autunno del 1829 (Cat. n. 579 = Cat. V. n. 3967). Esso è stato menzionato più volte anche da me (Fauna d’Italia, Uccelli, p. 85; Elenco degli Uce. Ital., p. 108). Il Bonelli ebbe più volte l’occasione di descrivere specie nuove di Uccelli Italiani, ma se ne astenne per soverchia peritanza, contentandosi di denominarle. Così egli dette il nome di Sylvia subalpina Bonelli ad una specie che il Temminck (£ Man. d’Orn. , I, p. 214) de- 4 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. scrisse, avendone ricevuto il tipo dal Bonelli. Quell’esemplare (V. Cat. n. 1977), guasto dai tarli, fu riformato e andò perduto. Pare che il Bonelli si proponesse di pubblicare alcune notizie intorno a questa specie nelle “ Memorie dell’Accademia delle Scienze , (Vedi Tem- minck “ Man. d’Orn. , 2° éd., I, p. 215), ma ciò non avvenne. Anche la specie che il Temminck descrisse nel 1823 col nome di Sylvia melanopogon (PI. Col. 245, f. 2) sopra esemplari ricevuti da L. Bonaparte, Principe di Canino, era già conosciuta tanto dal Savi, che ne aveva inviato un esemplare (Cat. n. 1088) al Museo di Torino fin dal 1821, quanto dal Bonelli, che già le aveva imposto il nome di Sylvia fusci- capilla (£ Mem. R. Ace. Sc. Tor. , XXVII, p. LxI, 1823), che si trova ripetuto in una notizia preventiva intorno all'ultimo viaggio fatto in Sardegna dal Cav. La Marmora, pubblicato dal Desmarest (Vedi: Notice sur le dernier voyage fait en Sardaigne par M. le Chev. De la Marmora) (Ferrussac “ Bull. des Sc. Nat. , IV, pp. 248, 250, 1825). Il Bonelli ebbe un prezioso collaboratore in ALeRTo La MARMORA, l’autore del Voyage en Sardaigne, il quale, insieme col Cav. Prunner, non solo inviò al Museo di Torino nume- rosi esemplari della Sardegna, ma si occupò anche nello studiarli, insieme ad uccelli della Liguria e del Nizzardo. Specie scoperte e denominate dal La Marmora sono le seguenti: Sturnus unicolor La Marm. Sylvia conspicillata La Marm. Sylvia sarda La Marm. Sylvia cetti La Marm. Le descrizioni delle prime tre specie dovevano essere pubblicate in un lavoro del La Mar- mora da inserirsi nelle “ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino , dell’anno 1819; anzi il Temminek (“ Man. d’Orn. , I, pp. 133, 204, 210) afferma che ciò era avvenuto nella seduta del 28 agosto 1819. Invece il lavoro non comparve ed in una nota del Bonelli al lavoro del La Marmora sulla Sylvia cetti (£ Mem. R. Acc. Tor. ,, XXV, p. 261) ci si avverte di ciò. 5 Dello Sturnus unicolor scoperto dal La Marmora in Sardegna si conservano numerosi esemplari nel Museo di Torino. Un esemplare segnato al n. 2554 del vecchio Catalogo è accompagnato dalla nota: “ Mem. dell’Accademia delle Scienze di Torino, 28 agosto 1819 ,. Questa nota si riferisce alla Memoria del La Marmora che fu letta in quella occasione, ma che non fu mai pubblicata. L'esemplare citato era un maschio adulto in abito perfetto di estate e probabilmente era il tipo della specie. Esso nel nuovo Catalogo era segnato al n. 474, ma più non sì conserva nel Museo. Il Temminck (“ Man. d'Orn. ,, 2° éd., I, p. 134) afferma di aver ricevuto dal Bonelli gli esemplari conservati nel Museo di Torino, i quali furono da lui descritti. Un'altra specie della Sardegna che il La Marmora denominò è la Sylcia conspicillata. Anche la descrizione di questa specie era contenuta nel lavoro letto alla seduta della R. Accademia delle Scienze del 28 agosto 1819, ma mai pubblicato e la descrizione ori- .ginale della medesima si deve pure al Temminck (“ Man. d’Orn. ,, 2° éd., I, p. 210), che ‘confessa di doverne la conoscenza al La Marmora. Nel Catalogo del Museo di Torino, di questa specie non si trova alcun esemplare di data anteriore al 1819; quelli che ne hanno fatto parte, od ancora esistenti, hanno le date dell'’11 novembre 1820, 5-25 marzo 1821, 22 marzo 1822 e 10 gennaio 1823, tutti provenienti dal Cav. La Marmora. Anche la Sylvia sarda fu denominata dal La Marmora, che doveva pubblicarne la descri- zione, ciò che non avvenne, come per le due specie precedenti. Essa fu quindi descritta dal MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LKV, N. 5. b) Temminek (“ Man. d'Orn. ,, 2° éd., I, p. 204) col nome impostole dal La Marmora, sopra esemplari a lui inviati dal Bonelli, o dallo stesso La Marmora. Gili esemplari del Museo hanno le date 11 novembre e 22 dicembre 1820 e potrebbero essere tipi, o cotipi, Il La MAR- Mora, nel suo Voyage en Sardaigne, 2° éd., I, p. 175 (1839), chiama questa specie col nome di Sylvia sardou. Nel 1820 il La Marwora pubblicava la descrizione della SyZvia cetti in un lavoro inti- tolato Mémoire sur deux Oiseaur du Comté de Nice, avec trois planches (“ Mém. Ac. Sc. Tur. », t. XXV, pp. 254-261, 1820). Nel Museo di Torino si conservano della Sylvia cetti tre esemplari di quel tempo, due di Sardegna (995 è, 9 dic. 1820, 9979, 16 nov. 1820) ed uno del Nizzardo (996), ucciso lungo il Varo addì 8 novembre 1819; questo è senza dubbio uno dei tipi della specie. Nella stessa Memoria del La Marmora relativa alla Sylvia cetti si discorre pure (pagg. 259-260) del Motteux noîr e vi si dà la figura anche della femmina, che, a quanto pare, non era ancora conosciuta (pl. IX). I due esemplari descritti e figurati dal La Mar- mora (nn. 2099, 2101), uno dei quali è il tipo della femmina, si conservano ancora nel Museo di Torino. Osservazioni del La Marmora intorno alle Saxicolae. Il Temminek ed il Vieillot avevano ritenuto che le due Sazicolae, l'una colla gola nera e l’altra colla gola bianca, appartenessero a due specie diverse; poscia ner osservazioni fatte dal Calvi e dal La Marmora in Liguria, specialmente presso il forte dello Sperone, venne il dubbio che le due Saxicolae fossero maschio e femmina di una stessa specie. Il La Mar- mora scriveva al Bonelli (22 giugno 1821) di aver trovato accoppiate le due forme, ed anzi inviò al Bonelli un giovane da nido (Cat. n. 1193) preso vicino al forte dello Sperone di Genova il 3 giugno 1818, nato da un maschio di gola bianca e da una femmina di gola nera. Disgraziatamente quell’esemplare, riformato al tempo del Genè, più non si conserva nel Museo di Torino. Ad onta delle osservazioni del Prof. Calvi e del La Marmora, raccolte e pubblicate dal Savi (“ Orn. Tosc. ,, II, pp. 205-211), la identità specifica delle due forme non venne generalmente accettata. Ma recentemente il Kleinschmidt (Beraja, 1905) ba risu- scitato la questione della possibile identità specifica delle due forme e lo Schiebel ed il Reiser hanno pubblicato interessanti notizie per convalidare quella opinione, la quale ora viene sostenuta dallo Hartert (£ Nov. Zool. ,, XVII, p. 479). Io non ho argomenti in favore od in contrario alla questione, ma l'opinione mia non è favorevole e l’ho espressa pubbli camente (“ Riv. Ital. di Orn. ,, I, pp. 3-6). Il Prunner, fondatore e per lungo tempo Direttore del Museo di Cagliari, ove visse a lungo, inviò un gran numero di animali sardi al Museo di Torino durante il periodo glo- . rioso del Bonelli: fra gli uccelli, oltre ad una bella serie di Aquile del Bonelli, fra le quali anche il tipo (V° Cat. n. 1109), è notevole un Pollo sultano (Cat. n. 3089) della specie - Porphyrio smaragnotus, inviato il 29 novembre 1820. Questo ed un altro esemplare pure della Sardegna (Cat. n. 2260), rimasero nel Museo col nome di Porphyrio hyacinthinus, fino ca quando io nel 1872 (Fauna d’Ital., Uccelli, p. 234) ne riconobbi la specie, che per la prima volta fu annoverata fra le europee. Il Bonelli fu in corrispondenza con molti naturalisti del suo tempo, coi quali faceva scambi, che arricchivano il Museo. Fra gl’italiani è da segnalare il Prof. Paoro Savi, che preparava i materiali per la sua bellissima Ornitologia Toscana. Il Savi invio al Museo di È; , 6 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Torino e per esso al Bonelli molti uccelli propri della Toscana, o là più frequenti, e fra essi parecchi esemplari di specie da lui descritte. Della Sylvia luscinivides Savi, si conservano nel Museo due esemplari avuti dal Savi, un maschio dei contorni di Pisa del 1823 (Cat. n. 1006) ed un altro del 1824 (Cat. n. 1007); si noti che il primo è anteriore alla pubblicazione della specie nel “ Nuovo Giornale dei Letterati ,, XVI, p. 841 (1824) e quindi si può considerare come cotipo della specie. Un esemplare del Falco poiana Savi fu inviato da questi al Museo di Torino (V° Cat. 4516 — N. Cat. n. 182) ed aveva anch'esso valore tipico, ma disgraziatamente fu eli- minato. i Finalmente al n. 1260 del nuovo Catalogo si trova segnato un esemplare della Mota- cilla cinereocapilla inviato dal Savi colla indicazione: specie nuova, (1), ciò che conferisce va- lore tipico all’esemplare (1). Il Bonelli ebbe cura di tenersi in relazione con parecchi dei più importanti Musei di Kuropa, coi quali faceva numerosi scambi. Nel Museo di Torino si conservano esemplari provenienti dai Musei di Vienna, di Fran- coforte, di Parigi e di Leida. Taluni degli esemplari del Museo di Perde provengono da importanti viaggi. Così ve ne sono del Viaggio di Freycinet nel 1818 al Brasile (Cat. nn. 18, 617) (Cathartes brasiliensis, Turdus flavipes), del Viaggio Leschenault nell’India, di St.-Hilaire nel Brasile, del Viaggio Lalande (1820) al Capo di B. Speranza, ed uno del Peron. Tali esemplari ebbe il Bonelli in Parigi in occasione del suo viaggio nel 1820, durante il quale ebbe pure dall’Abate Baillon un Puffinus colla indicazione P. barolii (Temm.). Nel Museo di Torino si conserva ancora il tipo del Puffinus barolii menzionato dal Bo- naparte (“ Consp. Av. ,, II, p. 204); esso è registrato nel vecchio Catalogo del Museo, n. 3203, di mano del Bonelli, col nome di Procellaria obscura, ma porta ancora attaccato al piede un cartellino sul quale è scritto: Procellaria barolii (T.) Viaggio Bonelli, 1820 (BailZon). Appare da ciò che il Bonelli acquistò quell’individuo dal sig. Baillon durante un suo viaggio (a Pa- rigi) nel 1820. Quell’individuo non ha alcuna indicazione precisa di patria e per nulla affatto quella di Mediterraneo, attribuitagli dal Bonaparte sulla fede del cartellino errato attaccato alla base. Questo Puffinus è alquanto più piccolo dell’anglorum, ha le ali più brevi e le piume laterali posteriori del sottocoda di color nero-bruno uniforme, ed appartiene senza dubbio alla specie che Kuhl, Temminck e Schlegel hanno descritto con nome di Puffinus obscurus, come lo stesso Bonelli l’aveva riconosciuto. Errano dunque lo Schlegel e gli altri che riferiscono il P. barol al P. anglorum, come anche il Gerbe, riferendolo al P. yelkouan; tuttavia è possibile che il Bonaparte abbia dato nel Museo di Parigi il nome di P. barolî ad individui del P. yelkouan. Pare inoltre che il nome di P. baroki, attribuito al Bonelli, sia invece del Temminck, giacchè il Bonelli stesso, come sopra ho detto, a lui l’attribuisce ed è probabile che il Tem- minck lo desse al primo individuo da lui visto in Torino nella collezione del Marchese Fal- letti di Barolo, cui aveva forse l'intenzione di dedicarlo, credendolo appartenente ad una nuova specie (cfr. “ Man. d’Orn. ,, II, p. 809). Ignoro cosa sia avvenuto di quell’individuo che il Temminck notò siccome preso sulle Alpi del Piemonte (!), della quale cosa è gran- demente da dubitare. Queste cose io scriveva a pag. 299 degli “ Uccelli ,, della “ Fauna d'Italia , e tuttavia il SALvin nel vol. XXV del Catalogue of Birds, a p. sr; mantiene l'errore di riferire il P. darolii al P. yelkouan! (1) Sopra due nuove specie di Motacillae, non per anche state trovate in Italia, una delle quali inedita (“ Nuovo Giorn. dei Letter. ,, n° 57, pp. 186, 194, 18831). i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXYV, N. 5. ( Il Bonelli nel 1819 recatosi a Londra acquistò numerosi uccelli dal negoziante inglese Bullok nella occasione di un incanto, menzionato espressamente nel vecchio Catalogo al n. 1787. Fra gli uccelli acquistati sono notevoli un Procellaride indicato dell'Isola Tristan d’Acunha, da me descritto col nome di Fregetta melanoleuca (£ Bull. Br. Orn. Club. ,, XXI, pp. 78-80) e due esemplari della Westiaria coccinea delle Isole Sandwich, provenienti dal celebre viaggio di Cook (V° Cat. nn. 1355, 1356). Durante lo stesso viaggio il Bonelli ebbe dal Leach e da questi raccolto a Tripoli un Lanius riconosciuto posteriormente per l’Remileucurus (V° Cat. n. 1618). Dal Museo di Leida inviò numerosi esemplari il Direttore €. J. Temminek, col quale il Bonelli era stato in corrispondenza relativamente a parecchie nuove specie italiane. Molti degli esemplari inviati dal Temminck sono di grande importanza, avendo valore di tipi, o cotipi e possono servire alla identificazione di parecchie specie. Citerò i principali: Pitta glaucina Temm. PI. col. II, pl. 194 (V° Cat. n. 3523 = N. Cat. n. 659). Giava (Viaggio Kuhl et v. Hasselt) (= Myiophoneus cyaneus Horsf.). Enicurus velatus Temm. PI. col. II, pl. 160 (1823) (V° Cat. nn. 3526 è, 352790=N. Cat. nn. 1230, 1231). Giava (V° Kuhl et v. Hasselt) (= Hydrocichla velata Temm.). Muscicapa psidii Temm. (nec Gm.) (V° Cat. nn. 3526, 3593 = N. Cat. 629). Giava (V° Kuhl et v. Hasselt) (= Pycnonotus analis Horsf.). Sttta melanocephala Temm. è MS. (V° Cat. n. 3528 = N. Cat. n. 2073). Giava (V° Kuhl et v. Hasselt) (= Sttta azurea Less.). Ceblepyris papuensis Temm. (nec Gm.) (V° Cat. nn. 3529, 3541 = N. Cat. nn. 787, 788). Giava (V° Kuhl et v. Hasselt) (= Graucalus javensis Horsf.). Ceblepyris marginatus Temm. MS. (V° Cat. n. 1365 = N. Cat. n. 783). Giava (= Graucalus javensis Horsf.). Columba bitorquata Temm. et Knip (V° Cat. n. 3531 = N. Cat. n. 2468). Giava (V° Kuhl et v. Hasselt) (= Turtur bitorquatus Temm.). Scolopax stenoptera Kuhl. Mus. Taur. 1826. — Bore, Isis, 1826, p. 979 (V° Cat. n. 3532 = | N. Cat. n. 3021). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Gallinago stenura Kuhl). Muscicapa philomela Temm. Mus. Taur. et Berol. (V° Cat. n. 3533 = N. Cat. n. 929). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Pachycephala grisola Blyth = Hyloterpe philomela T.). Bucco armillaris Temm. (V° Cat. n. 3535 = N. Cat. n. 1862). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Cyanops armillaris Temm.). Bucco gularis Temm. PI. col. 89, f. 2 (N. Cat. n. 1863). Giava (Temminck) (= Xantholaema australis Horsf.). ; Bucco kotorea Temm. in litt. (V° Cat. nn. 3535, 3536 = N. Cat. nn. 1860, 1861). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Chotorhea javensis Horsf.). Turdoide verdin Temm. (Iros virescens Temm. PI. Col. 382, f. 1) (V° Cat. n. 3540 = N. Cat. n. 539). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Hemixus virescens Temm.). Glaucopis varians Temm. PI. Col. Art. Glaucopis (V° Cat. n. 3542 = N. Cat. n. 369). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Crypsirhina varians Temm.). Lamprotornis cantor Temm. (nec Gm.) (V° Cat. nn. 3591, 3654 = N. Cat. nn. 529, 530). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Calornis chalybea Horsf.). Columba lacernulata Temm. (V° Cat. n. 3597 = N. Cat. n. 2694). Ceva (EGR et v. velo) (= Carpophaga lacernulata Temm. ). Muscicapa hirundinacea Reinw. in Temm. PI. col. 119 (V° Cat. nn. 3599, 3655 = N. Cat. nu- meri 926,.927). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (= Hemipus obscurus Horsf.). Drongolon (Edolius longus Temm. MS.) (N. Cat. 778). Giava (= Dicrurus macrocercus Vieill.). 8 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Myiothera pica vel pyca Temm. MS. (1826). Giava (Kuhl et v. Hasselt) (Cat. n. 664) (= Tur- dinus sepiarius Horsf.). Nectarinia lepida Temm. Giava (Kuhl et v. Hasselt) (Cat. nn. 2217, 2218) (= Anthothreptes malaccensis Scop.). Nectarinia inornata Temm. Giava (Cat. n. 2219) (= Arachnothera affinis Horsf.). Tringa platyrhyncha Temm. (N. Cat. n. 2924). (1819-1822) Fra l’anno 1919 e l’anno 1822 il Museo di Torino venne in possesso di un giovanissimo Dromaeus, segnato nel vecchio Catalogo al n. 2816, e nel nuovo al n. 2661; esso è accompagnato dalla seguente nota: “ Giovane individuo del Viaggio di Péron alle Terre Australi ,. Ora è noto che F. Péron fece parte, al principio del secolo scorso di una spedizione francese, la quale scoprì l'isola Decrès, o dei Canguri, ove fu scoperto il Dromaeus ater. Non oso dire, sebbene sia probabile, che l'esemplare del Museo di Torino appartenga‘ a questa specie, giacchè per la sua età giovanile non presenta i caratteri differenziali della specie. Esso somiglia al giovane di 5 settimane circa, figurato nell’Opera di Peron e FrEY- cineT, Voyage de découvertes aux Terres Australes, Atlas, pl. 66, fig. 3, ma ha le piume al- quanto variegate di bianco. (1822) Un Mr. Laugier, che credo fosse lo stesso che il collaboratore alle “ Planches Coloriées , col Temminck, inviò al Bonelli alcuni uccelli, fra i quali interessante un Lanius meridionalis di Arles in Francia (V° Cat. 1616). (1820-22) Parecchi uccelli il Bonelli ebbe dal ben noto ornitologo Vieillot. (1822) Una serie di uccelli di varie località fu acquistata dal Dott. Cretzschmar di Francoforte. Ignoro se sia lo stesso Cretzschmar che nel 1826 pubblicava la parte ornito- logica dell'opera: A#as eur der Reise im nòrdlichen Afrika von E. Riippell. (1821-23) Il Teologo Losanna negli anni suddetti donava al Museo diversi uccelli uccisi in Piemonte (Platalea leucorodia, Ciconia nigra, Avocetta recurvirostra). (13823) Da un M. Dupont il Museo ricevette una serie di uccelli delle Indie ed anche una Sylvia passerina di Tripoli (Cat. n. 1974). Il Principe Massimiliano zu Wied, il quale fece un lungo viaggio nel Brasile, fu in corrispondenza col Bonelli, cui nel 1823 inviò una collezione dei suoi duplicati, nessuno dei quali si presta a speciali osservazioni, sebbene tutti siano da considerare come cotipi delle specie da lui annoverate nella sua opera, pubblicata molto più tardi (cfr. “ Beitràge zur Naturgeschichte von Brasilien ,. Vogel, Band, II, IV). (1824) Fra le specie descritte dal Temminck ve n'è una che merita particolare menzione, giacchè il tipo della medesima gli fu imprestato dal Bonelli, e si conserva tuttora nel Museo di Torino (vecchio Cat. n. 1109, nuovo Cat. n. 96). Si tratta del Falco bonellii Temm. Il Bonelli aveva ricevuto detto esemplare dal Cav. Prunner; esso era stato ucciso in Sar- degna ed il La Marmora (“ Mem. Ace. Sc. Tor. ,, XXXIII, p. 110) afferma di averlo pre- parato egli stesso. Nel Catalogo è menzionato che tale esemplare fu imprestato al Vieillot ed al Temminck nel 1822. Singolare questa circostanza, giacchè mentre il secondo descrisse e figurò quell’esemplare nella “ Planche Coloriée ,, 288, non pare che il primo lo menzio- nasse, quando egli descrisse la specie col nome di Aquila fasciata. Gli esemplari del Museo di Torino, ridotti ora a cinque, servirono di tipi ‘alla Memoria MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 9 del La Marmora intitolata: Détermination et description des differences d'age de V “ Aigle bonelli ,, “ Falco bonelli , Temminck, “ Planches coloriées ,, n. 288, letta alla seduta del 24 siugno 1832 (“ Mem. R. Acc. Sc. Torino ,, tom. XXXVII, pp. 110-125, pls. 1, 2). La pubblicazione della descrizione e della figura di questa specie, per opera del Tem- minck, rimonta al 1824. Negli anni 1823 e 1824 il Museo di Torino ricevette dal sig. Deabbate, console gene- rale di S. M. Sarda presso gli Stati Uniti a Filadelfia, una numerosa collezione di uccelli dell’America settentrionale. Essa non fu studiata, sebbene gli esemplari avessero sul car- tellino nomi specifici secondo la nomenclatura dell’opera del Wilson: American Ornithology, or the Natural History of the Birds of the United States. Essa conteneva due esemplari del- l’Ectopistes migratorius (Linn.), una femmina adulta (n. 2656) colla data 22 marzo 1823 ed un giovane (n. 2657). Come è noto, questa specie è ora estinta. Il Museo di Torino acquistò nel 1876 dal negoziante sig. De Greaux un maschio adulto di questa specie indicato del Canadà (Cat. n. 8743). (1824) Il Prof. Reinhardt del Museo di Copenhagen inviò parecchi esemplari di Anatidi di specie nordiche (Somateria spectabilis ed altre). (1825) Fra le molte persone che donarono singoli esemplari al Bonelli pel Museo va notato il Conte Canonico Giovanni Maria Mastai, che fu poi Papa Pio IX, il quale addì 4 luglio 1825 donò una Phoedetria fuliginosa (Cat. n. 3262, vecchio Catal. n. 3457) che era stata presa sulle acque dell'Isola degli Stati (Coste della Terra del Fuoco), probabilmente durante il viaggio di ritorno del Mastai dal Chilì, ove era stato inviato in missione dal Papa Pio VII. Un sig. Marchese Chanaz donava due esemplari del genere Colymbus, uccisi sul lago di Casellette in Piemonte (vecchio Cat. nn. 3410, 3413). (1822-27) Tra gli anni 1822 e 1827 un tal Mr. Prevost (forse Mr. Florent Prevost, negoziante naturalista parigino, al quale furono dedicate diverse specie di uccelli: Euryceros prevosti, Amblyrhamphus prevosti, Trochilus prevosti) inviò al Museo di Torino non pochi uccelli, fra i quali una Ceyx di Giava, che fu registrata col nome di A/cedo tridactyla, dalla quale è notevolmente diversa e della quale io ho fatto il tipo della Ceyx innominata (Cat. n. 2309) (vedi “ Atti R. Ac. Se. Tor. ,, IV, p. 465). (1828) Un M. Decossette, a me ignoto, inviava una serie di uccelli di varie località, segnati nel vecchio Catalogo fra i numeri 2905 e 4045. (1819-1830) Tra il 1819 ed il 1830 il Bonelli ebbe dal negoziante naturalista inglese Mr. Leadbeater numerosi uccelli, specialmente della Nuova Olanda. Un sig. Heckel di Vienna inviò negli anni citati una serie di uccelli interessanti, fra i quali una supposta nuova specie di Sta che contemporaneamente fu descritta dal Mi- chaelles col nome di Sitta neumayeri (Isis, 1830, p. 814). (1829-31) Il Dott. Crolla inviò al Museo di Torino animali diversi della Siria. Due sono i tipi del Corvus melanocephalus (Cat. nn. 4092, 4103), che il Bonelli ricevette nel 1830 e denominò, ma che si astenne al solito dal descrivere, morendo poco appresso, il 18 no- vembre 1830. Della collezione del Crolla faceva parte un falco, che nel vecchio Catalogo (n. 4166) è indicato col nome di F. concolor Temm., Bayreuth 1831; esso non si conserva Vi 10 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. più nel Museo, ma era già stato identificato col F. eleonorae Gené (nuovo Cat. n. 53), specie descritta posteriormente. Giuseppe Gené, succeduto al Bonelli nella direzione del Museo, grandemente accrebbe le collezioni e specialmente quella ornitologica. Nel 1832 egli acquistava una numerosa collezione di uccelli da un tale Mr. Vogt e di essi faceva parte un’ A/ca impennis segnata nel vecchio Catalogo al n. 4867. Come è noto, questa specie è estinta, a quanto pare, fino dall’anno 1844, od in quel torno. Il prezioso esemplare è indicato come proveniente dall’Islanda. (1832) Col nome di Emberiza intermedia Michahelles in litt. (Dalmazia) è registrato nel Catalogo del Museo al n. 1398 (vecchio Cat. n. 4556) un esemplare inviato dal Michahelles nel 1832 e che perciò è da considerare come cotipo. Esso è intermedio all’Emberiza schoe- niclus ed all’E. palustris, ma, secondo me, l'esemplare del Museo di Torino è più vicino al primo che non al secondo. Lo HartERrT (Vòg. Pal. Fauna, I, p. 197) considera tale forma come sottospecie distinta, che chiama Emberiza schoeniclus canneti Brehm, giacchè pare che il nome del Michahelles non sia mai stato accompagnato da descrizione. Lo stesso Michaelles nel 1832 inviava al Museo di Torino uno dei cotipi della sua Sitia neumayeri (Cat. 2070). Il Gené nel 1833, nella seduta dell’Accademia delle Scienze di Torino del 24 febbraio, lesse una Memoria che ha per titolo: Description de quelques espèces de la Colletion zoologique de Turin, indiquées par le Prof. Bonelli comme inédites ou mal connues (£ Mem. R. Acc. Sc. Tor. ,, XXXVII, pp. 293-298, pls. I, 2). In questa Memoria il Gené descrisse il Corvus melanocephalus Bon. (Cat. Ms. du Mus. Zool., nn. 4092, 4103) ed il Turdus werneri Bon. (Cat. Ms. du Mus. Zool., nn. 3968, 3969), ora II CSUOSGINO identico col T'urdus obscurus. Rispetto al Corvus melanocephalus per lungo tempo si è ammessa la identità del mede- simo col Garrulus atricapillus (Geoffr. St.-Hil.), ma io credo di aver dimostrato la diver- sità delle due forme (“ Boll. Mus. Tor. ,, n. 607, 1909). (1833) Un Mr. De La Pierre, svizzero, nel novembre 1833 fece taluni cambi, dando al Museo alcuni esemplari, specialmente del Brasile. (1834) Da un sig. Leotardi nel 1834 il Museo riceveva una serie di Trochilidi dell’ Ame- rica meridionale. (1859) Nel 1839 il celebre viaggiatore e naturalista Riippell, che coi suoi viaggi e lavori tanto illustrò l’Abissinia, inviò al Museo di Torino numerosi uccelli di quella regione, raccolti nel 1832. Quasi tutti conservano ancora i cartellini originali. Fra essi noto i seguenti, che appartenendo a specie descritte dal Riippell, e recando ancora il cartellino, sul quale, di mano dello stesso, sono scritti i nomi, dovranno essere considerati come cotipi : Oriolus molorita Ripp. (Cat. n. 415) (= Oriolus monachus Gm.). Lamprotornis chalybaeus Riipp. (nec Ehr.) (Cat. n. 526) (= Lamprocolius chloropterus Sw.). Turdus erythrorhynchus Ripp. (Cat. n. 601) (= Turdus abyssinicus Gm.). Ixros leucopygius Riipp. (Cat. n. 536) (= Crateropus leucopygius Riipp.). Saxricola rufiventris Riipp. 9 (Cat. n. 1219) (= Thamnolaea alboscapulata Riipp.). Corythaix leucotis Riipp. (Cat. n. 1755) (= Turacus leucotis Riipp.). Pogonias brucei Riipp. (Cat. n. 1867) (= Lybius abyssinicus Lath.). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 11 Cinnyris famosa Ripp. (nec Linn.) (Cat. n. 2216) (= Nectarinia cupreonitens Shell.). Cinnyris proteus Ripp. (Cat. n. 2207) (= Nectarinia cruentata Riipp.). Perdix rubricollis Ripp. (nec Gm.) (Cat. n. 2631) (= Pternistes leucoscepus Gray). Vanellus melanocephalus Riipp. (Cat. n. 2754) (= Tylibye melanocephalus Riipp.). Nel 1839 il Gené pubblicava una nota preventiva colla descrizione del Yalco Eleo- norae, intitolata: Nouvelle espèce européenne du genre Faucon (£ Rev. Zool. ,, 1839, p. 105; « L'Institut ,, VII, p. 396) e la descrizione ripeteva in un successivo lavoro col titolo: Descrizione di un nuovo Falcone di Sardegna, Falco Eleonorae (“ Mem. R. Acc. Sc. Tor. ,, ser. 2, t. II, pp. 41-48, tav. 1, 2 (1840)). Questa specie era stata scoperta dal La Marmora nell’Isolotto del Toro. Due dei tipi (nn. 51 e 49) si conservano ancora nel Museo di Torino, il primo proveniente dall’isola della Vacca. Il Museo era ricco di parecchi altri esemplari, uno dei quali di Bayreuth, inviato dal Dott. Crolla nel 1831. Il FrirscH (“ Journ. f. Orn. ,, 1855, p. 268) pretende che uno dei tipi di questa specie si conservi nella collezione del Principe Khevenhuller presso Vienna! Sempre nel 1839 il Museo di Torino riceveva un singolare uccello che porta scritto sul cartellino: “ par Mr. Botta, juillet 1839 ,, e nel Catalogo (n. 1752) “ Africa ,. Questo uccello fu descritto molti anni più tardi dal Bonaparte (Consp. Av., I, p. 336, 1850) col nome di Hypocolius ampelinus e colla patria: California. Da una notizia data dall’Heuglin (Ibis, 1868, pp. 181, 183, pl. V) ci fu noto che i due esemplari tipici, esistenti nel Museo di Leida, non erano della California, ma dell’Abissinia e che provenivano dal Botta, come l'esemplare del Museo di Torino, che perciò dovrà essere considerato come un cotipo. Che questa specie si trovi in Abissinia non mi pare al tutto certo, giacchè per questa nozione non abbiamo altra autorità che quella dell’Heuglin, che afferma di aver ricevuto un esem- plare in una collezione di uccelli della costa dell’Abissinia. Invece ora si sa che I'H. ampe- linus è comune presso Fao, sulle coste del Golfo Persico; esso è stato trovato anche in Persia e nel Sindh. È stato per lungo tempo uno degli uccelli più rari nelle collezioni. Nel 1890 il Giardino Zoologico di Londra ricevette da Mr. Cuming di Fao esemplari viventi di questa specie. (1839-40) Durante gli anni 1839 e 1840 il sig. Antonio Caffer, assistente al R. Museo Zoologico di Torino, fece, a bordo della fregata Regina (1), un viaggio nell'America Meri- dionale, visitando specialmente le coste del Brasile nelle vicinanze di Rio Janeiro; egli rac- colse un certo numero di uccelli, molti dei quali appartenenti a specie mancanti nel Museo, ed alcune in quel tempo anche nuove. Di tale collezione faceva parte un rapace notturno (Cat. 258), che sembra appartenere alla Pulsatrix sharpei Berl., specie discriminata molto posteriormente. Così pure il Caffer raccolse esemplari di due altre rare specie di rapaci notturni: Asto mydas (Licht.) (Cat. n. 275) ed Asio stygius (Wagl.) (Cat. n. 283). Pare che la nave Regina nel 1840 toccasse anche le Antille, giacchè fra gli uccelli portati dal Caffer ve ne sono alcuni di quelle isole (Todus multicolor, Cat. n. 4251). (1) La nave “ Regina ,, che era stata destinata dal Governo sardo, durante il regno di Carlo Alberto, a fare un viaggio intorno al mondo, guasta da una tempesta, prima di giungere al Capo Horn, dovette riparare a Rio Janeiro, e tornare a Genova, senza essere sortita dall’ Oceano Atlantico (Vedi GicrioLi, Viaggio della Magenta, p. 1). 12 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. (1840) Sua Altezza Reale il Principe Eugenio Savoia Carignano durante il suo viaggio sulla fregata Regina ebbe in dono vivi un Gyparchus Papa ed un Anadorhynchus jacinthinus; questo morì in Torino nel 1861 e fu donato al Museo (Cat. n. 1248). (1841) Nel 1841 il Museo di Torino riceveva una grande collezione di uccelli inviata dal Barone Solaroli da Sirdanha (sc) Monti Imalaia. Sebbene la collezione, che va dal n. 3668 al 4109, contenesse specie bellissime e rare, essa non fu sistematicamente studiata e non ne fu fatto argomento di un Javoro. Il Gené a qualche specie che non era riuscito a determinare dette nomi che mai publicò; così a due esemplari di una specie di Rigogclo (Cat. nn. 3734, 3735) egli nel Catalogo Ms. dette il nome di Oriolus decipiens, da me pub- blicato (“ Atti Soc. Ital. Sc. Nat. ,, III, p. 152, 1864), sinonimo di Oriolus kundoo Sykes. Della stessa collezione io ho descritto un Oedicnemus indicus (Cat. nn. 4086, 4087) (“ Atti Soc. It. Sc. Nat. ,, VIII, p. 375, 1865), molto affine al nostro Oedicnemus scolopax, ma che il SeeBonM (Geogr. Distr. of the Charadriidae, p. 77) ammette come sottospecie distinta. Gypaetus barbatus. — Il Museo di Torino possiede diversi esemplari italiani di questa specie, forse gli ultimi rappresentanti della medesima nelle Alpi piemontesi. Essi sono tutti delle Alpi marittime presso Valdieri. E da lamentare che più non vi esista un esemplare della Valle d'Aosta, ucciso nell’aprile 1841, che fu ceduto in cambio di un’Aquila naevia. Era segnato al n. 23 del Catalogo. Recentemente il 29 ottobre 1913 un esemplare della stessa specie è stato pure ucciso nella Valle d’Aosta, e si conserva nella collezione alpini- stica di quella città. (1842) Il Cav. Ghiliani, valente entomologo, assistente al Museo di Torino, donava. al Museo di Torino due esemplari della Cyamopica cookì da lui raccolti nella Sierra Morena in Spagna (Cat. nn. 3586, 3587); la specie è particolarmente interessante per essere nella penisola iberica la rappresentante di una forma cinese e giapponese. Nel dicembre del 1842 il Museo di Torino riceveva dal sig. Callery, interprete della Legazione francese a Macao in Cina, una numerosa ed interessante collezione di uccelli, in gran parte indicati della Cina, laddove erano delle Filippine e più specialmente di Luzon. Molte delle specie erano allora nuove, ma la collezione non fu studiata e perciò quelle specie sono state studiate, descritte e pubblicate da altri, tra le quali sono da menzionare le seguenti: Anthreptes griseigularis Tweedd., Carpophaga grisceipectus Bp. e Trerolaema leclan- cheri Bp. (1855). A tale collezione, senza dubbio, appartenevano due esemplari, che, non so per quale errore, furono catalogati come provenienti da Sirdanha (Collezione Solaroli) (nn. 1275, 1285) e che io ho descritti col nome di Melaniparus semilarvatus (“ Atti Soc. Ital. Sc. Nat. ,, VIII, p. 375, 1865). Più tardi ne pubblicai anche una figura (Ibis, 1879, p. 300, pl. IX). La vera patria di questa specie è stata scoperta molto più tardi. Della collezione Callery faceva parte anche un esemplare di Macao appartenente a specie allora non peranche descritta (Cat. n. 2425), che il Gené riconobbe essere nuova, imponendole il nome specifico /eucogenys, che più tardi fu usato da Lord Walden (Buckhanga leucogenys) per designare questa specie (1). Il Dott. Bussa donò nel 1842 al Museo di Torino una pregevole collezione di uccelli dell’Abissinia; fra questi è uno dei tipi del mio Buteo auguralis (Cat. n. 4294). (1) Alcuni esemplari della collezione Callery (4870, 4871) furono ricevuti nel 1843 od almeno furono cata- logati con questa data. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 13 Nel dicembre dello stesso anno 1842 il Padre Calvi, Missionario Apostolico, donava pure al Museo di Torino un’altra bella collezione di uccelli pure dell’Abissinia, tra i quali sono notevoli un Turdus pelios Bp. (Cat. n. 897) ed una Petronia pyrgita (Heugl.) (Cat. n. 4863) che non erano stati ancora descritti, un Megalophonus rufocinnamomeus da me descritto (£ Atti Soc. Ital. Se. Nat. ,, VIII, p. 378, 1865) e due esemplari (Cat. nn. 561, 562) del raro Dendrobates obsoletus (Wagl.), che, secondo me, non appartiene al genere indiano Iyngi- picus, al quale è stato attribuito dallo Hargitt (Cat. B. XVIII, p. 336). La Petronia pyrgita è segnata nel Catalogo colla data 1843. (1842-1843) Il Gould, l’autore delle grandi Monografie ornitologiche illustrate, e grande esploratore d'Australia, nel 1842 e 1843 inviò in dono al Museo di Torino una pregevole collezione di uccelli australiani, molti dei quali appartengono a specie da lui descritte e taluni portano scritti sul cartellino, di carattere del Gould, i nomi da lui imposti e perciò hanno valore storico e di cotipi; tra essi sono da menzionare i seguenti esemplari: Cat. n. 3540. Psephotus haematogaster Gould. Cat. n. 3570. Nyroca australis Gould. s » 3546. Cracticus nigrigularis Gould. » » 3607. Milvus affinis Gould. » » 3551. Tropidorhynchus citreogularis n » 3608. Sterna poliocerca Gould. Gould. s » 3616. Climacteris picumnus Gould. » » 3558. Falco frontatus Gould. » n 8629. Haematopus validirostris Gould. s » 3562. Struthidea cinerea Gould. » n 9630. Meliphaga sericea Gould. » » 3563. Chlamydodera maculata Gould. » » 3631. Glyciphila ocularis Gould. » » 3564. Artamus superciliosus Gould. » » 3633. Hirundo ariel Gould. Fra gli uccelli inviati dal Gould havvi anche un esemplare (Cat. n. 3632) della Taenio- pygia insularis Wall. di Timor, specie in quel tempo non ancora descritta; esso porta scritto sul cartellino, di mano del Gould: “ Male, Oct. 1. 1840, Cupang, Island of Timor. Irides orange-red ,. (1842) Il Museo di Torino riceveva nel 1842 e nel 1843 una non numerosa collezione di uccelli di diverse località dell'America meridionale (Brasile, Buenos Aires) inviata da un sig. Ferraris: tra essi erano talune specie in quel tempo ed anche ora rare, fra le quali il Conurus acuticaudatus (Vieill.) (Cat. nn. 4372, 4373), il Conurus melanocephalus (Vieill.) (Cat. nn. 4376, 4377) ed uno dei due tipi del Porphyriops leucopterus Salvad. (Cat. n. 4405), forse non diverso dal P. melanops (Vieill.). (1843) Un Dott. Ricord inviava una interessante serie di uccelli di varie località, fra i quali bellissime specie del genere Pitta, molti uccelli del Brasile, e taluni di Cuba e di Haiti. È (1846) Nel 1846 il Marchese di Breme donò al Museo un esemplare del singolare Stea- tornis caripensis (Cat. n. 1514) proveniente da Cumana nella Colombia. Il Prof. Kinnberg nel 1846 inviava al Gené un Parus cinctus della Svezia (Cat. n. 1738) ed un raro Uragus sibiricus (Cat. n. 4678). (1847) Nel 1847 ed in altri anni il sig. Franck, ben noto mercante naturalista di Amsterdam, vendette al Museo di Torino parecchi rari uccelli, e fra essi, un esemplare della Scolopax saturata di Giava (Cat. n. 1002) ed un altro della Heteralocha acutirostris della Nuova Zelanda (Cat. n. 547), della quale ora si dubita la estinzione. 14 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Il sig. Carlo Ferreratti, già primo preparatore del Museo nel 1835, donò alcuni uccelli del Brasile. (1845-1849) I due fratelli Craveri di Bra, l'Avvocato Federico e l'Abate Craveri, viag- giando nel Messico e nella California, fecero una ricca collezione di uccelli di quelle regioni; tale collezione esiste ancora in Bra nel gabinetto della Scuola tecnica; essi donarono i duplicati al Museo di Torino in parecchie volte nel 1845, nel 1849 ed alcuni nel 1859 e nel 1865. Fra gli uccelli da essi raccolti e donati esistevano molti esemplari appartenenti a specie in quel tempo non ancora descritte ed altre rarissime; fra queste meritano parti- colare menzione un esemplare (Cat. n. 4470) del raro Falco mexicanus Licht., del quale l'Abate Craveri dondò un secondo esemplare, un maschio, nel 1865 (Cat. n. 5488). Fra le specie rare è da menzionare il grande Picus imperialis, tuttora mancante nel Museo di Torino, il Vireolanius melithophrys descritto nel 1850, il Buteo Calurus nel 1855, Ja Pany- ptila melanoleuca Baird nel 1854, la Tigrisoma cabanisi Heine nel 1859 e la Sula brewsteri nel 1888. Della collezione non fu fatto argomento di un lavoro speciale, come avrebbe meri- tato. Io vi scoprii una nuova specie l'Uria Craverii Salvad. ora Brachyrhamphus Craveri (Atti Soc. Ital. Sc. Nat., VIII, p. 387, 1865 (Cat. n. 5258) (Isola della Natividad, Bassa Cali- fornia). Il tipo di questa specie si conserva nel Museo di Torino. Il Cav. Picollet d’Hermillon, Console di S. M. Sarda a Valparaiso, inviava in diverse volte, ma specialmente nel 1849, una molto ricca collezione di uccelli del Cile, e per quel tempo certamente importantissima, e che sarebbe stato prezzo dell’opera studiare, giacchè si può dire che allora non esisteva quasi alcun lavoro che riassumesse l’avifauna tanto interessante di quella regione. Una specie contenuta nella collezione, in quel tempo non ancora descritta, è la Aegialites occidentalis Cab. (1850) Il Museo di Torino possiede uno dei tipi dell’Oriolus dbaruffii (Cat. n. 1174) men- zionato dal Bonaparte (Consp. Av., I, p. 347); non vi ha dubbio che esso appartenga all’Oriolus brachyrhynchus Sw. Il Bonaparte nel dedicare questa supposta specie al Baruffi scrisse: “ dicata Fr. Baruffo Physico insigni, periodico scientiae in gratiam Peregrinatori, Sacerdoti absque simulatione (o res mirabilis!) liberalissimo ,. Si noti che Carlo Luciano Bonaparte, Principe di Musignano, fin nel 1829 inviava da Filadelfia parecchi uccelli al Bonelli pel Museo di Torino. (1851) L’Osculati, il celebre esploratore del Rio Napo, raccolse oggetti di Storia Natu- rale, che per la maggior parte andarono al Museo di Milano, e, se non erro, fra essi si trovava il tipo della Euchlornis sclateri descritta dal CorwaLra (Contr. Orn., 1852, p. 133, pl. 101. — Rev. et Mag. de Zool., 1853, p. 107, pl. 4). Il Museo di Torino ebbe di quella collezione alcuni duplicati, fra i quali un Formicarius (Cat. n. 5155), forse appartenente a specie nuova, affine al F. crissalis Cab., una Chaetura descritta nel 1870 dal Salvin col nome di C. fumosa (Cat. n. 5152) ed una Pygiptila maculipennis Sclat. (Cat. n. 5339), anch'essa allora non per anco descritta. 3 (1852) Il sig. Secchini, console sardo a Bahia nel Brasile, inviò nel 1852, al Museo di Torino una importante collezione di uccelli di quella regione. Essa non fu studiata e dispersa nel Catalogo non è facile trarne qualche conclusione. (1852-53) Il sig. Casella, Console sardo a Calcutta, donava una serie di uccelli dell’India. (1853) Un Prof. Grauber di Optad in questo anno fece avere al Museo una Emberiza aureola (Cat. n. 545) ed una Emberiza rustica (Cat. n. 733). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXY, N. 5. 15 Nel 1853 il Museo di Torino ricevette da Mr. Brun-Rollet, negoziante savojardo, resi- dente a Kartoum, una interessante collezione di uccelli, raccolti fra il quarto ed il terzo grado di Latitudine Nord. Il Prof. De Filippi ne fece argomento di una breve nota in forma di lettera al Principe Bonaparte: Fragment d’une lettre de M. Ph. De Filippi a Son Altesse le Prince Bonaparte (Rev. et Mag. de Zool., 1853, pp. 289-291). In questo lavoro furono descritte parecchie specie nuove, delle quali si conservano i tipi nel Museo di Torino: Irrisor cabanisi De Fil., 1. c. p. 289 (Cat. n. 669). Lanius dealbatus De Fil., ibid. (Cat. n. 1509). Il tipo della seconda specie fu già da me identificato col Lanius pallens Cass. (Atti R. Acc. Se. Tor., III, p. 278); recentemente il Dott. HarrERT (Vòg. Pal. Faun., p. 428) attribuisce tanto l’uno che l’altro al Lanius leucopygos Hempr. et Ehrenb. Il De Filippi considerava come appartenente pure allo stesso L. deal/batus un altro esem- plare del Museo di Torino, acquistato a Londra dal Bonelli nel 1819 ed indicato come pro- veniente da Tripoli (Cat. n. 737); esso appartiene invece al Lanius hemileucurus F. et H. Lanius macrocercus De Fil., 1. c. p. 290 (Cat. nn. 1480, 1687) (= Lanius excubitorius Des Murs). Pogonias rolleti De Fil., ibid. (Cat. n. 3207). Laimodon leucocephalus De Fil., 1. c. p. 291 (Cat. n. 3203). In questo lavoro del De Filippi è annoverato anche l’Oriolus larvatus Licht., ma erro- neamente, giacchè si trattava invece di una nuova specie che io ho descritto col nome di Oriolus rolleti (Catalogo nn. 1540, 1399) (Atti Soc. Ital. Sc. Nat., VIII, p. 151, 1864). Nel 1855 il Museo di Torino riceveva dallo stesso Mr. Brun-Rollet un’altra collezione che non fu studiata e della quale facevano parte due esemplari della Chettusia crassirostris De Fil. in Hartl. Journ. f. Orn., 1855, p. 227. Di questa si conservano pure due tipi nel Museo di Torino (Cat. nn. 5168, 5262). Detta specie è diventata tipo del genere Defilippia Salvad. (Atti Soc. Ital. Sc. Nat., VIII, p. 373, 1865). Anche i due tipi dell’Oedicnemus inornatus Salvad., ibid. p. 381, riconosciuto non diverso dall’Oe. senegalensis Sw., facevano parte di questa collezione (Cat. nn. 1027, 3583). Altri uccelli inviava il Brun-Rollet nel 1860 (Cat. n. 5359) e più tardi nel 1862, per mezzo del sig. Gobbi, console al Cairo, e fra questi due del rarissimo Balaeniceps rex Gould, uno dei quali fu inviato al Museo Civico di Milano e l’altro si conserva ancora nel Museo (Cat. n. 5344). Faceva parte delle collezioni del Brun-Rollet anche un Tinnunculus alopex Heugl., specie rara, allora non ancora descritta (Cat. n. 5668). Fra i rari uccelli raccolti ed inviati dal Brun-Rollet è da menzionare un esemplare del Capripeda natalensis (Smith) (Cat. n. 611). (1854) Un distinto entomologo, il sig. Truqui, il quale visitò la Siria ed anche l'isola d Cipro, nel 1854 inviò al Museo di Torino diversi uccelli, fra i quali un Picchio (Cat. n. 1785) col nome di Picus damascenus Antinori. Questo è il nome col quale l’Antinori da prima distinse un Picchio da lui trovato presso Damasco, nome che poi cambiò in quello di Picus cruen- tatus (Vedi Naumannia, 1956, pp. 411-414). L’esemplare suddetto, che il Truqui ebbe dal- l’Antinori, è certamente un cotipo. Fra gli esemplari inviati dal Truqui ve n'erano tre, due della Siria (Cat. nn. 3653, 5317) ed uno di Cipro (n. 4211), che appartenevano ad una Sylvia non ancora descritta, e che io 16 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. aveva riconosciuta come tale, ma fui prevenuto dal Tristram, che la descrisse col nome di Sylvia melanothorax (Ibis, 1872, p. 296). I tre esemplari del Museo di Torino furono men- zionati da Lord Lilford (Ibis, 1889, p. 320). La collezione del Truqui comprendeva anche un esemplare (Cat. n. 3736) della Sylvia jerdoni (Blyth) (= S. crassirostris Cretzschm.), allora nuova per Cipro. (1854-58) Un sig. Carron du Villars nel 1854 e nel 1858 donava al Museo diversi uccelli del Messico e del Venezuela. Fra questi era un esemplare del Phacellodomus inornatus Ridgw., che ancora non era stato descritto (Cat. n. 5246). (1856) Un sig. Marchese d’Arcais in questo anno donava parecchi uccelli del Messico, fra i quali notevoli una Meleagris gallopavo (Cat. 45172) selvatica, una Ortalida waglerì Gray (Cat. n. 5173), ed una Ohrysotis finschi Sclat. (Cat. 5179); le ultime due specie non erano ancora state descritte. Un Cav. Bensi donava due uccelli del Messico, appartenenti a specie allora mancanti nel Museo. (1857) Nel 1856 e 1857 il Prof. De Filippi faceva due viaggi a Parigi, ove dai ben noti negozianti naturalisti Parzudaki e Verreaux, faceva acquisto di una numerosa serie di uccelli di specie mancanti al Museo. (1858) In questo anno dal negoziante naturalista Parzudaki il Prof. De Filippi ebbe pel Museo un bell’esemplare del rarissimo pappagallo, Cyanopsittacus spixi (Cat. n. 1502). Nell'anno 1859 un sig. Bertero donava al Museo due uccelli di S. Salvador nel Guate- mala, un MiWvulus forficatus (Cat. n. 1692) ed una Eumomota superciliaris (Cat. n. 1707). Negli anni 1859 e 1860 il Museo di Torino riceveva dal Duca di Vallombrosa una ricca collezione dell’India ed anche alcuni uccelli della Siria o Palestina, raccolti in anni precedenti; fra questi v'è un Crateropus chalybaeus Bp. (Cat. n. 5295) che può considerarsi come cotipo, o topotipo, giacchè come il tipo (Compt. Rend., XLII, p. 765) proveniva dalla Palestina, ove anche esso era stato raccolto dal Duca di Vallombrosa lungo le rive del lago di Tiberiade presso Nazareth. (1862-65) Un sig. Comm. Cerruti, essendo console a Bahia, nel 1862, ed anche nel 1863 e 1865, donò numerosi uccelli di Bahia e forse anche di altri luoghi nel Brasile. Noto il tipo della Homoptila decipiens Salvad. (Atti R. Ace. Sc. Tor., VI, p. 131: 1871) fondata sopra cun esemplare avente la prima remigante non attenuata all’apice, forse riferibile alla Leptoptila ochroptera (Cat. n. 5776). Noto pure un esemplare del raro Neorkynchus falcirostris (Temm.) (Cat. n. 5720). (1863) Nel 1862 il Governo italiano inviava una missione allo Scià di Persia, e della medesima fece parte il Prof. De Filippi, il quale riuscì a mettere insieme una non ricca collezione di animali, che illustrò in diversi lavori: Nuove 0 poco note specie di animali vertebrati, raccolte in un viaggio in Persia (Arch. per la Zool., l’Anat. comp. e la Fisiol., vol. II, fase. II, pp. 337-381). Il De Filippi descrisse alcune specie di uccelli, nuove, o supposte tali; alcuni tipi si conservano nel Museo: Irania finoti De Fil. (Cat. n. 1992) (= Zrania gutturalis Guer.). Dromolaca chrysopygia De Fil. (= Sazicola chrysopygia De Fil.). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 17 Nessun esemplare della seconda specie fu conservato dal De Filippi, che la descrisse per via. Essa è generalmente ammessa come buona specie (Vedi SeeBzow, Cat. B. V, p. 389; Drksser, B. of Eur. IX, Suppl. pl. 638, f. 1; HarrerT, Vòg. Pal. Faun., I, p. 692). Otocoris larvata De Fil. Il Museo di Torino possiede tre esemplari del genere Otocorys portati dalla Persia dal De Filippi (Cat. nn. 5406, 5407, 5518), e forse sono i tipi, precedentemente sfuggitimi, della sua Otocoris larvata, che ora viene dubitativamente riferita alla Otocorys albigula Bp. (HarterT, Vog. Pal. Faun., p. 262). Detti esemplari non hanno il nero del petto congiunto col nero dei lati della testa. Emberiza cerrutii De Fil., 1. c., p. 383 (Cat. nn. 2282, 2174) (= Emberiza buchananni Blyth) (fide Sharpe, Cat. B. XII, p. 533; HarrerT, Vòg. Pal. Faun., I, p. 182). Picus khan De Fil., l. c., p. 385 (Cat. n. 2163) (= Picus syriacus H. et E.) (fide Salvad., Atti R. Acc. Sc. Tor., 1868, p. 288). Il Museo di Torino possiede anche i tipi (Cat. nn. 2370, 2402) della Ourruca cinerea var. persica De Fil. (Note viaggio in Persia, pp. 162, 348) (1865), che dallo Hartert è stata identificata colla Sylvia icterops Ménétr. (Vòg. Pal. Fauna, I, p. 587). La Certhilauda desertorum (De Fin., Note di un viaggio in Persia, p. 348), raccolta dal Marchese Giacomo Doria presso Bender Abbas, nella Persia meridionale, sembrò a me diversa dalla Certhilauda d'Egitto, classificata per C. desertorum nel Museo di Torino, ed appar- tenere ad una specie distinta, che io chiamai ©. doriae Salvad. (Atti R. Acc. Sc. Tor., 1868, p. 292), diversa per le dimensioni minori e pel colore grigio delle parti superiori; invece pare che questa sia la vera C. desertorum e non quella colle parti superiori isabel- line (Vedi HarrerT, Vòg. Pal. Fauna, I, pp. 250, 251). L'esemplare tipico si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 5405). L'ultimo lavoro ornitologico del De Filippi, intitolato: Il Syrraptes paradoxus in Italia, tratta dei primi esemplari di questa specie presi in Italia, uno dei quali, una fem- mina delle vicinanze di Arona, si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 2348); nel mede- simo sì conservano altri due esemplari di questa singolare specie, presi in Italia, un maschio di Schio (Cat. n. 10661), avuto dal sig. Gaetano Sartori, ed una femmina di Orvieto (Cata- logo n. 10662), dono del sig. Edoardo Ravizza (SALvap., Boll. Museo Tor., III, n. 43, pp. 3-5). Nel luglio 1863 un sig. Hunfrey ingegnere, fece dono di uccelli indiani al Museo di To- rino (Cat. nn. 5664, 5670). Nel 1864 il Governo italiano acquistava dal Marchese Orazio Antinori, esule dagli Stati Pontifici, una raccolta di uccelli del Sudan. La collezione constava di circa 200 specie di uccelli che l’Antinori annovera nel suo lavoro intitolato: Catalogo descrittivo di una col- lezione di uccelli fatta da Orazio Antinori nell'interno dell’Africa centrale- Nord dal maggio 1859 al luglio 1861, Milano, 1864. Non so quanti fossero precisamente gli esemplari della collezione, forse da 300 a 400. Purtroppo le determinazioni delle specie furono sovente errate, come io ebbi occasione di rilevare nel mio lavoro intitolato: Rivista critica del Catalogo descrittivo, ecc. (Atti R. Ace. Se. Tor., V, pp. 719-746, con 2 tavole). Poche sono le specie che l’Antinori descrisse come nuove, e neppure lo erano realmente tutte; esse sono le seguenti: 1. Cypselus dubius Antin. Cat. p. 25. L’Antinori non potè conservare alcun esemplare di questa specie, che resta perciò incerta non essendo la descrizione sufficiente per poterla identificare con sicurezza. x 18 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. 2. Nectarinia gonzenbackii Antin. Cat. p. 35 (Cat. Mus. n. 5978). Certamente identica colla Nectarinia erythroceria Heugl. 3. Drymoica troglodytes Antin., 1. c., p. 38 (Cat. Mus. nn. 5589, 5590) (= Cisticola ferruginea Heugl.) (Juli, 1864). 4. Eremomela canescens Antin., 1. c., p. 38 (Cat. Mus. nn. 5587, 5588) (= Eremomela elegans Heugl.) (Juli, 1864). . Elminia teresita Antin., 1. c., p.50 (Cat. Mus. nn. 5343, 5344) (= ? Elminia longicauda Sw.). . Lanius pallidus Antin., l. c., p. 56 (Cat. Mus. n. 5545) (= L. pallidirostris Cass.). . Teator castaneo-auratus Antin., 1. c., p. 65 (Cat. Mus. nn. 5665; 5657) (= Hyphantornis badius Cass.). 8. Habropyga rara Antin., 1. c., p. 72 (Cat. Mus. n. 5650). 9. Streptopelia burbara Antin., 1. c., p. 89 (Cat. Mus. n. 5528) (= Turtur vinaceus Gm.). =1 © Ut Nella traduzione tedesca del lavoro dell’Antinori, fatta dall’Hartman (Journ. f. Orn., 1865, p. 205), si trova una nota dello stesse Antinori, colla quale questi dette il nome di Nectarinia acik alla specie che nel Catalogo originale porta il nome di N. natalensis (p. 33). T tipi della N. acik (Cat. Mus. nn. 5763 è ad., 5576 $ jun., 5842 $ jun., 55779), e delle altre specie descritte dallo Antinori, tranne quello della prima, si conservano nel Museo di Torino. Alla collezione Antinori appartengono anche i tipi delle seguenti specie, descritte da me: Gyps africanus Salvad. (Cat. nn. 5491, 5492). Buteo auguralis Salvad. (Cat. n. 5501). Drymoica antinorii Salvad. (Cat. n. 5632). Nel Catalogue of Birds, XXI, p. 419, io ho citato l'esemplare (Cat. n. 5521) che nel Catalogo dell’Antinori (p. 88) fu annoverato come spettante al Turtur erythrophrys Sw., laddove esso spettava ad una specie nuova, che io ho chiamato 7. shelleyi (Cat. B. XXI, p. 419), fondata sopra un esemplare del Museo Britannico. Le mie prime ricerche intorno alla collezione ornitologica del Museo di Torino rimon- tano al 1864, quando pubblicai un lavoro intitolato: Intorno ad alcune specie nuove o poco conosciute di uccelli del Museo di Torino. Note ed osservazioni (Atti Soc. Ital. Se. Nat., VII, pp. 149-162). Nelle note io ho accennato alle forme del Lipaugus hypopyrrhus rappresentate dagli esemplari nn. 5069, 122, 442, al Pyrocephalus obscurus (n. 1881), agli esemplari della Formicivora grisea (Spix) (Cat. nn. 4855, 4856, 667), della F. migricollis Sw. (Cat. n. 4857) e del genere Orzolus: 0. molorita Ripp. (Cat. n. 415), O. baruffti Bp. (Cat. n. 1174), O. lar- vatus Licht. (Cat. n. 413). Nello stesso lavoro io descrissi le seguenti specie supposte nuove: Myiobius rufescens Salvad., 1. c., p. 152 (1864) (Cat. n. 3750) (= M. nationi Sclat., P. Z. S., 1866, p. 90; cf. Scl. et Salv., P. Z. S., 1868, p. 174). Rhynchocyclus cerviniventris Salvad., l. c., p. 153 (Cat. n. 4738) (= Blacicus pallidus Gosse) (cf. Scl. et Salv., P. Z. S., 1868, p. 175). Anaeretes cristatellus Salvad., 1. c., p. 153 (Cat. n. 4972) (= Serphophaga suberistata Vieill.) (cf. Sclat. et Salv., P. Z. S., 1868, p. 175). Thamnistes affinis Salvad., 1. c., p. 154 (Cat. n. 701) (= Thamnomanes glaucus Cab. 2 fide. Sclat. et Salv., P. Z. S., 1868, p. 175). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N, 5. 19 Myrmotherula minor Salvad., 1. c., p. 157 (Cat. n. 2799) (bona species cf. Hellm., Abh. Bay. Ak. d. Wiss., XXII, p. 666). Myrmeciza marginata Salvad., 1. c., p. 150 (Cat. nn. 4895, 4896, 675) (= M. ruficauda Max) (fide Scl. et Salv., P. Z. S., 1868, p. 175). Hypocnemis? striativentris Salvad., l. c., p. 159 (Cat. 4954) (= Seytalopus indigoticus Max) (texte Sclater, Ibis, 1874, p. 196). Oriolus rolleti Salvad., 1. c., p. 161. Precedentemente menzionata (p. 18). Il Marchese Arconati di Milano, durante un suo viaggio nella Penisola sinaitica e nella Palestina, nel 1865 fece una interessante collezione di uccelli che donò al Museo di Torino. Fra essi sì trova un esemplare del raro Carpodacus sinoicus (Cat. n. 5705). (1865) In un lavoro intitolato: Descrizione di una nuova specie di Avvoltoio (Gen. Gyps Savigny), pubblicato nella “ Notizia storica dei lavori fatti nella Classe di Scienze Fisiche e Matematiche della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, pp. 129-136, 1865, io descri- veva il Gyps africanus, fondato sopra due esemplari della Collezione Antinori, da questi erroneamente attribuiti l’uno al Gyps Ruppellii (n. 90) e l’altro al Gyps tenuirostris (n. 86) (Vedi AntINoRI, Cat. Descr., pp. 3, 5). Più tardi io riusciva a riavere dall’Abate Craveri un terzo esemplare del G. africanus (Cat. n. 5487), che egli aveva avuto in cambio dal Museo. Nel lavoro intitolato: Descrizione di altre nuove specie di uccelli esistenti nel Museo di Torino (£ Atti Soc. Ital. Sc. Nat. ,, VIII, pp. 375-389, 1865), sono descritte le seguenti specie: 1. Buteo auguralis Salvad., 1. c., p. 377 (Cat. nn. 4294, 5501). - Il primo esemplare era stato inviato dal Dr. Bussa nel 1842 come proveniente d’Abis- sinia (antea, p. 12); il secondo faceva parte della collezione Antinori (antea, p. 18) sotto il nome di Buteo desertorum, ucciso in Gebel Aidun nel deserto Libico (Cat. Descr., p. 12, n. 490). . Melaniparus semilarvatus Salvad., 1. c., p. 377 (Cat. nn. 1273, 1285). Vedi antea, p. 12. 3. Megalophonus rufocinnamoneus Salvad., 1. c., p. 378 (Cat. n. 3604). Il tipo era stato inviato dal Dr. Calvi dall’Abissinia. Vedi antea, p. 13. 4. Lamprocolius defilippiù Salvad., 1. c., p. 379 (Cat. n. 524). L’esemplare tipico è segnato proveniente dall’Angola, la quale cosa non è affatto certa. Questa specie non è stata mai identificata in modo sicuro. Ho visto recentemente un secondo esemplare di questa specie, proveniente dal Congo, raccolto dall’Ing. Rodriguez. 5. Oedicnemus indicus Salvad., 1. e., p. 380 (Cat. nn. 4086, 4087). Vedi antea, p. 12. 6. Oedienemus inornatus Salvad., 1. c., p. 381 (Cat. nn. 1027, 3583). Vedi antea, p. 15. Non vi è dubbio intorno all’identità di questa specie coll’Oe. sene- galensis Sw., malamente descritto. 7. Porphyriops leucopterus Salvad., 1. c., p. 382 (Cat. nn. 4405, 3635). Il primo esemplare è della Repubblica Argentina, inviato dal sig. Ferraris. Questa specie è stata riconosciuta come valida da Sclater e da Salvin (P. Z. S., 1878, p. 175 nota); la sua validità è stata invece negata dallo Sharpe (Cat. B., XXIII, p. 182). 8. Podiceps affinis Salvad., 1. c., p. 385 (Cat. n. 3117). — Elliot, B. of N. Amer., Introd. n. 98 (colla figura della testa). DO 20 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Secondo alcuni (Coues, B. of N. West, p. 731: O. Grant, Cat. B., XXVI, p. 342) il P. affinis non sarebbe diverso dal P. holboelli Reinh. 9. Uria craverii Salvad., 1. c., p. 387 (Cat. n. 5258). Vedi antea, p. 14. Nel 1865, quando io aveva cominciato ad occuparmi della collezione ornitologica del Museo di Torino, furono aggiunte una piccola collezione di 12 esemplari, acquistata dal sig. P. Bonomi, ed un’altra di circa 40 esemplari, per la massima parte trochilidi di Bogota, da me donata al Museo. Una collezione di uccelli, fatta dal Marchese O. Antinori nella Tunisia nel 1865, fu acquistata in parte dal Museo ed in parte da S. M. Vittorio Emanuele II per la sua colle- zione alla Mandria. S. M. Vittorio Emanuele II in questo anno donava al Museo parecchi uccelli, fra i quali un Centrocercus urophasianus, raccolti dal sig. Conte Castiglione durante un suo viaggio intrapreso nell'America settentrionale per ordine di S. M. Diverse collezioni arriechirono il Museo nel 1866: 1. Una piccola collezione di 5 esemplari acquistata dal negoziante Mr. De Greaux. 2. Altra collezione di 10 esemplari acquistata dal ben noto naturalista Mr. Ed. Verreaux di Parigi, contenente fra gli altri i seguenti degni di nota: Rhamphocorys clot-bey Bp., d’Algeria (Cat. n. 3751). Ptycorhamphus aleuticus Pall., delle isole Farallone (Cat. n. 5674). Cerorhina monocerata Pall., dell’isola di S. Luca (Cat. n. 5673). 3. Una collezione generale di 266 esemplari, acquistata dagli eredi del sig. Benve- nuti di Firenze. Essa conteneva non pochi uccelli del Messico, raccolti da M. Boucard, ed inoltre i seguenti tipi: ; Polytmus caeciliae Benv., Descr. Trochil. p. 9 (1863). — Id. Rev. et Mag. de Zool., 1863, p. 207 (Cat. n. 6227) (= Cumpylopterus lazulus Vieill. 9). Mellisuga judith Benv., Descr. Trochil. p. 11 (1863). — Id. Rev. et Mag. de Zool., 1863, p. 207 (Cat. n. 6219) (= Panoplites flavescens Lodd.). Mellisuga salvadorii Benv., Descr. Trochil. p. 13 (1863). — Id. Rev. et Mag. de Zool., 1863, p. 207 (Cat. n. 6213) (= Cyanolesbia forficata Linn. 9). Mellisuga ridolfii Benv., Deser. Trochil. p. 15 (1868). — Id. Rev. et Mag. de Zool., 1863, p. 207 (Cat. n. 6209) (= Erzocnemis vestita Longm. 9). Nel 1865 veniva inviata dal Governo italiano la nave da guerra “ Magenta ; a fare un viaggio intorno al mondo. Nella qualità di naturalisti vi erano il Prof. De Filippi ed il Giglioli. Gli uccelli furono largamente raccolti. Un primo invio di uccelli fu fatto da Montevideo nel 1866 e conteneva uccelli di Gibil- terra, del Brasile e dell'Uruguay. Fra essi è notevole il tipo della Leptoptila chloroauchenia Gigl. et Salvad. (Cat. n. 6105), Atti. R. Ac. Sc. Tor., V, p. 274, 1870 (Estancia Trinidad presso Montevideo). Nello stesso anno 1866 giungeva al Museo una seconda collezione di uecelli inviata da Singapore, contenente una interessante serie di 56 uccelli pelagici, raccolti durante la tra- versata da Montevideo a Batavia e Singapore, pochi uccelli acquistati a Batavia ed altri di Singapore, ove fu comperata una serie di uccelli di Malacca, in numero di 177 esemplari MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 21 appartenenti a 64 specie. Di queste fu descritto come nuovo il Iyngipicus frater Salvad. et Gigl. Atti R. Ace. Se. Tor., XX, p. 824 (Cat. n. 6177). Delle specie pelagiche fu descritto un Puffinus elegans Gigl. et Salvad., Atti Soc. Ital. Sc. Nat., XI, p. 458 (Cat. n. 6085). Nel febbraio 1867 giungeva al Museo, inviata dal Prof. De Filippi da Shangai, una col- lezione di 232 esemplari, dei quali 4 di Singapore, 18 della Cocincina francese, 17 del Giap- pone, 17 di Woosung (Cina), 85 presi a bordo della “ Magenta , nel Golfo di Petchili, 25 di Tientsin ed 86 avuti a Pechino dal sig. E. Fontanier, console francese. Molte le specie interessanti e mancanti nel Museo, e talune anche nuove, quali il Pterorhinus davidi ed il Rhopophilus pekinensis, descritti posteriormente. Nuove erano pure le tre seguenti specie della Cocincina: Acridotheres leucocephalus Salvad. et Gigl., Atti Ae. Sc. Tor., V, p. 273 (1870) (Cat. n. 7165). Mirafra erythrocephala Salvad. et Gigl., 1. c., XX, p. 429 (1885) (Cat. nn. 6090, 8562), Cissa hypoleuca Salvad. et Gigl., 1. c., XX, p. 427 (1885) (Cat. n. 6802); a questa probabil- mente si deve riferire la Cissa gabriellae Grant, Bull. B. O. C., XIX, p. 12, dell’Annam. Altra collezione, pure inviata dal De Filippi, giungeva nel marzo successivo; essa con- stava di 147 esemplari del Golfo di Petchili, di Woosung e Shanghai, della Baia di Bias e di Hong-Kong. Il De Filippi intanto era mancato il 9 febbraio ad Hong-Kong. Il 13 maggio, mandata da Hong-Kong, arrivava al Museo una collezione di 115 uccelli dell’isola Formosa, inviati in dono da un tal M. G. Watters, vice-console inglese a Taiwan-fu nella Formosa (Vedi GreLioLi, Viaggio, p. 695); egli faceva il dono per incarico dello Swinhoe, amico del Prof. Giglioli; la collezione conteneva specie rarissime e da poco tempo descritte: Suthora bulomachus Swinh. (Cat. n. 9939). Zosterops simplex Swinh. (Cat. nn. 9940, 9941, 9985). Sibia auricularis Swinh. (Cat. n. 6488). Leucodiopteron taivanus Swinh.(Cat.n.9888). Treron cheroboatis Swinh. (Cat. nn. 6899, 9433) (= Sphenocercus sororius Swinh.). Treron formosae Swinh. (Cat. n. 9614). Urocissa caerulea Gould (Cat. n. 6429). Euplocomus swinhoei Gould (Cat. nn. 6444, Prinia sonitans Swinh. (Cat. n. 9944). 6258). Prinia ertensicauda Swinh. (Cat. n. 9945). Bambusicola sonorivor Gould (Cat. nn. 9422, 6346). Inoltre la collezione della Formosa conteneva una specie di Piechio che fu descritto da me e dal Giglioli col nome di /yrgipicus wattersi (Atti R. Acc. Se. Torino, XX, pp. 825, 1885). Il tipo (Cat. n. 9936) è nel Museo; un secondo esemplare fu inviato al Conte Turati di Milano. Questa specie mancava nel Museo Britannico. La “ Magenta ,, sulla quale era rimasto solo naturalista il Giglioli, visitava successiva- mente Melbourne e Sydney, ricevendo dai Musei di quelle città numerosi esemplari au- straliani. Attraversato il Pacifico, la £ Magenta , toccava le coste del Perù e del Chilì, attraversava lo stretto di Magellano, e dopo aver visitato per la seconda volta Montevideo, attraversava l'Atlantico, toccando l'isola Trinidad, o Martin Vaz, ovunque raccogliendo uccelli. Fra quelli del Perù è notevole un Cinclodes dell'isola S. Lorenzo descritto molto più tardi (Cin- clodes taczanowskii Berl. et Stolzm.) (Cat. n. 7597). Nel Chilì il Museo di Santiago donava una ricca collezione di uccelli chileni, 240 pelli, appartenenti a 139 specie, fra le quali le seguenti : 22 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Hylactes castaneus Ph. et Lb. (Cat. nn. 6577, Pteroptocus rubecula Kittl. (Cat. nn. 6579, 6578). 6580). Hylactes tarnii King (Cat. nn. 8138, 8139). Triptorhinus paradoxus Kittl. raro (Cat. nu- Hylactes megapodius Kittl. (Cat. n. 8317). meri 6581, 6575). Pteroptocus albicollis Kittl. (Cat. nn. 8318, Sylviorthorhynchus desmursi Gay, singola- 8319). rissimo (Cat. n. 6524). Delle specie pelagiche, raccolte alcune nel Pacifico, altre nell'Atlantico, presso l’isola Trinidad, durante il viaggio di ritorno, erano nuove e furono descritte le seguenti: Aestrelata magentae Gigl. et Salvad., Atti Soc. It. Sc. Nat., XI, p. 450, 1868 (Cat. n. 6689). Aestrelata arminjoniana Gigl. et Salvad., 1. c., p. 452 (Cat. nn. 6687, 6688). Aestrelata defilippiana Gigl. et Salvad., 1. c., pp. 453, 454 (descriptio) (Cat. n. 6730, 6732). Aestréelata trinitatis Gigl. et Salvad., l. c., pp. 454, 456 (descriptio) (Cat. nn. 6685, 6686). Negli “ Atti della Società Italiana di Scienze Naturali ,, l. c., è avvenuta una deplo- revole trasposizione, cosicchè la descrizione della Oe. defilippiana si trova alla p. 454 sotto il nome di Oe. trinitatis, e questa è descritta alla p. 456 pure sotto il nome specifico di Oe. trinitatis. L'errore fu corretto negli estratti, ed anche nella traduzione inglese dello stesso lavoro: On some new Procellariidae collected during a Voyage round the World in 1865-68 by H. I. Ms S. “ Magenta , (Ibis, 1869, pp. 61-68). Fra gli uccelli raccolti nello Stretto di Magellano è notevole la serie del Tachyeres cinereus, comprendente anche il pulcino, che fu descritto per la prima volta da me (Cat. B. XXVII, p. 375). (1867) Il sig. Barone De Latour, Ministro al Messico, nell’aprile del 1867, fece avere al Museo, per mezzo di un sig. Panizzardi, una ricca collezione di uccelli Messicani di 251 esemplari, ed altri dell'America settentrionale e pochi d’ignota provenienza, ma probabil- mente della Nuova Granata. L’avifauna Messicana, già bene rappresentata nel Museo dalle collezioni donate dai fratelli Craveri, veniva così ad arricchirsi di un pregevole materiale. Tra le specie più notevoli erano le seguenti: Ptilogonys cinereus Sw. (Cat. nn. 7411, 7087). Psaltriparus melanotis Hart]. (Cat. nn. 3906, Phainopepla nitens Sw. (Cat. nn. 6009, 6342). 3907). Cardellina rubra Sw. (Cat. n. 7544). Catharus occidentalis Sclat. (Cat. nn. 6345, 6346). Pure nell’aprile 1867 il Museo, per mezzo di cambi col Conte Turati di Milano, potè avere dalla Casa Verreaux di Parigi una collezione di oltre 60 esemplari, spettanti alle due famiglie Brachypodidae e Timeliidae, insufficientemente rappresentate nella Collezione del Museo. Fra gli esemplari della prima vi era una specie nuova, Brachypus urostictus Salvad. delle isole Filippine. Atti Ac. Se. Tor,, V, p. 509, 1870 (Cat. n. 6982). Nello stesso lavoro intitolato: Nuove specie di uccelli dei generi “ Saxicola, Brachypus, Homochlamys nov. gen. , (1. c., pp. 507-512), io descrissi come nuove le tre specie seguenti rappresentate dai rispet- tivi tipi: Sazicola albo-marginata Salvad., 1. c., p. 507 (Cat. n. 6597) (Sahara Tunisino). Forse non diversa dalla Saxicola deserti Temm. Sazicola brehmii Salvad., 1. c., p. 508 (Cat. n. 6972) (Nubia). Da confrontare colla Saxicola schalowi F. et R., Journ. f. Orn., 1884, p. 52. Homochlamys luscinia Salvad., 1. c., p. 510 (Cat. n. 4473) (Cina, od isole Filippine). Identi- ficato colla Cettia canturiens Swinh. . MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. È. 23 L’anno 1867 recava al Museo un’altra importante serie di uccelli, cioè i duplicati della collezione fatta nell’isola di Borneo dal Marchese Giacomo Doria e dal Dr. Odoardo Beccari. Tale collezione, ricca di quasi 800 esemplari, fu affidata al mio studio, e fu essa che mi servì di fondamento pel mio lavoro intitolato: Catalogo sistematico degli uccelli di Borneo, con mote ed osservazioni di G. Doria ed O. Beccari intorno alle specie da essi raccolte nel Ragiato di Sarawak (Ann. del Mus. Civ. di Genova, vol. V, pp. 1-11, 1-431, con tav. I-VI). Il Marchese Doria nel maggio 1867 donò al Museo 105 esemplari duplicati di Borneo, e fra questi vanno segnalati la Pytiriasis gymnocephala Temm. (Cat. 6383), specie allora rarissima, e parecchi cotipi di specie nuove: Prionochilus wanthopygius Salvad., Atti R. Ac. Sc. Tor., III, p. 417, Tav. f. 1, 2 (1868) (Cat. nn. 8227, 8228). Iyngipicus aurantiiventris Salvad., ibid., p. 524 (1868) (Cat. nn. 6902 è, 6903 9). Iyngipicus fuscoalbidus Salvad., Ann. Mus. Civ. Gen., V, p. 42 (1874) (Cat. n. 7017) (Coll. Doria n. 166). Dicaeum nigrimentum Salvad., ibid., p. 165 (1874) (Cat. n. 6235) (Coll. Doria n. 259). Orthotomus borneoensis Salvad., ibid., p. 247 (1874) (Cat. n. 6826) (Coll. Doria n. 88). Essendo io entrato in relazione col sig. Barboza du Bocage, Direttore del Museo Reale di Lisbona, nel 1867, potei avere da lui pel Museo interessanti esemplari delle Possessioni Portoghesi nell'Africa occidentale, e specialmente di Bissao, di Benguella e di Angola, e fra gli altri un esemplare della Corytheola gigantea (Cat. n. 6311), allora mancante nel Museo. Pure nel 1867 il Cav. G. B. Donalisio di Fossano, reduce dalla Colombia, donava al Museo una piccola collezione di 26 uccelli appartenenti a specie per la maggior parte man- canti al Museo, o se esistenti, utili per confronti, necessari per la più esatta determinazione di talune specie. Notevoli un Andigena nigrirostris Waterh. (Cat. n. 6354) ed una Gymno- pithys leucaspis Sclat. (Cat. n. 6359). Il 24 dicembre 1867 il Museo di Torino, intermediario il Marchese Orazio Antinori, veniva in possesso di una piccola collezione di 34 uccelli, raccolti nell’Africa centrale, nella regione dei Niam-Niam, dal viaggiatore toscano sig. Piaggia; fra essi vi erano due esem- plari del bellissimo ed allora rarissimo T'uracus leucolophus (Heugl.) (Cat.nn. 6447, 6448). Un'altra collezione fatta dal Piaggia nell’Uganda andò in Francia e fu studiata dal Bouvier (“ Bull. Soc. Zool. de France ,, 1877, pp. 337-459), il quale dedicò al Piaggia una nuova specie, il T'urdus piaggiae. Alla fine del 1867 il Museo acquistava dal sig. Godeffroy di Hamburgo una piccola, ma interessante collezione di uccelli della Polinesia, menzionati nelle diverse pubblicazioni del Museo Godeffroy. Basterà che io ricordi le specie seguenti: Coryphilus fringillaceus (Cat. n. 6533). Ptilopus perousei (Cat. n. 6535). Platycercus splendens (Cat. n. 6591). Chrysoenas luteovirens (Cat. n. 6550). Platycercus personatus (Cat. n. 6532). Complessivamente nell’anno 1867 il Museo si arricchì di 1283 esemplari di uccelli. L’anno 1868 si aprì col dono di un Dromaeus irroratus (Cat. 6478) proveniente dal Giar- dino Zoologico di S. M. il Re. TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Hd Seguirono una collezione di 38 esemplari acquistati dal sig. E. Bonomi di Milano, quasi tutti americani ed un’altra di 135 esemplari messicani raccolti dal viaggiatore naturalista M® Boucard, fra i quali la rara e bella Lophornis elenae (Cat. 7911). Dal Verreaux di Parigi veniva acquistata una serie di 18 oriolidi, fra i quali un ma- gnifico Psaropholus ardens (Cat. n. 7511) ed un raro e bellissimo Ortolus broderipi di Lombock (Cat. n. 7524), probabilmente raccolto dal Wallace. Il Marchese Doria inviava in cambio un Prionochilus thoracicus (Cat. n. 6486) di Borneo. Il Museo di Lisbona inviava in dono una serie di 24 uccelli dell’Africa occidentale e fra essi notevole un Turacus schalowi (Cat. n. 6588) di Maconjo (Mossamedes), inviato col nome di 7°. Zvingstoni, dal quale posteriormente fu riconosciuto essere diverso, onde fu descritto dal Dott. Reichenow. (1868) I tipi della Stenopsis macrorhyncha Salvad. (Atti Soc. Ital. Sc. Nat., XI, p. 447) (Cat. nn. 4638, 4639) e della Scotornis nigricans Salvad. (1. c., p. 449) (Cat. n. 5618), i primi dell'America meridionale e l’ultimo del Fiume Bianco (Brun-Rollet), si conservano nel Museo di Torino. (1868) Il sig. Luigi Durando di Luserna (Pinerolo), reduce da Costa Rica, donava una piccola collezione di 41 uccelli, appartenenti a 23 specie, molte mancanti al Museo. Tale collezione fu illustrata da me in un lavoro intitolato: Intorno ad alcuni uccelli di Costa Rica (Atti R. Acc. Sc. Tor., IV, pp. 170-188, Tav. I). Nella Tavola è figurato il Phewcticus tibialis Baird, descritto soltanto l’anno innanzi. In detto lavoro io fondava il genere Uro- spatha (Fam. Momotidae). Dal sig. Avv. Cossu, Vice-console italiano a Melbourne (Vittoria), per mezzo di un M" Harte, fu ricevuta una collezione di 64 uccelli australiani di Vittoria, benissimo preparati, e che quasi tutti ora fanno parte della collezione publica del Museo. Fra le specie che mancavano nel Museo noto un Halcyon pyrrhopygius (Cat. n. 6495). (1869) L’anno 1869 si apriva appena e già il 4 gennaio veniva donata al Museo dal sig. Botto, commerciante credo in seme bachi, una collezione di animali del Giappone (Rettili, Anfibi, Pesci, Molluschi ed Echinodermi) e due esemplari, maschio e femmina, del Grapho- phasianus scintillans Gould (Cat. n. 6641, 6642), fagiano bellissimo. Fu durante un successivo viaggio al Giappone che il sig. Botto, per mezzo di un suo domestico, potè procurarsi due esemplari viventi del bellissimo Garrulus lidthi, che egli donò a S. M. il Re Vittorio Emanuele II. La specie in quel tempo era nota soltanto per l'esemplare tipico conservato nel Museo di Leida. Uno dei due esemplari recati dal Botto ora si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 12685), dono di S. M. Vittorio Emanuele HI. To trassi occasione dai due esemplari del Botto per un breve lavoro intitolato: Intorno al‘ Garrulus lidthi’ (Atti R. Acc. Se. Tor., VII, pp. 473-476). In quel tempo s’ignorava la patria vera di tale specie; l’averla avuta il Botto nel Giappone, mi fece supporre che là dovesse trovarsi; recentemente è stata ritrovata nelle isole Liu Kiu, dipendenze del Giappone. Il sig. Botto portò pure una Ceriornis caboti vivente, che pure donò a S. M. il Re, e che ora si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 12680), dono di S. M. Vittorio Ema- nuele III. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM., E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 3} 25 Dal sig. De Greaux, negoziante naturalista di Marsiglia, il Museo nel 1869 fece acquisto di due collezioni di uccelli di varie regioni; notevoli fra essi i tre seguenti: Tmetotrogon rhodogaster, rara specie di S. Domingo (Cat. n. 7942). Physocorar moneduloides, specie rara della Nuova Caledonia (Cat. n. 7896). Oreophasis derbyianus, rara e bellissima specie dei Cracidi, confinata sul Vulcano de Fuego nel Guatemala (Cat. n. 6805). Da un altro negoziante naturalista, M" Maingonnat di Parigi, pure nel 1869, il Museo acquistava un'altra collezione di 19 uccelli. Notevoli un Nymphicus cornutus della Nuova Caledonia (Cat. n. 7789), un Loriculus sclateriî delle Isole Sula (Cat. n. 7382) ed un Corcorax leucopterus d'Australia (Cat. n. 7897). Dal sig. Craveri il Museo ebbe in due volte, per mezzo di cambi, prima 8 e poi 7 esemplari di uccelli messicani, diversi da quelli precedentemente donati. Da Mad. Verdey di Parigi, succeduta alla Casa Verreaux, il Museo nel 1869 acquistava tre collezioni, una di 71 uccelli, fra i quali mi piace di ricordare 3 esemplari della Leuco- sticte gigliolii Salvad. (Cat. nn. 6866-6867), specie da me descritta l’anno innanzi sopra esemplari del Museo Turati: Description of a New Species of the Genus * Leucosticte® (Proc. Zool. Soc. of London, 1868, pp. 579, 580, pl. XLIV). Ricordo pure un’Aplonis caledonica (Cat. n. 7536), specie non frequente della Nuova Caledonia. La seconda collezione era di 68 esemplari spettanti principalmente ai Cypselidi, al genere Saricola ed agli Alaudidi e fra questi noto il singolare Rhamphocorys clot-bey del Sahara algerino (V. antea, p. 20). La terza collezione finalmente di 45 esemplari conteneva, fra gli altri, un Eutoxeres aquila (Cat. n. 7875) e la bellissima Chlorophonia pretrei (Cat. n. 7188). Il sig. Grasselli, negoziante naturalista di Torino, vendeva al Museo una piccola colle- zione di 24 uccelli di varie località. Dal Dott. Otto Finsch del Museo di Brema, celebre ornitologo, autore di una grande Monografia dei Pappagalli, il Museo acquistava nel 1869, 8 uccelli appartenenti a specie rare della Nuova Zelanda, e fra essi un'Apteryx oweni (Cat. n. 6934). Dal sig. Schneider, negoziante naturalista di Basilea, il Museo nel 1869 acquistava una collezione di 45 uccelli, tra i quali due esemplari del raro Coracias temmincki (Cat. nn. 7481, 7482) ed uno del singolare Cephalopterus glabricollis (Cat. n. 7155). Fra i miei ricordi dell’ Università di Pisa, vi era quello di aver visto colà nel . Museo esemplari del Fregilupus varius, specie da molti anni estinta. Nel 1869, mercè cambi, io potei avere dal Prof. Paolo Savi, mio venerato maestro, uno degli esemplari di detta specie pel Museo di Torino, e ne trassi occasione per un breve lavoro intitolato: Nota intorno al ‘ Fregilupus varius’ (Bodd.), pubblicato negli Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino, XI (1876), pp. 482, 488. Quell’esemplare, portante nel Catalogo il n. 582, è una delle maggiori rarità del Museo di Torino. Finalmente al chiudersi del 1869 il Museo acquistava un Dendrocopus leuconotus (Cat. n. 6980) dal sig. Bonomi; dal Museo di Bologna riceveva in cambio un Lamprocolius mela- nogaster (Cat. n. 6979) ed un Hoplopterus speciosus (Cat. n. 1229), ambedue del Mozambico, v 26 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. senza dubbio raccolti dal Fornasini; dal Conte Turati 5 esemplari, fra i quali la rara A/cedo euryzona (Cat. n. 7116); dal Museo di Pisa una Terekia cinerea (Cat. n. 4488) ed una Limi- cola pygmaeca (Cat. n. 3171), ambedue rarissime in Italia ed interessanti appunto perchè prese in Toscana, e dal Museo di Napoli 8 uccelli fra i quali una Jodopleura fusca (Cat. n. 1191). (1870) Si apriva il 1870 con una seconda collezione di uccelli australiani, inviata dal sig. Cav. Cossu, Vice-console italiano in Melbourne; essa constava di soli 14 esemplari, e tra essi notevoli una Leucosarcia picata (Cat. n. 7257) ed una Platalea regia (Cat. n. 7577), prima mancanti nel Museo. Seguirono alcuni uccelli acquistati dal sig. Grasselli ed altri da MY Maingonnat, e fra questi un bel Phasianus mongolicus (Cat. n. 7244). Il sig. Botto, già menzionato, nel 1870 tornava da uno dei suoi viaggi al Giappone, portando seco una scatola contenente 57 uccelli, acquistati non so dove, ma certamente delle Molucche e della Papuasia; fra essi notevole un esemplare della Schlegelia wilsoni (Cass.) (= respublica Bp.) (Cat. n. 7981) ed un raro e bellissimo Eurystomus azureus di Batjan (Cat. n. 7483). La collezione fu acquistata per L. 400. Dal signor Godeffroy di Hamburgo, sopra menzionato, dopo la collezione del 1867, fu acquistata il 18 febbraio 1870 un’altra collezione di 62 esemplari, fra i quali uno del singolarissimo Didunculus strigirostris delle isole Samoa (Cat. n. 7171) conservato nello spirito, e del quale si potè preparare anche lo scheletro; la collezione conteneva anche una Merula vanicorensis o meglio M. samoensis molto rara (Cat. n. 7985). Il Museo di Brema nel 1870 inviava in cambio pochi esemplari, e fra essi una bella Callipepla picta (Cat. n. 1370) e talune rare specie delle Antille. Nello stesso anno un sig. Antonio Rocca cedeva al Museo una collezione di 52 uccelli del Rio della Plata, utili per completare talune serie e per cambi. Altro acquisto fece il Museo dal sig. De Greaux di Marsiglia, il quale vendette al Museo 49 esemplari; fra essi molti appartenenti a specie rare e nel Museo mancanti. Ricordo la Gnathosittaca icterotis (Cat. n. 7786), un Capito (Cat. n. 7240) che ancora non era stato descritto (Capito granadensis Shell.), la Basileornis celebensis (Cat. n. 7513), l’Astrapia gularis (Cat. n. 7168), la Drepanoptila holosericea della Nuova Caledonia (Cat. n. 8043) ed una ma- gnifica Meleagris, riferibile alla quasi estinta M. americana (Cat. n. 7309). Questa collezione, valutata L. 1150, veniva acquistata in parte per mezzo di cambi. Sempre per mezzo di cambi il Museo otteneva dal Dott. Sharpe del Museo Britannico prima 16, e poi altri 19 esemplari, fra'i quali ricordo una Pelargopsis melanorhyncha di | Celebes (Cat. n. 7859) ed una rara Alectroenas madagascariensis (Cat. n. 8844). Dal Museo Civico di Milano si riebbero in questo anno quattro esemplari della colle- zione Antinori, improvvidamente stati dispersi. Il Conte Turati inviò in cambio 17 esemplari di Malacca, portati dal sig. Botto. Da un sig. Cav. Cerruti, del quale mi duole ignorare la qualità, fu ricevuto in dono una notevole collezione di uccelli, in gran parte della Papuasia, della quale non conosco la esatta provenienza; essa consta di 62 esemplari, con molte Paradisee in quel tempo ancora rare. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 27 Il Museo di Brema, a saldo di cambi fatti precedentemente, inviava 11 esemplari tutti americani. Rari il Turdus jamaicensis (Cat. n. 7685), il Turdus aurantius (Cat. n. 7686) ed alcuni altri esemplari. (1871) Il Dott. Carlo Regnoli di Pisa, recatosi per ragioni professionali nell'America meridio- nale, credo come assistente del Prof. Magni, che doveva farvi una operazione oculistica ad una signora peruviana, fece una piccola, ma interessante collezione di uccelli, 7 del Chilì, 1 dello Stretto di Magellano e 23 del Perù, fra i quali ricordo 3 Conurus frontatus (Cat. nn. 7713, 7714, 7715), 1 Bolborhynchus d’Orbignyi (Cat. n. 7796), 2 Agriornis insolens (Cat. nn. 7754, 7755) ed altre rare specie. L'esemplare di Magellano è indicato della imboccatura dello stretto dalla parte del Pacifico, e precisamente dell’Isola della Disperazione (o Desolazione?). È un Thalassogeron (Cat. n. 7667), molto simile al 7. culminatus, col quale da prima fu confuso, ma che io ho recentemente descritto col nome di Thalassogeron desolationis (Boll. Museo Zool. Tor., n. 638, 1911). (1871) Il Dott. Sharpe nel giugno del 1871 faceva un nuovo invio di uccelli da contracam- biare in numero di 22, tra i quali notevoli un’ Afelornis pittoides di Madagascar (Cat. n. 4323), un Lanioturdus torquatus (Cat. n. 7611) ed una Casarca cana (Cat. n. 7616). Io stesso donava in questo tempo al Museo 11 esemplari di varie località. L'Istituto Smithsoniano di Washington inviava in dono una collezione di 40 uccelli, molti dei quali appartenenti a specie rare delle Antille. Ricordo i seguenti, che con altri non erano rappresentati nel Museo: Melanerpes portoricensis (Cat. n. 7621). Lampornis virginalis (Cat. n. 7625). Saurothera vieilloti (Cat. n. 7622). Doricha evelinae (Cat. nn. 7626, 7627). Todus hypochondriacus (Cat. n. 7770). Thacornis phoenicobia (Cat. n. 7771). Aithurus polytmus (Cat. n. 7624). Finalmente in questo anno veniva acquistata una collezione di 18 uccelli del Brasile, provenienti da Rio Janeiro. Fra essi un Pteroglossus bailloni (Cat. n. 7853). Il Prof. Sebastiano Richiardi di Pisa inviò parecchi uccelli di varie località (Cat. nn. 7702-7710). (1872) La collezione ornitologica fatta dal Marchese Antinori nel Sennar (Vedi Cut. Stst., p. 24, 1884) conteneva un Rondone erroneamente determinato per Cypselus galileensis Antin. e che fu riconosciuto da me e dall’Antinori come appartenente al Cypselus horus (Atti R. Acc. Sc. Tor., VIII, pp. 94, 96, 1872). L’esemplare si conserva nel Museo (Cat. n. 5536). Nell'anno 1872 entrano a far parte della collezione del Museo pochissimi uccelli (sol- tanto 14), fra i quali un Lanius meridionalis del Portogallo, ricevuto dal Museo di Lisbona (Cat. n. 8000). Nel 1873 il Museo ebbe prima 14 uccelli di varia provenienza (Doria, Baraldi, Sharpe), fra essi un Leptosomus afer di Madagascar (Cat. n. 8031), e poi, dal Marchese Giacomo Doria, 42 esemplari raccolti durante il Viaggio Antinori, Beccari ed Issel nel Mar Rosso e nel territorio dei Bogos. Tale collezione fu studiata da Antinori e da me nel lavoro intitolato: Viaggio dei signori O. Antinori, O. Beccari ed A. Issel nel Mar Rosso, nel terri- 28 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. torio dei Bogos e regioni circostanti, durante gli anni 1870-71 (Ann. Mus. Civ. Gen., IV, pp. 366 520, con 3 Tavole). La collezione tipica restò al Museo Civico di Genova. Fra i 42 esemplari avuti pel Museo di Torino, sono notevoli un Falco concolor (Cat. n. 8077), una Oris senegalensis (Cat. n. 8221), un’ Ardea goliath (Cat. n. 8222) ed una rara Phylothamna fussicaudata (Blanf.), tipo del nuovo genere Phylothamna Salvad. Il Museo possiede uno dei tipi della Paradisea raggiana Sclat. della Baia Orangerie, scoperta dal D'Albertis nel 1873 (Vedi SaLvapori, Ornitologia della Papuasia e delle Mo- lueche, II, p. 613, es. B). (1874) Il Prof. Panceri dell’Università di Napoli, coadiuvato dal Prof. Gasco, inviò nel 1874 al Museo di Torino una collezione di 116 uccelli da essi raccolti in Egitto, utili per oppor- tuni confronti. Fra i più notevoli ricordo esemplari della Hirundo riocouri (Cat. n. 8294), della Chtyle obsoleta (Cat. n. 8295), dell’Ammomanes isabellina (Cat. n. 8297) e della Galerida nigricans Brehm (Cat. n. 8290). Il più volte menzionato M* De Greaux nello stesso anno cedeva in cambio 17 esem- plari, fra i quali una rarissima Otis Reuglini (Cat. n. 8440). Il 20 novembre 1874 un Prof. Pizzarro donava una collezione di 40 uccelli del Brasile, dei quali parecchi mancavano al Museo. Il Dott. BLanrorp, l’autore della Fauna of British India, il 28 novembre 1874 donava tre uccelli indiani: Hirundo fluvicola (Cat. n. 8425), Dumetia hyperythra (Cat. n. 8426) e Mirafra erythroptera (Cat. n. 8428). Un ignoto donava al Museo pochi uccelli (7) del Rio della Plata. (1874) Nel Museo di Torino si conservano i tipi del Cymborhynchus malaccensis da me descritto (Atti R. Acc. Sc. Tor., IX, p. 421) (Cat. nn. 8333-36). (1875) Il Prof. De Romita, valente illustratore dell’Avifauna Barese, inviò nel 1875 una serie di uccelli di quella provincia, compresi nel Catalogo fra i numeri 8638-8653. Sua Altezza R. il Duca di Genova, reduce da un suo viaggio, il 10 gennaio 1875, oltre a 3 Mammiferi, donava una collezione di 111 uccelli dell'America Centrale, probabilmente del Guatemala, molti dei quali appartenenti a specie mancanti nel Museo, fra le quali ricordo lo Spizaetus ornatus (Cat. 8441), la Chrysotis auropalliata (Cat. nn. 8453, 8454), il Conurus holochlorus (Cat. nn. 8455, 8456), la Dendrortyx leucophrys (Cat. n. 8489), 1 Odontophorus tho- racicus (Cat. 8488), il Orypturus cinnamomeus (Cat. n. 8487) ed altre. Una importante transazione si faceva in questo anno col Conte Turati, dal quale, in cambio di un T'uracus leucolophus della Collezione Piaggia (antea, p. 23), si ricevevano pa- recchie rare specie di Madagascar, un Tetragonops rhamphastinus (Cat. n. 8503) ed un Cinclus leucocephalus (Cat. n. 8508), ambedue molto rare. Chiudeva il 1875 con pochi uccelli (5) ricevuti in cambio dal sig. De Greaux: menziono un Melitograis gilolensis (Cat. n. 8558). (1876) Si apriva il 1876 con una interessante collezione di uccelli ricevuti dallo stesso sig. De Greaux, fra i quali noto un maschio adulto dell’ora estinto Ectopistes migratorius (Cat. n. 8743), una rara Alectroenas pulcherrima delle Isole Seychelles (Cat. n. 9185) ed un raro, interessante e singolarissimo Rhinochaetus jubatus (Cat. n. 9181) della Nuova Caledonia. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL: LXV, N. 5. 29 Anche il conte Turati inviò in cambio aleuni pochi uccelli di specie non rappresentate nel Museo, fra le quali una Himatione sanguinea (Cat. 9179) delle Isole Sandwich. In questo stesso anno 1876, avendo io studiato e classificato le grandi collezioni della Papuasia e delle Molucche fatte dal dott. Beccari e dal D'Albertis, il Museo di Torino rice- veva in dono dal Museo Civico di Genova e dal suo Direttore March. Giacomo Doria prima una collezione di 90 esemplari della famiglia Paradiseidae, valutata L. 6590, e più tardi una collezione di 94 esemplari dell'ordine Columbae, valutata L. 1253. Fra le Paradisee noto due esemplari tipici, maschio e femmina, della Drepanornis alber- tisi (Cat. nn. 8832, 8833) ed un maschio pure tipico della Paradisea raggiana (Cat. n. 9635). Fra i colombi sono notevoli 2 Ptilopus bellus (Cat. nn. 9809, 9310), una Carpophaga chal- conota Salvad. (Cat. n. 9207) ed una Gymnophups albertisi Salvad. (Cat. n. 9221), tutti esem- plari topotipici. (1877) Nel 1877 il sig. Eugenio Sella donava al Museo una collezione di Uccelli italiani, per la maggior parte piemontesi, da lui messa insieme durante molti anni di ricerche. Essa consta di ben 510 esemplari e servì mirabilmente ad arricchire la collezione di uccelli ita- liani, che forma una delle attrattive dei visitatori del Museo. E qui mi sia lecito di far notare che in occasione del trasporto del Museo dal Palazzo delle Scienze nel palazzo Carignano nel 1878, io mi affrettai a costituire una collezione degli Uccelli italiani, come parte della Fauna italiana. Questa collezione conta ora quasi 2 mila esemplari, numero affatto insufficiente a rappresentarla completamente. A completarla si è opposto la improvvisa disposizione legislativa, per la quale non viene concesso neppure ai naturalisti ornitologi, addetti ai Musei, di poter cacciare e far incetta di esemplari nella stagione nella quale molte specie si trovano in Italia, o sono nell’abito più bello e completo. (1878) In un breve lavoro intitolato Descrizione di una nuova specie del genere Lanius (Ann. Mus. Civ. Gen., XII, p. 316, 1878) io descrissi il Lanius antinoriî del Somali; il tipo si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 10517). Un sig. Cerale donava al Museo nel 1878 dieci uccelli della Nuova Guinea, da lui ac- quistati, se ben ricordo, durante un suo viaggio nelle Molucche. Da Mr. Laglaize, che aveva viaggiato nella Nuova Guinea, inviando le sue collezioni al Museo di Parigi, quello di Torino acquistò 7 uccelli, fra i quali tre Nettariniide del ge- nere Hermotinia (Cat. nn. 9374, 9375, 9376), che sono i tipi della H. cornelia Salvad. Atti R. Ace. Sc. Tor., XIII, p. 319 (1878). Frutto di un viaggio fatto dal dott. Beccari in Sumatra dal giugno al settembre del 1878, fu una importante collezione di uccelli, che fu da me studiata in un lavoro intitolato: Cata- logo di una collezione di uccelli fatta nella parte occidentale di Sumatra dal prof. Odoardo Beccari (Ann. Mus. Civ. Gen., XIV (1879), pp. 169-253). Il March. Giacomo Doria faceva dono di 20 esemplari di tale collezione al Museo di Torino. Fra essi noto i seguenti appar- tenenti a specie nuove da me descritte, e perciò cotipi: Stoparola ruficrissa (Cat. n. 9558). Leiothrix laurinae (Cat. n. 9570). Arrenga melanura (Cat. n. 9566). Heterophasia simillima (Cat. n. 9579). Oltre a questi esemplari, va segnalato un tipo (Cat. 9563) dell’Hemicus sumatranus Salvad. da me descritto posteriormente (“ Ann, Mus. Civ. Gen. , (2), V, p. 525, 1888). 30 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Nello stesso anno 1879 il March. Doria inviava in dono al nostro Museo altri 35 uc- celli della Nuova Guinea, duplicati di una importantissima collezione fatta dal sig. D’Al- bertis durante la sua gloriosa esplorazione del Fiume Fly. Questa collezione fu studiata da me insieme col D'Albertis in un lavoro intitolato: Catalogo degli uccelli raccolti da L. M. D'Albertis durante la seconda e terza esplorazione del fiume Fly negli anni 1876 e 1877 (Ann. Mus. Civ. Gen., XIV, pp. 21-147). Fra gli uccelli donati si trovano i seguenti appartenenti a specie da me e dal dott. D’Al- bertis descritte: Cyclopsittacus cervicalis (Cat. n. 9577). Lorius erythrothorax (Cat. n. 9621). Cyclopsittacus aruensis (Cat. nn. 9616 è, Tanysiptera minor (Cat. n. 9579). 9617 9). Melanocharis chloroptera (Cat. n. 9628). Cyclopsittacus fuscifrons (Cat. nn. 9618 $, Philemon meyeri (Cat. n. 9586). 9619 9). Paradisea novae qguineae (Cat. n. 9634). Chalcopsittacus chloropterus (Cat. n. 9620). Goura sclateri (Cat. n. 9638). I 35 esemplari ricevuti furono valutati L. 1068. (1881) Il Conte Ercole Turati di Milano, possessore di una splendida collezione di uccelli, fece frequentissimi cambi col Museo di Torino ed anche non pochi doni di uccelli. Egli morì il 30 luglio 1881, e la sua collezione fu donata dai figli al Museo civico di Milano (Vedi: Ibis, 1881, pp. 608-610). In questo anno il Museo ricevette in cambio da Mr. De Greaux soltanto 4 uccelli, ap- partenenti a specie in quel tempo molto rare: un Polyboroîdes radiatus (Cat. n. 9657), un Leptosomus discolor (Cat. n. 6558), ed un Euryceros prevosti (Cat. n. 6559), tutti tre di Mada- gascar, ed un Acryllium vulturinum (Cat. 9560). (1882) Il 24 maggio 1882 il sig. Mario Michela, ricco signore piemontese, reduce dall’India, donava al Museo una collezione di 12 uccelli indiani, uno dei quali di specie mancante nel Museo Torinese: Haematospiza sipahi (Cat. n. 9867). Lo stesso anno 1882 fu segnalato pel dono fatto dal March. G. Doria di 130 uccelli provenienti dalle collezioni D'Albertis, Beccari e Bruijn. Tali collezioni erano state studiate da me in diversi lavori. Gli uccelli inviati sono tutti registrati nella mia opera Ornitologia della Papuasia e delle Molucche e sono perciò esemplari tipici. Fra gli esemplari di specie da me descritte noto i seguenti: un Cyelopsittacus occidentalis (Cat. n. 9981); due Telegallus fuscirostris (Cat. nn. 9962, un Dacelo întermedius (Cat. n. 10087); 9963). Fra le specie rarissime: l’Eos cyanogenys (Cat. n. 10012); la Tanysiptera riedeli (Cat. n. 10052); il Trichoglossus rosenbergi (Cat. n. 10035); e la Tanysiptera ellioti (Cat. n. 10056). la Tanysiptera carolinae (Cat. n. 10051); La collezione fu valutata L. 2135. In questa occasione il March. Doria donava pure una Sylvia doriae De Fil. di Assab, confrontata col tipo, e riconosciuta non diversa dalla Sylvia nana (H. et E.) (Cat. n. 99883). MEMOEIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 31 (1883) Alla precedente collezione, nel 1883, tenne dietro un’altra della stessa provenienza, comprendente 470 esemplari, del valore di L. 4380, della quale facevano parte i seguenti cotipi di specie in gran parte da me descritte: Harpyopsis novae guineae (Cat. n. 10117). Urospizias etorques (Cat. nn. 10128, 10129. 10130). Nasiterna keyensis (Cat. n. 9976). Lamprococceye meyeri (Cat. n. 10171, 10172). Polophilus nigricans (Cat. n. 10186). Collocalia infuscata (Cat. pelli n. 2744). Rhipidura leucothorax (Cat. p. n. 2983). Megalestes albonotatus (Cat. p. n. 2940). Monachella saxicolina (Cat. pelli nn. 2933, 2934). Poecilodryas bimaculata (Cat. p. n. 2939). Poecilodryas brachyura Sclat. (C.p. n. 2937). Poecilodryas cyana (Cat. p. n. 2936). Graucalus pollens (Cat.nn.3098 è, 3099 9). Edoliisoma mulleri (Cat. p n. 3126). Rhectes decipiens (Cat. p. n. 3322). Pachycephala soror Sclat. (Cat. p.nn. 3363, 3364, 3365). Pachycephala rufinucha Sclat. (C. p. n. 3369). Pachycephala cinerascens (Cat. n. 3371). Pachycephala leucostigma (Cat. n. 3374). Hermotimia theresia (Cat. p. n. 4013). Hermotimia nigriscapularis (Cat. p. n. 4012). Dicaeum mysoriense (C. nn. 3943 è, 3944 9). Dicaeum keyense (Cat. p. n. 3937). Dicacum sanghirense (Cat. p. n. 3939). Melanocharis chloroptera 3 9 (Cat. nn. 3953, 3954). Urocharis longicauda j9 (Cat. nn. 3955, 3956). Rhamphocharis crassirostris È 2 (0. n. 3958, 3959). Myzomela adolphinae è (Cat. p. n. 4085). Melilestes iliolophus (Cat. p. n. 4097). Melipotes gymnops Sclat. è 9 (Cat. nn. 4098, 4099). Melidectes torquatus Sclat. (Cat. p. n. 4100). Prilotis albonotata (Cat. p. n. 4111). Ptilotis montana (Cat. p. n. 4112). Ptilotis subfrenata (Cat. p. 4125). Ptilotis erythropleura (Cat. p. n. 4127). Zosterops novae guineae (Cat. p. n. 4174). Sericornis arfakiana (Cat. p. n. 4759). Eupetes nigricrissus (Cat. p. n. 4338). Eupetes leucostictus Sclat. (Cat. p. n. 4339). Donacicola caniceps è 9 (Cat. p. nn. 5640, 5641). Calornis sanghirensis È £ (Cat. p. nn. 5951, 5952). Ptilopus bellus Sclat. 9 (Cat. p. n. 6217). A questi esemplari il March. Doria aggiunse un Eos cardinalis delle Isole Salomone (Cat. n. 10013). (1884) In questo anno il sig. Mario Michela, nel mese di luglio, donava al Museo una collezione di 93 uccelli; di questi, 19 egli aveva avuti a Tiflis dal prof. Radde, e fra essi noto un Erithacus hircanus (Cat. n. 10203), due Garrulus hircanus (Cat. nn. 10204, 10205) ed un Tetraogallus caucasicus (Cat. n. 10151); gli altri sono dell'India, avuti probabilmente a Bombay, e non hanno speciale importanza, tranne un maschio ed una femmina del Gallus sonnerati (Cat. nn. 9868, 10150). Altri 3 uccelli, uno del Golfo Persico e 2 del Capo Nord, venivano pure donati dal sig. Michela. Pure nell’anno 1884 il sig. March. d’Angrogna donava al Museo tre uccelli della Florida, da lui uccisi e raccolti, tra i quali una Scops floridana Ridgw. (Cat. n. 10109) ed un Ortye floridanus Coues (Cat. n. 10110), specie mancanti nel Museo. (1884) Il March. Orazio Antinori, capo della Spedizione Italiana nell'Africa equatoriale, fece nello Scioa, durante il periodo dal 1876 al 1882, quando avvenne la sua morte, una grande collezione di uccelli, che fu inviata ‘al Museo di Torino e da me studiata (Ann. 32 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Mus. Civ. Gen. (2), I, pp. 1-269, 1884). Essa comprendeva 1563 esemplari appartenenti a 307 specie. La preparazione dei singoli esemplari è veramente perfetta. La serie tipica di questa collezione sì conserva nel Museo di Torino e di essa fanno parte i tipi delle seguenti specie: Caprimulgus fraenatus Salvad. (C. nn. 2697, Teator scioanus Salvad. (Cat. nn. 5753, 5757). 2701). Plectropterus scioanus Salvad. (Cat.nn.10313, Psalidoprocne antinorti Salvad. (C. nn. 2869, 10315). 2871). Podiceps infuscatus Salvad. (Cat. nn. 10421, Nectarinia subfamosa Salvad. (Cat. n. 3913). 10422). Le altre specie seguenti sono rappresentate da splendide serie illustranti le variazioni individuali: Aquila albicans Ripp. Melierax polyzonus Ripp. Nisaetus bellicosus Daud. Poeocephalus flavifrons Riipp. Buteo augur Riipp. Cisticola robusta Riùpp. Nauclerus riocouri Vieill. (specie rara). Hyphantornis guerini G. R. Gr. Hypotriorchis cuvieri Smith. Oriolus monachus Gm. Scelospizias unduliventer Ripp. Phoenicopterus minor Geoffr. St.-Hil. Fra le specie già note, ma rare, noto le seguenti: Mesopicus spodocephatus Bp. Cyanochen cyanoptera Ripp. Pindalus umbrovirens Ripp. Querquedula capensis Gm. Saxicola vittata H. et E. Fuligula brunnea Eyt. Sorella emini Hartl. Erismatura maccoa Smith. Otis canicollis Rchnw. Finalmente gli esemplari delle seguenti specie hanno dato luogo a discussioni e retti- ficazioni: Coracias caudatus Salvad. (nec Linn.) (= Coracias lorti Shell., Ibis, 1885, p. 399) (Cat. n. 1145). Irrisor erythrorhynchus Salvad. (nec Lath.) (= Irrisor neglectus Neum., Journ. f. Orn., 1905, p.194) (Cat. n. 2306, typus). ; Meristes hypopyrrhus Salvad. (nec Hartl.) (= Malaconotus scioanus Neum., Orn. Mitth., 1903, p. 89) (Cat. n. 3259, typus). I Cryptospiza reichenowi Salvad. (nec Hart].) (= Cryptospiza salvadorii Rchnw. (Cat. n. 5575, typus). (1885) Dal sig. Carlo Bonomi si ebbe in cambio un Pelecanus fuscus (Cat. n. 10148) ed uno Strepsilas interpres. Dal sig. Borgioli di Genova (26 marzo 1885) furono acquistati cinque Alcidi da aggiun- gere alla collezione italiana. Addì 26 aprile 1885 da Mr. Hargitt in cambio una collezione di 19 uccelli dell’Inghilterra. Dal prof. Giglioli in cambio uno Aptenodytes antipodum (Cat. n. 3137). Da Mr. H. Seebohm ebbi in dono 4 uccelli dell'Asia di specie mancanti nel Museo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR.; SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 83 Il 20 giugno 1885 trentadue esemplari di Timor-laut, raccolti dal Riedel, furono inviati dal Museo di Dresda al Museo di Torino, in cambio di uccelli dello Scioa. Molti degli esem- plari appartengono a specie rare, o recentemente descritte, dallo Sclater, o dal Meyer (Cat. nn. 10559-10594). Dal dott. A. Nehrkorn furono donati 4 uccelli di Waigeu o Waigiou, che insieme ad altri furono argomento di una mia nota (Ibis, 1886, pp. 151-155): uno di essi, un Edolzisoma, appartiene a specie nuova, che io ho descritto, E. nehrkorni Salvad. (Mem. R. Acc. Se. Tor. (2), XL, p. 217, 1890). Dal Museo di Modena in cambio, 29 uccelli americani, alcuni dei quali appartenenti a specie mancanti nel Museo Torinese; uno di essi (Cinclodes patagonicus) fu ceduto al dott. Ph. L. Scelater, il quale contracambiò con 2 pappagalli (Loriculus chrysonotus e Coriphilus frin- gillaceus) (Cat. nn. 10381, 10382). Di una collezione fatta dal sig. Leonardo Fea presso Bhamo nella Birmania, e che fu da me studiata (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), IV, pp. 568-617) il Museo di Torino ebbe in dono 11 esemplari, appartenenti a specie desiderate. (1886) Si conserva nella collezione italiana del Museo un esemplare 9 del raro Dendro- copus Lilfordi, proveniente dalle vicinanze di Pinerolo, e dal sig. Marchisio trovato sul mercato di Torino il 22 novembre 1886. (1886) Nell'anno 1886 dal Museo di Firenze fu ceduto al Museo di Torino un maschio del singolare Anarhynchus frontalis Q. et G. della Nuova Zelanda (Cat. n. 10368). (1887) I tipi della Sazicola occidentalis Salvad., El. Ucc. Ital., p. 116, si conservano nel Museo di Torino (Cat. 1189, 1190). In questo anno il Museo ricevette uccelli di varie provenienze, dal sig. Borgioli di Ge- nova, dal signor Edoardo Ferragni di Cremona, dal signor S. Bainotti, dal sig. Belli e dal sig. cav. B. Comba, al quale si deve un bellissimo esemplare di Gypaetus barbatus di Val- dieri (Cat. n. 2796); questo esemplare fu menzionato in un mio lavoro pubblicato nel “ Boll. dei Mus. di Torino ,, n. 207. Pure nel 1887 il dott. Elio Modigliani donava al Museo 14 esemplari, duplicati della collezione da lui fatta nell'isola Nias e da me studiata (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), IV, pp. 514-563). Fra essi sono i cotipi delle seguenti specie da me descritte: Syrnium niasense (Cat. n. 10597), Terpsiphone insularis (Cat. nn. 10615, 10616), Cittocinela melanura (Cat. 10617), Gracula robusta (Cat. n. 10598) e Macropygia modiglianii (Cat. n. 10599). Il dott. A. Reichenow del Museo di Berlino inviò in cambio 8 esemplari di specie afri- cane, desiderate dal Museo. Tl Cap. E. Shelley, studiosissimo della Ornitologia africana, inviò in cambio di uccelli dello Scioa, una collezione veramente preziosa di 114 esemplari africani, appartenenti a specie quasi tutte mancanti nel Museo, valutata L. 468,75. Finalmente nello stesso anno 1887 il Museo ricevette in dono dal March. Doria. 21 esem- plari di uccelli della Birmania e 40 del Tenasserim, parte delle due collezioni fatte in quelle regioni dal sig. Leonardo Fea per conto del Museo Civico di Genova; le due collezioni erano state da me studiate (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), IV, pp. 568-617; V, pp. 504, 622). Molti degli esemplari donati appartengono a specie rarissime, o da poco tempo descritte. 34 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. (1888) Nel 1888 il Museo di Torino ricevette dal dott. Ragazzi, succeduto all’Antinori nella Direzione della stazione italiana di Let-Marefià nello Scioa, una notevole collezione di uccelli da lui fatta; essa annovera 823 esemplari, appartenenti a 276 specie, delle quali erano nuove le seguenti, rappresentate dai rispettivi tipi nel nostro Museo: Cypselus shelleyi (Cat. nn. 232, 233). Fringillaria poliopleura (Cat. n. 792). Oypselus myioptilus (Cat. n. 8583). Serinus flavigula (Cat. nn. 183, 512). Eleocerthia ragazzii (Cat. nn. 147, 687). Serinus reichenowi (Cat. nn. 310, 269). Chalcomitra scioana (Cat. nn. 695, 727, 729). Estrelda nigrimentum (Cat. n. 460). Cisticola cinereola (Cat. n. 557). Urobrachya traversii (Cat. n. 202). La collezione fu da me studiata (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, pp. 185-326, 1888). In questo stesso anno il Museo ricevette una seconda collezione fatta dal dott. Ragazzi nello Scioa e nell’Harrar; essa consta di 86 esemplari, appartenenti a 62 specie, due delle quali nuove: Francolinus spilogaster (Cat. 10689) e Francolinus castaneicollis (Cat. 10690). Anche questa collezione fu da me studiata (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VI, pp. 525-544, 1888). Due dei sirratti uccisi in Italia durante la invasione dell’anno 1888 si conservano nel Museo (Cat. nn. 10661, 10662); essi sono menzionati nel mio lavoro: I Sirratte in Italia nella primavera del 1888 (Boll. Mus. Tor., n. 42). Il Museo nel 1888 ricevette in dono -dall’Assistente Conte Mario Peracca due pappa- galli appartenenti al genere Pyrrhura ed a specie non ancora descritta, che io pubblicai col nome di Pyrrhura griseipectus (Ibis, 1900, p. 672); i due tipi sono nel Museo (Cat. nn. 10583, 10584). Dal Museo di Bologna in cambio, un Hoplopterus speciosus (Cat. 1229) di Mozambico, della Collezione Fornasini. Dal Museo di Firenze una serie di 19 esemplari di uccelli raccolti durante il viaggio della Corvetta “ Vettor Pisani ,. Sono per la maggior parte Uccelli del Giappone. La colle- zione fu studiata da me e dal Giglioli (Mem. R. Acc. Sc. Tor. (2) XXXIX, pp. 99-143, 1888). Erano specialmente interessanti gli esemplari dell’Oedemia stejnegeri Ridgw., che dovrà portare il nome di Oedemia carbo (Pall.). Dal sig. Telemaco Crivelli, per interposizione del Conte Peracca, il Museo ebbe in cambio una collezione di 118 uccelli del Rio della Plata ed un’altra di 42 esemplari di Rio Janeiro. Talune specie mancavano nel Museo. (1889) Nel 1889 il Museo acquistava da quello di Genova, a vantaggio del collettore sig. Leonardo Fea, per L. 311, una collezione di 58 Uccelli dei Monti Carin nella Birmania, del Pegi e del Tenasserim. La collezione intera era stata studiata da me in un lavoro inti- tolato: Uccelli raccolti nei Monti Carin a Nord-Est di Tounghoo, nel Pegi presso Rangoon e Tounghoo e nel Tenasserim presso Malewoon (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), VIII, pp. 369-438). Tra le specie che il Museo di Torino acquistò sono notevoli le seguenti, rappresentate da esemplari tipici: Zosterops mesorantha (Cat. nn. 10951, 10952). Suthora feae (Cat. n. 10698). Malacias castanopterus (Cat. nn. 10920, 10921). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXY, N. B. 95 In un breve lavoro intitolato: On Scolopar rosendergi and S. saturata (Ibis, 1889, pp. 107-112), io ho illustrato un raro esemplare della Scolopax saturata di Giava, conservato nel Museo di Torino (Cat. n. 1002), avuto dal negoziante naturalista Franck di Amsterdam nel 1847. (1890-91) Delle diverse collezioni di uccelli fatte dal dott. Lamberto Loria nella regione Austro-malese e da me studiate (Ann. Mus. Civ. Gen. (2) IX, pp. 476-505, 1890; 554-592; X, pp. 797-834, 1891) il Museo di Torino ebbe in dono un certo numero di esemplari della Nuova Guinea meridionale-orientale e delle isole D’Entrecasteaux, fra i quali noto quelli appartenenti alle seguenti rare specie: Tanysiptera danae (Cat. n. 11465). Lophorina minor è 2 (Cat. nn. 11485, 11486). Manucodia comriei (Cat. n. 11471). Charmosyna stellae (Cat. n. 11474). Parotia lawesi(Cat.nn.11482 è, 11483, 11484). Ptilopus gestroî (Cat. n. 11387). Una serie di esemplari del genere Budytes raccolti nelle vicinanze di Bari, mi furono inviati dal prof. De Romita dell'Istituto tecnico di Bari, e fra essi due del Budytes beema Sykes, nuovo per l’Italia (Boll. Mus. Tor., n. 101); un terzo esemplare della stessa specie (Cat. n. 11204) fu inviato più tardi, nel maggio 1891. Il dott. Festa, assistente al Museo, durante una breve escursione nella Tunisia, raccolse alcuni uccelli che donò al Museo. Il dott. Elio Modigliani, l’ardito esploratore dell’Isola Nias, nel 1890 visitò Sumatra e vi fece una collezione di 512 uccelli, e ne affidò a me lo studio (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), XII, pp. 4-78, 1891). Fra i duplicati donati dal dott. Modigliani al Museo di Torino, noto, oltre a talune specie rarissime (Cyanops oorti, Chloropsis venusta ed altre), due esemplari tipici jé e 2 della Niltava decipiens Salvad. (Cat. 11457, 11458). Nel dicembre 1891 il Graf Hans v. Berlepsch di Gmunden inviava in cambio una serie di 36 uccelli di varie località, appartenenti a specie rare od utili per confronti. (1892) In questo anno il Museo acquistò dal sig. Raimondo Gragnani due esemplari della rara Marmaronetta angustirostris (Cat. n. 11190, 11191), che in quell’anno capitò in numero notevole nel padule di Massaciuccoli in Toscana. Nel 1892, durante una mia permanenza a Londra, per curare la pubblicazione del volume dei Pappagalli (Catalogue of Birds in the British Museum, vol. XX), da amici e cono- scenti, Mr. Salvin, Mr. Seebohm, Mr. Hose e Mr. Whitehead, ora tutti defunti, ebbi 15 uc- celli che alla mia volta donai al Museo. Notevoli i seguenti: Conuropsis carolinensis (Cata- logo n. 11295), appartenente a specie ora estinia, ed un Conurus rubritorques (Cat. n. 11206), da poco tempo descritto, avuti dal Salvin; un Crossoptilon thibetanum (Cat. n. 11129), fasia- nide rarissimo, avuto dal Seebohm insieme ad un Hapalopteron familiare (Cat. 11431), raris- sima specie delle isole Bonin, recentemente da me illustrata (Rivista ital. di Orn., III, pp. 22-24), due Pityriasis gymnocephala di Borneo (Catalogo n. 11430, l’altro in spirito) da Mr. Ch. Hose, e finalmente 8 uccelli rarissimi da Mr. Whitehead, raccolti sul Kinabalu nel Nord di Borneo ed in Palawan. L’infaticabile dott. Elio Modigliani, dopo aver esplorato l’isola Nias e parte di Sumatra, ricevette dalla Società delle Arti e delle Scienze di Batavia l'onorevole incarico di esplorare 36 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. l'isola Engano, pure ad occidente di Sumatra. La collezione di uccelli ivi fatta fu da me studiata (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), XII, pp. 123-143, 1892). Il Modigliani vi trovò molte specie nuove ed un Pappagallo (Palaeornis modesta), di cui fino ad allora si era ignorata la patria. Il Museo di Torino ebbe in dono dal Modigliani 22 uccelli duplicati e fra essi parecchi cotipi delle seguenti specie da me descritte: Graucalus enganensis È 2 (Cat. nn. 11445, Geocichla leucolaema (Cat. p. n. 4424). 5930 Cat. p. n.). Calornis enganensis (Cat. n. 11449). Pericrocotus modiglianii è £ (Cat. nn. 11446, Gracula enganensis (Cat. n. 11450). 11447). i Carpophaga oenothorax (C. nn. 11389, 11390). Zosterops incerta (Cat. n. 11448). Macropygia cinnamomea (Cat. n. 11402), (1893) Nel Museo di Torino si conservano numerosi esemplari della Merula alpestris (Cat. nn. 10711, 10805, 10806, ecc., ecc.), i quali furono oggetto del mio studio intorno a detta specie (Boll. Mus. Tor., n. 152, 1893). (1894) Nel 1894 il Museo di Torino riceveva in dono dal dott. Enrico Festa una nume- rosa serie di uccelli da lui raccolti in Siria durante l’anno precedente; la collezione fu stu- diata dal dott. Festa; fra gli esemplari è notevole il tipo della Petronia stulta subspecies puteicola (Boll. Mus. Tor., n. 174). Nella mia nota intitolata Intorno alla Pyrrhura chiripepé (Vieill.), e descrizione di una nuova specie del genere Pyrrhura (Boll. Mus. Tor., n. 190), è menzionato un esemplare della prima (Cat. n. 11316) ed il tipo della seconda (Pyrrhura borellii) (Cat. n. 11349). L'ultimo viaggio del dott. Elia Modigliani ebbe per scopo l’esplorazione dell’isola Si-pora, del gruppo delle Mentawei, ad occidente di Sumatra, ove egli fece una collezione di uccelli che io studiai (Ann. Mus. Civ. Gen., (2), XIV, pp. 589-601, 1894). Parecchi duplicati furono donati dal Modigliani al Museo di Torino, e fra essi noto alcuni cotipi di specie da me descritte: Carpophaga consobrina (Cat. n. 11388). E due esemplari di specie rarissime: Dicruropsis viridinitens (Cat. n. 11463). Urococcya aencicauda (Cat. n. 11462). Buchanga periophthalmica (Cat. n. 11464). Columba grisea (Cat. n. 11391). In questo anno, dopo i lavori da me fatti nel Museo Britannico, intorno ai Pappagalli ed alle Colombe, io ebbi dal dott. Giinther, conservatore dello stesso Museo, 30 esemplari duplicati dei primi e 38 delle seconde, che donai al Museo di Torino, ove molte delle specie non erano rappresentate. Il prof. Michele Lessona, Direttore del Museo, morto nel 1894, donò in parecchie volte alcuni uccellî italianî, anzi piemontesi, specialmente delle vicinanze di Rivarossa. Nel 1891 il Principe D. Eugenio Ruspoli fece un viaggio di esplorazione nel paese dei Somali, raccogliendo anche uccelli in numero di 183 esemplari, appartenenti a 77 specie. Egli donò la collezione al Museo di Torino, ove si conserva. Noto i tipi delle seguenti specie da me descritte (Mem. R. Acc. Sc. Tor., (Il), XLIV, pp. 547-564, 1894): Trachyphonus uropygialis (Cat. n. 11292). Lamprotornis viridipectus (Cat. nn. 11341, Lagonasticta somaliensis (C. n. 5653%, pelle). 11309). Dienemellia ruspolii (Cat. n. 11142). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXYV, N. 5. 37 Il dott. Monaco di Torino donò un esemplare di sesso femminile del gigantesco Strutkio molybdophanes Rehnw., morto in schiavitù presso il medesimo donatore (Cat. n. 11650). (1895) In un breve lavoro intitolato: Notizie intorno al Gypaetus barbatus (Boll. Mus. Tor., n. 207), io menzionai anche gli esemplari piemontesi conservati nel Museo (Cat. nn. 2796, 11680, 11708). Il dott. Alfredo Borelli, assistente del Museo di Torino, ha fatto tre viaggi nell’Ame- rica meridionale per ricerche zoologiche. Gli uccelli raccolti nel Paraguay, nel Matto Grosso, nel Tucuman e nella Provincia di Salta (Boll. Mus. Tor., n. 208) e donati al Museo erano in numero di 436 esemplari, appartenenti a 190 specie, fra le quali i tipi delle seguenti: Pyrrhura borellii (Cat. n. 11349), sopra men- Spermophila plumbeiceps (Cat. n. 11352). zionata. Columba tucumana (Cat. n. 11353). Hypotriorchis ophryophanes è 9 (Cat. nu- meri 11358, 11359). (1896) Il dott. Festa durante la sua traversata dell’istmo di Darien acquistò diversi uccelli di Chiriqui, e fra essi un RhRamphocoelus che io descrissi col nome di R. festae (Boll. Mus. Tor., n. 249). Il tipo si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 11494) insieme cogli altri esemplari. (1897) Nel 1897 il Museo di Torino ebbe in dono dal dott. Lamberto Loria una bella serie di uccelli della Nuova Guinea meridionale-orientale, appartenenti alle collezioni da lui fatte in quella regione e nelle isole d’Entrecasteaux e da me studiate (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), IX, pp. 476-505, 554-592; X, pp. 797-834; XVI, pp. 55-120). Fra gli uccelli donati al Museo di Torino vi sono parecchie Paradisee (Paradisea rag- giana 2, Parotia lawesti è 9, Lophorhina minor è 9, Amblyornis subalaris è 9, Craspedophora intercedens è, Manucodia comriei è) ed altre rarissime specie, fra le quali due esemplari del Graucalus azillaris, da me descritto. In una mia Lista di uccelli raccolti dal Dr. Muzioli nel Tigrè e donati al Museo Zoologico di Perugia (Boll. Mus. Tor., n. 287), è descritta una Estrilda ochrogaster Salvad.; ma il tipo della medesima è un esemplare inviato dall’Abissinia dal Padre Calvi nel 1842 e con- servato nel Museo (Cat. n. 4932). La seconda collezione fatta dal Dr. Borelli nel Chaco Boliviano e nella Repubblica Argentina (Boll. Mus. Tor., n. 292), contava 696 esemplari, appartenenti a 218 specie, fra le quali i tipi delle seguenti da me descritte: Buarremon borellii (Cat. n. 3636). Sublegatus frontalis (Cat. nn. 1723, 1724). Euscarthmus viridiceps (Cat. n. 1622). Leptoptila callauchen (Cat. nn. 6416, 6417). Phyllomyias berlepschi (Cat. n. 1678). Leptoptila saturata (Cat. nn. 6405, 6407). Serphophaga inornata (Cat.nn. 1642, 1643). Inoltre merita speciale menzione un esemplare dell’Eriocnemis glaucopoides (Cat. n. 2637). Trochilide rarissimo, del quale si conosce soltanto l'esemplare tipico nel Museo di Parigi. (1898) Durante lo studio di una grande collezione di uccelli fatta dal Dr. Enrico Festa nell’Equatore e dal medesimo donata al Museo di Torino, è occorso a me e al Dr. Festa di descrivere tre nuove specie: Pachyrhamphus xanthogenys (Cat. n. 1352), Dendrocinela brunnea 38 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. (Cat. n. 2272) (= D. tyrannina Lafr.), Grallaria periophthalmica (Cat. n. 12776) (Boll. Mus. Tor., n. 330). I tipi delle medesime si conservano nel Museo. Nel giugno 1898 il Museo acquistava una collezione di 46 uccelli delle Filippine inviati alla Esposizione di Torino di quell’anno; fra le specie che mancavano nel Museo noto la rara Anas luzonica è 9 (Cat. nn. 7399, 7400). Addì 15 novembre 1898 venivano donati al Museo dal Conte Mario Peracca 14 uccelli di Yquitos nel Perù orientale, raccolti dal sig. Romagnoli. (1899-1900) Il Dr. Cav. ora Comm. Enrico Festa, già nominato, ha concorso ad arric- chire grandemente la collezione ornitologica del Museo; egli compì felicemente due viaggi, uno nel Darien e nelle regioni vicine, e l’altro nella Repubblica dell’Equatore, riportando dal primo 202 esemplari spettanti a 122 specie, delle quali una sola nuova, sopra menzio- nata, il Rhamphocoelus festae (Boll. Mus. Tor., nn. 249, 339, 1899). La collezione dell'Equatore, come la precedente, studiata dal Festa e da me, conta 2892 esemplari, appartenenti a circa 610 specie, i rappresentanti delle quali si conservano nel Museo di Torino, e fra essi i tipi delle seguenti nuove specie: Pachyrhamphus xanthogenys (Cat. n. 1352). Pseudomyobius (nov. gen.) amnectens (Cat. Dendrocincla brunnea (Cat. n. 2272). n. 1809). Grallaria peryophthalmica (Cat. n. 12776) Synallaxis subspeciosa (Cat. n. 2143). (Boll. Mus. Tor., n. 380). Sclerurus salvini (Cat. nn. 2204-2206). Turdus conradi (Cat. n. 4488). Dendrocincla macrorhyncha (Cat. n. 2271). Thryophilus leucopogon (Cat. nn. 4284-85). Acropternis infuscata (Cat. nn. 2051, 2052) Certhiola intermedia (Cat. nn. 3159-62). (Boll. Mus. Tor., n. 362). Spermophila aequatorialis (Cat. nn. 2390-91). Chloronerpes rubripileus (Cat. nn. 728-730). Cyanolyca angelae (Cat. nn. 6162, 6163) Capito aequatorialis (Cat. nn. 704, 705). (Boll. Mus. Tor., n. 357). Pulsatrix fasciativentris (Cat. n. 389). Elainea cinereîfrons (Cat. n. 1711). Penelope aequatorialis (Cat. nn. 6479-81) (Boll. Mus. Tor., n. 368). (1899) Il tipo della bellissima Pyrrhura hyporantha Salvad., scoperta dal Dr. Borelli nel Matto Grosso, presso Urucum (Boll. Mus. Tor., n. 363), si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 11630). Nell'anno 1899, il Tenente Roberto Gentile donò al Museo una numerosa collezione di uccelli da lui raccolti nell’Eritrea, presso Saganeiti. (1900) In un mio lavoro intitolato: On “ Oestrelata mollis Gould , and the allied Species living at Madeira and the Cape Verde Islands (Ibis, 1900, pp. 298-303) io ho menzionato gli esemplari della Oestrelata mollis, raccolti durante il viaggio della “ Magenta , e conservati nel Museo di Torino (Cat. nn. 6078, 6079). Gli esemplari che hanno servito pel mio lavoro: On the Ibises of the genus “ Theristicus » (Ibis, 1900, pp. 502-517, pls. IX, X), sono principalmente quelli conservati nel Museo di Torino: Th. caudatus (Cat. nn. 2888, 11633, 9365), TA. melanopis (Cat. nn. 2885, 2895, 8358), Th. branicki (Cat. nn. 7137, 7138, 7139, 7140, 7141, 7491). Nell'ultimo suo viaggio nell'America meridionale, e precisamente nel Matto Grosso e nel Paraguay, il Dott. A. Borelli fece una collezione di 250 esemplari, appartenenti a 116 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 39 specie (Boll. Mus. Tor., n. 378); essa conteneva una sola specie nuova, e questa bellissima, la Pyrrhura hyporantha, sopra menzionata, da me descritta (Boll. Mus. Tor., n, 363) e figurata (Ibis, 1900, pl. XIV). Per opera di un Comitato genovese fu promossa la esplorazione della Patagonia, della Terra del Fuoco e delle isole Maluine; essa durò dal dicembre 1881 all'ottobre del 1882. La collezione degli uccelli, che andò al Museo Civico di Genova, comprendeva 204 esem- plari, appartenenti a 79 specie. La collezione fu da me studiata (Ann. Mus. Civ. Gen. (2), XX (1900), pp. 609-634). Il Museo di Torino ebbe qualche duplicato (Senex australis) (Cat. pelli nn. 12, 13). Cinque esemplari del Bradypterus cinnamomeus Riipp., della collezione Antinori (Cat. nn. 4826-28) e della collezione Ragazzi (Cat. nn. 4829-30), furono argomento di studio per l’ornitologo Oscar Neumann (Journ. f. Orn., 1900, p. 301; id. Orn. MB., XI, p. 90, 1903). (1901) Il Conte Arrigoni degli Oddi di Padova donò parecchi uccelli italiani, e fra gli altri un giovane di Hare/da glacialis, specie mancante nella collezione italiana del Museo (Cat. n. 7404). Un maschio adulto di Centrocercus urophasianus fu raccolto presso Monida dal sig. Er- minio Sella durante un suo viaggio nell'America settentrionale, e da lui donato al Museo (Cat. n. 11679). Nel 1901 S. M. il Re Vittorio Emanuele III donava al Museo una pregevole collezione di 998 uccelli Europei, già messa insieme da S. M. Vittorio Emanuele II; in questa occa- sione egli donava pure i seguenti notevoli esemplari: Garrulus lidthi (Cat. n. 12685); Gypaetus barbatus (Cat. n. 11708), di Val- Ceriornis caboti (Cat. n. 12686); dieri, sopra menzionati. Il viaggio di S. A. R. il Principe di Napoli alle Spitzberge nel 1898, fruttò al Museo una piccola collezione di uccelli, che fu da me studiata (Boll. Mus. Tor., n. 388, 1901); fra essi è notevole una bella serie di Lagopus hyperboreus (Cat. nn. 11625-11628). Come è noto, S. A. R. il Duca degli Abruzzi, nel 1899-1900 intraprese un’ardita spe- dizione polare stabilendo la sua base nelle isole Francesco Giuseppe e specialmente nell’isola Principe Rodolfo. Gli uccelli raccolti in numero di 38 esemplari, appartenenti a 10 specie ben note, tutte naturalmente polari, furono da S. A. donati al Regio Museo (Boll. Mus. Tor., n. 391; Spedizione polare, Uccelli, pp. 597-607). (1901 o 19032) Un Comitato composto dalla Società Reale di Londra e dalla Associa- zione Britannica per ricerche intorno alla Fauna delle isole Sandwich, v’inviava come natu- ralista collettore Mr. Robert C. L. Perkins. La collezione ornitologica fu studiata dal detto Perkins nell'opera: Fauna Hawattensis, vol. I, pt. IV, 1903. Intanto, per interessamento del mio amico Prof. A. Newton dell’Università di Cambridge, il Museo di Torino ricevette in dono alcuni duplicati delle seguenti specie: Oreomiza flammea (Cat. n. 11654). Chasiempîs sandwichensis 2 juv. (C.n. 11650). Chrysomitridops caeruleirostris (C. n. 11655). Himatione montana è (Cat. n. 11659). Heterorhynchus wilsoni è (Cat. n. 11656). Chloridops konae è (Cat. n. 11660). Hemignathus procerus è (Cat. n. 11657). 40 TOMMASO SALVABORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Questi esemplari sono specialmente interessanti, essendo le specie delle isole Sandwich a quanto sembra, minacciate da non lontana estinzione. (1902) Nella mia nota intitolata: Nuova specie del genere “ Ammomanes , (Boll. Mus. Tor., n. 425), io descrissi l’Ammomanes assabensis, ed i due tipi (Cat. nn. 4999, 5000), maschio e femmina, che credo raccolti dal Dr. Ragazzi, sì conservano in pelle nel Museo di Torino. Il Dr. Holub, reduce dai suoi viaggi nell'Africa meridionale, donava al Museo 11 uccelli, fra i quali è notevole uno Pseudogyps (Cat. n. 12269) di Limpopo, affine al P. africanus Salvad., ma apparentemente diverso, e forse appartenente al Pseudogyps schillingsi Erlanger. Pure notevole è un esemplare tipico del Lanius pyrrhostictus Holub et Pelz. (Cat. n. 12276) (= L. subcoronatus Smith). (1903) Nel 1903 il Museo di Torino riceveva in cambio da quello di Vienna una col- lezione di 9 esemplari della Nuova Zelanda, raccolti dal Reischek, appartenenti a specie rare: Nestor montanus (Cat. pelle n. 400), Nestor notabilis (Cat. n. 399), Ocydromus fuscus (Cat. pelle n. 6610), Apterye bulleri è 9 (Cat. nn. 13028, 13029) ed Oestrelata cooki (Cata- logo pelli nn. 7108, 7109). (1904?) Collezione di uccelli marini raccolti dal Dr. Cavallî durante il viaggio di cir- cumnavigazione della nave “ Liguria , con S. A. R. il Duca degli Abruzzi nel 1904. Vi sono esemplari di Port of Spain, di Acapulco e delle coste del Messico e forse anche la testa ed il collo di un Thalassogeron (Cat. 7290) spettante al 7. erimius Verrill. e finalmente un esemplare delle coste della Nuova Zelanda (Diomedea regia) (Cat. n. 12782). Il Th. eximius è stato argomento di un mio recente lavoro: Notes on Some Species of the genus “ Thalasso- geron » (Ibis, 1914, pp. 503-506, pl. 19). In questo lavoro si tratta anche di un altro Tha- lassogeron, pure conservato nel Museo di Torino (Cat. n. 6273), probabilmente riferibile al T. carteri, forse giovane del T. chlororhynchus. (1905) Il Museo di Torino possiede i due tipi del Lybius Salvadorii Neum.. (Bull. Br. O. C., XIV, p. 16, 1903) dell’Harar ed 11 esemplari dello Irrisor meglectus Neum. (Journ. f. Orn., 1905, p. 194), fra i quali il tipo (Cat. n. 2306) e gli altri cotipi. Essi in parte pro- vengono da Dainbi (Scioa) della collezione Antinori, e gli altri sono=dìî Ula e di Gherba della collezione del Dr. Ragazzi. Il Prof. G. Damiani di Portoferraio nell’isola d'Elba ha donato al Museo un bell’esem- plare del raro Larus audouini (Cat. n. 12765). | Nel 1905 il sig. Comm. Joseph Whitaker di Palermo ha donato al Museo due: esemplari, maschio e femmina (nn. 12767-68), dell’'Acredula sicula da lui descritta, uccisi nel bosco della Ficuzza l’8 febbraio ed il 9 ottobre 1901.I due esemplari hanno valore di cotipi, o topotipi, giacchè provenienti dalla località dei tipi. (1906) Il sig. Camillo Lessona raccolse e donò al Museo di Torino alcuni uccelli di Wadi Halfa (Alto Egitto), e fra essi due esemplari (C. nn. 12795, 5281) del Passer niloticus Nicoll et Bonhote (Bull. Br. Orn. Club., XXHI, p. 101), che ancora non era stato descritto. - Una serie di 63 passeri italiani sono conservati nel Museo; essi hanno servito pel mio studio intitolato: Note intorno ai Passeri italiani (Atti R. Aec. Sc. Tor., XLI, pp. 961-970). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUK.; SERIE II, VOL. LXV, N. È. 41 La spedizione di S. A. R. il Duca degli Abruzzi al Ruwenzori fruttò una collezione di 45 uccelli, appartenenti a 36 specie (Uccellî dell'Uganda, pp. 1-9, nel volume il Ruwenzori), e fra essi i tipì di 4 specie da me descritte per nuove: Bycamistes Aloysii, Anthoscopus roc- cati, Lagonosticta ugandae, Xylobucco Aloysii (Boll. Mus. Tor., n. 542). (1907) Una collezione di uccelli delle vicinanze del Lago Moero nell'Africa centrale, fatta dal Dr. Ascenso e da me studiata (Boll. Mus. Tor., n. 570), conteneva due specie da me descritte per nuove (Psalidoprocne pallidigula, Macronyx ascensi), i tipi delle quali si con- servano nel Museo di Torino, insieme col resto della collezione che consta di 96 esemplari. (1908) I tipi del Gyps erlangeri. Salvad. (Boll. Mus. Tor., n. 526) si conservano nel Museo di Torino (Cat. nn. 10628, 10622, 10527, 10629). Gli esemplari del genere Puffinus conservati nel Museo di Torino mi hanno servito per la mia nota intitolata: I Puffinîi dei mari italiani (Avicula, XII, pp. 1-4). Il tipo della Fregetta melanoleuca Salvad. (Bull. Br. Orn. Club., XXI, pp. 78-80) si conserva nel Museo di Torino (Cat. n. 3256). Esso fu acquistato a Londra dal Bonelli, dal negoziante Bullock, nel 1820 (Vedi antea, p. 7). Nel mio lavoro intitolato: On the genera Henicornis and Chilia (Ibis, 1908, pp. 451-454), oltre a 4 esemplari della Chilia melanura, io menzionai un esemplare delia rarissima Heni- cornis phoenicura Gould, conservato nel Museo di Torino. (1909) Nel mio lavoro: Note on the Corvus neglectus Schleg (Ibis, 1909, pp. 134-137) io ebbi occasione di menzionare due esemplari di detta specie, conservati nel Museo di Torino (Cat. nn. 8629, 8630), e su di essi fondai le mie conclusioni, per stabilirne il valore specifico. La mia Nota intorno al genere Garrulus melanocephalus Gené, tende a provare, col sus- sidio degli esemplari conservati nel Museo di Torino, che i tipi di questa specie (Catalogo nn. 334, 333) sono specificamente diversi dal Garrulus atricapillus Geoffr. St.-Hil. (Catalogo nn. 12493, 6128 pelle). Avendo io studiato una Piccola collezione di uccelli del Congo inviata al Museo Civico di Genova dal sig. Ribotti (Ann. Mus. Civ. Gen. (3), IV, pp. 320-326), ebbi da detto Museo alcuni esemplari per quello di Torino e fra gli altri un’ Ambdlyospiza capitalba. (1910) I tipi del Thinocorus pallidus Salvad. et Festa (Boll. Mus. Tor., n. 631) della Puntilla S. Elena nell’Ecuador, raccolti dal dott. Festa, si conservano nel Museo di Torino. (1911) Dal sig. Curione dono di una collezione di uccelli di Caracas (Venezuela), dei quali parecchi appartenenti a specie mancanti nel Museo. In questo anno veniva acquistato un Ibidorhynchus struthersi, dell'Asia centrale, singo- lare forma di scolopacide. La Commissione Brasiliana alla Esposizione di Torino nel 1911 donava al Museo una serie di uccelli Brasiliani, fra i quali notevole una Mitua mitu (Cat. n. 13030). I Missionari italiani, residenti nello Schensi (Cina occidentale), nel 1912 hanno fatto dono al Museo di Torino di taluni uccelli di quella regione e fra gli altri di una Pucrasia (Cata- Al TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. AC 42 logo n. 12913), che io credo si debba riferire alla P. ruficollis David et Oust. (Boll. Mus. Tor., n. 647). La Tchitrea melanura Rchnw. è stata argomento di una mia nota (Boll. Mus. Tor., n. 654), nella quale viene descritto un esemplare del Museo di Torino, della Collezione Anti- nori (Cat. n. 190). s (1912) Nel lavoro intitolato: Catture del Turdus aureus in Italia (Riv. Ital. di Ornit., I, pp. 125-130), è menzionato un esemplare donato recentemente al Museo dall’onorevole deputato G. Goglio che lo uccise. Il mio lavoro: Secondo contributo all'Ornitologia del Congo tratta di una seconda colle- zione inviata dal sig. Ribotti al Museo Civico di Genova (Ann. Mus. Civ. Gen. (3), V, pp. 444-456); parecchi duplicati furono donati al Museo di Torino, e, fra gli altri, due del raro Lophoceros granti (Cat. nn. 2674, 2675). (1912) In questo anno il Museo di Torino riceveva pure da quello di Genova due colle- zioni: una di 21 esemplari che erano duplicati di quella fatta dal Capitano Citerni, capo della missione per la frontiera Italo-Etiopica, durante gli anni 1910 e 1911, e da me studiata (Ann. Mus. Civ. Gen. (3), V, pp. 304-327). L'altra collezione di 41 esemplari comprende specie di Selebes e delle Isole Salomone, la massima parte mancanti al Museo. Noto le seguenti: Lorîus chlorocercus, Eos cardinalis, Monarcha squamulatus, Dicaeum aeneum, Ptilopus eugeniae, Globicera rufigula Salvad., Car- pophaga pistrinaria, Coryphoenas crassirostris. Da un sig. Poggiolini di Firenze fu acquistata una piccola collezione di Uccelli della Nigeria, contenente specie mancanti al Museo, fra le quali il Poeocephalus versteri (Catalogo n. 12925) ed il Coracias cyanogaster (Cat. n. 12926). Dal sig. Franchetto, cultore di Storia Naturale, un Catharrachtes pachyrhynchus (Cata- logo 9184), specie che mancava nel Museo; esso fu scambiato con un duplicato di altra specie (1913) Singolare cattura di una specie orientale del genere Ardetta, nuova per l’Italia e per l'Europa (Riv. Ital. di Orn., II, pp. 86-88, Tav. I). Con questo titolo fu illustrato un esemplare dell’Ardetta eurythma Swinh. colto nelle vicinanze di Bra in Piemonte, ora nella collezione di uccelli italiani nel Museo di Torino, avuto dal valente naturalista preparatore sig. Carlo Bainotti (Cat. n. 12953). Nel lavoro intitolato: La Ghiandaia di Sardegna (Riv. Ital. di Orn., I, pp. 113-116), col confronto di numerosi esemplari di Sardegna e dell’Italia peninsulare, io ed il Festa abbiamo cercato di dimostrare che i primi non differiscono sensibilmente dai secondi; la serie degli esemplari si conserva nel Museo di Torino. Le varie forme di Averla capirossa in Italia (Riv. Ital. di Orn., II, pp. 156-165), è il titolo di un lavoro col quale ho cercato di illustrare le forme dell’Averla capirossa in Italia, valendomi di un ricco materiale proveniente dal Museo di Torino e da altri collettori. Le forme ammesse sono quattro: Lanius pomeranus, Lanius rutilans, Lanius niloticus e Lanius badius. Ho cercato di fissare la Posizione sistematica del Laniellus leucogrammicus (“ Riv. Ital. di Orn. ,, II, pp. 166-168) coll’esame di un esemplare conservato nel Museo di Torino (Ca- talogo n. 414). Secondo me è un Timeliide. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 43 Dryonastes propinquus è il nome che ho dato ad una Nuova specie del genere Dryonastes (Ann. Mus. Civ. Gen. (3), VI, pp. 5-6), fondato sull’esame di esemplari del Museo di Genova ed uno del Museo di Torino; questo (Cat. n. 11010) è un cotipo. Gli uccelli raccolti durante le Escursioni zoologiche del dott. Enrico Festa nell'Isola di Rodi (Boll. Mus. Tor., n. 673) sono in numero di 334, appartenenti a 107 specie; essi sono stati studiati dal dott. Festa e da me. Due forme, rappresentate dai rispettivi tipi, ci sem- brano distinte, il Garrulus rhodius e l’Erithacus ranthothorax. La collezione è stata donata al Museo di Torino dal dott. Festa. Il mio lavoro intitolato: I Lu. in Ifalia e specialmente del Luì siberiano (Riv. Ital. di Orn., II, pp. 237-241) ebbe per fondamento la serie dei Luì conservati nel Museo di Torino, ai quali recentemente si aggiunse un esemplare del raro Luì siberiano, inviato in dono dal distinto ornitologo sig. Graziano Vallon di Udine. Anche lo Studio intorno alle specie del genere Rhodophoneus (Riv. Ital. di Orn., II, pp. 242-248) si fondò sulla serie degli esemplari conservati nel Museo, e stati raccolti dal- l’Antinori, dal dott. Ragazzi e dal Principe Ruspoli. (1914) Dei duplicati della piccola collezione di uccelli del Benadir inviata al Museo Civico di Genova dal sig. Silvio Folchini (Ann. Mus. Civ. Gen. (3), VI, pp. 72-73) e da me studiata, il Museo di Torino ne ebbe alcuni (Sterna saundersi, Cinnyris albiventris). Il dott. E. Festa recatosi nella parte meridionale-occidentale della Sardegna, nei mesi di giugno e luglio 1912, vi raccolse un certo numero di uccelli, fra i quali le Ghiandaie dal Festa e da me precedentemente studiate (p. 42). Interessante è riuscita anche la serie dei Frosoni raccolti durante il tempo della nidificazione e che ci sono sembrati appartenere ad una forma distinta, che abbiamo chiamato Coccothraustes insularis, senza dubbio ivi stazio- naria (Cat. ni. 5159-5165). I tipi sono conservati nel Museo. i Oltre alle grandi collezioni donate dal dott. Festa al R. Museo, sono da notare nume- rosi doni, da lui fatti, di uccelli provenienti dalle sue uccelliere, da Padola nel Cadore e da altri luoghi. (1914) Dal Seminario di Perugia, intermediario il canonico Cicioni, il Museo di Torino potè avere in cambio due uccelli della Nuova Caledonia (Graucalus analis e Turdus xan- thopus), ambedue appartenenti a specie mancanti nel Museo. Il Cav. L. Simondetti, appassionato cultore di storia naturale, recentemente ha fatto dono al Museo dei seguenti esemplari: Chrysotis pretrei (Cat. n. 13008). Phasianus ussuriensis (Cat. n. 13007), ra- Nipponia nippon (Cat. n. 13016), veramente rissimo. bellissima. Pselliophorus tibialis (Cat. n. 5772). Prionotelus temnurus (Cat. n. 1832). Un bel maschio adulto di Calophasis ellioti, vissuto in schiavitù nel giardino zoologico di Milano, fu donato al Museo di Torino dal prof. Giacinto Martorelli. T viaggi di S. A. R. la Duchessa d’Aosta nella regione dei laghi equatoriali dell’Africa dettero campo al Capitano Piscicelli, guida dei viaggi, di fare una collezione di uccelli da 44 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. me esaminata e studiata (Annuario Mus. Zool. Nap., IV, pp. 1-29), la quale ha fruttato al nostro Museo una serie numerosa di esemplari, molti ad esso mancanti; noto fra gli altri i seguenti: Byranistes subquadratus, di Bucoba. 2 Gymnoschizorhis leopoldi, dal Vittoria Nianza al Roanda. Turacus hartlaubi, di Kikuio. Oedicnemus vermiculatus, del Vittoria Nianza. 2 Lobivanellus lateralis, del Roanda. Erythrocnus rufiventris, del lago Bangueolo, rarissimo. Ephyppiorhynchus senegalensis, splendido esemplare adulto. Bugeranus carunculatus, esemplare grandissimo. Risulta da queste notizie che la collezione ornitologica del Museo di Torino nel 1865, quando io cominciai ad occuparmene, contava 5398 esemplari, laddove essi ammontano ora a 20860. Le specie rappresentate da esemplari tipici sono. 297, e quelle estinte sono in numero di quattro: Alea èmpennis, Conuropsis carolinensis, Ectopistes migratorius e Pre- gilupus varius, non volendo ancora annoverare fra le medesime la Heteralocha acutirostris ed il Dromaeus ater, dubbiosamente rappresentato da un giovane esemplare. INDICE delle specie di uccelli rappresentate nella collezione ornitologica del Museo di Torino da esemplari tipici od altrimenti notevoli. Acredula sicula Whitak. (topotipi), p. 40. Carpophaga chalconota Salvad. (topotipo), p. 29. Acridotheres leucocephalus S. et G. (tipo), p. 21. 5 consobrina Salvad. (cotipo), p. 86. Acropternis infuscata S. et F. (tipi), p. 38. n oenothorax Salvad. (cotipi), p. 36. Aestrelata arminjoniana G. et S. (tipi), p. 22. Ceblepyris marginatus Temm. (cotipo), p. 7. 3 defilippiana G. et S. (tipi), p. 22. 7 papuensis Temm. (cotipo), p. 7. A magentae G. et S. (tipo), p. 22. ? trinitatis G. et S. (tipi), p. 22. Alca impennis (L.) (estinta), p. 10. Ammomanes assabensis Salvad. (tipi), p. 40. Anacretes cristatellus Salvad. (tipo), p. 18. ' Anthoscopus roccatii Salvad. (tipo), p. 41. Arrenga melanura Salvad. (cotipo), p. 29. Artamus superciliosus Gould (cotipo), p. 13. Brachypus urostictus Salvad. (tipo), p. 22. Buarremon borellii Salvad. (tipo), p. 37. Bucco armillaris Temm. (cotipo), p. 7. » gularis Temm. (cotipo), p. 7. » kotorea Temm. (cotipo), p. 7. Buchanga periophthalmica Salvad. (tipo), p. 86. Buteo auguralis Salvad. (tipo), pp. 12, 18, 19. Bycanistes aloysii Salvad. (tipo), p. 41. Calornis enganensis Salvad. (cotipo), p. 36. ù sanghirensis Salvad. (cotipo), p. 81. Capito aequatorialis S. et F. (tipi), p. 88. Caprimulgus fraenatus Salvad. (tipi), p. 32. Certhilauda doriae Salvad. (tipo), p. 17. Certhiola intermedia S. et F. (tipi), p. 88. Ceyx innominata Salvad. (tipo), p. 9. Chalcomitra scioana Salvad. (tipi), p. 84. Chalcopsittacus chloropterus Salvad. (topotipo), p. 30. Chettusia crassirostris De Fil. (tipi), p. 15. Chlamydodera maculata Gould (cotipo), p. 13. Chloronerpes rubripileus S. et F. (tipi), p. 88. Cinnyris famosa Ripp. (cotipo), p. 11. Cissa hypoleuca Salvad. et. Gigl. (tipo), p. 21. Cisticola cinereola Salvad. (tipo), p. 34. Cittocincla melanura Salvad. (cotipo), p. 33. Climacteris picumnus Gould (cotipo), p. 13. Coccothraustes insularis S. et F. (tipi), p. 48. Collocalia infuscata Salvad. (cotipo), p. 31. Columba bitorquata Temm. (cotipo), p. 7. x lacernulata Temm. (cotipo), p. 7. Ù tucumana Salvad. (tipo), p. 37. A Conuropsis carolinensis (L.) (estinto), p. 35. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. BI 45 Corvus melanocephalus Bonelli (tipo), pp. 9, 10. Corythaix leucotis Ripp. (cotipo), p: 10. Cracticus nigrigularis Gould (cotipo), p. 13. Crateropus chalybaeus Bp. (cotipo), p. 16. Cryptospiza salvadorii Rehnw. (tipo), p. 32. Curruca cinerea var. persica De Fil. (tipi), p. 17. Cyanolyca angelae S. et F. (tipi), p. 88. Cyclopsittacus aruensis Salvad. (topotipo), p. 30. È cervicalis Salvad. (topotipo), p. 30. s fuscifrons Salvad. (topotipo), p. 30. Cymborhynchus malaccensis Salvad. (tipi), p. 28. Cypselus dubius Antin., p. 17. È myoptilus Salvad. (tipo), p. 34. 5 shelleyi Salvad. (tipi), p. 34. Dendrocincla brunnea S. et F. (tipo), pp. 37, 38. 5 macrorhyncha S. et F. (tipo), p. 88. Dicaeum keyense Salvad. (cotipo), p. 31. 5 nigrimentum Salvad. (cotipo), p. 23. > mysoriense Salvad. (cotipo), p. 31. 3 sanghirense Salvad. (cotipo), p. 31. Dicruropsis viridinitens Salvad. (tipo), p. 36. Didunculus strigirostris Jard., p. 26. Dienemellia ruspolii Salvad. (tipo), p. 36. . Donacicola caniceps Salvad. (cotipo), p. 31. Drepanornis albertisii Sclat. (tipi), p. 29. Dromaeus ater Vieill.? (cotipo?, estinto) p. 8. Dromolaea chrysopygia De Fil., p. 16. Drymoica antinoriî Salvad. (tipo), p. 18. 5 troglodytes Antin. (tipi), p. 18. Dryonastes propinguus Salvad. (cotipo), p. 43. Ectopistes migratorius (L.) (estinto), pp. 9, 28. Edoliisoma mulleri Salvad. (cotipo), p. 31. È nehrkorni Salvad. (tipo), p. 33. Edolius longus Temm. (cotipo), p. 7. Elainea cinereifrons S. et F. (tipo), p. 38. Eleocerthia ragazzii Salvad. (tipi), p. 34. Elminia teresita Antin. (tipi), p. 18. Emberiza cerrutiù De Fil. (tipi), p. 17. 5 intermedia Michah. (cotipo), p. 10. Enicurus velatus Temm. (cotipo), p. 7. HEremomela canescens Antin. (tipi), p. 18. Eriocnemis glaucopoides D’Orb. et Lafr., p. 37. Erithacus xanthothorax S. et F. (tipi), p. 43. Estrelda nigrimentum Salvad. (tipo), p. 34. Estrilda ochrogaster Salvad. (tipo), p. 37. Eupetes leucostictus Salvad. (cotipo), p. 31. A nigricrissus Salvad. (cotipo), p. 31. Euscarthmus viridiceps Salvad. (tipo), p. 37. Falco bonellii Temm. (tipo), p. 8. » eleonorae Gené (tipi), p. 11. » frontalus Gould (cotipo), p. 13. Francolinus castaneicollis Salvad. (tipo), p. 34. 3 spilogaster Salvad. (tipo), p. 34. Fregetta melanoleuca Salvad. (tipo), pp. 7, 41. Fregilupus yarius (Bodd.) (estinto), p. 25. Fringillaria poliopleura Salvad. (tipo), p. 34. Garrulus lidthi Bp., p. 24. 5 rhodius S. et F. (tipi), p. 48. Geocichla leucolaema Salvad. (cotipo), p. 36. Glaucopis varians Temm. (cotipo), p. 7. Glyciphila ocularis Gould (cotipo), p. 13. Goura sclateri Salvad. (topotipo), p. 30. Gracula enganensis Salvad. (cotipo), p. 36. s robusta Salvad. (tipo), p. 33. »Grallaria periophthalmica S. et F. (tipo), p. 88. Graucalus enganensis Salvad. (cotipo), p. 36. È pollens Salvad. (cotipo), p. 31. Gymnophaps albertisii Salvad. (topotipo), p. 29. Gyps africanus Salvad. (tipi), pp. 18, 19. » erlangeri Salvad. (tipi), p. 41. Habropyga rara Antin. (tipo), p. 18. Haematops validirostris Gould (cotipo), p. 13. Harpyopsis novae guineae Salvad. (cotipo), p. 31. Hemixus sumatranus Salvad. (cotipo), p. 29. Hermotimia cornelia Salvad. (tipi), p. 29. È nigriscapularis Salv. (cotipo), p. 31. 5 teresia Salvad. (cotipo), p. 31. Hoteralocha acutirostris Gould (estinto?), p. 13. Heterophasia simillima Salvad. (cotipo), p. 29. Hirundo ariel Gould (cotipo), p. 13. Homochlamys luscinia Salvad. (tipo), p. 22. Homoptila decipiens Salvad. (tipo), p. 16. Hypocnemis? striativentris Salvad. (tipo), p. 19. Hypocolius ampelinus Bp. (cotipo), p. 11. Hypotriorchis ophryophanes Salvad. (tipi), p. 37. Irania finoti De Fil. (tipo), p. 16. Irrisor cabanisi De Fil. (tipo), p. 15. » neglectus Neum. (tipo), p. 32. Ixos leucopygius Ripp. (cotipo), p. 10. Iyngipicus aurantiiventris Salvad. (cotipi), p. 23. i frater Salvad. et Gigl. (tipo), p. 21. n fusco-albidus Salvad. (cotipo), p. 23. 3 wattersi Salvad. et Gigl. (tipo), p. 21. Lagonosticta somaliensis Salvad. (tipo), p. 36. 5 ugandae Salvad. (tipo), p. 41. Laimodon leucocephalus De Fil. (tipo), p. 15. Lamprococeye meyeri Salvad. (cotipi), p. 31. Lamprocolius defilippii Salvad. (tipo), p. 19. Lamprotornis cantor Temm. (cotipo), p. 7. A chalybacus Riipp. (cotipo), p. 10. s viridipectus Salvad. (tipi), p. 36. Lanius antinorit Salvad. (tipo), p. 29. > dealbatus De FIl. (tipo), p. 15. hemileucurus F. et H., p. 15. macrocercus De Fil. (tipo), p. 15. pallidus Antin. (tipo), p. 18. pyrrhostictus H. et P. (cotipo), p. 40. Leivihiia laurinae Salvad. (cotipo), p. 29. Leptoptila callauchen Salvad. (tipi), p. 37. chlovoauchenia G. et S. (tipo), p. 20 5 saturata Salvad. (tipi), p. 37. Lorius erythrothorax Salvad. (topotipo), p. 30. Lybius salvadorii Neum. (tipi), p. 40. Macronyx ascensi Salvad. (tipo), p. 41. Macropygia cinnamomea Salvad. (cotipo), p. 36. » » » » 46 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECC. Macropygia modiglianii Salvad. (tipo), p. 33. Malacras castanopterus Salvad. (cotipo), p. 34. Malaconotus scioanus Neum. (tipo), p. 32. Megalestes albonotatus Salvad. (cotipo), p. 31. Megalophonus rufo-cinnamomeus Salvad. (tipo), pp. 13, 19. Melaniparus semilarvatus Salv. (tipi), pp. 12, 19% Melanocharis chloroptera Salvad. (topotipo), p. 30. Melidectes torquatus Sclat. (cotipo), p. 31. Melilestes iliolophus Salvad. (cotipo), p. 31. Meliphaga sericea Gould (cotipo), p. 13. Melipotes gymnops Sclat. (cotipo), p. 81. Mellisuga judith Benv. (tipo), p. 20. 5 ridolfi Benv. (tipo), p. 20. A salvadorii Benv. (tipo), p. 20. Milvus affinis Gould (cotipo), p. 13. Mirafra erythrocephala S. et G. (tipi), p. 21. Monachella saricolina Salvad. (cotipo), p. 31. Motacilla cinereocapilla Savi (cotipo), p. 6. Motteux noir 9 (tipo), p. 5. Muscicapa hirundinacea Reinw. (cotipo), p. 7. : philomela Temm. (cotipo), p. 7. 3 psidii Temm. (cotipo), p. 7. Myiobius rufescens Salvad. (tipo), p. 18. Myiothera pica vel pyca Temm. (cotipo), p. 7. Myrmeciza marginata Salvad. (tipo), p. 19. Myrmotherula minor Salvad. (tipo), p. 19. Myzomela adolphinae Salvad. (cotipo), p. 31. Nasiterna keyensis Salvad. (cotipo), p. 31. Nectarinia acik Antin. (tipi), p. 18. A gonzenbacki Antin. (tipo), p. 18. Ù inornata Temm. (cotipo), p. 7. 5 lepida Temm. (cotipo), p. 7. 3 subfamosa Salvad. (tipo), p. 32. Niltava decipiens Salvad. (cotipi), p. 35. Nyroca australis Gould (cotipo), p. 13. Oedicnemus indicus Salvad. (tipi), pp. 12, 19. n inornatus Salvad. (tipi), pp. 15, 19. Oreophasis derbyianus Gray, p. 25. Oriolus baruffii Bp. (cotipo), p. 14. » decipiens Gené (tipi), p. 12. » moloxita Riipp. (cotipo), p. 10. » rolleti Salvad. (tipi), pp. 15, 19. Orthotomus borneoensis Salvad. (cotipo), p. 23. Otocorys larvata De Fil. (tipi), p. 17. Pachycephala cinerascens Salvad. (cotipo), p. 31. P leucostigma Salvad. (cotipo), p. 31. 5 rufinucha Sclat. (cotipo), p. 31. n soror Sclat. (cotipo), p. 31. Pachyrhamphus xanthogenys S. et F. (tipo), pp. 37, 38. Paradisea novae-quineae DA. et S. (topotipo), p. 50. Paradisea raggiana Sclat. (cotipo), p. 28. Penelope aequatorialis S. et. F. (tipi), p. 38. Perdix rubricollis Ripp. (cotipo), p. 10. Pericrocotus modiglianii Salvad. (cotipiî), p. 36. Petronia puteicola Festa (tipo), p. 36. Picus cruentatus Antin. (cotipo), p. 15. » khan De Fil. (tipo), p. 17. Pitta glaucina Temm. (cotipo), p. 7. Philemon meyeri Salvad. (topotipo), p. 30. Phylomyias berlepschi Salvad. (tipo), p. 37. Plectropterus scioanus Salvad. (tipi), p. 32. Podiceps affinis Salvad. (tipo), p. 19. s infuscatus Salvad. (tipo), p. 32. Poecilodryas bimaculata Salvad. (cotipo), p. 31. E brachyura Sclat. (cotipo), p. 31. È cyana Salvad. (cotipo), p. 31. Pogonias brucei Riipp. (cotipo), p. 10. ; rolleti De Fil. (tipo), p. 15. Polophilus nigricans Salvad. (cotipo), p. 31. Polytmus caeciliae Benv. (tipo), p. 20. Porphyriops leucopterus Salvad. (tipi), pp. 13, 19. Prionochilus ranthopygius Salvad. (cotipi), p. 23. Psalidoprocne antinorit Salvad. (tipi), p. 32. S pallidigula Salvad. (tipo), p. 41. Psephotus haematogaster Gould (cotipo) p. 13. Pseudomyobius annectens S. et F. (tipo), p. 88. Ptilopus bellus Sclat. (topotipo), pp. 29, 31. Ptilotis albonotata Salvad. (cotipo), p. 31. n erythropleura Salvad. (cotipo), p. 81. sy montana Salvad. (cotipo), p. 31. , Subfrenata Salvad. (cotipo), p. 31. Puffinus barolii Temm. (tipo), p. 6. 5 elegans G. et S. (tipo), p. 21. Pulsatrix fasciativentris S. et F. (tipo), p. 38. Pyrrhura borellii Salvad. (tipo), p. 36. È griseipectus Salvad. (tipi), p. 34. È hypoxrantha Salvad. (tipo), p. 38. Rhamphocaris crassirostris Salvad. (cotipo), p. 31. Rhamphocoelus festae Salvad. (tipo), p. 37. Rhectes decipiens Salvad. (cotipo), p. 31. Rhipidura leucothorax Salvad. (cotipo), p. 31. Rhynchocyclus cerviniventris Salvad. (tipo), p. 18. Sazxicola albomarginata Salvad. (tipo), p. 22. n brehmi Salvad. (tipo), p. 22. E occidentalis Salvad. (tipi), p. 83. È rufiventris Riùpp. (cotipo), p. 10. Sclerurus salvini S. et F. (tipi), p. 88. Scolopax saturata Horsf., p. 35. 5 stenoptera Kuhl (cotipo), p. 7. Scotornis nigricans Salvad. (tipo), p. 24. Sericornis arfakiana Salvad. (cotipo), p. 81. Serinus flavigula Salvad. (tipi), p. 34. » reichenowi Salvad. (tipi), p. 34. Serphophaga inornata Salvad. (tipi), p. 37. Sitta melanocephala Temm. (cotipo), p. 7. s mneumayeri Michah. (cotipo), p. 10. Spermophila aequatorialis S. et F. (tipi), p. 38. Ù plumbeiceps Salvad. (tipo), p. 37. Stenopsis macrorhyncha Salvad. (tipi), p. 24. Sterna poliocerca Gould (cotipo), p. 13. Stoparola ruficrissa Salvad. (cotipo), p. 29. Streptopelia barbaru Antin. (tipo), p. 18. Struthidea cinerea Gould (cotipo), p. 13. - MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 47 Sùblegatus frontalis Salvad. (tipi), p. 37. Suthora feae Salvad. (cotipo), p. 34. Sylvia cetti La Marm. (tipo), p. 5. n doriae De Fil., p. 30. Ò luscinioides Savi (cotipo), p. 6. » Sarda La Marm. (tipi?), p. 4. A sardoa La Marm., p. 5. Symallaxis subspeciosa S. et F. (tipo), p. 38. Syrnium niasense Salvad. (tipo), p. 33. Tanysiptera minor Salvad. (topotipo), p. 30. Terpsiphone insularis Salvad. (tipo), p. 33. Textor castaneoauratus Antin. (tipi), p. 18. n Scioanus Salvad. (tipi), p. 32. Thalassogeron desolationis Salvad. (tipo), p. 27. Thamnistes affinis Salvad. (tipo), p. 18. Thinocorus pallidus S. et F. (tipi), p. 41. Thryophilus leucopogon S. et F. (tipo), p. 38. Trachyphonus uropygialis Salvad. (tipo), p. 36. Tringa platyrhyncha Temm. (cotipo), p. 7. Tropidorhynchus citreogularis Gould (cotipo), p. 13. Turdoide verdin Temm. (cotipo), p. 7. Turdus conradi S. et F. (tipo), p. 38. ” erythrorhynchus Ripp. (cotipo), p. 10. » .werneri Bon. (tipo), pp. 3, 10. Uria craverii Salvad. (tipo), pp. 14, 20. Urobrachia traversii Salvad. (tipo), p. 34. Urocharis longicauda Salvad. (cotipo), p. 31. Urospizias etorques Salvad. (cotipi), p. 31. Vanellus melanocephalus Riipp. (cotipo), p. 10. Vestiaria coccinea Forst., p. 7. Xylobucco aloysii Salvad. (tipo), p. 41. Zosterops incerta Salvad. (cotipo), p. 36. 3 mesorantha Salvad. (cotipo), p. 34. a novae guineae Salvad. (cotipo), p. 31. INDICE dei nomi delle persone od Istituti che contribuirono alla collezione ornitologica del Museo di Torino. Alason, p. 3. Antinori, pp. 17, 23, 27, 31, 43. Arconati, p. 19. Arrigoni degli Oddi, p. 39. Ascenso, p. 4l. Baillon, p. 6. Bainotti, p. 33. Bainotti Carlo, p. 42. Bainotti S., p. 3. Baraldi, p. 27. Barboza du Bocage, p. 23. Beccari, pp. 23, 27, 29. Belli, p. 33. Bensi, p. 16. Benvenuti, p. 20. Berlepsch, p. 35. Bertero, p. 16. Blanford, p. 28. Bonaparte, pp. 4, 14. Bonelli, pp. 1, 2, 3, 4,5, 6, 7,9. Bonomi, pp. 20, 24, 25, 32. Borelli, pp. 37, 38, 39. Borgioli, pp. 32, 33. Botta, p. ll. Botto, pp. 24, 26. Boucard, p. 24. Breme (M*° di), p. 13. Brun-Rollet, pp. 15, 24. Bullock, p. 41. Bussa, p. 12. Caffer, p. 11. Callery, p. 12. Calvi, p. 13. Cantù, p. 3. Carron du Villars, p. 16. Casella, p. 14. Castiglione, p. 20. Cavalli, p. 40. Cerale, p. 29. Cerruti, p. 16. Cerruti (Cav.), p. 26. Chanaz, p. 9. Cicioni, p. 43. Comba, p. 33. Commissione brasiliana, p. 41. Cook, p. 7. Cossu, pp. 24, 26. Craveri, p. 25. Craveri (Abate), p. 14. Craveri Federico, p. 14. Cretzschmar, p. 8. Crivelli, p. 34. Crolla, p. 9. Curione, p. 41. D'Albertis, p. 30. Damiani, p. 40. 48 TOMMASO SALVADORI — NOTIZIE STORICHE INTORNO ALLA COLLEZIONE ORNITOLOGICA, ECO. D’Angrogna, p. 31. D'Arcais, p. 16. Deabbate, p. 9. Decossette, p. 9. De Filippi, pp. 15, 16, 20, 21. De Greaux, pp. 9, 20, 25, 26, 28, 30. De La Pierre, p. 10. De Latour, p. 22. De Romita, pp. 28, 35. Donalisio, p. 23. Moris pp 28 124/027, 29.\RONSISR: Duca degli Abruzzi, pp. 39, 41. Duca di Genova, p. 28. Duca di Vallombrosa, p. 16. Duchessa d’Aosta, p. 43. Dupont, p. 8. Durando, p. 24. Fea, pp. 33, 84. Ferragni, p. 83. Ferraris, p. 13. Ferreratti, p. 14. Ferrero, p. 3. Festa, pp. 4, 35, 36, 37, 38, 42, 48. Finsch, p. 25. Folchini, p. 43. Fontanier, p. 21. Fornasini, p. 34. Franchetto, p. 42. Franck, pp. 13, 35. Freycinet, p. 6. Gasco, p. 28. Gené, pp. 9, 10, 11. Gentile, p. 38. Ghiliani, p. 12. Giglioli, pp. 20, 21, 32, 34. Godeffroy, pp. 23, 26. Goglio, p. 42. Gould, p. 13. Gragnani, p. 35. ‘ Grasselli, pp. 25, 26. Grauber, p. 14. Ginther, p. 86. Hargitt, p. 32. Heckel, p. 9. Holub, p. 40. Hose, p. 85. Hunfrey, p. 17. Issel, p. 27. Istituto smithsoniano, p. 27. Kinnberg, p. 13. Laglaize, p. 29. Lalande, p. 6. La Marmora, pp. 4, 5, 8, 9. Laugier, p. 8. Leach, p. 7. Leadbeater, p. 9. Leotardi, p. 10. Leschenault, p. 6. Lessona M., p. 36. Lessona C., p. 40. Loria, pp. 35, 37. Losanna, p. 8. Maingonnat, pp. 25, 26. Marchisio, p. 33. Martorelli, p. 43. Mastai, p. 9. Michahelles, p. 10. Michela, p. 30. Millet, p. 3. Missionari italiani, p. 41. Modigliani, pp. 33, 35, 96. Monaco, p. 37. Museo Civico di Milano, p. 26. Museo di Bologna, pp. 25, 84. Museo di Brema, pp. 26, 27. Museo di Dresda, p. 33. Museo di Firenze, pp. 33, 34. Museo di Genova, p. 42. Museo di Lisbona, p. 27. Museo di Modena, p. 83. Museo di Napoli, p. 26. Museo di Parigi, p. 6. Museo di Pisa, p. 26. Museo di Vienna, p. 40. Muzioli, p. 37. Nehrkorn, p. 33. Neumann, pp. 39, 40. Newton, p. 39. Osculati, p. 14. Panceri, p. 28. Panizzardi, p. 22, Parzudaki, p. 16. Peracca, pp. 34, 38. Perkins, p. 39. Peron, pp. 6, 8. Piaggia, p. 28. Picollet d’Hermillon, p. 14. Piscicelli, p. 43. Pizzarro, p. 28. Poggiolini, p. 42. Prevost, p. 9. Principe di Napoli, p. 39. Prunner, pp. 5, 8. Radde, p. 81. Ragazzi, pp. 84, 40, 43. Ravizza, p. 17. È Regnoli, p. 27. Reichenow, pp. 24, 58. Reinhardt, p. 9. Reischek, p. 40. Ribotti, p. 42. Richiardi, p. 27. Ricord, p. 13. Riedel, p. 33. Rocca, p. 26. Romagnoli, p. 88. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. Rubinetti, p. 3. Riippell, p. 10. Ruspoli, pp. 36, 43. Salvadori, pp. 9, 10, 12, 13, 14, 15, 18, 19, 20, 27, 35, 36, 37. Salvin, p. 35. Sartori, p. 17. Savi, pp. 6, 25. Savoia-Carignano, p. 12. Schneider, p. 25. Sclater, p. 33. Secchini, p. 14. Seebhom, pp. 32, 35. Sella Erminio, p. 39. Sella Eugenio, p. 29. Seminario di Perugia, p. 43. Sharpe, pp. 26, 27. Shelley, p. 33. Simondetti, p. 43. Solaroli, p. 12. St.-Hilaire, p. 6. Swinhoe, p. 21. Temminek, pp. 6, 7, 8. Truqui, pp. 15, 16. Turati, pp. 22, 26, 28, 29, 30. Uccelli delle Filippine, p. 38. Vallombrosa, p. 16. Vallon, p. 43. Verdey, p. 25. Verreaux, pp. 16, 20, 22. Vieillot, p. 8. Vittorio Emanuele II, pp. 20, 23, 24. Vittorio Emanuele III, p. 39, Vogt, p. 10. Wallace, p. 24. Watters, p. 21. Whitaker, p. 40. Whitehead, p. 35. Wied, p. 8. 49 Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXY - N. 6. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA ED EMATOPORTICA DELLA MILZA MEMORIA DEL DOTTOR CARLO GAMNA Assistente nell’Istituto di Anatomia Patologica della R. Università di Torino. (Con tre tavole). Approvata nell'adunanza del 29 Novembre 1914. La funzione emolitica della milza già riconosciuta soltanto sulla base di reperti istolo- gici del Kòlliker e validamente sostenuta dal Gabbi (1), fu oggetto di studio per molti ricercatori, ma le conclusioni a cui essi eran giunti erano alquanto disparate, anzi su alcuni punti completamente contradditorie. Ciò si deve in parte alle diverse vie seguìte. Negli ultimi tempi con interessanti ricerche il Banti e i suoi allievi hanno ripreso la questione e sono riusciti a mettere nuovamente in evidenza l’importanza che spetta alla milza nell’emo- lisi, e ad illustrare, almeno in parte, il modo col quale la funzione emolitica si compie. Io rinunzio ad un’esposizione completa della bibliografia concernente la questione dell’emolisi, sia perchè essa si trova esposta in recenti lavori sull'argomento, sia perchè esorbita per se stessa dalle questioni ch'io voglio trattare. Non posso a meno però di ricordare i più impor- tanti risultati a cui questi studi sono giunti e specialmente alcuni, dai quali prendono diret- tamente origine le mie ricerche. Ecco, in forma riassuntiva, i dati meglio stabiliti e con- fermati che al momento attuale noi possediamo intorno alla funzione della milza nell’emolisi: a) dopo l'asportazione della milza aumenta la resistenza dei globuli rossi (Bottazzi (2)). Questo fatto, sul quale si accesero molte discussioni, venne ancora recentemente riconfermato da Banti (3) e da Furno (4) con ricerche sopra animali smilzati e sopra uomini splenecto- mizzati a scopo terapeutico: e fu da loro respinta l’obbiezione di chi voleva attribuire l’au- — mento della resistenza globulare dopo la splenectomia alla presenza in circolo di numerosi globuli giovani rigenerati in seguito alla sottrazione di sangue avvenuta con l’asportazione della milza. Fu inoltre provato dal Roccavilla (4°) che dopo la splenectomia cresce non solo la resistenza osmotica dei gl. rossi, ma anche la resistenza all’azione dei veleni emo- litici, come la saponina, e dei sieri emolitici; 5) negli animali smilzati l’azione anemizzante dei veleni emolitici (sostanze chimiche, sieri emolitici) è molto minore che negli animali normali (Banti (5), Pugliese e Luzzatti (6), Isaack e Mbckel (6), Toti (7)); così nei primi sono assai minori che nei secondi le alte- razioni istopatologiche prodotte dagli agenti emolitici (Banti, Furno); 2 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. c) la splenectomia eseguita nel corso dell’anemia da immunsiero diminuisce sensibil- mente l’effetto emolitico del siero (Bastai (8)); d) nell’emolisi da immunsiero la massima attività emolitica non si svolge immedia- tamente dopo l'iniezione del siero, come avviene per l’acqua distillata che agisce diretta- mente sui gl. rossi circolanti, ma tardivamente, quando nel sangue e negli organi non esiste più traccia delle emolisine iniettate (Banti); e) l’effetto dei sieri emolitici si manifesta prima di tutto e in massimo grado sulla milza: le alterazioni consistono dapprima in un'intensa congestione, poi nella necrosi e nel disfacimento granulare delle cellule mesenchimali macrofagocitiche (endotelii, cellule della polpa), cui si accompagna un'intensa distruzione extracellulare ed intercellulare delle emazie. Le alterazioni raggiungono il massimo durante il periodo dell’emolisi tardiva (Banti, Furno). Un andamento analogo hanno le alterazioni prodotte dalla toluilendiamina (Toti). Nella milza si ha il massimo grado delle alterazioni: assai più leggere esse sono nella midolla delle ossa, nelle ghiandole linfatiche, nel fegato; f) dell’attività eritrolitica della milza dopo l'iniezione dei sieri emolitici, fanno fede altri due fatti: 1° la resistenza globulare nel sangue della vena splenica è inferiore a quella del circolo generale; 2° la quantità di emoglobina disciolta nella vena splenica è superiore a quella del circolo generale (Banti). Inoltre anche in animali normali si può riconoscere una leggera emoglobinemia nel sangue della v. splenica (Furno); g) gli estratti splenici dimostrano in vitro un'azione emolitica. Questo fatto, sul quale ritornerò più tardi, è da tempo assai discusso e da alcuni anche assolutamente contraddetto. Numerosi lavori uscirono anche in questi ultimi anni, nei quali la discussione prosegue tra opinioni assai disparate. Le ultime ricerche compiute da Banti e dai suoi allievi portarono al risultato che Banti così enuncia: gli estratti di milza normale posseggono, non però costante- monte, un potere emolitico; questo potere diviene maggiore dopo l’uso di alcune sostanze emolizzanti (immunsiero, toluilendi@mina); l’azione emolitica non è dovuta alla presenza di vere emolisine, ma a prodotti d’autolisi e di disgregamento cellulare (citoemolisine). Il potere emolitico di milze estirpate alcune ore dopo l'iniezione del siero o del veleno è maggiore di quello degli estratti preparati nelle prime ore; h) l'intensità dell'emolisi e dell’anemia non è proporzionale alla quantità di siero emo- litico adoperato, ma la sorpassa grandemente: l’emolisi perciò non può essere effetto diretto del siero iniettato, ma deve intervenire una speciale attività emolizzante posseduta dall’or- ganismo ed esaltata dal siero (Banti); i) l’azione emolitica della milza è dimostrata dal successo terapeutico che si ottiene in certi stati di iperemolisi morbosa con la splenectomia (Banti). Come si vede, se sopra qualche singolo punto è ancora aperta la discussione, però dal- l'insieme dei fatti risulta fuor di dubbio l’importanza che ha la milza nell’emolisi, non solo, ma resta fino ad un certo punto illuminato il meccanismo con cui la milza compie tale fun- zione. E il Banti alla cui scuola spetta in gran parte la revisione critica e la coordinazione dei dati relativi a questi problemi, nel recente Congresso Internazionale di Medicina tenu- tosi a Londra (1913), prendendo come esempio l’emolisi da immunsieri, così riassumeva l’evo- luzione e la spiegazione dei fenomeni che seguono alla loro iniezione nell’animale: “ I primi effetti dell'iniezione si esercitano direttamente sui globuli rossi, una parte assai piccola dei quali soggiace all’emolisi: in tal guisa si produce la lievissima emoglobinemia iniziale, uguale tanto negli animali con la milza che negli smilzati e d’intensità uniforme in tutto l'albero circolatorio. — I sieri specifici, oltre all’azione sulle emazie, ne posseggono una più intensa e più durevole sugli elementi mesenchimali della milza e degli altri organi, in con- seguenza della quale questi elementi subiscono un processo di citolisi. In tal guisa vengono messe in libertà delle cifo-emolisine le quali agiscono sui globuli rossi sani che ‘attraversano. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 3 la milza ,. — “ Da quanto è stato detto risulta che la milza, come del resto gli altri organi non ha una funzione emolitica autoctona e primitiva: essa risponde in modo secondario agli agenti che le sono portati dal sangue: è semplicemente uno strumento che viene stimolato alla funzione emolitica da agenti che non risiedono in lei ,. Se io mi sono un poco dilungato sopra questi fatti non è perchè io voglia ritornare sopra l'argomento dell’emolisi, ma perchè dal complesso di queste conoscenze sperimentali e cliniche prendono punto di partenza le mie ricerche dirette a studiare fatti di natura di- versa dell’emolisi, ma che hanno con essa certi oscuri legami. E particolarmente mi inte- ressa la milza nella condizione di organo emolitico o, per essere più esatti, di organo iper- emolitico, quale si ottiene con le iniezioni di immunsiero. Sulla base dei fatti anatomici e fisiopatologici sopra esposti noi dobbiamo vedere in questo stato una trasformazione per cui si esalta al massimo grado il normale lavorio di distruzione intracellulare fisiologica degli eritrociti da parte degli elementi fagocitari della milza, e si istituisce, per il dissol- versi di questi elementi e la messa in libertà di copiose sostanze emolizzanti, un’intensa distruzione extracellulare, concepirlo cioè come una condizione nella quale è esaltata al massimo, ad un grado eminentemente patologico una delle proprietà fisiologiche della milza, l’ematolitica. La prova diretta di questa trasformazione sta nell’elevarsi del potere emolitico degli estratti splenici preparati con milze di animali soggetti all’azione dell’immunsiero rispetto agli estratti di milza normale. Ora le mie ricerche mi portano ad ammettere che nella trasformazione che subisce la milza per mezzo degli agenti emolitici non è interessata soltanto la sua funzione come organo ematolitico, ma anche altre funzioni proprie alia milza come organo ematopoetico; queste ricerche sono appunto rivolte a studiare certi effetti che la milza così profondamente alterata nella sua funzione biologica svolge sull'organismo ed in particolar modo sull'apparato ematopoetico, oltre l’azione emolitica. Questo scopo ho cercato di conseguire: 1° studiando direttamente la trasformazione graduale della milza sotto l’azione di sieri emolitici specifici ed i rapporti che passano tra queste alterazioni e le alterazioni del sangue; 2° studiando l’azione degli estratti di milza asportata ad animali trattati con sieri emolitici (0, per dir brevemente, degli estratti di milza emolitica). Mi sono attenuto all’emolisi da siero come quella che si avvicina di più ai fatti naturali e della quale possiamo nel modo migliore misurare l’intensità con mezzi biologici e perciò graduarne l’azione. Ecco la tecnica che mi servì a preparare il materiale di studio: il siero emolitico veniva ottenuto dalle cavie nel modo consueto, praticando 4-5 iniezioni di gl. rossi di coniglio lavati (5 cc. di una sospensione al 20 °/,) con intervallo di 5-6 giorni tra l’una e l’altra iniezione: raccolto il siero, veniva misurato il suo potere emolitico n vitro ponendo a contatto 1 cc. di emulsione di gl. rossi di coniglio al 20 °/’ + 0,10 di siero fresco di cavia con dosi decrescenti di siero inattivato (1 cc. di soluzioni a diluizione cere- scente), e lasciando la serie di tubi per 2 h. a 37°: si ottenevano così sieri di diverso potere emolitico, 1:20, 1:50, 1:70: essi servivano poi, puri o diluiti con soluz. fisiologica, alle iniezioni endovenose nel coniglio. Per preparare gli estratti splenici procedevo così: la milza asportata dal coniglio con ogni cautela asettica veniva messa per due terzi in un mortaio contenente polvere di vetro (l’altro terzo era destinato allo studio istologico), sminuzzata con forbici e a lungo macinata con pestello: aggiungevo poco a poco sulla poltiglia 10-15 ce. di soluz. fisiologica e filtravo per garza. Il filtrato era conservato ermeticamente chiuso in frigorifero. Altri particolari di tecnica riferirò esponendo le singole ricerche: le quali dividerò in due gruppi, di cui il primo tratta delle alterazioni spleniche ed ematologiche da siero emolitico, il secondo studia l’azione degli estratti splenici. 4 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. I. — Il sangue e la milza nell’emolisi da siero. Vennero già da diversi ricercatori descritte le alterazioni che gli agenti emolitici pro- ducono sugli organi ematopoetici: e già furono addotte come prove istologiche del lavorìo eritrolitico che si compie nella milza l'abbondante distruzione di gl. rossi entro i seni venosi (Kraus e Sternberg (9)), il grande deposito di pigmento accompagnato a fatti degenerativi e necrotici (Czeczowiska (10), Fukukara (11)), l'intensità dei fenomeni di fagocitosi (Joac- nowicz (12)). Nel midollo osseo Muir e Me Nee (13) avevano constatato che per dosi tossiche di siero emolitico prevalgono le alterazioni distruttive, per dosi ben sopportate si risveglia un attivo processo di rigenerazione. Inoltre Pearce, Austin e Krumbhaar (14) trovarono in istato di intensa attività fagocitica gli elementi endoteliali delle gh. linfatiche e le cellule di Kupffer nel fegato. Come già sopra ho accennato, un gruppo di ricerche recentemente compiute dalla scuola di Banti illustrarono in un modo più completo le alterazioni prodotte dagli agenti emolitici negli organi emopoetici arrivando a quel risultato generale che ho già compendiato e sul quale il Banti ricostruisce il meccanismo dell’emolisi; ricorderò breve- mente le principali alterazioni istologiche: nella milza congestione intensa, rigonfiamento, degenerazione e necrosi degli endotelii dei seni venosi e di alcune cellule della polpa, fino al disfacimento granulare degli elementi stessi, dissoluzione dell'emoglobina dei gl. rossi e agglutinamento delle loro ombre, fagocitosi molto esaltata, abbondante deposito di pigmento; nelle gh. linfatiche tumefazione e desquamazione degli endotelii dei seni, eritrolisi intra- ed extracellulare; nel mid. osseo iperemia, emorragie, necrosi cellulare ed eritrolisi come nella milza. Un lavoro pubblicato quest'anno dal Bonome (15) conferma questi reperti e ne ag- giunge altri interessanti sui quali tornerò più tardi. A questo punto io faccio osservare che se dai menzionati lavori sono ben stabilite le alterazioni che le sostanze emolitiche producono negli organi emopoetici immediatamente, come effetto cioè di un’emolisi acuta da siero, molto meno noti sono gli effetti di un trat- tamento lungo, cronico per così dire, con gli agenti emolitici. Perciò nell’esposizione delle mie ricerche io mi limiterò per quanto si riferisce all’emolisi acuta ad una descrizione som- maria, per fermarmi un po’ più sopra gli effetti del trattamento prolungato. Riguardo alla tecnica istologica mi servii di varie fissazioni (formolo, liq. di Zenker, liqg. di Helly, miscela formol-cromo-acetica di Ciaccio, ecc.) e di varî metodi di colorazione (ematossilina, eosina, v. Gieson, met. di Ciaccio sulle sezioni in paraffina, processi di colo- razione dei grassi e dei lipoidi sulle sezioni al formol-congelatore). A) Alterazioni della milza nell’emolisi acuta da siero. — Esperimentai l’effetto del siero emolitico sopra 7 conigli adulti, impiegando dosi diverse di immunsiero, misurate in base al suo potere emolitico e lasciando trascorrere un tempo vario tra le iniezioni e l'osservazione dei risultati, i Il primo effetto che segue nella milza all’introduzione endovenosa del siero emolitico è una congestione: infatti se si esamina la milza nelle prime 24 ore la si trova discretamente tumefatta e la polpa rossa e molle è come una spugna imbevuta di sangue. Al microscopio colpisce l'enorme congestione, tale da alterarne notevolmente l’aspetto istologico generale, perchè il sangue non solo riempie e dilata i seni venosi, ma infiltra in gran quantità i cor- doni della polpa. I follicoli malpighiani sono ben visibili, anzi spiecano sul tessuto circo- stante, perchè restano i soli luoghi non invasi dal sangue, ma sono però distanziati per la tumefazione della polpa e la dilatazione dei seni, irregolarmente configurati. Gli elementi endoteliali sono in questo stadio naturalmente poco distinti, però già si vedono tumefatti, in parte sporgenti nel lume del seno come per distaccarsi dalla sua parete, mentre s’iniziano alterazioni nel loro protoplasma come fanno fede la diffusa granulosità, la fina vacuolizza- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 5 zione e la presenza di minute goccioline grassose colorabili col Sudan III (e, in minor quan- tità, anche col metodo di Ciaccio). Queste sono più abbondanti in quegli elementi endoteliali già notevolmente ingrossati. Il nucleo è per solito ancora ben conservato. Già molto intensa ed attiva è la fagocitosi: e si tratta per lo più di gl. rossi interi ancora discretamente conservati nella loro forma e ben tingibili con l’eosina: scarso è invece il pigmento. A questo primo periodo congestizio e nel quale si inizia la fagocitosi non si può fissare un termine preciso: la sua durata e la rapidità del passaggio nel periodo successivo dipen- dono in gran parte dalla potenza del siero, il quale desta nell’animale fenomeni più o meno gravi e tumultuosi. Procedendo l’effetto del siero, si fanno progressivamente più intense tutte le alterazioni: la sola congestione diminuisce, o almeno diminuisce la quantità di sangue presente nei seni e questo perchè una enorme quantità di gl. rossi viene distrutta al suo arrivo nella milza; infatti, come vedremo, Ja diminuzione della congestione splenica coincide con il periodo della massima attività eritrolitica, e la congestione segue più facilmente alle dosi piccole di siero, che producono emolisi più scarsa, mentre con le dosi più alte il periodo congestizio decorre più rapidamente per dar luogo al periodo emolitico. In questo troviamo, come dissi, le massime alterazioni. Colpisce alla prima vista la dilatazione dei seni venosi: essi hanno la parete fortemente distesa e nei casi più gravi sono trasformati in gran parte in ampie lacune a forma irregolarmente tondeggiante, ciò che conferisce alla struttura isto- logica generale un aspetto grossolanamente areolare che molto si allontana dall’aspetto di una sezione di milza normale. I follicoli malpighiani, sempre assai distanziati gli uni dagli altri, non sì mostrano notevolmente alterati: soltanto coi forti ingrandimenti si possono con- statare segni di degenerazione cellulare negli elementi linfatici, come ha descritto Furno, a carico specialmente del nucleo (picnosi, cariolisi). Il lume dei seni è per solito ripieno di masse costituite da elementi agglomerati tra cui prevalgono. gli eritrociti. Questi sono sol- tanto in parte ben conservati: un gran numero mostra i segni dell’incipiente eritrolisi. Per la dissoluzione dell'emoglobina i globuli si presentano in gran parte come ombre scolorite che assai spesso si agglutinano tra loro in estese masse omogenee nelle quali s’intravve- dono ancora i contorni dei globuli agglutinati in forma di una diffusa areolatura: entro queste masse restano impigliati gl. rossi ancora integri o più pallidi del consueto, gl. bianchi alterati ed endotelii. Con la distruzione dei gl. rossi avviene pure una più o mena intensa leucolisi che si manifesta con alterazioni dei leucociti, come frammentazione e picnosi nu- cleare, vacuolizzazione e retrazione del plasma, alterazioni delle granulazioni specifiche (dif- fusione della sostanza granulare, scarsa colorabilità). Gli endotelii sono per la maggior parte grandemente tumefatti e distaccati dalla parete del seno: la fagocitosi è più intensa che nel primo periodo. Nell’ampio protoplasma si vedono non solo gl. rossi interi, ma anche un gran numero di frammenti, di granulazioni di pigmento ematico: più abbondanti sono i vacuoli e le goccioline grassose. Il nucleo presenta anch'esso alterazioni manifeste: per lo più si fa picnotico o si frammenta, talora viene spinto alla periferia, sformato, ridotto, oppure si fa vescicoloso mentre perde le sue proprietà tintoriali. Una parte degli endotelii perde così il nucleo, mentre il protoplasma si disgrega riducendosi ad un detrito che si confonde con le masse giacenti nel lume dei seni. Resta in tal modo molto pigmento libero. Nei cor- doni della polpa i capillari sono molto dilatati e ripieni di gl. rossi e bianchi ben conser- vati: numerosi globuli giacciono tra le cellule, molte delle quali esercitano, per quanto in minor grado degli endotelii, un’attiva fagocitosi. L'aspetto del sangue nei capillari della polpa non o poco alterato contrasta con quello contenuto nei seni che dimostra le più gravi alterazioni: ciò concorre a far ritenere che la massima attività eritrolitica abbia luogo nei seni per opera degli endotelii sia per fagocitosi diretta, sia in modo extracellulare, cioè, come suppone Banti, per opera di sostanze che si liberano dagli endotelii durante il loro disfacimento (citoemolisina di Banti). 6 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOTITICA, ECC. Vorrei ora far parola di un’osservazione che feci sulla milza trattata coi sieri: è reperto comune nel periodo di attività emolitica la presenza di sostanza birinfrangente negli endotelii rigonfi ed in certi elementi della polpa. Occorre osservare che le ricerche istolo- giche da parecchi autori compiute sopra il contenuto in grasso della milza portarono concor- demente a conoscere che in condizioni normali il grasso è estremamente scarso; ed è in pre- valenza localizzato nei follicoli malpighiani (Herxheimer (16), Poscharisky (17)): nel caso speciale del coniglio la quantità di grasso è minima, come risulta dalle ricerche di Arnold (18), di Kostantinowitsch (19), e non aumenta nelle infezioni e nelle intossicazioni (Poscharisky): ancor più scarse sono le sostanze lipoidi in genere sia nell'uomo che negli animali normali (Dunin-Karwicka (20), Poscharisky). Io posso in base a ricerche appositamente compiute confermare completamente tali constatazioni. Il reperto sopra notato va dunque considerato come un'alterazione patologica. La sostanza anisotropa appare in forma di goccioline, di gra- nuli e anche di cristalli aghiformi, sia negli elementi della polpa che negli endotelii dei seni: in un caso nel quale l’emolisi era molto intensa e molto grave la trasformazione della milza, questa sostanza era notevolmente abbondante negli endotelii in cui le goccioline for- mavano cumuli tali da riempire tutto l’elemento. Come sopra notai, si ha contemporanea- mente in questi elementi un’infiltrazione di grasso neutro. Quale significato ha questa infil- trazione adiposa nel periodo della piena attività emolitica? Si tratta di fatti degenerativi o piuttosto di un'assunzione o di un'elaborazione di sostanze da parte dei macrofagi della milza? Sopra l'interessante questione io non mi fermo ora, perchè conto di tornarvi sopra in una prossima occasione coi risultati di altre ricerche che sto compiendo: mi limito soltanto a constatare il reperto. B) Effetti del trattamento prolungato con siero emolitico. — Gli animali che sottoposi al trattamento protratto con siero emolitico ricevevano ogni 2-3 giorni un'iniezione endovenosa di dosi piccole di siero emolitico che variavano da poche goccie a 0,20-0,30 ce. a seconda della potenza del siero. I conigli sopportavano questo trattamento per un tempo variabile che non superava il mese e morivano dopo un progressivo dimagrimento. Facendo l’osser- vazione della milza in tempi diversi si riesce a studiarne tutta la trasformazione. In un primo periodo (prima settimana) le alterazioni si mantengono press’a poco quali le abbiamo viste nell’emolisi acuta specialmente con dosi piccole: prevale cioè la congestione che può essere di altissimo grado: i seni venosi ed i capillari della polpa presentano una grande ectasia ed i tratti di tessuto della polpa tra essi interposti restano fortemente distesi e compressi e in molti punti si lacerano in modo che vengono a confluire parecchi seni con- tigui formando ampie lacune sanguigne. Gli endotelii ingrossati ed in gran parte desquamati e le cellule della polpa presentano le stesse alterazioni sopradescritte, con una maggior ric- chezza in pigmento. I follicoli sono notevolmente deformati nei loro contorni per la irrego- lare compressione che vi esercita la polpa circostante. Negli stadii successivi l’aspetto della milza si muta via via perchè compare e va accen- tuandosi un altro fattore che tende a trasformarla, cioè una diffusa proliferazione degli elementi connettivali del reticolo. Per essa i cordoni della polpa si ispessiscono ed i loro elementi sono in parte sostituiti da cellule connettivali dal nucleo allungato, fusiforme od ovalare con distinto reticolo cromatinico e dal protoplasma ben tingibile con l’eosina. Qua e là gli elementi cellulari sono meno distinti, i nuclei meno numerosi e si ha un aspetto fibril- lare ben visibile nei preparati coloriti col v. Gieson, nei quali si distinguono nettamente le fibrille tinte in rossiccio. Si tratta di una vera e propria sclerosi iniziale della polpa sple- nica. Anche le trabecole dello stroma splenico, che attraversano in varie direzioni il paren- chima, sono ispessite per proliferazione connettivale. Per questa trasformazione i cordoni della polpa diventano rigidi, ed in conseguenza i seni venosi, malgrado la modica replezione sanguigna sono notevolmente dilatati. Nei seni MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 7 si trova una non abbondante quantità di gl. rossi in preda ad evidenti alterazioni di forma (anisocitosi, poichilocitosi) e di colorazione, spesso agglutinati in piccole masse. Accanto ai globuli sta una grande quantità di pigmento ematico: esso è in forma di blocchi bruno nericci che risultano formati di numerose granulazioni grossolane conglomerate. Questo aspetto è dovuto al fatto che i granuli di pigmento si raccolgono inizialmente negli endotelii ma- crofagi dei seni, i quali poi si staccano dalla parete e vanno rapidamente in necrosi e in disgregazione: infatti molto spesso è visibile nei conglomerati di pigmento il nucleo dell’en- dotelio più o meno ben conservato. Dopo la morte dell'elemento cellulare naturalmente i cumuli si disgregano con facilità e molte granulazioni restano libere nel lume del seno. L’abbondanza del pigmento, la sclerosi della polpa e la dilatazione cronica dei seni, sono le note carat- teristiche della struttura di queste milze: si ha l'apparenza di un tessuto composto di alveoli irregolari a robusia parete, contenenti un grande deposito di sostanza granulare pigmentaria, della quale gli alveoli più piccoli restano talora completamente ripieni. Nei seni però non mancano endotelii ancora ben conservati ed altri ingranditi ed in attiva funzione fagocitica: questo fatto insieme alle alterazioni dei globuli rossi, alla loro distruzione intra- ed extra- cellulare del tutto analoghe a quelle che predominano nelle milze da emolisi acuta attestano che esiste anche qui una viva attività eritrolitica. Lo studio degli estratti ci darà la prova che anche in queste milze, come nelle prime, avviene una produzione di sostanze speciali intimamente connesse con la funzione emolitica. I follicoli malpighiani sono in genere conservati nella loro forma ed è visibile un centro germinativo: ma si trovano molte alterazioni cellulari, come picenosi nucleare, necrosi che colpisce uno o più elementi vicini. A proposito della sclerosi della polpa sopradescritta, vorrei ricordare come il Bonome nel lavoro già citato, esponendo il risultato di un trattamento lungamente protratto di due cani con iniezioni di siero emolitico, parla anch’egli di alterazioni sclerotiche e dice che “ le modificazioni di struttura dei follicoli della milza consistono in uno stato di fibroadenia la quale va pronunciandosi molto più lentamente e meno spiccatamente che non nei cordoni della polpa splenica ,, che tale “ sclerosi fibroadenica procede dalla periferia al centro del follicolo , e che “ da questa fibroadenia sono risparmiati a lungo i follicoli malpighiani , : commentando poi questi reperti l’autore osserva che v'ha “una certa rassomiglianza con quelle fibroadenie illustrate dal Banti come base anatomica di quella varietà di splenome- galia primitiva che si verifica nell’adulto e che in una fase tardiva si associa alla cirrosi del fegato ,. Per quanto tra le ricerche del Bonome e le mie vi siano alcune differenze nelle condizioni di osservazione e per quanto egli abbia potuto studiare nei cani, più resistenti al trattamento, delle fasi più tardive di quanto io abbia osservato, pure si assiste in tutti e due i casi ad un processo patologico completamente identico e che segue nell’ordine dei fatti il medesimo svolgimento. A me però non risulta, se si sta alla descrizione che della fibroadenia dà il Banti, secondo il quale la principale caratteristica di questa forma di sclerosi è di “ iniziarsi ed esser sempre più intensa nei follicoli malpighiani ,, che si ripro- duca in queste esperienze un’affezione analoga alla fibroadenia bantiana. Infatti nelle milze degli animali soggetti al trattamento si ha come fatto primitivo una sclerosi diffusa ed omogenea della polpa splenica: il tessuto sclerotico stringe il follicolo tutto intorno e si scorge qua e là una penetrazione di connettivo negli strati più esterni del follicolo stesso, mentre il centro del follicolo appare ancora normale. Si tratta dunque di una sclerosi della polpa che, appunto come descrive il Bonome, si propaga lentamente e tardivamente al tessuto dei follicoli, i quali soltanto nei casi più avanzati si trovano invasi. La sclerosi del follicolo procede così dalla periferia al centro, è cioè secondaria alla sclerosi della polpa. Anche dunque se gli esiti più tardi vengono a rassomigliare alle lesioni fibroadeniche, il processo mi pare per origine e per sviluppo essenzialmente diverso dalla fibroadenia del morbo di Banti. 8 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. Io tenderei piuttosto ad interpretare questa diffusa sclerosi come conseguenza ed esito delle alterazioni parenchimatose acute prodotte nella milza dall'azione del siero emolitico. Come abbiamo visto, il siero provoca nella polpa splenica estese e gravi alterazioni cellulari per cui molti elementi (endotelii, cellule della polpa) subiscono necrosi ed autolisi : cessando l’azione tossica del siero può farsi una rigenerazione completa, ma essendo in questi animali impedita la rigenerazione per il ripetersi continuo dell’azione del siero, anzi continuando la distruzione degli elementi parenchimali, avviene una diffusa proliferazione da parte del tessuto connettivale dal reticolo che porta gradatamente ad una uniforme sclerosi della polpa splenica quale sopra ho descritto. S'osservano anche nei miei esperimenti, come in quelli del Bonome, focolai di infiltra- zione di gl. rossi negli strati periferici dei follicoli; fatto che anch'io interpretai come piccoli stravasi conseguenti alla forte iperemia: essi avverrebbero in quei punti perchè ivi la resistenza opposta all’infiltrazione è minore che non nella polpa sclerotica circostante. Per riassumere, dalle ricerche istologiche esposte risulta ampiamente confermato il fatto che la milza sotto l'influenza del siero emolitico si fa sede di una vivissima attività emo- litica. L’emolisi non si compie soltanto nella milza, ma anche in altri organi come nel midollo osseo, nelle ghiandole linfatiche, nei capillari del fegato : io non mi fermo ad esporre la descrizione delle alterazioni trovate in questi organi, mi basti osservare, insieme ad altri ricercatori, che in essi l’emolisi avviene in grado incomparabilmente minore che nella milza. Lo studio istologico dimostra inoltre il meccanismo con cui l’abnorme emolisi si compie: essa avviene specialmente per opera di certi elementi (endotelii e cellule proprie della polpa) a ciò già fisiologicamente deputati e che sotto l'influenza del virus emolitico esagerano enormemente la loro funzione. Abbiamo constatato un’emolisi intercellulare e un’emolisi extracellulare, come distinse il Banti: abbiamo visto cioè, oltre all’eritrolisi per fagocitosi diretta, come un gran numero di gl. rossi si distrugga fuori degli elementi cellulari, nei seni venosi, nella polpa (ed anche in organi lontani e verosimilmente anche in circolo), per opera certamente di sostanze da quegli elementi secrete o diffuse dopo il loro disfacimento. La presenza di tale sostanza è confermata dall'aumento del potere emolitico che dimostrano in vitro gli estratti preparati da queste milze in confronto a quelli provenienti da milze normali. Noi possiamo dunque considerare la milza emolitica come un focolaio di produzione di citotossine certamente assai complesse, delle quali un’azione ci è nota, l’emolitica : onde il Banti parla di cito-emolisine. Vedremo in seguito come alle citotossine della milza emolitica siano da riconoscere oltre l’emolitica anche altre proprietà di natura diversa. Ricerche ematologiche. — Le ricerche già più volte citate di Banti e dei suoi collaboratori sopra l’emolisi da siero e specialmente sui rapporti che passano tra i diversi segni del- l’emolisi nel sangue circolante riguardo al tempo della loro comparsa, alla loro durata ed all'intensità hanno spinto questi osservatori a distinguere nel decorso dell’emolisi da siero due periodi diversi: un primo 7mmediato di emolisi leggera, effetto dell’azione diretta del siero sui gl. rossi circolanti, un secondo tardivo di emolisi più intensa e durevole che inter- viene col cominciare dell’azione emolitica della milza. Questo io posso completamente confer- mare: e non mi indugierò in un commento minuto dei dati raccolti, nè, vietandomi lo spazio, starò ad esporre tutti i dati numerici raccolti in tabelle, le quali dimostrano nel loro insieme quanto dai precedenti lavori fu stabilito. Mi limiterò soltanto ad accennare che l’azione emolitica svolta dal siero emolitico nell’animale è chiaramente tracciata in tutte le sue fasi dalle alterazioni del sangue circolante, le quali seguono in un certo ordine ad ogni singola iniezione di siero : l’emolisi si esprime con la sua varia intensità negli abbassamenti del numero dei gl. rossi e del tasso emoglobinico, nelle corrispondenti variazioni del valore MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 9 globulare e nel contemporaneo innalzarsi dell'indice di resistenza globulare. Anche le varia- zioni delle alterazioni morfologiche degli eritrociti seguono un decorso strettamente dipen- dente dall'azione diretta e indiretta del siero e le alterazioni più intense si hanno nel periodo di emolisi tardiva. Dapprima l’eritrolisi è attestata dal notevole pallore dei gl. rossi e dal gran numero di ombre circolanti, dall’intensa anisocitosi e poichilocitosi; poi assai presto, se la dose del siero non fu troppo forte, compaiono segni di rigenerazione, tra i quali anzi tutto la policromasia e la comparsa di sostanza granulofilamentosa negli eritrociti. Special- mente con le dosi piccole i segni di rigenerazione sono molto intensi e si ha allora un quadro ematologico tutto speciale, come ad es. nel coniglio, n. 5, nel quale ciascuna delle 2 iniezioni di siero emolitico 1:70, nella dose di 0,20 per volta ha prodotto un forte effetto emolitico tosto seguito da una vivissima reazione rigenerativa. Nel sangue circolante di quest’animale da 24 a 48 h. dopo l’iniezione si trovava quanto segue: gl. rossi pallidissimi — policromasia notevole — poichilocitosi e anisocitosi di altissimo grado: globuli grandi (10-12 u), spicca- tamente polieromatofili e numerosissimi piccoli globuli (4-6 u). Questi ultimi dimostravano una notevole tendenza basofila del protoplasma che si colorava in un bluastro cinereo: la stessa basofilia mostrava il plasma dei normoblasti, pure molto numerosi. Con la colorazione vitale per mezzo della soluzione alcoolica di brillant-cresyl-blau i globuli con sostanza granulo- filamentosa erano in prevalenza e questa sostanza era più abbondante nei macrociti policro- masici. In rapporto alla immissione in circolo di emazie giovani l'indice di resistenza massima (quella segnata dall’emolisi totale) presentava delle oscillazioni assai leggere. Nel sangue degli animali trattati lungo tempo con siero emolitico, mentre i varii segni ora menzionati di emolisi e di rigenerazione, in rapporto alle ripetute iniezioni, si succedono e si combinano in modo vario rendendo più complesso il quadro ematologico, si ha anche a trattamento avanzato la comparsa in circolo delle forme più giovani della serie rossa e precisamente di forme eritroblastiche basofile (proeritroblasti basofili, Ferrata) e di mega- loblasti. Queste forme io non potei constatare che nel caso del trattamento lungo a dosi refratte. Furno le riscontrò nel cane anche dopo una sola iniezione di siero emolitico, mai però nel coniglio. Durante il trattamento protratto si assiste talora a vere e proprie crisi di ittero emo- litico che durano un tempo più o meno lungo e sono in rapporto con le oscillazioni che vhanno nell’intensità dell’emolisi. Il colore itterico è ben visibile alla sclera e se ne possono seguire le variazioni. Un'ultima osservazione riguardo all’emolisi: il Banti osserva che essa non è propor- zionale alla quantità di siero adoperato. Ho potuto infatti constatare nelle mie esperienze che l'intensità dei fenomeni seguenti all’iniezione del siero non sono in diretto rapporto con la dose e la potenza del siero emolitico, ma piuttosto con lo stimolo che questo esercita sulla milza: tanto è vero che nelle milze esaminate nel momento delle più intense altera- zioni del sangue, indipendentemente dalla potenza del siero, si trovano i più alti gradi di quella trasformazione che sopra ho descritto. Passando ora a considerare gli elementi bianchi” del sangue si \onstata che il loro numero non subisce delle variazioni molto importanti : un aumento segue bensì quasi sempre all’iniezione del siero, ma di poca entità. Esso segna il suo massimo nelle prime ore dopo l’iniezione e diminuisce poi gradatamente. Negli ani- mali trattati a lungo con ripetute iniezioni il numero dei gl. bianchi si mantiene in un leggero rialzo. I leucociti possono essere notevolmente danneggiati dall’azione del siero emolitico, specialmente nel caso del trattamento protratto. Le alterazioni sono assai varie e sono segni di degenerazione e di necrosi: nei psendoeosinofili si ha una diffusione della sostanza granulare e una retrazione dei nuclei, nei linfociti picnosi nucleare, retrazione e vacuolizzazione del protoplasma. È da notarsi che l'alterazione che colpisce i leucociti non è generale, ma accanto a forme alterate si trovano numerosi globuli perfettamente conser- Dj 10 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. vati nella loro struttura e nelle proprietà tintoriali. Le alterazioni sono senza dubbio espres- sione di una leucolisi che accanto all’eritrolisi avviene per azione del siero. Tra i polinucleari accade di trovarne alcuni che presentano, misti ai granuli oxifili, un certo numero di granuli basofili: questi globuli hanno anche un protoplasma più ampio ed un nucleo meno segmentato del consueto. Di essi mi occuperò più tardi. Un altro fatto d'interesse notevole ch'io non trovai descritto che parzialmente dagli altri ricercatori emerge dallo studio morfologico del sangue, cioè dalle forme dei gl. bianchi circolanti e dalle variazioni dei loro reciproci rapporti quantitativi (formola leucocitaria) nel corso delle esperienze. Dopo l’iniezione di siero emolitico aumentano sensibilmente in circolo i globuli bianchi mononucleati. Premetto subito che uso la espressione gl. bianchi mononucleati in un termine molto lato volendo indicare tutti quegli elementi bianchi del sangue che hanno nucleo unico e plasma basofilo senza granuli o al più con granuli azzurrofili, esclusi restando i linfociti propriamente detti ed i mieloblasti (nel senso di Nàgeli). Questo raggruppamento che io adotterò anche in seguito nell’esporre i reperti ematologici, trova giustificazione in varì concetti che io esporrò nella seconda parte del mio lavoro, dove dovrò trattare più diffusamente la questione. Qui non voglio che registrare il fatto che dissi parzialmente indicato da altri osservatori perchè Furno, nelle sue ricerche citate, constatò che in seguito alle iniezioni di immunsiero nel coniglio insieme ad un aumento dei linfociti si trovano talora in circolo numerose cellule di Rieder che l'A. considera elementi linfocitarii giovani d'origine splenica, perchè esse erano molto scarse nei conigli splenectomizzati. Un’osservazione analoga fece Bonome nel sangue di un cane sottoposto lungamente all’azione del siero emolitico. L'aumento dei gl. bianchi mononucleati (nel senso suddetto) è in rapporto diretto con l'introduzione del siero : esso segue all’iniezione non immediatamente, anzi spesso con un certo ritardo analogamente all’azione emolitica del siero: segno questo che l’aumento non è provocato direttamente dal siero, ma che è necessario, come per l’emolisi, un certo tempo di azione latente. Non in tutti gli animali la reazione è egualmente manifesta. Nei conigli trattati con molte piccole iniezioni potei osservare un aumento irregolarmente progressivo dei gl. bianchi mononucleati. Riguardo alla presenza di mielociti nel sangue circolante, io non ebbi a vederne che raramente qualche esemplare isolato. II. — L'azione degli estratti di milza emolitica. Ho già descritto la tecnica che mi serviva alla preparazione degli estratti splenici : essi provenivano sia da milze di conigli trattati con una o due sole iniezioni di immunsiero, ed in piena attività emolitica, sia da milze di animali trattati a lungo con ripetute iniezioni a piccole dosi. Per quanto si constati una certa differenza negli effetti dall’uno all’altro caso, pure, essendo questa differenza solo quantitativa a vantaggio delle milze preparate col tratta- mento lungo, non terrò distinti i risultati dell'una e dell’altra serie di esperienze. L’introdu- zione dell’estratto nel coniglio fu sempre fatta per via endovenosa a dosi varie da ce. 0,5 a ce. 1-1,5 per solito ripetute parecchie volte. Le iniezioni furono sempre ben tollerate e non ebbi mai a constatare effetti generali immediati di qualche entità : ripetendo però le iniezioni si notava dopo la 3% o la 4% un progressivo deperimento dell’animale che in un tempo vario da una a parecchie settimane veniva a soccombere dopo aver perduto una parte notevole del suo peso. Dividerò lo studio dell’azione degli estratti di milza emolitica in due parti: nella prima esporrò le ricerche ematologiche, nella seconda le ricerche anatomopatologiche sugli organi emolinfatici. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 1l A) Ricerche ematologiche. — Una prima questione m’interessava ed era la ricerca dell’azione emolitica di questi estratti în vivo: era logico supporne un potere emolitico dappoichè esso era stato riconosciuto in vitro da parecchi autori e poichè risultava che nelle milze sotto l’azione del siero emolitico si formano sostanze che agiscono direttamente sopra i gl. rossi in modo da determinarne la distruzione o diminuirne grandemente la resi- stenza. Le esperienze mi hanno dimostrato che gli estratti hanno veramente un’azione emo- litica, la quale risponde però a dei requisiti speciali che la differenziano da quella esercitata dal siero emolitico: essa produce infatti un’emolisi «) meno intensa di quella da siero, 5) precoce, quasi immediata e che raggiunge il suo massimo nelle prime ore, c) poco dure- vole, perchè dopo le prime ore va diminuendo. Ecco alcuni esempi : Conigli adulti normali — Iniezione di estratti milza emolitica Prima dell’iniezione Dose Dopo l’iniezione di estratto Numero | ; giò È È - Resistenza globulare iniettata Numero globuli rossi | Resistenza globulare globuli rossi | | Em. iniziale 0,52 Em. iniziale 0,50 1 6230000 Geil Dopo 5° 5350000 s totale 0,46 >, totale 0,46 | | s iniziale 0,46 » iniziale 0,48 2 6000000 0 0795 » 14° 5490000 » totale 0,40 y totale 0,40 | | , iniziale 0,42 \ , iniziale 0,46 3 6626000 0:50, n 243 5230000, - , totale 0,36 l , totale 0,42 | | | iniziale 0,44 » iniziale 0,52 4 5300000 Lita n 24 4900000 , totale 0,40 , totale 0,46 I iniziale 0,46 , iniziale 0,48 5 5230000 PROTO n 45% 4790000 » totale 0,42 » totale 0,44 | | Che l’emolisi sia più precoce di quella da siero è facilmente comprensibile quando si pensi che vengono a contatto dei globuli rossi circolanti sostanze ad azione diretta che non abbisognano per agire di fattori intermediari come nel caso del siero emolitico nell’animale: che sia meno duratura si spiega col fatto che la presenza di sostanze emolizzanti si esau- risce presto con l’eliminazione della sostanza attiva introdotta, mentre nell’emolisi da siero essa viene a lungo mantenuta dalla speciale attività degli organi emopoetici, in primo luogo dalla milza. Si comprende infine che l’effetto emolitico dell’estratto splenico sia minore di quello del siero, perchè l'estratto distribuito su tutta la massa dell'organismo rappresenta una piccola quantità di sostanza attiva rispetto a quella che con continuità fornisce la milza, nella quale il siero emolitico ha determinata un’alterazione patologica stabile e perciò una alterazione funzionale permanente: ed inoltre l’estratto splenico non ha che un fugace con- tatto coi gl. rossi circolanti, mentre nell’emolisi da siero tutte le emazie del circolo passano e si arrestano per un certo tempo nei seni ectasici della milza tutta impregnata della 12 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. sostanza attiva. Si ha dunque in complesso per l’estratto di milza emolitica un effetto paragonabile a quello che svolge il siero emolitico nel suo primo periodo d’azione. Con una differenza però, che è in relazione col diverso modo di agire delle due sostanze : nell’emolisi immediata da siero la resistenza globulare subisce alterazioni molto leggere e può anche restare invariata, invece nell’emolisi da estratto splenico si constata quasi sempre una diminuzione notevole. Che l’emolisi di grado assai leggero prodotta dagli estratti di milza emolitica non sia da attribuirsi soltanto, come potrebbe credersi, all’effetto dell’introduzione di una sostanza estranea nel sangue circolante è dimostrato dal fatto che essa segue, seb- bene un po’ più tardiva, anche alle iniezioni endoperitoneali di detti estratti. Per effetto dell'estratto splenico i gl. rossi circolanti non subiscono alterazioni così diffuse e gravi come vedemmo pel siero emolitico e nulla o quasi è la reazione rigenerativa: non si constata infatti che una'leggera anisocitosi, una moderata policromasia e la comparsa di un certo numero di eritrociti contenenti sostanza granulo-filamentosa: raramente compaiono normoblasti. Tutto ciò in relazione della molto minore attività emolitica dell’estratto sple- nico. Un'altra prova di questa differenza sta nella scarsezza del pigmento ematico che si raccoglie nella milza degli animali, anche se hanno ricevuto numerose iniezioni d’estratto : mentre abbiamo visto accumularsene in gran copia in seguito alle iniezioni ripetute di siero emolitico. Passiamo ora a considerare alcuni fatti assai interessanti che si rilevano dallo studio degli elementi incolori del sangue negli animali soggetti all’azione degli estratti di milza emolitica. Le esperienze con le quali compii questo studio e quello sugli organi emolinfatici, che esporrò dopo, eran condotte nel seguente modo: a conigli adulti di un peso da 2000 a 3000 gr. praticavo ogni 2-3-4 giorni, a seconda dei casi, un'iniezione endovenosa di una dose variabile da 0.5 a 1,5 di estratto di milza emolitica (*). Intanto seguivo quotidiana- mente le alterazioni del sangue con esami numerici e morfologici. Un primo effetto del trattamento è l’aumento del numero dei gl. bianchi: esso comincia già dopo le prime iniezioni. Non si tratta soltanto della reazione leucocitaria che ha luogo nel periodo seguente ad ogni iniezione, per la quale la cifra dei leucociti si fa per qualche ora molto elevata, ma di un aumento che permane anche negli intervalli tra le iniezioni e che scompare soltanto dopo che l’animale è stato lungo tempo in riposo. È un vero e proprio stato di moderata iperleucocitosi: anzi è notevole il fatto che l'aumento può subire una leggera graduale accentuazione nel corso del trattamento. Ma un effetto più interes- sante si manifesta nella composizione morfologica del sangue: sotto l’azione dell’estratto splenico la formola leucocitaria cambia gradatamente aspetto per opera di due fattori: a) la comparsa di numerosi leucociti a granuli misti, oxifili e basofili; 6) una notevole mononu- cleosi. Consideriamoli separatamente. Per ottenere una certa uniformità nella descrizione dei preparati di sangue mi riferirò sempre alla doppia colorazione May-Giemsa come quella che fornisce il maggior numero di preparati. a) I leucociti a granuli misti spiccano molto vicini alle comuni forme polinucleari (pseudoeosinofile-basofile-eosinofile) del coniglio, anzitutto per la grandezza. Il polinucleare del coniglio ha solitamente un diametro che s’aggira intorno ai 10-12 u, granulazioni molto fitte e non molto distinte, che talora nascondono in parte i contorni del nucleo, specialmente nei basofili (v. Tav. II, fig. 1): le forme di cui ci occupiamo invece sono grandi 2-3 fino a 4 volte il polinucleare, hanno cioè ancora in gran parte la grandezza dei mielociti, presen- tano un nucleo già polimorfo ma ancora per solito in un sol corpo con più o meno numerose (*) L'attività degli estratti è assai varia: e vi sono estratti poco attivi pei quali adoperavo le dosi più alte. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 13 strozzature, oppure già diviso in due parti poco distinte (v. Tav. II, figg. 4-5-6). Il proto- plasma è vitreo con un leggero riflesso cilestre e disseminato di granuli radi e distinti, dei quali una parte, la maggiore, è oxifila (pseudoeosinofila), la minore basofila. I granuli delle due specie sono veramente misti perchè irregolarmente distribuiti su tutto il plasma, qua e là più addensati in cumuli: essi sono assai diseguali di grandezza, specialmente i basofili. Assai più rare sono le forme simili a queste e con granulazioni esclusivamente basofile : queste sono sempre molto rarefatte e lasciano scorgere bene il protoplasma leggermente basofilo. Insieme ai leucociti a granuli misti, specialmente nei momenti in cui ve n’ha in circolo una copiosa immissione, si trovano non raramente veri e proprii mielociti di aspetto tipico o in incipiente trasformazione verso il leucocito (metamielociti). Anche in questi v'hanno granuli delle due specie. Tra i metamielociti (Tav. IL, fisg. 2-3) e i leucociti a granuli misti v'hanno tutte le gradazioni che, se sono meno constatabili nel sangue circolante per la scarsezza delle forme mielocitiche, sono facilmente dimostrabili nel midollo osseo di questi animali. Queste forme grandi a granulazioni miste rappresentano con tutta verosimiglianza forme giovani, immature del leucocito polinucleare pseudoeosinofilo, che vengono prodotte in gran copia nel midollo per uno stimolo proliferativo molto intenso e che vengono messe in circolo prima di raggiungere la loro evoluzione completa: ed attesta la loro rapida formazione e mobilizzazione dal midollo il fatto che succede frequentemente, di trovarle negli strisci di sangue riunite in gruppi di due o tre avvicinate, come aderenti per un lato: la fig. 7 della Tav. II, rappresenta uno di tali gruppi. Inoltre, valutando le forme leucocitiche secondo la nota teoria di Arneth, si constata nettamente in questi casi quella che vien chiamata devia- zione verso sinistra della formola di Arneth, la quale starebbe a indicare la presenza in circolo di numerosi leucociti neoformati. La presenza di granulazioni miste oxifile e basofile nello stesso elemento ci porta del resto verso lo stesso concetto: nel midollo osseo del coniglio si trovano già normalmente forme mielocitiche a granuli misti: sec. Klieneberger e Walter (21) esse sono limitate al midollo sternale, ove com'è noto è più attiva la emopoesi. È vero che in queste forme si volle da alcuno vedere dei mastmielociti, progenitori di mastzellen, ma tale veduta non può sostenersi: poichè il fatto che una parte delle granulazioni di questi mielociti assumono colori basici non basta a farle ritenere identiche alle granulazioni delle mastzellen ed il Benacchio (22) ha recentemente dimostrato che v'ha una sostanziale differenza tra le due specie di granuli, essendo la basofilia dei primi metacromatica, mentre i granuli delle mast- zellen sono esclusivamente monobasofili, cioè, a differenza dei primi, assolutamente refrattari alle sostanze acide. Queste granulazioni, che non segnano nella cellula che le porta una dif- ferenziazione specifica e che normalmente non esistono che in uno stadio iniziale dello svi- luppo dell’elemento leucocitario potrebbero giustamente esser supposte, come tende a cre- derle il Benacchio, granulazioni immature. E qui mi piace ricordare che Pappenheim e Czecsi (23) ottennero nel coniglio un tipo di leucocitosi analogo a quello da me surriferito per mezzo di iniezioni di saponina e nuclei nata di sodio; in seguito alle iniezioni — essi descrivono — comparivano nel sangue degli animali leucociti polimorfi oxi- e basiplasmatici con granulazioni pseudoeosinofile ed in parte ancora immature basofile, ed inoltre metamielociti, mielociti, promielociti: ed interpretano questo reperto come effetto di un’irritazione midollare leucoblastica prodotta da detti veleni. La comparsa dei globuli e granuli misti può seguire l’iniezione di estratto già nelle prime ore, in altri casi invece non si manifesta che dopo alcune iniezioni: l'intensità di questa reazione inoltre varia notevolmente da animale ad animale ed a seconda dell’estratto usato. 14 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. In qualche caso la percentuale dei leucociti a granuli misti è assai bassa, in altri invece si eleva molto, fino all’80 °/,, in certi momenti anche al 100 °/, dei leucociti. Altre note speciali di questa leucocitosi sono la tendenza alla anaeosinofilia ed all'aumento dei polinucleari basofili. Ricordo qui che anche negli animali trattati con siero emolitico si trova un accenno a questa polinucleosi a granuli misti: fatto pure notato da Furno che concorda col Benacchio a considerare questi globuli come leucociti polinucleari pseudoeosinofili immaturi. b) Per descrivere l'altra variazione che si rivela a carico dei gl. bianchi per effetto degli estratti spleno-emolitici, io mi riferisco a quanto già dissi a proposito delle variazioni della formola leucocitaria sotto l’azione del siero emolitico. Ci troviamo anche qui in pre- senza di un aumento assoluto e relativo dei gl. bianchi mononucleati, aumento assai più rilevante che nel caso del siero. Ho detto allora che cosa voglio indicare con l’espressione gl. bianchi mononucleati: essa comprende tutti gli elementi bianchi del sangue che hanno nucleo unico e plasma basofilo senza granuli o con granuli azzurrofili, escludendo i linfociti veri e proprii ed i mielobasti (di Négeli). Per quanto questo raggruppamento possa sembrare a primo aspetto poco chiaro ed impreciso, io ho dovuto adottarlo per ragioni di osserva- zione, senza voler per ora attribuirgli uno speciale significato. Ora vediamo i caratteri morfologici di questi elementi, così come si trovano in circolo. Essi, quantunque fondamentalmente assai simili fra loro, perchè tutti rispondenti a quei caratteri comuni elencati nella definizione ora data, dimostrano aspetti assai diversi per la variabilità di forma del nucleo e di alcune particolarità del protoplasma. I principali di questi aspetti sono riprodotti nella Tav. I, serie «, d, c. Come si vede, si tratta di elementi assai grandi (i più grandi raggiungono l'ampiezza di un mielocito o la superano di poco), con plasma abbondante, basofilo, e nucleo grosso ben tingibile e dalle forme più varie. Il protoplasma ad una minuta osservazione presenta l’aspetto di una finissima maglia appena accennata da leggere striature e da piccoli punti nodali interposti fra aree irregolari leg- germente più chiare (spongioplasma): avvicinandosi al nucleo l'apparenza reticolare va per- dendosi mentre diminuisce con graduale sfumatura la tinta basofila. In molti elementi si trovano granulazioni azzurrofile, distribuite molto irregolarmente: per lo più ne è fornita una sola zona di protoplasma, più di rado i granuli sono sparsi diffusamente o si trova un unico grosso granulo isolato (Tav. I, serie a, fig. 4, serie è, fig. 3). Le granulazioni sono sempre assai diseguali di volume. È degna di nota inoltre un’altra disposizione: in alcuni elementi è visibile a un lato del nucleo uno spazio chiaro tondeggiante od ovalare, perfet- tamente delimitato, ripieno di granuli minutissimi (Tav. I, serie c, fig. 3-4), come una for- mazione compresa nel protoplasma, la quale ricorda quei corpi inclusi descritti da Kurloff e da Cesaris-Demel nei grossi mononucleati della cavia. Talora la formazione endoplasmatica è doppia o multipla. Piccoli vacuoli vuoti sono frequenti nel protoplasma. Per avere un'idea della forma del nucleo basta dare uno sguardo alle figure della Tav. I, serie a, bd, c: la forma è così variabile che non si presta ad una descrizione unica. In alcuni elementi il nucleo è spiccatamente rotondo od ovalare, in altri incurvato a guisa di fagiuolo, in altri bizzarramente contorto, in altri infine presenta il più vario polimorfismo assumendo aspetto di corona, di ferro di cavallo, di staffa, ecc. La struttura nucleare però, malgrado la varietà di forma, si mantiene sensibilmente uniforme: la cromatina è disposta in un fitto reticolo le cui strie seguono gli incurvamenti del nucleo: ed i blocchi eromatinici sono in genere assai minuti. In una parte degli elementi si trovano nucleoli. Discuterò più tardi con l’aiuto di altri dati che verrò esponendo il significato degli elementi mononucleati ora descritti: si può però notare subito che se si vuol procedere ad una classificazione di detti elementi secondo le specie generalmente conosciute di gl. bianchi, se ci si accinge cioè a catalogare i singoli globuli in un abituale schema di formola leuco- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 15 citaria, ci si trova per molte forme notevolmente a disagio. Invero delle varietà di globuli mononucleati che abbiamo descritte noi possiamo classificarne una parte; così in un elemento come quello rappresentato nella fig. 1 della serie e (Tav. I) si può senza difficoltà ricono- scere un grande mononucleare di Ehrlich; così le forme riprodotte dalla fig. 2 della stessa serie e dalla fig. 1 della serie @, sono riconoscibili come comuni forme di passaggio (Ehrlich); ed infine i globuli a nucleo polimorfo potrebbero rientrare facilmente in quella classe di elementi d'origine e di significato discusso che vanno sotto il nome di cellule di Rieder. Ma se si tien presente che all'esame diretto del sangue si trovano, come sopra ho descritto, le più diverse varietà e le più numerose forme intermedie dal tipico grande mononucleare alla cellula di Rieder dal nucleo più polimorfo, si capisce facilmente come diventi artificiosa la distinzione e como sia più razionale riunire tutti questi elementi in un solo gruppo in base alle proprietà morfologiche che sono fondamentalmente eguali per tutti e tali da differen- ziarle dalle altre specie di gl. bianchi. E questo concetto trova, in altri dati che esporrò in seguito, giustificazione anche nel riguardo della morfogenesi. Occorre ancora notare che i mononucleati appaiono nel sangue circolante alquanto su- scettibili di alterazione: si trovano infatti facilmente forme con protoplasma frammentato e con alterazioni nucleari: spesso il protoplasma mostra vacuoli numerosi. Voglio notare che tra questi vacuoli, anche con i metodi atti a rivelare sostanze grasse e lipoidee, non si riesce a mettere in evidenza alcuna sostanza. Insieme ai monucleati di cui ho parlato finora si trovano nel sangue alcuni elementi che, quantunque in numero molto più scarso, meritano speciale attenzione perchè ci servi- ranno con la loro presenza all’interpretazione generale del reperto ematologico: sono i seguenti: a) cellule grandi come i mononucleati con protoplasma di simile struttura, ma in genere meno intensamente basofilo, senza granuli di nessuna specie, con nucleo molto grosso tondeggiante, fornito di nucleoli e con una disposizione cromatinica finemente reticolare di quel tipo che Ferrata opportunamente paragonò alla scorza di noce di cocco. Non in tutti gli elementi si vedono nucleoli. Le fig. 1-4 della serie d, Tav. I, rappresentano questi tipi di cellule (la fig. 4 è copiata dal sangue circolante, le altre da strisci della milza), nelle quali si riconoscono facilmente quegli elementi che Nigeli chiama mieloblasti, consideran- doli di natura mieloide e progenitori diretti dei mielociti, mentre gli unicisti, considerandoli elementi originari, ancora assolutamente indifferenziati, li qualificano con nomi diversi: linfoidocito (Pappenheim), emocitoblasto (Ferrata), indifferente Lymphoidzelle (Michaelis), unreife Zelle (Grawitz). Questi elementi compaiono nel sangue in rari esemplari insieme a un gran numero dei mononucleati suddescritti; b) cellule identiche a quelle ora descritte con minute granulazioni azzurrofile nel pro- toplasma; c) elementi in tutto simili ai mononucleati sopra descritti e che da questi differiscono per certe granulazioni assai grossolane sparse nel protoplasma e spesso anche sopra il nucleo (Tav. I, serie c, fig. 5-6), di un colorito rosso violaceo intenso che si direbbe inter- medio tra quello dei granuli azzurrofili e quello dei basofili. Sono rarissime; d) forme cellulari di natura patologica, cosid. forme irritative o cellule di Tiirk dal protoplasma fortemente basofilo, agranuloso, irregolare nel contorno e vacuolizzato, nucleo denso e intensamente colorato. Il loro numero è variabile, in certi casi notevolmente ab- bondante. La presenza di tutte le forme descritte nel sangue circolante (polinucleari e mononu- cleate) conferisce naturalmente un aspetto particolare al reperto ematologico e si capisce che faccia variare profondamente la formola leucocitaria. Per solito le alterazioni del sangue non seguono che in scarsa misura alle prime iniezioni di estratto splenoemolitico: e solo 16 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. dopo alcune iniezioni si istituisce una notevole mononucleosi. Perchè si mantenga il reperto ematologico è necessario che sia continuato lo stimolo continuando le introduzioni di estratto: si giunge così ad un periodo in cui le alterazioni sono molto intense e coincide, come vedremo; con un tumore di milza e con un’iperattività produttiva delle gh. linfatiche e del midollo. Interrompendo in un animale il trattamento, le alterazioni del sangue vanno via via scomparendo e si ritorna lentamente (e tanto più lentamente quanto più profonde erano le alterazioni degli organi emolinfatici) al reperto normale. L'intensità della reazione è alquanto diversa nelle esperienze, in dipendenza di vari fattori, come la potenza dell’estratto e la disposizione individuale dell'animale, ma i suoi caratteri sono fondamentalmente sempre gli stessi. Prima di passare a descrivere le alterazioni degli organi emolinfatici voglio ancora far menzione di una ricerca ematologica che fornisce dati assai importanti. Avendo osservato che sotto l’azione dell'estratto splenoemolitico la milza subiva una tumefazione, ho voluto studiare in alcune esperienze il sangue della vena splenica; in alcuni animali perciò quando | la reazione del sangue si era fatta ben manifesta venne praticata la splenectomia e durante l'operazione preparavo, con sangue prelevato dalla v. splenica, degli strisci. Questo sangue si dimostrò in ogni caso ricchissimo di gl. mononucleati delle varie specie: il loro numero nella v. splenica era notevolmente maggiore che nel circolo generale: non solo il loro numero assoluto, il che potrebbe attribuirsi alla nota maggior ricchezza in gl. bianchi del sangue venoso splenico, ma anche il loro numero relativo, cioè la loro percentuale nelle formole leucocitarie, era assai superiore, talora persino doppio di quello del sangue periferico. Anche qui eran visibili esemplari di quelle forme meno frequenti che ho sopra elencato e special- mente quelle descritte in a) senza granuli e con nucleoli (tipo mieloblastico). Abbondavano inoltre i linfociti veri e propri e non mancavano leucociti a granuli misti. È ancora note- vole nel sangue della v. splenica la presenza di elementi endoteliali: sono grandi cellule a protoplasma lamellare molto ampio e sfrangiato, tinto in cilestre, con nucleo grosso spesso in situazione eccentrica, fornito di grossi nucleoli e costituito da un reticolo eromatinico assai grossolano (Tav. II, figg. 8, 9, 10). Il protoplasma include molto spesso granuli di pigmento o frammenti di gl. rossi, segno non dubbio di proprietà fagocitiche. La presenza di questi elementi è interessante per il discusso rapporto genetico tra endotelii e mononu- cleati del sangue: questi, che sono senza dubbio endotelii dei seni venosi, sono per struttura molto distinti e lontani dai mononucleati suddescritti da cui devono esser tenuti affatto separati. Il reperto della v. splenica lasciava dunque supporre che nella milza avvenisse una pro- duzione assai vivace delle forme di gl. bianchi mononucleati circolanti nel sangue. Questo fatto, che nella presenza di una notevole mononucleosi nel sangue della v. splenica non ha ancora una prova decisiva, io tentai di accertare oltre che con l’esame istologico della milza, studiando l’effetto della splenectomia sulla mononucleosi seguente alle iniezioni d’estratto e l’effetto dell'estratto sopra un animale privato della milza. Un esempio della prima prova è fornito dal caso seguente: Ad un coniglio adulto di 2500 grammi (serie B, Con. XVII) vennero fatte alcune iniezioni di estratto di milza emolitica (di coniglio trattato con 2 inie- zioni 0,20 di siero emolitico 1:50 con l'intervallo di 5 giorni): nel sangue di quest’animale era comparsa un'abbondante mononucleosi, presente anche nel giorno della splenectomia (18 giugno: 35 mononucleati ogni 100 gl. bianchi). Asportata la milza, molto ingrossata e polposa del peso di gr. 2,2, i globuli mononucleati diminuiscono di numero (22 giugno ore 9: 23 mononucl. ogni 100 gl. bianchi): malgrado una nuova iniezione di 1cc. di estratto (22 giugno ore 14) i mononucleati non aumentano (25 giugno: 18 mononucl. ogni 100 gl. bianchi). Altre esperienze simili diedero un analogo risultato. La seconda prova (iniezioni di estratto splenoemolitico in coniglio privato della milza) è la seguente: un coniglio di 2300 gr. (Serie B, Con. XVIII) fu preparato con la splenectomia MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 17 e lasciato qualche giorno in riposo: poi si cominciarono le iniezioni. L'estratto usato per questa esperienza è lo stesso che nel Coniglio XVII si era mostrato assai attivo. Nell’ani- male privo di milza, se pure si ebbe un manifesto accenno ad un aumento delle forme mo- nonucleate, la reazione fu incomparabilmente minore di quella che presentano gli animali completi. Comparvero invece numerosi i leucociti a granuli misti. Da queste prove, unite al reperto suddescritto della vena splenica mi par risulti abba- stanza fondato il sospetto che la reazione di mononucleosi che si produce per azione degli estratti di milza emolitica sia dovuta in gran parte ad una speciale attività della milza: che però oltre la milza anche altri organi risentano tale stimolo e siano capaci, in misura minore, della stessa attività. Vedremo che i reperti istologici confermano questo concetto. È qui il luogo di prendere in considerazione una questione concernente la natura e l'origine dei mononucleati. Recentemente Aschoff e Kiyono (24) descrissero col nome di dstio- citi degli elementi cellulari che avrebbero origine dagli elementi dell’apparato reticoloendo- teliale degli organi emopoetici e del fegato (cellule di Kupffer) e che passerebbero in circolo come globuli bianchi. Essi si mettono in evidenza per mezzo della colorazione vitale con carminio: iniezioni ripetute di questa sostanza (come di Tolidinblau e di Trypanblau) nel coniglio determinerebbero un’istiocitemia, perchè stimolano gli elementi reticoloendoteliali, che si ingrossano e cadono in circolo ove sono riconoscibili come cellule mononucleate cariche di carminio; costituirebbero così una specie di gl. bianchi mononucleati, indipendenti dai grandi mononucleari e dalle forme di passaggio che non assumono i granuli. To volli tentare con qualche esperienza di stabilire quale rapporto avessero questi ele- menti con le diverse forme mononucleate che stavo studiando: per far questo ripetei le esperienze dei suddetti autori: 1° sopra un coniglio normale; 2° sopra un coniglio nel quale per il trattamento con estratto di milza emolitica era presente una notevole mononucleosi. L'esperienza veniva condotta come indica Kiyono: inie- zione quotidiana di 7 cc. di litiocarminio al 4°. Io ebbi però da queste esperienze un risul- tato negativo. Anzitutto non potei mai trovare con l’esame ematologico proseguito per tutta la durata delle esperienze alcun elemento contenente granuli di carminio, fatta eccezione di qualche cellula d'apparenza endoteliale nel sangue della vena splenica del 2° animale nella 5? gior- nata del trattamento. Nemmeno nei vasi degli organi (polmone, fegato) in sezione trovai “ carminzellen ,. I gl. bianchi mononucleati delle varie forme si mostrarono sempre privi di carminio. Ricordo del resto che Pappenheim e Fukuski (25) ed Hirschfeld (26) in recenti ricerche sullo stesso argomento affermano di non aver mai trovato granuli di carminio nei monociti circolanti. Nelle sezioni di milza e di midollo osseo dei miei animali si vedeva molto carminio trattenuto nei fagociti della polpa e negli endotelii. Raccogliendo in brevi conclusioni quanto riguarda le ricerche ematologiche, noi pos- siamo così riassumere: 1° L’emolisi prodotta in vivo dall’estratto di milza emolitica è assai moderata: essa si esercita direttamente, da parte dalle sostanze contenute nell’estratto, sui gi. rossi circolanti. 2° L'estratto di milza emolitica di coniglio in ripetute iniezioni nel coniglio normale è capace di destare nel sangue una particolare forma di leucocitosi caratterizzata da un notevole aumento dei gl. bianchi mononucleati e dalla presenza di molti leucociti a granuli misti, oxifili e basofili. 3° Nella produzione dei mononucleati hanno parte vari organi, ma la precipua spetta alla milza. Ei 18 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. B) Ricerche istologiche. — Le ricerche sulla milza, sul midollo osseo e sulle linfo- glandole furono compiute sia sopra strisci sia sopra sezioni. Sugli uni e sulle altre parta. le varie colorazioni comuni e le colorazioni specifiche del sangue. Milza. — Ho già sopra accennato che si produceva negli animali soggetti al tratta- mento prolungato con l'estratto splenoemolitico un notevole tumore splenico: i migliori esempi potei osservare in quei conigli nei quali la milza venne asportata nel periodo delle più intense alterazioni del sangue. Essa appariva in questi casi ingrossata, con margini tumidi e arrotondati, polpa molto abbondante e congesta che distendeva fortemente la capsula. Negli strisci colorati con May-Giemsa, colpisce a primo aspetto la prevalenza di grandi cellule tondeggianti a grosso nucleo e plasma basofilo privo di granuli. Tra questi elementi si distinguono varie forme: a) elementi identici a quelli trovati in vari esemplari nel sangue circolante (più numerosi nel sangue della vena splenica) e descritti in @): qui sono in gran numero, anzi in alcuni casi in numero prevalente, con protoplasma basofilo, privo di granuli di qualsiasi specie, nucleo tondeggiante o irregolarmente poligonale, contenente nucleoli multipli (Tav. I, serie d, figg. 1, 2, 3). Queste cellule, di aspetto linfoide corrispondono morfologi- camente, come già abbiamo osservato, al mieloblasto di Nàgeli, al linfoidocito di Pappen- heim, ecc.; 6) forme del tutto simili alle precedenti, ma con nucleo più irregolare di forma perchè variamente incurvato e con un contorno sinuoso, protoplasma senza granuli (Tav. I, serie d), fig. 5, 6). c) cellule eguali in grandezza alle precedenti, con plasma basofilo agranuloso o con scarsi granuli azzurrofili, nucleo di aspetto assai vario, tondeggiante, irregolare, polimorfo, per lo più senza nucleoli, identiche a quelle trovate in gran numero nel sangue, salvo un grado meno elevato di polimorfismo nucleare e una maggior scarsezza di granulazioni. È naturale pensare che le forme 6) rappresentino gradi di passaggio tra le «) e le c) e questo passaggio risulta riccamente provato all'esame dei preparati che dimostrano tutta una gra- dazione di aspetti dalle une alle altre, sì da far credere molto verosimile che tra le forme a) a nucleo rotondo e senza granuli e le mononucleate a nucleo polimorfo e con granuli azzur- rofili vi sia uno stretto rapporto genetico. Se questo è vero, la trasformazione delle une nelle altre si compirebbe mediante un’evoluzione del nucleo verso un polimorfismo più o meno spiccato (condizione non essenziale, perchè il nucleo può anche mantenere la forma tondeggiante), un addensamento del reticolo cromatinico, una tendenza alla scomparsa dei nucleoli e l'acquisizione da parte del plasma di granulazioni azzurrofile. Oltre a questi elementi, negli strisci di milza si trovano: d) linfociti; e) uno scarso numero di mielociti, una parte dei quali con granuli misti oxifili e basofili; f) cellule caratterizzate dalla intensa basofilia del protoplasma, privo di granuli. Sono tra esse riconoscibili le cellule di Tiirk (che già trovammo in numero variabile nel sangue) con nucleo grosso tondeggiante o sformato, denso, fornito talora di nucleoli, e con numerosi vacuoli nel protoplasma (Tav. I, serie e, fig. 2, 3, 4). Accanto a queste si distinguono — e sono assai numerose — le plasmacellule, pure fortemente basofile, con nucleo più piccolo e più regolarmente rotondo, eccentrico, con alone chiaro perinucleare, non raramente binucleate (Tav. I, serie e, fig. 5, 6): nei nuclei non si vedono nucleoli ed appare talora molto chiara, la caratteristica disposizione radiata dei blocchi cromatinici. Bisogna però riconoscere che tra le due specie di cellule ultime descritte, il limite non è molto preciso e sì trovano spesso forme che non sarebbe facile ascrivere più all’una che all'altra categoria. È noto del resto MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXY, N. 6. 19 che le opinioni sui rapporti esistenti tra le forme d’irritazione di Tirk e le plasmacellule sono ancora molto divisi: recenti ricerche di Ferrata (27) e di Juspa e Negreiros (28) ten- dono a separare nettamente le due forme per origine e per caratteri morfologici, confermando il concetto di Nigeli che considera le cellule di Tiirk quali mieloblasti patologici. 9g) cellule più o meno grandi, dal protoplasma omogeneamente ed intensamente basofilo senza granuli e nucleo grosso tondeggiante dall'aspetto uniformemente increspato, come sono rappresentati nella Tav. I, serie e), fig. 2 (la forma situata sopra): queste cellule la cui distinzione dalle precedenti non è facile se la struttura del nucleo non appare nel suo aspetto più caratteristico, sono forme eritroblastiche nello stadio in cui il protoplasma è ancor netta- mente basofilo (proeritroblasti basofili di Ferrata). Questi gli elementi più importanti che si distinguono negli strisci di milza: come ho già avvertito prevalgono quelli del 1° gruppo e specialmente le cellule descritte in @) Ja cui morfologia corrisponde a quella del mieloblasto di Niigeli e nello stesso tempo a quella della cellula che gli unicisti indicano come cellula indifferenziata capostipite delle varie generazioni degli elementi ematici (linfoidocito di Pappenheim, emocitoblasto di Ferrata, ecc.). Senza voler adottare più l’una che l’altra dottrina, io continuerò a designare questi elementi più volte descritti con la denominazione di Pappenheim linfoidociti come quella che, limi- tandosi a ricordare l'aspetto linfoide dell’elemento, non ne precisa il significato morfogenetico. Sulle sezioni, come già macroscopicamente, ciò che alla prima osservazione colpisce è l’iperplasia della polpa splenica: essa è invero assai abbondante, sopratutto nei casi in cui la reazione ematologica era assai viva.I cordoni della polpa specialmente intorno ai follicoli, sono ricchissimi di cellule. I seni venosi sono moderatamente ectasici e contengono gl. rossi e bianchi e numerose cellule endoteliali desquamate. Gli endotelii paiono veramente soffrire del trattamento con l’estratto, perchè essi mostrano diffuse alterazioni degenerative e necro- tiche : gli endotelii meglio conservati mostrano una non intensa attività fagocitica. Anche nei cordoni della polpa v'hanno qua e là numerose cellule in disgregazione od in necrosi, mentre per ampi tratti si trova una grande abbondanza di grossi elementi in attiva proli- ferazione con numerose figure mitotiche. Queste aree sono per lo più perifollicolari, talora circondano un follicolo oppure si espandono in propaggini dirette in varî sensi che si ricon- giungono con altre aree vicine, così che ne resta occupato anche tutto lo spazio che inter- cede tra più follicoli vicini (Tav. III, fig. 1). Numerosi gruppi cellulari dello stesso genere stanno nella polpa collegati tra loro da serie e da cordoni di cellule. I noduli malpighiani restano per l’iperplasia della polpa assai distanziati tra loro ed appaiono molto diseguali per forma e per estensione: alcuni sono atrofici, altri hanno un loro contorno mal definito perchè vha in alcuni punti come una compenetrazione della polpa circostante negli strati periferici dei follicoli: i centri germinativi di questi ultimi sono pure molto ricchi di grandi elementi di tipo linfoblastico che spesso son diffusi sopra tutta l'estensione del follicolo sostituendosi in parte ai piccoli linfociti e alla periferia si mescolano e si confondono con i grandi elementi della polpa splenica ivi specialmente addensati. Questi, a forte ingrandimento e sopra sezioni colorate con ematossilina-eosina risultano come grandi cellule che in parte presentano un nucleo tondeggiante vescicoloso e fornito di nucleoli e in minor numero un nucleo poligo- nale o variamente foggiato assai più denso di cromatina, che colorandosi fortemente lascia mal vedere la sua fine struttura. A risultati interessanti conduce lo studio delle sezioni preparate con le colorazioni specifiche del sangue. Ottenni i migliori risultati con una modificazione introdotta nel pro- cedimento che suggerisce Sapegno (29) nel suo recente lavoro sul m. di Gaucher, e che consiste in una colorazione con Azur-eosin di Schridde e successivo differenziamento per mezzo di a. acetico 0,5 °/00, disidratazione con una miscela di acetone e benzolo e montaggio in balsamo. M processo da me adottato è il seguente: doppia colorazione con lig. di Schridde (12-16 ore) 20 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. e liq. di Giemsa (4-6 ore) — differenziamento in a. acetico diluito c. s. — montaggio in glicerina neutra subito dopo il differenziamento e previo lavaggio lungo in acqua corrente: si evitano in questo modo gli inconvenienti della disidratazione, sopratutto la retrazione degli elementi, e si conserva bene la basofilia del protoplasma. I risultati ottenuti con questo procedimento mi permisero di riconoscere agevolmente in sezione le forme studiate negli strisci ed anzitutto di riconoscere nei grandi elementi di cui era ricca la polpa splenica le varie forme mononucleate distinte negli strisci e, già prima, nel sangue degli animali. Senza procedere ad una nuova descrizione dei diversi elementi mi occuperò qui piuttosto della loro disposizione nella polpa splenica. Gli elementi di cui dissi così ricca la polpa splenica e che formano le aree ed i gruppi cellulari che sopra ho descritto sono per la maggior parte cellule egualmente grandi con protoplasma omogeneamente basofilo agranuloso, e non differiscono tra loro che per la forma e l'aspetto del nucleo e per il grado della basofilia. Nel maggior numero degli elementi il nucleo è molto grosso tondeggiante, con più o meno distinti nucleoli; in altri, frapposti ai primi e in genere a basofilia meno intensa il nucleo appare variamente contorto, di strut- tura più densa e privo di nucleoli. Abbiamo cioè da fare con quelle varie forme che già più volte ho descritto e tra le quali abbiamo già supposto uno stretto rapporto genetico, forme linfoidocitiche e forme mononucleate che dalle prime deriverebbero per graduali variazioni sopratutto a carico del nucleo. Con questo reperto veniamo a completare una serie di dati che sono in diretta dipendenza l’uno dall’altro e dal cui complesso risulta in parte chiarito il meccanismo dei fenomeni che andiamo osservando; sono i seguenti: la diffusa trasformazione della polpa splenica per una viva proliferazione linfoidocitica — la. presenza in seno a questo tessuto linfoidocitico, e come cellule fisse di questo, delle varie forme mono- nucleate trovate nel sangue — la speciale abbondanza delle forme mononucleate nel sangue della v. splenica. A questo proposito occorre osservare che tra gli elementi mononucleati fissi della polpa sono, in confronto al sangue circolante, relativamente scarse le forme a nucleo altamente polimorfo, mentre sono numerose nei seni venosi: ciò farebbe supporre che la cellula non passi in circolo se non quando ha raggiunto con l’evoluzione del nucleo un sufficiente grado di maturazione. Oltre gli elementi descritti, che sono in prevalenza, è notevole la presenza nella polpa splenica di numerose plasmacellule isolate od in gruppi disseminati: esse spiccano con molta evidenza per l’intensa basofilia del protoplasma. Non è difficile inoltre riconoscere, sparse tra gli altri elementi, delle cellule di Tiirk col loro nucleo addensato e la caratteristica vacuolizzazione. Anche queste formano spesso piccoli gruppi. Non si trovano veri e proprii focolai mieloidi: solo qua e là in seno alla polpa si vede qualche mielocito a granulazioni miste oxifile e basofile. Ho sopra avvertito l'abbondanza delle grandi cellule di tipo linfoblastico nei follicoli malpighiani: voglio ora osservare che la morfologia di queste cellule e quella dei linfoidociti della polpa corrispondono esattamente sia per il grado della basofilia sia per l’aspetto del nucleo e che non si saprebbe trovare alcun carattere differenziale, tranne forse, vedendole a confronto, una maggior grandezza dei nucleoli nelle prime. Ghiandole linfatiche. — Le ghiandole linfatiche negli animali sottoposti ad un intenso trattamento con gli estratti splenoemolitici si mostravano in genere leggermente ingrossate e ricche di polpa. Negli strisci, fra i linfociti delle varie specie, si trovava un gran numero di grandi cellule basofile agranulose e con grosso nucleo vescicoloso identiche ai linfoidociti della polpa splenica. Nelle sezioni si vedono queste cellule abbondare oltrechè nei’ centri germinativi anche in mezzo ai comuni piccoli linfociti sui quali talora sono in prevalenza. Miste a queste forme linfoblastiche e come cellule fisse del tessuto si trovano pure (in dise- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 21 guale quantità nelle varie linfoglandole) cellule uguali alle prime per grandezza, con proto- plasma basofilo agranuloso e con nucleo variamente polimorfo, analogamente a quanto osser- viamo nella polpa splenica. Anche le plasmazellen vi sono riccamente rappresentate. Midolla delle ossa. — Nella midolla, benchè fossero rappresentate tutte le forme cellulari presenti nella milza, erano in predominio gli elementi granulosi della serie mieloide (promie- lociti-mielociti-metamielociti in gran parte a granuli misti) ed in minor quantità le forme eritroblastiche basofile con i vari aspetti della trasformazione in normoblasti e in normociti : le cellule della serie eritroblastica abbondavano specialmente nella midolla dello sterno e delle coste. I megacariociti non presentavano notevoli variazioni di forma e di aspetto. Il reperto era, riguardo alla serie delle forme mononucleate, assai più scarso che negli organi linfoadenoidi (milza, gh. linfatiche), sia che il midollo risentisse meno lo stimolo proliferativo, sia che prevalesse la proliferazione mieloide, come farebbe supporre la leucitosi a forme giovani riscontrate nel sangue. Riassumendo, le ricerche istologiche dimostrano che gli estratti di milza emolitica sono capaci di esercitare negli animali uno stimolo sugli organi emolinfatici pel quale si risveglia in essi un’attiva proliferazione di forme a carattere embrionale, e conferma il so- spetto che già avevano suggerito le ricerche ematologiche, che la mononucleosi del sangue sia conseguenza di una produzione cellulare dovuta a questi organi e sopratutto alla milza. Tra le forme linfoidocitiche e le mononucleate vi sarebbe un diretto rapporto genetico. Bar I risultati delle esperienze descritte si prestano a diverse considerazioni. Io esporrò dapprima qualche osservazione sulla reazione proliferativa che avviene negli organi emo- linfatici per opera dell'estratto di milza emolitica, poi prenderò in esame la questione della morfogenesi, per quanto vi portano contributo i risultati sperimentali. Dal complesso dei fatti osservati noi possiamo riassumere gli effetti dell’estratto di milza emolitica nell’animale in una breve e non intensa azione emolitica e in un intenso stimolo proliferativo sui tessuti emolinfatici (specialmente quelli di struttura linfoadenoide), che induce in questi una proliferazione di cellule d’apparenza indifferenziata dalle quali hanno origine gl. bianchi mononucleati di aspetto vario che si immettono in gran copia nel sangue circolante. Per studiare la natura di questo fenomeno interessa anzitutto ricor- dare che anche per la semplice azione del siero emolitico si osservano fatti analoghi, sebbene in minime proporzioni: ho infatti notato a suo tempo che nei conigli trattati con siero emolitico si aveva nel sangue, oltre i fatti dell’emolisi, un chiaro accenno all'aumento dei gl. bianchi mononucleati. L'intensità dell’emolisi determinata dall’immunsiero emolitico nel- l’animale, come sopra ho avvertito, non è in diretta proporzione con il potere emolitico del siero, ma piuttosto con la trasformazione che subisce la milza per la sua azione. E qui posso aggiungere che l’effetto dell’estratto splenoemolitico si dimostrò tanto più forte quanto più nella milza da cui esso proveniva la trasformazione era intensa. Ciò significa che le sostanze attive nell’uno e nell’altro caso sono veramente d’origine splenica: e ben si comprende che con le iniezioni di siero la reazione mononucleare sia molto minore che per le iniezioni d’estratto splenico: nell'ultimo caso infatti le sostanze splenoemolitiche esercitano la loro azione sopra tessuti intatti (milza, linfoglandole, midollo osseo) che rispondono vivamente allo stimolo, nel primo caso invece sostanze splenoemolitiche sono bensì immesse continua- mente in circolo dalla milza, ma non possono agire che sopra tessuti previamente alterati dal siero ed inoltre il loro campo d’azione resta assai più limitato, essendo il focolaio di maggior reazione proliferativa, la milza, profondamente alterata nella sua struttura e nella sua funzione. DO Do CARLO GAMNA -— RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. Non ci riesce del resto difficile, dopo quanto abbiamo veduto a proposito dell’emolisi da siero, credere che nella milza emolitica si formino sostanze con proprietà biologiche spe- ciali. Queste sostanze (citotossine) sarebbero frutto di un’attività patologica della milza risvegliata dallo stimolo tossico del siero: e questo è specialmente dimostrato dalla prova di confronto compiuta con estratti di milza normale: questi infatti, iniettati in animale normale, si mostrarono, nel senso degli effetti suddetti, inattivi. Delle citotossine elaborate dalla milza nell’emolisi da siero già ci è nota la proprietà emolitica (citoemolisine di Banti); dalle presenti ricerche risulta che oltrechè sostanze emolizzanti si originano in detta milza sostanze che esercitano uno stimolo proliferativo sopra determinati tessuti. Riguardo alla natura della reazione proliferativa che siamo andati studiando, noi tro- viamo interessanti analogie nelle ricerche degli autori che attesero a studiare sperimental- mente la trasformazione mieloide della milza. È noto che con moltissimi mezzi si cercò di ottenere questa trasformazione: con veleni (Bignami e Dionisi (30), Heinz (31), Domarus (32)); con batteri e tossine batteriche (Sternberg (33), Ludtke); producendo stasi venosa nella milza (Foà e Salvioli (34)); con l'introduzione di corpi estranei nel parenchima splenico (F.Babkin(35)); con salassi (Foà e Carbone (36), Blumenthal, Morawitz, Rehn (37)), soli od associati ad avve- lenamenti od infezioni (Dominici (38), Pappenheim, Kasarinoff (39), Itami (40)); con l’azione dei raggi Ròntgen (Ziegler K. (41), Gruber (42)); con iniezioni di citotossine (Flexner (43), Bunting (44), Foà (45), Wetzberg (46)). Fra tutte queste ricerche io non ricorderò che i risultati dell'ultimo gruppo di esperienze, i quali dimostrano con i nostri molti punti di contatto. Flexner con iniezioni di splenotossine e linfotossine preparate nei conigli ottenne nelle cavie una diffusa iperplasia di grossi elementi agranulosi linfoidi nei centri germinativi dei follicoli malpighiani e delle gh. linfatiche : con mielotossine reagiva più fortemente il midollo producendo granulociti, mentre era assai più scarsa la proliferazione degli elementi suddetti. Questi risultati furono confermati da Bunting, il quale ammise con Flexner la non specificità delle citotossine impiegate. Nel 1906 il Foà pubblicò numerose ricerche sull'azione dei sieri splenotossici e mielotossici : iniettando nei conigli mielo- e splenotossine preparate da cavie, cani ed anitre egli constatò nei centri germinativi e nella polpa splenica una vivace iper- plasia di grosse cellule mononucleari basofile, nel midollo iperplasia del tessuto mieloide e grossi nodi di linfociti piccoli. Sopratutto interessante per noi è la constatazione del Foà, che queste grandi cellule mononucleari basofile della milza, del midollo e delle gh. linfatiche sono in un certo modo distinte e indipendenti dai linfociti: “ probabilmente — egli scrive — l'origine e la biologia degli elementi grossi basofili linfocitarii sono indipendenti da quelle dei piccoli linfociti, i quali non presentano spesso variazione quando gli altri reagiscono vivamente ,. E altrove: “ A me pare che per gli elementi suddescritti -- grossi linfociti basofili — dei tre organi ematopoetici vi sia una grande affinità, seppure non sono fra loro identici, e spesso rispondono simultaneamente colla loro aumentata attività a un medesimo stimolo ,. Analoghi ai risultati di Flexner e di Foà sono quelli recenti di Wetzherg (46) ottenuti per mezzo di mielo- e splenotossine di cavia in conigli: per quest’'autore gli elementi pro- liferati nella polpa splenica e nelle gh. linfatiche sono tutti equivalenti, eguali morfologica- mente al mieloblasto e suscettibili di diversa differenziazione, fatto con cui verrebbe facil- mente spiegata la trasformazione mieloide della milza. Non trascurerò di mettere in rilievo che nelle esperienze di Wetzberg, nel cui lavoro sono registrati in tabelle i dati delle ricerche ematologiche, si può chiaramente notare negli animali sottoposti all’azione delle citotossine un leggero aumento delle forme mononucleate circolanti nel sangue. Ritornando al reperto che ci si presenta negli organi emolinfatici degli animali sotto» posti alle iniezioni di estratti splenoemolitici, noi possiamo domandarci in qual modo ha MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 28 origine nella polpa splenica la speciale proliferazione cellulare che abbiamo descritta. L’ori- gine si fa certamente in situ da elementi della polpa. Non è infatti qui il caso di discutere la questione che molti autori fanno per la metaplasia mieloide della milza, se cioè si abbia a che fare con un'origine autoctona o con un trasporto di elementi midollari nella milza. Non si tratta evidentemente di un trasporto, dato che la polpa splenica è, si può dire, il primo e principale focolaio di proliferazione. Nemmeno si potrebbe credere ad una proliferazione esclusiva degli elementi dei centri germinativi dei follicoli la quale oltrepas- sando i limiti del follicolo si diffonde nella polpa circostante: lo stimolo infatti pare eserci- tarsi ad un tempo sopra i centri germinativi e sul tessuto della polpa e coniemporanea è l’iperplasia. È più verosimile dunque che la proliferazione proceda da elementi insiti nella polpa. È noto che sul valore degli elementi della polpa splenica e sui rapporti di questa con la mielopoesi le opinioni degli autori sono molto discordi e sopra questi punti si aggi- rano tutte le discussioni che si agitano sulla metaplasia mieloide della milza. Le vedute sono divise essenzialmente dalla tendenza degli autori a seguire piuttosto le teorie dualistiche o le uniciste: i dualisti, sia che considerino gli elementi della polpa linfocitarì o piuttosto monocitari, rispettivamente mieloidi, negano una diretta metaplasia mieloide autocellulare da parte di questi elementi e preferiscono supporre una metaplasia indiretta sostitutiva, autoctona, perchè procedente da cellule delle pareti vasali (Négeli, Helly, Schridde); per Ziegler si tratta invece di una colonizzazione metastatica di elementi midollari. Gli unicisti (caposcuola il Pappenheim) considerano le cellule della polpa splenica (splenociti) di origine periteliale e di natura linfoide: questi elementi, che in rapporto alla citogenesi sarebbero forme in riposo, sarebbero capaci, per stimoli determinati, di formare follicoli passando per lo stato di linfoblasto, e, per stimoli di natura diversa, di trasformarsi in leucoblasti ed in granulociti: dagli splenociti inoltre potrebbero anche originare i monociti del sangue. To non voglio entrare in queste discussioni assai complesse e nelle quali non manca mai una parte dottrinale alquanto soggettiva: ciò che importa a noi di riconoscere (e ciò viene ammesso, se pure in modo diverso, dalla maggior parte delle teorie anche di contraria tendenza) è che gli elementi cellulari ematogeni che esistono nella polpa splenica accanto alle cellule della polpa vere e proprie (cellule fisse cioè a significato e funzione determinata (di fagocitosi, di secrezione, ecc.) e che non passano mai nel sangue), corrispondono morfo- logicamente a quel tipo cellulare apparentemente indifferenziato del quale già più volte abbiamo parlato, di aspetto (e di natura?) linfoide, con caratteri cioè che non permettendo di differenziarne il significato specifico, giustificano nello stesso modo le denominazioni assai varie di Znfoidocito (Pappenheim), di mieloblasto (Nàgeli), di emocitoblasto (Ferrata), di indif- ferente Lymphoidzelle (Michaelis), di unreife Zelle (Grawitz), ecc. Non è possibile, come vedremo in seguito, asserire se questi elementi siano o non siano equivalenti ai linfoblasti grandi cellule linfoidi dei centri germinativi), come tendono a credere gli unicisti: certa- mente con le sole qualità morfologiche le due forme cellulari non sono con sicurezza diffe- renziabili. Il SoBorra nella sua testè uscita Anatomie der Milz (Fischer, Jena, 1914) così scrive sopra questo punto: “le grandi cellule mononucleate della polpa splenica concordano in tutta la loro costituzione con le cellule del centro germinativo dei follicoli splenici e con quelle dei follicoli corticali delle linfoglandole. Esse devono esser designate come grandi lin- fociti o cellule bianche del sangue agranulose (cosid. grandi mononucleari) ,. Per quanto riguarda il coniglio, recenti ricerche di Paremusoff (47) sulle cellule della polpa splenica normale di cavia e di coniglio dimostrano nella polpa stessa elementi dello stesso tipo, cioè linfoidociti, nel senso di Pappenheim. Sulla morfogenesi dei globuli bianchi mononucleati. — È noto che quelle forme mononu- cleate circolanti in scarso numero nel sangue normale e conosciute coi nomi di grande mo- 24 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. nonucleare e di forma di passaggio (Ehrlich) sono dagli autori diversamente considerate riguardo all'origine ed al significato: credute da alcuni, come Grawitz, forme intermedie tra linfo- e leucociti, sono ascritte da Ziegler, Ehrlich e Nigeli (pel quale i granuli che si colo- rano col Giemsa in queste forme non sono azzurrofili) al gruppo mieloide, mentre per Turk, Pappenheim, Banti, Rieux (48) ed altri, formerebbero una specie cellulare distinta. Riguardo alla morfogenesi però si può dire che l’interpretazione degli autori viene in sostanza ad avvicinarsi assai, perchè per le loro stesse qualità morfologiche esse vengono da tutti neces- sariamente ricondotte ad una forma cellulare la quale non possiede ancora segni apparenti sicuri di differenziazione specifica: questa cellula è per Schridde e Nzigeli (che le riconoscono già un carattere mieloide) il mieloblasto, per Pappenheim il linfoidocito, per Ferrata l’emo- citoblasto, per non ricordare che le più note denominazioni. Una questione analoga si dibatte per la genesi di quelle altre forme cellulari che s’os- servano nel sangue in condizioni patologiche, le cellule di Rieder: mentre Nîògeli li consi- dera linfociti patologici, per Pappenheim e Ferrata sono elementi risultanti di un’evoluzione atipica della cellula primordiale. La questione è fondamentalmente analoga alla precedente, perchè, se si eccettua il polimorfismo nucleare, si può dire che gli elementi strutturali proprii di queste cellule sono gli stessi delle specie cellulari suddette e ci si trova costretti, riguardo alla morfogenesi, alle medesime considerazioni. Per valerci in questi quesiti dei risultati sperimentali sopra esposti, io ricorderò che nella descrizione dei reperti ematologici ho fatto osservare che tra le forme mononucleate presenti nel sangue alcune avevano caratteri tali da poterle agevolmente ascrivere a deter- minate specie cellulari, quali i comuni grandi mononucleari, le forme di passaggio, le cellule di Rieder: soggiunsi però che per il grande polimorfismo del nucleo non era facile stabilire i limiti di queste specie, trovandosi fra il tipico mononucleare e le cellule di Rieder dal nucleo più bizzarramente foggiato tutti i più vari termini intermedi. Ho perciò dovuto con- siderare insieme tutte queste varie forme di gl. bianchi indicandole col nome generico di globuli bianchi mononucleati. Le ricerche ematologiche ed istologiche mi hanno poi condotto ad ammettere per essi un modo di origine comune ed uniforme: questa origine si farebbe nel parenchima degli organi emolinfatici (nella milza sopratutto), cioè là dove si ha un’iper- produzione di elementi in apparenza indifferenziati e corrispondenti per caratteri morfologici a quelle forme primordiali di aspetto linfoide, variamente designati e interpretati dagli autori (mieloblasto, linfoidocito, ecc). Il rapporto genetico tra questi elementi e le forme mononu- cleate del sangue sarebbe provato dai fatti seguenti: a) l’esistenza di numerose forme inter- medie tra le forme linfoidocitiche e le mononucleate (strisci della milza e del sangue); b) l'affinità di struttura nucleare delle due specie di elementi; c) la presenza di nucleoli in una parte delle forme mononucleate; d) la coincidenza dell’iperplasia linfoidocitica della milza con la mononucleosi del sangue; e) la presenza di forme mononucleate identiche a quelle del sangue tra le forme linfoidocitiche della polpa splenica e come cellule fisse di questa; f) l’esistenza nel sangue della v. splenica di un numero di mononucleati molto su- periore a quello del sangue periferico; g) la minor produzione dei mononucleati quando è soppresso il focolaio maggiore di produzione linfoidocitica, la milza. A questo proposito ricorderò che anche Furno nelle sue esperienze con siero emolitico accenna al fatto che le cellule di Rieder si producono più scarsamente negli animali smil- zati, per la qual cosa egli suppone l’origine splenica di tali elementi. Resta dunque in base a tutti questi argomenti fondato il concetto che i gl. bianchi mononucleati siano prodotti di una differenziazione particolare di elementi a carattere indif- ferente contenuti e per speciali stimoli attivamente moltiplicantisi nel parenchima degli organi emolinfatici. Con questo non si vuol riunire i tipici grandi mononucleari e le forme di passaggio alle. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXY, N. 6. 25 cellule di Rieder per ammetterne un comune significato clinico, cosa che contrasterebbe col concetto generalmente ammesso che i primi elementi sieno componenti normali del sangue e le cellule di Rieder elementi patologici. Nulla vieta di credere che il normale processo evolutivo che dà luogo alla produzione dei grandi mononucleari e delle forme di passaggio possa in circostanze patologiche venir alterato e perciò la produzione cellulare effettuarsi in un modo più o meno atipico: tali condizioni potrebbero verificarsi, come i fatti suesposti tendono a dimostrare, allorchè uno stimolo speciale risvegli negli organi una tumultuosa o almeno iperattiva neoformazione di elementi linfoidocitici, cioè a carattere primordiale. Questo intanto è certo, che il processo trova riscontro in alcuni fatti della patologia del sangue. Ho constatato nel reperto ematologico degli animali sottoposti al trattamento con estratti splenoemolitici la presenza di un numero notevole di cellule di Tiirk: è interessante notare come anche per questi elementi potrebbero valere le considerazioni ora esposte sulla genesi dei mononucleati, poichè si tende ora a credere le forme di Tiirk aspetti patologici di una forma cellulare di carattere primordiale (Nigeli, Schidde, Ferrata, Juspa e Rinaldi). Le os- servazioni compiute sul mio materiale sperimentale, specialmente sugli strisci di milza, mi inducono ad accettare questa interpretazione. Le vedute ora esposte pare non ci dispensino ancora dal discutere l'ipotesi della natura linfocitaria dei mononucleati, sostenuta, com'è noto, da molti autori sia per i grandi mononu- cleari e le f. di passaggio (Weidenreich, Benda, Helly, Hirschfeld, Maximow, Benjamin, ecc.) sia per le cellule di Rieder (Nàgeli): ma poichè per gli stessi caratteri morfologici, come abbiam visto, ed anche per la genesi, è forza ricondurre questi elementi ad una forma cel- lulare nella quale non v'hanno ancora segni visibili di una differenziazione specifica, il pro- blema si riduce in ultima analisi alla verata quaestio della differenza tra mieloblasto e linfoblasto, differenza che avrà con ogni probabilità un fondamento biologico, ma che morfo- logicamente non ha ancora avuto una dimostrazione sicura. Sono invero falliti tutti i criterii che si erano creduti differenziali tra i due elementi: così per i granuli di Altmann-Schridde che si dimostrarono tanto nei linfo- che nei mieloblasti (Butterfield, Heinecke e Meyer (49), St. Klein (50)); così per la reazione delle ossidasi che le ricerche di Sapegno (51), da altri confermate (v. Jagic, Dunn), misero in evidenza anche negli elementi linfatici; altrettanto si dica della presenza di fermenti proteolitici (Opie), dei movimenti ameboidi (Schridde (52)); nè sono abbastanza chiari e costantii particolari di struttura che i dualisti affermano differenziare l’uno dall'altro elemento. Un fatto però potrebbe nel nostro caso farci propendere per la natura linfoide dei gl. bianchi mononucleati in genere ed è che la produzione di questa specie cellulare avviene in seno al tessuto linfoadenoide (milza e gh. linfatiche) molto più vivamente che nel midollo osseo, ove notoriamente prevale la ge- nerazione mieloide. Nè il fatto da taluni addotto contro l’origine splenica dei mononucleati, che questi ele- menti aumentano di numero dopo la splenectomia, costituisce una vera obbiezione: l'aumento può bensì avvenire, e fu osservato sia negli animali che nell’uomo (Griiber (53), Paulicek (54)), ma si può, dopo quanto sopra abbiam detto, attribuire ad una soprattività vicariante delle ghiandole linfatiche. Con tutto ciò non vorrei considerare i mononucleati veri e proprii elementi linfocitarii, ma piuttosto, accettando in parte l’idea di coloro che fanno di queste forme una specie cel- lulare distinta, vorrei, sulla base delle mie osservazioni, considerarli elementi che originano da cellule di natura linfoide e che seguono nello sviluppo una direzione propria, la quale pur avendo caratteri comuni alle altre serie cellulari, è diversa sia dalla linfatica, sia dalla mieloide. Cause diverse potrebbero favorire questo particolare modo di proliferazione nel tessuto linfoadenoide e sarebbero speciali stimoli di natura tossica (od infettiva). La pecu- Fj 26 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. liarità della proliferazione dipenderebbe dalla natura dello stimolo? Sopra questo punto è assai difficile pronunziarsi, ma non si può a meno di pensare a quanto si osserva nelle leu- cemie vere e proprie, nelle quali in rapporto a stimoli tossici (o tossinfettivi) di natura a noi ancora ignota ma certamente diversi fra loro, predomina la proliferazione di una o di un’altra specie cellulare, in modo da dar luogo ai più vari tipi morfologici di leucemia (lin- fatica, midollare, mieloblastica, mista, ed anche mononucleare). È qui a proposito ricordare la concezione di Pappenheim sulla natura e sull’origine dei monociti (= leucociti mononucleari), secondo la quale questa specie cellulare vien conside- rata come prodotto di una differenziazione particolare di un elemento primordiale. Senza esporre la sua teoria assai complessa, accennerò che quest’autore, ammettendo nel suo con- cetto unitario che la cellula primitiva (linfoidocito) ubiquitaria e polivalente possa produrre tessuti delle tre specie, linfa denoide, splenoide e mieloide, crede che in ciascuno di questi processi di differenziazione possa avere origine una forma monocitica (Momnocytenaltersformen) diversa e rispettivamente una macrolinfocitica che corrisponde al grado mononucleare di Ehrlich, una splenocitica uguale alla forma di passaggio, una leucoblastica che compare nel sangue nelle irritazioni midollari. Riguardo alla genesi dei mononucleati del sangue sarebbe infine da prendere in consi- derazione la teoria di Patella, secondo il quale i mononucleati sono endotelii dell’intima vasale distaccati e immessi nel circolo sanguigno: sopra questa teoria alla quale furon mosse molte e valide obbiezioni (v. Ferrata (55)) io non mi fermo, avendo già fatto osservare a proposito del sangue della vena splenica che per quanto risulta dalle mie osservazioni, i caratteri morfologici differenziano nettamente gli elementi endoteliali dei mononucleati. Voglio piuttosto ancora far menzione della proprietà fagocitica dei mononucleati: della quale già nota e studiata, e che si esplica verso batterii, pigmento ed anche verso elementi cellulari (Nîgeli), io trovai molti esempi nelle mie osservazioni: nel protoplasma di taluni mononu- cleati circolanti infatti erano visibili frammenti cellulari ed anche un intero gl. rosso. Deserivendo i mononucleati del circolo ho pure accennato alla presenza di formazioni endoplasmatiche che ricordano quelle trovate nei grandi mononucleari delle cavie da Kurloff e da Cesaris-Demel (56). È noto che dopo di loro altri osservatori hanno dimostrato (con la colorazione vitale con Cresyl-blau) formazioni analoghe se non identiche in mammiferi di specie diversa, compreso il coniglio (Ferrata (57)). Io non potrei asserire che le formazioni da me notate con la doppia colorazione May-Giemsa siano equivalenti alle suddette: se sono tali, è interessante rilevare che esse si posson trovare nelle diverse forme dei mononucleati, sia cioè in quelli a nucleo tondeggiante del tipo del grande mononucleare di Ehrlich (tav. I, serie c, fig. 4), sia in quelli a nucleo polimorfo (idem, fig. 3). Nè voglio passare sotto silenzio un reperto analogo di Jochmann e Blihdorn (58), in un caso di leucemia acuta mielobla- stica: il reperto ottenuto colorando con Giemsa è molto simile ai miei (come le: rispettive figure dimostrano) trattandosi di elementi mononucleati a plasma basofilo contenente granuli azzurrofili disseminati e formazioni vacuolari ripiene di granuli azzurrofili: un'osservazione dello stesso genere, pure nella leucemia acuta avevan già fatto Pappenheim ed Hirschfeld (59). * ** Per quanto non sia il caso di applicare alla patologia umana le osservazioni sperimen- tali quali risultano dagli animali, io non posso a meno di metter in rilievo alcuni concetti generali che si ricavano dalle suesposte ricerche e che trovano nella patologia umana inte- ressanti analogie. Anche per questa intanto vale il concetto della relativa indipendenza dei mononucleati: a parte i caratteri morfologici per cui essi si differenziano dagli altri ele- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 27 menti bianchi del sangue, e specialmente dai midollari, troviamo nella patologia del sangue un certo numero di fatti che ci inducono a riconoscere a questa specie cellulare un compor- tamento suo proprio nel campo delle reazioni patologiche degli organi emolinfatici. Il fatto su cui insiste il Nàgeli che il loro aumento nel sangue si accompagna piuttosto a leucocitosi che a linfocitosi, mentre non prova la loro natura mieloide, non dimostra che mononucleosi e leucocitosi abbiano un significato comune. D'altra parte in alcune affezioni, si può trovare un aumento delle forme di passaggio associate a linfocitosi: così nella sifilide (Nigeli ed altri autori da lui citati (60)), nel tifo, nella tubercolosi. Questo fatto è importante, perchè si tratta di affezioni che non tendono per natura alla leucocitosi e che interessano diretta- mente, localmente in modo acuto o subacuto il tessuto linfoadenoide col quale, noi abbiamo visto, i mononucleati hanno uno stretto rapporto. Analogamente si può dire delle forme di Rieder che sono esse pure in aumento nelle linfadenosi acute e croniche, fatto su cui il Nîigeli appoggia la sua interpretazione di linfociti patologici. Del resto non sono rare in clinica anche le mononucleosi assolute senza essenziali alterazioni dei valori relativi dei leuco- e dei linfociti, come fu da alcuni autori dimostrato (Frumkin (61), Schilling (62)). — To non mi fermerò per ora a commentare questi fatti, riservandomi, con l’aiuto di materiale che sto raccogliendo, a riparlarne in un’altra occasione. Passando dal campo delle semplici reazioni leucocitarie a quello delle leucemie, pos- siamo constatare come anche nella vivace proliferazione di elementi bianchi che contrassegna queste malattie la produzione mononucleare possa avere un particolare sviluppo e persino l’assoluto predominio, tanto da costituire un tipo morfologico particolare di leucemia. Il miglior esempio ci è fornito da un tipico caso di Reschad e Schilling (63) di leucemia mo- nonucleare: esso è per noi specialmente interessante non solo nel reperto ematologico, ma pure nel reperto istologico degli organi emopoetici, perchè vi si constata una certa analogia coi reperti sperimentali che sopra ho descritto: per questo lo riassumo brevemente: Uomo di 33 anni, nessun precedente anamnestico importante: la malattia iniziò con febbre ed emorragie diffuse sottocutanee e mucose ed ebbe un decorso simile ad una leucemia acuta. L'esame del sangue dimostrava una grande quantità, anzi una prevalenza dei globuli bianchi mononucleati a nucleo rotondo o polimorfo: il loro numero variava dal 70 al 749 dei gl. bianchi; vi si avvertiva inoltre, nelle formole leucocitarie, facendo astrazione dai mononucleati, una modica linfocitosi, anaeosinofilia, deviazione verso sinistra (di tipo rige- nerativo) della formola di Arneth. — All’autopsia la milza ingrossata presentava follicoli atrofici, polpa iperplasica ripiena di grossi focolai plasmacellulari e di una straordinaria quantità di grossi elementi mononucleati: rari mielociti: il midollo era ricco di tessuto mie- loide con scarsa eritropoesi. Parziale trasformazione mieloide delle ghiandole linfatiche: infiltrazioni cutanee perivascolari composte delle grandi cellule mononucleari in parte con nucleo polimorfo. Gli AA. diedero a questo caso il nome di “ Splenocytenleukimie ,, adottando la deno- minazione di splenociti data da Tirk ai mononucleati. Oltre a questo caso, sono degne di menzione alcune osservazioni che figurano in una serie di casi atipici di leucemia pubblicati da Panton e Tidy (64). Sono i casi 5°-6°-7°-8°: in essi tra i gl. bianchi circolanti predominavano i mononucleati di forma varia, da un tipo simile al gr. mononucleare del sangue normale ad una forma con nucleo spiccatamente poli- morfo. È importante notare che si trovavano anche forme mieloblastiche. Gli autori credono probabile l'origine di questi mononucleati dai mieloblasti per un processo di differenziazione sui generis che trasforma l'elemento morfologicamente e funzionalmente: in uno dei casi la trasformazione funzionale era messa in evidenza da una manifesta attività fagocitica da parte delle forme mononucleate. Accanto a questi casi ne ricorderò un altro assai interessante descritto da Hertz e 28 CARLO GAMNA — RICERCHE SPERIMENTALI SULLA FUNZIONE EMOLITICA, ECC. Kino (65) e che per la peculiarità del reperto ematologico fu da questi autori qualificato come una “leucemia a cellule di Rieder ,. Si tratta di un uomo di 39 anni ammalatosi con alta febbre e diatesi emorragica; il reperto del sangue dimostrava 2.500.000 globuli rossi, 27% Hgb, 80.000 gl. bianchi. Tra i gl. bianchi predominavano (90 °/o) elementi eguali alle cellule di Rieder con nucleo polimorfo, munito talora di uno o più nucleoli; v'era inoltre uno scarso numero di linfociti piccoli e di neutrofili e rarissimi mielo- e promielociti. La malattia ebbe decorso acuto. L'esame istologico degli organi dimostrò nella polpa sple- nica un’intensa proliferazione di cellule mononucleari o granulose eguali alle cellule di Rieder, con atrofia dei follicoli: delle linfoglandole una parte mostrava follicoli ben conservati, in altri la struttura caratteristica era scomparsa per la viva proliferazione di cellule uguali a quelle della milza. Una simile alterazione presentava il mid. osseo. Io non m’indugierò a commentare questi casi ed altri analoghi, nè a discutere un punto che mi pare assai interessante, se cioè si debba ad essi attribuire il valore di leucemie vere e proprie: voglio soltanto notare come questi processi ricevano dalle ricerche sperimentali una certa illustrazione, perchè sono loro applicabili alcuni dei concetti morfogenetici e pato- genetici che dette ricerche ci hanno insegnato. Come abbiamo osservato per i reperti sperimentali, non ci è naturalmente dato sapere quali condizioni determinino in tutti questi casi la proliferazione mononucleare piuttosto che la vera e propria linfatica o la mieloide: si tratta della natura dello stimolo o piuttosto della predisposizione del soggetto colpito? Forse l’uno e l’altro fattore sono egualmente importanti: l'importanza del secondo ci è dimostrata da alcuni fatti clinici, come il rapporto che esiste tra la presenza di cellule di Rieder in circolo e particolari condizioni del tessuto linfoadenoide. Ricorderò dapprima a questo proposito l’interessante osservazione di Anau (66), che nel corso delle più varie infezioni acute e croniche le cellule di Rieder compaiono in circolo assai più facilmente nei bambini che negli adulti e tanto più facilmente quanto più il soggetto è giovane; il qual fatto accenna ad una certa relazione tra la loro produzione e l'abbondanza e la capacità proliferativa del tessuto linfoadenoide. All’importanza di una alterazione di questo tessuto accenna inoltre il reperto di cellule di Rieder anche in numero considerevole in casi di stato timolinfatico (Juspa e Rinaldi ed altri). Nello stesso senso infine parla un certo numero di osservazioni cliniche le quali mettono in evidenza il particolare modo di reagire degli organi emolinfatici a stimoli comuni (infezioni) quando esista una profonda alterazione costituzionale del tessuto linfadenoide, come nello stato timo- linfatico (v. osservazioni di Turk, di Reimann (67), di Pribram e Stein (68), ecc.). CONCLUSIONI Per raccogliere in breve spazio quanto risulta dalle presenti ricerche, io posso così riassumerne i principali risultati: 1° Sotto l'influenza del siero emolitico la milza del coniglio subisce una speciale tras- formazione strutturale e funzionale per cui si fa sede, insieme ad altri organi, di una vivis- sima attività emolitica: la intensità dell’emolisi non è proporzionale alla potenza del siero iniettato, ma piuttosto al grado di questa trasformazione. i 2° Un prolungato trattamento con dosi piccole di sieri emolitici produce nell’animale una sclerosi diffusa della polpa splenica. 3° Sotto l’influenza del siero emolitico si osserva nel coniglio un leggero aumento dei gl. bianchi mononucleati (*). (*) Intendendo col nome gl. bianchi mononucleati una particolare classe di forme leucocitiche, secondo la spiegazione esposta nel testo (v. pag. 14). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. DXV, N. 6. 29 4° Gli estratti di milza emolitica di coniglio in iniezione endovenosa nel coniglio normale producono un'azione emolitica assai moderata: un trattamento prolungato con tali estratti è capace di destare nel sangue una particolare forma di leucocitosi caratterizzata da un notevole aumento dei globuli bianchi mononucleati e dalla presenza di leucociti a granuli misti oxifili e basofili. 5° La produzione dei mononucleati è in dipendenza di una speciale proliferazione che avviene negli organi linfoadenoidi e particolarmente nella milza, nei quali ha luogo, per lo stimolo esercitato dagli estratti suddetti, un’iperplasia di cellule a carattere embrionale. Anche in patologia umana alcuni fatti inducono a credere che la produzione dei mono- nucleati segue un comportamento suo proprio fino ad un certo punto indipendente dalle altre specie di globuli bianchi, e legato a particolari condizioni e stimoli del tessuto linfo- adenoide. LAVORI CITATI 1. 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Fig. 1, leucociti polinueleari (pseudoeosinofilo e basofile) normali. 2-3, metamielociti a granulazioni miste oxifile e basofile. s 4-5-6, leucociti a granulazioni miste. » »/-8-9, cellule endoteliali nel sangue della vena splenica. » Tavora III. — Fig. 1*. Da una sezione di milza di coniglio trattato con ripetute iniezioni di estratti di milza emolitica (Coniglio XVII, Serie B). — Coloraz. ematossilina-eosina. — Obbiett. 8* Koristka, Ocul. 3. ” - Fis. 2-3, idem. — Coloraz. Schridde-Giemsa. — Obbiett. a immers. omog. IF Koristka, Ocul. compens. 4. Met SA3 i Memorie d.R. Accad. d. Scienze di Torino € GAMNA - Funzione della milza (1. sc Fisiche e mat. Ser IL vol 65 Tavora I lavora II. ky? TavoLa III. Dr. €. Gamna dis. ; Lit Iacchinared e Ferrari-Favia Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 7. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. GROMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO MEMORIA DI PIETRO ZUFFARDI (CON DUE TAVOLE) Approvata nell'adunanza del 13 Dicembre 1914 INTRODUZIONE. Limiti della Collina di Torino e significato del nome. Variamente discussa è l'attribuzione o meno all’Appennino, delle Colline di Acqui, Alba e Bra, note genericamente col nome di Langhe, e di quelle che da Torino si dirigono a Casale e Valenza. Si può anzi affermare che chiunque si occupò della linea di divisione tra Alpi e Appennini toccò anche l’accennata quistione. Tra i moltissimi studiosi ricordo principalmente il Fischer (1) che attribuisce le Langhe all’Appennino, poichè le loro masse formano un complesso unico, mentre ne tiene separate le Colline Torino-Casale, ascrivendole alla pianura per considerazioni agricole e poleografiche. Il Reclus (2) considera queste ultime colline, insieme ad altri rilievi isolati nella Valle Padana, come accidenti della pianura, separandoli tanto dalle Alpi che dagli Appennini, e dello stesso avviso si mostrò anche il De Stefani (3). Per tacere di quelli che considerano questo assieme di Colline come propaggine delle Alpi marittime, dirò che in generale, per molteplici considerazioni, quasi tutti lo aserivono all’Appennino. Di tale parere, oltre l’Omboni (4), Stoppani (5), Issel (6), Sacco (7), Prever (8), (1) Fiscner, La Penisola Italiana, pag. 137, Torino, 1902. (2) Reccus E., La Terre, vol. I: L’Europe méridionale, pag. 317, Paris, 1883. (3) De Srerani C., Sulla divisione fra Alpi e Appennini, “ Riv. CI. A. I. ,, vol. XI, n. 11, pag. 380, 1892. (4) Oxsoni G., Le nostre Alpi e la pianura del Po, pag. 70, anno 1879. (5) Stoppani A., L'Era neozoica in Italia, Estr. da “ La geologia d’Italia, di A. Stoppani e G. Negri, vol. I, pag. 8, Milano, 1878. (6) Isser A., I concetto della direzione nelle montagne, Estr. “ Riv. Geogr. It. ,, anno IX, fase. III, pag. 16, Firenze, 1902. (7) Sacco F., IZ bacino terziario e quaternario del Piemonte, Torino, 1889-1890. (8) Prever P. L., Apercu géolog. sur la Colline de Turin, È Mém. Soc. géol. d. France ,, ser. 4, vol. I, pag. 37, Paris, 1907, 2 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOFIA DELLA COLLINA DI TORINO si mostrò principalmente il Marinelli (1), il quale anzi adottò una linea divisoria tra Alpi e Appennini criticata da alcuni per la troppa artificiosità, pur di comprendere nell’Appen- nino le Colline Torino-Casale. Comunque, è certo che il complesso collinoso Torino-Casale e Langhe, cui Marinelli pro- porrebbe di chiamare complessivamente Preappenzino, o semplicemente Appennino Piemontese, può scindersi in due parti assai bene distinte. Esso infatti anche orograficamente appare come costituito da due masse montuose subparallele: l’una addossata all’Appennino, le Langhe; l’altra isolata e libera, Colli Torino-Casale, tra loro separate dalla depressione Astigiana. Tale netta divisione morfologica corrisponde anche a una differenza strutturale, trattandosi di due distinte individualità genetiche. Infatti le Colline Torino-Casale costituiscono una vera e propria catena, per quanto piccola, di corrugamento; vale a dire una unità tectonica for- mata complessivamente da una anticlinale, separata dalle Langhe per la sinclinale Asti- giana, e dalle Alpi per la grande sinclinale Padana. Geograficamente le due zone montuose accennate sono divise per l'importante corrente del Tanaro, che scorre appunto attualmente nella depressione Astigiana, e differiscono poi anche per altimetria. Poichè mentre nelle Colline Torino-Casale si ha un solo punto superiore ai 700 m. (Bric della Maddalena 716 m.), nelle Langhe invece sono frequenti le altitudini superiori a questa quota ; il Monbarcaro anzi tocca gli 898 m. Una media istituita dal Marinelli (2) dà per le prime un valore di 350 m., e per le Langhe di circa 630 m. Lasciamo dunque da parte la zona montuosa meridionale cui sarebbe utile indicare con- cordemente col nome di Langhe, nome che ha assunto significato cronologico in geologia come piano del Miocene e che ha anche un valore storico, come osserva giustamente il Ma- rinelli, ed è conservato ancora in molti punti nella toponomastica della regione. Ci interessa invece più da vicino la zona montuosa settentrionale cui indicheremo definitivamente col nome di Colline Torino-Casale-Monferrato. i Il Marinelli chiamando questa ultima zona col nome di Colline del Monferrato, crede di potervi distinguere due sezioni: l’una occidentale o di Torino, l’altra orientale o del Mon- ferrato proprio. Il limite divisorio sarebbe “la vallata della Versa (affluente del Tanaro), percorsa dalla ferrovia e da una strada carrozzabile che unisce Asti a Casale , (3). Certa- mente tutta la massa collinosa Torino-Casale si può dividere in due parti almeno, assai bene distinte per caratteri propri; però a me pare che il loro limite di divisione non corrisponda affatto al decorso del torrente Versa. Si vuole, e con ragione, che il limite fra diverse re- gioni o zone debba corrispondere specialmente a differenze geografiche (orografia, idrografia, ipsometria, ecc.), come quelle che direttamente si rilevano con maggiore facilità dalla mor- fologia esterna. E l'ideale sarebbe che queste stesse differenze collimassero con differenze strutturali o tectoniche, più difficilmente rilevabili ma geneticamente egualmente e più im- «portanti delle precedenti. Ma il T. Versa non è limite nè orografico nè tectonico, perchè differenze di tal genere non si avvertono nella regione da esso percorsa. Esso può tutt'al più soddisfare chi fosse preoccupato di dividere tutta la massa collinosa in due parti presso a poco eguali, in guisa da non dare troppo a Casale togliendolo a Torino. Mi sembra migliore la suddivisione adottata dal prof. Negri, il quale, dal punto di vista botanico, separa la Collina di Torino propriamente detta dai restanti colli del Casalese se- condo “ una linea ideale che congiunga le estremità occidentali dei due affioramenti Liguriani di Lavriano e di Marmorito , (4). (1) Marinerni G., La Terra, vol. IV, part. 1°, pag. 159. (2) MarineLti G., op. cit., pag. 165-166. (3) MarineLti G., op. cit., pag. 165. (4) Neri G., La Vegetazione della Collina di Torino, “ Mem. della R. Acc. Sc. di Torino ,, serie IL, vol. LV, pag. 114, Torino, 1905. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. ld 3: Esiste però una linea di demarcazione naturale la quale può servire molto bene a divi- dere in due parti i Colli Torino-Casale. Tale linea, che io non esito ad adottare e a proporre, è segnata da Nord a Sud: dal T. Leona, il quale scende al Po nel versante settentrionale, e dal T. Traversola che scende al Tanaro nel versante meridionale. Questo limite, oltre a presentare il vantaggio di essere continuo e ben marcato dai due bacini suddetti, contigui e allineati sulla stessa traccia, separa due regioni molto diverse per tectonica e morfologia, come avremo agio di constatare nello studio delle direttrici orografiche. Per ora mi limito ad affermare che le due regioni differiscono: 1° per la massa, poichè la parte occidentale è distinta dalla pianura sotto forma di una dorsale diretta SW-NE, mentre la parte orien- tale con direzione W-E si allarga molto maggiormente da Nord a Sud aggregandosi le colline di Asti; 2° per altimetria, poichè la media delle altitudini è assai più alta in quella che in questa; 3° per lo spartiacque regolare e unico nella prima, complesso e meno regolare nella seconda. Inoltre nel versante meridionale tutti i corsi d’acqua a occidente del limite proposto vanno al Po, quelli a oriente al Tanaro; 4° per la natura delle correnti superficiali, poichè nella regione occidentale le valli sono quasi esclusivamente erosive e normali allo sparti- acque principale, mentre nell'altra regione hanno origine assai più complessa e sono perciò di tipo misto; 5° per la tectonica stessa, poichè alla anticlinale assiale unica della prima, si contrappongono anticlinali multiple con direzioni varie nella seconda; 6° in fine anche per poleografia e toponomastica, poichè il limite divisorio proposto è in gran parte confine di provincia. j Esso complessivamente poi corrisponderebbe precisamente alla saetta dell’arco collinoso sotteso dalla depressione astigiana. Ritenendo perciò suddivisa in due parti la regione montuosa sviluppata da Torino a Casale, chiamerò Collina di Torino la porzione occidentale, e Colline di Casale quella orien- tale. Tali denominazioni oltre a rispondere al preciso significato topografico della regione cui vengono applicate, ne ricordano già compendiosamente i caratteri morfologici, poichè la prima indica subito l’individualità spiccata della breve catena che si aderge a sud di Torino, mentre la seconda ci mette avanti la molteplicità delle direttrici orografiche nella più com- plessa regione di Casale. Serberei per tutto l’assieme collinoso il nome di Colline Torino-Casale, poichè, oltre ad essere già in uso e adoperato, tra gli altri, dal Marinelli e dal Fischer, è preferibile a tutti quelli finora più o meno con fortuna adottati, perchè indica chiaramente la speciale regione che si vuol considerare col nome dei due maggiori e più noti centri abitati. Il nome di Collina di Torino applicato in geologia a tutte le colline Torino-Casale è certamente comodo e appropriato per indicare l’effetto completo di un fenomeno geologico unico, ma ha il torto di essere frainteso potendosi limitarlo alla sola parte occidentale. Altrettanto dicasi per il nome di Colline del Monferrato, adoperato, con eguale significato, dal Marinelli. In questo ultimo caso anzi si ha il notevole inconveniente di dovere speci- ficare se si tratti o meno del basso Monferrato o Monferrato settentrionale (Reclus); altri- menti si corre il rischio di comprendere nel nome generico anche le Langhe, le quali anti- camente costituivano l’alto Monferrato (1). Lo scopo del presente studio è precisamente lo studio geomorfologico della sezione occidentale delle Colline Torino-Casale, ossia della Collina di Torino. La Collina di Torino infatti, mentre è molto conosciuta dal punto di vista geologico per le numerose ricerche di cui fu oggetto, manca invece ancora di uno studio che, avendo per (1) Il Roverero (Geomorf. Valli Lig.) nella Carta Tettonica dei Monti Liguri applica il nome di Monfer- rato a tutte le Colline dell’Astigiano e di Acqui. 4 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO base i risultati geologici, con i mezzi offerti .dall’esame delle forme esterne, cerchi di spie- garne la configurazione orografica nel suo complesso e ne’ suoi dettagli, contribuendo così alla soluzione dei problemi proposti dalle conclusioni geologiche stesse. Nell’assumere tale compito non mi sono nascosto le molteplici difficoltà che avrei dovuto incontrare. Poichè la Collina di Torino per la sua ubicazione stessa dovette subire più o meno la ripercussione dei fenomeni che interessarono le Alpi e gli Appennini circostanti, le cui conseguenze sovrapponendosi in varia guisa dovettero indurre modificazioni delle quali è difficile ora discernere la singola portata. Tuttavia, tenendo presenti per ogni fatto della Collina i rapporti che eventualmente potesse avere appunto con le regioni limitrofe, mi lu- singo di essere stato nella disamina il più possibilmente oggettivo. Nell’ intento, oltre gli scambi di idee col prof. Parona, al quale mi è grato tributare ringraziamenti vivissimi, e oltre le opere che verrò a mano a mano citando, m'hanno giovato specialmente i trattati di geo- grafia fisica del De Marchi e del De Martonne (1), lo studio sulla geomorfologia delle Valli Liguri del Rovereto (2) e quello sull’Idrografia dei Colli Euganei del De Marchi stesso (3). Per i nomi delle diverse località mi riferisco nel complesso ai Fogli 56-57-58-68-69 della Carta d’Italia 1:100000 dell'Istituto Geografico Militare, e per la particolare regione della Collina di Torino alle Tavolette 1:25000 della stessa carta: F. 56, I SE (Chivasso), II NE (Casalborgone), NW (Gassino), SE (Buttigliera), SW (Chieri), III SE (Torino); F. 68, I NE (Poirino), NW (Cambiano), IV NE (Vinovo). Mi piace anche ricordare, per quanto interessi la Collina solo in parte, la bella Carta Topografica 1:50000 dei Dintorni di Torino edita dall'Istituto Geografico De Agostini, che riproduce molto bene la plastica della regione. PARTE I Direttrici orografiche. Il Prof. Issel (4) ha scritto che il concetto di orientamento o direzione di un sistema montuoso è subordinato a diverse considerazioni. Nel caso più semplice di una montagna singola o di una catena semplice, come appunto nel caso nostro, esso dipende dalla massa (perimetro), dalla linea dorsale (di fastigio o altimetrica), dalla linea di displuvio (idrote- mica) e dalle pieghe stratigrafiche (tectonica). Nella Collina di Torino esamineremo perciò dapprima l'andamento di queste direttrici, raggruppandole secondo la loro più evidente affinità, onde trarne gli elementi fondamentali per la spiegazione della morfologia di questa regione. 1. — Direttrici perimetrica e tectonica. La Collina di Torino fa parte della massa complessiva montuosa che decorre isolata sulla destra del Po, da Moncalieri a Valenza. Il Po adunque ne segna il perimetro setten- trionale. A mezzogiorno invece si avvalla la depressione Astigiana, la quale assume forma (1) De Marcni L., Trattato di Geografia Fisica, Milano (Vallardi); De Marronne Emm., Traité de Glographie ‘Physigue (seconda edizione), Paris, 1913. (2) Rovereto G., Geomorfologia delle Valli Liguri, “ Atti della R. Università di Genova ,, vol. XVIII, Genova, 1904. (3) De Marc L., L’Idrografia dei Colli Euganei nei suoi rapporti colla geologia e la morfologia della Regione, Estr. dalle “ Mem. del R. Istit. Veneto di Sc., Lett. e Arti ,, Venezia, 1905. (4) IsseL A., IZ concetto della direzione nelle montagne, Estr. “ Riv. Geograf. Ital. ,, anno IX, fase. III, Firenze, 1902. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. (di DI) di pianura nel suo estremo occidentale, mentre nella rimanente zona orientale assume il ben noto aspetto pseudocollinoso o di “ colline negative , come le chiamò il Gastaldi, le quali appunto non sono altro che burroni o calanchi incisi per erosione dalle correnti acquee nella primitiva pianura, di cui resta unico testimonio l’accennato lembo occidentale. Lungo questa depressione scorrono sulla stessa traccia ma in senso inverso: il T. Banna verso Ovest e il Tanaro verso Est, mentre lo spartiacque da cui divergono, nella pianura, corre, come vedremo meglio a suo luogo, da Nord a Sud, precisamente tra la uniforme pianura del Banna e le “ colline negative , di Asti. Sicchè possiamo considerare la Collina di Torino come una massa montuosa di forma grossolanamente prismatica orientata da SW a NE, il cui vertice corrisponde alla dorsale o linea spartiacque principale, e la base costituita per due lati dal Po, dalla foce del T. Banna alla foce del T. Leona, e gli altri due rispettiva- mente opposti: dal T. Leona -T. Traversola e dal T. Banna. Il motivo tectonico di questa massa così delimitata è dato da una distinta e regolare anticlinale, in forma di ellissoide di sollevamento, il cui asse decorre da SW a NE abbas- sandosi gradualmente ai due estremi. Esso si inizia presso Cavoretto e si continua per S. Margherita - Superga - Rivodora - Costa Battaina (Gassino), smorzandosi sulla destra di R. Maggiore (C. De Filippi - S. Dalmazzo). Il nucleo centrale, che affiora per circa otto km. di lunghezza tra Rivodora e S. Dalmazzo, è formato da terreni eocenici, essenzialmente marne e calcari a Laharpeia Molli d'Arch., Gimbelia spissa Defr. ecc. | Luteziano di Prever, Bartoniano di Sacco], e conglomerati con sabbie e marne a Paronaea Orbigni-elegans Prev., Laharpeia Gassinensis Prev., ecc. |Bartoniano di Prever, Tongriano di Sacco]. Le pendenze sono sempre molto forti; in più punti lungo l’asse anticlinalico gli strati e i banchi sono subverticali (1). Sul nocciolo eocenico posano in discordanza i terreni miocenici con pendenze gradata- mente decrescenti dagli inferiori ai superiori. Così le marne dure fogliettate commiste a sabbie, marne e letti ghiaioso-ciottolosi a Lepidocicline e Miogipsine del Langhiano [Aqui- taniano (pars) di Sacco] circondano il nucleo eocenico, specialmente sviluppate in lunghezza. A loro volta esse sono seguite dalle marne, sabbie, arenarie, conglomerati, con Operculine, Miogipsine, Crinoidi e Lucine dell’Elveziano. Nel versante meridionale della Collina sono visibili poi i successivi terreni miocenici marnoso-sabbiosi: Tortoniani, Messiniani, e quelli Piacenziani, Astiani del Pliocene. Essi fanno gradualissimo passaggio dall’uno all’altro, disposti in fascie parallele con inclinazione assai attenuata, tanto che il Pliocene sembra quasi perfettamente orizzontale. Tutta la serie può essere comodamente osservata seguendo la bella rotabile Gassino - Bardassano - Andezeno (Chieri) che la attraversa quasi normalmente. Un'altra anticlinale più breve, ma egualmente importante dal punto di vista morfoge- netico, è quella che sorge appena più a Nord dell’estremo orientale della precedente anti- clinale. Essa ha l’asse ricurvo con la convessità rivolta a settentrione e diretta dapprima ancora SW-NE, poi NW-SE, descrivendo direi quasi un angolo di circa 120°. Essa corre da S. Raffaele e Cimena per S. Genesio a Piazzo, e dà origine alle Colline di Chivasso. La chia- meremo per brevità: Anticlinale di S. Genesio, poichè proprio lungo la valletta omonima appaiono anche qui per breve tratto i terreni eocenici del nucleo, essendo stati in massima parte asportati da potente erosione. Anticlinali secondarie e di formazione posteriore alle precedenti si rilevano pure nella regione che ci interessa. Una prima, molto corta, che chiameremo Anticlinale della Madda- (1) Cfr. principalmente Sacco F., I bacino terziario del Piemonte, Torino, 1889-1890 (con Carta 1:100.000); Prever P. L., Apercu géologique sur la Colline de Turin, È Mém. d. 1. Soc. géol. d. France ,, 4° sér., tom. I, Mém. n. 2, Paris, 1907 (con Carta 1:100.000). 6 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO lena, passa a Sud all’anticlinale assiale, da Moncalieri al Bric della Maddalena-Eremo dove scompare. Essa interessa specialmente i terreni Elveziani ed è separata dalla precedente per una strettissima sinclinale particolarmente visibile nei rivi a occidente di Cavoretto. Un'altra anticlinale che diremo di Cinzano è posta sulla stessa traccia della precedente ma ha direzione generale E-W e un po’ convessa a Nord, passando da Bardassano, Sciolze, Cin- zano, Berzano S. Pietro, quasi parallela alla anticlinale di S. Genesio. Fra l’una e l’altra si avvalla un'ampia sinclinale che a Casalborgone si sdoppia per effetto della interposta estre- mità della anticlinale assiale di Torino. Rapporti con le Colline di Casale. — Fatti analoghi a questi si riscontrano anche nella attigua regione dei Colli casalesi. Senza perderci in particolari che esorbiterebbero dal preciso compito propostoci, noteremo come anche qui si osservi una grande anticlinale prin- cipale la quale fa da continuazione all’anticlinale di S. Genesio. Essa infatti riappare a Piazzo e conservando la stessa direzione verso SE arriva a Brozolo ove porta a giorno abbondantemente i terreni eocenici. Da Brozolo prosegue per S. Antonio nuovo - Oddalengo grande; dipoi sembra subire una breve interruzione, riprendendosi tosto a Montalero in Valle di Stura, ove l’asse è notevolmente abbassato. Continua così in direzione di SE passando per Piancerreto, Ponzano, Salabue, Ottiglio, Frassinetto Monferrato in Val Rotaldo, per deviare poi leggermente verso Est formando le collinette di Lu, e sparisce sotto i colli mio- cenici di S. Salvatore Monferrato. Questa anticlinale, insieme a quella di S. Genesio e di Torino, può considerarsi, per gli effetti della “morfologia, come una grande anticlinale unica diretta dapprima SE-NW sino a S. Genesio, e poscia NE-SW sino a Moncalieri, descrivendo un grande arco convesso a Nord. Essa forma l'ossatura delle Colline Torino-Casale e ne costituisce la direttrice tectonica prin- cipale. Se però nella Collina di Torino abbiamo riscontrato una anticlinale principale unica, regolare e molto semplice, altrettanto non può dirsi delle Colline di Casale ove si rilevano, oltre a quella accennata, qualche altra anticlinale primaria a nucleo eocenico, con anda- mento più o meno regolare e variamente rispettate dalla erosione. Ricordo quella parallela e più meridionale che costituisce i rilievi di Cuccaro Monferrato e quelli di Penango-Villa- deati, probabilmente in relazione con l’ellissoide di Marmorito. Così pure l’altra piega più settentrionale che decorre presso il Po, da W a E, tra Brusasco e Casale Monferrato, la quale sembra anastomizzarsi con l’anticlinale assiale presso Piazzo. Naturalmente queste anticlinali, fra loro più o meno legate, furono l’effetto immediato di un primo impulso orogenico, e influirono, di fronte agli impulsi successivi, sulla origine di nuove anticlinali secondarie, come si dovettero già all’inizio reciprocamente influenzarsi. Così trovano spiegazione le irregolarità che talora si riscontrano nell’anticlinale assiale, come presso Lu. Questa tectonica relativamente più complicata che non nella Collina di Torino, portò come logica conseguenza un complesso di effetti sulla traccia orografica delle valli, complesso del quale dovrà tener conto chi si accinga a studiare in dettaglio la morfologia delle Colline di Casale. ConcLusroni. — Per il nostro preciso scopo, dall'esame della tectonica di tutta la regione basta trarre queste conclusioni: 1° La forma arcuata della massa collinosa è originaria e genetica. 2° Alla semplicità della tectonica nella Collina di Torino si contrappone la tectonica più complessa delle alture monferrine. 3° La complessità delle direttrici tectoniche in questa seconda parte diede luogo a complicazioni nel loro stesso andamento. 4° Si hanno due ordini di anticlinali corrispon- denti a due momenti principali del fenomeno orogenico. Anticlinali primarie corrugate sulla MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. fio 7 fine dell’Eocene con nocciolo di terreni di questo periodo; anticlinali secondarie, modellate in generale sulle precedenti, originate verso la fine del Miocene. 5° Qualunque sia l’apprez- zamento cronologico su qualcuno o su tutti i terreni delle Colline Torino-Casale, possiamo ritenere ammesso da tutti che durante l’Oligocene, ossia tra Eocene e Miocene, avvenisse una sosta nella sedimentazione (1). 6° Nella Collina di Torino la pendenza degli strati va diminuendo dall’interno all’esterno dell’anticlinale ed ha valore molto diverso da un fianco all’altro, essendo di molto maggiore in quello settentrionale ove raggiunge gradi altissimi. 7° Pure nella Collina di Torino ci interessa notare la diversità di facies dei diversi terreni rispetto alla erosione. Così ai terreni più erodibili del Luteziano succedono quelli compatti e resistenti del Bartoniano, poi le relativamente dure formazioni del Langhiano ed Elve- ziano, e in fine quelli in generale meno resistenti dei successivi terreni. 2. — Direzione Idrotemica e Altimetrica. Spartiacque principale. — Moncalieri - Eremo. — Lo spartiacque principale della Collina di Torino s'inizia al Po attraversando in direzione di NE la città di Moncalieri secondo la sua maggiore lunghezza, e s'alza rapidamente raggiungendo tosto, dopo il Ripiano di Villa Ressico (447), 1 534 m. a Villa Fontana. Si abbassa poi nella sella 496 originata dalla contiguità delle due opposte correnti: R. Rubella nel versante settentrionale, e un ramo di R. S. Bartolomeo in quello meridionale, e si risolleva a M. Calvo (592), toccando i 715 m. al Bric della Maddalena che, come è noto, è il punto più elevato di tutta la Col- lina. Tra M. Calvo e Br. della Maddalena si nota una sella poco profonda ma assai ampia il cui asse corrisponde precisamente alla strada Torino-Revigliasco (560). Essa è indubbia- mente originata dalla azione delle due correnti contigue e opposte: R. Seppone e R. Cenasco - R. Alberoni, le quali venendo a contatto con i loro semiconi dànno luogo appunto a una Colla di testata (2) o Insellatura di vetta (3). Anzi nella insellatura generale si riscontrano altrettante selle ausiliari più piccole quanti sono i ramuscoli che vengono a contatto nei rispettivi semiconi. Da Bric della Maddalena lo spartiacque lineare si mantiene ad altezza superiore ai 700 m. abbassandosi solo a 672 m., per la stessa causa precedente, quando vengono a con- tatto i due opposti rivi di Gavoni e di Valle dei Salici, e raggiunge il Bric della Croce (712) dopo del quale si riabbassa a 621 m. nella sella dell’Eremo. Caratteristiche di questo primo tratto di spartiacque, che ha una lunghezza di m. 6500 e una media altimetrica di m. 604, sono: il rapido innalzamento dalla pianura, la notevole altimetria, e il regolare andamento lineare SW-NE. La notevole altimetria, per cui in questo tratto si trovano le massime quote di tutta la Collina, dipende da diverse cause. Anzitutto si ha una causa tectonica rappresentata dalla (1) Si è già detto indirettamente che Prever (op. cit.) non ammette l’Oligocene nella Collina di Torino, e anche il Prof. Sacco, pur non rilevando alcuna interruzione nella deposizione della serie dei terreni, con- stata che “ nelle Colline Torino - Casale, l’Aquitaniano [Langhiano (pars) di Prever] appoggiasi abbastanza regolarmente sul Tongriano [mancante= Bartoniano di Prever], dal quale però è per lo più separato con un hyatus assai forte , (Il bacino terz. Piem. e Lig., pag. 268). Altrove soggiunge che “ esiste spesso una note- vole trasgressione tra il Tongriano e i terreni sovrapposti , (La géotect. d. l. Haute Italie occid., Estr. © Bull. Soc. Belge Géol., Paléont. et Hydr. ,, tom. IV, pag. 27, Bruxelles, 1890). (2) G. De La Nos et Ewx. De Marcerie, Les Formes du Terrain, Paris, 1888, pag. 107 e segg., tav. XXX, pag. 96. (3) G. Roverero, Geomorfologia delle Valli Liguri, © Atti R. Univ. di Genova ,, vol. XVII, pag. 109, Genova, 1904. i Ò PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO anticlinale secondaria della Maddalena che segue presso a poco lo spartiacque tra M. Calvo e l’Eremo. Essendosi formata posteriormente all’anticlinale principale essa potè avere su quella il sopravvento in altimetria, non tanto per maggior sforzo del corrugamento, quanto invece per il fatto che essendo più giovane di quella, sofferse l’azione degradatrice del dina- mismo esogeno per molto minor tempo. Altra causa, direi di ordine geognostico, consiste nella facies dei depositi diffusi in questa zona. Abbondano infatti arenarie e conglomerati poligenici, talora a grossissimi elementi, disposti in banchi potenti, quali si possono consta- tare o salendo direttamente da Moncalieri a M. Calvo o lungo i fianchi (1), che naturalmente presentano una efficace resistenza alla erosione. L’assieme di questi fatti spiega anche il regolare andamento rettilineo dello sparti- acque il quale fu causa ed effetto della omogenea azione erosiva delle correnti settentrio- nali e meridionali. All’abbassamento generale delle anticlinali nell’estremo occidentale, cor- risponde anche il rapido innalzamento e la forma tondeggiante, anzichè a sprone acuto, con cui termina a SW la Collina, la quale assume in questa estremità precisamente la forma di un cono la cui generatrice sarebbe la linea spartiacque Moncalieri - M. Calvo. Eremo - Bric Brunassa - Bardassano. — Dalla Torre dell’Eremo lo spartiacque descrive un grande arco aperto a NW che si estende a Bric Rosero o delle Fontanine (607), dopo essersi abbassato a 556 m. contro la Margheria. Esso prende poi direzione di NE passando da Bric Rosero (607) per Br. Torre Rotonda (622), Torre Pino (600), attraverso le interposte selle di Quota (522), e Pino Torinese (495). Chiude l’arco il segmento inflesso a Nord costi- tuito dalla sella di Br. Caros (501) e dalla vetta di Br. Brunassa (589). Questa grande incurvatura che ha uno sviluppo di 5 km. circa non è che un episodio ingrandito di tutte quelle altre numerose, aperte a settentrione o a mezzogiorno, che ren- dono sinuosa la direzione generale dello spartiacque, originate dal prevalere dell’una o del- l’altra delle opposte correnti. Nel caso presente sono le due grandi valli di Reaglie e di Mongreno, parallele e simmetriche, che hanno fatto arretrare più efficacemente lo sparti- acque a Sud, inducendo la accennata concavità. Se questa però è la causa diretta, non bisogna trascurare però il valore di due altri elementi determinanti. Anzitutto la mancanza, in questo tratto, di qualsiasi traccia di anticlinali secondarie che ringiovaniscano lo sparti- acque come succede invece alla Maddalena; poi l'influenza importantissima esercitata dal Po il quale precisamente in corrispondenza del livello di sbocco di Val Reaglie e Val Mongreno, incide un marcatissimo meandro lungo il piede della Collina. Vedremo meglio più avanti i fatti che giustificano la legge che possiamo fin da ora formulare: în una catena semplice, a parità di altre condizioni, qualsiasi variazione del perimetro basale trova la sua diretta ripro- duzione in un'analoga variazione della linea spartiacque. Da Bric Brunassa la linea idrotemica prosegue in direzione di NE sino a Bardassano, rimettendosi così sullo stesso allineamento del primo tratto, abbassandosi o rialzandosi nelle selle e nelle vette. Delle quali le principali sono, rispettivamente, da SW a NE: Br. Bru- nassa (539), Sella di R. Canarotta (484), M. Aman (661), Br. Sueri (630), Br. Palouch (661), Strada di Superga (564), Br. del Pilonetto (590), Br. Pietraforata (593), Sommità di C. Bel- tramo (539), Strada di Cordova (450), Bric C. Rojetti (487), a NW di Br. Pavesio (430), S. Solutore (442), C. Colombara (380), Bardassano (452). Da Torre Pino a Bardassano lo spartiacque è dunque già notevolmente abbassato toc- cando la massima elevazione a Br. Palouch (661) il quale è circa una cinquantina di metri più basso della dorsale Bric Maddalena (715), Br. della Croce (712) del primo tratto. Tale abbassamento dipende, oltre che per le cause già precedentemente accennate, dalla scom- (1) Il Prof. Sacco (Bac.. Terz. Piem. e Lig., pag. 353) calcola che la potenza di questa facies apparte- nente all’Elveziano sorpassi in questo punto i 1000 m. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 7. 9 parsa dei terreni Elveziani e dall’affioramento dei sottostanti depositi Langhiani che si pre- sentano con facies di puddinghe a ciottoli arrotondati spesso slegati, con aspetto pseudo- morenico, e di sabbie e marne dure fissili a faczes di Schlier ricchissime di Lepidocicline, a Brie Brunassa, M. Aman, Br. del Pilonetto, S. Solutore e Bardassano. La scomparsa del- l’Elveziano si deve attribuire a una erosione più intensa. Bisogna infatti tener conto dell’azione reciproca delle opposte correnti dei due versanti, le quali certamente sono in questa zona assai più forti che non nella précedente. In questo caso, dato che lo spartiacque si mantiene rettilineo, occorre ammettere che le correnti set- tentrionali lo facessero arretrare dall'asse tectonico principale in modo uniforme, e che la resistenza opposta da quelle meridionali, per quanto più debole, tanto da cedere gradata- mente, fosse pure uniforme. In tali condizioni l’azione erosiva complessiva si traduce in un abbassamento generale dello spartiacque che può essere tanto rilevante da fare scomparire tutto un terreno sovrastante come rel caso nostro. Bardassano - Berzano S. Pietro. — Da Bardassano a Berzano S. Pietro lo spar- tiacque decorre in direzione Ovest-Est, rispettivamente toccando: Bardassano (452), Qua- drivio di ©. Roberto (380), C. Gay (445), S. Lucia (481), Sciolze (436), Quadrivio di Tetti Frasella (395), C. Pastura (471), S. Desiderio (451), Cinzano (495), Sella quota (415), €. Mon- talto (468), C. Bricco (452), Berzano S. Pietro (423), Cimitero di Berzano $S. P. (471), Sella quota (400). Lunghezza km. 10 circa, media altimetrica m. 442. Caratteristiche di questo ultimo tratto sono: l’ improvviso cambiamento di direzione da SW-NE a E-W, e il notevole abbassamento dimostrato dalla media altimetrica, poichè in nessun punto si raggiunge la quota 500. La direzione E-W dipende dalla comparsa della nuova anticlinale secondaria di Cin- zano, che si inizia precisamente presso Bardassano e ha direzione E-W con leggera con- vessità a Nord, presso a poco in corrispondenza di Cinzano. In questa nuova direzione la linea spartiacque, pur mantenendosi in terreni Langhiani analoghi a quelli precedentemente ricordati, segue a breve distanza parallelamente l’orlo Elveziano spostato di poco a Sud, cui tocca anzi nelle colline di Sciolze. Questo fatto assieme all’abbassamento rilevato, tanto più notevole in quanto si ha qui Ja presenza di un asse anticlinalico, è dovuto alla potente erosione operata dalla grande corrente di R. Maggiore (Gassino) e de’ suoi affluenti, com- binata con quella delle opposte correnti del versante meridionale. Per tal modo potò venire smantellato il terreno Elveziano che ricopriva il Langhiano. Spartiacque secondario. — Di tutti gli spartiacque secondari della collina che separano i varî bacini idrografici, uno merita di essere preso in considerazione per l’impor- tanza che assume come spartiacque divisorio tra la collina di Torino e le colline di Casale Monferrato. Si è già detto come questo limite possa essere segnato dai due grandi bacini opposti e contigui del T. Leona e del T. Traversola, dei quali lo spartiacque in esame corre rispettivamente sulla sinistra e sulla destra sponda. Esso si inizia fuori della regione che ci interessa, nelle colline di Bra, d’onde si dirige a NE segnato dall’allineamento dei centri abitati più notevoli: Bra (280), Pocapaglia (382), Sommariva Perno (389), Baldissero d’Alba (395 - 411), Montaldo Roero (378 - 392), Monteu Roero (777 - 399), S. Stefano Roero (324 - 388), Montù (316 - 356). Da questo punto s'inflette un po’ a occidente per toccare C. Sterlotti (370), d’onde poi si dirige risolutamente a Nord, e passando per Trinità (350), Villata (325), C. Gianotta (306), Valfenera (282), San Michele d'Asti (271), Dusino (264), S. Paolo della Valle (265), Savi (268), Buttigliera (288), Moriondo Torinese (328), costituisce lo spartiacque della pianura. Infatti, mentre ad occi- dente si svolge la grande pianura solcata dal T. Banna che ne convoglia le acque diretta- Hi 10 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO mente al Po, a oriente invece di tale spartiacque si avvallano subito i calanchi astigiani. L'andamento poi lineare NS è determinato dalla analoga direzione delle due correnti poste sulla stessa traccia: T. Traversola e R. Stanavasso che scorrono a oriente, unendosi di contro a Dusino per fluire al Tanaro. Giunto al piede della collina, prosegue quasi con la stessa precedente direzione, vol- gendosi a NNW, sin quasi al Po. Esso risulta perciò quasi normale allo spartiacque prin- cipale e si innalza rapidamente dopo Moriondo (328), toccando già i 403 m. a Moncucco Torinese. Si mantiene poi ad altezza superiore a questa pur notevole quota passando per Bric S. Paolo (442), Bric S. Giuseppe (464), Bric del Galletto (456), C. Bruno (474) e tocca i 500 m. al Cimitero di Cinzano. Al paese di Cinzano (495) incrocia la direttrice idrotemica principale fondendosi con essa per circa 500 m. in direzione di NW. In questo tratto lo spartiacque in esame non solo funge da spartivalle laterale nel versante sud della Collina, tra R. Traversa e R. Aranzone, ma, come già nella pianura, compie le funzioni di spartiacque di primo ordine tra le acque che fluiscono direttamente al Po e quelle che vanno al Tanaro. Cinzano è pertanto un vero nodo idrografico, poichè da esso partono le quattro braccia della croce formata dallo spartiacque principale della collina e da questo secondario, nei quadranti della quale si inseriscono i rispettivi semiconi delle quattro correnti: R. di Ber- zano (T. Leona) a NE, R. Maggiore (Gassino) a NW, R. Traversa (T. Traversola) a SE, R. Aranzone a SW. Da Cinzano dopo un primo breve tratto sinuoso per seguire le curve dei due semiconi contigui di R. Berzano e R. magg. Gassino, superato il conseguente abbassamento selliforme ricordato, lo spartiacque prosegue nella primitiva direzione di NW risollevandosi tosto al Bric S. Rocco (463) per toccare i 500 m. a Bric del Cerro. Da questo punto la sua altezza si mantiene quasi assolutamente sempre superiore ai 500 m. Così 513-572 m. è la lunga costola che mena alla Cappelletta S. Giovanni, punto trigonometrico; 536 m. è Br. Martina, e dopo la interposta sella di testata (m. 445) di R. di Valle e R. dei Soldi (o dei Soliti), si risolleva a 585 m. sul Br. del Vaj, terminando a 519 m. presso C. Mompilotti di Casta- gneto. In questo punto lo spartiacque perde l’individualità propria per suddividersi in nu- merosi rami radiali divergenti verso il piede arcuato della collina lungo il Po di Chivasso. Valori dei tratti principali Lunghezza Altimetria media 1° Da Moriondo a Cinzano circa m. 6500 m. 420 2° Da Cinzano a Br. del Cerro quasi m. 4000 m. 442 3° Da Bric del Cerro a Castagneto circa m. 5500 m. 454 Prescindendo dal primo tratto che interessa il versante meridionale della collina e non presenta nulla di particolarmente notevole, si rileva facilmente come gli altri due invece abbiano caratteristiche proprie. Il segmento Cinzano -Bric del Cerro è infatti caratterizzato da un avvallamento il quale non è certo originario, poichè quivi passa l’asse secondario della anticlinale di Cinzano. Esso è indubbiamente attribuibile all'enorme lavoro erosivo del gruppo di correnti facenti capo a Cinzano, come abbiamo già dimostrato. Per tale lavoro venne demolito il mantello Elveziano, il quale con ogni probabilità doveva collegare l’at- tuale zona che termina al Cimitero di Cinzano con l’altro lembo di Casalborgone comple- tando il cingolo attorno al nocciolo dell’anticlinale assiale. Il secondo segmento, da Bric del Cerro a Castagneto, corre invece nei resistentissimi conglomerati e arenarie dell’Elveziano ed è alla conservazione di questo terreno che si deve la forte altimetria prevalente caratteristica di questo ultimo segmento, benchè esso decorra per la maggior parte in zone sinclinali. Si noti infatti che il nostro spartiacque ha direzione MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. Lo ll normale: all’anticlinale di Cinzano, all'estremità NE dell’anticlinale assiale, all’anticlinale di S. Genesio e alle rispettive due sinclinali interposte. Però mi pare che questa stessa dispo- sizione tectonica per cuì in area relativamente ristretta si alternano tre anticlinali, abbia dovuto produrre un non lieve sollevamento in tutta la zona e quindi anche negli stessi tratti di sinclinale. Avvalorano questa ipotesi anzitutto il fatto che le tre anticlinali sono quivi convergenti, tendono cioè a diminuire l’area delle interposte sinelinali, e in secondo luogo la disposizione stessa delle traccie vallive delle quali si dirà in seguito. Tra tutte le diramazioni in cui si moltiplica questo spartiacque al suo estremo di Ca- stagneto, la più importante è quella di Castagneto -Verde-F. Po per circa 3500 m. di svi- luppo. Esso ha direzione SW-NE, normale cioè allo spartiacque originario ed è in rapporto strettissimo con la direzione dell’anticlinale di S. Genesio, decorrendo in terreni langhiani tra il piccolo nucleo Eocenico e l'Elveziano. i Rapporti con le colline di Casale Monferrato. — Lo spartiacque principale che nella collina di Torino si incurva attorno al semicono di R. Berzano, prosegue in direzione di NE sino a Br. Buontempo (498) a nord di Tonengo, che è il punto più settentrionale di tutta la linea idrotemica. Poi ripiega in senso opposto, cioè verso SE, formando un angolo prossimo al retto, e segue la destra del T. Stura correndo successivamente con esso da W a E tra Cortanieto (326) e Pescine Castello (Oddalengo) (410). Poscia abbandona la valle dello Stura piegando dapprima a SE sino a $S. Bernardino (325), attraversato nella sella quota 213 dalla ferrovia Asti-Casale Monferrato, volgendosi poscia decisamente a Sud sino a Calliano (271). Da questo punto sino al suo termine conserva la direzione generale W-E, costeggiando dapprima il T. Grana sino a Criccaro, toccando Grana (289), Montemagno (260), Viarigi (252), Ciiccaro Monferrato (269), e successivamente passando per Lu (307), Br. San Pietro di San Salvatore Monferrato (257), Br. Cantoniera (247), Fioni (201), Bassignana- F. Po (96). Direzione altimetrica. — Nella collina di Torino essa coincide con la linea spar- tiacque, sulla quale infatti si allineano le quote maggiori. Non si deve dimenticare però che il poggio di Superga (670), il più elevato dopo il Bric della Maddalena (716), si trova fuori di questa linea, alla quale si unisce per mezzo del Bric del Duca (671). Questo fatto e la presenza di una direttrice altimetrica secondaria che decorre per breve tratto, parallela alla principale, lungo l’asse del nucleo eocenico, sono dovuti appunto all’af- fioramento dei più resistenti conglomerati Bartoniani che affiorano tra i terreni Langhiani, nonchè a speciali condizioni indotte dalle direttrici di valle cui accenneremo meglio più avanti. Confronti con le direttrici altimetriche delle colline di Casale. — Nelle attigue colline di Casale Monferrato, solo eccezionalmente e per brevi tratti la direttrice idrotemica funziona da linea di fastigio. Infatti dal Cimitero di Berzano S. Pietro (471) a Il Bricco (450) prevalgono le quote da 450 a 500 m., disposte secondo lo spartiacque prin- cipale [Bricco Ausano (505), Cerrabello (500), Br. Buontempo (498), Tonengo-Ottino (485), S. Michele (459), Br. Maroero (469)], mentre lateralmente le quote massime stanno fra i 400-450 m. Fanno eccezione però in questo tratto due traccie di fastigio più corte, a Sud della precedente con la quale si collegano, disposte secondo linee di spartivalle NW-SE. L'una va da Berzano S. P. ad Albugnano e Bignona (472) (Primeglio Schierano) con quote superiori ai 450 m., e in qualche punto anzi superiori a 500 [Albugnano (549), C. Tola (547), Bricco (536)]. L'altra passa a Cocconato (489) e Br. Maroero (469). Queste due direttrici dipendono forse da fenomeni tectonici (ellissoide di Marmorito, anticlinale di Cinzano) e su- 12 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA. DELLA COLLINA DI TORINO bordinatamente da speciali rapporti di erosione tra le correnti acquee. Devesi poi anche ricordare la minore direttrice locale, ricurva con sviluppo NE-W-SE, di Br. Cappellone (401), Marmorito (428), Br. Cappello (416) in intima relazione con l’ellissoide accennato. A oriente di Il Bricco la linea spartiacque cessa di essere linea di fastigio, solo local- mente interferendo con varie direttrici altimetriche, le quali in generale sono più o meno parallele e dirette all'incirca NW-SE, con medie decrescenti dalle più occidentali alle orientali. Tra esse può rilevarsi quella che da Marcorengo (345) passa a Br. della Pietra (401), Br. Pollone (421), Br. Maccagnone (417), Br. Castello di Corteranzo (401), attraversa la Stura a Murisengo e incrociato lo spartiacque principale a Villadeati (412), prosegue nelle più alte colline di Villadeati Penango |Br. Tribecco (488), Br. S. Lorenzo (466), Br. Nambria (446)]. Nella estrema zona orientale, più presso Valenza, l’altimetria è assai uniforme, sicchè si possono avere molte direttrici altimetriche quasi equipollenti, in generale parallele e dirette W-E, per lo più coincidenti con linee di spartivalle. Per amore di brevità ricorde- remo, per tutte, quella che segue la destra del T. Stura costituendo le colline di Terfangato, Ponzano, Salabue, Cereseto [C. Mussio (428), M. Croce (430), Br. Castelvelli (417), Crea (442)], e ripiegandosi poscia a NW oltrepassa la Stura per toccare M. Favato di Oddalengo Grande (452) e Bric delle Pietre di Rosingo (443). ConcLusrtoni. — 1° Lo spartiacque principale delle colline Torino-Casale ha la forma generale di un grande arco convesso a Nord col punto più settentrionale a Br. Buontempo (Tonengo), ove dista dal Po per soli 4 km. 2° Esso ha uno sviluppo lineare complessivo di circa 106 km., dei quali 80 km., con media altimetrica di m. 321, appartengono alle colline di Casale; e gli altri 26 km., con media altimetrica di m. 558, appartengono alla collina di Torino. 3° Nella collina di Torino lo spartiacque non coincide con la direttrice tectonica principale, rispetto alla quale si trova spostato di almeno due km. (Superga) a Sud. 4° Tuttavia ne ripete l'andamento appoggiandosi ad anticlinali secondarie. 5° Nella collina di Torino la linea di fastigio coincide quasi totalmente con la direttrice spartiacque ed è semplice, con decorso regolare. 6° Nelle colline di Casale Monferrato invece le direttrici altimetriche sono più numerose e non corrispondono quasi affatto alla linea spartiacque principale. Esse sono subparallele con andamento generale NW-SE, e tendono poi a disporsi da Est a Ovest nella estremità della zona presso Valenza. 7° Tanto nella collina di Torino quanto in quelle di Casale le direttrici altimetriche pur essendo essenzialmente il risultato della erosione idro- atmosferica, sono però più o meno evidentemente connesse a direttrici tectoniche. 8° La collina di Torino si distingue per una più rilevante media altimetrica. 9° In generale in tutta la massa collinosa Torino-Casale-Valenza l’altimetria scema da Ovest a Est. Per le direttrici orografiche osservate si può dunque concludere che la collina di Torino è una piccola catena omoomorfa, cioè a sole pieghe, con dissimmetria tectonica e stratigrafica, e simmetria orografica (1). (1) Cfr. Rovereto, Geom. delle Valli Liguri, loc. cit., pag. 6-7. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL, LXY, N. E 13 PARTE II. Morfologia dei Versanti. RNRP IBanna: Volendone dare una definizione geometrica, si può dire che la superficie dei versanti è determinata da una generatrice la quale coincide sempre con la linea di massima pendenza e si appoggia sempre, come direttrice, alla linea che costituisce il piede del versante. Questa legge, la quale è una deduzione dell’altra, che la regolarizzazione dei profilo dei versanti co- mincia dal loro piede (1), ci indica chiaramente come, nel caso nostro, si debba ricercare principalmente nel Po e nel T. Banna la chiave della morfologia dei versanti di cui essi lambono precisamente il piede. Tanto più che queste due correnti costituiscono #2 livello di sbocco (2) di tutte le valli della Collina, essendone i collettori. Il Torrente Banna. — Il torrente Banna non lambe veramente il piede della collina col suo corso attuale, poichè scorre nel mezzo di una pianura la quale per quanto sembri insensibilmente raccordarsi con la collina, tuttavia se ne può distinguere per caratteristiche morfologiche proprie. _ Questa pianura, come s'è già detto, costituisce la parte occidentale della grande sincli- nale Astigiana emersa dopo il pliocene. Noi dovremmo perciò ricercarne il contorno nell’orlo dei terreni pliocenici (piacenziano-astiano); i quali però, in causa dei successivi sollevamenti, si trovano ora a costituire i colli di Bra e Pralormo, e la zona inferiore della Collina di Torino. D'altra parte la pianura di cui ci occupiamo non è più ora l’antico fondo della sin- clinale, sibbene risulta dal complesso delle alluvioni che l’hanno colmata. Dal punto di vista perciò strettamente morfologico e per i fini del nostro studio limiteremo il significato di pianura alla zona occupata dalle alluvioni postplioceniche segnandone come confine verso la collina una linea sinuosa che da Buttigliera-Moriondo, passando appena a sud di Chieri, va a Cambiano e Moncalieri. Occorre dunque seguire lo svolgersi di questo fenomeno d’alluvionamento per rintracciare poi le possibili influenze indotte nella idrografia del versante meridionale della Collina. Il Tanaro che attualmente arriva al Po dopo aver percorsa la grande depressione Asti- giana, da Bra-Asti-Alessandria, dovette durante tutto il Diluviale percorrere da Sud a Nord il margine occidentale della suddetta pianura scaricandosi nel Po nei dintorni di Carmagnola. Questo fatto venne constatato dapprima dal Gastaldi (3) in base alla presenza di ciottoli porfirici, caratteristici dell'alto bacino d’origine del Tanaro, Pesio ed Ellero (M. Mongioie), rinvenuti nella pianura del Banna lungo la traccia Cervere-Bra, Sommariva, Caramagna, Carmagnola e Moncalieri, ridotti gradatamente di dimensioni. Successivamente venne con- (1) De La Nos et De La MarezRrE, Op. cit., pag. 39 e 23. (2) Il Rovereto (op. cit., pag. 58) usa questa frase per tradurre il Niveau de base di De La Not e De MarcERIE, l’Erosionsbasis del Suran e il Base-level del PowxL. (3) Gasranpi B., Sulla riescavazione dei bacini lacustri per opera degli antichi ghiacciai, © Atti Soc. Ital. Sc. Nat. ,, vol. I, Milano, 1865. 14 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO fermato dal Sacco (1) e dal Rovereto (2) anche in base all'andamento dei terrazzi. Si può anzi ritenere che in tre periodi principali, durante i quali la corrente andava scemando di ampiezza, da 5-10 km. a 2-3 km., il Tanaro col contributo dell’ Ellero, del Pesio e della Stura di Cuneo, anche ora suoi affluenti, nonchè della Maira e Varaita ora direttamente sfocianti nel Po, andava con direzione media SSE-NNW a scaricarsi nel Po dapprima a Sud, poi a Nord di Carmagnola e in fine presso Carignano. Fu solo durante l’Alluviale che il Ta- naro trovandosi “ vieppiù ostacolato a Nord dalle alluvioni dei torrenti che scendevano dalle colline Braidesi, approfittando di una depressione che probabilmente già esisteva tra le Langhe e le colline Braidesi, si volse a Est definitivamente per modo da raggiungere il Po a valle di Alessandria dopo oltre 276 km. di percorso , (8). Dunque il Po col Tanaro impinguati da tutte le correnti che scendevano dal grande arco alpino-appenninico si tenevano, durante il Diluviale, più a oriente nella pianura del Banna, sia per la loro direttrice risultante, sia perchè specialmente il Chisone e il Pellice ve li sospingevano. Andavano così a battere contro il piede della Collina di cui lambivano la estre- mità SW, verosimilmente girando da Trofarello attorno a Moncalieri. Questo rallentamento di velocità per l’ostacolo della collina e per l'opposizione che il Po-Tanaro incontrava a Ovest nelle conoidi alpine, e d’altra parte la depressione pliocenica a oriente, fecero sì che quivi essi espandessero le loro alluvioni, mentre le correnti della Collina e delle simmetriche al- ture meridionali di Bra-Pralormo avendo il livello di sbocco in questa massa d’acqua sta- gnante vi lasciarono pure le proprie alluvioni. Così dal momento della emersione sul finire del pliocene la pianura che ci interessa entrò in uno stato palustre che si andava modificando col succedersi delle alluvioni villa- franchiane, del Ceppo e dei tre Diluviali, dando ricetto a quella numerosa fauna di grossi vertebrati che costituiscono attualmente la ricchezza paleontologica di questa regione. La tendenza del Po a mantenersi verso oriente ricevette nuovo incremento nel periodo alluviale, quando cioè gli venne a mancare il grande contributo del Tanaro, e d'altra parte per l’impoverimento generale dei corsi d’acqua le correnti della Collina non poterono effi- cacemente respingerlo verso la direzione attuale. Data probabilmente da questo periodo il primo tentativo di prosciugamento delle paludi da parte degli aborigeni Liguri, che finì per essere completo nel X o XII secolo dopo Cristo (4). Fu in conseguenza del sistemamento graduale dell’attuale reticolo idrografico, potente- mente aiutato dall’opera dell’uomo, che il T. Banna divenne collettore di tutte le acque di questa pianura. Esso infatti ne occupa il solco mediano, da Est a Ovest, e sembra anzi corrispondere all’asse della sinclinale pliocenica che sarebbe più ravvicinato alla Collina di Torino che non alle Langhe sia per un più forte originario sollevamento di queste ultime, sia per un nuovo maggiore incremento avuto nel pospliocene. Il Banna occuperebbe dunque una valle tectonica come direttrice, epigenica come incisione perchè scolpita in terreni di copertura. Tuttavia esso manca di un vero bacino d’origine, poichè alla sua testata decorre l’accennato spartiacque lineare N-S della pianura, mentre le sue vere origini sono costituite da tre ramuscoli paralleli a Ovest di Buttigliera: Banna, Bannetto e Bannello, di molto po- steriori alla impostazione delle correnti della Collina, compresi completamente nelle alluvioni quaternarie della pianura. Perciò più che un corso originariamente autonomo il T. Banna si deve considerare come l’unione del corso in pianura delle molte correnti scendenti dalle (1) Sacco F., L'alta valle padana durante l'epoca delle terrazze in relazione col contemporaneo sollevamento della circostante catena alpino-appenninica, Estr. © Atti R. Ace. Sc. di Torino ,, vol. XIX, Torino, 1884. (2) Rovereto G., Geomorf. Valli Liguri, loc. cit., pag. 41. (3) Sacco F., L'Alta Valle Padana, loc. cit., pag.'22. Cfr. anche Rovereto, Op. cit., pag. 45. (4) Vedi Nrari G., La Vegetaz. della Coll. di Torino, loc. cit., pag. 180-131. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. "7. 15 circostanti colline. Con questo si spiega anche l’incisione relativamente forte rispetto al tor- rente Banna attuale, che ne accompagna il corso. Essa ha interessato i tre diluviali e sa- rebbe dovuta precisamente alle divagazioni del corso inferiore delle correnti durante la loro evoluzione per raggiungere l’attuale assetto. Il T. Banna attuale, prescindendo dalle accennate sorgenti per cui nel primissimo tratto ha direzione N-S, decorre quasi rettilineo da Est a Ovest con una lunghezza in linea retta, di 21 km., da S. Paolo della Valle (265) al Po (226), con un dislivello di 39 m. e pendenza del 0,18. Sarebbe inutile e superfluo enumerare i numerosi canali che ne intersecano in vario modo il corso; per non ripetermi più quando parleremo delle correnti meridionali della Collina, mi limiterò ora a ricordare sommariamente le vie per le quali esse arrivano al collettore comune. A sinistra, tra Villanova d’Asti e Poirino, il Banna riceve R. Verde-R. d’Isola i quali con R. Valgorera emungono i rilievi di Cellarengo e Pralormo. Dipoi riceve i due grandi corsi del T. Riverdo e di R. Stellone, il quale ultimo è direttamente unito al T. Banna per mezzo di un canale detto Canale del Taglio, ed è probabile che il corrispondente tratto del Banna stesso sia stato pure tracciato artificialmente come sembrerebbe dal suo regolare corso rettilineo. Sulla destra invece, dopo l’accennato corso superiore N-S, riceve: R. Borgallo, R. della Madonna, R. dei Gerbidi (1), poi il breve corso di R. del Busso, tutto in pianura, a oriente di Riva di Chieri; R. Biassolo-R. Searosa, Bealera del Mulino che convoglia tutte le altre correnti a oriente di Chieri. Dipoi, a occidente di Chieri, riceve il R. Tepice il quale a sua volta riassume tutte le acque che solcano la restante porzione del versante meridionale della Collina. Da Chieri al Po è ampiamente sviluppata quella rete di canali che congiungendo un corso d’acqua all’altro modificarono talmente le primitive traccie idrografiche da renderle quasi irriconoscibili. Così anche relativamente di recente, il T. Tepice che aveva corso au- tonomo e sboccava nel Po presso Moncalieri parallelamente al T. Banna, venne reso arti ficialmente tributario di quest’ultimo col canale di C. Stretta e dei Molini. Il F. Po. — Durante tutta la prima metà dell'Era quaternaria cioè nel Diluviale, per quanto s'è detto, il Po scorreva insieme al Tanaro più a oriente del suo corso attuale e per il sollevamento che si effettuò durante questo periodo e che probabilmente dura tuttora, originò quella serie di terrazzi sviluppatissimi a monte di Carmagnola che permisero di con- statarne le variazioni del corso (2) nella zona di pianura a monte di Moncalieri. Anche a valle di questo sperone il Po dovette tendere sempre ad erodere la sua sponda destra ossia dovette sempre lambire il piede settentrionale della Collina precisamente come fa tuttora. Dimostrano questo fatto: la mancanza assoluta di qualsiasi deposito diluviale lungo il piede della Collina; la notevole impressione che il Po ha lasciato nella plastica della Collina fa- cendo risentire le modalità erosive del suo corso allo spartiacque attuale, come abbiamo visto; le condizioni stesse che ne determinarono la direttrice. Infatti alla originaria inclinazione generale della sinclinale padana verso la collina, si aggiungeva nel Diluviale anche l’azione potente delle grandi correnti alpine, specialmente la Doria Riparia, le quali, uscendo dalla cerchia alpina con direzione idrografica da Ovest a Est, con la massa delle loro acque e più di tutto con la mole delle loro conoidi sospingevano il Po (1) Questi nomi numerosi sono dati semplicemente a diversi tratti di uno stesso corso e non a rami diversi. (2) Stimo superfluo il ripetere qui l’esame di questi terrazzi fatto con gran copia di dati e di osserva- zioni dal Sacco (L'alta Valle Padana durante Vepoca delle terrazze, loc. cit.), al quale perciò rimando. 16 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI l'ORINO sempre più verso la Collina di Torino. Si potrebbe pensare tuttavia che il corso superiore del Po dovendo girare attorno allo sperone di Moncalieri dove perciò assumeva direzione da Est a Ovest, inversa cioè a quella degli affluenti alpini, potesse avere ragione su di essi. Ma pur senza negare assolutamente il fenomeno, come causa di parziale neutralizzazione, bisogna pensare che alla spinta violenta dei fiumi alpini, il Po in questo punto non poteva opporre che una assai debole resistenza, come quella di una corrente la quale ha ormai smorzata la sua forza e di conseguenza depositate le sue alluvioni [Pianura del T. Banna] nell’urto contro la collina. Si può dunque ritenere che il Po abbia sempre eroso il piede settentrionale della Col- lina di Torino, e sì deve in gran parte a questo fatto la mancanza, per erosione, del pliocene affiorante, e di un tratto di Elveziano tra M. dei Cappuccini e Tetti Rossi (S. Anna). nonchè l'avanzata erosione dell’anticlinale di S. Genesio. Con questo non si esclude che, sia direttamente per una eventuale molto maggiore ampiezza (il Tanaro da solo aveva in certi punti, come s’è detto, 5-8 km. di larghezza), sia indirettamente per mezzo de’ suoi affluenti di sinistra sui quali poteva influire anche più intensamente, data la stretta di Torino, il Po potesse arrivare a erodere efficacemente i cordoni morenici delle due ultime glaciazioni dell’ anfiteatro di Rivoli come pensa l’amico Prever (1). Per noi interessa più da vicino il corso del Po nella seconda metà dell'Era quaternaria, cioè nell’Alluviale, come periodo delle ultime e più accertabili modificazioni indotte nell’am- bito della Collina di Torino. Abbiamo visto pertanto che nella fine del Diluviale, nella zona a monte di Moncalieri, la corrente del Po seguiva con la sua sponda destra, la linea sinuosa che unisce Bra-Car- magnola-Salsasio-Pochettino-Villa Stellone-Tetti Giro (a ovest di Santena)- Trofarello. Sicchè per raggiungere la sua attuale direzione rettificata S-N, esso si sarebbe spostato verso Ovest di un massimo di circa 4 km., pari alla lunghezza della saetta dell’arco accennato, sotteso dal tratto della corrente attuale tra Carignano e Moncalieri. Nei terreni alluviali diffusi in questa zona sono ancora notevoli Je vestigia delle suce- cessive mutazioni del Po. Siccome però lo spostamento verso Ovest non fu regolare e con- tinuo, ma dovette necessariamente avvenire, per la molteplicità delle cause locali, in modo assai vario da punto a punto, così è difficile seguirne qualche traccia completa. Prescin- dendo tuttavia dal tratto sinuoso detto Fosso Po Morto sviluppato tra Lombriasco e Pan- calieri, e l’altro chiamato Po piccolo, presso Carignano, sulla sinistra della corrente attuale, ricorderò come sulla destra, a circa un km. a valle del Ponte di Carignano, si diparta la Gora del Po morto, la quale descrivendo una convessità contro Pochettino, probabile traccia di un meandro, si innesta nella Gora di Borgo che segue precisamente l’ orlo del gradino diluviale. Da questa a loro volta prendono origine il Canale del Priore e il Fosso Po morto che passa presso Villastellone e si scarica nel T. Banna. Probabilmente poi il Canale Gallé e quello della Fieca rappresentano pure una traccia in relazione con l’antico meandro di Moncalieri. Del resto è probabile che l'estremo corso inferiore dei torrenti scendenti dalle colline Braidesi, come il T. Melletta, corrisponda a qualche precedente traccia del Po. Abbondano pure meandri relativamente abbandonati di recente che dimostrano la evo- luzione continua del Po. Oltre a quelli di Pancalieri, ricordo quello di C. Rizzetti-C. Vas- sarotto (227), quello di C. Golzio (227) ancora allo stato di lanca, nonchè il simmetrico di C. della Langa. (1) Prever P. L., Esame geoidrologico della porzione superiore della Valle del Po [in Litteris]. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM., E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 7. 17 Non altrettanto invece succede a valle di Moncalieri ove il Po per la nuova maggiore forza erosiva acquistata pel contributo delle correnti alpine, e per la stretta di Torino, ebbe minore libertà di movimenti. Anche durante l’Alluviale esso si mantenne qui sempre rasente la collina dove, per l’impoverimento del corso rispetto al precedente periodo diluviale, potè solo incidersi l’attuale strettissimo solco in corrispondenza della città di Torino. Doppiato lo sperone di Moncalieri, ove riceve la Chisola, esso descrive una concavità che interessa la Collina fin oltre lo spigolo di Cavoretto. A determinare questo meandro del Po concorsero specialmente la Chisola e il Sangone. Quest'ultimo che immetteva dap- prima nella Dora Riparia attraverso la conca attualmente occupata dai laghi di Trana e Avigliana, guadagnata, sul finire dell’epoca glaciale, la sua attuale direzione (1), veniva a sfo- ciare nel Po quasi normalmente, mentre la Chisola si scaricava probabilmente a Sud di Mon- calieri. Dipoi esso spostando più a Nord il suo punto di sbocco per rendersi parallelo al corso del Po influì insieme a questo nel determinare un analogo spostamento della foce della Chisola. Un altro ampio meandro, concavo nella Collina, è inciso dal Po tra M. dei Cappuccini e Sassi in corrispondenza della Dora Riparia la quale spostò, come i precedenti affluenti, il suo punto di sbocco da Sud a Nord allargando perciò le sue alluvioni a forma di triangolo con vertice alla Conceria Durio. Così alla fine del Diluviale essa attraversava presso a poco diagonalmente il Giardino Reale e seguendo la direzione di Corso S. Maurizio si univa al Po. L’intensa erosione che ne derivò con la conseguente formazione del meandro ebbe per effetto di smantellare i terreni Elveziani i quali attualmente sono scomparsi. Occorre però ricordare che questa scomparsa “ dipende solo in parte dalle erosioni fatte dalle acque dell’epoca quaternaria, ma in gran parte sopratutto da un vero riempimento (avvenuto per opera special- mente dei terreni pliocenici e quaternari) della conca ondulata esistente primordialmente fra le colline torinesi e la vicina catena delle Alpi occidentali , (2). Notevole poi è anche il grande arco tra Sambuy e Cimena, al cui canoa sbocca il Rio Maggiore di Gassino. Esso è dovuto alla azione combinata delle due correnti: affluente e collettore. Il Po quindi continua nella direzione di NE sino contro Chivasso, d’onde seguendo la tangente al vertice dell'arco descritto dalla Collina, assume direzione Ovest-Est. Indubbia- mente l’azione erosiva del Po si è svolta in questo punto con intensità molto maggiore che nei tratti precedenti, essendovi tenuto per così dire accollato dai Torrenti Malone e Orco. Però la scomparsa di un gran tratto della gamba settentrionale della anticlinale di S. Genesio e la profonda concavità che interessa il piede della Collina fra lo sbocco della Valle di S. Genesio e lo sperone di Lauriano non si possono attribuire alla sola erosione della cor- rente del Po, e probabilmente sono in relazione con altre vicende cui ci mancano dati per rintracciare. 2. — Caratteri morfologici generali dei Versanti (3). Versante meridionale. — Differisce da quello settentrionale per la notevolmente minore acclività e maggiore larghezza, le quali si ricollegano indubbiamente alla originaria minore pendenza degli strati, e subordinatamente alla molto meno intensa erosione cui andò soggetto il suo piede. (1) Prever P. L., I Terreni Quaternari della Valle del Po dalle Alpi Marittime alla Sesia, “ Boll. Società Geol. It. ,, vol. XXVI, pag. 548, Roma, 1907. (2) Sacco F., IZ Bacino Terz. del Piem., loc. cit., pag. 406. (3) Per meglio afferrare le particolarità morfologiche nell’andamento generale dei versanti ho costruito nella Carta 1:25.000 tutti i profili degli spartivalle maggiori e minori, e dello spartiacque principale. La spesa troppo forte mi impedisce di pubblicarli. Ii 18 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO Perciò vediamo in esso sviluppati anche quei terreni miocenici che mancano al versante settentrionale. Così pure il Pliocene, con le marne sabbiose cineree e le sabbie gialle, fascia il piede del versante tra l’orlo quaternario della pianura e la stretta zonula parallela del Messiniano. Il suo margine superiore, dove naturalmente è massima la altimetria, interessa da Est a Ovest: €. Moretto (371), Moglia (381), Bric Procco (352), Br. Castellaccio (383); La Cap- pelletta (379), Tetti Andio (351), S. Maria (343), Villa Brunetta (345), Villa Pomba (397), Villa Menzio (375), Il Cipresso (370), Villa Manno (375), V. Bruno (376), C. Chiara di S. Felice (360), C. De Matteis (331), S. Pietro (295). A occidente di questo punto la fascia che si è già venuta restringendo, scompare sotto i terreni quaternari. È dunque importante constatare come l’altimetria massima del Pliocene (Piacenziano) nella Collina di Torino non | arrivi a 400 m. e pur tenendo in debito conto l’erosione subita, si resta però lontani dalle altezze di 600 e 700 m. toccati da questo terreno alle falde delle Alpi Marittime, nei din- torni di Mondovì (1). Sì che pare si possa concludere che il potente sollevamento verifica- tosi alla fine del Pliocene sia stato assai più efficace nella catena alpina che non nelle regioni interne del bacino padano. La forma complessiva del versante meridionale è data da un piano generale, dolce- mente inclinato in modo uniforme verso la pianura del T. Banna. Nella zona occidentale però svetta da questo piano, rompendone l'uniformità, lo spartiacque, la più forte altimetria del quale è, come si è detto, in relazione con l’anticlinale della Maddalena, ma più special- mente con la maggiore resistenza dei terreni Elveziani a facies conglomeratica che lo costi- tuiscono da Pino Torinese alla estremità occidentale. Infatti appena a oriente di Pino, quando lo spartiacque non corre più nell’Elveziano ma si trova spostato più a Nord nei terreni Lan- ghiani, il pendio diventa palesemente uniforme. Nella stessa zona occidentale notiamo pure come il piano generale soggiacente all’accennato spartiacque sia favorito specialmente dai depositi di Loess che vi sono sviluppatissimi, alla erosione dei quali per opera del Po- Tanaro si deve lo zoccolo di Testona - Moriondo - Trofarello col quale termina il versante. Caratteristica della estrema fascia inferiore di questo versante sono i gomiti, inflessi - verso occidente, descritti dalle correnti: quando arrivano ai depositi Astiani, anche se la loro traccia superiore li portava in direzione opposta. Questo fatto evidentissimo ci indica come il sollevamento iniziatosi alla fine del Pliocene si compisse più intensamente a oriente, per cui conferendo alla sinclinale una pendenza generale, per quanto lieve, verso Ovest, imponeva tale direzione alle correnti della Collina. Ciò concorda con quanto il Prof. Sacco rilevò diret- tamente dall'esame geologico, affermando che il pliocene mentre si abbassa a NE e si sol- leva a W sino allo spartiacque Po-Tanaro, ad occidente di questo pende invece regolar- mente a NW (2). Versante settentrionale. — Prescindendo dal blocco collinoso Chivasso- Casalbor- | gone, il quale pur appartenendo al versante settentrionale è morfologicamente indipendente, essenzialmente modellato dai grandi bacini del T. Leona e del Rio Maggiore di Gassino in relazione con il suo speciale asse tectonico, possiamo distinguere anzitutto una zona occi- dentale di forma grossolanamente triangolare con base sul Po, limitata a oriente dalla Valle Salici. Essa è caratterizzata da una relativamente forte altimetria e pendenza, determinate ‘dalla anticlinale della Maddalena e dalla resistente facies conglomeratica prevalente nei ter- reni elveziani che la costituiscono. (1) Cfr. Sacco F., IZ Bac. Terz. e Quat., loc. cit., pag. 478, e Taramenri T., L'epoca glaciale in Italia, Estr. ° Att. Soc. It. per il Progresso delle Scienze ,, IV Riunione (1910), pag. 5, Napoli, 1911. (2) Sacco F., 12 Bac. Terz. e Quat., loc. cit., pag. 509. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 7. 19 A questa succede una zona mediana più estesa, limitata a oriente dallo spartiacque secondario di Superga, nella quale la pendenza e la altimetria sono attenuate in guisa che essa ci si presenta come una depressione, mentre a’ suoi due estremi s’innalzano le cime più alte della Collina: Bric della Maddalena (716) e Superga (670). Essa deve in massima parte attribuirsi, oltre che alla interruzione della anticlinale secondaria, all’ affioramento dei meno resistenti terreni Langhiani che si estendono dal crinale sino al Po. La rimanente zona differisce dalle precedenti pel fatto che affiorando il nucleo eocenico e i terreni Langhiani ed Elveziani di entrambe le gambe dell’ellissoide, si interrompe la continuità del pendio verso il Po, assumendo invece valori e direzioni di pendenza molto vari. In generale la superficie topografica di questo versante non corrisponde affatto alla superficie genetica, in quanto esse determinano fra loro un angolo notevole. Mancano gli altri terreni più giovani che affiorano nel versante meridionale. Tuttavia la presenza del Pliocene marino, specialmente Piacenziano, è stata constatata in diverse trivellazioni a Torino e Villaretto e negli scavi del ponte di Crescentino. Si può dunque supporre che esso costituisca una fascia attorno ai Colli Torino - Casale, appoggiandosi « probabilmente con Ayatus e discordanza più o meno forti, sui terreni eocenici e mioce- nici di dette Colline , (1). Particolarità morfologica del versante settentrionale è la forma del suo piede spesso foggiato a zoccolo con altimetria e andamento molto vario. Esso dipende prevalentemente dalla erosione diretta della corrente del Po in unione o in contrasto con le modificazioni più generali indotte su tutta la superficie del versante dalle correnti che lo solcano. Questo dimostra che il Po si tenne sempre presso la Collina, e là dove la sfiora anche oggi più da vicino, come nella curva di Chivasso, lo zoccolo è anche più ripido ed elevato toccando e superando in qualche punto i 400 m. Parrebbe dunque che la corrente del Po in corrispon- denza di questi punti trovasse ostacolo a far risentire la sua influenza su tutta l'estensione del versante, e il motivo mi pare debba risiedere specialmente nella compatta formazione elveziana che costituisce appunto lo zoccolo. Loess. — Di particolare importanza su entrambi i versanti, non tanto come causa determinante quanto come documento per la storia geomorfologica della Collina di Torino, è la diffusione del Loess. Senza dilungarmi nella descrizione delle varie placche a cui esso è ridotto attualmente, ciò che ha già fatto dettagliatamente il Prof. Sacco (2), mi basta rilevare: 1° che il Loess si estende sul Langhiano e su gli altri terreni successivi; 2° che esso ha il massimo spessore dove il pendio è meno ripido, cioè in generale sotto i 400 m., quantunque si estenda a tutte le altezze dal piede della Collina sino oltre i 500 m.; 3° il Loess è più sviluppato nel versante meridionale, e nel versante settentrionale si trova di preferenza nella sponda destra delle valli; 4° i banchi di mirs (Loess cementato) interca- lati, “ sono assolutamente discordanti dai sottostanti strati marini in posto e concordanti piuttosto con l’inclinazione dell’attuale pendio della Collina , (3). (1) Sacco F., Il Piacenziano sotto Torino, “ Boll. Soc. Geol. It. ,, vol. XXIII, pag. 502, Roma, 1904. (2) Sacco F., I Terreni Quaternari della Collina di Torino, Estr. “ Atti Soc. It. Sc. Nat. ,, vol. XXX, pag. 24 e seg., Milano, 1887. (3) Sacco F., Ibid., pag. 54. La disposizione stessa del Loess nella Collina di Torino conferma, come mi suggerisce il Prof. Parona, le conclusioni della analisi mineralogica circa la sua provenienza dall’anfiteatro morenico di Rivoli, cioè da NW. Infatti, supposta questa direzione, le accennate località più ricche in Loess verrebbero effettivamente a trovarsi sotto vento, in angolo morto, cioè nelle condizioni migliori per il depo- sito del materiale eolico, 20 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO Discuteremo a suo luogo l’età del Loess, per ora mi preme dedurne che al momento della sua deposizione le linee di spartivalle, le valli stesse, e in generale i versanti si tro- vavano quasi nelle stesse condizioni attuali. Questa conclusione che si riferirebbe alla ristretta zona di distribuzione del Loess, la quale interessa la estremità occidentale della Collina sino alla linea Val grande Mongreno - Rio del Vallo, si può logicamente applicare a tutto il restante della Collina dove si hanno condizioni altimetriche analoghe e valli anzi anche più sviluppate. Idrografia dei versanti. — È intuitivo che in una catena di così piccola estensione e di struttura così semplice come la Collina di Torino, la Idrografia superficiale (1) abbia avuto la parte maggiore nel modellamento dei versanti. Di essa quindi si parlerà a parte ricercando le cause e gli effetti di ciascuna corrente nell’uno o nell’altro versante, allo scopo di raccogliere la maggior copia di elementi possibile per la conclusione generale circa l'evoluzione geomorfologica della Collina. 3. — Idrografia del versante meridionale. T. Traversola (Il Rio, R. Traversa, R. della Morra). — Trae origine da due rami simmetrici: l’uno occidentale più breve nasce immediatamente a Est di Cinzano, sotto il paese, ove si è foggiato un largo bacino ora completamente ridotto a prati; l’altro orien- tale, detto R. della Montata e R. Bardella, si insinua a Est del Cimitero di Berzano S. Pietro. Questi due rami unendosi a Sud di Cascina Morra, ricevono sulla destra R. del Pascolo e originano così il vero Canale di scolo che ha direzione N-S fino a Moncucco Tori- nese assumendo il nome di Rio della Morra. Appena a Sud di quest'ultimo paese il Rio attraversa la fascia Messiniana composta essenzialmente di marne che in questo punto com- prendono una potente lente gessosa largamente utilizzata. Data perciò la relativamente debole resistenza di tale facies litologica, specialmente per Ja erodibilità del gesso, la valle comincia ad ampliarsi per diventare sempre più larga quando poco dopo penetra nella formazione marno-argilloso-sabbiosa del Pliocene (Piacenziano e Astiano). Così essa deviando verso SSE passa tra Moriondo Torinese e Castelnovo d’Asti, dove riceve sulla sinistra il R. di Nevis- sano e successivamente R. di Valles e R. Valgatizza sulla destra. In questo tratto prende il nome di Il Rio, presenta un suolo largo e piano, versanti ripidi, e poi proseguendo nella direzione di SSE corre al Tanaro. Di particolare interesse in questa lunga valle è l'impostazione dei due rami sorgen- tiferi simmetrici, che rendono il bacino di raccoglimento cordiforme con l’apice a valle. Questo fatto anormale per cui l’asse della valle anzichè proseguire perpendicolare al crinale resta sdoppiato, è in stretta relazione con la curva dello spartiacque principale, aperta verso l’attiguo e opposto T. Leona (pag. 33). La quale arretrandosi per la maggiore potenza erosiva di questo torrente, invase l’area del T. Traversola modificandone il bacino di racco- glimento in modo da originare i due rami attuali. Poichè in un bacino invaso dal semicono di erosione di una corrente attigua, opposta, le tangenti alle due estremità dell'arco formatosi per conseguenza nello spartiacque diventano direttrici di due nuovi affluenti. Ne consegue che “ Za conformazione di due valli contigue non è simultanea, ma nella valle minore è susseguente a quella maggiore , (2). (1) Parlo solo della Idrografia superficiale, perchè quella sotterranea è troppo poco sviluppata nella Col- lina di Torino e non ha contribuito a determinare alcuna modificazione morfologica apprezzabile. (2) Rovereto G., Geomorf. Valli Liguri, loc. cit., pag. 169. A MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 7. 21 Se la retrocessione del semicono della corrente maggiore a spese di quella minore è avvenuta a sbalzi, ossia se la forza erosiva invece che in modo continuo si esplicò con pe- riodi di intensità maggiore intervallati da periodi abbastanza lunghi di riposo, dovremmo trovare tanti affluenti simmetrici e coordinati all'asse della valle quanti sono questi periodi. Ma poichè arretrando l’arco si allarga ne potrà derivare che in un certo momento i due cor- rispondenti affluenti simmetrici col comune livello di sbocco nel collettore saranno talmente divaricati che gli effetti della loro azione erosiva combinati con l’arretramento stesso del- l’arco potranno cancellare gli eventuali affluenti precedenti e il tratto stesso del collettore, a monte del loro punto di sbocco, in qualunque modo siasi svolto l’arretramento. Possiamo dunque ammettere che quanto più distanziati sono i punti d’origine di tali affluenti tangenti, ossia quanto più ampio e arretrato è l'arco del semicono opposto, tanto più a lungo la cor- rente minore subì l’influenza di quella maggiore. Tornando al caso nostro, così possiamo spiegarci l'assoluta scomparsa di ogni vestigia di asta valliva normale allo spartiacque, dato che sia esistita, a monte dell’attuale confluenza dei due rami sorgentiferi (1). Abbiamo poi così anche un elemento per giudicare della grande antichità della valle, e una prova della fortissima erosione cui andò soggetto lo spartiacque, tanto che ne venne asportato il terreno Elveziano, come avevamo già affermato. Dall’assieme di queste influenze sulla morfologia dei due rami sorgentiferi e dell’attuale corso superiore del T. Traversola dipendono indirettamente le modalità del corso di tutti gli altri affluenti, tra i quali ricordo R. del Pascolo parallelo al ramo di Cinzano, e quello assai più cospicuo di R. di Nevissano subparallelo alla corrente principale. Rio Aranzone (R. Moglia, R. Fontanelli). — Ha decorso fino a Moriondo sensibilmente parallelo all’attiguo T. Traversola, del quale rispecchia anche molti caratteri. Il bacino di raccoglimento, tra lo spartiacque e Cascina Reali, è compreso tra i bacini del Rio Maggiore di Gassino e del T. Leona, e la sua direttrice corrisponde precisamente alla bisettrice del- l’angolo formato dalla loro interferenza. Esso è ampio, con pendii molto dolci nei quali si può notare la traccia di un terrazzo sviluppato sulla sponda destra, lungo la isoipsa 415, che sopporta gli abitati di Aprà, S. Grato, C. Pastura. Appena a valle di Cascina Reali s'inizia il canale di scolo meno ampio, con versanti più ripidi, e con direzione di SSE, sino a Moncucco. Gli affluenti di questo tratto sono quasi tutti di sinistra, paralleli, equipollenti ed anche equidistanti, e incontrano il collettore sotto un angolo regolarmente acuto. Essi sono ricchissimi di piccoli ramuscoli subaffluenti, ciò che indica appunto la ripidità del versante che incidono. L'andamento di questi affluenti porta come conseguenza la individuazione di costole ben distinte e parallele con analoga direzione NNE-SSW, tra le quali è particolarmente caratteristica la Costa Faussone. La ragione di tutti questi fatti risiede principalmente nella costituzione geologica di questo tratto di versante. È noto che l’Elveziano della Collina di Torino ha una facies com- plessa di sabbie più o meno cementate, marne compatte, letti ghiaioso ciottolosi a elementi talora voluminosissimi, e si capisce come il prevalere dell’una o dell’altra costituzione lito- logica possa localmente influenzare il corso delle acque. Così possiamo spiegarci la maggiore ampiezza del bacino di raccoglimento, che sembra quasi indipendente. Sembrerebbe infatti che la valle avesse un tempo la sua origine secondo la curva Bric Castagneto (442), Cascina Reali (423), Br. Morlè (431) e solo posteriormente, per erosione rimontante, si fosse acquisito l’attuale bacino di Aprà. È certo che le acque correnti, mentre (1) Occorre però notare che sulla direttrice del ramo Rio Montata- Rio Bardella influì in senso favo- revole il decorso ad esso perpendicolare del braccio orientale dell’anticlinale di Cinzano. 22 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO avevano facile presa negli strati sabbiosi e marnosi diffusi presso Cinzano, incontravano una non lieve resistenza nei più compatti banchi arenaceo conglomeratici di Br. Morlè, Br. Ca- stagneto, per cui indugiandosi a monte poterono quivi più ampiamente estendere il loro lavoro erosivo fin che col tempo trionfarono di tale ostacolo. La prevalenza poi della facies di Br. Morlè, dei banchi marnoso compatti di Bric del Galletto (456), di quelli sabbiosi cementati del Poggio di S. Giuseppe (464), degli strati ghiaioso ciottolosi di Br. S. Paolo (442), delle lenti ciottolose di Moncucco (403), spiega la relativa strettezza della valle. Anzi l'impostazione stessa degli affluenti di sinistra è in rela- zione con locali alternanze di roccia meno resistente alla erosione. Così il rivolo che scende da Cascina Fontana corrisponde a una zonula di banchi sabbioso-molassici, alternati con banchi marnoso-argillosi, interposta fra i banchi e gli strati di Br. S. Paolo e Poggio di S. Giu- seppe già ricordati. Quanto alla mancanza di affluenti sulla destra di questo tratto di valle occorre osser- vare che le attigue correnti di R. della Verbia e di Valle di Vergnano avendo assai ampliato il loro bacino imbrifero fecero anche spostare verso R. Aranzone lo spartivalle che attual- mente si trova appunto più ravvicinato a quest’ultima corrente. Ne conseguì un corrispon- dente graduale atrofizzarsi degli affluenti di destra di R. Aranzone. Essi infatti compaiono appena lo spartivalle comincia ad allontanarsi. Ciò che succede a valle di Moncucco dove la corrente entrando nel dominio della formazione pliocenica si allarga assai scorrendo, come già il T. Traversola, sulla platea argillosa del Piacenziano. Il Rio da Moncucco a Moriondo assume successivamente i nomi di R. Fontanelli e R. Moglia e solo a valle della strada di Chieri prende il nome complessivo di R. Aranzone che immette nel R. Scarosa. È precisamente in corrispondenza della strada di Chieri, presso Moriondo Torinese, che la valle cambia la precedente direzione di SSE in quella di SW iniziando quell’incurvamento occidentale che si ripete in quasi tutti gli altri rii di questo versante, e sul quale già ci siamo intrattenuti. Appena a valle di Moriondo riceve R. Bertone sulla sinistra, del quale diremo tosto, e il Rio che scende da Briano sulla destra. A proposito di quest’ultimo che per la maggior parte del corso è parallelo al collettore, data l’ampiezza della sua valle sproporzionata alla esilità della corrente che la percorre, potrebbe pensarsi come un antico percorso di R. Aran- zone attraverso la sella di C. Ciaudro avvallata a 350 m. Militerebbero per questa ipotesi la direzione della valle di Briano allineata sulla traccia del segmento superiore di R. Aran- zone e l’altezza della sella accennata che si raccorda con la linea di demarcazione tra l’alto e il basso versante dello stesso segmento. Però la impossibilità di esaminare le alluvioni nel Rio di Briano essendo la valle tutta quanta coltivata, e d’altra parte il fatto che l’ampiezza di questa può semplicemente spiegarsi col particolar modo d’erosione nelle marne e sabbie plioceniche ci rendono dubbiosi. Comunque però, il Rio di Briano che dopo Moriondo segue la nuova direzione di R. Aranzone per sboccare in esso, doveva prima continuare nella sua precedente direzione per sboccare in uno dei rami sorgentiferi del T. Banna e precisamente nel ramo detto R. Bannetto, come viene dimostrato dall'andamento delle curve di livello. La cattura potè avvenire nel vertice della curva descritta da R. Aranzone presso Moriondo per la conseguente profonda insellatura dell’interposto vallame. Rio Bertone (Rio di Mombello, Valle di Vergnano). — Per quanto tributario del rio precedente, tuttavia ha un corso autonomo che interessa da solo il versante per non breve tratto. La sua direttrice idrografica è subordinata a quelle delle due contigue correnti mag- giori: R. Aranzone a Est, Rio del Lago di Arignano a Ovest. Perciò il suo bacino è adat- tato alle preesistenti condizioni dei bacini tra cui esso è interposto. La valle che incide per breve tratto le marne Elveziane sviluppate alle sue sorgenti presso La Torre, sotto S. Giorgio MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. td 23 di Vergnano, e poi gli altri terreni del Miocene e Pliocene, è molto ampia, con suolo pia- neggiante, priva di affluenti, quantunque rimangano tracce di vallecole asciutte, come quella di Cascina Carossano e di Mombello. Rio del Lago di Arignano. — Questo rio sviluppatissimo è costituito da due rami principali: Rio della Verbia e Valle di Lana. La direzione generale del primo, almeno fino a S. Giorgio di Vergnano, è quasi normale alla anticlinale di Cinzano. Nella sua estremità superiore, detta R. Serra, è interessante notare, come il fianco destro sia assai meno ripido del sinistro, onde resta evidente lo spo- stamento del rio da destra a sinistra. A S. Giorgio invece risalta grandemente sulla sponda sinistra un meandro antico, abbandonato dalla corrente attuale, terrazzato secondo la isoipsa 350 la quale ne segna pure la curva massima. Sotto questa quota la curva va rettificandosi fino alla direzione della corrente attuale, e il terrazzo è suddiviso in molte digitazioni omocen- triche e dirette in media verso NW, dovute probabilmente a piccoli rivoli conseguenti l’ab- bassamento del collettore. Im conclusione il tratto R. Serra-S. Giorgio ha compiuto uno spostamento rotatorio, per quanto lieve, del suo asse con perno presso a poco di contro a Vernone approfondendosi contemporaneamente di circa 30 m. Tra le cause che hanno deter- minato tale spostamento ricordo principalmente la resistenza opposta alla primitiva direzione, dalle compatte marne, con intercalazioni puddingoidi a grossi blocchi, dell’Elveziano supe- riore, costituenti il Poggio di S. Giorgio (446) e in parte Br. d'Oliva (339), e in secondo luoge lo stabilirsi del ramuscolo simmetrico di R. Serra con esso convergente. Più complessa è la Valle di Lana, la quale a sua volta risulta di due rami principali. L'uno maggiore con direzione N-S scende da Sciolze ed è in relazione ancora con l’anticli- nale di Cinzano e con la prevalente facies arenacea: dell’Elveziano, il quale del resto è quivi sviluppato con i suoi tre membri: inferiore, medio e superiore. L'altro ramo che scende da Roccati è in relazione invece con lo spartivalle determinato dall’attigua Valle dei Cani, e ha direzione di SE. L'attuale corso inferiore di Valle di Lana che incontra quasi ad angolo retto il Rio della Verbia è stato determinato appunto dal ramo di Roccati del quale forma la continuazione. Prima però che si affermasse questo ramo, la Valle di Lana aveva piut- tosto direzione SSE e si univa al Rio della Verbia appena a monte del Lago di Arignano. Infatti il ramo di Sciolze dopo essersi abbattuto contro la costa di Villa Maiolo, dove si osserva ancora una concavità ben marcata, girava attorno al Poggio di Avuglione, costi- tuito da compatti banchi marnoso-ciottolosi, incidendovi un largo terrazzo diretto quasi NS, che degrada da quota 350 a 325. L’impulso verso SE dato da R. Roccati combinato con l’erosione del vicinissimo R. della Verbia contribuì a far demolire lo sperone interposto e Valle di Lana spostò il suo sbocco verso Nord. Così abbiamo qui una apparente contraddi- zione alla legge sull'angolo di confluenza, poichè l’ampiezza dell'angolo (prossimo al retto) è qui indizio di età più antica. Appena a sud della confluenza attuale di Rio della Verbia e Valle di Lana, la Valle si allarga moltissimo poichè entra nella formazione pliocenica. È stata quindi facile la costi- tuzione artificiale del Lago di Arignano ottenuta con un semplice sbarramento di pochi metri, utilizzando il suolo lievissimamente inclinato della valle. Il Lago è asciutto per la maggior parte dell’anno, data la oltremodo esigua portata della corrente attuale, la quale normalmente è ridotta a un piccolo fossatello. A valle del lago il rio s'inflette come già i precedenti, facendo descrivere allo sparti- valle di sinistra una larghissima curva aperta a Ovest. Riceve in questo tratto, sulla destra, _ i piccoli Rivi di Rivale e di Prela e quello ben più importante di R. Bussetto. Rio Bussetto. — È simmetrico e identico per origine e sviluppo del Rio Bertone. Infatti ha il suo bacino subordinato e interposto alle due valli maggiori, contigue, del Lago 24 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO di Arignano e del Canale di Montaldo. E poichè queste descrivono curve simmetriche ma divergenti, così il bacino di Rio Bussetto ha forma grossolanamente a losanga, del quale la corrente occupa la diagonale maggiore orientata NNW-SSE, ed i pochi suoi affluenti sono simmetrici. Canale di Montaldo. — Pare che la sua direttrice idrografica sia in relazione con la scomparsa dell’anticlinale di Cinzano. È probabile infatti che lo smorzarsi di questa deter- mini una ondulazione trasversale o quanto meno una diminuzione di pendenza negli strati, poichè mancando il più vicino asse secondario essi verrebbero a dipendere dall’asse princi- pale più lontano. In altri termini succederebbe come se l’asse di Cinzano anzichè troncarsi — sì inflettesse verso Nord per attaccarsi all’asse principale. Ho constatato infatti che gli strati di marne dure, fissili, che prevalgono nella serie Langhiana, mentre presso Sciolze sono inclinate di circa 25° verso SE e SSE, si inflettono tosto verso Nord inclinando a SW per riprendere poco dopo ancora la inclinazione a SE, come si può osservare presso Tetti Sacchero. Ne consegue così una direttrice idrografica verso SW corrispondente al corso dei vari rami di R. Fujet e Valle dei Cani che si compongono nella Valle Vernaj. L'altro ramo invece di Rio delle Baje si trova ormai nelle condizioni ordinarie di valle trasversale, essendo normale all’asse tectonico principale. Tale normalità fu rispettata e direi quasi agevolata dalla attigua corrente di R. Bossola, nel versante settentrionale, la quale essendo longitudinale conservò allo spartiacque principale il parallelismo con l’asse tectonico. Dalla unione di Rio delle Baie e Valle della Verbia si forma il vero Canale di Montaldo con valle molto ampia perchè erode terreni poco resistenti tortoniani e i successivi messi- niani e pliocenici. Anche in questa valle esistono evidenti traccie di meandri, tra i quali particolarmente sviluppato quello a Sud del paese di Montaldo. Poco prima di Andezeno la valle descrive la solita curva terminale aperta a Ovest, molto ampia, della quale il paese di Andezeno occupa il vertice. Rio di Baldissero (Rio Canarone). — Questo, come gli altri sino a Rio Vajors, corri- sponde a un arretramento dello spartiacque dovuto alla scomparsa di anticlinali secondarie parallele alla principale, e a particolari condizioni morfologiche, cui studieremo nel versante settentrionale, per effetto delle quali mancano in tale versante le corrispondenti valli tras- versali normali alla direttrice tectonica. s Il Rio di Baldissero spinge il suo bacino di raccoglimento tra quelli degli opposti Rio Dora e R. Bossola-R. Crivella, incidendosi due rami nelle marne dure, scagliose e nelle pud- dinghe del Langhiano. Dipoi allarga gradatamente la sua valle a mano a mano che passa nei terreni ulteriori, dirigendosi complessivamente a SE, per sboccare, artificialmente, nel Canale di Montaldo ad Andezeno. Il Rio attuale infatti è così povero d’acque che è ridotto alla condizione di fossatello stradale proprio al suo sbocco. Però l’ampiezza della sua valle testifica una precedente vita rigogliosa, come l’andamento e la forma de’ suoi versanti indi- cano un suo antico decorso rettificato NNW-SSE. Valle di Vergnano. — Ha condizioni direttrici perfettamente analoghe a quelle delle fiancheggianti valli, delle quali ha decorso parallelo. Manca di affluenti, perchè tali valli per la stretta vicinanza, per la maggiore importanza, hanno rispettivamente addossato ad essa i loro spartivalle riducendone così l'ampiezza del bacino. i Valle dei Ceppi e Valle di Gola. — Queste due valli che si uniscono a circa 2 Km. a NW di Chieri per formare un’unica valle ampia solcata da R. Morto Pellegrino prima, e R. Gionchetti poi, conservano per lungo spazio la propria individualità quantunque non presentino caratteristiche speciali trovandosi in condizioni morfologiche analoghe a quelle delle precedenti correnti. Si può soltanto osservare che esse avevano prima un corso un poco più rettificato e diretto a SSE. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. "7. 25 Rio del Vallo. — Valle regolare diretta a SE e molto ampia. È però interessante notare come essa sembri composta di due tronchi ben distinti: l’uno inferiore si inizia a C. Ormea, rettilineo, regolare e a sezione trasversale uniformemente larga, l’altro superiore meno regolare, che dalla sella di Pino Torinese giunge a ©. Balbiana, con direzione parallela al precedente ma spostata più a Est. Essi si raccordano mediante un breve tratto diretto NS. Il profilo longitudinale del tronco superiore mostra dapprima la rapida generatrice del semi- cono di erosione scendente sino alla Villa Calcaterra (400), succede un segmento meno ripido che arriva sino a 0. Balbiana (365), d'onde per mezzo del tratto intermedio accen- nato si raccorda con quello assai meno inclinato del tronco inferiore. Nel segmento V. Cal- caterra-U. Balbiana il versante sinistro scende molto dolcemente, mentre il destro è assai più ripido, donde si deduce che il Rio si è spostato, abbassandosi, verso Sud; di contro C. Balbiana sullo spartivalle di sinistra si sviluppa una sella a quota 380, cui corrisponde una concavità del versante destro dell’attigua Valle di Gola. Da tutti questi fatti mi pare si debba logicamente pensare che l’attuale corso superiore di Rio del Vallo dovesse prima immettere nella Valle di Gola di cui costituiva un affluente di destra, mentre R. del Vallo che doveva essere allora un semplice Rio secondario, se lo sarebbe successivamente appro- priato, captandolo per erosione rimontante. Rio di Castelvecchio. — È un Rio di origine secondaria, analogo al precedente. Esso probabilmente dapprima si iniziò a €. Moglia di Tana e interessò esclusivamente ter- reni pliocenici. Poi con un suo ramo di destra riuscì gradatamente a rimontare il versante adattandosi alle condizioni imposte allo spartivalle dall’attiguo Rio di Vajors, del quale decapitò anche gli affluenti di sinistra. E così riuscì a spingersi sino allo spartiacque prin- cipale. Si capisce quindi come non abbia affluenti data la strettezza del suo bacino. Solo nel corso inferiore si osserva nella sua sinistra un troncone di valle morta che corrisponde al suo primitivo bacino di raccoglimento. Rio di Vajors e Rio S. Pietro. — Quantunque attualmente separati, sono inscin- dibili nella storia del loro sviluppo evolutivo. La quale può essere tracciata così: Rio di Vajors fu dapprima costituito dal solo ramo orientale che scende dal Br. Torre Rotonda (622) e aveva complessivamente direzione quasi NS, ossia pressochè identica alla presente. L’at- tuale suo ramo occidentale di Valle Canape, dopo essersi aperto a stento una angusta via tra la compatta formazione conglomeratica elveziana di Br. S. Vito diretta a SE e poi deci- samente a Sud di contro al poggio di V. Borsarelli (456), mentre ora riprende la direzione di SE per sfociare nel Rio di Vajors, continuava allora nella direzione di Sud e immetteva nel R. di S. Pietro quasi contro Pecetto passando nel terrazzetto di Madonna del Car- mine (363). Abbassandosi poi scivolò, per così dire, lungo l’attuale spartivalle di sinistra di R. S. Pietro che ne risultò così modellato a dolce pendio, sino al grande terrazzo Bovero- C. Molinetto a quota 315 che interrompe la continuità dello spartivalle stesso. In questo punto, per la strettissima vicinanza, riuscì facile a R. Vajors catturarlo. Non escludo che anche l’altro ramo attuale di R. Vajors, data la sua direzione NS che trova la continuazione più logica nel terrazzo di Bovero, abbia pure seguito questa via; quello che credo di poter affermare è che il corso superiore dell’ attuale R. di Vajors era tributario di R. S. Pietro. Così ci si può anche spiegare l'evidente anomalia presentata da quest’ultimo Rio, il quale attualmente è costituito da un breve corso superiore, con bacino poco largo e senza affluenti, mentre a valle di Bovero-S. Pietro si continua in una valle amplissima. Valle Sauglio. — Ha direttrice normale all’anticlinale della Maddalena, con decorso oltremodo semplice per la maggior parte. Solo di contro Revigliasco coll’innalzarsi repentino Ji 26 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO del versante quivi costituito da potenti ammassi conglomeratici. il Rio si scinde in vari rami che si addentrano nella formazione elveziana tra Br. della Maddalena (715) e Bricco S. Vito (624). Il più occidentale di questi rami, detto R. Gavoni, ha direzione prevalente NS sino alle prime case di Revigliasco, d’onde si inflette improvvisamente a SE per congiun- gersi all’altro ramo di Valle Sauglio, girando attorno al paese. Per tale primitiva direzione meridionale, R. Gavoni si raccorda con una sella dello spartivalle appunto immediatamente a monte di Revigliasco, e con un troncone di valle morta che interessa il versante sinistro di R. S. Bartolomeo, e l’area stessa del paese di Revigliasco. È quindi logico supporre che Rio Gavoni sfociasse prima nel bacino di R. S. Bartolomeo. Col bacino di Valle Sauglio si entra nella zona di maggiore diffusione del Loess, il quale si può dire occupa quasi completamente il versante spingendosi sino oltre i 600 m. d’elevazione (1). L'effetto del Loess si traduce nella morfologia della regione in un generale uniforme appianamento, come un grande terrazzo dal quale svettano i rilievi conglomeratici dello spartiacque della collina. Poichè le correnti, specialmente in epoca quaternaria, lo erosero facilmente approfondendovisi, ne derivò che attualmente esso trovasi di preferenza conser- vato sui vallami interposti, i quali perciò risultano più morbidi, larghi, pianeggianti. Però, dato il particolar modo di sfaldarsi del Loess in tavoloni talora enormi corrispondenti alle sue numerose fenditure (sinclasi), in cui opera attivamente l’azione degli agenti idroatmo- sferici, si ha anche una serie di muraglioni verticali che appaiono in diversi punti. Per questo fatto, dove in condizioni normali una corrente qualunque inciderebbe una curva concava regolare si forma invece una spezzata. Così si spiegano i terrazzi perpendicolari alla direzione delle correnti principali, che si osservano in quasi tutti gli spartivalle di questa zona. Analoga origine hanno quei lievi terrazzi, più o meno bene distinguibili, paralleli alle correnti, che si notano nella stessa Valle Sauglio inferiore, specialmente nell’affluente di C. Valvera-Pilone. Rio di S. Bartolomeo o di Pallera. — Gli stessi fatti si osservano, anzi direi si intensificano nel bacino assai diramato di questo Rio. Anche qui infatti svettano a monte le cime di M. Calvo (592) e Bric della Maddalena (715), la cui compagine è quasi esclusi- vamente costituita da conglomerati a elementi prevalentemente assai voluminosi. Quivi il bacino di R. Pallera ha una forte pendenza, con numerosi rami, incassati nella compatta formazione elveziana. Un po’ più a valle invece si sviluppa ampiamente il Loess, nel quale sono incise quasi tutte le strade, e tutte le diramazioni del bacino. Si ripetono quindi anche qui le particolarità morfologiche nei vallami e nei versanti già accennate. Per quanto risultante dalla unione dei varii rami quasi equivalenti, non è difficile pen- sare che il corso principale del R. di S. Bartolomeo sia costituito dal ramo mediano, quello che ha per sorgenti R. Cenasco e R. Alberoni, essendo esso il più sviluppato e avente direzione media, corrispondente alla altezza del triangolo formato da questa estremità del versante meridionale. 4. — Idrografia del versante settentrionale. . Rio Rubella; Rio Seppone; Val Patonera; Valle di S. Vito. — Occupano la prima zona, a forma di triangolo, che abbiamo distinta nel versante settentrionale, nella quale è sviluppato il Loess in placche tuttora molto notevoli. Essi si trovano perciò in con- dizioni fondamentali comuni. Però diverse sono le dimensioni e le condizioni dei loro singoli (1) Sacco E., I Terr. Quatern., loc. cit., pag. 44. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NAUR., SERIE II, VOL. LXV, N. "7. 27 bacini, poichè quelli di Rio Rubella e Valle di S. Vito sono subordinati a quelli di Rio Sep- pone e Val Patonera, la cui direttrice idrografica corrisponde alla generatrice del semicono con cui termina la collina. Rio Seppone e Val Patonera hanno perciò i loro bacini di rac- coglimento subparalleli, assai diramati in relazione col più forte pendio del versante nel quale incidono i rispettivi semiconi di erosione. Con l’inizio del canale di scolo essi diven- tano per breve tratto convergenti trovando facile preda nelle sabbie e marne dell’elveziano medio dell’interposto vallame, sul quale determinano, per la loro vicinanza, la sella del paese di Cavoretto. Ma subito dopo diventano fortemente divergenti: Val Patonera dirigendosi a NW e Rio Seppone a SW. I loro bacini idrografici determinano così la forma a clessidra dell’interposto vallame col paese di Cavoretto nel punto mediano, più ristretto. A causare la divergenza del loro corso inferiore contribuì certamente l'ostacolo opposto alla erosione dalla formazione puddingoide del promontorio a quota 373 immediatamente a Ovest di Cavoretto, il quale a sua volta potè conservare tale notevole altimetria per effetto appunto di tale divergenza. Tuttavia la nuova direzione di Val Patonera rientra nelle condizioni nor- mali in quanto risponde alla nota legge sull’angolo di confluenza, angolo che doveva essere più acuto in passato, poichè la corrente dovette lambire lo sprone di destra passando per Villa Bottini. Quella di Rio Seppone invece è troppo anormale, poichè diventa anzi inversa della direzione del Po dove pure va a sfociare, per essere giustificata con un episodio ero- sivo così semplice. Tanto più che, allo sbocco di Rio Seppone, si osserva sulla sponda destra il bel terrazzo di Villa Quarelli (275) parallelo al Po, per cui è logico supporre che il Rio passandovi sopra incontrasse dapprima la corrente del Po ad angolo retto. Così che la sua attuale direzione si sarebbe compiuta con uno sviluppo evolutivo inverso, cioè invece che acuto l’angolo di confluenza è diventato ottuso. A spiegare questa evidentissima anomalia mi pare concorrano principalmente due cause. Anzitutto l’attrazione indubbiamente esercitata dall’asse della sinclinale, il quale, con dire- zione di SW, passa a Sud di R. Seppone. Il Rio quindi mentre si abbassava tendeva ad allontanarsi dalla anticlinale principale, il cui asse coincide appunto col cocuzzolo 373 a W di Cavoretto, per spostarsi verso la direttrice di scolo più naturale nella sinclinale. Ma più ancora di questa causa mi pare si debba ricercare la spiegazione del fatto nel meandro che, come abbiamo visto, il Po descrive tra Moncalieri e Villa Rognoni (base del cocuz- zolo 373 a W di Cavoretto). Rio Seppone passando sul terrazzo di Villa Quarelli sfociava alla estremità Nord del meandro. L’erosione della corrente del Po doveva naturalmente essere maggiore nel centro della curva, come dimostra la concavità stessa così originatasi. Per cui arretrandosi il versante il collettore fu quivi più ravvicinato all’affluente, il quale seguì naturalmente la via più breve spostando il punto di sbocco verso Sud. Valle Salici. — Complessivamente ha direttrice normale alla anticlinale principale e a quella della Maddalena, e si compone di due rami dei quali il principale ripete la sua direttrice dall’orlo elveziano che forma lo spartivalle di sinistra. E poichè la tectonica dei terreni nella collina di Torino è un ellissoide, e per erosione essi si mostrano attual- mente, come s'è detto, sovrapposti a curve nelle estremità dell’asse, ne consegue che anche le valli che interessano questa zona di sovrapposizione assumono una analoga forma curva. Tale è il caso del ramo principale di Val Salice, che fino alla confluenza con l’altro ramo segue il contorno tra l’Elveziano e il Langhiano. La natura litologica più resistente dei ter- reni elveziani, che fu al tempo stesso causa ed effetto della incurvatura di Val Salice, rende il versante sinistro più alto e più ripido e di conseguenza anche più rivoso. Mentre infatti mancano affluenti all’altro ramo e alla sponda destra di questo, essi sono abbondanti per quanto modesti sulla sponda sinistra. Dopo la confiuenza dei due rami la valle riprende la direttrice normale alla anticlinale, ricevendo sulla sinistra l’affluente del Righino. 28 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO Presso lo sbocco di questa valle, nota prima col nome di Rio della Batteria, il prof. Sacco potè accuratamente studiare un interessante deposito quaternario attualmente ricoperto da depositi franosi. Egli riscontrò infatti, poco a valle della cinta daziaria, verso i 220 m. uno strato sabbioso argilloso, racchiuso fra strati ghiaiosi, sabbiosi e marnosi irregolarmente alternati, con resti fossili di Cervus megaceros, potente circa m. 6,50 e riposante su strati di marne e molasse dell’Elveziano (1). Valle S. Martino. — Per quanto di importanza secondaria subordinando il proprio bacino a quelli delle contigue Valle Salici e Val Reaglie, essa ha un notevole sviluppo arri- vando colle proprie sorgenti allo spartiacque principale. Notevole presso il termine inferiore dello spartivalle di destra a quota 310 un deposito di Loess tipico, che cresce in potenza verso SSW. Valle di Reaglie. — Lunga, ampia e regolare, diretta a NW, normalmente all’anti- clinale assiale della collina, protende il suo bacino di raccoglimento, in modo da spostare lo spartiacque principale verso Sud, delimitato da quattro sommità alternate con tre insel- lature corrispondenti alla erosione combinata con gli attigui bacini. Il bacino viene così composto rispettivamente da Ovest a Est, da M. Capra (633) — Margheria dell’Eremo (556) — Brie Le Fontanine (607) — Sella delle Fontanine (522) — Brie Torre Rotonda (622) — Cantoniera di Pino (489) — Bric delle ghiaie (531). Qui si raccolgono diversi rami conver- genti, tra i quali i due principali, simmetrici, sono Rio dell’Imferno e Rio della Bossola, e sembra vi si possano rilevare traccie di terrazzi che dimostrerebbero un precedente ciclo erosivo della valle. Il canale di scolo è pressochè rettilineo con affluenti solo nella sponda sinistra dove il vallame ha un'ampiezza molto maggiore del destro, essendo quest'ultimo assai ridotto per la stretta vicinanza della contigua Val Mongreno. Anche qui, nello spartivalle di destra e precisamente nel piccolo rilievo a Nord di Villa Harcourt, circa a quota 380, si osserva una placca di Loess che cresce di potenza verso SW. La valle sbocca a Madonna del Pilone, proprio al vertice della curva descritta dal Po in corrispondenza allo sbocco della Dora Riparia, e abbiamo già visto come si debba attri- buire a questo fatto l’analoga incurvatura parallela dello spartiacque. ° Ora aggiungeremo che i rapporti tra il collettore e la valle affluente sono strettissimi, in quanto, corrispondendo ad ogni convessità del collettore una concavità nel versante, questa diventa traccia idrografica, e perciò vi sì stabilisce una corrente che sboccherà nel vertice della curva. Come precisamente accade alla Valle di Reaglie. Ma lo sviluppo e l’im- portanza di questa corrente sarà tanto maggiore quanto più antica sarà stata la curvatura del collettore, sì che le influenze indotte si siano, per così dire, propagate più lontano nella superficie del versante. Nel caso nostro abbiamo una valle ampia e lunga, le condizioni del meandro del Po hanno avuto ripercussione fin allo spartiacque principale, se ne deve perciò dedurre la grande antichità della corrente e dell’accidente del collettore. Valli di Mongreno. — Due sono le valli che prendono nome dal paese di Mongreno posto a cavaliere dell’ interposto vallame. L’una, di impostazione secondaria, che non arriva allo spartiacque principale, subordina il proprio bacino alle fiancheggianti Valle di Reaglie e Valle grande di Mongreno, assumendo una direzione intermedia SSE-NNW sfocia nella Valle grande poco lontano dal suo sbocco nel Po. Prescindendo perciò da questa, possono (1) Sacco F., I Terreni Quat. Coll. Torino, loc. cit., pag. 7-11. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXY, N. 7. 29 riconoscersi nell'altra Valle, che per maggiore sviluppo prende appunto il nome di Valle grande di Mongreno, condizioni analoghe a quelle di Val Reaglie. Anch’essa infatti partecipa alla accennata retrocessione ad arco dello spartiacque principale per mezzo di un suo ramo terminale, il Rio dei Piani, che ha direzione S-N. Poi si incurva a NW, mantenendo sino alla foce un andamento parallelo a quello di Val Reaglie. Importanti sono gli affluenti, che scendono tutti dal versante destro, e alcuni hanno sviluppo quasi equivalente a quello del tratto di Valle collettrice a monte del loro punto di sbocco. Tali sono Rio Canarotta e Rio di Serralunga. Essi hanno decorso parallelo, quasi da Est a Ovest, e il primo dipende certamente dal secondo. Il quale, a sua volta, è causa ed effetto dell’accennata direttrice altimetrica secondaria caratterizzata da quote superiori ai 600 m., che parte dallo spartiacque principale per giungere a Soperga. Questa forte al- timetria e la disposizione stessa di tale direttrice altimetrica, che è anche spartivalle, se è dovuta per non poca parte alla natura resistente della sua costituzione litologica, è però in massima parte dovuta a quel complesso gioco di influenza delle forme di insieme, deter- minato nelle direttrici idrografiche dal prossimo nucleo anticlinalico eocenico. Per non ripe- terci ne riparleremo esaminando le altre valli. Per la storia geomorfologica delle Valli di Mongreno diremo che sulla destra di Valle grande si possono notare deboli traccie di terrazzi, specialmente nello sperone terminale di Serralunga, e il punto di sbocco nel Po doveva essere un po’ più a Nord, come dimostra il ripiano terrazzato di Sassi. Prescindendo dall’attuale deviazione, ad angolo retto verso Sud, della corrente viva, indubbiamente artificiale, mi pare certo che lo spostamento accen- nato siasi effettuato in condizioni perfettamente analoghe a quelle verificate nel Rio Sep- pone di Cavoretto, per opera cioè dello stesso meandro del Po, al cui vertice sbocca Valle di Reaglie. Rio Dora. — Il bacino idrografico ha direzione generale Sud-Nord in relazione con l'estremità SW del nucleo eocenico, che con le sue formazioni tende a fare assumere ad essa la disposizione di valle di contorno. Il suo bacino di raccoglimento tocca lo spartiacque principale (diretto NE-SW) solo col mezzo arco orientale, e il punto d’interferenza diventa perciò una direttrice idrografica E-W cui corrisponde precisamente il Rio Serralunga della attigua Val Mongreno. Ne consegue che la direttrice R. Serralunga- Val grande Mongreno incontra quasi ad angolo retto quella di Rio Dora, mentre la corrente del Po compresa tra le due foci ne costituisce l’ ipotenusa. Nella zona triangolare del vallame così delimitato il punto meno soggetto al lavoro erosivo delle correnti sarà quello da esse più lontano, cioè il centro (1). Il quale perciò, a parità di altre condizioni, avrà anche conseguentemente una maggiore altimetria. Ad esso corrisponde precisamente la vetta di Soperga (670), che è la quota più alta della collina di Torino dopo quella del Bric della Maddalena (716). Tornando a Rio Dora, per non dilungarmi più oltre, ricorderò come il versante destro essendo più alto e più ripido, perchè costituito dalle compatte puddinghe Bartoniane, sia anche più ricco di affluenti cospicui. I due ultimi più a valle danno luogo nel loro punto di ravvicinamento massimo alla sella quota 295 sopra Tetti Lupo, per la quale si potrebbe anche pensare che il primo fosse passato nel secondo a costituire un unico affluente. (1) Infatti abbiamo visto più volte come nel caso estremo di vicinanza due corsi d'acqua producano un abbassamento selliforme nello spartivalle. E De la Noé e De Margerie dicono in proposito che “la forma del blocco compreso tra due corsi d’acqua dipende principalmente dalla distanza che li separa e dallo stato di avanzamento della erosione. Caeteris paribus, lo spessore verticale di questo blocco sarà tanto minore quanto più ravvicinati saranno i corsi d’acqua, e quanto più lunga sarà stata l’azione dell’acqua pluviale , (op. cit., pag. 106). , 1 30 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO Notiamo ancora che il punto di sbocco di Rio Dora doveva essere un tempo più a Nord, presso Sambuy, come dimostra il terrazzo di C. Croce (222). Il richiamo a Sud fu dovuto alla corrente del Po per uno di quei suoi spostamenti analoghi a quelli già osservati per altre correnti della collina. Rio Maggiore (La Ressa). — È forse il più interessante della regione, perchè, svi- luppandosi nell’ambito del nucleo eocenico, si presenta più ricco e vario di direttrici idro- grafiche. Esso consta di un tronco inferiore diretto S-N, il quale superiormente si tripartisce originando due rami maggiori: Rio della Crivella e R. Maggiore-R. Bossola, che descrivono due curve convesse in direzione opposta, e un ramo minore, il Rio di Cordova, che corri- sponde alla corda comune dei due archi precedenti. Così, in conclusione, i tre rami diver- gendo da un comune punto d’origine si ricongiungono poi in un nuovo punto comune. La spiegazione di questa disposizione idrografica risiede per massima parte nella natura stessa e nella tectonica delle assise (Bartoniane e Luteziane) del nucleo eocenico. Percor- rendo infatti la strada del vallame tra Rio Crivella e Rio di Cordova si constata facilmente un'alternanza regolare di potenti banchi arenaceo-conglomeratici assai resistenti, e di banchi pure potenti, però molto meno resistenti, di sabbie e marne con sparse lenti ciottolose. Si determinano così lungo questo spartivalle quelle serie di rilievi e depressioni che da Nord a Sud sono rispettivamente: Poggio e sella di Tetto Rosa, rilievo e sella di Tetti Francesi, e in fine il potente rilievo di Br. Carlevè fra quelli, in condizioni identiche, di Br. Chenou e Br. S. Croce. Importa poi notare che tutte queste assise formano qui “ altrettanti semi- cerchi i cui strati si obliterano tosto e quasi completamente verso Nord, venendo coperti dai terreni marnosi dell’orizzonte superiore e invece si rimpiccioliscono a poco a poco verso Est, prevalendo naturalmente gli strati più potenti del suborizzonte conglomeratico supe- riore , (1). — Ci appare quindi naturale il decorso arcuato di R. della Crivella e quello analogo di R. Cordova, il quale pur essendo quasi rettilineo, mostra però una evidente convessità a Ovest seguendo la linea del contatto affiorante, tra le marne e i calcari del Luteziano (Bartoniano di Sacco) ed i conglomerati, marne e sabbie del Bartoniano (Tongriano di Sacco). Quanto al terzo ramo occorre considerarlo ne’ suoi due segmenti componenti. Il primo dalle origini sino a Ovest di Bardassano è una regolare valle di contorno, seguendo parallelamente il fianco SE del nucleo eocenico. Attualmente esso si trova affondato nelle marne langhiane, mentre la linea di affioramento dei conglomerati bartoniani si trova innalzata sul versante sinistro alla quota media di 400. L’altro segmento invece, detto Rio Maggiore, è una valle nettamente trasversale erosiva, poichè attraversa normalmente tutto il nucleo eocenico. Tale incisione non dovette essere molto difficile, perchè, oltrepassata la gamba settentrionale dei compatti orizzonti Bartoniani, ridotti a una strettissima fascetta per la grande compressione subita e perchè verticali, si entra nella formazione più erodibile del Luteziano, che occupa il tratto maggiore della valle fin che rimangono da superare solo più i conglomerati Bartoniani della gamba meridionale affioranti solamente per circa duecento metri. La direttrice di questo segmento trasversale può dipendere o dalla deviazione in questo senso, imposta a Rio Bossola dallo spartiacque Sciolze-Bardassano-Br. Porassa il quale, come s'è detto a proposito della Valle Vernai-Canale di Montaldo (pag. 24), è in relazione con la vicinanza dell’estremità occidentale dell’anticlinale di Cinzano all’asse della collina, oppure è semplicemente dovuta alla erosione rimontante di un affluente corrispondente al tronco inferiore di Rio Maggiore nel tratto che si considera. In questo ultimo caso, prima di essere captato Rio Bossola avrebbe continuato ad essere valle di contorno sfociando nel Rio maggiore di Gassino in corrispondenza del bacino di Rio Gianasso. (1) Sacco F., IZ Bacino Terz. del Piemonte, ece., loc. cit., pag. 221. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 7. S1 La riunione di Rio Crivella, Rio Cordova, Rio Maggiore - Rio Bossola convergenti in un punto solo diede luogo a una direttrice risultante S-N, corrispondente appunto all'attuale corso inferiore del Rio. In questo tratto si nota evidentissimo sul versante destro un meandro con la convessità a Est, che si raccorda col corso inferiore di Rio Crivella dal quale fu probabilmente originato prima che fosse sospinto più a Nord dal Rio Maggiore-Rio Bossola. Questo fatto ci può dimostrare che in qualunque modo si sia sviluppato quest’ul- timo ramo, esso è, nel bacino attuale, di origine successiva. Rio Maggiore di Gassino. — Bacino molto ampio di forma ellittica con l’asse mag- giore, percorso dalla corrente, orientato da S-E.a N-W, inciso per la maggior parte nelle marne langhiane, mentre l’Elveziano ne orla lo spartiacque Sud tra Sciolze e Cinzano, e tutto lo spartiacque Nord. Le linee fondamentali che circoscrivono il bacino e ne determinano l’orien- tamento sono di natura tectonica e litologica. Lo spartivalle di sinistra infatti è in relazione, come s'è detto precedentemente, con l’asse principale della Collina e con l’anticlinale di Cinzano la cui massima curvatura corrisponde precisamente alle origini della valle. Lo spar- tivalle di destra poi è determinato dalla estremità dell’anticlinale assiale in quanto i terreni Elveziani sovrapponendosi in guisa da formare un ellissoide si modellano su quelli del nucleo, sì che ne seguono a distanza l’andamento. Essi si sollevano già nelle colline di Bussolino Gassinese con inclinazioni di 60°-80° verso NW, che modificano successivamente verso Nord e poi a NE. Essi dopo una breve inflessione in corrispondenza della sinclinale interposta fra l’anticlinale assiale e quella di Cinzano, dove gli strati sono orizzontali, si dirigono verso Est nell’attiguo bacino del T. Leona. L’asse del bacino corrisponde quindi alla direzione d’affioramento dei sottostanti terreni Langhiani. Come s'è accennato nella prima parte a proposito della direttrice idrotemica Cinzano- Castagneto, in corrispondenza dell’ affioramento Langhiano che interrompe l’arco Elveziano attorno all’ellissoide principale, si ha tra Cinzano e Bric del Cerro una grande sella nella quale viene a contatto la testata del bacino in esame con quello del T. Leona. Dipoi lo spartiacque si innalza, perchè appaiono appunto le compatte puddinghe e conglomerati El- veziani diffusi lungo la linea. Dal contrasto tra la maggiore resistenza di questi all’erosione in confronto coi terreni Langhiani dell’interno del bacino si è formata quella specie di grande terrazzo che comincia a meno di un centinaio di metri sotto le vette di Bric Martina (536), Bric S. Giovanni (572), Bric del Cervo (500), e costituisce il piano generativo degli affluenti di destra, doleemente inclinato verso l’asse della valle. Gli effetti della estremità ellissoidica del nucleo eocenico si ripercossero poi anche nel- l'andamento degli affluenti di destra, i quali presentano nel tratto corrispondente una cur- vatura che tende ad attenuarsi gradatamente quanto più essi ne sono lontani. Inoltre i compatti conglomerati Bartoniani che attraversano quasi perpendicolarmente la valle, rappresentati dalla lunga. stretta ed erta costa Battaina sulla sinistra e dalla ana- loga costa minore di C. De Filippi sulla sponda destra, ben nota per le sue cave di calcare, dovettero prima sbarrare la valle stessa, inducendo a monte, col ristagno delle acque, quelle molteplici modificazioni che non si riscontrano più a valle. Così mi spiego quei ri- piani, fra loro coordinabili, che si osservano ai piedi del versante destro. Tali sono da monte a valle: La Borgiona (402), Villa Blansè (381), Villa Faja (336), V. Barone (305), S. Rocco (305), Villa Majola (305), Villa Gaschè (290). Nel versante sinistro invece gli affluenti non avendo speciali direttrici proprie sono molto più irregolari e diramati, talchè più difficile è discernere i segni delle loro variazioni. Noto tuttavia anche qui, nello stesso ordine, il terrazzo di C?* Bertoldo (379), di C. Vogliotti (316), Tetti Alassio (309), Tetti Mondesio (285), e in fine l'evidente zoccolo pianeggiante, sulla sinistra di Rio Gianasso, dal quale s’eleva appunto Costa Battaina. [i] PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO dI Da tutto questo si deduce che in quel tempo Rio Maggiore aveva quasi raggiunto, in questa parte di bacino, il profilo d’equilibrio. Alla incisione della barriera eocenica e al conseguente abbassamento della corrente e dei suoi affluenti seguì uno spostamento verso monte del punto di sbocco di questi ultimi. Il fatto è particolarmente evidente nell’affluente di destra R. di S. Rocco, il quale mentre prima sboccava nel terrazzo di Villa Majola con una curva sentitissima verso SW passando per Villa Aprà e Villa Canavassi, ora ha rettificato il suo corso verso Sud rodendo lo spe- rone di Rivalba con la sua sponda sinistra. La spiegazione mi pare si debba ricercare nel processo evolutivo per raggiungere l’attuale profilo d’equilibrio. Il Rio Maggiore in periodo di intenso lavoro erosivo esercitava una potente forza d’ attrazione sui propri affluenti, i quali erano costretti a diminuire il loro angolo di confluenza qualunque fosse la propria determinata direttrice. Conseguito il profilo d’equilibrio nel collettore, diminuì anche la in- fluenza sullo sbocco degli affluenti, i quali perciò obbedendo quasi solo più alle rispettive cause direttrici andarono a mano a mano uniformando ad esse il loro corso. Nel caso di R. S. Rocco la nuova direzione corrisponde a quella determinata nel tratto superiore dalla estremità del nucleo eocenico. Rio di Valle; Rio del Pertengo. — Entrambi subordinati alle modalità dei bacini di Rio Maggiore e del T. Leona, tra i quali sono compresi. La direttrice idrografica del primo è essenzialmente dovuta alla zona di sinclinale che intercede fra l’anticlinale prin- cipale e quella di San Genesio. Esso tuttavia riceve quasi in direzione normale il piccolo R. Leona, che scende dalla estremità di questa ultima anticlinale. Rio del Pertengo invece ha direttrice di valle di contorno in quanto circuisce l'estremità dell’anticlinale, pure a forma di ellissoide, di S. Genesio. Da questo fatto dipende la grande dissimmetria de’ suoi versanti, per cui, mentre il destro ha pendio assai dolce, il sinistro invece è oltremodo ripido. Di contro Cimenasco riceve sulla destra un affluente che contri- buisce a farne deviare verso NW il tronco inferiore. Valle di S. Genesio. — Per quanto modesta, tanto da essere anche denominata Fosso, è importante perchè corrisponde all’affioramento del piccolo nucleo eocenico, dal quale prende la direttrice generale di NE. Smantellata dall'erosione la copertura elveziana, potè facil- mente stabilirsi una corrente che affondò la sua vallecola nelle meno resistenti marne e calcari Langhiani e Bartoniani. Rio Bellavalle. — Di formazione secondaria, esso si compone di due rami paralleli diretti a SE che si originano dallo spartivalle di destra del Fosso S. Genesio e tendono verso la conca del T. Leona, dove sarebbero arrivati se un nuovo piccolo Rio, con direzione ad essi normale e corrispondente al vertice del grande meandro del Po, non li avesse cat- turati entrambi per erosione rimontante. T. Leona. — Questo amplissimo bacino è una vera conca orografica corrispondente a una complessa zona sinelinale. Il perimetro del bacino è infatti determinato dal sollevamento dei terreni Elveziani che inclinano in generale verso il centro, poichè esso è segnato dalla successione dell’anticlinale di S. Genesio, dello spartiacque più volte ricordato Castagneto- Cinzano di origine tectonica, dalla anticlinale di Cinzano e in fine dal sollevamento dell’asse sinclinale seguente operato dall’affioramento eocenico e preeocenico di Lauriano. Possiamo dunque ora ritenere che le tre sincelinali si trovino in condizioni comuni di pendenza verso il punto di convergenza che è Casalborgone, al centro del bacino, dove esse si riuniscono. Questa disposizione tectonica combinata con le modalità erosive imposte dalle condizioni d'insieme spiega anche la morfologia delle diverse parti del bacino. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 7. 33 Così il grande ramo del T. Losa ha il suo tronco inferiore e il subaffluente Rio dei Soliti in corrispondenza dell'asse sinclinalico, mentre il tronco superiore segue la saetta del- l'arco anticlinale di S. Genesio ricevendo R. del Vaj, parallelo a Rio dei Soliti, orientato secondo la direzione delle sabbie e marne del Bric omonimo. Alla seconda sinclinale corrisponde il Rio Merdarello; in questo tratto però il bacino mostra un restringimento determinato dalla massima efficienza degli affluenti di destra del- l’attiguo Rio maggiore di Gassino. L'altra metà del bacino in cui si avvallano i numerosi rivi costituenti il T. Leona pro- priamente detto è in relazione con l’anticlinale di Cinzano e l’accennato sollevamento montano della terza sinelinale e in parte anche con la sostituzione all’Elveziano della più erodibile formazione Langhiana, nella quale si avvalla specialmente il semicono del Rio di Berzano S. Pietro, allungando così il bacino verso Sud. Il canale di scolo di tutta la conca idrografica, attualmente rappresentato da una valle assai larga. fu determinato dalla enorme erosione che distrusse buona parte dell’ellissoide S. Genesio-Lauriano e originò la già ricordata concavità del piede del versante tra lo sbocco della Valle S. Genesio e lo sperone di Lauriano. Il richiamo delle acque potè così facilmente aprirsi un varco tra le marne Langhiane venute a giorno per la scomparsa appunto del mantello elveziano. Il piccolo R. di S. Lorenzo, affluente di sinistra in questo tratto di valle, è di origine posteriore e perciò subordinato alla idrografia della conca, e risale precisamente alla impostazione del canale di scolo. Attualmente tutta l’idrografia del bacino è in istato di avanzata vecchiaia, tanto che sono stati distrutti gli accidenti topografici che potevano esserci guida nella ricostruzione della sua evoluzione. Rilevo tuttavia l’importanza del poggetto di Casalborgone, che al centro del bacino resta testimonio di un suo antico fondo. Pare anche che all’altezza di quota 220 Rio Merdarello e il T. Losa confluissero appena a Occidente del poggio stesso, mentre ora rimangono individuati fino al corso principale del T. Leona. Interessante è pure il versante sinistro del T. Losa, più basso e assai meno inclinato del destro. Esso termina a valle col terrazzo Villa Mirandola (254)-C. Beltramo (215) ed è privo di affluenti. Si deve logicamente pensare che il corso del T. Losa abbassandosi si sia spostato verso la sua destra attratto dall'asse della sinclinale, del quale ora, col subaffluente di R. dei Soliti, segue esattamente la curvatura. 5. — Osservazioni comparate sull’idrografia della Collina. Rapporti orizzontali. — Tenendo sott'occhio l’ annessa cartina (Tav. I) e ricor- dando quanto -or ora abbiamo detto pei singoli -Rivi, notiamo subito come, ad eccezione del gruppo di Casalborgone-Chivasso, dove, come s’è visto, intervengono condizioni particolari, tutto il resto della Collina di Torino presenti presso a poco un eguale numero di bacini idrografici tanto nel versante settentrionale che nel meridionale, anzi meno in quello che in questo. Ma si è detto che il versante settentrionale è geneticamente più ripido e perciò stesso avrebbe dovuto essere solcato da più numerose correnti; poichè “ il numero delle in- cisioni trasversali è di tanto minore quanto più lieve è la pendenza del versante ,, ossia che “ quanto più il versante è inclinato tanto più è valloso , (1). Questa evidente contraddizione all’assioma, la cui verità possiamo sempre constatare osservando il fitto reticolato di subaf- fluenti la dove il pendio è localmente più erto (nei semiconi di erosione, attorno al colle di (1) Roveszro G., Le Valli Liguri, loc. cit., pag. 31. Kg 34 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO Superga, ecc.), ci dimostra da sola che la superficie topografica attuale è molto più attenuata della superficie genetica, come già avevamo affermato parlando del versante settentrionale in generale. E ci testimonia quindi l'intensità e l’antichità del processo erosivo sulla collina, per cui da uno stadio effettivamente più rivoso si è passati gradualmente allo stadio attuale. L'appiattimento del versante avrebbe così determinato l'eliminazione di molti corsi secondari e il raggruppamento di altri in più pochi bacini. Tra i bacini poi di entrambi i versanti risaltano subito alcuni di sviluppo maggiore, con direttrici proprie, e altri minori, più o meno sviluppati, sempre però subordinati ai pre- cedenti, tra i quali sono intercalati. Nel versante meridionale ai primi devono ascriversi: Rio di Pallera, Valle Sauglio, Rio di Vajors, R. Morto Pellegrino, Valle di Vergnano, R. Canarone, Canale di Montaldo, R. del Lago di Arignano, R. Aranzone, Torrente Traversola. Ai secondi invece appartengono: Rio di S. Pietro, R. di Castelvecchio, Rio del Vallo, R. Bussetto, R. di Mombello, R. Valles e altri minori. Nel versante settentrionale rispettivamente i maggiori sono: Rio Seppone, Valle Patonera, Valle Salici, Valle di Reaglie, Valle Grande Mongreno, Rio Dora, Rio Maggiore di La Ressa e Rio Maggiore di Gassino; i minori sono: Rio Rubella, R. S. Vito, Valle S. Martino, Valle Mongreno, R. di Superga, R. di S. Anna, R. di S. Mauro, e pure altri minori. Nel versante meridionale poi tutte le valli appaiono come direttamente trasversali, tagliando normalmente le direzioni degli strati. Esse perciò sono Valli trasversali erosive cataclinali (1). Le loro direttrici idrografiche sono in generale composte di due parti distinte, una parte più lunga, superiore, con direzione diversa dalla parte inferiore più breve. L’in- sieme dei segmenti superiori costituisce grossolanamente un settore circolare con l’arco peri- ferico coincidente con la curva dello spartiacque principale, e centro nella pianura del T. Banna, complessivamente orientato verso SE. Le valli infatti da Ovest a Est, sono dirette a SE e a SSE, per diventare poi quasi N-S alla estremità orientale (2). Questa disposizione intimamente legata con la struttura tectonica ci può spiegare il raggruppamento di molte correnti (Valle Canape- Ramo di Rio Vajors, Valle di Gola-Valle dei Ceppi, Rio delle Baje- Valle dei Cani, Valle di Lana-Rio della Verbia), essendo naturalmente convergenti le loro traccie. D'altra parte questo raggruppamento che diede origine a bacini maggiori e più ravvicinati a monte che a valle, favorì l’interposizione dei bacini secondari. Tali direttrici superiori cambiano tosto quasi improvvisamente quando le valli entrano nella zona pliocenica, vale a dire al piede del versante, dove esse si inflettono rapidamente a Ovest. Questo fatto che è tanto più evidente quanto meglio conservati e meno masche- rati da altri depositi sono appunto i terreni pliocenici, e che è dovuto, come s'è detto, al modo particolare di emersione, ci dicono che il sollevamento postpliocenico aggiunse condi- zioni nuove a quelle che determinarono le direttrici superiori, le quali perciò dovevano preesistere. Se così non fosse, se cioè invece di condizioni aggiunte fossero state originarie, poichè la regolarizzazione del profilo comincia dal livello di sbocco, la direttrice delle valli anzichè essere spezzata in due così come risulta ora, sarebbe continua e adattata in tutto il percorso alle condizioni imposte dal sollevamento postpliocenico. In ogni modo quindi sarebbe diversa dalla attuale. Nel versante settentrionale abbiamo pure, sino a Valle Grande Mongreno, sicuramente Valli trasversali erosive ma diaclinali (3), poichè attraversano l’ellissoide principale, e le loro (1) De Marcui L., Trattato di Geografia Fisica, loc. cit., pag. 470. (2) Il Torr. Traversola obbedisce già al richiamo della depressione Astigiana. (3) De Marcai L., Trattato di Geografia Fisica, loc. cit., pag. 470. — Veramente queste Valli della Col- lina di Torino sarebbero di tipo misto. Cioè ancora cataclinali nel primo brevissimo tratto presso lo spartiacque, corrispondendo alla gamba settentrionale dell’anticlinale secondaria della Maddalena, diaclinali nel resto, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 4 35° direttrici, per quanto assai poco evidentemente, dato l’avanzatissimo processo erosivo, ten- dono alla divergenza, essendo esterne all'arco tectonico dello spartiacque. Per l’affioramento' però dei terreni più antichi dell’ellissoide stesso intervengono condizioni speciali a modificare tale andamento generale. Così la Valle Salici sarebbe già una Valle.pseudoerosiva (1), essendo, come s'è visto, dovuta alla erosione adattata alla disposizione ellissoidica dei terreni Elve- ziani. Lo stesso fatto si riscontra anche più evidente nell’affioramento del nucleo eocenico. dove il Rio della Crivella e il Rio di Cordova, affluenti del Rio Maggiore di La Ressa, oecu- pano delle vere Valli pseudoerosive di contorno. Le modificazioni da esse indotte si riflettono anzi, per quanto attenuate, anche nell’attiguo Rio Dora, il quale perciò apparterrebbe alla stessa categoria di Valli. Al centro della zona che chiamerei di passaggio da quella con Valli trasversali a questa con Valli di contorno, si erge Superga, la quale, come abbiamo ampiamente dimostrato, deve precisamente a tale ubicazione la sua anomalia altimetrica, poichè si trova fuori della direttrice altimetrica e idrotemica principale. Rapporti verticali. — Nella descrizione delle valli ho accennato solo di sfuggita ai terrazzi. Effettivamente, ad eccezione degli ultimi piccoli terrazzi di sbocco, non se ne pos- sono riconoscere altri che corrispondano con sicurezza a diversi stadii d’evoluzione delle valli. Poichè di terrazzi più o meno sviluppati se ne possono trovare in ogni valle; ma la impos- sibilità di esaminare le loro alluvioni, dato vi esistano, per la copertura della vegetazione, e la svariata loro altimetria rendono incerti il riferimento cronologico e il coordinamento topografico, potendosi per uno stesso caso prospettare assai numerose interpretazioni. D'altra parte l’opera dell'uomo ne ha certamente determinata la maggior parte, poichè, specialmente nel versante settentrionale, quasi a ogni villa, a ogni casa corrisponde un terrazzo. E quelli poi per i quali è meno certa l’origine artificiale trovano una spiegazione logica nei-più sem- plici fenomeni locali d'influenza reciproca dei fenomeni erosivi. Ritengo dunque che pel nostro studio non si possa trarre conclusione alcuna dai terrazzi delle valli in questione, a meno di cadere nell’arbitrio. Possiamo tuttavia ricavare altri elementi importanti dall'esame della annessa cartina di profili (Tav. II) (2) e da quanto si è detto per le singole valli. Rileviamo subito infatti che in generale: 1° i profili degli affluenti si raccordano col profilo dal collettore; 2° quelli degli affluenti più lunghi sono sensibilmente paralleli fra loro; 3° i subaffluenti hanno profilo coin- cidente; 4° i profili dei confluenti sono compresi nel profilo del collettore; 5° il profilo prin- cipale è regolarmente concavo tanto nei bacini maggiori che in quelli minori e subordinati; 6° non si riscontrano in essi tratti speciali corrispondenti alla varia natura delle roccie attraversate; 7° i profili trasversali delle valli, che si possono ritenere presso a poco eguali per quelle di ciascun versante. ne mettono in evidenza l'ampiezza e la profondità, il suolo pianeggiante e la sezione svasata, ciò che è assolutamente sproporzionato alla esiguità delle correnti attuali. Tutti questi caratteri dimostrano una spiccata maturità del tracciato idro- grafico e una corrispondente grande antichità del processo erosivo (3). Se si aggiunge poi che ogni valle ha il suo regolare semicono d’erosione ampio e molto svasato, che in molti esistono tronchi morti o traccie di affluenti spenti, e si tenga conto della esiguità delle alluvioni attualmente convogliate dalle correnti meridionali, la senilità della idrografia attuale ci parrà anche più evidente. (1) Roverero G., Le Valli Liguri, loc. cit., pag. 60 e 210-211. (2) Quantungque per mancanza di spazio non abbia potuto figurare il profilo di tutti quanti î corsi d’acqua descritti, tuttavia nella Tavola sono rappresentati tutti i tipi dei bacini idrografici, maggiori e minori, di entrambi i versanti. (8) Cfr. De Marca L., L’Idrografia dei Colli Euganei nei suoi rapporti colla Geologia e la Morfologia della regione, loc. cit. — Vedi spec. pagg. 6, 11, 13, 50. 36 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO Le suesposte condizioni rilevabili particolarmente nel versante meridionale si riscontrano pure in quello settentrionale, sebbene in quest'ultimo la maggiore ripidezza del pendio e la maggiore portata delle correnti che raccolgono le poche sorgenti della Collina, conferiscano al profilo un'analoga maggiore pendenza e caratteri un po’ più giovanili. Le pochissime irregolarità che talvolta si rilevano nei profili longitudinali si devono attribuire specialmente all’azione dell’uomo, il quale con scavi, briglie, e in genere con opere di sistemazione, ha facile predominio su correnti d’acqua così povere. Noto in fine come il profilo longitudinale delle valli meridionali si dimostri quasi per- fettamente parallelo al profilo dei rispettivi spartivalle, i quali per la maggior parte del loro percorso hanno, come s'è detto, una uniforme e dolce pendenza verso la pianura. CONCLUSIONE. . Evoluzione geo-morfologica della Collina di Torino. Nei precedenti capitoli abbiamo cercato di renderci ragione della morfologia attuale della Collina di Torino nel suo complesso e ne’ suoi dettagli; ora invece, tenendo conto delle con- clusioni degli studi geologici sulla stessa regione, cercheremo di controllarle ritessendo la storia della evoluzione verso le forme attuali in base agli stessi dati raccolti nella disamina di queste, e come conclusione dei fatti che siamo venuti a mano a mano constatando. Il Prof. Sacco afferma che durante l’epoca pliocenica la collina era quasi completamente emersa e circondata dal mare, il quale deponeva i sedimenti di quell’epoca. E poichè l’emer- sione non fu improvvisa, ma naturalmente si effettuò per gradi, egli ammette pure che i fenomeni di denudazione, erosione, ecc., già precedentemente iniziatisi, si siano affermati più potentemente nel Pliocene, in cui “ specialmente cominciarono a meglio delinearsi le vallette della collina , (1). Il sollevamento ebbe nuovo impulso all’inizio dell’epoca quaternaria. Anche Virgilio, che spiega l'origine della collina di Torino secondo la teoria del Reyer, ritiene avvenuto nell’Aquitaniano (considerato come ultimo piano dell’Oligocene) l’incontro e il conseguente innalzamento delle due falde di conglomerati sottomarini rispettivamente provenienti dalle Alpi e dagli Appennini. Egli afferma perciò che la collina cominciò ad emergere dopo la deposizione dei sedimenti Elveziani, sì che “ nella seconda metà del Mio- cene la collina di Torino era in massima parte emersa , (2). Prever considera una emersione iniziale dopo la deposizione dei terreni Bartoniani dovuta al corrugamento che originò l’anticlinale principale della collina, seguita poi da una som- mersione al termine dell’Epoca Oligocenica. Si verificò poi un corrugamento secondario verso la fine dell’Elveziano, che causò le anticlinali secondarie e diede luogo alla emersione defi- nitiva della collina (3). Secondo Rovereto invece la collina di Torino sarebbe, come il M. Cònero di Ancona, dovuta * a un rigurgito localizzato determinatosi durante il sollevamento postpliocenico , e perciò, allo stesso modo del M. Cònero, essa non doveva esistere nel Pliocene (4). Dunque mentre per gli altri autori la collina di Torino ripeterebbe la sua morfologia esterna dalla fine del Miocene e la sua idrografia avrebbe avuto come livello di sbocco il (1) Sacco F., I Terreni Quat..., loc. cit., pag. 78. (2) Viremio P., La Collina di Torino in rapporto alle Alpi, all’'Appennina e alla pianura del Po, pag. 98, Torino, 1895. (3) Prever P. L., Apergu géolog. sur la Colline de Turin, loc. cit., pag. 37-38. (4) Rovereto G., Studi di Geomorfologia, vol. I, pag. 222, 223 e 231, Genova, 1908. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. "7. 37 mare sino alla fine del Pliocene, per Rovereto sarebbe invece di età esclusivamente qua- ternaria. In tale quistione può recare elementi muovi il nostro studio. Si è visto come per mol- teplici ragioni non si possano rilevare nell’andamento delle valli quei terrazzi che sono così utili per giudicare della evoluzione delle valli e quindi indirettamente di tutta una regione. Ci soccorrono però altri argomenti, tra i quali la disposizione del Loess, il quale, come ho detto, indica chiaramente che al momento della sua deposizione la morfologia dei versanti in generale e quella delle incisioni vallive in particolare, corrispondevano quasi esattamente alla attuale. In quale periodo avvenne dunque tale deposizione ? Assodata e ammessa ormai quasi da tutti l'identità e contemporaneità del Loess della collina di Torino con quello del- l’anfiteatro morenico di Rivoli, desunta specialmente dall'esame della composizione minera- logica e paleontologica e dal grado di alterazione, riesce più facile stabilirne la cronologia. Capeder e Viglino, che rivelarono la identità di composizione mineralogica, avendo con- statato l’interposizione del Loess nelle morene, giudicarono che quello di Rivoli fosse dovuto “ a periodi interglaciali, e “ quello della collina di Torino non sarebbe che la somma di diverse precipitazioni di Loess portatovi da venti impetuosi dalla morena di Rivoli attraverso la pianura interposta , (1). Successivamente il Capeder, riconfermandone la provenienza e il sincronismo con quello dell'anfiteatro di Rivoli, lo riferiva“ alla seconda fase interglaciale , (2). Anche il Prof. Sacco, pur tenendo separati i due Loess negandone il trasporto eolico, ritiene che il Loess tipico della collina di Torino “ devesi in massima parte attribuire al quater- nario medio, all’epoca in cui aveva il massimo sviluppo in Europa | Elephas primigenius, cioè al finire della vera epoca diluvio-glaciale , (3). Penck invece, interpretando come rimaneg- giamento del deposito morenico la sua sovrapposizione al Loess nell’anfiteatro di Rivoli, considera questo e quello della collina di Torino come Loess postglaciale (4). Prever però, studiando meglio la quistione ed esplorando accuratamente l’anfiteatro morenico di Rivoli, conclude che il Loess vi sia stato deposto in due periodi successivi, dei quali il primo, “di gran lunga più importante e contemporaneo con la formazione del Loess nella collina di Torino, avvenne durante la seconda fase interglaciale , (5). Possiamo dunque ritenere che il Loess della collina di Torino sia stato deposto nell’ul- timo periodo interglaciale (6) e che già in quel tempo la sua morfologia era quasi esatta- mente la stessa della attuale. i Perciò, se l'emersione della collina e di conseguenza l’inizio della sua evoluzione mor- fologica fossero avvenuti nel quaternario come pensa Rovereto, dovremmo ammettere che tutto l'enorme lavoro erosivo testimoniatoci dai fatti rilevati nel nostro studio, quali il grande smantellamento dei terreni miocenici per cui fu scoperto il nucleo eocenico, l’arretramento dello spartiacque rispetto all’asse tectonico, l'assetto attuale del versante settentrionale per cui la superficie topografica attuale è molto meno inclinata della superficie originaria, e le (1) Vieuimo A. e Capeper G., Comunicazione preliminare sul Loess piemontese, © Boll. Soc. Geol. It. ,, vol. XVII, pag. 83, Roma, 1898. (2) Careper G., Sulla struttura dell’ Anfiteatro morenico di Rivoli in rapporto alle diverse glaciazioni, © Boll. Soc. Geol. It. ,, vol. XVIII, pag. 12, Roma, 1904. (3) Sacco F.. J Terr. Quatern., loe. cit., pag. 50. (4) Penca A. und Briicaner E., Die Alpen im Eiszeitalter, vol. III, pag. 759 e 1159, Leipzig, 1909. (5) Prever P. L., Sulla costituzione dell'Anfiteatro morenico di Rivoli in rapporto con successive fasi inter- glaciali, Estr. È Mem. R. Ace. Se. di Torino ,, ser. II, vol. LVIH, pag. 320 e 330, Torino, 1907. (6) È noto infatti che la seconda fase interglaciale, cui si riferiscono Capeder e Prever, è quella distinta nel primitivo triplice ordine di glaciazioni ammesso da Penck e Du Pasquier. Attualmente invece, Penck e Briickner avendone ammessa una quarta, tale seconda fase interglaciale corrisponderebbe alla terza. In ogni modo rimane sempre come ultimo periodo interglaciale. a] 00 PIETRO ZUFFARDI — GEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA DI TORINO incisioni vallive, si sia effettuato completamente nel primo terzo dell’epoca, e che succes- sivamente le potenti azioni che determinarono tale enorme lavoro si siano improvvisamente tanto attenuate da non apportare più, negli altri due terzi di tempo, alcun cambiamento alla morfologia, paragonabile al precedente. La sproporzione è troppo evidente e ripugna alle conoscenze che attualmente abbiamo sul valore e sull'andamento del fenomeno erosivo. D'altra parte non troviamo sulla collina di Torino nessun segno che ci indichi la sus- sistenza di ghiacciai quaternari, nè la natura dei pochi terreni quaternari rilevati dal Sacco, nè gli elementi morfologici che abbiamo rilevato ce lo fanno supporre. Lo stesso limite delle nevi perpetue nell'arco dell'alta Valle Padana, secondo i calcoli del Prof. Taramelli (1), variava, in epoca Wiirmiana, da 1900 a 2200 m., di molto superiore quindi alla altimetria massima della collina per quanto potesse essere in quell’epoca più forte della attuale. Le precipitazioni atmosferiche sotto forma di acqua o di neve vi poterono invece essere certamente più abbon- danti di ora, i loro effetti però non dovettero potere gareggiare con l'intensità di quelli prodotti sulle Alpi e sugli Appennini, data l’esiguità e la ristrettezza della zona d’impluvio offerta dalla collina di Torino isolata nella pianura. L'erosione fu più intensa al piede dei versanti, per opera specialmente della corrente del Po, ma degli effetti di essa abbiamo già tenuto debito conto nei precedenti capitoli. Dunque da quanto precede siamo condotti a respingere oltre il Quaternario l’inizio della evoluzione morfologica della collina. E a questo ci conducono anche due altri fatti positivi. Anzitutto la impostazione dei bacini secondari, la cui direttrice cade quasi completamente in terreni pliocenici e perciò di formazione essenzialmente quaternaria, presuppone la preesistenza dei bacini maggiori a cui sono subordinati, i quali perciò sarebbero di forma- zione prequaternaria. In secondo luogo l’inflessione improvvisa in senso contrario alla direzione precedente, che si verifica in molte valli del versante meridionale, originandosi così dei gomiti caratteristici, indica, come s'è già detto, che il sollevamento dei terreni pliocenici ha aggiunto condizioni nuove a quelle preesistenti, cui obbedivano le valli. Senza voler tentare ora alcuna ricostruzione della primitiva morfologia della collina, che se è difficile per l'Appennino dove pure la più grande estensione e la localizzazione dei fenomeni erosivi possono fornire buoni argomenti, risulta temeraria per una collina così limitata ed esposta a tante molteplici influenze di svariatissima natura, credo di potere logi- camente concludere il presente studio affermando che la morfologia attuale della collina di Torino risale a epoca prequaternaria. Molto ragionevolmente dunque l’amico Prof. Negri (2) suppone che la collina di Torino, mentre non dava ricetto a specie termofile, fu durante il periodo glaciale “ una stazione di rifugio per le specie respinte dalle valli alpine e direttamente immigratevi attraverso il Po,. ° e lo fu su tutti e due i versanti, per forme differenti a seconda della esposizione e della natura del suolo. Infatti, delle specie arboree costituenti oggi associazioni boschive, aveva già allora un notevole sviluppo il Pinus silvestris sui terreni sabbiosi disgregati: la Farnia e il Rovere rivestivano rispettivamente il suolo argilloso o sabbioso compatto, e il. Faggio occupava l’umido e freddo versante padano, mentre nelle stazioni umide e basse od esposte a mezzogiorno prosperava l’Ontano ,. Già nel Quaternario la collina di Torino ‘aveva il suo manto protettore di vegetazione ! orino, Museo di Geologia e Paleontologia della R. Università. (1) Taramerti T., L’Epoca glaciale in Italia, loc. cit., pag. 21. (2) Neri G., La Vegetazione della Collina di Torino, loc. cit., pag. 155. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM., E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. Ue 39 SPIEGAZIONE DELLE DUE TAVOLE Credo utile alla più rapida intelligenza delle due Tavole annesse, riportare sommariamente alcune deduzioni da esse ricavate. La Tav. I rappresenta le direttrici orografiche e i rapporti orizzontali fra i Rivi della Collina di Torino. La direttrice perimetrica (o di massa) è segnata nel versante settentrionale dal Po, e in quello meridionale dal margine delle alluvioni posplioceniche. Ho segnato poi le direttrici tectoniche di anti- clinale e sinclinale per mostrarne i rapporti con le direttrici vallive e con lo spartiacque principale. Si è adoperato un unico segno per le direttrici idrotemica (0 di spartiacque) e altimetrica (o di fastigio), perchè esse nella Collina di Torino coincidono. Dai rapporti orizzontali tra i bacini si rileva subito la distinzione di bacini primari e secondari; questi subordinati a quelli. Ricordo che nel versante meridionale i primari sono: Rio di Pallera, Valle Sauglio, R. di Vajors, R. Morto Pellegrino, Valle di Vergnano, R. Canarone, Canale di Montaldo, R. del Lago di Arignano, R. Aranzone, T. Traversola; e i secondari: R. di S. Pietro, R. di Castel- vecchio, R. del Vallo, R. Bussetto, R. di Mombello, R. Valles ed altri minori. Nel versante settentrio- nale rispettivamente appartengono ai primi: Rio Seppone, R. Patonera, Valle Salici, Valle di Reaglie, Valle Grande Mongreno, Rio Dora, Rio Maggiore di La Ressa e Rio Maggiore di Gassino; ai secondi: Rio Rubella, R. S. Vito, Valle S. Martino, Valle Mongreno, R. di Superga, R. di S. Anna e R. di S. Mauro. Nel versante meridionale le direttrici idrografiche delle valli appaiono composte di due segmenti distinti. Quelli più lunghi, superiori, occupano un settore circolare complessivamente orientato verso SE con arco periferico sullo spartiacque principale della Collina. A questa disposizione si rilega, almeno in parte, il raggruppamento di molte correnti, quali: Valle Canape e il ramo orientale di R. Vajors; Valle di Gola e Valle dei Ceppi; R. delle Baje e Valle dei Cani; Valle di Lana e R. della Verbia. I segmenti più corti, inferiori, hanno invece direzione opposta, cioè verso Ovest, originando così nella direzione complessiva un gomito in corrispondenza dei terreni pliocenici. Nel versante settentrionale si vede nettamente la distinzione tra la zona occidentale con valli trasversali (Rio Rubella — Valli di Mongreno) e quella orientale con valli di tipo misto in relazione con l’affioramento del nucleo eocenico. Superga s’erse appunto al centro della zona di passaggio, e a questo fatto deve la sua rilevante altimetria fuori della linea altimetrica principale. Dalle precedenti considerazioni sono escluse le colline Casalborgone-Chivasso, essendo idrografica- mente indipendenti dalla restante Collina di Torino. Le quote messe tanto lungo le linee di spartivalle che lungo le correnti sono destinate a mostrare qualche accidentalità nell’andamento altimetrico, e sopratutto a un più comodo riferimento delle Tavo- lette 1:25000 da cui sono tratte. La Carta è ridotta dalla originale che disegnai alla scala 1:25000. Per il rilevamento geologico serve assai bene la Carta a colori pubblicata dal Prof. Prever (Apercu géolog. Coll. Turin. — “ Mém. Soc. séol. d. France ,, Ser. 4*, Vol. I, Paris, 1907), che illustra la medesima regione alla stessa scala 1:100000. La cartina schematica d’insieme serve a dimostrare l'andamento generale oro-idrografico delle Langhe e delle Colline Torino-Casale Monferrato, e la posizione che occupa in queste ultime la Collina di Torino. ; Nella Tav. II sono poi rappresentati tutti i tipi dei bacini idrografici maggiori e minori di en- trambi i versanti, nei loro profili longitudinali e trasversali. Ricorderò come da essi principalmente si rilevi: la concavità del profilo dei collettori, il raccordo degli affluenti con il rispettivo collettore, il parallelismo degli affluenti più lunghi, ecc. (vedi pag. 35), ciò che dimostra la loro maturità. —-.—T—- rire ———_—_—___-- c 3 Dan ZZZ °, CAecadi Ao cia di Goziuo, (IL ve. fio. uwrat emat— Serie 2° Como IXV. P.ZUFFARDI - Geomorfologia della Collina di Torino - Zar. L FE Cartina schematica d'insieme Scala 1: 750.000 Direttrici Orografiche e Rapporti orizzontali tra 1 Rivi della Collina di Torino LI Tri i \Ò TS F. S si >=» LN PO = Pref LE) " ; (CS Na; R COLLINE \NEGATHNE Na N sii AA \ feto) vil sa Maisto da 5° Br.del Vaj > {re xo (CO \ V7 NT as {rr Nd Cm) fl SE= _, AO iv 9), SAD n9) dl 49%, “lle ; NN SDELLASTIGIANO e eV È È SI SS (A ko Le TU i) ) agi LE ZAMBI Martina ( = S 3. ie \ 7 \ I Nizza) &. DL s ga VA Dedo TA Ia }/ } a 840 SION AK o RT e | = avA4 Î { x sa Sp "Va ALBA > / alzi dl G 3\/ , giro se | (1 SE NEAAT \€ Mn \ PS ‘506 )ò \ag / \ {Tr as 9/90 / \\ \ 7 3 È IR A mp NA I° ; CISIO } - naif ro SANA TO\) | x } #5 203 è ucia pa Nr A fi; DX Nk x[ dr / MONDOV ) NEL ) \ TR ILA E ) 9 | XXX OUR R À LA fo (Gen SI RAVE “ SI O al 230(77 , ì Qu sorania EIA RIA ERA T TEN? Madbite1 Pilone i GAVIN ÀÒÎòd Ò KS È en FAI gr, ÙÙRTÌÌ ZES \ d {x \ _ N & TS » \% È È gegen E ’ XI We È MERC 109 / DO 26 il Up "a 3 ( fl Ò XL NN dI: (( \ \ ZAR) fongreno BY 539 \Q 6 / o Nd 9) Brustess E; EX st), — SS 5 Ì _ÀÎd ® ÀÒÒÒ SEGNI CONVENZIONALI n RT 0, 6 Pino\: OR Sato] AN ì “e 7 \ 351 Vai 78 Direttr. Tectoniche eno | * COR Direttrici Tdrotemica e Altimetrica Metto a ha = A Lit. Salussolia-Torino. SP Lit.Salussolia-Torino. È ZUFFARDI - Geomorfologia della Collina di Torino - Z'av. JZ Accad. R. d. Scienze di Coriuo, CL. dC. fio. nat. e mat. — Serie 2° Como LXV. Rapporti Verticali tra i Rivi della Collina di Torino Scala delle lunghezze Scala delle altezze 1; 590.000 18160), OXO0) _ . . . » . . d C - 0 CI Va . =) Fig.4 Torr.Leona; Fig.2 Torr.Traversola-VERSANTE MERIDIONALE : Fig.3 Rio Aranzone; Fig. 4 fio del Lago di Arignano; Fig.5 Canile Lala s, a 6 dazi SI Ss Fig.7 Rio Pallera; Fig.8 Valle Saugtio; Fig.9 Rio S.Pietro VERSANTE SETTENTRIONALE : Fig. 10 Itio Maggiore di Gassino; Fig. AIR ora; Fig. Uli ONIIENO ; Valle di Reaglie; Fig.14 fio Maggiore diLaRessa; Fiy.15 Valle Salici; Fig:16 Rio Rubella ; Fig.17 Rio Seppone; Fiy.18 Valle Patonera . dea * bio sta FOREST PRA 2 È e Ye da Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 8. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER “ VERATRUM ALBUM ,, LINN. AVVENUTI PER SCAMBIO CON “ GENTIANA LUTEA , LINN. CONSIDERAZIONI DEL SOCIO ORESTE MATTIROLO (con 2 TAVOLE) Approvata nell'adunanza del 15 Novembre 1914. Già gli antichi botanici avevano osservato e notato che le giovani piante, non fiorite ancora, di alcune specie del genere Gentiana (1) si assomigliano stranamente a quelle, pure non ancora fiorite, delle specie del genere Veratrum (2), colle quali, non di rado, crescono promiscuamente nei pascoli alpini. Di tale osservazione, che avrebbe potuto mettere in guardia contro un possibile scambio fra gli stadi giovani di queste due piante, fra loro tassonomicamente diversissime, ma di cui una, il Veratrum, è fra le più pericolose, non fu mai tenuto alcun conto dai Farmaco- logi; perocchè si sapeva da tutti, che le infiorescenze, i fiori, la disposizione e struttura delle foglie sui cauli evoluti, ecc., offrivano caratteri differenziali così evidenti da renderne impossibile la confusione. E infatti, per quanto io abbia fatto ricerche in proposito, non ho trovato presso nessun Autore fatta menzione di avvelenamenti, avvenuti nell'uomo e negli animali, per scambi di queste giovani piante. (1) Si allude qui a quel gruppo di Gentianae a foglie grandi ovato-oblunghe, a fiori grandi gialli, o ros- sastri o porporini, al quale appartengono: Gentiana lutea Linn., G. purpurea Linn., G. punctata Linn., G. Burseri Lap., G. pannonica Scop. e loro varietà. (2) AxpreA Cesacpimo, il celebre allievo di messer Luca Guini, collega di ULisse Arprovanpi, uno degli instauratori della Scienza dei vegetali nel periodo della Rinascenza, scriveva già nel 1593 (De Plantis, lib. XVI, pag. 580, ediz. G. Marescotti, Firenze): “ E/leborum album (Veratrum dei moderni) caulis Harundinis modo folia convestiunt simillima Gentianae aut Plantaginis.... — Recentemente (1911) Loew e KircanER (Ledensgeschichte der Bliitenpfanzen Mittel Europas) ricordano pure la “ gewisse Aehnlichkeit , che hanno le parti vegetative del Veratro con quelle della Genziana lutea e delle altre Genziane a foglie larghe (pag. 254). 2 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. Ma la fatale confusione tra le due specie cominciò invece a verificarsi, quando, sul finire del secolo decorso, si iniziò quel sano movimento di aspirazioni igieniche, che doveva portare all’alpinismo e all’escursionismo moderno; quando cioè le regioni abitate dalle nostre due piante, un tempo neglette e deserte, cominciarono ad essere visitate in tutte le epoche dell’anno da gran numero di persone. Fra queste, non rare purtroppo si rivelarono quelle illuse di conoscere le piante alpine, senza averle fatte oggetto di studio. Fidenti nella conoscenza che esse ne avevano fatto con troppo rapidi esami sul posto, o colla fuggevole contemplazione delle figure colorate di quegli atlantini che da pochi anni inondano il mercato librario, non poche ebbero così a confondere le giovani piante di Gen- ziana con giovani individui di Veratro, e quindi a subire le fatali terribili conseguenze del loro errato giudizio. In soli dodici anni, dacchè, ritornato a Torino, impresi ad occuparmi di questi fatti dei quali prima del 1902 non avevo avuto che vaghi riferimenti orali, non documentati, potei studiare i seguenti cinque casi di avvelenamento: 1° 11 agosto 1902 — Dottore in Medicina signor X. — Alpinista — Versante Nord del Monte Pizzo in Valle Sesia (Novara). 2° 10 settembre 1902 — Due signore Inglesi — Escursioniste — Monte Canè (Brescia). 3° luglio 1903 — Due giovani escursionisti Torinesi — Ceresole Reale — Valle dell’Orco (Torino). 4° agosto 1909 — Quattro escursionisti — Signora e tre giovanotti di cui uno stu- dente in Medicina — Bardonecchia — Valle della Dora Riparia (Torino). 5° luglio 1914 — Tre escursionisti — Tra i quali il Dr. X, laureato in Chimica — Valli di Pinerolo (Torino). In tutti (e notisi che io non parlo che dei soli casi da me studiati e che posso docu- mentare), lo avvelenamento avvenne costantemente per lo scambio di giovani piantine di Veratrum album Linn., con altre di Gentiana lutea Linn. Le dodici persone avvelenate erano o alpinisti o semplici escursionisti, abituati a vivere nelle città, ignari di botanica; ma che presumettero di conoscere la Genziana. ll movente fu in tutti il desiderio di mettere in bocca e di succhiare, cammin facendo, una radice amara di Genziana, nell'intento di resistere meglio agli stimoli della sete e agli effetti della fatica. Nessuno dei casi da me studiati, fortunatamente, ebbe esito letale, ma gli effetti pro- vati dai pazienti furono in tutti violenti e gravissimi, come si può rilevare dalla relazione del Dottore X., la quale, meglio di tutte le relazioni che mi sono procurate, descrive i feno- meni e le sofferenze, le quali con maggiore o minore intensità, ma colla medesima sindrome si verificarono in tutti i pazienti da me interrogati. 2 6 Mi trovavo ,, scrive il Dr. X., £ verso le ore 14 sul versante nord del Monte Pizzo, con un mio collega ed altre persone. Essendo la strada malagevole e noi affaticati, si fece un piccolo alt, allorchè io scovrii la pianta in questione (Veratrum), che io scambiai colla Genziana. ‘ Sapevo che quest’ultima è molto difficile da sradicare, mentre sradicai quella molto facilmente, nè sul momento mi fermai su quel particolare; e neanche il suo sapore, non così amaro come quello della Genziana, mi trattenne dal mangiarla. “ Ripulito dunque un pezzo di radice (?) della lunghezza di circa tre centimetri e del diametro uguale a quello di un mignolo all’incirca, lo inghiottii dopo averlo ben bene masticato. Mangiai inoltre un pezzo di una propaggine della radice (?) lungo tre o quattro centimetri e grosso quanto una penna d'oca. ® “ Ciò successe verso le ore 14; mi rimisi in cammino e dopo un’ora circa avvertii un ‘ senso di bruciore non molto violento all’epigastrio; non vi feci caso. Verso le ore 16 ci MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 3 “ fermammo in una capanna per ristorarci, non avendo in tutta la mattinata preso che un “ po' di latte. Ci ammanirono polenta e latte ed io mangiai avidamente. Non eran trascorsi dieci minuti dal pasto frugale, allorchè avvertii ad un tratto un senso generale di males- R sere ed una voglia imperiosa di rigettare. Corsi fuori della capanna pallidissimo (come mi x dissero poi) e caddi più che non sedessi sull’erba e rigetta? quanto avevo prima ingerito. “ Attribuendo il fatto ad un disturbo passeggero, attendevo di esser presto rimesso dopo essermi liberato lo stomaco; invece da quel momento ebbero principio le tre ore più « dolorose che io ebbi mai a soffrire! M'assalirono crampi violentissimi; ogni sforzo per “ rigettare, mi riesciva oltremodo doloroso e pressochè vano, non uscendomi dalla bocca “ altro che schiuma densa e filante. “ Avevo la vista ottenebrata, sì da scorgere, come attraverso ad un velo, gli astanti “che mi guardavano atterriti, è la parola; poichè mi rotolavo come un frenetico, sull’erba, R emettendo dei sordi gemiti, che nel mio pensiero, poichè l’intelligenza mi era rimasta fino n allora integra, volevano essere una domanda che mi facessero respirare. “ E fu il senso di oppressione alla regione epigastrica unito al tormento di non poter “ avere aria sufficiente che mi fece maggiormente soffrire. Parevami che una mano gigan- “ tesca mi stringesse come in una morsa su due punti; sull’epigastrio e sulla trachea. In “ un breve momento di tregua, poichè i crampi violenti me lo permisero, feci uno sforzo: e «“ mi alzai coll’idea di poter respirare meglio, stando in stazione eretta; non solo non ebbi “ questo miglioramento; ma, appena in piedi, ricaddi violentemente al suolo. “ Intanto il Collega tentava in ogni modo di alleviare, coi pochi mezzi di cui disponeva, “ le mie sofferenze. Tentò di farmi bere acqua tepida, fernet, acqua vite, ma il successo era “ poco; chè appena inghiottita la bevanda subito la rigettavo. Fui portato sul letto, mi si “ fece la respirazione artificiale e mi si posero fomenti caldi sul torace. A questo momento “ perdetti la conoscenza, e ricordo più soltanto che udivo gridare e piangere nella stanza “ vicina; ad intervalli rigettavo schiuma e quando rinvenni vidi d’averne rigettato una “ catinella piena. Sudori freddi mi cadevano dalla fronte. Il Collega mio constatò (dopo un'ora dall'inizio del male) il polso essere appena sensibile con 35 battiti al minuto primo, il battito del cuore difficile a percepire, la pupilla midriatica. Spaventato mandò per un altro Collega, il quale portasse caffeina, la sonda, ecc. Ma la teoria è una cosa nella nostra “ professione e altro è la pratica! Il medico più vicino era a sei ore di distanza in mon- “tagna! Dopo circa tre ore durante le quali continuò la sintomatologia che ho descritto, “ mi addormentai di un sonno tranquillo. Svegliatomi mi trovai quasi del tutto rimesso e “ colla ferma risoluzione di non mangiar mai più radici di piante che io non conoscessi per- “ fettamente... ,,. ® x » Ho creduto bene premettere la chiara relazione del Dottore X., all'esame delle sostanze tossiche del Veratro, e alla esposizione dei criteri diagnostici che servono a distinguere con la massima facilità e sicurezza le due piante, il Veratro cioè dalla Genziana, onde lumeg- giare meglio la importanza del tema e dare la dimostrazione degli effetti virulenti provo- cati dalle sostanze tossiche che si trovano in tutti gli organi della pianta e che la rendono oltremodo temibile. ; Chi poi stimasse consultare gli Autori antichi, vi troverebbe riferiti i più strani rac- conti sulla potenza venefica di questo vegetale (1), il cui uso la terapeutica moderna scon- (1) Plinio (V. fra gli altri V. G. Prcxerine, Chronological Hystory of Plants, Boston, 1879, pag. 234) iden- tificò il Veratrum col Sesamoithes di Inpocrate, Ganeno,. Eroziano,. Ruro. Eresio, ecc. DioscoriDE, T'eoFRASTO 4 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12- AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. siglia in considerazione appunto della sua terribile efficacia, anche se usato in piccolis- sime dosi. Così fra gli altri, ad es., ricorderò che Casrore DuranTE (1500 circa) assicura: “ che lo Elleboro bianco, messo nel naso purga, facendo starnutare il cervello (!); ammazza i pidocchi et le lendini, le mosche, i topi, i ghiri, le galline ,. MamtHIOLI riferisce che il succo della radice introdotto nelle ferite “ ammazza in breve tempo ,; e che “ applicato di sotto, ammazza la creatura nella madrice ,, e che con esso i cacciatori bagnavano le saette con cui rapidamente si moriano le fiere ,. L'anonimo Autore dell’ Herdolario volgare (1536, ediz. illustrata, Cap. LXIII) appare così impressionato dalla virulenza de lo Eleboro biancho, da scrivere queste parole: “ gli antiqui “ “« “ usauano lo EMedoro biancho ne la purgatione, sì come noi al presente usemo la scamonea, “ perchè allhora gli corpi erano più forti et poteuano suportare la sua violentia. Al pre- “ sente li corpi de li huomini sono più debili et non possono sustenire lo EMeboro biancho per la sua violentia: per laqual cosa con summa cautella si debba dare ai nostri tempi medicina elleborata... ,. K E finalmente il nostro ALtioni scriveva nell’anno 1785: “ Dirum hujusce stirpis vene- num norunt et ipsi Alpicolae qui affirmant neque impune bibi aquam quae per Veratri ‘ radices transierit. Etiam scrupuli unius dosi radices Helleborî albi, mortem intulerunt (!) ,. Tutta la pianta, si considerava da Trorrasto e da CArone talmente venefica, da poter comunicare un’azione diuretica e purgativa al vino, fatto coll’uva delle viti, presso le quali fosse essa nata (A. Tozzerti, Corso di Botanica medica. Firenze, 1847, pag. 672). AI dire di Linneo e di Punin, le semplici esalazioni del rizoma fresco sono capaci di produrre il vomito. Secondo Rope (1) i cavalli provano dei sintomi nervosi che determinano in essi una specie di ebbrezza (une sorte d’ivresse) accompagnata da contrazioni convulsive dei muscoli del collo, della laringe e dell'esofago, mangiando fieno di piante state seccate unitamente a piante di Veratro. Le opinioni espresse dagli antichi sulla tossicità del Veratrum album Linn. (estensibili a tutte le specie del Genere (2)), trovano la loro conferma nella scoperta che la chimica, a partire dai lavori di PeLLeTIER et CAvenToU (1819), ha fatto, di numerosi principii attivi contenuti in detta specie, tra i quali figura tutta una serie di alcaloidi, combinati cogli Frronipe, ecc. lo indicarono invece col nome ellenico di Zèucòs èMlevoron o lèueds élevoros, nome col quale i botanici del rinascimento indicarono il Velatro o Veratro. Lo stesso vegetale fu invece dai Romani menzionato col nome odierno di Veratrum album (Lucrezio, CorumeLra, CeLso...), nome che è rimasto dopo i lavori di TournEForr, al quale va riconosciuto il merito di aver, per il primo, descritta in modo veramente scientifico la specie. (1) Roper, Botanique Agricole et Médicale, 2° edition, Paris, Asselin, 1872, pag. 813; Lewin, Traité de Toxicologie, trad. Pouchet, Paris, 1903, pag. 873. (2) Fra le specie tossiche del genere Veratrum (Linn.) ricorderò particolarmente le seguenti : Veratrum album Linn. ; Lobelianum Bernh. (= Ver. album R. viride Lap.). 3 nigrum Linn. È viride Ait. (=V. americanum MIll.). î parviflorum Mich. Le prime tre europee, le altre due americane. Il Veratrum officinale (Schlecht. (= Sabadilla officinarum (Brandt.) = Schenocaulon officinale A. Gray) degli antichi Autori, è oggi noto col nome di Asagrea offici- nalis Lynd, Questa specie originaria del Messico, di cuì si usano specialmente i semi, è nota col nome di Sabadilla o di Cevadilla. Usasi per la preparazione della Veratrina delle Farmacie. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 5 acidi veratrico e metilerotonico (cevadico) secondo alcuni; e coll’acido chelidonico secondo altri (1). ; Senza alcuna pretesa di sviscerare un argomento così complicato, il quale è tuttora oggetto di discussioni fra i chimici, riassumerò brevemente quanto ho trovato nei più recenti ed apprezzati Manuali (2), ricordando come nel rizoma e nelle radici principalmente del Ve- ratrum album Linn. si sieno trovati i seguenti alcaloidi : 1° La Jervina, scoperta nel 1837 dal Simon e studiata quindi specialmente da: Winx (1840); WerGanp (1841); WepPEN (1874); WrIGHr e Lurr (1879); ToBren (1877); SALZBERGER (1890); PeAKscHEN (1890); FRANKFORTER (1897); BrEDEMAN (1906)..... 2° La Pseudojervina, alcaloide, ritenuto tossico, scoperto nel 1879 da WRIGHT e Lurr, studiato più tardi da SALzBERGER (1890). 3° La Rubijervina, studiata dagli autori precedenti (1879-1890). 4° La Protoveratrina scoperta da SALZBERGER (1890) e studiata anche da BREDEMANN (1906), la quale rappresenterebbe il principio tossico, per eccellenza, della pianta. 5° La Protoveratridina, indicata pure da SALZBERGER e da BREDEMANN. A questi 5 alcaloidi WrieHr e Lurr e SALZBERGER aggiunsero la Veratralbina; PELLETIER e Caventou (1819), Simon, WrIGAND e AHRENS, la Veratrina, che successivamente non venne più riscontrata; Tosien e PeHKkscHEN la Veratroidina, che ritennero tossica, ma che, secondo SALZBERGER e BREDEMANN, non sarebbe che un prodotto di scomposizione della Protoveratridina, così come lo sarebbe anche la Veratralbina. In complesso si avrebbero nel rizoma di Veratrum album cinque o sei alcaloidi, ai quali BREDEMANN (1906) aggiungerebbe ancora un’altra base analoga alla Veratrina. Oltre a tutte queste sostanze, intorno alla costituzione ed alla autonomia delle quali, non sembra che finora la chimica abbia detto ancora l’ultima sua parola, venne trovato ancora dallo Weppen (1872) un glucoside che egli indicò col nome di Veratramarina; e fu- rono riscontrati olii grassi, resine, zuccheri, umido, ossalato di calce, ecc. Alcune altre sostanze, come la pectina, l'acido veratrico, V'acido gallico, l’inulina, non sono state ancora definitiva- mente accertate. La Protoveratrina secondo l'opinione generale dei chimici e dei tossicologi e la Pseudo- jervina sarebbero i principii tossici del Veratrum album, nella quale pianta, secondo le moderne ricerche, mancherebbe la Veratrina (detta anche Cevadina od Asagreina), caratteristica in- vece della Sabadilla (Asagrea officinalis, Lindl.), la quale (fatta astrazione della curva musco- lare) agisce identicamente alla Protoveratrina (3). (1) V. a questo riguardo quanto è riferito da Wenmer, Die Pflanzenstoffe, 1911, pag. 87 e da Czapex, Biochemie der Pflanzen, 1905, Il vol., pag. 281. L’acido chelidonico, uguale all’acido jervico, era stato prima ereduto identico all’acido gallico. (2) Fra i manuali di cui mi sono servito ricordo specialmente: G. Dracenporer, Die Heilpflanzen, Stuttgart, 1898. A. e T. Husemann e A. Hircer, Die Pfanzenstoffe, Berlin, 1882-84. I. Guarescni, Commentario della Farmacopea italiana, Torino, 1897. Wenmer, Die Pflanzenstoffe, Jena, 1911. PF. Czapek, Biochemie der Pflanzen, 1905, ediz. 12. A. RosentHAL, Synopsis plantarum diaphoricarum, Erlangen, 1862. J. Wieswer, Die Rohstoffe des Pflanzenreiches, Leipzig, 2* ed., 1903. I. Guarescni, Einfihrung in das Studium der Alkaloiden, Berlin, 1896. Trad. H. Kunz-Krause. (3) Per le rane la protoveratrina riesce cinque volte più tossica della Veratrina cristallizzata; per i conigli circa 25 volte! I sintomi di avvelenamento sono analoghi per le due sostanze (Lewin). Nessuna sostanza possiede in così alto grado, come la Veratrina, la proprietà di allungare la curva discendente della contrazione muscolare. La Protoveratrina, che pure in molte azioni somiglia alla Veratrina, manca del tutto di questa azione 6 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. Il rizoma e le radici del Veratro contengono la massima quantità di alcaloidi; minore è la proporzione di essi nel caule epigeo; e minima nelle foglie, come dimostrarono nel 1901 gli studi del RumnpQuisr e del Borcow, dai quali risultò pure la localizzazione delle sostanze tossiche del Veratro, immagazzinate prevalentemente nelle cellule dei parenchimi, riechi di amido, che si trovano in contatto colla endodermide, la quale non ne contiene. Nelle radici, la massima quantità di alcaloidi si trova nei tessuti vecchi, mentre i gio- vani tessuti delle punte radicali ne sono privi. L'azione tossica del Veratrum è però attivamente esercitata tanto dagli organi epigei, quanto da quelli ipogei che, per le ragioni sopra ricordate, agiscono più attivamente. I tessuti freschi del rizoma eccitano con molto maggior violenza che non gli alcaloidi l’azione emetocatartica e l'eccitazione secretoria. Gli alcaloidi del Veratrum agiscono, si può dire, su tutte le terminazioni periferiche dei nervi sensorii, motorii, secretorii e specialmente sulle regioni del sistema nervoso centrale del midollo allungato. La eccitazione si inizia sulle estremità periferiche dei nervi sensorii, rivelandosi colla rapida comparsa di sternuti, di tosse, di prurito, di bruciori... che presto cessano per la subentrante paralisi. Così pure, dopo una passeggiera eccitazione, il numero dei movimenti tanto cardiaci, quanto respiratorii subisce notevole diminuzione. In seguito alla paralisi dei centri vaso-motorii si nota un abbassamento considerevole delle funzioni cardiache e respiratorie accompagnate da abbassamento di temperatura. Tanto la Protoveratrina quanto la Veratrina esercitano una azione elettiva sui muscoli, cosicchè le caratteristiche curve muscolari da esse prodotte possono rivestire una importanza grande dal punto di vista della diagnosi dei principii tossici. I dati relativi all’azione tossicologica del Veratro sull'uomo risultano abbastanza scarsi nella letteratura, e ciò forse perchè gli avvelenamenti per Veratro, come osservano i fratelli Husemann (Handbuch der Toxicologie, Berlin, 1862) e il Lewin (Traité de Toricologie. Trad. Pouchet. Paris, 1903), si notarono nell'uomo, unicamente per scopi delittuosi o per fatti casuali, per scambio cioè di polveri di rizoma di Veratro con pepe, Kummel, radice di Ga- langa, di Genziana ecc., tintura di Veratro usata invece di tintura di Valeriana, e per uso eccessivo di decotti o di polvere del rizoma stesso, per ottenere effetti cardiaci tali da simu- lare malattie organiche capaci di far esentare dall'obbligo della leva (HasseLr). Un caso solo è ricordato dal Lewix in cui la polvere di Veratro fu usata a scopo omicida (loc. cit., pag. 871). Quantunque in tutti i casi di avvelenamento per Veratro si osservino dei sintomi impo- nenti, pure relativamente in pochi di essi si notò esito letale, e ciò, senza dubbio, devesi attribuire all’azione fortemente emetica e purgativa della droga. LòwensoHnN (1), ad esempio, che trattò di 13 casi di avvelenamento nell’uomo per inge- stione di medicamenti a base di Veratro, ebbe a constatare per essi un solo caso di morte. FaLck su 29 casi raccolti ebbe a segnare 6 morti, intervenute dopo 3 a 12 ore dall’avve- lenamento. Riassumendo, quattro sono i punti principali a cui si può schematicamente ridurre l’azione farmacologica del Veratro, che agisce 1° Sulle terminazioni nervose sensorie, con breve eccitazione e conseguente paralisi. 2° Sulla circolazione, con diminuzione di pressione endovasale per paralisi generale vasomotoria. muscolare. Sotto la sua influenza non si osserva mai il lento rilasciarsi del muscolo dopo la contrazione (GaeLIo, Farmacologia e Terapia, 2* ed., 1914, p. 472). (1) V. Kosrrr, Lelrbuch der Intozicationen, Stuttgart, 1895. . MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE lI, VOL. LXV, N. 8. 7 3° Sui muscoli striati, con forte eccitazione e consecutiva rapida distruzione della irritabilità. 4° Sulla temperatura, nessuna azione costante, perchè l'abbassamento di essa, deter- minato dalla paralisi vasomotoria, è controbilanciato dall'aumento dovuto alle convulsioni. Questa quadruplice azione ci spiega il quadro sintomatico dello avvelenamento. Bruciore alla bocca, alla gola, allo stomaco; secrezione salivare aumentata ; vomito, scariche. liquide spesso sanguinolenti; angoscia, cefalea, vertigine, senso di grande deboleeza; senso di for- micolìo e prurito alla pelle; poi diminuzione generale di sensibilità, midriasi, talora anche per- dita della vista. Polso piccolo, debole, irregolare; respirazione difficile con uccenni di soffocazione; in ultimo anestesia completa della pelle, perdita della parola, convulsioni, collasso. Fenomeni questi che con maggiore o minore imponenza, in relazione alla quantità di sostanza ingerita, furono osservati in tutti i casi di avvelenamento qui studiati, siccome risulta dalla Relazione sopra riferita del D"* X e da quelle altre che per brevità ometto, vista la concordanza perfetta dei sintomi osservati. I dati di autopsia riferiti dagli Autori sono scarsamente caratteristici e si possono riassu- mere in iperemia ed edema polmonare, con echimosi ed isole emorragiche nel polmone stesso, cuore pieno di sangue venoso fluido. Il principio tossico del Veratro è assorbito dalla mucosa gastro-intestinale, dal tessuto connettivo sottocutaneo e dalle cavità sierose. L'azione irritante topica, quasi caustica eser- citata dalla pianta, sul tegumento cutaneo, determina pure l'assorbimento del principio attivo che sì elimina in seguito, attraverso la mucosa gastro-intestinale, colle manifestazioni abituali, cioè con vomito e diarree. ecc. Questi fenomeni invece non succedono colla Veratrina e colla Protoveratrina. La Veratrina applicata sulla pelle, in soluzione alcoolica, o mescolata con grasso allo stato di pomata, produce una sensazione di calore, di formicolio, di bruciore, senza che si osservi, nè rossore, nè aumento della temperatura locale; poichè in questo caso si tratta di una irritazione dei nervi sensitivi e non di un comune processo di infiammazione. Allo stato irritativo segue quello depressivo; e però alla sensazione di bruciore succede quella di freddo, e una diminuzione di sensibilità cutanea, della quale si trae profitto nella terapia per calmare quelle nevralgie che hanno sede superficiale, come le nevralgie sopraorbitarie e le intercostali. Questa azione calmante della Veratrina, è la sola che possa ancora ricono- scersi terapeuticamente un poco utile; poichè le altre azioni che la VWeratrina spiega dopo il suo assorbimento sono da considerarsi come nocive all'organismo. In seguito alle conti- nuate applicazioni sulla pelle, anche la stessa Veratrina può dar luogo a rossore, formazione di vescichette, prurito (1). Secondo gli studi di Masine e di Prevost, il principio tossico si elimina, almeno in parte, colle urine. Il Veratro, ora affatto e giustamente disusato in medicina, perchè inefficace e pericoloso, fu impiegato in passato : in polvere (polvere del rizoma) come starnutatorio ed emetico; in tintura come antipiretico nella pneumonite e nel reumatismo acuto; in pomata come anti- nevralgico. Le dosi erano: per la polvere 2 decigram. pro dosi; 12 decigram. pro die. Per la tintura 3 a 10 goccie pro die. Quanto alla pomata usavasi il grasso nella proporzione di 1 a 10. Ho potuto raccogliere pochi dati riguardanti le dosi di Veratrum, le quali riescono mor- tali. Lewin cita un caso in cui la morte è sopravvenuta dopo la ingestione di 1 a 2 gram. di rizoma di Veratro polverizzato; facendo però osservare che in altri casi la guarigione si (1) G. Gaetro, Farmacologia e Terapia, 2* ediz., Milano, 1914, pagg. 469-470. 8 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. ottenne ancora anche dopo l’ingestione di 15 gram. e anche dopo aver bevuto un infuso di 60 gram. di rizoma. Quanto all’azione del principio attivo si sa che 5 a 10 milligr. di Vera- trina, la quale (v. pag. 5) è assai meno attiva della Protoveratrina, costituiscono già una dose mortale tanto per l’uomo, come per la maggior parte dei mammiferi superiori; l’espe- rimento dà come dose mortale 0,51 mill. di Protoveratrina per Kil. nella Cavia e nel Coniglio. Un gramma di rizoma fresco per Kilogram. di animale è sufficiente per uccidere un cavallo; e 2 gram. per K. per far morire i ruminanti (Lewin, loc. cit., pag. 873). Contro ai casi di avvelenamento, dopo il vomito e la diarrea, sono indicati il tannino, l'oppio, la morfina, i narcotici in genere. Per la cura della straordinaria depressione nervosa l’uso del caffè, del vino, degli alcolici, la canfora..... la respirazione artificiale. Usavasi ancora l'acido cloridrico, l’acqua iodata, ecc. Negli avvelenamenti da Veratro sul tipo di quelli qui enumerati, per uso della droga fresca, più importante è la cura sin- tomatica della gastro-enterite acuta provocata dal veleno; e quindi si renderanno necessarii dopo gli assalti di vomito e di diarrea i medicamenti sopra indicati, che oggigiorno si tro- vano alla portata di tutti. Specialmente giovevole è l’uso abbondante del Laudano, che ognuno dovrebbe aver seco nelle escursioni. Differenze tra gli organi vegetativi e fiorali del Veratro e della Genziana. Esposto così adunque per sommi capi ciò che riguarda il valore e l’azione dei principii tossici contenuti nel Veratrum album (assai prossimi, nella loro composizione, a quelli conte- nuti nelle altre specie del genere), dobbiamo ora trattare la questione più importante dal punto di vista pratico; quella cioè che si riferisce al modo di riconoscere e distinguere i due vegetali, onde ovviare al pericolo dell’avvelenamento. Scriverò con parole facili e piane le note che seguono, non già rivolte ai botanici; bensì ai medici ed a coloro che di botanica si mostrano tanto digiuni da confondere una pianta monocotiledonea con una dicotiledonea, cioè il Veratro colla Genziana. Esporrò i carat- teri differenziali più ovvii; a scopo pratico e non scientifico (1). Il Veratro (V. Tav. II, fig. 1°), che appartiene alla serie delle Lililore e fra queste alla famiglia delle Melanthioidew, contiene nei semi suoi, assai minuti (3,5 mm. circa di lunghezza), un embrione piccolissimo avvolto dall’albume, il quale porta una wnica foglia seminale o cotiledone. La Gentiana (V. Tav. I, fig. 1°), classificata nella serie delle Contort@ e nella famiglia delle Gentianacee, ha pure minuti semi, ma in essi il piccolo embrione, avvolto esso pure dall’albume, presenta due foglie seminali, o due cotiledoni. Accennando solo alle differenze principali che ognuno, senza bisogno di lenti, può rico- noscere, ricorderemo che : 1° Le foglie caulinari del Veratro (Tav. II, fig. 32) (monocotiledone) hanno le nerva- ture tutte uguali, decorrenti parallele fra di loro; mentre invece le foglie della Genziana lasciano scorgere 5 forti nervature gialle, visibilissime sul fondo verde-glauco della foglia. Esse sono prominenti sulla pagina inferiore della foglia e da esse partono lateralmente altre nervature secondarie che si diramano come le barbe delle penne (nervature pennate) (V. Tav. I, fig. 3°). 2° Le foglie del Veratrum sono ruvide, scabre al tatto; glabre, cioè senza peli sulla pagina superiore e polveroso-pubescenti invece sulla faccia inferiore. Esse sono pieghettate, (1) Chi desidera avere un riassunto di quanto, specialmente in questi ultimi tempi, è stato fatto in riguardo alla anatomia, alla storia di sviluppo, alla biologia fiorale, ecc. del Veratrum albumi, si rivolga allo studio diligente e dettagliato comparso nel fascicolo della Lebensgeschichte der Bliltenpflanzen Mittel Europas di Kircaner, Loew e Scarérer (Stuttgart, 1911, da pag. 254 a pag. 268). ® MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 9 hanno i bordi rivoltati in fuori, sono grandi, guainanti; le inferiori sono più piccole a con- torno ovato-ellittico; le superiori invece sono lanceolate. Esse sono inserite sopra un caule pieno, resistente, in disposizione alterna, cioè ad ogni nodo trovasi una foglia sola, nell'ordine cioè detto dai botanici sparso o spiralato (V. Tav. II, fig. 32). Il colore delle foglie del Veratro è di un verde-grigio. Le foglie di quelle Gentiane (i cui giovani individui si assomigliano al Veratro) sono pur esse grandi ovato-bislunghe inferiormente sessili (cioè attaccate senza picciolo al caule) e più larghe, mentre sono superiormente amplexicauli e più ristrette. Esse sono morbide al tatto, liscie, intiere, glabre; hanno i margini rivoltati in dentro. Esse sono portate da un caule vuoto (fistoloso) e sono disposte in modo che ad ogni nodo si trovano due foglie (disposizione opposta); il paio superiore non si sovrappone, ma si trova inserito nell’intervallo corrispondente a quello lasciato libero, dalla inserzione delle due foglie del paio inferiore, in modo da formare una specie di croce (disposizione decussata) (Vega vagIIneno9t33)S Il colore delle foglie di Gentiana è verde glauco, perocchè il colore naturale della clo- rofilla vi è modificato dalla sovrapposizione di un deposito ceroso epidermico. Riassumendo : 1° Veratrum — foglie alterne — a nervatura parallela, ruvide — pelose al disotto — di color verde grigio. 2° Gentiana — foglie opposte — con 5 grandi nervature, morbide — glabre — di color verde glauco. In questo seritto inteso a far conoscere i caratteri che distinguono il Veratro da quelle specie di Genziana che gli rassomigliano (V. Tav. I e II, fig. 2°), quando ancora sono gio- vani e non fiorite, io non stimo opportuno spendere parole intorno alla descrizione minuta dell'apparato fiorale delle due piante, imperocchè non è nemmeno da potersi ritenere cosa possibile che le due piante, quando sono fiorite, si possano tra di loro confondere! (V. Tav. I eplistio:313)! Quando avrò detto che la infiorescenza del Veratro è una pannocchia, ramosa, eretta; che i fiori sono regolari, poligami (maschi ed ermafroditi): che i lobi del perigonio semplice sono in numero di sei. bianchicci di sopra, e verdi sotto (rosso-scuri nel V. nigrum L.); che gli stami sono essi pure nel numero di sei; che l’ovario, formato da tre carpelli, è trilocu- lare; che infine il frutto è una capsula setticida trivalve e che i semi in ogni loggia sono da due a quattro, io avrò detto più di quanto è mestieri. D'altra parte le Genziane i cui giovani stadi rassomigliano a quelli del Veratro, hanno invece fiori raggruppati in piccoli glomeruli dicasiati, all’ascella delle foglie superiori con- nate; fiori ermafroditi gialli 0 porporini, o punteggiati; calice libero, persistente di 5 lobi; corolla pure quinquelobata; stami in numero di cinque. Ovario formato da due carpelli, uniloculato; frutto capsulare bivalve, contenente molti semi. Maggiore interesse possono avere le nozioni riferentisi ai caratteri che presentano i cauli e le radici; nonchè quelle che hanno riguardo all'area di distribuzione del Veratrum album e delle Genziane a foglie larghe, e di queste ci occuperemo brevemente (1). (1) Chi desiderasse descrizioni minuziose, accompagnate da figure, dell’apparato caulinare e di quello radi cale delle due piante, consulti fra gli altri: G. Karsren, Manuale di Farmacognosia, F. Vallardi, Milano, 1906. L. Koca, Pharmakognostischer Atlas, Leipzig, 1911. Tsc®irca e OrsrerLe, Anafomischer Atlas der Pharmakognosie und Nahrungsmittel, Leipzig, 1893. Bere, Anatomischer Atlas zur Pharmazeutischen Waarenkunde, Berlin, 1865. H. SorereDer, Systematische Anatomie der Dycotiledonen, Stuttgart, 1899-1908. 10 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. Sistema caulinare ipogeo del Veratro (Tav. II, fig. 4, 5). Il rizoma o caule sotterraneo del Veratro, breve, grosso, che misura nei vecchi esem- plari anche fino a 3 cent. alla base e che va regolarmente e lentamente distruggendosi nella porzione inferiore, è un rizoma di quelli detti simpodiali diritti. Coperto da una corteccia scura sulla quale appaiono evidenti le traccie cicatriziali delle foglie più vecchie sotto forma di impressioni annulari, esso porta verso l’apice gli avanzi delle vegetazioni precedenti, svoltesi da gemme laterali dalle quali dapprima si origina un ciuffo di foglie grandi ovali, pieghettate, un po’ vellutate (quelle che si assomigliano ai gio- vani germogli delle genziane), in mezzo al quale poi si svilupperà il fusto foglioso, pieno, che si terminerà colla infiorescenza (1). Anatomicamente considerato, il rizoma del Veratro, non presenta gran che di notevole, se si toglie lo spessore del tessuto corticale e della endodermide. Sezionato longitudinalmente, mostra una porzione corticale di 3 a 4 mm. di spessore, di color bianco, la quale è esternamente coperta da uno strato scuro, quasi nero, irregolar- mente conformato, il quale non è dovuto ad elementi del fellogeno, ma ad una trasforma- zione delle cellule corticali, le quali subiscono una particolare suberificazione, così da diven- tare insolubili nell’acido solforico (Metaderma, A.MevER “ Beitriàge zur Kenntnis pharmazeutisch wichtiger gewichse ,, IV. Ueder Veratrum album L.“ Archiv. der Pharmacie ,, Vol. 220, 1882, p. 81, 101). La porzione corticale è nettamente circoscritta verso l’interno del rizoma da una evidentissima endodermide, ed è radialmente attraversata da lineette scure che segnano le traccie dei fasci vascolari collaterali che andavano e vanno alle foglie. L'endodermide è ondulata, se la si considera in sezioni longitudinali del rizoma; le sue cellule hanno la parete fortemente inspessita verso l'interno a mo’ di G; esse si colorano in violetto-giallastro colla floroglucina. L'endodermide, nelle sezioni trasversali, segna una linea circolare che dà risalto alla parte centrale o assile del rizoma, nella quale decorrono numerosi i fasci vascolari collaterali chiusi, che riunendosi assumono aspetto concentrico. È I parenchimi del rizoma sono ricchi di granuli di amido, semplici e composti, e qua e là nella parte parenchimatica della corteccia si incontrano in cellule speciali, più grandi, fasci di rafidi, di ossalato di calcio. Sistema radicale (Tav. II, fig. 4 x.) — Inferiormente e lateralmente al rizoma si dipar- tono molte radici avventizie cilindriche, della grossezza dello stelo di una penna di piccione biancastre internamente e giallastre allo esterno, hanno, come il rizoma, sapore dapprima sensibilmente dolciastro, unito però a un po’ di amaro, quindi acre, caustico, bruciante. In complesso le radici del Veratro si assomigliano assai a quelle dell’Asparago. Il Veratro, come tutte le Monocotiledoni, ha tutte radici avventizie, che però anatomicamente considerate non presentano nulla di notevole, se si toglie lo inspessimento grande degli ele- menti endodermici, e la lignificazione del parenchima interno midollare a pareti assai inspes- site, colorantisi colla floruglucina. La parte sotterranea del caule o rizoma, di cui abbiamo specificato i caratteri, è appunto la parte che nei casi citati fu erroneamente creduta una radice e scambiata colla Genziana. Della parte epigea del caule, diritta, cilindrica, striata, piena e resistente, leggermente pubescente nella parte inferiore, sublanata superiormente è inutile occuparci, non servendo allo scopo di questo studio. (1) Il Veratro non fiorisce che ogni 5-10 amni. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 11 Non si deve dimenticare che la radicazione del Veratro è relativamente poco salda e poco profonda nel terreno, e che i rizomi si staccano con facilità dal suolo; mentre tena- cissimamente, perchè impiantati profondamente in esso, vi aderiscono quelli della Genziana. Sistema caulinare e radicale della Gentiana (Tav. I, fig. 4, 5, 6). La porzione ipogea della Gentiana lutea (1), forma un complesso di tessuti che riesce assai cospicuo, esternamente di color bruno e nell'interno giallastro. Essa è costituita da un potente asse vegetativo, composto superiormente dal Rizoma (che ha valore di caule sotter- raneo), e inferiormente da un limitato numero di radici secondarie, le quali sostituiscono ben presto la radice principale, che nel maggior numero di individui va distrutta, quando nor- malmente si distrugge anche la parte inferiore, cioè più vecchia del Rizoma stesso. Nell’asse ipogeo della Genziana (che abbiamo veduto risultare dal caule e dalle radici), la parte dovuta al caule (rizoma) si distingue nettamente, anche allo esterno, da quella propria delle radici per ciò che essa è esternamente notata da numerosi anelli trasversali, assai avvicinati tra loro, i quali rappresentano la superficie d’inserzione delle vecchie foglie, scomparse; mentre la superficie esterna della radice è continua nel fresco; con solcature longitudinali nel secco. Dal punto di vista anatomico, differenze tra rizoma e radici, si possono soltanto con- statare, quando si osservino radici giovanissime, perocchè allora nelle radici è ancora rico- noscibile la disposizione raggiata dei cribri e dei vasi alternantisi fra loro. Certo è che alloraquando i relativi cambi sono entrati in azione, ogni differenza scom- pare e non ci è possibile più invocare altro carattere differenziale che quello derivante dal decorso dei fasci che attraversano la parte midollare. Ondulati, piegati, curvati, sono essi nel rizoma; parallelamente decorrenti e diritti nelle radici, come si può osservare tanto nelle sezioni trasversali, quanto in quelle longitudinali. Il Rizoma simpodiale verticale della Genziana, che può vivere anche più di 20 anni prima di fiorire, e che si impianta tenacemente nel suolo in virtù delle radici profonde, pre- senta frequentemente, quando è adulto, alla sua parte superiore, delle ramificazioni, dovute allo sviluppo di gemme ascellari. Nel Rizoma, come nella radice, l'anello cambiale (che manca al Veratro) risalta come una zona oscura sul legno chiaro e già colla semplice lente appaiono evidenti in sezione trasversale le aperture dei vasi più grandi del legno. Se si esamina al microscopio l’asse vegetativo della Genziana, si nota all’esterno una zona suberosa di pochi piani cellulari, che ricopre numerosi strati di elementi collenchimatici e parenchimatici fra i quali si alternano piccoli e grandi anelli o strati cribrosi. Al di la del cambio, notasi il parenchima legnoso assai scarso e le formazioni legnose cambiali che lo accompagnano. A proposito di queste formazioni, è bene richiamare alla memoria del lettore, che le Gentianacee (delle Tribù delle Exacee-Chironieae e Swerticae, fra le quali sono le Gentianae) possiedono fascii bicollaterali, e che il legno di queste piante manca quasi sempre di raggi midollari, i quali, ove esistono, sono assai limitati di numero e di sviluppo. Caratteristiche nel legno delle Genziane sono le isole cribrose che formano il cosidetto (1) Va notato che tutte le Gentianae a foglie grandi ovato-oblunghe, di cui abbiamo fatto cenno in prin- cipio, corrispondono mirabilmente nei caratteri anatomici dell’apparato rizomatoso e radicale, ragione per la quale ci siamo limitati a parlare della sola Gentiana lutea. 12 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC; foema interaylare (1), e che si osservano pure nel midollo, contribuendo a dare tessuti essic- cati delle Genziane, la caratteristica spugnosità. Dette isole sono formate dal cambio (V.1la- vori di A. Meyer e di J. Weiss). Nelle cavità cellulari, tanto del legno, come della corteccia, si notano minuti aghetti di ossalato di calcio; in esse generalmente manca un contenuto organizzato e l’amido vi fu raramente accertato e in piccole quantità. Secondo gli studi di Hartwich e Uhlmann (“ Arch. Pharm. ,, 1902, 240, 474), l’amido apparirebbe nel Rizoma della Genziana, solamente verso il fine della vegetazione annuale, in novembre. La mancanza di amido nelle radici e nei Rizomi di Genziana, costituisce un criterio dif- ferenziale di facilissima applicazione. Portati a contatto di acqua iodata i rizomi di Veratro, ricchissimi di amido, prendono un colore violetto-nero intensissimo, mentre non si colorano quelli della Genziana. Il sapore della Genziana fresca è dapprima un po’ dolciastro, poi subito diventa ama- rissimo, e di un amaro persistente; differentissimo da quello acre, irritante del Veratro. Il gusto amaro deriva dalla Genziopicrina, un glucoside che vien detto anche amaro di Genziana, e dalla Gentisina (acido genzianico), sostanza non ancora definitivamente studiata. Oltre a questi principii attivi, contiene la radice di Genziana: olio grasso, mucilagine (Pectina) e 2uccheri; e fra questi ultimi uno zucchero detto Genzianosio che si osserva sopra- tutto nella radice fresca. Dal Genzianosio (Trisaccaride) cristallizzabile e fermentescibile si ottiene per distilla- zione una acquavite amara assai pregiata. La fermentazione del Gerzianosio è data da uno speciale enzima. Secondo TanrET e BourqueLoT si conterrebbero parecchi enzimi e ossidasi nei tessuti della Genziana. Così ad esempio la scomposizione della Genziopicrina che ha luogo quando la radice va essiecandosi e che produce l’arrossamento della radice stessa, sarebbe dovuta ad un processo di fermentazione riferibile ad enzimi il cui effetto si può arrestare col rapido essiccamento. La droga viene messa in commercio in pezzi irregolari, contorti, della lunghezza di più centimetri e dello spessore di 1 a 3 cent. Di color bruno-giallastro esternamente, bruno- ranciato internamente. Colla essiccazione lenta si sviluppa meglio l’odore particolare caratteristico anche delle parti fresche, e meglio si esplica il sapore amarissimo. La droga fresca è forte e flessibile; secca diventa fragile. Dal rizoma ben sviluppato si svolge ogni anno, dopo un lungo periodo vegetativo pre- paratorio, un caule, dal quale, dapprima, si formano foglie ellittiche, grandi, con le nerva- ture marcate; ed è in tale momento evolutivo della pianta che la Genziana può confondersi col Veratro. All’inizio della fioritura si avverte lo sviluppo del caule aereo fiorifero. Da questi rapidi cenni risultano evidenti fra gli altri i caratteri che fanno distinguere subito il sistema caulinare e radicale del Veratro da quello della Genziana, che si diffe- renziano allo stato fresco: (V. Tav. I e II i confronti delle figure corrispondenti). 1° Per il volume e lo sviluppo: breve e grosso è quello del Veratro; lungo assai e ‘ profondamente peretrante nel suolo è quello della Genziana. 2° Radici numerose, biancastre, emanano dal tozzo e breve rizoma del Veratro; (1) Queste isole cribrose nel Legno si osservano anche nei generi: OCkironia, Orphium, Erythrea, Ivxanthus (v. SoLEREDER, loc. cit.). i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAUVEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 15 mentre poche radici continuano il rizoma della Genziana, coperte da una bruna corteccia identica a quella del rizoma. 3° Manca la zona cambiale nel Veratro; è presente invece nella Genziana. 4° Colore quasi nero, ha la corteccia del rizoma del Veratro; colore giallo-brunastro ha la corteccia della Genziana. 5° E ricco di amido il rizoma del Veratro; è privo di amido quello della Genziana. 6° È dolciastro e quindi poco amaro e subito bruciante il rizoma del Veratro; è subito amarissimo quello della Genziana. 7° Radicato poco tenacemente è il Veratro; profondamente e tenacemente radicata la Genziana. Aree di distribuzione. Il Veratrum album Linn., colle sue sottospecie e varietà (Lobelianum Bernh. — gran- diflorum Matsuda — bosniacum Beck. — wviride Ait.) è una specie che si può dire estesa a tutto l'emisfero boreale. In Europa, dalla Sierra de Estrella nel Portogallo (Wilkomm, 1896), attraverso la Spagna, la Francia, la catena delle Alpi, si estende sino al Caucaso ed agli Urali; e dalla Lapponia sino all'Italia centrale nelle regioni alpine e subalpine delle Alpi e dell’Apennino. Il Veratrum nigrum Linn. (ben distinto dal precedente) ha, considerato in Europa, un’area assai più ristretta (1). È specie delle parti orientali e meridionali dell'Europa centrale, e trovasi pure in Siberia e nel Kamschatzka. In Italia essa è più rara della precedente. Abita i luoghi selvatici della zona superiore del Faggio, nelle Alpi centrali ed orientali; e nell’Apennino giunge sino al Napolitano. Una varietà di questa specie (il V. japonicum Balk) abita la Siberia, alcune provincie cinesi, il Giappone, Formosa. Considerando ora le specie del genere Genziana a foglie larghe, le sole che si possono confondere col Veratro, abbiamo che : 1° L'area di distribuzione della Gentiana lutea Linn. (la specie più comune nelle Alpi piemontesi) è assai vasta, dal Portogallo all’Asia Minore, in una fascia che comprende tutta l'Europa centrale e meridionale. In Italia essa si incontra tanto nei pascoli delle Alpi, quanto in quelli si può dire di tutto l’Apennino, in Corsica, in Sardegna; legata di preferenza a suolo calcareo. 2° La Gentiana purpurea Linn. invece è propria all'Europa centrale e orientale, dove si trova in tutte le regioni montuose dalla Norvegia all’Apennino emiliano. In Italia essa è legata ai terreni silicei delle Alpi centrali e orientali, e nelle Alpi occidentali si avanza solamente sino ai monti della Valle d'Aosta. 3°4° La Gentiana punctata Linn., propria delle catene montuose dell'Europa centrale e orientale, ha per limite occidentale le Alpi piemontesi, le quali formano alla loro volta il (1) L'ultimo limite occidentale di questa specie è il Canton Ticino; ove Gaupn assicura averla raccolta al Monte Generoso; ma dove, dopo di lui, non fu più trovata. Lewriccnia nel 1884 (nella Hlore-Géologie et È Minéralogie du Tessin) la indicdb del Monte S. Giorgio sopra Meride. Jures Camus la raccolse nel 1891 nella Val Solda a poca distanza da Lugano (Feville des jeunes Naturalistes, 1 oct. 1891, n. 252, p. 256). Ricordo però che la località di Monte S. Giorgio risulta già nel Catalogo delle Piante fanerogame della Svizzera insubrica di A. Franzoni, stampato a Lugano nel 1888 per cura di A. Lexricena, ma composto molti anni prima. 14 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. limite orientale di un’altra specie, la Genziana Burseri (1) Lap., caratteristica invece delle regioni montuose dell'Europa occidentale. 5° Delle Alpi orientali nostre e dell'Europa orientale è pure una (Genziana a larghe foglie detta Gentiana pannonica da Scopoli, che manca al Piemonte. Queste specie, unitamente alle loro varietà, note nelle Flore con nomi differenti (che qui non indichiamo nemmeno), si possono tutte confondere coi giovani individui di Veratrum, perchè tutte si presentano assolutamente identiche nel periodo che prelude a quello della formazione dell’infiorescenza. Certamente parrà strano, a chi ha seguito questo studio, che due vegetali i quali, come abbiamo dimostrato, risultano fra loro differenti per una quantità di caratteri essenziali, abbiano potuto essere confusi e si possa ragionevolmente sospettare che si confondano in avvenire. Eppure la confusione appare possibilissima e scusabilissima quando si esaminino le piante in situ, promiscuamente crescenti; quando hanno poche foglie sviluppate e quando queste foglie non sono distanziate ancora sul caule per lo sviluppo regolare degli internodii dello scapo fiorifero. 7 In tali condizioni di vegetazione, anche un botanico di professione, non esito a dirlo, che osservi ad una certa distanza, senza alcuna diretta preoccupazione, può facilmente essere tratto in errore, siccome è ripetutamente successo a me stesso e ad alcuni colleghi miei, erborizzando nelle Alpi. È stata la constatazione della possibilità di questo fatale errore, e la scusabilità di esso, che mi ha consigliato ad occuparmi di questo caso strano di mimetismo, di cui la natura si è preoccupata assai prima dell’uomo, perchè essa infatti ha ovviato alla possibilità che gli avvelenamenti potessero avvenire negli erbivori per lo scambio delle due piante, concedendo loro il mezzo di riconoscerle e per conseguenza di schivarle. È un fatto noto, sino dai tempi più remoti, che gli animali di grossa mole (bovini, ovini, equini.....) (2) conoscono le piante velenose crescenti nelle regioni da essi abitate e che sanno astenersene. È noto pure che gli stessi animali, trasportati lungi dal paese di origine, in un ambiente floristico nuovo, riescano per questo fatto disorientati, così da cibarsi inconsapevolmente anche di piante per essi velenosissime, che più non sanno riconoscere (8). La spiegazione di questa provvidenziale facoltà, che d’altra parte si risolve in una effi- cacissima protezione per la specie velenosa, fu in varie maniere prospettata. Alcuni, seguaci della teoria dell’automatismo degli animali, negando, senz'altro, loro ogni facoltà di ragionare, ritennero si trattasse di un fenomeno dell’istinto, di una facoltà eredi- tariamente trasmessa da una all’altra generazione, di un caso cioè di cosidetta esperienza ereditaria. (1) Im Piemonte la Gentiana Burseri è limitata alle Alpi marittime, dove fu raccolta a Limone, Entraques, Valdieri e alle Marmore in Valle Macra. (2) Per quanto si riferisce agli avvelenamenti prodotti da vegetali ingeriti da animali, è d’uopo avver- tire che i varii tipi di animali possono comportarsi in modi differentissimi; e che, non di rado, specie vele- nosissime per alcuni, sono innocue affatto per altri animali. Quippe videre licet pinguescere saepe cicuta, Barbigerae pecudes homini que est acre venenum (Lucrezio). (3) A questo riguardo, in accordo alle numerosissime osservazioni che già si conoscono, parmi oppor- tuno accennare qui al fatto (riferitomi da alcuni Ufficiali di artiglieria da montagna e degli alpini), di muli abissini portati in Piemonte, che si avvelenarono mangiando l’Aconito (Aconitum Napellus (Linn.)); mentre questo avvelenamento non succede mai nei nostri animali che conoscono e rispettano la terribile ranun- culacea ! 1 site fit MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 15 Altri invece, osservando diligentemente gli animali al pascolo, ponendosi in contatto non solo con loro, ma anche con le piante velenose, non tardarono a conchiudere che il feno- meno sì potesse cercare di spiegare in modo più chiaro e più logico. Essi constatarono che gli animali conoscono le differenti piante e che essi giudicano della loro proprietà, sia col mezzo della vista, sia col mezzo dell’olfatto, sia infine con quello del tatto o del gusto; e che la causa la quale determina l’astensione dalle piante velenose debbasi ricercare appunto in queste particolari sensazioni. Per quanto si riferisce alle due piante che ci interessano, non dubito di poter affermare che l’astensione da esse è negli animali erbivori essenzialmente provocata da una sensazione olfattiva, come lo dimostrarono gli esperimenti seguenti. Nell'anno 1906 trovandomi a villeggiare nel paese di Antagnod (Valle di Ayas, Aosta) ebbi, dirò così, la ventura di incontrare in un pascolo (a circa 1700 s. 1. d. m.) una mucca completamente cieca (1) e quindi nella condizione richiesta per le esperienze che avevo in animo di istituire e che istituii di fatto, avendo cura di bendare ancora, con ogni riguardo, gli occhi al docile erbivoro ; cosicchè, in nessun modo, esso potesse ricevere impressioni visive. Così disposto l'animale, preparai fascetti freschi di graminacee e di erbe da foraggio, di Genziana e di Veratro. Questi fascetti avvicinavo poi alla bocca della mucca, avendo però cura che l’animale stesso non potesse toccarli col muso e quindi potesse in qualche modo valersi del senso del tatto. } Esclusi quindi i giudizii derivanti dalle sensazioni visive, tattili e gustatorie, l’animale non poteva giudicare altro che per quelle olfattive. Ora, io osservai (per quanti tentativi io facessi e ripetessi) che mai la mucca cieca errò nei suoi apprezzamenti. Essa rigettò, cioè non toccò mai colla bocca le piante velenose! Quali impressioni di ripugnanza, quale intimo ricordo di pericoli, suscitino negli erbivori gli odori che emanano dalle piante velenose, noi non possiamo conoscere. Quello che è certo è che l’odore rappresentava, nel nostro caso, l’unico elemento di giudizio (2). (1) Feci appositamente la scelta di un animale cieco, nella certezza di trovare in esso meglio sviluppati gli altri sensi. L'animale che servì a questi esperimenti, cieco da più anni, seguiva gli altri al pascolo, senza nessuna difficoltà. Certo era sorvegliato diligentemente dal pastore. (2) È cosa nota che gli animali tutti in genere hanno (come è dimostrato da migliaia di osservazioni) facoltà olfattive di una potenza di cui noi, umani, non abbiamo, nè possiamo avere un'idea. L’olfatto è la guida più preziosa per un'infinità di giudizî, è per essi un richiamo di grandissima potenza. A particolari secrezioni odorose protettrici affidano la loro sicurezza innumerevoli insetti. A proposito della influenza dell’olfatto, come guida nelle decisioni degli animali, piacemi riferire qui due casi inediti. Il primo segnalatomi dall’amico mio signor Giuseppe Cassano (da lui stesso ripetutamente constatato), di una capra ghiottissima del pane, la quale però in nessun modo si adattava a mangiarne, quando esso era stato in qualche modo tocco da bocca umana. Il secondo comunicatomi dal chiarissimo botanico il Dott. Cmaserr di Chambéry, che riferirò colle stesse sue parole (Lettera 1, X, 1904): “ Jai eu longtemps un Corbeau apprivoisé (c'est bien le plus singulier animal “ que l’on puisse avoir et le plus amusant). Il adorait la “ tome , fromage blane mou (specie di ricotta) des “ environs de Chambéry. Quand il s'en était gorgé, il en emportait de gros morceaux au bec, faisait des “ trous dans la terre et les y plagait en les recouvrant d’une feuille sèche ou d’une petite pierre. Les poules “ qui venaient picorer par là n’y touchaient jamais. Mais si je cachais d’autres morceaux de tome dans les “ trous pratiqués par moi dans le voisinage et en leur absence, elles savaient bien les trouver et s’en réga- “ laient. € Un braconnier très expert en les choses de la campagne m’expliqua le fait par l’haleine très forte du € corbeau et par la salive odorante qui imprégnant les morceanx de tome avertissaient les poules. J'ai voulu “ m’en assurer en sentant son haleine. Un violent coup de bec arrèta mon indiscrétion; mais je crois que “ le braconnier a raison! , 16 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. Quegli che si dedicherà allo studio biologico delle piante dei pascoli, troverà un campo di ricerche interessantissimo e poco esplorato ancora, sia per quanto riguarda le relazioni che legano gli animali erbivori alle piante, sia per quanto concerne i vantaggi che le piante sanno ricavare dagli animali. Per me, la conoscenza che gli animali dimostrano di avere delle piante, non è il risul- tato soltanto di quegli atti che si sogliono indicare col nome di istintivi, ciò che vuol dire involontarii, insiti nella proprietà stessa dei centri nervosi, trasmissibili come i caratteri di forma per mezzo della ereditarietà. Essa implica invece nell’animale un lavoro di ragionamento cosciente, inquantochè, come nel caso nostro, è la impressione data dall'odore, quella che determina nell’animale l’astensione da un vegetale. Agirebbe in questo caso, nel caso cioè del Veratro e della Genziana (1), l'odore, come agirebbero gli altri mezzi di difesa: le spine, gli aculei, i peli urticanti, le secrezioni, i principii amari, ecc., provocando cioè nell’animale una impressione, che trasmessa al cer- vello induce l’animale ad allontanarsi dal vegetale. Nella spiegazione di questi fatti, constatati dall'esperienza, noi non facciamo un lavoro obbiettivo: ragioniamo e giudichiamo per analogia, fondando il nostro giudizio sulla cono- scenza che noi abbiamo del nostro cervello e delle manifestazioni provocate in noi dalle eccitazioni che ci vengono dall'esterno. Estendendo agli animali le nostre capacità, noi riconosciamo che l’animale, come l’uomo, è intelligente e cosciente, perchè dimostra di saper tirar partito dell'esperienza; che esso ha un certo grado di similarità colla nostra psicologia. Nel caso nostro, l’erbivoro che si astiene dal Veratro nei tempi normali, ma de però, come diremo, sotto certe condizioni se ne serve, spintovi dalla fame o dall’ingordigia, fa opera di intelligenza; non agisce, nè per una semplice azione riflessa, nè per le facoltà del- l’istinto, le quali due maniere di agire non importano partecipazione diretta della coscienza, essendo esse da ritenersi gli effetti di una specie di meccanismo ereditario del sistema ner- voso, che sotto l'influenza di determinate provocazioni, risponde sempre nell’identico modo. Nè il giudizio dell'animale è sempre unico, sempre uguale; imperocchè può esso stesso in certi momenti anche essere mutato, quando cioè entrino in gioco e agiscano altri bisogni, altri impulsi, come sarebbero, ad es., quelli determinati dallo stimolo della fame (2), della gola o da altri fattori, così come è dimostrato dal seguente fatto, limitatamente però ad una delle due piante che ci interessano, al Veratro. Nel luglio dell’anno 1879 nelle Alpi Marittime e precisamente nei pascoli della Cima di Marta, sopra Briga Marittima, ho, io stesso, assistito all’agonia e alla morte di N. sette mucche, le quali, costrette dalla fame per mancanza di pascolo (dovuta ad una persistentis- sima siccità), si erano adattate a mangiare anche le piante di Veratrum, che pure, malgrado i primi stimoli della fame, avevano ancora per molti giorni, e malgrado la fame pungente, rispettate. (1) Oltre alla Genziana e al Veratro, per la stessa ragione forse, le Daturae in genere, i Hyosciamus, le specie dei Generi Conium, Aristolochia, Sabina, Helleborus, Daphne, Euphorbia, Aconitum, Colchicum, Atropa, Sambucus, Sedum, Sempervivum, alcune specie dei Generi Lepidium, Draba, Linaria, Chenopodium... non sono toccate dagli animali erbivori di grossa mole. (V. sia nei libri di Biologia, sia nei Trattati sulle piante da Foraggio, nei Manuali di Botanica agricola, le liste (non sempre concordi!) delle piante rifiutate dagli animali). (2) Anche il Cuénor nella sua Genèse des Espèces animales, Paris, 1911, pag. 236, ricorda quanto segue. “ Si les animaux évitent généralement les plantes toxiques pour eux, ils peuvent les manger sous “ l’aiguillon de la faim, pendant la saison sèche ou la période de la neige ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 17 In questo caso, lo stimolo della fame vinse il giudizio istintivo del pericolo dato al- l’animale dall'odore del Veratro. L’istinto adunque si dimostra infedele tanto in questo come nel seguente caso, d'altronde noto agli allevatori. L'asino, il mulo, il cavallo rifiutano le foglie e i giovani rami del Taxus bdaccata 0 Albero della morte, che è per essi velenosissimo e quasi sempre mortale; ma si inducono a mangiarli, morendone, quando essi sieno bagnati con urina umana recentemente emessa, o sì trovino prostrati dallo stimolo della fame (1). © Le vacche, con questa preparazione, si inducono subito, come mi scriveva il Dr. Chabert di Chambery (e come non pochi pastori mi assicurarono), a mangiare, fresco, il Ranunculus acris, che normalmente rifiutano. In questi due casì la ingordigia, diremo così, eccitata dall’odore dell’urina salata, vince i consigli di prudenza, che l’animale riceve dai suoi sensi. Si sa che si può giungere ad educare il bestiame a prendere in ripugnanza uno od un altro vegetale, avendo cura di somministrarglielo per alcun tempo unitamente a qualche materiale avente odore ripugnante per l’animale. I seguaci della teoria dell’automatismo animale, che negano loro ogni lavoro di ragio- namento, potrebbero invece spiegare i fatti qui ricordati, ammettendo che l’odore dell’urina, ad es., vinca l'impressione dell’odore del Veratro, e che lo stimolo della fame, diventando prepotente, induca l’animale istintivamente a superare la ripugnanza che esso può avere per un dato odore, che cioè un istinto ne vinca un altro. Il fatto poi, riferito dal Cugnor (loc. cit., pag. 237), di erbivori che per un perverti- mento del gusto si inducono a nutrirsi di piante tossiche; di cavalli cioè e di montoni che (nello Stato di Montana) mangiano Puapilionacee narcotiche (del genere Astragalus), soffrendo così di una malattia cerebrale, che obbliga gli allevatori a sostituire questi animali con altri normali che non toccano a queste piante, potrebbe pure, in certo qual modo, essere invocato a sostegno di questa maniera di considerare i fatti. Non credendo opportuno in questo lavoro entrare più addentro nella considerazione dei varii modi di comportarsi degli animali di fronte ai vegetali spontanei che si trovano alla loro mercè nei pascoli, e che, per me, gli animali sanno scegliere con cura sapiente e cosciente» io mi limiterò qui ad accennare ancora che il Veratro è fatale, come è noto, non solo agli erbivori; ma pure anche ai rosicanti (topi, ghiri.....), agli uccelli, e ancora (come è notis- simo) a molti insetti; sanno i montanari, quale azione micidialissima eserciti questa pianta sulle galline! Va qui ricordato che Lucrezio nel suo poema De rerum natura, segnalando l’azione tos- sica del Veratro, ricorda l'immunità che avrebbero per questa pianta tanto le capre, quanto le quaglie (Lewis, loc. cit., pag. 873). Non è poi a stupire che l'orrore che gli erbivori hanno per il Veratro si debba esten- dere anche alle giovani Genziane, colle quali esso si può confondere. In questo caso nel giudizio relativo alle giovani piante di Genziana, al criterio con- (1) A proposito di questi fatti, credo utile riferire un caso analogo a quello da me osservato per il Veratro, che si trova ricordato da Gruserre Camsora nella Flora Astese (Asti, 1854) a pag. 284. © In Italia, scrive il Camisola, nell’ultima invasione (1814) hanno avuto una prova sotto gli occhi della “ sua virtù venefica (si tratta del Taxus baccata Linn.). Alcuni soldati di cavalleria, indotti quasi a distrug- “ gere tutto, avevano legato i loro destrieri, affamati, in qualche numero notabile vicino ad una ben lunga “ siepe di Tassi di un giardino rinomato: questi animali, dopo essersi cibati abbondantemente, in poche ore “ quasi tutti morirono ,. Ni 18 ORESTE MATTIROLO — SOPRA 12 AVVELENAMENTI PER « VERATRUM ALBUM » LINN., ECC. cesso agli animali dagli odorî ammonitori, si aggiungerebbe quello dato loro dal gusto amaro e dalla vista. Quanto ho osservato a proposito del Verutro e della Genziana e delle loro attitudini a difendersi dagli animali, mi concede di poter portare un argomento di più in favore della spiegazione data dai biologi al fenomeno presentato da quelle piante mimetiche alle quali Leo ErrERA (1) dava nel 1886 il nome di piante matamore; piante cioè inoffensive, che si difendono dagli animali, perchè hanno l’aspetto di piante velenose o dannose. La somiglianza col Veratro abbiamo veduto giovare alle giovani piantine di Genziana; ora perchè, ad es., non gioverebbe al Lamium album, nello stesso modo, la sua somiglianza coll’Urtica dioica? Per la stessa ragione giova alla Linaria vulgaris avere il portamento di una Euphorbia, alla Matricaria inodora la somiglianza colla Matricaria Chamomilla, ece., ecc. Nella stessa maniera mi sembrerebbe ovvio lo spiegare la curiosa perfetta somiglianza che hanno pure le giovani pianticelle (non fiorite) del Cypripedium calceolus Linn. (2) colle giovani piantine del Veratrum; strana somiglianza davvero, che va ricordata fra i casi più tipici di mimetismo protettore, e che, verificandosi in due monocotiledonee, si esplica non solo nei caratteri morfologici esterni, ma anche in quelli interni od anatomici dei due vegetali. Il non aver trovato tanto nei Trattati di Botanica quanto in quelli di Farmacologia e Tossicologia alcun accenno allo scambio possibile fra le piante giovani di Veratro e di Genziana, così tristamente dimostrato dai casi di cui ci siamo interessati, mi conforta a ritenere che la presente mia fatica non debba essere inutile per l'avvenire, ponendo in guardia le persone che visitano le Alpi contro al pericolo di uno dei più terribili avvele- namenti, e indicando loro nello stesso tempo il mezzo facilissimo per distinguere il Veratro dalla Genziana, anche nei primi periodi di sviluppo, durante i quali così stranamente si ras- somigliano. Gli alpinisti e gli escursionisti ricordino che gli animali non toccano mai i cibi che non conoscono! (1) Leo ErrerA, Un ordre de recherches trop négligé. — L'’efficacité des structures défensives des Plantes, “ Comptes Rendus des Séances de la Société Royale de Belgique ,, année 1886, page 102 et suiv. (2) Il Cypripedium calceolus Linn., un tempo, ornamento splendido di alcune località delle nostre Alpi, vi è oggi divenuto rarissimo. In Piemonte non fu più oggi rinvenuto altro che in Valle di Pesio, mentre ancora Allioni (1785) lo citava in Valle di Lanzo, dove non fu più rinvenuto. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 10 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA L Fig. 1. — Gentiana lutea Linn. Pianta fiorita, completamente sviluppata (Da una tavola (Tav. XIX) del fase. 62 del “ London Botanic Gardens ,. P. E. F. PrrRf&Dfs, The Welleome Research Labo- ratories. London, 1896) — 4/,, circa della grandezza naturale. Fig. 2. — Giovine pianta di Gentiana lutea Linn. Dal vero. Fotografia da esemplare coltivato nel R. Orto botanico di Torino — ‘/, circa del vero. Fig. 3. — A. Foglia di Gentiana lutea Linn. Fotografia della pagina inferiore della foglia. Da un esemplare di erbario — ‘/, della grandezza reale. B. Foglie opposte di Genziana lutea Linn. Fotografia della pagina superiore — ‘/, della grandezza naturale. Da un esemplare essiccato. Fig. 4. — Giovane individuo di Genziana lutea Linn. R = rizoma — = radici. — Fotografia di un esemplare coltivato nel R. Orto botanico. Grandezza naturale. Fig. 5. — Individuo adulto di Genziana lutea Linn. Fotografia di un esemplare della collezione dro- gologica del R. Orto botanico di Torino. — È = grosso rizoma con 5 apici vegetativi — r= radici. — ‘/, della grandezza naturale. Fig. 6. — Sezione del rizoma della Gentiana lutea Linn. — a. corteccia — b. legno. — Figura tolta da Bere, Anatomischer Atlas zur Pharmazeutischen Waarenkunde (Tav. XIV), Berlin, 1865 Alquanto impicciolita. ANANAQIEPA OE Fig. 1. — Veratrum viride Sol. Pianta fiorita, completamente sviluppata. Come la fig. 1 della Tavola precedente, questa è tolta dalla Tav. XX del fasc. 62 del “ London Botanic Gardens ,. P. E. F. Perrépés, The Wellcome Research Laboratories, London, 1896. N, B. L'aspetto del Veratrum album (Linn.) è perfettamente identico a quello del V. viride Sol. che sarebbe per molti Autori una varietà del primo. — Fot. ridotta a ‘/,; circa del vero. Fig. 2. — Giovine pianta di Veratrum album Linn. Dal vero. Fotografia di un esemplare coltivato nel R. Orto botanico di Torino — 4/, circa della grandezza naturale. Fig. 3. — A. Foglia di Veratrum album Linn. Fotografata dalla pagina superiore — ‘/; circa del vero. Da un esemplare essiccato. B. Id. id. foglia in disposizione alterna fotografata dalla pagina superiore. Da un esem- plare essiccato — !/, circa del vero. Fig. 4. — Due rizomi di Veratrum album Linn. Da esemplari delle collezioni del R. Orto botanico di Torino. — F = residui delle guaine delle foglie vecchie — £ = rizoma — vr = radici. — Fotografia a ‘/, della grandezza naturale. È Fig. 5. — Sezione del rizoma di Veratrum album Linn. A. Sezione longitudinale — 4/, del vero. B. Sezione longitudinale di un rizoma ramificato — 4/, del vero. C. Sezione trasversale — Id. id. a = corteccia — b = legno — v = Endodermide. hi n S 2A Rifonà Siani di lì £ ty li (5 TA È LIO LO RETE VA) 4 f LI 9.009 dai “EeRi pissravanni GUOINET i PIANTI MEET tn) (OOTI CONI O. MATTIROLO - Sopra 12 avvelenamenti Tav | Officina Fctotecnica ing. Molfese Torino È E + Ù ORES ' nc i 5 ì L Pi i Ò, “RR n sei‘ % ' j & È pi Li ni IR f x n À i 4 L) O. MATTIROLO - Sopra 12 avvelenamenti Tav. II Memozie Sella R. Accad, delle Scienze Soziuo Serie Il Vol. 65 Officina Fototecnica Ing. Molfese . Torino. sr Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. RUGGERO BACONE IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO PARTE TERZA MHMORIA DEL SOCIO ICILIO GUARESCHI Approvata nell'adunanza del 13 Dicembre 1914. SOMMARIO _ Parve II. — Il metodo sperimentale — Ruggero Bacone e Galileo. Dei cosidetti precursori di Galileo 5 Confusione tra esperienza e metodo sperimentale Pouchet ed Ozanam, ed il medio evo : : : 3 È L’esperienza in Aristotele, Dante, Leonardo da Vinei ein Puogso Bacone . Esperimenti degli antichi È x Ù ; Gerbert ossia papa Silvestro II e sua. opera scientifica Marcus Graecus . È Antichi scrittori di IAA. latini, italiani, iedescha (Ms. di I o Teofilo, A) Scuola di Salerno — Gli Arabi . Gli antichi egiziani — Colori Scuola di Alessandria . ; i È i Abuso della parola precursore — Il olo di Mis Bacone Cenni su Michele Scot, Duns-Scot, Halès, Ockam, Vincent de Beauvais, Pieizo ia ecc. Biringucci e Ruggero Bacone solo molto limitatamente possono dirsi precursori di Galileo Il metodo sperimentale di Galileo Belle parole del fisico francese Terquem (1884) Galileo scopre numerose leggi Scuola di Galileo — Parole di R. Pitoni È : Raffronto tra Galileo e Francesco Bacone da Ca di David Fiume e di JPABS Biot Galileo è il solo e vero fondatore del metodo sperimentale Gli eroi di Carlyle — Dutens Considerazioni sulla guerra attuale, e la civiltà ConcLusroni . (5 2 10 FASI ARI DISSI 9 ae SA PED 5415 ulao 2 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO PARTE TERZA Il metodo sperimentale — Ruggero Bacone e Galileo. Nel mio discorso: La Storia delle scienze e Domenico Guglielmini, letto al Congresso della Società Italiana pel Progresso delle Scienze in Genova, 1912, io dicevo: «“ Un'altra osservazione desidero di fare sul pensiero scientifico di questo secolo (XVII). “ Quando nelle storie delle scienze si esamina il seicento, si suole da taluni tutto concentrare “in Galileo, quasi che il sapere di un lungo periodo storico fosse solamente in quel genio. “ Così molto volentieri fanno anche gli storici stranieri. Ma è un errore, è una ingiustizia, per “ quanto realmente Galileo, come già scrisse il Poggendorff, si consideri il fondatore della “ fisica. Ma, prima e dopo quel Grande, non vi furono altri ricercatori, altri sperimentatori e “ filosofi positivisti, di altissimo valore, veri genî ancor essi che fecero delle scoperte di primo ordine? ,. Io ho voluto riprodurre questo brano di quel mio discorso per chiarirlo, e perchè queste mie parole sono anteriori a quanto scrisse il Duhem nel suo volume: Etudes sur Léonard de Vinci. ILI série. Les précurseurs parisiens de Galilée, Paris, 1913 e in ©. R., 1913, t. 157, p. 135. Io feci notare appunto che Galileo, come in fondo già si sapeva, aveva avuto dei cosidetti precursori di grande valore anche in Italia. Ma però è bene intendersi. I nomi di Leonardo da Vinci, Domenico Maria da Novara (maestro di Copernico), Cesalpino, Fracastoro, Biringucci, Mercati, Benedetti, Aldrovandi, Aselli Fabrizio d’Acquapendente, Berengario da Carpi, Eustacchio, Falloppio, Mattioli, Santorio, io li ho ricordati non perchè tutti fossero maestri nel metodo sperimentale ma come ricercatori, filosofi e più ancora molti di essi come osservatori della natura, quali naturalisti; certo non tutti erano sperimentatori propriamente detti. Io quindi non credo che taluni storici della scienza (G. Libri, R. Pitoni ed altri) ab- biano voluto far spiccare l’opera del Galileo sugli altri e intendessero con ciò di non ammet- tere dei cosidetti precursori. Penso che talora si è voluto alludere essenzialmente all’opera del CavernI: Storia del Metodo sperimentale in Italia, nella quale l’autore realmente molte volte pare voglia diminuire la gloria di Galileo per far emergere quella di altri o anteriori o con- temporanei; e questa mi sembra proprio la verità. Non vi è grande scienziato al mondo che non abbia avuto dei precursori. E Newton non ha avuto numerosi precursori nella scoperta della gran legge della gravitazione universale? Leggasi su questa questione la classica me- moria dello ScHiapARELLI: I precursori di Copernico nell'antichità (1873). Eppure, chi oserebbe, inglese o non inglese, togliere il minimo merito al Newton, come invece ha fatto il prete Caverni per Galileo? Il Biringucci stesso, al quale già si attribuì parte di merito nell’aver iniziato l’esperimentazione, ha avuto dei cosidetti precursori; e basti ricordare Ruggero Bacone. Ma diciamo il vero, quando è che il mondo scientifico ha veramente cominciato a seguire il metodo moderno, nel senso di usare l'esperimento come mezzo, come sussidio e prova della bontà delle idee, dei concetti teorici; come mezzo per creare dei fenomeni nuovi, indi- pendenti da quelli della natura? Da Ruggero Bacone forse? Da Buridan, da Oresme, da Leonardo o da Biringucci? No, da Galileo Galilei; perchè realmente egli solo prima di tutti î s + 3 Res ea MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 3 ha fatto un gran numero di metodiche esperienze ed osservazioni sperimentali; anche Bacone da Verulamio predicava l’esperienza, come già Ruggero nel secolo XIII, ma non ne fece nessuna. A me sembra che da alcuni si mettano insieme due cose differenti: il fare delle esperienze e il raccomandare platonicamente l’utilità delle esperienze come guida nello studio della scienza, senza dire chiaramente cosa si intenda per esperienza. Galileo ci ha dato il metodo sperimentale, ci ha dato la scuola sperimentale, il che è ben diversa cosa dal- l'essere empirico esperimentatore o dall’aver predicato l’esperienza come guida. Si è confuso da molti l’esperienza, l'esperimento, col metodo sperimentale. Non vi ha dubbio. Molti non hanno un concetto chiaro intorno a che cosa sia l’esperienza, e ciò specialmente dico per coloro che non hanno nessuna cultura di scienze naturali, che oggi sono tutte anche scienze sperimentali. Il puro letterato o filosofo senza cultura di psicologia sperimentale, di storia naturale, di fisiologia, di qualche nozione almeno di fisica e di chimica, è nel caso da me accennato. Nella parola esperienza molti non scorgono che il materialismo pratico di lavoro manuale, non veggono nulla al difuori dell’atto materiale di congegnare un apparecchio. E talora noi sperimentatori abbiamo udito delle frasi come questa: ma voi che state sempre in laboratorio a sperimentare non avete bisogno di libri! Sono rari forse questi casi, ma non mancano. L'esperimento o una serie di esperienze rappresentano la constatazione di fatto di idee maturate nel cervello. E talora da una esperienza ben interpretata ne discendono altre, e così l'esperimento e l’idea si fondono insieme; da una serie di esperienze se ne traggono le con- clusioni non solo, ma si inducono idee che debbono essere di nuovo soggette ad esperimen- tazione. Quale mente profonda non era Faraday, e come era grande sperimentatore! E che non sia facile concepire il vero significato di esperienza, di esperimento, anche in tempi moderni, ne abbiamo una prova in uomini distinti, quale il Buckle. Questo scrittore inglese nel suo libro Histoire de la civilisation en Angleterre, 1865, t. II, p. 46, ove discorre dei lavori di Boyle e dopo aver citato un brano della Histor. of the Royal Society, esclamava: “ A l’époque où la Société fut fondée, les expériences étaient si peu ordinaires, qu'on “ eut de la peine è trouver dans Londres les opérateurs nécessaires. Voyez un passage “ curieux dans WeLD, Hist. of the Royal Society, 1848, t. II, p. 88 ,. Come era possibile trovare in Londra degli operatori, quando le esperienze scientifiche debbono essere fatte da coloro stessi che le inventano, che le concepiscono, o da coloro che siano stati appositamente istruiti per ripeterle? “ Una fitta nebbia si addensa nel medio evo e tutto lo ricopre, e chi voglia rintracciare « qualche spiracolo di sperimento deve cercarlo nei laboratori degli alchimisti, o in sussidio “ dell’arte medica, o nelle superstiziose manipolazioni dalle quali avrebbe dovuto uscire la “ pietra filosofale , (Favaro, Nella storia delle scienze sperimentali). To proprio non posso condividere questa opinione. Come già dissi altre volte, questo Medio Evo tanto vilipeso ha prodotto un gran numero di uomini di intelligenza straordinaria, i quali, come fari, hanno a poco a poco illuminato il loro tempo non solo, ma hanno aperto nuove vie al vero rinascimento dopo il secolo XV. Giustamente il Pouchet serive: “ Doit-on compter comme stériles en conquétes utiles “ l’époque pendant laquelle on inventa les plus grands moteurs de l’intelligence humaine, “ l’imprimerie, le papier, les télescopes, la gravure, la boussole et la poudre à canon? ,. “ Enfin, qui oserait compter comme stériles pour la philosophie et les sciences les siècles “ où furent créées les universités et les écoles arabes; les siècles où brillèrent des hommes “ de la trempe d’Abélard, d’Avicenne, de Saint Bernard, de Dante, d’Albert le Grand, de « Roger Bacon, de Pétrarque et de Marco Polo? ,. Ai quali possiamo aggiungerne molti altri. E con tutto ciò degli scrittori, come SAveRIEN e SPRENGEL, Histoire de la médecine, hanno d ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO avuto il coraggio di affermare che in quei secoli sì era perduta sino l'abitudine di pensare e di ragionare! A me piacciono ancor più le poche parole seguenti dell’Ozanam relative ai tempi di Dante: “ Siccome riverenti sostiamo innanzi la casa ove ebbe la culla un illustre personaggio, “ ancorchè le muraglie siano dal tempo annerite, nè da noi se ne comprenda l’ordine interno; “ così impareremo istessamente a rispettare la civiltà, nel cui seno egli visse, sebbene otte- “ nebrata dai tempi , (1). E quanto di geniale e grandioso non ci hanno dato le arti nel Medio Evo? Già nel vero Aristotele non è trascurata l’esperienza e perciò Galileo scriveva: “ Ari- stotele, come quello che non si prometteva dal suo ingegno ancorchè perspicacissimo, più di quello che si conviene, stimò nel filosofare che le sensate esperienze si dovessero ante- porre a qualsivoglia discorso fabbricato da ingegno umano ,. E Favaro soggiunge : “ Altro però era predicar l’esperienza e altro farla, e nei debiti modi, e rettamente interpretarla, e seguirne i dettami ,. Questo è quanto ha fatto Galileo, ed è il vero metodo sperimen- tale, praticamente sconosciuto prima di lui (2). A chi esamina attentamente gli scritti di Leonardo ove discorre dell'esperienza, potreb- besi chiedere: ma Leonardo conosceva proprio il vero metodo sperimentale ? Egli scrive spesse volte: la esperienza non falla mai, ecc., ecc.; ma forse si è di molto esagerato il valore delle parole di Leonardo. Direi anzi che egli usasse la parola esperienza non ‘tanto per prova, per stabilire un fatto o per confermare una idea, ma per lunga osservazione, non nel senso filosofico sperimentale di Galileo. Ecco ad esempio alcuni brani o frammenti dei suoi scritti (3), ove egli discorre dell’esperienza : “ Fuggi i precetti di quelli speculatori che le loro ragioni non sono confermate dalla isperienza ,. “ “ (13 “ La sapienza è figliola della sperienza ,,. “ A ciascuno strumento si richiede esser fatto colla sperienza ,. La sperienza non falla, ma sol fallano i nostri giudizî, promettendosi di lei cose, che non sono in sua potestà ,. “« “ K A torto si lamentan li omini (4) della isperienza, la quale, con somme rampogne, quella accusano esser fallace. Ma lascino stare essa esperienza, e voltate tale lamentazione contro alla vostra ignoranza, la quale vi fa transcorrere, coi vostri vani e instolti desiderî, a impromettervi di quella, cose che non sono in sua potenza, dicendo quella esser fallace. A torto si lamentano li omini della innocente esperienza, quella spesso accusando di fal- lacie e di bugiarde dimostrazioni ,. 1 Ruggero Bacone, Leonardo da Vinci, Biringucci, Palissy, A. Neri, A. Sala, van Helmont, Paracelso ed altri certamente hanno esperimentato, ma la loro esperimentazione, e per K “ K “« K (1) A. F. Ozanam, Dante e la filosofia cattolica nel 13° secolo, Milano, 1841. Introduzione, p. 16. (2) All’esperienza quale sorgente di nuove cognizioni nell’umano sapere, accenna forse anche Dante in quei versi: Da questa instanzia può deliberarti Esperienza, se giammai la provi, Ch’esser suol fonte a’ rivi di vostr’arti. Ma certamente non è l’esperienza nel senso di Archimede e di Galileo; forse spesse volte questa parola esperienza fu usata per osservazione prolungata e anche di pratica della vita; e nel senso volgare sì dice: “eh! il tale dei tali ha molta esperienza, badiamo ai suoi consigli ,. ; (3) Nelle citazioni mi sono attenuto all’ultima edizione: Leonardo-Scritti. Ed. classici di Ferdinando Martini, p. 41. (4) Se tutti gli uomini si lamentan della sperienza, vuol dire che non era certamente nel senso che l’intese poi Galileo, ma bensì nel senso volgare della parola. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 5 taluni la loro filosofia, possono forse confrontarsi con quelle di Galileo ? Io. fermamente penso di no. Hanno anch'essi più o meno lavorato sperimentalmente, taluni hanno ottenuto de’ composti chimici nuovi, hanno scoperto de’ fatti nuovi, ma nessuno può dirsi abbia lavorato con metodo sperimentale; nessuna legge chimica, fisica o meccanica porta il loro nome. Galileo ha scoperto numerose leggi sperimentali e fondamentali, e subito dopo di lui altre leggi si scoprirono. Ed anche il gran Leonardo fu forse sicuro costruttore di leggi scientifiche (!), le quali abbiano avuto influenza sul progresso umano, come scrive qualcuno? To penso, no. Ruggero Bacone discorre a lungo della scienza sperimentale nel capitolo XIII dell'Opus tertium ed anzi vi ripete ciò che disse nella 6% parte dell'Opus majus. La scienza sperimentale, egli dice, trascura gli argomenti astratti che per se stessi non persuadono se l’esperienza non ne verifica le conclusioni. La scienza sperimentale, egli dice, è l'applicazione delle scienze matematiche alle arti meccaniche e usuali. “ Ainsi faire un “ miroir ardent est l’euvre du géomètre en tant que ce miroir doit avoir une figure déter- “ minée qu'il s'agit de calculer; mais le géomètre ne construit pas ce miroir, et il ne s’en sert pas; c'est là l’oeuvre de l’expérimentateur qui, avec ce miroir, à l’aide des rayons du soleil, et è toutes les distances qu'il lui plaît, brùle tout ce qui est combustible. L’espé- rimentateur seul peut concevoir et achever ce grand travail. Il commande done au géomètre “ qui doit lui fournir une figure determinée. Il est évident qu’une pareille science exige de “ très-grands dépenses ,. E questo può dirsi il vero metodo sperimentale ? To credo di no. Più che alla raccomandazione dell'esperienza, più che alle scoperte, più o meno autentiche, di Ruggero Bacone, noi dobbiamo badare allo spirito libero che domina nelle sue opere. Però la libertà di pensiero manifestata da Bacone “ ne l’affranchissait pas entièrement “ des reveries de la chimie des transformations et du goùt pour l’astrologie , (Humboldt). Ed è vero. “ Del resto, e anche Ruggero Bacone non ha avuto dei precursori e dei precursori che veramente hanno messo in pratica l’esperienza benchè non conoscessero il metodo speri- mentale ? E senza ricorrere col pensiero all’alchimia, l’idea di esperimento, come fatto, come prova dei sensi, l'abbiamo già nei perfezionamenti metallurgici, nella preparazione di colori occor- renti nelle arti, nella fabbricazione dei vetri di qualità e proprietà diversissimi e in tante altre industrie artistiche e decorative che fiorirono nel Medio Evo e più ancora nel rinasci- mento. Qui sono a centinaia i tentativi che si fanno con esperimenti per migliorare i metodi di fabbricazione e di produzione. Ma questo non è l’esperimento scientifico o per meglio dire non è metodo. La pura esperienza, l'esperimento ha fatto conoscere molti fatti nuovi isolati, perchè, come dissi, anche gli alchimisti, i metallurgi, i pittori hanno scoperto delle sostanze nuove (giallo egiziano, bismuto, zinco, fosforo), ma questo non è metodo sperimentale. In Ruggero Bacone vi è quasi l’idea di metodo sperimentale, perchè discorre di scienza speri- mentale, ma anch'egli non l’ha messa in pratica. Però deve aver fatto non poche esperienze relative all’ottica. E qui non posso dimenticare Gerbert, papa Silvestro II (dal 999 al 1003), morto appunto nel 1003, il quale raccomandava la necessità dello studio delle matematiche e delle scienze naturali. Conosceva l’astronomia, la geometria, la meccanica e anche la musica e l'alchimia. Pare si debba a Gerbert l'introduzione in Europa delle cifre dette arabe e l'invenzione degli orologi a bilanciere. Egli costrusse delle macchine idrauliche e fece espe- rienze di fisica e di alchimia (invero assai poco conosciute e forse non molto importanti). Gerbert era considerato come un mago o un negromante, ma in verità può riguardarsi come un precursore di Ruggero Bacone. Ebbe il gran merito di insistere in tutti i suoi scritti, sulla importanza delle matematiche e delle scienze naturali, e di abbandonare la scolastica. Gerbert dal 972 professava a Reims e di là Ottone II lo tolse per affidargli l’abazia 6 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO di Bobbio, che dovette dopo poco tempo abbandonare per cause non ancora ben conosciute, ma forse per le sue pratiche alchimistiche. Divenne precettore di Ottone III e poi da questo nominato arcivescovo di Ravenna e dopo la morte di Gregorio V lo fece eleggere papa col nome di Silvestro II. Fra gli scolari di Gerbert va ricordato Fulbert che aprì la scuola di Chartres. Gerbert, uomo molto energico ed attivo, difendeva le idee positiviste; era già sulla via dello speri- mentalismo. “ Si incominciò a calunniare il sapere di Gerbert alcuni anni dopo la sua morte. Questo “ grande dottore, che fu un gran papa, scrive Hauréau, poco mancò non morisse per opera “ del carnefice per essere stato en commerce avec le diable. Così sempre secondo i suoi capricci “ la fortuna esalta o deprime gli uomini superiori , (1). ; Gerbert sta al secolo X come Ruggero Bacone al secolo XIII. Gerbert, dice Gregorovius, splende in Roma come faro solitario in mezzo a buia notte (2). Egli ha già qualche cosa degli umanisti del secolo XV: raccoglie libri, fa correggere dei testi antichi, vuole il De republica di Cicerone, scrive di retorica, di teologia, di storia, delle poesie e molte lettere; queste, assai importanti, furono raccolte e pubblicate dall’Olléris nel 1867. È singolare che precisamente nell’anno 1000 nel quale secondo la superstizione di quel tempo doveva. finire il mondo, era papa Gerberto, l’unico papa scienziato; il quale incoraggiava gli studi di matematica e di scienze naturali ed egli stesso poco mancò non fosse ucciso come eretico e come mago o negromante. “ Nel secolo X sarà Gerberto che “rappresenta il progresso e la libertà dello spirito umano; Gerberto che nella scuola di “ Reims legge gli antichi poeti; che concepisce il pensiero di una classificazione delle scienze; “ che fa della fisica, delle matematiche, della teologia tre suddivisioni della’ filosofia, met- “ tendo così alla pari queste tre scienze, ch'egli chiama aequaevae; che, finalmente, è il primo “a far conoscere all'Europa gli studi arabi, a introdurre l'elemento arabo nelle conoscenze “umane , (3). Il famoso libro di Marcus GraEcuUs, Liber ignium ad comburendos hostes, del secolo IX (o secondo altri del XII) e dal quale il Biringucci, e forse anche Bacone, hanno preso molte cognizioni pirotecniche, non è forse quello di uno sperimentatore ? E prima ancora, nei se- (1) Di Gerbert discorre a lungo l’Haurgav nella sua Histoire de la phrilosophie scolastique, Paris, 1872-1880, 2 vol. in 3 parti in-8°. Le leggende relative a Gerbert pare abbiano fornito la prima idea al Gòthe pel suo Faust. Molte notizie che interessano la vita e le opere di Gerbert si trovano in C. F. Hoc, Gerberto 0 sia Silvestro II Papa ed il suo secolo, trad. ital., Milano, 1846. L'originale tedesco è del 1836, la trad. francese del 1842. Altre notizie intorno all'opera scientifica di Gerbert trovansi anche in CHnasres, Apereu historique sur l’origine et le développement des méthodes géometriques, Bruxelles, 1837, e ©. R. 1843, t. XVI, p. 156; Budinger ueber Gerbert's Wissensch. ete., Cassel, 1861; E. pe BarrHELENUS, Gerdert, Lagny, 1868, in-12°. $ Una buona edizione delle sue Opere, secondo i manoscritti, con biografia e note, devesi all'Olléris, 1867, in 4°. Ad Aurillac gli fu innalzata una statua nel 1851 Jurien Haven, Lettres de Gerbert, Paris, Picard, 1889. (2) Stor. Rom., III, 617. (8) A. BarroLi, Stor. lett. ital., 1878, I, p. 252. .“ Dans le dixième, onzième et douxième siècles ,, scrive Cuvier, “ les ténèbres de l'ignorance s’épais- “ sirent de plus en plus; on en vint au point qu'il ne se trouvait pas en Europe un seul moine capable “ d’écrire une cronique d'une manière intelligible , (Cuvrer, Hist. des Sciences Nat., t. I, p. 436). Qui il celebre naturalista esagera assai; perchè appunto nei secoli XI e XII furono scritte da monaci e non monaci delle cronache importantissime e delle opere di arte tecniche pure importantissime. Sia detto con tutto il rispetto che si deve al Cuvier, ma quest'opera sua in 5 volumi (gli ultimi non sono di Cuvier) è fatta con grande superficialità. MEMORIE - ULASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 7 coli XI e XII non abbiamo avuto degli sperimentatori e scrittori di arti e di chimica appli- cata alle arti ? Nel mio lavoro: Vannuecio Biringucci e la chimica tecnica (1) io ho dato un breve rias- sunto della più antica opera italiana di chimica tecnica scritta nel più oscuro Medio Evo (secolo VII); è un manoscritto trovato nella biblioteca dei canonici di Lucca e pubblicato dal Muratori nelle sue Antiquitates Italicae medii aevi, t. Il: De artibus italicorum post inclina- tionem Romani Imperii, Dissertatio, XXIV, pp. 364-387. È del secolo VIII, dei tempi di Carlo- Magno. Questo manoscritto ha il titolo: Compositiones ad tingenda Musiva, Pelles, et alia, ad deaurandum ferrum, ad Mineralis, ad Crysographiam, ad glutiva quaedam conficienda, aliaque artium documenta ante Annos nonagentos scripta. Molte delle cose descritte in questo mano- scritto si trovano anche nel Papiro di Leyda del secolo III. In questo manoscritto si trova la descrizione della preparazione di composti chimici che fu poi riprodotta da Alberto Magno nel suo De rebus metallicis et mineralibus; vi è insegnato il modo di preparare il bronzo, di preparare il cimnabro, ecc., impiegando quantità determinate, pesate, dei loro componenti chimici. E questo non era forse sperimentare ? Il libro di Teorico, Diversarum artium schedula, dei secoli X-XI, io l’ho considerato come il primo vero Trattato di chimica applicata (2). E il De coloribus et artibus romanorum di Heraclius del secolo X-XI non è un libro il cui autore dimostra di essere uno sperimentatore? Ma, intendiamoci; esperimentatore non come nel senso voluto da Galileo, ma nel senso indi- cato o praticato da Ruggero Bacone e da Biringucci. Taccio del Papiro di Leyda, della Mappa Clavicula, ecc. ecc. Di tutti questi antichi autori ed esperimentatori dei secoli III, IV al XI e XII conosciuti e commentati all’estero io ho dato, forse per la prima volta in Italia, delle notizie abbastanza estese e li ho fatti conoscere. Sono scrittori di chimica applicata che meritano di essere studiati più di quanto non si creda. A questo riguardo si può vedere il mio lungo lavoro: Swi colorîi degli antichi, parte I e II in Suppl. Ann. all'Enc. chim., anno 1905 e 1907. Tutti questi cultori delle arti e specialmente delle arti decorative, della chimica applicata, non avevano forse le loro scuole? Forse sì, ma noi non le conosciamo; del resto, si tramandavano il sapere dall’uno all’altro artista, da maestro a scolaro, come fecero i grandi artisti del rinascimento. E molti secoli dopo, in pieno Medio Evo, quanto grande non fu l’influenza di Federico II e della famosa scuola di Salerno sul progresso delle scienze? La scuola di Salerno risale almeno al X secolo. La sua grande reputazione non era dovuta, come giustamente scrive il Daremberg, al clima, al bel cielo, ma alla scienza e al talento dei suoi insegnanti. È a Salerno che dopo la grande antichità, dopo Ippocrate, si ritrovano per la prima volta le cliniche e le raccolte di osservazioni, e l'anatomia vi è coltivata sperimentalmente. Dunque non si potrebbe anche qui parlare di esperienza e quasi di metodo sperimentale come ai tempi posteriori di Ruggero Bacone e di Biringucci? Ma anche nella scuola di Salerno non si può parlare di un vero metodo sperimentale. Ha però ragione Cl. Bernard; è assai difficile distinguere l’osservazione dalla sperimentazione. Come sperimentatore, non possiamo a meno di ricordare Geber, che è in istretta relazione con Ruggero Bacone; tutte due alchimisti, ma il primo più valente del secondo. i Andando verso qualche secolo più indietro della scuola di Salerno, nel secolo VII, tro- viamo appunto Geber e la sua scuola ed altri arabi che eccellentemente esperimentavano (3). “ Devesi alla operosità araba, ed alla diffusione per loro mezzo effettuatasi degli antichi (1) © Supplemento annuale della Enciclopedia chimica ,, 1904, p. 420. (2) V. I. Guarescni, Sui colori degli antichi. Parte prima. Torino, 1905, p. 36. Teofilo è del sec. XI-XII. (3) V. sopra, pag. 27 8 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO “ documenti del sapere, che attraverso le tenebre del medio evo una serie di uomini illustri “ mantenessero vive ed attive le più nobili facoltà dell’animo, le aspirazioni del genio verso “ il bello, il vero, l'ignoto. Ruggero Bacone, Scot, Alberto il Grande, Vincenzo de Beauvais “ indirizzarono le menti a quell’attitudine, a quella generale tendenza degli spiriti, che inau- “ gurarono la grande epoca delle scoperte, l’epoca di Colombo, di Cabotto, di Vasco de Gama, il secolo XV , (1). Ma uscendo anche dal medio evo, indietreggiando, e limitando pure il mio dire alla chimica, perchè non ricordare la scienza o la pratica sperimentale degli antichi? Gli Egiziani e altri popoli conoscevano il rame puro e le sue leghe, il ferro, il mer- curio, lo stagno, ed altri metalli e leghe. Conoscevano anche l’antimonio (Berthelot). Ora se la chimica metallurgica non avesse sino da quel tempo remoto raggiunto un certo grado di perfezione come si potevano avere questi prodotti dai minerali naturali? I più antichi popoli hanno avuto l’idea, le nozioni più elementari della meccanica e della fisica; lo spirito di osservazione e di esperimentazione direi che è innato nell’uomo. Gli Egiziani usavano la bilancia, conoscevano le pratiche metallurgiche, preparavano molti composti chimici, i vetri, gli smalti colorati, usavano gli apparecchi distillatori, pre- paravano delle leghe, ecc. Tra i loro trovati più belli ricordo il giallo egiziano detto poi giallo di Napoli, e l'azzurro egiziano detto anche azzurro d'Alessandria, che poi si preparava ancora alcuni secoli dopo a Pozzuoli e serviva per le pitture a Pompei. In qualunque re- gione e in qualunque tempo si preparassero questi due colori, ora sappiamo che essi hanno una composizione chimica ben definita: il giallo è un antimoniato di piombo Pb®(Sb04)? e l'azzurro un silicato calcico-rameico CaCuSi4019. Chi ha scoperto questi colori deve aver avuto n un bel corredo di cognizioni chimiche e doveva sapere esperimentare. Gli operai come avrebbero potuto ottenere questi corpi sempre eguali se una mente direttrice, a noi ignota, non avesse loro insegnato come dovevano esperimentare? Moltissimi altri esempi io potrei qui rammentare (2). Dunque anche allora si esperimentava; ed ecco che i precursori di Ruggero Bacone, che pare conoscesse la composizione della polvere, diventano molto remoti. E poi si osservi: la scoperta della polvere, sia pur stata fatta dai Chinesi o da Marcus Graecus o da altri poco importa, era forse più difficile da scoprirsi o da prepararsi che non 1 due colori sovraindicati? Non lo credo. La polvere pirica è un miscuglio di carbone, solfo e salnitro, tre sostanze facili a trovarsi e non si ha che da mescolarle. Nel caso invece dei due colori precedenti (e aggiungo: di altri composti chimici) bisognava conoscere de’ minerali speciali, estrarne il metallo, farne dei preparati, fonderli, ecc., ecc. La esperimentazione in questo secondo caso è ben più complessa e richiede più cognizioni scientifiche e tecniche; ed essendochè 3000 anni a. Cr. questi colori si fabbricavano in Egitto, poi ai tempi di Vi- truvio si fabbricavano a Napoli e a Pozzuoli, vuol dire che i metodi di preparazione si tramandavano dagli artisti per tradizione o per iscritti che andarono perduti. Per tante scoperte antiche non conosciamo i nomi degli autori. Tanti colossali Javori di ingegneria e di architettura sono arrivati sino a noi e tuttora li ammiriamo, senza che, purtroppo, noi conosciamo i nomi di que’ grandi ingegneri ed architetti. ì E quanto non ci ha dato di grande anche nell’esperimentazione, la famosa scuola di Alessandria ? Alessandria d'Egitto fu fondata nel 331 av. Cr. da Alessandro il Grande. Sotto il regno dei Tolomei divenne quasi subito un grande centro di cultura, vi si svilupparono le scienze, le lettere, la filosofia, al punto da vincere le scuole greche. La scienza sperimentale vi ebbe (1) Gruseere MenEGBINI, Lezioni orali di geografia fisica, Pisa, 1853, p. 14. (2) Si vegga: I. Guareschi, La chimica e le arti. Discorso inaugurale letto all'Università di Torino. Novembre, 1906. li cia ee MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 9 uno straordinario sviluppo. Oltre al famoso Museo vi era una biblioteca di 400.000 volumi; nel famoso Museo erano alloggiati e mantenuti a spese dello Stato i migliori fisici, chimici, matematici, medici, geografi, storici, filosofi e grammatici. Tra i matematici basti il ricor- dare Eratostene, Euclide, Apollonio di Perga e Pappo. Qui visse il grande astronomo Ari- starco, il più grande precursore di Copernico. E fra i fisici primeggiavano Ctesibio (150 av. 0.) e Heron (120 av. C.). Heron, discepolo di Ctesibio, non era forse un vero fisico al quale la meccanica, spe- cialmente dei liquidi, deve notevoli progressi? Egli fu il primo a scrivere sull’idraulica in seguito ad esperimenti che faceva, e Julius Frontinus fu il primo a concepire idee teoriche sul movimento dei liquidi, in seguito ad osservazioni sperimentali. Heron, 120 anni av. Cr. inventò un gran numero di strumenti ed apparecchi. A lui si deve la scoperta del sifone, della eolipila a reazione, della fontana che porta il suo nome, ecc. Tutti apparecchi che tro- vansi descritti nei Trattati di Fisica (1). E per queste invenzioni Heron non doveva forse esperimentare direi quasi nel significato moderno? La scoperta del Zivello ad acqua è attribuita da Plinio a Teodoro di Samos. utile qui parlare delle srandi scoperte sperimentali di Archimede. E così discendendo di secolo in secolo, di gradino in gradino e andando anche verso la più remota antichità si arriva all'alba della civilizzazione, e si scorge che anche là si esperimentava; è una scala immensa per la quale è salita l'umanità, ma con periodi di in- terruzione; è una catena quasi continua di precursori, sino a che il Grande Pisano coordina il tutto e con bellezza, chiarezza ed arditezza meravigliose fonda il vero metodo sperimen- tale. Si hanno tanti precursori quanti sono i gradini di questa immensa scala, ed è quindi tanto maggiore il merito di Lui che seppe fare ciò che nessun altro prima fece. ‘ Spesso, il frequente gridare che si fa attorno ai precursori dell’uno o dell’altro grande uomo diventa, direi, una specie di filosofia scolastica, parolaja, tutta moderna. Noi sappiamo che il sapere medioevale si è lentamente trasmesso dall’antichità per mezzo di pochi cultori: dall'uno all’altro colla tradizione o con piccole raccolte quasi di ricet- tari. Dopo un periodo molto oscuro (secoli VI a IX) si arriva a poco a poco al se- colo XII tanto calunniato da molti, come ho già detto. Questo secolo è ricco di teologi e filosofi scolastici di gran valore e anche di filosofi a idee larghe, scienziati. Tra i principali ricorderò ancora: S. Bonaventura, S. Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Ruggero Bacone, Duns Scot, Pietro d’Abano (2), Michele Scot (3), Alessandro Halès (4), (1) Per esser breve rimando, ad esempio, al libro del Gerranp e TraumiLrer, Geschichte der physika- lischen Exrperimentierkunst, Leipzig, 1899. (2) Era alchimista anche il celebre medico Pietro d’Abano (Petrus Aponensis), nato verso il 1250 e morto verso il 1311. Fu bruciato in effigie sulla pubblica piazza di Padova, come mago. Si racconta che esigesse 50 scudi della corona per ogni visita fatta fuori della sna residenza, e ne volle 400 al giorno per andare a curare Papa Onorio IV. (3) Michele Scot era contemporaneo di Ruggero Bacone. Nacque nel 1190 (secondo alcuni nel 1210) a Belwearie (secondo altri nacque a Salerno); studiò tutte le scienze allora in voga: alchimia, medicina, astro- logia, filosofia, ecc. Scrisse di alchimia il De sole et luna, Strassburg, 1622 (nel Theatrum Chemicum, vol. V), di chiromanzia, ecc. Diede una traduzione latina, dall'arabo, di una parte della Physica di Aristotele. Scrisse anche opere interessanti di filosofia. Intorno a Michael Scot si trovano alcune interessanti notizie nell’ Hist. Vittér. de la France, vol. XX, p. 43-51. I più distinti alchimisti inglesi furono: Riccardo, John Dastin, Roger Bacon, Th. Norton, Georg. Riplees, abbate di Westminster, Ed. Kelley, Joh. Scot (Erigene), Mich. Scot e Giov. Duns-Scot, ecc. Nel secolo IX Scoto Erigene scriveva queste parole: “ L’autorità emana dalla ragione, e non la ragione “ dall'autorità. La ragione non ha alcun bisogno d'esser fortificata da consentimento di nessuna autorità. “ Perchè la vera autorità non è altro che la verità scoperta per virtù della ragione , (A. Bartoli). (4) Alessandro de Halès nacque verso il 1170 ed entrò nell'Ordine di S. Francesco nel 1222; fu sopran- Pi 10 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Guglielmo Ockam (1), Vincenzo de Beauvais (2), Raymund Lullo, Enrico di Gand, Jean de la Rochelle, Jean de Garlandes, Guglielmo d’Auvergne, Gherardo da Bologna, ecc., e sovra- tutti poi come gran mente comprensiva e generalizzatrice: Dante (XIII-XIV). E così si apre un’éra nuova, i tempi ricevono nuovo splendore. In certi rami di scienza da Ruggero Bacone, da Jean Buridan, Nicolas Oresme e da altri si giunge a Leonardo (la cui opera scientifica ha avuto poca o nulla influenza anche nei secoli posteriori), a Birin- gucci, ad Agricola, ecc., per giungere al vero novatore e legislatore: a GALILEO. E giustamente, a proposito di questo significato empirico della parola esperienza, il Pitoni scrive: “ E così l’esperienze di Democrito e di Empedocle della scuola pitagorica, “ quelle sulla riflessione e sulla rifrazione della luce del Museo, le altre di G. B. Porta o “ di Ruggero Bacone, di G. Benedetti, quale legame, qual metodo ce’ insegnano per poter “ considerare quegli autori come precursori di Galileo, anzi come fondatori del metodo “ sperimentale? , (3). : Noi diciamo, sotto certi riguardi giustamente, che tanto Ruggero Bacone quanto Bi- ringucci possono essere considerati quali precursori di Galileo; ma ciò deve essere in un senso molto ristretto, perchè tutt'e due hanno avuto ben poca influenza sul progredire delle scienze del loro tempo e anche dopo. Poi ripeto per la decima volta, essi non avevano un metodo di sperimentare, nel loro sperimentare non vi era che l’atto materiale. Però Bacone al disopra di Biringucci aveva i grandiosi concetti filosofici, quali ad esempio quello della coordinazione delle scienze ossia dell’unità della scienza, quello del progredire della mente umana, l’altro della propagazione delle forze radianti, ecc. Se in tutti coloro che hanno fatto delle esperienze vogliamo scorgere dei precursori di Galileo, allora i precursori sono infiniti. E devono essere infiniti, perchè la scienza progre- disce lentamente, non sempre a salti; e se fa dei salti, talora enormi, questi si debbono ai grandi geni: ad Archimede, a Galileo, a Kepler, a Descartes, a Newton... ma non certa- mente nè a Bacone, nè a Biringucci, nè a Oresme o a Buridan, ecc. L'esperienza fatta allo scopo: di spiegare i fenomeni della natura, di riprodurre i feno- meni quali avvengono in natura, e per produrne o crearne dei nuovi, diversi da quelli na- nominato il Doctor doctorum. Fu il primo a impiegare nell’insegnamento della teologia i metodi e le scienze nuove. Commentò Aristotele. Ruggero Bacone lo ricorda spesse volte. Morì molto vecchio. (1) Guglielmo Ockam, frate cordeliere, allievo di Duns Scot, insegnò a Oxford da cui fu cacciato per le sue dottrine pericolose; difese Filippo il Bello contro Bonifazio VIII e con violenza attaccò il potere tempo- rale dei Papi. Come filosofo scolastico si potrebbe quasi riguardare come derivante da Ruggero Bacone. (2) Vincent de Beauvais (Vincentius Bellovacensis) nacque a Beauvais nel 1190 circa e m. nel 1264; frate dell'Ordine di S. Domenico, scrisse un'importante opera, lo Speculum majus o Miroir général nel 1250 per S. Luigi e la sua donna Margherita di Provenza, dei cui figli era precettore. Pare quest'opera la più impor- tante enciclopedia del medio evo, comprende 88 libri e 9905 capitoli ed è divisa in tre parti: Speculum naturale, Speculum doctrinale, Speculum historiale, alle quali un anonimo aggiunse una quarta parte: Speculum morale. Fu stampata la prima volta a Strassburg nel 1473 in 10 vol. in fol. e più volte ristampata. Il numero dei manoscritti che se ne sono conservati è grandissimo. È un’opera che dimostra una straordinaria erudizione (350 nomi di autori solamente nello Speculum naturale) e in mezzo a molta superstizione contiene cose e idee importanti; egli è fra i primi a raccoman- dare lo studio della natura. © La vita dell’uomo, scrive Beauvais, è corta, la memoria dimentica facilmente, “ i libri sono molti, la scienza è discorde. Sarà dunque utile di fare un compendio, una raccolta di tutto © ciò che fu scritto dai cattolici e dai pagani, dai poeti e dai filosofi, dagli storici e dai dotti, intorno a ciò “ che vi è di più vero e di più utile nei diversi rami della scienza... La mia opera per la scelta e l’ordine “ delle materie è moderna... è antica per le materie stesse... , (BartoLI, Stor. lett. it., I, p. 246). Si vegga anche: Bouraric, Vincent de Beauvais et la connaissance de l'antiquité classique au XIII® sitele, Paris, 1875. (3) R. Prroxi, Storia della Fisica, Torino, 1914, p. 106. teri A i i ica ii MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 11 turali, si deve primamente ed unicamente, checchè si dica, a Galileo. Ed è solamente in questo modo che si scoprono delle leggi sperimentali. L'opera scientifica di Galileo è tanto grande, è tanto superiore a quella di Bacone e di Biringucci, che mi pare assai difficile per non dire puerile il farne il confronto. Chi ha stabilito delle leggi, dei principî generali, anteriormente a Galileo? Nessuno; se si eccettui Archimede (1). To qui dico del metodo sperimentale, non di alcune singole scoperte che potranno forse essere attribuite anche ad altri prima di lui. Raccogliamo pure i lavori anche di questi minori del medio evo, ma non pretendiamo con ciò di diminuire i meriti di Galileo, di Kepler, di Newton: questi stanno troppo in alto! Sono importantissime le scoperte astronomiche di Galileo, ma sono pure molto impor- tanti la sua scoperta dei principî fondamentali della dinamica, le sue leggi sperimentali sulla caduta dei gravi, che distrussero le idee erronee di Aristotele. Egli dovette allora creare gli apparecchi e il vero metodo di esperimentazione. E giustamente il Terquem nel 1884 scriveva: “ Est avec raison que l’on considère Galilée, ce vaste génie, comme le “ véritable eréateur de la méthode expérimentale et le fondateur, non seulement de la phy- sique moderne, mais aussi de toutes les autres sciences d’observation qui s’y rattachent. “ A lui done la gloire d’avoir déraciné è jamais du domaine de la science le principe d’au- “ torité qui y régnait depuis tant de siècles, non pas en lui substituant une méthode er- “ ronée ou incertaine comme celle de Descartes ou simplement théorique comme celle de “ Bacon, mais en montrant, par ses propres travaux, quelle était la voie è suivre. Après “ Galilée, en effet, les découvertes se succèdent rapidement. “ “ A la méme époque sont inventés le thermomètre, la machine pneumatique et la ma- “ chine électrique; la physique moderne se développe rapidement è partir du milieu du “ XVII siècle, gràce surtout è l’impulsion donnée par Galilée et l’école si célèbre qu'il “ créa à Florence , (2). n Ed invero solamente dal tempo di Galileo, la scienza con Viviani, con Torricelli, con Descartes, con Newton, con Borelli ed altri molti, cammina a grandi passi. Chi prima di Galileo ha fatto, ad esempio, una serie di esperienze dalle quali dedurne le leggi della caduta dei gravi? Egli sperimentalmente dimostrò: 1° legge. La velocità della caduta d’un corpo è indipendente dalla sua massa. 22 legge. La velocità di caduta d’un corpo non dipende dalla natura di questo corpo. 3% legge. La velocità acquistata da un corpo che cada liberamente partendo dallo stato di riposo è proporzionale ai tempi. 4 Gli spazi percorsi sono proporzionali ai quadrati dei tempi impiegati a percorrerli. Così può dirsi delle sue leggi sperimentali sul movimento uniforme, sul movimento uniformemente vario, sul movimento uniformemente accelerato; delle sue leggi sul pen- dolo, ecc., ecc. Questo chiamavasi propriamente metodo sperimentale, ma la esperienza dei suoi cosidetti precursori, no. Ed inoltre egli ha trasmesso questo modo di ragionare nella filosofia che va all’unissono colla scienza. (1) Galileo non ha nella storia del pensiero umano quel limitato posto che gli assegna l’Hérrpm6, il quale scrive nella sua Histoire de la Philosophie, vol. I, p. 242: “ Harvey découvrit la circulation du sang (1628). Harvey est au premier rang parmi les fondateurs de € Ja science moderne de la nature: il est pour la physiologie ce qu’est Galilée pour la physique ,. Galileo, sig. Hoffding, è un poco più di Harvey; egli ci ha dato un gran numero di scoperte e di leggi di primo ordine e sovratutto il metodo sperimentale. (2) £ Rev. Scient. ,, 1884, 1° sem. I giovani dovrebbero leggere e meditare su queste belle parole del Terquem, illustre fisico francese, morto assai giovane. 12 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Per risolvere i grandi problemi delle forze Galileo doveva determinarne le leggi: col- l'osservazione, coll’esperimento, colla misura ed infine col calcolo. Qui si ha il metodo per eccellenza, quale certamente prima di lui nessuno aveva ideato e praticato. E si noti il fatto straordinario che solamente poco dopo Galileo comincia il periodo in cui si scoprono le altre più importanti leggi: la legge di Boyle (1660), le esperienze e le leggi di Torricelli e di Pascal, la legge di Borelli sull’urto dei corpi solidi, le esperienze di Redi sulla generazione, le grandi leggi di Newton, cui seguono quelle di Lavoisier, di Volta, di Dalton, d'Avogadro, ecc. Qui sta il vero merito del nostro Sommo, il Grande dei Grandi. Esageratissimo, ed anche erroneo è dunque il dire che Ruggero Bacone sia il fonda- tore del metodo sperimentale. Evidentemente chi ciò afferma non sa in che consista il metodo sperimentale; più volte alcuni hanno visto usata da Ruggero la parola experientia, e questo a loro basta. Del resto è erroneo, antiscientifico, il dire secondo alcuni che le scoperte di Galileo nell’astronomia hanno molto meno importanza di altre sue ricerche, perchè se non era lui sarebbe poi stato un altro che avrebbe volto verso il cielo il cannocchiale. Con questo ra- gionamento si distrugge tutto. Perchè tutte le scoperte che fa un uomo potrebbero poi essere fatte da altri. Ma noi dobbiamo badare a chi le ha fatte. Ed il vero è che dopo Galileo l'astronomia prese un’ altra via, l'Universo si allargò in modo straordinario e solo dopo di lui furono possibili le più grandi scoperte astronomiche di nuovi astri, e di tanti fenomeni celesti. Così potrebbe dirsi di Colombo e dell'America. Aggiungiamo poi che Galileo ha fatto scuola come nessuno dei suoi predecessori o pre- cursori ha mai fatto, ha dato origine all'Accademia del Cimento, cioè l’accademia esperi- mentale per eccellenza, e ci ha dato uno stuolo di veri allievi, come si direbbe oggi, nel senso moderno. Ecco perchè Galileo è il padre del metodo sperimentale. Tutto questo, a mio avviso, è esattissimo. Dopo Galileo si ha una vera figliazione numerosa, continua di speri- mentatori, che non si interrompe più. Egli ha avuto enorme influenza nello sviluppo della scienza dopo il 1600, mentre Ruggero Bacone, Leonardo, Biringucci ed altri così detti pre- cursori, compresi gli stranieri oggi dissepolti, ed altri da disseppellire, hanno avuto minima o nessuna influenza; ecco perchè il Poggendorff lo chiama il fondatore della fisica (nel senso lato della parola), ecco perchè tutti i grandi storici della scienza moderna quali il Libri, il Poggendorff, il Dannemann incominciano il periodo moderno della storia delle scienze col nome di Galileo. Discorrendo dei tempi di Galileo, il Picavet fece le osservazioni seguenti, che certamente non sono nuove, ma servono bene al caso mio : “On peut dire que ce qu'on appelle alors Physique ou la science de la nature n'est qu'un assemblage d’hypothèses entre lesquelles un esprit, uniquement soucieux de la vérité, ne saurait faire un choix. “ K “ Ce choix, Galilée inventa les moyens de le faire, et le rendit facile pour ses suc- cesseurs: l’observation et l’experimentation, favorisée par des instruments nouveaux, aidée par la déduction et le calcul, furent instituées les juges suprémes de toute discussion scientifique. “« K (1 “ D’abord il retrouve, imagine ou prépare des instruments, compas de proportion, ba- ‘lance hydrostatique, thermomètre et baromètre, horloge è pendule et microscope. Surtout il donne au télescope une merveilleuse puissance et révolutionne la science , (1). “ sw (1) Cf. Fr. Prcaver, Esquisse d'une histoire générale et comparée des philosophes médiévales, Paris, 1905, p. 228. Intorno a Galileo non è privo di interesse anche un articolo del Prcaver, Galilée et la science moderne (© Rev. Scient. ,, 1895, 1° sem., p-. 12), che in gran parte è riprodotto nell'Esquisse dello stesso autore. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 13 Un'altra grande conseguenza ebbe il metodo di Galileo ed è che: non solamente si ap- plicò il suo metodo alla fisica, o diciamo alle scienze fisiche in genere, ma si applicò alla fisiologia, a tutte le scienze naturali, a tutte le scienze positive, al punto che anche l’astro- nomia è diventata una scienza sperimentale. Già le classiche ricerche di Malpighi, di Gu- glielmini, di Borelli, ecc. nel secolo XVII non sono guidate «dal metodo sperimentale? E la psicologia vera oggi non è eminentemente sperimentale; non si segue anche negli studi psicologici il metodo galileiano? In questo ordine di idee mi trovo dunque pienamente d’accordo col prof. RinaLpo Pironi, il quale a pag. 113 della sua Storia della Fisica, Torino, 1912, scrive: “ Vediamo dunque che il Galilei, dopo aver verificato un fenomeno, ne determina le “ leggi, e si serve dei suoi precedenti studi a perfezionare i metodi di misura, elemento “ così notevole nel progresso della scienza. Ma non si ferma a stabilire dei fatti, i quali “ da soli non costituiscono la scienza, ma soltanto un formulario utile ai pratici; egli cerca “i legami, i termini di passaggio fra i fatti nuovi scoperti ed altri ordini di fenomeni, e “ infine indaga con dimostrazione indipendente dai mezzi imperfetti di cui si è servito. « Im ciò consiste la novità del suo metodo, reciproco controllo fra l’intelligenza e la “ esperienza ,. Il metodo sperimentale condusse Galileo ad una filosofia sana, positiva, senza arzigogoli, quale dovrebbe essere la filosofia moderna. Anche Francesco Bacone da Verulamio era su questa via, ma certo non ha i grandi meriti di Galileo, il quale non solo era filosofo, ma colla scoperta di numerose leggi diede la vera base del metodo sperimentale. I pensatori imparziali pongono Galileo ad un grado molto superiore a quello di Francesco Bacone da Verulamio. Resta sempre vero il giudizio che diede David Hume, il celebre storico e filosofo, sui meriti relativi di questi due grandi uomini (1): “ Si l’on considère les variétés des talents qui se trouvaient réunis dans son caractère, “ homme d’État, bel esprit, courtisan, homme de société, auteur philosophe, il merite la plus «“ haute admiration: s'il est considéré simplement comme auteur et philosophe, quoique très- estimable sous ce jour, il est fort inferieur è Galilée son contemporain, et peut-étre méme a Kepler. Bacon a montré de loin la route de la vraie philosophie: Galilée l’a non seule- ment montrée, mais y a marché lui-méme à grands pas. L’Anglois n’avoit aucune connais- sance de la geometrie; le Florentin a ressuscité cette science, y excelloit et. passe pour le premier qui l’ait appliquée avec les expériences, à la philosophie naturelle. Le premier a rejeté fort dédaigneusement le système de Copernik; l’autre l’a fortifié de nouvelles preuves empruntées de la raison et des sens. Le style de Bacon est dur, empeté, son esprit quoique brillant par intervalles est peu naturel, amené de loin, et semble avoir ouvert le chemin è ces comparaisons pointues et ces longues allégories qui distinguent les auteurs anglois. Galilée au contraire ‘est vif, agréable, quoiqu'un peu prolixe. Mais l’Italie n’étant point unie sous un seul gouvernement, et rassassiée peut-étre de cette gloire lettéraire qu'elle a possedée dans les temps anciens et modernes, a trop négligé l’honneur d’avoir donné naissance è un si grand'homme; au lieu que l’esprit national qui “ « “ domine parmi les Anglois, leur fait prodiguer è leurs éminents écrivains, entre lesquels ils comptent Bacon, des louanges et des acclamations qui peuvent souvent paroitre ou partiales ou excessives ,. Il traduttore francese dell’opera dell’Hume (vol. XIX, p. 128) ha voluto confutare questo i (1) Davio Hume, Hist. of Gr. Brit., 1759. t. V, app. p. 129 e trad. franc. Histoire d’Angleterre, ed. 1781, t. XIII, pp. 410-411, 14 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO parallelo di Hume e crede che Hume abbia esagerato. Egli ricorda alcune parole di Beattie (1) a proposito di Francesco Bacone: “ La philosophie naturelle a fait plus de progrès depuis « lui, et par sa méthode, qu'elle n’en avoit fait pendant dix siècles auparavant ,. Ma è precisamente ciò che si deve dire di Galileo, prima del quale non si conosceva nessuna legge sperimentale. Il Biot (2) dopo accennato alla morte di Galileo esclama: “ Mais son esprit ne s’éteignit point. Il reparut dans ses savants disciples, Viviani, Torricelli, auxquels on peut ajouter Newton meme, et nous tous qui après lui, étudions la nature, puisque c’est Galilée qui a montré l’art de l’interroger par l’expérience. On a souvent attribué cette gloire è Bacon; mais ceux qui lui en font honneur, ont été (à notre avis) un peu prodigues d’un bien qu'il ne leur appartient peut-étre pas de dispenser. Nous citerons en faveur de Galilée, un témoignage irrécusable ,. E qui riporta il giudizio dato da Hume. Poi prosegue dimo- strando che Bacone non ha scoperto nessun fatto, nessuna legge, nulla a cui sia legato il suo nome. . Galileo era insegnante di grande valore; insegnava bene e con grande amore; la sua scuola era frequentatissima da scolari italiani e stranieri; il dover esporre le ricerche scien- tifiche in modo direi didattico l’obbligava di più a seguire il suo metodo sperimentale. Aveva così il mezzo di meditare spesso, di modificare, di perfezionare le sue idee e farne uscire dal cervello quel complesso di sapere che si disse metodo sperimentale. Le sue lezioni erano conosciute all’estero. Questa osservazione mi pare non sia stata fatta da coloro che hanno raffrontato Galileo coi suoi predecessori. Su questo argomento si vegga inoltre il bel capitolo VI: La scuola del Galilei nella Storia della fisica (Torino, 1914) del prof. RinaLpo PrronI. Ciò che invece io non trovo giusto, come dissi nel 1912 (Vedi più sopra), è il volere concentrare tutto il sapere del secolo XVII in Galileo, e non mettere in bella luce altri a lui vicini di tempo e di valore; grandi anche senza il metodo sperimentale: osservatori e sperimentatori di primo ordine, da me già ricordati. Italiani e stranieri. Come fisico e astro- nomo certamente in Galileo si concentra gran parte del sapere del suo tempo. A lunghi intervalli di tempo saltan fuori dalla massa umana questi giganti che rias- sumono e creano un'epoca nuova: Dante, Galileo, Kepler, Newton, Shakespeare, Lavoisier, Napoleone, Goethe, Kant..... I loro predecessori vanno tenuti in considerazione dallo storico, ed io penso di averne dato l’esempio, ma l'umanità vede essenzialmente le stelle di prima grandezza e a queste si ispira il genio umano, anche modesto. Io credo agli Eroî di CARLYLE; senza con ciò voler misconoscere i meriti, anche grandi, dei minori, delle stelle di seconda e terza grandezza. “ Ce seroit donc une ingratitude de refuser è nos maîtres les éloges qui leur sont dùs; “ comme ce seroit une marque d’envie de ne pas accorder aux modernes toutes les louanges “ qu’ils méritent è si juste titre; il faut rendre justice de deux còtes, et ne pas donner tout “a un age et rien à l’autre , (83). (1) Beattie, scrittore e filosofo scozzese, era contrario alla filosofia di Hume. (2) Mélang. scient. et litt., 1858, t. 2, p. 446 e Biogr. Univ., 1856. (3) Durens, Recherches sur Vorigine des découvertes attribuées aux modernes, Paris, 1766, p. xv. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE 1I, VOL. LXV, N. 9. 15 Io avevo già scritto in gran parte queste cose intorno alla vita e alle opere di Rug- gero Bacone prima dell’orrenda guerra che commuove tutto il mondo. Questa immane sven- tura colpisce l'umanità proprio in quest'anno 1914, nel 7° centenario della nascita (1214) di Ruggero Bacone. Questo fatale anno 1914 andrà ricordato nelle storie come il più infausto per l'umanità. Per più secoli l'Europa fu desolata da guerre di religione sino alla metà del sec. XVII; poi si ebbero le guerre, come nel medio evo, promosse dal capriccio e dall’avidità dei prin- cipi e dei regnanti; poi, per poco tempo, le guerre di nazionalità che sono, diciamolo pure, guerre nobili, necessarie; ora, abbiamo le guerre più atroci di tutte, quelle promosse dal- l'egoismo, dall’avidità commerciale ed industriale, da predominî nazionali, da pretese per mantenere l'egemonia del mare, e via dicendo. Mentre per lo passato erano guerre di pochi uomini assoldati dai principi, oppure eserciti nazionali, ora sono intere nazioni armate l’una contro l’altra. È progresso questo? Ne ha colpa la scienza, tanto progredita? No. Già nel 1909 nella mia Storia della Chimica in Italia, parte I, p. 25 io scrivevo: n po meno di furia industriale e un poco più d'idealismo renderebbe la vita meno brutale (1). La colpa vera sta nell’intima natura della razza umana, la quale possiede tanti vizi e tante virtù; ma manca ancora della virtù principale, la bontà, senza della quale non vi è civiltà propriamente detta. Ed è sempre da non dimenticare ciò che scriveva Dante: Superbia, invidia ed avarizia sono Le tre faville, c'hanno i cuori accesi. Nel caso attuale: la gelosia, l'invidia, e quindi l’odio, pervadono in ogni cosa anche gli uomini più colti, peggio le mediocrità. È orribile il pensiero che il progredire del sapere, notato la prima volta da Ruggero Bacone, non metta un freno alla brutalità umana; ed è sconfortante, umiliante, il vedere ora indiani, senegalesi, mongoli, tartari, canadesi, negri d’Africa, calpestare gli ubertosi campi dell’Europa in nome della cosidetta civiltà! Vedere gli indiani come cannibali col coltello alla mano sgozzare a tradimento i poveri soldati nemici! E civiltà questa? La storia colpirà con marchio di fuoco queste cose, è vero, ma intanto quante brutture! Che forse in quei momenti storici nei quali i popoli hanno maggior cultura si acuiscano di più gli odi? Che vi sia una relazione fra lo sviluppo della grande cultura e le guerre? To noterò solamente alcuni fatti: al principio del secolo XVI quando le lettere ele arti con Leone X erano al loro massimo splendore, lo stato politico dell’Italia era miserrimo, ed inco- minciarono le grandi guerre di religione; quando la scienza grandeggiava con Galileo, Kepler, Francesco Bacone ed altri, nella prima metà del secolo XVII, infierivano ancora le guerre di religione che si chiusero col trattato del 1648, ed infuriava l’opera nefanda dell’Inquisi- zione; nel secolo d’oro della letteratura francese, ossia rel secolo di Luigi XIV, l'Europa fu desolata dalle grandi guerre promosse da questo re, Turenne ed altri marescialli francesi deva- starono ed incendiarono due volte (1674 e 1689) il Palatinato, già saccheggiato nella guerra dei trent'anni, i francesi invasero l’Olanda, e gli olandesi dovettero rompere le dighe. Verso la fine del secolo XVIII: la rivoluzione francese, colle sue orrende scene di sangue, e le guerre (1) “ Supplem. Ann. all’Enciclop. di Chim. ,, 1909, p. 345. 16 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO napoleoniche, sono contemporanee al grande fiorire delle scienze in Francia. Dopo la decadenza della scienza francese e l’enorme sviluppo della scienza in altri paesi e specialmente in Ger- mania, si ha la guerra del 1870 ed infine colla grande cultura mondiale moderna, dovuta in gran parte alla Germania e coll’eccessivo industrialismo tedesco, inglese, francese, belga, scoppia la guerra attuale. Sono casuali queste coincidenze? Il BuoxLe, nel suo bel libro: Storia della civilizzazione in Inghilterra, discorrendo del- l'intelligenza umana afferma che: “ solamente le scoperte dei grandi uomini sono veramente “immortali perchè contengono le verità eterne che sopravvivono all'urto degli imperi, alle “ lotte per le diverse credenze religiose e assistono anzi alla rovina delle religioni succes- “ sive. Solo 1 concepimenti dei grandi uomini sfidano tutti i secoli , (1). Ma io dico che le scoperte, per quanto grandi siano, non bastano per la civiltà ! Il Buckle mette alla pari l’opera di Alessandro e di Napoleone, e scrive : “ Les crimes gigantesques d'un Alexandre ou d’un Napoléon sont privés, après d’un “ certain temps, de tout effet, et les affaires du monde reprennent leur premier equilibre ,- Ciò non mi pare, nè giusto, nè esatto. Dell'’opera di Alessandro non rimase quasi nulla, ma dell’opera di Napoleone è rimasto e rimarrà molto. Capisco che per un inglese, come Buckle, l’opera gigantesca di Napoleone si chiami un crimine, ma ciò non è giusto. Tutte o quasi tutte le guerre allora sarebbero crimini. E le guerre nelle Indie, e quella contro gli Americani del Nord, e l’altra contro j Boeri, con questo criterio, non erano forse, e a molto maggior ragione, dei crimini? Napoleone portava e diffondeva un nuovo spirito di progresso umano e n’hanno avuto vantaggio tutti i popoli; da Napoleone derivano l’unità italiana e l’unità germanica. Le guerre che ho ricor- dato: nelle Indie, contro gli Americani del Nord, contro i Boeri erano invece guerre crudeli, promosse unicamente da egoismo, da interessi prettamente materiali e commerciali, da avi- dità per le miniere d’oro o di altra preziosa mercanzia; queste sono le guerre veramente delittuose. La scienza sola nello stato attuale dell’intelligenza umana non basta per una vera civiltà. Se l'umanità fosse veramente civile dovrebbe essere tutta duona, ed allora non vi sarebbero più guerre. Giustamente un mio vecchio e distinto allievo ed amico, il D. Luigi Moine, ora in Egitto, mi faceva notare come coll’educazione passata ed attuale si cominci ad abituare l’uomo sin da bambino alla gelosia, all’invidia e quindi all'odio; ad esempio, coi premi e colle ingiustizie nelle scuole, e poi su su in tutta la scala sociale, nella famiglia, fra città e città, provincia e provincia e quindi fra le nazioni. Si inculca più l’odio che non l’amore; intendo l’amore vero, ideale, intellettuale. E tutto il malvolere che sgorga dall’animo male educato. Voi vedete in gran numero industriali contro industriali, professori contro profes- sori, amici invidiare i così detti amici se hanno qualche vantaggio in più, se la rinomanza dell'uno è maggiore di quella dell’altro, ecc., ecc. È un continuo agitarsi per le onorificenze, per le cariche pubbliche, per vantaggi pecuniari e così si cammina di menzogna in men- zogna, di maldicenza in maldicenza. Si potrebbero ricordare, ab antico, gli odî dei molti ignoranti e malevoli contro Arnaldo da Brescia, contro Ruggero Bacone, contro Giordano Bruno, poi contro Galileo e tanti altri. Si. potrebbero ricordare a centinaia gli uomini molto colti ed anche geniali, i quali inveirono l’uno contro l’altro e che si accusarono atro- cemente ; le storie e i documenti anche moderni ci dicono delle inimicizie tra Newton e Leibniz, degli odì contro Lavoisier, delle accuse atroci tra Scopoli, Volta e Spallanzani, delle inimi- cizie fra Laurent e Gerhardt da una parte ed i chimici Berzelius, Dumas e Liebig dall’altra, le lotte fra chimici, anatomici e fisiologi francesi, italiani e d’altri paesi, e così via dicendo (1) H. Ta. Buck, Histoire de la civilisation en Angleterre, 1865. Ed. franc., t. I, p. 255. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 17 Potrei scrivere un volume, anzi più volumi, ricchi di molti aneddoti; ma sarebbe troppo doloroso ed umiliante il far ciò. E questi odì privati hanno avuto spesso delle conseguenze gravissime: lo Scopoli morì di dolore; Laurent e Gerhardt, che sono fra i chimici più illustri del secolo XIX, dovettero lasciare le loro famiglie nella miseria. E così potrei rammentare molti altri casi. La superbia di certi grandi chimici, come J. B. Dumas, era sconfinata. E se vi sono tutti questi odì tra individui e individui colti e intelligenti, possiamo poi meravigliarci che vi siano odì tra nazioni e nazioni ? Tutto questo basso sentire si manifesta non solo negli individui, ma necessariamente anche nelle nazioni. Tutto l’indirizzo della nostra educazione, nelle famiglie e nella società è in fondo errato; si innesta nell’uomo essenzialmente il senso dell’egoismo, mai o quasi mai si insinua l’altruwismo. E perciò noi assi- stiamo ora non solamente a molti atti di viltà individuali, ma anche nazionali. Gli odì degli uomini, scriveva Castelar, sono tali che non si spengono neanche nella pace della morte. Perchè, a cagion d’esempio, tanto odio contro la Germania? Pel militarismo forse? Questo pensiero è ridicolo. La Russia non è militarista ? Perchè allora tollerare che una sola nazione mantenga già da più che un secolo il predominio sul mare, l'egemonia sul mare, cioè sia padrona di quattro quinti della superficie terrestre? E questo enorme predo- minio colle navi non è umiliante per tutte le altre nazioni? Questo odio proviene da invidia, da egoismo, da rivalità commerciali e industriali, in fondo dunque dall’oro. Ecco la morale! Ecco l’oro, il signore del mondo! Una nazione, ultrapotente per mare, la quale può imporsi e dire a quasi tutte le altre nazioni: badate, non muovetevi, non pigliate parte al conflitto contro di me, perchè altrimenti io vi bombardo le vostre più importanti città; non è una nazione militarista ?_ Non è forse un immenso militarismo mascherato? Bisogna avere gli occhi della mente ben chiusi per dire di no. Come in altri tempi si volle successivamente annientare la potenza navale della Spagna, dell'Olanda e della Francia, così ora si vorrebbe distruggere quella tedesca per potere poi un giorno volgersi, liberamente e strapotentemente, contro l'America. La guerra attuale è dunque promossa non solamente da odî commerciali ed industriali, ma essenzialmente è una guerra di predominio dei mari, cioè di predominio mondiale. Si è voluto fare il confronto tra il 1814 ed il 1914 dicendo: “ Adesso la lotta è contro “ il predominio tedesco, allora era la lotta contro il predominio francese ,. Il confronto non corre; è completamente errato; per ragionare in questo modo bisogna non conoscere la storia, nè lo stato presente. Si dovrebbe dire che allora era la guerra contro il predominio politico francese, perchè la Francia teneva sotto il giogo 1’ Olanda, il Belgio, l’Italia, la Germania, la Spagna, ecc.; ora invece è la guerra contro il grande sviluppo scientifico, industriale e commerciale o meglio contro un predominio intellettuale; perchè la Germania non ha sotto il suo dominio politico quasi nessun popolo veramente straniero. E allora perchè promuovere l'istruzione, dedicarsi con intensità agli studî quando si deve arrivare a queste guerre che hanno per iscopo non solo l’industrialismo, ma anche di frenare l’attività intellettuale di un popolo? A chi la responsabilità morale degli enormi danni subiti dal povero Belgio? La critica storica imparziale ci dirà un giorno anche questo, ma intanto? Prima della guerra da tutti si inneggiava al grande sviluppo industriale nei paesi ove più sviluppata era la scienza; tutti ci rallegravamo al pensiero che insieme al progresso scientifico cresceva l'industria, e tutti gridavamo all’alleanza della scienza con le applica- zioni. Ed oggi invece..... Ma, e d’altra parte non vi ha forse grande colpa anche l’eccessiva superbia e l'orgoglio smisurato di molti tedeschi colti? Non si è scritto recentemente da un dotto tedesco: La Qa 18 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO nostra civiltà era specialmente affidata a tre popoli, anzi quasi ad essi soli: a noi, agli Ame- ricani e ugli Inglesi? Quasi che il resto del mondo fosse costituito tutto da barbari! Heco come si acuiscono gli odii. Un Géithe, un Humboldt, un Helmholtz si sarebbero vergognati di un tale pensiero, e di scrivere quelle frasi. Durante questa orrenda guerra non abbiamo ancor visto nessun atto veramente gene- roso di qualche nazione che valga a mitigarne i tristi effetti; nessun atto che valga a ten- tare una pacificazione dopo già tanta strage; eppure se la natura umana fosse buona, se esistesse un vero senso morale, la pace dovrebbe essere fatta. Invece no, assistiamo ad atti di inconcepibile simpatia o antipatia affatto ingiustificati, e a non pochi atti di vera ingra- titudine. E primi di tutti ne hanno dato l’esempio la Russia ed il Giappone, la cui cultura scientifica è dovuta in gran parte agli scienziati tedeschi: la Russia sino dal sec. XVIII ed il Giappone dal sec. XIX. Centinaia di uomini studiosi giapponesi affluirono, specialmente dopo il 1870, nelle Uni- versità tedesche ed hanno trasportato nel loro paese il sapere attinto alla pura fonte romanico- germanica. Pur considerando una scienza sola, a cagion d’esempic, la Chimica, si potrebbe di- mostrare con numerosi esempi quanto debbano ai chimici tedeschi la chimica e l'industria chimica russa, inglese e giapponese. Ma appunto, forse, per ciò è più acuto l'odio. Ma io l’ho scritto più volte: l’ingratitudine, questo basso sentimento, è insito nella natura umana. Nel mio discorso al Congresso di Genova nel 1912 (La storia delle scienze e Domenico Guglielmini, pag. 31), io scrivevo: “ ma la gratitudine purtroppo è il senti- “ mento più difficile a radicarsi nell'animo umano. L'uomo ha quasi vergogna di aver rice-. vuto dei benefizi e tenta di nasconderli. E una forma questa che è insita nella natura umana primitiva. Nessuno vuole mai esplicitamente ammettere di aver ricevuto dei benefizi da un altro ,. E questo è vero non solamente per le famiglie, ma anche per le nazioni. Colla vera bontà si avrebbe il culmine della civiltà, e con questa virtù l'efficacia delle scoperte dei grandi uomini sarebbe centuplicata. La mia Maria voleva che fosse radicata nell'uomo questa primaria delle virtù: la bontà. Ella scriveva: “ Una delle più dolci gioie “ che siano concesse all'uomo è di poter credere alla bontà, alla sincerità, all’onestà di un “ proprio simile ,. Ed altra volta: “ Bisogna proprio persuadersi, nonostante ciò che il pes- “ simismo o il dispetto possono suggerire qualche volta, che l’unico mezzo di trionfare la cattiveria altrui è ancora, sempre e unicamente, la bontà. Essere buoni semplicemente, continuamente, dignitosamente, è forse il segreto unico dell'unica felicità possibile nella “ vita, (1). i Non dobbiamo confondere la bontà vera con la debolezza o la compiacenza, che sono sentimenti non troppo elevati; mentre la bontà è la prima delle virtù, e richiede coscienza pura ed anche intelligenza. Dal concetto che mi sono andato facendo della bella figura di RueGERo Bacone mi pare di poterne indurre che Egli, tanto colto e tanto sapiente, fosse pur anco molto buono. I grandi geni che più sopra ho nominato, le stelle di prima grandezza : Dante e Galileo, Shakespeare e Newton, Kepler e Gòthe, Lavoisier, Napoleone, hanno spinto l'umanità ad un elevato grado del bello, del grandioso, dell'ideale; i pigmei moderni, conduttori di popoli, infetti da sovrumano egoismo, hanno abbassato l'umanità ad un livello brutale. “ K (1) Ricordanze di Maria, Torino, 1910, p. 15. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM, E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 19 CONCLUSIONI. Da questo mio non troppo breve studio, posso ora concludere : 1° Ruggero Bacone non ha fatto delle scoperte in chimica, e non ha avuto influenza sul progresso di questa scienza. Ha invece molto maggior valore come fisico. Fu più alchi- mista che chimico, ma però senza le esagerazioni degli alchimisti del suo tempo e degli alchimisti de’ secoli posteriori. Si può affermare che in tutto il secolo XIII non fu fatta nessuna scoperta di chimica che abbia valore veramente scientifico. Per la chimica e l’esperimentazione Ruggero deriva da Geber. Geber, come chimico, benchè vissuto quattro a cinque secoli prima, è superiore a Bacone. 2° Ruggero Bacone ha conosciuta e studiata la composizione della polvere da cannone e se ne potrebbe quasi considerare come lo scopritore. 3° I suoi lavori scientifici più importanti riguardano l’ottica ; e, sotto questo aspetto può dirsi, come pel Grimaldi, un precursore di Newton. Tutta la sua ottica o perspectiva, che costituisce la Parte Quinta dell'Opus majus, è della massima importanza, per quanto Bacone abbia utilizzato il sapere degli Arabi. Stupenda è l’idea della velocità misurabile della luce. 4° Si è di molto esagerata l’importanza delle cosidette sue invenzioni, specialmente meccaniche, le quali, secondo alcuni scrittori, preludierebbero ad importanti e recenti sco- perte. Egli non ha inventato nè gli areoplani, nè la macchina a vapore, nè l’apparecchio per palombari, nè altre delle grandi applicazioni moderne. Però le sue idee sono geniali ; ed invero prendendo, ad esempio, a considerare l’apparecchio per palombari, al quale egli accenna, è certo che poco più di un secolo dopo, in un manoscritto di Monaco di Baviera del secolo XIV, trovasi descritto, e rappresentato con disegni, lo scafandro quale fu poi in- ventato nei tempi moderni. Così pure l’idea di far correre con maggiore velocità le navi mediante ruote a palette è stata messa in pratica, pare, nel sec. XV. Come pure le gru per sollevare grandi pesi. 5° Ruggero Bacone ha il grande merito di aver scossa l'autorità aristotelica e di aver predicata l'osservazione e l’esperienza in tempi di piena scolastica. Per l'immensa sua cultura linguistica, per i perfezionamenti che ha introdotto in alcune scienze ed infine per le notevoli sue osservazioni in fisica, in astronomia, in geografia, può riguardarsi come un vero enciclopedico. Raccomanda la matematica come base di ogni scienza. 6° Ruggero Bacone è di molto superiore ad Alberto Magno e ad altri scolastici scien- ziati del suo tempo. Alberto Magno era più un compilatore. 7° E stato uno dei fondatori della scienza del linguaggio, della grammatica e della filologia comparate (Daunou, Charles, Narbey ed altri). Forse non si può dire che fosse l’uomo più erudito de’ suoi tempi, perchè in quel secolo vissero Duns-Scot, Alberto Magno, S. Tommaso d'Aquino, Vincenzo de Beauvais, i quali anch'essi erano eruditissimi. 8° Si può riguardare, secondo alcuni, come il fondatore della storia comparata delle religioni (Picavet). 9° Ruggero Bacone ci rappresenta la mente più ardita e preveggente del sec. XIII. Combattè le superstizioni, la magia, le arti occulte, la ciarlataneria; ma egli stesso non rimase totalmente immune dalla grossolana ed eccessiva credenza (Humboldt, Charles). Si può riguardare come il primo e più grande libero pensatore del medio evo, e quasi un precursore della Riforma. 20 ICILIO GUARESCHI — RUGGERO BACONE - IL METODO SPERIMENTALE E GALILEO Fu condannato ed imprigionato durante ventiquattro anni, più per le sue idee filosofiche rivoluzionarie moderne, che non per magia o negromanzia. 10° Il concetto che l'umanità sia destinata a progredire, e che la scienza a mano a mano si svolge progredisca di secolo in secolo, è nuovo, di grande importanza ed è proprio di Ruggero. 11° A lui sî deve anche il concetto nuovo della correlazione fra le diverse scienze, cioè il concetto dell’unità della scienza. In molte questioni naturali e filosofiche il pensiero di Ruggero è veramente moderno. 12° Ruggero Bacone ha avuto poca influenza sul progredire delle scienze perchè le opere sue furono o distrutte o disperse o proibite, ed erano quindi poco conosciute; egli era conosciuto come un mago, e come un dannato dalla Chiesa. Cominciò ad essere tenuto in considerazione dopo il 1733, quando per merito di Jebb fu pubblicata la Opus majus, per quanto prima, nei secoli XVI e XVII, si siano pubblicate alcune sue opere meno voluminose, come il De secretis operibus, ecc. Daunou, P. Leroux ed A. Humboldt furono i primi a giudicarlo al vero suo valore. 13° Egli, uomo tanto colto, era anche uomo molto buono e di carattere. 14° Non posso accordarmi con coloro i quali pensano che Ruggero Bacone abbia fondato o rinnovato il metodo sperimentale, per quanto egli abbia raccomandato di seguire l’esperienza insieme al ragionamento. È un grande errore il considerare Ruggero Bacone, ed anche Francesco Bacone da Verulamio, come fondatori del metodo sperimentale. . A Ruggero Bacone, come a Francesco quattro secoli dopo, non si deve la scoperta di nessuna legge; non si possono confrontare con Galileo o con Kepler. Si potrebbe tutt'al più considerare Ruggero come un iniziatore o precursore, dando però a queste parole un signi- ficato molto blando. È indubitato che solamente a Galileo spetta il reale e grande merito di essere stato il fondatore e legislatore del metodo sperimentale e quindi della scienza e della filosofia moderna. Dubitare, ricercare, scoprire; ecco il cammino che deve percorrere la mente umana, per arrivare a conoscere l'ignoto. Lo scetticismo conduce alla ricerca ed alla scoperta (1). Ma scettico deve intendersi per dubbioso, critico nel senso universale, non per indifferente. Quindi possiamo dire: scetticismo, ricerca e scoperta sono le tre tappe seguite dai sommi genî; così ha fatto, prima di tutti, Galileo. 15° La guerra attuale è guerra di predominio mondiale. In questo lavoro sono stato aiutato con premura, anche nella correzione delle bozze, dai miei assistenti Dott. Maria C1. Bianchi e Dott. Nicola Foglino, che ringrazio di cuore. Torino, R. Università — Agosto-Settembre 1914. (1) Ed è perciò che Boyte diede all’opera sua principale di chimica il titolo di: The Sceptical Chemist; volendo indicare che se non si applicava lo scetticismo anche alla chimica, non sarebbe stato possibile farla progredire. — _—_————— teste Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 10. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. = - ——. — —__——_— + o — _—s ci LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA NOTIZIE STORICHE SULL'OCEANOGRAFIA CON APPENDICE SU VANNOCCIO BIRINGUCCI © MEMORIA DEL SOCIO ICILIO GUARESCHI Approvata mell’Adunanza del 29 Novembre 1914. SOMMARIO INTRODUZIONE . È 5 . ò x c ; î : 6 È È ; i 5 . ragno Le prime ricerche chimiche fatte sull'acqua del mare 5 5 Nordmann e Marsigli . : 5 ? B È 5 È ; . . < 3 E ; © È 5 Thoulet e gli Americani o ” ” Sul nome Marsigli o Marsili i : : ; È 5 La geografia fisica, la oceanografia e Colombo . s 6 Osservazioni di A. v. Humboldt su Colombo îi ” Luigi Ferdinando Marsigli e la sua Opera scientifica. Giuseppe Meneghini, Siegmund Ginther e Kriimmel 7 8 Vita di Ferdinando Marsigli ” ” Stato militare dell'Impero Ottomano ” ” Eloge Historique scritto dal Fontenelle ” ” Fonda l’Istituto delle Scienze di Bologna . È 2 : E : - 11 Sua morte . x 5 5 ? 3 E ; ‘ : E ; 7 i 3 x 3 , Di 12 Le tre principali sue Opere 5 13 I. — Osservazioni intorno al Bosforo Tracio overo Canale di Costantinopoli. Correnti marine, salsedine e apparecchio di Marsigli E ” 13 Apparecchio per raccogliere l’acqua a determinata profondità E Aa ITA E 7 15 Peso specifico dell’acqua del mare coll’ Ampolla idrometrica . È x ; 0 ” 5 o ” ” (1) Ringrazio il Prof. Sen. Pietro Albertoni, il quale, essendo nel 1912-1913 Presidente della R. Acca demia delle Scienze di Bologna, mi potè procurare la fotografia del bel ritratto. del Marsigli che trovasi nell’aula di quella R. Accademia. Ri 2 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA II. — Histoire physique de la mer. Osservazioni chimiche varie o . c c . o . c . . . c È . Pag. IG Origine attuale dell’acqua del mare . ò x 5 3 - i; - È £ . : . à, 17 Temperatura dell'acqua del mare : x . È . 5 6 2 c c . " 6 5 = Sulla salsedine . : 5 5 . ; 5 : : ; È 0 5 c È 18 Distillazione dell’acqua cl; mare e quantità di sali 3 ; 5 . . 5 È c 7 19 Azione dei vari reattivi sull'acqua del mare . ; ; x ì 5 , i : È 5 5 z Sapore amaro e salso . 0 o 5 9 ò 6 È . È 6 5 5 Osservazioni di Humboldt sulla Aia dell acqua del mare . ; 5 È 5 . o Li 20 Filtrazione dell'acqua marina attraverso i terreni e sul sapore del sale impuro . È ; È 3 5 Cognizioni chimiche del Marsigli. — Esamina gli esseri organizzati che si trovano nel mare . 5 22 Ne fa l’analisi chimica 3 9 : c A ò 3 5 b " È à È 5 Risultati di alcune analisi delle spugne Di altri esseri marini 5 6 . . : 6 È © 23 Studia il corallo. — Ne fa l’analisi. — Peyssonel suo allievo : “ 3 ; : ; 7 b; 25 Parere di Carus nella sua Histoire de la Zoologie . ; E ; b i ” : ; ; » 26,27 Sul nome di Madrepore È o 2 I; ; 5 6 E o È i) 4 6, 27 Impianto di un laboratorio EE no nelle vicinanze di cia . 5 ò È ; Brieve ristretto del Saggio fisico intorno alla storia del mare, 1711 . 5 È 5 o 5 o Ù 28 Annotazioni intorno alla Grana de’ tintori detta Kermes . È : È È 5 È : , A È III — Danubius pannonico-mysicus, observationibus geographicis, astronomicis, hydrographicis, historicis, physicis perlustratus, etc. Cenni su questi sei tomi . , 6 c c c È È ° ; c c 3 c è 29 Il tomo terzo è il più importante per la chimicn mineralogia e mineraria . 7 n d ò 5 È Classificazione dei minerali PRESA ER RIN AO A NERE NL gà BEI: i Intorno al colore delle gemme . 0 o ; î . 3 - a ” 5 31 Elenco delle altre pubblicazioni, meno n del Marsigli : i È È È 3 6 to È Appenpice. — L'origine della salsedine del mare secondo Vannoccio Biringucci. i Giovanni Campani c o 6 5 o , . È ò 5 32 | Biringucci come SR e artista e il i di L Guaieiohi del 1904 È ò 3 S 5 A 38 Della salsedine dell’acqua del mare secondo Ristoro d’Arezzo del secolo XIII . ; ; c 5 34 Secondo Biringucci . : . 2 E È E : 3 i ” . A 5 Brano relativo della Pirotechnia già “oa da Cai nel 1904 — : o 7 : ; 5 35 Della salsedine secondo idee più moderne È 6 , 3 ; : ” 2 E E È 36 Biringucci non si può considerare come vero precursore di Galileo & ; i - ; È » 837,88 Parole di Antonio Favaro intorno a Galileo . x È 7 x 3 3 È 5 A 5 4 37 Parole di Thoulet intorno a Marsigli È i; 3 ; ; 5 7 , ò 5 - o » 5; 88 ConcLusionI . c ì ; È 2 ì È B 5 È . i ; o : , À A 37 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 3 INTRODUZIONE. Già prima del mio lavoro d’indole storica su Giulio Usiglio (1) e le sue belle ricerche sull'acqua del mare, mi erano ritornate alla mente le idee di Vannoccio Biringucci da Siena ed in particolare le ricerche bellissime sul mare di Ferdinando Marsigli da Bologna. Spero non sia inutile che io faccia conoscere alcune notizie che io ho raccolto da lungo tempo e che potranno:servire a chi farà in seguito uno studio completo sul mare e sull’importante opera scientifica del Marsigli. Lo studio moderno dell’acqua del mare incomincia con Biringucci, Cardano, Boyle, Mar- sigli per continuare poi con alcuni nostri chimici quali Usiglio, Calamai, Malaguti, Pisani. D'allora in poi le principali e più importanti ricerche debbonsi a chimici non italiani. Nella mia memoria: Notizie storiche intorno a Giulio Usiglio ed al’acqua del mare io scrivevo: * Tutto ciò che riguarda gli studi sull’acqua del mare, da Biringueci a Marsigli, a “ Usiglio, e le ricerche sui grandi laghi salati, sugli immensi depositi minerali di origine ocea- “ nica o marina, quali quelli di Wieliczka in Polonia, di Cardona (Catalogna), de’ Carpazii “ (Transilvania) e principalmente di Stassfurt, ha una notevole importanza per l’oceanografia, “ per la geologia e per l’industria chimica; e la chimica in questo ultimo mezzo secolo ha “ portato un notevole contributo al progresso di questi studì ,. i Sono importanti le ricerche di Usiglio, di Malaguti, di Pisani, di Forchhammer, di Dittmar e di altri chimici moderni, ma non debbono essere dimenticati i primi studi chimici fatti da naturalisti in quei secoli in cui la chimica non era ancora, può dirsi, una scienza a sè, e che era coltivata da medici e farmacisti, da ingegneri, da naturalisti. Fra queste ricerche, a mio parere, sono di molta importanza storica quelle di Biringucci sulla salsedine, ma più ancora quelle più generali del conte Ferdinando Marsigli. Nel terminare la mia memoria su Giulio Usiglio (2) scrivevo: “ L’acqua del mare molto tempo prima di Usiglio e di van't Hoff, era stata illustrata, sotto differenti punti di vista, non certamente sotto l’aspetto chimico moderno, ma riguardo “ l'oceanografia, principalmente da due grandi naturalisti: Vannoccio Brringuoci e Luigi “ FerpinanDo MarsiIGzI, dei quali dirò in un prossimo lavoro ,. Ed ora mantengo la pro- messa fatta. “ Dopo le ricerche di Usiglio si occuparono dell’acqua del mare specialmente Faustino Malaguti (3) insieme a Durocher e Sarzeaud. Questa memoria di Malaguti è assai inte- ressante. Oltre agli elementi più comuni furono trovati nell'acqua del mare gli elementi seguenti: (1) I Guareseni, Notizie intorno a Giulio Usiglio ed all’acqua del mare, in © Mem. R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1913 (Il), t. LXIV, pag. 1. (2) Loc. cit., p. 19. (3) Recherches sur la présence du plomb, du cuivre et de Vargent dans Veau de Va mer, et sur V’existence de ce dernier métal dans les plantes et les étres organisés, in “ A. Ch. , (8), 1850, t. 28, pag. 129-157 (V. anche I. GuarescHi, Faustino Malaguti e le sue Opere, Torino, 1902). ) Notiamo bene che io qui, come nella memoria su G. Usiglio, non ho ricordato tutte le analisi fatte sull'acqua del mare dopo il 1860, perchè io volevo rammentare solamente i lavori anteriori e specialmente quelli che avevano uno scopo in relazione coll’oceanografia. Del resto le analisi dell’Orosi, di Pohl (1857), dello Schmelek, di Alex. Katz, di Makin, di Schloesing, di Natterer (1892), ecc. trovansi citate nell’art. Acque del prof. Ancroro Funaro in Nuova Enciclop. di Chimica, vol. III, pag. 275. Notevoli sono le numerose analisi di acque dei laghi salati fatte da C. Scammr (“ Jahresh. f. Chem. ,, 1877, p. 1374 e seg.) 13 ICILIO GUARESCHI — LUIGl1 FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA rame, argento, piombo, jodo, bromo, manganese (1), boro, cobalto, nickel, zinco, cesio, rubidio, litio, oro, e probabilmente vi si troveranno tutti gli elementi conosciuti, perchè nel mare vanno tutte le acque che provengono dal disgregamento delle roccie e che sgorgano alla superficie da grandi profondità. Il titanio e il fluore trovansi nelle ceneri di quasi tutte le piante e dovranno quindi trovarsi anche nell'acqua del mare. Oggi invero tutto questo non ha più grande importanza ed è facile prevederlo. Ma quando Malaguti e Durocher nel 1850 facevano le loro esperienze nulla era stato fatto in proposito. Dopo quelle del Malaguti vanno ricordate le estese ricerche di S. Forchhammer (2). Felice Pisani (3) nel 1855 esaminò l'acqua del Bosforo. Dieulafait (4) studiò pure l’acqua del mare, vi trovò traccie di rame ed altri elementi; ma questo lavoro interessa poco la oceanografia. Invece uno dei lavori più estesi e completi che riguarda l’analisi fisica e chi- mica dell’acqua del mare è quello del Buchanan e del Dittmar, fatto in occasione del viaggio del Challenger (Report on the scientific results of the voyage of H. M. S. Challenger during the years 1873-76) (5). Il Dittmar ricorda i lavori di Malaguti e di Forchhammer. Ma io ora non voglio occuparmi di tutta la storia dell’acqua del mare, bensì dei due antichi natura- listi che per i primi hanno dato importanti contributi alla storia naturale e chimica del mare, e quindi all’oceanografia, voglio dire Marsigli e Biringucci, ed innanzi tutto del primo. Da molto tempo era mio desiderio di occuparmi in modo particolare di questo grande naturalista, intorno al quale, forse, manchiamo di un lavoro storico-critico moderno e com- pleto; ma altre occupazioni me ne distolsero. Avevo già raccolto molte notizie intorno ai lavori del Marsigli, il quale in varie occasioni si occupò anche di chimica, quando mi capitò sott'occhio un articolo del sig. Nordmann nella “ Rev. des Deux Mondes , sull’oceanografia, nel quale si elogiava molto il nostro naturalista. Allora dissi fra me: e perchè non pubbli- care questi miei appunti che forse non sono privi di interesse? Il Marsigli non era chimico nel senso ristretto della parola, è vero; ma sapeva mettere in pratica, per le proprie ricerche, le nozioni chimiche del suo tempo; e certamente cono- sceva la chimica tanto quanto alcuni dei così detti chimici più rinomati di quel tempo. Di questo naturalista, fondatore della R. Accademia delle Scienze di Bologna, manca, come dissi, uno studio moderno completo, e specialmente uno studio critico che ne metta in evidenza, in piena luce, l’immensa opera scientifica. In questo lavoro io voglio solamente accennare in breve a quanto riguarda gli studi del Marsigli che sono più in relazione colla chimica, quali sono quelli sull'acqua del mare e suoi prodotti, sui minerali della valle del Danubio, sulla metallurgia, sulla cocciniglia, ecc. Le sue prime ricerche intorno all'acqua del mare incominciarono nel 1680 sulla piccola distesa del canale di Costantinopoli; in seguito ad un nuovo soggiorno in quella città (1) Già L. Figuier e Miahle riconobbero delle piccole quantità di manganese nelle acque del mare (L. Frcurer, La Terre et les Mers, Paris, 1866, p. 500; Ficurer e Mrante, Eramen comparatif des principales caux minérales salines de France et d' Allemagne. Mém. lu è l’Acad. de Médecine le 28 mai 1848, in-8°, p. 7). (2) On the Composition of Sea- Water in the different parts of the Ocean, in * Phil. Trans. ,, 1865, t. 155, pag. 203-262. Questa Memoria riguarda specialmente la composizione chimica dell’acqua dei diversi mari. Le prime ricerche del Forchhammer sull’acqua del mare risalgono al 1847. (3) Analyse de Veau du Bosphore, prise à Bujuk-Déré pròs Vembouehure de la mer. È €. R. ,, 1855, t.41, p. 582. (4) Cuivre dans les eaux des mers de tous les d@ges, et concentration de ce métal dans certains de leurs dépots, in © A. Ch. ,, 1879 (5), vol. XVII, pag. 259. Il Dieulafait dà troppa poca importanza al lavoro, precedente al suo, di Malaguti, Durocher e Sarzeaud. Egli, ad esempio, ha trovato, pare, 0.000.001 gr. % di rame nell'acqua del mare, affermando che Malaguti, Durocher e Sarzeaud non l’avevano trovato direttamente nell’acqua. Non è esatto; Malaguti, Durocher e Sarzeaud trovarono il rame tanto nell'acqua quanto nel sale che se ne separa. (5) Vol. I (1885), Physies and Chemistry. La parte chimica occupa le prime 250 pagine in-4°. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MA'VEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 5) nel 1691, egli fece delle nuove osservazioni. Ma più importanti ancora sono i suoi studi fatti nel mare Mediterraneo e specialmente nel golfo di Lione. Il conte Marsigli viveva a Bologna nel tempo in cui fioriva in quella città il Gugliel- mini, il quale scrisse opere immortali sulle acque e sui sali. To penso che il contatto col Guglielmini deve avere avuto influenza non lieve sulla mente del Marsigli. Il conte Luigi Ferdinando Marsigli alla fine del secolo XVII ed al principio del XVIII fu colui che gettò le basi della oceanografia, e molto rettamente ciò afferma CHÙarLEs NorpmANN in un recente suo lavoro: Quelques recherches récentes sur lVOcéanographie. Il Nordmann scrive (1): “Il a fallu arriver jusqu'è ces dernières années pour que l’océanographie fùt rangée au nombre des sciences et se cristallisàt en un corps de doctrine homogène K n° “ A vrai dire, dès le XVII° siècle, un homme de genie, l’italien Marsigli en avait posé “ les bases essentielles, mais, trop en avance sur son temps, il fut incompris et vite oublié ,. Non è mio proposito di scrivere nemmeno un brano di storia dell’oceanografia; io debbo limitarmi alla importanza dei lavori chimici fatti in relazione all’oceanografia. Che Leonardo da Vinci, Botero ed altri abbiano scritto intorno al mare, si sa, e nel caso mio ora ha poca importanza; sino ad un certo punto anche la parte chimica e fisica del Biringucci in quanto riguarda l’acqua del mare ed i depositi salini non ha una straordinaria importanza. L'opera del Marsigli invece, tanto sotto l'aspetto delle idee generali, quanto della parte sperimentale e di osservazione ha la massima importanza. E, sotto questo riguardo, potrebbe dirsi il vero fondatore dell’oceanografia; ma egli ha avanti di sè Colombo. Diciamo dunque uno dei fondatori dell’oceanografia. Il Thoulet (2) afferma che “les Américains sont les créateurs de l’océanographie. “ Dès 1775 Franklin, guidé par des renseignements obtenus du capitaine baleinier Folger, « prouvait l’existence d’un courant remontant du sud au nord des còtes orientales de l’Amé- “ rique septentrionelle, etc.; , e più avanti: “ Si Jes Américains ont fondé cette science il (1) È Revue des Deux Mondes ,, 1913, XVII, pag. 218. Io avevo già terminato questa mia Memoria (ottobre 1914) quando venni a conoscere uno scritto: L’oceanografia nel volume Scritti geografici pubblicati per le onoranze a Giuseppe Dalla Vedova (Novara, Roma, 1914, pag. 333). Il Dalla Vedova, in una Memoria letta al Congresso della Società Italiana pel Progresso delle Scienze del 1910, accenna all'importanza del- l’opera del MarsicLi, Histoire physique de la Mer, sotto l’aspetto dell’oceanografia; egli preferisce scrivere Marsilli anzichè Marsigli perchè le due opere Histoire physique de la Mer e Brieve ristretto, ecc. sono firmate Marsilli. Ma gli storici dell'Istituto di Bologna scrivono Marsigli; sotto al ritratto che adorna la sala del- l’Istituto delle Scienze di Bologna, ecc. sta scritto Marsigli. To preferisco attenermi a quest’ultima forma che mi sembra più italiana. Forse Muarsilli è un francesismo o una forma latina corrotta; il Marsigli ha seritto molto in francese e in latino. Nell’opera Intorno al Bosforo Tracio in principio sta scritto Marsili ed alla fine è firmato Marsilij. Dunque? Credo sia meglio mantenere Marsigli, che è il nome dell’antico casato bolognese e adottato da tutti gli scrittori. Ma inoltre io posso aggiungere un’altra prova del mio asserto ed è che il Marsigli, nel manifesto riguardante il suo processo per la destituzione in causa della resa di Brisach, si firmava Lowis Ferdinand Marsigli, nel 1703-1704; in tutti questi documenti riguardanti il processo e la sua difesa, è sempre seritto Marsigli (vedi Quincy, Mémoires sur la vie du Comte de Marsigli, Zurich, 1741, vol. I, p. cxv dell’appendice). Si noti poi che anche gli antenati, molti dei quali furono senatori della repubblica di Bologna (1465-1480), sì chiamavano Marsigli e non Marsili. In Toscana vi era una famiglia Marsili, della quale è conosciuto un naturalista, ma di poco valore, che fu membro dell’Accademia del Cimento. (2) Océanographie (statique), 1890, pag. 18. Forse il Thoulet quando scrisse il suo Trattato di Oceanografia non conosceva bene l’opera scientifica del Marsigli, perchè nel 1897 pubblicava un articolo: Un des fondateurs de VP Vcéanographie nella “ Rev. Scient. ,, 1897, t. VIII, p. 802, ove considera il Marsigli come fondatore della oceanografia. — Scrisse intorno al Marsigli anche il Wissmiiller: Der Geograph Luigi Ferd. Graf Marsigli, Dissert. Nòrnberg, 1900; opera questa che io non ho potuto vedere. 6 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA “ n'ont pas concentré leurs efforts vers ce but unique..... ,. Ciò mi pare esagerato e non esatto, perchè già prima del 1775 dei naturalisti, dei viaggiatori, ecc. avevano compiuto delle ricerche sul mare, sulle correnti marine ed altre questioni che interessano l’oceano- grafia. A dir vero, non si dovrebbe mai, se non in casì eccezionali, molto rari, affermare che un uomo abbia fondato o creato una scienza. Nel caso attuale Marsigli va ben posto innanzi ad altri. Del resto, giustamente, si potrebbe asserire che l’oceanografia scientifica comincia con Colombo, sia per la scoperta di nuovi mari, sia per le correnti marine, ecc. L. Figuier nel suo libro: La terre et les mers ou Description physique du globe, Paris 1866, scriveva nella introduzione (pag. 4): «“ L’horizon des anciens géographes, d’abord restreint au cercle le plus étroit, s'est peu “à peu developpé, à mesure que ces tirailleurs de la science, qu'on appelle les voyageurs, “ pénétraient plus avant dans des régions inconnues; à mesure que les Ptolémées et les “ Strabons révélaient à leurs contemporains surpris l’étendue et les splendeurs de terres “ ignorées. Le jour où l’équipage de l’immortel Génois, Christophe Colomb, salua de ses cris “ de reconnaissance et de joie le còtes brumeuses du nouveau monde, la géographie brisa “ ses lisières et jeta ses souliers d’enfant; une vie nouvelle commenga pour la science, comme aussi pour l’humanité ,. Ma più ampiamente, e con più competenza, ne discorre l’Humboldt : “Je me permettrai de compléter le tableau, scrive Humboldt (1), en m’arrétant quelques instants aux traits individuels du héros, en signalant spécialement à l’admiration des savants cet esprit d’observation, ces grandes vues de géographie physique que révèlent les écrits de Colomb.....; la configuration des terres, l’aspect de la végetation, les moeurs “des animaux, la distribution de la chaleur, selon l’influence de la longitude, les courans “ pélagiques, les variations du magnétisme terrestre, rien n’échappait è sa sagacite........ Ho “ Ces vues sur la géographie physique embrassent: 1) l’influence qu’exerce la longitude sur la déclination de l’aiguille; 2) l’inflexion qu’éprouvent les lignes isothermes en pour- suivant le tracé des courbes depuis les còtes occidentales d’Europe jusqu'aux còtes orien- “ tales d'Amérique; 3) la position du grand banc de Sargasso dans le bassin de l’Océan “ Atlantique, et les rapports qu’offre cette position avec le climat de la portion de l’atmo- sphère qui repose sur l’Océan; 4) la direction du courant général des mers tropicales; “ 5) la configuration des îles et les causes géologiques qui paraissent avoir influé sur cette “ configuration dans la Mer des Antilles ,. E più avanti (pag. 99): “ Le grand courant général de l’est è l’ouest qui règne entre les tropiques et que l’on désigne souvent par les noms de courant équinozial et de rotation, “ ne pouvait échapper à la sagacité de Colomb. Il est probablement le premier qui l’ait “ observé, les navigations qu'on exécuta avant lui dans l’Atlantique s’éloignant très peu des “ cotes, etec..... si E questa non è oceanografia? Humboldt continua poi a ricordare altre ricerche di Colombo sulla direzione e la forza delle correnti marine, sulle isole, ecc. A. v. Humboldt è stato colui che con maggiore autorità scientifica ha fatto conoscere i grandi meriti di Colombo, specialmente sotto l’aspetto della geografia e della geofisica, » ES x (1) Examen critique de Vhistoire de la Géographie du nouveau Continent, ete., vol. III, pagg. 13, 21, 28 e 99. Questa magnifica opera in 5 vol. in-8°, 1836-1839, è, può dirsi, un inno sublime a Colombo, ed è monumento di una straordinaria erudizione, anche per le numerose notizie di chimica. Molte notizie intorno alle prime osservazioni che riguardano l’oceanografia furono fornite da Pietro Martire d’Anghiera (o meglio d’Angera), nato nel 1455 ad Arona sul Lago Maggiore e morto nel 1526. Egli scrisse il primo libro intorno alla scoperta dell'America: De rebus Oceanicis et de orbe novo, 1516, e più volte ristampato. Quest'opera di Pietro Martire contiene molte notizie sui viaggi di Colombo e sulle prime scoperte fatte in America. Mt - MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. ( “ Colombo, egli scriveva, è stato l’uomo la cui opera ha avuto più importanza nell’avvenire “ della umanità ,. x “ Les évenements qui appartiennent è un petit groupe de six années (1492-1498) ont “ determiné pour ainsi dire le partage du pouvoir sur la terre. Dèslors le pouvoir de l’in- “ telligence, géographiquement limité, restreint dans des bornes étroites, a pu prendre un “ libre essor; il a trouvé un moyen rapide d’étendre, d’entretenir, de perpétuer son action , (1). Si è tentato, anche recentemente, da qualche storico della geografia di oscurare i grandi meriti di Colombo; ma sono punture che hanno poco valore. Già l’Humboldt scriveva: “ in “ tutti i secoli, in tutti i periodi di civiltà, la gelosia nazionale tentò di oscurare lo splen- « dore di nomi famosi ,. Colombo primeggia fra coloro che debbono essere riguardati come i fondatori dell’ocea- nografia ed io accetto ben volentieri il parere espresso dall’Hugues (2) il quale nel 1875 scriveva: “ Come in molte altre sezioni della geografia fisica generale, così anche in quella che “ si riferisce alla teoria delle correnti marine ci si presentano per prime, in ordine all’im- “ portanza, le osservazioni di Cristoforo Colombo ,. Nè si può dimenticare Sebastiano Caboto. Il Thoulet ricorda a pag. 281 della sua opera: Octanographie (statique), Paris, 1890, il nostro Marsigli, colle parole seguenti : “ Dès 1720, le comte Marsigli étudiait dans le golfe de Lyon les variations de la tem- “ pérature en profondeur et cherchait è vérifier l’opinion d’Aristote qui avait affirmé que “la mer était plus chaude è la surface que dans ses couches profondes ,. Questo mi pare proprio troppo poco! Secondo le affermazioni del Thoulet prima del comandante Cialdi della ex-marina pontificia e del capitano Magnaghi (1881), gli Italiani non avrebbero fatto nulla di importante relativamente all’oceanografia. È una affermazione molto azzardata e che può facilmente essere dimostrata erronea (3). Ma egli stesso corresse questo suo giudizio nello scritto del 1897 sul Marsigli. Prima di discorrere del nostro Marsigli ho creduto necessario premettere queste poche notizie sull’oceanografia benchè si allontanino dal campo della chimica. Anche se avessi ricordato le ricerche di Cardano, di Biringueci, di Botero, ecc. la parte chimica riguardante il mare avrebbe avuto poca importanza. Ai tempi del Marsigli tutto rimaneva da fare, ed egli, vedremo, ha fatto molto. Allora non vi erano ancora i metodi moderni (4) di analisi delle acque del mare, ma il concetto vi era; Marsigli determinò la temperatura in varie condizioni, il peso specifico, analizzava la salsedine a varie profondità, ecc. Che Colombo, Pietro Martire d’Angera, Bi- ringucci, Giov. Botero ed altri abbiano contribuito a stabilire le basi dell’oceanografia non vi ha dubbio, ma sotto l'aspetto scientifico più moderno delle scienze naturali, è al Marsigli che si debbono i primi, e più estesi e profondi, studi sul mare. Non solo egli esaminò l’acqua del mare dal lato chimico e dal lato fisico, ma considerò il mare nel suo complesso, per le correnti, la temperatura, ecc. e per gli esseri che in esso vivono. Sotto molti riguardi a me parve utile e doveroso un lavoro un po’ complessivo intorno al Marsigli allo scopo di metterlo, come suol dirsi, nel suo vero posto scientifico quale egli merita. (1) Ezamen critique, ete., vol. IV, pag. 21. (2) Ing. Lvicr Hueves, La corrente del Golfo e la sua estensione nel bacino polare Artico. È Pubbl. del Circolo Geogr. Ital. ,, 1875, IV, n. L (3) Ex. pe Marronwe nel suo Traité de Géographie physique, Paris, 1913, pag. 359, scrive intorno al Marsigli solamente queste poche parole: “ La fin du XVII siècle vit les premières expériences de Marsigli dans la Méditerranée ,. (4) Quali sono accennati, ad esempio, nel “ Bulletin du Musée océanographique , de Monaco, 1904. (0.0) ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA Luigi Ferdinando Marsigli e la sua opera scientifica. Per molti e molti anni, il nome del Marsigli fu, può dirsi, quasi dimenticato; i nostri vecchi trattatisti di geologia o di geografia fisica non ricordavano la sua opera scientifica tanto importante. Anche il nostro illustre geologo Giuseppe Meneghini nelle sue Lezioni di geografia fisica (1) non ricorda mai il Marsigli. Così può dirsi di scrittori italiani anche re- centi (2). Dobbiamo essere giusti e riconoscere che, oltre al Thoulet, sono stati i geologi e oceanografi tedeschi fra i primi a far apprezzare le ricerche scientifiche del Marsigli e fra tutti mi piace qui rammentare a titolo d'onore specialmente Siegmund Giinther e Kriimmel. Il Giinther in particolar modo nella sua magnifica opera: Handbuch d. Geophysik, 1899, 2 voll. in-8° ricorda spesse volte le ricerche del Marsigli: sulle correnti marine, sulla temperatura dell’acqua del mare, sul corallo, ecc. A pag. 376 del vol. II discorrendo delle opere di Mar- sigli: Osservazioni intorno al Bosforo Tracio, Roma, 1701, e Brieve ristretto del saggio fisico intorno alla storia del mare, Bologna, 1711, afferma che sono opere importanti le quali per lungo tempo e con grande ingiustizia erano state dimenticate (mit grossen Unrecht lange Zeit vergessen geblieben). Il conte Luicr FerpinANDO MaARSIGLI, naturalista, geografo, ingegnere, nacque in Bologna il 10 luglio 1658 da ricca e nobile famiglia ed ivi morì il 1° novembre 1730. Studiò le ma- tematiche, l'anatomia, la botanica e le scienze naturali in genere. Ebbe a suoi maestri il Morgagni nell’anatomia, Malpighi nella botanica e storia naturale, Montanari nelle mate- matiche. Nel 1677, giovanissimo, si portò a Napoli, visitò il Vesuvio e dintorni, e poco dopo inviò una descrizione di tutto ciò che aveva visto, al suo maestro Montanari; poco dopo andò anche a Firenze e studiò nella biblioteca del Magliabechi, poi a Livorno ove imparò le pratiche del commercio e le leggi della marina. Nel1678 circa seguì il suo maestro Monta- nari quando fu nominato professore di astronomia a Padova; là studiò anatomia sotto il Pighi, sezionò dei cadaveri e mandò un riassunto delle lezioni al Malpighi. Nel 1679 si recò a Venezia. Esperto assai nelle scienze naturali, era amante dei viaggi e già nel 1679 fece un viaggio a Costantinopoli e ne scrisse una bellissima relazione nel 1681. Tornato da Costan- tinopoli nel 1680 scrisse il suo Trattatello sul Bosforo, del quale parlerò in seguito ed anche un altro libro: Dell’incremento e decremento dell’Imperio ottomano, stampato ad Amsterdam (8), con traduzione francese. Esperto anche nell’ingegneria, specialmente militare, fu, ancora assai giovane, ingegnere militare, prima come capitano, poi come colonnello e generale al servizio dell'Austria nelle guerre contro i Turchi. Il Fontenelle, il primo segretario perpetuo dell’Aca- démie des sciences de Paris, che ne scrisse 1 Éloge historique, così parla del Marsigli (4): “ Il revint de Constantinople dès l’an 1680, et peu de tems après, lorsque les Tures “ menagoient d’une irruption en Hongrie, il alla è Vienne offrir ses services è l’empereur “ Léopold, qui les accepta. Il lui fut aisé de prouver combien il étoit au-dessu d'un simple (1) G. MeneGHRINI, Lezioni orali di Geografia fisica, Pisa, 1853. (2) Per ricordare un solo esempio (e per non dire che dei morti): l’Hueves, Oceanografia, Torino, 1901. (3) L’Etat militaire de Vempire Ottoman, ses progrès et sa décadence, Amsterdam et. la Haye, 1732, in fol. La edizione è a due colonne, nelle due lingue, italiana e francese. Inoltre fu pubblicato col titolo: Lo Stato militare Ottomano, ecc. Petersburgo, 1737, in-4°, con fig. Traduzione russa. (4) FonrenELLE, @uvres, ediz. del 1790, vol. VII, pag. 374. TRE MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 10. 9 soldat, par son intelligence dans les fortifications et dans toute la science de la guerre. Il fit, avec une grande approbation des généraux, des lignes et des travaux sur le Rab, pour arréter les Turcs; et il en fut réecompensé par une compagnie d’infanterie en 1683, quand les ennemis parurent pour passer cette rivière. Ce fut là qu’après une action assez vive, il tomba blessé et presque mourant entre les mains des Tartares, le 2 juillet, jour de la Visitation. Ce n'est pas sans raison que nous ajoutons le nom de cette fete è la date du jour. Il a fait de sa captivité une relation, où il a bien senti que l’art n’étoit point nécessaire pour la rendre touchante. Le sabre toujours levé sur sa téte, la mort toujours présente è ses yeux, des traitements plus que barbares, qui étoient une mort de “ tous les momens, feront frémir les plus impitoyables; et l’on aura seulement de la peine “à concevoir comment sa jeunesse, sa bonne constitution, son courage, la résignation la plus “ chrétienne, ont pu résister è une si affreuse situation. Il se crut heureux d’étre acheté par deux Turcs, frères et très-pauvres, avec qui il souffrit encore beaucoup, mais plus par leur misère que par leur cruauté; il comptoit qu'ils lui avoient sauvé la vie. Ces maîtres, si doux, le faisoient enchainer toutes les nuits à un pieu planté au milieu de leur chétive “ cabane, et un troisième Turc, qui vivoit avec eux, étoit chargé de ce soin ,. Trovato il mezzo di dare sue notizie ai parenti in Italia fu liberato il 25 marzo 1686. Tornato a Bologna fu accolto con gran festa; era stato creduto morto. Tornò in Austria; fu incaricato di fortificare Strigonia, si applicò ai lavori per l’assedio di Buda; prese parte alla costruzione di un ponte sul Danubio e con ciò ebbe occasione di osservare le rovine di un antico ponte romano costruito da Traiano sul Danubio. Nel 1689 fu nominato colonnello e nello stesso anno fu inviato in missione speciale presso i papi Innocenzo XI e Alessandro VIII. Fatta la pace fu nominato fra coloro che ne dovevano stabilire le condizioni e stabilire i confini del territorio. In questo frattempo ritrovò quei due poveri Turchi che l’avevano libe- rato dai tartari e li beneficò. Ma poco dopo fu rinnovata la guerra contro la Turchia ed il Marsigli riprese il suo posto. Egli durante le guerre contro i Turchi volle in tutti i momenti che erano possibili oc- cuparsi di storia naturale e studiava i paesi nei quali era obbligato a soggiornare. Il Fon- tenelle nel suo Eloge historique scrive (1): “ Les différentes opérations d’une guerre très vive, suivie de toutes celles qui furent né- cessaires pour un règlement de limites, devoient suffire pour occuper un homme tout entier. Cependant au milieu de tant de tumulte, d’agitation, de fatigues, de périls, Marsigli fit presque tout ce qu’auroit pu faire un savant qui auroit voyagé tranquillement pour acquérir des connoissances. Les armes è la main, il levoit des plans, déterminoit des po- sitions par les méthodes astronomiques, mesuroit la vitesse des rivières, étudioit les fossiles de chaque pays, les mines, les métaux, les ociseaux, les poissons, tout ce qui pouvoit mé- riter les regards d'un homme qui sait où il les faut porter. Il alloit jusqu' è faire des épreuves chymiques et des anatomies. Le temp bien ménagé est beaucoup plus long que n'ima- ginent cenx qui ne savent guère que le perdre. Le métier de la guerre a des vuides fré- quens, et quelque fois considérables, abandonnés ou è un oisiveté entière, ou è des plaisirs qu'on se rend témoignage d’avoir bien mérités. Ces vuides n’en étoient point pour le comte Marsigli; il les donnoit è un autre métier presque aussi noble, è celui de philosophe et d’observateur, il les remplissoit comme auroit fait Xenophon. Il amassa un grand recueil, non seulement d’écrits, de plans, de cartes, mais encore de curiosités d’histoire naturelle ,. Riaccesasi la guerra per la successione di Spagna nel 1701, dopo varie vicende avvenne & “ K « “ » n » (1) Loc. cit., pag. 378. Bi 10 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA la capitolazione della fortezza di Breisach in Alsazia il 6 settembre 1703; la piazzaforte era comandata dal conte d'Arco ed in sott'ordine dal generale Marsigli, che era già perve- nuto al grado di generale di battaglia. Tanto il D'Arco quanto il Marsigli furono ingiusta- mente destituiti, perchè si affermava che la fortezza avrebbe potuto resistere ancora al ne- mico. Del resto il Marsigli aveva obbedito al suo superiore. Egli si adoprò in ogni modo per far sì che il processo di condanna fosse riveduto, rifatto, affinchè si riconoscesse la sua in- nocenza; ma tutto fu inutile. Le potenze stesse alleate dell’imperatore riconobbero l’ingiu- stizia della condanna del Marsigli, e l'Olanda particolarmente permise che delle testimonianze di omaggio fossero rese pubblicamente al Marsigli; così pure era a lui favorevole il mare- sciallo Vauban. Ma tutto fu inutile, il processo non fu rifatto. Il Marsigli allora abbandonò affatto la milizia e dedicò tutto se stesso, tutto il suo grande ingegno agli studi. E questo fu un gran bene per la scienza. Durante il servizio militare egli utilizzava il tempo ne’ suoi viaggi per esaminare lo stato del paese che attraversava, e l’esaminava quale naturalista; determinava l’altitudine, levava dei piani, determinava le posizioni con metodi geodetici, misurava la velocità de’ fiumi ed in ogni luogo raccoglieva ed esaminava i minerali, i ve- getali e gli animali. Il Danubio specialmente e la sua valle furono ben illustrati la prima volta dal nostro Marsigli. Nei suoi viaggi posteriori in Francia, Svizzera, Inghilterra continuò ie osservazioni natu- rali come aveva fatto nel Danubio. Andò a Parigi, percorse la Francia e si recò a Marsiglia verso il 1705. Nel 1709 da Marsiglia fu chiamato a Roma dal papa Clemente XI per orga- nizzare delle truppe. Il Papa voleva trattenerlo a Roma più a lungo, ma egli volle tornare a Marsiglia per riprendervi le sue ricerche; nel 1710 inviò all'Accademia una magnifica relazione (V. Histoire de l’Académie des Sciences, 1710, pag. 23-48, 49) con la scoperta dei fiori di corallo; questa è l’opera che poi ampliata fu stampata ad Amsterdam nel 1725 col titolo: Histoîre physique de la mer. Quest'opera fu pubblicata a spese dell’ “ Académie des sciences de Paris ,, della quale egli era socio straniero (associé étranger) sino dal 1715 (1). Era anche membro della Royal Society di Londra. Il Marsigli viveva a Bologna in quel periodo di circa cin- quant’anni, dal 1680 al 1730, in cui in quella Università fiorivano in modo straordinario gli studi specialmente delle scienze matematiche e naturali e mediche. In quel tempo a Bologna si iniziava coll’ Accademia filosofica sperimentale, in casa del Marsigli, la fondazione dell’Isti- tuto delle Scienze. Quale professore di astronomia il celebre Gian Domenico Cassini nel 1650 sostituì il Cavalieri e nel 1669 quando il Cassini fu chiamato in Francia da Luigi XIV, lasciò il posto al Montanari e dopo questi tenne la cattedra di matematica e di astronomia Eustacchio Manfredi. Viveva pure in quel tempo Fr. Stancari. A Bologna le scienze mate- matiche e fisiche erano dunque coltivate con onore in quel mezzo secolo che va dal 1640 al 1700. Florido era pure lo studio delle Scienze Naturali e della medicina quando sì pensi che contemporanei del Marsigli a Bologna erano Domenico Guglielmini, che gettò le basi della cristallografia e celebre anche per i suoi lavori di idraulica (2), Marcello Malpighi, anatomico e fisiologo di primo ordine; discepolo del Malpighi fu Antonio Maria Valsalva (1666-1723), celebre anatomico, il quale insegnò medicina e anatomia in Bologna e insieme (1) A quei tempi furono molti gli italiani nominati Associé éranger de l’Académie des Sciences de Paris: ricorderò: Guglielmini nel 1685 fu il primo — Viviani, 1699 — Poli, 1703 — Bianchini, 1705 — Marsigli, 1715 — Manfredi, 1726 — Morgagni, 1731 — Poleni, 1789 — Lagrangia, 1772. Invece in tutto il secolo XIX solamente tre: Volta, Plana, G. Schiaparelli. (2) I. GuarescHI, Domenico Guglielmini e la sua opera scientifica, con brevi cenni intorno allo stato della Scienza e particolarmente della chimica nella seconda metà del secolo XVII, “ Supplem. Ann. all’Enciclop. di Chim. ,, 1904, vol. XXX, pag. 400. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. Il all’Alberti fu il maestro del Morgagni. Era dunque un ambiente scientifico bellissimo, nel quale doveva svilupparsi l'ingegno del giovane Marsigli avido di sapere. Meno florido era lo stato della Chimica nella Università di Bologna; allora non vi era un insegnamento regolare della chimica; viveva però J. Bart. Beccari (n. 1682) il quale si de- dicò alla medicina ed alla chimica, e incominciò a pubblicare qualche ricerca nel 1704. Il Marsigli divenne amicissimo del Beccari e tra loro si comunicavano le nozioni chimiche di quel tempo. Il Marsigli dal 1681 al 1730 pubblicò delle opere, anche voluminose, e di grande valore scientifico (1). Egli, come già dissi, ebbe il grande merito ed onore di aver fondato 1’Isti- tuto e l’Accademia delle Scienze di Bologna. Il palazzo della famiglia Marsigli sino dal 1690 divenne il luogo di ritrovo dei dotti sovraricordati e di molti altri, i quali a piacer loro leggevano libri nella ricca biblioteca privata, facevano esperimenti e coltivavano la storia naturale. La sera e la notte avanzata donavasi alle osservazioni astronomiche, e questo privato albergo oramai non aveva più che invidiare alle pubbliche scuole ed accademie (Bolletti). Reduce dai suoi viaggi il Marsigli aveva raccolto nella sua casa dei telescopi, dei micro- scopi, delle calamiti, quadranti, termometri, minerali e pietre diverse, sali, macchine ed istrumenti vari, ecc. che interessavano la chimica, la fisica, la storia naturale, l’architettura militare. Nel 1709 pensò di fare di tutto ciò dono al Senato di Bologna; il 18 maggio 1711 il Senato approvò i capitoli della donazione e l’ 11 gennaio 1712 ne seguì la pubblica e solenne funzione della donazione. Così il Marsigli fondava la nuova Accademia, alla quale fu assegnato dal Senato Bolognese il palazzo, probabilmente acquistato coi fondi del Marsigli, che ora è il Palazzo dell’Università. Ivi furono collocati tutti gli oggetti donati dal Marsigli. Ma io non voglio entrare in minuti particolari della vita del Marsigli, non essendo questo lo scopo principale di questo lavoro. Nel 1714-1715 l’Istituto fu aperto e si incominciarono le regolari sedute accademiche e nel 1731 si pubblicò il primo volume degli Atti dell’Accademia, che portano il celebre titolo: De Bononiensi Scientiarum et Artium Instituto atque Academia Commentarii, Bonon., in-4°; nel 1745-47 uscì il vol. 2° (P. I, 1745; P. II, 1746; P. II, 1747), nel 1755 il terzo, nel 1757 il quarto e nel 1767 il quinto, e così successivamente. In questi volumi si trovano dei lavori del Marsigli stesso, del Beccari, di Menghini, di Galeazzi, ecc. Nel Gmelin, Geschichte d. Chem., 1798, vol. II, p. 438-439 si trovano accennate le fonti seguenti, che io riproduco per chi desidera avere più ampi particolari sulle origini dell’/sti- tuto di Bologna. “ Journal des Savants ,, sept. 1715 e “ Journal des savants d’Italie ,, Amsterdam, 8°, vol. I, 1748. Notizie intorno all'Istituto delle Scienze nuovamente eretto in Bologna ed aperto li 13 marzo 1714. Pellegr. Ant. Orland., Notizie degli scrittori, Bologna, 1714, in-4°. De Limiers, Histoire de l' Académie appellée l'Institut des Sciences et Arts établi ù Boulogne en 1712. Avec les pièces autentiques, d’où l’on a tiré les circonstances de ce Recit. A Am- sterdam, 1723, in-8°. Atti legali per la fondazione dell’ Instituto delle Scienze ed Arti liberali in Bologna, 1728, in fol. Gius. Gaet. Bolletti, Dell’origine e dei progressi dell’Instituto delle Scienze di Bologna e di tutte le Accademie ad esso unite, con la descrizione delle più notabili cose, che ad uso del (1) Del Marsigli io feci un breve cenno nella mia opera La Chimica in Italia dal 1750 al 1800, parte I, pag. 367. 12 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA mondo letterario nello stesso Instituto si conservano, operetta in grazia degli eruditi com- pilata, Bologna, 1751, in-8°. Notizie dell'origine e progressi dell’Instituto delle Scienze di Bologna e sue Accademie, con la Descrizione di tutto ciò che nel medesimo conservasi; nuovamente compilate e in questa forma ridotte per ordine e commandamento degli illustrissimi ed eccelsi signori Senatori dello stesso Instituto Prefett., Bologna, 1780, in-8°. G. Leske, Abhandlungen zur Naturgeschichte, Chemie, Anatomie, Medicin und Physik, aus den Schriften des Instituts der Kiinste und Wissenschaften zu Bologna, Brandenburg, 8°, B. I, 1781; II (welcher die vier folgende Binde in sich fast), 1782. Per dare una idea della grandiosa munificenza del Marsigli con questo dono, basti no- minare i diversi capitoli delle Notizie dell'origine e progressi dell'Istituto, ecc. 1780 sopra citato : Cap. I. Origine dell’Istituto; II. Stabilimento dell’Istituto; III. Unione all’ Istituto delli due musei Aldrovandi e Cospi; IV. Accademia dei pittori, scultori ed architetti; V. Accademia delle Scienze dell’Instituto; VI. Palazzo dell’Instituto; VII. Stamperia; VIII. Atrio e Cappella; IX. Residenza de’ Senatori Assunti; X. Residenza degli Accademici Clementini; XI. Oste- tricia; XII. Chimica; XIII. Galleria delle statue; XIV. Antichità; XV. Sala superiore; XVI. Fi- sica; XVII. Notomia; XVIII. Storia naturale; XIX. Geografia e Nautica; XX. Arte militare ; XXI. Libreria; XXI. Diottrica; XXHI. Specola; XXIV. Professori e loro esercizi; XXV. Se- natori presidenti e loro Ministri. All’Istituto mancavano ancora molti oggetti di storia naturale, specialmente dell’India, ed il Marsigli andò a provvederne in Inghilterra e nell’Olanda. Da Livorno andò a Londra e di qui ad Amsterdam; fu in questa città celebre per opere librarie che pubblicò la sua famosa opera sul Danubio, alla Haye nel 1726 in 6 grossi magnifici volumi. Anche di questi nuovi acquisti fece donazione a Bologna nel 1727. Nel 1722 fece un viaggio a Londra e fece visita al Newton, che lo accolse molto bene- volmente. Da Londra passò in Olanda ove strinse amicizia col Boerhaave, al quale fece conoscere la sua Storia del Mare ed il Boerhaave volle farla tradurre in francese e pubbli- carla in Amsterdam nel 1725. Tornato il Marsigli in Italia e ridotto, anche per la eccessiva sua beneficenza, a non essere più ricco, si ritirò, sotto il finto nome di conte d'Aquino, nella sua stanza di Cassis, ove tranquillo riprese i suoi studi sul mare. Dopo tanto lavoro e dispiaceri famigliari il Marsigli sentì avvicinarsi la fine della sua vita: ed il Fontenelle termina il suo Hloge Wistorique colle parole seguenti: “ Mais il eut en 1729 une légère attaque d’apoplexie, et les médecins le renvoyèrent “dans l’air natal. Il ne fit qu'y languir jusqu'au 1 nov. 1730, qu’une seconde attaque l’em- “ porta. Tout Bologne fit parfaitement son devoir pour un pareil citoyen, qui, à l’exemple “ des anciens Romains, avait uni en méme degré les lettres et les armes, et donné tant de “ preuves d’un amour singulier pour sa patrie , (FontenELLE, Euvres, t. VII, pag. 389). Del Marsigli scrisse la vita anche il Fabroni: Vita Aloyst Ferdinandi Marsili in Vitae Italorum, ece., Pisa, vol. V. Ma il letterato Fabroni non era naturalista e non poteva ap- prezzare la grandiosa opera scientitica del Marsigli. Per la vita del Marsigli, oltre ai soliti Dizionari biografici e alle solite opere di storia letteraria, quali quelle del Tiraboschi, del Corniani ed oltre a quanto ne hanno scritto il Fontenelle ed il Fabroni, è assai interessante l’opera di L. D. Quinov, Mémowres sur la vie de M° le Comte de Marsigli, Zuric, 1741, 2 vol. in-12°. Il Quincy descrive minutamente la vita del Marsigli specialmente quando era militare al servizio dell'Austria. Come appendice il Quincy riproduce il: Manifeste du Comte de Marsigli touchant l'affaire de Brissac, a cui fa seguito: Objections d'un anonyme au manifeste de M° le Comte Marsigli. In risposta il Marsigli scrisse: Réponses et confutations des objections de l’anonyme article par article par le Comte Marsigli. e: MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 18 La biografia del Marsigli scritta da G. B. Baseggio nel Tipaldo Biogr. degli Italiani illustri ecc., vol. VIII, 1841, è in gran parte compilata sul libro del Quincy e del Fantuzzi. Il Fantuzzi scrisse una estesa Biografia (1770) del Marsigli (Scrittori Bolognesi ecc.), ma della importanza delle opere, che, secondo me, è la parte principale, tanto il Quincy come il Fantuzzi discorrono imperfettamente. Il Fantuzzi descrive a lungo le imprese militari del Marsigli. Nella biblioteca Universitaria di Bologna esiste l'autobiografia del Marsigli, che si con- serva fra i manoscritti da lui donati all'Istituto. Le tre principali opere del Marsigli sono: I. Osservazioni intorno al Bosforo Tracio overo Canale di Costantinopoli. Roma, 1681, e dedicato in forma di lettera a Maria Cristina di Svezia. Di questa opera da alcuni autori si cita anche una edizione Roma, 1701, che io però non ho potuto vedere. Il. Histoire physique de la Mer. Ouvrage enrichit de figures dessinées d’après le naturel. Amsterdam, 1725, 1 vol. in folio con numerose figure e tavole. Opera magnifica, e un rias- sunto di questo, pubblicato prima, col titolo: Brieve ristretto del Saggio fisico intorno alla storia del Mare. Venezia, 1711. II Danubius Pannonico-Mysicus, Observationibus Geographicis, Astronomicis, Hydro- graphicis, Historicis, Physicis perlustratus, et in sex Tomos digestus ab Aloysio Ferd. Com. Marsili. Hagae Comitum et Amsterdam, MDCCXXVI. Sono sei grossi volumi in folio grande. È una opera magnifica e straordinariamente bella, ricca di bei disegni, di carte geografiche e topografiche; tutto inciso stupendamente. Questa opera sul Danubio, scritta in latino, fu poi tradotta in francese, la Haye, 1744, in tomi 6, in-fol. Prima di quest'opera grandiosa sul Danubio aveva già fatto conoscere il Prodromus operis Danubialis ad Regiam Societatem Anglicanam. Norimbergae, 1700, in-fol. Io dirò in breve qualche cosa solamente di queste opere, in quanto hanno relazione colla chimica; perchè, come. dissi in altro mio studio, a quei tempi la chimica, o almeno alcune cognizioni di chimica, si annidavano anche in'opere che apparentemente quasi nessuna rela- zione hanno con questa scienza. Allora il naturalista, il medico, l'ingegnere, ecc., facevano non poche osservazioni o scoperte che interessavano la chimica. È assai probabile che alcuni di coloro i quali hanno ricordato queste opere del Marsigli non le abbiano mai lette; perchè se le avessero lette ed esaminate non avrebbero dato su di esse dei giudizi molto superficiali. Le principali osservazioni del Marsigli nel Mare Mediterraneo sono state fatte negli anni 1705 al 1707; ben anteriori dunque al 1720. Fra le cose importanti riguardanti il Marsigli bisognerebbe raccogliere tutte le sue let- tere sparse qua elà; come, a cagion d'esempio, quella all’abate Bignon sui fiorî del corallo, nel “ Supplem. du Journ. des Savants ,, 1707. I. — Osservazioni intorno al Bosforo Tracio overo Canale di Costantinopoli. Sotto l'aspetto della oceanografia, ed anche della chimica del mare, è interessante questo suo primo lavoro: Osservazioni intorno al Bosforo Tracio overo Canale di Costantinopoli, pub- blicato in Roma nel 1681 e dedicato in forma di lettera alla regina Cristina di Svezia. Qui già discorre della distillazione dell’acqua del mare per ottenere l’acqua pura, discorre del flusso e riflusso, dei venti, del peso specifico dell’acqua, dei pesci che vi si trovano, del colore delle correnti, della salsedine, ecc. Per il peso specifico si valse di una Ampolla idro- 14 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA statica perfezionata da Geminiano Montanari, professore di matematica a Bologna e maestro del Marsigli, come lo fu del suo contemporaneo e coetaneo Guglielmini. È bello quel brano a pag. 78 di quest'opera, in cui discorre anche del suo maestro Mal- pighi. Egli scrive: “ Osservai dunque un fonte di bitume nell’acque dolci, e nell’acque marine, che descrissi in una Lettera al signor Marcello Malpighi, da me riverito, oltre al grado di Maestro, “come uno de’ primi huomini, che non solo ha partorito Bologna mia Patria, alla cui celebre “ Università reca lume, e decoro, ma tutta l’Italia che nelle sue lodi non vorrà cedere a “ tutti i Paesi più remoti, ove sia cognizione della vera letteratura, e particolarmente all’In- ghilterra, che à date alla pubblica luce le sue opere ,. E ES In questo prezioso libro: Osservazioni intorno al Bosforo Tracio overo Canale di Costan- tinopoli, Roma, 1681, discorre delle correnti marine, e a pag. 50 scrive: “ Esposi sul principio di questo discorso a V. M. che la mia intenzione nell’intraprender viaggi, fu non solamente per contemplare, ed osservar quei moti naturali, che solamente sono esposti al senso degli occhi, mà anco per indagar quelli, che quanto più sono occulti, “ altrettanto recano di merauiglia alle menti umane, e d’incitamento a scuoprirne, à bene- “ fizio pubblico, le caggioni; ond’è ch'io fatto ardito dalle osservazioni del moto superficiale “ del nostro Canale, felicemente, per quel che si potea, riuscitemi, mi accinsi ad impresa, “& ad osservazione più grande, più nobile, più fruttuosa, perchè più difficile, e nuova, e “ conseguentemente degna dello spiritoso ingegno di Vostra Maestà. “ Questo è quel moto da me chiamato col nome di Corrente Sottana, opposto al moto superficiale, è superiore finora descritto ,. E descrive un apparecchio per spiegare la formazione delle correnti. Degli apparecchi analoghi furono poi adoperati quasi due secoli dopo per studiare e spiegare le correnti di Gibilterra, del Baltico e la circolazione oceanica generale (1). Discorre anche della salsedine del mare, e a pag. 60 scrive: “ Nel Canale adunque, conforme ho dimostrato, abbiamo due Correnti, una opposta al- “ l’altra, ed una sopra dell'altra (lasciando le laterali opposte alla superiore, che abbastanza “ ho spiegate). La cagione, a mio parere, può esser fondata sul principio, che il più pesante ‘ caccia il più leggiero: onde nel mio Soggetto avendo io due moli, una più leggiera del- “ l’altra, come la M. V. vedrà nell'esame della Salsedine; già che l’acqua della corrente “ Sottana è più pesante di quella superficiale grani 10, e reso uguale il Soggetto al principio “ presuppostomi della gravità e leggierezza, mi applicai al seguente esperimento, che chia- “ ramente dimostra le due Correnti opposte; e lo feci in presenza del Signor Luc’ Antonio “ Porzio, persona ben nota a V. M. non men per la sorte di esserle Seruitore che per la “ sua letteratura. Si prenda vn vaso, come si vede nella figura 1 diviso in due parti “ uguali X Z dalla trauersa A C che nella parte inferiore ha il buco D e nella superiore il “buco E. La parte X dopo di aver turato il buco D si riempia di acqua salata del medemo “ peso, che è l’acqua della Corrente Sottana. La parte Z parimente si riempia di acqua “ uguale a quella del Mar Negro, che ne’ siti più auvanzati serve anco per cocinare; e poi “ si apra il buco D che immediatamente si vedrà l'Acqua X passare in Z e quella di Z in X « per il buco E, cue per l'appunto s'incontrano le due frezze, e tal moto durerà fin tanto, che sia fatta l’immistione sufficiente per render omogenee queste due acque; che nel Mar Maggiore non può seguire, come non cessa mai la cagione, che l’impedisce, considerando “ Ja Corrente de’ fiumi, e la Corrente Sottana, che ambedue vengono da’ principij perenni, “ vna da sorgenti e l’altra da Mari; e se simile sperimento si vorrà fare più continuamente, » (1) Vedi W. B. Carpenter, La circulation océanique générale, 1869-70. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 15 “e con maggior chiarezza, si potranno pigliare Sifoni di Vetro ritorti, ed inseriti in vasi “ pieni delle suddette Acque. Dunque appropriando questo esperimento, che seco porta tutte “le condizioni, che hò osservato nel Bosforo Tracio, bisognerà inferire, che la Corrente “ superficiale sia fatta in gran parte per l'espulsione, che riceve dalla gravità dell’acqua, « portata dalla Corrente Sottana, che sì può credere operi così gagliardamente, per incontrar, “ come hò detto, l’acque dolci de’ fiumi; e la medesima Corrente si potrà dir senza dubbio, « che dall’unione d'altri Mari si diffonda al Mar Negro; e perciò con questo principio non “ sarà difficile è persuadersi, che non v'è bisogno di quel creduto declivio, di cui hò fatto “ menzione al principio; ecc. ,. Questo semplice apparecchio è oggi ricordato anche con figura nel sopra citato Handbuch d. Geophysik, vol. Il, p. 527, di Siegmund Giinther. Egli usò, non so se pel primo, o dopo altri, un apparecchietto speciale per raccogliere l’acqua ad una determinata profondità, e a pag. 74 del libro sovracitato scrive: “ Fui parimenti curioso di specolar nelle parti interne, e profonde: nè senza frutto; “ mentre col benefizio d’vn vaso, chiuso con vna valvola, che è mia disposizione, mediante “ vna fune, ancorchè sott'acqua, aprivo, trouai, che quelle acque pesavano grani 10, più di “ quello pesano le superiori del medesimo Canale: esperimento, che di già hò portato nella “ dimostrazione delle Correnti; essendo l’altra parte, che, secondo me, concorre al detto “ effetto, che hò narrato ,. Il Marsigli determinò, come già dissi, il peso specifico delle acque del mare con l’am- polla idrometrica del Montanari, in varie località; ed a pag. 72 dà unatabella dei pesi spe- cifici. Inoltre egli determinò la quantità di residuo solido che si ottiene distillando l’acqua del mare e rammenta che fece questi esperimenti a Venezia in presenza del sig. Pichi, primario anatomico a Padova. E a questo proposito egli non dimentica anche le ricerche del suo grande contemporaneo Boyle. In ultimo discorre dei pesci che passano pel Canale di Costantinopoli. Ancor così giovane il Marsigli dimostra una cultura ed un ingegno straordinari. 16 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA II. — Histoire physique de la Mer. Verso il 1705 il Marsigli andò a Parigi ove fu accolto molto bene e con onore dai membri dell'Académie des Sciences; egli si provvide di tutto quanto occorreva per impiantare sul mare un laboratorio, a Marsiglia o nei dintorni. Fu questo forse il primo, o uno dei primi certo, laboratori impiantati appositamente per lo studio del mare, della flora e della fauna marina. Il Marsigli ha diviso la sua grande opera: Histoire physique de la Mer, Ouvrage enrichit de figures dessinées d’après le naturel par Louis Ferdinand comte de Marsilli, Amsterdam, 1725, 1 vol. in fol. con numerose figure e tavole, in quattro parti. Nella Parte I discorre del mare in generale e del bacino del Mediterraneo ch'egli ha principalmente esaminato, nella Parte II tratta in modo particolare dell’acqua del mare, sotto l’aspetto fisico e chi- mico; nella Parte IH dei movimenti dell’acqua, cioè delle correnti, delle ondulazioni, dei venti, ecc.: e nella Parte IV della vegetazione delle Piante ed altri esseri organizzati che trovansi nel mare; tutti questi prodotti marini sono rappresentati da; magnifiche figure rac- colte in grandi tavole; anche questa parte IV è tutta nuova e l'Autore vi descrive un gran numero di piante e animali che egli ha scoperto. Usa sempre il microscopio. In tutta quest'opera si trovano molte e importanti osservazioni chimiche sulla quantità dei sali che sono sciolti nell’acqua marina, sull’uso dell’areometro, sul fatto che l’acqua del mare può sciogliere più sale di quanto ne tiene sciolto, ecc. Ha fatto il Marsigli delle espe- rienze sulla filtrazione dell’acqua del mare attraverso la terra da giardino e la sabbia. L’opera è ricchissima di osservazioni sulle correnti marine, sulle piante marine, ecc., ecc. Nel caso mio attuale interessa particolarmente la Parte II che riguarda le proprietà chimiche e fisiche, e l'origine dell’acqua del mare. L'importanza dell’opera si può già desumere dal fatto che il Marsigli la pubblicò in seguito a sollecitazione del grande Boerhaave. Il Marsigli stesso nella dedica all’ Académie des Sciences avverte appunto che “ Mr. le D." Boerhaave professeur en Medecine, Chimie et “ Botanique dans l’Université de Leide, vouloit se charger lui-méme de l’impression ,. Come già dissi, fu pubblicata a spese dell’ Académie des Sciences. Quest'opera oltre che dalla prefazione dell'Autore, è preceduta da una bella e lunga prefazione di Hermann Boerhaave, il quale scriveva: “ Voici enfin un Ouvrage, à la verité long-tems atendu, mai aussi l’on peut dire, que “ c'est un Ouvrage excellent; et tel qu'il seroit très-dificile de lui trouver son pareil, pour “ ce qui regarde l’Histoire Naturelle, dans aucune Bibliothèque ete. ,. Poi continua facendo una analisi completa dell’opera mirabile: “ Voilà ce que contient ce Volume de beau, de “ singulier, d’excellent. Il ne reste plus qu'à exposer, en peu de mots, la métode, qu’a “ observée notre Illustre Auteur, pour achever ce grand Ouvrage. Il n’a rien emprunté des “ Livres, nî des opinions de personne, tout est de lui; toujours exempt de prejugés; il a “ voulu examiner les choses par ses propres yeux, et il a recherché et vu, sur les lieux “ mèmes, tout ce qu'il nous a décrit. S'il a raporté quelque chose, sur la foi d’autrui, il en “a fidélement marqué la source etc. ,. Ho trovato accennato nel grande catalogo librario inglese del Sotheran che l’opera fu tradotta dall'italiano da Jean Leclerc. Ma io non ho potuto assicurarmi del fatto e se esista una edizione italiana. Forse il Marsigli consegnò il manoscritto in italiano ? Ma nella lettera dedicatoria sopraccennata il Marsigli dice: “ Si quelque chose me fait plaisir en cela, c'est, “ Messieurs, de pouvoir vous l’offrir dans une Langue, qu’est presqu’aujourd’hui la Langue “ universelle ,. È un’opera piuttosto rara ed è assai ricercata. Ouvrage assez recherché (Guérard). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 17 Il Marsigli non dimentica mai i suoi predecessori. Ed invero incomincia questa sua grande opera colle parole seguenti: “ Le savant Robert Boyle est le premier, qui s’est avisé de chercher la connoissance “ de cette vaste partie du Globe de la Terre. Nous avons de lui une Dissertation intitulé “ De fundo Maris, dans laquelle nous trouvons plusieurs remarques, qu'il avoit eués des « Mariniers; et qui toutes ensemble ne demontrent autre chose, que l’inégalité du fonds de “la Mer, prouvée par les diverses profondeurs, que ceux-ci avoient rencontrées, dans les dif- ferens lieux qu'ils avoient sondez; mais pour ce qui est du reste, que semble promettre son titre, on n'y en trouve rien du tout. Il est probable que sa mort, ou quelqu’autre « accident, qui ne nous est pas connu, en a privé la République des Lettres ,. Nessun altro si occupò del mare nel senso naturalistico moderno, prima di Marsigli. Tutte le osservazioni ed esperienze descritte in questo classico libro sono proprie del- l’autore ; ed egli stesso nella Prefazione scrive : «x “« € Tout ce que j'exposerai est fondé sur les expériences, et les observations que j'ai “ faites moi-méme sur les lieux ; car pour les Rélations, que j'ai eué d’ailleurs, les ayant “ examinées, et ayant trouvé qu’elles se contredisoient, je n’ai point voulu du tout m’en “ servir. Mes expériences ont été faites sur les lieux méme, où il étoit nécessaire, tantòt “ avec des Rets, et tantòt avec d’autres instruments de diverses formes, que j'expliquerai, “ quand il en sera temps. J'ai eu recours, dans les observations, à la Chimie et au Micro- “ scope , (1). E A pag. 11-12 della Parte I discorre dei minerali, dei giacimenti terrestri che danno attual- mente origine all'acqua del mare, per filtrazione delle acque dolci: “Avant que d’expliquer “ comment ces veines subsistent, je dois dire un mot de leur position, dans les interstices du “ Continent. Entre une couche et l’autre se trouve placée la veine du suc coagulé, ou du Métal “ qui s'y fixe en la forme, que je le fais voir, dans mon Traité de la végétation des Métaux (2). “ On trouve aussi dans ce Traité une démonstration tant de la structure des Montagnes, où ils croissent, qui des matières métalliques méme qui prennent la figure; et le cours que leur permettent les interstices des couches des pierres, et qui dans leur divers contours et leur particulières situations sont distinguées, par tous ces noms différens que l'art de tirer les Métaux a inventez. Celles du sel apellé ordinairement Gemme sont tantòt con- tinuées, et tantot interrompues, parmi les pierres, et le plus souvent elles se decouvrent dans les parties méditerranées de l'Europe. On en tire, dans la Catalogne, en des endroits peu eloignez de la Mer. Dans la Transilvanie, la Moldavie, la Valachie, la Hongrie et la Pologne supérieure, il y a quantité de sel, dans l’ordre de longues et larges lignes con- “ tinuées, que l’on coupe avec le ciseau, ainsi que du marbre. Elles sont interrompués dans “ l’Autriche supérieure, le Tirol, la Bavière, la Lorraine et la Franche-Comté, et l’on n’en “ tire le sel, que par l’introduction artificielle des eaux insipides, qui le dissolvant s’en “ emboivent et sortent salées. Elles sont depouillées du sel ensuite, par le moyen du feu ,. Temperatura dell’acqua del mare. — Egli ha esaminato la temperatura dell’acqua a varie profondità usando un termometro, relativamente esatto per quei tempi. La forma del termo- metro usato dal Marsigli nel 1706-1707 s’avvicina molto a quella dei termometri moderni. La colonna è divisa in 50 parti di 5 in 5 e queste ognuna in 5 parti o gradi. Si può leggere K K “ (1) L’Histoire physique de la mer è un’opera che meriterebbe senza dubbio di essere ristampata e fatta meglio conoscere. Ma costerebbe troppo! (2) Quest'opera che, pubblicata separatamente, non conosco, deve essere il Capitolo: Pars III de Seminio, ac generatione metallorum, che trovasi in fine del vol. INI del Danubius Pannonico-Mysicus ecc.; oppure potrebbe essere un’opera inedita. Ti 18 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA comodamente il mezzo o il quarto di grado. La graduazione è fatta su una tavoletta di legno o di metallo. Era lungo poco più di venti centimetri. Le esperienze a varie profondità furono fatte in dicembre, gennaio, marzo e aprile. Sarebbe non privo di interesse far conoscere la forma del termometro usato dal Marsigli, perchè io non l’ho trovato rappresentato in nes- suna storia degli istrumenti scientifici di quel tempo Deve averlo fatto costruire apposita- mente in base ad un suo disegno. Sulla salsedine e peso specifico. — E più avanti, a pag. 22, nel capitolo: Eaux douces devenues minérales par artifice, scrive: “ Dans la Hongrie, on conduit avec beaucoup d’artifice, “ des Eaux insipides au travers des veines de quelques mines de Cuivre, afin que passant “ par des lieux, où la terre, et les pierres sont pleines de Vitriol, elles les dissolvent, et prennent, par ce moyen, un goùt acide. On voit aussi dans l’Autriche superieure, au lieu appellé Mund, où il y a des Montagnes, qui ont des veines remplies de sel, de somptueux édifices de bois, pour conduire le Eaux insipides dans les endroits, où est ce sel, afin que le dissolvant elles en prennent le goùt. Il y a apparence que c'est de cette maniere que l’Element de l’Eau fit d'abord après sa création, en se plagant dans les Cavernes, qui forment le Lit de la Mer, où, sans doute, il y a parmi les couches de Pierres des Lignes de sel, et de substance bitumineuse, disposées de la maniere que j'ai fait voir, dans la Section, où “je parle du fond de la Mer. De ces Eaux ainsi imprégnées du sel, qu’elle ont fondu, on “ en retire, par le moyen du feu, ce méme sel fixe, et c'est ce qu'on voit faire aussi sur “les rivages, par les rayons du Soleil ,. “ (13 “ “ Non ricorda però mai l’opera del Biringucci. Le principali esperienze furono fatte nel 1706 e 1707 sull’acqua del Mare Mediterraneo. del Golfo di Lione, a Marsiglia, nelle isole vicine, a Cette, a Cassidagne, ecc. La salsedine del mare può variare colle correnti, coi venti, che favoriscono l’evapora- zione, coll’acqua dolce portata dai grandi fiumi, ecc. Sulla salsedine diversa secondo i diversi mari e la diversa latitudine si può vedere un lavoro di Bouquet de la Grye: Recherches sur la chloruration de Veau de mer (1). Il Marsigli, nell'esame delle acque del Mare Mediterraneo, fatto nel 1706 e 1707, per determinare il peso specifico usava la bilancia, ma anche un areometro che era molto somi- | gliante a quello descritto da Monconys (“ Journ. des voyages ,, 2. Partie, Lyon, 1668, p. 27), modificato da Sturm (Sturmius, Collegium experimentale sive curiosum, Pars II, Norimbergae, 1685, p. 61) e ricordato da Gerland e Traumiiller nella loro: Geschichte d. physikalischen Experimentierkunst, Leipzig, 1899, p. 252. È l’areometro che ha servito sino a quando il Fahrenheit (“ Phil. Trans. ,, t. 33, anno 1723-24) fece conoscere il suo. A pag. 23 il Marsigli scrive: “ En ma Navigation, sur les Cotes de Provence et de Languedoc, j'ai examiné avec le seul areomètre les poids des Eaux superficielles ; mais “ dans le lieu de Cassis, où j'ai sejourné quelque tems, pour pouvoir faire exactement mes épreuves, j'ai pésé avec le méme instrument non seulement les Eaux superficielles, mais encore les profondes, et toutes les deux ensuite, avec une balance ordinaire très-exacte ,. E un poco più avanti: “ Les differentes poids, que j'ai trouvez entre les Eaux de la superficie et celles du fond, ont été toujours rélatifs aux degrez de salure, qui les rend plus ou moins pésantes ; suivant “ qu'elles ont attiré plus ou moins de sel des veines de la terre, de la fagon que j'ai déja “ dite. Les sels diffèrent aussi entr’eux en quelque chose; c’est pourquoi ils donnent aux (04 (1) “ A. Ch. ,, 1882(5), t.25, pag. 433. In questo lavoro l’autore trae anche una conclusione che conferma una legge di Gay-Lussac ed Humboldt, cioè che: sotto i due tropici la salsedine è più forte che non sotto l’equatore e al di là dei tropici (pag. 452). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 19 “ eaux, suivant leurs qualitéz, divers degrez de goùts. Les Fleuves qui s'y mélent par l’in- “ térieur, ou par la superficie de la Terre, peuvent contribuer aussi à diminuer le goùt salé “ des Eaux de la Mer; en leur dérobant, pour ainsi dire, une partie de ce sel, qui ne devoit “ servir que pour elles ,. Come si scorge, egli ha analizzato le acque superficiali e le acque profonde e trova che queste sono più salate ed hanno un peso specifico superiore: ed ancora a pag. 24 egli scrive : “Il y a aussi de la difference pour le goùt salé entre les Eaux superficielles et les profondes, ce qui m’a obligé de suivre toujours cette division, que j'ai établie dès le com- “ mencement. Les Eaux qui sont fort profondes, comme celles de l’Abime, pesent plus que les autres. Celles que j'en tirai avec un vase fait exprès d’un fonds de 150 Brasses se “ trouvèrent, une 406° partie, plus pesantes que celles de la superficie, comme on le peut voir, à la Table; et ayant réiteré ces expériences, et en divers tems, l’Aréomètre m’a montreé quelque petite difference pour les poids, et j'ai vu la Couleur changée “ “ n° Distillazione dell’acqua del mare e quantità di sale. — Poi passa a descrivere le espe- rienze fatte per distillare l’acqua del mare e ottenere l’acqua distillata e il residuo salino. Ha esperimentato con acqua superficiale e con acqua profonda, e fa vedere come la quantità di sale in questo caso sia alquanto diversa. La quantità nell’acqua superficiale sarebbe di 1/,, del suo proprio peso e nell’acqua profonda !/39; cioè circa 3,1°/, nel primo caso e 3,4% nel secondo. Azione dei vari reattivi sull'acqua del mare. — A queste esperienze fatte con criterio finissimo seguono quelle delle reazioni date dall'acqua del mare con vari reattivi. Intorno all’azione dei reattivi chimici sull’acqua del mare ecco quanto egli scriveva a pag. 25 : “ Les mélanges de diverses liqueurs dans l’Eau naturelle de la Mer font plusieurs effets particuliers, sur elle; ce que j'ai vu par un nombre d’expériences, que je n’insère pas ici, “a cause qu'elles ne sont pas nécessaires, et que je suis bien aise d’éviter l’ennui, que cela pourroit donner au Lecteur. Ces trois mélanges savoir l’eau des Fleurs de Mauve, l’Esprit “ de sel Armoniac et d’huile de Tartre, sont ceux qui font mieux paraître la diversité des “ Eaux de la Mer, promptement et sensiblement. L’eau de fleurs de Mauve, qui est, comme l'on sait, de Couleur violete, étant mélée dans l’eau de la Mer devient d’un verd jaunàtre à peu-près semblable è la Couleur de la Chrysolithe. L’esprit de sel armoniac trouble sur le champ l’eau et il s'y coagule une matière crasse et blanche, qui morceau à morceau “ se précipite dans le fond du Vase. L’huile de Tartre fait la méme chose, et encore avec plus de force ,. “ Ces Expériences, qui ont fait voir plus ou moins d’effet dans l’Eau, selon la quantité de sel qu'elle avoit, découvrent, d’une maniere très-sure, si l’eau distillée a perdu tout- a-fait le sel, qu'elle contenoit; parce que cela étant, les trois mélanges ne doivent pas faire le moindre changement en elle. J'ai trouvé qu’elles ny en font point du tout, de méme qu’en l’eau de Citerne, où celle de Mauve conserve la pureté de sa Couleur, et où l’Esprit de sel armoniac, et l’huile de Tartre n’excitent aucun mouvement; et si dans “ l’Eau de Ciîterne, ou de Mer bien distillée, on met un peu de sel, et qu’ensuite on fasse les mélanges dont j'ai parlé, on s'apergoit d’abord de mouvemens proportionnés è la quan- tité de sel. C'est pourquoi les eaux profondes, comme imprégnées d’un sel plus épais, et d’une quantité superieure è celle des ezux de la superficie, montrent un effet beaucoup “ plus sensible ,. Sapore dell’acqua marina. — Il Marsigli distinse bene il sapore salato dal sapore amaro dell’acqua del mare e cercò di trovare la causa del sapore amaro, che, come egli diceva, non è dovuto al sale marino. Ma allora non si conosceva ancora la terra amara o magnesia. Egli fa vedere come le acque dolci diventino acque minerali quando passano attraverso terreni contenenti minerali solubili (rame, ecc.); come pure diventano salate se passano attra- 20 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA verso depositi di sale, come in Ungheria ecc. Discute molto la causa del colore dell’acqua del mare, che in gran parte attribuisce alla luce del sole. Egli ha tentato di determinare la quantità di sale esistente nell'acqua del mare, per distillazione e fa un’altra osservazione curiosa. Separato il residuo salino per distillazione, osserva che della parte solida se ne perde una porzione e :che è quindi più esatto usare l’areometro che non la bilancia. Egli nota che quando il sale comune (pag. 27) grezzo con- tiene della materia terrestre, questa si precipita al fondo dell’acqua e causa qualche diffe- renza all’areometro. Queste ricerche sono corredate da numerose grandi tavole ‘ove sono raccolti tutti i dati numerici relativi alla quantità di sostanza sciolta, ai gradi areometrici, al colore, ece. Sulla distillazione dell’acqua del mare per ottenere dell’acqua pura (Vedi sopra, pag. 19). — Sono assai interessanti le esperienze del Marsigli sulla distillazione dell’acqua del mare per ottenere dell’acqua pura. Egli ha dimostrato che per distillazione dell’acqua marina si separano tutti i sali e si ottiene un’acqua distillata pura che coi reattivi allora adoperati non indicava il menomo indizio di impurezza. Tutto questo trovasi descritto benissimo nel- l’opera sovracitata a pag. 24-26. Trova, è vero, delle differenze nella quantità di sale che otteneva, ma ciò si spiega sapendo che dipende dal grado di secchezza e dall'acqua di cristal- lizzazione dei sali che otteneva come residuo, e allora tutto questo non si conosceva. Che meritassero di essere conosciute queste esperienze del Marsigli lo desumo dal fatto che non sono affatto ricordate nei trattati o dizionari di chimica anche di poco posteriori alla pubblicazione del libro di Marsigli e ancora quasi novanta anni dopo si dà come nuovo il metodo di distillare l’acqua del mare per ottenere acqua pura. Il MAcquER nel suo Diction- naire de Chymie, 2° édit., 1778, vol. I, pag. 547 nell’articolo: Eau de la mer, indica come nuovo il metodo di ottenere dell’acqua pura potabile per distillazione dell’acqua marina. Del resto pare che il primo ad ottenere acqua potabile per distillazione dell’acqua del mare sia stato G. B. Porta, il quale con tre libbre di acqua marina ne ottenne due di acqua dolce (Fr. Semi, Compendio storico della chimica in “ Enciclop. di chim. ,, vol. XI, pag. 537). Ma il Marsigli ne ha fatto uno studio speciale insieme ad altri studi sull'acqua del mare (1). Egli a pag. 30 fa osservare che l’acqua del mare può sciogliere più sale di quello che essa contiene, o, come diremmo oggi, non ne è satura. Filtrazione dell'acqua marina attraverso i terreni. Sul sapore del sale impuro. — Relati- vamente alla filtrazione attraverso i terreni a pag. 32 scrive: “Je n'ai pas négligé la filtration de l’Eau de la Mer, par la terre de jardin, et par le sable, afin de connoître combien elle pouvoit perdre, par ce moyen, de son goùt salé, et ce que l’on pouvoit conclure de la circulation de l’eau, au travers de la terre ,. (13 “ (1) Humboldt già sino dal 1836 fece osservare che l’uso di distillare l’acqua del mare per ottenere del- l’acqua potabile è molto antico: risale al tempo di Alessandro d’Afrodisia (del secolo III). Ecco quanto scrive l’Humboldt (Examen crit. de lHist. de la Géogr. du nouveau Contin., 1837, t. II, pag. 310-311): “ Ce qui “ me paraît le plus digne de remarque, c'est que Alexandre d’Aphrodisie, auteur du troisième siècle, vivant sous Septime-Sévere et Caracalla, décrit dans son commentaire des Météorologigques d’ Aristote, d'une “ maniere très satisfaisante, la distillation de l’eau de la mer pour. en tirer de l’eàu potable; il en parle “ comme d’une méthode qu’on avait coutume d’employer: ‘Per hune quidem modum ’, dit-il, ‘ maris aquam potabilem nonnulli reddunt: lebetes enim hujusmodi aqua plenos multo igni imponentes et vaporem in operculis superim positis colligentes et recipientes in aquam permutato utuntur potu’. Cette opération devait remplacer celle que l’on avait employée plus anciennement en laissant pénétrer l’eau salée è travers les parois d’un vase de cire que l'on plongeait dans la mer (Arisr., Met., I, 3, pag. 348; Cas., Hist. anim., VII, 2, pag. 590; Acran., IX, 64; Prin., XXI, 37; Nrcera. BLemm., Epit. phys., c. 17), ou, selon Olympiodore, en recevant les vapeurs qui s’élèvent au-dessus de la surface d'une portion d’eau de mer bouillante dans. des éponges suspendues au-dessus de la chaudière du navire ,. — Prosegue poi a discorrere dell’alambicco, che era l'apparecchio che serviva per la distillazione. U “ “ u r GI sci MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 921 Egli ha prima lavato la terra e la sabbia per togliere qualunque porzione di sale, poi vi ha fatto passare l’acqua del mare usando dei vasi di terra cotta posti l’uno sotto l’altro in gradinata, come in tempi più moderni si faceva la lisciviazione delle ceneri per l’estra- zione della potassa. I vasi erano della stessa altezza e larghezza. Riproduco (fig. 2) la figura dell'apparecchio di Marsigli per far vedere la perfetta somiglianza cogli apparecchi detti Da Fig. 2. poi a lisciviazione e che trovansi ancora descritti e figurati in alcuni Trattati di Chimica tecnologica. Dalle sue esperienze risultava che il peso della materia solida diminuiva di più pas- sando attraverso la sabbia che non attraverso la terra da giardino: “ Cette diminution du “ goùt salé et du poids, qui se trouve plus grande dans la filtration par la sable, qu’en “ celle qui se fait par la terre, montre qu'il est le plus propre è purifier l’eau ,. acciai pa ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA A pag. 35 fa una osservazione sul sapore amaro e sgradevole del sale. Il sale che si fabbrica a Perrais, egli dice, ha sapore amaro sgradevole e non può servire nel primo anno della raccolta; migliora nel secondo anno e più ancora dopo il terzo anno e al quarto anno il suo sapore amaro è poco sensibile e va sempre diminuendo in progresso di tempo. In queste saline si aveva il costume di accumulare il sale in grandi masse, alle quali si dà il nome dell’anno in cui furono raccolte. “ Elles restent de la sorte abbandonnées è l’injure du “ tems, qui purge le sel de cette amertume pendant trois ans tout au moins, avant que l’on “ commence à le distribuer ,. Alle volte ve ne era di quello di dieci anni. Ora sappiamo che i sali di magnesio sono deliquescenti, il cloruro specialmente, e questi a poco a poco si eliminano. A pag. 31 discute sull’acidità dell’acqua superficiale del mare. Gli animali e le piante che sono nel mare, egli scrive, assorbono una porzione di sale che serve agli uni per la loro vita e agli altri per la loro vegetazione. Egli ha esaminato i colori delle sostanze che formano il bacino del mare (colori cinabro, porpora, gialli, verdi, bleu, ecc.) e di qualcuna delle sostanze trovate nel fondo del mare ne ha fatto, o tentato, l’analisi chimica. Sottopone il corallo, le madrepore, ecc. all’azione del calore, ne esamina i prodotti della distillazione ed il residuo, l’azione dei varî reattivi, ecc. È impossibile riassumere brevemente questa opera tanto ricca di osservazioni e di esperienze. i Cognizioni chimiche del Marsigli. - Esamina gli esseri organizzati che si trovano nel mare. — Egli studia gli esseri organizzati (alghe, spugne, coralli, madrepore, ecc.) sotto l’aspetto dell'anatomia non solo, ma anche dell’analisi chimica e fa dei confronti relativi alla quantità dei prodotti che ottiene. A pag. 56 scrive: “Jai déja dit qu'il se trouve du sel volatil, dans les plantes pierreuses, et j'ai fait “ connoître, qu'on en trouvoit des parties dans quelques plantes molles; j'ajoùte que l’éponge “en a une fort grande quantité; et que les Litophytons en ont une cinquième partie plus “ que la Corne de cerf ,. Le cognizioni chimiche del Marsigli non erano inferiori a quelle di molti chimici rino- mati di quel tempo, quali Duclos, Bourdelin ed altri; anzi per lo scopo delle ricerche, per l'importanza dei risultati, le ricerche chimiche del Marsigli erano ben superiori a quelle dei sopraricordati chimici di professione e membri della Académie des Sciences. Io nel mio lavoro: Domenico Guglielmini e la sua opera scientifica, Torino, 1914, pag. 409, ho ricordato le ridi- cole distillazioni di cocomeri, di rospi, ecc. eseguite in piena accademia dai Duclos e dai Bourdelin; ricerche assolutamente senza importanza (1). Invece il Marsigli applicava le sue cognizioni chimiche alla risoluzione di problemi importanti. Il Marsigli sottopose all'esame microscopico, fisico e chimico, un gran numero di esseri organizzati che trovansi nel mare. Le numerose analisi quantitative fatte da lui erano certa- mente imperfette, ma allora nessun chimico sapeva fare di più. L'analisi chimica, special- mente organica, non esisteva quasi. Egli sottoponeva un peso determinato di pianta marina alla distillazione secca, sepa- rando e pesando ciò che dicevasi flegma, poi separava i due prodotti intermedi di distilla- zione, il sale fisso e il sale volatile formatosi, che era in gran parte carbonato di ammonio. Le spugne, ad esempio, le quali allora erano considerate come piante marine, furono da lui (1) Queste operazioni chimiche sono descritte da J. BertrAanD nella sua opera: L’Academie des Sciences et les Académiciens de 1666 à 1783, Paris, 1869, pag. e seg. L’illustre matematico mette giustamente in ri- dicolo l’opera scientifica di questi chimici d'allora. Mentre le esperienze di Marsigli avevano uno scopo e sono fatte con buon senso. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 10. 23 analizzate, sottoposte a distillazione e ne separò la parte volatile dalla parte fissa. Da cinque oncie di spugne ottenne 37 grani di sale fisso (loc. cit., pagg. 60-63). Queste ricerche sulle spugne, a proposito della scoperta del jodo, sono ricordate da P. RrcameR nel suo lavoro: Ueber die Entdeckung des Jod und ihre Vorgeschichte (1). To credo che Marsigli sia stato il primo a tentare di determinare la composizione qua- litativa e quantitativa degli esseri viventi che si trovano nel mare. Desidero darne un esempio col riprodurre quanto egli ha fatto sulle spugne. Dopo descritte le spugne, come naturalista, e fattone l’esame microscopico, passa ad eseguire l’analisi chimica e scrive (loc. cit., pag. 63): « ANALYSE Ses parties integrantes detachées. La quantité de l’eponge fut de cinq onces. Celle-ci froissée sur le papier bleu ne causa aucune alteration è sa couleur, mancant entierement de suc. Son flegme. Elle fut mise, dans l’ordre ordinaire, dans la Retorte; elle donna au com- mencement un flegme de couleur jaunàtre, aqueux, et avec quelque mélange gras, le poids en fut de . È E ; 5 : 7 . AZRITOI . 4. dragmes. Sa partie spiritueuse de deux degrez. Premier degré. La partie spiritueuse fut de deux degrez differens, le premier étoit de couleur de miel, d’une substance fort crasse, et d’un gout assez piquant, pesant h 2 ; : ; E : . È ; 5 . Il. once 2. dragmes. Second degré. Le second degré étoit de couleur noire, d’une substance plus huileuse, et d’un gout très-piquant, pesant . 3 5 5 è 3 ; 5 È . 7. dragmes. La tete morte pesa ; 3 ; s : È . 2. onces Total. 3 ; 5 ; ; ; . 4. onces 7. dragmes. Il s'est perdu une dragme dans l’operation. Sel fixe. Il yeneut . : b E È ì È ; ; 3 : 7 . 37. grains. Sel volatil. On en tira DO . dragmes. 10. grains. (1) © Arch. fiir d. Geschichte d. Naturwissens. u. d. Technik ,, vol. IV (1912), pag. 6. 24 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA Dans le flegme. Le papier bleu ne changea pas du tout de couleur. La décoction des fleurs de mauve verdit comme è l’ordinaire. La décoction de Noix de Gale y causa une couleur rougeàtre mélée de bleu. La décoction de Grenade lui communiqua sa couleur. i L’Esprit. L’Esprit de Nitre causa de la fumée, sans aucune ébullition visible. L’Esprit de Sel fit le méme effet. L’Esprit de Sel Armoniac n’en fit aucun. L’huile de Tartre ne fit rien non plus. Dans le: premier degré de Substance Spiritueuse moins huileuse. Differentes décoctions, solutions, esprits, et huiles causent divers effets. Le papier bleu devient un peu rougeàtre. La décoction de fleurs de Mauve change sa couleur en un très-beau verd. La décoction de Galle lui donne la couleur rougeàtre. La décoction d’Ecorce de Grenade lui communique sa Couleur. La solution de Couperose lui fait prendre un verd livide blanc, et la condense comme de la Colle. La solution de Tournesol la change en un bleu blanchàtre. L'Esprit de Nitre lui donne un Rouge ferrugineux, cause beaucoup de fumée, et nulle ébullition aparente. L'Esprit de Vinaigre lui ote la densité huileuse, la rendant fluide et claire comme de l’eau; Il la fait fermenter avec une ébullition tout-à-fait particuliere, et fort peu de fumée. - L’Esprit de Sel la change en une couleur presque rouge et fait fermenter avec beaucoup de fumée, mais sans ébullition apparente. L’Esprit de Sel Armoniac n°y fait rien. L’'huile de Tartre non plus. Dans le second degré de Substance Huileuse, Spiritueuse et Notre. Le papier bleu prend un rouge plus fort, que non pas en l’autre. La décoction de Mauve la change en un verd terrestre noiràtre, et le mélange d’Esprit de Nitre le fait devenir d’une rouge trouble, comme du sang corrompu. La décoction de Galle lui donne une couleur rougeàtre. Celle de Grenade lui communique sa couleur. La solution de Couperose la change en une couleur cendrée, et la condense comme de la Colle. Celle de Tournesol la change en Cendre. L'Esprit de Nitre lui fait prendre une couleur toute rouge, avec une forte Emission de fumée. La Teinture de Tournesol n’augmente pas la susditte couleur rouge. L’Esprit de Vinaigre lui donne un rouge moins fort, et fait fermenter avec une legere fumée. i L’Esprit de Sel lui cause du rouge, une fermentation et de la fumée, mais tout cela moins que ne fait l’Esprit de Nitre. A ii i i i E, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 10. 25 L’Esprit de Sel Armoniac, l’huile de Tartre, ni l’Eau de Chaux n’y font rien. La solution du corrosif lui fait prendre une couleur comme celle du lait et sans aucune motion. Celle d’Alun la rend fluide, et claire comme l’Eau. Dans le Sel fixe. La couleur du Sel est terrestre. L’odeur en est urineuse. Le goùt sale, et un tiers moins que le Sel marin. L’Esprit de Nitre excite une médiocre fumée sans ébullition. L'Esprit de Vinaigre le dissout lentement et sans aucun autre effet. L’Esprit de Sel le dissout de meme lentement et sans motion. La décoction de Mauve perde sa couleur bleue, et devient blanche. La dissolution du corrosif unit quelques particules blanches et visqueuses, qui se pré- cipitent. L’huile de Tartre, l’Esprit de Sel Armoniac, l’Eau de chaux ni celle d’Alun ne font rien de tout. Dans le Sel volati. La couleur au commencement fut blanche, et puis devint rougeàtre. L’odeur étoit urineuse, plus pénetrante qu’aucune autre. Le goùt étoit gras au commencement, et ensuite piquant et urineux. L’Esprit de Nitre y excite une grande fumée, sans ébullition, et lui donne une couleur de sang. L'Esprit de Sel excite une fumée médiocre, sans ébullition, et prend la couleur du vin blanc. È L’Esprit de Vinaigre cause une très-grande ébullition, sans fumée. L'Esprit de Sel Armoniac ne fait rien, et ne le dissout que très-lentement. L’huile de Tartre ne fait rien non plus, et demeure beaucoup è le dissoudre. L’Eau de chaux ne fait autre chose que le mieux dissoudre, et en moins de tems que nìi l’Huile de Tartre, ni l’Esprit de Sel Armoniac. L’Eau d’Alun se dissout en une matiere visqueuse et blanche, qui ensuite se sépare en plusieurs parties. Le Corrosif le réduit comme en du lait très-beau. La décoction des Fleurs de Mauve change sa couleur en celle d’une très-belle Chryso- lithe, et en y mélant l’Esprit de Nitre, on voit beaucoup de fumée, et la couleur devient d’un rouge vif et tel que celui d’un Rubis ,. Molti scrittori, dopo Marsigli, trattando delle spugne, hanno dato notizie ancora molto imperfette. Il Power nella sua Histoire génér. des drogues, Paris, 1735, I, p. 187 non fa cenno alcuno della composizione chimica delle spugne. Dice solamente che la polvere che si fa calcinando le spugne serviva come dentifricio. I chimici Lemery, Duclos, Bourdelin. di quel tempo, non sperimentavano certamente meglio dei Marsigli; in quei tempi l’analisi delle sostanze vegetali ed animali consisteva essenzialmente nella distillazione secca. Studi sul corallo. - Madrepore. — Il Marsigli nel 1706 fece uno studio profondo del corallo e credette di dimostrare che questo essere vivente fosse una vera pianta. Egli scoprì i cosidetti fiori di corallo. Egli comunicò la sua scoperta all'abate Bignon, presidente dell’Ac- Di 26 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA cademia delle Scienze di Parigi, con lettera del 1706, e che trovasi nel “ Supplem. Journ. des Savants ,, febr. 1707: Lettre écrite de Cassis près de Marseille ie 18 dec. 1706 à M. l’abbé Bignon, touchant quelques branches de corail qui ont fleuri (1). La chimica doveva servire a decidere, secondo Marsigli, se il corallo era veramente una pianta. A pag. 131 della sua opera: Histoire physique de la Mer, scriveva: «“ L’analyse faite simplement, et selon ce qui se pratique è celle des Plantes de la “ Terre, finira notre description d’une si noble Plante pierreuse; et cette operation chy- “ mique devra terminer ces questions sì souvent agitées; savoir, si le Corail est ou n’est “ pas une Plante; puis qu'elle montrera les propres parties qui le composent, et quelle est “leur proportion ,. Non si poteva essere più chiari. E continua: “ J'ai divisé cette ana- “ Iyse en trois partie: La première est celle du suc de lait, sans feu. La seconde est celle “ du Corail frais dépouillé de son écorce. Et la troisième du Corail sec, et depuis long-tems «“ hors de la mer ,. Prosegue descrivendo le esperienze fatte e ne conclude che il corallo è un vero essere vivente, una pianta. Nota però alcuni fatti, alcune reazioni che facevano dubitare fosse di origine animale. È vero che fu il Peyssonel il quale dimostrò poi nel 1727 che i fiori di corallo osser- vati dal Marsigli nel 1706 erano dei veri animali raggiati che secernono la sostanza cal- care sulla quale essi sono portati; ma è pur vero che prima del Marsigli si metteva in dubbio se il corallo fosse un essere organico o minerale, ed egli credette di dimostrare che fosse una pianta. Ant. de Peyssonel era un giovane medico di Marsiglia il quale studiava col Marsigli; era un suo allievo. Dunque una parte del merito della scoperta di Peyssonel sì riverbera sul Marsigli. La scoperta del Peyssonel fu contestata dai naturalisti di quel tempo ed i suoi lavori furono poi pubblicati a Londra nella “ Transact. Philosoph. , del 1756 a 1759 (2). Dopo aver accennato che i coralli erano nei tempi anteriori al Marsigli considerati come emanazioni inorganiche, il Carus nella sua Histoire de la zoologie, 1880, p. 365, scrive: “ Les idées nouvelles sur cette forme particulière d’animaux inférieurs datent du retour à l’observation directe. Marsigli étudia les coraux avec grand soin. Il décrit les corails rouges et en donne une excellente figure; on y voit non seulement l’axe calcaire, mais aussi le revetement organique et méme les polypes avec leurs tentacules épanouis. Il semble alors que l’esprit humain n'ait pas pu faire un pas si considérable que de regarder come animal ce qui appartenait naguère aux minéraux; on vit donc dans le corail un organisme végetal, en dépit des analyses chimiques (8) et des phénomènes de décompo- sition qui rappelaient tout-à-fait celle des poissons. Chaque polype devint une fleur, les sucs nutritifs figurèrent le latex et Marsigli réunit tout un ensemble de formes identiques. Son ouvrage parut en italien en 1711, en frangais en 1725; auparavant déjà il avait com- muniqué sa découverte a l’Académie de Paris (4). Le travail de Marsigli marque un moment important dans l’évolution des théories qui ont eu cours sur le corail ,. Il Carus poi ricorda come i principali naturalisti, fra i quali il Réaumur, aecettassero le idee del Marsigli. Jean-Ant. Peyssonel stesso, che nel 1723 iniziò i suoi studi sul corallo, K R (1) Oltre a quanto trovasi nell’Histoire Physique de la Mer relativamente al corallo si vegga anche: Observations sur l’analyse des plantes marines et principalement du Corail rouge, inserite nell’Histoîre de l’Acad. des sciences de Paris. Il Marsigli, osserva il Baseggio, credeva che i coralli fossero vegetabili e gli animaletti che stanno nei bulbi, fiori; si vegga pure un’altra lettera all’ abate Bignon: Mémoire envoyée de Marseille le 27 février 1707 à M. l'abbé Bignon, pour servir de confirmation è la découverte des fleurs de Corail nel “ Journ. des Savants ,, maggio 1707. (2) Lacaze-Durnmers, Histoire du coral, in “ Rev. des Cours Scient. ,, 1864-65, pag. 551. (3) Fatte dallo stesso Marsigli. (4) “ Journ. des Savants ,, 1707 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II; VOL. LXV, N. 10. 27 aveva adottato le idee del maestro, ma poi dimostrò essere il corallo di natura animale. Ad ogni modo il merito del Marsigli anche in questa delicata e importante questione, nella quale io mi guarderò bene di entrare, è grande (1). Il Guibourt (2) ed altri cadono in errore quando affermano che il nome di Madrepore sia stato dato da Linneo. Linneo nacque nel 1707 e l’opera del Marsigli si compiva pressochè in quell’anno. Il Marsigli nella sua Hist. phys. de la mer pubblicata nel 1725, a pag. 106 scrive: “ Toutes les autres plantes de cette classe n’en ont point, et nous leur donnons le nom “ general de Madrepores ,. Dunque il nome di Madrepore agli esseri analoghi al corallo fu dato la prima volta dal Marsigli. Senza entrare in particolari relativamente alla zoologia, ecco come si esprime il CARUS nella sua Histoire de la zoologie, 1880, pag. 356, relativamente a Marsigli: “ Le comte Luigi Ferdinando de Marsigli (1658-1730) étudia une faune intéressante encore peu connue. Chargé par le gouvernement autrichien de travaux de fortification en Hongrie, il put explorer le Danube et ses affluents jusqu'è la mer Noire. Laissant le “ service militaire après la reddition de Brisach, il alla recueillir è Marseille des matériaux « pour son Histoîre naturelle de la mer; il passa ensuite è Bologne, dont il réforma l’Aca- démie (1712) et commenga son ouvrage sur le Danube. Les volumes IV et V, parus en 1726, donnent les poissons et les ciseaux qui vivent dans ce fieuve et sur ses bords. La classi- fication adoptée pour les oiseaux est celle de Willonghby et de Ray; celle des poissons, un peu plus personnelle, distingue les espèces qui remontent de la mer dans les eaux douces (les seules sturionidés, plusieurs espèces de Huso, Antaceus, plusieurs formes de Sturzo); “ les espèces qui habitent les eaux dormantes, celles qui habitent les eaux dormantes et K “ “ “ les eaux courantes indifféremment, enfin les poissons de roche (saxatiles), qui préfèrent “les eaux vives des districts montagneux. Marsigli subdivise ces groupes d’après les carac- tères de la peau; pour le quatrième seulement, comprenant la plupart des cyprins (les autres sont dans le troisiome groupe) et le brochet, il prend en considération la présence “ “ “ ou l’absence de rayons dans les nageoires. Il oppose les sturioniens, comme cartilagineux, aux poissons à arétes ou osseux. Les dessins sur cuivre sont très-beaux, toutes les espèces “ sont faciles è reconnaître. Les descriptions de Marsigli sont, avec celles de J.-L. Cysat “ pour les poissons de la Suisse (Description du lac de Lucerne, 1661), les contributions les plus importantes de l’époque è la faune ichthyologique de l’Europe centrale ,. Dal poco che ho esposto relativamente alle ricerche del Marsigli sul regno animale, emerge chiaramente essere stato notevole il suo contributo al progresso della zoologia. Impianto di un laboratorio sperimentale marittimo. — Io penso che possa dirsi avere il Marsigli fondata la prima stazione marittima sperimentale per lo studio del mare. Il suo laboratorio credo che fosse a Marsiglia o in un paese vicino a questa città. Io non conosco altri che prima di lui abbia fatto degli studi sistematici sul mare, eccetto forse il più grande naturalista dell’antichità, Aristotele. Certo a nessuno spero verrà in mente che io voglia ammettere essere stato il Marsigli il primo che abbia impiantato una stazione zoologica marina da confrontarsi colle moderne di Napoli, di Roscoff, di Banyuls-sur-Mer, ecc. Ma l’idea di impiantare un laboratorio riser- vato allo studio del mare e dei suoi prodotti mi pare debbasi appunto al Marsigli. E che K (1) A. Schneider, che ha annotato il libro di Carus, ricorda la storia del corallo di Lacaze-Durmers, Le Corail, Paris, 1864. (2) N. J. B. Guisovat, Histoire natur. des Drogues Simples, Tme Éd. par Planchon, 1876, vol. IV, p. 376. 28 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA possa paragonarsi, sino ad un certo punto, alle attuali stazioni, almeno per lo scopo, sta il fatto che egli lavorava sulla costa del Mediterraneo con alcuni suoi allievi, fra i quali Antonio de Peyssonel che nel 1756 pubblicava le celebri Observations sur le corail. Il Mar- sigli ha creato una scuola di naturalisti non solamente in Italia ma anche in Francia. Del resto nel grande catalogo inglese del Sotheran a proposito dell’Histoire Physique de la Mer è scritto: “ It is of interest as an early work on oceanography, and contains the investi- gations of the maritime laboratory in Marseilles, the first of its kind ever founded, which the author established 1706 , Il primo concetto dunque di un laboratorio di biologia marina si deve al Marsigli. L'esempio bellissimo fu poi seguìto da Lazzaro Spallanzani e da Filippo Cavolini (1) verso la fine del secolo XVIII. E giustamente perciò il Dalla Vedova, nel 1910, scriveva (2): “ Non “ sappiamo noi che appunto in questa maniera l’iniziativa individuale e la mente precorri- trice del sommo Marsilli e dopo di lui di altri italiani, di Lazzaro Spallanzani, di Filippo Cavolini, già nel secolo XVIII, diedero alla scienza i primi esempi, imitati con tanta for- tuna nel secolo scorso e nel nostro, di veri laboratori di biologia marittima sulla spiaggia “ di Marsiglia e a Porto Venere e fra gl’incanti della spiaggia di Posillipo? Sulla grana dei tintori o kermes animale. — Intorno alla storia fisica del mare il Mar- sigli nel 1711 pubblicò un breve riassunto delle sue ricerche in forma di lettera che ha per titolo: Brieve Ristretto del Saggio fisico intorno alla storia del mare scritto alla R. Accademia delle scienze di Parigi ora esposto in una lettera all’eccellentiss. signor Cristino Martinelli nobile veneto, Venezia 1711, presso Andrea Paoletti. — Qui egli dice che il Saggio fisico avrebbe dovuto essere in cinque parti, ma che ne ha pubblicato solamente quattro. La quinta parte trattava: della generazione, e di molte altre particolarità de gli animali dentro lo stesso mare; “ era anch'essa avanzata, ma non così terminata, come le quattro prece- denti. Quindi estimai bene tenerla appresso di me a tempo più comodo per finirla ,. Non so se poi questa quinta parte sia stata pubblicata. Questo Brieve ristretto ecc. fu pubblicato insieme alle: Annotazioni intorno alla grana de' Tintori detta kermes, in una lettera all'ill.mo sig. Antonio Maria Valisnieri, con 3 tavole, in data 7 marzo 1711. Anzi il titolo generale del libro è: Osservazioni naturali intorno al mare ed alla grana detta kermes. “ “ (3 ne Per quanto allora fossero imperfetti i metodi chimici analitici, specialmente delle sostanze organiche, egli volle sottoporre all'analisi anche la grana dei tintorî (Kermes ani male), il che non era ancora stato fatto. In questa sua memoria sul Kermes il Marsigli espone molti esperimenti; tratta il Kermes coll’olio di vetriolo, con gli alcali, con varie decozioni ecc. e a pag. 65 descrive le operazioni del fuoco cioè esamina i prodotti della distillazione secca, operazione allora capi- tale per i chimici. Ne decompose due libbre nel laboratorio chimico del sig. Bonn in Venezia, entro storta ben lutata ecc. ecc. Ottenne del carbonato di ammonio o sale volatile, un liquido oleoso, dell'acqua e le ceneri o sale fisso. La memoria del Marsigli è corredata da tre belle tavole colorate, nelle quali è descritta la pianta sulla quale vive il Kermes, ed è descritto il Kermes stesso, l’insetto, ecc. Inoltre ricorda la cocciniglia, analoga al Kermes, che veniva dal Perù e dal Messico, e la Cocchi nilla silvestris o Cocceus radicum. (1) Onoranze e festeggiamenti nel 1° centenario della morte di Filippo Cavolini. Napoli, 1911, pag. 40. Qui però non si ricorda Marsigli. (2) Gruserre DALLA Vepova, L'Oceanografia, 1910, in Scritti geografici. Novara-Roma, 1914, pag. 342. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 29 Il. Danubius pannonico-mysicus, observationibus geographicis, astrono- micis, hydrographicis, historicis, physicis perlustratus, et in sex Tomos digestus ab Aloysio Ferd. com. Marsili, socio Regiarum So- cietatum Parisiensis, Londinensis, Monspeliensis. In questi sei grossi tomi, in folio maximo, il Marsigli discorre di cose attinenti all’ar- chitettura militare, alle costruzioni, ai minerali, alla chimica, alla metallurgia ed arte mi- neraria ed alla storia naturale. Il Primo Tomo comprende le osservazioni idrografiche, geografiche ed astronomiche; Il Secondo Tomo contiene la descrizione dei monumenti antichi che si incontrano nella grande valle del Danubio, specialmente nell'antica Dacia e nell'Ungheria, e discorre in par- ticolare del ponte fatto costruire da Traiano ; Il Terzo Tomo è quello che ha più relazione colla chimica, la mineralogia e l’arte mi- neraria. Questo volume 3° ha molti rapporti colla chimica, tratta delle arene, delle selci, delle pietre preziose, dei minerali dei metalli più importanti, che si trovano nell’alveo, nelle rive e spiagge e nei monti attorno al Danubio. È un volume magnifico anche per le illustra- zioni. Cosa da notarsi è che di molti minerali il Marsigli ha fatto l’osservazione mierosco- pica; è forse, io credo, il primo che abbia sottoposto all'osservazione microscopica la frattura dei minerali. Egli dà di confronto le figure del minerale intatto e del minerale spaccato e osservato al microscopio. Questo volume 3° è diviso in otto parti. Nella Parte I: De arena et lapidibus in alveo Danubi tratta delle generalità delle roccie, dell’arena del Danubio che esamina al microscopio e ne dà le figure relative. Descrive molte varietà di agata, ecc. L'esame microscopico egli lo chiama l’anatomia della pietra. Esamina al microscopio la frattura recente e la polvere. To non so se altri prima di lui abbia usato il microscopio nell’ esame dei minerali e delle roccie. Con ciò io non voglio dire che egli abbia applicato il microscopio (1) all’ esame dei minerali con criteri affatto moderni, come hanno poi fatto il Rosenbusch e tanti altri; ma, essendo egli vissuto a Bologna in un tempo in cui il Guglielmini faceva le sue classiche osservazioni cristallografiche ed il Malpighi faceva le sue grandi scoperte isto-anatomiche e fisiologiche, non deve recar meraviglia se il Marsigli abbia subito cercato di applicare il microscopio anche all'esame delle pietre che egli raccoglieva e studiava, come l’applicò al- l'esame delle piante e degli animali, specialmente marini. Nella Parte II: De mediis Mineralibus, Lapidibus ac Metallis, descrive le località in cui trovansi i minerali, che denomina: Mappa Mineralographica. Magnifica è la Mappu Metal- lographica celebris Fodinae Semntziensis in Hungaria Superiori. Sono descritti i pozzi e le gallerie da cui si traevano i minerali, e specialmente il rame, l’argento e l’antimonio. Anche la parte geologica è studiata con figure che indicano le stratificazioni dei terreni e delle montagne, orizzontali, curve, perpendicolari, ecc. Ma io di ciò non voglio nè posso occuparmi. Nella Parte III, che è essenzialmente geologica, discorre De organica montium structura et de figuris Linearum Metallicarum. (1) Hooker (Micrography, London, 1665) fu il primo ad esaminare la struttura granulare dei metalli, col microscopio, e dopo poi nel 1722 Réaumur esaminò la struttura del ferro e dell’acciaio. 30 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA Parte IV. Alla fine della Parte IN e al principio della Parte IV, che tratta: De medtis mineralibus, Sale fossili, communi, Corporibus petrificatis, Salibus mineralibus, si trova una classificazione dei minerali detti da lui medi perchè non sono nè i più comuni nè. i più rari, che voglio qui riprodurre, perchè io credo che questa sia forse la prima classificazione im- portante dei minerali, con criterio scientifico (v. pag. 41): \ Sal Fossile Commune Mineralia media; quae sunt Corpora Petrificata; Lithoxylon | Salis Mineralia. Vitriolum in Gypsum Talcum Minus Pretiosos Magnetem | Majores Molles. . . . $ Amianthum | Lapidem Lazuli Minores Duros Î ‘ Aétitem Lapides : Saponarium Majores . . . Crystallum \_ Pretiosos . x Î Minores; ob Nobilitatem, Hyacinthum \ Gemmas dictos Turcoidem Opalum Aurum Perfecta Veni Argentum i | | Imperfecta Mineralia commodissime nobis dividentur, nr — \ Granatum | Aes, sive Cuprum, O Ferrum Metalla |< ‘ Bismutum; sive Mar- chassitam Argen- team \_ Improprie sic dicta sive spuria Antimonium; Stibium, ; veteribus Minium; sive Cinna- barim nativam TT ____ Nella Parte IV descrive il sale, i legni silicizzati, ecc. Nella Parte V discorre del gesso e dell’amianto, dei quali descrive molte varietà. De- scrive un gran numero di bellissime varietà di quarzo, che esamina anche al microscopio. Sa già che il quarzo è silice. Bellissime geodi con cristalli di quarzo. Nella Parte VI descrive un gran numero di minerali di oro, argento, rame, ferro, ma- gnifici esemplari di rame nativo. Nella Parte VII, dell’antimonio, del mercurio (cinabro). Nella Parte VILI discorre De seminio ac generatione metallorum. È un volume magnifico, ricco di belle figure e di osservazioni importanti. Nei tomi IV, V e VI il Marsigli descrive gli animali terrestri, acquatici, e gli uccelli che raccolse in quelle regioni e vi aggiunge un catalogo delle piante e l’anatomia di alcuni uccelli rapaci e in ultimo discorre della natura e proprietà delle acque del Danubio e del Tibisco. Riguardo la descrizione degli animali del Danubio ho citato un brano della Storia della e Zoologia di Carus a pag. 24. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. SI Il Marsigli nelle sue escursioni militari osservava attentamente tutto ciò che trovava nelle diverse località; osservava la struttura della terra nell’idea, come egli diceva, di in- vestigarne la struttura organica. Egli si proponeva di raccogliere il materiale esaminato in un grande trattato (lettera in appendice al trattato del Vallisneri De’ corpi marini), che non credo sia stato pubblicato. Però della struttura dei monti discorre nel suo Danubius Panno- nicus. Egli ha tentato, con congetture, di trovare come si formano, come si generano i metalli in natura; sono ipotesi, anche, è vero, ma bisogna pensare al tempo in cui furono emesse. Egli tentò pure di spiegare l’origine nelle pietre preziose dei diversi colori che le distinguono ed ammise che il bianco del cristallo provenisse dalla sua matrice: il quarzo; il rosso dei rubini da un poco di cinabro che si diffonde nella massa del quarzo, e così col vetriolo, ecc. È una idea che s’avvicina alle moderne. Egli ne adduce in prova il fatto che dove sono le opali ed i giacinti del Danubio vi è una miniera di cinabro, e dove sono le turchesi ed i zaffiri esistono anche le miniere di vetriolo di vari colori. Si hanno di lui inoltre delle ricerche sulle pietre fosforiche (Dissertazione epistolare del fosforo minerale, ossia della pietra illuminabile bolognese, in-4°, Lipsia, 1698; la stessa opera tradotta in latino da Andrea Cristiano Eschembach trovasi negli Acta di Lipzia, 1792 C. Observat. sur la pierre de Bologne, in “ Mém. Acad. Sc. ,, Paris, 1699; Annotationes de granis tinctorum, quae Kermes vocant (£ Act. Acad. Nat. eur. ,, III, 1733 e in appendice). Altre pubblicazioni, oltre quelle citate, ma relativamente di secondaria importanza, sono: Bevanda asiatica ecc. dedicata al Bonvisi da L. Ferdinando Marsigli, il quale narra la storia medica del Cave, o sia Caffè. Vienna, 1685, in-12°. Lettera al Gagliardi sopra lo stato antico de’ Cenomani, con la nota del Sambuca (nella Raccolta del Sambuca. Brescia, 1750, in-fol.). Lettera al Vallisnieri intorno al monte Bolea, in cui trattando di pesci ed altri petre- fatti che vi si trovano, dimostra non esservi stati trasportati nel diluvio universale (in Opere di Vallisnieri, II, p. 359). Dissertatio de generatione fungorum. Romae, 1714, in-fol., con fig. Lettera intorno al ponte sul Danubio fatto sotto l’imperio di Trajano. Roma, 1715, in-4° (in a. XXI del “ Giornale de’ Letterati , e nel Novus Thesaurus antiquitatum del Sallengre). Lettera scritta al signor Antonio Vallisnieri intorno all'origine delle anguille. Informazione di quanto gli è accaduto nell'affare della resa di Brissaco. In italiano e tedesco, senza luogo, 1705, in-4°. Aggiunta di alcune scritture in sua difesa. In latino ed in francese, senza luogo, 1705, in-4°. Bibliotheca orientalis, sive Elenchus librorum Orientalium manuscriptorum, quos Marsilius collegit ete. Opera Michaelis Tolman. La stampa di questo catalogo rimase incompleta. Atti legali per la fondazione dell’ Istituto. Bologna, 1728, in-fol. Non sono certo se questa nota bibliografica sia completa. Ma ad ogni modo la fama del Marsigli è basata essenzialmente sulle tre grandi opere delle quali più sopra ho tentato di dare un riassunto. Molti manoscritti del Marsigli si conservano nell’Istituto di Bologna. ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA 36) DO APPENDICE L'origine della salsedine del mare secondo Vannoccio Biringucci. Sino dal 1904 io ho fatto conoscere ai chimici tutta l’importanza dell’opera scientifica di Vannoccro Brrineucci ; ho dato ampie notizie, in gran parte inedite, anche sulla sua vita (1). La sua opera Pirotechnia fu esaminata e lodata già da lungo tempo dai chimici, dai me- tallurgisti, ecc. e sotto l'aspetto metallurgico se ne occupò anche il Barzellotti al principio del secolo XIX (2). Altri prima di me, quali: Barzellotti, Cavalli, Omodei, L. Beck, Jahns, ecc., si sono occupati del Biringucci, ma essenzialmente o quasi solamente considerato sotto il punto di vista della metallurgia. Alcuni di questi prima di me hanno utilizzato il Biringucci per i loro studi, come, ad esempio, il Beck, il Jahns e presso di noi Cavalli e Omodei, alcuni anzi hanno tradotto dei capitoli della Pirotechnia (3). Ma che vuol dire ciò? La grande diffe- renza sta nel fatto che io nel 1904 ho messo in rilievo, in evidenza, tutta l’opera scientifica dello scienziato senese, anche come filosofo (pigliando questa parola cum grano salis), ed ho ampiamente sviluppato tutto quanto riguardava questo illustre artista e scienziato (4). Qui non ne discorrerò affatto, perchè forse pubblicherò una seconda edizione del mio lavoro so- vraricordato ed ora affatto esaurito. Io ho dovuto nel 1902-1904 ricercare, e far ricercare, nelle biblioteche, negli archivi, ecc., ho inviato una circolare, ho fatto una specie di in- chiesta presso le principali biblioteche nazionali ed estere. Enumerai tutte le edizioni del- l’opera Pirotechnia, le traduzioni, ecc. Il nostro Vannoccio Biringucci fu il primo ad attirare l’attenzione sulla ricchezza mi- neraria della Toscana, e ad accennare all’ utilità che ne deriverebbe per l’ esercizio delle arti, per l'economia dello Stato e per gli usi della guerra; egli si schierò contro Plinio, o meglio, contro quelle idee assurde che si avevano allora sull’origine dei cristalli, da coloro che tenevano conto solamente delle antiche idee di Plinio. E nella opera Pirotechnia libro X (folio 37-38) ne discorre in modo particolare. E a proposito di questa opera Pirotechnia, che è la principale (o quasi unica) di Birin- gucci, io nel mio lavoro del 1904 scrivevo: (1) I. GuarescnI, Vannoccio Biringucci e la chimica tecnica, Torino, 1904. Opuscolo di 32 pagine in-4° a due colonne; estratto dal “ Supplem. Annuale dell’Enciclop. di Chimica ,, 1904, pag. 419-448. (2) Gracowo BarzetLorti, Notizie sugli studi chimico-metallurgici di Vannoccio Biringucci, in © Giornale dei Letterati, di Pisa, 1808. ; (3) Dovrei scrivere una nota molto lunga se dovessi nominare tutti coloro che nelle loro opere ricordano la Pirotechnia del Biringucci; anche nelle opere di agraria si trova (veggasi in C. Berti. Picnar, Istituzioni scientifiche e tecniche di Agricoltura, 1850, vol. I, p. 1059). (4) Mi piace qui ricordare che già il Prof. Giovanni Campani di Siena aveva sino dal 1873 fatta rilevare l’importanza dell’opera del Biringucci, nel suo complesso; egli allora scriveva (Sulla Storia Naturale del Ter- ritorio di Siena di Giovanni Campani, in “ Atti 6% Riunione straordinaria della Soc. Ital. di Scienze Naturali in Siena ,, Milano, 1873, pag. 87): “ Sullo spegnersi dell'ultima età ora ricordata, l’Italia ebbe da un senese il primo trattato di monta- nistica, di docimastica, di metallurgia e di altre arti praticate col fuoco: vo’ dire la Pirotechnia di Van- noccio Biringucci; quest'opera, che riassume la scienza e la pratica acquistate dall’Autore nelle sue pere- grinazioni in Italia e in Germania, ebbe l’onore di molte edizioni, non che di versioni latina e francese; è altresì da notare com’essa precede di quasi sei anni l’opera tanto celebrata all’estero di Grorero AGrIoLA Sassone intitolata: De re metallica; di modo che il merito dato ad Agricola di avere co’ suoi lavori popo- “ larizzato gli studi metallurgici in Alemagna, gl’'Italiani a più forte ragione debbono concederlo a Vannoccio FIRE Ri e “ Biringucci ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 39 “ Il libro di Biringucci è una figliazione del Compositiones ad tingenda; è il primo libro di chimica scritto (badiamo che siamo nel 1540) senza gli arzigogoli dell’alchimia; è un libro, cioè, di un chimico e non di un alchimista. Pochi libri hanno avuto, specialmente a quel tempo, tante edizioni e traduzioni come quello del nostro Biringucci ,. Im quelle mie laboriose e nuove ricerche non solamente ho fatto conoscere con documenti inediti la data precisa della nascita e fornito nuove notizie sulla vita privata e pubblica del Biringucci, ma, ripeto, ho fatto rilevare l'importanza di tutta la sua opera scientifica; l’ho messo in confronto con Agricola, con Palissy ed altri suoi contemporanei e l’ho considerato sotto vari aspetti, nel suo complesso di scienziato. Feci notare come egli fosse il chimico di quel tempo, più spregiudicato, il quale, con Leonardo da Vinci, suo contemporaneo, abbia contribuito a dar vita alla pratica dello sperimentare, indipendentemente dalle idee alchi- mistiche. Sperimentalismo che fu portato poi al suo vero e massimo splendore come metodo e per importanza di scoperte, dall'alta mente di Galileo. Non potremo però mai considerare il Biringucci come il fonda- tore del metodo sperimentale (1). Il Biringucci era artista e scienziato, uomo veramente moderno, senza pregiu- dizii; egli scrisse contro gli alchimisti e contro l'autorità di Aristotele, come già ancor più coraggiosamente aveva fatto nel secolo XIII Ruggero Bacone. Il Bi- ringucci ha insegnato molte nuove pra- tiche chimiche, fra le quali la separa- zione dell'oro dall’argento, ha insegnato a fondere i cannoni (fu maestro ad Er- cole d'Este), ha perfezionato i metodi di distillazione (2), ha sempre fatto uso della bilancia nelle reazioni chimiche; fece bellissimi studi sulla mineralogia, sui sali, sulla metallurgia, ecc. Egli è stato forse il primo a riunire sotto il nome di sql? delle sostanze apparentemente diverse, ma in realtà simili; e radunò in un solo gruppo: il sal comune o sal marino, il nitro, il sal vetro o sale alcali (soda), il sale ammonico, il borace. Il suo pensiero scientifico è tutto pensiero affatto moderno. Io dunque non mi sono limitato a far conoscere il preciso anno di nascita del Biringucci, ma ho esaminato tutta la sua opera scientifica. E qui piacemi inserire in questa mia breve nota la bella effigie di quel valentuomo; è un medaglione (fig. 3) che trovasi nell'antico Museo di Storia Naturale in via Porta Romana a Firenze; lo debbo alla gentilezza dell’egregio dottor prof. R. Grassini, che io ringrazio sentitamente. E dopo quel mio lungo seritto del 1904 sul Biringucci, che è il lavoro più completo su questo argomento, come si può asserire che fra noi italiani l’opera del Biringucci sia di- menticata? Quel mio lavoro non solamente è conosciuto perchè pubblicato nel Supplemento Annuale all'Enciclopedia di Chimica, opera diffusissima in Italia e fuori, ma anche per le (1) V. la mia Memoria: Ruggero Bacone. Il metodo sperimentale e Galileo, in © Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1914, vol. LXV, n. 4. (2) Il sig. Hermanx ScHeLenz nel suo lavoro Zur Geschichte der Pharmazeutisch-Chemischen Distilliar- geriite-Springer, 1911, ha riprodotto dal mio opuscolo, e col mio consenso, alcune figure del Biringucci riguar- danti la distillazione. Vi 34 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA numerose copie stampate a parte ed ora completamente esaurite; inoltre è conosciuto per essere stato quel mio lavoro riassunto in giornali e opere storiche straniere. Si riprodussero all’estero anche alcune delle figure che io intercalai nel testo del mio lavoro. Dunque ? Dopo il mio lavoro del 1904, si sono citate le opere del Milanesi e di altri scrittori senesi, ma io credo che prima di me nessuno abbia rammentate quelle opere come sorgenti di alcune notizie riguardanti, non l’opera scientifica del Biringucci perchè Milanesi, Roma- gnoli, ecc., non ne avevano la necessaria competenza, ma la vita privata e pubblica del Biringueci; così può dirsi delle notizie che io diedi dell’opera del Varchi: Questione sull’'Al- chimia, ecc. Parte di quelle notizie quasi inedite o pochissimo conosciute io ebbi dalla grande cortesia del Bibliotecario della Comunale di Siena, l’ill.mo signor Dr. Fortunato Donati, che qui mi piace ringraziare nuovamente. Ampliare ciò che hanno già fatto gli altri è una bella cosa, sì, ma sarebbe ancor più laudabile, sarebbe lavoro più originale, diciamo, se i gio- vani iniziassero i loro lavori storici su argomenti nuovi; andassero in cerca di documenti nuovi, ecc., ecc. Del resto, per chi scrive la storia, la prima qualità che deve avere, a mio parere, è l’imparzialità non solamente relativa al soggetto storico, ma anche a coloro che prima hanno scritto sullo stesso argomento. In questa mia nota voglio accennare brevemente, e solamente, a ciò che riguarda l’acqua del mare, essendo ora l’oceanografia studiata sotto aspetti multipli. Qui voglio ricordare come Biringucci sia stato forse il primo naturalista che abbia dato una ragionevole ed esatta interpretazione della Origine della salsedine del mare. Nel mio lavoro del 1904 io ho fatto notare che il primo ad occuparsi seriamente del- l’acqua del mare, particolarmente sotto l'aspetto chimico, è stato Biringucci. A pag. 440 ho ricordato il cap. 2° del Libro II della Pirotechnia, in cui discorre a lungo del sal marino e del modo di estrarlo dall'acqua del mare, e tratta anche del sale che si trova in molte acque naturali salate, come in quelle di Salsomaggiore, ed annotai e #rascrissi testuale precisamente il punto ove egli discorre dell’Origine della salsedine del mare (1). Egli fa rilevare l'errore di Aristotele secondo il quale, in causa del calore del sole, si elevano dalla terra in alto certe parti della terra che poi ricadendo in mare generano la salsedine. Egli espone l’opi- “ nione di Aristotele colle parole seguenti: “ è che li razzi solari siano che dissecchino, abru- ciano certe parti de la terra e le elevino in alto, quali poi, cadendo in mare, generano la sua salsedine ,. Ma il Biringucci si dimostrò contrario a questa opinione, anzi ne fa rilevare l’er- rore e quindi scrive: “ Alle quali parole, per esser dette da chi sono, non mi contrapongo; ma è ben vero che per le medesime ragioni non comprendo, perchè tanti laghi, et acque ferme, che sono “ fra la terra non diuengano come le marine salse, che per esser manco quantità, e non “ manco sottoposte al poter de raggi solari, è quelle dell'Oceano, è quelle che son nel mar “ Caspio, e tanti altri mari douerebbono ancor loro esser salse. Dipoi anco non comprendo “bene, perchè si troui in vn luogo del mare esser più salso, che in vn' altro. Per il che non “ pensando che tal cosa facilmente proceda da certa propria natura di terra, così salsa, e “ che per esserne in molti luoghi tolto l’acque marine, le dia tal salmacità, e questo me lo “fa dire molte ragioni, e massime quando mi metto auanti è gli occhi della mente tanti “ {1) Della salsedine dell’acqua del mare parla anche Ristoro p’Arezzo, del secolo XIII, nel suo Trattato Composizione del Mondo; ma forse un po’ confusamente ammette, su per giù, ciò che ammetteva Aristo- tele: “ L'acqua del mare è salsa a cagione della virtude del sole, che ne trae il sottile suo vapore e rimane lo grosso, ecc. ,. Non è il caso che io qui, per ricchezza bibliografica, ricordi i lavori recenti sull’oceano- grafia, di Krimmel (1906), di P. Rudgki, di Rob. Almagiaà (1906) e di altri, nei quali si fa cenno della sal- sedine del mare. PT, I TO SOI nitriti ia MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 35 “ monti, non tanti varij terreni, con tanti colori, e sapori che son dall’acque del mare ve- “ lati, e ricoperti, fra li quali non dubito che così come anco ne sono fra terra con miniere ‘ di sale purissimo, che in mare, ancor esser non ne possino, e di questo me ne fà ancor “ testimonio l’auere inteso che in Cipri si caua pescando il sale nel fondo del mare, fatto, “ e similmente il detto mar colle commottioni dell’onde come arena il gitta è riua, nel paese “ come dice Plinio de Bariani ,. Prosegue parlando de’ vari paesi ove trovasi del sale o delle acque salate, come in Austria, in Toscana a Volterra, nell'Emilia a Salsomaggiore, ecc. Poi discorre di altri sali. Tutto questo io trascrissi ed annotai nel mio Biringucci. Ma questa mia fatica non fu tenuta in nessun conto, o non conosciuta, da coloro che in seguito si occuparono del Birin- gucci e dell'origine della salsedine del mare. E, badisi bene, ripeto, il mio lavoro non era facile fosse ignorato dai chimici, specialmente perchè trovasi inserito nel Supplemento Annuale all’Enciclopedia di Chimica (di cui quest'anno si compie il 30° anno), anno 1904, pag. 419-448 in-4°; pubblicazione questa molto diffusa in Italia e che si trova in quasi tutti i laboratori. Per comodità di quei lettori che non hanno famigliarità colla lingua italiana, riproduco lo stesso brano della bella edizione francese “ La Pyrotechnie , fatta a Parigi nel 1556, pa- gina_77: 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - . . . . . . . . . “... Mais ie suis esbahy d’ou procede que l’eau de la mer est ainsi salee. Et suis bien “ content de vous en dire mon opinion, encores que ie soye certain qu'elle ne sera approuuee “ de gens doctes & lettrez pour le peu de doctrine qui me fait copagnie. Joint aussi que “ cela a esté decidé par le diuin Aristote, & approuué par plusieurs autres hommes de “ grande erudition. L’opinion desquels est, come ie croy, que ne ignorez que les rayons du “ soleil desechent & bruslent certaine partie de la terre, laquelle estre esleuee en hault vièt “a tomber en la mer, la ou elle prend le goust de sel, vous assurant que ie ne vueil con- “ treuenir a ceste raison pour auoir esté prononcee par personnes de grande authorité. Vray “ est que ie ne les puis aisement comprendre, a cause que ie scay plusieurs lacs & eaux “ sur la terre qui ne deuiennent point ainsi salees comme la mer, encores .qu’elles soyent “ en moindre quantité, si ne sont elles rien moins exemptes de l’ardeur du soleil, ne de ses “ rayons. “ Joint aussi que celles de l’Ocean, de la mer Caspie & de plusieurs autres mers, debu- “ royent estre semblablement salces. Et suis esbahy pourquoy on trouue en la mer aucts “ lieux plus salez que les autres, & ne me puis garder de penser que telle chose procede “ d'une certaine propre nature de terre ainsi salee, & mesmement pour estre comme il en “ y a en plusieurs lieux au dessous des eaux de la mer, & cela me fait aduancer d’en dire “ plusieurs raisons. Et principalement quand i'appercoy au deuant des yeux de mon enten- “ dement, si srande quantité de motaignes & autres terres diuerses qui sont des eaux de la “ mer & couuertes, ie viens a perdre le doute que j'ay eu croyàt que le sel se peut aussi “ bien former en la mer, comme elle fait dedans la terre auec l’aide de ses mines. Et n’ay “ mis en oubly d’auoir entendu autrefois qu'en Cipres on pesche le sel, & le va on chercher “ en cauant iusques au fond de la mer, laquelle estàt esmeue iette semblablement le sel “ sur la riue comme sable par l’impetuosité des vagues, & mesmemet en Hamen, tout ainsi “ comme recite Pline au pais des Barriés. Vous assuràt qu’il y a plusieurs prouinces qui “ ne se seruent d’autre sel que de celuy qu'ils tirent des mòtaignes sans aucun artifice. Et “ pour plus grande confirmation de ce que ie recite, ie vous dy que outre les autres lieux “jay veu a Halla, au duché d’Austrie un petit ruisseau d’eau douce, lequel passant parmy “ une montaigne fort prochaine, deuient salee, en telle sorte qu'on la met dedans certaines “ chaudieres grades de quatre brasses, posees sur fourneanx pour la faire bouillir. Telle- 36 ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA ‘ ment que ceux du pais en viennent a tirer une grande quantité de sel blanc au possible * &rforb met. 345° Ma, e con tuttociò è forse spiegata l’origine vera della salsedine del mare? Io penso di no; perchè anche colle idee moderne o modernizzate di Biringucci (E. Halley, M. P. Rudzki, ecc.) ci troviamo, come direbbesi, in un circolo vizioso. Il cloruro di sodio del mare proverrebbe dal salgemma terrestre, ma si sa che il salgemma è stato originato dall’evaporazione di grandi masse d'acqua marina. Io ho dimostrato che il salgemma il più puro contiene sempre dei bromuri, come il sal marino ordinario (1). Non solo, ma dobbiamo anche pensare ai depo- siti o banchi di cloruro di sodio (assises) che si trovano nel fondo dei mari. Il mare anche in origine conteneva del cloruro di sodio? Io penso di sì, ma la questione è discutibile. Dunque? Dunque bisogna risalire all'origine del sodio e del cloro allo stato elementare, in quei momenti geologici in cui.si formavano i materiali della crosta terrestre e dell’acqua. L'origine vera della salsedine non è conosciuta bene nemmeno oggi. To non ho, nel 1904, confrontato Galileo con Biringucci, non ho detto allora, e non lo (1) Porterò anch'io un granellino di esperienza intorno a questa questione. Il cloruro di sodio che ora si estrae dal mare, per quanto sia depurato contiene sempre dei dromuri, come ho dimostrato ad evidenza (vedi I. GuarescnIi, Nuova reazione del bromo, N. 1 (1912) e Sulla diffusione del bromo in natura (1912), in “ Atti R. Accad. Scienze Torino ,, vol. XLVII). Ebbene, io ho trovato delle quantità sensibili di bromuri in tutti i campioni di salgemma che ho potuto procurarmi: salgemma di Polonia, di Stassfurt, di Spagna, di Illiria, ecc., e recentemente in bei campioni di salgemma di Sicilia, provincia di Girgenti, che debbo alla cortesia del sig. Dr. Maggiocomo. Questo fatto non verrebbe in appoggio all’idea che tutto il salgemma si sia formato per evaporazione dell’acqua marina? L’acqua degli oceani primitivi era acqua dolce, come vogliono alcuni e tutto il cloruro contenuto nei mari vi fu portato dai fiumi ? Che il cloruro sia stato portato in gran parte dai fiumi sta bene, ma che l’acqua in origine fosse dolce, non credo, perchè appena in contatto colle roccie della superficie terrestre deve aver cominciato il lavorìo di soluzione. E l’acqua primitivamente prodotta dalla combinazione dell'idrogeno coll’ossigeno non poteva già tener sciolto anche del cloruro di sodio e altri composti? Le roccie primitive ed i filoni minerali metallici contenenti inclusi gli alogenuri metallici, oppure dei composti alogenati più stabili, quali le apatiti, wagneriti, sodaliti, le tormaline, le crioliti, ecc., hanno lasciato sciogliere, rapidamente prima, lentamente dopo, gli alogenuri solubili, che anda- rono al mare. I grandi depositi di salgemma, insieme ad altri minerali alogenati, quali la kainite, la carnal- lite, ed altre simili, si sarebbero formati dopo, per evaporazione dell’acqua marina. I bromurì che anche in origine erano, relativamente, in quantità minima, sono quasi scomparsi dalle roccie primitive e trovansi invece nel mare, nei depositi marini e negli organismi viventi. Delle minime traccie di bromuri mi pare di aver trovato in acque di pozzo di Torino, che provengono da falde acquee di terreni calcari-gessosi. Ma queste esperienze devono essere ripetute. I laghi, o piccoli mari di acqua dolce, sono appunto tali perchè le acque che in essi affluiscono non trovano sul loro percorso dei composti alogenati. Ma ben diverse dovevano essere le cose nei primordi della formazione e solidifica-. zione della terra. Come acido cloridrico, o in forma di cloruri, il cloro esce ancora dai vulcani. Gli elementi costitutivi dell’acqua o dei materiali in essa sciolti sulla terra trovansi anche ora nelle. regioni più lontane dell’universo; là troviamo idrogeno, ossigeno, calcio, magnesio, sodio, cloro, ecc. Dunque dobbiamo risalire ai tempi geologicamente primitivi, quando gli alogeni trovavansi in presenza dei metalli, dissociati, poi, in seguito alla condensazione, combinati, e costituivano o erano tframmisti alle roccie dalle quali a poco a poco l’acqua li ha esportati. Il sodio, solamente in piccola parte, trovasi in natura allo stato di cloruro; la terra contiene circa 2,7%, di sodio e solamente 0,17% di cloro. Una notevole quantità di cloruri viene alla superficie della terra dall’interno di essa, mediante le ema- nazioni vulcaniche; questo sarebbe il cloro, che io direi primitivo. È vero che la salsedine del mare in questo ‘caso dovrebbe aumentare, ma si deve anche pensare che una sensibile variazione della salsedine avrebbe luogo solamente dopo molti e molti anni, mentre dei dati esatti sul variare della salsedine nei mari non sì hanno ancora, perchè il dosamento esatto del cloruro di sodio del mare potè farsi solamente da 70 a 80 anni e forse nemmeno, perchè prima l’analisi chimica quantitativa non era ancora ben progredita. Le variazioni in così breve volger d’anni non devono, penso, essere sensibili. Poi la salsedine varia da un mare all’altro. Ma non è il caso ora di discutere a fondo questa questione, nella quale la chimica certamente ha la maggiore importanza. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 10. 37 dico ora, che Biringucci sia un vero precursore di Galileo. Sarebbe una grande esagerazione. Ho detto allora che Biringucci aveva un valore scientifico non inferiore a quello di Agri- cola e di Palissy. Ma da Biringuceci a Galileo ci corre assai, assai. L'immensa opera scientifica di Galileo è tanto, tanto superiore a quella di Biringucci che mi pare assai difficile, direi impossibile, il farne confronto, il farne un parallelismo (1). Se vogliamo considerare Ruggero Bacone, Biringucci ed altri come precursori di Galileo dobbiamo dare alla parola precursore un significato molto, ma molto, blando. Come già dissi nella mia memoria su Ruggero Bacone, nessuna legge porta il nome del frate france- scano inglese, come non porta il nome di Biringucci. Solo, e solamente, a Galileo si deve il metodo sperimentale, egli è.il vero instauratore del metodo sperimentale da cui deriva la scienza e la filosofia moderna. CONCLUSIONI Dopo quanto ho esposto intorno specialmente all’opera scientifica di Ferdinando Mar- sigli se ne possono dedurre le conclusioni seguenti: 1. Marsigli ha applicato le nozioni chimiche del suo tempo all'esame dell’acqua del mare, e di molti esseri viventi marini. 2. Egli fece le prime ricerche sulle proprietà fisiche dell’acqua del mare e sulle cause delle correnti marine. 3. Studiò la salsedine, la filtrazione e la distillazione dell’acqua del mare; e l’azione di vari reattivi chimici. 4. Marsigli pel complesso delle sue ricerche sul mare si può riguardare come il fon- datore, od uno dei fondatori, della oceanografia. 5. È stato il primo ad impiantare una stazione o meglio laboratorio marittimo per lo studio del mare e de’ suoi prodotti. 6. Fece uno studio completo per quel tempo di molti esseri marini, quali le spugne, il corallo, ecc. e pel primo usò il nome di madrepore. 7. Ha dato una classificazione pratica dei minerali, che mi sembra nuova per quel tempo; specialmente relativa ai minerali da lui raccolti nella Valle del Danubio. (1) Antonio Favaro, a proposito dei precursori di Galileo, in un articolo: Galileo plagiario ? (* Giornale d’Italia ,, anno XIII, n. 187, 7 luglio 1913), scrisse, giustamente: © Per fermo, chi oserebbe negarlo? — Galileo ebbe dei predecessori; il Vinci e dopo di lui molti altri, nostrani e poi anche forestieri, si erano già volti al metodo sperimentale, ed al tempo suo pur altri corre- vano la medesima via; ma, com’ebbe a dimostrarlo Augusto Conti, chi drizzò Ie menti dell’universalità al metodo nuovo, non per via di precetti astratti, ma per via di precetti e di fatti, fu Galileo. “ Se altri, come il Cardano e il Telesio, lo avevano preceduto nel rinnovamento della fisica, come più tardi anche il Campanella, contradicevano la loro dottrina tentando sistemi 4 priori di tutto l’ordine mon- diale, mentre Galileo procede cauto e nulla atferma se non per lume di ragione intorno a fatti naturali. Egli fu che restituì alla ragione umana la dignità perduta da secoli piegando servilmente sotto il giogo dell’autorità, alla quale seppe sostituire una scienza nuova fondata sulla osservazione e sulla geometria; e la grandezza sua viene dimostrata dalla efficacia di lui ne’ contemporanei e nei posteri, giacchè il primato di un uomo si riconosce dall’impulso che egli seppe imprimere ai tempi suoi e agli avvenire. A tanto nessuno era prima di Galileo pervenuto, checchè si tenti per rimpicciolire questa immensa figura storica ,. Ma io inoltre insisto su quanto ho fatto osservare nel mio lavoro: Ruggero Bacone — Il metodo speri mentale e Galileo (‘ Mem. R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1914), che cioè Galileo col suo metodo fu con- dotto alla scoperta di leggi, il che non fecero mai i suoi predecessori. dI (0.0) ICILIO GUARESCHI — LUIGI FERDINANDO MARSIGLI E LA SUA OPERA SCIENTIFICA 8. Egli fu fra i primi ad applicare il microscopio anche all'esame dei minerali. Tutto il Tomo III del Danubius pannonico-mysicus è interessante per la chimica, per la mineralogia e l’arte mineraria. 9. A lui si debbono le prime ricerche. chimiche sulla grana dei tintori o Kermes animale. 10. Ha fondato a proprie spese l’Istituto delle Scienze di Bologna. li. Vannoccio Biringucci ha dato una assennata spiegazione dell’origine della salse- dine del mare: ma anche con questa spiegazione non ne resta conosciuta la vera origine. Non possiamo considerare Biringucci, e nemmeno Ruggero Bacone, come precursori di Galileo, se non si dà alla parola precursore un significato, molto, ma molto, blando; e l’af- fermare, come hanno fatto taluni, anche recentemente, che Galileo non sia l’instauratore del nuovo metodo, è un grande errore che deve essere cancellato dalla Storia delle Scienze. Questo mio scritto sul Marsigli non ha punto l’assurda pretesa di aver fatto conoscere i lavori scientifici di questo naturalista e tutta la grande importanza che hanno. Per quanto anch'io abbia studiato le scienze naturali e non sia quindi affatto digiuno di esse, pure è fuori di dubbio che ad altri, di ben maggiore valore, spetta il fare risaltare tutta l’impor- tanza dell’opera del Marsigli. Vorrei che questo mio lavoro, il quale deve essere riguardato come un abbozzo, direi un tentativo, servisse di incitamento a chi con più competenza facesse meglio conoscere questo grande naturalista. Il Thoulet ha il merito di aver fatto conoscere almeno una parte dell’opera scientifica del Marsigli; ma nel tempo stesso lo considera quasi come francese. Nel suo lavoro del 1897 (V. loc. cit. a p. 5) scrive: “ Parmi ces inventeurs dont le role a été méconnu, je citerai Marsigli qui, bien qu'Italien de naissance, vécut longtemps en France, y exécuta ses expé- riences et la plupart de ses travaux, qui eut son ouvrage principal, celui dans lequel il “ les exposait, imprimé aux frais de l’Académie des Sciences de Paris, et qui est certai- R ES “ nement le veritable fondateur de l’océanographie ,. “ La plus grande partie de sa vie, de 1703 à 1730, fut donc passée en France; il y écrivit la plupart de ses livres. Comme, en outre, c'est sur les còtes de Provence qu'il “ etudia la mer, la France possède de justes titres è revendiquer la gloire de son nom ,. « Marsigli ,, continua Thoulet, “ a découvert beaucoup et surtout il a enseigné aux “ autres comment on découvrait, comment on explorait le vaste domaine des phénomènes _ ES naturels: cela est ceuvre géniale ,. Dopo il mio studio storico su Giulio Usiglio si comincia, anche nei lavori italiani sul- l’acqua del mare, a ricordare questo nostro chimico dimenticato. Spero che così accada del Marsigli. La verità, lentamente sì, ma cammina; raggiunge la vetta, e là si asside radiante. Torino, R. Università, Settembre-Ottobre 1914. E VI I PRI ET ET VT A e I TI TI AE Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie IL, Vol. LXV. - N. 11. Classe dì scienze fisiche, matematiche e naturali. ORBITA DELLA COMETA 1899,V, MEMORIA DI LUIGI CARNERA Approvata nell'adunanza del 13 Dicembre 1914. La cometa 1899. V venne scoperta la sera del 29 settembre 1899 a Nizza dall’astro- nomo M. Giacobini, noto nel mondo scientifico come un instancabile e fortunato cacciatore di “ comete ,. L'astro apparve fin dal principio come debolissimo, ed a portata solo dei maggiori strumenti: non fa quindi meraviglia il fatto che solo poche osservazioni si pote- rono raccogliere, e anche queste il più delle volte perchè contrariate dalla stagione poco favorevole, o da altre circostanze, furono meritevoli di una fiducia molto relativa. Le osser- vazioni furono continuate fino al 23 dicembre, soprattutto per opera degli osservatorii di Kéònisberg e di M. Hamilton, ma fornirono pure delle importanti serie di posizioni anche gli osservatorii di Besancon, Strasburgo e Teramo. Dal momento della scoperta all’ultima osservazione trascorsero 85 giorni, durante i quali la cometa ebbe a percorrere un arco eliocentrico di neppur una trentina di gradi, allontanandosi rapidamente dal sole e dalla terra, impedendo ogni osservazione sul suo carattere fisico per l'eccessiva debolezza. In ge- nerale apparve come una nebulosa, e solo nei primi giorni ed in condizioni favorevoli di trasparenza d’aria si potè scorgere una condensazione centrale a foggia di nucleo: nessuno degli osservatori accenna d’aver visto una coda. Sulla base delle osservazioni fatte nei primi giorni vennero calcolate numerose orbite provvisorie, sia qui in Europa che nell'America del Nord: essendo però basate su osserva- zioni molto vicine, e non molto sicure per la difficoltà con cui potevan esser eseguite in causa della debole luce dell’astro, dovevan riuscire fra di loro discordanti e rappresentare male i luoghi successivi della cometa. Così Giacobini stesso in due calcoli successivi otte- neva i due seguenti sistemi di elementi, basati su osservazioni del 30 settembre e del 1° e 2 ottobre: 1° Sistema 2° Sistema T=1899 Ott. 25.206 t. m. Parigi T=1899 Sett. 11.662 t. m. Berlino wu 979550240 ni_MM31 5a ) Q= 272° 37130" > 1899.0 212025018990 MA N) s= TE le g= 9.88578. q==1.7780 2 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. Su osservazioni circa degli stessi giorni (Kònisberg: ott. 1; Nizza: ottobre 2, e Strasburgo: ottobre 3) si basava invece il Mòller per ottenere il sistema: T=1899 Agosto 26.707 t. m. Berlino w-== 358° 46.1 SB = 273° 26.9 > 1899.0 a— 905385 lg g=0.23796; mentre a Berkeley gli allievi del prof. Leuschner calcolavano sulla base delle osservazioni del 2, 3 e 4 ottobre il seguente sistema di elementi : T=1899 Luglio 25.31 t. m. Berlino w—= 327° 16' Q = 279° 55” > 1399.0 i= 90° 50! q= 13439. Trascorsi però alcuni giorni, servendosi di osservazioni più distanziate fu possibile mi- gliorare la precisione dei risultati, ottenendo un miglior accordo nella rappresentazione della via percorsa dalla cometa. Perrine basandosi su proprie osservazioni fatte nei giorni 1,7 e 16 ottobre ebbe a trovare: T=1899 Settembre 15.04 t. m. Gr. Wil 09%52% = 272°13' > 1899.0 = 160058 q=1.7854; mentre S. K. Winther servendosi delle osservazioni del 3 ottobre (Strasburgo), 6 ottobre (Konisberg) e 9 ottobre (Bamberg) dedusse il sistema: T —=1899 Settembre 18.3115 t. m. Berlino w= 12° 4726” QB= 272° 448" È 1899.0 i= 7608317" lgg=0.25273, che più tardi ebbe a rettificare nel seguente modo, servendosi delle osservazioni di K&nisberg (ott. 1) e Strasburgo (ottobre 9 e 22): i T—1899 Settembre 13.917805 Wi IO OMO SAN Î S& = 272° 16 11.9 > 1899.0 (A) =>. 19 3 4 lggqg=0.251158. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. 3 Anche questi elementi però, se sono sufficienti a rappresentare bene la cometa durante il periodo compreso fra le osservazioni estreme, lasciano sensibili scostamenti fra i luoghi osservati e quelli calcolati appena ci si scosta fuori da quel periodo di tempo: anzi, quando s'arriva al periodo delle ultime osservazioni, le differenze sorpassano i due minuti primi d'arco. Per questa ragione essendomi accinto al calcolo dell’orbita definitiva non credetti opportuno basarmi per il calcolo dell’effemeride su questo sistema, e preferii dedurre nuovi elementi che meglio mi rappresentassero le osservazioni. Servendomi quindi delle osserva- zioni fatte a Kéonisberg le sere dell'ottobre 1, novembre 2 e dicembre 20, e tenendo conto in prima approssimazione dei valori che si potevano avere dal sistema (A) per correggere per l’aberrazione e parallasse i dati provenienti dalle osservazioni, ricavai il seguente nuovo sistema di elementi : T=1899 Settembre 14.927918 t. m. Berlino t= 282° 59’ 31°.62 Î w= 10° 46° 37.69 Q= 272° 12’ 537.93 ( LES (B) i= 76°56 50.01 lgg=0.2517896. Il luogo medio è rappresentato da questo sistema lasciando quali errori residui : di=+ 144 dé=— 2"17, la piccolezza dei quali avendomi assicurato scarti piccolissimi fra i luoghi osservati e quelli calcolati, mi permise di dedurre con tranquillità l’effemeride seguente, ove al solito sono date di 12 in 12 ore per tutto il tempo abbracciato dalle osservazioni non solo gli a e è apparenti, ma anche le differenze prime (e per le declinazioni anche le seconde), il tempo di aberrazione, ed il logaritmo della distanza geometrica della cometa. 4 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. | Tempo | | Logaritmo Data di a (app.) Aa è (app.) | A'd | Ad s5 aberrazione | | dist. geoc. | m 8 h m LI , "I Ottobre 1.0 |— 17 13.3] 16 30 35.768 È — 445 45.57 FAI 0.31658 + 42.403 + 9 54.34 ni x 15 ed 66) HG Sal — 435 51.23 — 3.50| 31794 + 42.471 ; + 9 50.84 5 2.0 | 17 19.916 32 0.642 — 426 0.39 — 3.42] 31929 + 42.539 |-.947.42 3 2.5 |— 17 23.1|1632 43.181 | — 416 12.97 | — 3.89] 32064 + 42.608 \4- 9 44.09 | da 3.0, |— 17 26.3.1 16 33 25.789 — 4 6 28.88 (SS 25482198 |+ 42.676 | 9 40.84 | x 3.5 | 17 29.5|16 34 8.465 | — 3,56 48.04 — 3.16| 32331 (4 42.745 (+ 937.68 7 4.0 | 17 32.7 |16 34 51.210 — 347 10.36 — 3.10] 32463 -—— 42.812 |+ 9 34.58 | s 4.5 |— 17 35.9| 16 35 32.022 \ — 337 35.78 i 3.03] 32594 + 42.879 + 931.55| . A 5.0 |— 17 39.1|16 36 16.901 — 328 4.23) — 2.97] 32724 | 42.948 | 9.28.58 È 5.5 | 17 42.3 | 16 36 59.849 — 318 35.65 i— 2.92] 32854 + 43.016 + 925.66, 3 6.0 |— 17 45.4|16 37 42.865 — 3.9 9.99 | 2297 32982 + 43.083 + 922.79 DI 6.5 |— 17 48.5| 16 38 25.948 — 259 47.20 |-— 2.80] 33110 + 43.150 |+ 9 19.99 5 7.0 |--1751.6|1639 9.098 — 250 27.21| i—2.73| 33237 + 43.218 + 917.26 | 3 7.5 | 17 54.716 39 52.316 — 241 9.95 |(— 2.66] 33365 + 43.285 \+ 9 14.60 5 8.0 |— 17 57.8|16 40 35.601 — 231 55.35 — 2.61] 33488 + 43.351 -- 9.11.99 A 8.5 |- 18 0.9| 16 41 18.952 — 222 43.36 -— 2.56] 33612 -—| 43.418 9 9.48 ; 9.0 | 18 4.0|1642 2.370 21353393 — 2.51| 33736 + 43.486 +9 6.92 ” 9.5 | 18 7.1|16 42 45.856 QAS —2.44| 33859 + 43.553 +9 4.48 A 10.0 |— 18 10.2 | 16 43 29.409 — 155 22.53 — 2.39] . 33981 + 43.619 ;+79 2.09 5 10.5 |— 1813.2|16 44 13.028 — 146 20.44 — 2.39] 34102 + 43.684 + 8 59.76 i A 11.0 |— 18 16.2| 16 44 56.712 — 1113/2068 — 2.29] 34222 + 43.749 + 857.47 7 11.5 | 18 .19.2| 16 45 40.461 — 128 23.21 | |-— 2.22) 34341 (H- 43.814 + 8.55.25 | A 12.0 |— 18 22.2 | 16 46 24.275 — 119 27.96) (— 2.15] 34459 (+ 43.880 + 8.53.10 | ” 12.5 |— 1825.211647 8.150] -- 110 34.86 — 2.L1| 34577 {4 483.945 (48.50.99 ‘ 13.0 |-—- 18 28.2|16 47 52.100 — 1 143.87 — 2.07] 34694 + 44.009 | + 8 48.92 a 13.5 | 1831.2|16 48 36.109 — 0.52 54.95 — 2.03] 34810 L 44.074 + 8 46.89 | 7 14.0 /— 18 34.1|16 49 20.183 — 044 8.06] (— 1.98] 34925 \+ 44.139 \+ 8 44.91 | n 14.5 | 1837.0|16 50 4.322] — 035 23.15 — 1.93|. 35039 + 44.204 + 8 42.98 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. 5 Tempo n Data sh a (app.) SI DI GRI) ME AÎb logaritmo aberrazione dist. geoc. I IO RO AI a I 44.204 On a Ottobre 15.0 |— 18 39.9|16 50 48.526 — 02640.17 |-_187 || 0:35152 + 44.269 4-8 41.11 È 15.5 |— 18 42.8|16 51 32.795 — 01759.06| [tes31MN8.52:65 + 44.334 + 839.28 è 16.0 |— 1845.7|16 52 17.129 — 0 919.78] Lung] EEoI7 | 44.398 | 837.50 3 16.5 |— 18 48.6[1653 1.527| — 0 042,28] — 1.73] 35488 + 44.464 | 8.35.77 a 17.0 |— 18 51.5|16 53 45.991 È 0 753.49 — 1.68| 35598 + 44.530 + 8 34.09| A 17.5 |— 18544|165430.521| + 016 27.58 SSRG4|NN35707 + 44.596 4 8.32.45 È 18.0 |— 1857.2|1655 15.117] + 025 0.03| (— 1.59] 35815 \+ 44.662 |4- 8.30.86 | S 18.5 |— 19 0.0|16 55 59.779 -—- 033 30.89] — 1.56| 35923 \4- 44.727 4-8 29.30 | s 19.0 |— 19 2.8|16 56 44.506 | + 042 0.19] \(— 1.52] 36030 (+ 44.792 (+ 8.27.78 s 19.5 |—19 5.6|16.57 29.298 + 050 27.97 | 1.47| 36136 :|+ 44.859 + 826.31 | o 20.0 |—-19 8.4|16.58 14.157 | + 0585428 — 1.40| 36241 || 44.927 | 8 24.91 3 20.5 |— 19 11.2 | 16 58 59.084 | +. 1 719.19] |— 1.38| 36346 i ;4 44.995 + 8.23.53 b 21.0 | 19 14.0|16 59 44.079 SISSA 2172) — 1.33| 36450 + 45.062 LL BONZ0I 5 21.5 |— 1916.7|17 029.141] SRO ARIATO DI | 1.29| 36553 -L 45.131 \4+- 8.20.91 s 22.0 |--1919.4|17 114.272 Co3225:83 2:26 | 136655. | 45.199 4 819.65 di 22.5 |--1922.1|17 159:471| + 14045.48| | 1.20] 36756 — 45.268 | 818.45] v 23.0 |— 1924.8|17 244.739] + 149 3.98] (ez 36857 (+ 45.336 |P 817,98) 3 23.5 | 1927.5|17 330.075 | 1457 21.21 (— 1.12| 36957 + 45.406 -—- 8 16.16 | Ù 24.0 |--1930.2|17 415.481| SINOl 513737) 1.08] 37056 E + 45.475 + 8 15.08| 3 245 |— 1932.8|17 5 1.956 + 21352.45 | = 37154 |P 45.544 4 8 14.04| 3 25.0 |—1935.4|17 5 46.500| + 222 6.49 — 0.99] 37252 (+ 45.615 + 813.05 È 25.5 |- 1938.0|17 632.115. + 230.19.54 — 0.96| 37349 + 45.686 148 12.09 a 26.0 |—1940.6|17 717.801 2:38 31.68 | BETTI 37445 — 45.757 3 8 011 3 26.5 | 1943.2|17 8 3.558 + 2:46/42,8 | — 0.88] 37540 + 45.828 + 810.30 ì 27.0 |— 1945.8|17 849.386| + 25453.10 | 0.88] 37635 \+ 45.899 SORIA) A 27.5 |—1948.4|17 935.285] 4.3 3 257 — 0.80| 37729 + 45.969 8 8.67 3 28.0 |— 19 51.0|17 10 21.254 ’ 31111.24 — 0.75] 37822 + 46.040 7.92 î 28.5 | 19 53.5|1711 7.294 + 319 19.16 0:72) 37914 (PAG 7.20 6 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. Tempo | ; Data di a (app.) Aa ò (app.) | A'ò A°d po aberrazione dist. geoc. mos na o + 46.111 SUE +8 7.20 RE Ottobre 29.0 [— 19 56.0|17 11 53.405 | -+ 327 26.36 — 0.70] 0.38006 + 46.183 +8 6.50 P 29.5 |-— 19 58.5 | 17 12:39.588 + 335 32.86 | — 0.64| 38097 + 46.254 + 8 5.86 A 30.0 |—20 1.0|17 13 25.842 + 343 38.72 |— 0.59] 38187 |4- 46.325 +8 5.27 5 30.5 [— 20 3.517 14 12.167 + 351 43.99 — 0.571 38276 + 46.396 + 8 4.70 ” 381.0 |—-20 6.0|17 14 58.563 + 359 48.69 | — 0.54] 38365 + 46.467 +8 4.16 Novembre 0.5 |— 20 8.4|17 15 45.030 + 4 752.85. — 0.49/ 38453 + 46.539 +8 3.67 5 1.0 |- 20 10.8|17 16 31.569 + 415 56.52 — 0.45| 38540 + 46.611 + 8 3.22 5 1.5 [— 20 13.2] 17 17 18.180 + 423 59.74 —-0.42|] 38627 + 46.682 +8 2.80 A 2.0 |--2015.6|1718 4.862 + 432 2.54 — 0.39| 38713 + 46.754 + 8 2.41 3 2.5 | 20 18.0|17 18 51.616 + 440 4.95 — 0.34| 38798 + 46.725 +8 2.07 R 3.0 | 20 20.4|17 19 38.441 + 448 7.02 — 0.32| 38882 + 46.894 + 8 1.75 È 3.5 |— 2022.8117 20 25.335. + 456 8.77 — 0.29] 38966 + 46.965 +8 1.46 Ù 4.0 {— 2025.1| 17 21 12.300 + 5 410.23 — 0.25] 39049 + 47.036 +8 1.21 5 4.5 |— 20 27.4|17 21 59.336 + 5121144 — 0.21 39131 + 47.107 +8 1.00 4 5.0 (— 20 29.7 | 17 22 46.443 + 520 12.44 — 0.17] 39212 + 47.178 +8 0.83 ” 5.5 |— 20 32.0 | 17 23 33.621 + 528 13.27 — 0.15] 39293 + 47.247 +8 0.68 D 6.0) |-- 20 34.3 | 17 24 20.868 + 536 13.95 — 0.13] 39373 + 47.317 +8 0.55 3 6.5 |— 20 36.6|17 25 8.185 + 5 44 14.50 — 0.09] 39453 + 47.386 + 8 0.46 5 7.0 | 20 38.8] 17 25 55.571 + 552 14.96 — 0.05] 39532 + 47.456 +8 0.41 s 7.5 |— 2041.0|17 26 43.027 + 6 015.37 — 0.01] 39610 + 47.524 +8 0.40 ni 8.0 | 20 43.2 | 17 27 30.551 + 6 815.77 + 0.01] 39688 + 47.592 + 8 0.41 È 8.5 | 20 45.4|17 28 28.143 + 616 16.18 + 0.02] 39765 + 47.661 +8 0.43 5) 9.0 |— 20 47.6|1729 5.804 + 624 16.61 + 0.05] 39845 + 47.730 + 8 0.48 7 » 9.5 |— 20 49.8] 17 29 53.534 + 632 17.09 + 0.10] 39917 + 47.799 + 8 0.58 n 10.0 |— 20 52.0 17 30 41.333 + 640 17.67 + 0.12] 39992 + 47.866 +8 0.70 È 10.5 |— 2054.111731 29.199 + 648 18.37 + 0.13] 40066 + 47.933 +8 0.83 È 11.0 |— 20 56.2|17 32 17.132 + 656 19.20 + 0.16] 40140 + 48.000 -+ 8 0.99 ; 11.5 [— 20/58:3.117 33. 5.132 + 7 420.19 + 0.19] 40213 + 48.068 +8 1.18 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. 7 Data aberrazione Novembre 12.0 | — 21 04 : 12.5]— 21 2.5 3 13.0|— 21 4.6 5 13.5|— 21 6.7 n 14.0}/— 21 8.7 ORA: CORIO Ro Sa NRE) Seca e; ae 16:0| 2167 NORI615;|21718:7 } 17.0|— 21 20.7 ; 17.5|— 21 22.6 DIN 18(0;(— 21245 aes a MES19/0 (4911293 s 19.5|-— 21302 ec Rzuo Aa n° | 20.5|— 21340 AES R2.100.1=2135:8 peo s213756 n d22:0| 21.394 DOD Sh N23! 21430 n 235|— 21448 n» 240|—2146.6 n° ‘24.5 21484 a 025.0) 21501 255 21058 a (app.) ha è (appi) A'd Tod Oggiono | dist. geoc. | i [] i 481068 RL O IE 18 17 33 53.200 | + 71221.37| + 0.21 | 0.40285 \4 48.136 (4-8 1.99 17 34 41.336 | + 72022.76 + 0.25 40357 \+ 48.203 |4+ 8 1.64 17 35 29.539 + 728 24.40 | — 0.27 40428 + 48.271 (+8 191] 1736 17.810 + 736 26.31 | + 0.30 40499 + 48.388 18 221) 17 36 42.148 + 744 28.52 | |+ 0.33 40569 —| 48.405 (4-8 2.54 17 37 54.555 + 752 31.06 + 0.33 40638 + 48.473 +8 2.87 17 38 43.026 + 8 033.93] + 0.36 40707 4 48.541 |4P8 3.23 17 39 31.567 + 8 837.16 + 0.39 40775 -+ 48.609 +8 3.62 17 40 20.176 + 816 40.78 + 0.43 40842 _L 48.677 +8 405 1741 8.853 + 824 44.83 + 0.43 40909 + 48.745 —l 8) 4.48 17 41 57.598 + 832 49.31 -— 0.45 40975 + 48.813 -«- 8 4.93 174246411 L 840 54.24 {4 0.48 41041 + 48.882 ug 244 17 43 35.293 — 848 59.65 + 0.51 41106 _L 48.951 +8 5.92 17 44 24.244 IL 807 597 + 0.583 41171 + 49.020 +8 6.45 1745 13.264 CISMON e 2:02 + 0.55 41235 + 49.089 + 8 7.00 1746 2.353 - 913 19.02 + 0.58 41299 + 49.159 le 817158 17 46 51.512 -Ll 921 26.60 + 0.60 41362 + 49.229 +8 8.18 1747 40.741 + 929 34.78 + 0.62 41424 + 49.298 \4+-8 8.80 17 48 30.039 937 43.58 + 0.64 41486 + 49.368 + 8 944 17 49 19.407 SEMO 5302 + 0.67 41548 + 49.438 + 8.10.11 1750 8.845 di oi sul + 0.70 41609 + 49.508 -- 810.81 17 50 58.353 SEO Qaleoi + 0.72 41669 + 49.578 1 8 11.53 17 51 47.931 + 1010 25.47 + 0.73 41729 + 49.649 \1 812.26 17 52 37.580 ELMI SSZI4IA, + 0.76 41788 14 49.719 |+ 8 13.02 17 53 27.299 + 10 26 50.75 | {H+ 0.78 41847 + 49.789 \4 8.13.80 17 54 17.088 Sl o) + 0.81 41905 + 49.860 (4 814.61 1755 6.948 -— 10 43 19.16 | + 0.82 41963 + 49.930 + 815.48] 17 55 56.878 + 10 51 34.54 | {+ 0.85 42020 + 50.000 + 8.16.28 8 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. Tempo : Data di a (app.) Aa è (app.) A'òd A°d DOEATeO aberrazione dist. geoc. IA CARO - 50.000 Ti REEoza di Novembre 26.0 |— 21 53.5 | 17 56 46.878 + 10 59 50.87! + 0.86 | 0.42077 + 50.071 |+ 817.14 i 26.5 |— 21 55.2 | 17 57 36.949 +11 8 8.01 + 0.87 42133 | + 50.141 + 818.01 27.0|— 21 56.917 58 27.090 + 11 16 26.02 + 0.93 42189 + 50.211 + 8 18.94 di 27.5|— 21 58.6] 1759 17.301 + 11 24 44.96 + 0.93 42245 + 50.281 5 + 819.87 si 28.0|— 22 0.3|18 0 7.582 + 1133 4.83 + 0.94 42300 + 50.351 +8 20.81 LI 28.5|— 22 1.9|18 057.933 -+ 11 41 25.64 + 0.96 42954 + 50.421 SS azil “ 29.0/— 22 3.6|18 148.354 + 11494741 + 0.98 42408 + 50.491 + 822.75 t 29.5|— 22 5.218 238.845 + 1158 10.16 + 1.01 424.62 + 50.561 + 6 23.76 Li 30.0|— 22 6.8 [18 329.406 + 12 633.92 + 1.02 42515 + 50.630 + 8 24.78 ; 30.5|— 22 8.418 420.036 + 1214 18.70 + 1.04 42567 + 50.699 + 8 25.82 Decembre 1.0|—2210.0|18 510.735 + 12 23 24.52 + 1.06 42619 + 50.768 + 8 26.88 È 1.5|— 22 11.6|18 6 1.503 + 1231 51.40 + 1.07 42671 + 50.837 + 8.27.95 È 2.0|— 22 13.2] 18 652340 + 1240 19.35 +1.11 4222) € +- 50.905 + 8 29.06 Lo Deb 22/1481] 18) 7043245 + 1248 48.41 + 1.12 42773 + 50.973 -| 830.18 i 3.0/—2216.4|18 834.218 + 12 57 18.59 |. 113 42824 + 51.040 + 881.31 i 3.5|— 22 17.9| 18 9 25.258 +13 549.90 + 1.13 42874 51.108 + 8.32.44 L; 4.0/— 22 19.4|18 10 16.366 + 13 14 22.34 + 1.17 42988 + 51.175 -| 833.61 À 4.5|— 2220.9| 1811 7.541 +- 13 22.55.95 + 1.19 42972 -+ 51.241 -—- 8 34.80 3 5.0/— 22 22.4] 18 11 58.782 | 1331 30.75 + 1.19 43021 + 51.307 + 8.35.99 E 5.5|— 2223.9|18 12 50.089 + 1340 6.74 + 1.20 43070 + 51.974 + 837.19 ,; 6.0{— 22 25.4] 18 13 41.463 + 13 48 43.93 + 1.21 43118 + 51.440 + 838.40 ;; 6.5/— 22 26.9] 18 14 32.903 + 13 57 22.38 + 1.21 43165 + 51.504 + 839.61 À 7.0|— 2228.4| 1815 24.407 +14 6 1.94 + 1.23 43212 + 51.569 + 8 40.84 s 7.5|— 2229.9| 18 16 15.976 + 14 14 42.78 + 1.27 43259 + 51.633 + 842.11 È 8.0|— 22 31.3] 1817 7.609 + 14 23 24.89 + 1.29 438305 + 51.697 + 8 43.40 È 8.5/— 22 32.7 | 18 17 59.306 + 1432 8.29 + 1.29 438351 . |+ 51.762 + 8 44.69 L 9.0 /— 22 34.1 | 18.18 51.068 + 14 40 52.98 + 1.29 43397 + 51.825 + 8 45.98 4 9.5 [— 22 35.5 | 18 19 42.893 -| 14 49 38.96 + 1.28 43442 + 51.888 + 8 47.26 dieci ni sr MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. Tempo | On Data Epi a (app.) Aa dò (app.) A'òd A°d Legazione aberrazione | dist. geoc. | et ee 26 Decembre 10.0 |— 22 36.9 |18 20 34.781 | + 1458 26.22 |+ 1.29] 0.43487 \+ 51.952 |4+ 8.48.55 £ 10.5|— 22 38.3|18 21 26.733. SSMZA LAST \(4-1.80| 43531 \4 52.015 + 8 49.85 3 11.0|—2239.7|1822 18.748! + 1516 4.62 + 1.33] 43575 |4- 52.078 IL iue 5 11.5|— 22 41.1|18 23 10.826 | 1524 55.80] -—|- 1.32] 43619 | 52.141 + 8 52.50 E 12.0|— 2242.5|1824 2.967 + 15 33 48.30 | + 1.33| 43663 + 52.204 | 853.83 È 12.5|— 22/48.9|18 24 55.171 | 15,42 42.13) + 1.34|. 43706 + 52.267 (+ 8 55.17 È 13.0|— 22 45.2|18 25 47.438 + 15.51 37.30 1.36] 43749 | 52.329 || 8 56.53 7 13.5|— 22 46.5 | 18 26 39.767 + 16. 033.83| | 1.37] 43792 + 52.391 + 8.57.90 : 14.0|— 22 47.8|18 27 32.158 SaG 013118731 | 1.36] 43834 | 52.454 | 8.59.26 y 14.5|— 2249.1|1828 24.612 + 16 18 30.99 | | 1.37] 43876 | 52.518 +9 0.63 , 15.0|— 22 50.4|182917.130 + 16 27 31.62 | 1.40] 43918 | 52.581 | 9! 2.03 ; 15.5] 2251.7|1830 9.711| + 16 36 33.65 | + 1.39| 43959 + 52.644 9 3.42 = 16.0|—2253.0|1831 2.355 | + 16 45 37.07 + 1.40] 44000 \4- 52.707 +9 4.82 a 16.5|— 22 54.3|18 31 55.062 | | 1654 41.89 + 1.41] 44041 + 52.770 + 9 6.23 a 17.0|— 22 55.6|18 32 47.832 I AIA | 1.42] 44082 | 52.833 +9 7.65 i : 17.5|— 22 56.9|18 33 40.665 SLI7 2 | 1.43] 44122 + 52.897 | 9 9.08 È 18.0|— 22 58.218 34 33.562 IL i) 20 LLSS + 1.43] 44162 + 52.960 + 910.51 2 18.5|— 22 59.5|18 35 26.522 17/31 15.36 + 1.44] 44202 \4- 53.023 | 911.95) È 190|— 23 0.8|1836 19.545 L 17402731) | 1.46| 44242 \4- 53.086 + 913.41 S 19.5|—23 2.0|183712.631| + 1749 40.72 | |4.1.45]: 44281 | 53.150 |+ 9 14.86| È 20.0|—23 3.2|1838 5.781] { 17.58 55.58 (4 1.46] 44320 | 53/213 + 9 16.32 3 20.5|— 23 44|1838 58.994 18 811.90 +. 1.47| 44359 | 53.276 (+ 917.79| . 21.0|— 23 5.6|183952.270| + 1817 29.69 \+1.48| 44397 || 53.339 |-1.919.27| Ss 21.5|— 23 6.8|18 40 45.609 -—+ 18 26 48.96 | (P1A47| 44435 (+ 53.403 (+ 920.74 | 3 22.0|— 23 8.0|184139.012| + 1836 9.70 (+ 1.49] 44437 \+ 53.466 + 922.23! È 22.5|— 23 9.2|184232.478, + 18 45.31.93 (+ 1.50] 44511 \4 53.529 | 923.73| 2 23.0|— 23 10.4|18 43 26.007 | + 18 54 55.66 (-P1.51|. 44548 || 53.592 | 9 25.24 e 23.5|— 23 11.6 | 18 44 19.599 -—- 19 420.90) |4+ 1.52] 44585 \-+ 53.656 + 9 26.76 10 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. Tempo | , Data ir a (app.) | Aa dò (app.) A'òd A°d LoRariimo aberrazione dist. geoc. III PRESIEDE So TREO) Decembre 24.0 |— 23 12.8 | 18 45 13.255 + 19 13 47.66 + 1.52 | 0.44622 + 53.720 + 9.28.28 2 24.5 |— 23 14.0|18 46 6.975 + 19 23 15.94 + 1.54] 44659 + 53.783 + 9 29.82 ; 25.0|— 23 15.2|1847 0.758 + 19 32 45.76 44695 Ottenuta così l’effemeride, fu facile procedere al confronto dei luoghi calcolati con quelli osservati. Anzitutto ritenni conveniente ripetere per tutte le osservazioni il calcolo sia della riduzione al luogo apparente, che quella del fattore parallattico, indi di procedere ad una verifica nella posizione delle stelle di confronto, prendendo per base a questo scopo le po- sizioni date dai cataloghi stellari apparsi in questi ultimi anni. Fu possibile così migliorare non poche posizioni in grazia sopratutto dei cataloghi di Strasburgo (A. G.) e Bonn (Kiistner). In parecchi casi poi ebbi a trovar che una stessa stella di confronto, non contenuta in alcun catalogo, era stata collegata micrometricamente a due diverse stelle da osservatori diversi, od anche alla stessa stella, ma in località distinte e con risultati diversi: ho creduto op- portuno allora assumere quale posizione definitiva quella risultante dalla media dei singoli valori. Per due stelle infine ritenni fosse pur il caso tener conto del notevole e sensibile moto proprio. I valori assunti sono contenuti nella distinta seguente : La a (1899.0) ò (1899.0) Autorità i sn ò 8 o I "r 1 |1628 4.32 | — 4 249.2 | A. G. Strass. 5689 2. 28 33.85 | — 45035.3 | A. G. Strass. 5692 3 28.39.64 | — 3.3440.2 | A. G. Strass. 5693 rS 29 4.47 |— 348 11.1 | A. G. Strass. 5695 2915.3530 | — 449 33.4 | A. G. Strass. 5697 6 93 6.52 | — 423 22.9 | A. G. Strass. 5715 7 33 15.54 | — 440 6.1 | Rif. micra »2{Aa= + 4"41°.69; Ad= + 10'29”.2. Aut.: Kénigsberg} 8 3424.31 | — 325 14.5 | A. G. Strass. 5717 9 35 23.97 | — 347 39.2 | Rif. micr. a * 14{Aa= — 2"29*.04; Ad=+9/52”.4. Autorità: Teramo } 10 35 35.68 | — 343 45.8 | Rif. micra * 9{Aa=-+ 0%115.71; Ad=+3/58”4. Autorità: Teramo } 11| 353825 |— 330227 | Rif micra» 8{Aa=4 1"13'94; Ab=—5' 872. Aut.: Mt, Hamilton} 12) 36 2.88|— 4 115.0 | A; G. Strass. 5722 13 36 54.05 | — 325 25.8 | Rif. micr.a * 8{Aa= + 2"29*.74; AB=—0/11”3. Autorità: Teramo } x MEMORIE a (1899.0) - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. 11 | | (1899.0) Autorità ho m s | 14 |16 37 53.01 | — 15 16 38 40.61 | 39 13.01 42 27.06 42 48.75 44 48.34 45 26.32 46 0.71 46 28.07 48 56.62 49 14.32 51 46.11 03 32.77 56 3.99 58 31.00 | 59 29.56. | 59 59.41 17 134.99 145.82 150.49 154.99 | 3 5.24 3.25.39 | 333.69 | 410.55 440.70 | 456.01 | 1° — _ + SA so + + L- Ì U tI 357 31.6 | A. G. Strass. 5729 > ILL DI 8.5 231 55.1 226 29.6 141 27 151 34.4 131 35.9 2 2322 127 38.4 126.392 0 22 31.5 0 16 40.4 0 1 48 + 137 6.6 0 0 84 114 48.2 119 59.1 1 937.2 142 3.5 126 30.1 155 45.2 151 18.9 155 56.9 142 32.3 259 8.1 2 845.9 214 94 Rif. micr. a # 19{Aa=— 1"145,81; Ad—=— 5/079. Aut.: Kònigsberg } A. G. Strass. 5730 A. G. Strass. 5732 A. G. Strass. 5734 Rif. micr. a * 21{Adg= — 202161; Ad= — 15/576. Autorità: Kiel Aa=—2 21.11; Ad=—16 2 .8. Aut.: Konigsb. } a *20tAa=—0 21.52; Ad=— 26 32 .6. Aut.: Bamberg} A. G. Nic. 4216 A. G. Nic. 4224 Rif. mier. a * 24{Ao= — 1" 15.60; Ad=— 3/58”.7. Aut.: Poulkowa } a x25{Aa=—3 30.45; Ad=—4 55 6. Autorità: Teramo} Gott., 4097 Bo. VI. — 1°.3259 A. G. Nic. 4234 Bo. VI. — 0°.3200 Rif. micr. a * 26{Aa:+ 2%315.79; Ad=+5/51”.1. Aut.: Mt. Hamilton} Rif. micr. a #30{Aa=— 45823; Ad= — 0/56”.4. Aut.: Mt.Hamilton} A. G. Albany 5609 A. G. Nic. 4260 Rif. micr.a # 33{Aa= — 2" 55.41; Ad=-5/10”.9. Aut.: Konigsberg Aa=—2 5.45; Ad=-+5 11.1. Aut.: l'eramo } Rif. micr.a * 31tAa=-+0 23.85; Adò=+-5 10 .9. Aut.: Teramo } A. G. Alb. 5648 Rif. micr.a * 39 Ag: — 147.86; Ad=— 0/28”.8. Autorità: Teramo } A. G. Alb. 5650 A. G. Alb. 5681 A. G. Alb. 5662 Rif. micr. a * 36{Ao=- 1"30°.40; Adb=+0/11”.1. Aut.: Mt. Hamilton } A. G. Alb. 5664 A. G. Alb. 5670 Rif. micr.a # 451 Aa=— 1242551; Adò=— 2/50”.6. Autorità: Teramo } Rif. micr.a * 51{ Aa=+220*.32; Ad=—0/397.9. Aut.: Mt. Hamilton } 12 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. X | a(18990) | (1899.0) Autorità 43 | 17 5 6.67 | 237 22.1 | A. G. Alb. 5675 44 5 26.95 pae 154 38.0 | A. G. Alb. 5678 45 623.21 | + 21136.5 | A. G. Alb. 5681 46 6 25.44 | + 219112 | Rif mier. a * 48{Aa=-— 025419; Ad=+0/33/.8. Autorità: Teramo } 47 6 30.05 | + 23421.2 | Rif micr. a * 48{Aa=-{-1"23138; Ab=— 3° 0”9. Aut.: Mt. Hamilton } 48 6 56.63 | + 218 37.4 | A. G. Alb. 5685 149 Y 1.98 |+4 215 49.9 | A. G. Alb. 5686 50 711.33 | + 248 59.4 | A. G. Alb. 5687 51 7 16.33 | + 21449.3 | A. G. Alb. 5688 52 747.85 |+ 228 0.5 | A. G. Alb. 5691 53 810.24 | + 251 29.2 | Rif. micr. a # 50{Aa=-+0%58'.91; Ad—=+2/29”.8. Aut.: Mt. Hamilton} _ bd 8 42.88 IRE 242274 | A. G. Alb. 5695 55 10 1.43 | + 24559.8 | A. G. Alb. 5701 56 11 41.84 | 3 550.5 | A. G. Alb. 5713 57 13 12.43 Di 4 2 4.5. | A. G. Alb. 5724 58 e 275 | + 343 44.3 | Mi, 6527 59 1420.61 | + 35431.5 | Rif. mier.a « 61{Aa=— 1"50520; Ab=— 0/53”.1. Aut.: Mt. Hamilton} 60 15 14.27 | + 421 54.8 | A. G. Alb. 5735 61 16 10.81 | + 3.55 24.6 | A. G. Alb. 5741 62 16 25.31 | + 41630.2 | A. G. Alb. 5744 63 17 0.49 | 4 435 1.6 | A. G. Alb. 5749 64 17 27.06 | + 427 37.9 | A. G. Alb. 5753 65 18 0.64 | + 437 20.5 3 } Mi, 6571 + Rif. micr. a * 63 [(Aa= + 1"0*.26; Ad =+2/18%.6, Autorità : Kénigsberg ] { | 66 18 26.28 | -—| 435 48.6 | Rif. micr. a * 65{Aa=-+0"25*64; Ad— —1’31”.9. Autorità: Teramo } 67 18.50.39 | + 456 15.7 | A. G. Alb. 5759! Compreso M. P. : ba = — TOO; up — 0/18) 68 | 194680 |4 517 08 |A 6 teipy 1801 69 19 52.79 | + 446214 | Rif. mier. a * 71{Aa=— 0%55°.38; Ad=+ 1’16”.3. Aut.: Kénigsberg | 4a=— 0 55 37; A9=+1 17 .3. Aut.: Teramo ) 70) 20 19.91 | + 51047.3 | A. G. Leip.9 7806 71}. 2048.16 |-t- 445. 4,6 o 3 A. (G. Alb. 5767 + A. G. Leip.2/7815 { MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. 15 x a (1899.0) è (1899.0) Autorità 91] 59.26.76 92/18 037.01 93 1 1.60 94 2° 0.98 95 216.22 96 242.45 97 4 4.14 98 4 55.10 99 6 3.31 100 6 7.40 5 22 34.8 + t + 54321.6 4. 158510.5 IL HESUES + 548 6.1 + 641 83 + 934296 |} 950573 + 949 64 14 1019425 4 10 10.51.5 ‘11028 9.0 + 1018 6.8 (1 1050 2.9 + 10:55,39.9 6 |4-10:30 17.1 + 1118 26.8 (4 111345.8 +11 820.6 41136 7.8 + 1159 44.0 (4 1136 10.2 +. 11 51 39.0 |P 1211179 LE 1212, 72 + 1157 6.6 |-P-12:40.01; Er2137295 Ki. Bo. 7737 Rif. mier. a x 68 [(Aa=+ 3"16520; Ad=+-5/34”.5. Ant.: Kénigsberg] A. G. Leip.s 7847 A. G. Leip.s 7852 A. G. Leip.9 7861 (Compreso M. P. u, = 0.000 4y = — 0”.26) A. G. Leip.3 7880 A. G. Leip.a 7926 A. G. Leip.s 8128 Rif. micr. a x SI{Aao=— 0%15%.14; Ad=-+1/50/9. Aut.; Teramo } A. G. Leip., 8168 Rif. micr. a * 85{Aa=—2%05,21; Ad=+-1/35”.7. Aut.: Mt. Hamilton } A. G. Leip. 6345 Rif. micr. a * S8{Aoa= — 10381.28; Ad=— 2/8”.1. A. G. Leip.i 6363 Rif. micr. a x 87{Aa= — 0%13.65; Ad = — 5/37”.0. Mii, 6995 3 } A. G. Leip. 6868 + Mii 6997 { Rif. mier. a * 901 Aa= — 0"44549; AB=-+4/41”.0. Rif. micr. a * 91! Aa=-|- 0% 2:39; Ad=+5/25/.2. A. G. Leip. 6398 Rif. micr. a x 94{ Aa= — 1"235.97; Adò= — 0/2”. 4. A. G. Leip.; 6414 A. G. Leip., 6422 Rif. micr. a *x 98{Aa=+1"14.67; Ad= —8' 37.2. Aao=+1 14.57; 4d=—8 4 .3. a *98{Aa=—2 38.89; Aò—— 5 27 .5. A. G. Leip.i 6429 Rif. micr. a * 961 Aa=-+ 121569; Ad=+ 0/49”.3. A. G. Leip. 6456 A. G. Leip.; 6464 Autorità: Autorità: Autorità: Autorità: Autorità: Autorità: Teramo } Teramo} Teramo } Teramo } Teramo } Teramo Aut. Kònigsberg } Autorità: Autorità: Teramo } Teramo } Rif. micr. a x 99t Aa:-+ 0"45.09; Ad—=— 2/33”.2. Aut.: Mt. Hamilton } 14 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. 27 = — - — 0.09 - nai Ottobre 30 — — _ — — — ; 81 — = - — _ — Novembre 1 —_ = _ — — — x 2 — — — — — — 0.01 A 3 — — — — — + 0.06 5 4 — — = + 0.33 — — n 5) — — — — _ — 0.07 A 6 _ — — + 0.08 — — 0.07 A 10 — — — — — Novembre 20 = _ — — — = 3 D Si PeSE sn mt: LE Res x 23 - —_ —_ — 0.09 _ — di 24 = -- - — — — 9 25 — —_ — — — _ 3) 27 - — — — — = È 28 = - —_ = _ F 29 _ — — — = — 0:02 E 30 _ -- — — — = Decembre 1 _ ss _ — _ —_ La = = = "i = E 3 4 — — — + 0.02 _ — » 5) = = =? # = = ” 6 = = sn) - = 3 Decembre 19 _ = - = — + 0.07 P: n 20 — —_ — _ — + 0.01 21 — = = —_ — + 0.07 5 23 _ -- = —_ = = IN MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. il. 27 | | Mt. Hamilton Pola Poulkowa | Strassburgo Teramo Vienna Washington + 05.49 — + 05.09 — _ — 05.44 — _ — 0.08 — 03.23 — 0.36 — —_ — + 0.03 — = — — + 0.23 — 05.09 = —_ — 05.60 — + 0.22 _ = | I pai ESE re ni = —_ _ — 0.04 — — —- _ + 0.23 + 0.05 = = | _ - — 0.03 = Jil _ == | == = "i. + 0.27 — _ | + 0.43 — [+ 0.79] [- 0.66] + 0.10 — | — 0.91 + 0.13 + 0.08 — _ — — 0.68 + 0.09 — — = _ —_ = [ 0.55] = = — + 0.10 — — = — — 0.06 — _ + 0.34 = — — — + 0.18 — “= — — 0.10 — + 0.11 _ = = — 0.18 = _ — — _ — —_ + 0.03 — = — + 0.11 —_ _ — — — _ — 0.01 — = L dl sE =- = Dara LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899, v. Algeri Arcetri Ottobre _ 6 To 0 ll Bamberg Besangon Kiel Kéonigsberg Liverpo ol Ottobre » n »” n» Ottobre + 0.3 il — 1.1 Ottobre ” Novembre LP en Bee Tee ec) Novembre Ou Decembre »” » Li] MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. 29 Pola Poulkowa Strassburgo Teramo Vienna Washington “n i + 0.8 ai = + 3/8 — = SRG OR INI O NEO = yi = = — — 2 4 = SA 22 — Aa io _ + 5.2 = — — 54 — | = 08 E 3 | - = = 3.547 - - i = — 0 .6 | 1.4 = = PA — — 0.4 — 3 4 a A ASS SI = — 3 .2 a Ga = = + 4.3 + 4.3 + 1.5 = + 1.5 — 1.3 — 0.2 = al =: — 6 .6 = + 1.3 - Sai = - _ 0.0 = — - - - ia — - = " + 2.5 = - +14 - = a sa IL DIG - = + 0.1 = +3 4 = cu - — LG = = - a = 2 = 7 = = = +22 = Spi _ — — 0.7 = de E = — 1.9 ni “a i asb = + 0 .8 =" a — - Se TS) a = Fr = = — 26 = = — = - — 64 -. i - — = = 08 E — | | de ISIRISS] | | ORBITA DELLA COMETA 1899. v. LUIGI CARNERA 92( SU ein I LIPSIA, “RE A di as A et 15, hA Dà » pr "EITOOZHIP. 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E NATUR., SERIE II, VOL. 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Credetti però poter prescindere da un tal calcolo per due ragioni: anzitutto la brevità del periodo di osservazione, e di conseguenza l’arco picco- lissimo di orbita percorso dalla cometa in quel piccolo intervallo di tempo, davano ben poco affidamento di poter determinare con grande sicurezza degli elementi; d’altra parte un calcolo approssimato dell’entità che avrebbero potuto raggiungere le perturbazioni di Giove e Saturno, mi provò che queste all’epoca delle ultime osservazioni non avrebbero potuto che essere dell'ordine di una frazione di secondo d'arco. Tenuto allora presente che gli ultimi luoghi normali non possono avere che un’ attendibilità molto relativa, dato il pic- colo numero di osservazioni su cui sono basate, e che per la debolezza dell'astro stesso le osservazioni furono meno precise che al principio, mi parve lecito prescindere dai calcoli rigorosi delle perturbazioni speciali, certo con ciò di non aumentare così l'incertezza dei risul- tati definitivi in modo sensibile. La piccolezza poi degli (0-C) normali mi persuase che per dedurre gli elementi defi- nitivi nessun'altra via sarebbe stata meglio applicabile che quella di cavare le correzioni degli elementi servendosi dei coefficienti differenziali. Calcolati allora per gli istanti per i quali valgono gli (0-0) normali i coefficienti differenziali, ricavai il seguente sistema di equazioni di condizione, alle quali vennero attribuiti i pesi segnati al fianco di ciascuna di esse, e che sono pressa poco eguali alla radice quadrata della somma dei pesi delle osservazioni che concorsero a formare il corrispondente luogo normale. Le prime 7 equazioni sono evidentemente dedotte dagli (0-C) normali in è, le ultime 6 da quelli in a. Equazioni di condizione: È — [2.20710] A + [8.86675] dg + [8.58479] de + [9.87281] ds + [8.61431] dp — — [9.32275] dg = + 1”.6 Peso 8 — [2.18963] 47 + [8.62871] dg + [8.70773] de + [9.85307] ds + [8.70384] dp — —[9127412]lag Ro — [2.15889] 47 — [7.85144] dg + [8.83971] de + [9.81057] ds + [8.80998] dp — — [9.19814] dg =+ 2.000 9 _ [2.13309] 47 — [8.66487] dg + [8.95616] de + [9.79594] ds + [8.88240] dp — E 7 MEMORIE - CLASSE DI — [2.09755] 47 — [9.00093] — [2.07951] 47 — [9.11018; — [205502] — [2.40398] AT — [7.82439] — [2.50423] A — [8.84743] dg + [8.56768 ]aT+ dI — [8-96307] 9.22658] ]AT + |9.30526] ] AT + [9.24538] [9.11817] dg + [8.08765 ] dg + [8.41745] SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N, 11. dq + [9.06512] dg + [9.11178] de + [9.75836] ds + dq + [9.16710 dq + [8.23090] dg + [8.47282] | @ de + [9.76824] ds + de 4- [9:75090] ds + 3] de + [8.5 de + [8.53257] ds + de + [8.90612] ds + de + [9.02924] ds + [9.70164] ]de + [8.44461] ds + ]de + [9.24918] ds + — [9.68822]ag=+0 . [8.99212] — [9.10136] dq (9.05463] — [9.09628] dq [9.18104] [9.11112] dg ds + [9.16559] [9.87403] dg [9.29044] — [9.86073] [9.83522] dg [9.54673] [9.81027] dq [9.66757] — [9.76132] dg — [9.73996] dg [9.75814] dp — == .Il dp — =—-3. dp — =—-4. dp — =_2 dp — =—-0 dp — =+1. dp — =+1. dp — i —+L0. dp — =. dp 9 «i DO (13) ut Se allora a queste equazioni, aventi i coefficenti espressi mediante i loro logaritmi, sostituiamo un nuovo sistema, di equazioni aventi tutte egual peso, e riduciamo le inco- gnite omogenee sostituendo alle antiche incognite, sei nuove determinate dalle seguenti relazioni : 1535.8976 ae i 1.81768 Vasa 198 0.64675 sora 198 de 5.96888 de 198 3.16935 %5 198 È = GS toe gi (0) si ottiene il seguente nuovo sistema di equazioni di condizione; ove i coefficenti sono dati con i loro veri valori numerici: 96 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. (D) 0.83908x,-+0.323853-+-0.47548x3-+1.00000x,-+-0.10385x;+-0.24979x,= 0.64788 | 0.50374x;-+-0.11700xx-+0.39441x3+0.59723x,+-0.07977x;+0.13958x;= 0.63270 0.84478x,— 0.03517x3-+-0.96205x3-+0.99750x,+0.18334x;+-0.21091x;= 0.91108 0.61917x,—0.17802x---0.97838x;-4-0.73307x,4+0.16847x,+0.14547x;= 0.24802 0.32600x;— 0.22054x3-4+-0.71850x3+-0.39301x,+-0.12394x,+0.07501x;= — 0.24296 0.39092x,— 0.35452x3-+1.00000x3--0.48021x,4-0.17891x;+0.09268x;= — 0.88578 0.29559x,— 0.37076x3+0.90868x3+0.37762x,4+-0.19148x;+0.07672x;= — 0.97182 0.89892x;-+ 1.00000x,-+0.07369x3-+0.05626x,+0.41578x;-+1.00000x;= — 1.00000 0.57983x;+0.58080x3 +-0.07027 x3-+0.02798x,+-0.36951x;+0.64655x;,= — 0.27328 0.89598x;+0.65000x3+ 0.17027x3+0.03602x,+0.79493x;+-0.91452x;= 0.81942 1.00000x;+-0.54479x3-+-0.23681z3+0.05139x,+1.00000x;+0.86346x;= 0.45358 0.88340x,-+0.07126x3+-0.242583+ 0.08098x,+0.88054x;-+0.51428rx;= 0.26881 0.82520x;— 0.01836x3+0.22964x;+0.08960x,+-0.79367x;+0.40800x;= 0.39416 0.83158x,—0.15488x,-+0.22855x3+0.11894x,+0.72315x;+0.28974x;,= 0.01923 Da queste passai al seguente sistema di equazioni normali: 7.5010 x, + 2.0624 x, + 4.0008 x3 + 3.2587 2, + 4.8880 x, + 4.6201 x; = 1.7817 2.0624 x, + 2.4593 #3 — 0.5471 x; — 0.0639 x, + 1.3827 2, + 2.3330 x; = 0.5248 4.0008 x, — 0.5471 x, + 4.8658 x3 + 3.5855 2, + 1.8540 x; + 1.4994 2, = 0.0476 3.2587 x, — 0.0639 x» + 3.5855 23 + 3.4533 x, + 1.0070 a; + 1.0174 2, = 1.2768 4.8880 x; + 1.3827 x> + 1.8540 x3 + 1.0070 x, + 4.0328 2; + 3.3722.x, = 1.1031 4.6201 x, + 2.3330 x3 + 1.4994 x3 + 1.0174 ®, + 3.3722 x, + 3.6824 x; = 0.5724 che mi condusse alle seguenti equazioni normali ridotte: 7.5010 x, + 2.0624 x3 + 4.0003 w3 + 3.2587 a, + 4.8880 7, + 4.6201x; = 1.7817 + 1.8923 x, — 1.6470 #3 — 0.9599 2, + 0.0388 x, + 1.0627a,= 0.0349 + 1.2985 23 + 1.0122 x, + 0.7190 @; — 0.0396 a, = — 0.8722 + 0.7617 2, 0.5368.x, — 0.4197., = + 1.2004 + 0.0711 x; + 0.0224 2, = + 0.3036 + 0.0003 23 = — 0.0054 (8) (F) —_ Le equazioni trovate in questo modo offrono il modo di avere immediatamente i valori delle singole incognite: ma dipendendo esse dal valore di x, che si ricava dall’ultima equa- zione, è ben chiaro che, dato il piccolissimo coefficente, il valore suo resterà molto incerto, e di conseguenza ben poco attendibili anche i valori delle altre incognite. Ad ovviare questo inconveniente, ricavai dalle (F) i valori delle incognite x1, xo, 23, «4 ed x; come fun- zioni della xg, ottenendo : + 0.6195 — 0.7366 2; x3= — 1.8795 — 0.4005 8; | È I x, = — 3.7088 — 0.1375 | xy = + 45824 + 0.3292 x; x = + 4.2700 — 0.8150.%4 (6) iti MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 11. 97 che introdotte nel sistema di equazioni di condizione (D) forniscono le seguenti 14 relazioni per la determinazione di x;: + 0.0019 25 = — 0.5778 — 0.0030 x; = + 0.0894 + 0.0059 x; = + 0.5154 — 0.0122.x; = + 0.4113 — 0.0049 = + 0.1210 + 0.0012.x;=— 0.3035 + 0.0093 x = — 0.4877 Da queste si ricava come equazione normale : 0.00051 2 = — 0.0061 e quindi — 0.0022 a = — 0.1847 + 0.0039 x = — 0.0598 + 0.0058 x, = + 0.4951 — 0.0016 a = — 0.1855 — 0.0076 x = — 0.1796 — 0.0045 x = + 0.0933 + 0.0096 «= — 0.0090 ce= — 11.96 Ma anche questo valore riesce ben poco fondato, risultando per il suo error medio una quantità dello stesso ordine di grandezza del numero trovato. Di fronte a questa difficoltà non restava che procedere per via di ipotesi, tentando di dedurre in quel modo quel sistema di valori che avesse lasciato errori minimi nel sistema primitivo delle equazioni di condizione. Supposto allora successivamente x; eguale a 0, — 2, — 5.3 — 9e — 12, ricavai mediante le (G) i valori delle altre incognite ottenendo i seguenti sistemi di valori: mi 3.7038 (al —3.4288 = — 29703) x, = — 24668 z3= + 0.6195 = xo =+2.0927 x: =+4.5480 a°= + 7.2489 ag=— 18745 eg=— 1.0785 ay=-+0.2565 eg =+1.7250 cy =-+4.5824 = x,= + 3.9240 a,=+2.8267 x, =+ 1.6196 = + 42700. a;=+4.9001 x;=+5.9502 a;=4 7.1055 = 0.0000 a, =—2.0000 a; =— 5.3333 = 9.0000 x, =— 2.0538 xg= + 94587 eg=+ 2.9265 ey = + 0.6320 x,=- 8.0500 x = — 12.0000 che per mezzo delle (C) mi diedero cinque sistemi di valori delle incognite 47, de, ds, dp e dg. Introdotti allora i valori così trovati nelle 14 equazioni di condizione, e formate le differenze fra i valori dall’osservazione e quelli calcolati, ricavai la somma dei loro qua- drati moltiplicati per i pesi delle singole equazioni: essi furono rispettivamente : I ipotesi (ag =0.) 111.68 II » (e=—2) 88.57 MiTroo, (@e= =) 84.42 IN ce (@G==99) 80.75 V » (= —12.0) 82.30 Da questi valori con procedimento grafico ritenni doversi avere un minimo di tale somma per x; = — 8.0, e ricalcolai in corrispondenza di esso i valori delle altre x, trovando : x, = — 2.6838 xy= + 1.9488 rg = + 6.5123 cs = + 6.7904 x3= + 1.3245 ce = — 8.0000 38 LUIGI CARNERA — ORBITA DELLA COMETA 1899. v. dalle quali ebbi: e quindi dalle ultime tre relazioni : dT—=+ 0°.034521 dq= + 0 .000343 de==- 0 .000196 ds=+ 6.45 io 83 dg 280047 di— 43719 dd= 91879 du=— 0 .73 I | (HA) (H") Introdotti questi valori nelle equazioni di condizione si trovano i seguenti scarti fra i luoghi normali osservati e quelli calcolati : I een Eni 7 live 20199 Vee o VI 05 ae Tea VII - IX Xx XI XII XIII XIV — 0.29 SIA Sr] DL) = 3) 2%) .05 .39 .27 .99 .59 .65 Questi valori, piccoli per sè stessi e non accennanti affatto ad un andamento o carat- tere sistematico, garantiscono una più che sufficente rappresentazione dei luoghi osservati con gli elementi trovati, senza pensare a ricorrere ad altri artifici per ricavare valori più. precisi e che difficilmente potrebbero abbassare ancora gli (0-C) trovati. Corretti quindi i valori del sistema provvisorio di elementi delle quantità (H) ed (H') si trova il sistema de- finitivo : T=1899 Settembre 14.962439 t. m. Berlino mt 283° 0° 10° 46’ 36”.96 QG= 21% 18 2578 = MOLA w Il 2!.68 q= 1.785965 e==1.000196. Genova, 28 Giugno 1914. 1899.0 \ Igg= 0.251 8730 Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 12. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI ER ARGIE RIDE REZZA I. Aggiunte alle parti 1% e 23 sul “ Camoscio delle Alpi,. — IL. Camoscio del Caucaso. — NI. Camoscio dell’Asia Minore. — IV. Camoscio dei Pirenei. — V. Camoscio di Spagna. — VI. Camoscio dell’ Abruzzo. — VII. Conclusioni. MEMORIA DEL SOCIO LORENZO CAMERANO (con UNDICI TAVOLE) Approvata nell'adunanza del 13 Dicembre 1914. I Camoscio delle Alpi. Aggiunte alla 1° e alla 2* parte delle “ Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi ,,. Dopo la pubblicazione della prima e della seconda parte di questo lavoro (1) m'è per- venuto nuovo materiale sia da località dalle quali già ne avevo avuto, sia da altre, e, pre- cisamente, dalle seguenti: Val Solda (Bac. del Po), Passiria (Bac. dell'Adige) — Val Sa- rentina (id.) — Val Zerser sopra Malesio (Val Venosta) — Val di Gries (Brennero), Ampezzo (Bac. del Piave) — Monti di Plezzo (Bac. dell’Isonzo) — Rakipnica (Erzegovina) — Papura (Alta valle Dimbovita), Fogaras (Bac. dell’Oetu Ungherese) — Engadina — Nenzing, Rev. Rothis, Rev. Koblach, Rev. Praz, Val Gampertona (Vorarlberg) Graubunden, Val di Medels (Cant. Grigioni) Toggenburg, Churfirsten, Graue Horner (Cant. S. Gallo) — Isère (Bac. del Rodano) — Colle di Pelouse (Moncenisio). Per la cortesia dei Baroni Peccoz di Gressoney il dott. Umberto Monterin (che qui nuovamente ringrazio) ha potuto misurare per me numerose corna della loro splendida col- lezione provenienti dalla Bassa Baviera, dal Tirolo, dalla Svizzera, dalla riserva di loro proprietà a St.-Marcel in Val d'Aosta, e di Val Sermenza. Questi ultimi sono particolarmente interessanti, perchè appartennero ad individui uccisi dal 1820 al 1828 dal famoso cacciatore F. J. Zumstein di Gressoney. Le risultanze dello studio del nuovo materiale vengono a confermare quelle alle quali 10 sono giunto precedentemente, rendendole più sicure coll’arricchire di nuovi dati le serie (1) L. Camerano, Ricerche intorno ai Camosci. Parte prima: Camoscio delle Alpi, colorazione, corna, ece. “ Memorie R. Ace. Scienze Torino ,, ser. 2*, vol. LXIV, 1913, pp. 1-82, con 9 tavole. — Parte seconda: Camoscio delle Alpi, cranio. Idem, vol. LXIV, pp. 1-88, con 9 tavole, 1914. Ca 2 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI dei valori sia per ciò che riguarda le corna, sia per ciò che si riferisce ai cranii, come agevolmente si può vedere dagli specchietti delle misure che seguono (1). Riguardo alla colorazione le numerose pelli provenienti dalle sopradette località nep- pure modificano le precedenti conclusioni. Aggiungo alcune osservazioni relative ai camosci delle Alpi Transilvaniche e del Bacino del Narenta (Erzegovina). Delle Alpi Transilvaniche ho potuto esaminare le pelli seguenti: 3 pelli del monte Pa- pura (Alta valle del Dimbovita, nel bacino del Danubio) e 2 pelli dei monti Fogaras del bacino dell’Oetu ungherese (Danubio) prese in ottobre e quindi in livrea in parte ancora au- tunnale. In questi esemplari la colorazione generale ricorda molto quella autunnale degli esemplari delle Alpi, con variazioni dal grigio giallastro al nerastro, con molti peli giallastri o giallo ferruginei, con striscia dorsale nera ben spiccata. Le zampe sono nere, colle loro regioni chiare poco spiccate, le spalle, le coscie e la striscia laterale dei fianchi nere, il collo e il petto nerastri. La macchia chiara della faccia è a contatto parziale colle macchie chiare sopraoculari, o è ampiamente fusa con esse: i margini superiori della fascia scura laterale della faccia sono o rettilinei, o concavi: la macchia golare ha il suo margine infe- riore rotondo o quasi. In due pelli, un è e una © della valle di Rakipnica (Bacino del Narenta, Erzegovina), (1) All’elenco bibliografico si possono fare le seguenti aggiunte: (137) R. Neumann, Weisse Gems und weisse Rehe. © Deutsche Jiger-Zeitung ,, vol. 62, n. 12, pag. 309. (138) Oscar pe Braux, Merkwiirdiges Gebilde an einem Gemsenkopf. © Deutsche Jiger-Zeitung ,, vol. 61, n. 51, pag. 854 (individuo è con una protuberanza mediana frontale a mo’ di corno ricoperta dalla pelle). (139) Paur Marscaie, Die 2wanzigste deutsche Geweihausstellung zu Berlin 1914. © Deutsche Jiger-Zeitung ,, vol. 62 (1914). A pag. 1001 parla di un paio di corna di maschio di camoscio (che figura a pag. 1003) delle Alpi marittime italiane: “ das durch die sehr nahe aneinander stehenden Hérner auffallt (Abbildung 16) ,. (140) Frank Finn, The Wild Beasts of the World, London, TC. et EC. Jack (con 100 tavole colorate) (senza data), pag. 277. Vi si legge: “ The animal (camoscio) has also been introduced into the mountains of New Zealand, “the Emperor of Austria having presented six specimensin 1907 to the Government of that Colony; all “of these reached the country safely, and were liberated under the care of Mr. A. E. L. Bertling, formerly “ head keeper at the London Zoological Gardens, and now Game Ranger to the New Zealand Govern- “ment; and, as they have already bred, the species will probably be etablished in the Southern Hemi- “ sphere, to the great edification of sportsmen ,. (141) L. Camerano, Osservazioni intorno al lacrimale e al nasale bipartiti nel Camoscio. © Atti R. Ace. Scienze Torino ,, vol. XLIX, 1914, con una tavola. (142) Remuono Fampaca, Die Ringbildung an den Hornern der Cavicornier. Imaugural Diss. Jena, Fischer, 1898. (143) L. Camerano, Osservazioni intorno alla mucosa palatina del Camoscio delle Alpi. “ Atti R. Ace. Scienze Torino ,, vol. XLIX, 1914, con una tavola. (144) H. Nirscne. Citato dal Forsyth Major nella sua Nota: Peculiarities in certain Mammals. È Proc. Zool. Soc. Londra ,, 1904, pag. 421, in nota. — Egli dice: “ H. Nitsche describes in the macerated skull of @ “ few month’s old female Chamois (Rupicapra rupicapra) a distinet alveolus, 8 mill. long, of the upper “ canine which apparently had not cut the gum. The tooth had been lost during maceration (‘ Tharander “ forstl. Jahrb.?, 1883, 2, p. 23 (of separate), foot note) ,. (145) A. Grini, AN Esposizione di Berna. “ Tribuna Sport , di Napoli, nn. 39 e 40 (1914). Rende conto delle collezioni di corna e di animali esposti, e aggiunge varie osservazioni sulle forme di corna e sulla colorazione dei camosci di parecchie località svizzere, che confermano le conclusioni formulate nella 1% e 2* parte del mio lavoro. (146) Escnensero, Ungarische Landesgeweihausstellung zu Budapest 1914. “ Deutsche Jiger-Zeitung ,, vol. 63, n. 25, pag. 628 (1914). Parla delle corna di camosci carpatici, transilvanici e bosniaci. (147) W. A. Barzuie Gronman, Sport in the Alps. London, Adams e Black, 1896. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 9 in livrea quasi autunnale, osservo nel è la macchia chiara facciale fusa in parte colle macchie chiare sopraoculari, nella 9 invece essa è fusa con esse: il margine superiore della fascia seura laterale della faccia è convesso; la macchia golare chiara ha il suo margine inferiore rotondo. La striscia nera del dorso nel è è poco spiccata, mentre lo è nella 9. La colorazione del è è grigio brunastra sul dorso, quasi uniforme, nella 9 è grigio giallastra. Le macchie chiare delle zampe sono poco spiccate nel è, mentre lo sono nella femmina. In complesso la colorazione di questi esemplari si incontra pure nei camosci delle varie regioni delle Alpi. Dei nuovi cranii studiati, dei quali seguono gli specchietti delle misure delle varie parti, hanno particolare interesse quelli delle località al di là delle Alpi che ci concedono di ren- dere le serie dei valori delle misure delle varie parti del cranio (studiate nella 2* parte di questo lavoro) più ricche di dati e di renderle meno diverse, per il numero degli esemplari considerati, da quelle che si riferiscono alle località al di qua delle Alpi. Colle varianti osservate nel nuovo materiale studiato si possono modificare i limiti del campo di variazione per le località al di là delle Alpi segnati nello specchietto unito alla seconda parte di questo lavoro, per le misure seguenti: Lunghezza dell’apice anteriore della sutura bifrontale alla punta dell’intermascellare Q 891-1089. Lunghezza dalla cresta occipitale alla punta dell’intermascellare 9 1652-1965. Lunghezza dall’apice posteriore della sutura bipalatina alla punta dell’intermascellare Ò 763-1142 —- 2 908-1006. Lunghezza della sutura bifrontale 9 680-783. Distanza dal foro sopraciliare al margine dell'orbita 9 149-203. Lunghezza massima dell’intermascellare è 500-681 — 9 520-674. | Distanza fra l'apice anteriore dell’intermascellare e il foro sopraciliare 9 608-692. Larghezza massima dei palatini riuniti 9 280-333. Minima distanza fra le basi dei nuclei ossei delle corna, alla base è 86-189. Distanza dai nuclei ossei delle corna al loro apice 9 325-522. Diametro trasv. mass. del nucleo osseo delle corna, alla base 9 144-175. Larghezza del frontale alla sutura fronto lacrimale 9 595-701. Diametro massimo bitemporale 9 497-574. Larghezza bimascellare fra i tubera mazillaria 9 478-585. Larghezza massima dell’apertura nasale è 199-309 — 9 216-282. Diametro antero post. mass. dell’orbita 9 280-350 (228 variante eccezionale). Altezza massima della mandibola è 657-934 — 9 673-923. Confrontando questo specchietto con quello sopracitato si vede che si avvera l’ipotesi fatta nella 2° parte del mio lavoro, che cioè le varianti di minor valore dei cranii delle 9 delle località al di qua delle Alpi si sarebbero trovate, in un materiale più numeroso, anche nelle © delle località al di là delle Alpi. Nella nuova serie di cranii esaminati non ho trovato particolarità di forme delle varie ossa che non fossero già state rinvenute nei eranii delle serie precedenti. Per alcuni carat- teri, come, ad es., il maggior o minore restringimento del cranio nella regione preoculare, ho osservato alcuni cranii del Vorarlberg in cui è assai spiccato: altri cranii tuttavia della stessa località non lo presentano. Le figure unite a questa parte del mio lavoro mostrano pure il variare della forma del margine inferiore della mandibola; variare che procede pa- rallelamente nelle serie dei cranii delle varie località. Anche per ciò che riguarda i denti il nuovo materiale studiato non porta modificazioni alle conclusioni fatte nella seconda parte di questo lavoro. 4 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI D x È s I | 3| | | | ® dll PA “na eles\ 3/8 (3) E =" eee eee a o aereo eee ee a 2 sal 383.8 || 305 |. Sa sele | e Rae ORA = RAS ARI = cia 2 z Ups | z| | s | | z £ ager To) ore nei Sidi AG Ta SG | ) 2 | 3] 4 IO Gul 7 I Do > Maschi. Misure assolute in millimetri (1). Misure in 3608 somatici. 1 (7) |250|200|113| 10 | 32 | 66 |105|102| 95 [|288|163| 14 | 46 | 95 |151|147|137|] — 2 (7) |{250|205|127| 10 | 26 | 62 | 85 | 87 | 83 ||295|163| 14| 37 | 89 (122|125|120| — 3 (8) [250|200/137| 12 | 35 | 75 (116|119| 86 ||288|197| 17 | 50 |108|167|171|124| — 4 (8) |250|200/126| 16 | 33 | 60 | 87 | 76 | 80 {|288|161| 23 | 48 | 86 |125|109|115| — 5 (8) |250|210|132| 14 | 35 | 80 (120/113) 84 ||302|190| 20 | 50 | 115 173|163\121| — 6 (5) |250|191|111| 11| 28|55|65|60|90]|272|160| 16 | 40| 79 | 94 | 86 |130|1881 7 (10){251|206|110| 12 | 40} 90 153/170] 91 |[295|157| 17 | 57 |129219|243|130| — 8 (7) |254|205/126| 7 | 31 | 67 |125| 25 | 97 |[290|178| 10 | 44| 95 |176|176|137| — 9 (12) |254|213|174| 15 | 26.| 56 |125|153| 81 |[301|246| 21 | 37|79|176|216/1015| — 10 (8) |255|200|124| 10 | 26| 60 \101|111| 85 ||282|175| 14 | 37 | 85 \142/157|120| — 11 (12) |256|209|130| 14 | 30 | 60 | 99 |101| 82 |{294|182| 20 | 42| 84 \139/141|HM5| — 13 (10) |260|212|144| 14 | 36 | 92 |160|151| 87 |{294|199| 19 | 50 |127 221/209|120|, — 14 (7):{260|220|140) 11 | 27 | 60 (100| 90 | 85 | | 15 (11) |260|212/127| 15 | 32 | 71 |120|127| 86 [[294|175| 21-| 44 | 98 (166/174/119| — 16 (7) |260|206|120| 9 |20| 55 | 85 | 74 | 89 {{285|166| 13 | 28 | 76 | 118/1021238] — 17 (10) {260|203|137| 12 | 25 | 59.90. | 90 | 95 ||281|189| 17 | 35.| 82|125|125|132| — 18 (11)|261|206}146| 10 | 35 | 86 |150|137| 96 [[283|200| 14 | 48 | 119\206|188|132] — | 295|196| 21 |-55 |117|164\153 1I3| = 20 (8) | 265|213|122| 14 | 42 | 90 |135|125 90 ||289|165| 19 | 57 |122/172|169/122| — 21 (9) |265|206|100| 12 | 40 | 90 |147|121| 90 ||279|136| 16 | 54 |122199/163|122| — | 22 (8) |273|230|163| 5, | 26 | 23 (11)\|275|225|155| 12 | 26 |. 55 | 90 |101| 85 24 (8) |275|210|123| 11 | 31 | 75 |105|103| 96 25 (9) [276 223/110 10.| 3476) —| — 95 26 (9) |277|227|130) 10 | 42 | 90 |136/136| 90 27 (10) |283|242|173| 11 | 36 | 86 |135|132|100 28 (12) [285 |230|160| 12 | 35 29 (14) |295|245|160| 12 | 40 | 95 |160|135| 82 30 (14) |296|245|163| 12 | 39 | 81 |133|127| 98 308|215| 7 | 3495 |191/192/135| — 294.202| 16 | 34 | 72 |118|131|111| — 254|160| 14 | 41 | 98 |137|134|126] — 290|143| 13 | 44|99|—|—|124| 295|169| 13 | 55 | 117177 |177|117| — 307/220) 14 46 109 171/168/127| — 290/202] 15 | 44 109 154140122] — 299/195) 15 49 (116 195/165|100| — 298|198| 15 | 47 | 98 161/1541138] — un = SS SI 304|198| 15| 37 | 83 |139125|118| — 19 (8) |262|215|143| 15 | 40 | 85 |120|112| S6 Femmine. 1 (9) [250210160 16 | 50 99 |153|182) 72 |[302 230) 23 | 72 \143|222]190|104] Maschi. — Tirolo. 29.| 72 121|120|115|1875 | 43 1104/208224 |101|1875 2881925 8112492 | 1 (7) |250/200 105| 5 | 20/50 84 83 | S0 2 (9) {267 231/180) 19| 32.| 77 |155/167) 75 d ti 2 (4) Corna di camosci di maggiori dimensioni della Bassa Baviera, del Tirolo e della Svizzera (senza più precisa indicazione di località) della collezione dei Baroni Peccoz di Gressoney, che il dottore U. Monterin misurò gentilmente per mio incarico avendone ottenuto il permesso dalla squisita cortesia del Barone Egon Beck Peccoz. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. (0) Maschi. — Riserva di St.--Marcel (Val d’ Aosta) dei Baroni Peccoz. Misure assolute in millimetri. Misure in 36088 somatici. 1 2 | s I 5 6 7 S 9 2 3 4 5 GAIL IT 8 9 1 (7) | 250 |200|135|10|22| 53 | 113|103| 85 ||288|194|14|32|76 |163|148|122|1887 2 (8) | 250 |199|140|16|36| 90 146/147} 79 |[287|202|23|52|130|210|212|114| 1882 5 (6) 1 250 200! 130 12130| 50 | 67 | 80 | 81 [1288/187117 |43| 72 | 96 115/117] 1878 4 (6) | 250 |211|127|14|27|56|120|119)81 ||304/183|20|39| 78 |173|171]|117]|1898 5 (11){ 253 |204/137| 6 |26 62 96 105 82 [[290|196| 9 | 37| 88 |137|149/117|1880 6 (7) | 253 |215/127|13|25|53|76]|77 | 83 |[307|196)18|361|75|108/110 118] 1883 7 (6) | 256 |215|145 1332] 60 | 97 107 85 [[302|203|18|45| 84 \136/150|119|1884 8 (8) | 262 | 220 143|14|29| 63 |102|101| 86 [[301|196|19|40| 87 |140\138|118| 1888 9(11)| 265 |215|150|19|57|114|190|19085 |[291(203|26|77|154|257|257|115|1845 10 (9) | 270 |210/127|10|31) 70 | 106|100|103||279|169|13|41|93 |141\133|137]|1869 11 (8) || 271 |224 1156|3.|/26.|/53.| 7 | 73183 297 206) 17 S4| 70 \102 97 \110| 1888 Femmina. — Idem. 1 (0) | 258 |211|136|12|28}|65 |100|102 80 ||294189 1739 91 140|142 112|1889 Maschio. — Val d'Aosta. 1 (13)| 285 |240 176)12|36| 76 137 150) 90 303222 1545 96 173/189 114|1855 Val Sermenza (Uccisi da Pranz Joseph Zumstein di Gressoney) (Collez. Baroni Peccoz). 256 (1)|206|135|17|37]| 82 [124] 120, LO (0) 289 | \189|24|52] 115 174|168 108| 1825 25 (10)|265 (2) 215 146| 1637 86 | 170] 167 50 2911972250 117230226 109|1828 35 (8)|275 (3)|220|\143|11|31|79|112}100| 91 || 287|186| So 103 146|131119|1820 45 (10)|281 (2)|240| 164) 7 (37) 68- 105|112 86 {| 307/210 9 |AT 1 87 |134|143| 110] 1328 19 (13)|270 ()| 231|174|16|34) 71 2 17 74 ||317 232 21 (45 95 (149176) 99 | 1820 (4) Alpe al Ghiacciaio (S. Giuseppe). (*) Alpe Lampone. Rupicapra asiatica Lydek. © (eguale a Rupicapra (Museo Britannico). (3) Alpe Moanda (S. Giuseppe). rupicapra (Linn.)). 6 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI so| sa |G|380 ed aes) sessi il: [50 (|a 2 eee ele Re Eee aa 3 ds = E (=) i | (=) (=) | (=) =) (| (=) È 1 2 s_| A ironia oa ll 1 2 3 | 5 Misure assolute in millimetri. Bacino dell’Adige (Val di Gries - Brennero). 19 (9) | 198 |172|129| 19 | 23 |17.5| 23 | 14 |17.5| 11 | 16 [| 16 | 28 | 48 | 96 |100 Bacino dell’Isonzo (Plezzo). 13$(6)| 241 |202|116| 24 | 27 | 14 | 17 [10.5] 15 [| 14|31|65|100| 77 Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 1 è (a) |219 (9) \177| 97 | 26 |99. 5 21 | 17 |20.5|12.5]| 18 {| 5 | 13] 33 | 61| 65 2 (3) [151 (8) 125] 90 | 22 | 20 De Ao 0 3 (5) [197 (4) 165|117| 23 (16.5) 22,5|13.5 19.5) 12 |17.5]| 10 | 17 | 25 | 57 | 103 49 (9) |247(4)| 221160 23.5 5 5 18 21/15/17 12|16]|14|29|52|193 131 Bacino del Reno (Cant. Grigioni). 1 $ (vee. 228(1)| 180|100| 23 | 26 | 20 | 24 | 15 |21.5/10.5| 17 || 9 | 17 | 45 | 105/113 23.(5) |215(2)| 178123] 27 | 272323 16) 22|12|18||12|29|53| 90101 3 È (6) | 251 () 198 125|27.5 28 | 24 2620 |24|14|22]|1129 54|97/92 4 $ (5) [226(9) 185115 26.5) 26 | 24 24182118 18]| 1329/70 107 112 53 (5) (8) 188104 26 | 27|23925|17|23|13|21 11 |21|45|88|108 69 (9) 251) (200160) 28 | 28 | 21 | 21|18|1{9|14|\{e|\1|21|4 109 123 Bacino del Reno (Cant. S. Gallo). 1ò (2) |191(4)145| 85 | 24 | 26 | esi | 90.| 131348 67000 23 (2) | 175) 130] 4 24 (24.5 FER Ride: 35 (8) i 177 95 | 25 | 27 eli [N20 I | 108 4 9 (8) |199 (6)| 172|142|21.5) 24 | 17 |215) 15 |18.5 13.5) 17.5]| 12 | 17 | 39 |100|131 Bacino del Rodano (Delfinato - Isère). 15 (2) | 194 |180|110| 25|26|-. — || 7 | 12] 20|51|87 Misure in 3608Mi somatici. Bacino dell'Adige (Val di Gries - Brennero). 19(9)] 312 |284|84|42|32]|42|25]|32|20|29]| 29 | 42|78|175|182 Bacino dell’Isonzo (Plezzo). 1306)| 301 |173|36|40|27|3021|25]|15|22]|21]|46]| 97 |149|115 n MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 7 Segue Misure in 360° somatici. Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 2 Sa a e rs 9 10 | 11 e o 1 ad)| 291 (*) |159) 48 44|37|34|28|34|20|30]| 8 |21|54/|100107 2038) | 298 (*) |215| 52 | 48| | 24 | 29 | 50 \107|124 30(5)| 301 (4) |213|42|46|30|41}25|36|22|32||18|31|46|104/187 40(9)| 322 (4) |230) 34 | 34 | 26 | 31|22|25|17|23]|20 42 76 |178 190 Bacino del Reno (Cant. Grigioni). 1 ò (ee) 288 () |158| 36 | 41|32|38|24|34|16|27 || 14 | 27 | 71 |165|177 2606) | 297 (2) (205) 45/45 | 38|39 27/3720 30 || 20 4889 151 169 36.(6)| 283 () |179| 39 | 40| 34/37 29 34|20/31 16 | 4277 139 132 45 (5) | 294 (5) |183 429/41 38|38/97|33 22 29] 22 46 112 170/178 55 (5)| 301 v 166| 42|48|37|40|27 37 2|34|| 1834 79 141/165 69 (0) | 320 ®) |256| 37 | 37|34|84|29 30 | 29 | 26 || 18 | 34| 70 |174 197 Bacino del Reno (Cant. S. Gallo). 1302)| 272309 160/4549. Rei 17 | 24 | 64 |126|136 250)| 267 (4) 175 | 49 Cage Si 14 | — | 74 134|178 3°) 284 @) |153\ 4048 —|—|-|-|_-|-=]|\19| 47 s0 146165 40(8)| 310 6 1256 89 43 | 31 | 39|27|33|24|32]|22| 31) 70 |181|236 Bacino del Rodano (Delfinato - Isère). 15@| 333 [20] 46|4|-|-|-]|-|-]|-]13|22|37]|95|161 (4) Val di Mendels. (è) Stussavia (Reno ant). (£) Casti (Albula). (4) Toggenburg. (®) Churfirsten. Località dei cranii degli specchietti seguenti. 1 Batal. Paschinsk (Caucaso). 2 Tschache (Ciuguscc) (Caucaso). 3 Valsolda (Bacino del Po). 4 Passiria (Bac. dell'Adige). 5 Val Sarentina (id.) 6 Val Zerser sopra Malesio (Val Venosta). 7 Val di Gries (Brennero). 8 Ampezzo (Bae. del Piave). 9 Monti di Plezzo (Bac. dell’ Isonzo). 10 Rakipnica (Erzegovina). 11 Papura (Alta valle Dambovita). 12 Fogaras (Bac. dell’Oetu Ungherese). 13 Engadina. 14 Nenzing (Vorarlberg.). 15 Rev. Rothis (Vorarlberg.). 16 Rev. Koblach (Vorarlberg.). 17 Rev. Praz (Vorarlberg.). 18 Val Gampertona (Vorarlberg.). 19 Graubunden (Cant. Grigioni). 20. Val di Medels (Cant. Grigioni). 21 Toggenburg (Cant. S. Gallo). 22 Churfirsten (Cant. S. Gallo). 23 Graue Horner (Cant. S. Gallo). 24 Isère (Bac. del Rodano). LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI NE A | E ali | | sÈ Ea e ee SICU deg eee S| a Se cede ss 0 eee 5 | #0 8 See eroe Ren, a CENNO anta s| &a |3 s|3 Sl SS S| ss) Di setter e = | | s Resi | |E SE A SI | = Ei ea SA NE | 5 T 7 $ Sa O 11 12 Misure espresse in millimetri. Caucaso. Ie) ISEE 0 10 SS 508 387 3 6 Dl iS) 44198207) 193) (110106) 5 85 Ae di (6) 43% SSR St 99 198 80520 0408 85 ZA EGG ROSS e ee | 70 BL On) ASTREA t921 400 568 480878) RARE 6. 0 (6), 219610207 15 est oo) USA sr RR 265) |0380 720 ds) 8878 AI BR 8, é @) | 40 | 181|188|102| 86 | 100) 49 |.37 | 77 | 36 | 47/050 olii) 40094 209) og ag Ro 10 est) 20271207) Mii Mo 102) 15207 738 5358 oso Bacino del Po. 1 | 3 é (6) | 44 | 196|206|105| 113 | 10652 | 43.| 90 | 37 | 48 (545 2| 16 (6) | 40.) 198203. 109, | 48 | 38| 81| 39] 4960 Bacino dell’Adige. 3 ded te 104 | 109.| 47 | 40| 82 | 35 | 45/6 4 |5 5 4) | 44 |:200 | 207 | 115 | 109 (D Jo4 | 49.49 81 ASS 5 | 66 (2) | 87 | 185 | 190° 108 | 107 |1 se 510 (40 | 78 3600258860 6, > (4) | 40 | 191 | 198 | 109 | 103 47 | 89. | 78 | 40 | 45 | 59 7 | 7.9 (9) | 42 | 207.215, Te) 103 | 109 5I | 40,| 85 | 397469665 Bacino del Piave. 8.8 9 (4/88 e nt 010 di 9 | ,,9 (4) | 40 | 192 197 | 103|106|102| 54 | 38 | 81 | 36 | 45: [22 Bacino dell’ Isonzo. 10: | 9vjuv. (1) 135168171 ss] 87| 93.43.1128 | 70. (370 11 | , $ (6), | 38 | 201|206|105|110|108| 47 | 41 | 80 (36) 50-56 Bacino del Narenta. — Rakipnica (Erzegovina). 12103 @) | 88 | | 101| 44 | 88 | 79| 37 | 46 | 57 18 | , 9 (5) | 45 | 203 | 212118) 110|113| 56 | 44 | 85 | 37 ei Numero d'ordine _ DD ODIO IM bo O 0 sita Bin i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 9 | s | [am RES Pi E [ame A Re RE Ae i v: Met RESO 23 RO AE ri ene e BE DS se = È a aa ai ad 5 | = E) ® Si S a Ss RrlRorinà 5 6 E 2 |= N EF 33 | 82 Di 5 RSA oe ae SL E ES Soli Sio ® DI Ss e ed ea eee ee SS Ca | sd & Sell Ss | gE IRE cai SU V2I) ia 2 | s5 Rae 22 LS uv. Fa E rss e ARA se SEA 5 25 DwEwo ui (aa ISEE a © d 2 a. 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Segue Caucaso. — .|.20 | 51. | 62 | 73 40 | 24 | 5.5 11 35 TOR 2A 5200 02255 SI AIZITNA 97) GT RESO 45 26 5 16 35 TON SZ Mer 25 DIG Z4 O 5 TOS TO 45 | 27 © [255.05 12255625 61 | 22 | 48. | 66 | 80 48. | 27 6 16 54 | 14 | 225 | 45 | 28 = Î | TE | i = Î Ì SO 22 Mose 0 5 47 23 4 | 18 37 588 2.00) M520 620 5 19 49.5. | 61 15 39 26 5 11 S4 | 18.| 21 _ 16 li RS o LOI 28 AECRLO 258) 02200 03155 848 14 — | 20 | 46 | b7 | 67 40 | 26 | 45 12 dl 14 | 27 | 48 20 — |17| 45 | 64 | 71 44 | 25 5 14 32 lb | 24 | 41 22 55, | 2954 697) 68 43 | 27 | 45 Jo 35 A: 129) 6570023 Ì Ì Ì Segue Bacino del Po. | | 61. |185) 49 (polesine 58 | 18 | 47.) 64 68 | 44 o 34 | 15 | 29 | 51 | 28 Segue Bacino dell’Adige. cal O N00 05 AR OG 520 I 228 35 9 Gi IIS Rio L69532 o 2 I I 08 | 24 95 0 Gori Mis: Rust 28) ott (300) o 22 a 00 62 | 21 | 45 | 66 | 68 | 46 | 28 |45 | 14 34 | 16 | 35 | 60 | 22 49 |185| 5L | 70 | 73 | ta (gi 9 i Ro Segue Bacino del Piave. 54 | 17 | 41| 67 | 62 46| 26/45 | 17 | 32/12 | 19 | 39 | 205 55. | 8 50 | 58| 70. | 2|26| 4 | 15 322028 (5017 Segue Bacino dell’Isonzo. i EE Se 55 N39 are 40 e Nast is so 56 | 19.| 51| 60 | 74 | 46 29 45 | | 20.|39| 71 205 Segue Bacino del Narenta. Sgr ish Eesti (e 10.39 | — | 20) 50.) 6 | 804627 | 5 | 18 | 35 Da Numero d'ordine So DD O WII [n uu v bo \\o}{o o) LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI | | | I E | & | | | © = | ® | ri ° Sa | 5 | È | | a E | 2 | ms ne | SI 2 = TS (esi © |a Sì 1° | Ti n © | SE E | SÉ È © (0a au Gi 5 (Si Ki DI © DO 2 | Do s= ° DE © o | Soi UÈ s è | ES n= DW c © = © ia TE aires iii [ESE S ca Ei E = | c -a balo Ia sro £ E ns | L= E = © 3 | ca 2 Ile pesto = 5 = = DEA © e |a © SS i © ‘3 DE DE Ss 2 Dl cai 2 dA O 2 = 6 | 2 Do usi ds E [ci = =5 E Si a 45 5 o. | È RUE ° È sa 5 boa (o DÌ = Da ai — (] E o 20 Esa E © DE Di Rio 2 Ea È s 2 3 32 Ei Si aa ITA 249 aa SE 5 E d 53 © 5 eni PES ie Chiesa NORICE RAG S0'Eo EA $ Ss Ki È 0.2 e3 | = E Na NES ito. 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N53 23855 (| 106) 72. 27 | 64 | 60. | 40. | 63 | 35 | 28) 36 Segue Bacino del Po. | 85 | 28 | 86 | 107 | 80 | 22| 65 | 59 | 38 I 36 | 28/37 | 103 | 29 | 66 | 60) 44 | 66 “J (ep) (00) Segue Bacino dell’Adige. O e | 298 |f650 05701398 f598 (8126 i dI | 97 |h59 oz son ta7 | Veri Leo T43f el 367 (300 a lat 1800 N51 1960 (7055258 Wes Mali 257 ora fa 204 19 | 90 | 58 | 102/77 | 22 65 | 58 — | 60| 34 27 | 36 7 | 70. 52 | 108 | 72 | 24| 68|60| — | 64 | 35 | 31 | 39 Segue Bacino del Piave. 18.5| 95 | 495| 100| 68.| 23 | 63| 56 | d1| 58 | 34 | 26 | 35 145| 75 | 48 | 99 | 70/20 | 61| 57 | 43 | 57 | 31 |:26 | 30 Segue Bacino dell’Isonzo. 10 | 30 | 40 | 89 | 60| 20 | 59 | 51 | 40 |53 | 28 (2109/7832 19/5] 1007] 551] 1991738 20% V6e2|\601 (45065 5 (Ro Segue Bacino del Narenta. | —« | | 52 | 108| 73] 225) 65 | 58 | 40.| 57 |/32.5|.28 | 38 (36) (cp) RE LOS | 29 | 67 | 61 | 43%) 65 | 30 | 35 Idem trasversale 3 ANI SI MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 11 | [SI | si, | = Lui | | -_ Ss © 2 ® Ss FE | Ca E Ze | 3 | DONI URLS Li | A 5 i i? si = |ag|is| 3 Sila 3 |sslgf of s |dÉ| a di] S8(23f SONORA ari Db ad EE a e |a a S 23 è 28 | St | SHE 2 pisi = |sel vs | dilss]gs] 3i3| #5 |ai|Gsf e Re Becco ea | à | n bi | S | = | | n | = È = 53 E 4l 42 | 483 44° | 45 46 47 48 | 49 | OGGI 52 53 54 55 Segue Misure espresse in millimetri. Segue Caucaso. eo Seal | [ea = 9 | 14 |125/45| 20) —|—- | | | | | Sy RORA AVO AZZIA | —|_-|-|=-]J- 4 | PI ALIBI Gode INDI Un MS | Pa o 55 7|2|2-|_- i I II DPR eee (Ape A AU IO | 134 SO e SI 01 SIC) dea N05 SAR i e IA 092 | — | 35| 15 | — |12.5|32.5|15.5|20.5| 10 9\15| —| — | 21|153| 9L| — |35.5| IZ — | 13) 27 [165/215] 12 10 | 15 T d 23 \152| 90 | 60 | 37 | 16 | 22 | 13 | 33 |18.5/22.5) 10 Segue Bacino del Po. di 75328 |I2E 97 \645| 41 |16.5| 26 15| 35) 16| 23 | 10 2| 15 | 10 |0.5| 22/153] 90 | 66| 40| 17| 25 | 13| 32| 18| 23 | 10 Segue Bacino dell’Adige. s|ie|l s5|4 | io |140 s7| —| 3016 | 13] 3s0| 16] 20105 Re di PA OSE 621904 64 e iz O Da 3 za 15.5 H0!5 5| 60] 1325-19 4487] — N36 MI] 2) 301520 KIL5 6|14| 72 |205|154| 94 | 01 og 208 RAR SE30 MBLGE AS20K LO (gi E de NA: Di 0295 (2166 | 91 | 55 | 44|18.5| 23 | 13| 34] 21) 29 | 8.5 Segue Bacino del Piave. Sir 9.5 | 277205 86 | 60| 40] 25| 35| 13 |32.5|16.5|22.5| 10.5 Sea Mena 19 | J4S|- 9L| — | (37. 17] 26] 14] 3016 2210 Segue Bacino dell’Isonzo. 10 | 15 SI I65 12 mo — — a TI IO us =| = Segue Bacino del Narenta — Ruakipnica (Erzegovina) o arto Roe 53] Ro3a 933: (bale aa 1234 6105 13 | Toe 5 | 25 | 161] 98 | 59 | 43| 18| 26| 14| 31 | 16 | 16) 10 (1) Nel caso in cui non vi è la lacuna fronto-naso-lagrimale il valore segnato indica la lunghesza del margine del lacrimale a contatto col nasale. 19 33 | 34 43, LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). Fezsai 11 è (0) | 38 2 SON (OLE ST o 9 (8) | 40 129 (5) | 41 OO 46 Bacino 139 (4) | 88 | TAR 2 » È (vecchio) 42 ir 43 » È (adulto) | 40 SOR 42 | RISI 49 | ” Ò ” 37 I n Ò ” BYd IO Co 41 16 © (2) 36 17 © (adulto) | 40 ” Ò » 39 189 (5) | 42 19 È aio] 39 20 È$ (adulto) | 39 A A Tie va6h 96) 40, s © (ult) AL | , 2) | 38 | 22808) 10 23 È (adulto) | 38 | AR Al 245 (2) | 36 | 2 | SH ALE | 5 | 6 7 | 8 | 189 | 195 | 100 101 | 103 | 47 | 39 171 | 179| 99| 89 | 95 | 44 | 32 181 | 190 | 105 | 100| 98 | 46 | 34 197 | 207 | 112 | 106| 107 | 48 | 36 203 | 211 | 120 | 107 | 105 | 51 | 46 T1 | 36 73) 34 83 | 37 del Danubio (Valle dell’Inn superiore) Engadina. 179 | 186 | 96 | 95 | 103 | 45 | 37 Bacino del Reno (Vorarlberg). 183 | 190 | 103 | 98 | 98 | 46 | 34 193 | 204 | 113 | 106.5] 105 | 50 | 39 202 | 210 | 119 | 110 | 105 | 53 | 41 iS 99 o, L008 NOS SOR ZIO 191 | 200 | 109 | 89 | 105 50 | 41 200 | 208 | 111 | 105 | 105 | 49 | 37 198 | 206 | 104 | 106 | 106 | 51 | 41 193 | 201 | 105 | 103 | 107 | 47 | 41 202 | 213 | 120 | IL1 | 106) 51 | 41 179 | 187 | 104 | 94 191 | 201 | 110 | 104 | 104 | 50 | 40 201 |.209 | 117 | 107 | 104 52 | 48 192 | 205 | 104 | 106 | 104 | 52 | 49 Bacino del Reno (Cant. Grigioni). 199 | 208 | 118 Lon. 99 | 51 | 45 200 | 207 | 113 | 111 | 107 | 49 | 43 Bacino del Reno (Cant. San Gallo). 189 | 197 | 108 | 107 | 100 | 48 | 52 180 | 187 | 103 | 105| 96 | 49 | 37 201 | 209 | 103 | 109 | 105 | 48 | 38 O040 COTONE TOS I E 190 | 199 | 103 | 96 | 102| 46 | 33 202 | 210 | 104 | 101 | 105 49 | 38 195 | 201| — | 104 | 101) 49 | 36 201 | 212 |121.5| 110.5] 106 | 55 | 44 Bacino del Rodano (Delfinato). 188 | 192 | 100 | 100 | | 80 | 31 78 | 85 83 | 33 80 | 37 77 | 37 83 | 30 83 | 37 81 | 36 85 | 86 81 | 38 75 | 33 79 | 385 77 84 85 | 37 | 88 | 34 | 85 | 41 16130 (0 | 35 86 | 35 | 40 73 | 36 | 37 80 | 35 82 | 36 52 50 50 51 69 61 51 (Sal AMOLI DUO UU D Ut VI uo 2.|57.5| 21| 49 |705) 80 | 47 | 28 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. DXV, N. 12. 13 Seguo Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 14 15 16 LA IIETS | 19 20 | IE | 2 SIN MSA 25 26 54 | 22 | 40) 68| 62) 47] 25) 5 | 18 84| 10| 18 45 | 23 — | | 8 |53| 6136/20 4 | 10 32/2/27|MA| 15 TO 5 58 6880 51 0998 04) 5 0320 150188 0208 06 60 (185/51 | 65 | 72 42|27| 5 | 1637 16) 22 37 | 21 ai SE te con ft Parli 0260 dt Mg d30) ea (e Neo | 21 Segue Bacino del Danubio (Valle dell’Inn superiore) Engadina. ii est] 1407] 588|654|7428|(25-- 5 |Ni2N 13317 234 737 ue Segue Bacino del Reno (Vorarlberg). — | 16 | 49 | 59 | 68| 43| 22 5 1303302308 726 95 Di RO Lei 450) GO 70 0160 238 550 Mr 635) do 037% Né 1025 DE 200 N56 660 60 8 2408 5A 5 3408 MU57 (N20) 9498 825 08 Ise 478 N67 708 PA57 0260904 9 8350 5 970 048809 bi N08 8/68 68 758 058 025858 24 348 16) 0288 54081023 (A SZ de eo de 0138 025) 1550) 038 0358 DICA 31708 23 680220 8455 on 62 46 125 5 IS 330) ON 21, 0508 1022 DIRI O Ia AGR GSO MOGGI RI 9 340801135 021 GO 195 Goo 460 0728 70° 510 26050 34630 Nes 103 =. TR 40 50 e Ae 7 ABITO 80) iO Za Td 200 5 Go 0 50 0008 E SIR) 0350 DS N34 73 91 DIS AG 0070 419 MO 550 170347 15) 29 668 095 ARR RIS 39 GA O 0 NO 5 ra 83700 66 0245 N51 IS Segue Bacino del Reno (Cart. Grigioni). 58.| 21| 50| 667 45|24| 5 50 | 73 | 67 | 46| 26 5 TS 356 69 210 Nasg 1225 17| 35 14 22 | 55 Segue Bacino del Reno (Cant. San Gallo). DE est 108 0628 00 SR Si AE gi 1338 Mar Ci TT GO 635) 0430 0239 65,0 800310 0138 1278 (5015 | — |205| 50 .|655|.78 | 46.) 25 5 | 13| 33.| 17] 35.| 6423 INCORONA GS A COSO i eee 164 254 952012205 Nos osa rs eg 400 0980 471400328 ds 00148 0408 1, 5e0 eg 50 OR oR58 da7e 260 50 1761327 1570238 1454 N00 580| (21 | 46168] 68. 43.| 25.45 | 10 | 34. 12.24. 54.|225 450 (180|1387|130|1328 (6201024 Segue Bacino del Rodano (Delfinato). 0) 19N| 440) (640) 59|(415| 26/4) 14. 320/11 20 | 36 | 20.5 14 15 16 1 18 | 19 33 34 43 lm] AO) ta (SC) HHH I, 0 wi Ut (DO: OL 13 DO DD STOTO, YI Tr I È i è (1030 0598 T053 G6 257657 60N| PAZ 65 | 97 | 60 | 106) 76 | 27.5) 67 | 60 | 43 | 60 RISO A I004| ZON 02.108 626] 5500 564158 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Segue Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 28 29 30 31 32 33 BAR 35 | 36 95 | 55 | 106] 78 | 25 | 66 | 58 | 39.| 61 | 60.| 47 | 94 | 66) 18 | 61 | 54 | 41 | 55. | | | 62 | 46 | 95 | 68 | 21 | 63 | | | | 57| 39 | 57. 82 | 53 | 104} 75 | 27 | 66 | 58 | 41 | 65. 97 | 57 | 103] 74.| 20 | 66 | 61 | 48.| 61 Segue Bacino del Danubio (Valle dell'Inn superiore) Engadina. 66 | 43 | 97 |665| 23 | 62| 55|42|58]| 80] Segue Bacino del Reno (Vorarlberg). 102 | 57 | 100) 73| 25 | 62| 55 | 45 | 61 o) (50) (O, Di (ear ©) =] =] (on) DO DI D (o, (ox DD DS Di DI Ss (OLI 80 | 55 | 104] 75| 25.) 68) 57 | 45 |-64. | 79 | 27 | 64| 60 | 43 | 64 Segue Bacino del Reno (Cant. San Gallo). Segue Bacino del Rodano (Delfinato). 93 | 50 | 100} 72 | 215) 64 60 | 43 | 61 | 37 38 32 | 265| 35 30 | 22 | 35 32 | 26 | 30 34 | 81 | 26 34 | 29 | 37 26 | 35 84 | 25 | 84 36 | 28 | 36 35 | 29 | 36 34 | 27.| 37 338 | 28 | 35 38 | 34 | 35 35 | 30.| 37 38 | 29 | 36 34 | 31 | 34 30 | 26 | 34 35 | 29 | 36 35 | 81 | 37 85 | 28 | 88 34 | 31 | 36 37 | 30 | 36 32 | 25 | 84 25 | 88 33 | 29 | 34 34 | VESRG 34 | 24 | 35 38 | 24 | 37 32 | 26 | 36 30 | 36 34 36 36 pre 14 |23. 15 | 18 16 | 15 17 16.5 18 | 16 19 | 14} 20 | 13 21 | 15 22 | 15 26) 005 24 | 15 25 | 15 26 12 27 (12.5 28 | 16 29 | 15 30) 14 31 | 16 32 | 16 33 | 17 34 | 14. | 35/11 36 I JA | Bd | 13 38 | 15 39 | 15 40 | 16 | 41 | 15 42 | 12 43 | 14 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL Segue Bacino TS 2149 8 | 05-| 18 |134 5.| 10| 19 [144] 8.5 Segue Bacino del Danubio (Valle dell’Inn del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 46 47 48 49 | 50 99 | 56 | 88 | 15 | 25 ga i 3556 ST | — |365| 16 | 25 8|4|20|140|8]|—-|4|-]|14 [115 Segue Bacino del Reno (Vorarlberg). le | a |o1|1ag|s4|— | 37 te [28 Moog 1235 H55) Tot fs6t 40f 207 122 | 5 | 8 |2365159| 92 58 46 | 19 | 24 85|05|23 (147 | 78.| 40 | 54 175) 21 Mio 292 1521 C908 608 381 sf 023 ESE ODE NO HST 9561 CA SIS82) | 14 | 05| 21 |158| 84 || 60 | 42 \17.5| 21 | 85| 20 |20.5|150| 86 |575| 41 | 13 | 25 | 9| 123159) 89| 57401923 i 2 SA IL pai e | 5 | 35|21 |153.| 85 |615| 36 |175 25 | S| 0.| 24/157 93 |585| 41 | 20 | 24 4.| 4 |245/156| 90 |585| 40 | 17 | 28 Segue Bacino del Reno (Cant. Grigioni). — | — | 24 [158] 90 [595] 40 | 18 | 25 8 | 0|25 [150] 85 | 56 | 422 | 20 | 22 Segue Bacino del Reno (Cant. San ole 000150) (ei Se38 7 1. Si COR ee NEMO ALE dC RR 10 23. | 158 |100.| 65 | 43 | 18 | 28 DO (Db — DI Hi 180) — | 34 | 16 | 98 |62.5| 45 |17.5| 24 gl |(60 | 42 | 17 | 25 84 |\61| 42 | 18| 24} Segue Bacino del Rodano (De/finato). |3|2| 20|146|87]| —|375|17 | — |125 | 30 | 32 33 28 superiore) Engadina. |25 NIRVANA 15 54 55 (22.5 | 10 dl | 85 | 23 | 10 23 | I 925. 12 20 | 9 18 | 9 25 | 10 DTAN MIO 15.| 85 92 | 10 23 | 10 25 | 85 Nozio 26 | 10 225 10.5 29 | 10 245| 10 923 | 10 26 | 10.5 25 | 10 929 | 9 (17.5) 10 27 | 10 36 | 10 | 24 | 95 | 27 | 10 28 | 10 259 IO 23 | 10 16 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Misure espresse in 360%îmi somatici. Caucaso. LIE a) ache. e TRANI Oa S LAS UUASTO 10] TAI 12 1| 7 3 (2) | 360| — |1791| 975 | 913| — |439|334|676| 290) — |536 2, 5 (4), |16201698|1006!) 908 | 867 | 450 | 360 | 695 | 303 | 376 | 605 Dee) A == |1021 937) — | 485/3351) — A (619 DTS n» | — |1917|1195| 887] — |495| 369/729 297| — | 630 BI UCIONME | — 976800, — | 448) 344) 696} — | — | 576 CRIMSON 5) ” |1680| 1774 986 | 754 | 771| 411 | 317 | 643 | 274 | 394 | 574 7| 2545) , |1629|1714| 928 | 833 | 919 | 407 | 322 | 682 | 331 | 417 | 483 SAMO) » |1629|1692| 918 | 774 900 | 441 | 333 | 693 | 324 | 4293 | 450 CE) i | 17261818 —"|\9018| —/493* — [35 JONG) » |1965|2014|1138|1070| 992 | 506 | 389 | 710 | 341 | 487 | 652 Bacino del Po. 340) , |1603|1685| 859 | 924 | 867 | 425 | 325 | 736 | 303 | 393 | 470 >Le » |1782|1827| 981 | 945 | 936 | 432 | 342 | 729 | 351 | 441 | 540 Bacino dell’Adige. 3|453 (3) ; 1737 1791) 918 | 986 | 981 | 493 | 360 738 | 315 | 405 | 459 4/5 è (4) " |1636|1693| 941 | 892 | 401 344 663 | 335 | 393 | 499 NIGRO) » |1800|1849|1051|1041| 992 | 496 | 399 | 759 | 350 | 418 | 584 CASA) (1719 11782, 981 | 927 | 882 | 423 351 702 360 | 405 | 531 | ZAINO) | 1774|1848, 994 | 888 | 984 | 437 | 343 | 728 | 334 | 394 | 557 | Bacino del Piave. | | i SMMSRONO » |1780|1837| 994 | 985 | 966 | 426 | 369 | 682 | 350 | 474 | 540 SOM aa o \1728 1773 927 | 954 | 918 | 486 | 342 | 729 | 324 | 405 | 495 Ù i Bacino dell’Isonzo. È 10 | 9 ju. (1) s |1677|1760| 906 | 895 | 957 | 442 | 288 | 720 | 381 | 494 | 484 | da nt 6) , |1903|1951|.994 | 1042|1023 388 | 758 | 841 | 474 | 530 i : Bacino del Narenta. — Rakipnica (Erzegovina). È 12/203 (2) pe | | |-956 |t417]1360;0748; 135042364410 ; ISEE) , |1624|1696| 904 | 880 | 904 | 448 | 352 | 680 | 296 | 408 | 648 i Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). ) 14/113 (5) | , |1790|1841| 947 | 956 | 975 | 445 | 369 | 777 | 313 | 426 | 492 o) » |1664|1742| 924 | 866 | 924 | 448 | 311 | 691 | 350 | 498 | 487 16 | MRO) , \1629|1710| 945 | 900 | 882 | 414 | 306 | 657 | 306 | 423 | 522 17| 129 (5) » |1680|1814| 988 | 981 | 939 | 421 | 316! 729 | 325 | 439 | 553 ISO) 1589. 1652 | 940 | 838 | 822 | 399 | 360 611 | 282 | 360 | 582 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 17 Segue Misure espresse in 3608 somatici. Segue Caucaso. 13 ia | 16 sa 18. | 19 20 | 21 | 22 | 23. | 24 25 26 L| — | 176 | 448 | 544| 641 | 851 | 211 | 48 | 97 | 807 | 132)| 237 | 457 | 198 9 | 499! 172) 401 524| 654 | 368 | 213 41 | 181| 286 | 123 | 262 | 548. | 205 3 | 477 | 201 |-427| 586 | 661 377 | 226| 50 | 197 | 293 100 209 | 469 | 209 4 | 549 | 198 | 432 | 594 | 720 | 439 | 243 | 54 | 144 | 306. | 126 | 198 | 405 | 207 5 | 472 | 176 | 424| 616 | 600 376 | 184| 40 | 104 | 296 | 144 | 208 | 416 | 160 6 | 488 | 163 | 424 | 523 | 643 | 334 | 223 | 43 | 94 | 291 Melo 1508 ft ST (| — | 161] 365 | 540 | 611 | 388 | 218 | 38 | 71 | 265) — | 294 | 455 | 183 SIEM NIS0R ATA 513 | 603-| 360 | 234 41 | 108 | 279 | 1296 | 243 | 432 | 180 9| — | 153 | 405 | 576 | 639 | 396 | 225 (45 | 126 | 288 | 135 | 216 | 369 | 198 10 | 535 | 214 | 525 | 671 | 662 | 418 | 263 | 44 | 107 | 341 | 136 | 282 | 632 | 224 Segue Bacino del Po. 1 | 499 | 151 | 401 | 573| 589 | 344/205 | 37 | 106 | 270 | 123 | 229 | 515 | 205 2 | 522 | 162 | 423 | 576 | 612 | 396 | 225 | 36 | 108 | 306 | 135 | 261 |.459 | 207 Segue Bacino dell’Adige. >| = | 155] 2 Dai 378 | 225 | 36 | 144 | 288 | 126 | 198 | (315 |\171 4] 499 | 147 | 4052 Dai Sol 352 | 213 | 41 | 98 | 278 | 193 | 245 | 474 | 196 5 | — | 190, 389! 584; 710 | 418 | 243. 44.196 | 299 | 146 | 214 | 360) 195 6 | 588 | 189 | 405 | 594 | 612 | 414 | 252 | 41 | 126 | 306 | 144 | 315 | 540 | 198 7 | 420 | 159 | 437 | | 600 | 626%| 403 | 281 | 43.| LL | 334.| 146)| 281 | £11 | 171 Segue Bacino del Piave. 8 | 511 | 161 | 388 | 634 | 587 | 486 | 246| 43 | 161| 303 | 114 | 180 | 369 | 194 9 | — | 162 | 450 | 522 | 639 | 378 | 234 | 36 | 135 | 288 | 180 | 252 | 450 | 153 Segue Bacino dell’Isonzo. | 10| — | 144| 401 | 587 | 566 | 401 | 216| 41 | 118 288 | 185 | 287 | 309 O 113 530 | 180 | 483 | 568 | 701 | 436. | 246 | 43 | — | — | 189 | 369 | 672 | 194 Segue Bacino del Narenta — £akipnica (Erzegovina). 12|—.|170| — — |66|—-|—-|—-]|95|30|—|—-|—-|- î 13 | 464 160 400 | 520 | 640 | 368 | 216 [RTEO7: 10421 A2808 ie Mer Msi Aa Segue Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 14 | 511 | 208| 379] e44 | 587 | 445 | 237) 47 | 123 | 322| 95 | 170 | 426 | 218 15 | — | 165. 418 |-516.| 594-350 | 195.| 39 | 97 311) 204 | 263) |.399/| 146 Tel — | 444. 405. 5221 612.) 459! 198, 86 | 185! 288, 135. 162 270)| 144 17 | 527 162 | 448 571.632, 369 | 237 | 44 | 140 325 140 193 | 325 | 184 18 | 446 | 149 | 399 | 548 | 587.) 368 | 204] 39 | 102 | 235 | 141 | 243 | 470.| 164 18 [Si 10 11 12 13 14 15 16 IL 18 (Voto og KorK©10 =] lle | 164 180 NODO Ww LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI 495 | 469 | 432 Segue 492 Segue Misure espresse in 360°" somatici. 947 891 | | 916 | 938 | | 650 | 670 | 209 | 544 | 654 | 180 | 532 639 | 198 594 | 686 | 243 | 613 | 535! Segue Caucaso. SANI 00032 38 | SCORES 5] |198|562|509| — | 654 | 233 | 532/491) — | 720 | 207 | 558 | 549| — | 656|200|544| — | — | 643 | 206 | 531 | 506| — 616 | 199 | 568 | 530| — | 648 | 225 | 563 | 527 | 405 639 | — |555 | 518 | 387 701 | 268 | 623 | 584 | 389 Segue Bacino del Po. Segue Bacino dell’Adige. 657 | 252 | .585 | 513 | 35L|5 654 | 291 | 548 | 491 | 693 | 198 | 585 | 522 | SI 617 | 206 | 540 | 514 | Segue Bacino del Piave. | 530 | 388 | 518 | 387 po Voli Segue Bacino dell’Isonzo. 419 496 525 568 617 | 206 | 607 691 | 189 | 587 | 483 | 311 | 515 540 | 396 | 5 545 616 | 286 | 32 27 | 290 304 | 279 297 341 (30) >) DO | 246 | | 803 | 237 | 310 |-268 | | 869 | 279 | 939 | | 826 | 240 2 | 256 | 227 9295 | 252 273 Ot DO 1° DD O | 284 | 245 | 258. | 243 | 1300 | 266 | 334 | 246 9 |284 294 333 333 286 360 324 331 270 298 | 216 | 329 331 | 199 | 350 | 975 | 691 | 223 | 616 | 549 | 379 | 540 | 317 | 424 | 864 | 616 | 232 | 536 | 488 | 344 | 526 | 288 | Segue Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 521 457 414 465 446 | 1004 | | 915 | 855 913 | 806 739 | 237 | 625 | 549 | 369 | 642 | 175 | 594 | 525 | 399 619 | 189 | 567 | 513.| 351 659 | 237 | 404 | 509 | 360 595 | 157 | 517 | 478 | 337 578 1.585 | 513 | 571 | 478 | 303 292 9288 | 299 266 | Bacino del Narenta — Rakipnica (Erzegovina). I 951 | 214 934 | 272 331 d4I 270 228 227 | 290 | 316 347 326 | 360 | 294 333 315 286 360 324 326 351 270 329 341 | 322 288 341 341 270 228 235 rina sb st DITER +» pa Ii ODO. 10 DOO DID WD mo 12 da) 123 | 156 | 196 | 129 | 142 61 | 900] 90 45 | 31] i 37 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE PISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 12. 19 Segue Misure espresse in 360% somatici. Segue Caucaso. 48 dd | 45 | 46 4T | 48 | 49 (X0) 61 | 652 68 64 (1) 13|184/—|-|-|- | | CL E 37 | 164 LI | È OM SA O A E e e N SO NES | i 16 | 168 | x i DL aa | | earn MRI EE 5. | 152|1269| 777| — | 303|133| — |123|294 133 161| 90 27 | 153 |1278| 828 — | 345 | 185| — | 113 293 | 140185 | 90 — | 189|1377| 819) — | 320|153| — | 118|243|150|195| 108 29 | 224 |1479| 876 | 584 | 360 | 156 | 214 | 126 | 321 | 180 | 219 | 197 Segue Bacino del Po. 29 | 188 |1276| 798 528 | 335 | 185 | 218 | 123 286 |131|188| 82 5 | 198/1377810 594|360|153|225|118|288|162 207 | 90 Segue Bacino dell'Adige. 36 | 171|1341| 783) — |270| 144} — | 118 270|144|180|105 | 188 |1325) 736 |524| — | 139221| 98 (254 139/127) 86 94 | 185 ‘1401 | 847 | — | 350 196 | 292 | 146 | 195 | 112 18 | 185 |1386| 846| — | 320|135 234|126 270 144180 90 89 | 197 |1423| 780 | 471|877|159|197|111|291 | 180 | 249 | 73 Segue Bacino del Piave.. 19 | 194 |1430| S14 | 568 379237381, 123 | 308 | 156 | 213 | 99 18 | 171|1382|819| — |333|153|284|126|270|144|198| 90 Segue Bacino dell’Isonzo. 15 | 175 |1297| 720] — DO 89 Re | 288 | 149 216 103 aa eee i 600 e e SE nr Segue Bacino del Narenta — PRakipnica (Erzegovina). | 19 | — |1449\ ss1| — |313|152| — | 123 303|161|218| 99 40 | 200 | (1288 744 | 472 | 344 | 144 | 208 112 | | 248|120|120| 80 Segue Bacino del Danubio (Alta Valle Dimbovita). 28 | 199 |1391| 871 |530|360|142|237|114|294|170|213| 95 5 | 175 \1304| 798| — |345|166| — |126 272/136 |204| 83 9 | 171|1296|788| — |329|144|225|108|297|149/207| 90 13 | 176 |1405| 848 | 562 | 834 | 149 237 105307140202 | 97 4 | 180 |1276| 673 | 485 329 | 137 | 180 | 117 | 258 | 137 |196| 94 20 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Bacino del Danubio (Valle dell’Inn superiore) Engadina. 19 | 2 DI DI DI DI VIS Bb) 34 13 19 20 | +D0+0O+O+0+ 9° (4) (Den (vecchio) ” | (adulto) | » 0+0+0+0+0+0+0+0+ n ”» (2) (adulto) | È) (5) dulto) | Ò (a Ò (vecchio) | (adulto) | | SEE: #O#0.0+O+O+O+ ie 1 360 | 1695 | 1761| 909 » » RO Chia MELO SSL DS Bacino del Reno (Vorarlberg). 840 | 900 879 | 891 | 900 | | 1568|1628| 883 \1654|1748 968 | | 1698|1758| 996 ‘1688 | 1791 | 1035 | 1637 | \1714| 934 \ 1714|1783| 951 | 1926 | 2004 | 1012 | 1878 | 1956 | 1022 177418701054] \1790 1870 1040 1719 1809 990 | 1855 |1929| 1080 | 1645, | 1757, 891 | | 840 913 921 900 | 768 | 900 | 900 1081 | 1031 | 1002 | 1041 | 975 | 981 940 | 980 | 936 | 936 | 450 | 888 | 960 | 480 | 448, 908 891 | 446 420 394 | 291 | 499 | LH 450 | 499 | 420 | 496 457 | 448 | Bacino del Reno (Cant. Grigioni). 1920 1911 471 452 415 397 1089] 988 |! 914 1048 | 1025 | 988 11846) Bacino del Reno (Cant. San Gallo). | 1839 | 1917 | | 1800 | 1870 \1809 | 1881 | \1791 1844 | 1799 | 1885 18181890 \ 1847 1903 | 1682 |1774| 1051 1030 | 1050 927 | 981 1036. — 975 | 909 | 936 | 909 | — | 985 1017 | 925 1041 960 | | 945. | | 452 | 342 904 | — | 966 | 945 956 887. | | 464 | 341 | 460 | 368 Bacino del Rodano (Delfinato). |ESY eau icon 1000 | 1040 | 490 | 370 | | | 900 | 975 | 426 | 351 | 7 973 | 467 | 506 | 7 490 | 370 | | 486 | 813 | | A4I | 342, 11 464 S14 378 1766 785 292 350 315 951 | 340 LESS 381 301 DI (00) DI | 800 350 | TS 00 (©) 427 | 500 12 483 557 637 563 584 576 584 568 576 606 586 (a MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 21 Segue Bacino del Danubio (Valle dell’Inn superiore) Engadina. 13 14 15 16 17 15 19 20 | 21 22 | 23 | | 25 | 26 19 | — | 137379 | 549 | 616| 398 | 237 | 47 | 114| 313 | 161 | 218 | 350 | 152 Ma L Segue Bacino del Reno (Vorarlberg). 20] — | 137) 360) 506 | 583 |.369| 189) 43 | 111| 288 | 103 | 257 | 617 | 214 21 | 446 | 180 | 386 | 591 | 617 | 394 | 197 | 47 | 146 | 300 | 146 | 317 | 566 | 214 23 | 460 | 167 | 469 | 552 | 636 | 368 | 201 | 42 | 103 | 265 | 103 | 167 | 410.) 209 23 | 450 | 162 | 4293 | 603 | 630! 405] 234 | 36 | 81 | 297 | 135 | 243. 482 171 94 | 484 | 171 | 394 | 523 | 643 | 3607 214--43 | 103 | 291 | 137 | 240 | 463 | 197 25 | 488 | 206 | 403 | 574 | 660 | 411 | 214 | 47 | 111 | 300 | 137 | 266 | 600 | 197 26 | 545 | 214 | 438 | 681 | 701 448 | 243 | 44 | 1296 | 321) 97 | 234 | 487 | 214 27 | 535 | 204 | 448 | 662 | 671 | 457 | 253 | 49 | 88 | 331 | 196 | 204 | 584. 209 28 | 492 | I76 | 404) 632 | 615 | 448) 228 | 44 | 132; 299 140 263 | 571 202 29 | — | 190 | 400; 590 | 670 | 430 | 270] 45 | 100 | 300| 110 | 190 | 420 | 220 30 | 513 | 180 | 405 | 585 | 630 | 405 | 216 | 41 | 144 315 | 162 | 306 | 657 | 189 31 | 508} 212 | 425 | 646 | 646 | 406 | 231 | 51 | 157 | 314 | 138 | 268 | 609 231 32 | 463 | 154 | 334 | 617 | 574) 403 | 206| 48 | 146 317 | 137 | 206 | 437 | 154 Segue Bacino del Reno (Cant. Grigioni). 33 | 535 | 194 | 462 609 | 711 | 415 | 222 | 46 | 102 | 323 | 148 | 194 | 535 | 208 84 | — | 226 462 674 618 | 425 | 240 | 46 | 157 323 | 129 | 203 | 508 | 219 Segue Bacino del Reno (Cant. San Gallo). 35! — | 175] 389] 603] 6s1| —| — | — | 88 | 321|136|234| 428 | 209 36 | — | 170 410 610 | 635 | 430 230) 50 | 80/| 310/130 | 270 | 500 | 215 37 | — | 185 450 | 590 | 702 | 414 | 225 | 45 | 118 | 297 | 153 | 315 | 576 | 207 654 | 571 | 413| 220) 44 | — | — | 1402290 | 457 | 198 389 | — | 152.| 502 | 616 | 634 | 398 | 218 | 38 | 133 | 303 | 170 | 227 | 379 | 161 40 | 522 | 153 | 405 | 630] 608 | 4293 | 234 | 45 | 153 | 288 | 135 | 207 | 432 | 180 41 | 549 | 199 | 436} G644| 644 | 407 | 237 | 43 | 95 | 3292 | 114 | 227 | 511 | 218 42 | 481 | 176 | 410 590 | 670 | 393 | 193 | 38 310 | 109 | 268 | 519 | 201 Segue Bacino del Rodano (Delfinato). 43 — | 190| 440 | 640 39 o: 260 (40 1110) 220] CALDI 2008 eo oe | | | LI 19 33 34 dI DI Sd Ot LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Segue Bacino del Danubio (Valle dell’Inn superiore) Engadina. (9) DI (0 0) o) (SI. DÌ | 506 | 1041} 671 | 510 | 1040 | 504 | 968 1015 | 715 E 900 PI NasO. 31 919 | 630 218° | 587 Il SI io ea 8800) | | 521 | | Segue Bacino del Reno (Vorarlberg). MECRae 85 | 900 | 651 | 887 | 636 ‘900 | 630 900 | 660 986 | 711 1012 992 500 | 948 500 | 950 635 690 626 691, (20. | 684 | 2 \214 | 583 | 230 | 561 | 189 | 558 189 | 566 | 206 234 | 632 623 | 585 | 591 206 | 557 Ì | 225 | 610 | 626 | 214 | 581 583 | INDIZI 471 514 502 495 386 360 360 405 | 851 386 | | 448 | 498 395 400 414 415 386 523 557 502° 522 | 523 557 564 | 564 BAL 570 5S1 581 566 | | | | Segue Bacino del Reno (Cant. Grigioni). 692 | 729 508. 960 508 | 1015 Segue Bacino del Reno 690 DIS N92 Ret | 500 | 957 | 702 | 464 | 9298 | 644 459 | 927 | 644 530 | 985 | 710 502 | 937 | 670 | 249 214 | 594 240 | 630 295 | 585 184 | 562 204 | 606 207 | 585 997 | 616 230 | 561 9231 | 581 | 52 591 | 55 6 554 (Cant. 545 550 540 527 540 531 549 515 415 | 397 | San Gallo). 360 369 360 | 387 388 | 368 591 591 555 550 567 553 559 549 587 536 Segue Bacino del Rodano (Delfinato). 37 | 38 284 | 246 291 309 293 306 | 283 326 341 321 299 300 515 323 300 314 342 500 co (20 215 | 640 eee \5° ili 340 Ì 214 240 248 243 240 291 292 282 272 260 261 286 240 286 277 20 | pui 39 551 382 332 351 330 306 316 | 881 333 350 301 40 322 283 317 285 393. 309 309 355 | 370 312 340 324 332 326 332 332 331 330 315 316 341 333 341 301 350 19 33 d4 43 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 19. 23 Segue Bacino del Danubio (Valle dell’Inn superiore) Engadina. dl 42 133 | ‘(6 IO Lasi 129 | 77 126 | 42 TISTLZZ 129 |_ 34 129 | 34 Dilfali39 1922 |_.83 140 | 79 | 150 | 70 126. | 45 148 | 46 150 | 9£ 160 | — O ORA 107 | 58 140 | 100 118 | 36 132 | 88 TED ZE JI44L | 90 142 |. 95 100 | 84 9 | 20 Ab 45 46 189 (1326) 786 | 4° 48 SE ZOO | Segue Bacino del Reno 180 |1226| 720 197 1328 780 197 |1881| 770 207 |1323| 657 189 |1302| 771] 197 |1354| SI4 204 |1357| 817 199 1460) 837 202 |1396 781 | 180 1410 830 189 1377) 765 | 999 | 1449 | 858 | 210 |(1337| 771, — | 317 480 | 343 485 | 385 360 | 486 bl4 | 326 523) | 351 584 | 409 559 | 399 500 | 351 00 554 | 824 | 550 | 378 | 501 | 343 | 49 50 | 51 52 53 | 54 | 55 — |138|109|284|142|189| 85 (Vorarlberg). 137 | 197 | 103| 249|120 |154| 77 171 | 189 | 124|266|146|214| 86 159 | 201 | 113|285|134 26 75 158 | 189 | 104| 270 | 135 | 925 77 154 | 197 | 146 | 274 | 137 189 | 86 154 | 180 | 120| 266 | 150 | 197| 86 170 | 204 | 136 292 | 146 | 243| 83 126 | 243 | 126 | 311| 156 | 263| 97 167 | 202 | 149 | 272 | 132 | 228| 88 170) — | 120 300| 150 | 225 | 105 158 | 225 | 153 | 270 | 144 198 90 185 | 222 | 120|314|171|226| 92 146 | 197 | 116 288 | 154 | 197 | 86 Segue Bacino del Reno (Cunt. Grigioni). 299 | 1458 831 231 |1385| 785, Segue Bacino del Reno (Cant. San Gallo). 195 |1460| 847 | | 190 1390 870 | 189 1449 882 202 |1387| 878, 170 (1421 833 | 207 | 1449 882 199 | 1449 862 176 \1339| 703 Segue Bacino | 200 | ui 870 | | 549 | 369 | 166 | \231|111| 517 | 388 | 185 | 208 | 111 | 370 | 165 | SEO — | 340 eo | 378 | 153 | 57L | 378 | 399 9° 563 | | 405 568 | 398 517 | 352 | 158 | 158 161 | 151 246 | | DIA | (216. 230 | |201 110 | 193 | 110 126 | 2 123 117 del Rodano (Delfinato). 25 (e | 97 175 |281| 92 (N°) (lo) (ò) a (Li =] DO mas (») 3 | 280 | 150 | 230 | 100 N° d'ordine O 090 dI OD O _ 0 Su H_/ HH HHHWHWWHWNWHW COMM RO RAMON eZ [en o) H>_Ww DD O 00 3 Di _ O Anno | di età 1° molare 2° molare | 3° molare 4° molare 5° molare | 6° molare e sesso | Lungh. | Largh. | Lungh | Largh. | Lungh. | Largh. | Lungh. | Largh. |Lungh.| Largh. (Lungh.| Largh. ia | 2 3 4 SO | 6 7 n s 9 | 10 11 12 Denti permanenti. CLONI. (5 6.5 Ti 8.5 10 J1 | 13 | 10 [13.5] S QU) 6500 50) 755657507 95095130005 S0LTO | 55 8 6 8 TO IULS 10 NM 2i5) Roi 2A OLIO, | 66 70650040) 8500138 806265 È adulto) 6 ®)| 4 6 6065 710650 050000 So 6) e) 8 6 8 Ti 12 9 13 12.5) % È id.) 7 (8) [etto 8 6.5 8 7.5 13 9111315) MO RISO Od.) 7 (9) | 45 8.5 6 1.5 808 H050 1058 KO si88055 sid 7! 45) 85 55 | s5| 6 | 12 0 8 12575120065 © (id.)| 6 (4)| 4.5 7 6 TS) 7.5 11 9 8- |\0:514134 858 16 (id.) | 6.5 (9) 5 8 6 8 1.5 13 10: |14.0) SONO AZ ‘$(id.)| 6 (9) 6 8 COMA 1.5 11 10° 113.5) 10. | 4 (09 \9(id.)| 6 (07) 5 15) 1.5 urli 9 19 8 137 St 5A 6 (d.)| CO 559 9 T( 8 6.5 102 8.5 |13.5) 85 |125| 7.5 6 (id.)|6.5(?) 5 TI 6 8 T 19 9 13 |85|14| 7.5 Q (9) 16.5 (10) 5 ge 16, 15) TITTI L57035) 0 Q (5) | TO) 59 8.5 6 8.5 6.5 13 8.5 | 14 | 8 RS \6 (5) | 5.5 (1) 45 (9) 4.5 1.5 co Rito 8.5 | 13. 12.51 7 O) | 50) 4 7550 75.60) 1258 (135 565 Denti di latte. È(1.5)| 7.5. (2) + 10 T( DL | So — _ — || = 50) CO) + Jal! 8 11.5 9 — — — | |_-|- Re Re Re 602) | 9 (0) 45 10 TOSO — — — |—-|-|- è LS) 449 | v5 T - = = OE De A, 62/90) 45 11 7 12 8 - | O (2) (85@| 45 | 10 6 |: 19 Bite 2 IS Oi) ESA) E — — 915 8.5 — \6 (2) | 7.5 (15), 4.5 9.5 6.5 12 8 — — = |-|= LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Misure in millimetri. MASCELLA SUPERIORE (4) Batal-Paschinsk (Caucaso). (£) Tschache (Caucaso). (*) Nenzig (Vorarlberg-Bac. d. Reno). (4) Rev. Rothis (Vorarlberg). (9) Rev. Praz (Vorarlberg). (9) Graubunden (Grigioni). (7) Churfirsten (S. Gallo). po TO VE CA E VE PRI VEE È VO TO E OE TT ETTI vietati PI TRIO O, N° d’ordine HHWaHWW WWW WHWW © 0 «I © O > 09 DD - SO OS DD H> 00 ND MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 19. 25 Segue Misure în millimetri. NIZSENIDIIESTORIZEA EDITO MIMA (OMOOMNEDIO: 1° molare | 2° molare | 3° molare | 4° molare | 5° molare | 6° molare |1°ine.|2° ine, | 3° ine. | 4° ine. Lungh | rg, Luagh | Largh, Lungh. | Largh. | Lungh. | Largh | Lungh. Largh. | Lungh. | Largh. negli Lt Lungh. | Lungh. | 13 (ae. | 15] 16 im | 18 | 19 20 21 22 23 24 25 | 26 Nani) aI2 3EE Segue Denti permanenti. < (Red Esce Ac | SE se E RS IE IRA AEREA IA 5 20 5 8 | LO) Li 610 01245) RIGA ALT CRDi RED 5A 3 DIGO 65 Ei | 50 6 | 265) ie eo 5 5) | SUO | DIE K(CD | 549 O . |12:5)| 615 | 100 505 45 + DIESIS RS DE RSor 55 IUS 6a Rit eee lA Rogi Io 5 + + 5 Sil 54 SE 558 LO !5) A 13 T 58 RSI IDA NA 635 5.5 | 3 | 8 | + 8 | 5 |10.5| 6 | 128 MNIGIA Ro NGI Ro RI ZIA ob 4.5 SARONIO) OO TAN VELA NOIR IAA RES 4 DRS | 8 5 | 75 | 55|125| 7 13.5) 7.5 | 17.5 6.5 | 6 5 4 d 5 i e o o, et 0. 7 75 NGI n A 5 Bi i 05 OR 055 o) Col 5A GA LI5 IMG 6 5 4 4 6 |ss| 8| 5 |o5| 5 | 1055/135) 6 1758) 6|55|55|45) 4 5. 3.|75|45| 8 |55|115|65) 13) 6 165 ele 5 4|35 5 5) 7 | 5 | SA 556 ReLON 65) 13) 7 19 7 DIO 5 MEZ o 5 [US | 5 ir 6 5 4 4 45 | 3.5| 7.5 | 4.5 | (5 | 5 IO | 16 25/6196 6 5 | 4.5 4 15 [egual] 51 8908 ae Segue Denti di latte. DI IZ MS Pale BAG ia 05 2529 eee e 252 |a] (e || E 25 25 | 6| 3|85|45| 15) 7 | 35| 25) 25 5 | 2.5|.85.| 4 | 15 Sti ei eee SI 28 e 5 oa 25 IRR OS 559 ela | OB fi i reni ti eri ir bero 95) 215) N25 5|3|ge|4s|s|55|-|-|-|-|—{\=|-=|825|25 5:53 | 84 | 14] 6 | —_|-|=|-]|35|25| 2 5 ZE SI Re | | 35| 2.5) 2.5 (3) Toggenburg (S. Gallo). (4) Papura (Alta valle Dàmbovita). (®) Graue Horner (S. Gallo). (2) Koblack (Bac. del Reno - Vorarlberg). (9) Fogaras (Bac. dell’Oetu Ungherese). (48) Isere (Delfinato). Fo 26 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI II. Camoscio del Caucaso. Nella prima parte di questo lavoro ho menzionato le vicende per le quali passò il modo di considerare tassonomicamente i camosci delle varie località. Risulta da esse che il ca- moscio dei Pirenei venne, fin dal 1845, ritenuto dal Bonaparte e da altri Autori come una specie distinta, o come una sottospecie, alla quale vennero assegnati particolari caratteri (Rupicapra pyrenaica); che il camoscio degli Abruzzi fu descritto nel 1899 dal Neumann pure come una specie distinta (Rupicapra ornata). Il camoscio del Caucaso o non venne per molto tempo preso in speciale considerazione o fu ascritto senz'altro alla specie delle Alpi (Rupicapra tragus) o al più considerato come una varietà locale, senza tuttavia che gli Au- tori ne precisassero le differenze in modo sufficiente dalle altre forme, come si può vedere dai lavori (citati nell’elenco bibliografico) del Keller, del Blasius, del Giebel, del Brehm, del Murray, del Weber e di altri. i C. K. Sarunin: “ Vorliufige Mittheil. iiber die S&ugethierfauna des Kaukasuslinder , (Zool. Jahrb. Syst. IX, p. {277 1896) e Sarunin e Rappe “ Kurze Bemerk. iiber die ange- fihrten Siiugethiere , (Die Sammlungen des Kaukasischen Museum, vol. I, Zool. Tiflis, 1889, pag. 108) considerano il camoscio del Caucaso come non distinguibile tassonomicamente dal camoscio delle Alpi. Moriz von DécHy nel 1905 nel vol. I della sua opera: “ Kaukasus-Reisen und For- schungen im Kaukasischen Hochgebirge ,, Berlino (1905) ritiene pure il camoscio del Caucaso identico con quello delle Alpi. Nel 1910 G. L. TrovEssART nel suo Conspectus mammalium Europae (Berlino, pag. 235) dice: “ Les formes plus ou moins distinctes qui habitent les chaines séparées n’ont pas “ encore été nettement caractérisées, à part la suivante: Rupicapra ornata Neum. (Abruzzi) ,. Analogamente conchiude nel 1912 K. Srorrer nel suo Systematische Uebersicht iieber die in Europa wildlebenden Stiugetiere in Lebensbilder aus der Tierwelt. Sùug., III, p. 688 (Lipsia, 1912). Nessuna distinzione tassonomica fra i camosci ammette A. MartEnson nel suo libro: Das Haarwild Russlands (Neudamm., 1912, pag. 36). Intorno al camoscio del Caucaso così si esprime: “Il camoscio del Caucaso rassomiglia a quello dell'Europa occidentale salvo in qualche piccola differenza. In media è tuttavia un po’ più robusto e più pesante di quello. La lunghezza del corpo è di circa un metro, quella della coda 7 cent.; l'altezza, misurata alla spalla, è di circa 70 cent., e il peso varia da 30 a 40 Kilogr. Le corna del maschio sono nere e rotonde, misurate fino alla sommità dell’incurvatura giungono a 20 cent. o più; alla base presentano degli anelli e delle incavature le quali non corrispondono ai cerchi di cresciuta annuali. Il pelo, breve nell'estate, d'inverno diventa lungo e ispido, specialmente sul dorso, dove si forma la così detta darda del camoscio. L'abito estivo nella parte superiore del corpo è bruniccio giallo o del colore di quello del capriolo, l’abito invernale invece è bruno scuro. La testa è giallo fulvo con due strisce scure che dagli occhi scendono fino al naso. La gola, l'addome e lo specchio sono bianchicci o bianco giallognoli, la coda è nera. Si osservano notevoli variazioni individuali nella tinta dell'abito, vi sono casi di albinismo, di melanismo e individui chiazzati. Pare si accoppiino colle capre domestiche, ma senza produrre discendenza. Le femmine hanno le corna un po’ meno sviluppate dei maschi ,. Circa ai nomi volgari dati al camoscio il Martenson dice precisamente: “ Russisch sserna “ oder tschorny kosjét. Kabardinisch gub-gobschen. Tscherkessisch tzacha. Ossetisch zakwu ». MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 27 Per ciò che è della distribuzione del camoscio del Caucaso riferisco le parole stesse del Martenson: “ Die Gemse haust auf der ganzen Hauptgebirgskatte des Kaukasus, doch zahl- “ reicher im westlichen als im òstlichen Teil; als Gemsriviere wiren besonders anzufilhren: das “ Hochgebirge des Kuban-Gebiets, Ossetien, Hoch-Daghestan und dessen Dschugaberg und “ das Terek-Gebiet mit dem Berg-stock Balk-Baschi. Im Kleinen Kaukasus ist die Gemse “ bereits seltener, wird aber immerhin an verschiedenen Stellen héufiger angetroffen, so am “ Flusse Tscharach und in den Bergen Trialet, Delischan und Gamtschinsk. Am Ararat ist “ sie nicht vorhanden ,. Di particolare interesse è il lavoro di M. Noska intitolato: Zwei mongraphische Studien, in cui la 2* riguarda la Capella rupicapra Heys et Blas. Esso venne stampato da prima nei “ Wiedmann Bitter fiir Jiger und Jagdfreunde , 1895 (Blasewitz-Dresden) e poscia in un fascicolo a parte dall'editore Wolff di Dresda pure nel 1895. Le due pubblicazioni sono oggi introvabili; il signor A. Ghidini di Ginevra, al quale devo la copia del lavoro del Noska e che qui in particolar modo ringrazio, mi scrive: “ La pubblicazione di Dresda è introvabile e così pure non è trovabile nelle biblioteche e negli antiquariati il volume 1895 del perio- dico sopra indicato. Il solo esemplare noto sembra essere quello posseduto dalla Redazione attuale del Wiedmann che me lo prestò gentilmente. Così ho potuto far copiare la seconda monografia, quella concernente il camoscio ,. Ringrazio anche la Redazione del “ Wiedmann ecc. , (1). Data la grande rarità della pubblicazione del Noska, credo utile riportare tutto il brano di essa che si riferisce alla descrizione dei caratteri del camoscio del Caucaso e la tabella delle misure. 2. — Capella rupicapra, Keys. et Blas. (Capra rup., L.). Die Gemse des Kaukasus. Von Maxmmizian NosKA. (Bei den Russen: Tschernaja Kosa, d. h. schwarze Ziege, bei den Tscherkessen: Tzacho, bei den Abchasen: Ptscheniptsa). Brehm schreibt von einer Kaukasischen Hemse, die er mit der Bezeichnung “ Atschi , anfùhrt. Da der Tscherkesse das Wort “ Adsche ,, nur auf den Steinbock anwendet, so werde ich gewiss nicht fehlgehen, wenn ich bei Brehm eine Verwechselung der Namen des Steinbockes und der Gemse annehme. Die Gemse des Kaukasus, so scheint es, ist kaum einer eingehenden Untersuchung unterzogen worden, sonst hitte man in ihr nicht eine Abart der gewòhnlichen entdecken kinnen. Brehm lisst die Frage offen, ob die Kaukasische Form von der typischen sich als Art oder doch als Varietàt unterscheide. Die wissenschaftliche Nomenklatur hàlt, und so auch bei Brehm, an der Bezeichnung C. (R.) caucasica fest, und in einem àlteren Werke von Ferd. Siegmund lautet es (pag. 444) wértlich: “ Die Kaukasische Gemse (R. caucasica) ist Kleiner als die gemeine Gemse, hat gerade aufsteigende, nebeneinander stehende (!) Horner, welche einen stirker gebogenen und schon niher an der Wurzel beginnenden Haken (!) bilden ,. (1) Un sunto del lavoro del Noska si trova nelle “ Mitteilungen , di Petermann, ‘vol. 42, 1896. 28 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Das beruht auf einem Irrthum und ist unrichtig. Die Kaukasische Gemse ist mit dem Krickelwilde des Europàischen Kontinents durchaus identisch, und nicht das geringste Merkmal unterscheidet sie, weder im Aeusseren noch in ihrer Lebensweise weshalb ich es fiir iiber- fliissie halte, auf Systematisches einzugehen. Ich habe auch den Unterschied zwischen “ Grat- und Waldthier ,, wie der Alpler sie bezeichnet, hier nicht gefunden. Die Kaukasische Gemse, welche ihren Stand im hohen Buschwalde der obersten Baumgrenze hat, wie die, welche die basal- und hochalpinen Regionen besiedelt, lassen in ihrer Stirke sowohl als auch in Form und Hohe der Krickel keine merkbare Verschiedenheit erkennen. Soviel Beobachtungen ich an Krickeln machen konnte, mòchte ich das Kaukasische Gemswild am besten mit dem des Salzkammergutes vergleichen, das in den herrlichen Alpenwinkeln der griinen Steiermark, Oberòsterreichs, Salzburgs und Tyrols zu hoher Berilhmtheit gelangt ist. Zu solchen kapitalen Krickeln, wie ich sie von Gemsen der Julischen Alpen und von Istrianer und Krainer Bòcken gesehen habe, entwickeln sich die der Kaukasier nie, und da man allgemein die stàrkeren dem Wald-, die geringeren den Gratthieren zuschreibt, so kònnten wir die Kaukasische Art insge- sammt als Gratthiere bezeichnen. Die Krickel des Bockes lassen sich schon durch ihre bedeutendere Stirke von denen der Geiss unterscheiden. Sie legen sich seitlich etwas aus, um im scharfen, aber vollen Bogen zuriickzuschweifen, wihrend letztere nicht nur immer schwicher bleiben, sondern auch fast parallel stehen. Der Bugbogen ist nicht so breit ausgezogen wie bei den Bòcken und verlàuft in enger Schweifung; die Spitzen greifen nicht soweit zuriick, die gesammte Kriimmung ist daher nut etwa halb so lang als bei dem Bocke, was jedoch nicht hindert, dass die Krickel in ihrer Totallinge bisweilen sogar héher als bei letzterem werden hònnen. Die ringformig zunzelige Struktur der Aussenfliche bis zur Kriimmungsh6he l&sst sich hei “ Bock- und Geissgehòrnen , fast immer feststellen, aber auch hier wird man beim Bock deutlichere Zeichnungen erkennen. Missbildungen, besonders bei Geissen, unregelmàssigo Stellung der Krickel sind sehr héufig. Maasse der besten, durch meine Hinde gegangenen Kaukasischen Gemskrickel, dabei zum Vergleiche die von zweien aus dem Salzkammergut, mògen umstehend folgen. Die Geiss No. 1 sub 5 ist besonders beachtenswerth; die Krickel sind, obzwar gering und wenig gekriimmt, von seltener Héhe, ebenso bei Bock No. 9 sub 5. Immerhin liessen sich an die kleinen Differenzen des Kaukasischen und Europàischen Gemswildes manche Beobachtungen und Bemerkungen iiber etwaige verschiedenartige klima- tische und Ernahrungseinfliisse auf die Wildarten anknipfen (ved. tabella a pag. 29). Richiamo l’attenzione del lettore: 1° su ciò che il Noska dice relativamente al nome di “ Atschi , che varî autori assegnano al camoscio del Caucaso e che invece deve essere attribuito allo stambecco, come del resto risulta anche dall’opera del Martenson sopra ricor- data; 2° sulla conclusione del Noska che dice che il camoscio del Caucaso è perfettamente identico a quello del continente europeo, dal quale nessun carattere lo distingue e al quale rassomiglia tanto nell'aspetto esterno, quanto nel modo di vivere, e perciò egli ritiene inutile entrare in una discussione sistematica; 3° sulle considerazioni che egli fa per considerare il camoscio del Caucaso come camoscio essenzialmente delle roccie. Nel 1901, R. LyDEKKER, nel suo volume: The Great and Small Game (London, Rowland Ward, 1901), a pag. 185, dice in forma dubitativa delle differenze fra il camoscio del Caucaso rispetto agli altri: “ Lack of specimens prevents the caracteristic features of the Caucasian chamois being described, but there are said to be differences from the typical Alpine form which not improbably indicate social distinction ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NAWUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 29 Aus dem Sala- kammer gut Aus dem Quellgebiete der Laba (Nordkaukasus) 1 2 3 4 5 6 T | ) 9 ‘0.01 (0.01 | 0.01 | 0.02 10 0.01 | 0.015 . Abstand der Horner p an der Basis . . Abstand der hòch- sten Kriimmung I | voneinander . . 0.045) 0.105) 0.075) 0.10 . Abstand der End- | spitzen vonein- | | | andere 0.033) 0.10 | 0.072) 0.09 . Abstand der hòch- | | sten Kriimmungs- | punkte von der | | | Basis, gerade ge- | messen . . . .|0.18 |0.115| — . Abstand der Spit- | | | zen von der Basis, | | gerade gemessen . Gesammtlange, der Krimmung ent- | | lang gemessen 0.18 | 0.235) 0.24 . Umfang des Horns | an der Basis . 0.10 | 0.015 I 0.075| 0.09 0.14 | 0.12 0.11 |0.133/0.118 0.115| 0.09 0.17 0.233) 0.22 I 0.092 0.08 0.072! 0.072) 0.09 Ò Geschlecht Ò Ò | | a Il Lydekker considera il camoscio del Caucaso come varietà della Rupicapra tragus, e la indica: var. d. Si è nel 1910 che il Lydekker (R. LyDeEKER, in “ Rowland Ward ,, Records of Big Game, 6% ediz., pag. 338, Londra, 1910) considera il camoscio del Caucaso come sottospecie di- stinta e la indica col nome di Rupicapra rupicapra caucasica, assegnandole alcuni caratteri speciali. Egli dice: “ The Caucasian È. f. caucasica is distinguished by its relatively short and stout horns and certain features of the bones of the nasal region of the skull ,. Lo stesso Lydekker precisò meglio le differenze che egli trova nel camoscio del Caucaso rispetto alle altre forme di camoscio, e che a suo avviso possono servire per costituire del camoscio del Caucaso una sottospecie (Rupicapra rupicapra caucasica), nel recente suo lavoro: Catalogue of the Ungulate Mammals in the British Museum (Londra, 1913, pag. 183), colle parole seguenti: “ Horns of male relatively short and thick, rising nearly vertically, and with only moderate divergence. Nasal bones without distinct lachrymal process, and a small persistent lachrymal fissure present; in the west European races there is a small lachrymal process to the nasals, and the lachrymal fissure obliterates early. Throat-patch large, whitish above, and erange inferiorly; orange patches on light area of face above nose and eyes, as well as behind tip of chin, and whole of the area, but more especially the part at base of horns markedly paler than in Carpathian examples of typical race. — 13 Basicranial length (7 (2 T 16 inches (60 mm.)); maximum width of nasals 13 1 inches (22 mm.),. Il Lydekker dà una buona figura di un cranio $ colle corna. inches (189 mm.)); length of upper row of cheek-teeth 30 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI I caratteri che il Lydekker assegna al camoscio del Caucaso sono principalmente i seguenti : 1° Nelle corna: «) Esse sono relativamente brevi, tozze e spesse; d) Esse sono im- piantate quasi verticalmente; c) Sono poco divergenti fra loro. 2° Nella colorazione: «) La macchia golare larga, superiormente bianchiccia ed inferiormente aranciata; 0) Parti chiare della faccia, sopra il naso e gli occhi, dietro il mento ecc. aranciato-pallide. 3° Nelle ossa nasali: a) Nasali senza un processo lacrimale distinto; 0) Fessura lacrimale piccola e persistente; c) Base del cranio lunga 189 mm.; d) Spazio occupato dai molari superiori lungo 60 mm.; e) Larghezza massima dei nasali 22 mm. Del Caucaso ho potuto studiare il materiale seguente. Una pelle con pelo invernale di è adulto di Batal Paschinsk (versante Nord del Caucaso occidentale), 5 crani è ed uno 9 della stessa località, colle corna. 5 crani della Valle del Tschache, gruppo del Ciuguscc (Caucaso occidentale, governo del Mar Nero) e 4 paia di corna colla pelle della faccia. La pelle sopradetta presenta la seguente colorazione, che io menziono secondo il sistema seguito per il camoscio delle Alpi nella prima parte di questo lavoro. La fascia scura laterale del capo, misurata sotto l’occhio (A), a metà della distanza dall'occhio all’angolo posteriore dell’apertura boccale (B) e a livello dell'angolo posteriore (0), presenta i dati seguenti espressi in millimetri A = 35, B.= 80, C = 85. Il margine supe- riore della fascia scura che va dall'orecchio, sui lati del capo, fino al muso, è concavo. La macchia chiara della faccia si fonde colle macchie chiare sopraoculari e colla regione chiara occipitale. La macchia chiara golare è di color giallastro chiaro, alquanto rossiccia posteriormente; il suo margine inferiore è quasi rotondo. Il dorso è nero con numerosi peli giallastro-ros- sicci. La striscia nera longitudinale è spiccata. I lati del collo e la regione della spalla sono neri. Le macchie nere e quelle giallo rossiccie dei fianchi sono spiccate e le inferiori sono bianche. Negli esemplari sopradetti della valle del Tschache che hanno la pelle superiore del capo trovo: 1° esemplare 9 adulta in cui la macchia chiara del capo non si fonde con quelle chiare sopraoculari e i margini suoi laterali sono rettilinei; 2° un esemplare è quasi adulto in cui la macchia chiara della faccia tocca appena con una serie di peli chiari le macchie sopraoculari, e il suo margine laterale è rettilineo; 3° un esemplare è giovane in cui Ja fusione della macchia chiara della faccia colle macchie chiare sopraoculari è molto più spiccata e in cui la macchia stessa si fonde superiormente con quella chiara occipitale; il margine laterale è spiccatamente incurvato verso l’infuori. Il sistema di colorazione che presentano questi esemplari non ha nulla di esclusivo ai camosci del Caucaso e che non si trovi, anche non raramente, negli esemplari delle varie regioni delle Alpi. Negli esemplari del Caucaso il contrasto fra le tinte chiare e quelle scure è meno spiccato che non negli esemplari delle altre regioni alpine, il bianco della macchia golare è meno puro e più giallastro, o giallo ruggine, e il nero tende di più al bruno o al bruno grigiastro, e così pure la macchia della faccia è più grigiastra; ma esemplari con tali ca- ratteristiche di colorazione non sono rari neppure fra gli esemplari delle Alpi, sopratutto fra i così detti camosci delle roccie, mentre, come è noto, la colorazione più scura e quindi il maggior contrasto colle macchie chiare si osserva sopratutto nei camosci delle foreste. Ora i camosci del Caucaso, come osserva il Noska, sono in gran prevalenza camosci di roccie. Il materiale da me studiato, come si può vedere dalle corna al tutto prive di resina e ZLI, TV TE UN OTT 7 _ o I IT TN O ZI RE PITT ERO site zii cai aiar > MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MA'DEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 91 colle costole trasversali molto spiccate e prive di traccie di usura, è appunto di camosci delle roccie. Tenendo conto anche delle descrizioni del camoscio del Caucaso fatte dal Martenson e dal Noska, io credo che in esso non si possano trovare caratteri di colorazione sufficienti per distinguerlo tassonomicamente da quello delle Alpi. ghezza margine posteriore) /a della lunghezza alla base dalla base dalla base Distanza dall'apice del corno Diametro trasversale a 1/4 della lunghezza, dalla base Diametro trasversale Diametro trasversale massimo a 5/; della lunghezza, dalla base Distanza fra gli apici Lunghezza totale del corno alla sua base (al misurata sulla curva anteriore Id, Id, misurata sulla curva inferiore Diametro id, id, antero-posteriore Diametro id. id. antero-posteriore a 1/a della lunghezza, dalla base Diametro id. id. antero-posteriore Diametro id. id. antero-posteriore Distanza fra le corna (lato interno) Distanza id. a 1/y della lun Distanza id, a 1 Numero d'ordine, anni di età e sesso Distanza alla sommità della curvatura »| Diametro trasversale massimo alla base (o so x (è) Co ESÌ (a) E n (=) Hi [n (A [O] (2) (o) Caucaso. Misure assolute in millimetri. 15(@|223(1)|180|106| 28 [29.5] 23 | 26 | 17 | 22 | 12) 19 || 10| 22 | 55 | 88 | 86 2 $ (5)|229(1)| 182/118) 25 | 26/22 23/16/21 | 11/17 || 101536169 72 8 (6)|228()| 177] 98 | 24 | 27 | 23 25.5] 16 225 11 | 17 |{ 10 20| 45 75|84 49 (5)|192(1)| 158/105] 18 | 22 | 18| 20 | 13 185/9555 —|_-|-|-|- 50 (5)|183()| 152|119| 22 | 2417 21|19| 17 | 11|16]| 14|23|42|102|112 CE) 6) OSO [Lee e eee SN Mio) ASS) 56) 074 NOA Prg e i 0, L74824 604075 8ò3(6)|203()| 171|111| 26 | 27 | 20|24|16|22|13|18 || 9 |22 49 93 (103 9g (7222) 75 dog |25- 1230192 23116120019) (e ae a 10 è (7)| 186 (£)| 150| 92 | 22 | 25 [18.5] 21 | 16.5] 20 | 1217 || — IT O (2){ 130(2)| 112) 64.|:21|24|— || I a E 120 (4)| 172 (?)| 144|116|20 | 24 | 17 | 21|1317|10|14]|1217|2455|68 13 9 (5){ 187 (2)\ 155|119| 229 24|20|22 16|21|12 16|j| 10|15|25| 42 48 14 O (5) 170 (2)| 143120] 19} 24 | 1720 | 14 17.5) 11 | 15 {| 13| 17 25|52 68 159 o) [195 (è) 154|110|-22 | 24 | 20 | 21 | 16.5] 20 | 115] 16 || 10| 14|23 | 40 | 41 DI Ì Ì Ì Ì Î Misure in 360#mî somatici. (00) (©p) (| IS _ _ (©) fn {6} (V6) HHuHHWHWH ULuioi ) | 4639 | 42/81 2) |243; 40|51|36)42]|30|37 23 | 82 || 27 ) Il | | 1 ò (| 290 @) |171| 45|48|37|42|27]35]|19|3s1|[16|35|89 142/139 26 (0) 285 to 1 185| 39 | 41 | 85 | 36 | 25 IDOL 27 161 24 | 57 | 1081113 3 è (6) 279 (1) _|155| 38 | 43 | 36 | 40 | 25 | 5 | aly g 690920418 Kisa 40 0) 299 (1) 196% 344 41 | 34 | 38124 | 85 | 18 | 29 — {-.|_-|_-|=- 5O(5) 298 (3) 233 | 43 |47|38 | 41 | 37 | 99 | 22 | 31 97 45 | 84 | 200220 65 (2) 248 (2) 191 | 51 | 60 ae = 12226 Tti(2) 203 (2) 189|147|62|—-|—-|-{|=-|—-|= 10833 A 628 MSARIZG, 835) 303 (2) 200] 46 | 48 | 5a 19002838397 |02381932 12 | 39 | 87 | 165 | 182 96(0 284 (2) 173) 41 | 37 | 86 | 37 | 26/32|19/299|| — —|—-|=|- 01) 290 (2) 178| 43 | 48 | 36) 41 | 32.| 39 | 23 | 33 — | —|[|_-|_-|- dota 309 : INTO de AEREE —|—-|-|_-|_- 20 (4) ) 395) 40 (5) ( 590 (5) ( (4) Batal Paschinsk. — (*) Tschache (Ciugusec). — (#) Papura. — (*) Fogaras. 32 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI RowLanp Warp, nei suoi Horn measurements and weights (Op, cit., 1892 e 1910), ha le seguenti misure di corna del camoscio del Caucaso, che io qui riferisco ridotte in centimetri e mill. e in 3609Sîmi somatici: | Circonferenza | Circonferenza | Lunghezza | | Da apice ad apice Lunghezza | | Da apice ad apice | alla base | alla base | | | | Maschi. 260.74 104.73 98.36 360 144 136 247.53 | 95.19 95.19 È 138 188 244.36 | 82.51 | 114.925 È 122 168 298.51 | 88.86 63.47 è 140 99 222.17 | 16.17 (6.17 SI 123 123 999.14 65.68 76.17 È 106 123 222.14 | 88.86 | 85.68 Di 144 134 218.97 | 88.86 60.29 I 146 99 215.81 | 63.47 | 98.36 > 106 164 212.63 79.34 19.84 DA 134 184 209.46 | 85.68 | 69.80 i 147 120 206.29 82.51 | 85.68 a 144 150 203.12 | 85.68 | 12.97 n 152 | 129 199.92 | 88.86 . | 41.24 5 160 T4 196.05 | = 85.68 88.36 6 157 162 190.42 | 69.80 | 72.97 Si) 132 138 190.42 | 85.68 | 88.86 DI 162 168 Femmine. 206.29 Ge 50717 1 | 133 | 89 203.12 69.80 | 85.68 DI 1924 | 152 196.05 69.80 | 98.36 a 128 | 181 193.58 | 12.97 60.29 5) 186 112 190.42 | 69.80 | 126.95 > 132 | 240 187.24 12.97 88.86 DI 140 171 ito Gee i oto i Me, 144 152.34 69.80 | (9.84 3 165 | 188 Dalla tabella sopra riferita del Noska delle misure delle corna di camosci della regione delle sorgenti del Laba (Regione Nord del Caucaso) si deducono i dati seguenti, che io presento anche ridotti in 390°Sîmì somatici. Misure in millimetri. Misure in 360%îmî somatici. | O fe x | Lunghezza | Circonfer. RI Distanza | Lunghezza | Circonfer. Ro. Distanza Sesso totale [Raina | E || Sera totale | ICfa le fra \delle corna) alla base | ;]la base | Eli apici delle corna) alla base | ala base | gli apici da, | | | | 250 O0RIO I ALONE RETTO é | 360 RO 158 E 2945 | 1925 20 | 90 n a 173 | 29 132 SEUATA O TO NARISIT Io ir Lidia SADR 181.6 TOS ; 240 90 10 | 100 WE e rn V2B0 O Tooni, tone 100 È î 138. | 5a i 210 90% 10 15 00 Nt rei 154 | 26 154 n | 200 Sb RI SR N00 Hd i 158 |} 27 | 180 O. | 240 | 72 10 | 50 Ò A 108 | I5 0 a 8000 TO TOM e139 S ? 144 | 20 66 RE nn 01 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 33 Le corna del camoscio del Caucaso vengono indicate da varì Autori come relativamente più corte e tozze di quelle del camoscio delle Alpi. Tenendo conto delle misure date dal Noska, dal Rowland Ward e di quelle degli esemplari da me studiati, si possono stabilire le serie seguenti della misura loro totale, lungo la curva anteriore, espressa in millimetri. Dii adulti 186-190,-196-200-203,-206-209-210-213-216-219-222,-223-228,-229- 240,-244-245-247-250 si 170-175-180-183-187-190-192-194-195-196-203-206-240. Lu O (I F Confrontando queste serie con quelle ottenute dai camosci di varie località delle Alpi sì ha: Caucaso Val.del Gesso Gressoney S. Marcel Val d’Ossola 186-250 158-260 200-280 170-280 220-277 (1) Classi estreme è... . Classi di maggior frequenza fra 186-250 170-250 200-260 210-260 220-250 Classi estreme 2. . . . . 170-240 160-220 180-240 190-246. 158-237 (2) Classi di maggior frequenza fra 170-206 170-206 180-220 190-235 205-230 Le serie di Gressoney S*.-Marcel, Val d’Ossola sono essenzialmente costituite da corna di- camosci delle foreste, mentre in quella di Val del Gesso sono in prevalenza quelle dei camosci delle roccie. Le dimensioni delle corna dei camosci delle foreste giungono general- mente, come è noto, ad essere maggiori che non nei camosci delle roccie. Ora, come sopra è stato detto, i camosci del Caucaso sono essenzialmente camosci delle roccie e le dimen- sioni delle loro corna sono un po’ minori, avvicinandosi a quelle, ad esempio, della Val del Gesso. Le lunghezze tuttavia di 250 nei è e di 240 nelle 9, che si osservano nei camosci del Caucaso, non sono molto frequenti, anche in quelle delle regioni alpine. Distanza delle corna fra loro alla base espressa in millimetri. Caucaso . . . $ 9-10,-15,-20.— 9 103-12-13-14. Valle del Gesso è da 4 a 17. — Classi più frequenti da 9 a 14. Id. O da 10 a 21. — Id. da 10 a 18. Gressoney . . è da Sa 15. — 9 da 11 a 20. — Classi più frequenti da 11 a 17. St.-Marcel è da 5 a 21. — Classi più frequenti da 8 a 21. Id. Q da 8 a 22. — Id. da 11 a 19. Divergenza delle corna fra loro all'apice espressa in 3609 somatici (presa come lunghezza base la lunghezza totale del corno). Caucaso geo da 0220) = O da 66 a 240. Valle del Gesso . . . $ da 75 a 190. — O da 62 a 207. Gressoney - . . . . 6 da 44 a.207. —_ O da 42 a 206. StaMarce eee e da) = O da 46 a, 243. Anche nei camosci del Caucaso, come in quelli delle varie località delle Alpi, si pos- sono determinare serie di corna più ravvicinate e meno divergenti e serie di corna più lontane fra loro e più divergenti. (1) Serie di individui da 7 a 17 anni di età. (2) Serie di individui da 5 a 16 anni di età. Cp It LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Confrontando, in una parola, i dati riuniti nella 1% e nella 3% parte di questo lavoro relativi alle corna del camoscio delle Alpi con quelli delle corna dei camosci del Caucaso, e le figure relative al variare della forma delle corna, si vede che i camosci del Caucaso entrano nei limiti di variazione dei primi, e tenuto conto anche di ciò che è stato detto circa la loro natura prevalente di camosci delle roccie, si può conchiudere che dalle corna non risulta nessun carattere sicuro per separarli tassonomicamente dai camosci delle Alpi. È molto probabile che se nel Caucaso si stabilissero riserve di caccia in località a foresta e fossero tenute colla cura che si esercita nelle riserve numerose del camoscio delle Alpi si avrebbero individui con corna non meno sviluppate. La serie di corna dei camosci del Caucaso che ho potuto studiare non è abbastanza numerosa di fronte alle serie studiate del camoscio delle Alpi. In serie più numerose dei primi è probabile si trovino anche altri valori, sopratutto fra i meno elevati circa la distanza delle corna fra loro alla base e circa la loro divergenza all’apice. Nessuna differenza fondamentale appare pure nelle corna dei camosci del Caucaso rispetto a quelli delle Alpi circa al rapporto della loro lunghezza con quella del cranio, come si può vedere dai dati seguenti e da quelli che si trovano nella 1% parte di questo lavoro. Così pure si dica per il rapporto fra la lunghezza del nucleo osseo delle corna e la lunghezza delle corna stesse. Lungh. del cranio ecc. Lungh. del corno Differenza è Batal Paschinski (£ anni) . . 1620 1824 204 OgLschacher (52011) IRSA 1965 1975 10 Lungh. del nucleo osseo Lungh. del corno (in 36025 som.) (in mill.= lungh. base) è Batal Paschinski (4 anni) . . 155 223 5 s (pat) E 143 229 Pi fa (Germi 131 228 » Tschache (il e mezzo) . . . 149 i 135 ; È (CERN) ESTA 179 151 Ù 3 (REA) ARTS 173 183 ; 7 (RTLLO n 158 185 v n (5201) NOR 165 203 e ; (7 ei) 0 165 218 Q Batal Paschinski (3 anni) . . 147 183 ORTschacheg(5Ranni) ASS 191 160 Cranio. — Dai dati degli specchietti che si trovano precedentemente si deducono le considerazioni seguenti : Nei camosci del Caucaso la distanza fra i fori sopraciliari (lunghezza base) varia nel modo seguente (misure espresse in millimetri): Individui di 1 anno e mezzo di età È 38 Individui di 5 anni è 37-40 Id. di 2 anni è 40-41 Id. di 6 anni è 43 Id. di 4 anni è 44 Td. di 5 anni 9 42-45. Le dimensioni delle altre ossa del cranio e dei suoi diametri principali, come si può vedere dagli specchietti uniti alla 2 parte e a questa stessa, rientrano nei limiti del campo di variazione del camoscio delle Alpi. Una 9 di 5 anni del Caucaso presenta per la lun- ghezza dall’apice posteriore della sutura bipalatina alla punta dell’intermascellare la va- I RT Tn RIP I TE diri 7 fia MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 35 riante 754, mentre nelle 9 delle Alpi la variante minore è 831 (Nei 3 si trova tuttavia la variante 751). Così pure la lunghezza dal margine sup. del foramen magnum all'apice anteriore della sutura bifrontale in una $ di 5 anni del Caucaso è 871, mentre la variante minore nelle S delle Alpi è 723. Queste differenze si riferiscono a parti molto variabili del cranio e sono più che altro differenze individuali. I disegni uniti a questo lavoro mostrano nei eranii dei camosci del Caucaso per i nasali, il frontale, i lacrimali, il mascellare superiore, i wormiani, la fontanella fronto-naso-maxillo- lacrimale, i palatini, il margine inferiore della mandibola e il suo angolo posteriore, ecc., le stesse modalità di variazione che si trovano nei camosci delle Alpi. Denti (vedansi i dati negli specchietti precedenti). — Gli specchietti delle misure rela- tive al nuovo materiale di cranii di camosci del bacino del Reno mostrano alcune varianti che nel materiale precedentemente studiato non avevo trovato (confr. specchietti relativi nella 2% parte di questo lavoro). Ne consegue che vengono a scomparire quasi totalmente le differenze che allora io avevo notato fra le serie delle varianti dei denti dei camosci al di qua delle Alpi e quelle al di là. Le dimensioni dei denti permanenti e di latte dei camosci del Caucaso rientrano fra i limiti di quelle del camoscio delle Alpi. - II. Camoscio dell'Asia Minore. R. Lydekker, nel 1908 (“ Field ,, vol. CXII, p. 104), descrisse una nuova sottospecie di camoscio di Trebisonda colla denominazione di Rupicapra tragus asiatica colle parole seguenti: “ Few sportsmen or naturalists appear to be aware of the existence of Chamois € in Asia, this area not being included in the distribution of the species as given in Rowland « Ward's Records of Big Game, while Mr. Selous makes no mention of Asiatic chamois “ in his volume entitled Sport & Travel, East & West. Nevertheless, these antelopes occur “in the mountains in the neighbourhood of Trebizond, as is proved by a fine series of « skins & skulls collected a few years ago & preserved in the Natural History Museum “ branch of the British Museum. Compared with Carpathian chamois, which are nearly « black at all ages, these Trebizond specimens are readily distinguished by the light brown “ colour of the coat of the upper parts, which is, however, quite different from that of the “ chamois of the Apennines, Rupicapra tragus ornata. They are also distinguished by their “ relatively small horns, which are brown in colour & thick, although the size of the body “ is relatively large. There are distinctive features to be found in the nasal region of the “ skull. As these Asiatic chamois appear entitled to rank as a distinct race, they may bhe called R. tragus asiatica, the skins in the British Museum forming the types. The fact ‘ that the chamois of the Apennines has a distinet name has been already mentioned, & it may be added that the izard, a Pyrenean chamois, bears the designation R. tragus pyrenaica ,. Nella 62 edizione dell’opera di RowLanp Warp: Records of Big Game (Londra, 1910, pag. 338), dice: “ While the light-coloured Trebizond R.t. usiatica is likewise distinguished “ by horn and skull characters ,. Nel Catalogue of the Ungulate Mammals in the British Museum, I, 1913, pag. 185, fis. 47 B, precisa meglio i caratteri che egli crede distinguano questa forma, colla descri- FS “ 36 LURENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI zione seguente: “ General colour darky, smoky brown, with a broad black dorsal stripe; “neck and limbs blackish brown, much darker than in most forms of typical race; light “ area of face relatively small, with the frontal portion dull chestnut. In immature speci- “ mens the general colour is light brown, with a narrow and distinet dorsal stripe. Horns “ relatively small and thin. Nasals with a strongly marked lachrymal process (fig. 47 B); “a large and persistent lachrymal fissure. “ Basicranial length 7 3 inches (187 mm.); length of upper series of cheek-teeth E “ inches (60 mm.); maximum width of nasals 1 È inches (28 mm.) ,. Non ho avuto esemplari di Camosci di Trebisonda: ma ho potuto avere, per la cortesia di Oldfield Thomas del Museo Britannico, le fotografie di un cranio, di faccia e di profilo, e le fotografie della pelle del capo, di faccia e di profilo, di uno degli esemplari tipici del Museo stesso. Fotografie che riproduco rimpicciolite nelle tavole unite a questo lavoro e a pag. 5. Credo di poter fare, intorno ai caratteri proposti dal Lydekker per distinguere la È. #. asiatica, le considerazioni seguenti, fondandomi sulle fotografie sopradette, sulla figura e sulla descrizione del Lydekker. Corna. — L'esemplare di cui ho la fotografia è un $ di circa 5 anni, a giudicare dagli anelli di accrescimento delle corna e dai denti. Le corna non sono molto lunghe e molto grosse: la loro curvatura terminale non è molto accentuata: sono ad uncino largo, e sono relativa- mente poco divergenti fra loro. Confrontando queste corna con quelle della numerosa serie che ho studiato del Camoscio delle Alpi e del Caucaso, trovo che la loro forma e il loro sviluppo si presentano, non frequentemente tuttavia, in individui di varie località. Colorazione. — Confrontando i caratteri di colorazione indicati dal Lydekker con quelli da me indicati per il camoscio delle Alpi e del Caucaso, ecc., si vede facilmente che nes- suno di essi è da ritenersi speciale al camoscio asiatico; neppure quello dell’area chiara della faccia, che è indicata come relativamente piccola. Del resto la fotografia che ho a mia dispo- sizione di un esemplare del Museo di Londra la mostra ampia, come suole trovarsi in molti esemplari delle varie località delle Alpi. Le parti chiare dei lati del capo, paiono a me, dalla fotografia, meno chiare che in molti individui italiani, svizzeri e tedeschi; ma per dare un giudizio sicuro su di essa sarebbe necessario avere esemplari in perfetta livrea invernale; poichè non raramente nella livrea autunnale anche nel camoscio delle Alpi il distacco fra la fascia nera longitudinale che va dall’occhio all'apice del muso e la regione sottostante chiara è poco spiccato. Individui a colorazione generale notevolmente scura sul collo e sulle gambe, si trovano, ron raramente, a parità di stagione, anche nel camoscio delle Alpi, sopratutto nelle regioni al di là delle Alpi stesse. Nasali. — Il Lydekker dà una speciale importanza alla forma dei nasali e menziona il grande sviluppo di ciò che egli chiama il processo lacrimale del nasale. Nella seconda parte di questo lavoro io ho estesamente dimostrato le grandi variazioni di forma che queste ossa presentano negli individui di tutte le località. Dalla figura che il Lydekker dà (op. cit., pag. 184, fig. 47 B) credo di poter dire che ciò che egli chiama processo lacrimale è molto probabilmente l’osso wormiano della lacuna fronto, naso, mazillo, lacrimale che si è saldato col nasale, come ho indicato avvenire in molti casi nel camoscio delle Alpi. D'altra parte, nel cranio di cui ho la fotografia il nasale ha la forma ovale senza vero processo lacrimale; a destra si osserva tuttavia un piccolo wormiano allungato, saldato col nasale. La lacuna fronto, naso, maxillo, lacrimale è molto ampia, come si suole trovare frequentemente nei crani del camoscio delle Alpi in tutte le sue località. Sono parti queste variabilissime, come lo dimostra il fatto stesso della notevole differenza che presentano i due cranî di individui della stessa località, quello figurato dal Lydekker e quello di cui ho la fotografia. » 1 = ULTRA a na ds MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE lI, VOL. LXYV, N. 12. 37 _ Le misure, infine, date dal Lydekker per la lunghezza basale del cranio, per la lun- ghezza dello spazio occupato dai molari superiori e per la lunghezza dei nasali, confrontate colla lunga serie di quelle da me date in questo lavoro per il camoscio delle Alpi, non pre- sentano nulla di caratteristico. Il materiale studiato fino ad ora del camoscio dell'Asia Minore è troppo scarso per poter dare su di esso un giudizio sicuro. Ritengo tuttavia che i caratteri del cranio non concedano la separazione di una forma distinta, equipollente, dal punto di vista tassonomico, alle altre, accolte dal Lydekker stesso (R. R. R. delle Alpi, R. R. ornata, È. R. pyrenaica, ece., ecc.). Se i caratteri delle corna e quelli complessivi della colorazione risultassero costanti nella serie degli individui per la località sopradetta, si potrebbero utilizzare per la diagnosi di una semplice varietà del camoscio delle Alpi. IV. Camoscio dei Pirenei. Ho già menzionato nella prima parte di questo lavoro le vicende sistematiche della specie di camoscio dei Pirenei proposta dal Bonaparte nel 1845, nel suo Catalogo metodico dei mammiferi europei (Il Bonaparte comunicò pure questa sua idea nella Riunione degli Scienziati italiani nel 1844. Conf. Atti della detta riunione, pag. 337), colla diagnosi se- guente: “ Rupicapra pyrenaica. Minor, gracilior, dilutior, cornibus approximatis ,. La specie proposta dal Bonaparte non venne accolta e gli Autori per molto tempo non si curarono di ristudiare particolarmente la questione, tanto che intorno al camoscio dei Pirenei si trovano in essi dati assai scarsi e talvolta assai vaghi. Lo Schinz (op. cit.) ha qualche maggior particolare. Egli dice: “ Die Horner sind ver- “ haltnissmissig kleiner, der Haken ist enger und kiirzer, die Spitzen richten sich weniger “ nach aussen. — Der Kérper ist kleiner, weniger robust. — Das Sommerkleid ist einfach “ rostroth, der Riickenstreif fehlt: die Vorderbeine vorn bis zu den Knieen, die Vorderseite “ der Hinterbeine und die Mitte der Brust schwarzbraum,. der Streif von der Nase bis zu “ den Obren viel schwicher, mehr vermischt, die Nasenkuppe rostgelb, die Lippen weiss, “ die Schwanzspitze schwarz. Im Winter sind der Gesichtstreif, die Halsseiten, Unterhals, “ Brust, Riieken von den Schultern an, Seiten des Kérpers und Schenkel braun, Gesicht, “ untere Kinnlade, Vorderhals, Schulterblàtter und Kreuzgegend fast chamois; Mitte der “ Brust, Hinterhals und Gegend um die Geschlechtstheile rostgelb, Aftergegend weiss ,. Lo Schinz dà anche una figura colorata dell'animale (tav. 53) che corrisponde alla livrea invernale. Il Keller (* Die Gemse ,, op. cit., pag. 194) dice: “ I camosci della Spagna sono con- “ siderati da certi naturalisti come una specie distinta (Capella pyrenaica). Questa specie è “ più piccola della specie alpina ed ha corna meno sviluppate. La tinta rosso-volpina del- “ l'abito estivo la distingue in modo evidentissimo dal camoscio rnostrale, col quale però “ concorda nell'aspetto esterno, nella struttura delle zampe, nella durezza delle ossa del “ cranio e nelle abitudini della vita. Infatti il Brehm non le attribuisce l’importanza che di “ una varietà locale ,. 38 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Egli da le misure seguenti per le corna. è dei Pirenei: Lunghezza sopra la curva 19 cent.; altezza 13,8 cent.; circonferenza alla base 6 cent.; distanza fra le punte 9,8 cent. Rowland Ward (op. cit., 1892 e 1910, pag. 170 e pag. 339) dà le misure seguenti per le corna (che presento ridotte in millimetri e in 360eSmi somatici), alle quali unisco le misure date dal Keller. | Circonferenza | | Circonferenza | Lunghezza CORIO | Da apice ad apice Lunghezza in | Da apice ad apice | | | Maschi. 247.53 | 69.80 165.03 360 102 240 299851. | 7617 134.29 È 120 210 184.07 85.68 85.68 F 168 168 165.03 | 54.23) _ 92.02 n 118 201 Femmine. 212.63 63.47 MMEO7 | 360 107 188 177.73 | 60.29 | 88.36 PA | 122 179 Il Keller (“Die Gemse ,, op. cit.) dà le misure seguenti di un è dei Pirenei: 190.00 | 60 | 98 | 360 | 114 | 186 e di un $ e di una € della Sierra Nevada (1): 620 | 70 | 100 2 | | ” Rowland Ward (op. cit.) dà le misure delle corna di un è del Nord della Spagna (1): 215 SRI 76 NANTOSSIO I | 36080 I o Gerrit S. Miller, nel suo Catalogue of the Mammals of Western Europe, London, 1912, considera come specie la Rupicapra pyrenaica Bonap., con questa diagnosi: “ Colour of winter “ pelage distinetly less dark than in Rupicapra rupicapra; markings on neck essentially as in R. ornata; horns about perpendicular, placed more closely together than in the other species, the very narrow region of frontal between bases of horn cores single concave; K « “ teeth weak ,. Egli dà anche alcune misure di due cranî. Simile diagnosi dà pure il Lydekker (che considera la È. pyrenaica come sottospecie della Rupicapra rupicapra) nel recente suo Catalogue of the Ungulate Mammals in the British | Museum, London, 1913, pag. 183. - 9 Intorno ai caratteri del cranio ne vennero indicati alcuni dal Riittimeyer in una lettera (1) Ho riferito anche i dati relativi ai camosci della Sierra Nevada e del Nord della Spagna: ma se i camosci di queste località siano da riferirsi veramente alla stessa forma che si trova nei Pirenei è incerto. Non ho potuto avere a mia disposizione materiale da queste località (confr. il capitolo di questo lavoro che sì riferisce alla Rupicapra rupicapra parva descritta dal Cabrera). MEMORIE - GLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 39 al sig. Trutat, che il Gourdon pubblica nel suo lavoro: Cranes des mammifères des Pyrénées (op. cit.). Credo utile di riferire le parole del Riitimeyer: “ L’isard adulte n’atteint pas la grandeur moyenne du chamois. Le cràne et la dentition accusent un animal plus petit, plus svelte, moins robuste; les cornes sont plus fines, plus effilées, mais pas moins longues (les noyaux des cornes sont méme plus longs que chez ‘ le chamois) et plus rapprochées de la ligne médiane du cràne, pendant qu’elles sont très sensiblement plus séparées entre elles chez le chamois, ce qui frappe à première vue. “ La dentition est plus fine, je dirais méme plus élégante. Les dents màchelières d’en- “ haut et d’en-bas, sont plus étroites, plus comprimées, moins fortes, et, ce qui est le plus ‘ important, moins longues en sens vertical que dans le méme age du chamois. & ES “ Je ne puis découvrir de différences dans la boîte crànienne; mais, pour la face, il y en a de très sensibles. “ En première ligne, la face de l’isard est plus courte, moins haute, plus effilée en sens vertical, mais plus large, surtout dans la partie nasale et prédentale (ouverture du nez avec la partie intermaxillaire et la partie prédentale des màchoires). “Os nasaux plus courts, plus plats. “ Tous ces caractères de la face et du cràne correspondent è un àge moins avancé du chamois; ils constituent un arrét de développement très prononcé. “ La différence la plus sensible dans la face consiste dans la forme du lacrymal. Cet os est plus étendu dans la face chez l’isard que chez le chamois, plus haut et plus long, de sorte qu'il recouvre le nasal sur une partie plus étendue et qu'il ferme absolument la lacune ethmoîdale qui ne se ferme que très tard et souvent jamais chez le chamois. Ce qui ajoute à exagérer cette différence, c'est la position, sensiblement moins haute dans l’isard que dans le chamois, de Ja créte massétérine. La facette massétérine est done moins haute chez l'isard, ce qui correspond à la moindre hauteur des molaires, mais la eréte massé- terine est néanmoins plus prononcée chez l’isard. — La face palatine est plus large et plus courte dans sa partie intermaxillaire chez l’isard. — Tous ces caractères accusent, sans aucun doute, un arret de développement chez l’isard comparé avec le chamois. “ L’isard présente dans son àge adulte un àge moins avancé, ou, si vous le voulez, ce qui revient au méme, un type féminin du chamois. Cependant deux choses accusent en méme temps une différence importante chez l’isard; c'est la grande étendue, surtout en longueur, du lacrymal, et la position plus médiane des cornes. “ En somme, l’isard représente un chamois juvénil avec des tendances vers une diffé- rence dont le chamois ne laisse rien apercevoir. Je le considère donc comme un chamois réduit avec quelques caractères nouvellement acquis; en langue systématique, on pourrait lui donner le nom d'une bonne variété du chamois des Alpes ,. M. Gourdon nel suo lavoro (op. cit.) dà i seguenti particolari intorno alla colorazione del camoscio dei Pirenei: “ En naissant, les isards sont revétus d’un pelage tout laineux: “ “ A “ il fait insensiblement place è une fourrure soyeuse et fine, très épaisse, et dont la couleur est trop connue pour que jaie besoin d’en parler. Ce poil d’été sera lui-méme remplacé pour la saison froide par une autre toison plus longue, très fournie et plus foncée. La poitrine méme, les jambes deviennent complètement noires et brillantes: une véritable crinière part des épaules et s'étend jusqu’au bas des reins, où elle atteint de 12 à 15 cen- timètres de longueur. — Le pelage de la femelle est identique à celui du male. Je noterai, en passant, que les isards que j'ai élevés conservaient toute l'année les jambes noires, tandis que chez des sujets è l’état sauvage la couleur est plus ou moins brunàtre et n’atteint son noir qu'en hiver ,. Il sistema di colorazione dei quattro esemplari che possiede il Museo Zoologico di To- rino è il seguente, che io credo utile riferire un po’ minutamente. 40 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Gli esemplari sono: 1° $ di Gavarnie, ucciso il 31 gennaio 1911, col cranio; 2° $ del Monte Maledetta, col cranio; 3° è dei contorni di Luz, preso nel dicembre 1911, col cranio; 4° un esemplare è dei Pirenei (senza più precisa località), in abito estivo, col cranio (1). Gli esemplari di Gavarnie e di Luz sono dei Pirenei francesi, mentre quello del Monte Maledetta è dei Pirenei spagnuoli. Nel maschio adulto di Gavarnie la colorazione si presenta come segue: La parte fac- ciale mediana è occupata da una macchia chiara ovale, che dalla base delle corna si estende sulla fronte e si protende fino alle narici; essa è di color bianco isabellino, più chiaro sulla fronte e più scuro verso le narici. La parte posteriore delle narici e il labbro superiore, nella regione che è sotto alle narici, sono di color bianco isabellino, chiaro, come la macchia fae- ciale superiore. La parte laterale del capo è occupata da una fascia bruno cioccolato chiara, che parte dalla porzione posteriore della apertura del naso e si protende fino all'orecchio, cir- condando l’occhio fino alla base del corno. Questa fascia è più scura verso l’estremità del muso che non verso l’occhio. Il margine inferiore della fascia scura è quasi rettilineo fin sotto l’occhio, dove presenta un angolo abbastanza spiccato. La larghezza di questa fascia sotto l’occhio è di m. 0,035, a metà della distanza dall'occhio all'angolo posteriore dell’aper- tura boccale è di m. 0,045, e a livello dell’angolo posteriore stesso è di m. 0,035 circa. Nella parte antero-superiore dell'occhio vi è una macchia allungata, chiara, ferrugginosa. La regione superiore del capo, la regione occipitale, sono di color camoscio chiaro. Questa tinta si continua sul collo superiormente e si estende poi al primo tratto del dorso e nella regione scapolare. La fascia bruno cioccolato, sopra detta, della faccia si unisce alla stessa tinta della parte posteriore dell’orecchio e si continua con una larga fascia di color cioccolato scuro, che discende dall’orecchio, lungo il lato del collo, per venire a riunirsi con quella del lato opposto, sul petto. Queste due fascie scure delimitano sulla parte inferiore del collo una estesa macchia triangolare, colla punta in basso di color bianco ferrugginoso che si unisce alla colorazione simile della regione laterale della mandibola e della gola. Negli esemplari da me esaminati, la macchia chiara si estende fino alla metà circa della lunghezza del collo. Nella parte inferiore più ristretta della macchia triangolare del collo la tinta si fa più chiara, quasi biancastra. La regione chiara del collo, inferiormente, e quella chiara supe- riore, e la regione chiara scapolare spiccano molto per l’inscurirsi della fascia laterale sopra- detta del collo e per la tinta scura del petto. I peli della parte interna dell'orecchio sono bianco ferrugginosi. Il petto, la regione della gamba delle zampe anteriori e delle zampe posteriori sono di color cioccolato scuro. Dalla regione occipitale parte una striscia cioccolato scuro, assai spiccata, lungo la regione mediana del dorso fino alla base della coda, che è chiara, di color camoscio. I fianchi e le regioni laterali del dorso, nella sua parte mediana, sono superiormente di color bruno scuro, che passa al bruno rossiccio nella parte infero-posteriore dei fianchi. Il ventre è biancastro. L’apice della coda è bruno cioccolato. I piedi anteriori e posteriori sono di color bruno, leggermente rosso ferrugginoso, chiaro. Nella parte mediana anteriore dei piedi anteriori vi è una striscia longitudinale bruno scura, non molto spiccata: poco al disopra degli zoccoli, sia anteriori che posteriori, si nota una piccola zona bruno scura. Esemplare di Luz. — Il sistema generale della colorazione è simile a quello dell’esem- plare di Gavarnie con qualche variazione. (1) Ho esaminato anche l'esemplare è donato da S. M. il Re al Museo Zoologico di Roma e che faceva parte della collezione reale del Castello di Moncalieri. L'’esemplare è senza località. Ad un primo e rapido esame mi era sembrato potesse essere attribuito alla R. ornata: ma dopo uno studio più minuto, tenendo conto in modo particolare della forma e disposizione delle corna, credo sia da considerarsi come R. pyrenaica. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 41 La fascia scura laterale del capo è larga sotto all'occhio m. 0,038, a metà della distanza dell'occhio all'angolo posteriore dell'apertura boccale m. 0,062, a livello dell'angolo posteriore stesso è di m. 0,045. La tinta e la sua intensità sono come nell’esemplare di Gavarnie. Le macchie chiare del capo, della faccia e le fascie scure laterali del collo sono come nell’esem- plare precedente: ma di tinta notevolmente più scura, bruno nerastra; le regioni latero-poste- riori del collo sono molto meno chiare, tendendo al bruno nerastro: meno sviluppata e meno spiccata sono la regione chiara scapolare, e la regione delle coscie. Il dorso è più scuro, cioè è bruno nerastro e quindi meno spiccata è la linea nerastra longitudinale del dorso. Il petto, le zampe anteriori e posteriori, bruno nerastri. Questa tinta si estende anche sui piedi anteriori, lasciando solo una piccola regione di color bruno rossiccio. I piedi posteriori sono nella parte anteriore bruno rossicci, meno una macchia rossastra poco al disopra degli zoc- coli. La regione chiara laterale del capo, della gola e della parte mediana inferiore del petto sono di color bianco ferrugginoso, che si fa più chiaro verso l’apice inferiore della macchia appuntita sul collo. La regione chiara inferiore del collo è qui più spiccata per il maggior inscurimento dei lati del collo e del petto. In complesso in questo esemplare l’inscurimento del pelame sul dorso, sul petto, sulle zampe e sui fianchi, è maggiore che nell’esemplare di Gavarnie. La macchia chiara della parte anteriore del collo è più estesa verso il petto ed è più appuntita. L’esemplare del Monte Maledetta presenta pure lo stesso sistema di colorazione con qualche particolare diverso. L’inseurimento del pelame è tuttavia anche maggiore che nel- l'esemplare precedente, e corrisponde alla livrea invernale schietta. La macchia chiara della faccia è più stretta ed allungata che nei precedenti esemplari, pur essendo più chiara poste- riormente e ferrugginosa verso le narici. La fascia scura laterale del capo si spinge fino a contatto della narice e occupa quasi tutto il labbro superiore anche sotto la narice. Essa sotto l'occhio è larga m. 0,025, a metà della distanza dall’occhio all’angolo posteriore della bocca m. 0,050, a livello dell’angolo posteriore stesso m. 0,040 circa. Il suo margine infe- riore è spiccatamente rettilineo fino all’orecchio. Molto spiccata è la macchia ferrugginea nella regione antero-superiore oculare. La fascia stessa è di color bruno cioccolato più scuro che negli esemplari precedenti. Il capo posteriormente è in parte bruno chiaro; il collo, posteriormente e ai lati, il dorso e i fianchi sono bruno scuri, con tendenza al rossiccio, sopratutto sui fianchi. Sul dorso ia striscia nera longitudinale è ben spiccata e si estende fin sulla coda. Le regioni scapolari e delle coscie sono leggermente più chiare. Il petto e le zampe sono bruno nerastre. La colorazione bruno nerastra del petto si estende anche ai lati del collo, che tuttavia sono leggermente più chiari. Ciò fa sì che la fascia scura late- rale del collo, caratteristica delle livree degli esemplari precedenti, si fonda quasi intiera- mente col resto della tinta scura del collo. Le regione chiara della gola è di color isabellino e appuntita nel suo margine inferiore, ma è poco estesa nella regione del collo, contraria- mente a quanto si vede negli esemplari precedenti. Credo che chi preparò la pelle fresca abbia esportato una porzione di essa lungo il taglio mediano del collo e perciò la macchia chiara golare appare come tagliata bruscamente a punta nel suo margine inferiore ed è incompleta. La figura dello Schinz (op. cit.) rappresenta il camoscio dei Pirenei nel suo abito inver- nale e corrisponde nell’insieme della colorazione a quella dell’individuo ora descritto, meno che per l'estensione della fascia laterale scura del capo, che è molto più ristretta e molto meno estesa verso l'orecchio e verso le narici e il labbro superiore. La forma e l’estensione di questa fascia ricorda molto la fascia corrispondente del neonato del camoscio delle Alpi. Forse l’esem- plare figurato dallo Schinz presenta per questo carattere un caso di neotenia di colorazione. Esemplare È în abito estivo. — Il dorso e le regioni laterali e ventrali del corpo sono di color giallastro vivo, tendente al volpino, uniforme. La linea dorsale longitudinale è poco Ha 42 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI appariscente, appena brunastra e limitata alla sola regione mediana dorsale. Le regioni chiare superiori e laterali del capo sono del colore del dorso, appena un po’ più chiaro nella macchia facciale mediana. La macchia mediana facciale non si fonde colle macchie sopraoculari; essa si fonde invece superiormente colla regione chiara occipitale. I margini laterali sono con- vessi. Le fascie scure laterali nel capo sono bruno nerastre, poco spiccate, il loro margine superiore è concavo. Sotto all'occhio (A) sono larghe mm. 40, a metà (B) mill. 35, all’an- golo del labbro (C) mill. 43. Collo lateralmente e inferiormente, gola e petto del colore del dorso. Sui lati del collo le fascie longitudinali scure sono appena accennate e delimitano nella parte inferiore del collo una zona mediana un po’ più chiara, in forma di triangolo molto allungato che si continua colla regione golare. Le estremità hanno le regioni scure di color bruno nerastro poco intenso. In complesso il sistema di colorazione del camoscio dei Pirenei si avvicina nella livrea invernale a quello della £. ornata degli Abruzzi, e ricorda un sistema di colorazione che talvolta si incontra anche nel camoscio delle Alpi, come, ad esempio, nel Churfirsten, nel Siintis (Cant. S. Gallo), di Acceglio, ecc. (confr. la prima parte di questo lavoro). La livrea estiva è notevole per l'estensione grande della tinta quasi uniforme giallastro volpina, sul dorso, sui fianchi e nelle regioni chiare del capo, del collo, del petto e delle zampe, e per la scarsa intensità delle regioni scure del capo e delle zampe: ma non è esclusiva al ca- moscio dei Pirenei. Essa si trova talvolta qua e là anche nel camoscio delle Alpi, come ad esempio nel Cadore (confr. prima parte di questo lavoro) e si avvicina a quella estiva del camoscio degli Abruzzi. Nei camosci dei Pirenei la forma e l'estensione della macchia chiara mediana del capo e delle fascie laterali scure presentano un andamento di variazione ana- logo a quello che si osserva nel camoscio delle Alpi. Anche nel camoscio dei Pirenei ven- nero segnalati casi di albinismo, o parziali, o completi. Corna. — Gli esemplari da me esaminati danno per le dimensioni delle corna i valori seguenti : bi | 5 E | s o (>) ka ® | © ® © © |a [o È 3 ERE RR e | = sol |[s|8|f|[i|a[f/a| |a «È 2o50lie (35 S| ss 080 Gee = | | = agli Gs 8 (a sala ela A SUO ae (SE ME RES Re E = CEE ò «| è «| US £ à à È = = [i DS i a 1 2 3 o GG 7 8 9 Io | 1 Tree 3 71 5 Misure espresse in millimetri. 154 |225@|177|110| 24|25|23|23|19|21|18|20{{1|1]|9 56 | 61 2 (4) |135(2)/112| 68 | 16 | 19 | 15 | 17 | 12 | 159 [IL5]| 6 | 7 | 1434/35 36 (5) | 175 (8) 142| 93 | 23 | 25 22/22 17 2112/17 || 1) 2 (1645 | 45 45 (5) 2110) 181|112|22|23|20|20|15|19 [1 5 17 || 6| 8 | 88| 94 |101 Misure espresse in 3608 somatici. 15(4| 2838) |176| 38|40|37|37|30|34|21|382|| 2| 2 | 14| 9098 2354 | 298 (2) |181]|43|51 0 DIRO A: 16-| 19.379.898 33(5)| 2918) |190| 47|51|45|45|35]|38|27|35 2/4|33|92 92 453 (5) | 308 (4) \190| 38 | 39 | 35 | 35 | 26 | 32 | 20 |.29 10 | 14 | 65 | 160|172 (!) Monte Maledetta. — (*) Luz. — (8) Gavarnie. — (*) Pirenei. strie MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 19. 43 La maggiore lunghezza del corno che trovo indicata dagli Autori è di 247 circa (Row- land-Ward) per un è e di 212 circa per una 9. Credo che il numero degli esemplari esa- . minati sia troppo scarso per determinare il massimo della lunghezza raggiungibile dalle corna del camoscio dei Pirenei, tanto più che il Riitimeyer (confr. la citazione precedente) dice : “ les cornes sont plus fines, plus affilées: mais pas moins longues (les noyauz des cornes sont mème plus longs que chez le chamois),. Nei 4 esemplari da me studiati risulta che il corno del camoscio $ dei Pirenei presen- tasi variabile, come quello del camoscio delle Alpi, nella curvatura del suo asse e nella forma dell’uncino terminale. Uno dei corni è riferibile alla forma « del camoscio delle Alpi (confr. 1° parte di questo lavoro pag. 76), l’altro alla forma 8. Un terzo si avvicina alla forma d, ma colla punta del ramo discendente molto divergente; il quarto è come la forma @, ma coll’uncino terminale a curva stretta. La variazione dei diametri antero posteriori e tras- versali delle varie regioni del corno procede come nel camoscio delle Alpi e entro gli stessi limiti. Notevoli invece sono le differenze che il camoscio dei Pirenei presenta rispetto a quello delle Alpi e degli Abruzzi nella distanza delle corna alla base e nel procedere della loro divergenza per il loro primo quarto di lunghezza e talvolta fin quasi alla metà a partire dalla base. Limiti di variazione della distanza minima delle corna fra loro alla base negli adulti, in millimetri. Camoscio delle Alpi È 5-21 (maggior frequenza fra 9-13) © 8-22 (magg. freq. fra 11-15). 5 degli Abruzzi è 7,5-11 O 10-15. - dei Pirenei è 13-6. Idem a */, della lunghezza a partire dalla base (in 360°mî somatici). Camoscio delle Alpi Ò 16-17, 9 21-52 (magg. freq. è 30-67; magg. freq. 9 30-52). È degli Abruzzi è 26-39, 9 20-40. È dei Pirenei è 2-4-14-19. Idem a */> della lunghezza a partire dalla base (in 360%°mi somatici). Camoscio delle Alpi © forma poco divaricata 39-47 - forma molto divaricata 55-141. È Q 5 È 40-52 - È 3 57-110. e degli Abruzzi 5 63-83, 9 44-73. A dei Pirenei è 14-33-37-65. » Idem alla sommità della curva (in 3608 somatici). Camoscio delle Alpi È 538-250, 2 39-207, 4 degli Abruzzi è 139-164, 9 84-193. 5 dei Pirenei è 90-91-92-160. Come si vede, il camoscio dei Pirenei è per ciò che riguarda la distanza delle corna fra loro alla base e a !/, e a ‘/, della loro lunghezza spiccatamente diverso dal camoscio delle Alpi e da quello degli Abruzzi. Esaminando gli specchietti delle misure delle distanze fra le corna del camoscio delle Alpi (vedi 12 parte del lavoro) si possono trovare in varie località alcuni esemplari che si avvicinano alquanto alla disposizione delle cose che si osserva nel camoscio dei Pirenei senza tuttavia raggiungerla esattamente. Ne segue nel camoscio dei Pirenei un facies al tutto particolare nella disposizione rispettiva delle due corna, come mostrano le figure unite a questo lavoro, facies che dipende anche dalla forma particolare dei nuclei ossei delle corna stesse. LORENZO dd CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Date I|ESEU jop eWwIssew ezzeySun] DI ae RI AZ: Nek ozzaw jeu e|e}{dj990,jjep ezzeySunq |= | E Ta | 19 Si (nel) ozzew |au ejejeizd jop ezzoySun] 9 | Si La > © N Bai QOGIHA a|E}Uou}[q eunzns ejjop ezzeySunq CA (a va 2 I S 10 Sa Q IESEU | @ (0JEJOW 0| |Op 0|jeAI] E) ad N 3 i DDT IME]|eosew jap eunejedjg eungns | VIy | Da Si SS QONI oiUEJI |ap eJossads ssi -S Hi Lar. Ce = a. i è —————— a|eseujq cInzns ejjap eJolsazsod e9Ide,| 9 -S È HO ZH (asolo zuE 89Ide) S SOS Ze Ss OMO euj}e|edig eInyns E| eJ} OJUEJO |ap a10sseds ES a: Ho sti |0p © S | Eu) S | DAI | ‘dns aJolJa}ue QuiSIELI |ep ezzoySUun] È ni 9 DOD 9 —_ — —____1----,- «SN _——_—__-—+ Di 3, -S QUE|[eosewJg}u},]jep ezund ejje 3 È 00M S q O s Euj}e|ediq eunzns Ejjap 10 ES | SS © + S | Gio Si S SET Tao Ss 2JojJa}sod @9;de,]jep ezzeyFun] È S tz, Da bed _ S =— d on QJe||eosewJo}u],jjep und ejje È = 0H È 10 a iS Q 9|e}uoJy[q eInzns ejjep + S S S Lan a 5 D IS aJolJa}zUE 09;de,]|ep ezzaySunq > ST Ed a a 2° ——__nnn È PRE UTET RO = CAS 9Je||eosewJg}uI,jjap ezund ejje sa S | a a 2) S Nello Je" < SI[e}[djo90 e}SHO > èjjep ezzoySUn] S NEI È ca Sa D pe Fo E AS = = de TASA = wrasca Ta) QJE||oosew.J6}u},jjap ezund e|jje uri Hut = > ol = E ® = CES no = od = = | =] (zi D n KM 33 35; Ds DUO oe = & ERE) Pa) Î (I ia ° i o E n'a n © pale I co | Cal D [3] en [SÌ = 1 3 5 = e S SÌ N a] Da | = II=) i a E SD + = = DS Ei Sca Ns NES n © È N92 NS 2) u7) SE E 2 =" va = = i a © > d pena = = © RIS = o SE | 53 ca | ° fa; Za | = | s E - = È ns NS NE E co 25 | Dia Doe MeNE cs = si | è Cri ic Se qD li | ae = SS | 22 E ia SR e Sii are e ROOTS 5a (=) No | pes o. = | fc alli ® ® © ESS | SS aa n | = [ci & | n= DS SE <= (Tini [i Î s | = = SS | | | Di SS DS = | Dai i a” = [i Ì È | - — 27 25 29 30 31 32 39 34 35 36 37 38 39 40 3 Tin e ; 3713; “j Segue Misure assolute in millimetri. (30) (DE) [ua HW 19 ©} oo-}e}} 20, | 146 18.5| 140 20.5) 146 20 152 | Segue Misure 182 837 (94 928 206 1502 196 1483 189 (1348 189 (1439 76 | 79 86 98 | 62. | 62 60 | 59 | 638 | 3 657 (3 554 | 3 559 | 3 35 36 36 41 60 81 32 38 15.5 16. 26 17.52 15 154 164 26 | 23/5.| 12 “—] 12 5.05 espresse in 360° somatici. 268 249 148 | 240 | 166 | 260 134 127 111 109 288 275 268 | 165 169 162 237 | 233 | 185 | = I | z | | ER alal | 2 | = = sa) (>) DI se | S @ 2a S 2 Ì LE go G 3) | o E) Gi ° De a. = E z2 = lenta IR Ac | Si E LE e ‘o en = = TERZA ° DIS o ENI À S ‘> RE 5 ii = n ce > | = = _ Ii so 3] | D — SY Rie = co 2 Ss | i Na Gio = E 3 29 oi no n 2 EGS fo (ci adi = a = DI | = "3: | mi (a oe 2 65 Li ar; = = | E as 52 © o (3 (3) = == E Ca CHI) o = D=i o ca! 3 (-* |a = = | ESE NE oo £.5 CE Wi | ° Ti = = = so == E == NS Ii E = QUE © | CARI 2 2 o oe FRS 5 nai | = S e E Go e Ci o 9 E SUSE iol=i Si ce Seles es N Da Siena Ped ESS ame = =3 | SÈ D <5 ES IDE sè | sg5 | £43 = ETA SE 2 SE È 5 | = 2 son = SUONA AE co So cia) Si E REGRLI MRC E S E o Si NE | EE Gi E E NE & ne) © es s HO ei la È ne EE = 2 EA FA SE N93 = SAT = È 52 enl oa E ò F 55 18 & 25 Ps Rio DAR iAGR 2. | SS Ei Zo | sé s se 5 E DE E no RMS 5 ° SASA Ei 2 5 = = 2 | 57 Da | NE Gi Ea Se SS 2 | È GN: € 5 o | ESE se | && E «© | Sa S Si oi (3° E | 0 SIE Z5 | <2 ana Cori © n 2 N Gi a ale EE = = 2 NE 3 D | = = | E SS © = = = EE DS = = pi NI (= Sa par] = S | < © Dio Do) fosti esi È Ù ci S VE EI — z Fi ì R Il | 41 42 43 | di 45 46 477 | 48 49 50 | 51 | 52 53 54 55 L Ì Segue Misure assolute in millimetri. 97 331 170 260 | 99 46 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI La lunghezza delle corna del camoscio dei Pirenei (in 360mi somatici colla lunghezza base usata per il cranio) è: $ (adulto) 1998, 3 (5 anni) 1615, è (4 anni) 1430 e 2315. Essa è poco diversa da quella del camoscio delle Alpi, minore di quella del camoscio degli Abruzzi. Nel camoscio dei Pirenei la lunghezza del nucleo osseo delle corna (in 360*®i somatici colla stessa lunghezza base ‘usata per il cranio) dà: $ (5 anni) 886-967, è (4 anni) 635,967. Anch’essa, mentre è minore di quella del camoscio degli Abruzzi, rientra nella serie dei va- lori del camoscio delle Alpi. La distanza fra la metà dei fori sopraciliari (lunghezza base) dà: $ di 4 anni 34-35, è di 5 anni 38-39. Le larghezze del cranio alla base dei nuclei ossei delle corna, fra i margini delle orbite e alla sutura fronto lacrimale rientrano per le loro dimensioni in quelle del ca- moscio delle Alpi e del camoscio degli Abruzzi. Lo spazio occupato dai molari superiori pare tenda ai valori più elevati del camoscio delle Alpi poichè presenta: è (535-554-604-617). Il valore 617 è anzi superiore. Così pure lo spazio occupato dai molari nella mandibola dà: 554-559-638-657, che sono più elevati di quelli del camoscio delle Alpi e si avvicinano di più a quelli del camoscio degli Abruzzi. Anche i diametri antero posteriore e trasversale massimi dell’orbita si avvicinano ai valori più elevati del camoscio delle Alpi; così si dica per l'apertura nasale. Le altre dimensioni del cranio del camoscio dei Pirenei rientrano nella serie del camoscio delle Alpi. Intorno alle variazioni di forma delle ossa del cranio del camoscio dei Pirenei si possono fare le osservazioni seguenti: Il margine dell’occipitale che entra in rapporto coi parietali corrisponde per la sua forma a quella del camoscio degli Abruzzi e a quella del camoscio delle Alpi rappresentata nella fig. 54, tav. I della 2* parte di questo lavoro. Il margine del frontale, che forma la porzione superiore posteriore dell'orbita, e la por- zione del frontale che discende dalla base dei nuclei ossei delle corna e va al margine dell'orbita sono come nel camoscio delle Alpi e non come in quello degli Abruzzi (confr. descrizione di questo ultimo). I nuclei ossei delle corna sone impiantati verticalmente e a questo riguardo si avvici- nano più a quelli del camoscio degli Abruzzi che non a quelli del camoscio delle Alpi. La curvatura del margine posteriore del zigomatico prima di unirsi colla apofisi zigo- matica del temporale è costantemente simile a quella del camoscio delle Alpi rappresentata nelle fig. 9, 10, 11, ecc. della tav. IX, Parte II. Per questo carattere il cranio del camoscio dei Pirenei si avvicina a quello del camoscio delle Alpi anzi che a quello del camoscio degli Abruzzi. I palatini invece sono come nel camoscio degli Abruzzi. La linea di sutura del ma- scellare col zigomatico e ‘col lacrimale varia come nel camoscio delle Alpi. Poco variabile è il lacrimale nella sua forma; più tuttavia che nel camoscio degli Abruzzi. È da notarsi il fatto che esso si prolunga fino a venire costantemente a contatto col nasale per un tratto più o meno lungo, come diremo più minutamente in seguito. Mandibola. — Variabile come nel camoscio delle Alpi è il margine posteriore del ma- scellare inferiore e dell'angolo della mascella e così pure si dica del margine inferiore del mascellare, come mostrano le figure unite a questo lavoro. Il cranio del camoscio dei Pirenei nella parte del frontale che è in rapporto coi nasali e coi lacrimali, nei nasali, nella parte del mascellare superiore in rapporto col nasale e col lacrimale dà luogo alle osservazioni seguenti: 1° La fontanella fronto-naso-maxillo-lacrimale manca generalmente (confr. anche a questo proposito la figura del cranio di un è data da Maurice Gourdon, “ Bull. Soc. Scient. Nat. de l’Ouest de la France ,, 2? ser., vol. VITI, tav. 22, 1908). In qualche caso ve n°'è una traccia, come in uno degli esemplari $ da me studiati e come appare dalla figura del cranio di una 9 della tavola sopra menzionata del Gourdon. In complesso si può dire che il rap- porto del lacrimale col nasale è meno intima che nel camoscio degli Abruzzi pur assumendo talvolta lo stesso aspetto. 2° Non si può dire, come al camoscio degli Abruzzi, che manchino ti MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 47 completamente le ossa wormiane saldate coi nasali. 3° Il lacrimale viene a contatto col nasale per un tratto di lunghezza variabile: $ 28-69-72-143. Le variazioni a questo riguardo sono molto maggiori che nel camoscio degli Abruzzi, dove si nota una notevole costanza di con- formazione a questo riguardo. 4° Variabile pure come nel camoscio delle Alpi è il tratto del mascellare superiore che è a contatto col nasale. 5° I nasali si presentano probabilmente nelle due forme fondamentali indicate per il camoscio delle Alpi, vale a dire: nella forma semiovale allungata e nella forma triangolare allungata, e molto probabilmente quest’ultima può essere anche qui primitiva o secondaria per il fatto della saldatura col nasale di un wormiano. Diversa, e meno costante che nel camoscio degli Abruzzi, è la forma dei nasali nella loro parte in rapporto col frontale. In un esemplare i frontali si protendono alquanto fra i nasali; negli altri invece i due nasali formano come un triangolo più o meno appuntito che sì insinua nei frontali. Per questa parte la differenza rispetto al camoscio degli Abruzzi è spiccata, come si può vedere dalle figure unite a questo lavoro. In complesso si può dire che il cranio del camoscio dei Pirenei, fatta eccezione per la conformazione del nucleo osseo delle corna che gli è caratteristico, per alcune parti sopra- tutto, per i lacrimali e per i nasali, sì avvicina più al camoscio degli Abruzzi che a quello delle Alpi: mentre per il complesso delle altre parti si avvicina più a quest’ultimo che non al primo. Denti permanenti nei È 1° molare sup., lungh. 6-6.5-7 1° molare infer., lungh. 5.53-6 R 3 largh. 4.5-5 ti is largh. 3-3.5-42 2° 3 lungh. 7-7.5-8, 2° P lungh. 7-8-8.5 r. 5 largh. 5-5.5; È, x largh. 4.5-55 3% i lungh. 7.5-8,-8.5 90 ke lungh. 7.5-8-9.55 A P largh. 5.5-63 5 È largh. 53-5.5 do È lungh. 12.5-133-13.5 40 } lungh. 10-11,-12.5 5 à largh. 83-8.5 pi di largh. 5.5,-6-6.5 50 È lungh. 13.5,-14, 5° È lungh. 12.53-13-13.5 A x largh. 7-7.50-8 n È largh. 5.5-69-7 6° z lungh. 12.53-13 (OO di lungh. 14.5-16-16.5-17 3 3 largh. 6-6.5-7-7.5 3 È largh. 5.5-64-6.5 1° incisivo 5-6, 2° incis. 4,5-5», 8° incis. 43, 4°incis. 4. I valori sopra esposti rientrano nella serie di quelli del camoscio delle Alpi e di quello degli Abruzzi. Forse coll’esame di una serie molto più numerosa di esemplari si potrà de- terminare se vi ha tendenza ai valori più elevati o più bassi delle serie stesse: ad ogni modo non credo siano differenze tali da poter costituire caratteri di valore tassonomico. Dall’ esame degli esemplari che ho avuto e in particolar modo dallo studio fatto delle variazioni del cranio del camoscio delle Alpi credo di poter ritenere che il cranio del camoscio dei Pirenei non presenti alcun carattere che conceda di considerarlo, come fa il Riitimeyer (brano so- pracitato), un “type féminin du chamois , e che il camoscio dei Pirenei, l’isard, presenti un chamois juvénil avec des tendances vers une différence dont le chamois ne laisse rien apercevoir e neppure che l’Isard si debba considerare come un chamois réduit avec quelques caractères nouvellement acquis. FS 00 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI V. Camoscio di Spagna. Il prof. A. Cabrera descrisse nel 1910 (Proc. Zool. Soc. Londra, 1910, pag. 999) il ca- moscio dei Monti Cantabrici come una forma distinta di camoscio colla denominazione di Rupicapra rupicapra parvu, dandogli il valore di sottospecie. La diagnosi è la seguente: “ Smaller than all the other forms of the species. General colour brownish red, darker “on the limbs, becoming dark brown on the forearms, above the “ knees , and on the “inner part of the hind limbs. Sides of the head dirty greyish brown, leaving in the “ middle of the face a broad space of yellowish buff. The throat and under jaw are not “ whitish, as in RR. r. pyrenaica, but only a little paler than the body-colour ,. Lo stesso Autore in un suo lavoro intitolato La fauna de las Sierras Espafiolas (Club Alpino Espanol, 1911-12, pagg. 156, dice: “ Tambien de rebecos tenemos en Espaîia dos razas diferentes; “ la de los Piréneos (Rupicapra rupicapra pyrenaica) y la de los Picos de Europa y mon- “tanas proximas d ellos (Rupicapra rupicapra parva). Esta ultima mas pequena y de pelo “ mas rajizo que la primera, y ambas muy diferentes de la gamusa.de los Alpes tantas “ veces representada en cromos y grabadas de paisajes suisos ,. Il Lydekker (Catal. Ung. Mam. Brit. Mus., 1913, I, pag. 183) registra questa sotto- specie, colla diagnosi: “ Stated tò be smaller and darker than pyrenrica, with the throat- “ patch ill-defined and scarcely lighter than the general body-colour ,. L’esemplare sul quale il Cabrera descrisse la sopradetta sottospecie è una 9. Un secondo esemplare (senza indicazione del sesso) è indicato dal Lydekker nella collezione del Museo Britannico. Non mi consta ne siano stati studiati degli altri. Scrissi al prof. Cabrera pre- gandolo di inviarmi le fotografie dell'esemplare tipico. Ne ebbi risposta gentilissima colla promessa di inviarmele e colla nota seguente relativa all’esemplare sopradetto: “ presenta “una anomalia consistente en dos apendices pectorales que parean indicar un principio de “ papada como la de los breyes y la de in certos antilopes ,. Malgrado la rinnovata mia preghiera non ottenni le fotografie, non sono in grado perciò di comparare minutamente la R. parva colla R. Pyrenaica, o colle altre forme. Le descrizioni del Cabrera e quella del Lydekker non sono sufficienti per questo scopo. D'altra parte, il camoscio dei Pirenei non è stato fatto oggetto finora di uno studio minuto condotto sopra numerosa serie di esem- plari, che conceda di dare il voluto valore alle sue variazioni e serva di base per giudicare delle differenze indicate dal Cabrera dal punto di vista tassonomico. I camosci di Spagna, che, secondo il Keller (op. cit.), si trovano nella Sierra Nevada, nei Monti Cantabrici, nella Sierra di Ronda, nella Sierra di Gredos, nella Cordillera Carpata e nei Monti Almansor, aspettano ancora uno studio minuto e diligente. VI. Camoscio dell'Abruzzo. Nel 1899 Oscar Neumann descrisse come specie distinta, col nome di Rupicapra ornata, il camoscio degli Abruzzi (1) sopra un esemplare maschio di Barrea presso Alfedena nella (1) Die Gemse der Abruzzen. “ Ann. Mus. Civ. di St. Nat. di Genova ,, ser. 2%, vol. XX, pag.347, con 2 fig. WI E MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXYV, N. 12. 49 provincia di Aquila, appartenente al Museo Civico di Storia Naturale di Genova. Lasciando in disparte gli Autori (dei quali già si è parlato) che non ammettono che una sola specie di camoscio, accolsero la specie del Neumann, il Trouessart (1) e il Miller (2); come sotto- specie o varietà lo accettarono più o meno esplicitamente vari Autori, fra ì quali ricordo il Lydekker (3). La descrizione del Neumann sì riferisce principalmente alla colorazione, dalla quale egli trae i principali caratteri distintivi della specie. Non parla dei caratteri del cranio, nè di quelli delle corna, intorno alle quali dice soltanto che “ misurate sulla curvatura sono lunghe 296 mill. ,.Il Trouessart eil Lydekker riferiscono senz'altro la descrizione del Neumann senza nulla aggiungere. Nulla aggiunsero pure intorno ai caratteri di questa specie altri Autori che la menzionano, salvo il Miller (op. cit.) il quale dà le misure di varie parti del cranio dell'esemplare tipico del Museo Civico di Genova (e di un esemplare del Museo di Londra). Il Keller (4) parla di camosci degli Apennini, ma non dà indicazioni precise di località. Egli dice: “ In Italia uccisi sugli Appennini un camoscio maschio che pareva molto robusto alla gente del paese, ma era piuttosto piccolo rispetto a quelli delle nostre Alpi. Ecco le misure delle sue corna: lunghezza al disopra della curva 20,8 cent., altezza fino alla curva 15,4 cent., circonferenza alla base 7,5 cent., distanza delle punte 12 cent. Le corna di una femmina che ricevetti più tardi dalla stessa località avevano le seguenti misure: lunghezza sopra la curva 18 cent., altezza fino alla curva 15 cent., circonferenza alla base 6,8 cent., distanza delle punte 9 cent. , A pag. 193 egli dice pure: “ L'Italia possiede nella catena degli Apennini un tratto di montagne perfettamente adatto ad albergare il camoscio. Ma le condizioni tellurico-clima- tiche del luogo e le sregolate persecuzioni hanno limitato la presenza di questo bellissimo animale alle regioni più alte e più selvagge degli Appennini ,. Un anno dopo la descrizione del Neumann il signor Nestore Tarolla pubblicò alcune notizie assai interessanti intorno al camoscio degli Abruzzi circa i suoi costumi, e diede anche qualche particolare su alcuni suoi caratteri. Il Tarolla pubblicò il suo scritto nel periodico “ Tribuna Sport , di Napoli, 1900, n. 11. Esso sfuggì ai naturalisti ed anche non si trova registrato negli indici bibliografici zoologici. Credo utile riferire i dati forniti dal Tarolla sui caratteri del camoscio degli Abruzzi. “ La specie del camoscio abruzzese diversifica alquanto dalle altre di altre parti. S. M. Vit- torio Emanuele II prima e S. A. R. V. E. III poi, notarono tale differenza, ed in ultimo il prof. Neumann, osservando l'esemplare unico esistente nel museo di Genova ebbe a dire es- sere quella una specie nuova e la chiamava Rupicapra ornata. Il massimo peso raggiunto dal camoscio abruzzese non potrei con esattezza indicarlo ; esso è relativo all’età, alla stagione, al sesso. I diversi pesi ottenuti da camosci ammazzati da me personalmente e da altri, mi danno una media dai 30 ai 35 kg. È però da osservarsi che niuno dei camosci da me pe- sati raggiungeva ancora i 5 anni di età; mi si è detto nondimeno, essersene ottenuto tempo addietro ed in pieno inverno qualche esemplare adulto raggiungente il peso di 45 e qualcun altro 50 kg. (5). Come pel peso del camoscio abruzzese così dicasi pure per le sue corna. (1) Catal. Mamm. Quinquennale Supplementum. Berlino, 1904, pag. 734. (2) Catalogue of the Mammals of Western Europe. London, 1912, pag. 994. — Faune des Mammiftres d'Europe. Berlino, 1910, pag. 235. (3) The great and small Game, ecc. Londra, Rowland Ward, 1901, p. 183, fig. 42. — Catalogue of the Ungulate Mammals in the British Mus. London, 1913, pag. 182. (4) Die Gemse. Klagenfurt, 1887, pag. 31. (5) Per questi pesi, che paiono forti, non è però indicato se il camoscio era sventrato od intiero. I 50 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI La massima lunghezza da queste raggiunta non mi è possibile precisare, essendosi da tutti trascurate simili misure, non pertanto posso in parte anche in questo soddisfare i signori richiedenti, dappoichè, fortunatamente essendo in possesso di alcuni esemplari, nell'occasione ho curato di prenderne le misure come dal seguente specchietto: [1°] e Lunghezza delle corna | Altezza (linea retta) cs Divergenza | Divergenza E |s Età dalla base alla punta, dalla base Circonfer. : i $ FERO di seguendo il margine | al punto culminante Ila b massima FnAeRUno Li supero-anteriore della cnrva alla base | fra le curve | frale punte Zi anni ecm. em. em. cm. em. 1 |femm. 4. sett. 26 1/0 19 1/3 8 QU 10 2 MEM Lola 191/, 13 1/2 8 91/3 (E 3 |masch.| 1. nov. 18 12 9 5 61/9 4 È 1. sett. 19 12 8 corna staccate dal cranio o |femm. 8. ott. 24 17 EslE Id. 6 |masch.| nonancora un anno TOA 101/, 6 id. 7 3 3. ott. 24 1/o 16 9 id. “ In ultimo credo utile aggiungere l’epoca dei calori, che pel nostro camoscio comincia a fine di ottobre per cessare col dicembre. Nel suesposto specchietto ho creduto bene far seguire, al numero segnante l’età, il mese dell’uccisione dell'animale, onde data l’epoca dei calori, conoscendosi il periodo di gestazione, e quindi l’epoca del parto, facilmente può sta- bilirsi l’età molto approssimativamente anche in mesi ,. Per trovare qualche altra notizia intorno ai caratteri del camoscio degli Abruzzi è d’uopo venire fino al 1911, alla pubblicazione del dott. A. Ghigi (1) nella quale sono pubblicati i cenni descrittivi che il compianto Giglioli aveva scritto nello schedario inedito della colle- zione dei Vertebrati Italiani del Museo di Firenze. Riferisco io pure la scheda completa del Giglioli come mi venne fornita dalla cortesia del prof. G. Giglio Tos direttore del Museo di Firenze. Capella ornata (Neumann). — 1907. è ? dicembre 1900. Alfedena (Aquila). Ucciso nei boschi sopra Alfedena: sono divenuti rarissimi. Dono del prof. cav. Vincenzo De Amicis, sindaco di Alfedena. Era preparata per venire usata per pedana. È in abito invernale e per le dimensioni lo direi 9 (Cranio quasi completo a parte). “ Oltre le differenze nel colore del pelame e le corna notevolmente più lunghe, questa forma differisce, pare, dal camoscio delle Alpi, per caratteri notevoli nel cranio; è perciò che mantengo per ora la separazione (confronta 0. Neumann, Ann. Mus. Civ. Genova, ece.). Al confronto colla specie alpina il cranio presenta i sostegni delle corna più lunghi, esili, compressi lateralmente, leggermente ricurvi all’apice più verticali; cavità orbitarie a contorno assai meno sporgente e sopra lateralmente all’esterno si sale alla base del corno corrispon- dente in linea quasi retta. Nasali più larghe dietro. Angolo posteriore della mandibola più sporgente e in relazione con tale carattere il margine posteriore della mandibola nel suo ramo ascendente è concavo. Lunghezza del muso dal 1° p. m. alla estremità delle prema- (1) Ricerche faunistiche e sistematiche sui mammiferi d’Italia che formano oggetto di caccia. Rivista men- sile Sc. Nat. “ Natura ,, vol. II, Pavia, 1911. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 51 scellari assai minore, come 54 a 61!/, mm. (cat. 918) e 60 mm. (cat. 1056); essendo più corti i mascellari e premascellari. Ossa lacrimali notevolmente più alte e più lunghe. L’or- bita è anche più piccola e meno tonda. Estremità delle ossa premascellari assai meno al- largate. Nella dentizione si nota incisivi alquanto più grossi e premolari più larghi ,. Intorno alla presenza del camoscio sul Gran Sasso d’Italia, C. J. Forsyth Major pub- blicò nel 1879 (1) una serie di dati assai interessanti, che è utile di qui riassumere (2). Egli dice: “ La più antica descrizione da me conosciuta di una gita al Gran Sasso, è quella del “ Delfico, il quale nel 1794 fece l’ascensione del Monte Corno ,. Parla della presenza del camoscio su questo gruppo come di cosa generalmente nota, accennando ad una conca 0 piano circondato di roccie e riempito di neve, fra le due Corna: “ Su questo piano vanno “ sovente i cacciatori di camozze ,. Scienziati o escursionisti che posteriormente visitarono il Gran Sasso, come il Brocchi nel 1819, Michele Tenore nel 1825, Quartapelle nel 1836, Paolo di St. Robert nel 1871, Narici nel 1876, Marchesetti nel 1876, Monnol nel 1876, Douglas Freshfield nel 1876, nessuno parla del camoscio. Dopo il Delfico soltanto il geologo tedesco F. Hoffmann, che percorse il Gran Sasso nel 1830, parla, nella sua pubblicazione intorno alle osservazioni geognostiche raccolte. in un viaggio per l’Italia e la Sicilia (1839), del camoscio. “ Vorrei, egli dice (pag. 67), an- “ cora aggiungere una notizia che potrà interessare il zoologo, che cioè nel gruppo montuoso “ isolato del Gran Sasso, ed in alcuni altri punti alti degli Abruzzi, secondo il dire dei cac- “ ciatori e dei pastori, qualche volta si trovano dei camosci che qui chiamano chamozzi. Si “ dice siano sopratutto frequenti nelle montagne di Peschio Asserolo (3) e sul lato meridionale “ del lago di Fucino, e quantunque non sia riuscito a vedere un animale vivo od ucciso di “ fresco, però ci furono fatte vedere delle corna che appartengono all’ Antilope rupicapra, “ oppure ad una specie ad essa molto affine, forse tutt'ora sconosciuta ,. Un'altra indicazione precisa sul camoscio nella regione che ci occupa risale pure al 1839 ed è dovuta ad O. C. Costa (Fauna del Regno di Napoli). Egli dice: “ Dalle quali cose sa- (1) Bollettino del Club Alpino Italiano, vol. XIII, pag. 215 (1879). (2) Notizie sicure intorno alla presenza del Camoscio come specie della fauna attuale negli Appennini non se ne hanno, all’infuori di quelle che si riferiscono al Gran Sasso d’Italia, alla Maiella e ad altri punti montuosi dell'Abruzzo, oltre a quelli nei quali il camoscio ancora si trova. Le notizie che riferirò in seguito sì limitano tuttavia soltanto a segnalare la presenza dell'animale; ma nulla dicono intorno ai suoi caratteri morfologici. Nessuna collezione, almeno che io sappia, ha, ad esempio, esemplari di camosci di accertata provenienza del Gran Sasso. Possiame quindi domandarci se il camoscio che abitava il Gran Sasso d’Italia era identico a quello che ora si trova nella regione di Opi, Alfedena, ece., e che è la F. ornata, o se per avven- tura il camoscio del Gran Sasso d’Italia non fosse invece da riferirsi alla forma alpina. La domanda mi pare tanto più opportuna oggi che i resti dei camosci trovati nelle caverne di Equi fra Aulla e Manzone, sulla linea ferroviaria Aulla-Lucca, resti che sono da riferirsi alla forma alpina(vedi prima parte di questo lavoro), ci dimostrano che il Camoscio delle Alpi si estendeva fino a quel punto. È possibile che più estesa sia stata la sua area di diffusione verso la parte centrale e meridionale degli Appennini. Per ora non si hanno dati in proposito, poichè incerti sono i resti della caverna di Passignana e di altre caverne per una determina- zione specifica. Non ho potuto trovare nè pelli, nè cranî, nè corna di camosci del Gran Sasso d’Italia, e perciò non posso rispondere alla domanda sopra esposta. Forse chi avesse la opportunità di far ricerca nei paeselli della regione potrebbe rintracciare qualche resto dell’antico abitatore del luogo, che l’uomo ha così sconsiderata- mente distrutto. 5 Il prof. Corrado Lopez nel suo lavoro: Cenni sulla fauna dell'Abruzzo Teramano (Monografia della Provincia di Teramo, vol. I. Teramo, G. Fabbri edit., 1892) riferisce ciò che dicono il Forsyth Major e il Comba (op. cit.) e aggiunge : “ L'amico prof. Cerulli, che è un appassionato della montagna e della caccia, mi ripetè più volte * che, qualche anno fa, l’ultimo camoscio della provincia, l’ultimo solitario, sfuggì ai signori Coppa ed Antonelli “ che l’inseguivano, essendo stato fatto precipitare in un burrone da alcuni farindolesi che se lo mangiarono ,. (3) Questo paese è nella provincia di Aquila, a nord del gruppo montagnoso della Meta. 52 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI “remmo condotti a credere che l’esistenza del camoscio nelle alte montagne di questa parte «“ d’Italia siasi ignorata. Un tempo popolava il Gran Sasso d’Italia, ma oggi ridotto si vede “ alle sole appendici di quello eccelso monte, e proprio ai Castelli o montagne di S. Colomba, sopra Isola e Farindola, nè può mniegarsi che sia ora men frequente che prima. Abita eziandio sulla Meta, montagna altissima in Terra di Lavoro ,. Le notizie che in proposito si trovano in autori posteriori, come il Blasius, il Sundévall, il Wagner e lo stesso Cornalia si riferiscono tutte a quelle sopra indicate dell’Hoffmann e del Costa, vale a dire risalgono al 1839. Il Forsyth Major nelle escursioni del 1879 nella regione del Gran Sasso d’Italia fece speciale ricerca del camoscio e così ne parla nell’opera citata: “ I Monti di Castelli mi “ furono indicati ad Isola, come abitati dal camoscio, come lo erano già ai tempi del Costa, “ e più che altro il Monte Siella..... Quivi sì chiamano camozze, camosci, scamosci, cramosci. “I cacciatori di Isola di tanto in tanto ne uccidono..... A Isola del Gran Sasso mi furono finalmente fatti vedere una pelle ed un paio di corna, provenienti da un animale ucciso qualche anno fa ,. A questo proposito credo utile riferire anche le notizie seguenti che il sig. Nestore Tarolla di Alfedena, appassionato cacciatore, ha a più riprese inviato al periodico “ Tribuna Sport ,, di Napoli. In uno scritto intitolato: Il camoscio dell'Appennino Abruzzese e le sue corna (1), egli dice: “ Il camoscio negli Abruzzi un tempo non molto remoto viveva ed in buon numero “ sia sul Gran Sasso d’Italia, sia in queste località alpestri a noi presso e di una altimetria variante dai 1000 a circa 2000 m. Da quanto mi risulta da informazioni ultime, assunte non molto tempo dietro, sul Gran Sasso d’Italia il bel ruminante è da qualche anno scomparso, di maniera che esso si sarebbe attualmente confinato in queste contrade di una vastità relativa, site nei tenimenti dei comuni di Civitellalfedena ed Opi, e di cui volendone dare i principali nomi si hanno Sterp'alto, Zappineta, Costa Camosciana, Obaco, Fondillo ,. “23-30 anni sono, mi si dice, non molto abbondanti vivevano i camosci nelle contrade citate; al loro posto numeroso era invece il caprio; man mano però, l’agile ruminante dalle corna decidue, cedò completamente il posto, per fatto a noi inesplicabile, al robusto suo confratello cavicorno, ed oggi, salvo qualche raro individuo, nelle località abitate dal ca- moscio, il caprio più non esiste, esistendo invece in località meno alpestri ed a confine delle prime ed in maggior numero lungo la catenata di monti coronanti a mezzogiorno il prosciugato lago di Fucino. Invase le montagne prima abitate dal caprio, il camoscio crebbe e si moltiplicò per diversi anni, ma una malattia contagiosa qui chiamata malvento, nel romano asciuttarella ed in termine tecnico Agalassia contagiosa, contratta si suppone per la convivenza con armenti infetti che in quelle alture durante i mesi estivi si fecero pa- sturare, li decimò. Cessata l’epidemia, cessò la mortalità, ed oggi discrete e frequenti truppe s'incontrano da chi batte quei posti, e nel settembre u. s. (1899) io personalmente in una caccia al camoscio ed in compagnia di altri due cacciatori, fui fortunato d’imbat- “termi in una truppa di ben 19 tra piccoli e grossi, tutti riuniti ,. (0) “ (11 “ ES ® “ “ Il Tarolla aggiunge altri dati interessanti intorno al peso dei camosci degli Abruzzi e alle dimensioni delle corna, delle quali cose ci occuperemo in seguito. Lo stesso sig. N. Ta- rolla nel numero 41 della “ Tribuna Sport , (marzo 1900) aggiunge: “ Come ebbi a parlarne “ pure in questo stesso giornale di Sport, al n. 11, si ha nuovamente, dopo un periodo al- “ quanto lungo di anni, che qui, il camoscio, il bel selvatico che meglio adorna queste nostre “ alpestri montagne, attraversa presentemente una orribile crisi. Le frequenti notizie di le- “ gnaioli e contadini che riferivano di aver veduti camosci fin nel più basso dei monti da (1) © Tribuna Sport ,, 1900, n. 11, Napoli. sil MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 53 x questi abitati, grate ci giungevano. L’anormalità nelle abitudini del nostro camoscio, che, specialmente nei mesi estivi, è solito tenersi sempre nelle sommità dei suoi monti, non destava in noi alcun sospetto e desiosi di credere avvenuto quanto fu sempre nelle nostre “ speranze, cioè che la bella specie crescesse e si moltiplicasse, spiegavamo il fatto in questo “ senso, e che quindi sparpagliati, vivessero e s’incontrassero ovunque. Ma purtroppo giorni “ sono, per uno spiacevole fatto dovemmo convenire che errati furono i nostri apprezzamenti. “ Un camoscio dell'età compiuta (in aprile o maggio) di 2 anni veniva levato nelle ore pom. “ da cani da pastore alle pendici dell’oramai famosa montagna Obaco (famosa per l’inter- “ vento colassù nell'ottobre 99 di S. A. R. Vittorio Emanuele II oggi nostro Augusto So- » R “ vrano, alla caccia della selvaggina in parola) nel quasi estremo oriente di essa e nella zona “ facente parte dell’ex-feudo di Rocca Intramonti, oggi proprietà Antonucci-Tarolla ,. Il Ta- rolla racconta come venne preso l’animale e come egli notò che era cieco per opera del malvento. Il camoscio morì dopo 3 giorni. “ Sì, prosegue il Tarolla, una malattia epidemica “ ha colpito il nostro camoscio, egli scende al basso dei suoi monti perchè vi è costretto; “ egli sa che in alto vi è ricchezza di picchi e di burroni che per istinto tanto ama e pre- «“ dilige, ma oggi è costretto suo malgrado ad abbandonarli e cerca il basso ove sa di calcare “ un terreno che pur essendo scosceso è però scarso di precipizi, ed è nascosto dalla foresta ,. Il Tarolla dopo aver descritto i fenomeni prodotti dalla malattia dice: “ Per le capre, “le pecore, animali sotto la custodia dell’uomo, la malattia può risolversi, ma per i nostri » camosci cui niun soccorso ed alcuna protezione ci è dato di arrecare nel loro malanno e che anchilosatici, artritici o ciechi, sono resi per giunta più facile preda dei voraci carnivori, “ nonchè dei profondi burroni, ove, nel loro errore, incerti e malsicuri facilmente precipitano... R “non possiamo illuderci, essi sono decimati i viventi e per la primavera vegnente compro- “ messo ne è il prodotto dei nascituri da femmine che, superando il male, scamparono pure » ai molteplici pericoli susseguenti ,. Nel numero 48 dello stesso anno 1900. è riprodotta una fotografia rappresentante i fra- telli Tarolla con un camoscio da essi ucciso. Nel n. 49 del marzo 1900 del citato periodico il sig. N. Tarolla, rendendo conto delle cacce dell’anno 1899-900, dice: “ Sempre consultando “ il registro, dò uno sguardo alla colonna consacrata al camoscio, e, per conto mio, ne trovo “ segnati: fallito 1, colpiti 4: di questi ultimi solo di due potetti impossessarmi, gli altri, per “ quanto colpiti mortalmente, a giudicare dal sangue perduto, ebbero nondimeno ancora la “ forza di trascinarsi sottraendosi al mio sguardo... Oltre a questi un altro camoscio abbattuto “ dal sig. G. Tarolla e da due diversi cacciatori altri 2 che furono inviati a S. Maestà in “ Roma. Ancora qualche altra vittima potrei a quest'ora qui segnare, ma nessuno si è più per- “ messo di recarsi alla caccia del camoscio da che, vista l'impressione che nell’ottobre scorso “ S. A. R. il Principe di Napoli ricevette da queste contrade che chiamò incantevoli e pit- “ toresche, per iniziativa di questo comune e di altri, se ne riservò la caccia facendone “ omaggio all’Augusto nostro Sovrano che compiacentissimo si degnò accoglierne l'offerta ,. Le recenti ricerche del Ghigi (1) dànno per il camoscio degli Abruzzi la seguente di- stribuzione. “ Un tempo giungeva fino in provincia di Teramo al Gran Sasso, ma da questi “ luoghi è scomparso, a quanto si dice, da circa mezzo secolo ed ora trovasi localizzato nel “ gruppo montuoso che si estende fra Opi, Civitella-Alfedena (circondario di Sulmona) e “ Settefrati, comune della provincia di Caserta. Non è numeroso, ma la distruzione di questa “ specie in quelle località è scongiurata per mezzo della istituzione di una riserva Reale di “ caccia, ove il camoscio sembra già in aumento ,. (1) A. Grrei, Ricerche faunistiche e sistematiche sui mammiferi d’Italia che formano oggetto di caccia. Rivista mensile di Scienze Natur. “ Natura ,, vol. II, 1911. 54 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Il Lepri, Aggiunte alle ricerche faunistiche e sistematiche sui mammiferi d' Italia che formano oggetto di caccia (£ Boll. Soc. Zool. Ital. ,, Roma 1911, Ser. II, vol. XII), parla dell'esemplare di R. ornata del Museo di Roma. Vedasi l'osservazione da me precedentemente fatta circa l'essere l'esemplare di Roma non una È. ornata, ma una È. pyrenaica e si confr. anche il capitolo del presente lavoro relativo alla È. pyrenaica (1). Recentemente il sig. avv. Ercole Sarti, Capo della Sezione Caccia nel Ministero di Agri- coltura, I. e C., in una sua relazione, Diana, “ Rivista di Caccia e Sport ,, anno VIII, n. 12, Firenze, 1913, dà le seguenti notizie: “ Il camoscio vive soltanto nei territorî del comune “ di Civitella Alfedena, fronteggiante il comune di Villetta Barrea, e del comune finitimo “ di Opi. Raramente, e soltanto se inseguito, si porta nei comuni di Villetta o di Settefrati, “o nei dintorni. Questo territorio, assai vasto, è coperto da estesissimi faggi, di alto fusto, “da qualche pineta, e ha balze inaccessibili o quasi. L'altitudine varia dai 1300 ai 2000 metri. “ A detta degli uomini che vivono sul posto, oggi i camosci rimasti colà sono circa 30 ,. Il dott. Enrico Festa, nelle escursioni zoologiche compiute l’anno scorso nei monti della vallata del Sangro, così pàrla dei camosci (2): “ Il 24 agosto facemmo un’altra cacciata all’orso nei boschi di proprietà dei signori “ Antonucci di Civitella, alle falde del Monte Obbaco, uno dei contrafforti del Monte Amaro. “In quei magnifici e pittoreschi boschi sono abbondantissimi i lamponi e le fragole, di cui “ sono ghiotti gli Orsi. Il guardiano del feudo ci aveva assicurato che ivi abitava un indi- “ viduo di media grandezza. “ Incominciata la battuta, i battitori scovarono la belva in una fitta forra, ma uno di “ essi volle portarsi avanti ai compagni per sparare egli stesso all’orso, e questo accorto- “ sene, forzò la linea dei battitori e se ne tornò indietro. “ Mi venne invece incontro fino a una quarantina di metri, un bellissimo Camoscio di “ forse quattro anni. Immobile contro il tronco di faggio, che mi riparava, io ebbi così “ tutto l’agio di ammirare la bellissima bestia. Incominciava ad avere l’abito autunnale, “ cioè aveva i lati del corpo grigio-rossicci, colla parte inferiore più scura, e lungo la parte “ mediana del dorso una linea nerastra. “ Esso rimase per parecchi secondi fermo col collo ritto e le orecchie protese, proba- “ bilmente fiutando nell’aria qualche cosa di sospetto; poi adagio adagio si incamminò su “ per l’erta. Ossequente alla legge, che vieta di uccidere quegli interessantissimi animali, “ mi limitai ad ammirarlo. Ma il mio piacere fu grande, perchè mai mi era accaduto, nella mia ormai lunga carriera di cacciatore-naturalista, di poter osservare così da vicino e per “ tanto tempo un camoscio. K “ Gli abitanti sono orgogliosi dei loro Camosci, che considerano come particolare orna- mento delle loro montagne, e ne conservano da molto tempo gelosamente le pelli ,. Recentemente pure l’Amministrazione della Real Casa ha rinunziato alla riserva di caccia nell’Abruzzo, indotta, verso la fine del 1912, dalle domande oltre ad ogni dire esagerate che ad essa pervennero di risarcimento dei danni che ai montanari di quella regione avrebbero recato i pochi orsi e lupi della riserva (Si chiedevano 72 mila lire!!). Immediatamente dal Governo con R. Decreto 9 gennaio 1913 veniva proibita la caccia al camoscio nei comuni di Civitella-Alfedena e Opi (Aquila) e di Settefrati (Caserta) e nelle (13 (1) L’esemplare di camoscio donato da S. M. il Re d'Italia al Museo Zoologico di Roma, che faceva parte della collezione del R. Castello di Moncalieri, e che ad un primo e rapido esame era sembrato a me sì potesse riferire alla R. ornata, credo ora, dopo studio più minuto, si debba invece ritenere appartenga alla E. pyrenaica. (2) G. Festa, Escursioni zoologiche nei monti della vallata del Sangro (Abruzzi). Parte narrativa. “ Boll. Museo Zool. Anat.-Comp. di Torino ,, XXX, n. 692 (1915). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 12. 55 altre località circostanti. Questo R. Decreto venne convertito in legge nel maggio dello stesso anno. Con questi provvedimenti, che è da sperare verranno rigidamente applicati, i pochi individui di &. ornata ancora viventi verranno salvati da totale distruzione e potranno anzi cogli anni aumentare di numero. È da sperare pure che l’idea di fare nella regione degli Abruzzi, che ancora racchiude residui interessantissimi dell’antica fauna italiana, un parco nazio- nale possa in breve venir tradotta in atto per decoro d’Italia e per vantaggio della Scienza. Il materiale che ho avuto a mia disposizione è il seguente: 1° Esemplare è adulto, Barrea presso Alfedena (1892) del Museo Civico di Storia Na- turale di Genova, col cranio; 2° esempl. è giov. idem (1901), col cranio; 3° Esemplare 9 adulta (Alfedena), dicembre 1900, del Museo Zoologico di Firenze, col cranio; 4° Un corno isolato è adulto, di Bosco Valletta, del Museo Zoologico di Firenze; 5° Porzione terminale di corno di Ofri (1880), idem. Per la cortesia dei proff. R. Gestro e G. Giglio-Tos ho potuto studiare il sopradetto materiale. È da aggiungersi il materiale posseduto dal Museo di Zoologia e di Anatomia comparata di Torino, che è così costituito: 1. Cranio colle corna di un vecchio $ trovato dalle guardie forestali verso la metà di giugno 1914 in località Carpineto, Comune di Settefrati, residuo di un cadavere di camoscio divorato dai cani e in stato di avanzata putrefazione. Il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio molto opportunamente dispose perchè il detto cranio venisse conservato in un pubblico Museo e ne fece dono al Museo Zoologico di Torino (1). 2. Il dottor Enrico Festa nel suo recente soggiorno a Villetta Barrea a scopo di ricerche zoologiche, dalla cortesia dei signori Vincenzo D'Andrea di Villetta Barrea e dei sigg. Nicola, Nestore e Giuseppe Tarolla di Civitella Alfedena, ottenne parecchie pelli e corna per il Museo Zoologico di Torino e potè acquistarne altre che donò al Museo stesso. Materiale che da tempo era preparato per tappeti o per trofei. I suddetti signori e il sig. cav. Filippo Graziani di Villetta Barrea permisero al dott. Festa di misurare e fotografare pelli e corna da essi possedute. Con questo materiale si poterono ancora montare gli esemplari seguenti: 1° un maschio adulto in livrea invernale; 2° due femmine in livrea estiva; 3° due giovani di un anno 0 poco più; 4° una femmina giovane in abito quasi invernale. Si aggiungano: 1° una pelle non montabile di un giovane di poco più di un anno; 2° due paia di corna isolate; 3° otto cranii più o meno completi. Il materiale che così ha potuto riunire il Museo Zoologico di Torino è il più completo che presentemente esista e di esso è debitore al Ministero di Agricoltura, Industria e Com- mercio, al dott. Enrico Festa e ai signori sopra menzionati. A tutti rivolgo i più vivi rin- graziamenti (2). Colorazione del camoscio degli Abruzzi. — Oscar Neumann (op. cit.), che descrisse il camoscio degli Abruzzi come specie distinta col nome di Rupicapra ornata, attribuì particolare importanza ai caratteri di colorazione dell'esemplare da lui studiato, che è un maschio vecchio. Egli dice: “ I lati della testa sono bruni; la linea centrale del naso e della fronte di color “ isabella nella parte superiore, dove questa tinta forma una ovale ben delimitata. Sopra gli (1) All’avv. Ercole Sarti, che molto si adoprò in favore del Museo di Torino, rivolgo un particolare rin- graziamento. Ù (2) Non mi consta che, oltre al materiale sopra menzionato, ne esista altro nei Musei, all’infuori di una pelle che il Museo Britannico ottenne in cambio dal Museo Civico di Genova. 56 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI “ occhi si osserva un piccolo tratto di color isabella come nel camoscio delle Alpi. Il mento “e le guance sono di color isabella chiaro. Dal mento questa tinta si estende sopra tutta la “ parte anteriore del collo e scende fino alla parte superiore del torace. La parte superiore ‘ della testa e l’occipite è di color isabella chiaro, come la parte posteriore del collo e le “ spalle. La parte posteriore degli orecchi è bruno scura, formando una striscia bruno nero, “ seura; questa tinta si estende in basso e delimita esattamente la parte anteriore e posteriore “ del collo di color isabella. Perciò l’animale acquista un aspetto affatto caratteristico. La parte “ inferiore del torace e le zampe non differiscono in complesso nel colorito da quelle del “ camoscio delle Alpi, ma anzichè al bruno rosso, tendono al bruno sepia e al bruno grigio. « I lati del corpo presentano ovunque una tinta bruna assai più chiara, quasi isabellina; le “ coscie nella loro parte posteriore sono di color isabella chiaro. Dall’occipite si stacca una “ striscia scura che corre sul dorso, allargandosi nella sua parte posteriore, dove diventa nero bruna ,. Il Neumann aggiunge: “ La colorazione dell'abito è molto caratteristica, special- “ mente la striscia bruno nera, che scorre sui lati del collo e non può essere certamente “una variazione individuale , Questo esemplare si può ritenere in livrea d’autunno più o meno inoltrato. Il Museo Civico di Genova possiede anche un maschio giovane in cui il sistema di colo- razione è più chiaro del precedente, e sopratutto sono poco spiccate le fascie nere laterali del capo e le regioni scure laterali del collo e così pure le parti laterali del corpo che sono come le dorsali. La linea nera del dorso è spiccata. Questo esemplare è in livrea estiva o quasi. Il Museo Zoologico di Firenze possiede un esemplare 9 adulta in livrea invernale, e pre- senta il caratteristico sistema generale di colorazione, ma con tinte più sbiadite e uniformi e con minor distacco fra le regioni chiare e quelle scure della parte superiore della: faccia, dei lati del collo, delle spalle, delle gambe, ecc.; spiccata è la linea scura longitudinale mediana del dorso e l’estremità della coda. Esemplari del Museo Zoologico di Torino. — Giovani di età inferiore ad un anno. La tinta generale del corpo, dorso,. fianchi, collo, capo, è color isabella chiaro. Sul dorso si vede accennata con tinta leggermente più scura la linea dorsale longitu- dinale mediana con intonazione più rossiccia in un esemplare e più brunastra nell’altro. La regione occipitale e la regione dorsale-laterale del collo del colore del dorso. Le zampe anteriori presentano nella gamba una porzione brunastra poco scura e così pure nel piede: fra l’una e l’altra regione vi è una macchia chiara che spicca poco sulle porzioni più scure. Le zampe posteriori sono del colore del dorso nella gamba e leggermente un po’ più scure nella regione del piede. Sui lati del collo si vedono appena accennate le fascie scure carat- teristiche. La gola e la parte anteriore del collo sono di color isabella chiaro, per modo che appena appena si delinea la regione più chiara anteriore caratteristica per la presenza delle macchie longitudinali del collo, le quali si riuniscono fra loro sul petto. Si distingue tuttavia bene l’estensione della regione chiara mediana anteriore del collo, che è come nell'adulto, vale a dire si estende fino quasi alla base del collo. Sul capo poco si distingue la macchia chiara della faccia, le zone chiare laterali hanno lo stesso colore isabellino chiaro del dorso e dei fianchi. Sull’occhio vi è una macchia leggermente ferruginea. Poco accennata è la fascia laterale scura del capo e più verso l’occhio che verso l’apice del muso. Nella zona delle future corna i peli più lunghi hanno colore bruno ferrugineo. La parte posteriore delle orecchie è in parte brunastra. Le parti ventrali sono di color isabellino come il dorso. La coda è nella sua parte terminale bruno ferruginea come le macchie scure delle zampe. Ciò che colpisce in questi giovani, rispetto ai giovani del camoscio delle Alpi, si è la tinta generalmente molto pallida, e la minor intensità delle parti scure, la qual cosa conferisce loro un aspetto generale al tutto speciale. sh. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 57 Giovane è di poco più di un anno in livrea autunnale. Le regioni occipitale, dorsale del collo e anteriore del dorso sono di color ferrugineo rossiccio. Le regioni scapolari, po- steriore del dorso e femorale sono di color più chiaro, un misto cioè di isabellino chiaro e di ferrugineo. Sui fianchi è già delineata, sopratutto nella parte posteriore, la fascia scura che li separa dalla regione ventrale che è di color isabellino chiaro. Sulla parte mediana del dorso si delinea la zona più scura che verrà a costituire come una sella spiccata nell'adulto. La linea dorsale più scura longitudinale mediana è appena accennata ed ha colore rosso ferrugineo scuro. Le fascie laterali longitudinali del collo sono strette, di color brunastro e ben distinte fino al petto dove si riuniscono e delimitano la macchia longitudinale mediana del collo, che è di color ferrugineo chiaro ed ha lo sviluppo di quella dell’adulto. Le porzioni scure del capo e della faccia sono di color ferrugineo scuro e sono poco spiccate rispetto alle porzioni chiare che si presentano di color ferrugineo rossiccio sopratutto sopra gli occhi e sulla parte posteriore delle guancie; la gola è leggermente più chiara. La porzione scura delle zampe anteriori è di color ferrugineo bruno, poco appariscente. Meno spiccate ancora sono le parti scure sulle zampe posteriori, dove la regione del piede è di color isabellino un po’ ferrugineo, senza macchie scure. Femmine in livrea estiva, una di poco più di quattro anni e l’altra di sei anni. La colo- razione è molto simile fra loro. Il dorso, i fianchi, la parte dorsale, laterale e inferiore del collo, il petto, la regione occipitale, le parti laterali chiare del capo, la gola, la parte me- diana della faccia sono di color isabellino ferrugginoso quasi uniforme. La linea dorsale me- diana longitudinale è appena segnata da peli un po’ più scuri, così pure poco più scure sono le zampe. Le parti scure laterali della faccia sono di color bruno e spiccano poco in con- fronto colle parti più chiare che le circondano. Sul collo non vi è traccia delle fascie longi- tudinali più scure; appena sul petto vi è un accenno ad un’area un po’ più scura. Non vi è traccia neppure della zona più chiara mediana del collo, essendo questo di tinta uniforme come è stato detto. Le femmine conservano nella livrea estiva in complesso la colorazione degli individui molto giovani che è notevole per la uniformità delle tinte e per la piccola intensità delle porzioni più scure. Femmina in livrea quasi invernale di circa due anni. La regione mediana del dorso pre- senta una spiccata zona scura bruno nerastra, a mo’ di sella. La linea dorsale longitudinale mediana è nera; si estende sul collo fin quasi alla regione occipitale; nella regione mediana del dorso in corrispondenza della sella nerastra è più sottile che non anteriormente e poste- riormente, dove cessa a notevole distanza dalla base della coda. La regione occipitale, le regioni laterali del collo e le regioni scapolari, la regione posteriore del dorso e in parte la regione delle coscie sono di color giallo ferrugineo. Sul collo le fascie laterali scure che partono dalla regione posteriore delle orecchie e vengono, portandosi in avanti lungo i lati del collo, a congiungersi colla regione scura del petto, sono di color bruno nero e assai spic- cate; la loro larghezza è quasi costante per un tratto notevole e misura circa 5 centimetri. La gola e la regione chiara triangoliforme allungata, che le fascie scure sopradette delimitano nella parte anteriore del collo, sono di color ferrugineo chiaro. La zona chiara si estende fino oltre la metà del collo. La macchia chiara mediana della faccia è grigiastra nei suoi tre quarti superiori e ferruginea verso l’apice del muso; è a contatto colle macchie ferruginee sopra-oculari, ma si estende solo per mezzo di un gruppo di peli chiari alquanto ferrugginosi sino alla base delle corna. Alla base delle corna fino alle orecchie vi è una zona bruno nerastra che circonda posteriormente l’occhio e viene ad unirsi colla fascia bruno nerastra laterale della faccia. La regione occipitale è giallo ferruginea: la parte posteriore delle orecchie è bruno ne- rastra: la parte anteriore è biancastra coll’apice dell'orecchio di color giallo ferrugineo. La fascia scura laterale del capo è bruno nerastra, ben spiccata ed ampia col margine superiore quasi diritto e l’inferiore alquanto concavo (a metà è circa alta mill. 35). Il petto, le gambe anteriori Ja 58 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI e posteriori e la parte superiore del piede sono di color nero brunastro; la parte inferiore del piede sino agli zoccoli è di color bruno più chiaro con tendenza al ferrugineo: alla base degli zoccoli si nota anteriormente una macchia più scura che appare quasi isolata. I fianchi sono nella loro regione inferiore percorsi da una fascia trasversale bruno nerastra che delimita la regione ventrale, la quale è biancastra nella parte anteriore e ferruginea nella posteriore. La coda è bruno nera, coi peli terminali più lunghi bruno ferrugineo, scuro. Maschio in livrea invernale di 11 a 12 anni. Il sistema generale della colorazione è come nell’individuo precedente. Le regioni chiare del dorso, del collo, della regione scapolare, della faccia sono meno intensamente ferruginee e tendono maggiormente al biancastro, so- pratutto nella regione scapolare e delle spalle. La gola e la macchia nera del collo sono invece di color isabellino ferrugineo chiaro. Le regioni scure spiccano meno che nell’esem- plare precedente per la presenza di peli chiari dovuti all’età dell'animale. La livrea di questo esemplare corrisponde alla descrizione del Naumann per l'esemplare tipico da lui descritto che è pure un maschio adulto: le piccole differenze sono dovute al fatto che il nostro esem- plare è molto vecchio e in livrea completamente invernale e l’altro in livrea quasi invernale. Il comm. G. Festa nella sua recente gita zoologica, per la cortesia dei proprietari di Ci- vitella Alfedena, potè fotografare parecchie pelli di camoseio, preparate per servire da tappeti e qualche testa preparata per trofeo di caccia. Sono pelli di vecchi è e £ in abito invernale, le quali pur essendo forse alquanto scolorite dal tempo lasciano vedere anche dalle fotografie una notevole costanza nel sistema di colorazione e un minor distacco fra le parti scure e quelle chiare delle varie regioni, il che pare sia caratteristico degli individui vecchi in livrea invernale completa. Negli esemplari più freschi si trova l'aspetto che corrisponde alle desceri- zioni sopra esposte. Il sistema di colorazione del camoscio degli Abruzzi, mentre è diverso da quello del ca- moscio delle Alpi, si avvicina notevolmente a quello del camoscio dei Pirenei. Si può dire tuttavia che nei camosci degli Abruzzi, sopratutto nei giovani e nelle 9 in livrea estiva, pre- valgono le tinte pallide, e piccolo è il distacco fra le zone chiare e quelle scure, tanto che, considerato nel suo insieme, il camoscio degli Abruzzi, confrontato con quello dei Pirenei, sembra meno vivacemente colorato. Le regioni chiare del capo, della gola e del collo si pre- sentano con tinta prevalentemente isabellina. Ciò si può anche dire per la livrea invernale com- pleta degli individui vecchi. Dai camosci dei Pirenei da me studiati in confronto con quelli degli Abruzzi mi pare risulti anche un’altra differenza nello sviluppo della macchia chiara della gola e del collo. Nel. camoscio degli Abruzzi essa si estende sul collo in tutti gli esemplari studiati, più che in quello dei Pirenei, poichè arriva fino oltre alla metà del collo, mentre in questi ultimi si arresta prima. Ciò induce anche una forma diversa nelle fascie secure del collo che delimitano la stessa regione mediana chiara. Nel camoscio delle Alpi (confr. 1° parte, pag. 28 e 36) si trovano talvolta individui colla macchia golare prolungata più o meno sul collo, ma essa non raggiunge l'estensione presentata dal camoscio degli Abruzzi, avvicinandosi piuttosto alla forma e allo sviluppo che presenta quella del camoscio dei Pirenei. Corna. — Gli esemplari da me esaminati mi hanno fornito i dati riuniti nella tabella seguente (pag. 59). Nel camoscio degli Abruzzi la lunghezza totale delle corna dà i valori seguenti: è (da 7 a 9 anni) 270,-285 — $è (da 10 a 12 anni) 285-287-305-307-310 Q (da 6 a 7 anni) 240,-245-250,-253-255-260. Nel camoscio delle Alpi la lunghezza delle corna dei è (fra 6 e 9 anni) ha per limiti 201-280, con maggior frequenza da 201 a 260. I valori superiori sono in generale poco fre- | mi e MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MA'TEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. È RE [eat | | | | ES È Ss SI = = RAI ME E I N A) CET STR Li È = Sa = E E NOTI SPESO on O “o | Eo | Zoe | 3 = <= |#gl #18|5|s|s8|s|sslslji|e|;[a|n|#|#A 2 33 | £5 EE È Ae È S s Ki S E CARE AR = eee EEE 5 = | Gi È i | | Î a ina Pra | 3 4 5 | 6 | 7 8 | 9 10 li 1 2 3 5 Misure assolute in millimetri. 13 (2) 180 | 135 | 90 | 27 | 29 | 19 | 25 | DOM I 7 (12043506284 26 (2) [185] 140) 85 27.5) ST NI0 OE ET ZONA DI 8. 14/18) 52) 75 36728) 270|230|142| 28 | 31 |21.5| 26 | 16 | 22| 14 | 18 9 | 25 | 50 | 137 | 127 45 (8) |[270|230|135|27.5) 31.|22.5) 25 | 19 | 23 | 14| 19 [| 1D1| 22 | 47 |114|103 5b6(8a9)|285|220|155|29.5) 31 | 24 | 25 [20.5] 24 | 16 | 21 9 128 | 50 | 124/116 69 (012110) 2852501601 127740310 2.185]62/7 6022 TA 20 L03166) Tò (11) |305|250| \155 | 28 |31.5| 25 | 26 | 18| 26 | 15 | 22 9 | 33 | 60 | L118| 104 Scegli] St | 232) Mr SEN ST i 26 e eo 9 (11) | 307 245 164 29 | 88 | 23 | 26 | 18 | 24/1321 8.| 33 | 69 | 140 122 103 (12) [310 253 | 160 29 (13 | 22 .|.24 | 15 22-|13.| 19 |l 7.5) 22 | 63.|123/108 119 (2) | 175|144|120]19.5| 23| — | — [125165 —|_-{j{_-{|_-|_-|-|- 129(2a3)|152|117| 89] 22/25) —|— | 14|16|8.5|14|| 10 13|/22|44| 42 139% (8) (| 185155} |21 29 (1520/1216 |10 15] — ||| 2 149(3a4)|203|172|128|21.5/23.5) 19 | 22 | 15 |19.5| 10 |13.5][ 11 | 14|29| 73 | 76 159 (6) |253|222|170| 21 | 25 | 18| 22 | 16) 19 | 11 | 17 [| 15 28| 51 |136|160 169 (6) 240 [210 | 5 2509 0 92:10 NICE 208/82 682082180398 8568/60 179 (6) |260|220|155| 21 | 26 | 19 | 21.5] 15 | 19. | 12 | 17 |[115| 20) 42 | 99 | 102 189 (7) |245]|215|148| 24| 28 | 17|21|16|20|12|17||11|22|33|95|82 199 (7) |250 293 | 162 99 | 125 | 15 |124. | 14 2116. 13|=| == {== 209 (7) [255/215] — | 23 |24.5| 15| 22/13 |/19/13|17||—|—-/|—-]|=-{|—- 219(849)[250|215|170| 23 | 27.5) 16 | 22 | 15 | 19 | 11 | 17 [[11.5| 25 | 39 |120|124 22 © (adulta) 240 | 212148. 2302559 239 N52 MSINIOLE 9 | 1329) 61 | 61 Misure in 36080 somatici 15 (2) |[360|270 180 | 54 | 58 | 23 | 50. | 28 | 44 921 34 I 14 | 40) 70 | 124168 25 (2) » |272|165| 53 | 58 | 39] 45 | 3L| 39| 27 | 33 | 16 27 | 35 |101|146 35(7a8)| , |806|189| 37 | 41 | 29|/35 | 2129 | 19 | 24 || 12) 33.| 67 | 182169 45 (8) PRO {80 3713080339258 93190250] |01510/0294 630/0152457 56(8a9)f , |277/195| 37 39 | 30.| 32 | 26 | 30 | 20 26 {| 11 | 35 | 63 | 156146 650210] , |315|214| 34 | 39 | 27 | 34] 20 |:26 | 15| 25 [[ 13|39|83|—|—- Tò (11) » |295|183| 33 | 37 | 30 | 31 | 21|31 | 18 | 265 || CSI 739123 8 S(vecchiol , |290 209 | 29 | 40 | 260/034 | 19°} 29.| 140230) — | — {2a =ah= 95 (11) POI UZIONTA 192| 34 | 39 | 27 | 30 | 21 | 28 | 15.| 25 9 | 39 | 81 |164|147 103 (12) 293 ELS61|E524 8360262028467 26015 | 22 9264073443625 lo (2) a (295246 40/47, — | — |26|34|—|- ||[-|-|-]|-|- 1290223); |275|211| 52 | 59 | — | — | 33 | 38| 20 |33 || 24 | 31 | 52 | 104| 99 139 (3) > |30L1| — | 41 | 56 | 29| 39 23 | 31/19/29 [| —|—-{|—-|-|- 140(Ba4)| , |805|227| 38 |42|34|39|27| 35 | 18|23 [19] 25 |51|130|135 159 (6) o |815|241| 20.) 36).26 | 3123 | 27 | 16.) 24 || 21 40. | 73 | 193-227 169 (6) > | 915 |233:| 38. 450] 29 DI 30 | 18 | 24 [[ 15 | 32|59| 84, 90 170 (6) n |305|214| 29 | 36 | 26] 30 | 21 | 26 | 17 | 23 || 16 | 28 | 58 [137 |141 180 (7) , |315|216| 35 | 41 | 25 | 31] 23 | 29 | 18| 25 || 16, 32 | 48 [140 120 190 (7) A |321|233| 32 | 36 | 22 | 35 20} 30|23|26J—-|-|=-]|=-]|-= 209 (7) E |303| — 55/65 2 gl 27 0 ee ela 210(8a9)| , C- 88 | 40 | 23 | 32|22|27|16|24|[ 17 | 36 | 56 |173|178 22 0 (adulta)| , (318, 922) 35 | 38 | 29 | 35) 23 | 32 | 17 | 24 || 14| 20|44]|92| 92 e A Va a ee e ia tp I RATIO 60 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI quenti, e i valori superiori a 280, 290, e raggiungenti i 300, 310, sono eccezionali. Nei $ (fra 9 e 16 anni) si trovano i limiti 231-277. Nelle 9 (da 6 a 11 anni) si hanno i limiti 185-246. Qualche esemplare eccezionale sale a 250 e 260. Nel camoscio degli Abruzzi si può dire che i valori da 270 a 310 nei è, e da 250 a 260 nelle 9, non sono eccezionali. Nei camosci dei Pirenei i maggiori valori che ho osservato ed ho trovato riferiti dagli Autori sono per i è 225-247, e per le 9 212. Per ciò che si riferisce alla distanza minima delle corna fra loro alla base nel camoscio degli Abruzzi non vi sono in complesso differenze notevoli rispetto al camoscio delle Alpi. Nel primo si hanno le serie seguenti negli adulti: 5 mill. 7.5-8-93-10-11, 9 10-11,-11.5-15. Nel secondo nelle serie numerose delle varie località si trovano i limiti di 5 a 21 nei $ adulti, e di 8 a 22 nelle 9, colle maggiori frequenze nei è da 9 a 15, e nelle 2 da 11 a 15. Dal camoscio dei Pirenei il camoscio degli Abruzzi e quello delle Alpi si differenziano maggiormente, poichè nel camoscio dei Pirenei ho trovato: è 1-6. In altre parole le corna in quest’ultimo sono spiccatamente più ravvicinate fra loro alla base che non in quello delle Alpi e in quello degli Abruzzi. Nel camoscio degli Abruzzi la divergenza delle corna, a partire dalla base, si presenta nei 5 prevalentemente del tipo A (confr. 1° parte di questo lavoro) del camoscio delle Alpi; nelle 9 del camoscio degli Abruzzi si trovano rappresentati il tipo A e il tipo B con maggior frequenza del tipo A. Nel camoscio dei Pirenei (confr. descrizione di questa forma e le figure relative delle corna) l'andamento della divergenza è spiccatamente caratteristico e diverso da quello del camoscio delle Alpi e da quello degli Abruzzi. In complesso per ri- guardo alla divergenza fra loro delle corna il camoscio degli Abruzzi si avvicina più al camoscio delle Alpi che non a quello dei Pirenei. La stessa cosa si dica per l'andamento dei diametri trasversali e antero-posteriori delle corna nelle varie loro regioni. La lunghezza del corno calcolata in 360°S®i somatici, prendendo come lunghezza base la stessa che serve per calcolare le altre dimensioni del cranio, vale a dire la distanza fra i fori sopraciliari, mi ha fornito i valori seguenti: © (vecchio). . 2732 è (11 anni). . 2763 è (12 anni) 2790 Q (2a 3 anni) 1480 © (3a4anni) 1922 © (6 anni) . 2461 © (vecchia) 2272. Nel camoscio delle Alpi ho trovato i valori seguenti: È di 5 anni. ... 1596-1685-1750-1809-1851-1927-1937-1983-2003-2005-2034-2046-2071- 2150-2151. » da 6 a 9 anni. 1749-1765-1825-1841-1908,-1932-1935-1937-1939-1944-1955-2005-2014- 20465-2091-2100-2143-225-2250-2282. » da 10 a 14 anni 1948-2028-2030-2062-2104-2126-2228-2237-2313. © di 5 anni. ... 1371-1503-1512-1515-1597-1604-1672-1733-1799-1828-1838. » da 6 a 14 anni 1510-1560,-1589-1671-1697,-1708-1719-1779-1791-1827-1846-1858- 1861-1944. Nel camoscio dei Pirenei ho trovato: $ (adulto) 1998, 3 (5 anni) 1615, è (4 anni) 1430 e 2315. Notevole, come si vede, è la maggior lunghezza comparativa delle corna dei è e delle del camoscio degli Abruzzi rispetto a quelle del camoscio delle Alpi e dei Pirenei. La lunghezza del nucleo osseo delle corna (in 36088mi somatici), colla lunghezza base usata per il cranio, dà nel camoscio degli Abruzzi i valori seguenti: © (2 anni). . 681 è vecchi (11-12 anni) 1215-1244-1301 Q (2-3 anni) 730 Q (8-4 anni) 928 O vecchia 1109. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAWEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 19. 61 Nel camoscio delle Alpi i limiti di variazione sono: è adulti e vecchi 603-1089 — © adulte e vecchie 527-882. Nel camoscio dei Pirenei ho trovato: è (5 anni). . 886-947 — $& (4 anni). . . 635-947. Notevole è la maggior lunghezza del nucleo osseo delle corna nel camoscio degli Abruzzi (6 e 9) rispetto a quella degli altri camosci. Ho osservato nelle corna del camoscio degli Abruzzi, rispetto alla loro forma e alla forma dell’uncino terminale, le variazioni seguenti: Nei è: 1° Il corno ha il suo margine posteriore quasi diritto fin verso i tre quarti della sua lunghezza, a partire dalla base, la curva superiore è regolare, ma non molto ampia; il margine posteriore del tratto discen- dente è poco divergente rispetto al margine posteriore del ramo ascendente del corno (Si avvicina alla forma @ del camoscio delle Alpi: confr. 1° parte di questo lavoro, p. 76); 2° Il corno ha il margine posteriore del ramo ascendente spiccatamente incurvato fin dalla base: la curva superiore è ampia, e non a semicerchio regolare. Il margine posteriore del tratto discendente non è divergente rispetto al margine posteriore del ramo ascendente del corno; 3° Il corno ha il margine posteriore del ramo ascendente fortemente incurvato: la curva superiore è ampia e regolarmente a semicerchio. Il margine posteriore del tratto discendente non è divergente. Nelle 9: 1° Il margine posteriore del ramo ascendente è quasi diritto fin verso la metà, a partire dalla base, poi si incurva. Il margine posteriore del tratto discendente è divergente e spiccatamente piegato in basso; 2° Il margine posteriore del ramo ascendente è spiccatamente incurvato fin dalla base. Il margine posteriore del ramo discendente è note- volmente divergente, in modo che la curva terminale risulta ampia e regolare. In complesso l'andamento della forma del corno del camoscio degli Abruzzi rientra nell’ambito delle varia- zioni di quello del camoscio delle Alpi. I dati di misura del cranio riuniti nelle tabelle a pag. 62 e seguenti conducono ai risultamenti seguenti : Distanza fra la metà dei forì sopraciliari (lunghezza base): Giovani (meno di 1 anno) 31-32 Id. (poco più di 1 anno) . 37 OU(20200)) RS O ONVECCHIERE N00 © (da 2 a 4 anni). . . 373-388 © (adulte e vecchie). . 37-88. Questi valori rientrano nella serie di quelli del camoscio delle Alpi. Per le altre di- mensioni del cranio indicherò soltanto quelle che si scostano più o meno dalle dimensioni comprese nelle serie che si riferiscono al camoscio delle Alpi o che danno luogo a qualche speciale considerazione. Larghezza massima del frontale alla base dei nuclei ossei delle corna: è (2 anni) . . . 496 — © (da 2a4anni). . 457-464 © vecchi . 540-549-563 — © vecchia . . . . . 492. Questi valori sono compresi fra quelli più elevati nelle serie dei camosci delle Alpi. La stessa cosa si dica per i valori della larghezza massima del frontale fra i margini esterni delle orbite. Una © adulta dell'Abruzzo presenta 1031, mentre il valore più elevato, raro, nelle 2 del camoscio delle Alpi è 1004. RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI LORENZO CAMERANO I|ESEU JOp, CWISSEL 2ZZ0yFUN] ozzew jeu e]e}{dj090,|Jop ezzeySun] 11 ozzew |eu e|e}ejied |op ezzeySun] 10 @|E}uoJjjq eunns e|jop ezzeyFunq ]|ESEU | @ (0JE|OW. 0) |Ap OjjeAI] E) |IE||PosEw Jop EuIizejedjq eungns è| VI} oIUEII |op eJossads (C) @jeseu]q eJn}ns E||op eJojia}sod e91de,j 9 (aJollezue e9Ide) Eu]}ejediq enyns E| 2Jj CIUEIO [op aJosseds 9 @jezuoJ}jq eJnjns ejjap "ue eojde,jje < WUnudew UAWEIO} > |0p ‘dns eJojjezue euiJeLU |ep ezzeySun] 6 QJE||eosewJe}uI,]jep ezund ejje eu|}e|ediq eJnzns ejjep 1 gJ0jJe}sod e9jde,jjep ezzeySun] QJE||eosewJa}U],||ep e}und èjje 0|e}U01}jq EIn}ns ejjop * aJojJe}ue 69]de,jjep ezzaySun] QJE||eosEWJ0}U1|jep ezund ejje « S]|E}jdjo00- exS|J0 > Ejjep ezzoySun] QJE||eosewJe}U}]jep ezund ejje < UNuSE1 UaWwEIOy> |op *dns aJoe}ue eujdJew |ep ezzeyFun] (aseq EJnsju) IJeljioeJdos 110} | EJ} 2ZUE3SIA 13) (210 jp juue |j3 Ise]uaJed eJj Opuo} oJewNu ji pe E}||E20] E| Eojpuj 0AJSJ09 OJOWINU |}) z}0 pe ossas ‘g}i|e20] QU|pJo,p OJeWUNN Misure espresse in millimetri. 65 No) Ne) cQ8REN5ÎS8 |8 Flaconi [aes e |18]|||]12®8|28 | 9 Do) De) CÒ CÒ CÒ O lo) atea ae DE S © = 0 dd GILES LE52 | 9g Hi aa a Gi 9 0 0 o si o o o 4 di (Co) dda |a LO) 10 NO Hi SA SH SH 9A na a fe) I 910 Lc IH +# 00 LO ONT Si co oi a I I i co SO IG di SH H QQ 0 a 0 Qua HX 10 + © 1 00 O © < < 0 n 0 d Ò 0d OS GIiiiMnMidaMiiZAa\an[i[ionN[iN\rKaA >) D 1 Edy QJe||eosewlq ezzeySue] 18pio|j}s |ss@d0Jd Jap jojde ||3 244 ezue,sig 35 9|EJOdW9}j OLUISSEW 0J}QWEI( aje}ojied euojdel ejjeu OIUEJO |op ezzaySse| CwISSEY 33 LojJezue 19jde jons je @|e}uoJ} |op ezzeySJe] A|BWLJOE] 0}UOJy eIn}ns Ejje 9|E}uoJ} |op ezzeySue] 31 2}|qJo @|jep juso}so IUISJEW. 1 24} 9|E}U0J} |ep ewjssew ezzeySse] 30 EUIO9 @]|ap 10SSO jajonu Jap eseq ejjE @|E}uoJ} |op ewjssew ezzoyFie] 29 (oJolezUE @UISIELI |ns 07eunsiw) EUJ09 @]jap 0asso 0a|jonu jap ezzaySun] 28 LUApj o|ESIOASEI} 0J}AWe|( QUIpJo jp OJeLUINN Segue Misure espresse in millimetri. O I AETILA TI | | GIG ao A LE) o tTLtTLXFELRLLAILL | N dC 9 GI M GI mM mM n m be) le) GSRASBGRSikKEggRES | 8 TIIGAHTHAFGANA 5a) PERGNAA DSS 18 13 83 4s 6 s55|88 118 oe e pese e Rn si E Re seealeRsa als = "na GIA di. SS ò S Sq =H tEs5s]||553535383% 19 10010 DA 40 da è 0 IIIFIAFTINIIAZGAÀA SEA È DISISISISIATSENE II ® da SME SSStRKEKS$SS5ZSIS | | eHsEalliIlssIlllss mi De (Cote) Se Ralf sd] las VIES = pi eee Seb Les Ho da0o © 6 0 9dOSHA ml sal sata Segue Misure espresse in 360° somatici. 10 O Hd HM DO IH HH HI Hu QQ ai #0 dI ZA | | FOA) A) I al did He DI H Hun 9 q Hi 0 0 I Sd 0 I # S| mM 0 n Gi mM DD Bo) pe de da A © da 4 9 Hd Dì a | NI GI HI III A A) ta IH DD D dio cati |ro | © mM MQ GI MG mn AGO) 50) vt 00 10 q D 10 10 © ba n 4.53-59 3° Hi È a ui gia » 8-8.50-10 5 5 È 5 bt o Db i OO donato x gina 10, » 11-11.5-12-13, 5 5 È o digli 18 n» 63-6.52-7 OLIO È Rune ein » 12-13-13.5-14-14.5 ” o si pae. (OUT n 69-6.53-8 6° i 5 SRlun here IN 617 : S a do aa 4 » 5.5-6-6.5-7.5. Denti di latte — Mascella superiore Mascella inferiore leAmolare sil uno 8559 556 ; À la rSh e rali SAR Dono lungh. , 11-123. 8-8.53 5 5 lAtSh:S er R60s-17- Se ORMEA OI 30-0, lungh. o, 125-1205418 0 i I Ate 3 i ars MV REESE 5 50-60158 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 69 ® | MASCELLA SUPERIORE S | $ | Sesso | 1° molare | 2° molare | 3° molare 4° molare 5° molare | 6° molare ° i : | ] | # | | Lungh. | Largh. | Lungh. | Largh. | Lungh. | Largh. | Lungh. | Largh. |Lungh.| Largh. |Lungh.| Largh. | tao, ia | 5 6 T 8 9 TO na Misure assolute espresse în millimetri. ai ei 5 sN ‘6.50 785,758 Mo 05 1255) 110) Hei o 2/9? 7 Bo 6 8.5 ((h5 12.5 9 13.5 | 8.5 | 12.5] 7 Me ! Gul GIG e 5 6 £ Bid 5 8 CONO 8 12.5 9.5 |145| 10|13.5. 8 5| 9 ta | 6 Dai pane 6.5 (5) 7.5 SLI 10.5 | 12 (10.5 14| 9 65 È | 6 5 | 7 Td 7.5 8 65) 10.5 | 13 (10.5 13.5) 9 T{Q0)| — _ — | — —_ _ 13.5 7.5 |14.5| 65| — | — e al ee Denti di latte. 1 | juven | 9 | 5 | 12 Diede, 8.5 5 12 3 | 5 8:5 5 12 4 | ©, 8.5 3 11 2 MANDIBOLA E = | 1° molare | 2° molare | 3° molare | 4° molare | 5° molare | 6° molare |1°ine.|2°ine.|3°ine.|4°ine. c ‘Lungh. | Largh. Lungh. | Largh. |Lungh.| Largh. | Lungh. | Largh. | Lungh. | Largh. | Lungh. | Largh. | Lungh. | Lungh.| Lungh. | Lungh. [race i 19 20 21 22 perg nale |a Segue Misure assolute espresse în millimetri. IRR e o (06 655) RO ET5ì 130 51 5) == 200551835151 5) 0815) RSS BLA 651 1135) GIO IG 6 — | 5.5| 4 | 3.5 DIE 3 8 | 45| 10 | 5 19. 6:5.|-13. | 6. |17.5| 55| — L_ [=.= 4| 5 3 8 Di Sl oa o CERCA RR EN MGLDA MIO 5 4 | 3.5 SS 5 8 5 — = [19/8 |l75|75| == (Nile | E SERSO SPERI | apra Gabi diana LES TEO o ei ni EEE ae petti Y — |—|—-|- | 18 6 |14.5| 6 — 6 = |=|= 8|— ={el= | [KB 0. eee = |= Segue Denti di latte. 1|55|3 |85|45/155|55|— | | | | — |5 | 4 | 25 | 25 29|5b|3.| 8505 |d6/55| = | —|—-{|T-{[{J_-|—- o | Za | 25 3 | doi Sist e Ti NGN pi et EA 5.5 E2 50825 4| 6 | 3 | 8 5 |14.5| 65| — | — | — | |—- | = ||= 4 | 2.5 | 2.5 (4) Vecchio, denti logori. — (?) Adulta. — (3) Quasi quattro anni. — (4) Adulta — (*) Da 11 a 12 anni, denti logori. — (*) 11 anni, denti logori. — (7) Da 2 a 3 anni. 70 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI Confrontando le misure sopra esposte con quelle del camoscio delle Alpi (confr. parte prima di questo lavoro), si vede che esse rientrano nella serie del secondo colla tendenza, sopratutto nelle 9, ai valori più elevati. Le differenze sono tuttavia piccole e non tali da fornire caratteri differenziali tassonomici. I valori assoluti sopra riferiti calcolati in 360esimi somatici, assumendo la stessa lunghezza base che servì per le altre dimensioni del cranio, dànno le classi estreme seguenti: Denti di latte — 1° molare sup., lungh. 78-104 1° molare inf. lungh. 54-64 a sa È » largh. 49-58 5 a » largh. 29-85 È PACO RAT » lungh. 78-139 DO » lungh. 73-99 A 5 ; » largh. 58-83 A È » largh. 49-56 5 3° o » lungh. 107-145 90 n » lungh. 123-180 È n ” » largh. 70-88 È Di » largh. 58-64 Incisivi: 1° largh. 44-58, 2° largh. 34-51, 3° largh. 24-29, 4° largh. 24-29. Anche nelle misure comparative i denti di latte del camoscio degli Abruzzi non pre- sentano, rispetto a quelli del camoscio delle Alpi, notevoli differenze. La stessa cosa si dica per i denti permanenti. Nel suo complesso il cranio del camoscio degli Abruzzi presenta un facies notevolmente diverso da quello del camoscio delle Alpi, facies che gli è conferito dalla forma e sviluppo dei nuclei ossei delle corna, dalla forma del frontale nella sua porzione discendente dalla base dei nuclei ossei delle corna al margine dell’obita, dalla completa mancanza delle fontanelle fronto-naso-maxillo-lacrimali, dalla forma del lacrimale sopratutto nella parte che si insinua fra il mascellare superiore e il nasale, e dal loro lungo tratto in rapporto coi nasali, dalla forma dei nasali sopratutto nella loro porzione in rapporto coi frontali. Dal cranio del camoscio dei Pirenei si distingue in particolar modo per lo sviluppo e dispo- sizione dei nuclei ossei delle corna. VII. Rupicapra faesula Miller. Il signor Gerrit S. Miller descrisse nel 1912 una nuova specie di camoscio degli Appen- nini toscani, e precisamente del Passo Mandrioli nella regione del Monte Comero, alle sor- genti del Savio (Proceedings of the Biological Soc. of Washington, XXV, p. 131, 1912) sopra due pelli avute dallo Schlitter di Halle, negoziante di oggetti di storia naturale. Non è senza molta meraviglia che io lessi la nota del Miller relativa all’esistenza dei camosci nella località sopradetta; cosa di cui nessuno nè in Toscana nè in Italia aveva avuto prima notizia. Feci subito qualche indagine in proposito. Le sopradette pelli erano state spedite allo Schliiter dal signor Ghidini di Ginevra che a sua volta le aveva ricevute dal signor B. Perger di Vienna, che le otteneva a mezzo di un preparatore di Firenze assieme a pelli di Mufflone coll’indicazione di provenienza “ Passo Mandrioli , dove, si diceva, giun- gevano dal Casentino, località nella quale le due specie erano state introdotte dal Granduca di Toscana dal Regno di Napoli e dalla Sardegna. Il fornitore delle pelli al Perger da Fi- renze, secondo quanto scrive il Perger stesso, è morto. Non cessava la mia meraviglia dopo queste informazioni, poichè mai il compianto pro- fessor Giglioli, che con tanta cura andava raccogliendo nel Museo di Firenze i materiali relativi MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 71 alla fauna italiana, me ne aveva fatto cenno; nè della presenza del camoscio in Toscana altri avevano mai parlato. Scrissi al prof. Daniele Rosa, succeduto al Giglioli nella direzione del Museo fiorentino, pregandolo di assumere informazioni in proposito. Egli mi rispose che nessuno nel Museo, nemmeno il signor Magnelli che vi è preparatore da molti anni e che è sempre a contatto coi cacciatori, aveva mai sentito parlare di camosci in Toscana. Lo stesso signor Magnelli volle interrogare in proposito l’avv. Carlo Beni di Stia (Provincia di Arezzo), il quale rispose che nella foresta Casentinese non esistono che i Muffloni, che, im- portati ed acclimatati, si trovano specialmente alla Lama (versante adriatico). Io volli anche scrivere al Direttore della Foresta Casentinese, dottor S. Leoncini, il quale gentilmente mi rispose, circa alla presenza di camosci in Toscana e precisamente nella Valle del Savio, nel modo seguente: “ Non solo non mi risulta che ve ne sieno, ma da ricerche da me fatte presso vecchi cacciatori, fattori, agenti forestali, ecc., sembra sia da escludersi in modo assoluto la cosa. Anche il Refetti, nel suo dizionario geografico, fisico, storico della Toscana (una delle opere più complete), non ne fa cenno. Nella foresta casentinese (ex-proprietà della Casa di Lorena, ora della Società anonima Industrie forestali), che si estende sull’Appennino toscano e anche su parte della vallata del Savio, vi sono solo dei cervi e dei muffloni, gli uni e gli altri importati dall'ultimo Granduca di Toscana a scopo di caccia ,. Neppure il Tramontani nella sua Istoria naturale del Casentino, Firenze, 1800, menzio- nando i mammiferi della regione parla di camosci. Similmente non ne parla il Targioni-Toz- zetti nel suo lavoro Vertebrati e molluschi osservati e raccolti in una escursione nel Casentino (“Atti Soc. Ital. Se. Nat. ,, XV, 1872), pur menzionando il cervo stato introdotto sulle alture di Falterona dal Siemoni. Dopo tutte queste informazioni credo si possa conchiudere che nè nella località indicata sopra, nè in altre parti della Toscana esiste il camoscio. Circa alle pelli state inviate al Miller deve essere accaduta una confusione di prove- nienza. Esaminiamo ora i caratteri dati dal Miller per stabilire la sua specie. Egli dice: “ While “ agreeing with the alpine animal in erectness of the horns and in the color pattern of the “ neck and throat, they differ so noticeably in size of both incisiform teeth and cheek teeth “ from the eleven specimens of Rupicapra Rupicagra with which I have compared them that “ there seems to be no reason to doubt that they represent a peculiar local form ,. Nella diagnosi egli dice: “ Similar to Rupicapra rupicapra (Linnaeus), but teeth noticeably “ larger, the length of maxillary row 62-64 mm. instead of 56,6 to 59 mm., that of man- “ dibular row 64 to 68 mm. instead of 57 to 61,4 mm. ,. Si vede che la R. faesula secondo il Miller sarebbe essenzialmente caratterizzata dalla maggior lunghezza dei denti. Nel ca- moscio delle Alpi lo spazio occupato dai molari superiori (1), come si può vedere dagli spec- chietti delle misure assolute uniti alla 2* e 3? parte di questo lavoro, non presenta il valore di 59 mm. come massimo. Nei maschi sono frequenti i valori di 60 e 61 mm. e non rari quelli di 62 (Val d’Aosta, Val Lerzer, ecc.) e di 63 (Val d’Aosta). Talvolta si può tro- vare anche 65 mm. (Val d’Aosta), e in qualche caso anche 69, 71, 72 (Val d'Aosta). I valori 64, 64 degli esemplari del Miller sono perciò compresi nella serie senza neppure rappre- sentare i valori estremi di essa. Il valore massimo dato dal Miller per lo spazio occupato dai molari (1) della mandibola di 61,4 mm. è frequentemente superato nel camoscio delle Alpi. Non sono rari i valori di 62, 63, 64 (Alpi marittime, Oulx, Valsavaranche, Val di Rhèmes, Val d’Ossola, Val Bavona, Val Solda, Val Marozza, Padola, ecc.). Talvolta si in- (1) Comprendo anche i premolari di vari Autori. 72 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI contra anche 65 mm. (Val d’Ossola, Dent de Broc (Cant. Friburgo), Cant. S. Gallo) ed anche 66 (Tschingel (Cant. Grigioni)). Il Miller dà per . faesula le dimensioni del 1° molare (4° molare secondo la notazione da me seguita) 13,0 X 10,4 e 13,2 X 9,4. Ora dalle ricerche da me fatte sul camoscio delle Alpi (Parte 2*) risultano per il detto molare i limiti seguenti: lungh. 8-14, con limiti di maggior frequenza delle varianti 10-13 e per la larghezza 8-11,5, e 9-10,5. Ho trovato non raro ad esempio nei crani del Vorarlberg e del Cantone S. Gallo lungh. 13 e largh. 10 e 10,5. Per il 1° molare della mascella inf. della faesula 11,2 X 6,6 e 11,8 X 6,4. Nel camoscio delle Alpi ho trovato: lungh. 9-12,5, classi più frequenti 10-12, largh. 6-7,5, classi più fre- quenti 6,5-7. Ho trovato nei cranii del Vorarlberg e nel Canton Grigioni e Cant. S. Gallo frequenti i valori 11 e 11,5, ed anche un caso con 12 e uno con 12,5, per la lunghezza e frequenti 6,5 e 7 per la larghezza. Le altre misure riferentisi al cranio sono tutte larga- mente comprese fra gli estremi delle serie di valori che presentano i cranii del camoscio delle Alpi (confr. specchietti citati). Credo di poter conchiudere che gli esemplari stati spe- diti al Miller come provenienti della Toscana appartengono al camoscio delle Alpi e non provengono dalla Toscana, ma da qualche regione delle Alpi, e non si può creare per essi una specie, nè una sottospecie. VII. Conclusioni. Dallo studio del variare dei principali caratteri dei camosci che ho enumerato a p.-19 nella prima parte di questo lavoro, risulta che possono servire per una divisione tassono- mica dei camosci i seguenti, che indico secondo la loro importanza: 1° La forma dei lacrimali, dei nasali, dei frontali (nella loro parte a contatto coi na- sali e coi lacrimali), la porzione del mascellare superiore a contatto coi nasali e in modo particolare le varie maniere di rapporti di queste ossa fra loro che determinano speciali facies ai crani. 2° Lo sviluppo dei nuclei ossei delle corna e il diverso modo di comportarsi fra loro alla base, a 1/,, a !/» della loro lunghezza a partire dalla base. 3° Lo sviluppo delle corna e il diverso modo di comportarsi fra loro, alla base, a !/4, a !/s della loro lunghezza, il che è in rapporto colle analoghe disposizioni dei nuclei ossei delle corna stesse. 4° Il sistema di colorazione del collo in quanto può considerarsi in correlazione con qualcuno dei caratteri indicati nei gruppi precedenti. Gli altri caratteri, come la colorazione generale del corpo, lo sviluppo maggiore o mi- nore delle porzioni scure del capo, la maggiore 0 minore grossezza delle corna alla loro base o per il primo tratto della loro lunghezza, il maggiore o minore ravvicinamento delle corna fra loro alla base, la forma della loro parte uncinata, la lunghezza dei peli, la grossezza maggiore o minore dei piedi e delle unghie, la grandezza e la forma dell'orbita, la lunghezza maggiore o minore del muso, la forma e la grandezza dell’ apertura nasale, le dimensioni dei denti, le variazioni dei palatini, dell'angolo della mandibola, del suo margine posteriore e del suo margine inferiore, le pieghe palatine (confr. L. CAmERANO, Osservazioni intorno alla mucosa palatina del camoscio delle Alpi, “Atti Acc. Sc. ,, Torino, XLIX, 1914), ecc., sono caratteri, ripeto, che non possono assumersi a base di distinzioni tassonomiche fra i camosci, > tn MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 79 poichè variano si può dire parallelamente nei camosci di tutte le località, passando per gradi leggeri da un estremo all’altro del loro campo di variazione. Nel suo recente lavoro Catalogue of the Ungulate Mammals in the British Museum, vol. I (1913) il Lydekker ammette una sola specie di camoscio, la Rupicapra rupicapra (Linn.), che suddivide nelle seguenti sottospecie: A) Rupicapra rupicapra rupicapra; B) Rupicapra rupi- capra faesula; C) Rupicapra rupicapra ornata; D) Rupicapra rupicapra pyrenaica; E) Rupi- capra rupicapra parva; F) Rupicapra rupicapra caucasica; G) Rupicapra rupicapra asiatica. Lasciando in disparte la È. r. faesula, che non ha ragione d’essere perchè fondata su un errore materiale di fatto, e la È. r. parva, che è da considerarsi inquirenda, rimangono da discutersi le altre sottospecie. Dalle ricerche da me fatte risulta che la divisione proposta dal Lidekker colloca a pari grado delle forme che non sono equipollenti fra loro per il valore dei loro caratteri diffe- renziali. In altre parole, ad esempio, la È. r. ornata dell'Abruzzo si differenzia dalla PR. r. rupi- capra per caratteri di importanza molto maggiore di quelli che il Lydekker assegna come differenziali fra la È. r. caucasica, la R. r. asiatica, ecc. e la R. r. rupicapra. Così si dica per la È. r. pyrenaica rispetto alla È. r. rupicapra, alla È. r. caucasica, alla R. r. asiatica, ecc. Mentre di minor importanza sono i caratteri assegnati come differenziali fra la È. 7. caucasica e la R. r. asiatica, ecc. Il lavoro di ricerca sui camosci da me compiuto ha appunto lo scopo, mediante lo studio esteso della variabilità di ciascun carattere, di determinare anzitutto il valore dei caratteri stati assunti come differenziali per vedere se è possibile togliere l'inconveniente sopradetto che si nota nelle divisioni dei camosci proposte dal Lydekker e da altri Autori. In base a queste ricerche credo di poter ritenere : 1° La Rupicapra ornata e la ER. pyrenaica si possono per i loro caratteri differenziali separare nettamente fra loro e dalle altre rupicapre. 2° La E. r. rupicapra, la R. r. caucasica ela E. r. asiatica mentre si possono sepa- rare nettamente dalle due precedenti non si possono separare fra loro nè come specie, nè come sottospecie. 3° La P. r. ornata e la R. r. pyrenaica si possono riunire in un gruppo da contra- porre alla È. r. rupicapra tenendo conto dei reciproci rapporti fra i nasali, i lacrimali, i frontali e i mascellari superiori e della loro forma, ed anche per il sistema di colorazione del collo. 4° La E. r. ornata ha una notevole costanza nei caratteri del cranio per le ossa so- pradette e della colorazione. La È. r. pyrenaica presenta entro i limiti di un facies costante qualche maggior variazione nei rapporti delle ossa sopradette e nella colorazione. La È. r. rupicapra conta nelle ossa sopra numerate del cranio un numero grandissimo di variazioni; numerose pure sono le variazioni della colorazione. 5° Nella R. r. ornata sono caratteri costanti quelli inerenti allo sviluppo e alla dispo- sizione delle corna, al sistema di colorazione, alla forma dei nasali, dei lacrimali, del ma- scellare superiore, dei frontali tanto nella loro posizione che è in rapporto coi lacrimali e coi nasali, quanto nella regione che dalla base dei nuclei ossei delle corna discende al mar- gine delle orbite. Nella R. r. pyrenaica è carattere costante la speciale disposizione delle corna fra loro dalla base fin verso la metà della lunghezza, disposizione che non si incontra nella R. r. ornata e nella R. r. rupicapra. Nella R. r. rupicapra tutti i caratteri sono gran- demente variabili, ma tuttavia in essa non si osserva uno sviluppo dei nuclei ossei delle corna corrispondente a quello della R. r. ornata, nè un rapporto dei lacrimali coi nasali e coi mascellari come si osserva in quest’ultima e neppure la sua particolare conformazione La 74 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI del frontale nella regione che è fra la base dei nuclei ossei delle corna e il margine del- l'orbita. Nella R. r. rupicapra malgrado la grande variabilità dei rapporti delle corna fra loro per il tratto della loro lunghezza non si incontra la speciale conformazione che è ca- ratteristica della È. r. pyrenaica. Il sistema di colorazione del collo nella È. r. rupicapra è notevolmente diverso da quello della È. ». ornata e della È. r. pyrenaica, malgrado che in qualche caso si noti la tendenza ad avvicinarsi ad esso. (i° A mio avviso i camosci si possono dividere in tre forme, che è possibile distin- guere con caratteri morfologici abbastanza precisi : Rupicapra ornata - Abruzzo. Rupicapra pyrenaica - Pirenei. Rupicapra rupicapra - Le altre località abitate dai camosci (1). Il dare ad esse il nome di specie o di sottospecie è cosa di minor importanza e dipende dai concetti personali di ciascun classificatore. Io credo di considerarle come specie sistema- tiche, lasciando in sospeso la questione se esse si possano riferire a probabili specie primarie o elementari, poichè la ricerca in proposito dovrebbe essere trasportata (senza possedere per ora materiali di studio) al di là del periodo freddo della fine del quaternario, nel quale la paleontologia dimostra che già esistevano due forme molto simili una alla È. pyrenaica e l’altra alla £. rupicapra attuale. La Rupicapra ornata nel suo ristretto habitat, per la costanza notevole dei suoi caratteri, non dà luogo ad alcuna discussione circa la possibilità di dividerla in sottospecie. La Rupi- capra pyrenaica, alquanto più variabile della precedente, da ciò che ho potuto vedere dal materiale studiato e dai dati forniti dagli Autori, neppure presenta tale opportunità. La Rupicapra rupicapra presenta campi di variazione estesissimi per i suoi caratteri ed ha un’area di distribuzione geografica fra le più ampie nel grande massiccio delle Alpi, nei monti della Dalmazia, della Transilvania, nei Carpazi centrali, nel Caucaso, nel Taurus, ecc. Per questa specie la questione della sua divisibilità in sottospecie ha particolare interesse e deve essere studiata e discussa. La sottospecie che ora sostituisce nel campo tassonomico con maggiore precisione ciò che un tempo si diceva varietà locale è un gruppo tassonomico che rende indubitabili servigi pratici allo studio delle forme animali, purchè alla sua costituzione si proceda con cautela e col voluto rigore. Pur ammettendosi che fra le varie sottospecie di una specie si trovino forme di passaggio, è tuttavia indispensabile che la sottospecie presenti un complesso di ca-_ ratteri che siano inerenti agli individui di una determinata località, caratteri che siano tali da conferire ad essi un facies il quale li faccia riconoscere anche quando non se ne conosca la provenienza. Se questa condizione non è realizzata, l'assegnazione degli individui ad una o ad un’altra sottospecie non è possibile se non si conosce l’esatta provenienza degli individui stessi. In questo caso manca evidentemente un substrato morfologico abbastanza sicuro per la divisione di una specie in sottospecie. Ciò conduce ad ammettere che se si vuole nel costituire le sottospecie fare opera vera- mente utile alla scienza è necessario procedere prima ad uno studio minuto e sufficiente- mente esteso della variabilità dei caratteri della specie e ad un’ampia discussione circa alla natura loro e alla loro importanza e circa, per quanto è possibile, alle cause del loro variare, come già ho avuto occasione di dire nella 1% parte del mio lavoro (pag. 17 e 18). Per quanto riguarda la Rupicapra rupicapra le ricerche da me fatte mettono in evidenza che i caratteri che i vari Autori, coll’esame di un materiale non sufficiente e senza una conveniente valu- (1) Lascio in disparte la questione dei camosci spagnuoli delle località fuori dei Pirenei, sui quali non è possibile dare alcun giudizio per mancanza di dati. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 12. 75 tazione della natura delle loro variazioni, hanno assunto per la costituzione di sottospecie o di razze locali non servono allo scopo, poichè, ad esempio, le variazioni delle corna nella loro grandezza e curvatura, nella forma dell’uncino terminale, le variazioni della tinta generale del corpo o di aleune macchie del capo, le variazioni dei nasali, dei lacrimali, dell’ angolo della mandibola, della grossezza dei piedi e via discorrendo sono variazioni che si trovano parallelamente in tutte le serie numerose di individui delle varie località, e hanno la ragion d'essere, per taluno di essi, da fenomeni di convergenza, dovuti a condizioni di vita analoghe nelle diverse località, oppure anche provengono da accidentalità transitorie della nutrizione o sono un portato di una sorta di scelta fatta dall’uomo colla caccia intensiva o con una protezione al tutto particolare ed accurata, ecc. Non credo perciò si possano accogliere le divisioni in ispecie o sottospecie proposte dal Matschie degli individui secondo i bacini idro- grafici, come ho già detto nella prima parte del lavoro, e neppure le sottospecie caucasica ed asiatica. 7° Risulta dalle ricerche da me fatte una differenza notevolissima fra la variabilità della È. ornata e della È. pyrenaica di fronte alla È. rupicapra. Questo fatto, unitamente alle condizioni della presente loro distribuzione e alla natura e modalità dei loro caratteri morfologici, suggerisce alcune considerazioni ed ipotesi intorno al rapporto fra i caratteri delle forme sopradette e la loro distribuzione geografica e sopra tutto circa il fatto che nell’area di distribuzione geografica dei camosci troviamo forme con caratteri distinti che abitano regioni diverse e distanti e forme con caratteri che in parte si riferiscono alle prime e abitano aree ad esse intermedie. I camosci ebbero nell’epoca quaternaria in Europa una diffusione, come risulta dai loro resti fossili, maggiore che non oggi. In Italia ne hanno fornito le caverne di Pasignana (Monti Pisani) e di Cucigliana (Id.) (1) e recentemente la caverna di Equi fra Aulla e Man- zone. Nei tempi nostri si hanno notizie del camoscio sul Gran Sasso d’Italia, scomparso da non molti anni. Esistono ancora camosci in una piccola regione dei monti dell'Abruzzo. Il camoscio dei. Pirenei nel periodo freddo della fine del quaternario abitava la quasi totalità della Francia e secondo le ricerche dell’Harlè (confr. 1 parte, pag. 8) intorno ai suoi resti fossili, i camosci potevano errare dalle Alpi ai Pirenei. Anche nell'Europa centrale, setten- trionale e orientale si sono trovati resti fossili che dimostrano l'estensione dell’antica sua area di diffusione. I resti dei camosci fossili della caverna di Equi sono i più importanti e, secondo l'esame da me fatto (confrontare parte 1, pag. 5), sono da riferirsi alla È. rupicapra delle Alpi, e così pure, secondo varî Autori, si deve fare per i resti fossili pleistocenici della Sviz- zera, di Odessa e di altre regioni dell'Europa centrale ed orientale. I resti fossili delle caverne francesi, secondo l’Harlè, sono da assegnarsi alla È. pyre- naica. Pare che da queste ricerche si possa ritenere che nel periodo freddo alla fine del quaternario due delle forme attuali di camoscio (o ad esse simili), la R. rupicapra del mas- siccio Alpino e la R. pyrenaica dei Pirenei fossero già ben delineate. La paleontologia nulla ci dice circa la terza forma, la R. ornata dell'Abruzzo. Lo studio dei suoi caratteri dimostra una notevole affinità colla R. pyrenaica anzichè colla R. rupicapra delle Alpi. Si può sup- porre che essa sia molto antica e che abbia avuto una diffusione molto più estesa che non oggi e forse qualche punto di contatto colla R. pyrenaica, sì che non sarebbe fuor di luogo l'ipotesi che tanto la R. pyrenaica quanto la PR. ornata siano gli ultimi residui di schiere (1) Resti di camosci sono indicati anche per altre caverne, ma non sempre sono di identificazione ben sicura e tutto al più servono a segnalare l’esistenza della forma senza dare mezzo a istituire confronti più precisi. 19% 76 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI di camosci, un tempo molto più numerose ed estese, e che forse hanno dovuto cedere il posto alla forma o alle forme venute dalle regioni orientali e settentrionali, durante qual- cuno dei ripetuti periodi glaciali. Si può domandare se una sola fu la forma di camoscio che dalle sopradette regioni venne nel massiccio alpino europeo o se furono parecchie. È una questione che allo stato attuale delle ricerche è difficile da chiarire. La forma speciale e spiccata dei nuclei ossei di alcuni cranii che si trovano saltuariamente qua e là in diverse località (confr. 1% parte, tav. I, figg. 25-43; tav. II, figg. 21-22, ecc.) potrebbe lasciar supporre la presenza di una forma speciale di camoscio, oltre la predominante ora, che è la È. rupicapra; ma il carat- tere sopradetto non mi è risultato in correlazione con altri. Ad ogni modo nei camosci attuali questo carattere è di gran lunga il meno frequente. La specie, o le specie invaditrici, rimasero certamente in contatto per lungo tempo colle altre due; poi le vicende geologiche e anche l’opera distruggitrice dell'uomo (che pur- troppo prosegue tutt’ora) hanno finito per isolare i camosci in tre grandi gruppi, come è stato detto. Il contatto delle varie forme, indubbiamente affini fra loro, come lo sono molte delle così dette specie sistematiche, diede luogo ad incroci, che dovettero essere più numerosi nelle zone di confine delle regioni allora occupate dalle forme, analogamente a quanto si osserva ora in altri gruppi di animali (Confr. le considerazioni di A. GRIGI intorno al- l’Ibridismo nella genesi delle specie sistematiche animali, a ‘proposito dei Fagiani asiatici e delle Galline di Faraone africane, “ Atti Soc. Ital. per il progresso delle Scienze ,, VI Riu- nione, Genova, 1912). Le forme provenienti dagli incroci andavano facendosi meno frequenti al di là delle zone di confine e cessavano agli estremi limiti delle rispettive aree di diffu- sione delle forme, che possiamo ritenere appunto fossero i Pirenei, gli Abruzzi, il Caucaso e regioni vicine. In queste ultime regioni le forme potevano mantenersi pure per tempo lunghissimo. La È. rupicapra proveniente dal settentrione, o dall’oriente d’Europa, incontrò le altre nel grande massiccio Alpino. Nella sua fronte occidentale trovò più o meno estesa la R. py- renaica, e nella sua fronte meridionale probabilmente la R. ornata. Le varie vicende geolo- giche e climatiche determinarono come un fluttuare dei camosci, ad esempio, ora risalendo verso il nord, ora discendendo verso il sud, ecc. È probabile che in queste vicende colonie più o meno numerose di individui dell’una o dell’altra forma, siano rimaste isolate in qualche regione; colonie che, colle vicende climatiche successive dei luoghi, hanno potuto fondersi di nuovo colla massa (1). In tal modo è forse possibile spiegare il fatto dell’apparire di alcuni caratteri in certi gruppi di camosci delle varie regioni alpine, che fanno pensare ad una qualche loro affinità colla forma È. pyrenaica e meno spiccatamente anche colla È. ornata (2). Così, ad esempio, nel (1) A complicare la valutazione dei caratteri morfologici dei camosci delle Alpi delle varie località interviene il fatto, non infrequente, del trasporto di individui da una riserva di caccia all'altra, anche fra località lontane. (2) Nel numero 12 (27° anno), dicembre 1909, del periodico “ Diana ,, di Ginevra, a pag. 187 vi è la fotografia di una testa di 9 di camoscio di Val Monastero (bac. dell'Adige, Grigioni), interessante per il fatto di avere la macchia golare prolungata a striscia sul collo e le corna di 31 cent. di lunghezza (misurate sulla curvatura), dimensione del tutto eccezionale per le 9 dei camosci delle Alpi. Lo sviluppo delle corna e la loro disposizione, regolarmente divergente dalla base, fa pensare alla R. ornata, della quale avrebbe anche un residuo del carattere della macchia chiara sul collo. — Devo alla cortesia del sig. Ghidini di Ginevra la fotografia di una testa di camoscio è adulto, di Piz del Fuorn (Bassa Engadina, bacino dell’Inn), in cui il prolungamento a striscia sul collo per un certo tratto della macchia golare chiara è pure ben spiccato: ma nel quale le corna sono di lunghezza normale per la R. rupicapra e regolarmente divergenti. na Ce sa. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 77 Sàintis (Catena del Churfirsten, San Gallo), quei camosci, non rari, che presentano la macchia golare e del collo foggiata come nella R. pyrenaica (Parte 1°, pag. 29), potrebbero essere i residui di una di dette colonie. Così pure con un analogo residuo si potrebbe spiegare l’esistenza di simili esemplari ad Acceglio, in Val d'Aosta e in qualche altra località. Analogamente si potrebbero spiegare alcune conformazioni delle ossa del cranio di alcuni esemplari di camosci delle Alpi che sono simili a quelle normali del camoscio dei Pirenei e via discorrendo. In altre parole, la mescolanza delle forme più antiche nelle zone di contatto della loro area di distribuzione avrebbe dato luogo, con aggruppamenti varî dei caratteri, a quella grande e speciale loro variazione, che troviamo oggi nel camoscio del massiccio Alpino. È probabile che, se i camosci non fossero scomparsi nelle regioni che ora separano il camoscio delle Alpi da quello dei Pirenei e dell’Abruzzo, noi troveremmo nei camosci di queste regioni, per zone più o meno ampie a partire dalle Alpi, lo stesso fenomeno: feno- meno che non riscontriamo negli attuali camosci dei Pirenei o dell'Abruzzo, perchè essi appartengono alle regioni estreme delle antiche aree di distribuzione, che si trovarono netta- mente isolate fra loro, prima che in esse si facesse sentire l’azione dell’incrocio. A sussidio di questa ipotesi mi pare si possa aggiungere il fatto che nei camosci del versante meridionale delle Alpi, in quelli della Bosnia e dell’Erzegovina, ecc., si osserva, sebbene in maniera non molto spiccata, una qualche maggior rassomiglianza, sopratutto per la colorazione, colla forma dell'Abruzzo. Risulta dallo studio dei caratteri dei camosci e della loro variazione e dalle considera- zioni precedenti, che, mentre è possibile dare una diagnosi morfologica abbastanza precisa per la È. pyrenaica e per la È. ornata, la cosa riesce più difficile per la X. rupicapra del massiccio alpino, del Caucaso, ecc. Possiamo tuttavia domandarci quali caratteri si possano assegnare alla probabile forma antica settentrionale od orientale. Credo si possa ritenere che essa avesse i caratteri della forma presentemente dominante nelle Alpi, che è caratterizzata dalla speciale conformazione della macchia golare, dalla conformazione del nasale ad ovale allungato, con ampie lacune fronto-naso-maxillo-lacrimali, e dalle corna regolarmente più o meno divergenti. È questa la forma che forse si trova ancora più vicina allo stato della primitiva purezza nel Caucaso e in altre regioni orientali ed anche, qua e là, in certe regioni del massiccio alpino. Le tre forme più antiche dei camosci viventi si possono diagnosticare e raggruppare nel modo seguente: A. Macchia chiara golare bianca o prevalentemente bianca, che si estende per bre- vissimo tratto sul collo dove è limitata inferiormente da una linea spiccatamente circolare — nasale di forma semiovale allungata o di forma triangolare secondaria, proveniente cioè dalla saldatura di un wormiano — presenza di fontanella fronto-naso-maxillo-lacrimale, o libera od occupata da un wormiano — lacrimali non a contatto coi nasali — corna regolar- mente divergenti in vario grado fin dalla loro base. Rupicapra rupicapra (Linn.). B. Macchia chiara golare biancastra o giallastra, prolungata fino alla metà del collo od oltre — nasale di forma triangolare allungata primitiva — mancanza di fontanella fronto- naso-maxillo-lacrimale — lacrimali a contatto coi nasali. a) Macchia chiara golare prevalentemente bianca 0 biancastra, prolungata fino alla metà circa del collo — corna parallele fra loro fino ad !/, od anche fino alla !/, della loro lunghezza dalla base, poi rapidamente divergenti. Rupicapra pyrenaica (Bonapt.). 78 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI 8) Macchia chiara golare isabellina o giallastra, molto estesa, prolungata, vale a dire, fino oltre la metà del collo — lacrimali in ampio contatto coi nasali, più che nella forma precedente — corna e loro nuclei ossei relativamente molto lunghi e regolarmente divergenti fin dalla base. Rupicapra ornata (Neum.). Nell'area attualmente occupata dalla È. rupicapra, vale a dire il grande massiccio Alpino, il Caucaso, ecc., oltre agli esemplari che si possono riferire alla forma tipica sopradetta, se ne trovano, si può dire, in tutte le regioni, molti altri, che per un carattere o per l’altro si avvicinano, in misura più o meno spiccata, o alla È. pyrenaica o alla È. ornata, ma nei quali tuttavia non si incontra la stessa costante correlazione fra alcuni caratteri che si osserva negli esemplari di queste ultime due forme e che perciò non potrebbero essere ad esse tassonomicamente riferiti. D'altra parte gli individui in questione non possono neppure essere raggruppati in sottospecie o varietà locali, poichè manca ad essi appunto il carattere della localizzazione. . Questi individui presentano tuttavia sempre in predominanza i caratteri della È. rupi- capra e, nel loro insieme, costituiscono il campo di variazione morfologica che questa forma presenta attualmente. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 79 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE TAVOLA I. Rupicapra ornata Neum. Civitella Alfedena e località vicine (Abruzzo). Fig. 1. è adulto in livrea quasi invernale (Museo Zoologico di Torino). — 2. Testa di $ adulto (pelle preparata per tappeto del sig. Filippo Graziani). — 3. Testa di individuo giovane (del sig. Giu- seppe Tarolla). — 4. Testa di 9 vecchia (pelle preparata a tappeto del sig. Nestore Tarolla). — 5. Testa di è adulto (pelle come sopra del sig. Filippo Graziani). — 6. Testa di 2 vecchia (del sig. Nestore Tarolla, pelle come sopra). — 7. Testa di 6 giovane (del sig. Nestore Tarolla, pelle come sopra). — 8. Testa di 5 adulto (pelle come sopra del sig. Filippo Graziani). — 9. Ind. di un individuo giovanis- simo (del sig. Giuseppe Tarolla). — 10. Id. di è. — 11. Id. di ® (del sig. Giuseppe Tarolla). — 12. Testa di © adulto (del sig. Filippo Graziani). — 13. Testa di 9 adulta in abito estivo (del Museo Zoologico di Torino). — 14. Testa di 2 vecchia in abito invernale (dell’esemplare del Museo Zoologico di Firenze). — 15. Rupicapra rupicapra è, Valle del Tschache (Caucaso). — 16,17. Rupicapra asiatica Lyd. (tipi del Museo Britannico). TAVOLA Il Rupicapra ornata Neum. Fig. 1. Cranio di È juv. (Museo Civico di St. Nat. di Genova). — 2. Cranio di 9 adulta (Museo di Zool. di Firenze). — 3. Id. di È juv. (del Mus. Civ. di S. N. di Genova). — 4. Id. dello stesso esemplare visto di profilo. — 5. Cranio di $ vecchio (Mus. Civico di S. N. di Genova, dell’esemplare tipico). — 6. Cranio di © (lo stesso esemplare che nella fig. 2). — 7. Individuo giovanissimo (Museo Zool. di Torino) nel quale è ben spiccata la macchia allungata chiara del collo e le strisce scure late- rali che la delimitano. — 8. Profilo del cranio 9 delle fig. 2 e 6. — 9. Cranio di è vecchio (lo stesso della fig. 5). — 10. Corna di 2 adulta (Mus. Zool. di Torino). — 11. Cranio di 9 di 3 o 4 anni (Museo Zool. di Torino). — 12. Cranio di individuo giovanissimo (Museo Zoologico di Torino). — 13. Cranio di è vecchio (lo stesso che nelle fig. 5 e 9). — 14. Cranio e corna di 9 adulta (Mus. Zool. di Torino). — 15. Cranio e corna di è vecchio (Mus. Zool. di Torino. Dono del Ministero di Agricol- tura, Ind. e Comm.). — 16. 9 adulta in livrea invernale del Museo Zool. di Firenze (il suo cranio è rappresentato nelle fig. 2-6-8). — 17 3 giovane, del Museo Civ. di S. N. di Genova (il suo cranio è rappresentato nelle fig. 1-3-4). — Tutti gli esemplari qui indicati provengono dall’Abruzzo, dalla re- gione di Civitella Alfedena, ecc. (confr. descrizione della specie). Eupicapra pyrenaica Bonapt. Fig. 18. Testa dell’esemplare del Museo Zoologico di Roma. — 19. Cranio di è di Gavarnie (Museo Zool. di Torino). — 20. Id. di Luz (Pirenei) (Mus. Zool. di Torino). — 21. Id. del Monte Maledetta (Pirenei) (Mus. Zool. di Torino). — 23. Corna e cranio di $ del Monte Maledetta (vedi anche fig. 21). — 24. è di Gavarnie (Mus. Zool. di Torino). — 25. Corna e cranio dell’esemplare di Monte Maledetta (fig. 21-23) (Mus. Zool. Torino). — 26. Cranio di profilo di $ di Monte Maledetta (fig. 21-23-25). — 27. Cranio di 5 di Gavarnie (e fig. 19). — 28. Cranio di $ di Luz (e fig. 20). — 32. Id. di faccia. — 33. Cranio di è di Monte Maledetta (di faccia). — 36. Corna e cranio di $ dei Pirenei (Museo Zool. di Torino). ; Rupicapra rupicapra Linn. Fig. 29. Cranio di è adulto di Nenzig (Vorarlberg), che presenta assai spiccato il restringimento preorbitario. — 84 e 35. Cranio è di Nenzig. — 22 e 37. Corna e cranio di 2 di Batal Paschinski (Caucaso). — 30 e 31. Corna e cranio di è di Batal, ecc. (Caucaso). 80 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI TAVOLA III Rupicapra rupicapra Linn. (In questa tavola e nelle seguenti le figure sono in grandezza naturale, salvo osservazioni in contrario). Nasali, ossa vicine e fontanella fronto, naso, maxillo, lacrimale. — Fig. 1. Toggenburg (Canton S. Gallo), è adulto (notevole la forma della parte dei nasali compresa fra i frontali). — 2. è adulto, Graue Horner (Cant. S. Gallo). — 3. £ adulta, Nenzig (Vorarlberg). — 4. è adulto, Graue Horner. — 5. 5 adulto, Valsolda. — 6. è vecchio, Nenzig. — 7. è adulto, Rumenia. — 8. 3 di 3 anni, Tog- genburg. — 9. è adulto, Graubunden (Cant. Grigioni). — 10. £ adulta, Valle di Rakipnica (Erzego- vina). — 11. 2 di 2 anni, Rumenia. — 12. £ di 2 anni, Poschiavo. — 13. 9 di 3 anni, Rumenia. — 14. è di 6 anni, Val di Medels (Cant. Grigioni). — 15. Passiria (Bac. dell'Adige). — 16.3 di 2 anni, Erzegovina. — 17. è vecchio, Rev. Praz (Vorarlberg). — 18. £ di 3 anni, Val d’Aosta (notevole per il prolungarsi dei frontali fino a contatto coi mascellari). Profilo della mandibola. — Fig. 19. è adulto, Churfirsten (Canton S. Gallo). — 20. è adulto, Nenzig. — 21. è id., id. — 22. è id., id. Profilo dei margini inferiore e posteriore del mascellare inferiore. — Fig. 23. è adulto, Nenzig. — 24. è di 7 anni, id. — 25. è vecchio, id. TAVOLA IV. Profili delle corna in grandezza naturale. — Fig. 1. $ adulto, Stussavia. — 2. $ adulto, id. — 3. © adulto, id. — 4. 9 vecchia, estremità del corno. — 5. è, Passiria (Bac. dell'Adige). — 6. è juv., Poschiavo. — 7. è, Ghiacciaio Palù (Val di Poschiavo). — 8. £, Corno Campascio (Poschiavo). — 9. 3 adulto, Casti (id.). — 10. 3 id., id. —— 11. 9, Ampezzo. — 12. è, Isère (Bac. del Rodano) (di 2 anni circa). — 13. è, Val di Medels (Cant. Grigioni). — 14. è, Val Sarentina (Bac. dell'Adige). — 15. è, Plezzo (Bac. dell’Isonzo). — 16. Giovanissimo (id.). — 17. 9, Val d’Aosta, di 15 anni circa. — 18. 9, Ampezzo. TAVOLA V. Profili delle corna in grandezza naturale. — Fig. 1. è di 2 anni, Toggenburg (Cant. S. Gallo). — 2. $ di 4 anni circa, id. — 3. è di 3 anni, id. — 4. 9, Churfirsten (Cant. S. Gallo) da 6 a 7 anni (individuo colla macchia chiara golare prolungata a striscia mediana sul collo). — 5. è, Val Zerser (Val Venosta). — 6. è, id. — 7. è, Palù (Poschiavo). — 8. 9, id. — 9. ® di 9 anni, Fogaras (Bac. del- l’Oetu Ungherese). — 10. 9, Engadina. — 11. 9 di 3 anni, Rumenia. — 12. Q di 5 anni, Fogaras. — 13. è adulto, Rumenia. — 14. è, Val Monastero (Cant. Grigioni). — 15. 9, id. — 16. è, Confi- nale (Poschiavo). TAVOLA VI. Profili dei margini inferiore e posteriore del mascellare inferiore. —- Fig. 1. 9 di 4 anni, Enga- dina. — 2. è di 2 anni, Toggenburg. — 3. è di 3 anni, id. — 4. è di 2 anni, Rakipnica (Erzego- vina). — 5. $ adulto, Rumenia. — 6. Churfirsten, 2 di 8 anni (con macchia golare prolungata a striscia sul collo). — 7. 3 adulto, Graue Hvrner (Cant. S. Gallo). — 8. è adulto, id. — 9. $ adulto, Grau- birnden (Cant. Grigioni). — 10. 9 di 3 anni, Rumenia. — 11. 9 di 5 anni, Fogaras (Boc. dell’Oetu Ungherese). — 12. 9 di 9 anni, Fogaras. — 13. è vecchio, Rev. Praz (Vorarlberg). — 14. è di 2 anni, Rev. Koblach (Vorarlberg). — 15. è di 4 anni, Nenzing. — 16. è adulto, id. — 17. è adulto, id. — 18. © vecchia, Griesthal. — 19. $ vecchio, Nenzing. — 20. $ vecchio, id. — 21. è adulto, Rev. Praz (Vorarlberg). — 22. è di 6 anni, Plezzo (Bac. dell’Isonzo). — 23. juv. di 1 anno, id. — 24. è di 7 anni, Val di Medels (Cant. Grigioni). — 25. è di 8 anni, Isère (Bac. del Rodano). Nasali e ossa vicine. — Fig. 26. 9 di 15 anni di Val d’Aosta (notevole per l’età e il grande svi- luppo delle fontanelle fronto, naso, maxillo, lacrimali e per la presenza di piccoli wormiani). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 12. 81 TAVOLA VII. Nasali e ossa vicine. — Fig. 1. è adulto, Batal Paschinski (Caucaso) (notevole per i wormiani che chiudono completamente le fontanelle fronto, naso, maxillo, lacrimali). — 2. è di 4 anni (id.). — 3. è adulto (id.). — 4. 9 adulta (id.), — 5. 9 adulta (id... — 6. è di 2 anni (id.) (notevole per il piccolo segmento inferiore del lacrimale sinistro). — 7. è di 9 anni (id.) (notevole per lo sviluppo dei wormiani che chiudono la fontanella, ece.). — 8. è adulto, Tschache (Caucaso). — 9. 9 di 4 anni (id.) (notevole per lo sviluppo e forma delle fontanelle ecc., per la ristrettezza dei nasali e per il prolun- garsi del frontale fra i nasali). — 10. $ meno di 2 anni (id.). — 11. è di poco più di 1 anno (id.) (notevole per il piccolo sviluppo delle fontanelle ecc.). Palatini. — Fig. 12. è adulto, Batal Paschinski (Caucaso). — 13. 9 adulta (id.). — 14. £ adulta (idem). Lacrimali. — Fig. 15. 2 adulta, Batal Paschinski. — 16. 9 adulta, id. — 17. è adulto, id. — 18. è di 2 anni, id. Profili di corna in grandezza naturale. — Fig. 19. $ vecchio, Batal, ecc. — 20. $ adulto, id. — 21. © di 1 anno e mezzo circa, Tschache (Caucaso). — 22. © (id.). — 23. è di 4 anni, Batal, ecc. — 24. è adulto, Batal, ecc. TAVOLA VIII. © Profili di corna in grandezza naturale. — Fig. 1. è, Tschache (Caucaso). — 2. è di 2 anni, Batal, ece. (Caucaso). — 8. 9 adulta (id.). — 4. $ di 4 anni circa, Tschache (Caucaso). — 5. 2 adulta (id... — 6. è adulto (id.). — 7. 2 adulta (ia.). — 8. è adulto (id.). — 9. è di quasi 3 anni (id.). — 10. è giovane (id.). — 11. è di 5 anni (id.). Profili dei margini inferiore e posteriore del mascellare inferiore. — Fig. 12. è di 1 anno e mezzo, Tschache (Caucaso). — 13. è meno di 2 anni (id.). — 14. $ di 5 anni (id.), — 15. è di 2 anni o poco più (id.). Nasali e ossa vicine. — Fig. 16. 2 di 9 anni, Fogaras (Bacino dell’Oetu Ungherese). — 17. 2 di 5 anni (idem). TAVOLA IX. Rupicapra pyrenaica Bonapt. Nasali e ossa vicine. — Fig. 1. è adulto, Pirenei, — 2. è giovane, Luz (Pirenei). — 3. $ adulto, Monte Maledetta (Pirenei). — 4. è, Gavarnie (Pirenei). Lacrimali. — Fig. 5. ©, Monte Maledetta. — 6. $ juv., Luz. — 7. è adulto, Pirenei. Palatini. — Fig. 8. è, Gavarnie. — 9. è, Luz. Margine posteriore superiore 0 temporale del zigomatico (a frontale, d zigomatico, e apofisi zigo- matica del temporale). — Fig. 10. è adulto, Pirenei. — 11. è juv., Luz. — 12. è adulto, Monte Ma- ledetta. Profili del cranio disegnati colla camera chiara e ad eguale riduzione di quelli della È. rupicapra (I parte, tav. II) e di quelli della R. ornata (III parte, tav. IX), affinchè siano comparabili fra loro. — Fig. 13. 3 juv., Luz. — 14. è adulto, Pirenei. — 15. 3, Gavarnie. — 16. è, Monte Maledetta. Perimetro delle sezioni dell'asse osseo delle corna alla base, a '/, e a #/, della lunghezza a comin- ciare dalla base. La linea più esterna corrisponde alla base, la seguente alla ‘/, e l’interna ai */,. — Fig. 17. è, Monte Maledetta. — 18. è, Gavarnie. — 19. è juv., Luz. Perimetro delle sezioni delle corna alla base, ad ‘/,, a ‘/, e a */, della loro lunghezza a cominciare dalla base. La linea esterna corrisponde alla base, la seguente a ‘/,, poi a ‘/,, l’interna ai ?/,. — Fig. 20. ò, Monte Maledetta. Profili della mandibola. — Fig. 21. è, Gavarnie. — 22. è, Pirenei. — 23. è, Monte Maledetta. — 24. è juv., Luz. Profili delle corna in grandezza naturale. — Fig. 25. è, Monte Maledetta. —- 26. è juv., Luz. — 27. 6, Gavarnie. — 28. è, Pirenei. 82 LORENZO CAMERANO — RICERCHE INTORNO AI CAMOSCI TAVOLA X. Rupicapra ornata Neum. Di Civitella Alfedena, Villetta Barrea e regioni vicine (Abruzzo). Profili dei cranì (vedi osserv. precedenti a proposito della È. pirenaica). — Fig. 1. è juv. — 2. è adulto. — 3. 9 adulta. — 4. è adulto. — 5. 9 adulta. — 6. è juv. — 7. Rapporto fra il nueleo osseo del corno (porzione grigia) e l’astuccio corneo, è adulto (fig. molto rimpicciolita). Perimetro delle sezioni dell'asse osseo delle corna alla base, a ‘/, e a '/, a cominciare dalla base. La linea esterna corrisponde alla base, la seguente a ‘/,, l’interna a ‘/,. — Fig. 8. è adulto. - 9. 9 adulta. — 10. $ juv. (la linea interna corrisponde alla ‘/, della lunghezza). Perimetro delle sezioni dell’astuccio corneo delle corna. La linea esterna corrisponde alla base, la seguente ad ‘/,, poi a ‘/, e l’interna a */, della lunghezza a cominciare dalla base. — Fig. 11. è vecchio. Profili delle corna in grandezza naturale. — Fig. 12. 2 di 3 o 4 anni. — 13. 2 adulta. — 14. 3 vecchio. — 15. 9 di 2 anni. — 16. è di 11 anni. — 17. 9 adulta. — 18. 2 estremità di un corno. — 19. è adulto. — 20. © di circa 6 anni. — 21. 9 juv. TAVOLA XI. KRupicapra ornata Neum. Nasali e ossa vicine. — Fig. 1. $ adulto. — 2. è Juv. — 3. 9 adulta. — 4. 2 di 3 o 4 anni. — 5. 2 adulta. — 6. è di 11 anni. — 7. 9 di 11 o 12 anni. — 8. 9 di 8 o 4 anni. — 9. 2 di circa 3 anni. — 10. juv. di 2 anni. — 11. è molto vecchio. — 12.juv. di meno di 1 anno. — 13. juv. di meno di 1 anno. Palatini. — Fig. 14. è adulto. — 15. © vecchia. — 16. è juv. — 17. 9 adulta. — 18. juv. di meno di 1 anno. Margine posteriore superiore o temporale del zigomatico (a frontale, bd zigomatico, c apofisi zigo- matica del temporale). — Fig. 19. è adulto. — 20. 2 adulta. — 21. è juv. Lacrimali. — Fig. 22. è adulto. — 23. juv. di meno di 1 anno, — 24. 9 adulta. — 25. 3 juv. — 26. 2 adulta. — 27. 9 di 11 anni. — 28. è molto vecchio. — 29. 2 adulta. ; Profili della mandibola. — Fig. 30. è adulto. — 81. juv. meno di 1 anno. — 82. juv. di 1 anno circa. — 83. 2 di 3 o 4 anni. — 34. 2 adulta. — 35. 2 adulta. — 36. è juv. —_.—._——_—_ teseeia—— Memerie A. Aecad. Scionze di Torino (Classe Scienze Fio. Mat. e Nat.) Ser. Il - Vol, LXV. L. CAMERANO - Ricerche intorno ai Gamosci. Parte IZ/ - Tav. I. Fio, 10, L. CAMERANO - Ricerche intorno al camoscio delle alpi - Parte Ill Tav. Il Accad, R. d, Scienze Cf. sc, fio, mat, e mat, Serie 22 Vol. LXV Officina Fototeonicea Ing. Molfese . Torino. l'esti LI IN DIE: x to. urati erat. — Serie 2° Gomo IXV L. CAMERANO - Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte II. - Taw.II Accad. A. d. Scienze di Torino, CL sc. fi Fig. 3 Lig. % ‘Ur Pig. 8 t lip 13 L'ugp.10 Vip. 11 Fig 14: Lig 19 Ly. 15 di, e Fig: % Lig: 91 \ Fig. 33 \ Fig: 22 Lig. 74% i Lit.Solussolia Torino Llameano dis. dl en a sie CARAT on TIUICN È IT ni TRES) il po li Necadi Rd Scienze di ©. Moana Serie 2°Como LXV e ; - Tav. IV Aecad.£ e AZ OTiMo, 96. fi ua Li 6 1 L CAMERANO Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte II.- Tav. | cIag or Fig. 12 Fig. 1 Fig. Fig. 3 A Fig.4 Fig: 1} Fig 16 MLA Lit-Salussola,Tumno L.lamerano dis. E eri . È) A L. CAMERANO - Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte II - Tav. V Fip 9 Fig: 10 ì Pig. 11 Fig. 12 Pig 13 c i Qua NG= 300 9 A Accad. hd. Scienze di Goziuo, È loc. fio. mat euati = Serie 2 6omo XV _bit.Solussaliu Torni n » L. CAMERANO - Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte III - Tav. VI Fig:10 Fig. 12 P da Go DIRTI) So 0a 7 Accad. Rd Dcievze di Goziuwo, CL. se. fio. at. e nat — Oerie 2° 60m LXV Pig: 22° Lig. 43 Fig 19 Fig: 20 Lir.Salussoli Zorin L. CAMERANO - Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte III - Tav. VII | lug. 3 Lig: 10 Lig: 12 Lig 13 CATA. die = d ; SL, Accad. fd Vcienze di Coriuo, (OP. de. fio. uat. e.uat — Serie Oi o AVA Hiy: 20 Pig. 18 Fig. 22 Fig. 23 Piy. % TGit.Salussolia,Torino a A JE° ì i t i; j Pri i ì È i Pa i y n < Ù U) ì È nat, Ù 1 " # n si coli SA lE fe: n Ù È + È | ki] Li - I d, si } Lu E Morea È e “ SE è ; ta “ & Li = LI . al 13 A 4 o di - i n RI È x 4 à fi % A ti . è " * n n À if at, UÙ PAT n " Di calici Di L. CAMERANO - Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte IL - Tav. V Accad. Rd. Scieuze di Torino, EL. sc. fia mat e uat - Serie 2 Gomo LXV Lig. 9 E ig. 12 Lig. 10 Llamerano dis. LCAMERANO Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte II - Tav.IX Lig. 4 Fig. 18 Pig: 17 , Fig. 21 Fig. 15 Fig. (4 > > ») A G (Ma ” Acad R d. Dcievvze di Cozimo, CL se. fio. mat enatt= derie 2° 0om0 IXV 7 Fig. 16 Fig. ?8 Fig. Fig. 6 tg. 0 DI Fig. 12 Tit.Sulussotin,Torino = ES - p % a n ‘ e Ù È: & ì Mi 3 a + ci È c A î È ata î / ci &; » TR x LI 3 5 ; I v -d - i = - x di - Da CADA : ; v S n ì Ù i ì L. CAMERANO Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi- Parte II - Tav. X Lig. 9 Fig. 17 Lig lo ig. Is Fig. 16 Fig 13 Lig. 11 Llamerano dis. c fi DET Fre Aeccad.R. d. Ocienze di Corvo, CL. se. Î Fig. 18 VI AZAA D. SEE, age È io. nat. e at. — Serie 2 oomo IXV Fig. 19 O) Lit.Salussolia Torino a Jet A i e. * * ù Dini ai } È = è ; 7 i ; ù 5 i È l , i - È 3. Dì À . ni ; ; ; n pP 5 É v Pi A ? . | — pegno se: LC) «sa F e DI Li “n: » 2 » s ° O a z D È ù Sa Ì 4 si, x bi . " N Ùi st t :, 598 i h SA Pa ù . x, d tI iI A A % ARI ue - ci mas faz . o] à ia x * FI 4 E, dix i ci 4 n o to 3 È x ° C: ” > n \ r° Pre $ o ti DI NGI i - CAS a OSO SY ANSA i 00: - x 53 - } 5 * id i 5 È da: È A Ta C: ì " 1; : v i i hi ù = a) pe ù f > è + è e. n È d DESTCA Di 1 tI "i di o SÒ 5 : n È 7 d 2) È è » 5a uy > ù È DI Er le = $ Ù = È Ali È P; vi Se a i = Di 2 ” x SECCA Si î x ca ‘ari HE DI , i o) È ‘ È + a E; STRLI # f d z a AIA 1 i i v x PI Fo dI E È È A Pa Sr & Ù L. CAMERANO - Ricerche intorno al Camoscio delle Alpi Parte III. - Tav. XI v Fig. x Fig.9 Fig {4 Lig: 50 Fig: 10 ul Fig 15 00 Fig. 22 c ;p QU NICO o, È i VITO CUI 7 Accad. Sk. d. Ocienze di Coziuo ’ (Chi dC. fio. uat. e at. — derie 2° 0omo IXV Fig. 27 Dit.Salussolia Torino Fs Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 13. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturati. LA “FLORA SARDOA, DI MICHELE ANTONIO PLAZZA DA VILLAFRANCA REDATTA CON I SUOI MANOSCRITTI MEMORIA DEL DOTTORE ACHILLE TERRACCIANO Proressore DI BorAnicA nELLA Regia Università DI SASSARI Approvata nellAdunanza del 27 Dicembre 1914. PARTE SECONDA (Continuazione (1)). Florae Sardoae tentamen ex manuscriptis a M. A. Plazza exaratis depromptum. B. Dicotyledoneae (2). 1. Archichlamydeae. Salicaceae. 100. Populus Linn. 141. P. alba L., sp. pl. 1463. -- Plazza, mss. 259. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 530. — Parl., fl. ital. IV, 280. — Barb., comp. n. 1261, p. 54. — Fiori, fl. anal. I, 262 et esc. primav. sard. 148. — Cav., veg. sard. 33. 54 et esc. sard. 17. — Falq., esc. gennarg. 26. Hab.: senza località. — Comune nei luoghi umidi e lungo i fiumi ed i torrenti. 142. P. tremula L., sp. pl. 1464. — Plazza, mss. 260. — Moris, stirp. sard. I, 42 et fl. II, 531. — Parl., fi. ital. IV, 285. — Barb., comp. n. 1262, p. 54. — Fiori, fl. anal. I, 262. Cav., veg. sard. 46. Falq., esc. gennarg. 26. Hab.: senza località. — Non raro nei boschi dei monti. (1) Vedasi: Memorie di questa R. Accademia, vol. LXIV, n° 15. - (2) Sono stampate con caratteri più piccoli le specie enumerate da Plazza e sinora non rinvenute in Sardegna. è Mo ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. DO Juglandaceae. 101. Juglans Linn. 143. J. regia L., sp. pl. 1415. — Plazza, mss. 249. — Moris, fl. sard. I, 391. — Parl., fl. ital. IV, 206. — Fiori, fl. anal. I, 254. — Nicotra, calend. fl. 8. — (Cav., veg. sard. 46 et esc. bot. 17. — Falq., esc. gennarg. 26. Hab.: senza località. — Coltivata. — “ Vulgo sa nuxi dicta , (Plazza). Betulaceae. 102. Ostrya (Mich.) Scop. 144. Ostr. italica Scop., fl. carn. 414 (emend. Winkler). subsp. carpinifolia Winkler, mon. betul. n. 61, p. 22. Carpinus Ostrya L., sp. pl. 1417. — Plazza, mss. 249. Ostrya carpinifolia Scop., fl. carn. ed. II, vol. II, 244. — Moris, fl. sard. III, 523. — Parl., fl. ital. IV, 152. — Barb., comp. n. 1255, p. 54. — Fiori, fl. anal. I, 267 a. Carpinus Betulus Moris, stirp. sard. I, 41. Hab.: senza località. — Comune nelle selve. 103. Corylus (Tourn.) Linn. 145. C. Avellana L., sp. pl. 1417. — Plazza, mss. 251. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 521. — Parl., fl. ital. IV, 157. — Barb., comp. n. 1524, p. 54. — Fiori, fl. anal. I, 267 a. — Falq., esc. gennarg. 25. Hab.: senza località. — Comune nelle selve e coltivata. — “ Vulgo sa nuredda dicta , (Plazza). 104. AZnus (Tourn.) Gaertn. 146. A. glutinosa Gaertn., fruct. et sem. II, 54. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. II, 535. — Parl., fl. ital. IV, 124. — Barb., comp. n. 1264, p. 54. — Fiori, fl. anal. I, 264. — Vacc., arcip. madd. suppl. II, n. 472%. — Cat., veg. sard. 33. 41 et 47. — Falq., contr. sard. 17 et esc. gennarg. 25. Betula Alnus a L., sp. pl. 1394. — Plazza, mss. 244. Hab.: senza località. — Lungo i ruscelli dei monti nel centro ed al nord dell’isola x insieme con la var. Morisiana (Bertol.), che è più comune nelle parti alte dei monti e nella Sardegna sett. Fagaceae. 105. Castanea (Tourn.) Mill. 147. C. sativa Mill., gard. dict. ed. VII, n. 1. — Parl., fl. ital. IV, 170. — Fiori, ana I /018 C. vulgaris Lamek., enc. méth. I, 708. — Moris, fl. sard. III, 519. — Barb., comp. n. 1259, p. 54. C. vesca Gaertn., fruct. et sem. I, 181. — Moris, stirp. sard. I, 41. — Bertol., fl. ital. X, 225. — Nicotra, calend. fl. 8. — Cav., veg. sard. 17 et 47. — Falq., ese. gennarg. 25. Fagus Castanea L., sp. pl. 1416. — Plazza, mss. 249. Hab.: senza località. — Coltivata qua e là, ma forma boschi naturali nel gruppo del monte Gennargentu ed altrove. dA Lain (Fd SIA Ra NI MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 8) 106. Quercus (Tourn.) Linn. 148. Q. Coccifera L., sp. pl. 1413. var. pseudo-Coccifera DC., prodr. syst. nat. XVI, 2, p. 52. — Arc., comp. fl. ital. ed. I, 654. — Borzi, querci ital. n. 17, p. 24. Q. Coccifera All., fasc. stirp. sard. 99. — Plazza, mss. 249. — Moris, fl. sard. III, 517. — Bertol., fl. ital. X, 211 (quoad loca sardoa). -- Parl., fl. ital. IV, 200 (ex parte et escl. syn. Desf.). — Fiori, fl. anal. I, 270 8. Q. pseudo-Coccifera Desf., fl. atlant. II, 349. — Moris, stirp. sard. I, 42 et fl. III, 517. — Bertol., fl. ital. X, 212. — Barb., comp. n. 1252, p. 54, 182. Hab.: “ abunde loco dicto Pedda de Fogu , (Plazza, Allioni). — È una località presso Flumini Maggiore, dove fu poi ritrovata da Moris. 149. Q. Suber L., sp. pl. 1413. — All., fase. stirp. sard. 99. — Plazza, mss. 248. — Moris, stirp. sard. I, 42 et fl. II, 515. — Parl fl. ital. IV, 192. — Barb, comp. n. 1251, p. 54. — Fiori, fl. anal. I; 270. — Vacc., arcip. madd. suppl. II, n. 4732. — Cav., veg. sard. 33. 41. 56 et esc. bot. sard. 7. 17. 18. — Falq., esc. gennarg. 25. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Plazza, Allioni). 150. Q. Ilex L., sp. pl. 1412 a. — All., fasc. stirp. sard. 99. — Plazza, mss. 248. — Moris, stirp. sard. I, 42 et fl. III, 514. — Parl., fi. ital. IX, 196. — Genn,, fl. capr. n. 105. — Barb., comp. n. 1250, p. 54. — Vacc., arcip. madd. n. 473. — Fiori, fl. anal. I, 271. — Nicotra; calend. fl. 7 et fl. asin. 4. — Cav., veg. sard. 33. 41 et ese. sard. 5. 7. 10. 17. — Falg., esc. gennarg. 25. var. latifolia Lodd., cat. ex Borzi, querci ital. n. 13, p. 22. — Moris, fl. sard. III, 515. — Barb., comp. n. 1250, p. 182. Quercus... Plazza, mss. 250. Hab.: la specie “ ubique frequens, vulgo lix? dicta , (Plazza, Allioni), — la va- rietà “ in dioecesi Calaris , (Plazza). y Osserv.: riferisco alla varietà latifolia la forma, di cui Plazza scrive “ Ilex folio rotundiore, molli modiceque sinuato, sive Smilax Theophrasti, ©. Bahuin., pin. 425. — Ilex major glandulifera Dod., pempt. 829 ,, che non si trova in Linneo. — Plazza, per Q. Nex aggiunge: “ Ex Ilicis glandibus panis conficitur coloris nigerrimi, saporis subdulcis, quo quibusdam Sardiniae provinciis vescuntur incolae ,. Q. Robur L., sp. pl. 1414. — Plazza, mss. 249. Hab.: senza località. Osserv.: la specie in Sardegna manca, ma vi è rappresentata da: 151. Q. sessilis Ehrh., ind. arb. et frut. n. XX, 87 et beitr. V, 142, 161. Q. Robur Mill., gard. dict. ed. VIII, n. 1. — Moris, stirp. sard. II, 9. — Bertol., fl. ital. X, 219 (quoad syn. Moris). — Nicotra, ultime note 22. Q. sessiliflora Salisb., prodr. stirp. h. chap. 392. — Bertol,, fl. ital. X, 217. — Cav., veg. sard. 46, 54. Q. pedunculata Moris, stirp. sard. II, 11. Q. Robur sessiliflora Moris, fl. sard. III, 513. — Barb., comp. n. 1249, p. 54. Q. Robur 8 sessiliflora Wahlbg., fl. suec. ed. II, 626. — Parl., fl. ital. IV, 178 (ex parte, et excel. syn. a Q. pudescente ad finem). — Fiori, fl. anal. I, 269. — Falq., esc. gennarg. 25. 152. Q. lanuginosa Lamk., fl. p. II, 209. — Borzi, querci ital. n. 4, p. 14. Q. pubescens Willd., sp. pl. IV, 450. — Bertol., fl. ital. X, 219. Q. faginea Moris, stirp. sard. I, 42. Q. Esculus Bertol., fl. ital. X, 215 (quoad plantam sardoam). Q. Robur 8 sessiliflora Parl., fl. ital. IV, 178 (quoad syn. a Q. pubescente ad finem). 4 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECO. Q. Robur var. lanuginosa Lamek. — Fiori, fl. anal. I, 269. Q. Robur sessiliflora ** pubescens Moris, fl. sard. II, 513. Q. Robur var. pubescens Cav., esc. sard. 17. Habh.: ambedue diffusissime e formanti boschi. Ulmaceae. 107. Ulmus (Tourn.) Linn. 153. Ulm. campestris L., sp. pl. 327. — Plazza, mss. 54. — Moris, stirp. sard. I, 42 et fl. III, 491. — Parl,, fl. ital. IV, 347. — Barb., comp. n. 1237, p. 53. — Fiori, fl. anal. I, 274 et esc. primav. sard. 148. — Nicotra, calend. fl. 8. — Cav., ves. sard. 33. 54 et esc. sard. 17. — Falq., esc. gennarg. 26. Hab.: “ crescit in campestribus, arbor. Vulgo su Olimo dictus , (Plazza). 108. Celtis (Tourn.) Linn. 154. C. australis L., sp. pl. 1478. — All, fasc. stirp. sard. 90. — Plazza, mss. 261. — Moris, stirp. sard. I, 42 et fl. III, 492. — Parl., fl. ital. IV, 355. — Barb., comp. n. 1238, p. 53, 237. — Fiori, fl. anal. I, 275 a. — Falq., esc. gennarg. 26. — Cav., ese. sard. 17. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Plazza, Allioni). Moraceae. 109. Morus (Tourn.) Linn. 155. M. nigra L., sp. pl. 1398. — Plazza, mss. 246. — Moris, fl. sard. III, 489. — Parl., fl. ital. IV, 362. — Fiori, fl. anal. I, 276. Hab.: senza località. — Coltivata. — “ Vulgo Mura gessu dieta , (Plazza). 156. M. alba L., sp. pl. 1398. — Plazza, mss. 246. — Moris, fl. sard. III, 488. — Fiori, fl. anal. I, 276. Hab.: senza località. — Coltivata. 110. Ficus (Tourn.) Linn. 157. F. Carica L., sp. pl. 1518. — Plazza, mss. 265. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 486. — Parl., fl. ital. IV, 367. — Barb., comp. n. 1236, p. 53. — Genn., fl. palab. 33 et repert. 106. — Vacc., arcip. madd. n. 446. — Fiori, fl. anal. I, 276 @ et 8. — Nicotra, calend. fl. 7, 8. — Cav., veg. sard. 19. 24 et esc. sard. 17. — Falq., esc. gennarg. 26. Hab.: “ frequens in Sardinia planta. Vulgo Yigwu dicta , (Plazza). Osserv.: Plazza così scrive: “ Dantur et ficus spinosae indolis, uti sunt ficus dicti de Capu Pula et de Flumini. Alii innocui sunt, qui Figu a Fragari dicuntur ,. 111. Humulus Linn. 158. H. Lupulus L., sp. pl. 1457. — Plazza, mss. 257. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 507. — Parl., fl. ital. IV, 302. — Barb., comp. n. 1247, p. 54. — Fiori, fi. anal. I, 277. Hab.: senza località. — Noto sinora di Cuglieri. 112. Cannabis (Tourn.) Linn. 159. C. sativa L., sp. pl. 1457. — Plazza, mss. 257. — Moris, fl. sard. III, 506. — Parl., fl. ital. IV, 306. — Fiori, fl. anal. I, 277. Hab.: senza località. — Coltivata. — “ Vulgo Cagnu dicta , (Plazza). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 18. 5) Urticaceae. 113. Urtica (Tourn.) Linn. 160. Urt. urens L., sp. pl. 1396. — Plazza, mss. 244. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 498. — Parl., fl. ital. IV, 315. — Genn., fl. capr. n. 107, fl. palab. 33 et repert. 106. — Barb., comp. n. 1242, p. 54. — Vace., arcip. madd. n. 439. — Fiori, fl. anal. I, 278. — Bickn., sard. 201. Hab.: senza località. — Volgarissima. 161. Urt. dioica L., sp. pl. 1396 a. — Plazza, mss. 244. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 49. — Parl., fl. ital. IV;-324. — Barb., comp. n. 1239, p. 53. — Fiori, fl. anal. I, 278 a. — Falq., esc. gennarg. 26. Hab.: senza località. — Più rara al sud, comune al centro ed al nord dell’isola. 162. Urt. pilulifera L., sp. pl. 1395 (emend. Giirke in Richter, pl. europ. II, 77). var. genuina Willk. et Lange, prodr. fl. hisp. I, 252. Urt. pilulifera L., sp. pl. 1395 (sensu stricto). — Plazza, mss. 244. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 499 (excl. syn. U. balearica). — Parl., fl. ital. IV, 329 (excl. syn. U. balearica). — Genn., fl. capr. n.109, fl. palab. 33 et repert. 106. — Barb., comp. n. 1243, p. 54, 237. — Vace., arcip. madd. n. 441. — Fiori, fl. anal. I, 278 (excl. forma 3). — Cav., veg. sard. 19, 24. — Bickn., sard. 201. Hab.: “in Campidano. Vulgo su pizzicanti dicta , (Plazza). var. Dodarti Aschers., fl. prov. Brandenb. I, 608. Urt. Dodarti L., sp. pl. 1395. — Plazza, mss. 244. Hab.: senza località. — Comune con l’altra varietà. Osserv.: è merito di Plazza l'avere rilevata tale varietà per la Sardegna, che cer- tamente Moris e gli altri confusero con la var. genvina. 114. Parietaria (Tourn.) Linn. 163. P. officinalis L., sp. pl. 1492. subsp. erecta Béguinot, sched. ad fior. ital. exsicc., cent. VIII, n. 781 in N. G. B. ital. (1908), XV, 341. P. officinalis L., Plazza, mss. 263. — Moris, stirp. sard. I, 41 et fl. III, 502 (quoad syn. Linn.). — Bertol., fl. ital. II, 212 (quoad syn. Linn., Mertens et Koch). — Parl., fl. ital. IV, 334 (quoad syn. Linn., Mertens et Koch). — Genn., fl. capr. n. 110, fl. palab. 33 et repert. 106 (ex parte). — Barb., comp. n. 1244, p. 54 (ex parte). — Vacc., arcip. madd. n. 442. — Fiori, fl. anal. I, 279 @. — Cav,., veg. sard. 19 et 24. Hab.: senza località precisa. — Specie comunissima. — “ Vulgo sa erba e ventu dicta , (Plazza). subsp. judaica Béguinot, op. cit. n. 782, 782%, 782%" et p. 342-343. P. judaica L., sp. pl. 1492. — Plazza, mss. 263. P. officinalis 8 judaica Fiori, fi. anal. I, 279. var. diffusa Wedd., mon. urt. 507. — Vacec., arcip. madd. n. 442 (sub 6). P. diffusa Mert. et Koch, deutsch]. fl. I, 827. — Bickn., sard. 201. P. officinalis Moris, Bertol., Parl., et auct. sard. (ex parte). var. brevipetiolata Aschers. u. Graebn., syn. mittel. europ. fi. IV, 625. Osserv.: senza dubbio Moris ed altri compresero sotto P. officinalis la subsp. judaica con le sue varietà, è quindi merito di Plazza averla per il primo messa in chiaro. Dopo di lui Vaccari (1894) e Bicknell (1904) l’hanno separata dalla specie, e ciò ad un secolo e più di distanza. 6 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. Santalaceae. 115. Osyris Linn. 164. Os. alba L., sp. pl. 1450. — Plazza, mss. 255. — Moris, stirp. sard. III, 11 et fl. JII, 457. — Genn,, fl. capr. n. 126, fl. palab. 34 et repert. 107. — Barb., comp. n. 1196, p. 52. 182 et 236. — Vacec., arcip. madd. n. 451 et suppl. — Fiori, fl. anal. I, 285. — Nicotra, calend. fl. 9. — Cav., veg. sard. 24. 28. 41 et ese. sard. 8. — Bickn., sard. 201. — Falq., contr. sard. 34 et esc. gennarg. 36. Hab.: “ frequens in via de Bonu cammino versus Calarim, ubi vetus amphithea- trum..., fuisse perhibent incolae; item prope locum Montixeddu dictum , (Plazza). Aristolochiaceae. 116. Aristolochia (Tourn.) Linn. 165. Ar. Pistolochia L., sp. pl. 1634. — Plazza, mss. 239. — Moris, stirp. sard. I, 40 et fl. III, 441. — Barb., comp. n. 1199, p. 52. — Fiori, fl. anal. I, 290. Hab.: senza località. — Dal mare ai monti, come la seguente. 166. Ar. longa L., sp. pl. 1634. — Plazza, mss. 239. — Moris, fl. sard. III, 440. — Barb., comp. n. 1198, p. 52, 236. — Vacc., arcip. madd. n. 452 (lapsu calami sub Ar. Pistolochia) et suppl. n. 452 * (sub Ar. longa), — Fiori, fl. anal. I, 290 @ et esc. pri- mav. sard. 148. Hab.: senza località. — Meno comune della precedente. 167. Ar. rotunda L., sp. pl. 1634 «. — All. fasc. stirp. sard. 89. — Plazza, mss. 239. — Vacc., arcip. madd. suppl. n. 452*. — Fiori, fl. anal. I, 290. — Falq., contr. sard. 34. Hab.: “ provenit in agro Seurgius , (Plazza, Allioni). Osserv.: Moris pone come sinonimo di Ar. pallida VAr. rotunda di Allioni (1. c.) e quindi implicitamente quella di Plazza, ma non giustamente, giacchè e dalla flora di Allioni e dai sinonimi di Plazza appare chiaro che ambedue non intesero parlare mai di Ar. pallida. Intanto dopo circa un secolo e mezzo Vaccari (1896) e Falqui (1905) ritrovarono appunto Ar. rotunda, il primo sulla costa sarda settentrionale e l’altro nei boschi presso Arizzo. Tale specie adunque è un’altra delle piante per primo indicate da Plazza e poi per lungo tempo non più rinvenute. Rafflesiaceae. 117. Cytinus Linn. 168. C. Hypocistis L., syst. nat. ed. XII, vol. II, 602. — Moris, stirp. sard. I, 40. et fl. III, 443. — Barb., comp. n. 1200, p. 52. — Genn., repert. 106. — Vacc., arcip. madd. n. 453 et suppl. — Fiori, fl. anal. I, 288. — Bickn., sard. 196 et 201. Asarum Hypocistis L., sp. pl. 633. — Plazza, mss. 104. Hah.: “ Cisti Salviaefolii parasiticam plantam esse Hypocistidem observavi. Abunde provenit trans Scapham in illo terrae tractu, qui ad Caput Pulae ducit , (Plazza). Osserv.: in Sardegna vivono le var. luteus e kermesinus. Polygonaceae. 118. Emex Neck. 169. E. spinosus Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. III, 410. E. spinosa Campd., mon. rum. 51, t. 1, f. 1 (excl. 8). — Barb., comp. n. 1173, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 7 p. 52. — Genn,, fl. palab. 83 et repert. 108. — Fiori, fl. anal. I, 297. — Bickn., sard. 195. Rumex spinosus L., sp. pl. 481. — Plazza, mss..87. — Bertol., fl. ital. IV, 247. Hab.: senza località. — Comune nelle arene marittime. 119. Rumex Linn. 170. R. bucephalophorus L., sp. pl. 479. — All., stirp. sard. fasc..100. — Plazza, mss. 87. — Moris, stirp. sard. I, 40 et fl. III, 406. — Genn., fl. capr. n. 134, fl. palab. 33 et repert. 108. — Barb., comp. n. 1169, p. 52 — Vace., arcip. madd. n. 425. — Fiori, fl. anal. I, 300. — Bickn., sard. 201. — Falg., contr. sard. 17. Hab.: senza località. — Comunissimo. 171. R. maritimus L., sp. pl. 478. — Plazza, mss. 87. Hab.: senza località. Osserv.: sinora ne mancano indicazioni in Sardegna, nè è improbabile possa ritrovarvisi. Plazza lo catalosò col segno dubitativo. Potrebbe vedervisi il È. suffocatus Moris (pl. siccat. — Bertol., fl. ital. IV, 422) = R. pulcher var. suffocatus Moris (fl. sard. III, 405, tab. CVIII)? o meglio qualche forma dello stesso &. divaricatus L.? — Linneo descrive questo con “ foliis cordato- oblongis, obtusis, pubescentibus ,, e È. maritimus con “ foliis linearibus ,; ma in verità nei numerosi esemplari del primo da me trovati in Sardegna la pubescenza — limitata general- mente ai piccioli ed ai nervi — è spesso ridottissima o quasi nulla, e le foglie inferiori — rara- mente chitarriformi — sono per lo più oblunghe o lanceolato-oblunghe, le superiori lanceolate, anguste, quasi lineari. Esaminò forse Plazza forme presentanti tali caratteri estremi? Senza esemplari è dubbia ogni ulteriore interpretazione. 172. R. sanguineus L., sp. pl. 476. — Fiori, fl. anal. I, 299. subvar. viridis Asch. u. Graebn., syn. IV, 719. E. sanguineus Plazza, mss. 85. — Moris, fl. sard. III, 403. — Fiori, fl. anal. I, 299 (forma 3). — Falq., contr. sard. 17 et esc. gennarg. 26. E. acutus Moris, stirp. sard. I, 39. — Bertol., fl. ital. IV, 237 (quoad syn. Ab Ucria). E. sanguineus 8 viridis Koch, syn. fl. germ. et helv. ed I, 613. — Cav., veg. sard. 47. Hab.: senza località. — Piuttosto scarso in Sardegna. Osserv.: giustamente Plazza apponeva alla specie il segno dubitativo (?), giacchè da noi si trova solo nella subvar. viridis. 173. R. Hydrolapathum Huds., fl. ang]. ed. II, 154. subsp. maximus Terrace. A. E. maximus Schreb., in Schweigg. et Kéorte, fl. erl., I, 152. — Genn., append. ad ind. sem. h. calar. ann. 1887. — Pirotta, add. fl. ital. in Malpighia II, 171. E. aquaticus Plazza, mss. 87 (non L., sp. pl. 479). E. Hydrolapathum Moris, stirp. sard. I, 39. E. Hydrolapathum 8 maximus, Fiori, fl. anal. I, 298. Hab.: senza località. Osserv.: fu trovato da Gennari a Bolotona e da me stesso qui e ad Oristano, ma non è da escludersi che possa vivere altrove. Pare strano che Moris, il quale indica R. Hydrolapathum nel primo degli elenchi, non ne faccia più menzione nella flora. — Il R. aquaticus L. è specie diversamente interpretata anche da valorosi botanici (p. es., Smith, Pollich, ecc.), epperciò non arreca meraviglia l'equivoco di Plazza. — Venne indicato di Corsica, ma Briquet (prodr. fl. cors. I, 439) dice di non avervelo veduto, e quindi è “ è rechercher ,. 174. R. scutatus L., sp. pl. 480. — Plazza, mss. 87. — Moris, stirp. sard. I, 39 et fi. III, 408. — Barb., comp. n. 1170, p. 52. — Fiori, fl. anal. I, 302 @ et esc. primav. 8 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. sard. 148. — Cav., veg. sard. 28. 44 et esc. sard. 6, 17. — Bickn., sard. 196 et 201. — Falq., contr. sard. 17. Hab.: senza località. — Comune. Osserv.: in Sardegna esistono @ typicus Beck. (in Rchb., ic. fl. germ. XXIV, 57) e B glaucus Gaud. (fl. helv. II, 289), che non furono sinora distinti dai botanici sardi. 175. R. thyrsoides Desf., fl. atl. I, 321. — Moris, fl. sard. III, 409. — Barb. comp. n. 1171, p. 52. — Fiori, fl. anal. I, 301 a. — Bickn., sard. 201. — Falq., contr. sard. 17. R. Acetosa Plazza, mss. 89 (non L., sp. pl. 481). — Moris, stirp. sard. I, 39. Hab.: senza località. — Comunissimo. Osserv.: sono sicuro che R. Acetosa di Plazza sia R. thyrsoides, mancando esso del tutto in Sardegna. Anche Moris cadde dapprima nel medesimo errore, che del resto non arreca meraviglia quando lo stesso Desfontaines per la sua specie scriveva “ affinis R. Acetosae Linn. , ed esprimeva anzi il dubbio che ne fosse una varietà, differen- ziantesene fra l’altro per “ panicula erecta, densa, ramosissima, thyrsoidea, valvis caly- cinis duplo majoribus, amoene roseis ,. 176. R. Acetosella L., sp. pl. 481 a. — All, fasc. stirp. sard. 100. — Plazza, mss. 89. — Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. III, 409. — Barb., comp. n. 1172, p. 52. — Nicotra, ult. note 22. — Fiori, fl. anal. I, 300. — Falq., contr. sard. 17 et esc. gennarg. 26. — Cav., esc. sard. 10 et 17. Hab.: senza località. — Comune nei monti. 120. Polygonum (Tourn.) Linn. 177. P. Persicaria L., sp. pl. 518. — Plazza, mss. 93. — Moris, stirp. sard. I, 39. — Bertol., fl. ital. IV, 370. — Barb., comp. n. 1182, p. 52. P. nodosum Moris, fl. sard. III, 420 (ex parte, excl. exclud. et var.). P. Lapathifolium B Persicaria Fiori, fl. anal. I, 294 (@ ex parte et quoad formam d). Hab.: senza località. — Raro in Sardegna, per la quale conosco le var. incanum delle parti settentrionali ed agreste di Cagliari ad Ischios, Assemini, Decimomanno. Osserv.: Moris nella Flora fa sinonimo di P. nodosum il P. Persicaria del primo elenco, avendo in P. nodosum confuse le due distinte specie P. Persicaria L. e P. to- mentosum Schrank (Bayr. fl. I, 669). La scoperta del vero P. Persicaria tra noi spetta a Plazza; dimenticato per oltre un secolo e mezzo, si deve a Poeverlein (1908) ed a me l’averlo ritrovato. 178. P. Hydropiper L., sp. pl. 517. — Plazza, mss. 93. — Moris, stirp. sard. I, 39. — Bertol., fl. ital. IV, 373. — Fiori, fl. anal. I, 294. P. dubium Moris, fl. sard. II, 419 (ex parte). Hab.: senza località. Osserv.: dopo oltre un secolo l’ho io ritrovato (1907) al monte Oliena nella sua forma tipica, ma non fu ignoto a Moris, il quale lo include certamente nel suo P. dubium = P mite Schrank (Bayr. fl. I, 668) di Dorgali ed altrove nell’isola. 179. P. maritimum L., sp. pl. 519. — All, fasc. stirp. sard. 99. — Plazza, mss. 93 (sub P. marino). — Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. III, 414. — Genn,, fl. capr. n. 180 et repert. 107. — Barb., comp. n. 1174, p.52. — Vacc., arcip. madd. n. 423. —. Fiori, fl. anal. I, 295 a. — Cav., veg. sard. 54 et esc. sard. 5. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Plazza, Allioni). 180. P. aviculare L., sp. pl. 519. — Plazza, mss. 93. — Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. III, 415. — Genn,, fl. capr. n. 131, fl. palab. 33. et repert. 107. — Barb., comp. = e! MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 9 n. 1178, p. 52. — Vacc., arcip. madd. n. 422. — Fiori, fl. anal. I, 295 @. — Falq., contr. sard. 17. Hab.: senza località. — Comunissimo. 121. Fagopyrum Gaertn. 181. F. sagittatum Gilib., exercit. phit. II, 435. Polygonum Fagopyrum L., sp. pl. 522. — Plazza, mss. 95. — Fiori, fl. anal. I, 292. Hab.: senza località. — Specie un tempo forse coltivata. Osserv.: Moris (fl. sard. III, 421) porta solo P.. Convolvulus e dice per P. Fagopyrum “ ex- cultum in Sardinia non vidi ,. Chenopodiaceae. 122. Beta (Tourn.) Linn. 182. B. vulgaris L., sp. pl. 322. — Plazza, mss. 52. — Barb., comp. n. 1140, p. 51. Hab.: “in hortis colitur, vulgo sa heda dicta, in re culinaria haud mediocris apud incolas est , (Plazza). Osserv.: in Sardegna si coltivano le due varietà: Cicla ed esculenta, quest’ultima su più larga scala. 123. Chenopodium (Tourn.) Linn. 183. Ch. Botrys L., sp. pl. 320. — Plazza, mss. 50. — Bertol., fi. ital. III, 85. — Fiori, fl. anal. I, 312. Hab.: “in arenosis , (Plazza). Osserv.: non lo conosco di Sardegna, ma non ne escludo la presenza. È stato indicato di Corsica da Salis, ma Briquet (prodr. fl. cors. I, 457) lo pone tra le specie “ à rechercher ,. — Plazza cita Linneo (materia medica, p. 73); ed infatti la specie che “ laudatur ad phtisim, ortho- pneam, et tussim convulsivam (Bertol., l. c.),, ai suoi tempi era coltivata presso qualche con- vento di frati ed in qualche canonica, dove forse la vide accompagnando nelle visite pastorali il vescovo di Cagliari, del quale era medico. Nè credo possa avere equivocato con Ch. ambro- sioides Linn. (sp. pl. 320), diffusissimo oggi nell'isola, perchè le frasi linneane per l’uno e per l’altro non ammettono dubbii. — Faccio osservare che nel 1885, prima in “ Index seminum horti calaritani , e poi nel 1893 in “ repertorium florae calaritanae, p. 109 , il Gennari pubbli- cava un Ch. Botrys da lui raccolto “in incultis planitiei S. Bartholomei ,; ma Cavara (add. ad fl. sard., in Bull. soc. bot. ital. 1900, p. 264), esaminatone gli essiccati, l’identificò con Rubieva multifida Mog. (in Ann. sc. nat., sér. II, vol. I, 292). A parte la meraviglia che desta l’erronea determinazione di Gennari, quando È. multifida è tanto chiaramente descritta da Linneo (sp. pl., ed. I, 220) per Cl. multifidum, è certo che Moris dal 1823 al 1827, pur avendo bene esplorati i dintorni di Cagliari, non la trovò mai e tanto meno i suoi raccoglitori Lisa e Masala e poi Ascherson, Magnus, ecc. Trattasi, credo, per quest’ultima, di una pianta introdotta coi grani di levante o per altra via dopo il 1870. 184. Ch. polyspermum L., sp. pl. 321. — Plazza, mss. 50. -— Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. III, 381. — Barb., comp. n. 1147, p. 51. — Fiori, fl. anal. I, 310. Hab.: “ in locis ruderatis et incultis , (Plazza), di dove l’indica Moris nelle due varietà cymosum ed acutifolium. 185. Ch. Vulvaria L., sp. pl. 321. — Plazza, mss. 50. — Moris, fl. sard. III, 380. — Genn. fl. capr. n. 141, fi. palab. 33 et repert. 108. — Barb., comp. n. 1146, p. 51. — Vacc., arcip. madd. n. 434. — Fiori, fl. anal. I, 310. Ch. olidum Curt., fi. lond. V, t. 20. — Bertol,, fl. ital. III, 39. — Falq., contr. sard., 18. Hab.: “ in cultis oleraceis ad meridiem spectantibus , (Plazza). 10 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. 186. Ch. album L., sp. pl. 319 (sensu lato). subsp. eu-album Ludwig, in Asch. u. Graebn., syn. mittel. europ. fl. V, 40. Ch. album L., 1. c. (sensu stricto). — Moris, stirp. sard. I, 38 et fl. III, 378. — Barb., comp. n. 1144, p. 51. — Genn., fl. palab. 33 et repert. 108. — Cav., veg. sard. 41. — Nicotra, fl. asin. 4. var. candicans Mog., in DC., prodr. XIII, pars II, 71. Ch. album Plazza, mss. 48. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza). Osserv.: Plazza scrive “ planta maxime albicans ,, epperciò volle riferirsi alla varietà e non al tipico album L. 187. Ch. opulifolium Schrad., in Koch et Ziz., cat. pl. palat. 6. — Moris, stirp. sard. III, 10 et fl. III, 379. — Genn,, fl. capr. n. 140, fl. palab. 33 et repert. 108. — Barb., comp. n. 1145, p. 51. — Vace., arcip. madd. n. 433. Ch. viride Plazza, mss. 50 (non L., sp. pl. 319). Ch. album d. opulifolium Fiori, fl. anal. I, 312. Hab.: “ in locis cultis oleraceis , (Plazza). Osserv.: veramente il Ch. viride di Linneo corrisponde alla var. cymigerum Koch (syn. fl. germ. et helv. ed. I, 606) di Ch. album Linn., sotto il quale per primo Wahlenberg (fl. suec. 158) lo pose come 8 viride, e poi Bertolini (fl. ital. III, 31 y) e Fiori (fl. anal. I, 312 8). Ma avendo Plazza, a chiarimento del suo C%. viride, scritto “ caulis erectus, viridis, angulis prominentibus ,, lo riferisco a Ch. opulifolium, assai più diffuso del precedente attorno a Cagliari e generalmente nell’isola. 124. Spinacia (Tourn.) Linn. 188. Sp. oleracea L., sp. pl. 1456. var. spinosa Peterm., fl. lips. 237. Sp. oleracea L., sp. pl. 1456 «. — Plazza, mss. 257. — Bertol., fl. ital. X, 351. — Moris, fl. sard. III, 392. — Fiori, fl. anal. I, 308 a. var. glabra Giurke, in Richter, pl. eur. II, 138. Sp. oleracea L., sp. pl. 1456 pf. — Plazza, mss. 256. — Fiori, fl. anal. I, 308 fp. Sp. inermis Moench, meth. 318. — Moris, fl. sard. III, 392. Hab.: “ vulgo Spinatza. Ab exteris regionibus translata planta, prospere vegetat et magni est in re culinaria usus , (Plazza). 125. Obione (Gaertn.) Moq. 189. Ob. portulacoides Moqg., chenop. mon. 75. — Moris, fl. sard. III, 390. — Barh., comp. n. 1155, p. 51. — Genn,, fl. palab. 33 et repert. 109. Atriplex Portulacoides L., sp. pl.1493. — Plazza, mss. 263. — Moris, stirp. sard. I, 38. — Bertol., fl. ital. X, 410. — Nicotra, calend. fl. 7. — Fiori, fl. anal. I, 307. Hab.: “ frequens in agro subsalso calaritano, prope locum /a Scafa dictum et prope stagnum de Quartu dictum , (Plazza). 126. Atriplex (Tourn.) Linn. 190. Atr. hortensis L., sp. pl. 1493 @. — Plazza, mss. 263. — Bertol.,, fl. ital. X, 417. — Fiori, fl. anal. I, 305. Hab.: senza località. — Coltivata. 191. Atr. Halimus L,., sp. pl. 1492. — Plazza, mss. 263. — Moris, stirp. sard. I, 38 et fl. III, 389. — Barbi, comp. n. 1153, p. 51. — Genn., fl. palab. 33 et repert. 109. — MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 11 Vace., arcip. madd. suppl. n. 429°. — Nicotra, calend. fl. 7. — Fiori, fl. anal. I, 307. — Cav., veg. sard. 19. 24. 29 et 38. Hab.: “ ex hac planta sepes conficiunt incolae in agro praesertim calaritano. Vulgo S' Elma, Alimu dicta , (Plazza). 192. Atr. arenaria Woods, in Bab. Man. ed. III, 271. Atr. laciniata L., sp. pl. 1494 (ex parte). — Plazza, mss. 263. — Moris, stirp. sard. I, 38. — Bertol., fl. ital. X, 414 (ex parte). — Fiori, fl. anal. I, 306 a. Atr. crassifolia Moris, fl. sard. III, 386 (8 et a ex parte). — Barb., comp. n. 1150, p. 51 (ex parte). — Genn,, repert. 109 (ex parte). Hab.: “ad maris calaritani litus frequens , (Plazza). Osserv.: Moris nella sua Atr. crassifolia 8 comprende Atr. laciniata L. ed ina Atr. rosea ed Atr. Tornabeni Tineo, nè è improbabile che Plazza abbia inteso altrettanto, o quanto meno Atr. arenaria ed 192%. Atr. Tornabeni Tineo in Guss., fl. sic. syn. II, 589. — Falq., contr. sard. 18. : Atr. laciniata 8 Tornabeni Fiori, fl. anal. I, 306. Atr. tatarica var. Tornabeni Guùrke, in Richter, pl. eur. II, 147. Hab.: indicata da Falqui sull'orlo degli stagni a Santa Gilla presso Cagliari, dove io anche la vidi. 127. Bassia All. 193. B. hirsuta Aschers., in Schweinf., beitr. fi. aeth. 187. Chenopodium hirsutum L., sp. pl. ed. I, 221. — Moris, stirp. sard. I, 38. Salsola hirsuta L., sp. pl. 323. — Plazza, mss.. 52. Kochia hirsuta Nolte, nov. fl. holsat. 24. — Bertol., fl. ital. III, 47. — Fiori, fl. anal. I, 314. Echinopsilon hirsutus Mog., in Ann. sc. nat. sér. II, vol. II, 127. — Moris, fl. sard. III, 872. — Barb., comp. n. 1139, p. 51. Hab.: “ in agri calaritani maritimis. Vulgo su suini dicta , (Plazza). 128. Salicornia (Tourn.) Linn. 194. S. herbacea L., sp. pl. ed. II, 5. —— Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. III, 367. — Genn., fl. capr. n. 137 et repert. 110. — Todaro, adn. ad ind. sem. h. Panorm. 1872, p. 40. — Barb., comp. n. 1136, p. 51. — Vacc., arcip. madd. n. 435. — Fiori, Hegan aaa: 168 S. europaea L., sp. pl. ed. I, 4. — Plazza, mss. prior 1. S. fruticosa Plazza, mss. posterior. Hab.: “in solo arenoso salso ad maris et salsorum stagnorum ora, ubique (Plazza, mss. prior). In solo arenoso, salso et uliginoso, in locis mari proximis, ex gr. prope litus calaritanum , (Plazza, mss. posterior). — “ Su suini, promiscuum nomen, quo pariter nuncupantur caeterae species, ex quibus sal alkali minerali, soda vulgo dictum, efficitur , (Plazza). ; Osserv.: nel secondo manoscritto pronto per le stampe Plazza corresse S. europaea in S. fruticosa L., syst. veget. 15; ma dovette essere un lapsus calami, giacchè alle note sopra riportate aggiunge “annua ,. Ed è chiaro che S. fruticosa sia perenne, carattere così grossolano da non permettere altra spiegazione alla diversità dei nomi che con un errore di trascrizione. 129. Suaeda Forsk. 195. S. fruticosa Moq., chenop. mon. 122. — Moris, fl. sard. III, 361. — Barb., comp. 12 ACHILLE TERRACCIANO — LA < FLORA SARDOA », ECC. n. 1181, p. 51. — Genn,, fl. palab. 33 et repert. 110. — Fiori, fl. anal. I, 319. — Cav., veg. sard. 14. 19. 24 et 38. — Bickn., sard. 201. Salsola fruticosa L., sp. pl. ed. II. 324. — Plazza, mss. 52. Chenopodium fruticosum L., sp. pl. ed. I, 221. — Moris, stirp. sard. I, 38. Hab.: “ in agro calaritano, sempervirens, annua , (Plazza). 196. S. maritima Dumort., fi. belg. 22. — Moris, fl. sard. III, 362. — Barb., comp. n. 1132, p. 51. — Genn., repert. 110. — Fiori, fl. anal. I, 319 et app. 66 a. — Cav., veg. sard. 14. OChenopodium maritimum L., sp. pl. 321. — Plazza, mss. 50. — Moris, stirp. sard. I, 38. Salsola maritima M. B., tabl. prov. casp. 150. — Bertol., fl. ital. III, 59. Hab.: “ in agro calaritano locis maritimis. Vulgo su swini dicta. Annua , (Plazza). Osserv.: dell’isola di Asinara solamente è stata indicata la var. erecta Moq. (in DC., prodr. XII, pars II, 161) da Nicotra (fl. asin. 4) col nome di Cheropodium Jacquinii Ten. (fl. nap. III, 258 = Suaeda maritima 8 Jacquiniù (Nym.). — Fiori, fl. anal., app. 66). 130. Salsola Linn. 197. S. Soda L., sp. pl. 323. — Plazza, mss. 52. — Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. II, 858. — Barb., comp. n. 1128, p. 51. — Genn., repert. 109. — Fiori, fl. anal. I, 318. — Cav., veg. sard. 14. Hab.: “ in agro calaritano haud longe a maris litore , (Plazza). 198. S. Kali L., sp. pl. 322. — Plazza, mss. 52. — Bertol., fl. ital. III, 52. — Moris, fl. sard. III, 359 a. — Barb., comp. n. 1129, p. 51. — Genn,, fl. palab. 33 et repert. 110. — Vace., arcip. madd. n. 437. — Fiori, fl. anal. I, 318 @. — Cav., veg. sard. 14 et 24. Hab.: “ in litore calaritano prope Bonaria , (Plazza). Amarantaceae. 131. Amarantus (Tourn.) Linn. i 199. Am. tricolor L., sp. pl. 1403. — Plazza, mss. 246. — Fiori, fl. anal. I, 321 a.. Hab.: senza località. — Nei giardini, ove si coltiva ancora oggi. Nyctaginaceae. 132. Mirabilis (Riv.) Linn. 200. M. Jalapa L., sp. pl. 252. — Plazza, mss. 36. Hab.: “ ab incolis colitur. Vulgo Don Diego dicta , (Plazza). Osserv.:. Plazza scrive: “ folia glabra, flores flavi, rubri, albi, vespero explicantur. Perennis ,. Theligonaceae. 133. Theligonum Linn. 201. Th. Cynocrambe L., sp. pl. 1411. — Plazza, mss. 248. — Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. III, 509. — Parl., fl. ital. IV, 310. — Genn,, fl. capr. n.,106. — Barb., comp. n. 1248, p. 54. — Vace., arcip. madd. n. 445 et suppl. — Fiori, fl. anal. I, 324. — — Cav., veg. sard. 19. 25. 35 et 54. — Bickn., sard. 201. Hab.: senza località. — Diffusissimo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 13 Aizoaceae. 134. Motlugo Linn. 202. M. Cerviana Ser., in DC., prodr. I, 391. Pharnaceum Cerviana L., sp. pl. 388. — Plazza, mss. 72. — Fiori, fl. anal. 1, 330. Hab.: “in Campidano , (Plazza). Osserv.: questa specie, non più ritrovata in Sardegna, è diffusa in Spagna (Willk. et Lange, prodr. fl. hisp. III, 168) ed in Grecia (Boissier, fl. or. I, 756), inselvatichita in Italia nei luoghi indicati da Fiori (fl. anal. I, 330). — Non posso credere, data la chiara descrizione di Linneo, che Plazza abbia equivocato con Spergula pentandra L. (spl. pl. 630), e tanto meno col GYnus lotoides L. (sp. pl. 663). — Trattasi quindi d’ una pianta (al pari di tante altre che dopo un secolo quasi sono state ritrovate), che ai suoi tempi era più diffusa e poi venne o soppressa o ricacciata in qualche angolo remoto dalle invadenti colture. 135. Mesembryanthemum (Dill.) Linn. 203. M. crystallinum L., sp. pl. 688. — Plazza, ms. 118. — Moris, stirp. sard. I, 19 et fl. II, 136. — Bertol., fl. ital. V, 175. — Barb., comp. n. 549, p. 35. — Genn,, fl. palab. 31 et repert. 116. — Fiori, fl. anal. I, 326. — Cav., veg. sard. 14. Hab.: “in rupibus prope viam quae de Bonu cammino dicitur , (Plazza). 204. M. nodiflorum L., sp. pl. 637. — Plazza, mss. 118. — Moris, stirp. sard. I, 19 et fl. II, 135. — Bertol., fl. ital. V, 174. — Barb., comp. n. 548, p. 35. — Genn., fl. palab. 31 et repert. 116. — Fiori, fl. anal. I, 326. — Cav., veg. sard. 14. — Nicotra, fl. asin. 3. Hab.: “retro Calarim, prope vetus amphitheatrum , (Plazza). Portulacaceae. 136. Portulaca (Tourn.) Linn. 205. P. oleracea L., sp. pl. 638. — Plazza, mss. 104. — Moris, stirp. sard. I, 20 et fl. II, 91. — Barb., comp. n. 517, p. 34. — Genn,, fl. palab. 31 et repert. 116. — Vace., arcip. madd. suppl. n. 83%. — Fiori, fl. anal. I, 328 a. Hab.: senza località. — Comune nei coltivati. Caryophyllaceae. 137. Stellaria Linn. 206. St. media With. (non Cirillo, 1784; nec Villars, 1789) bot. arr. I, 118 [(1776) sensu latissimo]. — Moris, stirp. sard. I, 8 et fl. I, 271. — Bertol., fl. ital. IV, 645. — Genn., fl. capr. n. 416, fl. palab. 30 et repert. 113. — Barb., comp. n. 194, p. 24. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 524. — Vace., arcip. madd. n. 81. — Fiori, fl. anal. I, 148. — Bickn., sard. 198. — Beégvinot, ricerche prelim. St. media, II, 5 et seq. (quoad subspeciem) et ulter. osserv. St. media, I et seq. (quoad varietates). Alsine media L., sp. pl. 389. — Plazza, mss. 73. Hab.: senza località. — Comunissima. “ Vulgo herba e puddas dicta , (Plazza). Osserv.: di questa tanto variabile specie io conosco sinora di Sardegna, secondo gli studi di Béguinot (ricerche intorno al polimorfismo della Stell. media, in N. G. B. ital. XVII (1910), p. 348-390): 1° subsp. typica con le varietà gymnocalyx, micro- phylla, intermedia; — 2° subsp. neglecta con le var. Elisabethae, glaberrima, grandiflora, Cupaniana; — 3° subsp. apetala. 14 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. 138. Cerastium Linn. 207. C. pumilum Curt., fl. lond. VI, t. 30 (sensu latiore). subsp. campanulatum Briquet, prodr. fi. cors. I, 516. var. palustre Terrace. A. C. dichotomum Plazza, mss. 105 (non L., sp. pl. 628). C. campanulatum Moris, stirp. sard. II, 2. — Bertol., fl. ital. IV, 755 (quoad syn. e plantis sardois). C. palustre Moris, in Mem. Accad. R. Se. Torino, vol. 38, p. xxvi. — Parl., fl. ital. IX, 492. — Fiori, esc. primav. sard. 148. C. campanulatum minus Moris, fl. sard. I, 263, tab. XX, fig. 1. — Barb., comp. n. 186, p. 24. C. campanulatum var. palustre Arc., comp. fl. ital. ed. I, 99. — Forma 5. palustre Fiori, fl. anal. I, 352. Hab.: senza località. — Comune a Macomer e dintorni, raro altrove. Osserv.: il vero C. dichotomum, pianta indicata vagamente per la Carnia da Cesati- Passerini-Gibelli (comp. fl. ital. 782), fu esclusa dal novero delle specie italiane da Parlatore (fl. ital. IX, 470) e teste da Fiori (fl. anal. I, 355 in osserv.). Trovasi in . in Spagna e Portogallo. — Il Plazza fu tratto in errore dal carattere del caule più volte ramificato in falsa dicotomia con fiori all’apice dei rami, e delle capsule cilin- driche e il doppio circa o poco più lunghe del calice. subsp. tetrandrum Corb., fl. norm. 99. var. divaricatum Gren., ex Briquet, prodr. fl. cors. I, 516. C. pentandrum All., fasc. stirp. sard. 91. — Plazza, mss. 105. — Moris, fl. sard. I, 265. — Barb., comp. n. 188, p. 24 et 219. — Genn., repert. 113. C. semidecandrum Moris, stirp. sard. I, 7. — Fiori, fl. anal. I, 355 (@ ex parte et excl. syn. Curtis). C. pumilum Genn., fl. capr. n. 418. — Parl., fl. ital. IX, 483 (excl. syn. Curtis et Persoon, et solum quoad pl. sard.). — Vace., arcip. madd., n. 72. — Nicotra, ult. note 18. Hab.: senza località. — Comunissimo. Osserv.: è dubbio dire che cosa sia €. pentandrum tipico di Linneo (sp. pl. 627), malgrado le differenze da lui stesso indicate con C. semidecandrum. Girke (in Richter, pl. eur. II, 234) gli assegna per patria la Spagna e scrive “specie dubia, fortasse nihil nisi O. semidecandri forma macra ,. — Per quanto concerne le piante sarde trovo ben giusto l’avere Grenier (mon. de Cerastio, p. 33) posto sotto @ vulgare di C. pumilum la specie descritta da Moris per C. pentandrum ed osservato (p. 35): “ C. tetrandrum Curt. a €. pentanaro Moris, nullo modo nisi abortu quintae florum partis et paniculae irregulariter differt, ita ut facile exemplaria C.pumili pro ©. tetrandro haberis si non attentissime considerares ,. — Per queste ragioni ho identificato come sopra la specie di Allioni e di Plazza. 139. Moenchia Ehrh. 208. M. erecta Gaertn., Mey. et Schreb., fl. wetterau. I, 219 (sensu latiore). subsp. eu-erecta Terrace. A. Sagina erecta L., sp. pl. 185. — All., fasc. stirp. sard. 100. — Plazza, mss. 28. Moenchia quaternella Ehrh., beitr. II, 180. — Moris, fl. sard. I, 268 a (excl. syn. Viv.). — Genn., fl. capr. n. 420. — Barb., comp. n. 192, p. 24 et 249 (ex parte). Cerastium quaternellum Fenzl., verbreit. alsin. t. ad p. 56. — Parl., fi. ital. IX, 512 (ex parte, et excel. syn. Gay, Viviani, Grenier). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 15 C. manticum Moris, stirp. sard. I, 7 (ex parte). C. manticum var. erectum Arc., comp. fl. ital. ed. I, 96. — Vacc., arcip. madd. n. 74. — Fiori, fl. anal. I, 355 y. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza, mss. posterior), — “in Campidano , (Plazza, mss. prior). Osserv.: in Sardegna trovasi anche la subsp. octandra, della quale sono sinonimi: Moenchia octandra Gay, M. quaternella B octandra Moris (fl. sard. I, 269), Cerastium manticum B octandrum Arc. — tenue Fiori (fl. anal. I, 354). 140. Bufonia Sauv. in Linn. 209. B. tenuifolia L., sp. pl. 179. subsp. macrosperma Terrace. A. B. tenuifolia All, fascic. stirp. sard. 90 (non L.). — Plazza, mss. 26. — Bertol., fl. ital. II, 216. — Arc., comp. fl. ital. ed. I, 105. É B. macrosperma J. Gay, in Gren. et Godr., fl. fr. I, 248. — Ces.-Pass.-Gib., comp. fl. ital. 776. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 609. — Fiori, fl. anal. I, 841. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza, mss. posterior), — “in Campidano » (Plazza, mss. prior), — “dioecesi Calaris, (Allioni). i Osserv.: Plazza scrive “ flosculi ad longitudinem caulis veluti spicam dispositi, calyx striatus, annua y. Tra per questo e perchè Allioni, cui la specie doveva essere ben nota (avendola de- scritta nel vol. I, fl. pedem. p. 237), così la denominava, non ho alcun dubbio che B. tenui- folia subsp. macrosperma fosse stata realmente raccolta in Sardegna. Trovasi oggi in Spagna, assieme con l’altra subsp. eu-tenvifolia. — Siccome Bertoloni parla di una B. tenuifolia raccolta ed inviatagli da F. S. Re, ho voluto esaminare l’erbario di quest’ultimo. Se ne trova un esem- plare bene sviluppato, identico alla tab. 203, fig. 4899 di Reichenbach (ic. fl. germ., vol. V), “in pascuis sterilibus Comitatus ma con l’habitat estratto dalla flora pedemontana di Allioni Nicaeensis frequens est. Nascitur etiam circa Oulx atque in valle Queiras. Annua ,; anzi il car- tellino è di un amanuense, con scrittura identica con la quale sono tutti i cartellini della prima specie con cui si apre la serie degli esemplari sotto lo stesso nome da lui raccolti o ricevuti in omaggio. Altri due mozziconi di esemplari, in cattivo stato, col n° 268, senza località, por- tano il nome Arenaria macrosperma di pugno del prof. Re; sono forse parte di quelli inviati a Bertoloni?. — Briquet (prodr. fl. cors. I, 529) la esclude di Corsica. 141. Alsine (Tourn.) Linn. 210. Als procumbens Fenzl., verbeit. alsin. t. ad p. 57. — Tanfani in Parl., fi. ital. IX, 607. — Falq., contr. sard. 19. Arenaria procumbens Vahl., symb. bot. II, 50, t. 33. — Moris, stirp. sard. I, 7 et fl. I, 275. — Bertol,, fi. ital. IV, 665. — Barb., comp. n. 199, 24. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 113. Arenaria peploides Plazza, mss. 101 (non L. sp. pl. 605). — Ab Ucria, hort. pan. 187. Alsine geniculata Fiori, fl. anal. I, 344 (ex parte). var. extensa Giirke in Richter, pl. eur. II, 296. — Fiori, fl. anal. app. 70. Arenaria procumbens var. linearifolia Moris, fi. sard. I, 276. Hab.: senza località. — Comunissima attorno Cagliari, massime la varietà. Osserv.: le foglie carnosette, quasi ellittiche, acute, trassero certamente Plazza in errore. 142. Arenaria Linn. 211. Ar. aggregata Loisel., fl. gall. 317. — Fiori, fl. anal. I, 345. Gypsophila aggregata L., sp. pl. 581. — All, fase. stirp. sard. 96. — Plazza, mss. 100. Arenaria tetraquetra L., mant. alt. 3860 (non sp. pl., ed. II, 605). — All, fi. ped. II, 115, t. 89, f. 1. — Bertol,, fl. ital. IV, 656. — Arec., comp. fl. ital. ed. I, 102. 16 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. Ar. tetraquetra B. aggregata Reich., syst. pl. Il, 359. — Ces.-Pass.-Gib., comp. fl. ital. 778. Ar. capitata Lamek., fl. fr. III, 89. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 550. Hab.: “in promontorio Sant'Elia prope Calarim , (Plazza, Allioni). Osserv.: la designazione precisa del luogo ed il fatto che Allioni prima così determinò la specie e poi la sinonimizzò sotto Ar. tfetraquetra e figurò con tale nome nella flora pedemon- tana, non lasciano alcun dubbio sulla sua presenza in Sardegna ai tempi di Plazza. — Moris in un esemplare del “ fasc. stirp. sard. , a margine di G. aggregata prima scrisse Arenaria tetraquetra e poi radiò lo scritto; posteriormente nella “ Flora sardoa , pose G. aggregata All. come sinonimo della Gypsophila sarifraga var. aggregata, ma con segno di dubbio. — Del resto Tanfani (1. ce.) riepilogò bene lo stato di incertezza tra G. aggregata ed Ar. tetraquetra, cosa compresa dallo stesso Linneo (confer: Richter H. E., codex linnaeanus, n. 3283, p. 436). 143. Spergularia Cambess. 212. Sp. rubra Pers., syn. pl. I, 504 (sensu lato). subsp. campestris Rouy et Fouc., fl. fr. III, 309. Arenaria rubra L., sp. pl. 606 a. — All., fasc. stirp. sard. 89. — Plazza, mss. 101. — Moris, fl. sard. I, 277 @ et stirp. sard.I, 7 (ex parte). — Bertol., fl. ital. IV, 682. — Barb., comp. n. 201, p. 24. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 113. — Nicotra, ult. note 18. Spergularia rubra Pers., l. c., sensu stricto. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 615 @ et 8. — Vacc., arcip. madd. n. 80. — Fiori, fl. anal. I, 388 @ (excl. 9). — Cav., veg. sard. 14. 38. 42 et (sub forma campestre) esc. sard. 17. — Falq., contr. sard. 18. Sp. rubra B pinguis Genn., fl. capr. n. 143 (non Fenzl.). Hab.: “ prope Orri in agro calaritano , (Plazza, Allioni). Osserv.: trovasi anche la subsp. atheriensis Rouy et Foucaud (= Sp. rubra @ cam- pestris c. atheniensis Fiori, 1. c., = Sp. diandra Genn., sp. e var. n. 9. — Barb., comp. n.2812, p.121 et 220. — Bickn., sard.195 et 198,= Arenaria diandra Genn., repert. 111), abbondante nella Sardegna merid. 144. Polycarpon Loeffl. in Linn. 213. P. tethraphyllum L., sp. pl. 13. — Plazza, mss. 18. — Moris, stirp. sard. I, 20 et fl. II, 106 (excl. var.). — Genn., fl. capr. n. 314, fl. palab. 31, et repert. 112. — Barb., comp. n. 527, p. 84 (ex parte). — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 624 a. — Vacc., arcip. madd. n. 89. — Fiori, fl. anal. I, 386 e. Mollugo tetraphyUla L., sp. pl. ed., I, 89. — All., fasc. stirp. sard. 97. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Allioni) et “in agro calaritano , (Plazza). Osserv.: questa specie può riferirsi o ad una od a tutte e tre le seguenti varietà comuni e promiscue attorno Cagliari (come nel resto dell’isola, qua e là), verticillatum Fenzl., diphyIlum DO., alsinaefolium Arc. 145. Corrigiola (Dill.) Linn. 214. C. littoralis L. sp. pl. 388. — Plazza, mss. 71. subsp. eu-littoralis Briquet, prodr. fl. cors. I, 480. C. littoralis L. — Moris, stirp. sard. I, 20 et fl. II, 95. — Barb., comp. n. 519, p. 34. — Genn., repert. 112. — Fiori, fl. anal. I, 333. — Cav., veg. sard. 42 et 54. Hab.: senza località. — Comune. Osserv.: Plazza si riferisce certamente a questa subsp. A p. 72 del manoscritto aveva prima scritto Z'elephium Imperati, che poi radiò, proprio di contro a €. litto- ralis; ma è noto che il genere Telephium non è ancora rappresentato in Sardegna. Volle egli alludere a C. telephiifolia Pourr. (Moris, stirp. sard. II, 3 et fl. I, 97 a. — MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 17 Genn., fl. capr. n. 311. — Barb., comp. n. 520, p. 84. — Vace., arcip. madd. n. 85. — Fiori, fl. anal. I, 333. — Falq., contr. sard. 18)?. Questa costituisce l’altra subsp. telephiifolia Briquet (1. c.), più comune al nord dell’isola, meno al centro, ma non rara al sud. 146. Paronychia (Tourn.) Adans. 215. P. capitata Lamck., fl. fr. III, 229. IMecebrum capitatum L., sp. pl. 299. — All, fase. stirp. sard. 96. — Plazza, mss. 47. ? Paronychia nivea Fiori, fl. anal. I, 334. Hab.: “ in dioecesi Calaris ,, (Plazza, Allioni). Osserv.: pare trattarsi di un’altra specie non più sinora ritrovata, giacchè è inverosimile che Plazza, ed Allioni sopra tutto, avessero equivocato con P. echinata Lamk., o con P. eymosa DC., essendo ad Allioni ben nota P. argentea Lamk. — Gandoger mi scrive di avere scoperta sul monte Gennargentu P. polygonifolia DC. (fl. p. III, 403), ma io non la conosco dell’isola. — Secondo Ber- toloni (fl. ital. TI. 731), Allioni avrebbe (fl. ped. II, 210) descritto come ZMlecebrum Paronychia la Paronychia polygonifolia DC., e come IM. capitatum la P. serpyllifolia DC. (in Lmk., diet. ene. V, 24). Non ho elementi per giudicare quanto ciò corrisponda al vero; ma non vha dubbio che con IIl. capitatum Linneo stesso intese in parte P. nivea ed in parte P. kapela, — Clementi (ex Willk. et Lange, prodr. fl. hisp. III, 157) P. aretivides di Spagna, — Marschal von Bieberstein (A. taur. caucas. I, 174) in parte P. cephalotes ed in parte P. kurdica, — Sibthorp et Smith (fl. graec. III, 41) P. macrosepala. Quindi poca meraviglia arreca se anche Plazza non abbia intuito il vero valore della specie linneana. 216. P. argentea Lamck., fl. fr. III, 230. — Moris, fl. sard. II, 100. — Barb., comp. n. 522. p. 34. — Genn., repert. 112. — Vace., arcip. madd. n. 88. — Fiori, fl. anal. I, 334. — Cav., veg. sard. 14. — Bickn., sard. 195 et 189. — Falq., contr. sard. 18. Ilecebrum Paronychia L., sp. pl. 299. — Plazza, mss. 46. Paronychia hispanica DC., in Lamek., ene. méth. V, 24. — Moris, stirp. sard. I, 20. Hab.: “ prope locum scafa dictum habitat, in ora maritima calaritana , (Plazza). 147. Herniaria (Tourn.) Linn. 217. H. hirsuta L., sp. pl. 317. — All, fasc. stirp. sard. 96. — Plazza, mss. 48. — Bertol., fi. ital. III, 20. H. glabra 8 hirsuta Fiori, fl. anal. I, 335. var. hirsuta Briquet in Burnat, fl. alp. marit. III, 228. H. hirsuta L., 1. c. — Bertol., fl. ital. II, 20 @. — Vace., arcip. madd. n. 84. — Cav., veg. sard. 24. H. glabra 8 Fiori, fl. anal. I, 335 (excl. 3 et c.). var. cinerea Loret et Bar., fl. montp. ed.I, 243. — Arc., comp. fl. ital. ed. II, 328. H. cinerea DC., fl. fr.V,375. — Moris, stirp. sard. II, 8. — Genn., fl. palab. 81 et repert. 111. H. hirsuta 8 Bertol., fl. ital. III, 21. — Barb., comp. n. 521, p. 34. H. hirsuta cinerea Moris, fl. sard. II, 99 (excel. varr. quibusdam). — Genn., fl. capr. n. 315. Hab.: “ in arenosis amphitheatri seu in arenosis siccis agri calaritani, perennis , (Plazza). — “In dioecesi Calaris, (Allioni). Osserv.: stando alle indicazioni sue, Plazza intese non solo la var. /lirsuta, ma anche la var. cinerea, ambedue egualmente diffuse attorno Cagliari. 218. H. glabra L., sp. pl. 317. — Plazza, mss. 48. — Bertol.,, fl. ital. II, 18. — Fiori, fl. anal. I, 335 a. H. cinerea hirsuta Moris, fl. sard. II, 99 (quoad var. “ foliis praesertim glabris et margine dumtaxat ciliatis ,,). 0? 18 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. Hab.: “ in arenosis siccis agri calaritani, annua , (Plazza). Osserv.: esatta è questa determinazione, giacchè io ho trovata la pianta varie volte, però meno abbondante della precedente. 148. Agrostemma Linn. 219. Agr. Githago L., sp. pl. 624. — Plazza, mss. 104. — Genn., repert. 114. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 465. — Fiori, fl. anal. I, 355. — Cav., veg. sard. 33. Lychnis Githago Scop., fi. carn. ed. II, vol. I, 310. — Moris, stirp. sard. I, 7 et fl. I, 239. — Barb., comp. n. 165, p. 23. — Vacc., arcip. madd. n. 70. Hab.: senza località. — Specie segetale abbastanza diffusa. 149. Sélene Linn. 220. S. venosa Aschers., fl. berol. 23. Cucubalus Behen L., sp. pl. 591. Stilene Cucubalus Wib., prim. fl. werth. 241. — Ces. Pass. Gib., comp. fl. ital. 342. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 342 @. — Falq., contr. sard. 20. S. inflata Smith, fl. brit. 467. — Moris, stirp. sard. I, 8 et fl. I, 245 @. — Genn,, fl. capr. n. 421, fl. palab. 29 et repert. 115. — Barb., comp.n.170, p. 23 et 218. — Vacec., arcip. madd. n. 68. — Nicotra, fl. asin. 3. S. vulgaris Garke, fl. deutschl. ed. IX, 64. — Fiori, fi. anal. I, 359. subsp. vulgaris Terr. A. S. angustifolia subsp. vulgaris Briquet, prodr. fl. cors. I, 544. var. angustifolia (Grecescu ex Giirke in Richter, pl. europ. II. 286) Terrace. A. Cucubalus Behen Plazza, mss. 99. S. inflata var. angustifolia DC., fl. fr. IV, 747. — Bertol., fl. ital. IV, 630. — Are., comp. fl. ital. ed. I, 94. S. vulgaris @ vesicaria, b. angustifolia Fiori, fi. anal. I, 359. var. latifolia (Wirtg., fl. preuss. rheinl. I, 271) Terrace. A. Cucubalus Fabarius Plazza, mss. 99 (non Linn., sp. pl. 591). S. inflata Bertol., op. cit. 629 @. — Arc. l. c. Hab.: “in agro calaritano frequens , (Plazza). Osserv.: le due var. furono insieme confuse da tutti gli autori sopra ricordati pei sinonimi di S. venosa. Plazza le distinse, ma usò per la seconda una non giusta nomen- clatura. La S. Fabaria di Bertoloni è un’altra var. (commutata Briq. = S. commutata Guss.), che molto corrisponde alla frase linneana per Cucubalus Fabarius, però manca in Sardegna, a quanto io sappia. — Briquet giustamente non usò i nomi già adope- rati di S. Cucubalus Wibel (1799), S. inflata Smith (1800), S. vulgaris Garke (1869), e ricorse a S. angustifolia Guss. (1827). Io però non posso accettare questa maniera per varie ragioni: innanzi tutto perchè la specie gussoniana è una semplice varietà di un tipo assai complesso (tanto da contare una ventina di buone varietà, oltre a minori variazioni), e poi perchè sino dal 1781 Gilibert (fl. lith. II, 165) aveva descritto un Cucubalus venosus, comprendente bene il C. Behen di Linneo. Usando S. angustifolia si va incontro ad altre difficoltà sinonimiche, non del tutto appianate e nè da tutti oggi ammesse. Epperciò trovo più conforme alle buone regole accettare la nomencla- tura proposta da Ascherson. 221. S. gallica L., sp. pl. 595 (sensu latissimo). forma gallica Terrace. A. ; S. gallica L., 1. c. (sensu stricto). — Moris, stirp. sard. I, 8 et fl. I, 260 @. — Genn., fl. capr. n. 424. — Barb., comp. n. 182, p. 24 et 219. — Tanfani in Parl,, fl. ital. IX, 355 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13° 19 (excel. syn. quinquevulnera et lusitanica). — Vace., arcip. madd. n. 64. — Fiori, fl. anal. I, 367 @ (excl. 6 et c). — Nicotra, ult. note 18 et fl. asin. 8. — Cav., veg. sard. 33. — Bickn., sard. 198. — Falq., contr. sard. 20. S. cerastoides All., fase. stirp. sard. 101. — Plazza, mss. 102. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Plazza, Allioni). forma quinquevulnera Rouy et Foucaud, fl. frane. III, 119. S. gallica var. quinquevulnera Mert. et Koch. in Roehl., deutsch]. fl. ed. III, vol. IT, 230. — Moris, fl. sard. I, 261. S. quinquevulnera L., sp. pl. 595. — Plazza, mss. 101. — Moris, stirp. sard. I, 8. S. gallica Arc., comp. fl. ital. ed. I, 99 6. — Fiori, fl. anal. I, 367 @, c. Hab.: “ circa salinas artificiales im agro calaritano reperimus , (Plazza). Osserv.: oltre queste due forme, a torto ritenute dai più quali varietà, si conoscono di Sardegna altre che corrispondono ai nomi di S. littoralis Jord., S. rosella Jord. et Fourr. (pro var. in Fiori, esc. primav. sard. 149), S. Zusitanica Linn. (che da noi si: presenta con caratteri diversi e quindi giustificherebbe il nome di S. Sardoa, noto solamente dal ricordo che ne fa Reichenbach, fl. germ. exec. p. 813). 222. S. Armeria L., sp. pl. 601. — Plazza, mss. 102. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 390. — Fiori, fl. anal. I, 363. Hab.: “in insula Plana , (Plazza). Osserv.: l'indicazione è troppo precisa per dubitarne. Del resto si trova in Corsica e Gabella! la raccolse in Gallura; nella Sardegna meridionale non fu mai più sinora veduta. 223. S. fuscata Link ex Brot., fl. lusit. II, 187. — Moris, fl. sard. I, 250, tab. XV. — Barb., comp. n. 174, p. 24 et 174. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 396. — Fiori, fl. anal. I, 365. — Falq., contr. sard. 20. S. muscipula Plazza, mss. 101 (non Linn., sp. pl. 601). : S. undulatifolia Moris, stirp. sard. I, 8. Hab.: senza località. — Diffusissima. Osserv.: sono ben sicuro su un simile riferimento, giacchè la nostra S. fuscata, a parte i peculiari caratteri specifici, può avere indotto Plazza in errore per avere le foglie talvolta in ambo le pagine glabre (così come dice Linneo per S. muscipula), il caule ramoso-divariato o quasi dicotomo e all’alto viscoso-pubescente per peli ghian- dolari, i fiori solitari o all’ascella di una foglia o nelle dicotomie dell’infiorescenza ed aggruppati a due od a tre in cima a questa. Egli forse non notò la forma dei petali. 224. S. Coeli-rosa A. Br., in Flora, XXVI, 373. Agrostemma Coeli-rosa L., sp. pl. 624. — All., fasc. stirp. sard. 88. — Plazza, mss. 105. Lychnis Coeli-rosa Desr., in Lamck., enc. méth. III, 644. — Moris, stirp. sard. I, 7 et fl. I, 240. — Barb., comp. n. 166, p. 23.° — Genn., repert. 114. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 438. — Fiori, fl. anal. I, 357. — Falq., contr. sard. 20. Hab.: “ in dioecesi calaritana , (Allioni, Plazza). 150. Melandrium Roell. 225. M. divaricatum Fenzl., in Linnaea XXXVI, 212. — Barb., comp. n. 169, p. 218. — Bickn., sard. 194 et 198. M. macrocarpum Willk., ic. et descr. pl. europ. austro-occ. I, 28. — Nicotra, ult. note 17. Lychnis Viscaria Plazza, mss. 105 (non Linn., sp. pl. 625). L. dioica Moris, stirp. sard. I, 7 et fl. I, 244 (ex parte). — Genn,, repert. 115 (ex parte). — Cav., veg. sard. merid. 28 (ex parte). 20 ACHILLE l'ERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. L. alba var. divaricata Arc., comp. fl. ital. ed. I, 95. — Fiori, fl. anal. I, 357. — Falq., contr. sard. 20 et esc. gennarg. 27. Hab.: “in dioecesi calaritana , (Plazza). Osserv.: non c'è a discutere sull’impossibilità della presenza di L. Viscaria in Sar- degna, e quindi riferisco a M. divaricatum le specie di Plazza, il quale, avendo veduto che i suoi esemplari non corrispondevano alla L. dioica di Linneo (pur chiaramente descritta), credette avvicinarli a L. Viscaria. Viceversa gli altri autori di flore sarde, tranne Falqui e Nicotra, non seppero mai scernere M. divaricatum da M. album (= L. alba Li). 151. Saponaria Linn. 226. S. officinalis L., sp. pl. 584. — Plazza, mss. 99. — Moris, stirp. sard. 1, 8 et fl. I, 237. — Barb., comp. n. 162, p. 23 et 218. — Tanfani in Parl., fl. ital. IX, 319. — Vacc., arcip. madd. n. 58. — Nicotra, ult. note 2. — Fiori, fl. anal. I, 371. — Falq., contr. sard. 20 et esc. gennarg. 27. Hab.: senza località. — Comune. Nymphaeaceae. 152. Nymphaea (Tourn.) Linn. 227. N. alba L., sp. pl. 729. — Plazza, mss. 124. — Moris, stirp. sard. I, 2 et fl. I, 68. — Bertol., fi. ital. V, 329. — Genn., fl. med. n. 43.—- Barb., comp. n. 42, p. 20. — Fiori, fl. anal. I, 487. — Vace., arcip. madd. suppl. II, n. 13?. Hab.: senza località. — Qua e là nel corso e nel ristagno dei fiumi. 153. Nuphar Sibth. et Sm. 228. N. luteum Sebth. et Sm., fi. graec. prodr. I, 361. — Moris, stirp. sard. I, 2 et fl. I, 69. — Bertol,, fl. ital, V, 381. — Genn., fl. med. n. 46. — Barb., comp. n. 42, p. 20. — Fiori, fl. anal. I, 487. Nymphaea lutea L., sp. pl. 729. — Plazza, mss. 124. Hab.: senza località. — Negli stessi luoghi della precedente; più raro. Ranunculaceae. 154. Paeonia (Tourn.) Linn. 229. P. corallina Retz., observ. III, 34. subsp. corallina Fiori, fl. anal. I, 527. var. mascula Fiori, l. ce. (ex parte et quoad loca sardoa). P. officinalis B mascula L., sp. pl. 747. — Plazza, mss. 128. P. corallina Moris, fl. sard. I, 64 @. — Bertol., fl. ital. V, 395. — Genn., fl. med., n. 27. — Barb., comp. n. 40, p. 20. — Nicotra, ult. note 16. Hab.: senza località. — Dappertutto nei monti e nelle selve, dove però predomina la var. Russi Terrace. A. (= P. corallina var. pubescens Moris, fl. sard. I, 64. — Barb., comp. n. 40, p. 172 et 214,= P. Russi Riv., stirp. sic. descr. IV, 12. — Moris, stirp. sard. I, 1. — Bertol., fl. ital. V, 396. — Genn,, fl. med. n. 28,= P. officinalis e tri- ternata, 6 Russi Fiori, fl. anal. I, 357). 155. Melleborus (Tourn.) Linn. 230. H. trifolius Mill., gard. diet. ed. VIII, n. 4. subsp. corsicus Briquet, prodr. fl. cors. I, 582. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NAVPUR., SERIE 1I, VOL. LXV, N. 13. 2 H. foetidus L., sp. pl. 784 8. — Plazza, mss. 136. H. lividus Moris, stirp. sard. I, 1 et fl. I, 53. — Bertol,, fl. ital. V, 594. — Genn., fl. med. n. 29. — Barb., comp. n. 32, p. 20 et 214. — Mattirolo, reliq. moris. 11. — Fiori, fl. anal. I, 519. Hab.: “ in Campidano ,, (Plazza). Osserv.: oggi è limitato ai monti di Santu Lussurgiu, Cuglieri, Dorgali, Villanova Tulu, Esterzili. 156. Nigella (Tourn.) Linn. 231. N. arvensis L., sp. pl. 753. var. divaricata Boiss., fl. or. I, 66. — Mattirolo, reliq. moris. 11. — Fiori, fl. anal. I, 520. N. arvensis Plazza, mss. 130. — Moris, stirp. sard. I, 1. — Genn,, fl. med. n. 31. N. divaricata Beaupré ex DC., syst. regn. veg. I, 329. — Moris, fl. sard. I, 54. — Bertol., fl. ital. V, 436. — Barb., comp. n. 33, p. 20. — Genn., repert. 119. Hab.: senza località. — Non rara nelle messi. 232. N. damascena L., sp. pl. 753. — Bertol., fl. ital. V, 434. . genuina Briquet, prodr. fl. cors. I, 583. n ene L. — Plazza, mss. 130. — Moris, stirp. sard. I, 1 et fl. I, 56. — Genn., fl. med. n. 29, fl. palab. 29 et repert. 119. — Barb., comp. n. 34, p. 20. — Nicotra, ult. note 16 et calend. fl. 17. — Fiori, fl. anal. I, 519. Hab.: senza località. — Comunissima con la var. minor Boiss. 157. Delphinium (Tourn.) Linn. 233. D. Consolida L., sp. pl. 748. — Plazza, mss. 130. — Moris, stirp. sard.I, 1. — Bertol., fl. ital. V, 398. — Fiori, fl. anal. I, 522 a. Hab.: “in Campidano, vulgo spruni cavallerì dictum , (Plazza). Osserv.: Moris lo indicò .dei “ pascuis collinis , nel primo degli elenchi, ma non ne tenne più conto nella Flora. Non solo l'ho io più volte qui ritrovato, ma già Huth (monogr. Delph. in Engler, bot. Jahrb. XX, 477), Giirke (in Richter, pl. eur. II, 429), Zodda (revis. monogr. delph. ital. 10) lo danno dell’isola. Briquet non l’enumera tra le piante di Corsica e riporta invece D. Ajacis L., il quale esiste anche da noi e per le indicazioni dei predetti autori e per averlo io raccolto parecchie volte nel Sas- sarese. 234. D. peregrinum L., sp. pl. 749. subsp. halteratum Terracc. A. D. peregrinum Plazza, mss. 130. D. halteratum Sibth. et Sm., prodr. fl. graec. I, 371. — Bertol,, fl. ital. V, 403. D. peregrinum 8 halteratum Fiori, fl. anal. I, 523. D. longipes Moris, fl. sard. I, 59 (ex parte). Hab.: senza località. — Abbastanza comune. Osserv.: il vero D. halteratum della flora greca trovasi in Sardegna. (della quale pur lo indicarono Huth. Giirke, Zodda), ma con esso vivono le var. longipes (Moris, pro specie) e gracile (DC., pro specie). Moris nel primo degli elenchi fa D. peregrinum L. sinonimo di D. junceum DC.; nella Flora quest’ultimo è sinonimizzato sotto D. gra- cile a DC., ed al suo D. longipes assegna D. peregrinum Guss. e D. junceum Guss. non DC. Una tale sinonimia, come pure il contesto della descrizione, inducono quindi a vedere nel suo D. longipes anche il D. halteratum tipico. 22 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDUA », ECC. 235. D. Staphisagria L., sp. pl. 750. — Plazza, mss. 130. — Bertol., fi. ital. V, 412. — Barb., comp. n. 39, p. 20. — Vace., arcip. madd. et suppl. n. 13. — Fiori, fi anal Mio 230 Hab.: senza località precisa. —. Gandoger mi scrive averlo rinvenuto sul monte Gennargentu. Osserv.: Moris nel primo degli elenchi lo enumera dandolo di “ silvis et pascuis montanis ,; ma poi nella flora lo sinonimizza sotto D. pictum Willd., che in verità sinora con maggiore frequenza venne raccolto nella Sardegna meridionale, mentre nella settentrionale predomina D. Staphisagria.— Non è improbabile che Plazza abbia voluto intendere il vero 235%. D. pictum Willd., en. hort. berol. 574. var. muscodorum Briquet, prodr. fl. sard. I, 502. D. pictum Moris, fl. sard. I, 61. — Bertol., fl. ital. V, 414. — Genn,, fl. med. n. 33. Barb., comp. n. 38, p. 20 et 172. — Are., comp. fl. ital. ed. I, 20 a. — Cav., veg. sard. 42. D. Staphysagria Moris, stirp. sard. I, 1. D. Requienti Ces. Pass. Gib., comp. fl. ital. 870 (ex parte). D. Staphysagria 8 pictum Fiori, fl. anal. I, 523 (ex parte). Hab.: Gennari lo indica del salto di Gessa presso Domestica, nei monti di Pula, a monte Spada sopra Fonni; Cavara della Foresta nel monte Sette Fratelli; altre lo- calità sono quelle di Moris e di Barbey. Osserv.: Gennari ne distinse una forma “@ floribus coeruleis , ed una “ # floribus albescentibus ,. Cavara poi (op. cit., p. 20) scoprì nell’isola di S. Pietro a Carloforte anche la var. Requienii Arcangeli (op. cit.), sin’allora data solo di Corsica. 158. Anemone (Tourn.) Linn. 236. A. coronaria L., sp. pl. 760. — Plazza, mss. 132. — Moris, stirp. sard. I, 1 et fl. I, 18. — Bertol., fl. ital. V, 455. — Genn., fl. medic. n. 39 et repert. 119. — Barb., comp. n. 5, p. 19. — Fiori, fl. anal. I, 497. Hab.: senza località. — Comunissima. 237. A. hortensis L., sp. pl. 761. — Bertol., fl. ital. V, 457. — Arc., comp. fl. ital., ed. I, 5. — Ces. Pass. Gib., comp. fl. ital. 885. subsp. stellata Briquet, prod. fl. cors. I, 601. A. hortensis Plazza, mss. 132. — Moris, fl. sard. I, 19. — Genn,, fl. med. n. 37 et repert. 119. — Barb., comp. n. 6, p. 19. — Vace., arcip. madd. n. 2. — Fiori, fl. anal. I, 497 @. — Cav., veg. sard. 28. — Falq., contr. sard. 21. A. stellata Lmek., Moris, stirp. sard. I, 1. Hab.: senza località. — La più comune e diffusa in Sardegna. Osserv.: corrisponde alla varietà parviflora Briquet (1. c.), con tutte le forme di passaggio dalla forma micranta alla macranta. lo ho ritrovato anche la subsp. pavo- nina Briquet. 159. Clematis (Dill.) Linn. 238. Cl. Flammula L., sp. pl. 766. var. typica Porsp., fl. oesterr. kiisterl. II, 69. OI. Flammula L. — Plazza, mss. 133. — Moris, stirp. sard. I, 1 et fl. I, 11 a. — Bertol., fl. ital, V, 475 a. — Genn., fl. med. n. 39. — Barb., comp. n. 1, p. 19. — Vace., arcip. madd. suppl. n. 1° et append. — Nicotra, ult. note 1 et calend. fl. 14. — Fiori, fl. anal. I, 492 (excl. d. maritima). — Cav., veg. sard. 54. — Falq., contr. sard. 28 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXv, N. 18. 28 Hab.: “ prope Gonnos Fanadiga , (Plazza). Osserv.: in Sardegna trovasi anche la var. maritima, predominante lungo il littorale. 239. CI. Vitalba L., sp. pl. 766. — Plazza, mss. 132. — Moris, stirp. sard. I, 1 et fl. I, 13. — Bertol., fl. ital. V, 474. — (Genn., fl. med. n. 40. — Barb., comp. n. 2, p. 19. — Nicotra, ult. note 16, calend. fl. 14 et fl. asin. 3. — Fiori, fl. anal. I, 492. — Falq., contr. sard. 21 et esc. gennarg. 28. Hab.: senza località. —- Molto comune. 240. Cl. cirrhosa L., sp. pl. 766. — All., fasc. stirp. sard. 91. — Plazza, mss. 182. — Moris, fl. sard. I, 14. — Bertol,, fl. ital. V, 472. — Genn,, fl. med. n. 41 etfl. capr. n. 459. — Barb., comp. n. 3, p. 19 et 214. — Vace., arcip. madd. n. 1. — Fiori, fl. anal. I, 491. — Cav., veget. sard. 19. 28. 33 et 59. — Bickn., sard. 197. — Falq., contr. sard. 21 et esc. gennarg. 28. CI. balearica Rich. — Moris, stirp. sard. I, 1. CI. cirrhosa var. balearica Auct. — Fiori, esc. primav. sard. 149. Hab.: senza località. — Tra le più comuni piante. Osserv.: non è il caso di ritenere per buone, come giustamente scrive Briquet (prodr. fl. cors. I, 597), tutte le, varietà enumerate da Moris (fl. sard.) prima e poi da altri e finalmente da Kuntze (mon. gatt. Clematis, p. 143) e da Rouy et Foucaud (fl. de Fr. I, 5-6), perchè sovente sopra una stessa pianta si riscontrano forme di transizione dall’una all'altra. 160. Ranunculus (Tourn.) Linn. 241. R. Ficaria L., sp. pl. 774. — Plazza, mss. 134. — Moris, fl. sard. I, 31. — Bertol., fl. ital. V, 508. — Barb., comp. n. 14, p. 19. — Vace., arcip. madd. n. 12. — Ni- cotra, ult. note 16 et calend. fl. 12. — Cav., veg. sard. 38. — Bickn., sard. 197. Ficaria ranunculoides Roth. — Moris, stirp. sard. I, 1. Hab.: senza località. — Comunissima. Osserv.: in Sardegna trovansi promiscuamente, la seconda però più rara, le subsp. eu-Ficaria Briquet (prodr. fl. cors. I, 604, = R. Ficaria Arc., comp. fl. ital. ed. I, 11 @. — Ces. Pass. Gib., comp. fl. ital. 879. — Fiori, fl. anal. I, 506 @. — Falq., esc. gennarg. 28, — et ex parte auct. quos post speciem citavi) e grandiflora Terrace. A. (= R. Ficaria var. calthaefolius Guss., fl. sic. prodr. II,45. — Arc., op. cit., 13. — Falq., contr. sard. 21,= var. ficariaeformis F. Schultz, arch. de fl. 123. — Barb., comp. n. 14, p. 172. — Fiori, l. c. 8,= R. calthaefolius Jord., obs. VI, 2.— Ces. Pass. Gib., I. c., = Ficaria ranunculoides grandiflora Genn., repert. 119 et fl. med. n. 25, — et ex parte auct. uti supra); epperciò gli autori di flora sarda le confusero per lo più in- sieme. — Se è discutibile l’opportunità di ritenere il nome calthaefolius da Gussone pel primo adottato (1828), non so perchè Rouy et Foucaud (fl. de Fr. I, 73) abbiano ricorso a quello di ficariaefolia per distinguere la loro subsp., quando quello di gran- diflora pubblicato da Robert (cat. Toulon. 57 et 112) è il più significativo ed an- tico (1838). 242. R. aquatilis L., sp. pl. 781 a. — Plazza, mss. 136. Hab.: senza località. Osserv.: quantunque Plazza abbia precisato la forma @ posta da Linneo sotto il suo R. aquatilis, tuttavia non è possibile indicare l’una o l’altra delle varietà, nelle quali alla sua volta si frammenta R. diversifolius (= R. aquatilis Linn. @). In Sardegna conosciamo le var. heleophilus Beck., heterophyllus DC., triphyIlus Briquet, con grande numero di piccole forme; poichè nessuna di queste è stata chiaramente espressa nei varî autori di flora sarda, così mi astengo dal riportarne le bibliografie. 24 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. 243. R. gramineus L., sp. pl. 773. — Plazza, mss. 134. — Moris, stirp. sard. I, 2 et fl. I, 30. — Bertol,, fl. ital. V, 503. — ‘Genn., fl. med. sard. n. 3. — Barb., comp. n. 13, p. 19. — Fiori, fl. anal. I, 505. — Falq., contr. sard. 28. Hab.: senza località. — Noto di Laconi e del Tonneri di Irgini. 244. R. bullatus L., sp. pl. 774. — Plazza, mss. 134. — Moris, stirp. sard. I, 2 et fl. I, 32. — Bertol., fl. ital., V, 507. — Genn,, fl. med. sard. n. 4, fl. palab. 29 et repert. 118. — Barb., comp. n. 15, p. 19. — Vace., arcip. madd. suppl. n. 12% — Nicotra, calend. fl. 15. — Fiori, fl. anal. I, 507. — Cav., veg. sard. 24. — Falq., contr. sard. 21. Hab.: senza località. — Molto comune. Osserv.: abbiamo da noi le var. rRombifolius piuttosto nel nord e semicalvus pre- valente al sud. Gennari descrisse pure una forma prolifer ed una flore pleno. 245. R. asiaticus L., sp. pl. 777. — Plazza, mss. 135. R. asiaticus B. sanguineus DC., resn. veg. Syst. nat. I, 262. — Arc., comp. fl. ital. ed. I, 14. — Ces.-Pass.-Gib., comp. fl. ital. 879. — Fiori, fl. anal. I, 508 8. Hab.: “in campidano , (Plazza). Osserv.: Plazza riferisce essere il 6 di Linneo, e quindi sarebbe la varietà indicata pei din- torni di Otranto da Groves. Io non l’ho mai veduto di Sardegna, epperciò o ai tempi suoi Plazza lo trovò come sfuggito dalle colture, o è una delle tante forme macrante e bianco-pelose del R.flabellatus. Del resto anche di Spagna Willkomm e Lange (prodr. fl. hisp. III, 942 sub Cy- prianthe asiatica) lo dicono coltivato. 246. R. lanuginosus L., sp. pl. 779 @. — Plazza, mss. 134. — Moris, stirp. sard. I, 2. — Bertol., fl. ital. V, 544. — Barb., comp. n. 20, p. 19. — Fiori, fl. anal. I, 513. — Falq., contr. sard. 21. Hab.: senza località. — Diffuso, con la var. genuinus Briquet (prodr. fl. cors. I, 625), nei pascoli e presso i fossi a Capoterra, Decimo, Uta, Oristano, donde l’ho io pure raccolto; Biondi lo dà di Arizzo, e Gandoger di Orune e del Gennargentu come R. umbrosus Ten. et Guss. Osserv.: Moris fa sinonimo del £. velutinus (fl. sard.) il R. lanuginosus del primo degli elenchi e quindi non lo pone nella Flora. Intanto descrive col nome di È. mon- tanus major (fl. sard. I, 42) la var. umbrosus (Ten. et Guss. in Ten., syll. fl. neap. app. V, 15) del £. lanuginosus L. Così mentre la var. genuinus è limitata sinora alle parti basse, la var. umbrosus vive nei monti alti del Gennargentu e ad Orune. 247. R. arvensis L., sp. pl. 780. — Plazza, mss. 136. — Moris, stirp. sard. I, 2 et fl. I, 51. — Bertol,, fl. ital. V, 564. — Genn,, fl. med. n. 20 et repert. 118. — Barb., comp. n. 30, p. 20. — Fiori, fl. anal. I, 516. — Bickn., sard. 197. Hab.: senza località. — Comune nei coltivati. 248. R. sceleratus L., sp. pl. 776. — Plazza, mss. 134. — Moris, stirp. sard. I, 2 et fl. I, 35. — Bertol. fl. ital. V, 533. — Genn., fl. med. n. 14 et repert. 118. —- Barb., comp. n. 17, p. 19. — Fiori, fl. anal. I, 516. — Bickn., sard. 197. Hab.: “ reperitur in agro calaritano, prope Divi Petri et Pauli fana abunde inve- nimus, (Plazza). 161. Adonis (Rupp.) Linn. 3 249. Ad. autumnalis L., sp. pl. 771. — Tze! mss. 132. — Barb., comp. n. 2251, p. 172. Ad. aestivalis Moris, stirp. sard. I, 2. — Bertol., fl. ital. V, 492. — Barb,, op. cit. n. 8, p. 19 (Omnes ex parte). Ad. aestivalis B brachypetala Moris, fl. sard. I, 22. Ad. annuus a autumnalis Fiori, fl. anal. I, 499. Hab.: senza località. — Comunissimo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 25 Lauraceae. 162. Laurus (Tourn.) Linn. 250. L. nobilis L., sp. pl. 529. — Plazza, mss. 95. — Moris, stirp. sard. I, 39 et fl. NI, 432. — Bertol., fl. ital. IV, 399. — Barb., comp. n. 1192, p. 52 et 181. — Fiori, fl. anal. I, 281. — Cav., veget. sard. 54 etesc. sard. 17. —- Bickn., sard. 194 et 201. Hab.: senza località, ma spontaneo e formante boscaglie in molti luoghi dell’isola. “ Vulgo su Lau dictus , (Plazza). Papaveraceae. 163. Hypecoum Linn. 251. H. procumbens L., sp. pl. 181. subsp. eu-procumbens Briquet, prodr. fl. cors. II, 1. H. procumbens L. — Plazza, mss. 27. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. I, 84. — Bertol,, fl. ital. V, 218. — Genn, fl. med. n. 55, fl. capr. n. 451, fl. palab. 29 et repert. 121. — Barb., comp. n. 53, p. 20. — Vacec., arcip. madd. n. 23. — Nicotra, fumar. ital. 22 et calend. fl. 14. — Fiori, fl. anal. I, 483 a. — Cav., veget. sard. 24 et esc. sard. 5. — Bickn., sard. 195 et 198. Hab.: “ in agro calaritano prope Santa Tenera, annuum , (Plazza). Osserv.: di questa subsp. abbiamo anche la forma glaucescens (Guss., pro specie; Moris et Nicotra, locc. citt. pro varietate) Fiori, 1. c. Di più fra noi conoscerebbesi pure la subsp. grandiforum Briquet, se vere le indicazioni di Biondi (ex Barbey, op. cit. n. 54, p. 20); sinora non l’ho ritrovata. 164. Chelidonium (Tourn.) Linn. 252. Ch. majus L., sp. pl. 723 @. — Plazza, mss. 122. — Moris, stirp. sard. I, 2 et fl. I. 83. — Bertol., fl. ital. V, 309 a. — Genn,, fl. med. n. 52. — Barb., comp. n. 52, p. 20 et 172. — Nicotra, ult. note 1. — Fiori, fl. anal. I, 483 @. — Bickn., sard. 194 et 198. — Falq., esc. gennarg. 28. Hab.: senza località. — Non abbondante qua e là. 165. Glavcium Adans. 253. Gl. fiavum Crantz, stirp. austr. ed. I, vol. II, 133. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. I, 80. — Barb., comp. n. 50, p. 20. — Genn,, fl. palab. 29 et repert. 120. — Fiori, fl. anal. I, 484. — Cav., esc. sard. 5. Chelidonium Glaucium L., sp. pl. 724. — Plazza, mss. 122. GI. luteum Scop., fl. carn. ed. II, vol. I, 369. — Bertol., fl. ital. V, 312. — Genn.,, fl. med. n. 53 et fl. capr. n. 450. — Vacc., arcip. madd. n. 22.— Cav., veget. sard. 54. — Nicotra, fl. asin. 3. Hah.: senza località. — Comunissimo nelle arene marittime. 166. Papaver (Tourn.) Linn. 254. P. Rhoeas L., sp. pl. 726. — Plazza, mss. 124. — Moris, stirp. sard. I, 3 et ff. I, 77. — Bertol,, fl. ital. V, 324. — Genn,, fl. capr. n. 447, fl. palab. 29 et repert. 120. — Barb., comp. n. 48, p. 20. — Vace., arcip. madd. n. 18. — Fiori, fl. anal. I, 485 a. — Bickn., sard. 197. Hab.: “ in arvis. A calaritanis su Papauli appellatur, et a pulesiensibus Mapol , (Plazza). Pa 26 ACHILLE lERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. Osserv.: di Sardegna a me finora sono note le var. genuinum Elk., Roubiaei Salis, agrivagum Beck, con le forme angustifolia Moris, substrigosa Terrace. A. e pumila Terrace. A. 255. P. dubium L., sp. pl. 726. — Plazza, mss. 124. var. genuinum Terracc. A. P. dubium L. — Moris, stirp. sard. I, 3. — Genn,, fl. capr. n. 449 et fl. med. n. 46. — Vace., arcip. madd. n. 15. — Bickn., sard. 197. — Falq., contr. sard. 22. P. Rhoeas e dubium Fiori, fl. anal. I, 486. var. obtusifolium Elk., mon. papav. 25. — Arc., comp. fl. ital. ed. I, 24. — Vace., arcip. madd. n. 17. P. obtusifolium Desf., fl. atl. I, 407. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. I, 76. — i Genn., fl. med. n. 47, fl. palab. 29 et repert. 120. — Barb., comp. n. 47, p. 20 (ex } parte). ; P. Rhoeas y obtusifolium Fiori, fl. anal. I, 486. | CTS . = c 9 PIBITRS i Hab.: senza località. — Comuni e quasi sempre insieme le due varietà, che sono A “ al certo comprese nella specie indicata da Plazza. i 256. P. hybridum L., sp. pl. 725. — Plazza, mss. 122. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. I, 72. — Bertol., fl. ital. V, 316. — Genn., fi. capr. n. 450, fl. med. n. 49, fl. palab. 29 et repert. 120. — Barb., comp. n. 44, p. 20. — Fiori, fl. anal. I, 485 e. — Bickn., sard. 197. — Falq., contr. sard. 22. Hab.: senza località. — Col P. Rhoeas è il più diffuso. 257. P. somniferum L., sp. pl. 726. — Plazza, mss. 124. Hab.: senza località. “ Vulgo su Papauli dictum , (Plazza). Osserv.: non può dirsi se Plazza abbia intesa la sola subsp. eu-somniferum Briquet (prodr. fl. cors. II, 5;= P. somniferum L. — Moris, fl. sard. I, 79 8. — Barb., comp. n.49, p. 20 ex p. — Fiori, fl. anal. I, 486 p et y. — Vacc., arcip. madd. n. 20) col- tivata nei giardini e talora da essi sfuggita nei campi, od anche la subsp. setigerum Briquet (op. cit. 4; = P. setigerum DC., fl. fr. V, suppl. 585. — Bertol., fl. ital. V, 326. — Genn., fl. capr. n. 446, fl. med. n. 45, fl. palab. 29 et repert. 120. — Vace., op. cit. n. 21. — Bickn., sard. 197; = P. somniferum L. — Moris, op. cit. a. — Barb., l. c. ex p. — Fiori, op. cit. @) che è volgarissima nell’isola e sopratutto intorno a Ca- bi i i % gliari. Forse ambedue. 167. Fumaria (Tourn.) Linn. 258. F. capreolata L., sp. pl. 985. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. I, 87. — Bertol., fl. ital. VII, 306. — Genn,, fl. capr. n. 444, fl. med. n. 59 et repert. 121. — Barb., comp. n. 55, p. 20, 173 et 215. — Vace., arcip. madd. n. 24. — Nicotra, ult. note 1 et mon. fumar. ital. 43. — Fiori, fl. anal. I, 479 @. — Cav., veget. sard. 19, 24, 28 et 33. — Bickn., sard. 198. F. subcirrhosa etc. AIl., fasc. stirp. sard. 94. Hab.: “ abunde circa Calarim , (Allioni), insieme con le varietà pallidiflora e speciosa. Osserv.: col nome di /. capreolata esistono nell’erbario Allioni gli esemplari di questa specie raccolti da Plazza, però Plazza non la menziona nel manoscritto. 259. F. officinalis L., sp. pl. 984. — Plazza, mss. 172. — Moris, stirp. sard. I, 3. — Genn., fl. capr. n. 445, fl. med. n. 56, fl. palab. 29 et repert. 121. — Barb., comp. n. 57, p. 56 et 172. — Vacec., arcip. madd. n. 25. — Nicotra, ult. note 2. — Cav., veget. sard. 24. — Bickn., sard. 198. Hab.: “ in Campidano. Vulgo sa Fumisterra dicta , (Plazza). Osserv.: gli autori sopra citati hanno certamente comprese insieme le due varietà MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 277 genuina Briquet (prodr. fl. cors. II, 19; = 7. officinalis @. — Moris, fl. sard. I, 89. — Ni- cotra, mon. fumar. ital. 61. — Fiori, fl. anal. I, 480) e densiflora Parl. (mon. fumar. 55. — Moris, op. cit. y. — Fiori, op. cit. y; = . densiflora DC., syst. II, 138 ex p. — Barb., op. cit. n. 2553, p. 172;= /. officinalis è floribunda Koch. — Nicotra, op. cit. 63). — Nicotra (mon.) dà di Sardegna anche una var. scandens. 168. Platycapnos Bernh. 260. PI. spicatus Bernh. in Linnaea VIII, 471. — Nicotra, mon. fumar. ital. 77. Fumaria spicata L., sp. pl. 985. — Plazza, mss. 172. — Fiori, fl. anal. I, 481. — Bickn., sard. 196 et 198. Hab.: “ abunde circa Calarim. Vulgo sa Fwmisterra dictus , (Plazza). Osserv.: dopo il suo rinvenimento a Cagliari, isola di San Simone, da parte di Bicknell nel 1904, questa specie è una fra le tante per primo indicate da Plazza e rimaste poi per circa un secolo e mezzo ignorate. Io ne ho un piccolo esemplare, : ma dalla forma delle foglie e dai caratteri dei fiori e dei frutti potrebbe non senza difficoltà elevarsi la forma sarda alla dignità di una varietà, cui darei il nome di Sardoa. i Capparidaceae. 169. Capparis (Tourn.) Linn. 261. C. spinosa L., sp. pl. 720. — Moris, stirp. sard. I, 6. — Barb., comp. n. 126, p. 22. var. aculeata Terrace. A. C. aculeata All., fasc. stirp. sard. 90 (1759). C. spinosa Plazza, mss. 122. — Moris, fl. sard. I, 187 a. — Bertol., fl. ital. V, 301. — Nicotra, calend. fl. 7. — Caruel in Parl,, fl. ital. IX, 1052 a. Hab.: “ ad rupes retro Calarim , (Plazza), et “ rupes circa Calarim , (Allioni). var. rupestris Viv., fl. lyb. specim. 26 — Fiori, fl. anal. I, 413. C. non spinosa Plazza, mss. 123. C. rupestris Sibth. et Sm., fl. graec. prodr. I, 355, t. 487. — Bertol., fl. ital. V, 302. — Genn., fl. palab. 29 et repert. 121. — Cav., veget. sard. 19 et 24. C. spinosa B inermis Pers., syn. pl. II, 59. — Moris, fl. sard. I, 187. — Caruel, op. cit., x1053. Hab.: senza località. — Più comune dell’altra. “ Vulgo su T'apparî dicta , (Plazza). Osserv.: Plazza alla sua C. non spinosa fa seguire il sinonimo di €. B. e di Bellow, e queste parole: “ Videndus Allionius in flora pedemontana. Hyeme folia retinet iis- demque locis crescit. Describenda ,. Se non che, essendosi arrestato a p. 70 nel rico- piare per le stampe il manoscritto, più non descrisse la nuova forma. Cruciferae. 170. Sisymbrium (Tourn.) Linn. 262. S. Irio L., sp. pl., 921. — Plazza, mss. 159. — Moris, stirp. sard. I, 5 et fl. I, 163. — Genn,, fl. med. n. 73, fl. palab. 29 et repert. 126. — Barb., comp. n. 109, p. 22. — Caruel in Parl., fi. ital. IX, 924. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 452. — Bickn., sard. 198. — Fiori, esc. primav. sard. 149. Hab.: senza località precisa. — Comunissimo. 263. S. officinale Scop., fl. carn. ed. II, vol. II, 16. — Moris, stirp. sard. I, 5 et fl. I, 28 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. 162. — Genn,, fl. capr. n. 443, fl. med. n. 72, fl. palab. 29 et repert. 126. — Barb., comp. n. 109, p. 22. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 930. — Vace., arcip. madd. n. 33. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 433. — Bickn., sard. 198. Erysimum officinale L., sp. pl. 922. — Plazza, mss. 159. Hab.: senza località. — Comunissimo nella var. genuinum Briquet. — Gandoger avrebbe trovato anche la var. lejocarpum DO. 171. Barbaraea Beckm. 264. B. rupicola Moris, stirp. sard. I, 55 et fl. sard. I, 154, tab. X. — Genn,, fl. med. n. 70. — Barb., comp. n. 101, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, p. 850. — Falq., esc. gennarg. 28. Erysimum Barbaraca Plazza, mss. 161 (non Linn., sp. pl. 922 a). B. vulgaris B rupicola Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 434. — (Cav., veget. sard. 42. Hab.: senza località. — Diffusa in tutta l'isola e nel Cagliaritano alla foresta del monte Sette Fratelli. Osserv.: l'a di Linneo è B. vulgaris, sinora non nota dell’isola, epperciò non esito a riferirla alla specie morisiana. 265. B. verna Aschers., fl. brandenb. I, 36. Erysimum Barbaracea L., sp. pl. 922 p. — Plazza, mss. 161. B. praecox R. Br., in Ait., hort. Kew. ed. II, vol. IV, 109. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. sard. I, 154. — Genn., fl. med. sard. n. 69. — Barb., comp. n. 100, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 848. B. patula Fries. — Barb., n. cit. p. 216. B. vulgaris B verna Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 434. Hab.: senza località precisa, ma sinora conosciuta di Barì, Arizzo, Belvì, Orune. 172. Rorippa Scop. 266. R. Nasturtium-aquaticum Schinz et Thell., in Vierteljahrsschr. naturf. ges. Ziirich. LIII, 538. Sisymbrium Nasturtium-aquaticum L., sp. pl. 916. — Plazza mss. 159 (sine nomine aquatico, sed cum signo linnaeano). Nasturtium officinale R. Br., in Ait., hort. Kew. ed. II, vol. IV, 110. — Moris, stirp. sard. I, 5 et fl. I, 146. — Genn,, fl. capr. n. 438, fl. med. n. 71 et repert. 125. — Barb., comp. n. 94, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 899. — Vacc., arcip. madd. n. 28 et suppl. II. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 435. — Cav., veget. sard. 28 et 54. — Bickn., sard. 198. Hab.: senza località. Dovunque lungo i corsi d’acqua, gli stagni, i luoghi umidi. — “ Vulgo martuzzu e viu dictum , (Plazza). 173. Cardamine (Tourn.) Linn. 267. C. resedifolia L., sp. pl. 913. — Plazza, mss. 159. — Caruel in Parl., fi. ital. IX, 824. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 489. Hab.: senza località precisa. Osserv.: la specie non è sinora stata da altri trovata in Sardegna, mentre è molto diffusa in Corsica da m. 1600 in sopra. Sarebbe quindi da ricercarsi ancora, poichè non posso in verun modo ammettere, che Plazza con essa abbia inteso C. Wirsuta, l’unica specie ben nota dell’isola, per quanto Gandoger dica aver veduto €. sylwatica Linck a Donori (da me ora raccolta nel Sassarese). DO o MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 174. Arabis Linn. 268. Ar. verna R. Br., in Ait., hort. Kew. ed. II, vol. IV, 105. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. I, 150. — Genn,, fl. med. n. 65. — Barb., comp. n. 97, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 878. — Vace., arcip. madd. n. 30. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 4830. — Cav., veget. sard. 42. — Bickn., sard. 198. — Fiori, esc. primav. sard. 149. Hesperis verna L., sp. pl. 928. — All., fasc. stirp. sard. 96. — Plazza, mss. 162. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). 269. Ar. hirsuta Scop., fl. carn. ed. II, vol. II, 30. — Moris, fl. sard. I, 151 a. — Genn., fl. med. n. 66. — Barb., comp. n. 98, p. 21. — Caruel in Parl,, fl. ital. IX, 875. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 428 (@ et 6 quoad Sardiniam). Turritis hirsuta L., sp. pl. 930. — Allioni, fasc. stirp. sard. 102. — Plazza, mss. 164. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: in Sardegna vivono le var. ovata Wallr. (= @ Moris, fl. sard. I, 151) e: sagittata Wallr. (=? Moris, 1. c. — Paoletti in op. cit. I, 428 d; = Ar. sagittata DO. — Moris, stirp. sard. I, 3). Senza dubbio Plazza intese l’una e l’altra. 270. Ar. alpina L., sp. pl. 928. — Plazza, mss. 161. — Caruel in Parl., fi. ital. IX, 863. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 427. Hab.: senza località precisa. i Osserv.: la specie, in numerose varietà spettanti alla subsp. eu-alpina Briquet, vive in Corsica da 900 m. in sopra. Mi è ignota di Sardegna, e va dunque ancora ricercata. 175. Conringia Adans. 271. C. orientalis Andrz., in DC., syst. nat. II, 508. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 450. Erysimum orientale Crantz, el. cruc. 116. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 945. Hab.: senza località precisa. Osserv.: ancor questa è una delle specie scomparse dalla Sardegna, come dalla Sicilia, donde si conosceva sulla fede di Presl. 176. Isatis (Tourn.) Linn. 272. Is. tinctoria L., sp. pl. 936. — Plazza, mss. 167. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 1036. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 454. Is. aleppica Moris, stirp. sard. II, 1. Hab.: senza località. — Non rara tra’ campi coltivati. Osserv.: in Sardegna promiscuamerte trovansi le var. canescens Gr. et Godr. (= Is. lusitanica Moris, fl. sard. I, 114 @; = Is. canescens DC. — Barb., comp. n. 69, p. 215) ed hirsuta DC. (= I. lusitanica * lejocarpa Moris, l. c.). 177. Bunias Linn. 273. B. Erucago L., sp. pl. 935. — Plazza, mss. 165. — Moris, stirp. sard. I, 4 et fl. I, 104. — Barb., comp. n. 63, p. 21. — Genn,, repert. 123. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 1040. — Vace., arcip. madd. n. 47. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 453. — Cav., veget. sard. 24 et 28. — Bickn., sard. 198. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). 178. Cheiranthus Linn. 274. Ch. Cheiri L., sp. pl. 924 @. — Plazza, mss. 161. — Moris, stirp. sard. el. I, 4 et fl. sard. I, 156. — Barb., comp. n.102, p. 22. — Genn,, repert. 126. — Caruel 30 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. in Parl., fl. ital. IX, 805. —- Nicotra, ult. note 2 et ulter. note 16. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 426. — Cav., veget. sard. 19 et 24. Hab.: senza località. — Comune sui vecchi muri. 179. Malcolmia R. Br. 275. M. ramosissima Genn., fl. capr. n. 442 (1870). — Thell., fl. adv. montp. 285 (1912). var. parviflora Terrace. A. Cheiranthus creticus Plazza, mss. 162. M. parviflora (DC.). Moris, stirp. sard. I, 5 et fl. I, 160. — Genn. fl. capr. n. 442 et; fl. med. n. 77. — Barb., comp. n. 106, p. 22. 173 et 216. — Caruel in Parl,, fl. ital. IX, 950 (ex p.). -- Vace., arcip. madd. n. 31. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 423 @ (ex p.). Hab.: senza località. — Comune nelle arene marittime. Osserv.: identifico con questa la specie di Plazza per i sinonimi da lui appostivi (Leucojum creticum obtusifolium C. B., pin. 201. — L. marinum creticum primum Clus., hist., I, 298-299). In verità nel Pinax (anno 1671) è scritto: L. cr. thalaspifolium, che è una parafrasi del L. di Clusio (hist. libr. III, 298, anno 1601); ma Plazza mo- difica la frase di Bauhinio, perchè realmente nel suo Ch. creticus le foglie sono “ oblongo- obovata, lineari-oblonga, obtusa, subintegra ,. Clusio scrive essergli pervenuta la pianta da Josephus Casabonus; non ne fanno però menzione Linneo, De Candolle, ecc. — Credo da ultimo osservare, che la priorità del nome spetti a Gennari, che (1. c.) dice: “è dessa forse soltanto (parlando di M. parviflora) una forma locale della Hesperis ramosissima Desf., da intitolarsi in conseguenza M. ramosissima? ,. — A quanto mi risulta da esame di numeroso materiale sardo, la nostra forma può costituire la va- rietà sopra appellata parwviflora, con i caratteri desunti da Moris. 180. Matthiola R. Br. 276. M. sinuata R. Br., in Ait., hort. Kew. ed. TI, vol. IV, 120. — Moris, stirp. sard. I, 5 et fl. I, 158. — Genn,, fl. med. n. 63. — Barb., comp. n. 104, p. 22. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 798. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 421 @. — Falq., contr. sard. 22. OCheiranthus tristis Plazza, mss. 161 (non Linn., sp. pl. 925). Hab.: senza località. — Comune nelle sabbie del littorale. Osserv.: in Sardegna esiste la sola varietà pubescens forma ligurica Conti (mon. matth. 35), la quale appunto dovette trarre in inganno Plazza, a meno che non si tratti di specie scomparsa dall’isola, e la cui presenza allora potrebbe esservi giu- stificata dal fatto che oggi trovasi ancora nella Sicilia. i 277. M. tricuspidata R. Br., 1. c. — Moris, stirp. sard. I, 5 et fl. I, 159. — Genn,, fl. med. n. 64 et repert. 126. — Barb., comp. n. 105, p. 22 et 216. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 802. — Vacec., arcip. madd. n. 27 et agg. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 422. — Bickn., sard. 193 et 198. — Falq. contr. sard. 22. Cheiranthus tricuspidatus L., sp. pl. 926. — Plazza, mss. 161. Hab.: senza località. — Comunissima dove e come la precedente. 181. Alyssum Linn. 278. A. maritimum Lamck., enc. méth. I, 98. — Moris, stirp. sard. I, 3. — Vacc., arcip. madd. n. 41 et suppl. et agg. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 458. — Nicotra, calend. fl. 12. — Cav., veget. sard. 35. Clypeola maritima L., sp. pl. 910. — Plazza, mss. 157. Urp et SI n de A, sa Dite MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 18. 1 Koniga maritima R. Br., obs. pl. coll. by Oudn. Denh. et Clapp. (exp. espl. centr. afr.) 10. — Moris, fl. sard. I, 140. — Barb., comp. n. 90, p. 21. — Genn., fl. palab. 29 et repert. 125. — €Caruel in Parl., fl. ital. IX, 574. — Bickn., sard. 198. — Nicotra, fl. asin. 3. Hab.: senza località. — Trovasi ovunque. 182. Clypeola Linn. 279. Cl. Jonthlaspi L., sp. pl. 910. — All., fasc. stirp. sard. 91. — Plazza, mss. 157. — Bertol., fl. ital. VI, 518. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 455. Jonthlaspi clypeolatum Caruel in Parl., fl. ital. IX, 1049. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: Fiori (sched. ad fl. ital, exsicc. n. 1278, in N. G. B. ital. serie II, vol. XVII, 610-611) ha nel 1910 proposto una sistemazione di questa specie in sottospecie e va- rietà certamente più razionale di quella di Paoletti (in Fiori, fl. anal. I, 455). Pur dissentendo nel valore delle sottospecie (e tanto più per quelle proposte da Rouy et Foucaud, fl. fr. II, 161-165), si possono accettare alcune varietà, tra le quali vivono in Sardegna: petraca (= CI. Jonthlaspi Moris, stirp. sard. I, 4 et fl. sard. I, 115. — Barb., comp. n. 70, p. 20), microcarpa (= ©2. microcarpa Moris, in diar. terza riun. scienz. ital. n. 13, p. 7 ed atti terza riun. scienz. ital. Firenze 1848, p. 539. — Barb., comp. n. 2798, p. 215. — Mattirolo, reliq. moris. 15), lastocarpa (== CI. Jonthlaspi Genn., repert. 123). ) 183. Draba Linn. 280. Dr. muralis L., sp. pl. 897 ae. — Moris, stirp. sard. I, 4 et fl. I, 139. — Barb., comp. n. 88, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 774. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 462. Draba caule non ramoso, etc. All., fasc. stirp. sard. 92. — Plazza, mss. 156. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: gli esemplari, che si trovano nell’erbario di Allioni, con l'annotazione Dr. caule non ramoso, sono facilmente riconoscibili per Dr. muralis L. Reca meraviglia che Allioni non abbia mai intesa nel suo vero significato la specie linneana, tanto che (fl. ped. I, 244, n. 897) la descrisse col nome di Dr. nemorosa; del resto anche Balbis fece lo stesso (el. piant. tor. 35), dando poi (add. fl. ped. 91) per Dr. muralis la vera Dr. nemorosa di Linneo (sp. pl. ed. I, 643). 184. Diplotaris DC. 281. D. tenuifolia DO., syst. nat. II, 632. —, Moris, stirp. sard. I, 4 et fl. sard. I, 184. — Bertol., fl. ital. VII, 70 @. — Genn., fl. med. n. 79, fl. palab. 29 et repert,. 127. — Presl, bot. bemerk. 10. — Barb., comp. n. 123, p. 22. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 962. — Nicotra, calend. fl. 12. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 449. — Cav., veget. sard. 24. — Bickn., sard. 198. Stisymbrium tenwifolium L., sp. pl. 917. — Plazza, mss. 159. Hab.: senza località. — Comunissima. 282. D. viminea DC., syst. nat. II, 635. — Moris, fl. sard. I, 185. — Genn., fl. med. n. 80 et repert. 127. — Barb., comp. n. 124, p. 22. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 964. — Nicotra, ulter. note 2 (forma integrifolia). — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 448. Sisymbrium vimineum L., sp. pl. 919. — Plazza, mss. 160. D. muralis Moris, stirp. sard. I, 4. ‘Hab.: senza località. — Frequente nell'isola, massime attorno Cagliari. 32 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. 185. Brassica (Tourn.) Linn. 283. Br. nigra Koch, deutschl. fl. IV, 713. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 444. Sinapis nigra L., sp. pl. 933. — Plazza, mss. 165. — Moris, stirp. sard. I, 5. Br. sinapoides Roth ex Caruel in Parl., fl. ital. IX, 997. Hab.: senza località. — “ Vulgo mustarda dieta , (Plazza). Osserv.: questa specie, che ho io qua e là ritrovata, non figura nella flora di Moris, che pur l’aveva ricordata nell'elenco “ ad margines agrorum ,, nè in altri cataloghi di piante sarde. 284. Br. oleracea L., sp. pl. 932. subsp. oleracea Rouy et Fouc., fl. fr. II, 52. Br. oleracea L., 1. c. — Plazza, mss. 163. — Moris, fl. sard. I, 170. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 446 a. h Hab.: senza località. — Coltivata. Osserv.: Plazza enumera le seguenti forme coltivate: capitata L. (Moris, 1. c. 8) — botrytis L. (Moris, l. c., 171 d) — gongylodes L. (Moris, l. c. y). Nelle rupi marittime cresce la subsp. insularis Rouy et Fouc., (= Br. cretica Viv. — Moris, stirp. sard. I, 3; = Br. insularis Moris, fl. sard. I, 168, t. XI. — Bertol., fl. ital. VII, 147. — Genn., fl. med. n. 83. — Barb., comp. n. 113, p. 22 et 216. -- Falq., contr. sard. 22; = B. oleracea ò Paoletti, op. cit.). 285. Br. campestris L., sp. pl. 931. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 445. subsp. Rapa Terracc. A. Br. Rapa L., sp. pl. 931. — Plazza, mss. 163. — Moris, fl. sard. I, 173. Br. campestris b Fiori, l. c. Hab.: senza località. — Coltivata. i Osserv.: allo stato spontaneo o quasi (spesso essendo coltivata) trovasi in Sar- degna pure la subsp. eu-campestris Terrace. A. (= Bri campestris L. — Moris, stirp. sard. I, 3 et fl. sard. I, 171. — Bertol., fl. ital. VII, 152. — Genn., fl. med. n. 84 et repert. 126. — Barb., comp. n. 114, p. 22. — Paoletti in op. cit. I, 445 a. — Cav., veget. sard. 38. — Bickn., sard. 198). 286. Br. Napus L., sp. pl. 931. — Plazza, mss. 163. — Moris, fl. sard. I, 172. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 445 bd. Hab.: senza località. — Coltivata. Osserv.: corrisponde alla var. esculenta DC. Inselvatichita sarebbe stata trovata da Vaccari (fl. arcip. madd. n. 34), corrispondendo quindi alla var. oleifera DO. 287. Br. monensis Huds., fl. angl. ed. II, 291. — Caruel in Parl,, fl. ital. IX, 1010. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 444 a. Br. Erucastrum Plazza, mss. 165 (non L., sp. pl. 932). — Moris, stirp. sard. II, 1. Br. cheiranthos Vill., prosp. 40. — Moris, fl. sard. I, 167. — Genn., fl. med. n. 82. — Barb., comp. n. 112, p. 22. Hahb.: senza località. — Rarissima e sinora nei monti di Pattada e Bolotona. 186. Eruca (Tourn.) Adans. 288. Er. sativa Lamek., fl. fr. II, 496. — Moris, stirp. sard. I, 4. — Genn., fl. med. n. 81, fl. palab. 29 et repert. 127. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 971. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 442. — Cav., veget. sard. 24. — Bickn., sard. 195 et 198. Brassica Eruca L., sp. pl. 932. — Plazza, mss. 165. — Moris, fl. sard. I, 175. — Barb., comp. n. 116, p. 22. Hab.: senza località. — Comunissima nelle forme (piuttosto che varietà) genuina Briq. e longirostris Rouy. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 33 187. Rapistrum (Tourn. ex Medic.) Desv. 289. R. rugosum Berg., phytonom. III, 171 ex DC., syst. nat. II, 432. — Moris, stirp. sard. I, 5 et fi. I, 107. — Genn., fl. capr. n. 424, fl. palab. 29. et repert. 123. — Barb., comp. n. 65, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 1022 #. —- Vacc., arcip. madd. n. 39. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 451 a et y. — Falq., contr. sard. 22. Myagrum perenne Plazza, mss. 153 (non L., sp. pl. 893). Hab.: senza località. — Comunissimo. Osserv.: sotto questo nome va intesa la subsp. eu-rugosum Thell., ma non impro- babilmente anche la subsp. orientale Rouy et Foucaud. Con le due vive in Sardegna pure la subsp. Linnaeaum Rouy et Fouc., (= È. orientale Moris, fl. sard. I, 109. — Genn., fl. capr. n. 433. — Barb., comp. n. 66, p. 21. — Vace., arcip. madd. n. 38. — Falq., contr. sard. 22; = A. rugosum a Caruel, 1. c. et f Paoletti, l. c.).. — In quanto a M. perenne (= È. perenne Berg.) dirò che non giustamente Caruel (op. cit. 1021) e Paoletti (op. cit. 451) lo hanno indicato di Corsica; e l’errore proviene dall’aver ritenuta corretta la determinazione del Salis (in Flora XVII, beibl. II, 81), quando esso altro non è se non la subsp. Linnacanum di È. rugosum. 188. Carkile (Tourn.) Adans. 290. C. maritima Scop., fl. carn. ed. Il, vol. II, 35. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 453. var. aegyptiaca Coss., comp. fl. atl. II, 305. Bunias Cakile L., sp. pl. 936. — All., fase. stirp. sard. 90. — Plazza, mss. 167. C. maritima Moris, stirp. sard. I, 4 et fl. I, 102. — Genn., fl. capr. n. 432, fl. palab. 29 et repert. 123. — Barb., comp. n. 61, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 1043. — Vace., arcip. madd. n. 40. — Cav., veget. sard. 14 et esc. sard. 5. — Bickn., sard. 198. C. latifolia Poir. — Bertol., fl. ital. VI, 615. Hab.: “in dioecesi Calaris (Allioni), in sabulosis mari proximis et stagnis prope Calarim frequens , (Plazza). Osserv.: prevalgono le forme pinnata e pinnatifida, che indico tra le più salienti in mezzo al grande numero a cui la varietà dà luogo fra noi. Esse furono in gran parte messe in evidenza da Paoletti (op. cit.). 189. Raphanus (Tourn.) Linn. 291. R. sativus L., sp. pl. 935. — Plazza, mss. 165. — Moris, fl. sard. I, 99. — Pao- letti in Fiori, fl. anal. I, 451. E. Raphanistrum y sativus Beck, fl. nieder-oesterr. 500. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 1018. Hab.: senza località. — Coltivato. — “ Vulgo su Napu dictus , (Plazza). 190. Carrichtera (Adans.) DC. 292. C. Vellae DC., syst. nat. II, 642. — Moris, stirp. sard. I, 4 et fl. I, 135. — Barb., comp. n. 86, p. 21. — Genn,, repert. 125. — Caruel in Parl., fi. ital. IX, 1013. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 442. — Cav., veget. sard. 24. — Bickn., sard. 195 et 198. Vella annua L., sp. pl. 895. — Plazza, mss. 155. Hab.: “ frequens circa Calarim , (Plazza). 191. Lepidium Linn. 293. L. sativum L., sp. pl. 899. — Plazza, mss. 155. — Moris, stirp. sard. II, 1 et fl. I, 131. — Macchiati, contr. fl. sard. 146. — Barb., comp. n. 83, p. 21. — Caruel in Parl., fi. ital. IX, 605. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 467. Qa 34 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. Hab.: senza località. — Non raro nei campi coltivati. — “ Vulgo martutzu dictum , (Plazza). 294. L. graminifolium L., syst. nat. ed. X, 1127 et sp. pl. ed. II, 900. — Moris, fl. sard. I, 127. — Barb., comp., n. 81, p. 21. — Vacc., arcip. madd. n. 43. — Nicotra calend. fl. 14. L. Iberis L., sp. pl. ed. I, 645 (ex parte). — Moris, stirp. sard. I, 5. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 662. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 467. L. ruderale Plazza, mss. 155 (non L., sp. pl. ed. II, 900). — Ten., syll. fl. neap. 313. — Genn., fl. palab. 29 et repert. 124. t) Hab.: senza località. — Diffusissimo lungo le vie e nelle macerie, ove, a seconda del substrato, si presenta in forme molto variabili. i 192. Coronopus (Rupp.) Hall. 295. C. procumbens Gilib., fl. lith. V, 52. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 656. — Pao- letti in Fiori, fl. anal. I, 465. Cochlearia Coronopus L., sp. pl. 904. — Plazza, mss. 157. C. Ruellii AIl., fl. ped. I, 256. — Moris, fl. sard. I, 133. — Barb., comp. n. 84, paezile Senebiera Coronopus Poir., enc. méth. VII, 76. — Moris, stirp. sard. I, 5. — Genn., fl. capr. n. 437 et repert. 124. — Vacc., arcip. madd. n. 45. — Cav., veget. sard. 38. — Falqui, contr. sard. 22. Hab.: senza località. — Comunissima nei luoghi erbosi. 193. Biscutella Linn. 296. B. didyma L., sp. pl. 911. subsp. apula Murb., contr. fi. nord-ovest afr. I, 11. B. apula L., sp. pl. 911 a. — Plazza, mss. 157. — Caruel in Parl., fi. ital. IX, 648. B. didyma Bertol., fl. ital. VI, 522. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 476 a. Hab.: senza località. — Comunissima. Osserv.: in Sardegna predomina la var. Columnae (= B. Columnae Ten. — Moris, sard. I, 117 (ex parte). — Genn., repert. 124 (ex p.). — Barb., comp. n. 71, p.21. — Bickn., sard. 198. — Fiori, esc. primav. sard. 149; = 5. ciliata Moris, stirp. sard. I, 3. ex p.), tra cui ho distinto una forma sardoa (siliculis in disco medio tenuiter pilosis). Più rara è la subsp. lyrata (= B. lyrata L., mant. alt. II, 254. — Bertol., fl. ital. VI, 524. — Barb., op. cit., n. 72, p. 21; = 5. apula p Caruel, l. c.; = 5. didyma 8 Paoletti, l. c.). 194. Cochlearia (Tourn.) Linn. 297. C. Armoracia L., sp. pl. 904. — Plazza, mss. 157. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 729. Nasturtium Armoracia Fr., fl. scan. 65. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 437. Hab.: senza località. — Coltivata negli orti. 195. TAlaspi (Tourn.) Linn. so 298. Thl. perfoliatum L., sp. pl. 902. — All, fase., stirp. sard. 101. — Plazza, mss. 156. — Moris, stirp. sard. II, 1 et fl. I, 121. — Barb., comp. n. 75, p. 21. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 697. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 471. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: dato l'habitat, corrisponderebbe alla forma simplicissimum (Moris, l. c.; = TN. perfoliatum Genn., repert. 124). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 35 196. Teesdalia R. Br. 299. 7. coronopifolia Thell., in Fedde, repert. X, 289. Iberis nudicaulis Plazza, mss. 157 (non L., sp. pl. 907). i T. regularis Smith in trans. linn. soc. XI, 286. — (Caruel in Parl., fl. ital. IX, 690. — Fiori, esc. primav. sard. 149. T. Lepidium DC., syst. nat. II, 392. — Moris, stirp. sard. I, 5 et fl. T, 120. — Genn., fl. capr. n. 435. — Barb., comp. n. 74, p.21. — Vace., arcip. madd. n. 44 et suppl. — Cav., veget. sard. 28. — Bickn., sard. 194 et 198. T. nudicaulis a regularis Paoletti in Fiori, fi. anal. I, 470. Hab.: senza località. — Comunissima. 197. Camelina Crantz. 300. C. sativa Crantz, stirp. austr. I, 17. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 910 (excel. syn. Pers.). — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 464 (excl. è). ; Myagrum sativum L., sp. pl. 894. — Plazza, mss. 155. Hab.: senza località. — Sfuggita dalle colture? 198. Capsella Medic. 301. C. Bursa-pastoris Moench, meth. 271. — Moris, stirp. sard. I, 4 et fl. I, 124. — Genn., fl. capr. n. 436, fl. palab. 29 et repert. 124. — Barb., comp. n. 72, p.21. — Vace., arcip. madd. n. 42 et suppl. — Bickn., sard. 198. Thlaspi Bursa-pastoris L., sp. pl. 903. — Plazza, mss. 115. subsp. eu-Bursa-pastoris Briquet, prodr. fl. cors. II, 119 (nom. emendavi). C. Bursa-pastoris Moench. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 672 @. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 469 a. subsp. rubella Rouy et Fouc., fl. fr. II, 95. C. rubella Reut., in bull. soc. hallér. 18. — Aschers., in att. soc. sc. ital. VI, 239. — Barb. comp. n. 2556, p. 173. — Capsella Bursa-pastoris y Caruel, op. cit. — Paoletti, op. cit. Hab.: “ ad aggeres calaritanos frequens , (Plazza). — Le due sottospecie, comu- nissime, si incontrano promiscuamente; furono al certo insieme comprese dagli autori posti da me dopo il nome specifico. Resedaceae. 199. Reseda (Tourn.) Linn. 302. R. alba L., sp. pl. 645. — All, fasc. stirp. sard. 100. — Moris, stirp. sard. II, 2 et fl. I, 190. — Barb., comp. n. 128, p. 22. — Vacc., arcip. madd. n. 49. — Genn,, fl. palab. 29 et repert. 116. — Terrace. A. in Parl,, fl. ital. X, 180. — Fiori, fl. anal. I, 410. — Bickn., sard. 198. — Falq., contr. sard. 23. — Cav., esc. sard. 2. R. undata L., syst. nat. ed. X, 1046. — Plazza, mss. 104. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). — Varie forme, anche con la specie, tra cui più distinguibili la var. laefevirens con la subvar. suffruticulosa e la var. firma, oltre ad una subvar. sardoa (Terrace. A., op. cit.). 303. R. lutea L., sp. pl. 645. — Plazza, mss. 106. — Moris, stirp. sard. II, 2 et fl. I, 189. — Barb., comp. n. 127, p. 22 et 173. — Genn., repert. 117. — Terrace. A. in Parl., fl. ital. X, 172. — Fiori, fl. anal. I, 411. — Nicotra, calend. fl. 12. — Bickn., sard. 198. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). — Varie entità con la specie, quali: var. vul- 36 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. garis con la forma crispa, var. mucronata con la forma mucronulata (= 8 subbipinnata Moris, fl. I, 189), var. maritima (Terrace. A., op. cit.). 304. R. luteola L., sp. pl. 643. — All., fasc. stirp. sard. 100. — Plazza, mss. 106. — Moris, stirp. sard. II, 3 et fl. I, 192. — Genn., fl. capr. n. 427 et repert. 117. — Barb., comp. n. 129, p. 173. — Vacc., arcip. madd. n. 50. — Terrace. A. in Parl., fl. ital. X, 159. — Fiori, fl. anal. I, 410. — Cav., veget. sard. 28. — Falq., contr. sard. 23. — Bickn., sard. 198. Hab.: “ in dioecesi calaritana , (Plazza, Allioni). — Con la specie anche le var. un- dulata, crispata ed australis forma dimerocarpa. - Crassulaceae. 200. Sedum (Tourn.) Linn. 305. S. Telephium L., sp. pl. 616. subsp. maximum Rouy et Camus, fl. fr. VII, 96. S. Telephium L., sp. pl. 616 s. — Plazza, mss. 102. — Moris, stirp. sard. I, 21. S. maximum Hoffm., deutschl. fl. 156. — Moris, fl. sard. II, 112. — Barb., comp. n. 531, p. 34. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 38. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 547. Hab.: senza località. — Qua e là sui muri e nei luoghi sassosi soleggiati. 306. S. Anacampseros L., sp. pl. 616. — Plazza, mss. 102. — Caruel in Parl., fl. ital. INIGUILO — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 548. Hab.: senza località. Osserv.: questa specie non è stata più ritrovata in Sardegna. Credo trattarsi di pianta colti- vata a scopo medicinale, avendo le foglie proprietà refrigeranti ed emollienti per le infiamma- zioni delle parti esterne del corpo umano. 307. S. album L., sp. pl. 619. — Plazza, mss. 102. — Moris, stirp. sard. I, 20 et fl. II, 124. — Genn,, fl. capr. n. 308. — Barb., comp. n. 540, p. 35 et 226. — Vace., arcip. madd. n. 215. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 60. — Nicotra, ult. note 20. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 549. — Cav., veget. sard. 47. — Falq., contr. sard. 28 et esc. gennarg. 32. Hab.: senza località. Comune nei luoghi montuosi con la varietà typicum Franch. 308. S. stellatum L., sp. pl. 617. — Plazza, mss. 102. — Moris, stirp. sard. I, 21 et fl. II, 115. — Genn., fl. capr. n. 303, fl. palab. 31 et repert. 136. — Barb., comp. n. 533, p. 34. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 77. — Vace., arcip. madd. n. 210. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 551. — Cav., veget. sard. 35 et 42. — Falq., contr. sard. 28. Hab.: senza località. Comunissimo. 309. S. rubens L., sp. pl. 619 @. — Plazza, mss. 103. — Moris, stirp. sard. I, 21 et fl. II, 119. — Genn,, fl. capr. n. 306. — Barb., comp. n. 537, p. 34 et 226. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 86. — Vacc., arcip. madd. n. 213 et suppl. — Paoletti in Fiori, fl. ‘anal. I, 552. Hab.: “in agro calaritano inter rupes , (Plazza). 310. S. rubrum Thell., in Fedde, rep. X, 290. S. rubens L., sp. pl. 619 8. — Plazza, mss. 103. Tillaca rubra L., syst. nat. ed. X, 902 (ex Plazza, mss. 27). S. caespitosum DC., prodr. INI, 405. — Moris, fl. sard. II, 118. — Genn,, fl. capr. n. 305. — Barb., comp. n. 536, p. 34. 177 et 226. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 88. — Vace., arcip. madd. n. 212. — Nicotra, ult. note 3. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 552. — Falq., esc. gennarg. 32. Hab.: senza località. Specie anche di luoghi elevati. MEMORIE - ULASSE DI SCIENZE FISICHE, MALEM. E NAUUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 18. 37 Osserv.: Plazza a p. 103 del manoscritto pone S. rudens @ et 8 di Linneo nella classe “ decandria pentagyna ,, ed intanto dapprima a p. 27 aveva descritta (col relativo sinonimo di Magnol) la Z'illaea rubra L., syst. nat. ed. X. 902 nella classe “ pen- tandria pentagyna ,. Poi, con un ripentimento, che onora il botanico e testimonia la sua oculatezza, radiava Z'illaea rubra aggiungendo “ pertiene ad decandria pentagyna , e rimandava a S. rubens BL. 201. Sempervivum (Rupp.) Linn. 311. S. arboreum L., sp. pl. 664. — Plazza, mss. 112. — Moris, stirp. sard. I, 21 et fl. II, 130. — Genn., fl. med. p. 4, fl. palab. 31 et repert. 137. — Barb., comp. n. 546, p. 35. — Caruel in Parl., fl. ital. IX, 17. — Paoletti in Fiori, fl. anal. T, 545. Hab.: “ hanc Sempervivi speciem fere pedalis altitudinis in hortis suburbanis cala- ritanis saepe observavi , (Plazza). Questa indicazione è importantissima, giacchè oggi è emigrata dagli orti e si trova solo nelle fenditure delle rocce marittime. 202. Cotyledon (Tourn.) Linn. 5 312. C. Umbilicus-Veneris L., sp. pl. 615 f. — Plazza, mss. 101. — Caruel in Parl., fl. ital. IN. 14. C. Umbilicus Huds., fl. angl. ed. I, 169. — Moris, fl. sard. II, 132. — Barb., comp. n. 547, p. 35. — Vacec., arcip. madd. n. 209. — Paolettiin Fiori, fl. anal. I, 547. — Cav., veg. sard. 28. 33. 35. 38 et esc. sard. 14. — Falq., esc. gennarg. 32. Umbilicus pendulinus DC., fl. fr. IV, 383. — Moris, stirp. sard. I, 21. — Genn., repert. 137. — Nicotra, fl. asin. 3. Hab.: “ in muris vetustis calaritanis , (Plazza). Saxifragaceae. 203. Saxifraga (Tourn.) Linn. 313. S. tridactylites L., sp. pl. 578. — Moris, stirp. sard. I, 21 et fi. II, 152. — Barb,, comp. n. 556, p. 35. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 533 @. — Genn., fl. palab. 31 et repert. 137. — Nicotra, calend. fl. 14. S. adscendens Plazza, mss. 99 (non L., sp. pl. 579). Hab.: senza località. Specie tra le più comuni. Osserv.: forse ‘Plazza raccolse qualche forma più robusta e più fogliosa e con foglie grandi, epperciò, senza badare al carattere dei peduncoli, l’ascrisse senz'altro a S. ad- scendens. Ma quest’ultima non è da escludere dalla Sardegna, per quanto manchi in Corsica. In Sicilia trovasi nei luoghi alti e freschi, come del resto qua e là in tutta la penisola dalle Alpi al monte Pollino; Lojacono (fl. sicula, vol. I, parte 2?, p. 211) la descrive sotto S. controversa Stern., aggiungendo “ facies omnino S. tridactylites ,. Infatti Gussone (fl. sic. syn. I, 468) la dà come S. tridactylites b. alpicola Moret. — Fino a nuovo rinvenimento, S. adscendens Plazza è S. tridactylites, forma robusta. 314. S. granulata L., sp. pl. 576. — Plazza, mss. 97. — Moris, stirp. sard. I, 21 et fl. II, 149. — Barb., comp. n. 554, p. 35. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 534. — Bickn., sard. 196 et 199. — Falq., contr. sard. 29. — Fiori, esc. primav. sard. 150. Hab.: senza località. Dovunque nei luoghi umidi ed ombrosi dei monti e dei colli» con predominio da noi della var. Russî Engl. (= f corsica Dub. — Barb., n. cit. TRS ILZIZAE 315. S. bulbifera L., sp. pl. 577. — All, fasc. stirp. sard. 100. — Plazza, mss. 100. I (0.0) ACHILLE 'LERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. Moris, stirp. sard. I, 21 et fl. II, 149. — Barb., comp. n. 555, p. 35 et 226. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 594. — Falq., esc. gennarg. 33. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). 204. Chrysosplenium (Tourn.) Linn. 316. Chr. oppositifolium L., sp. pl. 569. — Plazza, mss. 97. — Bertol., fl. ital. IV, 448. — Paoletti in Fiori, fl. anal. I, 542. Hab.: senza località precisa. Osserv.: non fu mai più ritrovato da noi, ma pare fuori dubbio che Plazza ve l’abbia visto. Chr. alternifolium invece fu da Bertoloni dato “ e montibus Corsicae , come avuto da Gussone; ma da Briquet (prodr. fl. cors. II, 160), tra per l’indicazione così vaga e tra per non essere stato ancora rinvenuto in Sardegna e nell’arcipelago toscano, escluso dal novero delle piante corse. Esso nell’ Italia continentale sì estende sull’Appennino da quello pavese al toscano-emiliano, mentre Or. oppositifolium, che nella Spagna (Willk. et Lange, prodr. fl. hisp. III, 104) va dalla regione inferiore alla montana abbastanza copiosamente, in Italia si limita ‘ai boschi delle Alpi piemontesi e lombarde. Non è improbabile che quest’ultimo possa rinvenirsi nelle parti più alte dei nostri monti, come ultimo relitto del senere un tempo diffuso nel Mediterraneo orien- tale, o nella forma tipica o in qualche altra che ricordi Ch. macrocarpum Cham. della Calabria. Rosaceae. 205. Cydonia (Tourn.) Mill. 317. C. maliformis Mill., gard. diet. ed. VIII, n. 2. Pyrus Cydonia L., sp. pl. 687 @. — Plazza, mss. 118. — Bertol., fl. ital. V, 171. — Fiori, fl. anal. I, 599. C. vulgaris Pers., syn. II, 40. — Moris, stirp. sard.-I, 18 et fl. II, 54. — Genn., fl. capr. n. 319. — Barb., comp. n. 495, p. 33. — Vace., arcip. madd. n. 201. Hab.: senza località. Coltivato ed inselvatichito. “ Vulgo sa mela titingia dicta , (Plazza). 206. Pyrus (Tourn.) Linn. 318. P. communis L., sp. pl. 666. — Plazza, mss. 118. — Bertol., fl. ital. V, 165. — Fiori, fl. anal. I, 599 a. Hab.: “ vulgo sa Pira dicta , (Plazza). Osserv.: con tale nome Plazza (che si riferì all’@ di Linneo) indicò certamente la var. sativa (= P. communis sativa Moris, fl. sard. II, 50). 319. P. Malus L., sp. pl. 666 8. — Plazza, mss. 118. — Moris, fl. sard. II, 53 B.— Fiori, fl. anal. I, 600 fp. Hab.: “ vulgo sa Mela dicta , (Plazza). Osserv.: è la subsp. pumila Asch. et Graebn., largamente qui coltivata, ma in Sardegna vive anche spontanea la subsp. silvestris Asch. et Graebn. (= P. Malus a Moris, 1. c. — Barb., comp. n. 494, p. 33). 207. Sorbdus (Tourn.) Linn. 320. S. domestica L., sp. pl. 684. — Plazza, mss. 116.— Bertol., fl. ital. V, 152. Pyrus domestica Sm., engl. bot. V, 350. — Fiori, fl. anal. I, 602. P. Sorbus Gaertn., fruet. II, 45. — Moris, fl. sard. II, 49. Hab.: senza località. Coltivata ed inselvatichita. dpi © Leti “n ei Salate via = MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 39 208. Mespilus (Tourn.) Linn. 321. M. germanica L., sp. pl. 684. — Plazza, mss. 116. — Moris, fl. sard. II, 41. — Bertol., fl. ital. V, 155. — Barb., comp. n. 488, p. 33. — Fiori, fl. anal. II, 596. Hab.: senza località. Coltivata ed inselvatichita. 209. Crataegus (Tourn.) Linn. 322. Cr. monogyna Jacq., fl. austr. INI, 50. — Bickn., sard. 199. Cr. oxyacantha Plazza, mss. 116 (non L., sp. pl. 683). — Moris, stirp. sard. I, 18. — Bertol., fl. ital. V, 145 (ex parte). — Fiori, fl. anal. I, 596 8. — Falqui, esc. gennarg. 34. Mespilus ocyacatha Moris, fl. sard. II, 42. — Barb., comp. n. 489, p. 33 et 176. Hab.: “ in agro calaritano non infrequens invenimus , (Plazza). 323. Cr. Azarolus L., sp. pl. 683. — Plazza, mss. 116. — Fiori, fl. anal. I, 595. Mespilus Azarolus All., fl. ped. II, 141. — Moris, fl. sard. II, 44. Hab.: senza località. Coltivato. “ Vulgo sa Azarola dictus , (Plazza). 210. Rwudus (Tourn.) Linn. , 324. R. idaeus L., sp. pl. 706 a. — Plazza, mss. 120. — Moris, fl. sard. II, 17. — Genn., spec. e var. n. 18. — Barb., comp. n. 2825, p. 225. — Caruel in Parl., fl. Ital. X, 40. = iori) fil: ‘anal. I, 578. Hab.: senza località precisa, perchè coltivato. “ Vulgo su R%u dictus , (Plazza). Osserv.: inselvatichito presso Orosei e altrove. Fa maraviglia però che il Plazza non abbia ricordato il f. fruticosus L., così comune in tutta l’isola e l’unica specie certamente spontanea. 211. Fragaria (Tourn.) Linn. 325. Fr. vesca L., sp. pl. 708. — Plazza, mss. 120. — Moris, stirp. sard. I, 18 et fl. II, 18. — Barb., comp. n. 466, p. 31. — Caruel in Parl., fl. ital. X, 52. — Fiori, fl. anal. 1,577. — Cav., veget. sard. 47. Hab.: senza località. Qua e là nelle selve dei monti. DO _ Do 2. Potentilla Linn. 326. P. crassinervia Viv., app. fr. cors. prodr. 2. — Moris, fl. sard. II, 22. tab. LXXII, fig. 2. — Barb., comp. n. 469, p. 32. — Caruel in Parl., fl. ital. X, 70. — Fiori, fl. anal. I, 568. P. glauca Moris, stirp. sard. I, 18. P. alba Plazza, mss. 120 (non L., sp. pl. 713). Hab.: senza località. Sinora nota dei nostri monti più elevati. Osserv.: la P. alba è del tutto estranea alla nostra isola, nè ad altre della sezione Fragariastrum fra noi indigene si può riferire questa di Plazza. — È strano come Plazza per la maggior parte delle piante rare non abbia mai indicata la località : difetto forse dei tempi quando alla stazione non si dava importanza, o perchè si riserbava apporvela nel ricopiare il manoscritto per darlo alle stampe? 327. P. hirta L., sp. pl. ed. I, 497 (emend. Seringe). — Caruel in Parl., fl. ital. X, 77. — Fiori, fl. anal. I, 573. subsp. eu- hirta Briquet, prodr. fl. cors. II, 188. P. hirta L., sp. pl. ed. II, 712. — Plazza, mss. 120. — Moris, stirp. sard. TRERIS, et fl. II, 24 (ex parte). — Bertol., fl. ital. V, 249. — Barb., comp. n. 472, p- 22. — Fiori, 1. c. @. — Falq., ese. gennarg. 33. Hab.: senza località. Qua e là con la subsp. recta Briq. (= P. recta L.). 40 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. 328. P. erecta Hampe in Linnaea, XI, 50. — Fiori, fl. anal. I, 570 a. Tormentilla erecta L., sp. pl. 716. — Plazza, mss. 120. — Genn., spec. e var. n. 19 et fl. med. p. 6. Potentilla Tormentilla Neck., in hist. comm. acad. palat. II, 491. — Barb., comp, n. 2826, p. 225. — Caruel in Parl., fl. ital. X, 97. Hab.: senza località. Osserv.: fu, dopo un secolo, ritrovata da Gennari! “in un’area angustissima e ristretta del piano di Sarcidano presso Sant'Antonio , nel 1859. Ne ho veduto l’esem- plare raccolto nel luglio 1861 (herbarium Moris). — Non è possibile da parte di Plazza un errore scambiando con P. recta la P. erecta, giacchè egli la cataloga dopo .P. alba, mentre Linneo pone prima P. recta, poi P. hirta, quindi P. alba. Sarebbe stato solamente desiderabile che avesse ricordato il luogo di abitazione. i 213. Geum Linn. 329. G. urbanum L., sp. pl. 716. — Plazza, mss. 122. — Moris, stirp. sard. I, 18 et fl. II, 27. — Bertol., fl. ital., V, 228. — Barb., comp. n. 475, p. 32. — Fiori, fl. anal. I, 565. — Falq., contr. sard. 29 et esc. gennarg. 33. Hab.: senza località. Comunissimo. 380. G. reptans L., sp. pl. 717. — Plazza, mss. 122. — Bertol., fl. ital. V, 294. — Fiori, fl. anal. I, 566. Hab.: senza località. Non fu mai più ritrovato in Sardegna. Osserv.: per ragioni geografiche è difficile viva in Sardegna, dove non improbabilmente potrebbe trovarsi G. montanum L. abbastanza diffuso in Corsica da 1700 m. in sopra. Forse Plazza equi- vocò con quest’ultimo, non tenendo conto degli stoloni che Linneo osservò essergli proprii. 214. Alchemilla (Tourn.) Linn. 331. Alch. arvensis Scop., fl. carn. ed. II, 15. — Moris, stirp. sard. I, 17 et fl. II, 31. — Bertol., fl. ital. II, 210. — Genn,, fl. capr. n. 322 et repert. 138. — Barb., comp. n. 477, p. 32. et 225. — Vace., arcip. madd. n. 199. — Nicotra, ult. note 20. — Fiori, fl. anal. I, 585 @. — Bickn., sard. 195 et 199. — Falq., esc. gennarg. 34. Aphanes arvensis L., sp. pl. 179. — All., fasc. stirp. sard. 89. — Plazza, mss. 26. Hab.: “in campidano , (Plazza, mss. prior), “in agro calaritano , (Plazza, mss. posterior), “ in dioecesi Calaris , (Allioni). Osserv.: Plazza aggiunge “ folia trifida, pubescentia, flores glomerati, annua ,. È diffusa in Sardegna, e forse comprende anche la seguente, del pari comune: 381%. Alch. microcarpa Boiss. et Reuf., diagn. pl. nov. hisp. 11. — Barh., comp., n. 478, p. 32 et 225. — Sardagna, fl. sard. 139. — Aschers., in Oesterr. bot. Zeit. 1885. p. 312. — Vace., arcip. madd. n. 200 et suppl. II. — Falq., esc. gennarg. 34. — Fiori, esc. primav. sard. 150. Alch. arvensis B. Fiori, fl. anal. I, 585. 215. Agrimonia (Tourn.) Linn. 332. Agr. Eupatoria L., sp. pl. 643. — Plazza, mss. 106. — Moris, stirp. sard. I, 17 et fl. II, 29. — Bertol., fl. ital. V, 18. — Barb., comp. n. 476, p. 32. — Fiori, fl. anal. I, 582 a. — Falq., contr. sard. 29 et esc. gennarg. 34. Hab.: senza località. Frequentissima. 216. Sanguisorba, (Rupp.) Linn. 4 333. S. minor Scop., fl. carn. ed. II, 1101. — Bertol., fl. ital. II, 189. — Moris, fl. sard. II, 34. — Barb., comp. n. 480, p. 32. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 41 Poterium Sanguisorba L., sp. pl. 1411. — All., fase. stirp. sard. 99. — Plazza, mss. 248. — Moris, stirp. sard. I, 18. — Fiori, fl. anal. I, 386 ft. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Plazza, Allioni). Osserv.: con tale nome si intende la subsp. muricata Briquet, ma certamente i pre- detti autori vi hanno compreso anche le subsp. dictyocarpa e Magnolii di Briquet, insieme riunite da Fiori in @ typicum di P. Sangquisorba. 334. S. officinalis L., sp. pl. 169. — Plazza, mss. 25. — Bertol., fl. ital. IT, 186. Poterium officinale A. Gray, proceed. amer. acad. VII, 340. Hab.: “in arva calaritana infra intercapedines saxorum , (Plazza). Osserv.: non più ritrovata in Sardegna, dove forse coltivavasi a scopo medicinale. In Italia è di luoghi alti e montuosi. 335. S. spinosa Bertol., fl. ital. II, 191. — Moris, fl. sard. II, 33. — Barb., comp. n. 479, p. 32. Poterium spinosum L., sp. pl. 1412. — AllI., fasc. stirp. sard. 99. — Plazza, mss. 248. * sard. 196 et 199. Hab.: “abunde circa Calarim , (Allioni). 217. Rosa (Tourn.) Linn. 336. R. canina L., sp. pl. 704. — Plazza, mss. 118. Hab.: senza località precisa. Osserv.: non è possibile precisare a quale specie si riferisca la presente, mancan- done esemplari per lo studio. Moris con tale nome ha nel suo erbario, da me visto, le seguenti determinate da Burnat: R. dumetorum Thuill., tomentella Lem., canina L. var. dumalis Bechst. e glaberrima Dumort. Le altre specie note di Sardegna sono: . sem- pervirens L., Serafini Viv., agrestis Savi, Pouzini Tratt. 218. Prunus (Tourn.) Linn. 337. Pr. spinosa L., sp. pl. 681. — Plazza, mss. 116. — Moris, stirp. sard. I, 18 et fl. II, 11. — Bertol., fl. ital. V, 136. — Barb., comp. n. 461, p. 31. — Nicotra, calend. fl. 14. — Fiori, fl. anal. I, 359. — Cav., veget. sard. 47. — Bickn., sard. 199. — Falq,, esc. gennarg. 34. Hab.: senza località. Ovunque nei luoghi selvatici dei colli e dei monti. “ Vulgo sa pruna aresti dicta , (Plazza). 338. Pr. insititia L., sp. pl. 680. — Plazza, mss. 114. — Moris, stirp. sard. I, 18. — Bertol., fl. ital. V, 135. Pr. domestica y. insititia Fiori, fl. anal. I, 558. Hab.: senza località. “ Vulgo sa pruna aresti dicta , (Plazza). Osserv.: Plazza intese la forma inselvatichita, ed in essa devono esser comprese alcune delle varietà da Moris (fl. sard. II, 9-10) poste sotto Pr. domestica. 339. Pr. domestica L., sp. pl. 680. — Plazza, mss. 114. — Moris, fl. sard. II, 10. — Bertol., fl. ital. V, 133. — Fiori, fl. anal. I, 558 @ et ft. Hab.: coltivato. “ Vulgo sa Pruna dicta , (Plazza). 340. Pr. Armeniaca L., sp. pl. 679. — Plazza, mss. 114. — Moris, fl. sard. II, a = Fiori, fl. anal. I, 558. Hab.: coltivato. “ Vulgo su Pericoccu dicta , (Plazza). 341. Pr. Persica Sieb. et Zucc., in Abh. Akad. Miinch. II, 122. — Fiori, fl. anal. I, 557. Amygdalus persica L., sp. pl. 676. — Plazza, mss. 112. DS 42 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. Persica vulgaris Mill., gard. dict. ed. VIII, n. 1. — Moris, fl. sard. II, 6. Hab.: coltivato. “ Vulgo su Presiu dicta , (Plazza). 342. Pr. communis Fritsch in Sitzungsh. Akad. Wien. 632. Amygdalus communis L., sp. pl. 677. — Plazza, mss. 114. — Moris, fl. sard. II, 5. Pr. Amygdalus Stok., bot. mat. med. II, 101. — Fiori, fl. anal. I, 557. Hab.: coltivato. “ Vulgo sa Amendola dicta , (Plazza). Osserv.: così Plazza scrive “ in Campidano sub finem mensis decembris florens con- spicitur ,. 343. Pr. Cerasus L., sp. pl. 679 @. — Plazza, mss. 114. — Moris, fl. sard. II, 13. — Fiori, fl. anal. I, 560 @ et ft. Hab.: coltivato. “ Vulgo sa Ceresa dicta , (Plazza). Osserv.: in verità i Sardi chiamano questa specie arbagessa zanziga, e cereria il Pr. Avium. Leguminosae. 219. Ceratonia Linn. 344. C. Siliqua L., sp. pl. 1573. — Plazza, mss. 255. — Moris, stirp. sard. I, 12 et fl. I, 600. — Genn,, fl. capr. n. 389. — Barb., comp. n. 460, p. 81. — Caruel in Parl., fl. ital. X, 102. — Vacc., arcip. madd. n. 195. — Fiori, fl. anal. II, 8. — Cav., veget. sard. 33 et 54. Hab.: “ in viridariis calaritanis sive ordinis seraphici cappucinorum conspeximus , (Plazza). 220. Anagyris (Tourn.) Linn. 5 345. An. foetida L., sp. pl. 534. — Plazza, mss. 95. — Moris, stirp. sard. II, 11 et fl. I, 398. — Barb., comp. n. 282, p. 27. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 139. — Caruel in Parl., fl. ital. X, 105. — Nicotra, calend. fl. 7. — Fiori, fl. anal. II, 9. — Bickn,, sard. 199. — Falq., contr. sard. 29. Hab.: “ in collibus calaritanis non infrequens , (Plazza). 221. Lupinus (Tourn.) Linn. 346. L. hirsutus L., sp. pl. 1015. — Plazza, mss. 178. — Moris, stirp. sard. I, 14 et fl. I, 597 (excl. syn. Forsk.). — Genn., fl. capr. n. 387. — Barb., comp. n. 457, p. 31. — Caruel in Parl., fl. ital. X, 115. — Vacc., arcip. madd. n. 119. — Fiori, fl. anal. II, ll, @. — Falq., contr. sard. 30. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Plazza). 347. L. angustifolius L., sp. pl. 1015. — All, fase. stirp. sard. 97. — Plazza, mss. 178. — Moris, stirp. sard. I, 14 et fl. I, 599. — Barb., comp. n. 459, p. 81. — Caruel in Parl., fl. ital. X, 108. — Vacc., arcip. madd. et suppl. et agg. n. 120. — Fiori, fl. anal. I, 10 @. — Cav., veget. sard. 42. — Falq., contr. sard. 30. Hab.: senza località. Comune. Osserv.: le citazioni qui addotte si riferiscono alle var. typicus (= @ Fiori) e reti culatus Arc. (= L. reticulatus Desv. — Genn., fl. capr. n. 388. — Vace., op. cit. n.121. = L. angustifolius B linifolius, b. reticulatus, Fiori, 1. c.), che gli autori sardi confu- sero insieme. 222. Genista Linn. 348. G. ephedroides DC., mem. legum. 210. — Moris, stirp. sard. I, 13 et fl. I, 506. — Barb., comp. n. 289, p. 27. — Fiori, fl. anal. I, 22. — Cav., veget. sard. 20. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 43 Spartium monospermum Plazza, mss. 175 (non L., sp. pl. 995). Sp. gymnopterum Viv., app. ad fl. cors. prodr. 6. — Bertol., fl. ital. VII, 331. Hab.: “ in agro calaritano, locis ante marina perflatis , (Plazza). Osserv.: a questa si riferì Plazza, tratto forse in inganno dall’osservazione che i legumi spesso hanno un seme solo (1 a 3 di solito). Anche Burmann (fl. cors: 247) nell’anno 1770 indicava di Corsica Sp. monospermum. 349. G. corsica DC., fl. fr. V, 548. — Moris, stirp. sard. I, 13 et fl. I, 403, tab. XXXT. — Genn., fl. capr. n. 324, fl. palab. 30 et repert. 139. — Barb., comp. n. 286, p. 27. — Nicotra, ultime note 18 et calend. fl. 14. — Vace., arcip. madd. et suppl. II, n. 118. — Fiori, fl. anal. II, 20. — Cav., veget. sard. 47 et ese. sard. 17. — Bickn., sard. 194 et 198. — Falq., contr. sard. 29 et esc. gennarg. 34. Spartium Scorpius Plazza, mss. 174 (non L., sp. pl. 995). Hab.: “in rupibus circa Calarim orientem versus , (Plazza). Osserv.: non conosco Sp. Scorpius di Sardegna e Briquet (prodr. fl. cors. II, 238): non osa ammetterlo di Corsica per quanto da parecchi indicatovi. Del resto è fuori dubbio che, se anco questo si ritroverà da noi, Plazza volle intendere G. corsica, ancora oggi comune là dove la raccolse. 223. Cytisus (Tourn.) Linn. 350. C. monspessulanus L., sp. pl. ed. I, 740 et ed. II, 997. — All, fasc. stirp. sard. 92. — Plazza, mss. 175. — Fiori, fl. anal. II, 16. Genista candicans L., amoen. IV, 284. — Plazza, mss. 175. — Moris, stirp. sard. I, 13 et fl. I, 408. — Barb., comp. n. 291, p. 27 et 175. — Nicotra, ultime note 19. — Bickn., sard., 194 et 199. C. candicans Lamek., ene. méth. II, 246, n. 5 @. — Bertol., fl. ital., VII, 545. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). 351. C. supinus L., sp. pl. 1042 a. — Plazza, mss. 184. C. hirsutus L. è. supinus Fiori, fl. anal. II, 15. Hab.: senza località precisa. Osserv.: non dato sinora e nè a me è noto di Corsica e di Sardegna, delle quali conosciamo solo C. argenteus L., scoparius Lamck., triflorus L'Hérit. 224. Calycotome Link. 352. C. spinosa Lk., en. h. berol. II, 225. — Moris, stirp. sard. I, 12 et fl. I, 401. — Barb., comp. n. 284, p. 27. — Vacc., arcip. madd. n. 117 (in osserv.). — Nicotra, ultime note 19 et calend. fl. 14. — Fiori, fl. anal. I, 24 @. — Cav., veget. sard. 54. — Falg., ese. gennarg. 34. Spartium spinosum L., sp. pl. 997. — All., fase. stirp. sard. 101. — Plazza, mss. 174. — Bertol., fl. ital. VII, 342. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). 225. Ononis Linn. 353. On. mitis Plazza, mss. 174. On. spinosa a. mitis L., sp. pl. 1006. Hab.: senza località. Osserv.: va riferita ad On. spinosa, ma non è possibile precisare se alla var. mitis stessa di Linneo (Fiori, fl. anal. II, 25 è) o procurrens di Burnat (Fiori, 1. c. e). Io non conosco sinora di Sardegna forme di On. spinosa che corrispondano all’una od all’altra; Moris e gli autori posteriori di flore sarde enumerano sempre la subsp. antiquorum Briquet (prodr. fi. cors. II, 247 = var. Fiori, l. c.). ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDUA », ECC. 354. On. variegata L., sp. pl. 1008. — Plazza, mss. 176. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl]. I, 419. — Bertol., fl. ital. VII, 385. — Barb., comp. n. 301, p. 28. — Genn,, repert. 139. — Fiori, fl. anal. II, 27. Hab.: senza località. Abbondante nelle arene marittime. 355. On. minutissima L., sp. pl. 1007. — Plazza, mss. 176. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 418. — Bertol,, fl. ital. VII, 384. — Barb., comp. n. 300, p. 28. — Genn., repert. 139. — Fiori, fl. anal. II, 28. Hab.: senza località. Comune nelle due forme genuina (Rouy pro var.) e calycina Willk. et Lange. 356. On. pusilla L., syst. ed. X, 1159. — Fiori, fl. anal. II, 28. On. Cherleri Plazza, mss. 175 (L., sp. pl. 1007 ex p.). — Bertol., fl. ital. VII, 382. On. Columnae Al., fl. ped. I, 318. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 417. — Barb,, comp. n. 299, p. 28. — Genn., repert. 139. i Hab.: “in dioecesi Calaris , (Plazza). 357. On. Natrix L., sp. pl. 1008. subsp. eu-Natrix Aschers. u. Graebn., syn. mittel-europ. fl. VI, 2, p. 363. On. Natrix L. — Plazza, mss. 176. — Moris, stirp. sard. I, 15 (ex p.). — Bertol.,, fl. ital. VII, 393 a. — Fiori, fl. anal. II, 28 a. var. pinguis Terrace. A. On. pinguis L., sp. pl. 1009. — Plazza, mss. 176. On. Natrix 6. Bertol., 1. c. — Fiori, l. c. @ typica b. pinguis. Hab.: senza località. Osserv.: non indicata da Moris, ma trovasi nell’isola più scarsa delle subsp. inae- qualifolia Asch. u. Graebn.; (= On. inaequalifolia DC. — Bertol., op. cit. 388. — Nicotra, ult. note 2, ultime note 19 et calend. fl. 12; = On. ramosissima Moris, fl. sard. I, 412, ex p. — Barb., comp. n. 295, p. 28 et 175; = On. Natrix var. inaequa- lifolia Gr. et Godr. — Barb., op. cit. n. 2816, p. 222. — Fiori, l. e. 8), — ramosis- sima Briquet (= On. ramosissima Desf., — Moris, l. c. ex p. — Bertol., 1. e. — Barb., comp. n. 295, p. 222. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 139. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 30; = On. adglutinans Presl, bot. bemerk. 50; = On. Natrix y. Fiori, 1. c.), — arenaria Asch. u. Graebn. (= On. ramosissima B minor Moris, op. cit. 413). 358. On. viscosa L., sp. pl. 1009. — Bertol., fl. ital. VII, 392. — Barb., comp. n. 297, p. 28. — Genn., repert. 139. — Cav., veget. sard. 15 et 24. subsp. eu-viscosa Asch. u. Graebn., syn. mittel-europ. fl. VI, 2, p. 368. On. viscosa L., sp. pl. 1009 @. — Plazza, mss. 177. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 415 @. — Fiori, fl. anal. II, 29 a. subsp. breviflora Asch., u. Graebn., op. cit. 369. On. viscosa L., sp. pl. 1009 8. — All., fasc. stirp. sard. 98. — Plazza, mss. 177. — Moris, fl. sard. I, 415 B. — Fiori, 1. c. 8. — Falq., contr. sard. 30. On. breviflora DC., prodr. II, 160. — Presl., Bemerk. 49. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni), “ abunde retro Calarim secus viam quae de Bonu Cammino dicitur , (Plazza). 359. On. ornithopodioides L., sp. pl. 1009. — Plazza, mss. 177. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 416. — Barb., comp. n. 298, p. 28. — Genn., repert. 139. — Fiori, fl. anal. II, 29. — Falq., contr. sard. 30. i Hab.: “ inter rupes loco Montixeddu dicto mari proximo in orientali parte agri calaritani , (Plazza). 360. On. reclinata L., sp. pl. 1011. — Plazza, mss. 177. var. Linnaei Webb. et Berth., phyt. canar. II, 26. — Fiori, fl. anal. II, 30 p. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAVEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 13. 45 On. reclinata L., — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 421. — Bertol,, fl. ital. VII, 380. — Genn., fl. capr. n. 326, fl. palab. 30 et repert. 139. — Barb., comp. n. 303, p. 28. — Vacc., arcip., madd. n. 160. — Falq., contr. sard. 30. var. minor Moris, fl. sard. I, 422. On. trifolia viscosa All., fase. stirp. sard. 97. On. mollis Savi, mem. soc. ital. IX, 351. tab. 8. — Bertol., l. c. Hab.: senza località in Plazza e “ in dioecesi Calaris , in Allioni. Osserv.: trovasi in Sardegna anche la var. inclusa Rouy (pro specie ex Bertol., op. cit. 382. — Genn., spec. e var. n. 10, p. 6. — Barb., comp. n. 2818, p. 223. — Fiori, l. c. y). 226. Trigonella Linn. 361. Tr. Foenum graecum L., sp. pl. 1095. — Plazza, mss. 196. — Moris, stirp. sard. I, 17 et fl. I, 454. — Bertol., fl. ital. VII, 250. — Barb., comp. 335, p. 29. — Genn.,, repert. 141. — Fiori, fl. anal. I, 45. Hab.: senza località. Coltivata e subspontanea. 227. Medicago (Tourn.) Linn. 362. M. marina L., sp. pl. 1097. — Plazza, mss. 196. — Moris, stirp. sard. I, 14 et fl. I, 442. — Bertol., fl. ital. VII, 248. — Genn., fl. capr. n. 331 et repert. 141. — Barb., comp. n. 323, p. 28. — Vacc., arcip. madd. n. 126. — Fiori, fl. anal. I, 32. Hab.: senza località. Qua e là lungo il littorale. 363. M. orbicularis All., fl. ped. I, 314. — Plazza, mss. 196. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 434. — Bertol., fl., ital. VIII, 269. — Barb., comp. n. 314, p. 28. — Vace., arcip. madd. n. 127. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 140. M. ambigua Jord. — Barb., op. cit. n. 334, p. 29 et 175. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). Osserv.: in Sardegna le var. typica Fiori (fl. anal. II, 34 a), — marginata Benth. (Fiori, 1. c. 8), — Biancae Urban (Sardagna, fl. sard. 139. — Barb., op. cit. n. 314, p. 223). Le due prime furono ben distinte e descritte da Moris, che ne diede anche la figura nella tavola XXXVII. 364. M. scutellata A!l., fl. ped. I, 315. — Plazza, mss. 196. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 435, tab. XXXVI. — Bertol., fl. ital. VIII, 271. — Barb., comp. n. 315, p. 28. — Genn,, repert. 140. — Fiori, fl. anal. II, 34. Hab.: senza località. Comunissima. 365. M. turbinata All., fl. ped. I, 315 (1785). — Plazza, mss. 196. — Moris, stirp. sard. I, 15 et fl. I, 444 (excl. syn. Guss.), @ tab. XLV A et f tab. XLV B. — Bertol., fl. ital. VIII, 292. — Barb., comp. n. 325, p. 28. — Genn., repert. 141. — Fiori, f. anal. II, 36. — Falq., contr. sard. 31. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). Osserv.: di Sardegna Moris distinse a (= f inermis Aschers.) e f aculeata. Oltre a queste abbiamo pure y. olivaeformis (= M. olivaeformis Guss., pl. rar. 396) dal Moris compresa in @. Tutte e tre furono ben distinte da Fiori (fl. anal. II, 37, @, 8, Y)- 228. Melilotus (Tourn.) Adans. 366. M. officinalis AIl., fl. ped. I, 308. — Plazza, mss. 190. — Moris, stirp. sard. I, 15. — Bertol., fl. ital. VIII, 84. — Vacc., arcip. madd. n. 135. — Zodda, revis. melilot.. ital. 16. — Fiori, fl. anal. II, 44 a. Hab.: senza località. s Osserv.: è un’altra delle specie ritrovate dopo un secolo. 46 ACHILLE TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. 367. M. italica Lamck., fl. fr. II, 594. — Plazza, mss. 190. — Moris, stirp. sard.I, 15 et fl. I, 460. — Bertol., fl. ital. VIII, 82. — Genn., fl. capr. n. 354. — Barb., comp. n. 341, p. 29 et 223. — Vacc., arcip. madd. n. 158. — Fiori, fl. anal. II, 43. — Falq., contr. sard. 32. Hab.: senza località. Ovunque nell’isola. 229. Trifolium (Tourn.) Linn. 368. Tr. campestre Schreb. in Sturm., deutschl. fl. XVI, tab. 13. — Fiori, fl. anal. II, 65. Tr. agrarium L., sp. pl. 1087. — All., fasc. stirp. sard. 102. — Plazza, mss. 195. — Moris, stirp. sard. I, 16. — Bertol., fl. ital. VIII, 194. — Belli e Gibelli, riv. crit. Trifol. ital. sez. Chrosonemium. 206. — Barb., comp. n. 351, p. 29 et 175. — Vace., arcip. madd. et suppl. n. 158. — Falq., contr. sard. 31. Tr. procumbens Moris, fl. sard. I, 499 (ex p.). — Bertol., fl. ital. VIII, 198 (ex p.). Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: ho veduto la pianta nell’erbario di Allioni e corrisponde al 7r. agrarium di Linneo “ species plantarum ,, e precisamente alla var. maius Gremli. Nell’erbario Moris si contengono col 7. procumbens altre forme, tra le quali la var. minus Gremli (= Tr. Schreberi Jord. — Barb., comp. n. 352, p. 29). La var. minus Moris (1. c.) merita maggiore studio su piante vive; ma credo possa riferirsi alla var. thionanthum Maly (= Tr. thionanthum Hausskn.). 369. Tr. spumosum L., sp. pl. 1085. — Plazza, mss. 194. — Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 491, tab. LXIIL — Barb., comp. n. 368, p. 29. — Genn., repert. 143. — Gibelli e Belli, mon. Trifol. ital. sez. Trigantheum. 9 et 39, tab. I, 1. — Nicotra. ultime note 19. — Fiori, fl. anal. II, 58. — Cav., veget. sard. 24. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza). 370. Tr. strictum L., amoen. acad. IV, 285. — Plazza, mss. 193. — Moris, stirp. sard. I, 17 et fl. I, 488. — Bertol., fl. ital. VIII, 99. — Barb., comp. n. 366, p. 29, 175 et 223. — Vace., arcip. madd. n. 147. Tr. laevigatum Desf., fl. atl. II, 195. — Genn., fl. capr. n. 351. — Gibelli e Belli, mon. Trifol. sez. Paramesus. 41 et 50, tab. II, 2. — Mattirolo, reliq. moris. 22. — Vace., op. cit. suppl. n. 147. — Fiori, fl. anal. II, 60. Hab.: senza località. Qua e là nei colli e nei monti. 371. Tr. resupinatum L., sp. pl. 1086. — Plazza, mss. 194. — Moris, stirp. sard. III, 7 et fl. I, 493. — Barb., comp. n. 370, p. 29. — Genn., repert. 143. — Belli e Gibelli, mon. Trifol. sez. Galearia. 10 et 37, tab. I, 1. — Vacc., arcip. madd. et suppl. n. 154. — Fiori, fl. anal. II, 58. — Falq. contr. sard. 31. Hab.: senza località. Diffuso con le var. typicum Fiori e minus Boiss. 372. Tr. tomentosum L., sp. pl. 1086. — Plazza, mss. 195. — Moris, stirp. sard. I, 17 et fl. I, 495, tab. XLIV. — Genn,, fl. capr. n. 348, fl. palab. 30 et repert. 143. — Barb., comp. n. 371, p. 29. — Belli e Gibelli, mon. cit. 17 et 37, tab. I, 2. — Vace., arcip. madd. n. 156. — Fiori, fl. anal. II, 59. — (Cav., veget. sard. 38. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 31. Hab.: “in campidano legebam , (Plazza). 373. Tr. fragiferum L.. sp. pl. 1086. — Plazza, mss. 195. — Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 492. — Barb., comp. n. 369, p. 29 et 175. — Belli e Gibelli, mon. cit. 22 et 27, tab. I, 3. — Genn., repert. 148. — Fiori, fl. anal. II, 59 a. — Cav., veget. sard. 24. — Falq., contr. sard. 31. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza). 374. Tr. arvense L., sp. pl. 1083. — All., fasc. stirp. sard. 102. — Plazza, mss. 193. — Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 469. — Genn., fl. capr. n. 343 et repert. 142. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 47 — Barb., comp. n. 348, p. 29. — Belli e Gibelli, mon. Trifol. sez. Lagopus. 24 et 153, tab. I, 2. — Vace., arcip. madd. n. 145. — Fiori, fl. anal. II, 49. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 32 et esc. gennarg. 35. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: si presenta fra noi anche in forme rispondenti alle var. perpusillum Ser., genuinum Gr. et Godr., e gracile Fiori. 375. Tr. incarnatum L., sp. pl. 1083. — Belli e Gibelli, mon. cit. 54 et 154, tab. II, 4. — Fiori, fl. anal. II, 52. var. Molinerii DC., fl. fr. V, 556. — Moris, fl. sard. I, 467. — Barb., comp. n. 346, p. 29, 175 et 223. — @Genn., fl. capr. n. 337. — Nicotra, ultime note 19. — Falq., esc. gennarg. 35. Tr. caulibus simplicibus.... All., fasc. stirp. sard. 102. — Plazza, mss. 195. T. incarnatum L. — Moris, stirp. sard. I, 16. — Nicotra, ult. note 3. — Falq., contr. sard. 32. T. incarnatum L. 8 stramineum Vacc., arcip. madd. et suppl. n. 150. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). La var. elativs Belli et Gibelli (1. c.) si coltiva. 376. Tr. stellatum L., sp. pl. 1083. — Plazza, mss. 192. — Moris, stirp. sard. I, 17 et fl. I, 487. — Barb., comp. n. 365, p. 29. — Belli e Gibelli, mon. cit. 51 et 155, tab. II, 1. — Vacc., arcip. madd. n. 153. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 142. — Fiori, fl. anal. II, 52. — Bickn., sard. 199. — Cav., veget. sard. 24 et 33. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). 377. Tr. lappaceum L., sp. pl. 1082. — Plazza, mss. 192. —- Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 482, tab. LXII, 4. — Genn., fl. capr. n. 341 et repert. 142. — Barb., comp. n. 360, p. 29. — Belli e Gibelli, mon. cit. 77 et 154, tab. V, 5. — Fiori, fl. anal. II, 51. — Falq., contr. sard. 32. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). 378. Tr. angustifolium L., sp. pl. 1083. — Plazza, mss. 192. — Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 466. — Genn., fl. capr. n. 336 et repert. 142. — Barb., comp. n. 345, p. 29 et 223. — Belli e Gibelli, mon. cit. 99 et 156, tab. VI, L. — Vacc., arcip. madd. n. 149. — Fiori, fl. anal. II, 53 @. — Cav., veget. sard. 42 et esc. sard. 2. — Falq., contr. sard. 32. — Nicotra, fl. asin. 3. Hab.: senza località. Comune. 379. Tr. rubens L., sp. pl. 1081 a. — Plazza, mss. 192. — Belli e Gibelli, mon. cit. 95 et 154. — Fiori, fl. anal. II, 57. Hab.: senza località. Osserv.: non fu sinora indicato di Sardegna, nè può esservi stato che nelle colture. Per quanto mi sembri difficile un errore da parte di Plazza, che persino si riferì all’a del Tr. rubens (escludendo quindi il 8) di Linneo, tuttavia si potrebbe vedere nella sua pianta un 7. ochro- leucum L.a fiori rossi (= Tr. roseum Presl.; = Tr. ochroleucum B. roseum Moris, fl. sard. I, 483); non ne ho trovati esemplari nell’erbario di Allioni. 230. Anthytis (Riv.) Linn. È 380. Anth. Vulneraria L., sp. pl. 1012. — Moris, stirp. sard. I, 11. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 140. — Falg., contr. sard. 30. var. illyrica Briquet, prodr. fl. cors. II, 315. Anth. Vulneraria L. a. — Plazza, mss. 178. — Moris, fl. sard. I, 427 (excl. var. rubiflora). — Bertol., fl. ital. VII, 401 @ et 8 (ex p.), — Barb., comp. n. 308, p. 28. — Fiori, fl. anal. II, 68 @, 8, y (ex p.). — Bickn., sard. 199. 48 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. var. rubiflora DC., prodr. II, 170. — Moris, 1. e. — Nicotra, ult. note 3. — Fiori, op. cit. dò. — Bickn., op. cit. 197. Anth. Vulneraria var. Dillenii Barb., l. c. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza). 381. Anth. cytisoides L., sp. pl. 1013. — Plazza, mss. 178. — Fiori, fl. anal. II, 69 (nota). Hab.: senza località. Osserv.: indicato di Corsica da Viviani (fl. cors. diagn. 18), Briquet ne lo esclude. Anche io credo trattarsi di qualche forma di Anth. Hermanniae L., ma non è dato fare induzioni senza l'esame degli esemplari, che pur troppo mancano. Aggiungo che Plazza in altra parte del ma- noscritto prima enumerò “ Cytisus incanus folio medio longiore C. B., pin. 390, e poi lo radiò, riferendolo quindi, dopo ulteriore esame, e giustamente, ad Anth. cytisoides. Ad ogni modo è una delle specie ancora da ritrovare. 382. Anth. tetraphylla L., sp. pl. 1011. — Plazza, mss. 178. — Moris, stirp. sard. I, 11 et fl. I, 429. — Bertol., fl. ital. VII, 399. — Barb., comp. n. 309, p. 20. — Genn., repert. 140. — Fiori, fl. anal. II, 67. — Cav., veget. sard. 28 et esc. sard. 3. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 30. Hab.: “ in promontorio S. Elias frequens , (Plazza). 231. Dorycnium (Tourn.) Scop. 383. D. pentaphyllum Scop., fl. carn. II, 87. subsp. suffruticosum Rouy, fl. fr. V, 138. — Fiori, fl. anal. II, 70 (pro var. y). Lotus Dorycnium L., sp. pl. 1093. — All., fasc. stirp. sard. 97. — Plazza, mss. 194. — Moris, fl. sard. I, 503. — Barb., comp. n. 377, p. 30. D. suffruticosum Vill., hist. pl. dauph. III, 416. — Moris, stirp. sard. I, 12. — Bertol., fl. ital. VIII, 243. — Genn., repert. 143. — Bickn., sard. 199. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza). 232. Lotus (Tourn.) Linn. 384. L. edulis L., sp. pl. 1090. — Plazza, mss. 195. — Moris, stirp. sard. I, 14 et fl. I, 516. — Bertol., fl. ital. VIU, 215. — Genn., fl. capr. n. 363, fl. palab. 80 et repert. 143. — Barb., comp. n. 389, p. 30 et 175. — Vacc., arcip. madd. n. 166. — Nicotra, ult. note 20. — Fiori, fl. anal. II, 74. — Cav., veget. sard. 35. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 30. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza). 385. L. ornithopodioides L., sp. pl. 1091. — Plazza, mss. 194. — Moris, stirp. sard. I, 14 et fl. I, 511. — Bertol, fl. ital. VIII, 233. — Genn,, fl. capr. n. 359, fl. palab. 30 et repert. 143. — Barb., comp. n. 384, p. 30. — Vacce., arcip. madd. n. 167. — Fiori, fl. anal. II, 73. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 31. Hab.: “ inter ecclesiam de Bonaria dictam et S. Lucam, inter rupes prope mare loco Montixeddu dicto , (Plazza). 386. L. creticus L., sp. pl. 1091. subsp. creticus Asch. u. Graebn., syn. mittel-europ. fl. VI, 2, p. 672. var. prostratus Briquet, prodr. fl. cors. II, 329. L. cytisoides L., sp. pl. 1092. — Plazza, mss. 195. — Moris, stirp. sard. I, 14. — Bertol., fl. ital. VIII, 216. — Genn., fl. capr. n. 358. — Barb., comp. n. 381, p. 30 et 223. — Vacc., arcip. madd. n. 165. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 31. Nicotra, fl. asin, 3. — Cav., ese. sard. 5 (forma Allioni). L. creticus L. 8 cinereo-virescens Moris, fl. sard. I, 508. — Barb., op. cit., p. 175. L. creticus L: f cytisoides Fiori, fl. anal. II, 73. Hab.: “in agro calaritano , (Plazza). LT IE e TI ZI TETTE TE MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 49 233. Tetragonolobus Scop. 387. T. purpureus Moench, meth. 164. — Moris, stirp. sard. I, 16. — (Genn., repert. 144. — Bickn., sard. 199. Lotus Tetragonolobus L., sp. pl. 1089. — Plazza, mss. 194. — Moris, fl. sard. I, 517. — Bertol., fl. ital. VIII, 211. — Barb., comp. n. 390, p. 30. — Fiori, fl. anal. I, 74 Hab.: “ in colle Perdixeddu dicto , (Plazza). 234. Psoralea Linn. 388. Ps. bituminosa L., sp. pl. 1075. — All., fasc. stirp. sard. 763. — Plazza, mss. 190. — Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 518. — Bertol., fl. ital. VIII, 77. — Genn. fl. capr. n. 364, fl. palab. 30 et repert. 144. — Barb., comp. n. 391, p. 30. — Vace,, arcip. madd. n. 168. — Cav., veget. sard. 19, 24 et 35. — Falq., contr. sard. 32 Hab.: “ absque circa Calarim, locis apricis , (Plazza). Osserv.: in Sardegna è più comune la forma /atifolia (Moris, fl. sard. p. 519 pro var.= Ps. palaestina Moris, stirp. sard. I, 16). 389. Ps. americana L., sp. pl. 1075. — Plazza, mss. 190. — Fiori, fl. Sl TIBRSTA Hab.: senza località. Osserv.: non mai ritrovata, nemmeno si coltiva oggi. Che forse trattisi di Ps. plumosa Rchb. (fi. germ. exc. 869) dal Rchb. f. (ic. f. germ. et helv. XXII, tab. 140) posta quale varietà di Ps. bituminosa? DO (16) UI . Astragalus (Tourn.) Linn. 390. Astr. Epiglottis L., mant. alt. 274. — Plazza, mss. 188. — Moris, stirp. sard. II, 4 et fl. I, 526. — Bertol., fl. ital. VIII, 50. — Barb., comp. n. 397, p. 30. — Genn., repert. 144. — Mattirolo, reliq. moris. 23. — Fiori, fl. anal. II, 76. Hab.: senza località. Trovasi attorno Cagliari ed altrove. 391. Astr. sesameus L., sp. pl. 1068. — Plazza, mss. 188. — Moris, stirp. sard. III, 6 et fl. I, 525. — Bertol., fl. ital. VIII, 57. — Barb., comp. n. 396, p. 30. — Genn., repert. 144. — Fiori, fl. anal. II, 77. Hab.: senza località. Vive attorno Cagliari anche con la var. brachycarpus Moris. 392. Astr. hamosus L., sp. pl. 1067. — Plazza, mss. 188. — Moris, stirp. sard. I, 12 et fl. I, 527. — Bertol., fl. ital. VIII, 58. — Barb., comp. n. 398, p. 30. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 144. — Fiori, fl. anal. II, 77. — Falq, contr. sard. 32. Hab.: “ in agro calaritano frequens , (Plazza). 393. Astr. Tragacantha L., sp. pl. 1073 @. — Plazza, mss. 188. — Bertol., fl. ital. VII, 70. — Fiori, fl. dai I, 84 a. Astr. massiliensis Lamck., enc. méth. I, 317. — Barb., comp. n. 401, p. 30. — Ni- cotra, ult. note 20 et calend. fl. 7. — Falg., contr. sard. 32. Hab.: senza località. Osserv.: dopo oltre un secolo fu trovato nel 1858 da Schweinfurth a Sorso, e _ nel 1905 da Falqui nella Sardegna merid., dove certamente lo raccolse Plazza. 394. Astr. contortuplicatus L., sp. pl. 1068. — Plazza, mss. 189. — Fiori, fl. anal. II, 85 (nota). Hab.: senza località. Osserv.: mai più rinvenuto in Sardegna (nè in Sicilia, donde lo indicò Jan) al pari di Astr. maritimus Moris (nè nell’isola del Giglio Astr. uncinatus Bertol.). 236. Biserrula Linn. 395. B. Pelecinus L., sp. pl. 1073. — Plazza, mss. 190. — Moris, stirp. sard. I, 12 et fl. I, 532. — Bertol., fl. ital. VIII, 75. — Genn,, fl. capr. n. 365, fl. palab. 30 et Sa 50 ACHILLE 'TERRACCIANO — LA « FLORA SARDOA », ECC. repert. 144. — Vacc., arcip. madd., n. 169. — Fiori, fl. anal. II, 75. — Bickn,, sard. 196 et 199. — Falq., contr. sard. 33. Hab.: senza località, ma comunissima con la var. denticulata Arc. 237. Glycirrhiza (Tourn.) Linn. 396. G1l. glabra L., sp. pl. 1046. — Plazza, mss. 184. — Moris, stirp. sard. II, 4 et fl. I, 520. — Bertol., fl. ital. VII, 572. — Barb., comp. n. 392, p. 30. — Fiori, fl. anal. II, 86. Hab.: senza località. Trovasi presso Cagliari ed altrove. “ Vulgo su regallissia dicta , (Plazza). ; 238. Scorpiurus Linn. 397. Sc. muricata L., sp. pl. 1050. subsp. subvillosa Thell., fl. adv. montp. 339. Se. subvillosa L., 1. ce. — Plazza, mss. 187. — Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 533 (ex p.). — Bertol., fl. ital. VII, 608. — Genn., fl. capr. n. 366. — Barb., comp. n. 403, p. 30. — Vace., arcip. madd., n. 170. — Cav., veget. sard. 24 et 28. — Falq., contr. sard. 33. Sc. muricatus ò subvillosus Fiori, fl. anal. II, 89. subsp. sulcata Thell., 1. c. Sc. sulcata L., sp. pl. 1050. — Plazza, mss. 186. Sc. muricatus B sulcatus Fiori, fl. anal. II, 89. Sc. subvillosa Moris, fl. sard. I, 533 (ex parte). Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). Osserv.: della prima sottospecie trovansi in Sardegna le var. genuina ed eriocarpa di Briquet. Non ho sinora trovato la vera Sc. muricata, data però rara da Moris. Plazza nel manoscritto prima scrisse Sc. muricata e poi la radiò. 239. Ornithopus Linn. 398. Orn. perpusillus L., sp. pl. 1049. — All. fase. stirp. sard. 98. — Plazza, mss. 184. — Moris, fl. sard. I, 541. — Bertol., fl. ital. VII, 594. — Fiori, fl. anal. II, 90. Hab.: senza località. Da me ritrovato nella Sardegna settentrionale; non raro. 399. Orn. compressus L., sp. pl. 1049. — Plazza, mss. 184. — Moris, stirp. sard. I, 16 et fl. I, 540. — Bertol., fl. ital. VII, 595. — Genn,, fl. capr. n. 368 et repert. 145. — Barb., comp. n. 409, p. 30. — Vace., arcip. madd. n. 172. — Fiori, fl. anal. II, 90. — Cav., veget. sard. 33. — Falq., contr. sard. 33. Hab.: senza località. Comune. Ì 240. Coronilla (Tourn.) Linn. 400. C. scorpioides Koch, syn. ed. I, 188. — Moris, fl. sard. I, 537. — Barb., comp. n. 407, p. 30. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 145. — Fiori, fl. anal. II, 91 a. — Cav., veget. sard. 28. — Falg., contr. sard. 33. Ornithopus scorpioides L., sp. pl. 1049. — Plazza, mss. 186. Arthrolobium scorpioides Desv., journ. bot. III, 121. — Bertol., fl. ital., VII, 589. Hab.: senza località. Comunissima. 241. Hippocrepis Linn. ; 401. H. unisiliquosa L., sp. pl. 1049. — Plazza, mss. 186. — Moris, stirp. sard. I, 13 et fl. I, 542. — Bertol,, fl. ital. VII, 600. — Barb., comp. n. 410, p. 30. — PE i | o | MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXY, N. 13. bl Genn., fl. palab. 30 et repert. 145. — Fiori, fl. anal. II, 94. — Cav., veget. sard. 24. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 33 et esc. gennarg. 35. Hab.: “ in agro calaritano , (Plazza). Osserv.: da noi anche la forma morocarpa (pro specie ex Presl, bot. bemerk. 59). 242. Hedysarum (Tourn.) Linn. 402. H. coronarium L., sp. pl. 1058. — Plazza, mss. 186. — Moris, stirp. sard. I, 18 et fl. I, 546. — Bertol., fl. ital. VIII, 5. — Barb., comp. n. 414, p. 30. — Nicotra, ultime note 20. — Fiori, fl. anal., II, 95. — Bickn., sard. 195 et 199. — Falq., contr. sard. 33. Hab.: senza località. Comune. 403. H. spinosissimum L., sp. pl. I, 750. subsp. capitatum Asch. u. Graebn., syn. mittel-europ. fl. V, 2, p. 870. H. humile Plazza, mss. 186 (non L., sp. pl. 1058). H. capitatum Desf., fl. atl. II, 177. — Moris, fl. sard. I, 548, tab. LXVII. — Bertol.,. fl. ital. VIII, 7. — Barb., comp. n. 415, p.30. — Genn,, repert. 145. — Cav., veget. sard. 24. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 33. H. spinosissimum y capitatum Fiori, fl. anal. II, 95. Hab.: “in Campidano , (Plazza). Osserv.: è questa subsp. la forma di Plazza. In Sardegna vive anche la subspecie eu-spinosissimum Briquet (prodr. fl. cors. Il, 364), cui si riferisce la var. pallens de- scritta e figurata da Moris (= H. pallidum Moris, stirp. sard. I, 15) ed ammessa anche da Fiori (1. c. £). 243. Cicer (Tourn.) Linn. 404. C. arietinum L., sp. pl. 1040. — Plazza, mss. 182. — Moris, fl. sard. I, 550. — Bertol., fl. ital. VII, 543. — Fiori, fl. anal. II, 98. Hab.: senza località. Si coltiva. “ Vulgo sw cirirî dictum , (Plazza). 244. Vicia (Tourn.) Linn. 405. V. tetrasperma Moench., meth. 148. — Moris, fl. sard. I, 567. — Fiori, fl. anal. II, 120. Ervum tetraspermum L., sp. pl. 1039. — All. fasc. stirp. sard. 93. — Plazza, mss. 184. — Bertol., fl. ital. VII, 533. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Plazza). Osserv.: in Sardegna predomina la subsp. pudescens Asch. u. Graebn. (syn. VI, 2, p. 913), cui va riferita V.tetrasperma di Moris e degli altri che lo seguirono, ma non manca la subsp. eu-tetrasperma Briquet (prodr. fl. cors. II, 367). da me ritrovata più volte. Mi è dubbia la subsp. gracilis Briq. (1. c.). In tale stato, avendo gli autori sardi confuse le tre insieme e non possedendo i loro esemplari, non dò la bibliografia. 406. V. dumetorum L., sp. pl. 1035. — All, fasc. stirp. sard. 103. — Plazza, mss. 183. — Moris, fl. sard. I, 570. — Bertol., fl. ital. VII, 475. — Fiori, fl. anal. II, 114. Hab.: “ in dioecesi Calaris, (Plazza). Osserv.: non più ritrovata, nè credo possa esservi. Forse trattasi di V. altissima Desf. (fl. atl. II, 163) vivente in Corsica, e data di Sardegna da Barbey (comp. n. 421, p. 31) sulla fede di Reverchon e da Fiori (1. c.). 407. V. sepium L., sp. pl. 1038. — Plazza, mss. 182. — Bertol., fl. ital. VII, 506. — Fiori, fl. anal., II, 109. i Hab.: senza località. Osserv.: nemmeno sinora ritrovata, ma data di Sardegna da Barbey (comp. n. 417, p. 30) sulla fede di Reverchon e da Fiori (1. c.). 52 ACHILLE TERRACCIANO — LA <« FLORA SARDOA », ECC. 408. V. sativa L., sp. pl. 1037. — All. fasc. stirp. sard. 103. — Plazza, mss. 183. — Moris, stirp. sard. I, 17 et fl. sard. I, 553. — Bertol., fl. ital. VII, 512. — Barb., comp. n. 418, p. 51. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 146. — Vace., arcip. madd. n. 183. — Fiori, fl. anal. II, 111. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 34. Hab.: “ in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: per la Sardegna è comunissima e rappresentata dalle subsp. @ obovata Gaud. e f angustifolia Gaud., con molte varietà. Tra queste più notevoli sono: per @ la var. macrocarpa Moris, l. c. 8 (= V. macrocarpa Bertol., op. cit. 511) ed obovata Ser. (= y nemoralis Fiori, 1. c.; = Moris, l. c. @, ex p.), — per f la var. cordata Arc. con la forma canescens, la var. segetalis Ser. (Moris, l. c. y), la var. Robartii Burn. (= dò angustifolia Moris, 1. c. —- Fiori, 1. c. 4). Di recente sono state scoperte le var. cuneata e Cosentini di Fiori (1. c.). 245. Lens (Tourn.) Adans. 409. L. culinaris Medik., ex Briquet, prodr. fl. cors. II, 391. subsp. esculenta Briquet, l. c. Ervum Lens L., sp. pl. 1039. — Plazza, mss. 182. — Moris, fl. sard. I, 571. Vicia Lens (Coss. et Germ.) Fiori,-fl. anal. II, 121 a. Hab.: senza località. Coltivata. 246. Lathyrus (Tourn.) Linn. 410. L. sativus L., sp. pl. 1030. — Plazza, mss. 181. — Moris, stirp. sard. I, 14 et fl. I, 588. — Bertol., fl. ital. VII, 446. — Barb., comp. n. 451, p. 31. L. Cicera 8 sativus Fiori, fl. anal. II, 101. Hab.: “in agro calaritano prope Bonaria , (Plazza). 411. L. Cicera L., sp. pl. 1080. — All, fase. stirp. sard. 96. — Plazza, mss. 180. — Moris, stirp. sard. I, 13 et fl. I, 587. — Bertol., fl. ital. VII, 444. — Barb., comp. n. 450, p. 31. 176 et 224. — Nicotra, ult. note 20. — Genn., repert. 147. — Fiori, fl. anal. II, 101 @. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 38. — Vacc., arcip. madd. agg. n. 180?. i Hab.: “in dioecesi Calaris , (Plazza). 412. L. latifolius L., sp. pl. 1033. — Plazza, mss. 182. — Moris, stirp. sard. I, 13. L. silvestris Moris, stirp. 14 et fl. I, 579 @. — Bertol,, fl. ital. VII, 465 x. — Fiori, fl. anal. II, 102 6. — Ex parte: Barb., comp. n. 443, p. 31: — Nicotra, ult. note 3 et calend. fl. 12: — Falq., contr. sard. 33 et esc. gennarg. 85. Hab.: senza località. Comune. 413. L. silvestris L., sp. pl. 1033. — Plazza, mss. 182. — Moris, stirp. sard. I, 14 et fl. I, 580 * angustifolius. — Bertol., fl. ital. VII, 466 p et a (ex p.). — Barb., comp. n. 443, p. 176. — Fiori, fl. anal. II, 102 8. — Ex parte: Nicotra et Falq., Il. ce. Hab.: senza località. Comune col precedente. 414. L. Aphaca L., sp. pl. 1029. — All, fase. stirp. sard. 96. — Plazza, mss. 180. — Moris, stirp. sard. I, 13 et fl. I, 592. — Bertol,, fl. ital. VII, 439. — Genn,, fl. capr. n. 382 et repert. 147. — Barb., comp. n. 455, p. 31. — Vacc., arcip. madd., n. 174. — Fiori, fl. anal. II, 99. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 33 et esc. gennarg. 55. Hab.: “in dioecesi Calaris , (Allioni, Plazza). Osserv.: in Sardegna trovasi nelle varietà typicus Asch. u. Graebn. e grandiflorus Heldr. 415. L. Ochrus DC., fl. fr. IV, 578. — Bertol., fl. ital. VII, 442. — Moris, stirp. sard. I, 13 et fl. I, 582. — Barb., comp. n. 445, p. 31. — Genn., fl. palab. 30 et repert. 9 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 13. 53 146. — Fiori, fl. anal. II, 100. — Cav., veget. sard. 24. — Bickn., sard. 199. — Falq., contr. sard. 33. Pisum Ochrus L., sp. pl. 1027. — Plazza, mss. 180. Hab.: “ inter segettes prope fanum de Bonaria , (Plazza). 247. Pisum (Tourn.) Linn. 416. P. sativum L., sp. pl. 1026. subsp. hortense Asch. u. Graebn., syn. mittel-europ. fl. VI, 2, p. 1066. P. sativum L. — Plazza, mss. 180. — Moris, fl. sard. I, 576. — Fiori, fl. anal. II, 99 a. Hab.: senza località. Coltivato. “ Vulgo su pisurcî dictum , (Plazza). Osserv.: spontanee da noi le due sottospecie elatius ed arvense. (pra Vatsa i S Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 14. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI MEMORIA DI C. BURALI-FORTI Approvata nell'adunanza del 27 Dicembre 1914. INDICE I. Centro ed angolo di una isomeria vettoriale 1 î . È È : ; si ID II. Identità, Equinversione, Simmetria, Specchiamento, E olirzione, IRUAITAO 5 ) È 3 A 8 III. Prodotti funzionali delle isomerie vettoriali . ; ; - È , c : 5 > ; BANDI 6, IV. Moti geometrici in generale . E " È c : È 5 5 i : : 5 £ =R1:24 V. Classificazione e riduzione dei moti geometrici . ; ; 5 i È 7 . 6 , 4 20 VI. Composizione dei moti geometrici . . 5 : 3 S 3 z ; o c - 0 5199) Nel Vol. I dell’Analyse vectorielle générale (*) il Prof. MarcoLonGo ed io abbiamo date le proprietà fondamentali delle Isomerie vettoriali e un breve cenno della loro riduzione a prodotti di speciali isomerie. Nel precedente libro, Omografie vettoriali, tale riduzione è fatta in modo poco più ampio ed è dato un cenno dei moti geometrici e della loro classificazione. Manca però uno studio formale completo, almeno dei fondamenti, delle isomerie vettoriali e loro applicazioni ai moti geometrici. Ho creduto utile fare tale studio, sia perchè le isomerie hanno notevole importanza pratica (**), sia perchè la trattazione teorica e i resultati si presentano sotto la forma sem- plice che è caratteristica dei nuovi metodi vettoriali e omografici intrinseci. (#) C. Burari-Form et R. MarcoLonco, Analyse vectorielle générale, vol. I, Transformations lintaires; vol. II, Applications è la Mécanique et à la Physique (Mattei e C., Pavia, 1912, 1913). Inew, Omografie vettoriali (G. B. Pe- trini, Torino, 1909). (#) Nota IM di M. Prerr nel vol. I di Analyse ..., p. 164 e lo stesso volume, pp. 50-52. Inoltre la recente nota del Prof. Burcarti, Sulle deformazioni finite dei corpi continui (* Acc. Bologna ,, 1914), e la mia nota Una dimostrazione assoluta del teorema di Gauss... (© Rend. Acc. Lincei ,, vol. XVIII, s. 5*, pp. 2388-41). Tutte le questioni relative alla applicabilità e rotolamento delle superfici, che si trattano con le solite forme diffe- renziali, devono potersi risolvere in modo rapido e assoluto mediante le isomerie. Ta DO C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Spesso, — ed è posto in rilievo —, i metodi geometrici diretti (sintetici) dànno più rapidamente del calcolo vettoriale alcuni resultati relativi alla composizione delle isomerie vettoriali e dei moti geometrici. Ciò non vuol dire che le forme analitico-vettoriali che ho impiegate sistematicamente siano inutili o di importanza inferiore a quelle geometriche; in molti casi è necessario trattare certe questioni meccaniche con mezzi analitici (vettoriali, se si vuol ottenere il massimo di semplicità e i resultati sotto forma assoluta), e se in tali que- stioni è necessario comporre due o più moti, è pur necessario avere a disposizione le for- mule analitico-vettoriali che dànno la resultante dei moti considerati. Del resto, il metodo vettoriale di cui ho fatto uso, dà sempre, anche in ogni minimo particolare dei suoi sviluppi analitici, delle costruzioni puramente geometriche (ed è naturale, poichè si opera con ele- menti geometrici), il che non avviene certamente quando si fa uso del calcolo algebrico-car- tesiano, che, operando su enti non geometrici, fa, ad ogni passo, perdere di vista i fatti geo- metrici per dar luogo a numerose formule algebriche, che hanno poi bisogno di lunga e laboriosa interpretazione geometrica o meccanica. Per i moti geometrici mi sono limitato alla completa trattazione dei casi generali; per molti e importanti casi particolari si può consultare la bella memoria La Geometria elemen- tare istituita sulle nozioni di punto e sfera (#) del compianto M. Prerr. Presuppongo note le proprietà fondamentali delle isomerie vettoriali contenute nel Vol. I di Analyse vectorielle générale (pagg. 47-49) (##) e, naturalmente, l'algoritmo vettoriale (#**) e omografico. I. — Centro ed angolo di una isomeria vettoriale. 1. Se l’isomeria vettoriale a non è un numero (a=#=I30),* allora gli infiniti, vettorî non nulli wu, tali che (1) au=l3a.w, 0, dl che equivale, Kau=Iza.w, hanno tutti a comune la direzione, che è quella del vettore, purchè non nullo, che si ottiene appli- cando l’omografia vettoriale (2) B=a +4 Ka+Ia—La (#) “ Memorie di Matematica e di Fisica della Soc. ital. delle Scienze ,, s. III, t. XV, pp. 345-450 (1908). (*#*) Le riporto qui per comodo del lettore. Si dice che l’omografia vettoriale a è una isomeria vettoriale quando: on altera 1 modulo dei vettori ai quali si applica, cioè quando (a)? = qualunque sia il vettore wu. Affinchè l’omografia vettoriale a sia una isomeria vettoriale è necessario e sufficiente che si abbia Ka=0a-, ovvero, il che equivale, a.Ka= Ka.a=1. Se a, R sono isomerie vettoriali si ha (IRoP=IÙ Ta=Ia.I30, pa=ITa.Ta aVa=1I;0a. Va, Ra=soan af, Ba sono isomerie vettoriali. L’isomeria vettoriale a è un numero solamente quando a=I3a, cioè a=-+1. (***) C. Borarr-Forri et R. MarcoLonco, El6ments de calcul vectoriel (A. Hermann, Paris, 1910). C. Burari-Forni, Corso di Geometria analitico-proiettiva (G. B. Petrini, Torino, 1912; Bocca, Torino, 1904). SA è". MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MALEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 3 ad un vettore arbitrario (non nullo). Se a non è dilatazione (Va== 0), allora i vettori u sodisfa- centi alle (1) sono paralleli a Va. ‘La direzione dei vettori e sodisfacenti alle (1) è dunque, per a non numero, una funzione monodroma di a, che chiameremo centro di a, e brevemente, cent a, Per le (1) risulta evidente che (3) centa= cent Ka. Se l’isomeria vettoriale a è un numero (a= I;0), allora qualsiasi vettore w sodisfa alle (1) e quindi qualsiasi direzione può essere assunta come centro di a. Dim. — Ricordiamo che Ka.a=a.Ka=1 e che (130)? = 1. Allora operando nei due membri della prima delle (1) con I3a. Ka si ottiene la seconda, ed operando nella seconda con Ija.a si ottiene la prima. Dunque le (1) sono equivalenti. Se x è numero reale, è noto che Lele re Re. cioè, ricordando che Iha=I30 .Ia, (a) Le—_a=(r—Lho)}:?—-(a—Lao)x +1}. Dunque l'equazione di terzo grado in « 1) Ie a)=0, ha l’I;a per una.sua radice, il che prova che esistono vettori non nulli w sodisfacenti alle (1) (*). Per dimostrare che i vettori x hanno a comune la direzione, basterà provare che I3 a è radice semplice della equazione (6) in x. Se Igo è radice almeno doppia della (0), si deve avere da (a) (3a? — Gao—-Lotat1=3—Lha=0; ma per ba=3 si ha HJa=3]I;0 e quindi la nota identità di terzo ordine in a dà oî—Iàa.a°4Ia.a—-La=(0—Ia))}=0, acioè =I:0, che è contrario all’ ipotesi. Dunque: è vettori non nulli w sodisfacenti alle (1) esistono ed hanno a comune la direzione, cioè centa è funzione monodroma di a (*#*). (*) L'esistenza dei vettori w si può dimostrare anche così: Se Va==0, allora dalla nota formula aVa= I;0 .Va si deduce che i vettori w paralleli a Va sodisfano alle (1). Se Va=0, allora a è dilatazione e se i, j,% è terna unitaria ortogonale di vettori paralleli alle sue direzioni unite (o principali), si ha = nj, se) CR do con 7, n, p numeri reali aventi l’1 per valore assoluto. Ma Ia= mnp, e poichè (I30}=1, uno solo dei nu- meri 72,7,p vale La e gli altri due — La. Ciò prova l’esistenza degli w sodisfacenti alle (1), anzi in questo caso, Va=0, è di più dimostrata l’univocità della direzione degli u. (#) Dopo aver dimostrata l’esistenza dei vettori w si può dimostrare che hanno a comune la direzione anche così. Per i vettori u,v non paralleli si abbia (e) anp=1R%, av=130.%; 4 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Se poniamo ao,=a—Iza, allora, per la (a), I3oo=0, e quindi l’omografia B deve essere un multiplo di RK, perchè per 2 vettore arbitrario si ha Cho ile = 1650) 80= 0 e quindi a(RKo2) = La(RKa x). Ora per proprietà ben note si ha: RKa, = R(Ka— I;a) = (I30)? — Ia. Ca +- RKa = (I;30)? — a.La+Ioa.a 4 I3a. Ka =130.}a + Ka + Ia —Ia{ che è appunto il prodotto della B per Ia. Infine è noto che aVa=I;a. Va e quindi per Va==0 il cent a è la direzione di Va. 2. Qualunque sia l’isomeria vettoriale a si ha identicamente 4) a=1 (ha— 1,0), sla} (ha —Ia)] H(w,u)-+Va/\, ove u è vettore unitario che, per a numero (a=Iz0) può esser fissato ad arbitrio, e per a non numero (a==10) è uno qualunque dei due vettori unitari aventi cent a per direzione. Dim. — Qualunque sia il vettore x si ha (a) i er=(u/\x)\utuXoa.w. Ricordando che (I3a)}=1, Ra=I;a.0 e quindi a= Ia, Ra e che, come esprimono le formule (1), av = I30o.w, Kau = T30. 6, si ha a}j(u/\x)/\u{=Ia.}a(w/\x)}}\aw =\a/\{\u =}|Lao.u/\x-u/Kax—-Ia.w/\x{/\w =(I0o0—-Ia)(x —uvX a. wu) — Ka + w X Kax . vw =(bha—Io)x +(2La—Io)wXx.u— Kax; operando con a nella (a) si ha, (0 + Ko) x = (La —I30) x +BLha—ILo)H(wv, x; moltiplicando vettorialmente (au) \av=/\v ovvero Ral(u /Av=% Av. Ma Ra=La.a e quindi (d) a(u Av = Ia. A è. I vettori %, v, w /\ v non sono complanari e quindi dalle (c), (4) segue che a=T30, il che è contrario all'ipotesi. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 5 e poichè x è vettore arbitrario, a+ Ka=Ia—1I;a+{2IHa— (La —I0){ H (ew, v) che dimostra la (4), poichè, come è ben noto, o +4 Ka=2 Da e ASUS Osservazione. — Se a è numero, cioè a = Iz0, allora Ih@=3 160 0 be=S 0 N20 e la (4) dà, identicamente, a = Ia. Se a non è dilatazione cioè Va==0, allora si può porre AVIO 4 mod Va e la (4) assume la forma ; 1 Der 1 (4) a=3 (ga—I0) + (Va ila — 3(l0—Lo)| H(Va, Va) 4 Va /\. 3. Essendo 0 isomeria vettoriale porremo (5) anga = ang (x, 0%) essendo 2 vettore non nullo scelto ad arbitrio tra i vettori normali a quelli che hanno cent a per direzione (e quindi x del tutto arbitrario quando 0 è numero). Segue che ango è numero reale positivo dell’intervallo 0”t e che dimostreremo ora essere funzione monodroma di a, cioè indipendente dal vettore x che comparisce nella (5). Se a è isomeria vettoriale, allora ang oa è funzione monodroma di a che resta individuata dalle due condizioni seguenti (6) cos ango = 1 (Ija — I;0) (7) senanga = mod Va. Inoltre sì ha (8) ang Ka = anga e anga—=0, ovvero angao=q solamente quando a è dilatazione, cioè Va= 0. In particolare per a=Iz0, cioè quando a è numero, si ha cosanga=I0, cioè anga = 0 pera=1 e anga=q per a=— 1. Dim. — Conservando le notazioni del n. 2 ed essendo x vettore non nullo normale ad « si ha dalla (4) DPI TE= 3a -I0)a?, e poichè x, ax hanno egual modulo » cosanga= cos (x,0x) = a = 3 (go —I0) che dimostra la (6). lì C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Nella stessa ipotesi per x, ed osservando che Va è o nullo o parallelo ad «, si ha subito dalla (4) x/\de=x?.Va; ma si ha pure, a causa della (5), mod (x /\ ax) = x? . sen anga e quindi resta dimostrata la (7). Le (6), (7) definiscono il numero ang dell’ intervallo 0” indipendentemente da x e quindi ang è funzione monodroma di a. Le (6), (7) non variano nei secondi membri ponendo Ka al posto di a, e quindi è vera la (8). Affinchè sia anga=0, ovvero anga = © è necessario e sufficiente che sia sen anga= 0, cioè, per la (7), Va= 0. Osservazione 1°. — Dalle formule precedenti e dalla (4) risulta subito che (9) = cos angoa + (Iza — cos anga) H (v, v) -+ sen anga . w /\ ove % è vettore unitario avente cent a per direzione (arbitraria solo per a = I3a) e che, sup- posto Va==0, ha anche lo stesso verso di Va, cioè vw = Vaimod Va. Ma si può anche dare ad o la forma generale seguente (10) o= cosp +4 (Ila — cos) H (wu, w) + sengp. e /\, essendo w vettore unitario che ha centa per direzione e @ uno qualunque degli infiniti numeri reali che sodisfano alle due condizioni (10') cosp= 7 (La — Isa) , senp.u= Va. Ci sarà utile, anche in seguito, chiamare caratteristica angolare del numero reale ®, il numero ©, tale che Vione P—-,è un multiplo di 27m. È evidente che 9, è una funzione monodroma di ®, e che il numero © appartiene all’in- tervallo 0727 ed è tale che = 2h + Po con A intero relativo, pure funzione monodroma di q. Ciò posto, e se po è la caratteristica angolare del numero ® della (10) sodisfacente alle (10'), si ha go = ango sempre quando Va=0, mentre per Va==0 si ha po= anga ovvero go = 2T — anga secondo che il verso di w è eguale o contrario al verso di Va. Osservazione 22. — Per 2 vettore arbitrario si ha dalla (10) ax = cosp.x + (Ia — cosp) wu X ae. 4 sen gp. e /\ a e quindi (11) u /\ x X dx = sen ©. (e /\ 90)? la quale prova che: per 2 non parallelo ad w, i vettori u, 0, aa sono complanari solamente quando seng = 0, cioò Va=0; e per Va==0 la successione, x, dx è destrorsa 0 sinistrorsa secondo che la caratteristica angolare po di ® è minore 0 maggiore di tt. iaia MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 7 Osservazione 3*. — Dalle (6), (7) risulta subito (Ika—I3a)}=4, (VOREZZIo Tra? -+ 4 (Va)? = 3 dalle quali si deducono facilmente le condizioni To2i==3% mod Va=z1, I,a2 4 4 (Va)? — 3 necessarie affinchè l’omografia a sia una isomeria. Osservazione 4%. — Con le notazioni ora introdotte, e ricordando che a 4+ Ka = 2Da, per l’omografia 8 data dalla (2) si ha B=Da— cosanga. moli Dalla (9) risulta subito che Da — cosanga= (Iza — cos ang a) H (w, %) e ciò conferma che 8 applicata ad un qualsiasi vettore non nullo produce un vettore « sodisfa- cente alle condizioni (1). Osservazione 5%. — Tenendo conto della (6) e della (a) del n. 1 si ha L(e—a)=(r— La) (e —2cosanga.x +4 1). Il secondo fattore del secondo membro si annulla soltanto per cos anga = + 1 cioè sol- tanto per senanga= 0, o, il che equivale, per Va=0, e in tal caso si ha I,(e-a)=(e—I0)(aF 1? e quindi: Se l’isomeria vettoriale a non è una dilatazione (Va == 0), essa ha una sola direzione unita, che è centa, cioè la direzione di Va; se a è numero (a=Iza) ogni direzione è unita; se a non è numero ma è dilatazione (a-=t30 e Va= 0) allora le direzioni unite sono centa e tutte le direzioni normali a cent a e se il vettore v ha direzione normale a cent a allora si ha sempre av=—I3a.v. Osservazione 6%. — L’isomeria vettoriale generica a=cosg +(I,a — cosp) H (v, vu) + sengp. v /\ è funzione del numero reale @ e del vettore unitario w, quindi per il differenziale di a si ha Ora se osserviamo che u/\a=a.u/=cosp.u/\+sens.{H(uw,w—1|, da do = SNPH+ seng.H(w,w)+ cosp.w/\, si ha, per m intero positivo arbitrario, \ dd u/\a=a.w/\ (a) da 8 C. BURALI-FORII — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Per il secondo termine di do si ha (0) di du=2 (Ia — cos 9) DH (w, du) + sen pp. (de) /\. du c È da da 5 È I Si può notare che Dole a du e da non sono isomerie vettoriali. Le (a), (5) possono esser utili nello studio dei moti meccanici continui nei quali @ ed wu sono funzioni del tempo. II. — Identità, Equinversione, Simmetria, Specchiamento, Rotazione, Antirotazione. In tutto questo $ valgono le seguenti ipotesi : o è isomeria vettoriale ; è vettore unitario che, per a= [3a è arbitrario, mentre per a==I3 a ha cent a per direzione ; ®@ è uno qualunque dei numeri reali sodisfacenti alle (10') e quindi a può assumere la forma (10) mediante @ ed w; ®, è la caratteristica angolare (cfr. n. 3, Oss. 12) di ©; O è un punto: i ) è l'operatore tra punti e punti (trasformazione di punti in punti) tale che, qua- lunque sia il punto P si abbia (12) \P=0-+a(P_ 0). 4. L’isomeria o sia una dilatazione, Va = 0. In tale ipotesi anga=0, ovvero anga="T e dalla (9) si hanno i casi seguenti: ice le asc=0% dloa e=1 )\bo==igisct=%w cp e==1 i, bo= I engo=wg 0g AZ) = 1 d)ko=—l, angia=0, i, 0=1_2H(w,%), e sono i soli casi che si hanno per Va= 0. Nel caso a) si ha X\P= P, cioè X è, tra le trasformazioni puntuali, l'identità, e si ha pure che l’isomeria 0 è l’IDENTITÀ VETTORIALE. Nel caso 5) si ha \P=0-(P--0)=20— P, cioè \P è la simmetria, o equinversione, rispetto al punto O, e noi diremo che la o (indipen- dente da 0) è l'EQUINVERSIONE VETTORIALE. Nel caso c) si ha \P=0-2H(w,u)(P— 0) —(P_ 0)=2)0-+uX{(P— 0).u{—P; ma O0+uX(P— 0). è la proiezione ortogonale di P sulla retta Qu, e quindi XP è il sim- metrico di P rispetto alla retta Ou. Cioè X è la simmetria (ortogonale) rispetto alla retta Ou, e noi diremo che a (indipendente da 0) è la simmerRIA (ortogonale) vertORIALE rispetto al vettore u. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 9 Nel caso d) si ha \P=0+(PT—_ 0) —2H (we, u(P_0)=P_2uX(PT—_ 0).u; ma P_uX(P— 0). è la proiezione ortogonale di P sul piano O|w (piano condotto per 0 normalmente ad %w) e quindi XP è è simmetrico di P rispetto al piùno O|u. Cioè X è lo spec- chiamento (o simmetria ortogonale) rispetto al piano -O|u, e noi diremo che a (indipendente da 0) è lo sPECCHIAMENTO VETTORIALE rispetto al bivettore |u. Noi indicheremo, brevemente, con le notazioni symw, spec |w l'isomeria a, rispettivamente, nei casi c), d), cioè porremo (13) symnu= 2H (vu, u)—1 (14) spec|u=1—2H(w,w), o, più generalmente, per w vettore non nullo, unitario o pur no, (13/) symu= i, H(u,u)—1 (14°) spec u=1— i H(u,u) intendendo che se « è bivettore non nullo sia (15) spec u = spec|(|%). Con le notazioni ora introdotte le isomerie vettoriali che sono dilatazioni, restano clas- sificate così: \ anga=0, a=i identità lha=1 \ | anga=tT, a = sym wu simmetria Va=0 | \ anga=0, a= spec w specchiamento La=—1 | anga=T, ao equinversione. Esamineremo in seguito, e del tutto in generale, i prodotti funzionali delle isomerie. Per ora ci limitiamo ad osservare che: Per le simmetrie e specchiamenti vettoriali valgono le proprietà seguenti: (16) symu= —spec|w, speclu= —symw (17) sym u.spec w= spec'u.symu=—l (18) (sym u)?= (spec|uf=1, vale a dire: ciascuna delle isomerie symu, spec|u è il prodotto dell'altra per l’equinversione; il prodotto delle isomerie symu, spec|w è commutabile e vale l’equinversione; il quadrato di una simmetria 0 specchiamento è l'identità. Dim. — Le (16), (17), (18) sono geometricamente evidenti. Esse possono anche esser dedotte formalmente dalle (13), (14) ricordando che H(a,0).H(u,v=aXwv.H(w,0). 10 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Notiamo finalmente che: Le isomerie vettoriali che sono dilatazioni, sono tutte e sole le isomerie che hanno per quadrato l'identità vettoriale. Dim. — Da Va=0 segue a= Ka=a* e quindi a? = 1. Viceversa: da a? = 1 segue a=0a1= Ka e quindi Va= VKa=— Va cioè Va= 0. 5. Consideriamo ora le isomerie vettoriali ad invariante terzo positivo, Ila = 1. Per la posizione relativa dei punti P, \P rispetto al punto O e ‘agli elementi x, @, ovvero @o, di a si hanno le due proprietà seguenti. a) I punti P, XP stanno sulla circonferenza x che ha il centro C sulla retta Ou, il piano normale alla retta Qu, e per raggio r la distanza di P dalla rettà Ou. Invero. Essendo XP—0=a(P— 0), dalla (10) si ha subito (\P— 0) Xw= cosp .(P— 0) Xu-+(1— cos p)uX(P_ 0) =uX(P— 0) e quindi: è punti P, XP hanno il punto C per proiezione ortogonale sulla retta Qu. Ma è chiaro che i vettori P— 0, \P-O=o(P— 0) hanno egual modulo e quindi: è punti P, XP distano entrambi di r dalla retta Ow. Ciò prova che Pe NP stanno sulla circonferenza Y. b) Se un punto deve andare da P in \P muovendosi in 1, non ripassando due volte per uno stesso punto di y, e percorrendo un cammino di lunghezza rpo, allora, una persona con è piedi in O e la testa in C e che guardi it punto mobile, vedrà questo muoversi (0 rimanere immobile per Po = 0) da SINISTRA VERSO DESTRA (0 anche 1N SENSO INVERSO per @ = TT), cioè nello stesso senso della freccia arcuata che si disegna nel parallelogrammo rappresentativo del bivettore |w, cioè, appunto, nello stesso senso del bivettore|w. Invero. Essendo C— 0 parallelo ad w e La=1siha a(C—0)=C—- 0 e quindi a(P—C)=a}(P— 0) —(C—0){=a(P—0)—(C—0)=(AP—0)—(C— 0)=AP—-G, vale a dire ang(P—C,\P—C)=anga. Ma è noto (n. 3, Oss. 1%) che anga = go, ovvero anga= 27 — ®o, e quindi i punti P, \P dividono la circonferenza y in due archi uno dei quali ha la lunghezza rp. Ora, salvo il caso Po = 0, 0 Po =, appaiono, dopo ciò, possibili due posizioni distinte di XP in y pur essendo uno degli archi di lunghezza ro; ma dalla Osservazione 28 del n.3 risulta che la successione w, P— C, \P— C è destrorsa per 7 >, >0, e che è sinistrorsa per @o > TT, quindi la posizione di \P è unica ed è precisamente quella indicata nell’enunciato 8). Da a) e 8) risulta chiaramente che, secondo il comune linguaggio geometrico-meccanico, il punto XP si può ottenere dando a P una rotazione di pg intorno alla retta Ou, il senso della rotazione essendo quello del bivettore |. Ed è chiaro che non basta parlare di rotazione di Qt intorno ad una retta, ma è pur” necessario individuare il verso della rotazione, verso che si può individuare dando un verso (quello del vettore w) sullo stesso asse di rotazione. Al numero o dell’intervallo 07 2 si può sostituire uno qualunque dei numeri reali (positivi o negativi) aventi go per caratteristica angolare e dire che \ è Za rotazione di @ radianti intorno alla retta Ou, il verso della rotazione restando determinato dal verso del vettore w, come abbiamo prima osservato. Con questa generalizzazione, implicita nel comune linguaggio, si hanno rotazioni positive (nel senso di |w) o negative (nel senso di —|w) a seconda del segno di @, e cambiando opportunamente @ si può trasformare una rotazione positiva in negativa e viceversa (cfr. formule (23), (24)). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 11 Stabilito così il significato di \ rispetto a @ ed e, diremo che a (indipendente da 0) è la rotazione (vettoriale) di ® radianti intorno ad , il senso essendo determinato dal verso del bivettore |]? e dal segno di g. Indicheremo, brevemente, con la notazione Rotor (@, ) la rotazione (vettoriale) di p radianti intorno ad «, notazione che pone in evidenza i due elementi ©, 26 che da soli individuano la rotazione. Vale a dire, per la (10), porremo (19) Rotor(@,%)= cosp --(1— cosp)H(w, w)+ sengp. w /\ o, più generalmente, per è vettore non nullo, unitario o no, (19) Rotor(@,«)= cosp + (1 — cosp) H de 3 i + senpg —& n6 mode mode modu Qualunque isomeria vettoriale ad invariante terzo positivo, può esser posta sotto la forma (19), - cioè è un Rotor. In particolare per quelle isomerie che non sono dilatazioni (Va==0) si ha (20) a = Rotor(anga, Va) [con Ja=1 e Va==0]. Anzi, se con assea si indica un vettore unitario (funzione monodroma di a solo per Va==0) tale che: per a=I;0 è arbitrario; per a==]3a e Va=0 ha centa per direzione; per Va==0, assea = Va/mod Va; allora si ha in generale (207) a= Rotor(anga, asse a) [con ka =1] ed è così messa in piena evidenza l’intima relazione tra le isomerie ad invariante terzo posi- tivo e le rotazioni vettoriali. 5°s. Dalle (19), (19’) risulta che Rotor(@,w) non varia cambiando a piacere il modulo di «; non però la direzione e il verso. Vale a dire si ha (21) Rotor(g, mu) = Rotor(®,) con m numero reale positivo e non nullo (m >0). Riguardo ai cambiamenti di @ si ha: (22) Rotor(9p,u)= Rotor(®o, %), [®, caratteristica angolare di @|, (@3) Rotor(2%T + Q,u)= Rotor(@,w), [K intero relativo], (24) Rotor(— ®, —— «), = Rotor(27 — p, — «)= Rotor(9,v) che sono evidenti e che, del resto, si ottengono immediatamente dalla (19). 12 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Inoltre per i particolari valori 0, x di ®, si ha (25) Rotor(0,w)=1, identità. (26) Rotor(z,u)=symw, simmetria le quali provano che: l'identità è la rotazione di 0® (o di 2x7") intorno ad un vettore arbi- irario, e che symu è la rotazione di 7° (in generale di (2k-:-1)x°°) intorno ad u. - Osserrazione 13. — Se poniamo iy = Rotor 5 E u). si ha subito dalla (19). per w vettore unitario, (a) in = H(w,w wu /\: el operatore iu è la rotazione di un retto intorno ad u. Applicando formule ben note, relative ai prodotti delle diadi e omografie assiali sì La subito dalla (a) à ix =2H(w,u)—1=symw (8) i, — H(w.u)— « /\ ix —1 = “identità vettoriale , come è anche facile vedere a priori. Giova notare esplicitamente la caratteristica differenza ira l'operatore generale, nello spazio, ix e l'ordinario operatore i applicabile soltanto ai vettori normali ad w, e che sì _ suole, iroppo spesso. indicare con Y —1 (7). 4 Ossercazione 22. — Da quanto si è precedentemente esposto e da quanto risulta dalla Osservazione 5* del n. 3 si ha: - Le isomerie cettoriali a che non sono dilatazioni hanno una sola direzione unita che è centa; se a è numero ogni direzione è per essa unita; se @ è simmetria o specchiamento allora’ l’asse e tufte le direzioni normali all'asse sono unite per a. da 6. È interessante, almeno per la parte formale, far vedere come ogni Rotor può essere espresso mediante un esponenziale in base e. > Se ® è numero reale e « è vettore unitario si ha (27) Rotor(@, wu) = eP“/. Dim. — Ricordiamo che essendo 6 una qualsiasi sostituzione lineare. si definisce e” ponendo — (a) ZiIitgGt+ e la serie del secondo membro è convergente, indipendentemente dall’ordine dei termini, quando o è finita. (*) La notazione Y —1, al posto della completa iw, ovvero della incompleta i, è inammissibile, perchè im, — orrero i. dipende da u, cioè varia con w, mentre Ì — 1 è ente (algebrico) assoluto, cioè indipendente da u. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE 1I, VOL. LXV, N. 14. 13 Se ora poniamo o=P /\ si ha per formule ben note o = gp? }H(w,w— 1}, do EV oi—— pi;H(u,u— 1}, 0I_10 29 E ecc., con legge facilmente visibile. Allora dalla (a) si ha 2 b) 2 pi 4 er\1+qu/\\+ + (H(we,w)—1{_7-w/\ — P}H(w,u)—1 IATA Ha \ pî pi pî lansege pi pb ana a ona elet a tor {HW Ht 3 Di) A = cosp-- (1— cosp)H(w,%) + senp. e /\, che per la (19) dimostra la (27). Osservazioni. — Se nel campo dei vettori x normali ad , e solamente in tale campo, si indica, come d’uso, con i l’operatore tale che ix=u/\x, allora e?*/\ dà l'operatore e? nel campo dei vettori normali ad e, e la formula (27) dà eP = cosp + iseng, analoga alla formula di EuLeRo per la { — 1. La notazione i è incompleta. Da Hawirron è stata indicata con I'%; ma per questa notazione, completa e perfettamente regolare, occorre far uso dei quaternioni che, come è noto, sono impotenti a dare le omografie vettoriali generali. La notazione e?“ è assai semplice, ma, per la composizione delle rotazioni è opportuna solo quando si considerano rotazioni intorno ad un solo vettore u. In tal caso si ha evi- dentemente (cfr. n. 8 (38), (41): epui . ePu/ — g(P4wW)u/ } [(AZZAN — ePu/\ e si conservano le leggi formali degli esponenziali, mentre per e%/ .e®%/) si ha una legge molto più complicata (cfr. n. 11, (49). 7. La dipendenza delle isomerie vettoriali ad invariante terzo negativo da quelle ad inva- riante terzo positivo, cioè dai Rotor, si stabilisce facilmente mediante il teorema seguente. Se a è isomeria vettoriale e u è vettore avente centa per direzione (arbitrario per a= 130), allora, posto = spec|w.a, l’isomeria B ha a comune con a il centro, l'angolo e il vettore, ma ha invariante terzo di segno contrario di quello di a, cioè (a) centB = centa, angRf = angoa, VB= Va, IB=— Ia; 14 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI inoltre si ha (5) B=a.spec|w i cioè il prodotto delle due isomerie a, spec|u, aventi il centro a comune, è commutabile (*). Dim. — Dalle (14), (10), e per « unitario, si ha B=}1-2H(u,u|a=a—-2H(Kaxw,w=a —2H(I3a .%,%) | =a—-2la.H(w,u)=cosp+(-Ia— cosp)H(%w,%) + seng.w A che per la (10) dimostra la (a). Osservando che a.H(u,u)= H(u,au)=H(w,I30a.w)=I30. H(w,v) 4 È resta dimostrata anche la (0). | Se ora, per analogia con la notazione Rotor(9,%), poniamo, per w unitario, Pa I 28) aRotor(9,%)= cosp — (14 cosp)H(w,u)4 sengp. a /\, e, più in generale, per w non nullo, unitario o pur no, mod modu modw (28’) aRotor(®,w)= cosp — (1+ cosgp)H i —. + seng.. i AR il simbolo aRotor leggendosi anti-Rotor, risulta che qualunque ?someria vettoriale ad inva- riante terzo negativo può esser posta sotto la forma (28) e denominata, in modo generico, antirotazione. Dal precedente teorema e dalla (28), o (28), risulta subito che (29) aRotor(@,u)= spec|w. Rotor (9, u)= Rotor(©,%). spec|w, cioè che: ogni antirotazione è il prodotto, commutabile, di una rotazione per uno specchiamento, le due isomerie avendo il centro a comune. Si ha pure (30) a= aRotor(anga, Va) [con 3a=—1 e Va+0), e, in generale, facendo uso della notazione asseo introdotta alla fine del n. 5, (30°) a=aRotor(anga, assea) [con la=— 1] (*) Più in generale si ha: Se a, B sono isomerie vettoriali aventi a comune il centro allora aB=Ba e cent(aB) = centa, cioè a, B_ sono commutabili e il loro prodotto ha per centro il centro comune di a e di B. Dim. — Se il vettore unitario w ha per direzione cento allora dalla (10) si ha a=a+bH(v,w+cu/, B=a'+vH(w,w)+ c'u A e quindi, dopo facili riduzioni, ab=(aa' — cc) + (ab'+4 a'b 4 bd’ H- ce) H (u, w) 4- (ac + ale) u A dalla quale risulta il teorema. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE 11, VOL. LXV, N. 14. 15 ed è così messa in piena evidenza l’intima relazione tra le isomerie vettoriali ad invariante terzo negativo e le antirotazioni vettoriali; come la (29) pone in piena evidenza l’intima relazione tra antirotazioni e il prodotto di rotazioni per specchiamenti. 7%s. Se si osserva che spec|w = spec|(m%w) qualunque sia il numero reale e non nullo 7, allora dalla (29) risulta che le formule (21)-(24) del n. 5°* sussistono cambiando Rotor in aRotor; cioè si ha (31) aRotor (9, mw) = aRotor(@, vw), lm > 0] (32) aRotor(®,w)= aRotor(®o,w), (33) aRotor(2%t-- ©, w) = aRotor(g, v), (34) aRotor(— 9, — «)= aRotor(2m — pg, — «) = aRotor(9,v). Inoltre per i particolari valori 0,mt di @, si ha dalla (28) (35) aRotor(0,w) = spec|w, specchiamento (36) aRotor(m,u)= —1, equinversione, le quali provano che: spec|w è l’antirotazione di 0% (o di 2%") intorno ad u, e che Vequin- versione è l’antirotazione di t°% (in generale di (2k 4-1)m9) intorno ad un vettore arbitrario. Osservazione 1°. — Se poniamo Je = aRotor E u) sì ha subito dalla (28), per « unitario, l,=_—-Hw+u/; e l'operatore ju è l’antirotazione di un retto intorno ad u. 9 Confrontando con le formule (a), (3) della Osservazione nel n. 5% si ha subito Ju == i pei Ren o ORTA fe di = identità vettoriale. Osservazione 22. — Esamineremo in seguito i prodotti delle isomerie. Per ora ci limi- tiamo a fare osservare che un aRotor o Rotor si ottiene come prodotto di un Rotor o aRotor.per la equinversione (— 1), come risulta dalle due formole seguenti (37) aRotor(®,u) = — Rotor(Tt +4 ®, v) (37) Rotor(p,u) = —aRotor(t + 9,v); il che è facile verificare mediante le (19), (28). 16 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI III. — Prodotti funzionali delle isomerie vettoriali. 8. Il caso più semplice per il prodotto di due o più isomerie si presenta quando queste hanno a comune il centro. Se ®, w sono numeri reali, n è un intero relativo ed u è un vettore non nullo, si ha: (38) Rotor (y,w). Rotor (9,w)= Rotor (P + y, «), (39) aRotor(y,%). aRotor(g,v)= Rotor (p+ y,%), (40) Rotor (y,). aRotor(p, w) = aRotor(w, w). Rotor (9, ) = aRotor(p + y, v), (41) ì Rotor (@,wu)fî" = Rotor (n9,v), ; (42) } aRotor(9,w) {" = Rotor (2n9®,w), } aRotor(@,w) {"* = aRotor[(2r + 1)9,w], (9) e per è casì particolari relativi a sym e spec si vedano le formule (17), (18). Dim. (38). — Dalla (19), e per w unitario, si ha: Rotor(y,u)= cosy + (1— cosy)H(w,w)+ seny. /\ Rotor(9,u) = cosgp + (1 — cos p)H (w, w) + senp . ww /\ e moltiplicando Rotor(w,w). Rotor(g,u)= cosycosp + (1— cosy) (1 — cosq)H (w,%) + senwsen® } H(w,wu) — 1{+ } cosy(1— cosp) + cosp(1 — cosw){ H(2,%) + (cosyseng + cospseny)w /\ = cos(p +y) +}1— cos(p +w){H(w,w)+sen(p+y)w/\, che per la (19) dimostra la (38). Più rapidamente si può operare così. Siccome i due Rotor considerati non alterano i vettori paralleli ad e, basta provare che la (38) è vera quando la si applichi ad un qual- siasi vettore normale ad e. Ora, applicando Rotor(9,w) ad un vettore normale ad ew si ottiene pure un vettore normale ad %, e quindi, nel campo dei vettori normali ad w,i due Rotor si riducono a cosyw+ senw.w A, cosp+ seng.w A il cui prodotto, a meno di H(w,w) che sparisce applicato ad un vettore normale ad %, è appunto i cosycosp — sengseny + (cosyseng + senwcosgp)w A. (*) È ovvio che: #1 prodotto di due Rotor 0 di due aRotor è un Rotor, mentre il prodotto di un Rotor per un aRotor, 0 viceversa, è un aRotor, poichè I3 (08) = Iza . I3B e a è un Rotor o un aRotor secondo che La =1 0 ha=— 1. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 17 Dim. (39). — Dalla (37) si ha aRotor(y,%) . aRotor (9, w) = Rotor(t- w, ew). Rotor(t 4 @, v), che per la (38) e la (23) dà appunto la (39). Si può anche operare mediante la (29): aRotor(y,%). aRotor(@,%w) = Rotor(w,%). spec|w . spec|ew . Rotor (9,2), e poichè il prodotto delle isomerie è associativo e il quadrato di spec|ew è l'identità risulta ancora la (39). Dim. (40). — Come la precedente. Dim. (41). — La formula è vera per n= 0 (cfr. (25). È pure vera per n= —1 perchè dalla (88) e (25) si ha Rotor(— @,%). Rotor(g,v) = Rotor(0,u)= 1. Supposto che la (41) sia vera per » essa risulta pure vera per n -+ 1 e n—1, perchè } Rotor{@,w) {"*! = Rotor(n@,). Rotor(p,v)= Rotor((n + 1) @, v), ) Rotor(®, w) "- = Rotor(r@, w). Rotor(— @,w) = Rotor((n — 1), v). Dunque, per induzione, la (41) è vera per qualsiasi intero relativo x (*). Dim. (42). — Ricordando che aRotor(@,%) = speci . Rotor(@, w) si ha, a causa della commutabilità dei due fattori del secondo membro e della commutabi- lità di potenze qualsiasi dei due fattori, } aRotor(@, wu)" = (spec |<)” .} Rotor(g,w) {"; ma la potenza m-esima di spec|w vale l'identità ovvero spec|w secondo che l’intero rela- tivo m è pari o dispari, e quindi restano dimostrate le due formule (42). 9. Se gli assi delle due isomerie delle quali si vuole il prodotto non sono paralleli, allora i casi più semplici si hanno quando le due isomerie sono simmetrie o specchiamenti. Tratteremo appunto tali casi. Se u, v sono vettori non paralleli (u /\\v==0) si hanno le formule seguenti: (43) symv .symw = Rotor} 2ang(w,v), vu /\\®} spec|w.spec|w = Rotor} 2ang(u,v), wu /\ vi (44) spec|w.symwu= symv.spec|u= aRotor}7-+ 2ang(w,0), w /\ v}. (*) Essendo a una qualsiasi sostituzione lineare, ed m, n interi relativi, con n=0, si può definire a"! come la sostituzione 8 tale che 8" = a”, e allora la (41) risulta vera anche per n razionale relativo. Infine essendo v una classe di razionali aventi un Vimite superiore finito (l'u è un numero reale) e defi- nito la = a', allora la (41) risulta vera anche per n numero reale. Va 18 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI 2) La (43) esprime che: il prodotto della symu per la symv è la rotazione di angolo doppio di quello formato da u e v intorno ad un vettore normale ad u e v. Analogamente per la seconda e per le (44). Dim. (43). — Dalle (16) risulta che le due formule (43) sono l’una conseguenza dell’altra. Dimostriamo, ad es., la seconda. Supposto «, v unitari si ponga (a) g=ang(v,v), a= Ai, il vettore @ risulta unitario e perpendicolare ad w e vw. Essendo O un punto, la sfera di centro 0 e raggio unitario è tagliata dai piani O|w, 0|w in due cerchi massimi, aventi a comune il punto 0+-«@. Essendo P°un punto qualunque della sfera si indichi con P, il simmetrico di P rispetto al piano O|w e con P. il simme- trico di P, rispetto al piano O|v; si ha evidentemente P,-—0=(spec|w(P— 0), P>__0= (spec|w)(P.— 0) e in ‘conseguenza P,—0=(spec|w.spec|u)(P— 0). Ma P. appartiene, come P, alla sfera, le distanze sferiche di 0 +4 « da Pe da P, sono eguali e inoltre formano angolo 2@; dunque, tenuto ‘conto del verso, si ha P.-0=}Rotor(2p,a){(P— 0) che confrontata con la precedente, tenuto conto delle (a), e per l’arbitrarietà di P— 0, dimostra la seconda delle (43) (*). Diamo ora una dimostrazione analitica diretta, e per facilitare il calcolo, già abbastanza complesso, scegliamo la prima delle (43). Stando le posizioni (a) si ponga ancora (a) b=a /\ u; (*) La dimostrazione, puramente geometrica, ora data, è semplicissima. L’analoga per la prima delle (43) è meno semplice ed è quindi interessante esporla. Si ponga =0-+ a, U=0+u, V=04+%; i punti A, U,V stanno sulla sfera già considerata ed U,Y sono situati nel cerchio massimo avente A per uno dei suoi poli. Essendo P un punto arbitrario della sfera sia P; il simmetrico, nella sfera, di P rispetto ad U, e P, il simmetrico di P, rispetto a_V. È chiaro che P,-_ 0=(symv.symu)(P— 0). Ora, i semi cerchi massimi che hanno A per un estremo, e passano per P, Pi, Pa, formano due fusi sferici che hanno per semi cerchi bisettori quelli di estremo A e passanti per U, Y; quindi l'ampiezza della somma dei due fusi è 2@ e poichè è facile vedere che P e P. stanno in una circonferenza avente A per polo, risulta che P.—0=) Rotor(29, a) {(P— 0). Si conclude come prima. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MALEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 19 la terna «, e, è unitaria ortogonale destrorsa, e poichè, per le (a), = (« A v) Nu= dae e a sen@ sen p sen sì ha (03) v= cospe + seng d. Ora, come è ben noto, si ha (e) sym®v.symw=)}2H(e,0—1}}2H(u,w 1} = 4cospH (v, v)_— 2H(u,w) —2H(v, 0) +1; ma dalla (0) si ha H (x, è) = cos gH(w, %) + sen PH(v, v) H (&, ©) = cosîgH (v, «) + sen?9 H (0, 0) + Senda H (wu, D) + S209 H(0,) e quindi dalla (c), dopo facili riduzioni, symv.symu= — 2sen?p }) H(w, w) + H(d, 0) (--sen2@} H(w,0) - H(b,w){+ 1; ma si ha H(a, a) + H(w, u)4 H(0,0)=1 H («,0) -H(b,u=2VH(u, 0) =u/\b=a e quindi symv.symu= — 2seng}1—-H(a, a)\+sen2p@.a/\+1 = cos2@ +(1— cos2p)H(a, a) + sen2p. a A = Rotor (2 9, a). Dim. (44). — Dalle (16), (37), (43) risulta subito la (44). 10. Le formule che dànno i prodotti di due, o più, isomerie a centri distinti, si otten- gono, come vedremo, dal teorema fondamentale seguente. Se a, b, € sono vettori non complanari, e si pone (45) a=ang(ad, ac), B= ang(6c, dba), 1= ang(ca, cb) (*), allora si ha Rotor( 21 ,c).Rotor( 28 ,6).Rotor( 2a ,@)=1, pera XbnNe<0 45 Si Rotor(— 2Y,c). Rotor(— 2,0). Rotor(— 20, a)= 1, pera Xbnece>0. Dim. — Senza toglier nulla alla generalità possiamo supporre che a, d, € siano unitari. Se O è un punto arbitrario, i punti A=0-La, B=0+b, (CICÒOCLIE formano un triangolo sferico, sulla sfera di centro 0 e raggio unitario, i cui angoli in A, B, © sono, rispettivamente, di a, ,y radianti. (#) Cioè a, ad es., è l’angolo formato dai due bivettori ab, ac, 0, il che equivale, l'angolo formato dai vettori a \6, a /\\c. 20 C. BURALI-FORII — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Essendo P un punto arbitrario della sfera, sia M il suo simmetrico, sulla sfera, rispetto al lato AC, e siano P,, P, i simmetrici, sulla sfera, di M rispetto ai lati AB, BC. È geometricamente evidente che: se P ruota, sulla sfera, di 20% intorno ad A, va in P;,; se P, ruota di 28 radianti intorno a B va in P,; se P, ruota di 2y radianti intorno a Cva in P; le rotazioni facendosi in senso conveniente. E poichè tali proprietà sono indi- pendenti dalla posizione di P, è facile vedere, scelto P in modo che M risulti interno al triangolo sferico ABC, che il verso delle rotazioni è tale che sussistono le (45) (#). Ma per togliere ogni dubbio riguardo al senso delle rotazioni si possono ottenere diret- tamente le (45) dalla seconda delle (43). 3 Abbiamo già osservato che, ad es., 0 è l'angolo dei due vettori @ A d, a A €; ora si ha (a \ c)\(a\b)=—-cXaAib.a=-aXbnc.a e quindi, ad es., dalla seconda delle (43) specad . specac = Rotor} 2a, (A A c) A (a A d){ (#5). = Rotor) 2a, — «XD \c.a}. Se dunque supponiamo @ XD Ae< 0 si ha Rotor (2a, a) = specad . specace Rotor (28, 0) = specde . specda Rotor (21, c) = specca. spec ed; moltiplicando, e osservando che, ad es., specab = specda, che il prodotto funzionale è associativo e che il quadrato di uno specchiamento è l'identità, si ha la prima delle (45). Supposto invece @ XX d /\\c>Q0 si ha la seconda. Osservazione. -— Il teorema precedente può esser generalizzato così. Sta n un intero positivo non minore di 3; sia @,, Ag, ... A, una successione di vettori non nulli; si ponga ancora do, = Un, Anyx1= dA; per r intero arbitrario dell'intervallo 1n si abbia 1 A, X a, \ Ax: <0; avendo r lo stesso significato precedente si ponga a,=ang(@, 4,1, 40,1). (*) Le (45) dicono in sostanza che: sulla mezza sfera che contiene il triangolo ABC il verso delle tre rotazioni considerate è contrario al verso stabilito sulla mezza sfera dalla successione A, B, 0. (**) Per questo passaggio si ricordi che, ad es., x |(aB)=a \ 6 e che quindi speca® = spec || (ad) = spec | (a A ®). L'uso promiscuo dell'algoritmo elementare dei simboli XK, \, con quello dell’operatore indice, |, e del prodotto alternato è da raccomandarsi vivamente per le semplificazioni formali alle quali conduce [Cfr. €. Bu- raLi-Fortt, Sopra alcune superfici rigate..., “ Rend. della R. Acc. dei Lincei ,, vol. XXIII, s. 5*, pp. 201-208, (1914)]. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MAWDEM. E NATUR., SERIE U, VOL. LXV, N. 14. 21 In tali ipotesi si ha sempre Rotor (20,, @,) . Riotor (20,1, @n-1) - -. Rotor (2a, a.) = 1. Le due dimostrazioni precedenti possono ripetersi tal quale per la successione @,; come pure nella formula generale si deve cambiare @, in — a, quando sia @,_1 X @, /\ @,j1 > 0. 11. Per il prodotto di due Rotor ad assi non paralleli, diversi entrambi dall’identità, si ha il teorema seguente. i Se a, v sono vettori unitari non paralleli, 29, 2w sono numeri dell'intervallo 072m (cioè, positivi, non nulli e minori di 21) (*), alora si ha (46) Rotor (2y, ©). Rotor (29, «) = Rotor (— 20, @w), e l'angolo di 8°8% è il vettore non nullo w (a meno del modulo, cioè per direzione e senso) si costruiscono così. Sulla sfera di centro arbitrario O e raggio unitario si costruisca il triangolo sferico di cui due vertici sono î punti U=0 + u, V=0+- ed il terzo vertice W è tale che gli angoli in U, V sono, rispettivamente, di @, w radianti e la successione w, v, W— 0 è sinistrorsa, cioè wu Av X(W_— 0)< 0. Alora 0 è la misura, in radianti, dell'angolo in W e il vettore w ha a comune con W— O la direzione e il verso. Inoltre, sotto forma analitica: 0 è la minima soluzione positiva della equazione (47) così = — cosp cosyw + sen seny.. du X è, e per w si ha, a meno del modulo, (48) w = coty.u+ cotp.v—-w A è. Dim. — Tenuto conto della costruzione indicata di 9 e e si ha dalla (45), Rotor (20, w). . Rotor (2y, v). Rotor (29, w) = 1 ed operando, a sinistra, con Rotor(—- 20, w) si ha la (46). Essendo «, v unitari si ha che uXv= cos(u, v) e quindi la (47) è niente altro che la nota relazione fra un lato e i due angoli adiacenti di un triangolo sferico (#*). (*) Questa ipotesi, apparentemente restrittiva, toglie nulla alla generalità, poichè 29, 2 sono, in sostanza, le caratteristiche angolari di due numeri, p/, w' che dànno, in generale, la parte angolare delle due rotazioni. (**) Questa relazione e il teorema dei seni dell’ordinaria trigonometria sferica risultano subito da identità vettoriali. Siano, @,6,c vettori non complanari ed unitari, ordinati in modo che (1) aXbec>0. Se 0 è un punto, i punti 0+ &, 04-65, 0+e sono vertici di un triangolo sferico. Se di questo «, d, e sono le misure dei lati e a, 8, le misure in radianti degli angoli, si ha (2) a=ang(6,c), b=ang(c, a), c=ang (a, d) (3) a=angla /\b,a/c), = angb/\c,b/qa), y=ang(c/a, ce 0) DO C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Resta da dimostrare la (48). Siccome 20, ©, ew A © non sono complanari e % non può esser complanare con e e v, si può porre, a meno del modulo, (a) w=qru-|-yw-u N, ove i numeri #, y devono sodisfare alle condizioni seguenti | p=ang(wuv ww)=ang(u \ v, « A vw) I y=ang(vu, vw) =ang(v Au, v A w) (e) wXuNWv) A” asse e questo passa per il punto (55) o=tt? + 3 cot — . (assea) A (B — A). Dim. — Poniamo, come al solito, a= cosp + (I3a — cos) H (v,)+ seng. ww A. Affinchè un punto P appartenga ad un asse di ), il punto XP deve essere la somma di P con un multiplo di w, cioè è necessario e sufficiente che si abbia (a) u/\\(P—- P)=0. Dalle (54), sottraendo, si ha PEPE E (e) (IA) e quindi la (a) diviene (5) uN(1— a)(P_ A) -uN(B— A4)=0. Per proprietà ben note si ha: u/N(1-a)=(1— cosp)u A —senp.(v A)? = 25en$ .U N (sent — COS du A), e quindi la (2) diviene 2sen D. 20 / (sent — cost w A)E-d4-u\B-4=0, i ovvero u / ) 2sen © (sen — cos Su A)P-4-@—-4|=0 che è verificata solo per (c) 2sen © (sent — cost u \)(P_ 4) (B_ 4)=mu ove m è numero reale arbitrario. La condizione (a) è così ridotta alla (c). Se ora poniamo pra ANAE DI o=sen> cos, 28 C. BURALI-FORII — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI si ha per proprietà note 10 — sen? - + (— cos > u) X (- sen + cos i u) P = sen® 7 + sen Lose ion 2 eni = R (sen T+ cos n (2) A) — json 7 +sen 3 cos qu A + cos? $ H(u, v), o.RKo=I0c=sen 5. Allora, siccome la (c) diviene 2sent.o(P_4)—B_A+mwu, operando con RKo nei due membri si ha s NS P P P 2sen® $ (P— 4) = sen? DI (B— 4) 4 sen cos a (B- A)+ cos Pu X (B — A). + msen? du +mceos Ta; 2 2 e quindi, poichè sen der 0 per ipotesi, P_A=3(B_A4)+jctt.un(B—A4)+kw, cioè Pt let?.u\(B_-4+kw ove % è numero reale arbitrario. Dunque la condizione (a) è verificata soltanto dai punti P della forma P=04+ ku il che, per il teorema del n. 15, dimostra appunto che \ ammette un solo asse e che questo passa per il punto O dato dalla (55) (*). x 6) Se l’isomeria vettoriale a è uno specchiamento (cioè a==Iza e anga=0) allora dl ò B ò 9 o 9 moto geometrico \ = ( Tia a) , o non ammette assi, o ne ha infiniti, secondochè il vettore B — A non è 0 è parallelo ad asse a; in quest'ultimo caso qualsiasi retta parallela ad assea è un asse di X e ) è uno specchiamento. Dim. — Conserviamo le notazioni della Dim. precedente. Nelle ipotesi fatte si ha : 1-a=2H(wv,) e quindi la condizione (6), equivalente ad (@), diviene UuN(B—- A)=0 che non contiene P. Dunque: se B — A non è parallela ad «, cioè ad assea, allora non esiste un punto P appartenente ad un asse di ); mentre se B— A è parallelo ad w, allora per qualsiasi punto P passa un asse di À. (*) Cfr. con Omografie vettoriali per il punto 0 ottenuto. per via geometrica, meno semplice di quella omografica ora seguìta. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. Se B — A è parallelo ad ew si ha B= A+ 2aw e quindi, se M è medio tra A e 5, si ha iii Seri — A+xw 2 \MM=B—-xu=A-|+xu=M; allora dalla identità ì P=M+(P_ M) si ha subito \P=M+a(P_ M) il che prova che ) è lo specchiamento rispetto al piano M|w. V. — Classificazione e riduzione dei moti geometrici. Im tutto questo $ intendiamo che il moto geometrico \ e l’isomeria vettoriale @ cui si riduce ) quando opera soltanto sui vettori, abbiano la nota forma generica \== (È a) , a= Rotor (9, «), ovvero a = aRotor (9, v) con w vettore unitario, che per ) traslazione (non identità) sarà fissato parallelo a B— A. Così in ogni caso w è parallelo all'asse, o agli assi, purchè esistenti di \ (cfr. nn. 15, 16). Per anga==0 (cioè @ == 2/%r) indicheremo con O il punto definito dalla (55), così porremo (55) filanti o 8-4 17. Se u è una qualsiasi figura geometrica (classe di punti), indicheremo, brevemente, con x la figura formata dai punti che, rispetto a ), corrispondono ai punti di w, cioè la corrispondente di u rispetto a \. È evidente, in virtù della definizione di moto geometrico, che le due figure u, Nu sono geometricamente eguali (*); cioè, qualunque siano i punti P,@ di u la loro distanza è eguale (identica) alla distanza dei punti XP, XQ della figura Vu. Se La=1, allora le figure v, \x, oltre essere geometricamente eguali, sono anche sovrap- ponibili, poichè se @,b, € sono vettori non complanari le due successioni @, D, c e aa, ad, ac sono entrambe destrorse o sinistrorse. Mentre se Iga = —1 le due successioni ora conside- rate sono l’una destrorsa e l’altra sinistrorsa e quindi le figure vu, )w possono essere non sovrapponibili. Ne segue che i moti geometrici \ del tipo \e= (is Rotor (@, u)) (*) Sarebbe meglio far uso di una parola diversa da eguale, riserbando ad eguale il carattere leibniziano di identità. 30 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI coincidono con gli ordinari moti meccanici di corpo rigido; si intende indipendentemente dal tempo, cioè solo per la posizione iniziale (u) e finale (X1). Mentre i moti geometrici \ del tipo \= DE aRotor (9, u)) non sono realizzabili per qualsiasi figura v mediante gli ordinari moti meccanici di corpo rigido. Possiamo chiamare i primi (J3a= 1) moror e i secondi (Igo = — 1) ANTIMOTOR. Questa è la classificazione generale dei moti geometrici. Esamineremo ora a che cosa si riducono i motor e gli antimotor. 18. Se a è un Rotor, e se ® è la componente parallela di B— A rispetto ad u, cioè (56) i v=uX(B- 4).u=H(u,u)(B— A) allora si ha identicamente (6) ie Meet ove O è il punto dato dalla (55) quando anga==0 e per anga=0 è punto arbitrario. Sotto forma generica: un Motor è sempre il prodotto, commutabile, di una ROTAZIONE (non esclusa l’iDENTITÀ) intorno all'asse (0 ad un asse) del motor, per una TRASLAZIONE (mon esclusa IDENTITÀ) parallela allo stesso asse. Dim. — Qualunque sia il punto P si ha dalla (54) (a) \P—P=B_-A+o(P— 4)—(P_ A). Ma a è un Rotor e quindi i due vettori P— A, a(P— A) hanno egual proiezione sul- l’asse , cioè uX(P_ A)=uXa(Pt A), e perciò si ha dalla (a) (0) i uX AP_P,)=uX(B_ A), la quale esprime che: è vettori \P— P hanno proiezione costante sull'asse di X. Essendo «w parallelo all’asse di \, si ha \O0=04+ cu, che, per la (8), dà uXx(A0—0)=a=uX(B—- A) \MO=0+%, e per la (56°) vale a dire: il moto geometrico \ è, per i punti dell'asse di \, la traslazione individuata dal vettore Vv. Dalla identità P=0-+(P— 0) si ha dunque (e) \P=0+%-+a(P— 0). Se ora poniamo (0 c_{(®3F® = aC si ha subito, per Q punto arbitrario, ug=0+a(Q—0), vQ=0Q+v MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE Il, VOL. LXV, N. 14. 31 e quindi, osservando che av =, perchè © è parallelo all’asse di a, e Ia = 1, vuP=0+a(P— 0) +v uvP= 04 a(P+e—-0)=0-+a(P_0)#+%, cioè per la (e) NPNWPMUVP che dimostra la (56). Osservazione. — Ogni motor X dà dunque posizione iniziale e finale di un moto elicoidale o elicomozione, realizzabile sempre mediante una vire materiale, non esclusa quella di passo nullo che può realizzare il motor che si riduce ad una sola rotazione: la traslazione poten- dosi realizzare con una vite ordinaria cui si dia la rotazione di 27°, 19. È notevole, almeno per la parte formale, come un motor si possa sempre esprimere con un esponenziale in base e (Cfr. n. 6) (#). Avendo 0, 9, w il precedente significato si consideri la forma geometrica di seconda specie s,° di Grassmann-PrANO, definita da (57) s=p.0uH4 m|u, con m=(B— A)X , ed essendo O il simbolo del prodotto alternato di GrAssuaNnN-PEANO, si consideri l’operatore Y definito ponendo (58) Ni= = |KWO sO) Se, essendo P una #7; qualsiasi, osserviamo che l'operatore wO .s©O applicato a P pro- duce il bivettore (UOEs®O)}REW(E=RESw ove nel secondo e terzo membro abbiamo sottinteso, come di solito, il simbolo O, la (58) dà (58') ipP= (850) e quindi: y è operatore tra Fi e VETTORI. Ciò posto, e valendo le notazioni precedenti, si ha (59) \= (5 Rotor (9, u)) — che dù il motor generico \ sotto forma di esponenziale. Dim. — Si indichi con 1, ciò che diviene l’operatore y tra 77 e vettori, quando il suo campo di applicazione si limita ai vettori (che sono delle }). Allora per x vettore arbi- trario si ha dalla (58) e (57) e=]|(es.w=|(sw.x)=9[(ux)=p.u/x€, e poichè x è arbitrario, risulta (a) ERNIA Se nella (58’) si pone O al posto di P e si tien conto della (57) si ha (5) TO=]|(0s.w= mu, (*) G. Peano, Calcolo geometrico, p. 164 (Bocca, Torino, 1888). (#) Oye w è il sestuplo del trivettore unitario 2, cioè è tale che, qualunque sia il punto A, si ha Aw= 1. 32 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI e poichè, per la (a), r0=YrY0)=m;u=0, per » intero positivo arbitrario si avrà (0) TMO_10% Ora, essendo per definizione, 2 3 221l4rtk a tato: dalle (5), (0') si ha subito (e) 0=0+4+mu=04 . Dalla identità P— 0+(P— 0), essendo P punto arbitrario, e dal significato di yj si ha &P=@&04@1(P— 0) e, quindi, per le (a) (c) @P=04 + er“ (P— 0) che per la (27) dimostra la (59). Osservazione. — L'operatore y definito dalla (58) è indipendente dalla speciale forma della s data dalla (57). Risulta dalla (59) che: se s è BIVETTORE allora e” è la TRASLAZIONE individuata dal vettore |s; se s è BIPUNTO allora e” è la ROTAZIONE di mod(sw)"®® intorno ad s, il verso essendo quello del bivettore |(sw); SC S è SOMMA IRRIDUTTIBILE DI UN BIPUNTO CON UN BIVETTORE (non parallelo al bipunto) 2 - Bee 6 ISS allora e” è MOTO ELICOIDALE generico; VASSE è la posizione del bipunto ST eg 164); la ROTA- ZIONE è di mod(sw)=% e i verso è quello del bivettore |(sw); la TRASLAZIONE è individuata dal 3 88 vettore = (sw) (*). A (sw)? ( ) ( ) Gli enti s, e” corrispondono esattamente a quelli chiamati wRENCH, TWIST (visseur e vissage dei francesi) da BALL, come la screw è niente altro che la vite materiale già considerata nella Osservaz. del n. 18. 20. Per gli antimotor, cioè per i moti geometrici \ per i quali a = aRotor (9, %), si hanno i due teoremi a), 6) seguenti: a) Sea è un aRotor, non specchiamento (anga == 0, cioè += 2hr), allora si ha identicamente B LAVO O) (60) Ne= (i; aRotor (®, u) = (De spec|) (È Rotor (9, u) — (È; Rotor (9, v)) (DS spec | u) ) (*) Dalla (57) si ha 1 sw = PU, ss= 2m® . 0u|u= 3 MD. Se si fissa il verso di w ponendo > sw mod (sw) allora si ha BIS p= mod (sw), CesemogiGo) da cui si trae POu= 0(sw) m|u= DES | (sw). , (sw)? i i ; È i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXYV, N. 14. 35 Sotto forma generica: «n antimotor la cui isomeria corrispondente non sia uno specchia- mento vettoriale, è sempre il prodotto, commutabile, di una RovAZzIONE (esclusa l'identità) intorno all'asse dell’antimotor, per uno specchiamento rispetto ad un piano normale a tale asse. Chiameremo ANmROTAZIONI î moti geometrici ora considerati (*). Dim. — Dalle (54) si ha P4\P=A+B+#+{(P— A4A)+a(P— A), e poichè a è un aRotor si avrà (perchè au = — wu) uX(P_ A)=-uXa(P— A) e quindi i PI = | Xu=0 che per la (55) dà subito (a) EL 0\Xu=0, la quale esprime che: ? punto medio tra due punti qualsiasi corrispondenti rispetto a \, sta nel piano condotto per O normalmente all'asse di \, cioè nel piano O|u. Ponendo, nella (a), 0 al posto di Pe ricordando che \O=0-+- zu si ha subito «= 0 cioè \M=0 vale a dire: il punto O corrisponde a sè stesso rispetto al moto \. Dalla identità P=0-+-(P— 0) si ha dunque (8) \P=0+40(P— 0). Se ora poniamo È n= (3, Rotor (9, v)) 7 v= (5; spec |) e ricordiamo che a= aRotor (9, vu = spec|w . Rotor (9, u) = Rotor(9, ) . spec |w abbiamo subito vuP= uvyP=0+ a(P— 0) che, per la (6), dimostra la (60). b) Se M è il punto medio tra A e B, (61)) Me e w è il vettore componente normale di B — A rispetto ad u, (61”) w=B—-A—-uX(B— A). u=)}1T-H(u,u)\(B— A), allora si ha identicamente B M M (61) = i spec|u) = ( a 1) (e spec) seo MH4+w = (cà spee|e) ( Dal: i) (5) Pera= — 1 si ha, come è noto, l’equinversione rispetto al punto (A+ B)/2 che coincide con 0. In tal caso l’asse, uscente da 0, è arbitrario, la rotazione è una simmetria assiale (anga = ©) e il piano di spec- chiamento passa per il punto 0 ed è normale all’asse scelto. Yo 34 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI Sotto forma generica: un antimotor la cui isomeria corrispondente sia uno specchiamento vettoriale, è sempre il prodotto, commutabile, di uno SPECCHIAMENTO, per una TRASLAZIONE (non eselusa l'identità) parallela al piano di specchiamento. Chiameremo ANTITRASLAZIONI i moti geometrici ora considerati (*). Dim. — Sia P un punto arbitrario del piano M|w, cioè si abbia (P_—M)Xu=0. Ricordando che 2M= A+ B, cioò 2(M— 4) =B—A si ha dalle (54) \P_—P=B-—A+ spec|u.(P— 4)—(P— A) = B-A—-2QuX(P_ A).w = B_-A-2uX}(P_M_-(A-M)}{.w =B_-A-uX(B-A)u=%w, e quindi: 22 moto X è, per i punti del piano M|u, la traslazione individuata dal vettore w. Dalla identità P=M+(P— M), per P punto arbitrario, si ha dunque (a) \P=M-w + spec|u.(P— M). Se ora poniamo u= (E spec), v= (RIE 1) e osserviamo che, essendo w normale ad %, (spec|u)w = w si ha subito vuP= uvP=M+ spec|u.(P— M)+ ew che, per la (a), dimostra la (61). Osservazione 1°. — Da a) e bd) risulta che: un ANTIMOTOR, 0 è un'ANTIROTAZIONE, 0 uNa ANTITRASLAZIONE. Osservazione 22. — La riduzione, ora compiuta, di un motor o antimotor a prodotto di due moti più semplici permette di determinare facilmente i punti, rette e piani vnITI rispetto al B DIR 5 RESI Ri . moto \ = ( 4 a), cioè tali che \x =, ove « è, in generale, una figura geometrica (classe. di punti). Basta per ciò tener conto delle direzioni unite dell’isomeria vettoriale a, già deter- minate nell’Osserv. 2% del n. 5, e dei teoremi seguenti: Affinchè la retta r sia unita rispetto a X è necessario che la sua direzione sia unita rispetto all’isomeria a. Affinchè il piano p sia unito rispetto a ) è necessario che la sua giacitura sia normale ad una direzione unita rispetto all’isomeria a. Il primo teorema risulta subito dal fatto che trasforma vettori in vettori. Sia @ vettore non nullo normale al piano p e x vettore arbitrario parallelo a p. Affinchè p sia unito rispetto a \ è necessario che ax sia pure parallelo a p, cioè che a X ax = 0, ovvero x X Kaa = 0. Ma si ha pure x XK @=0 e quindi @ /\ Kaa è o nullo o parallelo ad x; e poichè x ha direzione arbitraria normale ad @ si avrà @ / Kaa= 0, ovvero Kaa == o anche aa =+ a, il che prova il secondo teorema. (*) Se la traslazione, individuata da w, è l'identità, cioè w=0, o anche B— A è parallelo ad w, allora X è uno specchiamento ed è solo in tal caso (cfr. n. 16, %) che XA ammette infiniti assi, mentre per 40 = 0 non ammette assi. iiatitnttninntnri MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 39 VI. — Composizione dei moti geometrici. 21. Consideriamo i due moti geometricî generici B D 9! ST) n; (62°) Li ie p=(058) ove A, B,C,D sono punti e a, B isomerie vettoriali. Dalla solita identità P= A+-(P— A) e dalle (62’) si trae subito \P=B+o(P— 4), uP=uB-+fa(P— A), e poichè pXNA = uB si ha {5 (62) ne pa). Dunque le formule date nei $$ III, V permettono di ridurre, in ‘ogni caso, il moto geo- metrico uà, prodotto funzionale di \ per u, al prodotto (cfr. $ V) di due dei moti seguenti traslazione, rotazione, specchiamento. Si potrebbero scrivere numerose formule per i casi generali e particolari; per questi, alcune semplici, per quelli in generale molto complesse. Ma crediamo del tutto inutile scri- vere tali formule visto che dalla (62) e da quelle dei $$ III, V possono esser dedotte in ogni caso particolare nel quale occorra conoscere la riduzione a forma semplice ($ V) di pù. Hsamineremo piuttosto alcuni casi particolari di grande interesse pratico, specialmente per i motor. 22. Tra i moti geometrici alcuni hanno bisogno del verso, dato sempre da un vettore o da un bivettore, altri no; per tutti occorre la grandezza del moto. Una TRASLAZIONE è individuata da un vettore e quindi richiede i tre elementi grandezza, direzione e verso. Per una RoTAZIONE di ®", con @ non multiplo di , occorre l’asse e il verso della ro- tazione, che si determina fissando un verso dell’asse stesso (col vettore «). Invece per @ mul- tiplo di mt non è necessario il verso: non nel caso @ multiplo di 27, nel quale si ha l’iden- tità; non nel caso ® multiplo dispari di t, nel quale si ha la simmetria (assiale). Giova stabilire esattamente che una simmerrIA (assiale) è individuata dandone l’asse (che è una retta la quale ha una sola direzione ma due versi). Lo stesso avviene per uno sPECCHIAMENTO, che è individuato dandone il piano di spec- chiamento. Dimostreremo nei numeri seguenti che il prodotto di due simmetrie è un motor e di due specchiamenti una rotazione; da ciò risulta che qualsiasi moto geometrico può ottenersi come prodotto di due o più dei moti particolari traslazione, simmetria, specchiamento. 23. Siano a, b due rette, A, B i punti nei quali esse sono incontrati dalla perpendicolare comune ad esse (0 da una qualunque di tali perpendicolari se a, b sono parallele) e uno degli angoli convessi formati da a e b sia di @"*. Se \, u sono le simmerRIE aventi a, b per assi, allora u\ è il Moto ELICOIDALE (motor gene- rico) prodotto della TRASLAZIONE individuata dal vettore 2(B — A), e della ROTAZIONE di 2g" 36 C. BURALI-FORTI — ISOMERIE VETTORIALI E MOTI GEOMETRICI intorno alla retta AB fatta nel senso nel quale deve ruotare a di ©" intorno ad AB per dive- nire parallela alla retta b. Dim. — Se %,% sono vettori non nulli paralleli alle rette «, è, e di verso tale che p=ang(u, v), allora si ha Essendo B— A normale a ® si ha neo d=z=08 e quindi dalla (62) si ha li a symv. sym) che per la (18) o (43) dimostra il teorema. Osservazione 1°. — Sussiste il teorema (inverso): ogni motor è, în infiniti modi, il pro- dotto di due simmetrie. Se il moto è individuato (n. 19) dalla 7, s=®.0u+m|u, Conta: allora, fissati sulla retta Ow due punti A, B in modo che B== A+ c U e fatte passare per essi due rette 4,5 normali ad «, in modo che a debba ruotare di a intorno ad Ou, nel senso di |, per divenire parallela alla retta 5, le simmetrie di assi a, d hanno per prodotto il motor individuato da s. Osservazione 23. — Si deduce di qui il modo di comporre graficamente due motor À, pu. Siano a,b le rette assi di \ e u. Si costruisca una retta (o la retta) c normale comune di a e dò. Indicando con Symr la simmetria che ha per asse la retta 7, si costruiscano le rette a’, 5' in modo che \= Syme. Syma', u= Symd'. Syme, il che, per l’Osserv. 1°, è possibile. Osservando allora che (Syme)?=1 si ha ui = Symd'. Symc' e il motor ui è ridotto al prodotto di due simmetrie. i Applicando più volte tale procedimento si può trovare il prodotto di tre o più motor, che è sempre un motor (*). (4) È ovvio, come risulta dalla (62), che il prodotto di due motor o di due antimotor è sempre un motor, mentre il prodotto di un motor per un antimotor, o viceversa, è sempre un antimotor. Se \—(, Rotor(0,w), u= (7 Rotor (uu), conuXB_—-A=0, allora la costruzione grafica generale di uÀ conduce alla rotazione di (9 + w)"3 intorno ad una retta paral- lela ad w, o ad una traslazione (per P + y multiplo di 2) e si ha la composizione delle rotazioni in un piano. Per queste vale un teorema analogo, per il triangolo piano, a quello dato nel n. 10 per il triangolo sferico; sussiste pure teorema analogo a quello del n. 11, ma deve essere p4+-y+0=r e per p+yw=q il pro- dotto delle due rotazioni è una traslazione. Mure?" o Ap e | vo MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATREM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 14. 37 24. Siano a, BP due piani, uno degli angoli da essi formati sia di p"%, e siano \, u gli SPECCHIAMENTI rispetto ad a e B. Se a, B non sono paralleli allora ui è la RorAZIONE di 2" intorno alla retta r comune ai due piani nel senso nel quale deve ruotare a di p"9 intorno ad r per ribaltarsi nel piano B. Se a, BP sono paralleli, allora uN è la TRASLAZIONE doppia di quella che si deve dare ad a per ribaltarlo nel piano B. Dim. — Se %,® sono vettori non nulli normali ad a,f, e di verso tale che = ang (u, v) allora si ha A B (a) \= (4 spec] wu), u=(7 speel®) ove 4 è un punto, arbitrario, di a e B un punto di B. Se a,8 non sono paralleli, allora per qualsiasi punto P di » si ha \P= P, u1P=Pe: quindi u\P= P. Si può dunque prendere B= A sulla retta r e dalle (a) si ha = A a = (e spec|w. spec |) che per la (43) dimostra la prima parte del teorema, poichè la retta r è parallela al vet- tore w /\ ®. Se a, sono paralleli, allora nelle (a) si può porre v=-+% e B— A parallelo ad wu; quindi, osservando che, in tali ipotesi, puA=B+ spec|u.(A—B)}=B—(A—B)=A4+2(B— A), dalle (a) si ha subito o 1) che dimostra la seconda parte del teorema. Memorie della Reale Accalemia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV - N. 15. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. RICERCHE BIOCHIMICHE vulla Tunzione ureopojetica e sulle alterazioni della composizione del sangue NELEBbPI[ILESSELEA MEMORIA DI GEROLAMO CUNEO Dott. in medie., lib. doc. in chimica. Approvata nell'adunanza del 10 Gennaio 1915. SOMMARIO VECI PRG | INTRODUZIONE PARTE SPERIMENTALE SI. _-I dati analitici dell’urina raccolta nel periodo accessuale dimostrano che la funzione ureopojetica sì compie normalmente e che non si manifesta alcun indizio di autointossicazione ammoniacale Pag. 4 $ II. — Nel periodo accessuale, ora studiato, si riscontra una forte acidosi, ossia una continua e copiosa formazione di acidi organici, i quali, allorguando vengono eliminati come sali ammoniacali, per deficienza di sali sodici o potassici, producono un aumento talora straordinariamente grande di am- moniaca nell’urina, senzachè la funzione ureopojetica vi prenda parte: infatti, se si somministra carbonato sodico, scompare l'’ammoniura e ritorna normale il rapporto tra azoto totale e azoto am- moniacale : 5 E 7 : 3 È È È 7 È è È : È : ; : 6 $ II—L — Il bilancio dell’azoto, esattamente determinato in un epilettico, ha dato un aumento notevole di azoto nelle feci, per cui si può pensare che possa esistere un’alterazione nella funzione dell’as- sorbimento intestinale . 2 x : 5 ; , ; > È ; 5 2 5 3 sz $ IV. Il sangue degli epilettici, raccolto immediatamente dopo l’accesso o poco tempo dopo, contiene una sostanza albuminoide, la quale presenta le reazioni speciali caratteristiche delle a/bumose, mentre nel sangue di bue, come pure nel sangue di dementi precoci o in quello di epilettici estratto nel 19 periodo intervallare, questa sostanza non è presente . 3 : ; È ) i È : 5 Le numerose ricerche che furono eseguite per mettere in chiara luce la essenza mor- bosa dell’epilessia, non sono ancora riuscite a risolvere questo così importante problema. Tanto la teoria bul/bare che attribuisce Forigine dell’accesso epilettico all’eccitabilità spon- tanea o riflessa del centro bulbare, quanto la teoria corticale che lo attribuisce invece ad una irritazione della corteccia cerebrale, sono incomplete ed insufficienti, perchè, mentre spiegano il modo di sviluppo delle varie manifestazioni epilettiche, non riescono a chiarirne la loro natura: esse non permettono nemmeno la grande divisione clinica in epilessia essenziale o Za, 2 GEROLAMO CUNEO — RICERCHE BIOCHIMICHE SULLA FUNZIONE UREOPOJETICA, ECC. genuina e in epilessia sintomatica di altre malattie, perchè una irritazione della corteccia cerebrale la quale produce le manifestazioni epilettiche, può essere prodotta tanto da un veleno endogeno quanto da altre malattie ben conosciute (tumori, processi cerebrali sclero- tici, malattie corticali, rammollimenti, ecc.). La teoria tossica invece non presenta queste lacune perchè attribuisce la causa dell'attacco epilettico ad una sostanza tossica che, per l'alterazione di qualche funzione, si produce nell'organismo epilettico e sviluppa la sua azione tossica eccitando la corteccia e il bulbo. Numerosissime ricerche furono fatte per spiegare l'origine di questa autointossicazione, ma se tutte ne hanno confermata la esistenza, perchè furono trovati ipertossici il sangue (Cenr e Cotonian), le urine (Vorsin e Pemir, FERÉ, D’'Asunpo, Bruera, Tramonti), il liquido cerebro-spinale (Dime, SAQuEPÉE, PELLEGRINO) e il sudore (Marrer, DeLTEIL, CABITTO), nessuna ricerca ha mai dimostrato e precisato quale sia la natura e il modo di formazione di questo veleno endogeno che è causa dell’autointossi- cazione e dell’accesso epilettico. Le presenti ricerche hanno lo scopo di portare un contributo alla conoscenza di questa autointossicazione. Esse possono dividersi in due gruppi. Quelle del 1° gruppo dilucidano la confusa e già discussa quistione dell’intossicazione ammoniacale, dimostrando che essa non può prodursi nella epilessia perchè la funzione ureopojetica si compie normalmente. Quelle del 2° sruppo descrivono una sostanza che è stata isolata dal sangue di epilettici estratto subito dopo l’accesso e che presenta le proprietà caratteristiche delle albumose. La teoria dell’autointossicazione ammoniacale, che da alcuni autori è stata invocata per ispiegare l’origine di qualche malattia mentale, ha creato una quistione oltremodo complessa, che è necessario venga definitivamente dilucidata in un modo esauriente, perchè mantiene oscura e confusa la patogenesi di due fra le più importanti malattie mentali. Alcuni autori infatti hanno affermato che le manifestazioni epilettiche si debbono ad un accumulo di acido carbammico nell'organismo (1), sostanza che non esiste allo stato libero e che tanto con i suoi prodotti di decomposizione, quanto con le sue combinazioni saline o carbammati non può dar luogo ad altra intossicazione che quella ammoniacale. Altre ricerche invece più recenti, eseguite sulla psicosi maniaco-depressiva, a decorso circolare, hanno dimostrato che la fase di eccitazione maniaca di questa grave malattia mentale, è prodotta dall'entrata in circolo di abbondanti quantità di carbonato ammonico non trasformato in urea per una insufficienza della funzione ureogenica (2). Si è così attribuito ad una stessa causa morbosa — all’autoin- tossicazione ammoniacale — l'origine di due differenti malattie che non è possibile vadano insieme confuse e cioè l’epilessia e la forma circolare della psicosi maniaco-depressiva. È quindi indispensabile togliere, prima di ogni altra cosa, questo contrasto e risolvere defini- tivamente questa ancora incerta ed oscura questione, stabilendo nettamente in quale delle due malattie mentali sopra ricordate, l’autointossicazione ammoniacale si riscontra realmente. Per raggiungere questo scopo ho seguito varie vie differenti. In una pubblicazione ho esposto dettagliatamente le ricerche sperimentali e analitiche, le quali hanno portato alla conclusione che una vera e propria autointossicazione ammo- niacale esiste ed è la causa dello stato maniaco che si verifica nella forma di psicosi ma- niaco-depressiva da me descritta (2). (1) G. Gorpr, Sulla patogenesi dell’epilessia, “ Rivista sperimentale di freniatria ,, vol. XXXIV, pag. 50. (2) © Rivista sperimentale di freniatria ,, ann. 1914, fasc. 1, 2 e 3. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. Lo d In un’altra pubblicazione ho fatto un esame critico di quanto è stato prima d’ora esposto circa l’intossicazione ammoniacale nell’epilessia e ho dimostrato che un concetto chiaro e preciso non fu ben stabilito nè intorno alla sua essenza nè intorno alle relazioni che essa può avere con le cause di questa malattia: si sono infatti confuse insieme due ammoniurie che hanno una genesi e un significato tutt’affatto differenti — quella cioè proveniente da una formazione anormale di acidi, 1 quali vengono eliminati come sali ammoniacali innocui, con quella proveniente da una vera e propria autointossicazione ammoniacale prodotta da una insufficienza della funzione ureopojetica, per la quale passa in circolo del carbonato ammonico non trasformato in urea. La prima ammoniuria o acidosi si può riscontrare in molte malattie, compresa l'epilessia, ma l’ammoniuria del 2° tipo è naturalmente accompa- gnata da una ammoniemia e non può riscontrarsi che in quetlla sola malattia a cui essa dà luogo. Oltre a ciò, mentre in queste pubblicazioni si è attribuito ad una intossicazione am- moniacale la causa dell’accesso epilettico, d'altra parte gli stessi dati analitici in esse riferiti e completati col calcolo, dimostrano per sè stessi, che nessuna intossicazione ammoniacale esiste nell’epilessia (1). Questi rilievi, dei quali ho dato la dimostrazione dettagliata e precisa, hanno, se non risolto, dilucidato grandemente la questione e siccome non furono confutati, si doveva rite- nere che fossero stati accettati. Invece nel trattato di medicina sociale (2* parte, Sanità psichica, pp. 228-229, anno 1913) comparve successivamente una pubblicazione del Dr. GuIpI, nella quale si afferma nuovamente: a) che l'indice dell’intossicazione acida da acido carbammico nell'organismo epilettico è dato dall’espulsione dei composti ammoniacali; 6) che il carbonato ammonico non è completamente trasformato in urea, per cui av- viene una ritenzione d’acido carbammico, il quale sarebbe l’agente tossico dell’organismo epilettico. Credo opportuno far di nuovo rilevare che queste deduzioni del dott. Gui vengono senz'altro annullate dalle seguenti considerazioni : a) che l'acido carbammico, non esistendo allo stato libero, non può dar luogo ad in- tossicazione alcuna e che i suoi prodotti di decomposizione, come pure i suoi sali e le altre combinazioni ammoniacali dell’acido carbonico, non possono produrre alcuna intossicazione acida, come ripetutamente afferma il dott. Gurpi, ma solamente un’intossicazione ammoniacale, quando la funzione ureopojetica sia alterata, mentre vengono trasformati in urea quando la funzione ureopojetica è integra; 5) che le esperienze e i dati analitici pubblicati dal dott. Gurpr non sono sufficienti per dimostrare quanto è stato affermato: anzi, quando i dati analitici stessi vengono com- pletati col calcolo, si dimostra il contrario, che cioè nessuna intossicazione ammoniacale esiste nell’epilessia. Malgrado questa evidente dimostrazione, ho cercato colle presenti ricerche, di risolvere direttamente la quistione, studiando la natura delle ammoniurie che si riscontrano nella epi- lessia, e le ho messe in relazione colla funzione ureopojetica e con l’acidosi. I risultati otte- nuti, i quali concordano perfettamente con altre esperienze che ho già eseguite con altri scopi, dimostrano che nell’epilessia la funzione ureopojetica si compie normalmente e non può quindi prodursi alcuna autointossicazione ammoniacale, mentre le ammoniurie che pos- sono riscontrarsi in questa, come in molte altre malattie, sono da riferirsi alle acidosi. Queste conclusioni intanto, stabiliscono un concetto ben chiaro e preciso intorno alle relazioni che la vera e propria autointossicazione ammoniacale ha con le sopra indicate malattie mentali : (1) © Quaderni di psichiatria ,, ann. 1913, fasc. 13 e 14, f GEROLAMO CUNEO — RICERCHE BIOCHIMICHE SULLA FUNZIONE UREOPOJETICA, ECC. risolvono cioè definitivamente questa, finora oscura e confusa quistione, escludendo che l’auto- intossicazione ammoniacale si riscontri nell’epilessia, come è stato finora affermato, e dimo- strando che essa invece si produce solamente nello stato maniaco della forma di psicosi maniaco-depressiva da me descritta. Nello svolgimento di queste esperienze emersero alcuni fatti che parvero importanti perchè potevano far supporre che fossero in relazione con qualche alterazione nella, funzione dell’assorbimento intestinale. Lo studio di questa funzione non fu, con le presenti ricerche, completato e ultimato; ciò sarà fatto in seguito. Ma intanto considerando che questo con- cetto teorico, il quale d'altra parte armonizzava perfettamente con le ricerche di altri Autori, di cui si parla dettagliatamente nel corso del lavoro, permetteva di supporre che nel sangue degli epilettici potessero trovarsi dei proteosî non rigenerati in sieroalbumina, ho pensato di studiare la composizione del sangue e di ricercare senz'altro le albumose non solo nel sangue estratto subito dopo l’accesso, ma anche in quello estratto nei periodi intervallari, come pure nel sangue di bue e in quello di dementi precoci. Numerose analisi, praticate con metodi differenti, hanno portato alla conclusione che solamente nel sangue estratto subito dopo l’accesso epilettico si trova una sostanza che ha le proprietà delle albumose, mentre il sangue estratto nei periodi intervallari oppure quello di non epilettici non ne contiene. Questo fatto potrebbe far pensare che l’accesso epilettico possa essere prodotto da una a/bumosoemia, sia perchè i proteosi sono fortemente tossici, sia perchè essi si trasformano nel sangue e scompaiono rapidamente: ma io con le presenti ricerche, intendo soltanto di dimostrare la presenza di questa sostanza, mentre mi riservo di tentare, in seguito, di spiegare il suo modo di formazione, sia completando lo studio della funzione dell’assorbimento intestinale sia eseguendo altre ricerche indirizzate allo scopo di indagare se l’albumosoemia è o non è in relazione diretta con la comparsa delle manifesta- zioni epilettiche. PARTE SPERIMENTALE I. - | dati analitici dell'urina raccolta nel periodo accessuale dimostrano che la funzione ureopojetica si compie normalmente e che non si manifesta alcun indizio di autointossicazione ammoniacale. Per potere dedurre queste conclusioni ho determinato il rapporto dell'azoto totale, tanto con l’azoto ureico quanto con l'azoto ammoniacale, e mi sono servito sia dell’urina delle 24 ore, come di piccole porzioni raccolte dopo gli accessi, perchè trattandosi di rapporti, i risultati sono ugualmente esatti. i | | | P t MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 15. "S[NAUO9 1SS999L ZG 909 LI ‘91 “GT tuzori 10N 0SS0998 ] ISSODOB 7 OSS999R ] ISSOI9R 7 0SS9998,] Odop V}jooogI ISS999B 0913JA]Ido 09%9S (1) 09s999€,] odop eqpooora 90 E]jou ISS9997 Dini NO) ao |-MIUOI DAR "N 918903 "N oq1oddey | | | 808600 G8F60 68770 FI6S0 879TS0 0EES0 9609°0 GGETO STOLO TG0L'0 SIL 0 SFOGO ZII 86900 07900 67690 OeoRIUOUITMIN 0JOZy 018 9678 16/68 6698 0068 8088 091I1MYOZN 0g 10ddvy 0019In 0Y0Zy 0]U90] 090Zy. 481 SIT OT'G 7190 0OLIO}[OS Opioy e —_T__ varquent) SEE 8g “6/8 (CHTa] OpIAR(] 0901gq DI @SI[H 9088] PI PI PI BLB]] 1II[S8g DI PI RULIO9R) 0FJOAOIY DI DI OquejoLy quei PI ‘PI USOM 0JWMIOR CO Ho 29 ICI NETIEISVALL ATA O) GEROLAMO CUNEO — RICERCHE BIOCHIMICHE SULLA FUNZIONE UREOPOJETICA, ECC. Questi risultati analitici escludono nel modo più assoluto la presenza di qualsiasi intos- sicazione ammoniacale, dovuta ad una alterazione della funzione ureopojetica, perchè i rap- porti dell'azoto totale con l’azoto ureico e con l'azoto ammoniacale sono normali. Se una quantità di ammoniaca superiore a quella normale fosse passata in circolo senza avere subìto la trasformazione in urea, si doveva trovare nell’urina una diminuzione del rapporto azoturico e un aumento del rapporto tra azoto totale e azoto ammoniacale. Si può dunque affermare che durante e dopo l’accesso epilettico non si verifica alcuna autointossicazione vera e propria perchè la funzione ureopojetica si compie normalmente. Invece non può affermarsi altrettanto per l’acidosi, ossia per una anormale formazione di acidi. Benchè i dati analitici non la rivelino, tuttavia essa potrebbe esistere, perchè questi acidi organici, sono prima di tutto eliminati come sali sodici o potassici e in questo caso dovevano sfuggire all'analisi, oppure come sali ammoniacali quando i primi siano deficienti. Perciò questi risultati non sono per nulla in contraddizione con quelli che verranno succes- sivamente riferiti sull’acidosi. Per ora basta osservare che, mentre nella psicosi. maniaco- depressiva. l’accesso maniaco è, negli ammalati che io ho avuto occasione di studiare, accom- pagnato da una autointossicazione ammoniacale con caratteri spiccati e in perfetta armonia con lo stato morboso, durante e dopo l’accesso epilettico invece, l’intossicazione ammonia- cale non esiste. Perciò le cause morbose che producono i due accessi sono ben differenti e e nettamente distinte l’una dall'altra: non è nell’epilessia, ma solo nella fase maniaca della psicosi maniaco-depressiva da me studiata che si verifica la vera autointossicazione ammoniacale. Osservo pure che la determinazione dell'azoto ureico nelle analisi 8 e 11 ha dato nu- meri molto più elevati. Queste due determinazioni furono eseguite col metodo dei sali rameosi mentre tutte le altre furono eseguite col metodo dell’acido fosfotungstico. Se si è ottenuto una differenza così grande, bisogna ammettere che esiste nell’urina degli epilettici una so- stanza che non precipita con i sali rameosi e precipita invece con l'acido fosfotungstico; essa non esiste nell’urina normale perchè i due metodi dei sali rameosi e dell’acido fosfotungstico dànno gli stessi risultati (1): questo fatto non è trascurabile e servirà di guida per le ricerche successive. Potrebbe sembrare eccessiva la differenza che si è verificata nella quantità dell'azoto totale eliminato dall'ammalata Gamba nelle analisi 4 e 5. È quindi opportuno ricordare che mentre nell'analisi 4 l’ammalata prendeva la dieta ordinaria del manicomio, col giorno 21 si cominciò a somministrare soltanto un litro di latte (a cui corrispondono gr. 5,1 di azoto), con lo scopo di vedere se questa alimentazione modificava lo stato epilettico. Da ciò la dimi- nuzione nell’eliminazione dell'azoto totale. In ogni modo i rapporti riferiti all’azoto totale sono egualmente esatti nelle due analisi. II. - Nel periodo accessuale ora studiato si riscontra una forte £ acidosi ,, ossia una continua e copiosa formazione di acidi organici, i quali, allorquando vengono eliminati come sali ammoniacali per deficienza di sali sodici o potassici, producono un aumento talora notevolissimo di ammoniaca nell'urina, senza che la funzione ureopojetica vi prenda parte; infatti se si somministra carbonato sodico scompare l'ammoniuria e ritorna normale il rapporto tra azoto totale e azoto ammoniacale. Le presenti esperienze e tutte quelle successive furono eseguite sull’ammalato Bona- cossa Mario, ritenuto adatto allo scopo non solo perchè quasi ogni giorno va soggetto ad (1) Ricerche sulla psicosi maniaco-depressiva, “ Rivista sper. di freniatria ,, ann. 1914, fasc. 2, pag. 461, ict A, AUTOCTONI ZO CETTE TITO o MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 15. 7 accessi epilettici, ma anche perchè essendo di una eccezionale docilità, lasciava sicuri che le prescrizioni sarebbero state puntualmente eseguite: esse in ogni modo furono sempre sorve- gliate da un infermiere serupolosissimo. L’urina venne sempre conservata con timolo: tut- tavia, presentando quasi costantemente una reazione fortemente alcalina, veniva saggiata con la carta reattiva durante l'emissione. Nel 1° sruppo di esperienze sopra riferite, fu dimostrato che nell’urina, raccolta nel periodo accessuale, non esiste alcun indizio di autointossicazione ammoniacale, questi risul- tati, se si verificassero costantemente, potrebbero essere sufficienti per ammettere che la funzione ureopojetica si compie normalmente, ma siccome si verifica talora un’ammoniuria, è necessario stabilire nettamente se questo aumento nell’eliminazione dell’ammoniaca è do- vuto ad una insufficienza della funzione ureogenica, per cui può entrare in circolo carbonato ammonico non trasformato in urea, oppure ad una anormale produzione di acidi i quali ven- gono eliminati come sali ammoniacali. Con le presenti ricerche mi propongo di risolvere questa importante questione. i È opportuno osservare prima di tutto, che quest’'ammoniuria non si verifica costante- mente: se essa fosse in rapporto diretto con l’accesso epilettico e con una insufficienza della funzione ureogenica, dovrebbe accompagnare costantemente i fenomeni morbosi, mentre invece se fosse in rapporto con un’acidosi, è possibile che essa si presenti saltuariamente perchè questi acidi anormali, se anche si formano costantemente, vengono di preferenza eliminati come sali sodici o potassici e solo come sali ammoniacali quando i primi siano deficienti. Queste considerazioni mi hanno tracciato la via da seguire. Ho cominciato a studiare il comportamento della funzione ureopojetica somministrando carbonato ammonico: si è avuta una eliminazione di ammoniaca qualche volta normale, ma generalmente superiore a quella normale: poscia ho somministrato limonata cloridrica ed ho ottenuto un aumento così grande nell’eliminazione dell’ammoniaca che l'azoto ammonia- cale raggiunse la elevata proporzione dell’80,46°/ dell'azoto totale. Questo aumento è del tutto naturale e conforme alle conoscenze fisiologiche attuali: esso non è in rapporto con un'alterazione della funzione ureopojetica ma è dovuto all’ammoniaca che venne impiegata a neutralizzare l'acido e siccome si trattava di acido cloridrico si è formato cloruro di am- monio che a differenza dell’acetato, tartrato, ecc. non può trasformarsi in urea nel fegato. Infatti sospeso quasi subito l'acido cloridrico e somministrato invece carbonato sodico, scom- parve completamente l’ammoniuria. In queste varie fasi dell'esperimento lo stato morboso dell’ammalato restò sempre inal- terato ; si ebbero cioè gli accessi con la solita frequenza tanto quando l’ammoniuria era presente, come quando era assente. Ciò dimostra che l’ammoniuria non ha relazione diretta con lo stato morboso e siccome essa è scomparsa somministrando carbonato sodico, bisogna ammettere eziandio che non è affatto in relazione con la funzione ureopojetica, la quale è integra, ma con una formazione anormale di acidi, i quali se sono inorganici oppure non trasformabili in carbonati, vengono eliminati come sali ammoniacali quando sono deficienti le altre basi alcaline, mentre se si tratta di combinazioni organiche trasformabili in carbo- nati (acetati, tartrati, citrati) dovrebbero essere portati allo stato di urea. Il 20 ottobre 1913 si comincia la somministrazione di gr. 4 di carbonato ammonico, i quali col giorno 22 si portano a gr. 6. RICERCHE BIOCHIMICHE SULLA FUNZIONE UREOPOJETICA, ECC. GEROLAMO CUNEO (0.0 (13 K (13 (1) “ 0) MOLULE ojeuoque;) o[BoetuonIDI 8 "N 918303 ©N ogrodde ‘OTIB]I essooguog 07Ve[CUIUIY LAI) TE po GET Sa OT È AOTIOI FACTSIR TE 99881 - — 97:gI - 0907 i i GOL ne 97680 = = 616 = 028 guUr[go]e oquewrtoSSa] i esig 67 7610 Sr “a 8791 Ta 000T 3 i È E 86 SGIGLI 5 @® 0901 So 069 v i si SOA LG 80671 - C* 89/6 si 096 5 ù i EI6/T1/8 96 SLEGIG 06 GS GOTI LO TE Gia OGLI È 5 < SETE rd L9IF6 I SR = OTT = OG0T ; È = aa 0 Fe SEESI o Ti a GL'6I ov OGTT È È ù 6a Se FF98'E OS'TL SII SS91 = OGGI BUI[BO]E OJUOW9T.IO] BpIQ0I N RIO GG SFS6I E TE 80/71 i 00K GUITBO]E EpIq.109 da TG GZ96/0 T- - 97/01 = 006 UI[BO]e oguow108 SO] EpIqog È (CA 07 FS6LI m "=; T8'6T =" OLOT a RANMETG 6I STIOOT GOG IFII 86/61 can 0SGI | 3 ESS 8I PELLI Da ua 0971 ‘as OGGI | epioe epidui] dude LT = e Sr De i Su 2 a Sa < => vi ca Mi 7% -# 16/01/08 | — PET] OOITROAT | core ogozy | etetog opozy |. TI tguent) LIALpBIBO [UIOÌ 070zy oqroddey ‘10}[08 OPioV MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEM. E NATUR., SERIE II, VOL. LXV, N. 15. 9 Questi risultati non sono normali: dimostrano cioè che si elimina talora una quantità di ammoniaca molto superiore a quella normale, per cui il rapporto azoturico si abbassa, perchè i sali ammoniacali precipitano con acido fosfotungstico, e il rapporto tra azoto totale e azoto ammoniacale si innalza. Questo fatto si verifica anche nella insufficienza della funzione ureo- pojetica quando passa in circolo dal carbonato ammonico non trasformato in urea, ma allora si ha pure l’azione di ceccitamento e quella di arresto sul ricambio dovute all’ammoniaca, mentre in questo caso l’ammalato non presentò mai alcuna di queste manifestazioni mor- bose, ma soltanto quegli accessi epilettici che ha pure presentato, invariabilmente, nel 1° gruppo di analisi, in cui non si è verificata alcuna ammoniuria. Questa ammoniuria non è dunque in relazione con gli accessi epilettici: d’altra parte se essa fosse dipendente da alterazioni della funzione ureopojetica si doveva presentare costantemente non solo in questo 2° gruppo di analisi ma anche nel 1°: essa è quindi estranea alla funzione ureopojetica. Oltre a questo è degno di rilievo il fatto ogni giorno constatato, che cioè, durante la somministrazione del carbonato ammonico, l’aria espirata non ha mai presentato alcuna rea- zione alcalina, come invece si è verificato nel caso studiato di psicosi maniaco-depressiva, nel quale l’ammoniaca non trasformata in urea e diffusa nell'organismo, colorava istantanea- mente in bleu la carta rossa di tornasole inumidita e tenuta sospesa nell’aria espirata. In ogni modo ho cercato di mettere meglio in chiaro questa quistione con le seguenti esperienze: Il 9 novembre ho cominciato a somministrare limonata cloridrica, la quale, dopo soli sette giorni si è dovuta sospendere perchè ha prodotto un’ammoniuria eccessivamente elevata. Ammalato Bonacossa Mario. | Si | Rapporto | £.5 | = |.S-58|. Azoto Azoto | Ammo- | Nilo | SÉ Data Caratteri | 8 SS | pa î RESA MS 5 359 totale |ammoniac.| niaca corone 5 È la) D) | cale ‘RS 7) IS) 32 | 9/11/13) torbida fort. alcalina | 1810 | 3.18 | 17.23, 2.7874 | 3.9847 | 16.17 334 HOfor ; 1000 | — | 10.22 2.66000) 3.2300 | 26.02 | — | | | SB $ | 550. — | 6.46 | 2.1175| 2.5712| 3277 | — 35/12, ; | 730 | 0.726| 3.62 | 2.9127| 3.5368| 8046 | — Ges 5 mol = | 10.59 | 8.0388.| 9.7614| 75.90 | — 37 |1e--| ; | 1725| — | 13.10 |10.26375|12.46319) 7834 | — | 38 {15 , da | 1680 = | 12.50 Orion Z2A55A 19:82 = Questo enorme aumento nell’eliminazione di ammoniaca, dimostra che, essendo insuffi- cienti le altre basi alcaline a saturare l’acido cloridrico introdotto e gli altri acidi organici formatisi nell'organismo, dovette intervenire l’ammoniaca che si libera dalla scissione delle sostanze proteiche. Si sa infatti che una delle funzioni importanti dell'’ammoniaca è quella di impedire che penetrino in circolo sostanze acide, giacchè l’acidità del sangue è incompa- tibile colla vita. Questa così forte ammoniuria, per la quale l’azoto ammoniacale raggiunse persino la proporzione dell’80,46 °/, dell’azoto totale, potrebbe produrre conseguenze dannose: perciò si sospende la somministrazione della limonata cloridrica e si sostituisce con carbonato sodico, il quale fornendo una quantità esuberante di soda, deve fare scomparire l’ammoniuria se le considerazioni sopra esposte corrispondono al vero. A3 “ara GA RICERCHE BIOCHIMICHE SULLA FUNZIONE UREOPOJETICA, ECC. GEROLAMO CUNEO 10 9 ce GE9IT'0 7810 68°6 Fi 08L È o) GE SFEGFO 627800 98°6 = OTZ sl SE "9 3 GL'F L86980 GE6660 TE9 + GS8 È SAR 9 GF 8962°0 GEIC90 88/31 care 0SgI 5 EI6/GL/I 9 978 083800 09930 VI8 Si 092 di oa 9 Stan/ 698960 08870 LETI ri OSII È dee 9 80/9 97009°0 ‘SSF6FO 886 =: c8L i SZ 9 98° FEF8°0 GLEF69"0 8671 = SFOI euijeoje oquow195T9] FERIE 9 c9'9 SCIGIT GL36°0 00‘7T Fa GGEI i 9g No ua SIES0 08430 (95) cs 0081 prog eprdui] Ce 9 IIS 8190" 09918: 6861 = OFEI 1 Re Td 9 98/61 99661 SPFII 678 n 028 BuI[eo]e o7uewLIASTA] SSOTZ (rdrde 88L6°F STOOTF G8°2 991 SE8 G È St 3 i al 8IL0'9 | 08667 849 Da 098 = ; TG i €199 CG8818 SIEL EGII "a 06 E L 81 } 8009 06701 F6£98 68°FI Ts 048I BUI]BO]E OquewIlAJ:10} BpIq103 EA } = “ di idrato sodico, aggiungendone 1 cc. ogni volta : il risultato fu sempre negativo: non si ebbe mai, nel modo più evidente, reazione alcuna di albumose. La reazione fu sempre neutra. Quando si aggiunse un tale eccesso di soda da ottenere la reazione alcalina e si scaldò, il liquido filtrato ha dato, molto lievi, le reazioni degli albuminati alcalini, mentre i piccoli grumi di coagulo gonfiarono e da opachi diventarono gelatinosi. Nessuna reazione poteva fare sospettare che si fossero formate albumose. 97. Ammalata Fasce Lina, anni 30. -— Da parecchi anni presenta veri accessi epilettici convulsivi con equivalenti psichici. Il 31 ottobre si fa il salasso durante un episodio di accessi in serie. Il sangue dopo il trattamento con acqua, ghiaccio e sale e dopo la dialisi, viene scaldato per 15 minuti in bagno di acqua bollente. Il filtro è colerato in caffè chiaro, passa molto stentatamente, colora lentamente in bleu la carta rossa di tornasole, mentre con la fenolftaleina resta incoloro : dà le reazioni delle albumose ma poco decise. Il comportamento è tutto affatto differente da quello che presenta il filtrato proveniente da sangue di non epilettici e si capisce che le albumose vi sono contenute ma legate a sostanze albuminoidi. Allora si prova ad aggiungere 1 ce. di soluzione > di idrato sodico e per varie volte, scaldando ad ogni nuova aggiunta. Le reazioni delle albumose diventano sempre meno evidenti, finchè dopo aggiunto l’ultimo cc. sono completamente scomparse: il liquido filtrato è incoloro e dà le reazioni negative che si ottengono subito col sangue di non epilettici. Evidentemente la soda incatena maggiormente le albumose ed è perciò neces- SETE GIZ5 B . 6 ò 5 . Neg sario ricorrere all’acido solforico per liberarle. Si aggiungono 10 cc. di soluzione >, di acido solforico, si scalda per 15 minuti, si raffredda e si filtra. Con questo trattamento è tutto cambiato. Il filtrato è colorato, passa normalmente, ha reazione neutra e dà, marcatissime e decise, tutte le reazioni delle albumose. Il coagulo si porta sul filtro e si lava sino a portar via completamente le albumose: quindi si diluisce con acqua e si scalda per 15 minuti: il filtrato non dà reazione alcuna di albumose. Allora si aggiungono cc. 2 di soluzione 3 di acido solforico, si scalda e si filtra: il filtrato è sempre neutro e non dà reazione alcuna di albumose. Si aggiungono altri 2 ce. di soluzione di acido solforico in due volte e si ottengono sempre risultati decisamente negativi, mentre la reazione è sempre neutra. Si deve quindi conchiudere che le albumose esistevano preformate e che l’acido solforico le ha liberate dalle loro combinazioni. Riassumendo i fatti principali che tutte queste ricerche mettono in evidenza si può concludere: 1° che la funzione ureopojetica nell'organismo epilettico si compie normalmente e che quindi non può prodursi alcuna autointossicazione ammoniacale; 2° che nel sangue estratto subito dopo l’accesso convulsivo, esiste una sostanza che ha tutte le proprietà delle albumose, mentre invece nel sangue estratto nel periodo inter- vallare o in quello di non epilettici, questa sostanza non è presente. Questi risultati non sono sufficienti a spiegare, in un modo completo, la patogenesi del- l'epilessia: vi portano solo un contributo ed indicano eziandio una nuova via da seguire per lo studio di questo più complesso problema. Se la fisiologia ci avesse dimostrato in qual modo le albumose, che provengono dalla scissione idrolitica delle proteine alimentari, per- 36 GEROLAMO CUNEO — RICERCHE BIOCHIMICHE SULLA FUNZIONE UREOPOJETICA, ECC. dono le loro proprietà tossiche trasformandosi in proteine genuine nell’attraversare le pareti intestinali, non sarebbe difficile spiegare il modo di formazione di quest’albumosoemia e le relazioni che essa può avere con l’accesso convulsivo; ma le conoscenze fisiologiche sono, intorno a questo argomento, ancora oscure. Vi sono però in tutte queste ricerche alcuni dati che possono servire di guida. La ritenzione di azoto, la forte acidosi, la reazione costante- mente acida delle feci, l'aumento considerevole di azoto nelle feci, che furono, per ora, ap- pena messì in rilievo, lasciano sospettare che esistano alterazioni nella funzione dell’assor- bimento intestinale e in quelle complesse trasformazioni che le proteine alimentari subiscono nell’attraversare lo spessore della mucosa intestinale. Cercherò quindi di completare queste ricerche studiando il comportamento nell'organismo epilettico di queste due importanti funzioni per tentare di spiegare il modo di formazione di questa albumosoemia e per accer- tare se essa è o non è in relazione diretta con l’accesso epilettico. Genova (Manicomio provinciale, Istituto di via Paverano, diretto dal Prof. Dott. M. V. Masini), Novembre 1914. i ienzk. | MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE VI SUE INDICE CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE .— Srorza Giovanni, Un poeta estemporaneo del secolo XVIII (Giovacchino Salvioni) . — Praro Giuseppe, La teoria e o aa le Uta Monda prima degli Assegnati rivoluzionari . .— Mazzini Ubaldo, L’ Anfiteatro romano id Tua oa e a, (eso 2 Tavole) E ; ; ; 3 ; i i è È — SE Giovanni, Commemorazione di Alessandro D'Ancona (con ritratto) — FerraBIno Aldo, Silla a Cheronea .— Srorza Giovanni, Papa Rezzonico studiato ne Udi inediti di e matico lucchese Pp. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. UXV. - N. 1. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVII [GIOVACCHINO SALVIONI] MEMORIA DEL. SOCIO GIOVANNI SFORZA Approvata nell'adunanza del 21 Giugno 1914. Giovacchino Salvioni, poeta ed improvvisatore in lingua italiana, latina, greca ed ebraica (1), è il sesto e ultimo de’ figli che Eleonora Conturbini, massese, partorì a Carlo- Domenico Salvioni di Milano, il quale fin dal 1717 aveva presa stabile dimora in Massa di Lunigiana (2). Giovacchino venne alla luce appunto in Massa il 13 gennaio del 1736. Fu destinato, contro sua voglia, al sacerdozio, e messo a studiare, prima nel Collegio Cicognini di Prato, poi in quello Nazzareno di Roma, dove ebbe per maestri nelle lettere greche e latine Raimondo Cunich, nella filosofia e nelle matematiche Carlo Benvenuti e Ruggero Giu- seppe Boscovich. L’11 maggio del 1753 vestì, come novizio, l’abito della Compagnia di Gesù. Dotato “ di fervida immaginazione e di bella e facile comunicativa, sebben giovanissimo, “ fu da’ superiori destinato a predicare in certi dati giorni ne’ pubblici luoghi; il che egli “ faceva con tanto applauso, che numerosissimo erane l’uditorio e composto di scelte per- (1) Di lui non fa parola la signora ApeLe Vrragriano nella sua Storia della poesia estemporanea nella letteratura italiana dalle origini ai nostri giorni, Roma, Loescher, 1905; in-8° di pp. xvi-270. (2) Carlo-Domenico, figlio di Antonio Salvioni e di Colomba Fusi Crivelli, nacque a Milano il 4 agosto del 1691. Da Eleonora Conturbini, oltre Giovacchino e Girolamo (del quale sarà detto più innanzi), ebbe Giuseppe-Antonio, che fu il primogenito, il quale visse dall’8 gennaio 1721 al 18 novembre 1786, sposò Chiara Cattani, e per testimonianza di Jacopo Gruserre Luciani [Notizie de’ letterati di Massa di Lunigiana, Modena, Namias, 1895; p. 25], nel 1778 stava “lavorando dietro gli Elementi dell'Agricoltura, per darli alla “ pubblica luce ,. Era dottore in legge e versato “in lettere greche, latine e volgari ,. Da Giuseppe-Antonio nacque Saverio, che visse dal 28 luglio 1755 al 6 maggio 1833. Studiò la pittura a Pisa sotto la direzione del Tempesti, a Roma sotto quella del Maron e del Corvi. Più che per i suoi dipinti, che non sono molti, né di gran pregio, si rese benemerito di Massa animando la scavazione de’ marmi, fondando una scuola gratuita di architettura e disegno, promovendo il miglioramento dell’agricoltura. Carlo-Domenico mise al mondo anche Angelo l’8 maggio del 1725 e Ignazio il 12 agosto del 1728, de’ quali scrive il Luciani: “ Dir si ponno professori di musica piuttosto che dilettanti, così nel canto, come nel suono di diversi strumenti ,. Ignazio, che fu canonico della collegiata di Massa, sapeva “ancora di poesia ,, e si hanno alle stampe alcuni suoi versi, da lasciarsi però in dimenticanza pietosa. 2 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GrovAccHINO SALVIONI | “ sone, che vi accorrevano molto prima dell’ora ad aspettarlo col più vivo desiderio , (1). Tale e tanta fu la foga e la passione che vi prese, da andare talvolta con una croce sulle spalle girando per Roma e traendosi dietro la folla, affascinata dalla sua faconda parola e da quel modo spettacoloso di comparire in pubblico (2). Insegnò grammatica, umanità e retorica nel Collegio di Frascati, che apparteneva all'Ordine suo (3). Ma una terribile malattia nervosa lo trasse di senno; e per quanto, a poco a poco, andasse migliorando, non risanò mai del tutto, e il cervello gli rimase sconvolto per sempre. Fu questa la cagione che lo forzò, nel 1768, a uscire dalla Compagnia, nella quale non aveva anche professato i voti. Tornò a Massa, ma i duri trattamenti del padre, che amava il primogenito soltanto, e voleva a ogni costo che gli altri figli o abbracciassero il sacerdozio, o si serrassero in un chiostro, lo costrinsero a lasciare il tetto domestico. Si condusse a Firenze in cerca di fortuna e sulle prime gli arrise. Fu ascritto all'Accademia degli Apatisti e a quella di Teologia; annodò amicizie numerose; era cercato, accarezzato, stimato. Basti il dire che uno de’ fiorentini più dotti d’allora, Domenico Maria Manni, nelle sue Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de’ bassi tempi non solo ricorda il Salvioni e lo chiama eruditissimo, ma si compiace faccia godere in Firenze i frutti della sua dottrina. Il 4 ottobre spiegò “a numerosa sceltissima udienza , nell’oratorio della Dottrina Cristiana, detto volgarmente de’ Bacchettoni, l’ordine e l'economia che tiene Dio in predestinare alla gloria gli eletti, e fu molto applaudito. Soprat- tutto poi levò grido come improvvisatore; e in latino improvvisava con tale e tanta facilità e felicità da destare la maraviglia. Una sera il marchese Lorenzo Niccolini recitò nell’Acca- demia degli Apatisti, della quale era presidente, un sonetto in lode del conte Alessio Orlow, ammiraglio delle squadre russe; e il Salvioni estemporaneamente lo tradusse in latino, “ con “ la licenza richiesta o di far lunga la prima in Alexi, o d’aggiungervi un / ,. Il sonetto del Niccolini è questo: Alessio, ah volgi la temuta spada, Volgila ver Bisanzio, or ch'ogni Trace Non è qual pria sì baldanzoso, audace, Ma compagno ha il timor ovunque ei vada: A te sapranno agevolar la strada Il tuo gran senno, il tuo valor sagace; Vanne, l'Eterno è teco; ei si compiace Che per tua man lempio Bisanzio cada. Dal cupo sen dell’ampia tomba oscura L'ombra di Costantino ad alta voce Colà invita, e il tuo destin ha in cura; Vanne, l’angusta e ben guardata foce Non ti sgomenti: oh Bizantine mura Voi tornerete ad adorar lu Croce! (1) BrienoLi pe Brunnzore G., Di Gioachino e Girolamo Salvioni, massesi, notizie biografiche e letterarie; in Notizie biografiche e letterarie in continuazione della È Biblioteca Modenese , del cav. ab. Girolamo Tiraboschi; tom. II, pp. 447-451. (2) Lo racconta l’ab. EmanueLe Gerini [Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell’ antica e moderna Lunigiana; I, 252], ma il Brignoli di Brunnhoff, che nel compilare la biografia di Giovacchino ebbe largo aiuto dal pronepote Giorgio Salvioni, quasi lo mette in dubbio, giacchè dice: “ non so d'onde “ tragga il Gerini la notizia ,. Gli fu comunicata da Carlo Frediani di Massa, che prestò la sua collabora: zione al biografo fivizzanese per tutta la parte riguardante gli scrittori e gli artisti carraresi e massesi. (3) Sommervoger C., Bibliothèque de la Compagnie de Jésusz VII, 496. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 3 Il Salvioni così lo voltò in latino: Alexi, ferrum Bizanti in mania vertas, Jam non Treicius fortis ut ante fuit; Quo se cumque ferat laterî timor instat et urget : Mens, virtus planum per loca sternit iter. Aeternus lateriî comes est; huic certa voluntas Per te ut Bizanti moenia victa cadant; Constantinus ovans nigra sublimis ab urna Hue vocat, hic sortem destinat ille tuam; I, non angusti anfractus, vigilumque catervae, Non interjectis terreat aequor aquis; Oh Bizantinae, felicia moenia, sedes, Crux iterum in vestram laeta redibit humum. Voltò pure estemporaneamente in versi latini, nell'Accademia stessa, e con molto plauso, il sonetto che vi lesse Francesco Becattini sul passaggio del Danubio delle armi russe. Diceva: Giunto appena dell’Istro oltre il confine L’invincibil di Russia augello d’oro, Che fra l’Odrisie udissi ampie ruine Di tai voci echeggiar grido sonoro. Vieni, o gran Donna, a coronarti il crine Di Costantin col già temuto alloro; Giù miran l’onde al Bosforo vicine Per te risorto l’oriental decoro. Spezzata alfin la greca man robusta Non più raminghe andranno l'arti in bando, E Grecia rivedrà Vetà vetusta. Ciò che non fero un dì Carlo e Fernando, Lo potè far di Caterina Augusta L’invitto genio, il cor, la mente, il brando. Ecco la traduzione del Salvioni: Vix ultra fines fontemque binominis Istri Moschorum e terris aurea venit Avis, Odrysias inter coedes vastamque ruinam Audita est tales Echo iterare sonos. Oh ades et crines praecingas, Foemina, lauro, Quae Constantini cinvit amica comas. Per te bosphoreis contermina fructibus unda Adspicit eoum laeta redire decus. Hostibus abiectis non pulsas amplius artes, Sed priscam aetatem Graecia conspiciet. Quod non Fernandus, quod non et Carolus egit Mens, manus, ingenium, cor, Catharina, tuum. 4 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GiovAccHINO SALVIONI | Si cimentò anche a tradurre in latino alcuni de’ sonetti del Petrarca; dal greco alcune delle odi d’Anacreonte; sempre improvvisando, e assai felicemente. Trascrivo, come saggio, due traduzioni petrarchesche. Era il giorno ch’al Sol si scoloraro Per la pietà del suo Fattor i rai; Quando i’ fui preso, e non me ne guardai, Chè i be’ vostr’occhi, Donna, mi legaro. Ila dies aderat qua Sol sua lumina condens Palluerat Domini pro pietate sui; Incautum cum me, nec quidquam tale timentem Caeperunt oculi, pulchra Puella, tui; Tempo non mi parea da far riparo Contr’a? colpi d’Amor; però m’andai Secur, senza sospetto: onde ì miei guai Nel comune dolor s’incominciaro. Ictibus arcendis non visum hoc tempus Amoris; Hinc tutus posita suspicione fui; Ergo in communi luctu caepere dolores Principiumque mali mi fuit illa dies. Trovommi Amor del tutto disarmato, Ed aperta la via per gli occhi al core, Che di lagrime son fatti uscio e varco. Adfuit acer Amor, subitoque invenit inermem Perque oculos imum ad cor sibi fecit iter. Però, al mio parer, non li fu onore Ferir me di saetta in quello stato, A voi armata non mostrar pur l’arco. Proîn tibi obarmatae non arcum ostendere, meque Sic feriisse olli gloria nulla fuit. Ponmi ove ’1 sole occide i fiori e l’erba, O dove vince lui il ghiaccio e la neve; Ponmi ov’è ’?1 carro suo temprato e leve, Ed ov’'è chi cel rende o chi cel serba; Pone ubi sol flores viridesque interficit herbas; Aut ubi hyperboreo vincitur ille geluz Pone ubi non nimio quadrigas temperat aestu Pone vel eoîs, occiduisve plagis; Ponmi in umil fortuna od in superba, Al dolce aere sereno, al fosco e greve; Ponmi a la notte, al dì lungo ed al breve, A la matura etate od a l’acerba; Extremo me pone loco, me pone supremo; Qua lenis est aer, qua graviorque premit. Vel noctu brevibus, vel longis pone diebus; Pone inter juvenes, invalidosque senes. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 5 Ponmi in cielo od in terra od in abisso. In alto poggio, in valle ima e palustre, Libero spirto od a’ suoi membri affisso; Pone polo terrisve, Erebî me pone sub antris Vallibus aut imis, atriove jugo; Pone vel ignava membrorum a mole solutum, Pone vel humanis liberum ab exuviis; Ponmi con fama oscura o con illustre: Sarò qual fui; vivrò com’io son visso, Continuando il mio sospir trilustre. Pone vel illustrem, vel nullo nomine clarum, Ut vixi vivam, qui modo, semper ero, Tristes continuans lachrimas, gemitusque trilustres Oblitum non me viderit ulla dies. A Firenze c'era allora una schiera numerosa d’improvvisatori, con la quale si affratellò. Si è distinta , (scrive) “ la sig. Fortunata Sulgher col sig. dott. Franco Lambardi, prin- cipalmente a Campi, nella villa del sig. Marchese Viviani, alla presenza de’ Reali Sovrani, sul tema che immagini risvegliasse in Adamo la prima volta la presenza d’Eva, sua com- pagna. È ammirabile in essa la vivezza dell’immagini, la facilità della rima, la prontezza del verso, la dolce modulazion della voce, gli atti e le maniere leggiadre. Nel decorso mese d’ottobre, mentre altri attendevano a villeggiare in campagna, altri davano le più belle prove d’estro poetico estemporaneo in città. La sera del 2 fui pregato di dare un tema, e proposi, per argomento, se più valevoli erano ad incatenare un cuore, o il crine, o gli occhi, o l’industre mano, o lo spirito ben fatto d’una femmina leggiadra. Il sig. Fran- cesco Gamberai, che dà speranze di gran poeta, parlò degli occhi, mostrando che l’occhio più invaghisce, perchè da quello si congetturano le qualità interne, e confermò il tutto con bellissimi esempli. Lodò i capelli il sig. Giovanni Fondacci, e dopo varie prove fè vedere la chioma di Berenice cangiata in stella. Lodò l’opere della mano il sig. Carlo Tassi, e andò, a imitazione dell’Anguillara, scorrendo i più bei lavori e ricami e mode “« « donnesche. Lodonne lo spirito il sig. Domenico Somigli, e dopo aver provato che, col- “ l’andar del tempo, e l'occhio e il crine e la mano perdon la loro attività e doti, conchiuse “ lo spirito solo esser sempre più brillante ed acquistar sempre più nuove notizie ,. Una sera udì “ estemporaneamente , cantare il fulmine, “ parte dalla sig. Elisabetta Ciatti, una “ delle brave improvvisatrici toscane ,, e parte dal Somigli, che finì: Chi mai l’incomprensibile potere Di Giove frenar può? ah! che non vale Del gran Tonante a raffrenar la mano L’ardir, la forza dell'ingegno umano. Tra gl’improvvisatori fiorentini contemporanei, il Salvioni ricorda anche il comico Jacopo Corsini, che nel Teatro di via del Cocomero, “ ogni sera di sua recita ,, cantava un’ottava “ a richiesta del pubblico ,, ora inneggiando la ballerina Olivetta, ora il Le Picq, che nel ballo rappresentante il sacrifizio d’Ifigenia in Aulide esprimeva “i sensi e le mozioni d'Achille , a segno da far dire al pubblico: Co bracci parla e con le gambe scrive; 6 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIOvACCHINO SALVIONI e da strappar di bocca al comico improvvisatore: Se risorgesser qui le genti Argive I loro casì a riveder funesti, Nel valor di colui che li descrive In seria danza e per la via de’ gesti, Dubbiose ancor se il vero Achille vive, Direbber forse istupidite: ah questi, Dove volgiam le attonite pupille, O son gli Elisi, o non è morto Achille. In Firenze, a’ matrimoni del mezzo ceto, alle nascite de’ primogeniti, a’ lieti desinari, ai ritrovi amichevoli non mancava mai il Somigli, più noto sotto il soprannome di Beco sudicio, per la sua sporcizia. Figlio d’un modesto barbiere, fino da’ primi anni si sentì poeta. Da un prete, che bazzicava la bottega paterna, ebbe in prestito delle storie e la mitologia, scorse i principali nostri classici, e si dette a improvvisare; tentando tutti i generi di poesia, dall’eroico al drammatico e al pastorale, e riuscendo soprattutto nel bernesco, che infiorava del suo sale fiorentino e d’immagini affatto nuove e bizzarre. Rimasto cieco a ventun anno, campò la vita improvvisando, al suono della sua tiorba; una specie di chitarra colla pancia e tutte le corde di metallo. Era anche lui dell’Accademia degli Apatisti; fu ascritto all’Ar- cadia, agli Aborigeni della colonia Amiatense e agl’Imcamminati di Modigliana (1). La Sulgher era nata a Livorno nel 1755 da un commerciante, che poi, essendo fallito, riparò a Firenze, dove essa fu educata e istruita e visse sempre. Nella fisica ebbe a maestro Attilio Zuccagni, nelle lettere greche l’ab. Francesco Fontani; studiò il latino, lo spagnuolo, l’inglese; pigliò amore alla storia; apprese anche qualche nozione d’anatomia e di chirurgia. Non era dunque scarsa di studi come la dice il Sismondi, che però la dipinge al vivo e nel vero soggiun- gendo: “ elle avait regu du ciel une oreille musicale, une immagination du nom qu'elle “ portait, et une facilité, une fécondité que secondait une voix harmonieuse , (2). Come notò il Vannucci, la Sulgher “ sopra ogni altro genere di poesia presceglieva l’eretico, genere “ molto confacente alla sua natura, perchè avendo cuore altamente temperato all’amore, i “ suoi canti erano sempre ispirati da teneri affetti , (3). Il Salvioni, non contento degli applausi che riscuoteva ogni giorno come improvvisatore e come latinista, volle fondare un periodico letterario e ne mise fuori il manifesto. Un Novel- lista fiorentino gli domandò, per le stampe, “ perchè mai in un secolo in cui l’opere perio- “ diche fanno nausea per la quantità, ne volesse egli intraprendere un’altra di più ,. Gli rispose: “ Se nauseanti son l’opere periodiche, perchè il celebre sig. Dottor Lami, perchè il “ Magazziniere Toscano, perchè Monsig. Fabroni, che o intesse egli stesso sì eruditamente, “o promove con tanta lode il Giornale Pisano, perchè la Società d’Iverdun, perchè final- “ mente il Giornalista Inglese M. Machì, perchè, dico, tutti questi senza frutto s’affaticarono “e s’affaticano tutto di in darci le loro periodiche produzioni, se siamo in un. secolo în cui (1) 72 Piovano Arlotto, capricci mensuali d’una brigata di begli umori; ann. II [1859], pp. 94-101. (2) Sismonpi J. C. L., De Za Vittérature du midi de V Europe, Bruxelles, Dumont, 1837; II, 60-61. (3) Vannucci A., Fortunata Fantastici; in De Trrarno E., Biografia degli italiani illustri melle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de’ contemporanei; IV, 296-299. Cfr. pure: Giorni C., Elogio di Fortunata Sulgher Fantastici Marchesini, poetessa estemporanea, fra gli Arcadi Temira Parasside, Firenze, Magheri, 1824; in-8°. — Dentoni G. V., Elogio della celebre poetessa F. Sulgher Fantastici, Parma, Ferrari, 1845; in-8°. — Pera F., Ricordi e biografie livornesi, Livorno, Vigo, 1867; pp. 296-306. — Frrrar L. A., Lettere inedite di Vincenzo Monti a Fortunata Sulgher Fantastici; nel “ Giornale storico della letteratura italiana ,, V, 370-402, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 7 “ l’opere periodiche funno nausea per la quantità? ,. Il Novellista fiorentino, seguita il Sal- vioni, “ per impugnar con bella contradizione quell’assunto ch'egli stesso non niega col fatto, “ cioè che l’opere periodiche son nauseanti, dice che La Z'oelette, che non contenea che poesie “e novelle e pezzi d'’istoria, è finita; finito il Cervellino, finito l’Osservatore. Sì, son finiti, “ rispondiam con distinzione, ma non perchè contenessero precisamente e poesie e novelle e “ pezzi d'istoria come tali; son finiti perchè il loro soggetto non è piaciuto al pubblico e “ gli autori si sono straccati ,. Proseguiva: “ Ci protestiamo che non siamo Magazzinieri, “ de’ quali il primo scopo, se mal non m’appongo, è precisamente adunare quinci e quindi “ e scientifiche ed altre produzioni. Non Novellisti, che dan soltanto giudizio su d’alcuni “ libri che escono giornalmente; non Gazzettieri, che semplicemente riferiscono ciò che “ avviene; ma siamo ed osservatori ed illustratori di tutto il più bello ch’ogni di accade; “ ciò che suppone in noi non una mera superficiale lettura di libri, ma qualche serio studio LI ed alcun fondamento delle scienze più sode, che ci siam studiati per molti e molti anni “ d’apprendere sotto di precettori al mondo notissimi ed assolutamente d’ogni eccezione mag- “ giori ,. Concludeva: “ Il solo piacere che far possiamo al Novellista si è di cangiar all'opera “ il frontespizio. In vece di Giornale Istorico Fiorentino, metterò Miscellanea interessante di varia “ letteratura ,. Fu costretto, peraltro, a stamparla a Lucca “ Del reo livore e dell’invidia a scherno ,, come ebbe a dichiarare in un sonetto, che indirizzò a quella Serenissima Repub- blica, “ in attestato di riconoscenza ,. Doveva uscirne un tomo ogni mese; il primo venne fuori nell’ottobre del 1772. Col terzo però il periodico chiuse la sua brevissima vita. Fin dal 1740 il dott. Giovanni Lami aveva fondato le Novelle letterarie, avendo per col- laboratori Anton Francesco Gori, Giovanni Targioni Tozzetti, Bartolommeo Bianucci e altri. Dopo tre anni restò solo; e solo ebbe il coraggio e la costanza di sostenerne il peso fino alla morte, che lo colse il 5 febbraio del 1770. Il periodico non cessò con lui: fu tirato innanzi, col titolo di Continuazione, da Marco Lastri, dal 1770 al 1791. Era in-4° e a due colonne e ne vennero alla luce cinquantadue volumi. Mensilmente, dal luglio del 1742 fino al 1753, fece pure la sua comparsa in Firenze, co’ torchi della nuova stamperia di Gio. Paolo Giovannelli, il Giornale de’ letterati, che era in-12°. In Livorno, per Antonio Santini e com- pagno, dal 1° marzo del 1754 fino al 28 febbraio del 1757 uscì fuori il Magazzino Toscano d’instruzione e di piacere. Non assomigliava “ interamente nè il Magazzino Inglese, nè il “ Francese, nè l'Italiano ,; cercava di contentare ad un tempo “i letterati di alta sfera e “ l’onesto popolo civile, non alieno da quelle cognizioni che si può procacciare con facilità “ e senza noia ,. Dall’aprile del 1767 a tutto il marzo del 1768 il tipografo Allegrini di Firenze pubblicò, “ occupava di politica e di letteratura. Nel ’70 ebbero vita l’umoristico Cervellino Straccia- barba e la Gazzetta universale di letteratura, che si pubblicava ogni mercoledì dalla Stam- con approvazione e privilegio ,, la Gazzetta estera, che era in-fol., e si peria Granducale, ed era scritta in francese. La Toelette, periodico letterario ed artistico, incominciò parimente nel ‘70 e l’anno dopo diede l'estremo sospiro. L'Osservatore italiano, che ebbe principio nel giugno del tanto fecondo anno 1770, si stampava ogni giovedì da Antonio Giuseppe Pagani, e aveva lo scopo di far “ riflessioni sciolte sopra le cognizioni del “ secolo, le sue vicende, i costumi, i governi, ecc. ,. Del Magazzino Toscano, diretto dal dott. Saverio Manetti, se ne pubblicava, in Firenze, un volume in-8°, ogni tre mesi. Durò dal 1770 al 1776; fu proseguito col titolo di Nuovo Magazzino Toscano dal 1777 al 1782. La collezione, composta di quaranta volumi, è assai difficile a trovarsi completa. Contiene una quantità di opuscoli e di estratti intorno argomenti scientifici, letterari e biografici, e molti ve ne son d’'importanti. A Pisa, fin dal 1771, per opera di monsig. Angelo Fabroni, era sorto il Giornale de’ letterati, che divenne il migliore d'Italia. Il Salvioni in fronte al tomo secondo del suo periodico scriveva: “Io sono stato for- “ tunatissimo nell’aver incontrato fino dagli anni dodici i più bravi precettori, prima nel 8 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIovAccHINO SALVIONI | “ rinomato Collegio Cicognini di Prato, dipoi nel Collegio Romano, i quali dalla rettorica, «“ per la logica, fisica, metafisica, istoria, geografia, matematica, mi hanno condotto felice- “ mente fino alla sacra teologia, e mi hanno proposto in qualunque facoltà i più accreditati “ autori, mercè del lungo serio studio dei quali ho potuto procacciarmi un piccolo capitale “ da poter non solo intessere un’opera periodica, qual è un Miscellaneo interessante, ma “ qualch’altra opera ancora più soda e seria ,. Un amico, a sentirlo ragionare così, gli disse: “ Chi abbraccia tutto non stringe nulla ,. Fu profeta. La Miscellanea interessante dalla quale si riprometteva gloria e guadagno, non gli fruttò nè l’una nè l’altro. Il suo umore stravagante e bizzarro, il suo spirito satirico e mordace (1), lo stato continuo di esaltazione in cui viveva, ben presto gli intiepidirono e gli alienarono gli amici. Dovette finire col lasciare Firenze, dove si trovava a disagio; e per campare, andò a insegnar belle lettere a Foiano, grossa e popolosa terra della Valdichiana. Anche lì non la resse a lungo. Nel novembre del 1781 vinse per concorso la cattedra di retorica a Sanminiato. Curioso è il ragguaglio che ne fece a Girolamo (2), suo fratello: (1) Im una lettera di Carlo Frediani all’ab. Emanuele Gerini si legge: “ Scevro non andò dalle lette- “ rarie nimistà, non dovendosi tacere come sempre mai mostrassesi egli ruvido col nostro Gaspero Jaco- “ petti, [maestro di retorica e verseggiatore massese], “ che con bastevol mufta ‘al naso bene il concam- “ biava; e come con un’elegia, che mi si dice bellissima, ma che io non ho veduta, ec che incomincia: Latrinas Zamagna petit, solioque locatus In medio toto corpore nixus hiat; Concrepuere nates, sonitumque dedere cavérnae, “ sferzasse sì acremente il P. Gesuita Zamagna, stato suo condiscepolo, all’occasione che pubblicò un poema “ sull’Eco, che per dolore morissene ,. L’elegia del Salvioni a me non è riuscito di trovarla. A p. xxxr del tomo I della sua Miscellanea interessante riporta alcuni versi del P. Zamagna, e lo chiama “ gran poeta , e suo “ condiscepolo ,. Del resto, lo Zamagna sopravvisse al Salvioni, essendo morto a Ragusa il 20 aprile 1820. © Maestro a Terni, indi a Livorno, stampò nel LXIV il poemetto dell’ Eco, di lì a poco ristampato in Ger- “ mania ,. Cfr. Tommaseo N., Studi critici, Venezia, Andruzzi, 1843; II, 218. (2) Nacque a Massa il 22 aprile del 1722; si ascrisse egli pure alla Compagnia di Gesù il 1° novembre del 1739, e attese a istruire la gioventù, prima a Firenze, poi nel Collegio Tolomei di Siena, dal 1769 al 1773. Soppresso l'Ordine suo, si ridusse in patria, dove ebbe un canonicato nel duomo e dove finì la vita il 2 marzo del 1781. Cfr. SommervogeL C., Bibliothèque de la Compagnie de Jésus; VII, 495. Jacopo Giuseppe Luciani, che gli fu contemporaneo, lo dice “ versato nell’ antiquaria, nelle lingue madri e moderne, nell’ oratoria e “ nella poesia ,. E aggiunge: “ Intende la musica e fa udir la sua voce nelle sacre funzioni e nelle acca- “ demie domestiche ,. Cfr. Lucrani I. G., Notizie de’ letterati di Massa di Lunigiana, Modena, Namias, 1895; pp. 25-26. “ Versatissimo nella greca lingua ,, prese a tradurre in versi italiani la Batracomiomachia Omero, impresa già tentata da Giorgio Sommariva e da Carlo Marsuppini, da Federico Malipiero e da Lodovico Dolce, da Angiolo Maria Ricci e da Antonio Lavagnoli, da Lodovico Canale e da altri parecchi. Il Frediani scrisse al Gerini: “Al pulito ne resta un quasi compito manoscritto originale ,. È andato disperso con le altre carte de’ Salvioni, che gl’incuranti eredi lasciarono in abbandono in una soffitta. A preghiera del balì Tom- maso Giuseppe Farsetti di Venezia, il quale aveva per la storia di Massa un vivo interesse, perchè vecchia culla de’ suoi maggiori, prese a fare alcune vite di sei uomini illustri a quella spettanti; dove alquanto si discorre della città di Luni e molto più di quella “ aggiunte , alle Notizie della famiglia Farsetti, con l'albero e le di Massa; opera del Farsetti stesso, ma anonima, stampata a Venezia il 1779, con la falsa data di Cosmopoli. Il Salvioni, il quale “ avea raccolte in Roma molte notizie , su Massa “ sino dal 1750, e ritrovò tra’ suoi “ manoscritti, poi per buona sorte salvati, in parte, nel rovescio della Compagnia di Gesù ,, ebbe sulle prime il pensiero di rispondere all’invito del Farsetti con un più vasto lavoro, e ne tracciò il sommario. Non colorì poi il disegno, e non è da rimpiangere: le “© aggiunte , che il Farsetti mandò alle stampe, stanno lì a provare che il Salvioni era assolutamente sfornito di critica. Oltre diversi sonetti ed epigrammi, sparsi in varie raccolte, pubblicò: Saggio letterario delle scuole di retorica e grammatica de’ Padri della Compagnia di Gesù a Frascati, de- dicato alla vera sede della Sapienza VImmacolata Madre del Divin Verbo, Maria Santissima, In Roma, MDCCLX. Nella stamperia di Generoso Salomoni; in-fol. In nuptiis Josephi Austriaci atque Isabellae Borboniae oratio ad Florentinos habita III non. jan. CIOIO COLXI MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE Il, VOL. LXV, N. 1. 9 Otto erano i concorrenti (son sue parole). V’erano precedenti impegni, che portavano uno in ispecie. Monsig. Vescovo ed altri progettarono l'esame a tutti, e che non si accettassero impegni per nessuno. Così fu stabilito. Deputati tre sacerdoti per esaminatori, presentarono non a voce, ma in carta varii quesiti, che occuparono per tre volte la mia testa, per modo ch’ebbi di bisogno d’un poco di Moscato, per confortar il capo e lo stomaco, e potei in conseguenza scrivere da dodici facciate di roba. Parecchi poco prima dell’esame si ritirarono; il popolo diceva perchè v'ero io. Il fatto si è, che letto da tutti il respettivo esame, io fui eletto in maestro a voti pieni, nemine prorsus discrepante, e grazie a Dio con uno straordinario gradimento della città. L’onorario è di 130 scudi annui, con di più degli incerti; anzi con una speranza fondata che mi avrebbero accresciuto, e con una protesta chiara del sie. Gonfaloniere che io vi sarei stato quanto avessi voluto, poichè non mandavan via nissuno senza un demerito grande. In un’altra lettera soggiunge: Eccovi il mio esperimento. Il plauso, grazie a Dio, è stato straordinario. L’addobbo, la magni- ficenza e la musica, tutto srande. La premiazione di cento premi costava più di cimquanta scudi. Cre- scono gli scolari, e credo che l'Accademia quest'anno prossimo frutterà vicino a trentacinque o trenta scudi il mese. Ho eretta nella mia Arcadia, sopra il Casino de’ Nobili, un’altra Accademia da farsi la sera tre volte il mese, ed è di dodici fanciulle di talento, altre delle quali reciteranno in itali no, altre in latino, altre in francese, altre suoneranno ed altre canteranno. M’impiego per ogni ceto di persone. Sulle prime non capiva in sè dalla contentezza; era l’amore di tutti, e tutti se lo strap- pavano a gara: a un tratto gli viene in fastidio Sanminiato, lascia la scuola, abbandona il paese, e si mette di nuovo a correre la ventura. Per giunta piglia moglie e sceglie una francese, la quale per nessun titolo gli conveniva. La fortuna però non l’abbandona. La Repubblica di Lucca, valendosi della fabbrica e degli averi de’ Canonici Lateranensi di S. Frediano, di cui ottenne a questo effetto la soppressione dal pontefice Pio VI, fondò l’Istituto de’ pubblici studi, che fu aperto il 2 giugno del 1788. Il Salvioni ebbe la cattedra di umanità e di retorica, con lo stipendio di dieci scudi al mese, ossia di cinquantasei lire. Non gli bastavano per vivere, e fu costretto a presentare questa supplica alla Deputazione che soprintendeva al nuovo Istituto: IMlustrissimi Signori (così scrisse), Giovacchino Salvioni, umilissimo servitore delle SS. VV. Im, si fa lecito rappresentar loro qualmente essendo stato eletto a professore di eloquenza in S. Frediano, ed avendo per due mesi continui adoperata la sua qualunque siasi abilità nell’insegnare al numero di sopra a trenta giovani studenti, ha considerato che l’onorario di scudi dieci il mese, statigli assegnati senza il quartiere per la sua abitazione, non è sufficiente al suo onesto e civile mantenimento, tanto più che di giorno in giorno si vedono-crescer di prezzo tutti li generi di prima necessità, e l’esponente deve pensare non solo al suo, ma al mantenimento della moglie e poca servitù necessaria, onde è cre- duto metter dette cose sotto il purgatissimo discernimento delle SS. LL. Im ad oggetto che, fattevi le loro savie riflessioni, consolino l'oratore con degnarsi di dargli un maggiore aiuto, per poter sempre più prestarsi ai servizi letterari, secondo le loro savie intenzioni. E fa loro umilissima riverenza. La Deputazione, il 13 di settembre, ritenuto giusto quanto il Salvioni esponeva nella sua istanza e considerata la sua qualità di forestiero, accrebbe il suo stipendio di quaranta scudi l’anno (1). in aede Sancti Joan. Evangelistae a Hreronxmo SaLvioni e Societ. Jesu, Florentiae, MDCCLXI. Ex Typographia Joannis Baptistae Stecchi, cum approbatione; in-4° di pp. xxvui. Discorso accademico del P. Grroraxo Sarvioni della Compagnia di Gesù sull’ Assunzione di Maria; in Prose e versi degli Accademici Infecondi, In Roma, appresso Generoso Salomoni, 1764; tom. I, pp. 88-96. Nella R. Biblioteca Estense di Modena [Raccolta Campori, n° 1260] si conservano autografe le sue No- tizie sopra le cave de’ marmi di Carrara, di Massa, di Montignoso e di Serravezza; in-4° di pp. 114. (1) R. Archivio di Stato in Lucca. Deputazione sopra gli studi di S. Frediano, reg. n° 2, ce. 38 e 41. 2 10 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIOVACCHINO SALVIONI] Era stato proposto a socio dell’Accademia degli Oscuri; mandato però il partito fu perso, con dolore e scorno del Salvioni, che si vide chiuse le porte di quell’ambito ritrovo de’ letterati lucchesi. Alcuni giorni dopo, “ essendo per caso in una conversazione in cui “ trovavansi parecchi di quegli accademici ch’erangli stati contrari, gli venne suggerito di “ leggere non so che cosa. Egli lo fece in italiano, com’era scritto; indi rivoltosi a quegli “ accademici, ne improvvisò la traduzione in bei versi latini; ciò finito con applauso di tutti, “ chiese loro se avessero gradito ascoltarne subito una traduzione in versi greci od ebraici. “ Questo fatto gli acquistò tanto credito che nel giorno seguente gli fu mandato il diploma “ di accademico (1) ,. Proseguì il Salvioni a tenere la cattedra di eloquenza fino al decembre del 1794. Il 19 di quel mese il Governo dava cura ai Deputati sopra le scuole “ di esami- “ nare la condotta del detto sig. Salvioni per tutto ciò che concerne il suo impiego di “ maestro ed ancora i suoi portamenti e contegno, prendere le informazioni opportune e “ riferire alla prossima adunanza dell’Ill.®a Deputazione il proprio sentimento con soggiun- “ gere quel più che parrà loro di dovere ricordare in detta materia ,. Riferirono infatti il 24 gennaio del 1795; e la Deputazione, “ attesa la condotta non lodevole del detto maestro “ nell'esercizio delle sue incumbenze e molto più i discorsi e propositi sommamente impru- “ denti e biasimevoli tenuti modernamente dal detto Salvioni nel luogo dell’Instituto alla “ presenza di più persone ,, lo rimosse “ dal predetto impiego di maestro d’eloquenza ,, ordi- nando al proprio segretario di rendergli nota, “ per mezzo di biglietto, la detta remozione ,. Il Salvioni il 21 di febbraio presentò una memoria “in cui fra le altre cose esponeva “le disgraziate circostanze del suo stato in conseguenza della perdita dell'impiego, che si “rendono più gravi per la qualità di forestiero, per cui gli conviene far ritorno alla patria ,. La Deputazione (2), mossa a pietà, considerando “ il suo ristrettissimo stato , gli accordò un sussidio di quindici zecchini, e ordinò che qualora ne facesse domanda, gli fosse “ rilasciato “un attestato nelle forme, che nel corso di circa anni sei, ne’ quali ha sostenuto l’impiego “ di maestro di eloquenza in questo Instituto de’ pubblici studi ha dato sempre riprove della “sua dottrina con profitto della gioventù che ha frequentato la di lui scuola , (8). All’improvvisatore massese, negli ultimi mesi del suo soggiorno a Lucca, turbò i sonni la venuta in quella città e le feste che v’ebbe una improvvisatrice allora in grido, Teresa Bandettini, tra gli Arcadi Amarilli Etrusca. Nata a Lucca il 12 agosto del 1763, fin da bam- bina prese a scriver versi, di nascosto a’ suoi, su carta quasi straccia, servendosi d’uno stecco per penna e d’un guscio d’uovo per calamaio. Un buon frate agostiniano volle vedere ciò che scriveva, “ ma non giungendo a capire le abbreviature ch'io sola intendeva , (lo racconta la stessa Bandettini) “ m’interrogava sopra vari punti della storia sacra e della “ profana non meno che della mitologia. Trovandomi instruita più che la mia età nol com- “ portava, maravigliò, e volto a mia madre: Questa fanciulla, disse, accenna dover essere “un'altra Corilla , (4). Il presagio s’'avverò. Nel colmo de’ trionfi scriveva ad un amico: La poesia è nata con me, crebbe con gli anni e con le cognizioni; il mio maestro, a cui tutto debbo, fu il mio genio e un assiduo studio. La lettura de’ buoni libri, un certo gusto nella scelta delle (1) BrienoLi pe BrunnHore G.,. op. cit., p. 450. (2) R. Archivio di Stato in Lucca. Deputazione sopra gli studi di S. Frediano, reg. n° 2, cc. 150, 152 e 153. (3) Anche il marchese Cesare Luechesini, suo contemporaneo, afferma: “ Chiamato qui a insegnare le “ umane lettere, cominciò con gran fervore, talchè formò egregi discepoli ,. Aggiunge: “ Scrisse parecchi “ versi latini pregevoli, nel qual genere ebbe dalla natura così maravigliosa facilità, che potè dettarli anche “ all'improvviso ,. Cfr. Luccnesini C., Opere; XV, 65. (4) Questo brano è tolto da un frammento autobiografico della Bandettini che il Fornaciari pubblicò nelle annotazioni all’Elogio di lei. Cfr. Atti della R. Accademia Lucchese in morte di Teresa Bandettini Lan- ducci, fra gli Arcadi Amarilli Etrusca, Lucca, per Francesco Bertini, 1837, pp. 76-82. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 11 frasi, delle bellezze e delle voci, mi acquistarono degli amici. Raccolsi dalle loro conversazioni, come l’ape dai fiori, ciò che mi sembrò migliore. Ascoltai tutti e da tutti trovai che si poteva imparare qualche cosa. Una nobile invidia mi trasse a sfogliare i classici, e facendone gli estratti, riconoscerne l’artifizio e l'incanto. Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio, Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, smembrati in più modi ed analizzati con occhio anatomico e disappassionato, me ne prestarono i mezzi... Ella mi dirà: ma come intendere i classici latini ignara della lingua del secolo d'Augusto? A un ingegno fervido nulla è difficile; un buon prete, eletto a istruire un fanciullo nella riviera di Genova, ove io mi trovava nell’età mia di 11 o 12 anni, non sdegnò di partire le sue premure fra me e il suo alunno; vedendo che io facevo più rapidi progressi, s’affezionò a me, e tanto m’insegnò quanto bastò ad istruirmi ed a scoprire in me il genio che mi trasportava alla poesia. Le mie versioni erano misurate ed imitavano ora l’esametro, ora il pentametro; ma ben figurar ci possiamo quali esser dovessero. Però ciò bastò a darmene un'idea, quindi fra le grammatiche, le versioni e gli originali, priva di qualunque appoggio, lessi e studiai, finchè non mi produssi nel mondo [il 1786] con le mie prime poesie, stampate in Venezia (1). Da quest'epoca in poi sempre ho scritto ed improvvisato, come improvvisato avevo nell’età di sette anni, con stupore di mia madre e di chi poteva udirmi (2). Forzata dalle strettezze della famiglia a farla ballerina per guadagnare la vita, l’amore alla poesia l’accompagnò sulle tavole del palcoscenico. A Venezia, Giovanni Pindemonte la vide in teatro nel tempo delle prove, quando non era il turno suo di ballare, tutta intenta a leggere la Divina Commedia; strinse amicizia con lei, la menò in varie case del patriziato, improvvisando a gara seco, e spesso confessandosi vinto. A Bologna, dove tornò più volte, e dove, privatamente, al solito, dette qualche saggio del suo cantare improvviso, Lodovico Savioli le aperse la propria libreria; e a proprie spese, lasciandone a lei il retratto, fece stampare il suo poemetto sulla Morte d’ Adone (3); retratto non scarso, che per qualche tempo le dette modo di vivere lontana dal teatro e intenta agli studi. Sposatasi, nel 1789, con Pietro Landucci, lucchese anch'esso e ballerino egli pure, fu da lui forzata a lasciare il teatro e a mettersi a fare l’improvvisatrice (4). “ Le città di Lombardia mi udirono , (il (1) Rime varie di Teresa BanperTINI, lucchese, A Sua Eccellenza la N. D. Cecilia Tron Zen, Venezia, MDCCLXXXVI. Presso il Costantini, con Facoltà de’ Superiori; tomi due in-8°; il primo di pp. 6 n. n., cxv n.e 3 n.n.; ed il secondo di pp. cxxv n. e 1 in fine n. n. Gliene fa “ un omaggio , per attestarle la riconoscenza “ per tante mostre di parzialità e benevolenza , da lei ricevute. “ Chi è che non sappia , (scrive) “ e de’ vostri luminosi talenti e del gusto che per le lettere “ e per la poesia in voi regna, e delle premure che seriamente vi date per le persone di deciso merito non € meno che per i candidati di Minerva e d’Apolline a incoraggirli? ,. Nell’offrirle “ questi meschini parti , del suo ingegno piglia a dirle: “ Son eglino, è vero, di voi non degni e del pubblico. E che potea dar ella € mai di non mediocre (enon mediocre, all’avviso d’Orazio, esser deve il poeta), una donna, una giovane, “ una non ben iniziata ne’ misteri delle Muse; colpa di sua dura situazione, che l’astringe a consecrar le “ sue ore, i suoi studii e fatiche a queste non già, ma alla sola Tersicore tra loro, in quanto alla teatral © danza essa presiede. Non avrei io però mai vinto l’ostinato ritegno a pubblicare queste poesie, ad onta “ anco delle persuasioni e delle insistenze de’ miei benevoli, senza un vostro autorevole cenno, che come “ più volte m'ha con dolce violenza astretta all’estemporaneo cantare, così m'ha in fine fatto risolvere ad “ andar sopra a tutte le mie difficoltà, per l’edizione delle medesime ,. (2) Paganini P., Notizie autobiografiche inedite di Amarilli Etrusca; negli “ Atti della R. Accademia Luc- ‘chese ,, tom. XXXII, pp. 426-430. (3) La | morte d’Adone | poemetto | di Teresa BanpemmNI | fra gli Arcadi | Amarilli Etrusca. | In Modena, MDCCXC. | Presso la Società Tipografica. | Con licenza de’ Superiori; in-8° di pp. 118, con 8 incisioni in rame di Francesco Rosaspina. © Luigi Fornaciari così lo giudicò: “ In questo poemetto ad altri per avventura darà noia una certa in- “ temperanza ovidiana, qualche inavvertenza nella lingua, ed alcuna altra menda, perdonabile alla giovi- “ nezza dell’autrice; ma io ne loderò la vivezza delle immagini, la dilicatezza de’ sentimenti, un certo che “ di spontaneo e di ariostesco, sovente accoppiato colla eleganza del Tasso; e quella dote de’ suoi versi da “ lei stessa indicata in principio del canto terzo: Il lor facile suon gli affetti esprime ,. (4) Non eran vanti, nè per giunta spavaldi e superbi: rispecchiavano i fatti. Il Parini, nel tempo che 12 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIovACCHINO SALVIONI ] racconto è della Bandettini), “ Mantova sopra tutte mi applaudì e incoraggì. Colà princi- “ piarono a germogliare i miei allori, ma non i miei versi, che erano a quell’ora già adulti, ed in caso di fare nascere dei dubbi in chi li ascoltava, se fossero improvvisi o no. Di là andai a Parma, e a palmo a palmo misurai la Lombardia con una costante poetica for- tuna; Pavia mi udì e maravigliò, i professori di quella Università mi prodigarono e lodi e doni; gli scolari mi gridarono decima Musa. Milano e il difficil Parini s'accordò con Pavia (1). “ “ la Bandettini improvvisava, la fece ritrarre, e sotto il ritratto scrisse: “ Zitti, l’inclita Saffo ecco già canta ;; donando poi a lei quel ritratto. Lorenzo Mascheroni scrisse un sonetto “ per la signora Teresa Bandettini, “ Amarilli Etrusca, che in casa Beleredi in Pavia, fra numerosissimi plausi, improvvisò sul Conte Ugolino, il “21 marzo 1793 ,. Cfr. Mascneroni L., Poesie, Firenze, Le Monnier, 1863, p. 361. Lazzaro Spallanzani, per testimonianza del suo biografo Gio. Luigi Alibert [Zloge historique de Spallanzani, Paris, 1806; p. 179], ri- guardo a lei, fu padroneggiato “ da un sentimento più dolce di quello della stima ,. Il pistoiese Giuseppe Maria Pagnini, professore d’eloquenza a Parma, poi di letteratura latina a Pisa, per la prima accademia di poesia estemporanea tenuta dalla Bandettini a Parma, scrisse questo epigramma: “ Qui tibi sit gestus, quae vox, quae forma canendi “ Multi ex me quaerunt. Haec, ego disperewn, « Si gnarus memorem: divino quippe furore “ Sic, Amarylli, tuo sensibus abripior, “ Humani quod habes ut nil cognoscere possim, “ Ac tua sola bibam carmina digna Jove ,. Angelo Mazza, il 23 maggio del 1792, le indirizzò un’epistola, che comincia: » “ Narrami, o sola de le Muse alunna, “ Anzi germana, e a me di lor più cara, “ Narrami, o donna, de’ repenti carmi “ Omai secura de la palma prima, “ E mel perdoni la minor Corilla, “ Benchè cerchiata del Romano alloro ,,. Cfr. Mazza A., Opere, Parma, Paganino, 1817; III, 79-80. Troppo son noti e il sonetto che in sua lode dettò l’Alfieri: “ Ed io pure ancorchè de’ fervid'anni ,; e l’ode che per lei scrisse Vincenzo Monti. Giovanni e Ippolito Pindemonte, il Cesarotti, il Passeroni, il Volta, il Frank, lo Scarpa, il Minzoni e altri molti fecero eco a queste lodi. Un uomo di finissimo gusto, Luigi Fornaciari, mise in piena evidenza il valore de’ versi improvvisi della Bandettini, sia “ per la invenzione ,, sia “ per la condotta e pel dettato ,. Cfr. FornaciarI L., Sulle poesie estemporanee di Amarilli Etrusca, ragionamenti; negli “ Atti della R. Accademia Lucchese ,; tom. IX, pp. 397-430. Il marchese Cesare LuccHesini [Opere; II, 69-98] nel confutare le Recherches sur Vim- provisation poétique chez les Romains del Raoul-Rochette, ricordò la Bandettini, scrivendo: “© S. M. la “ defunta regina Maria Luisa, nostra augusta Sovrana, piacevasi d’ascoltare sovente la nostra improvvisa- trice e le faceva plauso. Ora le avvenne alcuna volta di sottoporla alla difficile prova di trattare più e diverse volte lo stesso argomento; il che facevasi da lei tosto, non senza maraviglia de’ reali principi che v’eran presenti. Ma cimento oltre modo più arduo sostenne prima in Roma, dove per ben otto volte l’ar- gomento medesimo le fu proposto, ed ella sempre il trattò con nuovi modi e in nuovo aspetto ,. (1) In una sua lettera si legge: “ Alfine le mie circostanze, che credo non dover far note al pubblico, nè ella ne esigerà la confessione, vollero che io mi risolvessi a vincere ogni mia ripugnanza, mio marito mi fece forza; potevo io nulla negare ad un marito che fece e fa la mia felicità? Io mi produssi in una scelta conversazione, riscossi gli applausi e il compatimento per l’estremo timore che in me traspariva; a poco a poco questo si dissipòd ,. Il segreto è svelato dal marchese Antonio Mazzarosa. Scrive: “A Trieste finì di calcar le scene, incoraggita ed anzi stimolata da Vincenzo Guinigi, patrizio lucchese, che stava colà in onore, e dal baron Brigido, governatore di quella città, a tentare, per avvantaggiarsi una strada, senza paragone più nobile, ma tanto più ardua, quella d’improvvisar versi; correva allora il 1792. Non a Trieste però, come i due suoi mecenati divisato avevano, potette dare la sua prima accademia, a causa della morte sopravvenuta di Leopoldo, imperatore: ma passando a Udine là diede principio a improvvisar versi in ogni metro e sopra d’ogni argomento ad arbitrio del pubblico ,. Cfr. la Prefazione del marchese Antonio Mazzarosa alle Poesie estemporanee di AmariLLi Errusca, Lucca, per Francesco Bertini, 1835; tom. I, p. vu. I R R GI R DI R MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 13 “ Ella vuol sapere chi mi consigliò alla gita di Roma; ma chi poteva consigliarmi se non “ la conoscenza di me stessa? L’Arciduchessa di Milano (1) mi domandò se io era stata a Roma; questo non fu altro che porre una scintilla nella secca stoppia; risposi che aveva divisato d’andarvi, e vi andai ,. Il 29 gennaio del 1794 ragguagliava de’ trionfi romani il Bettinelli con questa lettera, che è inedita: Gran Diodoro, Da bando la modestia; ella si è degnata di dimostrarsi il mio migliore amico, ella me ne ha date tante prove, ch'io non posso senza la taccia d’ingrata parlarle se non se con il linguaggio della verità, onde dirò cose che in bocca mia sarebbero da condannarsi s’ella meno mi conoscesse, poichè il gran Diodoro non ignora ch’Amarilli sfugge il panegirico delle proprie lodi. Io ho improvvisato due volte in Arcadia, la prima era un giovedì, nè vi fu invito; pure si riempì la sala, e tale e tanti furono gli applausi e l’incontro, ch'io ne restai sopraffatta, ancorchè usa a questa sorta d’accoglienza. Domenica, giorno 26, vi fu adunanza generale, con una folla da soffocare; molti non ebbero luogo, onde tornarono indietro; io mi resi all’Arcadia tardi, m’appena che mi videro comparire fra la folla, un grido s’alzò e un applauso di mani e di piedi, che io ne restai confusa; il P.° Predicatore, che faceva la prosa sopra il divin nascimento, dovette tacere, e malvolontieri ascoltarono l’altre composizioni, finchè non giunse la mia. Un silenzio successe al mormorio; recitai ed echeggiava la sala d’evviva; incoraggita, improv- visai, e il fanatismo crebbe a misura che s’inoltrava l'accademia; io non ho veduto nè vedrò più tanto entusiasmo; ella solo, che ne è l’autore, se lo può figurare. Lunedì Monsignor Resta fece una magnifica accademia, con l’invito di tutta la nobiltà di Roma. L’onore che mi son fatta è stato uguale a quello dell'Arcadia; tutti questi Cardinali e Principi mi prodigano il titolo di divina ed assicurano di non aver sentito mai di meglio, e che io sola ho dimostrato quanto si possa dire improvvisando. Questa sera vi è grande invito in casa della Marchesa Lepri Cusani, e mi attendo una piena, poichè me l’ànno minacciata in ogni loco che io vado. Lunedì devo improvvisare dal Duca di Ceri e mercoledì in casa del senator Rezzonico. Devo essere ancora invitata dal Principe Pugnatoschi (2), che già mi udì in Arcadia e favorì darmi per primo argomento Colombo in America; e non pochi sono coloro che mi vogliono sentire in propria casa. L’Arcadia si vuole unire il giorno che si collocherà il mio ritratto nel serbatojo, e tutte le composizioni saranno in mia lode. L’ottimo abate Godard esulta, tutti quelli a cui son rac- comandata se ne gloriano, e il mio nome suona sulle labbra di tutti. Ella creder può che io non son stata mai più contenta, giacchè Roma è confermato il voto della Lombardia e il suo, che vale per quello di tutte due. Ora si è parlato dell’onore; parliamo dell’interesse: le dirò dunque che Monsignor Resta mi ha regalata di due medaglie d’oro di questo glorioso Pontefice (3). Sento che questi altri saranno più ge- nerosi; dunque se ciò è vero, non avrò gettato il viaggio, e doppiamente utile mi sarà la venuta in Roma. Ecco le mie nuove, che confermate le verranno da chiunque le scriva, poichè mi posso vantare di non aver uno che parli di me senza lode. Partecipi queste nuove al Conte Murari (4), a cui non scrivo in attenzione di risposta a un’altra mia. Lo saluti cordialmente a mio nome. Ella poi mi con- tinovi la sua grazia e perdoni alla mia sincerità questa lettera, piena di glorie, atta a fare arrossire la modestia; mio marito se le protesta servitore ed io con il solito rispetto mi rassegno del gran Diodoro Umilissima serva ed ammiratrice la sua AMARILLI. (1) Maria Beatrice, figlia del duca Ercole III d’Este e di Maria Teresa Cybo, nacque a Modena il 7 aprile 1750 e sposò nel 1771 l’arciduca Ferdinando d’Austria, governatore della Lombardia. (2) Correggi: Poniatowski. (3) Per testimonianza del Fornaciari, “ Pio VI, gran favoreggiatore de’ buoni studi, stimava al sommo © la Bandettini, in cui vedeva accoppiato tanto poetico valore a tanta virtù, e volentieri si tratteneva con © lei in ragionamenti di lettere, e la donò d’alcune medaglie d’oro con suo ritratto ,. (4) I conte Girolamo Murari della Corte di Mantova, vice custode de’ pastori arcadi della Colonia Vir- giliana. ld GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIOVACCHINO SALVIONI] Il 3 d’aprile tornò a scrivergli: Gran Diodoro, Non sempre, perchè io non ho dritto al suo coraggio, ma qualche volta posso bene procurarmi questa fortuna invidiabile, molto più che Diodoro degna Amarilli della sua grazia. Sono adunque a parlarle di me, de’ nuovi miei trionfi; e ciò faccio sicura di incontrare il suo genio, se tanta parte ella prende in tutto quello ch’è di mio vantaggio. To seguito ad essere stimata ed a ricevere continove di- stinzioni. Sere sono ho improvisato in una casa d’una dama tedesca Contessa di Solmes, ove si trova» rono il nipote del Re di Polonia ed il Principe Augusto figlio del Re d’Inghilterra; questa accademia mi portò utile e onore ugualmente a quella da me tenuta il dì primo d’aprile ad una Società composta dal sig. Duca di Ceri della prima nobiltà Romana, che mi ha in premio donato cento doppie d’oro. Ebbi in tal sera la compiacenza d’improvisare meglio di quel ch'io soglio, onde i signori, che mi favo- rirono, restarono contentissimi e il sig. Duca di Ceri era fuori di sè, perchè io, come disse egli, superava me stessa. Ecco le mie nuove più recenti e più luminose, fra le quali aver potrà loco il desiderio, che alcuni mi dimostrano della mia dimora essendo per fino giunti ad esibirmi un vistoso annuale assegna- mento, purchè io non parta più da Roma. Io non ho rigettata la proposizione, nè la ho rifiutata, amando molto la mia libertà. Che farebbe il gran Diodoro in tal caso? So che è qui l’Abbate Bondi (1), ma io fin ora seco non mi sono incontrata, vi è pure D. Gaspero Mollo (2) e poteva venire ad udirmi, ma non so perchè si sia lasciato fuggire tale occasione. Qualunque ella siasi, ha fatto male, perchè ha dato campo alle ciarle, forse de’ suoi nemici. Il sig. Abbate Scarpelli, qui presente, mi dà carico di salutarlo, ella faccia i miei complimenti alla Casa Murari, e si lagni dol- cemente con il sig. Conte, perchè mi ha lasciata senza risposta. Mi continovi la sua grazia, e mi creda piena di venerazione e di affetto sua Ammiratrice e serva devotissima AMARILLI. Accortasi che il “ vistoso annuale assegnamento , fattole brillare dinanzi agli occhi da’ suoi ammiratori era un sogno, lasciò Roma. L’11 di settembre di quell’anno scriveva da Pistoia, al suo amico Tommaso Trenta: “ Sabbato 13 corrente sarò a Lucca onde godere “ della bella festa e conoscere da vicino i miei colti ed ottimi concittadini. Amerei che alle “ porte di Lucca non mi fosse fatta una rigorosa visita del mio equipaggio, consistente in “robba di mio proprio uso ,. Il 20 di-quel mese l’Accademia degli Oscuri per acclamazione l’ascrisse tra’ propri soci, le decretò un busto in marmo, da riporsi nella sala delle adunanze, stabili di tenere in onore di lei una tornata pubblica il 13 d'ottobre; tornata che “ riuscì “ solennissima quanto altra mai, e fu onorata dall’intervento del supremo Magistrato della “ Repubblica; numerosissime furono le composizioni che vi si lessero (3); e l’entusiasmo “andò al colmo, quando sull’ultimo comparve nella sala la Bandettini a ringraziare con “ versi estemporanei , (4). De’ trionfi lucchesi si rallegrò il Bettinelli, che gli aveva presagiti (5). Giovanni Rosini (1) Clemente Bondi, parmigiano, che visse dal 1742 al 1821, la cui traduzione dell’Eneide di Virgilio levò gran rumore, e fu a torto giudicata migliore di quella del Caro. (2) Gaspare Mollo di Napoli [1754-1823], improvvisatore anch'esso, venne poi a gara in Roma con la Bandettini, la quale superò sè stessa. (3) Prose e rime in onare della celebre sig. Teresa Bandettini, lucchese, fra gli Arcadi Amarilli Etrusca, recitate nell'Accademia degli Oscuri di Lucca il dì XIII di ottobre MDCCXCIV, Lucca, presso Francesco Bon- signori, MDCCXCIV; in-4° di pp. 112. (4) BerraccHi A., Storia dell’Accademia Lucchese: nelle Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, tom. XIII, part. I, pp. 46-47. (5) Da Mantova scriveva il 6 ottobre del 1794 all’ab. Carlo Ambrogio Vecchi, pubblico bibliotecario a Lucca: “ Mantova madre seconda, dopo Lucca, in amore, l'illustre figlia adottò già con Virgilio, e per man “ di lui, fatta Musa novella, alle città della Lombardia, quindi .a tutta Italia, infine alla Patria, degna di © lei, come degna è tal figlia di tanta Madre. Sia essa pegno frattanto dolcissimo di amicizia tra Mantova MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, SIOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 15 venne a bella posta da Pisa per conoscere di persona la poetessa, la quale, “ grata a tanta « dimostrazione di gentilezza, per contestargliene il suo gradimento , tra le pareti do- mestiche improvvisò sopra svariati argomenti (1). Il concittadino Cesare Lucchesini con- fermò il giudizio di lei, già fatto a Mantova nel decembre del ’92, quando l’udì per la prima volta: “ Essa è brutta d'aspetto, canta male e con voce un poco rauca, ha moti e «“ gesti scomposti e ridicoli. Tutta dunque la sua lode si riduce alla bellezza del suo stile , (2). Al plauso di tutti non mescolò il suo “ quel bizzarro del Salvioni ,; il quale “ dubitava che ’ “ le poesie di lei non fossero veramente improvvise ,, e “ per uscir di sospetto , le andava proponendo “ qualunque tema a lui piacesse , (3). Amarilli, lasciata la nativa città, alla quale manifestò poi la sua gratitudine con un’ode (4), che il Bettinelli andava leggendo ai conoscenti “ con più trasporto che se egli “ ne fosse l’autore , (5), dopo avere improvvisato a Pistoia (6), si recò a Firenze a cimen- “e Lucca; e questa dia stabil riposo onorato alla figlia dopo il lungo pellegrinaggio glorioso da quella “ apertole con sì fausti auspicî Virgiliani ,. (1) Il Rosini li riassunse in alcune ottave, che le presentò il giorno appresso, prima della sua partenza; ottave che finivano con queste lodi: Segui, o Donna immortal, segui il cammino Dietro a è gran voli d’ Ariosto mio; E grand’orme stampando a lui vicino Te immortal su le carte ancor desio: Che maggior di Te stessa e del destino Andrai coi carmi a saettar l'oblio; E invidieranno le venture genti L’emulo suon dei fuggitivi accenti. (2) Srorza G., Viaggi di due gentiluomini lucchesi del secolo XVIII; nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, tom. LXIII, pp. 188-191. (3) Fornacrari L., Elogio di Teresa Bandettini Landucci, fra gli Arcadi Amarilli Etrusca, detto alla R. Ac- cademia Lucchese nella solenne adunanza del dì 30 maggio 1837; negli Atti della R. Accademia Lucchese in morte dì Teresa Bandettini Landucci fra gli Arcadi Amarilli Etrusca, Lucca, per Francesco Bertini, 1837, p. 44. (4) La gratitudine alla patria, ode, Lucca, presso Francesco Bonsignori, 1795; in-8°. Nel settembre del 1795 tornò a Lucca, attirata con le più lusinghiere promesse. Rimase, peraltro, delusa e così se ne sfogava con l’amico Bettinelli: © Le speranze che voi ed io nutrivamo si dissipano, l’avarizia © e l’ingratitudine ne fan guerra. Più non si parla di ricompensa, mi si profondono lodi e nulla più. Quanto è “ sterile l’alloro! A dirvi la verità io son piccata, e lo sono a segno di tacere a tutti la mia prossima partenza, “ tanto qui non v'è d’attender di meglio. Che farci? Voi che siete lo storico de’ miei fasti, ponete tra questi “ anecra questo cattivo evento, così Amarilli uguaglierà in fortuna #l cantor di Goffredo e quel d’ Orlando. “ Ora andate a credere alle promesse! Tante premure acciò io ritornassi, tante lettere, per poi darmi una “ solenne canzonatura!” To se più resto non mi fido della mia prudenza, temo un momento d’estro che im- “ provvisar mi faccia in prosa delle verità disgustose. La politica non è stato mai il partaggio de’ poeti; io, a “ parer vostro, son poetessa, potrei porre in opra ciò che non posseggo? ,. Cfr. Luzio A., Lettere di Amarilli Etrusca; nel “ Giornale storico della letteratura italiana ,; vol. VII, pp. 191-192. Aveva ragione, e ragion da vendere. Fu una vera “ canzonatura ,, come la chiamava. Tutto si ridusse ad un busto erettole nella sala di Montano Dodoneo; così chiamavasi tra gli arcadi il canonico Riccardo Trenta, infelicissimo verseggiatore. (5) Lettera della Bandettini a Tommaso Trenta, scritta da Mantova nel marzo del 1795. (6) © L'accademia di Pistoia , (scriveva Amarilli ad un amico il 16 decembre del 1794, da Firenze) riuscì non molto numerosa, ma di uno scelto numero di nobiltà. Io ricevvi un regalo che ascenderà al valore di quaranta zecchini, a me fatto tenere colla massima delicatezza, senza porre alla porta nè vi- glietti, nè prezzo ,. Il P. Giuseppe Maria Pagnini, da lei chiamato “ delle greche e lazie scole Maestro, e “ lume di color che sanno ,, festeggiò gl’improvvisi da essa fatti a Pistoia con questo epigramma : R Iam tua dumtarat mirabar carmina; sola Carmina laudavi digna, Amarylli, Jove. Gestum neglexi, vocemque artemque canendi. Nunc tandem novi haec omnia plena deo. 16 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII |GIOVACCHINO SALVIONI] tarsi con le due famose rivali, Maddalena Morelli ne’ Fernandez, fra gli Arcadi Corilla Olimpica, e la Sulgher. Corilla, che si segnalava “ surtout par son immagination riante, sa K “ gràce et souvent sa gaieté , (1), l’accolse “ con somma gentilezza , (2), e invitata da lei “a rallegrare il ritiro della sua vecchiezza con qualche verso; la presenza di quella donna, “ un giorno troppo lodata e forse biasimata troppo (3), inspirò alla Teresa un tal canto, che “ l'antica poetessa, quasi ringiovanitane, non potè tenersi dopo dieci anni di silenzio, dal “lodarla con suoi versi , (4). Più fredda trovò la Sulgher, la quale sposatasi a Giovanni Fantastici, ricco gioielliere fiorentino, aveva fatto un giro per l’Italia, improvvisando a gara con la Mazzei, la Biamonti, il Mollo, l’ab. Lorenzi e il Gianni, e riscuotendo le lodi del Bettinelli e dell’Andres, del Bertola e del Cesarotti, de’ due Pindemonte, di Salomone Fio- rentino, del Bondi, del Gamerra e d'altri. Venuta a Firenze la Bandettini “ a contenderle “ gli onori in quella società dove era così ammirata, si misurarono insieme in un agone “ improvviso , (5); e sebbene Temira Parrasia (era il nome arcadico della Sulgher) “ facesse “ tutto il suo potere, e buone cose dicesse, nondimeno la Bandettini prese tanto il di sopra, « che l’altra ne cadde in isvenimento, e ne fu portata fuori della sala , (6). Sebbene vinta, Temira onorò la rivale e il giorno dopo le inviò un’ode saffica, che finiva: Io nacqui donna e d’alma altera il dono Nobilemente m'accordaro i Dei: Sprezzo l’oltraggio: amica al merto io sono: Tu rara sei (17). A Firenze, la Bandettini improvvisò più volte e sempre felicemente. “ Lunedì sera fu “ l'accademia, ed essendosi combinata la nascita del R. Arciduca , (così in una sua lettera del 16 decembre 1794) “ riuscì una delle più splendide e brillanti. Io ebbi la fortuna d’incontrare “ l'altrui gradimento ed il difficile compatimento d’Alfieri, che si degnò contestarmi il suo “ gradimento con cortesissime espressioni ,. Nella Gazzetta di Firenze del 3 gennaio ‘95 si legge: “ Nella straordinaria adunanza della nostra R. Accademia Fiorentina, tenuta lunedì “ scorso, la celebre sig. Teresa Bandettini, poetessa estemporanea, cantò con sorprendente “ franchezza e con stile veramente poetico quattro diversi argomenti per i quali riscosse “ vivissimi, replicati applausi, ben dovuti al suo merito. Fu quindi solennemente acclamata “ Accademica Fiorentina, e da questa circostanza prese argomento per un altro canto estem- “ poraneo, nel quale espresse i sentimenti della sua gratitudine ,. A sua stessa confessione, l’incontro fatto “in faccia di mille e cinquecento persone , fu “ superiore all’immagina- “ zione ,. Si cimentò anche col Giannetti, “ improvvisatore fiorentino ,, a suo giudizio, “ gran parolaio senza pensieri ,. La frase di lui (scriveva) “ è bassa, gli epiteti fuor di loco. “ Volendo fare un epilogo, ma che tale non fu in effetto ,, degli improvvisi della Bandet- tini, “ disse l'elmo gentile, parlando del cimiero di Minerva. Questo saggio , (soggiungeva) (1) Srswonpi, op. cit.; II, 60. {2) Lettera della Bandettini a Tommaso Trenta, scritta da Firenze il 16 decembre 1794. (3) Cfr. Apemorro A., Corilla Olimpica, Firenze, C. Ademollo e C. editori, 1887; in-8° di pp. 520. (4) FoRNACIARI, Op. cit., p. 42. (5) VrraGriano, op. cit., pp. 138-139. (6) FornACIARI, op. cit., p. 42. (7) In fondo all’anima però restaron nemiche. La Bandettini scriveva da Modena il 16 di gennaio @ Tommaso Trenta: “ A Firenze vi era una cabala grande contro di me. La Fantastici mi ha confermato “ questa opinione allontanandosi da me ,. In altra lettera aggiunge: “ L'ultimo giorno della mia dimora in “ Firenze mi portai alle rispettive case delle due Poetesse onde prendere da esse congedo. La Corilla mi “ fece dire che dormiva, e forse sarà stato vero; e l’altra che era fuora di casa ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 17 “ può bastar per tutto. La Fantastici adopera frasi basse e prosaiche, spoglia d'immagini e “ di pensieri; la povera Corilla, che fece qualche verso l’altra sera, disse della prosaccia “ rimata ,. Prosegue: “ Firenze non ha un cinico per me, Firenze m’inalza sopra i suoi “ figli; ma potrà tutto questo far tacere il mordace Salvioni, rifiuto vile d’ogni città e acer- “ rimo persecutore d’una cittadina di quella sola che lo sostenta? , Il “ mordace , massese l'aveva inseguita a Firenze, dove entrò come conquistatore e come trionfatore. “ Oh che grandi accoglienze che tutti mi fanno! , — scrisse al P. Cesare Andreoni di Lucca —. “ Sono stato da S. A. R. ed ho avuto un bello sbruffo di monete. “ Pranzi ogni giorno; dieci giorni in villa di un cavaliere, e trattato di carrozza e mensa; la Nazione Ebrea mi ha voluto onorare di un pranzo di trenta piatti, con l’intervento dei più dotti della Nazione. Ho avuto finezze dai primi Ministri; pranzi dalle poetesse squi- siti; per me pubbliche accademie e radunanze. Insomma infinite sono le finezze che ricevo da ogni ordine di persone. Sono stato pregato da moltissimi a dare un giudizio sulle tre poetesse; l’ho dato e domani ne usciranno duemila copie stampate (1). Il mio giudizio non è niente offensivo, ma affatto imparziale; ho solo in odio quelle indebite iperboliche pro- teste a me dette: Non si è sentito mai cosa simile. Non valgon nulla le Corille e le Fanta- stici. Oh cecità! Convien prima sentire le due campane, e poi decidere. Non si dee mai esaltare uno con depressione dell’altro. Io certo ho empito Palazzo, la Segreteria di Stato ed ogni luogo del mio sentimento ,. Le “ tre poetesse ,, sulle quali egli, improvvisatore, doveva dare il suo giudizio, erano Amarilli, Temira e Corilla. Già ne aveva fatto il paragone il Pagnini con questo distico: « “ “ DI ES Carmine Temira edocet, oblectatque Corilla : Tu quocumque animos vis, Amarylli, rapis. Il Salvioni così commendò Amarilli e Temira: Grande canit doctas Amarillis ad Aesaris undas, Parrhasis arnicolis Grande Temira canit. In dubio tamen est, cuius sit gloria major; Luca illam, hance merito conscià Flora colît. Moribus aureolis par utraque, carmine dispar, IMNa aurei fontis, fluminis ista modo est. Cogitat illa diu cantans; haec stans pede in uno illita cecropio nectare verba jacit: non docilem illa apto compensat carmine vocem, Haec gestu, numero, carmine grata magis. Musisque et Charisin, similisque est illa Minervae, quarta Charis, decima haec musa, Minerva nova est: aurum illi et statuas tribuit fortuna, sed ista, absque auro et statuîs, viva sibi statua est. Sertum olli e lauro dat Parrhasis ora, quid inde? Laurum habuisse decus, laus meruisse fuit. (1) Di queste © duemila copie , a me non è riuscito di trovarne neppure una. Fortunatamente D. Ra- nieri Calisti, pievano di Buti e già scolaro del Salvioni nel Seminario di Pisa, ne mandò una trascrizione, fatta di sua mano, a Carlo Frediani di Massa, e ora si conserva nella Biblioteca del R. Archivio di Stato di quella città. Il giudizio però non è copiato per intiero, ma soltanto nella parte che riguarda Amarilli e Temirn. Ciò che si riferisce a Corilla è omesso. 18 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIOvACCHINO SALVIONI | Tantum arte et studiis Amarillis pollet, ab aestro et studiis vires prompta Temira captt. Quid tamen est maius studio pollere sine aestro, an studium atque aestrum continuisse simul? Lector, utramque aequo librans examine, dicas: Illa unam, dotes possidet ista dugs. Da Firenze, perduta che ebbe la cattedra lucchese, passò a Pisa e fu fatto maestro di retorica in quel Seminario arcivescovile; e in Pisa, sulle prime, come sempre, gli arrise la fortuna. Uno de’ suoi scolari, Ranieri Calisti, pievano di Buti, il 27 gennaio del 1825 dava intorno al vecchio maestro questi curiosi ragguagli ad un massese: . To non conobbi Salvioni che nel breve giro di un anno mentre coprì interinalmente la cattedra di belle lettere nel Seminario arcivescovile di Pisa, e poichè per la mia età non maggiore allora di quattordici anni e per talento e per cognizioni ero l’infimo de’ suoi scolari, lo ammiravo sì assieme con i dotti nell’udirlo spiegare in più e diverse lingue e interpretare i classici, ma non rilevavo il bello di quello diceva e dettava. Dirò solo quel che dicevano allora i giusti suoi ammiratori, che nella facilità del verseggiare latino all'improvviso superava sè stesso. Altri leggeva dei sonetti, delle canzoni ed ei faceva eco colle più maestose frasi in versi latini, quasi sempre elegiaci. Le stesse gazzette si traduce- vano da lui con la stessa facilità e colla stessa maestà di versi. Im una pubblica accademia, per altro, che fu data dai PP. Barnabiti, che esistevano allora nel convento di S. Frediano di Pisa, egli sbalordì per certa guisa chi lo ascoltò. La sala vagamente adorna e leggiadramente vestita, armoniose le sinfonie per la varietà dei musicali istrumenti, molti i componimenti che si recitarono dalli alunni e l’udienza poi rispettabilissima perchè composta de’ più celebri professori di quella città e de’ più famosi letterati. Salvioni era fra questi, ma non conosciuto da alcuno, perchè di pochi giorni era giunto in quella città, e nulla stimato, quasi fosse non curato, perchè cencioso quale presso a poco sempre si vide anche ne” brevi giorni di sua fortuna. Smanioso però di farsi conoscere, terminata l’accademia si alzò da un fondo di panca, e chiese di poter dire anch’esso poche parole. Fu creduto un imbecille, ma pure gli fu ac- cordato di parlare. Parlò, e fu capace di descrivere minutamente in versi esametri e pentametri l’ap- parato magnifico della stanza, tutti gl’istrumenti che componevano l’orchestra, rammentare i nomi e co- gnomi degli accademici, e restringere in brevi ma ponderosi versi tutti gli argomenti delle composizioni recitate, non trascurando punto quella critica che giustamente poteva darsi a quei componimenti. Allora io forse non era nato, ma di questo suo sforzo ho udito parlarne da mille. Di qui quel nome che ben presto sì guadagnò per tutta la Toscana di poeta latino estemporaneo. Forse fu mancante di quell’estro creatore, che costituisce il vero poeta, nè io certamente mi azzarderei di farli questo pregio, ma tutti generalmente convengono che fu un verseggiatore inimitabile e che nissuno, almeno ai tempi suoi, potè vincerlo nel pieno possesso che aveva dei poeti latini. Sarebbe stato per ciò degno di miglior fortuna, ma o questa gli mancò sempre, o egli stesso la cacciò lungi da sè, perchè venenum aspidum sub labîis eius. Il dico confidenzialmente a lei: si provò talvolta il maestro Salvioni a scrivere in poesia italiana, ma è più onorifico per esso, a mio credere, il toglierli affatto questo pregio. Volle stampare qualche sonetto, ma non lo avesse mai fatto! Non erano quei suoi che quattordici versi rimati e parevano git- tati, come altri disse, Al computo infallibil delle dita. Ma ciò non oscura punto il suo valore nell’altro genere di poesia, come ho detto (1). La natura talvolta si picca di voler essere avara con noi dei suoi doni ad onta degli sforzi che facciamo per conseguirli. Per ciò che risguarda l’oratoria, ei la conosceva sublimemente in teorica, ne dava i più bei precetti e sapeva conoscerne i difetti: non vi riusciva, per altro, in pratica. Duro ed asiatico lo stile, asperso di secentismi, e quel che è peggio quasi sempre (1) Anche il prof. Pancrazio Zapelli, che gli successe nella cattedra d’eloquenza a Lucca, il 24 giugno del 1824 scriveva a Carlo Frediani: “ Non so se possa chiamarsi abate, perchè era coniugato e andava in “ abito secolare... Esistono varj componimenti poetici del prelodato maestro, sparsi per lo più in diverse “ raccolte, ed alcuni pochi ne ritengo anche presso di me; e tali componimenti per la più parte sono latini, “ giacchè in questi era assai più felice che negl’italiani ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 19 irregolare. Forse avrebbe potuto scrivere con più felicità se avesse avuto la pazienza di meditare alcun poco. Avvezzo ai suoi estemporanei, non poteva adattarsi a prendere la penna in mano se non per farla volare sulla carta. Così mi sforzavo a pensare alcune cose predicabili che ho veduto presso di qualche parroco di Lucca, dove fu professore di belle lettere per più anni. Basta dunque per Giovacchino la lode che ho detto; lode vera, lode giustissima e tutta sua (1). Ben disse di lui il Cantù: “ Giovacchino Salvioni di Massa, improvvisando in latino e “ in italiano, lasciava dubbio se fosse un genio o un matto , (2). Fervidissimo di fantasia, amante del lusso e al tempo stesso sporchissimo della persona, avido di acquistarsi fama brillante, seppe malamente regolare i suoi guadagni, che furono molti, con le spese, e spesso ebbe a trovarsi senza un soldo. Gli avvenimenti politici del 1796 gli fecero più che mai girare il cervello. Aveva perduto la cattedra di Pisa e si trovava a Massa quando il 30 di giugno venne occupata da un pugno di Francesi, comandati dal Lannes, il futuro Duca di Montebello. Il 3 di luglio fu rizzato sulla piazza di S. Pietro l’Albero della Libertà, e il Salvioni declamò un discorso, giudicato da’ giacobini “ una cappuccinata , (3). La Munici- palità Massese finì col metterlo in carcere, “ ritenendolo ,, come scriveva agli “ agenti mili- tari della Repubblica Francese nelli Stati di Massa e Carrara ,, il 9 vendémiaire dell’anno V [30 settembre 1796], “ pericoloso nelle attuali circostanze per la debolezza di mente e fan- “ tasia riscaldata ,. Poi deliberò “ di consigliarlo di portarsi fuori del territorio colla propria “ moglie, dopo avergli fatta una seria ammonizione di esser più moderato nei suoi discorsi, “ con la minaccia di rigoroso castigo in caso di recidiva , (4). Si rifugiò a Pisa, dove il 25 ottobre di quello stesso anno 1796 morì nel pubblico spedale. De’ suoi versi improvvisi in greco e in ebraico non resta traccia; per conseguenza è impossibile darne un giudizio. Ne’ versi italiani ha molta spontaneità e naturalezza. Ne sia prova questo Somnetto in lode de’ Sig." Fiorentini, che è inedito e lo scrisse a Lucca su’ due piedi in un crocchio d’amici: Quando vedrò le stelle a mezzogiorno E cantar le cicale a mezzo inverno, Uscir Giuda e Pilato dall'inferno, La neve e îl ghiaccio rassodarsi in forno, Quando il marito con la moglie intorno Potrà vantarsi di un riposo eterno, Quando il viver civile e il buon governo S'imparerà nel Bagno di Livorno, Quando mancherà l'acqua agli speziali, La voglia dì rubbare ai contadini, La virtù salutiva ai serviziali, Quando Arno tornerà. sugli Appennini, Fra l'altre cose soprannaturali, La verità diranno i Fiorentini. (1) Cfr. Miscellanea massese raccolta da Giovanni Sforza; ms. nella Biblioteca del R. Archivio di Stato in Massa, cc. 92-95. (2) Cantù C., Storia della letteratura italiana, Firenze, Le Monnier, 1865; p. 435. (3) Srorza G., Sull’occupazione di Massa di Lunigiana fatta dai Francesi nel 1796, lettere d’un giacobino, Lucca, Canovetti, 1879, p. 37. (4) Op. cit., pp. 54-59. 20 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [crovAccHINO SALVIONI | Parimente a Lucca, su’ due piedi, come era solito, così voltò in latino il celebre sonetto di Onofrio Minzoni sulla morte di Cristo: Cum suprema dedit moriens suspiria Christus, Unde sepulcra, tremens unde dehiscit humus: Horrescens somnoque gravis caput extulit Adam, Arduus in geminos erigiturque pedes. Attonito similis torquens sud lumina circum Haesit hians anceps, obriquitque metu. Hinc illine timida scitatur voce, quis esset Arbore ab infausta qui grave pendet onus. Vix novit: frontem rugosum albosque capillos Et qua pomituit percutit ora manu. Versus ad uxorem gemitu, quo cunctà tremiscunt, Tu mihi, ait: tantae tu mihi causa necis. Scolaro di Raimondo Cunich, latinista famoso, che contò tra’ propri allievi il Lanzi e il Morcelli, il Salvioni riusà anch’esso un buon latinista; ma, sedotto dal fascino de’ plausi fugaci, si mise a improvvisare, e come segue agl’improvvisatori, per l’ingordigia della gloria d’un giorno, da sè stesso condannò il proprio nome all'oblio. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 21 APPENDICI IL Bibliografia degli scritti editi e inediti di Giovacchino Salvioni 0. A) Scritti a stampa. 1. — IMustrissimo ac Reverendissimo D. D. Iulio Caesarî Lomellino Episcopo Lunen. Sarza- nensi et Comiti, S. Sedi Apostolicae immediate subjecto Quarto adjudicata in Decisionibus sacrae Rotae Romanae die Veneris 13 currentis Ianuarii plenaria ac omnimoda in Clerum Populumque Civitatis Carrariae Episcopali jurisdictione jamdudum sibi suisque praedeces- soribus controversa a Patribus Lateranensibus S. Frigdiani Lucensis elegia, Massae, MDCCLXIX. Ex Typographia Ducali Jo. Baptistae Frediani )( Superiorum permissu; in-fol. volante. 2. — Ad elegantissimam P. Aloysit Boschi lyram cum idem et orator et sidicen apud Massenses se mirifice probaret, elegia. — in Compiendo con universale applauso l’ Apostolica sua fruttuosissima predicazione nell’insigne Collegiata di S. Pietro il Padre Lettore Luigi Boschi, Pavese, Minore Osser- vante, componimenti poetici umiliati all’Altezza Serenissima di Maria Teresa, Duchessa di Massa, Principessa di Carrara, Principessa ereditaria di Modena dc. dal conte Carlo Cybeo, tra gli Arcadi di Roma Clariso Beleminio, In Massa MDCCLXXII. Per Giambat- tista Frediani Stampator Ducale; pp. 10-13. Si firma: ABBas JoAcHIM SALVIONI. 3. — Farsa per musica nelle Nozze de’ Nobili Sposi Niccolò Panciatichi e Marchesa Vittoria Ximenes d'Aragona, In Firenze MDCCLXXII. Nella Stamperia Moiickiana. Con appro- vazione; in-4° di pp. xxm. “ L’autore G[iovacchino] S[alvioni] G[esuita] , la intitola “Al Nobil Uomo Niccolò Panciatichi, patrizio pistoiese e fiorentino ,, con un’epistola in versi, che abbraccia le pp. 11I-xI, e comincia: € Vista del libricciuol la prima fronte ,. La Yursa, della quale sono interlocutori Imene, l’ Armonia e un Coro, occupa le pp. XII-XXIII 4. — Miscellanea interessante di varia letteratura ovvero proseguimento del Giornale fiorentino in cui st prende ad osservare, illustrare ed accrescere il più bello e raro che avviene alla giornata. Opera dell’ab. GiovAccHIno SaLvioni dî Massa Ducale Accademico Apatista ed Accademico Teologo. Tomo primo, ottobre 1772. Tomo secondo, novembre 1772. Tomo terzo, decembre 1772; in-8° senza luogo e nome di stampatore, di pp. Lxxx ciascuno. Si stampava a Lucca, coi torchi di Francesco Bonsignori. Alcuni esemplari portano la data del 1773. (1) Il Salvioni non ha mai avuto terren fermo, e tutto quello che ha stampato l’ha scritto per occasione; quasi sempre, anzi sempre, improvvisandolo. È dunque difficilissimo, per non dire impossibile, dare un ca- talogo completo de’ suoi componimenti. L'elenco presente, sono io il primo a confessarlo, offre molte lacune. 9 « Ut D) dd GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIOVACCHINO SALVIONI | . — Decreto dei continuatori delle Novelle letterarie ossia del Tribunale del Buon senso. Il solo esemplare che m’è venuto alle mani si conserva nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Manca però della prima carta. E in-8° di pp. xvi. . — Praestantissimo viro Vincentio Lunardio, domo lucensi, universae Europae plausibus excepto atream navigationem XV kal. quintiles e patria suscepturo elegia, auctore JoAcHIMo SAL- vionio în Lucensi literarum publico Instituto eloquentiae ac Potseos professore, [In fine:] Lucca MDCCLXXXVIII. Presso Francesco Bonsignori. )( Con approvaz.; in-8° di pp. xx1, con 1 tavola. Ha a fronte la versione italiana di Cristoforo Boccella. . — Paraenaeticon, Pisis anno MDCCXC. Ex typographia Pieracciniana. )( Sup. perm.; in-fol. volante. È preceduto da una lunga epigrafe. Tesse le lodi di Carlo Antonio Manzoni di Alessandria, che predicava nella chiesa di S. Michele di Lucca. . — Elegia ad praestantissimam Arunticorum Academiam Carrariae auspicato erectam eiusque Praesidem vigilantissimum Archidiaconum Ludovicum Comitem Bonannium in obitu Mariae Theresiae Cybo Estensis. — in Solenni esequie fatte celebrare il dì 17 marzo 1791 nel Duomo della città di Carrara in suffragio dell'anima di Sua Altezza Serenissima Maria Teresa Cybo Malaspina d'Este Duchessa di Modena e Massa e principessa di Carrara ec. ec. ce. da Sua Altezza Reale la Serenissima figlia Maria Beatrice d'Este Arciduchessa d’ Austria, Duchessa di Massa e Carrara ec. ee. In Massa, per Stefano Frediani Stampator Ducale, [1791]; pp. 18-21. 9. — Ad Regiam Celsitudinem Mariae Beatricis Ferdinandi Magni Austriae Archiducis au- gustae coniugis in obitu Serenissimae matris Mariae Theresiae Cybo Estensis elegia; in-fol. volante, senza nota d’anno, di luogo e di stampatore. E una ristampa, fatta probabilmente nel medesimo anno e co’ medesimi torchi. 10. — Aronte di ritorno dalle ombre, ossia il giornalista Lucchese, Massa Ducale, presso Fre- diani, 1791. Giornale letterario, così indicato dal dott. Diomede Bonamico. Cfr. “ Giornale di erudizione ,, di Firenze, vol. III, n° 19-20, p. 312. 11. Iorcnimi SALvionII Massensis in Lucensi Lyceo Eloquentiae et Potseos Professoris A.[cademici] O.[bscuri] ad consanguineos et familiares exctinti |Io. Attilii Arnolfini] et «d nobilissimam Obscurorum Academiam elegia. Vir philosophus ipsaeque naturales scientiae ad gloriam elevatae. — in Prose e rime nella morte del nobil uomo il signore Senatore Giovanni Attilio Arnolfini patrizio lucchese Accademico Oscuro, recitate nell'Accademia degli Oscuri il dì XIV aprile MDCCXOTI, Lucca, presso Francesco Bonsignori, 1792; pp. LXXVII-XCVI. Ha in fronte la “ versione toscana , che ne fece Cesare Andreoni; del quale si legge a p. LxxvI un sonetto “ latine redditum ab Joachimo Salvionio A. O. , [p. 1xxvII]. 12. — Auspice amplissimo Academiae Obscurorum moderatore Jacobo Sardinio P. L. Tauricy- nomachia sive carmen elegiacum in tauri pugnam cum canibus Lucae exhibendam in area S. Donati X. kal. oct. MDCCXCITII. Joac®imi SaLvionm inlustriorum Italiae Academiarum soci. Accedit paraphrasis italica P. C. A. A. O. [In fine:] Lucca, 1793. Presso Francesco Bonsignori; in-8° di pp. 16. 13 14. 16. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 23 — Adm. Rev. Patri Josepho Antonio Belloni, Ordinis Seraphici, Lectori theologo et oratori praestantissimo, Luca Venetias redeunti, jonismos sive felix augurium, Lucae, MDCCXCIV. Typis Josephi Rocchii. )( Superiorum permissu; in-fol. volante. — Auspice illustrissimo D. D. Francisco Bonvisio P. L. tributum laudis elegiacum nobi- lissimo D. D. Comiti Cuietano Sanvitalio, summo genere Regii nato, in Italia primi nominis oratori, Soc. Jesu olim ornamento, qui hoc anno Lucanum S. Michaelis templum aurea elo- quentia condecoravit, JoacHiMus SALvionIUS et ipse olim S. Ignatit filius, nune illustriorum Italiae Acad. Soc. in perenne obsequii arg. ex animo scribebat, [In fine:] Lucae, MDCCXCIV. Typis Josephi Rocchii. )( Cum approbat.; in-8° di pp. x. 5. Sub auspiciis increatae personalis Sapientiae rerumque post Deum arbitrae elucubrationes oratorio-poéticae theorico-praticae publice erhibendae in aula maxima S. Frigdiani a philo- logis majoribus coram amplissimis septem proceribus institutore JoAcHIMo SALVIONIO; in-8° di pp. 28, senza note tipografiche. — [Lettere]. — in Sull’occupazione di Massa di Lunigiana fatta da” Francesi nel 1796, lettere di un giacobino [edite e annotate da Giovanni Sforza]. Lucca, Canovetti, 1879; pp. 57-59. Sono tre: una è indirizzata al P. Cesare Andreoni di Lucca, due al fratello Girolamo. B) Scritti inediti. 1. — Sistema filologico italico-latino, teorico-pratico, oratorio-poetico, dettato nelle Scuole di S. Frediano |di Lucca] dall’IU"° Sig. GrovaccHIno SaLvioni, Pubblico Professore d’ Elo- quenza; ms. in-4° nella Biblioteca del R. Archivio di Stato in Massa. 2. — Poesie. Sono autografe e si trovano nelle ultime 22 carte della Miscellanea di notizie su Massa di Carrara, raccolte da Girolamo Salvioni, ms. in-fol. nella R. Biblioteca Estense di Modena [Rac- colta Campori, n° 1688]. 3. — Carmina sacra; ms. in-8° di pp. 40, nella Biblioteca del R. Archivio di Stato in Massa. È una raccolta fatta nel 1823 dal prof. Francesco Buonanoma di Lucca. Sono del Salvioni le poesie che si lesgono a pp. 1-14, 19 e 25; tutte contrassegnate col nome di lui dal raccoglitore, e son tutte in latino, tranne il Sonetto în lode de Sig." Fiorentini e il Sonetto bernesco di Gio- vacchino Salvioni, con protesta dell'autore, che nel fare questo sonetto non ha avuto la mira di mettere in derisione il SS. Sagramento della Penitenza, ma solo Vha fatto per bizzarria poetica. Diverse altre poesie latine, contenute nella raccolta, benchè non portino il nome del Salvioni, sono forse di lui. I Poesie latine inedite di Giovacchino Salvioni. db Ad divinam Sapientiam invocatio. Oh Patris lumen, magni o Sapientia patris, Unde hominum generi venit amica salus; Unde tot egregii novere oracla Prophetae, Atque tot eximiis Patribus unde rigor; Unde et Cecropidum, Romanorumque potenter Indita vis animis, mentibus unde vigor; Florueruntque artes, et quidquid ubique locorum est Nobilis ingenii nobilis eloquii; 24 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GrovaccHINO SALVIONI | Te vocat Aesarei te nobilis aula Lycei, Palladiisque vocat sueta juventa choris; Tu recreas animos, Tu lumen mentibus addis, Te sine nil charum, te sine grande nihil. 2. Spinarum honores. Quid decus antiquum flores jactatis olentes Quid rosa quid jactas Cypridos esse decus? Spina meret, plantas inter, Regina vocari; Nam regis regum circumit una comas. 3. Christus catenis ligatus sic homines alloquitur. Adspice uti triplices adstringant membra catenae Ferrea uti implexus vincla lacertus habet. Desinite oh metuisse mea jam fulmina destrae, Mittere tela usquam non valet arcta manus. 4. Crux Christi Divinitatis argumentum. Salve, o pulchra Arbor, nostrae monumenta salutis, Salve, o Cedriferi deliciae Libani, Tu mihi et argento fulvo et pretiosior auro, Tu mihi presidium, tu mihi dulce decus; Nam memoras laceros clavis immanibus artus, Saucia terga flagris, tempora secta rubis. Salve clara Arbor, in te mea vita pependit, Vindicat et Prisci tristia damna Patris. Oh age, flecte tuos, Arbor pulcherrima, ramos, Oh age, lentescat patrius ille rigor. Cumque tuis arcte nectenti brachia truncis In te dulce mihi vivere, dulce mori. 5. De SS. Iesu Christi Corporis festo. Crastina cum veniet roseis aurora quadrigis Et Iunii undecimum pandet ab axe diem, Numen triticeae clausum sub imagine frugis, O Martine, tuis aedibus aspicies. 6. Ad SS. Virginem invocatio. Virgo decus Celi, per quam Sapientia terris Edita mortales induit exuvias, Descende oh Ccelo Regina, et, te auspice, diva, Intenta in laudes insonet aula tuas. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR., E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 1. d De immaculata B. Marie Virginis conceptione. Incolumis Noé hospitio fuit arca, futuro est Incolumis Virgo Numinis hospitio. Diluvio in magno dum vastus fluctuat orbis, Una per immensas arca triumphat aquas; Sic, genus humanum sceleris dum mergitur estu, Virgo intacta feris fluctibus una manet. 8. Divini Verbi incarnatio in utero Virginis. Aligeri proceres, Coeli stupeatis et orbes, Terra, erebos, magni stagna profunda sali: Quem loca non capiunt, qui se comprenditur uno, Virgo hune augusto concipit alma sinu. : gi De S. Iosepho. Sancte Senex cui sorte datum divina tueri, Ore atque amplexu colloquioque frui ; Cui septem gemina longe trans ostia Nili Factus es obliquae duxque comesquersvie. 10. In Lucensis Republicae salutem vota. Cui Solime quondam fundatus jaspide murus Cui fulgens basis firma Zaphirus erat: Unde Philisteum jussae procul ire phalanges Unde Cananeidon praelia pulsa procul: Oh precor, Aesareas serves in saecula gentes; Crescat et aucta tuis Luca sub auspiciis. Il, De S. Paulino. Concelebrat Pauline tuos pia Luca triumphos, Accenditque ignes et pia vota novat. 2 De S. Catharina V. et M. Eloquia Catharina suo ingenioque potenti Attrahit argutos ad sua dicta Sophos. Mirum! quod Socratis, quod non potuere Platonis Grandia verba, illud femina sola potest. 5) GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII |[GIrovaccHINO SALVIONI | DO Si 13. De S. Frigidiano. Frigidiane, sacre decus immortale thiarae. Cui nitet aurato dextera fulta pedo, Cuius ab exuviis jamdudum Luca superbit ; Laus venit intactae sancta pudicitis. 14. De S. Davino (1). Aesar da flores, cineri da thuris acerras, Ut tibi pileoli munera ferat opus; Davinides, ut morborum genus omne fugaret, Mirum! huc estrema venit ab Armenia. 165, De S. Zita. Serva Fatinelidum imperiis quae paruit olim, Nunc domina Colo gemmea sceptra tenet ; Nune volat auratis roseum super Aesara pennis, Nosque fovet placidis Zita superciliis: Nunc frenat ventos tempestatesque sonoras, Tritica nunc campis surgere lata jubet. Oh age; Lucensem de Coelo respice gentem Atque fove validis cuneta patrociniis, Fulgida dum splendent sollemni templa paratu, Exibet et rutilas nobilis urna faces; Dumque refulgentes sparguntur floribus arae Alterna et summis turribus aera sonant; Atque Fatinelidum tantae dum plaudit Ephebae, Aesaridas gentes respice, Zita, tuas. Sors ancillae humilis, fortuna abjectaque, monstras In caelo quantum nacta sit imperium. 16. In S. Aloysium. Festum Gonzaga leto celebrate triumpho, Liliolis aras et decorate suas. Ore ciete modos, manibus date lilia plenis, Ore ciete modos, oh date serta solo. (1) È un pellegrino armeno, che essendo di passaggio a Lucca, vi morì il 3 giugno del 1050 e fu sepolto nella chiesa di S. Michele, dove anche adesso se ne conserva e venera il corpo; essendo stato, per quanto si dice, canonizzato da papa Alessandro II, nel sinodo da lui tenuto a Lucca il 1070. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 27 IliTfo Ingeniorum gloria perennis. Regna Urbesque cadunt: ubi nune Babilonica turris? Oh ubi Achemeniae, nunc domus Assiriae? Persica Regna jacent; Thebas, Bimaremque Corinthum Cecropiamque urbem vasta ruina premit. At non ingenia annorum, aut fuga temporis ulla Diruet, aut validae bellica tela manus. Qua Sol exoritur, rubris qua se occulit undis Ingenium eternas vivit Olympiadas. 18. De arida humo imbribus irrigata. Tritica flavescunt vastis cerealia campis Et seges a curva falce secata cadit. Arida per vastos languebant tritica campos, Cum vigna cecidit plurimus imber aqua. Il8), Opus bombicum (1). Italides Nimphae, divum genus, aurea Coeli Progenies superis 2edita sideribus, Queis natura sagax, pulchrarumque aemula rerum Quidquid Dedalei est, quidquid et egregii Indidit articulos, ad quod vix textile, natos Formosasque manus vimque animi eximiam. Tam placeat numeris vestros cecinisse labores, Unde decor Clamydum vestibus unde decus. Sequana quae miras post hac imitata per artes Flandriasque egregium fingere novit opus, Aggredior; vos inceptis votisque favete Hoc decus ascreis quantum Eliconiasin! 20. Lusus in vindemiam. Adspicis ut patulis frondescat vinea campis Et vitis largas florida pangat opes. Adspicis ut madida turgescant vitibus uvae, Ruricole et nudo sub pede musta fluant. Adspicis ut laqueos disponat margine Thyrsis, Abditus et ficto murmure fallat aves. (1) Pare che avesse in animo di fare un più lungo carme, e questi versi ne fossero il principio. Forse non lo seguitò, o si è perduto. o 28 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIovACCHINO SALVIONI ] III. Praestantissimo viro Vincentio Lunardio, domo lucensi, universae Europae plausibus excepto, aeream navigationem XV quintiles e patria su- scepturo (1), elegia, auctore Ioachimo Salvionio in Lucensi literarum publico instituto eloquentiae ac poeseos professore. Nil mortalibus arduum est, Coelum ipsum petimus. Orazro, lib. II, ode III, v. 19. Quae solita es sacros Pindi tentare meatus, Antraque hyanteis grata Heliconiasin, Et modo pindarico serutarier Aona nisu, Et modo maeonias ire redire vias, (1) I lucchesi hanno una pagina nella storia dell’aviazione e dell’areonautica. Racconta Domenico Maria Manni che Paolo Guidotti, “ nato nel territorio lucchese l’anno 1569, prefiggendosi di trovare il modo di “ volar a guisa che gli uccelli, in qualche porzione d’aere, tanto annaspò, che con assai pensiero provve- “ dutosi di materiali ch’ei credeva necessari, si pose adagio, adagio, facendo e disfacendo, un gran paio “ d’ale d’osso di balena, coperte di penne, e dando ad esse la piegatura conveniente mediante alcune molle, © ch’ei si congegnava addosso sotto le braccia, affinchè gli fossero d’un po’ d’aiuto per alzar l’ali medesime “ nell’atto del volare. Indi, dopo essersi molte e molte volte provato, finalmente si scapriecì e venne al “ cimento; e spiccandosi da luogo eminente, coll’aiuto delle medesime si staccò e si portò per un poco “ avanti; non volando, ma abbassando, e cadendo più adagio di quel che senza l’ale avrebbe fatto. Ma “ tosto, dal faticoso muover le braccia, cadde sopra un tetto, ed egli per l’apertura si trovò nella stanza di “ sotto colla rottura d’una coscia ,. Cfr. Manni D. M., Le veglie piacevoli ovvero notizie de’ più bizzarri e giocondi uomini toscani, quali possono servire di utile trattenimento. Terza edizione fiorentina con annotazioni e aggiunte, Firenze, a spese di Gaspero Ricci da S. Trinità, 1816; VIII, 77-78. Il Manni giudica un “ bel segno di pazzia , l’ardito tentativo del Guidotti, e lo chiama “ scimunitello , per giunta. Il ridicolo è la ricompensa che il mondo insipiente dà sempre ai precursori! A Tommaso Trenta “non sembra verisimile , che il Guidotti sia nato nel 1569. Andò a Roma “in età giovanile, verso il 1582, sotto il pontificato di Gregorio XIII ,; lasciando però in patria alcune opere, che, “ alquanto esercitato nelle tinte ,. La sua nascita è dunque da riportarsi a qualche anno prima. Cfr. Trenta T., Notizie di pittori, scultori e archi- sebbene lo mostrino “ tuttavia nuovo nella professione ,, lo provano tetti lucchesi per servire alla storia delle belle artì ne’ secoli XVII e XVIII; in © Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca ,, VIN, 125. A Roma prese a studiare le tre arti del disegno, la musica, la poesia, le matematiche, la medicina, il diritto civile e canonico, in cui ottenne d'esser laureato. Caro al cardinale Scipione Borghese, per mezzo di lui entrò nelle grazie del pontefice Paolo V, suo zio, che lo regalò d’una collana, lo fece cavaliere di Cristo, Io nominò conservatore di Roma e gli diede il proprio cognome. Anche la Repubblica di Lucca, alla quale offrì la sua grandiosa tela, che raffigura la Libertà trionfante, gli decretò una collana d’oro e gli fece un donativo di cento scudi. A giudizio, peraltro, di Michele Ridolfi, “ era uno di quei pittori (de’ quali non sì è ancora spenta la razza) che tutta la loro gloria ripo- “ nevano nel far presto anzi che nel far bene, e perciò tiravano via di maniera e senza studi di sorta alcuna: “ che sarebbe paruto loro un perditempo lo stare a consultar la natura ed a fare studii per siffatte cose ,. Cfr. RipoLri M., Scritti d’arte e d’antichità, Firenze, Successori Le Monnier, 1879, p. 159. Di straordinaria abilità fu però nell’improntare al vero le fisonomie nei ritratti. Datosi alla scultura, per testimonianza di Giovanni Baglioni, “ fece un gruppo di sei figure dentro un pezzo di marmo bianco ,; opera che “ molto: piacque ,, ma della quale s'è smarrita ogni memoria. Si rileva però da un epigramma del cav. Marino rappresentasse S. Pietro dopo che nel pretorio ha negato di riconoscere il suo Divino Maestro. Un busto femminile, in marmo esso pure, scolpito da lui, venne cantato da Tommaso Stigliani con versi non. affatto infelici. “ Egli parimente , (è sempre il Baglioni che scrive) “ fu architetto della canonizzazione di S. Isidoro, o de’ cinque santi, e grand’utile ne ritrasse ,. Cfr. Bagcione G., Le vite MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. i. 29 Callimachi nemus indugredique, coique Philetae Currere et alternis dulce ebur unguiculis, Unde repercussae sonuerunt Daphnida sylvae, Bathyllon, Dryadas, Tityron, Hircipedes, Et mirata suos tenuerunt flumina cursus, Mutaque lesboas saxa secuta fides, Sume animos, Elegia, novos; terrisque relictis, Assuesce ignotas aetheros ire vias. de’ pittori, scultori, architetti ed intagliatori dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 fino a’ tempi di papa Urbano VILI nel 1642, In Napoli, 1733; pp. 191-193. “ Era vivace d’ingegno, e dalla natura avea grand’inclinazione all’operare ... Sonava quasi ogni sorta “ di strumento sopra la parte, e di musica parimente cantava; e a tutte le cose applicava il suo cervello... “ Si dilettava di poesia, e vi aveva genio, ed in ottave faceva la Gerusalemme distrutta con le ultime parole “che sono in quella del Tasso, che fece la Gerusalemme liberata ,.* Seguito a valermi della penna del Ba- glione. Un altro suo contemporaneo Gio. Vittorio de’ Rossi, alla sua volta, scrive: “ Quod vero ad poèsim “ attinet, nemo inficias ibit, doctrinam illi atque artem, non naturam et celeritatem ad faciendos versos “ defuisse; qui eius ab ingenio, tanguam a fonte flumina, uberi vena fluebant. Pene innumera scripsit, quae, “ non tam re, quam proposito ac voluntate laudantur,. Cfr. Janr Nico Eryrarari, Pinacotheca imaginum illustrium doctrinae vel ingenii laude virorum qui auctore superstite diem suum obierunt, Guelferbyti. apud Jo. Christoph. Meisnerum, 1729, p. 122. Volse la mente anche all’astrologia giudiziaria, della quale (al dire del Trenta) “nel caldo della sua “ immaginazione reputava talvolta di avere scoperto alcuni principii indubitati, e di cui non pochi de’ suoi “ contemporanei erano fra lo stupore giunti a persuadersene ,. Morì nel 1626, “povero tanto che negli © ultimi anni fu costretto assai volte a cercare nei nascondigli e nella fuga un riparo dai creditori impor- “ tuni ,. Da Orsola di Paolo Torrini, romana, ebbe sei figliuoli, tra femmine e maschi. Cfr. Luccmesini C., Opere, XVIII. 69 e 93. Gli sopravvisse soltanto Giustiniana, che il padre “con ogni possibile diligenza , (come afferma il Baglione) “in tutte le virtù sì di donna, come anche d’uomo, fe’ ammaestrare ,; e che nella pittura, come attesta il Trenta, “© fece ella non mediocri progressi ,. Veniamo adesso all’areonauta Vincenzo Lunardi, nato a Lucca nel 1759, morto a Lisbona nel 1799. La famiglia sua, appartenente all'antica nobiltà lucchese, era caduta in bassa fortuna; fu questa la cagione che lo spinse a lasciare la vecchia e vedova madre e le due piccole sorelle, per tentare d’aprirsi una strada lontano dalla patria. Recatosi a Londra, prese a commerciare d’olio e d’ulive, che si faceva mandare da Lucca; insegnò lingua italiana, geografia e disegno alle “ damigelle inglesi, a mezzo zecchino per lezione ciascuna ,; servì come segretario il Principe di Caramanico, ambasciatore di Napoli presso il Re d'Inghilterra; la città lo fece “ membro dell’onorabile Compagnia degli Artiglieri: corpo di tutti gli officiali, di cui il Principe di Galles era capitano generale ,. Versato nella meccanica, prese a studiare il perfezionamento delle armi da fuoco e inventò de’ cannoni a retrocarica. Finì col darsi all’ areonautica, appena si fece di moda. Come è noto, il primo pallone areostatico venne lanciato in aria ad Annonay il 5 giugno 1783 da Giuseppe e Stefano Montgolfier, che ne furono gl’inventori; il 15 ottobre dello stesso anno Pilaàtre de Rozier per il primo osò farvi un volo. Erano effimeri successi, non avendo le mongolfiere forza sufficiente per elevarsi a grandi altezze e tanto meno per rimanere in aria lungo tempo. “È merito di © Vincenzo Lunardi d’essere stato fra i primi a riprendere e perfezionare lo studio che già aveva iniziato © Tiberio Cavallo nel 1781, per la ricerca e lo sviluppo d’un gas meno pesante dell’aria, di cui dovevano “ essere riempiti i palloni. Ed eccolo infatti padrone di una ben capace macchina areostatica, gonfiata con “ idrogeno e per mezzo di un ingegnoso metodo da lui inventato librarsi al di sopra dell’Inghilterra e della © Scozia in numerosissime ascensioni, compiute fra gli anni 1784 e 1786. Alcune delle quali sappiamo che © furono davvero felicissime, perchè oltre trattenersi in aria molte ore, attraversò col favore del vento con- “ siderevoli distanze ,. Cfr. Lazzarescni E., Un arconauta lucchese Vincenzo Lunardi, Lucca, tipografia arciv. S. Paolino, 1909; in-12° di pp. 26, col ritratto del Lunardi e il disegno del suo pallone. De’ suoi viaggi aerei nell’Imghilterra e nella Scozia ne fece, per lettera, la storia ad un gentiluomo lucchese, che era tutore della sua famiglia, Gherardo Compagni, e la mise alle stampe, in lingua inglese, offrendola in omaggio al Duca e alla Duchessa di Buccleugh. Cfr. An Account of five aerial voyages in Scotland in a series of letters to his guardian Chevalier Gerardo Compagni by Viscent Lunarpr Zsg., Edimburgh, 1786; in-8°. Venuto in Italia, il 17 giugno del 1788 si accinse a fare un volo a Lucca per dar prova del proprio 30 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GiovAccHINO SALVIONI | An ne paves tremebunda? Solo non longius imo Tentandum primae nunc regionis iter. Haud visendae Hyades propius, gelidique Triones, Hydrochoos, Chelae, Plejiadumque chori ; Non jubar Olenium et vesani stella Leonis, Quique ignem rabido spirat ab ore Canis. Haud opus hic Phoebi ducis, auspicis arte magistra, Insuetas doceat qui Phaétonta vias, ardimento e della propria bravura a’ suoi concittadini. Da Firenze vi accorsero i figli del granduca Pietro Leopoldo; dalle città vicine un'infinità di curiosi. L’anfiteatro delle corse, dove l’ascensione doveva aver luogo, era pieno zeppo di gente. I primi posti costavano uno zecchino; gli altri, dieci paoli. Pieni di gente i tetti delle case, le mura della città, i campanili. Perfino le monache facevano capolino dagli abbaini e dalle soffitte. Il volo tanto aspettato disgraziatamente fallì. Così ne spiega la ragione Gio. Attilio Arnolfini, uno dei più valenti scienziati che allora avesse Lucca. “ Le prime disposizioni erano comparse sufficienti. “ Se non che il Lunardi parve troppo confidare nelle medesime, operando con soverchia franchezza. Tre “ grosse tina aveva preparato per l’effervescenza delle limature di ferro con lo spirito di vetriolo. Due di esse operarono bene, vedendosi gonfiato il pallone di gas prontamente; onde crederono di mandare in “ “ aria, come seguì, il piccolo globo, del diametro di palmi 1,20, per foriero del grande. Ma, o fosse la distra- “ zione che produsse agli operai il detto foriero, o la poca avvertenza usata nel regolare l’ effervescenza, “ accadde che aggiungendo nella tina spirito di vetriolo e ferro, si accrebbe la fermentazione in modo che atterrò e forzò li detti vasi ed annessi tubi di latta. Fu d’uopo dar mano ad un terzo vaso, ma anche “ questo, a motivo di una non bene regolata effervescenza, non somministrò tutto quel gas che abbisognava, “e sollevando molto corrosivo vapore, rimase offesa una parte del pallone e della rete che sollevar doveva “la barchetta ,. Fin qui l’Arnolfini nella sua relazione, rimasta manoscritta. “ Per farla breve , (ripeterò con Cesare Sardi), “ il Lunardi, visto che il pallone non aveva forza sufficiente per trar seco la navicella, R “ costernato e mezzo impazzito, col coraggio della disperazione, tentò arrischiarsi ad una semplice tavola “ attaccata, che fe’ legare alla base dell’aerostato. Ma, durante questa manovra, avvenne che l’unica corda, “ per la quale il pallone era tuttavia legato al terreno, si staccò bruscamente, e quello in un attimo fuggì “ prima che il Lunardi potesse aggrapparvisi. Elevandosi ad un'altezza, che fu ritenuta di un miglio, il “ pallone andò a cadere a Carmignano a dieci miglia da Firenze. Il malcontento, le ire, le proteste del “ pubblico contro il Lunardi per la espettazione delusa possono facilmente immaginarsi ,. Cfr. Sarpr C., Vita lucchese nel Settecento, Lucca, tip. Baroni, 1905, p. 56. Anche a Roma, dove tentò un volo l’8 luglio dello stesso anno, non gli arrise la fortuna. A Napoli, il 13 settembre del 1789, si riapre la serie delle sue vittorie e de’ suoi trionfi. Il Lionne, inearicato d’affari del Re di Sardegna presso quella Corte, fin dall’8 dello stesso mese aveva scritto al conte Carlo Francesco di S. Martino, ministro e primo segretario di Stato per gli affari esteri: © Ce sera dans la matinée de demain “ que le sieur Lunardi, si le tems et les vents le permettent, compte de voler avec son ballon aréostatique en présence de toute la famille Royale. J'aurai soin de rendre compte à V. E. la semaine prochaine de la réussite de cette opération, qui peut ètre dangereuse ,. Il giorno 15 tornò a scrivere: “ Ce ne fut que (3 « © dimanche que le sieur Lunardi a effectué le voyage aérien qu’il devoit faire mercredi passé. A 9 heures du matin de ce jour fixé par le Roi, la famille Royale se rendit dans des loges que l’on avoit pratiquées dans une des cours du palais pour les Souverains et pour les particuliers. L’opération dura jusqu'à midi environ; alors tout étant prét, le sieur Lunardi se présenta à LL. MM. et leur demanda la permission de (1 “ “ s'en aller, et è peine l’eut-il obtenue, qu'il se langa dans la galerie, fit couper les cordes qui retenoient R le ballon et il prit son essort accompagné des plus vifs applaudissemens de la part des Souverains et du peuple nombreux, qui étoit accouru pour admirer ce spectacle tout nouveau pour la ville de Naples. Lersqu'il fut è une certaine élévation il òta son chapeau et salua avec beaucoup de courage; un moment, après il jetta en bas deux banderoles qu'il avoit avec une quantité de lest, et dans une demie heure il (3 disparut entièrement. L'on sgut le soir è 23 heures qu'il était descendu, sans avoir rien souffert, è Mar- © cianissa, village près de Caserta, d’où il revint en ville de la mème soir, et il se présenta hier matin è la Cour. Il regut 2000 ducats du Roi et 1000 ducats et une tabatière d’or des mains de la Reine ,. R. Archivio di Stato in Torino. Lettere Ministri. Napoli, mazzo 385. La fortuna d'allora in poi fu sempre amica al Lunardi: stanno lì a provarlo gli allori che colse co’ suoi voli nella Spagna e nel Portogallo. « MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 31 Piroin, Ethonemque, via qua flectat Eoum Ut modo lenta, modo fortia lora premat; Semita directos vitanda ut quinque per arcus, Ut geminos inter plaustra regenda polos; Quae fugiant aeque subjectam Aquilonibus Arcton, Aeque Austrum, ut medio tutius ire queat. Talia mendaces finxere per ocia curae, Quas urbs Romulidum Spartaque prisca tulit, Cum verum oblitae falso fucare lepore Cunceta ausae et levibus spargere cuncta jocis. Credita quae quondam veterum deliria vatum, Illusa et vanis fabula imaginibus, Historiam Galli, historiam fecere Britanni, Prae reliquis fecere Ausones historiam. Nulla quidem res est mortalibus ardua: coelum, Coelum ipsum insueta quaerimus ire via. Impulit Architae ad nubes ars mira columbas, Unde tarentinae Jam stupuere plagae. Visae ope Montani volucres ex aere volantes, Maximus unde olim Karolus haesit hians, Et Trasimeni ripae videre volatus, Oraque romano sanguine facta rubens. Kircherides vacuas fertur circum isse per auras, In gyrum alternas machina agente rotas. Lana prior cymbam miranda condidit arte, Carbasa quae medio panderet alta polo. Proin Montgolferius, longo proin Karolus usu Ignis ope in melius grande redegit opus. Rozeridem liquidum tentantes aéra primum Merceridem et stupidis Sequana vidit aquis. Mox Andrianidem Insubriae regina volantem Mirata adtonitis usque superciliis. Ipse et Blanchardus pennati remigis usu Audax aligeras est imitatus aves; Daedaleasque vovens artes, mentitaque vincla, Jam nullas proprio nomine signat aquas. Aemulas his vitreas LunarRDus ad Aesaris undas, LunarDus veterum fama Boactiadon, Quo terrarum usquam jam non praestantior alter A Thamesi algentes usque aquilonigenas, Oenotria mirante, novo trans nubila nisu Aérium mira dirigit arte globum. Ergo age; sume animos, immissa canalibus imis Flammea jam celeres elevat aura globos. Elevat et jam jam solvens a littore funem Cymba anceps spatiis fluctuat aéreis. Alternus flabri impulsus magis urget, eundo Acquirit vires navis adacta novas. 32 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIOVACCHINO SALVIONI] Altius adscendit campoque potitur aperto, Atque humilem elato remige spernit humum. Oh ubi nune vastae circum tua moenia moles, Luca, ubi xysta, domus, templa, theatra, viae! Jam nemora ex oculis terraeque urbesque recedunt, Flumineae adparent nil nisi rivus aquae. Nune mare velivolum subter terrasque iacentes Despice, Lucanae nunc ditionis opes; Quae rerum ante oculos series, qui nascitur ordo! Quam caris animum pascis imaginibus! Quae nemorum species subter, quae forma locorum! Quae juga oliviferis consita ab arboribus! Quam vitrei fontes, quae laeta rosaria circum! Quae seges et croceis cytria sylva comis! Culmina villarum romano condita luxu Hospita Garzonidis (1), hospita Bonvisidis (2), (1) La villa de’ Garzoni a Collodi, rinomata per il suo giardino, veramente stupendo. “ Posto sul pendìo “ di un colle è di un mirabile effetto visto dal basso, per concepirsene a un tratto la magnifica sua dispo- “ sizione architettonica non altrimenti che se fosse una scena da teatro. Più mirabile comparisce quando “ l’acqua, di cui abbonda, fa i diversi suoi effetti. Un vero torrente ne scaturisce dalla tromba di una statua “ eminentemente colossale rappresentante la Fama, che sta in cima al colletto. Raccolta in ampia vasca si “ sparge in varie guise sopra un largo e lungo piano fortemente inclinato, cadendo a fiocchi tra gli sco- glietti e finisce in due ricchissime fontane al piano, che s’innalzano fino a braccia 27 (15,94) in mezzo a vasche spaziosissime. Boschi superbi di lecci attorniano l'ampio giardino da ogni lato, darido con la tinta “ oscura un gran risalto alle statue e agli ornamenti architettonici, ma soprattutto all’acqua della Fama e “ della cascata, che figura qui doppiamente. 0% stupenda opra! oh dedalo architetto! potrebbe qui eselamarsi “ con l’Ariosto. Questo spettacolo dell’acqua forse è unico, almeno in Italia. Bisogna, per ben goderlo, che il sole la illumini, ed è dopo mezzogiorno, essendo il giardino volto a ponente. L’inventore e insieme di- “ rettore ne fu un signor lucchese, Ottaviano Diodati, che esercitava con lode l'architettura verso la metà del secolo XVIII per puro diletto. È fama che ei mandasse a Carlo III un suo disegno per il palazzo di “ Caserta; il quale avrebbe avuto la preferenza sull’altro del Vanvitelli, se quel principe, quantunque ric- “ chissimo e splendidissimo, non sì fosse sgomentato della spesa nell’eseguirlo ,. Cfr. Mazzarosa A., Guida di Lucca e dei luoghi più importanti del Ducato, Lucca, Giusti, 1843; pp. 170-171. La villa “ è situata sul non ripido dorso di tre piecioli monti, in uno de’ quali si scorge il palazzo, il € quale serve d’ingresso alla terra di Collodi, che sembra un sobborgo di quella: oggetto veramente grande “e maestoso... Una piccola galleria, che sovra un ponte si stende graziosamente, conduce dal giardino, “ dopo breve salita, al palazzo, ove un lusso delicato abbellì, senza un fasto pesante, le numerose stanze. “ Questo corto passaggio non è senza attrattiva; il torrente, che scorre sotto il ponte, porge, da una parte, “una veduta di opache piante e di alti monti; dall’altra di pianure e colline lietissime ,. Cfr. Frranpro Crerense [Antonio Cerati], Le Ville lucchesi, con altri opuscoli in versi ed in prosa, In Parma, dalla Stamperia Reale, M.DCC.LXXXIII; pp. 39-43. (2) La più splendida e amena delle tante bellissime ville della ricca famiglia Buonvisi, oggi estinta, era quella di Forci, ricordata da Ortensio Lando e da Benedetto Varchi, che vi furono ospiti. Il Salvioni però parla della villa de’ Buonvisi a San Pancrazio, così descritta dal conte Antonio Cerati di Parma: “ Questa nobile villa, nella quale il piovoso novembre e il freddo mese che termina l’anno lasciano alla “ primavera un placido asilo, è situata sovra un colle, il quale pareva colle molte sue ineguaglianze vietare “ all'industria gli ornamenti dell’arte. Ma che non può quella rivale graziosa della natura quando si sviluppa “ed agisce in anime degne del suo favore! Dalle irregolarità stesse della natura ricava origini nuove di “ nuove bellezze. Nella parte più bassa di quel colle si allarga un orto ubertoso. Un laberinto di carpini, “ tutto adorno di giovani piante, artifiziosamente disposte, formano un'elegante prospettiva. Sorge al suo “ fianco, da verdi siepi diviso, un ampio viale, che guida al palazzo, magnifica dimora de’ Bonvisi... Dal- “ l’altra parte di quel maestoso viale s’inalza una lunga striscia di terreno, ove l'erba, ingegnosamente com- “ partita in verdi piani, diventa all’occhio più lusinghiera ed allettante. Avvi nel mezzo una lucida fonte, (I G GC G MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 99 Atque in quincuncen positas ex ordine myrthos, Et segetum tractus, vitiferasque plagas Illa parte vides; spartano ac rura Phalanto Mansiadum (1) et rhodiis aemula deliciis. Ad juga Saltocli Orsetidum (2) pomaria, fontes Conspice, amicleas Coenamidumque (3) domos e vicina a quella, assisi tra’ scabri tufi di un’ampia vasca, due fiumi, i quali versando copia di acque cri- stalline, gareggian seco per allestire quest’atrio, dirò così, del maggiore giardino, al quale è aperto l’adito da una spaziosa scala di foltissime erbette ricoperta. Esso rimane situato in una larga eminenza per cui B si distende avanti una prospettiva vaghissima di laghi, fiumi, boschi, colline e popolati villaggi... Un appartamento elegante di folti carpini, pittoreschi piani d’odorose mortelle, di pinti fiori leggiadramente adornati, fonti, statue, accrescono di quel giardino la pompa, il decoro. Un boschetto di cedri, di una mole straordinaria, aggiungono a tanti pregi un nuovo ornamento... Questa villa però non è che bambina. GI Volgono pochi anni che la magnificenza elegante del sig. Francesco Bonvisi le diede un nome; pure nella © stessa sua infanzia si scorge quale sarà un giorno la sua regale grandezza. Ella è l’infanzia di un Ercole 5. Cfr. Frranpro CRETENSE, op. cit., pp. 13-17. (1) La villa de’ Mansi a Segromigno, posta in un sito ameno, con bella prateria davanti e con la veduta allora del lago di Sesto quasi a fior di terra, che a certe ore del giorno produceva un effetto magico. È ricca d'acque ed un ruscello artefatto, sopra un terreno in forte pendìo, dà luogo a cascate frequenti e vivaci. Bella la fronte del bosco, tutto a grandi alberi, in olmi, lecci, abeti, frassini, che il caso, più che l’arte, riunì lì da secoli in modo veramente pittoresco. Il salone della villa è adorno di pitture a olio in tela, e a tempera sul muro, opere bellissime di Stefano Tofanelli, lucchese, che le dipinse tra il 1785 e il 1790, per commissione del marchese Luigi Mansi, suo mecenate. Cfr. Mazzarosa A., op. cit.. pp. 166-167. (2) La villa degli Orsetti a Marlia: “ Una piazza, contornata di alte mura di ginepro, conduce al palazzo, “ fabbricato con svelta e nobile architettura; dalla parte opposta s’incurva e distende un atrio di folti alberi, “ tra’ quali si scorgono alcune piramidi di tufo, che offrono all’acque del vicino monte, col mezzo di canali, ‘ vie agevoli di uscire nel piano; assottigliate primieramente in lucidi veli, poscia spandendosi in larghe “ cadute formano esse una prospettiva graziosa di sussuranti ruscelletti. Lunghi viali di foltissimi carpini, frammezzati da piante annose rinserrano, con elegante varietà, fonti, giardini, peschiere ed ombrosi per- golati ,. Cfr. Frranpro CrETENSE, op. cit., pp. 25-26. Con contratto del 5 luglio 1806, rogato da Giuseppe Pera, fu venduta da Lelio di Bernardino Orsetti allo Stato per la somma di 128,000 scudi lucchesi, ossiano 725,274 lire italiane, e divenne residenza gradita di Felice ed Elisa Baciocchi, principi di Lueca e Piombino, poi della duchessa Maria Luisa di Borbone e del figlio Carlo Lodovico, che gareggiarono nell’ingrandirla e abbellirla. Maria Luisa, nata tra le magnificenze spagnuole, avendo gustate le grandezze medicee, voleva agiatezza e sontuosità. Fabbrica elegantissima per colonne, statue, bassi rilievi, sarebbe riuscita, nella villa di Marlia, la specula astronomica, già comandata da lei al valente architetto Lorenzo Nottolini; lunga oltre braccia sessanta, con due ali, una per la biblioteca, l’altra per un piccolo appartamento principesco. Ma “ “ rinunziatosi dopo la sua morte a tale idea, fu resa più semplice, non lasciando, per altro, di avere qualche importanza per la esteriorità sua e per le interne comodità come casino. Cfr. Mazzarosa A., Sulle opere e sui concetti dell’architetto e ingegnere Lorenzo Nottolini, ragionamento; negli “ Atti della R. Accademia Luc- chese ,; XVI, 305. (38) © Elegante , è chiamata da Enrico Ridolfi la villa de’ Cenami a Saltocchio; dove sorge pure quella “ splendidissima , de’ Bernardini, dal Salvioni non ricordata, © quanto maestosa pel fabbricato, altrettanto piacevole per le frescure e la varietà del delizioso parco ,. Cfr. Riporri H., Guida di Lucca, Lucca, Giusti, 1899, p. 180. L’abate Martelli-Leonardi ne’ suoi tre canti intitolati: L'idea dei giardini del sig. abate De Lille applicata alle mura e contorni di Lucca, inneggia anche lui alle “ e di quella de’ Cenami, a Saltocchio, scrive: sei principali e notissime ville , lucchesi; Con fidanza maggior, che tu lo degni Della tua compiacenza, ella ti spiega Saltocchio là, qual nobile matrona, Che serba i segni di sua gloria antica, E che di soda e vera pompa adorna Superba all’altre sembra dir: compagne, Voi per vaghezza giovanil, per gala Frivola seducete; ed io, più grave, Per mia grandezza e maestà sorprendo. Cfr. I Giardini ossia Varte d’abbellire i paesaggi del sig. abate De Line, traduzione, e VIdea dei medesimi 6) 4 GIOVANNI SFORZA — UN POETA ESTEMPORANEO DEL SECOLO XVIII [GIovAccHINO SALVIONI | Flore coronatas, circaque fluentibus undis, Instar Maeandri quos citat arte manus; Sanctinidum (1) moles et pulehrae Chloridos antrum, Signaque mentoreis aemula imaginibus. En procul arctoa algentum de parte Trionum Balnea montanis acta superciliis, Balnea pegaseis nil scilicet invida lymphis, Queis pretio cedat vitrea Callirhoe, Et Cyane et siculis ludens Arethusa rosetis, Crystalloque pares Blandusiae latices. Ille procul scabro qui defluit Apennino, Unde suas ducunt Tibris et Arnus aquas, Per nemorum anfractus sinuoso tramite serpens Saxosumque sonans piscibus apta domus, Aesar et Auser, eum veteres dixere Boacton, Unde Boactiadon incola nomen habet. Inspice quas fluvio imposuit Castruccius arces, Aggere quam vasto fraenaque fixit aquis. Vis contenta acie rerum spectacla novarum, Et quae sunt hominum impervia luminibus, Proximiora, viam vitro pandente, tueri? Ecce Galilejae nobile mentis opus, Grande telescopium magnigque inventa Britanni Et Boskowikii nobile Rogerii Instrumentum altos aptum metirier orbes, En Delalandi, en machina Casinidae. Quorum ope signorum leges ortusque obitusque Solemque et Lunae lampada noctivagae Mille vices sicula majorem videris Aetna Vulcanum egregii grande opus Hershelidae. giardini applicata alle Mura e contorni di Lucca, originale del sig. ab. Crisrorano-MartEo MaRTELLI-LEONARDI, canonico di Pietrasanta, Lucca, CIO.IOCC.XCIV. Presso Domenico Marescandoli; p. 182. Di questa villa scrisse il Cerati: “ Un lungo viale di pioppi da feconde pianure costeggiato, porta con insensibile graduazione ad un colle, ove quella si distende e divide in eleganti giardini, frammischiati artifiziosamente da vaghe selvette, da sentieri ombriferi, da pescosi stagni, da fonti limpide... La gran- diosa prospettiva di una montagna, la quale cedette la sua selvatica infecondità alla industria di una attenta coltivazione, segna gli ultimi confini di questo delizioso soggiorno ed offre con l’opposta pianura un contrasto piacevole ,. Cfr. Frranpro CrETENSE, Op. cit., p. 7. (1) La villa Santini, ora Torrigiani, a Camigliano. “ È questa , (scrive il Mazzarosa) “la regina di tutte le ville lucchesi, per la grandezza e maestà del palazzo, a cui rispondono altre fabbriche e gli annessi di di giardini e boschi. Ha il palazzo tre vasti piani signorili, e inoltre ogni maggior comodo per un servigio numeroso, con sotterranei per gli uffici: talchè pare piuttosto abitazione da sovrano di quello sia di un privato. Sorge il palazzo sul declive di un colle in mezzo a gran prateria, fiancheggiata da boschi annosi che contribuiscono a dargli maestà: e vi si ascende dolcemente di faccia per due strade semicircolari ornate di arbusti, di fiori, di vasi d’agrumi di rara grossezza... Tre belle fontane zampillando in mezzo a grandi vasche sul prato rallegrano il grave della scena. Riccamente è decorato il palazzo all’esterno da statue e ornamenti di marmo carrarese, come si costumava nel secolo XVII in cui fu fatto. Evvi qualche buon quadro al primo piano, tra i quali una Sacra Famiglia di Baldassare Peruzzi, e al terzo sono molte buone stampe ,. Nel vasto parco è da vedersi il giardino di Flora, “© ov'è una grotta assai bella, ricca di statue e piena di giuochi d'acque ,. Il bosco “è grande, folto, variato per il forte movimento del terreno ,. Cfr. Mazzarosa À., op. cit., pp. 168-169. R (I R R R R R R (I (I MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1. 35 Sed tempus proras submotae advertere terrae : Impellat celerem jam minor aura ratem, Extimus unde deorsum aér mage comprimat, unde Aurai levior vis minus intus agat. Scilicet in terras reduci cum maxima plaudet Visendi studio conglomerata manus; Quique bibunt Rhodanum fontemque binominis Istri, Tibridis atque Arni potor et Eridani, Quare age, scitantique viam narrasse memento, Auctori et patriae gloria quanta venit. Quod si poeniteat superos te linquere tractus, Astraque facta oculis proximiora tuis, Haud est, quod doleas, sua sunt quoque sydera terris : Sydera Mediceis aemula syderibus. —— e t@«-=te PRIFTOTUNR (Ot valutata atprtto tot stema bond’ tandit ou pia - piro MATISEZIO] cinitte spa) ani pig Serra anna vofole. bor deo: Para idrato asia AGNizta gtira0g Le bang) LALA RO RR MA ECO A ARI ERA si) atrattio ti. Alone non elia ab vili o Pelia aiat nonna) dat gere] nia atogi asti afro Lai got Mo drpda te sir niteangizat ate, pbbcp are tipi tito Boat Marradi Ao fot siftitasie adattato dibide brani aereo nodbqlieio snoda albmdi) pitt PRetiano MIA Pa orali nadintiano sta rame Shan aivala teudidare to Prado patio been; bt abate parta A sabati afrgat Alirvesi mio avete È Ì i Ì . 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Un trattato inedito di Giovan Battista Vasco. Sperduta fra le quasi inesplorate carte dell’amministrazione della zecca torinese tro- vasi l’anonima operetta che pubblichiamo (1). Ci consente di identificarne l’autore il rife- rimento, contenuto a pag. 38, ad altro scritto dello stesso relativo alla Cassa de’ risparmi del popolo proposta dal della Rocca; nota inserta a pag. 131 del vol. VIII della Biblioteca oltremontana e segnata con la sigla G.B.V., la quale fu notoriamente la firma adottata dal Vasco nella sua collaborazione alla benemerita rivista (2). Dell’esistenza di questo smarrito lavoro non è traccia in alcuna bibliografia o biografia del nostro. Ne manca qualsiasi cenno nella raccolta, pur così larga e diligente, del Custodi (3), nonchè nella necrologia del Vernazza (4), nella bella analisi critica di Giuseppe Pecchio (5), nelle notizie di Nicomede Bianchi (6) e nella commemorazione di Gian Giacomo Reymond (7). L’unica allusione che mi fu dato scoprire ad uno scritto, che certo fu noto a pochissime persone, anche fra le più intime, dell’autore incontrasi in un interessante e diligente studio di Casimiro Danna, pubblicato per l'inaugurazione del busto del Vasco nell’università tori- nese (8); dove, narrandosi come il marchese Incisa inducesse negli ultimi anni (1790-93) l'ospite amico a pubblicare alcune fra le migliori cose sue, si aggiunge: “ Così avesse messe (1) Arcaivio pr Stato DI Torino, sez. 1%, Materie economiche, “ Zecca e monete ,, maz. 7° di 2* addi- zione, n° 17. (2) Cir. A. Manno e V. Prowmis, Bibliografia storica degli Stati della monarchia di Savoia, vol. I. Torino, 1884, p. 250. (3) Cfr. Scrittori classici italiani di economia politica, p. m., t. XXXHII-XXXV. Milano, 1804. (4) BrsLioreca DeL Re, di Torino, Misc. 47, © Miscellanea patria ,, I, n° 15. (5) Cfr. Storia dell'economia pubblica in Italia. Torino, 1852, p. 137 e sgg. (6) Cfr. Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861. Torino, 1877, vol. I, p. 435 e sgg. (7) Cfr. Vasco, le sue dottrine e i suoi tempi. Torino, 1862. ; (8) Cfr. Intorno al monumento a G. B. Vasco, inaugurato il 3 di giugno 1862 nella R. Università di Torino. Relazione seguìta dalla biografia di lui documentata. Torino, Tip. scol. Franco, 1862. z GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA in luce parecchie altre scritture, che non sì sarebbero altrimenti smarrite!,; e, in nota, si riferisce il seguente appunto di Prospero Balbo: “ Fra i diversi lavori inediti del Vasco in argomenti d’economia politica, so che scrisse una brevissima operetta intorno alla Cartamoneta. Nel 1800 ne feci invano ricerca presso alcuni amici del defunto. Forse potrebbe averla il Senatore San Martino, e potrebbe fors'anche trovarsi fra le carte della Segreteria di Stato per gli affari interni, poichè credo che fosse dall’Autore presentata al conte Graneri allora Ministro, suo amico e protettore ,. “ Sulle traccie di questa annotazione trovata nelle serit- ture di P. B., io — completa il Danna — feci indagini, e non potei ne’ R. Archivi altra memoria rinvenire tra le carte del Graneri che una pagina di poco momento ,. La testimonianza preziosa di un contemporaneo del valore del Balbo toglie, se ne fosse d’uopo, gli ultimi dubbi circa l'autenticità dell’opera, che soltanto un caso fortunato poteva far scoprire, nella collocazione fortuita e tanto diversa da quella che i suoi ricercatori non irragionevolmente le assegnavano. La quale porge, fra l’altro, una nuova prova, delle inco- raggianti sorprese che offrono all'esplorazione paziente e coscienziosa le categorie men note del grande archivio sabaudo. Notevole invero sembrami realmente per ogni verso l’operetta rimasta oltre un secolo così gelosamente clandestina. Fu anzi il singolare valor suo, avvertito, fin dalle prime pa- gine, alla lettura, che mi indusse a ricercarne curiosamente la paternità, ignota agli stessi funzionari, i quali, pochi mesi dopo la sua compilazione, ebbero a riceverla e classificarla. Do- cumento di primo ordine per la storia speciale della politica economica in Piemonte, essa assume un'importanza ben più vasta rispetto alla storia generale delle dottrine economico- finanziarie, nell’ epoca di transizione e di formazione che precede e matura lo splendido fiorire della scuola classica. Nè credo sia esagerato affermare che, per essa, il posto asse- gnato al suo autore nella schiera dei preparatori e precursori della scienza venga ad esser recato in luogo sensibilmente più alto. Di Giovan Battista Vasco gli storici più recenti ricordan poco meglio che il nome (1). Il Cossa stesso vi accenna in termini assai sommari. Poco o nulla ne dicono gli stranieri. Non v'ha dubbio tuttavia che, per varietà di produzione, per equilibrio di criteri, per acume di senso critico, per limpidità d’espressione, egli meriti attenzione ben diversa fra la folla di scrittori fioriti in un’epoca in cui le rimanenze dei pregiudizi secolari ancor contrasta- vano il varco, anche nelle più aperte menti, alla esatta visione del fenomeno scientifico. Se non che gli argomenti a cui, con rara versatilità, si volse l’infaticata sua curiosità di in- dagare e di apprendere, e che vennero compresi nelle raccolte a stampa che possediamo, non hanno tutti quel pregio di originalità che, a distanza di secoli, segnala in modo par- ticolare alla considerazione degli studiosi un’opera erudita. Della moneta, delle corporazioni d’arte, della pubblica assistenza, della piccola proprietà rurale, della liceità e libertà del prestito ad interesse, dei modi di provvedere alla disoccupazione si interessarono, con non minore profondità e novità di vedute, contemporaneamente e precedentemente al nostro, parecchi insigni autori; nè il contributo innegabile di geniali intuizioni e di acute osserva- zioni recato dall'abate piemontese a taluno dei dibattuti problemi bastò ad assegnare di fronte ai posteri all'opera sua una impronta di personalità spiccata ed un'azione, sia pure parzialmente, decisiva sul progresso scientifico. Lo notò, rispetto a taluni di quei saggi, il (1) Ripetutamente però cita il Vasco E. Bònm-BaweRrk, Histoire critique des théories de l'intérét du capital (tr. fr.). Parigi 1902, vol. I, pag. 58 e sgg. Pi MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 3 Pecchio, mentre esprimeva per alcuni di essi, e specialmente per il Saggio politico della mo- neta, l'ammirazione più schietta. Ma la memoria che or viene in luce può, se troppo non mi inganno, modificare in parte il giudizio, rivelando un frutto dell’attività del nostro che, sebbene da lui stesso trascurato, ne illustra oggi meglio d'altri l'’acume d' intuito sagace; poichè lo svolgersi ulteriore della vita economica, conferendo subitamente una enorme importanza al tema teoricamente abboz- zato, sì incaricò di valorizzarne le conclusioni, pienamente confermandone i pronostici. Non meno armonica e completa del Saggio della moneta quanto alla logica struttura della trat- tazione, la monografia sulla carta moneta (che ne forma un ottimo complemento) ha, ri- spetto al primo, pregi di novità incontestabili, e perciò interesse di gran lunga maggiore. Riprodurlo integralmente sembra dunque compito doveroso a porre la figura dell’economista piemontese nella piena luce storica cui ha diritto. * * * Alla completa intelligenza del documento pubblicato tornerebbe certo di utilissimo, se non indispensabile, sussidio un’illustrazione storico-critica, che ne sottolineasse i rapporti con la dottrina contemporanea, italiana ed europea, e ne ricercasse le derivazioni positive nel materiale di fatti concreti offerti all’osservatore dall’economia locale ed universale dell’epoca. Ma simile studio espressamente riservo ad altra, più ampia indagine, a cui sto attendendo (1). A chiarire il posto da riconoscersi all'opera nella storia della dottrina, mi limito per ora a ricordare che, in tutta la letteratura economica del secolo XVIJI, non esiste una monografia speciale in cui l'argomento qui svolto sia trattato isolatamente e sistematicamente, senza diretto riferimento ad alcun immediato intento politico e con la giusta percezione delle rigo- rose distinzioni che esso comporta (2). Nelle numerose controversie a cui il problema dell’emissione diede luogo in Inghilterra sullo scorcio del secolo XVII, come nei famosi scritti di Giovanni Law e nei commenti in vario senso che provocò la sua catastrofe, il pregiudizio inflazionistico o la superstizione anti-cartacea costantemente si complicano con una pericolosa confusione fra circolazione di Stato e circolazione bancaria, fra carta fiduciaria ed a corso forzoso; onde non di rado ac- cade di rimaner perplessi circa il possibile riferimento delle teorie sostenute all’ uno od all’altro di tali fenomeni, così organicamente diversi. L’opera del Vasco appare il primo tentativo di veder chiaro, con una analisi sistema- tica. nella intricata materia. Intento particolarmente meritorio in un'epoca in cui la scarsità e limitazione degli esempi pratici neppur poteva fornire allo studioso sicuri criteri di cor- rezione e di orientamento, fra l’indeterminatezza letteraria e verbosa delle contrastanti teorie scientifiche. Pochi invero e di scarsa entità eran stati fino ad allora gli esperimenti di carta-moneta non bancaria, dopo il disastroso tentativo del Law, che nell'ultima, pazzesca fase s'era ri- solto effettivamente nella mostruosa applicazione del più sfrenato corso forzoso che imma- (1) Im una monografia di prossima pubblicazione, intitolata: Problemi monetarî e bancarîi nei secoli XVII e XVIII, ricercherò minutamente l'evoluzione delle teorie relative alle emissioni cartacee, in relazione agli esperimenti che se ne ebbero e proposero in più luoghi e particolarmente in Piemonte. (2) Non può considerarsi tale l’opuscolo scritto, a sostegno della carta-moneta, da Beniamino Franklin (A modest inquiry into the nature and necessity of a paper currency, 1729, riguardo al quale cfr. R. HmpesRAND, Franklin als nationalikonomist in “ Jahrbiicher fiir Nationalékonomie ,, Jena, 1863), nè la lettera giovanile di Turgot all’abate de Cicé, in risposta agli spropositi dell’abate Terrasson (1749). Cfr. ScneLLe, Euores de Turgot et documents le concernant, t. I, Parigi, 1913, pag. 28 e sgg., 142 e sgg. 4 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA ginar si potesse. Delle stravaganti prove fatte dal sistema nelle colonie nord-americane prima e durante la guerra di indipendenza non risulta avesse il Vasco speciale contezza, fuorchè attraverso quanto ne scrissero gli autori inglesi a lui noti (1). È invece probabile che egli conoscesse, almeno nelle grandi linee, l’assai più lungo, vasto e significativo esperi- mento compiuto in Russia, dove gli assegnati, istituiti nel 1768 come moneta cambiabile a vista, soltanto col manifesto del 28 giugno 1786 si avviavano alla inconvertibilità di fatto, che doveva condurli assai presto ad un progressivo discredito (2). Ma ben altro successo, per la prudenza con cui era stata a lungo maneggiata, aveva avuto (come altrove narre- remo) la carta-moneta piemontese; creata, in quantità limitatissima, pei bisogni della guerra di successione austriaca e non punto svilita, negli anni in cui il nostro scriveva, malgrado il raddoppiamento di circolazione attuato nel 1776. L’ottimo risultato del sistema fra noi può anzi ritenersi il motivo determinatore della memoria che ci sta innanzi; scritta eviden- temente per moderare le illusioni e gli entusiasmi con cui, negli ultimi anni di pace che precedono la catastrofe del regno, si chiedeva da molte parti, sotto varia forma, una politica audace di espansionismo ed inflazionismo cartaceo, ad eccitare le energie economiche e valo- rizzare le attitudini produttive del paese (3). Fino a qual punto potè contribuire alla circospezione di criteri ed all’equilibrio di vedute che sì rivelano nella positiva analisi del Vasco lo studio degli autori contemporanei, dai quali il problema fu discusso? Un’influenza innegabile e grandissima esercitò certo su lui l’opera recente dello Smith, al quale più d’una volta egli si riferisce come a maestro e di cui riproduce, concludendo, un periodo intiero. Se non che, mentre il sommo scozzese studiò mirabilmente il meccanismo, ai giorni suoi non per anco ben noto, della circolazione bancaria, del quale la patria sua gli porgeva istruttivi esempi, e dettò classiche norme di gestione prudenziale in quanto riflette le diverse operazioni fiduciarie connesse all’ emissione convertibile, ben poco ci disse per contro di quella a corso forzoso, ch'egli conobbe soltanto attraverso gli esempi americani e che condannò in massima, scrivendo che l’obbligare per legge un creditore a ricevere subito per il suo pieno valore nominale un biglietto non pagabile se non dopo qualche anno (e quindi attualmente scontabile a un prezzo ben diverso) “ fu un atto di sì violenta iniquità, come forse non mai era stato tentato da altro governo di qualsiasi nazione che pretendesse esser libera , (4). (1) Non è tuttavia possibile egli non ricordasse quanto al riguardo aveva osservato il Galiani, che la possibilità di accettazione e di circolazione d’un così strano medio circolante attribuiva unicamente alle singolarissime qualità morali della popolazione quacchera, fra la quale le frodi dei governi e dei governati rimanevan fenomeno ignoto. Cfr. Della moneta, 2° ed., Napoli, 1780, pag. 321 e sgg. (2) Cfr. F. De Rocca, La circolazione monetaria ed il corso forzoso in Russia, in “ Annali di statistica ,, ser. 25, v. XXIV (1881), p. 34 e sgg. (3) Se invero la data dell’opera non è precisamente nota, tutto intiero il suo contenuto si riferisce in modo evidentissimo alle peculiari condizioni di tali anni. Posteriore al 1789 (perchè vi si accenna all’esistenza dei primi assegnati francesi, creati, come è noto, il 21 dicembre di quell’anno), la memoria è certo anteriore al deprezzamento di quella carta, che già perde il 5% nel luglio 1790, il 9 °/o nel gennaio 1791, il 13 % nel luglio dello stesso anno (Cfr. P. Leroy-BrAurisu, Traité de la science des finances, 8° ed., Parigi, 1912, v. II, pag. 717). Siccome, nella nota a pag. 13, il nostro parla come di eventualità soltaùto futura di un possibile deprezzamento del 4%, sembrami possa ritenersi scritto il trattato al principio del 1790, quando, d'altronde, non essendovi sintomo di prossima guerra, è concepibile fosse ancora il problema prospettato in vista di uno stato di pace durevole e profonda. Sarebbe dunque l'opera contemporanea o di poco anteriore ai me- morabili rapporti sul credito e sulle banche (1790) di A. Hamilton, a cui non è certo inferiore per acutezza di analisi critica. (4) Cfr. Wealth of nations, 1. II, cap. 2°. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 5 Delle interessanti ricerche di un altro economista, che godette, in quegli anni, di noto- rietà assai grande, Giacomo Steuart, non risulta siasi giovato il Vasco nel presente saggio. Nel suo celebre trattato d'altronde — comparso in veste francese nel 1789-90, e fre- quentemente citato dai contemporanei — in cui molti sono i capitoli che riguardano la cir- colazione cartacea, invano si cercherebbe una distinzione rigorosa fra biglietti convertibili e a corso forzoso; mentre, rispetto a questi ultimi, non mancano consigli d’incauta larghezza, indizio di disconoscimento o d’ignoranza dei principî essenziali circa l’indole e la funzione loro (1). Molto probabilmente invece il nostro ebbe presente, nella enumerazione dei vari titoli cartacei circolanti, l'elenco critico fattone da Antonio Genovesi, il quale però non accennò se non di sfuggita ed oscuramente ai biglietti di credito inconvertibili, applicando a tutte le forme di carta-moneta le stesse generali conclusioni (2). Incontestabilmente più originale e superiore a quanto ci offre in materia la scienza dei suoi tempi appare dunque la dissertazione nella quale l’abate piemontese affronta genial- mente la vergine novità del complesso tema. La mirabile chiarezza di idee, che è fra i pregi culminanti della limpidissima sua mente, lo guida anche questa volta non meno nel preli- minare suo lavoro di classificazione (pel quale si istituisce una netta separazione fra le tre specie di circolazione: cambiali, biglietti di banca, biglietti a corso forzoso), che nella espo- sizione riassuntiva e propedeutica di taluni fenomeni, i quali, sebbene più d'una volta de- scritti anche da scrittori assai più antichi, non mai ci occorse di veder prospettati e noto- mizzati con altrettanta evidenza: uso del metodo induttivo e deduttivo nell’ economia politica; calcolo della ricchezza pubblica; teoria dei cambi esteri; influenza dei dazi sui prezzi di provenienza e d’arrivo; spese produttive ed improduttive per la collettività e pei singoli; funzione del credito; ufficio delle banche. Ma particolarmente interessanti mi sembran gli ultimi capitoli, nei quali, dopo una efficace rassegna degli espedienti diversi da cui origi- narono vari tipi di emissione di Stato, si passa a discorrere di proposito dei biglietti di credito inconvertibili, tracciandone, con sicurezza di linee, una teoria generale, che, a oltre un secolo di distanza, nulla ha perduto della sua freschezza, e facendone, con precisione di equilibrato criterio, una rigorosa applicazione alle condizioni economico-monetarie del Piemonte d'allora. L'analisi delle cause che, in un determinato momento, posson consigliare ad un paese la creazione di un numerario cartaceo, e, meglio ancora, quella delle conseguenze economico- sociali che ne derivano rispetto ai gruppi ed alle classi fra cui si diffonde, distribuisce e redistribuisce la fittizia ricchezza, sono disquisizioni che, pel sapore di modernità, ci fan di- menticare la data dell’ingiallito scartafaccio che ci sta innanzi. Non meno acuti sembrano i rilievi circa i perniciosi effetti che dall’abuso del corso forzoso fatalmente scaturiscono e le norme economiche e tecniche che se ne deducono per una solida emissione. Certo le verità affermate in queste conclusioni son divenute oggi, dopo la secolare espe- rienza, banalissime. Ma non era facile scorgerle e ridurle a sistema fra la discordante farragine di progetti e di teorie bancarie e monetarie che contraddistingue il secolo XVII, ed in un ambiente ormai irresistibilmente sospinto verso il feticismo della carta-moneta dall’alto cre- dito goduto, per cinquant'anni, fra il pubblico da quella primamente emessa. Consigli di astensione e di prudenza dati, nel nome della pura scienza, in tali circostanze, in aperto contrasto alle mal celate tendenze del governo, porgon singolare prova di indi- pendenza di carattere e di equilibrio riflessivo di mente. La crisi europea sovrastante do- (1) Cfr. Recherches des principes de V’économie politique ou essui sur la science de la police intérieure des nations libres. Parigi, 1789-90, t. IV, p. 73 e sgg.; t. V, p. 211 e sgg. (2) Cfr. Delle lezioni di commercio, ossia d’economia civile, 2* ed., Milano, 1768, v. II, pag. 44 e sgg. a 6 GIUSEPPE PRATO -— LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA veva ben presto, con le bancarotte monetarie di Francia, d'Austria, del Piemonte e cogli aggi fantastici della Russia e della stessa Inghilterra, assegnare ai lungiveggenti pronostici valore storico di ammonimento profetico (1). Ottobre 1914. GrusePPE PRATO. Saggio politico della carta-moneta. 1° Comprendo sotto questo nome ogni carta che nel commercio si cambia facilmente con moneta, o con merci, e che viene accettata per soddisfazione di debito. In questa maniera le cambiali, o pagherò, o altre simili carte dei negozianti sono generalmente carta- moneta, e lo sono in alcuni paesi cedole di monti, o banchi pubblici, biglietti di credito verso qualche pubblico erario; e simili carte. Ma una carta contenente la confessione di debito di una persona, che non sia negoziante, ovvero fatta in tutt'altra forma che nelle consuete dal commercio adottate, benchè giovi al creditore che la possiede per conseguire a suo tempo la soddisfazione del suo credito, e in questa maniera rappresenti nel suo scrigno la moneta istessa che gli è dovuta, non cade però sotto la denominazione di carta-moneta, poichè non si troverebbe facilmente in commercio chi volesse comprarla anche mediante girata; e solo potrebbe valersene il creditore come di un’ipoteca ostensibile, su cui assicu- rare una somma di danaro che volesse improntare da altri mediante una nuova carta con- tenente la sua confessione di debito. Nella stessa maniera non si comprendono sotto il nome di carta-moneta quei biglietti di alcun pubblico banco, o erario, che non si pagano. a qualunque presentatore dei medesimi, ma solo a quella persona in cui nome son stati intestati. Benchè queste carte rappresentino un capitale in danaro, ciò non ostante quando questo capitale non è trasmissibile in dominio altrui colla sola remissione della carta, ma richiedesi perciò un nuovo contratto, allora quella carta non può avere le proprietà della moneta. Due sono adunque le condizioni essenziali della carta-moneta: la prima che la carta contenga una vera obbligazione contratta da alcuno di pagare una certa somma, la seconda che il possessore della carta, chiunque egli siasi, mediante una girata fatta in suo favore dal possessore antecedente, abbia diritto di farsi pagare dall’originario debitore, benchè per alcune specie di carta non si richiegga nemmeno alcuna annotazione, o girata. 2° È poi cosa indifferente riguardo alla qualità di carta-moneta il tempo prefisso più o men lungo pel pagamento; sono egualmente carta-moneta le cambiali a vista, e le cam- biali a termine o ad uso. Il commercio tiene conto dell’interesse corrispondente al ritardato pagamento, e si estimano quelle carte e si vendono più o meno, secondo che esse conten- gono l'obbligazione di un pagamento più o meno presto. 3° Quand’anche l’estimazione comune in commercio di queste carte non corrisponda esattamente alla somma di danaro in esse notata, ciò non toglie alle medesime la qualità di carta-moneta; sono esse sottoposte ad essere vendute o cambiate con aggio, o con per- dita come la più parte delle monete d’oro e d’argento, il cui valore è variabile e fluttuante nelle ‘piazze di grande e vivace commercio. (1) La prima opera sulla carta moneta che, per ampiezza di trattazione e rigore di analisi, ricordi questa del Vasco credo siano i capitoli consacrati a tale argomento da E. Srorca, Corso di economia politica 0 espo- sizione dei principii che determinarono la prosperità delle nazioni, trad. it. in “ Biblioteca dell’economista ,, ser. 1°, y. IV, p. 381 e sgg. (uscito nel 1815). Ma l’acuto pedagogo dei principi russi concentrava appunto nel libro l’esperienza del periodo rivoluzionario e napoleonico, ch’egli aveva avuto agio di osservare e studiare. tl VR E I TTT T_T, TTT ici MEMORIE - CLASSE DÌ SCIENZE MORALI, SPOR. È FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 7 4° Finalmente non interessa la qualità di carta-moneta che alcuna carta sia sponta- neamente accettata e cambiata in commercio, o che lo sia sforzatamente per disposizione di legge; non cessano di reputarsi monete quelle d’oro o d’argento che non hanno corso in tariffa, ma solo un corso abusivo, e ciò perchè si trova facilmente chi le piglia in cambio di una merce, o in soddisfazione di un debito. Così le cambiali ed alcuni biglietti di pub- blici banchi ritengono la qualità di carta-moneta benchè sia libero a chiunque di ricusarli, purchè trovino facilmente chi gli accetti; le carte esposte in commercio in un luogo dove non fossero conosciute, e per conseguenza venissero comunemente ricusate, non avrebbero la qualità di carta-moneta in quel luogo, come non avrebbe la qualità di moneta un oro coniato nel paese dove è sconosciuto, poichè ivi si venderebbe come merce e non come moneta. Anche una cambiale d’una firma sconosciuta in molte piazze non trova esito al- trove che là dove è conosciuta la firma, e perde su quella piazza ov’è sconosciuta la qualità di carta-moneta. 5° Fissata così l’idea precisa, che corrisponde alla generale denominazione di carta- moneta, sarà più facile l’esporre colla dovuta chiarezza quali esserne possano i vantaggi, o i danni politici. Osservano alcuni che, presso nazioni ricchissime e dove assai fiorisce il commercio, è abbondantissima la carta-moneta; conchiudono quindi che l'introduzion della medesima abbia contribuito assai ad arricchire quelle nazioni; altri riflettono che nulla Vvha di più facile che il creare quando si vuole abbondantemente in un paese moneta di carta, massimamente interponendovi la sovrana autorità; conchiudono quindi che non vi sarebbe nazione alcuna che per questo mezzo non sì fosse arricchita, se veramente a tal fine giovasse la carta-moneta, e sospettano una qualche illusione nell'opinione di coloro che alla carta-moneta attribuiscono un'efficace influenza nella pubblica ricchezza. 6° Sembra a prima vista che la esperienza dovrebbe esser la miglior guida per sana- mente giudicare i problemi di questa specie, che pur sono della più difficile indagine ; la sperienza ha quasi bandito dalle scienze naturali l’uso della metafisica, e sembra che lo stesso dovrebbe avvenire nelle scienze economiche e politiche; ma si vede poi d’altra parte, che in queste scienze i fautori di opinioni diverse, ed anco di sistemi affatto contrarii, s'appoggiano egualmente all'esperienza, e tutti citano in lor favore i fatti presenti e la storia dei passati. Ciò addiviene perchè ciascun fatto trovasi combinato con un grandissimo numero di circostanze, talchè riesce difficilissimo l’accertarsi quale di esse abbia a quel fatto più o meno contribuito. Così avviene anche in fisica qualunque volta o non si cono- scono tutte le circostanze che hanno accompagnato un fenomeno, o non sono state con re- plicati esperimenti separate tutte per determinare con sicurezza qual è stata la vera causa del fenomeno. Quindi l'incertezza che resta in tante questioni di fisica sperimentale, quindi gli abbagli presi, gli errori insegnati da molti anche ben abili osservatori di cose naturali. 7° Non è qui d’uopo che io esponga [e volendolo non le saprei tutte narrare] le cause che influir possono nella riechezza di una nazione; ciò mi basta per rendermi sospetti tutti gli argomenti, che trarre sogliono dalla storia i fautori ed i censori della carta-moneta. Un’osservazione assai grossolana conferma questo mio pensiero ed è che l'Inghilterra e Roma abbondano assai di carta-moneta, una è riputata ricca, l’altra povera, Parigi e Amsterdam sono reputate anche ricchissime, eppure ridonda nella prima la carta-moneta, non ve ne ha nella seconda. i 8° In quest'incertezza ho pensato che in simil genere di ricerche potrebbe essere più sicura guida la scienza dell’uomo, che non varia mai, per variar di tempo e di luogo. Intra- prendo dunque per questa via ad esaminare i vantaggi o i danni politici della carta-moneta. Non so ancora quali saranno i risultati delle mie meditazioni, non cerco prove per appog- giare un sistema già fitto in capo, cerco la verità, e, quale mi si presenterà, l’esporrò in questo scritto; se avrò a citare qualche fatto, non saranno che fatti ben semplici, a tutti noti, indubitati; prego il lettore a disporre l’animo suo ad un’eguale imparzialità. 8 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA Capo I. Delle cambiali. 9° La prima specie di carta-moneta introdottasi in commercio, credo che siano le cam- biali dei negozianti. Qualunque sia l'epoca di quest’ invenzione, è cosa ammessa da tutti che le cambiali hanno avuto origine dalla difficoltà di eseguire il trasporto del denaro da un paese all’altro. Analizziamo adunque in primo luogo l’origine ed i progressi delle cambiali. 10° Gli Ebrei espulsi di Francia, come narra Montesquieu, non si arrischiarono di portar seco il loro denaro, trovarono alcuni conoscenti, che erano creditori di diverse somme verso alcuni negozianti d’altri paesi, esibirono loro di soddisfarli mediante una loro lettera diretta ai loro debitori, in cui fosse loro ordinato di rimettere la somma dovuta al latore della lettera, da cui dichiarasse il creditore d'essere stato soddisfatto. Tale a un dipresso è l'origine delle cambiali. Per questa maniera si è risparmiato il trasporto del denaro, che voleva portar seco l’Ebreo fuggendo di Francia, e di quello ancora, che avrebbero dovuto mandare altri negozianti in Francia ai loro creditori; non v'ha dubbio che il trasporto del denaro effettivo, massimamente in paesi lontani, è dispendioso assai e soggetto a molti pericoli. Tutto ciò si risparmia colle lettere di cambio, ma ci vuole perciò che si trovino nei due paesi creditori e debitori reciprocamente, come suole addivenire in quelle nazioni, che hanno qualche commercio fra di loro per mezzo delle merci, che si mandano l’una al- l’altra scambievolmente. 11° Una sì bella, e sì comoda invenzione, non potè a meno d’essere prontamente adot- tata in tutte le nazioni commercianti. Il negoziante di Parigi, dovendo soddisfare un debito verso un negoziante di Amburgo, avrà subito cercato se nella piazza di Parigi trovavasi alcuno che fosse creditore di egual somma verso alcun negoziante amburghese. Così tutti facendo reciprocamente, è cosa chiara che i debiti e crediti reciproci tra due piazze, se sono di somma eguale, devono facilmente saldarsi colle cambiali. Ma, se il debito della piazza di Cadice verso quella di Marsiglia è maggiore assai di quello di Marsiglia verso Cadice allora troverannosi in Cadice più debitori che creditori verso Marsiglia. I debitori hanno interesse di comprare cambiali, i creditori hanno interesse di venderle, ma, essendo mag- giore l'interesse dei ricercatori che non sia quello degli esibitori, la concorrenza esuberante di quelli darà alle cambiali un prezzo maggiore del vero, o dell’intrinseco, e questo prezzo sarà eguale, o di poco eccedente la spesa ed il pericolo del trasporto effettivo del denaro dovuto da Cadice a Marsiglia eccedente la somma dovuta da Marsiglia a Cadice. Conviene dilucidare quest’asserzione con un calcolo. Sia il debito reciproco tra Cadice e Marsiglia di un milione di pezzi duri, riguardiamo per un momento ambe queste piazze come due Compagnie di commercio, ciascuna delle quali comprenda in un corpo solo tutti i suoi ne- gozianti; in questa supposizione l'interesse, il bisogno, la premura di pagare e di riscuo- tere è eguale fra ambi questi corpi, poichè è eguale la somma del credito, e del debito, nè si può immaginare ragione alcuna, o pretesto perchè si ricusi tra le due piazze il saldo reciproco del credito e del debito, senza alcuna trasmissione del denaro effettivo, che non potrebbe a meno di farsi doppiamente dall’una all'altra piazza reciprocamente, ma se al debito di Cadice prima che sia stato in questa maniera saldato si aggiunga un debito di altri 100.000 pezzi duri si farebbe il compenso per lettera del milione reciprocamente dovuto, ma resterebbe a carico di Cadice di mandare a Marsiglia 100.000 pezzi dovuti, a proprie spese e a proprio rischio. Supponghiamo che questo rischio e questa spesa sia esti- pron a 7 MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIB II, VOL. DXV, N. 2. 9 mabile 10.000 pezzi. Dovrà la piazza di Cadice spendere 10.000 pezzi per saldare il suo conto, dunque tutto il debito totale essendo di 1.100.000 pezzi, la spesa necessaria per estinsguerlo corrisponderà all’uno per cento. Ciò che avverrebbe alle due compagnie assor- benti tutto il commercio di Cadice con Marsiglia avviene ugualmente ai negozianti, che fanno da sè individualmente il commercio in ambe le piazze, l'eccesso del debito di una verso l’altra si fa sentire sulla piazza colla maggior difficoltà di trovare cambiali, questa difficoltà è sempre proporzionata all'eccesso del debito, nè si toglie che colla trasmissione effettiva del denaro, e per conseguenza l’aumento del prezzo delle cambiali dovrebbe essere egualmente nel caso proposto dell’un per cento. 12° Non varia questa proporzione per le varie condizioni apposte nelle reciproche ven- dite, per cui talvolta è caricato il compratore di rimettere il prezzo a mani del venditore, altre volte è a peso del venditore la riscossion del suo credito. Sembra che, nel primo caso, dopo compensati li reciproci crediti e debiti fra due nazioni, quella che rimane ancora de- bitrice debba soffrire tutto il peso della spesa e pericoli del trasporto del denaro, e che all'opposto questo peso ricada nel secondo caso sulla nazione creditrice. L'autore della lettera alla camera di commercio di Normandia, in una breve ma profonda dissertazione sul cambio (1), dice che alla lunga questo peso ricader deve sulla nazione debitrice, perchè i venditori calcolando il prezzo tutto della merce venduta, ove per patto la riscossione del prezzo re- stasse a loro carico, lo tasserebbero nei contratti di vendita a tanto di più, onde compen- sare la spesa della riscossione. Su questo punto però io non sono del suo avviso; non è in arbitrio nè del venditore nè del compratore il fissare il prezzo della merce; questo ri- sulta necessariamente dal confronto fra la somma delle premure di vendere, e la somma delle premure di comprare: può variare il risultato di questo confronto, senza che si muti il relativo numero degli esibitori e delli ricercatori, e così a rovescio può cambiarsi il rap- porto fra il numero degli esibitori e quello dei ricercatori, senza che si muti il rapporto fra le somme delle premure di vendere, o di comprare. Supponghiamo ora che il rapporto fra queste due somme di vicendevoli premure abbia fissato il prezzo di una merce a venti lire per ogni libra, e ciò nel tempo che, per l’uguaglianza dei reciproci debiti e crediti fra due nazioni, il cambio sia pari, onde non s’abbia a fare spesa alcuna pella trasmissione del denaro. Avvenga poi che in una delle due piazze il debito ecceda il credito per una maggior copia d’altre merci che si sono ordinate; non potendosi allora saldare tutte le vicendevoli partite con cambiali, bisogna che la piazza debitrice mandi il saldo alla venditrice con moneta effettiva. Ora, se questo trasporto si fosse pattuito a carico della piazza venditrice, io non vedo come questa possa compensarne la spesa, alzando in proporzione il prezzo della sua merce, la circostanza d’essersi una piazza fatta più debitrice che venditrice delle altre non varia il rapporto fra la somma dei bisogni di vendere e quella dei bisogni di comprare, e sembrerebbe piuttosto che ogni aumento di prezzo che potesse avvenire estrinsecamente alla merce, come quello che proverrebbe dalle dogane, dalle maggiori spese di trasporti, ecc., dovrebbe ugualmente ripartirsi tra il venditore ed il compratore, così che se la merce, che si soleva vendere venti lire per libra, soggiace poscia ad un nuovo dazio di venti soldi, debbasi allora pagare dal compratore lire venti e mezza e non lire ventuna, crescendo così la spesa del compratore di soldi dieci, e scemando altrettanto il prezzo pel venditore, che non ne ritrarrebbe più in netto che lire diciannove e mezza. 13° Ma può avvenire assai facilmente che, in simili circostanze, tutto il peso del tras- porto del denaro cada sopra il solo venditore, così che ei non possa in modo alcuno accre- scere il prezzo della sua merce per indennizzarsi del peso sopravvenutoli (dal variato corso (1) V. Lettre à la Chambre de Commerce de Normandie, Rouen et Paris, 1788. Note Il. P. 113. -I 10 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARIVA-MONETA del cambio) di fare a proprie spese la riscossione del danaro effettivo. Questo peso novello non influisce nella somma delle premure di vendere, se non quando la diminuzione del prezzo offerto facesse scemare la produzione della merce. Così il coltivatore di grano non ha men bisogno di venderlo perchè siane scemato il prezzo in commercio, se non quando l’avvili- mento di questo prezzo facesse rivolgere la speculazione di molti agricoltori ad impiegare in altri generi più lucrosi il loro terreno; allora solo scemerebbesi la quantità del grano esibito in commercio, e si cambierebbe in favore degli esibitori il rapporto fra il bisogno di ven- dere e quello di comprare, e si aumenterebbe perciò il prezzo del grano. Ma, senza una tale circostanza, gli esibitori di una merce hanno il medesimo bisogno di venderla che aveano prima che sovragiungesse un aumento di spesa tendente ad avvilire la merce; ma per l’op- posto la premura dei ricercatori scema sempre alcun poco per tutte quelle cause che ten- dono ad acerescerne il prezzo. Vi ha sempre fra i consumatori chi non è in caso o non si cura di comprare la merce oltre un certo prezzo, e se allora non si trova nella medesima proporzione scemata la premura degli esibitori avviene necessariamente che tutto il peso novello aggiuntovi alla contrattazione di quella merce cada sopra i soli venditori, i quali dovranno accontentarsi di trarne un prezzo minore di prima. 14° Ho fatto questa digressione perchè lo sbaglio di un così grave e dotto autore qual'è il sovracitato meritava di essere osservato, e discusso, e perchè, da quanto ho esposto, credo che possano trarsi conseguenze importanti in economia pubblica, massimamente per riguardo alle Dogane e a tutte quelle operazioni che possono accrescere o scemare le spese che si aggiungono al valor primo di una merce qualunque; ma per ciò che risguarda la teoria del cambio questa digressione era inutile, perchè, come ho detto da prima, è una cosa indif- ferente che sia incaricata del trasporto del danaro la piazza venditrice o la debitrice. 15° Infatti nell’ipotesi proposta della piazza di Marsiglia creditrice verso Cadice di 1.100.000 e debitrice solo di 1.000.000, se la riscossione del loro credito fosse tutta a carico de’ Marsigliesi, essi esibirebbero cambiali su Cadice per 1.100.000 ai loro patriotti, che, non essendo debitori che di 1.000.000, non saprebbero che fare del soprapiù, onde l’estimazione di queste cambiali scemerebbe dell’un per cento del pari, onde si accontenterebbero i Mar- sigliesi creditori di 99 in effettivo per una cambiale, che rappresentasse in Cadice 100. Che se fossero tenuti gli Spagnuoli a pagare a proprio costo e pericolo i Marsigliesi, allora gli Spagnuoli debitori cercherebbero cambiali per 1.100.000 dai loro patriotti, che non trovan- dosi creditori che di 1.000.000, non potrebbero soddisfare a tutte le richieste; sarebbero adunque costretti i debitori a pagare le cambiali un per cento di più, che vuol dire pagare ai loro patriotti creditori dei Marsigliesi 100 per una cambiale equivalente in Marsiglia a 99, ossia 101 + 5 per una cambiale equivalente in Marsiglia a 100, e lo sbilancio del cambio sarebbe sempre egualmente dell’un per cento. 16° Da questa esposizione vedesi che nel primo caso i Marsigliesi non ricaverebbero effettivamente che il 99 per cento del prezzo delle lor merci, mentre nel secondo caso riscuo- terebbero il prezzo intero pattuito di cento; non è facile il determinare se abbiano discapito i Marsigliesi nel primo caso, o quanto ne abbiano, poichè questa specie di avaria piglian- dosi in considerazione nella valutazione del prezzo delle merci, dipenderà la soluzione di questo problema dai principii che ho esposto nella precedente digressione. 17° Ho parlato fin qui del cambio fra due sole nazioni considerate isolatamente, cioè per le sole relazioni di commercio che esse hanno fra di loro; sarà facile l’argomentare l'influenza del commercio reciproco complicato di molte nazioni, ancorchè non abbiano cia- scuna con ciascuna un immediato commercio. La nazione A può essere per ultimo risultato debitrice della B e creditrice d'ugual somma verso la nazione C. Allora la nazione A estin- guerà il suo debito verso la B mandandole cambiali sopra la 0. Se la B si trovasse ugual- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. ll mente debitrice verso la ©, allora la B, con queste cambiali estinguerebbe il suo debito, ed il cambio rimarrebbe pari in tutte tre le nazioni. Se vi è qualche sbilancio tra i reciproci debiti e crediti, il cambio corrisponderà sempre alle spese, che si devono fare pel trasporto del denaro effettivo, dalla nazione che per ultimo risultato trovasi debitrice a quella che trovasi creditrice. Le speculazioni di questo giro di cambiali [il cui valore oscilla continua- mente sopra tutte le piazze per le varie circostanze che mutano sempre i rapporti dei reci- proci debiti e crediti] formano tutta l’arte bancaria, che non è uopo qui di più esattamente spiegare, basta quanto ho detto per fissare la giusta idea che si deve avere delle lettere di cambio considerate come carta-moneta. 18° Non v'è dubbio alcuno intorno all’utilità pubblica delle cambiali. Fino nei tempi in cui, prevalendo le opinioni teologiche per riguardo all'usura, hanno tentato alcuni legislatori di fissare in alcun modo il prezzo delle cambiali, massimamente di quelle che si valutavano più o meno a misura del minore o maggior ritardo in esse indicato pel pagamento; anche in quel tempo, dissi, il commercio superò ogni ostacolo e, malgrado tutte le leggi contrarie, ebbero sempre le cambiali quella valutazione che risultar dovea dalle circostanze del com- mercio. 19° Consiste principalmente l’utilità delle cambiali nel risparmiar che esse fanno un doppio trasporto di danaro, ma giovano ancora perchè ne risparmiano frequentemente la numerazione, che richiede del tempo, e il tempo è prezioso per i negozianti. I danni, che avvenir possono dall’uso delle cambiali sono: che in un incendio si perdano interamente, mentre le monete d’oro e di argento, anche fuse, non perdono che poco o nulla del loro valore; secondo, che può essere più facile la falsificazione delle cambiali che delle monete; terzo, che il possessore di una cambiale arrischia di perderne il valore col fallimento del debitore, onde è più sicuro chi possiede moneta vera che questa carta-moneta. Mediante le cautele solite usarsi dai negozianti, questi danni sono riputati sì piccioli, che non ne bilan- ciano in alcun modo i vantaggi, e non v'ha paese alcun poco commerciante, ove non abbiano le cambiali una rapidissima circolazione. 20° Dal corso del Cambio può ritrarre il governo lumi importantissimi per conoscere lo stato della nazione relativamente alle altre, cioè se essa sia creditrice o debitrice, o nè l’uno nè l’altro, il che chiamasi la bilancia del suo commercio. Da quanto ho esposto di sopra non resta alcun dubbio, che la nazione presso cui il cambio sia regolarmente svan- taggioso è debitrice e deve riputarsi passivo il suo commercio, che all’opposto è creditrice ed ha commercio attivo quella che ha il cambio favorevole, e che è in perfetta bilancia quella che ha il cambio pari. Convien solo di avvertire di non confondere le denominazioni di cambio alto e basso con quelle di cambio favorevole o svantaggioso. Nel regolarsi il cambio fra due nazioni, una somministra la moneta fissa di paragone, l’altra l’estimazion variabile di quella moneta; così nel cambio nostro con Lione il picciolo scudo di Francia moneta effettiva, ed ivi del valore costante di soldi 60 francesi, si con- fronta col valore suo variabile in Torino di soldi piemontesi; l’intrinseco valore di quella moneta suppongasi di soldi piemontesi 50, quindi dicesi cambio pari, quando si regolano le cambiali, tanto in Torino che in Lione, sul piede di soldi 50 piemontesi per un picciolo . scudo di Francia. Quando, per le vicende del commercio, si estima questo scudo meno di soldi nostri 50, il cambio è basso, se si estima più è alto. In questo caso il cambio basso è per noi vantaggioso e l’alto è svantaggioso ai francesi, poichè, supposto il cambio a soldi 49, il piemontese soddisfa in Francia un debito che vi ha di cento scudi mediante una cambiale, che, costandogli soltanto 49 soldi per ogni scudo, gli fa risparmiare un soldo per scudo dell’intrinseco e vero importare del suo debito, ed al rovescio il francese, che avesse un debito da pagare in Piemonte di lire 500 non potrebbe estinguerlo con 200 pic- cioli scudi, ossia con 600 lire di Francia, che pur ne sarebbero il giusto equivalente, ma 12 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA - He ; PALA sto È ; 12 ragionandosi il cambio a soldi 49 piemontesi dovrebbe sborsare lire 612 19 Per avere una cambiale con cui estinguere pienamente il suo debito. Avverrebbe la cosa a rovescio se il cambio fosse regolato a 51 soldi piemontesi come si può con facilissimo calcolo verificare. Dunque, per giudicare dello stato attivo o passivo del commercio di una nazione dal cambio corrente alto o basso, bisogna far attenzione alla moneta di valore costante che si assume per base del cambio, e si giudicherà giustamente vantaggioso il cambio alto per la nazione che somministra la moneta di valore costante che dicesi il certo, ed il basso per quella che somministra il valore variabile che dicesi l’incerto. 21° Sarebbe fallacissimo il giudizio che si pronunciasse sulla bilancia del commercio di una nazione dallo stato accidentale del suo cambio con un’altra nazione; mille circostanze lo fanno alternativamente alzare o bassare, e variamente per riguardo a varie nazioni. Po- trebbe il Piemonte avere costantemente il cambio svantaggioso con Roma e vantaggioso con Lione e non si potrebbe sapere il vero suo stato senza confrontare la quantità del com- mercio attivo, che fassi con Lione, colla quantità del passivo che fassi con Roma. È vero che, per mezzo di un giro di cambiali, possono compensarsi queste cose; ma potrebbe accadere che non vi fosse sufficiente commercio tra Roma e Lione perchè da noi si potesse estinguere il debito verso Roma per mezzo di cambiali su Lione, ed oltre ciò in questi giri di cam- biali, massimamente se sono complicati, convien sempre soccombere ad un qualche profitto che v'hanno a fare i banchieri che fanno il commercio di queste cambiali. Ciò non ostante sì può in mio senso giudicar favorevolmente della bilancia del commercio di quella nazione che ha il cambio vantaggioso verso quell’altra nazione con cui fa il maggiore commercio. Così, se il nostro cambio con Lione è generalmente vantaggioso, così che, dopo incontrati i reciproci crediti e debiti, siano costretti i Lionesi a saldare il restante lor debito con l’ef- fettivo, si può credere attivo in generale il nostro commercio, poichè, essendo Lione piazza di grandissimo commercio, possiamo noi assai facilmente compensare il commercio nostro passivo con altre piazze estinguendo i nostri debiti con cambiali su Lione; e se, malgrado ciò, sussiste basso il nostro cambio con Lione, ciò è segno che il nostro credito verso i Lio- nesi supera la somma d’ogni debito che aver possiamo verso altre nazioni. 22° Ma le continue oscillazioni del cambio, or alto, or basso, or più or meno al disopra o al disotto del pari, recano una difficoltà grande per conoscere quale debba assumersi lo stato medio di questo cambio, e quindi conchiudere se sia in generale vantaggioso o svan- taggioso. Non è possibile il sapere per quanta somma siansi negoziate cambiali a soldi 49 o a soldi 51, per quindi conchiudere se il cambio di Lione generalmente debba riputarsi alto o basso. Sarebbe forse buona regola esaminare gli estremi limiti a cui, nel corso di vari anni, ascende o bassa il cambio. Per esempio i limiti comuni del nostro cambio con Lione sono da 48 !/, a 50 !/, circa. Può quindi argomentarsi con fondamento, che è più frequente e per maggiori somme il cambio al disotto del pari, che quello al disopra. In un libriccino stampato, se ben mi ricordo, nell’anno 1745, v'ha una tabella del vario importare degli organzini nostri venduti a Lione secondo il vario corso del cambio: in questa tabella si suppone il più basso a soldi 50, ed il più alto a soldi 54. È probabile che l’autore ha voluto comprendere in questa tabella i limiti più straordinarii, onde i comuni ‘saranno stati probabilmente tra 51 e 53; ad ogni modo si vede apertamente, dal confronto di questi limiti coi presenti, quanto siasi ora fatto più vantaggioso il nostro cambio di Lione. Le altera- zioni apportate al pari dello scudo di Francia dalle tariffe del 1755 e del 1785 non assor- biscono per niun modo questa differenza di cambio fatto a noi vantaggioso (1). (1) In questo calcolo si è supposto il nostro pari verso di Lione di soldi piemontesi 50, ma è facile assai lo sbagliare nella determinazione del cambio pari. I negozianti sogliono calcolarlo sul prezzo assegnato nelle teciostenacatt ditta MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, SUOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 13 23° Si sospetta che le cambiali producano un altro assai considerevole pubblico vantaggio aggiungendo il denaro fittizio al denaro effettivo nella circolazione, si pone per base che tanto è più ricca una nazione, quanto in essa vi è proporzionalmente maggiore la copia del denaro circolante; ora, come il denaro effettivo rappresenta ogni merce, così le cambiali rap- presentano totalmente il denaro a farne perfettamente le veci; sembra dunque che, se alla massa del denaro circolante in una nazione si aggiungano cambiali in copia che rappre- sentino tutto o parte di questo danaro, debba riputarsi perciò accresciuta la ricchezza na- zionale. 24° Per togliere ogni equivoco e premunirsi contro ogni illusione che potrebbe trovarsi in questo ragionamento, conviene esaminare quale sia veramente l’influenza della copia del denaro circolante nella ricchezza nazionale. È difficile e fors'anche impossibile il sapere non dico esattamente ma anche per approssimazione la quantità del denaro circolante in una nazione non mì sarebbe difficile se volessi io qui mostrare l’inesattezza dei calcoli con cui Necker ha voluto determinare la quantità dell’oro e dell’argento esistente in Francia (1) e quand’anche quei calcoli fossero esatti, se ne poteva ricavare la quantità dell’oro e dell’ar-- gento esistente, ma non già del circolante. tariffe rispettive alla medesima moneta d’oro o d’argento, avuto riguardo al fino che essa contiene, ma le tariffe non danno la medesima estimazione all’oro fino di ciascuna moneta, quindi, secondo la varia moneta su cui si formasse il calcolo, si troverebbero risultati diversi per somministrare una base onde ben calcolare il nostro pari con Lione. Prevengo che con calcoli esattissimi fatti in Francia (e che si trovano nell'autore della Lettera alla Camera di Commercio di Normandia, p. 125 e 127) l’ottavo d’un luiggi nuovo di Francia contiene d’oro fino grani 16 MISA ed un mezzo scudo d’argento che ha in tariffa egual valore, contiene d’ar- pi e ZIE E € 5 x 5 È È : 1 gento fino grani 251 —--, quindi rilevasi la proporzione in Francia tra l'oro e l'argento di 1:15. 5312 2 Questi calcoli combinano perfettamente con quelli che si son fatti nella Zecca di Torino. Posta questa base ne avviene che, fatto il confronto del valore dell’oro fino in moneta di Francia col valore dell’oro fino in diverse monete secondo la tariffa di Piemonte, risulta il cambio pari assai diverso come dalla seguente tabella calcolata sul peso in fino e sul prezzo di tariffa di ciascuna moneta. Luiggi nuovo di Francia : Ì È 48 i ; , È 28 Zecchino di Venezia ° . : 5 49 ARI Doppia di Savoia 51 36 opp JRE : È 5 ; 51 g Così nell’argento il prezzo regolato dal valore dell’argento fino in scudi di Francia darebbe il cambio È CRANE SIAE 44 di 49 #° in scudi di Piemonte 50 #8 Il corso abusivo delle monete fra i negozianti compensa le irregolarità delle Tariffe e si potrebbe cal- colare il pari tratto dall’oro pigliando una media tra il risultante del valore del luiggi e quello della doppia di Savoia in ragione di 50 di E Si può adunque, con probabile fondamento, determinare il nostro pari vero in ragione di soldi 9 nostri 50 3 circa, per soldo francese 60, ma questo pari può variare considerabilmente quando s’introduca urna specie di carta-moneta con cui si facciano legalmente i pagamenti al corso fissatole dalla legge, quan- tunque quella carta-moneta abbia nell’estimazione comune un prezzo minore. Se i recenti assignati di Francia perdessero nel loro corso il 4 p.°/,, chi è creditore a Lione per organzino venduto di franchi 12.000 fran- cesi, dovrà contentarsi di prenderli in assignati, che non potrà convertire in più di franchi 11.920 di moneta effettiva, le quali, supposto il pari a 50, importerebbero lire di Piemonte 9000, le quali paragonate colle lire 1200 di Francia, nome del credito, porterebbero il pari a soldi 48. Basta che si tema di questo discre- dito degli assignati di Francia per far scemare considerabilmente il nostro cambio. (1) Traité de V Administration des Finances. 14 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA 25° E pure cosa difficilissima il calcolare fino a qual segno contribuisca alla ricchezza nazionale la circolazione del denaro; sembra una massima oramai non contesa da alcuno, che la ricchezza d'una nazione è proporzionale agli annui prodotti del suo suolo, e della sua in- dustria; ciò però non toglie, che, di due nazioni aventi eguale in valore le annue produzioni, quella possa riputarsi più ricca che si trovi posseditrice di maggior copia di gemme, me- talli preziosi e simili cose. Questa ricchezza chiamata dagli economisti francesi mobiliare perchè consiste in mobili è pure una vera ricchezza, sia perchè si può in varie maniere con- vertire parte di quelli mobili in capitali fruttiferi, onde accrescere l’annua produzione, sia perchè chi possiede quei mobili anche senza farli fruttare può trarre qualche soddisfazione dal loro possedimento o dal loro uso e può cambiarli occorrendo con altre cose di maggior uso o soddisfazione per lui — così di due privati che abbiano ciascuno diecimila scudi di rendita reputasi più ricco quegli che ha più denaro, più gemme, più quadri, più mobili d’ogni genere; che se questa ricchezza mobiliare si converte in capitale fruttifero, allora cessa la uguaglianza delle annue riproduzioni, e la nazione più ricca in mobili diviene realmente più ricca d’annua riproduzione; che se la ricchezza mobiliare non s'impiega a frutto allora essa è fugace, in poco tempo può consumarsi e sparire, e ad ogni modo essa suol essere lievis- sima cosa in confronto della ricchezza consistente nelle quantità dell’annua riproduzione, poichè nella ricchezza mobiliare qui descritta non si debbono comprendere i bestiami, gli utensili d’agricoltura e delle arti e tutte le altre simili cose che, avendo immediata e ne- cessaria influenza nell’annua riproduzione, rappresentano più capitali fruttiferi che mobili o capitali oziosi; quindi avviene che li Scrittori di economia han fatto poco conto e quasi trascurato la ricchezza mobiliare nel calcolo della ricchezza nazionale, che hanno riposto, come dissi, nel valore dell’annua riproduzione del suo suolo e della sua industria. 26° Per comprendere quanto picciola sia la somma del denaro posseduto da una nazione in confronto del valore de’ suoi capitali fruttiferi, suppongansi in Piemonte tre milioni di abi- tanti, i quali dovrebbero consumare l’un sull’altro tre sacchi per testa all’anno di granaglie, supponghiamo ancora che il paese produca regolarmente poco più di granaglie di quanto corrisponde alla consumazione de’ suoi abitanti, e che le une sulle altre possano estimarsi queste granaglie del valore di 15 lire per ogni sacco, in questa supposizione la quantità dell’annua riproduzione in sole granaglie varrebbe 135 milioni, i quali, ripartiti sopra tre mi- lioni di abitanti, corrisponderebbero a 45 lire per testa. Ora chi potrebbe immaginarsi che vi fossero in Piemonte in danaro 135 milioni, ossia che, visitandosi contemporaneamente tutti li scrigni e tutte le borse, vi si troverebbero in riserva e non impiegati danari in ragione di 45 lire per testa ogni abitante? Vedesi quindi che la ricchezza mobiliare è di gran lunga minore al solo valore delle granaglie annualmente riprodotte, le quali pure non fanno forse la metà dell'annua riproduzione del suolo e dell’industria. 27° La quantità del denaro, che merita così poca considerazione riguardato solo come esistente in una nazione, può essere di una grandissima importanza considerato come cir- colante. Ma qui ancora bisogna guardarsi bene dall’attribuire troppo generalmente ad ogni circolazion di danaro un vero aumento di ricchezza nazionale. Vi può essere una circolazione indifferente, una circolazione dannosa, ciò si dovrà giudicare dall’influenza della circolazione nella riproduzione annua. Questa è proporzionale alla fecondità del suolo ed alla somma delle opere utilmente impiegate dagli abitanti. La circolazion del denaro giova a moltiplicare queste opere. Se si dovessero cambiare merci con merci, alimenti con indumenti, se chi ha bisogno di vendere o di comprare non trovasse tosto il compratore o il venditore, si per- derebbe per gli usi necessarii della vita un tempo immenso inutilmente. È troppo nota questa massima perchè convenga di qui svilupparla. L'utilità della circolazione del denaro si confonde così coll’utilità delle arti, del commercio, degli agenti intermediarj, dei magaz- zinieri, speculatori e di tutte quelle professioni insomma per cui si risparmia alla massa i | n i i 3 tA MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR., E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 15 generale degli abitanti di perder più tempo di quanto sia necessario per provvedere ai proprii affari. 28° Ove però la circolazione del denaro non contribuisca per modo alcuno ad accere- scere le opere utili degli abitanti, e per questa via l’annua riproduzione, non si ravviserà in questa circolazione vantaggio alcuno; serva d'esempio il confronto di due proprietarij di terre eguali in prodotto, di cui uno dia il salario a suoi contadini in danaro, l’altro lo dia in parte coi frutti stessi del suolo. Il sistema del primo darà luogo ad una maggior circolazione di danaro, egli venderà tutto il grano che ha raccolto, darà una porzion di questo danaro a’ suoi agricoltori, quelli se ne serviranno per comprare da altri il grano necessario pella loro consumazione, niente di ciò si fa nel sistema del secondo proprietario, che dà a suoi agri- coltori il grano stesso che devono consumare; ambedue questi sistemi possono essere in di- verse circostanze preferibili per varie ragioni, ma, per quanto riguarda la circolazione del denaro promossa in un sistema e trascurata nell’altro, io non ci so vedere alcuna influenza nell’annua riproduzione, nè posso immaginarmi che sarà più attivo il contadino, che avrà toccato denaro pel suo salario e quindi spesolo per nutrirsi, di quell'altro che ha avuto im- mediatamente il grano dal suo padrone. 29° Finalmente può accrescersi la circolazione del denaro in maniera non utile non in- differente, ma anzi nociva alla ricchezza nazionale in quanto che ne venga l’annua riprodu- zione scemata. Suppongasi che per qualunque causa, abbiasi a fare una levata considerabile di truppe, onde richieggasi un aumento di tributo per stipendiarle; egli è evidente che per questa operazione dovrà accrescersi la circolazione del denaro, passandone una parte di più nel regio tesoro, e versandosi quindi in tutte le spese occorrenti per li nuovi Reggimenti che si saranno formati, e, quand’anche queste nuove truppe si pagassero senza nuove impo- sizioni con avanzi accumulati nel tesoro, la circolazione sarebbe sempre accresciuta, ponen- dosi in giro quei denari che stavano oziosi nello scrigno; eppure questo aumento di circo- lazione scema naturalmente l’annua riproduzione, perchè scema la somma delle spese che erano a quella riproduzione destinate, impiegando i soldati tolti alla terra o alle arti ad opere che non sono d’alcun frutto. Io non ignoro che indirettamente l’opera di questi soldati può esser utile, assicurando la tranquillità dello Stato minacciato da nemici stranieri o do- mestici, procurando al medesimo con forza armata nuove terre fruttifere o nuove vie di commercio che non si potevano avere altrimenti, o per tante altre maniere che qui non oc- corre descrivere, ma tutti questi vantaggi saranno sempre la conseguenza immediata del buon impiego fattosi di queste truppe. le quali, finchè non sia riescito lo scopo propostosi, saranno sicuramente gravose alla nazione, e ne scemeranno l’annua riproduzione, benchè colla loro levata siasi realmente accresciuta la circolazione del denaro; tanto basta per poter giustamente conchiudere che l’accresciuta circolazione del denaro, per sè sola, non è una prova della cresciuta ricchezza nazionale. 30° Fissate così le più giuste idee intorno all’influenza, che aver può nella circolazione nazionale il denaro esistente ed il denaro circolante, passiamo ad esaminare per qual ma- niera le lettere di cambio aggiunte alle monete effettive esistenti o anche circolanti possono riguardarsi come un aumento della massa dei denari esistenti o circolanti nella nazione. 31° I denari della nazione sono sparsi fra i suoi abitanti, onde non può accrescersi massa del denaro della nazione senza ch’esso più abbondi nelle mani degli abitanti. I fondi che si possono accumulare nel regio o altro pubblico tesoro si possono in queste ricerche considerare come appartenenti ad un individuo o ad un corpo morale, e non sono general- mente che una picciola porzion dei denari sparsi fra tutti gli abitanti. Converrà dunque esa- minare se possa un particolare, a forza di creare cambiali, accrescere in qualche maniera i’ suo peculio. Fabrizio negoziante ha un patrimonio di 100.000 scudi metà in denaro, meta in poderi od altri fondi mobili, gli sì appresenta l’occasione di comprare un fondo di com- 16 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA mercio del valore di 150.000 scudi colla speranza di farvi un cospicuo profitto, egli ne fa l'acquisto e lo paga per un terzo coi denari che possiede, e pel restante con una cambiale pagabile fra sei mesi da Macrobio negoziante della medesima piazza, o d’altra piazza stra- niera, ma ben conosciuto e acereditato. Il venditore, tosto ritirata la cambiale, la presenta a Macrobio per l'accettazione; questi, che ha buona opinione della ricchezza e probità di Fabrizio e che dal medesimo è già prevenuto della cambiale tratta sopra di lui, l’ accetta, quantunque non abbia fra le mani alcun fondo di Fabrizio, nè sia verso di lui debitore di alcuna somma, fermo tenendo che pria che scada il tempo del pagamento Fabrizio gli farà rimettere o in denari o in cambiali il fondo necessario per eseguirlo. Frattanto Fabrizio possessore del fondo di commercio acquistato lo fa fruttare come suo proprio e ne ritrae con varie operazioni di commercio un profitto considerabile per esempio del dieci per cento. Nello scadere dei sei mesi avendo già egli alienato e liquidato tutto quel fondo manda a Macrobio li 100.000 scudi dovutigli e gli resta intero e sbrigato da ogni debito il suo pa- trimonio di beni stabili che si era supposto del valore di 50.000 scudi, e di più gli sono rientrati in cassa gli altri 50.000 scudi che aveva sborsati da prima, ed oltra ciò l’interesse di 150.000 seudi per sei mesi all’anno 10 °/, che vuol dire scudi 7500. Se Fabrizio non avesse fatto uso di cambiali in questa circostanza, e non avesse comprato nulla più di ciò che poteva pagare coi denari esistenti nel suo scrigno, non avrebbe avuto che per 50.000 scudi di merci, ed avendole commerciate con egual successo sarebbesi trovato in fine de’ sei mesi col solo profitto di scudi 2500. Si può dunque affermare che, coll’artifizio delle cambiali, egli ha guadagnato in sei mesi scudi 5000 di più, e che per conseguenza le cambiali gli furono un mezzo di accrescere di 5000 scudi il suo peculio. 32° Ma per ben giudicare del vero risultato di questa speculazione convien penetrare più addentro nelle condizioni e circostanze del supposto negozio, e in primo luogo conviene osservare che il fondo di commercio è stato da Fabrizio comprato a respiro di sei mesi per li due terzi del suo valore, lo scapito di questa dilazione dev'essere stato calcolato dal ven- ditore, e sarà stato necessariamente aggiunto al valore vero della merce; se il provento naturale ed ordinario di 100.000 scudi in sei mesi potrà riputarsi di 5000 scudi, tal somma sarà entrata nell’estimazion fatta di tutto il fondo tra il venditore e Fabrizio, e questi avrà comprato al prezzo di 150.000 scudi merci che realmente ne valevano poco più di 145.000. In questa supposizione Fabrizio non avrebbe guadagnato nulla con questa speculazione, ma sì troverebbe nel medesimo stato in cui stato sarebbe se avesse comprato solo le merci cor- rispondenti agli scudi 50.000 che aveva; che se l’interesse comune del commercio si dovesse calcolare del sei e non del dieci per cento, allora Fabrizio avrebbe colla sua industria gua- dagnato 4° di più del comune profitto, e, avendo avuto questo profitto non solo sul capitale liquido che aveva nelle mani, ma ancora sul capitale non posto in commercio equivalente ai suoi beni stabili, e di più anche su altrettanto capitale che egli non aveva per alcun modo ma che gli veniva attribuito dal credito che aveva sulla piazza, si può veramente affermare che egli ha guadagnato in sei mesi 2000 scudi corrispondenti all’annuo interesse del 49 sopra 100.000 scudi, e che si è veramente di 2000 scudi accresciuto il suo peculio. 33° Ma questo profitto non è propriamente una conseguenza diretta dell’uso che ha fatto Fabrizio delle cambiali. Tutto il profitto eccedente il comune interesse del denaro corrisponde ai pericoli che si incontrano di soffrir perdita sul capitale. Dato l’interesse comune dei ne- gozii più certi alla rata del 6°/,, chi ne guadagna dieci si è esposto al pericolo di perdere, o almeno di non guadagnare che due, essendo il sei media proporzionale tra due e dieci. Fabrizio dunque ha fatto un giuoco per cui a pari sorte poteva guadagnare due, o il 10.9/o. Avendo avuta la sorte propizia, ha guadagnato il 10, se l'avesse avuta contraria avrebbe guadagnato soltanto il due, e, avendone dovuto corrispondere al venditore il 6 per cagione del ritardato pagamento, sarebbe stato in perdita del quattro, e sarebbesi scemato il suo pe- Aut hi è ù BA . À % La di % s bi È & MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 17 culio di scudi 2000, come si è di altrettanti accresciuto per aver avuto buon esito il suo giuoco. Moltiplicandosi i casi delle speculazioni simili alla qui esposta di Fabrizio, le sorti si compensano e sopra cento speculatori simili, 50 avranno guadagnato quella somma, che fra tutti avranno perduto gli altri 50, e per tal modo, fatta una comune, l’ultimo risultato di questo negozio sarà il medesimo che se Fabrizio non avesse comprato nulla più che per li scudi 50.000 che poteva sborsare indilatamente. 34° Che l’uso delle cambiali non abbia efficacemente contribuito al guadagno che ha fatto Fabrizio si farà tanto più chiaro osservando come avrebbe potuto fare il medesimo guadagno senza alcun uso di cambiali. Fabrizio aveva bisogno di un credito di 100.000 scudi per sei mesi, questo credito era fondato parte sopra i beni stabili, parte sulla sua riputa- zione. Se non avesse avuta questa base Macrobio non avrebbe accettata la sua cambiale, ed il negozio non sarebbe riuscito, ma, valendosi Fabrizio di questa medesima base, poteva egualmente pigliare a prestito o da Macrobio stesso, e da altri capitalisti presso cui fosse egli in eguale riputazione li 100.000 scudi a respiro di sei mesi, mediante l’interesse consueto di mezzo per cento al mese, e, se la sua riputazione fosse stata ugualmente salda presso al venditore del supposto fondo di commercio, avrebbe potuto senza cambiale alcuna pattuire seco lui il respiro di mesi sei pel pagamento delli scudi 100.000 che non aveva in pronto; in tutte queste maniere la cosa avrebbe avuto il medesimo esito, senza alcuna inter- venzione di cambiali. Il contratto scritturato nei libri di Fabrizio e del venditore e in quelli del sensale avrebbe avuto quella tale solidità e sicurezza, che maggiore non poteva ottener- sene coll’intervento d’una cambiale; la quale, se assicurava meglio il venditore per la maggior presunta solidità di Macrobio, avrebbe solo potuto trasportare il pericolo di soccombere ad un fallimento dal venditore a Macrobio, nè operare altro effetto. 35° Se pel negozio fatto nella sopra divisata maniera non si è veramente accresciuto il peculio d’'aleuno dei tre intervenienti, cioè del venditore, di Fabrizio e di Macrobio, potrà nulla di meno reputarsi accresciuta la massa del denaro circolante, e circolato utilmente; di fatti, se il venditore si fosse accontentato di aspettare per sei mesi da Fabrizio il paga- mento di 100.000 scudi (caso in cui come abbiam visto l’esito del negozio per riguardo a Fabrizio sarebbe stato il medesimo), egli non avrebbe durante quei sei mesi potuto raggirare sulla piazza altro capitale che quello dei 50.000 scudi effettivamente riscossi e nulla più; all'opposto, avendo avuto una cambiale sopra Macrobio, fu in caso di realizzarla mediante sconto per cagion del respiro, e quindi di raggirare sulla piazza i danari ricavati dalla ven- dita della sua cambiale. Ed ecco in qual maniera, per una quasi magica arte, le cambiali possono moltiplicare i capitali posti in commercio e renderli fruttiferi. Il capitale de’ beni stabili di Fabrizio, senza cessar di procurargli i soliti proventi, gli serve per comprare a credito merci, colla di cui contrattazione fa un nuovo profitto; e nel medesimo tempo anche il venditore di quelle merci, con una sola carta-moneta ottenuta da Fabrizio, ritrae un equi- valente in denaro, e lo fa fruttare a suo pro, la cosa riesce tanto più meravigliosa ed utile per riguardo ai 50.000 scudi appoggiati a null'altro che alla riputazion di Fabrizio, che con- temporaneamente a lui fruttano col commercio delle merci comprate, e fruttano al venditore coll’impiego del denaro tratto dalla vendita della cambiale; vediamo però se non si celi qualche fallacia in questo sì specioso ragionamento. i 36° È vero che il venditore delle merci, vendendo la sua cambiale, si mette in situa- zione di raggirar sulla piazza 97.000 scudi, prezzo della medesima tratto lo sconto, e ap- propriarsi il profitto di questo commercio, ma ciò non si può fare senza che altri sborsi effettivamente o in denaro o in merci i 97.000 scudi suddetti, e allora il compratore della cambiale resta privo di quel capitale e dei proventi che trarne potrebbe. In questa maniera non si rende assolutamente proficuo un capitale che prima nol fosse, ma si cambia soltanto la vicenda di due persone in quanto che il capital valore della cambiale, che sarebbe rimasto 8 è (Mn (00) GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA ozioso presso chi ha vendute le merci a Fabrizio, diventa ozioso nelle mani di chi ha di seconda mano comprata questa cambiale, può egli rivenderla ad altri e raggirare sulla piazza il prezzo esattone e per una rapida circolazione può la stessa cambiale passare per moltis- sime mani e tutti quelli che l'avranno avuta potranno fare lo stesso negozio che avrebbero fatto, se non avessero comprato e subito rivenduto la cambiale, ma finalmente deve al ter- mine di questo giro trovarsi quella persona che non la rivenda, e ritenendola resti privo del danaro alla medesima corrispondente, e per conseguenza del provento che sarebbesi potuto ricavare dalla negoziazione di quel capitale. 37° Potrebbe darsi facilmente che il giro molteplice di questa cambiale assorbisse tutto il tempo del respiro pattuito di mesi sei, così che l’ultimo possessore della medesima sì tro- vasse in caso di riscuoterne il montante in tempo che ne fosse imminente la scadenza, non hanno ciascun giorno i negozianti occasione di proficuamente impiegare il loro denaro, chi ha speranza di trar buon partito intanto d'una buona cambiale la compra e la rivende quando gli occorre nelle sue speculazioni l'effettivo, o che trova un aggio nella vendita della me- desima, tutto ciò riguarda prossimamente le speculazioni puramente bancarie, e vi sì possono facilmente incontrare vantaggi e perdite che si compensino o se v'ha un eccesso di van- taggio, quello è un profitto che fa il banchiere sempre a scapito o di chi gli ha venduto o di chi ne ricompra la cambiale, ma per ciò che risguarda intrinsecamente il nostro tema può sembrare che mediante il lungo successivo giro della cambiale di cui parliamo siansi colte tutte le più opportune occasioni dell'impiego del denaro, il quale per questa maniera non sia restato mai nelle mani d’alcuno più di quel tempo in cui non v'era occasione di proficuo impiego, e che essendosi colte così tutte le buone occasioni abbia realmente il capi- tale supposto di pressochè 100.000 scudi fruttato contemporaneamente durante sei mesi, e nelle mani di Fabrizio e in quelle di tutti i successivi acquisitori della stessa cambiale. In tal maniera avrebbesi avuto in fine dei mesi sei un provento almen doppio di quello che avrebbe avuto chi ha venduto le merci a Fabrizio, se invece di riscuoterne una cambiale vendibile si fosse accontentato di una promessa d’essere pagato fra sei mesi. 38° Un calcolo esatto dissiperà quest’ illusione: chi ha venduto merci a Fabrizio per 100.000 scudi a respiro di sei mesi ha supposto, nel calcolare il prezzo delle sue merci, che esse valessero in contanti una tal somma che alla fine di mesi sei gli dovesse equivalere a cagione degli ordinarii interessi aggiuntivi scudi 100.000. Questo capitale, supposto il comune interesse mercantile al sei per cento, sarebbe di scudi 97.087 poco più; vendendo esso adunque la sua cambiale in contanti mediante sconto non ne può ritrarre che circa scudi 97.087. Impiegando egli questo denaro in affari di commercio, e ricavandone il con- sueto interesse, si ritroverà in fin di mesi sei possessore di scudi 100.000, che vuol dire non avrà nulla di più di ciò che avrebbe avuto se avesse ritirata la sua cambiale oziosa, o se, anche senza cambiale, avesse aspettato da Fabrizio, a suo tempo, lo sborso del danaro pro- messogli. E facil cosa che la lusinga di fare negozii più vantaggiosi determini alcuno a ven- dere mediante sconto la cambiale che possiede piuttosto che di ritenerla sino al termine della scadenza. Ma questo è (come abbiam detto e non bisogna dimenticare giammai) una pura speculazione di giuoco, in cui si corrono le due sorti, propizia ed avversa; nè si può mai con fondamento presumere che, fatta una comune degli eventi, il supposto capitale sia per dare un prodotto maggiore del consueto interesse mercantile, che qui si è supposto del sei per cento. 39° Sembra assai ragionevole il conchiudere, da quanto si è detto fin qui, che le cam- biali date invece di un capitale o non esistente o non posto in commercio, non accrescono per modo alcuno la massa del denaro circolante. Ma un esempio tratto dal commercio del Piemonte con Lione porrà in più chiara luce questa massima importantissima. Le nostre sete si vendono a Lione a respiro di 18 mesi: chi vuole subito il suo denaro lo trova senza ‘4 % I Bite eterno dia TA RE ne Gi fotone sat gene e MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXY, N. 2. 19 la menoma difficoltà mediante lo sconto del mezzo per cento al mese: alcuni negozianti nostri riscuotono indilatamente il loro denaro detratto lo sconto, altri non lo riscuotono e lasciano, come dicesi, maturare il loro credito sino al termine della scadenza. Se fosse vero che vi fosse più profitto a realizzarla che a serbarla, anche i nostri negozianti che riscuo- tono mediante sconto il prezzo dei loro organzini venduti a Lione farebbero meglio il loro interesse che non lo facciano coloro i quali lasciano maturare in Lione il loro credito, ep- pure questi sono sicuramente i più ricchi negozianti del paese, che vuol dire coloro che avrebbero i maggiori mezzi e le maggiori facilità di trar buon partito dai loro capitali. Se la rapida circolazione delle cambiali, ancorchè non rappresentanti un capitale in denaro vero ed esistente (come supponsi in parte almeno quella di Fabrizio tratta sopra Macrobio), fosse veramente produttiva di qualche ricchezza, raddoppiando in due mani il provento del capitale medesimo, sarebbe dannosa a noi la costumanza dei nostri negozianti che lasciano maturare il loro credito in Lione potendolo liquidare mediante sconto e raggirarne il con- tante. Non è venuto in mente, che io sappia, ad alcuno di progettare mezzi diretti o indi- retti per distruggere questa costumanza ed accrescere così i proventi del nostro commercio; spero che un tale progetto non si farà mai, o non sarà ascoltato. 40° Se l’uso delle cambiali non influisce ad accrescere il peculio nè reale nè circolante di chi trae la cambiale nè di coloro che la comprano in seguito, ciò avviene, come abbiam visto, da che le cambiali a lungo termine non si possono realizzare senza diffalcare lo sconto, onde risulta pel possessore della cambiale un effetto medesimo, sia che la serbi oziosa nel suo scrigno, sia che la venda per impiegare utilmente il danaro ricavatone. Che se le cam- biali fossero a vista o a breve respiro, dovendosi esse estinguere quasi appena nate, sup- pliranno bensì all’inutile e gravoso trasporto del denaro, ma non ne aceresceranno per modo alcuno la massa circolante. 41° Ma potrebbe ciò avvenire nel caso che la riputazione di un banchiere dasse tal cre- dito alle obbligazioni rappresentate dalle sue cambiali a vista che il possessore di queste non sì curasse mai di riscuotere il montante, trovando in qualunque tempo chi, determinato dalla medesima riputazione del banchiere da cui fu tratta la cambiale, la comprasse o l’ac- cettasse in pagamento per la somma istessa della cambiale rappresentata. 42° Data quest’ipotesi non v'ha dubbio che, nell'esempio sovracitato del negoziante Fa- brizio (che vuol comprar merci per 150.000 scudi, non ne avendo in cassa che 50.000 e pel valore d’altri 50.000 in poderi), egli otterrà dall’ esibitore merci per l’intero valore di 150.000 mediante lo sborso di 50.000 ed una cambiale a vista di 100.000. Essendo tutt’uno pel venditore avere questa cambiale, che può senza discapito vendere sul momento, o avere li 100.000 scudi effettivi, non ha più ragione, come nell’esempio precedente, di compensare con un maggiore prezzo fissato alle sue merci il danno del ritardato pagamento, e tant’egli come tutti”i successivi acquisitori di quella cambiale continueranno a fare i loro negozii nella stessa maniera con cui gli avrebbero fatti se la cambiale non avesse esistito, prescin- dendo dalle piccole speculazioni bancarie che possono aver luogo nelle sussecutive compre e rivendite della medesima. Ma poi, riguardo a Fabrizio, non v’'ha dubbio ch’ei vi avrà fatto un profitto grandissimo raggirando un capitale di 150.000 scudi, mentre non poteane met- tere in circolazione che 50.000. Supposto il profitto discreto dei negozii i più cauti al 6 p. °/ all'anno, egli guadagnerà per questa via annui scudi 6000, finchè l’ultimo possessore della cambiale non si presenti a lui per riscuoterne l’effettivo pagamento. 43° Supponghiamo ora che invece di una cambiale sola di questa natura Fabrizio ne abbia sparso un gran numero sulla piazza, tutte egualmente ben accolte e facilmente com- merciate pella buona riputazione che si conserva Fabrizio. Egli è chiaro che, in questa ipotesi, non avverrà mai che tutti insieme i possessori delle di lui cambiali cerchino di realizzarle. Se avesse fuori di queste cambiali per un milione di scudi, gli basterebbe probabilmente 20 GIUSEPPE PRATO — LA TEURIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA averne in cassa 200.000 per far fronte alle richieste di questo genere, e, sostituendo sempre nuove cambiali ad antiche estinte, troverebbesi insomma nella situazione di raggirar con profitto sulla piazza 800.000 scudi oltre il vero suo avere. 44° L'impiego di questo capitale può facilissimamente accrescere le opere utili e pro- duttive della nazione, o direttamente con imprese d’agricoltura. o di manifatture, onde si accrescessero i prodotti del suolo o dell'industria, ovvero anche indirettamente scemando gli ostacoli, o la quantità d’opera necessaria ad una produzione, per esempio formando argini a fiumi o sostituendo macchine all’opera umana in varie manifatture. 45° Non avverrebbe così se Fabrizio facesse altro impiego degli 800.000 scudi guada- gnati, direi così, col solo spargimento delle sue cambiali e in primo luogo s’ei dissipasse questo capitale in spese inutili e non produttive, come sarebbe in giuoco, banchetti, feste, viaggi, domestici, ecc., non v'ha dubbio che cadrebbe tosto il suo credito, e ben presto, por- tandosi tutte le cambiali a lui per cavar l’effettivo, ei sarebbe costretto a fallire, senza che alcuna nè propria nè pubblica utilità risultato avesse dall'abuso fatto da lui del suo credito. Avverrebbe la stessa cosa se impiegasse Fabrizio quel capitale in stravaganti e rovinose imprese di commercio. Che se egli impiegasse questi 800.000 scudi in fondi fruttiferi fuori del commercio, per esempio in terre, onde ne ricavasse il 4 p. ®/o, si troverebbe veramente accresciuta l’annua sua ricchezza di 32.000 scudi; ma anche dall'impiego di questi dipen- derebbe assai il riuscire la sua operazione utile, indifferente o dannosa alla società: utile, se quest'aumento di ricchezza venisse annualmente da Fabrizio impiegato in oggetti di agri- coltura, o di manifatture, che vuol dire convertito in un capitale produttivo; indifferente, se fosse convertito in consumazioni, onde non fosse nè accresciuta nè scemata l’opera pro- duttiva degli abitanti; nociva, se fosse impiegata in modo da scemare le produzioni del suolo, o l’opera produttiva degli abitanti, per esempio destinando a pura sterile delizia grande estension di terreno, o togliendo le braccia degli uomini dalle occupazioni, onde si crea, per così dire, un valore, per impiegarli in opere puramente sterili, come muraglie di pura osten- tazione, piantamenti e scoppamenti d’alberi inutili, servizi domestici, ecc. Quest’'osservazione io la credo di molta importanza e la reputo la chiave del proposto problema; intorno all’uti- lità della carta-moneta mi spiegherò più estesamente a suo luogo. 46° Se molti fossero in una nazione che avessero un credito uguale a quello del nostro Fabrizio, tutti potrebbero nella stessa maniera arricchirsi, e ne deriverebbero alla nazione proporzionatamente i medesimi effetti, che abbiamo attribuito alla carta-moneta fabbricata da Fabrizio; se non che, variandosi considerabilmente il rapporto tra la massa della moneta di carta e quella della moneta effettiva, e quello pure della somma intera d’ogni moneta col valore delle annue produzioni del suolo e dell’industria, potrebbero seguirne altri effetti che non è qui ancora il luogo di esaminare. 47° Converrà nella data supposizione qui avvertire soltanto che, spendendosi nel modo sovra spiegato le cambiali a vista dai soli negozianti, egli è assai probabile che il maggior numero dei medesimi sia per fare un impiego proficuo alla nazione delle ricchezze per tal maniera accumulate. 48° Ma potrebbe alcuno trattar di chimeriche tutte queste supposizioni, poichè tutte appoggiate ad una sola, che uno o più negozianti possano avere tanto credito sulle piazze di commercio a rendere interamente trascurati i possessori, delle loro cambiali a vista in realizzarle anche un anno e più dopo la loro data. Se si deve prestar fede al celebre Smith, godono di tal credito molti negozianti di Londra. Io non so veramente che siavi tal uso altrove di commerciare per lungo tempo cambiali a vista senza riscuoterle; ma il credito, che non può facilmente ottenere un negoziante o una società di più negozianti, otterrallo facilmente e lo ha ottenuto in più luoghi una ricca compagnia di cui siano facilmente noti al pubblico i fondi e le operazioni; ed eccoci per tal maniera naturalmente condotti a trat- tare dei biglietti, ossia della carta-moneta messa in circolazione dai pubblici banchi. PE A PI TEO STO I. E TOT MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 21 Capo II. Dei biglietti dei pubblici Banchi. 49° Senza narrar l'origine e la storia di questi banchi, che trovasi in più libri, esa- minerò qui i principali loro oggetti, che sono tre. Primo, accogliere in deposito il denaro di chicchessia e tenere coi proprietari del medesimo conto aperto nel banco. Secondo, scon- tare le cambiali che non sono in scadenza. Terzo, prestare denari a chi ne abbisogna, me- diante interesse e buone cautele. Pochi banchi si restringono ad un solo di questi oggetti; alcuni gli abbracciano tutti tre ed altri ancora meno importanti. 50° Il primo di questi oggetti non produce per sè solo spargimento di carta-moneta, ed appunto le insigni banche di Amsterdam e di Venezia, che a quest’oggetto restringono le loro operazioni, non dànno, per le somme ricevute in deposito, biglietti che abbiano corso come moneta. Si vendono, è vero, le ricevute date dal banco di Amsterdam a chi vi ha consegnato barre d’oro o d’argento, ma queste ricevute non circolano come moneta, poichè deve, ognîi volta che passano da una mano in altra, il venditore ed il compratore far rico- noscere al banco questo contratto; insomma non v'è in Amsterdam nè in Venezia carta- moneta sparsa dal banco. Ma questi due banchi hanno recato al commercio una grandissima utilità per due maniere: primo, perchè hanno fissato un rapporto costante tra la denomi- nazione di una moneta e la quantità di metallo fino in essa contenuto, così che la moneta di banco, benchè ideale, rappresenta sempre la medesima quantità di metallo fino e non è soggetta a tutte quelle alterazioni che si fanno soventemente nel titolo delle monete effettive; secondo, perchè, aprendo nel banco stesso un conto con tutti i negozianti che vi hanno de- nari di loro ragione, ha risparmiato ai medesimi gli incomodi dei reciproci pagamenti, sal- dandosi fra essi ogni conto con una girata al banco, onde nasce un'economia grandissima di fatica e tempo, economia importantissima nelle piazze di molto esteso e rapido commercio. 51° Il secondo oggetto, cioè di scontar le cambiali, si è preso principalmente di mira da alcuni banchi scozzesi, da quello di Londra e dal Parigino, che ne pigliò il nome di cassa di sconto. Il possessore di una cambiale non può riscuotere il suo denaro sino alla sua sca- denza; resterebbe essa frattanto oziosa ed infruttuosa nelle sue mani. Ma, se ella è accre- ditata, trova facilmente il possessore che la compri sotto deduzione dell’interesse corrispon- dente al tempo che manca alla sua scadenza, e per questa ragione si sono risguardate le cambiali come carta-moneta. Si è creduto cosa utile a tutti i possessori delle cambiali l’esi- bire loro una maggiore facilità di vendere le loro cambiali immature e di venderle con minor discapito, cioè collo sconto calcolato sulla quota dell’interesse legale o comune, sempre mi- nore assai dell’interesse mercantile. La difficoltà consisteva a trovare chi volesse sommini- strare i fondi necessarii per un banco destinato a quest’uso. I capitalisti che non negoziano non vogliono esporre ad alcun pericolo i loro capitali, e ne cercano impiego in terre, censi, mutui, sotto buone e sicure ipoteche, contentandosi dell'interesse legale. I negozianti, che possono impiegare i loro capitali a scontare cambiali all’interesse mercantile o ad ogni altra speculazion di negozio riputata più proficua, non vorranno certamente contentarsi del 4 °/g quando l'interesse mercantile fosse del 6. Si è sciolta questa difficoltà coi biglietti di banco, prevedendo che sarebbero divenuti carta-moneta. Il banco adunque, nel comprare una cam- biale immatura, non dà danaro al venditore, ma un biglietto contenente ordine al cassiere del banco di sborsare a vista il danaro specificatovi a qualunque presentatore d’esso bi- glietto. La sicurezza di poter realizzare quando si voglia questi biglietti ha reso i loro pos- 22 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA sessori meno solleciti a portarli al cassiere del banco per convertirli in denaro, la medesima sicurezza ha fatto che questi biglietti si sono facilmente venduti, e senza perdita, sulla piazza. Avranno a ciò probabilmente contribuito molte circostanze, in cui si fanno più facilmente gli affari di commercio con biglietti che con danari. Chi viaggia per fare incetta di merci porta seco senza alcun incomodo somme considerabili in biglietti di banco, mentre il danaro dai medesimi rappresentato sarebbe di un difficile e dispendioso trasporto. Anche gli affari correnti fra i negozianti della medesima piazza si fanno e si saldano più speditamente con biglietti che con danaro. Sia per queste ragioni, sia per qualunque altra, il fatto si è che i biglietti di banco entrarono in circolazione e vi fecero l’uffizio stesso della moneta reale. Non si sarebbe potuta sostenere questa circolazione senza che si vedesse evidentemente nel pubblico la massima puntualità dei cassieri del banco in dare il danaro effettivo corrispon- dente al biglietto che da chiunque loro venisse presentato. Ma egli era ben facile il preve- dere che, sussistendo il buon credito del banco, non avverrebbe mai che tutti i biglietti del banco fossero contemporaneamente portati al cassiere. Così, avendo il banco, per esempio, un milione di fondo in danaro, potrebbe dare biglietti per due milioni senza temere che perciò fosse mai esausta la sua cassa. Altronde il banco, proprietario delle cambiali scon- tate, le realizza alla loro scadenza e va continuamente rimpiazzando il suo fondo di cassa. Se vedesi minacciato da qualche sinistra opinione o da qualche urgente bisogno di danaro effettivo sulla piazza è sempre in tempo di rimediarvi, restringendo i suoi affari sin che i biglietti che dà per le cambiali comprate trovinsi in una proporzione più convenevole col suo fondo in denari. Sarà minore allora il suo profitto, ma questo savio ritegno accrescerà il suo credito in modo che potrà mettere in circolazione ancora più biglietti di prima. Sup- - posto che biglietti per due milioni non sieno sproporzionati al fondo di cassa d’un milione in danaro, il banco riscuoterà interessi al 4° di due milioni, il che corrisponde all’8 °/o del milione, con cui ha fatto il fondo di cassa. In questa maniera, il profitto essendo mag- giore assai del consueto interesse mercantile, non è maraviglia che molti negozianti siansi uniti in società per formar questo banco. 52° Il loro profitto, ossia quello del banco, si è potuto facilmente accrescere di molto facendo servire lo stesso banco al primo sovra descritto oggetto di accogliere in deposito danari da chichessia. Supponghiamo un altro milione di effettivo dato tra molti in deposito al banco. Con questo può il banco dar fuori altri due milioni di biglietti, e così riscuotere il 16 °/, del suo vero capitale. Se le somme depositate consistessero tutte in biglietti dello stesso banco, essi non darebbero il mezzo di spenderne nel pubblico una quantità doppia, ma, cambiandosi essi medesimi contro cambiali, dedotto lo sconto, darebbero sempre al banco il profitto del 4 °, onde il guadagno totale del banco sarebbe del 12 °/,. Se finalmente il banco pigliasse anche a mutuo dai particolari non negozianti all’interesse comune del 4 °/p, guadagnerebbe sempre il 2 °/, nel raggirare questi capitali. 53° Il terzo oggetto dei pubblici banchi è, come abbiamo detto, di prestare danari a chi ne ha di bisogno, mediante l’interesse comune che supponghiamo qui del 6 p. °/, e mediante solide ipoteche ed altre buone cautele. Dandosi biglietti dal banco e non danaro effettivo proviene quindi il medesimo effetto di quello che abbiamo osservato nascere dallo sconto delle cambiali. Convien solo avvertire, che, per la varietà o moltiplicazione degli oggetti, non si può ad arbitrio accrescere il numero dei biglietti posto in circolazione; la proporzione soffribile dei biglietti col danaro esistente in cassa, quella proporzione che eccedendosi po- trebbe pregiudicare al credito del banco, s'essa fosse soltanto del doppio, dico che avendo il banco già un doppio del suo capitale effettivo impiegato in iscontare cambiali, non po- trebbe dar fuori altri biglietti per fare prestanze, e così al rovescio. Potrà dunque valersi di questi mezzi indifferentemente impiegando parte in un oggetto, parte in un altro i suoi biglietti, ma non dovrà mai eccedere tra ambi la giusta proporzione. La varietà degli og- Pa i d i i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 23 getti gli sarà vantaggiosa soltanto per riguardo alla facilità di raggirare il suo capitale, la quale trovasi maggiore in due mezzi che in uno. 54° Tutte queste e qualunque altra operazione per cui i banchi pubblici dànno biglietti rappresentanti una somma eccedente il reale loro fondo di cassa sono interamente appog- giate alla piena fiducia che ha il pubblico nella loro puntualità a restituire il danaro effet- tivo in cambio di biglietto a chiunque lo vorrà. Ove scemisi questa fiducia, si rallenta il corso de’ biglietti; non sì possono più commerciare che a perdita: s’affretta ognuno di rea- lizzarli al banco; se vi sì incontra difficoltà, tanto più cresce il sospetto, e rischia il banco di trovarsi fuori del caso di soddisfare a tutte le ricerche; se non riesce allora con qualche mezzo di ricuperare la fiducia piena del pubblicc è necessario che sciolgasi il banco, e paghi chi può in danari e gli altri colle cambiali, che ha in deposito, o coi crediti suoi verso co- loro a cui ha fatto prestanze; e, se il banco si fosse abbandonato a qualche speculazione pericolosa di commercio in cui avesse dovuto soccombere, rischierebbe facilmente in tali cir- costanze di compiutamente fallire. I migliori mezzi che si adoprano in tali emergenti sono di chiedere un nuovo fondo di danaro agli azionarii, l’affettare nei pagamenti una grandis- sima puntualità procacciandosi qualche ritardo, ma ciò in modo che possa dal pubblico at: tribuirsi ad ‘estranee cause ed occasionali e non a mancanza di fondo. Finalmente suol ve- nire in aiuto dei banchi il credito del pubblico erario e ciò massimamente quando esso è debitore verso il banco pubblico, come frequentemente addiviene. 55° Se le finanze hanno poco credito, e se le provvidenze del Governo tendono allora direttamente a sgravare il banco dall’obbligazione assuntasi di pagare colla massima pun- tualità, sì rovina vie più allora il credito del banco, e così avvenne alla cassa di sconto di Parigi per l’editto dei 27 settembre 1783, la quale sarebbe infallantemente caduta, se non fosse stato revocato quell’editto due mesi dopo (1); ma, se le finanze hanno credito, possono esibirlo in soccorso del banco, ed il Governo può procacciarli qualche ritardo con una legge tendente in apparenza a prescrivere una puntualità più rigorosa. Se si dicesse, per esempio, che un vano timore incusso nel pubblico dai malevoli ha spinto una moltitudine di persone a chiedere tutti insieme al banco il danaro rappresentato dai loro biglietti, che gli ammi- nistratori del banco non si sono curati in tale occasione di accrescere quant’ era d’uopo il numero delle persone destinate ad effettuare l’effettivo. rimborso, e di costringerle ad impie- garvi tante ore del giorno che alla pubblica soddisfazione bastassero. Se si ordinasse quindi agli amministratori di fare impiegare in questa operazione tante ore del giorno e di riscat- tare biglietti ogni giorno per una data cospicua somma, proibendogli intanto di dar fuori nuovi biglietti, in questa maniera si potrebbe facilmente ricuperare la pubblica fiducia e si guadagnerebbe tempo insieme per rinforzare il fondo pubblico colla riscossione delle cam- biali scadute; potrebbesi ancora esibire, a chi ne volesse in pagamento, le stesse cambiali passate in proprietà del banco, e in pochi giorni (se il banco non siasi veramente rovinato con speculazioni imprudenti) esso riacquisterebbe il maggior credito onde possa gioire. 56° Vedesi da ciò quanto sia strettamente congiunta la riputazione dei banchi pubblici col credito del pubblico erario e colla saviezza del governo, anzi egli è assai naturale che un'associazione di negozianti abbandonata a sè stessa non potrà mai avere un sufficiente credito per sostenere la circolazione di tali biglietti al paro della moneta effettiva. Siano pure gli institutori della più riconosciuta probità e saviezza; succederanno loro eredi o altri cui avranno essi venduto le proprie azioni, ed il pubblico in breve non saprà più quanto possa fidarsi di loro. Siano pur messe in pubblica vista le leggi del banco, le continue sue operazioni, l’annuo suo stato attivo e passivo, tutto ciò non basterà per vincere la giusta (1) Vid. Bibliot. Oltrem, Mag. 1787, tom. II, p. 49. 24 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA diffidenza del pubblico, il quale, ben sapendo che in tutte le associazioni pochi sempre dànno la legge, e quanto è facile di celare con calcoli seducenti le operazioni di commercio anche rovinose, non presterà mai piena fede a un banco in tale maniera costituito. Dunque la sola autorità del Governo e il eredito delle sue finanze potranno sostenere il credito di un pub- blico banco. 57° Che se deve il Governo ingerirsi in qualche maniera negli affari del banco, vegliare sopra le operazioni del medesimo e rendere il suo erario, tacitamente almeno, mallevadore della fedeltà del banco, vorrà pure essere a parte del suo profitto, e così seguì in molti luoghi per varie maniere, e particolarmente in Londra, Parigi e Madrid. Da quest'idea dovea facilmente nascere un’altra che potrebbero le finanze, senza mischiarsi nè di depositi, nè di cambiali, nè di prestiti e tutt'al più mascherando con qualche pretesto di questo genere il vero suo scopo, dar fuori biglietti in vece di danaro, ed approfittarsi di tutto il beneficio, che far sogliono i banchi con tale operazione. Questa è l'ultima specie di carta-moneta di cui ci resta a trattare, cioè biglietti di credito verso l’erario pubblico, ossia verso le finanze del Sovrano. Capo III. Dei biglietti di credito verso l’Erario pubblico. 58° Io non sono informato abbastanza d'ogni specie di biglietti di credito che in varii tempi e in varii luoghi sono stati posti in circolazione dalle Finanze, ma spero che tutte potranno facilmente ridursi a quelle che andrò descrivendo. 59° Trovandosi le finanze in bisogno urgente di danaro contrassero debiti ad interessi più o meno onerosi in proporzione del minore o maggiore loro credito. I finanzieri di Pa- rigi considerarono che il timore di un totale o parziale fallimento fosse vie più maggiore quanto è più lontano il tempo prefisso alla restituzione del denaro prestato. Anche nel comune commercio si ha poco timore di accordare ad un negoziante di reputazione men soda il respivo di pochi mesi, cui non si accorderebbe il respiro di un anno. Pensarono adunque i finanzieri, che abbreviando gl’intervalli tra il prestito ed il pagamento, sì po- trebbero avere danari ad interesse più moderato. Inventarono essi adunque a questo fine le rescrizioni, che sono un ordine all’appaltatore o esattore dei pubblici tributi di pagare alla scadenza del quartiere da lui dovuto la somma espressa nel biglietto al presenta- tore del medesimo; le Finanze vendettero questi biglietti mediante sconto d’un interesse discreto in proporzione del ritardo del pagamento, così, per esempio, nell’anno 1780 hanno potuto prevalersi le finanze dei fondi dell’anno 1781 vendendo sotto deduzione del 5 °/ le rescrizioni pagabili dagli appaltatori solo un anno dopo, mentre se avessero voluto cercar danaro a prestito per lungo tempo avrebbero dovuto per trovarlo esibire l’interesse del sei e del sette. Per supplire nell’anno 1781 al vuoto di riscossione per tal maniera prodotto, vendettero altre rescrizioni sull'anno 1782 e così di seguito. A- misura che sono state mag- giori o minori le urgenze delle finanze e che esse furono più o meno saviamente regolate, si è accresciuto o scemato il numero di questi biglietti, i quali restarono in circolazione in forma di vera carta-moneta. Se per questa maniera non avessero ottenuto le finanze alcuna diminuzione d’interesse, questi biglietti sarebbero esattamente simili alle cambiali dei nego- zianti, e non produrrebbero altro effetto fuor quello che abbiamo nelle cambiali attribuito; ma, ottenendosi colle rescrizioni una diminuzione d’interesse, le finanze vi hanno certamente guadagnato la differenza fra l'interesse pagato per lo sconto di queste loro cambiali e quel maggiore cui avrebbero dovuto soccombere per procacciarsi denari in altra maniera. PE E È È È > a + MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 25 di 60° Altro mezzo si è trovato di procacciarsi denari a discreto interesse colle pubbliche lotterie. Poichè la cupidigia di un forte guadagno determina molti uomini a giuocare a giuochi anche dispari, cioè con sorte disuguale, si trovarono molti assai proclivi a conten- tarsi d'un picciolo interesse del loro danaro prestandolo in tal forma che sperassero dalla sorte di far qualche vincita considerabile, calcolarono adunque i finanzieri molte specie di lotterie e le combinarono in modo che, sebbene complicate di rendite perpetue, di rendite vitalizie e di premii insigni da pagarsi ai vincitori in certi determinati tempi, procurassero ciò non ostante alle finanze una somma di danaro ad un modico interesse per esempio del 3 o 4°. I biglietti di queste lotterie, comunque combinate, finchè non è decisa dalla sorte la loro vincita, diventano carta-moneta, poichè si vendono facilmente in commercio ad un prezzo corrispondente alla primigenia o alla residua probabilità di vincita che a ciascun d’essi appartiene. Prima che sia esausta e sciolta una lotteria se ne apre un’altra ed in questa maniera vi è sempre in commercio una certa quantità di carta-moneta con effetto, per ri- guardo alle finanze, affatto simile a quello delle rescrizioni. 61° È riescito per mezzo delle lotterie anche di più, cioè di aver danari senza esibire interesse alcuno. Posto un anno d’intervallo fra la riscossione del danaro e l'estrazione della lotteria si è potuto esibire (e ciò si è fatto e si fa tuttora, cred’io, in Inghilterra ed in Olanda) la restituzione in tanti premii di somma esattamente uguale a quella che si è ri- scossa colla vendita di biglietti; in questa maniera hanno avuto le Finanze il danaro senza interesse per un anno. Replicando ciascun anno Ja medesima operazione sì trovarono nella situazione di disporre e di impiegare perpetuamente un capitale che non costa loro verun interesse. Dovunque i biglietti di queste lotterie sono comunemente venali in commercio, essi formano una specie di carta-moneta. 62° Altre vie più spedite hanno trovato i finanzieri per trar partito della carta-moneta; hanno formato biglietti di credito verso le finanze, senza assegnare alcun tempo pel loro pagamento, e si è ordinato con legge che tutti i sudditi dovessero accettarli in pagamento dai loro debitori ed in cambio delle merci vendute, come se fossero la moneta istessa dai medesimi biglietti rappresentata. Da prima hanno presentito i finanzieri che la legge non sarebbe stata sufficiente a vincere la ripugnanza del pubblico a prender carta per oro o per argento e a darle la medesima estimazione. Per allettarlo hanno annesso a questi biglietti un interesse, ma minore di quello che avrebbero dovuto esibire per avere danari a prestito. Ciò fatto si valsero le finanze di questi biglietti per le loro spese ordinarie e per questa maniera entrarono in circolazione. Il Re di Sardegna Carlo Emanuele III ne ha sparso così una certa copia ne suoi Stati coll’interesse del 4 p. °/—, che da prima si accettarono con pena, ma, essendo sostentati dal credito delle finanze e dalla riputazione del suo economico governo, a poco a poco pigliarono tal favore che, essendo in qualche circostanza d’uso più comodo che il danaro effettivo, ed essendosi bassato l’interesse del danaro in Piemonte, acqui- starono in commercio un aggio, onde si pagavano più di quella somma ch’essi rappresen- tavano. Tolse il Re Carlo questi biglietti dalla circolazione, e ne sostituì altri all'interesse del 2 p. °/, e furono egualmente bene accolti. Approfittandosi di sì favorevole credito, sostituì finalmente il Re Carlo a questi biglietti altri senza interesse, e non furono perciò meno ac- cetti. Continuando sotto il Regno presente il credito delle finanze, si accrebbe (benchè sotto qualche motivo di pubblica utilità) il numero di questi biglietti e per altro simile motivo se ne raddoppiò il numero tutto di un colpo, senza che siasene lagnato il pubblico, nè ab- biano questi nuovi biglietti perduto nulla nella pubblica estimazione. 63° Non è maraviglia se, vedendo spesi ed accolti con tanta facilità questi biglietti, molti si persuadano che si possa per mezzo d’altri biglietti tentare ogni più utile impresa. Credesi in generale che l’unico o almeno il principale ostacolo che si oppone alle più im- portanti imprese d’agricoltura, di manifatture e di commercio sia la scarsezza del denaro 9 26 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA circolante nel paese. A questa si supplisce coi biglietti. Dunque, conchiudesi, colla creazione di nuovi biglietti di finanze o coll’erezione di alcun pubblico banco si farà facilmente ogni cosa con grande profitto della nazione. Quando si temesse che il numero eccessivo dei bi- glietti potesse per qualunque ragione pregiudicare al loro credito è facile scemarne il nu- mero nella circolazione. Sia proposta un’utile impresa, per esempio di rendere fruttifere molte terre gerbide o di stabilire nel paese una manifattura che impedisca la consumazione di molte merci straniere. Sia creato dal Governo un milione di biglietti e si consegni alla persona o società intelligente insieme e responsale, che, essendo in caso di eseguire quell’im- presa felicemente, non lo può fare solo per mancanza di un capitale spiccio alle mani, che vi si deve in gran parte sul bel principio impiegare; si esiga da quest’impresario l’annuo interesse del 4 °/, ma dopo due o tre anni, cioè in quel tempo in cui si presume l’im- presa eseguita e riescita felicemente; impieghi il governo quest'annuo interesse così riscosso in estinzione dei biglietti medesimi con cui si è formato il capitale. In 27 o in 28 anni sa- ranno ritolti dalla circolazione tutti questi biglietti e resterà perpetuamente il profitto della novella impresa; insomma si sarà accresciuto veramente di un milione il capitale fruttifero della nazione estimabile ancora di valor duplo o triplo, se, per la qualità dell’impresa ese- guita, si è ottenuto dall'impiego di quel milione un annuo prodotto doppio e triplo dell’in- teresse comune. Finalmente, se per qualche urgenza accidentale le finanze abbisognano di qualche somma non è egli meglio provvedere all’instante bisogno colla creazione di nuovi biglietti che aggravare la nazione di novelli tributi o fare un debito per cui se ne debbano pagare gli interessi? Coll’economia degli anni seguenti si potranno sempre estinguere questi nuovi biglietti ove ciò si creda opportuno. 64° Questi sono i ragionamenti più famigliari che si presentano al primo aspetto a chi si sia, e che formano la base di immensi progetti, che si vanno tutto giorno formando. Per darne un ben fondato giudizio bisogna esaminare qual sia l’influenza della carta-moneta nella ricchezza nazionale, qual sia il limite della carta-moneta supposta utile, quali sieno i migliori mezzi di contenerla nei limiti più convenienti. Capo IV. Teoria generale dell’infiuenza della carta-moneta nella ricchezza nazionale. 65° Non si può ben esaminare quest’influenza senza fissare prima l’idea precisa, che corrisponde a questo nome di ricchezza nazionale. Ho già accennato altrove che si può di- stinguere due specie di ricchezza nazionale, una costante, consistente nell’annua riproduzione del suo suolo e della sua industria, l’altra fugace, passagiera e non riproducentesi, che si puol chiamare ricchezza mobiliare, questa è conflata da mobili, utensili, bestiami, gemme, metalli, monete, ecc., che si trovano ripartiti fra tutti gli abitanti della nazione. Ma non tutto ciò deve riguardarsi come un fondo di ricchezza mobiliare separata dalla ricchezza costante. I bestiami e gli istromenti necessarii per l’agricoltura, le macchine, gli edifizi, gli strumenti necessarii per varie arti, la moneta stessa per quella porzione che è indispensabile per promuovere l’annua riproduzione per mezzo della circolazione dei prodotti e della distri- buzione dei salarii, tutto ciò è già compreso nella estimazione della ricchezza costante, perchè nulla se ne può togliere o deviare ad altro uso senza scemare l’annua riproduzione. Parimenti molti mobili, massimamente di lusso, che non hanno quasi alcun valore se si vo- lessero rivendere, i sontuosi palagi, che non si potrebbero convertire in capitali produttivi ut i setti MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 27 nè in alcun uso utile per altre persone ed altre simili cose, non si possono mettere in conto di vera ricchezza mobiliare per quanto denaro abbiano costato ai loro acquisitori. Così non sono una ricchezza in Egitto le sue famose piramidi; tutto il restante cioè mobili, gemme, metalli, monete, che si possono per qualunque maniera anche indirettamente convertire in un capitale fruttifero, ma non lo sono ancora, e sì giaciono oziose presso gli abitanti, for- mano la vera ricchezza mobiliare. 66° Rischiarirò con un esempio queste distinzioni: Annibale, ricco negoziante, possiede poderi e un capitale di negozio ripartito in varii rami di commercio e di manifatture; egli ha una casa riccamente addobbata di arazzi, porcellane, vasellami di argento. ha tre cocchi, molti famigli e tiene sempre 50.000 lire di scorta nel suo scrigno. I buoi, gli aratri, ed altri istromenti necessarii per la coltura de’ suoi poderi, gli edifizii di acqua e Je macchine che gli servono pel suo lanificio o setificio, i cavalli di cui ha bisogno continuamente per por- tarsi in varii paesi, a visitar lo stato del suo patrimonio e dare buone direzioni alle sue fabbriche, 20.000 lire che suppongo somma necessariamente serbata nello scrigno per far fronte ai cotidiani salarii della sua fabbrica e de’ suoi agricoltori ed alle richieste subitanee relative al suo commercio, tutte queste cose non possono entrare nel calcolo della sua ric- chezza mobiliare, perchè influiscono necessariamente nella ricchezza costante dell’ annua ri- produzione. Gli arazzi, i mobili di lusso, gli altri cavalli mantenuti per grandezza o como- dità, ed altri simili mobili non fanno parte della sua ricchezza mobiliare per quanto hanno costato in comprandoli, ma solo per quanto vagliono presentemente; i mobili suddetti per questa quota e così i vasellami d’argento e le 30.000 lire residue, che Annibale conserva oltre il bisogno nel suo scrigno, sono ciò che forma la sua vera ricchezza mobiliare. 67° Per riguardo alla ricchezza costante di una nazione non se ne avrebbe un'idea pre- cisa abbastanza dicendo solo che essa consiste nell’annua riproduzione del suo suolo e della sua industria. Può considerarsi la somma di quest’annua riproduzione da sè sola, e senza confrontarla col numero degli abitanti e coll’estensione del suolo, e potrebbe allora chiamarsi questa somma la ricchezza assoluta di una nazione. In questo senso, poichè la somma del- l’annua riproduzione è maggiore nell'Impero Russo che nelle Isole Britanniche, potrebbesi affermare che la Russia è più ricca che la Gran Bretagna. Quando vogliasi estimare questa ricchezza nel rapporto che essa ha colla moneta, è d’uopo anche far attenzione al diverso valore, che hanno i metalli in diversi paesi. Senza quest’avvertenza, sarebbe inesatto il con- fronto dell’annua riproduzione di quel paese, ove ci vuole molto metallo per rappresentare una data quantità di merci con un altro ove ci vuole meno metallo. Supposta eguale l’annua riproduzione in frutti di terra ed in opere di industria tanto in Spagna che in Inghilterra, sarebbe inesatto il giudizio se si pronunziasse maggiore la ricchezza assoluta della Spagna di quella dell'Inghilterra, perchè le produzioni di Spagna corrispondono nel loro paese ad una maggiore quantità di monete che quelle dell’Inghilterra. Bisognerebbe per fare un giusto confronto assumere un luogo medio, per esempio la Francia, e vedere quanti milioni varreb- bero in Francia tutte le annue produzioni della Spagna e quanti quelle dell’Inghilterra, ve- drebbesi allora che, l’annua riproduzione, supposta uguale in quantità e in qualità nei due Regni, non sarebbe maggiore la ricchezza della Spagna, solo perchè ivi ogni prodotto costa più caro. 68° Ma poco giova e non si ha frequentemente occasione nelle speculazioni politiche di calcolare la sola ricchezza costante di una nazione, che ho chiamata assoluta. L’esame il più importante è quello della ricchezza relativa al numero degli abitanti. Una famiglia che abbia 10.080 scudi di entrata, di cui debbano gioire egualmente 5 fratelli, si reputa meno ricca di quella in cui due soli fratelli debbano dividere 6000 scudi, poichè questi avranno 3000 scudi ciascuno, mentre gli altri non ne avranno che due; così egli è naturale di riputare più ricca quella nazione i di cui abitanti l’uno sull’altro sono più ricchi, cioè hanno annualmente i 28 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA mezzi di soddisfare ad un maggior numero di desiderit; sarà dunque la ricchezza annua re- lativa d'una nazione eguale alla sua ricchezza assoluta divisa pel numero de’ suoi abitanti. Dunque una nazione il cui annuo prodotto si possa estimare di 600 milioni sarà tanto più ricca quanto sarà meno popolata, perchè 600 milioni di lire divisi sopra una popolazione di 6 milioni di abitanti dà un’annua rendita accomunata a ciascuno di 100 lire, e, se non vi fossero che 3 milioni di abitanti, avrebbero ciascun un sull’altro 200 lire annualmente da spendere. Che questa ricchezza assoluta sia più o meno ugualmente ripartita sugli abitanti, ciò può influire nella felicità maggiore o minore della nazione e può anche indirettamente influire a far crescere o scemare in avvenire la ricchezza assoluta ed anche la relativa, ma frattanto egli è sempre vero che, nel momento in cui si fa l’estimazione, deve questa rego- larsi dalla ricchezza assoluta divisa pel numero degli abitanti. Segue da ciò che, determi- nata la ricchezza costante relativa di una nazione, essa scemerà coll’accrescersi la sua po- polazione, a meno che la popolazione accresciuta non aumenti nella stessa proporzione l’annua riproduzione, cioè la ricchezza assoluta. Così, nel supposto esempio di 3 milioni di abitanti che avendo fra tutti un’annua riproduzione di 600 milioni sonosi estimati ricchi di 200 lire ciascuno, se si accrescesse in quella nazione un milione di abitanti che non producessero nulla, si avrebbero a dividere 600 milioni di lire sopra 4 milioni di abitanti e non avrebbe più ciascuno annualmente da spendere che 150 lire all'anno. Se il milione accresciuto fosse di abitanti che producessero ciascuno il valore di 100 lire, risulterebbe la ricchezza assoluta, dopo quest'aumento, di 700 milioni, la quale somma, divisa sopra 4 milioni di abitanti, da- rebbe a ciascuno 175 lire annue invece di 200, che ne aveano prima. 69° La ricchezza costante relativa di una nazione così spiegata potrebbe ancora para- gonarsi coll’estensione del suo territorio, ma questo paragone interessa direttamente la forza nazionale e non la sua ricchezza. Infatti, quanti son più vicini tra loro gli abitanti di una nazione possono più facilmente resistere alle incursioni degli esterni nemici ed accorrere ove fia d’'uopo a prevenire e reprimere gli interni disordini, ma, per riguardo alla ricchezza, nulla importa che corrisponda a ciascun abitante uno o due miglia quadrate del territorio. 70° Fissata così l’idea precisa che corrisponde al nome di ricchezza nazionale preso nei varii suoi sensi, si è appianata la via ad esaminare qual esser possa l'influenza della carta- moneta in ogni genere di ricchezza. Gioverà per questa ricerca premettere che la ricchezza costante e la ricchezza mobiliare hanno naturalmente fra di loro una reciproca influenza. Poichè, risparmiando gli abitanti sull’annua riproduzione ciascun anno, cioè consumandosi da loro presi in massa meno di quanto si produce, si accresce con questi risparmii la ricchezza mobiliare; e questa, se invece di serbarla oziosa si sappia e si possa opportunamente im- piegare, può divenire un capitale fruttifero, e così accrescere la somma delle annue ripro- duzioni e per conseguenza la ricchezza costante assoluta, e questa è probabilmente la ragione per cui, prescindendo dalle distinzioni qui sopra esposte, si è da gravissimi autori misurata la ricchezza nazionale dalla quantità annua delle produzioni del suolo e dell’industria, ap- punto perchè da questa essa principalmente dipende. | 71° Influiscono evidentemente nell’annua riproduzione: 1° la fertilità del suolo: nessuno ignora che si avranno più prodotti da un suolo fecondo che da un suolo sterile; 2° la quan- tità del lavoro degli abitanti: si ricava maggior prodotto dalla terra più coltivata: si dà maggior valore alle merci su cui siasi utilmente impiegata una maggior quantità di opere, quanto sarà maggiore in una società il rapporto degli uomini, che lavorano utilmente agli oziosi, tanto maggiore ne sarà l’annua riproduzione; 3° l’intelligenza nella direzione di queste opere: a egual lavoro traggono maggior profitto i coltivatori più esperti, e sono tanto mag- giori in quantità o valore i prodotti dell'industria, quant'è maggiore l’abilità degli artefici; 4° l’impiego della ricchezza mobiliare in capitali fruttiferi: chi fa dissodare un terreno sterile, purgare dall'acqua il paludoso, inaffiare dall'acqua l’arsiccio, riparare con argini quel che è MEMORIE - CLASSE DÌ SCIENZE MORALI, STOKR. E FILOL.; SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 29 sottoposto a corrosione di fiumi e torrenti; chi compra nuove macchine per avere con egual numero d’operai un maggior prodotto d’industria, chi fa le prime spese necessarie per sta- bilire una nuova utile manifattura, tutti costoro convertono in capitale fruttifero una ric- chezza che avevano oziosa ne’ loro scrigni ed aumentano l’annua riproduzione; 5° la circo- lazione del denaro: i prodotti della terra sia brutti sia preparati dall’arte a formarne merci destinate a varii usi tanto hanno maggior valore quanto sono più facilmente venduti o cam- biati fra loro per soddisfare ai diversi reciproci bisogni dell’uomo, il danaro circolante facilita questo cambio, che non potrebbesi fare in natura senza un grosso discapito, e per l’incerta estimazione delle merci e pel tempo che perderebbero a cercarsi fra loro le persone, cui abbisogna questo cambio. Colui che trova facilmente sul mercato o in magazzeno chi compri con denaro le sue merci, ed altri che gli venda quelle onde abbisogna, può impiegare in opere produttive tutto il tempo, che perderebbe a cambiare per esempio il soverchio suo grano colle vestimenta che gli abbisognano. Questa facilità di compere e vendite richiede una certa somma di danaro circolante; dunque la circolazione del denaro, per la quota ne- cessaria o utile all’uso suddetto, influisce nell’annua riproduzione. 72° Dei cinque fonti che influiscono nell’annua riproduzione, i tre primi influiscono di- rettamente, gli altri due indirettamente. Poichè, sia l’impiego fruttifero di nuovi capitali, sia la circolazione del denaro, non producono altro effetto, che o di migliorare un suolo e ren- derlo più fecondo, o di dar luogo ad impiegare utilmente una maggior quantità di opere. Considerando adunque soltanto l’influenza immediata dei primi tre fonti accennati, si potrà asserire che l’annua riproduzione è esattamente proporzionale alla fertilità del suolo ed alla quantità delle opere utili. 73° Scorgesi facilmente che la carta-moneta d’ogni genere non ha alcuna relazione im- mediata con questi tre primi fonti; non diviene più fertile il suolo, nè più laboriosi, nè più industriosi nell’impiego delle opere loro gli abitanti, poichè accettino e spendino nel loro commercio la carta invece della moneta. Ma ciò potrà contribuire ad accrescere la circola- zione ei capitali impiegati utilmente, e. per questa maniera, la carta-moneta avrà un'influenza indiretta nell’annua riproduzione, accrescendo la fertilità del suolo e la somma delle opere utili. 74° Abbiamo accennato poc'anzi in che consista il vantaggio della circolazion del denaro; è difficile assai estimarne la somma necessaria relativamente al numero degli abitanti ed alla massa dei loro affari. Da un esempio particolare potremo trarre, non già un calcolo esatto, ma i principii generali, onde giudicare del bisogno di tutta la nazione. Abbia un calzolaio quattro operai sotto di sè, salariati in ragione di venti soldi per ogni giorno tanto feriato che festivo, dieci soldi corrispondano al suo vitto giornaliero, sette al necessario pe’ suoi indumenti, tre alla spesa del fitto di casa, suppongasi pagato questo salario anticipatamente; per una settimana la metà corrispondente al vitto importa soldi 70, di cui l’operaio spen- derà 10 ciascun giorno, avrà dunque nel primo giorno una scorta di 70 soldi, nel secondo di 60 e nel terzo di 50, ecc., sino al fine della settimana; presa la media proporzionale aritmetica di queste scorte avremo 40 soldi al giorno l’uno sull’altro, che avrà continuamente in scarsella quest’operaio per tutto il restante delle sue spese; suppongasi, per abbreviare il calcolo, che ogni sei mesi egli debba pagare il fitto di casa, e farsi la necessaria provvigione di vestimenta, riscuotendo egli per ambi questi oggetti ciascuna settimana soldi 70 dovrà accumularli per ventisei settimane, onde essere in caso, in fin del semestre, di pagare il vitto e comprarsi le necessarie provvigioni, anderà dunque di settimana in settimana crescendo il suo cumulo da lire tre e mezza sino a lire 91; in qualunque settimana si visitasse il suo borsiglio, vi si troverebbe nella prima 3 e 10, nella seconda il doppio, nella terza il triplo e così di seguito fino a lire 91, che vi si troverebbero nell’ultima settimana, la media somma è di lire 45, soldi 10, a cui si può estimare la scorta comune che deve trovarsi presso all’operaio suddetto pel suo vestimento ed alloggio; aggiunte queste alle lire 2, che 30 GIUSEPPE PRATO — LA 'EORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA abbiamo supposto sua scorta giornaliera pel vitto, dovranno trovarsi in qualunque giorno in tasca degli operai di questo genere un sull'altro lire 47,10 e così per quattro operai 1. 190. Il padrone che sulla fiducia della sua probità ed intelligenza ha avuto a prestito un capitale di fr. 1020 poco meno all'interesse annuo in ragion del 4°/, pagabile a semestri, lo impiega in principio di ciascun semestre nel procacciarsi tutte le materie dell’arte sua, e colla ven- dita delle scarpe deve rifondere al fine d’ogni semestre fr. 1040, e ciò farà mettendo a parte ciascuna settimana fr. 40, ma deve ancora ciascuna settimana pagare in salarii fra i quattro operai ]. 28. Suppongo che il suo sostentamento, ogni cosa compresa, richiegga ciascuna settimana I. 16. E duopo adunque che ritragga ciascuna settimana dalla vendita delle sue scarpe ]. 84, le quali (in ragione di un paio al giorno che faranno ciascuno dei quattro operai nei sei giorni di lavoro) ripartendosi sopra ventiquattro paia formeranno il prezzo di ciascun paio in 1. 3,10. Per rendere il calcolo meno imbarazzante supponghiamo che il padrone ritragga esattamente in ciascuna domenica il prezzo delle scarpe lavorate nella set- timana antecedente in ]. 84 di cui immediatamente sborsi 1. 28 agli operai. Quest’articolo non richiederà più alcuna scorta di denaro ozioso in cassa, le l. 16 del ebdomadario suo sostentamento divise metà sul vitto e metà per gli indumenti e fitto di casa e bottega, for- mando un calcolo simile a quello che si è fatto per ciascun operaio, obbligheranno il padrone ad aver una scorta, fatta una comune, di circa 1. 100, le 1.40, che deve egli mettere a parte ciascuna settimana per rifondere il capitale cogli interessi di sei mesi in tutto di 1. 1040, produrranno presso di lui una scorta, fatta una comune tra le settimane più lontane e le più vicine, alla scadenza del semestre di circa 1. 520, sarà dunque in tutto la sua scorta fatta una comune di l. 620, e quella dei quattro operai di 1. 190, in tutto di ]. 810. Questa, nelle proposte ipotesi, sarebbe la somma necessaria di denaro circolante per questa fami- gliuola d’un calzolaio, e, poichè l’annua consumazione tanto del padrone che degli operai ascenderebbe a circa 1. 2300, risulterebbe il denaro circolante d’una quota poco superiore del terzo dell’annua spesa. Se mancasse una parte di questo denaro destinato alla cir- colazione, cioè se l’operaio non avesse in tempo la scorta necessaria per le spese del suo sostentamento, dovrebbe perdere molto tempo per cercare danari e merci a prestito per ri- spondere in giudizio ai suoi creditori, per occuparsi di trovare e preparare un nuovo alloggio qualunque volta per la sua poca puntualità nel pagare fosse licenziato da quello in cui abitava, e diverrebbe anche più svogliato nel suo lavoro, cagioni tutte per cui sarebbe dimi- nuita l’opera sua. Il padrone cui mancasse la necessaria scorta dovrebbe soccombere a gravi interessi per comprare le merci a credito, o a più gravi spese comprandole a minuto, e non potrebbe somministrare il consueto lavoro per mancanza di congruo capitale e scemerebbesi anche per questa ragione la somma delle opere. 75° Ma non è da credersi che tanta sia veramente quanta si è calcolata la quota ne- cessaria del denaro circolante. Essa viene scemata per molte maniere. Sarà facile il riscon- trare col calcolo, che la scorta necessaria sarà minore se i salari verranno distribuiti ciascun giorno e non ciascuna settimana, se parte di essi sarà data in grano, vino, ecc., e non in danaro, se il fitto di casa si pagasse a quartieri o a mesi, e non a semestri, se la provvi- gione delle vestimenta o delle materie da lavorare fosse ripartita sopra ciascun mese, e non tutta insieme ciascun semestre, e sopratutto se si ottenesse per ciascuna spesa la facilità d’un ritardato pagamento. Pochissima scorta basterebbe all’operaio nelle sovradescritte sup- posizioni, se chi gli somministra il cibo in ragione di 10 soldi al giorno aspettasse a riscuo- terlo in fin della settimana nel momento in cui l’operaio riscuote il suo salario, se il nego- ziante che gli vende la tela, le calze, il vestito gli accordasse il respiro opportuno d'un mese o due, sarebbe per simili ragioni minore la scorta necessaria al padrone, e più ancora se la metà degli accorrenti alla sua bottega non saldassero il conto che ogni sei mesi. Il danaro riscosso allora sarebbe immediatamente impiegato nell’incetta delle materie dell’arte e non upndin® POSTA RETTA e + MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR., E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 8. 31 resterebbe mai ozioso nelle mani del calzolaio. Per queste ragioni, ben lungi che si calcoli la massa del denaro circolante ad un terzo del valore delle annue consumazioni, molti la riducono ad una quota quinta, decima e per fin solo alla trentesima. Poichè si diminuisce princi- palmente la somma necessaria del denaro circolante per la facilità di comprare a respiro; non è da maravigliarsi che nei paesi ov'è più vivace il commercio si accordino più frequen- temente e più lunghe le more; e poichè a questa facilità contribuisce principalmente la più evidente responsabilità tanto reale quanto personale dei debitori, cioè la chiarezza delle loro ipoteche e la fama della loro probità, non sarà inutile d’aver qui incidentemente osservato quanto questi due articoli possano meritare le più serie attenzioni del Governo. 76° Per quanto scemisi coi mezzi suddetti la somma necessaria del denaro circolante, questa diminuzione ha un limite che non puossi oltrepassare. Un negoziante senza alcuna scorta non potrebbe pagare a vista le merci minute, ch'ei va raccogliendo, e scemandosi la sua scorta dovrebbe diminuire gli affari del suo commercio; chi ha bisogno di vendere per- derebbe moltissimo tempo prima di trovare chi avesse in quel momento bisogno della sua merce, diverrebbero allora scarsi tutti i mercati, sconcertato il valor naturale d’ogni pro- dotto del suolo o dell’arte, e scemata per conseguenza di molto l’opera degli abitanti, la quale in gran parte, per mezzo del denaro circolante, si accumula nei magazzini dei riven- ditori. 77° Se per qualunque straordinaria cagione, per esempio, per un'invasione di nemici, ve- nisse esportata una quantità considerabile del denaro circolante, si supplirebbe in parte convertendo in moneta la ricchezza mobiliare, ciò non bastando, si distruggerebbero capi- tali fruttiferi per ridurli in moneta circolante; un contadino venderebbe una parte del grano destinato per la seminagione dell'autunno seguente, o i buoi destinati a coltivare la terra; un fabbricante dismetterebbe la sua fabbrica e lascierebbe oziosi tutti i suoi operai per impiegare il suo capitale in prestiti, che gli profitterebbero gravissime usure, e così vadasi discorrendo. 78° A tutti questi inconvenienti rimedia facilmente l'introduzione della carta-moneta, e in primo luogo le cambiali suppliscono in gran parte alla quantità di monete che devono tenere i negozianti nei loro scrigni per comprar merci, a misura che vengono esibite per pagare a ordine del creditore quelle che avevano già comprate prima a respiro, per far onore alle incombenze dei loro corrispondenti. La massa necessaria alla circolazione di un paese sia, per esempio, di 30 milioni: 10 probabilmente di questi si troveranno negli scrigni dei negozianti, perchè la circolazione delle spese del popolo, essendo più rapida, riscuoten- dosi e spendendosi quasi ogni giorno i salarii, richiede assai minor copia di danaro. Ora, dove sono introdotte le cambiali, 5 milioni basterebbero invece di dieci per la scorta dei negozianti, poichè ciascuno compra alcune merci all'ingrosso, paga in parte i suoi debiti, ed eseguisce in parte le incombenze dategli dai corrispondenti colle cambiali, ed ove ab- bisogni assolutamente di moneta effettiva, trova subito a procacciarsene sulla piazza colla vendita delle sue cambiali. Im questa maniera se mancassero solamente alla circolazione cinque milioni ai trenta necessarii, vi ha tutta l'apparenza che, introducendosi in quel paese l’uso delle cambiali, esse basterebbero per supplire a questo difetto. 79° Ma questo beneficio delle cambiali non può oltrepassare un certo limite, le cam- biali non possono supplire alla scorta che debbono avere per li proprii reciproci affari tutte le persone che non sono di professione negozianti. Esse non conoscono la responsa- bilità d’una firma, non sanno le leggi e gli usi del cambio, e non troverebbero ad esitare le cambiali in quelli usi per cui hanno giornalmente bisogno di spendere i loro denari. Al- cuni accetteranno cambiali, quando si tratti di riscuotere il denaro in un altro paese, così il proprietario o affittavole alessandrino che avrà venduto grano a un negoziante torinese 32 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARLA-MONETA per una somma cospicua accetterà di buon grado in pagamento una cambiale sopra un noto negoziante alessandrino, o sopra un altro negoziante conosciuto che frequenta la fiera d'Alessandria, ma, in questi casi, che pur non sono frequenti, la cambiale fa l’effetto di evitare l'inutile trasporto del danaro, ma non già quello di supplire alla scorta che suol tenere presso di sè il venditore del grano, poichè queste cambiali comunemente, appena spiccate, si realizzano e si convertono in moneta effettiva. 80° Anche per la scorta che devono avere i negozianti per gli affari del loro com- mercio, non bastano le sole cambiali. Ci vuole moneta effettiva per comprare ogni genere di merci a chi ne fa incetta per speculazione, ce ne vuole per distribuire agli operai in salarii nel corso di una manifattura ; ce ne vuole per far onore alle incombenze dei corri- spondenti: nuocerebbe troppo al credito di un negoziante, se, essendogli presentato un or- dine di un suo corrispondente di pagare a vista una certa somma anche in specie deter- minata di monete, che pur sieno comuni nel paese, egli rispondesse che non ha sufficiente somma nello scrigno, e pigliasse tempo di procacciarsela colla vendita di altre cambiali sulla piazza. Affettano i buoni negozianti d’avere il loro scrigno ben fornito di monete di varie specie, perchè ciò giova al loro credito. Non potranno adunque le cambiali supplire a tutta la moneta destinata alla circolazione che serve di scorta alle casse dei negozianti, e potremo supporre che su dieci milioni destinati a questo genere di circolazione se ne richieggano per esempio cinque in moneta effettiva. 81° Se questi mancano e più ancora se manca una parte di quella somma che abbiamo supposta essere necessaria per la circolazione intera, così che, se di 30 milioni supposti necessarii alla circolazione d'un paese ne vengono all’improvviso sottratti 15 per qualunque . modo, per esempio per un'invasione de’ nemici, in questo caso si soffrirebbero tutti i danni sovraccennati, e non basterebbero le cambiali per ripararli. Le altre specie di carta-moneta, cioè i biglietti dei pubblici banchi, e quelli di credito verso il pubblico erario, porgeranno allora un opportuno riparo, ove non basti la ricchezza mobiliare convertita in moneta cir- colante. La penuria del pubblico erario fa ritardare il pagamento dovuto agli stipendiati, e questi accetteranno volentieri biglietti di credito, sperando di poterli spendere subito a provvedere alle loro urgenze. Gli impresarii di manifatture o di ogni genere di commercio, trovandosi privi del necessario danaro e non trovandone che ad usure gravissime, saranno contenti di pigliarne a prestito o di avere l'ammontare delle loro cambiali ad usure e sconti moderati dai banchi pubblici, benchè in biglietti e non in effettivo. Tutta questa carta-moneta sarà facilmente accettata nel commercio reciproco di tutti gli abitanti, perchè generalmente tutti soffrono pella penuria della moneta effettiva. È vero che i soli debitori o compratori hanno interesse di sostenere il credito della carta-moneta e farla circolare come moneta effettiva. I creditori e venditori potrebbero preferire il danaro alla carta. Ma perchè tutti gli abitanti quasi sono reciprocamente compratori e venditori, creditori e de- bitori, quindi nasce l’interesse universale di accettare e di tenere in pregio uguale al de- naro la carta-moneta. Sono allora minori gli scrupoli, e la fiducia di una competente re- sponsabilità dei banchi e del pubblico erario, da cui sono spiccati i biglietti, basta a sostenerne il credito. 82° Questi biglietti hanno sopra le cambiali il vantaggio che, essendo conosciuti da tutti gli abitanti, servir possono all'uso di ciascuno e per conseguenza supplire in gran parte alla circolazione in ogni genere di affari. Dissi in gran parte, perchè non possono assolutamente supplire a tutta intera la somma, che è necessaria in circolazione. Questa non si può fare senza l’uso di molte picciole monete, cui non possono supplire i biglietti. Sarebbe incomo- dissima la conservazione ed il conteggio dei biglietti corrispondenti alle varie specie di monete erose ed alle picciole monete d’argento, che si sogliono usare nel comune commercio, e difficilmente si soffrirebbero anche i biglietti rappresentanti in oro nulla più che due o MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 33 tre scudi. Di più, senza moneta effettiva, non si troverebbe a cambiare in essa i biglietti, e il loro credito richiede necessariamente questa facilità. È dunque necessaria in circolazione una certa quota di moneta effettiva. Qual sia questa quota non si può determinare, perchè non si può sapere la massa della moneta tutta vera o finta circolante in una nazione, e perchè questa quota varia facilmente per varie circostanze, e particolarmente per quelle che influiscono per alcun modo nel credito dei biglietti. Si conosce che è scarsa la quota dell’ effettivo quando s' incontra qualche difficoltà nel cambiare i biglietti in moneta, sce- mandosi allora i biglietti, ritorna in circolazione da sè insensibilmente la moneta effettiva necessaria, e si restituisce l'equilibrio, ma di ciò si parlerà più opportunamente in appresso. 83° Abbiamo sin qui considerato l'utilità della carta-moneta per supplire alla moneta ef- fettiva mancante agli usi necessarii della circolazione. Passiamo ad esaminar l’influenza della carta-moneta nel caso che vi fosse in circolazione tanta moneta effettiva quanta vi occorre. In queste circostanze, qualunque specie di carta-moneta sparsa in un paese non può per modo alcuno accrescere la massa del denaro circolante. La ragione si è chiara: abbiam ve- duto che questa massa risulta dalla riunione di tutte le partite di danaro che ciascun abi- tante tiene di scorta per l’occorrenza delle sue spese. Per quest’uso il pubblico erario avrà per esempio una scorta di due milioni di lire; i banchieri. i negozianti, i fabbricanti ne avranno chi più, chi meno, secondo le loro occorrenze da 5000 a 50.000, i cittadini pro- prietarii e non negozianti da 1000 a 10.000. I bottegai, gli artisti, gli operai, le persone del popolo da 50 a 1000. Tutte queste somme raccolte insieme formano la massa del de- naro circolante, non si saprebbe che fare di una maggior somma nella circolazione; l’ope- raio che riscuote l’ebdomadario suo salario pria che abbia speso quello della settimana antecedente, il negoziante che ha riscosso il prezzo delle merci vendute pria che abbia finito di spendere la scorta che teneva per far le solite nuove incette, e così discorrendo di tutti gli altri, si trovano possessori di una quantità di danaro eccedente il loro bisogno. 84° Questo accrescimento di denaro può avvenire per una causa passeggiera che lo spanda sopra un maggiore o minore numero di abitanti. Se un qualunque straordinario accidente facesse crescere considerevolmente il prezzo dei nostri organzini, così che, ven- dendosi dal Piemonte agli esteri, annata comune, organzini per l’importare di 20 milioni di lire, la stessa quantità d’organzino si vendesse in un anno al prezzo di milioni 24, egli è chiaro che si troverebbero 4 milioni di più nelle casse di coloro che fanno questo com- mercio. Se quest’ accrescimento avvenisse alle sete greggie (nel caso che ne fosse libera l'estrazione) i 4 milioni si spanderebbero sopra tutti coloro che fanno filare, i quali sono in assai maggior numero che i negozianti d’organzino. Se finalmente l'accrescimento av- venisse nel prezzo dei bozzoli (suppostone libera intieramente la vendita, eguale alla comune, la raccolta, e non pregiudicati nella vendita delle sete i filanti e i negozianti) i 4 milioni si spanderebbero sopra un'immensa classe del popolo. In ciascuna delle tre ipotesi tre usi differenti si farebbero di questo accrescimento di denaro. Esso verrebbe convertito in maggior consumazione o in ricchezza mobiliare o in capitali fruttiferi; non faccio caso dell’uso, che ne farebbero alcuni avari di tenere questo denaro ozioso nello scrigno. Questi avari sono generalmente in sì piccol numero, che le somme da essi sottratte non sogliono produrre un effetto sensibile nella nazione. Per riguardo ai tre usi suddetti, sembrami assai probabile che la ricchezza nel modo esposto straordinariamente acquistata e per causa pas- seggiera, quanta è più sparsa nel popolo tanto più sarà convertita in consumazioni. Il contadino e l’operaio, che vivono delle loro braccia e vivono per conseguenza ristretta- mente, se loro accade fortunatamente di acquistare una piccola somma, sono facilmente tentati a spenderla subito in mangiare, bere e divertirsi, e frequentemente ancora in darsi al bel tempo, cessando dal consueto lavoro, finchè hanno da vivere colla loro scorta. Un piccolo numero di queste persone impiegheranno il denaro acquistato in mobiglie per uso 10 34 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA proprio, pochi o nessuno ne farà un impiego fruttifero; e tanto più che non si hanno oc- casioni d’impiegare a frutto piccole somme. La ricchezza straordinariamente acquistata, ove sia ripartita sovra persone agiate e proprietarie di fondi, quali sono nella supposta ipotesi i filanti di sete, verrà assai meno impiegata in consumazioni inutili, più assai in mobilie e in capitali fruttiferi. Questa gente non sono di quelli che vivono alla giornata. Un filante, che ha guadagnato 1000 lire di più di quello che si aspettava, non ha così facilmente la spensieratezza di spenderle in tavole, giuochi, feste, ecc. La somma è tale da procurargli dei comodi durevoli coll’acquisto di mobili convenienti; casa per miglior alloggio, argenti per maggior decoro e simili cose. Finalmente la somma è tale da trovare un facile impiego fruttifero in terre, in accrescimento di filatura per gli anni seguenti, ecc. Se la ricchezza, straordinariamente acquistata, trovasi poi ripartita fra un picciol nu- mero di persone, e particolarmente di negozianti, come nella sovraesposta ipotesi, allora il massimo uso di queste ricchezze si farà nel convertirle in capitali fruttiferi, poco in mobilie, quasi nulla in consumazioni. Il negoziante che ha guadagnato straordinariamente, in un anno, da trenta a cinquanta mila lire, le impiega quasi tutte ad accrescere il ca- pitale del suo negozio, o le destina a qualche novella proficua impresa. 85° L'esito sarebbe assai diverso, se si accrescesse il denaro in una nazione, non per una causa straordinaria e passeggiera, ma per una cagione costante e durevole. Questa cagione costante altro esser non può che un eccesso dell’annua riproduzione sopra l’annua consumazione. È raro il caso, e massimamente in una nazione principalmente agricola, che quest’eccesso avvenga altrimenti, che per uno spirito d’ industria insieme e di economia generalmente sparso nella più numerosa classe degli abitanti. Dove gli uomini general- mente lavorano assai e consumano poco, dove non ispendono annualmente tutto il provento delle annue loro fatiche, ivi la maggior parte fanno un risparmio e s’arricchiscono. Il primo e più naturale effetto della ricchezza così acquistata si è di accrescere la popolazione. Se la popolazione accresciuta assorbisse tutto il risparmio che faceasi prima, cesserebbe lo sbilancio, e la consumazione fatta dai nuovi abitanti restituirebbe l'eguaglianza tra la somma delle riproduzioni e quella delle consumazioni, ma dove regna uno spirito d’industria, di economia, di frugalità, il valore dell’opera di ciascun uomo e di ciascuna famiglia (una sull'altra) ne eccede la spesa, e la popolazione aggiunta accrescerebbe l’annua riproduzione oltre l’annua consumazione, nella proporzione istessa in cui si trovava quest’ aumento in principio. 86° Una parte considerabile di questa ricchezza numeraria che si andrebbe annual- mente accumulando, e quella parte principalmente che si troverebbe fra le mani dei pro- prietarii e dei negozianti grandi e piccioli, verrebbe naturalmente convertita in mobilie e più ancora in capitali fruttiferi, miglioramenti di terre, aumenti e nuove imprese di mani- fatture e di commercio. Per questa maniera si offrirebbe lavoro ad una popolazione maggiore, e quindi nuova cagione di accrescimento di ricchezza. Non so sino a qual segno possa giungere questa progressione di prosperità. Aspettiamo a esaminarne le conseguenze quando saremo nel caso. Ad ogni modo, sia che si arresti questo eccesso di produzione sopra la consumazione, perchè ciascun abitante s'avvezzi a poco a poco a consumare di più, sia che, persistendo lo spirito di economia, continui il suddetto eccesso, sarà sempre evidente che la ricchezza nazionale, per tal modo accresciuta, non sarà solo la riechezza assoluta, ma anche la ricchezza relativa, perchè, la quantità dell’annua riproduzione ripartendosi sul nu- mero degli abitanti, avran ciascuno, un sull’altro, una maggior porzione, sia per vivere più agiatamente facendo consumazioni maggiori, sia per migliorare in appresso la sua sorte con impieghi fruttiferi. 87° La sola differenza a cui conviene avvertire nel confronto di questi due casi sì è che, aumentandosi nel primo la consumazione in proporzione dell’accresciuta riproduzione, si scema e et ii n MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 2. 39 il valore del denaro, ossia cresce il prezzo di tutte le merci e di tutte le opere, cosa che tende a scemare la somma delle opere e a rendere meno favorevole il commercio esterno, in cui i prodotti e le manifatture nazionali non potrebbero sostenere la concorrenza di simili cose provenienti da nazioni più frugali. Che all’opposto, fin che dura lo spirito di economia e di frugalità, la massa del danaro accresciuta. ed impiegata in capitali fruttiferi non si avvilisce se non quando si comincia a trovarne difficilmente l’impiego. Allora scemano ne- cessariamente gli interessi e possono riescire più facilmente le imprese di miglioramento di terre e delle manifatture, perchè si trovano a tal fine i capitali a minor interesse. Ma, non cercando gli abitanti a consumare più di ciò che solevano, non si accresce il prezzo delle derrate, delle opere, delle merci, per ciò solo che gli abitanti ne siano divenuti più ricchi; l'esempio di Genova e di Olanda è troppo decisivo per lasciare alcun dubbio. 88° Era necessario premettere queste osservazioni intorno ai naturali effetti della massa del denaro in una nazione accresciuta per varie cause e ripartita ed impiegata in varie ma- niere per meglio giudicar degli effetti, che risultar debbono dalla carta-moneta aggiunta in una nazione alla massa del denaro che già si era supposto corrispondente ai bisogni della circolazione. 89° E in primo luogo è chiaro, da quanto abbiamo detto, che in questo caso la carta- moneta non può accrescere la circolazione; essa è naturalmente limitata dalla somma delle consumazioni e degli affari del commercio, nè può crescere più oltre. Dunque, se si daranno dai banchi pubblici o dall’erario biglietti in cambio di monete (non parlo qui delle cambiali che suppongo naturalmente già proporzionate agli usi o bisogni del commercio), converrà ch'esca dalla circolazione altrettanta moneta effettiva quanto è il valore dei biglietti. Ma questa moneta effettiva tolta dalla circolazione come sarà ripartita? come impiegata? Basta osservare per qual maniera si spandono questi biglietti per vedere come sarà ripartito ed impiegato il danaro tolto dalla circolazione. 90° Se le finanze distribuiscono biglietti invece di danaro per pagare i salarii e per comprare le merci onde abbisognano, se i banchi pubblici danno biglietti in vece di danaro per iscontare cambiali alla quota comune d’interesse a cui si sogliono scontare dai nego- zianti particolari: in questi due casi la distribuzione dei biglietti non accresce per nulla la fortuna di quelli che li pigliano, essi non hanno nè più nè meno di quello che avrebbero avuto se fossero stati pagati dalle finanze o dal banco in danaro effettivo. Lo stesso accadrà necessariamente per tutti quelli che acquisteranno da costoro i biglietti di prima, seconda e terza mano, ecc. In tutta la nazione non si troverà un solo acquisitor di biglietti che abbia migliorato la sua sorte e sia perciò in caso di accrescere o la sua consumazione, o le sue mobilie, o i suoi capitali fruttiferi; tutto il denaro tolto per questo mezzo alla circolazione resterà nell’erario del Principe o del banco. Se questi convertiranno quel denaro in un nuovo capitale fruttifero, si sarà proporzionatamente accresciuta la riproduzione annua e la ric- chezza nazionale. Se lo dissiperanno in spese di consumazione, la nazione non avrà avuto alcun vantaggio, se si convertirà questo danaro in mobilie potrà servire a dar al paese maggior lustro, o di scorta opportuna per le urgenze future; un poco minore che se si fosse serbato il denaro ozioso nella cassa. 91° Ma, se le finanze o i pubblici banchi dessero biglietti per far prestanza o scontare cambiali ad interesse minore del consueto, allora i primi acquisitori dei biglietti risentireb- bero il vantaggio del minore interesse. Questo vantaggio, nello sconto delle cambiali trove- rebbesi in forma di capitale e nei capitali presi a prestito in forma di annua rendita. In ambe le maniere è presumibile che quest’aumento di ricchezza sarebbe impiegato in capitali fruttiferi, poichè chi vende cambiali mediante sconto e chi piglia denari a prestito nei banchi pubblici o dalle finanze sono per lo più persone occupate d’imprese di negozio o di mani- fatture e potrebbero in ogni caso le finanze ed i banchi pubblici restringere a questa F asse Î 36 GIUSEPPE PRATO — LA TEURIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA di persone le loro offerte; in questa maniera potrebbe anche spandersi una maggior ricchezza (benchè passeggiera) sopra una parte del popolo. Serva d’esempio l’operazion fattasi dalle finanze di Torino, anni sono, di prestare varie somme in biglietti ai filanti di seta sotto un discreto interesse. Molti che altrimenti avrebbero dovuto soccombere ad interessi più gravi, o non avrebbero fatto filare, o assai meno del solito, e sarebbesi scemato il numero e la premura dei ricercatori dei bozzoli, e per conseguenza il prezzo loro in commercio, la faci- lità data dalle finanze gli ha fatti ricercar di più, e si sono meglio venduti, e questo pro- fitto è restato in parte nelle mani del popolo venditore; ma come cosa passeggiera, si sarà per la maggior parte impiegato in consumazioni, come ho osservato di sopra. 92° Un'altra porzione, e la maggiore, del profitto dei biglietti sparsi nella suddetta ma- niera resta al banco o all’erario pubblico che gli ha dati. Per conseguenza, il vantaggio che potrebbe ridondarne alla nazione dall'impiego di un maggior capitale fruttifero dipenderà dall'uso che faranno le finanze, o i banchi pubblici del danaro tolto dalla circolazione, ove restava soverchio, e riposto nelle loro casse nella suddivisata maniera. Ciò dipenderà sempre dallo spirito regnante di economia o di magnificenza, e vi ha luogo a presumere che per riguardo alle finanze, sia per essere in tutte le nazioni più frequente la dissipazione che l’eco- nomia ed al rovescio per riguardo ai pubblici banchi. 93° Questi, infatti, per lo più sono formati per associazioni di negozianti avvezzi a trarre il miglior partito del loro denaro. Prescindendo ora dalle utili imprese che potrebbe formare il banco stesso, supponghiamo che tutto il profitto venga annualmente ripartito agli azio- narii in forma di dividendo. Potrebbe questo, per cagione dei biglietti che si sono impiegati, rendere l’8 e più °/, del capitale depositato dagli azionarii, quando l’interesse comune mer- cantile non sarebbe stato che del 6. È probabile che questo profitto del 2 e più % sarà per la maggior parte impiegato dagli azionarii in aumento di capitali fruttiferi. Ma convien qui avvertire che le azioni stesse del banco sono in continuo commercio; e la maggior parte dei primi azionarii, sulla speranza di eseguire speculazioni più proficue, venderanno le loro azioni a coloro che preferiscono un guadagno più certo, benchè minore; crescerà dunque l’estimazione delle azioni, e quella azione che si è ottenuta nella fondazione collo sborso di lire 3000, se il consueto dividendo si trovasse dell’8 °/, troverà facilmente chi la compri al prezzo di lire 4000, cui corrisponde la stessa somma del dividendo calcolato in ragione del 6 °/o. Per questa maniera si può supporre che gli azionarii fondatori abbiano, in breve, il profitto equivalente ad un terzo del loro capitale. Se tutta la somma con cui si è fondato il banco fosse di 3 milioni, gli azionarii venderebbero questo loro capitale in 4 milioni, ed impieghe- rebbero un milione di più in capitali fruttiferi; a ciò potrebbe ridursi in ultima analisi il vantaggio derivante dai biglietti formati e spesi nella maniera la più giudiziosa. 94° Ma questa ricchezza acquistata alla nazione di un milione fruttifero si deve para- gonare con quella ricchezza passeggiera che avrebbe acquistato la nazione, se, per qualunque caso straordinario, avesse acquistato un milione di monete, e non può paragonarsi alla ric- chezza costante che acquistar può la nazione con un più favorevole bilancio della sua annua riproduzione coll’annua consumazione. Abbiamo già osservato che il vantaggio dei biglietti consiste nel supplire alle veci di una certa quantità di denaro, che si può togliere dalla cir- colazione per convertirlo in nuovo capitale fruttifero, ma non si può togliere dalla circola- zione più di una certa quota parte del suo denaro, varia questa quota per varie circostanze. Smith pensa che si possano sottrarre i quattro quinti, rimpiazzandoli con biglietti, e ciò forse sara vero nelle nazioni del più esteso commercio interno ed esterno, ove la quantità della moneta destinata agli affari che si fanno tra loro dai consumatori e a quelli che si fanno tra i consumatori e i negozianti è piccola assai in confronto di quella che si destina agli affari tra i negozianti e negozianti, i quali si possono facilmente eseguire con carta-moneta; ma in una nazione di ristretto commercio, per esempio in Piemonte, ove si usano poche l'oasi MEMORIÈ -: CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXY, N. 2. 37 cambiali tra la capitale e le provincie, e meno ancora tra provincie e provincie, ove non si ha marineria e quasi nulla di commercio esterno di emporii o di trasporti, in tal nazione grandissima parte degli affari si fa necessariamente in moneta, ed avrei pena a credere che sì potesse senza inconveniente ritrarre dalla circolazione più della metà del denaro, rimpiaz- zandolo con biglietti. Questi hanno dunque un determinato rapporto colla massa del danaro circolante e non lo possono oltrepassare. Quando siansi sparsi biglietti per l'ammontare di tutta la moneta che si può sottrarre dalla circolazione, la nazione si approfitterà del van- taggio per tal maniera ottenuto, ma quel che è fatto è fatto e quest’utile operazione non sì potrà rifare mai più. 95° Quest'osservazione c'invita naturalmente ad esplorar con un calcolo quanta esser possa la ricchezza nazionale accresciuta nella suddetta maniera in alcun paese coll’introdu- zione della carta-moneta. Abbiamo veduto che la ricchezza assoluta consiste nella quantità dell’annua riproduzione e la relativa nell'uso che si fa della medesima dagli abitanti più o meno consumatori ed economi; converrà qui dunque confrontare la quantità d’annua ripro- duzione consueta d’un paese coll’accrescimento che vi può cagionare la carta-moneta, per cagione di nuovi capitali fruttiferi sottratti dalla circolazione. Pigliamo per esempio gli stati del Re di Sardegna nel continente d’Italia: ivi si calcola la popolazione ascendente a 3 mi- lioni; benchè vi siano alcune provincie povere, è però questo un paese dove generalmente il popolo sì nutre, si veste ed alberga assai bene; non sarà dunque esorbitante ma piuttosto scarsa la supposizione che ciascun abitante vi consumi, compresa ogni cosa, pel valore di 5 soldi e mezzo piemontesi al giorno, il che importa 100 lire all’anno. e fra tutti gli abi- tanti 300 milioni. È probabile che l’annua riproduzione sia piuttosto maggiore che minore della consumazione, perchè da molti segni appare che la bilancia del commercio vi sia piut- tosto favorevole; ma, poichè quest’eccesso difficilmente ascende ad una somma considerabile, conchiuderemo che si possa calcolare l’annua riproduzione 300 milioni. La quota di questa somma che devesi trovare in circolazione varia, come abbiamo detto di sopra, in varie cir- costanze, per cui sono necessariamente maggiori o minori le scorte per le spese usuali. In una nazione principalmente agricola e poco commerciante com'è il Piemonte, crederei che sì potesse calcolar niente meno di un decimo, mentre in altri paesi di rapidissimo com- mercio si calcola da alcuni solo di un trentesimo questa quota; ascenderà dunque a 30 mi- lioni fra noi la moneta circolante; entrano in questa massa 14 e più milioni di biglietti di finanze, e, se la moneta che si è sottratta dalla circolazione quando furono creati questi biglietti è stata convertita in capitali fruttiferi, si sarà accresciuta l’annua riproduzione di una quota corrispondente all'interesse perpetuo di questi 14 milieni. Ma v'ha inoltre fra noi una specie di moneta che, benchè effettiva e metallica, partecipa assai della qualità della carta-moneta. Questa si è la moneta erosa; il suo valore intrinseco eccede, cred’io, di poco la metà del suo valore nominale, onde può riguardarsi per metà come carta-moneta. Fu probabil- mente introdotta questa moneta erosa, tanto alterata, per lo stesso lodevole fine di sottrarre con profitto dalla circolazione una parte della moneta buona, onde impiegarla in capitali fruttiferi e sostituirvi pel bisogno della circolazione questa bassa moneta, rappresentante il doppio del suo valore intrinseco. Presago il Governo degli inconvenienti che nascer sogliono dalla troppa abbondanza di tale moneta erosa, ha saviamente ristretta in convenienti limiti la fabbricazione della medesima. Ciò non ostante ne rigurgitano tutte le casse dei negozianti e le borse degli abitanti: ciò proviene probabilmente da che se n’è introdotto nel paese gran copia da fuori, essendo a ciò i monetarii falsi allettati dal grandissimo lucro e dalla facilità d'imitare queste monete. Non sarà assurdo il supporre che la metà della moneta erosa circolante nel paese sia di fabbricazione clandestina, e venuta da fuori. Non saprei determinare a quanto ascenda la somma circolante di questa moneta, ma dalla copia che se ne trova in tutte le casse potrebbesi argomentare che essa non ascendesse a meno di otto I D ale GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA o dieci milioni, e, poichè questa moneta rappresenta un valor doppio del suo intrinseco, si potrà per una metà di tutta la somma calcolarla come carta-moneta, e questa aggiunta ai 14 milioni e mezzo di biglietti, porterà l’estimazione di tutta la carta-moneta a circa 19 milioni. 96° Cosa assai difficile sarebbe l’indovinare se si possa ancora senza sconcerto accre- scere questa somma e se le circostanze del paese soffrano che si aggiungano ancora biglietti per sei milioni per ridurre la carta-moneta ai quattro quinti di tutta la circolazione, come suppone Smith che si possa ridurre. Ove però ciò sia per riuscire felicemente si potranno per questo mezzo togliere dalla circolazione ancora sei milioni ed impiegarli in capitali frut- tiferi. Vediamo quale ne sarà l'aumento dell’annua riproduzione: l’impiego il più solido di un capitale estimasi quello che fassi nell'acquisto di terre fruttifere, il cui interesse per conseguenza è il minimo fra gli interessi provenienti da ogni altro impiego, perchè tutti gli interessi maggiori di quello che eguaglia il provento della terra corrispondono ai pericoli che sovrastano al capitale. Il prodotto netto della terra eccede fra noi di poco il 3 p. %o. Ma la quantità d’annua riproduzione corrispondente ad un capitale non è il prodotto netto, ma il prodotto totale, che chiamasi il prodotto brutto. Questo si suole estimare fra noi il doppio del prodotto netto. Pensa Smith che, dove l’agricoltura sia portata alla massima per- fezione, il prodotto brutto possa esser triplo ed anche quadruplo del prodotto netto; sup- ponghiamolo anche triplo fra noi, corrisponderà dunque al 10 °/, circa; ma si presentano circostanze particolari, in cui il prodotto brutto di un capitale, anche impiegato in terre e senza pericolo, può essere assai maggiore, fossi per risanare paludi, canali d’inaffiamento, argini o fiumi, strade di comunicazione, ed anche nelle arti e nelle manifatture, macchine che risparmino molta opera d’uomini, istrumenti più perfetti, nuove invenzioni di materie o di maniere di prepararle possono talvolta procacciare un prodotto cospicuo, per cui il capitale si reputi impiegato all'interesse sicuro e in brutto d’assai più del 10 °/. Sup- ponghiamolo del 16 ?/, per ottenerne un risultato in conto rotondo, e supponghiamo pure che in una tale circostanza appunto si proponga la creazione di nuovi biglietti per 6 mi- lioni, si potrà estimare l’annuo prodotto brutto di questi un milione, e, confrontato questo con 300 milioni, a cui abbiamo supposto che ascenda l’annua riproduzione intera del paese, sarà il profitto di un trecentesimo, ossia di un terzo per cento. 97° È quasi insensibile questo profitto e certamente chi ha trecento lire di entrata non si accorgerebbe d’aver migliorata la sua sorte se pervenisse ad averne trecento ed una; per questa ragione lo stesso e assai maggiore profitto possono far gli abitanti e tutta la nazione assai facilmente e per via non soggetta ad alcun pericolo, come lo è la carta-moneta, accre- scendo d’un trecentesimo le sue opere annue o diminuendo in tale proporzione l’annua sua consumazione; chi è colui che non possa scemare annualmente d’un trecentesimo la sua spesa ed accrescere d’un trecentesimo il suo lavoro? Lo spirito di economia inspirato o accresciuto in un paese farà assai di più, e vi contribuirà certamente moltissimo lo stabilimento della cassa de’ risparmii del popolo proposto dal sig. della Rocca e già da me sviluppato altrove (1). È assai facile ancora per molte altre vie accrescere d’assai più che di un milione l’annua riproduzione, con abolire l’ozio, i furti, le leggi che fanno ostacolo ai progressi dell’agricol- tura, delle arti e del commercio, con rendere più cospicua ed evidente l’ipoteca reale e per- sonale dei debitori, con promuovere ed incoraggire l'invenzione od imitazione di macchine od istromenti più utili, con ispargere lumi, facilitare le corrispondenze del commercio, fare economiche riforme nelle pubbliche spese che non s’impiegano in oggetti produttori, ecc. (1) V. Bibliot. Oltrem. 1787, vol. VIII, p. 131. Tur D_ Pini MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 39 Capo V. Inconvenienti della carta-moneta. 98° Se il vantaggio pubblico d’un acerescimento di biglietti è così picciolo come ab- biamo veduto, sarà tanto meno opportuna una nuova creazione de’ medesimi, ove si metta in confronto il tenue loro vantaggio cogli inconvenienti che ne possono derivare. E in primo luogo inconveniente generale d’ogni specie di carta-moneta si è l'essere appoggiato il suo valore alla sola opinione. Essa è per sua natura vacillante e può divenire disfavorevole anche senza giusto motivo. Qualunque volta si tema anche a torto della responsabilità o puntualità del debitore che ha dato biglietti in vece di moneta, essi perdono subito di va- lore, onde non bastano per gli usi della circolazione e non si può a meno di versare nella medesima tante monete che bastino per evitare i danni d’una circolazione insufficiente. Con- verrà dunque ritogliere dai capitali fruttiferi tanta somma quanta corrisponda al scematò valore dei biglietti. Ora mi sembra assai probabile che debba essere maggiore il danno della nazione quando si scemano i suoi capitali fruttiferi, che non è il vantaggio ch’ella ne risente quando per egual porzione quei capitali si accrescono, e ciò per la ragione generale che ciascun soffre più quando si scema la consueta sua rendita di quel che gioisca quando in egual porzione si accresce. Le economie forzate e non spontanee sono assai penose e potrebbe avvenire che scemandosi l’annua riproduzione per li capitali sottratti, non si scemasse la consumazione per molto tempo, onde la bilancia del commercio si facesse svantaggiosa. 99° Quest’inconveniente non è molto a temersi per riguardo alle cambiali, che general- mente non possono dall'opinione essere pregiudicate di molto, la ragione si è che le cam- biali in breve tempo si estinguono, e quand’anche sia dubbia la responsabilità del debitore, si ha sempre fondamento a sperare, che non sarà per fallire in pochi mesi. Quanto più si teme di un negoziante, tanto meno si valutano in commercio le sue cambiali, ma le sospette sono comunemente in picciolissimo numero relativamente alle accreditate; non così de’ bi- glietti de’ banchi e del pubblico erario. Questi non hanno termine fisso al pagamento, ossia alla loro conversione in moneta effettiva, onde i pericoli i più lontani possono influire nel- l’opinione presente. Quest’opinione può essere più pericolosa nelle Monarchie che nelle Re- pubbliche. La momentanea inavvertenza di un Re sopra un’erronea speculazione di un Mi- nistro può lasciar luogo a qualche operazione politica, che danneggi il credito delle finanze; e, poichè il credito dei banchi pubblici non può a meno di essere appoggiato, come ho detto a suo luogo, alla vigilanza ed alla almeno tacita responsabilità del governo, gli errori di un ministro possono egualmente distruggere il credito delle Finanze e dei pubblici banchi. La lentezza e la pubblicità con eui si fanno le operazioni economiche nelle repubbliche ed una certa maggiore stabilità dei loro principii imprimono nell’opinion generale una maggior fiducia. 100° Un altro inconveniente della carta-moneta si è l'imbarazzo in cui si trova una na- zione quando, per qualunque cagione, essa perde una parte considerabile della sua moneta effettiva. Per quanto siano accreditati i biglietti, sempre è necessaria per la circolazione una certa quantità di monete, come abbiamo a suo luogo osservato, oltre ciò bisogna sempre averne nelle casse dei banchi o delle finanze per esibire a chi lo volesse il ‘cambio de’ bi- glietti, senza questa condizione non si può sostenere il loro credito. Ora, se in tempo di guerra asportasse per qualunque modo il nemico una porzione considerabile di questa moneta, se il Sovrano si trovasse in necessità di fare straordinarie gravi spese fuori Stato ove avesse portato la guerra, se, per un qualche accidente, per uno, due o tre anni di seguito si fosse 40 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA scemata l'esportazione delle merci nazionali, o accresciuta l'importazione delle straniere, in tutti questi casi i biglietti non servono a nulla, poichè non si spendono fuori paese, e ne escirà necessariamente una porzione cospicua del suo denaro. Sarebbe rovinato allora il cre- dito di biglietti, e, rappresentando essi un minor valore, sarebbe con grave pregiudizio sce- mata la circolazione, e per la moneta sottratta e pel minor valore de’ biglietti. Sarebbe scemato l'ammontare dei tributi, che si pagherebbero tutti in biglietti di finanze, se ve ne fossero di questa sorte, e i salarii pagati con essi diverrebbero insufficienti. Se i biglietti circolanti fossero di qualche pubblico banco e di libera accettazione, i possessori si affolle- rebbero al banco per cambiarli in moneta, e, non potendo esso soddisfare per mancanza di fondo a tante dimande, sarebbe costretto a fallire o poco meno. 101° Merita ancora d'essere annoverato fra gl’inconvenienti della carta-moneta il peri- colo che vengano frequentemente falsificati i biglietti. Se venissero rifiutati quelli che sono passabilmente imitati, si toglierebbe il credito a tutti; chi vorrebbe mai addossarsi l’incarico di ben esaminare la forma di ciascun biglietto che accetta in pagamento, sotto pena di per- dere tutto il valore se si riconoscesse falso? Ciascuno vorrebbe moneta e ricuserebbe i hi- glietti. Dovrebbe adunque il banco o l’erario pubblico soccombere al disborso necessario per ricomprare tutti i biglietti falsi che si trovassero in circolazione. Questo inconveniente è assai minore nei piccioli paesi, ove presto sì sospetta l’esistenza di qualche biglietto falso, e si pre- viene facilmente lo spaccio di un gran numero. Ma nei paesi vasti, chi sa sino a qual segno si potrebbero spendere biglietti falsi prima che si potesse porvi riparo con sostituire biglietti di nuova forma agli antichi? Il pericolo della falsificazione dei biglietti tanto è maggiore quanto maggior somma si fa rappresentare da un biglietto solo. Gli autori e i complici di questa falsificazione sanno i pericoli cui si espongono, ma un grave interesse bilancia il loro timore, la spendita di un gran numero di biglietti falsi in breve tempo è più pericolosa per la maggiore facilità che ne sia scoperto lo spenditore; è più sicura fatta lentamente, ma apporta un assai minor profitto. Dove un picciol numero di biglietti rappresentasse somme cospicue, potrebbero più facilmente lusingarsi d’impunità i fabbricatori e spenditori dei medesimi. Capo VI. Cautele da usarsi nella fabbricazione e smercio della carta-moneta. 102° Questi inconvenienti, aggiunti alla poca influenza della carta-moneta nella ricchezza nazionale, persuader possono facilmente il governo a tenersi in guardia sui frequenti progetti che si vanno formando sotto i più seducenti motivi di ben pubblico per l’erezione di banchi e creazione di biglietti; ma può avvenire tale circostanza in cui una moderata creazione di carta-moneta possa riescire di qualche ben sensibile utilità. Confesso il vero che non saprei disapprovare il progetto di ricomprare la moneta erosa eccedente in copia e rappresentante un valore troppo maggiore dell’intrinseco, restituendo in cambio moneta buona avente il pro- porzionale intrinseco valore e tanti biglietti che bastassero a compensare lo sproporzionato eccesso del valore numerario sopra l’intrinseco. Per questa operazione insomma non si farebbe che in certo modo cambiare la forma della carta-moneta. Dove circolano, per esempio, 8 mi- lioni di moneta erosa non valsente che quattro, i 4 milioni di più sono una pura rappre- sentazione ideale attribuita al metallo come nei biglietti è attribuita alla carta: ma la rap- presentazione dei biglietti è assai meno pericolosa di quella della moneta erosa, perchè la contrattazione di questa è assai più facile e continua, e non si può impedire in verun modo. POSTA ZIP Previa ioni de as MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR., E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 2. dl 103° Se dunque per questo o per qualunque altro laudevole fine si determinasse il go- verno a mettere in circolazione carta-moneta, deve in primo luogo accertarsi di non eccedere nella quantità della medesima una giusta proporzione. Abbiamo veduto a suo luogo che egli è ben difficile il presentire qual sia in ciascun paese la proporzione in cui possano trovarsi biglietti accreditati colla moneta circolante, ma non mancano segni per riconoscere quando la copia di carta-moneta comincia ad eccedere la giusta proporzione. I migliori segni son due: il primo, quando abbondano assai di carta-moneta le casse pubbliche; se vi scarseggia l’oro e l'argento, se tutti i debitori cercano di pagare in biglietti, questo è segno che ve ne ha già di troppo nella circolazione. Più evidente ancora è il segno secondo, cioè quando si fanno frequenti e copiose ricerche alla cassa pubblica di cambiare i biglietti in moneta effet- tiva. In queste circostanze si conosce chiaramente che sarebbe pericolosa cosa l’accrescere la quantità della carta-moneta. 104° Frattanto ottima e necessaria cautela si è l’aver sempre in pronto in moneta un fondo morto di cassa, per facilitare il cambio a chi lo richiedesse. Finchè i biglietti godono di un grandissimo eredito un picciol fondo potrebbe bastare, per esempio del decimo del loro ammontare; ma, per poco che potesse vacillare il credito, si richiede subito un fondo assai maggiore per sostenerlo. In questa maniera potrà il Governo alternativamente abbandonare alla circolazione, o sottrarvi una maggiore o minore quantità di biglietti, secondo le circo- stanze, cosa che far non potrebbe senza una conveniente scorta di moneta nel suo erario. Questa è cosa che assai più difficilmente si otterrebbe dagli amministratori dei pubblici banchi, i quali potrebbero anche abbandonarsi a speculazioni troppo pericolose e rovinare in un punto il banco e gran parte dei cittadini; per questa ragione principalmente sembra da preferirsi la carta-moneta delle Finanze a quella dei Banchi. 105° È pure un’avvertenza importante nella formazione de? biglietti di non eccedere una giusta misura nel valore che si attribuisce a ciascun de’ medesimi. Se si facessero biglietti rappresentanti picciole somme di poche lire, verrebbero questi impiegati nella circolazione che si fa per le minute consumazioni. La facilità di perdere questi biglietti, che non meri- tano tanta diligenza per la loro custodia, e l’incomodo di numerarli in ogni pagamento li renderebbe poco accetti al pubblico. La spesa per la loro fabbricazione e per le cautele ne- cessarie a prevenire le contraffazioni sarebbe, in proporzione del loro valore, grandissima. Il cambio di tutti in altri di nuova forma, nel caso che se ne trovassero dei falsi, sarebbe di un grandissimo imbarazzo in tutto l’interno commercio. Per altra parte i biglietti rappre- sentanti un gran valore, per esempio di cinquanta o cento zecchini, darebbero una forte ten- tazione ai monetarii falsi che, nella spendita di pochi biglietti, troverebbero un sufficiente compenso del picciolissimo pericolo cui si esporrebbero. Sembra a me che il valore attribuito ai biglietti piemontesi dalle lire 200 alle 50, sia ristretto da ambe le parti nei limiti i più convenienti. 106° Per le ragioni sovra addotte, che persuader possono il Governo ad astenersi dalla creazione di nuovi biglietti, potrebbe taluno consigliare di sopprimere quelli che già vi fos- sero in circolazione; ma, se questi gioiscono di un buon credito, sarebbe male il rimettere in loro vece in circolazione una quantità considerabile di moneta effettiva, che si potrebbe più utilmente impiegare in capitali fruttiferi. Io non vedo alcuna pubblica utilità in quest’ope- razione. Quando s’avesse perciò una scorta sufficiente di moneta effettiva, ottimo consiglio sarebbe lasciarne una congrua porzione in riserva nelle casse pubbliche, per sostenere colla facilità del-cambio il credito dei biglietti e fare un impiego fruttifero della somma restante. Si potrà facilmente allora rallentare o rattenere, secondo l'opportunità, il corso della carta- moneta già accreditata. Quando all'opposto le finanze si trovassero piuttosto scarse di da- naro, non viene mai suggerito il progetto di ricomprare i biglietti, anzi è allora che, sotto aspetto di utilità pubblica, si propone di formarne dei nuovi. Oltre a quanto ho esposto in 11 42 GIUSEPPE PRATO — LA TEORIA E LA PRATICA DELLA CARTA-MONETA questo proposito, se l’autorità di un insigne scrittore, favorevole piuttosto che avverso alla carta-moneta, può essere di qualche peso contro l’illusione che, sotto l'apparenza del ben pub- blico, far potrebbero i pericolosi progetti di aumentare la carta-moneta, serva di preservativo il seguente detto di Smith, con cui pongo fine al mio ragionare. | 107° “ Io paragonerei volentieri l’oro e l’argento monetato circolante in un paese a due «“ grandi strade destinate a trasportare nei mercati grano e fieno, e che nulla producono di “ grano o di fieno; un banco regolato saviamente forma una strada per l’aria (mi si per- “ doni l’arditezza di questa metafora) e dà alla società il comodo di convertire in suolo frut- “ tifero gran parte delle sue strade ed accrescere così la riproduzione del suo suolo e della “ sua industria. Debbo però confessare che nè il commercio, nè l'industria per quanto avan- “zamento possano avere da un banco, sin che sono, direi così, portati sull’ali della carta- “ moneta, non possono mai essere tanto sicuri quanto lo sono quando viaggiano sul terren “sodo dell'oro e dell’argento. Oltre ai pericoli cui sono esposti dall’imperizia di coloro che “ guidano il cocchio della carta-moneta, ve ne sono molti altri da cui ogni scienza o pru- “ denza umana non potrebbe preservarli ,. Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. LXV. - N. 3. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. L'ANFITEATRO ROMANO DI LUNI RAM USsSgERABONERDESIGCRIGDEBO MEMORIA UBALDO MAZZINI (con 2 TAVOLE) Approvata nell'adunanza del 14 Marzo 1915. SOMMARIO: I. Il più antico documento delle rovine di Luni. La distruzione di Luni per opera dei Saraceni. Le memorie più antiche dell'Anfiteatro: i diplomi di Federico I e di Enrico VI. Un documento del 1283. L’Itinerario di Ciriaco d’Ancona del 1442. Cenno sull’Anfiteatro di Antonio Ivani. — II. Descrizione di Agostino Brenucci. La pretesa costruzione dell'Anfiteatro per opera di un Lucio Svezio. Quel che dicono del monumento Ippolito Landinelli di Sarzana e il vezzanese Angelo Angeletti nel sec. XVII. Luca Holsten e le rovine di Luni. L’Etruria Regalis del Dempstero. — III Polemiche tra Lorenzo Guazzesi e Scipione Maffei intorno alle rovine dell’anfiteatro lunense. Ricordi del monumento in due passi dell’abate perugino Giacinto Vìncioli. — IV. Descrizione del monumento fatta da Bonaventura De’ Rossi sarzanese, e cenni del proposto Anton Francesco Gori e di Cristoforo Martini pittore, detto il Sassone. Diffusa descrizione - di Giovanni Targioni Tozzetti e disegno di Panfilio Vinzoni di Levanto. — V. Lazzaro Spallanzani visita le rovine di Luni e descrive l’anfiteatro. Tratta del materiale ond’è costrutto. Iacopo Graberg Hemsò fa altrettanto. Disegno delle rovine che accompagna i Viaggi del Fontani. Studio dell’anfiteatro fatto da Emanuele Repetti. Labate Spotorno riprende a negare l’esistenza d’un anfiteatro a Luni. — VI. Nuova descrizione dell’edifizio nel Nuovo Poligrafo di Genova. Emanuele Gerini, Ventura Peccini e l’anfiteatro. Davide Bertolotti visita il monumento e lo descrive. — VII. Studio dell’architetto Carlo Promis su Luni e sulle sue rovine. Il Dizionario del Casalis. Svista di Noél de Vergers. Amico»Ricci ripete gli errori del Promis, e n’aggiunge de’ propri. Una proposta di Michele Giuseppe Canale accolta dopo quarant'anni. Cenno del Dennis. — VIIL Gli scavi nell’anfiteatro per opera del Comm. Carlo Fabbricotti nel 1880. Sgombero totale delle rovine fatto negli anni 1909-1910 dal Cav. Carlo Andrea Fabbricotti. — IX. Posi- zione del monumento. Forma e dimensioni. Descrizione. Pianta. Ambulacro. Cripte. — X. Maniera della costruzione. Materiali impiegati. Muri, intonachi e parti decorative. Volte. Pavimenti. Opere idrauliche. — XI. Esterno. Scalinate. Marmi impiegati. Cavee. Porticato. Lo Spectaculum. Scaglioni e scale tra i cunei. Il Podium. Inclinazione dello spettacolo. Capacità dell’edifizio. — XII. Confronti con altri monumenti del genere. Età della edificazione dell’anfiteatro. Distruzione dello stesso. Il cardinale Calandrini protettore delle rovine di Luni. ì I. Le rovine di Luni sono ricordate per la prima volta in un documento del 10. giugno 1033, pubblicato dal Muratori fino dal 1717 (1), ma non mai fino ad ora avvertito, a quel ch'io ne so, dagli studiosi della Lunigiana: è l'atto con cui il marchese Adelberto e Adeleida sua (1) Delle Antichità Estensi ed Italiane, trattato di Lupovico Antonio Muratori, Modena, 1717. P.I, pag. 99. 12 2 UBALDO MAZZINI — L’ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO moglie fondavano il monastero di Santa Maria di Castiglione, dell'ordine di San Benedetto, posto fra Borgo San Donnino e Busseto. In quello strumento, dove sono descritti i moltis- simi beni, situati in varie parti del Regno d’Italia, che i fondatori donavano al Monastero, sono pure comprese alcune terre poste dentro la città di Luni, e cioè delle aree di terra, in parte ingombre di muri e di macerie, che prima eran state camere e case: “ Donamus... infra “ civitatem Lunensis, que sunt de areas de terra cum muras, et petras in parte super “ habente, que jam solarias et salas fuerunt ,. Breve, ma efficace pittura della città aequata solo. In fatto, erano appena passati tre lustri, o poco più, che Luni aveva subìto l’ultima ever- sione per opera dei Saraceni di Mugahid (il Mugetto, o Musetto, delle cronache italiane), dalla quale più non risorse alla perduta dignità. Narra Thietmar, vescovo di Merseburg, in un passo del suo Chronicon rispondente all'anno 1016, che “in Longobardia Saraceni navigio “ venientes, Lunam civitatem, fugato pastore, invadunt, et cum potentia ac securitate fines “ illius regionis inhabitant, et uxoribus incolarum abutuntur , (1). Dopo di allora la città non potè più risollevarsi; e se rimase ancora per circa due secoli un piccolo nucleo abitato, certamente le rovine dei suoi pubblici edifizi non furono mai più risarcite; anzi, a poco a poco ne andarono scomparendo sotto l’humus gli avanzi, e il suolo sì andò man mano livellando, e coprendosi d’erbe, di rovi e d'acque stagnanti. Gli ultimi, radi abitatori della contrada dovettero aggirarsi come spettri in mezzo a quelle sepolte marmoree vestigia di una tramontata grandezza, tra i miasmi delle morte gore di quelle paludi. Resistettero nei secoli all'opera edace del tempo e degli uomini le sole rovine di alcune chiese cristiane, di qualche . sepolcro, d’un teatro e d’un anfiteatro, che innalza tuttora, sopra tutti gli altri ruderi, in mezzo alla verde silenziosa campagna, i suoi muri e i suoi archi. La memoria più antica della esistenza di un anfiteatro in Luni si trova in un diploma di Federico I, dei 29 di luglio del 1185, a favore di quel vescovo Pietro ; nel qual diploma, enumerandosi le cose che l'Imperatore prende sotto la sua protezione, è detto anche “ hedi- “ ficium quod circulum vocatur, aut harena , (2). In quel tempo la città, sebbene già disfatta e malsana, era ancora, come s'è detto, abitata, e vi aveva sempre sua sede il vescovato; nello stesso diploma imperiale è descritta “ “ et suburbanis suis, cum ripa et theloneo, atque mercato, banno et pedagio, iusticia atque “ guidatico a lavello (et) per totam terram eidem et episcopatui attinentem... et plateam “ que est inter murum civitatis et mare , (3). Questi ultimi spiriti vitali della “ città male- civitatem lunensem, cum fossatis et suburbiis (1) Tarermari, Cronicon, nei Monumenta Germ. Hist. Scriptores, vol. III, pag. 850. Cfr. G. Srorza, Mugahid e le sue imprese contro la Sardegna e Luni (1015-1016), nel “© Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e Belle Arti ,, XX, 1893, pp. 134 sgg. (2) IL regesto del Codice Pelavicino,... del prof. M. Luro-Genritr, negli “ Atti della Società Ligure di Storia patria ,, vol. XLIV, pag. 30. Carlo Promis (nell’op. che citerò più oltre) sospettò che in cambio di circulus, come nella lezione dell’Ughelli, dovesse leggersi giruZus; ma così non è: nell’originale del Cod. è scritto pre- cisamente circulum. (3) Ripa, ossia ripaticum, è il “ tributum quod accipitur in ripis ,; teloneum il “ tributum de mercibus marinis circa littus ,; mercatum è lo “jus mercati ,; bannum la esazione delle multe e pene “ a transgres- soribus ,; pedagium il tributo di passo; guidaticum un “ tributum pro securo transito ,. Cfr. questa nostra con una carta di Gregorio V, del 998, in favore del vescovo di Ravenna: “Donamus tibi tueque ecelesie “ districtum ravennatis urbis, ripam integram, monetam, teloneum, mercatum, muros et omnes partes civitatis , (UcreLti, II, 353); e con altra di Ottone imperatore: “ Dedimus jus, fas atque Iicentiam faciendi, statuendi “ac construendi mercati, cum moneta, teloneo, banno, ete. ,. Ho notato tutto questo per rilevare l’errore di chi, considerando la ripa, il teloneo e il mercato del nostro diploma come altrettante località dei dintorni di Luni, confuse i diritti del Vescovo con la topografia. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 3. 3 detta , (1) cessarono del tutto dopo che all’inizio del sec. XII i vescovi definitivamente l’abbandonarono. In quel tempo l’anfiteatro non doveva essere ridotto ancora allo stato di rovina, se la sua importanza era tuttavia tale da esserne fatta menzione nella enumerazione di diritti e possessi in un diploma imperiale. E tale menzione perdura con le stesse parole nel diploma di conferma di Enrico VI, dato in Lucca il 22 di febbraio del 1191, al vescovo Rolando: “ Edifficium quod circulum “ vocatur aut arena , (2). Altro ricordo se ne trova, circa un secolo dopo, in un atto del 12 set- tembre 1283, che, sotto la rubrica “ Inquisitio facta de aguto sive circulo de Luna ,, è trascritto nel Codice Pelavicino. L'atto è un lodo del vescovo Enrico in una controversia tra gli uomini di Castelnuovo, Serravalle, Avenza e Carrara per certe terre “in loco dicto Aguto sive circhio de Luna versus mare ,; anche in questo istrumento l’anfiteatro è ricordato col nome di Arena, “ fossatum Arene , (3). Dopo di che le vecchie carte lunensi ne tacciono affatto; e per trovarne ancora notizia bisogna scendere alla metà del secolo XV, e ricorrere ai Commentari di Ciriaco Pizzicolli di Ancona, che nel settembre del 1442 visitò a scopo di studio alcune parti della Lunigiana, e che lasciò ricordo delle sue osservazioni archeologiche in quei frammenti del suo Itinerario che furono stampati soltanto nel 1763 con note di Annibale degli Abati Olivieri. Ivi si legge: “ Ad XII K. octob. venimus Lunam vetustissimam Ligusticae regionis urbem, ubi € primum deserta longinque vetustate moenia vidimus, et amphitheatrum maximum, sed “ undique solo antiquitate collapsum; vidimus et columnas ex marmore confractas, statuarum “ fragmenta, bases et epigrammata... , (4). Il monumento era già dunque in gran parte distrutto e ricoperto di macerie, se di lì a poco, nel 1476, l’umanista sarzanese Antonio Ivani, studioso delle antichità regionali, era nel dubbio se si trattasse veramente di un an- fiteatro, anzi che d'un teatro. In una lettera del 13 decembre a Niccolò Michelozzo di Firenze così ne scriveva: “ Venit Strogius concivis tuus ad nos... renunciavitque mihi osten- “ disse tibi superioribus diebus vetustissimum illud Lunense Theatrum, quod nos amphi- “ theatrum fuisse putamus , (5). Ma non sa decidersi, e altrove ora lo chiama teatro, ed ora anfiteatro. II. Verso la metà del secolo seguente Agostino Brenuccio, pure di Sarzana, scrisse una . dissertazione istorica intorno a Luni e a Sarzana, che fu stampata dal Manzi nella nuova edizione delle Miscellanee del Baluzio (6), con questa annotazione: “ Scribebat anno 1562 ,; ma è certamente anteriore di qualche anno (7). In quella dissertazione che, se è per molti (1) © Per Lune maledictam civitatem episcopalem ,, così nell’Itinerario britannico dei Crociati, alla fine del sec. XII, in Mon. Germ. Scriptor., XXVII, p. 131. (2) Regesto cit., pag. 34. (3) Arch. Capit. di Sarzana, Cod. Pelav., doc. CCCII. Nel citato Regesto il brano relativo non è compreso. Il circhio di questo documento non è il circulum dei due diplomi imperiali; e però erroneamente è così chiamato nella rubrica. Questo circhio è il teatro di Luni, comunemente noto anche oggidì col nome di circo, e come tale descritto nelle tavole del Vinzoni presso il Targioni-Tozzetti, di cui in prosieguo si dirà. È si- tuato dentro le mura della città, nel punto in cui queste formano in direzione di N. E. un angolo acuto, donde suppongo la denominazione di Agufo, che in questo e in altri documenti è chiamato anche angulus civitatis. (4) Commentariorum Cyrracr Axconirani nova fragmenta notis illustrata; Pisauri, MDCCLXIII, p. 16. (5) Bibl. com. di Sarzana. Ep. Axr. Hyv. Ms. II, c. 114-v. Cfr. anche G. Srorza, Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1442 al 1800, negli “ Atti e Memorie della R. Deputazione di St. Patr. per le Provincie Modenesi ,, S. IV, vol. VII, p. 16 dell’estr. (Modena, 1895). (6) Aucustinus Brenurivs, De Luna Etruriae oppido Lunensique Portu, in Svern. Baruzi Miscellanea novo ordine digesta et non paucis monumentis opportunisque animadversionibus aucta opera et studio J. D. MansI, Lucca 1764, T. IV, p. 148. (7) Cfr. A. Neri, Agostino Bernucci, nel “ Giornale Storico e Letterario della Liguria ,, V, 1904, p. 365, n. 2. 4 UBALDO MAZZINI — L'ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO rispetti lavoro difettoso, pure non manca d'importanza per essere la prima monografia che s'abbia intorno a Luni, si leggono queste brevi notizie sulle rovine della città distrutta: “ Cuius vestigia haec extant murorum ambitus et ovalis formae Amphitheatrus, a Lucio “ Svetio Lucii Liberto factus viventi sibi loco monumenti, ut indicat marmoreae columnae “ basis ibi reperta his litteris inscripta: L. SVETIVS. L. L. AMPH. F.V.S.L.M.,. È la prima notizia che abbiamo circa un preteso autore dell’anfiteatro. Notizia, come ben vede chiunque sia appena intinto di classica erudizione, del tutto falsa; giacchè l’iscri- zione su riferita non ha nulla da fare con l’anfiteatro, ed appartiene invece alla classe delle epigrafi dedicatorie. Quell’AMPH . ha ingenerato l’equivoco, e indotto in errore il poco accorto Brenuccio, il quale chi sa quanto avrà gioito della sua interpretazione: Lucius SVETIVS Lucii Liberti AMPH itheatrum F ecit V iventi S ibi Loco Monumenti! Ingegnosa interpreta- zione invero, se reggesse alla critica; e non tale da meritare la fortuna che ebbe per lo spazio di tre secoli, giacchè fu presa sempre come oro di coppella da tutti gli scrittori delle cose di Luni, finchè il Promis non avvertì il grossolano errore (1). E primo a bere a questa impura fonte fu un altro erudito lunigianese, il canonico Ippolito Landinelli di Sarzana (1556-1629), che nei primi anni del secolo XVII compì una storia di Lunigiana rimasta inedita (2). Nel cap. III di quella sua storia egli ragiona così dell’anfiteatro: “ Si vede anco un anfiteatro fatto in forma ovale, chiamato Arenaria [altri «“ codd. leggono arerazza] in certo privilegio di Federico I imperatore, e fu fabbricato da «“ Lucio Svezio liberto di Lucio mentre viveva per lasciare memoria di se stesso, e lo dimostra “Ja base di certa colonna di marmo ritrovata nell’istesso luogo scolpita con quest’iserizione, “ e la tiene in casa la famiglia de’ Cecchinelli di Castelnuovo di Sarzana: Svertus L.L. Amph. «“f.v.s.l.m. Ed è per maggior diametro di dentro palmi 200, per la maggior parte “ intero fabbricato all’usanza romana di pietra, sebbene i marmi, e gli ornamenti e statue “ sono state tolte via dal Cardinal Filippo Calandrino fratello di Papa Nicolao V nostro “ compatriotto per costruere una cappella, ed accrescere la facciata della Cattedrale di “ Sarzana, e da altri Signori convicini ,. Evidentemente non conosceva quanto avevano scritto il Brenuccio e il Landinelli intorno al monumento Angelo Angeletti di Vezzano, che fu podestà di Castelnuovo per la Repubblica Genovese nel 1614. Nel tempo del suo ufficio egli visitò più volte le rovine di Luni, ed assistette ad alcuni scavi fatti eseguire nei propri fondi da prete Nicola Benettini, allora rettore della parrocchia di Castelnuovo. Le notizie di quegli scavi, di resultato invero non (1) Dell’antica città di Luni, e del suo stato presente, Memorie raccolte da CarLo Proms... aggiuntovi il Corpo Epigrafico Lunense, Massa, 1857, p. 95, n. 1, pp. 130 e 157. Alla p. 130 così ne scrive: “ È una lapide “ votiva ad una divinità non menzionatavi; il cognome di Svezio era Amphius, od Amphialus come leggesi presso © Muratori, od Amphybianus, od Ampheristus come in marmo di questa Università [di Torino]; pure siecome in © Luni esiste l’anfiteatro, così se ne volle trovare l’autore, e vi si lesse correntemente AMPHitheatrum Fecit; la “lettera F deve essere iniziale del nome della Dea Fortuna, o della Felicità, o d’altro tal Nume ,. Concorda col Promis il can. AneeLo SancumeTI, che riportò l’epigrafe al n. 35 delle Iscrizioni Romane della Liguria (“ Atti della Soc. Ligure di Storia Patria ,, vol. II, p. 51, sg.), aggiungendo che quell'AMPH si può inter- pretare anche Amphion, “ che è anche più semplice, di cui abbiamo un esempio nelle albinganesi ,. L’epigrafe è pure riprodotta nel CIL. al n. 1317 del vol. XI, P. I. (Iascript. Aemiliae Etruriae Umbriae latinae... edidit Euc. Bormann, 1888). È (2) Se ne conoscono parecchie copie, possedute dal R. Archivio di Stato di Massa, dalla Aprosiana di Ventimiglia, dalla Beriana di Genova, dalla Comunale di Sarzana. Ne possiedo anch'io una copia col titolo seguente : Storia d'Ierporiro LanpInELLI Nobile Sarzanese e canonico della Cattedrale di Sarzana, divisa in due Trattati contenenti l’Origine dell’antichissima Città di Luni e suo disfacimento, della Città di Sarzana sorrogata în luogo della distrutta Luni, e di tutte le cose più notabili appartenenti a detta Città ed a tutta la Provincia di Lunigiana, come anco della Chiesa Lunese e de’ suoi Vescovi. Cito da questa copia, pp. 92 sg. i O | e ERI rent Le ANT n ULI LAN nre MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 9) molto abbondante, non sono prive d'interesse (1); come per la storia dell’ anfiteatro non sono inutili i seguenti ragguagli: “ Il maggior vestigio che della nobiltà di questa anti- “ chissima città hoggidì si vegga è un anfiteatro da essa distante meno di mezzo miglio, il “ quale resta tuttavia intero con doppio ordine di muraglie, e con grandissimo numero di “ stanze piccole, e cornisoni, fabrica di molta consideratione e gran spesa. È questo anfiteatro «“ di forma ovata, et occupa gran sito, a segno che lo spatio che v'è dentro viene al pre- “ sente arrato, e coltivato, e vi sono anche dentro molti alberi con le viti sopra, affittandosi “a nome del Senato Serenissimo di Genova, di cui resta la proprietà, e l’utile che se ne “ ritrae. Quantum aevi longinqua valet mutare vetustas, che quel luogo così nobile e con tante “ spese edificato, dove rappresentar si solevan giuochi, comedie, feste, battaglie, et altri “ spettacoli con tanto concorso di cavaglieri, signori e dame, resta a tempi nostri abban- (1) Si conservano manoscritte in un Cod. cart. in-4 della Biblioteca Civica Berio in Genova, segnato Dbis, 11, 6, 42, col titolo: Relatione delle cose della Città di Luni, descritte dal Sig.re Ancero AnceLernti. Non credo inutile riferire le cose più importanti di quella Relazione, relative agli scavi fatti in Lumi, rimaste finora inedite: “... Si scoperse una tavola di candidissimo marmo, longa più di dieci palmi, e larga circa tre © palmi, la quale con destrezza levata, si trovò essere una sepoltura, dentro di cui giaceva un cadavero: stimato d’huomo gentile per non aver avuto le mani accomodate in forma di croce, come da christiani suole costumarsi. E ponendo la mano uno di quei operai in essa sepoltura per alzare un braccio del detto “ cadavero (cosa veramente mirabile a dirsi) tosto esso si risolse tutto in polvere, nè in quella sepoltura “ altro si trovò, che un poco di ferro, quale si giudicò essere stato il pomo della spada con la quale come persona nobile sarà stato sepolto. Seguendo gli operai il loro lavoro, trovarono un acquedotto di piombo, R del quale se ne estrasse alquante cantare, e venne a terminare in un gran quadro lastricato con quadrette di terra cotta con vernice sopra di vari colori, e per la maggior parte triangoli, attorno e per dentro al “ cui quadro si trovarono altri acquedotti piccoli parimenti di piombo per li quali si venne in cognitione © che quella fosse stata una delitiosa fontana con varii giochi d’acqua. Seguendo di cavarsi sotto terra lo € spatio che di sopra s'è detto, si trovò in più pezzi una gran statua stimata di qualche Signore o Go- vernatore di essa città, la cui testa era rasa, e tutta amaccata con mazze di ferro, il naso rotto, e rap- “ presentava l’effige d’huomo sdegnato e crudele, e fu giudicato che detta statua fosse stata abbattuta per “ qualche misfatto di colui, a cui era stata dedicata. Poco quindi lontano si trovò in statua di finissimo “ marmo dalla cintura in su il ritratto d'una bellissima giovane con acconciatura di capelli antica, e molto “ artificiosa, et ammirata molto dagli scultori che all’hora la videro; non molto longe dalla quale si trovò una carta di marmo con queste lettere ATILIAF C. F. SECVNDAE || ACCIAE MATER. Dagli stessi operai e da altri avanti, e mentre io dimorai in quel governo, furono trovate molte medaglie di più sorti di metallo, ma una tra le altre era così simigliante all’oro, che molti non troppo pratici stimarono che fosse oro finis- simo; se ne trovarono alcune d’argento, e così di queste come di quelle me ne furono donate alquante, le quali al mio ritorno in questa città [Genova] presentai al Sig. Bartolomeo Lamellino del Sig. Agostino. Ne vidi anco una di oro massiccio di peso di due terzi di una doppia, trovata in quei luoghi di Luni da un contadino arrando un campo, la quale a mio parere al presente si ritrova in mano del Sig. Gio. Batta Spinola Isola; le quali medaglie hanno l'impronta di varij Imperatori Romani stati doppo d'Augusto, e molte ve “ ne sono di Costantino e suoi figliuoli. Nel campo di un povero huomo su la sponda di una fossa contigua ad un piccolo sentiero si trovò in quei giorni una cassa di piombo senz’alcuna cosa dentro, fuor che poca ‘“ terra, stimata sepoltura di persona nobile. In quei medesimi campi si scopersero all’hora molti pezzi di marmo, cioè capitelli, base, tavole, mezze colonne et altri fragmenti lavorati all'antica; e da quei medemi luoghi ho da vecchi e persone d’autorità inteso dir che siano stati trasportati quelli antichi marmi che oggidì si vedono in Sarzana, Fosdinovo, Ameglia, Castelnuovo, Arcola, Ortonovo, Nicola, et altri castelli “ circonvicini, et anco la più parte delle colonne che al presente vediamo nella Chiesa di N.ra Sig.ra delle © Vigne in Genova... Tornando a quello, che con propri occhi ho veduto, dico aver ben considerate le vestigie “ delle muraglie di essa città; trovai che circuiva un miglio e mezzo, o poco più; potria essere però che “ queste fossero le ultime sue muraglie, e non quelle antiche, avanti i tempi di Lucano ,. L’epigrafe di Attilia, già nota peri MSS. del De Rossi, è riprodotta dal Targioni, dal Promis, dal Sanguineti. Qui presenta una variante nel nome di ACCIA, che la lezione già nota dà come AVIAF. R R 6 UBALDO MAZZINI — L'A NFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO “ donato alla cura et ingordiggia d’un vile et avaro contadino, et a pascoli, e refuggio « d’armenti , (1). Luca Olstenio, che nel 1618 viaggiò lungamente per l’Italia, vide certamente anche le rovine di Luni, giacchè nelle sue annotazioni al Cluver afferma che “ingentes visuntur “ ruinae civitatis lunensis ,, e corregge il geografo di Danzica là dove pone Luni sulla diritta della Magra, osservando che se il Cluver fosse stato sul luogo non sarebbe caduto in quell'errore, perchè avrebbe veduto “ maxima vestigia veteris Lunae , (2). Ma non parla in particolare dell'anfiteatro, sebbene per ingentes ruinae e per magna vestigia non potesse intendere che di quel monumento. Ne tocca invece il Dempstero, che scrisse press’a poco nello stesso tempo, nella sua Etruria Regalis, messa alle stampe soltanto nel 1723. Par- lando di Luni e delle sue vicende fa questo cenno delle rovine: “ Urbs interiit, nec quicquam “ praeter amphitheatri reliquias extat , (8). “ III. Questo fuggevole accenno del dotto scozzese all’anfiteatro bastò a destare un di- battito fra due eruditi italiani: l’avetino Cav. Lorenzo Guazzesi, e Scipione Maffei. Il primo si servì della notizia che trovò nella Etruria Regalis per rincalzare con una prova di più la sua opinione che i Romani derivassero dagli Etruschi la maniera de’ loro edifizi ad uso di pubblici spettacoli (4); e tale asserzione urtò il Maffei nel suo preconcetto che, fuori di Roma, di Verona e di Capua, in nessun'altra parte dell'impero romano fossero mai sorti anfiteatri stabili: e volle smentire il Guazzesi negando la esistenza di quelle rovine di Luni, dove egli stesso, secondo che afferma, le avrebbe cercate invano: “ Il fatto sta che un tal sup- “ posto è vano, poichè essendosi chi scrive, gran tempo fa, intorno a quelle pretese ruine “ di Luni aggirato più volte, niun vestigio vi ritrovò di un così fatto edificio , (5). Ed il Guazzesi di rimando: “ Crede il Signor Osservatore esser cosa assai facile, per abbattere la “ mia opinione, il non vedersi nella Toscana avanzi di tali fabbriche, e s'oppone al Dempstero, ove parla dell’anfiteatro di Luni, le di cui vestigia a suo tempo vedevansi, poichè essendosi “ (1) Si direbbero inspirati da questo passo dell’Angeletti i seguenti versi del genovese Giambattista Merea: E dal pian dove fu Luni superba Degli archi illustri, e de’ sublimi tetti Miserabil vestigio appena or serba. Ove già furo anfiteatri eretti Ara il bifolco, e il gregge pasce l’erba. Oh fasto uman, le tue più splendid’opre Alfin tempo distrugge, oblìo ricopre. Di G. B. Merea non ho trovato notizie biografiche: sarebbe rimasto ignoto anche allo Spotorno (V. p. 76), se l’opera del Quadrio non gli avesse fatto conoscere l’esistenza di due poemi di lui, cioè: La contemplazione, poema di G. B. M. con gli argomenti del Rev.do D. Giannagostino Pollinari al Serenissimo Benedetto Viale Doge della Serenissima Repubblica di Genova, In Genova MDCCXVIII, per G. B. Casamara, in-8° picc., pp. 108: Ademaro, ovvero Corsica liberata, poema eroico di G. B. M. fra gli Arcadi Teudasco Doliano con gli argomenti di Giannagostino Pollinari, fra i predetti Ortildo Egiratico, all’Ecc.mo Sig. Marchese D. Stefano De Mari, ecc. In Lucca, MDCCXXIII, per Salvatore e G. B. Marescandoli, in-4, pp.12 n. n., 333. I versi citati appartengono a quest’ultimo poema, canto I, st. 45. Questo poeta non fu noto neppure al Della Cella, che registra nel suo MS. la famiglia Merea, e ricorda due medici vissuti circa il 1740, ma neppure rammenta Giambattista. Probabilmente egli stette quasi sempre fuori di Genova. (2) Lucae Horsrenit Annotationes in Geographiam Sacram Caroli a S. Paulo, Italiam antigquam Cluverti, ete. Romae, 1666, pp. 25-28. (3) Trowar Dempsreri De Etruria Regali libri VII, Florentiae, 1723, vol. II, cap. XX, p. 83. (4) L. Guazzesi, Dissertaz. sopra gli Anfiteatri, e specialmente dell’aretino. Nei © Saggi di Dissertaz. acca- demiche pubblicam. letti nella nob. Accademia Etrusca di Cortona ,. Roma, 1788, II, p. 79. (5) S. Marrer, Osservaz. letterarie che possono servir di continuazione al “ Giornale de’ Letterati d’Italia ,, Verona, 1739, T. IV, p. 217. tti MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 7 S egli aggirato intorno alle pretese ruine di Luni niun vestigio vi ritrovò d'un così fatto edifizio, indi soggiunge che antichissimo sarebbe stato quell’anfiteatro, poichè Luni fino dal tempo di Lucano era quasi distrutta: Desertae moenia Lunae. Sulla fede di un letterato come il Dempstero io riportai l’anfiteatro di Luni ch'egli aveva cogli occhi propri veduto, e il non vedersene presentemente vestigia non include l'impossibilità che ai tempi del Dempstero non potesse sussistere, non essendo cosa più facile che in un secolo e mezzo che corre dall’uno all’altro il potersi perdere affatto un avanzo di fabbrica in un luogo abitato dai “ pescatori e dai pecorai, dove alcuno non è che cerchi di conservare le vestigia delle fab- “ briche insigni, vedendo noi, che nelle città più colte e più pulite in molto meno tempo rovinano Kdifizi antichi bellissimi; con tutto ciò il Signor Vincioli erudito Gentiluomo di “ Perugia in una sua dotta lettera inserita nel Tomo 13 degli Opuscoli scientifici, dice che vide il luogo ove fu la Città detta Luni, oltre aver ivi veduto le vestigia e reliquie del suo antico Teatro, che dalle ruine sempre più deformato non avrà lasciato luogo per quello “ erudito soggetto di ravvisarlo circolare da ogni parte , (1). L’abate Giacinto Viìncioli aveva infatti veduto nell’agosto del 1723 l’anfiteatro lunense; ma nella sua completa forma ellittica, e solo per errore lo chiamò teatro; non già che lo scam- n FS GI G n biasse per un teatro vero e proprio, ma poco esattamente adoperando il termine generico. Ne accennò da prima in un Capitolo, in cui descrive un suo viaggio al golfo della Spezia e in altre parti della Lunigiana marittima, così: Vidi ben il Teatro, e vidi il Porto, Che il fiume della Magra riempiendo, Or tutto resta voto, e resta morto (2). E tornò poi a ricordarlo in una lettera dell’anno successivo, con le parole citate dal Guaz- zesi, pubblicata appunto nella accolta calogierana (8). Ma per tornare al dibattito fra il Guazzesi ed il Maffei, osservava al proposito molto argutamente Giovanni Sforza: “ Eran due ciechi che facevano alle bastonate. Il Maffei nega “ l’esistenza dell’anfiteatro di Luni, perchè avendo scelto per guida ‘un ignorante, invece “ d’esser condotto a visitare le rovine, fu menato a spasso per la campagna e non vide nulla “ di nulla; e se ne tornò a casa colla persuasione che il magnifico anfiteatro della sua Ve- “ rona avesse un rivale di meno. Il Guazzesi, che per chiarire la cosa e troncare la testa “ al toro avrebbe dovuto fare una corsa a Luni, o almeno pigliar lingua, scrivendone a qualche “ studioso della Lunigiana, finisce per non saper qual acqua bevere! , (4). Bisogna per altro aggiungere, ad onor del vero e del Guazzesi, che questi non si ac- contentò di giurare sulla fede del Dempster, e nemmeno della vaga asserzione del Vincioli; ma che cercò e trovò nuove e più recenti prove della esistenza delle controverse rovine. In fatto, nella seconda edizione delle sue Dissertazioni così venne modificato il passo relativo: “ Un altro magnifico avanzo d’Anfiteatro si vede ai dì nostri fra le rovine dell’antica Luni, “ di cui hanno parlato molti eruditi viaggiatori che lo hanno considerato; e ne parlerà ancora “ l’eruditissimo sig. Targioni nella promessa descrizione della Lunigiana; nè so per qual (1) Supplemento alla Dissertazione intorno agli Anfiteatri degli antichi Toscani del: Cav. Lorenzo Guazzesi. Nella “ Raccolta di Opuscoli scientifici e filologici ,, Tomo XX, Venezia, 1739, pag. XLIII del “ Supplemento ,. (2) Nelle Rime di Leandro Signorelli, e di altri poeti perugini scelte da Gracinzo VincioLi, con alcune an- notazioni. Foligno, 1729, T. HI, p. 384. Cfr. Us. Mazzini, Un capitolo odeporico del 700 sulla Lunigiana, nel “ Giornale Storico della Lunigiana ,, VI, 1914, pp. 87-94. (8) Vol. XII, p. 218. (4) Op. cit., p. 93. 8 UBALDO MAZZINI — L'ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO “ curiosa fatalità non cadde sotto gli occhi di un Letterato, che nega assolutamente queste “«“ rovine. Essendosi chi scrive, così si spiega, gran tempo fa alle pretese rovine di Luni aggi- « rato più volte, niun vestigio vi trovò di così fatto edificio. Oh, quanto antico ,, ripiglia il Guazzesi, “ ci è forza di credere l’Anfiteatro di Luni, se ai tempi di Lucano, cioè a dir di «“ Nerone, Luni era distrutta e disabitata! Aruns incoluit desertae moenia Lunae! , (1). Tant'è: quello era il suo chiodo! e Lucano con quel malaugurato verso, di cui nè gli archeologi, nè gli storici, nè i filologi hanno ancora saputo darci una sufficiente ragione, contribuiva a ribadirglielo in capo! (2). IV. Un altro erudito lunigianese sul principio del secolo XVIII aveva frattanto studiato le antichità lunensi: Bonaventura De' Rossi di Sarzana, che lasciò, fra stampate e mano- scritte, parecchie opere di storia regionale. Nella sua Collettanea copiosissima di memorie e notizie storiche, ecc., terminata nel 1710 e rimasta inedita, trattò ampiamente delle rovine di Luni, e fece un cenno particolare dell'anfiteatro, di cui, anzi, dette anche un disegno, ma tutt’affatto fantastico. Le sue notizie sono, su per giù, quelle del Landinelli; ne giudichi il lettore: “ Da greco a levante, discosto dal primo recinto [delle mura] un sesto di miglio, “ vi è un anfiteatro, posto sulla via Emilia, che tuttavia si vede, se ben mal ridotto, fatto “in forma ovale... È per maggior diametro di dentro palmi 200: in buona parte anco a’ dì “ nostri intiero, fabbricato all’usanza romana, sebbene spogliato affatto de’ marmi e di tutto “ ciò che serviva per adornarlo... Gira di dentro passi 172 d’un uomo ordinario, che importano “ tre palmi d'uomo giusto per uno. Le stanze intorno al cerchio di dentro sono longhe passi “ sei e larghi passi tre. Li due muri, da mezzo ai quali si cammina per una strada di palmi “dodici di larghezza e d’altezza palmi venti, sono di grossezza palmi quattro; et è lontano “ da Luni verso levante estivo poco più d’un tiro d’archibugio , (3). Anton Francesco Gori, che avea avuto sotto gli occhi i manoscritti del Rossi, e che anzi meditava di darli alla luce (4), affermò a sua volta l’esistenza dell’anfiteatro di Luni: “ Sed praeter Aretinum amphitheatrum recensere etiam positum amphitheatrum lunense, “ nempe Lunae, inter Etruscas urbes non quidem magnae... , (5). Lo segnalò pure in una sua opera rimasta inedita, che si conserva nel R. Archivio di Stato di Lucca, il pittore sassone Giorgio Cristoforo Martini, conosciuto col nome di Cristoforo Sassone, morto in quella città nel 1745. Venuto in Italia nel 1721, prese a descrivere tutto quello che gli parve degno di osservazione, corredando di belle figure, parte all’acquerello e parte a matita, l’opera sua; la cui terza parte intitolò Reise von Rom nach Livorno und Toscana. Ivi parla di Massa, di Carrara, dell’Avenza, di Luni e di Fosdinovo: “ e a Luni soprattutto lo colpisce una fabbrica “ ovale in rovina, intorno alla quale si vedevano di qua e di là de’ sedili rotti, con uno (1) Dissertazioni del Cav. Lorenzo Guazzesi, seconda ediz. In Pisa, l’anno MDCCLXI, per Gio. Paolo Gio- vanelli e Compagni, in-4°, pag. 19. (2) Anche l’Abbati Olivieri nell’annotare il frammento di Ciriaco d’Ancona accennava a questa contro- versia sull’anfiteatro di Luni: © Variam profecto apud eruditos fortunam Lunensis amphitheatri reliquiae “ subierunt; laudavit enim illas Dempsterus, et deinde Holstenius, et demum Gorius... Vinciolus in ea epistola, “quam edidit..., narrat... aver ivi vedute le vestigie, e reliquie del suo antico Teatro. Immortalis tamen “ Maffeus... ait che tal supposto è vano, poichè essendosi chi scrive aggirato, ecc.; quod verum esse non inficiatur “ ipsemet doctissimus Etruscorum amphitheatrorum adsertor Eques Guazzesi... Accedat nunc testis locuple- ‘ tissimus Cyriacus noster, qui tribus abhine saeculis illud, sive amphitheatrum, sive theatrum fuerit, undigue “ solo collapsum fuisse scribit , (Op. cit., p. 16, n. 90). (3) CoMlettanea copiosissima di Memorie e notizie istoriche appartenenti alla Città e Provincia di Lumi. MS. presso il Sig. Raimondo Lari di Sarzana, vol. I, libro I. (4) Cfr. Srorza, Op. cit., p. 77. (5) Museum Etruscum exhibens insignia veterum etruscorum monumenta, ete., vol. I, p. 58. CRIAZAN Dagro LIDIA ZZZ MON LCIIBILIZZIREC Ha Ped lagl TP CA PR MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 3. 9 “ degli archi tuttora in piedi; fabbrica che, ingombra com’era dalla terra e dalle macerie, “ restò in dubbio se fosse un teatro, o un anfiteatro, com'è realmente , (1). Ne trattò poco appresso più diffusamente, sebbene non di scienza propria, il dottor Giovanni Targioni Tozzetti nel volume X della seconda edizione de’ suoi Viaggi; e nel de- serivere il monumento si valse di quello che aveva letto nei manoscritti del Landinelli e del Rossi, aggiungendo di suo un po’ di storia, e corredando il capitolo con una veduta incisa in rame, ricavata da un disegno, non così fantastico come quello del Rossi, ma sempre ben lontano dal vero, dovuto alla penna del capitano Panfilio Vinzoni di Levanto, che lo aveva eseguito nel 1752: “Il signor capitano Panfilio Vinzoni ,, son le parole del Targioni, “ nel suo esattissimo (sic/) disegno (Tav. IV) ci fa vedere tanti residui saldi e sopratterra “ di esso anfiteatro, che danno una bastante idea della sua vetusta magnificenza. Le mani “ degli uomini, più che le ingiurie dei tempi, hanno cooperato alla deformazione e distruzione di “ questo grandioso avanzo della bella antichità, ed anche qui quod non fecerunt barbari fecerunt “ barbarini... , (2). E seguita raccontando quello che al cardinale Calandrini si attribuisce circa alla rovina del Colosseo di Luni, come abbiamo veduto nel riferito brano del Landinelli. Questa pubblicazione del Targioni Tozzetti è quella che sedici anni prima aveva annun- ziato il Guazzesi per documentare il suo asserto; ma l’“immortale , Scipione Maffei era morto da un pezzo; e anche se vivo non era tale certamente da lasciarsi così presto persuadere da quell’“ esattissimo , sgorbio vinzoniano fatto intagliare per cura del dottore Targioni! V. Lazzaro Spallanzani, con intenti più di naturalista che di archeologo, visitò nel 1783, allorchè si trattenne per i suoi studi nel Golfo, le rovine di Luni. Si interessò dell’anfiteatro, e ne fece oggetto di studio, rilevandone alcune misure, e dettandone una descrizione, che inserì in una lettera del 15 di ottobre di quell’anno. Ecco quanto ne scrisse: “ Andando “ all'antica Luni e visitando segnatamente il Cisco, ossia l’anfiteatro, di figura elittica, trovo che il minor diametro è di piedi 190. L’anfiteatro constava di quarantotto grotte, dentro di cui si tenevano probabilmente le fiere. Ogni grotta terminava ad un corritoio coperto con volto; al di là del quale vi era altro corpo di fabbricato, che chiudeva l’esterna cir- conferenza del circolo, della lunghezza a un di presso di quelli che ora descriveremo. L'apertura di ciascuna grotta è di piedi 81/9. Altezza piedi 11. Dalla parte dell’ingresso alla parte della prima divisione del muro il corritoio è piedi 131/,, avvertendo che il volto, che ricopre tutta la profondità della grotta discende obliquamente verso la piazza dell'anfiteatro. Lunghezza della grotta piedi 12. Grossezza del muro tra la grotta e il cor- ritoio retro piedi 2, pollici 12. Larghezza del corritoio piedi 9. Altezza delle pareti del corritoio sino all'imposta del vòlto piedi 12. Sfogo del vòlto piedi 6, che veniva costituito da un semicircolo col suo piede diritto sotto. La maggior parte delle pietre, onde consta questo anfiteatro e le altre adiacenze dell’antica città di Luni, è una pietra argillosa, si- milissima alla da me notata a Massa. Vi si trovano però alcuni pezzi di marmo volgare carrarese. Tutti gli archi onde si passa dalla grotta al corritoio al di fuori sono condotti alla maniera cubica, che partecipa dell’acuto. Andando sopra il volto del corritoio non si vedono i gradini sopra cui si suppone si sedessero gli spettatori, ma bensì il tutto disposto in una continua pendenza al di là della grotta. Il maggior diametro dell’anfiteatro “è dal nord al sud , (3). “ ES R (1) Cfr. Gio. Srorza, Giorgio Cristoforo Martini detto il Sassone, e îl suo viaggio in Italia (1721-1745), nel “ Giornale Ligustico di archeologia, storia e letteratura ,, XXII, 1897, p. 411. (2) Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana... Ediz. seconda, T. X, p. 414. (3) Lettere di vari illustri italiani del sec. XVIII e XIX da’ loro amici e de’ massimi scienziati e letterati nazionali e stranieri al celebre abate Lazzaro Spallanzani e moltissime risposte a’ medesimi ora per la prima 13 10 UBALDO MAZZINI — L'ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO Ne tornò a parlare in un’altra lettera del 12 febbraio 1784 a Carlo Bonnet, a proposito d'una qualità di pietra da lui osservata vicino a Massa, “ una pietra quarzosa-micacea, di ‘ color bruno, denominata piastriccio, perchè alla maniera degli schisti è divisibile tanto che “ basta in grosse piastre..., e di questa pietra ho trovato costrutto l’antichissimo anfiteatro “ di Luni ,. Del quale per altro, non ostante l'interesse che gli destò, non rimase molto “ ammirato, se lo chiamò ignobile edificio: “... Luni, della quale antichissima città si può dire ‘ come di tante altre distrutte, seges ubî Troia fuit, non restando di lei che i ruinosi avanzi “ d’un ignobile anfiteatro , (1). i Poco dopo di lui visitò le rovine lunensi lo svedese Jacopo Graberg Hemsò, cioè negli anni 1794 e 1800: ma soltanto molto più tardi pubblicò il resultato delle sue osservazioni, nella rassegna critica d'un’opera inglese. Dell’anfiteatro scrisse queste note: “ L’anfiteatro, “ di struttura romana, era simile al Coliseo di Roma, e si crede fabbricato dugento anni “ prima della nostra era. È desso situato al greco di Luni, poco distante dalle mura della “ città: la sua figura era elittica, ed i lati della spianata interna debbono essere stati, il “ maggiore di trecento palmi, ed il minore di dugento. La circonferenza interna presenta “ cento archivolte, che formano altrettante stanze, quattro delle quali hanno dovuto essere “ destinate al serraglio delle fiere, e le restanti per comodo degli spettatori. Ai quattro lati “ del teatro vi sono quattro vomitorii, che servivano già d’entrata nel recinto. Questo re- “ cinto è formato da due grossi muri concentrici, separati fra loro da un intervallo di venti “ palmi, e riuniti per mezzo di un volto arcato, sovra il quale si scorgono in qualche parte “i gradini, che giravano intorno l’intera circonferenza. Tutto il fabbricato è di pure pietre x squadrate. Il recinto dell’anfiteatro in alcune parti si eleva dal suolo trenta palmi, e la ‘ sua capacità è di sei mila spettatori , (2). Quest'ultimo dato del Graberg circa la elevazione delle rovine, e un disegno che correda il Viaggio del Fontani dimostrano che al principio del secolo XIX restava ancora in piedi una parte del muro esterno dell’edificio; il che è da deplorare che tuttora non sussista, perchè avremmo un dato di più, e molto importante, per la esatta ricostruzione del monu- mento. Il disegno prodotto dal Fontani è alquanto di maniera, e porta la scritta generica di Veduta degli avanzi della città di Luni; ma è facile riconoscere in quei ruderi le rovine dell’anfiteatro, del quale nel testo è un cenno sulla guida di ciò che ne scrisse il Lan- dinelli (3). Originale è invece, sebbene affrettato e incompleto, lo studio che del monumento fece Emanuele Repetti, tanto benemerito della storia e delle antichità della Lunigiana. Riferisco « le sue parole: “ ... a levante ben distinsi e misurai l’interno ed esterno circuito elittico dei “ principali muri dell’anfiteatro, quale sebbene circondato d’alberi e viti, e ricoperto di rovi “e virgulti, resta tuttavia alto fuori del suolo non meno di quattro braccia, e perfino del “ doppio in alcuni punti; verificai altresì dalla struttura del materiale e della cornice tuttora “ esistente in una parte di corridore interno, non appartenere questa fabbrica a lavoro “ etrusco. Sicchè non esito punto a confermare esser la verità quanto scrissero in proposito “ di quegli avanzi l’Olstenio, il Dempstero, Cristoforo Cellario, il D. Targioni, e il cavaliere “ Guazzesi sulla fede altrui, e sull’evidenza acquistata dai propri sensi Ciriaco Anconitano, volta pubblicate, T. IX, Reggio, 1843, pp. 177-1778. A p. 190 scrive: “ Mi sono accertato che le pietre onde è “composto l’anfiteatro lunense sono veramente argillose, miste però ad un po’ di calce, come si ricava “ cogli acidi ,. ; (1) Nelle “* Memorie di Matematica e Fisica della Società Italiana ,, Verona, 1784, pp. 868 e 880. (2) “ Antologia, giornale di scienze; lettere ed arti ,, Firenze, nov.-dic. 1829, nn. 107-8, p. 141. (3) Piaggio pittorico in Toscana, di Francesco Fonrani, 1% ediz. (1801), pp. 158-154 del vol. I; 2* edizione (1817), vol. II, pp. 297-304; 3* ediz. (1827), vol. II, pp. 297-304. e TETI ERO IE I Canna ca Ml 215 i i MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. Il “ il sarzanese Antonio Ivani, Ippolito Landinelli, Bonaventura de Rossi, e l'ingegnere Panfilo “ Vinzoni... ai quali non può ricusarsi fiducia, e come testimoni oculari e come dotti ,. E in nota aggiunge: “ Questo anfiteatro, che nella forma e dimensione è poco maggiore di « quello recentemente dissotterrato in Otricoli, trovasi a S. E. di Luni, distante un quinto di miglio, per essere stato il di lei recinto, come anticamente erano quelli delle altre città “ di provincia, troppo angusto onde ricevere sì vasti edifici di costruzione posteriore... Il suolo, che ricopte i suoi avanzi è più alto dell’antico non meno di tre braccia. Li suoi K ruderi sono un aggregato informe di pietre schistose, e fluitate, legate insieme con malta. La sua forma è perfettamente ovale. Non si conosce indizio di portici esterni, sebbene vi sia luogo a sospettare che vi fossero. Misurato approssimativamente nello stato attuale, «“ mi ha dato le seguenti dimensioni. Lungh. ester. bracc. fior. 140; largh. ester. nello stato attuale br. 54; lungh. inter. br. 97; largh. inter. br. 54; muro fra il corridoio interno e le burelle o carceri br. 2/3; muro del podio che circonda la conca o arena costruito in “ tutto il giro ad archi br. 24/3; muro esterno del corridore br. 1 4/;; larghezza del corridore br. 7 2/3; largh. delle burelle fatte a cunei e coperte da volte fatte in declive per sostenere i gradi br. 7; largh. degli archi sotto il podio, di cui restano scoperti tutti gli archivolti br. 4; larghezza dell’ingresso maggiore che guarda la via Emilia br. 8, (1). Questa descrizione passò inosservata al padre Spotorno, il quale pure gode fama presso taluni di ricercatore diligente e di critico acuto. Il padre Spotorno, che scriveva stando in Genova, e aveva quindi sotto mano ogni mezzo per accertarsi del vero; il padre Spotorno, che doveva pur aver letto le /storze del Landinelli, se ne parla con elogio, e i manoscritti dell’Angeletti, se ne ricorda il contenuto; il padre Spotorno, che rimprovera il Guazzesi di non aver fatto altro, circa all’anfiteatro di Luni, “ che ricopiare il Dempstero ,, non s’ac- corge che fa peggio dando tutta la sua fede a Scipione Maffei, che negò l’esistenza delle rovine. Egli infatti ne tocca, là dove parla di Luni e de’ suoi ruderi: “ Nulla ho detto del- “ l’anfiteatro di Luni; perciocchè se il Dempstero il vide nelle rovine di essa città, il Vin- “ cioli non vi riconobbe che le reliquie di un antico teatro; il Maffei niun vestigio vi trovò di “ un così fatto edifizio. E il Guazzesi tanto premuroso di dare anfiteatri alla Toscana, non “ potè far altro, se non che ricopiare il Dempstero ,, (2). Al cenno del Vincioli si è già veduto qual valore bisogna dare; e, quanto al Guazzesi, lo Spotorno fra le tante altre cose ignorò anche la rettifica della seconda edizione. VI. Dopo qualche anno usciva in Genova, nelle colonne del Nuovo Poligrafo, una descri- zione delle rovine di Luni, dettata da un E. M,, che il giornale stesso nel suo n. 12 del 1830 chiamava “ intelligente giovane ,, ricordando come quella sua “scorsa a Luni , aveva avuto luogo “ sono tre anni circa ,, cioè nel 1828. Non sono molto originali nè esatte le notizie che il signor E. M. ci ha lasciato intorno all’anfiteatro; ma per la storia del monumento mette conto di trascriverle: “ Alle di lui forme lo riconobbi per uno di quelli anfiteatri detti “ dagli antichi Arenarium ove gli abitanti della ricca Luni passavano i loro giorni festivi. “ Come appare dall'iscrizione d'una colonna, rinvenuta in quel luogo, fu l’anfiteatro edificato « a spese di Svetius Libertus onde lasciare ai lunesi una di lui memoria. I riechi lavori in (1) Sopra VAlpe Apuana ed i Marmi di Carrara, cenni di E. Rerermi, Badia Fiesolana, 1820, pp. 157 sg. e 173 sg. Gli archi sotto il podio non esistono, come non esiste un ambulacro esterno; le burelle non sono altrimenti carceri; le misure sono in gran parte errate; sicchè il lavoro del R. non è per questo riguardo più diligente di quanti lo precedettero o seguirono. Nel vol. II, pag. 936 del suo Dizionario della Toscana, parlando di Luni, accennò appena all’anfiteatro con queste parole: “ L'edifizio maggiore attualmente si riduce “ alla semidiruta ossatura di un mediocre anfiteatro ,. (2) Storia letteraria della Liguria, Genova, 1824, T.I, pag. 28. 12 UBALDO MAZZINI — L’ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO « marmo formano adesso un bell’ornamento della cattedrale di Sarzana. La di lui circonfe- “ renza era internamente di piedi 420; trovavansi in giro 50 celle a volta, destinate non v’ha “ dubbio a rinchiudere le belve destinate alla pugna. Queste celle erano circondate da una “ galleria, larga sette piedi, nella quale riuscivano le porte, ed era questa circondata da ‘ uma seconda, anch'essa fatta a volto, ed alla quale davano adito quattro altre grandi porte, corrispondenti ai punti cardinali; interne gradinate ove sedevano gli spettatori in- ‘ coronavano l’edificio , (1). ° Così pure, per le sue peregrine originalità di forma e di contenuto, converrà riferire la descrizione del monumento lasciataci da Emanuele Gerini, il quale la inserì nella biografia del cardinale Filippo Calandrino, a proposito della pretesa spogliazione dei monumenti di Luni; alla quale asserzione, ripetuta per secoli, vedremo poi quale fede bisogna prestare. Egli adunque così descrive: “ Alla foggia Romana edificato eravi il maestoso anfiteatro «“ Lunese che il tempo non aveva potuto distruggere, ed era il monumento più intiero che vi “ rimanesse e per eccellenza di lavoro non invidiava il circo Flaminio, nè l’arena di Verona, “ nè il teatro di Pola, come cantò il Panicalese, dicendo: Amphitheatrum extat magnum et venerabile quippe. Roma suum non jam jactaret, et ardua Lemnes, Nec Pola, nec Verona suum, si cerneris istud (2). “ Questa fabbrica, di cui restaci ancora bastevole scheletro per giudicarne, alto in alcuni “luoghi 30 piedi, origine traea nel 200 circa prima della nascita di Gesù Cristo, e fu per “ cura e fatica di certo Lucio Svezio liberto di Lucio innalzata, il quale nella base di una “ colonna di marmo che tra gli ornamenti era di questa mole, puose tale sua ricordanza con queste poche parole di scrittura: [riporta qui la nota epigrafe di Svezio|. Un sì bello edifizio, che puossi anche oggi arguire come fosse, mole Arenaria chiamato fu da Federico I “ imperadore nel privilegio conceduto ai vescovi di Luni, per cui si vede che al tempo del Barbarossa era anche in ottimo stato. Girando quest’anfiteatro in forma elittica, era “ posto vicino alla via Emilia fatta da Marco Scauro ultimo dominatore de’ Liguri, la quale “ da Pisa, attraversando la Lunigiana, conduceva ai Liguri Sabazii, e situato era poco di- “ stante dal recinto primiero della città, presso a quel suolo fuor delle mura che i Romani chiamar costumavano parte del Pomerio, e più in verso tramontana che no. Dopo il guasto accennato [quello del Calandrino], e poscia da’ Sarzanesi stessi con maggior indegnità accresciuto, .scuopresi non istante che i lati di cotal monumento i più grandi della spianata “ interna erano di 300 piedi e di 200 lo spazio del diametro dell’arena. Il giro di dentro mostrava 100 archivolti che altrettante comode stanze chiudevano, quattro delle quali per lo serraglio usavansi delle fiere, e le altre a pro de’ ministri sì serbavano e de’ sollaz- ‘ zevoli spettatori. Ai quattro lati dello edificio medesimo eranvi quattro aperture per en- “ trare e uscire dal recinto, il quale chiudeasi per due grossi muri concentrici tra loro distanti 20 piedi, e si congiungevano in cima per una volta arquata, sù la quale intorno intorno posavano i vasti gradini del Teatro, che più di 6000 persone capeva. Tutto il grande fabbricato, costruito puramente di pietroni quadrati, abbellivano distinti fregi, (1) E. M., Luni e Carrara, nel © Nuovo Poligrafo ,, n. 7, 17 ott. 1829. (2) Questi versi son di un Ventura Peccini di Panicale in quel di Licciana nella valle del Tavarone affiuente della Magra, e però detto è Paricalese. Son tolti da una descrizione della Lunigiana in esametri, stampata in Parma per il Viotto nel 1608, e diventata introvabile ormai; se ne conoscono parecchi passi riferiti da scrittori di cose regionali, fra cui il De Rossi e il Gerini. statue, colonne marmoree, e altri ornamenti, la struttura e pietrami del quale in gran MEMORIE = CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL, SERIE II, VOL, LXV, N. 8. 18 “ parte anche in piè di presente, dopo duemila e ventotto anni di antichità, dopo tanti ri- “ volgimenti della fortuna pubblica, testimoniano la fine di sua preziosità, e gridano alta- «“ mente contro le barbare mani che, per solcare poche glebe di terra sacra ai più bei “ vanti d’Italia, come a ludibrio dello aratro e degli armenti lasciano que’ rottami dispersi “ e in nefando abbandono, mentre ad ogni costo riputare e mantenere dovrebbonli per ve- « nerabile e propria gloria , (1). Con altrettanta, ma molto meno goffa, ingenuità aveva pianto sulle rovine dell'anfiteatro due secoli prima l’Angeletti. Davide Bertolotti discorse di Luni e delle sue rovine nell’ultima delle undici lettere odeporiche onde si compone il suo Viaggio nella Liguria Marittima; e del nostro monumento fece un cenno, breve sì, ma da osservatore che ha occhio sperimentato. Egli scrisse: “I “ più ragguardevoli ruderi di Luni sono quelli del suo anfiteatro. Le gradinate erano soste- “ nute da volte per dar più leggerezza. Le mura sono fatte di pietre non lavorate, unite con “ forte cemento. Rimane in piedi uno dei grandi archi. Il recinto sussiste intero, ma poco “ sollevato da terra. Havvi però da una parte quanto forse basta perchè un abile architetto ‘* possa ricostruire tutto l’edifizio in disegno. L'area è seminata a grano e circondata inte- «“ ramente da alberi che portano in giro attorno all’arena una ghirlanda di rami di vite. È “ opinione del De’ Rossi che Lucio Svezio liberto di Lucio facesse fare quest’anfiteatro, od “arena che ha di diametro 200 palmi. Esso giace due corte miglia in distanza dal “ mare , (2). VI. Fin qui nessuno di quanti si erano occupati dell’anfiteatro lunense ne aveva discorso con vera competenza d’archeologo o d’architetto; il primo ch’ebbe a trattarne in tale qualità fu Carlo Promis, architetto ed ispettore dei monumenti d’antichità negli Stati Sardi. E ciò avvenne nel 1837, quando, a spese del re Carlo Alberto, imprese degli scavi nell’area di Luni, e stese una Memoria nella quale, dopo aver narrato le vicende della città, ne descrisse lo stato presente delle rovine (3). Nell'ultimo dei quattro capitoli onde si spartisce l’opera sono descritte le rovine dei Monumenti dî Luni; e gioverà qui riferire tutta la parte che riflette l’anfiteatro, tanto più che dovremo in appresso rilevarne gli errori e le inesat- tezze: “ L'asse maggiore interno (che non è però l’asse dell’arena, mancando affatto il muro “ del podio e per conseguenza ignorandosi la larghezza sua e la grossezza del muro formante “la minore elisse) ha di lunghezza 63 metri: il minore circa 37; la zona che lo cinge in “ pianta e che include i cunei della prima o infima cavea ha in lunghezza m. 6,250; m. 2,900 “ sono occupati dall’ambulacro interno che sosteneva la sola precinzione che vi potesse .£ essere: viene quindi un muro grosso 0,890 e poi il portico od ambulacro esterno spa- “ zioso 2,200, recinto da arcuazioni secondo il solito stile, sorretto da pilastri grossi “ m. 1,760: nel centro del loro masso v'è un tubo verticale di sezione quadrata il quale ha “servito raccogliendo l'umidità a rendere più prestamente asciutto l’edificio. Di questo an- “ fiteatro non sarebbe possibile ricavare una pianta compiuta essendo intieramente coperto “il podio, ed interrati alcuni accessi: dalle porticine che sono in vari cunei dell’infima (1) Memorie storiche d’illustri scrittori e di uomini insigni dell’antica e moderna Lunigiana per labate Exanvere Gerini, Massa, 1829, vol. I, pp. 63-65. (2) Vol. III, pag. 195. (3) La memoria venne alla luce nelle “ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, Serie II, T. I (1839), pp. 165-257, col titolo: Dell’antica città di Luni e del suo stato presente, memorie di Carro Proms, aggiuntovi il Corpo Epigrafico Lunense. Una seconda edizione con poche giunte venne fatta in Massa nel 1857, ed è la precitata. Sopra gli scavi fatti in Luni al tempo del Promis cfr.: G. Srorza, Il re Carlo Alberto e gli scavi di Luni, nel “ Giornale storico e letterario della Liguria ,, V, 1904, pp. 305-336; A. Neri, La prima visita di Carlo Promis a Luni, nel “ Giornale storico della Lunigiana ,, IL 1911, pp. 226-28. 14 UBALDO MAZZINI — L'ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO ‘ cavea, larghe un metro ed interrate fino al volto, arguisco essere il piano antico degli ‘ ambulacri alla profondità di circa due metri, e quello dell’arena sotto un’altezza di terra ‘ di circa metri quattro e mezzo. ‘ Questo anfiteatro non poteva avere che due cavee non essendovi che una sola pre- ‘ cinzione: è pure improbabile che la cavea superiore fosse coperta da soffitto come era ‘ nel Flavio di Roma, ma piuttosto doveva il muro esterno al di sopra delle arcuazioni ES ES inferiori essere tutto solido e decorato di pilastri anche nell’interno, come vedesi all’anfi- ‘ teatro di Sutri. La costruzione è intieramente di grosse scaglie ridotte ad informi paral- lelepipedi di pietra del Corvo, congiunti con cattivo cemento: della stessa pietra sono le imposte dell’ambulacro interno, sopra le quali conservasi un tratto di volta, la quale è di getto, secondo l’uso antico. Concordano molti scrittori nel rappresentarci quest’edificio come grandiosamente costrutto di sasso quadrato delle cave di Carrara, e dello spoglio fattone danno mala voce al cardinale Filippo Calandrini, che dicono averli impiegati nella sua cappella gentilizia di Sarzana, e nella facciata della cattedrale; ora, questa porta in fronte l’anno 1474, e la cappella fu fatta dieci anni prima, ma Ciriaco che visitata aveva Luni nel 1442, parlando dell'anfiteatro non fa motto che fosse di marmo, bensì dice di averlo veduto undique solo antiquitate collapsum, e basta il solo osservare quest’edificio per tosto convincersi che non potè essere nemmeno impellicciato: le cornici stesse nelle quali maggiormente si richiede l’uso di un materiale più solido, sono come il rimanente di scaglie di pietra del Corvo che facilmente si scioglie in arena. Forse il ciglio degli sca- glioni dello Spectaculum, e qualche parte ornamentale saranno state di marmo, ma non ‘se n'ha per via di scavi positiva notizia: chè anzi così meschina erane la costruzione, che io notai, che non vi furono mai scale solide per ascendere dagli ambulacri esterni alla suprema cavea, perchè lungo le pareti dei muri cuneati vi sarebbero rimasti almeno gli orlieci dei sottoscala; forza era dunque che di legno fossero gli scalini e sorretti da due travi inclinati lungo i muri; ciò non ostante non dubita il Gerini di osservare che sia desso costruito puramente di pietroni quadrati, in gran parte anche in piè di presente. “In qual epoca fosse edificato l’anfiteatro Lunense è affatto ignoto, ma ponendo mente alla meschinità e poca regolarità della costruzione si può giudicare degli ultimi tempi degli Antonini, nell'impero de’ quali maggiormente dilatossi in Italia l’uso di simili fab- briche. Singolare è l’opinione di coloro che senz'altro ne fissarono la fabbricazione a due secoli prima dell’era volgare, quandochè in tutta Italia non conoscesi anfiteatro solido che possa stabilirsi d'epoca anteriore a quello di Statilio Tauro in Roma, ed a quello di Pompei; ma questa opinione fu messa in campo e promossa specialmente da varii letterati degli ultimi, secoli, i quali magnificando la potenza Etrusca, quanto in Etruria trovarono d’antichi edifizi tosto dichiavavanli anteriori alla dominazione dei Romani, ch'essi solo consideravano come distruttori: così scriveva il Guazzesi acremente rampognato dal Maffei il quale tan- t'oltre trascorse che nelle sue Osservazioni letterarie asserì che ‘antichissimo per verità ‘ sarebbe stato cotesto anfiteatro, perchè Luni già fin dal tempo di Lucano era quasi di- R strutta’, ecc. [riferisce qui tutto il passo del Maffei già da me riportato]. “«“ L’anfiteatro di Luni, ora dai villici è detto il Colosseo, con nome propagatosi da ‘ quello celebre di Roma, e frequente sopratutto nella Italia inferiore: è probabile che esso si trovasse fuori le mura, poichè nelle città di breve perimetro qual'era questa, un simile edificio fatto nell'interno troppo spazio avrebbe tolto alle pubbliche e private fabbriche: altra causa del vedersi soventi gli anfiteatri fuori delle città nasce dall'essere stati in gran parte ‘ edificati sotto l'impero degli Antonini quando le città d’Italia per lunghissima quiete tro- ‘ vandosi frequentissime di fabbriche e di abitatori mancava sito a così spaziosi edifizi , (1). (1) Op. cit., pp. 95-99 dell’ediz. di Massa. 3 leale TRAI MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 3. 15 Dopo che la Memoria del Promis ebbe veduto la luce, il che avvenne, come notammo, nel 1S39, fa meraviglia che non si trovi citata, o quanto meno, seguita nel Dizionario degli Stati Sardi del Casalis, il cui volume XIX, nel quale sono inseriti alcuni Cenni su Lumi distrutta, comparve in pubblico dieci anni dopo. Infatti quei cenni sono trascritti sulla fal- sariga del De Rossi e del Landinelli, e Ja parte riguardante l’anfiteatro è quasi esattamente riferita con le parole del Graberg di Hemsò, con una nuova notizia, cioè che “ parte della “ facciata della chiesa di S. Francesco , di Sarzana fu costrutta con marmi tolti al nostro monumento (1). Ma sappiamo come questo seguì: l'articolo Sarzana del Dizionario era stato scritto fino dal 1833 da Alessandro Francesco De Benedetti di Lerici, che naturalmente non potè giovarsi degli studi del Promis (2). Li ebbe invece sott'occhio Noél de Vergers, ma ritenne a torto che l’anfiteatro fosse stato scoperto duranti gli scavi del 1837, che dettero occasione e materia alla Memoria dell’architetto torinese: “ Des fouilles entreprises en 1837... « ont exhumé des restes d’un amphithéatre presque entièrement recouvert par les sables , (3). Mentre invece, non che scoprirlo, in quel tempo nessun lavoro di scavo venne fatto attorno al monumento; il che appunto fu cagione delle numerose inesattezze divulgate dal Promis. Le quali furono accolte, com’è naturale, da chi dopo di lui ebbe a trattare di Luni: anzi, il marchese Amico Ricci nella sua Storia dell’'Architettura fece proprie le parole del Promis per dimostrare la meschinità della costruzione dell’anfiteatro; e là dove il Promis mette in campo le ragioni per iscagionare il cardinal Calandrino della pretesa spogliazione del mo- numento, egli crede di rincalzarle con l'aggiunta di una sua, che parmi alquanto ingenua, particolarmente uscita com'è dalla penna di uno storico dell’architettura: “ E se queste ra- “ gioni non sì stimassero bastevoli ,, son le parole del Ricci, “ a distruggere un’opinione “ che ha retto lungamente nell’animo dei Sarzanesi, diremo eziandio essere strano il pro- fittare del Cardinale di marmi antichi per innalzare la facciata del duomo, quando essa sorgeva in un luogo circondato da cave di pregevoli marmi, per cui la spesa per estrarli e tagliarli è di gran lunga meno gravosa che altrove ,! (4). “ « Anche Michel Giuseppe Canale, che visitò Luni, e dettò una descrizione delle rovine diretta allo Spotorno, parlando dell’anfiteatro si riferisce completamente alle parole del Promis; anzi, dice di risparmiare la descrizione del monumento, perchè non potrebbe mai “ darla migliore di quella che ha fatto il sig. Promis ,. Una osservazione giustissima faceva per altro in quella occasione lo storico genovese, ed esprimeva un nobile voto: un voto che ci vollero non meno di quarant'anni per renderlo un fatto compiuto! “ Ciò che resta a desi “ derare ,, così si esprime l’avv. Canale, “in tal fatto si è che il sig. marchese Olandini, “ proprietario del terreno, voglia disgombrare il sito di quell’erba e felci che lo imbo- “ scano, per cui non sarà mai possibile ricavarne una pianta compiuta, essendo intieramente « coperto il podio ed interrati molti accessi delle buche da cui si precipitavano le fiere “ sull’arena , (5). (1) Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna... per cura di GorrreDo Casatis, Torino, 1849, vol. XIX, pag. 46 alla voce Sarzana. (2) Cfr. [A. Neri], L'articolo “ Surzana , del Dizionario del Casalis, nel “ Giornale storico della Luni giana ;, II, 1911, pp. 224-226. (3) L’Etrurie et les Etrusques, ou dix ans de fouilles dans les Maremmes Toscanes, Paris, 1862, vol. I, pp. 3-6. (4) Sforia dell’architettura in Italia dal sec. IV al XVIII scritta dal marchese Axico Ricci, Modena, 1858, vol. II, pag. 317. (5) Peregrinazione agli avanzi di Luni e luoghi circostanti. Al ch.mo P. G. B. Spatorno. Nell“ Espero , di Genova, I, 2 ott. 1841, p. 174. 16 UBALDO MAZZINI — L'ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO îicordo pure che il Dennis si attenne principalmente al lavoro del Promis tanto per la storia, quanto per la descrizione delle rovine di Luni, tra le quali pone in primo luogo l’anfiteatro (1). VII. Le rovine del nostro monumento rimasero nello stato di abbandono in cui le ab- biamo vedute per tanti secoli a traverso gli scritti dei viaggiatori e degli eruditi, fino a quando il fondo sul quale sorgono non passò in proprietà del comm. Carlo Fabbricotti di Carrara. Verso l’anno 1880 questi volle intraprendere alcuni scavi di antichità nel piano di Luni col nobile intento di raccoglierne il frutto in un particolare Museo, per il quale costrusse in Carrara un'apposita sede. Fu scavato nel luogo del teatro, noto anche oggi col nome di Circo, e gli scavi dettero resultati superiori alle speranze: e venne iniziato lo sgombero dell’anfiteatro dai cumuli delle macerie per metterne a nudo tutti gli avanzi. Nè i mate- riali prodotti da quegli scavi, nè i monumenti scoperti furono finora editi e illustrati. Solo un cenno se ne trova in una Guida di Carrara, nella quale a proposito dell’anfiteatro, sì leggono le seguenti notizie: “ Sappiamo... che anche al presente si stanno facendo nel suolo “di Luni importantissimi scavi per cura del cav. Carlo Fabbricotti carrarese, il quale si è “ proposto di mettere allo scoperto le fondamenta dell'Anfiteatro, di cui ha già fatto vuotare “ una parte dell’ambulacro, o corridojo interno, ed ove sonosi rinvenute diverse scale di “ marmo lunense che conducono alle gradinate superiori, non che varie aperture (un tempo “ chiuse da inferriate di bronzo), per cui le fiere ed i gladiatori entravano nell'arena. “ E quivi, facendo scernere la terra dai sassi..., furono trovate diverse monete imperiali, “ qualche torso di statue, una testa di marmo di buono stile, un bel toretto di bronzo, un “cammeo figurato, ed altri frammenti ed oggetti in marmo, in osso ed in terra cotta del- “ l'epoca anzidetta , (2). Lo sgombero per altro dell'anfiteatro non venne allora condotto a termine: l'arena ri- mase ancora destinata all’agricoltura, molte delle numerose celle, ond’è formata l’intera ossatura del monumento, ricolme di detriti, il piano primitivo dell’ambulacro coperto.in molti punti di terra e di macerie, i muri e gli archi insidiati dai grovigli delle edere seco- lari. Occorreva portare a compimento l’opera già così bene incominciata per potere, isolando e sgombrando del tutto le rovine, provvedere alla loro conservazione, e nello stesso tempo dar modo di studiare il monumento in tutte le sue parti. E a questo si accinse, continuando e compiendo l’opera iniziata dal padre, il cav. Carlo Andrea Fabbricotti fino dall'autunno del 1909 con ben ordinati lavori, che furono ripresi e terminati nell’anno successivo (3). In quelle occasioni io assistetti parecchie volte in compagnia del cortesissimo cav. Fab- bricotti alle operazioni di sgombero, e procurai di studiare minutamente ogni parte dell’e- dificio per averne un esatto rilievo, e per farne una completa illustrazione, dissipando tutti gli errori e le incertezze di fatto e di giudizio fino ad ora divulgati. Mi fu di preziosissimo aiuto in quest'opera l'ingegnere cav. Antonio Farina che rilevò il piano geometrico del mo- numento e disegnò le due tavole che corredano questa Memoria; e qui gli rendo viva testi- monianza di gratitudine (4). IX. L’Anfiteatro sorge in mezzo a campi coltivati, ma ad un livello più basso, variante da uno a tre metri, e a breve distanza dal recinto della distrutta città, dal lato di levante. (1) The cities and cemeteries of Etruria by Geroree Dennis, London, 1878, vol II, chap. XXXVIII, Lunò, Luna, pp. 63-68. (2) Carrara e le sue ville, Guida storico-artistica industriale seguita da brevi cenni su Luni e sue rovine per cura del conte Carco Lazzoni, Carrara, 1880, p. 382. (3) Fu data notizia di questi lavori nel © Giornale storico della Lunigiana ,, I, nov. 1909, pag. 154. (4) Ringrazio pure l'ing. Franco Oliva che ci prestò il suo concorso per alcuni rilievi sul posto. SMR i A atri MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR, E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 1lî7/ È orientato con l’asse maggiore da S. 0. a N. E.; un breve tratto di strada corrispondente all'ingresso che guarda S. 0. lo pone in comunicazione con una via, la Emilia Scauri, che tagliava la città in due parti ineguali. L’edifizio è costrutto in forma d’ellisse, le cui misure sono le seguenti: Asse maggiore m. 88,50; asse minore 70,20. Gli assi dell’arena, compresi tra il muro del podiwm, sono ri- spettivamente di m. 57,70, e di m. 39,40. La pianta, conservata in tutta la sua integrità, mostra un unico ambulacrum, circa alla metà della fabbrica, per tutta quanta l’ellisse. Ai due punti estremi dell'asse maggiore sono i due ingressi principali del monumento, che davano accesso tanto all’ambulacrum quanto all’arena; uno di questi ingressi, quello cioè volto a N. E., è tuttora lastricato all’usanza romana con pietroni di calcare, grezzi ed irregolari. L'esterno non era formato, nelle parti inferiore e mediana, da una serie regolare di arcuazioni, perchè le scale per accedere alla suprema cavea ed al porticus, in cambio di essere normali alla circonferenza, come si riscontra negli altri edifizi di tal natura, erano appog- giate col fianco della prima rampa al muro esterno, che doveva necessariamente in quel punto essere cieco. Le arcate, comprese le due maggiori, erano trentadue, di diversa lar- ghezza, variante tra i 2,40 e i 2,00 metri; dodici di esse erano immediate alle scale sud- dette, e le altre immettevano in altrettanti passaggi o corridoi comunicanti con l’amdulacrum. Non vi era quindi, come erroneamente asserì il Promis, nè, data la maniera della costru- zione, vi poteva essere, un ambulacrum esterno. La parte della fabbrica tra l’ambulacro e l’arena mostra cinquanta eryptae 0 specus, che presentano quasi tutti i muri nella completa loro elevazione originaria e gran parte delle volte. Le quattro celle poste ai lati dei due vomitoria principali hanno ciascuna una porta aperta nell’ambulacro, ed una piccola finestra a sguancìo interno, aprentesi all’esterno in una sinuosità semicircolare del muro. Suppongo che queste quattro stanze fossero desti- nate alla distribuzione delle fesserae a traverso quelli sportelli: tessere differenti a seconda del ceto e del sesso degli spettatori, le quali dovevano poi essere consegnate ai locarti 0 dissignatores per l'assegnazione dei posti nelle varie spartizioni dello spectaculum. Altre quattro di quelle celle mettono in comunicazione l’arena con l’ambulacrum; sei sono aperte da una porta che porge nell’ambulacro, otto rinchiudono le scale per accedere all’infima cavea, e le restanti ventotto erano in origine perfettamente cieche, chiuse verso l’arena dal muro del podium, internamente dal muro dell’ambulacrum, e senza aperture d’in- tercomunicazione. Scopo di queste grotte cieche fu quello di dare all’edificio maggiore leg- gerezza, e a risparmio d'un inutile massiccio. Le porte delle celle sono terminate con un architrave ad arco scemo e quasi piatto ; ma sopra di questo fu costrutto a discarico un secondo arco a tutto sesto posante tutt’af- fatto fuori de’ piedritti, con regolari bozze di calcare di Portovenere; lo spazio tra i due archi è riempito di opera incerta. Queste grotte sono coperte a volta inclinata verso l'arena secondo l’inclinazione dello spectaculum, e le volte sono costrutte a conca; in alto, cioè dove son più larghe, di getto; e in basso con piastriccio della pietra bruna del Corvo, che, lamellare com'è, bene si presta a trarne lastre d'ogni misura; le piastre, secondo l’uso della volta romana, sono disposte in filari oriz- zontali via via in accollo l’uno sull’alro. Una delle celle cieche conserva tuttora nella volta due tubi verticali di cotto a sezione rettangolare di m. 0,11 per 0,08 di luce, destinati a sfogare le acque dagli scaglioni soprastanti. Il Promis afferma di averne notati dei simili nel masso dei pilastri esterni; ma io non li ho trovati, per quanto diligentemente li abbia ricercati. X. La costruzione dell’edificio è fatta in grandissima parte di opus incertum con pietra bruna e rosso-mattone del Corvo, ch'è uno schisto lamellare. Abbiamo veduto che Lazzaro 14 18 UBALDO MAZZINI — L'ANFITEATRO: ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO Spallanzani lo disse invece fabbricato di una “ pietra quarzosa-micacea di color bruno , da lui osservata nelle vicinanze di Massa. Anche il gesuita Girolamo Salvioni massese ({ 1781), parlando del ponte di Canevara sul Frigido sopra Massa, osservò che è “ formato da grossi « piastroni di schisto, che è la pietra stessa onde in queste parti si composero gli archi “ di altri ponti antichi e quelli pure dell’anfiteatro lunense, che tuttora si vedono in parte “tra quelle rovine , (1). La verità è che la pietra di Canevara e quella del Corvo sono della stessa natura e presentano il medesimo aspetto (2); e bisogna escludere che i lunensi adoperassero la prima, mentre avevano del tutto sotto mano la seconda, a brevissima di- stanza, di facile scavazione e di comodo trasporto. Ma, oltre a questa pietra del Corvo, fu adoperata per la nostra fabbrica anche una grande quantità di ciottoli fluitati di arenaria riquadrati a martello, e di calcare nero in- fraliasico di Portovenere. Gli archi sopra le porte, come abbiamo veduto, gli spigoli vivi dei muri, e le pareti dei vomitoria principali sono di opus pseudoisodomum, resultante di pic- coli parallelepipedi in gran parte di pietra nera, di Portovenere o dell’isola Palmaria, che assume per l’azione atmosferica un aspetto cinereo-azzurrognolo. Questo fatto consentì al Gerini l'affermazione che l’anfiteatro di Luni è “ costruito puramente di pietroni quadrati ,; amplificazione che il Promis rilevò; ma se il primo cadde nell’esagerazione, non fece meno, in senso opposto, il secondo, che, avendo studiato molto frettolosamente il monumento, ne diminuì in tutti i modi la importanza architettonica. I muri costrutti in pietra quadrata non dovettero in origine essere coperti d’intonaco, nè impiallacciati con rivestimento marmoreo; se non lo provassero abbastanza i cubetti ac- curatamente tagliati, ne avremmo conferma nel fatto che in qualche punto la forma geo- metrica di alcuni di essi fu regolarizzata con solchi a fresco sulla malta che li unisce. La parte invece che mostra una struttura in opus incertum, quella s'intende che era in faccia a vista, doveva esse rivestita d’intonaco, o coperta di una impiallacciatura di marmo bianco, terminante in una cornice della stessa pietra. Almeno così suppongo; perchè altri- menti non mi saprei spiegare l’impiego di una quantità di frammenti di lastre marmoree trovati nello sgombero delle diverse parti del monumento, accompagnati da un numero pure considerevole di pezzi della ricordata cornice di marmo, scolpita in due sagome differenti, una più ricca di elementi dell’altra. Lo spessore di tali lastre, variante dai 3 ai 5 centi- metri, e il fatto che sono da una sola faccia levigate, mentre dall’altra sono soltanto scheg- giate, provano, s'îo non m’inganno, che altro impiego nen ebbero che quello di ricoprire qualche parete a scopo di decorazione. Il volto a botte dell’ambulacro, di cui si conserva ancora un tratto. del giro di ponente, non è costrutto di getto, come affermò il Promis, ma ad arco, con i peducci a scaglie oriz- zontali, ed il resto a disposizione radiale delle pietre; e nasce da un cornicione composto di quattro corsi di lastre schistose sovrapposte, che in origine dovettero essere rivestite d’intonaco. Di getto è invece tutto lo strato a piano inclinato che, dal ciglio del porticus scendeva al muro del podium, e sopra il quale correvano intorno i gradus delle caveae. Così pure i muri massicci dei pilastri, e le sostruzioni delle scalinate, esternamente costrutti a diatoni, sono nell’interno ad emplecton, vale a dire di getto, o a riempita. I pavimenti dell’ambulacro e quelli delle cryptae praticabili e dei passaggi ai due lati dell’ambulacro stesso erano formati da uno spesso battuto composto di calce e di fram- (1) Giunte al Ragionamento intorno alla Storia di Massa ed al libro delle Notizie della famiglia Fuarsetti, Nel Ragionamento storico intorno V’antica città di Luni e quella di Massa di Lunigiana, Massa-Carrara, Tipo- grafia Frediani, 1866, pag. 93. (2) Cfr. la Carta geologica delle Alpi Apuane rilevata e pubblicata per cura del R. Ufficio Geologico, Roma, 1897 (Scala da 1:50.000). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 9. 19 menti di marmo. bianco; nessun tratto di tale battuto venne trovato in posto; ma nello sgombero recente delle macerie ne furono messi in luce numerosi avanzi. Lungo il muro interno dell’ambulacro dalla parte di ponente corre per un certo tratto una cunetta, profonda m. 0,10 e larga m. 0,30, perforata ad intervalli da piccoli fori, di- ligentemente costrutta in opus signinum; e la parete sopra di essa è per un certo tratto rivestita d’intonaco della stessa materia. Sull’uso idraulico di tale manufatto sono rimasto incerto. Venne costrutto allo scopo di sfogare acque piovane che, entrate per gli aditus aperti nello spectaculum, si precipitassero per le scalinate scendenti nell’amdulacrum? Abbiamo già veduto quale ottimo sistema era stato adottato per rendere pervie le cavee, per cui mi par difficile che non si fosse trovato modo di incanalare altrimenti quelle acque, per non farle invadere gli accessi. D'altra parte, dato il luogo dove si trova quel canaletto, repugna il supporlo destinato ad uso di scaphium, sebbene Giusto Lipsio abbia supposto atte a tal uso certe canaliculae, anche più esposte di questa, scolpite niente meno che nei massi marmorei stessi dello spectaculum (1). XI. La parte esteriore dei muri e dei pilastri manca del tutto per l’intera circonferenza, solo conservandosi l’emplecton. Questo fatto persuade senz’altro che fosse costrutta in pietra quadrata con calcare misto del Corvo e di Portovenere, come altre parti di cui si è già discorso, e forse in qualche parte architettonicamente ornata. Appunto per la preziosità del materiale quei pilastri e muri furono danneggiati a preferenza dei muri interni, che, per essere costrutti in gran parte d’opera incerta, non offrivano i materiali squadrati e pronti per la loro utilizzazione. Per salire alla suprema cavea e al soprastante porticus l’anfiteatro aveva dodici sca- linate appoggiate, come ho già notato, con la prima rampa alla parete interna del muro esterno. Codeste scale erano costituite di due rampe, una a regresso dell’altra, e comunicanti per mezzo di un ripiano. Gli scalini erano di marmo bianco, formati di un solo blocco, e talvolta di due; in quasi tutte le dodici scale rimangono ancora in posto almeno dieci di tali gradini; gli altri furono asportati, e così anche quelli per ascendere all’—nfima cavea, de’ quali appena qualcuno si conserva in posto. Alcuni di tali scalini si vedono tuttora fuori posto tra le rovine del monumento; altri ne ho osservati all’esterno delle case coloniche dei mar- chesi Gropallo nel piano di Luni, e altri ancora a S. Lazzaro vecchio, fuori dell’antico ora- torio. Della seconda rampa di quella scala non esiste traccia; bensì si possono osservare i corrispondenti sottoscala, nei muri dei quali aggettano le imposte di un grosso arco. Il marmo di quegli scalini, come in genere molto del marmo bianco impiegato in lavori grossolani di questo e d’altri monumenti di Luni, non è delle cave di Carrara: all'aspetto esterno e alla frattura si mostra affatto differente da tutte le varietà delle cave attualmente aperte, e di quelle abbandonate, nei fianchi del Sagro. Proviene invece dagli strati di calcari saccaroidi della Bianca al promontorio del Corvo (2). Questo marmo, in causa della sua porosità, della facilità di corrodersi sotto l’azione atmosferica e frantumarsi, e per la diffi- coltà di tirarlo a pulimento, difficilmente poteva prestarsi per lavori minuti e di fine intaglio, per i quali veniva adoperato il marmo bianco di Luni, ora di Carrara (3). (1) Just: Lies De amphitheatro liber. In quo forma ipsa loci expressa, et ratio spectandi. Cum aeneis figuris. Antuerpiae, apud Christophorum Plantinum, M. D. LKXXV, Cap. XIII, p. 45. E questa è la ragione che adduce a spiegare tale ubicazione: “* Nam cum dies totos in spectaculis persederent, quia urina reddenda fuerit, non © ambigimus: eique usui tribuimus hos incisos canales ,. (2) Cfr. CapeLuisi, Descrizione geologica dei dintorni del golfo della Spezia e Val di Magra inferiore, Bo- logna, 1864, pag. 19; Carta geologica delle Alpi Apuane, cit. (3) Oltre questo marmo vennero adoperati in Luni a scopo di decorazione anche marmi di valore, e pro- venienti da regioni lontane dell’Impero. Ho notato broccatelli di Spagna, il rosso e giallo africano, il cipollino, 20 UBALDO MAZZINI — L’ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRIITO Il Promis, dopo aver negato l’impiego del marmo, negò pure l’impiego di scale solide per ascendere alla cavea superiore, supponendo che fossero di legno. Abbiamo veduto or ora quale consistenza abbia tale suo supposto, il quale solo si spiega col fatto che al tempo del Promis le scale erano completamente coperte dalle macerie; per cui egli, giudicando per analogia con gli altri edifizi del genere, supponeva queste scale normali alla circonferenza, giacchè andò cercando inutilmente “ lungo le pareti dei muri cuneati gli orlicci dei sottoscala ,, che, data la differenza di svolgimento delle scale stesse, non poteva trovare in quei muri. D'accordo col Promis ammetto che l’anfiteatro avesse due cavee, e perciò una sola pre- cinzione; ma non ammetto come “ improbabile , che al di sopra delle cavee si elevasse un porticus, o galleria coperta, perchè abbiamo le prove irrefutabili della esistenza di esso. Sappiamo infatti che i lavori di sgombero compiuti nel 1880 dal comm. C. Fabbricotti mi- sero in luce capitelli e colonne (1); e nei più recenti scavi il numero di quegli avanzi si accrebbe notabilmente: varie basi attiche di marmo bianco (in parte spezzate per trarne i cnodaces aenei dall’impiombatura), alcuni tronchi di colonna di un bel cipollino d'Italia (tre de’ quali giacciono ancora tra le rovine), dànno l'assoluta certezza che la suprema cavea era coronata dal porticus per tutto il suo corso. À questi avanzi si aggiunga un numero grande di frammenti di tegulae e di antefisse di cotto sagomate e ornate in rilievo, che servivano, quelle per coprire il tetto, queste per decorarne la gronda. Quanto alla larghezza di tale porticato, possiamo calcolare che si estendesse dal muro esterno dell’edifizio fino al muro esteriore dell’amdulacrum, in corrispondenza del quale doveva sorgere il colonnato. Ci resta da dire dello Spectaculum. 11 Promis, negando al nostro monumento qualunque sfoggio di marmi, concede tutt’al più “ che il ciglio degli scalini dello spectaculum e qualche “ parte ornamentale , potessero essere di marmo; “ ma non se n’ha ,, soggiunge, “ per via di “ scavi positiva notizia ,. Posso invece affermare che non solo gli scaglioni, ma anche gli scalaria inter cuneos eran di marmo, e massicci. Un frammento che trovai interrato, precipitato dal- l’alto nell'interno di una delle cripte sfondate, ci dà modo di affermarlo recisamente; pre- zioso frammento, che non solo mette in sodo un tal fatto, ma fornisce i dati per calcolare esattamente la inclinazione dallo Spectaculum, le dimensioni degli scaglioni e quindi il loro numero, in modo da poter con molta approssimazione stabilire la capacità dell’edifizio. Si tratta di un doppio gradino, ricavato da un unico blocco di marmo bianco, frammentario da uno dei lati: l’alzata di ogni gradino è di m. 0,22, per una pedata di m. 0,21; la pe- data del grado superiore raggiunge i em. 30, necessaria misura allo sviluppo della superficie dello scaglione. La larghezza maggiore del frammento è di m. 0,88, e si può calcolare che manchi pochissimo alla misura totale. Siccome lo spessore di ognuno degli scaglioni fra cui erano incassati i gradini delle scalette fra i cunei importava esattamente due gradini di queste, così si può senz'altro stabilire un'altezza per gli scaglioni stessi di m. 0,44, per una profondità di cm. 50. Il muro del podiwm si elevava dal piano dell’arena circa 3 metri; sul ciglio di quel muro doveva correre un primo baltewm per comodo della circolazione, e quindi si elevavano i gradus. L’inclinazione dello Spectaculum si calcola in circa 41°; dal ciglio del primo sca- glione a quello dell’ultimo abbiamo un tratto di m. 11,40; spazio, che, calcolando una prae- cinctio mediana, doveva comprendere precisamente 15 scaglioni, dei quali conosciamo le mi- il verde antico, il portasanta, il porfido rosso, il serpentino grigio e verde. Anche col bianco della Bianca venivano per altro fatti intagli: nel Museo Lunense del Cav. Fabbricotti in Carrara si osserva un bel fregio foggiato a zampa, scavato tra le rovine del Teatro, che suppongo sia uno dei braccioli terminali del semi- cerchio del primo scaglione. i (1) Cfr. G. Srorza, Gli scavi archeolog. cit., p. 19. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 8. 21 sure. Ora, detraendo dallo spazio disponibile agli spettatori quello occupato dalle scale fra i cunei (che calcolo in numero di 22), dagli «dis corrispondenti alle scale (che sono esat- tamente 20), dai vomitoria dell'asse maggiore, e calcolando quanti posti poteva offrire il deambulacro sotto il porticus, si può con molta approssimazione affermare che l’edifizio era capace di 5400 persone. XII. L'anfiteatro lunense non era dei più piccoli del mondo romano, superando in dimen- sioni, per tacer d'altri, quelli di Sutri e di Tuscolo. Tenendo conto del vario rapporto tra i due assi delle ellissi si può dire che lo eguaglino il Castrense di Roma, quelli d'Alba Fu- cense, di Arezzo, di Otricoli; e sono di un terzo, o più o meno, superiori quelli di Lucca, di Rimini, di Pompei, di Pola, ecc. Circa al tempo della sua edificazione il problema non è di soluzione matematica. Indub- biamente la maniera della sua costruzione, in opera piccola e in gran parte incerta, indica un'epoca di decadanza; ciò che mi fa sottoscrivere volentieri alla opinione del Promis che lo giudica “ degli ultimi tempi degli Antonini, nell’impero de’ quali maggiormente dilatossi “ in-Italia l’uso di simili fabbriche ,. E certamente deve aver servito assai poco all’uso cui’ era destinato: ho osservato che nessuno dei numerosi gradini marmorei (ne restano intorno a 150) delle scalinate presenta le traccie di frequente passaggio, conservando invece gli spigoli netti e vivi, e le superficie dei piani liscie e orizzontali; e, data la qualità del ma- teriale onde sono costrutti, il quale facilmente e presto si logora per l’uso, questa osserva- zione non è priva di valore. Quando sia stato distrutto, 0, meglio, quando sia cominciata la sua rovina, è ignoto; ma ciò poco interesserebbe per la storia del monumento. La sua sorte è quella di tutti gli altri edifizi del mondo romano, e certamente non venne rovinato in un giorno nè per volontà di uno solo; ed è gran torto dei conterranei l’averne attribuito la devastazione al cardinal Calandrino sarzanese. Vedemmo già che Ciriaco d’Ancona nel 1442 lo disse “ undique solo “ antiquitate collapsum ,; ma vi ha di più: il Calandrino, che visse dal 1403 al 1476, fu il solo sarzanese, per dirla con parole di Giovanni Sforza, che “ si levasse vindice e protet- “ tore di quegli avanzi dell’antica grandezza di Luni ,. Ne abbiamo la prova in un breve che papa Pio II, dietro consiglio di lui, inviava il 7 di aprile del 1461 al Capitolo lunense. È prezzo dell’opera riferirne il tenore: “ Audivimus quod quidam in Dioecesi vestra lunensi “ commorantes et nonnulli alii, avaritia ducti, vestigia antiquae ecclesiae et nonnullarum “ cireum adiacentium rerum iampridem civitatis Lunae, marmora scilicet et lapides speciosos, “ ad calcem inde faciendam confringere et asportare non desinant. Quae res, cum ad ma- “gnum dedecus patriae vestrae et Ecclesiae lunensis redundet, volumus ut auctoritate “ nostra inhibeatis ne quisquam, cuiuscumque condictionis, status, gradus sit, quoquo modo “ praesumat marmora et lapides praedictos confringere aut asportare, ita providendo in caeteris “ quod talia nullatenus fiant , (1). E che tale breve fosse inviato per consiglio del Cardinale si deduce da una sua lettera al Capitolo di Sarzana, accompagnatoria del breve medesimo, con la quale raccomandava di curarne la esecuzione, e di adoperarsi “ ne de marmoribus, aut de lapidibus, quae sunt “in reliquiis murorum civitatis Lunae, quicumque pro quacumque fabrica auferre pre- “ sumat , (2). Vuol dire adunque che la manomissione dei monumenti lunensi era cominciata da tempo immemorabile; e si può credere che non vi sia chiesa nelle circostanze, nè casa (1) G. Srorza, La patria, la famiglia e la giovinezza di Nicolò V, Lucca, 1884, pp. 270-71. (2) Cfr. G. Srorza, Gli scavi archeolog. cit., p. 19. 22 UBALDO MAZZINI — L'ANFITEATRO ROMANO DI LUNI ILLUSTRATO E DESCRITTO colonica per cui non sia stato tratto materiale da quelle inesauribili rovine. Nè le premure di Pio II e del cardinale sarzanese riuscirono ad arrestare l’opera vandalica: nel 1474 per la fabbrica del palazzo comunale di Sarzana furono tratte parecchie carrate “ la- pidum ex civitate Lune , (1); e dopo di allora chi saprebbe dire quant’altro marmo venne strappato dai ruderi dell’anfiteatro? (2). VT SOTA TE (1) Cfr. A. Neri, Del palazzo del Comune di Sarzana, e di un’opera di Matteo Civitali, nel “ Giornale Li- gustico di Archeologia, Storia e Belle Arti ,, 1875, p. 235. (2) Segno qui alcune misure che non figurano nel testo e nelle tavole: Altezza dell'ambulacro dal pavi- mento al cervello dell'arco, m. 5,90. Spessore dei muri variante da m. 0,82 a m. 2,20. Larghezza media delle scale, m. 1,80; alzata dei gradini delle stesse, m. 0,21. Altezza presunta del monumento, m. 15,00. Maggiore altezza attuale delle rovine dal pavimento dell’ambulacro, m. 7,00. Classe Scienze Morali) Vol. LXV. VCorino (E x Memorie Reale Accad. Scienze di - ANFITEATRO DI LUNI - Tav. |. U. MAZZINI EE] TIVALIV OIVIS OTIV VINVId ne Ro dl U. MAZZINI - ANFITEATRO DI LUNI - Tav. li OOIIIOd THA ONVIAd TV VINVId “INOIZNIODHId VITIC ONVId TV VINVIA | VI (CM vi n È TROY IO VO E TINI) Enpa NERE Memorie Reale Accad. Scienze di Torino (Classe Scieme Wiczali) Vol. SPACCATO SULL’ASSE MINORE Sh VIVA Vi 3 3 BRESSISIAZA PPSAILRINIG I AAA AA Lil —Z&, Natdla Fr | I = = Ad (0,00) I2IROSIPIRILIDO) LVII x raararoeeeeattè LEPLYLSÙ rRPRPFZÀÒÈÀZÀ "<> EER SS DÒ SSR SERIES LXV. ALESSANDRO D'ANCONA Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Vol. DXV. - N. 4. COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA DEL SOCIO GIOVANNI SFORZA Approvata nell’Adunanza del 14 Febbraio 1915. Je ne puis me défendre d’une vive émotion, en. venant aujourd’hui vous entretenir de l’ami è còté duquel j'ai vécu près d’un demi-siècle dans l’intimité d’ une tendre affection, sous le charme d’un intarissable esprit. L’éloge qui m’est prescrit comme un devoir académique devient, en cette occasien, une dette de mon coeur, tàche è la fois triste et douce, que l’amitié m’aidera è accomplir tout autant que l’admiration. MianeT, Nouveaur eloges historiques, Paris, Didier, 1877, p. 105. L'uomo — Il patriota — Il giornalista — L'insegnante Gli scritti giovanili. Il 25 maggio del 1849 le soldatesche vittoriose dell'Austria fecero il loro ingresso a Firenze; Gino Capponi che, per caso, si trovava in via de’ Bardi, all’udire il rullo del tamburo nemico alzò al cielo le spente pupille, ringraziando Iddio che gli avesse tolto la vista (1); in quel giorno stesso Vincenzo Salvagnoli scrisse sull'album d'una gentildonna fiorentina le fatidiche parole: “ Oggi gli Imperiali sono entrati in Firenze. Fra dieci anni il figlio di Carlo Alberto sarà re d’Italia , (2). La bandiera tricolore, benchè difesa col coraggio della fede e della disperazione, in Venezia è atterrata dal piombo di Radetzky, in Roma, repubblicana, dal piombo de’ repubblicani di Francia. Simbolo del nostro diritto, pegno delle nostre speranze, séguita però a ondeggiare al vento nelle terre subalpine; la tiene salda nel pugno Massimo D'Azeglio, il ferito di Vicenza, divenuto consigliere del figlio di Carlo Alberto. Gli anni incalzano, e con gli anni gli eventi. Gli allori della Cernaia hanno cancellato l’onta di Novara; al piccolo e animoso Piemonte sono aperte le porte del Congresso di Parigi. Vi si trovano adunate le più vecchie e maliziose volpi della diplomazia d'Europa, ma Cavour, con la potenza irresistibile che dà il genio, arbitro s'assise in mezzo a lor; rappresentante non di pochi milioni di piemontesi soltanto, ma di quanti italiani anelano di avere una patria. E gl’italiani tendono a lui riconoscenti le braccia, manifestandogli a 15 2 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA gara il proprio amore. I patrioti di Modena e Reggio gli coniano una medaglia ; esempio seguito da’ patrioti delle Marche, delle Legazioni, di Roma, di Napoli, di Como. Perfino dalla lontana America gli esuli d’Italia, che là guadagnano il pane col sudor della fronte, se lo strappan di bocca per coniargli anch'essi una medaglia. I toscani fecero scolpire il suo busto dal Vela, incidendovi sotto il verso di Dante : Colui che la difese a viso aperto. A nome de’ toscani glielo consegnò un giovane di Pisa, studente allora nell’ Università di Torino. Era Alessandro D'Ancona. In una delle tante sue lettere, che conservo con reli- gione d’affetto, così me ne fece il racconto: “ Ecco quello che rammento del dono dei “toscani a Cavour. Fui io incaricato dai liberali toscani di far eseguire dal Vela il busto. “ Era una mattina d’inverno molto di buon’ora, quando, col Farini e col Vela, salii le scale “ del suo palazzo. Con esso era anche il La Marmora, al quale dovevo offrire una spada, “ che credo fosse eseguita in Toscana. Al Cavour e al La Marmora consegnai le liste dei soscrittori toscani, e rammento bene che il Cavour le sciolse e si fermò sui nome del “ Bastogi, che a quei tempi poteva dirsi il finanziere del Granduca. Poi mi domandò su “ qual uomo si poteva far conto in Toscana quando.i tempi mutassero e gli eventi mutas- “ sero; e io gli risposi subito: su Bettino Ricasoli. — E poi chi altro ancora? — Su Ubal- “ dino Peruzzi. — Gli ricordai anche il nome del Salvagnoli, che aveva suggerita l’appro- priata epigrafe. Altro non rammento; se non che da quell’alba invernale data la mia “ conoscenza col gran Conte ,. Giuseppe — il padre d’Alessandro — presa in moglie Ester Della Ripa, dalla nativa Pesaro, vecchia culla de’ suoi maggiori, trapiantò la famiglia a Firenze, poi a Pisa. Ebbe nove figliuoli, tra femmine e maschi; e ne sarebbe andato orgoglioso, se la morte, che lo colse in età ancor verde, non gli toglieva questa consolazione. Agli orfani fece da padre il cognato Laudadio Della Ripa, anch'esso esulato volontariamente con lui da Pesaro, dove al tempo di Leone XII la reazione trionfante rendeva intollerabile la vita a chi professasse culto diverso e avesse cuore di patriota. Esperto finanziere, aprì a Firenze una banca, che ebbe subito credito e fortuna; pronto d’ingegno, colto, innamorato del bello, la sua casa ospitale divenne giornaliero e gradito ritrovo di scienziati, di letterati, d’artisti, a comin- ciare da Giovacchino Rossini, concittadino e intimo suo, a venire agli stranieri più illustri, di passaggio per la città, a quanto di più eletto offrivano allora le sponde dell’Arno, per la tolleranza e mitezza de’ governanti, sicuro asilo d’ogni libera manifestazione del pensiero. A quella scuola, in mezzo a que’ geniali convegni, crebbero i D'Ancona, che lo zio raccolse presso di sè, educandoli al sentimento del dovere, alla rettitudine della vita, alla costanza operosa nel lavoro, all'amore d’Italia. Sansone [1814-1894], il primogenito, si laureò a Pisa in matematiche, fu sei volte deputato, poi senatore; contò come il più caro de’ suoi nume- rosissimi amici Terenzio Mamiani, che, esule e povero, a lui non ricorse mai indarno; ebbe la fortuna di coadiuvare Camillo di Cavour, Luigi Carlo Farini e Bettino Ricasoli nell’opera invidiabile di dare agl’italiani una patria; e il Conte di Cavour apprezzò in lui la valentia dell’economista provetto, le larghe e sicure vedute del finanziere galantuomo. Vito, il fratello, riuscì pittore valente. Si avviò all’arte seguendo la maniera allora in voga nelle Accademie, e le sue composizioni storiche: Dante che incontra Beatrice; IL Savonarola che conforta Lorenzo de’ Medici morente, piacquero. Andato a Parigi verso il 1860, l'esempio de’ pittori francesi operò gagliardamente sopra di lui, che, tornato in patria, divenne fautore ardente d’una levata di scudi contro le Accademie, e si fece l’anima del gruppo de’ macchiaiuoli toscani, i cui quadri son oggi tornati in voga, e specialmente quelli del D'Ancona vengono meritamente ricercati e apprezzati (3). Salvatore, altro de’ fratelli, benchè studiasse medicina, non l’'eser- citò; solitario filantropo, visse beneficando (4). Invece Giacomo [1828-1892], medico anch'esso, ES » MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 5) l’esercitò, con grido e fortuna, prima in Egitto, poi a Parigi; godè la confidenza e l’ami- cizia di Giovacchino Rossini, che gli affidò la cura della propria salute e gli spirò tra le braccia. Cesare [1832-1908] coltivò l’agraria, la pastorizia, la botanica e la geologia; pre- dilesse, peraltro, la paleontologia, scienza che fece progredire e che insegnò a Firenze per ventitrè anni. Furono questi i fratelli (5) d’Alessandro D'Ancona, nato a Pisa il 20 febbraio del 1835. Scrisse di sè nella vecchiaia: “ La prima ventura che mi è stata concessa, e della quale, “ giorno per giorno, ora per ora, ringrazio la Provvidenza, è l’esser nato e cresciuto nei “tempi del Risorgimento italiano ,. Si trovò dunque “in una generazione disinteressata “ mente operosa e ispirata soltanto all'amore del ben comune ,; generazione che “ provò “ alternative angosciose di dubbi e di dolori, ma fu tenace e gagliarda, e sentì poi la gioia “ ineffabile di aver creato la nuova Italia , (6). Un giorno dell’agosto del ’43 Sansone, il fratello maggiore, menò in casa “ tre ignoti ,. Uno di essi, “ dal piglio virile, dal volto “ aperto e franco, dalla fronte spaziosa, dalla parola abbondante e viva ,, era Luigi Carlo Farini; l’altro, “ di più alta statura, di più grave atteggiamento, bruno di colore ,, il conte Francesco Lovatelli ; il terzo, “ biondo e di gentile aspetto ,, il conte Tullio Rasponi ; tre patrioti che pigliavan la via dell’esilio. Ad Alessandro, allora di otto anni, fu come una prima lezione sulla natura de’ tempi in cui gli sarebbe toccato di vivere. Ripensandovi, scrisse negli anni naturi: “ Per tal modo si faceva allora l’educazione delle nuove genera- “ zioni italiane! Chi avesse in petto, o per proprio impulso, o per domestica tradizione, “ sensi di patria carità, doveva di buon’ora apprendere che l’aspettava, per minor male, la “ prigione o il bando , (7). Eccoci al ‘48. La gioventù toscana afferra uno schioppo e corre sui campi lombardi. Alessandro smaniava anche lui di seguirne l’esempio, ma aveva tredici anni appena, e bisognò si rassegnasse ad accompagnarla col desiderio e col cuore. Sfogò pertanto l’ardente patriottismo partecipando a tutte le dimostrazioni fiorentine d’allora. Un fatto è da notare, che mostra e prova il senno precoce di quel giovinetto. Quando si trattò d’inneggiare all'Italia, alle sue speranze, alla sua fortuna, fu sempre in prima fila; quando si trattò di spaccar vetri, di gridare “ morte , e “ abbasso ,, rimase in casa. Fu tra gli ammiratori più entusiasti e ferventi di Francesco Domenico Guerrazzi, che con que’ suoi proclami usciti dal calamaio stesso col quale aveva scritto I’ Assedio di Firenze, colpiva le menti e accendeva le fantasie, inebriandole d'amore di patria. Un giorno che il D'Ancona era in villa co’ suoi a S. Andrea a Rovezzano, presso Firenze, vistolo passare, chiamò a raccolta i ragazzi del vicinato, per fargli un’ovazione nel ritorno. Il Dittatore, a cavallo, col pala- freniere dietro, in distanza, salutò compiacente e cortese; ma aveva il volto rannuvolato (8). C'era in lui una scintilla del Segretario fiorentino, e per salvar lo statuto e sbarrar la porta agli austriaci, pensava, col richiamare il fuggito Granduca, di farsi il Monk della Toscana. Quando stava ordendo la tela, il partito de’ moderati gli tolse di mano la spola, imprigionandolo per giunta; occasione e cagione del lungo e doloroso processo e della im- meritata condanna. Gli si accese nel petto un odio così feroce contro la parte moderata, che nella storia del cuore umano non ha forse l’eguale. Io stesso posso testimoniarlo. Nella mia giovinezza, essendo ospite suo a Signa, mentre si stava a mensa capita Leopoldo Ca- valeanti; il Guerrazzi, nel presentarmi il discendente di Guido — l’amico di Dante — comincia a declamare con voce dolce e quasi melodiosa la più gentile tra le tante sue belle poesie : Perch'io no spero di tornar giammai, Ballatetta, in Toscana ; poi il discorso, non so come, dal campo sereno delle lettere passò in quello infido della politica, e il Cavalcanti ebbe l’infelice pensiero di rievocare la restaurazione ed i moderati 4 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA toscani del ‘49. A quel ricordo gli occhi del Guerrazzi si fanno di bragia — mi pare ancora di vederli dardeggiare terribili sotto gli occhiali, cerchiati d’oro —; dà un pugno sulla tavola, rompe un piatto, rovescia boccie e bicchieri, poi grida: “ Se Iddio mi facesse padrone del € fulmine per un istante solo, li incenerirei ,. Verso la fine d’aprile del 1849, mentre il Guerrazzi sconta in prigione le colpe di tutti e sue, Luigi Carlo Farini piglia di nuovo la via dell’esilio; questa volta non scacciato da un Papa, ma dai triumviri della Repubblica Romana. Sulle prime, al suo solito, si rifugiò in Toscana, ospite dell'amico Laudadio Della Ripa, che alternava il soggiorno tra Firenze e la vicina villa di Loretino, dove il Farini tutte le sere chiamava Sandro presso di sè e gli faceva una lezioncina di politica. Finito il corso, il focoso guerrazziano, che aveva addosso anche qualche spruzzo di mazzinianismo, diventò un moderato convinto, e tale rimase, con salda fede, per tutto il resto della vita (9). Nell'estate di quel medesimo anno Giovacchino Rossini, lasciata Bologna, andò a stare a Firenze, e per l’antica intrinsechezza che aveva col suo coetaneo e concittadino Laudadio, si fece ospite quasi giornaliero di lui, specialmente nella villa di Loretino, diventata una specie di corte bandita per gli amici. Il celebre Maestro attraversava allora “un periodo di “ malinconia, anzi di vera fissazione, per lo scadere della carta monetata emessa dalla “ Repubblica Romana, cui il restaurato Governo Pontificio aveva negato ogni valore ,; e durò un pezzo a non parlar d’altro che di quel disastro, toccante così al vivo e da vicino la sua borsa. È naturale che, appunto per questo, sulle prime non facesse impressione buona ad Alessandro, “ pieno di giovanili entusiasmi e dolente della caduta di tante spe- ranze ,. Una sera però, il Rossini, trovandosi solo con lui, si mise, cosa addirittura insolita, a discorrer di musica e di musicisti e gli svelò il più grande de’ suoi segreti: la ragione che lo spinse nel 1829 ad abbandonar l’arte per sempre (10). Era uno degli episodi dell’ado- lescenza, che ricordava più volentieri; adolescenza fortunata la sua, nella quale gli fu largo di consiglio il futuro Dittatore dell'Emilia, e il Rossini lo scelse a suo confidente. Negli anni da lui vissuti a Pisa, aveva incominciato lo studio delle belle lettere sotto la guida di Giacinto Casella; lo proseguì a Firenze sotto quella di Cesare Scartabelli, ed ebbe. a insegnante di filosofia (11) Nicolò Giorgetti, che morì in verde età, nel ’50, con dolore profondo del suo giovane allievo. Lo pianse con una canzone, calda d’affetto, che venne messa alla luce per cura dello Scartabelli (12). Fu quello “ il primo delitto di stampa , del D'Ancona, quindicenne; delitto però, a sua stessa confessione, “ da punirsi appena in “ correzionale ,. Il Casella, dotto in più lingue, versato nella filosofia tedesca, traduttore valente del Byron, del Solomos e di Properzio, che scrisse con acume sul Guarini, l’ Ariosto e il Goethe, e seppe penetrare con piede sicuro nel fondo dell’ arte dantesca (13), era “ superiore allo Scartabelli per profondità d’ingegno e varietà di dottrina, ma a lui inferiore senza dubbio per valore didattico. Quanto a me , (scrive il riconoscente scolaro) “ quel poco che so — ed è molto poco, lo veggo — sento doverlo a Cesare Scartabelli; come a lui debbo, ed ai buoni esempi domestici, se sono riuscito — e su questo davvero non eredo ingannarmi — un onest' uomo..... Lo Scartabelli era nato maestro (14); e se anch'io ho qualche attitudine all’insegnare — me lo dicono, e voglio crederlo, e ci tengo — lo rico- nosco appunto dagli esempi dello Scartabelli , (15). In mezzo al fervore giovanile per gli studi, non scorda la patria; anzi nel vederla oppressa e infelice gli si fa anche più ardente l’amore per lei. Insieme con Mariano D’Ayala e con Nicolò Carlo Mariscotti di Montalbano procura la ristampa alla macchia delle lettere famose del Gladstone a lord Aberdeen sui nefandi processi di Napoli; con loro prepara una strenna per il 29 di maggio, che dia i ritratti e le biografie de’ toscani caduti a Curtatone ed a Montanara, l’elenco de’ combattenti che scamparon la vita, le vicende di quella gior- nata, infelice ma gloriosa. Il Governo granducale n’ebbe sentore e eorse al riparo, proi- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 5 bendo le strenne che si occupavano di politica (16). Il D'Ancona, frattanto, prese a frequentare l'Archivio di Stato in cerca di documenti riguardanti la letteratura e la storia, che JI Genio, giornale artistico, letterario e scientifico, diretto da Celestino Bianchi, andò pubblicando, insieme con un saggio suo, intitolato: Il Dramma moderno, e con diverse rassegne bibliografiche (17); delle quali fu largo anche ad altri periodici fiorentini d’allora, tra cui è da ricordare L’Etruria, giornale di filologia, di letteratura e di belle arti, messo su da Pietro Fanfani insieme con l’ab. Giulio Cesare Casali di San Marino (18). Scomparsi ben presto per morte violenta, così il I Genio, come L’Etruria, tutti e due sgraditi a’ governanti, il D'Ancona sì fece collaboratore della Polimazia di famiglia, giornale scientifico, letterario, artistico e tea- trale (19). Fresco della lettura dell’Introduzione allo studio della filosofia del Gioberti, fatta da lui a voce alta, per meglio assaporare l’onda sonora e la foga d’una penna così magnilo- quente; fresco della lettura del Rinnovamento del Mamiani, rievocante alla vita l’antica filo- sofia italiana e i suoi cultori, il D'Ancona sentì aprirsi dinanzi agli occhi della mente un “ mondo nuovo d’idee e di fatti ,, e si dette tutto agli studi filosofici. In mezzo a questo fervore s'imbattò in alcuni scritti inediti di Tommaso Campanella. Gli piacque “ non fossero «“ di mera speculazione, ma di politica teorica insieme e pratica, e trattassero del modo di “ rilevare le sorti d’Italia nel secolo XVII , (20). Divisò subito di stamparli, premettendovi un discorso sulla vita, i tempi e le dottrine di quel forte intelletto, che, erede della sapienza di Telesio, spaziò con tanta ala d’ingegno ne’ campi del pensiero, e vittima della prepotenza di Spagna, sofferse per ventisette anni una crudele prigionia. S'accinse animoso al lavoro, e tra il maggio e il novembre del ’52 lo condusse a termine. Nel Discorso, fin dalle prime pagine, scatta fuori indomito co’ suoi fervidi entusiasmi il fuoco della balda giovinezza, riboccante d'amore ardentissimo per la patria, fremente di sdegno nel vedere che in ogni tempo la sventura e il dolore sono il retaggio dell’ ingegno italiano, dall’Alighieri al Ma- chiavelli, dal Savonarola al Bruno, da Galileo al Campanella. Lo lesse manoscritto allo Scartabelli e al Casella; e l’approvarono. Lo lesse pure al Salvagnoli, e piacque anche a lui; ma col suo acume di giureconsulto trovò “ troppo curiale , la difesa che il D'Ancona fa del frate inveschiato nella congiura. Disgraziatamente il giovane autore non capì allora quanto era sagace questa osservazione, nè mutò una virgola al già scritto; cosa della quale ebbe poi a pentirsi, essendo stata occasione é cagione di giuste censure. Ne stampò un saggio nel Genio (21), non senza utile, e non senza danno, avendogli fruttato incoraggiamenti e conforti, sgarbi e vendette. Infatti mentre Gio. Pietro Vieusseux, uno degli ammiratori, gli apre le porte delle sue riunioni del lunedì, che “ erano una sosti- “ tuzione ai sabati dell’Antologia ,, dotto convegno degli ingegni più eletti (22), il Palermo gli chiude quelle della Palatina, la biblioteca particolare del Granduca, e il Bonaini lo allontana dall'Archivio di Stato. In quei giorni l’uffizialità austriaca faceva rumoreggiare con soldatesca insolenza i suoi squadroni sui selciati delle strade fiorentine, e la reazione alzava trionfante la cresta anche nella mite Toscana. Miserie dei tempi! Le opere del Campanella, scelte, ordinate e annotate dal D'Ancona, col Discorso in fronte, che occupa ben 334 pagine del primo de’ due volumi, videro la luce a Torino, nella primavera del 1854, a cura de’ Pomba, che se ne fecero editori per consiglio ed eccitamento di Luigi Carlo Farini (23). “ Dottamente illustrate , le giudicò il Guerrazzi; il Capponi ebbe a rallegrarsi che “ sì giovine attenda sul serio a studi tanto gravi ,; il Mamiani trovò che in lui “ l’erudizione è d’uomo provetto e non d’uomo che ancora adolescit ,; ed era d’avviso che “ si verrà notando come un giovinetto abbia finalmente insegnato fra noi il modo di “ ristampare e illustrare gli antichi nostri con la diligenza dei tedeschi, il metodo e il garbo “ dei francesi, e tale abbondanza e lucidità di sapere, che pure di là dai monti è rada ,. Ruggero Bonghi gli scrisse: “ So da amici comuni che lei è giovanissimo: non si sarebbe n 6 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA “ potuto indovinare dal numero dei libri che ha letti e delle cose che sa , (24). L’ab. Giuseppe Arcangeli, dopo aver detto che il D'Ancona nel suo Discorso ha citato “ tanti autori quanti ‘ basterebbero a formare una biblioteca ,, concludeva: “ Ad alcuni l’erudizione è sembrata anche troppa. È un difetto, se tale deve chiamarsi, molto raro nei giovani; i quali, piut- tosto che citare l'autorità altrui, sentenziano di testa loro. La critica tornerebbe dunque a lode del nostro autore, il quale dovendo giudicare di uno scrittore gravissimo, ha voluto appoggiare il giudizio proprio a quante autorità gli è avvenuto fatto di consultare. Che se è riuscito, a sentimento d’alcuni, lungo anzi che no nell’esporre le sue opinioni, rispon- derò col Gioberti che quando l’argomento è grave per sè stesso e importante, non si può da chi fa l’ufficio dello scrittore trattare leggermente e fuggevolmente col modo dei giornalisti volgari. I saggi, gli schizzi, i tritumi, e i fogli che Omero chiamerebbe volanti, perchè volano come farfalle, non dettero mai vital nutrimento all’intelletto ed al cuore. Lodo dunque nel Discorso del D'Ancona la stessa lunghezza, perchè non importuna, nè vuota, e invito i giovani, più vaghi delle giornalistiche frivolezze, ad imitarlo anche in “ questo , (25). Gli allori giovanili dello scrittore furono amareggiati da una critica fierissima che appunto del Discorso fece Bertrando Spaventa, esule allora a Torino (26). Ha pienamente ragione fin che non mena buono al D'Ancona di negare “ non solo che il Campanella sia stato “un congiurato contro gli Spagnuoli, stimando questa una calunnia ed un’infamia gratuita contro il povero frate, ma perfino che ci sia stata una congiura ,. È il punto debole del Discorso; e già il Salvagnoli lo aveva notato (27). Però quando lo Spaventa afferma: “ il D’An- “ cona voleva darci la vera e viva imagine dell’uomo, del cittadino, del filosofo e dell’epoca, ed è riuscito a rimpicciolire il filosofo, il cittadino e l’uomo, e a mettere innanzi gli occhi il secolo del Campanella non nel concetto e nel principio che esso rappresenta, ma in alcuni accidenti, come farebbe chi apparecchiasse materia e documenti ad una storia futura , (28), passa ogni segno. Si tratta di un libro scritto a sedici anni, stampato a diciotto, e il libro, naturalmente, offre più d’una volta il fianco alla critica, ma è frutto di studi seriamente fatti e coscienziosissimi, che mostrano l'unghia già salda del futuro leone (29). Contro il rigido critico, rude fino alla crudeltà (30), il D'Ancona prese la più nobile e generosa delle vendette. Andato di Îì a poco a Torino, salì nella soffitta dove l’esule abruz- zese, ridotto a campare co° magri guadagni della penna, soffriva, per amore d'Italia, con fierezza dignitosa, la miseria ed il freddo, e gli stese la mano. Fu l’origine d’una amicizia, durata tutta la vita. La luce innovatrice e feconda della libertà, finalmente conseguita nel ‘48, rialzò le sorti dell’ Università di Torino; e il Piemonte, divenuto, dopo la disfatta di Novara, il rifugio degli esuli delle altre regioni d’Italia, potè in quella numerosa e nobile schiera scegliere insigni insegnanti, che le recarono “ un’importanza ed un lustro, quali non ebbe mai per “ l’addietro , (31). Il D'Ancona si inscrisse come studente alla Facoltà di legge, la quale contava tra’ propri insegnanti tre appunto di questi esuli: Pasquale Stanislao Mancini, Luigi Amedeo Melegari e Francesco Ferrara; un napoletano, un modenese, un siciliano. Degli altri professori di legge, tutti nativi del Piemonte, degno di stare alla pari con loro il solo Michele Pescatore, profondo giurista. Del Melegari il D'Ancona raccolse le lezioni di diritto costituzio- nale dell’anno scolastico 1856-57, lasciando la cura al suo condiscepolo Paolo Boselli di pro- seguire l’utile fatica per l’anno successivo. Alla fine d’ogni anno scolastico pigliò puntualmente gli esami e sempre venne promosso (32). Col Digesto e con le Pandette, peraltro, non strinse amicizia giammai; annodò soltanto un po’ di relazione. Era nato per le lettere, e lo sentiva; e le lettere, ogni tanto lo tentavano e lo allettavano col loro sorriso, affascinante e irresi- stibile. Allora, messo Giustiniano in un canto, traduceva in versi o una ballata di Heine o una ballata di Uhland (33); scriveva delle “ corrispondenze letterarie , per lo Spettatore di DS 4 “ “ “K K MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR, E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 7 Firenze, il nuovo periodico di Celestino Bianchi (34), le quali destarono addirittura un grande fracasso (35); preparava per l’editore Barbèra un grazioso volumetto di autobiografie (36); inviava rassegne di libri e altri scritti alla Rivista di Firenze, fondata da Atto Vannucci (37), e al foglio settimanale /{ Passatempo, dove si sbizzarrivano Pietro Fanfani con altri begli umori della Toscana (38); e in Torino prestava la sua collaborazione alla Rivista contemporanea, diretta da Luigi Chiala (39). Ruggero Bonghi prese occasione da alcune osservazioni di lingua e di stile che il D'Ancona fece con finezza d’acume al suo volgarizzamento non sempre felice della Metafisica d'Aristotele, per indirizzare a Celestino Bianchi le arditissime lettere: Perchè la letteratura italiana non sia popolare in Italia; e quando dal Lago Maggiore, sua prediletta stanza d'’esilio, capitava a Torino, era sempre in compagnia del suo “ fiero , censore, come lo chiamava (40). A Torino, non solo conobbe Francesco De Sanctis, ma strinse amicizia con lui. Arrestato a Cosenza nel ‘50, era rimasto per tre anni sepolto a Napoli nel Castello dell'Ovo. Riavuta la libertà a patto-che esulasse in America, giunto a Malta, non gli bastò il cuore di lasciare l’Italia e finì col ridursi a Torino, dove scrisse articoli di critica per Il Cimento, per la Rivista contemporanea e per Il Piemonte (41). “ Ebbe fraterne accoglienze dal fiore degli emi- “ grati napoletani ,; e “un nucleo di culte persone, in massima parte piemontesi, gli diò “ modo, mediante una sottoscrizione, di tenere ,, in una delle sale del Collegio di S. Fran- cesco di Paola, “ quelle mirabili lezioni dantesche, alle quali accorreva gratuitamente gran “ folla , (42); lezioni che rivelarono all’ Italia del settentrione il potente ingegno di quel critico genialissimo, il quale alla profondità e originalità del pensiero univa la facondia affa- scinatrice della parola. Per testimonianza del D'Ancona, il De Sanctis “ meditava , le sue lezioni “ per una settimana, e poi di domenica in domenica le improvvisava. Non ho mai “ sentito , (è il D’Ancona che serive) “ oratore letterario, o come ora suol dirsi conferen- “ ziere, di maggior sicurezza di parola e maggior lucidità di esposizione ,. Il corso, inco- minciato nel 1854, ebbe fine nel giugno del ’55. Diede principio a quello del secondo anno con la lezione su Pier delle Vigne (43), che il D'Ancona raccolse e trascrisse dal suo labbro. “Io, che ero tra gli uditori , (così scrive), “ la riprodussi, daechè egli era dicitore veloce, “ma non tale da non poterlo seguire, e gliela portai scritta..... Su cotesti appunti, abba- “ stanza esatti, egli ricopiò il tutto di sua mano , (44). In una lettera del De Sanctis al prof. Giuseppe Montanelli, scritta da Torino il 2 aprile del ‘55, si legge: “ Fin dal passato anno avevo incominciato delle lezioni sopra Dante con “ concorso straordinario. Fanno già un certo effetto sui giovani; ma nelle regioni superiori “ trovo quella resistenza ostinata, che nasce dalla ignoranza, dall’abitudine, dalla pigrizia di “ una certa gente, che crede il mondo finito cogli studi della loro giovanezza. Sto per pub- « blicare un primo volume che tratterà dell’ Inferno..... A giugno terminerò forse le mie “ lezioni ,. Il pensiero di raccogliere e stampare quelle lezioni gli fu suggerito dal D'Ancona, il quale, d’accordo con lui, ne fece la proposta all’editore Barbèra, che “ allora cominciava “a metter le ali ,. Rispose: “ Mi piace la proposta modesta e prudente di tentare il giu- “ dizio del pubblico col mettere una lezione nello Spettatore (45): mandi dunque la lezione, “ e faccia la nota lei come la intende: io stamperò; per poco che il favore del pubblico ci “ aiuti, noi saremo d’accordo col De Sanctis, che imparo a conoscere e a stimare subito “ grandemente ,. Infatti era fresco della lettura de’ due studi del genialissimo critico sulla Beatrice Cenci del Guerrazzi e sopra L’Ebreo di Verona del Bresciani, e col suo fiuto finis- simo di editore lo giudicava “ acuto, profondo, vero, ricco di partiti, e facile e disinvolto “ scrittore ,. Disgraziatamente, non aveva le mani libere, trovandosi allora, appunto come editore, in società coi fratelli Bianchi, col marchese Filippo Antonio Gualterio e altri. Fu dunque costretto, di mala voglia, a dichiarare: “tanto Celestino che il Gualterio non “ stimano prudente accettare la stampa del libro del De Sanctis: la difficoltà consiste che 8 GIOVANNI SFORZA — GOMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA “ l’opera è in più volumi ,. Il Barbèra, però, che era voglioso di farne la pubblicazione, non ruppe le trattative. Il De Sanctis, il 24 d’ottobre, scrisse al D'Ancona, che allora si trovava a Pisa: “ Ecco la mia intenzione: quattrocento franchi per la prima edizione e due- “ cento copie. Se si viene ad altre edizioni, è segno che l’opera ha avuto successo, e perciò “ mi riserbo d'imporre altre condizioni e fare un diverso contratto ,. Il Barbèra dava “ franchi 400 per 1500 copie ,, ma voleva “ tre anni di tempo per spacciare l’edizione , (46). Non s’accordarono, e ogni cosa andò a monte. Benchè il De Sanctis preferisse “l’ultimo collegio d’Italia a tutte le Università “ d'Europa , (47); non trovando neppure questo “ ultimo collegio ,, fu costretto a lasciar la patria e “ tanti amici adorati , e accettar la cattedra di letteratura italiana nell'Istituto Politecnico di Zurigo (48). Nella Svizzera (49) poi si valse degli altri tratti delle sue lezioni raccolti e trascritti dall’agile e rapida penna del D'Ancona, quando nel ’57 ne stampò alcuni saggi nella Rivista contemporanea di Torino (50). Il nostro Alessandro ammirò sempre nel De Sanctis “il vivo e puro e cosciente amore alla patria ed all’arte ,; e allorchè, da vecchio, ne rileggeva gli scritti, sentiva risorgere “ dinanzi agli occhi non che l’immagine “ dell'insegnante eloquente, quella dell’uomo buono ed onesto, del vir donus dicendi “ peritus , (51). De’ letterati piemontesi annodò relazioni col poeta Giuseppe Bertoldi, allora ispettore delle scuole secondarie; con Domenico Berti, professore di filosofia morale nell’Ateneo e deputato al Parlamento, dove propugnava animoso la libertà d’insegnamento e quella di coscienza: con Domenico Carutti, allora capo sezione nel ministero degli affari esteri, che agli allori del romanziere e del poeta volle aggiungere anche quelli di storico, narrando le vicende del regno di Vittorio Amedeo II, che pubblicò nel ’56, e le vicende del regno di Carlo Emanuele INI, che stampò nel ’59. De’ glottologi piemontesi Giovanni Flechia e Giacomo Lignana il D'Ancona divenne amico. Il Flechia, “ un figlio del proprio lavoro ,, come lo chiamò lo Scelopis, era allora insegnante di sanscrito nell'Università di Torino; lingua della quale, nel ‘56, dette per il primo all'Italia una grammatica, lodata dal Benfay e dal Miiller. S'era già fatto conoscere nella giovinezza con la versione d’alcune poesie del Moore; la sua fama di traduttore elegante s’accrebbe, tra il ‘48 e il ‘55, voltando in italiano dal Ramayna, dal Mahabharata e dal Pan'c’atantra vari racconti, “ scelti con fine accorgimento “ fra i più notevoli per bellezza poetica e morale , (52). A giudizio del D'Ancona, “la dot- “trina andò in lui del pari colla bontà dell’animo e l’affabilità del costume: e, caso non “comune fra i filologi, non fu nè borioso, nè astioso, nè feroce polemista , (53). Il Lignana nell'Università di Torino si segnalò alla scuola del Paravia, per la felicità e la facilità con cui verseggiava. Innamoratosi delle lingue orientali, andò in Germania a compierne lo studio e fu scolaro prediletto del Bopp, di cui primo trapiantò tra noi le dottrine sulla gram- matica comparata delle lingue indo-europee. Venuto il ’48, ne’ giornali |e ne’ circoli politici di Francoforte difese a viso aperto e con gran gagliardia la causa d’Italia. Tornato in Piemonte, ottenne la cattedra di lingua tedesca nel Collegio-convitto nazionale di Torino (54). Ingegno vivacissimo e pronto, parlatore immaginoso e facondo, anima piena di irruentissimo fuoco, ebbe vasta, varia e soda cultura; dotto nel sanscrito, nel persiano, nell’arabo e in altre lingue dell’Oriente, gli furono familiari quasi tutte le lingue dell'Europa, delle quali conosceva le varie letterature; le slave singolarmente (55). Nel novembre del ‘56 gli studenti dell’ Università, formata un’ associazione tra loro, presero a riunirsi ogni sera in tre sale del remoto palazzo Antonelli in Vanchiglia, dove, iniziato un piccolo gabinetto di lettura, incominciarono a fare delle discussioni letterarie. L’esito però di queste discussioni non fu per niente felice. Sorse allora il pensiero, caldeg- giato principalmente dal D'Ancona, di udire in quelle sale la parola educatrice di qualche ingegno di vaglia. Il La Farina e il Tommaseo, il Lignana e il Mamiani, pregati, accetta- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 9 rono. Il Tommaseo, però, non volle nessuna remunerazione. “ Dite chiaro , (scrisse all'amico che s'era fatto intermediario degli studenti) “ che io non posso da loro prendere danaro ; “ che, come animale di struttura semplice, non ho organi da ricevere siffatto alimento, nè “ da digerirlo. Ma, essendo io povero e avaro del tempo, bisognerà che paghino la vettura, “e diano qual cosa a chi deve sedermi accanto con un fogliolino di sunto, o per leggere “ qualche tratto ch'io non sappia a mente , (56). Parlò di Dante “ con voce spezzata, e pur viva e solenne , (57); il Mamiani espose il suo sistema ontologico ; il Lignana raffrontò il Ramayana coi Nibelunghi; il La Farina trattò dell’ Italia dopo Carlo Magno, con foga meridionale. Il Barbèra e il Vieusseux spesso mandavano il D'Ancona dal Tommaseo, ora a por- targli lettere, ora a fargli ambasciate; e sempre era “ bene accolto , da lui (58), nella sua casa in via Doragrossa (59). L’esule dalmata, venuto a Torino fin dal maggio ’54, non si trovava scontento del nuovo soggiorno. I piemontesi piacevano a quell’austera coscienza. “ Son “ gente onesta , e “ mi lasciano in pace ,, scriveva a un amico nel ’57. Notevoli queste parole sue dell’anno stesso: “ Lasciando le più o men lontane speranze, al Piemonte “è già destinato in Italia un nobile ministero: dimostrare coi fatti possibile la concilia» “ zione delle libere istituzioni coll’ordine, delle civili novità colle tradizioni religiose (contro “le quali chi cozza, andrà rotto), vincere coll’esempio. La conquista ideale e morale, mas- “ sime dove trattasi non d’invasione, ma di liberazione, sempre deve precedere ; ed è sola “ efficace ,. Nel giugno del ’58 ebbe a scrivere: “ Tutti stanno col forte. Il Piemonte con- « quisti, se può; se no, smetta. Conquisti e libererà ,. Fin dal decembre del ’52 aveva fatto un presagio: “ Pare che la Savoia voglia scappare dalle budella al Piemonte ed entrare in “ corpo a Luigi Napoleone , (60). Frequentemente il D'Ancona faceva delle lunghe passeggiate sotto i portici di Po di- scutendo di cose letterarie con Giuseppe Revere di Trieste ed Eugenio Camerini di Ancona, esuli anch'essi. “ Pochi al pari di voi con la penna dipingono ,, scrisse il Tommaseo al Revere, al quale il mare della nativa città aveva infuso le sue procelle e il suo riso (61). Il 26 gennaio del ‘54 fece rappresentare nel teatro Gerbino il dramma: Sampiero da Ba- stelica, e piacque (62). I suoi Bozzetti alpini, bizzarri, vivaci, pieni d’umorismo, dove ripro- duce al vivo, cogliendoli dal vero, alcuni de’ caratteri più curiosi della vita piemontese, fecero per un anno la fortuna della Rivista contemporanea, non già la sua (63). Se volle campare, bisognò che si desse al commercio, mutando il soggiorno di Torino con quello di Genova (64). Invece al Camerini riuscì di guadagnarsi il pane a furia d’articoli politici e letterari per La Frusta ed 10 Progresso, per Il Cimento e la Rivista contemporanea (65). Del Gabinetto di lettura, miscellanea di scritti francesi, inglesi e tedeschi recati in italiano, foglio settimanale, diretto da Zenocrate Cesari, finì con l’esserne egli il direttore. Come notò il D'Ancona, “ la principal qualità , del Camerini era “la erudizione in forma piacevole ,. Sapeva cogliere nella vita e nelle opere degli scrittori i fatti e i tratti caratteristici e lumeggiarli “ con vigore e novità di paralleli e richiami tolti da ogni letteratura , (66). A Torino conobbe pure Giovanni Prati e divenne suo amico. Scacciato come un mal- fattore dalla Toscana sulla fine del ’48, e per giunta bollato in fronte dal Guerrazzi con la più atroce delle calunnie (67), apparteneva anche lui alla schiera degli esuli. “ Per più “ anni , (scrive il D'Ancona) “ facemmo vita insieme, specialmente di notte. Eravamo due “ nottambuli appassionati. Uscivamo verso la mezzanotte dal Café de Paris (68), e ci mette- “ vamo in via giracchiando per tutta Torino: qualche volta erano con noi Filippo Cordova (69) “e Fortunato Martinari, architetto romano, e la conversazione era allora varia e fiorita. « Ma quando eravamo soli, la maggior parte del tempo spettava ai versi, perchè egli dava “la stura a ballate, a romanze, a sciolti, a interi poemi, che non aveva mai scritto e che “ andava ripetendo per timore che gli uscissero di mente. Spesso in questa ruminazione 16 10 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA “ poetica, la memoria non lo soccorreva, ed egli rappezzava all'improvviso gli strappi, mor- «“ dendo il sigaro, che intanto gli si spegneva: allora, mugghiando e ruggendo, chiedeva “ l'elemosina d’un fiammifero ed io stavo sull’attenti per porgerglielo acceso. In quelle notti “i versi correvano a getto continuo, a fiumi, a torrenti. Per ore ed ore percorrevamo i € portici, sotto i quali risonava la sua voce potente, o vagavamo fuori della cinta, e quella “ voce rompeva libera il silenzio notturno. Poi, al primo albére, tornavamo al proprio al- “ loggio (70), seppure al poeta non piaceva di salire i centosedici scalini della mia stanzuccia “ di studente in piazza S. Carlo a inumidirsi la gola con una tazza di caffè , (71). Quasi ogni giorno, la mattina, nel recarsi all’Università, in via Lagrangia s'imbatteva nel Conte di Cavour, che rispondeva “ benevolmente , al suo saluto, chinando cortese “ quella testa “ poderosa ch’ entro sè portava l’Italia futura , (72). La casa torinese, peraltro, che il D'Ancona prediligeva, era quella di Giovenale Vegezzi- Ruscalla, del quale fu spesso ospite gradito anche nella sua bella villa sul colle di S. Vito presso Torino. Fratello di Saverio, più volte deputato, che dal gennaio all’aprile del ‘61 tenne il portafogli delle finanze nel terzo ministero preseduto dal Conte di Cavour, Giovenale, alla sua volta, fu deputato di Scandiano nella settima legislatura, di Lucca nell’ottava. Ispettore generale delle carceri, incontrò l'approvazione del governo e dei cittadini; ma quando il ministro Rattazzi inaugurò in Piemonte il sistema cellulare, volle a ogni costo il suo collocamento a riposo. Versato in parecchie lingue d'Europa, prese, per diletto, a colti- vare la filologia e trattò con grande autorevolezza parecchie questioni etnologiche; molto scrisse a difesa della nazionalità romena, per la quale s'era acceso d’amore. Divenuto suocero di Costantino Nigra, che aveva sposato la sua figlia Emerenziana (73), e già dava mano a quella raccolta di canti popolari del Piemonte, che doveva un giorno farlo salutare “ duce e maestro nel dominio folkloristico , (74), lo stimolò e lo incuorò a tirarla innanzi animoso (75). Il Nigra, lottante fra le strettezze domestiche, dal nativo Canavese (regione feconda sempre d’ingegni), vinto per concorso un posto gratuito nel Collegio delle Provincie, venne a Torino a studiar legge, e vi si laureò nel ‘49. Frequentò assiduo anche le lezioni d’eloquenza ita- liana del Paravia, nelle quali spesso gareggiò con Giuseppe Bertoldi e Giacomo Lignana, i due condiscepoli più valenti (76). Nel ’48, allo scoppiar della guerra, s’ascrisse nelle file Dei bruni bersaglieri, orgoglio e speme Dell'Italia novella (77); e il 21 di luglio rimase ferito nel combattimento di Rivoli (78). Entrato, nel ‘51, come “ volon- tario, nel ministero degli affari esteri, ne’ primi tempi, oltre non avere stipendio, bisognò che si rassegnasse a vedersi considerato quasi come un copista, senza che mai nessuno de’ superiori volgesse sopra di lui uno sguardo indagatore (79). È merito di Alessandro Manzoni l’aver segnalato al genero Massimo D'Azeglio, allora ministro degli affari esteri, il valore di quel forte e giovane ingegno. In occasione delle nozze della figlia Alessandrina col marchese Matteo Ricci, che ebbero luogo a Cornegliano, presso Genova, nel settembre del ‘52, Massimo, essendoglisi ammalato il segretario particolare, in luogo suo portò con sè il Nigra; il quale offrì alla sposa la traduzione sua, veramente pariniana, della Chioma di Berenice — l’inno famoso di Callimaco, tradotto in latino da Catullo —, e gliela offrì, accompagnata da un’epi- stola in versi, di tornitura foscoliana. Il lieto dono nuziale cadde sotto gli occhi del Manzoni, venuto a bella posta da Lesa per assistere al matrimonio; ne fu preso d’ammirazione, volle conoscere il poeta, lo tenne a lungo presso di sè, e ne parlò al genero con tanta lode — lui lodatore così parco — e con tanto affetto, che il D'Azeglio da quel giorno lo tenne sempre al suo fianco (80), e quando poi lasciò il portafogli, vivamente lo raccomandò al Conte di Cavour, suo successore (81). MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. Il De’ tanti piemontesi conosciuti dal D'Ancona, il Nigra fu e rimase poi sempre l’amico del cuore; e il Nigra gli trasfuse fin d’allora la sua passione per la poesia popolare, della quale aveva offerto all'Italia un primo saggio nel ’54 (82) e tornò a offrirgliene un nuovo saggio nel ‘58 (83); esempio seguìto dal D'Ancona, che, appunto nel ’58, cominciò a spigo- larvi anche lui (84). In quello stesso anno la sorella della moglie del Nigra, Ida Vegezzi- Ruscalla, col titolo di Primizie mandò fuori un volumetto di novelle e racconti. “ Diciottenne ancora , (scrisse Felice Romani), “ ella palesa non comune squisitezza di sentire, e molto senno “ congiunto a molta immaginativa. Non racconta nè grandi nè peregrini fatti, ma li racconta “con disinvoltura e con proprietà di linguaggio e di stile; presenta drammaticamente i suoi “ personaggi, ma senza ostentazione di studio; dipinge con arte, ma la nasconde , (85). La lode di Felice Romani a que’ giorni era il più ambito e il più gradito de’ premi letterari; e per la casa de’ Vegezzi-Ruscalli fu una festa, alla quale non mancarono di partecipare gli amici, e tra essi il D'Ancona, che nel ricordare a me, da vecchio, le due figliuole di Giovenale, ammirate per la singolare bellezza, il brio, la coltura, l’ingegno, si sentiva tutto ringiova- nire. Il Nigra, divenuto “ partecipe e ministro dei disegni politici ,, del Conte di Cavour, “ nella fine del 1858 e ne’ principii del ’59 , andava ripetutamente a Parigi “ intermediario ; tra lui e Napoleone II. Quando era di ritorno, il D'Ancona “ dall’atteggiar del viso, dal “muover degli occhi, dalle tronche parole e dall’umore del giovane diplomatico , s'inge- gnava “ dedurre, indovinando, qualche argomento di speranza pei destini d’Italia , (86). Una “ mattina del ‘59 ,, passeggiando insieme, per pigliare “ un po’ di sole invernale ,, si spin- sero fin sulle sponde del Po, e arrivati che furono al ponte Vittorio Emanuele, il Nigra “a “un tratto si fermò e proruppe in queste parole: — E dire che fra tre o quattro mesi “ potremo passeggiare, come oggi, in piazza San Marco! — Dio lo voglia! ,, gli rispose il D'Ancona; “ ma, per allora almeno, Dio no ’1 volle , (87). Di lì a poco però ebbe la conso- lazione di applaudire, “là, fuori di Porta Susa, le prime schiere francesi, scese dalle Alpi, “non più a conquista, ma ad aiuto fraterno nella seconda guerra dell’indipendenza , (88). Nel rievocare questo ricordo in un breve soggiorno che fece a Torino nel 1907, altri episodi di quegli indimenticabili anni giovanili gli si riaffacciavano alla mente e gli facevano battere il cuore. Rivedeva, con la fantasia, “ Re Vittorio, dritto sul suo cavallo, avanzarsi per via di Po “nel giorno commemorativo dello Statuto, e la folla, accorsa da ogni parte del Piemonte e “ dalle regioni limitrofe, acclamarlo entusiasmata , (89); risalutava “in piazza San Carlo, “reduce in patria, il drappello dei prodi che alla Cernaia redense l’onta di Novara ,; gli pareva “di essere di nuovo in quel giorno in che un piccol gruppo di toscani dava in con- “segna al Municipio di Torino, nell’atrio del Palazzo di città, la riproduzione delle tavole “in bronzo, onoranti i caduti a Curtatone e a Montanara, che il Governo Lorenese aveva “ tolte al tempio di Santa Croce , (90). Ne’ cinque anni, “ dal ‘55 al ‘59 ,,, che il D'Ancona si trattenne a Torino, praticò “ mas- “simamente gli esuli d'ogni parte d’Italia , (91), partecipando a consigli e ritrovi poli- “ tici , (92). Era spesso all’uffizio del giornale IZ Piemonte, fondato da Luigi Carlo Farini, che ebbe vita il 1° gennaio del ‘55, e vi collaboravano, per la parte letteraria, Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis, Eugenio Camerini, Mariano D’'Ayala, Biagio Miraglia e altri (93). All’uffizio del Piemonte, oltre il Farini e il Carutti, si davan convegno Michelangelo Castelli, allora direttore generale degli Archivi del Regno, che il Conte di Cavour “amava confi- dente e non isdegnava consigliere ,; il conte Giambattista Ercolani di Bologna (94), “ illustre nelle scienze naturali ,, e Oreste Biancoli di Ravenna, “ fidi amici, del Farini “in ogni fortuna, discretissimi nella prospera , (95); Cesare Beretta d’Ancona e Gaspare Finali di Ce- sena, esuli anch’essi dalle terre del Papa; e insieme con loro il torinese Pier Carlo Boggio, ingegno facile, brioso, vivace, che doveva poi perire nelle acque di Lissa, dove il Persano trovò l'infamia, ma non la morte. In casa Farini il D'Ancona era riguardato come di 12 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA famiglia (96); e Ada, la figliuola, bella, buona, gentile, piena d’ingegno, per compiacerlo, spesso correva a sonargli una réverie da lui prediletta (97). Terenzio Mamiani lo accoglieva sempre con amore paterno (98). Dal conversare con lui traeva insegnamenti di civile sa- pienza; dal conversare con Cesare Correnti auspicii d'un avvenire migliore all'Italia (99). Negli spessi e fidati colloqui con gli esuli meridionali Pier Silvestro Leopardi (100) e Mariano d’Ayala, Antonio Ciccone (101) e Gio. Andrea Romeo (102), Angelo Camillo De Meis (103) e Giuseppe Del Re (104), co’ quali il D'Ancona era entrato in intimità, d'altro non si parlava che dell’Italia e del suo risorgimento, che i cuori affrettavano col desiderio. Fu frequentatore assiduo della casa. del marchese Giorgio Pallavicino, soprattutto dopo che, morto il Manin, divenne presidente della Società nazionale, della quale Giuseppe La Fa- rina era il braccio e Cavour la mente. “ Quasi fino dai primord] , il D'Ancona vi fu aggre- gato “ per impulso del Farini , (105). “ Ho chiarissima memoria , (raccontò) “ delle adunanze “che quasi ogni domenica si tenevano in casa Pallavicino. I presenti non erano mai più di una dozzina: il più delle volte, del seggio v'era soltanto il segretario La Farina; radissimo presiedeva il Pallavicino; e quando, nelle grandi occasioni, se cioè più vive e men remote parevano le speranze, egli interveniva, si terminava con una abbracciata generale di tutti gli adunati. Molte lagrime spuntavano sugli occhi; e ognuno era lieto di stringere tra le sue braccia quel vecchio pieno di fuoco e di fede, quella nobile vittima dello Spielberg. Ma mancavano quasi tutti i pezzi grossi dell'emigrazione: la maggioranza degli interve- nuti era di vecchi incanutiti nelle carceri e negli esili, ma sempre fervidi di amor patrio, e di giovani crescenti al culto della libertà. Ciascuno riferiva ciò che sapeva dello spirito pubblico e dei progressi della Società nelle provincie native: il segretario, a sua volta, comunicava ciò che sapeva, o voleva dire, della istituzione di nuovi comitati nei paesi soggetti. Quel che v'era di buono, di nuovo almeno rispetto alle anteriori sètte o congiure, dalle quali in ogni guisa studiavasi di distinguersi la Società nazionale, si era che non si pronunziavano mai nomi, e così non si comprometteva nessuno. Ciascuno serbava il suo segreto : e in questo soltanto consisteva la segretezza della Società, che, del resto, operava alla luce del giorno , (106). Siamo al ’59, l’anno della salda concordia, de’ sublimi entusiasmi, de’ forti propositi, delle opere imperiture. L'Italia, questa Niobe delle nazioni, come la chiamò Giorgio Byron, il più veritiero e il più fervido de’ suoi amanti stranieri, scoperchia il sepolcro, e piena di vita, di coraggio, di fede, con la spada in pugno, ripiglia il suo posto nel mondo. Il D’An- cona lasciò Torino. “Iddio onnipotente e buono , (scrisse nella vecchiaia) “ nella prima metà “ del ‘59, quando stavo per compiere i miei non-studi, liberò la Lombardia dagli Austriaci “e me dal diventare un pessimo avvocato , (107). Corse a Firenze per scriversi volontario; ma, alla visita, i medici lo scartarono. Sfogò il suo dolore in questa lettera all’amico Gele- stino Bianchi: “ Sansone ti racconterà come volendo cooperare a questo maraviglioso movi- “mento d’Italia, mi è stato impossibile per la via delle armi, essendo stato trovato inabile “al servizio militare. Ora mi rivolgo a te per una preghiera, e tu, che mi sei come fratello, “ capirai che quel che dico non è per audacia di sollecitatore e per vana opinione che abbia “ di me, ma per bisogno smanioso che ho di far qualche cosa. E a te mi rivolgo fiducioso “per chiedere se avete qui o là bisogno di qualcheduno che faccia qualunque cosa a cui “non sia inabile. Mi raccomando a te caldissimamente, e ti prego di rispondermi con pari “ sollecitudine. Addio; il più ti dirà Sansone , (108). Venne nominato scrivano di seconda classe con l’incarico di far le veci di segretario presso l’Intendenza militare del secondo corpo dell’armata dell’Italia centrale, che si stava allora ordinando in Toscana, del quale aveva il comando il generale Luigi Mezzacapo (109). Vestì la sospirata divisa; deciso, al primo colpo di cannone — come più volte mi disse — di mandare al diavolo il calamaio, la penna e i conti e afferrare uno schioppo. “ Cooperatore solerte ed intelligente , dell’ Intendenza, “ x ES R MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. I3 venuto che fu a Firenze il principe Napoleone, “ avendosi notizie che gli Austriaci abban- “ donavano la Romagna ,, fu pensato di far muovere contro di essi le popolazioni, col mezzo del canonico don Giovanni Verità, vecchio e provato patriota di Modigliana, al quale “ facevan “ capo i romagnoli che accorrevano in Toscana nel corpo del Mezzacapo , (110). E a tal fine, una sera il D'Ancona venne “ mandato in fretta e furia a Modigliana, latore di una “ lettera per il buon canonico, con entro altra pel conte Laderchi di Faenza, perchè d’ac- “ cordo organizzassero la caccia ai fuggiaschi. Bruciata la lettera, come gli era ingiunto, “ don Verità partì subito per Faenza, ma gli Austriaci camminavano più che in fretta, e le «“ popolazioni prive della parte più giovane e gagliarda, che già trovavasi in Piemonte o in “ Toscana, misero in pratica la massima: a nemico che fugge, ponti d’oro , (111). La pace di Villafranca non consentì al D'Ancona di combattere per la patria, come ardentemente desiderava (112); volendo a ogni costo servirla, si fece giornalista. Furon giorni d’ansia, di sgomento, d’angoscia. L'Italia centrale, dopo il richiamo de’ suoi commissari, fatto da Vittorio Emanuele, rimase in balìa di sè stessa (113). A Modena assunse arditamente le redini del go- verno Luigi Carlo Farini, che tornato “ semplice cittadino ,, diventò “ soldato col popolo ,; e “ il suo energico contegno, le disposizioni prese, i proclami sparsi in ogni luogo, ebbero “ tale effetto, che il partito ducale, in procinto d’avviarsi all’incontro del Duca, poco lontano “ dalla frontiera, esitò, s'intimorì, e finì per desistere da ogni tentativo o proposito di rea- “ zione , (114). A Bettino Ricasoli, che aveva preso le redini della Toscana, telegrafava in que’ terribili momenti: “Io son padrone del popolo, e se il Duca rientra, io corro avanti “ con le masse. Inviatemi de’ soldati e sovra tutto un poco di artiglieria. Noi trionferemo “ con la unione, con la energia, e se fa bisogno con l’audacia. Io ne ho , (115). Parma e Bologna lo vollero anche loro per Dittatore; “ cacciati giù i campanili ,, de’ tre Stati ne formò uno solo, che con romana e felice reminiscenza volle si chiamasse Emilia. Nè l’energia nè l’audacia mancava al Ricasoli, che aveva insieme del rivoluzionario e dell’uomo di governo. “ Risoluto di lasciarsi schiacciare, piuttosto che cedere , (116), disse agli amici: “ Da quando “ sono a questo posto, non so più altro degli affari miei; lavoro giorno e notte; ho sputato “ sulla mia vita e sono sicuro che riusciremo , (117). A que’ due forti e coraggiosi caratteri è debitrice, in grandissima parte, la patria della sua unità. Cavour, che si era ritirato dalla “ scena politica, per protestare colla , sua “ astensione contro la pace di Villafranca ,, dalla solitudine di Leri “seguiva plaudendo , il “ magnanimo operare , e la “ parte mira- bile sostenuta , dal Farini “ con tanta gloria per , lui e “ tanta utilità per l’Italia , (118). Manifestava al Ricasoli e alla Toscana la sua “ vivissima ammirazione ,, scrivendogli: “ Ella “ ed i suoi concittadini, colla loro prudenza, colla loro fermezza, col loro patriottismo, hanno “ riportato una vittoria morale, le cui conseguenze saranno più feconde di quelle di Sol- “ ferino , (119). Il 30 di novembre il Farini mandava, da Bologna, a Michelangelo Castelli, incaricato da lui fin dal 28 agosto di “ rappresentare il Governo delle Provincie Modenesi e Parmensi “ presso il Governo di S. M. Sarda ,, questo singolare biglietto : “ Ad anno nuovo da Pia- “ cenza a Cattolica tutte le leggi, i regolamenti, i nomi ed anche gli spropositi saranno “ piemontesi. Farò fortificare Bologna a dovere: buoni soldati, buoni cannoni contro tutti “ che vogliano combattere l’annessione : questa è la mia politica, e me ne impipo di tutti « gli scrupoli. Senza impiccare me e bruciare Parma, Modena e Bologna, per dio! non tor- “ nano nè duchi nè preti , (120). Anche il Ricasoli si sarebbe fatto impiccare, avrebbe dato fuoco a Firenze con le proprie mani, avrebbe bruciato le altre città tutte della Toscana; ma in quanto a stendere amorose le braccia a’ regolamenti, a’ nomi, alle leggi, agli spro- positi piemontesi, dissentiva dal Dittatore dell'Emilia. Per lui “ non doveva essere dedizione “ di una provincia all'altra ed assorbimento di quella in questa, ma ricostituzione di membra “ d’uno stesso corpo per virtù di consensi e avviamento alla compiuta unità nazionale , (121). 14 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA Que’ due nocchieri, per trarre in salvo, ciascuno di loro, la nave affidata alla propria fede, dovettero navigare in mezzo ai dubbi, ai pericoli, alle insidie. Il Ricasoli, finchè fu ministro dell’interno durante il commissariato regio del Boncompagni e ferveva la guerra, non tollerò giornali: per le notizie bastava il solo Monitore Toscano, che era il foglio ufficiale del Governo. Strette che ebbe nel pugno le sorti della Toscana, sentì il bisogno d’una gazzetta, inter- petre del suo pensiero, guida della pubblica opinione. Il D'Ancona, designato direttore, ebbe invito di recarsi da lui, insieme co’ collaboratori. Era la sera del 13 luglio. Nella sala mag- giore di Palazzo Vecchio trovarono il Barone che stava a colloquio con Ubaldino Peruzzi. “ Ai sopraggiunti , (mi valgo della penna del D'Ancona), “ interrompendo il colloquio, disse “ egli queste sole parole: Per domattina voglio il giornale: e pronunziò il voglio con quella sem- “ plicità imperiosa, che non ammette replica e sa di esser obbedita, e che gli era propria , (122). Usciti di là, si raccolsero nello studio dell’avv. Leopoldo Cempini, stabilirono che il giornale si chiamerebbe La Nazione (123), e il D'Ancona si mise a scrivere il primo articolo (124). Verso la mezzanotte venne consegnata al tipografo Gaspero Barbèra tutta la materia del primo numero, che “ la mattina dopo, così improvvisato, e per mancanza di carta, uscì in mezzo “ foglio, ein tal modo durò per cinque giorni ancora , (125). Fece finalmente la sua prima comparsa in quattro pagine a quattro colonne il giorno 19, e gli editori col battesimo datogli di Anno I, Num. 1, intesero che allora incominciasse a aver vita (126). Il D'Ancona, il quale, come direttore, aveva di paga dugento lire toscane al mese, pari a centosessanta lire d'Italia (127), in ciascun numero scrisse sempre uno o più articoli politici, e di quando in quando vi fece una “ rivista bibliografica politica , (128). Ebbe per collaboratori gli avvocati Piero Puccioni e Augusto Barazzuoli; ne fu redattore Giacomo Foligno, traduttore Antelmo Severini; vi scrissero Valentino Pasini, Federico Quercia, Silvio Spaventa, Leopoldo Ga- leotti (129) e più altri (130). “ La direzione, in quei momenti difficili ,, come ebbe poi a confes- sare il D'Ancona stesso, “ non era una size cura, e con certi collaboratori, molto autorevoli, “ era duro lottare. Così, ad esempio, il Pasini, deluso circa la liberazione del Veneto, tirava a “ palle infocate contro Napoleone III, che ad un giornale toscano e semi-ufficiale conveniva “ trattare benevolmente; e lo Spaventa (131), avvezzo al carcere, non poteva scrivere articoli “se non di notte, sicchè, pubblicandosi il giornale nelle ore mattutine, bisognava mandargli all'alba il fattorino, che tirava a sè il manoscritto collocato mezzo fuori e mezzo sotto all’uscio della stanza dove lo Spaventa dormiva , (132). “ Tornando all’opera mia di direttore e all'impegno che ci mettevo , (son altre reminiscenze del D'Ancona) “mi rammento, oltre le frequenti controversie coll’ottimo e valentissimo Pasini, le modificazioni non infrequenti agli articoli dello Spaventa, per le quali ei mi aveva scherzosamente dato il soprannome del famoso censore napoletano, monsig. D’Apuzzo! Ed una volta se ne scappò a Pisa adi- rato, e ci volle non poco a riamicarselo; ma erano ire di amanti, ed io mi sentiva sempre onorato e commosso nel trovarmi coll’ergastolano di San Stefano , (133). Il D'Ancona tutte le mattine andava dal Ricasoli “ a prendere l'intonazione ,, e nelle occasioni difficili e ne? momenti dubbiosi vi tornava anche la sera. Quando gli notava che nel Constitutionnel o nella Patrie fosse uscito qualche articolo minaccioso o insidioso alla nostra causa, senza scomporsi, rispondeva asciutto: “ Non l’ho letto e non me ne preoccupo: ci pensi lei a rispondere; so “ soltanto, e di questo mi preoccupo, che l’Italia deve diventar nazione e Vittorio Emanuele deve esserne il re costituzionale; dinastia Lorenese, principe Napoleone, duchessa di Parma sono fantasmi senza entità vera, e non mi fanno paura; quello che c'è di vero e di certo è il nostro diritto: ed è dover mio, dacchè mi trovo qua, di procurarne il trionfo. Quanto all'Imperatore, io so qual sia il voler suo, lo so meglio dei giornalisti francesi, che se ne vantano interpetri , (134). Nel congedarlo gli dava sempre una formidabile stretta di mano; ma tornato alla direzione del giornale, nel pigliare, tra le dita mezzo stritolate, la penna, sentiva che gli aveva infuso qualche parte della sua gagliardia (135). “ n “ “ “« “ MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR, E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 4. 15 Singolare figura il Ricasoli! Mente non larga, era una coscienza e un carattere; di qui la sua forza. Il popolo fiorentino, sempre arguto e nella sua arguzia sagace, lo chiamò Canto- nata: un muro che non piega, nè crolla. È la sua gloria. Morto Cavour e chiamato dal Re a succedergli, si dichiarò pronto a accettare, ma a due condizioni. “ Sentiamo ,, gli disse Vittorio Emanuele. “ Prima di tutto, non voglio stipendio ,. “ Oh, s'accomodi ,, fu la risposta del Re, data con compiacente sorriso. “ La mia famiglia ,, soggiunse, “ ha dodici secoli di “ vita, e in questi dodici secoli non portò mai livrea: non indosserò la divisa di ministro ,, “ S'accomodi ,, replicò il Re, sorridente al solito; ma c'è da scommettere che sentisse in sè un qualche dispetto, trovandosi dinanzi, non un suddito, al solito, ma un altro re. Il giornale La Nazione, nato tra le ansie crudeli dell’inaspettata pace di Villafranca, ha una pagina nella storia del Risorgimento italiano, che si chiude col finale trionfo de’ plebi- sciti. E in questa pagina ha una parte bellissima il D’Ancona, che, sorretto dalla fede incrolla- bile del fiero Barone, seppe nel dirigerlo e nello scrivervi, accoppiare la prudenza con l’audacia, e all’entusiasmo, che non misura gli ostacoli, contrapporre la pazienza e l’abilità di chi sa vincerli. Smise d’esserne direttore il 30 giugno del ’60: il giorno che il figlio di Carlo Alberto fece il suo ingresso a Firenze. Al fianco del Re eletto era il Conte di Cavour, rag. giante di gioia. Scorse il D'Ancona tra la folla plaudente e andò a stringergli la mano, rallegrandosi con lui del “ felice evento e dell’opera non inutile del giornale La Nazione ad affrettarlo , (136). Il D'Ancona fu preso da una commozione così grande, che non gli riuscì d’articolare una parola. Sempre arguto, nel raccontarlo, diceva: Feci la figura del sarto de’ Promessi Sposi dinanzi al cardinal Federico (137). Durante il Governo Provvisorio della Toscana, gli balenò il pensiero felice di far chiamare nell’ Università di Pisa il De Sanctis e il Ferrara; suggerimento che il marchese Cosimo Ridolfi, ministro allora dell'Istruzione Pubblica, fu ben lieto di accogliere. Il Ferrara ebbe la cattedra di istituzioni di economia sociale (138), e il De Sanctis quella di lettere italiane, con decreto del 10 novembre 1859. A Pisa, però, venne solamente il Ferrara, ma poco ci rimase (139): il De Sanctis non si mosse da Zurigo; e così la cattedra di Pisa, vacata alla morte di Giovanni Rosini, avvenuta il 16 maggio del 1855, seguitò ad esser supplita da Michele Ferrucci (140). Vincenzo Salvagnoli, acuto ingegno, che aveva preso ad amare il D'Ancona fin da quando era ragazzo, ene ammirava la vasta cultura, divinandone le attitudini, un giorno lo chiamò nel suo studio, e gli disse: “ Prendi un foglio e scrivi quanto sono per dettarti ,. Il D’An- cona prese il foglio e scrisse, sotto dettatura: “ Eccellenza, Non essendosi presentato ancora “in Pisa il prof. De Sanctis, e nulla sapendosi della sua accettazione, chiedo di supplirlo “ nel presente anno accademico nell’insegnamento delle lettere italiane ,. Finito di scrivere, alzò gli occhi e chiese al Salvagnoli: “ E chi lo sottoscrive? ,. S'udì rispondere: “Oh bella, tu! , (141). Sottoscrisse, ma, preso dalla modestia — la virtù de’ bravi — non sapeva risol- versi a dar corso all'istanza. Il Salvagnoli vinse la sua riluttanza, scrivendogli, da Livorno, il 31 d’agosto, questo biglietto: “ Mio caro Sandro, Io son sempre d’opinione che tu possa “e debba far la domanda della cattedra. Io ti mando una lettera pel Barone Ricasoli, che “tu gli farai recapitare per terza persona, dopo aver sigillato te la busta, il giorno avanti “ che tu gli presenterai l’istanza , (142). La lettera e l'istanza andarono al loro destino, e la supplenza per un anno alla cattedra venne accordata con decreto del 9 novembre 1860 (143). Quando ne corse la notizia, apriti cielo e terra! I parrucconi dicevano: — Ma come può insegnare a scrivere italianamente, come può infondere il gusto per il bello, del quale sol- tanto i classici sanno il segreto, un giornalista, e per giunta di primo pelo? Son cose da far fremere per lo sdegno le ossa del P. Cesari e di Basilio Puoti dentro la sepoltura. Povere lettere! Povera Italia! — Un altro gruppo di parrucconi, appartenenti anche questi all’Università pisana, e per giunta col ribrezzo addosso d’averlo a collega, non si stancavano di ripetere: — Un israelita! e come farà a intender Dante e spiegarlo? Come farà a com- 16 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA mentare la cantica del Paradiso? — Anche il partito avanzato, che il D'Ancona, nelle colonne della Nazione, aveva flagellato e infrenato, quando la salute d’Italia lo imponeva, gli scagliò contro la sua freccia; una freccia in versi, scritti col fiele (144). Sentiamoli. E scaraventi nell'Aula Pisana A fare il professor di belle lettere Una figura goffa nana nana, Che solo un nome sa col verbo annettere..... Che vorrebbe (frenatevi le risa) La libertà com’esso circoncisa. E questo l’ha tentato con un foglio Chiamato..... se non sbaglio...,. l’ Inazione, Che sta fra la bassezza e fra l’orgoglio, Fra la modestia e fra la presunzione, Un foglio, che, per dirla in una sola, Ti sente dello scemo e del Lojola! Il D'Ancona, sotto l’usbergo del sentirsi puro, alle insinuazioni maligne, agli oltraggi codardi, impose silenzio co’ fatti; fatti, che uno degli scolari suoi del quale più si compia- ceva e teneva, l’amico mio Francesco D’Ovidio, riassunse in queste scultorie parole, invulne- rabili alle smentite: “ Certo, nella cattedra ch’ei salì giovanissimo e diventata per virtù di “ lui gloriosa, e nella critica e nella erudizione italiana, egli fu un caposcuola che impresse “un fecondo moto agli spiriti, avvezzandoli al lavoro serio, faticoso, originale, scevro di “ orpelli, di vacuità declamatorie, di leziosaggini. Maestro potente in iscuola e fuor della “ scuola, critico e storico dotto e sagace, scrittore limpido e guardingo e via via divenuto “ toscanamente spiritoso ed arguto, aiutò l’Italia a rifarsi intellettualmente , (145). Da quella scuola, oltre il D'Ovidio, sono usciti tanti e tanti altri, che sulle cattedre universi- tarie, ne’ licei, ne’ ginnasi, in ogni ramo del pubblico insegnamento onorarono e onorano le lettere e la cultura italiana (146). Si cimentò anche al commento della cantica del Paradiso, e se l’Ozanam — piglio uno de’ campioni più ferventi del cattolicismo — fosse stato tra’ suoi ascoltatori, niente avrebbe trovato da aggiungere, niente avrebbe potuto togliere a quanto diceva. Era una mente larga e serena, nata per abbracciare, coll’ala gagliarda del pensiero, ogni umana e celestiale gran- dezza. Dichiarò: “ Sento e pratico il massimo rispetto verso tutte le credenze, che, nella “ varietà delle forme, rispondono a concetti e sentimenti, insiti per modo nell’umana natura, “che mal si crede poterli sradicare e abolire ,. Si rallegrò quando a Chicago, in occasione del Congresso delle religioni, “ i culti molteplici trovarono almeno nel Pater moster una “comune formula di preghiera al Fattore delle cose e degli uomini ,. Gli piaceva “ veder “come in America vi sia qua e là una comune casa di Dio, dove nel dì festivo si invoca “ il Padre universale successivamente e secondo i singoli riti ed ufficj ,. Il “ massimo trionfo “ della eguaglianza civile e. della libertà di coscienza , era per lui “ l’ultimo termine a cui “ deve mirare chiunque professi il culto della Giustizia ,. Però soggiungeva: “ Ma perchè “ un tempo si obbligava a credere, non devesi ora obbligare a non credere: nè perchè taluno, “come me, appartenga, per non spiegabile nè sindacabile arbitrio della sorte, a gente un “ giorno perseguitata, deve egli a sua volta diventare persecutore, ma benedire invece il “ progresso dei tempi e secondarlo col pensiero e coll’opera, coll’insegnamento e col- “ l'esempio , (147). Promosso professore straordinario di letteratura italiana l’11 agosto del 1861, venne nominato ordinario il 15 gennaio del 1863. Cinque giorni dopo venne fatto priore della Facoltà di filologia e filosofia: il 18 decembre del 1890 rettore dell’Università. Il 20 gen- naio del 1893 ebbe anche la direzione della Scuola Normale superiore, “ un istituto, unico MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV; N. 4. 17 “ nel regno, la cui primissima fondazione risale ad un decreto napoleonico del 1813, nel 1850 “ rinnovato ,; istituto “ che ha ormai nei suoi molti allievi una storia, la quale per le lettere comincia con Giosuè Carducci, per le scienze con l’astronomo Giovambattista Donati , (148). Lo Scartabelli quando lo ebbe scolaro, gli diceva: “ scelga da sè un soggetto, lo studi, lo « giri e lo rigiri, lo guardi da tutti gli aspetti, e poi scriva ,. Il D'Ancona, insegnante, fece suo l’utile e sagace precetto. Volle che gli alunni trovassero da sè l’argomento dei loro lavori, e colle loro forze, ma sotto la sua direzione, si mettessero “a nuotare nel « “ vasto mar del sapere , (149). Consacrò un giorno della settimana “ ad esercizi pratici degli alunni ,, che chiamava “ successivamente ad illustrare un qualche autore classico, coi “metodi e i criteri proprì ad una lezione liceale ,. Nell'anno scolastico 1882-83 gli parve opportuno “ non lasciar libera la scelta degli argomenti, ma prendere un solo autore e di “ esso illustrare gli scritti ,. Più ragioni lo consigliarono di preferire le Odi di Giuseppe Parini, © raccomandando specialmente ai giovani-di rintracciare l’origine classica dei vaghi “ fiori dello stile che il poeta lombardo colse nei recessi di Pindo ,, come dichiarò egli stesso nella Notte. In “ una ventina di lezioni ,, insieme co’ suoi scolari, studiò le Odi, “ illustran- “ done gli accenni biografici e storici, schiarendone le difficoltà, discutendone le varianti, e “ soprattutto richiamando î passi di scrittori antichi od italiani coi quali le Odi offrissero “ qualche analogia di concetti, di sentimenti, di espressioni ,. Prima dell’esperimento, il D'Ancona “ andava via via mettendo insieme qualche notarella; l’alunno, cui toccava la “ volta, altre ne raccoglieva dal canto suo ,; così “ venne a formarsi, alla fine dell’anno, K « una non piccola, nè spregevole mèsse di osservazioni ,. Ne formò un commento, che poi diede alle stampe, nell’84, dedicandolo “ con affetto di maestro e d’amico , ai suoi “ disce- “ poli, insegnanti in ogni ordine di scuole del regno , (150). Il Foscolo aveva affermato che il Parini si era formato lo stile studiando Dante, l’Ariosto e l’ Aminta del Tasso, ma “ senza “ avere imitato nessuno di questi suoi prediletti grandi modelli , (151); il commento uscito dalla scuola del D'Ancona, “ senza scemare la lode di originalità che, almeno pei soggetti “e pel modo di trattarli, compete al rinnovatore della lirica italiana ,, mette in chiara luce che “ i modelli di stile del Parini, più che quelli sopra indicati, furono i latini, ed “ Orazio massimamente , (152). Co’ suoi alunni poi, che riguardava come figliuoli, non solo era largo d’ammaestramenti e di consigli, ma d’ogni sorta d’aiuti, col prestar libri, col metterli a parte de’ frutti delle sue indagini e delle sue ricerche. Quando qualcuno veniva colto da una malattia ecco subito il maestro accorrere al suo letto, confortatore premuroso e amoroso. Quando sapeva ‘ che tra’ suoi scolari qualche ingegno promettente lottava con la miseria, gli apriva in se- greto la borsa con cuore di padre. Ne piangeva la morte precoce nell’aula della scuola, K invitando i condiscepoli a mescolare le loro lagrime alle sue. Così fece per il Garelli, “ mo- “ “ desto e valoroso chierico rosminiano ,: così per Tommaso Giorgi, sempre assiduo, sempre modesto, sempre assorto soltanto nell’idea di compiere il dover suo verso la famiglia e la “ società ,; così per Enrico Frizzi, “ tanto somigliante , al Giorgi “ per le virtù dell’animo “ e dell'ingegno , (153). Nè si staccava da’ propri scolari il giorno della laurea; allora il maestro sì mutava in amico ed era l’amico che col pensiero, con la mano, col cuore, li confortava e aiutava nella loro carriera d’insegnanti. Quando sui giornali d’Italia corse la voce inaspet- tata e funesta che anche lui aveva pagato il suo debito alla natura, la “ dolce imagine “ paterna , del vecchio Maestro si riaffacciò agli occhi della mente de’ suoi scolari, concordi nel salutarla col pianto della riconoscenza. Per quarant’anni la voce di Alessandro D'Ancona risonò dalla cattedra, educatrice sapiente dell’intelletto e del cuore delle nuove generazioni dell’Italia risorta (154). Ritenne sempre essere per un maestro il più sacro de’ doveri dare alla patria, non solo de’ valenti insegnanti, ma de’ cittadini onesti e operosi (155). L’abbandonò volontariamente il 7 ottobre 17 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA (ari lo 0) del 1900, incominciando a sentire il peso degli anni e il bisogno di riposo (156). La Facoltà pisana di lettere e filosofia, non sapendo staccarsi da lui, volle gli fosse affidata, “ per spe- “ ciale e temporaneo incarico, l'illustrazione della Divina Commedia , (157). Il 1° di marzo del 1901 la risalì, interpetre del pensiero di Dante (158). Il “ poema sacro , ridesta nelle vene del vecchio atleta il fuoco della giovinezza. È il libro che gli esuli portaron seco come un brano della patria; il libro che consolò i nostri martiri nella solitudine delle prigioni; che posò sul petto de’ morenti per la libertà. Son questi i ricordi che rievoca alla gio- ventù, svelandone le bellezze immortali (159). Si ammogliò fin dal 27 agosto del ’71; nozze che gli amici festeggiarono a gara da ogni parte d'Italia, con Giosuè Carducci alla testa. Non volendo il geniale poeta tinger di dotta polve A la sposa il vel bianco ed i pensieri, indirizzò ad Alessandro una delle migliori sue saffiche preludenti alle Primavere elleniche; quella che incomincia: O de i cognati e de i dispersi miti Per la selva d’ Europa indagatore Mentre tu nozze appresti e i dolci riti Affretti in cuore (160). De’ quattro figli che ebbe da Adele Nissim — la “compagna dolcissima, della sua vita (161) — i maschi, Giuseppe, agronomo valente, Paolo, cultore appassionato della storia dell’arte, portano degnamente il vecchio nome de’ D'Ancona, i quali da più generazioni hanno scritto sul blasone domestico: Lavoro e Onestà; le femmine, fiore di virtù e gentilezza, il povero padre ebbe la disgrazia tremenda di doverle adagiare con le sue mani dentro la sepoltura; dolore inconsolabile che lo accompagnò per tutto il resto della sconsolata sua vita. Prima a morire fu Giulia, che, bella, buona, pronta d’ingegno e vivace, era “ il ritratto della salute , e con “ l’allegro umor , suo “ spandeva la giocondità per tutta la casa ,. Un giorno che Costantino Nigra chiese ad Alessandro cosa sapesse dirgli di un canto fanciullesco su Maramau, diffuso per tutta l’Italia, e Alessandro altro non gliene dette che una notizia con- fusa, la Giulia, allora dodicenne, che era lì presente, saltò su a citargli “ i libri dove trovare “ ciò che gli bisognava e anzi andò a prenderli ,. Il padre, nel raccontarlo, aggiunge: “ aveva “ letto tanto la mia povera Giulia e riteneva nella memoria tutto quanto aveva letto , (162). L’anno dopo morì e nel morire congiunse le mani in atto di preghiera. Il padre desolato, “ ripensando a quell’atteggiamento ,, sente “ distruggersi , dentro di sè “e come liquefarsi “ogni tumidezza d'odio o di mal animo, ogni rigoglio di vanità o superbia, ogni istinto o “ passione mal sana ,; e “ nel nome e per la memoria , della diletta, che ha perduto, scon- giura i parenti e gli amici ad unirsi con lui “a soffrire e perdonare ,, a “ compatire ed “amare , (163). Quando Matilde, la primogenita, venne al mondo, nel ’74, “ fu un raggio di sole pri- “ maverile sceso ad illuminare la casa solitaria ,. In lei le forme snelle e graziose della persona erano in grata armonia con la bontà dell'animo. Sapeva l’inglese, il francese, il tedesco; scriveva l'italiano “ con facilità e con brio ,; studiò la pittura con amore, ebbe “ fine intendimento e molta passione per le bellezze dell’arte ,. Andata sposa a Cuneo; moglie e madre felice, fu spenta anch’essa nel pieno fiore della vita. Appena che ebbe chiuso gli “ occhi grandi e lucenti ,, un raggio di sole, liberatosi dalle nebbie matutine, le illuminò la faccia, che il padre stava amorosamente contemplando. L’infelice chinò allora il “ capo “ umiliato ,, ripetendo, “ collo schianto nel cuore ,, le “ parole del semplice vecchio di Hus, “che da secoli echeggiano tra i figli d’Eva: Dio me la diede, Dio me la tolse: così a lui MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 19 “ piacque; sia benedetto il suo nome! ,. Scrisse poi a’ nepotini: “ Richiamarsi è vano, vano “ ribellarsi. Piangere, pregare ed amare: tale è l’unico conforto ch'è all'uomo concesso nella “ sventura , (164). A chi ripensi ad Alessandro D'Ancona sedente al focolare domestico, o nell’intimità della fida amicizia, si riaffacciano spontanei alla mente i versi del poema sacro: E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe, Assai lo loda e più lo loderebbe. O giornate indimenticabili trascorse seco nella casa, sempre ospitale, di Pisa; nelle sue ville di Volognano e di Massa! La gioia che gli traspariva sfavillante dagli occhi, al primo vederti, era precorritrice dell’accoglienza amorosa che stavi per ricevere; alla quale la fa- miglia tutta partecipava con pari espansione e schiettezza d’affetto, compresi que’ cari folletti de’ nepotini, festeggianti anch'essi, alla loro maniera, gli amici del cuore del nonno buono. Negli ultimi tempi passava parte dell’anno nella villa di Massa, sorgente sull’ameno colle delle Grazie, tra il glauco verde degli olivi e l’olezzo degli aranci, levanti in alto superba- mente le chiome; villa dalla quale si spiega dinanzi allo sguardo il curvo lido, che flagella inquieta l’onda di Luni (165). A Massa provava “ un senso di quiete, contemplando le bellezze naturali della regione: “le serene aurore e i roggi tramonti: e il mare che nella terra s’insinua e la terra che lo “ cinge e lo abbraccia: le selve ombrose e i bianchi marmi , (166). Cara gli era pure l’altra villa sulla sommità del poggio di Volognano, nel Val d’Arno di Firenze, vecchia e ruinosa fortezza, tramutata in piacevole abitazione; e gli era cara soprattutto per il grato ricordo del fratello Sansone, che lì soleva circondarsi di amici colti, co’ quali passava genialmente le sue giornate; esempio seguito da Alessandro, che, tra gli altri, vi ospitò Giosuè Carducci e Arturo Graf. IL cantore delle Fonti del Clitunno vi fu nell’ottobre del 1892, e parecchie fotografie di lui, prese allora istantaneamente, sono tra’ suoi ritratti più caratteristici, tro- vandovisi insieme espressa la bontà dell’animo e l’energia della persona (167). Fu a Volognano che spiegando la ragione dalla quale fu spinto ad usare il metro da lui chiamato “ barbaro , confessò all’ ospite: “ Vedi, anche le forme metriche si esauriscono. Che cosa vuoi che “ dica più il settenario dopo Sparse le trecce morbide? , (168). Nel lasciar Volognano scrisse sull'album domestico: “ Tra questi colli, belli dalla natura, sacri dalla storia, cari dall’ami- “ cizia, ringraziando, sperando, augurando, saluta la famiglia D'Ancona e affini Giosuè Car- “ ducci ,. Il cagnolino prediletto della figlia Matilde, sempre saltellante e scherzoso, ispirò al Graf de’ versi improvvisi, che poi, affidati alla carta, restano anche adesso ricordo gra- dito ai figli di lei (169). i Fibra indomita di lavoratore, anche negli estremi suoi anni sentiva irrefrenabile il bi- sogno di fare, e, pur di fare qualcosa, si sarebbe messo, come Niccolò Machiavelli, a roto- lare un sasso (170). Trovò il sasso, ma fu un sasso pesante: quello di Sindaco della nativa sua Pisa. Eletto il.18 gennaio del 1906, volse subito le cure alle finanze del Comune, tal- mente in rovina, da esserne imminente il fallimento. Corse al riparo, pieno di costanza e coraggio, e con la legge del 6 giugno 1907, frutto delle sue lunghe e abili trattative col Governo del Re, lo salvò da un tanto disastro. Quando appunto queste trattative erano in corso e la sua mente e la sua volontà stavano rivolte Îì, ebbe a patire come Sindaco e come cittadino il più ignobile degli oltraggi. L’arcivescovo di Pisa, monsig. Maffi, “ persona gen- “ tilissima e coltissima ,, stimato e amato “ per luce di mente e mitezza d’animo ,, “ insigne 20 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA “ fisico e direttore autorevole -di un periodico di scienze fisiche , (il ritratto esce dal pen- nello del D'Ancona, che lo colse dal vero e nel vero), torna da Roma, insignito della porpora cardinalizia, così meritata. A Pisa quasi tutti se ne rallegrarono. Il D’Ancona, insieme con la Giunta, andò a riverirlo. “ Credevo , (scrisse) “ di compiere un atto di dovuta cortesia, “ e proprio al mio ufficio. E anche adesso credo di aver fatto quel che era dover mio come “ Sindaco, vale a dire come rappresentante, se non di tutta, di una parte cospicua ed edu- “ cata della cittadinanza , (171). Nella seduta che il Consiglio del Comune tenne di lì a poco, un consigliere-della minoranza gli rimprovera quella visita come Sindaco, come cittadino e come scrittore. Nacque un tumulto, fatto più tempestoso dalla folla, che, chiamata ad arte, si pigiava nell’atrio, per le scale, ne’ corridoi, nella sala. L’adunanza vien sospesa; ripi- gliata, il tumulto si rinnova, per l’intemperanza dell’uditorio. È forza per la seconda volta metter fine a tanto baccano; una tempesta d’urla, di grida, d’ingiurie. Il Sindaco, longanime. sempre, tenta per la terza volta la difficile prova; inutilmente, al solito. Tornato a casa, una ciurmaglia, che passava di poco i cento cinquanta ed era preceduta da due ciclisti, si ferma sotto le sue finestre. Le grida di abbasso il Sindaco clericale, con altri vituperii, s'in- trecciano ai fischi. Erano gli “ studenti universitari anticlericali ,, che in nome della libertà del pensiero e della coscienza — che volevano per sè soli, nè tolleravano negli altri — si sbizzarrivano a fare le prime e ignobili loro prove. Il giorno appresso, per giustificare la turpe azione, imbrattano i muri di Pisa con un manifesto a stampa, che incominciava: “ Il “signor D'Ancona docente nella nostra Università ,, e giù di questo tono. Il manifesto è poi accompagnato da una nuova e anche più “ invereconda gazzarra, con maggior numero “ d’intervenienti, tra dimostranti e curiosi ,. Per il D'Ancona fu un colpo al cuore, che gli strappò fino il pianto; non pianse per l’atroce ingiuria patita, pianse antivedendo con l’an- goscia del patriota il fosco avvenire. È stanco, sente il peso degli anni, e gli occhi, resi deboli dal tanto affaticarsi, gli si fanno ribelli. Scrive quasi a tasto, ma non depone la penna. È la sua amica costante, la depositaria fedele del suo pensiero, la compagna inseparabile, la dolce consolatrice, arme con la quale eombattè le battaglie del vero e dell’arte. Il 1° di marzo del ‘14 — l’anno in cui doveva morire — mi scrisse: “I miei occhi, oltre le gambe, vanno male assai, e ormai “non leggo quasi niente. Per non morire di malinconia mi occupo un paio d’ore al giorno intorno al mio vecchio amico l’abate Piattoli, e vorrei che la sorte mi concedesse di con- durre a fine il lavoro. Speriamo! E mi bisogna dar ad esso, facendomi aiutare, tutto il tempo disponibile, perchè sono vecchio e da pochi giorni sono negli ottanta ,. Fortunata mente, potè condurre a fine il tanto desiderato e sospirato volume su Scipione Piattoli, un avventuriere italiano onesto, “ fautore e vindice di libertà e indipendenza in Polonia , sul finire del secolo XVIII (172); e l’averlo potuto consegnare allo stampatore fu per lui una consolazione grande. ° K “ “ Da quell’istante riguardò la sua giornata ormai compita (173), e con la canizie fatta bella di “ liete voglie sante , (174), come i vegliardi manzoniani del coro di Maclodio, schiuse la mente “ai casti pensieri della tomba ,; casti pensieri, pur troppo turbati dal nefando spet- tacolo che negli ultimi giorni gli offrì dinanzi agli occhi, inorriditi e sgomenti, questa guerra sterminatrice, non mai veduta l’uguale dalla travagliata umanità in tanti secoli di lotte, speranze e dolori. 3 Spirò in Firenze l’8 novembre del 1914; e mentre il suo spirito, fatto immortale, volava ne’ “ campi eterni , a cogliere il premio Che i desideri avanza, Pisa, con cuore di madre, rivolle le “ stanche ceneri , del figlio, che è gloria sua e d’Italia. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOk. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 20 NOTE (1) Tasarrini M., Gino Capponi, i suoi studi, î suoì amici, memorie, Firenze, Barbèra, 1879; p. 278. (2) Eleonora de’ Pazzi, ancora vivente. Cfr. Memorie inedite di Gruserpe Giusti (1845-49), pubblicate per la prima volta con proemio e note da Ferpinanpo Martini, Milano, Treves, 1890; p. 220. (3) Morì a Firenze nel 1884, lasciando una figlia, che sposò l'orientalista prof. Carlo Puini. (4) Mancò ai vivi, di ottantaquattro anni. nel 1907. (5) Delle sorelle, Adele, nata a Pisa nel 1829, sposò il 22 novembre del 1854 Emanuele Padoa di Li- vorno, e il fratello Alessandro ne festeggiò le nozze, pubblicando la Lettera ad una madre [Firenze, Bar- bèra, Bianchi e Comp., 1854; in-8° di pp. 16], nella quale combatte l’uso di fare imparare troppo precoce- mente le lingue straniere ai bambini. Enrico Mayer, nato a Livorno da padre tedesco e madre francese, e che in tenera età imparò anche l’inglese e il greco moderno, pure tenendo “ nel dovuto pregio gli argo- menti usati, dal D'Ancona, ebbe “ forti motivi per dubitare di qualcuna delle conseguenze , che il giovane autore ne traeva, e gliene scrisse amicamente; incominciando “ dall’augurare alla sposa che Dio la faccia “ madre di una famiglia che somigli a quella della quale è uscita ,. Morì essa nel 1907. La sorella Ales- sandrina, che visse dal 1831 al 1913, si maritò con Salomone Zabban di Firenze. (6) D'Ancona A., Rimembranze gradevoli; in Roma letteraria, del 9 gennaio 1910; ristampate nelle Pagine sparse di letteratura e di storia. Con appendice “ Dal mio carteggio ;, Firenze, G. C. Sansoni editore, MCMXIV; pp. 305-307. (7) D'Ancona A., Luigi Carlo Farini nel suo carteggio; in Ricordi storici del Risorgimento italiano, Firenze, Sansoni, 1914; pp. 72-74. (8) D'Ancona A., Spigolature dall’ Archivio Montanelli; in Ricordi storici del Risorgimento italiano; pp. 276-277. (9) D'Ancona A., Luigi Carlo Farini nel suo carteggio; in Ricordi storici del Risorgimento italiano; p. 74. (10) D'Ancona A., Rimembranze gradevoli ; in Pagine sparse, pp. 808-309. Cfr. anche: Rossiniana; in Ri- cordi ed affetti, Milano, Treves, 1908; pp. 537-546. (11) Al D’Ancona fu “ caro , anche di “ ricordare il nome , di Paolo Morello come di suo “ maestro nelle discipline filosofiche ,. Il Morello [1809-1873], esule palermitano, che visse a lungo in Firenze, fu medico valente e coltivò con amore la filosofia e la poesia. Cfr. D'Ancona A., Carteggio di Michele Amari, III, 185. Nel ’48 andò co’ volontari toscani alla guerra dell’indipendenza, si battè a Curtatone e rimase prigioniero. Riavuta la libertà, stampò le Lettere di un prigioniero alla sua donna, Firenze, per la Società tipografica sopra le Logge del grano, 1848; in-8°, di p. 396. E un libro assai raro a trovarsi, Nel proemio dichiara: “ Io intendo di far conoscere (al modo com’io l’ho conosciuto) ciò ch'è la milizia italiana, e in particolare “ Toscana e Napolitana, ciò ch’è il cittadino che volontariamente combatte, ciò ch'è il nemico contro cui “ combattiamo ,. (12) In morte di Niccolò Giorgetti canzone. È firmata A. D'A. e porta la data del “1° aprile 1850 ,. Si legge a pp. 30-32 Delle lodi di Niccolò Giorgetti discorso di Cesare ScarrABELLI al Sindacato dei 12 maggio 1850 nella Scuola dei Padri di famiglia di Firenze, Firenze, Tipografia Italiana, 1850; in-8°, di pp. 32. Alla Can- zone lo Scartabelli fece questa nota: “ Scritta da un alunno di 15 anni ,. La ristampo nell’Appendice n° 1. (13) D'Ancona A., Giacinto Casella; nel Fanfulla della Domenica, n° 8 del 1880; ristampato come prefa- zione alle Opere edite e postume di Gracinto CaseLra, Firenze, Barbèra, 1884, vol. I, Pp- v-xM11; e di nuovo in Ricordi e affetti, pp. 139-147. Cfr. anche: D'Ancona A. e Bacci 0., Manuale della letteratura italiana ; V, 719-724. L'Accademia della Crusca il 30 giugno del ’52 elesse il Casella a succedere a Vincenzo Nannucci nell'ufficio di compilatore del Vocabolario. “ Sapendo a mente i nostri quattro maggiori poeti e dei latini “ specialmente Lucrezio e Virgilio , (scrive Cesare Guasti); “ conoscendo più lingue e le letterature di esse; “ non si può dire quanto ne aiutasse il lavoro e nelle adunanze nostre sfoggiasse di scelta erudizione. Chi è, “ come me, vecchio accademico, tre citatori potenti ricorda: il Capponi, il Tommaseo, il Casella; e ciascuno “ teneva del proprio ingegno: nel primo era qualcosa di luminoso, nel secondo soverchiava l’acume, nel “ terzo la copia ,. Cfr. Aiti della R. Accademia della Crusca. Adunanza pubblica del 2 di novembre 1880, Firenze, Cellini, 1881, pp. 24-26. GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA DI N A giudizio di Ruggero Bonghi, la traduzione di Properzio “ basta a persuadere, chi la legge per diletto “o per istudio, che delicato scrittore fosse il Casella..... Ha scelto a tradurre il distico latino in terzine “ italiane; ha fatto bene: è il metro più appropriato; ma ciascuno intende quanto sia difficile l’usarlo, per “ poco che uno voglia davvero dare al lettore italiano l’immagine dello stile dell'autore. Ora, il Casella vi “ riesce, si può dire, mirabilmente il più delle volte: e delle traduzioni italiane di Properzio, che mi sono “ venute alle mani, la sua è tanto di gran lunga la migliore, che dell’altre non v'è oramai più luogo a “ parlare ,. Cfr. La Cultura, rivista di scienze, lettere ed arti diretta da R. Boncni, ann. V [1886], vol. VII, n° 5e 6, pp. 132-136. (14) La morte dello Scartabelli così fu annunziata da Atto Vannucci nella Rivista di Firenze, ann. I [1857], disp. IV, p. 301: “ La sera del 14 maggio una folla di cittadini accompagnò mestamente Cesare Scartabelli “ al sepolero. Vi erano gli amici, inconsolabili di tanta perdita; vi erano le famiglie di molti giovani, che egli “con amore aveva educato all’onestà e alle lettere; vi erano gli alunni dell'istituto da lui diretto, i quali ren- “ devano l’ultima testimonianza di affetto al venerato maestro. Questo integro uomo, rieco di coscienza e di dottrina, era nato a Pistoia. Fece i primi studi nel patrio Liceo, e giovanissimo dette saggio del suo ingegno con alcuni tentativi poetici, tra cui ricordo quelli coi quali, nel 1836, celebrava le antiche arti, maestre in Grecia e in Italia di libere e di forti virtù, e vituperava i tempi in cui si fecero ministre di voluttà e “ di mollezza, e salutava con ardente affetto quelli che all’età nostra le riconducevano ad essere insegnatrici “ di generosi pensieri. Per forse vent'anni insegnò le belle lettere nell’Istituto dei padri di famiglia, fiorente sempre di valenti maestri e di numeroso concorso di alunni; e ivi nelle occasioni solenni lesse parecchi “ discorsi, poscia stampati, coi quali richiamava alla mente dei giovani le nobili opere dei grandi italiani, “e le virtù di coloro che nei tempi antichi e moderni stimava degni di esser proposti a modello. Amava “ la forte istruzione e aveva dottrina e cuore per darla; credeva dovere del maestro di lettere l’insegnare “ qualche cosa più che l’eleganze latine e italiane, e da tutto pigliava occasione a destare generosi senti- “ menti nei giovani animi, e ad accenderli al fecondo amore dell’operosa virtù. E perciò tutti quelli che “ conobbero l'animo e il cuore ch’egli ebbe, piansero come grande sciagura la perdita del virtuoso cittadino, “ mancato nel vigore degli anni all'istruzione della gioventù. Di lui rimangono i Discorsi, ricordati di sopra, “e alcuni Saggi Drammatici, i quali dimostrano che se avesse saputo attendere con tranquillo animo a | © quello studio, sarebbe forse riuscito a giovare con qualche buona e utile opera al nostro teatro ,. (15) D'Ancona A., Primo delitto di stampa; in Il primo passo, note autobiografiche di A. D'Ancona — A. Barrorri — V. Bersezrio — G. Carpuccri — G. Cararimi — G. Cosrerri — F. Firipri — 0. Guerrimi — P. Lior — P. Manrecazza — F. Martini — G. Massari — E. Nencioni — E. Panzaccni — M. RapisARDI — F. De Renzis — G. Ricurini — R. De Zersi, Firenze, tip. e lit. Carnesecchi, 1882; pp. 1-12. Ristampato in Ricordi e affetti, pp. 523-536. (16) Trovaron poi modo di stamparla col titolo: Memorie | dei Toscani | alla guerra | del 1848. | Firenze | Tipografia nazionale italiana | 1852; in-8° di pp. 46, con 20 ritratti. Nel “ proemio ,, che fu scritto dal D'Ancona, si legge: “ Come avevamo promesso, vien finalmente a luce questo nostro lavoro: ma non quale “ R R avevamo da principio disegnato che dovesse essere, e quale molti se lo attendevano. Ai quali poche pa- R role diremo, affinchè si rendan capaci delle nostre condizioni. E innanzi tutto, in quanto al lavoro in sè, non è da dire quanto fu il tempo e la fatica nel compilare quelle note che prime si presenteranno al let- tore; quanto il tempo e la fatica nel raccogliere le notizie biografiche dei defunti. Le quali per molte ragioni non possiamo adesso dare alla luce come sarebbe nostro principal desiderio, senza però abbando- R narne il pensiero, e quando che sia porlo ad esecuzione. Il che moltissimo ci duole, come ognuno si può ben immaginare: ma quando un giorno si saprà la storia di questa pubblicazione, si conoscerà ancora quanti e quali ostacoli dovemmo combattere. Noi non risparmiammo a spese, a noie, a brighe, fin anco ad umiliazioni e dolori....... Ma di noi non più si parli, chè sarebbe vergogna. Abbia le nostre parole chi sa di meritarle: gli altri generosi che ci furon cortesi di aiuto, avranno la riconoscenza e l’amor nostro “ non solo, che sarebbe poca cosa, ma quella di ogni anima informata a virtù ,. Il libro, “ non potendo venir fuori al giorno determinato, parecchi di quelli che avevano promesso aiuto si ritrassero o per stan- chezza, o per paura ,, e il D'Ancona insieme col Mariscotti pagò “le spese non poche ,. Cfr. Ricordi e affetti, p. 528. (17) Il Gerio, che prima era bimensile e poi divenne bisettimanale, visse dal gennaio del ’52 al gennaio del '54. Si stampava in foglio e n’uscirono in tutto 104 numeri. Il Governo granducale “in un anno trovò “ modo di colpirlo tre volte, e alla terza lo ammazzò addirittura ,. Cfr. D'Ancona A., Ricordi storici del Risorgimento italiano, p. 48. Col titolo di Miscellanea storico-letteraria vi stampò un documento inedito “ sulla frenesia di Francesco Burlamacchi , e cinque lettere inedite di Nicolò Machiavelli, tratte dall'Archivio Fio- rentino. Per gli altri lavori che v’inserì cfr. Bibliografia degli scritti di Alessandro D'Ancona; in Raccolta di “ “ studii critici dedicata ad Alessandro D'Ancona festeggiandosi il XL anniversario del suo insegnamento, Firenze, Barbèra, 1901, pp. xr-xu. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 23 (18) Il Fanfanì scrive: © Lo misi su insieme col Casali, e mi aiutavano valenti letterati di tutta Italia. “Io per altro facevo quasi ogni cosa. Il giornale è citato dalla Crusca per le scritture antiche che via via “ vi stampavo..... Spesso ritoccavo, sempre urbanamente, la quistione della Crusca, la quale fece sì presso ‘.il Ministro della Istruzione pubblica, che mi fu consigliato di smettere il giornale, come cosa poco con- “ veniente a un regio impiegato! Quasi tutto il giornale, come ho detto, lo facevo da me, ma ci scrissero: “l’ab. Casali, il Dal Rio, il P. Bartolomeo Sorio, il Bencini vice-bibliotecario della Riccardiana, il De Ba- “ tines, l'avv. Jacopo Ferrari, Carlo Milanesi, il prof. Angelo Paggi, Francesco Zambrini, Ettore Marcucci, “ l’ab. Corà, il dott. Alessandro Torri, Fausto Lasinio, monsig. Telesforo Bini, l’ab. Luigi Razzolini, Filippo “ Scolari, Alessandro D'Ancona, N. Patin, N. Cossa, G. B. Bolza, Marcantonio Parenti, Andrei, monsignor “ Montanari ,. Cfr. La Bibliografia di Prerro FANFANI, con parecchi documenti e alcune coserelle in versi, Firenze- Roma, Tipografia Cenniniana, 1874, pp. 40-42. (19) Anche questo giornale fu fondato e diretto da Celestino Bianchi. Era in foglio; prima si pubblicava quattro volte, poi due volte la settimana; durò dal 18 febbraio del ’54 al 20 gennaio del ’55; n’ uscirono, tra tutti, 114 numeri. Il D'Ancona v'inserì cinque recensioni: quella del Rodolfo, poema in quattro canti di Giovanni Prari [Torino, Biancardi, 1854] è firmata: Don Petronio Zamberlucco. Questo pseudonimo lo prese per la prima volta facendo una rassegna dell’azione drammatica, in sette parti, di Leone Fortis, intitolata : Cuore e Arte, che fu rappresentata a Firenze nel teatro del Cocomero, il 1853, dalla Compagnia Ribotti- Vestri, e l’anno successivo dalla Compagnia Sadowski e Astolfi. Cfr. IZ Genio, ann. II, pp. 398-399. (20) D'Axcona A., IZ primo delitto di stampa; in Ricordì e affetti, pp. 524-527. È (21) Vi stampò il capitolo III, che ha per soggetto Della filosofia di Tommaso Campanella. Cfr. IL Genio, ann. II (1853), pp. 74 e segg., 77 e segg., 86 e segg., e 89 e segg. (22) Il D'Ancona conservava, come “ carissima memoria ,, un ritratto del Vieusseux donatogli da lui, “ coll’indirizzo di propria mano ,. Nel ricordarlo, scriveva nel 1905: “ Esso sta nel mio studio, ed io lo veggo “ ogni volta che alzo gli occhi, e da quell'immagine benigna ritraggo nuova energia al lavoro e costante “ conforto ad adoprare la penna soltanto a fini nobili ed onesti ,. Cfr. D'Ancona A., Ricordi storici del Risor- gimento italiano, pp. 48-49. (23) Opere | di Tommaso CampaneLLA | scelte, ordinate e annotate | da | ALessanpro D'Ancona | e precedute da un discorso del medesimo | sulla vita e le dottrine dell'autore, Torino | cugini Pomba e comp. editori | [tipo- grafia e stereotipia del Progresso] 1854. Due volumi in-16° di pp. cccxnmi-180 e 152. Formano parte della Nuova Biblioteca popolare. Classe IV. Politica. Sono dedicate a Terenzio Mamiani, che “coi suoi mirabili scritti tolse dall’oblio il nome e le dottrine di Tommaso Campanella ed altamente sostenne la gloria della patria tradizionale sapienza ,. Il Discorso della vita e delle dottrine di T. C. occupa le pp. ix-cccxrum del yol. I. Seguono le Poesie filosofiche di T. C. col commento di Tozia Apami, pubblicate per la prima volta in Italia da G. Gaspare OrELLI, professore all'Università di Zurigo. Seconda edizione, con molte correzioni, per cura di A. D’A. Il vol. Il contiene: Aforismi politici di fra T. C. tratti dal ms. 6 (Bouhier della Bibl. R. di Parigi) e dal ms. 666 (Suppl.) per cura dell'avvocato Jacoro FERRARI, con note di A. D’A.j pp. 5-39; Discorsi politici ai Principi d’Italia di fra T. C. tratti dal Codice Magliabechiano VIII, 6, con note di A. D'A.; pp. 41-75; Della Monarchia di Spagna trattato di T. C. tolto dal ms. Magliabechiano cl. VIII, n. 6, con emenda- zioni e note per cura di A. D'A., pp. 77-229; La Città del Sole di T. C. Appendice alla politica poetica idea di una Repubblica filosofica, con l'aggiunta delle Questioni, pp. 230-310; Sopra l'aumento delle entrate del Regno di Napoli, discorso di T. C., tratto da un codice della Casanatense, con prefazione del march. Luier DRAGONETTI, pp. 311-338; Appendice e Varianti, pp. 339-350. (24) D’Axcona A., Dal mio carteggio; in Pagine sparse, pp. 337, 340, 341, 342 e 355. (25) Cfr. la recensione che delle Opere di Tommaso CAMPANELLA, scelte e ordinate da Aressanpro D'Ancona. fece l’ab. Gruseppe ArcanGELI nell'Archivio storico italiano, disp. XLV, pp. 587-592. (26) Nato a Bomba, negli Abruzzi, il 26 giugno del 1817, per provvedere alle strettezze della famiglia bisognò che si facesse prete; dura risoluzione presa contro voglia, e fonte d’aspre battaglie in quell’anima austera, insofferente di catene. Fuggito da Napoli, nel ’48, dopo l’infausta giornata del 15 maggio, riparò in Toscana; nel lasciarla un anno appresso, depose per sempre le vesti e il ministero di sacerdote; se pur non se n’era liberato fin dal ’47. È un punto oscuro della sua vita. Recatosi a Torino nel settembre del ’50, vi pubblicò gli Studi sopra la filosofia di Hegel, che offrì al ministro dell'Istruzione pubblica, chiedendo, ma indarno, una delle cattedre di filosofia allora vacanti negli Stati Sardi. Bertrando riteneva essere ‘il con- cetto filosofico , allora “ quasi smarrito , in Italia, e si offriva di ‘ restaurarlo , con farsi banditore del sistema di Hegel, a suo giudizio, il “ più vasto e compiuto della scienza moderna , e quello che “ ha maggior connessione con la nostra tradizione ,, giacchè per lui lo Spinoza e il Kant, il Fichte, lo Schelling e lo stesso Hegel, altro non sono che “ i veri discepoli, del Vanini e del Bruno, del Campanella e del Vico. A Torino, la città nativa di Vincenzo Gioberti; nel Piemonte, la seconda patria di Antonio Rosmini; queste dottrine non potevano trovare nè credito nè fortuna: e se lo Spaventa “ volle vivere a Torino, nei primi 24 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA “ venti mesi dovette abbandonare ogni speranza di trarre vantaggio alcuno dagli studi filosofici, e con- ‘“ tentarsi di seriver articoli politici su pei giornali quotidiani ,. Cfr. GentiLe G., Della vita e degli scritti di Bertrando Spaventa; in Spaventa B., Scritti filosofici, Napoli, Morano, 1901; pp. xxxm-x1m. Di quegli arti- coli non resta traccia; se ne trova soltanto il ricordo nelle sue lettere al fratello Silvio. Cfr. Spaventa S., Dal 1848 al 1861, lettere, scritti, documenti pubblicati da Beneperto Croce, Napoli, Morano, 1898, pp. 186 e 280. (27) La congiura del Campanella, ritenuta vera da tutti quando avvenne; poi, a mano a mano, ammessa in modo vago, o recisamente negata da’ biografi posteriori; riconosciuta vera dal Giannone, che ebbe tra le mani una copia del processo, ma lo esaminò in fretta, a sbalzi, senza bene sviscerarne la sostanza; verso la metà del secolo scorso tornò ad essere fatta soggetto di studio. Quando il D'Ancona mise mano al lavoro, fin dal 1845 era uscito alla luce in Napoli un volume di Documenti inediti circa la voluta ribellione di Fra Tommaso Campanella, raccolti ed annotati da Viro CariaLBI di Monteleone. Vi si legge, tra le altre cose, la Narratione della historia sopra cui fu appoggiata la favola della ribellione, dettata senza dubbio dal Campanella; alla quale fa seguito la Informatione sopra la lettura delli processi, fatti l’anno 1599 in Calabria, de rebellione contra Fra Tl'ommaso Campanella di Stilo, delli Predicatori; con la narratione semplice della verità, donde si cava subito la difensione di quella. Sia la Narratione, sia 1’ Informatione furono ristampate l’anno dopo a Firenze da Francesco Palermo, a pp. 619-644 del tom. IX dell'Archivio storico italiano, insieme con diversi Documenti sulle novità tentate in Calabria nell’anno 1599 [pp. 403-431). Nell'anno appresso Michele Baldacchini fece una ristampa della sua Vita di Tommaso Campanella |Napoli, all'insegna di Aldo Manuzio, 1847, in-8° di pp. 212], comparsa per la prima volta alla luce nel 1840, dove, a p. 83, scrive: “ Nè dico interamente “ falsa l’accusa , [contro il Campanella] “ di meditata ribellione, perciocchè troppo pubblicamente il Governo “ punì quelli che ne potè provare colpevoli, nè queste cose mai vanno senza un qualche fondamento di verità “immaginate. Nè tampoco dico che il Campanella per ineonsiderato desiderio di novità non vi accedesse. “ Bene dico ed affermo ch’ei non ne fu primo autore, com’egli ebbe a replicare più volte in Francia a’ suoi “ amici, quando poteva confessare il tutto senza pericolo. Però non gli si debbono imputare tutte le gravi “ conseguenze del fatto nel quale fu involto, sì, ma che non ebbe nè potere nè spazio di regolare a suo “ modo. Che se mai sì giungesse per via d’indubitate prove a dimostrare ch’egli con banditi e con turchi cer- “ casse in Calabria di stabilirvi la repubblica, allora bisognerebbe addirittura spacciarlo per matto. Pure egli “ matto non fu: i suoi libri bastantemente lo provano. Ma qualunque sia il giudizio che s’abbia a fare di “ questo fatto, il quale mi pare di sua natura destinato ad essere eterno problema per gli eruditi, come pa- “ recchi altri che ci porge la storia, le sue conseguenze furono gravi; funeste non solo alla civiltà di quella “ provincia, ma ancora alla civiltà dell'intera penisola italiana ,. Il Palermo [pp. xxrx-xxx], alla sua volta aveva scritto: “ In quanto alla storia che egli , [il Campanella] © avesse voluto commovere le Calabrie, e “ poscia il Regno, e sottrarlo alla dominazione Spagnuola, han dubitato alcuni, e hanno opposti diversi argo- “ menti. ..... Or questi dubbi, mercè i documenti , [che esso Palermo pubblicava] “ saranno in tutto levati “ via; restando riconfermato che il Campanella concepì una rinnovazione politica, e l’apparecchiava ancorchè “ fosse vero che il proposito e gli atti suoi, com’egli sostenne, non lo costituissero giuridicamente ribelle. Imperocchè niuno ch'io sappia, ha posto mente di aver esso Campanella negato l’aver detto e fatto; ma “ solamente che le parole e le opere sue non dovevano definirsi ribellione. Non è storica quistione, è giu- “ ridica. Ancor che, secondo il diritto, non fosse stata ribellione; non segue da ciò che non siano stati i fatti “i quali appunto egli avrebbe voluto spogliare di questo nome. È una sottigliezza forense, in cui i Napo- “ letani infelicemente a quel tempo erano addottrinati e l’adoperavano ,. Questo singolare episodio, il più importante della vita avventurosa e disgraziata del frate calabrese, ebbe finalmente uno storico nel prof. Luigi Amabile, che nel discorrere degli autori che lo precedettero, venuto al D'Ancona, scrive: “ Si occupò della congiura, ma attenendosi unicamente alla Narrazione pubblicata “ dal Capialbi, e già dettata dal Campanella, comunque di tale provenienza non si fosse mostrato persuaso; ‘ ed è facile intendere a quali conclusioni si fosse avviato, con la scorta della esposizione fatta da un uomo carcerato da oltre un ventennio, e destinata ad informare i giudici, che doveano ancora sentenziarlo. Volle seguire strettamente la massima, che quando gli autori parlano di sè stessi, sempre alle loro attestazioni prima che alle altrui devesi ricorrere; la quale massima, per verità, non avrebbe escluso un ricorso serio “ alle attestazioni altrui, trattandosi di un autore imputato di fatti gravissimi, in pericolo di pessima morte, “e quindi in necessità di difendersi anche nascondendo e ingarbugliando il vero. Trasportato da baldanza “ giovanile e da affetto impetuoso, il D'Ancona emulò il Baldacchini negli sdegni contro il Giannone, pescò appena, per deriderla, qualche strana, o maligna, o insulsa testimonianza inserta negli atti giudiziarii, “ abbracciò tutti in un fascio i ricordi de’ processi softerti dal Campanella in tempi e luoghi diversi, e concluse sommariamente essere inventata la congiura; mattissima accusa che per mezzo de’ Turchi volesse piantar la repubblica; impossibile ch'egli volesse farsi re; impossibile ch'egli volesse proclamar nuova legge e nuova reli- gione; ribalderia eredere ch'egli macchinasse col Turco; sciocchezza presumere un'alleanza fratesca, ece., ecc. Non credè di dover porre a riscontro della Narrazione del Campanella una narrazione condotta con ele- (4 “ MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE.II, VOL. LXV, N. 4. 25 R menti cavati dagli atti giudiziariî; percorse questi atti, pubblicò anche due di essi; ma degli atti medesimi “ da lui pubblicati, come di quelli percorsi, non mostrò di aver acquistata una conoscenza chiara. Infatti dando l’elenco de’ ventiquattro ecclesiastici incriminati, a capo de’ quali il Campanella, mostrò di credere che fosse quella la lista di tutti i congiurati rimasti in iscena, e non vide che vi erano rimasti ancor più che cento laici, senza contare che taluni altri erano stati già puniti coll'estremo supplizio, secondochè il carteggio dell’Agente di Toscana facea pure conoscere. Dando il doppio Breve, mercè cui Clemente VIII “ nominava i giudici della congiura per gli ecclesiastici, con facoltà di amministrare le torture, ecc., continuò <“ a parlare di Spagna e di Spagnuoli che processarono e torturarono il Campanella, mentre ogni cosa fu “ veramente fatta ad istanza del Governo Vicereale, ma da Delegati apostolici, dietro ordini formali emanati “ da Roma. Vedesi, per altro, questo errore professato da tutti coloro i quali hanno più o meno trattato del Campanella, come se non vi fosse stata a que’ tempi l’immunità ecclesiastica e da ciò può bene argomen- tarsi quanto le nozioni sulle cose del Campanella si trovino fuori via. Citando poi la requisitoria del Fiscale, il D'Ancona l’attribuì allo Xavara, mentre una lettera annessa al Breve, pubblicata da lui egualmente, mostrava essere stato nominato Fiscale D. Giovanni Sances. Parlando delle atrocissime torture sofferte dal Campanella, ripetè con gli altri che le aveva sofferte senza neppur mandar fuori un lamento (fiore retorico assai male a proposito), mentre nell'elenco, da lui pubblicato, a fianco del nome del Campanella leggevasi “ confexus. Volendo riportare le conclusioni del tribunale intorno al clerico Giulio Contestabile, divenuto “ accusatore del Campanella per salvarsi, scambiò le parole finali del riassunto degli indizi con quelle della difesa, ed affermò essersi concluso ex omnibus constat notoria innocentia ipsius cl. Julii Contestabilis, mentre “ invece avrebbe dovuto leggere, exulatus per quinquennium ,. Cfr. Amazire L., Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, î suoi processi e la sua pazzia, narrazione con molti documenti inediti politici e giudiziarii, con l’intero processo di eresia e 67 poesie di Fra Tommaso fin’oggi ignorate, Napoli, Morano, 1882, vol. I, pp. x1-xv. L’Amabile, professore di anatomia patologica nell’Università di Napoli, “ taglia , (la frase arguta e felice è di Francesco Fiorentino) © sieuro e senza convenevoli, come un uomo della sua professione ,. Cfr. FrorentINO F., Studi e ritratti della Rinascenza, Bari, Laterza, 1911, p.378. Il primo a riconoscerlo fu il D'Ancona, che scrisse: “ L'accoglienza del pubblico fu generalmente maggiore del merito del lavoro, che davvero se debbo giudi- “ carne adesso, e specialmente dopo i dotti lavori del prof. Amabile, è una specie di zibaldone, scusabile “ soltanto per l’età giovanile dell’autore ,. Cfr. D'Ancona A., Ricordi e affetti, p. 534. (28) Berrranpo Spaventa, Tommaso Campanella; in Il Cimento, rivista di scienze, lettere ed arti, ann. II, serie II, vol. IV, Torino, Tip. Scolastica di Sebastiano Franco e figli e comp., 1854; pp. 265-281, 425-440, 1009-1030. Ristampò questo lavoro ne’ Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, Napoli, Stab. tipografico Ghio, 1867; vol. I, pp. 3-32. (29) ll Mamiani gli scrisse, da Genova, il 28 ottobre del ’55: “Il suo bel libro sul Campanella è stato assai malmenato; nè la giovinezza dell'autore, nè i meriti molti e notabilissimi dello scritto hanno di- sarmato i critici. È egli un bene od un male? Non mi scomunichi, Sandrino mio, se le dico che forse gli è un bene. Un sol danno gravissimo e irreparabile potria provenire dalle censure inurbane ed ingiuste s’elle fiaccassero l’animo dello scrittore e lo inducessero a smetter gli studj e a disperare di sè medesimo. Ma io non temo in Lei questo pessimo effetto, chè sarebbe contrario all’indole sua generosa e al testimonio continuo che dee pur renderle la coscienza d’aver compiuto un lavoro pregevolissimo e il primo forse che siasi tentato ne’ nostri giorni in quella fatta di studj con larghezza di disegno e fatica grande d’indagini “ e d’erudizione, intendendo io parlare della nostra Italia, non dell’ altre nazioni, diligentissime a illustrare “i libri de’ loro antichi..... lo voglio dunque ch’Ella mi risponda essere più che mai infervorato dello stu- “ diare e dello scrivere e che s’apparecchia a lavori o d’altrettanta o di maggior lena ancora del già com- © piuto ,. All’accenno che fa il Mamiani, in questa lettera, dell’essere stato il libro “ assai malmenato ,, il D'Ancona pose la nota che segue: “ Specialmente dal Predari in non so qual giornale torinese, dal Came- © rini nel Crepuscolo, e con molta e competente dottrina da Bertrando Spaventa nel Cimento ,. Cfr. Dal mio carteggio, |-p. 351-352. Francesco Predari scagliò le sue folgori contro il D'Ancona nel Bollettino di scienze, lettere, arti, industrie italiane e straniere, periodico da lui fondato 1°11 luglio del 1853 e che smise di pub- blicarsi il 26 settembre del ’55, essendo venuto in uggia a tutti per le sue diatribe acri e scortesi e le vil lane polemiche. (30) L’Amabile non scorda Bertrando Spaventa nè la sua “ carica a fondo contro il D'Ancona ,. A giudizio di lui, “ la natura medesima della critica , condusse lo Spaventa “a discettare in modo speculativo sul lavoro “ del D'Ancona, anzichè a studiare i documenti, mediante i quali avrebbe confermato non essere stato reso “ bene il carattere del Campanella, e avrebbe avuto modo di renderlo egli stesso gon maggiore esattezza. “ Del resto, lo scopo suo principale fu manifestamente quello di aprirsi la via alla esposizione e alla critica G R R GI R K “ “ delle dottrine filosofiche del Campanella, sul quale tema egli si mostrò, come ognuno lo conosce, profon- “ damente versato ,. Cfr. Avari L., Op. cit.; I, xv. Quando l’Amabile, nel 1882, dava questo giudizio, * non “ si erano ancora compiuti gli studii che ci hanno mostrato poi il Campanella possessore di una doppia dot- 18 26 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA “ trina: una palese (che tutti credevano fosse la sola e la vera) e l’altra riposta, che passava per una biz- “zarria letteraria (la repubblica filosofica comunistica, la Città del Sole), che ora è provato essere il vero “ fondo del suo pensiero. Ma neanche ora — bisogna notarlo — , (son parole di Benedetto Croce) “ mancano “ in questo punto fra gl’interpreti, i contraddittori, benchè, a mio parere, senza sufficienti ragioni ,. Cfr. Croce B., Francesco De Sanctis e i suoi critici recenti, polemica; in De Sancmis, Scritti vari inediti 0 rari, Napoli, Mo- rano, 1898; II, 337. 31) Francesco Rurrimi, L'Università di Torino, profilo storico; nell’'Annuario della R. Università di Torino 1899-1900, Torino, Stamperia Reale, 1900, p. 40. A (32) Disgraziatamente nell’archivio della R. Università di Torino mancano le carte riguardanti gli esami della Facoltà di Legge degli anni 1855 e ’56, ne’ quali il D'Ancona incominciò i suoi studi. Il 9 luglio del ’57 sostenne gli esami del 3° anno di Legge (prima sezione) riportando punti 27/30. La commissione era composta di Antonio Callamaro, preside della Facoltà; di Luigi Genina, professore di diritto penale; di Luigi Amedeo Melegari, professore di diritto costituzionale; e di Francesco Ferrara, professore di economia politica. Il 27 novembre prese gli esami della seconda sezione ed ebbe punti 20/30. Presiedeya la commissione, al solito, il Callamaro, che aveva al fianco Gaspare Cesano e Giuseppe Buniva, professori di diritto civile, e Carlo Placido Gariazzo, dottore collegiato. La seconda sezione di esami del 4° anno la superò il 3 agosto del ‘58 con punti 26/30. La commissione esaminatrice aveva per presidente il Callamaro, e si componeva di Gio. Francesco Vachino, professore di diritto commerciale; di Matteo Pescatore, professore di diritto giudi- ziario; e del Melegari. Il 29 novembre del ’58 negli esami della prima sezione ebbe 26/30 punti. La commis- sione, preseduta anche questa volta da) Callamaro, si componeva de’ professori Vachino, Melegari e Pescatore. (33) Cfr. IZ Gabinetto di lettura, miscellanea di scritti francesi, inglesi e tedeschi in italiano, diretto da Ze- nocrate Cesari, ann. I, pp. 100 e 102. Si pubblicava una volta la settimana in fascicoli di 8 pp. in-4°, ed il 1° numero venne fuori il 4 aprile 1857. Il Cesari [1811-1884], già deputato di Osimo, sua patria, all'Assemblea costituente romana e amico svisceratis- simo del Farini, avvenuta la restaurazione, riparò in Piemonte, dove fondò anche un Circolo di lettura, molto frequentato dagli esuli che avevan messo stanza a Torino. Insieme col Farini e con altri fondò IZ Cimento, rivista di scienze, lettere ed arti [Torino, tipografia Ferrero e Franco], della quale fu © proprietario gerente ,. Incominciò a pubblicarsi nel gennaio del ’52. Il Farini fin dal 3 settembre del ’51 così ne aveva dato l’annunzio a Marco Minghetti: “ Si farà la rivista, giornale mensile. Si intitola: IZ Cimento. Bisogna mandar lavori letterari, econo- “ mici, politici, scientifici, statistici. Lavora tu e fa' lavorar gli amici. Se puoi trovare qualche azione, ci farai pia- “ cere. Son di cento franchi l’una. Compilatore ne sono io; consiglio di direzione: Melegari, Boncompagni, Buffa, “ Mancini, Caracciolo; collaboratori: Balbo, Cantù, Gustavo Cavour, Berti, ecc. ,. Cfr. Mincnemni M., Miei ricordi; INI, 330 e seg. Il D'Ancona così ne parla nella sua corrispondenza letteraria dal Piemonte del 12 feb- braio 1855 allo Spettatore: © Il Cimento, il più anziano dei giornali nostri a fascicoli, col presente 1855, inco- ‘ mincia il suo terzo anno di vita; vita creduta cessata non è molto, per buono spazio di tempo, e che minacciava di spengersi anco collo spirare del 1854. Ed eccone la ragione. Il direttore del Cimento per rompere un poco “ la grave uniformità del suo periodico, introdusse nell’ultimo numero dell’annata una Rivista Torinese fatta da uno spiritoso scrittore nostro, Marcelliano Marcello, direttore del Trovatore. Sapete che per solito le riviste han per costume di tagliar î panni alla gente o, come direbbe il Prati, a morder ne' panni. È “ 03 questa del Marcello proprio mordeva, e precisamente un egregio valentuomo, il Vegezzi-Ruscalla, uno dei più assidui e bravi collaboratori del giornale. Pare che la cosa passasse d'occhio al direttore, ma non già al Vegezzi-Ruscalla, che giustamente se ne risentì col Cesari, e dichiarò di ritirarsi dal giornale con altri suoi “ “ “ amici. La diserzione sembra che divenisse tale da persuadere il Cesari a decretare, in un avviso del Pie- “ monte, la morte del giornale: ma il rimedio fu pronto il giorno appresso, quando in altro avviso del Pie- “ monte si lesse che il Cimento avrebbe continuato regolarmente le sue pubblicazioni, e già ne sono usciti due numeri. Fra gli articoli letterari degni di considerazione, vi segnalerò una critica della Beatrice Cenci GI del Guerrazzi, fatta dal prof. Francesco De Sanctis, napoletano; un primo articolo di Bertrando Spaventa Sul principio della riforma religiosa, politica e filosofica del secolo XVI, che servirà d’introduzione ad alcuni Studii sui filosofi moderni italiani; e un altro primo articolo di Cesare Correnti su Cristoforo Colombo, che fa “ parte di una serie di Studi sul genio italiano ,. Cfr. Lo Spettatore, ann. I, n° 4, 25 febbraio 1855, p. 42. Tornò a scrivere il 25 novembre dello stesso anno: “Il Cimento, diretto da Zenocrate Cesari, che poco se “ ne occupa, mostra già palesi i cenni di una prossima morte, che pareva dovessero allontanare la collabo- © razione assidua di Bertrando Spaventa e di Francesco De Sanctis, ambedue valentissimi ,. Cfr. Zo Spetta- tore, ann. I, n. 46, 16 decembre 1855, p. 545. Fu profeta: il Cimento di lì a poco si fuse con la Rivista contemporanea. Il 3 marzo del 756 il La Farina, indignato, scriveva ad Atto Vannucci: © Avrete veduto che il Cimento è andato a morire in sagrestia ,. Cfr. La Farina G., Epistolario; II, 8. (34) IZ Cimento di Torino così annunziò la comparsa dello Spettatore: “ Il signor Celestino Bianchi, già “ collaboratore della Patria, il bel giornale fiorentino, e direttore del Nazionale, ha ora fondato una rassegna GI ri ci MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 27 ni ebdomadaria, donde è esclusa la politica, e dove hanno per tanto più favorevole e sicuro ospizio le scienze, s le lettere, le arti e le industrie. Egli ha scelto l’ordine e le forme dell’Afeneo francese, che è una imita- zione più o meno felice dell'Ateneo inglese, il quale è riuscito così bene che tutte le culte nazioni ne hanno “ seguito l'esempio. La Toscana non aveva un giornale che riflettesse tutto il movimento intellettuale di quella classica terra. Spenta l’Antologia, furono parecchi, ma deboli e fugaci i tentativi, e solo le riviste speciali riuscirono. Se non che certo pubblicazioni, come, per esempio, l'Archivio storico del Vieusseux e la R Biblioteca nazionale del Le Monnier, facevano fede della gravità e costanza degli studi toscani. Onde non R poteva mancare che sì avesse finalmente a svolgere degnamente la letteratura periodica, ch’ è come la prima orditura dei lavorì dell'intelletto. E nel vero, abbiamo già il Nuovo Cimento, giornale di fisica e di chimica, compilato dai chiarissimi professori Matteucci e Pirià, un Archivio trimestrale del Vieusseux con- R sacrato specialmente alle scienze storiche, e questo Spettatore del Bianchi. Nei primi numeri, oltre la va- R rietà della materia, è da pregiare la squisitezza di alcuni lavori. Vi sono pagine inedite del Tommaseo intorno a Dante, e pare che il dotto scrittore si ricorderà regolarmente a’ suoi Toscani, che tanto l’am- mirano. Vi è un dottissimo discorso del signor Alfredo di Reumont, ministro di Prussia a Firenze, intorno “ alle relazioni della letteratura italiana con quella di Germania. Questo discorso fu detto dall’autore alla Accademia della Crusca nell’entrarne accademico. Egli è affezionatissimo alla nostra letteratura e si può R quasi dire nostro compatriota. Un suo scritto: La giovinezza di Caterina de’ Medici, verrà tradotto, rivisto R da lui e pubblicato nello Spettatore. Avremo poi bellissime illustrazioni di dipinti scritte dall’Arcangeli, “ dallo Scartabelli e da altri elegantissimi scrittori toscani. Noi abbiamo bisogno di udirli spesso per non imbarbarire. Anzi l’Arcangeli ha già egregiamente illustrato un quadro ad olio del cav. Vincenzo Rasori, rappresentante Guglielmo Embriaco, ammiraglio de’ Genovesi nella prima crociata, che fa cessare la strage “ de’ Saraceni rifugiati nella Meschita di Cesarea. Notammo anche una bella corrispondenza letteraria dal Piemonte, della quale non partecipiamo tutti i giudizii, ma lodiamo la finezza. A noi pare, in fine, il “ giornale fiorentino sia nato vitale e che possa giovare agli studi ed al credito letterario della Toscana, e R crescerne le relazioni e l'affetto, per le vie sì intime della letteratura, col rimanente d’Italia ,. L'articolo è firmato D. Fu scritto o ispirato dal D'Ancona, per suggerimento del Barbèra, come si ricava da una sua lettera del 20 aprile ‘55, in cui si legge: “ Mio caro signor Alessandro, ci faccia scrivere da qualche persona autore- “ vole, o scriva lei, col suo nome, col suo ingegno, una lettera intorno al modo con cui procede lo Spetta- “ tore, facendo i nomi di tanti che sono in Toscana, e che non si sono fatti vivi, ad onta degli inviti, delle “ preghiere, delle istigazioni e delle seduzioni adoperate. Ma si muove il Niccolini, del quale il manoscritto “è pronto; mi verrà, credo, lunedì. E il Niccolini l'ho fatto rivivere 10; e n'è contento. Si credeva dimen- “ ticato; colpa non sua, ma de’ suoi, che al futuro biografo ne daranno conto ,. Cfr. Barbra G., Lettere, Firenze, Barbèra, 1914, p. 222. Il 1° numero vide la luce il 4 febbraio del’55. Si pubblicava tutte le domeniche, in fascicoli di 12 pa- gine in-4°, a tre colonne. Aveva questo titolo: Lo Spettatore, rassegna letteraria, artistica, scientifica e indu- striale. Se ne legge un cenno negli Annali bibliografici e catalogo ragionato delle edizioni di Barbèra, Bianchi e Comp. e di G. Barbèra, con elenco di libri, opuscoli e periodici stampati per commissione, 1854-1880, Firenze, Barbèra, 1914, pp. 554-556. Cfr. Barsira G., Memorie di un editore pubblicate dui figli, Firenze, Barbèra, 1883, pp. 106-110. Lo Spettatore, © fondendosi via via con altri giornali, nel 1858 si cangiò in Spettatore toscano, “ in italiano l’anno appresso, durando, sotto la direzione dell’avv. Achille Gennarelli, fino al 20 luglio 1859 ,. Cfr. D'Ancona A., Gaspero Barbèra; in Ricordi ed affetti, pp. 334-385. (35) Le Corrispondenze letterarie (dal Piemonte) son firmate D. P., cioè Don Petronio. Quelle inserite nella prima annata furono scritte il 12 febbraio, il 1°, il 25 e il 30 marzo, il 5 maggio, il 30 luglio, il 31 agosto, il 15 e il 27 ottobre e il 25 novembre del 1855; e si leggono nelle pp. 28-31, 41-43, 64-66, 101-102, 111-113, 172-174, 232-234, 327-330, 375-377, 445-448, 483-486, e 543-545. Nella seconda annata (1856) ne fece due sol- tanto e si trovano nelle pp. 30-33 e 134-137. Ml Barbèra scriveva al D'Ancona il 26 gennaio del ’55: £ Celestino [Bianchi] è tutto dedito al giornale “ Lo Spettatore, che uscirà il 4 febbraio. Fior d’articoli abbiamo: Guasti, Reumont, Vannucci, Arcangeli, € che ha fatto la pace con Vannucci, Sagredo, Polidori e molti altri. Serissi in modo a Tommaseo, che spero “non mi mancherà..... So ciò ch'Ella scrisse a Celestino per la corrispondenza..... Mandi la prima per il © primo Numero ; se no, per il secondo..... Ma ci vorrebbero non meno di due lettere il mese: quattro, per “ lei, penso siano troppe, o la materia mancherebbe. Ci parli dell’Università, dei costumi e dei letterati del © paese: strade ferrate, imprese tipografiche e industriali: spruzzi di politica non guasterebbero; e avviereb- “ bero il giornale alla cronaca e alla corrispondenza politica ,. Il 15 di febbraio gli tornò a scrivere: “ La “ sua corrispondenza non solo è già composta, ma si sta impaginando: da me con Celestino letta a riscontro © attentamente, leggermente modificata per la parte politica e per dare più aspetto di Piemontese e non “ Toscano a chi serive..... Più calma nella corrispondenza, ma non desista: nessun altri che lei può farla € così bene come fa; è convenuto con Celestino del maggior segreto possibile, e l’ho raccomandato anche 28 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ ANCONA al proto ,. Il 26 di marzo gli parla di nuovo dello Spettatore: “ Perdio, si alzerà questa mole del giornale, e si alzerà a benefizio e a onore di questi poltroni fiorentini, senz'anima e senza fede in nessuna cosa; ma vedranno e dovranno ravvedersi. Il giornale ha destato simpatie non poche fuori di qui: qui ne dicono benino, e stanno a vedere. Gli associati crescono adagino, e sono di classi elevate ,. Accenna poi alla corrispondenza , del D'Ancona, affermando: * Qui e fuori di qui piacque molto ,. E il 3 d’aprile: Quest'ultima sua lettera le fa proprio onore, e le precedenti piacquero al Selvatico a Venezia, dal quale ricevo lettere che parlano con onore del corrispondente dal Piemonte, e nessuno dice Piemontese..... Vedrà che il giornale va di bene in meglio ,. Di nuovo, il 7 del mese stesso: “ Tommaseo, prima disse un po’ male della corrispondenza, notando che vi era troppa celia, e che Ze non son cose da celia, nè tempi da celia, e gl’Italiani sanno raramente celiare con garbo. Poi, quasi, e senza quasi, correggendosi, mi scrisse: “ Dubitavo che il corrispondente cadesse in seguito in cose comuni; ma invece vedo che riprende il cammino be- IISSIMO.s. E il giornale procede di bene in meglio ;. In un’altra lettera del Barbèra al D'Ancona, seritta nel maggio, si legge: “ Le sue lettere piacciono assai; solo da alcuni (Tommaseo fra questi) si desidera più “ moderazione e tranquillità nel dire le sue molte e buone e belle ragioni. E perchè lasciar cadere dalla “ penna gli scioglimenti del Prati? Del resto, più che mie, queste sono opinioni di chi vuole che lo Spet- “ tatore cammini in una via piena di dignità e di grazia ,. Cfr. Barsdra G., Lettere, Firenze, Barbèra, 1914; pp. 207-228. (36) Autobiografie. | Petrarca, | Lorenzino De’ Medici, Chiabrera, | Vico, Raffaello da Montelupo, | Foscolo, Balbo. | [impresa della rosa] | Firenze, | Barbèra, Bianchi e Comp. | 1857; in-48°, di pp. xx-459. Forma parte della Collezione Diamante. La Prefazione è firmata X; nelle successive edizioni del 1859 e del 1863 comparisce il suo nome. La Rivista di Firenze [ann. I, vol. II, pag. 298] ne dette questo giudizio : “ Le autobiografie erano tutte note, tranne quella di Raffaello da Montelupo, artista che l'editore dice per “ certa conformità d'indole affine al Cellini; prima orafo, poi scultore, e infine anch'egli artigliere alla difesa “di Roma. Le altre furono stampate come nelle precedenti edizioni, ma l’Apologia di Lorenzino de’ Medici “ fu qui migliorata col confronto di un codice Riccardiano, il quale dette modo a toglier via molti errori. “ Nè queste sole furono le cure di chi assistè la graziosa edizione. Invece di noiare i lettori colle solite “ pedanterie di chi fa prefazioni, l'editore con breve e succoso ed elegante discorso toccò dell'importanza “ delle autobiografie di cui è ricca la nostra letteratura; disse argute e sapienti parole delle principali fra “ esse, e concluse che colla vita degli scrittori contenuti in questo libretto si può idealmente ricomporre nei “ suoi elementi la vita italiana dal medioevo a noi: la meditazione melanconica, la politica calcolatrice, la pas- “ sione dell’arte nei suoi diversi aspetti, la divinazione scientifica, l'ironia socratica del filosofo, la fede e Vope- “ rosità del buon cittadino, sono espresse qui entro in modo che, dilettando lo spirito, promuove la mente a pro- “ fonde considerazioni ,. “ (37) Rivista di Firenze e bullettino delle arti del disegno, pubblicazione mensile di scienze, di lettere e arti, diretta dal prof. Avro Vannucci. Si stampava co’ torchi di G. Mariani, e durò dal 1° gennaio del 57 al 81 decembre del '59. Il suo programma fu questo: “ Dar notizie utili di quanti più fatti potremo raccogliere in materia “ di scienze morali, di lettere e d’arti; seguire in Italia e fuori l'ingegno e il pensiero italiano rendendo conto di ogni sorta di opere, e cercandovi sempre il concetto morale e civile, senza cui gli scritti servono a ingombro, o a yano trastullo, o a peggio; parlare dei libri stranieri che giovano alla civiltà universale, o più particolarmente al miglioramento del nostro paese; seguire accuratamente i progressi delle arti del disegno e far la storia delle opere che si producono tra noi... A quelli che esercitano l’arte della parola ricorderemo sempre l'obbligo sacro che hanno di usare la poesia e l’eloquenza a innamorare del bene, & difendere fortemente la causa del vero; di non adornar mai la lusinghiera menzogna, di non perdere il tempo in vane contese e in sfoghi di triviali passioni; di non contaminare l’ingegno con vituperi, e di non vender mai nè a nessuno la penna; chè siffatto mercato è l'offesa più sozza che l’anima umana possa fare a sè stessa ,. (a (a (38) IZ Passatempo, giornale settimanale, fiorentino, per testimonianza del Fanfani, © ebbe principii umi- lissimi ,, ma “ non tardò per altro a farsi strada anche tra’ valentuomini, che non isdegnarono di farsene cooperatori. Lo propose Zanobi Biechierai, e mi unii ad esso io, cooperando anche Antonio Fantacci ed i fratelli Foresi, Raffaello e Alessandro. Piaceva molto; e lì cominciarono le dispute. col dott. [Odoardo] Turchetti e col traduttore del Beppo del Byron [Giacinto Casella]. Queste erano condotte da altri sul principio: ma, al solito, tutta la colpa si dava a me. Una delle cose che più andarono a genio de’ lette- rati, fu uno scritto contro il Lamartine, che aveva sparlato di Dante..... Scrissero nel Passatempo Zanobi Bicchierai, ora direttore della Scuola normale maschile, Antonio Fantacci, ora segretario al Ministero del- l'interno, Pietro Fraticelli, Enrico Bindi, ora arcivescovo di Siena, il canonico [Giuseppe] Silvestri, Pietro Contrucci, Aurelio Gotti, ora direttore della Galleria, Raffaello Foresi, dott. Alessandro Foresi, Angelica Palli, Raffaello Lambruschini, Alessandro D'Ancona, ora professore nell'Università di Pisa, Francesco Ma- ranghini, Pietro Fanfani. Nella forma primitiva, e con questi scrittori, durò fino al settembre 1856; MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. &. 29 “ poi, mutata compilazione, lo seguitò per un altro poco il Polverini editore, aiutato dall'avv. [Achille] “ Gennarelli ,. Cfr. La Biobibliografia di Pierro FanraAnI, con parecchi documenti e alcune coserelle in versi, Fi- renze-Roma, Tipografia Cenniniana, 1874; pp. 56-58. Il Bicchierai, fondatore del Passatempo, come notò giusta- mente Stanislao Bianciardi, “ prese a riveder le buccie ai giornaletti d'allora ,, e acciuffato “ il manico “ della granata, diè santissime legnate all’umorismo plateale e al gallicismo degli Sterne in trentaduesimo, “ e fece con quel foglio molto bene alle lettere ed alla patria ,. Cfr. Arvìa C., Tre giornali fiorentini; nel Fanfulla della Domenica del 6 e 13 decembre 1903. Racconta il prof. Giuseppe Rondoni, che l’umoristico giornaletto “ fino dai primi numeri dovette aumentare la tiratura, e parecchi ne ristampò per soddisfare alle “ richieste molteplici. Il ministero dell'interno gli appioppò un mese di sospensione dal 30 agosto al 80 set- “ tembre del 1856, anno primo della sua vita ,. Cfr. Ronponi C., I giornali umoristici fiorentini del triennio glorioso (1859-61), Firenze, Sansoni, 1914, p. 11. (39) La fondò Giuseppe Saredo di Savona, allora giornalista, e il suo primo fascicolo uscì alla luce il 1° di settembre del '53 col titolo di Rivista contemporanea di scienze, lettere, arti e teatri. Ne lasciò quasi subito la direzione, che fu pigliata da Luigi Chiala. Il 1° gennaio ’54 s’intitolò: Rivista contemporanea. Filosofia-storia-scienze-letteratura-poesia-romanzi-viaggi-critica-archeologia-belle arti. Se ne pubblicava un fascicolo al mese. Ci serissero Eugenio Camerini e Giuseppe Revere, il primo con lo pseudonimo di Guido Cinelli, il secondo con quello di Cecco d’Ascoli: vi collaborarono il Rosmini e il Tommaseo, il Mamiani e lo Sclopis, il Boncompagni e il Ricotti, il Guerrazzi e il Peyron, Giovanni Arrivabene e Domenico Berti, Fran- cesco Selmi e Cesare Correnti, Luigi Torelli e Giuseppe La Farina, Tullio Dandolo e Vittorio Berseziò, Ariodante Fabretti e Carlo Mezzacapo, Antonio Gallenga e Pietro Paleocapa, Carlo Alfieri e Michele Cop- pino, Pietro Maestri e Giuseppe Regaldi, Angelo Camillo De Meis e Salvatore Tommasi, Giuseppe Del Re e Federico Napoli, Giovenale Vegezzi Ruscalla e Costantino Nigra, Giuseppe Greppi e Luigi Zini, Pier Ales- sandro Paravia e Giuseppe Massari, Giambattista Cereseto e più altri. Bertrando Spaventa scrisse: “ Il © maggior difetto d'una Rivista è di non aver la coscienza d’un principio e d’uno scopo determinato. Tra “ quelle che si pubblicano in Torino ve ne ha una che non solo non ha questa coscienza, ma ha all'opposto “ la coscienza di non essere obbligata da alcuna unità di principii..... La Rivista contemporanea è un vero “ magazzino universale di scienze e di lettere, nel quale ci è roba per tutti i palati e per tutti i gusti..... © Se io annunciassi al pubblico un giornale con questo programma: — Armonia della Civiltà Cattolica e del € Cimento —, il pubblico terrebbe per uno scherzo la mia proposta. E pure questo programma è a un di presso “un fatto, e questo fatto è la Riviste contemporanea ,. Cfr. SrAventa B., Rivista delle riviste. La Civiltà Cattolica e Za Rivista contemporanea; in I Piemonte, ann. II, n° 14, 16 gennaio 1856. Lo stesso Vittorio Bersezio, uno de’ collaboratori, mentre riconosce che “ fu veramente in Piemonte una pubblicazione impor- tante ,, è costretto a confessare: “ Ella fu sempre, e più ancora nei suoi principii, alquanto farraginosa, “ non senza tendenze contradittorie ne’ suoi collaboratori, prima con predominio di tinte oscure, quasi “ clericali, poi rischiarandosi via via e liberaleggiando sempre ,. Cfr. Bersezio V., IZ regno di Vittorio Ema- nuele II; V, 163 e seg. Il D'Ancona, nella sua corrispondenza dal Piemonte del 12 febbraio 1855, ne dette questo giudizio: “ La © Rivista contemporanea vanta fra’ suoi collaboratori dei nomi che occupano un posto assai alto nella odierna nostra letteratura..... Fuori d’Italia ha il Nettement (vivace ingegno, qualunque sieno le sue opinioni po- R litiche), il Montalembert, del quale dico il medesimo, ed il Lamartine. Del Rosmini la Rivista ha pubbli- R cato una prefazione ad un nuovo lavoro sopra Aristotile; la quale, quantunque non sia garbata all’avvo- cato Brofferio (ed è disgrazia da consolarsene presto), è un’utile guida a penetrare nelle grandi lotte della filosofia cristiana nel medio-evo..... Del Mamiani la Rivista avrà nel prossimo fascicolo uno scritto Sulla Nazionalità. Del Tommaseo inserirà ogni mese un articolo; e vi segnalerò, fra i comparsi finora, quello sul Supplizio d’un italiano a Corfù, ove l’autore ha fatto mostra di una straordinaria potenza descrittiva. Nè so come il Direttore del giornale abbia potuto nel medesimo fascicolo riferire dalla Civiltà Cattolica, sotto la rubrica: Gioielli della letteratura italiana, an brano di Ubaldo e Irene del P. Bresciani, del quale egli dice che dal lato descrittivo non ha altro in Italia che gli possa stare a pareggio. Ma il Tommaseo dipinge, e il Bresciani tesse lunghi cataloghi di parole. Leggete quel brano e troverete in poche pagine un erbario intiero, e poi un nomenclatore dell’arte della scherma: e sempre del medesimo tuono, affastel- lando e infilzando un dietro l’altro vocaboli studiati e rinvenuti per entro i Dizionari. Eppure v’ha chi sostiene che il Bresciani sia un grande scrittore: come se l’arte fosse solo di frasi, e non ispirazione ed affetto! Anche il Revere dà un tributo mensile alla Rivista col suo spiritoso Procaccio di Torino, che ha risvegliate non poche suscettibilità e scottate parecchie persone..... Ma se la Rivista contemporanea vanta sì belli ingegni tra’ suoi collaboratori, non loderò il Direttore di dar loro per compagni degli scrittori € sotto il mediocre ,. E tra’ “ mediocri , tira in ballo ‘ allora scarabocchiava ne’ giornali, per fare sbadigliare la gente; poi conclude: “ Dopo tutto ciò mi pare di © poter dire al Chiala che si ricordi che il giornalismo è letteratura militante, e il primo suo pregio è 4 un tale, Dell’ Ottaviana e Michele Coppino, che 30 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA ‘“ quello di farsi leggere, e non di far perdere il tempo inutilmente, oggi principalmente che poco ne avanza. “ Con tutto ciò credo che la fiviste sarà il giornale che più si assoderà in Piemonte, se caccerà da sè “ l'elemento pedantesco, che ancora vi è intruso, se darà luogo anche a materie confacenti ai tempi e se si “ scorderà del tutto gli antichi amori gesuitici ,. Cfr. Lo Spettatore, ann. I, n° 4, 25 febbraio 1855, p. 42. Nove mesi dopo tornò a scrivere: © La Rivista contemporanea sbrattata a poco per volta degli arcadi e “ semi-gesuiti, che da principio la occupavano, si appresta, mercè le cure continue del suo giovine direttore, R Luigi Chiala, a prendere il primo posto..... Questo giornale s'incammina sempre al meglio, assume ogni giorno più autorità in fatto di giudizi letterari, e va prendendo vera forma di Rivista con delle rassegne “ mensili di storia contemporanea, di scienza, di musica e di letteratura. Durare è il gran segreto della vita giornalistica. La Rivista dei due Mondi dopo venticinque anni di lotte, dopo aver fatto fallire tre società “ ed assorbiti cinquecentocinquanta mila franchi, potè prendere il posto eminente che ella occupa al pre- sente. Senza pretendere di rappresentare due mondi, sarà assai se la Rivista contemporanea potrà, proce- (i R (A dendo anche un poco più innanzi in fatto di principii politici, rappresentare degnamente la letteratura italiana dei nostri tempi in Piemonte ,. Cfr. Lo Spettatore, ann. I, n° 46, 16 decembre 1855, p. 545. Giu- seppe Massari con le sue rassegne mensili degli avvenimenti politici del giorno, che il D'Ancona segnala, dette, come notò Silvio Spaventa, Cfr. Spaventa S., La politica della destra, scritti e discorsi raccolti da BenepErto Croce, Bari, Laterza, 1910, p. 154. Nel febbraio del 56 il Cimento si fuse con la Rivista contemporanea. Così ne fu dato avviso ai lettori : (I (1 il primo saggio , all’Italia “ di letteratura politica di simil genere ,. “I Direttori del Cimento e della Rivista contemporanea desiderosi di compilare una Rassegna, la quale, riu- “ nendo i più chiari ingegni della Penisola, faccia fede agli stranieri dei progredimenti civili e letterari “ del nostro paese, e di secondare così eziandio il voto di egregi uomini e di molti fra i loro rispettivi “ associati, deliberarono di congiungere in uno i due giornali, e si stabilì che questo portasse il nome di © Rivista contemporanea. Nulla è innovato nell’andamento della Rivista; più svariata sarà la disposizione “ delle materie, poichè agli scrittori antichi vengono aggiunti parecchi altri, i quali prestarono fin qui la “ loro opera al Cimento ,. L'esempio del Cimento fu seguito anche dall’Enciclopedia italiana, diretta da Giu- seppe La Farina. Il Chiala fino a tutto l’agosto del 1856 seguitò a essere il direttore della Rivista rinsan- guata. Nel settembre, Zenocrate Cesari fa la sua prima comparsa come “ direttore-amministratore , al fianco del Chiala, sempre “ direttore ,. Col 1° di gennaio del ’57 il Chiala si ritira e il Cesari diventa “ direttore- gerente ,. Perchè mai il Chiala abbandonò una Rivista, alla quale aveva dato tante cure e fatiche? Se ne trova la spiegazione in queste parole che, nel ’68, Bertrando Spaventa scriveva al prof. De Meis: “ Ti ricordi in Piemonte, quando l’Italia era colà? La Rivista contemporanea (che si diceva cattolica) am- “ mazzò il Cimento (che era detto razionalista); ma ammazzandolo, mutò meta e un po’ anche natura; prese “un po’ quella dell’ammazzato ,. Cfr. Spaventa B., Scritti filosofici, Napoli, Morano, 1901, p. 296. Il Chiala, “ era stato destinato al ministero eccle- siastico, pel quale parevano vocazione in lui l'indole mite, l'umore tranquillo, il carattere riflessivo e taci- nella sua adolescenza, (mi valgo della penna di Vittorio Bersezio) R R turno; e già vestito della cotta clericale, egli aveva fatto le scuole in seminario, dove erasi mostrato uno degli allievi più distinti, in lettere soprattutto. Ma venuto appena a contatto colle prove della vita, non riconobbe in sè sufficiente la vocazione sacerdotale, e si spogliò dell’abito pretesco. Però, l’ambiente in cui era rimasto fin allora, l'insegnamento ricevuto, l'influsso della famiglia ciecamente soggetta al catto- licismo papale, lo mantennero per alcun tempo proclive più alla parte del regresso che a quella del libe- ralismo. Scrisse una serie di Biografie contemporanee in cui erano esaltati i campioni delle dottrine clericali, “ non benevolmente giudicati gli avversari, e nella Rivista contemporanea medesima le puntate de’ primi “ anni sapevano frequentemente di opinioni e propositi, a cui doveva sorridere la Curia Romana ,. Cfr. Ber- sezio V., Op. cit.,; VI, 164. Trovatosi a disagio con le libere penne de’ vecchi collaboratori del Cimento, tra’ quali primeggiava Bertrando Spaventa, lasciò al Cesari la direzione della Rivista e se ne ritrasse affatto. Il Cesari la tenne fino al luglio del ‘59, ed ebbe per successore Guglielmo Stefani. Il D'Ancona vi fece la recensione della Storia della Letteratura italiana di Paolo Emiliani Giudici [ann. II, vol. IV, fase. 25, ot- tobre 1855, pp. 394-398], de' Racconti popolari di Pietro Thouar, delle Lezioni di Mitologia di G. B. Niccolini, de’ Versi di Emilio Frullani, del dramma tragico Pier Lwigi Farnese di Braccio Bracci [ann. III, vol. IV, fasc. 26, novembre 1855, pp. 704-710] e dell’IWustrazione di Milazzo di Giuseppe Piaggia [ann. V, vol. IX, fasc. XXXIX, gennaio 1857, pp. 138-144]. (40) Ne conservò così tenace ricordo che il 24 giugno del ’73 scriveva a Carlo Landriani: “ Ero esule a “ Stresa, nel 1855, quando le critiche fatte nello Spettatore dal mio fiero D'Ancona alla traduzione della © metafisica di Aristotele me le trassero dalla penna ,. Cfr. Bonea R., Perchè la letteratura non sia popolare in Italia, lettere critiche, Milano, Bernardoni, 1874, p. IV. (41) Alcuni di questi articoli furono ristampati dal De Sanctis stesso nell’edizione de’ suoi Saggi critici, che fece per la prima volta a Napoli nel 1866; e alcuni, che gli sfuggirono, vennero poi raccolti da Vit- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. s1 torio Imbriani. Cfr. Serittà criticò dì Francesco De Sancmis, con prefazione e postille dì Virrorio ImerianI, Na- poli, Morano, 1886; in-16°, di pp. vi-121. La mattina dell'’11 agosto 1855 ebbero luogo a Torino nella chiesa della Gran Madre di Dio i funerali del generale Guglielmo Pepe, e il De Sanctis, tra gli altri, con parole affettuosissime, ne salutò la salma; parole che furon poi riprodotte a pp. 295-301 de’ Nuovi saggi critici, Napoli, Morano, 1872. Ecco quanto di que’ funerali trovo scritto nel giornale L'Unione, ann. II, n° 219: “ ("3 Essi furono modesti, ma riechi d'affetto. V'intervennero moltissimi e forse tutti gli esuli delle varie pro- vincie italiane, d'ogni partito e colore, commossi da un sentimento solo ed uniti dal pietoso pensiero di “ rendere gli ultimi omaggi al benemerito cittadino e generale italiano..... Dopo la sacra cerimonia, la salma “ dell’estinto fu accompagnata all'ultima dimora. Il funebre corteggio s'incamminò per la via di Po; indi, “ attraversando la contrada della Posta, sboccò nel viale di S. Massimo e di là procedette sino al campo- “ santo. Per difetto di spazio ci asteniamo dal fare cenno dei commoventi discorsi pronunziati dai signori “ De Sanctis, Arago, Boggio e D’Ayala ,. tisno; ne’ quali, al programma rante alla corona di Napoli, il De Sanctis « Nell'ottobre dello stesso anno pubblicò a Torino nel giornale 72 Diritto i tre famosi articoli sul Murat “ meschino, artificiale e malefico , de’ partigiani di Luciano Murat, aspi- “ contrapponeva quello della schietta italianità e dell’unione col Piemonte ,. Cfr. De Sancris F., Scritti variîì inediti o rari raccolti e pubblicati da Benepemro Croce; I, xvi-xvni, e 179-202. (42) Prer Camino OrcurtI, Lezioni pubbliche sulla Divina Commedia del prof. Francesco De Sanctis; in Il Cimento, rivista di scienze, lettere ed arti, ann. III, serie III, vol. V, pp. 611-623. Il giornale torinese L'Unione [ann. II, n° 90, 31 marzo 1855], fondato e diretto da Aurelio Bianchi Giovini, in un articolo: Dante spiegato al pubblico torinese, così ne tenne parola: “ A ragione ci verrebbe fatto « “ “ K appunto di essere noi Italiani prestissimi a scimmieggiare nelle frivolezze della vita quanto sa di fore- stiero, e specialmente di gallico stile, e di essere per contro molto tardi a far nostre le ottime istituzioni che ci vengono d’oltremonte e d'oltremare. A farci di questo capaci ci basterebbe por mente al modo con cui e nelle scuole e nei pubblici istituti suolsi aver in non cale lo studio del Divino Poeta; e volgere l'occhio ad altre contrade ove miglior conto fassi di nostre glorie letterarie. Infatti in questa città stessa “ appena che s’udisse di Dante, se vogliasi far eccezione dell’esposizione ufficiale commessa al prof. Paravia, “ che, non bastando all'ufficio, immiseriva fra le pastoie di un gretto commento grammaticale gli alti con- G R R R cetti del Fiorentino Poeta. Dalla dotta Germania invece, ove forti pensatori sorsero negli ultimi anni a rischiarare la Divina Commedia, ci veniva dato l’esempio d’una publica scuola nella città di Berlino, desti- nata ad illustrare quel gran lavoro cui han posto mano cielo e terra. Eguale culto ottiene oggidì l’Alighieri in Brusselle, ove pure v'ha cattedra a ciò. E di questa maniera fu altra volta onorato il Poeta sulla Senna e sul Tamigi, ove quella robusta mente di Foscolo ne rese tanto comune e caro lo studio, che i memori Inglesi anche oggi vanno scorrendo lung’Arno e cercando i colli dalle cento memorie che quel Divino eternò ne’ suoi canti; e nobili signorine fur viste sedere meditando le pagine del cantore di Francesca a’ piè d’una statua, accanto ad una fontana in quei beati luoghi per cui s’abbella Firenze. Era perciò desi- derio de’ cultori di Dante che venisse fra noi tolto ad imitazione l'esempio portoci da altre nazioni. E fu quindi con somma gioia e simpatia massima che il colto ceto di questa capitale traeva l’anno passato ad udire il sig. De Sanctis, che si assunse di dettare pubbliche lezioni e dischiudere le recondite bellezze nella Divina Commedia tesoreggiate. Per l’opera de’ suoi amici e di generosi mecenati potrà il sig. De Sanctis continuare quest'anno a farci gustare col suo tatto squisito le delizie di quel poema. Egli, già chiaro per altri lavori di letteratura, tiene una via felicissima nel farci rilevare le estetiche forme dantesche. Escluse quella meschina interpretazione puramente grammaticale, o rettorica, o storica, od allegorica, la quale ultima abbassa la più sublime poesia ad una mascherata; e s’attenne a quel profondo metodo di critica e d’interpretazione, che, sorto primamente in Germania, accolto pure in Francia, fu a noi reso famigliare da quel sommo che era Gioberti. Nell’anno precedente le sue dissertazioni versarono su quelle grandi individualità dai forti caratteri che ci vengono tratteggiati nell’Inferno, come Francesca, Capaneo, ecc. Chiudendo quest'anno quella serie, parlò del suicidio, ultima virtù romana in disperata libertà e dispe- rante tirannide, personificata in Catone, cantata da Lucano, narrata da Tacito. Ed esaurita così quella parte del bello che risulta dalle veementi passioni, ei debbe discorrere del vizio, abbietta abitudine, con- tinuo gettito dell’umana dignità; ed additarci come la fantasia del poeta l'abbia pur saputo di belle forme vestire. Alle sue conferenze conviene ogni domenica nelle scuole di San Francesco di Paola eletto e frequente uditorio, e gentili signore fannogli sempre corona. Noi porgiamo le nostre congratulazioni al sig. De Sanctis, e consigliamo chiunque onora Ja divina arte del bello sotto le sue mille forme ad ispi- “ rarsi allo studio di Dante. Ma quel Grande, che, giusta la frase di Balbo, fu pure l’italiano il più italiano R di tutti, un altro magistero ci porge. Ci apprende come da molti anni datano i prelatizi abusi e le turpi- tudini della Corte Romana, cui la sua musa, che s’inchinava pure alle sovrane chiavi, paragonava già alla donna dell’Apocalisse ; e quando la pingeva in colui che del luogo di Dio fatto avea una cloaca; e 32 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA ‘ quando accennava ai mali di cui fu madre quella dote che da Costantino s'ebbe il primo ricco padre, per “ cui onta ne derivò alla religione, ed alla patria nostra perpetuo servaggio. Nel rendere le debite lodi ‘ all'elegante nostro e profondo interprete di Dante, non vogliamo tacergli il nostro desiderio di vedere ‘ spiegata la parte filosofica della Divina Commedia non dalle idee moderne salendo alle antiche, sibbene attingendo alle idee della filosofia contemporanea a quel platonismo quale era inteso nel secolo di Dante. di cui il suo poema è compenetrato più che del trascendentalismo d'Hegel. Nel Convito, per esempio, si ha la spiegazione di molti passi della Divina Commedia, come nei mistici e negli scolastici si ha la vera & È R R chiave della sua teologia ,. (43) Vi diede principio così: “ La rigidezza straordinaria di questo inverno non mi ha consentito d’in- cominciar prima queste lezioni; e forse mi sarebbe stato impossibile il farlo in quest'anno, se non me ne avessero agevolato il modo alcuni,-la più parte Piemontesi, con una soscrizione. Concedetemi, o signori, che pubbliche grazie io renda a questi gentili, di tanto più che la loro intenzione va al di là della mia “ persona ,. Cfr. Francesco De Sancms, Saggi critici. Terza edizione, riveduta dall’ Autore, Napoli, Morano, 1874, p. 393. (44) D'Ancona A., Ricordi storici del Risorgimento italiano, pp. 299-300. (45) Il D'Ancona afferma: © La lezione su Pier delle Vigne fu per la prima volta stampata nello Spetta- “ tore di Firenze ,. Nella prima annata [1855] dello Spettatore videro la luce soltanto quattro studi del De Sanctis: Vewillot e la Mirra (n° 40), Giulio Janin (n° 42), Janin e Alfieri (n° 44) e Janin e Mirra (n° 48), preceduti da questa avvertenza: “ Crediamo far cosa grata ai nostri lettori riproducendo parecchi assennati “ articoli di Francesco De Sanctis che trovansi nel giornale I Piemonte, stimando che pochi al pari di lui - “ abbiano risposto agli incompetenti giudizii di alcuni critici francesi sopra i nostri autori drammatici ,. (46) Barsèra G., Lettere, Firenze, Barbèra, 1914, pp. 219-220, 225 e 226. (47) Lettera del De Sanctis al Montanelli, scritta da Torino il 18 gennaio del 1856. (48) Fu nominato con decreto del 7 gennaio 1856. Bertrando Spaventa scriveva, da Torino, il 6 aprile del 1856, al fratello Silvio, che si trovava allora nell’ergastolo di Santo Stefano: © De Sanctis è partito giorni “ fa per Zurigo, come professore di letteratura italiana nell’ Istituto politecnico federale. Questo fatto è “ stato una consolazione, e insieme un dispiacere per noi, perchè l'abbiamo perduto. Ora siamo rimasti io, “ Camillo [De Meis] e Diomede [Marvasi] ,. A Bertrando, che nell’esilio versò quasi sempre fra strettezze e privazioni crudeli, il De Meis fu costantemente “ generoso amico ,, come ebbe a dichiarare Silvio, in una lettera del 25 febbraio ‘53. Cfr. SiLvio Spaventa, Dal 1848 al 1861, lettere, scritti, documenti, pubblicati da Beneperro Croce, Napoli, Morano, 1898, pp. 154 e 178. (49) Da Zurigo scrivevano ad un giornale fiorentino: “ L'Italia è rappresentata nella Scuola Politecnica “ dal napoletano Francesco De Sanctis... A Torino ei diede un corso sulla Divina Commedia, che ebbe affol- “ lati uditori ed applausi. L'amore a Dante è sempre argomento di nobile e diritto intelletto, e il De Sanctis. “a Dante consacrava la maggior parte delle sue veglie; a Zurigo esordiva rilevando le severe bellezze di “ Dante. Quest'anno [1857] leggerà sul Petrarca ,. Cfr. Rivista di Firenze, ann. I, vol. II, p. 274. (50) Nel novembre del 1857 la Rivista contemporanea stampò la lezione del De Sanctis intitolata: Del- l’argomento della Divina Commedia, premettendovi queste parole di Z[enocrate] C[esari], che era succeduto al Chiala nella direzione di quel periodico: © Gli antichi uditori del prof. De Sanctis, che invidiano ora ai “ giovani zurighesi la rara dottrina e la elevata filosofia dei suoi insegnamenti, e tutti gli amatori di Dante “ ci sapranno grado di dare loro un saggio delle belle lezioni che l'illustre napoletano fa al Politecnico “ Svizzero. Queste lezioni verranno in breve raccolte e saranno il commentario più alto e degno della Di- “ vina Commedia ,. Cfr. Rivista contemporanea, vol. XI, anno V, fasc. XLIX, novembre 1857, pp. 319-329. Nel gennaio del ’58 pubblicò la lezione intitolata: Carattere di Dante e sua utopia. Cfr. Rivista contempo- ranea, vol. XII, anno VI, fase. LI, pp. 3-15. (51) Cfr. la recensione fatta dal D'Ancona nella Rassegna bibliografica della letteratura italiana, anno V [1897], n° 4-5, pp. 77-80 del volume postumo del De Sanctis: Za letteratura italiana nel secolo XIX — Scuola liberale — Scuola democratica, lezioni. (52) Pezzi Domenico, La vita scientifica di Giovanni Flechia, memoria; nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino; serie II, tom. XLIII [1893], pp. 135-154. (53) D'Ancona A., Carteggio di MicneLe Amari, raccolto e postillato; II, 220. (54) Del Lignana così scriveva Bertrando Spaventa, il 6 aprile del’56, da Torino, al fratello: © Qui ci è “ un giovine, che è stato tre o quattro anni in Germania a studiare filologia, e sa anche di filosofia, natu- “ ralmente. Siamo amici, e nella mia povertà gli sono obbligatissimo, perchè mi dà tutti i libri che ha, e ne “ ha parecchi, di filosofia. Egli sa bene non solo il tedesco in tutte le sue forme e lo slavo, ma l’arabo, “lo zend, l’ebraico, e specialmente il sanscrito. Vorrebbe che io imparassi almeno il sanscrito, per la filo- “ sofia indiana e per tante altre ragioni: più volte mi ha detto: Cominciamo oggi. Ma come fo? Abbracciare “ tante cose a un tempo è per me impossibile; se non dovessi lavorare per vivere, sarebbe un’altra cosa, GI R R MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 39 “e a quest’ora avrei già studiato qualche cosa anche in questa materia ,. Cfr. Siuvio Spaventa, Dal 1848 al 1861, lettere, scrittî, documenti, pubblicati da Bexeperro Croce, Napoli, Morano, 1898, pp. 176-177. (55) Croce Beneperto, Giacomo Lignana; negli Atti della Accademia Pontaniana, vol. XXII [1892], pp. 5-24. Cfr. GaprieLLi ANNIBALE, Giacomo Lignana, nel Fanfulla della Domenica, ann. XIII, n° 7, 15-16 febbraio 1891. (56) Tosmasro N., I secondo esilio, scritti concernenti le cose d’Italia e d'Europa dal 1849 in poi, Milano, Sanvito, 1862; II, 377. (57) De GusernanIs A., Ricordi biografici, pagine estratte dalla Storia contemporanea letteraria in servigio della gioventù, Firenze, tipografia editrice dell’Associazione, 1873, serie I, p. 131. (58) D’Axcona A., Prefazione alle Lettere di Gasprro BarBÈRA, tipografo editore (1841-1879), pubblicate dai figli, Firenze, Barbèra, 1914, p. xv. (59) Via Doragrossa, per deliberazione del Municipio di Torino del 5 giugno 1882, mutò il suo nome © in quello di via Garibaldi. Il Tommaseo abitava in casa Borroni, che porta il n° 22. Sulla facciata fu posta la seguente iscrizione : NICCOLÒ TOMMASEO ABITÒ. QUESTA CASA paLL'anno 1854 aL 1859. RICORDO POSTO PER CURA DEL MUNICIPIO. (60) Tomsraseo N., Op. cit.; I, 232; III, 128 e 219. (61) Tommaseo N., Dizionario estetico, Firenze, Successori Le Monnier, 1867, col. 825. (62) Dedicò questo dramma ‘a quelle anime gagliardamente pensose ,, che “lo rinvalidarono dei loro conforti alla difficile prova della rappresentazione ,. Cfr. Revere GiusePPE, Opere complete, in parte inedite o rare, con prefazione di A. Ronpani, Roma, Forzani e C., 1896; I, 391. (63) Li raccolse poi in un volume col titolo: Bozzetti Alpini editi ed inediti di Gruserre Revere, Genova, tipografia Lavagnino, 1857; in-8° di pp. 346. Nella Rivista contemporanea inserì alcuni brani inediti del secondo canto del suo poema: Gioranni da Grado, oltre Le prime memorie intorno ad Anacleto Diacono, che non condusse a fine, e 1 Procaccio di Torino, rassegna mensile, © piena di notizie, ma più di sali, eruditi e non pesanti, briosi e non leggeri, mordaci e non villani ,. Cfr. De GusernanIs A., Ricordi biografici, Firenze, tip. editrice dell’Associazione, 1873, p. 427; e Bersezio V., Critica letteraria. Scritti recenti di Giuseppe Revere; nella Gazzetta Piemontese, n° 71, 24 marzo 1858. (64) A Genova, dove si stabilì nel 1856, pubblicò co’ torchi del Lavagnino Marine e Paesi, e il D'Ancona ne fece la recensione nella Rivista di Firenze, vol. III, pp. 225-228. Il Revere, nel ’72, raccolse in un vo- lume sia i Bozzetti Alpini, sia le Marine e Paesi, così giudicati dal D'Ancona: “ Sono descrizioni svariate “ di luoghi del Piemonte e della Liguria, alle quali egli intreccia narrazioni storiche, pensieri della sua “ mente, sentimenti del cuor suo, maneggiando con padronanza, nella quale fra gli autori contemporanei “ ebbe pari a sè soltanto il Guerrazzi, la lingua italiana, che piegò ad esprimere il sentire dell'uomo moderno e a rappresentarne le contraddizioni, gli umori e le fantasticherie, come aveva fatto in Germania l’Heine, “ col quale ha qualche somiglianza ,. Cfr. Manuale della letteratura italiana; V, 647. (65) Spirito bizzarro, in tutti questi articoli andò sempre in maschera, pigliando il nome ora di Giulio Maltraversi, ora di Carlo Teoli, ora di Guido Cinelli, ora di Cesare Bini, ora di Giulio Antimaco, o nascon- dendosi sotto la tanto da lui prediletta sigla D. Al Crepuscolo di Milano, fondato e diretto da Carlo Tenca, mandava la corrispondenza letteraria dal Piemonte. (66) Manuale della letteratura italiana; V, 642. (67) Srorza Giovanni, Giovanni Prati in Toscana nel 1848; nella Rivista storica del Risorgimento italiano, diretta dal prof. Beniamino Manzone, vol. III [1900], fasc. 9-10, pp. 841-865. (68) Come ebbe a scrivere Valentino Carrera, “a Torino l’aristocrazia ed il mondo elegante va al “ Fiorio, al Romano, alla Meridiana, al Cambio, al Parigi; i leggitori di giornali al Londra, al S. Filippo, “ al Progresso, alla Borsa; i musicofili, 0, per dir giusto, i musicomani, al Romano, nella vastissima sala © sotterranea, una trovata dell’architetto della galleria subalpina, al San Carlo, al Ligure, al Mogna; “ gli avventori che amano di alternare l’uso del caffè con quello del barolo, al Commercio, uno dei più “ antichi; gli allievi dell’Accademia Militare e gli studenti al Nazionale, al Roma e all’Alfieri; i professori © al Londra; gli ufficiali che hanno da buttar tempo e quattrini, i mercanti di cavalli, col .codazzo dei pa- “ lafrenieri a spasso, dei sensali e degli usurai, più o meno camuffati, al Fiorio; gli avventori, che amano “ di stare in sale vaste ed ariose, al Piemonte, che in tre sale del palazzo dell’Accademia delle Scienze può servire più d'un migliaio di persone. La grand’ epoca, l’ epoca degna di poema e di storia dei caffè di “ Torino, fu dal 1849, dall’arrivo dell'emigrazione italiana, polacca, ungherese e francese, al 1860, alla pro- “ clamazione del regno d’Italia. Nessun caffe di Parigi e qualche birreria ‘soltanto di Vienna potrebbe dare 19 BL! GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA R un'idea esatta dell’affollamento e della vita d’allora in alcuni caffè torinesi dalle prime ore della sera alla R mezzanotte. Gli è che a Torino allora c'era tutta Italia! Gli è che nei caffè si poteva sedere accanto, ve- dere ed udire Cavour, La Marmora, Brofferio, Rattazzi, Valerio, d’Azeglio; conoscere Prati dalla maschia fisura e dalla posa olimpica al Fiorio, in mezzo ai generali ed agli scudieri del re Vittorio; Vincenzo Errante, poeta gentile, ora senatore, col suo fido Lo Ciaccio, al Porta nuova, ora Europa; Revere, l’emulo di Prati, al Gerio; Correnti, Borromeo, Litta, Vallauri, Flechia al Londra o al Dilej, ora Roma; Bersezio, Chiaves, Avalle, Corelli al Calosso; Nicomede Bianchi ed Enrico Franceschi alle Alpî; Tegas, Arrivabene e Baratta, il famoso epigrammista, al Nazionale; Montazio e Camerini allo Statuto; il poeta francese Barbier al Centro; Cibrario, Gorresio, Romani, Plana, Peyron, Baruffi dal Barera; il Giacometti e gli ultimi valorosi attori della Real Compagnia Sarda al Londra; Nebbia e Giuseppe Pomba al Carpignano ; Ricotti e Bertoldi al Dilej; e all’Alfieri finalmente Leopoldo Marenco, il poeta drammatico dagli affetti (I R più gentili; suo fratello Giacinto, che dava molte speranze come poeta lirico; Gaspare Buffa, ingegno vi- vacissimo; Tommaso Villa, pieno di ardimenti e singolare per il calore che metteva in ogni cosa, fondasse il Satana o il Goffredo Mameli, dettasse un dramma, o tentasse di strappare al carnefice le vittime della legge; Antonio Rossi, stoffa di studioso, sciupacchiata dall’arruffio leguleio; Gioda, scrittore d’uno studio lodevole sul Machiavelli; Saredo, allora giornalista teatrale, ora professore di diritto a Roma; Benedetto Vollo, ingegno drammatico che non parlò alto quanto poteva l’autore dell’ardita Birraia; Michele Castel- lini, che col suo Teatro italiano dimostrava con ogni maniera di sacrifizi di amare davvero il risorgimento della drammatica nazionale; e finalmente Brusco Onnis, il più fedele seguace di Mazzini ,. Cfr. Carrera V., I Caffè; in Torino, tip. Roux e Favale [1880], pp. 225-227. Sul caffè Ligure, che fu aperto nel maggio del 1855, dà interessanti notizie il giornale L'Unione nel suo n° 144 di quell’anno. Levò grido soprattutto per “i gelati duri in grandi pezzi ,, che venivano presentati “ sotto le bizzarre forme di mazzi di fiori, di frutta e di uccelli, con un’abile mischianza di colori ,. Cfr. anche : I Caffè di Torino ed il Caffè Ligure; in Il Piemonte, anno I, n° 134, 7 giugno 1855. Il D'Ancona era assiduo frequentatore del caffè Nazionale sotto i portici di Po, e “ tutte le mattine , vi trovava l’avv. Soler, esule veneziano, sempre “ solitario e burbero ,. Costui fece molto parlare di sè per un duello avuto col colonnello Damiano Assanti di Catanzaro, nepote del generale Guglielmo Pepe, che per vendicare l'onore de’ napoletani accorsi a difesa di Venezia, de’ quali il Soler sparlava, lo sfidò alla pistola. “ Il duello accadde presso Torino, e il Soler fu lasciato per morto con una palla che gli si cacciò nel cranio “ma per miracolo sopravvisse alla ferita mortale ;. Cfr. D'Ancona A., Carteggio di Michele Amari, raccolto e postillato; I, 17. Il Café de Paris era in via di Po, sotto i portici in faccia alla chiesa di S. Francesco di Paola. (69) Di Filippo Cordova [1811-1868], già ministro delle finanze in Sicilia durante la rivoluzione, il D’An- cona così scrive: ‘ Esulò in Piemonte e presentato dal Santa Rosa a Cavour, divenne collaboratore, poi “ direttore del Risorgimento. Si strinse allora in grande amicizia col Conte, ma questa via via si rallentò, “ e divenne intimo di Rattazzi, che lo mise alla testa della direzione della Statistica. Scrisse in quel tempo “ e pubblicò nel Cimento una biografia di Ruggero Settimo e un lavoro storico sui Siciliani in Piemonte nel “ secolo XVIII. Insegnò economia politica in una scuola privata commerciale, non per bisogno, ma, com? ei “ mi diceva, per serbar l’uso della parola, ch'egli ebbe abbondante e ricca, e fiorita di tratti ironici e sar- “ castici ,. Cfr. D'Ancona A., Carteggio di Michele Amari, raccolto e postillato; I, 382. (70) Abitava in piazza Vittorio Emanuele I nella casa che porta il n° 28, ora di proprietà del conte Fugenio Massa-Saluzzo. Sulla facciata fu posta la seguente iscrizione: iN QUESTA CASA ABITÒ LUNGAMENTE (3 « “ GI | GIOVANNI PRATI | POETA DEL RISORGIMENTO ITALIANO | nATO A pasinpo IL 27 Gennaro 1814 | morro im 9 maAGGIO 1884 | A ROMA | NEL SOGNO LUMINOSO AVVERATO | DELL’IPALIA RIUNITA | sorto IL REGNO saBAUDO. ll Prati non nacque a Dasindo, ma a Campo Maggiore, piccola borgata che resta a un quarto d’ora appunto da Dasindo, la vecchia culla della famiglia Prati. Cfr. CarLo Grorpano, Giovanni Prati, studio biografico, con documenti inediti e un'appendice di cose inedite 0 rare, Torino, Società tipografico-editrice nazionale, 1907, pp. 8-10. (71) D’Ancona A., Prefazione alle Lettere di Gasrero BarBÈRA, tipografo editore, Firenze, Barbèra, 1914, pp. x1x-xx. Cfr. anche D'Ancona A., Giovanni Prati, in Ricordi e affetti, pp. 297-311. (72) D'Ancona A., Scritti danteschi, Firenze, Sansoni, 1912, p. 488. (73) In famiglia però era chiamata Emma. Il matrimonio ebbe luogo nell’estate del ’55 con assenso del Re, al quale fu inoltrata la seguente istanza dal ministro degli affari esteri il 26 d'agosto: © L’avvocato “ Costantino Nigra, applicato a questo ministero degli affari esteri, desidera unirsi in matrimonio coll’orna- “ tissima damigella Emma Vegezzi Ruscalla e sollecita a quest'uopo, per mezzo mio, il gradimento di V. M. “ La giovane sposa è fornita d’ogni pregio che a bennata fanciulla si convenga ed appartiene ad onestis- “ sima famiglia. Ho quindi l'onore di proporre a V. M. il sanzionare quest’ unione col suo grazioso be- “ neplacito ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE Il, VOL. LXV, N. &. do (74) D'Ancona A., Costantino Nigra; in Manuale della letteratura italiana, compilato dui professori Aves- sanpro D'Ancona, e Orazio Bacci, Firenze, Barbèra, 1910; VI, 67. (75) Vecezzi-Ruscanna G., Italia e Romenia. Canzone popolare romena inedita; lettera al cav. Costantino Nigra; nella Rivista contemporanea, anno VI, vol. XII, fase. 52, febbraio 1858, pp. 292-299. (76) Pier Alessandro Paravia destinava il venerdì e il sabato d’ogni settimana alla lettura dei componi- menti in verso e in prosa de’ suoîi alunni. Vi accorrevano anche altre persone, parte semplici ascoltatori, parte cultori delle belle lettere, che sebbene non frequentassero ufficialmente il corso, il Paravia ammetteva a dar saggio, insieme co’ propri allievi, del loro ingegno e de’ loro studi. Era tra questi il Nigra e aveva per compagni, oltre il Bertoldi e il Lignana, Domenico Carbone, Mattia Massa e Antonio Talentino. Ferdi- nando Bosio, allora scolaro del Paravia, ricorda che il Nigra vi lesse una sua poesia, “ tutta pepe e tutta sale ,, intitolata Il giovinetto italiano, e nel gennaio del ’47 “ certe strofe: 7 mio cavallo, belle e caldissime; “ tuttavia non preferibili alla ballata Xosciusko, ch'egli stesso riteneva per il migliore de’ suoi giovanili * poetici lavori; e giustamente. Ma il cantare le gesta e il piangere la sconfitta di quell’eroe poteva sem- * brare una intempestiva provocazione all'Austria, che, pochi mesi addietro, avea, con l'occupazione di Cra- “ covia, conficcato l’ultimo chiodo nella bara della infelice Polonia ,. Cfr. Bosro F., Ricordi personali, Milano, tip. editrice Lombarda, 1878; pp. 148-152. Il Nigra stampò, nel 1854, la sua romanza 47 mio cavallo nella strenna torinese La Carità. Arditissima nel ’47, e in Piemonte, fu questa strofa: Oh se una volta, lasciati i carmi, Andrò alla pugna, stringerò l’armi; Con te, mio fido compagno antico, Avventerommi contro il nemico; Io pur difendere vo’ il suol natio, Nacqui in Italia, son forte anch'io. (77) Niara C., Poesie originali e tradotte, aggiuntovi un capitolo dei suoi “ Ricordì diplomatici ,, a cura di Aressanpro D'Ancona, Firenze, Sansoni, 1914, p. 19. (78) Fu ferito al braccio destro da un colpo di arme da fuoco. Si era arruolato come volontario nel corpo de’ bersaglieri, il 23 marzo del ’48, “la guerra ,. ed ebbe il numero di matricola 1727. Venne promosso caporale il 1° d’aprile. Ebbe il congedo illimitato il 7 di settembre; il 1° di novembre del ’54 fu congedato definitivamente, in forza dell’articolo 185 della legge sul reclutamento; e il 18 decembre dell’anno stesso venne cancellato da’ ruoli. Fu poi autorizzato a fregiarsi della medaglia istituita con regio decreto del 4 marzo 1865 per le guerre dell’ indipendenza e unità d’Italia, con la fascetta della campagna del ’48. (79) Vinse per concorso, nel 1851, il posto di “ ineumbenze allora affidate ai volontari c'era anche quella “ di fare e suggellare i pieghi ,. Cfr. Ernesto (4 con lire trentasei di gaggio, per la ferma di un anno, e più, se dura volontario , nel ministero degli affari esteri; e tra le Artom, L’opera politica del senatore I. Artom nel Risorgimento italiano, Bologna, Zanichelli, 1906; I, 7. Il Nigra, il 13 gennaio del ’53, ebbe una gratificazione di cento cinquanta lire; e di cinquecento lire, il 13 del successivo febbraio, “ per il lavoro da esso fatto durante dieci mesi , intorno al settimo tomo dei Traités publies de la Royale Maison de Savoie avec les puissances étrangères depuis la paix de Chateau-Cambrésis jusqu'à nos jours, publiés par ordre du Roî, © avendo egli classificato gli atti, formatone l’indice e corrette le stampe ,. Il 14 agosto dell’anno stesso fu nominato applicato di quarta classe, con lo stipendio di mille lire annue; che poi il 26 decembre fu portato a lire milledugento. Im questo medesimo giorno ebbe una gratificazione di dugento lire. (80) L’aneddoto mi fu raccontato dalla figlia di Massimo D'Azeglio, la buona e cara Alessandrina, che più d’una volta amorosamente mi tenne sulle sue ginocchia e scherzò meco quando io ero bambino. (81) Il Conte di Cavour lo condusse con sè come segretario alle Corti di Parigi e di Lendra nel ’55 e al Congresso di Parigi nel ’56. Il 5 maggio appunto del ’56 fu nominato vice console di prima classe “ nella carriera consolare di prima categoria ,, con annuo stipendio di lire tremila. Lo stesso giorno ebbe la croce di cavaliere dell'Ordine de’ SS. Maurizio e Lazzaro. Fin dal 29 decembre del ‘55 era stato autoriz- zato ad accettare e portare la decorazione della Legion d’onore, conferitagli da Napoleone III. (82) Nicra Cosrantimo, Canti popolari del Piemonte; in Il Cimento, ann. II, serie II, vol. IV [1854], pp. 897-910. (83) Nicra C., Canzoni popolari del Piemonte. Donna Lombarda (1° serie. Canzoni storiche); Clotilde (2° serie. Canzoni romanzesche); IL Testamento del Marchese di Saluzzo (1% serie. Canzoni storiche); nella Rivista contem- poranea, ann. VI, vo]. XII, fasc. 51, gennaio 1858, pp. 16-64; fasc. 55, maggio 1858, pp. 177-206. (84) D’Axcowa A., La poesia popolare italiana; nella Rivista di Firenze, ann. II [1858], vol. IV, pp. 108-134. Fin dal 1857 nella Rivista stessa, ann. I, vol. II, pp. 444-451, aveva stampato una recensione de’ Canti del popolo veneziano, per la prima volta raccolti ed illustrati da Ancero Dar Mepico, Venezia, Stabilimento di G. Antonelli, 1857; in-8°. talo) GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA (85) Gazzetta Piemontese, giornale ufficiale del Regno, n° 35, 10 febbraio 1858. (86) D'Ancona A., Saggi di letteratura popolare, Livorno, Giusti, 1913, p. 474. (87) D'Ancona A., Ricordì ed affetti, p. 350. (88) D'Ancona A., Scritti Danteschi, p. 438. (89) Scrisse con molta efficacia Roserro SaccHerti [La Mecca d’Italia; in Torino, Torino, tip. Roux e Fa- vale, 1880, pp. 193-197]: © Chi non ha veduto quella festa a Torino prima del ’59 non potrà mai immagi- “ narsela; era la protesta di un popolo che voleva diventar nazione contro la prepotenza e l’indifferenza della diplomazia europea; era l’Italia, che, anticipando il suo trionfo, si affermava nei colori delle sue ban- diere e nel nome del suo Re futuro; che mutava con uno slancio di volontà irresistibile il suo desiderio in realtà, la sua fede in certezza. Si gridava Viva l’Italia, ma si voleva dire che l’Italia era viva! Nelle prime ore del mattino il rullo dei tamburi, che chiamavano a raccolta le quattro legioni della Guardia Nazionale e le diverse corporazioni, gli spari dei cannoni, che a brevi intervalli si ripetevano sul Monte dei Cappuccini, l’accorrere frettoloso dei militi cittadini, il rimescolio della gente per le strade rendevano immagine di una città assediata, rammentavano l’ansia di quei terribili giorni del marzo ’49 dopo Novara quando "l'orino si credette alla vigilia di un'occupazione nemica. Ma dopo questo simulacro d'allarme, la solennità prendeva il carattere d’una festa marziale, quasi di un trionfo. I reggimenti scendevano dalle caserme a portarsi in via Po, tutta coperta di festoni e ghirlande, e il suono delle loro marcie giulive risvegliava da tutte le parti gli echi della città. Anche noi si usciva in corpo dalle scuole di via d’An- gennes, e divisi in drappelli, classe per classe, tutti colla nostra brava coccarda sul petto, con un ordine scrupoloso e pretensioso, si scendeva al Po e ci recavamo alla sinistra della Gran Madre di Dio, dove avevamo, davanti alle Guardie Nazionali, il posto d’onore, colle rappresentanze civili e popolari. Quell'anno — cosa quasi solita — piovigginava; veniva giù un’acquerugiola fitta e fredda che c’inzuppava gli abiti fino alla pelle. Alle dieci in punto il cannone del Monte, che aveva cessato, ricominciava a tonare, annun- ziando che il Re usciva dal palazzo. Allora si faceva nelle file un vivo movimento, tutti si alzavano sulle punte dei piedi sporgendo il viso a via Po; e seguiva un silenzio profondo, un’attesa opprimente. Dopo alcuni minuti si udivano da lontano dei colpi di tamburo e delle grida confuse: gli ufficiali superiori galoppavano su e giù davanti la fronte dei battaglioni, dando e ripetendo dei comandi brevi, secchi ed acuti come spari di fucile: le linee dei soldati si drizzavano immobili e rigide l'una dirimpetto all’altra, lasciando un lungo spazio vuoto nel mezzo. E intanto un rombo cupo, poi un applauso fragoroso, un for- midabile a2/ ah! rintronante veniva giù rotolando da Piazza Castello, invadeva, rimescolava da cima a fondo la folla stipata in Piazza Vittorio, la spingeva dalle due parti contro la doppia diga sempre rigida delle truppe. I soldati presentavano le armi, i tamburi facevano un rullo imperioso; si sonava la marcia reale, e un’acclamazione immensa la soverchiava; l’affetto, l’entusiasmo popolare copriva la dimostrazione uffi- ciale. Ad intervalli dominavano il frastuono delle grida sempre più acute: Viva i Re! Viva il Re! E il Re, il nostro buon Vittorio, ancora giovane e svelto, coi suoi due grandi mustacchi ancora sempre biondi, scendeva nella piazza, attraversava il ponte di pietra: gli applausi dall’altra sponda lo seguivano; altri applausi di qua lo accoglievano. Uno squillo di tromba: il prete compariva davanti all'altare eretto in cima all’alta gradinata esterna della Gran Madre. La messa incominciava. Si faceva un grande silenzio: si sentiva il murmure del fiume, che si divideva contro le pile del ponte. Dal nostro posto vedevamo distin- tamente il Re a cavallo, solo davanti al gruppo dello stato maggiore, al piede della gradinata. Il piovischio s'era mutato in pioggia vera, alcuni studenti dietro a noi avevano aperto l'ombrello. Il Re si volse e su- surrò ad un aiutante qualche parola; l’aiutante spinse piano piano il cavallo dalla nostra parte e ferma- tosi davanti a noi disse a mezza voce: IZ Re dice che alla pioggia cì sta anche lui e li prega di chiudere gli ombrelli. Gli ombrelli subito scomparvero. Il Re ricompensò quella docilità pronta con un sorriso bonario, che mutò ad un tratto la vergogna degli studenti in riconoscenza. Le trombe squillarono di nuovo: il Re alzò il capo verso l’altare — eravamo al Sanctus. Due minuti dopo il servizio religioso finiva. Il celebrante, voltosi verso la piazza, apriva le braccia e pronunziava con voce esile il Domine salvum fac Regem nostrum Victorium Emanuelem. Gridammo tutti: Viva Vittorio Emanuele! Il Re ritornava in città: al di là del ponte le acclamazioni si ripetevano più vive, più affettuose, più famigliari; la commozione inanimiva la popo- lazione e rallentava le file dei soldati, la gente irrompeva in mezzo: gridava non più Viva è Re, ma Viva Vittorio, e i soldati la lasciavano fare, rispettavano il suo entusiasmo; il Re salutava e sorrideva; il suo cavallo bianco, avvezzo a questi assalti di tenerezza popolare, procedeva cauto, scotendo il capo “ dolcemente ,. (90) Nella faccia interna del pilastro a mezzodì del Palazzo di Città vennero murate due lapidi di ferro fuso, con sopra gli stemmi di Firenze e di Torino. Una dice così: 1 NOMI DI QUESTI PRODI | cHE LA CARITÀ DEL NATIO LOCO AVEVA COLLOCATO AD ONORE “ « (1a “ la U U la “ IN SANTA CROCE DI FIRENZE | E NON POTERON DURARVI PER TRISTIZIA DI TEMPI | IL MUNICIPIO TORINESE | 1N QUESTE TAVOLE CONFORMI PIAMENTE ACCOGLIEVA | ApDì 9 Giueno 1855. L'altra: AD ETERNA MEMORIA | DEI FIORENTINI MORTI | coMBATTENDO PER L'INDIPENDENZA | neLLA campagna DeL 1848 | 1 mu- NICIPIO DI FIRENZE | DECRETAVA | 1L 7 picempre 1848. Seguono i nomi de’ ventisei prodi. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 37 (91) Il “ fatto dell'emigrazione, che sì potè dir subito italiana, perchè ai profughi lombardi e veneti ven- “ nero presto a congiungersi quelli dell’Italia centrale e dell’Italia meridionale ,, come ebbe a notare Vit- torio Bersezio, recò benefici effetti. “ Il Piemonte , (son sue parole) “ poco noto alle altre parti d’Italia, “ posto e visto alla prova, fu per mezzo degli esuli giudicato, stimato, accettato per guida ed esempio dai “ varii popoli della penisola; esso stesso, mal conoscendo prima le indoli, i costumi delle altre regioni, “ ebbe allora occasione di rendersene conto, e di meglio apprezzare sè medesimo ed altrui; aprendo egli “ generosamente il suo Parlamento, il suo consiglio della Corona, le sue amministrazioni pubbliche e private, “ le università, le redazioni dei giornali, le opere benefiche, le case e le famiglie, a tutti gli emigrati, il “ Piemonte ebbe, per così dire, una infusione di maggiore italianità, e s'avvantaggiò di parecchie elette “ intelligenze, che ne accrebbero il patrimonio letterario ed artistico, e fecero innalzarvi il livello della “ comune cultura ,. Cfr. Bersezio V., IZ regno di Vittorio Emanuele Il, V, 207-208. Per testimonianza di Cristoforo Negri, uno degli esuli, “ alla fine dell’anno 1848 il numero degli emigrati che da ogni parte “ d'Italia, ma specialmente dalla Lombardia e dai Ducati, si erano rifugiati in Piemonte, e soprattutto a “ Torino, sommava certamente a cinquantamila ,. Cfr. Memorie di GrorGio PaLLavicino, pubblicate per cura della moglie, Torino, Loescher, 1886; II, 191. N Bersezio [Op. cit.; V, 203] afferma che “nel Piemonte la * massa degli immigranti fu tanta e tale da accrescere d'un quinto la popolazione delle città principali ,. Michelangelo D’Ayala racconta: “ Gli esuli si dividevano in gruppi diversi, secondo le provincie, com’era “ naturale; ma spiccavano sopra tutti, per numero e affinità di carattere e di modi, quello de’ lombardi e “ veneti e l’altro de’ napoletani e siciliani. Quasi ogni sera, nella casa ospitale di Giacomo Tofano conveni- “ vano [Mariano] D’Ayala e gli amici Pisanelli, Conforti, Ciccone, Trinchera, Del Re, Tommasi, De Meis, “ Imbriani, San Donato, Leopardi, Mandoj, Federico Torre, Marvasi, Giuseppe Moccia, Bertrando Spaventa. “ Era una famiglia sola. Appena giungeva una lettera da Napoli, uno correva a farla leggere all’altro. Si “ aspettava sempre l’annunzio di una rivoluzione, e si fremeva, lamentando l’ignavia; mentre que’ di Napoli “ palesavano le difficoltà d’una sollevazione, l'indifferenza del popolo, la potenza della forza, i pericoli della © non riuscita. Tutti erano più o meno poveri, ma tra essi regnavano amore e rispetto maggiori che ne’ “ giorni delle ventimila lire all'anno, e s’aiutavano a vicenda senza invidia. Se c'era un malato, De Meis, “ Tommasi o Ciccone correvano ad assisterlo amorosamente; se un bambino avea bisogno di maestri, De Sanctis, “ Del Re, Bonghi, D’Ayala, Trinchera, Bertrando Spaventa, Rosei, Torre erano pronti a fargli lezione. È “ ne’ giorni di festa, come quelli della pasqua e del ceppo, quando si facevan più vivi e pungenti il ricordo e il desiderio della patria lontana, e il pensiero correva al chiasso e all’arruffio di Toledo, accanto alla. © pace inalterata delle vie di Torino, i medesimi amici erano invitati alla mensa di quella santa e nobile “ donna che fu Angiola Tofano, la quale, a via di stenti e di fatiche, voleva imbandire loro i cibi preferiti “ nel paese natio..... Un'altra casa, ugualmente cara agli esuli, era quella di Pasquale Stanislao Mancini, “ tutto cuore e gentilezza d’animo..... Gli esuli di Napoli e di Sicilia erano, su per giù, un ottocento cin- “ quanta; il maggior numero a Torino, e a Genova circa trecento..... Il Governo Piemontese sin dal 1851 “ avea stanziate 160 mila lire nel bilancio del ministero dell'interno per soccorrere gli emigrati col mezzo “ di un comitato preseduto dal benemerito abate Carlo Cameroni, e molti ne profittarono ,. Cfr. D'Ayara M., Memorie di Mariano D’ Ayala e del suo tempo, Roma, Fratelli Bocca, 1886, pp. 229-231. Fin dall’ottobre del ’48 il conte Enrico Martini, il duca Antonio Litta, il prof. Angelo Fava, Emilio Broglio, Cristoforo Negri e Giuseppe Miani avevano formato una società di soccorso, col motto: Virtus re- pulsae nescia sordidae, per raccogliere oblazioni e doni a favore degli emigrati poveri. Alla sua volta, il Governo Piemontese, il 16 decembre dello stesso anno, assegnò “ una sovvenzione giornaliera non minore di centesimi cinquanta e non maggiore di lire due , agli esuli senza “ mezzi di sussistenza ,, e istituì un comitato centrale “ per la distribuzione dei soccorsi ,. Di questo comitato divenne l’anima e il braccio l’abate Carlo Cameroni di Treviglio. “ Egli a visitare gli stambugi dove stentavano povere famiglie di proscritti e “ recar loro soccorso di danaro e di robe raccattato con instancabile zelo, soccorso di parole incoraggianti, “ anche ammonimenti e rampogne all'uopo; egli a penetrare arditamente nei palazzi dei ricchi emigrati, e in quelli pure dei torinesi presso cui si era introdotto, e sollecitare con calore, con piacevolezze, con velati epigrammi eziandio, con insistenza che il suo spirito impediva sempre di essere fastidiosa e indi- secreta, la carità, la generosità, la provvidenza di chi molto possedeva in favore di quelli fra gli esuli che non avevano nulla; egli nelle anticamere dei ministeri, negli uffici della questura a raccomandare, patro- cinare, implorare, difendere gli interessi, la sorte, talvolta la libertà di qualche povero esule; egli presso le redazioni de’ giornali, a invocare l’inserzione d’articoletti, a promuovere collette, ad apprestare spettacoli di beneficenza in favore de’ suoi protetti ,. Cfr. Bersezio V., Op. cit., vol. V, pp. 205-206. (92) D'Ancona A., Ricordi ed affetti, p. 532. (93) Il Farini dichiarò nel programma: “ crediamo che il Piemonte sia la base, il sostentamento, la spe- ranza di ogni effettiva italianità..... Scrivendo in fronte al nostro giornale il nome del Piemonte, noi scri- viamo un augurio all'Italia ,. Fecero un gran rumore i famosi Sabbati de’ Gesuiti, che v’inserì Bertrando R R 38 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA Spaventa, senza però mettervi il proprio nome. Sono ventotto fra tutti, e il numero del giornale in cui uscivano andava a ruba. I tre primi furono ristampati recentemente dal prof. Giovanni Gentile. Cfr. Ber- mranpo Spaventa, La politica de’ Gesuiti nel secolo XVI e XIX, polemica con la Civiltà Cattolica (1854-1855), a cura di Grovanni GenriLe, Milano-Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati & C., 1911; pp. 179-216. Moltissimo vi scrisse Eugenio Camerini, firmando quasi sempre le appendici con l'iniziale del suo cognome (C.). Forse è del Camerini l'articolo: Inni nazionali, che si iegge anonimo nel n° 96 del- l’annata I. Filippo Cordova vi pubblicò la necrologia del Barone Friddani (n° 288); Mariano D’Ayala cinque Vite di soldati contemporanei: Ettore Perrone (n° 59), Ferdinando Landucci (n° 71), Osmar Giuseppe Goffî (n° 108), Alessandro Monti (n° 113), e Ottavio Caccia (n° 125); Bliagio] M[iraglia] alcune Novelle e Leggende calabresi. Notevoli le sette appendici anonime intitolate: La tragedia italiana e la stampa francese (n° 235, 239, 243, 250, 264, 269 e 297); notevoli pure le quattro appendici che hanno per soggetto: Gli Statuti municipali d’Italia (n° 135, 137, 139 e 140), anonime anch'esse; ed i tre articoli danteschi, firmati T. L. S., che hanno per soggetto: Sintesì del poema di Dante. Confronto fra il ILI canto:dell’ Inferno ed il II del Purgatorio (n° 56); Del Limbo di Dante. Esposizione del canto IV (n° 69); Esposizione del canto V dell'Inferno di Dante. Francesca da Rimini (n° 97). Nell’annata seconda il Camerini più non comparisce. Seguitarono a scrivervi lo Spaventa, il De Sanctis, il D'Ayala e il Miraglia; presero a scrivervi Domenico Carutti, Federico Seismit Doda, Fran- cesco Predari, Giulia Molino Colombini, Domenico Capellina, Francesco Berlan, Luciano Scarabelli, Giuseppe Massari e Antonio Gallenga. Il 30 marzo del ’56 il Piemonte annunziava a’ lettori: © Ai 31 del mese corrente il deputato Farini cessa dalla direzione politica di questo giornale ,. Dalle ceneri del Piemonte rinacque Il Risorgimento, giornale politico e letterario, che incominciò a pubblicarsi il 1° d’aprile. (94) Come attesta il Minghetti, © l’Ercolani diceva che veri amici della Democrazia son quelli che la “ dirigono, la nobilitano e insieme la raffrenano, anche a costo di perdere la popolarità. La sua divisa era: “ non adattarsi mai a vili transazioni, mai patteggiare colla coscienza, mai piaggiare ciò che è in voga, mai “ condiscendere a ciò che si crede l’errore ,. Cfr. Mincnemti M., Commemorazione di G. B. Ercolani per cura del Municipio, discorso pronunciato nell’ Archiginnasio il 23 novembre 1884, Bologna, R. Tipografia, 1884, in-8°. Vissuto dal 23 decembre 1817 al 16 novembre 1883, lasciò alla nativa città la sua libreria veterinaria, “ la più ricca, per avventura, che si conosca, tanto per libri a stampa, come per antichi manoscritti mem- “ branacei e cartacei ,. Fu deputato all’assemblea costituente della Repubblica Romana, e dovette, al cadere di questa, fuggire da Roma, nascondersi sulle montagne del Bolognese, passare in Toscana e quindi riti- rarsi in Piemonte. A Torino, ritornò con lena maggiore ai suoi prediletti lavori scientifici. Cfr. SorseLri A., I manoscritti Ercolani, Bologna, Azzoguidi, 1914; in-8°. (95) Finari G., La vita politica di contemporanei illustri, Torino, Roux e Frassati, 1895, pp. 251-274. (96) Abitava, come scrive il D'Ancona, © nel modesto appartamento sul viale verso l’antica Piazza d’Armi ,. Il © viale , è attualmente il corso Vittorio Emanuele II, e sulla casa, che porta il n° 68, fu murata la se- guente iscrizione : LUIGI CARLO FARINI | IL GRANDE PATRIOTA DI ROMAGNA | IL MINISTRO DI VITTORIO EMANUELE | IL DITTATORE DELL'EMILIA | EBBE Qui DIMORA | neGLI ANNI 1862 e 1863 | — | 1 municIeIo | DECRETÒ QUESTO RICORDO | mpccexev. Nell’iscrizione vi è un errore di cronologia: il Farini anche prima del '62 abitò in quella casa, e vi era già al tempo del D'Ancona. Tra il 1850 e il ’51 la passione per la caccia, vivissima nel Farini, lo spinse a Saluggia, e tanto gli piacque quel luogo, che “ nell’estate del '52 vi condusse per la prima volta la famiglia, pigliando in affitto un appar- “ tamentino dalla vecchia signora Viglino, una burbera amena, là in capo alla rampa che conduce al porto “ natante. In appresso comperava e riattava una modesta casetta a ridosso di un giardino presso il ciglione “ dell’altipiano, che prospetta alla Dora ,. Cfr. FaLpeLLA G., Commemorazione di Luigi Carlo Farini; in Inau- gurazione di un ricordo marmoreo a Luigi Carlo Farini in Saluggia, Vercelli, Gallardi e Ugo, 1894, pp. 18 e 39. “ Ridusse poi un attiguo terreno ineguale a giardino, perchè egli amava le piante e i fiori; in queste opere “ e nelle continue migliorie, di cui era vago, impiegò quanto potè ricavare dal modesto patrimonio che ancor “ riteneva in Romagna, e parte dei guadagni letterari ,. Cfr. Finari, Op. cit., p. 272. Era la sua preferita dimora; lì scrisse le Storie dello Stato Romano e d’Italia e le lettere al Gladstone; fu lì che gli balenò il pensiero felice della spedizione de’ Piemontesi in Crimea, e nel manifestarlo all’Ercolani e al Bianconi, suoi ospiti a Saluggia, in mezzo ad una partita di caccia alle allodole, finì con dire: “ Se noi mandassimo la “ nostra bandiera italiana a sventolare accanto alla bandiera di Francia e d'Inghilterra, l’Italia sarebbe ‘ fatta ,. Cfr. I Farini a Saluggia; in I Pezzi grossi, scarpellate di Cimsro [Giovanni Faldella], Torino, Roux e Favale, 1883; in-8°. Anche il D'Ancona vi fu ospite più volte e ne serbò sempre gradito e affet- tuoso ricordo. (97) D'Ancona A., Ricordi storici del Risorgimento italiano, p. 75. (93) Abitava “in una casa d'angolo della piazza Carlo Felice ,. Cfr. D'Ancona A., Scritti Danteschi, p. 488. Rappresentò nel Parlamento subalpino il 5° collegio di Genova nella quinta legislatura, poi quelli di Pont e di Cuorgnè nella sesta e nella settima. Il 22 ottobre del 1857 ebbe la cattedra di filosofia della storia nel- l’Università di Torino. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 39 (99) Il 22 gennaio del '49 il collegio di Stradella lo scelse per suo deputato e fino al 7 agosto del '59 gli conservò la propria fiducia. Tenne al battesimo I Diritto, giornale fondato dal De Pretis, in compagnia del Valerio, del Robecchi e del Pareto, e nel. primo numero, venuto alla luce il 3 aprile del ’54, scrisse: © Già “ sentimmo che si può di nuovo discutere la speranza... Perciò ripigliamo la penna ,. Cfr. Correnti C., Pensieri, Milano, Treves, 1915, p. 144. Nel febbraio del ’55 si staccò dai suoi amici della sinistra e si fece caldeggiatore della politica redentrice del Conte di Cavour. (100) Dell’abruzzese Pier Silvestro Leopardi [1798-1870] il D'Ancona racconta questo aneddoto: © Fu uomo di carattere integerrimo, nè altro poteva apporglisi, salvo una gran dose di vanità, specialmente per essere un giorno stato diplomatico. Gli amici, che conoscevano questa sua pecca, spesso se ne prendevano giuoco, e ricordo una burla che da taluno di essi, fra i quali il Prati e il Cordova, gli fu fatta verso il 1858, quando, andati per diporto a Saluzzo, di là gli scrissero a nome di un canonico Cavazza, del quale una immagine o memoria sta non so se in una piazza o in una chiesa di codesta città. Nella lettera il finto canonico lo scambiava con Giacomo Leopardi, e dicendosi ammiratore del suo ingegno, ma deplorandone i traviamenti, lo invitava a passar qualche giorno in una sua villetta, a conforto della salute e svago della mente. Il buon Pier Silvestro abboccò all’amo, e propalò l'offerta nel circolo degli amici, rispondendo al cortese canonico coll’accettare, benchè ei non fosse quel Giacomo che credeva; ma quando poi scoprì la “ burla, ne rimase profondamente irritato ,. Cfr. D'Ancona A., Carteggio di Michele Amari; I, 227. (101) Nato a Saviano [Terra di Lavoro] il 7 febbraio 1808, nel ’45 fu nominato, per concorso, professore di medicina pratica nell'Università di Napoli, nel ‘48 rappresentò il collegio di Nola al Parlamento napoletano. Presa la via dell’esilio, © visitò Genova, Pisa, Firenze, Monaco, Parigi, Ginevra e Londra, ponendo stabile “ dimora in Torino ,, dove, © lasciando l’esercizio della medicina e l’insegnamento, intese a coltivare alcuna “ branca di scienze naturali che avesse maggiore affinità con quella della medicina. Onde si hanno di lui “ le seguenti opere: La coltivazione del gelso ed il governo del filugello, 1854; De la Muscardine et des moyens “ de prevenir le savages, 1857, premiata cor medaglia d’oro dall’Imperiale Società di Agricoltura di Parigi; “ Studii sulla dominante epidemia dei bachi, 1860, premiata dall’Istituto Lombardo. Dal Governo Sardo fu inca- “ ricato di dar lezioni sul gelso e sul baco nel 1860 ed ebbe la naturalizzazione degli Stati Sardi peri suoi “ meriti scientifici e patriottici. Si approssimava l’ora della redenzione. Gli straordinari avvenimenti del 1859 “ e °60 gli ispirarono i seguenti opuscoli: I principii d'indipendenza, di libertà e di unità d’Italia, 1859; Na- “ poleone ITI e l’Italia ad uso degli Italiani, 1860; Napoli, l’Italia e VEuropa, 1860; Napoli e l'Europa, 1861 ,. Cfr. Mmrasetti Giuseppe, Della vita e delle opere di Antonio Ciccone; negli Atti della R. Accademia di Scienze morali e politiche, di Napoli, vol. XXVIII [1897], pp. 133-148. (102) Questo esule calabrese, tra il ’57 ed il '58, fattosi fautore della candidatura del Murat al trono di Napoli, andava continuamente su e giù da Torino a Parigi. “ Egli favoriva , (come afferma il D'Ancona) “ cotesto pretendente, non per servilità d’animo, o per allettative di premi o di onori, ma per impazienza “ di trovare una soluzione alle cose napoletane. Niuno per ciò ebbe a fargli un rimprovero, a dirgli una “ mala parola, così inspirava simpatia e rispetto quel vecchio, che tutto aveva sacrificato per la libertà. E’ mi par sempre di vederlo, piccolo, tarchiato, con un faccione ornato di folti baffi e di fedine bianche, “ coi capelli pur bianchi cadenti sulle spalle; una faccia di leone, nella quale però si amicavano la forza e “ la bontà ,. Cfr. D’Ancowa A., Carteggio di Michele Amari; I, 448. (103) Sedette alla Camera dei Deputati del regno di Napoli nel ’48, e il 15 maggio “ fu uno dei quaranta, che in mezzo alla fuga quasi generale dei colleghi atterriti, di faccia allo spergiuro del Re e alle feroci “ minaccie di una plebaglia assetata di vendetta e di sangue, aspettarono, custodi dell’ onor nazionale, che “ le soldatesche col calcio del fucile li cacciassero fuori dell’aula; in quell'infame e nefando tumulto addi- mostrò fermezza antica e nobile patriottismo ed ebbe salva per miracolo la vita ,. Visse esule a Parigi dal ’49 al ?53, e in Piemonte dal ’53 al ’60, “ insegnante parecchie materie mediche nel Collegio delle antiche © Provincie ,. Cfr. De GusernamIs A., Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze, Successori Le Monnier, 1879, p. 370. Dopo il 1860 fu professore di storia di medicina nell’ Università di Bologna; e a Bologna stampò tra il 1868 e ’69 il suo curioso libro, ora divenuto rarissimo: Dopo la laurea. (104) Giuseppe Del Re, nato a Turi verso il 1807, fu deputato di Gioia al Parlamento napoletano nel 1848. Dopo il 15 maggio tentò da Rieti una sollevazione negli Abruzzi. Esulò prima a Marsiglia, poi in Piemonte. Dimorò qualche tempo a Pinerolo, dove scrisse in un giornale locale e dove tradusse dal tedesco e stampò I repubblicani di Napoli, romanzo storico, di Adolfo Stahr. Messa stanza a Torino, prestò la sua collabora- zione al Pantheon dei martiri della libertà italiana, e dette alla luce altre traduzioni, e cose proprie, in prosa e in versi. Celebrò con un carme Agesilao Milano e venne processato per apologia del regicidio, insieme con Laura Beatrice Mancini, che aveva anche lei sciolto un cantico alla memoria di lui. Furono entrambi difesi da Giuseppe Pisanelli e Giacomo Tofano ‘e andarono assolti. Deputato di Gioia del Colle al primo Parlamento italiano, morì a Torino l' 11 novembre del 1864. Buon conoscitore delle letterature straniere, è G ta 1a R “ « 40 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA ricordato con affetto benevolo dal Carducci nelle sue Conversazioni e divagazioni heiniane. Cfr. Carpucci G., Opere; X, 9-14. Il D'Ancona scrive di lui: © Uomo integerrimo, saldo nelle amicizie, piacevole nella conver- “ sazione, il Del Re non può essere dimenticato da chi, come me, l’ha conosciuto ,. Cfr. D'Ancona A., Car- teggio di Michele Amari; II, 373. È (105) In una nota, di pugno del La Farina, che dà i nomi de’ primi sovventori alla pubblicazione del Piccolo Corriere, si trova registrato, insieme con quello del D'Ancona, del Farini, del Castelli e d’altri, il nome pure degli esuli Giovanni Interdonato, Giuseppe Natoli, Paolo Emilio Imbriani, Guglielmo Stefani, Piscicelli, Biancoli, Ercolani, Spada, Gaspare Finali, Madia, Trinchera, Annoni, ecc. Cfr. Daniele Manin e Giorgio Pallavicino, epistolario politico (1855-1857), con note e documenti di B. E. Marneri, Milano, Bortolotti, 1868, p. 422. Il D'Ancona, insieme col Pallavicino e col La Farina, firmò la lettera di ringraziamento ad Anatolio de la Forge, che aveva pigliato le difese del popolo d’Italia, dipinto nel modo più abbominevole dalla Sand nel suo romanzo La Dariella; lettera che venne pure sottoscritta da Salvatore Tommasi, Fran- cesco Carrano, Pier Silvestro Leopardi, Paolo Emilio Imbriani, Paolo di Campello, Carlo Mezzacapo, Enrico Cosenz, Giacomo Tofano, Giuseppe Pisanelli, G.S. di S. Donato, Pasquale Stanislao Mancini e altri. Assistè all’adunanza della Società Nazionale, tenuta a Torino il 28 febbraio del 1858, con cui rimase approvato all’una- nimità il suo famoso Credo politico. (106) D'Ancona A., Varietà storiche e letterarie, Milano, Treves, 1883; serie I, pp. 327-328. (107) D’Axcona A., Prefazione alle Lettere di Gaspero Barbèra, Firenze, Barbèra, 1914, p. xv. (108) R. Archivio di Stato in Firenze. Documenti Bianchi-Ricasoli, busta 0, fascicolo A, n° 36. Me ne favorì copia il collega Demetrio Marzi, e mi è gradito esprimergliene la riconoscenza più viva. (109) Il Conte di Cavour, il 24 aprile del ’59, dava a Luigi Mezzacapo le seguenti istruzioni: “ Qualora “le Legazioni e le Marche spontaneamente si pronunziassero per la causa dell’indipendenza nazionale, ella “è autorizzato ad assumere il comando di tutte le forze che vi fossero, o vi si potessero organizzare, e ciò “in nome di S. M. il Re Vittorio Emanuele, comandante generale dell’esercito italiano. Ella è anzi auto- “ rizzato a valersi provvisoriamente delle persone qui a margine notate e coi gradi indicati, ed in caso di “ assoluta necessità di quelle altre che ella reputasse atte a coprire un grado militare ,. In margine stava scritto: © 1. Luigi Mezzacapo, maggiore generale; 2. Luigi Ceccarini, tenente colonnello; 3. Filippo Cerrati, “ tenente colonnello; 4. Nicola Gigli, tenente colonnello; 5. Federico Torre, maggiore; 6. Marchese Gio- “ vanni Sgariglia, capitano; 7. Vittorio Depetro, luogotenente; 8. Vincenzo Cayre, luogotenente; Guglielmo “ Zanzi, sottotenente; Massimiliano Trusiani, sottotenente ,. Cfr. Giurio DeL Bono, Bologna e le Romagne durante la guerra del 1859; nelle Memorie storiche militari, fasc. IV del 1911, p. 228. Luigi Mezzacapo di Trapani, uno degli uffiziali dell’esercito napoletano che, passato il Po con Guglielmo Pepe, offersero la propria spada a Venezia, fu capo dello stato maggiore della divisione romana comandata dal generale Fer- rari, si distinse alla battaglia di Cavanella d'Adda 1°8 luglio del ’48 e venne promosso tenente colonnello. Come generale di brigata servì la Repubblica Romana durante l’assedio; poi esulò a Malta e di là a To- rino, dove appunto si trovava quando il Conte di Cavour, per suggerimento del La Farina, gli affidò questo comando. Di lì a tre giorni scoppiava a Firenze la rivoluzione. Ebbe allora ordine di recarsi in Toscana, dove la Società Nazionale inviava la gioventù degli Stati Romani, desiderosa d’impugnare le armi a difesa d'Italia. Il Conte di Cavour tornò a scrivergli il 2 di maggio: “ Le provvisioni fatte dal generale “ Mezzacapo per la debita preparazione delle forze, che dovranno, nelle Provincie Romane, concorrere alla “ guerra d’indipendenza nazionale sotto il comando di S. M. Vittorio Emanuele, sono pienamente approvate dal Governo. Il Commissario straordinario del Re in Toscana [Carlo Boncompagni] darà ogni favore e con- corso al signor generale Mezzacapo. Mandiamo i libri di cui si è fatta richiesta, e presto manderemo altri ufficiali piemontesi e i modelli degli oggetti militari. Più difficile cosa sarà trovare un intendente o commissario di guerra. Ne faremo ricerca. Intanto il generale Mezzacapo pregherà in nome del Governo il signor marchese Gualterio a continuare nell’opera, che ha temporaneamente intrapresa con patriot- tica abnegazione. Male potendosi qui divisare ciò che fare si debba nei varii accidenti, il Governo si confida pienamente nella perspicacia del generale Mezzacapo, avendo certezza che egli, nè per soverchio ardire piglierà risoluzioni temerarie, nè per eccessiva prudenza si rimarrà dall’operare quando sia sicuro di “ accrescere le forze che debbono aiutare la grande impresa. Del rimanente il generale andrà d'accordo col “ R. Commissario per la Toscana ,. Cfr. Ueo Pesci, Il generale Carlo Mezzacapo e il suo tempo, Bologna, Zani- chelli, 1908, pp. 62-63. Filippo Antonio Gualterio [1819-1874] era di Orvieto e nel marzo del ’48 venne nomi- nato intendente generale della guardia civica mobile e de’ volontari dell’esercito pontificio; fu tra’ difensori di Vicenza, dove guadagnò la medaglia al valor militare. Cfr. Srorza G., Massimo d’Azeglio alla guerra dell'In- dipendenza nel *48, Modena, Ferraguti, 1911, p. 175. Tenne provvisoriamente l'ufficio d’intendente generale del secondo corpo dell’armata dell’Italia centrale fino al 5 giugno, in cui ebbe per successore il cav. Luigi ‘l'orelli [1810-1887] di Tirano nella Valtellina, già ministro d’agricoltura, industria e commercio, e deputato al Parlamento subalpino. Il Mezzacapo formò due depositi, uno a Rocca S. Casciano, trasferito poi a Mar- R R GI GI x R Sa MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 4] radi, e uno ad Arezzo; ingrossando il numero de’ volontari, più tardi, ne costituì anche a Modigliana, a Tredozio, a Portico, a Pontassieve, a Dicomano e a Firenze. Nel corpo del Mezzacapo, “ cui erano accorsi “ molti buoni elementi, per la mancanza di un numero adeguato d’ufficiali, per l’ozio forzato nel quale i volontari erano tenuti, per le privazioni a cui furono soggetti senza un immediato risultato a vantaggio “ della causa per la quale si erano arrolati, si manifestarono presto lievi sintomi d’indisciplina; sbollito “ l'entusiasmo, sì diffuse lo scoramento e cominciarono anche le diserzioni per parte di alcuni volontari, “ desiderosi di arrolarsi in altri corpi ,. Cfr. Comando del Corpo di Stato Maggiore. Ufficio storico. La guerra del 1859 per l'Indipendenza d’Italia; vol. II [narrazione], pp. 20-23. Il Ricasoli scriveva a Neri Corsini il 25 di maggio: “ Questi volontari sono oggi fatti un grande pensiero, perchè viene la feccia la più infame delle “ Legazioni e delle Marche e sì scarica in Toscana. Il Mezzacapo non la vuole; nello Stato Romano non si “ può rimandare ; il Piemonte, dicesi, non la vuole; essa ci resta a noi sulle spalle! Dicesi che il Governo “ Pontificio per malo animo apre le carceri per riversare sulla Toscana quella sentina d’ogni delitto ,. Cfr. Ricasori B., Lettere e documenti; III, 52. (110) Racconta il Du Casse [Ze 5° corps de Varmée d’Italie en 1859; nella Revue historique, LXVI, 301-323 e LXVII, 35-58] che il principe Napoleone voleva assolutamente che il corpo del Mezzacapo corresse in Romagna a dar addosso agli Austriaci fuggenti, ma il generale vi si oppose. “ Realmente , (osserva il D'Ancona), “ il corpo, ancora in formazione, non era in condizioni di prender l’oftensiva. Il Principe, arrab- © biatissimo del rifiuto, coonestato dal fatto che la seconda divisione dell’ Italia centrale dipendeva dal Re “ Sardo, sì contentò di mandar ordini ai capi liberali di Romagna perchè molestassero gli Austriaci în “ ritirata; ed io che scrivo, ed ero addetto allo stato maggiore del generale, fui latore di quegli ordini; “ ma arrivato a Modigliana, e presentata una lettera a don Giovanni Verità, seppi da lui che ormai gli “ Austriaci avevano abbandonato il paese ,. Cfr. D'Ancona A., Ricordi e affetti, p. 291. Ubaldino Peruzzi, il 16 giugno, scriveva al conte Luigi Guglielmo de Cambray Digny, allora in mis- sione a Torino: © Vidi lungamente il principe Napoleone, il quale parte arrabbiatissimo contro il Governo “ Toscano, e particolarmente contro il povero Boncompagni, che reputa il Machiavelli del secolo nostro. Ora < fa l’antifusionista. Parmi abbia ragione lagnarsi del veto posto da Boncompagni all’ordine da lui dato in “ scritto al Mezzacapo, di tagliare agli Austriaci d’Ancona la strada di Cesena, spingendosi col suo corpo “ verso Forlì e Ravenna. L’impresa era bella, sarebbe stata utile alle Romagne, utilissima alla Toscana, che “ sarebbe rimasta libera dai soldati gualteriani ,. Cfr. Carteggio politico. di L. G. Cambray Digny (aprile- novembre 1859) pubblicato a cura della figlia, Milano, Treves, 1913, p. 78. Il Peruzzi però a torto biasima il Boncompagni del rifiuto. Lo giustificò pienamente, scrivendo al Conte di Cavour: © Se avessi veduto evidente € Vutilità della mossa militare ordinata dal Principe, avrei prescritto al Mezzacapo di eseguirla. Ma questi mi © faceva osservare che le sue truppe erano ancora in gran parte disarmate, che quel movimento non poteva “ riuscire, comandato con tanto precipizio, che i suoi soldati correvano rischio di sbandarsi quando fossero “ avviati a quella spedizione. Le ragioni del generale mi parevano buone, e dovendo io, che non m’intendo © di cose militari, attenermi al giudizio altrui, credevo più sicuro quello del Mezzacapo, che non quello del Principe ,. (111) D’AnconaA A., Carteggio di Michele Amari; II, 78. Cfr. Ricordi e affetti, p. 291. (112) Conservò sempre tra’ suoi ricordi più cari, dentro una cornice, il “ ben servito , che gli fu rila- sciato. Qui lo trascrivo: “ © ARMATA ITALIANA Firenze, il 18 agosto 1859. “ 2° Corpo DELL'ITALIA CENTRALE “ L’opera di questa Intendenza Militare volge ora al suo fine. Nel laborioso suo corso di oltre “ tre mesi e mezzo Essa trovò nella Sig. Vostra un cooperatore attivo ed intelligente. “ Nell’esprimerle la mia piena approvazione per il di Lei operato, mi riservo di renderne edotto “ anche il Governo Bolognese, alle cui sorti è ora legato anche il Corpo del sig. Generale Mezzacapo. -© Accolga i sentimenti della mia stima e particolare riconoscenza. “ L’Intendente d’Armata magg. Torenzi ,. “ A] Sig. Alessandro D'Ancona, Scrivano di 1 Classe “ e f. f. di Segretario presso l’Intendenza di Armata. del “ Corpo del G.!° Mezzacapo — Firenze ,. (113) In Piemonte, dimesso che si fu il Cavour, dopo molte fatiche si riuscì a costituire un nuovo mini stero, presieduto da Alfonso La Marmora, che tenne il portafogli della guerra; ma ne divenne l’anima, la mente e il braccio Urbano Rattazzi, ministro dell'interno; con al fianco il generale Dabormida, ministro degli affari esteri. “ Suo primo ufficio fu di richiamare dalle provincie non piemontesi i. Commissari regi. “ Un qualche spazio di tempo fu accordato al Toscano, nessuno agli altri di Parma, Modena e Bologna ,. Cfr. Poecir E., Memorie storiche del Governo della Toscana nel 1859-60; I, 136. Rivestivano la carica di Com- missari di Vittorio Emanuele, a Firenze Carlo Boncompagni; a Parma, Diodato Pallieri; a Modena, Luigi Carlo Farini; a Bologna, Massimo d’Azeglio. I nuovi governanti piemontesi, come notò il Finali, “ forse non 20 42 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA (41 “ poteano fare a meno di richiamarli; potevano però accompagnare l’atto con parole che tenessero vive le spe- “ ranze dei popoli nelle provincie centrali; e non lo fecero ,. Il Pallieri, “ obbediente alla parola del Re, lasciò “ Parma; i popoli delle Romagne sperarono che Massimo d’Azeglio, il quale aveva scritto Y casi di Romagna, e “ che nel 48 avea con loro valorosamente combattuto a Vicenza, non li abbandonerebbe; ma fu vana spe- “ranza ,. Cfr. Frvanvi G., La vita politica di contemporanei illustri, p. 280. Anche il Boncompagni se ne tornò poi in Piemonte. Il Conte di Cavour, peraltro, si era accorto di non aver avuto felice la mano nello sceglierlo per Commissario regio in Toscana. Infatti il 1° di luglio aveva scritto al generale Alfonso La Mar- mora: “ Boncompagni ne va plus. Il est trop mou. Nous aurions pensé de nommer D'Azeglio è sa place. Il “ cumulerait les fonetions de commissaire royal en Toscane et en Romagne. Cela atténuerait la portée de “ sa mission dans ce dernier pays, ce qui est conforme à la pensée du Roi et de l’Empereur ,. Cfr. Ca- vour 0., Lettere edite e inedite; INI, 101. Il solo Farini, come telegrafò il giorno 13 a Cavour, non volle © ab- “ bandonare Modena alla reazione o alla confusione ,; si dimise e restò sulla breccia. Cfr. Mauri A., Scritti biografici, Firenze, Successori Le Monnier, 1878; II, 60 e seg. Cavour gli rispose: “ Le ministre est mort. “ L’ami vous serre la main et applaudit àè la décision que vous avez prise ,. Cfr. Cavour, Op. cit.; III, 112. (114) CasreLci M., Ricordi, Torino, Roux, 1888, p. 151. (115) Rrcasori B.. Lettere e documenti; INl, 168 e seg. (116) RrcasoLi B., Op. cit.; IV, 8. (117) D'Ancona A., Pagine sparse, p. 313. (118) Cavour C., Lettere edite e inedite, raccolte e illustrate da Luror Carara; IN, 161. (119) Ricasori B., Lettere e documenti; III, 347. (120) Casrenti M., Carteggio politico edito per cura di Lurer Carara; I, 205 e 263-264. (121) D'Ancona A., Bettino Ricasoli; in D'Ancona A. e Baccr 0., Manuale della letteratura italiana; V, 592. (122) D'Ancona A., Ricordi e affetti, p. 386. (123) Nel primo foglio separato, che porta scritto in fronte La Nazione, giornale politico quotidiano, e venne alla luce in Firenze, il 14 luglio 1859, si legge: “ Mentre ci prepariamo, per concessione avuta dal Governo “ della Toscana, in data del dì 11 del corrente, a pubblicare un giornale politico, intitolato Za Nazione, nel “ quale intendiamo propugnare gl’interessi Italiani ed i grandi principii d’Indipendenza, Unità e Libertà, le “ notizie sopraggiunte inaspettatamente ci spingono a dar immediato principio al nostro Giornale con fogli “ separati. Con questi terremo informati i nostri concittadini dei quotidiani avvenimenti, discutendone l’im- “ portanza secondo i principii che scegliemmo per guida, fino a che la Redazione del Giornale sia costituita “ definitivamente. Avv. LeopoLno CemPINI, cav. Carro Fenzi, avv. Prero Puccroni ,. Il Ricasoli il giorno 12 scriveva al Salvagnoli: “ Cempini e gli altri vorrebbero fare il deposito in cartelle, piuttosto che in con- “ tanti siccome dice la legge. Su questo deposito corre il 5% a carico della Depositeria. Io sarei indiffe- “rente nel concederlo, se non dovessi riflettere che altri possono avanzar domanda per un Giornale, e mi “ giova tenere ferma ogni disposizione di legge, per conseguire una temperanza maggiore nelle domande. “ A me parrebbe adunque si dovesse prescrivere la precisa esecuzione della legge ,. Cfr. Ricasoi B., Let- tere e documenti; III, 147. Gaspero Barbèra fu lo stampatore e l'amministratore del nuovo giornale. Afferma che n’ erano ‘“ promotori e proprietari, Carlo Fenzi, Piero Puccioni, Leopoldo Cempini, Ferdinando Barto- lommei e Tito Menichetti. Cfr. Barsbra G., Memorie di un editore pubblicate dai figli, Firenze, Barbèra, 18883, < p. 162. Fu tradito dalla memoria. Fino al 14 gennaio del ’60 ebbero l’esclusiva proprietà della Nazione il Cempini, il Fenzi e il Puccioni; da quel giorno fecero parte della società anche il marchese Ferdinando Bartolommei, il prof. Francesco Carega, il cav. Ubaldino Peruzzi e l’avv. Tito Menichetti. Cfr. Annali diblio- grafici e catalogo ragionato delle edizioni di Barbèra, Bianchi e Comp. e di'G. Barbèra, con elenco di libri, opuscoli e periodici stampati per commissione, 1854-1880, Firenze, Barbèra, 1904, pp. 557-559. Il Cempini non ne fu il primo direttore, come asseriscono questi Annali: firmò soltanto come Dirett. Respons. î primi fogli provvisori, ma “ effettivamente , (è il D'Ancona che lo attesta) “ pel giornale egli non scrisse mai una riga ,. Della prima annata della Nazione “ esistono due copie. una presso la Vittorio Emanuele di Roma, l’altra “ alla direzione del giornale in Firenze ,, dove sono “ segnati con iniziali gli autori degli articoli ,. Cfr. D’An- cona A., Ricordi e affetti, pp. 337-338. (124) Ecco l’articolo: “ È un tristo ufficio per noi, ma a cui per sentimento cittadino volenterosi ci sob- “ barchiamo, il dar principio al nostro Giornale porgendo al pubblico parole di conforto, mentre pochi “ giorni addietro ci sorridevano le più belle e vaste speranze. Pur nonostante noi non dobbiamo perderci “ d’animo, e vogliamo credere cbe gl’ Italiani non porranno giù affatto ogni fiducia, mentre ancora non è “ portata nemmeno piena luce sugli avvenimenti che oggi hanno percosso di tanto dolore il cuore di ogni “ patriotta. “ Noi non possiamo credere che, dopo tante splendide vittorie, l’opera della diplomazia possa condurci “a disperare delle sorti d’Italia, e porci in una condizione che non molto diversifichi da quella onde la ‘ Patria nostra era afflitta innanzi la guerra. Noi non possiamo credere che dopo aver dato l’Italia tal MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 43 “ prova solenne dì sè, pronta e volenterosa ad ogni sacrifizio, concorde, unita ed assennata nei voleri, debba “ la condizione nuova che ci verrà fatta dagli avvenimenti sembrar tale da farci rimpiangere questo nuovo “ tentativo di ricostiluzione nazionale. Ad ogni modo noì vincemmo. L’Austriaco, che boriosamente aveva “ invaso il Piemonte, ne fu ricacciato dalle Armi Alleate, ritoltagli la preda della Lombardia, conquistategli “armi e bandiere. “ Un’'inesplicabile complicazione di cose, della quale presto speriamo vedere le cause nascoste, ha pro- GI dotto gli avvenimenti pei quali tutto il Paese è agitato e commosso. Il Governo della Toscana ha creduto R dover suo di pubblicare il Proclama che abbiamo qui sopra riportato; e il Popolo Toscano, che ha rimesso con tanta fiducia le sue sorti negli uomini che lo governano, vorrà dare ascolto alle schiette parole che R a lui vengono indirizzate. Ogni moto incomposto, ogni fremito intempestivo, sarebbe dannoso, perchè le notizie che vi darebbero pretesto non sono ancora sufficientemente chiarite, e perchè è indegno di popolo civile disperdere le forze ed il senno in dimostrazioni infruttuose. Attendiamo adunque con calma le de- liberazioni che il Governo, e con esso la Consulta di Stato, prenderanno in questo dubbioso frangente, e promettiamo a noi stessi di proseguire fermamente in quella unione di animi che inaugurò il primo in- cominciamento della guerra. “ La causa italiana può forse soffrire ancora dolorose fasi per raggiungere il suo compiuto sviluppa- mento; forse ancora ì nobili sacrifici per dieci anni sostenuti dal Piemonte, i lunghi martirii del Lombardo- Veneto, l’avvilimento e il servaggio in cui erano tenute le rimanenti provincie, il sangue di Montebello, di Palestro; di Varese, di Magenta, di S. Martino, non sono sufficienti per redimere la nostra Patria e “ costituirla indipendente, libera ed una. Pure il nostro buon diritto non può perire; le nostre proteste con- fermate dal sangue non possono essere cancellate, nè l’idea nazionale può essere distrutta nelle menti e R R nel cuore degli Italiani. “ Innanzi a questi fatti, l'opera della diplomazia non può essere impunemente soverchiante; essa dovrà “ rispettare più che non soglia le ragioni di un popolo, rese solenni dall’unanimità del consenso, dalla spon- taneità dei sacrifici e dalle vittorie riportate sull’eterno nemico d’Italia. © Attendiamo dunque fidenti e concordi. La concordia in un solo volere, solennemente espressa, ci “ risparmierà l’onta di rivedere una dinastia che sciolse ogni vincolo con. un popolo che voleva renderla “ italiana. In ciò noi abbiamo a guida gli uominî che ci governano, e il cui voto viene espresso nel Pro- clama di ier’sera. La Toscana deve adesso manifestare unanime il suo volere, onde non riponga più piede fra noi un Principe che, presente alla battaglia di Solferino, faceva voti per la sconfitta delle Armi Ita- © liane, per farsene strada a risalire sul trono. Ricordiamo infine l’amore e la devozione che da noi si deve “ al primo soldato dell’Indipendenza d’Italia, a Vittorio Emanuele, e come la sua parola, e non quella dell’ira subitanea, deve essere ascoltata dagli Italiani. Noi gli abbiamo giurato fede mentre si perigliava magna- “ nimamente nelle battaglie contro l’Austriaco; noi dobbiamo tenergli fede ora che il suo cuore sarà con- © tristato dagli avvenimenti che inaspettatamente ci colgono ,. Il © Proclama ,, scritto dal Salvagnoli e firmato da tutti i ministri, si legge a pp. 302-305 della part. I degli Atti e documenti editi e inediti del Governo della Toscana dal 27 aprile in poi, Firenze, Stamperia sopra le Logge del grano, 1860. (125) D'Ancona A., Ricordì e affetti, pp. 336-337. (126) Della prima facciata di questo numero si trova il fac-simile negli Annali bibliografici. L'articolo di fondo, a giudizio del D'Ancona, “ probabilmente appartiene , a Valentino Pasini. (127) La paga dei collaboratori ordinari era di lire italiane 150; il segretario di redazione aveva 84 lire italiane ; il traduttore 47,20. Cfr. Annali cit., p. 558. (128) Cfr. Bibliografia degli scritti di Alessandro D'Ancona; in Raccolta di studii critici dedicata ad Ales- sandro D'Ancona festeggiandosi il XL anniversario del suo insegnamento, Firenze, Barbèra, 1901, pp. xm-x1v. Il Salvagnoli, il 15 ottobre del ’59, scriveva, da Genova, al Ricasoli: © Devi dire a Sandro D'Ancona che “ parli e bene del nuovo libro del Mamiani, dove abbatte il dominio temporale del Papa. Fai dire lo stesso © al Gennarelli pel Risorgimento. Ora il gran punto è quello ,. Il Ricasoli non tenne conto del consiglio. (129) L’avv. Leopoldo Galeotti di Pescia, che visse dal 1813 al 1884, “ nel ‘59 fu ardente fautore del moto “ che condusse all’unificazione; scrisse assiduamente nella Nazione; fu deputato all'Assemblea toscana e “ autore della relazione per la reggenza del Principe di Carignano. Deputato di Pescia al Parlamento ita- “ liano, ne fu segretario nella VII e VIII legislatura; di quel primo Parlamento, che rimane come un lontano “ e non revocabile ideale di patriottismo, di senno e di onestà, descrisse la vita e le opere col libro: La prima © Legislatura del Regno d’Italia, studi e ricordi (2° edizione, Firenze, Le Monnier, 1864). Fu spesso relatore di “ bilanci, specie di quello della istruzione. Il 15 novembre ’74, dopo essere stato rieletto cinque volte deputato, “ fu fatto senatore. Intelletto nobilissimo, retta coscienza, facilità e piacevolezza di eloquio lo rendevano caris- “ simo agli amici, ch’ebbe molti e costanti. Disinteressato e senza ambizioni, animato dal sentimento del “ dovere e da verace patriottismo, egli è uno di quei cooperatori del risorgimento italiano, a cui il memore (I R R 44 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA “ pensiero si volge con mestizia ,. Cfr. D'Ancona A., Carteggio di Michele Amari; II, 176. Dal suo carteggio politico, che si conserva nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, son tolte queste tre lettere del D'Ancona a lui, favoritemi dall'amico Guido Biagi. Riguardano appunto la collaborazione da lui prestata al giornale fiorentino. “ Carissimo Sig. Galeotti, “ Le manderò le stampe dell’articolo che mi mandò jeri. Mi farà sommo piacere resecando le cita- “ zioni latine; la prima, posta per epigrafe, può benissimo esser tolta. Se no, invece d’un articolo, si fa “ una predica. “ Avrà sentito le voci che correvano jer sera intorno ad un opuscolo sulla Liberazione di Venezia. Il “ paese ne è pieno; e i centralisti han ripreso animo, per la proposta che vi si fa di un Regno centrale “ per Clotilde e il Principe Napoleone consorte. Sarebbe assai bene discorrerne ; l’affare è delicato, e niuno “ potrebbe trattarlo meglio di lei, svolgendone l'assurdità e gli inconvenienti. “ Le sarei grato se potesse farmi avere una risposta. “ Tutto suo A. D'Ancona ;. “ Firenze, 22 ottobre 1859. © Carissimo Sig. Avvocato, “ Mille e mille grazie della gentilezza con cui Ella ha corrisposto alle mie domande. La ringrazio pel giornale, la ringrazio per conto mio, che posso riposarmi almeno un giorno, avendomi i miei amici lasciato solo a serivere ormai quasi da un mese. “ Con domani la Nazione incomincia a pubblicare le note dei Candidati municipali di diverse Comunità Toscane. Conto su di Lei per quelle di Pescia e delle Comunità circonvicine. “ Gli arresti della notte scorsa si collegano colle mene granducali e reazionarie di una Società che si intitola dei Difensori della S. Sede Apostolica Romana e della I. e R. Casa di Lorena. Fa meraviglia che vi sieno dentro anche il Busi e l’Andreozzi; ma ciò prova che i partiti estremi si danno la mano. Si parla d’altri, come del Gherardini, del Pini, del Majoli, ecc., nomi più o meno oscuri, ma non posso asserire il loro arresto, come quello del Busi e dell’Andreozzi. “ Vedrà dai giornali che l'Imperatore si è trattenuto un’ ora e mezzo coi Deputati Toscani. Sento dire “che il Matteucci abbia parlato molto parcamente all'Imperatore sulle conseguenze del trattato di Villa- “ franca. Nella Nazione avrà visto che a Dabormida ha detto che si doleva molto di essersi vincolato. T'enga “ la cosa per officiale. “ Mi creda intanto in gran fretta © Tutto suo Aressanpro D’ANCONA ,. R R_R RR RR “ Firenze, 18 gennaio 1860. © Carissimo Sig. Avvocato, “ Ho sempre sentito dire dal Barone che eravamo minacciati dal pericolo di un suffragio universale, e non so se questo pericolo sia ancora svanito del tutto. Perciò, con questa spada di Damocle sempre sospesa sulla testa, crederei che fosse bene mitigare qualche espressione adoperata in proposito nel suo articolo. Lasciando com'è la questione di dritto, ed esprimendo la giusta previsione circa l’esito del voto; mi sembra che si potrebbe un poco ritornare sul pezzo che nel suo originale è segnato in lapis celeste. Non perchè quelle considerazioni non siano giuste, ma perchè c'è sempre un futuro dinnanzi a noi, che non è ben chiaro. “ Mi creda “ Tutto suo Aressanpro D'Ancona ,. G GA GG “ P.S. Scrivo in fretta e distratto, e non so se posso spiegarmi come vorrei. Volevo dire che siccome può “ avvenire che dobbiamo ricorrere ai cuochi e ai ciabattini, così non bisogna trattarli troppo superiormente ; tanto più che il voto del cuoco o del ciabattino nell’esito sarebbe come quello del Ridolfi, ecc. ,. R (130) Alla Nazione, come afferma RarraeLe De Cesare [Spaventa giornalista, pp. 36-39], © collaboravano chiarissimi uomini d'ogni parte d’Italia, che furono, più tardi, ministri, deputati e senatori. Il marchese Gualterio vi trattava la questione pontificia; Valentino Pasini la questione veneta; Girolamo Ulloa la questione di Nizza e Niccolò Tommaseo quella del Trentino; Galeotti, Puccioni, Salvagnoli e Giorgini scrivevano di politica; Ubaldino Peruzzi e Sansone D'Ancona di finanze e di economia; Augusto Baraz- zuoli di politica ecclesiastica; Spaventa, Settembrini, Niccola Nisco, Federigo Quercia, esuli napoletani, “ delle cose di Napoli; l’Emiliani Giudici, il Palermo e il Busacca, siciliani, delle cose di Sicilia; e Carlo “ Lorenzini, col pseudonimo di Collodi, scriveva appendici letterarie ,. Paolo Emiliani Giudici nel n° 5 [23 luglio ’59] confutò il libro di lord Normanby: Un anno di rivolu- zione. Il fiorentino Carlo Lorenzini [1826-1890], che per affetto alla madre prese il pseudonimo dal paese materno di Collodi, presso Pescia, nel '48 fondò il Lampione, nel ’53 lo Scaramuccia, poi lo ebbero a colla- boratore L’Indipendente, La Lente, Lo Spettatore, La Nazione e altri giornali. È “ l’autore classico de? nostri ragazzi ,, come lo chiama il D'Ancona, soprattutto per Le avventure di Pinocchio, che ebbero grido e fortuna. Ne’ suoi scritti “© è viva e fresca la vena dell'umorismo; assai largo il campo dell’osservazione; e non in- “ temperante mai, per quanto schietto vi si mostri, il suo spirito di fiorentino autentico ,. Cfr. D'Ancona A. e Baccr 0., Manuale della letteratura italiana; VI, 42-43. | (131) Benedetto Croce dà l’elenco dei “ parecchi articoli , che lo Spaventa “ scrisse nella Nazione tra il 5 novembre del ’59 e il 14 marzo del ’60 ,, e riporta quello intitolato: La Confederazione Germanica e V' Italia, e l’altro: Napoleone III e la forza delle cose. Il fratello Bertrando gli scriveva 1’11 decembre del ’59: “ Come “ vai con la Nazione? L'articolo L'Austria dopo la pace è bellissimo, veramente bello. Ti dico schietto, e lo “ stesso Camillo [De Meis] è del mio parere, che migliori non ne ò letto nel Zimes. È pensato bene, scritto bene, R GI G GI R (4 U MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, SIOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 45 “ è meraviglioso, dice Camillo ,. Silvio gli rispondeva: © Quando tu mi lodi gli articoli che scrivo, io non posso “ racquistare la coscienza delle mie forze intellettive, perchè forze non ci sono. A che serve persuadersi di averle ? “ Scrivo sì, ma ciò che scrivo mi pare così al disotto di ciò che dovrebbe essere, che invece di venirmi la “ voglia di continuare, come succede quando in ciò che si fa ci è una cagione di compiacenza, divento più “ svogliato secondo che scrivo più ,. Quindici giorni dopo, il 80 decembre ’59, gli dice: “ Quello sforzo che “ fo una o due volte la settimana a scrivere articoli, mi stanca e mi lascia spossato in maniera per gli “ altri giorni, che non mì piace di far niente, e non resisto a tentar niente. Ma forse ciò passerà ,. Il 21 gen- naio del '60 ecco quanto Silvio gli torna a scrivere: “ Da sabato non ho scritto un rigo pel giornale, sicchè “ mi è mancata anche la piccola soddisfazione di aver fatto qualche cosa, buona o cattiva. Fortuna è stata “ che il giornale non ne ha avuto bisogno : ci erano diversi articoli venuti da diverse parti, ed io ho potuto “ stare in ozio. Cioè, bell’ozio che è questo mio! Per sei giorni ho penato giorno e notte, e non ho potuto “ venire a capo di un articolo. Ci ho tante idee pel capo, e poi, quando vado a scrivere, non me ne viene “ più una, e sudo, e mi arrabbio, e non concludo niente. Stamane ero risoluto di dire a D'Ancona che non “ volevo scrivere più, e che sarei uscito dalla redazione. E sono andato da lui, e l’ho trovato così buono, “ che non ho avuto il coraggio di dirglielo. Egli mì ha richiesto un articolo per posdomani da consegnarsi “ domani sera. Ora non posso più lavorare di notte: e il lavoro di giorno mi è infinitamente penoso e “ sterile ,. Cfr. Sirvio Spaventa, Dal 1848 al 1861, lettere, scritti, documenti, pubblicati da BenepETTO Croce, Napoli, Morano, 1898, pp. 270-284. (132) D'Ancona A., Ricordi e affetti, p. 337. (133) D'Ancona A., Carteggio di Michele Amari; I, 446. (134) Il D'Ancona [Pagine sparse, p. 313] soggiunge: “ Ho sempre creduto che, quanto a quest’ultimo capo, “ egli avesse comunicazioni o dirette o per mezzo di parenti del dottor Conneau, medico e amico di Napo- “ leone III, che vivevano in Firenze ,. (135) In una lettera del Ricasoli al Borgatti si legge: “ Non c’è eccesso che non avrei commesso nel ’59 “ e °60, quando fossi stato posto alla disperazione di perdere l’unità d’Italia, in cui vedevo il solo porto di “ salute per l’ayvenire d’Italia: avrei ucciso mia figlia, che era il mio grande affetto in terra, se ella avesse “ potuto essere un impedimento a conseguire il grande scopo cui tanti italiani miravano ,. Cfr. Gormti A., Vita del barone Bettino Ricasoli, Firenze, Successori Le Monnier, 1898, p. 217. Francesco Dall’Ongaro rac- conta: “ Un giorno ch'io presi congedo da lui [Ricasoli] per ritornarmene in Francia, Andate, mi disse, e “ dite a que’ signori ch'io ho dodici secoli d’esistenza; sono Vultimo della mia stirpe, e darò Vultima stilla del “ mio sangue per mantenere l'integrità del mio programma politico ,. Il Dall’Ongaro soggiunge: © Era notte “ inoltrata. Egli era solo nella sua residenza a Palazzo Vecchio, dove passava la massima parte del giorno “ e della notte. Gli occhi profondi brillavano d'una luce che gli raggiava dall’animo. La fermezza del pro- “ posito e la coscienza del proprio valore, e la fede che aveva nei destini d’Italia, gli davano un’austera “ dignità che non era orgoglio nè vanto ,. Cfr. DaLr’Oncaro F., Bettino Ricasoli; in I contemporanei italiani, galleria nazionale del secolo XIX, Torino, Pomba, 1860; n° 5, pp. 59-60. (136) D'Ancona A., Carteggio di Michele Amari; I, 446. (137) D'Ancona A., Pagine sparse, p. 314. (138) Il D'Ancona [Carteggio di Michele Amari; I, 440-441] scrive con “ l’affetto di discepolo ,: © A dir “ degnamente di lui non basta serbare nell’animo la immagine del maestro insigne ed eloquente, le cui “ lezioni, in sì arduo argomento come è quello dell'economia politica, restano innanzi alla memoria come “ modello imitabile, ma non sì facile a riprodurre, di perspicuità, di precisione, di scientifico rigore “ non disgiunto da bontà di forma. Francesco Ferrara nacque nel decembre 1810 a Palermo, e datosi agli © studi economici fu presto a capo dell’ufficio siciliano di statistica e nel medesimo tempo fondò un giornale “ destinato a cotesta disciplina. Nel 1848 fu messo in prigione, ma venne liberato dal popolo insorto e “ trionfante. Andò poi in Piemonte fra i deputati ad offrire la corona di Sicilia al Duca di Genova, e in “ Torino rimase scrivendo nel giornale la Croce di Savoia e poi come professore di economia politica nel- “ l’Università. Per una sua lezione sulla libertà dell’insegnamento fu tradotto innanzi al Consiglio Superiore, “ che lo condannò a lieve ammenda: io che ero presente a cotesta lezione posso attestare che nulla conte- “ neva, salvo alcuni frizzi, e nell’usarli il Ferrara è valentissimo e penetrante, all'indirizzo dei reggitori della © pubblica cosa. Il Ferrara si difese con calore e con brio con un suo scritto, che è a stampa ,. Ha per titolo Difesa del prof. F. Ferrara avanti il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Torino, 1858. Tipografia Nazionale di G. Biancardi; in-4°, di pp. 50. Carlo Alberto, con decreto del 16 ottobre ’48, lo incaricò del. l'insegnamento dell'economia politica nell’ Università di Torino; quattro giorni dopo fù nominato reggente, e_l’8 aprile del ’50 professore effettivo. Il 3 settembre del ’59, da Torino, scriveva al D'Ancona: “ Sento con “ piacere che la Nazione, che vien sempre citata, è diretta da lei; le auguro buona sorte. Mi dicono che sia “ vacante in Pisa la cattedra di economia politica. È vero? E quando lo fosse, crede ella che potrei otte- © nerla per me, prima che la Toscana divenga provincia di Torino ? Questo progetto mi seduce molto; quanto 46 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA “ volentieri cambierei il camposanto di Pisa con quello di Torino!,. In un’altra lettera del Ferrara al D'Ancona, che prese a petto la cosa e ottenne che un sì “ valente insegnante , fosse chiamato a Pisa, si legge: “ Ella sa che io e la mia famiglia siamo disposti a tutti i sacrifici possibili, per uscire dalla falsa “ posizione in cui mi han messo i miei principii, e la mia ostinazione a non volerli modificare secondo “ gl’interessi di coloro per le cui mani passa il mio sciaurato stipendio. La Toscana è tutt'altro paese. “ Quand’anche la fusione avrà luogo, non sarà mai, spero, tale da far convertire in delitto, e quasi in ob- “ brobrio, le parole di un professore che difende in Firenze le libertà economiche ,. Cfr. D'Ancona A., Dal mio carteggio, pp. 364-366. (139) Il D’Ancona [Op. cit.; I, 441] scrive: “ Venne, ma il provveditore Puccioni, vecchio arnese del Go- verno di Lorena, trovò modo di non fargli fare se non la prolusione, e ai suoi reclami rispose: Vada « “ passeggiare in Lungarno. Intanto sopraggiunsero i casi di Sicilia, ed il Ferrara tornò a Palermo ,. Giulio Puccioni, senese, vissuto dal 14 giugno 1783 all’11 agosto 1863, tenne la cattedra d’istituzioni canoniche nell'Università di Siena dal 1822 al 1841; fu provveditore, prima dell’Università stessa dal ’41 al ’49, poi di quella di Pisa dal ’49 fino al 15 febbraio del 1860, in cui dal Governo Provvisorio venne collocato a riposo. Era di corta levatura, e sempre si mostrò nemico d’ogni civile e scientifico progresso. Cfr. Banpi G., Giulio Puccioni, Firenze, Bencini, 1864; in-8°, con ritratto. (140) La Facoltà di filosofia e filologia, che prima dello smembramento dell’Università di Pisa, avvenuto in forza del decreto granducale del 28 ottobre 1851, si componeva di otto cattedre: lettere italiane; lettere greche e latine; lingue orientali; filosofia razionale; filosofia morale; storia della filosofia; storia e archeo- logia; pedagogia; era allora ridotta alle sole cattedre di lettere greche, latine ed italiane; lingue orientali e lingua greca; filosofia razionale; e filosofia morale. Giosuè Carducci, che vi fu scolaro, in una sua lettera ne fa la più brutta pittura. Di Michele Ferrucci, che insegnava lettere greche, latine e italiane, scrive: © Avrai un “ professore ciarlone, che ti stancherà a forza di citazioni e di date quando fa bene, quando cioè copia da tutti “i libri che può aver per le mani, senza mentovar mai nessuno; del resto, ti dirà con aria cattedratica quelle “ cosette che sanno anche i bambini della seconda, senza un’ombra mai di critica, senza un bagliore di ragio- “ namento ; cose fritte e rifritte da tutti gli accademici, da tutti gli scrittori di retorica, da tutti gli arcadici “ di tutti i tempi,. Una volta il Ferrucci premise a un suo corso sulla Divina Commedia una lezione sopra l'epopea primitiva e secondaria, che agli scolari parve bellissima, com'era veramente. © Sai da chi l’ha presa? , disse il Carducci al suo condiscepolo Ferdinando Cristiani. — “ Dal Nisard ,. — Cerca il libro, traduce dal francese in buon italiano tutta la lezione, e chiamato poi a ripetere, la ridice con una fran- chezza tale da far maraviglia agli uditori. — Cfr. Cararini G., Memorie della vita. di Giosuè Carducci, Fi- renze, Barbèra, 1912; p. 40. Nè al tempo del Rosini le cose andavano meglio. Racconta Felice Tribolati: “ Un giorno entro in una scuola quasi deserta di ascoltanti: pochi uomini non giovani e due o tre signore. “Il mio apparire di cima alla gradinata della sala fe’ /soffermare l'oratore, o meglio, colui che di cattedra “ parlava con onesta apertura di bocca e volgere il capo dei pochi uditori verso di me, rimasto sospeso e “ mortificato come un estraneo che per sbaglio interrompe una conversazione privata. Invitato da un cenno “ cortese del professore [Giovanni Rosini] mi avvicinai e presi posto accanto agli altri di fianco alla cat- “ tedra..... Ascoltai: parlava del suo maestro Lorenzo Pignotti, ed occorrendogli nel discorso di citare la “ famiglia Medici, di aneddoto in aneddoto venne a far la storia dei passaggi di un podere mediceo posto “ nel sobborgo pisano di Barbaricina, appartenuto all’ultimo di questa famiglia, la contessa Lorenzani! ,._ Cfr. Trisorati F., Conversazioni di Giovanni Rosini, Pisa, Spoerri, 1889, pp. 3-4. E il Tribolati era devoto alla memoria del Rosini! (141) D'Ancona A., Ricordi e affetti, p. 581. (142) D'Ancona A., Dal mio carteggio, p. 870. (143) Il decreto è di questo tenore: “Il Governatore generale delle provincie di Toscana, considerato il “ pregio degli scritti letterari del dott. Alessandro D'Ancona, decreta: Il dott. Alessandro D'Ancona è inca- “ ricato per un anno dell’insegnamento della Letteratura italiana nell’ Università di Pisa, con l’onorario di - © lire italiane tremila ,. (144) La Farina in Sicilia e Garibaldi a Caprera, satira di BurrAnmacco, Firenze, tipografia di F. Bencini, 1860; p. 17. (145) Reale Accademia dei Lincei. Inaugurazione dell’anno 1914-15. Classe di Scienze morali, storiche e filo- logiche. Discorso pronunciato dal vice presidente Francesco D’Ovipro, Roma, tip. dell’Accademia dei Lincei, 1914, pp. 8-9. (146) Aleardo Aleardi, che “ lietamente trascorse in Pisa gli anni dal ’60 al '63, cinquantenne e nella © pienezza della sua fama, non aveva disdegnato di farsi umile discepolo del giovane maestro, e assisteva “ con assiduità di scolaro diligente alle lezioni di letteratura italiana del D'Ancona ,. Cfr. Gruserpe BrapEGo, Commemorazione dei soci [dell'Accademia d’agricoltura, scienze e lettere di Verona] Ettore Calderara, Luigi Adriano Milani, Alessandro D'Ancona, Francesco Cipolla, Verona, Franchini, 1914, p. 10. Tra le carte del “ MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 47 D'Ancona si conserva autografo uno “ stornello , dell’Aleardi “ al mio Sandro ,, con la data: © Pisa, 11 marzo '61 ,. È inedito, ma non lo pubblico: niente aggiunge alla fronda d'alloro che circonda la fronte del poeta e patriota veronese. (147) D'Ancona A., Ricordi e affetti, pp. 127-128. Cfr. anche: Ricordi storici del Risorgimento italiano, pp. 547-548. (148) D'Ancona A., Scritti Danteschi, pp. 498-499. (149) D'Ancona A., Ricordi e affetti, p. 524. (150) Ze Odi | dì | Gruserre Parini | illustrate ad uso delle scuole | da | ALessannro D'Ancona | professore di Letteratura italiana nella R. Università di Pisa | Firenze | Successori Le Monnier | 1884; in-16°, di pp. x-174. Nel 1905 ne fu pubblicata la © quarta impressione ,. (151) Foscoco U., Saggi di critica storico-letteraria, Firenze, Le Monnier, 1862; II, 224. (152) Dalla cattedra commentò anche le poesie del Manzoni, ma è lavoro esclusivamente suo, che dedicò ad Isidoro Del Lungo, il quale lo “ aiutò della sua erudizione e del suo fine gusto, con un'accurata revisione “ dell’opera ,. Cfr. Poesie | dì | Aressanpro Manzoni | scelte ed annotate ad uso delle scuole | dal professore | Aressanpro D'Axcona | Firenze | G. Barbèra editore | 1892; in-16°, di pp. vir-166. Nel 1901 ne venne fatta la “ terza impressione ,. (153) D'Ancona A., Tommaso Giorgi ed Enrico Frizzi; in Ricordì e affetti, pp. 148-155. Così fece pure, ma nella Rassegna bibliografica della letteratura italiana [I, 136; II, 92; V, 303], per Vittorio Lami di Vol- terra, vissuto dal 19 settembre del ’59 al 14 marzo del ’93, “ giovine operoso e buono ,, che “ con dottrina e prudenza , stava preparando un’edizione dei Villani È corretta sui migliori codici ,, e “ niuno meglio a ciò “ mostravasi preparato , di lui; così fece per Pietro Bilancini di Monteleone d’Orvieto vissuto dal 21 set- tembre del ’64 al 22 marzo del ’95, che lasciò, “ documento del suo ingegno e della sua buona attitudine « alle lettere ,, un raffronto fra Giacomo Leopardi e Alessandro Guidi [Trani, Vecchi, 1894], ed i Sermoni di Lucio Settano, figlio di Quinto, tradotti e studiati in rapporto alla storia delle lettere e del costume del secolo XVIII [Trani, Vecchi, 1894]; così fece per ‘Giovanni Abbatescianni di Bari, vissuto dal 26 febbraio 1865 al 28 de- cembre del ’97, amato “ dai maestri e dai condiscepoli per assiduità allo studio e bontà d'indole ,, che della sua “ attitudine agli studi filologici , lasciò due saggi: La lingua latina nel dialetto pugliese e la Fonologia del dialetto pugliese, che ebbero le lodi dello Schneegans. (154) Venne pubblicata una Raccolta di studii critici dedicata ad Alessandro D’ Ancona festeggiandosi il XL an- niversario del suo insegnamento, Firenze, tipografia di G. Barbèra, 1901; in-4°, di pp. xLvu1-792, con ritratto. Ha in fronte questa epigrafe: Al maestro | che dalla cattedra pisana | in quarant'anni | d’alto e fecondo inse- gnamento | svolse la storia delle lettere nostre | all’erudito | che di tanta luce rischiarò | le origini e le fortune | del teatro e della poesia popolare | e indagò quasi per ogni parte | la letteratura della patria | al cittadino | che giovò con la penna e con l’opera | nel risorgimento nazionale | e ne raccolse e lumeggiò | vicende ed ammaestra- menti | all'uomo illibato | negli affetti della famiglia e della vita | offrono | con animo devoto e riconoscente | amici discepoli ammiratori. (155) Il 30 settembre del 1907 scrisse e stampò: “ Gioventù studiosa, tu sai che da quarantasei anni non “ ti ho dato se non precetti di civile dignità ed esempj di coscienza ,. Cfr. Ricordi e affetti, p. 135. (156) Con decreto del 9 decembre dello stesso anno venne dichiarato professore emerito. (157) Ebbe l'insegnamento dell’Esegesi dantesca il 1° gennaio del 1901 e lo tenne fino al 7 aprile 1909. (158) A proposta del deputato Giovanni Bovio, con legge del 3 luglio 1887, fu istituita “ una cattedra dantesca nell’ Università di Roma ,. Il professore doveva essere eletto “ con l’applicazione dell’articolo 69 “ della legge 13 novembre 1859 e dietro il voto favorevole del Consiglio superiore di pubblica istruzione ,. In una lettera del Bovio al Crispi, de’ 9 di quel mese, si legge: “ Scrivo all’amico, perchè a nessun ministro “ ho mai parlato di me. All’on. Coppino ho scritto queste parole: Ho letto nei giornali una terna di candi- “ dati alla cattedra dantesca: D'Ancona, Zumbini e Carducci: D'Ancona è un pedante, sordo a Dante. Zumbini “ è artista colto. Carducci è l’uomo universalmente indicato. Vigilate voi affinchè della cattedra di Dante, intesi “ contrapporre a quella di Pietro, non si faccia un impiego... Dopo che il Coppino avrà nominato il profes- sore dantesco, io darò nell’ Università di Napoli poche lezioni su Dante per provare che il proponente “ quella cattedra aveva coscienza della proposta ,. Cfr. Carteggi politici inediti di Francesco Crispi (1860-1900) estratti dal suo archivio, ordinati e annotati da T. ParamencHI-Crispi, Roma, 1912, p. 409. Il ministro Coppino finì col lasciar vacante la nuova cattedra, e così è sempre rimasta. Della “sentenza boviana , tocca scherzo- samente il D'Ancona nel proemio ai suoi Scritti danteschi. (159) D’Axcona A., Scritti danteschi, p. 506. (160) Dalla Rapsodia IX dell'Iliade. La risposta di Achille nella versione inedita di Uso Foscoro, In Livorno, pei tipi di Francesco Vigo, XXVII agosto MDCCCLXXI; in-16° grande di pp. 30. Precede la dedica: “ Ad Alessandro D'Ancona | nel giorno delle sue nozze | con Adele Nissim | mandano | G. Carducci e “ G. Chiarini ,. Segue l’ode carducciana; 0 dei cognati [pp.5-7]; un’avvertenza del Chiarini, Ai lettori [pp. 9-12]; 48 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA poi le due traduzioni, in pagine alternate, del Monti e del Foscolo, Dalla Rapsodia IX dell'Iliade, vv. 307-430 (pp. 14-25], e alcune Redazioni e lezioni varie [pp. 29-30]. Cfr. AcuuLe Peuizzari, Giuseppe Chiarini, Napoli, Francesco Perella editore, 1912, p. 208. Cfr. Carpucci G., Giambi ed epodi e rime nuove, Bologna, Zani- chelli, 1894; pp. 265-267. (161) Quando il D’Ancona, nel 1872, stampò in Pisa, co’ torchi de’ Fratelli Nistri, La Vita nuova di Dante AuGHIERI, riscontrata su codici e stampe, preceduta da uno studio su Beatrice e seguìta da illustrazioni, la dedicò alla moglie con queste parole: xrr DECEMBRE MDCCCLEXII | IL NOME | DI | ADELE | coMPAGNA DOLCISSIMA DELLA VITA | IN FRONTE A QUESTO LIBRO D'AMORE | SCRIVEVA | IL Dì NATALE DI LEI | ALESSANDRO D’ANCONA. (162) D'Ancona A., Ricordi e affetti, pp. 350-351. (163) D'Ancona A., Ricordi e affetti, pp. 547-568. (164) D'Ancona A., Ricordì e affetti, pp. 569-588. (165) Grovanni Fanroni (LaBinpo), Poesie, « cura di GeroLamo Lazzeri, Bari, Laterza, 1913, p. 75. (166) D'Ancona A., Scritti Danteschi, p. 444. (167) Una di queste fotografie venne riprodotta tra le incisioni che adornano: Giosuè Carducci, commemo- razione di Aressanpro D'Ancona, tenuta a Roma in Campidoglio il 19 aprile 1907. Con ritratti e ‘incisioni. Milano, Fratelli Treves editori, 1907; in-16°. (168) D'Ancona A., Ricordi e affetti, p. 114. (169) Il prof. Francesco Novati ne’ suoi interessantissimi Ricordi di un discepolo, stampati nell’Emporium del febbraio ’15, dà la veduta della villa di Volognano e ne fa una viva descrizione. (170) Il D'Ancona [Varietà storiche e letterarie; II, 380], nel ricordare con vivezza d’affetto Carlo Tenca, scrive: “ nelle elezioni di senatori si videro inalzati a tal dignità molti Carneadi, ma lui non fu tenuto in “ nessun conto ,. Poco mancò che la stessa sorte non toccasse anche al D'Ancona. Venne nominato senatore del regno soltanto il 4 marzo del 1904! (171) D'Ancona A., Ricordi e affetti, pp. 126-127 e 130-131. (172) D'Ancona A., Viaggiatori e avventurieri, p. vu. (173) La nostra Accademia lo nominò socio corrispondente il 4 febbraio del 1885. Espresse il proprio gradimento e la propria riconoscenza con questa lettera: ‘ “ Pisa, 8 febbraio 1885. “ IMustre Signore, “ La elezione a socio corrispondente di cotesta insigne e celebrata Accademia, cui Ella degnamente pre- siede, è premio d’assai superiore a quel poco ch'io ho saputo fare fino ad ora, ed incoraggiamento efficace ad ulteriori fatiche nel campo della storia e delle lettere. Vivamente commosso a tanta benignità di giudizio per parte di sì cospicua eletta di dotti uomini, sono lieto insieme ed altiero di potermi dire ad essi d’ora innanzi collega, e che per tal modo sieno diventati maggiormente prossimi e stretti i vincoli di affetto e “ di stima, che giù mi tenevano congiunto con parecchi fra gli illustri Accademici, e con Lei, egregio signor “ Presidente, in particolare. “ Avrò fra qualche giorno l’onore di inviarle, come debito sebben tenue omaggio, qualche mia coserella “a stampa, cui Ella vorrà aver la bontà di dar luogo nella Biblioteca dell’Accademia. “ Pregandola intanto di ringraziare vivamente per me i componenti tutti del valoroso consesso mi dico “ con ossequio e riconoscenza i “ “ “ “ “ Devotissimo ed obbligatissimo collega “ Prof. ALessanpro D'Ancona. © Prof. Comm. A. FasrEnTI “ Presidente della R. Accademia delle Scienze di Torino ,. Il 3 marzo del 1898 venne promosso socio nazionale non residente. Tornò a scrivere: “ Pisa, 1° aprile 1898. “ IM.m° Signore, collega pregiatissimo, “ Ho testè ricevuto il Diploma di Socio Nazionale non residente di cotesta insigne Accademia, e la gen- “ tilissima Sua che lo accompagna. “ Accolga Ella i miei ringraziamenti, e voglia farsi interprete dei miei sensi di ossequiosa riconoscenza “ presso l’intero Sodalizio e presso i singoli membri di esso, per l’onore che mi si è voluto fare, sopra ogni “ mio merito. “ Mi è poi caro il pensare che a Torino, ove passai i più begli anni della mia giovinezza, mi unisca, “ per bontà dei rappresentanti la cultura piemontese, questo nuovo e prezioso vincolo intellettuale. “ Con siffatti sentimenti e col maggior rispetto ho l'onore di segnarmi “ obbligatissimo collega “ Prof. ALessanpro D'Ancona. © AV Prof. G. CarLE “ Presidente della R. Accademia delle Scienze di Torino ;. Dalla R. Accademia dei Lincei venne nominato socio corrispondente il 9 agosto dell’85; promosso socio nazionale 1°8 agosto del’91. La R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, che l’aveva fatto suo socio corrispondente il 31 decembre del ’91, lo volle socio ordinario non residente il 3 marzo del 1908. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 49 Fu socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere fin dal 4 febbraio del '69; del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti fin dal 23 marzo dell’84; della R. Accademia della Crusca fin dal 23 marzo dell'88; della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo fin dal 21 gennaio del 1906; della R. Accademia delle Scienze di Bologna fin dal 14 aprile del 1908. L’ebbero socio onorario l'Accademia dei liberi di Città di Castello (30 gennaio 1887); l'Accademia Rossini di Pesaro (26 settembre 1891); l’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo (18 luglio 1894); l'Accademia di scienze, lettere ed. arti di Acireale ($ gennaio 1901); l'Accademia di scienze, lettere ed arti di Pesaro (15 giugno 1902); e l'Accademia d’agri- coltura, scienze e lettere di Verona (8 maggio 1911). Fu socio corrispondente della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti (13 giugno 1883); dell'Ateneo di Brescia (6 settembre 1902); e dell’Accademia Pro- perziana del Subasio in Assisi (14 marzo 1910). La Società Colombaria lo fece socio corrispondente il 24 marzo del ’78; socio ‘urbano il 14 aprile del 1912. Appartenne alla R. Commissione per la pubblicazione de’ testi di lingua (19 novembre 1863); alla Società italiana per il progresso delle scienze (16 maggio 1874); e alla Società Asiatica italiana (29 maggio 1887). Lo contò tra’ suoi soci ordinari la R. Deputazione Toscana di storia patria (31 ottobre 1889); tra’ propri soci corrispondenti la R. Deputazione Veneta di storia patria (16 ottobre 1887); la R. Deputazione di storia patria per le Provincie Parmensi (9 aprile 1899); e la Commissione di storia patria e di belle arti della Mirandola (26 febbraio 1900). Appartenne pure alla Società Storica Lombarda (17 feb- braio 1901). Fece parte della R. Commissione per gli scritti inediti di Galileo (28 gennaio 1864); della R. Com- missione conservatrice dei monumenti, oggetti d’arte antichi ed antichità per la Provincia di Pisa (14 feb- braio 1880); del Comitato nazionale per la Storia del risorgimento (2 ottobre 1907); e della R. Commissione nazionale per il monumento a Giosuè Carducci (11 decembre (1907). Dall’Università di Berlino venne fatto dottore Ronoris causa il 10 marzo del 1910; fin dal 20 decembre del 1901 l’Istituto di Francia (Académie des Inscriptions et Belles lettres) lo nominò socio corrispondente. Fu socio onorario della Dante Society of America (4 maggio 1896); del Moderne Language Association of Amerika (28 decembre 1908); e della Société Néophilologique dell’Università di Pietroburgo (12 marzo 1910); e socio cor- rispondente della R. Accademia di scienze e lettere di Copenhagen (7 aprile 1891). Ebbe queste decorazioni: Cavaliere dell'Ordine de’ SS. Maurizio e Lazzaro (13 gennaio 1867); Cavaliere della Corona d’Italia (31 agosto 1886); Ufficiale della Corona d’Italia (11 marzo 1888); Commendatore della Corona d’Italia (1° febbraio 1891); Ufficiale de’ SS. Maurizio e Lazzaro (11 giugno 1891); Grande Ufficiale della Corona d’Italia (4 giugno 1893); Commendatore de’ SS. Maurizio e Lazzaro (1° novembre 1900); Cava- liere dell'Ordine Civile di Savoia (26 aprile 1902); Cavaliere della Legione d’Onore (20 gennaio 1903). (174) Manzoni A., La Pentecoste, verso 142. 21 Poesie giovanili di Alessandro D'Ancona. GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA APPENDICI ALLA COMMEMORAZIONE A. I. In morte di Niccolò Giorgetti, canzone |7 aprile 1850]. Il M duol che nella mente mi ragiona, Di te, diletto mio, Con mesto suono a favellar mi sprona; Di te che uscito fuor del mondo rio, Lassù nel cielo accolto, Purissimo ti posi in grembo a Dio: E nel terreno esiglio, Onde se’ stato innanzi tempo tolto, Lasci ad ogni gentil bagnato il ciglio, E tal carco d’affanni Che alleviar non puote uman consiglio Per cangiar di fortune o volger d’anni. 2. Come fanciul, se della madre amante Smarrì l’orma adorata Sol pianger sa, nè puote andare innante; Sì l’alma mia, che piange abbandonata E cui la forza manca, Da duolo e da terror giace prostrata; Ma te pur sempre brama, E nel membrar di te mai non si stanca, E tua sapienza a mente si richiama, E la rara virtude, Ed il sereno volto, ond’ella è grama, Che poca terra a lei contende e chiude. 3. Beato quei che sa farsi più lieve Il peso della vita, Poichè di scienza al fonte avido beve! E d’alti esempi l’alma ingagliardita, Accoglie entro del petto Ogni virtù che a fatti egregi invita: Sull’ali del pensiero S'innalza, e posa il nobile intelletto In un regno più puro e più sincero; Esso del mondo cieco Guida si mostra sul mortal sentiero, E di pace e d’amor lo spirto è seco. 4 E tale ei fu: vide fanciullo ancora La patria sua gemente, Ch’antica cura ingombra ed addolora; E nell’ozio poltrir la nobil mente Maestra all’universo, Per pensamenti eccelsi un dì possente; E l’itala favella Cantar d’amor lascivo il molle verso: E spregiato giacer chi Italia abbella Con opre e dotte e chiare, E di garzon sul labro o di donzella Sonar le stranie voci assai più care. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. ol Ò. Onde, i vizi a schifar dell’età ria, Con studi eletti il cuore E la fervida mente egli nudria; Perchè pietà lo strinse e patrio amore, Poi che l’Italia scorse Vaneggiar sempre d’uno in altro errore: Sì a ricomporre un serto Di gloria, alla negletta aiuto porse; E il cammin di Sofia, penoso ed erto, A schiera giovinetta Ei, dolcissima guida, aveva aperto Col vivo ingegno e la parola schietta. 6. Così di sé contento ei trascorrea E TN tramite mortale, E sorte ancor benigna a lui parea; Quando nel mezzo all’alma acerbo strale A lui vibrò sventura, E tal, che, a questo ogni altro è lieve male. Leggiadro un fantolino Crescea splendor delle paterne mura; In lui l’amor, la speme, ogni divino Affetto era riposto..... Ahi che del viver suo nel bel mattino Sulla bara di morte era composto! # Tia ancor che tutto intero ei fosse affiso Nel morto bambinello, Presso alla donna sua fu lieto in viso. Ma soltanto vicino al caro avello Al pianto sciolse il freno, E del dolor fe’ testimon sol quello. Ma già malor funesto Secreto alimentava entro del seno; E forse tra’ beati manifesto Era il misero stato, E del Signore al soglio era richiesto Spirto cotal d’ogni virtù fregiato. 8. Or, giunto innanzi alla pietà superna, Leggi nel gran volume Ciò che per l’universo si squaderna. Ora conosci per vivace lume I sublimi misteri, Per cui cercar sprezzasti e sonno e piume. Ma eredo un pensier solo I tuoi gaudi lassù non faccia interi, Se degli alunni al lacrimoso stuolo Pensi, e alla dolce sposa Che tutta in braccio d’ineffabil duolo Disdegna ogni conforto ed ogni posa. 0), Or tra gli angeli trovi il Figlio caro, A cui d’eterna luce Le belle forme in ciel s’incoronaro; Ed allorquando amor ver lui t’adduce, Qual non provasti in terra Cara e soave in te letizia induce. Ma non tal che non volga La mente a quei che il sen materno serra: Ond’io non so se più t’allegri o dolga, Ma so che fausto il giorno Fia ch’ognun dei tuoi cari i lacci sciolga, E a posar sul tuo cuor faccia ritorno. 10. Donna, s'îo muovo i detti A favellar di te, non fia ch'i’ voglia Che tu rasciughi il pianto; Chè sì acerba è la doglia, E il ben che abbiam perduto è tale e tanto, Che il cor dolente sfugge ogni conforto, E in un pensiero assorto Par che in esso si posi e si diletti. A. D'A. ut (SS) GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA Ballata di Uhland. Tre garzoni il Reno passano E all’ostessa se ne andar: Giunti là, con vino e birra Ei si voller rinfrescar. Della figlia giovinetta Tutti tre la dimandar; Della figlia, che di subito Féa le genti innamorar. — Fresco è il vino e la mia birra, Ma la figlia mia perì; Ah quel fior di giovinezza Troppo presto inaridì. — Entran tutti nella stanza, Ed il primo la scoprì; Onde a vista sì pietosa Tl suo cuor s’intenerì. — Giovinetta, se vivessi Io vorrei darti il mio cuor: Ah perchè la poveretta Così giovane si muor? — E il secondo, alla sua volta, La guardando con dolor Disse: — Ahimè, che tu sei morta, Tu che amai di tanto amor! — E piangendo il proferia, E di là via se n’andò: Onde il panno della bara Tosto il terzo rialzò; E nel viso impallidendo Nella bocca la baciò: — Io t'ho amata, e t'amo ancora, E in eterno io t'amerò. — A. DA. Donna Clara di H. Heine (Traduzione libera). Dell’alcalde la figlinola Al chiarore vespertino Passeggiava tutta sola, Tutta sola pel giardino; E scendeva giù frattanto, Giù dall’alto del castello Un fragor di suono e canto. — Quanto mai, quanto noiose Mi divenner le carole, E le lodi graziose Che me fan simìle al sole, Fin d’allor che in sul verone Mi traeva a notte bruna Un liuto e una canzone. Dal suo pallido sembiante A me giunse immantinente Il raggiare fulminante Di quell’occhio rilucente. Snello il corpo, alto e spigliato: Ho l’ignoto cavaliero A San Giorgio assomigliato. — Donna Clara infra se stessa Tai pensieri rivolgea; E dal duol vinta ed oppressa Bassi gli occhi al suol tenea; Quando: a un tratto le si mostra L’invocato cavaliero, Ed ai piedi le si prostra. L’un le mani all’altro unite E d’amore mormorando, Della luna al raggio mite Van quei due, van passeggiando. Dolce un zeffiro asolava E la rosa dal suo cespo Graziosa salutava. -—- Or mi di’, mio cuor, mia vita, Perchè mai rossa diventi? — Nella guancia m'ha ferita D’insettueci impertinenti Uno stuolo: e saper dèi Ch’odio io tanto la zanzara Quanto il popol de’ Giudei. — MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4 58 — Deh, Giudei lascia e zanzare; — Rispondeva il cavaliero Con crescente accarezzare: E piovevan sul sentiero Giù dagli arbor pien di fiori Mille ciocche inargentate Che spandean soavi odori. — Or mi di’, mio cuor, mia vita, Porti a me verace affetto? — Alla tua quest’alma è unita, Non aver di me sospetto; Per colui tel giuro, o caro, Che i Giudei malvagi ed empi Alla croce conficcaro. — — I Giudei lascia ed il Cristo, — Lusinghiero ei rispondea; E di luce entro un bel misto Bianco il giglio al ciel s’ergea. — In quel giuro, anima mia, V’ha mai caso che un nonnulla Pur di falso entro vi stia? — — Falsitade entro il mio cuore, Mio diletto, io non so accorre; Così puro egli è ’1 mio amore Come il sangue, in cui non scorre Stilla alcuna che rivele La mischianza con i Mori O col popol d’Israele. — (9) — I Giudei lascia ed i Mori, — Ei rispose: e dolce un fuoco Già serpeva in quei due cuori, Tacea il dire a poco a poco; Lunghi baci a volta a volta Si scambiavano tra loro: Nella rete ella era colta. Già di mirti a un pergolato Ei conduce la donzella: L’usignuolo ha giù intonato Nuzial canto in sua favella; E la lucciola romita Vagolando pel giardino D’un festin le faci imita. Tutto tace in quel recesso, E non s’ode ad ora ad ora Che lo scuotersi sommesso Che fa il mirto alla dolce dra. Ma le trombe ed i timballi | Di là svelgon Donna Clara Per chiamarla a canti e balli. — O mio amore, odi, mì chiama Questo suono alla magione. Ma alla donna che sì t’ama Non celar maggior stagione Il tuo nome desiato: Pria che parta, deh! il pronunzia; Il mio ardor rendi appagato. — Dal suo labbro un bacio elice, Schiude il volto ad un sorriso; E per ultimo le dice Ribaciandola nel viso: — Figlio è il vostro dilettissimo D’ Israel da Saragozza Gran Rabino lodatissimo. 54 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA = Saggi giovanili di critica teatrale di Alessandro D’Ancona. I. ‘Placidia’, tragedia di BrAccio BRAccI, rappresentata la sera di martedì 24 gennaio 1854 nel Teatro del Cocomero a Firenze (1). Galla Placidia figlia di Teodosio il grande e di Galla imperadrice, sorella di Onorio ed Arcadio, fatta prigioniera da Alarico, fu da lui destinata in moglie al cognato Ataulfo, che, morto Alarico, effet- tivamente la sposò, persuadendola a ciò Candidiano. Ucciso il barbaro sposo, non si sa precisamente nè come, nè da chi, nè per qual ragione, Singerico, di lui successore, fece ammazzare i figli del primo ma- trimonio d’Ataulfo, e in onta del Re defunto, fece camminare la stessa regina Placidia a piedi, davanti il suo cavallo, mischiata con altri prigionieri, per lo spazio di dodici miglia. Ma questo barbaro, in capo a sette dì, fu anch’egli scannato, ed ebbe per successore Vallia. Il quale, vedendo riescir male le sue imprese, determinò di cercar la pace dall’ imperadore Onorio, con promettergli la restituzione, sempre ricercata e non mai ottenuta dai predecessori, di Galla Placidia. Onorio accettò l’esibizione di Vallia, e, secondochè scrive Filostorgio, concedette a’ Goti una parte della Gallia, cioè la seconda Aquitania, ossia la Guascogna, con terreni da coltivare. Costanzo conte, generale dell’imperadore, con un fiorito esercito si mosse contro di esso re Vallia, con disegno di ricuperar Placidia, o con le buone o con le brusche: ma essendogli venuto incontro il re Goto con una armata non inferiore, seguirono varie ambascerie, per le quali finalmente si conchiuse la pace. Onorio mandò a Vallia una gran quantità di frumento, già pro- messo e non mai dato a Ataulfo. Ed allora il Goto rimise Galla Placidia con tutta onorevolezza in mano di Eupicchio Magistriano, il quale la ricondusse o la rimandò al fratello Augusto. Ridiventata libera, dovè l’anno seguente (417) sposare, benchè di mala voglia, Costanzo conte, a cui partorì Valentiniano terzo, quindi imperadore: sotto il regno del quale fu potente e quasi imperadrice: finchè morì l’anno 450 e fu seppellita a Ravenna; ove vedesi tuttora la sua urna. Secondo il Muratori, da cui son desunte queste notizie, fu donna di non volgare pietà e prudenza, e meritò le lodi degli antichi. Fin qui la storia. Adesso la tragedia. Placidia è prigioniera in corte di Singerico, il quale ad ogni costo la vuol sua sposa, e libera per suo amore gli altri prigionieri romani. Fra questi è Curio, inna- morato di Elodia, sorella di Singerico. Dopo una scena in cui Placidia ricusa risolutamente la sua mano al barbaro, viene Vallia, fido di Ataulfo, il quale torna dalla Scizia sotto mentite. spoglie, le fa una (1) Braccio Bracci, nato a Santa Croce sull'Arno il 9 novembre del 1830, fu condotto bambino a Livorno, dove passò la vita, che si spense l’8 decembre del 1904. “ Giovanni, il padre, esercitava il mestiere di cal- “ zolaio, ma come il Burchiello ed il Gelli, quando era stanco del quotidiano lavoro, posava i ferri e pren- “ deva la penna, per iscrivere dei versi, cui la natura spesso li dettava improvvisi, derivati da una vena che “ senza cultura d’arte, si faceva ammirare da’ suoi compaesani. Poi, venuto in Livorno con la famiglia, era “ molto volentieri ascoltato anche da culti uditori..... Scrisse delle scene drammatiche, le quali rappresentate “ nei teatri diurni, ottennero il plauso delle plebi, per certi effetti di naturale commozione, che il poeta “ destava negli uditori, tutti intesi ad ascoltare i suoi versi..... Senza aver avuto istruzione letteraria, ne sen- “ tiva il bisogno, e a furia di lavoro e privazioni, la procurò almeno al suo Braccio ,. Ebbe esso a maestro di retorica il P. Angiolo Daniello, facile verseggiatore. “ Il giovinetto ,, sotto la sua guida, “ prese amore “ ai classici, ma bramoso di precorrere studi e precetti, cominciò fin d’allora a scrivere drammi e tragedie, “ a improvvisare ottave e sonetti, a pubblicare liriche ,. Cfr. Pera F., Quarta serie di nuove biografie Livor- nesî, Siena, tipografia S. Bernardino, 1906, pp. 138-139. Quando nel '54 fece rappresentare la Placidia, aveva già dato alla luce la Isabella Orsini, tragedia [Li- vorno, tip. La Minerva, 1851; in-8°], che ristampò diciassette anni dopo [Livorno, tip. La Minerva, 1868; in-16°, di pp. 70], ribattezzandola “ dramma ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 55 dichiarazione; ma essa fugge senza volerlo allesrare di una parola d’affetto. Partita essa, viene in scena Curio a cercar Elodia prima di tornarsene a Roma, e segue questa scena fra i due, che non si conoscono: Ardir che brami? Stranier, che rechi? — Il re non sei: ragione Non rendo a te dell’opre mie. S — Superba Repulsa è questa — Intollerabil sempre Sdegno ogni amaro insolentir: mi vanto Guerrier di Roma. — E amante sei? — Che ardisci? Se alcun t'avesse in fra quest’aure udito, T'ucciderei: sgombrami il varco. Furioso per vedere, non sì sa come, scoperto il suo amore, che dovrebbe essere un segreto per tutti e tanto più per chi viene fresco fresco di Scizia, Curio segue ad insolentire, ma Vallia esclama: Muc- cidi: ma pria mi ascolta. — E fia pur ver? risponde Curio a Vallia, il quale, pigliandola larga, gli diee che fin da giovinetto udì sussurrarsi all’orecchio il nome di Dio, e adulto se lo impresse nell’alma: con- chiudendo che se egli è mentitore, possa il suo capo servir di nappo al più crudel satellite del re. Il Romano risponde: Orror mi fai... ti presto intera fede ed amistà. Quando avvicinandosi Attalo, i due che hanno cominciato a capirsi, senza conoscersi ancora, partono, per tramar fra le quinte quella con- giura da cui dipende l’esito futuro della tragedia. Singerico prova colle buone di piegar Placidia, e ve- dendo che non vuol cedere, la minaccia di darla sposa ad Attalo, suo ministro, con cui dovrà partir il dimani per la Scizia. A Placidia disperata, nè avente abbastanza forza per uccidersi, si presenta Vallia, a cui tutto già narrò la fama; esso con Curio ha preparato la rivolta in nome di Placidia, e la notte sì aspetta per lo scoppio del tumulto. O% tu mi sforzi a eternamente amarti, risponde Placidia; e cambia con un veleno ch’ella deve ingoiare, se le giunga la notizia della sconfitta di Vallia, il pugnale che uc- cisele il primo sposo. Curio, viene a spiegarsi più chiaramente con Elodia ed avvertirla di un futuro peri- colo; giura per essa di obliare la patria, quando sopravviene Placidia a rimproverarlo, con tanta più seve- rità, quanta essa dimostrò nei primi atti amore secreto per il prigioniero. Nè basta Placidia a scuoterlo, e mentre egli si risente della sua viltà, ecco Vallia a trarlo di là, e partono insieme. Elodia comprende allora qual è il pericolo che sovrasta; pericolo, che avendo essa chiesto che fosse mai, Curio non le aveva risposto se non divergendo il discorso e mostrandole una stella, emblema dell'amor nostro. Ma sorge il tumulto; e Singerico, non senza lunghi indugi, corre all’armi, lasciando ad Attalo la cura dell’in- fame Placidia e della donzella regale. Ritorna Placidia, stata finora a pregare, insolentendo contro Elodia; ed allora Attalo esclama: Perfida donna, a me il tuo sangue..... Pra. Indietro, Pallido schiavo, la corona è mia! Trema: tuo re son io. Amm. Che? Pra. Nella polve Lo sguardo abbassa abbominato e vile. Br. Che ardisci? Ant. Oh come il mio coraggio estingue! Pra. Donna, a tremar da questo giorno impara! E tu, barbaro vil, la tua nefanda Spada, ministra a tirannia, deponi..... Dio ti vegga a’ miei piedi..... Er. Insano! Arm. To fremo. E gli cade la spada. All’ultimo atto, non si è avuta ancora nuova della battaglia e Elodia trema della ferocia di Placidia. Ed a ragione, perchè Attalo viene a raccontare la disfatta di Singerico, e a consi- 56 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA gliarla alla fuga. Usciti essi, ecco Placidia che, già tanto baldanzosa, adesso trema anch'essa dell'esito della sollevazione, e ad alta voce (almeno in scena) si lagna del destino: l’ode Attalo, e le dà la falsa nuova della sconfitta e della morte di Vallia, e già scorge del re l’insegna. Placidia crede, e non si cura di vedere; e beve il veleno davanti al ministro, che, fatto il colpo, s’invola. Quand’ecco Vallia vincitore, che ucciso Singerico le riporta il pugnale: ed essa spira fra le sue braccia, vittima della crudeltà. Vallia invoca il sole, perchè gli abbruci gli occhi, affine di non vedere morto il suo amore; e finisce la tragedia. Di qui si vede chiaramente che Placidia della tragedia, non è Placidia della storia. Noi siamo di quelli che non credono lecito al poeta, di foggiare, stravolgendo a suo modo, un personaggio realmente esistito: e se così fosse si farebbe il peggior servigio al genere umano, perchè impunemente si alzereb- bero sugli altari nomi infami, e gli illustri si sospingerebbero nel fango. E a che essere vissuto incol- pevole sulla terra, a che aver sacrificato la passione al dovere, se dopo la morte ti aspettasse il disonore? Quest’assassinio delle reputazioni, che si può portare su tutti i capi, va affatto sbandito dal teatro, ove noi italiani cotidianamente soffriamo di vedere, fra l’altre, Lucrezia Borgia commettere delitti immagi- nati dalla mente dell’autore: perchè, per quanto sia controverso il giudizio che su quella donna deve portarsi, niuno storico mai la incolpò di uccisioni che spettano tutte al duca Valentino. Eppure ai nostri giorni così si adopera da quasi tutti gli scrittori di genere misto di falso e di vero: e solo il Manzoni e pochi altri egregi, dipingendo secoli da noi remoti, ebbero la rara moralità e perspicacia di fingere i caratteri: ed anzi il romanziere milanese spinse tant’oltre la delicatezza che, accanto al cardinal Bor- romeo, di cui nessuno può impugnar la pietà sublime, volendo metter dei tristi usò il nome solo, o diede l’epiteto di Innominato, per non offendere alcun personaggio o alcuna famiglia illustre di quel tempo. Ma di ciò basti: accettiamo Placidia qual’ è nella tragedia. E qual’è nella tragedia? Placidia è donna che dal primo all’ultimo atto, non ha che un pensier solo, quello della vendetta, e della vendetta di un marito che essa non ha amato. Dunque al delitto manca un fine! Nè si opponga l’amor per Curio, di cui appena sì fa cenno, nè quello per Vallia, nato d’improvviso, anzi rifiutato prima, e poi accettato sol quando Vallia le scopre la congiura. E se altri dicesse che probabil fine del delitto meditato da Placidia sia non la vendetta di Ataulfo, ma la propria liberazione, noi risponderemo che ciò potrebbe anche essere, ma non appare; nè allo spettatore vien fatto di rinvenir per qual modo potrebbe tornar libera, uccidendo Singerico, quando da Alarico era passata a Ataulfo, da Ataulfo a Singerico, e per la speranza di copioso riscatto era tenuta carissima dai Goti tutti. Dunque il delitto non avrebbe altro fine che la vendetta di Ataulfo, del vil tiranno, del crudele, come essa lo chiama sul principio. Ed anche questo si potrebbe passare, se nel meditare il delitto, si presentasse mai innanzi a Placidia un forte ostacolo, con cui dovendo combattere, ne emergesse il vero ed unico possibile principio drammatico dell’antagonismo di due forze possenti. E questo si presentava facile nell'elemento morale, se altro non vi fosse stato, tanto più forte în cuore di una donna. Eppure mai una parola di dubbio salutare su quello ch’essa continuamente rivolge per la mente: mai un istante di riflessione, di ripiegamento sopra sè stessa. La vendetta non deve mai appa- rire un dovere, che non trovi oppositore nella moralità dell'individuo: altrimenti anderebbe a rifascio . la società. Dio guardi, se l’uomo non avesse il rimorso del concepimento e del fatto iniquo! Presso i Greci l'elemento morale cozzava col fato; presso i moderni esso deve cozzare colla passione. Quando sulla scena io vedrò un personaggio che medita un delitto qualunque si sia, senza mai ondeggiare, senza mai pentirsi un istante, io dirò che questo carattere è fuori della natura umana. E siccome in questa lotta consiste la umana dignità, fa d’uopo che l’autor drammatico ben si fermi su d’essa e la faccia spic- care; perchè se anche il dovere è vinto dalla passione, l’umana dignità è salvata. Superata la battaglia, le conseguenze son legittime e necessarie. Macbeth stesso confessa, nella sublime tragedia di questo nome, che è più spaventevole all’attonita immaginazione, il disegno di un’infame azione, che non sia la stessa azione al momento ch’essa si compie. E come non si trova elemento drammatico in Placidia, così neanco negli altri personaggi quando sieno posti con lei a contrasto. Attalo, Elodia e Curio son personaggi secondarii: Singerico ponendo a contrasto il suo amore ed il suo volere colla fermezza di Placidia, è costretto a cedere dopo breve lotta e rinunziare alle sue pretensioni, dando Placidia per sposa ad Attalo. Vallia, piovuto di Scizia, non ha mai luogo di trovarsi a lungo cogli altri personaggi, ma solo con Pla- cidia, colla quale concorda, e perchè l’ama e perchè nutre lo stesso suo pensiero di vendetta. Onde rimar- rebbe solo carattere quello di Placidia; ma, oltre a quanto abbiamo osservato, non è per nessun modo presumibile in tal donna la cieca credulità, da cui dipende la sua fine ed il fine della tragedia; onde x Placidia de’ primi quattro atti non è più dessa nel quinto. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 57 Questo di Placidia. Ma discorrendo in generale, noteremo, fra l’altre cose, che par da dubitarsi se abbiano del tragico le continue e piuttosto basse e vili dispute tra le due principesse; e le continue impertinenze che da sè stesso si dice Singerico: ed il rispondere di Attalo ogni volta che il suo signore lo chiama col nome di schiavo infedele, o iniquo Attalo, infido, o tramante, impaltidito schiavo: se vi sia economia poetica nel porre in un solo atto due dichiarazioni d’amore e continue narrazioni da per tutto; se sia probabile lo spavento e la prostrazione estrema di Placidia, alla minaccia dello sposalizio con Attalo, mentre aveva sempre risposto alteramente alla minaccia del re di farla sua; e se, mentre sì combatte in campo e si decide la sorte del regno, Attalo, che ha in custodia il palazzo, tuttora del re, possa lasciarvi vagar libera a suo senno Placidia, quando la ribellione è fatta in nome di lei, e l’im- possessarsi della sua persona sarebbe probabilmente un segno ed annunzio di vittoria. E venendo allo stile, conveniamo coll’Autore, nella prefazione alla tragedia stampata (di cui ci ser- viamo per questa notizia critica) che esso non è tragico: s’accosta alla lirica, egli dice, e sa di troppa dolcezza; ma il Pellico nelle sue tragedie, non che il celebre Niccolini, hanno iniziato questa nuova scuola ai nascenti scrittori, difettosa, per vero dire, in tragedia, ma la più facile a coltivarsi. Ma quando sia riconosciuta difettosa, perchè usarla, solo per la facilità? Or dunque si dovrà usare il difettoso, perchè facile? Certo non èvvi cosa più facile delle strampalerie. Oltredichè, bisognerebbe sapersi fermare a? quei limiti a cui si fermarono il Pellico e il Niccolini. Il che non ha fatto il nostro Autore, e ne daremo qui un saggio. Taceremo dei continui paragoni che in tragedia non stanno, e dei quali ve n’ ha oltre a venti; tace- remo di certe parole continuamente ripetute, come gioia con tutti i suoi epiteti; agonia; crudo, che s’in- contra ad ogni piè sospinto; e ululo e nembi e turbini ed ebbrezze. V°è l’urlo dei nembi, la febbre del cuore, la fredda voluttà d’un bacio; la voluttà feroce; la voluttà dell’agonia; l’ebbrezza del sogno; la dolce ebbrezza della strage; il turbo del re vivente; il nembo di dolore; e simili gioielli. E gli epiteti non par che sieno il forte dell'Autore; chè si potrebbe trovar da ridire sulle stridenti selve, sulle gio- vani catene, sull’inesplicabil fiamma d’amore, sulla viltà codarda, sulla terra fatta cadavere dal brando di Singerico, sull’aura profonda di gemiti e di pianti, sull’estasi delusa e spenta, ecc. Ma peggio è quando l'Autore infilza dei versi tutti epiteti, senza logica successione, come: brune, superbe, disdegnose e belle; feroce indagator, maligno sguardo; folle, reo, fantastico amore; indomabil, cupa, fierezza altera; spie- tato, intollerabil, crudo, fatal: disprezzo. E in quanto al verso, non v'ha arte di spezzatura, e l’armonia è sempre uguale. V’ ha dei versi che paion gemelli, come i seguenti: Dolor di morte che non ha parola — L'oblio del tempo che non ha sventura — D’una speranza che sì fa gigante — Figlia del tempo e del primier peccato — Nell’aer vuoto de’ creati abissi — Dei quali versi abbonda di troppo questa tragedia, ed in generale tutte le moderne poesie. Ma tor- nando alle frasi che sembran stravolte, noteremo come tale ci paia la frase: Un odio eterno quanto il creato, odio che ‘omai divenne necessità di vita; e il dire che nei deserti di Scizia è selvaggio perfin l’amore e non ci avvezza al pianto, come in Italia; e che la speme suona ancora nel cuore; e che la bellezza di Placidia somiglia la mia speranza che mi ha fatto adulto nella sventura; e che l’amore piega a mite aura di pace; e che devesi strugger l'arcano del suo volto, se non fosse sopportabil cosa desolar la terra di tanto raggio; che la ferocia di Singerico fu l'ombra di corsier fuggente; che Placidia adagerà la fronte sui cespi d’un’altra terra; che Placidia piacque umanamente agli occhi di Curio, ecc. Curio, raccontando la morte del padre, esclama che rimasto solo col suo cadavere tutta la notte: L’alito freddo della morte in seno Di quell’aure profonde, ora sul crine, Or sulla fronte, or sulle labbra errando, Un sospir lieve mi parea del padre, Ombra dolente. Placidia, congedando Curio, gli dice: Se ti manca Una lacrima agli occhi, al ciel ti volgi..... Piange il cielo di Roma..... 22 58 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA Il che in buona lingua vuol dir che piove. E traendosi del seno il pugnale che uccise Ataulfo, grida: Delle orrende mie notti è il raggio solo È Che rischiara il mio fato... è il sogno, il primo Sogno che veste il conturbato spirto. Come un pugnale sia il raggio rischiaratore del fato, e un sogno vesta (e di che?) lo spirito, non sappiamo. Curio seusandosi di amar Elodia, dice che l’ama perchè leggiadra: che è scusa puerile. - Placidia chiede il capo di Singerico: n sull’altare Dell’odio mio che l'universo abbraccia. Singerico dimanda perchè sopra Placidia vive tanto amore e tanta bellezza: e rivolgendosi ad essa, e chiamandola a respirar l’aura del soglio, le dice: Il duol che tanto Arde l’anima tua, somigli al raggio D’una stella che muor. E soggiunge: Mandami un lampo delle tue pupille Sulla corona, e la vedrai più bella. Indi conclude: Amami: è grande Questo amore: è terribile — somiglia Nel suo poter la interminabil furia D'aquila pellegrina: è immenso: abbraccia Tutto il creato, e la sua meta invano Tu cercheresti... l'infinito... forse,..... Gli daria loco. Che così parli un Visigoto del V secolo non andiam persuasi, quantunque l’autore chiami in suo soccorso la storia, eterno testimone dei vizi e delle umane virtù, a dirci che i Visigoti erano i popoli i più inciviliti del settentrione. Ma sentiamo Vallia come riesca nelle dichiarazioni: » T'amo, o Placidia... ah non sdegnarti — io t'amo Come il suono di guerra, e le foreste Dove cinsi la spada, e mi fu dolce Di qualche (!) fiera affaticar la traccia Sentimi... ascolta (!)... Io ti cercai nell’ombre S Delle mie notti, come il pio mistero = Di questa luce che ci sta sugli occhi, Di quella vita che ci aspetta, eterna Per chi non ha delitti. Oh che vuol dire questo arzisogolo? Dunque Vallia cercava Placidia nell'ombra delle sue notti come sì cerca il pio mistero della luce? Di notte forse? Ma di notte si dovrebbe cercar di stare al buio e di dormire. E di più la cerca nell'ombra delle sue notti come la vita futura... Basta, forse chi ha seritto saprà decifrar l’enigma; io non ci arrivo. È cruda L’istoria mia più che non pensi. Oppresso Dai mali, inerte, senza gioia, il padre Lasciai prostrato sul confin degli anni Per te — fors'egli rimarrà deserto Di memorie e d'affetti — ho valicato Rapidi fiumi — mi coprì la notte Con le tenebre sue — la grigia pietra Di qualche (!) estinto mi servì di letto — MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, SUOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 59 L'urlo dei ventì, ai sospir tronchi, accesi Dalla febbre del cor, lontan, lontano Mi rispose e non altro — io piansi — il gelo Aggrumò sulla fronte î miei capelli. Tutto obliai, la patria... e Dio — la sola Speme di rivederti era l’amore Dei dolenti miei giorni, e ti dipinse Sì dolce il mesto vaneggiar, sì bella. Che mi piacque il dolore, e dei torrenti M'apparve il grido un’armonia gentile. E non v'è che dire, gran miracoli fa l’amore! Singerico persuade Placidia a cedere, dicendole: Non immolar la terra che ti die’ cuna. Ma Placidia risponde: Yu non leggesti nel volume di Dio. È curiosa che tutti hanno la visione del fato, ed anche Vallia dice: Guardai nel fato a ricercarvi il sogno D’una speranza che si fe’ gigante. Ma Placidia non si vuol piegare, temendo che la pallida, sparuta Ombra del mio»consorte, in sulla faccia Di nera tabe e di stillato sangue, Mi getterebbe un pugno. Placidia, udito che il re la vuol dar sposa ad Attalo, lo prega di non far sì che sia astretta a ma- ledir la madre e il primo dì che nacque. Pare che sia nata in due giorni o tre. Placidia, guardando la fiala, esclama: In questa fiala V'è amor, v'è regno, v'è trionfo e morte! Il che rammenta troppo lo sciroppo Pagliano, buono per tutte le stagioni. Singerico, destato dal tumulto, così esclama: Notte, che veli l’universo, un lampo - Scuoti dal manto delle tue tenebre, e persuade l’anima sua che si spezzi pria ch’esser vinta: il che fa buona corrispondenza con ciò che dice Placidia morente a Vallia: To t’offro Una livida fronte e l’affannoso Respir di un’alma che s’estingue. Onde, riassumendo la filosofia dell’autore, troviamo il mondo eterno, cioè, eterna la materia (eterno quanto il creato): l’anima che si spezza, perciò materiale, e che si estingue: ma allora non è più materia, perchè la materia è eterna. Io protesto che non ci intendo un acca. ; Nè mancano le formule e le definizioni. L'Italia, chiamata più innanzi lasciva, è la terra dove suona il tradimento eterno, dove nella pace del sonno anco s’uccide (il che non fa molto onore all'Italia), è la terra dove il pianto è una menzogna eterna, perchè l’uopo non veggo. Poi vi sono i bruni castelli; ma qui l’autore ha confuso il quinto secolo coi secoli posteriori, che il V secolo non è il secolo dei castelli. La vendetta è l’irrevocabil Dea, figlia del tempo e del primier peccato. Amore è un util bisogno a questa polve. L’amor di patria è una virtù che piange nelle braccia di Dio; e Roma bisogna indovi- nare che è quella terra dove è tutto l’universo accolto. Ma prima di congedarci dal lettore, vogliamo riportare un altro pezzo. È Curio che parla ad Elodia: Pria di vederti io già ti amava — Io vissi Teco in un altro mondo, e mi s’affaccia Come un sogno bellissimo d’amore 60 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA L'idea di averti un’altra volta amata. Dove 4i vidi? In ciel fors’io ti vidi, Pria di scendere in terra — allor sul capo Un serto d’oro non ti fea regina, Ma in quella vita semplice, tessuta D’aliti santi e di celesti effluvi, Di rose bianche ti cingeva un ramo... Il resto un vel d’oscurità ricopre — È una nebbia di secoli che passa Sulle spente memorie, e il nostro affetto L’età degli anni non conosce ancora..... Vieni: la gloria oblierò — La Patria Se il vuoi, la Patria oblierò; ma teco E gioia e pianto e amore e vita e tomba Lascia ch’io soffra. E mi pare che il re Singerico, Vallia venuto di Scizia, e Curio romano, parlino tutti tre a un modo: ed esprimano l’amor loro con parole quasi identiche. Segno che non v'ha precisa differenza di caratteri. Ci siamo più a lungo trattenuti su questi esempi di stile, perchè opiniamo con un illustre critico, che se lo stile non è la poesia tutta quanta, senza stile al certo non v'è poesia. Gli affetti non sono nè quali si possono presumere in barbari ed in Romani, del secolo quinto, nè quali sono neppure oggidì. È vero che la poesia trasceglie il fiore, per così dire, del sentimento, ma non per questo deve uscire dai limiti dell’umana natura. Conchiudiamo adunque che questa non è tragedia, perchè manca elemento drammatico (e che non sia tragedia lo confessa lo stesso-autore nella prefazione); e che non è poesia, perchè poesia, non è un affastellamento di immagini, un rimbombo vano di parole, un avvicendarsi continuo di formule e defini- zioni. La poesia, la vera poesia, non è che la pura ragione, la pura logica, adornata coi fiori della fan- tasia e le dolcezze del ritmo. Di ciò si persuada il giovine Autore, a cui ci duole oggi rivolgere parole severe: lasci la tragedia, che ricerca più conoscenza del cuore umano e più studi e più freddezza ch'egli non abbia; si eserciti alla lirica, ma abbandoni le strampalerie moderne, rinneghi il Prati, e quell’onda sonora di parole affluenti e vuote ch’egli ha messo di moda fra la gioventù italiana, che pretende a poesia; s'inspiri a Dante, a Petrarca, al Leopardi, al Niccolini, più che ad Ossian e a Byron; allora soltanto il Bracci troverà benigna quella critica, che penetra al fondo del pensiero e della parola. La DirezIONE (1). II. ‘Pier Luigi Farnese”, dramma tragico di Braccio Bracci, Firenze, 1855. Tipo- grafia Benelli (2). Questo nuovo lavoro di Braccio Bracci non è una tragedia e non dà speranza che l’autore possa farne per l’avvenire, sebbene da qualche tempo egli si sia messo in capo di coltivare l’arte drammatica, ed abbia già dati altri saggi della sua nobile ambizione, Ma egli è nato per la lirica, e questa dovrebbe prediligere, e in questa potrebbe, se nutrisse tuttavia la mente di forti studi, cogliere non ignobili palme. | (1) IZ Genio, giornale scientifico, letterario e artistico, ann. III, Firenze, 27 gennaio 1854, n° 103, pp. 410 sgg. (2) In-8° di pp. 72. Lo ristampò a Livorno, co’ torchi dell’Ortalli, nel 1869. Oltre le due tragedie Placidia e Isabella Orsini, già ricordate, il Bracci compose anche Struensée, Baldaccio d’Anghiari, Niccolò de' Lapi e Beppe e Rosina, drammi più volte rappresentati sulle scene, i quali © per molti anni ebbero virtù di far pian- “ gere e fremere ,. Come notò giustamente Grovanni Tarcioni Tozzerm [Il Teatro di prosa; in Livorno nel- Ottocento, Livorno, Belforte, 1900, p. 229], questi lavori “ se non hanno intreccio forte e originale, hanno “immagini elette, scene concettose, caratteri sapientemente delineati. Talvolta il Bracci alla opportunità ‘ sacrificò la verità storica, ma le sue tragedie hanno endecasillabi che squillano come una fanfara e spro- “ nano alle battaglie santissime della libertà e alimentano l’odio coniro ogni tirannide ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 4. 61 In questo Pier Luigi Farnese non v'ha nè condotta scenica, nè verità storica, nè delineazione esatta e conseguente dei personaggi: nulla altro che dei buoni ed armoniosi versi, e qualche sentimento gentile e verecondo. Il Bracci ha orecchio ed anche anima poetica, ma non per anco studio e condotta. Egli, giovane e dotato da natura di non comune svegliatezza d’ingegno, può correre molto cammino. Questi versi che rechiamo per saggio del suo modo di poetare, proveranno la verità delle nostre parole: ANNA GABRIELLA. ANNA. TA Perdona. Un simulacro di vivente io sono, Una pallida larva... io lascio indietro Tante memorie, o Gabriella, e tanti Desiderì ineffabili! Deh soffri È Ch'io ti parli di me! Quando al mio letto Splenderà fioco della Santa il cero, Stammi vicina e scaldami la fronte Con le tue labbra verginali; e quando Vedrai sul velo della mia pupilla Morir la luce, e sulle smorte labbra Non troverai più dello spirto..... Oh guarda Dio del conforto, un’infelice! Allora, Se alcun ti chiede negli anni a venire L’istoria mia, narra così: la mesta Senza il voto del cuor, dalla romita Monastica sua cella a nozze illustri Fu trascinata, incognita alla breve Crudeltà dell'amore... e qui la serie Dei patimenti tacerai — la mesta Di un’angioletta si tenea beata, Suo caro pegno, unica e santa al mondo Delizia prima, e l’angioletta... ingrata! Riprese il volo e disertò la madre, ecc. (Atto III, Scena 1°). Aressanpro D'Ancona (1). (©# Alessandro D’Ancona e la baruffa de’ giornalisti fiorentini Braccio Bracci “ con gli “ Amici pedanti ,,. è nato per la lirica, e questa dovrebbe prediligere ,, scrisse il D'Ancona con quella finezza d’acume che lo accompagnò dall’adolescenza alla tomba. Infatti Ave Maria che il Bracci pose nel suo dramma, di soggetto livornese, Beppe e Rosina, meritò all’autore i rallegramenti e le lodi di Alessandro Manzoni. La ristamparono gli eredi, dopo la sua morte, in un volumetto di Poesie di lui [Livorno, Unione poligrafica, 1905; in-16°, di pp. 96], ora introvabile. Mi piace trascriverla: Ave Maria, che in lacrime preghi pei nostri errori; bella de’ tuoi miracoli, santa ne’ tuoi dolori, perdona alla smarrita anima mia pentita, apri le braccia a me. Ave Maria! negli animi tempra gli sdegni accesi; stringi d’amor nel vincolo tutti, offensori e offesi; prega nell’ore estreme Dio, che di tutti è speme, Dio, che si placa in te. Ave Maria! que’ miseri figli innocenti miei ricovra tu, che agli orfani madre e difesa sei; tu che del figlio spento provasti ogni tormento della sua croce a piè. (1) Rivista contemporanea, di Torino, ann. III, vol. IV, fasc. 26, novembre 1855, pp. 709-710. 62 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA Mentre era studente di legge all’Università di Pisa, dette fuori il primo saggio di Poesie [Livorno, tip. Pozzolini, 1849; in-16°]. In un sonetto così si dipinge: Del quarto lustro la lontana aurora al mio giovane sguardo ancor non splende; e le pallide guancie appena infiora la prima etade, che di sè m’accende. La folta chioma, che il mattin colora, com’un'onda sugli omeri mi scende; e sui turgidi labbri avvien che muora l’incerto riso, allorchè vita apprende. D'una cupa tristezza il mesto velo ombra il mio volto; l’alma ognor s’adira ; asconde il pianto agli occhi bruni il cielo. Ma il pensier ferve; e nell’acceso petto, che alle sventure altrui freme e sospira, vive di patria il non mai spento affetto. L’anno dopo pubblicò le Poesie varie [Livorno, tip. La Minerva, 1850; in-8°] e de’ versi Zr morte di Giuseppe Giusti [Pisa, tip. Pieraccini, 1850; in-8°]; componimenti poetici ai quali tennero dietro Ze rose selvaggie, nuovi versi | Livorno, tip. Pagano, 1855; in-8°], e Fiori e spine, nuovi canti [Livorno, tip. La Minerva, 1856; in-8° di pp. 40]. Uno di questi “ nuovi canti ,, quello A Giuseppina Turrisi Colonna, morta a venticinque anni, era già comparso alla luce fin dal ’54 nel giornale L'Arte, e tanto piacque a Francesco Domenico Guerrazzi, che così se ne rallegrò con l’autore: Signore, Come la penna di un uccello, che passando lascia cadere dall’ala, mi è giunto quaggiù il vostro fram- mento di versi sopra la donzella egregia Turrisi-Colonna; l’ho tolta in mano, l'ho bene esaminata, e poi ho detto: questa è penna d’uccello destinato a gran volo. — Voi siete giovane; accettate lo augurio; declinanti | noi vivevamo in angustie, non vedendo chi altri sorgesse a farci dimenticare, empiendo il cielo patrio di lume maggiore. — Chiudete le orecchie a cui vi dice il mondo cessare la poesia: non è vero, la poesia rigenera i cuori; — guardate la poesia degli Alemanni moderni, e dei Pollacchi e degli Scandinavi, e perfino dei Russi: — guardatela, studiatela, io vi scongiuro, e ditemi se la poesia accenna estinguersi. — Queste varie poesie vi apriranno nuovi ed immensi orizzonti: percorreteli, vi basteranno le ali. — L’onda del numero vi arride; qualche verso meno cascante, e lingua sempre elettissima e santamente pura, e cuore per cantare magnanime cose vi daranno per certo quella fama che vi augura chi si professa amico degli ingegni decoro della patria, e quindi il vostro affezionatissimo F. D. GuerRAZZI. Il Bracci, nel ristampare ne’ Fiori e spine il canto in morte della giovane poetessa, pubblicò anche la lettera del Romanziere Livornese, che è scritta da Toga il 24 settembre del 1854, e si cerca indarno tra quelle di lui, raccolte dal Carducci e dal Martini. Le lodi del Guerrazzi al Bracci, e il consiglio datogli di studiare la poesia straniera, fecero uscire dai gangheri Giuseppe Torquato Gargani, “ “ “ un fiorentino puro ,, che “ pareva una pittura etrusca scappata via da un'urna di Volterra o di Chiusi, con la persona tutta ad angoli, ma senza pancia e con due “ occhi di fuoco ,. Così lo dipinge Giosuè Carducci (1), che lo ebbe per condiscepolo alla scuola di reto- rica del P. Geremia Barsottini delle Scuole Pie, figlio anch’esso della Versilia e facile verseggiatore (2). Il Gargani, “ U ridondante ed esodante di guerrazziana fierezza , ne’ verdi anni, andato poi aio a Faenza vi si era convertito , (è sempre il Carducci che scrive) “a un classicismo rigidamente strocchiano ,, che, tornato a Firenze, e praticando Giuseppe Chiarini [1833-1908] e Ottaviano Targioni-Tozzetti [1831- 1899], “ aveva fortificato con una cresima leopardiana e giordaniana ,. Per una malattia che lo colpì da ragazzo, perdette i capelli e portava la parrucca; spasimava d’amore, senza mai trovar fortuna con le donne, per quanto non rifinisse di cantarle a furia di sonetti, “in stile tra petrarchesco e foscolo- (1) Carpuccr G., Opere; IV, 24. (2) Im Levigliani, frazione del Comune di Stazzema, nella Versilia, gli fu murata una iscrizione sulla casa dove aprì gli occhi alla luce 1'8 maggio 1812. Anche a Capriglia, frazione del Comune di Pietrasanta, venne ad onor suo scolpita una iscrizione sulla casa dove morì il 1° giugno del 1884. Fu sepolto nel campo- MEMORIE - CLASSE DI. SCIENZE MORALI, SOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 63 “leopardiano ,, come li battezzò il Carducci. Alcuni anni prima aveva dato fuori un volumetto di Poesze [Firenze, coi tipi di Gio. Battista Campolmi, 1853; in-8° di pp. 40], scrivendovi in fronte: E se fu vana idea produrre ancora dei versi in tanta ricchezza dell’italiana letteratura, mì scusi un ardente desiderio: ceco chè da i passi primi Del terrestre viaggio, ove il desio Crudel compagno è de la via, profondo Mi solletica amor che Italia un giorno Me de’ suoi vati al drappel sacro aggiunga, Italia ospizio de le Muse antico. MANZONI. Posso sperarlo? Il volumetto passò allora affatto inosservato; ma dopo le sue baruffe col Bracci, che assalì con la rabbia di un mastino — come vedremo —, venne fatto segno agli scherni de’ letterati e de’ giornalisti fiorentini. Come saggio di que’ versi giovanili trascrivo l’ode intitolata: IZ sonno del mio Giulio. Mette conto trarla fuori dal sepolero: Giace. Su l'occhio stendesi Come farfalle amabili, Leve del sonno il velo: Apportator di lieti È ne la faccia ingenua Fantasmi, su lui scesero Il sorriso del cielo. I sogni irrequieti. santo di Pietrasanta. Elegante è il monumento, scolpitogli dal prof. Giovanni Topi. Il Barsottini, con testa- mento olografo, lasciò erede de’ suoi manoscritti il proprio confratello e amico P. Eusebio Beani, che, accie- cato dall’affetto, tutto fece stampare. Sotto gli auspicî di lui vider pertanto la luce questi tre volumi: Geremia BarsortINI scolopio. Epigrafi italiane e latine, precedute da un commentario sulla vita e sugli scritti dell’autore per Cesare Mager delle Scuole Pie, Siena, tip. arciv. S. Bernardino edit., 1889; in-8° di pp. rxvi-224, con ritratto. Poesie italiane del P. Geremia BarsorTINI delle Scuole Pie, Prato, tip. Giachetti, figlio e c., 1891, in-8° di pp. xxx11-528. Prose italiane del P. Geremia BarsortINI delle Scuole Pie, Prato, tip. Giachetti, figlio e c., 1892; in-8° di pp. vi-392. Tra le Poesie italiane si leggono quattro drammi sacri: “ Debora e Giaele ,; “ Ester ,; ‘L'ultimo giorno di Gerusalemme ,; “ Santa Cecilia ,, da lui composti per i solenni oratorî, soliti tenersi nelle ultime tre sere di carnevale nella chiesa maggiore degli Scolopî in Firenze; drammi che furono messi in musica da Teodulo Mabellini e da altri valenti maestri, e rappresentati sempre con concorso e plauso. Le Prose si dividono in tre parti: I. © Panegirici ,; II. “ Discorsi morali ,; III. “ Elogi funebri ,. Questi ultimi hanno per soggetto il P. Numa Pompilio Tanzini, il P. Giovanni Inghirami, il P. Eugenio Barsanti, Pirro Palaz- zeschi e Carolina Buonamici vedova Gotti. Il Barsottini a diciotto anni si ascrisse tra gli Scolopî; insegnò belle lettere a Urbino ed a Modigliana; fu per undici anni maestro alla classe di umanità superiore in Firenze; il 1848 successe al P. Stanislao Gatteschi nell’insegnamento della retorica. Bell’uomo, aveva scintillante l’oechio, fervida la mente, facile e armoniosa la parola. Tre corde gli vibravano nel cuore: Dio, Patria, Famiglia; e con vivezza d'affetto sapeva trarre da esse dolcissimi suoni. Per lui la battaglia de’ Romantici e de’ Classici era finita, e finita con una specie d’accomodamento: l’antico e il moderno darsi amichevolmente la mano e congiurare insieme a ispirare ne’ giovani l’idea vera del bello. Nell’insegnamento della lingua italiana teneva per testo un libriccino del Gatteschi, messo alle stampe in Firenze fin dal ’40: 17 giovinetto toscano avviato all’arte di scrivere la propria lingua. Considerando che “la favella del nostro popolo, se tu ne tolga qualche difetto di pronunzia e qualche “ ardito idiotismo, che pure è difeso dall’autorità di scrittori ottimi, per venustà di modi, per vivezza di “ ellissi, per leggiadria di accorciamenti, per proprietà di vocaboli, per ogni maniera di pregi, è così bella “ e gentile che gli uomini non toscani si reputerebber beati di potere, specialmente nel dettato famigliare, “ serivere come il nostro popolo parla ,; il Gatteschi, e il Barsottini con lui, © per condurre gli alunni a “ parlare e scrivere correttamente ,, altro non facevano che “ correggere il linguaggio parlato ,, però sol- tanto in quel poco che sembra ed è difettoso veramente; premunendolo, nel tempo stesso, dal contagio che lo può guastare per l’usar continuo con la gente di fuori. De’ suoi numerosissimi scolari, il Barsottini pregiò il Carducci, ma sopra ogni altro si compiacque di Enrico Nencioni [1837-1896], che profondamente religioso e cultore appassionato del bello in ogni forma, rispecchiava meglio di tutti il pensiero del maestro. 64 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA Gioiosa in volto e vigile O Giulio mio, sei simile A la sua cuna accanto A giovinetta rosa, Vegghia colei, che al tenero Ch’ancor non schiuse il calice Tergerà lene il pianto. Di sua beltà fastosa. Dormi, o gentil. La vergine Dormi, o gentil. Sparìo Mente di vaghe larve La rosa impallidita..... Sazia, e t’allegra a i gaudj Dormi, così dileguansi D'un ben che per me sparve. I giorni de la vita. Il Gargani non trovò pace finchè non ebbe dato di piglio alla penna per stritolare Braccio Bracci e gli altri poeti romantici d’allora. A scrivere lo incoraggiarono, in Firenze, il Chiarini e il Targioni- Tozzetti; da Sanminiato, il Carducci; da Pisa, Narciso Feliciano Pelosini, Francesco Buonamici e Felice Tribolati; la falange degli “Amici pedanti, e degli amici degli “Amici pedanti ,. “ Perchè le punture “ della critica fossero più acute, il Gargani elesse pel suo discorso, anzi Diceria, com’egli la chiamò, “ la forma ironica, esaltando ciò che intendeva deprimere, deprimendo ciò che voleva esaltare , (1). Lo seritto, “ audace e impertinente ,, a giudizio dello stesso Chiarini, uscì alle stampe in dugento cin- quanta esemplari, al prezzo d’una lira toscana l’uno, col titolo: Di Braccio Bracci | e degli altri | poeti nostri odiernissimi | diceria | di | G. T. GarGANI | A spese degli Amici pedanti | Firenze, 1856 [Coi tipi di G. B. Campolmi]; in-12° di pp. 64, delle quali le 3 ultime non numerate. Non solo sollevò “ uno scan- “ dalo enorme ,, ma parecchi de’ loro amici stessi, con Enrico Nencioni e il P. Francesco Donati delle Scuole Pie (2) alla testa, lo condannarono a viso aperto. “ Restammo a difendere la Diceria , (son parole del Chiarini) “il Carducci, il Targioni ed io, che da quel momento fummo i soli amici pedanti. Non “ che non sentissimo anche noi quel che c’era in essa di esagerato e di irragionevole nella sostanza, di “ strano e di barocco nella forma; ma si trattava dell’onore delle armi; e quanto alla bontà del concetto “ fondamentale non avevamo e non ammettevamo alcun dubbio ,. N Gargani scriveva ad un suo amico a Faenza: “ Ti mando con questa una mia Diceria. È una “ canzonatura da cima a fondo, che ha fatto rider me scrivendola..... Oh se sentissi cosa dicon di me “ questi giornali infranciosati! ,. I versi del Bracci che, in fin dei conti, “ eran de’ soliti sul fare del “ Prati, pur rivelando non sterile vena poetica ,, come nota con la sua consueta finezza di susto il prof. Orazio Bacci (3), non meritavano d’esser messi alla gogna. - Ferdinando Martini, allora sedicenne, spiritosamente battezzò quel parto infelice la Sw Diceria, e nel (‘4 giornale fiorentino Lo Scaramuccia (non “ nel giornaletto La Lente ,, come afferma il Chiarini, tradito dalla memoria) prese a pubblicare il bollettino della salute del Gargani, annunziando che “ era stato “ rinchiuso nel Manicomio ,. Eccone un saggio: “ 23 luglio. Persone ben informate ci assicurano che lo “ stato dell’/2ustre infermo si va facendo ogni giorno più allarmante. I medici disperano di poterlo sal- “ vare. L’altro giorno gli assistenti che gli recavano la solita pappa, furon costretti a mettergli la cami- “ ciola di forza, perchè egli si ostinava a non volere il bavaglino ,. Sotto la data del “ 25 detto , torna a scrivere: “ Quest’oggi l’infermo è ricaduto in una profonda atonia: ha chiesto un quinterno di carta, “ed ha cominciato a scrivere: Scaramuccia e gli altri giornali nostri odiernissimi — Seconda diceria. ni (1) Cararini G., Memorie della vita di Giosuè Carducci, Firenze, Barbèra, 1912; p. 63. (2) Il mio compianto e indimenticabile amico Rodolfo Renier, che fu suo scolaro, con molta vivezza di affetto ne ritrasse al vivo il cuore e l’ingegno. Cfr. Un amico del Carducci, nel © Fantulla della Domenica ,, ann. XXXV, n° 9 e n° 10, 2 e 9 marzo 1913. Sul suo sepolcro venne scolpita la seguente iscrizione, dettata dal P. Geremia Barsottini: rRANcESCO DONATI DI SERAVEZZA | SACERDOTE DELLE SCUOLE PIE | DOTTO FILOLOGO ITALIANO LATINO E GRECO | ABILE MATEMATICO E BUON POETA | FU PER PIÙ ANNI PROFESSORE APPLAUDITO | IN FIRENZE IN URBINO IN IMOLA | MA IL SUO PRIMO AMORE ERA LA NOSTRA LINGUA | E SEMPRE ALLA GLORIA DI QUESTA | EBBE INTENTO IL PRONTO E NOBILE INGEGNO LO STUDIO INFATICABILE [ E LO SCRIVERE PURGATO E GENTILE. | RESTITUITOSI PER MALATTIA NELLA PATRIA | A LUI così CARA così ONORATA DA LUI | AMATO PER LA BONTÀ RIVERITO PER LA Screnza | un V rueLio MDCCCLXXVII FRA L'UNIVERSALE- COMPIANTO | NELLA vite ETÀ DI ANNI LVI | MORIVA DELLA SERENA MORTE DEI GIUSTI | — | GLI FECERO IL MONUMENTO GLI AMICI. (3) Baccr 0., Giosuè Carducci e gli “ Amici pedanti ,; in La Toscana alla fine del Granducato, conferenze, Firenze, Barbèra, 1909, p. 257. n MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 4. 65 “A quanto sembra per ora non c’è speranza dì guarigione , (1). Anche Cesare Bordiga, direttore e pro- prietario del Buon gusto, gli dette del pazzo; provandogli, per giunta, che non sapeva tenere in mano la penna. “ Ecco un libro , (son sue parole) “ che si direbbe uscito dal manicomio di Bonifazio..... “ Ne dice tante sul serio e con ironia, pone in un mazzo i più grandi ingegni e i più grandi imbecilli, € fa paragoni sopra cose così disparate fra loro, e soprattutto si serve di uno stile tanto Burchiellesco, “ da rendersi indecifrabile come un oracolo sibillino..... Chi vuole avere una idea dei fiori di lingua ado- “ perati da Messer Gargani non ha che a gettar l’occhio sopra questi pochi che riportiamo per saggio. “ — Le lettere alle mani di ciaramelle sfacciate — il Del Rio sommo maniscalco del dire — Messer Age- nore |Gelli] mandato alle guagnespole, perchè parla come il bue d’oro — i trombetti dello “ Spettatore , e “ — lavorare a mazza e stanga — il Viani cincischiaparole — gli uomini che ron hanno il bene del “ comprendonio — chiacchillaccherare — ragionare a ciabatta — i capidopera divenuti squacquere — la “ cornaggine dei crani parassiti — uno sberleffe al povero Virgilio — segare i negozii e non lasciarne E un brincello, e così via discorrendo; graziette tutte quante (per dirla colle eloquenti parole di ser Gar- gani) ed eleganziette della scoletta classica e della linguetta italianissima, da rendere degno chi non fa lo gnorri di essere cernito ed eletto Accademico magnanimissimo degli Infarinati e degli Inferrigni dai commessari straordinari, inghebbiati di sapienza, che si sforzano coll’osso della schiena a mantenere lu R eccellenza linguistica. In caso contrario, quei tantissimi giovincelli e ciaramelle sfacciati privi del bene R del comprendonio, avvezzi a chiacchillaccherare e ragionare a ciabatta, che proseguiranno a stampare delle duassaggini e delle cianciafruscole, saranno accoccati e messi in un calcetto dai trombetti di ser “ Gargani, sommo maliscalco del dire e filosofolo, con tali sberleffe, che, alle guagnepole! tutti acciannati “ piglieranno lo sfratto dalla infranciosata letteraria repubblica, divenuta bordello, per rammodernarsi l'abbigliamento. Si arrovellino dunque i capolini, i frustapenne, i versificatorucci da frusta, è maestruzzi “da fava a segare bene i loro negozii, per non lasciarne qualche brincello, poichè ser Gargani, dantesco squarquoio, essendo nella sua beva, messo in galluzzo fra suoni e gazzarre, benchè tutto pane e cacio “ Gnaffe! andrà in brodo di succiole nello strombazzarne la cornaggine e nel cucinarne, come zucchero “ e latte, le squacquere , (2). Il Passatempo [ann. I, n. 30, 26 luglio 1856] disse al Gargani “ poche e non beffarde parole ,, con- cludendo: “ Vi par egli codesto il modo di difendere cosa sì bella e santa , (i buoni studi classici): “ vi par egli che stia bene a nessuno, ed a voi massimamente, il parlare con ischerno di uomini che, “ se hanno dottrine diverse da quelle professate da voi, son pure uomini riechi di sapere e degni di “ ogni riverenza, e il mettergli alla pari coi più vili guastamestieri? Immaginatevi per un poco di tro- “ varvi in luogo dove fossero il Manzoni, il Tommaseo, l’Arcangeli (se potesse rivivere), Gino Capponi “ e lo stesso Guerrazzi, avreste voi cuore di mantener loro in faccia le beffarde parole che avete scritte “ in questo mal libro: ovvero sarebbe tanta la vostra confusione, che, non che fiatare, non ardireste nem- “ meno levar gli occhi in faccia loro? Mettetevi le mani al petto e fate senno per un’altra volta ,. Nel numero successivo [2 agosto] gli fece la caricatura, intitolandola: I Passatempo e un pedante, senza però che riuscisse somigliante. Un altro de’ giornali umoristici d’allora, La Lente, battezzò la Diceria € il “ vero modo di non farsi intendere, discorse sibilline ad uso di ciaramelle, ossia nuovo sistema di metter “ tutto in un fascio senza mitidio e comprendonio, ossia il vero modo di dar bastonate alla cieca all’uso “ di Pulcinella , (3). Tirarono fuori anche una canzonaccia, che incominciava: Gargani classico, Bada davanti, Corri a nasconderti Co’ tuoi pedanti. Non ci fu giornale fiorentino che non gli assestasse sulla schiena un carico di legnate; fecero a gara a chi picchiava più sodo. “ Gargani, sol contro i poeti tutti ,, passò un brutto quarto d’ora! La Lan- (1) Zo Scaramuccia, giornale-omnibus, Firenze, tip. G. Riva e C., ann. IM, n° 39, 26 luglio 1856. Cfr. pure il n° 38 del 19 luglio. (2) IZ Buon gusto, Firenze, tip. alle Logge del grano, ann. V, n° 48, 20 luglio 1856. (3) La Lente, Firenze, tip. G. Riva e C., ann. I, n° 30, 22 luglio 1856. 3 28 66 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D’ANCONA ternu di Diogene scrisse: “ Hoc est in votis. Che l'Accademia della Crusca decreti al sig. G. T. Gargani, “ noto per la sua famosa Diceria, per i servizi resi alle lettere e in special modo alla lingua, una corona “ di lattuga e di barbabietole. Che in Firenze sia istituito un comitato di censura pei ragazzi e per gli “ zucceoni che hanno la mania di pubblicare le loro robe: ciò si desidera anzi tutto, pel decoro delle “ nostre lettere e del paese. Che sia decretata una legge ed un balzello sugli asini, essendosi questi mol- tiplicati in modo spaventevole ,. Poi indirizzò A .Ser Gargani questa lettera, tutta infiorata di “ vo- caboli , e “ modi di dire , adoperati a piene mani da lui nella Diceria disgraziatissima: “ Alle gua- gnespole, ser Gargani! Lo vostro aureo libercoletto mi ha sito in core chente non saprei dolcezza ed estimazione del vostro cerebro inghebbiato di tanta sapienzia da farmi strabiliare. Gnaffe! bene faceste a dar la berta a serittorucoli giovincelli, ciaramelle sfacciati, uomini attarantati che la patria favella hanno in non cale. Mal abbia e venga il canchero a chiunque dei libertai s’avesse lo ardimento o la cornaggine di appellare quisquilie le vostre, o sommo maliscalco del dire. Sol duolmi e il cuore ne sanguina a corruccio che fra tante grazie peregrine alcuni neicciattoli vadano offuscanza faciendo che potrebbe tenebrore divenire. Eccoli ve li allego: Son d’opinare (pag. 6). Mala frase;è. Italianità delle lettere (pag. 9). La mia approbazione non ha. Spiritualizzare le masse (pag. 13). A fagiuolo non mi va. Si dasse allo studio (pag. 16). Gnaffe! solecismo è: desse e non dasse. A meno che, franciosismo è, che Dio vi abbia in gloria! Se avete il bene del comprendonio, correggerete, spero. Perchè s’egli si dasse (pag. 25). Alle guagnele, che giuoco giuochiamo? Calore di sensività (pag. 36). Sensività non è nel Vocabolario. Volete che collera mi prenda di voi? Stoltissimamente decantata (pag. 37). Decantare, puh che roba! È buassaggine, cornaggine questa! E da crepare di rabbia: ma no, siete un dotto che avete “ comprendonio. Conciossiacosachè vi correggiate da questi piccoli neicciattoli, dovvi parola per le gua- gnespole di proporvi accademico della Crusca , (1). L’autore di questa lettera, che è Pietro Fanfani, si nasconde sotto il nome di Ser Frullone, “ dottissimo Infarinato ,. Anche le “ poche e non beffarde « “ parole , del Passatempo son da ritenere per sua farina. L’Avvisatore uscì a dire: “ O Alessandro Manzoni! al tuo splendido ingegno, alle tue virtù citta- dine, ai tuoi lunghi studi, alla tua veneranda canizie, osa insultare un giovane tarlo che fin ora ha rosa la vecchia seranna della sua scuola di retorica. O Alessandro Manzoni, prendi i tuoi Promessi Sposi, la storia della Colonna infame, il tuo Adelchi, il tuo Carmagnola, i tuoi Inni, e fanne baldoria onde vengano a sollazzarsi e a danzarvi attorno una ridda il bravo Gargani coi suoi amici pedanti. — Cantù, che fai di tutti i tuoi volumi? vendili a peso di carta, oggimai sono addivenuti merce da pizzi- “ cagnoli. — Grossi, lascia il regno degli estinti e vieni a farci una dichiarazione come qualmente tu sei “ stato quaggiù un vero buacciolo. — Cesarotti, Guerrazzi, Tommaseo, Pellico, Giannone, Emiliani-Giu- “ dici, chi siete voi? non vi conosco. — E tu pazza gioventù di Firenze, imbrattatrice di fogli, smettila una volta, chè l’omino della Diceria te l’ha cantata in barba. — Povero ragazzo! che dobbiamo dirgli? nulla. Lo sappiamo che egli si struggerebbe di voglia che gli rispondessimo gravemente, che lo con- futassimo sul serio, ma no; la sua Diceria sia condannata a morire nella oscurità , (2). L’Eco de’ Teatri, alla sua volta, gli disse: “ Chi mi darà la voce e la parola per encomiare degna- mente l’arte con cui il Gargani fa uso da capo a fondo della più fine, della più sottile, della più squi- del Gargani) che non lascia mai scorgere quando dica per ischerzo, o quando parli da senno? Non è veramente ammirabile l’acuto criterio d’un pedantucolo di vent'anni, che mette in un mazzo i Misteri di Parigi di Sue e la Leontina del Salucci, la Paglianeide del Paganini e le poesie di Vittorio Hugo e di Lamartine, che confonde Manzoni con Bracci, per non dire di altri paralleli egualmente spropo- sitati e ridicoli? , Nel numero successivo [24 luglio] notava: “ Il sig. Gargani, oltre allo scrivere colla più ridicola affettazione, appena paragonabile a quella del Cruscante nel Torquato Tasso del.Goldoni, o non ha letto, o non ha saputo leggere, i libri su cui detta i suoi oracoli, ed è così pervenuto a darci l'esempio più mostruoso di pedanteria, accompagnata da una dose più che sufficiente di goffa igno- (1) La Lanterna di Diogene, giornale con caricature, Firenze, tip. di Carlo Rebagli, ann. I, n° 10, sabato 19 luglio 1856. (2) L’Avvisatore, giornale scientifico, letterario, artistico, teatrale e d’annunzi, Firenze, tip. del Vulcano, ann. I, n° 2, 25 luglio 1856. sita ironia? E non può dirsi sul serio squisita, sottile e finissima l’ironia d’un cianciafruscole (parola Tr gie, Tel este tal i pià FE ETA MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE Il, VOL. LXV, N. 4. 67 “ranza ,. Racconta poi un aneddoto: “ L'altro giorno quattro letterati (?) passeggiando nei viali del “ Parterre, ciarlavano fra loro sul libretto recentemente pubblicato dal sig. Gargani. Uno fra gli onore- “ voli interlocutori: — Ma dunque, hai sentito ì giornali? — Lasciategli cantare questi cianfruscole. — “ E io dovrò ingozzarmi della bestia e del pazzo? — Tutti i grandi uomini furono perseguitati. — “ Gnaffe! ma a me non piace più che tanto il martirio. — A%e guagrespole, mio caro: dovrebbe bastarti l’aver fatto, col nostro aiuto, un Zibro che resterà ,. L'Eco aggiunge: “ Le parole di corsivo sono “ storiche , (1). Da Torino, pigliò parte alla battaglia anche Alessandro D'Ancona, che con le iniziali del suo pre- diletto pseudonimo p|on] r[etronio] z|amberlueco], nelle colonne dello Spettatore di Firenze così rivide le buccie al Gargani e alla sua Diceria: “ Questo opuscolo è la più solenne prova di una ignoranza “ crassa o di una impudenza sfacciata, o ambedue insieme amorevolmente congiunte. Ad ogni modo, a “ noi non piace farvi sopra lungo discorso, e solo lo accenniamo per respingere ogni solidarietà circa i giudizii ivi espressi quasi pro tribunali: poichè di parecchi autori nominati in quelle pagine già il giornale nostro portò sentenza quasi conforme nel fondo, diversissima nei modi. Chi, di fatti, che abbia ancora un resto di pudore o di senso comune, potrebbe usare verso Lamartine, verso Hugo, e verso i nostri Giudici, Carcano, Cantù, Tommaseo, Guerrazzi, Grossi, ecc. le sciocche parole di cui è colpe- vole il signor Gargani? Debbonsi sentire tali diatribe da una bocca appena scompagnata dal latte e G CS GI balbettante in una lingua incerta e con uno stile arruffato e perruccone cui manca la vivezza, il brio, “la grazia, la disinvoltura? Noi non sappiamo quali siano gli intendimenti del signor Gargani stampando questa Diceria. Se egli ha creduto fare uno scandalo letterario, spiace dovergli dire che contro il senso R comune non si cozza. Se egli ha fatto in buona fede, noi lo consigliamo amichevolmente a rimettersi a studiare, chè ne ha molto bisogno per ogni verso. Ma la buona fede viene naturalmente esclusa quando vediamo porsi in un mazzo il Sue col Panzani, il Guerrazzi col Salucci, il Lamartine col Pa- ganini, il Grossi col Rodolfo del Prati, la Rivista Contemporanea col Buon gusto, il Carcano col Bracci, e (I R far d’ogni erba un fascio. Se questo, signor Gargani, è veramente il vostro giudicio e la vostra critica, allora tornate a S. Giovannino a rettorica, e sappiate che solamente nel Burchiello, vostro maestro, è lecito leggere per ridere: (I Orinali, zaffiri e ova sode, Nominativi fritti e mappamondi. R Nulla dirò del modo con cui trattate il povero Arcangeli, le cui ceneri ancora sono calde, e che voi, ragazzo, avreste dovuto rispettare almeno come maggiore di età. Ah, signor Gargani, quando si parla di tali uomini, come quelli che pretendete criticare, bisogna stare col cappello in mano e la fronte I bassa! O forse vi fidate voi, perchè siete un vermiciattolo od un insetto, che non possa venire a noia I la vostra schifezza e il vostro ronzio? Ma già vediamo che le nostre parole volgonsi a sdegno, e questo raffreniamo incontanente, perchè non lo meritate. Chi vorrebbe inquietarsi contro un ragazzo insolente e vanesio? Perchè non dirgli piuttosto: là, signor pettegolo, là nel cantino, là a far penitenza e ad imparare un poco di prudenza per un’altra volta. E qui basta. Solo vogliamo osservare che avendo il Gargani intitolato il libro Di Braccio Bracci e degli altri Poeti odiernissimi, pareva che egli dovesse parlare di tutti i poeti che seguono l’andazzo moderno, ma i più sono rimasti nella penna: solo lo « « preghiamo a non scordarsi per una futura edizione (giacchè i 250 esemplari di questa dovranno per “la singolarità loro presto esaurirsi) di quel famoso poeta inedito, ch’egli deve ben conoscere ed inti- “ mamente, il quale comincia (2) una sua Ninna Nanna in tal modo: Dormi, o fanciullo, immemore Dei tuoi futuri guai..... “ Torni intanto il signor Gargani, coi suoi collaboratori chiappamosche, a far le noticine ai classici ad (1) L'Eco de’ Teatri, giornale letterario, artistico e industriale, Firenze, tip. di F. Bencini, ann. II, n° 37, 17 luglio 1856. (2) L’ode; sia detto a gloria del vero, comincia in ben altro modo, come s'è visto. Qui il D'Ancona fu addirittura crudele. 68 GIOVANNI SFORZA — COMMEMORAZIONE DI ALESSANDRO D'ANCONA “ uso dei giovanetti e delle giovanette, e veda se è possibile che per tali studi gli entri in testa un poco “ di discernimento, un poco di gusto, un poco di critica, anzi solo un poco di senso comune , (1). Il Gargani rispose, con al fianco, al solito, il Chiarini e il Targioni-Tozzetti; e gli porse in aiuto la penna anche Giosuè Carducci (2). Nella Risposta del Gargani i giornalisti fiorentini (3), due cose son degne di nota. Dell’Arcangeli torna a scrivere: “ Io credo l’Arcangeli famoso più per ventura “che per opere; uno di quelli che fan vero il detto: alzi habent, alii merentur, famam; onde che non “ mi eredo in peccato se non gli son religioso , [p. 106]. Del volumetto delle proprie Poesie confessa: “ Lo pubblicai nel 1853, per Gio. Battista Campolmi, a tutte mie spese: e poco dopo per vergogna ne “ raccolsi le copie che potei, scusandomi con gli amici (de’ quali soltanto mi sta a cuore la stima e “ l'affetto) di quella vanità, suscitata dalle lodi poco amorevoli di chi aveva in conto di maestri. Le “ copie raccolte (e non furon poche) servirono a più ragazzi nel far gli aquiloni , [pp. 108-109]. Di lì a qualche anno il Gargani dette alla luce dieci sonetti, un idillio e due canzoni (4), “ di Giosuè Carducci, “la studiata eleganza non pregiudica all’affetto , (5). ove ,, a giudizio Finirò con un aneddoto. A Braccio Bracci, già maturo d’anni, anzi quasi vecchio, frullò il ticchio d’avere il titolo accademico di professore, forse con la speranza di ottenere una cattedra di belle lettere.. “ Presentatosi davanti agli esaminatori, vi trovò Giosuè Carducci, che, tra le altre domande, così nar- “ rava il Bracci, gli rivolse questa: Qual è il più gran poeta d’Italia? Il candidato rispose: Lodovico “ Ariosto. — Io mi aspettava, soggiunse il professore, che ella mi dicesse: Dante Alighieri. — Se voleva “ questa risposta, riprese l’altro, doveva chiedermi: Qual è il più gran poeta del mondo? Piacque al Car- “ ducci il tranello, rise e approvò , (6). (1) Zo Spettatore, ann. IT, n° 29, 20 luglio 1856. (2) Giunta alla derrata. | Ai poeti nostri odiernissimi | e lor difensori | gli amici pedanti. | Ai giornalisti fiorentini | risposta | di | G.T. Gargani | comentata dagli amici pedanti. | Dauniae defende decus camenae. | Horamius: Carm. IV, od. 6, v. 27. | A spese degli amici pedanti | Firenze | MDCCCLVI. [In fine:] Tipografia di G. B. Campolmi; in-12° di pp. 156, oltre 4 in fine n. n. (3) Ne dette il fac-simile il prof. AcuirLe PeLuizzarI nel suo libro: Giuseppe Chiarini. La vita e l’opera letteraria, con documenti inediti e con dodici illustrazioni, Napoli, Francesco Perrella editore, 1912; in-16°. (4) Versi | di| TORQUATO GARGANI | Laborum | dulce lenimen. | Orazio 1. xxxij. | Faenza | dalla tipo- grafia di Pietro Conti | 1861; in-8° di pp. 44; edizione di 100 esemplari, de’ quali 5 in carta distinta. Sulla copertina sta scritto: “ Dono agli amici ,; in fronte ha questa dedica: Ai dilettissimi fra gli amici ! profes- sori Giosuè Carducci, Giuseppe Chiarini | e don Luigi Bolognini | Torq. Gargani. (5) Carpucci G., Opere; V, 504. (6) Pera F., Quarta serie di biografie livornesi, Siena, tip. S. Bernardino, 1906, p. 143. —__cc>cf—©— — —.. Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie Il, Vol. LXV. - N. 5. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. SILLA A CHERONEA MEMORIA DI ALDO FERRABINO Approvata nell'adunanza del 20 Giugno 1915. La battaglia vittoriosa di Silla contro Archelao nell’86 a. C., di cui abbiamo notizia in Plutarco (Sa 16 sgg.) e in Appiano (Mitridatico 42 sgg.) (1), è stata oggetto di esame per parte di alquanti studiosi: Mommsen Romische Geschichte Il 291, Iane Romische Geschichte V 324 sgg., Remmaca Mithridate Eupator 168 sgg., H. DeLBRiick Geschichte der Kriegskunst I° 460. Ma fra tutti il Krowayver Antike Schlachtfelder in Griechenland II 349 sgg. ha portato largo e utilissimo contributo di osservazioni, di dati topografici, di analisi minute. La sua ricerca è dunque tale, che da essa conviene prendere le mosse per un nuovo studio ed essa bisogna tenere di continuo presente, le altre sfruttando e richiamando secondo che le con- tingenze esigano. Noi in particolare, che non abbiamo dei luoghi conoscenza personale e diretta, dobbiamo proporci, non già di elaborare materiali diversi da quelli del Kromayer, sibbene di elaborare gli stessi materiali in altro modo, cosi da trarne risultati che ci paiano piu sod- disfacenti e passibili di men gravi obiezioni. HE I precedenti. I precedenti immediati della battaglia offrono sùbito qualche difficoltà per l’incertezza di alcune localizzazioni e per una frase ambigua di Plutarco. Silla, secondo Plutarco (cap. 16), occupa “ un colle sorgente nel mezzo della pianura di Elatea , eùys0v xaì duprdapi xai ragà t)v difav big Egovta: DrAoPorwròs aletrar, naì t)v quo abrod zaì tv déow érawvei Favuacims 6 ZIXAag. Archelao, per risposta, schiera le sue truppe nel piano; e il numero e l'atteggiamento loro spauriscono i Romani che il generale occupa in aspri lavori di sterro intorno al fiume Cefiso. Dopo tre giorni, egli addita ai soldati stanchi dello sterro un altro colle, su cui sorgeva già l’acropoli di Parapotami, ma che era allora rero®dys xai megizonuvos, invitandoli ad occuparlo prima che i calcaspidi nemici se ne impadroniscano. (1) Mi accordo col Kromayer nel riferire alla battaglia di Orcomeno il passo di Fronmino II 3, 17. 24 2 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA L'impresa riesce; Archelao ripiega verso Calcide (App. 42) e va a prender campo fra il monte Edilio e il monte Aconzio presso il Cefiso. Silla allora traversa l’Asso, segue le falde del- l’Edilio, si posa a fronte di Archelao. Questo racconto, cosi come lo si desume dai testi, offre una incertezza topografica pel Filobeoto, che ignoriamo a qual colle corrisponda; e offre inoltre una incertezza filologica per la frase di Plutarco circa Parapotami, che ignoriamo che cosa significhi. La frase è questa: deifas [Ò DvXAac] @òroîs |= toîs otoatI®TALS|] tiv O6TEOOV pèv yevomevnv auodrodiv tòv Iagarorauiov, téve dè dvnonuevns vijs dlews Adpos éleirteto meromons nai meoizonuvos toù ‘“HbvAiov dLworcuevos dgeove dboov è “Aocog eénéyger dév, sita ovunintov èrò tv dibav adrlv tb Kypwog vai cvvertoaguvduevos ogvoàv gvotgatorededoar tiv duoav sroreî. Ora, siccome la posizione del colle di Parapo- tami può dirsi sicura (cfr. KrRomAyER, pag. 365), si comprende che esso sia descritto come distinto dal monte Edilio, ché tale appare sebbene all’Edilio lo congiunga uno stretto e basso giogo; ma non si comprendono le parole 6c0v è “Aooos érméyer déwv. Il LeAKE (Travels in Northern Greece II 195) suppone che nell’antichità, in luogo di quello stretto e basso giogo di cui parlammo, scorresse fra Parapotami e l’Edilio un fiume Asso; ma la topografia esclude tale ipotesi secondo il Kromayer che, per essere stato su i luoghi, è teste autorevole. E. Schwartz ne concluse essere immedicabile il passo (1). La difficoltà è dunque non piccola. Diversa, ma minore, è l’altra intorno al Filobeoto. Poiché in Plutarco questo colle non ha altri attributi, che l’esser solitario, irriguo nella sua radice, e di fronte a Parapotami. Da Porieno V 16, 1 risulta che si poteva girarlo cosi da destra come da sinistra: che per ciò da destra e da sinistra lo cingessero delle strade è interpretazione filologicamente esatta (in Polieno, otevaì 6dot), ma storicamente eccessiva, da poi che la pianura offre di per sé non difficile marcia e quindi sufficiente “ varco , o “ passaggio ,. Ora, agli attributi di cui parla Plutarco e alla positura che risulta da Polieno, rispondono ugualmente il colle di Kravasara e il colle di Merali (v.la carta 10* del Kromayer II); e se quest’ultimo è escluso dal Kromayer, è soltanto per la premessa erronea su le strade, or ora confutata. In verità, tanto Kravasara quanto Merali si possono girare da destra e da sinistra; anzi, se sotto questo rispetto uno dei due colli ha vantaggio su l’altro, quello è Merali che ad Est è separato dai monti per una strettissima gola, e ad Ovest dista da Kravasara appena 1 Km.: le otevaì ddot. Tanto per l'uno quanto per l’altro si spiega la manovra compiuta, secondo Polieno, da Pammene: per l’uno, se Pammene stava alla destra del Cefiso ; per l’altro, se stava alla sinistra. Entrambi poi han l’acqua alla radice, buona gvors, buona dé05, e stan nel mezzo del piano elatico. Resta quindi incertissimo in qual de’ due si debba riconoscere il colle occupato da Silla. Vediamo dunque come le due difficoltà (l’Asso e il Filobeoto) si possano risolvere, cominciando dalla seconda. Si soleva identificare il Filobeoto con il monte Parori, il quale si può difatti girare a Ovest pel passo di Daulia (cfr. Kromayer I 159), a Est per la gola fra il Parori stesso e l’Edilio (v. carta II 10%); ma son convincenti le argomentazioni dal Kromayer opposte. Pit felice, non tuttavia in tutto soddisfacente, ci sembra l'ipotesi ch’egli sostiene. A prescinder, difatti, dal fondamento mal sicuro circa le “strade, che, come dicemmo dianzi, è posto alla sua teoria, le conseguenze ne sono inaccettabili. Invero: se Silla, accampandosi sul “ Filobeoto ,, si accampò, secondo vuole il Kromayer, sul colle di Kravasara, è strano che poi, per recarsi di fronte ad Archelao presso il Cefiso e sotto 1’ Edilio, dovesse. traversare l’Asso (PLur. 17), ossia il fiume che confluisce col Cefiso sotto Parapotami (v. carta cit.) : strano perchè la strada piana e diritta era offerta senza impedimento fra il monte Parori (1) Vedi le sue parole in Kromayer o. e. 360 n. 6. re MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 3 e il Cefiso; laddove il varco dell’Asso presuppone senza dubbio un secondo varco del Cefiso, e forse un terzo, pure del Cefiso: triplice guado che, per quanto non difficile in quella con- tingenza, era a ogni modo evitabile, e da evitarsi come superfluo a ogni sennato generale. Il Kromayer risolve il problema per mezzo dell’ipotesi che Silla abbia seguito con una parte delle truppe la via dell’Asso, mentre con l’altra seguiva la strada più naturale; se non che ne pure il Kromayer può addurre il motivo di questa ripartizione di truppe e lo scopo di quel largo giro : onde, dopo aver suffragato la prima ipotesi topografica con una seconda, non riesce a confortare la seconda di una terza! È quindi chiaro che: o Silla non ha passato l’Asso, e Plutarco erra; o Plutarco è esatto, e il Filobeoto non equivale a Kravasara. Ma perchè, giusta quanto esponemmo, nulla costringe a riconoscere il Filobeoto pit tosto in Kravasara che in Merali, è ovvio che se Merali elimina l'inconveniente che Krava- sara determina, si dovrà preferire Merali e accettar da Plutarco il passaggio dell’Asso. Cosi crediamo. Da Merali non solo si scorge a fronte Parapotami; ma, per recarsi a Parapotami e indi all’ Edilio, è necessario varcare l’Asso, sia questo, nella sua parte superiore, il Kineta, o sia il Liaphenda. Né in ciò è l’unico vantaggio che la scelta di Merali offre al critico: essa ci spiega anche meglio perché Silla prevenisse il nemico nell’occupare Parapotami. Archelao difatti, tenendo la pianura intorno a Elatea (v. sotto, pag. 4), doveva, per sfuggire all'attenzione di Silla, girare il colle di Kravasara, spingersi a Parapotami attraverso un tratto di pianura scoperta e dominata da Merali, arrestarsi alla fine, sia pure per poco, al Cefiso: laddove a Silla minore riusciva la marcia, faceva ostacolo un fiume meno notevole, e si apriva innanzi una zona da lui lavorata. Lavorata, dico riferendomi alle fatiche imposte ai legionarii durante tre giorni per ròv Kngioòv éx toò detdoov magatoérnev xaù tapoovs 6ovocev (PLut. 16). Il deviamento del Cefiso è dal Kromayer spiegato non senza una piccola incoerenza: Silla lo avrebbe voluto per non varcare il fiume nel muovere verso il nemico (pag. 364); ma il fiume non è, d’estate, impedimento alcuno alle mosse degli eserciti (pag. 364 n. 1): dunque Silla avrebbe occupato i suoi uomini in opera, se non superflua del tutto, certo di scarsa utilità. Noi, per contro, riconosciamo un valore diverso al luogo di Plutarco, che riconnettiamo assai bene alla iden- tificazione del Filobeoto con Merali. Il deviamento del Cefiso è, quant’allo scopo, spiegato dalla frase immediatamente successiva, xaì topoovs dovocerv: come quello che dovette ser- vire a trinceramento e a difesa, dacché le acque, che distese in un ampio greto non costi- tuiscono considerevole arresto, raccolte in un fossato rappresentano valevole baluardo d’un campo militare. Nei particolari non si può precisare se il Cefiso Silla si proponesse di immet- terlo nel Kineta (= Asso?) per accrescerne il volume e farsene riparo verso Sud-Ovest; o se ne tentasse una derivazione verso Nord; o se a un tempo intendesse, deviando il fiume, di prepararsi sgombra la via al colle di Kravasara: il cenno di Plutarco è troppo vago per indagare meglio. Certo, una obiezione ci può essere opposta per la distanza fra Merali, sup- posto campo di Silla, e il Cefiso, dove i legionarii di Silla lavorarono; distanza che è di Km. 1-1 !/,. Ma ignorandosi del tutto le posizioni di Archelao nel piano, non è affatto ille- gittimo supporre che Silla, occupato Merali, facesse lavorare i soldati sino alle falde di Kra- vasara, per tener sotto il suo immediato dominio anche questo colle, a quel modo che teneva sotto la sua diretta attenzione il colle di Parapotami. Si aggiunga che le truppe romane ascendevano a 16-20.000 uomini (secondo il Kromayer pag. 390, su calcoli approssimativi ma, ci sembra, accettabili), e quindi non dovevan esser contenute tutte quante sul Filo- beoto: anzi, posto su questo colle il campo, l’esercito è presumibile si stendesse sopra le falde e nel piano; onde più sentito il bisogno di deviare, a difesa, il Cefiso, e ragionevole lo spingersi dei legionarii sino a quel fiume. 1 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA Riassumendo dunque ci pare che l’identificazione del Filobeoto col colle di Merali offra non pochi vantaggi: primo, quello di spiegarci senz’altra ipotesi il passaggio dell’Asso ; secondo, quello di aiutarci a più presto comprendere il ritardo di Archelao nel raggiungere Parapotami; terzo, quello di legittimare assai bene i lavori dei Romani intorno al Cefiso. Un quarto vantaggio ci sembra di poter rilevare per altra maniera. Crediamo, cioè, possi- bile di sanare, con un lieve ritocco, la frase incomprensibile di Plutarco (600v ò “Accos érmtye 6é0v) di cui mostrammo dianzi la difficoltà e che il Kromayer, con gli altri, rinunzia a spiegare. Se il colle di Merali è il Filobeoto, noi possiam leggere Plutarco così: ... 46p0g éleimero mneromòns sai megizonuvos toùò “HovZiov diwgiouevos doovs [xai tod DiAoBorwrod] 6cov ò “Aocos éméyer déov. Difatti la distanza fra Merali (Filobeoto) e Parapotami è appunto occupata, a un dipresso, dal corso di un’acqua (Kineta) tra il punto in cui un confluente l’ingrossa e il punto in cui, ricevuto un -nuovo confluente, sbocca nel Cefiso: acqua che sarebbe, — sempre che sia vera la nostra ipotesi, — l’Asso. È difatti naturale che Plutarco descrivesse la rocca di Parapotami non solo in rapporto al monte Edilio cui appartiene, ma anche in rapporto al colle di Filobeoto da cui Silla la mostrava ai suoi e da cui i Romani mossero per occuparla. L’esser poi state fuse le notizie diverse in un grande periodo non ben costrutto; l’aver forse Plutarco dovuto qui rimaneggiare la sua fonte (non invano egli era di Cheronea), fu causa dell'oscurità complessiva del brano, e dell’errore per cui la tra- dizione manoscritta ne semplificò il testo grammaticale e ne complicò, senz’avvedersene, il significato topografico. Checchè sia di questa nostra congettura, rimangono i vantaggi del porre il Filobeoto in Merali, onde è chiarita più d’una mossa d’Archelao e di Silla. Aggiunge però il Kromayer, sempre a questo proposito, un'ipotesi, non più topografica ma militare, che neppure ci pare di dover accogliere. Archelao avrebbe, appena insediatosi Silla sul Filobeoto, non solo lasciato l’assedio di Elatea, ma anche occupato un colle a fronte del Filobeoto, ossia, se il Filobeoto è Kravasara, il colle di Merali. Tre obiezioni noi oppo- niamo. Primo: le fonti tacciono concordi una cotale occupazione, pur- narrando lo schierarsi degli Asiatici nel piano, e le scorrerie contro Panopeo e contro Lebadea. Secondo: Archelao doveva comprendere che, occupando egli il colle dinanzi al Filobeoto, spingeva Silla a Para- potami, perché gli evitava il compito, per cui a Parapotami il Filobeoto era parso preferi- bile, di sorvegliare gli Asiatici sul piano di Elatea; e lo rendeva, non meno, anzi pi forte. Terzo: se Archelao avesse tenuto un colle accanto al Filobeoto (sia Kravasara, sia Merali), per muovere a Sud avrebbe percorso o la strada di Parapotami o la strada fra l’Aconzio e l’Edilio; e difatti quest’ultima suppone il Kromayer; ma in tal caso una delle nostre fonti non designerebbe la marcia come diretta #5 XeAzida, perché la direzione evidente, non dubbia, sarebbe stata senz’altro verso Cheronea; laddove la designazione é6 XaA4xide è natu- rale (v. sotto, pag. 6), se Archelao mosse dal piano di Elatea, che non abbandonò mai col grosso dell’esercito, verso Atalanti al Nord (carta del Kromayer I num. 3), da Atalanti rag- giungendo poi l’Aconzio per la valle di Tampoli. Sopra un punto ancéra, e precisamente sopra talune manovre di Archelao, è necessario soffermarci. Mentre Silla si tratteneva sul Filobeoto, Archelao, dopo averlo invano eccitato a battaglia (cosi concordi Plutarco e Appiano), non riusci a frenare (così Plutarco) scorrerie de’ proprii militi a Panopeo e a Lebadea, ove venne fatto bottino. Il Kromayer, con acuta vista, chiari l’importanza strategica di coteste scorribande, rilevandone lo scopo di tagliar Silla fuori dalla sua base militare ch'era l’Attica con la Beozia, e mostrandole perciò affini alla marcia compiuta poi da Archelao su Cheronea verso Calcide. Concordi col Kromayer, ci chiediamo tuttavia perché a uno scopo tanto importante Archelao mostrasse di tendere cosî lento: rinunziando a muoversi con l’intero esercito, troppo numeroso e pesante, avrebbe potuto mirare fin dal principio, con colonne agili e mobili (aveva abbondanza di cavalleria MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 5 e di calcaspidi), a coprire le retrovie romane; invece, concesse a Silla di fortificarsi molto bene e spinse poi l'incursione troppo lungi perché producesse stabili ed efficaci occupazioni. I motivi di tal procedere non sono sùbito chiari; ma (ci sembra) possono esser stati due : forse Archelao non osò avanzare sotto Merali con solo una parte di tutte le proprie truppe, temendo la perizia formidabile dei legionarii: forse dovette concedere ai suoi la ricerca del bottino più lauto, prima che la conquista dei punti strategicamente migliori. Così ci pare debba essere integrata la felice osservazione del Kromayer. Cao Ma di gran lunga dal PERE non che da ogni altro studioso, dobbiamo allontanarci nell’esaminare, per questa prima paite della battaglia cheronense, le fonti che ce ne discor- rono: esame a cui oramai ci siamo spianata la via. Il Kromayer si attiene per intero a Plutarco; di Appiano dà un giudizio sfavorevolissimo. Procediamo noi ad esame attento per nostro conto. PLUTARCO APPIANO (A) 16, 1. — I Romani xara4Zaufavoviar Bovvòv èx uécov torora tov Elauxov nediov eÙyemv zai duprdagpîj xaì maoà tiv ditav Biwg Egovra: DidoPorords nadeîta, al t]v qpuow aùroò xai tiv déow énqi- vei davuacims ò ZbX}ag. otoatore- 42, 1. — @vrzxaraotavtes d diXXors, devoavteg dè mavtasacoro dAiyor toîs mvo4e- pios atepavnoav © inneîc uèv yào où mheiovs revrazociov nai yidimv èyévovto, netoù dè revtazioniliov ai uvgimv Ehat- ò nèv ‘Aggéhaos éEérartev ég udynv dei mo0- zalovuevos, è dè DiRlas éBodduve, tù Yo- gia uaì tò Aids tV égdoov Eronoros- uevos. TOVS. (B). Costretto dagli altri comandanti, Ar- chelao schiera il suo numeroso esercito nella pianura, riempiendola di uomini, di cavalli e d'armi. Descrizione del mirabile effetto. I Romani se ne impaurano tanto, che Silla non riesce a farli muovere e deve mantenersi quieto, soffrendo le derisioni dei barbari. Questi per indisciplina si danno a scorrerie e bottino, fino a Panopeo e a Lebadea. Silla occupa le sue truppe in 76v te Kyqioòv éx toùò deldoov magorgérmev xai topoovs dovo- geuv, avartaviav oddevì dvdods ai tOV Ev- dLdovt@v dragaitntos Epeot®g 04daotis, 6rws drayogevoavtes mods tà Éoya dà tÒòv a6vov dordomviar tòv zivdvvov. È xal cvv- «6. Difatti nel terzo giorno, pregandolo le truppe di condurle a combattere, indicò Silla loro il Parapotami; e riusci a prevenire nel- l'occupazione i calcaspidi nemici. 6 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA (C) eneì dè drroxgovodeis éxetdev ò ‘Aogé- avagogodvii d 6 Xalxida tO ‘Aoygeddo Raos Gounoev Eri t)v Xoromverar... [Silla] raguzolovigov sxaroòv érretijoer rai tosrov . éxnéuner tOv yriitogov éva l'aPiviov uerà os dè aùròv side smegi Xaro®verav Ev arro- rayuaros évòs... è dè ‘I6fas où l'afi- “onuvos otgatoTmEdEvOMEVOV ..... vidòv p7yor reupègvar, dAiiRà ‘Eoi- ALOV. Dunque, vi è fra Appiano e Plutarco, nel racconto de’ precedenti della battaglia, in apparenza solo un divario quantitativo: l’uno narra meno dell’altro, ché Plutarco ci fornisce ampii particolari d’una serie di vicende di cui Appiano dà appena il principio e il termine. Dunque, sempre in apparenza, entrambi quegli scrittori si debbono far risalire a un'unica fonte, dalla quale l’uno piu dell’altro attingerebbe. In realtà, noi dobbiamo dare diverso giu- dizio, se più profondo si faccia l'esame. Cominciamo col porre vicino i due punti in cui la testimonianza di Plutarco coincide con quella di Appiano. Plutarco dà particolari topografici (Filobeoto) e statistici (numero dei fanti e cavalieri romani) nella prima parte; Appiano riassume con evidenza in poche parole la situazione: nella seconda parte poi, mentre Plutarco è pit preciso nel rispetto militare, Appiano ci dà un tratto di indiscutibile realismo, col segnare nella marcia di Archelao due momenti; il primo in cui se ne profila la direzione és XaAxida ; il secondo in cui se ne con- creta il resultato, zzeoì Xaco@verav. In complesso, pertanto, i due testi si integrano, senza contraddirsi né pure nel tono: difatti, come Plutarco cita per sua fonte le Memorie di Silla in principio, e poi la citazione di Silla sottintende alla fine col contrapporvi la notizia de- sunta da Giuba (ò dè ‘/68@s); così il tratto realistico di Appiano risente a sua volta l’in- flusso di uno spettatore o addirittura protagonista dei fatti. Inoltre è notevole che le notizie forniteci dai brani che esaminiamo resistono bene alla critica : le cifre delle truppe romane reggono all'analisi del Kromayer (pag. 389); la descrizione topografica calza ai luoghi, come vedemmo dianzi; i particolari tattico-strategici abbisognano di comento o sviluppo, non già di correzione. Quindi, là dove Plutarco e Appiano coincidono, risalgono in modo palese alle Memorie sillane; con la differenza, che a Plutarco è giunta copia di particolari più che ad Appiano. Ma passiamo all'esame di quella narrazione, intermedia fra i due punti già discussi, che è solo in Plutarco. Vi si notano sùbito alquante singolari caratteristiche: vi è detto della gran paura romana, con molta insistenza; le scorrerie dei barbari a Panopeo e a Lebadea non sono spiegate secondo il loro valore strategico, che non traspare né pure, ma narrate come atti di indisciplina; ai lavori di scavo non è supposto uno scopo difensivo, ma attri- buito un fine disciplinare puro e semplice; malamente spiegata è, di conseguenza, la presa di Parapotami. Si aggiunga che proprio in questo passo è la corruttela topografica su Para- potami e l’Asso (6007 6 “Aocos éméyer déwv), che tentammo sopra (p. 4) di sanare, e che, come là dicemmo, potrebbe derivare da una correzione plutarchea (Plutarco era de’ luoghi buon conoscitore) a testo impreciso o erroneo. Si aggiunga che in questo tratto si trova un passo perfettamente illogico come il seguente: @v708 umévTtoL ToÙTo udÀcTa TAVTOYV aùtb6v. oi yào évavtior xatapgooroavtes étodrtovto mods drafiav 0lliv, odéè &4A0 brijuoor tOV otoatQy ov dà modvaggiav dvres: dAiyor uèv év tO yioani drenagteoovv, è dè mAelotos dxAos Gorayaîc xaì mooduaor delea5buevos ddòv fueoov m0Mibv darò tod otgA- torédov dreomeigeto. zaiì tiv te tOv Iavontov nbdliv ixubpar Abyovtar xaù tv AeBadéav diaordoui xaì cvAijoar tò uavtetor, oddevòs otgatmyoù modotayua dbvros. è dè DIAXXAG, év òuuaciv abtoò n6éliemv darnrolivuevov, dvoavacygetòov xai Avrovpevog MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. D. 7 oùx ela toùs otgan®tas cgoAadlew ... Dove è considerato un vantaggio il dover assistere impotente alla devastazione di città non lontane! Or si contrapponga una tal serie di inin- tellisenze e inesattezze alla perspicuità e precisione che constatammo dianzi nel principio e nella fine del racconto; si pensi se Silla può aver nelle Memorie, o per che scopo, posto in luce tanto falsa le mosse del suo avversario, luce da cui acquista risalto soltanto la paura dei legionarii: e si concluderà che la fonte di questo tratto intermedio del racconto plutarcheo dev'essere un’altra, alquanto diversa. Un'altra; e perchè a proposito di Gabinio Plutarco s'affretta a soggiungere ò dè ‘/6Bas où L'apiviov puo meupdijvar, dRRa * Egiziov, usiamo, almeno provvisoriamente, il nome di Giuba a designare questa diversa fonte. Resta però da determinarne la natura. L'abbiamo scoperta priva di senso militare, impre- cisa, forse, nel riguardo topografico; ma, — e questo importa assai, — nessuna delle notizie che contiene, né la scorreria a Panopeo e a Lebadea, né lo scavo delle trincee, né la presa di Parapotami, è tale da ributtarsi, quando sia stata posta in miglior luce. Pertanto la sostanza del racconto è esatta e credibile, laddove ne è inesatta e inaccettabile la colori- tura. Ma non si può concludere che alla fantasia del supposto Giuba debba quest’ultima essere addebitata senz'altro e per intero; invece, son motivi per ritenere una diversa sca- turigine. Difatti notammo sopra (pag. 5) che, se le scorrerie di Panopeo e di Lebadea non debbono pensarsi come atti d’indisciplina, ragioni disciplinari possono però aver determinato la scelta di luoghi cosi lontani da cui scarso veniva il danno al nemico; quindi solo in questo senso è esatto che quelle scorrerie giovarono (0770) a Silla; analogamente, l’errore è di aver tolto il suo significato tattico allo scavo delle trincee, non già di avergliene attri- buito anche uno disciplinare; infine, se è vero che Plutarco ha dovuto correggere la descri- zione topografica di Parapotami, poco è bastato a sanare il guasto, e quindi il guasto non era grande. In breve, il presunto Giuba dà notizie che sembran derivare proprio (sebben forse non direttamente) dalle Memorie sillane, ma che non le riproducono con interezza, bensi ne estraggono quanto, più che corrispondere a una piena e acuta vision dei fatti, è atto a impressionare la fantasia. Ciò spiega che sia stato omesso il significato del bottino compiuto a Panopeo e a Lebadea, e degli scavi eseguiti presso il Cefiso: non interessava ; interessava, per contro, la paura dei Romani, la cupidigia sfrenata dei barbari, come lo scin- tillio delle armature e il frastuono delle varie lingue frammiste. Ciò spiega che dell’esattezza topografica sia stata cercata soltanto l'apparenza. Concluderemo adunque, che la falsa colo- ritura, onde ci apparvero travisati fatti intrinsecamente fededegni, risale, secondo ogni veri- simiglianza, in parte all’esser stati svolti e deformati particolari che nelle Memorie di Silla eran accennati appena o addotti con altro valore, in parte all’esser stati omessi fatti che, pur avendo nelle Memorie il principal peso, non erano idonei a suscitar maraviglia secondo i gusti del rifacitore. Adunque la ricerca condotta intorno ai precedenti della battaglia sui due testi di Plu- tarco e di Appiano ci ha fruttato risultati di importanza non piccola, sebbene bisognosi, sotto certi rispetti, di altre conferme. Fin d’ora possiamo dire con qualche certezza che: in Plutarco troviamo un ampio brano il quale, intercalato in un contesto desunto senza dubbio dalle Memorie di Silla, mostra invece di rispecchiare quelle stesse Memorie in maniera assai meno fedele; mentre in maniera meno particolareggiata, ma a sufficienza felice, le riflette il racconto di Appiano. E fin d’ora possiamo indurre che: quel triplice uso dell'unica fonte fondamentale sia da spiegarsi con la natura dei testi intermediarii fra le Memorie e Plutarco, per un lato, e Appiano, per l’altro; intermediarii, che forse mancarono là dove più diretto è l’influsso sillano, e che a ogni modo non è facile nominare, sebbene qualche indizio sug- gerisca il nome di Giuba per l’uno di essi. Dall'esame, adesso, della battaglia vera e propria desumeremo forse conforto alla certezza già conseguita e alle induzioni appena abbozzate. 8 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA II. La battaglia. L'esame dei testi riguardo alla battaglia vera e propria costituisce problema più arduo, di cui meno aperta appare la risoluzione. Cominceremo col porre anche qui il racconto di Plutarco accanto a quello di Appiano. APPIANO Cap. 42. — avrimataotavtes d° GiA016, ò uèv “Aogéhaos éEérattev è udynv del 1r90- nohovuevos, è dè ZvAAas éPoddvve, tè Yogia zaì tò mAijdos tOVv Exdoov meouororovue- vos. dvagogodvi d é Xalzxida tb ‘AogeRdw raouzodovi@v xargòv émetijoer ai Tomov. e dè aùròv eîde meo Xarowèwverav év drro- zonuvos otgatoredevouevov, Evda ui) x0a- Todo drogmonos ovdenia fv, mediov aò- tòs edoù mAnoiov zaralaBov eddds érijye ds xa duovta fiacduevos és udynv ‘Aogé- Aaov * éc dimév xai dvag®donow fv mediov, ‘Aoge- E) z. év © opior uèv brtiov ai eùrmetes Aido dì ronuvoi meorézeLvto, 0î TÒ É070v oùx elmv év ovdevì xorvòv dlov toùù oTEUTOd YE- vécda, cvorijvar dirà tv GAvmualiav od &yovtog® tgareici te aùtoîg drr0gos bià TOV zonuvov Eyiyvero î) pvyi. è uèv di toroîode Aoyiouoîs tI dvoymwoig udhiota I0TEVOY, érmijer © oddèv écouévov yonciuov tod TÀi- dovs tO ‘Aogeha ..... Archelao, accortosi della propria infelice posizione, oovrremwpé tIVag inméas és “- (A) (B) PLUTARCO Cap. 17. — Silla varca l’Asso e si reca sotto l’Edilio, dove pone campo accanto ad Archelao, che s’era fortificato fra l’Aconzio e l’Edilio. Ora4irr®v dè uiav fuecav è DYA- Aas Movorvav uèv Èyovta tayua xai ocnsi- oas dvo 00s tÒò toîs modeuiors évoyAijoat nagorattouevors aréhitev, aùtòs dè ... éga- ger 100s tiv Xarom@verav, avalnwonevòs te t]v addi otgatIÀàv val zato wobwevos TÒ xa- Aovuevov Vovorov dsrò TOV Toleutwv IT90- zaverAnuuevov. Descrizione del Turio. 7700- oidvros dè toò ZbAXa mods tv Xarooverav ò terayuévos év ti) n6der yidiaogos EÉmrhio- UEÉVOUS ÈYOV TOÙS CTONTLWTAG, AITVTNOE OTEÉ- pavov dapvns zouif@ov. Si presentano due cittadini di Cheronea, che promettono di sor- prendere il nemico sul Turio per un sen- tiero secreto. tod dè L'aBiviov toîs avdodot uagtvonoavtos avigsiav nai miotiv, éxéhev- cev èniuyergeiv è Dillas® aòtòs dè ovve- atte Tv palayya nai dréverue toùs irrmé- tas énì xéows Enatégov, tò deftòv aùtòs Exov, tò dè ed@vvuov arododg Movonvg. Talas dè naì “Oouijoros oî roeopevtaì oreigas érmutdntovs Èyovtes Èogator maoEVE- Balov Eri tOVv duouv qpuiazes mods TS uvudboers: émooòvto Yào oi moléuor xara- oxevaGovteg innedor 107loîg sai yrdoîs rro- dmueov eis Èrtotoopi]v TÒ zégag ednauITÈG zaì xoùpor, ds uaxgàv davafovtes nai xv ximwoduevor toùs “Pwsuotovs. Cap. 18. — é» dè rovr@ tOv Xatgw- véov Egiziov dogovra maoàd toù ZYIXha MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. D. 9 Avo aùrod. Ttoemertov Ò Exeivov rai és TOÙS XONUVOÙS KATA@OUPIELTOY ..... « &exovia addi Erewpev ouata . dra- otevt®v dè tOv “Pouaiov, tà uèv doueta drrò TIjs pooas és toùs drrio@ magevegdévta te xaì duoermioroopa òvta m00s TOV dord- Tv mTeowoTavTOv ata ai EoanovitE6vTt®Vv diepdetoeto. Cap. 43. — Archelao si accinse in fretta a schierare la massa molteplice del suo eser- cito, quando già lo spazio era stretto. Toùs Ò’ inméas mo0tovs érayayov ... dLéteme tv palayya “Pouaiov és dio, raù eùduagds éxatéoovs ézuxhodro dà t]v dAryotnta. Spe- cialmente pericolavano Galba ed Ortensio che avevano a fronte lo stesso Archelao. In loro soccorso muove Silla con molti cava- lieri. Pel che Archelao, fatto accorto dal polverio sollevato, scioglie l'accerchiamento e ritorna in schiera. Silla, col meglio della AaBévrwv rai meouedd6viwv ddli0s tò Vov- Qt0v, riescono a travolgere i nemici con gran scompiglio, così che tremila ne muoiono sul Turio; i fuggiaschi poi, parte son finiti da Murena che già era in schiera, parte cacciati verso il lor proprio accampamento, turban- dolo assai. dÉEws yùo è DrAAas tagaocouevots érayayov nai tò uécov drdornua ta rage cvvel®ov apeidero tiv tOV doermarnpsowv evéoyerav. Difatti i carri non potendo pren- dere l’abbrivo fecero insufficiente impeto contro le file romane, dove vennero accolti con risa di scherno. toùvtevdev ai mebai dvvauers cvveggA- ynoav, tOv uèv BaoBdomv r00BaAlRouévav TAG cagicas uaxodc ai IELOWUEVOV TG cvvacItIoU® Tv pidoyya diatmoetv év vaéet, iov dè “Pouaiov tods uèv docods add natatal6vimv ormacauevov dè tùs uayaioas ai maganoovouevov TÀS cagioas, ®g td- quota mooouiserav ados dl doynv . t0orTE- tayuévovs yào Ebowwv tòOv ITodemimv uvoiovs nai mevtaniogiAiovs deodrrovtas, où éx TOY nddemv neovyuacowv élevdegoùvtes oî ao Aéas otoatnyoi xatelbgitov és toùg brrhi- tas... La salda e fitta schiera di costoro i Romani faticano a scomporre. Solo dopo largo e incessante uso di dardi li volsero e scompigliarono. C. 19. — Archelao avanza l’ala destra per l’aggiramento. Ortensio muove per pren- derlo sul fianco. Ma quegli con duemila ca- valieri lo ricaccia fin verso i monti, e per poco non lo taglia fuori dal resto dell’eser- cito. Silla, dall’ala destra che non ancora aveva iniziato battaglia, muove a soccorso. Archelao, accortosene dal polverio sollevato, si volse indietro per correre a sorprendere la destra romana rimasta senza capo. Con- temporaneamente Taxiles muove i caleaspidi contro Murena, cosî che Silla rimane incerto 25 10 ‘ ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA cavalleria e con due coorti, che aveva posto come riserva, où tòv xixAov toîs mvoke- uiorg éEeXifaciw odò° EG métwITov sbotados dratetayuevors évepade, xaè Foovpnoas éxopé te uai E puyiv tgarévtas édiwxev. Anche Murena vince. Cap. 44. — E, volte le ali, pure il centro cede sotto la pressione del centro romano. Archelao ferma dinanzi all’ accampa- mento la fuga dei suoi, ma non riesce a ri- costituirli in ordine, ché anzi, sia per lo scom- piglio, sia per la ristrettezza dello spazio, essi sono decimati dai Romani cui mal re- sistono, e anche fra sé si uccidono. Onde la fuga riprende e lascia a quei di Silla libero adito nell’accampamento asiatico, dove si termina la strage. Cap. 45. — Archelao scampa con gli altri salvi a Calcide, trovandosi ad essere 00 molò mAelovs uvoiov éx dmdera uvorddar. ‘Po@naimv dè &005av uèv drodaveîv nevtesaldexa dvdoes, dbo d° adr@bv éravijA- dov. da qual parte dirigersi; ma poi decide di tornare al suo proprio posto, dopo aver in- viato Ortensio al soccorso di Murena con 4 coorti, e presa per sé la quinta. L'ala destra romana, che già fortemente contra- stava il nemico, all’apparire di Silla sopraf- fece gli Asiatici e gl’insegui sino “ al fiume e all’Aconzio ,. Silla allora rivolse le sue cure a Murena, ma, perché questi pure vinceva, si associò all’inseguimento. moàloi uèv oòv év tb medi TOV Pag- Bdowv avnooùrio, mÀsistor dè TO ydoani ao00pepouevor natezbanouv, Gore uvoiovs Òrarmeoeìv dirò tOCOvTWVv UvELdÀ wr. ò dè DbMMas Aéyer téccaoas nai dena énintijoar TOV aÙtod oTIUTIOTOV, ITA vai tovtwwv dio r0ds tiv Éorméoav maoayeveodat. Silla eresse poi i trofei: l’uno là dove prima piegarono le truppe di Archelao uéygr 7a0à tò M6Aov deîdoov; l’altro sul colle Turio. Come risulta dal confronto che abbiamo minutamente condotto, le discrepanze fra Plutarco e Appiano sono non poche e non lievi. Esse si possono raccogliere in questi gruppi distinti : 1. l'episodio del Turio è esposto e valutato da Plutarco con una ricchezza di particolari che manca in Appiano, e con una considerazione di cui non è l'ombra in Appiano; 2. l'assalto dei carri falcati è reso vano, secondo Plutarco, per aver Silla diminuito troppo la distanza fra le due schiere avversarie; secondo Appiano, per l’aprirsi delle file romane ; 3. l’aggiramento è tale, secondo Plutarco, che ne soffre Ortensio; secondo Appiano, che ne soffrono Ortensio e Galba, e l’intero esercito romano par tagliato in due; 4. la fine dell’aggiramento accade, secondo Plutarco, perchè Archelao vuol sorprendere l’ala destra romana rimasta priva di capo; secondo Appiano, perché Archelao impaurito vuol ritornare &6 r@Éw; 5. l'attacco di Silla contro Archelao avviene quando già l’ala destra romana ha subito l'attacco di Archelao reduce dall’aggiramento, secondo Plutarco; e secondo Appiano, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E KFILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. I quando aneora Archelao non ha sciolto l’aggiramento né ha avuto modo di schierar sul fronte (é5 wér@ror) le sue truppe. Oltre a queste vere e proprie contraddizioni, vi sono differenze di diverso carattere: l'' — la posizione tattica dei due eserciti è valutata da Appiano, insisten- temente, sul rapporto fra la natura del terreno e la superiorità numerica dei cavalieri asia- tici; mentre Plutarco non è cosi esplicito né c’insiste tanto; 2. — la sconfitta dei centri è narrata da Plutarco prima che l’attacco delle ali; da Appiano, dopo: il che è da ricondursi, non a diversa concezione della battaglia, ma a diverso modo di narrarla; 3. — l’ultimo urto fra Romani ed Asiatici, dinanzi accampamento di questi ultimi, è descritto da Appiano con alquanto maggior larghezza che da Plutarco, sebbene senza rilevanti discrepanze; 4'..- la cifra delle perdite romane è in Plutarco di 14-2 uomini, in Appiano di 15-2: nel che si sente la medesima fonte, con un'alterazione (15.14) dovuta forse agl’in- termediarii, o forse ad altro, ma non certo a diversità di tradizione. Ora è singolare che, a malgrado di queste differenze secondarie, le quali varian pure la tonalità de’ due racconti; a malgrado delle discrepanze profonde, le quali i due racconti allontanano irrimediabilmente; abbiam tuttavia potuto far corrispondere l’un racconto all’altro, parte per parte. E ciò contribuisce non poco a rendere arduo il problema intorno ai due testi, alle loro fonti, e alla realtà che dobbiam ricavarne. Camillo Vitelli negli “ Studi italiani di filologia classica , VI (1898) pag. 386 riteneva (al pari dell’Inne o. ce. 327 n.) che le discrepanze fra Appiano e Plutarco fossero tali da potersi integrare a vicenda, piu tosto che contrapporre in antitesi. Ma se ciò può dirsi per le differenze minori da noi enumerate, sarebbe eccessivo estendere l'osservazione alle discrepanze vere e proprie su cui richiamammo l’esame. Il Delbriick, al contrario, concludeva che né da Plutarco né da Appiano né da entrambi insieme studiati può ricavarsi un quadro soddisfacente della battaglia ne’ suoi episodii. A lui obiettò il Kromayer: il quale, lasciando da banda presso che del tutto Appiano, pretese di mostrare come dal solo Plutarco possa della battaglia desumersi rappresentazione, non solo soddisfacente, ma chiara, e perciò minuta. Eppure, a nostro avviso, l’insigne studioso, pur apportando copia di analisi acute e intui- zioni pregevoli, non riusci a risolvere il problema né rispetto ai due testi di Plutarco ed Appiano, de’ quali ha forse troppo presto respinto il secondo, né rispetto alle esigenze della critica militare. Ecco perché. Anzi tutto, il Kromayer, che forse non si è reso abbastanza conto della discrepanza fra Plutarco e Appiano riguardo all'attacco dei carri falcati (cfr. pag. 396), ha poi nel suo racconto seguito da presso, anche per quel punto, il solo Plutarco. Della preferenza potrebb'es- sere un motivo l'analogia, da lui indotta, fra il procedere di Silla a Cheronea e il procedere di Eumene a Magnesia (Lrv. 37, 41,9; Apprano Sîriaco 33, 5); ma, anche prescindendo dalle riserve che si potrebbero esprimere circa tale analogia (lo stratagemma di Eumene consiste, secondo le fonti, nel far colpire i cavalli invece che i guidatori dei carri; laddove lo stra- tagemma di Silla sarebbe stato, secondo Plutarco, di scemare lo spazio fra le due schiere avversarie), è certo che a conforto della versione di Appiano si può del pari addurre una convincente analogia: la ben nota astuzia di Scipione l’Africano contro Annibale nella bat- taglia di Zama, quando (cfr. Poigio XV, 9, 7. 12, 3; FrontIno II 3, 16), ad annullare il peri- coloso impeto degli elefanti, il generale romano curò che gl’intervalli fra i suoi manipoli 12 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA si corrispondessero l'un l’altro (1). Se adunque così la versione plutarchea come l’appianea dell’episodio dei carri posson venir confermate con esempii anteriori, la discrepanza fra Plu- tarco e Appiano non sembra possa esser qui sanata col semplice preferire quello a questo. Se non che, procedendo il racconto, appare (constatazione assai più importante) che il testo di Appiano offre notizie intrinsecamente più accettabili delle corrispondenti in Plutarco. Secondo quest’ultimo autore, Archelao muove la sua ala destra per aggirare i nemici alle spalle senza curarsi di contemporaneamente attaccare i nemici sul fronte: difatti Taxiles assalta con i calcaspidi Murena (sinistra romana) solo quando già l’aggiramento è fallito; e durante l’aggiramento Silla (destra romana) è libero da battaglia (@xò rod deftod una ovurerto”6ros eis uaygnv...). Sarebbe errore gravissimo, per cui l’aggiramento doveva a priori fallire; e l'errore riconosce, naturalmente, l’occhio esperto del Kromayer (pag. 378); ma egli preferisce farne carico ad Archelao, la cui perizia tuttavia loda (pag. 382), più tosto che a Plutarco. Or bene: l'errore non si trova nella versione, pur molto concisa, di Appiano: Archelao, difatti, roòs 0° imméas mooòros érayayòv uerà dgbuov 0%Aoò, diévene tv pddayya ‘Pouaiov é5 dio, xaì eduao®s Exaréoovs éxvxAoùto did vv dAy6rnta; del qual passo cer- cheremo poi (cfr. sotto, pag. 18) di dare una interpretazione precisa; ma è fin d’ora evidente che dove si parla di un doppio totale accerchiamento deve pensarsi ad attacchi sul fronte oltre che sul tergo e sul fianco. Sicché sembra che, tenendo in qualche conto anche Appiano, si scolperebbe forse Archelao d’un grosso sbaglio che parrebbe da addebitarsi solo a Plutarco. Ma forse peggio accade in séguito. Si osservino sulla carta topografica le mosse attri- buite ad Archelao da Plutarco con l’assenso del Kromayer. Egli occupa con l’ala destra i pressi del Cefiso; muove con la cavalleria contro la sinistra romana (Murena); è molestato da - Ortensio, lo vince, lo insegue fino ai colli, ossia (così il Kromayer) fino a Mera: quest’è, in linea retta, un percorso di circa 6 Km. Allora Silla si muove a sua volta con la cavalleria; Archelao abbandona Ortensio, si volge indietro e, non solo ritorna al suo posto (contromarcia di 6 Km.), ma passa all’ala sinistra contro la destra romana (Silla): nel frattempo Silla, dopo una breve esitazione, ma prima ancora forse di esser giunto sino a Mera (marcia di 1 /$-2 Km.), rioccupa pure il suo posto; e (si badi) trova le sue truppe già impegnate con Archelao. In somma, Archelao, con un percorso forse triplo, certo doppio che Silla, con truppe reduci da una manovra fallita e quindi almeno in parte scomposte, riesce a porsi in linea e ad attaccare prima di Silla. Il fatto è cosi strano che dovrebbe esser spiegato con qualche ipotesi, se ce lo testimoniasse una fonte irrefutabile; ma non può essere accolto, quando né ci è asserito da una tal fonte né ci manca notizia del tutto diversa. La notizia è, per l'appunto, in Appiano: Silla, dice quest’autore, oùr@ tòv xébx4ov toîs modeuiors éEe- difaotv odò' és uétorov evorados diaretayuevors evéBale nai dogvBinoas Ezowe ... ossia qui, con ben altra verisimiglianza, si narra che Archelao compié il suo maggior tragitto in tempo maggiore che Silla, e ne fu quindi prevenuto. Di nuovo adunque dobbiam concludere che, del problema determinato dalle discrepanze profonde fra Appiano e Plutarco, non è buona risoluzione l’attenersi semplicemente a Plutarco, perché ci son punti nei quali Appiano offre testimonianza o di pari pregio intrinseco o di pregio maggiore. (1) La veridicità di Polibio è stata impugnata dal DeLeriick Geschichte der Kriegskunst® I 390; ma bene gli obiettò il Verra Antike Schlachtfelder INI 2, 690 sgg. — Non sarà ozioso aggiungere che un accorgimento simile adoperò Napoleone I nella battaglia delle Piramidi contro la impetuosa cavalleria dei Mammelucchi : cfr. Napoléon raconté par lui méme (Paris 1912) pag. 106: Z (= Mourad-bey) envoya un de ses beys les plus braves avec un corps d'élite qui, avec la rapidité de Véclair, chargea les deux divisions. On le laissa approcher jusquà cinquante pas, et on Vaccueillit par une gréle de balles et de mitraille qui en fit timber un grand nombre sur le champ de bataille. Ils se jetòorent dans l'intervalle que formaient les deux divisions, où ils furent regus par un double feu qui acheva leur défaite. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 13 Ora, come sin qui l’analisi ci ha mostrato una parziale e comparativa inferiorità del testo plutarcheo, cosî può adesso rivelarci una deficienza o, se si vuole, difficoltà intima al testo medesimo. Dove ci descrive lo schierarsi dei Romani (ce. 17), Plutarco pone Murena a sinistra, Silla a destra. Tale schieramento appare quasi ovvio effetto della marcia poco prima narrata e compiuta da Silla verso Cheronea lasciando in retroguardia Murena. Sicché la destra romana dobbiam pensare a un dipresso sotto il colle stesso di Cheronea: d’accordo con la notizia, pure di Plutarco (cap.19), esser la vittoria di Silla, all’ala destra, cominciata uegui taoàd tò MoZov detdgov (1), dacché il Molo dev'essere uno de’ due corsi d’acqua a Est di Cheronea (cfr. Krowayer pag. 372). Contro tal complesso di dati urta il racconto succes- sivo. Le truppe di Archelao che avevano occupato il Turio sopra Cheronea vennero ribut- tate (cap. 18) al piano nel principio della battaglia (sopra pag. 9); imbattendosi, quelli che non raggiunsero il proprio esercito, in Murena, sig r@éw 707 xede0t0s. Dunque Murena che s'era mosso ultimo e, già schierato, teneva l’estroma sinistra, doveva trovarsi su la strada tra le falde del Turio e le schiere di Archelao. Ma come è possibile ciò, se tra le falde del Turio e il Cefiso era la destra romana con Silla, sotto Cheronea non lungi dal Molo? Contro Silla dovevano imbattersi dunque i fuggitivi, non contro Murena; a meno che, per non so quali reconditi motivi, avessero fatto uno strano giro semicircolare, dopo aver eluso, in modo anche più strano, le truppe di Silla, già schierato anche prima di Murena, ché l’aveva pre- ceduto nella marcia! Anzi, se la posizione dei due eserciti fosse stata quella che è nella carta del Kromayer, i fuggitivi, nonché incappare in Murena, sarebbero arrivati nella grande maggioranza salvi alla sinistra di Archelao, che di alquanto sporgeva sopra la destra di Silla. Né lo scoglio si supera, o si gira, supponendo uno schieramento, in vece che da Nord a Sud, da Ovest ad Est, perché i rapporti rimarrebbero immutati, anche se non peggiorati, come pare al Kromayer (pag. 371). Chi, per ultimo, pensasse di porre Murena sotto Cheronea Silla più ad Est, dovrebbe, anzi tutto, sovvertire dati topografici di salda base, identifi- cando il Molo col più orientale de’ tre fiumicelli scendenti dal Turio, l’Emone col più occi- dentale, il Morio col centrale; l’Ortopago ponendo fra quest'ultimi due fiumi; — e gli reste- rebbé poi sempre da spiegare come Archelao compiesse la manovra di cavalleria senza l'ostacolo (di cui taccion le fonti) dell’Emone e del Morio. Cosî, non v'è scampo: esiste nel contesto di Plutarco un nodo, che sciogliere non è facile, ma nemmeno è possibile negare. Da poi che, adunque, i tentativi sin qui compiuti dai critici ci parvero, non solo non risolvere il problema delle discrepanze fra Plutarco e Appiano, ma anzi rivelarne alcune nell'interno dello stesso testo plutarcheo, e sempre palesare l'impossibilità d’una adeguata rappresentazione degli avvenimenti, è tempo che ci accingiamo a porre e svolgere l'indagine a modo nostro e per nostra via. Una prima osservazione ci par fondamentale. Il principio del cap. 18 di Plutarco suona: ev tovtm tov Xargwvéwv °Egixiov diggovia smagà toù Silla daBévrov... 1. Ossia: i Che- ronensi che si sono offerti a Silla per compiere il colpo di mano contro il Turio sono, nel- l'atto dell’assalto, comandati da un “ Ericio , (probabilmente Erucius), loro preposto dallo stesso Silla. Se non che nel cap. 17 chi appare capo del presidio romano in Cheronea è Gabinio; e Gabinio appunto fa testimonianza del valore e della fedeltà dei Cheronensi offer- tisi pel colpo di mano contro il Turio. Ora questo succedersi di Ericio a Gabinio lascia un (1) Cfr. pag. 21. 14 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA poco perplessi; poiché sarebbe verisimile che Silla desse per capo ai Cheronensi l’uomo medesimo ai cui ordini eran stati in quei giorni e che s’era per essi fatto garante. La contrapposizione di questi due nomi, Ericio e Gabinio, che è qui determinata da esi- genze di verisimiglianza, non accade qui però per la prima volta. Nelle ultime righe del cap. 16 Plutarco, dopo aver detto che Silla al presidio inviato in Cheronea prepose Gabinio, s'affretta a soggiungere ò dè ‘/6fas oò L'afividòv pyor reup3fvar, dRlè ’Egiziov: dunque per il medesimo ufficio Plutarco trovava in una sua fonte (quasi certamente le Memorie di Silla) designato Gabinio, e in altra fonte (Giuba di Mauretania) Ericio. Cosî che, tanto nel cap. 16 quanto nel cap. 18, i due nomi Ericio e Gabinio si contrappongono. Né è difficile vedere l'analogia fra le due contrapposizioni: in entrambi i casi, difatti, è questione delle medesime truppe, sebbene nel cap. 16 l’antitesi sia recisa ed esplicita per opera dello stesso Plutarco, e nel cap. 18 l’antitesi sia soltanto implicita e, come dicemmo, determinata da esi- genze di verisimiglianza. Ora, supporre che nel cap. 18 la notizia intorno ai Cheronensi ed Ericio derivi dalla medesima fonte da cui, a confessione di Plutarco, deriva la notizia su Cheronea ed Ericio nel cap. 16, ossia da Giuba, è lecito, anche se non perentoriamente necessario. ; Ma l'ipotesi acquista carattere di probabilità, quando si rivela atta a chiarire quei pro- blemi che, imposti dal confronto fra Plutarco e Appiano, non riuscimmo sin qui a risolvere. Invero, se la citazione di Ericio a proposito del Turio ci riconduce a Giuba, non ci sorprende piu la discrepanza fra Plutarco (= Giuba) e Appiano (= Giuba) nel narrare l’episodio del Turio (cfr. sopra, pag. 10: num. 1). E perché, subito dopo questo episodio, è riferito l’assalto dei carri, ch'è un’altra delle discrepanze in questione (sopra, pag. 10: num. 2), anche di questa ci rendiamo conto col riportarla al medesimo Giuba. E perché, sempre procedendo nel contesto, troviamo descritto a questo punto l’urto dei due centri (sopra pag. 11: 2’), mentre Appiano lo accenna e definisce in altro punto (cfr. sopra, pag. 9-10) anche questa minore differenza può risalire all'uso di diversa fonte e anche in questa si posson trovare tracce di Giuba. E perché, proseguendo ancòra, c'imbattiamo nel principio del cap. 19, dove le manovre di Archelao e di Silla sono esposte in guisa cosi lontana da Appiano, cosi insoddisfacente, come vedemmo (cfr. sopra, pag. 10: 4-5; pag. 12), sospettiamo di nuovo l'influsso di Giuba. Non. solo, ma anche la difficoltà interna del testo di Plutarco, che cercammo di chiarire sopra, circa la posizione di Murena nella battaglia, rientra nei termini di questa nostra ipotesi : perché mentre la posizione di Murena è definita nella fine del cap. 17, l’imbattersi in Murena dei fuggenti cacciati dal Turio è riferito nel cap. 18 poco dopo la citazione di Ericio: onde la contraddizione dei due dati ci appare adesso contraddizione di due fonti. Da ultimo non ripugna che attribuiamo a Giuba anche l’accenno all’estremo urto fra Romani e Asiatici dinanzi l'accampamento di quest’ultimi; non ripugna, perché vi si trova la frase @zò tocovtov uvordòavr, che, nella sua imprecisione, ha lo scopo, consueto per Giuba, di esa- gerare alquanto la realtà, o almeno di incitare verso l’esagerazione la fantasia di chi legge. In breve, tutto il brano plutarcheo in cui si incontrano le cinque gravi discrepanze rispetto ad Appiano (sopra, pag. 8-10) e due delle meno gravi differenze, costituisce un insieme compatto il cui principio può esser seriamente sospettato di origine diversissima dal resto del racconto, in cui quel brano si trova, e a cui in parte contrasta. Che se pertanto tal serio sospetto si rinforza di quelle gravi discrepanze, pare da concludere che il tratto com- preso fra l’inizio del cap. 18 e la seconda metà del 19 (sino alla cifra delle perdite romane) è attribuibile a Giuba, e cosî è spiegabile il divario palesatosi nel confronto con Appiano e col resto dello stesso Plutarco. E la conclusione è tanto più credibile, in quanto quello che rimane del racconto plu- tarcheo, amputato il brano di cui segnammo or ora i limiti, presenta caratteri ben diversi. È, anzi tutto, coerente. Il dato che Murena occupa la sinistra dell’esercito nello schiera- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, SI'OR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 15 mento corrisponde al dato che Silla ha preceduto Murena nella marcia verso Cheronea (sopra, pag. 13); il-dato che Silla occupa la destra corrisponde al dato che la vittoria è cominciata per opera di Silla presso il Molo (sopra, pag. 13); i nomi dei due Cheronensi che presero l'iniziativa del colpo di mano contro il Turio ritornano identici e con la stessa importanza, al principio e alla fine. Inoltre cosi nel cap. 17 come nel 19 le Memorie di Silla sono espli- citamente citate: col che si conferma l'omogeneità del racconto e la reciproca convenienza delle sue patti. Infine è da notare che lo spezzarsi del contesto di Plutarco in due parti distinte, perchè riferibili a diversa fonte, e ciascuna per sé definibile e conchiusa, ci venne già constatato nel primo paragrafo di questa indagine, e nel medesimo modo. Cotesto corri- spondersi di risultati, conseguiti indipendentemente, è guarentia di fondatezza, guarentia che compensa quanto di men saldo o di più opinabile siasi per avventura dovuto qua o colà addurre. Ora l’aver distinto in Plutarco due fonti, di cui l’una paion essere le stesse Memorie sillane, ci aiuta a formarci un adeguato concetto di Appiano. Già sopra, a pagina 6, con- statammo che là, dove paiono entrambi più direttamente risalire alle Memorie, tuttavia è in Plutarco maggior copia di particolari che in Appiano: questi, pur serbando traccia della evidenza realistica che doveva essere propria delle Memorie, sta pago per lo piti a riprodurre qualche tratto principale. Il medesimo rapporto ci riappare, avvicinando ad Appiano il brano che in Plutarco riconducemmo a Silla. Proprio in tal punto difatti cadono due delle minori differenze fra l'uno e l’altro autore di cui c'intrattenemmo dianzi (pag. 10-11): intorno alla posizione tattica dei due eserciti e alla cifra delle perdite. La cifra delle perdite romane è in Appiano (cap. 45) di 15-2 uomini, in Plutarco (cap. 19) di 14-2: nel che, come scrivemmo sopra, è non diversità di tradizione, ma influsso, forse, di intermediari con lieve fraintendimento. [Quanto poi alle vittime de’ barbari, i due scrittori concordano nel valutare a 10.000 i superstiti, ma solo Appiano dà in 120.000 la somma dei soldati prima della battaglia (cfr. cap. 41 e Plut. cap. 15)]. Evidentemente di qui non può dedursi nulla, fuor che la sostanziale concordanza. Ma riguardo alla posizione tattica dei due eserciti è ben altro. Plutarco descrive i luoghi con compiacenza paesana e definisce il posto di ciascuna parte delle schiere avversarie: Appiano invece prescinde da ogni particolare concreto e insiste sopra il concetto generale a cui si sarebbe informato Silla nella scelta del campo. Quel concetto, così com'è espresso in Appiano, è inesatto: difatti, se Archelao era appoggiato ai monti (év @z00xMuvors otoato- nedevduevov: ..... xoMuvoi rmeguezervto), era dai monti stessi guarentito contro l'inseguimento della cavalleria nemica, e aveva innanzi a sé la pianura di Cheronea per l'assalto; quindi è falso che non avrebbe potuto valersi della sua superiorità nell’armi leggere e mobili; e se per converso Silla aveva per ritirarsi (é6 dvay®og0w) libero e propizio il piano, era per ciò stesso esposto all'inseguimento dei cavalieri barbari. Quindi Appiano erra? Nella forma si; non nella sostanza, qualora imaginiamo che Silla (e su questo v. sotto a pag. 21) si addos- sasse ai colli fra Mera e Cheronea per evitare l’aggiramento meditato da Archelao e per riservarsi libertà di manovra nel piano di fronte. In tal caso veramente aveva propizia la pianura per inseguire; non aspra la ritirata sul lene declivio dei colli a tergo; mentre ad Archelao era difficile la mossa accerchiante, e non pronta, anzi molestabile, la fuga. Sicché la realtà è in Appiano, non significata, ma adombrata; laddove in Plutarco è resa nella materialità delle circostanze, ma non nella sintesi rappresentativa. Possiam concludere: che in Plutarco le Memorie son riprodotte solo fin quando riescono di ovvia intelligenza, tanto più con l’aiuto di specifiche cognizioni topografiche; in Appiano sono riassunte, omettendo i cenni locali, a un estraneo pochissimo chiari, e fraintendendo il concetto tattico, facilmente adulterabile da un imperito. Ossia: nel primo caso, vediam Plutarco stesso, con la sua cono- scenza del paese e indifferenza militare, attingere alle Memorie; nel secondo, ci par pi veri- 16 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA simile supporre una fonte intermedia, traverso cui s'è preparato il fraintendimento delle espressioni sillane. Cosi che per la battaglia di Cheronea le notizie attinenti allo schiera- mento, alla scelta del campo, e alle vittime, ci pervengono dalle stesse Memorie di Silla in due modi: per mezzo di Plutarco, di prima mano; per mezzo di Appiano, almeno di se- conda mano. i Sin qui adunque i risultati da noi conseguiti nello studio de’ preliminari ricevono con- ferma, non solo in quanto ci riappare in Plutarco l’uso d’una doppia fonte, ma anche in quanto identico ritorna il rapporto fra Appiano e quella parte di Plutarco che è più diret- tamente sillana. Sicché nel proporci ora di giungere a una soddisfacente rappresentazione della realtà, possiamo con tranquillo animo costruire una graduatoria delle nostre fonti, la quale ci indichi le diverse misure di indipendenza lecite al critico nel riprodurre il racconto dei varii testi. Anzi tutto richiamiamo il concetto che del presunto Giuba ci formammo dianzi, appunto nello studio dei preliminari: constatammo allora, nel complesso, una falsa coloritura del racconto, la quale, secondo ci parve, “ risale, in parte all’esser stati svolti e “ deformati particolari che nelle Memorie di Silla erano accennati appena o addotti con altro “ valore, in parte all’esser stati omessi fatti che, pur avendo nelle Memorie sillane il prin- “ cipal peso, non erano idonei a suscitar meraviglia secondo i gusti del rifacitore ,. Non è quindi dubbio che, per tutto quel tratto plutarcheo in cui l'influsso di Giuba è sensibile, non solo diviene lecita, ma anzi si afferma doverosa la più grande libertà di analisi e di corre- zione: qui l’opera consiste sovra tutto nell’integrare il manchevole e nel ridurre l'eccessivo, in breve v'è da restaurare il numero delle notizie e la loro proporzione. Un superior grado di credibilità compete ad Appiano, il quale, pur riproducendo le Memorie con soverchia con- cisione e, qua e colà, con inintelligenza; tuttavia ne serba ancéra un molto vivace riflesso. Sommo pregio infine hanno i dati che Plutarco ci fornisce da Silla in maniera così diretta da non aver subito, verisimilmente, altro guasto se non l’opera dello stesso Plutarco. Ciò posto, procediamo all'esame dei successivi episodii. * * * La cacciata dall’Ortopago del presidio asiatico per opera de’ Cheronensi è descritta in Plutarco (Giuba) con ampiezza di gran lunga maggiore che in Appiano. Comune ritorna una notizia, simile anche per l’espressione: gli uomini di Archelao furono ributtati, secondo Ap- piano, és toùs xomuvovs; secondo Plutarco, xatex07uvitov. Inoltre, Appiano parla di cavalieri; ma che cavalieri fossero è, dato il luogo (cfr. la fotografia nel KromayER I 125), pochissimo probabile; sicché lo sbaglio è dovuto alla nessuna conoscenza topografica, già constatata presso quell’autore, la quale non impedi che egli, errando, attribuisse all’episodio dell’Ortopago, il valore e il carattere delle cariche di cavalleria consuete negli. inizii degli scontri. Plutarco, a sua volta, ricorda Murena assai male a proposito: contro di lui, difatti, sarebbero andati a sbattere, come vedemmo dianzi (pag. 12), gli Asiatici in fuga dal colle, sebbene non si comprende come l’ala sinistra romana, comandata da Murena, si trovasse nel tragitto di quei fuggiaschi. Se non che la difficoltà riesce, ora, di facile risoluzione perché possiamo attribuirla alla imperizia di Giuba: il quale dunque ha rilevato qui un particolare secondario, e ne ha taciuto uno importante. Ha taciuto l’opera di Silla nell’opprimere e tor- mentare i fuggenti; ha rilevato l’opera di Murena che, trovandosi questi più lontano dal- l’Ortopago, si ridusse certo all'inseguimento di alcuni pochissimi, troppo sbandatisi verso Ovest. Né il motivo di tal speciale ricordo di Murena ci è oscuro: le Memorie dovevano av- vertire che, per fortuna, Murena era già in schiera quando dall’Ortopago s’iniziò la fuga e che per conseguenza potè egli pure intervenire: l’osservazione (di cui l’indizio ci resta nella frase plutarchea eis r@$ 7/07 xadectòs ò Movorvas) fermò Giuba (o la sua fonte) guastan- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 17 dogli il passo, perché lo condusse ad esagerare per un lato, ad omettere per l’altro. Nel resto, Plutarco è accettabile e, a dir vero, colma bene una lacuna che Appiano, troppo breve e troppo inesatto, avrebbe lasciato circa questo punto, pur molto importante. Segue l'episodio dei carri falcati. La discrepanza fra i due nostri autori è qui notevole. Altra manovra è, per scemare l'efficacia di quello strumento offensivo, allargare gl’intervalli nelle schiere, cosi che i carri giungano senza far danno sino agli ultimi posti, da cui sono poi molestati nell'atto del rivolgersi, secondo narra Appiano; e altra manovra è abbreviare la distanza fra i due eserciti nemici, cosi che i carri non possano assumere nella corsa im- peto e violenza, secondo narra Plutarco. E poiché notammo dianzi (pag. 11) che entrambe le manovre sono suffragabili con esempii più o meno analoghi, la scelta si deve fare con altri criterii. Non è però da tacere che l'analogia fra la versione appianea e lo stratagemma di Sci- pione a Zama (pag. cit.) è di notevole peso. Scipione operava con l’esercito manipolare; Silla con le coorti: c'è, fra mezzo, la nota riforma che si attribuisce a Mario. Ora, non è certo qui opportuno indagare intorno ai problemi che a quella riforma si connettono e alla posi- zione delle coorti nella battaglia. Ma dalla polemica aspra dibattutasi su quei problemi fra il DeLeriick (Geschichte der Kriegskunst®? I 436 sgg. 448-9) e il Verra (“ Klio, VII 1907, pag. 303; nonché Antike Schlachtfelder II 2, 690 sgg.) è apparso da un lato, che con Scipione appunto s'iniziò il lento moto evolutivo che condusse a fondere i manipoli, tre a tre, nelle coorti; dall'altro lato, che la disposizione per coorti era molto più agile, pieghevole, di quella per manipoli, adatta quindi, e durante la marcia e durante la battaglia, ad attuare le manovre di schiera che al generale sembrassero opportune. Se adunque Silla ordinava a’ suoi legio- narii (cosi Appiano) l’allargamento degl’intervalli contro i carri falcati, operò con la mag- giore prestezza di mosse che l’innovamento tattico gli concedeva, ma in fondo si ricondusse alla vecchia tradizione del grande capitano da cui l’innovamento ebbe il primo impulso. Ma a questi motivi che inducono a preferire la notizia di Appiano, due altri vanno ag- giunti. L'uno è militare. Come avrebbe Silla diminuito (cosi Plutarco) la distanza fra sé e il nemico, senza portarsi più innanzi nella pianura, e pertanto più esporsi all’accerchiamento che già il superior numero de’ cavalieri asiatici minacciava? Vedremo or ora che i Romani si appoggiavano ai colli fra Mera e Cheronea (pag. 21): avanzandosi, s’allontanavano dal riparo e si ponevan nel rischio. L'altro argomento si desume dallo stesso contesto di Plu- tarco. I legionarii — dice — si dilettarono dell’attacco pronunciato da’ carri, in luogo d’inti- morirsene, e, veduti fallire i primi, ne chiamavano altri a gran voce Worreo év tac deatorraîs inzmodoonicrs. Sintomatico aneddoto. Esso difatti si conviene molto di più alla versione ap- pianea che a quella di Plutarco cui tien dietro: all’appianea, perché invero analogia fra la vicenda dei carri e le ippodromie del circo sussiste, non quando i carri fiaccamente s’incon- trino con le legioni, ma quando, imboccato un intervallo, facciano ogni sforzo per volgersi ed uscirne quasi girassero attorno alla meta: era il culminante momento dello spettacolo. Per pi argomenti adunque è da ritenere: che Appiano sia qui fededegno; che Plutarco (Giuba) contenga un equivoco fra l’allargarsi degl’intervalli in seno all'esercito romano e lo scemarsi dell'intervallo fra esercito ed esercito; e che a Giuba si debba pertanto ascrivere anche il confronto fra i carri e le frecce, con cui quell’autore spiegò a sé stesso la propria erronea interpretazione delle Memorie. Con la preferenza cosî concessa ad Appiano, si connettono però varii problemi, poco 0 nulla solubili per l'ignoranza in cui siamo circa la tattica per coorti. Gl'intervalli aperti nelle schiere romane son quelli soli fra coorte e coorte, o anche altri? E se Je legioni eran disposte in più linee, fra sé distanti, il voltarsi de’ carri accadde dopo la prima linea? dopo la se- conda? e quali son da ritenersi oî 6/00 0 Borator di cui parla Appiano? Che posto tenevano frattanto e che ufficio compievano le truppe ad armatura leggera di cui pur doveva disporre 26 18 ‘ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA Silla? Rispondere, mentre implica aver risolto questioni che, per ampiezza di contenuto, tra- scendono d’assai i termini dell'indagine sur una singola battaglia, non è necessario né im- portante a chiarire un movimento del tutto episodico, il cui resultato certo interessa, ma i cui particolari non lumeggiano né integrano la rappresentazione complessiva dello scontro. Dopo l'assalto dei carri falcati vien l’urto dei due centri. Questo è omesso da Appiano, o meglio è sottinteso; la vittoria, poi, del centro romano contro l’asiatico è ricordata al punto giusto, vale a dire dopo la vittoria dell'ala destra e della sinistra. Plutarco invece, seguendo Giuba, ci dà bensi particolari maggiori, ma non nasconde né pur qui i difetti della sua fonte. Preziosa, la notizia circa la struttura della falange di Archelao (cfr. KromayeR 376, n. 2). Atta a commuovere la fantasia o ad eccitare il sorriso, la frase attribuita al centurione romano. Al solito, un particolare fededegno e utile, accanto all’aneddoto vano ma piacevole. Ove però l’imperizia di Giuba si tradisce è nella chiusa (fine del cap. 18): nella quale la disfatta del centro asiatico è, non già anticipata per artifizio di racconto, ma per sbadataggine preposta cronologicamente all’assalto di Archelao (destra asiatica) contro Murena (sinistra romana); onde chi leggesse il solo Plutarco, e non fosse guidato da sicuri concetti, cadrebbe nel notevole abbaglio di pensare lo scontro risolto prima nel centro che sulle ali (1). Ma eccoci finalmente a quella manovra aggirante di Archelao e alla contromanovra di Silla, intorno a cui più son profonde le discrepanze fra Plutarco (Giuba) e Appiano, e dove quindi la nostra distinzione delle fonti deve renderci il maggiore servizio. Secondo Appiano la schiera romana fu dall’impeto (ustà doduov 0%40d) dei cava- lieri asiatici tagliata addirittura in due parti, entrambe a lor volta accerchiate dà 7)v 6A yornra: il che è inaccettabile, se si deve credere, poco appresso, al medesimo Appiano che Silla rimase libero di soccorrere Ortensio, e dunque non accerchiato. Bisogna correggere intendendo che le due parti, in cui l’esercito romano parve spezzato, fossero le truppe di Ortensio e Galba, strette contro i colli, da un lato, e dall’ altro le truppe di Murena; in somma, la riserva sillana e l’ala sinistra. Ma, cosî corretta nell’espressione imprecisa, la notizia resta molto importante, in quanto, parlando di doppio accerchiamento, conferma l'opinione di per sé ovvia, che Archelao, nel condurre la numerosa sua cavalleria contro la sinistra dei Romani per girarla sul fianco e coprirla a tergo, non tralasciasse insieme di tenerne impegnato il fronte. Sicché, secondo Appiano, la prima mossa degli Asiatici è: un attacco contro il fronte di Murena contemporaneo a un attacco aggirante; e la seconda mossa è: l'accerchiamento di Ortensio e Galba accorsi a sussidio di Murena. Di queste notizie, l’ultima è chiarita, l’altra guasta in Plutarco, di cui per chiarezza riproduciamo il testo: ‘Aogeldov: dè tÒò deftòv xéous eis xizdmorn avdyovtos “Ogtijoos épijze tùs omgioas dobuo mooopegouevas bc éuBalov mAayiors. èrriotoépavtos dè tagéws éreivov toùs meoi aùròv inmmeis dLogiZiove, éxdABbusvos drrò. tANI0vS n000e0té4AgtO TOÎg dgervoîc, xatà ur00v drroggnyvbuevos Tijg palayy0os xaù meordauBaviuevos èrrò tOV 1104 8- uiov. mvdsuevos dè è Sbllas darò toò deftod unano ovurentobtos és udynv édiwze Bondov. AogélZaos dè tb xoviootò tig éldoews breo 7v texungoduevos “Ootiorov uèv eta qaioerv, adròs dè Eriotoépas bounoev bdev ò DiMMXas mods tò defòv, ©s Eomuov dogovtos aionoov. dua dè xaì Movoiva TafiAns énmye toùs yaludtomidas, bore tig xoavyijs dig6dev peoouevns rai tOv dobv avrarodidivi@v Tv mEQU|YMow Eriotihoavia tòv DbMXav drarto- geîv, brotéowoe yo moooyevéodar. Il quale testo ci spiega bensi di che natura fosse l’ac- cerchiamento di Ortensio, sopraffatto d’ogni intorno tranne che là dove lo proteggevano i colli cui s’'appoggiava (éx94f6uevos dò rAd0vs moo0ceoté44Aeto toîg dgervoîs, xatà wi- noòv ... meorianParvduevos èrrò tOVv rmoleuior); ma per contro si dimentica di dirci l’assalto (1) Così accadde all'Iane 0. e. 825. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 19 frontale contro Murena. Lo ricorda dopo, ma con errore cronologico: posteriormente al ri- torno di Archelao in schiera, e contemporaneamente all’assalto da Archelao mosso con la sua sinistra contro la destra romana. Sieché il rapporto di contemporaneità che è nella frase dua dè xaè Movonva TafiAns eni) ye voùs yalxdoridas deve, perché sia corretto, esser rife- rito, non già all'attacco contro la destra romana (@oun0ev m0dgs tò deÉ167), ma a quello contro il fianco e il tergo della sinistra (‘AogeZdov tò deftòr xéoas è xizAmor avdyovtos). Evidentemente lo scompiglio è avvenuto nel riassumere, e una notizia, forse prima omessa, è stata poi inserita nel luogo non suo proprio. Del che è conferma tutto il contesto. La proposizione consecutiva @ore rijs x0avy7s xvé. dipende logicamente, non dall’altra che la precede e che, secondo la sintassi, la regge (7@$S(Ans én7ye vods galudoridas); bensi da tutto il periodo cui terrebbe dietro senz'altro se dalla reggente appunto non ne fosse sepa- rata (Aoyé4a0s ... Oounoev bdev ò ZIXXag m9òs tò dsErdv). E per vero, il motivo, per cui il rumore sì leva minaccioso da due parti e Silla ne è indotto in esitazione fra l’andare verso Ortensio e il tornare al suo posto, è l'attacco di Archelao contro la destra romana, fino allora, secondo Plutarco, inerte (roò deftoò unro ocvunentouòtos eis udygnr), attacco venutosi ad aggiungere all’altro contro la sinistra; laddove l’assalto dei calcaspidi, che fu pure contro la sinistra, poté accrescere il frastuono guerresco in quest’ala, non mai gene- rarne nell’ala opposta. Non c'è dubbio: il confronto con Appiano; l’esigenze logiche; l’ana- lisi del contesto; ogni argomento rincalza la convinzione che il @ua xaè Movonve TaéiAns &17))e toùs yalnxdoridas è intrusione erronea e perturbatrice a quel posto, quanto è oppor- tuna integrazione un periodo innanzi. Rabberciamo l’ordine guasto e procediamo. Quando Silla ritorna al suo primitivo posto nell’ala destra, secondo Appiano (cfr. sopra, pag. 10) trova i nemici reduci dall’aggiramento, non ancora ben stabiliti in schiera; li trova, secondo Plutarco, già all’attacco, o almeno cosî sembra da intendersi la lode resa al destro lato romano za xad” éavrò dfrtoudyos in tò Aggel@ ocvveotnuos. E, come già vedemmo, Appiano ha qui perfettamente ragione contro Plutarco (sopra, pag. 12). Se non che un cosi grave contrasto si dirime senza fatica, se, tenendo ferma la esatta notizia appianea, si interpreta Giuba con l'indispensabile “ grano di sale ,. Basta aggiungere, sùbito dopo la sua asserzione, l’asserzione in apparenza contradittoria di Appiano: l’ala destra dei Romani resisteva bensi già ad Archelao (e s’intenda: all’ala sinistra di Archelao) come Giuba dice; ma, quando Silla giunse a rincalzo, ancéra Archelao (e s’intenda: la massa principale dei cavalieri asiatici, reduci dall’accerchiamento) non s'era saldamente stabilito in linea come dice Appiano. Ossia, in questo caso, come nel precedente, come negli altri, Giuba ha tra- scelto un particolare omettendo quell’altro da cui riceverebbe integrazione e pur troppo proprio quello omettendo che militarmente avrebbe il peso maggiore, e che Appiano, in pit felice riassunto, ci serba. Dobbiamo quindi dedurne che Archelao, allorché tentò di aggirare Murena prese cura come di impegnare costui sul fronte per mezzo dei calcaspidi, così di impegnare Silla con l’opera della propria ala sinistra; nonché con l’opera, si badi, del pre- sidio posto sull’Ortopago. E avrebbe colto nel vero, se il presidio non gli fosse stato troppo presto distrutto, risultandone libero Silla di manovrare con buona parte della destra. Alla qual vista Archelao immediatamente corse a rinforzo dell’ala sua più debole; ma il tragitto era lungo, men lungo a Silla, che lo prevenne. Appiano dunque mostra, a tal riguardo, della realtà l'aspetto pit significativo (vale a dire l’aver Silla prevenuto Archelao); ma Giuba ci informa d'una mossa (vale a dire il primo urto della destra romana con la sinistra asiatica) che, presumibile di per sé, è tuttavia preziosa ad apprendersi. Il luogo però più adatto per esprimere cotesta notizia sarebbe stato un altro: quello, dove è narrato come Silla dò roò defvod ... édimze Bontbv; se non che là precisamente ci si svela, solo adesso, una nuova inesattezza del testo plutarcheo. Il quale suona ivi, in ap- parenza, singolarmente concorde con Appiano: per entrambi, Silla è libero di accorrere in 20 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA aiuto di Ortensio; per entrambi, dell’aiuto è fatto accorto Archelao pel sollevarsi di molta polvere; per entrambi, dell'aiuto è effetto il recedere di Archelao e il suo recarsi alla propria sinistra contro la destra romana. Ma quest'apparente concordia è dall’inesattezza di Plutarco turbata e menomata. Difatti è corretto Appiano nel dire, conciso al solito, di Silla ueragogodvtos és aùtods (== Ortensio e Galba) oùv îmmedor 0%Z0îs, dacché implica che Silla era libero di stornare dalla destra dei Romani “ molti cavalieri ,, non implica punto che la destra non partecipasse alla battaglia; è per contro scorretto Plutarco (Giuba) nel dire che Silla @zò tod deftoù, uo ovumentoadtos sis udynv, édioze Bondorv, dacché non pure implica, ma anzi esplicitamente afferma la non partecipazione della destra alla bat- taglia. I due testi sono in un contrasto notevole che si origina dall’intrusione del breve in- ciso #11 ovuremtwxbtos é6 udynv in. un periodo esatto per ogni altro riguardo. E l’intru- sione non è che un'arbitraria deduzion logica: ‘poiché Silla si parti dall’ala destra, questa era ancora inerte’. E l’arbitrio d'una cotale deduzione fu possibile, perché l’urto primo fra la destra romana e la sinistra asiatica venne taciuto dove ricordarlo era necessario, e ricordato dove si poteva tacerlo. Ultima occorre qui l’analisi d'un particolare secondario. Nel recarsi, di nuovo, all’ala destra, Silla prese con sé coorti a rinforzare la propria cavalleria. Quante ? Una, dice Plu- tarco: Movonvg uèv domyòv Emeupev “Votmovov Eyovta téccagas onzious, adtòg dè tv néunatynv Ereodar xelevoas énì tò deéròv Maeiyero ti. Due, dice Appiano: za) duo veadeîs omgiogas èv ij mao6dw ro00kaBav, ai gretdyato Epedosvew ... xrÀ. Il Kromayer (pag. 378) ha risolto il dissidio cosi: la coorte sola fu presa da Silla per recarsi alla destra; le due, per recarsi, dalla destra in soccorso di Ortensio. Soluzione arbitraria. Il testo di Appiano non lascia dubbio che la mossa sillana dalla destra alla sinistra accadde cò» iz- medor m0À}0îg; mentre con le due coorti (e col “ meglio della cavalleria ,) accadde la mossa da sinistra a destra. Risoluzione migliore ci sembra dunque quest'altra: riconnettere il variar della cifra da 1 a 2 col silenzio, da Plutarco sempre conservato, intorno a Galba; supporre, insomma, esser stata distaccata come dalle cinque di Ortensio una coorte, cosi una seconda da Galba; delle quali due Plutarco (Giuba), che non parla di Galba, rammenta solo quella di Ortensio di cui parla. La conseguenza di tale supposizione diviene notevole circa il numero complessivo delle truppe romane. Le legioni eran cinque (Apprano 30, 6); il loro contingente totale di 15.000 uomini (PLurarco 16). Cioè: 3000 per legione, 300 per coorte. Le cinque coorti di Ortensio sommano pertanto a 1500 uomini; Galba non sappiamo quante ne avesse, una certo; si raggiunge la cifra di 1800. AI che corrisponde bene la notizia che Archelao per fronteggiare Ortensio distaccò 2000 cavalieri; ché indebolirsi troppo non gli conveniva, ma gli occorreva la supe- riorità numerica sul nemico. Rimane incerto se Galba intervenisse fin dal principio, nel qual caso non gli si potrebbe attribuire più di 1 coorte; o se intervenisse quando Ortensio già piegava, nel qual caso le coorti potrebbero essere almeno due. Certo è che Giuba esagera attribuendo al 72790g dei cavalieri asiatici la distretta di Ortensio; ma l’esagerazione era nelle Memorie come risulta dal riscontro con Appiano. E certo è che ambiguamente, con qual siasi ipotesi, son dette dallo stesso Appiano veaZeîg le coorti che Silla si aggregò e che dovevano aver già subito l’attacco di Archelao. Certo infine che i quantitativi delle truppe romane, se pur furono un poco alterati nelle Memorie (KromaveR 390), furono con accortezza tale, che armonicamente si corrispondono il numero delle legioni, la somma com- plessiva, la forza delle coorti. A concludere in breve diremo che, circa la manovra aggirante di Archelao e la contro- manovra difensiva-offensiva di Silla, Appiano, pur essendo ambiguo nel principio, dove narra l'assalto dei cavalieri asiatici, e troppo conciso nel resto, tuttavia offre una indispensabile pietra di paragone per vagliare il racconto di Plutarco; vaglio di non poco frutte, perché ne . MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 1a): 21 derivano notizie qualche volta più particolareggiate, com'è per l’opera di Ortensio, qualche volta integrative, come per l'assalto di Taxiles, per l’esitazione di. Silla, per l’urto della sinistra asiatica con la destra romana. Dall'insieme, ora, della nostra indagine intorno ai successivi episodii della battaglia riesce definito anche qual fosse l’orientazione delle due schiere avversarie nel piano di Cheronea. Sappiamo già che la destra romana era presso il Molo (cfr. PLur. 19); osservammo del pari che ottimi argomenti inducono a identificare il Molo col fiumiciattolo immediatamente a Est di Cheronea. Ma se questo punto può ritenersi a sufficienza fondato, esso per altro non decide se la linea de’ due eserciti fosse da Nord a Sud oppure da Nord-Ovest a Sud-Est, perché in entrambi i casi la destra romana si troverebbe approssimativamente in rapporto col Molo. Questo adunque che pure è uno dei tre argomenti addotti dal Kromayer (pag. 370) per prefe- rire la direzione N-S, non è valido. Il primo invece ch’egli adduce è, a primo aspetto, migliore: col preferire, di fatti, quella direzione gli pare di spiegarsi meglio perché i fuggiaschi asia- tici dell'’Ortopago s'imbattessero in Murena, in vece che in Silla. Ma a prescindere (e già lo notammo) che la spiegazione rimane tuttavia insufficientissima (sopra, pag. 13), noi potemmo or ora, su sicura base, affermare che contro Silla urtarono i fuggiaschi in massa, contro Murena sol minima parte fra essi (pag. 16); e ci è pertanto lecito dedurne che sulla ine- satta notizia di Plutarco non è da fondare ipotesi alcuna. Sonvi per contro argomenti a favore della direzione NO-SE. Anzi tutto, supporre che Silla schierasse in aperta pianura il suo esercito, appoggiando bensi al Molo la destra, ma lasciando affatto scoperta la sinistra, è attribuirgli con leggerezza un notevole errore, quasi il perverso proposito di farsi accerchiare e sopraffare dalla più numerosa cavalleria nemica: supporre al contrario, ch'egli si addossasse ai colli fra Mera e Cheronea è attribuirgli savia K deliberazione. Inoltre, se Ortensio, che fu respinto “ sino ai colli ,, ne fosse stato tanto lon- tano quanto deriva dalla tesi del Kromayer, Archelao avrebbe, per inseguirlo, coperto grande tratto del tergo ai nemici mettendoli in rischio più grave che non appaia dai testi: se al contrario i Romani avevano alle spalle, in distanza mediocre, il riparo dei colli, s'intende come Ortensio verso i colli si ritraesse senza troppo subire danno o disgregamento. Infine ci è, così, facile interpretare correttamente l’espressione con cui Plutarco, desumendo questa volta per via diretta delle Memorie, definisce la positura delle coorti affidate, in riserva, ad Ortensio e a Galba: questi, è detto, rimasero érì tOv dzo@v. Traduce il ‘Kromayer “ alle estremità ,. Non bene, ché avremmo #2. ròv zeo@rov. Meglio: “ sui colli ,, ossia sui colli che erano alle spalle dell’esercito romano fra Mera e Cheronea, da NO. a SE., e dove non difficile riusciva celare una minaccia, e donde pel dolce pendio si poteva piombar sul nemico con l’impeto della discesa. Naturalmente non dobbiamo pi credere che a destra fosse Or- tensio e Galba a sinistra: l'opinione che ci siam formata di Appiano ci permette di accet- tare la sua notizia trovarsi Ortensio e Galba vicini, e tutt'e due alla sinistra; al che non si oppone la topografia, perché mentre la destra romana era guarentita abbastanza sia dall’esser stato debellato il presidio dell’Ortopago, sia dal Molo che, come stiam per constatare, non doveva essere di facil passaggio; la sinistra era, in piena pianura, esposta alla violenza nemica. Accanto a questa interpretazione dell’érì 7Ov dz00v (1) va posta l’analisi della frase (cap. 19) néyor magà tò Mé7ov 6ettgov che Plutarco usa pel trofeo eretto da Silla, e il cui intendimento si collega al problema sull’orientazione delle schiere nemiche. In quella frase, al concetto dell’erigere il trofeo non conviene né il uéyg: né l’uso del 7700@ con l’accusativo : conviene invece al concetto intermedio # m9©rov évéxAivav oi megi ‘Aggélaov. Sicché il (1) Che è già nella edizione della plutarchea Vita di Silla curata e commentata da H. A. Horpen (Cam- bridge 1886) pag. 114. 22 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA néyoi mago dipende veramente da évéxZtvav, non, come parrebbe e dovrebbe, da #077%8; e ci definisce, non tanto il luogo del trofeo, quanto la direzione della fuga. Ma se il zao@ significa che le truppe asiatiche, per raggiungere il loro campo, costeggiarono il greto del Molo, quasi da esso rattenute, il wéy0 significa che l'inseguimento ebbe origine di lungi con- tinuando fino al Molo, dove piegò nel senso di quest’acqua. È, in altri termini, chiaro che Silla, vincendo con la sua ala destra, tentò di tagliar netto la sinistra avversaria dal centro ributtandola verso Est, ma il Molo concesse agl’inseguiti di reclinare verso il Cefiso. Quindi, se è vero, come noi sosteniamo, che le linee de’ due eserciti andavano da NO. a SE., si ebbe da parte degli Asiatici un dietro-fronte compiuto in due tempi, per mezzo di due suc- cessive conversioni a sinistra. E siamo al termine. Additando, come fondamento d’ogni racconto a noi pervenuto su la battaglia sillana di Cheronea, le Memorie dello stesso Silla, abbiam reso conto della com- plessiva somiglianza fra Plutarco e Appiano. Mostrando che per tre diverse guise il conte- nuto di quelle Memorie ci è pervenuto, e graduando il pregio e la credibilità di ciascuna derivazione, abbiamo chiarito prima, e poi risolto, le discrepanze gravi e le minori differenze che (sopra, pag. 10-11) fra Appiano e Plutarco costituiscono divario profondo; nonché chiarito e risolto le contraddizioni intime al solo Plutarco (sopra, pag. 13). Infine, conquistato per quella via il criterio sicuro per seguire, ove occorra, o modificare le testimonianze, abbiam. permessa una ricostruzione della battaglia che ci par soddisfacente e senza dubbio è scevra delle mende imputabili ad ogni altra. Se non che, prima di venire a una cotale ricostruzione nel tutto insieme, bisogna va- gliare le nostre ipotesi nell’ambito dei problemi posti e dibattuti dai critici circa le fonti di Plutarco e di Appiano nel narrare la vita di Silla. Solo appresso il racconto complessivo della battaglia ci parrà fondato su base che non crolli. II. Le fonti. Certo, non può qui essere nostro compito l’indagare intorno al complesso problema delle fonti di Plutarco e di Appiano anche soltanto nei limiti della vita di Silla o della guerra mitridatica: l'indagine cosi ampia ci condurrebbe troppo lontano dal nostro tema. Al con- trario, confrontando, con i risultati conseguiti dai critici per mezzo di quella cosi ampia indagine, i nostri risultati circa le fonti da cui e Plutarco ed Appiano desunsero le loro narrazioni della battaglia di Cheronea, dobbiamo ricercare se le nostre ipotesi si possano per avventura non solo assodare, ma anche completare. Quali sieno coteste ipotesi gioverà anzi tutto riassumere. Abbiamo constatata l’esistenza di un’unica fonte primitiva: le Memorie di Silla. Queste ci parve giungessero ad Appiano attraverso uno o più intermediarii; a Plutarco, parte direttamente, parte attraverso Giuba, il quale lasciammo incerto se ne prendesse o no cognizione immediata. Ora dunque ci resta, non pur da confermare le già scoperte attinenze, ma anche da sostituire nomi accettabili a quelli incogniti che costituiscono i tramiti fra le Memorie ed Appiano, fra le Memorie e Giuba. Plutarco cita egli medesimo le Memorie sillane, quindi è naturale che tutti i critici abbiano compreso quest'opera, prima di ogni altra, fra le fonti della Vita di Sila. Il dibattito s'è invece acceso, se Plutarco abbia o non abbia usato le Memorie direttamente. G. Vor- nefeld (1) si dichiarò recisamente per la prima opinione; la quale era stata sostenuta già (1) G. VornereLD de script. latin. locis a Plutarcho citatis diss. 1901, pag. 54. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 23 da parecchi: dal Heeren (1), dal Peter (2), da B. H. S. Kuyper (3), per citare solo i più importanti. Di parere contrario furono il Klebs (4), il Lely (5), il Busolt (6), C. Vitelli (7), cui parve di poter additare fra le Memorie e Plutarco l'intervento mediatore di Posidonio o di Strabone o di Livio, o variamente di tutti e tre. Una cotale discrepanza di tesi non riesce affatto inesplicabile per noi; ché anzi, avendo constatato nel racconto plutarcheo di Cheronea tanto le tracce d'un uso diretto delle Memorie quanto le prove d’un uso mediato, ricaviamo dal dibattito dei critici precedenti argomento a confermarci nella nostra convin- zione. I nostri risultati difatti ci insegnano che, aneéra una volta, il torto e il diritto non stan tutto da una parte, ma che così la teoria dell’uso diretto come la teoria dell’uso indi- retto contengono vero e falso, tutt'e due peccando di esagerazione. Sicché dal raffronto fra la nostra tesi e le tesi altrui deriva, oltre che conforto a noi, impulso a indagare pit sot- tilmente intorno a tutta quanta la guerra mitridatica. Onde riesce ozioso il rivedere e con- futare partitamente le varie argomentazioni dai varii studiosi addotte od oppugnate (8). D'altra natura è il dibattito acceso su Appiano. Nessuno potendo pensare a un uso diretto di fonti primarie, l'incertezza verte soltanto sopra il nome o i nomi degl’interme- diarii. Fra Livio e Posidonio stan divisi i giudizii. Per il primo parteggia, p. e., St. Kuyper, o. G., per il secondo, p. e., il Lely. Naturalmente il caso non è poi molto grave: Livio stesso usò di Posidonio, quindi tutto si riduce alla possibilità d’un influsso pit o meno immediato dell’unico Posidonio su Appiano. Anche qui dunque, non volendo insistere su particolari mi- nutissimi né uscire dai limiti del tema, non ci resta che tentar di definire un po’ più da vicino che non abbiam fatto sinora l’incognito intermediario fra le Memorie e Appiano circa Cheronea. Esso invero non è nulla di diverso dall’intermediario constatato dai critici pre- cedenti per tutt’'intera la guerra mitridatica: “ Livio-Posidonio ,. . Due caratteristiche, da noi rilevate in Appiano:a confronto con Plutarco, debbono pel nostro fine essere adesso poste in evidenza: la prima, che Appiano fa ascendere a 15—-2—=13 le vittime romane, laddove Plutarco (= Memorie) le limita a 14--2=12 (sopra, pag.11); la seconda, che Appiano descrive con certa ampiezza l’espugnazione del campo asiatico, laddove Plutarco (= Giuba) sta pago a un conciso, sebbene non discorde, riassunto. Se ora confrontiamo Appiano con gli scarsi avanzi della tradizione liviana, troviamo che, nel com- pleto silenzio d’ogni altro notevole particolare, sopravvissero la menzione delle 13 vittime romane (EurroPio V 6) e l’accenno all’espugnazione del campo asiatico (per. 82: castris expugnatis). Dunque analogo a Livio è Appiano cosi quando, a differenza di Plutarco, dà la cifra di 13 morti, come quando, sempre a differenza di Plutarco, si diffonde intorno all’ul- timo episodio della battaglia nel campo di Archelao. Ma analogo a Livio significa ricondu- cibile a Posidonio, la fonte di cui piti fece uso per quest'epoca Livio, com'è riconosciuto da tutti i critici. Tal resultato ci basti, dacché dal nostro punto di veduta è del tutto indifferente se a Posidonio si debba giungere da Appiano attraverso Livio, o senza l'intervento di Livio. Certo è, ed è importante, che a Posidonio s'ha da giungere e che a Posidonio sono da attribuire le spiccate peculiarità che contraddistinguono il racconto di Appiano. Va anche (1) Hreren de font. et auct. vitarum parall. Plut. 1820 (inaccessibile). (2) H. Perer Die Quellen Plutarchs in den Biographieen der Rbmer. (3) B. H. Srerimca Kuyprr de fontibus Piutarchi et Appiani in vita Sullae enarranda diss. 1882. (4) Kuess de script. aet. Sull. 1876 (non mi fu accessibile). (5) Ley Plut. et App. de bellis mithridaticis 1879. (6) Busorr “Jahrb. f. cl. Philol. , 1890, pag. 421 sgg. (7) C. Virenti L'autobiografia di Silla (£ Studi di filologia cl. , VI 1898) pag. 393. (8) Molte, del resto, prescindono troppo da un esame dei fatti in sé. Cfr. p. e. C. Vireni 0. c. pag. 386, 374, n. 1. 24 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA soggiunto che da Posidonio dipende tutt’intero il testo di Appiano in Cheronea, perché, come constatammo, esso si presenta senza contraddizioni intime e senza ineguaglianze. Dal principio alla fine è dominato da un solo fondamentale pensiero. Indi si deduce una conse- guenza di qualche valore. Nel principio, difatti, della narrazione appianea notammo dianzi (sopra, pag. 6) un particolare di evidente carattere realistico, il particolare della marcia di Archelao descritta in due momenti, il primo in cui se ne profila la direzione és XeAxida, il secondo in cui se ne concreta il resultato, zreoì Xao®verar. Questa marcia, ripetiamo, non può esser cosi designata se non da chi la vide, e visse i due successivi momenti: da Silla. Ma si trova in Posidonio. Dunque Posidonio conobbe ed usò direttamente le Memorze (1). Alle Memorie risalgono quindi anche altri particolari significativi: come l’essersi Archelao accorto dell'intervento di Silla a favore di Ortensio a causa del sollevarsi di molta polvere; o come la cura che Silla, non appena vincitore nella propria ala destra, si prese di vigilare le sorti del combattimento nell’ala sinistra. Alle Memorie risale l’ordine in cui i successivi episodii della battaglia son descritti, ordine che solo in parte è imposto dalla realtà. Quando pertanto cosi quei particolari sopra accennati, come quest'ordine, ritornino, pur attraverso a corruzioni e deviamenti, similissimi in Plutarco (= Giuba), ne dovremo concludere che Giuba risente l'efficacia delle Memorie. Ossia veniamo, per via diversa, alla conclusione cui ci condusse già l’esame dei fatti. i D'altra parte, fra Giuba ed Appiano son differenze profondissime; le quali si devono, com'è ovvio, imputare agl’intermediarii fra le Memorie e, rispettivamente, Giuba ed Appiano. Ma qui appunto sorge grave il problema. Due sono le possibilità fra cui bisogna scegliere. O Giuba sfrutta le Memorie traverso Posidonio, come Appiano. 0 Giuba le sfrutta attraverso ad altro autore. Nel primo caso si può ritenere che le differenze esistenti fra Giuba ed Appiano risalgano o alla diversa elaborazione che essi fecero di Posidonio o a diverso inter- mediario fra essi e Posidonio. Nel secondo caso si deve cercare quale autore, che non sia Posidonio, abbia fornito a Giuba le notizie delle Memorie e quali tracce caratteristiche abbia di sé lasciate cotesto autore. Scegliere con certezza non credo si possa; forse si può con qualche probabilità. Cominciamo con l’esaminare la prima ipotesi. Di Posidonio non possiamo avere un concetto molto sicuro né molto preciso; tuttavia fra i critici se ne pensa, a dirla in breve, assai più bene che male, e non a torto. Pi vicino a lui, quindi, e più immediato deve sembrare quel racconto che meglio. resista all’ esame dello storico, non già quello che all'esame risulta peggiore. Per ciò più vicino a Posidonio riterremo Appiano, non Giuba, sebbene questi abbia particolari più di quello, ma li ha scelti meno felicemente ed espressi con più gravi equivoci. In tal caso i difetti che più allontanano da Appiano e per conseguenza ancor più da Posidonio il racconto di Giuba, sono colpa per- sonale di quest’ultimo o colpa del suo intermediario. L’intermediario non è Livio, che anzi si riflette in Appiano. Qual'è? Io non veggo di chi si possa fare con verisimiglianza il nome, tenuto conto della cronologia e di quel che sappiamo sulla storiografia nello scorcio del I sec. a. 0. e nell’inizio del I d. C. Se dunque si vuole insistere sull’ipotesi che fra Posi- donio e Giuba le alterazioni constatate siano opera d’un terzo storico, bisogna rassegnarsi a non dire nulla di pit. Potrebbero invece quelle alterazioni attribuirsi all'opera di Giuba stesso? Naturalmente, anche questa possibilità non si può negare; ma purtroppo né anche rafforzare di nessun indizio, di nessun valido sospetto. Giuba ci è ignoto, per ciò che riguarda la maniera del (1) Per l’uso di questa letteratura autobiografica da parte di Posidonio, cfr. anche fr. 38 dov'è ricordato Rutilio Rufo. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 25 suo lavoro. Ma quel poco che l’industria dei moderni studiosi è riuscita a racimolare e a indurre starebbe contro la tesi di una profonda elaborazione personale di lui. Il Peter (1) ce ne ha delineata la figura con i caratteri di compilatore diligente nella scelta delle opere fondamentali a sua fonte, ma privo di una individualità capace di riplasmare la materia del racconto. Ora, se egli avesse attinto da Posidonio il racconto di Cheronea che ci resta in Plutarco, avrebbe dovuto rimaneggiarlo assai arditamente, dato il confronto con Appiano: suo sarebbe l’aver anticipato a metà della narrazione l’esito dell'urto fra i due centri; suo, l’aver dedotto ad arbitrio che, se Silla accorse con molti cavalieri in aiuto di Ortensio, l’ala destra romana non era ancora entrata in battaglia (dò rod deftod una® ocvunentoétos ès ug»); suo, l'aver riassunto con brevità e insieme con chiarezza l’estremo assalto dei Romani al campo asiatico; suo, l'aver sistematicamente tralasciata la menzione di Galba accanto ad Ortensio; suo, l’aver dato alle scorrerie su Panopeo e su Lebadea, allo sterro dei legionarii intorno al Cefiso, alla presa di Parapotami un colorito romanzesco, grossolano si, ma tale da rivelare un’intenzione diretta. Sua opera, in breve, sarebbe tutta quanta la manipolazione caratteristica che dianzi studiammo, e che non procede da esigenze di rias- sunto, non da trascuranza di compilatore, non sole da scarsa intelligenza della fonte; bensi sopra tutto da un sicuro proposito di narrare indipendentemente i fatti, integrandoli persino con illazioni, erronee ma mosse da un diretto interesse. Ora, noi possiamo, se ci piace, fog- giarci un Giuba di tali capacità, senza che obbiezioni gravi possan venirci opposte; ma edi- ficheremmo sull’ignoranza in cui siamo circa quello storico: ossia sul nulla. Dunque, quando vogliamo ritenere che Posidonio sia, dopo le Memorie sillane, fonte comune di Giuba e di Appiano, né ci riesce indicare un intermediario cui si attribuiscano le profonde corruttele del racconto presso Giuba; né queste corruttele ci è lecito attribuire senza arbitrio al medesimo Giuba. Per tal via si giunge all’esitazione dubbiosa. Tentiamo l’altra: cercando se possa fra Giuba e le Memorie esser intervenuto un autore diverso da .Posidonio. Risultati più soddisfacenti possono conseguirsi. Accanto a Posidonio ebbe buona fama come storico della guerra mitridatica L. Cornelio Sisenna (2). Lui per parecchi aspetti si può additare fonte di Giuba. Delle campagne sillane una aestate in Asia et in Graecia gesta egli dava un racconto continuato (fr. 127) ne velli- catim aut saltuatim scribendo lectorum animos impediremus; ed è posta in rilievo la speciale compiacenza con cui soleva descrivere battaglie ed assedii. Come del pari è espressamente notata da Sallustio (Zug. 95, 2) la simpatia di lui per l’insigne uomo di sua gente, L. Cor- nelio Silla. Che usasse le Memorie è ovvio; ancorché non testimoniato. Ma, — e qui è il primo indizio che conduce a lui per fonte di Giuba, — le Memorie egli dovette usare con libertà di rielaborazione. Le lodi che Cicerone e Sallustio gli tribu- tano concordi (8), pur riferendosi sopra tutto alle doti dell’elocuzione, non prescindono dai pregi del concetto. E del resto, anche indipendentemente dal giudizio degli antichi, noi dob- (1) H. Perer Veber den Wert der historischen Schriftstellerei von Kònig Iuba II von Muuretanien Meissen 1879. Cfr. naturalmente Susemat Gesch. gr. Litter. in der Alerandrinerzeit II 402 sog. e Carissi II 1,307 sg. Gli scritti di Pracce de Iuba rege Mauretaniae Minster 1849; Reuss de Iubae regis historia romana a Plutarcho expressa Wetzlar 1880; De ra Brancmére de rege Iuba regis Tubae filio Paris 1883: non mi furono accessibili. (2) Cfr. un breve cenno in Ta. Remaca Mithridate Eupator 422. Inoltre, Wacusmurn Einleitung usw. 656. Il meglio è in Perer Reliquine; in B. Niese “ Pauly-Wissova R-Enc?, IV 1512 e in Scnanz' I 2, 115 sgg. Per l’ordine de’ frammenti è pure da vedere W. M. Lixpsay “ Rheinisches Museum , N. F. 57 (1902) 200-201. Non mi fu accessibile C. Cari Studi letterari (Torino 1898) pag. 93 sgg. (3) Sar. Jug. 95, 2: neque enim alio loco de Sullae rebus dicturi sumus, et L. Sisenna optume et dili- gentissume omnium qui cas res dixere persecutus parum mihi libero ore locutus videtur. Cicrr. Brut. 64,228 ... facile omnes vincat superiores; de legg. 1 2,7 Sisenna ... omnes adhuc nostros scriptores ... facile superavit. 27 26 .ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA biamo porre un grande divario fra Giuba e Sisenna. Quegli scrisse nell'epoca delle grandi compilazioni, quando occorrevano manuali che, attingendo ai vecchi autorevoli storici, ne rendessero breve e pronta la lettura: opera di riassunto. Lo scrittore latino invece scrive proprio durante lo svolgersi d’una concezione nuova, più piena, pi larga, della storia, intesa non pure come esposizione rerum gestarum, ma come ricerca quibus consiliis ea gesta sint (Sempronio AseLLIONE, fr. 2) (1). Che se fra cotesti scrittori più esigenti e più intenti a un effetto d’arte, egli occupò il primo posto, a lui, ben differentemente che a Giuba, si possono attribuire tutte le notevoli rielaborazioni del racconto circa Cheronea. Anzi a lui conviene molto bene quella che è la caratteristica fondamentale di esse rielaborazioni: il tentativo di farsi un concetto degli avvenimenti, del loro nesso, e delle loro cause almeno grossolane, attuato senza acume d'osservazione e senza compiutezza di preparazione. Egli ha cercato il perché degli scavi intorno al Cefiso, il perché dell’accerchiamento sciolto da Archelao e del ritorno in schiera; e l’ha trovato erroneamente; ma questa preoccupazione di ricerca, che ripugna in Giuba, a lui si addice del tutto. Cosî l'urto de’ centri, descritto per intero e condotto a fine nel punto del racconto dove era da annunziarne solo l’inizio, corrisponde all’inclinazione, giustamente rilevata in Sisenna, di sacrificare l'ordine cronologico alle esi- genze artistiche 0, se piace, retoriche (2). E il silenzio serbato intorno a Galba, si può spie- gare con analoghi motivi: di Galba non fece egli parola accanto ad Ortensio, come d’un particolare che gli parve, e non era, superfluo; quando poi divenne necessario nominarlo, sarebbe riuscito nuovo, onde fu soppresso per non turbare il contesto. Ma uno scrupolo sif- fatto si può attribuire a un Sisenna, a Giuba no. Quindi non è dubbio che l’insieme della manipolazione compiuta su le Memorie sillane per trasformarle nel testo plutarcheo risponde a pieno ai caratteri dell’attività di Cornelio Sisenna. C'è di più. Rammentiamo la coloritura romanzesca riscontrata in quella parte dei pre- cedenti strategici della battaglia che attribuimmo a Giuba. È la coloritura propria degli storici romani circa l’epoca di Sisenna. È la coloritura che fece le Wistorice di quest’ultima attraenti e ricercate dai lettori. In ispecie, nota personale di Sisenna era l’uso e l’abuso del motto, dell’aneddoto scherzoso e, talvolta, lubrico. Or appunto di motti ne abbiamo due in un paio di pagine, e proprio nei punti che ritenemmo desunti da Giuba. È un motto il sillano ai legionarii che, dopo tre giorni di sterro, invocavano ia battaglia (cap. 17): è dè od uageodar BovAonevar, dÀlad ui BovAouévov stoveîv Epnoev sivar tòv A6yov. È un motto, la cui arguzia un po’ spessa ha sapore ben romano, quello del centurione dinanzi alle schiere asiatiche fra cui si sarebbero veduti molti schiavi dianzi liberati (cap. 18): ai 716 éxaro»- taoyns Aéyerar “Pouatos eineiv, ©g év Koovios uovov sideim ts maggnotas dovAovs uett- govtus. Sicché anche per questo rispetto indizii di Sisenna si ritrovano, e non scarsi. Da ultimo, a identico risultato conducono i fraintendimenti imputati a Giuba. La de- scrizione di Parapotami, che Plutarco dovette rabberciare, e rabberciò male (sopra, pag. 4), può essere stata resa ardua a Giuba, oltre che dall’ignoranza dei luoghi, anche dall’oscurità lessicale della sua fonte. Ciò è incerto. Ma è presso che sicuro che l’episodio dei carri falcati fu alterato proprio da Giuba, per non aver compreso il testo da cui attingeva, giacché il ricordo delle dearozaè Îmmodooniar dimostra (sopra, pag. 17) che quel testo conteneva la versione corretta non già l’erronea. Or precisamente Sisenna s’ebbe da Cicerone (8) rim- provero per la smania d’usare parole rare e antiquate; ché anzi i grammatici ci salvarono (1) Secondo lo Scmanz 2. e. le Ristorice di Sisenna continuerebbero appunto l’opera di Sempronio Asellione. (2) Scmanz . e. .... ein Aufgeben der chronologischen Aneinanderreihung eu Gunsten der kiinstlerischen Cfr. fr. 127. (3) Crorr. Brut. 74, 259: Sisenna quasi emendator sermonis usitati cum esse vellet, ne a C. Rusio quidem accusatore deterreri potuit, quo minus inusitatis verbis uteretur. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 27 taluni frammenti di lui appunto per tal ragione. Che maraviglia dunque se Giuba, che pur usava Livio, Nepote, Varrone, trovò ostico qualche passo dell’arcaicizzante scrittore? I suoi fraintendimenti confermano pertanto il sospetto che Sisenna ne sia la fonte (1). Tuttavia, la congettura, per quanto fondata su più basi, deve rimanere tale. Con essa, e con i meno incerti risultati circa le fonti di Appiano, possiamo alla fine costruire lo schema ove appaiono le attinenze e le derivazioni degli autori pervenutici intorno alla battaglia ‘sillana di Cheronea. Memorie di Sira TT ST... ——ee._ __________rusoWé-ix...re...___—_—__ scelta del Filobeoto . paura dei Romani mossa di Archelao su Cheronea indisciplina degli Asiatici e scorrerie mossa di Silla verso il Turio occupazione di Parapotami schieramento di Silla episodio del Turio vittime fra i Romani attacco dei carri falcati erezione dei trofei urto dei due centri manovra aggirante di Archelao Trecsc# rn contromanovra di Silla vittime fra gli Asiatici PLurARCO E rn espugnazione del campo asiatico || T_T _—_—— —_ RIE L. Cornelio Sisenna Posidonio | Giuba [Livio] pei vY | | Vita di Silla= <«& «& Prurarco APPIANO cap. 16-19. nel quale schema abbiamo segnato col corsivo il nome dubbio di Sisenna, e chiuso entro parentesi il nesso dubbio fra Posidonio e Appiano. A parte, e non risolto, lasciamo il problema se Plutarco abbia egli medesimo usato Giuba, integrandolo, dove gli parve opportuno, con notizie di più diretta scaturigine, o se tal lavoro di scelta e di contaminazione sia stato compiuto da un precedente biografo di Silla. Quest'ultimo è il eonvincimento del Leo Die griechische-rimische Biographie, e non per la sola vita sillana. Al convincimento medesimo propendiamo ancor noi; ma ci piace lasciare impregiudicata la questione. Concludendo, una più minuta indagine ha arricchito di giunte l'ipotesi sulle fonti che ci servi a chiarire il racconto di Cheronea, giunte non tutte sicure; ma, — e ciò importa in primo luogo, — ha, quell’ipotesi, confermata completamente, connettendola con pini vasto problema, e mostrandola consona a risultati di ricerche indipendenti. LIVE Ricostruzione. Ci è lecito, finalmente, ricostrurre la battaglia. Quando Silla si trovò col proprio esercito vicino alle truppe di Archelao, l’esigenza di debellarle al più presto cedette dinanzi alla palese superiorità numerica del nemico, supe- riorità tanto più temibile in quanto si fondava sopra tutto su l’abbondanza di cavalieri e di leggere armature, gli uni e le altre adattatissimi a prendere il sopravvento in quel piano (1) Chi fosse tentato di vedere un errore d’interpretazione anche in z0ds uèv borodg adtod natafoA6viov (così il Kromayer 0. c. 376 n. 2) confronti Reuss “ Zeitschr. f. Gymnasialwesen , N. F. 61 (1907) 691. 28 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA di Elatea dove l’incontro avvenne. Né v'era speranza che il rapporto numerico de’ due eser- citi avesse a modificarsi a vantaggio dei Romani; né v'era convenienza a rifiutar battaglia lasciando libero di agire il capo degli Asiatici. Quindi la situazione militare era tale che imponeva una sola condotta: affrontare Archelao in luogo e in tempo cosi fatti che inefficace gli riuscisse il soprannumero dei suoi soldati; e prima di allora, da un Jato rimandar lo scontro temporeggiando, dall’altro badare a che il temporeggiamento non si risolvesse, per imprudenze di Silla o per manovra di Archelao, a favore di quest’ultimo. Il generale romano non poteva certo scegliere fin dal principio il campo per lui meglio idoneo, sebbene in quel frastaglio di colli e di piani che è fra Elatea e Cheronea più d’un luogo egli tenesse forse presente. Ma ben poteva scegliere con oculatezza il punto donde gli riuscisse facile e non rischioso sorvegliare l'avversario. Il punto fu il colle di Merali, e la scelta fu davvero felice: in essa si palesa per la prima volta, durante queste vicende, la genialità sillana. Da Merali egli dominava perfettamente il piano di Elatea, e conseguiva cosi il fine di sorvegliar Archelao. In Merali poi egli rimaneva sicurissimo, per pit motivi: a destra (diciamo destra supponendo il fronte verso Elatea) i rilievi montani lo garantivano a sufficienza, come quelli su cui e fra cui manovrare era mal agevole al non agile esercito asiatico: a sinistra, dopo una breve pianura corsa dal Cefiso, il colle di Kravasara, poco pi alto di Merali, restava, può dirsi, a sua disposizione, non appena il nemico avesse accen- nato ad insediarvisi: alle spalle, in fine, la rocca di Parapotami, dominante la gola e la strada fra ‘il Parori e l’ Edilio, era cosi vicina che con ogni probabilità i Romani avrebber prevenuti gli Asiatici nell’occuparla. Allogarsi dunque in Merali significava aver adocchiato il magnifico triangolo Merali-Kravasara-Parapotami; averlo adocchiato significava garantirsi da ogni aggiramento condotto a tagliar fuori i Romani dalla Beozia e dall’Attica, loro base. Silla non volle divider sùbito le sue truppe per presidiare le tre vette, e agi, anche in questo, secondo uno de’ più riconosciuti canoni della scienza militare. Preferi invece lavo- rare il terreno affinché né Kravasara né Parapotami potesse venirgli tolto dal nemico: scacco grave, che lo avrebbe costretto o ad annidarsi senza scampo su Merali, crescendo l’ar- dore e la libertà ad Archelao, o a scenderne, esponendosi all'assalto nel piano circostante. Impose dunque ai soldati scavi di trincee e studiò il deviamento del Cefiso, cosi per ren- dersi più sicure le basi, come per aprirsi più agevole il passaggio ai colli vicini. Otteneva anche, in tal modo, di sfruttare a’ proprii fini lo stato psicologico dei suoi uomini: i quali venuti per affrontare il nemico, dinanzi alla sua preponderanza eran presi da paura e da vergogna insieme, senza che potessero riconoscere quanto la posizione prescelta dal capo li guarentisse e ad un tempo preparasse la vittoria agognata. Occuparli quindi in opere difen- sive era farli più sicuri, condurli in certa guisa ad apprezzare la natura propizia del ter- reno, e abbreviar loro la lunghezza dell’attesa con la coscienza del tempo utilmente impie- gato. L’intuito del generale fu per la seconda volta felice; e non stupisce che Silla, oltre che lodare 7)v gpuow e t)v déow del Filobeoto (= Merali), facesse menzione della paura de' legionarii pur di porre in rilievo il proprio abile ripiego. Di Archelao può dirsi che agi con altrettanta oculatezza, ma con minore energia, meno favorito anche in una circostanza: la disciplina delle truppe. Come Silla gli fu accanto, egli volle la battaglia; e la volle perché le condizioni gli eran acconce sotto ogni rispetto. Contò, per raggiungere lo scopo, di porre a cimento l'orgoglio romano; fu deluso dalla paura ro- mana e dalla prudente energia di Silla. Sùbito apparve allora il suo piano nuovo, adattatis- simo alla situazione: non muoversi dalla pianura di Elatea, che gli è propizia, per non dover impegnare la battaglia in terreno disadatto a’ suoi cavalieri; sloggiare per contro il nemico dalla groppa di quel colle che lo protegge; e per sloggiarlo, recidergli i nervi occupandone le retrovie verso la Beozia. A tal fine, prescelse, alle spalle di Silla, Parapotami, a cui si giungeva, almeno in parte, inavvertiti col girar a ovest di Kravasara. È bensi vero che MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 29 Kravasara appunto avrebbe egli forse asceso e conquistato, per certi riguardi, in più facil modo; ma occuparlo valeva quasi certamente spingere Silla da Merali a Parapotami; ossia valeva rafforzare Silla. Se non che verso Parapotami Archelao non mosse senz'altro. La cresciuta audacia degli Asiatici, la brama di bottino, l’indisciplina, in breve, tutt’altro che facile a contenersi in consimile esercito; sopraffecero la sua volontà, e al suo piano aggiunsero, diciamo cosî, una prefazione poco opportuna con le scorrerie spinte, verso Sud, a Lebadea e a Panopeo tra- verso i facili valichi dei dintorni. Né in ciò fu soltanto debolezza di Archelao. Intervennero, pare, anche motivi diversi. Anzi tutto, egli esitò da prima a spingersi nei pressi di Merali con colonne leggere come quelle che, verisimilmente, operarono contro Lebadea e contro Panopeo: dacché vedeva i legionarii fra Merali e Kravasara e Parapotami; e ne conosceva il valore. Distornare dal piano di Elatea forze maggiori non gli parve conveniente: muo- verle tutte, un errore palese. Inoltre, con il lanciare i cavalieri verso Sud egli esplorava gl’intenti dell'avversario tentandone la capacità reattiva, e lo abituava insieme a non ve- dere nel muoversi delle truppe asiatiche un'immediata minaccia. Quando difatti le scorrerie si furon compiute senza che Silla scendesse da Merali o ac- cennasse ad altra offesa, Archelao osò finalmente di salire Parapotami. Mosse forse lungo il fianco occidentale di Kravasara per sbucare poi nel piano dominato da Merali. Ma gli apparve allora lo sbaglio commesso con l’attendere; ché Silla, non che disattento alle mosse di lui, non che incapace di rintuzzarle, si rivelò vigile e accorto, e frustrò col pronto inter- vento i propositi di Archelao. Questi gli aveva concesso di rinsaldarsi sul Filobeoto, di rin- cuorare i soldati e a un tempo preparare il terreno con gli scavi delle trincee e il devia- mento del Cefiso, di valutare, se nel principio non gli fosse accaduto di farlo, l’importanza di Parapotami; non doveva quindi stupire se le proprie truppe, cui era inoltre più lungo il percorso e non così predisposta la via, furono prevenute dai legionarii nel salire e prendere la notevole rocca. Il ritardo non fu tanto nella marcia degli Asiatici, quanto nella volontà che la decise. Parapotami caduta in mano romana segnò il primo felice risultato della strategia di Silla. Archelao s'era proposto di ributtar Silla da Merali nella pianura di Elatea e di co- stringerlo quivi a battaglia ineguale; Silla s’era proposto di smuovere Archelao dalla pia- nura di Elatea e di sorprenderlo dove men profittevole gli riuscisse la superiorità numerica. Ora, dalle operazioni condotte sin qui scaturiva una conseguenza: Archelao poteva sempre recare assai danno al suo nemico, poteva sempre danneggiare o tagliare addirittura le re- trovie, ma non pit rimanendo con l’esercito fermo in quel di Elatea e pronto a battaglia : bisognava che si movesse; e movendosi, fra quel frastaglio di monti e di piani, correva rischio d’'incappare malaccortamente in punto ove a Silla, che lo spiava, paresse di im- porre lo scontro. Oramai difatti s'erano esaurite le due possibilità che, data la condizione di non spostare il grosso da Elatea, rimanevano prima a scelta di Archelao: recar molestia verso Sud con leggere e mobili colonne, non aveva giovato; colpire da vicino, nel tergo stesso, l'avversario con l’occupare un colle prossimo a Merali, aveva fallito. Archelao com- prese la realtà chiara e ineluttabile; levò il campo tutto quanto e decise di calare la mazza in luogo dove Silla non avesse potuto prevenirlo, come aveva fatto in Parapotami, e con forze che Silla non avesse potuto trascurare, come aveva fatto delle scorrerie precedenti. Cosi l'episodio di Parapotami inizia un periodo diverso nelle operazioni: un periodo che diremo di transizione, perché mentre l’uno de’ due generali ha già dovuto rinunziare ad attuar integralmente il proprio piano, il piano dell'altro generale non aneòra s'è imposto in maniera decisa; sicché dura incerto, qual de’ due avrà a prevalere, se quello che ha già conseguito esito parziale o quello che può tuttavia riparare allo scacco parziale. Questo periodo di transizione dura attraverso alcuni episodi. 30 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA Da principio la marcia di Archelao pare orientata verso Calcide traverso il passo di Atalanti, in direzione di Nord-Est: Silla la guata, non ne prevede la meta. Poi il colpo accenna a scendere su Cheronea, perché, piegando verso Sud, gli Asiatici per il passo di fampoli s'insinuano fra l’Aconzio e l’Edilio: Silla se ne accorge, ma non è ancor in grado di ben valutarlo; ignora con quali mezzi e con quali intenti sia per essere attuato. Manda allora a Cheronea un sussidio e provvede a guarnirla, senza peraltro decidersi a scendere dal Filobeoto: il colle che ha sinora tenuto e fortificato gli ha reso cosî provvido servigio, e i fini dell'avversario sono tuttavia cosi poco palesi, ch’egli vi resta fermo. In fine Archelao pone l’accampamento fra l’Edilio e l’Aconzio e il Cefiso, in un rozzo triangolo piano che i monti e il fiume chiudono tutt’attorno; Silla intuisce che la condizione può essere grave e lascia Merali. Varca l’Asso, si ricongiunge col presidio di Parapotami, scende lungo il Cefiso e si ferma a poca distanza dal nemico; ma si tiene sempre, cosi durante la marcia come allorché sceglie il campo, appoggiato alle alture; conosce il suo debole e pensa di rime- diarvi col riparo dei monti. Adesso la situazione diventa chiara. È difatti palese che Archelao, abbandonata l’idea primitiva, ha scelto un'altra pianura per cimentarsi con i Romani, ma l’ha scelta alle loro spalle e a minaccia d'una importante città e d’una strada indispensabile al loro approvvi- gionamento. Egli è quindi deciso a costringerli allo scontro in un terreno che gli par adatto ai proprii cavalieri; ed è convinto d’aver posto a Silla un dilemma i cui corni sono abba- stanza rischiosi: affamarsi o combattere. E a Silla invero il dilemma si presenta nel modo seguente. Se la natura del luogo si rivela sfavorevole per i Romani, bisogna lasciare che si inizii l'assedio di Cheronea e provvedere con tutti i sussidii dell’arte militare a che la città si sostenga fino al sopraggiungere di circostanze propizie; ma è partito tutt’altro che buono, perché manca nel piano cheronense una disposizione topografica cosi acconcia, come era in quel di Elatea, o a distoglier dall’assedio Archelao, o almeno a renderglielo aspro e scarsa- mente efficace; e perché il vettovagliarsi diventa compito arduo in sommo grado. Miglior partito d’assai è, se appena la natura dei luoghi si offra benigna ai Romani, accettare la battaglia con accorta scelta del campo; purché il nemico non abbia in precedenza provve- duto a eliminare ogni sorta di vantaggio topografico con l’opera propria. In realtà, Archelao aveva provveduto a inasprire pei Romani l’uno e l’altro partito a un tempo, né poteva dirsi quale dei due di più. Egli aveva difatti insediato un suo presidio sull’Ortopago, colle del Turio che sovrasta direttamente la città e la rocca detta Petraco. Onde riusciva evidente che, serrata Cheronea da Est col campo sotto l’Aconzio, minacciata da Ovest col presidio dell’Ortopago, non solo la sorte della città diveniva piu temibile, ma Silla era impedito nel suo eventuale proposito o di vietare o di molestare l’assedio, e pri- vato delle comunicazioni con la Beozia meridionale, e costretto a battaglia nel bel mezzo della pianura con suo grave danno. Egli non aveva pi punto d’appoggio per insidiare l’av- versario; non per favorirsi nella battaglia; non per difendere le sue retrovie. L’avversario per contro aveva buon giuoco nella pianura per sorprenderlo durante una marcia, teneva il più alto e pi vicino colle che incomba a Cheronea, era avvantaggiato in una battaglia, avvantaggiato in un assedio. Il men buono partito, divenuto quasi impossibile; il meno in- felice, divenuto rischiosissimo. i Basta in vece che l’Ortopago rimanga libero del presidio asiatico, e Silla intuisce il pro- getto che può farlo vincitore: appoggiarsi colle spalle ai colli che in direzione di Nord- Ovest — Sud-Est si stendono da Mera all’ Ortopago; dare al nemico l’illusione che il piano resti libero alle cariche della sua cavalleria, guarentire invece a sé il tergo ed il fianco: imporre, insomma, lo scontro in guisa che ogni vantaggio ne derivi ai Romani, nessuno ai barbari. Adunque, fin quando Silla non s'è fatto certo intorno al presidio dell’Ortopago, quanto sia numeroso, e come forte, e se espugnabile, per lui tutto è nella pivi penosa incer- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 31 tezza, e il piano migliore appare anche il più dubbio. Da cotale incertezza egli decide di uscire senz'altro: sta fermo un giorno; poi lascia Murena a molestia di Archelao e s'avanza verso il Turio. La marcia fu certo condotta in modo che sottraesse i legionarii ai cavalieri barbari, ma non sappiamo per dove: sì può pensare, pel tempo, alle ore più vicine alla notte; e, pel luogo, all'appoggio dei colli di Mera. Ma più importa rilevare che con Silla parti il grosso dell’esercito, quattro legioni, con Ortensio non ne rimase che una. Evidente- mente dunque il generale romano si ritenne sicuro, per qualsiasi motivo, di potere, in ogni caso, far fronte al presidio del Turio; ed è probabile egli pensasse sovra tutto al suo pro- prio presidio in Cheronea. Difatti, s'era appena congiunto con quest'ultimo, che poté avere sul Turio informazioni precise e dai Cheronesi offerta a una non difficile espugnazione. Sicché, i risultati diedero ragione a Silla di non aver voluto compiere una semplice ricognizione con . piccola colonna, ma di aver audacemente portato il più delle truppe sul luogo che gli pa- reva meglio d’ogni altro atto alla battaglia. Adesso può, senz’indugio, convertire l’ordine di marcia in schieramento. Si ferma con le quattro legioni a Ovest di Cheronea ; e chiama Murena dandogli posto all’ala sinistra. E ha oramai diritto di considerarsi signore della situazione. i i ì Cosi il Turio tradi Archelao e favori Silla: diede il sopravvento al generale che a preponderare aveva già cominciato sul Filobeoto. E cosi si chiuse il periodo di transizione, durante il quale Silla, lasciando ad Archelao di condurre le operazioni, si era tenuto pago da principio di assecondarlo: quando però Archelao ebbe compiuto tal disegno che non con- cedeva scampo ai Romani, egli, con un ritocco in parte sapiente e in parte fortunato, lo converse a danno di lui e prese la direzione delle manovre. x Le quali hanno per fondamento un concetto unico: assicurare la massima libertà e il massimo vantaggio, oltre che ai legionarii, ai cavalieri romani; impedire per contro la libertà e il vantaggio dei cavalieri asiatici. Tal concetto scaturisce necessario dal doversi scartare quegli altri due che gli sono paralleli e concomitanti. Opporsi, difatti, con la perizia e il valore del centro, costituito dalle legioni, alla superiorità della cavalleria avversaria non è possibile, dacché le legioni hanno a fronte l’ostacolo, di per sé grave, della falange. Lasciare i centri a contatto, e manovrare sulle due ali con l’armi mobili, equivale ad apparecchiarsi la sconfitta, perché è contrapporre il poco al molto. Non resta dunque che paralizzare il soprannumero degli Asiatici in guisa da sopravalutare il numero dei Romani. Tale fine può raggiungersi con le mosse compiute durante la battaglia medesima; ma deve, in primo luogo, porsi e conseguirsi con lo schieramento delle truppe. Allo schieramento Silla provvede ora senz'altro, su la base di quel concetto tattico: non senza però sfruttare un elemento di fatto che ne permette l’attuazione felice. Egli ha concepita la certezza che l’Ortopago rimarrà sgombro di nemici prima che da questi possa venirgli danno; ma sa che Archelao deve avere la certezza contraria, o deve, per lo meno, contare assai sulla minaccia che ai Romani incombe del Turio. Perciò Silla si pone proprio alle falde del Turio in quel tratto che è pit accosto a Cheronea; volgendo le spalle al colle e guardando l’Aconzio: cosî egli induce il nemico a crederlo, in quel punto, esposto a un inopinato attacco alle spalle, e a sguarnire per conseguenza la linea asiatica per quel tratto che è di fronte. In somma, dando all’avversario l’illusione del proprio rischio sul tergo, si garantisce un men valido ostacolo sul fronte. Tanto più che altre circostanze concorrono favorevoli. Col restar sotto l’Ortopago Silla si prepara a ricevere e annientare il distacca- mento espulso dalla cima del colle. Inoltre si fa protezione del fiumiciattolo Molo alla propria estrema destra. Infine asseconda la naturale propensione di Archelao a spostare la 32 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA propria cavalleria verso Nord-Ovest, ossia verso là dove si apre il piano e in più ampio giro possono correre i cavalieri. Che se adunque Silla ora ammassa su questo punto, ai proprii ordini, la maggiore e miglior parte della sua cavalleria, è in diritto di ritenere d'aver con- centrato il meglio delle sue forze contro il più debole fianco del nemico: in altri termini, di avere garantito alla sua milizia il massimo rendimento. Ma è ovvio che questo non può ancora dirsi vantaggio, se dall’altra parte egli non si mette in grado di rintuzzare la preponderanza degli Asiatici raccolti in copia contro la sua ala sinistra. Quanto più è stato utile ai Romani di veder scemarsi la difesa di fronte alla loro destra, donde preparano l’offesa, tanto più è utile e impellente afforzare la difesa sulla’ loro sinistra, contro cui prepara l'offesa Archelao. A ciò Silla aveva pensato fin da quando s'era indotto a ingaggiare colà la battaglia, vedendo nei colli di lene declivio che si spie- gano da Mera verso Cheronea l'appoggio delle proprie truppe e il freno allo slancio dei cavalli incalzanti: sotto quei colli fa dunque disporre Murena, con il doppio vantaggio di abbreviargli la marcia (veniva dal Cefiso) e di collocare le milizie che ultime prendon posto in schiera dove presumibilmente non scenderà il presidio asiatico del Turio. Ma, non pago del riparo topografico, Silla ne escogita uno tattico: colloca, suj colli stessi che stan dietro a Murena, un presidio romano ai comandi di Ortensio e di Galba, suddiviso quindi in due schiere. Di cui l'una era forse più ad Ovest e l’altra più ad Est: questa, per restare di- simpegnata e soccorrere eventualmente, se non la sinistra, il centro o financo la destra; quella destinata a precipitar dai colli addosso ai cavalieri asiatici, se essi, come vuole la loro abbondanza, smarginando oltre l’estrema punta sinistra dei Romani, vengano ad accer- cerchiarla; oppure destinata a rinforzare dal tergo Murena, se — ma è caso men presumi- bile — solo sul fronte questi abbia a subire attacco. Cosi Archelao serba l'illusione di aver a suo vantaggio il piano, a causa dell’intervallo fra Murena e i colli, ma in realtà i colli medesimi e l'agguato di Ortensio menomano quel vantaggio e scemano la stessa superiorità numerica, dacché la cavalleria aggirante si troverà costretta a difendersi da una parte mentre attacca dall’altra, ossia a dividersi. Non solo adunque dalla destra Silla prepara l’assalto de’ suoi migliori, ma sulla sinistra provvede, accorto e vigile, a che men grave divenga l’efficienza dell’avversario. Senza dubbio, lo schie- ramento così condotto, attua la concezione tattica di Silla, e l’attua felicemente. La risposta che oramai devono dare gli avvenimenti è a questa domanda: sortirà lo schieramento gli effetti a cui fu concepito e disposto? Li sorti davvero, perché Silla sba- ragliò il suo nemico; ma quello che decise d’ogni cosa fu il culminar d’un breve momento, nel quale ogni risoluzione divenne ad entrambi i generali difficile e insieme urgentissima a prendersi. Si che, come il complessivo schieramento s'impernia sopra un acuto concetto tat- tico, cosi lo svolgersi vero e proprio della battaglia s’impernia sopra un episodio scaturito dalla realtà in maniera e con caratteri non prevedibili. 1 Da principio i fatti si svolsero secondo la certezza di Silla. Dall’Ortopago il presidio di Archelao fu cacciato senza sforzo pe’ Cheronensi e con danno per gli Asiatici; e fu cacciato quando già Archelao aveva compiuto il suo schieramento e concentrato la maggior parte della sua cavalleria contro la sinistra romana, secondo il desiderio di Silla e giusta la con- vinzione che la destra avesse sufficiente minaccia dal Turio. I fuggiaschi, precipitando dal- l’erta scoscesa, caddero per gran parte (quelli che non perirono feriti o ferendosi) contro le schiere di Silla; pochi sfuggirono verso Murena, nell'intento forse di toccare per quella via il proprio campo, ma anche Murena già aveva avuto tempo di schierarsi e li fini; onde salvi riuscirono pochissimi. Poi, il centro. romano mostrò di saper, con abile manovra non ignota ai legionarii, rintuzzare l'efficienza dei carri falcati che il nemico lanciò a scompagi- nare le file: per l’allargarsi degl’intervalli, il vuoto divenne la vana meta di quell’ordegno di guerra, facilmente danneggiato poi nell’impaccio del voltarsi. In séguito, i due centri si MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 33 azzuffarono e, sebbene i legionarii fossero ben lungi dal prevalere, compirono bene il dover loro, lasciando per questo rispetto sgombro di preoccupazioni il capitano. In fine dalla destra di Archelao si staccò la cavalleria verso Murena, girandolo sul fianco e minacciandolo a tergo, mentre Taxiles con i calcaspidi lo assaliva sul fronte. Era l'offesa preveduta. Ortensio scese da’ monti e incalzò nel lato i cavalieri di Archelao. Era la difesa preparata. Ma, pur troppo, la difesa si appalesò quasi immediatamente inferiore all’offesa. Archelao, che in persona guidava i suoi, riusci, distaccando duemila dei cavalieri, a ricacciar Ortensio fin sotto i colli, senza per questo omettere di perseguitare Murena. E Galba fu con Ortensio coinvolto nella distretta. Ortensio e Galba adunque ributtati, Murena attaccato sul fronte, sul fianco, e insidiato alle spalle: tutta l’ala sinistra di Silla, col doppio presidio per giunta, era tagliata in due e accerchiata. Cosi che quella parte del piano sillano che consisteva nello sminuire, più che possibile, la potenza del soprannumero avversario, stava miseramente fallendo; né i colli porgevano riparo bastante, da poi che anzi rischiavan di rompervisi quei di Ortensio; né l'agguato contro il nemico accerchiante era riuscito ad altro che a raddop- piare il danno dell’accerchiamento. Il centro continuava bensi a resistere bene, ma non dava segno di supremazia. Appariva per tanto a Silla un problema, che occorreva presto risol- vere sebbene fosse di estrema difficoltà: era da continuare o da tralasciare quell’altra parte del piano, strettamente connessa con la prima ora fallita, e diretta a sopravalutare la po- tenza dei cavalieri romani col condurli nella loro quasi totalità contro la men difesa ala sinistra di Archelao? era, o no, da ritenersi che l’esito infelice d’uno fra i due essenziali scopi proposti per la vittoria implicasse l’esito infelice dell’altro? In verità, se, condotta la cavalleria romana all'assalto, la resistenza si fosse rivelata superiore alle previsioni, pochi soli momenti di incertezza sarebbero bastati a compiere la già iniziata vittoria di Archelao: se, d’altro lato, Murena, con Ortensio e Galba, riuscivano annientati, misero profitto pareva da attendersi anche da un pronto successo della destra romana. Però, mentre in tal guisa l’opera difensiva preparata nella sinistra di Silla riusciva inefficace, l'aver senza inciampi espulso dall’Ortopago il presidio asiatico aveva a Silla gio- vato secondo i suoi intenti: liberandolo da ogni molestia alle spalle, non solo lo metteva in grado di resistere bene alla debole sinistra avversaria, il cui attacco, non valido per ragion di numero, anche meno pericoloso diveniva per non potersi collegare all’insidia invano apparecchiata sul Turio, ma gli concedeva inoltre di serbare liberi molti de’ cavalieri. Poté dunque balenare una diversa e nuova manovra alla mente di Silla: usare cotesti cavalieri a liberar Ortensio e Murena, non già a incalzar la sinistra asiatica: dirigere a Ovest l’im- peto preparato sul fronte. Ciò equivaleva a rimutare piano nel bel mezzo della battaglia: ed è sempre rischioso. Inoltre era forse piu probabile una resistenza di Archelao nel punto dove già Ortensio e Murena pericolavano, e la vittoria rideva agli Asiatici, e il maggior numero loro era raccolto, che non in quella sinistra ala la quale a minore assalto era stata fin dall’inizio predisposta. In ultimo, se Silla non fosse riuscito a far recedere Archelao, e se contemporaneamente la destra romana, priva de’ molti cavalieri, avesse ceduto, la cata- strofe, non che certa, era enorme. Eppure il generale romano preferi mutar piano e affron- tare il gravissimo rischio. Evidentemente egli poté ritenersi certo della resistenza alla sua destra, come al centro, e calcolò che Archelao, insinuato fra i colli e i Romani, divise le proprie forze fra Ortensio con Galba da un lato e Murena dall’altro, orientati quindi i due fronti a NE. e a SO., non sarebbe stato capace di opporsi anche a un terzo vigoroso impeto contro i fianchi destro e sinistro, rispettivamente, delle sue colonne combattenti. Mosse quindi con molti cavalieri verso Murena ed Ortensio. E gli accadde bene. Non pure i suoi calcoli sperimentò fondati; ma lo favori anche la concezione tattica di Archelao. Questi s’era ispirato al criterio di portare il colpo più grave contro il punto pit debole: aveva difatti spinto la massa della sua cavalleria contro quella destra romana che gli era 28 34 ALDO FERRABINO — SILLA A CHERONEA parsa piu pericolosamente esposta. Visto ora avanzarsi Silla per la nuova manovra, oltre a comprendere il pericolo di fronteggiare, dopo i due primi, il terzo corpo nemico, rimase fedele al criterio già adottato, non se ne disfece con l’audace genialità di Silla, e tentò di attuarlo per la seconda volta, in altra maniera. Così, l'accerchiamento già a mezzo riuscito sciolse senz'altro, e corse a rinforzare la propria sinistra per travolgere con quella la destra romana, divenuta l’ala men salda. Cotesta manovra poteva sperare esito felice, se compiuta con truppe che, trovandosi a un dipresso dietro il centro asiatico, avessero avuto non grande tragitto a percorrere per raggiungere l’una o l’altra delle estremità: o anche se compiuta con truppe fresche, tutt'ora raccolte presso un’ala e capaci quindi di pervenire velocemente all'altra ala. La cavalleria di Archelao, per contro, aveva già combattuto, si trovava tra- scinata dall’impeto della lotta, non era pertanto facile a raccogliersi e a diversamente orien- tarsi; s'era, per di più, spinta ben oltre la destra degli Asiatici, oltre la stessa sinistra romana, fin dietro Murena e presso i colli. Difficoltà militari e lunghezza di percorso le ren- devano molto, troppo, arduo lo spostarsi verso la lontana ala sinistra. Ciò che, essendo evi- dente, non sfuggi forse ad Archelao, ma non ne fu tenuto in conto a causa, secondo sembra, della convinzione, subitamente formatasi in lui, che la destra fosse abbandonata da Silla ‘ per non piu farvi ritorno e che quindi, con qualsiasi ritardo della cavalleria asiatica, sarebbe stata sopraffatta in tempo. Né è da escludere ch'egli contasse anche sulla velocità dei suoi cavalieri, e che, sopra tutto, molto fidasse sulla resistenza della propria destra. Tal fiducia era invero ben riposta, come mostrò il lungo sforzo necessario a Murena per superare Taxiles. La velocità degli Asiatici e la prontezza della loro manovra furon certo notevoli. Ma Silla con una nuova mossa sconvolse per la seconda volta la convinzione e il piano del suo avversario. Allorché, accorrendo in soccorso di Ortensio e Murena, vide Archelao recedere per rientrare nelle proprie schiere, un problema non meno arduo né meno urgente del primo gli si presentò. Continuare verso la sinistra o ritornare alla destra? La sinistra era oramai libera dalla preponderanza nemica; alla destra incombeva la minaccia: all’una era valido ora, contro Taxiles, il sussidio di Ortensio, non più rattenuto; l’altra era meno- mata della miglior cavalleria romana. La destra, dunque, bisognava soccorrere. Di pi, quel che appariva necessario, appariva insieme possibile: giacché, secondo ogni probabilità, i Ro- mani sarebbero giunti a riprendere il loro posto prima ancéra che vi sopravvenissero gli Asiatici: minore avevano il cammino, freschi tuttavia di fatica, non impegnati in mischia e perciò pronti alla non difficile manovra di ritorno. Con somma rapidità Silla, rinunziando a raggiungere la sinistra, ordinava, difatti, a Ortensio di rincalzare, tenendo quattro coorti, Murena, alla quinta di seguirlo insieme con una di Galba, e i cavalieri così rafforzati gui- dava di bel nuovo verso SE., alla destra. Giusta aveva previsto, vi pervenne prima di Archelao, non gli permise di schierarsi, lo soverchiò con tutta l’ala sinistra. A rendere, poi, meglio decisivo il successo, compié anche il tentativo di tagliar quest'ultima dal centro; ma gli falli. La fuga s’arrestò al torrentello Molo, la cui linea è tracciata fra Cheronea e l’Aconzio, e là piegava a sinistra verso: il Cefiso, sicché anche quell’ala poté ritrovarsi, presso l'accampamento e sotto i monti, con il resto dell’esercito ugualmente disfatto: ché Murena, soccorso da Ortensio, aveva finito per sfondar i calcaspidi, e al piegare delle estremità era successa la rotta del centro. Se non che la nuova resistenza tentata all’accampamento era ovvio, per motivi morali e topografici evidenti, che non poteva durare, e fu anch’essa disfatta. La vittoria romana divenne completa. Cosi il concetto tattico a cui Silla aveva informato la disposizione delle sue truppe diede i frutti sperati: riusci la difesa preparata accortamente sulla sinistra, riusci l'offesa voluta e rafforzata sulla destra. Ma il breve volgere d’istanti, in cui il piano di Silla parve rovinato pel piegare della sinistra, e fu risoluto di soccorrere questa sguarnendo la destra, e poi con brusco ritorno venne di nuovo raggiunta la prima posizione, quel breve volgere MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR, E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 5. 55 d'istanti decise propriamente della battaglia. Silla vi deliberò due volte, pronto e sagace; Archelao una sola, altrettanto pronto, meno felice. L’uno ebbe la forza di abbandonare tutto un piano, e la forza, anche maggiore, di abbandonare pure il secondo. L'altro persistette in un concetto unico che per due volte lo tradi. Che se noi consideriamo adesso nel tutto insieme gli avvenimenti, scorgiamo nell’avve- duta scelta del Filobeoto, nella scelta non meno avveduta del campo di battaglia, nella con- cezione dello schieramento, nella pronta e sagace energia dell’azione, i quattro precipui motivi di vittoria che tutti debbono ricondursi alla genialità e alla volontà di Silla, i quattro precipui momenti in cui questi intervenne nel succedersi dei fatti per imprimer ad essi una vicenda consentanea a’ suoi fini. Scorgiamo, d’altra parte, Archelao intervenire, con fini opposti, a sua volta per modificare l’ordine o il modo dei fatti stessi, sia col primo propo- sito di costringere l'avversario a battaglia nella pianura di Elatea, sia con l’ardita mossa diretta ad affamarlo o annientarlo, sia col vigilare lo schieramento sillano e contrapporvi il proprio in guisa da colpire nel nemico i punti deboli e schiacciarlo con la massa degli Asiatici. E per cotesta duplice constatazione ci appare in tutto il rilievo l’opera cosi di Silla, che gli avvenimenti fronteggiò e diresse con intelletto acuto e insieme agile, con energia pronta e fattiva, come di Archelao, sicuro nella propria iniziativa, sagace nell’eludere l’ini- ziativa altrui. Ma non ci sfugge quanto e Silla e Archelao tenessero in conto l’imprevedi- bile e l’imponderabile che poteva sopravvenire di mano in mano a favore or dell’uno or del- l’altro comandante, né ci sfugge quanto entrambi, ma Silla anche piu, affidassero perciò la loro sorte al rischio e all’incertezza, con una fede nell’ignoto che non nasceva solo dall’ec- cellenza dei piani premeditati, ma equivaleva piuttosto a un’audacia conscia e deliberata. Sotto ogni aspetto pertanto la battaglia sillana di Cheronea riesce a noi d'importanza supe- riore agli stessi effetti storici di cui fu causa: importanza che consiste nella minuta preci- sione dei particolari con cui è lecito ricostruirla, nel singolar vigore onde si adergono le due figure de’ generali avversarii, nel giudizio che ci è consentito circa gli eminenti pregi di condottiero militare in Cornelio Silla. Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie IT, Vol. LXV. - N. 6. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. PAPA REZZONICO studiato ne dispacci inediti d'un diplomatico lucchese. MEMORIA DEL SOCIO GIOVANNI SFORZA Approvata nell’Adunanza del 350 Maggio 1915. Da' dispacci inediti di mons. Filippo Maria Buonamici, agente della Repubblica di Lucca presso la Corte pontificia, spigolo quanto di più interessante andò scrivendo dal 13 maggio del 1758 al 3 febbraio del 1769. Si assiste al Conclave da cui uscì con la tiara in testa il veneziano Carlo Rezzonico, il quale prese il nome di Clemeute XIII; si rivive giorno per giorno nel regno tempestosissimo di questo Papa; che fu “ meno arrendevole, più severo, “ più acre difensore de’ diritti acquistati, lungo i secoli, dalla Curia Romana ,, del proprio predecessore Benedetto XIV |Prospero Lambertini], “ intenditor de’ tempi suoi e tollerante “ di essi, e così tanto miglior capo di quella Chiesa, la quale appunto per essere immor- “ tale ed immutabile, debb'essere adattabile a tutti i tempi , (1). Fare il rovescio di papa Lambertini fu lo scopo costante di papa Rezzonico e del suo Segretario di Stato, Torrigiani; prelato che tenne veramente in pugno la somma delle cose e le regolò a sua voglia. Il cavalier di La Houze, incaricato degli affari di Francia a Roma, in un dispaccio al Duca di Choiseul, lo dice di una fermezza “ fino all’inflessibilità e all’acciecamento ,, ma scom- pagnata “ dalla circospezione e moderazione necessaria ,. Il Theiner poi così lo dipinge: “Il Torrigiani riguardava le grandi questioni ecclesiastiche, che allora commovevano il “ mondo cristiano, piuttosto coll’occhio del teologo, che collo sguardo potente dell’uomo di ES Stato, che le giudica, le domina e le dirige ,. E aggiunge: “ S'egli avesse saputo intendere n il movimento de’ suoi tempi, la sua intelligenza, d'altronde limpida, gli avrebbe indicati parecchi mezzi di dissipare questa tempesta, o almeno di togliere, in parte, i suoi orrori; ma, al cominciamento medesimo del suo ministero, la ruppe con le Potenze cattoliche; per- ciocchè egli credeva, e Clemente XIII con lui, dovere abbandonar la via seguitata da Bene- detto XIV e dall’Archinto, l'illustre Segretario di Stato di questo gran Pontefice, conside- rando questa condotta come indegna di lui , (2). Qual frutto ne cavarono? Volevano a (1) Cesare Bano, Della storia d'Italia dalle origini ai nostri tempi, Sommario, Firenze, Le Lemonnier, 1856, p. 378. (2) Agostino Tuemer, Storia del pontificato di Clemente XIV, Milano, Turati, 1853; II, 168 e seg. 29 ii GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. ogni costo salvare la Compagnia di Gesù, e invece ne affrettarono la rovina; si guastarono con Genova e Venezia, Parma e Napoli, Francia e Spagna, nè poterono strappare da esse la più piccola concessione a favore della Chiesa. Fu detto che “ questo mercante veneziano, il quale osò tener testa ai figli di S. Luigi, ‘ è l’ultimo Papa che ricordasse quelli del medioevo , (1). Invece, “ in nessun tempo, eccetto ‘ forse all’epoca del conflitto brutale tra i Papi e gli imperatori di Germania e i re di “ Francia nel medioevo, alcun Sovrano Pontefice non fu giammai sì impudentemente, sì “ vigliaccamente e con tanta empietà oltraggiato quanto Clemente XII , (2). È proprio il caso di ripetere: chi semina vento raccoglie tempesta. Filippo Maria Buonamici non fu nelle grazie di questo Papa e del suo Segretario di Stato; tanto più dunque è da apprezzarsi la temperanza con cui parla d’entrambi; la sua calma spassionata e serena nel raccontare le vicende degli undici anni che il Rezzonico sedè sulla cattedra di S. Pietro. La pittura, che egli ne fa, è viva, compiuta, interessante; una pagina, insomma, di storia, scritta da un testimone di veduta, a cui niente sfugge e che sa serbarsi imparziale. Monsig. Filippo Maria Buonamici. “ Vetusta ac hominum ingenio praestantium altrix , chiama il Buonamici la sua casa, e tra’ propri antenati annovera Lazzaro, lettore nello Studio di Padova, “ maxime et ex “ omnibus qui sua aetate floruerunt graecis, latinisque literis eruditus , (3). Niun legame di sangue ebbe però Lazzaro, che fu nativo della Marca di Treviso, co’ Buonamici di Lucca; povera e oscura famiglia, la quale soltanto per opera del Nostro, e più del fratello Castruccio; il migliore latinista del Settecento, riuscì a farsi largo e ottenne d’essere ascritta al patri- ziato. Suo padre, per testimonianza d’un contemporaneo, campava la vita “ tenui mercaturae “ genere , (4), e d’altro non fu ricco che di figliuoli: n’ebbe la bellezza di dieci, sette maschi e tre femmine. Filippo Maria, nato il 26 di febbraio del 1705, fece gli studi nel Seminario di S. Mar- tino, dove un suo zio materno, l’ab. Gio. Fedele Rigola, insegnava la teologia; e vi trovò un maestro amoroso nel latinista Sante Pierotti, allievo del Beverini. Il fratello Castruccio, d'ingegno vivacissimo e pronto, sebbene anch'esso scolaro del Pierotti, si addestrò nello scrivere la lingua latina soprattutto da per sè, leggendo di continuo Cesare e. Cicerone; Filippo Maria, invece, mite d’indole, e tardo nell’imparare, tutto fece con la scorta del maestro e con lungo e tenace studio. Avuti gli ordini minori, restò qualche tempo nel Seminario col modesto ufficio di prefetto. Morto il Pierotti, ebbe l'insegnamento della retorica; cattedra che tenne fino al 1739, nel quale tempo fu chiamato a Roma da Gio. Vincenzo Lucchesini, che nella vecchiaia aveva bisogno di chi gli alleggerisse la fatica di Segretario de’ Brevi a’ Principi. Convisse con lui quasi cinque anni; e quell’intima comunanza gli riuscì di gio- vamento grande. Non solo prese a conoscere il mondo (e la Roma d’allora era una grande scuola), ma con la guida e l'esempio del Lucchesini si perfezionò nella lingua latina, che (1) Cesare Canrù, Storia universale, Torino, 1865; VI, 129. (2) Tuerner, Op. cit.; I, 169. (3) Pieri Bowamrer, Opera omnia, Lucae, MDCCLXXXIV. Typis Josephi Roechii, tom. I, pp. 81-82 e 299. (4) Io. Barr. Moxwrcarinia, De vita Philippi Bonamici commentarius; in Prrcipi et Castrucen fratrum Bo- Namiciorum opera omnia; I, XVII. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, SOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 5) scrisse con purità ed eleganza squisita, senza mai però raggiungere il nerbo, la vena, la pastosità e il colorito del fratello, al quale rimase di gran lunga inferiore. A’ funerali del Lucchesini lesse un’orazione latina, piena di calore e d'affetto, e fu il primo scritto che mise alle stampe (1). Il 13 agosto del 1752 recitò all'Accademia Quirina, che si adunava nel giardino del cardinale Neri Corsini, suo Dittatore perpetuo, un cattivo discorso, in lingua italiana, sulla facilità dell'antica Roma nell’ammettere alla cittadinanza i forestieri (2). L’anno dopo pubblicò la sua opera di lena maggiore, che s'intitola: De claris Pontificiarum Epistolarum Scriptoribus ad Benedictum XIV Pont. Max. liber (3). Im un dia- logo, che mette in bocca a Gio. Vincenzo Lucchesini, a monsignore Alessandro Furietti e all'avvocato concistoriale Gaetano Forti di Pescia, ricerca le qualità che deve avere uno scrittore di lettere pontificie, e le fa consistere nella cognizione profonda delle cose attinenti alla politica, in molto studio delle scienze sacre, e nella padronanza della lingua latina. Al dialogo tien dietro una notizia de’ singoli scrittori di lettere papali, ma affatto monca e imperfetta, giacchè ne ignora moltissimi, e di quelli, di cui detta un cenno biografico, ben poco sa dirne; per conseguenza, invece d’essere un libro d’erudizione, non è altro che un vuotissimo saggio di bella latinità. Convien dunque ripetere il consiglio che monsig. Gaetàno Marini porgeva agli studiosi: di non essere, cioè, così indiscreti da cercarvi notizie, “ riflet- “tendo, che ai tempi nei quali colui scrisse, a pochissimi era dato il poter dire le cose sue “con eleganza; la sola cosa che tenesse in pregio il Buonamici, sapendo di valere in essa «“ unicamente , (4). Cesare Lucchesini, non senza mostrare un certo dispetto, si levò contro il Marini; e pungendolo, col dire “ che a grande erudizione unì grande mordacità ,, affermò, a difesa del Buonamici, essere nella sua opera il catalogo degli scrittori di lettere ponti- ficie “ quasi una giunta sopra la derrata ,, nè avervi esso posto “ molto studio, che gli “ parve non poterne trar profitto rispondente alla fatica , (5). La difesa non poteva essere peggiore. Prima di lui, lo Zaccaria, quando uscì fuori il libro, accennando appunto, che «“ alcuni avrebbon desiderato che il nostro autore ancor più si diffondesse nelle notizie di £ questi scrittori ,, si sforzò di chiuder loro la bocca, esclamando: “ Ma chi mosse mai lite (1) Parepr Bowamici in funere Ioannis Vincentii Lucchesini ad Lucenses dum amplissimo praesuli in templo eiusdem Nationis officia erequiarum persolverent, Romae, typis Bernabò et Lazzarini. MDCCXLV. Superiorum permissu; in-4° di pp. xLvm, oltre 8 in principio n. n. A preghiera di monsig. Angelo Fabroni, molti anni dopo; scrisse anche un commentario della vita del Lucchesini; e si legge a pp. 277-296 della parte I delle sue Opera omnia, ed a pp. 219-258 del vol. VII delle Vitae italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, Pisis, MDCOLXXXV; in-8°. (2) Discorso dell'abate Fiiero Buonamici, Sostituto de’ Brevi a’ Principi, di N. S. Accademico Quirino, sulla facilità nell'antica Roma nell'ammettere alla cittadinanza i forestieri, detto nell'Accademia Quirina vadunata il di 13 agosto nel giardino dell'Eminentissimo Sig. Cardinal Corsini Dittatore perpetuo della detta Accademia. In Roma, MDCCLII, nella Stamperia di Pallade appresso Niccolò e Marco Pagliarini, con licenza de’ superiori; in-8° di pp. 40. Lo Zaccaria (Storia letteraria d’Italia; VII, 250 e seg.) ne fece gran lodi; il Luccaesi (Storia letteraria del Ducato Lucchese; II, 279) la chiama, con ragione, “ cosa di poco momento ,; il Farroni (Vitae italorum doctrina excellentium; XIII, 109) scrive: £ Non verebatur, (il Buonamici) “ ne non conveniret omnium auribus “ isthaee oratio : extitit tamen Cardinalis Sciarra Columna, qui per eam detractum aliquid Romanorum di- “ onitati nobilitatique fuisse questus graviter est: sed quam aut leviter, aut superbe, ex ipsa cognosci “ poterit oratione, quam in vulgus hac ipsa de caussa edi voluit Bonamicius; cui id tantummodo doluit, quod “ inelementior fortuna beneficia aulae Romanae, quae sibi evisilanti in studio debita esse dicebat, et quae “ dormientibus saepe deferuntur, moraretur .. (3) Romae, MDCCLII. Ex typographia Palladis. Excudebant Nicolaus et Marcus Palearini, Praesidum per- missu; in-8° di pp. 318. (4) Marini, Archiotri Pontifici; I, 177. (5) Luccnesmi, Storia letteraria del Ducato Lucchese; Il, 188. 4 GIOVANNI SFORZA :— PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. 4 “a S. Girolamo, a Gennadio, ad Auberto Mireo ed a cent’altri a’ quali, degli ecclesiastici ‘ serittori ragionando, quello soltanto piacque loro di dirne che bastava a mostrarli degni ‘ d'esser nel catalogo degli scrittori ecclesiastici noverati, nè di darcene maggior contezza “ si preser pensiero, anzi nè tampoco di tutti registrarne i loro libri? , (1). La risposta, com'era da aspettarsi, non appagò nessuno: basta sentire quello che ne pensa il Fabroni, il quale, dopo avere anch'esso lamentato che il Buonamici dimentichi il più degli scrittori e troppo scarsamente ragioni de’ non molti a lui noti, conclude: “ Nemo ignorat quanta in- “ dustria et patientia opus sit illi qui vetera monumenta conquirit; nec profecto Bonamicius “ natura aptus erat ad id, solitus interdum rerum minutarum inquisitores, quae ad litte- ‘ rariam historiam pertinent, sicuti operarios barbarosque perstringere , (2). Al Buonamici dispiacque l'accusa, ripetuta da tante parti, e desideroso di purgarsene, di lì a non molto, mise mano a una nuova edizione, con qualche aggiunta. Il 15 febbraio del ’60 scriveva a Gio. Domenico Mansi: “ L’operetta mia De scriptoribus già si ristampa, “e s'è tirato il primo foglio, ma va assai lentamente, sì perchè non abbondo di danari, e sì “ancora perchè his temporibus è gittato tutto ciò che ha qualche scintilla di spirito e di “ eleganza , (3). Fosse l’una o l’altra di queste ragioni, o tutte due insieme, il fatto è che la nuova edizione uscì fuori soltanto nel 1770 (4); e in verità molto scarse furono le ag- giunte, per quanto si fosse presa la bellezza di dieci anni di tempo; nè mancò chi giusta- mente lo biasimasse d’avere così miseramente deluso l’aspettazione degli studiosi (5). Fin dal 1760 prese il Nostro a vagheggiare il disegno di fare una nuova edizione delle opere del cardinale Jacopo Ammannati, lucchese, e se ne aprì, per lettera, con Gio. Dome- nico Mansi, lusingandosi d’averlo compagno nel lavoro: “ Mi è venuto in mente , (così gli scriveva) “ per fare alcuna cosa onde in Roma risvegliare la fama languente de’ poveri “ lucchesi, ristampare costì , (a Lucca) “le lettere ed altre opere di Giacomo cardinale “ Ammannato, con una breve vita e prefazione al libro, e con tutte quelle note istoriche, “ che mi potesse suggerire la erudizione; volendovi però che siavi il suo nome, anche per “ acquistar pregio all'opera. Ella mi comunichi il suo sentimento, che sarà regola del mio. “ Mi scriva e come e dove possa farsi la suddetta stampa. Quanto alla dedica, io veramente la ho promessa al cardinal Spinelli, non certamente per gratitudine, ma Di mali ne noceant almeno di più ,. Sembra che trovasse duro il terreno; infatti il 4 settembre del ‘62 gli tornava a scrivere: “ Supplico V. P. a volermi porgere aiuto colla sua squisita erudi- “ zione per la ristampa che medito delle opere del nostro cardinale Papiense, la quale voglio “ dedicare all’Em.®° Spinelli, che in questi infelici tempi è l’unico sostegno della nostra in “ Roma poco ben veduta nazione , (6). Il disegno peraltro abortì sul nascere. Affermano i biografi del Buonamici avere egli composta e dedicata a Benedetto XIV l'opera sui Segretari papali, con l’intento di conseguire appunto l'ufficio di Segretario de’ Brevi a’ Principi, rimasto vacante per la morte di Gio. Vincenzo Lucchesini; e soggiungono, che la speranza gli andò fallita; avendo, in premio della dedica, ottenuto soltanto la mo- “ “ (1) Zaccaria, Storia letteraria d'Italia; VII, 817. (2) Fasronit, Vitae italorum doctrina excellentium; VII, 106. (3) Lettere al P. Gio. Domenico Mansi della Congregazione della Madre di Dio, autografe nella R. Bi- blioteca Pubblica di Lucca, cod. n° 1974. (4) Puruippr Bonamicir, De claris pontificiarum litterarum scriptoribus ad Clementem XVI Pont. Max. editio altera multo auctior atque emendatior, Romae, 1770. Excudebat Marcus Palearini, Praesidum permissu; in-8° di pp. 355, non compresa la lettera dedicatoria. (5) Novelle letterarie pubblicate in Firenze l'anno MDCCLXXI; Il, 25 e segg., 117 e segg., 164 e segg., 245 e segg. i (6) Lettere al P. Gio. Domenico Mansi, autografe nella R. Biblioteca Pubblica di Lucca, cod. n° 1974. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 0) desta carica, creata a bella posta: per lui, di sostituto all'ufficio stesso, il quale toccò invece, prima a Gaetano Amati di Sanseverino, poi a Tommaso Emaldi di Lugo (1). La cosa non ha fondamento nel vero. L’opera uscì fuori nel ‘53, nove anni dopo morto il Lucchesini, e prima assai del ’53 il Buonamici già era stato da Benedetto XIV eletto Sostituto, e l’Amati nominato Segretario. Nè l’Emaldi fu chiamato in luogo dell’Amati (il quale cessò di vivere nel ’59) da papa Lambertini, bensì da Clemente XIII, che poi all’Emaldi (mancato nel ’62) dette per successore il pistoiese Michelangiolo Giacomelli. È fuori d’ogni dubbio che il Buonamici aspirasse al Segretariato fin da quando morì il Lucchesini, e che fortemente gli rinerescesse di vedersi posposto all’Amati, a suo giudizio, “ non admodum quidem in latine scribendo elegans, sed multae homo probitatis ae dili- «“ sentiae , (2). L'opera fu dunque dettata, o per pigliar vendetta dell’umiliazione sofferta, facendo manifesto il proprio valore, o per mettersi in vista e accaparrarsi: un qualche di- ritto a conseguire l'intento a suo luogo. Clemente XIII non fece conto alcuno del libro; due volte gli si porse l'occasione di appagare l’onesto desiderio del Buonamici, e due volte si lasciò sfuggire di mano quest'occasione. Qual ne fu la causa? Stando al Fabroni (legato d'amicizia grande col Buonamici e vissuto in famigliarità seco), fu la sua lingua, ch'era pronta e mordace; fu la sua facilità d’accusare i potenti e di parlarne con troppa libertà (3). È certo che la fortuna gli voltò in Roma per lunghi anni le spalle, e forse non gli avrebbe sorriso mai, se non saliva sul soglio pontificio Clemente XIV; l’unico Papa che abbia fatto stima di lui e l’abbia beneficato. Eppure (com’è tristo il cuore dell’uomo!), al Buonamici toccò la bella ventura di dire in S. Pietro le lodi del suo morto benefattore (4); e le disse, ma senza che il fuoco della riconoscenza gli scaldasse il petto: parve un pilota navigante tra gli scogli e le secche, pauroso a ogni istante che gli si arreni la nave, o gli vada a picco. Perfino il marchese Cesare Lucchesini, che non sentiva grande tenerezza per la me- K moria di papa Ganganelli, è costretto a giudicare quest’orazione “ meno pregevole , delle altre, “ non per le parole, bensì per le cose , (5). Per più anni servì la patria come semplice incaricato d’affari, senza rimunerazione di sorta, ed ebbe il titolo e lo stipendio soltanto nel 1754, in premio della destrezza con la quale riusdà d’ottenere da papa Lambertini un privilegio, che stava grandemente a cuore alla Repubblica: la facoltà di presentare tre soggetti idonei, a ogni sede vacante, tra’ quali dovesse scegliersi il nuovo arcivescovo di Lucca. Nella bolla, che porta la data de’ 26 maggio di quell’anno, il Pontefice fa onorato ricordo del Buonamici, dicendolo suo “ familiarius... “ apprime carus et probatus , e uomo “ certe diligens , nel trattare i negozi de’ Lucchesi. La minuta di questa bolla fu stesa dal Buonamici stesso, per commissione del Papa; ed è da credere che quelle lodi ce le volesse espressamente Benedetto XIV, o che da altri ve le facesse aggiungere. L’Offizio sulla Giurisdizione, nel presentarla al Consiglio Generale, il 31 del mese stesso, soggiungeva: “ Dobbiamo tutto questo a quel parzialissimo amore, che “ il regnante Sommo Pontefice ha nutrito ed a noi dimostrato sempre con segnalati favori, “ anzi lo riconosciamo per un vero effetto di tal sua benevolenza, com'è altresì effetto di “ parziale distinzione e riguardo verso l’ab. Buonamici l'avere egli a lui commesso, a lui € suddito della Repubblica e della medesima può dirsi Ministro, l'estensione della bolla... (1) Fasronn, Vitae italorum doctrina excellentium; VII, 106 e seg. MoxrecatINI, De vita Philippi Bonamicii commentarius; p. XXV e seg. (2) Prrippr et CasrruceI frafrum Bownawicioru» opera omnia; I, 255. (3) Fasronu, Vitae italorum doctrina excellentium; VII, 109. (4) Oratio in funere Clementis XIV p. m. habita in Basilica Vaticana IV nonas octobris MDCCLXXIV; in Pamiepi ef Castruccn fratrum Bonamicroro» opera omnia; II, 114-130. (5) Lucc®esisi, Storia letteraria del Ducato Lucchese: Il, 189. 6 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. “ Lab. Buonamici poichè ha date in questo affare nuove riprove non meno del suo zelo, che « della sua attività e talento, merita le dimostrazioni della pubblica riconoscenza; nè cre- x diamo che l’Ecc.®° Consiglio possa farneli godere più propriamente, anche con pubblico “ vantaggio, che destinandolo Agente a quella Corte... Questa elezione abbiamo riscontri ‘ che possa esser gradita allo stesso Sommo Pontefice, che ancora nell’anno scorso, nella ‘ sua lettera particolare all’EE. VV. per la esenzione degli Oratorii dalla immunità, assai ‘ chiaramente ci rimostra con qual occhio di benignità e di clemenza riguarda questo sog- * getto, suo famigliare. Ed essendovi, pur troppo, altri gravi affari da trattarsi in Roma, “non sarà che utile l’opera del Buonamici, assai ben veduto dall’Em.®° Segretario di Stato ,. Il Consiglio lo nominò Agente “ per tre anni ,; e fu favore segnalatissimo, non apparte- nendo all'ordine patrizio (1). Succeduto a papa Lambertini il Rezzonico, che prese il nome di Clemente XIII, uomo scarso d’ingegno, dato per intiero alla pietà e tenacissimo sosteni- tore d’ogni prerogativa della Curia, la Repubblica ebbe a ingaggiare una lotta fierissima con lui, nella quale il Buonamici spiegò molta energia e mise in opera l’usata destrezza. Venuto a morte nel 1761 l'arcivescovo Palma, la Signoria di Lucca, usando del privi- legio concessole da Benedetto XIV, propose a succedergli l'illustre erudito Gio. Domenico Mansi, della Congregazione della Madre di Dio, il P. Martino Trenta, dell'Ordine de’ Serviti, e Vincenzo Francesco Torre, priore della chiesa di S. Pietro Maggiore. La scelta di Cle- mente XIII cadde su quest’ultimo; uomo affatto rovinato di salute, digiuno di studi, tardo di testa e pienissimo di vanità; che dai Consiglio era stato posto nella terna per l’astuto intrigare del suo fratello Bernardino, in quel tempo Anziano surrogato; e a Roma la vinse per la protezione dell'arcivescovo di Pisa, del quale era Vicario foraneo, e per il molto maneggiarsi d’alcuni parenti, che là dimoravano (2). Il Papa, per suggerimento del cardinal Torrigiani, suo Segretario di Stato, che ne padroneggiava l'animo, stabilì di gravare la mensa arcivescovile di Lucca dell’annua pensione di cinquecento scudi, a favore di monsignor Cenci, suo protetto. Ed essendosi il Torre recato a Roma, dove doveva ricevere la conse- crazione il 21 di aprile, e presentatosi al Torrigiani, questo gli manifestò l’intenzione del pontefice, soggiungendogli che bisognava piegasse il collo, altrimenti non sarebbe stato unto arcivescovo. Molte e buone ragioni avrebbe avuto il Torre da mettere in campo per seon- giurare la tempesta, e principale e più soda di tutte le scarse entrate della mensa, che in nessun modo sì potevano scemare; di corto cervello, com'era, scelse la peggiore ; disse chiaro e tondo che, in quanto a lui, avrebbe accettato volentieri qualunque pensione, anche gra- vosa, ma che aveva le mani legate, giacchè la Repubblica non voleva saper nulla di questa pensione. Il Papa ne fu oltremodo indignato, e gli fece significare non si presentasse all’esame cogli altri vescovi, attendesse. Al Buonamici poi, andato da lui, per prima cosa gli disse: “ Adunque li vostri Signori e la vostra Repubblica vogliono conculcare S. Pietro? ,. Replicò l’accorto diplomatico: essere stata sempre la Repubblica figlia obbediente della Chiesa, ma avendo un successore di S. Pietro conferito ad essa la facoltà di proporre da per sè l’arci- vescovo, era in virtù di questo privilegio divenuta giuspatrona della mensa, e per conse- guenza non poteva permettere fosse aggravata di nuove pensioni. Il Papa gli troncò la parola con rispondergli, che nella bolla si parlava della nomina, non già di giuspatronato; (1) Consiglio Generale; reg. 423, c. 71 e seg. (2) Quando il Consiglio Generale era intorno a formare la terna, girò per Lucca una pasquinata, dove, ad ognuno de’ candidati possibili, ch'erano in buon numero, si applicava, con molta arguzia, un versetto della Bibbia. Al Torre fu appropriato: Sive în corpore nescio, sive extra corpus, nescio Deus scit (S. Paul. 2 ad Cor. cap. XII, v. 2); e al Mansi: Sicut umbra cum declinat ablatus sum (Ps. v. 23); e al Trenta: Prudentem, ornatum, pudicum, hospitalem, doctorem (S. Paul. ad Timot. cap. III, v. 2). Il Mansi ebbe 75 voti, il Torre 73, e il Trenta 70. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. Yi e bruscamente lo licenziò. Il Torre, cagione colla sua leggerezza e imprudenza della bur- rasca, per salvarsi le spalle, rovesciò ogni colpa sul Buonamici: nè mancarono amici suoi, che spinsero la perfidia fino ad accusarlo d’infedeltà nel disbrigo dell’ufficio. La calunnia fu presto sventata, e chiarita l'innocenza del Buonamici. Il Consiglio proibì al Torre di più oltre immischiarsi in quella faccenda; e temendo che per la sua goffaggine potesse intorbi- dare maggiormente le acque, gli comandò di tornare a Lucca. A Roma, il richiamo del Torre dette assai da dire; nè le satire mancarono di pungerlo. Fu raffigurato Pasquino con una lanterna in mano, e, presso di lui, Marforio, che gli domandava: — Chi cerchi? — L’arci- vescovo di Lucca, — replicava l’altro; e Marforio, di rimando: — Che non lo sai? è andato in fumo! — (1). Al Buonamici restò la grave soma di dipanare l’arruffata matassa. A Roma e altrove, per conto della Repubblica, fu sentito il parere de’ più valenti teologi; ebbe da Torino il voto d’aleuni famosi giureconsulti: e tutti si-accordarono nel riconoscere che la bolla di papa Lambertini, accordando ai Lucchesi il diritto della nomina, veniva a farli patroni della mensa, e che senza il loro consenso la Curia di Roma non poteva gravarla di pensioni. Dopo un lungo contrasto si venne a un accomodamento tra le due parti. Oltre la pen- sione di circa seicento scudi, che già da più tempo pesava sopra le rendite arcivescovili, ve ne furono imposte due nuove: una di cento quaranta scudi a favore dell'Ospedale della Misericordia di Lucca e un’altra di cento sessanta scudi, da conferirsi a suo piacere dal papa. Alla Repubblica restò accordato il privilegio, che godevano varii altri Stati, di vedere in perpetuo uno de’ propri sudditi insignito della carica d’Avvocato Concistoriale; magro compenso, senza dubbio, all’ingiustizia patita, ma quanto di meglio e di più largo era dato strappare da un uomo testardo come il Torrigiani e da un Pontefice per nulla conciliante e rigidissimo come Clemente XIII. L’Offizio sulla Giurisdizione rese giustizia al Buonamici (al quale apparteneva il merito, che certo non era piccolo, d'aver salvato la dignità della Repubblica), e di lui così parlava al Consiglio: “ Questo abile Ministro sono omai da tre anni circa che sta in un continuo “ incessante movimento ed azione... Lunghe e replicate udienze e abboccamenti e dispute © ha sostenute con intrepidezza, or col Papa, ed or coll’Em.®° Segretario di Stato, sempre * inflessibili sul punto principale della giustizia, e con altri Cardinali ancora, Ministri esteri “e personaggi di distinzione, or per favore, or per consiglio, e spessissime volte per ponerli “ al giorno dello stato della causa. A questo effetto specialmente ha dovuto comporre lunghe e ragionate scritture e promemorie, latine e volgari, con quella forza, chiarezza ed elo- quenza, che ben potea aspettarsi dal suo noto talento. Numeroso e continuo è stato il carteggio tenuto col nostro Cancelliere sulla materia; esatta la esecuzione delle istruzioni per parte nostra avanzategli, le quali talvolta sono state da lui migliorate sul campo, a tenore delle circostanze e della sua prudenza e accortezza. Il zelo poi e accortezza, col quale ha promosso e sostenuto le pubbliche ragioni in una controversia troppo delicata e interessante la Corte di Roma, tale è stato e tanto, che non solo ne li sono derivate odiosità e malevolenze, ma veri danni e disvantaggi, con grave pregiudizio dei suoi inte- ressi economici, essendosi il Papa stesso espresso non doversi avanzare nè remunerare un luechese, che con tanta franchezza impugnava i diritti della Sede Apostolica , (2). (1) Compendio storico della nomina ed elezione dell'Arcivescovo di Lucca, accaduta nella persona del signor Don Vincenzo Torre, patrizio lucchese, Priore di S. Pietro Maggiore, Dottore del’una e V'altra Legge, Esami natore di più Congregazioni, Vicario Foraneo dell'Arcivescovo di Pisa, Provicario Generale di tutta la Diocesi di Lucca, Conservatore delle MM. di S. Giustina, Protettore delle MM. Cappuccine, ecc., descritto da RimAarorTE Ateizzisi Aueusrano, 1762; ms. nella Libreria del R. Archivio di Stato in Lucca. (2) Offizio sulla Giurisdizione; reg. 13, part. I, e. 188 £. GIOVANNI SFORZA: — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. (0.0) L'Offizio proponeva quindi al Consiglio che in premio e in compenso gli venisse accor- data una remunerazione in danaro; ma il Consiglio rifiutò di concedergliela, e fu un atto di vera ingiustizia, giacchè l’accomodamento, prima che venisse stipulato tra le parti, era stato appunto lungamente discusso e approvato dal Consiglio stesso, che in tal modo se ne fece solidale; e se questo accomodamento sembrava amaro e non finiva di soddisfare alla Repub- blica, non poteva per niente incolparsene il Buonamici, che tutto aveva sacrificato per lei, senza punto badare a sè. L’anno dopo, lusingandosi che gli sdegni fossero sbolliti, il nostro Agente presentò un'istanza alla Signoria, implorando “ gli effetti della pubblica munificenza per il servizio “da lui reso, alla Corte di Roma, in diversi affari di pubblico interesse, e specialmente “ nell’ultimo trattato per le pensioni ,. Anche questa volta l’Offizio sopra la Giurisdizione con calde parole prese a proteggerlo, così chiudendo una lunga relazione a favore di lui: “ Non ha dubbio che il suo zelo in detta causa e l'impegno per l’interesse pubblico non gli “abbia demeritata la grazia e la benevolenza del S. Padre, e conciliata all'incontro la sua “ indignazione e quella di tutto il Ministero. Certa riprova fu la perdita di una carica lu- “ crosa, toltagli quasi di mano, perchè a lui dovuta e promessa , (1). Il Consiglio, ricredu- tosi, gli accordò una gratificazione di cento cinquanta scudi (2). Con due lettere del 18 febbraio e del 4 marzo 1769, il Buonamici metteva in vista alla Signoria “ le gravi spese straordinarie che gli conveniva soffrire, sì per la necessità di “ spesso prevalersi della carrozza per andare ai pranzi dei Ministri, ai quali era chiamato “ come Ministro della Repubblica, come ancora per le mancie che due volte l’anno gli con- “ veniva dare ai servitori degli Ambasciatori, dei Ministri, dei prelati e dei Cardinali in “ carica, accresciute allora del doppio di quello fossero in addietro ,. L’Offizio sulle Diffe- renze, considerando che tutti gli altri Agenti della Repubblica, “ benchè provveduti di “ maggiore assegnamento, conseguivano ogni anno il rimborso delle spese straordinarie ,, propose che per l'avvenire anche al Buonamici fosse usata questa larghezza. La cosa, per altro, restò lì; ed esso, con una nuova lettera del 1° aprile, chiese “ un qualche aumento di “ stipendio ,. L'istanza venne caldeggiata dall’Offizio sulle Differenze, che fece la proposta di accrescerglielo di sessanta scudi l’anno; alla qual somma appunto ascendevano le sue spese straordinarie; e, trattatosene in Consiglio, fu vinta (8). Frattanto salì al pontificato fr. Lorenzo Ganganelli, che sempre aveva dimostrato stima e benevolenza grande per il Buonamici; e che non tardò a dargli una prova manifesta della fiducia che aveva in lui, con nominarlo suo Cameriere segreto e conferirgli la carica, così a lunga sospirata, di Segretario de’ Brevi a’ Principi e “ l’incumbenza di stendere le risposte «“ per la S. Congregazione del Concilio alle relazioni de’ Vescovi , (4). Si affrettò esso a darne parte alla Repubblica, che ne fu lieta, e ne porse grazie al nuovo pontefice; il quale, per altro, insieme col Segretario di Stato, forzò il Buonamici a rinunziare l’ufficio d’Agente, assegnandogli però un compenso, per lo scapito che veniva a soffrire. Nell’adunanza del Consiglio generale de’ 30 di giugno fu data comunicazione della ri- nunzia del Buonamici, e restò affidato all’Offizio sopra le Differenze l’incarico di proporre quello che avesse giudicato più opportuno (5). Di fatti, congregatosi il Consiglio il 7 di luglio, l’Offizio, con una lunga relazione, esponeva essere “ regrettabile invero... una tal dimissione, (1) Offizio sulla Giurisdizione; reg. 13, part. II, c. 6. (2) Consiglio Generale; reg. 242. e. 50 t. (3) Offizio sulle Differenze; reg. 158, c. 24 t. e seg. (4) Anziani al tempo della libertà. Copiario delle lettere; reg. 568, part. II, c. 76 t. (5) Consiglio Generale; reg. 246, c. 122 t. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 9 “o sì riguardi l'abilità, talento e zelo di cui è fornito monsig. Buonamici... o si riguardino “le circostanze presenti nelle quali si ritrova la Repubblica con la Corte di Roma, che “ rendevano più che mai opportuna l’opera del Buonamici ,; del quale faceva una pittura molto lusinghiera, lodandone “ l’attività ,, dicendolo “ istruito del carattere ed indole de’ Ministri di quella Corte e delle vie e mezzi da tenersi nel disbrigo de’ negozi, e in “ estimazione ed amicizia... presso i Ministri esteri colà residenti ,. Vedeva però con “ com- “ “ piacenza e piacere , il suo “ avanzamento ,, che lo metteva in grado “ di vie più esser “ giovevole alla Repubblica co’ suoi buoni uffici e con maggior profitto, essendo per ragione “ della carica di continuo agli orecchi del papa ,; e appunto per questo proponeva al Con- siglio d'usare gli atti “ di sua munificenza , verso “il fedele Ministro ,, con accordargli una gratificazione di cinquecento scudi; tanto più, che essendo spirata la sua condotta, ser- viva esso da circa due mesi senza stipendio. Insisteva poi perchè siffatta somma gli venisse conceduta senza scemarla, avuto soprattutto riguardo che doveva servire “ di un testimonio “ appresso il S. Padre del piacere che ha provato la Repubblica nella promozione di questo « suo suddito ,. Mandato il partito per approvarlo, andò perduto, e il Gonfaloniere ebbe a dichiarare che la maggioranza de’ congregati, per meglio dimostrare al Buonamici il gradimento della patria, desiderava che “ alla gratificazione in danaro si aggiungesse il dono della nobiltà che in considerazione del lungo e fedele “« «“ per la sua persona ,. Fu pertanto decretato “ servizio prestato da mons. Filippo Maria Buonamici in qualità di Agente della Repubblica « presso la Santità di N. Signore, il medesimo prelato s’intenda creato nobile di questa “ città, ed inoltre se gli intenda fatto donativo di scudi cinquecento, compreso in tal somma “lo stipendio dovutogli per mesi due , (1). La Repubblica, per conseguenza, invece di rega- largli cinquecento scudi, gliene dette soltanto quattrocento cinquanta; miserabile risparmio, che scema in gran parte il merito della liberalità usata, e rivela la natura gretta e tac- cagna di que’ governanti. ; Il Buonamici cessò di vivere in Roma il 13 novembre del 1780 (2). Da una lettera, scritta appunto da Roma, l’11 di quel mese, da Paolo Antonio Paoli, tolgo il seguente brano, che riguarda la sua ultima malattia: “ Fra le nuove dispiacevoli di questa città e “ luttuose per la nostra nazione si è la perdita che stiamo per fare di monsig. Buonamici, “ gravemente infermo, anzi ridotto quasi agli estremi momenti di sua vita. Esso muore di “ un male che non si era mai temuto in lui, che piuttosto è stato sempre minacciato nella “ testa. Domenica scorsa fu a mezza mattinata fatta da lui ricerca d’un sacerdote che teneva € per segretario. Questi, nel volerlo chiamare, si trovò, a mezzo della stanza, già da più ore (1) Consiglio Generale; reg. 246, c. 123 e segg. (2) L'ultimo lavoro che il Buonamici mise alle stampe fu: De vita et rebus gestis ven. servi Dei Inno- centii XI pont. max. commentarius, Romae, MDCCLXXV, ex typographia Marci Palearini, Praesidum per- missu; in-8° di pp. xx-6 n. n.-160. Monsig. Fabbroni [Giornale dei Letterati, di Pisa; XXIII, 266] nell’annun- ziarne la pubblicazione, dice che il Buonamici “è tra que’ pochissimi scrittori latini che fanno onore al “ secolo e che illustrano con elegante maestà gli argomenti che prendono a trattare ,. Conchiude: * Piacesse “a Dio che avessimo molte di siffatte vite, scritte con eleganza di stile, con nobiltà di pensieri e con quella “ libertà che si può sperare da uno scrittore che espone in Roma le azioni di un Papa, e che si è proposto “ di essere in tutto e per tutto l’apologista del suo eroe ,. G. B. Montecatini raccolse tutti gli scritti, in prosa e in verso, così italiani, come latini, di Filippo Maria, e li stampò a Lucca nel 1784, co’ torchi di Giuseppe Rocchi, in due volumi. Oltre gli seritti ricordati nelle note precedenti e in questa, contengono: Epistolue, Carmina, Inscriptiones e Rime. Nelle Novelle letterarie pubblicate in Firenze Vanno MDCCLXXVI (VII, 250 e seg.) si legge un’ epi- stola latina scritta dal Buonamici, a nome del pontefice Pio VI, al P. Bruno delle Scuole Pie, sfuggita al diligente editore Montecatini. 30 10 GIOVANNI SFORZA .— PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. ‘ morto. Un simile accidente sconturbò l'animo di Monsignore, che volendo trovar la cagione ‘ di tal morte repentina, fece molte interrogazioni a quei di casa, ed avendo inteso che il ES sacerdote si lagnava da due giorni di una inusitata stitichezza, entrò Monsignore nell’ap- ‘ prensione di dover soffrire qualche danno per trovarsi esso ancora con l’istesso incomodo. ‘ E non essendo stati bastanti i consueti ordinari rimedi, s’ostinò d’ottenere l’intento con i degli sforzi straordinari, che continuò per ore, con una smania che ha dell’ineredibile, fino a precipitarsi nel basso ventre. Tutti i possibili fomenti e rimedi non potettero giovare per situarli le viscere al luogo loro, onde si venne all'operazione del taglio, che rius@ felicemente, e gl’'intestini ripresero la loro sede; ina, forse maltrattati, convien dire che abbiano contratta l'infiammazione, essendosi sempre più aggravato l’infermo. Il suo stato alle ore 23 era pessimo. Continuazione di singhiozzo e qualche volta di vomito, prostra- zione di forze e polsi bassi e che andavano a mancare. Aveva già ricevuti tutti i soccorsi spirituali, e stava di mente serena e di animo rassegnato e tranquillo. Tutta Roma li fa giustizia per la perdita d'un bravo scrittor latino e che non potrà agevolmente rimpiaz- zarsi , (1). (1) Magistrato de’ Segretari. Scritture, filza 166. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 6. Il ° DISPACOI INEDITI DI MONSIG. FILIPPO MARIA BUONAMICI AGENTE DELLA REPUBBLICA DI LUCCA PRESSO LA CORTE DI ROMA Conclave di papa Rezzonico. 13 maggio 1758. In questi novendiali sì sono fatte nella Sagrestia di S. Pietro le congregazioni da tutto il Sacro Collegio de’ Cardinali qui presenti; e per la dissenzione, ehe si è risaputa, de’ partiti in alcune elezioni di officiali del Conclave, si conosce già d’ora che o il Conclave sarà assai lungo, ovvero si farà l’elezione, come per deposito, di un vecchio, che potrebbe anche essere il sig. cardinal Guadagni, uomo santo, gran limosiniere e universalmente amato e stimato. Peraltro, i Cardinali sem- brano divisi in due parti: zelanti e facili. Questo è certo, che la Francia (e a me stesso lo ha detto questo sig. Ambasciatore) non soffrirà mai che sia eletto un cardinale troppo attaccato alla famosa costituzione, che ha suscitato tanto fuoco nella Francia. Non si sanno finora i capi de’ partiti, ma pare che debbano essere il cardinale Alessandro Albani ed anche il cardinal Corsini, come più pratici del Conelave, giacchè le creature dell’ultimo defonto Pontefice sono disperse e senza capo. Questa mattina finiscono l’esequie e lunedì si canterà la Messa dello Spirito Santo, dopo la quale entreranno in Conclave. 20 maggio 1758. Lunedì 16 del corrente si chiusero i sigg. Cardinali in Conclave al n° di 27, essendo rimasti fuori, per ragione di poca sanità, gli Em. Passionei, Mesmeri e Bardi; ma questi entra in quest’istessa sera. Bello fu il vedere il medesimo Conelave illuminato, co sigg. Cardinali, che ciascuno, sulla porta della propria cella, riceveva le visite della prelatura tutta, principi e nobiltà ro- mana, fino alle ore tre della notte, quando fu chiuso al di dentro dall’Em.r° Camarlengo e al di fuori dal Maresciallo del Conclave, che è il sig. Principe Chigi. In questi pochi giorni del Conclave, benchè molte sieno state le ciancie, nulla si è risaputo di certo e di vero degli scrutinii, ma ben si sa che aspetteranno i cardinali francesi, dai quali dipenderà molto l’elezione; tanto più che il cardinal tedesco dicesi aver ricevuto ordine dalla sua Corte di unirsi pienamente co’ sentimenti della Francia. Il sig. car- dinal Delle Lanze siunse in Roma la sera medesima che i sigg. Cardinali entrarono in Conclave, dove subito entrò pure egli medesimo. Si dice che il Senato Veneto abbia pregato l’'Em.®° Delfino di por- tarsi all’elezione del Papa, benchè gl’incomodi dell’età e della salute lo avessero fatto risolvere di non venirvi. 27 maggio 1758. Domenica prossima passata questo sig. Ambasciatore della Repubblica di Ve- nezia, in forma pubblica, con quattro mute e dodici carrozze, portossi all’ udienza del S. Collegio in Conclave, donde fu aperto il solito sportello per l’udienze degli Ambasciatori, e fatte le consuete genu- flessioni, presentò la lettera del Doge, latina, che fu letta ad alta voce dal Segretario, e poi Sua Eccel- lenza il sig. Ambasciatore fece un breve discorso italiano, nel quale, a nome della Repubblica, offerì al Sacro Collegio tutti gli aiuti e favori per la sicurezza del Conclave; pregando, in fine, a dar presto alla Chiesa un pastore mansueto e facile, come il passato. A questo discorso rispose, con molta dignità, il sig. cardinale Guadagni, ch'era quel giorno il Primo Capo d’Ordine, e finì che sperava che Iddio dasse lume ai sigg. Cardinali per poter eleggere un Papa che sapesse con forza e vigore sostenere i diritti della S. Sede. Questa risposta è stata molto applaudita da tutta Roma, e se non fosse che il medesimo sig. cardinal Guadagni è troppo avanzato d’età, certo che sarebbe Papa a comune desiderio e voce di Roma. Degli scrutini del Conclave non si sa niente di certo, e tutto ciò che si sparge è falso ed insus- sistente. Si sa che le cose passano con molta armonia e convenienza, ma che per adesso non si pensa 12 GIOVANNI SFORZA. — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. a fare il Papa, aspettandosi i Cardinali francesi, che, secondo le notizie dell’ultimo corriere, sono partiti di Parigi ai 15 del corrente mese. Il sig. cardinal Rodt è stato chiamato a Vienna per ricevere le istru- zioni da quella Corte, prima di venirsene nel Conclave. Sono arrivati molti equipaggi de’ sigg. Cardinali italiani, i quali saranno qua nell’entrante settimana. Questo sig. Ambasciatore di Francia ha rinnovato le sue istanze al Sacro Collegio, per mezzo del sig. cardinal Portocarrero, di aspettare i Cardinali na- zionali per l’elezione del futuro Pontefice. 3 giugno 1758. In questa scorsa settimana sono arrivati in Roma i sigg. cardinali Rezzonico, Mal- vezzi, Crescenzi, Serbelloni, Banchieri e Sersale, arcivescovo di Napoli, alcuni de’ quali già sono entrati in Conclave, e altri entreranno oggi, o domani. Non v'è stata cosa rimarcabile, se non la ripulsa, quasi a pieni voti, data dal Sacro .Collegio ad uno de’ conclavisti del sig. cardinal Malvezzi, cioè al canonico Bolognini, dichiarata dell’E. S. Maestro di Camera subito dopo la morte del Papa; e ciò sul motivo che la Bolla dispone che il conclavista debba essere stato al servizio del cardinale, che vuol condurlo in Conclave, almeno un anno. Questa cosa ha fatto vedere che vuolsi una rigorosa osservanza delle Bolle, e che perciò il partito de’ Cardinali, che chiamano rigoristi, si fa sempre più maggiore. Domani si aspetta il sig. cardinale Luynes, il quale ha il segreto della Francia, e dopo la venuta del quale si comincerà da vero a trattare dell’elezione del Papa, giacchè si calcola che i francesi, attesa. l’unione degl’imperiali, abbiano come ligi ventisei voti, e che però essi faranno il Papa. Della venuta del car- dinal Rodt, tedesco, non se ne parla, anzi se ne dubita, e ciò per mancanza di danari. Intanto si è risaputo che sia stato destinato Ambasciatore di S. M. Cesarea al Conclave il sig. marchese Clerici di Milano, il quale verrà quanto prima, avendo, per ciò che dicesi, preso a cambio scudi cinquantamila, per mettersi all'ordine di questa solenne ambasciata. E dicesi altresì che possa rimanere Ambasciatore dell'Imperatore al nuovo Pontefice, il quale potrebbe forse anch’essere un suo zio, cioè il sig. cardinale Archinto, di cui sì parla molto e non senza fondamento. Mi dimenticai nel passato ordinario significare l'elezione del generale de? PP. Gesuiti nel P. Ricci, fiorentino; ma l'aspettativa della grande elezione del Papa non dà luogo di pensare e di parlare delle altre minori, 10 giugno 1758. Domenica passata entrarono in Conclave gli Em. sigg. cardinali Serbelloni, Stoppani, Banchieri e Crescenzi. E incredibile intorno alla carrozza di quest’ultimo l'applauso e il con- corso del popolo romano, che lo accompagnò fino al Conclave co’ lieti viva, e con voci, delle quali egli mostrò gran dispiacere e che di quando in quando si sentivano: Questo volemo Papa. Egli è certamente uno de’ più degni candidati che vi sieno; ma potrebbe forse ostargli la gioventù che mostra, nel volto, anche più fresca della sua medesima età, che oltrepassa gli anni sessanta. Nello stesso giorno, incon- trato con due mute da questo sig. Ambasciatore di Francia fuori della Porta Flaminia, qua pervenne il sig. cardinale Luynes, arcivescovo di Sens, che dicesi avere il segreto di quella Corte; e la medesima sera accolse con infinita gentilezza, tutta propria di quella nazione, le visite di questa prelatura e nobiltà. Dopo la di lui venuta si è scoperto un gran maneggio, che dicesi esservi, perchè sia eletto Papa il sig. cardinale Archinto. Madama di Parma, presso cui è la sorella d’esso sig. Cardinale, ha fatto l’im- pegno della Corte di Francia; e la scelta in Ambasciatore di S. M. Cesarea al Conelave del marchese Clerici, di lui nipote, fa credere che le mire della Corte di Vienna collimino al medesimo fine. Egli, nel breve tempo del suo Segretariato di Stato, ha dimostrato molta prudenza, cognizione degli affari, dolcezza nel tratto, riguardo verso i Principi, ec. Con tutto ciò, molti affermano che non possa riuscire e per l’età e per la moltiplicità de’ nepoti, che contano fino al numero di settanta, e la maggior parte poveri, e per altre cose, per cui non si sanno indurre che i zelanti sieno per concorrervi. Io poi ag- giungo, che questa sera ho risaputo da buona parte, che questa voce è formata più fuori del Conclave, che nel Conclave, e che, risaputasi là entro, ha allarmato i partiti in modo, che il medesimo sig. car- dinale Archinto ha mostrato dispiacere della medesima voce. Giovedì entrò in Conclave il medesimo sig. cardinale Luynes, e ieri giunsero i sigg. cardinali l’ar- civescovo di Milano e quello di Turino. Il sig. Agente della Repubblica di Genova portossi l’altro giorno alla rota del Conclave e significò a Monsig. Segretario del S. Collegio che la sua Repubblica non aveva ricevuta la lettera di partecipa- zione della morte del Papa, onde non si maravigliasse se non aveva risposto. Ma Monsig. Antonelli MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 15 disse che la lettera era stata mandata, ma non ricevuta, e che avrebbe significato al S. Collegio questo nuovo contegho della Repubblica. Il vero è che la Repubblica pretende un trattamento diverso dall’an- tico, che non crede convenevole al suo decoro ne’ tempi presenti. Giovedì sera è qua arrivato un corriere di Francia, che ha portato a questo sig. cardinal Colonna di Sciarra la lieta nuova che S. M. Cristianis- sima lo ha eletto Protettore delle chiese di Francia. Questa Protettoria, che dopo la morte del sig. car- dinal Tencin era stata ambita da molti, è stata conferita a questo Cardinale per maneggio del sig. Am- basciatore Heinville e del Senatore di Roma. Il fruttato di questa Protettoria ascende a dodicimila scudi romani. Si è saputo come il sig. cardinale Saldagna, portoghese, ha spiegato e pubblicato il carattere di Legato e Visitatore Apostolico sopra tutte le case de’ Gesuiti, che sono negli Stati di S. M. Fedelissima; e ciò per un Breve segretissimamente spedito dal passato Pontefice, in vigore del quale se gli danno ampissime ed illimitate facoltà di riformare, annullare, rinnovare le loro costituzioni, consuetudini, ecc. Questa cosa, come nuova, e senza esempio in quella Religione, è paruta assai strana e spiacevole al novello Generale ed a tutti i Padri, ma converrà soffrirla in pace, perchè procurata dal Ministero di quella Corte, troppo disgustata de’ Gesuiti per gli affari del Paraguay. 17 giugno 1758. La Protettoria della Francia, conferita al sig. cardinale Prospero Colonna di Sciarra, dicesi che sia stata come il pomo della discordia nel Conclave; perchè alcuni mal soffrono di vederlo come capo del partito francese, e però atto a distruggere i progetti e le idee di molti. Infatti si è saputo ch’egli, unito in ciò al sig. cardinale Passionei, siasi dichiarato contrario al progetto, che vi era, di elesger Papa il sig. cardinale Cavalchini; e ciò perchè è stimato troppo attaccato ai Gesuiti, lo che apparve nella causa del ven. Bellarmino, della quale fu ponente e relatore; causa che è contra- riata dal Parlamento di Francia, per quella proposizione che il Bellarmino difese della potestà indiretta che ha sopra i Principi il Papa, anche nel temporale. Oltre a ciò, essendo il Cavalchini suddito del Re di Sardegna, è agevol cosa il credere che nelle presenti circostanze non possa aver favorevoli nè i francesi, nè gli austriaci. Anche il progetto di far Papa il cardinal Archinto dicesi affatto distrutto dal partito dei tornare a risorgere. Ma se è vero che i zelanti, cioè i vecchi, lo contrariano, non è così facile che si zelanti, ma v'è opinione che possa, nella lunghezza del Conclave, e dopo la prova di molti altri, [e] rimuovano dal primiero sentimento, e molto meno che si lascino vincere dal tedio e dalla lunghezza del Conclave, essendo più atti a soffrire dei giovani. Intanto nel Conclave si è preso il partito di aspet- tare il sig. cardinal Rodt, il quale dicesi che abbia avuti nuovi ordini dalla Corte di Vienna di affrettare la sua venuta, e già dicesi partito fimo dai 5 del corrente. In questa settimana sono venuti ed entrati în Conelave i sigg. cardinali Durini e Gevres, e questa sera si aspetta il cardinal Delfino, veneziano. Si parla qui d'un matrimonio stabilito tra questo sig. Contestabile ed una figlia del marchese d’Este di Milano; famiglia nobilissima e senza dubbio, in antico, la stessa della Casa sovrana di Modena. Ma la signora ha poca dote, cioè di ventimila scudi, non essendo la primogenita, già maritata, ed a cui deve pervenire la pingue eredità. Ma è bellissima. Questo matrimonio è stato trattato e concluso dall’Em.v° cardinal Doria. 24 giugno 1758. Giovedì prossimo passato dovevamo aver Papa il sig. cardinale Cavalchini, essendo già stata assicurata la elezione di lui con 34 voti; quando i sigg. Cardinali francesi e il sig. cardinale Prospero Colonna, capo de’ medesimi, dichiarò che la Corte di Francia non lo voleva in alcun modo. Non si sa se l'esclusiva fosse data formalmente; ben si sa che il sig. cardinal Lante, uno de’ più in- trinseci amici del sig. cardinal Cavalchini, fu incaricato di partecipare questa esclusiva al medesimo Cavalchini; e si sa altresì, che egli subito s’inginocchiò e ringraziò Iddio, che lo avesse liberato da un peso, che sapeva essere troppo superiore alle sue forze. La mattina poi seguente andò per ogni cella a ringraziare ciascun Cardinale, e specialmente i sigg. Cardinali francesi e Colonna, che restarono edificati della presenza di spirito, tranquillità e rassegnazione con cui ha ricevuto questo colpo. Ho poi risaputo che adesso nel Conclave si comincia a parlare del sig. cardinal Crescenzi, ma i suoi veri amici non volevano che se ne parlasse così presto, perchè l’elezione non suole riuscire felicemente che dopo essere stati gettati giù più partiti, e però non è buona la proposizione de’ soggetti sul principio. Questo è però certo, che i cardinali giovani, annoiati di quel soggiorno, tirano a fare una presta elezione, e però dicesi che neppur vogliono aspettare il sig. cardinale Rodt, che secondo alcuni arriverà nel futuro mar- tedì; secondo altri si crede anche lontano. 14 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. 1 luglio 1758. Mercoledì passato giunse in Roma il cardinal Rodt, vescovo di Costanza, il quale volle il giorno seguente entrar subito in Conelave. Fu osservato che il sig. marchese Crescenzi ebbe con S. E. una lunga conferenza, e che di più il sig. Cardinal dicesse che tra pochi giorni si farebbe il Papa. Ma una più lunga conferenza ebbevi il sig. Ambasciatore di Francia. Si è poi risaputo come il partito francese si è fortificato in modo, che potrà escludere chiunque vorrà, senza por mano a quell’ultimo rimedio che si è adoperato contro il sig. cardinal Cavalchini, contandosi 14 voti ligi dei francesi. Con tutto ciò, il partito contrario fa sempre una mostra di 17 voti, or in uno, or in un altro, e parla molto del sig. cardinal Paolucci, ma non sì crede che riuscirà, perchè è troppo attaccato ai Gesuiti. Quello che sospettano i più illuminati è, che, in apparenza, si parli del sig. cardinal Paolucci, ma in sostanza sì operi per il sig. cardinal Rezzonico. Debbo però ingenuamente confessare, che questi sono tutti ragionamenti aerei, perchè delle cose appartenenti all’elezione non si penetra niente, e solo si sa qualche cosa dal sig. Ambasciatore di Francia, il quale osserva un’infinita cautela nel parlare. Il Ministro del Re di Sardegna e tutti i sudditi prelati di quel Sovrano hanno dimostrato infinito dispiacere dell’esclusiva data al sig. cardinal Cavalchini, il quale però si scopre sempre più dotato d’un animo superiore e franco, non avendo mai tralasciato di andare alle celle de? sigg. Cardinali francesi in quelle sere che fanno conversazione e dispensano magnifici rinfreschi; e le loro sere sono il giovedì e il sabato. Il sig. cardinal Bardi, per timore d’idropisia, è uscito di Conclave e si è portato a Frascati, per ristabilirsi in salute. Uno degli indizi che qualche trattato si stringa, sarà ch’esso sig. cardinal Bardi sia invitato a ritornare in Conclave; come quando si strinse l’elezione del sig. cardinal Cavalchini, fu avvisato il sig. cardinal Mesmer (che anch’esso per infermità sta fuori del Conclave) di entrare nella mattina seguente; nella quale ebbe avviso contrario. Questa sera si aspetta il sig. marchese Clerici, Am- basciatore straordinario dell'Imperatore al Conclave. Domattina il sig. Ambasciatore di Francia porte- rassi, in forma pubblica, all’udienza del S. Collegio. Tutti i sisg. Cardinali godono perfetta salute, eccetto l’Em.»° Mosca, il quale nè iermattina, nè ieri portossi allo scrutinio, essendo incomodato da una diarrea, sempre pericolosa ne’ vecchi. 8 luglio 1758. Già da altra mia, scritta in data dì 6 corrente (1), e consegnata al corriere spedito apposta da questo sig. Ambasciatore di Francia, avrà inteso l’elezione fatta in Sommo Pontefice il me- desimo giorno de’ 6, a ore 22 incirca, del sig. cardinal Rezzonico, vescovo di Padova, il quale essendo creatura di Clemente XII ha voluto esser chiamato Clemente XIII. Fino di martedì sera sì era sparsa voce per Roma di questa elezione, ma mercordì fu trovata falsa; anzi si credè che nello stesso giorno i suffragi mancassero in quel numero in cui si erano veduti innanzi; e da alcuni si tenne per certo che il partito fosse caduto e il sig. cardinal Corsini, che conduceva l’af- fare, si fosse dato per vinto. Quando giovedì, il giorno, i cardinali francesi, temendo di una sorpresa, ed anche per vendicarsi in qualche modo del cardinal Portocarrero, il quale, avendo voluto far Papa Cavalchini contro loro voglia, gli aveva obbligati all’esclusiva, sempre. odiosa; dopo aver ricevuto un biglietto dal sig. Ambasciatore di Francia, mezz'ora incirca prima dello scrutinio del dopo pranzo, an- darono ad offerire i loro voti al sig. cardinal Corsini, il quale, radunati gli altri del partito, che erano 29, fece subito nominare nelle schedole il cardinale Rezzonico (perchè prima non aveva che 7 voti, andando gli altri divisi secondo le mostre che chiamano) onde all'improvviso fu eletto con 81 voti e 15 negativi, contandosi fra questi ancora il suo. : Furono tosto sonate le campane; si gettarono giù i muri e le rote del Conclave, ed io, che quella mattina fortunatamente mi trovava a pranzo presso S. E. Monsig. Maggiordomo, potei penetrar subito nel Conclave e dentro la Cappella dello scrutinio, dove, baciata la mano agli Em.®' Corsini ed Archinto, fui da loro introdotto al bacio del piede, dopo che aveva ricevuta la prima adorazione dai Cardinali, e si pigliava tempo per gettar giù il muro della grande scala onde doveva esser portato in S. Pietro alla seconda adorazione. Mi accolse con infinita clemenza, e dissemi che conosceva me e mio fratello per riputazione. Non ha più che 65 anni, è alquanto curvo nelle spalle, ha viva ancora la madre, e qui ha un nepote prelato e due altri nel Seminario Romano. Il primo è stato subito eletto Segretario de’ Memo-. riali. Il Segretario di Stato è il sig. cardinale Archinto, ma ne’ giorni prima della coronazione, che si (1) Questa lettera è andata smarrita. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E RILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 15 farà da domenica a otto, fa da Segretario di Stato, secondo il solito, il sig. cardinal Corsini, nipote del Papa, di cui è creatura il nuovo eletto. Sono stati fatti Auditor SS. Monsig. Negroni, Segretario della Cifra Monsig. Boschi, e Maestro di Camera Monsig. Erba. Il Datario non è stato ancora dichia- rato, ma si erede possa essere Monsig. Valenti Assessore del S. Offizio, giacchè il sig. cardinal Crescenzi, cui è stata offerta questa carica, non vuole in alcuna maniera lasciare la sua chiesa di Ferrara. Il Papa è un perfetto ecclesiastico e pieno di zelo, specialmente riguardo alla disciplina degli ecclesiastici, onde sì aspettano rigorosi editti in questa materia. Grande in questa elezione è stato il trionfo della Casa Corsini. Il nipote, mandato da S. Santità, si portò la sera medesima a ringraziare l’Ecc."® Casa; ma generalmente in Roma, che non voleva altri che un romano, o almeno uno statista, l’allegrezza non è stata infinita. I Cardinali contrari a questa elezione sono stati Sacripanti, Portocarrero, Passionei, Pao- lucci, Durini e (ciò che reca maraviglia) Delfino, Malvezzi, Arsenvilliers, Galli, Chigi, Prospero Colonna e Orsini. II Il pontificato di Clemente XIII [1758-1769]. 22 luglio 1758. Domenica seguì la solenne incoronazione della Santità di Nostro Signore, con infinito concorso di popolo; nè la S.S. ritrasse alcun incomodo dalla fatica e dalla lunghezza d’una tale funzione, che durò sette ore continue. Nel giorno poi di lunedì si portò in carrozza, con gli Em. Decano e Sotto-Decano, da S. Pietro al palazzo Quirinale, accompagnato da tutta la nobiltà e prelatura, in cavalcata, e lo spettacolo fu oltre modo bello, essendo pienissime le strade di numeroso popolo, da S. Pietro fino a Monte Cavallo, e gli applausi furono grandissimi e maggiori di quelli che, scarsi e languidi, si erano sentiti nella coronazione. Non cavalcò monsig. Boccapaduli, limosiniero, poichè il popolo con urli e riclami lo forzò a ritirarsi dalla cavalcata. Furono però incarcerati alcuni più insolenti del popolaccio. Pare che ora la cosa, rispetto al detto prelato, sia quietata. La domenica e il lunedì sera vi fu la girandola e le solite illuminazioni, ed in queste feste si segnalò il sig. Ambasciatore di Venezia, il quale, oltre avere fatta dipingere la facciata del palazzo con l’arme di S. Santità, e varii geroglifici, avendola anche illuminata di molte torcie, la sera diede a tutta la prelatura e nobiltà una bellissima festa, consistente in una cantata, nella quale fu sentito il celebre Egiziello, ed in copiosi e lauti rinfreschi. Il concorso fu di presso a mille persone. Il Rev.®° P. Generale de’ Gesuiti si portò all'udienza di N. Signore, al quale molto diffusamente raccomandò la Compagnia, specialmente rispetto ai dissustosi affari del Portogallo. N. Signore dopo averlo ascoltato quietamente, disse: “ Padre, risponderò al vostro lungo discorso in brevi parole: per questi affari vi vuole tempo, “ prudenza, orazione ,; e benedicendolo lo licenziò. 29 luglio 1758. Si portò N. Signore nel giorno di S. Giacomo, in forma pubblica, alla chiesa e ospedale di detto Santo, chiamato degl’ Incurabili, di cui era stato, fin da Cardinale, zelantissimo e benefico protettore. Dissevi la S. Messa e poi visitò l'ospedale ‘e servì egli medesimo gli ammalati, non ne ommettendo alcuno, anzi servendo e carezzando specialmente i più schifosi. Il che trasse dagli occhi de’ circostanti, che vi erano in grandissimo numero, le lagrime. Prese i memoriali di molti; e siccome trovò in alcune ventarole espressioni e canzoni amorose, così rimproverò apostolicamente gli Ammini- stratori dell’ospedale della negligenza di lasciar correre nelle mani degli infermi simili leggende, e in lor presenza le lacerò. po -5 agosto 1758. Essendo stato mandato dal fratello di S. Santità un regalo alla medesima, per dimo- strazione del suo piacere avuto nella di lui esaltazione, consistente in diecimila ducati, N. Signore gli ha fatti tutti dispensare alle parrocchie per i poveri. 12 agosto 1758. È giunto in Roma il sig. Barbarigo, riobile veneto, arcidiacono di Padova e cugino di S. Santità. Questi, atteso l’ingegno e gli studi che ha fatti, poteva facilmente avanzarsi fino al car- 16 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. dinalato, se la condotta che ha tenuta in Padova, nulla conforme alle idee di S. Santità, che sono con- formi alla severa disciplina ecclesiastica, non gli avessero già da gran tempo alienato l’animo del S. Padre. E ciò si è chiaramente dimostrato dal non averli conferito alcuna pensione, o benefizio ecclesiastico, sulla ubertosa distribuzione di ben quarantamila scudi, fatta ai soli veneziani. 19 agosto 1758. L'imperatrice Regina [Maria Teresa) ha spedito un onorificentissimo diploma di naturalizzazione de’ suoi felicissimi Stati per tutta la famiglia Rezzonico, come oriunda da Como, Stato di Milano, e lo ha fatto presentare a questo Monsig. nepote dal sig. cardinale De Rodt, 16 settembre 1758. Lunedì N. Signore tenne concistoro segreto, nel quale, prima di ogni altra cosa, creò un Cardinale e, senza pubblicarlo, riserbosselo in petto. Non si dubita che sia Monsig. Rezzonico, di lui nepote, il quale dicesi che sarà pubblicato nel futuro Concistoro, che si terrà a’ 2 di ottobre, dove saranno creati due altri Cardinali, cioè l’ab. De Bernis e il Cardinal veneto. Finora si contrasta se questo sarà, o monsig. Prioli, vescovo di Piacenza ed amicissimo del Papa, ovvero monsig. Molino, vescovo di Brescia, e già Uditore di Rota in questa Curia. Ma io quasi non dubito che sarà prescelto monsig. Molino, a preghiere de’ Cardinali suoi amici, ai quali S. Santità, in questo principio di ponti- ficato, deferisce moltissimo. 23 settembre 1758. Da poi che N. Signore è stato eletto Pontefice, non si è mai più esilarato, e va sempre pregando il Sisnore che gli mandi la morte, per liberarlo da un peso, al quale, per senso di una cristiana umiltà, si crede insufficiente. Martedì passato vi fu la Congregazione de’ Riti sopra le virtà del venerabile Barbarigo, vescovo di Padova, e benchè siavi il segreto sopra il resultato della Congregazione suddetta, credesi che avesse la causa un esito felice e che quanto prima possa uscire il decreto: Constare de virtutibus in qradu heroico ! 30 settembre 1758. Si è penetrato che siavi un progetto in questa Corte di creare due Congrega- zioni di Cardinali, che siano come due Consigli aulici: uno sopra gli affari esteri, e l’altro sopra gl’in- terni dello Stato; ed a queste saranno rimesse tutte le cose, di maniera che il Segretario di Stato ver- rebbe ad essere quasi un ministro delle medesime Congregazioni. Questo progetto fu proposto in Conelave, perchè î sigg: cardinali avessero qualche parte nel governo, onde erano stati affatto esclusi nel passato pontificato. Non si sa se questo progetto sarà posto in esecuzione, ma la gran diffidenza che hanno di se stessi e il Papa e il nipote nel Governo, ed oltre a ciò l’amore che ha della quiete il sig. cardinale Archinto, fanno temere che possa ultimarsi. [2° dispaccio]. Una trista nuova ed improvvisa reco ed è la morte repentina del sig, cardinale Archinto, Segretario di Stato. Erasi portato a visitare 1’ Em."° Ferroni, che guardava il letto, quando fu assalito da un colpo d’apoplessia, che lo fe’ cader morto in braccio allo stesso sig. cardinale Ferroni (1). 7 ottobre 1758. Lunedì vi fu concistoro, nel cui principio dichiarò il Cardinale già creato nell’an- tecedente, cioè monsig. Carlo Rezzonico, suo nipote. Indi N. Signore diede parte al S. Collegio di aver dato il titolo di Apostolica all’Imperatrice, come a Regina d'Ungheria. Poi fece cardinale l’ab. De Berni. (1) Il 7 d'ottobre tornò a scrivere: “ Quella ‘morte è stata intesa con dispiacere universale di Roma, e “ specialmente de’ ministri esteri, cui si era reso amabile per la facilità del costume e per le maniere soavi “ nel trattare i negozi. Era lentissimo nell’operare, amante de’ letterati e de’ galantuomini. È morto pieno “ di debiti, che ascendono fino a ventimila scudi. Vi è molta argenteria e gioie: ma se la onoratezza dei fratelli non supplisce, i creditori, o a meglio dire il creditore, che è lo spedizioniere Ruggia, ne soffrirà un gran danno ,. Il 29 marzo del 1760 tornò a scrivere: “ La celebre libreria del già sig. cardinale Archinto, “ che si valutava da ventimila scudi, e della quale è stampato l’Indice, è stata venduta, per pagare i debiti della eredità, al prezzo di soli scudi settemila; ed il compratore è stato l'Agente di Spagna, che ha fatto * questa compra per la Biblioteca Regia di Spagna ,. F R R MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. È FILOL., SERIE 1I, VOL. LXV, N. 6. Jr, Per impedir la promozione di quest'ultimo, erano state scritte molte lettere dai vescovi e parrochi di Francia, che attaccavano il suo costume. Ma il Papa già avea data parola al Re Cristianissimo, e fu promosso. Restarono poi tutti sorpresi per la promozione del Cardinal veneto, che fu monsig. Priuli. Pretendesi che la morte di Archinto sia stato il motivo della preterizione di monsig. Molino, che cer- tamente era portato dal sig. cardinal Archinto; ma il più vero motivo è stato, che Priuli ha maggior parentado nella Repubblica, alla quale il S. Padre ha voluto gratificare in questa promozione. N. Signore non ha peranche dichiarato il successore nella Cancelleria, ma non si dubita che sarà il Cardinal nipote. Quanto poi al Segretario di Stato, la elezione erasi ristretta a due, cioè al sig. cardinal Stoppani ed al sig. cardinal Torrigiani. Questi ha prevaluto nell’animo del Papa, e ier sera lo dichiarò suo Segretario di Stato. Ma egli fino a mezzogiorno ha ricusato di accettare, e sono corsi molti biglietti tra ‘esso sie. cardinal Torrigiani e il sig. cardinal Cavalchini, il quale, per parte del Papa si è portato ancora da S. Em.* per persuadernelo. Nè questa ripugnanza è dissimulata, ma sincera, perchè procede da un amore della libertà e della quiete. Si crede peraltro che si lascerà persuadere. Egli è un uomo di gran mente, ma di maniere un poco severe, onoratissimo e amante degli uomini di spirito e di cuore. 14 ottobre 1758. Dopo molte preghiere di N. Signore e del sig. cardinal Rezzonico, suo nipote finalmente il sig. cardinal Torrigiani si lasciò indurre ad accettare la’ Segreteria di Stato. 21 ottobre 1758. Il nuovo sig. Cardinale Segretario di Stato ha ogni sera lunghissime udienze dalla Santità di N. Signore, il quale si dichiara molto soddisfatto di una sì degna elezione. E certo la vastità del talento di questo porporato e la sua indefessa attività ne fanno credere, con sicurezza, che egli sarà come il padrone nel pontificato, specialmente allontanandosi assai volentieri dal maneggio de’ grandi affari il Cardinal nipote, o per diffidenza di se medesimo, o per delicatezza di coscienza illibata, ma scrupolosa. 28 ottobre 1758. Cominciano a cessare le malattie di raffreddori e di febbri, che per una certa influenza hanno attaccato quasi tutte le famiglie di Roma, onde gli ospedali sono stati obbligati a raddoppiare i letti ed anche a prender case fuori, per ricovero de’ poveri infermi. 11 novembre 1758. Domenica passata, 5 del corrente, venne staffetta da Narni, che recò la notizia della morte del sio. cardinal Sacripanti, vescovo di Frascati, in età di anni 70 in circa. Egli è stato un uomo di mente e di spirito, e nelle Congregazioni faceva tra i Cardinali quasi la prima figura. Con tutto ciò, ha avuto la disgrazia di essere stato poco considerato nel passato pontificato; il che da alcuni si attribuiva al contraggenio che aveva manifestato nel concorrere all’elezione di Benedetto XIV, e da altri a più antiche cagioni di disgusto tra loro. Ma il maggior disgusto, e qui corre voce averli arre- cata la morte, è derivato dall’ultimo Conclave, in cui, non ostante i maneggi e gli appoggi delle Corti, è stato escluso, non solamente dal pontificato, ma eziandio dal Datariato e Segretariato di Stato, alle quali cariche aspirava efficacemente. Infatti, appena uscito dal Conclave, si abbandonò ad una vera tri- stezza, che lo condusse alla morte. 9 decembre 1758. È uscito il decreto della S. Congregazione del S. Uffizio proibitivo dell’opera del P. Bersujer della Compagnia di Gesù, confermato da un Breve di S. Santità. I RR. Padri della Società hanno preso anche questo per un colpo troppo funesto alla loro riputazione; ma ciò che più ha loro recato fastidio si è, che tanto il sig. Cardinal nipote, quanto il sig. cardinal Torrigiani, hanno mutato teologo e confessore, che non sono più della Società, ma del primo è il P. Vezzosi, Generale de’ Teatini, e del secondo il P. Savorini, conventuale, ed il confessore d’ambedue è il P. Maestro T'uddini, agosti- niano, sotto-sacrista di Sua Santità. Da tutto ciò, e da altri andamenti del Papa, si conosce chiara- mente che il moderatore del pontificato è il cardinale Spinelli, benchè faccia ogni sforzo di non apparire tale, e che il Papa, in tutto ciò che non è governo dello Stato, deferisce tutto al suddetto sig. Cardi- nale; ma quanto al governo economico il padrone è il Segretario di Stato, chè il sig. Cardinale nepote è tutto occupato in opere di pietà e in fare alcune piccole grazie ai suoi amici. Della promozione non si parla, e credesi che il Papa, per liberarsi dalle premure degli infiniti pre- lati concorrenti e dagli impegni e calde raccomandazioni delle Corti, la, farà improvvisamente. 18 GIOVANNI SFORZA. — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. 30 decembre 1758. Nella notte di Natale assistè N. Signore all’uffizio ed alla messa con molta pietà, e con l’intervento di molti sig. Cardinali e prelati. Questa assistenza pontificia non si era veduta da molti anni addietro, cioè fino da Benedetto XIII, anch’esso molto devoto delle sacre cerimonie. G gennaio 1759. Ha N. Signore dato ordini rigorosi riguardanti gli attori e i ballerini de’ Teatri, che si apriranno dopo domani, avendo fatto sapere, per mezzo di Monsig. Governatore, tanto agli im- presari, quanto agli attori medesimi, che qualunque segno, benchè minimo, d’immodestia, sarà severis- simamente castisato anche col chiudersi del Teatro. Quello però che più ha rattristato la gioventù, tanto nobile, che cittadina, è stata la proibizione, fatta per ordine dello stesso N. Signore, di qualunque pubblico festino nel prossimo carnevale. 20 gennaio 1759. Lunedì passato morì il sig. cardinale Guadagni, Sotto-Decano del S. Collegio e Vicario di N. Signore, in età di anni 85 in circa. È stato universalmente compianto da tutta questa città, e quando nel suo palazzo era il cadavere esposto vi fu concorso infinito di persone devote, per vederlo e per baciarli i piedi, essendo la divozione fino trascorsa a tagliare pezzi di veste, per riser- barli come reliquie di un santo. La carità sua verso i poveri era gràndissima, perchè di dodicimila scudi, che avea di rendite della Chiesa, otto in nove mila ne distribuiva ai poveri. Ha lasciato erede un Conser- vatorio di poverissime zitelle, chiamate di S. Pasquale, ma l’eredità, che è tenuissima, non compensa, neppure in poca parte, il danno di 40 scudi, che gli dava il Cardinale ogni mese. Solo dugento scudi di pensione ha lasciato ad un suo nipote di fratello che è qui nel Seminario Romano; e ciò con stento ed a preghiera del sig. cardinal Corsini, suo cugino. 3 febbraio 1759. Nella Chiesa Nazionale de’ Portoghesi si è fatto un solenne triduo in ringrazia- mento a Dio della ricuperata salute di S. M. Fedelissima il Re di Portogallo; ed uno di quei giorni vi passò S. Santità, e vi fu ricevuta dall’Em.»° sig. cardinale Corsini, Protettore di quella Corona, dal Ministro ed altri ragguardevoli sigg. Portoghesi. E fu osservato, che essendo stati mandati gli inviti stampati a tutti i Conventi de’ Religiosi, nessuno ne fu mandato alle Case de’ PP. Gesuiti, i quali, con , tutto ciò, vi andarono in diverse partite, così comandati da’ loro superiori; i quali peraltro (come essi dissero) non seppero ciò che l’ultimo giorno. Mercoledì passato, alle ore 8 della notte, morì in età di anni 50 il sig. cardinale Giorgio Doria, Prete del titolo di S. Cecilia e Prefetto della Congregazione del Buon Governo. Questo Cardinale, quan- tunque fosse minuto nel pensare, è stato non di meno compianto quasi universalmente, perchè sì trat- tava molto alla grande; ed ancorchè avesse da venti e più mila scudi di entrata, ha lasciato moltissimi debiti, per soddisfare i quali ha pregato istantemente il proprio fratello, non potendosi pagare colle di lui sostanze, se non în piccola parte; ed inoltre resta molta gente disimpiegata e fuori di servizio, giacchè aveva un rolo di quasi 500 scudi il mese. l ; Questa sera si dà principio alle seconde Opere in musica, le quali si sperano migliori, non avendo le prime incontrato universale applauso. Ma gli intermezzi della commedia in prosa, recitata nel T'eatro della Valle, sono stati universalmente applauditi ed hanno avuto un infinito concorso. Il Governo però non ha voluto che si alteri il prezzo nè de’ palchetti, nè de’ biglietti, per comodità del pubblico. 10 febbraio 1759. Ha N. Signore dichiarato la sua volontà alla Congregazione del S. Uffizio che non si conceda ad alcuno Stato l’indulto della Quaresima, per la qual concessione troppo frequente erasi abolita l'osservanza della Quaresima; tanto più che in quest'anno dicesi esservi abbondanza di olio e di salumi. 17 febbraio 1759. N. Signore, nemicissimo de’ giochi di resto, ordinò a Monsig. Uditore della Camera, con ogni segretezza, che facesse cercare vari giocatori, come infatti fu eseguito, senza saputa di Monsig. Governatore; onde S. Santità ha fatto vedere che arriva a saper ciò che vuole, ancorchè Monsig. Governatere, o non lo sappia, o pure non glielo riferisca; lo che certamente è stato di qualche smacco al medesimo Monsig. Governatore. 24 febbraio 1759. Il sig. Duca di Cerisano, Ministro del Re di Napoli, richiese già N. Signore di confermare il privilegio della dispensa de’ cibi quaresimali, a somiglianza della crociata, tanto per la MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 19 sua famiglia reale, quanto per la soldatesca; e gli fu costantemente negata, sul motivo, che S. Santità adduceva, della coscienza, che non le permetteva di concedere simili grazie. Dopo le replicate e più vive istanze del Ministro a nome del Re, finalmente S. Santità ha condisceso a quanto si dimandava, ma con tali condizioni di compensare il digiuno con certe determinate orazioni e limosine, che il Re se n'è disgustato; e dopo aver ricevuta la grazia dicesi che neppure abbia passato con N. Signore uffizio di ringraziamento. - Quì î divertimenti carnevaleschi languiscono, attesa la proibizione, assai rigorosa, di qualunque sorta di balli e di festini. 3 marzo 1759. Ne? due ultimi giorni di carnevale fu riaperto il Teatro della Valle, a preghiere degli impresari; ma con previa ammonizione che i comici per l’avvenire, sotto pene rigorosissime, non si allontanassero dalla debita modestia. Questo Teatro è stato il più frequentato, ed hanno gli impre- sari fatto molto guadagno sopra gli altri Teatri anche nobili, che hanno perduto assai, e specialmente gl’impresari del Teatro Aliberti, che vi rimettono di-loro quattro mila scudi. È stato negato l’indulto dell’uso de’ latticini per la corrente Quaresima a Parma e Piacenza. Per altro, qui i salumi sono assai cari e cattivi, e così accrescono il merito dell’osservanza della Quaresima. 17 marzo 1759. Non si mette più in dubbio lo stabilimento del matrimonio tra questo sig. Con- testabile Colonna e la primogenita Borromei, di anni quindici, alla quale fa una sopra dote la nonna Grillo. 7 aprile 1759. Due editti sono usciti in questa settimana, per cui S. Santità si è conciliato l’af- fetto di tutto questo popolo, l’uno con il quale si proibisce ai birri e straordinari il prender mancie di sorta veruna, sotto pene rigorosissime, che prima in gran copia estorcevano dagli artisti; e l’altro con cui la Santità Sua ha sbassato il prezzo della carne d’agnello, a mezzo grosso. 28 aprile 1759. Un sran moto tra il mondo donnesco ha suscitato l'ordinazione, fatta per insinua- zione de’ parrochi, e non già per pubblico editto, che tutte le donne, di qualunque sfera esse siano, qualora si portano alle chiese, debbano avere uno scuffino, o velo, che copra loro tutto il volto, affinchè non possano in chiesa venire osservate dagli uomini. E Monsig. Governatore fa un rigoroso processo per rinvenire chi fu che nel giorno di S. Marco, e nel tempo della processione, pose una grande scuffia a madama Lucrezia, che è uma statua posta sulla piazza di S. Marco. 19 maggio 1759. Una lunga congregazione del S. Uffizio fu tenuta mercordì passato, alla quale, contro l’ordinario, intervennero anche i Cardinali Palatini. Per quanto ho risaputo da buoni canali, cre- desi che si raggirasse sopra un’enciclica che N. Signore vuole indirizzare a tutti i vescovi cattolici, perchè invigilino maggiormente a non permettere la stampa e la pubblicazione di libri che trattino di materialismo, e che da ogni parte inondano in questi tempi alla corruzione della gioventù e alla distru- zione insensibile della cattolica religione. Ebbe, peraltro, questa enciclica i suoi contradittori, non per riguardo alla sostanza che conteneva, ma alla novità della cosa, bastando, per ciò che dicevano, le Con- gregazioni che vi sono e le Bolle de’ Papi. L'effetto dimostrerà quale di queste due opinioni sia stata approvata e prescelta. 16 giugno 1759. Il cardinale Archinto, per quello che riguarda le scuole, erasi dichiarato contrario ai Gesuiti per tal modo, che tra i suoi fogli si è ritrovato un progetto di togliere ai medesimi il famoso Collegio Gregoriano e gli altri ancora di Roma, e rimettere nell’antico primiero splendore quest’archiginnasio Romano. E in questo progetto si dimostrava ad evidenza quanto facile sarebbe stato, con la rendita di 36 mila scudi annui (quanto è quella dell’anzidetto Collegio), chiamare in Roma i primi uomini in tutte le scienze ed arti; tanto più che, oltre i ricchi stipendi, potevansi aspettare anche premi maggiori. Si crede affatto rotto il matrimonio di questo sig. Contestabile Colonna con la sig. Borromei e riassunto con la Marchesa d’Este, che (come è noto) lo avea ripudiato e avea meditata la fuga con un uffiziale del Serenissimo sig. Duca di Modena. Ma vi è però un diploma della Imperatrice Regina che la dichiara innocente e sedotta da chi voleva attraversare un matrimonio per lei tanto vantaggioso. Dicesi che il Contestabile sia innamorato della medesima per mezzo del solo ritratto. 20 GIOVANNI' SFORZA -—— PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. 23 giugno 1759. Giovedì mattina, alle ore 16, passò da questa all’altra vita 1’ Em.m° sig. car- linal Borghese, in età di anni 62, dopo una malattia di venti e più giorni. Questa morte è dispiaciuta nniversalmente, sì perchè era un cardinale romano, ed appunto adesso cominciava a gustare i frutti della sua fortuna, avendo dopo la morte del sig. cardinal Guadagni accresciuto le sue entrate di quasi undicimila scudi romani, sì per la Badia di Grottaferrata, già rinunziatagli da quel Cardinale, e sì ancora perchè era divenuto sotto-decano del S. Collegio; e tutto ciò ha fatto molta compassione. Ma il maggior dispiacere e danno lo ha patito e la numerosa famiglia, che resta senza padrone, e i molti creditori, che rimarranno allo scoperto, perchè lascia presso a quaranta mila scudi di debiti. Nè si sa capire come un cardinale, che di solo piatto dalla casa Borghese aveva diecimila scudi annui, oltre i duemila della dote materna, casa, mobili, ecc., abbia potuto spender tanto, che per molti anni sia stato oscuro e incognito, e poi sia morto quasi decotto. 30 giugno 1759. Martedì passato molti de’ sigg. Cardinali e prelati si portarono a Castel Gandolfo, per felicitare la Santità Sua sul ritorno a Roma, che seguì il mercordì sera, essendole andata in contro infinita moltitudine di popolo alla porta S. Giovanni. E quando entrò nella città vi fu lo sparo del cannone di Castel S. Angelo; cosa che il passato Pontefice non volle mai che si praticasse. Il palazzo Quirinale poi era ripieno di tutta la prelatura e nobiltà romana. Intanto che il Papa passava per le strade di Roma, il popolo non fece altro che gridare che la carne era cara, perchè monsig. Piccolomini, Presidente della Grascia, l’aveva posta a quattrini 17 la libra, ed esclamava: Padre Santo, la carne a tre baiocchi, a tre baiocchi! Prima che ritornasse il Papa in Roma, fu veduta in più cantoni della città una carta, nella quale era delineato un bove, che rendeva per escremento un agnello; volendo con ciò sienificare che il caro prezzo della carne vaccina ne faceva scontare la carne dell’agnello, che si era man- giata a vil prezzo. Ma per questo popolare quasi ammutinamento sono stati carcerati molti de’ più arditi. La carne è restata al medesimo prezzo, e non si è voluto saviamente dar ansa al popolo di far. susurro per ogni piccolo ageravio. Nelle sere di giovedì e di venerdì vi fu il celebre fuoco artifiziale detto la girandola, e fu illumi- nata tutta la gran cupola di S. Pietro; e la prima volta, per le moltissime fiaccole, fu impiegata la pece di Spoleto, che è un nuovo prodotto, scoperto in quelle montagne spoletine, e di cui si è qui costituita una nuova fabbrica, la quale è riuscita a perfezione, onde credesi che lo Stato Pontificio non avrà più bisogno della pece estera, o inglese, o francese, ma potrà di qui somministrarsene ad altri. __ 11 agosto 1759. Ha Monsig. Governatore, per ordine di S. Santità, proibite tutte le serenate e cantate pubbliche, che solevano farsi di notte in questa stagione calda. i 18 agosto 1759. Per compensare la Camera del danno che ha sofferto nell’estinzione dell’appalto | del tabacco, è stato cresciuto in questo Stato Pontificio un quattrino per libbra il prezzo del sale. 15 settembre 1759. È indubitata la promozione de’ Cardinali per il giorno 24 del corrente mese; e sono stati assicurati già molti de’ cappelli, tra i quali il P. Orsi, domenicano, Maestro del S. Palazzo. E non è poca gloria del cardinale Corsini avere ottenuto il cappello per questo religioso, mentre molti ? hanno fatto aspra guerra, perchè non gli riuscisse, ed in specie alcuni di altri Ordini regolari. ; 22 settembre 1759. Sono stati di già avvisati tutti i promovendi alla sacra porpora. In questa pro- mozione sono stati preteriti Monsig. Caprara Governatore di Roma e Monsig. Cenci Segretario della S. Consulta, ed a chi gli ha raccomandati, il Papa ha risposto che la promozione voleva regolarla se- condo la bilancia della sua coscienza. Con tutto ciò, non è pienamente consolata la città, e meno i Ministri esteri, le cui raccomandazioni hanno forse più pregiudicato, che giovato ai loro protetti. 29 settembre 1759. Finalmente lunedì S. Santità creò nel Concistoro segreto ventidue Cardinali. 9: (Questa promozione, tanto aspettata, ha in genere consolato la bassa gente di Roma, per quel vantaggio che se ne è ricavato coll’impiegare molti al servizio de’ nuovi Cardinali e prelati, e col maggior corso del denaro, che si è sparso tra i mercanti e gli artisti, facendosi il calcolo che siano girati presso a trecentomila scudi. Ma in concreto la promozione ha disgustato molti, sì perchè moltissimi sono e MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE 1I, VOL. LXV, N. 6. 2) sempre di masetior numero i concorrenti, e ancora perchè sono stati posposti alcuni, cui per certa con- venienza era dovuto ìl cappello, ad altri personaggi, che non parevano essere di merito tanto eccellente e distinto, che dovessero non per gradi, ma di salto ascendere a tanto grado. I Principi poi e la nobiltà di Roma sono disgustatissimi, perchè sono stati negletti, e specialmente perchè nelle due prime cariche di palazzo, solite conferirsi a prelati delle primarie famiglie d’Italia, mal volentieri hanno veduto collo- carci Monsig. Bufalini, che è stato fatto Maggiordomo, e Monsig. Boschi, che è stato fatto Maestro di Camera di S. Santità. Anche la maggior parte de’ prelati, per il ristagno di molti non promossi, e per le risulte fatte senza osservare un solito ordine, è malissimo contenta di questa promozione; ma più di tutti sono disgustati i Mimistri esteri, che non hanno avuta alcuna influenza in questa promozione, e specialmente’ il sig. Ambasciatore di Francia, che si è dichiarato disgustatissimo per la preterizione di Monsig. Governatore e di altri suoi raccomandati. 3 novembre 1759. Fino da sabato passato pervenne qua la notizia come nel porto di Civitavecchia era giunto un legno rasuseo procedente da Lisbona,-che avea trasportato parte de’ Gesuiti cacciati da quel regno. A questi, che erano in numero di 136, fu dal Console portoghese, commorante in Civita- vecchia, distribuito 39 pavoli per ciascuno, e ciò per ordine di S.M. Fedelissima. L'equipaggio di questi Padri consisteva in 80 e più bauli, che questo P. Generale ha voluto che si aprano in presenza di un pubblico notaro e testimoni, e se ne faccia autentica e minuta descrizione. Si dice che, per mancanza di viveri nel viaggio, fu obbligato il capitano a spedire un gesuita in Alicante al Rettore di quel Collegio, che aiutato dalla pietà de’ loro devoti rinfrescò abbondantemente i viveri, onde si potè continuare il viaggio fino a Civitavecchia. In Civitavecchia poi sono stati, per ordine di S. Santità, distribuiti per le Case religiose, e fino ad ora sono sostentati dalla R. Camera. Intanto si prepara loro l’abitazione ad una villa appartenente al Collegio Romano, detta la Ruffinella, in Frascati, dove, senza toccare Roma, saranno trasferiti. Se ne aspettano due o tre altre navi, che ne trasporteranno fino al numero di 400. Comunque ciò siasi, questo avvenimento non lascia di recare un grande imbarazzo al P. Generale, che non sa e cosa farsi di tanti religiosi, che per l’ignoranza della nostra lingua riescono affatto inutili ed oziosi, e come mantenerli, facendosi il calcolo che, se si fissi il numero a 700, si richiedono almeno sessanta- mila seudi annui, alla quale spesa non bastano l’entrate, quantunque grandi, dei RR. Padri in Roma. 10 novembre 1759. I PP. Gesuiti portoghesi sono stati trasportati alla villa detta la Ruffinella, dove danno grande contrasegno di santità e ritiratezza. 17 novembre 1759. In questi giorni passati si portò il R. P. Generale de’ Gesuiti alla Ruffinella, per visitare i portoghesi Gesuiti, che alla vista del medesimo diedero in pianto dirotto ed urli, che facevano pietà. Ha loro dato un superiore, ha mandato molte carrette di libri, e siccome per ignoranza della lingua sono inutili, così ha loro accresciuto l’orazione ed altri esercizi spirituali. 8 decembre 1759. Ha dato qualche osservazione a questa città il ristringimento delle spese fatte qui da S. M. Britannica, avendo minorato il numero de? cavalli e della servitù, ed anche levata la tavola, che assai magnifica teneva quasi ogni giorno. Questo ristringimento credesi da alcuni che provenga dal difetto delle pensioni cospicue che già ritirava dalla Francia, e che per la presente guerra, o sono sce- mate in gran parte, o mancate del tutto. Altri poi credono, che il danaro del medesimo Re sia stato mandato per sovvenimento del principe Odoardo, che qui dicesi colla flotta francese avere sbarcato nella Scozia. 5 gennaio 1760. Avendo le pioggie impedito il lavoro della campagna, tutti i lavoratori, nelle pas- sate feste, si sono ritirati in città; e per sedare il tumulto di gente affamata e disperata, è convenuto a Monsig. Governatore fare ogni giorno distribuire gratis il pane fino a settemila persone. Questa distri- buzione finì dopo il primo dell’anno. 12 gennaio 1760. In questo porto di Civitavecchia è giunta la seconda nave carica di Gesuiti pro- venienti dal Portogallo, che dicesi ascendere di numero a 120; quaranta de’ quali. mercordì sera, furono trasferiti in venti calessi a questa Casa professa del Gesù, ed altrettanti vi pervennero iersera, da dove sono stati mandati alla villa, che ha questo Collegio Romano in Castel Gandolfo. 22 GIOVANNI SFORZA —— PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. 19 gennaio 1760. A fine di amministrare con più rettitudine la giustizia da questo Tribunale della Sacra Ruota, mercordì passato, si emanò decreto nel quale si proibisce a tutti i curiali di quel Tribu- nale di scrivere prolissamente, di maniera che se mai una scrittura di qualunque causa, ancorchè gra-_ vissima, passerà il quarto foglio di stampa, il curiale sarà ipso facto cassato dal catalogo de’ curiali di quel Tribunale, senza speranza d’esserne reintegrato. 9 febbraio 1760. In questa settimana abbiamo uno sbarco in Civitavecchia della solita mercanzia portoghese, cioè di 330 Gesuiti, divisi in due navi di trasporto. Per ora si manderanno a Tivoli nel grandioso palazzo che serve alla villeggiatura de’ convittori del Seminario Romano, e a due altre case che ivi hanno per la villeggiatura de’ novizi e del Collegio greco. 16 febbraio 1760. Il tempo ha favorito in questi otto giorni i divertimenti carnevaleschi, che in Roma, essendo ristretti a poche ore del giorno, sogliono essere ancora più furibondi; ma la proibizione de’ festini ne ha scemato in quest'anno l’allegrezza popolare, anche perchè in simile occasione gira più denaro a vantaggio della plebe. 29 marzo 1760. La celebre libreria del già sig. cardinale Archinto, che si valutava da ventimila scudi, e della quale è stampato l’Indice, è stata venduta, per pagare i debiti della eredità, al prezzo di soli scudi settemila, ed il compratore è stato l’Asente di Spagna, che ha fatto questa compra per la Biblio- teca Regia di Spagna. 19 aprile 1760. S. M. il re Giacomo d’Inghilterra è gravemente ammalato, e nel passato mercordì, alle ore 22, ricevve, per le mani di S. A. R. il figlio, il SS. Viatico, che fece trasportare dalla parrocchia de’ SS. Apostoli, con molta divozione e tenerezza, non senza le lagrime di tutti gli astanti. Ieri fu visi- tato da S. Santità, che vi si trattenne circa mezz'ora. Oggi ha alquanto migliorato, ma si teme che possa mancare all'improvviso. 26 aprile 1760. Nel passato mercordì precipitò siffattamente la salute di S. M. Britannica, che la sera dalle mani di S. A. R. Em.m® il Cardinal di Yorck ricevve, con esempio di singolare divozione e tenerezza, il sagramento dell’Estrema unzione. Per altro, vive ancora, benchè sempre in pericolo di essere soffogato da un assalto di tosse convulsiva, che quando lo assale, riducelo come alla morte. Nel giorno che il S. Padre fece visita all’infermo, questi pregò caldamente la S. S. a non volere in nessun modo permettere la dispendiosa pompa del funerale, nè la vanità dell’orazione funebre. Il S. Padre lodò l'umiltà e la modestia del Re; ma, senz'altro, si faranno a lui le solenni esequie come si fecero alla regina Clementina, che non costarono meno alla Camera Apostolica di venticinquemila scudi. 3 maggio 1760. Benchè questo Re d’Inghilterra dia speranza di qualche altro giorno di vita, atteso il miglioramento seguìto, con tutto ciò si crede impossibile che possa riaversi. , 21 giugno 1760. Ieri mattina alle ore 15,in età di anni 90, morì il sig. cardinal Mesmer, il quale, dopo avere per molto tempo fatto l’avvocato, entrò in prelatura, e per tutti i gradi della medesima, avendo esercitato le cariche con opinione di somma probità, quasi di 80 anni da Benedetto XIV fu fatto cardinale; la qual dignità, peraltro, sodè pochi anni, perchè in questi ultimi era divenuto affatto privo di senno e d’intendimento, onde non ha potuto nè trasferir pensioni, nè far testamento; sicchè la sua non piccola eredità perviene ad alcuni nipoti, vecchi anch’essi e senza figli, che dai Grigioni sono venuti a fermare la loro stanza a Milano. 28 giugno 1760. Domenica alle ore 19 morì l’Em."° sig. cardinal Portocarrero, vescovo di Sabina, Gran Croce dell'Ordine Gerosolimitano e Ministro di S. M. Cattolica a questa Corte di Roma e ancora Protettore di tutte le chiese della Spagna. Egli è morto in età di anni 80, ed ha con tutto ciò lasciato an grandissimo desiderio di se medesimo, sì per l’integrità di una vita incorrotta ed una singolare ecclesiastica moderazione nel maneggio degli affari, come ancora per la esimia carità verso î poveri, e per l’universale benevolenza e stima che si era conciliata in Roma. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR! E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 29 1° luglio 1760. Qui molto si è discorso del matrimonio del sig. Duca Lante con una mezza canta- rina, figlia di un bastardo Capranica, seguìto per ordine della Santità Sua, e con molto dispiacere del- VEm.n° sig. cardinale Lante, il quale se n’è afflitto talmente, che è caduto infermo. Grande pure è stato il dispiacimento della sig. Duchessa Salviati, figlia del medesimo sig. Duca, e di tutto quel cospicuo parentado, sdegnato dalla viltà di un matrimonio sì disuguale. Dicesi che la sposa (il cui matrimonio seguì la vigilia di S. Pietro) sia già incinta di sette mesi, e che già da qualche anno partorisse altro figlio al medesimo sig. Duca, il quale spinto, o dall'amore, o dagli stimoli della coscienza, andò a get- tarsi ai piedi del Papa perchè ordinasse il matrimonio, siccome è accaduto. 26 luglio 1760. Ter l’altro fu spedita una sbirraglia alla stamperia Pagliarini, per farvi una rigo- rosa perquisizione di tutto ciò che vi s’imprimeva; e credesi che questa perquisizione abbia avuto di mira qualche stampa contro i Gesuiti nelle controversie portoghesi. Ma nulla vi fu trovato, e'credesi fatta più che per altro per atterrire e mortificare lo stampatore, che è sospetto di aver già impresse e pubblicate altre scritture uscite per la medesima causa. 23 agosto 1760. Ter l’altro alle ore 11 morì in età di anni 82 il sig. cardinale Mosca, diacono di S. Agata alla Suburra, il quale ha lasciato una pinguissima eredità di quasi dugento mila scudi. 10 ottobre 1760. È stata carcerata una donna, la quale in Castel Gandolfo, mentre il Papa usciva a piedi, se li fece innanzi e inginocchiatasi ebbe la temerità di dirli ad alta voce che non ci volevano tante benedizioni, ma più cure de’ poveri e meno gabelle. Da indi in poi S. Santità si è astenuta dall’andar passeggiando in luoghi frequentati, ma solo in giardini chiusi ed appartati. 8 novembre 1760. Qui si fanno rigorose diligenze dal Governo per rinvenire l’autore e lo spacciatore del fierissimo libello scritto contro i Gesuiti e la Corte di Roma, intitolato: I lupi mascherati. E sic- come vi era sospetto che venisse per la Posta di Milano, così, avutane la permissione dal sig. cardi- nale Alessandro Albani, fu arrestato un ministro che si credeva avere in un fagotto i medesimi libri; ma, con vergocna della spia e degli esecutori, fu trovato esservi non scritture, ma carne salata! Rarissimi peraltro sono gli esemplari del medesimo in mano di alti personaggi. Si è ayuto riscontro che siano partiti da Perugia per Ferrara i nipoti della Santità Sua, i quali non si aspettano che agli ultimi del mese corrente, dovendosi trattenere in ogni città dello Stato Pon- tificio, per gradire le convenevoli attenzioni che loro si faranno. Intanto sono qua pervenuti moltissimi mobili preziosi ed un grande equipaggio; il che fa sperare che questa casa possa trasferirsi in Roma sull'esempio delle altre case pontificie. 22 novembre 1760. Un perpetuo soggetto di discorsi romani sono adesso gli onori dalle principali città dello Stato Pontificio resi agli Ecc.» nipoti della Santità Sua, la quale ne ha mostrato infinito gradimento, dichiarando ogni giorno più la sua singolare tenerezza verso loro, ma non però tale che oltrepassi i confini di una pontificia moderazione. Siccome poi nel ricevimento che farà qui in Roma la nipote di S. Santità di tutte le principesse e dame romane, si voleva da alcuni adulatori formalisti che non cedesse il luogo a veruna, così S. Santità ha ordinato che in ciò si segua l’esempio dell’Ece.®° Prin- cipesse Corsini, che sotto il pontificato di Clemente XII cederono nel ricevimento delle visite il luogo a tutte le signore. Qui si dice che la casa Rezzonico possa fare un cambio di fondi e beni stabili, che ha sul veneziano, con quelli che qui possiede il sig. Duca di Fiano, onde perpetuamente stabiliscasi la casa Rezzonico in Roma. È qua ritornato il sig. canonico Garampi, Archivista pontificio, il quale, nel suo giro, essendosi fermato a Bologna nel convento di PP. S. Salvatore, raccolse tutto il carteggio e manoseritti del glorioso pontefice Benedetto XIV, che gli consegnarono le persone che gli possedevano, in vigore di una lettera precettiva di questa Segreteria di Stato. a 29 novembre 1760. Aspettandosi a giorni in Roma gli Ecce." sigg. Principe D. Lodovico e Princi- pessa Donna Faustina Rezzonico, nipoti di S. Santità, questo Monsig. Maestro di Cerimonie ha dato mi fuora le seguenti istruzioni di cerimoniale, cioè che pervenuti che saranno in Roma i suddetti Ecc. dA GIOVANNI SFORZA: — PAPA REZZONICO SPUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. sige. nipoti della Santità S., dovranno essi mandare in giro due gentiluomini per sollecitare, per un atto di rispetto, la partecipazione a tutto il S. Collegio della loro venuta, per poi essere di persona il sig. D. Lodovieo a fare i suoi doveri colle Em. loro. I sigg. Cardinali in seguito manderanno da am- bedue i suddetti sigg. Principe e Principessa a felicitarli del loro arrivo per un loro gentiluomo. Il sie. D. Lodovico poi, principiando dal sig. Cardinal Decano, dovrà, più presto che gli si renderà pos- sibile, fare di sera la visita a tutto il S. Collegio. I sigg. Cardinali, dopo ricevuta la visita privata di sera dal sig. Principe D. Lodovico, visiteranno, parimenti di sera, la sig. Principessa, ed in abito corto. Il detto sig. Principe, quando gli potrà riuscire comodo, dovrà fare, in abito da città, la visita pubblica al S. Collegio, colla solita diligenza di ambasciata. Seguìta la visita pubblica di esso sig. Principe D. Lodo- vico verso gli Em.mi sigg. Cardinali, questi, in abito e fiocchi, si degneranno visitare la sig.* Principessa, con ricercare anche del sig. Principe D. Lodovico. Il nuovo Istituto di Religione, chiamato de’ Passionari, che ripete questo nome dalla continua medi- tazione della Passione di Gesù Cristo e da alcune imagini che porta sull’abito della medesima Passione, fu esaminato in una particolare Congregazione, per vedere se conveniva darseli la forma legittima degli altri Ordini religiosi. La istanza che si faceva da un certo P. Paolo, uomo dabbene e di rigorosa vita, che in queste aspre montagne della Sabina n’è stato l’istitutore, fu rigettata, non parendo bene a quelli Em. porporati di crescere il numero, oggimai esorbitante, di tante Religioni. Ne? contorni di Spoleto si è in questi ultimi mesi scoperta una miniera d’argento, onde il Tesoriere ha subito mandato colà persone perite, perchè esaminino sul fatto se possano assicurarsi le speranze concepite di soccorrere con questo mezzo all’inopia della Camera. La relazione de’ periti è assai favorevole. Sono pure stati spediti all’esame delle Paludi Pontine i celebri professori idrostatici Manfredi, Ber- taglia e Chiesa, per vedere se possa ridursi ad effetto le tante volte progettata disseccazione delle mede- sime, per benefizio immenso di queste campagne. 6 decembre 1760. Lunedì passato pervennero in quest’alma città D. Lodovico e D. Faustina Rezzo- nico, nipoti di S. Santità, incontrati fuori di Porta del Popolo da undici mute, ed andarono a smontare al palazzo della Cancelleria, il quale era benissimo addobbato e illuminato, e dove per tre consecutive sere hanno riceyuta la visita della prelatura e della nobiltà romana. Vi andarono ancora tutti i sigg. Car- dinali, creature di questo Papa; ma essendo stati ricevuti confusamente, questo sig. Cardinale Decano ne ha fatte altissime doglianze al sig. cardinal De Rossi, prima creatura, acciocchè da qui innanzi con- servino nelle visite la dignità del loro carattere. In quest'oggi S. Santità nella Sagrestia della Cappella Borghesiana di S. Maria Maggiore ha ammesso al bacio del piede D. Faustina Rezzonico, sua nipote. Sono molti anni che su le Gazzette di Avignone si era fondato a questa Camera l’annuo provento di quattromila lire, che si pagava da un certo monsieur Girò, celebre stampatore, cui era stato affit- tato per un novennio. Nella metà del novennio è qua venuto un abate francese, il quale ha offerto otto- mila lire, ed in sequela di questa offerta gli è stato conceduto un chirografo, col quale si annulla e si toglie il provento all’antico affittuario, prima ancora che compia il novennio, e si dà a lui privatamente. Ma ciò che è più mirabile, la nuova condotta si esprime nel chirografo essersi fatta Habita confessione del Vicelegato di Avignone di quel tempo, che era monsig. Passionei, di essere stato cireonvenuto dalle male arti del primo affittuario. Si attende con curiosità l'esecuzione di questo chirografo, perchè l’antico affittuario, che non è stato sentito, ha qui e in Francia moltissimi protettori. Teri sera pervenne qua da Viterbo una staffetta che recò la notizia d’essere stato colà colpito da accidente apopletico l’Ecc.®° sig. Principe Pamphyli, ed avere già ricevuti tutti i Sacramenti della Chiesa; e però questa mattina è partito a quella volta l’Em.w° sig. Cardinal Camarlengo, strettissimo congiunto del moribondo Principe, della cui opulentissima eredità credesi che sarà erede la casa Colonna, quando in parte non le venga contestata dalla casa Doria. 27 decembre 1760. Domenica passata giunse qua un corriere spedito dall’ Em."° sig. Cardinal Ca- marlengo, che recò la notizia come alle ore 18 del medesimo giorno era morto finalmente il Principe Pamphyli. Il suo testamento, ripieno di legati, esorbitanti la maggior parte e irragionevoli, ha fatto vedere che egli è stato avaro in vita, prodigo in morte, inglorioso nell’una e nell’altra. La cosa più savia del suddetto testamento è l'istituzione dell’erede, forse da lui fatta per soggezione, in persona del- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE Il, VOL. LXV, N. 6. 25 l’Em.®m° sig. Cardinal Camarlengo. Ad un piccolo curialetto di Viterbo, cui vivente dava uno scudo il mese, ha legato cento scudi il mese; ad un cavaleante venticinque scudi il mese, e ad altri molti ven- timila scudi per una volta; e dall’altra parte, a tante persone civili, che fino da quarant'anni servivano la casa, non ha lasciato cosa alcuna, e neppure ha nominato i suoi più stretti parenti nel testamento; e ciò che ha sollevato la mormorazione universale di Roma si è che non ha voluto che si paghino i debiti di D. Benedetto Pamphyli, suo figlio, che premorì decotto, i quali ascendono a settantamila scudi, dovuti per la maggior parte ad artisti e bottegai miserabili. Dicesi, per altro, che il testamento patirà qualche eccezione, e l'eredità sia obbligata a molte reintegrazioni di fedecommessi. Si aspetta di giorno iu giorno il Principe Doria, le cui ragioni alla primogenitura sembrano incontrastabili e chiarissime. Questa primogenitura non ha minor rendita di ottantamila scudi annui, oltre i palazzi superbi ed i mobili d’inestimabil valore. L'Uditore SS."° ha preso il possesso di tutto, per cederlo a chi sarà di ragione. 3 gennaio 1761. Al sig. cardinale Orsini, Ministro della Corte di Napoli, mostrò VEm.®° sig. Car- dinal Segretario di Stato un biglietto del comm. -Almada, già Ministro in questa Corte del Re di ‘Portogallo, che fu ritrovato nella perquisizione fatta dal Governo in casa del carcerato stampatore Pa- gliarini, col quale biglietto esso Ministro dichiarava il Pagliarini Archivista di S. Maestà Fedelissima, e pregò sua Em.* a palesargli se quel biglietto aveva forza di patente, e a discoprire su ciò ancora: il sentimento degli altri Ministri esteri. Ciò fu fatto da S. Em", e tutti concordemente hanno risposto quella non essere patente. Il che fa credere si voglia procedere rigorosamente contro lo stampatore, senza alcun riguardo a quel biglietto. Intanto però si è risaputo che il comm. Almada, intesa la carce- razione del suo stampatore, abbia qua scritto una lettera assai minaccevole, giungendo fino a dire che S. M. Fedelissima penserà seriamente a qualche rappresaglia per vendicare l’ingiuria fatta con questa carcerazione al familiare di un suo regio Ministro. 24 gennaio 1761. Qui lia molto applauso e concorso la comedia in musica la Cecchina, recitata da valenti attori in questo Teatro di Torre Argentina, a che i biglietti della platea, de’ quali il prezzo è di paoli due, non si possono avere a meno di paoli cinque, ed i prezzi de’ palchetti del terzo e quarto ordine sormontano fino a tre e quattro zecchini. 31 gennaio 1761. Il carnevale è passato con molta tristezza, sì per la mancanza de? festini, che N. Signore non ha voluto in alcun modo permettere, e sì ancora per la brevità del medesimo, impedito dalla vigilia e prossima festa della Madonna. Il giovedì grasso la mattina N. Signore chiamò tutti i parrochi appresso di sè, c si riscaldò molto perchè alcuni di essi, nell’istruzione del popolo, si servissero di certi Catechismi oltra montani, lasciando il celebre Catechismo romano, che è stato sempre l’usato fonte onde tutte le nazioni cattoliche hanno appreso la pura dottrina cristiana. A questo effetto ha egli ordinato che si stampi il medesimo Cate- chismo, tanto latino, quanto tradotto in italiano, ed egli stesso ha contribuito allo stampatore mille sendi per la medesima impressione. Un nuovo libello è stato mandato dalla Posta di Francia a quasi tutti questi sigg. Cardinali, nel qual libello sì dichiarano come capi di una seconda congiura contro il re di Portogallo i cardinali Ac- ciaioli e Torrigiani ed il P. Ricci, Generale de’ Gesuiti. La mancanza in quest'anno delle Opere grandi in musica ha eccitato ventidue cavalieri romani a fare una società per sostenere ne’ futuri anni il decoro di questi Teatri, e per ciò hanno depositato cento scudi per ciascheduno, affinchè servano di scorta alle spese infinite che si richiedono per la condotta di valenti musici ed altro. Ter mattina si addottorò in Sapienza monsig. D. Giovambattista Rezzonico, nipote di S. Santità, il quale credesi che prenderà la mantelletta prelatizia e comprerà il Protonotariato Apostolico di monsig. Luca- telli, Nunzio in Napoli. 8 febbraio 1761. Fino nel sabato scorso fu bruciato per mano del carnefice il libereolo che signi- ficai, intitolato: Dimostrazione dell’ossequio, ecc.; e questa esecuzione fu ordinata da N. Signore e fatta eseguire da Monsig. Governatore. 32 26 GIOVANNI SFORZA ‘— PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. La mancanza degli erbaggi e de’ salumi troppo evidente ha indotto questo Em.®° sig. Cardinal Vicario a richiedere a S. Santità l’indulto di uova e latticini per questa Quaresima. Benchè l’animo del Papa sia difficilissimo, con tutto ciò credesi che si piegherà a siffatta concessione, per la sopra detta palese necessità. 28 febbraio 1761. Essendo vacata la dignità di Gonfaloniere del Popolo Romano, per l’estinzione della famiglia Pamphyli, in cui era ereditaria, la S. di N. Signore l’ha conferita all’Ece.»° sig. D. Lodo- vico Rezzonico, suo nipote, e l’ha resa ereditaria nella casa Rezzonico. Ma questa dignità è più onorevole che utile. L'autore delle Novelle letterarie di Firenze ha nel principio di quest'anno pubblicate alcune propo- sizioni sopra la spiritualità ed immortalità delle bestie, le quali a questo P. Segretario dell’Indice e ad altri teologi hanno fatto ribrezzo, e però credesi che saranno esaminate, per ordine Santissimo, onde debbano condannarsi, ovvero costringere l’autore a ritrattarsene. È stata pur data ad esaminarsi ad alcuni teologi la traduzione di un Catechismo francese, nel quale si dice esservi alcune proposizioni che sanno di giansenismo ed altre che certamente oppugnano- i privilegi e le prerogative della Chiesa Romana. 28 marzo 1761. Questo sig. D. Lodovico Rezzonico, come primo Principe del Soglio Pontificio, nel giovedì santo, essendosi portato per la prima volta a prendere possesso del suo posto onorifico, ebbe qualche controversia di precedenza col sig. Contestabile Colonna, Principe nato, il quale peraltro dovette cedere alle autorevoli intimazioni di monsig. Reali, Maestro delle Cerimonie pontificie. 11 aprile 1761. Il Pagliarini, celebre stampatore, dopo una rigorosa e segreta carcere, finito il pro- cesso, essendo stato posto alla larga, come dicono, cioè con la facoltà di trattare liberamente, ha rice- vuto più visite di persone erudite e di qualità ancora, che non forse un prelato ne’ giorni della sua promozione; la qual cosa non è piaciuta all’Em."° Segretario di Stato ed ai RR. PP. Gesuiti, che mal volentieri vedono applaudito l’istrumento di tante stampe pubblicate contro di loro. 15 giugno 1761. Questa passata notte, dopo due giorni di malattia, è morto l’Em."° sig. cardi- nale Orsi, religioso domenicano, uomo di molta reputazione nella dottrina manifestata colle sue opere, e specialmente coll’Istoria Sacra, stampata fino al tomo vigesimo primo. Questa morte è stata compianta da tutte le persone letterate e da bene; ed è morto come dee morire un religioso Cardinale, senza lasciare altra eredità, che da pagare, seppure si possa, i debiti contratti nel cardinalato, che ha goduto per soli ventun mesi. 20 giugno 1761. Lunedì mattina fu sorpreso da un fierissimo accidente, nel suo romitorio di Camal- doli, l’Em.®° sig. cardinale Passionei, che perdè subito la parola ed anche di poi la cognizione. Im questo infelicissimo stato vive egli ancora, ma senza speranza di ristabilimento; e le nuove di questa mattina sono pessime. Gli uomini che, anche nell’età ottuagenaria in cui egli era, vogliono ripetere altronde che dalla necessità fatale dell’umana condizione le cagioni della morte, hanno attribuito questo accidente ad un fierissimo disgusto che egli sofferse il giorno avanti, in cui per comando espresso di S. Santità fu cbbligato a sottoscrivere il Breve dell’anzidetta proibizione del Catechismo, di cui era manifesto ed appassionato difensore. Comunque siasi egli muore, e qui vi è grande aspettazione e curiosità dove abbiano a finire sì la celebre libreria sua, ricca di ben quarantamila volumi, tutti scelti e rari, sì ancora quel romitorio, nell’ornamento del quale ha egli profuso tanto denaro. 4 luglio 1761. Il desiderio che questo sig. D. Emanuello Rode ha dimostrato di comprare la celebre libreria del moribondo cardinal Passionei, anche dopo aver comprata quella del cardinale Archinto e mandatala in Ispagna, dicesi che abbia fatto risolvere S. Santità a farne acquisto per la Biblioteca Vati- cana, acciò non esca di Roma un sì raro e stimabile tesoro. Fino dall’altra sera alle ore due entrò in agonia il medesimo sig. cardinale Passionei; ed è cosa sorprendente che, dopo venti giorni che è stato percosso dall’apoplessia, che gli tolse affatto e cognizione e parola, vada pur anche lottando colla morte. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR, E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 27 Teri davanti il sig. Cardinale Segretario di Stato vi fu una congregazione particolare, nella quale, dopo aver dato ad esaminare vari progetti fatti da Monsig. Tesoriere per supplire alle indigenze della Camera, che ogni anno sbilancia, per poi prenderne in altra congregazione le opportune risoluzioni, fu per ora stabilito di mettere in commercio dugentomila seudi di cedole, metà del Banco di S. Spirito e l’altra metà del Monte di Pietà; il che equivale ad un imprestito fatto alla Camera dai suddetti due Monti. 11 luglio 1761. Domenica finalmente, dopo venti giorni che era stato percosso da un fierissimo accidente apopletico, morì, in età di anni 80, l’Em.®° sig. cardinal Passionei, Segretario de’ Brevi; e morì nel romitorio di Camaldoli, da lui stesso fabbricato con pari eleganza che magnificenza. La notte medesima della domenica fu trasportato in Roma nel suo appartamento del Quirinale, e il mercordì se gli fecero le solenni esequie nella chiesa sua titolare di S. Lorenzo in Lucina, alle quali intervenne la S. di N. Signore. La grandezza e vivacità del suo ingegno, il credito appresso i più chiari letterati, specialmente oltra montani, la istoria letteraria che” possedeva maravigliosamente, la cognizione delle lingue, la notizia del mondo acquistata con i suoi illuminati viaggi e colle Nunziature delli Svizzeri e di Vienna, l'amicizia di tutti i più ragguardevoli Ministri delle Corti, ed anche di alcuni Sovrani, con cui aveva particolare commercio di lettere, la magnificenza, la copia e la sceltezza della sua Libreria, fanno regrettare di molto la perdita di questo porporato, come del più luminoso ornamento del S. Collegio. 15 agosto 1761. Nella passata domenica morì, in età di anni 79, l’Em.®° sig. cardinale D. Fortunato Tamburini, cassinense, creatura di Benedetto XIV. Benchè da tanto tempo Cardinale e provveduto di benì ecclesiastici, con tutto ciò nulla restò offesa la modestia e povertà religiosa, che furono il carat- tere di questo degnissimo porporato. Eccetto un assai moderato mantenimento, tutto dispensava ai poveri, i quali lo accompagnarono al sepolcro piangendo e gridando ad alta voce che era morto il lor padre. Fu sempre tenacissimo della più sana dottrina e dell’antica disciplina ecclesiastica in tal maniera, che non si è lasciato mai persuadere di trasferire ai suoi aleuna pensione, ma in compenso ha lasciato erede delle poche sue sostanze la famiglia. 12 settembre 1761. Volendo una ricca compagnia di stampatori inghilesi pubblicare una Bibbia con tutte le varie lezioni, ha qua mandato un letterato inghilese, perchè sia collazionata con quarantacinque codici ebraici, che sono in questa Biblioteca vaticana; e per ciò fare non deve risparmiare alcuna spesa. Monsig. Ebodio Esseman, con altri serittori intendenti delle lingue, in vista ancora di una grassa mer- cede, che già in gran parte era stata loro pagata, avevano incominciata l’opera; quando è venuto un ordine da Palazzo, che non si comunichino i suddetti codici; e ciò sul riflesso che la stampa della Bibbia sarebbesi fatta dagli eretici e in paese eretico. Questa cosa ha recato qualche sorpresa ed ammi- razione ai letterati di questa città. 14 novembre 1761. La celebre causa dello stampatore Pagliarini, accusato come cooperatore prin- cipale della stampa di libelli famosi, i quali, come si sa, furono impressi nel palazzo del sig. comm. Al- mada, Ministro portoghese, ed insieme come spacciatore de’ medesimi libri; questa causa, dico, la quale, per la diversità e lo studio de’ contrari partiti, teneva sospesa la comune aspettazione, fu agitata e risoluta martedì passato nella Congregazione criminale del Governo, ma coll’aggiunta di quattro prelati. La risoluzione veramente è stata argomento di varii ragionamenti, e di non poca ammirazione per tutta Roma, attesa la troppo grande diversità de’ voti. Perchè quattro prelati, cioè monsig. Frangipane Udi- tore di Ruota, monsig. Origo, monsig. Caprara il giovine, e monsig. Antaniari lo hanno assoluto. Gli altri cinque, cioè i due Luogotenenti del Governo, con monsig. Governatore, sono stati per la morte, e monsig. Cenci e monsig. Braschi per la galera, uno per dieci anni, e l’altro per sette; sicchè la risola- zione, che sempre inclina alla sentenza migliore, nocque alla condanna alla galera per septemnium. Questo dissidio di sentenze è assai spiaciuto alla S. di N. Signore e a questo Ministero, dando troppo distanza la sentenza di morte dall’assoluzione, e non potendosi nascondere l’urlo di quasi tutta Roma contro la medesima risoluzione. Con tutto ciò, monsig. Governatore questa mattina portava alla S. di N. Signore 2 GIOVANNI SFORZA -— PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. 090 un memoriale per ottenere la grazia di assoluzione al Pagliarini, e si sapeva che le disposizioni del- l’animo paterno di N. Signore inclinavano alla clemenza. Ho risaputo come N. Signore nell’udienza di questa mattina data a monsig. Governatore ha graziato il suddetto Pagliarini, e lo ha liberato dalle carceri ex quo satis, come dicono, cioè computando in luogo di pena la lunga carcerazione che ha sofferto quasi di un anno. 3 9 gennaio 1762. La sera della domenica passata si cominciò a godere l’ornamento della facciata del palazzo dove abita l'Em.®° di Rochecovart, Ministro plenipotenziario di S. M. Cristianissima. L’ar- chitettura è del virtuoso Carlo Murena, ed è riuscita di ottimo gusto e di rara invenzione. Le illumi- nazioni di torce sono state al sommo grandiose; vaghissime le sinfonie di musicali istromenti; abbon- dantissimi i rinfreschi, distribuiti a tutta la nobiltà e prelatura, che tutta vi concorse; e la spesa è stata senza risparmio, ascendendo alla cospicua somma di scudi cinquemila. Questa solenne festa è durata tre ore continue. Giovedì sera uscì la prima volta in scena l’opera in musica detta la Zenobia; la qual opera non ha, per verità, ricevuto un pieno applauso: il che però non si sa se sia derivato, o dalla mediocrità della musica e de’ balli, o dal gusto oggimai troppo fastidioso e superbo degli spettatori. È 23 gennaio 1762. La celebre biblioteca del cardinal Passionei, composta di 38.000 volumi, e tutti rari, resta per anche non esitata, nè venduta, contro le speranze che avevano gli eredi che fosse per comprarsi da S. Santità a quel prezzo corrispondente alla stima e al valore della medesima, cioè a cinquanta e più mila scudi. Ma, con serpresa de’ medesimi eredi, è stato loro definitivamente risposto dal Cardinale Segretario di Stato, che da S. Santità non si vuol pagare se non venticinque mila scudi, e ciò che è parso loro più duro, hanno avuto ordine di non venderla fuori di Stato. 30 gennaio 1762. È qua giunto un certo Bernardo Gigli, veronese, uomo di statura veramente gigantesca, di anni ventitrè, il quale sorprende, per la sua smisurata altezza e proporzioni di parti, chiunque lo riguarda. Egli si è, per così dire, aftittato per nove anni ad un uomo, che lo conduce intorno per guadasno. Lunedì sera fu condotto al sig. cardinal Rezzonico ed a Monsig. Governatore. Si diletta molto della caccia, e tra le condizioni dell’affitto vi è che quando il tempo lo permetta debba essere in una carrozza chiusa, fabbricata per lui, trasportato fuori delle porte della città, siccome segue in Roma, con spavento de’ villani, che a quella vista, veramente sorprendente, si fuggono. 6 febbraio 1762. Mercoledì passato andò in scena nel Teatro di Torre Argentina la seconda opera drammatica, intitolata L’Artuserse, posta in musica dal celebre Piccini, la quale riscosse molto applauso e per la sceltezza della musica e per le magnifiche decorazioni che l’accompagnano. La grandissima penuria dell’olio, che è in Roma, ha indotto S. Santità a condiscendere alle istanze del sig. Cardinal Vicario e concedere per questa città e suo distretto la dispensa dell’uova e latticini nella prossima Quaresima, a riserva però de’ giorni di vigilia, venerdì e sabato, e di tutta la setti- mana santa. 2 aprile 1762. Domenica passata il sig. cardinale Antonio Maria Erba Odescalchi, Vicario di Roma, in età di 49 anni, alle ore 21, morì, essendo poche ore avanti sorpreso da alcuni dolori, che furono creduti colici, ma che dopo l’apertura del cadavere si scoperse essere stati prodotti da un foro, che sì trovò nell’intestino duodeno, verso il piloro, onde in brevissimo tempo si guastò tutta l'economia e della digestione e poi del respiro. Quesia morte è stata compianta universalmente, e in particolare dai poveri, di cui era padre amorosissimo. Lascia 17.000 scudi di debito, la maggior parte contratti per fare limosine. Si trovò che aveva impegnati orologio e scatola d’oro, per sovvenire i miserabili, e che pochi giorni innanzi alla sua morte aveva pur fatto impegnare alcune medaglie, pur d’oro, per rivestire una pericolante zitella. Questa carità cristiana, ch’era l’anima di tutte le sue azioni, la dimostrava ancora nel compatire i difetti degli ecclesiastici, de’ regolari e d’ogni genere di persone, onde non dominava nel clero, ma con mansuetudine e con modestia sacerdotale operava l’altrui salute. Fino nel shetto, gli yy a Le MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 29 ebrei, che sono soggetti alla giurisdizione del Vicario, lo hanno amaramente pianto. S. Santità è per questa perdita inconsolabile, perchè lo amava teneramente, e lo chiamava la sua creatura diletta. 10 aprile 1762. Finalmente il sig. cardinale Marcantonio Colonna, dopo essersi fatto pregare molto tempo, e fino con le lagrime, da S. Santità, ha accettato la carica, assai difficile e inquieta di Vicario di Roma. Egli è giovane di anni 38, ed è devotissimo de’ Gesuiti, i quali hanno avuta gran parte in questa scelta, fatta dal S. Padre; scelta che è stata applaudita, perchè anco in quella età tiene una condotta di perfetto ecclesiastico, tutto applicato agli studi ed opere pie. Mancali forse (e già per tem- peramento) quella dolcezza di tratto e mansuetudine, che fu il vero ammirevole carattere del defunto cardinale Odescalchi. Mercoldì partì per Velletri l'Em."° sig. cardinale Spinelli, il quale dicesi che, poco contento del pontificato, non farà ritorno che prima di luglio. La sua poca soddisfazione, per quanto si sospetta, nasce dal vedere che il partito gesuitico ha preso troppo piede nell’animo del Papa e di quasi tutta la Corte, e che però si fa poco conto de’ suoì consigli. Del sig. Cardinal Vescovo di Laon ha il celebre nostro Batoni fatto un bellissimo e somigliantis- simo ritratto, che è stato ammirato da tutta Roma. 1° maggio 1762. Lunedì alle ore 11 partì N. Signore per Civitavecchia insieme con i sigg. cardi- nali Cavalchini e nipote, e giunsero verso mezzogiorno a Palo, feudo dell’eredità Grillo, dove fermossi la sera ed alloggiò nel palazzo, che fu fornito di tutto il bisognevole, ed oltre a ciò nel primo ingresso del palazzo fu presentato a S. Santità nella gran sala un magnifico regalo, consistente in trenta smi- surati bacili, ripieni di zuccari, cere, cioccolate, ecc. oltre una bellissima statua di butirro e due sran pesci, uno storione di cento ed un pesce spada di ottanta libre. Belli e copiosi anche furono i regali di “altri signori feudatari, per le cui terre passò. La mattina seguente al mezzogiorno giunse a Civita- vecchia, salutato dallo sparo della fortezza e delle galere, essendo stato preventivamente incontrato dal sig. cardinale Oddi, vescovo, e dal Magistrato, che li presentò le chiavi. La sera vi fu bellissima illu- mimazione, tanto per la città, quanto sui legni del mare; e in Civitavecchia pure ricevve bellissimi regali, particolarmente da Monsig. Acquaviva, Commissario del Mare, in un superbo quadro, e dall’af- fittuario Lepri in un pesantissimo e largo gabarè d’argento dorato, con sopra alcuni vasi di porcellana di Sassonia, legati in oro, e un degiunè d’argento, pur dorato, di finissimo lavoro. 31 luglio 1762. In questi passati giorni è uscito da Palazzo e da Monsig. Governatore un ordine che proibisce rigorosamente il giuoco del Faraone, e sono stati chiamati i nobili tagliatori, loro inti- mandogli che S. Santità non voleva in alcun conto questo giuoco, e che ad ogni patto voleva essere ubbidito. 14 agosto 1762. È stata finalmente conchiusa la compra della celebre libreria del sig. cardinal Pas- sionei dal Serenissimo Infante di Parma, per scudi trentamila. Vi resta qualche difficoltà per i codici manoscritti, i quali, in vigore di Bolle pontificie, si pretendono da questa Biblioteca Vaticana, ma credesi che queste si sopiranno. 21 agosto 1762. Lunedì passato fu tenuta una congregazione particolare sopra la zecca, nella quale fu ordinato che si ritirassero tutti i Quartini, parte de’ quali si erano ritrovati di minor valuta ed alcuni ancora falsi; e di questi, raccolti insieme e ridotti alla perfezione dello zecchino, se ne formassero tanti zecchini, onde non più sussistesse la moneta del Quartino. Un'altra ordinanza fu fatta, riguardo ai Quattrini, sparsi per Roma e per tutto lo Stato Ecclesiastico, i quali tutti si debbono ritirare e formarne baiocchi e mezzi baiocchi e quattrini ancora, ma tutti di un istesso conio e valore intrinseco. 11 settembre 1762. Non si mette più in dubbio che sia stato qui concluso ed abbracciato il pro- getto di seccare le Paludi Pontine a spese della R. Camera Apostolica, e già ’Em.®° Segretario di Stato va distendendo il piano per formarne il chirografo pontificio per la sopraintendenza, la quale sarà addossata all'Em.®° sig. cardinal Cenci coll’assegnamento, dicono, di scudi quattrocento il mese. 530 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. 1S settembre 1762. Un certo marchese Capriata, torinese, che qui dimora, dopo avere avute dal Governo molte ammonizioni, perchè moderasse la sua maniera troppo libera e fanatica, di parlare contro i Gesuiti ed il pontificato medesimo, ma sempre senza emendazione, anzi avendo parlato pubblicamente ed impropriamente dell’ultima allocuzione concistoriale, ha avuto di qua l’esilio, ma finora non è partito, sperando, per la mediazione del sig. conte di Riviera, di accomodare l’affare. 13 novembre 1762. Ieri, dopo due in tre giorni di malattia, morì il sig. cardinale Merlini, di anni 72, Quest'uomo, benchè di scarsa fortuna, col suo talento e industria, ha saputo procacciarsi quell’alto grado di fortuna e di dignità. Fu mandato da Benedetto XIV Nunzio a Torino, dove si conciliò siffat- tamente la grazia di quel Sovrano, che fu ricolmato di grazie e di benefizi e di pensioni, anche per i suoi nipoti. Nell’erezione che la S. Sede fece di Pinerolo in Vescovato, ad istanza del Re di Sardegna, ebbe dal medesimo un regalo preziosissimo d’argenteria lavorata in Francia, la quale pretendesi che ascenda al valore di ventimila scudi. Una superba e ricca croce di diamanti ebbe pure in regalo quando, come Nunzio straordinario, presentò le fasce per il primogenito del Duca di Savoia. In tempo della di lui Nunziatura ottenne quel Re un indulto sopra i beni ecclesiastici, che al Nunzio, per i suoi diritti, fruttò da circa centomila scudi. Di lì passò Presidente d’Urbino, dove pure cumulò ricchezze e portatosi a Roma ha qui vissuto con qualche parsimonia, onde si crede che il di lui asse ereditario possa ascen- dere a cento mila scudi. 21 novembre 1762. La liberazione del celebre stampatore Niccola Pagliarini fu ricevuta da tutta Roma con infinito piacere ed applauso, di modo che molti personaggi di qualità e di lettere, e tra gli altri il Ministro di Spagna, andarono a visitarlo e rallegrarsi con esso lui, che da questo universale compiacimento ha ricevuto un compenso alla sua passata disgrazia. Non può però negarsi che quest’ap- plauso abbia recato una qualche mortificazione a chi lo aveva così severamente inquisito e condannato. 27 novembre 1762. Dicesi che sia finalmente uscito un chirografo pontificio col quale si ordina il disseccamento delle Paludi Pontine, e se ne dà la soprintendenza senerale e privativa al sig. cardinal Cenci, coll’annuo assegnamento di tremila scudi, ed oltre a ciò si smembra dalla giurisdizione di Monsig. Tesoriere tutto quel tratto di paese nel quale deve farsi il disseccamento e ancora tutto il ter- ritorio di Terracina, colle sue adiacenze. Vari sono î ragionamenti che si fanno su questa intrapresa, perchè alcuni pretendono che, ridotto a coltivazione tanto tratto di paese, che di sua natura è fertilis- simo, debba aumentarsi di molto l’erario della pubblica Camera. Altri poi sostengono che questa im- presa sia molto pericolosa nell'esecuzione, e che la penuria dell’erario pubblico non possa ripararsi che colla molteplicità degli uomini senza cui nè può coltivarsi Ja terra (come, pur troppo, vedesi nell’ab- bandonato agro romano), nè possa mai arricchirsi un principato. Comunque siasi, il S. Padre è con- tentissimo di questa risoluzione, rappresentatali come evidentemente proficua allo Stato e gloriosa al suo nome. 11 dicembre 1762. Nelle prossime feste ha N. Signore, per consiglio del sig. cardinal Castelli, ordi- nato che si faccia in sei chiese il Catechismo come ne’ giorni quaresimali, onde si prolungherà l’aper- tura de’ Teatri, non senza mormorazione de’ dilettanti e discapito degli impresari. 8 gennaio 1763. Le pioggie ed il rigore della stagione, siccome impediscono la coltivazione della terra, così hanno riempito Roma di villani, che tumultuariamente richieggono pane, sicchè N. Signore, questa mattina, ha ordinato che al Colosseo venga distribuita a ciascun villano una porzione di pane sufficiente al quotidiano sostentamento fino a tanto che il tempo non si assereni, ed eglino possano pro- cacciarsi il vitto colla propria industria. Si era qui sparso in Roma stampato un avviso letterario, che invitava tutti ad una associazione per avere ogni settimana alcuni fogli, in cui si facessero pubbliche le riflessioni di una compagnia di let- terati, non solamente sopra i prodotti di letteratura che uscissero alla luce, ma ancora sopra le azioni politiche e civili. Questo avviso, essendo capitato in mano dell’Em."° Segretario di Stato, fu dal mede- simo appreso come un mezzo di potere impunemente attaccare e pungere le risoluzioni di questa Corte e di questo Governo, e però degno di essere rigorosamente proscritto, siecome è seguito in vigore della MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 6. sl Notificazione, o sia Editto, che qui aceludo (1). Ma questa proscrizione ha in tal maniera destata la curiosità di avere il suddetto avviso letterario, che sì cerca da ogni parte, e vuolsi pagare a qualunque prezzo. Anzi la Stamperia Camerale appena può resistere allo spaccio del sopranominato Editto, pub- blicato dal Rev.®° P. Maestro del Sagro Palazzo per ordine di S. Santità. 19 febbraio 1763. Col carnevale hanno avuto termine eziandio le Opere teatrali, e specialmente quelle in musica del Teatro d'Argentina, l’ultima delle quali ha avuto uno speciale applauso e infinito concorso. Ma con tutto questo, i nobili impresari, che sono al numero di ventisette, pe’ riguardevoli stipendi de’ musici e de’ ballerini, e per le spese fatte nelle bellissime decorazioni e delle scene e del vestiario, vi rimettono duemila e cinquecento scudi del loro. 26 febbraio 1763. È uscito per Roma un manoscritto di un matematico napolitano, il quale si è presa la briga di provare dispendioso e al pari inutile il progetto già incominciato ad eseguirsi di dis- seccare le Paludi Pontine, secondo il sistema già abbracciato; ed egli stesso ne promette uno, e di certo vantaggio, e di pochissimo dispendio alla Camera, ma senza spiegarlo, proponendo di manifestarlo quando vogliono appoggiarne a lui la direzione. Ma di questo scritto non se n’è avuta ragione alcuna. 5 marzo 1763. Mercoldì sera giunse qua l’infausta nuova dell’improvvisa morte del sig. cardinale Baldassarre Cenci, il quale si trovava nella sua Commissione per le Paludi Pontine, e si era il martedì portato a vigilare il sig. cardinale Neri Corsini a Porto d’Anzio, il quale ebbe il rammarico di essere spettatore di questa tragedia, essendo stato trovato morto in letto dal cameriere, che lo doveva destare. È morto dopo quindici mesi di cardinalato, il quale non li ha fruttato altro che la rovina della sua fa- miglia, avendo lasciato per ventiduemila scudi di debiti; la maggior parte de’ quali erano stati contratti col conte Nicola Soderini, suo cognato: sicchè ora vacano otto cappelli cardinalizi. La perdita è stata considerabile, perchè era un uomo di gran talento e molta attività, e dotato ancora di eloquenza, colla quale poteva molto nelle Congregazioni, e si era ancora acquistato molto eredito presso Nostro Signore, il quale dicesi che lo avesse predestinato successore al Cardinale Pro-datario. Attesa la copia de’ debiti, ha Nostro Signore dispensato la famiglia dalla srave spesa del funerale cardinalizio qui in Roma, essendo stato sepolto nella chiesa del luogo dove è morto. 16 aprile 1763. La inaspettata morte dell’Em.®° sio. cardinale Spinelli, Decano del Sacro Collegio, seguìta dopo una brevissima malattia di angina, di tre giorni, ha come un colpo di fulmine percossa (1) Hecolo, conservandone con fedeltà scrupolosa l'ortografia: EDITTO “ Essendosi divolgato in questa Città un Foglio stampato senza luogo dell’Impressione, e nome dello “ Stampatore con il seguente titolo: IZ Parlamento Ottaviano ovvero le Adunanze degli Osservatori Italiani. “ Avviso. Nel quale si suppone, e si asserisce avere in Roma la sua Sede il detto ParZamento, o sia adunanza “ d’Uomini di lettere, nella quale ragionasi de’ costumi degli Uomini, delle buone, e ree usanze del Mondo, “ d’ogni cosa riguardante la Vita, e la civil società, e finalmente d’altre materie scientifiche e Letterarie, È e dicesi, che si pubblicherà ogni settimana in fogli separati l'estratto di ciascheduna adunanza, aggiun- “ gendosi in altre che questi fogli si stamperanno in Roma, e si esiteranno nella medesima Città. Il Maestro “ del Sagro Palazzo con l’autorità del suo Ufficio, e con l'oracolo a viva voce comunicatogli dalla Santità “ di N. S. Para CLEMENTE XII, proibisce a qualanque persona di questa Città l’introdurre, ritenere, spac- “ ciare, vendere, o dare ad altri; lo stampare quì, o mandar altrove ad imprimere il sodetto, o alcuno di © que’ Fogli ch’esciranno sù tali materie, se prima non saranno riveduti, approvati o permessi dallo stesso °° P. Maestro, e ciò sotto le pene e censure contenute, ed espresse nelle Regole dell’Indice, e Costituzioni “ Apostoliche, ed altre ancora ad arbitrio de’ Superiori. “ Dato dalle nostre Stanze dal Palazzo Apostolico Quirinale questo dì 4. Gennajo 1763. “ EF. Tommaso Agostino Ricchini Maestro del Sugro Palazzo. In Roma MDCCLXIII. Nella Stamperia della Reverenda Camera Apostolica. 92 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. tutta Roma. Egli era un Cardinale di infinito credito, non pure in questa Corte, ma più nelle estere, e specialmente in quella di Francia. E benchè paresse alquanto alienato da questo ministero presente, specialmente per la diversità delle opinioni teologiche, tuttavia aveva grandissima influenza nel maneggio degli affari, che non si concludevano senza qualche sua saputa e direzione, perchè era il più illuminato di tutti. Aveva di rendite ecclesiastiche presso a 18 mila scudi annui, quali però spendeva tutti in ele- mosine, e in riattazione di chiese, e in vantaggio di quelle diocesi, di cui fu vescovo, eccetto il suo mantenimento, che era splendido, ma senza offesa della ecclesiastica moderazione. Nell’ultimo atto della sua vita non ha punto smentito il personaggio di ecclesiastico amante della severa disciplina, morendo con spirito forte e rassegnato, e con un testamento esemplarissimo, perchè non ha lasciato al nepote che tremila scudi per una volta tanto, e l’uso degli argenti e della biblioteca. Nel resto, dopo diversi piccoli legati ai suoi amici, e qualche vitalizio per î suoi veechi familiari, ha voluto che il suo asse ereditario si spenda in molte opere di religione. Potendo risegnare duemila scudi di pensione, che aveva su’ diversi vescovadi del Regno, non ne ha risegnati che cento, cioè quaranta al figlio di un suo vecchio cameriere, perchè possa ordinarsi, e gli altri sessanta ad un suo vecchio povero cappellano. Giovedì il giorno fu con solenne cavalcata trasportato alla chiesa dei SS. Apostoli, dove iermattina portossi il Sommo Pontefice con tutto il Sacro Collegio a celebrarli le osequie. 7 maggio 1763. Questo sig. Duca di Bracciano ha fatto qua venire dalle cartiere del suo feudo di Bracciano uno stromento di Olanda, per mezzo del quale si fabbrica la carta con assai più di solleci- tudine, e meno di gente, e lo ha già messo in opera assai felicemente. Perchè la carta, specialmente per la stampa, si acquista con minor prezzo, ed è più perfetta delle altre. È però cosa inintelligibile, che fin ora da questo Governo sia stata rigettata con istanza che fa di avere la privativa degli stracci, onde non si possano mandar fuori prima che ad un mediocre ed onesto prezzo sieno provvedute le car- tiere di Roma e de’ suoi contorni. Si oppongono a questa istanza alcuni mercanti, che fanno un com- mercio dei medesimi stracci assai copioso co’ Genovesi, dove ogni anno s’indirizzano molte barche con simil carico. 11 giugno 1763. Questa notte, dopo la lunga malattia di ben tre anni, è morto, in età di anni 71, il sig. cardinal Paolucci, vescovo di Porto. Le grandi spese che ha fatte nelle sue Nunziature lo fanno morire carico di debiti, benchè fosse provvisto assai sufficientemente di beni ecclesiastici. 16 luglio 1763. Lunedì passato la Santità di N. Signore portossi a vedere la superba villa subur- bana nuovamente fabbricata dal sig. cardinale Alessandro Albani. Questa è ripiena delle più preziose antichità romane, statue, colonne, marmi ed altro, che egli ha studiosamente acquistato quasi per tutto il corso della sua vita. Nella fabbrica della medesima villa, posta lungi dalla Porta Salaria un quarto di miglio, ha impiegato sedici anni continui, e ci ha speso presso a quattrocentomila scudi. Prima che vi giungesse S. Santità, fece S. Em." ricoprire quelle statue greche, le quali erano pericolose a vedersi. Il ricevimento fu magnifico e splendido, perchè tutte le guardie de’ cavalleggerì, corazze e svizzeri e tutti i parafrenieri, oltre un copioso rinfresco, ebbero un mezzo scudo per uno. N. Signore poi fu re- galato di un crocifisso di marmo e di un servizio di porcellana assai pregevole. £2 ottobre 1763. Teri giunse qua staffetta da Pistoia che recò la funesta notizia della morte del- L’Em.mo sig. cardinal Banchieri, seguìta il giorno 18 di questo mese; nel qual giorno medesimo morì qui in Roma l’Em.m° cardinal Valenti di Trevi. Il primo ha lasciato molto desiderio di sè appresso i buoni, perchè, sebbene fosse uomo per natura impetuoso, con tutto ciò era assai onesto, suscettibile d'amicizia e dotato di una efficace eloquenza per avanzare i suoi amici. Ha fatto un magnifico testamento, siccome sempre magnificamente ha vissuto. Ha lasciato tremila scudi ai poveri di Subiaco, dove aveva una ricca Badìa; duemila cinquecento scudi alla famiglia, e tre mesi di paga, oltre la quarantina e lo scorruccio, e varii altri legati ricchi ai suoi amici. L'asse ereditario oltrepassa i centomila scudi; e gli esecutori sono i sigg. cardinali Gianfrancesco Albani e Segretario di Stato. 29 ottobre 1763. Siccome l’asse ereditario di cui ha fatta la sua testamentaria disposizione l’Emi- nentissimo sig. cardinal Banchieri, ultimamente morto in Pistoia, cresce ognor più, di modo che dicesi MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 39 che arrivi a 300.000 scudi romani, così cresce pur anco la maraviglia in tutti, che non sanno come abbia potuto far tanto cumulo di ricchezza un signore che ha avuto sì tenui principii, e che ha sempre speso magnificamente, ed anche liberamente. Alcuni credono che imprestasse ad un mercante, che passò nell’Indie, da seimila scudi, e che dopo molti anni li riportasse una considerabil somma di scudi qua- rantamila, e che avendo il Cardinal rimorso di un tal guadagno, severamente proibito ai chierici, facesse ricorso al passato Pontefice, il quale lo assolse e gli diede ampia facoltà di continuare quella negozia- zione per alium, purchè ne fondasse una prelatura, siecome ha disposto; la qual prelatura non ha minor fondo di scudi centocinquantamila, avendo del restante accresciuta non poco la primogenitura della fa- miglia, e fatti molti e considerabili legati ai famigliari, ai poveri ed agli amici. 26 novembre 1763. Le angustie di questa R. Camera per lo sbilancio visibile delle spese sono giunte a tale, che non si può evitare l'imposizione di nuove considerabili gabelle, la qual cosa aborrisce la Santità di N. Signore, inclinato anzi al-sollievo de’ suoi popoli. Quindi dicesi che siasi fatta una compagnia di persone facoltosissime, la quale ha progettato a Monsig. Tesoriere di prendere sopra di sè tutta l’esazione delle finanze della Camera, offrendo di corrispondere alla medesima dugentomila scudi annui, oltre di quello che entra presentemente nell’erario della stessa Camera. 17 decembre 1763. Ha qui dato molto da ragionare un ritratto in istampa con un elogio. del P. Ma- lagrida, quasi fosse un martire. Le molte copie sono state ritirate dal Tribunale del S. Offizio. 7 gennaio 1764. È insorta una controversia tra questo nuovo sig. Ambasciatore di Francia e Mon- sionor Governatore circa il palchetto del teatro, che suole assegnarsi a detto sig. Ambasciatore, perchè Monsig. Governatore ha preteso che li sia richiesta la chiave dall’Ambasciatore, per mezzo del suo Maestro di Camera, adducendo essere questo lo stile; ma all’incontro il sig. Ambasciatore voleva che Monsig. Governatore, senza altra requisizione, li mandasse la chiave. Non si potendo accomodare le parti, e volendosi pure che questa sera andasse in scena l’Opera, si è preso il compenso dal sig. Car- dinale Segretario di Stato di mandare esso la chiave al sig. Ambasciatore, con un biglietto, in cui di- chiara che per questa volta solamente se li manda dal medesimo sig. Cardinale la chiave fin tanto che N. Sisnore, esaminato l’affare, lo deciderà a suo tempo. 21 gennaio 1764. Domenica, 15 del presente, morì il celebre sig. cardinal Furietti, dopo essere stato quasi due anni fuori di se stesso. Martedì li furono fatte le solite esequie nella chiesa della Minerva, dove portossi in forma pubblica S. Santità, che assistè alla messa e alla assoluzione del cadavere. Nella sua eredità vi sono alcune preziosissime antichità, delle quali hanno parlato gli eruditi, e che gli eredi hanno avuto proibizione di estrarre da Roma, non ostante le offerte vantaggiosissime fatte da diversi signori inglesi. Si assicura però che le comprerà il Papa, o per il Campidoglio, o per il Museo della Biblioteca Vaticana; e si delibera sul prezzo, perchè gli eredi pretendono 18 o 20.000 scudi e dall'altra parte sono stati offerti soli 14.000. 7 aprile 1764. Domenica passata si fece una solenne Processione di Penitenza, alla quale intervenne S. Santità con tutto il S. Collegio, prelatura e clero secolare. Incredibile fu il concorso del popolo, che si edificò e intenerì molto, vedendo le continue lagrime sparse dal S. Padre, il quale nel giorno seguente portossi a S. Giovanni Laterano a salire in ginocchio la scala santa. Ma tutto questo apparato di de- vozione, per altro lodevolissima, accrebbe nel popolo il timore della vicina fame, essendosi sparsa voce .che in Roma non vi fosse pane altro che per otto giorni. E questa paura si convertì e proruppe in aperta mormorazione del Governo, quando ne’ giorni seguenti si vide affisso un editto in cui sì faceva palese al popolo che, attese le presenti calamitose circostanze, la pagnotta del peso di oncie otto, che da tempo immemorabile è stata sempre pagata un baiocco, in avvenire si dovesse pagare il doppio, acciò avesse maggiore spaccio il pan bruno, al quale spaccio essendo stati destinati pochi forni (che ieri furono dovuti accrescere, per le premurosissime istanze di Monsig. Governatore) grandissimo fu il tumulto del popolo, che si affollava a que’ pochi forni, e per lo sparo di un’archibugiata di uno sciocco soldato, poco mancò che non si eccitasse una sedizione popolare. I motti satirici, di cui abbonda sempre questa città, sono così frequenti e sfacciati che i nipoti di S. Santità e gli altri Ministri si astengono 33 34 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. dall’uscire in pubblico. Siccome poi nello stesso editto si proibisce l’estrazione di qualsivoglia pane, tanto bianco, come bruno, per sostentamento delle Comunità suburbicarie, così, erescendosi e affollan- dosi da ogni parte a Roma ì contadini, cresce, col bisogno, la confusione e il timore. Per altro, a dire il vero, il pane fin ora non è mai mancato, siccome si è saputo che pur troppo è mancato a Napoli, a segno che si vedevano per le strade morte di fame non poche persone; e qui le quotidiane provvidenze del Ministero, che ad altro non pensa, dànno il più possibile riparo a tanto male. 14 aprile 1764. Lunedì prossimo passato sì tenne Concistoro segreto. Vi si trattò di levare un mezzo milione di danaro effettivo da Castel S. Angiolo e secondo Ja Bolla Sistina furono ricercati i voti di tutti i sigg. Cardinali, i quali poi sottoserissero il decreto fatto da S. Santità, nel quale si di- chiarava essere luogo alla suddetta estrazione per la presente carestia, che è uno de’ casi in cui Sisto V__ la permette. Onde nel giovedì seguente tutti i sisg. Cardinali capi d’ordine e quei prelati che si ricercano nella stessa Bolla Sistina si portarono a Castel S. Angelo, ed aperte le tre porte ed il gran cassone dove sta racchiuso il Tesoro, fu fatta l’estrazione del mezzo milione di moneta, metà della quale fu rilasciata nell’erario comune del medesimo castello, e l’altra metà fu trasportata alla pubblica zecca, a fine di farne coniare altrettante monete della specie che corre ai tempi d’oggi. Fra i voti de’ sigg. Car- dinali fu inteso con qualche ammirazione e dispiacimento quello del sig. cardinale Ganganelli, minor conventuale, che dopo avere innalzato fino alle stelle Sisto V, religioso del suo stesso Ordine, per l’ot- tima maniera che tenne nel governare, discese poi a parlare della estrazione che intendevasi fare, e sì spiegò che per parte sua non la disapprovava, ma che era necessario esaminare se l’infortunio era ve- ramente casuale, ovvero procurato dalla malizia, o negligenza grassa degli uomini; con che venne a tacciare in qualche maniera il presente Ministero. È Essendo cresciuto oltre modo îl numero de’ villani che cercan limosina e pane in Roma, la Con- gregazione particolare deputata per i presenti bisogni ha risoluto che i medesimi si riducano in luoghi appartati, separati gli uomini dalle donne, dove sarà loro distribuito ogni giorno tanto pane e qualche minestra, e dai religiosi, a ciò destinati, gli sarà fatto il catechismo. Questo provvedimento fa sperare che la maggior parte dei villani, per godere la libertà, si ritireranno da Roma e ritorneranno ai loro paesi. Qui finora non si sente la mancanza del srano, ma neppure vi è certezza che possa venirne, se non ne viene mandato dal Re di Sardegna, il quale ha replicato che usa ogni diligenza per racoglierne quanto può“e spedirlo per la via più breve a Roma. 21 aprile 1764. Fino da domenica passata qua giunse il sig. Duca di Yorck, fratello del regnante Re d’Inghilterra, e non avendo voluto accettare il nobile ospizio preparatogli nel palazzo Strozzi (che gli era stato offerto dal sig. Principe Corsini) andò ad alloggiare in casa del Barazza. Si presentarono subito i sigg. Gran Priore Corsini e D. Paolo Borghese e lo complimentarono, sempre però in nome proprio e non di S. Santità: e così ancora fu regalato la sera di scelti e copiosi rinfreschi; ed altro pur sontuoso regalo gli sarà fatto quando visiterà il Campidoglio, cioè di un gran quadro di mosaico e libri, riccamente legati, di tutte le antichità romane. Benchè in questi giorni non si siano fatte pub- bliche feste, con tutto ciò S. A. R. si è portata a sentire le musiche degli Oratori e delle chiese e a visitare tutte le Principesse e dame che facevano conversazione, benchè privatissima. Fu subito visitato da Monsig. Giovambattista e D. Abondio: Rezzonico, nipote di S. Santità, e da tutta la prelatura e Mi- nistri ed Agenti dei Sovrani. Il sig. Ambasciatore di Francia solo non lo ha. visitato, perchè secondo le istruzioni della sua Corte pretende che S. A. R. gli mandi il previo avviso del suo arrivo; il quale avviso non gli è stato in modo alcuno da S. A. R. accordato. Nel visitare la Basilica di S. Pietro vide il sepolcro della Regina Maria Clementina Stuarda e mostrò un tratto di spirito, perchè essendo scolpito in quel sepolero un angiolo che per il simbolo della morte gettava a terra la corona, voltatosi ai com- pagni, vedete, disse in francese, come la corona Stuarda è a basso. 21 aprile 1764. Le ultime lettere di Francia hanno molto rattristato questo Ministero per la fatale negativa avuta dalla Corte di Parigi della estrazione del grano. In queste emergenze crescono gli editti che restringono sempre lo spaccio del pane, si fanno Uongregazioni sopra Congregazioni, e benchè sia. sotto altissimo segreto fino a quanto tempo possa esservi la sussistenza in Roma, con tutto ciò si accresce MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE 1I, VOL. LXV, N. 6. 85 sempre più il timore della carestia. Si sono comperate in Livorno quattromila rubbie di grano da questa Annona e pagate centomila scudi. 28 aprile 1764. Tutta la passata settimana è stata ripiena di feste date a S. A. R. il fratello del Re d'Inghilterra. Martedì passato il sig. cardinale Alessandro Albani li diede una festa nella sua villa nuovamente edificata fuori di Porta Salara. Tutti i viali della villa erano illuminati, e nella gran sala, pur grandissimamente illuminata, vi fu canto e poi ballo. Il sig. Cardinale gli regalò una scatola, il cui coperchio era formato d’un grosso cammeo antico bellissimo, e si pretende abbia il valore di mille scudi. Nel martedì sera seguente fu una sontuosa festa da ballo in casa: Corsini, che fu da tutti ammirata e per gli addobbi magnifici dell’ampio palazzo e per il concorso delle molte dame, tutte ornate di gioie e vestite in gran gala, e per la copia continua de’ rinfreschi, distribuiti con ordine e magnificenza sin- golari. Nel giovedì vi fu la corsa dei barberi, alla quale intervenne Monsig. Governatore col magistrato di Campidoglio. È stato poi regalato di 80 tomi, riccamente legati, delle antichità romane, ed oltre a ciò di un quadro di mosaico e di un superbo arazzo; il qual regalo, fattogli a nome del Popolo Romano, fu accolto da S. A. R. con sommo gradimento; e tutto ha mandato al Re, suo fratello, il quale dice aver molto gusto delle antichità romane e di altre simili eleganze. Quello di cui si è ragionato molto è stata la visita fattagli dal P. Generale de’ Gesuiti, che ebbe una lunga e benigna udienza, e dicesi che gli raccomandasse tutti quei Gesuiti che, cacciati di Francia, credesi che siano già passati in In- ghilterra. 28 aprile 1764. Quello che più ha rallegrato Roma è stato il molto srano che fino la passata do- menica siunse a Civitavecchia, comperato da Giuseppe Lepri, che, unito a quello che si attende a mo- menti dalla Romagna, e che si aspetta pure dal Re di Sardegna, dicesi che ascenderà a trenta e più mila rubbie; cosicchè è cessato ogni timore di carestia, e solo resta il rammarico delle immense somme di danaro che si è speso nella compra. Si è perciò spedito corriere a tutte le piazze marittime, coll’ordine di sospendere le commissioni che ai corrispondenti erano già state date colla libertà del prezzo. 5 maggio 1764. Il timor della carestia che agitava questo Ministero si è convertito in un altro timore, che non possa qua pervenire troppo grano a troppo caro prezzo, se il corriere che fu spedito in tutte le piazze non sospenderà le commissioni che erano state date di comprar grano a qualunque prezzo si fosse. La compra inevitabile credesi ascenda a rubbie ventimila di grano, contrattato per quasi cinquecentomila scudi. Dei due reclusori stabiliti qui per raccogliere gli uomini e le donne di campagna, che avevano inondata la città, quanto si è diminuito quello degli uomini che, non potendo soffrire la mancanza della libertà, sono ritornati al lavoro della campagna, tanto è cresciuto e ogni giorno più cresce oltre modo il reclusorio delle donne e piecoli ragazzi, contandosene a migliaia, di tal maniera che si pensa di licen- ziarle, eccetto le gravide e le inferme. Il sig. Duca di Yorck, per mezzo di un generale inglese che si portò all'udienza dell’Em.m° Segre- tario di Stato, ha fatto ringraziare S. S. delle molte cortesie che, sebbene in maniera incognita, gli avea procurato nel suo soggiorno a Roma, e ha fatto scusa a S. S. se non era andato a baciarle il piede, perchè, essendo partito da Londra come all'improvviso, non avea potuto su ciò avere le opportune istruzioni dal Re suo fratello. Di più, dopo la partenza ha fatto presentare ai due sigg. fratelli Corsini e Borghese un regalo di preziosissima porcellana di Sassonia, del valore, come dicono, di presso a mille zecchini; e tanto certo sarà stato pagato, perchè venduto da Barazza, mercante di simili cose, e che avea ricevuto in casa il Real Principe. 12 maggio 1764. Benchè fosse stato spedito, come si scrisse, un corriere a tutte le piazze e porti mercantili, per sospendere le commissioni libere del grano per questa città e Stato, con tutto ciò questa provvidenza non ha potuto impedire che qua non pervengano molti bastimenti e d’Inghilterra e di Francia carichi di grano, comprato a caro prezzo. Quindi lunedì prossimo passato il sig. Cardinal Ca- marlengo e Cardinali capi d’ordine si portarono a Castel S. Angelo e, in loro presenza, fu tratto fuori il restante del mezzo milione, che fu trasportato alla zecca, per coniarne tanti muovi zecchini papali onde pagare il srano comprato, che si è trovato assai inferiore di peso e di qualità in tal maniera, che . 36 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. il pane puzzolente dà materia alla plebe di mormorare contro il Governo. Ma ciò che ha irritato l'animo di S. Santità e del Ministro è che volendosi distribuire alle città e Comuni dello Stato il grano, molte lo hanno rifiutato per essersene scoperta gran quantità che, o il timore, o l’avarizia de’ particolari avea seppellita, e ciò specialmente è accaduto nella Marca. Ma nella Congregazione solita sopra l’Annona, che fu tenuta martedì, fu risoluto che, non ostante il rifiuto delle Comunità, fosse loro distribuito quel grano, che per sovvenimento delle medesime era stato provveduto. Ier mattina poi fu tenuta l’istessa Congregazione per aprire i reclusori, tanto degli uomini, che delle donne, e rimandare alle campagne e ai loro paesi i villani, che qua volentieri sì erano annidati, non senza grave danno dell’agricoltura. La prima provvidenza è stata, che si accompagnino ai confini i regnicoli, distribuendo però loro con somma carità il pane per il viaggio, ed anche qualche denaro. La seconda, che tutti i padroni de’ feudi richia- mino i vassalli, ai quali sarà pur dato il suddetto viatico ed anche qualche denaro che distribuirassi dai feudatari nei luoghi con biglietto stampato e sottoscritto dal sig. Cardinal Vicario (1). 19 maggio 1764. In questa zecca sonosi battuti presso a 300.000 zecchini, che tutti sono stati man- dati alle piazze forestiere, non senza qualche maraviglia e lamento de’ sudditi, cui essendo stato fissato il prezzo del grano, si è poi comprato dagli esteri a un prezzo strabocchevole; onde è uscita tanta copia di danaro che vuolsi sia per passare un milione di scudi, tanto danno hanno recato e la divul- gazione della carestia e sul principio la improvvida fissazione del prezzo, insegnando i valenti politici che quando un genere in una piazza cresce di prezzo, tosto là corrono quei che n’abbondano, allettati dalle speranze del maggior guadagno, e così producono la copia e poi la minorazione del prezzo. E non mancano ancora quei, che ritorcendo sempre tutte le cose a una maligna interpretazione, credono essere stata questa carestia un monopolio di pochi avari inumani, che per arricchire se medesimi abbiano pub- blicata la carestia che non v'era; quasi che lo stesso flagello non siasi sentito, ed anche più pesante, nel vicino fertilissimo Regno di Napoli e in altre parti d’Italia. Si aggiunge la pessima qualità del grano forestiero, che facendo il pane puzzolente ed intollerabile alla delicatezza del Popolo Romano, accresce le mormorazioni e le satire. Ma quello che è certo si è, che essendo uscita tanta quantità di denaro, e cresciuti oltre modo i debiti delle Comunità, si considera dagli uomini prudenti una piaga insanabile del principato. 16 giugno 1764. Una troppo risentita e viva altercazione seguìta tra PEM.!° Cardinal nipote ed i sigg. cardinali Conti e Lante in una di quelle Congregazioni particolari, che si tenevano davanti al Car- dinale Segretario di Stato, per riparare i danni della carestia, è stato il motivo per cui le suddette con- gregazioni non più si radunino. Il soggetto della controversia è stato una competenza di giurisdizione, tra il Cardinal Camarlenso e la Congregazione del Buon Governo, perchè il sig. cardinal Rezzonico, come Camarlengo, avendo fatto un decreto per le provviste de’ grani alle Comunità, la Congregazione del Buon Governo, assistita da una Bolla di Clemente VIII, ha preteso e pretende di avere la privativa riguardo all’economico delle Comunità di tutto lo Stato Ecclesiastico. E dicesi che il sig. cardinal Conti, nel portare le ragioni della Congregazione del Buon Governo, pungesse acremente il cardinal Rezzonico in modo, che se ne afflisgesse, e inducesse poi il Papa a sospendere le Congregazioni, siccome è seguito. Monsig. Rezzonico, Commissario delle Armi, ha fatto rinnovare il suono delle Bande, e lo ha miglio- rato d’assai, secondando in ciò il suo particolar genio verso la musica. 14 luglio 1764. Si era per Roma sparsa una falsa voce, che l’Em.®° sig. Segretario di Stato volesse ritirarsi da Palazzo, rinunziando al Ministero, che avesse protestato di non potere adempiere lodevol- mente e con onore del Papa. Ma alla falsità di questa voce ha dato qualche motivo una vivissima alter- cazione che seguì tra esso sig. Cardinale e il sig. cardinal Perelli, intorno ai grani provveduti da Cambiasi. Perchè il primo voleva che ritrovati di pessima qualità si rimandassero senza pagarsi, e il sig. cardinal Perelli adduceva la buona fede, perchè si pagassero; ed aveva posto nel suo sentimento il Cardinal nipote; (1) In un altro dispaccio il Buonamici, tra le cause che spinsero il Governo Pontificio a rimandare alle loro case questi campagnoli, pone anche l’esser “ nato qualche timore che all'avanzar della stagione non si “ aprisse luogo a qualche male epidemico, tanto più che de’ ragazzi e delle donne non pochi ne morivano ,. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, SUOR. È FILOL., SERIE Il, VOL. LXV, N. 6. 37 onde il Cardinale Segretario di Stato proruppe in questa espressione, che se non si volevano lasciar servire, volentieri sarebbesi spogliato di un incarico così difficoltoso e inquieto. Dicesi che il sig. car- dinal Castelli abbia calmato questa dissenzione, ma intorno al pagamento del grano si vedrà quello che debba farsi prou? de dure. 28 luglio 1764. Lunedì passato si tenne una Congregazione particolare di cinque Cardinali, cioè Stoppani, Bonaccorsi, Castelli, Rezzonico e Segretario di Stato, nella quale si esaminò il progetto delle Paludi Pontine e la relazione fattane dall’Em."° Bonaccorsi, Delegato Apostolico per tale affare; e il progetto fu approvato coll’informazione, onde non sì dubita che quanto prima si metterà mano all'opera, non ostante la difficoltà dell’immensa spesa che sì richiede. Della voce che già si era sparsa, e che corre ancora, della rinunzia meditata dall’Em.®° sig. Car- dinal Segretario di Stato, si accerta tre esserne stati ì motivi: 1° la provvista di grano fatta a prezzo strabocchevole dall’Em.° Camarlengo, senza sua saputa, anzi contro la positiva volontà sua; 2° il richiamo fatto dal Governo di monsig. Vitelleschi, ma troppo tardi, e non senza qualche rimprovero dell'Em.®° sig. Cardinal nipote, gran protettore di quel prelato ; l’ultimo poi, e forse il più vero, si è un libello francese intitolato : Iiflessioni sopra due Brevi scritti da N. Signore, uno all’ Arcivescovo di Parigi, e l'altro al Re Stanislao nell'affare de’ Gesuiti ; nel qual libello è trattato assai irriverente- mente, con falsità ed ingiustizia, quasi autore de’ medesimi brevi, scritti contro sua voglia, almeno in quella maniera. Ne giorni passati è stato un gran concorso di nobiltà nelle officine del famoso argentiere Altonia, per vedere due bellissimi e ricchissimi lampadari, da lui fabbricati, di bronzo dorato ed argento, per ordine del canonico Uloa di S. Giacomo di Galizia, del valore di quattordici mila scudi. 28 luglio 1764. In questo Spedale di S. Spirito i malati sono cresciuti a dismisura a segno che per assistervi sono stati chiamati da venti cappuccini; ciò che si crede effetto della mala qualità del pane, che sì è qui dovuto mangiare quasi comunemente ne’ passati mesì di carestia. I morti però fino ad ora non sono molti. 4 agosto 1764. Martedì passato fu tenuta una Congregazione particolare per esaminare la maniera di presto rimettere il mezzo milione in Castello, onde era stato estratto per la nota compra de’ grani. I progetti furono vari, ma il più approvato fu quello di ritenere un bimestre de’ frutti de’ Luoghi di Monte nell’anno, fino a fare l’intiera somma. Peraltro fin ora non è stato fermato e risoluto niente. È qualche tempo che è insorta una viva controversia tra il sig. cardinale Rezzonico e la Congre- gazione del Buon Governo intorno al pagamento de’ srani dati alle Comunità, pretendendo la Congre- gazione di avere la privativa per il regolamento economico di tutte le Comunità dello Stato Ecclesiastico, ed all'incontro il sig. Cardinale Camarlengo crede che a ciò possa estendersi ancora l’autorità del suo uffizio. Il sig. cardinal Lante, Prefetto della Congregazione del pébn Governo, insieme col sig. car- dinal Conti, distesero una Memoria ben ragionata su questo ticolare, e la fecero presentare da monsig. Vincentini al sig. Cardinale Camarlengo, ma questi bruscamente la rigettò, e disse maravigliarsi che si volesse contradire all’espressa volontà di N. Signore; la quale era che egli esercitasse pienamente e liberamente il suo uffizio. 8 decembre 1764. È qua da qualche giorno stata trasportata la superba e magnifica carrozza, che il sig. Duca di Modena aveva fatta lavorare, e guarnire di velluto cremesi e ricami d’oro, in Milano, benchè non fossero gli intagli ancor dorati, e che il medesimo sig. Duca ha mandato in parte del prezzo di un celebre diamante, che un prete spoletino aveva lasciato allo Spedale degli Esposti della sua patria, e che era stato portato in Italia dal sig. Cappello, Ambasciatore di Venezia, e depositato presso un veneto banchiere. Il diamante, che è di Golconda, e di cento e più grani, è stato venduto dall’Em.m° sig. cardinal Castelli, Visitatore di tutti gli Spedali degli esposti dello Stato pontificio, al detto sig. Duca, per il prezzo di diecimila zeechini in contanti, già sborsati, e per altri seimila scudi quanto è stata com- putata la suddetta carrozza, che dorata e perfezionata raddoppierà di prezzo, ma non potrà vendersi che a qualche Sovrano; e dicesi che si comprerà dalla Corte di Napoli, quando seguano le nozze reali. 38 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. 12 gennaio 1765. Lunedì si apri questo Teatro di Torre Argentina, e andò in scena l’opera in musica intitolata: Zwnere, non senza lode de’ nobili impresari, perchè generalmente applaudita e per la sceltezza della musica e per il valore de’ cantori e per la magnificenza del vestiario e scene. Sonosi aperti ancora gli altri Teatri inferiori. Prima dell’apertura del Teatro fu accordata la controversia, che fino nell’anno passato era insorta tra questo Monsig. Governatore e il sig. Ambasciatore di Francia, per ragione che quest’ultimo pretendeva che Monsig. Governatore gli mandasse la chiave del palchetto, senza che prima gliene avesse fatta richiesta, per mezzo di un gentiluomo, come fanno gli altri Ambasciatori, e questo lieve impegno è stato accomodato con soddisfazione d’ambe le parti, avendo presentato la chiave a S. Eccellenza il Ministro del Teatro. Quest’oggi si è pubblicata improvvisamente una Bolla Pontificia, colla quale si conferma di bel nuovo l'Istituto della Compagnia di Gesù, e si esalta con molte lodi, specialmente contro gli arresti del Par- lamento di Francia, che l’aveano pubblicato per empio e dannoso. Si è scoperta in un luogo della Campagna di Roma, appartenente a questo R.»° Capitolo di S. Gio- vanni Laterano, un superbo inestimabile mosaico, il quale in bellezza uguaglia i celebri del già cardi- nale Furietti. Questo è stato regalato dal medesimo Capitolo all’Em.®° sig. cardinal Neri Corsini, arciprete di quella Basilica. i 2 febbraio 1765. Nella Congregazione de’ S. Riti, tenuta sabato passato, fu, ad istanza della vene- rabile Arciconfraternita del Cuore di Gesù, detta volgarmente de’ Sacconi, conceduto che si potesse da chi lo richiedeva recitare l’uffizio e celebrare la messa del Cuor di Gesù; qual messa ed uffizio doves- sero prima approvarsi dalla stessa Sacra Congregazione. Questa concessione, che per altro è simile a molte altre in tali casi, ebbe qualche difficoltà e contrasto, perchè aveva contro di sè un voto di Bene- : detto XIV, quando era Promotor della Fede, e due antiche risoluzioni negative di essa Congregazione, ed ancora perchè promossa con incredibil forza ed impegno dai PP. Gesuiti, inventori e propagatori di tal devozione, e perciò impugnata al maggior segno dal partito contrario. Si aspetta di giorno in giorno in questa città il celebre parlamentario d’Inghilterra Wichles, che ha dato tanto da ragionare di sè ne’ pubblici Foglietti, e ciò che è degno di riferirsi si è che S. M. il Re di Sardegna ha dato ordine a questo Ministro di non riceverlo, e ciò per le ovvie relazioni che ha esso con la Gran Brettagna. i 9 febbraio 1765. Nella sera del lunedì andò in scena la nuova Opera detta il Farnace. La musica è del Guglielmi, e fu applaudita tanto quanto dall’universale, ma gl’intendenti sostengono essere una composizione assai piena di studio e di sapere. Con tutto ciò, nel residuo del carnevale, non essendovi che un sol Teatro di opere in musica, non può non avere molto concorso. Siccome poi quando le opere escono la prima volta in iscena v’interviene Monsig. Governatore, senza del quale non può darsi principio, così fu rimarcato che egli si facesse aspettare ‘una mezz'ora, quando già v'erano presenti i nipoti del Papa, i quali, benchè invitati, avevano ricusato di andare, secondo il solito, al palchetto di Mons. Governatore, essendo fra questo e Monsig. Rezzonico, Commissario delle Armi, insorta una pubblica e forse irrecon- ciliabile discordia. In sequela di questa è stata tolta la patente di Prevosto delle carceri, dipendenti dal Commissario delle Armi, al Bargello del Governatore e dato a quello del Cardinale Vicario. 2 marzo 1765. Per ordine di questo sig. Cardinal Vicario, con facoltà speciale avuta a bocca da N. Signore, sono stati estratti molti ladroncelli da luoghi immuni, dietro la traccia de’ quali, essendosi risaputo che nove erano in casa del boia, fu spedito il Bargello e sbirreria d’esso Cardinal Vicario ad arrestarli e condurli alle carceri di Campidoglio ; il che non può dispiacere a Monsig. Governatore, quasi che si serva, o di ministri poco attenti, o poco fedeli. Ma da tutto ciò si scorge non essere esso molto grato alla famiglia pontificia; dal che si rende implicato e poco felice il di lui governo. Mercoldì questo sig. cardinal Colonna di Sciarra diede a tutta la nobiltà una bellissima conversa- zione, in cui vi fu accademia di canto, ed in questa si segnalò il valente musico Guarducci, che ebbe dal medesimo Cardinale un generoso regalo. 27 aprile 1765. La morte del cardinal Prospero Colonna di Sciarra, che seguì la sera del sabato 20 del corrente, e che per qualche ora si tenne occulta, ha lasciato alla Santità di N. Signore il decimo- MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 99 quarto cappello cardinalizio da provvedere, ed ha messo in qualche moto di ambizione tutti i prelati di questa Corte. Godeva egli, con la Protettoria di Francia ed una ricca Badia datagli dal Re, altre rendite ecclesiastiche nello Stato Pontificio e nel Milanese, presso a 40.000 seudi di rendita, e ciò non ostante sì crede che la sua eredità sia superata di molto dai debiti, tutto che la preziosa suppellettile, la bella e copiosa argenteria, le gioie, le superbe infinite porcellane e fino ottanta eleganti carrozze di vari generi, si stimino del valore di ben cento e più mila scudi. Per la morte di lui ha avuto un gran crollo la grandezza della casa Barberini, atteso il favore e l’utile protezione che aveva di S. M. Cristia- nissima, che già gli aveva destinato l’insigne Ordine dello Spirito Santo e con esso un’altra delle più ricche Badie di quel regno. Dicesi peraltro che S. M., continuando gli effetti della regale sua munifi- cenza verso il fratello, darà a lui il cordone del suddetto Ordine, e al nipote, D. Carlo Barberini, una pensione. 29 giugno 1765. Mercordì ritornò dalla villeggiatura di Castel Gandolfo la S. di N. Signore în felicissimo stato di salute. Subito giunto, ordinò la spedizione del biglietto di Segreteria di Stato per cuì si dichiara Senatore di Roma S. E. il sig. Principe D. Abbondio Rezzonico, nipote di S. Santità. Egli piolierà tra pochi giorni il possesso privato di questa carica, riserbandosi a pigliarlo pubblico e solenne nel futuro mese di settembre. Siccome poi la carica è di tenue rendita, non oltrepassando due- mila scudi, e d’altra parte il Principe D. Lodovico Rezzonico, che abita in Venezia, è quasi fuori di speranza di propagare la famiglia, così da S. Santità sì è pensato di corredare il suddetto sig. Senatore di una secondogenitura, che per la cessione delle domestiche entrate, tanto del Papa, quanto del Car- dinal nipote e di Monsig. Rezzonico, ascenderà a diecimila scudi annui, onde possa stabilire un signorile e conveniente matrimonio in Roma. 6 luglio 1765. In uno di questi giorni il sig. D. Abbondio Rezzonico prenderà il possesso privato del senatorato. Sono state accresciute le paghe de’ Conservatori di scudi venti al mese, onde a propor- zione sarà aumentata quella del nuovo Senatore, al quale sono stati dati tre Brevi, de’ quali uno lo dichiara dottore dell’una e l’altra lesge, il secondo Senatore di Roma, il terzo nipote di Papa; e tutti e tre gratis, com’era dovere. 20 luglio 1765. Il P. Del Pozzo, filippino, stampò l’anno passato il primo tomo della Raccolta di Opuscoli de’ Santi Padri su’ doveri de’ Vescovi, con alcune sue note morali, ed aveva giù cominciato a stampare il secondo; ma d'improvviso ha avuto ordine di ritirare le copie pubblicate del primo tomo e sospendere la stampa dell’altro, a motivo di alcune note, che han dato fastidio all’Em.®° Castelli, il quale ha creduto che un passo del Concilio di Trento citato dal P. Del Pozzo sui requisiti che debbono avere i Cardinali, fosse una satira contro gli odierni sigg. Cardinali. 3 agosto 1765. Spesse e lunghe sono state ne’ passati giorni le Congregazioni tenutesi avanti l’Em.m° sig. Cardinal Segretario di Stato da alcuni sigg. Cardinali, le quali hanno versato sopra l’annona, essen- dovi non incerto timore d’un’altra carestia, ed abbisognando la sola città di Roma d’altre 50.000 rubbie di grano, che si è determinato di provvedere e comprare parte da Sardegna e parte da Sicilia. Quindi è già stato spedito un complimentario del celebre banchiere Lepri in Sardegna ed altri in altre parti, e più non si permette che dalla campagna e distretto di Roma si estragga grano, neppure se debba trasportarsi nelle terre e provincie dello Stato ecclesiastico. 24 agosto 1765. N. Signore, ritornato lunedì dalla solita visita del SS. Sacramento, fu sorpreso da una sincope sì gagliarda e di tanta durata, che per un’ora e più restò senza moto e senza parola. Gli fu somministrata l’estrema unzione, e si ebbe per morto, nè si poteva dare il viatico. Al terzo salasso, fattogli al piede, mentre si recitavano le litanie per raccomandarli l’anima, all’intonare delle parole Sancta Maria, sì sentì che anch'egli le intonò assai divotamente, onde interrogato subito da Monsig. Sagrista se voleva il SS. Viatico, rispose esserne indegno, e volle prima confessarsi. Poi, prima di ricevere la sagra particola, fece un’orazione sì fervorosa e sì piena di spirito e di compunzione, che trasse le lagrime di tutti i cireostanti. Sottoserisse la professione della Fede, presentatagli dal sig. Cardinale Penitenziere, e raccomandò al sig. Cardinale Decano che esortasse il Sagro Collegio ad eleggere un successore più 40 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. zelante e meno debole di lui, il quale emendasse gli errori del suo pontificato. Indi, rivolto al Cardinal nepote, lo ammonì a non avere nel Conclave in mira i vantaggi suoi e della casa, ma della Chiesa, Gli proibì di fargli deposito, non volendo che si spendesse se non cinquanta scudi nella sepoltura; anzi, disse: vorrei che fosse rasa per sempre e abolita la memoria di Clemente XIII. Intanto Roma fu piena di sì tristo caso, e sì sparse voce esser giù morto, talmente che i Ministri esteri tennero preparati i corrieri da spedirsi alle respettive loro Corti, e vi fu chi lo spedì ancora troppo frettolosamente. Ma il Papa, dopo aver preso un ristorativo, sì riebbe perfettamente. Dicono essere stata un’effervescenza di sangue, non già accidente apopletico; ma alcuni temono che sia per essere principio d’idropisia. Il vero è, che egli si porta meglio di prima, e domani certamente uscirà per Roma. Tutti i maneggi de’ nipoti (non però del Cardinale) e di altri, adesso si riducono a indurlo a fare la promozione de’ cappelli va- canti, più presto che sia possibile. Ma essendo ritornata S. Santità nel primiero stato di salute, credesi che si ritornerà all’antica lentezza e irresoluzione, propria del naturale scrupoloso, sì del Papa, come del Cardinal nipote. 14 settembre 1765. Dopo una lunga e penosa malattia, mercordì sera, morì l’Em.m° sig. cardinale Bussi. Ecco il decimoquinto cappello vacante, e risorti ancora i discorsi e le speranze della promozione, alla quale, peraltro, sembra che non sì pensi, sì perchè il sig. Cardinal nipote. non si dà molto moto per la medesima, e sì ancora perchè gli altri Cardinali Palatini non la favoriscono, e specialmente il Cardinale Pro-Datario, col riflesso che nella Dataria non vi sono sufficienti provvisioni per farla. 28 settembre 1765. Fatto qualche maneggio alla Corte di Napoli, si è ottenuta la permissione di estrarre dalla Sicilia tutta quella cospicua quantità di grano, che già era stata convenuta, onde si attende quanto prima in Civitavecchia, scortata dalle galere pontificie. È pure già arrivata in Civitavecchia dalla Sardegna altra quantità di grano, ascendente a ben novecento rubbie; ma siccome il prezzo, contro ogni aspettazione, si è trovato essere esorbitante, così sì è rimandato ordine a chi ne faceva provvisione in quel regno di sospendere affatto la compra. Essen- dosi poì considerato che questa penuria di grano in Roma, che ne ha sempre somministrato agli altri paesi, procede in parte dalla trascuranza di coltivare l’agro romano, che dai possidenti si lascia a prato, come dicono, N. Signore ha destinato una particolare longregazione perchè provveda subito ed effica- cemente ad un tale inconveniente, e forse uscirà un editto in cui si ordinerà ai possidenti, o che essi facciano esaminare il grano secondo però le regole ed il costume dell’agricoltura nelle loro possessioni, o si darà la libertà a chiunque di farlo contro la voglia de’ padroni, siccome per ovviare una tal negli- genza fu stabilito a tempo di Paolo V, non senza considerabil vantaggio e profitto di Roma. 12 decembre 1765. Questo Monsig. Presidente della zecca, della materia rimasta dalle monete bat- tute ha fatto coniare, secondo il solito, alcune medaglie d’oro e d’argento, nelle quali viene rappresen- tata la Religione, che davanti ad un altare, col turibolo in mano, solleva le sue braccia al cielo, in atto di supplichevole, donde folgorano lieti baleni dissipatori delle nuvole, con il bel motto: reperte de coelo salus. Queste medaglie lunedì prossimo saranno presentate a S. Santità. 4 gennaio 1766. Mercoledì passato S. M. il Re Giacomo d’Inghilterra ebbe improvvisamente un insulto di febbre, cui fu necessitato di cedere in poco tempo, cessando di vivere alle ore cinque della notte. Questa morte sconcertò i nobili impresari del Teatro Argentina, che avendo preparato l’opera per la sera del giovedì, ebbero ordine di sospenderla, fintanto che piacesse a S. Santità, cioè fino al prossimo futuro mercoledì, dopo che saranno fatti i funerali al Re defunto, e il suo cadavere sarà, con solenne pompa, trasportato dalla Basilica de’ SS. Apostoli a quella di S. Pietro; il che seguirà nel mar- tedì sera. Aveva egli nel suo testamento ordinato d’essere sepolto nella Basilica dei SS. Apostoli, sotto una piecola urna, che contiene i precordi della Regina sua moglie, giù morta nel 1735; ma il sig. Car- dinale duca di York, sul riflesso che nella Basilica di S. Pietro non possono aver sepoltura se non i Papi e i sovrani, pregò iersera il S. Padre a concedere al real genitore ancora quest’onore di sovranità, e S. Santità, come esecutore testamentario, condiscese all’istanze del Cardinale, nonostante la maggior spesa che soffriva la Camera nel trasporto dalla Basilica de’ SS. Apostoli, dove si preparano i sontuosi funerali, a quella di S. Pietro. Il dispendio della Camera per tale funerale non è minore di scudi 18 mila, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 41 Tl testamento del Re, che era scritto in lingua inglese, fu subito trasmesso dal Cardinale al Papa, che ne era dichiarato unico esecutore. In esso lascia erede universale il detto Cardinale di Yorck, con l'obbligo di dare al fratello per una sol volta centocinquantamila scudi e tutti i beni che possiede in Francia. Non ha lasciati altri legati, se non 200 seudi, per una volta tanto, al suo confessore; cento scudi, pure per una sol volta, al parroco de’ SS. Apostoli, da distribuirsi ai poveri; e cento scudi per cele- brazione di tante messe, parimente per una sol volta. L'eredità è di un milione, avendo in soli Luoghi di Monte più di 100 mila scudi. Subito dopo la morte, fu fatta spedizione dal Cardinale alla Corte di Francia, con l'avviso della medesima; ed altra ne fu fatta al fratello Principe di Galles, perchè sospendesse il suo ritorno a Roma; e intanto dal medesimo Cardinale si raddoppiano i maneggi e le premure, perchè da S. Santità sia rico- nosciuto come Re d’Imghilterra; nel quale riconoscimento pare che questa Corte abbia qualche difficoltà, per non esporre a pericoli le numerose Missioni dell’Inghilterra e della Scozia. Ma il cardinale di Yorck ha presentato a S. Santità una promemoria ben ragionata, in cui si sostiene che dopo essere stato solen- nemente riconosciuto il fratello, come Principe di Galles, che debba per necessaria conseguenza dichia- rarsì Re Brittannico. e come tale essere riconosciuto dal Papa. Le sue premure sono appoggiate dai sesreti offizi della Francia, la quale, benchè per gli aperti trattati che ha con l'Inghilterra, non possa fare tale recognizione, contuttociò desidera e insta, che facciasi dal Papa, che non ha, nè può avere aleuni simili trattati con le potenze eterodosse, e deve ripetere i motivi e le ragioni di tal operato dalla sola religione, di cui è capo. 11 gennaio 1766. L'oggetto maggiore della curiosità e de’ discorsi di Roma è presentemente la reco- gnizione del Principe di Galles, la quale con tutti i maneggi e con infinita premura si sollecita presso S. Santità: anzi si pretende già irrevocabilmente fatta quando questa Corte ha riconosciuto e dichiarato Principe di Galles, cioè successore presuntivo della corona il suddetto Principe, onde il titolo di Re non sia un atto nuovo, ma una continuazione del già fatto, e per questo il detto Principe di Galles e dal cardinale di Yorck e da tutta la sua corte ed altri aderenti già riceve la denominazione reale. Con- tuttociò, S. Santità non è finora risoluta a fare la suddetta ricognizione, essendovi molti nel Sacro Col- legio che, per timore di perdere la Religione Cattolica in quel regno, e specialmente ora nel Kanadà, hanno sentimento contrario: e questo partito si sostiene con segreti maneggi de’ Gesuiti, i quali, per propagare le loro Missioni, hanno adesso maggior sostegno dall’Inghilterra che dalla Francia. Intanto dicesi che da personaggio rispettabilissimo sia stato seritto al P. Generale de’ Gesuiti un biglietto, con cui si prega ad ammonire i suoi, che in quest’affare si portino più modestamente e con maggior rico- noscenza verso la casa Stuarda, ricevendo tutto giorno dal cardinale di Yorck segnalate beneficenze. Credesi per altro, che tutto ciò nonostante, S. Santità s’indurrà a fare la ricognizione, la quale da alcuni politici si giudica, che volendosi fare, dovesse esser fatta subito, senza somministrar pascolo e materia a quei discorsi, che possono risvegliare il cattivo umore della nazione inglese, e indurla forse a quelle risoluzioni, cui nel silenzio dell’affare non si sarebbe pensato giammai. Nella sera poi dello stesso mercoledì andò in scena l’opera in musica nel Teatro Argentina, e nella sera del giovedì l’altra nel Teatro delle Dame, detto di Aliberti. Ma niuno pone in dubbio essere migliore, e per la musica, e per cantori, e pe’ decoramenti, quella di Argentina. Teri vi fu una particolare Congregazione sopra l’Annona, in cui si presero alcuni provvedimenti perchè si obbligassero i possidenti dell’agro romano alla sementa, quasi abbandonata. 18 gennaio 1766. Lunedì si tenne innanzi all'Em.®° sig. Cardinale Segretario di Stato una particolar Congregazione per l’affare, qui considerato come il più importante, di riconoscere come Re d’Inghilterra il Principe di Galles e di accordarli il titolo e l’onorificenze reali. Dieci furono i Cardinali che costi- tuirono la Congregazione, cioè i Cardinali capi d’ordine Cavalchini, Feroni e Alessandro Albani; appresso | tre Cardinali Palatini, Rezzonico, Antonelli, Torrigiani; ed i Cardinali Stoppani, Serbelloni, De Rossi e Castelli. Il sentimento, quasi universale, de’ detti Cardinali fu che non era ora il tempo di tal ricogni- zione, che poteva essere troppo pregiudiziale alla Religione (che era il principal motivo su cui potesse appoggiarsi), atteso il pericolo, cui si esponevano le Missioni d’Inghilterra e del Kanadà; e oltre a ciò ancora allo Stato Pontificio. Fuvvi chi fece riflettere, che il porto di Ancona, divenuto oggetto d’invidia a qualche limitrofo principato, poteva essere il bersaglio della vendetta inglese, stimolata-ed accesa da 34 42 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECU. chi di mal occhio vede il suo mirabile accrescimento e nel commercio e nella popolazione; troppo diversi essere i presenti tempi da quelli in cui fu riconosciuto il real genitore; allora più potente e più nume- roso nella Scozia e nell’Inghilterra il partito Stuardo; allora meglio armate in mare le potenze catto- liche, e più atte a respingere ogni insulto, che sì tentasse di fare alle sprovvedute spiagge pontificie. Secondo questo sentimento fu fatta la risoluzione, che potrà rilevarsi da un biglietto scritto dal Cardinale Segretario di Stato a S. A. R., del quale ecco la copia: “ Avendo la Santità di N. S. preso “in matura riflessione la memoria di V. A. R., fattagli presentare dall’Em.®° cardinale Gio. Francesco “ Albani, accompagnata da una di Lei lettera, ed avendo sentito il parere di una particolar Congrega- “ zione di Cardinali, ha il dispiacere di non potere, per ora, condiscendere a quel tanto, che sì richiede nella suddetta Memoria, ed ha ordinato al Cardinale Segretario di Stato di significar ciò a V. A. R., 5 “ che, eseguendo il comando pontificio, si rassegna con piena stima, ecc. Dal Quirinale, 15 del 1766 ,. Fu incaricato il cardinale Gio. Francesco Albani di recare questa disgustosa notizia al sig. cardi- nale di Yorck, ma siccome tra questi due porporati (che erano tanto uniti) è nata per quest’affare una qualche dissenzione, fu data la commissione a Monsig. Petrucci, suo Auditore. Intanto il cardinale di Yorck ha spedito all’azzardo due corrieri al fratello (perchè s’ignora l’indirizzo del suo viaggio) affinchè non entri in Roma, dove egli crede poter godere sicuramente gli onori paterni; ma da questa Segreteria di Stato, sì è scritto ancora ai Cardinali Legati ed ai sigg. Governatori dello Stato Ponti- ficio di astenersi da ogni trattamento reale verso la persona del Principe di Galles, quando giunga in qualche città di loro giurisdizione. Martedì si tenne un consulto di ben cinque primari medici sopra la salute del Papa; e ciò per liberarlo dalla grande apprensione che lo inquietava, specialmente la notte. Dopo la risposta de’ medici, che lo hanno assicurato non apparire nel suo corpo alcun indizio di vizio organico, egli si è mostrato più ilare e quieto. Contuttociò nel consulto sì è risoluto che se gli desse l’acqua della Villa. 1° febbraio 1766. Falsa fu la voce che il Principe di Galles, il giorno dopo il suo arrivo in questa città, si portasse per scaletta segreta all’udienza di N. Signore, benchè detta voce fosse uscita dai fami- liari medesimi del Papa; i quali avevano ancora preparato e disposto il tutto per la suddetta udienza. È ben vero, che essendosi portato il cardinale Duca di Yorck a partecipare a Sua Santità la venuta del Re, suo fratello, quella udienza non fu molto felice e piacevole nè per l’una, nè per l’altra parte. Perchè essendosi il Cardinale Duca dichiarato che il fratello era nell’impazienza di rassegnarsi al S. Padre per contestarli in persona le obbligazioni della famiglia Stuarda, quando però avesse lo stesso tratta- mento del padre, Sua Santità rispose, che era nota la risoluzione presa nella Congregazione; e così il Cardinale Duca le chiese scusa se il suo fratello non se li presentava. Ma il volersi poi dal detto Car- dinale che in Roma, e sotto gli occhi del Papa, sia da chiunque trattato col titolo di Maestà, l’essere usciti insieme in carrozza i due fratelli pubblicamente, posto al primo luogo il Principe di Galles, ha dato motivo a questo Ministero di avvisare tutti i capi de’ Tribunali e i segretari delle Congregazioni ad astenersi da dare alcun regio trattamento al medesimo signore: e il Cardinale Decano mandò in giro a tutti i Cardinali, per mezzo d’un suo gentiluomo, il medesimo avviso. Il Cardinale Segretario di Stato poi diede in persona il medesimo avviso a Monsig. Lascara e a Monsig. Petrucci, i quali, benchè addetti al servizio e allo stipendio della famiglia reale, sì sono astenuti dal presentarsi al medesimo signore. Questo è stato l’arsomento dei discorsi romani ne’ passati giorni, condannandosi dalla maggior parte la condotta del Cardinale Duca, che poteva consigliare il fratello a starsene occulto ed incognito sotto il titolo preso di Barone d’Uglas, ed aspettare migliori tempi per conseguire ciò che desidera. Si aspet- tano intanto le risposte delle Corti di Francia e di Spagna, per vedere se sarà stata applaudita la riso- luzione pontificia. Questo sig. cardinale Orsini, l’Ambasciatore di Francia Monsig. Azpuru sono stati a riverire il suddetto signore, a cui dicesi, abbiano dato il trattamento di Monsieur. Molti e sontuosi funerali sonosi fatti alla maestà del defunto Re d’Inghilterra in molte chiese di Roma, cioè nella chiesa di S. Maria in Trastevere, nella chiesa degli Inglesi, e specialmente nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso, chè ha ivi commenda il sig. Cardinale Duca; il quale invitò a pranzo nella sua residenza di Cancellaria il fratello. A questo pranzo non intervennero, benchè prima invitati, nè prelati, nè signori romani, attesa la pontificia proibizione sopra indicata, ma bensì cavalieri scozzesi ed inglesi, la maggior parte eretici, al numero di trenta e più, tutti vestiti a bruno. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 43 8 febbraio 1766. Domenica passata il nipote di Giacomo II Re d’Inghilterra (che così fu denomi- nato nel suo passaporto dalla Corte di Francia) persistendo nella pretensione di essere riconosciuto per Re, contro la risoluzione pontificia, cercò di sorprendere i P. Conventuali, nella cui Basilica de? SS. Apo - stoli (che è la parrocchia della di lui abitazione) mandò a dire all'improvviso di volere intervenire alla sagra funzione della candelora, e che voleva lo stesso trattamento che aveva avuto il Re, suo padre, la prima volta che entrò in detta chiesa, cioè coll’incontro alla porta di tutti i Padri, aspersorio e l’ora- zione pro rege. I PP. dissero che conveniva loro farne intesi i Ministri di S. Santità, che loro ordina- rono il contrario; onde essi si seusarono, e quel signore non assistè alla sagra funzione. Nulla piace questo contegno, tanto di lui, quanto del fratello Cardinale, alla Santità di N. Signore, e credesi che sieno state tenute alcune segrete Congregazioni per consultare un qualche forte rimedio; tanto più che il popolaccio, quando il detto signore si fece vedere alla chiesa di S. Lorenzo in Damaso (dove face? vasi il funerale al padre) gridò un evviva, mescolandoci alcune parole sediziose, che furono intese, cioè : state forte che ne può più Dio, che il diavolo. Erano forse alcuni stipendiati della famiglia; ma par cosa troppo stravasante alla maggior parte desoli uomini sensati, che esso nella città di Roma, sostentato dal Papa, voglia il trattamento reale, ad onta del medesimo Papa. Non può negarsi essere una disgu- stosa disgrazia del presente pontificato. 15 febbraio 1766. Questo Principe Stuardo ha scritto lettere di partecipazione della morte del padre ai Re di Francia, di Spagna e delle Due Sicilie, sottoscrivendosi Carolus Stuard, colla lettera iniziale R. senz'altro; e queste lettere sono state ricevute dai respettivi Ministri; ma sin’ora non si sono avute risposte. 20 febbraio 1766. Iersera in una festa di canto e suono, che la sig. Duchessa di Bracciano diede ad una Principessa moscovita, e al Feld Maresciallo Romovoscki, Vicerè della piccola Russia, si segnalò il valente violinista Manfredi, lucchese, che ha riportato infinito applauso da tutta questa città, e fu magnificamente regalato dalla medesima sig. Duchessa. 1° marzo 1766. Non ostante la dichiarata espressa volontà di Sua Santità di non riconoscere in alcun modo per Re dell’Inghilterra questo Principe Stuardo; e nonostante l'approvazione (almeno appa- rente di tutte le Corti cattoliche del contegno romano in quest’affare), non si ritira però il suddetto Principe dalla pretensione, e in quella solitudine, che si è fabbricata in mezzo a Roma, vuole il trat- tamento regio, ed ha tolto di mano al marchese Belloni il cospicuo deposito di danaro di sua pertinenza, perchè ha ricusato di rivoltarlo ne’ libri maestri del Banco al nome di Carlo terzo Re d’Inghilterra; e intanto neppur cessa la disseminazione di qualche scritto in favore del medesimo, e ingiurioso alla ripu- tazione di qualche Cardinale. Nell'ultima Congregazione Annonaria fu stabilito finalmente la libertà delle tratte del srano, senz’alcuna gabella, per agevolare la sementa dell’asro romano e il commercio di questo genere. — 22 marzo 1766. Si è qui sparsa voce che su un moto proprio, o sia chirografo di S. Santità, voglia eleggersi un Sopraintendente generale o economo della R. Camera, per sanare, quanto si possa mai, le piaghe che la medesima ha ricevuto, sì per la mancanza delle rendite straniere, come per l'esito esor- bitante del danaro per la compra de’ grani ne’ due passati anni di carestia; e questo Economo dicesi che possa essere il sig. cardinale Castelli: ma questa voce si scopre sempre più essere falsa, sì perchè agli intendenti sembra irragionevole che si moltiplichino le deputazioni senza necessità, ed essendo il naturale Economo della Camera Monsig. Tesoriere, ciò sarebbe un costituire l’Economo sopra l’Economo, con poco decoro del medesimo prelato, e nessun pubblico vantaggio. Contuttociò, li continui abbocca- menti dell’Ecc.®° Cardinale nepote di S. Santità col suddetto sig. cardinale Castelli, fanno credere, con qualche fondamento, che siavi, se non il divisato, almeno qualche simile altro progetto riguardante gli affari camerali. E intanto, per rimediare al passato, si crede, che o s'imporrà qualche nuova gabella, ovvero si ritirerà dalla Camera un bimestre di Luoghi di Monte, da dividersi però in tutto l’anno; e Sua Santità inoltre rilascerà alla Camera la metà de’ danari delle componende, i quali, come sue pro- pine, appartengono alla sua stessa persona. Il principe Romovoscki di Moscovia, Vicerè della piccola Russia, che già da un mese si trattiene in questa capitale, ha comprato dal nostro celebre pittore cav. Batoni un bellissimo quadro, rappresen- 44 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO SI'UDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. tante Ercole al bivio, per il prezzo ragguardevole di settecento zecchini; e di più gli ha sborsato pre- ventivamente altri duecento zeechini, perchè quanto prima gli faccia il ritratto, in tutta figura. 12 aprile 1766. Sono in Roma quattro chiese e collegi nazionali dell’ Inghilterra: cioè due, dette degli Inglesi una, e l’altra degli Scozzesi, che hanno due respettivi Collegi governati dai PP. Gesuiti; le altre due chiese dette Hernesi spettano, una ai PP. Domenicani, cioè S. Clemente; l’ultima ai PP. Riformati Francescani, cioè S. Isidoro; e in tutti vi soggiornano nazionali di quel regno. Queste chiese furono visitate ne’ passati solenni giorni festivi della Risurrezione di N. S. Gesù Cristo da questo Principe Stuardo, e in tutte fu accolto con quelle rimostranze di ossequio e di onore, che si usavano col defunto Re, suo genitore, essendosi cantato un solenne Tedeum coll’orazione Pro Rege Carolo. Questa cosa è dispiaciuta altamente a S. Santità, parendole a ragione un troppo aperto ed insultante disprezzo delle somme sue determinazioni già note; quindi fino di lunedì passato uscì un biglietto da questa Segreteria di Stato, col quale si esiliavano da Roma e dallo Stato Pontificio i respettivi supe- riori delle suddette chiese e collegi; e questa risoluzione è stata generalmente commendata. Sono già molti giorni che questo Principe Stuardo trattiensi in Polidoro, terra e feudo dell'Ospedale di S. Spi- rito, per divertirsi alla caccia. Contiguo a questo feudo ve n'è un altro chiamato Maccarese, abbondante pure di caccia, e di pertinenza e giurisdizione del Principe Don Cammillo Rospigliosi. Essendosi per- tanto il detto Principe Stuardo, coni suoi cacciatori, avanzato nelle macchie di Maccarese, senza averne prima domandato permissione a Rospigliosi, ne fu, da’ guardiani armati, villanamente scacciato. Il Prin- cipe Stuardo mandò in appresso un sùo famigliare al Principe Rospigliosi, per querelarsi dell’indecente trattamento; il quale familiare, interrogato da Rospigliosi, per parte di chi veniva, rispose per parte del Re d’Imghilterra; a cui Don Cammillo brevemente soggiunse, non sapere che in Roma vi fosse il Re d’Inghilterra; e così lo licenziò. 26 aprile 1766. Un più grave e più giusto risentimento ha fatto l' Em.®° sig. Cardinale Duca di York col P. Generale de’ Conventuali; perchè avendo il Re suo padre defunto istituito per legato pio perpetuo nella loro chiesa de’ SS. Apostoli una solenne messa, da cantarsi nel giorno di S. Giorgio, protettore d’Inghilterra, alla quale era invitato nel loro coretto il detto Re e l’Em.®° Cardinale di Yorck, quest'anno si era astenuto da fare tale invito. Ciò è dispiaciuto al Cardinale, perchè se non volevasi invitare il fratello, per la nota pretensione, ben sì poteva scusare, perchè era fuori di Roma, ma non vi era scusa di non fare il solito invito al Cardinale. Esso pertanto, dopo aver fatto una severa repren- sione al Generale, gli ha intimato, che nè esso, nè alcuno de’ suoi frati ardisca di più accostarsi al palazzo della Cancelleria, dove risiede. 24 maggio 1766. Lunedì passato si fece nella Basilica di S. Pietro, ornata di molti lumi ed iscri- zioni, esprimenti i miracoli del servo di Dio Simone de Roxas, la di lui beatificazione; la quale non consiste in altro, che in una messa cantata, a cui intervennero tutti i siog. Cardinali e prelati della Sacra Congregazione de’ Riti, e nel discoprimento e culto della immagine del Beato. Nel dopo pranzo poi Sua Santità portossi, in forma pubblica, a venerare la stessa immagine, accom- pagnato dalla prelatura che cavalcava. Quando il Santo Padre fu giunto alla Basilica, e si accostò all’altare, fu sorpreso da un affanno e angustia di respiro, ma pure, facendosi animo, dopo brevissima orazione, si rimise in carrozza, sempre però affannoso e smaniante; la quale smania crebbe tanto, che nel mezzo della strada, fu forza arrestare la carrozza, e in fretta nella medesima gli fu cavato sangue; dopo la quale emissione, fu trasportato al Quirinale, dove giunto, non sentì alcun altro incemodo. Si può immaginare il tumulto della Corte ed anche il moto di tutta la città per un sì funesto spettacolo. Ma la maraviglia è, che il Santo Padre la notte seguente dormì un quietissimo sonno, e ne’ giorni di poi ha dato la solita udienza, ed è uscito più sano e vigoroso che mai. I medici, non riconoscendo dai polsi alcuni segni d’interno male, apertamente dicono essere stata una mera apprensione, per soddisfare alla quale, si fece, benchè senza necessità, la suddetta emissione del sangue. È uscita alla luce la Vita del novello Beato, scritta dal P. Girolamo Cordara, gesuita. Questo ele- gante ed accorto scrittore, per accrescere sempre più e confermare il credito della scuola e delle sen- tenze gesuitiche, aveva destramente in un capitolo della medesima Vita inserito, che il Beato voleva che da’ suoi scolari si abbracciasse e si seguitasse, in materia della grazia, la celebre dottrina del P. Molinas, MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E PILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 45 ch'è stata cagione di tante discordie tra i teologi. Essendo stato osservato dal Sotto Promotore della Fede, che ciò non concordava col processo della beatificazione, il S. Padre ne fece una riprensione al Maestro del Sagro Palazzo, il quale ordinò che si rimovesse quel capo, benchè giù stampato, siccome sì è fatto, non senza qualche mormorazione contro lo serittore, accusato di poca buona fede nello seri- vere, e troppa animosità per il suo partito. 14 giugno 1766. L'11 passato questo sie. D. Abbondio Rezzonico, nipote di Sua Santità, con solenne cavalcata si portò al Campidoglio a prendere il possesso della dignità di Senatore. Nell’accluso foglio stampato se ne vede la descrizione (1); e solo aggiungerò che la sera quasi tutta la prelatura e la nobiltà portossi nel quartiere del medesimo Campidoglio, destinato per abitazione del Senatore, a con- gratularsi con Sua Ecc. che la fece servire di squisiti e copiosi rinfreschi. Le relazioni che da tutte le parti di questo Stato e ancora di tutta Italia si sono ricevute, fanno temere un’altra volta la carestia. Quindi la Congregazione sopra l’Annona ha ordinato che per la città di Roma per ora si comprassero settantaquattromila rubbie di grano; e già ne sono venute a Civitavecchia due mila. Non manca però chi sospetti, che con qualche malizia di mercanti e de’ possidenti si accresca ’ il male più di quello che sia in realtà. 21 giugno 1766. Essendo stato nel passato mese ristampato e pubblicato un libro intitolato: Roma nuova, del Vasi, e il palazzo reale di Spagna e sue adiacenze essendo stato in quello denominato giu- risdizione di Spagna (qual denominazione dicesi, che fosse eziandio nella stampa antecedente), l’ Em.m° Segretario di Stato, informato di ciò, per ordine di Sua Santità, fece una forte riprensione al Rev.®° P. Maestro del Sagro Palazzo, perchè avesse lasciato trascorrere quel termine di giurisdizione, troppo contrario ai diritti del principato e alla celebre bolla d’Innocenzo XI, che volle perpetuamente abolite simili franchigie. Reso consapevole di questo Monsig. Azpuru, Ministro interino di Sua Maestà Cattolica a questa Corte, ne avanzò precisa notizia al Re Cattolico; il quale, per mezzo di un dispaccio di quella Segreteria di Stato, ordinò al suddetto prelato, che facesse intendere a questo Ministro, che se mai la ristampa soprannominata fosse stata per ordine superiore, o proibita, o soppressa, egli facesse una pro- testa contraria, e al tempo stesso, in segno di disapprovazione e disgusto, calate le armi del Re, par- tisse immediatamente da questa Corte. Ma ciò non è seguìto, essendosi sepolto tutto in alto silenzio. - Martedì passato fu tenuta la solita Congregazione Annonaria, per provvedere alla carestia, pur troppo imminente per le tristi novelle, che si hanno della raccolta del rano, la quale verso alcuni luoghi della marina è quasi affatto mancata, essendo fino stati rimandati i mietitori. 28 giugno 1766. Fino da tre settimane si sparsero per la città due satire in prosa, le quali erano come una relazione di questa Corte, e mettendo il carattere del Papa e di Monsig. Gio. Battista Rez- zonico in ottima vista, attribuivano tutti i pretesi disordini del Governo, parte all’indolenza del Cardi- nale nipote, e parte all’imperizia ed alla malizia di altri Cardinali e Ministri, e specialmente del Car- dinale Segretario di Stato. Monsis. Governatore, per obbligo del suo uffizio, avendo intrapresa una diligente inquisizione di questo fatto, si pretende che scrivesse un biglietto al Cardinale Segretario di Stato, col quale biglietto gli sionificava, che per certi indizi non si dubitava che le dette satire fossero state formate entro una conversazione, che si radunava strettamente presso Monsig. Marchisio, Ministro di Modena, e dove interveniva Monsis. Rezzonico, il quale s’indicava come principale architetto delle medesime. Si preterde inoltre, che fossero poste spie, tanto intorno alla casa di Monsig. Marchisio, quanto presso a Monsig. Rezzonico, per osservare le persone che andavano da loro. Monsig. Rezzonico ha fatto di tutto ciò una veementissima doglianza con N. Signore, il quale si è altamente commosso contro Monsig. Governatore, e benchè questo neghi tutto, ciò nonostante vuolsi che sia convinto, onde temesi, pur troppo, che questo risentimento del Papa alteri di molto le misure già prese per la futura promozione, e forse ancora produca una qualche strepitosa novità in questa Corte. 26 luglio 1766. Non già cessa, anzi cresce ognora più il lamento del popolo per la rea qualità del pane, calato per ordine della Congregazione Annonaria di due oncie per pagnotta; e l’altro ieri mentre (1) Si omette di ristamparla. 16 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. passava Sua Santità, la plebaglia alzò le grida, lamentandosi altamente di tale aggravio. Il Santo Padre si turbò assai, e credesi che si prenderanno di qui innanzi aleuni provvedimenti, per allontanare dalla carrozza del Papa quella irragionevole turba, che non vuol soffrire le necessarie incomodità recate dalla pur troppo imminente carestia. Per diminuire simili danni, fannosi quasi ogni giorno particolari Con- gregazioni: nelle quali specialmente sì delibera la maniera di trovare denaro per pagare il grano fora- stiero, che comincia venire in questi posti da ogni parte. Intanto però si è ordinato dalla medesima Congregazione, che non si compri grano procedente dalle piazze di Genova e Livorno, nelle quali piazze, qui si suppone che si voglia ricavar troppo guadagno dall’altrui bisogno; e ciò sull’esempio degli anni scorsi, quando i mercanti genovesi venderono ad un prezzo troppo esorbitante il grano a quei dello Stato Pontificio. Dicesi inoltre, che sebbene resista 1’ Em.®° sig. Cardinale Rezzonico, contuttociò sarà forza estrarre altra somma dal tesoro di Castello S. Angelc, e su ciò sono già stati consultati alcuni teologi e canonisti. 23 agosto 1766. Il giorno di San Rocco Sua Santità, nel tempo della seconda messa, ch’egli vuole ascoltare, ebbe una stretta di affanno, che fu per altro brevissima, e tale che non gl’impedì il dar subito dipoi udienza ai Ministri e dopo pranzo uscire al solito. Nel medesimo giorno, dalla Segreteria di Stato fu mandato all’ Em.®° sig. Cardinale Pro-Datario un chirografo segnato di mano di N. Signore, in vigore del quale si toglievano alla di lui disposizione ed amministrazione tutti i frutti ed incerti di centomila scudi di vacabili invenduti, e si davano a Monsig. Tesoriere, con la legge che, quando si fossero venduti, il prezzo si destinava al rimborso del noto mezzo milione tratto dall’erario di Castello S. Angelo, e i frutti andassero al moltiplico del sud- detto rimborso. Questo chirografo sorprese S. E., sì perchè affatto improviso, e sì ancora perchè restava privo degli incerti de’ vacabili, che quando non sono venduti appartengono al Datario. Ma dopo l’ul- timo Concistoro in cui ’Em.®° Cardinale si mostrò animosamente troppo contrario alle risoluzioni pon- tificie, pare che il medesimo Cardinale non più tenga nell'animo di Sua Santità quel luogo di grazia e di autorità che aveva innanzi. Martedì passato vi fu la solita Congregazione Annonaria, la quale durò lungo tempo, per delibe- rare la maniera di provvedere alla carestia, che non più temesi, ma comincia a sentirsi, particolarmente nello Stato. In queste dolorosissime circostanze, N. Signore per consiglio di essa Congregazione ha risoluto di dispensare, per tutto lo Stato Pontificio, dalla Quaresima, ancora sopra il cibo della carne; e perciò mercoledì fu dall'Em.»° Segretario di Stato chiamato Monsig. Presidente della Grascia, perchè rendesse avvisati di questa pontificia determinazione tutti i mercanti di salumi, acciò non soffrissero. grave danno con la provista di quel genere di cibo, che non avrebbero potuto esitare. Ma nel tempo stesso N. Signore ha proibito il carnevale e i teatri, significando ai sigg. impresari che facessero la disdetta ai musici e ad altri già ipotecati per questi due teatri. Mercoledì furono spedite credenziali all’Uditore della Nunziatura di Parigi, da farne uso quando partirà di là Monsig. Nunzio, per essere fatto Cardinale. Il che fa credere vicina la promozione, anzi di già determinata pel giorno 22 di settembre; quantunque le presenti calamità facciano, per opinione di alcuni, pensare ad altro. Questa mattina è uscito ordine che si chiudano sette porte di questa alma città, e delle altre sei aperte si raddoppino le guardie, per escludere quella inondazione di villani e di miserabili forestieri, che ne’ passati anni avvenne. 30 agosto 1766. Martedì passato vi fu la solita Congregazione Annonaria, nella quale fu esaminato il progetto di un mercante olandese di dare a questa Annona sessantamila rubbie di grano ottimo, a scudi otto il rubbio, a rischio però della Camera. Ed un tal progetto credesi accettato, ma con le debite e giuste sicurezze: essendo stato spedito il sensale, con lettera cambiale di questo marchese Belloni ai suoi corrispondenti, per la conclusione della compra suddetta. Intanto sonosi spediti sei commissari, ministri di questa Annona, per l’agro romano, perchè facciano trasportare in città quanto grano sì trova ne' granai dei possidenti. Le cautele che si usano sono tali, che si assicura che in Roma siavi grano abbondante per tutto decembre; nè si dubita che in questo frattempo sia per venire da varie MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 47 parti di Europa, giacchè qui subito si paga in contanti. Le città e terre dello Stato sono in maggior pericolo per la penuria del denaro e del grano. Benchè siansì replicati vari ricorsi a S. Santità, perchè permettesse i teatri e il carnevale, atteso il denaro che gira in quel tempo a sollievo della povera gente, contuttociò è stata Ella ferma nella presa determinazione; e da Monsig. Governatore per mezzo del legittimo Censore è stato intimato ai Ministri de’ respettivi teatri la detta Pontificia determinazione, che come fatto di Principe annulla tutti ì contratti già stipulati per detto effetto. 10 settembre 1766. Monsig. Nunzio di Bruxelles serive, che spera di fare fra poco tempo una cospicua compra di grano, a prezzo ragionevole, mediante l’opera del negozio Sardi, cui ha appoggiata questa premurosa commissione. Altre lettere pure si sono avute, piene di simili speranze, da Trieste. 18 ottobre 1766. Ier l’altro seguì una zutfa tra i birri del Governo e i soldati rossi, che poteva avere delle perniciose conseguenze e turbare di troppo la quiete della città, se non fosse stata calmata subito dagli ordini e disposizioni di Monsig. Governatore e Acquaviva Pro-Commissario delle Armi, che si sono uniti a sradicare, per quanto si possa, quest’antica animosità tra i soldati ed i birri; la quale era stata nutrita dalla poca armonia che passava tra il Governatore ed il Commissario delle Armi. Restarono uccisi uno sbirro ed un soldato; ma i cinque soldati che erano andati ad assalire la guardiola di Campo Fiore, dove seguì la morte dei detti, sono stati tratti fuori dal luogo immune e da’ birri di Campidoglio carcerati nelle carceri Capitoline, e si fa loro un rigoroso processo. 9 novembre 1766. Per opera del sig. cardinale Gio. Francesco Albani è seguìto l'amichevole aggiu- stamento tra il sio. Cardinale Duca di Yorck e il Principe di Galles, suo fratello, al quale generosa- mente egli ha ceduto la sopravvivenza dell’assesnamento pagato al Real genitore da questa Camera Apostolica, che il Cardinale aveva ottenuto con chirografo pontificio. ‘A questa nuova cessione ha beni- gnamente condisceso il S. Padre, che ne fu supplicato dal Cardinale di Yorck fino alla villeggiatura di Castello. Ma siccome la supplica conteneva ancora, che il detto Principe di Galles, ritornando a Roma, succedesse insieme al titolo e al regio trattamento del padre, per questa parte di supplica S. Santità ha risposto, che le presenti circostanze non gli permettevano di prendere adesso una pronta e determi- nata risoluzione; che intanto ritornasse pure il Principe in Roma, dove sperava che sarebbe per seguire gli esempi gloriosi di pietà cristiana e di moderazione del padre, onde meritasse anch'egli tutti i riguardi della Sede Apostolica. Questa risposta del Papa è stata spedita, per corriere, al Principe, il quale si aspetta qui alla fine del corrente mese. 22 novembre 1766. Ier l’altro pervenne a Ripa grande una parte delle cinquemila rubbie di grano comprato in Civitavecchia, e che per la contrarietà del vento non aveva potuto imboccare dal mare nel fiume; e sollevò alquanto il timore, che, pur troppo, si ha della mancanza del erano: specialmente non si avendo finora notizia alcuna delli bastimenti di Olanda, che portano per mare le speranze della romana abbondanza. Martedì passato si tenne la solita Congregazione Annonaria nelle stanze del Quirinale, e in quella fu trattato, e forse risoluto, di riporre in esecuzione con vigore la celebre bolla di Clemente VII, la quale obbliga tutti i possidenti dell’asro romano alla sementa del frumento, almeno nella terza parte di quel terreno che possiedono; e a questa risoluzione ha dato motivo il vedere che il Principe Bor- ghese, per ben trenta miglia e più di agro, che possiede, ha posto tutto il suo terreno a prato, con molta minore sua spesa ed infinito guadagno; ma non senza un gravissimo pregiudizio della coltura dell’agro romano, che è quasi l’unica sorgente restata del commercio di questo paese. 28 decembre 1766. La salute di S. Santità è presentemente in sì florido stato, che secondo l'esame e il giudizio de’ medici non più si dubita che l’ultimo incomodo fosse apprensivo, e non reale. E infatti, essendosi in parte dissipata questa apprensione, nella passata domenica assistette alla solita Cappella del Quirinale, e il giorno uscì per Roma al suo solito. Bensì il giorno solenne della nascita del nostro Sal- vatore Gesù Cristo non celebrò, ma assistette alla messa. 48 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE' DISPACCI INEDITI, ECC. Il sig. Principe di Galles sì aspetta qui agli 11 dell’anno nuovo, essendosi risaputo dall’ultime let- tere di Francia, che doveva ai 20 del cadente mese partire da Parigi, dove si era portato prima di accingersi al viaggio per l’Italia. Intanto in questo palazzo reale si gli è preparato l'appartamento, che prima era abitato dalla Regina madre, ma forse non troverà in vita il suo Real genitore. 28 marzo 1767. Martedì, dopo una lunga e dubbiosa malattia, morì come all'improvviso, in età d’anni 70, V Em.®° sis. cardinal Galli, de’ Canònici Regolari Scapettini, come chiamano, Gran Peniten- ziere della Chiesa Romana. Egli era stato creato Cardinale da Benedetto XIV di gloriosa memoria, più che per altro per li maneggi e favore del già cardinal Millo. Ma la singolare sua modestia religiosa, la frugalità, la ritiratezza, l’alienazione da tutte le brishe della Corte, l’accuratezza e facilità insieme nell'esercizio dell'importante sua carica, gli avevano conciliato, non pur in Roma, ma presso l’estere Corti, una tale stima, che dai più prudenti politici era riguardato, se fosse vissuto, come un certo sue- cessore nel pontificato di N. Signore. Il suo cadavere, con la solenne cavalcata solita farsi ne’ funerali del Cardinal Penitenziere, fu trasportato ieri sera alla chiesa di S. Pietro in Vincoli, chiesa del suo titolo e della sua religiosa famiglia: e questa mattina sonogli state fatte l’esequie. Siccome poi egli aveva cinquemila seudi di rendite ecclesiastiche, oltre i frutti della Penitenzieria, che ascendono a duemila, così alle rendite suddette concorrono anelanti di sete i nuovi porporati, che (secondo il loro sentimento) sono stati sì mal provveduti. ; 25 aprile 1767. Monsig. Azpuru, Ministro di Spagna, ha fatto spedire dalla sua segreteria un biglietto a tutti i Grandi di Spagna e a tutti i prelati e Cardinali ancora, che hanno qualche relazione con quella Corte per benefizi ecclesiastici, o pensioni che godono in que’ regni; col qual biglietto signi- fica loro brevemente che i PP. Gesuiti sono in disgrazia di S. M. Cattolica, onde servansi di questa notizia per regola della loro condotta. In conseguenza di che, il sig. Principe di Piombino, il quale aveva perpetuamente assegnata dalla sua scuderia una carrozza per servizio del P. Generale della Com- pagnia, ha ritirata questa sua beneficenza, la quale peraltro è stata subito supplita dalla generosità del sig. Principe Ruspoli, nella cui carrozza sì vede ora girare, benchè di rado, per Roma il detto Padre. Anche il Principe Doria ha escluso dal suo commercio domestico il P. Caraffa, zio della di lui madre, non senza un alto dispiacimento del medesimo Padre. E inoltre ha levato dal Seminario Romano tutti i suoi minori fratelli. 9 maggio 1767. Benchè siasi detto che questa Corte abbia mutato sentimento intorno al riavere nello Stato Pontificio gli espulsi Gesuiti spagnoli, con tutto ciò ho risaputo, che anzi è sempre ferma in non li volere accettare, e quando siano pure esposti su le spiaggie, essa vuole piuttosto pazientare una tal violenza, che consentirvi. Ed ho risaputo altresì che v'è stata e v'è pur anco tra il Generale de’ Gesuiti e l'Assistente di Spagna, pur gesuita, una forte altercazione, perchè il medesimo Generale si è protestato che non vuole in alcun modo nè pensare alla sussistenza, nè alla direzione di tanti esuli religiosi. Insomma nelle case de’ Gesuiti vi è una somma tristezza ed afflizione di spirito. 16 maggio 1767. Nel sabato antecedente a questo S. A. R. Ecc. il sig. Cardinal di Yorck por- tossi, insieme col suo fratello, verso l’un’ora di notte all’udienza di N. Signore. Il trattamento fu di perfettamente incognito, perchè sedendo nel suo scanno il Cardinale, il Principe stette sempre in piedi, e ringraziò S. Santità perchè fossesi degnata di riceverlo e di compiere il desiderio che da molto tempo nutriva di venerare personalmente in S. Santità il capo della Chiesa e il benefico protettore della sua famiglia. N. Signore restò assai soddisfatto de’ religiosi sentimenti di questo Principe; il quale, peraltro, ha desiderato la suddetta udienza per solo senso di religione, non volendo rinunziare al dritto di trat- tamento regio in aleun modo, perchè nell’andare al Palazzo prese la mano dal Cardinal fratello, e seguita a trattarsi da Re, ma in casa sua, e senza essere da alcuno visitato. I Foglietti manoscritti recavano che il detto Principe fossesi presentato a S. Santità travestito da frate domenicano, e che per questa udienza, concertata senza saputa dell’Em.®° Segretario di Stato, esso fossesi allontanato da Roma. Queste due falsità hanno posto l’autore in pericolo di essere esiliato. Quanto all’affare de’ Gesuiti, che ora occupa tutta la Corte Romana, si è inteso che S. M. Cattolica, alle proteste del S. Padre di non ricevere i Gesuiti espulsi dalla Spagna, ha risposto dispiacergli di non MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. È FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 49 essere più in tempo di secondare le di lui premure, perchè i suoi ordini erano già stati eseguiti, e che, indirizzando i Gesuiti allo Stato Pontificio, non aveva inteso di violare in alcun modo il dritto della sovranità temporale di S. Santità, ma avendoli considerati come immediati sudditi della S. Sede, aveva creduto anzi di usare un atto di riverenza verso la medesima, rimettendoli nella sua giurisdizione, ben provveduti del necessario sostentamento. Con questa protesta, che avrebbe comunicata a tutti i Principi, lasciava all’arbitrio di Sua Santità il riceverli, o non riceverli. La mattina seguente portossi Monsig. Azpuru all’udienza di N. Signore, la quale fu di pochi minuti, perchè in assai brevi e precisi termini la Santità Sua dichiarò che in nessun modo voleva ricevere i Gesuiti. Ma nella sera dello stesso giorno di mercoledì fu spedita una staffetta dal Comandante del porto di Civitavecchia all’Em.®° Segretario di Stato, con l’avviso che erano giunte quattordici navi, che avevano trasportato 570 Gesuiti; cioè tuttii Gesuiti della provincia d'Aragona, scortati da tre sciabeechi armati; e lo stesso avviso fu recato a Monsig. Azpuru. Nel giovedì seguente fu spedito viglietto dalla Segreteria di Stato a Monsig. Azpuru, col quale se lì dichiarava, per parte di N. Signore, che si persisteva nella determinazione di non accoglierli. Le navi sono entrate nel porto, senza lo scambievole saluto, ma ciò per la solita controversia di cerimoniale, pretendendo la bandiera regia di Spagna d'essere salutata la prima. Teri, venerdì, il Comandante delle navi portossi a Roma, e pranzò con Monsig. Azpuru. Credesi che sì attenda, per parte di Monsig. Azpuru, qualche altra istruzione regia; e per parte di questa Corte il ritorno del corriere spedito in Madrid con dispacci, che rappresentano in maniera più forte la determi- nazione del Papa. Fino a quest'ora non si sa se siano sbarcati i Gesuiti, e neppure partiti. Peraltro questa pontificia risoluzione dà molto da temere non segni qualche rottura tra questa Corte e quella di Madrid, con infinito danno di questo angustiato paese, benchè la lettera dell’Auditore della Nunzia- tura di Spagna quasi assicuri che il Re è alienissimo dal romperla con la S. Sede. 25 maggio 1767. Continua in Roma il perenne stucchevole discorso degli espulsi Gesuiti spagnoli, e ne’ passati giorni pervenne qua staffetta da Civitavecchia, coll’avviso ch’erano giunte in quel porto due navi da guerra di S. M. Cattolica, che convogliavano dieci altre navi di nazione inglese, olandese, svedese e danese, le quali conducevano 500 Gesuiti, a riserva di dodici i più ragguardevoli ch’erano sopra la nave comandante. Il Comandante poi si chiamava D. Francesco de Bera, l’altro D. Francesco Seravia, li quali erano partiti a dì 2 maggio da Cartagena. Ma dopo il ritorno di altra staffetta, spe- dita da Monsig. Azpuru a Civitavecchia, si è saputo che partirono alla volta di Genova, dove si erano indirizzati gli altri 573, dopo il ritorno del corriere (papale) da Madrid. Tersera pervenne altra staffetta da Civitavecchia, che portava l’avviso d’essere giunti altri 900 Gesuiti. Ma le navi che li portavano neppure sono entrate in porto, essendo andato a bordo della capitana il Console di Spagna, coll’ordine di farle ritorcere le vele alla volta di Genova, come le altre. Siccome il divisato rifiuto vuolsi consigliato e fomentato dalle istanze e pratiche del Generale dei Gesuiti, così è disapprovato dai nemici di quel corpo, che nelle loro disgrazie sono cresciuti oltre modo; e dai politici si dice, che dopo questa terza replica, per così dire, di apoplessia, sia vicino l’ultimo discioglimento e rovina del medesimo, 30 maggio 1767. Tutti i convogli de’ Gesuiti espulsi di Spagna, che sono pervenuti a Civitavecchia, hanno di mano in mano rivolta la vela verso Genova, e poi verso la Corsica, dove, ad istanza del Re Cattolico, hanno avuto ricovero da quella Repubblica. Ma non si sa se per l’angustia del luogo potranno ricoverarvisi tutti, e vi è qualche notizia che per ordine regio sia stato sospeso l’ultimo convoglio. Mercoledì mattina giunse qua staffetta, che recò l’infausta nuova della morte dell’ Em.®° sig. car- dinale Niccolò Oddi, arcivescovo di Ravenna e Legato della Romagna, seguìta in Arezzo la domenica antecedente. Egli è stato compianto universalmente, sì perchè era un Cardinale dotato di qualità singo- lari, e per le maniere facili, e per la stima che si era conciliato nell’estere Corti attissimo a trattare gli affari della S. Sede, e sì ancora perchè rapito dalla morte in verde età e sul principio delle sue fortune. Questo Monsig. Azpuru ha significato, per ordine della sua Corte, a S. A. R. il sig. Cardinale di Yorck, al Principe di Piombino, al Principe Doria ed anche a Monsig. Zelada, Segretario del Concilio, il regio gradimento per essersi allontanati da ogni commercio coi Gesuiti, caduti nella disgrazia di S. M. Cattolica. 35 50 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. 6 giugno 1767. Argomento di piacevoli discorsi è stata la professione solenne di gesuita che fece in Arezzo, nella casa de’ Gesuiti, poco prima di morire, il sig. cardinale Oddi, onde essendo stato sepolto nella chiesa loro, negano que’? RR. PP. di dare al parroco la quarta funerale. Tutto in queste circostanze nuoce mirabilmente alla loro causa, perchè viensi a comprovare ciò che da’ loro nemici è stato più volte esagerato, cioè che questa Società, per dilatare la sua potenza, abbia in ogni luogo e in ogni ceto e in diverso abito li neri suoi satelliti. 27 giugno 1767. Sabato scorso qua pervenne il sig. Principe Doria Panfili con la sig. Principessa di Carignano, sua consorte, la quale nelle due susseguenti sere ricevve i complimenti di tutta la no- biltà e prelatura romana, cedendo la mano a tutte le sigg. Principesse e dame, con somma gentilezza e senza pretendere alcuna distinzione nel cerimoniale solito praticarsi in simile circostanza. 27 giugno 1767. I Gesuiti espulsi di Spagna si è saputo che non si vogliono ricevere dai sig. Ge- novesi, e che vagano tuttavia nel mare, incerti del loro destino; e qui comincia a credersi che final- mente saranno esposti nelle spiaggie dello Stato della Chiesa, tanto più che l’ultimo dispaccio pervenuto a Monsig. Azpuru conteneva che S. M. Cattolica aveva usato ogni diligenza perchè i suddetti Gesuiti fossero ricevuti dai sigg. Genovesi, avendovi impegnato fino la mediazione della Francia, più autorevole ed efficace. Ma se dopo tante misure prese, per un caso affatto impensato, i sigg. Genovesi non avessero voluto aderire alle istanze anche minaccevoli di due monarchi protettori di quella Repubblica, allora incaricavasi da S. M. Cattolica il Ministro di Roma di protestare dinanzi a Dio e agli uomini che non si potevano più serbare quei riguardi verso la S. Sede, che aveva avuti fin ora, e che per mera necessità sarebbero stati sbarcati nelle spiaggie pontificie, cioè consegnati al loro immediato superiore, che è il Papa. Monsig. Azpuru, poche ore dopo ricevuto esso dispaccio, spedì un corriere a Orbetello, ond’è nata la voce che possano per ora farsi sbarcare in quella parte, fin tanto che qui si tratti questo grande e difficilissimo affare. Giovedì passato il P. Generale de’ Gesuiti fece alla chiesa del Gesù la solita processione del Corpus Domini, ma non col solito numeroso intervento della prelatura, non essendovene anzi comparso alcuno. 1° agosto 1767. Il P. Generale de’ Gesuiti ha presentato a N. Signore un memoriale, munito di tutti i documenti giustificativi, nel quale rappresenta che essendoli mancati i sussidi della Spagna, per il man- tenimento dei gesuiti portoghesi, non può in alcun modo provvedere da qui innanzi, se non per un mese, alla sussistenza dei medesimi, e però supplica la Santità Sua di qualche pontificia provvidenza. Dicesi che per esaminare questo affare si deputerà una Congregazione particolare di Cardinali e di prelati. 8 agosto 1767. Monsig. Tesoriere, tutto intento a ristabilire, per quanto sia possibile, le sconcertate finanze della Camera Apostolica, ha con nuovo editto accresciuta la gabella del vino forestiero, in modo che quel vino ch’era gravato sette paoli per barile, ora lo sarà di dieci, e quello più prezioso che pagava dieci paoli per barile, ora ne pagherà venti. Dicesi ancora che, per evitare l’infinità di fraudi che si fanno alla Dogana di Roma, si collocheranno le Dogane ai confini di tutte le Provincie dello Stato Ecclesiastico. E questo progetto, per altro già da più altri Tesorieri meditato, sarà ora maturato e posto in esecuzione. 29 agosto 1767. Per la venuta dell’Imperatore [Giuseppe II], benchè in incognito, si è risoluto di anticipare le Opere in musica e di porle in scena con la maggiore magnificenza possibile. Siccome poi si assicura che la novella Regina di Napoli [Maria Carolina d’Austria] si tratterrà per due giorni in Roma, così per due sere consecutive si faranno fuochi di allegrezza per tutta la città e la solita girandola al Castel S. Angelo. 5 settembre 1767. La venuta della sposa Regina di Napoli, in compagnia dell’ Imperatore e del Granduca di Toscana [Pietro Leopoldo], suoi fratelli, benchè incogniti, essendo l’unico e perpetuo argo- mento dei discorsi di Roma, non mi fa avere altre novità, se non alcune poche, le quali a tal soggetto si appartengono. Una si è, che le istruzioni da darsi a Monsig. Millo, Nunzio straordinario a detta Regina, sono state mandate a Vienna perchè sieno colà esaminate e convenute, nè siavi luogo ad alcuna MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL, LXV, N. 6. 5I varietà nell'esecuzione del cerimoniale. Finora non si è saputo che sieno ritornate da quella Corte. Fra i regali che si preparano da Sua Santità ad ospiti così illustri è stato destinato il famoso S. Michele Arcangelo, messo a mosaico, che è d’infinito prezzo, per S. M. l'Imperatore. ò settembre 1767. Ier l’altro pervenne qua da Civitavecchia un espresso spedito dal Comandante di quella fortezza con l’avviso ch’erano giunti in quel porto 19 (Gesuiti liberati dalle carceri di Portogallo, ai quali non aveva permesso di sbarcare senza l’ordine pontificio. Si è ordinato che si accordi lo sbarco ai medesimi, che, essendo una porzione residuale ed infelice dei Gesuiti portoghesi già ricevuti in Roma, si uniscono a questo corpo. Per sostenere il medesimo corpo, non avendo il P. Generale modo (giacchè si ricercano seimila scudi il mese), ricorse al Papa, come si scrisse, per qualche provvedimento; ma S. Santità ha risposto che primieramente prendano tutti i sacerdoti le limosine delle messe; il che, secondo le loro costituzioni è proibito; e quando ciò non basti, sì vendano gli argenti delle chiese e s'iÌmpegnino le possessioni per sostentare i miseri portoghesi. 20 settembre 1767. Giovedì notte, alle ore 6 in circa, dopo una brevissima malattia di due o tre giorni, morì l’Em.®° sie. cardinale Antonelli, in età di anni settanta in circa, con molto dispiacere di Sua Santità e del Sacro Collegio, perchè era un Cardinale di molta probità e dottrina, e di cui molto sarebbesi parlato quando fosse venuta l’occasione (che il Signore tenga lontanissima) di eleggere un nuovo Pontefice. 26 settembre 1767. Il sis. cardinale Alessandro Albani si è portato in persona da tutti i sigg. Principi e Cavalieri del Toson d’oro, che hanno qualche relazione colla Corte di Vienna e che volevano preparare gran feste per la venuta dell’Imperatore, per notificar loro, da parte di S. M. Imperiale, ch’essa non vuole alcuna delle suddette pubbliche feste, ma è risolutissima di serbare un perfetto incognito. 28 novembre 1767. Lunedì fu tenuta una particolare Congregazione di sigg. Cardinali, nella quale fu esaminata la maniera di dar sussistenza ai Gesuiti portoghesi, in numero di ottocento, che vanno a perire per mancanza di viveri; e fu risoluto che si scrivesse a tutti i Vescovi dello Stato perchè man- dassero la nota de’ piecoli rurali conventi d'altri religiosi, volendosi che si cedano ai Gesuiti portoghesi, e intanto que’ religiosi vadano a incorporarsi ne’ conventi grossi dell’istessa loro Religione. Se questo progetto avrà la sua esecuzione, si aumenterà l’odiosità a quel corpo religioso ancora nello Stato Pon- tificio, dove pare che si voglia sostenere a qualunque costo. L’espulsione dei Gesuiti dal Regno delle Due Sicilie è stato ne’ passati giorni il perpetuo argomento de’ discorsi e delle riflessioni romane. Seguì questa ai 20 del corrente, subito dopo l’arrivo del corriere di Spagna, d’onde è venuto il fatal colpo, che fu ricevuto da que’ religiosi con tutta rassegnazione, essendo già da lungo tempo preveduto e con- secutivo dell’altro assai più funesto di Spagna. I Gesuiti furono imbarcati su’ bastimenti, che fecero vela verso Baia, e il Comandante aveva un dispaccio che doveva aprire tante leghe lontano da terra, onde non si sa fin ora il termine dove saranno esposti o gettati. Nè manca chi scrive, che i Gesuiti non sudditi regi saranno abbandonati sulle spiaggie pontificie. Qui intanto, ricevutasi per staffetta da Napoli una tal notizia, furono spediti nuovi ordini a Civitavecchia e Porto d’Anzio perchè non si lasciassero sbarcare, siccome fu fatto dei Gesuiti spagnuoli. Quello però che ha estremamente percosso l’animo del Papa e ridotto quasi ad una mortale afflizione, è la notizia pervenuta iersera che tutto il Collegio dei Gesuiti di Capua è stato accompagnato dalla milizia napolitana a Terracina e spinto violentemente nello Stato Pontificio; intimandosi ai Gesuiti di non più ritornare nel Regno, sotto pena della vita, e prote- standosi gli uffiziali di aver ordine regio di far fuoco ancora sopra le truppe pontificie quando si volesse far resistenza per ricevere gli espulsi Gesuiti. N. Signore ha disintimato questa mattina l’udienza di tutti i Ministri, ed innanzi a sè ha tenuto una Congregazione, di cui finora non ho penetrato la risoluzione. Ma qui pubblicamente dicesi, che i Gesuiti napoletani, tanto per terra, quanto per mare, vogliono de- positarsi nello Stato Pontificio. E non volendosi, o non potendosi dal Papa resistere alla superiore forza, converrà aver pazienza ed aspettare qualche rimedio dal male medesimo. 6 decembre 1767. Oltre quella Congregazione, che scrissi essere stata tenuta innanzi al Papa sul- l’affare adesso vegliante de’ Gesuiti espulsi dal Regno di Napoli, altra simile fu pur tenuta lunedì. In 52 GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. quesie due Congregazioni i sigg. Cardinali opinarono variamente, e dicesi che vi fu ancora chi opinò, per quiete della S. Sede, la soppressione totale di quell’Ordine, divenuto oggimai oggetto di odiosità presso tutti i Principi cattolici. Dipoi furono chiamati all’udienza di N. Signore tutti î Ministri esteri. Si protestò la Santità di N. Signore e altamente si dolse dell’ingiuria fatta dal Re delle Due Sicilie a lui, come a Principe e Sovrano temporale dello Stato della Chiesa, per aver cacciati dentro il medesimo Stato gli espulsi Gesuiti, senza alcuno avviso preventivo. Disse che egli, prescindendo ora dalla causa de’ Gesuiti, i quali da lui non erano difesi, perchè non ne sapeva i delitti, e della di cui espulsione se ne sarebbe un tempo reso conto rigoroso innanzi al Tribunal di Dio, come Sovrano del suo Stato non poteva non reclamare a due atti ingiusti e violenti fatti dal Re di Napoli. Il primo con scaricare tanti sudditi naturali del medesimo Re, senza nè trattato, nè avviso, entro le terre del Principe confinante; e l’altro colla violenta usurpazione dei beni appartenenti ai collegi e seminari romani, e comprati col danaro romano, ovvero uniti come Badie ai medesimi collegi, coll’autorità apostolica e col consenso del Re. Essere un mero accidente che li stessi seminari e collegi siano stati da’ suoi antecessori dati in amministrazione e governo ai Gesuiti, ma i fondi e beni essere del Papa, cui non si dovevano con- fiscare certamente per una causa affatto estranea, come quella de’ Gesuiti. Impose a tutti i suddetti Ministri di anteporre ai loro Sovrani questa sua giusta doglianza e protesta, pregandoli a far causa comune la violazione del comun diritto di Sovrano. Intanto qui si è spedito un commissario con ordine di dar ricetto alla meglio a’ Gesuiti, nelle vicinanze però del confine, e senza ammetterli, almeno in molto numero, nelle città. Ter mattina vi fu altra Congregazione particolare, il cui soggetto versò sulla maniera di provvedere alla sussistenza de’ Gesuiti portoghesi e di distribuirli, senza però ingiuria, nè danno degli altri Reli- giosi, ne’ piccoli conventi delle terre pontificie. E fu commendata la. carità degli altri Religiosi, che, nella maggior parte, con buona fede e con molta facilità, abbracciano questa distribuzione. 12 decembre 1767. Difficile è la condizione de’ Gesuiti portoghesi in Roma riguardo alla loro sus- sistenza, la quale sin ora non si è risoluto se debba ritirarsi o dall’erario della Camera, o da una im- posizione de’ sudditi, o dalla carità degli altri Ordini religiosi, incontrandosi per ogni parte ostacoli insuperabili, e non mancano alcuni de’ sigg. Cardinali che sostengono doversi prima vendere tutti i beni de’ Gesuiti, e così a poco a poco distruggersi e finire. I PP. Gesuiti, per dimostrare sempre più l'impossibilità di mantenere i loro correligiosi portoghesi, hanno mandato al Monte di Pietà 1787 libbre d’argento e 16 libbre d’oro, onde hanno ricavato presso a scudi 30.000 in danaro effettivo. 19 decembre 1767. Il P. Generale de’ Gesuiti ha fatto intendere ai Gesuiti portoghesi che solamente per un altro mese, o due al più, penserà alla loro sussistenza, dopo il qual termine si trova nella ne- cessità d’abbandonarli per mancanza d’assegnamenti. Ma questa. mancanza non vuolsi credere da molti, e non manca ancora fra i sigg. Cardinali chi dica essere obbligato il P. Generale ad alienare ancora i fondi che si posseggono dalla Compagnia, prima d’indursi ad un sì aspro abbandonamento. 9 gennaio 1768. Dopo che una porzione de’ Gesuiti siculi, espulsi da quell’isola, fu sbarcata al porto di S. Stefano ne’ Presidi di Toscana, appartenenti al Re di Napoli, e vi si trattenne alcuni pochi giorni, ebbe ordine di uscire dagli Stati di S. M. e andarsene ove lor pareva. Ma non potendo esser ricevuti in Toscana, comparvero ne’ passati giorni nelle vicinanze di Viterbo, al numero di cento ed uno, trasportati ai confini dello Stato Ecclesiastico sopra carri, e quivi abbandonati. Il Governatore di To- scanella fu dalla Segreteria di Stato comandato di dar loro un ricovero provvisionale fino a nuovo ordine. Intanto si aspetta il compimento di questi esuli disgraziati, e qui mancando la forza di resistere a questa oggimai universale inondazione, pare che questa Corte sì armi di pazienza, senza pensare ad altro provvedimento. Qui si sono aperti i Teatri, e delle due Opere in musica, cioè del Teatro d’Argentina e di quello di Aliberti, è stata riavuta con maggior applauso l'Opera d’Argentina, quantunque il musico Guadagni non abbia sostenuta l’aspettazione presso i dilettanti romani, i quali hanno giudicato che non gli si dovesse tanto stipendio, quanto è quello che gli è stato accordato di milleducento zecchini. MEMORIE - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STOR. E FILOL., SERIE II, VOL. LXV, N. 6. 55 13 febbraio 1768. Lo sposalizio tra il sig. Senatore Rezzonico e la figlia del sig. Principe di Piom- bino fu benedetto domenica passata da S. Santità nella Cappella segreta, coll’assistenza de’ Cardinali palatini e del sig. cardinal Chigi, fratello della madre della sposa. Le cerimonie di questa benedizione sì vedono descritte ne' Fogli del Cracas; ne’ quali non si è voluto che si deserivano i regali fatti tra le due case ed alla sposa dai parenti ed amici; il che, per altro, ha dato occasione che negli avvisi forastieri si esagerino oltre il vero. 23 luglio 1768. Per bando dell’Em.° sig. Cardinale Camarlengo, essendo ritornato il peso antico del pane ad oncie otto, questi fornari hanno fatto ricorso al Papa, rappresentando che per tale acere- scimento del peso erano essi nella necessità di chiudere i forni, perchè nella manipolazione del pane non solamente non avevano aleun guadagno, ma un vero discapito. Su questa rappresentanza si tenne una particolare Congregazione, nella quale furono stabilite molte provvidenze, onde i fornari seguitassero a manipolare il pane con loro discreto vantaggio, e con minor danno possibile della Camera, fermo però rimandando l’aecrescimento dell’oncia. Furono pertanto liberati i fornari per ora dalla gabella che chia- mano dello Spiano, cioè di uno scudo per rubbio, e fu loro data libertà di comprare il grano dai sette scudì în giù, ma non meno de’ cinque, da qualunque venditore, senza che fossero tenuti comprarlo dal- l’Annona, se non nel caso di pagarlo scudi sette il rubbio, pel qual pagamento doveva sempre esser preferita l’Annona suddetta. i 30 luglio 1768. Si è saputo che i mille cinquecento Gesuiti, cacciati dall’Indie e giunti in Corsica, da quest’Isola passeranno in Toscana e quindi nello Stato Pontificio, dove voglionsi ad ogni patto sea- ricare tutti que’ religiosi, dal solo Pontefice, come dicono, protetti e difesi. 3 settembre 1768. Dopo che il S. Padre, alle replicate premurose istanze del Cardinal Decano, si è indotto, benchè di mala voglia, ad escludere l’Em.m° sig. cardinal Torrigiani dal carteggio coi Nunzi che risiedono appresso î Sovrani della real famiglia Borbone, sono stati assegnati al sig. cardinal Negroni, deputato per trattare co’ Ministri della stessa real famiglia, due minutanti che rilevino per quest’unico effetto gli ordini dallo stesso Em.®° Negroni. Voleva il Cardinal Decano che il S. Padre accettasse la totale dimissione della Segreteria di Stato, fatta più volte e con molta premura dal sig. cardinal Tor- rigiani, ma non è stata maniera di vincere su questo punto l’animo del S. Padre, troppo persuaso e dell’onoratezza e del zelo e della integrità di questo porporato. Fino da lunedì scorso giunse la nuova della morte del cardinal Crescenzi, compianto da tutta Fer- rara. Il suo testamento è stato conveniente ad un ecclesiastico ottimo, qual è vissuto, avendo della sua eredità (che credesi ascendere a 60.000 scudi) fatto tre parti: una ai poveri di Ferrara, la seconda a varii luoghi pii, e la terza per la fabbrica di un conservatorio ed ospedale. Martedì si accese improvvisamente il fuoco nell’appartamento di Monsig. Evadio Asseman, Custode della Biblioteca Vaticana, e contiguo ad essa Biblioteca, a cui se non accorrevano le truppe ad estin- guerlo, e tagliando i muri, non si toglieva ogni comunicazione colla medesima, poteva agevolmente perire, con indicibil danno di Roma, la libreria più celebre del mondo. Con tutto ciò il danno sofferto dal prelato vuolsi fare ascendere a 40.000 scudi, essendo stati consumati dal fuoco alcuni codici siriaci, di raro prezzo, e di pertinenza d’esso Asseman. 24 settembre 1768. Ha il S. Padre permesso, o a meglio dire tollerato che quei tre o quattro mila Gesuiti espulsi dalla Spagna, i quali ritrovavansi in Corsica, si ricoverino nello Stato Ecclesiastico, ma con la condizione che non vengano a Roma, e che non convivano cogli altri Gesuiti italiani, ma a loro spese. E già d’ora è giunto in Bologna il commissario, o sia tesoriere del Re Cattolico, il quale deve somministrar loro la pensione accordata, e va distribuendo e fissando in vari luoghi dello Stato Eccle- siastico gli alloggi per i medesimi. 26 novembre 1768. Domenica, alle ore 16, giunse corriere spedito da Monsig. Cambiasi, Vicelegato di Romagna a questa Segreteria di Stato, il qual corriere portò la infausta notizia della morte del- lEm.m® sig. cardinale Piccolomini di Siena, il quale, sorpreso da fierissimi dolori e convulsioni, in poche ore cessò di vivere in Rimini, pianto da tutta quella città, cui aveva, sul principio del suo governo, DA GIOVANNI SFORZA — PAPA REZZONICO STUDIATO NE’ DISPACCI INEDITI, ECC. restituita le quiete, togliendo via le divisioni ch’erano tra que’ cittadini per il risarcimento di quel porto rovinato, avendo con fortezza d’animo preso quel partito che, oltre essere il più vantaggioso, era eziandio il più popolare e plausibile. Egli è morto. d’anni sessanta incirca, e non può negarsi che non sia stato un uomo di gran talento e di gran cognizione, letterato ed amante de’ letterati e di tutti i nobili fore- stieri, che si facevano pregio di visitarlo. A traverso della povertà domestica e di molte e grandi con- tradizioni, era giunto ai primi e più luminosi posti di questa Corte. Ma neppure può negarsi che a tante e sì belle qualità non avesse congiunto il difetto degli spiriti grandi, cioè una vasta ambizione, che lo rese sempre inquieto e sconcertato nelle finanze in modo, ch’egli non ha lasciata altra eredità, che di non pochi debiti. Ed ecco vacante il decimoterzo cappello, ma nelle presenti circostanze, se vacasse ancora il vigesimo, sempre la promozione è più lontana che mai. 21 gennaio 1769. Mercoledì mattina Monsig. Azpuru, Ministro di S. M. Cattolica, ebbe udienza da N. Signore, cui a nome del Re presentò una Memoria assai forte e lunga, colla quale si prega S. S. a sopprimere la religione de’ Gesuiti come dannosa, e adesso certamente inutile allo Stato ed alla Chiesa, della quale essendo il medesimo Re figlio e protettore, non può a meno, per adempimento del suo do- vere, di non fare questa premurosa ed efficace istanza; la quale istanza, se sarà secondata dal benigno animo di S. Santità, si vedranno acquietate tutte le turbolenze, e riuniti con indissolubile vincolo tutti i fedeli al capo della Chiesa. Il Papa ricevè la Memoria, e disse che l’avrebbe considerata, licenziando brevemente il detto Ministro. Altra simile memoria su l’istesso argomento presentò ier mattina a N. Signore, in una udienza pur breve, il sig. cardinale Orsini, Ministro del Re delle Due Sicilie. E martedì della futura settimana ne sarà presentata altra dal sig. Ambasciatore di Francia. Non si sa se questa istanza di tutta la famiglia Borbone contro l'Ordine de’ Gesuiti sarà esaudita dal S. Padre. Ben si sa, che qui dalla maggior parte si crede innocente il medesimo Ordine, e non meritevole di un odio sì grande, eccitato nell’animo di questi Principi dai loro antichi nemici. Comunque siasi, non possono non temersi perniciose conseguenze di una negativa, quando segua, fatta ai Principi più potenti della cristianità, ed ai quali non si dubita che si unirà pure la Corte di Vienna. 28 gennaio 1769. Presentò martedi prossimo passato questo sig. Ambasciatore di Francia al S. Padre, in nome del Re Cristianissimo, la sua Memoria, uniforme a quella de’ Ministri del Re Cattolico e di S. M. Siciliana; nella qual Memoria si chiede istantemente la soppressione universale de’ Gesuiti. Qual siasi per essere la risposta di S. Santità, finora non s'è penetrata; e i discorsi sono varii, secondo le varie affezioni delle persone che li fanno. 3 febbraio 1769. Avanzo la infausta notizia della improvvisa morte del Sommo Pontefice Cle- mente XIII, seguìta alle ore sei incirca della passata notte; sorpreso egli da una delle solite sue an- gustie e difficoltà di respiro (cui si procurò indarno di riparare con pronto salasso), dopo un legger vomito di sangue, in pochi momenti rese l’anima al Creatore, lasciando la Chiesa di Roma in quello stato, che nelle presenti circostanze ognun vede. (Secondo dispaccio). Aveva il S. Padre cenato tranquillamente e licenziati i nipoti; quando fu entrato nel letto, sorpreso da una delle sue solite difficoltà e angustie di respiro, fece cenno all’aiutante di camera, che gli cavasse sangue, e subito da un braccio gli fu cavato; ma ciò non ostante, avendo prima gettato poco sangue dalla bocca, spirò in sì brevi momenti, che non fu a tempo nè il confessore, nè i nipoti, nè altri della famiglia. Benchè il caso sia compassionevole, con tutto ciò le presenti circostanze che si affacciano al pensiero di ciascuno, fanno credere essere questa morte anche per lui medesimo opportuna. Vo Si stampi: PaoLo BoseLLi, Presidente. CORRADO SEGRE Segretario della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. ETTORE STAMPINI Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. NTERATEN KSETW È ARIES RAZZA TITTI A YNZAR rn ) ) ) );} | d DR ) )'G: DIL ) III ) VEST TOTTEETT==="==="====="===="=**=>==== SLA ig o na i vi a sar n CMNININONIAE 3 2044 093 260 180